Le nostre nuove vite

di DaisyBuch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un Nuovo Inizio ***
Capitolo 2: *** Incontri di Paese ***
Capitolo 3: *** Pazza ***



Capitolo 1
*** Un Nuovo Inizio ***


Qua è tutto diverso, ma ovviamente non mi lamento. C’è già Gabriel che lo fa sia per me che per Dianne.
Siamo rimasti orfani definitivamente tre settimane fa, nostra madre Claire era morta poco dopo che Dianne nascesse, sei anni fa, mentre nostro padre Hector ha avuto un infarto. Siamo in macchina in questo momento, diretti a casa dei nostri nonni in campagna; la abbiamo ereditata molto tempo fa e non potevamo permetterci di rimanere a vivere in città sebbene i nostri genitori ci abbiano lasciato dei soldi non sono abbastanza. La casa è vecchia, a quanto ricordo ed è l’unica cosa che ci rimane: non abbiamo nessun parente vivo tranne i nostri nonni materni. Sento il peso sulle spalle che si fa sempre più pesante metro dopo metro. Dianne è seduta dietro da quando siamo partiti e continua a disegnare, Gabriel invece ascolta la musica nel sedile affianco, alquanto irritato dal venire qui. Ha sedici anni e continua a non capire il perché siamo venuti a vivere qui, come se a me facesse piacere. Prima studiavo Legge all’università, ma ora che ci siamo trasferiti ho dovuto smettere di frequentare: partirò solamente per dare gli esami e mi troverò un lavoro in paese, poco distante dalla casa. Questo è il piano della mia vita, della nostra vita. Per ora.

Il navigatore mi porta in una via che ricordo a malapena: non veniamo qui da almeno due anni, mio padre e i suoi suoceri non andavano molto d’accordo. La strada è piena di villette lontane tra di loro, con immensi uliveti e vigneti che le separano. E’ il numero quarantaquattro. Mi sporgo al di sotto dello specchietto retrovisore per vedere meglio i numeri civici a destra e scopro che il prossimo è il nostro.
-Siamo arrivati.- dico sollevata dopo il lungo viaggio di tre ore.
-Siii!- Dianne butta violentemente i disegni sul sedile e si alza sulle ginocchia.
Gabriel non ha nemmeno sentito.
La casa si apre con un vialetto accompagnato lungo entrambi i lati da alberi altissimi che portano direttamente verso l’entrata della casa. Percorriamo il viale fino allo spiazzo verde, parcheggio la macchina sotto al chiosco naturale di fichi e scendiamo per salutare i nostri parenti. La casa era come me l’ero ricordata: grande e solenne, non come le altre case. Affatto comune, si apriva con due colonne bianche imponenti alla cui base c’erano delle rose rosa, che circondavano a cespugli tutte le fondamenta della casa. Il giardino curatissimo era al contrario semplice: solo due enormi salici piangenti di fronte al portone della casa congiungevano i rami e cadevano adagio sulla superficie del tavolo di legno.
-Dianne!- urlò nonna Katerina. Dianne non si tolse nemmeno lo zaino e corse ad abbracciarla.
Uscì anche nostro nonno che sorrise beatamente e ci salutò uno per uno con un abbraccio goffo.
-Venite dentro, ho preparato i biscotti.- disse e Dianne entrò tutta contenta, mentre io e Gabriel eravamo piuttosto di cattivo umore ma io non lo davo a vedere.. o almeno ci provavo, mentre Gabriel non faceva il minimo sforzo. Mi aiutò a scaricare le sei pesantissime valige ed entrammo dentro distrutti.
-Come è andato il viaggio Vivienne?- mi chiese mio nonno Louis.
Io feci un sorriso forzato. –Pesante.- dissi entrando in cucina e poggiando le chiavi sul tavolo.
-Coraggio.- mormorò e si mise seduto.
-Gabriel levati le cuffie.- alzai gli occhi al cielo. Gabriel se le levò controvoglia e cominciò a mangiare i biscotti. L’unica veramente contenta di stare qui era  senza dubbio Dianne.

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Capitolo 2
*** Incontri di Paese ***


Sistemo la nuova camera il meglio possibile. Ognuno ha una stanza per sé, ma dato che Dianne ha paura a dormire da sola per un po’ dormirà con me nella mia stanza. E’ tutta rosa con tema floreale, il letto è ricoperto da una fodera bianca traforata, sicuramente opera della nonna, Katerina, c’è una scrivania di legno chiaro, con delle peonie in un vaso ed un enorme armadio dello stesso colore della scrivania.
La prima cosa che ho fatto è stato mettere il portatile sulla scrivania, per rendere più familiare possibile la stanza, messo un po’ di libri sul davanzale e poi sistemare i miei vestiti nell’armadio. Dopo di chè ho sistemato la cameretta di Dianne, facendo lo stesso lavoro con la mia ma organizzando i peluches secondo i suoi metodi ordinatissimi.
-Yvette sta vicino a me! Davanti a Timoty.- insisteva indicando. Io arrancavo nel buio, aveva più di dieci pupazzi e non ricordavo a memoria tutti i nomi.
-Questa?- chiesi indicando la giraffa.
-Lui è Timoty.- mi corresse.
-Oh, bene. Timoty la giraffa. E invece Yvette è la bambola?- chiesi prendendola delicatamente.
-Si, lei dorme con me.- mi disse apprensiva.
-Va bene, così è ok?- chiesi un’ultima volta. I pupazzi erano disposti per tutto il contorno del letto, separandola dal muro.
Lei annuì.
-Fantastico. Ora esercitati un po’ con le parole, ti va? Devi essere in gamba per questa scuola.- azzardai alzandomi.
-Gabriel dice che questa è più facile perché è una scuola di paese.- alzò la voce per riprendere la mia attenzione.
Io sospirai e mi risedetti di nuovo sul letto accanto a lei.
-Non devi dar ascolto a tutto quello che ti dice Gabriel.- le dissi.
Lei mi fissò con gli enormi occhi scuri e strinse la bambola.
-Dai tesoro, ora vai ad esercitarti.- dissi, e mi alzai di nuovo per andare a controllare Gabriel.
Lui era ubicato nella stanza di sotto, era quella degli ospiti. Lo avevano messo lì perché era la meno femminile, dato che i nonni avevano due figlie: nostra madre e la zia Bettany. Zia Bettany non era papabile come nostra parente per l’affido poiché non vive più in Francia da molti anni, si è trasferita in Spagna per lavoro. Nostro padre Hector la dipingeva sempre come la sorella maggiore più snob, più artistica e libertina, ma io la avevo vista fino ai miei quattordici anni, dopo di che la vidi solo sulle cartoline di Natale. Mi regalava sempre delle sciarpe orribili.
Scesi le scale e passai davanti alla stanza di Gabriel, se ne stava disteso sul letto con il torso appoggiato al cuscino a scrivere. Lui scriveva e sentiva musica. Nient’altro. Ma almeno leggeva, cosa di cui era pienamente felice. Cose strane, per lo più fumetti e libri horror, ma non era mai stato un ragazzo stupido o immaturo. Piuttosto..irresponsabile.
Bussai alla porta aperta prima di entrare e lui si tolse una cuffietta.
-Che c’è.- chiese senza guardarmi.
-Tutto ok?- chiesi, guardando la valigia che non era nemmeno stata aperta.
-Si.- rispose secco. –Pensi di riuscire a far comprare ai nonni un wi-fi?- chiese scostante.
Alzai gli occhi al cielo. –Ci vado tra un po’, vuoi venire?- chiesi ma lui mi guardò e scosse la testa. Tipico.
Sistemai altre cose in casa, aprii qualche libro ma non riuscii a concentrarmi. Così guardai fuori dalla finestra della mia stanza e vidi i nostri nonni nell’orto che, sotto al sole, continuavano a lavorare.
Era fine Agosto, e prima di guidare verso il paese mi guardai un attimo allo specchio e non riuscii a trattenere le lacrime. Erano tre settimane che piangevo senza sosta, non davanti a Dianne e Gabriel ovviamente. Non erano piccole gocce, piuttosto singhiozzi incontrollabili. Mi asciugai gli occhi dopo cinque minuti e feci un grande respiro, mi sistemai i capelli neri e ricci e presi in mano le chiavi della macchina.

Quanto mi mancava il centro commerciale. Può sembrare strano, ma quando mi sentivo persa andavo lì, c’era una enorme libreria, tanti negozi di vestiti, tanti bar e catene di ristoranti, tante persone che mi tenevano astrattamente compagnia. Qui mi sentivo sempre più sola. Passeggiavo dentro questo piccolo negozietto che vendeva elettronica, nemmeno dieci minuti ed avevo esaminato tutti gli articoli, non c’era una vasta scelta. La tipa mi guardava incuriosita, mi aveva già squadrata da capo a piedi.
Ovviamente non sembravo una turista, ma quando mi ero avvicinata per pagare ciò che avevo scelto aveva evidentemente deciso di scavare più a fondo.
-Tu devi essere la nipote di Katerina e Louis Boyer, ho sentito di tuo padre mi dispiace molto..- azzardò e con voce melliflua.
Io la guardai non riuscendo a trattenere lo stupore misto ad indignazione. Come faceva a sapere così tanti dettagli? Come mi aveva riconosciuto?
-Ecco.- la pagai. Lei, scocciata dalla mia risposta, ma soprattutto dal non aver ricevuto informazioni, prese i soldi e mi sorrise fintamente cordiale.
Io la guardai altrettanto cordiale.  –Lo scontrino?- le sorrisi dolcemente.
Lei corrucciò la fronte, come se fosse qualcosa di sconosciuto. Me lo fece altrettanto scocciata ed io presi la busta e me ne andai di fretta.
Per il nervoso mi chiusi in macchina e cominciai a grattare il volante, respirai profondamente più volte con la fronte appoggiata ad esso.
Qualcuno bussò al finestrino accanto alla mia faccia ed io saltai letteralmente dallo spavento.
Guardai il ragazzo davanti a me che cercava di parlarmi. Abbassai il finestrino.
-Tutto bene?- mi chiese. Era altissimo, dovetti abbassarmi per poterlo guardare in faccia.
-Oh ehm.. si. Grazie.- sorrisi appena. Scorsi degli occhi verde scuro e dei capelli neri, la carnagione color del cioccolato.
Lui mi sorrise di rimando, un sorriso largo ed enigmatico, e camminò via con le mani dentro le tasche dei pantaloni. Io scossi la testa e tornai a casa.

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Capitolo 3
*** Pazza ***


Passò una settimana, e tornai di nuovo in paese per iscrivere Dianne alle elementari. Oltre che alla scuola dovevamo anche fare un giro in cartolibreria per comprarle il materiale scolastico, e io  avrei messo gli annunci delle ripetizioni un po’ ovunque. Le scuole erano nella parte più moderna del paese, insieme ai nuovi complessi residenziali e all’ospedale. Dianne mi teneva per mano, quando stavamo guardando l’interno della scuola, l’ala est era dedicata alle elementari mentre quella ad ovest era per le medie. Le superiori erano invece in un’altra parte del paese. Mentre osservava rapita i quadri molto colorati fatti dai bambini attaccati alla parete vide una porta aperta da cui proveniva una musica classica. Dianne andava pazza per la danza classica, e dunque veniva attirata immediatamente dalla musica che la accompagnava.
-No! Dianne vieni qui!- sussurrai sgridandola, ma lei correva attratta nella sala dalla quale proveniva la melodia.
-Dianne!- la chiamai, ma era entrata nella stanza ormai, allora decisi di entrare anche io per recuperarla.
Entrai e vidi una stanza molto piccola e marrone, le pareti erano tristi e cupe, l’unico sprazzo di vitalità proveniva dalla musica che rasserenava l’ambiente. C’era una cattedra con molti quadri e libri, e davanti ad essa due poltrone in pelle marrone scuro e consumate. La musica si spense non appena recuperai Dianne.
-Non devi fare così, capito? Non si entra senza il permesso.- le presi la mano stringendola più forte ed alzando la voce, quando sollevai lo sguardo e vidi un uomo che doveva essere sulla trentina, forse di più, aveva una barba rada ed era appoggiato allo scaffale nella penombra: aveva appena interrotto la musica.
-Oh, mi scusi tanto. Non lo ha fatto apposta.- mi scusai, -Chiedi scusa al signore.- intimai a mia sorella, e lei fece la vocina dolce e gli occhioni che faceva sempre per scusarsi.
-Scusi signore.- disse a bassa voce.
Il signore venne verso di noi, potei vedere che era molto alto e slanciato, aveva i capelli mori e sembrava non avere più di trentacinque anni. Si abbassò verso Dianne e le sorrise.
-Come ti chiami?- le chiese sorridendo amichevole. Un sorriso dolce che mi ricordava qualcuno.
-D-Dianne.- tentennò lei.
-Che bel nome.- si complimentò.
-Lei è..?- si alzò e mi guardò con gli occhi azzurri come il ghiaccio.
-Vivienne, Vivienne Fabre – Boyer.- mi presentai stringendogli la mano. Avevo deciso di affiancare il mio cognome Fabre, a quello di mia madre e dei miei nonni Boyer. Volevo che fossero insieme.
 Lui diede una rapida occhiata che non mi sfuggì, e poi sorrise di nuovo.
-Non ti preoccupare piccola.- si rivolse un’ultima volta a Dianne.
-Non la ho mai vista qui in paese,Io sono lo psicologo della scuola, Gustav Colin.- si presentò.
-Ci siamo trasferiti da poco.- spiegai.
–Se dovesse avere qualsiasi problema di qualsiasi natura si può confrontare con me.- disse.
-Oh, grazie mille.- sorrisi amichevole.
-Questo è il mio biglietto, ho anche un ufficio privato.- mi porse il biglietto tra le dita.
-Grazie ancora, vieni Dianne.- la presi per mano e uscimmo dalla stanza.

Facemmo un rapido giro in cartolibreria, le feci comprare il diario ed un nuovo zaino, nuovi libri.. tutto quanto. Comprai anche qualche quaderno per Gabriel, nel caso decidesse di iniziare le superiori. Dato che aveva tutti i suoi amici in città aveva deciso che non sarebbe più andato a scuola. Avevo provato a parlarci, ma nulla. Non sapevo cosa fare con lui.
Uscite dal negozio tornammo di nuovo in macchina, stavo girando alla rotonda mentre Dianne mi ripeteva una filastrocca che aveva imparato quando un tipo in bicicletta mi tagliò la strada. Stavo per metterlo sotto.
Suonai scocciata a lungo.
-Guarda dove vai!- gli urlai violentemente sfogandomi un po’. Evidentemente stavo dando spettacolo dato che nessuno aveva mai avuto queste abitudini proprie delle grandi città. Tutti si girarono a guadarmi, compreso il ciclista che si girò verso di me: era il ragazzo che l’altra settimana mi aveva bussato al finestrino.
Lui portò il suo dito sulla tempia e cominciò a ticchettare: mi stava dando della ritardata?
Gli feci il dito medio, lo so.. non una buona educazione per Dianne, ma in quel momento ero troppo nervosa.
-Ti serve uno strizza cervelli!- mi gridò di rimando. Certo.. dopo avermi vista con la testa sul volante a grattarlo e dopo avergli suonato ero ufficialmente pazza?
Sgommai rumorosamente per superarlo e me ne andai infuriata.

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