Sguardi

di polutropaul
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1957 ***
Capitolo 2: *** 1961 ***



Capitolo 1
*** 1957 ***


1957
C'è questo ragazzo, sul palco, che attira tutta l'attenzione.
Non è niente di speciale: la band di per sé lascia abbastanza a desiderare e comunque a Liverpool ce ne saranno altre cinquantamila identiche, data la semplicità degli strumenti e la voglia di spaccare e di lasciarsi alle spalle un mondo che non appartiene a nessuno di loro.
Non è niente di speciale lui stesso, a guardarlo bene: indossa un paio di pantaloni neri e una camicia a quadri, il tutto condito con un ciuffo alla Elvis e un naso un po' troppo grosso; ecco, naso escluso potrebbe forse essere uno dei mille teddy boy che girano per il porto in cerca di rock 'n' roll. 

Eppure, le bancarelle sono deserte così come le altre attrazioni della fiera e tutti, proprio tutti gli sguardi sono fissi su quel ragazzino. Sarà il suo modo di muoversi o le facce che rivolge al pubblico - e soprattutto alla parte femminile di esso - o sarà il fatto che non ha ancora azzeccato nemmeno un articolo dei testi che sta cantando.
Potrebbero essere molte altre cose, in effetti; fatto sta che, come un mago, quel John Lennon ha incantato tutti quanti. Nessuno escluso. 

Tra tutte le facce sudate e i vestitini a fiori, però, c'è un'altra stranezza: una chitarra, un completo assolutamente bianco con un fiore fresco nonostante l'aria torrida e, nascosto al di sotto di esso, un bambinetto dall'aria un po' snob. Anche lui è completamente, irrimediabilmente assorto nella contemplazione del ragazzo sul palco. Ridacchia ascoltando le sue parole assurde e i suoi accordi da banjo su una chitarra e non riesce, proprio non ce la fa a levargli gli occhi di dosso. 
Poi, ad un certo punto, succede qualcosa.
Alcuni lo definiscono un disastro, altri il più grande miracolo dopo l'invenzione dell'aeroplano e della CocaCola. 

Ad un certo punto, John vede - forse per sbaglio, forse per destino o forse perché, davvero, che cazzo ci fa uno sfigato vestito così ad una festa di paese?- Paul, il bambino con il fiore. 
Nessuno dei due lo sa, perché Paul abbassa lo sguardo e John fissa il suo sul prominente davanzale di una ragazza due file più avanti, ma la loro vita è appena cambiata. Per sempre.


Qualche ora dopo Paul entra nel salone della chiesa di St.Peter, dove John e la sua band stanno parlando di quanto siano stati bravi, belli e assolutamente perfetti. Il suo amico Ivan è fermamente convinto che dovrebbe conoscerli, perché un talento come il suo non dovrebbe stare rinchiuso nelle quattro mura della sua cameretta. Lui, dal canto suo, non è proprio sicuro di voler conoscere nessuno, tantomeno quando il leader del gruppo si gira a guardarlo - di nuovo - e sfoggia una faccia di bronzo che gli fa venire l'istinto di prenderlo a botte.
O di scappare prima che sia lui a farlo.

Ma niente di questo succede - grazie a Dio hanno tutti qualcosa d'altro a cui pensare - e, forse proprio per questo motivo, accade una magia se possibile anche maggiore: John e Paul si parlano. Oddio, Paul persino canta ed è perfetto e questa volta sono tutti incantati da lui che non ha un palco, un ciuffo alla Elvis e che conosce tutte le parole. 
E questa volta entrambi lo intuiscono, lo percepiscono il disastro imminente.
Tant'è vero che il giorno dopo John corre da Ivan, scrive un indirizzo e corre di nuovo fino a suonare il campanello di una casa che non ha mai visto prima.
Quella dei McCartney.




Note dell'autrice: Ciaao! Non so davvero perché, ma avevo l'intenzione di scrivere una fanfiction su una poesia di Catullo e mi è uscito questo. Che non c'entra niente con la suddetta poesia o con Catullo in generale. Ovviamente. Ogni tanto non mi capisco... Comunque eccomi qua, ho già altri due capitolini belli pronti e li pubblicherò prima possibile, contando che sono libera fino a circa mezzanotte (mancano otto minuti, però...) e poi mai più. Saranno davvero corti e non ho mai portato a termine una long, quindi la vedo molto grigia, ma ci proverò, gggiuro!
A presto, allora, e grazie per aver letto! 

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Capitolo 2
*** 1961 ***


1957
Mancano due settimane al compleanno di John quando riceve cento sterline da sua zia, quella di Edimburgo. Non che si ricordasse di avere una zia, ad Edimburgo...
Pensa a cosa potrebbe farci; potrebbe comprarsi una chitarra bellissima, una di quelle che di solito può guardare solo con un binocolo, potrebbe spenderli in alcool - sarebbe una buona idea, ma in fondo spesso lo fa gratis quindi a che pro spendere tutti i suoi soldi? - o potrebbe semplicemente tenerli da parte, magari per una macchina, un giorno. 
Oppure potrebbe farci un viaggio. Magari in Francia, o forse in Spagna... No, meglio, perché non entrambe le cose?
E magari, magari, magari potrebbe farlo con Paul...
Neanche ha finito di pensarci che sta già correndo e neanche il tempo di accorgersi di quello che sta facendo che ha già detto una serie di parole incomprensibili tra il fiatone, qualcosa che suona molto come "PaulcentosterlineParigituconme".
Paul è leggermente allibito, poi stupito e poi scoppia a ridere fino a piegarsi, sulla porta di casa, mentre John lo guarda con uno sguardo omicida e non ha ancora ripreso fiato.

"Tu sei completamente fuori di testa", gli dice.
Il 30 settembre, con lo stretto necessario e senza aver avvertito George o chiunque a cui potrebbe interessare che non siano Mimi o il Signor McCartney, stanno attraversando la manica.
Destinazione: Parigi.



La loro camera d'albergo è uno schifo. Certo, con cento sterline non ci si può fare molto, neppure se saranno più famosi di Elvis e neppure se sono nella città dell'amore. Non c'è spazio nemmeno per respirare, quasi, e si potrebbe essere sicuri che a mezzogiorno di una giornata di agosto faccia più fresco, sì, decisamente più fresco.
Paul non riesce a stare sotto a quel groviglio informe di coperte e si alza, aprendo la finestra e appollaiandosi sulla poltrona sgualcita lì davanti. Il sole è appena sorto e l'aria di autunno gli imporpora le guance e il naso, facendolo pentire della sua scelta. Si volta cercando con lo sguardo la sua coperta - che un minuto prima aveva buttato a terra con poca grazia - e in quel momento posa lo sguardo sul suo amico, ancora addormentato, con i capelli in faccia e la bocca un po' aperta.
Prende la macchina fotografica e gli scatta una foto, sperando che il clack dell'obbiettivo non lo svegli - un John Lennon svegliato bruscamente nella scala dei mali assoluti è appena sotto il John Lennon in ansia e appena sopra quello sbruffone. Probabilmente lo ucciderà, appena faranno sviluppare il rullino, ma vederlo così rende Paul un po' più calmo e magari vederla prima di un concerto lo potrebbe aiutare. 

Potrebbe usare questo come scusa, ma non è del tutto sicuro che lui non lo prenderebbe per il culo dandogli della checca. 
O della principessina.


John convince Paul che sbronzarsi, sbronzarsi per davvero, quella sera sia la cosa giusta. Non è davvero certo di come ce l'abbia fatta, ma magari è solo esasperazione. 
Fatto sta che ora il più grande sta cercando di recitare qualcosa che sembra davvero tanto un pezzo dei Canterbury Tales ad una francesina che chiaramente è ubriaca quanto lui, mentre Paul li guarda divertito e - ma non lo ammetterebbe mai - un po' geloso. Si mette a giocherellare con il sotto-bicchiere e quando rialza lo sguardo il suo amico sta cercando di slacciare i bottoni del vestito alla ragazza, seduta sulle sue gambe, che ride e cerca in modo un po' poco convincente di fermarlo. Allora sbuffa, si alza e, con le gambe che tremano un po' - perché che vada al diavolo, John non è l'unico a potersi divertire - la sposta di peso, facendola praticamente cadere a terra e, preso il compagno per la camicia, lo trascina fuori dal locale. 
Quello semplicemente continua a parlare, mischiando ora qualche vecchia ballata ad alcune imprecazioni, e si aggrappa sua alla giacca.
Improvvisamente si ferma davanti a lui e, cercando di essere concentratissimo - cosa che fallisce miseramente dato che assume uno sguardo tra il buffo e l'inquietante - chiede "Perché mi hai portato via da quel locale?"
"Ti stavi divertendo un po' troppo e senza di me" risponde il più piccolo "e poi sono sicuro che quella non fosse neanche maggiorenne" 
John poggia le braccia sulle sue spalle cercando di abbracciarlo e cadendogli invece addosso. "Ma io amo solo te, Paul" dice poi, incredibilmente serio, per poi scoppiare a ridere come un bambino.
Paul lo insulta, sbuffa e lo sorregge, tornando a camminare. 
In realtà spera di arrivare presto in albergo e di essere abbastanza ubriaco da dimenticarsi di quella conversazione.
E dei suoi occhi, un po' troppo sinceri per uno scherzo.

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