Sit vobis terra levis

di Nuel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Daphne camminava a piedi scalzi tra le stelle ***
Capitolo 2: *** Comitato d'Accoglienza per Defunti ***
Capitolo 3: *** Refrain dell'edera rossa ***



Capitolo 1
*** Daphne camminava a piedi scalzi tra le stelle ***


Questa fanfiction si è classificata seconda al contest "A couple, a situation" indetto da Elisaherm sul forum di EFP.
La coppia scelta è: Daphne x Blaise
Le situazioni scelte sono:

26. La storia è quasi del tutto ambientata in un sogno/incubo/illusione. 

7. Lui si dichiara, ma lei è presa di sprovvista e non sapendo come reagire scappa. 

Rating: arancione

Genere: Angst, Horror

Note: AU/What if?
 
 
Daphne camminava a piedi scalzi tra le stelle


Il cielo sottosopra s'illuminava dopo ogni tuono. Le stelle scappate s'erano rifugiate a terra, diventando fate e lingue di fuoco agitate dal vento.
    Le fronde si disperavano, i capelli vorticavano impazziti mentre rideva, voltandosi indietro.
    Nessuno l'inseguiva.
    Camminava in punta di piedi; il vento voleva farle smarrire la strada. Invero, Daphne ricordava e non ricordava dove fosse la casetta in cui Blaise l'aspettava da un tempo indefinito.
    Quella mattina o forse quella prima, aveva sentito dire che era già trascorso un anno.  Doveva sbrigarsi, perché Blaise aveva detto che l'avrebbe aspettata fino al tramonto, ma lei sapeva che aveva atteso tre giorni. Immaginava stesse preparando il tè, frattanto, anche senza tazzine per servirlo.
    Iniziavano a cadere gocce di pioggia bollente e densa, le sentiva sulle braccia e sotto i piedi. Sollevò lo sguardo al cielo, correndo alla cieca, pestando fiammelle, scottando le piante dei piedi, riempiendosi di cera.
    Le fate avevano ali consumate, pungenti come aghi e filo spinato.
    «Blaise!» chiamò con voce cantilenante, da sposa, da bambina. Il fragore d'un tuono la zittì e l'attimo dopo un lampo illuminò la dimora senza tempo. Una parte di lei ricordava che il lampo avrebbe dovuto precedere il tuono, ma era quella parte che ormai taceva.
    Quella mattina era uscita quando faceva ancora buio. Intorno a lei cavallette verdi con cui aveva diviso i banchi di scuola lasciavano il castello prima che cominciasse lo scontro.
    Pansy aveva detto qualcosa.
    Grosse rane le aspettavano per banchettare con loro e lei s'era fermata per guardare indietro.
    Quella mattina o forse quella prima, Blaise le aveva chiesto qualcosa: «Quando avremo finito la scuola, vuoi sposarmi, Daphne?», ma se n'era scordata. Ricordava, però, di essere scappata.
    Poco prima che la battaglia iniziasse o poco dopo, aveva ricordato di dovergli rispondere: avrebbe voluto dirgli mille volte sì. Perciò doveva trovarlo, anche se Hogwarts si sbriciolava mentre stelle cadenti volavano sulle loro teste, verdi Avada Kedavra.
    Era stato allora che il cielo aveva cominciato a cadere.
    Aveva sentito la voce di Blaise, braccia che la circondavano e la sollevavano da terra.
    Anche lei aveva cominciato a cadere.
    Le braccia di Blaise erano diventate rigide e fredde e le era mancato il respiro quando lui aveva smesso di respirare. Invero, lei respirava ancora, piano piano, per non farsi sentire.
    Poi era arrivata quella mattina o forse quella prima, il rumore di ossa infrante somigliava a quello di alberi divelti e lei era fata, fiamma e stella caduta.
    Aveva infine raggiunto il bosco di due cipressi. Ondeggiavano le cime al suono del vento: falangi martellanti sulle tegole e affilare d'una falce. Sperava d'essere puntuale per il tè.
    «Blaise?» chiamò, attraversando la trama intessuta dai ragni per donarle un velo da sposa.
    La polvere giaceva tra fiori marciti e legno scomposto donde occhieggiava lo sposo. Scure ossa sporgevano come rami spezzati e Daphne gli s'inginocchiò accanto, stringendo nella mano il radio esposto.
    «Scusa il ritardo, Blaise. Sapevo che mi avresti aspettato». Ricambiò il sorriso di denti bianchi che illuminava il cranio.
    Quella mattina o forse quella dopo, qualcuno sarebbe andato a prenderla di nuovo.
    
[Parole: 500]
 

_____†_____



Note:
- il “tempo”, nella storia, sembra andare a ritroso (prima il tuono e poi il lampo; prima la sposa e poi la bambina), come è invertito il cielo: durante il temporale le stelle sono coperte dalle nubi, ma Daphne cammina “tra le stelle cadute”, ovvero i lumini accesi del cimitero.
I termini temporali “Quella mattina o forse quella prima”;  “Quella mattina”; “Quella mattina o forse quella dopo” indicano tre momenti distinti: il primo si riferisce ad un indistinto passato in cui si svolgono le regolari attività scolastiche e Blaise chiede a Daphne di sposarlo.
Il secondo, invece, è un momento preciso: il giorno della battaglia di Hogwarts. In quel giorno Pansy ha detto qualcosa, che però Daphne non ricorda, mentre ricorda cosa le ha detto Blaise, i Serpeverde, le cavallette, hanno lasciato la scuola e lei si è fermata per cercare Blaise e rispondergli. In quel momento il tempo di Daphne si ferma e, in una sorta di delirio oniroide comincia a scorrere al contrario.
Il terzo momento è quello in cui si svolge la storia: la mattina (o la sera) in cui lei è uscita per recarsi nel cimitero. Nel momento in cui si ricongiunge a Blaise il tempo riprende a scorrere in avanti, verso un futuro in cui qualcuno di indistinto, in quanto privo di importanza nel suo delirio, verrà a prenderla per ricondurla a casa.
- “Blaise aveva detto che l'avrebbe aspettata fino al tramonto, ma lei sapeva che aveva atteso tre giorni”: le parole di Blaise si scontrano con il rito della veglia che, nella tradizioni cattolica, dura tre giorni.
- “Immaginava stesse preparando il tè, frattanto, anche senza tazzine per servirlo”: i morti che banchettano sono un'immagine cultuale comune a molte tradizioni antiche, ma altrettanto comune è quella del defunto che agogna il cibo dei vivi e che non può più consumare, per questo il tè, tipicamente inglese, viene preparato, anche se non può essere bevuto.
- Cavallette verdi e grosse rane: gli studenti Serpeverde che vennero fatti uscire dal castello prima dello scontro, giovani e quindi agili e scattanti come cavallette, che però sono cibo per le rane, i genitori Mangiamorte che sono pronti a sacrificare anche i figli per i propri scopi.
- “il rumore di ossa infrante somigliava a quello di alberi divelti”: le braccia di Blaise erano diventate rigide, Daphne associa lo scricchiolio degli arti che i suoi soccorritori devono aver forzato per liberarla dall'abbraccio al rumore degli alberi sradicati nella notte dai giganti.
- “il bosco di due cipressi”: due alberi non fanno un bosco, ma possono essere piantati davanti ad una casetta mortuaria (la “dimora senza tempo”, poiché eterna); i cipressi fanno parte dell'iconografia tradizionale del cimitero.
- “falangi martellanti sulle tegole e affilare d'una falce”: la pioggia diventa il tamburellare delle dita e il vento sibila sinistro come il suono della falce della Morte.
- il radio: osso dell'avambraccio.

Questa è la mia prima flash fic... ho scritto in modo molto diverso da quello a cui sono abituata e quindi... consideratelo un esperiemento! ^^ Se trovate che sia riuscito, seguitemi sulla mia pagina FB! ^^

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Capitolo 2
*** Comitato d'Accoglienza per Defunti ***


Titolo: Comitato d'Accoglienza per Defunti – Sono aperte le iscrizioni
Introduzione: Il giorno della Battaglia di Hogwarts, tra i primi a cadere è Fred Weasley. Nel momento della sua transizione, ad accoglierlo, in un campeggio approntato per l'arrivo delle molte vittime, è Sirius Black.
Rating: giallo
Genere: Slice of life
Note/Avvertimenti: -
Note dell'Autore: dopo il testo
Betareading: no


Questa ff si è classificata prima al King's Cross~Flash Contest indetto da Sarah.H sul forum di EFP.
 

Comitato d'Accoglienza per Defunti
– Sono aperte le iscrizioni –


Le orecchie ronzano, l'ultima risata è ancora impressa sul volto. Sbatte le palpebre e si alza a sedere molto lontano da dove era finito a terra, in un mondo di schegge che diventano colori e fuochi d'artificio, in qualche modo a metà strada: qui e altrove, prima o poi.
    Un po' dolorante, Fred si rimette in piedi, guardando la via in direzione Alba-Tramonto.
    Decine di tende colorate si espandono a perdita d'occhio, l'adrenalina è nell'aria, resta solo da piazzare la scommessa vincente.
    A proposito, «George?» chiama stupendosi della sua assenza.
    «Non verrà. Non oggi, almeno».
    Fred si volta mentre fuochi da campo si accendono intorno e afferra al volo la palla colorata lanciata da un maldestro giocoliere col sorriso da Gramo.
    «Sirius?!» Sgrana gli occhi, non può credere a quel che vede. «È uno scherzo o…»
    «O».
    «Dove siamo?» chiede Fred, più pallido del solito. Riconosce posti smarriti nel tempo, ritrova ricordi. Non lo immaginava così, il Paradiso.
    Sirius si guarda attorno, «Sembra un parco giochi… o…» inclina il capo verso di lui, gli lancia un'altra palla.
    «Il campeggio allestito per la Coppa del Mondo di Quidditch!». L'Irlanda vince, ma la Bulgaria prende il boccino. Poi si guarda attorno e nota che non c'è nessuno. «Sono stato felice quel giorno. George e io vincemmo un sacco di soldi, ma quel truffatore di Bagman non ci ha mai pagati».
    Sirius annuisce, facendogli cenno di fare un giro. Neanche l'ombra di un'anima viva.
    «Stai cercando di dirmi che sono morto?» domanda Fred all'improvviso, troppo calmo, le orecchie ronzano ancora.
    «Puoi vederla così», Sirius annuisce e guarda avanti. Lui ci è già passato e può dirlo: la morte è solo un Velo tra ciò che eri e quel che più non sei.
    «Non fa ridere» commenta Fred e pensa a George. Vorrebbe fargli avere un ultimo messaggio, ma le parole gli si incastrano in gola.
    «Puoi tornare…» gli dice Sirius, «… se vuoi».
    Fred lo guarda incredulo, sorride incerto, chiedendosi quale sia il trucco, ma Sirius insiste: «Puoi morire un'altra volta. Oggi moriranno in tanti: uno più o uno meno, chi vuoi che se ne accorga?!», strizza l'occhio e gli indica la direzione.
    Per un momento sente George che lo abbraccia e ride. Gli sembra di sentirlo. La realtà è che George lo abbraccia e piange.
    «La vita, però, non è uno scherzo. Questa volta, dovrai prenderla sul serio, come fa chi sopravvive, senza aspettarti nulla dal di fuori o nell'al di là» aggiunge Sirius, fermo davanti all'intelaiatura metallica che sostiene i palchi dello stadio. Sembra una giostra babbana o la rotaia sotterranea della Gringott, un vagoncino bianco-nuvola e azzurro-cielo è pronto per partire su un binario che fa tre volte il giro della morte.
    Su un piatto della bilancia la sua vita è una risata, sull'altro c'è una piuma.
    Una vita presa sul serio è un'offesa alla morale.
    Fred sorride con un sorriso di falce: «Ci sarà bisogno di qualcuno che metta allegria a tutti quei poveracci appena morti, stasera». Le parole giuste non si incastrano in gola.
    In fondo, perché aver paura della morte? È la più bella avventura della vita!


[Parole: 500]
 
_____ † _____

Note:
1- “direzione Alba-Tramonto”: Est-Ovest, è il percorso del sole. Nella mitologia rappresentava la direzione del viaggio delle anime verso il regno dei morti.
2- “La vita non è uno scherzo...”: si rifà alla citazione: “La vita non è uno scherzo./ Prendila sul serio/ come fa lo scoiattolo, ad esempio,/ senza aspettarti nulla dal di fuori o nell'al di là.” di Nazim Hikmet, Alla vita, 1947
3- “Su un piatto della bilancia…”: il riferimento è alla “pesatura dell'anima” della mitologia egiziana. Secondo la tradizione, nell'oltretomba, l'anima del morto sarebbe stata pesata su una bilancia: in un piatto sarebbe stato posto il cuore del defunto, nell'altro una piuma.
4- “Perché aver paura della morte? È la più bella avventura della vita!”, la frase di Charles Frohman ricorda un po' quella di Silente: “Per una mente ben organizzata, la morte non è che una nuova avventura”.


Continua il mio piccolo esperimento flash e ammetto che mi sta divertendo! Se vi piace e se volete sapere cos'altro bolle in pentola, seguitemi sulla mia pagina FB! ^^

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Capitolo 3
*** Refrain dell'edera rossa ***


Titolo: Refrain dell'edera rossa
Rating: giallo
Genere: Malinconico
Tipo di coppia: FemSlash
Coppia: Pansy/Bellatrix
Avvertimenti/note: Missing moment



 
 
I

C'era una canzone, una specie di ritornello, ma Pansy non la ricordava.
La conosceva, però, quando era più piccola; non dovevano avere avuto più di dieci anni, Draco e lei, quando aveva visto quella foto. Si trovava in un ambiente luminoso ed elegante, doveva essere un salotto; dalla finestra aperta entrava il gorgogliare della fontana nel parco, la brezza gonfiava pigramente le tende candide. C'era profumo di fiori. Pansy ricordava che faceva caldo e lei indossava una veste violetta che le piaceva tanto. Doveva essere estate.
    «Chi è?», poteva ancora sentirsi chiedere con la voce aspra di bambina, mentre indicava una grande foto posata sul caminetto, una ricca cornice d'argento a contenerla.
    «Mia zia Bellatrix», aveva risposto con indifferenza Draco, dopo aver occhieggiato appena la foto, più interessato a giocare.
    Per Pansy, allora, Bellatrix era stata solo la zia di Draco.
    L'aveva persino dimenticata, troppo impegnata a divertirsi e poi a studiare, a Hogwarts, dove la rivalità tra i Serpeverde e i Grifondoro si era tramutata da gioco a cosa seria.
    Pansy era orgogliosa di essere una Serpeverde.
    Era stato allora che aveva imparato tutto quello che i suoi genitori non dicevano in sua presenza, credendola ancora troppo bambina, ma, se hai la stessa età di Harry Potter, non puoi vivere a lungo all'oscuro del recente passato: alcuni Serpeverde più grandi di lei avevano il padre ad Azkaban; i genitori di altri studenti erano morti…
    A Pansy sembrava che gli insegnanti fossero tutti pazzi, a partire da quel vecchio babbanofilo di Silente, quando li spronavano ad interagire pacificamente: lei mai, mai avrebbe potuto diventare amica del figlio di chi avesse mandato suo padre ad Azkaban.
La verità era che, a Hogwarts, si respirava l'odio, assieme all'ossigeno.
    A volte, quando tornava a casa, Pansy avrebbe voluto chiedere a suo padre se avesse mai ucciso qualcuno, un Babbano o un traditore del loro sangue, ma non aveva mai avuto il coraggio di farlo.
    «Tua zia è ad Azkaban, vero?», aveva chiesto, invece, un giorno a Draco. Parlare con Draco era facile, era il suo migliore amico da sempre e si dicevano tutto, sempre. Lui e quei due suoi gorilla avevano cercato di spaventare Harry Potter durante una partita di Quidditch. Si erano camuffati da Dissennatori.
Doveva essere il terzo anno.
    «Zia Bella è una Mangiamorte», aveva risposto Draco, pieno di orgoglio, un sorrisetto in tralice, nonostante fosse stato punito per la bravata.
    Tempo dopo, Pansy avrebbe scoperto che Bellatrix Lestrange era responsabile dell'uccisione e della tortura di alcuni Auror. Lo apprese dalla Gazzetta del profeta, assieme alla notizia della sua evasione.
    C'era una foto di lei, diversa da quella nel salotto, ma comunque giovane e selvaggia, bellissima. Pansy davvero non capiva come Draco potesse non saltare di gioia all'idea di rivederla. Aveva ritagliato l'articolo e lo aveva conservato nel cassetto del proprio comodino.
    Prima di addormentarsi, immaginava la sua eroina furiosa, l'indomita sostenitrice del loro Signore Oscuro. Si immaginava al suo fianco, a difendere i loro ideali, la purezza del loro sangue.
    Nei suoi sogni, i morti non sanguinavano mai.

 
Negli occhi s'apron pensieri infiniti.

 
II

Forse era una filastrocca, non una canzone. L'aveva già dimenticata quando la incontrò.
Pazza, scarmigliata, troppo magra, eppure sembrava una regina anche allora, una regina folle, aggrappata alla vita come l'edera ai muri. I suoi denti guasti erano bacche in una crepa nell'intonaco impolverato della sua pelle, solo un anno prima, quando l'aveva incontrata.
    Era stato un colpo al cuore, un tuono improvviso, un amore subitaneo ed inspiegabile, la testa che gira dopo il primo bicchiere di whisky incendiario.
    Pansy non aveva mai sentito nulla di così struggente come l'amore per Bellatrix Lestrange. Oh, sapeva di essere solo una sciocca ragazzina con la faccia da carlino, sapeva che quella strega spaventosa e bellissima non avrebbe mai neppure immaginato che esistesse una giovane donna che si struggeva d'amore per lei, ma… C'era, in lei, quel fascino decadente dell'edera rossa, quando, prima dell'inverno, s'incendia di colore e risplende dell'ultimo sole dell'autunno.
    Era la nota ripetitiva di un ritornello incompleto, la parola mancante che tiene svegli la notte a cercare finché non torna alla mente.
    Forse Pansy l'aveva amata come si amano le cose perdute, come si ama il passato o ciò che non è stato mai, perché, se era giovane ancora, come il tralcio novello che dalla pianta si dipana, non era più tanto sciocca da non rendersi conto che Azkaban aveva strappato a quella donna, con la giovinezza, anche il senno, e avrebbe voluto il potere di renderle qualcuno di quegli anni, avrebbe voluto spazzolarle i capelli come faceva, da bambina, con le bambole.
    Forse era perché Draco non le parlava più come un tempo, che Pansy aveva nostalgia del passato, di ritornelli cantati dalla balia, alla sera, per farla addormentare, e di giochi divisi con lui.
     Draco era fuggito a Giugno, lasciandola sola, senza sapere nulla; era cresciuto lui, lasciando indietro lei, e non le piaceva come era diventato, taciturno e ombroso, no, non le piaceva più come una volta, ma c'era ancora quel legame, due bambini che avevano giocato assieme.
    Per questo l'aveva cercato, perché era di nuovo estate e c'era profumo di fiori, ma loro non erano più bambini, e quel ragazzo pallido e nervoso che la teneva sulla porta, senza farla entrare, bisbigliandole vai a casa con tono duro, senza guardarla negli occhi, non sembrava nemmeno lui.
    Se ne sarebbe andata, delusa e arrabbiata come la pioggia che picchietta la terra, come una bambina che pesta i piedi in una pozzanghera, se non fosse arrivata lei.
    Bellatrix Lestrange rubò il cuore di Pansy con un sorriso di scherno.
    Il cuore di Pansy s'infranse come si infrangono sempre i cuori delle fanciulle.
    «È la tua fidanzatina, Draco? Che musetto carino», aveva riso, sollevandole il viso con due dita sottili, per guardarla meglio. Una risata alta, sfacciata, impudica era uscita dalle sue labbra screpolate e Pansy si era innamorata di lei, del suo tormento, della sua dannazione.     
    Si era innamorata della sua ostinazione, Pansy, la stessa dell'ultima foglia che non vuole che il vento la strappi, che non vuole ancora lasciarsi morire.
    
Al castello dell'andrai e non tornerai.


 
III


Le pareva che le parole le tornassero a mente.
Suonavano come un avvertimento lontano: Merlino ti guardi dall'edera rossa!
Altri erano rimasti a Hogsmeade, quando gli studenti di Serpeverde avevano lasciato la scuola. Altri, ma non lei: era tornata di corsa al castello, si era unita a suo padre e ai Mangiamorte. Aveva impugnato la bacchetta contro i nemici del suo sangue, suoi compagni in un'altra vita, quella fatta di scuola e di scherzi, quella finita all'inizio della guerra. Aveva affrontato con coraggio gli insegnanti, aveva lanciato Schiantesimi contro chiunque le si fosse parato davanti, ma Maledizioni Senza Perdono no, non le erano venuto in mente.
    Era molto lontana da Bellatrix, ma sapeva che lei era lì davanti, tra la confusione, tra i mantelli neri che svolazzavano tanto da farle girare la testa. Non era più sicura di chi fossero gli amici e chi i nemici, doveva solo attaccare e difendersi, attaccare e difendersi. Era sicura di aver colpito uno o due licantropi.
    Poi quella marea di mantelli neri aveva ripiegato su se stessa, come un'onda di mare avvelenata, e Pansy aveva corso, mentre altri si smaterializzavano. Si era nascosta ai margini della Foresta Proibita, c'erano piccoli ragni che fuggivano tra steli d'erba calpestata e rami d'albero spezzati; c'erano i centauri che aiutavano gli Auror a ricomporre i corpi. C'erano corpi dappertutto.
    Pansy non aveva idea di dove fosse suo padre, se perso per sempre o fuggito, ma vide i corpi trasportati nel castello. Hogwarts si tinse di rosso all'aurora. Le torri incendiate si erano spente, tizzoni di pietra annerita e corrosa su cui il sole di Maggio dipingeva un tripudio di rosso e di oro. Si tolse mantello e cravatta, per non essere subito riconosciuta dai colori sbagliati, da quel verde che nella notte era stato calpestato, ed entrò, assieme a tanti altri che avevano combattuto, ai feriti, agli esausti, ai piangenti.
    Le salme dei Mangiamorte erano state sistemate in una stanza a parte, nessuno le vegliava, nessuno le piangeva. Pansy entrò in punta di piedi, col timore di trovare caduti i suoi cari, ma alcuni avevano ancora la maschera sul viso, le vesti nere macchiate di fango e di sangue. Sul nero, però, quel rosso non si vedeva.
    Ma ecco che Pansy la rivide, Bellatrix Lestrange, sdraiata sul pavimento, discosta dagli altri. Sembrava dormire, una smorfia sul viso pallido, i capelli scompigliati sul pavimento come su un cuscino. Il sangue era denso e scuro, sulla sua pelle, ma senza dubbio alcuno, era rosso.
    Pansy le si avvicinò, le dita strette, intrecciate tra loro e il cuore le si spezzò di nuovo.
    Bellatrix Lestrange era morta e Pansy Parkinson non avrebbe mai potuto rivelarle di averla amata. Si lasciò cadere sulle ginocchia, accanto a lei, in silenzio, senza piangere, certa che lei non l'avrebbe gradito. Chinò il busto, un po' impacciata, per baciarle le labbra ormai fredde e, come l'edera al primo freddo dell'autunno, anche lei si tinse di rosso.

 
Ragazza senza amore, Merlino ti guardi dall'edera rossa!
Guardati dal viaggiatore, Morgana che ricami mantelli.


 
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Note
  • Edera rossa” è un nome comune con cui ci si riferisce alla vite americana
  • I versi della filastrocca cui pensa Pansy sono presi (e modificati) dalla poesia “Gli occhi”:
    Negli occhi s'aprono | pensieri infiniti. | Sono due crocevia | dell'ombra. | La morte arriva sempre | da quei campi nascosti. | (Giardiniera che taglia | i fiori delle lacrime.) | Le pupille non hanno | orizzonti. | Ci perdiamo in esse | come nella foresta vergine. | Al castello dell'andrai | e non tornerai | si va per il sentiero | che comincia nell'iride. | Ragazzo senza amore, | Dio ti guardi dall'edera rossa! | Guardati dal viaggiatore | Elenuccia che ricami | cravatte. [Federico García Lorca – traduzione da “Tutte le poesie e tutto il teatro”, ed I MAMMUT]
  • Ognuna delle tre parti di cui è composta la fanfiction è lunga esattamente 500 parole.
♣ Questa fanfiction si è classificata quarta al contest "Age gap" indetto da Matilde di Shabran sul forum di EFP.
Sperando che questa nuova breve storia della raccolta dedicata ai caduti (veri o supposti che siano) della Battaglia di Hogwarts vi sia piaciuta, vi do appuntamento su FB per chiacchierare e per le anticipazioni sulle mie storie! ^^

 

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