The great Astral Project

di Sofyflora98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto 01, ovvero come io decisi deliberatamente di ficcarmi nei guai ***
Capitolo 2: *** Atto 02, dialogo con un playboy ed il suo capo ***
Capitolo 3: *** Atto 03, l'allegra gita nel luogo di un delitto ***
Capitolo 4: *** Atto 04, qualcuno si fida di me ed io me ne innamoro ***
Capitolo 5: *** Atto 05, simpatici messaggi sotto pseudonimo ***
Capitolo 6: *** Atto 06, incontri ravvicinati con la melma parlante ***
Capitolo 7: *** Atto 07, sarte assatanate e feste natalizie ***
Capitolo 8: *** Atto 08, l' infestazione idraulica e la mocciosa ingannevole ***
Capitolo 9: *** Atto 09, mio ***
Capitolo 10: *** Atto 10, l'ospite inatteso ***
Capitolo 11: *** Atto 11, un'inaspettata dichiarazione di desiderio d'appartenenza ***
Capitolo 12: *** Atto 12, presa di possesso ***
Capitolo 13: *** Atto 13, visioni su una morta ***
Capitolo 14: *** Atto 14, apro una porta ***
Capitolo 15: *** Atto 15, il traditore se la dà a gambe ***
Capitolo 16: *** Atto 16, trasformazione ***
Capitolo 17: *** Atto 17, le persone non cambiano ***
Capitolo 18: *** Atto 18, traditrice numero due ***
Capitolo 19: *** Atto 19, gioco mentale ***
Capitolo 20: *** Atto 20, la fanciulla bianca ***
Capitolo 21: *** Atto 21, mai più nessun varco ***



Capitolo 1
*** Atto 01, ovvero come io decisi deliberatamente di ficcarmi nei guai ***


In quanto quest'avventura è stata vissuta dall'interno, sarà per lo più raccontata dalla sottoscritta. Alcuni dettagli mi sono stati riferiti da altri dopo la conclusione di tutto ciò, per cui è stata riordinata cronologicamente soltanto dopo. Ci è voluto molto prima che mi decidessi a mettere per iscritto ciò che mi accadde in quel periodo, quando le regole tra cose reali e cose non reali furono spazzate radicalmente via.
Questa è la storia di una giovane ragazza, la cui vita è stata sconvolta di punto in bianco all'improvviso. Questa è la storia di come io sono stata coinvolta nell'Astral Project.
Tutto iniziò in un qualunque giorno di settembre…
 
Avete fatto davvero un bel macello, Jack the Ripper. Anzi… Grell Sutcliff.
- Continuando il discorso dell'origine di tutto, nella scuola pitagorica dicevano che… -
Mi ripresento! Sono Grell Sutcliff il maggiordomo dei Burnett. E tra maggiordomi, spero ce la intenderemo!
- Come già sapete, anche qui per entrare nella scuola era necessario sottoporsi ad un'iniziazione che serviva a scremare il numero di persone ammesse alla fine –
Sono nauseato. E voi sareste un maggiordomo?
- Per questa ragione, le scuola filosofiche presocratiche erano quasi delle sette –
Sì, un maggiordomo letale! *
- E se la signorina Sofia in primo banco fosse così gentile da dirmi qual era l'origine della vita secondo Talete, gliene sarei molto grata –
…..
- Signorina, siete con noi? – chiese ironica la professoressa di filosofia, guardandomi con una punta di rimprovero, ma anche un po' divertita. Poco ci mancò che mi prendesse un colpo dalla sorpresa.
- Ah… ehm… potreste ripetere la domanda, per favore? – domandai, imbarazzatissima.
- Qual era l'origine della vita, secondo la scuola filosofica di Talete? –
- L'acqua. Talete era un grande viaggiatore, ed aveva notato che la vita e le civiltà si sviluppavano sempre vicino ai fiumi e ai corsi d'acqua, quindi suppose che fosse questa l'Arché, ovvero l'origine, di ogni cosa –
L'insegnante annuì – Molto bene. Risposta esauriente e corretta. Sarei più contenta, però, se stessi con noi durante la lezione. Il fatto che tu sia particolarmente dotata nelle materie letterarie e linguistiche non ti autorizza a startene tra le nuvole; d'accordo? –
- Certo – borbottai, chinando la testa, rossa come un pomodoro.
Al mio fianco, la mia amica Angelica ridacchiava sotto i baffi.
- Scommetto che pensavi di nuovo a Kuroshitsuji, vero? – sussurrò, trattenendo le lacrime.
- E piantala! – le sbuffai contro, imbronciata.
Angelica, nonostante fosse la mia migliore amica, non aveva il minimo riguardo quando si trattava di schernire me o altri in ambito di passioni strane. È il tipo di ragazza che non sa quando è il caso di tenere per se le proprie opinioni, che parla in linguaggio abbastanza sboccato e ha per la testa quasi soltanto pensieri sconci. È molto simpatica, ma ha un'indole aggressiva e violenta; molti la definiscono un po' maschile nel comportamento.
Quasi dimenticavo di presentare me stessa: il mio nome è Sofia, una studentessa di sedici anni frequentante la terza superiore in un liceo artistico. Otaku tendenzialmente yaoista dal profondo del mio cuore, fangirl maniacale di natura, con una forte ossessione per le creature sovrannaturali, quali demoni, shinigami e roba simile; aspirante mangaka, e grande amante delle gothic lolita (e dello stile gotico ed ottocentesco in generale). Sono un soggetto bizzarro che passa la maggior parte del tempo a disegnare e fantasticare.
Sono perfettamente consapevole di non rientrare nella normalità delle mie coetanee, ma d'altronde, essere normale mi annoierebbe a morte.
Tornando a noi, quel giorno era iniziato come qualsiasi altro giorno.
Sveglia alle sei, colazione, autobus alle sette meno cinque, lezioni a partire dalle otto e dieci, e via discorrendo. Ah, ed il tutto pensando ininterrottamente ai miei soliti, amati e ultra osannati manga ed anime.
Era quasi terminata la sesta ora di lezione, quella di filosofia, una materia che ho imparato sin dall'inizio con una facilità impressionante.
Come al solito uscii assieme ai miei amici, la maniaca sessuale Angelica, l'infantile e fifone Marco e la mezza secchiona Beatrice; che però rientra nella categoria delle secchione simpatiche e divertenti, non in quella delle altezzose lecchine.
E ancora una volta, come al solito ci separammo per andare a prendere i rispettivi autobus, dato che ognuno di noi veniva da un paese di periferia, mentre la scuola era in centro città. O meglio: loro andarono a prendere l'autobus, mentre io mi diressi alla fumetteria, poco distante dal liceo.
M'incamminai per la strada, attraversai un ponte su un piccolo fiume a pochi metri dietro l'edificio scolastico, passai tre strade e finalmente fui nella via un po' storta ma luminosa dove si trovava quel divino negozio, che come diceva il sito online, vendeva "solo manga e japan style"
- Buongiorno, Fabio – dissi entrando, facendo un sorriso smagliante al proprietario e commesso della piccola fumetteria. Ci lavoravano soltanto in due, lui ed una donna dal viso sempre radioso ed allegro.
- Buongiorno, Sofia. Sei venuta per gli ordini? – mi rispose con familiarità Fabio, che era in confidenza con tutti i clienti abituali, ovvero quelli che avevano la tessere del negozio e che andavano praticamente ogni settimana.
- Certo. Ho visto l'e-mail sulla casella del mio account nel sito –
Lui si voltò e prese a rovistare nello scaffale dove sono impilati gli ordini dei tesserati, separati dagli ordini senza numero. Dopo un minuto circa si voltò verso di me, ed elencò gli articoli.
- Dunque… numero tre della prima serie di Rayearth, numeri dal due al cinque di Zombie Loan e pendaglio portachiavi di Black Butler. Manca qualcosa? –
- No, è tutto perfetto – lui passò i manga e il gadget alla cassa, mentre io gli porgevo i soldi.
Quando uscii dalla porta emici un sospiro simile a quello che avrebbe potuto fare un'innamorata al suo ragazzo, ed estrassi il portachiavi dal sacchetto di plastica.
Si trattava di un adorabile pendaglio in tutto tondo in stile super deformed dello shinigami William. Oh, quella faccetta imbronciata in stile chibi era troppo tenera!
La attaccai alla cerniera della mia borsa, tutta felice.
Era sul punto di dirigermi verso la stazione degli autobus, quando avvertii qualcosa. Non era qualcosa che sentii con le orecchie, o che intravidi, piuttosto, fu come una specie di lieve brezza che mi sfiorò la schiena. Ebbi, per un lampo, le sensazione che fosse sbagliata, per così dire. Non saprei spiegare bene perché, ma avevo intuito che qualcosa non quadrava.
Pochi istanti dopo fui sbalzata via da un potente colpo, sempre alla schiena.  Cacciai un urlo, e caddi di peso sull'asfalto, graffiandomi le mani.
Mi voltai, dolorante, e mi sentii gelare. Di fronte a me si stagliava la belva più orribile che si possa immaginare. Era alta quasi tre metri, e si ergeva su quattro zampe; era ricoperta da ispida peluria nerastra, e mi scrutava con dieci minuscoli occhi iniettati di sangue, sbavando e ringhiando con le fauci irte di denti acuminati. Non riuscivo a capacitarmi di cosa potesse mai essere, e neanche m'importava al momento. La paura mi aveva fatto dimenticare cosa fosse o non fosse possibile nella realtà.
Indietreggiai più rapidamente che potei, stringendo convulsamente la borsa e il sacchetto di plastica.
Quella creatura mostruosa abbassò la testa, pronta a caricare verso di me, e prese a raspare sul cemento ruvido della strada.
Con un verso orribile si lanciò su di me, che urlai con tutto il fiato che avevo in gola.
Ma quando pensai che era la fine e mi avrebbe sbranata, la terrà mi manco da sotti ai piedi (o più precisamente da sotto il sedere), e mi ritrovai a levitare.
Smisi di urlare, esterrefatta. Mi trovavo sul cornicione del tetto di uno dei palazzi circostanti, mentre l'orripilante e disgustoso mostro da film horror era rimasto giù. Cercavo disperatamente di capire come avessi fatto a saltare così in alto, per non parlare di come avessi fatto a spostarmi senza muovere un muscolo, quando mi resi conto che ancora ero sospesa. Già, perché in effetti… mi resi conto di essere tenuta in braccio da qualcuno.
- Ma che…? – esclamai, il cervello in subbuglio.
Alzai lo sguardo sull'uomo che mi teneva. Era piuttosto alto, con capelli neri come l'inchiostro e occhi scarlatti. Indossava una marsina, anch'essa nera, con due code di rondine dietro.
Fantastico pensai Non bastava la bestia assassina, ora vengo salvata da un tizio vestito in stile vittoriano!
- Tutto bene, signorina? – mi chiese con un sorrisetto sornione. Io annuii, e strinsi le braccia attorno al suo collo.
Con un agile balzo, lo sconosciuto mi riportò a terra, posandomi delicatamente giù. Fatto questo, si voltò verso la creatura, e praticamente volò su di essa, scagliandole contro diverse cose argentate che non riuscii a distinguere. Comunque mi sembravano coltelli.
Il mostro, colpito in diversi dei suoi molteplici occhi, ruggì di dolore, colando per terra quello che mi parve più di un litro di bava. L'uomo gli fracassò la testa con la mano, veloce come un fulmine, e la carcassa si afflosciò al suolo, per poi dissolversi in polvere grigiastra, che si disperse nell'aria.
Il mio salvatore si sfilò il guanto che aveva sporcato, e lo cambiò in tutta fretta con un altro identico al primo che aveva estratto da un taschino interno.
Lo osservai meglio. Cominciai a dubitare seriamente della mia sanità mentale, perché o quello era un guerriero vestito da maggiordomo che aveva praticato le arti marziali orientali, o era scappato da un laboratorio sperimentale dov'era la cavia per iniezioni che fortificano il corpo umano, oppure era un cosplayer particolarmente abile di Sebastian Michaelis. In tutti e tre i casi era veramente un gran bel pezzo di… era veramente figo, insomma. Considerai l'ipotesi che mia mamma avesse messo qualcosa di strano nella mia colazione.
- Ora siete salva, lady – mi disse, sorridendomi di nuovo, e tendendomi la mano.
Io la afferrai, e lui mi aiutò ad alzarmi. Stavo per chiedergli che accidenti fosse successo, quando quello iniziò a sistemare le pieghe del mio cappotto e riordinarmi i capelli. Io scattai indietro, allibita.
- Chiedo perdono, signorina – si scusò immediatamente, inginocchiandosi davanti a me – Non era mia intenzione offendervi o apparire scortese nei vostri confronti –
- Cosa…? – balbettai – Chi sei tu? –
- Questo non è importante. Non ancora, almeno. Vi prego di tenere per voi ciò che è successo, e di attendere che qualcuno si metta in contatto con voi – mi disse, rialzandosi.
- In contatto con me? –
- Certo. Fino a quel momento, fate finta che nulla sia accaduto – concluse.
Mi afferrò la mano, sfiorandole con le labbra – Con permesso, devo ritirarmi –
E con un salto fu di nuovo in cima ai palazzi, mentre con un secondo svanì dalla mia vista.
Sulla mano che mi aveva toccato aveva lasciato un biglietto di cartoncino.
"Tieni sempre questo messaggio con te!"
Con la netta impressione di essere vittima di qualche brutto scherzo, in qualche modo tornai alla stazione degli autobus, ancora sotto shock.
 
Passarono due settimane, due settimane che vissi come in un sogno, facendo esattamente le stesse cose di sempre, ma senza mai entrare davvero in esse. Non facevo che pensare a quel pomeriggio, a chiedermi se non fosse stata un'allucinazione, e se davvero avrei incontrato di nuovo quella persona, o chiunque si sarebbe messo in contatto con me, come lui aveva detto. Mi dicevo che me l'ero sognato, che probabilmente mi ero solo addormentata in autobus; ma poi sentivo il biglietto nella mia tasca, a farmi tornare più vivido il ricordo. Seguii la raccomandazione scritta, e lo tenni sempre appresso.
In molti momenti ebbi l'impressione di essere seguita o osservata, ma ogni volta che mi guardavo attorno non vedevo mai nulla di fuori dall'ordinario.
Finché, un giorno, di fronte al cancello della scuola vidi l'uomo in marsina attendermi, con un mezzo sorrisetto stampato in faccia.
- Buon giorno, signorina. Vedo che avete seguito il consiglio scritto sul biglietto che vi ho lasciato – mi disse, guardandomi con un'espressione a metà tra il divertito e l'enigmatico, il tutto coronato dalle palpebre abbassate per metà. L'insieme gli dava un'aria terribilmente sensuale, che però non mi fece alcun effetto.
Lui dovette accorgersene, perché sospirò profondamente.
- Oggi mi dirai che accidenti è successo due settimane fa? – gli chiesi, cercando di apparire più fredda possibile. Lui annuì, tendendomi la mano. Io esitai: non mi fidavo ancora di lui.
Lui ridacchiò – Non temete, lady. Non siamo noi i cattivi, vi pare? Voglio solo presentarvi chi vi schiarirà le idee –
Io gli presi la mano, e lui mi condusse verso un vicolo abbastanza fuori dall'occhio. Quasi iniziavo a pentirmi di essergli andata dietro, a giudicare dal luogo. E se fosse stato un maniaco? O un pedofilo che cercava di ingannarmi? Contavo abbastanza sulla rapidità dei miei calci, ma la prudenza non è mai troppa!
Poi vidi un bagliore di fronte a lui. Incredula, mi misi di fianco a lui; e quel che vidi mi lasciò senza fiato.
Quello che andava formandosi era una specie di porta fatta di luce iridescente, che però non aveva volume. Vista di lato, infatti, era solo una riga luminosa.
- Che cos'è? – domandai, incantata.
- Un portale. Seguitemi prego –
L'uomo entrò nel varco a passo sicuro, ed io, troppo curiosa per pensare ai rischi, lo imitai.
 
Il luogo dall'altra parte sembrava una via di mezzo tra un palazzo greco-romano e un laboratorio da film di fantascienza. Eravamo arrivati già all'interno di esso, in una gigantesca sala da cui si vedevano una moltitudine di corridoi, ascensori, scalinate e porte. E tutto, proprio tutto, era bianco o di metallo lucidissimo di colore grigio chiaro. Era bellissimo.
Il luogo era gremito di persone, che perlopiù erano uomini e donne in completo formale o camice e ragazzi e ragazze della mia età, che mi sembravano assolutamente normali. Un'occhiata più attenta, però, mi fece scovare anche degli individui assai più bizzarri. C'erano persone in marsina come il mio accompagnatore, donne con ampi abiti dalle gonne lunghe e le vite strette, uomini con lunghi cappotti, fiocchi al collo e tube.
Non capivo perché, ma quest'ultimi avevano un'aria dannatamente familiare.
Uno dei tizi in completo si voltò verso di noi, e corse nella nostra direzione con un sorriso smagliante.
- È lei, Sebastian? – chiese al tizio che mi aveva portata lì. Sembrava molto eccitato, carico di energia, al settimo cielo. Una cosa del genere, ecco. E pareva che la causa fossi io.
Poi il mio cervello registrò ciò che aveva appena detto, o meglio il nome con cui aveva chiamato il mio salvatore.
- S… Sebastian?! – esclamai, sorpresa. Non solo era identico al maggiordomo del mio manga preferito, ora aveva pure lo stesso nome! Come inizio non era dei più rassicuranti.
- Certo, signorina. Il mio nome è Sebastian Michaelis, maggiordomo del casato Phantomhive -
Un brivido mi attraversò – C… cosa? – balbettai. Iniziai a sentirmi mancare. Tutto questo era assolutamente troppo. Come se non bastasse, in quel momento un ragazzino con una benda stava venendo lì a passo di marcia.
- Sebastian! Ci hai messo più del previsto! Poco ci mancava che passasse l'ora del tè! – sbottò, arrabbiato.
- Chiedo perdono, my lord. Vado subito a metter l'acqua a bollire –
Quando ebbe finito la frase, tutti e tre scattarono nella mia direzione, improvvisamente allarmati.
 
Credo che in quel momento fossi svenuta, perché quando riaprii gli occhi ero sdraiata su un divano (anche quello bianco), e una donna mi teneva le gambe alte per far andare il sangue alla testa.
Mi stiracchiai lentamente, mentre quella tipa mi chiedeva come stavo. Risposi che stavo bene, quando mi accorsi che i tre di prima erano accanto a lei.
Perfetto, ci mancava pure che mi rendessi ridicola. Fortuna che indossavo i pantaloni!
- Capisco il vostro shock, signorina… - disse l'uomo in completo.
- Sofia – mormorai.
- Signorina Sofia. Vi prego di ascoltare ciò che ho da dirvi comunque, però. È una questione di vitale importanza – sembrava davvero preoccupato, quindi acconsentii – Ho capito che il maggiordomo e il ragazzino sono i due personaggi di Kuroshitsuji – dissi – Ma sono reali, o sono sosia? O è uno scherzo? –
- Sono reali. E sono veramente Sebastian e Ciel – rispose in tono serio l'uomo.
- Me lo provi – replicai.
Lui diede uno sguardo alla coppia, e il più piccolo si sciolse la benda. Nel suo occhio destro brillava un pentacolo viola. Sebastian sfilò il guanto, mostrando il corrispondente, e i suoi occhi diventarono rosso vivo.
- Abbiamo molti altri modi per dimostrarti che diciamo le verità, Sofia – continuò il tizio in completo – Ma per ora ascoltaci e basta –
Prese un respiro – Un anno fa, in Giappone, ha cominciato a verificarsi uno strano fenomeno. Alcuni di quelli che vengono chiamati otaku hanno cominciato a dimostrare alcune capacità sovrannaturali. Proprio in quel periodo, io e la mia squadra di ricerca stavamo facendo esperimenti riguardo all'esistenza di mondi paralleli
Incontrammo i soggetti, e riuscimmo a creare un varco per un mondo. Solo che non si trattava di un mondo qualsiasi, ma di un mondo che non esiste –
Io ascoltavo il racconto con attenzione. Dopo quello che avevo visto, non stentavo a crederci.
- Ma dopo quell'episodio, il fenomeno dei poteri iniziò ad espandersi in tutto il mondo. Riuscimmo a capire in quali persone questo prodigio accadeva: si tratta di persone che provano un amore profondo verso un concetto astratto di esistenza. Gli otaku hanno questa tendenza, e quasi tutti i soggetti lo erano.
Ma alcuni svilupparono capacità molto più grandi di prima. Riuscirono loro stessi ad aprire varchi e portali verso altri mondi. È stato necessario organizzare queste persone, avere presente chi fossero dal primo all'ultimo, e controllare i passaggi tra mondi. Questo perché le creature di quegli universi iniziarono a riversarsi qui, creando una situazione molto pericolosa per le persone comuni –
- Stop! – lo interruppi – Tipo quello che mi ha aggredita? –
- Certo. E non è tutto. Alcuni dei ragazzi dotati di poteri iniziarono ad usarli per i loro comodi. Saprai bene che gli umani sono facili alle tentazioni, e questi hanno ceduto –
Sembrava tutta roba da film fantasy o da manga, e devo dire che anche se avrei dovuto spaventarmi all'idea, al contrario sentii una forza nuova farsi strada dentro di me.
- C'è una sede della nostra organizzazione in ogni stato. In realtà, non siete in molti, voi Astral –
Sgranai gli occhi – Siete? Astral? –
Il suo sguardo brillò – Gli Astral sono i ragazzi con i poteri. E dico "siete" perché tu sei una di essi –
Poco ci mancò che mi cascasse la mascella dal trauma.
- Il motivo per cui quella belva ti ha aggredita è che hai un'aura molto forte attorno a te. Nelle ultime due settimane ci hanno provato ancora, ma il cartoncino che ti ha dato Sebastian ti ha protetta in parte, ed in parte li eliminavano alcuni membri dell'associazione –
Mi prese le mani, con fare concitato – Abbiamo bisogno di te! Tu hai un talento naturale fortissimo! Ti prego, unisciti a noi! -
Io non sapevo che dire. Lo fissai per un minuto buono, senza spicciar parola.
- Che cosa comporterebbe? – mormorai lentamente infine.
- Combattere creature sovrannaturali, affiancata da altre creature sovrannaturali e ragazzi che sono come te. Partecipare e aiutarci nel controllo del passaggio di creature e personaggi da un mondo all'altro, rendendo la loro trasformazione in persone reali sicura e completa. Spiegare loro la situazione, e convincerli ad unirsi anch'essi a noi. E aiutarli ad ambientarsi in questo mondo.
Ti abbiamo osservata per un po', so che ne saresti in grado. Non negherò, però, che sarà estremamente pericoloso –
- Sta dicendo che i personaggi di Kuroshitsuji stanno diventando reali, e che io potrò incontrarli? – chiesi infine, le mani che mi tremavano.
- Ma certo! – confermò l'uomo – Questa è la sezione di Kuroshitsuji, in particolare! Ci occupiamo dell'universo della maestra Toboso Yana! –
- Allora ci sto! Sono con voi! – dissi, decisa.
Lui si aprì in un sorriso smagliante, e vidi l'immagine della felicità sul suo volto.
- Benvenuta nell'Astral project! – mi disse, mentre Sebastian si inginocchiava di fronte a me e Ciel faceva un mezzo inchino.
Quello fu il momento in cui ogni cosa cambiò radicalmente.
E non era che l'inizio.
 
 
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Cella di manicomio dell'autrice:
Dato che sono stata classificata come "malata mentale", scrivo da una cella di manicomio.
Sostanzialmente la storia è di una ragazza otaku con poteri sovrannaturali, che finisce per combattere al fianco dei personaggi di Kuroshitsuji. Ho deciso di fare come se lei stessa stesse raccontando le sue avventure ai lettori, per cui la maniera in cui ho scritto è molto… non so come dirlo, ma vabbè, vedrete coi vostri occhi. L'inizio forse sembra stupido, ma spero che col tempo riesca a chiarire meglio il tutto. Ho anche l'impressione che abbia scritto i maniera incomprensibile e tremenda.
Ah, Il principale personaggio che sarà con la protagonista (che poi sarei io XD) è Grell Sutcliff, quindi chi lo odia, odierà anche questa storia. Le sue fans invece sono le benvenute!
Coppie: GrellxNuovo personaggio, e qualcos'altro principalmente shonen-ai, ma i principali sono questi due. Motivazione? Beh, amo Grell da impazzire! Oh, sarei molto felice se qualcuno lasciasse qualche recensione, di qualunque tipo, così da sapere cosa ne pensate, e anche per sapere se c'è qualche errore, imprecisione o pezzi scritti male.
 
 
*Adattamento italiano nel manga della catchphrase originale "Shitsuji DEATH". Immagino che tutti sappiamo del gioco di parole sulla somiglianza tra la pronuncia di "death" e del verbo essere "Desu".

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Capitolo 2
*** Atto 02, dialogo con un playboy ed il suo capo ***


Dopo a quel bizzarro modo di imbattermi in persone teoricamente non esistenti, l'uomo in completo (che si presentò come "Simon Crockford", italo inglese) decise di farmi fare un giro completo di quella gigantesca struttura in cui lavoravano. Devo ammettere che l'edificio era splendido, ma ci volle parecchio a visitarlo tutto, e volle anche tenere "la parte migliore per ultima", usando le sue parole.
Venni a sapere che lui era l'amministratore di quell'associazione, la quale era segreta dato che nessuno avrebbe creduto loro facilmente; e se anche fosse successo, non sarebbe stato facile controllare le reazioni della gente. Decine di film americani ci avevano insegnato che le persone, perlopiù, tendono ad andare nel panico e tentare di uccidere tutto quello che non conoscono.
In poche parole, fui condotta nei laboratori dove studiavano nuove tecnologie e sostanze chimiche e medicinali, tutte cose che sarebbero state impossibili se non fosse per l'esistenza degli Astral e del contatto tra mondi. Dopo di quelli fu il turno delle aree di addestramento. A quanto pareva gli Astral combattevano in prima persona contro le varie schifezze ambulanti simili a quella che mi aveva aggredita, e a volte anche a creature di intelligenza superiore, diciamo. Ovviamente pure qualcuno dei cattivi era scappato dai propri mondi originari. Si trattava di addestramento sia fisico, dove insegnavano a combattere, che relativo ai poteri sovrannaturali degli Astral, che imparavano ad utilizzare nella lotta e in altre maniere dei generi più svariati.
C'era anche una zona dove venivano allestite camere private per tutti i membri che passavano molto tempo lì, e naturalmente per le persone provenienti dagli altri mondi.
Riconobbi il viso di qualche personaggio minore e secondario, qui e là, ed ogni volta andavo in visibilio. Certo dopo essere stata sbattuta davanti ai due protagonisti avrei dovuto essermi calmata, ma non capita tutti i giorni di vedere davanti ai proprio occhi personaggi manga in carne ed ossa!
Infine mi portarono nella parte della struttura dove si radunavano tutti i personaggi principali. Beh, questa è la definizione che diedi io, loro la definirono "Sala di raduno dei membri più importanti dell'amministrazione, della ricerca e delle forze belliche". In sostanza c'erano quelli che amministravano l'associazione, quelli che rintracciavano Astral dormienti e personaggi dispersi perché non trasferiti correttamente e i combattenti più forti, che naturalmente, oltre ad un gruppo di ragazzi e ragazze Astral, erano i personaggi più forti della storia.
Quindi, quando mi aprirono la porta della sala, e vidi le persone al suo interno, poco ci mancò che la mia modalità di fangirl scattasse ai massimi livelli.
Appoggiato con disinvoltura sul tavolo centrale, altri non c'era che lo shinigami Ronald Knox, che apparentemente discuteva con il suo superiore, William T. Spears, il quale era a braccia conserte, e batteva ritmicamente il piede a terra dal nervosismo.
- Vi dico, senpai, che dovremmo cercare più a fondo. Lo so che in questa situazione siete molto più tranquillo e libero di lavorare, ma non vorrete mica abbandonare un collega al suo destino, no? – diceva il primo, indicando con fare accusatorio il maggiore.
William sbuffò – Non sto abbandonando niente e nessuno. Se le ricerche non hanno risultati, non ci posso far nulla, Ronald Knox! E non è colpa mia se un certo idiota fa di tutto per non farsi trovar… - il moro s'interruppe vedendomi entrare.
Io posavo lo sguardo ora su uno ed ora sull'altro, e probabilmente avevo lo sguardo sognante e un sorrisone da scema stampato sulle labbra. Una cosa è certa: l'avevo presa molto bene. Una persona qualunque sarebbe rimasta sotto shock, immagino; eppure io ero al settimo cielo ma ancora abbastanza cosciente e fin troppo tranquilla vista la situazione.
- Colleghi, vi presento Sofia. È la nuova Astral appena reclutata; quella con l'aura potentissima – mi presentò il signor Simon. I ricercatori e gli amministratori mi sorrisero, e vennero a stringermi la mano, uno alla volta. Gli altri Astral, con dei sorrisi molto più confidenziali, o mi guardarono raggianti (nel caso dei più giovani di me) o mi diedero dei colpetti affettuosi in testa (nel caso dei più vecchi di me).
C'erano anche alcuni shinigami che non conoscevo, probabilmente comparse viste di sfuggita. William si mise di fronte a me, e fece un inchino rigido e composto, perfettamente nel suo stile.
- È un piacere avervi con noi, signorina. Spero che lavoreremo bene insieme, e che a differenza di certi individui con cui sono stato costretto ad interagire, non siate una perditempo incapace –
Detto da lui probabilmente era un saluto amichevole, quindi non me la presi (anche perché era veramente un figo pazzesco). Sia lui che gli altri che avevo visto sembravano una via di mezzo tra gli attori che li interpretavano nei musical e i personaggi originali, con lineamenti più occidentali però, e montagne di splendore e sensualità extra.
- È un piacere conoscerti, shinigami William T. Spears, della sezione amministrativa dell'Ufficio d'invio degli Shinigami. Hai terminato il tuo esame finale il 16 dicembre dell'anno 1799… -
- Va bene, basta così. Abbiamo capito che sai tutto di ognuno di loro – mi interruppe il signor Simon, divertito – Che vi dicevo? – continuò poi rivolto ai suoi colleghi – Questa signorina farà scintille da noi! –
William era paralizzato, e mi fissava incredulo e completamente rosso in viso, continuando a sistemarsi convulsamente gli occhiali, mentre Ronald era piegato in due dal ridere (probabilmente per la faccia del suo superiore). Devo ammettere che era alquanto buffo! Temo anche che fosse imbarazzato perché aveva capito che sapevo perfettamente anche il resto delle informazioni lui riguardanti. Tipo il fatto che quel fatidico 16 dicembre un certo rosso gli aveva salvato la pelle, cosa che aveva detto lui stesso fosse l'unica pecca nella sua vita.
Fu proprio grazie alla sua faccia, quindi, che mi accorsi di aver dimenticato qualcuno. Mi diedi dell'idiota: come potevo trovarmi catapultata tra i miei idoli, che fino a due settimane prima credevo solo immaginari, e scordarmi di colui che adoravo al di sopra di ogni altro? Decisi di rimediare immediatamente alla mancanza.
- Per "individui perditempo ed incapaci" per caso ti riferivi a Grell Sutcliff? – chiesi casualmente allo shinigami dai capelli corvini, suscitando un nuovo attacco di risatine da parte di Ronald.
Bastò quella frasetta apparentemente innocente a far venire alla luce il tic al sopracciglio di William.
- Vedo che siete molto attenta, signorina – disse, infastidito – Temo che ci abbiate visto giusto –
Dopo essersi finalmente calmato, Knox scansò il suo senpai per venire a stringermi la mano, gesto che fu seguito da un occhiolino da parte sua. Nemmeno lui si smentiva, pensai.
- Spero che andremo d'accordo, fanciulla – disse, col suo solito modo di fare moderno e giovanile, oltre che da playboy – Posso chiamarti Sofia? –
- Certamente, Ronald – gli risposi, con un sorriso complice – Sono sicura che andremo perfettamente d'accordo –
- Ehi! – mi fece poi, avvicinandosi al mio orecchio – Sei la prima persona che vedo dare del tu al senpai Spears la prima volta che lo vede! Sei forte! –
- Grazie – decisi di approfittare di questa sua simpatia nei miei confronti per osar fare un'altra domanda in proposito di ciò che avevo quasi dimenticato – Tra parentesi, mi sorprende vedere William libero dalle molestie dell'altro tuo senpai, sai? Com'è che se ne è liberato? –
Mi resi conto di aver detto qualcosa di sbagliato troppo tardi, quando vidi i sorrisi della gente attorno a me spegnersi uno dopo l'altro. Simon Crockford si schiarì la voce.
- Sofia, ricordi quando ti ho detto che uno dei compiti che avrai sarebbe stato di controllare il passaggio da un mondo all'altro, rendendo la loro trasformazione sicura e completa? – disse nervosamente.
- A-ha…? – stavo seriamente iniziando a preoccuparmi a quel punto. Cosa stava cercando di dirmi?
- Beh… - continuò – Il fatto è che se non ci si concentra bene durante il processo possono esserci complicazioni. Per esempio potrebbero apparire in maniera non corporea, come degli spettri, oppure avere pezzi di pagine del fumetto sulla pelle, e a quel punto bisogna annullare il trasferimento, rispedirli dall'altra parte e ricominciare –
- Stai cercando di dirmi che Grell aveva delle vignette in faccia o roba del genere? – domandai, cercando di sdrammatizzare la situazione, che era fin troppo tesa per i miei gusti.
- No, è venuto di qui come si deve. Solo che in quel momento siamo stati attaccati da un cane diabolico, e ha preso forma chilometri più in là rispetto a dov'eravamo noi. Non siamo riusciti a trovarlo, perché appena proviamo ad avvicinarci, quello se ne accorge e sparisce. Non riusciamo a comunicare con lui, quindi non sa che non stiamo tentando di ucciderlo –
Spalancai gli occhi – E di tutti quelli con cui potevano esserci problemi, proprio lui?! – era quasi ridicola la cosa! Non che perdessero qualche umano facile da recuperare, no! Ovviamente dovevano cacciarsi nei guai perdendo uno shinigami pluriomicida maledettamente sanguinario e violento! Come dico sempre, la fortuna è cieca ma la sfiga ci vede benissimo!
- Qualche altro problema? – dissi, cominciando a dubitare della loro capacità organizzativa. Se c'erano anche gli altri shinigami, perché non mandare loro, di cui Grell si sarebbe fidato, no?
- Sì, temo di sì – rispose Simon – Essendo finito all'improvviso in un mondo a lui estraneo, probabilmente è sotto shock, o perlomeno terrorizzato. Lo so che non è il tipo che si spaventa, ma una cosa del genere manderebbe in crisi chiunque indiscriminatamente. Il che… -
- Il che lo rende doppiamente pericoloso. Bene – borbottai a denti stretti – È di questo che stavate discutendo voi due quando sono entrata? – chiesi poi a William e Ronald. I due annuirono.
Ci fu un silenzio imbarazzante, interrotto solo dopo un tempo che parve interminabile da una degli Astral lì presenti.
- Senti, non è che per caso il rosso ti sta simpatico? – io la guardai, annuendo.
- Se vogliamo essere precisi, non è che mi sta simpatico – puntualizzai – Lo adoro. Lo trovo il personaggio più geniale e fantastico che sia mai stato creato, sia nel carattere che nel design di aspetto e vestiti. Mi piace da impazzire, nonostante qualsiasi cosa si possa dire contro di lui –
Messa in chiaro la mia opinione (che suscitò una smorfia da parte di William), mi voltai verso il signor Simon – Lo state cercando, vero? –
- Ovviamente! Solo che non abbiamo molto su cui basarci, e se anche lo trovassimo, non sappiamo come fermarlo per potergli parlare –
William fece un passo avanti, scrutandomi attentamente – In questo potresti esserci di grande aiuto, signorina Sofia –
Questa sua affermazione gli guadagnò una lunga serie di sguardo stupiti e "Eh?" esclamati uno dietro l'altro. Lui li ignorò, continuando a rivolgersi a me – Mi par di capire che voi ci conoscete molto bene. O meglio, tutti gli Astral ci conoscono bene, ma credo che voi sappiate vedere più in là degli altri; il che non è poi così inaspettato, considerato che vi avevamo notata in particolare a causa della vostra aura nitida e del raggio piuttosto ampio, chiaro segnale di una dote naturale nell'utilizzo delle vostre nuove capacità –
- Cosa? – non avevo capito granché di quella frase piena di subordinate, ma intuii che per la prima volta in vita mia sembrava fossi particolarmente dotata in qualcosa e che forse mi stessero chiedendo di aiutarli in maniera più consistente di una semplice partecipazione.
- La maniera in cui ti sei rivolta a noi lasciava intuire che conosci bene non solo i dati oggettivi che ci riguardano, ma anche le nostre personalità. Se davvero adori tanto quell'idiota di Grell Sutcliff, vuol dire che lo conoscerai più degli altri, quindi riusciresti meglio di noi a capire come ritrovarlo e parlargli senza farci ammazzare –
- William ha ragione! – esordì il signor Simon, entusiasta, afferrandomi di nuovo le mani come quando mi aveva chiesto di unirmi a loro – Sofia, per favore, aiutaci a trovarlo! Sono certo che tu potresti farcela! –
Un po' scombussolata da quella valanga di sconvolgimenti della situazione, feci segno di assenso con la testa. E ancora una volta, mi cacciai da sola in un guaio ancora più problematico.
 
Nella settimana seguente andai ogni pomeriggio all'associazione. Regolarmente veniva Sebastian ad attendermi dopo la scuola, suscitando gli sguardi incantati di quasi tutte le ragazze lì presenti. Una volta dentro, mi fecero iniziare gli allenamenti di combattimento, necessario se volevamo recuperare uno shinigami, e mi aiutarono anche ad utilizzare un po' le capacità che avevo da poco scoperto di avere.
Una cosa molto utile era che mentre ero all'interno di quell'edificio, era come se il tempo si fermasse. Sembrava che stessi lì ore, e poi uscivo all'ora esatta in cui ero entrata. Mi spiegarono che l'Associazione era stata isolata dalle leggi temporali per comodità di noi Astral, dato che eravamo quasi tutti minorenni, ed in questo modo non dovevamo spiegare ai nostri genitori dove eravamo per tutte quelle ore.
Imparai a maneggiare le armi bianche, scoprendo che la mia natura di Astral mi faceva imparare tutto ad una velocità impressionante.
- È perché tu vuoi imparare – mi spiegò il signor Simon – voi non rendete reali solo cose inventate da altri, ma anche ciò che inventate voi. Se tu sei convinta di poter essere un'esperta di scherma, lo sarai in un batter d'occhio. E poi tu hai una dote naturale molto spiccata –
In quella maniera perfezionai anche il tiro con l'arco, di cui già conoscevo i rudimenti, e le arti marziali, che avevo praticato in passato, anche se non a livelli professionali. Scoprii che aveva ragione: ogni qualvolta era particolarmente convinta che sarei riuscita in qualcosa, scoprivo che lo ero sul serio.
In realtà in quel periodo non incontrai molto i personaggi dall'altro mondo, che venivano chiamati Esterni, perché erano talmente decisi a trasformarmi in un'"eroina combattente" nel minor tempo possibile, che ogni pomeriggio iniziavo immediatamente l'addestramento, e me ne andavo appena terminato. Dato che mi allenavano in maniera speciale, quindi staccata dagli altri Astral, non ebbi neanche modo di conoscere qualcuno di loro. Era un po' imbarazzante, perché non facevano che fissarmi e sussurrare tra loro.
Dopo aver raggiunto i livelli che si aspettavano da me, sempre a tempo record, cominciò l'insegnamento ad usare le mie doti sovrannaturali. In verità imparai già il primo giorno.
- Per rendere reale qualcosa che non esiste, qualcosa di materiale intendo, devi visualizzarla bene nella tua mente. Una volta fatto devi desiderare con tutta te stessa che quella cosa si materializzi davanti a te. Ma fai attenzione: devi concentrarti anche sul luogo dove vuoi che appaia, altrimenti potrebbe materializzarsi qui come in mezzo all'oceano –
Iniziai a tentare di far apparire degli oggetti inanimati, come pezzi di vestiario, piante o bicchieri presenti nelle vignette. Ci riuscii dopo pochi tentativi già al primo giorno, il che ancora una volta mu fu fatto notare che fosse una cosa straordinaria. Dopo fu il turno di insetti e piccoli animali, che uno dopo l'altro mi cadevano in grembo perfettamente integri ed in salute.
Insomma, nel giro di una mese mi ritennero in grado di sostenere un combattimento serio, e quindi di essere presente nel recupero dello shinigami scarlatto, che ancora non erano riusciti a localizzare.
- Sei strana – mi disse un giorno Ciel, uno degli unici quattro Esterni con cui ero riuscita a parlare e che avevo incontrato da vicino. Quando gli chiesi il motivo, lui alzò le spalle, e indicò gli altri Astral attorno a noi.
- Quasi tutti ci hanno messo molto a convincersi che noi fossimo realtà. Noi stessi stentavamo a credere che fino a poco prima della nostra apparizione qui non fossimo che disegni su carta. Per fare in modo che aderissero all'Astral Project, poi, è stata una faticaccia. Avevano paura delle conseguenze, di essere feriti, che il loro mondo fosse sconvolto con questa nuova realtà. Alla fine hanno accettato tutti, ma non è stato semplice. Tu invece hai creduto in noi quasi subito, ed hai accettato all'istante. Impari ad usare i tuoi poteri con una rapidità impressionante, e riesco a percepire la tua aura molto più nettamente che con chiunque altro. Sei speciale, è per questo che Spears ha voluto che entrassi subito in azione –
La maniera in cui parlava era molto differente da come si rivolgeva agli altri nel manga o nell'anime. Era molto più… dolce? Possibile? Per non parlare della quasi totale assenza di quell'atteggiamento orgoglioso e sprezzante, perlomeno nei miei confronti.
Fu parlando con lui che iniziai a chiedermi se le loro personalità non fossero strettamente legate a com'erano stati ideati, ma invece potessero cambiare se a contatto con gente diversa. Già, gente diversa. Pensandoci meglio, tutti i personaggi non esistenti aveva caratteri molto spiccati ed estremizzati, ed incontrare persone normali, o almeno normali secondo i canoni, non lo facesse diventare man mano meno drastici nel modo di reagire e parlare agli altri.
- Davvero mi ha chiesto di aiutarli a cercare Grell per questo? – gli chiesi, sorridendo tra me e me. Il suo faccino era ancora più adorabile che nei disegni della mangaka, il che era tutto dire!
- Ovvio! – ribadì Ciel – Lui non sopporta quel rosso dai modi volgari, no? Vogliono tutti osservarti, e vedere che livelli sei in grado di raggiungerti. Se ne sono accorti tutti, qui. Non posso dirti molto altro, il consiglio dell'Astral Project vuole tenere segrete certe cose fino a tempo debito, ma pensano che presto diventerai l'Astral più forte di tutta l'associazione –
Cercai di sorridere di nuovo, e di ignorare un certo commento poco gradito nei confronti di Sutcliff. On fu semplice, a dir la verità. Come osava quel moccioso dire che il mio adorato era volgare? Reprimendo l'istinto di cambiargli i connotati con un bel pugno, gli diedi un paio di colpetti leggeri in testa.
- Co…? – balbettò lui, arrossendo fino alle punte dei capelli.
- Sei carino. Ma certi epiteti tieniteli per te. Se ti senti dire di nuovo che Grell è volgare, te la farò pagare – gli dissi in tono scherzoso, ma non del tutto.
Lui avvampò ancora di più e se la diede a gambe, quasi travolgendo una giovanissima Astral che stava facendo sbocciare un vaso di primule.
- Non avevo mai sentiti nessuno spegnerlo in quel modo – disse una voce morbida dal tono divertito. A parlare era stato Sebastian, che dissimulava una risatina con dei lievi colpi di tosse.
- Ehilà, demone – gli feci – Ci sono altre istruzioni su cosa devo allenarmi a fare? –
- No – disse lui – In verità sei appena stata richiesta. Dicono che è ora che tu metta in pratica le tue abilità, nelle quali hanno profonde aspettative –
Scattai in piedi, fremendo – Quindi vuol dire che…? – oh, com'ero in ansia! Speravo che significasse ciò che pensavo significasse, ma non osavo chiederlo apertamente.
- Che è il tuo turno di avanzare ipotesi su come trovare e comunicare con il signor Grell –
Esattamente ciò che aspettavo! È inutile che perda tempo a descrivere quello che provavo in quel momento. Quando mi avevano detto che l'avevano perso non sapevo se essere arrabbiata, delusa o triste. E questo non è che un eufemismo. Non saprei nemmeno spiegare cosa provavo esattamente per quella creatura bizzarra e fiammeggiante, ma avevo appena scoperto che fossero diventati reali, e già sentivo le varie infatuazioni astratte che avevo prima farsi via via più nitide. Era come se anche i sentimenti che riversavo su cose non reali a causa della mia tendenza solitaria fossero diventati reali come i personaggi stessi. Non riuscivo neanche a capire il motivo per cui adorassi tanto lo shinigami scarlatto. So solo che nel momento in cui avevo visto la sua immagine la prima volta l'avevo già designato come destinatario di tutte le emozioni che non trovavano nessuna persona reale a cui essere dedicate.
In ogni momento dell'ultimo mese, avevo messo il suo ritrovamento come motivazione per cui volevo riuscire in tutto ciò in cui mi avevano addestrata il più presto possibile e al meglio possibile.
Quando Sebastian mi disse che era giunto il momento, sentii come una fitta al cuore. Avrei dovuto essere felice, ma invece mi sentivo pesante. Forse era per la consapevolezza che c'erano probabilità alte di incontrarlo entro non moltissimo tempo, di vedere con i miei occhi la persona che avevo trasformato nel mio modello da venerare.
Non credo che sia qualcosa che si possa capire, senza averlo provato veramente, ciononostante ancora una volta proverò a descrivere tutto ciò che ho pensato e percepito sia fisicamente che nella mia mente il più accuratamente possibile.
 
*****
Cella di manicomio dell'autrice:
Uhm… okay, accetto qualsiasi accusa e critica. Avreste ragione a farle. Ho fatto le cose in maniera troppo frettolosa, sia l'introduzione dei personaggi che l'addestramento della protagonista. È solo che non essendo in grado di fare meglio, ho preferito abbreviare piuttosto che scrivere in maniera più dettagliata ma anche più orribile gli allenamenti di magia e combattimento di Sofia.
E pensare che mi sono inventata che Grell era stato disperso (ma che aveva in mente quella che l'ha trasferito in questo mondo?! XD) solo per scrivere la scena in cui lo ritrovano, che invece ho ben chiara in testa e so esattamente come deve essere!
Baci!
Sofy<3
 Oh, a proposito, qui sotto ho messo i disegni che ho fatto della protagonista.



Per inserirlo qui li avevo caricato su DeviantArt. Questa è la mia gallery:
http://sofyflora98.deviantart.com/gallery/

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Capitolo 3
*** Atto 03, l'allegra gita nel luogo di un delitto ***


Quando assieme a Sebastian entrai nella sala della pianificazione tattica, c'era già un bel gruppo di membri dell'associazione che discuteva animatamente su come procedere nell'operazione "Ritrovamento e recupero di Grell Sutcliff". Tutti però si zittirono quando noi entrammo.
- Signori, la signorina è arrivata – annunciò il maggiordomo, con un mezzo inchino in perfetto stile gentleman. Il signor Simon mi fece segno di avvicinarmi, così andai alla sua destra, osservando attentamente le altre persone presenti, perlopiù erano gli stessi che mi avevano presentato al mio arrivo, più diversi altri Astral e degli shinigami di cui non conoscevo il nome, probabilmente delle comparse sugli sfondi delle schermate.
- La aspettavamo, Sofia-san – mi disse uno di essi. Io accennai ad un sorriso, nervosa e anche un po' imbarazzata. Notai che sul tavolo c'erano delle mappe della città e dintorni, alcune stradali e altre con zone segnate in vari colori che non sapevo cosa significassero.
- Buongiorno – mormorai.
- Abbiamo già cominciato il raduno, e stavamo ancora una volta teorizzando ipotesi su come rintracciare Grell Sutcliff – esordì William, fissandomi intensamente in una maniera che mi fece sentire sotto esame – Ma purtroppo non sappiamo con che criteri cercare, dato che qualunque posto potrebbe essere buono. Le aree dove sono state segnalate le più intense attività sovrannaturali sono già monitorate – ed indicò le mappe con i colori strani.
- Quello che intende dire – aggiunse Simon – è che speravamo che tu potessi aiutarci, visto che sembri capire molto bene la psicologia del loro collega –
Cosa facesse loro pensare che io capissi la psicologia di Sutcliff rimane a me ancora un mistero, ma in quel momento mi sentii lusingata, e soprattutto felice che ci fosse bisogno di me. Questo perché di solito combino pasticci con il mio modo di camminare goffo e il mio essere dannatamente maldestra, oltre che distratta.
- Insomma dovrei ipotizzare dove potrebbe trovarsi? – domandai.
- Esatto. Ci sono molti modi in cui si può capire la possibile locazione di ciò che si vuole cercare in base a statistiche e conoscenza di ciò che si cerca, ma purtroppo qui nessuno di noi ha ancora ottenuto risultati. Un cervello in più, comunque, non fa mai male, anche se noi abbiamo fiducia in progressi maggiori dei nostri da parte tua –
Non ero abituata a sentir riporre tanta fiducia nelle mie capacità, quindi questo mi diede un'ondata di energia e motivazione, come mai mi era successo prima di quel momento. Allungai una mano verso una delle mappe con segnate le strade, e la studiai per qualche minuto; poi cominciai a ragionare. Dove avrebbe potuto trovarsi? Così dal nulla non avrei mai cavato un ragno dal buco, avevo bisogno di più informazioni. Un brainstorming non avrebbe guastato, quindi iniziai a dire ad alta voce tutto quello che sapevo su di lui.
- Stiamo cercando uno shinigami, ovvero un dio della morte, dall'indole selvaggia e violenta, disperso in un mondo che non conosce nel quale è stato trascinato all'improvviso. Sappiamo che è molto forte, che ha ucciso diverse persone, anche fuori dai suoi doveri di mietitore, che non chiederebbe aiuto a nessuno e non si lascerebbe vedere da nessuno. Dove potrebbe nascondersi una persona così? –
Nessuno mi rispose.
Pensandoci meglio, era strano che con tutte queste creature sovrannaturali in circolazione non fosse successo mai niente. Voglio dire, mostri come quello che mi aveva aggredita non passano certo inosservati! Sempre che chi li veda fosse ancora vivo per raccontarlo, e che se ci fosse morti non venissero attribuiti a fattori più comuni. Uno shinigami come lui non poteva passare così inosservato, però! Non Jack lo Squartatore, accidenti! Non era il tipo che si sarebbe semplicemente appallottolato in un angolino sperando che nessuno lo veda!
Forse, semplicemente, nessuno dell'Astral Project ha notato qualche evento che avrebbe dovuto notare.
Sbarrai gli occhi. Mi era venuta un'idea, era solo un'ipotesi, ma comunque un'idea.
- Signor Simon, avete i quotidiani di tre settimane fa? –
Lui rispose di sì, sorpreso, e li fece portare. Sfogliando tra tutte le pagine, le notizie e le date, finalmente trovai quello del giorno che volevo. In effetti avrebbero dovuto capirlo, era così ovvio! Non ci voleva un otaku per intuire una cosa del genere, era lampante. Iniziai a leggere ad alte voce l'articolo.
- Il 22 settembre, alle sei del mattino, i corpi senza vita di un Scarabellin Giacomo (27 anni) e Papalia Giada (25 anni) sono stati trovati nei pressi della fabbrica di vernici abbandonata nella periferia. L'assassino non è stato identificato, né sono ancora stati trovati indizi sulla sua possibile identità. Il movente è ignoto, non avendo avuto i due né nemici né motivazioni economiche che avrebbero potuto essere il motivo della loro uccisione. Si suppone, però, che si tratti di un omicida che conosca accuratamente l'anatomia umana dalla precisione con cui ha reciso le vene giugulari di entrambi, morti infatti per dissanguamento. Nonostante però sia stata quella la causa della morte, pare che l'assassino abbia comunque dilaniati i corpi già inanimati. La polizia sta impiegando gran parte delle sue forze nelle indagini, ma brancola ancora nel buio –
Ora mi fissavano pietrificati. Molti erano addirittura a bocca aperta.
- E tu ricordavi dopo tre settimane questo evento? – mormorò Simon.
- Beh, non è che sia esattamente qualcosa che possa passare inosservato, no? E ne abbiamo discusso anche a scuola – ribattei io. William sembrava particolarmente innervosito, cosa che capii dal tic al sopracciglio.
- Se è davvero stato lui, allora significa che ha di nuovo ucciso persone non presenti nella lista – sibilò, stringendo le mani a pugno – Quell'idiota se la vedrà con me, prima o poi –
- Calmati, William – gli dissi, alzando gli occhi al cielo – Probabilmente li ha uccisi perché l'avevano trovato, sempre che sia davvero stato lui, s'intende. La mia è solo un'ipotesi, non prendertela subito con lui. –
- Eccola! – esclamò un Astral circa della mia età, indicando un punto nella mappa della città. Mostrò a tutti l'esatta posizione della fabbrica, che fu subito annotata dal signor Simon.
- Ci occuperemo di verificare l'attività sovrannaturale nella zona, senza farci vedere da Grell. Avanti, andate al lavoro, gente – e presto tutta la squadra scientifica stava già freneticamente armeggiando con i computer.
- Un posto del genere è proprio quello in cui lui si rifugerebbe – disse Ronald, cogliendomi di sorpresa.
- Già – risposi – Un luogo vuoto dove nessuno andrebbe, un posto da scenografia di film horror, dove sarebbe anche più difficile rinvenire un cadavere, visto che nessuno ci si avvicina. Dove potrebbe crearsi un rifugio o una base –
- Sei veramente attenta ai dettagli! –
- Scommetto che è terrorizzato dall'idea che qualcuno gli si avvicini – sospirai – E questo lo rende ancora più pericoloso. Al momento è come un animale ferito, ovvero letale e instabile –
- Lo conosci davvero molto bene! – esclamò Ronald, fischiando.
- Ovvio, lui è il mio preferito! –
Il signor Simon mi chiamò, facendomi segno che voleva dirmi qualcosa. Lo seguii fuori dalla sala tattica, salutando Ronald con la mano. Quando fummo fuori Simon si schiarì la voce e si aggiustò il colletto della camicia, come se stesse per fare un annuncio importante.
- Dunque – esordì – Nell'ultimo mese ci siamo occupati di far sì che tu sia in grado di combattere, cosa in cui sei riuscita egregiamente. Mi dispiace che la tabella di marcia sia stata così stretta, e che tu non abbia nemmeno potuto conoscere gli altri Esterni, ma in questa operazione credo che la tua presenza sia di vitale importanza, viste le tue conoscenze del soggetto in questione –
Già, mi era già stato detto che gli altri Astral imparavano tutta quella roba in tempi molto più lunghi.
- Potremo considerare questa come un esame finale, diciamo. Per capire in quale ambito sei più dotata, intendo. Di solito dividiamo gli Astral per categoria prima di mandarli a combattere, ma viste le circostanze penso che sia la cosa migliore, visto che comunque non riusciamo ad individuare qualcosa che tu riesca a fare meglio del resto –
- Bene – commentai ironica. Andare incontro ad un serial killer immortale non era esattamente ciò che consideravo "la cosa migliore" per una che non ha mai combattuto in vita sua, ma non ero io l'esperta lì.
- Se ti stai preoccupando per il fatto che tu non hai ancora combattuto davvero prima d'ora, non preoccuparti – disse ancora lui, come se mi leggesse nel pensiero – Scendere direttamente in campo non è come prendere a calci un manichino o un ologramma –
- Ma davvero? – ridacchiai a denti stretti.
- Dipende dalla tua natura di Astral: l'adrenalina ha una forte influenza sulla vostra capacità di amplificare la vostra forza, e naturalmente questa non può esserci in un allenamento. In una lotta vera, invece, la scarica di adrenalina non si fa mai aspettare, soprattutto in voi adolescenti. Quando sarai di fronte ad un avversario, ti accorgerai di avere tutti i sensi acuiti e le capacità fisiche aumentate di molto –
Sentire questo mi rincuorò non poco, dato che già di mio non è che fossi mai stata esattamente un'atleta. In verità sarei negata per qualsiasi tipo di attività fisica, ma stranamente negli allenamenti di combattimento ero straordinariamente agile e veloce. La prospettiva che l'adrenalina mi facesse diventare ancora più forte mi dava già qualche speranza di non farmi ammazzare.
- Grazie al cielo! Non ci tengo ad essere sventrata con una motosega! – esclamai, nel mio solito tono tra il teatrale ed il sarcastico. Simon soffocò una risata, ed estrasse una scatola di plastica (bianca, come quasi tutto lì) grande come il palmo della sua mano.
Al suo interno c'era un dischetto di un metallo grigio chiaro, liscio e sottile. Aveva al centro un cerchio che riportava il simbolo dell'Astral Project, e l'anello che lo circondava era suddiviso in sei parti.
Mi prese il polso, appoggiandolo sulla cute appena sopra la mia mano. Immediatamente una fascia di placchette dello stesso materiale uscì da sotto il dischetto, circondandomi il polso, e trasformandosi in una specie di bracciale. Notai che era estremamente flessibile per essere metallico.
- Questo – disse il signor Simon – È uno dei nostri dispositivi. Aiuta a catalizzare il vostro potere in modalità ben definite, che solitamente sono molto difficile da utilizzare. Queste sono le istruzioni per l'uso – e mi porse un foglio ben ripiegato – Mi raccomando, leggile bene. Ora ti saluto, farai meglio a riposarti per bene e pensare a qualche maniera di avvicinare Grell quando lo troveremo –
Lo salutai, e lui mi aprì un varco per tornare nel mondo dove il tempo scorre, nel quale erano appena le 13.07, due minuti dopo la fine delle lezioni.
 
0.0 Premendo il pulsante centrale si attiva l'armatura protettiva, da usare assolutamente prima di ogni combattimento. L'armatura protettiva funge da scudo per quasi tutti gli attacchi fisici e per la maggior parte di quelli magici. L'armatura è differente per ogni Astral, assume la forma più adatta alla persona che la utilizza, ed è fatta di materiali leggerissimi e simili al tessuto.
 
0.1 Il primo pulsante, segnato nell'illustrazione sottostante, consente di aprire facilmente portali. Per l'utilizzo, bisogna pensare intensamente alla destinazione, e pigiarlo.
 
0.2 Il secondo pulsante è il comunicatore. Per usarlo, bisogna pensare intensamente alla persona con cui si vuole comunicare, e pigiarlo. Per parlare, è sufficiente avvicinare le labbra al quadrante circolare. Eventualmente, può anche visualizzare l'immagine dell'interlocutore.
 
0.3 Il terzo pulsante ha la funzione del camuffamento. Per utilizzarlo, visualizzare nitidamente nella propria mente l'immagine dell'aspetto che si vuole assumere e pigiarlo. Permette anche di modificare solo il vestiario.
 
0.4 Il quarto pulsante è il dispositivo del volo. Per utilizzarlo, pigiarlo ed appoggiare alla schiena il dispositivo che verrà creato dal bracciale.
 
0.5 Il quinto pulsante permette di creare armi e strumenti vari a piacimento, per utilizzarlo, visualizzare nitidamente l'immagine di ciò che si vuole e pigiarlo.
 
0.6 Il sesto pulsante funge da localizzatore e da mappa. Per utilizzarlo, pigiarlo e dire con voce chiara che persona, oggetto o luogo deve essere visualizzato o localizzato.
 
1.0 Facendo ruotare l'anello che comprende i sei pulsanti, è possibile utilizzare altre funzioni. È sufficiente pensare chiaramente a cosa si desidera fare e come deve funzionare l'eventuale dispositivo o programma.
 
1.1 pigiando due volte rapidamente il pulsante centrale, si attiva il computer. Lo schermo sarà visualizzato nell'aria, e funzionerà con il tocco delle dita nell'aria stessa.
 
Per rimuovere il bracciale dal polso, dare due colpetti sulla fascia di placche metalliche con il dito. La fascia verrà rimossa immediatamente, lasciando solo il quadrante, che potrà essere riposto nell'apposita custodia.
 
Mi stiracchiai, sbadigliando rumorosamente, mentre finivo di leggere le istruzioni per l'utilizzo di quell'aggeggio sdraiata sul letto. Il mio gatto nero, Yoru, stava facendo le fusa e strofinava ripetutamente il musetto contro la mia testa.
- Ehi, birbantello! – lo rimproverai affettuosamente – Spostati di lì, o mi riempirai il cuscino di peli! –
Lui miagolò spalancando la bocca in maniera che mai avrei creduto possibile per un gattino minuto come lui. Quel micio miagolava di continuo, come se rispondesse a quel che gli dicevamo, e apriva le mandibole di diversi centimetri. Insomma, non stava mai zitto per essere franchi.
non riuscivo a capire come mai avessero chiesto a me sia di trovare una maniera di localizzare Grell, sia di capire come riuscire a parlargli senza farci ammazzare. Ero appena arrivata, voglio dire, non ne sapevo nulla di tattica militare o roba simile. Non avevo fatto altro che tirare calci a fantocci e sacchi da box, tirare frecce sui paglioni, eccetera. Avevo come l’impressione che mi stessero giudicando, mettendo alla prova. Come se volessero vedere cosa fossi in grado di fare. E per quel che ne sapevo, non avevano fatto fare nulla di simile agli altri Astral.
Qualche idea per bloccare lo shinigami l’avevo, però… non è che fossero questo granché. Sospirai, accarezzando il bracciale che mi era stato dato. In verità tutta quella situazione mi piaceva un sacco, ma non avrei mai osato ammetterlo davanti a qualcuno.
“Se andrà tutto bene lo vedrò. Presto lo vedrò”
 
-Sai, da un mese a questa parte ti vedo bene, Sofia – mi disse Angelica la mattina dopo.
- Davvero? –
- Certo! – confermò la mia amica – Sei più allegra, più in forma, sempre meno assonnata, e se devo essere sincera parli anche meno di manga rispetto a prima! –
- Ed esattamente, in che modo il parlare meno di manga sarebbe una cosa buona? – ribattei, tirandole un’occhiataccia. Lei fece finta di spaventarsi, e si nascose dietro a Beatrice, che tanto per cambiare stava riordinando i suoi appunti (per la quinta volta nel giro di un quarto d’ora).
- Comunque è vero – dissi all’improvviso – Mi sento meglio, in tutti i sensi. E ti dico solo che tra un po’ starò ancora meglio –
Angelica sgranò gli occhi, e fece un sorriso perverso – Perché? Stai per caso leggendo montagne di manga yaoi ed hentai? Su Kuroshitsuji Grell e William si sono messi insieme? O hanno s… -
- Oh, smettila, maniaca! Non sono pervertita come te! – esclamai, spettinandole i capelli.
- Carino il tuo bracciale. Dove l’hai preso? – disse la voce di Beatrice, giungendo all’improvviso. Ora la ragazza con gli occhiali aveva finito di copiare in bella copia le formule algebriche, e indicava il mio polso.
- Me l’hanno regalato degli amici di un’altra città – risposi, evasiva, sperando che mi credesse.
Grazie al cielo in quel momento l’intervallo terminò, e sarei pronta a giurare di non essere mai stata così felice di fare architettura. La situazione si stava facendo imbarazzante.
Ma proprio mentre la “piccola Hitler” spiegava come eseguire il rilievo di un edificio, ebbi un flash. Non fu proprio una vera idea, piuttosto un’immagine che mi si visualizzò in testa. In poche parole, capii come avrei potuto fermare Grell se lo avessimo trovato.
- Rosso… - mormorai, attirando l’attenzione del mio ignaro vicino di banco, che fu subito ripreso per disattenzione. Quella volta mi sentii davvero in colpa nei suoi confronti.
 
Come al solito, Sebastian mi attendeva fuori dalla scuola, elegantemente appoggiato al cancello. Quando mi vide accenno ad un inchino, cosa che fece girare di scatto tutte le ragazze lì presenti.
- Lady Sofia – mormorò chinando il capo, quando mi avvicinai a lui.
- Ehi, Sofia, ma chi è questo figone pazzesco? – sussurrò Angelica al mio orecchio, già su di giri. Quando lui le sorrise lei parve prendere fuoco. Le si avrebbe potuto cuocere un uovo sulle guance.
- Una specie di amico, diciamo – risposi, ancora più vaga di prima – Scusami, ma siamo di fretta. Se davvero non riesci a distrarti da lui vedrò di scattargli qualche foto di nascosto. Bye bye! –
Mentre ce ne andavamo, riuscii a sentire le sue lamentele deluse, per non parlare delle risatine di Sebastian ed una richiesta di spiegazioni sul come esattamente intendessi fargli foto di nascosto. Lo rassicurai, dicendogli che era solo per zittirla. Ovviamente anche questo era solo per zittire lui: non si sa mai quando possono servire foto di Sebastian, nella vita!
Quel giorno, non appena misi piede nella sala d’ingresso dell’associazione, il signor Simon mi si parò davanti con un sorriso da un orecchio all’altro. Sembrava molto soddisfatto. Troppo, se devo essere sincera: avevo imparato già che la sua soddisfazione preannunciava tutto fuorché pace e tranquillità.
- Buongiorno, Sofia! – mi salutò allegramente.
- Buongiorno. Immagino che ci siano notizie, a giudicare dalla tua espressione felice – risposi, nella mia solita maniera sarcastica e diretta. Lui, come al solito, non sembrò farci caso, ed annuì energicamente.
- Abbiamo controllato meglio le rilevazioni di attività sovrannaturale nella zona del colorificio abbandonato, ed effettivamente ci sono stati alcuni picchi in cui si vedeva chiaramente una forte massa di potere estraneo a questo mondo accendersi; si tratta di intervalli di non più di quindici minuti, alla fine dei quali la forza sovrannaturale si affievolisce, come un animale che si fa piccolo piccolo per nascondersi –
Sì, sì, si! Ci avevo visto giusto, accidenti! Le mie mani furono prese da convulsioni nervose dovute all’ eccitazione crescente, dovuta all’idea che presto avrei finalmente visto il mio idolo.
- E… ? – chiesi, ansiosa.
- E stasera andiamo a controllare! – annunciò Simon – Ed è tutto merito tuo, ragazza mia! Sei davvero un fenomeno!| -
Non potei fare a meno di sentirmi in imbarazzo, mentre gli battevo il cinque. Non mi capitava spesso di sentirmi fare tutti quei complimenti, in verità!
Notai, però, una cosa strana: c’era troppo silenzio. Mi guardai attorno, e vidi gli altri Astral (con i quali non avevo ancora parlato per i motivi che ho già raccontato) che ci fissavano insistentemente. Quando però si accorsero che me ne ero accorta, si affrettarono a tornare a qualunque cosa stessero facendo prima.
- Dirò a mia mamma che vado a vedere un film con qualche mia amica. Tanto è sabato, quindi non devo andare a letto presto, e le dirò anche che mi riaccompagnerà il papà di una di loro. Okay? – proposi ai due.
- Perfetto, lady. Verrò personalmente a prendervi verso le otto, allora? – fece Sebastian, chinando il capo.
- Yes, devilish butler – gli risposi scherzosamente. Non sono sicura che abbia capito la battuta, perché sorrise come al solito senza dare alcuna reazione. Probabilmente era abituato a sentirsi dare del demone, quindi gli era apparsa una comune frase detta casualmente. C’è da notare che anche conoscendo alla perfezione le loro personalità avendo letto il manga e visto l’anime, affrontarli nella realtà spesso lasciava comunque stupiti delle loro reazioni. Temo che sia grazie al cattivo influsso di noi gente reale.
 
Quella sera, come pianificato, dissi ai miei genitori che andavo a vedere un film al cinema con le amiche; e devo dire che gliela diedi a bere più facilmente del previsto. Sebastian era già ad aspettarmi sul luogo prestabilito, e aprì subito un varco per la fabbrica di vernici abbandonata dove ci aspettavano il resto dei componenti scelti per la missione.
L’edificio era di un color grigio slavato, coperto di licheni ed edera, e pericolante in diversi punti. Non avrei trovato ambientazione migliore per un film horror, tranne forse un ospedale abbandonato e nelle stesse condizioni. Si trovava in mezzo a quello che una volta avrebbe dovuto essere un campo cementato, ma che ora si era spaccato e sgretolato, lasciando a piante selvatiche e piccoli arbusti la possibilità di crescere. Il posto perfetto per cercare una belva assassina, insomma. Per fortuna la polizia aveva sgombrato il luogo del delitto già da qualche giorno dopo aver cercato eventuali indizi (i quali erano assenti).
La squadra della missione era formata da cinque Astral più grandi di me, tutti dall’aria combattiva, alcuni membri della squadra scientifica, che erano forniti delle loro classiche attrezzature fantascientifiche, e dei membri della sicurezza dell’associazione.
- Hai già un’idea di come affrontare la situazione? – mi chiese l’onnipresente signor Simon, sbucandomi alle spalle. Poco ci mancò che mi venisse un infarto, ma risposi comunque il più tranquillamente possibile.
- Certo. Conto sul fatto che essendo spaventato dall’accaduto, sia distratto e più facile da cogliere di sorpresa. Poi intendo attirare la sua attenzione con una tecnica che ho appreso proprio dalle pagine del manga –
Lui mi guardò accigliato – Che sarebbe…? –
- Non te lo dico, altrimenti mi fermeresti. Fidatevi e basta, okay? –
- D’accordo. Attiva l’armatura, allora. Stiamo per entrare –
Premetti il pulsante centrale del bracciale, che s’illumino. Sul quadrante apparve la scritta “Fight Suit Loading”. Dopo neanche due secondi si trasformo in “Loading Complete”, e la luce si proiettò su di me, avvolgendomi completamente. Tutta quest’operazione avvenne in un tempo brevissimo in realtà. Quando la luce scomparve, abbassai lo sguardo per vedere come fosse effettivamente l’armatura descritta nel foglio d’istruzioni.
Era decisamente carina, a dir la verità. Mi ero già aspettata qualche vestito noioso e monotono, invece…
- Bella! – esclamai, facendo una piroetta – Ed è leggerissima! Sembra un normale tessuto, però! –
Simon sorrise compiaciuto – Questo è frutto delle nuove tecnologie sommate ai vostri poteri. Questo materiale è più resistente del ferro, e protegge da qualsiasi arma ideata dagli esseri umani, oltre che la maggior parte degli attacchi magici e di creature sovrannaturali –
- Forte! Però… mi sembra di essere un’eroina da manga majokko, non so se mi spiego… Cioè, questa è più bella, non ha tutti quegli strati di tulle delle maghette, però mi ricorda una squadra di eroine di un anime che ho visto. Mi aspettavo qualcosa di più serio – ammisi, sconcertata, osservando il mantello.
- La forma dipende dalla persona. Poi col tempo può mutare a  seconda dei vostri mutamenti, oppure se ne creano diverse versioni, attivabili a scelta. Abbiamo creato questo sistema perché sapevamo che avreste preferito tutti sentirvi come dei personaggi anime. Abbiamo fatto bene? –
- Eccome! –
Ed era vero: nonostante a prima vista sembrasse un po’ ingombrante, in realtà era comodissima. La trovai subito estremamente carina e fashion. Per non parlare del fatto che fosse completamente rossa e nera, cosa che mi facilitava il compito di attirare l’attenzione di Grell positivamente.
Ci avvicinammo con cautela all’edifico abbandonato. Proprio davanti all’entrata c’era una grossa chiazza di sangue secco, sul quale ronzava uno sciame di mosche. Storsi il naso, non particolarmente impressionata, ma perlomeno disgustata. Dalle mosche, non dal sangue.
Appena mettemmo piede all’interno, la porta venne sbarrata da quelli che avevano tutta l’aria di essere Cinematic Records. Non ci preoccupammo della cosa, visto che per ora uscire non era nelle nostre intenzioni.
- Quindi ci hai proprio visto giusto – commentò una donna della squadra.
In fondo alla stanza piena di secchi di vernice lasciati lì dopo la chiusura e attrezzature abbandonate assieme ad essi, c’erano altre tracce. Si trattava di orme, tutte di un colore rosso cupo. Altro sangue, tanto per alleggerire l’atmosfera. E in un angolo, più in fondo, c’era una sagoma scura, appallottolata per terra.
Io mi staccai dal resto del gruppo, avvicinandomi di più. Era una sagoma antropomorfa, una persona che si stringeva le ginocchia. Il rumore dei miei passi, però, fece scattare quella persona.
Si alzò in piedi a velocità strabiliante, già in posizione di difesa.
Tutta la stanza s’illumino di luce rossa, proveniente da delle lampade che erano state colorate con la vernice dei secchi dietro a me. E potei vedere la cosa più rossa di tutta la stanza.
In un certo senso era terrificante, in un altro splendido, o almeno dal mio punto di vista (che non è molto affidabile). Sta di fatto che un giovane dai lunghissimi capelli scarlatti mi fissava con gli occhi spalancati ed un espressione a metà tra la paura e la follia.
Quando provai ad parlare, questi scoprì i denti appuntiti e acuminati, emettendo un suono simile al soffiare dei gatti.
- Ti uccido, DEATH! –
 
******
Cella di manicomio dell’autrice:
La scuola ha rallentato la pubblicazione del capitolo, ma finalmente eccomi qui, spero che i disegni rendano l’idea del costume della protagonista e del bracciale. Nel prossimo capitolo ci sarà il combattimento tra  Sofia e Grell, eccetera eccetera….
Non voglio fare troppo spoiler, quindi è meglio che la smetta. Vorrei ringraziare le tre persone che hanno recensito questa storia!
Grazie! Kiss<3
Sofy





Questi sono i link della pagina dove li ho caricati:
http://sofyflora98.deviantart.com/art/Fanfiction-item-490396394?ga_submit_new=10%253A1414166500
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Capitolo 4
*** Atto 04, qualcuno si fida di me ed io me ne innamoro ***


Era una fortuna che fossi preparata ad una reazione del genere da parte dello shinigami, altrimenti temo sarei morta dalla paura. Non credo sia necessario spiegare quanto sia inquietante vedere qualcuno che ti minaccia di morte, scoprendo denti da squalo, in una fabbrica abbandonata di notte. Specie de questo qualcuno è un serial killer.
Potevo chiaramente vedere i suoi occhi guizzare in ogni direzione, come per analizzare la situazione prima di fare mosse azzardate. Io non battei ciglio, e fece ancora qualche passo avanti, che causò subito una n uova serie di ringhi e sibili da parte del rosso.
Feci di nuovo per parlare, quando lui scattò in avanti sfoderando la sua famosa Death Schyte  a forma di motosega. Lo schivai, preparandomi a contrattaccare, e notai che il piano che avevo pensato anticipatamente aveva già qualche piccolo risultato: nel momento in cui mi era stato più vicino, aveva assunto un’espressione sorpresa, abbandonando l’espressione da psicopatico di poco prima.  Mi rivolse un altro sguardo simile a quello, ma ora ci lessi anche una punta di curiosità.
La tenuta rossa mi fa proprio comodo! pensai, soddisfatta di quelle reazioni.
Già, perché in verità non stava semplicemente guardando me, ma l’armatura (sempre che si potesse davvero chiamarla così) che indossavo. La sua passione per il colore rosso non va mai sottovalutata, e nemmeno in quel caso fece cilecca.
Dopo qualche istante, però, si riscosse, tornando ad attaccarmi.
Mulinò la falce come per mozzarmi la testa, costringendomi a lasciarmi cadere di peso sul pavimento per non farmi decapitare, e rotolai sul fianco per togliermi dalla sua portata.
- Ora calma – dissi lentamente ad alta voce – Non voglio farti del male, d’accordo? Voglio solo parlart… -
Fiato sprecato. Grell mi aggredì ancora, ed ancora dovetti limitarmi a togliermi di mezzo: l’idea di colpirlo non mi andava a genio, e stavo ancora studiando le sue mosse per capire come metterlo al tappeto senza fargli troppo male. Ammetto che c’è un limite anche all’essere otaku e fangirl, ma dover ferire il proprio personaggio preferito dubito sia facile da accettare per chiunque.
- Che stai facendo? – urlò il signor Simon, preoccupato.
- Tutto a posto! – gli risposi, mentre Grell si preparava a tornare alla carica – Non avvicinatevi! –
Stavolta non guardai dove puntava la motosega, ma il suo sguardo. Non era arrabbiato, né perverso, e neppure freddo. In realtà, il suo sguardo era… spaventato. Aveva gli occhi spalancati, e le labbra gli tremavano. Non era attento a ciò che facevo, ma si buttava su di me quasi a casaccio, proprio come un animale ferito che cerca di salvarsi.
L’avevo previsto.
Sapevo che probabilmente il trauma dell’improvviso passaggio in questo mondo l’avrebbe terrorizzato e reso violento e aggressivo come non mai, ma qui c’era anche il mio vantaggio. Un nemico che attacca brutalmente è disattento. Dovevo coglierlo di sorpresa e fermarlo in un colpo solo.
Il momento giusto venne quando nella foga di provare ad uccidermi di nuovo, il dio della morte s’impigliò con il tacco dello stivaletto sul cappotto.
Pulsante numero cinque.
Grell era di nuovo rivolto nella mia direzione, e aveva le labbra tirate in un ghigno.
L’arma che avevo focalizzato nella mia mente mi prese forma tra le mani.
Voglio sconfiggerlo in un colpo solo.
La spranga di metallo lo colpì dritto alla fronte, fermando la sua corsa. Colsi subito l’occasione per assestargli un altro colpo, stavolta alla nuca.
Era successo talmente in fretta che non me ne resi conto fino a che non lo vidi accasciarsi ai miei piedi, la testa sanguinante. Tenevo ancora la sbarra in mano, sollevata. Improvvisamente ci fu silenzio, ora che non si sentiva più il rumore della motosega.
- Uao – disse la voce di qualcuno della squadra che in teoria doveva partecipare alla lotta. Il resto del gruppo non disse nulla, tanto erano rimasti spiazzati dalla maniera con cui lo avevo steso.
- Sofia… - disse debolmente il signor Simon alla fine – Hai appena fatto perdere i sensi ad un dio della morte. Con una comune spranga di ferro, per di più… -
L’asta si dissolse, lasciandomi libere le mani. Non è che l’avessi pensato, di colpirlo in quel modo. Mi è sembrato naturale, facile. L’ho fatto istintivamente. Nemmeno l’arma l’avevo scelta prima; l’avevo immaginata e basta nel momento in cui l’avevo visto ghignare.
Mi guardai le mani, scombussolata: come diavolo avevo fatto?
- Beh, ora non avrete problemi, no? L’ho recuperato – dissi a bassa voce. Gli altri si affrettarono a confermare la cosa.
Mentre uscivamo, prima di entrare nel portale che mi avrebbe ricondotta a casa, diedi un’ultima occhiata al viso dello shinigami.
Sentii una lieve fitta allo stomaco.
 
Dopo aver dormito quel poco che riuscii, agitata com’ero all’idea di aver praticamente preso a bastonate il mio idolo, ed aver affrontato ben sei ore di lezioni a scuola (che seguii molto relativamente), finalmente giunse l’ora di recarmi di nuovo alla sede dell’ associazione Astral Project.
Sebastian aveva un’aria decisamente abbattuta, dovuta suppongo alla prospettiva del ritorno del suo stalker più accanito.
L’associazione era in gran fermento, ma l’atmosfera era generalmente allegra. Sì, notai che c’era più luce, un certo senso.  Feci appena in tempo a mettere piede nella sala d’entrata, quando fui assalita da un orda i Astral di età varia. Mi sentii quasi schiacciare, mentre Sebastian si toglieva discretamente di mezzo, quel diavolo che non è altro.
- Insomma, state zitti! – tuonò una dei più grandi, mettendo a tacere la massa. Si fece avanti una ragazza circa della mia età, con capelli castano scuro che le arrivavano alle spalle, appena ondulati, e occhi neri. Era poco più alta di me, e più magra. Sì, forse aveva un annetto di più.
- Scusa l’aggressione – mi disse, sorridendo – ma è un mese che speravamo di parlare con la nuova recluta super dotata di cui tutti parlano, e dopo aver sentito dell’impresa di ieri sera, chi riuscirebbe a trattenerli? – ed accenno scherzosamente ai più giovani.
Io mi sforzai di sorridere a mia volta, nonostante l’idea di essere circondata da tutta quella gente mi mettesse a disagio. Non ho mai amato le folle, né tantomeno essere al centro dell’attenzione (tranne quando si tratta di recite teatrali, ma quella è un’altra storia).
- Grazie, ma davvero, non ho fa… - il signor Simon si fece largo nella calca, schiarendosi rumorosamente la voce, e mi afferrò il polso, trascinandomi via di lì.
- Scusate l’interruzione, ma le presentazioni e la socializzazione saranno rimandate a dopo. Ora Sofia ci serve di là – e detto questo mi portò con lui in una delle varie aree dell’associazione, che per me era ancora un labirinto, perlopiù.
- Cos’è questa fretta? – gli domandai, mentre scendevamo delle gradinate che portavano alle stanze sotterranee; che poi erano più o meno uguali a quelle al piano terra, solo che erano frequentate unicamente dalla squadra scientifica e dai veterani, invece che da cani e porci.
- Grell, ovviamente – rispose l’uomo, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
- Ah, già. Grell. Se mi dessi qualche particolare in più forse capirei – commentai, sarcastica.
- Beh, si è svegliato. Non in condizioni ottime, in verità. Nonostante l’aspetto innocuo, picchi davvero duro, ragazza! –
Cercai di ignorare l’accenno all’aspetto innocuo, e lo esortai a continuare.
- Siamo riusciti a spiegargli la situazione. C’erano anche gli altri shinigami con noi, quindi si è calmato e ci ha ascoltati senza provare a linciarci, comunque non è stato semplice convincerlo. All’inizio ringhiava, urlava e ci dava dei bugiardi, quando gli abbiamo spiegato che fino a neanche un anno fa lui non era che un disegno. Alla fine, grazie al cielo, ce l’abbiamo fatta. E la prima cosa che ha chiesto è stata… - poi si fermò, sfidandomi ad indovinare.
- Se gli lasciavate farsi Sebastian? – tentai, un po’ irritata. Non avevo mai sopportato quando la gente non arrivava dritta al punto. Simon ridacchiò, ma scosse la testa.
- No, mia cara. Ha chiesto chi era la fanciulla in rosso. E quando gliel’abbiamo detto, ha voluto sapere se l’avrebbe vista di nuovo –
Persi un battito, sentendo questo.
Dovetti fare appello a tutta la mia buona volontà per non perdere la testa. Mi sentii il viso andare in fiamme, e credo che Simon se ne fosse accorto, da come mi guardò. Ma, beh, chi se ne importava!
Feci una piroetta su un piede, alzando le mani in aria ed esultando.
- Vuoi incontrarlo subito, o preferisci calmarti un po’? –
- Adesso, adesso! – strillai impaziente, l’umore alle stelle.
Nei piani sotterranei c’era un’area di stanze isolate a blindate, dove mi avevano spiegato tenessero i “personaggi cattivi” che non volevano collaborare, e che invece provavano ad aggredire i membri dell’associazione. Era anche il luogo provvisorio nel quale anche gli altri erano tenuto fino a che non fossero stati certi che non avrebbero avuto crisi isteriche o roba simile; insomma per il tempo necessario ad assicurarsi che non sarebbero stati pericolosi. In realtà i più restavano lì solo qualche ora, perché erano pochi i soggetti che davvero avrebbero potuto impazzire, e ancora meno quelli che sarebbero stati anche in grado di nuocere a qualcuno, dato che erano in maggioranza umani anche negli altri mondi.
- Ha provato ad uccidervi quando si è svegliato, eh? –
Simon annuì – Ha reagito meglio rispetto alle nostre previsioni, però. Abbiamo verificato le sue condizioni, e siamo giunti alla conclusione che il trasferimento si è svolto perfettamente, e sia il suo fisico che le sue abilità sovrannaturali non ne sono stati danneggiati. Non ci sono sbilanciamenti psichici, ne null’altro. Non è ostile verso di noi, e non se l’è presa per essere stato catapultato qui – mi elencò, grattandosi la nuca.
- E come mai è ancora nelle celle, allora? –
- Non vuole uscire, anche se gli abbiamo detto che non era nostro prigioniero. Si è rintanato in un angolo, con le ginocchia strette al petto come l’abbiamo trovato nella fabbrica. Non vuole parlare neanche con gli altri shinigami, né nessun altro. L’unica cosa che gli abbiamo cavato di bocca dopo avergli raccontato cos’era successo è stata la domanda su di te. Non siamo noi a rinchiuderlo, ma è lui a non volersi muovere – il giovane uomo si voltò verso di me, con uno sguardo d’intesa. Io gli risposi con un’occhiata interrogativa, senza capire dove volesse andare a parare.
Di fronte alla mia reazione, lui sospirò – Forse tu riuscirai a farlo uscire dalla sua tana, eh? –
Mi indicò la stanza dove si trovava lui. A differenza di tutte le altre ad essere occupate, che erano sigillate ben bene, dato che i mostri e i malvagi non volevano saperne di fare i bravi su questo mondo, la porta era spalancata. Simon rimase indietro, mentre io mi avvicinai e sbirciai all’interno.
Era proprio come aveva detto lui: nell’angolino più in fondo c’era una figura rannicchiata su se stessa, coperta quasi del tutto da una coltre di capelli scarlatti. Non appena sentì il rumore dei miei passi, il dio della morte sollevò la testa di quel che bastava a vedere chi fossi.
- Lasciami stare – disse con voce flebile. Quando lo ignorai, alzò del tutto il capo, e riuscii a vedere gli occhi arrossati – Ho già detto che non voglio parlare con nessuno! – mi gridò contro – Vattene via! –
- Volevo solo assicurarmi che non ce l’avessi con me per averti preso a bastonate in testa ieri sera – dissi semplicemente. Grell sgranò gli occhi, e il suo labbro inferiore tremò.
- Sei la ragazza in rosso – non era una domanda, ma una constatazione. Beh, per lo meno non era più appallottolato come un bambino.
- Scusami – gli dissi – Ma stavi cercando di uccidermi, capisci… –
Lui rimase in silenzio, osservandomi. Alla fine mise il broncio e voltò lo sguardo dall’altra parte – Hai rischiato di rovinare il mio viso – borbottò con un tono che voleva essere accusatorio, ma che risultava solo infantile e buffo.
- Impossibile. Se è rimasto illeso dopo essere stato schiacciato da Sebastian, allora non sarà certo un’umana come me a deformarlo in maniera irreversibile – lo contraddissi.
Fece per controbattere, ma alla fine cambiò idea, e si richiuse su se stesso di nuovo. Probabilmente qualcun altro sarebbe stato infastidito da questo suo atteggiamento, ma naturalmente è di una otaku che stiamo parlando, e i miei pensieri vanno contro quelli dei più. A mio parere, infatti, era semplicemente adorabile.
Senza esitare mi avvicinai al rosso, e gli afferrai con forza il viso, costringendolo a guardarmi. Con mio grande stupore, Grell non oppose resistenza.
- Tu ora vieni fuori di qui, o ti mutilo, intesi? – gli intimai. Non ottenni alcuna risposta, ma dal modo in cui mi guardava capii che il messaggio era stato recepito. Capii anche che la mia resistenza al suo volersi isolare era qualcosa che non si aspettava assolutamente.
E mi fissava. Non fece altro che fissarmi, ed io feci altrettanto. Qui vorrei mettere in chiaro una cosa: il loro aspetto nella realtà può cogliere impreparati. Per quanto si sappia che Sebastian è figo, Ciel è tenero, eccetera eccetera, ci sarà sempre qualcosa di inaspettato in loro, qualcosa che va anche contro l’idea che avrebbero dovuto dare all’inizio. E Grell avrebbe dovuto essere buffo e inquietante, suppongo, dalla maniera in cui era disegnato. Ma nella realtà non era così. O meglio, lo era solo in piccola parte.
Era bellissimo. Non si trattava delle bellezza misteriosa e oscura di Sebastian, né di quella composta e gelida di William, o di quella giovanile e più solare e frizzante di Ronald. Perché innanzitutto loro tre erano abbastanza coerenti a ciò che l’opinione pubblica delle fans di Black Butler pensava di loro. Lui era diverso da come ce lo si aspettava.
I suoi occhi erano molto più grandi di quanto apparissero nei disegni, e di un verde assoluto, sgargiante e splendente, molto più che negli altri shinigami. In questo momento non indossava le ciglia finte, ma ciononostante erano già di loro molto lunghe, ed ogni volta che batteva le palpebre queste gli sfioravano gli zigomi delicati. Le labbra erano modellate in una linea morbida e sensuale, ed erano di un rosa che non avevo mai creduto possibile in un maschio, e che faceva venire una gran voglia di baciarle. Il nasino sembrava semplicemente troppo ben disegnato per essere vero, e la pelle era candida e liscia come la porcellana, appena più rosata sulle gote. Non una lente o un difetto di qualunque tipo la intaccava. E i capelli, oh, i capelli! Rossi come i fiori di liquirizia, soffici e leggeri come le seta! Per non parlare della totale assenza di doppie punte!
Era perfetto, semplicemente perfetto.
- Come ti chiami? – mormorò alla fine.
- Sofia. E tu sei Grell Sutcliff, il fiammeggiante shinigami scarlatto che ha ammazzato Angelina Durless e che passa la maggior parte del tempo a molestare sessualmente Sebas-chan  e Will. Ho dimenticato qualcosa? –
Lui annuì, con un sorrisetto malizioso – Hai dimenticato di dire “Il bellissimo shinigami scarlatto” –
- Il bellissimo shinigami scarlatto – mi corressi. Lui parve sorpreso. Probabilmente era la prima volta che qualcuno gli dava ragione in proposito. Mi segnai mentalmente di far fare un esame della vista a Sebastian, ed uno ulteriore a William. Temo che, per essere sempre stati così rigidi nel rifiutare ripetutamente quel trionfo di splendore che avevo di fronte, ad entrambi manchino molte diottrie e gli occhiali di Wiru non siano più adatti alla sua vista.
- Allora, vuoi smetterla di rintanarti, sì o no? – lo rimproverai, puntandogli il dito contro – Se devo essere franca, avere un peso morto non è nelle nostre priorità, e facendo così ci sei d’intralcio. Non ero venuta a cercarti in quella fabbrica abbandonata perché tu facessi scena muta. E onestamente, preferisco di gran lunga il tuo carattere abituale – aggiunsi infine, dandogli un buffetto.
In quel momento mi resi conto di comportarmi esattamente come a scuola: un’apparenza autoritaria e forte, senza alcun timore di sbattere in faccia alla gente ciò che penso di loro, sicura e determinata. In verità, proprio come con i miei compagni, stavo cercando con tutte le mie forze di sembrare così, mentre dentro di me ero emozionata come mai in vita mia, ed incantata da quella creatura.
Gli ho toccato il viso, gli ho toccato il viso! mi ritrovai a pensare, le guance che mi andavano in fiamme.
- Quindi va bene se sono come al solito? Davvero? – la sua voce mi fece tornare nel mondo reale quasi di soprassalto, ma in quel momento la realtà era decisamente meglio della fantasia, in effetti.
Io gli sorrisi nella maniera più amichevole e tranquillizzante che mi riusciva, e gli tesi la mano, prontamente afferrata dalle sue dita. Erano tiepide, lunghe e affusolate. La sua presa era salda ma gentile.
Lo aiutai ad alzarsi in piedi, e gli sistemai i capelli sulla fronte.
- Ora vieni fuori. Non sei abbandonato in un luogo estraneo, ci sono anche gli altri del tuo mondo, no? –
Lo tirai delicatamente fuori dalla porta, dove poco distante il signor Simon mi stava ancora pazientemente attendendo. Quando ci vide assieme mimò un applauso e fece un breve inchino al rosso, che rispose con una riverenza da vera lady d’alta classe.
- Questa fanciulla fa miracoli! – disse il dirigente dell’associazione, indicandomi – Credo che andrete molto d’accordo, voi due. Grell-san, spero che ti abbia tranquillizzato. So che non è una cosa semplice, ma gli altri si sono ambientati benissimo, e pare che in molti richiedessero la tua presenza –
In quel frangente ebbi il privilegio di assistere alla trasformazione. Grell raddrizzò la schiena, mulinando la sua chioma rosso cremisi, e sbatté le ciglia in maniera molto femminile.
- Beh, come avrebbero potuto fare senza l’idolo di tutti? –
Per poco non mi soffocai dalle risate. Non è che fosse brutta come immagine, vederlo atteggiarsi da donna (cioè tornare al suo solito), ma pensando che fino a poco prima si comportava come un cucciolo indifeso… troppo assurdo!
Vidi lo scintillare dei suoi dentini da squalo, e mi chiesi improvvisamente se fossero davvero affilati come sembravano. Subito dopo mi dissi che era una cosa piuttosto idiota da chiedersi in un momento simile, ma non riuscii ad evitare di fantasticare sulle varie tecniche che avrei potuto utilizzare per verificarlo.
- Preferisci prima parlare con William, o qualcun altro dei tuoi compagni, o…? – iniziò a dire Simon, ma io lo zittii con un’occhiata eloquente, e afferrai saldamente il polso del mio shinigami.
- Per niente – dissi – Lui ora viene nella stanza che gli abbiamo assegnato al piano di sopra, si da un ripulita da tutto questo sangue che ha accumulato da quando è finito nel nostro mondo e per finire si fa una bella riposata. La socializzazione a dopo. Da questa parte, Grell-san! –
Penso che l’uomo abbia alzato gli occhi al cielo, mentre me la filavo tirandomi dietro il rosso. Beh, affari suoi: non l’ha obbligato nessuno a partecipare ad un’associazione che prevede la presenza di otaku e fangirls. E comunque, ormai, ci avrà fatto anche l’abitudine.
Mentre ripercorrevo le scale da cui ero scesa per arrivare lì, e imboccavamo quelle che portavano al primo piano, iniziai a rimuginare sulle mie prime impressioni del dio della morte. Non è che avessi potuto vedere il suo comportamento in situazioni normali, quindi ancora nulla era sicuro, ma mi sembrava anche nel carattere abbastanza differente da come avrebbe dovuto. Non avrei mai pensato che fosse il tipo che si raggomitola in un angolo e fa musetti da cucciolo, né che si lasciasse toccare da una perfetta sconosciuta che prima gli sbatte una spranga di ferro in testa e poi gli dice che è stato trascinato in un altro mondo. Insomma, sarebbe stato molto più probabile che avesse tentato di ammazzarmi, o qualcosa del genere, conoscendolo. Mi era sembrato, invece… dolce. Tenero. Adorabile.
Mi venne un dubbio: possibile che anche le personalità dipendessero solo dal punto di vista dei protagonisti del manga? Dato che sia Ciel che Sebastian detestavano Grell, allora magari nella storia appariva più folle e perverso della realtà. Mentre se fosse stato William il protagonista, sarebbe stato visto più come uno sciocco fannullone effemminato e rompiscatole.
- Sofia? – la sua voce mi giunse alle orecchie come musica, tanto ero persa nelle mie fantasticherie.
- Sì? –
- Dove stiamo andando? –
- Al primo piano c’è la parte dell’associazione dove sono state create le stanze dove risiedete tutti voi. Ce ne sono anche per quelli come me che stanno qui anche alcune notti. Ti avverto: dato che se lasciati per gli affari vostri per gli umani finirebbe male, siete tenuti a vivere qui. Chi prova ad aggredire qualche membro dell’associazione o degli umani, pur essendo consapevole della situazione, viene arrestato, più o meno. Non possiamo permetterci di avere individui pericolosi che girano senza controllo – vidi il suo sguardo farsi intimorito. Era talmente buffo e al tempo stesso carino, che non riuscii a trattenere una mezza risata – Tranquillo. Tu non sapevi nulla di tutta questa storia, quindi anche se hai ammazzato umani, adesso sei giustificato. Ma alcuni pare che vogliano continuare a fare i cattivi anche da questa parte, e sapendo benissimo del luogo e delle circostanze in cui si trovano –
Alle mie parole si rilassò. Il corridoio delle camere appariva stretto, ma in realtà sapevo che i poteri di noi Astral faceva sì che le stanze fossero molto grandi, a dispetto della vicinanza tra le porte. Guardai il numero scritto sulle chiavi che mi ero fatta dare dalla direzione. Entro poco tempo non sarebbe più servito: nel momento in cui una stanza veniva occupata si adattava subito alla persona. Naturalmente lo stesso valeva per la porta, che assumeva forme e colore adatti. Poteva essere impossibile da aprire per certe persone indesiderate, o nel caso anche per tutti, e si chiudeva la serratura in maniera automatica. Bastava pensarlo insomma.
Aprii al porta fischiettando la sigla d’apertura di Book of Circus, invitandolo a farsi avanti.
Appena mise piede all’interno l’intera stanza iniziò a rimodellarsi. Ad operazione completata, come prevedibile, quasi tutto era di varie gradazioni di rosso, e nero. Lo stile era abbastanza vittoriano, ma con quel tocco di “grelloso” che rendeva il tutto splendidamente cupo e vivace allo stesso tempo.
Ah, quasi dimenticavo di dire che per motivi di privacy, ogni stanza era dotata anche del suo bagno. Devo dire che quando si tratta di queste cose, l’associazione Astral Project non ha nulla da invidiare a nessuno. Per non dire che è la migliore che ci sia. Credo che la magia aiuti parecchio in ciò.
Lo spinsi dolcemente sulla schiena, e lui si sedette al bordo del letto scarlatto. Si guardò le ginocchia, mordicchiandosi il labbro. Io andai a sedermi vicino a lui, e mi chinai per guardarlo in volto.
- Tutto a posto? –
Lui incurvò le sopracciglia nella sua classica maniera, e appoggiò il mento sulle mani – Non capisco perché ci avete portati qui. E in che senso fino a circa un anno fa noi non esistevamo… -
- Già, ci ho messo un po’ anch’io a capirlo – mentii, sapendo che magari così si sarebbe sentito meno sperduto – Beh… immagina di leggere un libro di magia, e immagina di adorarlo a livelli estremi –
Lui annuì, ascoltandomi attentamente – Voi siete i personaggi di quel libro, in un certo senso, solo che nel vostro caso è una sequenza di immagini con i dialoghi scritti in dei cerchi bianchi. Noi che adoriamo voi, ad un certo punto, abbiamo acquisito la capacità di fare sì che voi esistiate nella realtà. Noi che possiamo fare questo veniamo chiamati Astral. Voi siete gli Esterni –
- Quindi io ero solo un personaggio di una storia illustrata, più o meno? – lo vidi sconcertato – Me l’ha già spiegato quel tipo di prima stanotte, ma… l’ha detto in maniera molto più complicata –
- Già, lui parla come un professore di fisica. Indecifrabile ed incomprensibile, a meno che non glielo si faccia notare –
Lui scoppiò a ridere. Non l’avevo mai visto ridere in quel modo nelle vignette. Risi con lui, non sapendo che altro fare. E soprattutto, non sapendo come avrei potuto non ridere se lui lo faceva. Non è che mi sforzai di ridere, ma la sua risata fece ridere anche me. Era contagioso.
- Penso che dovresti toglierti quei vestiti pieni di sangue – dissi – E lavarti le ferite –
Andai nel bagno, e presi la spugna (rossa) che era appoggiata sul lavandino. Grell era ancora esitante nel muoversi lì dentro, quindi cercai di essere il più naturale possibile, e non pensare al fatto che per pulire le ferite avrebbe dovuto togliersi la camicia. E come ovvio, più cercavo di non pensarci e più ci pensavo.
In qualche modo riuscii ad apparire disinvolta, e gli feci cenno di togliere il cappotto, che appoggiai su una sedia. Ai vestiti insanguinati ci avremo pensato dopo.
Al cappotto seguirono velocemente il gilet e il nastro bianco e rosso che portava al collo.
Già da così riuscii ad intravedere meglio i punti in cui da quando era nel nostro mondo aveva tagli e lividi. Dovevano essere recenti, perché la sua razza guariva in fretta.
Grazie al cielo quelli riuscirono a prendermi una sufficiente percentuale dei pensieri, cosicché restai abbastanza ferma anche quando vidi con la coda dell’occhio, mentre riempivo il lavandino d’acqua tiepida, la camicia bianca scivolargli dalle spalle.
- Mi fido di te – disse all’improvviso – So che non ne ho motivo, che non sono nemmeno sicuro se ciò che mi avete raccontato sia vero, e che ti conosco appena. Però tu mi ispiri fiducia – il sorriso che mi rivolse a quel punto, era uno di quei sorrisi che ti rimangono stampati per sempre. Era come se tutta la luce della stanza si fosse catalizzata sul suo viso. Pensai che mai avrei visto qualcosa di più bello. Avevo un nodo in gola, il cuore mi batteva all’impazzata.
- Forse è perché vestivi di rosso – aggiunse poi, con un sorrisetto furbo che mi salvò letteralmente. Anche così lo trovavo stupendo, però.
- Già – mormorai – E a te piace il rosso –
Lo capii già allora, anche se essendo carente di esperienza nel campo non me rendevo veramente conto, e in un certo senso non volevo ammetterlo. Ma quello che provai non era l’ossessione di un’otaku, né l’infatuazione esplosiva e in gran parte dovuta al semplice aspetto fisico di una fangirl.
Mi stavo veramente innamorando.
 
*****
 
Cella di manicomio:
Ho provato a dire ai carcerieri che non volevo scrivere le note, ma mi hanno detto che dopo aver scritto il combattimento con Grell in maniera così scialba, dovevo perlomeno porgere le mie scuse. Davvero, non so descrivere i combattimenti. Non ho abbastanza pazienza per farlo. Beh, ora inizia la prima vera parte della storia, le cose più serie. Quello che volevo fare da quando ho cominciato, in poche parole.
In realtà avrei dovuto metterci qualche giorno in più per pubblicare, ma dato che è Halloween, e che sono carica di energia dopo essere andata a scuola vestita da darkettona (con  il cappotto in pelle fino alle caviglie, i Martins, gonna e camicetta di pizzo nere, calze nere, guanti neri di pizzo, matita e mascara neri e righe verticali nere sulla bocca) ho deciso di mettermi sotto e finirlo. Ho pure fatto un disegno a tema! *si sente importante*
Grazie a chi legge, segue, recensisce, eccetera!
Kiss<3
 
 
 
http://sofyflora98.deviantart.com/art/Halloween-491771077?ga_submit_new=10%253A1414777981

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Capitolo 5
*** Atto 05, simpatici messaggi sotto pseudonimo ***


Sollevai lentamente il braccio di Grell, e iniziai a tamponare piano il primo taglio con la spugna. Per fortuna si trattava perlopiù di ferite superficiali, perché non ci tenevo affatto a dover esercitare una pressione maggiore sulla sua pelle. Avevo quasi paura di fargli male, come se avessi a che fare con un bambino o un micetto fragile e delicato, mentre invece sapevo benissimo che era abituato al dolore fisico, come tutti i combattenti. Non si lamentò, né s’irrigidì, quindi mi calmai e continuai con più sicurezza a togliere il sangue dalla cute e dalle escoriazioni.
Mi concedetti il lusso di ammirare il suo fisico, nel frattempo. La spalla s’incurvava in una linea armoniosa, per poi continuare con il braccio, che in quella posizione lasciava intravedere il rilievo morbido del muscolo appena accennato. Non riuscivo a capacitarmi di come potesse essere così efebico nonostante il rigido allenamento fisico a cui erano sottoposti tutti gli shinigami. Tutti gli altri che avevo visto, ma proprio tutti, avevano una muscolatura molto più sviluppata, anche quelli tendenzialmente minuti. Ma lui... era quasi androgino ad essere onesti. E la cosa mi piaceva un sacco!
- Come mai ci portate di qua? – mi chiese.
- Le prime volte è stato accidentale. Ma poi credo che non siano riusciti a resistere alla tentazione. Devi capire che per noi è una cosa che va al di là di ogni aspettativa. Prima della scoperta degli Astral, in questo mondo non esisteva alcuna forma di magia – spiegai. Era davvero strano: raccontare di problematiche otaku ad un dio della morte pluriomicida, mentre gli si stava disinfettando una serie di lesioni. Sembrava roba da fanfiction!
- Ho finito – annunciai dopo qualche minuto di silenzio.
- Come mai sei così gentile? – la sua voce era appena un sussurro. Questa domanda era da aspettarsela, quindi non ne rimasi eccessivamente colta alla sprovvista – Quasi nessuno è mai stato… -
- Lo so – dissi, interrompendolo – So che dall’altra parte piaci a poche persone. Ma qui è diverso, sai. In realtà, in questo mondo, piaci un sacco –
Il suo sguardo incredulo sarebbe stato da fotografare. Assolutamente impagabile.
- Ho visto diversi sondaggi su chi è il personaggio preferito tra voi, e tu occupi il secondo posto, subito dopo Sebastian –
- Sul serio? – occhi sgranati, lucenti e un po’ lucidi. Labbra distese in un sorriso limpido. A volte mi stupisco di quanto io sia masochista.
- Sì, sul serio. Anche io avevo dato il mio voto. E avevo votato per te – per qualche ignota ragione, tenni a precisare la mia posizione in quell’ambito. Volevo che lo sapesse, volevo mettere in chiaro cosa pensavo di lui, volevo che capisse che qui non era come dall’altra parte.
Lui si alzò con cautela, scrutando i punti dove l’avevo toccato. Mi parve, solo per un momento, che fosse lievemente arrossito - Senti… - iniziò a dire, prima che la porta venisse spalancata di colpo, facendo un gran rumore.
- Senpai! –esclamò Ronald Knox, facendo irruzione nella stanza, fino a poco prima tranquilla, e saltando al collo del suo collega più vecchio. Sulla soglia, con l’aria annoiata, c’era William, che leggeva distrattamente da un fascicolo su una tavoletta, che supposi fosse una lista di chissà che cosa.
Gli altri due stavano già parlottando concitatamente tra loro, e ogni tanto qualche risatina o fischio usciva dal loro confabulare. Immaginai che si stessero raccontando a vicenda gli “aggiornamenti” dall’ultima volta che si erano visti.
Una bruttissima sensazione mi strinse lo stomaco. Mi sentivo di troppo, fuori dal cerchio, e allo stesso tempo pensai che fossero gli altri due shinigami ad esserlo. Li salutai brevemente, raccomandai al più giovane di lasciar riposare il suo senpai, e mi avviai verso l’uscita. Mentre attraversavo la porta, Will mi fermò.
- Ti sbagli. Non è così – disse, con tono distratto, mentre ancora guardava i suoi documenti.
- Non  così cosa? Su che mi sbaglierei? –
- Sai su cosa –
Bene. Ora cominciavano pure ad essere telepatici, ci mancava pure questa.
Stavolta me ne andai davvero, giù dalle scale, attraverso la aree che incontravo, fino alla sala centrale. Stavo quasi per aprirmi un portale e tornarmene a casa, quando qualcuno mi chiamò da una parte all’altra del salone. Era la ragazza dai capelli scuri con cui avevo parlato prima di incontrare Grell.
- Possiamo parlare? Prima Simon ti ha tirata via alle svelte, e non abbiamo potuto presentarci – mi disse – Piacere, io sono Giorgia. Specializzata in Illusione e Incanto, ho preso parte al trasferimento di Sebastian –
- Piacere, mi chiamo Sofia. Dicono che non ho una specialità, e che so fare tutto, quindi non saprei che dire di interessante. E sapete tutti, ormai cosa ho fatto. Qui è peggio che un quartiere di suocere: sanno tutti ciò che fai prima di te stessa –
Le rise. Non doveva essere proprio una battuta, la mia, ma la cosa mi fece piacere. Ho sempre amato far ridere la gente.
- Non è sempre così. Vedi, tutti sono emozionati: stavano aspettando che arrivassi da un po’, sai! –
Io mi accigliai – In che senso stavano aspettando che io arrivassi? – domandai, confusa. Lei esibì un’espressione sbalordita. C’era qualcos’altro che dovevo sapere e non era stato detto, era chiaro. In effetti, come mai avevano fatto tutta quella confusione al mio arrivo? E, ripensandoci, sapevo che anche le modalità con cui mi avevano preparata a combattere erano state differenti rispetto alle solite.
- Non te l’hanno detto? – Giorgia sembrava davvero incredula – Beh, allora te lo dico io. Quando si è diffuso il fenomeno degli Astral, quasi tutti avevano già le potenzialità dentro, solo che non si manifestavano, mentre altri acquisirono i nostri poteri più tardi. L’associazione è in grado di percepire la presenza degli Astral, e più forte è il potenziale più netto è il segnale. Sta di fatto che fin da subito sono state localizzate due presenze particolarmente forti, più di tutte le altre. Una di queste due sparisce e ricompare, impedendoci di rintracciarla. L’altra sei tu –
- Cosa sarei, scusa? –
- La faccio breve: dopo che le creature maligne hanno iniziato ad organizzarsi, non vedevano l’ora che tu ti unissi a noi. Non hai nemmeno idea di cosa saresti in grado di fare. Le tue abilità sono a tutt’un altro livello rispetto alle nostre. Sei come l’eroina semi divina che compare negli ultimi episodi dei cartoni di ragazze magiche, per essere chiara –
Io avrei dei poteri così grandi? Naaah, impossibile! Sono sempre stata goffa e impacciata, figuriamoci! Quelli lì scleravano, i loro sensori avevano fatto cilecca, o roba simile!
E se invece fosse stato vero? Non mi era mai capitato di essere speciale per qualcuno, di essere considerata più brava, più forte o cose simili… era una bella sensazione. Cos’altro aveva detto, quella ragazza, poi…?
- Aspetta… le creature maligne si stanno organizzando? Non me l’hanno detto, hanno sempre fatto sembrare che fosse completamente sparse e disorganizzate! – esclamai.
Lei si mordicchiò il labbro, abbassando lo sguardo – Qualcuno ha preso il comando di tutte le creature oscure, e le sta organizzando contro di noi. Finora non abbiamo subito veri e propri attacchi, ma la cosa non piace per niente all’amministrazione. E neanche a noi. È per questo che avere te è indispensabile: la maniera in cui sei riuscita a mettere al tappeto lo shinigami scarlatto è stata eccezionale! –
Il suo sorriso colmo di ammirazione sembrava voler sottintendere che io avrei potuto dare una svolta a tutto ciò, ma io avevo dei dubbi: un conto era avere a che fare con un tipo che capivo perfettamente a causa della mia ossessione nei suoi confronti, ma con nemici casuali e ignoti era tutt’altra cosa.
Un rumore interruppe il filo dei miei pensieri.
Si trattava di un lieve picchiettare, come una piccola manina che bussa d una porta. Fu seguiti da degli scricchiolii sempre più forti. Poi si fermò. Pensai che qualcosa da qualche parte fosse caduto a terra, rompendosi magari. Mi sbagliavo.
Un fragore assordante mi costrinse a tapparmi le orecchie, e il portone d’ingresso si spaccò quasi del tutto in grossi macigni frastagliati di marmo bianco. Un basso ringhiare preannunciò l’avanzata della creatura che aveva causato tutto quello.
Il suono intermittente del sistema di sicurezza si diffuse nell’aria; la creatura si avvicinò a passi lenti, studiandoci. Giorgia, al mio fianco, portò la mano al polso, posando due dita sul pulsante centrale. Il mostriciattolo, che in fondo non era poi così grosso, saltò in avanti facendo leva su tutte e quattro le zampe, a fauci spalancate. Non esitai un attimo, ed attivai l’armatura, che stavolta si materializzò quasi all’istante.
Nel balzo, il mostro lascò la pancia scoperta, e gli assestai un calcio allo stomaco. Quello stramazzò a terra, sbavando. Lo schiacciai con il piede, accorgendomi che non era molto forte, dato che quello fu sufficiente a tenerlo giù.
- Ferma! – ringhiò con voce gutturale. Sapeva parlare, nonostante l’aspetto più bestiale che antropomorfo.
Dalla sua zampa simile ad una mano scivolò una busta nera – Lei manda un messaggio alla nuova recluta dell’Astral Project – latrò la creatura. Il suo corpo si volatilizzò, spargendosi sotto forma di polvere.
Nel frattempo si era radunata buona parte dei membri dell’associazione, e si stavano avvicinando a me, osservando a bocca aperta prima la polvere grigia, poi la busta e infine la porta distrutta.
- Come diavolo ha fatto ad entrare?! – gemette qualcuno nella mischia.
Raccolsi la busta, che era di carta spessa dalla filigrana ruvida. Era chiusa con un sigillo di ceralacca viola, con impresso un simbolo a me nuovo. La aprii, ed estrassi il foglio, anch’esso nero, che era al suo interno. Il messaggio era in inchiostro bianco opaco.
Iniziai a leggere ad alta voce.
 
Ai membri dell’Astral Project,
è con piacere e soddisfazione che vi mando questa lettera. Se la state leggendo, significa che il mio inviato è riuscito a penetrare la vostra sede.
Voi che avete profanato il mondo non reale, per poi convincervi che il vostro operato sia per il bene, e che sradicate gli abitanti di quell’universo senza alcuna remora, sappiate che non ho intenzione di perdonarvi.
Il mio esercito, formato da coloro che non vogliono aderire voi e che non avete ancora confinato, è in rapida espansione. Questa è una dichiarazione di guerra, da parte del neo nato “Black Astral Army”.
A niente vi servirà la vostra White Maiden appena reclutata. A niente vi servirà avere dalla vostra parte shinigami e alcuni demoni. Io porrò fine alla vostra esistenza.
Perché io vedo tutto.
Perché io sento tutto.
                                                                                                                                                        
                                                                                                                                                                              Black Lady
 
Quando terminai, sembrò che tutta la stanza si congelasse.
Non una mosca volava, non un respiro si sentiva. Tutti tacevano.
- Beh? – sbottai – Chi è questa tipa? –
Chiunque fosse la ragazza o donna che mandava quella dichiarazione di guerra, era troppo arrogante per i miei gusti. E sebbene chiunque altro lì ne era rimasto intimorito o agghiacciato, io ero semplicemente irritata, innervosita, scocciata. Mi dava fastidio quel suo modo arrogante. E poi, che accidenti di nome si era data? Black Lady… proprio come un personaggio di Sailor Moon! In quanto a fantasia lasciava a desiderare.
- Come fai a rimanere sempre così indifferente? – nel dunque, Simon era giunto lì, appena in tempo per sentire il contenuto della lettera. Io alzai le spalle, dato che di me stessa ne capivo meno di lui.
 
Dopo a quel messaggio dalla fantomatica Black Lady, non ricevemmo altri attacchi diretti. Questa fu una fortuna, perché la dichiarazione di guerra aveva mandato in subbuglio l’intera organizzazione. Non facevano che cercare, cercare e cercare qualsiasi indizio su chi potesse essere la ragazza o donna che si opponeva a noi; senza risultati purtroppo. Ipotizzarono che lei fosse un’Astral, ma non era che un’idea.
Non tutto andava male, però:  l’inserimento stava andando alla grande. E per inserimento, mi riferisco a quello di un certo turbine dai capelli rossi, il quale aveva imparato ad una velocità sorprendente il funzionamento e le regole di questo mondo, e che in un lampo era tornato al suo comportamento normale, cosa che piacque molto alla maggioranza degli (delle) Astral, ma decisamente meno a William e Sebastian, che dovettero iniziare a guardarsi sempre attorno prima di svoltare agli angoli dei corridoi.
Adoravo osservarli, tutti loro, stavo ore a guardare come si parlavano a vicenda, come camminavano, la maniera in cui guardavano la gente. Ascoltavo le loro voci ad occhi chiusi.  Erano splendidi, semplicemente splendidi.  E non finivano lì i vantaggi di essere un’Astral.
- Sofi-chan! – Grell mi gettò le braccia al collo, e per un attimo credetti di morire soffocata.
Era un venerdì pomeriggio di novembre, e mi stavo esercitando nel lancio dei coltelli, quando il rosso praticamente mi “aggredì”. Neppure io ero riuscita a sfuggire alla sua mania di dare soprannomi alla gente, così dovetti vedere il suffisso “chan” venire appiccicato all’abbreviazione di “Sofia” senza poter protestare. Non che mi dispiacesse, in verità.
- Ciao, Grell – risposi, districandomi da quell’abbraccio letale. Lui incrociò le braccia dietro la schiena, saltellando sulle punte. Il suo sorriso era così smagliante che mi sembrava che improvvisamente il numero di lampade della stanza fosse triplicato.
- Il tipo vuole vederti – annunciò, attorcigliandosi una ciocca di capelli.
- Intendi Simon? – staccai un coltello dal bersaglio, controllando che non si fosse rovinata la punta. Lo shinigami annuì energicamente, e si precipitò a togliere le altre lame dal paglione. Me le porse, sempre sorridendo, e così facendo scoprì i denti aguzzi. Ormai ci avevo fatto l’abitudine, a quella dentatura, e la trovavo quasi carina.
- Dice che devi raggiungerlo alla sala tattica. E che è importante –
Un attimo prima che  uscissi dalla sala di combattimento, il giovane dagli occhi verdi riuscì a schioccarmi un bacio sulla guancia. Mi affrettai fuori, dall’imbarazzo.
Okay, per lui era normale baciare le guance alle persone che gli piacevano. Ce ne eravamo accorti tutti quasi subito di questa sua abitudine, e non mi dispiaceva nemmeno rientrare nella categoria di chi era riuscito a farsi voler bene da lui, naturalmente. Però… non riuscivo ad evitare di arrossire come un’idiota ogni volta! Oh, lui prendeva tutto così alla leggera, ed io mi comportavo come una tredicenne sciocca ed ingenua.
Una cosa però stava decisamente dalla mia parte: di tutti gli Astral, io ero l’unica che riuscisse a parlare con lui in maniera disinvolta, senza guadagnarsi occhiate annoiate, sprezzanti e roba simile. Non potei evitare di sentirmi importante.
Mentre facevo le mie elucubrazioni, raggiunsi la suddetta sala tattica. Dentro lui stava discutendo con delle persone che non avevo mai visto prima d’ora. Mi appoggiai alla porta, aspettando che finissero. Uno stralcio della loro conversazione, però, mi giunse alle orecchie.
- … davvero non possiamo dirle tutto ora! Già quella vostra ragazza non ha saputo tenere la bocca chiusa, poi quella lettera! Questo non è un gioco, Simon, ne va delle vite di molte persone! –
Incuriosita, avvicinai la testa alla superficie fredda, cercando di cogliere qualcos’altro.
- So bene che non è un gioco. Solo perché considerate la vostra sezione più seria della nostra, non significa che potete prendervi gioco di noi. E poi non posso tenerla all’oscuro della sua vera natura per sempre! Se quella Black Lady si facesse vedere e dicesse lei alla White Maiden di questa cosa, sarebbe ancora peggio –
- Tu stai correndo troppo. Non fare mosse azzardate finché non te lo diremo! Dobbiamo andarcene, ora –
Mi spostai alla svelta, perché non capissero che stessi origliando. Il drappello di sconosciuti se la filò senza degnarmi di uno sguardo. Io scivolai all’interno della stanza, e vidi Simon che si copriva la faccia con le mani, sospirando profondamente.
- Buongiorno – mormorai. Lui alzò il viso di scatto, con un sorriso stampato sulle labbra.
- Ehilà! Ho delle cose da mostrarti – ed indicò il computer davanti a lui.
Sullo schermo c’era una mappa della città, con delle zone segnate in rosso. Capii di cosa si trattava prima che me lo dicesse: erano le zone di rilevamento di attività sovrannaturale illecita.
- In queste zone ci sono delle creature a piede libero fuori dal nostro controllo – spiegò – Si tratta di un demone accompagnato da delle succubi. Pare che in quell’area – ed indicò la chiazza più estesa – abbiano creato un covo camuffato da negozio dove attirano le persone, per poi divorare le loro anime. È una tecnica molto usata dagli esseri come loro. Un classico, insomma –
In effetti cosa simili le avevo già viste su diversi film e libri. Avevo letto un romanzo fantasy dove c’era una specie di casinò che le persone non riuscivano ad abbandonare a causa di alcuni dolcetti che facevano perdere loro la cognizione del tempo. Probabilmente i demoni utilizzavano illusioni di colori e profumi per avvicinarli, ed una volta all’interno li aggredivano.
- Cosa devo fare? – chiesi. Sapevo cosa voleva chiedermi, in realtà. E non vedevo l’ora.
- Vorremmo che tu ed una squadra da te scelta faceste irruzione lì, cercaste possibili umani sopravvissuti, ed eliminaste il demone e i suoi servitori
- E… - continuò – Vorrei che portassi Grell con te. Per verificare le sue abilità particolari e la sua compatibilità con il resto degli Astral. Non ho dubbi che tu e lui andrete d’amore e d’accordo, ma preferirei se vedessimo subito possibili problematiche con gli altri. Mi capisci, vero? –
Ovvio che lo capivo.
- Vado a scegliere i miei compagni, allora! – esclamai, al settimo cielo, alzando i pollici.
- Io organizzo subito la missione. Mi raccomando, scegli bene! –
Praticamente volai su per le scale, e corsi quasi scivolando sul pavimento di marmo, fino a raggiungere il piano superiore, dove c’erano gli alloggi dei nostri “ospiti”. Come previsto, lo shinigami più adorabile che sia mai esistito era tornato lì, e stava conversando con alcuni colleghi, che sembravano a disagio dal suo comportamento, come al solito.
- Andremo insieme in una missione per eliminare dei demoni! – esultai, tutto d’un fiato. Gli dei della morte ignoti se la filarono in fretta, dato che ormai avevano imparato ad evitare di avere discussioni con il rosso in mia presenza.
- Oh yes! – esclamò Grell, facendo un giro su se stesso. Come mossa era molto femminile, ma la mia metà razionale era andata a farsi benedire già da un bel pezzo, quindi non mi rimase che ammirare la scia scarlatta che provocarono i suoi capelli.
Una volta terminata la piroetta, mi abbracciò, strofinando il naso sulla mia guancia – Volevo tanto venire con te, prima o poi! – la sua voce sembrava il miagolio di un gatto. Quando sentii il suo respiro tiepido sul collo, fui scossa da un brivido. Per fortuna si staccò subito dopo, perché aveva già cominciato a girarmi la testa.
- La data non è ancora stata decisa, mi hanno appena informata – dissi – Ti farò sapere chi verrà con noi –
Prima che mi congedassi, Grell mi sfiorò il viso con due dita, lentamente.
Non appena fui fuori dalla sua vista, mi misi a correre, il cuore che mi batteva a mille.
 
- Ti sei presa una cotta? Sofia, ti sei davvero innamorata di uno?! – Angelica era su di giri, come tutte le volte che si sfiorava l’argomento “ragazzi” e “amore”. Sembrava quasi che fosse lei quella ad aver perso la testa per qualcuno, invece che la sottoscritta.
- Sì, esatto – sospirai, torcendomi le mani, mentre aspettavamo il suono della campanella – E gli sto pure simpatica. Beh, non so fino a che punto, ma per lo meno non sono nella sua lista nera –
La mia amica si rabbuiò un istante: non molto tempo prima aveva rotto con il suo ragazzo, che al momento era una delle persone che lei detestava di più. Lui le aveva fatto un torto molto grave, e l’aveva mollata così, su due piedi, inevitabile la reazione della ragazza, che ora lo odiava.
Fu solo un attimo, e tornò raggiante. Mi afferrò le mani, avvicinandosi moltissimo alla mia faccia, come per leggermi nella mente. Tanto lo sapevo cosa voleva chiedere.
- E lui com’è? Carino? Sexy? Biondo? Alto? Allora? – figurarsi! Lei era sempre così, una maniaca curiosona di prima categoria.
- Beh, è bellissimo – mormorai, sognante. Lei squittì, e chiese informazioni più dettagliate – Non è molto alto, è magro e con gli arti sottili. Ha delle mani molto eleganti, dalle dita affusolate. Carnagione chiarissima, lineamenti delicati e morbidi. Labbra ben disegnate. Occhi verdi… -
Lei annuì, entusiasta, facendomi intendere il suo apprezzamento, tranne per il fatto che lei preferiva ragazzi alti e un po’ muscolosi.
- E i capelli? –
- Rossi –
Lei rimase a bocca aperta? – Rossi? È irlandese? –
- No, non sono del rosso pel di carota degli irlandesi. Sono veramente rossi. Rosso sangue, rosso vivo. Rosso come i fiori di liquirizia –
Lei brillarono gli occhi – Sul serio? Quindi li tinge? –
- No. Sono naturali. Sai, è raro ma è possibile –
Angelica emise un urletto di ammirazione e invidia. Sapevo quanto le piacevano le persone con caratteristiche somatiche rare – Sai – disse ad un tratto – Dalla descrizione sembrerebbe quasi Grell, quello di quel manga che ti piace –
- Già – risi – Sembra quasi Grell! –
 
*****
 
Cella di manicomio:
Capitoletto di passaggio, sì, ma ci vogliono anche questi, non possono succedere grandi avvenimenti uno dietro l’altro, quindi… I disegni rappresentano il mostro e la lettera di questo capitolo, più la belva orripilante del primo, con figura umana per capirne più o meno le dimensioni.
La sto tirando un po’ per le lunghe però con la parte introduttiva (in verità non sono ancora arrivata alla storia vera, ma dal prossimo si comincia a fare un po’ più sul serio, con meno parti di spiegazione. O almeno spero).  Grazie a chi legge questa storia!
Kiss <3






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Capitolo 6
*** Atto 06, incontri ravvicinati con la melma parlante ***


- Allora, vedi niente di strano? –
Io scossi la testa. Erano quasi tre quarti d’ora che eravamo appostati vicino al covo del demone, e ancora nessun segno di vita. Se non si muovevano a lasciare qualche segno delle loro attività sovrannaturali illecite, avremmo dovuto passare a metodi alquanto drastici e che rischiavano di attirare l’attenzione della gente comune.
Oltre alla sottoscritta e al mio shinigami personale, come avevo preso l’abitudine di chiamarlo nella mia testa o nel diario, c’erano altri quattro membri dell’associazione a far parte della squadra a cui era stata assegnata la missione: Giorgia, la ragazza dai capelli scuri esperta nelle illusioni, Sebastian e altre due Astral che avevo visto durante i combattimenti di allenamento, e che avevo subito apprezzato per la loro flessibilità di carattere e la capacità di cambiare rapidamente la tecnica di lotta a seconda dell’avversario. Una si chiamava Emily, era piuttosto minuta e gracile, con capelli biondo scuro ondulati che le arrivavano alle spalle. La sua pelle era pallidissima, e le guance spruzzate di lentiggini. Aveva occhi di un verde sbiadito. Era silenziosa, e quando parlava usava una vocina sottile e infantile. Doveva avere circa tredici anni, ed era per metà inglese da parte di padre. L’altra, della mia età, non avrebbe potuto essere più diversa. Il suo nome era Martina, veniva dall’Italia meridionale, ed aveva capelli nerissimi, che le incorniciavano il viso con dei boccoli che le invidiavo da morire. Anche i suoi occhi erano neri, e la pelle olivastra, che faceva contrasto con le labbra carnose di un rosa quasi rosso. Martina era molto più loquace di Emily, e molto attraente. Anche lei era non molto alta e di costituzione minuta, ma aveva una personalità prorompente ed era una di quelle ragazze che è meglio non provocare.
Avevo appena finito di rispondere alla prima amicizia che avevo  fatto tra gli Astral, quando una donna si avvicinò alla vetrina del negozio diretto dal demone. La stradina su cui ci trovavamo era poco frequentata, e così non rischiavano che qualcuno notasse che le persone sparivano subito dopo essere entrate lì.
Le mensole dell’esposizione esibivano quelli che a me parevano artefatti da amanti dell’occultismo e oggetti d’antiquariato. Mai che si rendessero più simili a gente normale, eh?
La donna aprì la porta ed entrò.
Quando la richiuse, però,  era scomparsa. La porta era di vetro, non era possibile che fossi solo io a non vederla.
- Andiamo. Se non ci diamo una mossa, quella fa una brutta fine – mormorai, ed uscimmo dal nascondiglio dietro ad una scultura in rame che era esposta nella via. Dalla targhetta, lessi che era un’opera del mio professore di discipline plastiche. Era molto bella, peccato che non fosse in un luogo più in vista.
- Sebastian, quelli lì dentro, anche se non uguali a te, sono comunque demoni. Suppongo che tu sappia abbastanza bene come potrebbero agire e che tipo di trappola sia installata nell’edificio – gli dissi.
Lui annui, dando un’occhiata all’orologio da taschino – Naturalmente, my lady. Sono le 15.45, dovremmo riuscire a risolvere la faccenda in tempo per prendere il tè –
La porta a vetri era di legno dipinto di vernice verde scuro, scrostata, e la maniglia era di ottone ossidato, massiccia e rotonda. Dall’esterno non sembrava che ci fosse nulla di fuori dalla norma, guardando attraverso il vetro, ma probabilmente anche quella era un’illusione.
- È altamente probabile che abbiano eretto una dedalo – aggiunse l’uomo, iniziando a giocherellare con il bordo del guanto bianco.
- Ovvero? – ribattei, seccata. Quel suo modo di fare “all mighty” mi dava alquanto sui nervi. Ecco perché mi piacciono quasi sempre i nemici dei protagonisti: se la tirano meno e sono più intriganti. In effetti, cosa ci trovavano tutte in quel tipo cattivo, altezzoso e monotono? Okay, era veramente figo e sexy, ma con quel suo dire “Sono un diavolo di maggiordomo” e “Yes my lord” continuamente mi aveva davvero rotto le scatole! Quasi metà delle sue battute si limitavano a quelle due frasi, il che non giovava a suo favore in un possibile giudizio sulle sue capacità intellettive.
- Il dedalo di un demone è una specie di labirinto colmo di illusioni ottiche e malefici allucinogeni. È complicato attraversarli senza un’esperienza adeguata, e possono essere letali. Al centro dovrebbe esserci il demone, e sparsi per il dedali ci saranno succubi e imps –
Per chi non lo sappia i succubi sono creature diaboliche che seducono gli umani per nutrirsi della loro energia vitale, cosa che quasi sempre porta alla loro morte. Gli imps sono spiritelli maligni nati dalle diramazioni di un diavolo, e spesso sono loro aiutanti. Diciamo che non morivo dalla voglia di incontrare alcuno di essi, ecco.
- Succubi o imps, non valgono un granché in realtà. Neanche i demoni stesso possono cavarsela se incontrano la mia falce – ridacchiò Grell, scoprendo i denti acuminati. Inutile dire che nessuno di noi aveva dubbi in proposito.
- Visto che sei così esperto, Sebastian – dichiarai – allora tu ci farai strada, mentre Grell-san sta vicino a me. Voi due chiuderete la fila – dicendo questo indicai le due nuove ragazze da poco conosciute.
- Io sto al tuo fianco, quello non occupato da Grell – Giorgia terminò il mio discorso senza lasciarmi il tempo di aprir bocca di nuovo. La compagna mi fece l’occhiolino, con un sorriso. Questa tipa mi piaceva, era davvero amichevole e simpatica. Peccato che fosse così maledettamente brava ad intuire le cose.
Per esempio aveva capito benissimo perché avevo spedito il demone rompiballe davanti e mi ero tenuta a braccetto lo shinigami.
Mi dispiaceva anche che ormai non avrei potuto fingere di avere paura per abbracciarlo e farmi proteggere da lui: dopo avermi vista fronteggiare il rosso e prenderlo a sprangate, dubito che la cosa sarebbe stata credibile.
Appoggiai cautamente la mano sulla maniglia, e spinsi lentamente la porta, che cigolò in maniera sinistra. Mai che mancasse il cigolio inquietante nei covi dei cattivi, eh? Se c’era qualcosa che avevo imparato da quest’esperienza di contatto con creature provenienti da mondi creati da noi esseri umani, è che certi dettagli cliché non si fanno mai attendere.
Non appena misi piede all’interno, la stanza si deformò in un turbine di colori. Fui colta da un senso di vertigine, e mi appoggiai al rosso. Grell posò i palmi sulla mia schiena, sostenendomi, ma dalla sua faccia era ovvio che non ero l’unica ad aver avuto un giramento di testa in quella trasformazione caotica.
La stanza prese forma in maniera illogica e irregolare, con scale sul soffitto, finestre a mezz’aria  e manufatti improbabili. Le pareti parevano quasi fotomontaggi di cartoncino dai colori sgargianti incollato insieme o cucito con ago e filo grezzo. Sembrava tutto così… finto.
I nostri passi rimbombavano come se ci fossi trovati in una qualche grotta sotterranea, e sebbene ogni oggetto era luminoso e ben definito, tutto ciò che si trovava a partire da mezzo metro sopra la nostra testa in su era completamente oscurato.
Udii uno squittio, e vidi la creatura più assurda che avessi mai visto. Sembrava un topo, solo che le zampe erano simili a quelle di un ragno, metalliche, e gli occhi erano bulbosi come quelli di un insetto. Il suo corpo era quasi in putrefazione, e in diversi punti di vedevano chiaramente brandelli di pelle morta e putrida e il candore del costato.
- Bleah! – esclamò Martina, storcendo il naso. Emily aveva gli occhi spalancati, e le tremavano le labbra.
Grell sbuffò, e fece per spiaccicarlo con il tacco dello stivaletto rosso e nero, ma prima che lo raggiungesse, il mostriciattolo emise uno strillo acuto, e venne trafitto da un coltello d’argento, che si conficco sul muro, lasciando la creaturina penzolante.
Sebastian aveva un’aria piuttosto soddisfatta per aver preceduto lo shinigami. I due si lanciarono un’occhiata tutt’altro che amichevole; ma notai che le gote di Grell si erano vistosamente arrossate. Già, pensai, in fondo è naturale, dato che sia nel manga che nell’anime ha sempre avuto un debole per Sebas-chan. La cosa mi irritava alquanto, e aggrottando le sopracciglia mi voltai verso il demone.
- Dicci da che parte si va, invece che metterti in mostra – sbottai.
- Da questo punto in avanti, dobbiamo dirigersi verso la direzione dove percepiamo una maggiore energia diabolica. A quel punto dovremmo raggiungere una soglia che cela il suo nascondiglio in questo labirinto –
Facile, da come la metteva.
- Ed esattamente come si fa? – chiesi, ironica. Temo che gli fosse sfuggito il fatto che non tutti sono pratici nell’utilizzo delle proprie abilità psichiche. Demoni, bah!
Ciononostante, mentre lui ci indicava la direzione e ci guidava, io tentai di concentrarmi, per capire cosa si sente di differente da un verso all’altro. Continuando in questo modo per tutto il tragitto, che durò all’incirca un quarto d’ora, sentii cosa intendeva per energia diabolica. Era una pulsazione
Ad ogni svolta, sentivo chiaramente che per esempio a destra piuttosto che a sinistra le pareti stesse sembravano più vive. L’aria si faceva più densa, e sentivo una qualche sorta di presenza avvicinarsi alla mia mente e venirne respinta, facendomi venire un mal di testa pazzesco.
- Ci siamo – emisi un sospiro di sollievo: ormai mi sembrava quasi di avere la febbre!
- Da qui in avanti è meglio se attiviate le vostre armature. Non si sa mai – bisbigliò Grell, mettendosi una mano davanti alla bocca. All’inizio non capii come mai si coprisse le labbra, ma poi vidi lo sguardo che ci lanciò, e notai che le mia compagne umane erano rossissime in viso o terree. Immaginai di avere il loro stesso aspetto, a causa della presenza del demone. 
Aveva parlato così piano e attutendo il suono per non darci fastidio: in effetti, in quel momento ogni rumore sembrava che sbattesse da un lato all’altro del mio cranio in maniera insopportabile. E Sebastian non se n’era curato, aggiunsi poi, tra me e me.
- Tranquilla – disse di nuovo il dio della morte a voce bassissima – le prime volte sconvolge tutti, entrare nel dedalo di un demone. Anche gli shinigami non ne sono immuni. Col tempo, però, imparerai senza dubbio a respingere la sua influenza negativa su di te –
Poi indicò quella che sembrava una porticina minuscola in una gabbia per uccello, al centro di uno spiazzo circolare. Doveva essere l’accesso alla zona più remota del dedalo.
Le iridi di Sebastian si fecero scarlatte, e quando posò le falangi sulle sbarre grigiastre, queste iniziarono a sciogliersi. Grell, invece, le afferrò con forza, causando una reazione completamente diversa: nel suo caso, il metallo quasi certamente magico inizio a disfarsi in coriandoli argentei.
Mai come in  quel momento avevo potuto vedere così nettamente e in maniera palpabile la differenza tra un demone ed uno shinigami: mentre le mani del primo oscuravano le parti della gabbia che toccavano e la inducevano a liquefarsi con la forza, quelle dell’altro erano di una luminescenza tra l’oro e il rosso, e il maleficio che proteggeva il nostro nemico stava quasi sparendo “volentieri”, senza essere forzato.
Mi tornò in mente che gli shinigami fossero creature neutrali votate al mantenimento dell’ordine, che quasi mai prendono posizione negli scontro di chi abita il mondo che loro controllando dall’alto della loro posizione di divinità minori. È naturale che ogni causa di disordine fosse più propensa a svanire al loro tocco piuttosto che all’attacco violento di un altro portatore di caos.
Mi sorpresi ad arrossire per motivi per nulla legati all’energia diabolica, e fissai incantata quella chioma infuocata davanti ai miei occhi. Dio, com’era attraente! Altro che quel figo ma odioso diavolo spocchioso; accidenti alle mie rime involontarie!
- Armatura – mi sillabò lo shinigami, voltando il capo verso di me.
Io annuii, e premetti il pulsante centrale del bracciale, imitata a ruota dalle mie compagne. Un volta attivata l’armatura (che era più un costume da eroina) mi sentii subito meglio, e gran parte del mal di testa andò a farsi benedire, lasciandomi molto più lucida e sveglia.
- Abbiamo quasi finito, fanciulle – disse Sebby, mentre le sbarre erano quasi del tutto scomparse – Tu a che punto sei, Grell-san? –
- Allo stesso a cui sei tu – rispose Grell.
Le ultime molecole metalliche svanirono, lasciandoci liberi di aprire la porticina.
- Attenzione: probabilmente ha già avvertito la nostra presenza – ci ammonì il rosso, toccando la minuscola soglia. La porta si spalancò e s’ingigantì.
Peccato che invece che limitarsi a creare un passaggio, inghiottì tutta la parte esterna del dedalo, e ci ritrovammo in men che non si dica all’interno del covo che celava. Immagino che servisse a impedire a chiunque riuscisse ad accedervi di fuggire. Evidentemente i sistemi di difesa dei diavoli non prevedevano la possibilità che qualcuno li ammazzasse e che il dedalo scomparisse radicalmente alla loro morte.
La nuova stanza era un nuovo spiazzo circolare, attorno al quale c’erano spalti a scalinate, simili alle arene romane. Al centro di esso, c’era la personificazione (sempre che di persona si possa parlare) dello schifo più assoluto.
Era una specie di… boh, non lo so. Ma era disgustoso. Sembrava fatto di un’accozzaglia di mistura di gelatina sporca di terra, pezzi di ossa messi lì alla rinfusa e altra roba che saprei meglio identificare. Persino individuare la testa fu un’impresa notevole. Capire dove fosse la bocca, poi… neanche a parlarne!
Quando socchiuse le fauci, le quali sbavarono una schiuma biancastra densa e rivoltante, ne uscì un suono roco e sibilante allo stesso tempo.
Decisamente non era un demone dello stesso tipo di Sebastian.
- Un… demone… assieme ad uno… shinigami – annaspò il mucchio informe. Non doveva essere pratico della nostra lingua – Che… schifo! Come mai un demone… collabora con uno di quelli? –
Arricciai il naso. Se gli faceva schifo l’idea di Sebastian che lavora con Grell, allora non oso immaginare la sua reazione se si fosse visto allo specchio.
- Le nostre idee di disgusto sono alquanto diverse, messere demone – replicò imperscrutabile il maggiordomo – Al momento vi troviamo nelle circostanze nelle quali quelli che divorano anime indiscriminatamente come voi sono dannosi anche ai miei simili –
Il demone-schifo rise, sputacchiando un liquido nero – Passeranno milioni di anni prima che io possa anche solo pensare di… avvicinarmi spontaneamente ad un dio della morte! –
Più tempo passava più voglia mi veniva di fracassargli il cranio; sempre che ce ne avesse uno.
- Tagliala qua – intimai a Sebastian – Ora lo ammazzo e la facciamo finita. Ragazze! –
- Agli ordini, leader! – esclamarono in coro.
Spinsi forte con le gambe, ringhiando, e gli fui ad un metro nel giro di pochi istanti. Lo colpii dritto al capo con un calcio, preparandomi ad un secondo attacco. Il mio stivale affondò nel suo corpo senza incontrare alcuna resistenza.
- Co…? – esclamai, sbigottita.
La mia esitazione diede al mostro il tempo di reagire. Schivai per un pelo il getto di fluido color fango che mi sputò addosso, ma che però mi sfiorò un lembo del mantello. Il tessuto si sciolse nelle zone che erano state toccate. Emily emise un gridolino strozzato, e balzò indietro.
Anche il fendente della katana di Martina non ebbe alcun effetto su quella creatura rivoltante. Il suo corpo viscoso era immune ai colpi fisici.
- Come facciamo ad ucciderlo? – urlai, rivolta agli unici due maschi presenti sulla scena.
Sebastian era sul punto di rispondere, quando un problemino un tantino più urgente lo distrasse: quello che mi parce un migliaio e passa di topi putrefatti simili a quello incontrato precedentemente si riversò contro il demone corvo e lo shinigami.
- Famigli – borbottò la ragazzina italoinglese, facendo mulinare la mazza ferrata che aveva evocato. Bizzarro come una tredicenne così simile ad una fatina del genere Trilly  potesse dimostrarsi così violenta. Peccato che quell’arnese medioevale a poco serviva contro un mucchio di gelatina parlante.
Mi serviva qualcosa che non fosse un’arma da taglio o contundente. Come nei cartoni, quando le maghette hanno quelle bacchette che sprizzano brillantini. Magari non proprio una bacchetta coi brillantini, ecco… qualcosa di più figo sarebbe stato meglio, ma anche quella mi sarebbe andata bene a quel punto.
Mi tornò in mente un anime fantascientifico dove le eroine erano una via di mezzo tra guerriere militari e ragazze magiche. Oh, delle armi come le loro sarebbero state assolutamente perfette!
L’immagine della energy weapon ideale mi si disegnò davanti agli occhi.
- Distraetelo! – soffiai ad Emily, quando mi fu vicina. Lei annuì, e fece un salto molto alto, portando con se lo sguardo del demone.
Martina, colte le mie intenzioni, la imitò, correndo dall’altra parte dello spiazzo. Grazie al cielo quel coso non sembrava troppo sveglio.
Premetti il quinto pulsante del bracciale, focalizzandomi su ciò che desideravo. Ben presto, mano a mano, sentii la consistenza del metallo liscio e freddo tra le mie mani. Posai lo sguardo sull’arma: era enorme, molto più di quanto avrei creduto, eppure era leggerissima.
Mentre il nemico era occupato a sputare bava acida contro le mie compagne, che saltellavano come coniglio per tutta la stanza, la volteggiai, testandone la velocità con cui riuscivo a muoverla e la resistenza all’aria e alla forza di gravità. Sembrava bilanciata apposta per il mio braccio.
Pensai in fretta e furia ad un nome per essa e ad una formula che suonasse cool, preparandomi a colpire il mostro. Cavolo, per non essersi ancora accorto di quello che stavo facendo, doveva avere davvero delle capacità intellettive molto limitate! Probabilmente servivano solo a nutrirsi, difendersi e riprodursi!
- Laevatein! – enunciai, alzandola sopra la mia testa. Cavoli, come ci si sente fighi in quei momenti!
Con mia grande soddisfazione udii un fischio di ammirazione. Era lui. Il mio Grell. Aveva dato le spalle ai topi assassini per ammiccare nella mia direzione e sorridere.
Motivazione al massimo! pensai, ridacchiando tra me e me.
- Ehi, schifoso! – gridai al mio avversario.
Il demone finalmente si voltò verso di me, solo per spalancare le mandibole dallo stupore. Sempre che si potesse parlare di mandibole, nel caso di quella roba…
- Beccati questa! – ghignai. Ecco, quella doveva essere la sensazione che provava lo shinigami scarlatto quando ammazzava qualcuno! Certo che era davvero una gran soddisfazione! Il dettaglio che lui avesse ucciso anche gente innocente… era irrilevante nel mio modo di ragionare.
La punta della mia arma s’illuminò e ai due lati si crearono due gigantesche lame di luce iridescente dai bordi frastagliati.
Spiccai una corsa contro di lui.
Saltai.
Calai la falce.
- Devil Hunter – mormorai, trafiggendolo.
Prima di sbriciolarsi, fece in tempo ad emettere un grido strozzato.
L’ambiente attorno a noi iniziò a sgretolarsi. I famigli si bloccarono e si accasciarono al suolo, con grande sollievo di Grell, che vedeva in serio pericolo il suo make up.
Per un attimo ci trovammo nel vuoto, poi il mondo si ricreò davanti ai nostro occhi.
Ci trovammo all’interno di una stanza angusta, piena di mobili di legno impolverati e arnesi sottili in ottone traballanti.
C’era una porta a vetri in legno verniciato di verde scuro, scrostata.
Il dedalo era stato distrutto. Il negozio d’antiquariato era tornato al suo stato naturale.
- Le persone scomparse non hanno speranza, vero? – domandai, quando non vidi nessun altro umano attorno a noi.
Sebastian scosse la testa.
 
- E poi ha fatto apparire una specie di falce, ma non una normale! Era tuuuuutta di luce sbrilluccicosa, e ha fatto a fette quella bestia orribile in un colpo solo! –
Gli occhi del povero William mandavano lampi, ed erano quasi dieci minuti che si massaggiava le tempie, in cerca della tanto agognata tregua dall’assillante racconto “epico” del suo collega dai capelli cremisi, sostenuto da Ronald, che regolarmente fischiava, batteva le mani ed esclamava “Uao!”.
- Devil Hunter! – enfatizzò infine Grell, mimando il mio gesto di tagliare il demone.
Il suo superiore emise un ringhio esasperato, coprendosi il viso.
Ah, quanto capivo le sue sofferenze! Più o meno le stesse di quando io cerco di ripassare prima di un compito ed il mio compagno di banco comincia a parlare di Laura Pausini e a strillare come una femmina.
- È stata la cosa più kakkoi a cui abbia mai assistito! Quasi meglio dei coltelli del mio Sebas-chan! – quest’ultima frase mi fece sentire caldo alle gote.
- Su, non esagerare, Grell-san – dissi, cercando di sdrammatizzare – Quella bestia era troppo stupida per poter vincere contro di noi! –
- No, Sofi-chan! Contro di te, vorrai dire! Sei troppo forte! – in men che non si dica, mi ritrovai la vista oscurata dalla sua chioma color sangue.
Stavo per balbettare qualcosa di vagamente corente, per togliermi dall’imbarazzo, quando William si schiarì la gola molto rumorosamente.
- Tutto ciò è molto ammirevole, signorina Sofia. Ma io starei cercando di lavorare, Grell Sutcliff, quindi se non ti dispiace me ne vado in separata sede. Knox! Sei in ritardo con il tuo lavoro, vieni a finirlo invece che stare qui a perdere tempo con le scenate del tuo collega –
Il playboy seguì sbuffando il supervisore occhialuto. Si capiva che avrebbe voluto continuare a parlare di combattimenti e cose simili.
William sbatté la porta con fare stizzito, borbottando qualcosa riguardo a documenti lasciati in sospeso, e abbandonò la stanza. Che per l’esattezza era la mia.
Ogni Astral aveva una camera personalizzata, nel caso avesse dovuto fermarsi a dormire all’associazione per motivi particolari.
- Tu sei strana – disse Grell, dopo diversi minuti di silenzio carico di tensione.
- Davvero? – cercai di apparire naturale, anche se in realtà avevo i battiti a mille. Che saltava in mente a quei due, di lasciarmi sola con lui in una stanza privata?!
- Certo. Sei una ragazza, ma sei forte. Non piagnucoli, sei curata ma non leziosa e superficiale. Sei intelligente, ma non altezzosa –
- Suvvia, Grell, non esagerare! – risi, non sapendo esattamente come prendere tutti quei complimenti.
All’improvviso mi fu a due centimetri dal viso.
- Sei carina, anche se sei una ragazza. Potresti anche piacermi sul serio –
Non riuscivo a staccare gli occhi dalle sue labbra, così vicine. Troppo.
Di un rosa acceso, dalla linea morbida. La pelle che le ricopriva era leggermente umida.
- Eddai, se ti sente William s’ingelosisce! E poi non è da te: tu preferisci gli uomini, mi pare , no? – trovai la forza di dire.
Lui sorrise sornione – E allora come ti spieghi Madame Red? Solo perché in genere tendo ad innamorarmi di uomini, questo non significa che non mi piacciano anche le ragazze, no? –
Il suo sguardo, puntato su di me, era quasi magnetico.
- Potresti anche… - sussurrò, sfiorandomi il viso con due dita.
Non accennava ad allontanarsi.
 
*****
Note:
Dopo a questo capitolo, dovrò fermarmi per un po’: il 16 dicembre è l’anniversario di Grell e William, e intendo scrivere una shot su di loro. Ma questo rallentamento non significa che lascerò la storia inconclusa, eh! Non adesso, che ho finito il capitolo in questa maniera!
Spero che la storia vi piaccia sempre. Ho fatto del mio meglio per la scena finale! Ah, i disegni sono di Emily, Martina, il mostro, la nuova arma e la protagonista in azione. Spero vi piacciano!
Kiss!<3






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Capitolo 7
*** Atto 07, sarte assatanate e feste natalizie ***


- Potresti anche… - sussurrò, sfiorandomi il viso con due dita.
Non accennava ad allontanarsi.
In quel momento, avrebbero potuto cuocermi un paio d’uova sulle guance. Improvvisamente mi sembrò che facesse un caldo infernale, cosa piuttosto assurda visto che era dicembre.
Sapevo cosa stava per fare.
Ho letto troppi shoujo manga per non capire una cosa del genere. E non sapevo se la cose mi piacesse oppure no. Ma non sapevo neanche il motivo per cui avrebbe potuto non piacermi. Forse era troppo improvviso. Forse temevo che stesse solo giocando con me come è solito fare con la maggior parte della gente.
Mi prese il viso con entrambe le mani; potevo sentire il suo respiro vicinissimo alle mie labbra.
E chi se ne importa se sta solo giocando? Mi dissi. Ci penserò io dopo  farlo diventare serio.
Mi sollevò il mento di qualche centimetro.
Kono goro hayari no onnanoko
Oshiri no chiisana onnanoko
Serrai gli occhi, orripilata.
Non ci potevo credere. Non in quel momento.
Merda.
Kocchi wo muite yo HANII
Datte nan daka
Datte datte nanda mon
Grell sgranò gli occhi, sorpreso, e mi lasciò andare.
- Scusa – mormorai, chinando lo sguardo.
Incredibile ma vero, lui arrossì, imbarazzato, facendo un’espressioncina assolutamente adorabile – Scusami tu. Mi stavo… lasciando trasportare. Scusami! – e se ne andò via in fretta e furia.
Onegai onegai kizutsuke naide
Watashi no HAATO wa
Chukuchuku shichau no
Onestamente! Nessuno mi telefonava mai, e a chissà quale idiota saltava in mente di farlo proprio sul più bello! Maledissi anticipatamente chiunque fosse ad avermi chiamata, e tirai fuori il cellulare dalla tasca dei jeans, premendo il teso verde.
- Che c’è? – sbottai, a dir poco incavolata.
- Ehi, ehi! Cos’è questo tono scontroso? È successo qualcosa? – era Angelica, la mia amica pervertita e maniaca. Lei, che di solito mandava solo messaggini ed e-mail!
- Angi, tu non hai nemmeno idea di che cosa hai interrotto! – ringhiai, digrignando i denti.
- Uhu? Cosa? – ovviamente, al sentir parlare di interruzioni, si era subito interessata. Tipico di lei.
- Stavo per baciare quel tipo di cui ti ho parlato! – respirai profondamente, per sbollire la rabbia – Cosa volevi dirmi? – domandai infine.
- La scuola ha organizzato una festa di Natale. Tu ci vai? –
Ah, già, la festa della scuola. Ovvio che non potevo andarci: c’era anche la festa dell’Associazione!
- No, sono impegnata – le risposi – Mi spiace, ma sai… un’altra festa –
- Okay, non importa. A domani – e riattaccò.
Mai come in quel momento avrei voluto strangolarla. Una cretinata del genere, di cui avrebbe potuto parlarmi benissimo il giorno dopo prima delle lezioni. O anche durante, per quel che me ne importa: è lei quella che poi ha problemi nello studiare dal libro invece che dagli appunti.
Lui stava per baciarmi, però.
Alle mie spalle sentii qualcuno schiarirsi la gola. Mi girai, e vidi Giorgia accostata alla porta, sorridente.
- Ehilà! – la salutai. Lei mi strizzò l’occhio, e mi disse di andare con lei. Io la seguii, incuriosita.
Mi condusse nel cosiddetto “bar” dell’Associazione (già, ce n’era uno). Beh, non era un bar vero e proprio: non si pagava, visto che eravamo noi Astral, con tutto ciò che riuscivamo a fare con i nostri poteri, a finanziare l’Astral Project.
Era semplicemente un’area di raccordo tra altre grandi sale, dove a turno qualche membro non Astral preparava tutte quelle cose di vario tipo che si mangano e bevono nei bar normali, sono molto più facilmente, perché qui quasi tutto è di tecnologia ancora sconosciuta al resto del mondo.
Ad uno dei tavolini di vetro e  di un acciaio lucente e quasi bianco (altra creazione nostra), stavano due ragazze che non avevo mai visto prima.
Giorgia si sedette davanti a loro, ed io feci altrettanto.
- Sofia, ti presento Lulu – ed indicò la più bassa. Era molto graziosa. Aveva grandi occhi azzurri dallo sguardo innocente, un visetto ovale e morbido come quello di una bambola, e soffici capelli castano chiaro raccolti in due treccine basse ai lati della testa.
Mi rivolse un sorrisetto timido.
- E lei è Sara – le seconda ragazza era più alta, anche un po’ più di me, ma sembrava più giovane (sempre di me). In suoi capelli erano blu scuro, le arrivavano alle spalle ed avevano ciocche di lunghezze diverse tra loro. Mi guardava con un sorriso smagliante, sbattendo rapidamente le palpebre degli occhi marroni. Aveva le gote spruzzate di lentiggini. Mi diede subito l’idea di una persona molto frizzante.
- Piacere – dissi, tendendo la mano. Lulu la strinse piano, come se temesse che la mordessi, e la ritrasse subito, arrossendo e nascondendo il viso. Sara invece praticamente mi abbrancò le dita in una morsa d’acciaio, e quasi mi staccò il braccio, scuotendomela.
- Felice di conosc… - iniziò la bambolina, con una vocetta sottile, ma fu sovrastata dall’altra, che invece quasi urlò, dando prova di corde vocali notevoli.
- Il piacere è tutto nostro, Sofia-san! È da tanto che volevo parlarti; perché ormai sei una specie di celebrità qui, e poi ci hai portato Grell-san, così abbiamo tutti gli shinigami al completo, inoltre sei troppo forte, ti ho vista quando quel mostro si è infiltrato, insomma, non vedevo l’ora di conoscerti! – disse tutto questo senza mai riprendere fiato, non facendo nemmeno una pausa, cosa che mi lasciò di stucco.
- Ehm… - mormorai, sconcertata. Quelle due potevano perfettamente rappresentare gli opposti più assoluti.
- Facciamo un giro? Così magari chiacchieriamo un po’! – esclamò di nuovo Sara, bloccando di nuovo Lulu, che stava tentando di parlare. Io acconsentii, ma rivolsi a Giorgia uno sguardo scombussolato. Lei ridacchiò, e alzò le spalle, come a dire che era sempre così. Non era sicura che sarei sopravvissuta a quel tornado umano.
Mentre la ragazza, sempre parlando concitatamente, mi trascinava via, notai con la coda dell’occhio un baluginio cremisi. Un paio di iridi verdi attorniati da ciocche scarlatte mi fissavano dall’altro lato della stanza. Quando lo vidi, Grell si nascose dietro al muro del corridoio adiacente. Ebbi la sensazione che ci stesse spiando già da un po’, a giudicare dal suo sguardo.
Registrai queste informazioni in un secondo scarso, ovvero il tempo che servì a Sara per fare venti metri tirando una persona di sessanta chili per un metro e sessantacinque.
Alla fine, però, riuscì a coinvolgermi nella conversazione.
Era una persona molto vivace e solare, piena di energia. Chiacchierava a non finire, sempre a voce altissima, facendomi domande su domande, ed ogni volta che rispondevo, mostrava un’espressione gioiosa. In poche parole, era una di quelle persone che non riesci a trovare antipatiche neanche facendolo apposta.
- Sofia – disse, mentre passavamo davanti all’acquario di uno dei livelli sotterranei (sì, l’associazione aveva un aquario, del quale ancora non conosco l’utilità). – Posso farti una domanda un pochetto più imbarazzante, forse? – chiese con un sorrisetto furbo.
Imbarazzante? La cosa iniziava a preoccuparmi, e mi feci mentalmente la lista delle domande imbarazzanti che avrebbe potuto fare; secondo il mio criterio naturalmente. Dopo la mia amica Angelica, però, era difficile trovare qualche che potesse imbarazzarmi.
- A te piace Grell-san? – mi soffiò all’orecchio a bruciapelo.
Mi andò di traverso la mia stessa saliva, dal colpo che mi fece prendere. – Allora è vero, eh? – strillò, mentre io cercavo di liberare le vie respiratorie, tossendo.
- Come… - ansimai – Come lo sai? –
- Oh, si capisce! – disse con noncuranza – Non so da cosa, ma si capisce! - poi rimase a fissarmi in attesa. Era evidente che non avrebbe smesso finché non avessi risposto in maniera soddisfacente.
- Sì – ammisi. Lei esultò, alzando le braccia in aria e facendo una specie di piroetta.
- Lo sapevo, lo sapevo! Ecco perché lui ti spiava, prima! –
- Te ne eri accorta? Io l’avevo visto solo alla fine! – cavoli, quella tipa aveva occhio.
Sara sospirò profondamente, alzando in maniera molto teatrale il viso verso l’alto. – A me invece, piace tanto Ronald… - disse con voce sognante.
Spalancò gli occhi, e si guardò attorno. – C’è qualcosa che devi sapere. Fa silenzio! – disse improvvisamente, e mi indicò una stanza vuota lì accanto. Entrammo con cautela, e prima di chiudere la porta, lei controllò che non ci fosse nessuno nei dintorni.
- Che c’è? – le chiesi. Ora la sua espressione si era fatta seria.
- Volevo dirtelo da un po’, per questo ho chiesto a Giorgia di presentarci. Se l’avesse fatto lei sarebbe sembrato meno strabo, in un certo senso… -
Si stava torturando le mani, e dondolava da un piede all’altro: era evidente che fosse molto nervosa. Scosse il capo e alzò lo sguardo. – Ho origliato una riunione della cerchia ristretta dell’Astral Project. C’erano i funzionari di questa sezione, ma anche altri, dalle sezioni di altri universi resi reali da noi –
Fece una pausa, poi continuò – So qualcosa Black Lady – sussurrò – Più o meno –
Spalancai la bocca, incredula – Davvero? –
- Sì. Dicevano che lei è un’Astral, che probabilmente è l’altra Astral con aura forte come la tua, ma che non sono mai riusciti ad identificare. Pensano che riesca a mascherare la propria energia, in qualche maniera. E che… -  abbassò la voce.
- Forse è già una di noi –
- Il che spiegherebbe come ha fatto quel mostro messaggero ad entrare così facilmente qui dentro – mormorai, pensando ad alta voce – Ma due cose non capisco: in primo luogo, che ci facevi lì ad origliare. In secondo luogo, perché dici questo a me, e non agli altri –
Sara si mordicchiò il labbro, in cerca di una paio di spiegazioni plausibili.
- Beh… - disse infine – Avevo dimenticato il mio berretto in sala riunioni, ed ero tornata a riprenderlo, ma essendo occupata, ho aspettato che uscissero. E non ho potuto evitare di sentire: parlavano molto animatamente. Per la seconda cosa… -
Mi guardò direttamente negli occhi – Perché hanno fatto il tuo nome. Simon-san voleva dirti tutto questo, ma gli altri non volevano. Mi fido più del nostro dirigente che degli altri –
E con questo, erano ben due volte che discutevano in una riunione se dirmi o non dirmi qualcosa.
E sempre in proposito di Black Lady.
 
Nei giorni successivi eravamo tutti così impegnati nei preparativi per la festa di Natale, che riuscii a mettere da parte queste informazioni. In effetti non era così inaspettato che Black Lady potesse essere infiltrata tra noi Astral: nei manga succede spesso, ed essendo noi otaku dal primo all’ultimo, le nostre tecniche hanno origine comune.
Mi divertii un sacco a sperimentare le mie capacità evocative per decorare l’edificio, e fu una splendida occasione per parlare anche con personaggi che non avevo ancora avuto occasione di incontrare. Per esempio, una certa ragazzina da boccoli biondi che si era messa in testa di far mettere a tutti noi una serie di vestiti pieni di merletti, assolutamente improponibili. In quel momento riuscii pienamente a capire le sofferenze del povero Ciel.
- Mais, Madmoiselle Sofia, è assolutamente impensabile che non indossiate un vestito speciale! N’est-ce pas, Madmoiselle Elizabeth? –
Lizzy annuì energicamente. Lei e Nina, la sarta apparsa in un paio di capitoli del manga, erano ora il principale nemico di chiunque cercasse un abbigliamento sobrio e comodo, maschio o femmina che fosse. Persino gli shinigami era diventati loro possibili vittime, se colti alla sprovvista. A nulla erano servite le suppliche di Alan Humphries, mentre la fidanzatina di Ciel lo costringeva ad indossare nuovamente l’abito che riconobbi subito come quello che aveva messo nel musical, per entrare all’opera di Druitt.
Ammetto che quell’episodio fu molto divertente, e lo fu ancora di più l’espressione sognante di eric, che lo rassicurava dicendogli che gli stava d’incanto. Se qualcuno mi avesse di nuovo detto che erano solo amici, quel qualcuno avrebbe fatto una brutta fine.
In quel momento le due si erano messe in testa di disegnarmi un vestito natalizio.
- Vi ho già detto che sono già in possesso di un abito adatto. E non sarà una serata da gala: abituatevi al fatto che siamo nel ventunesimo secolo, e non nell’epoca vittoriana. Comunque, corsetti e roba simile sono tassativamente banditi dal mio armadio – ribattei alla loro aggressione.
Diedi due colpetti con il dito alla parete, ed essa venne cosparsa di polvere dorata, che restava magicamente incollata al muro. Mi allontanai, e diedi uno sguardo generale alla stanza.
Tutte le pareti avevano subito lo stesso trattamento, un bell’albero di Natale faceva la sua figura in uno degli angoli, già addobbato a puntino. Mi ero occupata anche di mettere qualche vischio qua e là, nell’intera costruzione: non si sa mai quando capitano certe cose. Avevo anche scelto i punti più romantici dove posizionarli.
- Ah, ma non hai visto cosa ti ho ideato, Madmoiselle! – lo sguardo furbo di Nina mi rassicurava ben poco, ma ciononostante acconsentii a vedere il suo disegno.
E mi piacque! Non era affatto all’antica o ingombrante, ma moderno e carinissimo, con la gonna né troppo lunga né troppo corta. E soprattutto era rosso.
- Ne, ne, Sofia-chan? – eslcmaò Lizzy, afferrandomi il braccio.
- Bello… - dissi, incredula – Mi piace un sacco! –
Nina ridacchiò sotto ai baffi, fregandosi le mani – Bien, allora è fatta! Non osate mettere altro stasera, altrimenti… -
Non seppi mai cosa avrebbe fatto se non l’avessi messo, perché era schizzata via come un fulmine., sollevando una nuvola di polvere.
 
 
- Come immaginavo, sei troppo kawai! – strillò Lizzy, dopo avermi praticamente rapita poco prima dell’inizio della festa, ed avermi agghindata con la collaborazione della sua fidata sarta e collega in campo estetico.
- Bene, ora posso andare? – ribattei, facendo finta di non essere entusiasta di come mi stesse il vestito. Ormai erano le sei del pomeriggio, gli altri saranno stati tutti già nel salone principale, dove c’erano i tavoli del buffet e soprattutto l’impianto stereo con musica a tema, ma anche non.
All’inizio inciampai un po’ sulle scarpe coi tacchi, ma mi ci abituai quasi subito.
La sala era uno splendore. Il soffitto era stato opportunamente minuto di lampadari di un materiale simile a ghiaccio, che brillava come poche cose che avessi mai visto.
Le pareti ricoperte di polvere dorata si rivelarono perfette, tra le varie proposte che mi erano state fatte quando avevamo cominciato la decorazione.
Era già gremito di gente, tra Astral e dirigenti dell’associazione. Oh, e naturalmente gli esterni.
Vidi da un lato Ciel, che accolse la sua fidanzata con un gran sorriso, probabilmente falso, che sparì subito quando lei lo strinse in uno dei suoi abbracci letali. Sebastian, invece era alle prese con Sara, che indossava un cerchietto con corna da renna. lo sguardo del demone sembrava affranto ed esasperato. Probabilmente era per la parlantina della ragazza.
Passando accanto ai due, mi parve di sentirle dire – Sebas-chan, lo sai che le galline nascono dalle uova? –
Vidi di sfuggita i Double Charles, Grey e Phipps, come al solito vestiti di bianco, come al solito assieme. Phipps stava guardando adorante i ricami che in quel momento Nina gli stava mostrando, mentre Grey era decisamente più interessato al cibo.
- Bel vestito, Sofia-chan! – disse una voce dietro di me.
Mi voltai, e vidi Ronald sorridermi allegramente agitando la mano. “Che figo” pensai, dando uno sguardo al suo abbigliamento da festa. – Sei uno schianto, Ronnie – commentai, indicando la sua figura.
Lui si guardò a sua volta, e scoppiò a ridere. – Anche tu. Sicuramente gli piacerai un sacco, vestita così! –
- A chi ti riferisci? – dovetti alzare la voce, quando cambiarono canzone e ne partì una molto più movimentata.
- Al senpai Sutcliff, naturalmente! -  rispose.
Feci correre lo sguardo per tutta la stanza, ma non vidi nessuna testa rossa. – Sai dov’è? – chiesi, rivolgendomi di nuovo al playboy per eccellenza. Lui scosse la testa.
- Non ne ho idea, non lo vedo da prima che cominciasse la festa. Però credo di averlo sentito litigare con il senpai William. Molto animatamente. Per i soliti motivi –
I soliti motivi, quando chiamati in causa da Ronald per riferirsi a Grell, erano comunemente fatti corrispondere ai tentativi di flirt del suo senpai con William, oppure la questione “Se il 16 dicembre è o non è il loro anniversario”.
Optai per la prima delle due opzioni.
- Vado a cercarlo – gli dissi, cercando di pensare dove avesse potuto essere.
Mentre mi defilavo con discrezione, mi parve di vedere Sara prendere il mio posto a fianco dello shinigami.
Uscii dalla sala, ed iniziai a pensare.
Litigio con William. Associazione vuota perché erano tutti alla festa. Litigio molto violento.
Mi vennero in mente soli due posti plausibili: uno era il bagno, l’altro la sua camera.
Oppure qualche angolino in fondo ai corridoi.
Invece, dopo aver cercato in tutti i primi due luoghi, lo trovai sotto ad una scala.
Stavo scendendo i gradini di marmo, quando mi parve di sentire un mugolio. Per un po’ non lo sentii più, ma poi, eccolo di nuovo! Anzi, era un vero e proprio singhiozzo!
Scesi in fretta quel poco di scalinata che mi restava, e lo vidi rannicchiato lì sotto, con le ginocchia strette al petto ed il viso nascosto tra di esse.
- Grell? – mormorai, avvicinandomi a lui.
- Lasciami stare! – gemette, piangendo. Lo ignorai, e mi inginocchiai lì accanto.
A quel punto aspettai. Attesi che finisse, e che si decidesse a guardarmi. Ci vollero parecchi minuti prima che lo facesse, ma sapevo che forzarlo sarebbe stato un errore per esperienza personale.
Quando alzò il volto, tirando su col naso, mi guardò con un espressione così afflitta che, sebbene mantenni il mio solito aspetto calmo, fece rattristare anche me.
Però, ciononostante, era stupendo.
Le gote arrossate, gli occhi più lucidi che mai, le ciglia imperlate di goccioline argentee. E un po’ più in basso.. le labbra semi dischiuse, con qualche lacrima ad inumidirle, dopo essere colata per tutto il viso lasciando una scia che rifletteva le fioca luce che arrivava fin lì.
- Dovresti essere con gli altri a festeggiare – borbottò, asciugandosi il viso.
Io scossi la testa. – Invece è proprio qui che devo essere. Che volevi fare, restare qui a piangere in solitudine per tutto il tempo? A volte sei così sciocco! – sbuffai, dandogli un colpetto sula fronte.
- Non lo sopporto più – sussurrò, facendo per appallottolarsi di nuovo.
- Cosa? – lo presi per le spalle, impedendogli di nascondersi.
- WILL! – urlò – Ho passato novant’anni dietro a lui, ma non è mai servito a niente! Però, da quando sono in questo mondo… -  Le lacrime tornarono a sgorgargli dagli occhi, spezzandogli la voce.
Non ce la feci più, lo abbracciai stretto, accarezzandogli la schiena, le spalle, la testa. All’inizio Grell s’irrigidì, ma poi rilassò i muscoli, e premette il viso nell’incavo tra la mia spalla ed il mio collo. Singhiozzando.
- Da quando sono in questo mondo – mi soffiò all’orecchio – per la prima volta ho desiderato lasciarlo perdere. Per la prima volta mi è sembrato che ci fosse qualcuno a cui importasse di me, e che non mi guardasse come se fossi solo d’impiccio –
Infilai le dita tra i suoi capelli, che trovai soffici e lisci come la seta. Sentii le sue braccia stringermi in vita, e per un istante, ma solo un’istante mi sfiorò il collo con le labbra.
- Con questo vestito sei ancora più bella del solito – disse, ad un certo punto.
Io mi liberai dalla sua presa, e m i alzai, invitandolo a fare altrettanto. – Grazie. Ora, però, torniamo di là: non vorrai perderti una festa del genere, spero! Guarda che se non vedi le mie decorazioni, non te la farò passare liscia! –
E in qualche modo, questo lo fece sorridere. L’idea di essere riuscita ad illuminarlo di nuovo, dopo averlo visto piangere così disperatamente, mi scaldò il cuore. Anzi, mi sembrò che si fosse acceso un piccolo sole nel mio petto.
Solo più tardi mi resi conto che, per abbracciarlo, avevo dovuto infilarmi tra le sue gambe.
Ronald si chiede ancora oggi come mai ho passato tutta la serata non riuscendo a far altro che farfugliare, e facendo cadere molto spesso lo sguardo sulle cosce ( e a volte anche il sedere) del suo senpai.
 
 
******
 
Cella di manicomio:
Ho scritto una pagine di Word e mezza in una settimana, e altre tre in un’ora, prima di pubblicare il capitolo. La pigrizia gioca brutti scherzi.
Un po’ più corto del solito, ma davvero non ho avuto né tempo ne idee per scrivere di più sulla festa di Natale. Spero, come sempre, di non aver deluso le lettrici (tanto lo so che Black Butler lo guardano per lo più femmine! XD).
Buone feste a tutti (tutte)! Kiss! <3
Sofyflora98

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Capitolo 8
*** Atto 08, l' infestazione idraulica e la mocciosa ingannevole ***


Mi scostai appena in tempo, prima che il mostro facesse saltare in aria il bidone dietro a cui mi ero appostata. Grazie al cielo era della plastica e non dell’umido, o credo avrei vomitato per la puzza. La bestiolina in questione, stavolta, aveva la forma di un rettile con zampe di rapace, coda felina e delle alucce troppo piccole per permettergli di volare. Brutto come pochi, e terribilmente veloce. Con l’appendice in fondo alla spina dorsale continuava a distruggere tutto ciò che usavamo come scudo.
Maledissi quella coda a bassa voce, cercando qualche suo punto debole, che non trovai. In una strada di città stretta e con scarse possibilità di movimento era in vantaggio rispetto a noi.
Emise un sibilo raccapricciante, facendo guizzare la lingua biforcuta.
E poi ci fu un ronzio, e tutta l’aria vibrò. Fu breve, ma lo sentii nettamente, e ne riconobbi l’artefice. Difatti, poco dopo, una figurina vestita di rosso e nero con un mantello color porpora era comparsa vicino alla bestia. La ragazza però era lievemente evanescente.
Il rettile fece schioccare le mandibole nella sua direzione, e tentò di azzannarla, senza  risultato: i suoi denti le passarono attraverso.
Lo vidi sbattere più volte le palpebre squamose, e dato che non sembrava dotato di un grande intelletto, non si diede per vinto e tentò ancora di divorare la preda.
Fu in quel momento che mi rivolse le spalle scoperte.
Io corsi velocemente fuori dal mio nascondiglio, e saltai più in alto che potei, brandendo Laevatain, la mia falce iridescente.
- Devil Hunter –
Lo tranciai di netto, cogliendolo impreparato. Emise un suono gracchiante, e si sbriciolò, lasciando però un forte odore di bruciato, che sperai non mi impregnasse i capelli lavati da poco.
- Grazie, Giorgia! – gridai alla mia compagna dall’altro lato della via. Lei alzò i pollici, facendo l’occhiolino. Le sue abilità nel creare ologrammi ed incanti illusori in generale faceva proprio comodo, a volte!
La finta me svanì, ma a differenza del lucertolone extra large non lasciò alcuna traccia. Anzi, credo che Giorgia, addirittura, le abbia fatto mandare un bacino prima che si dissolvesse. Mi augurai proprio che fosse stata solo una mia impressione: io non sarei mai così disgustosamente leziosa.
Mi stiracchiai le braccia, intorpidite dall’aver dovuto stare rannicchiata per difendermi.
Dalla sera della festa di Natale non avevo fatto ulteriori progressi in ambito “Come conquistare Grell Sutcliff”, ma perlomeno non  lo vidi più fare gli occhi dolci a Will o Sebastian.
Invece ci fu un  drastico aumento di apparizioni di demoni e creature mostruose, a partire dal ventisei dicembre. Simon aveva detto che probabilmente oltre a quelli che sono presenti di norma, si erano aggiunti i servi della fantomatica Black Lady, la cui identità restava un mistero.  Beh, più o meno: sapevo che sospettavano si trattasse di una ragazza dell’associazione, ma siccome siamo in parecchi, la cosa non era di grande aiuto.
- Sono quasi le cinque – disse Giorgia – Se torniamo alla sede in tempo, forse potremmo aggregarci al tè pomeridiano di Ciel. Il suo maggiordomo è dannatamente utile all’ora della merenda! –
- E non solo a quella – aggiunsi, pensando a tutte le vignette in cui il demone aiutava il padroncino a lavarsi.
 
Quando rientrammo, raggiungemmo immediatamente il piccolo conte, che proprio in quel momento stava dicendo a Sebby di fargli chissà quale dolce a me sconosciuto, ma sicuramente ben gradito dal mio stomaco. Fermai l’uomo, che stava già andando in cucina.
- Siamo in tre, eh! – dissi, indicando me a Giorgia.
Lui sorrise e fece un inchino, prima di tornare al suo lavoro.
Mi buttai a capofitto sul divanetto, accanto al ragazzino, che era elegantemente seduto con le gambe accavallate. – Ehilà, cucciolo! – esclamai, abbracciandolo forte.
Lui strabuzzò gli occhi, e iniziò a tossire. – Io… non sono un cu… - annaspò, cercando di liberarsi dalla morsa letale. Lo lasciai andare, e lui si voltò respirando affannosamente e massaggiandosi il collo, il viso arrossato.
Oh, che tenero! Si vedeva proprio che non era ancora abituato  ai modi di fare dell’età contemporanea!
- Sappi che ora Lizzy non è più l’unica a poterti stritolare – lo avvertii, puntandogli il dito contro.
- Sì, sì, certo. Non potresti però riservare queste dimostrazioni d’affetto a quello shinigami volg… ehm, a quello shinigami pazzoide che ti piace tanto? –
Gli feci la linguaccia, fingendomi offesa. Poi notai una scatoletta color lilla spuntare da sotto uno dei cuscini di seta blu. Incuriosita, la indicai al ragazzino. – Cos’è quella? –
Lui seguì il mio sguardo fino all’oggettino, ma parve anche lui sorpreso di vederla. – Non ne ho idea. Non mi ero accorto ci fosse una cosa del genere nella mia stanza – disse, e la fece scivolare fuori.
Su un cartoncino di un viola appena più scuro, con una grafia corsiva molto graziosa, era scritto “Per Ciel-chan”. Vicino ad il nome era disegnato un cuoricino ed una faccina super deformed che faceva una l’occhiolino.
- Beh, aprilo! – lo incitai, chiedendomi chi potesse mai averglielo messo lì. Lui, invece, era diventato rosso come un peperone ed era visibilmente imbarazzato, ma non mi sembrava il tipo di imbarazzo di quando ricevi un regalo da qualcuno di gradito. Piuttosto quello che si prova quando qualcuno fa qualche scherzo molto scomodo.  Mi chiesi se non sapesse chi fosse il mittente.
Mentre sollevava il coperchio, lo vidi tremare e mordersi il labbro, e le guance ormai erano color melanzana. Mi sorse un dubbio. In effetti avevo già visto quella grafia in uno degli episodi, ma…
Quando aprì del tutto la scatole i miei dubbi furono confermati.
Ciel emise un mezzo gridolino d’orrore. Giorgia fece un’espressione sbigottita. Io trattenni una risata.
La scatola conteneva un foglietto ripiegato e… una calza a rete munita di giarrettiera.
- Quell’imbecille! – saltò su il conte, furioso. – Appena lo vedo gliela farò pagare! Questa è… questa è già la nona volta che mi fa uno dei suoi giochetti idioti! –
Fece per strappare il secondo biglietto, ma io glielo sottrassi e lo lessi ad alta voce. – Caro il mio piccolo Ciel-chan, quand’è che ti deciderai ad ammettere che ti piacciono eccome le cose che ti mando? Io ti aspetto sempre! –
- Ma guarda, piccolo, hai un’ammiratrice! – rise Giorgia, estraendo la calza. Io scossi la testa e le indicai la firma. La mia compagna si dovette tenere la pancia, ed iniziò a ridere e tossire ancora più forte, con le lacrime agli occhi.
Nell’angolo a destra del foglio, sotto ad un disegno raffigurante Ciel in calze a rete e corsetto, stava la firma “Alois Trancy”.
- Ora che ci penso, in effetti possono essere trasportati nel nostro mondo anche i personaggi anime only. Anche lui è qui, eh? Non l’ho ancora incontrato! – commentai, ammirando l’illustrazione, non molto differente da quelle che effettivamente a volte fa l’autrice stessa.
- Lo detesto! – ringhiò Ciel, strappandomi di mano la lettera – Da quando è qui non fa che mettere nella mia stanza questi indumenti da prostituta! Ma per chi mi ha preso? –
- Beh, d’altronde per investigare su Jack the Ripper, non ti sei vestito da ragazza? –
- Q… - arrossì di nuovo – Quella era stata un’idea di mia zia! –
Il piccolo ebbe la fortuna che proprio in quel momento Sebastian ritornò, portando un vassoio d’argento su cui stavano in equilibrio un servizio da tè in porcellana, una zuccheriera e diversi tipi di dolci. Quell’uomo metteva a dura prova i miei tentativi di dimagrire per poter entrare nei pantaloni di velluto di mia mamma!
- Signorino, ladies… - disse, posandolo davanti a noi.
La sua espressione, però mutò quando una voce squillante gridò il suo nome. Fece la sua entrata una ragazza con una zazzera di capelli blu e un capello alla marinara. Sara, naturalmente. L’Astral più rumorosa dell’intera associazione.
- Sebby! – strillò, agguantandogli il braccio – Non mi hai ancora detto cosa ne pensi della mia ipotesi su chi sia nato prima tra l’uovo e la gallina! Ne, ne! –
Il maggiordomo aveva l’aria distrutta ed esasperata, e ci lanciò uno sguardo implorante, che io ignorai bellamente. Fu alquanto divertente vederlo venire trascinato via dall’implacabile ragazza.
- Mi chiedevo… - mormorò Ciel – Se davvero quella Black Lady fosse un’Astral dell’associazione –
Giorgia abbassò lo sguardo, cupa. Io sospirai, e alzai le spalle.
Certo, i dirigenti pensavano che fosse così, ma d’altronde, chi poteva saperlo?
- Se lei fosse tra di voi, però… potrebbe avere qualche tirapiedi. Qualcuno di più debole di lei, che cerca di raccogliere le briciole, pensando che lei possa eliminarci –
Era passato al “noi”, invece che “voi”, notai, intenerita. Per quanto volesse assumere un atteggiamento superiore e distaccato, finiva sempre per attaccarsi a chi dimostrava affetto nei suoi confronti. Piccolo bugiardo!
Mi alzai, e stirai le braccia. – Scusate tanto, ma ora ho da fare. Devo vedere una persona –
- Capelli rossi e occhi verdi? – domandò Giorgia, fingendo di tirare a casaccio.
- Chissà… - risposi, strizzandole l’occhio.
I corridoi erano in gran fermento. A causa dell’aumento dei mostri, anche il nostro lavoro era aumentato, e quindi, in quanto dimensioni inversamente proporzionali, il nostro tempo era diminuito, quindi tutti erano di fretta. Non che la cosa aiutasse molto: non erano quei dieci minuti risparmiati a fare la gran differenza, ma l’importante è che ne fossero convinti, in fondo.
 
Come precedentemente accordato con lo shinigami scarlatto, mi diressi fischiettando nella biblioteca, che a differenza di molte delle strutture presenti nell’associazione, aveva uno scopo che non era esclusivamente di svago o estetica. A contrasto con il resto dell’edificio, era arredata in stile antico, invece che ultra moderno; con scaffali, tavoli e sedie in legno scuro non meglio identificato, e poltrone e divani foderati in velluto bordeaux.
Grell era seduto con grazia, per l’appunto, su uno dei divanetti, con le gambe accavallate in maniera decisamente femminile, ma che ciononostante non sciupava affatto l’immagine del “bishonen da manga”. I capelli erano sparsi sul tessuto di quel colore cupo come miliardi e miliardi di fili di seta intrisi di sangue. Aveva le palpebre semi abbassate, e le ciglia quasi gli toccavano gli zigomi.
Era assorto nella lettura di un libro che dal punto dove mi trovavo non riuscivo a riconoscere, e le labbra erano semi dischiuse mente mormorava a voce bassissima le parole che leggeva.
Ci mancava solo un raggio di luce passante da un’ampia finestra dotata di tenda svolazzante a colpirlo, e avrebbe incarnato in tutto e per tutto la perfetta immagine del giovane affascinante da quadro.
Mi schiarii la voce, quasi dispiaciuta di sciupare quella visione sublime.
Lui sollevò lo sguardo, e mi rivolse un sorrisetto malizioso che lasciava intravedere i denti appuntiti.
- Cosa stai leggendo? – mi sedetti accanto a lui, sbirciando il libro che aveva in mano.
No, guardando meglio mi accorsi che non era un libro, ma l’edizione in formato grande di un manga (sempre di nostra produzione, visto che i manga con pagine più grandi del comune volumetto erano molto richiesti da noi, ma mai pubblicati dalle case editrici). La copertina era nera, ed il titolo era scritto in caratteri gotici.
- Sto leggendo di “noi” – ed indicò se stesso con il pollice. Ovviamente, per “noi” intendeva gli Esterni. – Una tua amica mi ha detto qual’ era l’opera, o come direste voi, il manga, da cui verremmo io, Sebas-chan e gli altri –
- Huh? Stai leggendo Kuroshitsuji? – in effetti, la copertina recava il titolo “Black Butler”, ma ero stata troppo pigra per sforzarmi di fare altro oltre che riconoscere il font.
Lui annuì, mostrandomi la pagina a cui era arrivato. Volume dodici, quarto capitolo identificai istantaneamente.
- La donna che ha fatto questi disegni, ho notato… - mormorò corrugando le sopracciglia, sfogliando le pagine precedenti – Ha fatto diverse inquadrature sul mio sedere, vedi? –
La sua espressione di sgomento sarebbe stata da fotografare!
Dovetti convenire che più volte madame Toboso aveva messo vignette dove si vedevano quasi in primo piano cosce e curve posteriori di diversi personaggi maschili, specie quelli dalle notevoli doti estetiche. Ce n’era una su Sebastian, un’altra di Ronald, e ben due con Grell, delle quali la prima era esattamente centrale, in un’illustrazione a pagina intera che lo raffigurava mentre atterrava dopo un salto, visto da dietro e con la schiena piegata in avanti, a mettere ancora più in risalto la parte dal bacino in giù.
Ricordai di aver apprezzato molto quell’inquadratura, quando avevo letto il suddetto volume la prima volta.
- Beh, quando l’ha disegnato, Yana Toboso non pensava certo che sareste divenuti reali e che avreste potuto imbarazzarvi, ti pare? –
- Si, però… tutti ora l’hanno vista… - non avrei mai pensato che lui, che non faceva altro che mettersi in mostra con i vestiti più assurdi, avrebbe potuto imbarazzarsi per una cosa del genere!
- Su, su… - provai a tranquillizzarlo, dandogli dei colpetti sulla spalla – A parte qualche povera idiota con pessimi gusti, abbiamo quasi tutti convenuto che quelle vignette fossero molto belle. Ehm… le ragazze di adesso non sono pudiche come nell’epoca da cui venite, come sai bene –
- Una pagina intera, in primo piano! – sbuffò – Senza che ne sapessi nulla! –
- Guarda il lato positivo: il fatto che abbia fatto un primo piano così, significa che l’autrice ti ha ideato come personaggio con un bel fisico –
Non bastò a calmarlo, purtroppo, mise il broncio, appoggiando il mento sulle mani chiuse a pugno. Sospirai, e gli misi un bracco attorno alle spalle, indugiando con le dita tra i suoi capelli. Poi mi venne un’idea.
Assunsi il mio sorrisetto furbesco, e mi chinai per avvicinarmi al suo viso. – Ehi, Grell – sussurrai, iniziando ad intrecciare una ciocca scarlatta con la mano.
Lui girò gli occhi verso di me, ancora con quella buffa espressione infantile di disappunto.
- Vuoi sapere cos’ho pensato quando ho visto quelle due inquadrature la prima volta? – dissi, ancora più piano. Lasciando scivolare la mano sulla sua spalla, e lungo il braccio. Lui annuì impercettibilmente, non riuscendo a trattenere la sua natura curiosa. Aveva già gli occhi spalancati ed il respiro più rapido rispetto a prima.
Serrai piano le dita attorno alla sua vita, e percepii chiaramente il suo tremore. Sempre il solito! Bastava veramente poco per ottenere reazioni di quel genere da parte sua. Ora avevo posato la mano sul suo fianco, e con l’altra gli afferrai il mento.
- Ho pensato che sarebbe stato un sacrilegio non farci nemmeno una vignetta – sibilai, ad un soffio dalle sue labbra.
Il rossore sulle sue guance, il suo fiato corto e il suo battito accelerato erano inequivocabili e impossibili da non notare. I suoi occhi si erano fatti liquidi. Quando la accarezzai con un dito, lui dischiuse la bocca di mezzo centimetro.
Quella era la mia volta buona, pensai. Se non l’avessi baciato in quel momento, chissà quando ne avrei avuto nuovamente l’occasione.
Avevo già spostato la mano dietro alla sua nuca, ed ero a pochi millimetri dalle sue labbra, quando qualcuno sbatte violentemente la porta, ansimando rumorosamente.
- Sofia-san! –
 Ma porca miseria!
Perché ogni volta che ero sul punto di baciarlo venivamo interrotti da qualcuno? Improvvisamente, l’idea di uccidere i disturbatori a coltellate, stile Jack the Ripper, non suonava poi così male.
Checchessia, la rompiscatole era Lulu, la bambolina dagli occhioni azzurri e le treccine. Aveva il fiatone, e si appoggiava di peso alla grande porta. Mi ero quasi dimenticata della sua esistenza, forse perché era una persona che si notava poco e che raramente si faceva avanti a dire la sua.
- Cosa c’è, Lulu? – cercando di tenere a freno i miei istinti omicidi, lascia la presa sul viso di Grell, che sembrava condividere i miei sentimenti nei confronti della ragazzina, e mi alzai.
Lei mi rivolse uno sguardo agitato. – C’è un’infestazione di demoni nell’impianto idraulico! Hanno rotto le tubature, e i bagni si stanno allagando! -
Aggrottai le sopracciglia. – Scusami, ti raggiungo dopo. Tu resta qui con Lulu, okay? – dissi a Grell, prima di correre fuori a tutta velocità.
 
Sì, c’era un’infestazione. E pure l’allagamento.
Quando giunsi nei bagni, non mi ci volle molto a farmi un quadro della situazione. Ci saranno stati circa una cinquantina di Astral, tutti con indosso le proprie armature, che facevano del proprio meglio per fermare l’avanzata dei demonietti che fuoriuscivano da un buco nel muro. La parete rivestita di piastrelle bianche era stata sfondata, e il tubo dell’acqua era anch’esso rotto. Da questo uscivano a fiotti bestioline nere, rotondeggianti, con ali troppo piccole per permettere loro di volare che spuntavano dalle loro schiene, agitandosi convulsamente. Avevano pelle di un colore nero grigiastro, raggrinzita e cadente, occhi bulbosi che variavano dal verde acido al giallo ocra, bocce incredibilmente grandi per le loro dimensioni ed irte di denti seghettati e spesso scheggiati. Si scavalcavano a vicenda, mordendo e graffiando con gli artigli delle loro manine scheletriche.
Le mie dita corsero subito al bracciale. Una volta formata l’armatura, mi feci largo nella mischia per avvicinarmi al foro sul muro. I mostriciattoli erano aiutati nell’uscita dall’acqua che sgorgava violentemente, e che aveva già raggiunto di tre centimetri d’altezza dal pavimento.
Schiacciai con lo stivale un demone, ed un agghiacciante rumore di ossicini spezzati mi fece storcere il naso. Dio, che schifo! Sembrava lo stesso rumore che faceva il mio cane mangiando il pollo!
- Sofia-san, per fortuna sei qui! – esclamò Emily, la ragazzina italo inglese – Giorgia è introvabile, e la maggior parte dei veterani sono fuori! –
- Davvero? – borbottai, dando un calcio al volo ad un demonietto che si stava gettando a capofitto su di me. Bizzarra coincidenza che un incidente del genere capitasse proprio quando i veterani erano fuori sede. E Giorgia, dove si era cacciata?! Fino a poco prima ero con lei!
Lanciai uno sguardo ai miei compagni, che tentavano di impedire ai mostriciattoli di uscire dalla stanza. La cosa migliore sarebbe stata bloccare loro il passaggio, e poi sterminare quelli già entrati. Se solo non fossero stati tutti così impegnati a non farsi sbranare, naturalmente.
Feci una corsa verso il buco sul muro, pensando a come chiudere quella voragine. Il getto d’acqua che usciva dalle tubature m’investì in pieno, assieme ad altri demonietti che schivai per un pelo. Dovevo avvicinarmi di più, andarci proprio sotto.
Diversa acqua mi andò di traverso, mentre mi alzavo in punta dei piedi per raggiungere l’altezza del foro. Una creaturina mi azzannò il braccio. Lo afferrai con forza, spaccandogli il cranio con la mano. La cosa mi diede una sorta di soddisfazione, come quando si rompono le uova.
- Laevatain – annaspai, tra un fiotto d’acqua e l’altro.
Sempre in punta dei piedi, afferrai la falce con entrambe le mani, e la infilai nella cavità, infilzando un paio di demoni in uscita in quel momento. – Devil Hunter Blast – mormorai a denti stretti.
Sperai che la formula inventata al momento funzionasse.
E funzionò. Invece del solito taglio a lungo raggio, ottenni una specie di esplosione che si propagò lungo le tubature, solo che invece che essere arancione, come sarebbero in effetti le esplosioni, era iridescente, dello stesso colore della lama di Laevatain.
Il muro non è rotto
Diventava sempre più facile utilizzare le capacità Astral. Mi bastò pensarlo con convinzione perché la parete fosse realmente tornata nel suo stato originario.
- Grazie, Sofia-san – sospirò un ragazzo.
- Figuratevi. Qui  ora ce le fate da soli? – domandai. Erano rimasti ancora i demonietti che erano già usciti dalle tubature, ma eliminato il problema dell’orda mordente in continuo arrivo, non avrebbero dovuto aver problemi ad ucciderli. Anzi, li avevano già sterminati quasi tutti.
- Nessun problema – confermò lui.
Annullai la “modalità armatura”. Dovevo tornare in biblioteca immediatamente! Questa volta l’avrei baciato eccome, il mio shinigami, e nessuno si sarebbe intromesso!
 
Ero talmente smaniosa nel riprendere da dove ero rimasta prima, che feci il tragitto dal bagno alla biblioteca quasi di corsa.
- … quella arrogante! Proprio non capisco! – la voce che giungeva dall’interno era quella di una ragazza.
Non seppi bene il perché, ma non volli fare irruzione. Preferii ascoltare cosa stesse dicendo senza farmi notare, per cui mi accostai alla parete, e tesi l’orecchio.
- Tu sragioni, ragazzina. Togliti dai piedi, altrimenti… - a risponderle era stata quella di Grell.
- Altrimenti cosa? Mi uccidi? Se tu lo facessi, allora finiresti assieme agli altri mostri, nelle celle d’isolamento. Loro non accettano soggetti pericolosi, e so che tu detesti essere confinato. Non faresti certo una cosa del genere per quella, no? – sentii una risata fredda.
- Ho ucciso per meno, anche se ora non è mia intenzione farlo –
Ma di che diavolo stavano parlando? Mi parve, più o meno, che la ragazza avesse insultato qualcuno, o qualcosa del genere, e che Grell se la fosse presa. O almeno, così mi sembrava.
- Tu sei sprecato, qui. Pensa a cosa saresti in grado di fare se potessi liberare le tue potenzialità! –
- Io non… -
Un tonfo. Un rantolo soffocato. E poi… un risucchio?!
Entrai di scatto nella stanza, aprendo la porta con un colpo secco, che a causa della poltrona imbottita che era lì accanto, non produsse tutto il rumore che sperai. Quando vidi cosa stava succedendo, sgranai gli occhi, incredula. Quella scena era troppo assurda.
Lulu. Era lei la ragazza che parlava. E in quel momento aveva un ginocchio tra le gambe di Grell, che teneva stretto per il bavero della camicia, baciandolo.
Appassionatamente.
Molto appassionatamente.
Lui se la staccò di dosso con forza, pulendosi la bocca con aria schifata. – Tu non… - quando mi vide spalancò le palpebre, e piantò le unghie sul tessuto della seduta.
Lulu non si scompose, e mi rivolse un’occhiata di sufficienza. – Oh, è arrivata la rompiscatole. Beh, non finisce così, tesoro – disse poi a Grell, con un sorrisetto sornione. Uscì con una risatina, dandomi un altro sguardo di sfida, quasi perfido.
Ero senza parole.
Il rosso fece per dire qualcosa, ma poi s’interruppe, e abbassò lo sguardo. Aveva ancora le labbra arrossate e umide per il bacio di Lulu. Cercai di convincermi che non avrebbe potuto evitarlo, ci provai davvero. Ma, in fondo, uno shinigami sarebbe stato in grado di liberarsi di lei prima ancora che gli si appiccicasse addosso. Desiderai ucciderla.
Alzò il viso di nuovo, e stavolta iniziò davvero a parlare. Io, però, ero già uscita dalla porta.
Mentre me ne andavo, mi parve di sentire un singhiozzo soffocato.
Ficcai con rabbia la mano in tasca, e iniziai a digitare il numero desiderato sui tasti del telefonino. Mai come in quel momento trovai utile un cellulare. Mentre aspettavo che la persona richiesta rispondesse, mi balenò di nuovo in mente l’immagine di quella mocciosa che quasi mangiava la faccia al mio… deglutii, disgustata.
- Pronto? – disse la voce al telefono.
- Angelica! – quasi gridai, infuriata.
- Ehi, ehi, che ho fatto stavolta? – si allarmò la mia amica.
- Niente. Come mi libero di una stronzetta che mi vuole fregare il ragazzo? –
 
****
Cella di manicomio:
Vi prego, abbiate pietà!
Non ho intenzione di fare la classica scenetta da shojo in cui una tipa bacia quello che piace alla protagonista e lei s’ingelosisce, eccetera! Avrà una sua utilità nella storia, lo giuro! Avrà un senso! Lo giuro!
Altro capitolo di passaggio, comunque. Questa storia si sta dimostrando più difficile del previsto da sviluppare. Da questo capitolo in avanti, proverò a fare qualche modifica nelle dimensioni dei caratteri, per vedere come rende meglio. Ditemi quale preferite, eh! Oh, e ditemi anche se ci sono errori (ho controllato, ma non si sa mai), ripetizioni o frasi che avrebbero potuto essere scritte meglio! Qualsiasi cosa la accetto! Grazie ancora a tutte!
Sofyflora98 <3

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Capitolo 9
*** Atto 09, mio ***


Angelica aveva chiuso gli occhi, e si dondolava sulla sedia ritmicamente. Dopo averle telefonato, ci eravamo accordate di incontrarci nella pasticceria che era a dieci minuti a piedi dalla scuola. Più che una vera   propria pasticceria, sembrava una delle sale da tè inglesi. Avevamo preso posto ad uno dei tavolini in legno chiaro, dove le raccontai tutto a voce bassissima, nonostante non ci fosse ragione per tutta quella segretezza.
- Mi sapresti descrivere meglio questa… Lulu? – arricciò il naso mentre pronunciava il suo nome. – Scusa, ma ancora non capisco come possa sua madre averle dato un nome così zuccheroso. Mi ricorda una coniglietta di un libro per bambini –
Una delle cameriere si avvicinò al tavolo, posando una teiera piena di acqua bollente, due tazze, lattiera e zuccheriera sul centrino di merletto bianco che copriva il legno. La ringraziammo con un sorriso, che lei ricambiò, prima di tornare al banco dei dolci.
- Lulu è bassa, mingherlina. Sembra una ragazzina delle medie, e ha uno sguardo molto serio, di solito. Apparentemente sembra timida, tentennante e dolce. Ha i capelli castano chiaro, sempre raccolti in due trecce ai lati della testa. Occhi azzurri molto grandi e sguardo candido. Una specie di bambola di porcellana vivente –
- Mentre in realtà è… -
- Una schifosa imbrogliona e approfittatrice. Avessi visto che espressione aveva, dopo aver praticamente mangiato la faccia del mio ragazzo! Come se mi stesse sfidando a dirle qualcosa! – mi accorsi di aver alzato un po’ troppo i toni, e mi guardai attorno per assicurarmi di non aver attirato l’attenzione di nessuno. A parte un ragazzo seduto non molto lontano con alcuni amici, nessuno mi fissava.
Per calmarmi versai il tè nelle tazze. Era Earl Grey, il mio preferito in assoluto. Tempo fa veniva bevuto solo dalle classi più agiate della società, e venne esportato in Italia solo dopo la seconda guerra mondiale. È un tè al bergamotto, molto profumato, nel quale a differenza della tipologia più diffusa in Gran Bretagna, l’English Breakfast, non si versa il latte, che ne rovinerebbe l’aroma. L’Earl Grey ha questo nome perché nell’epoca vittoriana era il preferito del Conte Grey, per l’appunto.*
- Del tuo ragazzo? – Angelica mise due zollette nella tazza, ed un cucchiaino di miele – Ma voi non state insieme, o sbaglio? –
- Non ti sbagli – confermai, e impilai cinque zollette in cima al cucchiaino – Dico che è il mio ragazzo nel senso che è una mia proprietà. Lui mi appartiene –
La torre di zucchero crollò, e misi tutti i cinque cubetti bianchi nel tè. Iniziai a mescolare rapidamente. Sì, era mio. Una mia proprietà. Mio, e mio soltanto. Nessuno aveva il diritto di prenderselo, non altri Astral, né tantomeno gli Esterni, che non facevano altro che prendersi gioco di lui, se non insultarlo, da quando era apparso nella storia. E il fatto che ora fossero reali rendeva le loro azioni ancora peggiori, dal mio punto di vista, nonostante fossero state scritte da una semplice fumettista.
- Ma se lui non era interessato a lei, non vedo dove sta il problema. Non ha speranze, la mocciosa, no? –
No, infatti. Non era quello il problema.
- So bene che lui non guarderebbe mai una smorfiosa del genere – portai la tazza alle labbra, e bevvi un piccolo sorso – Ma voglio allontanarla. Farle capire che ha allungato troppo il braccio –
Sbattei la tazza sul piattino, forse più di quanto non avessi desiderato. – Nessuno tocca ciò che mi appartiene. Dovresti saperlo, ormai –
Angelica si ritrasse di qualche centimetro, involontariamente. Era intimorita. – Sì, lo so –
Conosceva fin troppo bene la mia possessività nei confronti delle persone e ciò che ero disposta a fare in proposito per non intimorirsi. E aveva ragione di farlo.
 
 
 
 
- Come mai ti nascondi? – il viso di una bambina dai capelli biondi fece capolino sotto all’arbusto dove mi ero nascosta. Mi osservava con occhi sgranati, puramente incuriosita. Aveva circa cinque anni, la mia stessa età. – Perché non giochi con gli altri? –
- Gli altri non mi vogliono. Dicono… - tirai su col naso, asciugandomi le narici sulla manica del grembiule a quadretti rosa e bianchi. – Dicono che sono strana. Dicono che parlo da sola! – scoppiai a piangere, coprendomi il viso.
- Potresti far finta di parlare con me. Se mentre giochiamo hai voglia di parlare da sola, fallo guardandomi, no? – mi rivolse un sorriso smagliante, che di sicuro le avrebbe fatto venire un crampo alle mascelle.
- Che cosa ti piace? – domandò allora l’altra bambina. Borbottai qualcosa riguardo le fate.
- Allora giochiamo a fare le fate! Comunque il mio nome è Angelica. Tu come ti chiami? –
- Sofia –
 
 
Ora di ginnastica. La maestra, a corto di idee, aveva deciso di farci fare il salto della corda a coppie, e ci aveva lasciati liberi di scegliere liberamente il nostro compagno. Io mi aggrappai istintivamente al braccio di Angelica, la mia migliore amica. E l’unica, anche. Biondissima, carinissima e vivacissima, piaceva un sacco alle altre ragazzine, e tutte volevano chiacchierare e giocare con lei. Ma lei non voleva nessuna di loro.
- Sempre insieme voi due? – disse imbronciata una bambina dai riccioli castani, vedendoci vicina.
- Certo! – affermò Angelica – Io e Sofia ci sposeremo! Vero, Sofia? –
- Ah… sì, ci sposeremo! – confermai, colta alla sprovvista.
Saltavamo. La nostra coordinazione era perfetta, come il tempo di salto. Toccavamo terra e sollevavamo i piedi nello stesso momento. Giravamo la fune alla stessa velocità, la alzavamo contemporaneamente.
Eravamo alte uguali, con pesi uguali e soli dieci giorni di differenza d’età. Personalità opposte, visi neanche minimamente somiglianti e attitudini che non potevano essere più differenti. Compatibilità totale.
Come io eccellevo nella composizione di temi, nello studio dell’inglese e nel disegno, lei invece era più dotata nelle discipline sportive.
Era estroversa, come un raggio di sole, e rideva, rideva, rideva sempre. Poteva accogliere chiunque. Bionda, con occhi castani e pelle ambrata. Teneva i capelli con la riga in parte, erano voluminosi e i boccoli morbidi  si adagiavano sulle sue spalle con grazia.
Io era l’estremo opposto. Chiusa più del guscio di un uovo, dalla lacrima facile, difficilissima da avvicinare e quasi sempre posata. Pallida, con occhi verdi e labbra rosse abbastanza carnose. Capelli lisci e frangetta.
- Come fa Angelica a stare con quella? –
- Già, già! Lei è così carina, e invece sta sempre appiccicata alla stramba! –
- Ma lo sapete che Sofia ha degli amici immaginari? Una volta l’ho vista mormorare tra se e se, e muovere gli occhi e le mani come se avesse qualcuno di fronte! –
- Beh, è figlia unica, no? Probabilmente si sarà sentita sola, e si è inventata degli amici immaginari per credere di parlare con qualcuno –
- No, non è il tipo da sentirsi sola. So che ha un buon rapporto con i suoi genitori, e parla sempre con loro. Secondo me è pazza di suo –
- O forse sono pazzi i suoi, e l’hanno contagiata! In effetti la sua famiglia è bizzarra! Ma lo sapete che non hanno neanche la televisione? Ha ha ha! –
 
- Oggi stavano di nuovo parlando di me – dissi, entrando in camera. Lasciai scivolare lo sguardo sul letto. Accuratamente adagiati sul cuscino c’erano una serie di peluches raffiguranti vari animali. La cassapanca invece, dava mostra di diverse bambole di pezza di svariate forme e dimensioni. La libreria aveva sedute in cima una decina di Barbie dalle articolazioni snodate. Principesse, fate, sirene e via discorrendo. La cassettiera era coperta di bambole di porcellana vestite in stile vittoriano. Al soffitto erano appesi dei modellini in legno e tessuto di gabbiani, aquile e altri uccelli.
E poi una pila di quaderni e riviste. Disegni, fumetti, cartoni, stampe, posters. – Dicevano che sono pazza. Di nuovo. Ma io non sono pazza. Sono loro ad esserlo. In fondo… -
Contemplai l’immagine attaccata all’armadio di una ragazza con ali scintillanti e un vestito pieno di merletti e nastri. – In fondo loro non si vogliono bene davvero. Loro dipendono totalmente da quella televisione, e ascoltano tutte le sciocchezze che dicono. Sono superficiali –
Appoggiai le mani su quelle bidimensionali della fata. – Hanno detto che non si può amare qualcosa che non esiste. Ma non hanno ragione, vero? –
 
Il nuovo arrivato nella classe era per metà inglese e per metà italiano. Il suo nome era Kevin. Era persino più pallido di me, con un viso ovale e le guance spruzzate di lentiggini. Ci aveva guardati tranquillamente al suo ingresso in aula, anzi, quasi con contentezza. E io avevo fissato lui. Sembrava un folletto: riccioli color miele, occhi verde chiaro. E ciglia lunghissime. E labbra scarlatte. Sembrava un po’ una ragazza.
Era veramente carino.
Non pensavo che potesse mai decidere di parlare proprio con me, ma invece così fece.
- Ciao. Tu non parli con gli altri? – io sollevai lo sguardo dal libro che stavo leggendo. – No, la confusione non mi piace. E neanche la gente. La mia unica amica in carne ed ossa oggi è assente, quindi comunico con i miei altri amici. Quelli non in carne ed ossa. Quando lo faccio non amo essere disturbata: loro rischiano di scivolare via dalla mia mente –
Lui non si diede per vinto, e sbirciò la copertina del libro. Quando riuscì a vederla, i suoi occhi chiarissimi s’illuminarono. – Harry Potter? Anche a me piace! –
Cinque punti simpatia. Tentativo di attirare la mia attenzione andato parzialmente a segno.
- A me non piace! – rettificai, troppo orgogliosa per cedere così ad un tentativo di avvicinamento – Io lo adoro. Capito? Questa è la quinta volta che rileggo la serie, in attesa dell’uscita del quinto libro. Un semplice “mi piace” non può guadagnarti la mia amicizia. Sforzati di più. Ma ti avverto: sarebbero fatiche sprecate. Quasi nessuno riesce a diventare mio amico. E d’altronde, nessuno vuole esserlo –
Lui fece un’espressione perplessa. – E come mai? Sei chiaramente una persona intelligente. E sei carina –
Io sbuffai. – Perché sono la pazza della classe, chiaro? Io parlo da sol.! Ho una considerazione maggiore di questo blocco di carta che di tutti gli altri ragazzini messi insieme! Nessuno riesce a sopportarmi –
- Ah no? – lui sorrise, ed indicò il tomo. – Io li ho letti sette volte –
 
 
Angelica si cacciò in bocca un brownie tutto intero, che mandò giù con una lunga sorsata di tè.
- Non capisco, però, perché tu te la prenda tanto. Voglio dire…               quella ormai avrà smesso. Nessuna ragazza sarebbe così stupida da continuare a provarci con uno, quando è già stata respinta in quella maniera. Non credi di essere troppo possessiva? –
Mi lanciò un’occhiata eloquente. – Le persone a cui stai troppo col fiato sul collo potrebbero sentirsi soffocare, ed è possibile che ad un certo punto si vogliano staccare, non ti pare? –
- Non ci sarebbe bisogno di stare col fiato sul collo a nessuno, se quelle persone non avessero fatto altro che tentare di abbandonarti già di loro. E se non ci fossero altri ancora che vogliono portartele via –
Era chiaro che la conversazione era conclusa, come l’incontro. Pagai la mia parte del conto e me ne tornai a casa.
Quel pomeriggio non mi misi neanche a studiare. Proprio non riuscivo a concentrarmi.
Me ne stetti sul letto ad accarezzare il mio gatto nero, guardare vecchi disegni, rileggere pagine degli svariati diari che avevo scritto.
Il giorno dopo, avrei tolto quel sorrisetto strafottente dalla faccia di Lulu, una volta per tutte. Così carina, così tenera aveva voluto apparire, e poi invece… pensai che non avrei mai potuto aspettarmelo. Non da una ragazzina che sembrava una bambola di porcellana vivente.
Cosa aveva detto poi, quella?
“Tu sei sprecato, qui. Pensa a cosa saresti in grado di fare se potessi liberare le tue potenzialità!”
Smisi di colpo di accarezzare il piccolo Yoru, che emise un miagolio contrariato.
Ero talmente scioccata dall’averla vista incollata al mio shinigami, che non avevo fatto molto caso a cosa stesse dicendo. Quella frase… che senso aveva? Non aveva nulla a che fare con questioni amorose o antipatie nei miei confronti! Come mai aveva detto una cosa del genere?
Tu sei sprecato, qui.
Per qui, si riferiva all’Associazione dell’Astral Project, indubbiamente! Era l’unico “qui” che potesse valere sia per lei che per lui. Liberare le sue potenzialità significava forse…
- Scusami, micio. Ho da fare, ti coccolerò più tardi! – esclamai rivolta al gattino, che posai sul cuscino del mio letto. Presi la borsa e corsi giù dalle scale, urlando a mia mamma, che era in bagno a dividere la biancheria, che uscivo.
 
 
- Senti, Sofia, lo so che siamo amiche da molto, ma tutta questa storia comincia ad essere un po’ seccante! – ormai era giunto il secondo anno delle scuole medie. Angelica stava in piedi di fronte a me; eravamo in un angolo del cortile. Le lezioni erano terminate da poco, e lei mi aveva trattenuta, dicendo che voleva parlarmi.
- Io davvero non riesco a capire quale sia il problema, Angelica! Studiamo insieme, abbiamo sempre tante cose da dirci, ci aiutiamo a vicenda, e frequentiamo gli stessi posti! Siamo sempre andate perfettamente d’accordo! – esclamai, mettendo le mani sui fianchi. Non avevo idea di cosa fosse saltato in testa alla mia migliore amica.
Lei sospirò, e si scostò un ciuffo di capelli biondo oro dalle fronte.- È proprio questo il problema, Sofia. Quando sono con te non posso frequentare nessun altro. Tu non sopporti quasi nessuno, preferisci startene chiusa in casa a leggere, studiare e disegnare piuttosto che andare in giro o fare shopping, come le persone normali. Sei chiusa nei confronti di tutti gli altri, e li rifiuti categoricamente. E ci vado di mezzo anch’io. Non posso uscire con nessun altro, senza essere vista come “l’amica sfigata della stramba”, e non fingere di non sapere che è questo che gli altri pensano di te –
- E quindi? Cosa vorresti dire, eh? – sbottai, e strinsi i pugni così forte a conficcarmi le unghie nella carne.
- Che hanno ragione. Non posso starmene sempre relegata con una persona soltanto. Si comincia persino a dire che siamo una coppia! Ti vedo quando borbotti tra te e te, ed è inquietante! Sì, loè, anche sapendo che stai solo inventando delle storie, o che è quello che vorresti dire alla gente ma non puoi! Quando eravamo bambine era un conto, ma ora è diverso. Come pensi ci si senta a stare vicino ad qualcuno che parlotta a bassa voce con lo sguardo perso nel vuoto? Come pensi che sia camminare a fianco a qualcuno che guarda sempre per terra, invece che davanti a sé?
Io voglio andare in giro, divertirmi, essere con persone normali, che facciano cose normali, come guardare telenovele, parlare di ragazzi e divertirsi! –
Il pugno che le assestai in viso la fece cadere a terra violentemente. Vidi distintamente la sua espressione sbalordita. Non pensava che avrei mai osato colpita. Segno che anche dopo tutti quegli anni non mi conosceva davvero.
- Bene – dissi. Il turbamento era sparito. Anche il dispiacere di perdere la mia amica. – Fai quello che ti pare. Non m’importa. Vai pure con quelle oche smorfiose. Diventa come loro. Se è questo che pensi, tu non vali il mio affetto. Non ti azzardare a rivolgermi la parola, stupida ragazza –
E me ne andai, lasciando dietro di me non solo la biondina con un segno rossastro sulla guancia, ma anche qualsiasi amicizia che avessi mai potuto nutrire nei suoi confronti. Ormai se la erano presa quelle idiote dalla testa vuota. E pensare che fino al giorno prima lei era…
Mia.
 
- Mi dispiace, davvero – sussurrava Kevin vicino al mio orecchio, avvolgendomi le spalle con le braccia. Mi nascosi il viso pieno di lacrime tra le mani, cercando di soffocare i singhiozzi. Senza grandi risultati.
- Non vorrei neanch’io, ma mio padre dice che vuole tornare in Inghilterra, quindi ci trasferiamo a Chester. Ho detto che a me l’idea non piaceva, ma non ha voluto sentir ragione. Avrei di gran lunga preferito restare qui con te, Sofia –
Mi abbracciò più forte. Ora stava per piangere anche lui. aveva gli occhi rossi, e lucidi. – Però… - iniziò a dire, con la voce rotta – Non appena sarò adulto tornerò in Italia, te lo prometto. Verrò a trovarti. Dico sul serio –
- Eri l’unico amico che mi era rimasto – singhiozzai. – Se non tornerai, verrò io a prenderti, e ti picchierò a sangue. Quindi vedi di sbrigarti a diventare adulto! –
- Farò del mio meglio – mi prese delicatamente i polsi per potermi guardare negli occhi. Quando riuscì ad incrociare il mio sguardo, abbozzò un sorriso triste.
- Allora, arrivederci – sussurrò, e mi diede un bacio leggero sulle labbra.
 
 
Erano passati due anni da quando l’unico amico che avevo se ne era andato. Due anni in cui nessuna persona era più riuscita ad avvicinarmisi, due anni in cui avevo tagliato fuori ogni altro. Due anni in cui persi ogni fiducia in quei ragazzi coetanei che mi circondavano, e durante i quale avevo vissuto perlopiù nel mondo che esisteva nella mia testa.
La gente mi annoiava. La realtà mi annoiava. Molto meglio evitare qualsiasi relazione fastidiosa, e dare i miei sentimenti a persone ideali immaginarie. Persone esistenti solo al livello grafico, e che in quanto tali non avrebbero mai potuto abbandonare né ferire alcuno. Creature che sentivo molto più vicine di qualsiasi individuo avessi mai incontrato.
Sentivo chiaramente che il mondo esterno non era quello in cui avrei dovuto vivere. Mi sarei sentita nella mia immagine solo se avessi potuto immergermi totalmente in quegli universi magnifici e perfetti. Non volevo un mondo dove le persone si attaccavano solo a chi fosse più conforme alla massa o più conveniente come amico, ma neppure in un paese delle meraviglie tutto zucchero e fiori. Nemmeno quest’ultimo era “perfetto”, nei miei criteri.
Tra pagine e pagine  di ragazze magiche, bambole viventi e demoni, giunse l’inizio delle scuole superiori. Avevo senza esitazione optato per il liceo artistico. Se non potevo vivere nei mondi che amavo, allora li avrei disegnati io stessa, diventando fumettista. E nessuna scuola poteva essere migliore per raffinare le tecniche grafiche di un liceo artistico. Per l’età che avevo, naturalmente.
Mi sedetti in prima fila, all’angolo, dal lato della porta. Sperai con tutto il cuore che a sedersi vicino a me non fosse ne qualche cretina super truccata né qualche ragazzo rumoroso ed irritante.
Per i primi minuti la sedia rimase libera: molti degli altri venivano dagli stessi paesi, e si conoscevano l’un l’altro, a gruppetti di tre o quattro. In tutto la classe era di ventotto persone.
Alla fine una ragazza prese posto accanto a me.
Le diedi un’occhiata rapida, senza voltare la testa. Aveva pelle abbronzata, capelli scurissimi e lunghi, occhi quasi neri. Era vestita un po’ da maschiaccio, con jeans consumati sulle cuciture, una felpa larga che le arrivava quasi a metà coscia, e scarpe da ginnastica lasciate larghe.
- Ciao! – mi salutò allegramente. Sembrava entusiasta di essere lì.
- Ehi, sorellina, non costringermi sempre a starti vicina! – si lamentò una seconda ragazza. Era quasi identica alla prima, solo un po’ più pallida.
- Non ci posso far niente se non sei veloce a trovarti un posto a sedere, tesoruccio! – replicò la mia vicina di banco. La sorella, evidentemente gemella, si sdette vicino a lei, sbuffando un po’.
- Come ti chiami? – si rivolgeva di nuovo a me.
- Sofia – mormorai a voce bassa, girandomi di qualche centimetro.
- Piacere! Il mio nome è Angelica, e questa è mia sorella Beatrice –
Angelica.
Da sotto i suoi libri fece capolino un libricino bianco con due figure colorate al centro. Catturò la mia attenzione. –Quello cos’è? – chiesi, incuriosita.
- Ah, quello… - lei arrossì. La sorella, ridendo, lo estrasse, ed evitando le braccia della gemella, me lo lanciò. – Questa è la roba che si legge la mia sorellina Angelica! – la prese in giro.
Ma io non risi affatto. Era un manga.
Frugai nella cartella, e tirai fuori anch’io un volumetto. – Li leggo, ma non sono una fanatica… - cercava intanto di difendersi Angelica.
Le sorrisi, mostrandole anch’io il mio “tesoro”. – Peccato. Perché ne hai una davanti –
 
 
 
Quando giunsi trafelata all’Associazione, ormai la maggior parte degli Astral se ne erano andati.
Chiesi a Simon se Lulu era ancora lì o se come gli altri era tornata a casa, e mi rispose che no, si trovava ancora nell’edificio, ma che non aveva idea dell’area in cui fosse. Decisi di andare nell’ultimo posto dove l’avevo vista, ovvero la biblioteca, nonostante fosse passato già un bel pezzo da quando me ne ero andata, e comunque lei stessa era uscita di lì prima di me.
Come pensavo, non la trovai lì. Invece c’erano alcune ragazze con cui avevo combattuto qualche battaglia, intente a sfogliare una guida sulle arti marziali orientali per principianti. Le salutai.
- Ah, credevo fossi andata via! – disse una di loro. Le spiegai che sì, me ne ero andata, ma dovevo assolutamente discutere una questione con Lulu, e che ero tornata appunto per quello. – Se cerchi Lulu, credo di averla vista scendere ai piani sotterranei con una senpai. La senpai era piuttosto contrariata, a guardarla… -
La ringraziai, ed uscii dalla stanza. Imboccai le scale più vicine ed inizia la discesa, più rapidamente che potei. Man mano che scendevo il cicaleccio e lo scalpiccio proveniente da di sopra si faceva sempre più distante, finché non ci fu un silenzio quasi assoluto, rotto solamente dal rumore delle mie scarpe sul marmo dei gradini. Riecheggiavano.
Faceva una certa impressione vedere quelle sale, solitamente gremite di persone, così vuote. In alcune le luci erano già spente. Cercai la ragazzina in tutte le stanze e aree che man mano raggiungevo, ma di lei neanche l’ombra.
Giunsi alla conclusione che l’unica area ancora non controllata era l’acquario. O meglio, il gigantesco ed inutile acquario di cui tanto si vantavano gli addetti all’architettura del palazzo, ma di cui non si capiva l’utilità, essendo questo posto principalmente la sede di un piccolo esercito di cacciatori di mostri.
Sta di fatto che rimaneva l’unico luogo dei piani sotterranei che non avevo ancora controllato, anche se c’era la possibilità che lei si stesse spostando ed io semplicemente non l’avessi mai incrociata, considerate le dimensioni del luogo.
L’area dell’acquario non aveva mai un’illuminazione completa. Tutto era avvolto in un alone azzurrino, che creava un’atmosfera misteriosa e un po’ magica. E anche romantica, a dirla tutta. Ripensandoci, poteva essere pure il luogo perfetto per un omicidio fatto con stile.
Girai un po’ senza risultato tra le interminabili e colossali vasche, alte più di tre metri, finché non riuscii a sentire dei passi. Dal rumore sembravano due persone.
- Sei una completa idiota, Lulu – disse una voce vellutata. Qualcosa in quella voce mi gelò il sangue nelle vene. Era una voce morbida e sensuale, ma allo stesso tempo velenosa e con una nota crudele.
- Chiedo umilmente perdono, my lady – mormorò Lulu, con la sua vocina sottile – Non succederà mai più, lo prometto –
- prometti? Non me ne faccio nulla. Il guaio l’hai già fatto! Metterti a parlare in quel modo, senza la sicurezza che nessuno stesse ascoltando… spera che White Maiden non abbia sentito più del dovuto, razza di incompetente! – ora colei che interloquiva con la più piccola aveva alzato la voce. Era arrabbiata. Anzi, no. Era irritata, e provava un lieve ribrezzo.
White Maiden. L’avevo già sentito.
I passi si fermarono non troppo distante da dove mi trovavo. – Vi supplico, Lady! Porrò rimedio al mio errore! – gemette Lulu.
Ne seguì un lungo silenzio. – Tu non ti rendi conto di ciò che hai fatto, mocciosetta. Non solo hai rischiato di farti scoprire dalla mia futura rivale, ma hai anche mandato in fumo i nostri tentativi di tirare dal nostro lato lo shinigami scarlatto. Sei davvero inutile” non solo la tua scenetta da shojo manga non ha avuto alcuna utilità, ma ora lo hai addirittura messo sul chi va là nei tuoi confronti –
- Per favore, per favore… - ora Lulu stava piangendo. Mi sentii un po’ in pena per lei. Mi chiesi chi fosse l’altra ragazza, e cosa le avrebbe fatto. non che mi dispiacesse sul serio, però. Solo un pochino.
Era chiaro, comunque, che sia il bacio rubato che tutte quelle frasi che volevano tentare Grell a fare non so che cosa, non erano state una sua personale idea. Le era stato ordinato, e lei non aveva eseguito gli ordini adeguatamente.
- per favore, per favore! – la scimmiottò la più grande – Dio, quanto mi fai schifo, con quella vocina acuta e infantile, con quegli occhioni da bambola! Sei così patetica! E credi che io possa aver pietà di una nullità come te? NON FARMI RIDERE! –
Un solo istante, ed un singolo getto di vento sembrò espandersi da dove le due si trovavano, scompigliandomi i capelli. Riconobbi quell’effetto: era l’attivazione dell’armatura.
Lulu lanciò un gridolino terrorizzato. – Black Lady, vi scongiuro, non…! –
Non fece in tempo a finire la frasi. Un suono raccapricciante mi fece accapponare la pelle, un suono come di qualcosa che si lacera. Ed un rantolo.
Non è possibile, non è possibile
Una presa ferrea mi serrò le labbra da dietro.
- Ma guarda un po’ chi c’è qui! – era la ragazza dalla voce crudele. – Una pseudo eroina che ficca troppo il naso negli affari altrui! –
Provai a divincolarmi, ma era nettamente più forte di me. mi schiacciò sulla fronte per avvicinarmi al suo viso, e accostò le labbra al mio orecchio. – Io sono Black Lady. Conosci la mia vera identità? –
Scossi la testa. – Bene. E sai perché intendo muovervi guerra? –
Scossi di nuovo la testa. – Proprio così, non lo sai. Ma quelli che stanno in alto lo sanno. Per ora ti basti sapere questo: io sono la tua altra metà, il tuo Ying. Soltanto che io mi sono svegliata prima di te –
Mi lasciò andare. Mi girai più velocemente che potei, ma si era già volatilizzata.
Poi mi ricordai di Lulu. Svoltai l’angolo, aspettandomi di vederla ferita, dopo aver sentito quel gemito di dolore poco prima. Non mi aspettavo però quello.
Quello che vidi fu un corpo minuto di ragazza riverso a terra, in un lago di sangue. La schiena era piegata in un’angolatura innaturale. Una grossa e lunga lama era conficcata nel suo ventre, e sbucava dall’altra parte.
Gli occhi vuoti, appannati, spalancati, e la bocca semi dischiusa, da cui scivolava un rivoletto di saliva striata di rosso.
 
 
 
“Esistono solo due tipi di persone al mondo: coloro che rubano e coloro che vengono derubate. Io oggi vi privo del vostro futuro. Tutto qui.”
 
 
 
 
 
 
****
Note: Ehilà! Ho avuto da fare, e me la sono presa comoda con la scrittura. Chiedo scusa a chiunque sia così masochista da leggere la mia orrida fanfiction e stava attendendo il nuovo capitolo. Ma, onestamente, come fa a piacere a quelle persone che hanno detto di apprezzarla?
Vabbè, vabbè… tanto meglio! Credo che questo capitolo sia l’inizio delle cose serie, e il prima era la fase “innocente”, se così piò essere definita.
Spero di non aver deluso le aspettative di nessuno, e di non metterci un’eternità ad aggiornare di nuovo. Grazie mille a chi ha seguito la storia fino a questo punto; per me è davvero splendido vedere che ci sono persone a cui piace!
Un bacio! <3
Sofy
 
 
*Earl Grey significa Conte Grey. Probabilmente qui tutti sapranno che Earl significa conte, ma per sicurezza lo specifico.

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Capitolo 10
*** Atto 10, l'ospite inatteso ***


- Orribile… - mormorò Giorgia, coprendosi la bocca. Era almeno la cinquantesima volta che lo ripeteva, da un’ora a quella parte.
Dopo aver visto il corpo senza vita di Lulu, ero corsa ai piani superiori, e in pochi minuti chiunque fosse ancora all’associazione era venuto a conoscenza del mio primo contatto con Black Lady e della sfortunata sorte della ragazzina. Sebastian l’aveva trasportata nell’infermeria, che in realtà era un piccolo ospedale più che un’infermeria, e aveva lasciato che i membri del corpo medico dell’associazione facessero il loro lavoro, aiutati da un piccolo gruppo di esterni, quasi tutti Shinigami, nell’identificazione della traccia lasciata dai poteri di Black Lady sul cadavere.
Il giorno dopo riferirono i risultati del loro lavoro: l’arma con cui era stata uccisa era senz’ombra di dubbio frutto dell’evocazione compiuta da qualche Astral, e questo fatto aveva reso la sua morte molto più rapida di quanto sarebbe stata con un’arma della stessa foggia ma creata dagli umani normali. Inoltre avevano ritrovato un piccolo residuo della magia dell’assassina, sul metallo. Era stato riconosciuto come traccia dell’energia Astral, ma non corrispondeva a quella di nessun membro dell’associazione.
Queste loro affermazioni, però, avevano tolto ogni dubbio sul fatto che Black Lady fosse come noi; una ragazza con poteri sovrannaturali che le permettevano una connessione con mondi inesistenti. Restava ancora il dubbio sul perché quella traccia magica ci fosse sconosciuta. Da quel che mi dissero, ogni Astral può venire rintracciato a causa della sua aura energetica, e attualmente tutti quelli che sono stati identificati nella zona fanno parte dell’associazione. Non risulta che ci siano Astral indipendenti, perché ogni sede si occupa di reclutarli tutti, per evitare il rischio che perdano il controllo dei loro poteri, non avendo imparato ad utilizzarli. Quindi, o Black Lady era riuscita a non farsi identificare, oppure era effettivamente un membro dell’associazione, ma riusciva a mascherare la propria traccia, rendendosi impossibile da riconoscere.
La notizia della morte di Lulu aveva scosso molto la senpai Giorgia. Pare che fossero compagne di squadra da quando si erano conosciute, all’associazione, e non immaginava minimamente che la più giovane potesse mai essere alleata di Black Lady. Da quel che mi dissero, non aveva mai dimostrato atteggiamento arroganti come aveva fatto con me prima d’ora. La cosa, in effetti, lasciò tutti un po’ spiazzati, dopo che ebbi raccontato loro la maniera in cui mi aveva provocata.
Ora Giorgia era seduta su una sedia, e guardava il vuoto. Non aveva pianto, ma sembrava un po’ sotto shock, come se all’improvviso non provasse più emozioni. Comunque avevo pensato che fosse meglio starle vicino, per consolarla nel caso avesse qualche crisi, che però non ebbe.
L’associazione si vide costretta ad inscenare un’incidente stradale per spiegare l’improvvisa morte di Lulu alla famiglia. Non piacque affatto come azione nemmeno a coloro che organizzarono lo scenario per far passare l’informazione per vera, ma non potevamo certo dire ai suoi genitori che era stata accoltellata da una psicopatica con poteri sovrannaturali. Quella dell’incidente ci parve la più accettabile di tutte le ipotesi proposte. Non era mai successo che un’Astral perdesse la vita prima d’ora. Almeno, non per cause legate all’associazione; quindi l’atmosfera si era fatta cupa a pesante.
L’aura di forte energia che in passato avevo scoperto fosse stata distinta come di pari forza alla mia venne automaticamente fatta coincidere a Black Lady, ma da quel giorno non accadde più che gli “Astral radar” la visualizzassero. Doveva aver alzato la guardia anche lei.
Decisero di comune accordo, e avvertendomi solo dopo aver già stabilito goni cosa, che non mi avrebbero persa d’occhio un solo istante, nel caso lei cercasse di aggredirmi, e mentre ero seduta accanto a Giorgia, era arrivato il signor Simon ad annunciare che ogni mattina qualcuno dell’associazione mi avrebbe accompagnata dalla stazione degli autobus alla scuola, e poi dalla scuola alla stazione quando sarei uscita; e durante l’orario scolastico sarebbero rimasti nelle vicinanze per tenere d’occhio la situazione.
Non mi opposi, anche perché non potevo dar loro torto. Non mi sentivo per nulla sicura, sapendo che una ragazza folle con un odio smisurato nei nostri confronti era in circolazione.
In attesa di decidere una persona stabile, la mattina successiva feci il tragitto verso la scuola assieme a Sebastian, a cui ordinai però di non farsi vedere dagli altri studenti del mio liceo. Non ci tenevo a causare scandali facendomi vedere assieme ad un tipo figo e sexy come lui. Sarei stata al centro dell’attenzione per settimane, e l’idea non mi piaceva affatto.
 
 
 
 
- Secondo la Dottrina delle Idee di Platone, esistono due mondi: quello delle cose e quello delle idee – enunciava la professoressa di filosofia, disegnando uno schema alla lavagna.
Oh, senza dubbio c’erano due mondi di quel genere. Il mondo delle cose definito da Platone poteva benissimo essere paragonato alla realtà. Il mondo delle idee era l’altra parte, quello da cui provenivano gli Esterni.  Mi chiesi se quella donna immaginasse che la teoria dei due mondi coesistenti fosse vera, e non semplice speculazione del filosofo.  Chissà quante cose ipotizzate da gente visionaria sono effettivamente divenute realtà nel momento in cui gli Astral sono nati.
- Il mondo delle cose non sarebbe altro che una brutta copia di quello delle idee. Le idee sono il modello ideale, sono perfette e immutate –
Modello ideale, suonava davvero bene. Una definizione decisamente appropriata alle creature splendide che portavamo dall’altro mondo  sino a qui. In effetti, erano proprio delle idee: le idee della gente di come fosse una persona ideale.
Perfette e immutate.
Rividi davanti ai miei occhi quel viso ovale dai lineamenti delicati incorniciato da fluenti capelli scarlatti. Non riuscivo a immaginare nulla di più bello, quindi sì, era perfetto. E anche immutato, essendo gli shinigami immortali.
Non sapevo esattamente da quanto avevo cominciato a paragonare ogni argomento affrontato a scuola con tutta la faccenda dell’Astral Project. Però moltissime cose combaciavano, o potevano essere associate ad esso. C’era un nonsoché di poetico nel mettere a confronto i pensieri dei filosofi con i mondi da poco divenuti reali.
- Quanti Grell ci vogliono per far distrarre Sofia? – borbottò la voce di Angelica, dalla mia sinistra, ignara del fatto che la persona di cui stava parlando c’era davvero.
- Ne è sufficiente uno – le risposi, sospirando.
Era da quella mattina che non riuscivo a pensare ad altro. Dopo aver superato lo shock della cruenta morte di Lulu, mi era tornato alla mente il fatto che poco prima del crearsi di quel caos, stavo per baciarlo. L’immagine del suo volto in quel momento mi si era stampata nei ricordi come una fotografia. La pelle così perfettamente candida e priva di imperfezioni, solamente più rosa sulle gote per l’imbarazzo, che tra l’altro gli stavo causando io stessa. Bellissimo.
Mio.
Sarebbero bastati pochi istanti, perché lo fosse definitivamente. Forse era uno dei motivi per cui l’uccisione di Lulu mi aveva scossa, ma non fatta star male.
Avevo passato quasi cinque ore a pensare a tutto fuorché le lezioni, che contavo di studiare poi a casa, come sempre, e avevo quasi dimenticato le intenzioni dell’associazione a farmi accompagnare ovunque andassi. Mi balzò in mente solo mentre stavamo uscendo nel cortile, per poi dirigersi al cancello.
Oh diamine! Fa’ che non sia lì davanti, fa’ che non sia lì davanti! pensai disperatamente aspettandomi già di vedere Sebastian languidamente appoggiato al cancello di schiena, pronto a chiamarmi “Lady” di fronte a tutti, facendomi diventare il principale argomento di discussione per settimane.
Camminavo ad occhi chiusi,, seguendo la voce di Angelica, che chiacchierava ininterrottamente della sua serie tv preferita. All’improvviso la sentii trattenere il fiato.
Ecco, ci siamo.
- Cavolo, chi sarà quel tipo vicino al cancello? È super sexy! – esclamò. Eppure gli avevo detto di non farsi vedere, pensai infastidita, riaprendo gli occhi, già pensando alla maniera migliore per  vendicarmi.
Pensiero che volò via al vento, quando vidi che non era Sebastian la persona vista da Angelica, bensì un giovane con capelli rossi molto spettinati, che gli arrivavano quasi alle spalle.
Sgranai gli occhi. Non ero sicura al cento per cento di aver dedotto bene cosa significasse questo, ma ci sperai vivamente. Il giovane, quando mi vide, mi salutò con la mano, sorridendo.
Uscii dal cancello, seguita da Angelica, che continuava a fissarlo estasiata.
- Oh, Sofia, speravo proprio che uscissi prima che si creasse una calca! – esclamò lui, quasi saltandomi al collo. Dopo aver sentito la sua voce, ogni possibile dubbio svanì. – Ma sei tu, Grell? – bisbigliai divertita, perché la mia amica non sentisse. Lui annuì, strofinando il naso sulla mia guancia.
- Ah! Ma è venuto a prendere te? – la voce di Angelica era quasi uno strillo – È il tuo ragazzo? – sembrava che l’idea che io avessi potessi avere un ragazzo la eccitasse molto.
Feci per dirle che no, non era il mio ragazzo, ma lo shinigami fu più rapido – Esatto, proprio così – proclamò con solennità, prendendomi lo zaino.
- Perché non mi hai detto che avevi un ragazzo così figo? – sospirò l’altra ragazza, sognante.
- Perché sapevo che avresti reagito così, e ora se non ti dispiace dobbiamo andare. Ci sono tante smancerie che dobbiamo fare, capisci… - la liquidai con fare sbrigativo, trascinando via Grell quasi di peso, che sembrava essermisi incollato in maniera permanente.
Quando fummo abbastanza distanti dalla scuola, finalmente gli parlai. – Come mai sei qui? –
Lui alzò il viso, saltellando – Ho convinto quelli dell’associazione a scegliermi come tua guardia del corpo stabile. Preferivi Sebastian? – chiese, un po’ incupito.
- Ma figurati! – sbottai – Chi vorrebbe quel cascamorto in marsina tra i piedi? Piuttosto, cosa hai fatto ai capelli? –
Lui alzò le spalle. – Niente di che. Una semplice magia per modificare il mio aspetto lievemente. Questo sarei io quando ero diventato uno shinigami da poco. Ho pensato che avrei dato meno nell’occhio con i capelli più corti, anche se… non mi sento più a mio agio così. Ormai ho fatto l’abitudine all’altra lunghezza, mi sembra di avere la testa troppo leggera –
Nascosi un sorrisetto. Quando parlava così, con quel tono infantile, riuscivo a vedere il suo lato più insicuro. Avevo sempre amato studiare la psicologia delle persone, e con Grell avevo pane per i miei denti. Passava dall’essere flirtante con Sebastian, e estremamente violento ed aggressivo con la maggior parte degli altri, ma non l’avevo mai visto rivelare quel lato più esitante. Dire che mi sentii importante sarebbe sminuire.
- Grell… - azzardai, dopo qualche momento di silenzio. – Come mai hai detto ad Angelica che sei il mio ragazzo? –
A quella domanda, lui si fermò in mezzo al marciapiede. Osai guardarlo in volto, ma aveva chinato il capo, e la frangia irregolare gli copriva gli occhi. Aprì e richiuse la bocca più volte, come se fosse indeciso su cosa rispondermi, ma alla fine serrò le labbra.
Di slancio, mi afferrò il polso, costringendomi a correre lontano dalla via principale. –Grell…? – tentai di chiedere, ma avevo il fiato corto, e non riuscii a terminare la domanda.
Lui comunque ignorò anche quell’abbozzo di frase, ed anzi accelerò l’andatura. Non riuscivo a capire cosa gli avesse preso. Perché trascinarmi via così all’improvviso? Magari aveva percepito qualche minaccia! pensai; d’altronde il suo compito era di controllare che non mi aggredisse nessuno mentre ero lontana dall’associazione.
Ma mi sbagliavo. In effetti a lui non sarebbe servito fuggire da un nemico, quando gli sarebbe risultato molto più semplice limitarsi a farlo a fette con la sua death schyte.
Si fermò solo dopo ben cinque minuti abbondanti di corsa, nella piccola zona verde che separava il quartiere degli istituti scolastici da quello dei negozi.
Non era che una macchia irregolare di non più di dieci metri per tre, con appena un paio di panchine sgangherate, un bidone dei rifiuti all’estremità, qualche lampione e un’aiuola, ma era sempre meglio di una gettata di asfalto, per chi si trovava a passeggiare nei dintorni.
Si diede un’occhiata intorno, ed assicuratosi che fossimo soli, sembrò tranquillizzarsi, e tirò un sospiro di sollievo. Era strano vedere la città così vuota. Non ero mai stata in quella zona all’ora di pranzo, dato che di solito ci andavo o di mattina o di pomeriggio. Eravamo solo noi studenti a poter mangiare non prima delle due, contato che le lezioni finivano all’una, e tra attesa dell’autobus e viaggio ero a casa all’una e quarantacinque.
- Cosa ti è saltato in testa? – sbottai, scocciata. Onestamente, se c’era una cosa che detestavo, era correre!
Lui mi rivolse uno sguardo ambiguo, e scrollò la testa. Come per magia (anzi, proprio per magia) i suoi capelli tornarono alla loro lunghezza naturale.
- Mi avevi chiesto come mai ho detto alla tua amica che ero il tuo ragazzo… - mormorò – Ma non potevo spiegartelo lì –
- E si può sapere come mai? – gemetti, alzando gli occhi al cielo.
E , inspiegabilmente, Grell arrossì. Arrossì così tanto che si coprì il volto con le mani. Questo comportamento mi lasciò a bocca aperta. Vidi che le spalle gli tremavano, e mi parve anche di udire un lieve singulto.
- Mi è capitato di leggere le informazioni che l’associazione Astral ha su di te – disse, la voce incrinata. Capitato, figuriamoci! Piuttosto era andato a sbirciarle di nascosto!
- Chi è Kevin? – m’interrogò, cogliendomi alla sprovvista. – E quel ragazzo biondo che ti fissava adorante, mentre uscivi da scuola? – la sua voce aveva u8n che di accusatorio, come se gli stessi facendo un torto.
- Kevin è un mio amico che ora vive in Inghilterra… -  borbogliai stupefatta – E l’altro è semplicemente un mio compagno di classe. Okay, credo di piacergli, ma è solo un compagni di classe! –
Non riuscii a sentire la sua risposta, perché in quel momento il mio bracciale dell’associazione si accese. Toccai un paio di comandi, e visualizzai il messaggio appena ricevuto.
“ Sofia, sei pregata di recarti urgentemente all’associazione. Non ho tempo per spiegare. Simon”
- Grell, si va subito all’associazione – decretai, chiudendo lì la conversazione.
 
 
 
 
 
Giungemmo alla sede dell’Astral Project trafelati, aspettandoci già chissà quale notizia allarmante.
Quando entrammo in sala riunioni, vidi un manipolo di persone chine sullo schermo di un computer, confabulare tra loro.
- Oh, eccovi! – esclamò Simon, sentendoci arrivare. – Che è successo, Simon? – taglia corto, e guardai lo schermo. Rappresentava una pianta dell’associazione, e vidi decine e decine di puntini verdi. Tra quelli si distinguevano un punto bianco ed uno nero, più grossi degli altri.
- Che cosa sono? – chiesi, indicandoli.
- Quello bianco sei tu – spiegò Simon, aggrottando le sopracciglia – Quello nero è Black Lady –
- Co…? – sgranai gli occhi – Lei è qui? – ansimai, ancora affannata dalla duplice corsa in città e tra i corridoi dell’edificio.
- Esatto – ammise gravemente l’uomo. – Per queste ragione abbiamo chiesto subito dei rinforzi da un’altra sede all’estero. Abbiamo bisogno delle menti più brillanti e dei guerrieri migliori per affrontarla in futuro, temo. E anche per scoprire la sua identità. Ho paura che sia definitivamente una di noi. Quello che non capisco, è come mai si sia rivelata ora, e all’interno dell’associazione. Il brutto è che la percepiamo, ma non riusciamo a localizzare con precisione il punto in cui si trova, per identificarla. Come vedi… continua a sparire e riapparire da una parte all’altra! –
 Cercai di assimilare in fretta quelle informazioni. – E quando arriveranno in rinforzi dall’estero? –
Simon si grattò il mento – Dovrebbero essere qui a momenti. Quello con cui ho comunicato sembrava entusiasta di venire qui, a dire la verità… -
Qualcuno bussò alla porta. Una donna in camice bianco sporse la testa all’interno, schiarendosi la voce. Simon volse lo sguardo verso di lei, in attesa. – Sono arrivati – informò lei, ed aprì un po’ di più la porta, lasciando intravedere un gruppetto di adolescenti che borbogliavano tra loro.
- Bene, falli entrare. Arrivano proprio al momento giusto –
La donna, allora, si scostò dall’uscio, liberando l’ingresso. Gli Astral entrarono esitanti, guardandosi attorno pieni di curiosità, ma anche un po’ in soggezione. Non sapevo se le sedi dell’Astral Project negli altri paesi avessero lo stesso aspetto della nostra, ma a giudicare dalle loro espressioni meravigliate, decisamente non pareva.
Notai che avevano tutti un colorito pallido, buona parte sfoggiava lentiggini su guance e naso, e nessuno aveva capelli di colore scuro. Anzi, erano tendenti al biondo o al rossiccio. Erano in sei, tre ragazzi e tre ragazze. Uno dei maschi all’improvviso posò lo sguardo su di noi.
Vidi i suoi occhi illuminarsi, quando Grell entrò nel suo campo visivo, e le sue labbra accennarono ad un sorriso di gioia. Dopo aver studiato con ammirazione e un po’, addirittura, di venerazione lo shinigami, continuò la sua osservazione, e si bloccò su di me.
Non passarono più di un secondo e mezzo, prima che il mio campo visivo fosse ostruito da una massa folta di boccoli color miele e un paio di braccia mi stringessero con vigore. All’inizio ci rimasi di sasso.
- Sophie, I’m so glad! – disse il ragazzo, abbracciandomi più forte. – I missed you so much, so much! – finalmente sciolse la stretta mortale, che mi aveva tolto quel poco di fiato che mi era rimasto. Rimase però a guardarmi raggiante, trattenendo a stento la felicità. Lo scrutai più attentamente; magari l’avevo già incontrato da qualche parte.
-Ehm… - mormorai, confusa. – Do we know each other? – chiesi, sconcertata, adattandomi subito alla lingua. Lui rise, ilare. In effetti aveva un che di familiare. Quei riccioli biondi ed occhi verde chiaro…
- Are you maybe Kevin? – strepitai, incredula, coprendomi la bocca. Lui annuì, sprizzando gioia da tutti i pori.
- Yes, of course! Sophie, you are even prettier than the last time! When I heard your name in the list of italian Astrals, i jus had to come here! –
- L’italiano lo parli ancora, o hai rimosso tutto? – sogghignai, riconoscendo  modi esuberanti del mio amico di anni prima. Non riuscivo a crederci. Non pensavo che l’avrei mai rivisto, anche se lui aveva promesso che sarebbe tornato, in qualche modo. Vedermelo spuntare fuori così, all’improvviso, mi aveva lasciata di stucco. Di stucco, ma felice.
- Sì, certo, Sofia. Lo parlo ancora – ammise lui. – Ma volevo sentire il tuo inglese. – lo disse quasi come se fosse una confessione.
- Mi hai fatto dire a malapena una frasetta! –
- Posso abbracciarti di nuovo? – e fece una faccetta da cucciolo. Gli dissi che sì, poteva farlo, e mi si attaccò addosso una seconda volta, ma senza mozzarmi il respiro, fortunatamente.
Con la coda dell’occhio intravidi Grell fulminarlo con lo sguardo. Se avesse potuto uccidere con gli occhi, Kevin sarebbe già diventato un mucchietto informe, e il pensiero mi fece rabbrividire.
Il restante gruppetto di cinque venuto assieme a lui quasi non si era mosso. Non avevo ancora sentito una parola provenire da loro, ed erano stranamente seri. Anzi, marziali. Sembravano dei soldati tutti d’un pezzo, freddi  e privi di espressione.
- Loro hanno iniziato lo studio della lingua italiana da pochi giorni – mi informò Kevin, indicandoli. – Nessun problema, ho sempre avuto voti alti nelle lingue straniere, a scuola – lo rassicurai. Non avrei di certo avuto problemi di comunicazione, sempre ammesso che parlassero decentemente la loro lingua. Avevo già avuto esperienze agghiaccianti riguardo alla pronuncia degli inglesi. La maggior parte di loro era quasi incomprensibile.
Mi schiarii la voce, e mi rivolsi verso di loro. – It’s a pleasure to meet you. Welcome to our headquarters; I hope we’ll be able to work well together –
I cinque si girarono verso di me tutti insieme, e scattarono sull’attenti. – At your orders, lady Sophie! – esclamarono in coro, ed esibirono un inchino rigido. Indietreggiai di un passo, scombussolata da un tale saluto. Con le stesse movenze scattanti e militaresche, raddrizzarono la schiena, senza smettere di fissarmi.
- Ma è normale? – mormorai a Kevin, che sembrava divertito dalla cosa.
Lui alzò le spalle – In Inghilterra gli Astral tendono ad organizzarsi come un piccolo esercito di soldati. A volte esagerano, in effetti. Però sappiamo tutti della ragazza Astral super dotata chiamata “Sofia”, o “Sophie”, che risulta loro più facile da pronunciare –
- Ah… davvero quelli dell’Astral Project hanno sbandierato il mio nome ai quattro venti? – mi sembrava di essere una specie di star!
- Beh, picchiare uno shinigami con una spranga d’acciaio, e fare in modo che comunque sia un tuo alleato, non è da tutti, ti pare? – il sorriso che mi mostrò non era più di felicità per avermi rivista, ma di ammirazione.
Dovetti trattenere lo stupore: era la prima volta che qualcuno esternava in quel modo ammirazione nei miei confronti. La cosa mi imbarazzò non poco, ma non potei evitare di sentirmi bruciare di soddisfazione.
Di slanciò, gli strinsi la mano dalle dita bianche dita affusolate e sottili. – E se vi faccio fare una visita guidata nelle varie aree della sede? – proposi, con tono scherzoso.
Se possibile, Kevin si fece più radioso di quanto già non fosse, ed accettò con entusiasmo, dicendo ai suoi colleghi dall’Inghilterra di seguirci.
Io lo osservai per tutto il tempo in cui parlò loro nella loro lingua madre. Avevo quasi dimenticato com’era averlo intorno. Era la persona più spensierata, serena e luminosa che avessi mai incontrato. Da che lo conoscevo, non avevo memoria di averlo visto con qualsiasi espressione triste o arrabbiata; lui trasmetteva sempre e solo gaiezza. Ed era bello, molto bello; sembrava quasi un folletto, o un elfo, con quelle lentiggini ed il nasino un po’ all’insù.
Mentre però li accompagnavo fuori dalla sala, sentii un rumore di tacchi assieme a quello delle nostre scarpe. Grell si era unito alla combriccola, ma non sembrava affatto felice di come si erano evolute le cose, per qualche strana ragione. Che pensasse che i nuovi arrivati gli rubassero i riflettori?
Il ticchettio si fece più rapido, fino a che non fu accanto a me e Kevin, in testa al gruppetto.
- Ma tu guarda le coincidenze! – esclamò, con un sorriso tutt’altro che amichevole – E quindi tu sei un vecchio amico di Sofia-chan? –
Al sentire quel suffisso appiccicato al mio nome, mi venne un terribile sospetto, ma sperai con tutte le mie forze di sbagliarmi, o per Kevin sarebbero stati guai seri.
- Sì, certo – rispose il ragazzo, ignaro dei messaggi subliminali lanciati dallo shinigami – Eravamo più o meno migliori amici. E ricordo che all’epoca dicevamo a tutti che volevamo sposarci – aggiunse, con una mezza risata, chiaramente divertito al pensiero di come eravamo anni prima. Grell, però, non colse o ignorò la parte scherzosa di quell’affermazione, e se possibile, lo guardò ancora più freddamente.
Ma che diamine! Quel comportamento stava iniziando ad infastidirmi. Non potevo neanche più parlare con un vecchio amico d’infanzia? Non poteva essere attaccato a me a tal punto da ingelosirsi in questo modo, tanto più che il nostro rapporto era (purtroppo) soltanto di compagni di squadra e combattimento, anche se avevamo un’intesa immediata ed un ottimo rapporto. Il cielo solo sapeva quanto avrei voluto che fosse davvero il mio ragazzo, come aveva detto ad Angelica, ma sapendo che lui non era interessato alle ragazze, non avevo mezza possibilità.
E poi  pensai  Quelle due uniche volte in cui stavamo per baciarci, la prima era probabilmente solo un modo per mettermi alla prova, e la seconda ero stata io a fare la mia mossa.
Stavo per condurre i nuovi colleghi nell’area della ricerca, dove stavano i laboratori, quando il mio bracciale si accese. Qualcuno mi aveva mandato un messaggio.
Lo visualizzai, chiedendo scusa agli altri. Notai che non era scritto il mittente.
 
Sofia-san! Emergenza! Corri subito in biblioteca!
 
*****************
 
Note: Probabilmente non potrò leggere le recensioni prima di sabato prossimo, perché sarò ad uno stage artistico in un’altra città, e decisamente non posso portarmi il computer, essendo fisso e non portatile.
Mi rincresce molto, ma appena potrò risponderò a tutti i messaggi. Nel frattempo, mi sono impegnata a finire il capitolo, per non lasciarvi troppo tempo ad aspettare. Proprio sapendo di questo mio impegno.
E qui entra un nuovo personaggio! Che relazione ci sarà tra Sofia e Kevin, e come reagirà Grell? Mah… io non faccio spoiler, dico solo che sta per scatenarsi una tempesta!
Alla prossima!
Kiss<3
 
Sofyflora98

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Capitolo 11
*** Atto 11, un'inaspettata dichiarazione di desiderio d'appartenenza ***


Sofia-san, emergenza! Corri subito in biblioteca!
 
Dopo aver letto quel messaggio, ci precipitammo lungo i corridoi, fino alla biblioteca. O meglio: io mi precipitai in biblioteca, e gli altri, molto confusi, cercarono di starmi dietro come meglio potevano, dato che sul pavimento di marmo avevo scoperto di poter sfruttare lo scivolamento per incrementare la velocità di corsa.
La porta della biblioteca, in legno scuro, era semiaperta. Dall’interno non proveniva alcun rumore, per cui mi accigliai. No, non lasciarti ingannare! Black Lady non si farebbe certo notare facendo rumore! Sempre che non sia una trappola…
Sbirciai all’interno, mentre Kevin spiegava frettolosamente ai suoi colleghi inglesi il contenuto del messaggio. Non c’era nulla di insolito, non c’era quasi nessuno. Solamente una ragazzina adagiata su una poltrona che sfogliava un libricino dalla copertina in pelle consumata.
La cosa mi lasciò perplessa. Perché diavolo mi chiedevano di accorrere se non era successo assolutamente nulla.
- Beh? – mormorò Grell, e guardò anche lui attraverso la fessura tra porta e stipite. – Senti niente di insolito? –
Cercai nel mini computer del mio bracciale la funzione del rilevatore, e cercai se per caso non ci fosse Black Lady da qualche parte nelle vicinanze. Sempre che non avesse di nuovo celato la propria traccia, naturalmente. L’idea che fosse stata vista all’interno dell’associazione m’inquietava parecchio. La sua traccia era visibile, ma continuava ad apparire e sparire, e comunque era segnalata ai piani inferiori. Se qualcuno le si fosse avvicinato sarebbe sparita confondendosi con gli altri Astral.
Beh, in ogni caso i messaggi non si spedivano da soli, per cui decisi di entrare comunque in biblioteca e chiedere alla ragazzina se aveva visto nulla di strano.
Spinsi sul legno lentamente, che a differenza dell’ultima volta che ero stata lì, non cigolò. Finalmente qualcuno si era degnato di oliare i cardini! Nel momento stesso in cui ci vide, la piccoletta sulla poltrona si alzò in piedi, e sorrise. – Per fortuna siete arrivati, Sofia-san! – disse, sollevata.
- È successo qualcosa? Mi hai spedito tu il messaggio? – chiesi. Forse ero stata un po’ troppo brusca, ma lei non parve scomporsi. Con la coda dell’occhio seguì i movimenti dei ragazzi inglesi in coda al gruppo. Chissà perché, quando succedeva qualcosa ero sempre seguita da una piccola comitiva.
- Sì, l’ho spedito io – ora si guardò l’orologio al polso. Si dondolava nervosamente da un piede all’altro, mordendosi il labbro e fissando l’uscio. Grell alzò gli occhi al cielo, irritato da tanta insicurezza. – E si può sapere qual è il tuo problema? – sbottò, ruvido. Io gli lanciai un’occhiataccia. Okay che sembrava non apprezzare molto Kevin, ma prendersela con le piccolette timidine era fuori luogo.
- Ah! – la ragazzina arrossì di colpo, e chinò la testa. – Ehm… in realtà… ecco… è successo che… -
La porta venne sbattuta di colpo. Girai fulminea la testa in quella direzione, ed una delle ragazze dai capelli rossicci afferrò la maniglia. Riuscì ad aprirla di qualche centimetro, ma dall’altra parte qualcuno la richiuse di scatto, facendola cadere per il contraccolpo.
La ragazzina tirò un sospiro di sollievo. Grell le saltò davanti, e la afferrò per il bavero. – Sputa il rospo, nanetta! Che diavolo…? – non fece in tempo a finire la frase. Con una prontezza stupefacente, la giovane Astral fece materializzare una pistola con il suo bracciale, e si sparò un colpo alla testa.
Lo shinigami, la lasciò cadere sbigottito, ed inveì ad alta voce. Io digrignai i denti.
Usai il bracciale per far apparire la mia falce Laevatain. – Spostatevi da lì – gridai, facendo gesto agli altri di togliersi dalla porta - La rompo io, se non si apre! –
La impugnai con entrambe le mani, e feci per calarla sull’anta.
- Non muoverti, o farò saltare in aria l’intero edificio – disse una voce femminile dall’altra parte. Io mi bloccai con le braccia a mezz’aria.
- Sei Black Lady? – la domanda era retorica. Il mio bracciale ora l’aveva rilevata in maniera stabile, ed era al di là di quella porta di legno massiccio. - Sì, sono io - rispose infatti lei.
- Cosa hai intenzione di fare? –
Lei rise, con una risata serena e quasi innocente. – Oh, mia cara Sofia! Non vorrai mica che ti rovini il viaggio nella terra dei sogni, no? –
Viaggio?  Pensai, allarmata. – Ci si vede tra… beh, dipende da te! – e rise di nuovo. Sentii anche il rumore dello schiocco di un bacio.
- Quasi quasi ti tiro fuori le interiora! – le sibilò Grell. Era davvero infuriato. Sapevo quanto detestasse essere preso in giro in quel modo, ma non ci tenevo a vederlo squartare chicchessia davanti ai miei occhi.
Il pavimento iniziò a tremare.
E ora?
I ragazzi dall’Inghilterra strillavano agitati, mentre Kevin tentava di tradurre al meglio la conversazione, nonostante il suo sguardo esprimesse panico controllato al meglio delle sue capacità.
Poi quel movimento del pavimento si fermò. Tutti gli oggetto attorno a noi parvero sdoppiarsi verticalmente e deformarsi. Mi mancò la terra sotto ai piedi. Dopo un lunghissimo istante mi sentii precipitare. Avevo i polmoni bloccati, ed il cervello in tilt. Non l’avrei mai ammesso con alcuno, troppo orgogliosa, ma ero terrorizzata.
Terrorizzata dal non sapere cosa stesse accadendo, terrorizzata dalla maniera in cui Black Lady si era presa gioco di noi senza alcuna difficoltà. Terrorizzata da come la ragazzina si era suicidata senza esitare, probabilmente solo perché faceva parte del piano di Black lady. Sì, evidentemente la piccoletta serviva ad attrarci lì e a trattenerci fino all’arrivo di Black lady.
Colori e forme mi vorticavano attorno come in una spirale, mentre cadevo verso il basso. Sempre che le mie percezioni dello spazio fossero corrette. Chiusi gli occhi, colta da un improvviso senso di nausea.
Ad un certo punto iniziai a sentire dei mormorii. All’inizio erano poco più che bisbigli, incomprensibili, ma pian piano si fecero più forti. Erano voci di uomini, donne e bambini. Parlavano un misto di varie lingue, si sovrapponevano tra loro in maniera confusa, e quando riuscii a capire qualcosa, mi resi conto che le varie frasi erano totalmente sconnesse tra loro, non avevano a che fare per niente l’una con l’altra. Era come se sentissi le conversazione di persone che si trovavano in luoghi diversi allo stesso tempo.
E poi urtai qualcosa di duro con la schiena.
 
 
 
 
Il vorticare e la caduta si fermarono, lasciando il posto ad un colossale giramento di testa.
Ora le voci le sentivo forti e chiare, ma parlavano tutte la stessa lingua, e non erano più sconnesse. Tentai di rialzarmi, la schiena a pezzi. Mi sembrava di essere caduta da una grande altezza. Questo probabilmente era in parte vero, il problema stava nel capire dove ero caduta.
- Sei intera? – un paio di braccia mi afferrarono delicatamente sotto le ascelle, aiutandomi a mettermi in piedi. Diverse ciocche di capelli scarlatti mi finirono sugli occhi, nel fare questo. – Grazie, Grell – ansimai, massaggiandomi le natiche. Cavoli, che botta! Per lo meno, gli altri Astral non erano in condizioni migliori delle mie.
- What happened? Where are we? – gemette una delle ragazze, guardandosi attorno spaesata. Ci trovavamo sul bordo di una grande strada di città fatta di ciottoli. Ma non era la città dove andavo a scuola. Se era per quello, non era nemmeno una città del mio stato. Lo capii da due fattori parecchio evidenti: primo, le insegne dei negozi erano scritte tutte in inglese, dalla prima all’ultima; secondo, da sopra le case riuscii a scorgere il Big Ben. E come se non bastasse, la gente attorno era vestita con lunghi cappotti, capelli a cilindro, abiti larghi pieni di nastri, sottogonne, merletti e via discorrendo.
Mi tornò in mente come il pavimento si era aperto sotto ai nostri piedi.
- Grell, non dirmi che siamo dove penso che siamo – borbottai, ritraendomi. Se eravamo davvero dove pensavo che fossimo, non era il caso di andare in giro con jeans e magliette aderenti.
- Credo proprio che siamo finiti nel mondo da dove mi avete portato via – confermò lo shinigami, con aria grave. Fantastico. Quindi Black Lady ci aveva spediti nella Londra Ottocentesca, eh?
- All of you! – sbraitai, decisamente inasprita, a Kevin e i suoi compagni – Hide in a smaller street, quickly! –
I sei obbedirono senza farselo ripetere due volte, scossi dall’accaduto. Non è che io l’avessi presa bene, ma non potevamo restarcene in bella vista con abiti moderni nell’Inghilterra del diciannovesimo secolo. Quello che per noi era abbigliamento normale, lì sarebbe apparso provocante, se non addirittura osceno. Non ci tenevo a passare per una prostituta, anche se non era il mio mondo.
Grazie al cielo il bracciale d’ordinanza degli Astral poteva provvedere anche a questo, grazie alla possibilità di creare noi stessi delle nuove funzioni. Mi bastava voler utilizzare qualcosa di simile alla funzione armatura, ma con la possibilità di inventare io stessa gli abiti.
Spiegai a Kevin cosa avevo intenzione di fare, e lui tradusse il tutto alle tre ragazze e ai due ragazzi.
Armeggiai con i pulsanti del bracciale, e in pochi minuti avevo sistemato l’intera squadra. Più o meno. In effetti un paio delle inglesine sembravano piuttosto goffe a muoversi con le scarpine col tacco a rocchetto, tipico dell’epoca, ma dissi loro di cercare di abituarsi alla svelta. I tacchi per me non erano un problema, ci ero abituata. La cosa peggiore era il corsetto. Respirare doveva essere un optional, per le lady vittoriane, evidentemente. Non che avessimo scelta, quindi mi misi a pensare cosa fare dopo.
- Stai d’incanto! – sospirò Grell, guardandomi dall’alto al basso e viceversa ripetutamente. Mi venne il dubbio che gli sarebbe piaciuto indossare un abito simile anche lui. Anzi, non avevo alcun dubbio. Un vero peccato che la cosa non fosse fattibile in tali circostanze!
- Non è il momento per queste cose – lo zittii, scuotendo la mano. Non avevo mai aperto un portale da un mondo all’altro, solamente tra vari luoghi nello stesso mondo, e sapevo che era tutt’un altro paio di guanti. Aprire collegamenti tra i vari mondi era anche più difficile che trasferire persone da qui a lì. Black lady doveva essere davvero esperta in queste cose.
- Ciel, oltre alla Manor House in campagna, possiede pure una Town House qui a Londra – dissi, dopo aver pensato a cosa fare nel prossimo futuro.- Propongo di andare lì, per il momento, visto che non sappiamo come tornare indietro. Se qualcuno ha altre proposte, le dica subito. Se qualcuno di voi è in grado di farci tornare nel nostro mondo me lo faccia sapere –
Nessuno si fece avanti, quindi procedemmo con la mia idea. Con il bracciale riuscii a trovare immagini dagli episodi dell’anime, e quindi mi basai su quelle per orientarci in quella città sconosciuta. In realtà ero già stata più volte a Londra, e naturalmente anche gli Astral inglesi, però nel presente (o meglio, nel futuro, dato che eravamo tornati indietro cronologicamente) aveva un aspetto radicalmente diverso.
Ci perdemmo più volte, e spesso mi ritrovai a chiedere informazioni ai passanti, che nonostante fossimo vestiti adeguatamente notarono quanto fossimo impacciati e non abituati ai loro modi di parlare che prevedevano parole ormai fuori uso. L’aiuto più grande ce lo diede il mio shinigami prediletto, che era già stato nella Town House del ragazzino quando era il maggiordomo di Madame Red.
Ci volle parecchio tempo, comunque, e quando finalmente raggiungemmo la meta dovei trattenermi dall’esultare a gran voce. Ricordai che anche manifestazioni troppo espansive erano fuori luogo nell’Ottocento, specialmente da parte di una ragazza.
- Beh, diamoci una mossa – mi avvicinai all’uscio, e preventivamente suonai il campanello, che a differenza che nel mio mondo era letteralmente una piccola campanella d’argento. Non mi aspettavo che ci fosse qualcuno, era più per assicurarmi che non entrassimo per poi trovarci davanti qualche nobile dell’epoca, che si sarebbe chiesto come avevamo fatto ad entrare nella casa del conte Phantomhive senza che ci aprissero. Naturalmente la cosa era impossibile, dato che il conte stesso era dall’altra parte, ma la previdenza non era mai troppa.
Invece sentii dei passi, e la porta smaltata di nero si aprì, rivelando il volto di un elegante e fascinoso giovane uomo in marsina. Sbarrai gli occhi, incredula.
- Sebastian?! – esclamai, dimenticando la compostezza delle lady.
- A dopo le spiegazioni, lady Sofia – disse il maggiordomo, scostandosi per lasciarci passare – Ora sbrigatevi, su. Sapevamo che sareste arrivata, prima o poi –
Ciel era nel salotto, imbronciato, che torturava le fodere del divano lussuoso con le unghie. Quando ci vide tirò un sospiro di sollievo, e ci fece segno di accomodarci. Noi non ci facemmo pregare: ci avevamo messo ore a trovare quel posto, e per quanto fossi abituata a camminare coi tacchi, non  li avevo mai indossati per fare lunghe camminate, specie se accompagnati da gonne voluminose e bustini.
- Cosa ci fate qui anche voi? – m’informai subito. Avrebbero dovuto essere all’associazione, assieme agli altri. La loro presenza in quel mondo, per quanto molto più regolare della mia, era quanto mai anomala.
- Non chiedermelo! – si lagnò il conte – Ero beatamente seduto a prendere il tè, quando sono precipitato nel vuoto, e mi sono ritrovato qui, assieme a Sebastian! Era evidente che fosse opera di Back Lady, quindi ho immaginato che presto saresti giunta qui anche tu! –
Vidi i compagni di Kevin armeggiare con dei piccoli arnesi, che applicarono al loro orecchio.
- Scusate l’interruzione – proferì una delle ragazze, con lunghi riccioli color rossiccio ginger – Prima non avevamo avuto modo di indossare il traduttore di lingua e Kevin ha dovuto interpretare per noi, ma ora il problema è risolto. Credo che lei – ed indicò la più alta, seduta al suo fianco – abbia qualcosa da dire, o sbaglio? – e rivolse uno sguardo interrogativo alla compagna.
La seconda,  che aveva capelli biondicci e lisci, non molto folti, si alzò in piedi, e corrugò le sopracciglia. Sembrava arrabbiata, pensai, anche se non ne compresi inizialmente la ragione.
- Qualcosa da dire? Direi proprio di sì! – sbraitò. Mi si raddrizzarono i capelli in testa: era veramente adirata. – Quando siamo venuti qui non facevano altro che dirci di quanto fosse dotata l’Astral Sofia, e di come la sua squadra con lo shinigami Grell fosse efficiente, oppure delle sue abilità intellettive e deduttive nascoste dietro ai suoi modi sbarazzini.
 Siamo arrivati alla vostra sede per aiutarvi contro quella Black Lady, pensando quindi di collaborare con delle persone di gran lunga superiori a noi. Abbiamo notato la tua potenza latente, Sofia, ma ho la netta impressione che ti abbiano tanto decantata a vuoto, visto che non la utilizzi! Arriviamo da voi, e cosa accade cinque minuti dopo? Vi fate trarre in inganno da quella psicopatica come dei perfetti imbecilli, ci fate trascinare in un altro mondo, e pare che tu non sia in grado di rimediare, come nessun altro qui.
Non ho visto nessuna abilità al di fuori della norma di ogni altro Astral! E sai cosa ti dico riguardo alla vostra perfetta sintonia di combattimento di cui tanto ci avevano parlato? –
Si prese una pausa per lanciare un’occhiata velenosa e tagliente come un rasoio a Grell, che era in piedi dietro di me. – Altro che coppia efficiente! La vostra cooperazione consiste nel girarvi attorno facendovi gli occhi dolci e piccole provocazioni a vicenda. E poi… il vostro comportamento è troppo disinvolto, anche ora che siamo tutti nei guai fino al collo! – il suo viso era diventato rosso.
Io rimasi a bocca aperta. Non la conoscevo che da quel giorno, e già mi odiava a morte. Ma che si aspettava, una specie di dea onnipotente? Per fortuna Kevin si alzò e la spinse delicatamente sulle spalle, incitandola a sedersi. – Per favore, Violet, non peggiorare la situazione. Sofia è Astral da molto meno tempo di te, e sono comunque pochissimi a poter viaggiare da un mondo all’altro –
- Lasciami stare! – ribatté Violet, acida, e se lo scrollò di dosso con tanta violenza da mandarlo a sbattere contro il tavolino in legno che c’era tra i vari divani e poltrone. – La difendi solo perché hai una cotta per lei! Se davvero è così speciale come tutti dicono, allora che ce lo dimostri! –
L’odio con cui mi guardò mi lasciò di stucco. Non mi era mai capitato di essere guardata in quel modo, e in tutta sincerità non sapevo nemmeno come reagire. Non ci ero rimasta male. Io raramente stavo male per una cosa del genere, era più probabile che mi offendessi. Però capii come si sentiva: evidentemente gli organizzatori dei gruppi di astral mi avevano elogiata più del dovuto, e si erano fatti un’idea di me come di una persona completamente diversa, per poi ritrovarsi delusi nel vedere che non ero poi differente da tutti gli altri. Ed in effetti, non avevo ancora capito cosa ci vedessero Simon e gli altri adulti dell’associazione  di speciale in me. Non avevo nulla di più degli altri Astral, solo un punto più grande nelle localizzazioni delle auree di potenzialità, che non significavano nulla dato che c’erano persone con poteri più grandi dei miei all’associazione.
Mentre facevo questi ragionamenti, Grell emise un brontolio, e si tolse dalla sua posizione alle mie spalle per mettersi tra me e Violet, come a farmi da scudo dalle sue parole.
- Cos’ha di speciale? – le sibilò in faccia, scoprendo i denti aguzzi – tanto per cominciare invece che mettersi a piagnucolare ha subito preso in mano la situazione, quando siamo finiti qui. Ha mantenuto la freddezza ed ha pensato a cosa fare per prima cosa, sapendo di non poterci riportare indietro. Ed inoltre… - la sua voce si addolcì notevolmente – Lei è una delle pochissime persone che sono riuscite a sbattermi a terra in combattimento. Chiunque altro di voi sarebbe stato linciato vivo in meno di due minuti, se fosse stato al suo posto quando mi ha trovato nel suo mondo.
Quindi facci un favore e chiudi il becco, prima di sparare altre idiozie! Non fai che abbassare il quoziente intellettivo dell’intera strada! –
Violet fece un passo indietro, intimidita.
Io gli vedevo solo la schiena, quindi non seppi mai come potesse averla guardata, ma dubito che sarebbe scorretto supporre che non averlo visto è stato solo un bene, in quel caso. In effetti non l’avevo mai visto arrabbiato sul serio, e l’idea dei suoi denti aguzzi digrignati e scoperti con fare aggressivo non mi allettava per nulla. Anzi, doveva essere davvero uno spettacolo terrificante.
Come prova di questo, scorsi che Violet non era la sola ad essersi spaventata. Anche gli altri suoi compagni avevano espressioni intimorite, un paio si erano addirittura spinti più a fondo contro la testiera del divano. Kevin sembrava aver mantenuto il controllo di sé, ma non potei non notare la tensione che lo aveva preso.
Ciel, al contrario non aveva battuto ciglio, e come prima era elegantemente seduto con le gambe accavallate bevendo la sua tazza di tè, così ora faceva, senza averli neppure degnati di uno sguardo. Quel piccolo diavoletto era davvero una sagoma, a volte!
- Suppongo che sarete esausti, dopo aver camminato così tanto per venire qui – disse infine il conte, dopo aver terminato di bere. Non aveva perso la sua glaciale tranquillità nemmeno ora.
- Sebastian, accompagnali nelle stanze degli ospiti – ordinò, indicando la porta che conduceva al resto della lussuosa casa. Nella maniera in cui li guardò, però, ciò che vidi oltre l’imperturbabile calma, fu una nota di disprezzo. Non avrei dovuto scordarmi della sua tendenza a spregiare la maggior parte delle persone.
- Yes, my lord – il maggiordomo li condusse fuori senza batter ciglio, ma intravidi l’ombra di un ghignò attraversagli il volto per un istante, quando sentì le indicazioni del suo padrone. A quanto pareva, la combriccola non piaceva molto agli Esterni, per un motivo o per l’altro.
- Forte, il modo in cui l’hai spenta! – esclamai quando furono fuori portata d’orecchio, battendo una mano sulla spalla dello shinigami, operazione che mi costrinse ad alzarmi sulle punte dei piedi, nonostante lui non fosse molto alto. In realtà non ricordavo nemmeno di essere bassa. Ah, ma lui indossa tacchi più alti dei miei! Me ne ero quasi scordata! Diedi una sbirciatina agli stivaletti rossi e neri che avevo adorato dalla prima volta che glieli avevo visti addosso nel manga. Angelica probabilmente avrebbe fatto una smorfia disgustata al pensiero di un maschio con i tacchi. Beh, era lei quella che si perdeva quella splendida visione.
- Non mi piacciono – borbottò, incrociando le braccia. – Non riesco a reggere che quell’ oca se la sia presa con te. Mi era quasi venuta voglia di ucciderla –
La cosa non mi sorprese. O meglio, non mi sorprese che gli fosse venuta voglia di ucciderla, non che lei l’avesse infastidito così tanto.
- Sopporta. Non è che ci si possa far qualcosa se lei è così – dissi con una scrollata di spalle, nel tentativo di sedare i suoi impulsi omicidi.
Grell aprì la bocca, come per dire qualcosa, ma poi ci ripensò, e tacque. Abbassò lo sguardo sul pavimento, visibilmente infastidito, ma anche… qualcosa che non seppi definire. Come se stesse cercando di reprimere un qualche istinto, e che la cosa gli costasse una fatica immane.
Mi morsi il labbro, incerta su come interpretare la cosa. – Stai… bene? – dissi infine, nel tentativo di essere più naturale possibile.
Lui scosse la testa. – No, per niente. Non sto affatto bene! – se ne andò di corsa, senza darmi il tempo di reagire.
Ero rimasta sola con il piccolo conte, nella stanza. Incredula, scossa dagli avvenimenti di qualche ora prima e anche stanchissima, ora che ci pensavo. Ma che diamine! Prima il salto da un mondo all’altro, poi quelle ore a cercare la dannatissima Town House del ragazzino a piedi con tanto di tacchi, corsetto e gonne ingombranti, poi la sfuriata della ragazza che avevo appena incontrato e per finire le sofferenze ignote del dio della morte. Mi venne quasi voglia di scaricare anch’io la mia nevrosi su di loro per vendetta. Ma che avevano tutti quanti?!
Mi voltai di scatto verso Ciel. – Comincia a piagnucolare o strillare anche tu, e ti giuro che non sarò responsabile delle mie azioni – lo avvertii. Lui rise, piano, in quel modo controllato e raffinato tipico della nobiltà dell’epoca.
- Puoi stare tranquilla. A differenza di quella ragazza e di Grell, io non ho tempeste ormonali a farmi diventare una suocera isterica – confermò il ragazzino, mentre con un gesto spostava una ciocca di capelli dal suo occhio ancora normale.
- Ehi, dove hai imparato certe espressioni? – finsi di scandalizzarmi io, portandomi le mani alla bocca in un’ironica imitazione delle lady ottocentesche.
- In verità da te –
- Ah, e io che dovrei dare il buon esempio ai più piccoli! – mi chinai a sfilarmi le scarpe. Senza si stava decisamente meglio, specie dopo tutto quel tempo passato a camminare. Avevo i piedi doloranti e irrigiditi dallo sforzo eccessivo.
- Sei vuoi… - Ciel arrossì visibilmente mentre diceva questo – Se vuoi puoi usare la vasca da bagno. Ehm… e Sebastian, come sai, obbedisce anche ai tuoi ordini, quindi mettiti comoda, lady Sofia –
Poi mi fece gesto di avvicinarmi. Si alzò in piedi e mi sussurrò all’orecchio talmente piano che lo percepii appena. – Grell è ancora li fuori, in verità – ed indicò la porta.
Intravidi, effettivamente, un’ombra proiettata sul pavimento, ma fu un breve istante, perché parve accorgersi di essere stato notato, e se la svignò frettolosamente con un gran rumore di tacchi.
- Secondo te come mai si comporta così? – domandai confusa al piccolo conte. Lui alzò le spalle. – Non ne ho la più pallida idea –
Rimasi un attimo indecisa; non sapevo se provare ad andargli dietro o semplicemente farmi i cavoli miei in attesa di una qualche spiegazione. Origliare alle porte non era da lui, e nemmeno abbassare lo sguardo di fronte a qualcuno, o perdere le staffe in difesa di un’altra persona.
- Credo che coglierò al volo la tua offerta riguardo la vasca da bagno e lo sfruttamento del nostro caro Sebas-chan – decisi, stabilendo che era ora di liberarsi della polvere che mi si era attaccata addosso lungo il tragitto. Mai come in quel momento rimpiansi le strade asfaltate moderne, prive di nuvoloni di polvere alzati dalle carrozze. E ribadisco, mai come in quel momento, perché successivamente tornai a maledire le zaffate di smog, il traffico delle strade e gli automobilisti che non lasciavano passare i pedoni sulle strisce.
 
 
 
 
La stanza da bagno era un ambiente che, a differenza del resto della magione, era tappezzato e arredato con la prevalenza di tinte tenui. Ormai era quasi sera, per cui le tende erano tirate, e l’illuminazione proveniva da una gran quantità di candele. Mi piacque subito: la luce tremolante e la lieve penombra nei punti dove non giungeva del tutto creavano un’atmosfera se non romantica, almeno suggestiva.
Avevo già sfacciatamente sottoposto a me Sebastian molto tempo prima, quindi non si fece pregare per prepararmi l’acqua calda nella vasca.
A dir la verità, lui aveva maliziosamente chiesto se avessi bisogno d’aiuto per lavarmi, ma gli ricordai che a differenza del conte Phantomhive, io non ero un mocciosetto che non sapeva nemmeno vestirsi da solo o che non vedeva l’ora di farsi mettere le mani addosso da un demone. Mi parve un pochetto turbato da quest’ultima affermazione, ma non per questo dimenticò le buone maniere, e con un inchino mi lasciò sola.
La parte complicata giungeva ora: come si toglieva quel vestito?
Scrutai dubbiosa l’intrico di nastri, lacci e stringhe sulla mia schiena. Essendomelo fatto apparire direttamente addosso, non avevo la più pallida idea di quali chiudessero cosa, o in che ordine andassero sciolti. Andai per tentativi alla cieca, cercando a tastoni quelli che mi sembravano più esterni.
Andò abbastanza bene: disfeci nodini e fiocchetti senza troppi problemi, e sfilai il primo strato della sopra gonna dalla testa. Poi venne il turno del secondo strato del vestito, con tutti i merletti e ricami che spuntavano da sotto la sopra gonna e dalla scollatura. Lì fu già più complicato liberarsene.
Il nemico più grande, però, era al di sotto dei mille pizzi e sbuffi di soffice tessuto.
Il nemico più grande erano la crinolina e il bustino.
Ma chi me l’ha fatto fare? pensai rabbiosa, mentre armeggiavo con le stecche di quell’affare che teneva larga la gonna. Non so ancora come feci a togliermelo di dosso, ma una volta fatto non potei evitare di essere soddisfatta di me stessa.
In quanto al corsetto, lo strappai senza tante cerimonie con un coltellino che materializzai con i miei poteri da Astral. Se mi fosse servito, mi sarebbe bastato farne apparire un altro. Anzi, feci sparire sia quello che la crinolina, tanto per darmi la soddisfazione di vederli svanire sotto ai miei occhi in una sorta di gesto simbolico.
La sottoveste non aveva nulla a stringerla o chiuderla, sembrava più che altro una specie di camicia da notte con la gonna molto ampia e piena di fru-fru e ricami, quindi la sfilai senza ulteriori difficoltà.
Ora che avevo acquisito padronanza dell’abbigliamento femminile dell’epoca, non sarebbe stata certo Black Lady a crearmi problemi!
Mi soffermai ad ammirare la splendida vasca da bagno. Oh, era esattamente come la disegnava la fumettista! Semplicemente magnifica!
Sebastian si era preso la briga di mettere nell’acqua calda dei sali da bagno profumati alla rosa. Come faceva a sapere che quello era il mio aroma floreale preferito preferii non chiedermelo nemmeno. A volte, i metodi del maggiordomo di scoprire certe informazioni era inquietante, se non quasi agghiacciante.
- Yay! Se le otaku di Internet sapessero che sto facendo il bagno nella vasca di Ciel, e che Sebastian mi ha preparato l’acqua…! – mi lasciai sfuggire, con una voce squillante che raramente mi veniva fuori.
Misi dapprima una punta del piede sulla superficie dell’acqua per sentire la temperatura, e poi mi immersi completamente.
Come mi aspettavo, era perfetta. Sia l’acqua, che la situazione, e tutto il resto. Sarà stata anche una macchinazione di Black Lady quella di mandarci qui, ma a dir la verità poter entrare io stessa in quel mondo era il mio sogno. Sarebbe stato sublime e molto da shojo manga se in quel momento fosse entrato il bel ragazzo di turno, creando la classica situazione imbarazzata e da batticuore!
Perdendomi in questi pensieri, scivolai più a fondo, finché l’acqua non mi arrivò a sfiorare il naso.
Io non lo amo.
Rimasi sbigottita dal pensiero che mi sorse all’improvviso.
Che diavolo aveva formulato il mio cervello, in maniera autonoma? Una cosa del genere non era nemmeno plausibile! Se non amavo Grell io, allora chi mai…?
No. È la verità.
La maniera in cui realizzai questa cosa mi sconvolse ancor di più.
Lentamente feci emergere il mento dalla schiuma vaporosa e profumata di rose. Per la prima volta nella mia vita mi ritrovai a fare un’analisi, un’analisi sulle persone che vedevo attorno a me, su ciò che avevo imparato riguardo la psicologia umana tramite le mie osservazioni degli altri. Quali persone, tra i miei conoscenti, erano seriamente innamorati, quali tra le mie compagne avevano un ragazzo, e che tipo di rapporto c’era tra loro. Com’era l’emozione che si provava davanti al proprio idolo, o al ragazzo per cui si ha una cotta. E mi resi conto che ciò che provavo non aveva nulla a che fare con tutto ciò.
Ed era ovvio, così ovvio che mi diedi della stupida per non averlo capito prima.
Non poteva essere lo stesso amore, o lo stesso affetto che potevo provare per chiunque altro. Ed il motivo era il più scontato: ciò che provano le coppie sposate, i fidanzatini adolescenti o le fans di qualche personaggio famoso era rivolto ad una persona che avevano incontrato e conosciuto col tempo, una persona normale ed in carne ed ossa. Una persona umana, mortale, che ha sviluppato un carattere a seconda delle esperienze, e il quale aspetto fisico è tale per puro caso.
Prima del fenomeno degli Astral era stato solo questo, sempre.
Ma ciò che provavo io era diverso. Non inferiore, né più superficiale. Semplicemente diverso, alla radice.
La mia persona speciale era stata creata, e quindi aveva sia un carattere che un aspetto esteriore  che in milioni di anni non avrebbero mai potuto combinarsi in tale maniera, o anche solo in maniera simile. Era un’idealizzazione, una rappresentazione di ciò che, per noi almeno, poteva essere una persona perfetta. Lo stesso valeva per ogni altro individuo proveniente dal mondo in cui mi trovavo in quel momento.
Lui non esisteva. L’abbiamo reso reale noi Astral, persone disadattate o is9olate rispetto alla maggior parte della gente, e che si sono rifugiati in un mondo fantastico abitato da persone che corrispondessero ai nostri modelli.
Ilo fatto che ora fossero in carne ed ossa non cambiava il fatto che fossero creature inventate da persone come noi, e che ciò che si potesse provare per loro fosse tutta un’ altra questione che per le persone cosiddette normali.
Grell, dal principio, non era nemmeno un essere umano.
Ma, ragionai, c’era qualcosa di splendido in tutto ciò. Provare sentimenti per qualcosa di inesistente, di puramente immaginario, aveva un nonsoché di affascinante e toccante. Riuscire a sviluppare emozioni così forti, pur sapendo che non potrai mai toccare il destinatario di tali, che non potranno mai sentire le tue parole, richiedeva non solo una grande consapevolezza di ciò, ma anche la capacità di accettarne le conseguenze. Sapere che nessuno avrebbe mai compreso, che non potrai mai essere ricambiato.
Qualcosa di questo restava anche ora, che erano reali, vivi.
Non avevano perso le loro fattezze prive di difetti e frutto di pura creazione ideale, non avevano perso la loro natura. Erano sempre distaccati dal nostro mondo, era chiaro. Non sarebbero mai stati parte integrante di esso. Un fenomeno del genere non aveva precedenti, ed essendo loro parte di un universo per loro appositamente costruito, sarebbero sempre e comunque stati una presenza estranea.
No, non lo amavo. Non come si ama una persona normale.
Ma nemmeno le veneravo, come invece facevano molti altri Astral.
In un certo senso lo adoravo, perché stare semplicemente a guardarlo era qualcosa di incantevole, e che riempiva di meraviglia. Ma non era un’adorazione passiva o contemplativa. Non lo vedevo come una creatura superiore fuori dalla mia portata. La mia non era un’emozione puramente spirituale.
Sì, era bellissimo e quasi irreale, a causa della sua natura. E per questo lo desideravo.
Volevo che fosse mio, volevo che lui spontaneamente  lo diventasse, senza dover fare tutte quelle scenate di corteggiamenti mirati. Non sarebbe stato nemmeno corretto nei suoi confronti comportarmi apposta per tentare di piacergli. Un atteggiamento del genere l’avevo sempre considerato fasullo: se non si piace ad una persona per come si è naturalmente, allora non vale la pena di girarci attorno.
Volevo che capisse, e che provasse lo stesso. Volevo che avesse bisogni di me.
Mi stupii di quanto la mia personalità corrispondesse a quella di dominatrice, in certi momenti. Beh, in effetti, per amare (e sempre ben inteso che non si tratta dell’amore che potremmo definire comune) una persona come lui non si poteva non avere la personalità dominante.
In fondo, lui era l’uke per eccellenza!
Mi alzai in piedi ed uscii dalla vasca. Attesi un paio di minuto perché l’acqua smettesse di gocciolare copiosamente dal mio corpo, e mi avvolsi in un ‘asciugamano, che più che altro era un grande telo di tessuto soffice e spesso che assorbiva facilmente l’acqua.
Lo girai come se fosse un vestito, e prendendo l’abito che avevo indossato prima su una spalla, uscii dal bagno.
 
 
 
Avevo intenzione di chiedere subito a Sebastian dov’è che avrei dormito: ero più stanca di quanto mi fossi accorta prima. Pensai che chiamarlo a gran voce sarebbe stata una buona idea. Avrei ribadito ulteriormente la mia autorità su quel demone troppo cieco per accorgersi di che gran pezzo di shinigami era quello che non molto tempo prima ci provava con lui in ogni maniera possibile. Il fatto che ora Grell non flirtasse più né con lui né con Will, pensai, era un buon segno, dal mio punto di vista.
- Sofia - mi riscossi dalle mie riflessioni quando riconobbi quella voce. Parli del diavolo…
Grell era appostato vicino alla porta del bagno. Supposi che mi stesse aspettando lì. Gli sorrisi, non troppo entusiasticamente, per non apparire una perfetta scema con la sua cotta.
- Buonasera, testa rossa! – scherzai, mimando una riverenza.
Lui, però, non rise. Anzi, era serissimo, come non l’avevo mai visto. Come non immaginavo che l’avrei mai visto. aprì la bocca, inspirò profondamente, e  mi afferrò il polso.
- La tua stanza è di là – disse, indicando uno dei corridoi.
A passo veloce, mi condusse in direzione di essa. Troppo veloce. Era nervoso, anche se non avevo idea di cosa lo turbasse. Per tutto il tragitto evitò di guardarmi, e si limitò a stringermi il polso con forza.
Non mi faceva male, ma era una presa più stretta del necessario e del normale. Beh, ero più impegnata a far sì che l’asciugamano non mi scivolasse giù per preoccuparmi del mio polso.
Quando fummo davanti alla porta della suddetta stanza, lui si bloccò di colpo.
- Eccoci – disse piano.
Io lo scrutai con sconcerto. – Grell? – tentai, sperando di ricevere una qualche risposta.
Lui, finalmente, si voltò, e stavolta mi guardo direttamente negli occhi. Capii subito perché aveva evitato di guardarmi fino ad ora: erano lucidi ed arrossati, come se fosse sull’orlo delle lacrime.
Una cosa del genere… poteva significare solo una cosa. Stentai a credere alle mie deduzioni, ma non trovai altre spiegazioni plausibili.
- Non lo sopporto – rantolò con voce flebile.
- Che cosa non sopporti? –
- Gli altri, tutti! – esclamò. Ora aveva quasi gridato, e la sua voce aveva una nota quasi stridula. C’era un briciola di follia nel suo sguardo, come tutte le volte che si animava.
- Non sopporto il modo in cui si rivolgono a te! – continuò – Ti parlano così normalmente, come se nulla fosse. Ti si avvicinano con disinvoltura. Ti guardano dall’alto al basso. O, peggio, osano fare come quella Violet di prima. Non lo sopporto! –
Io mi accigliai. – Perché? Non ci vedo nulla di strano –
Lui gemette, stringendo i pugni così forte che vidi una gocciolina di sangue colargli giù dal palmo.
- Si comportano come se tu fossi come loro. Ma si sbagliano: tu sei più forte di loro. Sei superiore a loro. Sei sempre tranquilla, e non ti atteggi mai nonostante tutte le cose che puoi fare.
Loro non sono alla tua altezza, non meritano di starti vicino, o sfiorarti così spensieratamente! –
Si fermò per riprendere fiato. Io ero senza parole. Che idea si era fatto di me? Assurdo.
- Se io fossi in loro, mi getterei ai tuoi piedi strisciando. Loro sarebbero tutti. Gli Astral, quelle ragazze con cui ti ho visto quando uscivi da quella scuola. Come possono non rendersi conto di essere alla presenza di una… di una… -
- Sì? – lo incitai.
Lui tacque.
Si avvicinò incerto a me, e allungò una mano tremante verso il mio viso. Mi sfiorò la guancia, poi il mento, la spalla, per far scorrere le dita fino alla mia mano. – Di una ragazza talmente forte da sconfiggere uno shinigami – mormorò. La sua voce era rotta. Deglutii, sentendomi un nodo che mi stringeva la gola.
Il mio battito cardiaco era accelerato. Gli occhi mi pizzicavano. Era adorabile, così adorabile!
Quello era uno di quei momenti in cui suscitava il desiderio di stringerlo forte e coccolarlo come con un gattino; di accarezzargli i capelli, e baciargli la fronte, le gote, le labbra.
- In tutti i sensi, Sofia. – con mio grande stupore, lui si lasciò cadere in ginocchio. – Mi hai sconfitto sia nel combattimento che psicologicamente. Io non riesco ad evitare di… -
- Di cosa? – ormai la mia voce era poco più che un sussurro.
Non poteva essere vero, non poteva! Avevo desiderato questo da molto tempo prima che lui diventasse reale. Non era semplicemente un miracolo, era la cosa più eccezionale ed impossibile che potesse capitare. Perché, per quanto fossi determinata a non cederlo a chiunque avesse voluto avere per sé lo shinigami scarlatto, in fondo ero certa che lui non avrebbe mai agito così. Non con una ragazza. Non con un’umana.
Invece era successo davvero, e mi chiesi se non fosse causa di qualche influenza del mio potere paranormale di Astral.
Mi guardò, dal basso verso l’alto. Ormai le sue guance erano color porpora. Aveva le labbra semi dischiuse, che lasciavano intravedere le punte acuminate dei denti. Dio, com’era bello! Ma la cosa più bella in assoluto era il suo sguardo: affranto, quasi di supplica, ma allo stesso tempo anelante.
Le ciglia, lunghissime anche senza essere posticce o truccate, erano luccicanti. Decine e decine di goccioline diafane erano posate su di esse come la pioggia o la neve sulle ragnatele, e brillavano quanto diamanti, accanto agli smeraldi dei suoi occhi.
Strinse le braccia attorno ai miei fianchi, e mi sfiorò il ventre con il naso e la bocca.
Tre parole gli uscirono, come un soffio, pronunciate con voce così delicata, a confronto del loro significato.
- Voglio essere tuo –
 
 
 
 
*****
 
 
Qualcuno l’ha notata la citazione alla serie televisiva inglese “Sherlock” della bbc? Spero proprio di sì! Sarebbe la frase che Grell ha detto a Violet, riguardo al fatto che lei fa abbassare il quoziente intellettivo dell’intera via. Non sono riuscita a resistere alla tentazione di ficcarcela in mezzo, quanto amo quella serie!
Bene, ed ora si giunge al momento per cui ho scritto l’intera storia, più o meno.
Ora porrò una domanda a chi ha letto fino a questo punto: volete che risolva l’attuale situazione in maniera tenera e relativamente innocente, o preferite che faccia diventare il rating arancione e scriva una bella scenetta piccante, ma non troppo?
A voi il futuro della storia, o almeno del prossimo capitolo, anche se temo già di sapere quale sarà l’opzione che preferireste, e temo che scriverla sarà imbarazzante, dato che sarebbe solo la mia seconda volta a scrivere una  scena del genere.
Oh, beh! Qualunque cosa venga fuori, spero che la gradirete comunque, e che non mi venga una schifezza, come effettivamente reputo la maggior parte delle mie storie.
Il disegno rappresenta Kevin e Lulu.
 Sofyflora98
 
P.S.
Secondo voi quali sono i metodi agghiaccianti o imbarazzanti di Sebastian per scoprire informazioni riguardanti la protagonista? Io non oso immaginarlo! XD





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Capitolo 12
*** Atto 12, presa di possesso ***


L’ha detto sul serio? Ha sul serio detto che vuole… essere mio?
Non sapevo cosa dire. Ero sbalordita, anche se positivamente.
Okay, avevo notato che sembrava avere un bizzarro attaccamento nei miei confronti, completamente fuori dalla sua norma, considerando il mio non avere neanche diciassette anni e soprattutto il mio essere una femmina. L’avevo anche pensato, ipotizzato.
Ma in effetti aveva un senso: già una volta aveva provato a baciarmi, o almeno così sembrava. E quando avevo provato a baciarlo io, nella biblioteca, era arrossito tantissimo, e aveva il fiato corto. Però, ciononostante, l’avevo considerata solo una possibilità.
Non essendo molto esperta (anzi per nulla) nelle relazioni sentimentali, avevo sempre preso con le pinze le mie deduzioni basate sui comportamenti altrui. Non pensavo proprio che lui, di sua iniziativa si sarebbe addirittura gettato ai miei piedi. Era assurdo!
- Scusa, puoi ripetere? – farfugliai, lo sguardo sbarrato.
Alzò lo sguardo ad incrociare il mio. – Voglio essere tuo – ripeté, stavolta con voce più sicura.
Una volta detto, però, si staccò da me, e si coprì il volto, stringendo le ginocchia al petto, come la prima volta che gli parlai. Mi venne quasi da ridere. Era troppo carino! Come si poteva passare dall’essere un serial killer sanguinario e completamente folle al nascondersi la faccia per l’imbarazzo davanti ad una ragazza? Ah, l’autrice avrebbe dovuto mostrare di più questo lato del suo carattere!
Era la mia occasione. Ora che si mostrava più debole, era il momento perfetto per tirare fuori il mio lato più dominante. In effetti, avevo sempre sognato di interpretare quel ruolo, non mi ci ero mai vista come ragazzina timida e insicura tipica dei shojo. Questo spiegava esattamente perché fossi così attratta da Grell.
Posai un ginocchio a terra, per trovarmi alla sua stessa altezza.
Afferrai gentilmente ma con fermezza i suoi polsi, scoprendogli il viso. Come mi aspettavo, più arrossito di così non si poteva. Cercò di distogliere lo sguardo, ma si tradì da solo, continuando a girare gli occhi per sbirciare la mia reazione.
Tolsi lentamente una ciocca di capelli dalla sua fronte, e presi a disegnare immaginari ghirigori sul suo viso, con la punta delle dita. – Che cosa intendi dire con “voglio essere tuo”? – sussurrai, infilando le dita in quella meravigliosa cascata di fili scarlatti.
- Intendo dire che sono alla tua completa mercé – la sua voce vacillava, anche se cercava di nasconderlo. – Farei senza esitare qualsiasi cosa tu volessi, semplicemente per renderti felice -
Oltre ogni mia congettura. Se avesse continuato così, mi sarebbe risultato estremamente difficoltoso trattenermi dal saltargli addosso. Era perfetto, così assolutamente perfetto! Era più che perfetto, era quasi irreale!
- Per quale ragione proprio io? – feci del mio meglio per usare le voce più morbida e meno acuta che mi riuscisse. Se dovevo apparire sicura, allora l’avrei fatto fino in fondo, quindi anche il tono di voce doveva corrispondere all’immagine. Non potevo rischiare di comportarmi come una fangirl proprio in quel momento.
- Perché tu… - trattenne il respiro, quando gli accarezzai il collo – Nessuno prima di te aveva mai… tutti mi hanno sempre respinto, se provavo ad avvicinarmi a loro –
Eccolo, l’ultimo pezzetto del quadro della situazione che mi ero fatta. La questione, per piacergli, non era veramente l’essere maschio o femmina. La questione era avere una personalità che riuscisse a soverchiare la sua, il che non significava necessariamente essere più alti, più mascolini o più aggressivi. Si trattava di indurlo ad essere di sua spontanea volontà l’uke della situazione. Ma delle persone che rispondevano a questi requisiti, nessuno gli aveva mai dato retta. I suoi comportamenti erano talmente instabili e mutevoli che era difficile che qualcuno ne cogliesse la bellezza. Nessuno, se non una fangirl otaku yaoista, note per i loro gusti del tutto fuori dall’ordinario.
C’era un nonsoché nel suo modo di essere, sia maschile che femminile, sia romantico che arrogante e violento, e così stupendamente androgino che mi dava alla testa. Non avevo mai amato i ragazzi troppo maschili nell’aspetto e nei modi, ripensandoci. Quelli che mi piacevano erano sempre stati di lineamenti dolci e caratteri con una nota di fragilità.
- Questo perché sono incredibilmente ciechi. O incredibilmente stupidi – ormai c’erano solo pochi millimetri a dividerci. Il suo respiro mi accarezzava la pelle del viso. – Grell… - pronunciai il suo nome lentamente, assaporando ogni suono di quel vocabolo. Era breve, se paragonato alla complessità dell’individuo a cui quelle cinque lettere si riferivano.
Portai le mani dietro alla sua nuca. Tremava. Lo sentivo.
- Sei adorabile – Grell spalancò gli occhi, trattenne rumorosamente il respiro. Stava per dire qualcosa, ne pronunciò la prima vocale. Ma non riuscì a continuare. Anzi, glielo impedii.
Presi più saldamente la sua testa, e lo tirai verso di me. Lo baciai. Non era niente di che, solo un bacio a stampo sulle labbra. Non avevo mai baciato nessuno prima d’ora, in fondo. Non seriamente, perlomeno. Comunque fu sufficiente ad interrompere qualunque cosa stesse per dire.
Lo lasciai andare, un po’ indecisa. E se avessi sbagliato qualcosa?
Questo dubbio si dissolse non appena riuscii a vedere la sua reazione.
- Sofia… - mormorò con un filo di voce. Sembrava quasi che stesse piangendo.
Si protese in avanti, e a sua volta mi diede un lieve bacio sulle labbra. Sì, va bene così.
Gli afferrai il viso, molto più decisa di prima, e premetti le labbra contro le sue. Più energicamente, più impazientemente. Le sue braccia mi strinsero in vita, avvicinandomi a lui molto di più. Lui dischiuse la bocca, per prendere fiato. Improvvisamente, sapevo come fare. Beh, certo, dopo tutti a manga, i film e i libri che avevo divorato! Ci mancherebbe che non avessi nemmeno una conoscenza teorica di come si bacia!
Sfiorai con la punta della lingua il suo labbro inferiore. Feci aderire nuovamente le nostre bocche. Più lo baciavo e più lo volevo. Come avevo potuto vivere per tutto quel tempo senza quelle labbra, così morbide e calde? Mi sembrò inconcepibile!
Portai le mani dietro alla sua schiena, strinsi forte le sue spalle. Fece per far scivolare la lingua tra le mie labbra, e mi strinse a sé ancor di più, facendo aderire i nostri corpi.
Un corno! pensai  Avrai anche baciato un milione di persone, a differenza di me, ma resti sempre tu l’uke!
Interruppi il contatto per il tempo necessario a respirare profondamente, e tornai all’attacco. Gli feci dischiudere le labbra, e dopo una breve lotta, invasi la sua bocca. Aveva un sapore dolcissimo, ma anche fresco. Avrei potuto diventarne dipendente senza troppi problemi.
Posi fine il bacio di mia iniziativa. Un filetto di saliva era adagiato ancora su quegli splendidi fiori cremisi che erano le sue già mille volte citate labbra. Emisi una risatina maliziosa, e allungai il collo per raccoglierla con un bacetto.
- Tu sei già mio, Grell. Se qualcuno proverà mai a toccarti, io lo scorticherò da capo a piedi –
La sua espressione era a dir poco estasiata. Annuì energicamente, e mi stampò un bacio sulla guancia. Gli accarezzai quei capelli serici. Finalmente era successo. Era mio.
Mio soltanto.
Non ricordo bene come ci spostammo da lì (ovvero dal corridoio davanti alla porta), ma pochi minuti dopo io ero appoggiata sui cuscini del letto, e lui era raggomitolato al mio fianco, il capo adagiato sulla mia spalla, già addormentato.  Era talmente tenero che ero quasi tentata da fargli i grattini dietro alle orecchie come ai gatti.
 
 
 
 
Fui svegliata il mattino seguente da qualcuno che bussava alla porta. Aprii gli occhi subito, abituata ad alzarmi presto per andare a scuola, cosa che non valeva per lo shinigami.
- Perdoni il disturbo, lady – Sebastian era entrato senza farsi troppi problemi, proprio come con il suo padroncino. Si era girato per chiudere nuovamente la porta alle sue spalle, e quando si voltò di nuovo verso di me, il suo sgomento era non evidente, di più. La ragione era ovvia: il giovane dai capelli rossi che dormiva vicino a me.
- Forse non è un momento opportuno? – domandò, incerto. Io scossi la testa – Qualunque cosa tu stia pensando, ti assicuro che ti sbagli. Abbiamo solo dormito. A differenza di te – aggiunsi, non nascondendo l’insinuazione riguardo a ciò che tutte le Astral sospettavano già da tempo.
Se questo lo infastidì non lo diede a vedere. Invece fece un mezzo inchino, e mi posò un vassoio con la colazione sulle ginocchia. Non sapevo se la sua concezione di quantità fosse già tarata a quella degli umani, sta di fatto che avremmo potuto magiare in cinque, con tutta quella roba.
- Se volete scusarmi, vado a svegliare il padroncino – se ne uscì alla svelta, lasciandosi sfuggire il suo tipico sorrisetto.
Un mormorio assonnato si levò alla mia destra. – Sofia…? – Grell sollevò la testa di qualche centimetro, ancora mezzo addormentato. Io mi chinai, e gli diedi un bacio leggero sulle labbra. Completamente svegliato da ciò, si alzò a sedere, sbattendo ripetutamente le palpebre per abituarsi alla luce.
- Mentre dormi sembri un micetto – gli dissi – Ti mancavano solo le fusa, sai? –
Si girò di scatto verso di me, respirando rumorosamente. – Sofia… - disse di nuovo, fissandomi. Ebbi solo qualche attimo per prepararmi all’assalto, prima che mi si gettasse addosso di peso. –Ehi, ehi! Mi cade il vassoio, fai attenzione! – tentai di avvertirlo. Riuscii a mettere in salvo la colazione prima che fosse troppo tardi.
Un fiume di bacetti mi si riversò sulle guance e sulla mandibola, la vista oscurata da una coltre color sangue. Riuscii a trattenerlo abbastanza da sistemare i cuscini così da potermici appoggiare con la schiena rimanendo diritta. Per tutto il minuto che ci impiegai, quell’incantevole creatura immortale stette a farmi gli occhi da cucciolo. Sapevo che era consapevole della propria bellezza, visto che non di rado lui stesso si pavoneggiava e metteva in mostra, ma era sicura anche che non avesse idea della sua effettiva portata. E non era solamente la fisionomia dei suoi lineamenti. Era l’atteggiamento, la sua maniera di porsi di fronte al prossimo, di sfruttare le proprie singolarissime caratteristiche esteriori ed interiori.
Nel manga o nell’anime com’erano prima di divenire reali, però, non era mai stata mostrata alcuna persona che ne venisse affascinata. Dato che avevo già ipotizzato questo fosse causato semplicemente dal punto di vista del protagonista (e che quindi si vedesse solo ciò che lui notava), mi venne da chiedermi quante persone tra gli esterni fossero attratti dallo shinigami. Probabilmente, dedussi, i demoni erano privi di senso dell’estetica, e William aveva bisogno di occhiali molto più forti di quelli che indossava.
Se fossi stata al posto suo e di Sebastian, quello splendore che mi chiedeva coccole con lo sguardo avrebbe avuto difficoltà a camminare per diversi giorni. Anche se mi rendevo conto che suonava assurdo, se non raccapricciante, detto da una ragazza riferito ad un maschio. Avrei dovuto nascere in un manga yaoi. Ed essere il seme!  Il pensiero non suonava affatto male!
Quando mi appoggiai ai cuscini finalmente sistemati, Grell ne approfittò subito per posizionarsi in modo da essermi più appicciato possibile. Si strinse a me avvolgendomi la vita con le braccia, e si tuffò sul mio collo con il viso.
- Mi stai facendo il solletico! – ridacchiai. Soffrivo il solletico moltissimo da sempre, ed avere un metro e oltre di capelli strofinati sulla pelle lo provocava eccome. Lui, come risposta, mi strofinò il naso sulla gola, inspirando profondamente.
- Hai un buonissimo profumo – bisbigliò – Hai l’odore delle rose, ma anche di qualcosa di più zuccheroso –
Gli sollevai il mento con due dita, incatenando lo sguardo al suo. – Ma davvero? –
- Ti mangerei tutta… - sospirò. – Anzi, mi piacerebbe ancora di più essere io ad essere divorato. Dalla mia fanciulla dominante… sarebbe veramente il massimo  ̴! – Oh, quel suo modo di allungare l’ultima vocale delle parole facendo la voce acuta mi faceva impazzire!
- Piacerebbe molto anche a me – gli diedi un morsetto sul labbro inferiore. Ogni volta che lo toccavo tremava, arrossiva e aveva il respiro affannato. Ma c’era un limite alla sua capacità nell’essere perfetto rispetto al mio ideale?
- Colazione? – dissi, e lasciai andare la sua bocca di colpo, rimettendomi il vassoio sulle ginocchia. – Sebastian sembra tanto felice di farsi sbattere a destra e a manca dagli ordini miei e di Ciel, che sarebbe un peccato lasciarla lì. E poi ho una gran fame! – mi imburrai una fetta di pane, pur sapendo che non essendo esattamente ciò che si può definire “in forma”, avrei dovuto lasciare il burro da parte.
- Potresti mangiare me! – continuò imperterrito Grell, posando il capo sul mio grembo, frapponendosi tra me e il vassoio. – Ho la pelle tenera, sai? Non faresti fatica a romperla! –
- Per quanto l’idea stimoli parti della mia fantasia che ritengo essere oltre i limiti dell’imbarazzante, non ritengo che sbranarti possa essere fattibile al momento. Proprio perché hai la pelle tenera, sporcherei tutte le lenzuola di sangue. Non sarebbe educato nei confronti di Ciel che ci ospita – ribattei, aggiungendo della marmellata di fragole (che sapeva di fragole, e non di plastica come quella che si trovava nei supermercati) al mio panino. Tenerlo sulle spine l’avrebbe spinto a provocarmi ancora di più. E sapevo che gli piacevano le persone che non cedono così facilmente ai suoi attacchi.
- Oltre i limiti dell’imbarazzante? Oh, e che cos’è che mi faresti, in quelle parti della tua fantasia? – si mise in ginocchio, protendendo il buso verso di me. 
- Cose che sarebbe ancora più semplici da attuare se io fossi un uomo. Ma sono una femmina, e alla mia età vengo ancora ritenuta troppo giovane per certe cose. Sai, Grell, noi ragazze otaku tendiamo ad avere menti perverse – detto questo gli chiusi la bocca con un’altra fetta di pane. Lui la mangiò in silenzio, probabilmente rimuginando su come istigarmi a mettergli le mani addosso. Invece, quando mandò giù l’ultimo boccone, mi rivolse uno sguardo adorante. Quel tipo era un ossimoro vivente!
Un attimo era la più dolce delle persone, dopo il più spietato degli assassini. In un momento è dolce e romantico, in un altro passionale e un po’ maniaco. Appare forte a volte, altre invece fragile. Atteggiamenti maschili e femminili alternati.
 Se avessi dovuti dare una definizione al suo modo di essere (tenendo da parte aggettivi come “bipolare” o “schizofrenico”), quello che credevo fosse più adeguato era “innocente malizia”. E soprattutto, era quello che suonava meglio, cosa non da sottovalutare quando si deve parlarne con qualcun altro.
- Non credevo che avrei mai provato qualcosa del genere nei confronti di una ragazza – confessò. – Però devo dire che nella vostra epoca sono diverse. Soprattutto tu. Riesci a far fare quello che vuoi a tutti quanti, se ti ci metti. Mi piacciono le persone determinate –
- Figurati se io potevo immaginare che avrei baciato uno shinigami, che prima della nascita degli Astral manco esistevano! –
Io avevo cercato di nascondere l’imbarazzo buttandola un po’ sul ridere, ma lui, invece, si era fatto serio. Io lo guardai perplessa mentre si alzava in piedi lasciandosi la camicia, che aveva dalla sera prima.
Mi lasciò sola nella stanza con una singola frase, detta la quale se ne andò quasi di corsa.
- Credo di essermi innamorato di te –
Ricordo vagamente di essere stata immobile a fissare incantata la soglia da dove era appena uscito.
Dovetti ammettere, era più che plausibile. Anzi, ripensandoci era abbastanza ovvio, dopo quello che era successo. Solo che fu inaspettato. Una cosa è intuire che qualcuno è innamorato di te, ma tutt’altra cosa è sentirtelo dire. Specie se quel qualcuno è un dio della morte spuntato fuori da un fumetto, e che per dipiù era l’apoteosi della bellezza.
Se la mia compagna Angelica avesse saputo una cosa del genere sarebbe impazzita. Anche a lei non sarebbe dispiaciuta una storia d’amore (ed uno sbaciucchiamento) con un qualche bel ragazzo venuto da mondi immaginari. In effetti, Sebastian era proprio il suo tipo.
Ricordandomi del maggiordomo, abbassai lo sguardo sulla colazione che mi aveva portato.
E adesso che Grell se l’era svignata, chi l’avrebbe mangiata tutta quella roba?
 
 
 
- Buon giorno -
Ciel alzò gli occhi dal giornale, rivolgendomi quel sorriso dolce ed elegante che riservava in genere a chi non lo conosceva bene, o alle persone che gli sarebbero tornate utili dalla sua parte.
- Buon giorno a te, lady Sofia? Hai dormito bene? – disse, posando il quotidiano. Io annuii, con un sonoro sbadiglio. Non me ne importava un fico secco del galateo, quindi non ci provai nemmeno a dissimularlo.
Il ragazzino nemmeno si scompose, ormai abituato ai comportamenti della gente moderna.
- Sebastian mi ha detto che Grell Sutcliff ha dormito con te – disse con tono che voleva sembrare disinteressato.
- Sebastian ti ha detto il vero – confermai. Il conte arrossì lievemente. – Oh, quindi è così… - mormorò, facendo un colpetto di tosse.  Alzai gli occhi al cielo. Ma quel demone non aveva niente di meglio da fare che mettere strane idee nella testa di quel bambino ingenuo? Santo cielo!
- Non ho idea di cosa Sebastian abbia voluto intendere dicendoti questo. Anzi, ce l’ho eccome, un’idea. Ed è sbagliata. Lui mi si è addormentato sulla spalla, e nient’altro, purtroppo –
Ciel spalancò la bocca, incredulo – Purtroppo? – esclamò, costernato.
- Non ci posso far nulla se la gente della tua epoca non si rende conto di quanto maledettamente sexy sia il mio shinigami. Quelli che si perdono una delizia siete voi –risposi a tono. Oh, mettere in imbarazzo e scandalizzare quelli che, tra gli esterni, ancora non erano del tutto adattati ai modi contemporanei era il massimo del divertimento!
- D’accordo,  d’accordo – tagliò corto lui, evidentemente a disagio, non essendo pratico in quel genere di conversazioni – In realtà volevo parlarti lontano dagli altri. Anche da Sebastian. –
- Allora ho fatto bene a venire qui subito. Che volevi dirmi? –
Ciel sospirò, portandosi una mano alla fronte. Sembrava preoccupato. Preoccupato, e non allarmato o scioccato. Era un’emozione che non gli avevo mai visto in faccia. Il conte Phantomhive raramente lasciava trapelare certe emozioni.
- Mi chiedevo il motivo per cui siamo stati catapultati da questa parte. Qual è lo scopo di questo? Non siamo stati attaccati da nulla, quando siamo arrivati –
Il quesito che si poneva era più che fondato, anch’io faticavo a vedere uno scopo chiaro e logico nel farci sparire. Avremmo sempre potuto imparare ad aprire portali e tornare indietro, quindi non poteva trattarsi di un semplice mezzo per liberarsi di noi. E se lei sapeva aprire portali, allora sicuramente anche altri Astral ne erano in grado, e avrebbero potuto venirci a prendere, con una buona dose di fortuna.
- Non ne ho idea, Ciel. Come non ho idea del motivo perché quella ragazza si è opposta all’Astral Project. Finché non riusciremo a trovarci faccia a faccia con lei e ad interrogarla, resterà un mistero –
- Non mi fido degli altri, Sofia. Ho paura a parlare di questo di fronte a loro. Non credevo che avrei mai ammesso una cosa simile, ma quella persona mi spaventa! –
- Paura? Tu?! Prima o poi finirà per nevicare in agosto! –
Lui chinò il capo. Sembrava a disagio, era evidente che qualcosa lo tormentava. In effetti, dopo aver chiaramente visto che Black Lady era all’interno della sede dell’Astral Project, e che era quasi sicuramente un membro dell’associazione, c’era ben poco da star sereni.
- Credo che debba avere delle spie, o qualcosa del genere. Come quella ragazzina che si è sparata, o Lulu, che è stata uccisa. Ma non riesco ad escludere nessuno dai sospetti. L’unica persona che senz’altro non può esserlo sei tu. Per quel che ne so, anche Sebastian potrebbe essere dei suoi. In fondo, a lui che gli conviene a stare dalla nostra parte? Se invece lei ci sbaragliasse, potrebbe andare a cacciare anime senza disturbo –
Il ragionamento non faceva una piega. Dal suo punto di vista, chiunque avrebbe potuto stare dalla parte di Black Lady, soprattutto tra gli esterni. Molti di loro avrebbero avuto la libertà di sfogare i loro veri istinti.
Per un attimo provai ad immaginare cosa avrebbe potuto succedere se non fossi riuscita trovare e convincere Grell a stare con noi. Sarebbe stato l’inizio di una carneficina!
- Forse vuole tenerci lontani dall’associazione – dissi – Forse ha bisogno di non averci tra i piedi per un periodo, mentre procede con i suoi piani –
Avevo appena notato che noi che eravamo stati trasportati in quel mondo, eravamo i più pericolosi tra gli Astral e gli esterni dell’associazione. La squadra dall’Inghilterra ci era stata presentata come composta dei più forti della loro sede, su Sebastian e Grell erano quasi due mostri, se si fossero scatenati contro di lei, e a quanto pareva tutti mi consideravano particolarmente dotata.
- Sul serio? –
- Probabile. Non ci ha ancora fatto nulla da quando siamo arrivati, quindi è probabile che ci voglia semplicemente fuori dai piedi –
Ciel tirò un sospiro profondo, e prese a massaggiarsi le tempie. Era piuttosto grazioso osservare come un ragazzino di tredici anni tentasse di comportarsi da adulto. Però mai grazioso quanto un dio della morte che fa le fusa e si addormenta sulla spalla di una ragazza.
Mi turbò il sentire che Ciel non era sicuro del tutto nemmeno della lealtà del suo demone. Sapevo che non aveva mai riposto fiducia vera in lui, ma perlomeno era consapevole che non l’avrebbe mai tradito, o almeno non per sua volontà. Se addirittura questa certezza non era più tale, eravamo davvero messi male. Per quel che ne sapevamo, allora anche i supervisori dell’associazione stessa potevano essere fasulli.
- Su, non pensarci, piccolo conte. Adesso mi fai fare un giro per la città, e liberi un po’ la mente. Stare troppo tesi fa male: non si riesce più a ragionare lucidamente. È lo stesso per le verifiche scolastiche. Lasciami solo il tempo di disegnarmi un vestito e farlo apparire con questi comodissimi superpoteri da eroina anime –
Lui non era il solo, in fondo, ad essere preoccupato o a doversi distrarre. Per quanto non fosse affatto spiacevole il ricordo della sera prima e della mattina, continuare a distrarmi dall’effettivo pericolo per divagare su argomenti tutt’altro che ingenui e professionali non giovava alle mie capacità di pensiero.
E inoltre, era da quando mi ero svegliata che sentivo un bizzarro pizzicore alle dita della mano destra.
 
 
 
 
 
 
- Come procede il compito che ti ho assegnato? –
- Egregiamente, mia signora. White Maiden non ha il minimo sospetto sul mio conto, per quel che ne so –
La voce della sua padrona fece una risata bassa. Era una delle cose che apprezzava di più di lei: non aveva per nulla il carattere delle fanciulle comuni. Non parlava con quell’odiosa vocetta acuta e nasale, che irritava i nervi e le orecchie. Non strillava ogni volta che posava gli occhi su un bell’uomo. E soprattutto, non era una di quelle femminucce idiote che non sapevano nemmeno difendersi. Non poteva sopportare quelle stupide smorfiose.
Lei, invece, era forte, posata e determinata. Sapeva imporre la propria autorità sugli altri, e soggiogarli con il suo potere e i suoi modi fascinosi. Era un’ottima attrice, una temibile guerriera ed una eccelsa stratega. Non lasciava sfuggire nemmeno un dettaglio ai suoi schemi.
- Questo mi rende molto felice. Il tuo aiuto è di vitale importanza nei miei piani. E che mi dici dell’affinità? Ci sono sviluppi? –
Ah, sapeva che ci sarebbe arrivata prima o poi. L’affinità era la cosa che più la interessava. Non faceva che chiedere come si stessero sviluppando i fatti, come si evolvessero le potenzialità di quelle persone.
- Ha raggiunto un livello elevato, Black Lady. Non ci vorrà troppo tempo prima che si crei il filo di legame. E inoltre, la vicinanza fa aumentare a dismisura le loro potenzialità –
- Come sospettavo. Pazienza! Dovrò sfruttare gli avvenimenti al meglio, è inutile lamentarsi. Questo legame si sarebbe formato in ogni caso, se è come dici tu. Ora, lascia che ti dia le nuove istruzioni –
Sorrise. Era quello che aspettava: le istruzioni della sua signora.
 
 
 
 
 
 
 
******
Note:
Ehm… che dire? Qui mi rendo conto all’improvviso di essere imbarazzata. E dire che la scenetta piccante che avevo promesso deve ancora arrivare! Oh, come farò a restare calma dopo aver scritto quella, quando accadrà? Quello che mi imbarazza è l’aver praticamente ammesso, tra le righe del capitolo,  di avere una specie di feticismo per gli uke, e una predisposizione a comportarmi come i seme dei manga yaoi. Grell a creato più danni del previsto alla mia salute mentale, perché dubito che la maggior parte della gente resterebbe tranquilla se sapesse che ci sono ragazze (ce ne sono altre, forse? O^O) che si vedono interpretare il ruolo dominante… con un maschio!
Beh, viva il femminismo, e a quel paese le ochette debolucce che si lasciano soggiogare!
Con quest’ennesimo sclero risputato dalla mia testa e propinato a voi, concludo il dodicesimo capitolo.
Kisses! <3
Sofyflora98
 
P.S.
A causa delle verifiche di fine anno, non so quanto ci metterò ad aggiornare. Spero di scrivere un altro capitolo prima del 9 giugno! Dopo quella data, il ritmo dovrebbe diventare più veloce di come è stato fin’ora.

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Capitolo 13
*** Atto 13, visioni su una morta ***


- Questo è indubbiamente inadeguato, suppongo – borbottava il piccolo conte, trattenendosi dal coprirsi gli occhi col capello a cilindro – Ma d’altronde non vedo alternative –
Io alzai gli occhi al cielo – Che hai, paura che qualcuno dica che tradisci la tua fidanzata con una lady più vecchia di te? – esclamai, a voce un po’ troppo alta.
Ciel digrignò i denti. Il mio modo di parlare era del tutto fuori luogo e indecente per l’epoca, come il mio modo di camminare a passi lunghi e poco aggraziati, e il bello era che lo facevo almeno in parte apposta. Ciel lo sapeva benissimo, e la cosa lo imbarazzava, sapendo di essere sotto gli sguardo della gente appartenente alla fascia più benestante della città.
- Potresti almeno evitare di dire certe cose in maniera così sguaiata e urlando in quel modo? – bisbigliò stringendo la presa sul bastone da passeggio. Io scossi la testa con decisione. Figuriamoci se quel ragazzino mi avrebbe tolto il divertimento di scandalizzare quelle signorine impalate nei loro bustini a vita d’ape.
- Fammi fare una passeggiata in un posto carino, e magari potrei limitare certe battute “oscene” – proposi, facendo un mezzo giro su me stessa. Avevo iniziato a farlo spesso: la maniera in cui la gonna svolazzava era sublime!
Lui sospirò, portandosi una mano alla fronte. Da quel che avevo capito, la cosa che lo metteva a disagio era l’andare in giro assieme ad una ragazza che non era Lizzy, ed in assenza di Sebastian. Sarà stato perché non era abituato a conversare con le fanciulle, o perché senza il caro Sebas-chan non si sentiva al sicuro, ma in ogni caso continuava a guardarsi attorno nervosamente.
- Il St. James’ s Park ti va bene? – disse infine. Io applaudii in segno di approvazione. Ci ero già stata nella Londra moderna, ma vederlo frequentato da persone vestite in perfetto stile vittoriano era tutt’altra cosa rispetto ai turisti in bermuda, magliette e capelli da pescatore.
Lo seguii per le strade della città, mentre mi guidava al parco.
Il prurito che avevo sentito alla mano destra mentre ero nel suo soggiorno si era affievolito, ma non era sparito. Non mi pareva di avere irritazioni o punture, quindi non riuscivo a spiegarmelo. Tra l’altro, l’avevo sentito solo da quando mi ero svegliata quella mattina. Decisi di fregarmene. Avevo problemi più importanti.
Grazie al cielo in Inghilterra il clima non era caldo quanto in Italia, perché quel vestito così voluminoso altrimenti mi avrebbe causati non pochi problemi. L’umidità era elevata, quindi una temperatura troppo alta avrebbe reso l’aria irrespirabile.
Il St James’ s Park si trovava a est di Buckingham Palace, e si estendeva per ben ventitré ettari. Era a dir poco magnifico. Non si trattava di uno di quei parchi eccessivamente curati, che mi erano sempre sembrati troppo ordinati per essere naturali. Sugli alberi zampettavano circospetti diversi scoiattoli, che si avvicinavano anche per rosicchiare il cibo dalle mani della gente.  Dovevano essere abituati alla presenza degli umani.
Mentre nella strada principale si vedevano perlopiù carrozze, uomini dall’aria seria che si dirigevano affrettatamente chissà dove e signore dall’aria indaffarata, qui prevaleva la presenza di giovani coppie di fidanzati e bambini accompagnati dalle loro madri o dalle bambinaie. Di tanto in tanto si vedeva qualche drappello di ladies più anziane che spettegolavano animosamente agitando le borsette.
Quando ero andata lì nell’altro mondo, avevo sette anni, ma lo ricordavo ancora chiaramente, come se fosse stato poco tempo prima.
- Ciel, passami il sacchetto – gli ordinai. Una mia abitudine, di dare ordini alle persone. Può succedere, quando uno dei tuoi migliori amici si deve trattenere dal gettarsi ai tuoi piedi gridando “Sì, mia signora!”, e rivolge sguardi adoranti nella tua direzione. Nel mio caso, quell’amico si chiamava Marco, ed aveva un’inquietante ossessione per le cantanti insulse italiane.
Ciel, comunque, si dimostrò altrettanto docile, e mi porse il pacchetto incartocciato che gli aveva chiesto di tenermi. Sapendo che i parchi inglesi erano spesso gremiti di scoiattoli, mi ero portata una scorta di briciole di pane e noci sgusciate molto gentilmente da Sebastian. Anche se i realtà l’avevo costretto a sgusciarle io, distogliendolo dalle sue abituali mansioni.
Quando ne presi un po’ in mano, chinandomi sull’erba, una delle creaturine dalla folta coda si avvicinò cautamente, zampettando attorno al mucchietto di noci con circospezione.
Alla fine decise di fidarsi, e ne rubò un pezzo velocemente, per poi sgranocchiarlo poco distante. Ripeté quelle mosse più volte, e terminò per mangiare direttamente dalla mano. Riuscii anche a sfiorarlo, prima che se la svignasse.
A quanto pareva, gli scoiattoli erano socievoli ora come nel futuro. O nell’altro mondo. O quello che era, insomma. In ogni caso mangiavano dalle mani e si lasciavano toccare in tutte e due le situazioni.
- Ti piacciono i roditori? – chiese Ciel, con aria distratta, che in realtà serviva solo a dissimulare il nervosismo. Sperava sul serio di darmela a bere?
- Sono carini e morbidi. Sono più simpatici di quasi tutti gli essere umani -  replicai, senza risparmiarlo dal mio tagliente cinismo nei confronti dell’umanità.
Non avevo mai nutrito grandi speranze negli uomini. Non mi serviva altro che guardare la gente attorno a me per capire come mai le cose andavano come andavano. E in quei momenti mi dicevo “Cielo! Perché non potevo nascere animale e non sentire le idiozie che vengono sparate a destra e a manca?”
Ciel fece un cenno con la testa, verso un fazzoletto d’erba sotto ad un grande albero, un po’ esterno rispetto al fiumiciattolo dove la maggior parte delle persone si erano raggruppate, un po’ per caso e un po’ per guardare i cigni.
Assentii, e ci allontanammo dalle donnine con i bimbi e dai loro mariti o fidanzati.
Per non sporcare l’abito, invece che sedermi m’inginocchiai, allargando la gonna attorno a me per non sedermici sopra strisciandola di verde d’erba.
Lui invece restò in piedi. Era da quella mattina che lo vedevo irrequieto, e siccome non corrispondeva al suo usuale modo di essere, avevo intuito che quella di uscire senza gli altri era un pretesto per potermi parlare lontano da orecchie indiscrete.
- Ti fidi di quei ragazzi inglesi? – domandò a bruciapelo.
Non avevo bisogno di pensarci su molto.
- No, Ciel. Non mi fido di loro, né di Kevin, nonostante sia un mio amico. Non lo vedevo da anni, e non so cosa abbia fatto nel frattempo –
Lui annuì. Ma non era ancora arrivato il dunque.
- Esattamente, c’è qualcuno di cui ti fidi? –
Questo già richiedeva un’analisi più accurata. Non credevo di potermi fidare ciecamente di nessuno, in realtà, ma potevo escludere delle persone dalla lista dei possibili complici di Black Lady, per varie motivazioni. Ormai ero certa che dovesse avere un complice, se non più di uno. La possibilità che ci avesse catapultati in quel mondo per tenerci momentaneamente fuori dai piedi era probabilissima, e quindi le serviva anche qualcuno che ci tenesse d’occhio. Il problema era chi.
- Credo di poter dire con certezza che Grell non è un suo complice. È vero che lei gli lascerebbe scatenare la sua furia omicida, se è il tipo di ragazza che penso, ma ho buone motivazioni per credere che non si lascerebbe corrompere da promesse di questo genere –
Lo conoscevo sufficientemente per sapere che Grell metteva in primo piano le questioni romantiche, quale che fosse il contesto in cui si trovava. E poi, di tutte le cose che avrebbe potuto fare per Black Lady, quello della spia era il più inadatto. Piuttosto l’avrebbe usato per trucidarci.
Sapevo però che Ciel non sarebbe mai stato sicuro del tutto nei suoi confronti. In fondo, Grell era l’assassino di sua zia. Anche davanti a prove inconfutabili sarebbe stato impossibile togliergli quel rancore che lo portava ad essere sospettoso a prescindere.
- Non posso essere certa di nulla con la squadra dall’Inghilterra, come ho già detto. E non ti piacerà, ma non mi fido nemmeno di Sebastian. È un demone, malvagio di natura, anche se fintanto che è ai tuoi ordini non può scatenarsi. Ma ora che siete sotto la protezione e il controllo dell’Associazione Astral non gli è permesso divorare la tua anima, quindi restare tuo schiavo sarebbe inutile. Black Lady potrebbe promettergli di lasciarlo libero di prendere tutte le anime che desidera, e di togliere i freni ai suoi istinti diabolici. Io lo terrei d’occhio, se fossi in te –
Inaspettatamente, il ragazzino annuì senza replicare. Doveva averlo ipotizzato anche lui, realizzai. Era sveglio e meglio di me conosceva il demone. Se non sapeva lui quanto instabile fosse il loro patto, ormai, allora non avrei potuto certo saperlo io.
Ciel non mi rispose. Non disse nulla, e si sedette tra due delle grandi radici sporgenti dell’albero, a circa un metro da me. Voleva apparire calmo, come al suo solito, ma la sua posizione era troppo rigida perché potesse esserlo. In fondo, era pur sempre un ragazzino di tredici anni, nonostante tutto ciò che aveva passato. Il suo modo di comportarsi e controllarsi era già così stupefacente per la sua età.
“Mentre c’è una certa persona di mia conoscenza che ha più di cento anni, e non ha il benché minimo autocontrollo!” mi dissi, e dovetti trattenere una risatina divertita.
In quel momento non mi resi conto del perché accadde.
Un formicolio mi prese improvvisamente la mano destra. Mi lasciai sfuggire un grido di sorpresa.
Somigliava alla sensazione che avevo avuto quella mattina, ma su un’area molto più estesa. Ora che la sentivo così forte, mi resi conto che non era solo sulla pelle, bensì sembrava provenire dall’interno dell’arto. Sentivo quel pizzicore nelle ossa, nella carne. Non faceva male, ma era una sensazione quanto mai bizzarra, che non avevo mai provato prima. Dire prurito, pizzicore o formicolio  non è che cercare definizioni che ci si avvicinino.
Mi si appannò la vista.
 
 
- E’ un onore vedervi di persona, mia lady Alicia – la ragazza seduta sulla poltroncina bianca sorrise mostrando dei denti perfetti e bianchissimi. Si stava intrecciando i capelli color miele con dei nastri di un colore dorato più scuro. – Per me è un piacere vederti in carne ed ossa, mio signor… -
La sua voce venne disturbata da altri suoni. Il suo volto si disgregò.
Una chiazza purpurea dai contorni indistinti occupava tutto il campo visivo. C’era del sangue, c’erano delle forme indistinte terribilmente simili ad arti e membra. C’era una persona dalla pelle diafana, distinguibile solo da quest’ultima in quella pozza cremisi.. Dei singhiozzi intervallati a risatine acute sembravano provenire da quel punto.
Una macchia nera per un attimo coprì il groviglio, ma un ordine secco impartito da una voce di fanciulla la fece fermare prima che aggredisse l’esile sagoma rannicchiata ai suoi piedi.
- Non toccarlo, mostro – disse lei, gelida come un pezzo di ghiaccio – Se gli torci un capello, ti massacro –
La creatura nera si voltò a guardarla. Nel suo aspetto non c’era quasi nulla di umano. Artigli come rasoi, occhi simili a braci ardenti, ali di piume del colore della pece gli spuntavano dalla schiena , ed una coda appuntita guizzava a destra e a sinistra. Il suo volto era esangue, come quello di un cadavere.
- Eppure mi piacevate, lady Alicia – sembrava davvero amareggiato. Quasi malinconico.
Un grido lacerante di dolore. Un altro di terrore.
Il corpo di una ragazza era riverso a terra, in un lago di sangue. Il viso era irriconoscibile, ma si vedevano i capelli biondi che, anche se in gran parte arrossati, le attorniavano il bel viso come un’aureola.
Un uomo era inginocchiato accanto alla figurina senza vita, e piangeva disperatamente, sollevandola e stringendola tra le braccia.
Alicia, Alicia.
Alicia si era spezzata.
 
 
Quelle immagini svanirono dai miei occhi con la stessa rapidità con cui erano venute. Rimasi senza fiato. Era stato così improvviso, così dirompente!
Ciel mi fissava sbigottito. Chissà che espressione dovevo aver assunto.
- Stai bene? – domandò con cautela.
Quella visione… perché mi sembrava familiare? Alicia… Non ricordavo di conoscere nessun con quel nome, però non mi era nemmeno del tutto estraneo.
Cos’era quella belva? E quel mucchio di corpi dilaniati?
Sui vestiti della ragazza, visualizzai, c’era la grossa spilla del simbolo dell’Astral Project, quindi quella Alicia doveva essere un’Astral. Un’Astral che è morta.
Rabbrividii ricordando la creatura dalle piume nere e gli occhi infuocati. Era completamente diversa dai mostri che avevo fronteggiato io fino a quel momento. Sembrava… intelligente. I demoni a cui avevo dato la caccia erano quasi tutti a malapena in grado di pensare, ed erano guidati dall’istinto.
Quello invece parlava benissimo, aveva una figura che pareva abbastanza antropomorfa, togliendo ali, coda, artigli e corna. Aveva persino dialogato con quella Alicia.
Perché ho visto queste immagini? Cosa sono, avvenimenti del passato?
- Sofia, rispondimi subito, sennò finisco per preoccuparmi! – proruppe Ciel, interrompendo il filo dei miei pensieri, che a dir la verità erano molto più confusi di come li ho descritti.
- Ah… scusa. – mormorai. – Credo di aver avuto un’allucinazione… -
Il ragazzino spalancò la bocca, incredulo. – E lo dici con questa tranquillità?! Tu non sei normale! – disse infine. Mi venne da ridere. Proprio lui veniva a dirmi che non ero normale?
- Torniamo immediatamente alla tua magione – dissi quando riuscii a tornare seria – Ho l’urgente necessità di interrogare il tuo diavolo e il mio shinigami -
 
 
 
 
Non mettemmo molto a tornare alla lussuosa abitazione di città del piccolo conte. Camminavo così veloce che dovette letteralmente correre per starmi dietro, e non era mai stato portato per l’attività fisica. Nemmeno io, in realtà, ma ero più alta di lui, quindi avevo anche le gambe più lunghe.
Non appena entrai chiama Grell e Sebastian a gran voce. Mi augurai di aver svegliato Violet. Erano le undici del mattino, e molti dei miei coetanei aveva la brutta abitudine di dormire fino a tardi, cosa che non avevo mai compreso: quanto tempo perso, nel quale invece si potevano leggere manga e guardare anime!
Il maggiordomo, naturalmente, non si fece attendere. Fu da me nel giro di neanche un minuto, scattante ed efficiente. Gli dissi di andare nel salotto, che sarei andata lì non appena avessi trovato Grell, che al contrario non si faceva vivo.
Alla fine lo trovai. Era impegnato in un’accesa discussione con una delle ragazze della squadra di Kevin, riguardo l’abbinamento dei colori dei vestiti. Lei non sembrava apprezzare l’accostamento tra rosso e nero, che a suo parere creava un’atmosfera troppo forte e violenta. Lui le rimbeccò che invece sulla mia armatura da Astral dava un tocco sexy. E aggiunse che lo dava anche a lui.
Riuscii a trascinarlo via prima che iniziassero a sbranarsi, ma fu un’impresa. Quando si parlava di estetica, mettersi contro di lui era altamente sconsigliato, a meno che non si trattasse di un metodo meno esplicito di suicidarsi.
Sebastian era rimasto dove l’avevo lasciato, persino nella stessa posizione e con  lo stesso sorrisetto fastidioso.
Mi sedetti sul divano, e in men che non si dica mi ritrovai il sopracitato dio della morte avvinghiato addosso come un koala ad un albero. Sciolsi il nodo che aveva fatto attorno a me con le braccia, ma con delicatezza, per non farlo sembrare un rifiuto. Sembrò funzionare, così si limitò a mugolare deluso arricciando le labbra in una maniera chiaramente provocatoria.
- Per quale ragione ci avete convocati qui con tale impazienza, my lady? – domandò cortesemente Sebastian, che probabilmente mi stava maledicendo per aver interferito nel suo programma giornaliero.
Andai dritta al punto, come mio solito. – Conoscete un’Astral di nome Alicia? – dissi senza tanti giri di parole. E stetti a studiare le loro reazioni.
Grell aggrottò le sopracciglia in un’espressione pensosa, e scosse la testa. Tutto questo mordicchiandosi il labbro inferiore con studiata lentezza. Mi chiesi se avesse una minima idea di cosa gli sarebbe successo se per caso io fossi stata William.
Sebastian fu molto più curioso da studiare, anche se meno stimolante. Fece per spalancare gli occhi, ma s’interruppe a metà, e in vece assunse un’espressione turbata. Inoltre, aveva improvvisamente irrigidito la postura.
- Sì, certo che la conoscevo – mormorò cupamente – Una guerriera eccellente. È stata brutalmente assassinata da un demone. Voi come fate a sapere di lei? –
Da un demone? Ecco perché quella faccia! Si vedeva preso in causa.
Ora che avevo appurato non fosse stato solo uno scherzo del mio cervello, decisi che era il caso di identificare meglio quella persona. Se avevo avuto delle visioni su di lei doveva esserci una spiegazione. Tanto più considerato che era morta: se fosse stata viva, almeno avrebbe potuto essere plausibile che fosse finita in un’allucinazione casualmente, e che fosse magari qualcuno con cui avevo parlato. Ma era morta, non potevo averla vista da nessuna parte, e non l’avevo mai conosciuta. Quindi come avevo fatto a vedermela così davanti agli occhi?
- Prima, mentre ero fuori con Ciel, ho avuta una breve allucinazione. Ho visto una ragazza che veniva chiamata Alicia, e ho visto la sua morte. Quindi, dato che tu la conoscevi, ti sarei grata se mi dicessi tutto quello che ti viene in mente su di lei –
Sembrò pensarci un po’ su.
- Lei era… la più forte di tutti gli Astral. Bella e potente, con delle abilità quasi dieci volte superiori a quelle degli altri. È stata lei a materializzarmi nel vostro mondo. Poi, un giorno, era andata a compiere un'altra materializzazione. Non si sa cosa sia successo, ma lei tardava a tornare, e quindi hanno mandato qualcuno a cercarla. Quando l’hanno raggiunta, lei era morta, in un lago di sangue, con il ventre squarciato. Hanno capito che si trattava dell’opera di un demone, ma a parte questo, non si sa nulla –
Non aveva nient’altro di dire in proposito? Rimasi un po’ delusa. Da Sebastian mi ero aspettata delle informazioni più accurate, non era da lui avere una conoscenza così approssimativa di una persona con cui era in contatto.
Speravo che sapesse qualche informazione ottenuta con metodi poco consigliabili, conoscendolo. Sarebbe stato più che probabile. Il demone perdeva colpi!
- Se non vi dispiace – continuò lui – Avrei diverse mansioni da svolgere, quindi vi chiedo il permesso di andare ad occuparmene. Il signorino potrebbe irritarsi, se non le facessi –
- Vai, vai pure. A quanto pare stai invecchiando: non fai più quello che ti riesce meglio. A parte fare insinuazioni –
La sua utilità ce l’aveva: potevo usarlo come vittima delle mie battute sarcastiche e velenose senza che si mettesse a dire idiozie del tipo “Lo dirò alla mamma!” o “La vado a dire al prof!”.
Se la squagliò con sveltezza esemplare, sempre pronto a servire il suo padroncino tredicenne senza commettere errore. A parte quello di volerselo divorare, inteso.
- Non ne sai proprio nulla? – tentai di nuovo a chiedere a Grell. E di nuovo ricevetti una risposta negativa. D’altronde lui era entrato nell’associazione Astral dopo di me, quindi era ovvio che non poteva saperlo.
Distrarmi in speculazioni su quella Alicia fu un errore: Grell ne approfittò per salire del tutto sul divano, inginocchiandosi proprio a fianco a me, e soffiarmi sull’orecchio. Oh, diamine!
- Sofi-chan – sussurrò con voce suadente – Non mi hai ancora dato una risposta chiara. Riguardo a quanto ti ho detto di essermi innamorato di te –
Ed ancora una volta lo shinigami scarlatto dimostrava che la sola e unica cosa di cui gli importasse un fico secco, fatta eccezione per le uccisioni, era il tema amoroso e tutto ciò che ci girava attorno.
Eppure credevo che averlo baciato in quel modo la sera prima, e averlo lasciato dormire accanto a me fossero segnali sufficientemente chiari e limpidi!
- Ho rifiutato tre ammiratori per te, ancora prima che tu diventassi reale. È valida come risposta? – Grell trattenne il fiato e si portò le mani alla bocca. – Sì, certo, Grell. Ti amo, da un sacco di tempo – solo alla fine gli concessi un sorriso. Quasi non ci credetti quando vidi che aveva gli occhi lucidi.
Mi si gettò addosso premendo le labbra sulle mie. I suoi capelli mi si rovesciarono a cascata sul viso, e potei inspirare a pieni polmoni il loro profumo. Dolce e fresco. Terribilmente invitante.
Mi chiesi se fosse una buona idea provare a mordicchiargli il labbro. Poi decisi che non me ne importava un bel niente se fosse buona o no, e che comunque mi andava di farlo. Quindi lo feci.
Risultò essere stata un’ottima idea, a giudicare dalla mutazione della voce del mio shinigami. Mio e di nessun altro.
- Sei sorprendentemente sensibile – gli feci notare. Diventare così rosso solo per un bacio, con tutte le oscenità che abitualmente sparava senza il minimo pudore.
- Sai, Sofi-chan – disse, sollevando la testa per guardarmi negli occhi – Da un membro dell’associazione ho scoperto una nozione molto interessante. Riguardo la biologia di noi esterni –
E di sicuro non riguardava l’apparato digerente o respiratorio, dal tono in cui lo disse.
- Pare che il nostro DNA sia completamente incompatibile con il vostro. In pratica è impossibile che nascano bambini metà e metà tra voi e noi –
Lo immaginavo, che riguardasse quell’ambito. Cercai di ricordare quando gli avevo spiegato cos’era il DNA, ma evidentemente non ero stata io. Un vero peccato!
- Questa tua informazione può avere dei notevoli vantaggi – considerai. Lui sembrò perplesso.
Mi schiarii la voce. – Ovviamente non è mai stato un tuo problema fintantoché le tue relazioni erano solo con altri uomini, ma quest’impossibilità in certo casi può risultare anche utile –
Sembrava confuso – In che casi? Non è sempre lo stesso, per voi donne? –
Scossi la testa. – Ti ricordo che la medicina moderna ha inventato metodi per impedire in maniera non permanente la… nascita di figli –
Dal suo punto di vista doveva sembrare follia pura: sapevo che il suo più grande desiderio era quello di poter essere una donna per avere un figlio suo. Chiaro segno che era una persona di altri tempi.
- Chi potrebbe mai desiderare una cosa del genere?! – esclamò, scandalizzato.
- Le ragazze giovani, stupido. Non ci si sposa più in maniera permanente e solo prima di… hai capito –
Quasi riuscii a vedere i neuroni all’opera. Era terribilmente grazioso quando cercava di capire qualcosa che gli pareva impensabile. Alla fine, fortunatamente, riuscì a mettersi nei panni delle fanciulle del mio mondo.
- Mi ero di nuovo scordato che per voi ora è diverso – tentò di giustificarsi.
- Come ho già detto, per certe persone l’incompatibilità dei due tipi di DNA può essere di grande aiuto… - e gli diedi un’occhiata d’intesa. Stavolta capì all’istante cosa intendevo.
Avevo fatto diciassette anni, accidenti! Non potevano aspettarsi che me ne stessi buona buona con quella provocazione vivente che mi tempestava di allusioni alternate a dichiarazioni d’amore (e non solo) per molto tempo.
- Sei più maliziosa di quel che credevo – sospirò estasiato il dio della morte.
- Se a te piace, allora è buono a sapersi –
Purtroppo una voce indesiderata mi chiamò, chiedendo aiuto per fare chissà che cosa. Probabilmente qualche piccolo lavoretto casalingo di semplicità imbarazzante. I giovani d’oggi spesso erano così viziati!
A malincuore mi alzai per raggiungere chiunque avesse bisogno di essere salvato dal filo di polvere assassino, dando un ultimo bacetto sulle labbra di Grell.
Stavo per uscire, ma il rosso mi fermò un’istante prima che fossi troppo lontana, e avvolse la braccia attorno alla mia vita. Mi scostò i capelli dal collo, su cui posò delicatamente le labbra.
- Devo andare – mormorai.
Andai a cercare chi mi aveva chiamata.
Prima che Grell vedesse il rossore sulle mie guance.
 
 
 
 
****
Note:
Gli scoiattoli nel parco di Londra li ho toccati davvero. Mangiano dalle mani della gente e a volte si riesce anche ad accarezzarli. È stata un’esperienza stupenda, soprattutto contando che all’epoca ero una bambina, e mi emozionavo facilmente.
Ah, e sono terribilmente dispiaciuta, ma per varie ragioni che non sarei in grado di spiegare, la scenetta piccante che avevo promesso dovrà essere limitata, quindi il rating rimarrà giallo. Anche se comunque quei due combineranno qualcosa, questo lo giuro!
Da questo momento spero di aggiornare con una frequenza maggiore.
Grazie mille a chi segue, recensisce o anche solo legge questa storia!
Un bacio!
 
 
Sofyflora98
 

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Capitolo 14
*** Atto 14, apro una porta ***


L'urgente mansione che necessitava il mio intervento, risultò essere la rimozione di un ragnetto dalla cornice di una finestra. Il suddetto aracnide era non più grande dell'unghia del mio pollice, con zampette corte ed esili, e non stava facendo altro che attendere che una qualche mosca fosse talmente idiota da appiccicarsi alla sua piccola tela sottile e tremolante.
Eppure, quella creaturina così innocua e insignificante aveva causato una crisi isterica, due o tre urla lancinanti e diverse incitazioni ad ucciderla.
Non mi stupii, per qualche bizzarra ragione, nello scoprire che ad avere lanciato “l'allarme” era stata Violet. La maledissi mentalmente: mi aveva interrotta mentre stavo coccolando il mio ragazzo solo perché aveva trovato un ragno minuscolo sulla finestra?! Dio, quanto mi irritavano le ragazze schizzinose! Comunque, io avevo ignorato le sue suppliche che mi dicevano di schiacciarlo, e l'aveva preso in mano per trasportarlo da qualche parte dove non corresse rischi. Anche lui aveva il diritto di farsi la casetta, e a me i ragni piacevano molto, perché si nutrivano di mosche e zanzare, oltre ad essere a loro modo carini.
Passai il pomeriggio a discutere con gli altri Astral tattiche e strategie di lotta e guerra, in previsione di un futuro scontro aperto contro Black Lady. Avevamo convenuto all'unanimità che la cosa migliore era farla uscire allo scoperto. Da come si muoveva era indubbiamente una macchinatrice dedita a complotti e movimenti nel buio più che ad attacchi diretti, quindi o non aveva un gran numero di guerrieri abili dalla sua parte, o aveva qualche capacità particolare che non avrebbe potuto usare in battaglie caotiche.
Grell se ne fregò altamente delle nostre discussioni, ma ciononostante mi seguì per tutta la giornata, facendo suo il posto vicino a me ogni volta che mi sedevo.
A cena mi domandai se Sebastian li avesse davvero imparati, gli usi e costumi umani. O per meglio dire, le dimensioni del nostro stomaco. Onestamente, come poteva pensare che riuscissimo a mangiare tutto quello che preparava senza avanzar nulla?! E io non ero una di quelle ragazze che a malapena mordicchiavano due carote e si mettevano sempre a dieta, per nulla.
Non parlai più dell'allucinazione che avevo avuto, gli Astral inglesi ne erano ignari. Avevo preferito tenere la cosa segreta tra quelli della mia squadra, non ci tenevo a sembrare una pazza visionaria davanti a gente che non conoscevo.
Dopo rimasi nel salotto a leggere uno dei libri di Ciel, per passare il tempo. Era in inglese, ovviamente, ma me la cavai abbastanza bene, considerato che era pure un inglese più antico.
Feci questo fino a che non ricevetti un segnale piuttosto chiaro, o che almeno per me lo fu.
Stavo leggendo da quasi un’ora, e Ciel se ne era già andato a nanna, con l’aiuto immancabile del perfetto ed efficiente maggiordomo in nero, e altri tre Astral erano con me. Gli altri non sapevo se stavano già dormendo o cosa, e onestamente non m’importava. Ciò che conta è che Grell si era posizionato sul bordo della porta, e tamburellava nervosamente sulla maniglia in metallo. Mi sentivo il suo sguardo fisso sulla nuca, quindi diedi un’occhiata alle mie spalle per vedere cosa stesse facendo. Non stava facendo assolutamente nulla, tranne che fissarmi insistentemente.
Fece un lieve cenno con la testa, come ad invitarmi ad uscire e andare con lui. Non mi ci volle più di una frazione di secondo per intuire le sue intenzioni. Non che fosse difficile capirlo, in generale. Era abbastanza un libro aperto, lo shinigami.


Mi ero alzata tranquillamente, dopo aver visto il suo gesto, e con finta disinvoltura avevo augurato la buonanotte agli altri presenti nella stanza, e mi ero avviata verso l’uscita. Appena fummo fuori dalla loro vista, gli afferrai la mano, e affrettammo il passo. Molto probabilmente avevo un sorriso idiota stampato in faccia, ma non credo che lui se ne fosse accorto.
Andammo nella mia stanza, che poi era anche la sua, a quel punto.
Strinsi più forte la presa sulla sue dita, e mi stupii di sentirle fremere d’impazienza ma anche di dolce insicurezza. La cosa contribuì a rassicurare me, invece. Mi decisi a dare un taglio a quel momento d’imbarazzo, e lo afferrai per il colletto della camicia alzandomi in punta dei piedi, per baciarlo. Dapprima delicatamente, poi con più impeto.
Grell si sedette sul bordo del letto, cosicché non dovesse chinarsi e io non dovessi torcere il collo. Gli afferrai il viso tra le mani, quel viso così bianco, e liscio e perfetto… che nessuno al di fuori di me avrebbe mai più toccato. Provai un moto di orgoglio all’idea. Lui era, almeno ai miei occhi, quanto mai desiderabile e attraente una persona potesse essere. Delizioso, da far girare la testa. Ed era mio.
Ciò che avvenne poco dopo è un ricordo molto vago, che si è inciso nella mia mente come idea di meraviglioso, in una sequenza di immagini sfuocate.
In qualche maniera che il mio cervello aveva rimosso, avevo fatto sparire chissà dove i suoi vestiti. Qualcuno aveva scostato la tenda per far filtrare la luce della luna. Forse ero stata io, ma non era importante al momento. Pensai che non potesse esistere qualcosa di più bello, in tutto il mondo, del suo corpo nudo. La sua pelle, oh la sua pelle, era così vellutata e diafana, sembrava quasi riflettere la luce argentata proveniente da fuori. Si era alzato in piedi, strategicamente di fronte alla finestra, spartendo i capelli in due masse cremisi che si era portato sulle spalle, le quali ricadevano morbide sul petto.
Mai come in quel momento fui certa che l’essere che mi si stava donando era veramente una divinità, tanto pareva irreale ed etereo, in quel chiarore bianco e argenteo soffuso, nella notte. Com’era possibile che una tale creatura ultraterrena potesse aver scelto di dare il suo amore ad una comune ragazza umana mortale?
Pensai questo, e piansi di gioia.
Il seguito mi apparve sempre più magico e sfumato.
Niente a che vedere con i racconti delle ragazze che conoscevo, o con ciò che si vedeva nei film. Ma naturalmente, nessuno a parte me aveva Grell, quindi nessuno poteva vivere un’esperienza simile alla mia. Amore, adorazione, tenerezza, estasi, tutte cose che si alternavano nel mio stato d’animo a ripetizione.
Due cose ricordo più chiaramente. Lui sdraiato sul letto, i capelli sparsi attorno alla sua testa come rivoletti di sangue, gli occhi chiusi ed un’espressione estasiata. Lui sopra di me, che mi guardava languidamente, sussurrando che mi amava.


 

Mi ero svegliata abbastanza di colpo, gli occhi sbarrati, già completamente lucida.
- Non ci credo – dissi ad alta voce, rivolta a me stessa. Beh, avevo poco da non crederci. Mi bastava girare la testa di qualche centimetro per avere la prova tangibile di ciò che era successo. Ed io la girai, la testa.
Grell era accoccolato vicino a me, o più precisamente addosso a me, con la testa sulla mia spalla e le labbra pericolosamente vicine al mio orecchio destro. Oh, cavolo! Oh… cavolo! Continuai a pensare ininterrottamente, indecisa su che fare al momento.
Svegliarlo? Oppure restare a guardarlo dormire facendo un piccolo ghigno, da vera maniaca pervertita? Se avessi optato per la seconda, la “dolce e candida” Angelica della mia classe sarebbe stata privata del suo titolo di “Ragazza più maniaca in circolazione”. Sarebbe stato divertente andare a raccontarle l’accaduto, e gustarsi la sua espressione invidiosa. Purtroppo c’era il fattore imbarazzo ad impedirmi di raccontarglielo.
Alla fine decisi di svegliarlo. Premetti piano sulla sua guancia con il dito, sperando che fosse sufficiente: ero sempre a disagio quando mi capitava di dover svegliare qualcuno, che fosse un’amica o mia mamma, quindi figurarsi con il giovane con cui avevo… ah, solo a pensarci mi sentivo il viso in fiamme.
All’inizio pensai che fosse ancora assopito, e stavo già pensando di scuotergli la spalla. Dovetti ricredermi quando le sue braccia mi avvolsero la vita. Probabilmente era già sveglio da prima, e fingeva solo di dormire, realizzai.
- Cucù, tesoro! – mi salutò, e finalmente aprì gli occhi.
- Ehm… ciao – risposi nervosamente. Lui sembrò confuso, forse dal modo in cui avevo parlato. E per farmi sputare il rospo fece quella faccetta da cucciolo bastonato, che sapeva fosse il modo più efficace per sciogliermi la lingua. Approfittò del fatto che mi fossi alzata per sedermi con la schiena dritta, e si tuffò ad abbracciarmi stringendosi di più a me, e guardandomi dal basso verso l’alto. – C’è qualcosa che non va? – mi chiese con tono così lacrimoso che mi venne un’improvvisa voglia di coccolarlo.
- Ah… no, va tutto bene. Ovviamente. Sì, beh… meglio di così non potrebbe andarmi, tenendo da parte Black Lady. È che… come dire… - cominciai a maledirmi da sola. Non mi capitava quasi mai di essere così impacciata con le parole, e quello non era proprio il momento giusto.
- Prima volta. In un altro mondo. Con un dio della morte – schematizzò Grell per me. Io annuii, e dovetti fare un enorme sforzo per non afferrare un cuscino e nasconderci la faccia.
- Hai dimenticato “imbarazzo” – conclusi io. Lui sorrise, e si alzò a sedere. Portò un braccio a circondarmi le spalle, e chinò la testa per baciarmi. Io, quando avvertii il contatto con le sue labbra, alzai di più la testa, per baciarlo più profondamente.
- Non credere che io sia… tranquillo – prese ad attorcigliarsi una ciocca di capelli – Sai… prima volta con una ragazza –
- Cosa? Credevo che Madame Red… -
Lui scosse la testa. – No, invece no. Assolutamente nulla –
- Quindi posso considerarmi una privilegiata, eh? – non potei evitare di sghignazzare. Di nuovo ricevetti segno di assenso.
- Ma lo sai che ti amo? – mi sussurrò all’orecchio. Sì, lo sapevo, ma un promemoria non faceva per niente male. Io gli sorrisi, e allungai una mano a sfiorargli il petto. Avevo ufficialmente deciso che la sua pelle mi piaceva un sacco, liscia e chiara com’era. Alla vista sembrava porcellana, al tatto pareva seta. Mi prese la mano, guardandola come se fosse stata chissà quale gioiello prezioso, quasi con venerazione, e se la portò alla bocca. La baciò una, più volte. Mi andò a fuoco quasi subito.
La ritrassi con uno strillo, fissando allibita le mie falangi. Lui all’inizio sembrò ferito, ma poi sgranò gli occhi in un’espressione sbalordita, indicandomi. – Stai brillando, Sofia! Stai brillando! – esclamò.
Io mi guardai le braccia, arrotolando le maniche della camicia da notte. Sì, stavo brillando di una lieve luce di un pallido colore dorato. E avevo un prurito insopportabile dalle dita fino ai gomiti, anzi, un vero e proprio bruciore, come se avessi messo le braccia nel fuoco.
- Ma che… - di nuovo quella strana sensazione agli arti, solo molto più intensa. L’ultima volta era stata con la visione su Alicia. Adesso, qual era la ragione?
La porta si aprì, mentre una voce sensuale diceva - È permesso, lady Sofia? –
Ovviamente Sebastian. Non sembrò sorpreso nel vedere Grell con me. Lo sembrò invece di vedermi brillare.
- Mai, chiedere prima di entrare, eh? – commentai. Lui non proferì parola per un bel po’, invece, apparentemente assorto in chissà quali diabolici pensieri. Aveva assunto un colorito ancora più cadaverico del solito, e non riusciva a staccarmi gli occhi di dosso, come se fosse turbato da ciò che vedeva. Gli ci volle un bel po' prima che si decidesse a sputare il rospo.
- Legame – mormorò, corrugando le sopracciglia. Gli rivolsi uno sguardo interrogativo. Di che accidenti stava parlando? Grell sembrava perplesso quanto me di fronte a quell'inaspettata reazione.
- Saresti così gentile da spiegarci cosa ti sta rodendo il cervello? - gli chiesi, col tono più sarcastico che mi riuscì.
Lui sospirò, e posò il vassoio con la colazione ai piedi del letto. - È una cosa che succede a volte, quando si crea, ehm... un rapporto piuttosto particolare tra un Astral ed un Esterno -
Alzai gli occhi al cielo. Infatti con quella spiegazione avevo capito, eh! Gli dissi di essere più preciso e di piantarla di preoccuparsi della forma e della correttezza della sua parlata. Non sembrò felice di sentirselo dire.
- Esiste tra Esterni ed Astral un indice chiamato “affinità”, che determina quanto le anime dei soggetti siano in grado di adattarsi l'una all'altra, fondersi, completarsi a vicenda per lavorare insieme. Più alta è l'affinità tra due persone e meglio si capiscono tra di loro. Anche il combattimento di coppia ne risente: se l'affinità è alta possono avere una sincronia maggiore ed risultare un duo più affiatato -
Grell fischiò in segno di apprezzamento. Di canto mio, non avevo mai sentito nulla di simile, e non riuscivo a capacitarmi di come avessero potuto tralasciare di dirmi una cosa così importante. Sebastian riprese il discorso, non senza scoccare uno sguardo infastidito allo shinigami. Più tardi, mi dissi, glielo avrei fatto rimangiare, quello sguardo.
- Quando l'affinità oltrepassa un certo livello, come nel vostro caso... - e ci scoccò un'occhiata allusiva – si può creare il “legame”. Si tratta, per l'appunto, di una specie di legame tra i due, che incrementa in maniera spaventosa gli effetti dell'affinità. Si comincia a capirsi solo con brevi contatti visivi, a sviluppare nuove tecniche magiche e di lotta altrimenti impossibili, a volte si arriva persino ad una lieve forma di telepatia. Ci si può percepire a distanza, e condividere alcuni poteri -
A sentire tutto quello ero rimasta quasi incantata. Okay, detto in quella maniera poteva sembrare il solito power-up dei cartoni animati, ma pensando a cosa avrebbe comportato nella realtà, era a dir poco stupefacente. Guardai il mio splendore rosso con un sorrisetto timido. Già, per quanto strano da parte mia, all'improvviso mi sentivo timida. Se era davvero come diceva Sebastian, si trattava di qualcosa di molto intimo, che mi ricordava la maniera in cui i miei genitori si intendevano tra loro senza parlare, anche se privi di poteri magici.
Dopo mi stupii di me stessa, perché era assurdo arrossire parlando di telepatia, ed essere solo poco più imbarazzata pensando alla sera prima. Mi lasciai sfuggire una risatina compiaciuta. Imbarazzo a parte, tutto questo era il massimo che una fangirl otaku potesse sognare, e non saranno state più di una ventina in tutto il mondo ad aver realizzato il desiderio di stare assieme al proprio amore fantastico idealizzato.
- E che altro implica, questo legame? - domandai.
Sebastian sorrise – Poteri amplificati, come ho già detto. Con il legame è quasi impossibile non riuscire ad aprire portali, mia lady -
Aprire portali, aveva sul serio detto aprire portali? Ma se era così, allora...
Spalancai la bocca, incredula. E io che credevo non ci sarei mai riuscita prima di mezzo secolo! Se ne avessi aperto uno, se avessi imparato a farlo, saremmo potuti tornare a casa! Oh, finalmente avremmo scoperto perché Black Lady ci aveva spediti in questo mondo, e che aveva combinato dall'altra parte nel frattempo.
- Sebastian, vai a svegliare gli altri, subito! - gli ordinai, già su di giri. Lui non se lo fece ripetere, e dopo un breve inchino corse a chiamare il resto della combriccola, probabilmente ancora persi nel sonno. In effetti ero piuttosto mattiniera.
Quando fummo di nuovo soli, Grell si mise a ridere. Era una risata limpida, che gli illuminava il volto dandogli un aspetto candido e sincero, non come quelli inquietanti che invece faceva spesso prima di diventare reale. Si alzò in piedi, trascinando fuori anche me, e prendendomi per le braccia iniziò a girare in tondo, per poi fermarsi e concludere quella danza bizzarra dandomi un bacio. Venne da ridere anche a me.
- Ehi, che ti prende, testa rossa? - esclamai, contagiata dalla sua allegria. Lui per tutta risposta strofinò il naso sul mio.
- Ce la farai, e torneremo a casa – disse.
All'inizio quella frase mi sembrò bizzarra. Dopo qualche secondo capii anche il perché: aveva detto “casa”, ma lui era originario dal mondo in cui eravamo in quel momento, quindi era fuori luogo, o almeno lo sembrava. Ah, ma ormai anche loro vivono con noi. Che sia per questo?
- Ho detto così perché il mio posto è dove sei tu – mi sussurrò con dolcezza.
Sgranai gli occhi. Come faceva a sapere che...? Oh! La nuova semi-telepatia. A quanto pareva, lui l'aveva già imparata ad usare, o semplicemente io ero impedita in questo. Ora che avevo chiarito quel punto, mi accorsi che ciò che aveva detto era estremamente bello, da sentirsi dire. Sì, una sensazione strabiliante. Ancora più sublime che amare qualcuno, era sentirsi amati da qualcuno. Non mi era mai capitato di sentirmi così, togliendo i genitori dal discorso.
Ma naturalmente rispondere con qualcosa di altrettanto romantico era fuori dalle mie possibilità, quindi come mio solito mandai l'atmosfera tenera a farsi friggere, con una frase delle mie.
- Ehm... ti rivesti? -
Ecco, clima disintegrato. La faccia che fece nel ricordarsi di non avere assolutamente nulla addosso mi causò un attacco di tosse. O meglio, una risata dissimulata con un attacco di tosse. Una delle cose che rendevano ovvio che non potesse essere che una persona inventata era proprio questa: poter essere dolcissimo e subito dopo tremendamente ridicolo. Probabilmente, però, le mie coetanee non otaku non avrebbero apprezzato una personalità simile alla sua. Beh, non è che avessi una grande opinione delle ragazze adolescenti medie. I loro gusti nei confronti del genere maschile erano non cattivi, ma proprio pessimi.
Tra un pensiero e l’altro, fu una piacevole visione quella di Grell che si affannava a cercare i vestiti, finiti chissà dove nella stanza. Magari anche la sparizione era stata merito mio. Non ne ero sicura, ma era probabile: succedono molte cose quando si è presi… dalla foga. Immaginai che piccoli vuoti di memoria come quello fossero la norma.
In qualche maniera riuscì a recuperarli e potersi rivestire. Era sul punto di spazzolarsi i capelli, quando gli bloccai il polso.
- No, no. Qui faccio io – intimai, prendendo possesso della spazzola e facendolo sedere. Mi divertii molto a sistemargli quella coltre vermiglia. Erano così incredibilmente fini che scivolavano tra le dita come fossero stati d’acqua. Leggeri, soffici e lisci. Profumati anche: emanavano una fragranza dolce e fresca, quasi fruttata. Non come i miei, che sapevano nettamente di shampoo con aromi sintetici. Grell emise un sospiro, e spinse il viso contro la mia mano, in cerca di carezze. Finii di togliere i nodi dai suoi capelli, prima di assecondarlo. Lasciai scorrere le dita lunga la sua guancia, mi fermai a saggiare la morbidezza delle sue labbra con i polpastrelli. Reclinò la testa all’indietro, poi cambiò idea, e si girò su se stesso, mi prese per le spalle e mi baciò, lentamente.
Fu lui a staccarsi, quando finì il fiato.
- Se permetti, ora mi vesto anch’io. Non intendo presentarmi in camicia da notte –
Presi di nuovo il vestito che avevo indossato il giorno precedente. Mandai a quel paese il corsetto, dato che non dovevo uscire di casa, ma non rinunciai alla sottogonna, che mi piaceva molto. Non solo dava volume alla gonna dell’abito, ma contribuiva a farmi aria sulle gambe. Lo shinigami non si lasciò perdere l’occasione, e si prese il compito di allacciarmi i nastri sulla schiena, con uno sguardo che mostrava un misto di ammirazione e invidia. Probabilmente gli sarebbe piaciuto indossarne uno anche lui. Chissà, magari a me sarebbe piaciuto vederlo mentre lo indossava. Una volta, mi dissi, avrei fatto in modo di mettergliene uno.


Quando ci riunimmo nel salotto, e Sebastian diede una breve spiegazione, inizialmente i più avevano la faccia di chi è appena stato buttato giù dal letto. Dopo aver sentito il suo discorso, e aver assimilato l’idea che presto forse saremmo tornati a casetta nostra, parvero molto più svegli di prima, anzi quasi freschi.
Nel frattempo, il mio bruciore alle braccia si era calmato, così come lo scintillio della mia pelle. Meglio, mi dissi, non volevo ne sembrare piena di paillettes e ne sentirmi come se mi fossi ustionata.
Violet, però, sembrava poco convinta. Chissà mai perché.
- Ed esattamente da che l’hai capito che questi hanno un… legame? – chiese con voce strascicata.
Sebastian la guardò come se fosse stata un insetto. – Si può sentire nell’aria, lady, se si hanno delle sufficienti capacità di percezione. La maggior parte qui dovrebbero esserne in grado, ma in effetti non è detto che tutti abbiano raggiunto un livello abbastanza alto da farlo –
Vederla avvampare fu molto appagante. Una volta tanto anche il nostro Sebas-chan dispensava i suoi commenti insinuanti alla persona giusta, invece che accanirsi contro il mio shinigami. Tra l'altro, da qualche ora era diventato mio sul serio.
Violet, comunque, non sembrò soddisfatta di quella delucidazione, e non cambiò il suo cipiglio scettico. Fece anche una piccola smorfia. - E come facciamo a sapere che non stai dicendo una balla? Qualcun altro qui, a parte i due non umani è in grado di capirlo? -
Mi venne una gran voglia di prenderla a schiaffi. Non pretendevo che smettesse di essere dubbiosa, ma quel tono saccente poteva anche tenerselo per se. Per fortuna intervenne Kevin, miracolo vivente, che le mise una mano davanti al viso per dirle di calmarsi. - Lo posso sentire anch'io, Violet, quindi smettila. Non voglio che si creino discussioni in un momento delicato come questo. Forse torneremo nel nostro mondo presto, quindi non vedo ragione di parlare in quel modo -
Disse così, ma non sembrava molto felice, in realtà. Era un po' abbattuto, quasi triste, e non riuscivo a spiegarmene la ragione. Mi fu suggerita invece, me lo disse una voce nella mia testa. No, non proprio una voce. Più che altro una piccola pressione nella mia testa che sembrava suggerirmi che fosse geloso. Aggrottai la fronte, e mi guardai attorno. Grell stava ridacchiando. Si voltò a guardarmi.
- Quello lì è geloso – disse silenziosamente, muovendo solo le labbra. Allora capii cos'era accaduto: una piccola condivisione di pensieri, come diceva Sebastian. Una specie di grossolana telepatia, che non trasmetteva parole definite, ma impressioni generali, sensazioni. Interessante, molto interessante. Avrei dovuto lavorarci, magari si poteva affinare.
- Sentite – dissi – E se la smettiamo di chiacchierare e proviamo a vedere se riesco ad aprire un portale oppure no? -
Tutti tacquero.
Mi alzai in piedi, indecisa su come cominciare. Non avendolo mai fatto prima, non sapevo cosa fare esattamente. Magari bastava convincersi che ci fosse un passaggio, come per evocare gli oggetti. Mi sembrava complicato, però, convincersi di una cosa del genere. Non stavo semplicemente facendo apparire qualcosa, o trasportando qualcuno da un luogo ad un altro. Aprire portali significava creare una vera e propria porta fissa nell'aria, era estremamente complesso.
Gli altri che mi guardavano in attesa certo non aiutavano a rilassarmi. Ma dovevano proprio stare a fissarmi come degli avvoltoi? Al diavolo, avrei dovuto dimenticarmi di loro per un po', e pensare in santa pace. Per questo chiusi gli occhi, portandomi le mani alle tempie. Sarebbe stato possibile immaginare che ci fosse una vera e propria porta, che si aprisse nel nostro mondo.
Spalancai gli occhi, e ci provai.
Mi concentrai con tutte le mie forze, cercando di visualizzarla davanti a me. Strinsi i pugni così forte che quasi mi piantai le unghie nella carne, ma non ci badai. Quando vidi un lieve sfarfallio digrignai i denti, svuotai la mente da qualsiasi cosa non fosse il portale, ed una sagoma più consistente di una porta si era iniziata a definire. E si dissolse.
Emisi un gemito di delusione. Ce la stavo facendo, ci mancava ancora un altro po', e invece era sparita prima. Che avevo fatto che non andava? Ero concentratissima, non poteva essere stata una distrazione.
Diedi una sbirciatina agli altri. I più non avevano reagito in alcuna maniera, restando impassibili, ma Kevin mi stava dando un sorriso d'incoraggiamento. Non osai girarmi verso Grell, altrimenti non sarei più riuscita a svuotare la mente come prima, e già non era stato sufficiente. Violet, invece, sbuffò, voltando con fare annoiato il volto dall'altra parte.
Stavo quasi per dirle qualcosa, ma qualcuno fu più rapido di me – Violet, pensi che se sbattessimo la tua testa sul muro si creerebbe un portale? -
Quasi mi andò di trasverso la saliva, dall'attacco di risa che mi sorse. Grell aveva un sorrisetto compiaciuto nel vedere come la ragazza s'infuriò senza poter dire nulla. Il capo del loro drappello aveva detto di non litigare, quindi ribattere l'avrebbe fatta rimproverare. Lo shinigami, a quel punto si rivolse a me.
- Sofia, credo che ad essere sbagliata fosse l'idea. Per ogni persona suppongo sia diverso, il modo migliore di utilizzare la magia da Astral. Tu ovviamente ti sarai concentrata sulla convinzione che un portale si sarebbe aperto. Ma secondo dovresti fare diversamente -
Gli rivolsi uno sguardo interrogativo. Lui si schiarì la voce. - Perché invece che pensare all'apertura in sé di un portale, non ti concentri sull'idea che tu possa aprire un portale? -
Annuii. Tentare non costava niente.
Così provai a pensarci, senza sforzarmi, lasciando che quell'immagine scorresse fluidamente. Io tendevo una mano, e il portale si apriva. Ne ero in grado, naturalmente. Io ero la White Maiden, figuriamoci se non ne ero capace. Mi vidi tendere le dita per stiracchiarle, sorridere, e poi agitarle nell'aria, dare una sferzata come con una frusta. L'aria che avevo toccato brillava. Lì c'era una vaga ed evanescente immagine della sala grande della sede dell'associazione.
Stavolta riaprii gli occhi lentamente, respirando piano. Sentii subito la tensione degli altri, ma non ce n'era bisogno: io sapevo aprire i portali, in fondo.
Aprii le dita della mano, le stirai, le intrecciai tra di loro, come se stessi giocando. Poi tesi il braccio le agitai come una frusta. Anche il rumore che fece sembrò quello di una frustata. Un sibilo, e poi un suono che mi ricordò quello di una lama nell'atto di tagliare qualcosa. Mi arrivò una folata di aria fredda in pieno viso. Sentii qualcuno attorno a me trattenere il respiro, e qualcun altro esclamare “Wow!”. Alzai lo sguardo di fronte al mio viso.
Come nella scena che mi ero immaginata, c'era un brillio, uno scintillare nell'aria. In mezzo a quello scintillare c'era quello che sembrava uno squarcio fatto direttamente in aria. Non potei nascondere la meraviglia. Ci ero davvero riuscita? Mi sporsi in avanti, e guardai attraverso quella lama luminosa. Vidi un ambiente completamente bianco, che era indubbiamente l'associazione, ma era anche diversa da come avrebbe dovuto essere. Da lì non vedevo bene, ma c'era come del... disordine. Era come se ci fosse della sporcizia, e delle cose rovesciate a terra, che non vedevo bene. Il luogo però, era quello giusto.
- Chi attraversa per primo? - chiesi, emozionata.
Nessuno si fece avanti. Me l'aspettavo, in effetti. Come al solito toccava a me fare queste cose. Stessa storia che a scuola: nessuno voleva essere il primo a mostrare i propri dipinti, o a fare la valutazione degli esercizi di ginnastica, e finivo sempre per cominciare io. Pazienza, ormai ci ero abituata.
Provai a far passare una mano attraverso il varco. Era differente da quelli che avevo visto fin'ora, probabilmente la mia stessa tecnica era fuori dalla norma. Le parti di pelle toccate dalla linea del taglio le sentivo come se fossero state immerse in una terrina di fagioli. Quando lo attraversavano, però, tornavano normali. Affondai allora tutto il braccio, e infine ci entrai completamente. Anche il passaggio era diverso: prima di arrivare a destinazione, mi sembrò di cadere in un tunnel argentato, ma che guardando da fuori non era visibile.





Arrivai con i piedi a qualche centimetro da terra, e il piccolo salto mi fece girare la testa. Barcollai un istante prima di rimettermi in piedi correttamente, e per poco non inciampai sulla voluminosa gonna da lady vittoriana. Mi venne da ridere. Afferrai la gonna e iniziai a lacerarla, prima rimuovendone la parte esterna, poi facendo a pezzi la sottogonna, fino a che non rimase alcuno straccio si tessuto dal ginocchio in giù.
Il secondo ad attraversare fu Grell, che però atterrò con più grazia di me. Forse davvero avrei dovuto nascere maschio. Efebico, però. Non avrei potuto sopportare di essere un maschio spigoloso o massiccio. Efebico, invece, sarebbe stato perfetto. Delicato e dal viso tendente all'androgino. Non c'era niente di più bello.
Il resto del gruppo non ci mise molto, dopo l'esempio dei primi due. Perlomeno, non ero stata la più maldestra. Una ragazza degli Astral inglesi, con folti ricci color carota, era inciampata in maniera ammirabilmente plateale. Sebastian fu l'ultimo ad arrivare, portando Ciel in braccio, e come prevedibile nemmeno fece caso al dislivello tra qui e lì, facendo la sua apparizione dritto e composto come sempre.
- Grande! Sei grande! - esultò Grell, e quasi mi stritolò. Mi sollevò anche di almeno trenta centimetri da terra, cosa che nemmeno mio padre (un metro e ottantacinque per novanta chili, che come lavoro trasporta bancali da venti o trenta chili di libri) riesce a fare con tale disinvoltura. Non sono leggera, per niente. Se fosse stato un essere umano, con la sua statura non molto elevata e la corporatura abbastanza minuta per un uomo, non sarebbe stato possibile.
Ora eravamo tornati, finalmente. Però, mi accorsi, le cose non dovevano andare affatto bene nemmeno in questo mondo. All'inizio stavano tutti parlottando sollevati, felici per essere riusciti a tornare a casa, ma poco dopo tacquero, guardando in giro, invece. L'associazione era sempre gremita di gente che andava e veniva, e anche nelle ore in cui gli Astral giovani non potevano venire, c'erano comunque i membri adulti che ci lavoravano. Invece, ora era completamente deserta.
Non un'anima viva, nessun suono. Sentivo l'eco dei nostri passi, dal silenzio che c'era. Mi chiesi che cosa fosse successo nel frattempo, perché se ne fossero tutti andati. Tutti i dispositivi erano spenti, l'unica cosa ancora accesa era la luce. E non del tutto, perché diversi lampadari erano parzialmente rotti. Andai più avanti, nel primo corridoio. C'erano macchie di fango un po' ovunque a intaccare il candore di muri e pavimento. In diversi punti l'intonaco si era crepato e spaccato, con delle forme che mi sembravano colpi di martello o qualcosa di simile. Sentii la tensione, mia e dei miei compagni, farsi sempre più pressante.
I computer della segreteria erano rovesciati e spaccati. Vidi anche chiazze più o meno grandi di sangue rappreso. Mi avvicinai ad una di esse, e la scrutai da più vicino. Era quasi completamente secca, e aveva un diametro di circa una mia mano. Significava che qualunque cosa fosse successa, erano passate diverse ore, e per probabilità supposi che fosse stato subito dopo la nostra scomparsa. Black Lady aveva fatto un attacco alla sede?
- Sofia... - lo shinigami richiamò la mia attenzione.
Sul pavimento, qualcuno aveva scritto qualcosa con quello che seppi dire se era sangue, fango o inchiostro. Era stato scritto con le dita, ma non molto in grande, ed era semi nascosto da una scrivania in legno chiaro rovesciata.
Siamo ai colori. La vernice è difficile da lavare”
- Che diavolo è? - sbottò Ciel, attivando la sua personalità arrogante.
- Un messaggio di Black Lady su dove ha portato i nostri compagni? - disse Kevin, preoccupato. Io scossi la testa. Non era stata Black Lady a scriverlo: era quasi nascosto, scritto in maniera ambigua, e sul pavimento. A lei sarebbe bastato creare un messaggio con la magia, che io trovassi subito.
- Questo non è un messaggio di Black Lady, ma di qualche membro dell'associazione -
Mi guardarono sbalorditi – E che vuole dire? -
- Mi dice dove sono andati. Ovvero nella fabbrica di vernici dove ho trovato Grell -


 


 


 


**************

Note:

Sempre supponendo che ci sia qualcuno a leggere queste righe, confesso che non sapevo come scrivere la scena di Grell e Sofia, che nel progetto originale avrebbe dovuto essere più piccante ma che alla fine non sono riuscita a fare così. Il problema è che non sapevo proprio come fare a farla come pensavo prima, quindi ho dovuto ammorbidire per adattarla. Le vie di mezzo mi riescono difficili, lo ammetto.
Grazie a chiunque legga o recensisca!
Baci!
Sofyflora98

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Capitolo 15
*** Atto 15, il traditore se la dà a gambe ***


La fabbrica abbandonata da fuori appariva deserta, proprio come la prima volta in cui c'ero stata, solo che nel frattempo le tracce degli omicidi che si erano verificati nei suoi dintorni erano state cancellate. Sarà stato frustrante, per la polizia, non aver mai scoperto il colpevole. La cosa più strana per me era il fatto di tenere il suddetto killer per mano senza fare una piega e senza che la cosa mi turbasse.
Dopo aver decifrato il messaggio, ci eravamo presi il tempo di lavarci e riposarci nella sede dell'associazione, che era completamente vuota. Sembrava abbastanza triste, così desolata e vuota, ma perlomeno non c'erano da fare file per le docce o il bagno. Solo dopo esserci ristabiliti come si doveva abbiamo indossato le nostre armature per dirigerci nel luogo indicato, attraverso un portale. Avevo preferito aprirlo al di fuori dell'edificio, non mi sarebbe piaciuto piombare già dentro e trovarmi in mezzo a chissà cosa. Per quel che ne sapevo, nella fabbrica poteva star succedendo di tutto, ed era meglio muoversi con cautela.
Mi avvicinai lentamente all'entrata, che mi parve sbarrata dall'interno. Per fortuna le pozze di sangue che l'ultima volta erano proprio dove si trovavano i miei piedi, a rassicurare chi volesse addentrarsi nella costruzione, non erano più lì a rallegrarci. Tamburellai sul mio bracciale alla ricerca della funzione di rilevamento delle aure. Dall'interno ricevevo un segnale disturbato, ma non mi pareva che ci fossero anime di demoni o roba del genere.
Il gruppo mi si era stretto attorno. Da quando avevo imparato ad aprire portali, mi avevano all'unanimità riconosciuta come leader. Non l'avevano detto esplicitamente, ma le azioni parlavano più delle parole, in quel caso. Non sapevo esattamente come annunciare la mia presenza. Avrei dovuto chiamare ad alta voce? O forse bussare? Meglio la seconda, decisi.
Più che bussare, diedi dei calci alla porta, non troppo forte, altrimenti sarebbe sembrata un'aggressione più che una richiesta d'attenzione. Ricevetti risposta quasi subito.
- Chi è lì fuori? - disse una voce bassa di ragazza.
- Sofia e il resto della banda sperduta – risposi. Restare seria completamente proprio non mi riusciva. Se non ci scappava un filo di ironia non ero me stessa.
Sentii una serie di tonfi, seguiti da uno più forte e da una serie di imprecazioni. Il portone si dischiuse di un paio di centimetri, quel poco che bastava per sbirciare fuori. - Sì, potete entrare. I dati relativi alle aure corrispondono – ci disse l'Astral.
Si spostò per farci passare, così sgusciammo dentro rapidamente. Dalla maniera in cui guardò la sbarra di ferro con cui stava bloccando l'entrata, dedussi che gli eleganti termini che aveva appena sputato a raffica potessero avere a che fare con quell'oggetto, o meglio con una sua possibile caduta sul piede della ragazza.
- Okay, potete riaccendere le luci – disse ad alta voce – Sono amici -
Quando dichiarò questo, la stanza s'illuminò. Una moltitudine di sfere luminose aleggiavano nell'enorme ambiente, come delle grosse lucciole. E abbastanza in fondo c'era l'intera associazione, Esterni compresi. Aveva risistemato il luogo come meglio potevano, con chiari segni dell'uso della magia. Mentre l'ultima volta non c'erano che secchi di vernice avanzati, ora questi erano stati fatti sparire, sostituiti da tavoli, sedie, brande e arredamenti minimali del genere. Era anche molto più pulito. In qualche modo avevano anche portato con sé parte dei computer dell'associazione, che ovviamente funzionavano ovunque, non necessitando dei sistemi energetici e di connessione comuni.
Ad uno di questi dispositivi era seduto Simon, il membro dell'Astral Project che mi aveva reclutata. Lui e un piccolo drappello di Astral e scienziati dell'associazione confabulavano tra loro con aria tesa. Uno di loro stava scrivendo al computer talmente veloce che non riuscivo a vedere le sue dita. Quando la guardiana del portone ci guidò verso quella specie di accampamento, Simon si alzò come un fulmine, e venne a stritolarmi in una morsa ferrea.
- Oh, per fortuna! Temevamo di non riuscire a trovarvi, eravamo preoccupatissimi! - esclamò scompigliandomi i capelli con le dita. Mi prese il viso tra le mani come si farebbe con una bambina, guardandomi con evidente sollievo – Chi di voi ha aperto il portale? -
I miei compagni mi indicarono, senza fare una piega e senza dir nulla. Ora gli brillavano proprio gli occhi, pieno di orgoglio – Questa è la mia Sofia! Sei un fenomeno! Fatti abbracciare di nuovo, eh! - dovetti prendere un bel respiro più velocemente che potei per sopravvivere al nuovo attacco. Non avevo mai capito come mai piacessi così tanto agli adulti. Per qualche strana ragione si facevano tutti l'idea che io fossi una dolce e brava ragazza. Illusi. Non l'avrebbero più pensato se avessero visto la cartella di scansioni di manga yaoi nascosta con cura nel mio disco di memoria esterna del computer.
Quando diede tregua ai miei polmoni, però, si paralizzò ed aggrottò le sopracciglia. Fissò me, e poi il resto della squadra, analizzando i loro volti come in cerca di qualcosa. Non potei evitare di dargli un'occhiata sconcertata. - Simon? -
Lui si riscosse – Legame – disse.
Oh.
Ecco cosa c'era.
- A quanto pare – risposi.
- Grell? -
- Ovviamente -
Lui annuì lentamente. Sembrava più assorto che stupito. Io gli battei le mani sotto agli occhi per richiamarlo all'attenzione. - Cos'è successo qui durante la nostra assenza? -
Lui sospirò. Ci condusse in un angolo più lontano dagli altri membri dell'associazione lì presenti. Si accomodò su una sedia, e noi, dopo averne recuperate alcune a nostra volta, ci disponemmo a semicerchio attorno a lui.
- Avete trovato il messaggio che abbiamo lasciato, suppongo – gli dissi che sì, avevamo trovato quel messaggio. Prese a stiracchiare  le dita delle mani e a farle scrocchiare nervosamente.
- Eravate appena andati a far fare un giro di visita per i nuovi arrivati dall'Inghilterra, quando abbiamo ricevuto il segnale di un grande portale aperto in biblioteca. Subito dopo i vostri segnali sono spariti, così siamo corsi a controllare, e abbiamo trovato la stanza vuota, tranne che per il cadavere di una ragazzina che sembrava essersi sparata alla testa. Nel giro di pochi minuti, una quantità incredibile di mostri ha fatto irruzione, non so come, nella sede dell'associazione. Siamo riusciti ad ucciderne la maggior parte ma molti di noi sono rimasti feriti, e si è creato un grande scompiglio. Uno di quei demoni ha detto che erano lì per ordine di Black Lady.
- Con la sede distrutta e la consapevolezza che in qualche modo potevano superare le nostre difese, abbiamo tagliato la corda e siamo venuti qui, dove nessuno rischia di avvicinarsi. Non potrebbero fare un attacco di massa in un posto che non è isolato dalla gente comune, quindi perlomeno non verranno molti demoni in un colpo solo -
- Bella trovata - mi complimentai. Io non ci avrei mai pensato.
Lui rise. Ora che ci aveva raccontato l'accaduto, sembrava molto più disteso di prima. Io gli feci un piccolo resoconto della nostra caduta dall'altra parte, spiegandogli come anche Ciel e Sebastian fossero lì, e delle ipotesi che avevamo formulato sui possibili motivi per cui avrebbe dovuto toglierci di mezzo. A quanto pareva molti si erano rivelati veri: con i più pericolosi fuori dai piedi, non aveva avuto problemi a fare a pezzi l'associazione, mettendo fuori uso la maggior parte dei nostri mezzi tecnologici e facendoci perdere una base sicura. Una mossa intelligente, dovetti ammetterlo.
- Comunque mi ha sorpreso vedere che hai creato un legame: era parecchio tempo che non succedeva, sai. Tanto che spesso dimentichiamo di parlarvene... -
Io sorrisi – Ѐ successo abbastanza in fretta, a dir la verità. Una sera ci siamo baciati, due mattine dopo si è creato il legame -
Simon fece un'espressione stupita – Davvero? Beh, non è necessario essere innamorati, in realtà, per la formazione di un legame. La maggior parte delle volte non è così. Solo... il tempismo tra il legame è il bacio è sorprendente. Sembra quasi che voi abbiate... - s'interruppe di colpo, ed arrossì prepotentemente. Serrai gli occhi. Per fortuna a parte me, Grell e Sebastian nessuno aveva capito cosa intendesse dire.
- Simon – dissi – In realtà c'è qualcosa di cui avrei bisogno di parlarti. È importante, credo. E dovrei parlartene da sola -
La sua espressione si fece seria – Sì, nessun problema. Volete scusarci... -
I miei compagni si dispersero, alcuni a piccoli gruppetti tra di loro ed altri a parlare con gli altri membri che ci avevano preceduto nella fabbrica. Due cose però notai. La prima fu che Grell mi lanciò uno sguardo preoccupato, forse temeva che avessi qualche problema che lo coinvolgesse e non volessi dirlo a lui. Ci avrei pensato dopo. La seconda invece mi inquietò. Uno sguardo sospettoso, tagliente. Lanciato da Sebastian e durato non più di un frazione di secondo, ma nel momento esatto in cui l'aveva guardato, e che quindi non mi sfuggì. Rabbrividii: qualcosa in quello sguardo mi aveva fatto venire i sudori freddi. La sua natura demoniaca era affiorata in superficie, anche se per poco.
Io e Simon andammo ancora più distante dalle altre persone, in fondo all'enorme sala vuota dell'edificio. Una volta probabilmente era pieno zeppo di macchinari, ma ora non c'era più nulla di tutto ciò. Era solo un capannone vasto e deserto.
- Sofia, è successo qualcosa di grave? - mormorò l'uomo. La sua voce era improvvisamente diventata più bassa e cupa rispetto a com'ero abituata a sentirla.
- Non esattamente – incrociai le braccia – Ma mi è successo di avere una specie di allucinazione, mentre ero via. Accompagnata da un fortissimo prurito alle mani. E anche quando mi sono accorta del Legame, mi bruciavano le braccia, e brillavo. Ho visto immagini di una ragazza -
sSimon d'incupì – Il prurito e il brillio sono sintomi di forti flussi di energia all'interno dell'anima, e sono normalissimo nella creazione dei legami. Com'era la ragazza? -
- Bionda, molto bella. Era un' Astral, da quel che ho capito. Credo che si chiamasse Alicia -
Simon fece un lungo, pesante sospiro, coprendosi il volto. Quando rialzò il capo, i suoi occhi erano arrossati. Ero decisamente sbalordita. Perché sembrava stesse quasi piangendo, se non mi sbagliavo.
- Alicia era mia figlia -


- Sono tornati, quindi -
- Mi dispiace, signora. In parte è colpa mia se sono riusciti a tornare così presto -
- No, va bene così. Anzi, è meglio così. L'associazione è devastata, e tanto basta. Per ora non sono ben equipaggiati. Sai già che fare in caso che ci scoprissero, vero? -
- Sì, lady. Non sarà difficile. Abboccherà facilmente, venendoci dietro. E poi voi... -
- E poi io la distruggerò. Non deve esistere, non possono esistere due eredi di Alicia. Una basta e avanza per conservare il nucleo. Ora allontanati, o ci noteranno. -
Avrebbe dovuto esistere solo lei. Quella White Maiden era un'intrusa, un'irregolarità che avrebbe dovuto correggere al più presto. Alicia aveva fatto in modo che le sue conoscenze e i suoi poteri non andassero perduti dopo la sua morte, ma l'esistenza di quella guerriera di troppo rischiava di disperdere quel patrimonio magico. Ed era colpa sua se a le era successo quello che era successo.
Black Lady digrignò i denti. Oh, se si sarebbe vendicata! Quegli stolti dell'associazione avrebbero messo la testa a posto una volta per tutte.




Rimasi a bocca aperta.
- Alicia era tua figlia? Cioè... tu avevi una figlia?! - esclamai a bassa voce.
Simon annuì. Questo era... inaspettato. Quindi quella ragazza bellissima era la figlia di Simon. Ed era, a parere di Sebastian, la più potente tra gli Astral. Ecco perché lui aveva tutta quell'autorità all'interno dell'associazione.
- Sofia, mi dispiace tanto, ma ci sono cose... che non potevo dirti. Almeno non subito – cercò il mio sguardo con aria di supplica, solo che io non sapevo per cosa fosse dispiaciuto. Per non avermi detto che aveva una figlia? Nemmeno io avrei voluto parlare della mia figlia morta se fossi stata a suo posto.
- Ora siediti ed ascoltami. Non posso dirti ogni cosa, perché nemmeno io so tutto quel che è successo nel dettaglio. Ma ciò di cui sono a conoscenza, ora te lo racconterò -
Obbedii, e mi sedetti.
Alicia; se il suo nome portava tanti segreti e preoccupazioni doveva essere un vero pezzo da novanta nell'associazione.
Simon prese un respiro.
- Ti ho mentito, su alcune cose. L'associazione in effetti esiste da un anno e mezzo, ora, ma il fenomeno degli Astral risale a diversi anni prima. Io ed altri qui presenti studiavamo certi casi di irregolarità. Si trattava delle loro prime piccole manifestazioni, a cui nessuno tranne noi diede peso. Non erano consapevoli del loro potere, e non lo controllavano. Questo però non permetteva loro di usufruirne in maniera più concreta, e quindi furono difficili da rintracciare. Poi però la mia piccola Alicia fece sbocciare un fiore in pieno inverno, semplicemente toccando i rami dell'arbusto con le mani – s'interruppe. Nel pensare a sua figlia, il suo sguardo si era intenerito.
- Lei fu la prima Astral consapevole. In seguito al suo risveglio riuscimmo ad ottenere dati più tangibili su questi speciali poteri. Demmo nomi ad ogni nuova abilità che sfoggiava, e riuscimmo a sviluppare metodi sempre più efficienti per cercare altri ragazzini come lei. Non c'era però nessuna associazione all'epoca. L'Astral Project non era che un gruppo di scienziati sognatori e fanciulli entusiasti. Abbiamo visto in che circostanze il fenomeno degli Astral si creava con più frequenza, ovvero in coloro che si rifugiavano in mondi immaginari, nel tentativo di fuggire dalla realtà.
Arrivammo al punto in cui quasi tutti gli Astral erano quelli che la gente chiamava “otaku”. Studiammo di più, sperimentammo di più, fino a che non si verificò la prima evocazione di una persona in carne ed ossa. Eravamo entusiasti, non potevamo credere ai nostri occhi. Capimmo che un potere del genere avrebbe rivoluzionato l'intero pianeta, quindi decidemmo che era meglio tenerlo segreto: nessuno poteva prevedere cosa sarebbe stato degli Astral. Avrebbero potuto vederli come superiori alla gente comune, oppure come strumenti da sfruttare, o peggio come mostri da cancellare. La gente normale teme ciò che non conosce, come tu sai bene. Eravamo organizzati, ma non c'era nessuna associazione. Il reclutamento era limitato, l'addestramento seguito con attenzione   e molto lento e lungo -
Io annuii. Non capivo ancora di che importanza fosse il fatto che il processo fosse durato più anni di quelli che mi aveva detto, o che l'associazione non fosse stata creata subito, ma preferii tacere e tenere le domande per dopo. Eppure man mano che continuava, sembrava incupirsi sempre più. È successo qualcosa che ha cambiato le cose, Simon?
Lui riprese.
- Alicia ha evocato Sebastian, sai – la notizia mi lasciò di stucco. Non ci avevo mai pensato, a chi potesse mai aver fatto apparire i miei personaggi.
- Scherzi?! È stata lei a chiamare quel demoniaccio saccente? - lui si concesse un sorriso triste.
- Sì, esatto. Ma all'epoca in realtà era molto meno irritante di ora. Addirittura più gentile di come avrebbe dovuto essere. Lui e Alicia avevano un'affinità molto alta. All'epoca gli incidenti dei mostri sparsi in giro erano rari, si trattava di avvenimenti eccezionali. Loro due se ne occupavano. Ciel non è arrivato subito, ma diverso tempo dopo.
Avrebbero potuto avere un legame, ma lei lo rifiutò. Era troppo indipendente e libera di indole per poter accettare di avere una connessione così intima con qualcuno. A Sebastian l'idea non piacque, ma se la mise via. Sotto diversi punti tu e Alicia vi somigliate. Siete entrambe intraprendenti, curiose e un po' incoscienti. Ma lei non era certa come te -
- Certa? Intendi dire sicura, forse – lo interruppi.
Simon scosse la testa – No intendevo proprio certa. Tu sei certa di qual'è la tua natura, di cosa ami e cosa no, di come ti devi comportare con ogni persona. Non esiti mai, e non ti fai problemi delle opinioni altrui. Lei non era così. Cercava di piacere a tutti, di essere perfetta in ogni cosa. Non era mai sicura di quale fosse il proprio carattere, addirittura. Se chiedessi a te in cosa ti  immedesimi di più tra demone e shinigami, so che risponderesti senza esitare. Lei non avrebbe saputo farlo neanche in cento anni. Sempre vacillante su un filo, sempre a metà. Cercava di scoprire quanto più poteva su se stessa, senza risultati. Desiderava moltissimo moltissime cose, per cui i suoi poteri erano incredibilmente sviluppati, ma non trovava mai ciò che desiderava. Per cui... iniziò un'altra evocazione. Non ci disse cosa o chi intendesse evocare, lo fece di nascosto. Noi non ce ne accorgemmo fino al giorno seguente, in cui la trovammo riversa su se stessa, in un lago di sangue. Non sappiamo che cosa esattamente l'abbia uccisa, sappiamo solo che non è un essere umano. Aveva graffi di artigli e  profondi segni di canini -
Rabbrividì. La cosa non mi sorprese, anzi mi stupii della sua fermezza nel raccontarmi l'uccisione di sua figlia. Intuii che era lui l'uomo che abbracciava il suo cadavere nella mia allucinazione.
- Poco dopo apparve colei che ora si fa chiamare Black Lady. Il suo nome era Dianoia, dal greco “intelletto”. Una ragazza molto dotata e molto ambiziosa. Anche lei somigliava ad Alicia, ma in altre cose rispetto a te. Era cupa, crudele, e cinica. Accadde qualcosa di bizzarro. Prima Alicia aveva la più forte aura di sempre, ma poi ne apparvero due, quando lei scomparve. Una era colei che si fa chiamare Black Lady. L'altra sei tu, solo che tu sei apparsa più lentamente. Mentre Dianoia è quasi esplosa nei nostri strumenti di rintracciamento, tu sei cresciuta man mano. Quando ti sei svegliata ti sei accesa di colpo, ma non c'è stato nessuno sbalzo, solo un'evoluzione rapida. Lei era molto distruttiva -
- Quindi sapevate già che era un'Astral! Perché non me l'avevate detto? - sbottai.
- Sapevamo che fosse un'Astral, non che facesse parte dell'associazione. Quando abbiamo iniziato ad accorgerci della crescita del tuo segnale nei nostri dispositivi, ti abbiamo tenuta d'ochio. Il tipo di energia che emanavi era insolito, abbastanza raro, e cresceva a vista d'occhio, ma armoniosamente, come se tu e quell'energia vi steste adattando l'una all'altra senza che il tuo cervello la sopprimesse o che essa ti soverchiasse fuoriuscendo dal controllo. Abbiamo visto una potenziale succeditrice di Alicia. La prima ipotesi era Dianoia, ma tu ci sembravi più adatta. Lei era troppo soggetta a sbalzi d'umore e tendenze violente per poter svolgere quel ruolo al meglio -
Spalancai la bocca per esclamare qualcosa, dalla sorpresa, ma riuscii a trattenermi. Non volevo attirare l'attenzione degli altri. Però non potei fare a meno di sentirmi un po' orgogliosa per essere vista da loro come possibile nuova Astral più potente in circolazione.
- A Dianoia non è andata giù, eh? Da come l'hai descritta sembrerebbe proprio il tipo da prendersela e pianificare vendetta! - sembrava quasi una battuta, dal modo in cui l'avevo detto. Mi morsi la lingua. Non era il caso di sembrare troppo allegra mentre mi raccontava della morte di sua figlia. Lui però non sembrò farci caso, e continuò tranquillamente.
- Infatti. S'infuriò, ci accusò di voler mettere una ragazzina sciocca e ingenua a dirigere gli altri Astral, ci maledisse e combattemmo contro di lei. Non ci fu un vincitore, perché lei se ne andò durante la battaglia, facendosi crescere un paio d'ali. Non l'abbiamo più vista, ma avevamo previsto una sua possibile rivendicazione al ruolo o ritorsione. Fu allora, per quella ragione, che fondammo l'Associazione come la conosci adesso. Con più personale, reclutamento più massiccio e organizzazione più rigida. Da quel momento, inoltre la quantità di demoni e mostri crebbe a dismisura. Aspettammo il momento giusto per metterti a conoscenza dei tuoi poteri, dovevi essere pronta. Non sapevamo, però, che lei nel frattempo si fosse infiltrata tra di noi con un nuovo nome ed un nuovo aspetto -
Mi sembrò che mi venisse dato un colpo alla testa con un martello. Qun nuovo nome ed un nuovo aspetto. Avrei potuto averle parlato senza saper nulla, per tutto quel tempo. L'idea mi fece accapponare la pelle. - E chi è? - domandai.
- Non lo sappiamo. L'unica cosa certa è che lei è una dell'associazione. Era particolarmente dotata per gli incantesimi di illusione e nella mutazione dell'aspetto esteriore di cose e persone. La maggior parte degli Astral qui presenti sono venuti dopo che lei se ne fu andata via, ma alcuni sostengono l'Astral Project già da prima -
Tutto sommato non ero poi così scioccata dalla sua rivelazione. Non mi ero certo aspettata di sapere tutto quello che c'era da sapere, né che fossero stati del tutto sinceri con me, quindi decisi di ignorare qualunque sensazione di fastidio potessi provare per le bugie che mi avevano detto al nostro incontro.
- Va bene, d'accordo. Non mi arrabbio con te. Una domanda: io e Dianoia siamo apparse nei vostri strumenti di rilevazione solo quando Alicia è scomparsa, quindi? -
- Sì, esatto. Pochissimo dopo, neanche due ore di tempo e già i miei colleghi stavano blaterando su due nuove Astral con grande potenziale. Io però non ero interessato alla cosa. Sai, subito dopo la sua morte, per un bel pezzo non ho più preso parte ad alcuna operazione. Me ne sono stato per i fatti miei finché non mi sono ripreso abbastanza da tornare in mezzo alla gente. Stare con voi Astral, devo ammettere, mi ha aiutato molto -
Avevo già sentito dire che la presenza di bimbi e giovani ragazzi aiuta a risollevare il morale, nei momenti problematici. Una mia conoscente l'aveva provato su pelle, per cui non stentai a credergli che noi splendidi e adorabili Astral avessimo contribuito alla sua ripresa.
- Avete cercato di scoprire cosa l'ha uccisa? -
- Sì, ma l'unica cosa che sappiamo è che probabilmente è stata una creatura infernale. Però è strano: l'ho vista massacrare bestie spaventose. Non voglio nemmeno pensare a cosa sia la creatura che l'ha sconfitta. Deve averla colta alla sprovvista, altrimenti non ci sarebbe riuscita. Era impegnata ad evocare qualcosa, richiede molta concentrazione -
Abbassai lo sguardo. La cosa che io avevo visto, che fosse una creatura infernale come lui diceva? Beh, aveva corna, coda e anche denti aguzzi, diceva lui. E occhi come braci ardenti. Un brivido mi attraversò la schiena. Solo ripensare a quegli occhi fiammeggianti mi faceva venire la pelle d'oca. Erano un concentrato di malvagità.
- Ho visto un po' quel mostro – confessai. Lui si fece subito attento.
- Davvero? E... che cos'era? - ecco, aveva gli occhi lucidi, e aveva iniziato a deglutire più rapidamente. Provai ad immaginare come dovesse sentirsi. Decisi che stavo meglio non sapendolo.
- Mah... una figura nera con due corna, una coda  da diavolo e occhi infuocati. Forse delle ali, non sono sicura. Era un'immagine un po' confusa. Aveva anche detto qualcosa, qualcosa del tipo “Eppure mi piacevate, lady Alicia” -
Mi si bloccò la frase successiva in gola. Ora che lo dicevo ad alta voce, e che avevo sentito il racconto di Simon, mi sembrò che si incastrasse un tassello mancante del puzzle. Certo, se fosse stato così avrebbe avuto senso. Quella belva, quelle parole che aveva detto, “Eppure mi piacevate, lady Alicia”, ora si fecero più chiare. Non Alicia, o ragazza Astral, ma lady Alicia.
Mi portai una mano sul petto, e sentii il battito cardiaco andare all'impazzata.
- Simon... - dissi con voce tremula – Credo... credo di aver capito cosa l'ha uccisa -
Simon scattò in piedi – Cos'hai detto? Che cosa hai appena detto?! - esclamò. Aveva lo sguardo acceso, un po' folle, e vidi una scintilla d'istinto omicida nei suoi occhi.
Ripensai alla figura dalla pelle perlacea nella pozza scarlatta vicino ad Alicia, al suo sguardo impaurito, e poi di nuovo a quella creatura demoniaca. Sì, ora sembrava tutto così ovvio che non mi capacitai di come non me ne fossi accorta prima, anche se razionalmente era più che naturale che non me ne fossi accorta.
- Dov'è Sebastian? - mi girai, cercando con lo sguardo il maggiordomo diavolo. Riuscii a trovarlo, immerso in un dialogo con alcune dei membri più anziani. Vicino a lei c'erano Sara, che sembrava tesa, e Giorgia, la quale al contrario stava ridendo spensieratamente. L'ultima volta che l'avevo vista, ricordai, sembrava traumatizzata dalla morte di Lulu, uccisa da Black Lady.
Iniziai a dirigermi a passo veloce e nervoso verso il demone, nonostante mi girasse la testa a causa del ritmo velocissimo con cui mi girava il sangue. Era stato lui, per tutto questo tempo. L'unico demone a far parte dell'associazione, aveva un'altissima affinità con Alicia, ma lei non volle stringere il legame. Invece si era cimentata in una seconda evocazione, e preso dalla gelosia lui l'aveva uccisa. Aveva senso, anzi, era perfettamente logico. Talmente logico e perfetto che mi sembrava fin troppo banale per uno come lui.
E poi, la comparsa mia e di Black Lady, pensai, doveva essere legata alla morte di Alicia, a giudicare dal tempismo con cui siamo apparse. E altrimenti, perché avrei avuto quelle visioni? Ma per qualche ragione, lui aveva scelto di stare con lei. Ecco come mai aveva fatto venire anche lui nell'altro mondo. Lui era la spia, lui aiutava a far entrare i mostri nell'associazione.  Provai un moto di disgusto.
Mi vide arrivare, e si girò con un odiosissimo sorriso stampato sulle labbra. Era lo stesso di sempre, ma mai come in quel frangente desiderai strapparglielo via tagliandogli la bocca con un bel coltello. Doveva aver letto la mia espressione, perché si fece serio, e mi guardò negli occhi, come volesse prevedere le mie intenzioni.
- Sebastian! - gli gridai, andandogli incontro. Lui invece non mi fronteggiò, ma gettò lo sguardo attorno a sé, e si allontanò digrignando i denti.
La gente si accorse che qualcosa non andava, e si scostò in massa al suo passaggio. Poi si mosse talmente veloce che nemmeno riuscii a vederlo, senza che gli altri si rendessero conto della situazione. Stavo per rincorrerlo quando lo vidi spostarsi, ma pochi secondi dopo dovetti bloccarmi.
Sebastian aveva fatto in tempo ad andare dall'altra parte della stanza, afferrare Grell per i capelli, tornare nel punto dov'era e premere un coltello sulla sua gola. Con l'altra mano allontanò le persone circostanti. Tutto questo ad una rapidità pazzesca, tanto che a malapena riuscii a vederlo muoversi.
Si sentirono diversi urletti e grida di stupore e paura, ma nessuno di questo lo fece distrarre. I suoi occhi rossi erano puntati su di me, come due fari. Il suo sorriso malizioso e un po' irritante era stato sostituito da un ghigno feroce.
- Sei più sveglia di quanto vuoi dare a pensare, fanciulla – mi disse – Non avrei mai immaginato che vi sareste resa conto così presto di come per ben due volte dei mostri sono penetrati nell'associazione, e di chi facesse sapere a Black Lady ogni informazione di cui avesse bisogno. Mi avete sorpreso -
Dovetti conficcarmi le unghie nei palmi delle mani per trattenermi dal saltargli al collo.
- Ti ho sorpreso, eh? Beh, spero davvero di sorprenderti ancora diverse volte! Da cosa hai capito che sapevo di te prima che ti raggiungessi? -
Lui rise, ma era una risata velenosa – Dal vostro sguardo. Perdonatemi, ma le vostre emozioni sono piuttosto facili da leggere, lady -
Un ringhio si levò alle mie spalle – Quindi sei stato tu, parassita, ad uccidere la mia Alicia? - la voce di Simon uscì come un sibilo, scandendo ogni parola. Lo vidi, con la coda dell'occhio, estrarre una lama dalla cintura. Stava per scagliarsi contro il demone, e l'avrebbe fatto se non l'avessi afferrato con tutte le mie forse per la vita.
- Fermati, Simon! Stagli lontano! - borbottai a fatica.
Sebastian annuì in segno di approvazione – Faresti meglio ad ascoltare la ragazza, signor fondatore. Questo coltello è come una Death Schyte, può uccidere anche gli dei della morte. Provate a muovervi, e sgozzo il mietitore effeminato -
- Non dargli ascolto, uccidetelo! - ansimò Grell – Non muoio così facilmente! -
Diceva così, però io non ero la sola facile da leggere. Non poteva nascondere il fremito nella sua voce, né il tremore che lo stava attraversando. Era atterrito, perché non era quasi mai capitato che uno shinigami corresse davvero il rischio di perdere la vita.
- Zitto – gli intimò Sebastian. Un piccolo segno cremisi ora spiccava sulla pelle diafana del semidio, e presto due goccioline di sangue colarono lungo il suo collo. Il contrasto tra i due colori era così forte che nessuno nella stanza poté non vederle.
Un sottile singhiozzo, così lieve che magari non se ne accorse nessuno a parte me. Quel lieve, impercettibile suono, però, mi tagliò la testa in due. Mi formicolarono le dita. Una valanga di emozioni mi travolse, lasciandomi scossa. Una forte e prepotente cascata, un misto di terrore, sbigottimento, confusione e angoscia. Mi ero quasi dimenticata degli effetti del legame, e non potevo immaginare che fosse così sconvolgente. A distogliermi però fu un'altra delle sfumature di quel ciclone, un filamento molto meno turbolento e gelido. Riuscivo quasi a sentirlo fisicamente. Era tiepido, si muoveva con molta più dolcezza, mi si avvolgeva attorno dapprima lento, e poi guizzando. Mi sussurrava che non importava cosa mi facessero pensare le altre emozioni, che non dovevo dare retta a quelle. Che dovevo fare ciò che era giusto, e uccidere il demone.
Furono proprio quei bisbigli a farmi decidere definitivamente di non farlo. Quella voce era l'emozione che lo portava a preferire la propria morte alla fuga di Sebastian, che voleva che lo attaccassi ora che aveva poche possibilità di fuga, piuttosto che cercarlo successivamente con maggiori rischi di sconfitta. Era la voce che non voleva mettermi in pericolo, e che se anche dall'esterno era invisibile e lasciava dominare il panico, all'interno teneva tutto ciò sotto controllo. Era amore.
E anche se mi diceva così, non potevo dargli retta. Anzi, era proprio per quel motivo. Come poteva anche solo passargli per l'anticamera del cervello che dopo aver pensato una cosa del genere io sarei riuscita a sacrificarlo? Che idiota!
Desiderai davvero distruggere il demone. Mi giurai che l'avrei fatto. Ma non in quel momento, quando rischiavo di far uccidere la persona che amavo di più. Avrei atteso, tutto il tempo necessario. Ma mi sarei vendicata assolutamente.
- Un messaggio di Black Lady – disse all'improvviso il maggiordomo – Vuole che tu la raggiunga nel suo palazzo il prima possibile. Intende fare i suoi omaggi alla sua più grande rivale, e avere una sfida faccia a faccia con voi -
- Dove lo trovo, il suo covo malvagio? - ribattei, senza risparmiargli uno sguardo sprezzante.
Lui fece un'espressione a metà tra il sorrisetto fastidioso e il ghigno crudele di poco prima.
- Oh, lo saprete. Vi basterà osservare -
Indietreggiò fino a raggiungere il portone d'uscita. Lo spinse con la mano continuando sempre a tenerci sott'occhio. All'inizio corse, poi credo si alzò in volo, e in men che non si dica si dileguò. Portando Grell con sé.
Un silenzio tombale calò tra gli Astral. Fu Simon a romperlo.
- Uccidilo, Sofia. Uccidi lui e quella dannata strega che lo comanda -



***********************


Note:
Mi auguro davvero che non ci siano fan di Sebastian tra le lettrici. Non perché mi penta di averlo fatto diventare il cattivo, ma perché mi dispiacerebbe sul serio che qualcuna a cui lui piace ci rimanesse male. Io non odio Sebastian, mi irrita solo un po' a volte, e gli è dovuta una buona dose di disapprovazione per il fatto che lui abbia alzato le mani sul mio Grell, ma in questa fanfiction mi è venuto semplicemente naturale dargli quel ruolo. Non l'ho fatto apposta, la storia si è inventata da sola.
Tanti baci a chi continua a seguire questa follia, e doppia dose a chi mi ha anche recensita!
Sofyflora98

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Capitolo 16
*** Atto 16, trasformazione ***


- Ancora niente? - domandai per l'ennesima volta.
Sara scosse la testa. Era passata quasi una settimana dal nostro ritorno nel mondo odierno, e dalla scomparsa di Sebastian. Mi aveva detto che per trovare il palazzo di Black Lady mi bastava guardare, e quindi ci eravamo messi d'impegno a controllare tutto il controllabile su ogni tipo di rilevatore nei nostri computer. Spesso, addirittura stavamo a guardare cosa accadesse fuori, ad occhio nudo. Ma nulla era accaduto.
Speravo, pregavo addirittura nonostante il mio convintissimo ateismo, che accadesse qualcosa. Non ce la facevo a restare lì impalata senza far nulla, come una scema. Mi sentivo impotente ed inutile. Loro, chiunque corrispondesse alla definizione “loro”, avevano il mio Grell. L'idea che qualcuno all'infuori di me potesse toccarlo mi era repellente. Non si trattava di una qualche forma di gelosia, o solo di timore per ciò che avrebbe potuto accadergli nel frattempo.  Era un fortissimo disgusto per le creature che avrebbero osato mettere le mani su di lui anche solo per farlo spostare. Non potevano che essere ripugnanti paragonati a lui, e anche paragonati a qualunque di noi. Lui era qualcosa che non avrebbero dovuto nemmeno vedere. Era come se venisse dato un diamante nelle mani di qualcuno che non ne comprendesse la bellezza, o non capisse il motivo del suo valore. Per me era come un diamante: non aveva necessariamente un'utilità pratica, ma era splendido e raro. E io mi sentivo in obbligo di proteggerlo. Cosa che non ero riuscita a fare. Avrei dovuto tenerlo vicino, quando ero andata a parlare con Simon. Avrei dovuto fidarmi a sufficienza da parlare di Alicia davanti a lui, e invece non l'avevo fatto, e mentre Grell era distante da me, Sebastian ne aveva approfittato.
Da giorni avevo i nervi a fil di pelle, e scatti di rabbia isterica con chi non era sufficientemente cauto nel parlarmi. Tranne che con Simon. In questo ora eravamo simili. Lui era cambiato. Dall'uomo pacifico e amichevole che era, ora gli si leggeva una sete di vendetta implacabile negli occhi, che avrebbe potuto spegnersi solo se io avessi sterminato il demone e chi con lui combatteva per Black Lady.
E non era tutto lì. Alcuni Astral erano andati fuori per una piccola ricognizione. Solo uno era tornato indietro, balbettando di una belva terrificante che aveva preso gli altri. Senza ucciderli, però. Li aveva solo presi. E con questo facevano altri cinque ostaggi.
Tra gli scomparsi c'era anche Giorgia, la ragazza Astral di un anno più vecchia di me, che spesso mi aveva accompagnata nelle caccie al demone. Fu un altro duro colpo. Mi ero affezionata a lei, eravamo diventate amiche. L'avevo confortata quando era morta Lulu, che lei conosceva da molto tempo prima di me. Mi aveva spesso sostenuta contro i mostri, creando giochi illusori per confonderli mentre io li attaccavo alle spalle. Anche lei scomparsa, e in chissà quali condizioni, per via di una psicopatica.
Provavo a distrarmi meditando su chi o cosa Alicia stesse tentando di evocare quando è stata uccisa in quel modo brutale, ma né io né altri avevano un qualche indizio in proposito. L'unica cosa che ero riuscita a vedere era una chiazza scarlatta sul pavimento, probabilmente sangue, un viso talmente pallido da sembrare morto e due grandi occhi spaventati. Ma l'immagine era confusa e sfuocata, per cui non mi era di grande aiuto. Non avevo capito nemmeno se si trattasse di un maschio o una femmina. Potevo escludere uomini alti e muscolosi, perché mi sembrava piuttosto esile e minuta, quella creatura, e i bambini, perché comunque mi parve troppo allungata per un infante. Quindi un ragazzo o una ragazza dagli arti sottili e la pelle bianchissima. Anche quest'ultima non mi aiutava, perché c'erano unna quantità esorbitante di personaggi immaginari dalla carnagione pallida. Evidentemente riscuoteva successo.
Non tornai a casa. Ci andai una volta, accompagnata da alcuni funzionari dell'associazione, e facemmo un piccolo trucco di illusione cerebrale, o qualcosa del genere, perché i miei genitori scordassero la mia momentanea sparizione e non facessero caso alla mia assenza futura. Avevano già fatto ceder loro ad una storia riguardo una gita scolastica precedentemente, e con la magia avevano fatto sì che ci credessero, ma non poteva durare in eterno, così avevamo pensato ad un piano più efficace. Finché quella piccola guerra non fosse finita, non avrei avuto tempo per la mia vita normale.
Pensa di più! mi dissi.
Mi sedetti sul bordo di una delle lastre di marmo che fungevano perlopiù da panchine. Negli ultimi giorni avevamo modellato magicamente l'interno della fabbrica, rendendolo simile alla sede dell'associazione. Avevamo creato più stanze e più piani, senza che dall'esterno si potesse notar nulla di strano. Era una specie di illusione ottica, di inganno visivo. Ora l'arredamento era tutto completamente bianco e grigio chiaro, abbagliante.
Un luogo in cui si riusciva facilmente ad estraniarsi e focalizzare la mente su qualcosa. Tranne che nel mio caso. Mi faceva mal di testa, tanto cercavo di tirare fuori qualcosa dalle poche informazioni e dai minimo indizi che avevo. Non volevo credere che non potessi far nulla,  e se solo avessi saputo cosa voleva evocare Alicia, mi avrebbe aiutata a capire intanto perché Sebastian ne fosse stato così geloso.
- Sofia, smettila di affliggerti, e va a dormire. Non dormi da due giorni, ormai. Magari gli altri non se ne sono accorti, perché sei forte e brava a mascherare la stanchezza, ma io non sono così cieca. L'empatia è la mia specialità di Astral – mi disse Sara, alzatasi dalla sua postazione davanti agli schermi dei computer, e inginocchiatasi davanti a me per riuscire a guardarmi in faccia. Io scossi la testa. Non avevo bisogno di riposarmi, stavo benissimo. E comunque, non sarei riuscita a dormire neanche se mi fossi riempita di sonniferi. Avevo quasi l'impressione di sentire il rumore del mio cervello che lavorava.
- Smettila di preoccuparti per me. Non sono io quella che è prigioniera di una folle malvagia. Non sono io quella che in questo preciso momento potrebbe essere sotto tortura. Dovrei anzi impegnarmi di più per trovare il palazzo di Black Lady, invece che stare qui a gingillarmi -
- Non dire sciocchezze! Se ti stremi non ci sarai di alcun aiuto! -
Non capiva. Lei non capiva, come poteva dirmi cosa dovevo fare? Aveva forse anche lei un ragazzo preso in ostaggio? No, non aveva nemmeno un ragazzo. Non avevo alcuna intenzione di ascoltare le parole di qualcuno che non riusciva a capire cosa si prova quando la persona a cui si tiene di più è in pericolo di vita. O quanto fosse tormentoso il pensiero che si sarebbe potuto evitarlo, e che non si ha la più pallida idea di come rimediare. Sapevo solo che avrei dovuto distruggere sia lei che il demone, ma come giungere in quella situazione restava un problema.
Non aveva senso però creare contrasti anche tra alleati, per cui trattenni l'irritazione che mi aveva provocato, e mi sforzai di sorriderle. - Sì, lo so. Credo che per oggi ti darò ascolto -
Lasciandola lì a credere che sarei andata a dormire, mi diressi invece all'esterno dell'edificio. Aveva da un po' iniziato a piovere. Abbastanza forte da bagnare l'asfalto davanti alla fabbrica in poco tempo e far inumidire il terreno circostante, ma non tanto da essere insopportabile. Andai lì fuori, in mezzo alla pioggia, e alzai il viso verso il cielo. Quelle precipitazioni, quel cielo grigio illuminato dal alcuni piccoli tuoni, ma senza che diventasse un vero e proprio temporale, rispecchiava alla lettera il mio stato d'animo. Cupo, ma non triste quanto una pioggerella leggera, né costantemente aggressivo come una burrasca. Era una tensione monocroma, increspata di tanto in tanto da qualche sfogo di nervi. Ero sempre stata orgogliosa della mia capacità di tenere sotto controllo le mie emozioni, di non perdere la testa e sopportare lo stress. Ora avrei voluto solo poter liberare tutto quanto, dare origine ad una bufera, un ciclone, e spazzare via ogni cosa. Fino a che non sarebbe rimasto nulla, soltanto io e la mia stella rossa.
La pioggia mi aveva inzuppato gli abiti, ma quasi non la sentivo. Al freddo delle gocce d'acqua ero totalmente insensibile. A malapena percepivo la lieve pressione che esercitavano quando mi cadevano addosso.
Sollevai una mano, puntai l'indice in alto. Lo feci girare in circolo, seguendo gli spostamenti degli sporadici lampi. Entro poco avrebbe tempestato. Non mi chiesi come facevo a saperlo. Non era qualcosa che avevo intuito. Era qualcosa di cui ero certa e basta.
Un fulmine squarciò il cielo, con un fragore assordante che somigliava terribilmente ad un ruggito. Ecco, ora tempestava. In poco tempo pezzi di grandine iniziarono a schiantarsi sulla terra, senza mai però avvicinarmisi. Avevo lampi e fulmini anche sulle dita. Piccole scariche elettriche che non ferivano, ma che crepitavano e brillavano attorno ai miei arti. E che provenivano non dall'ambiente esterno, ma da dentro. Ero io stessa a produrle.
 
-Smettila, Sebastian! Allontanati! - gli gridava la fanciulla dai capelli dorati. Brillava come una stella. Un cerchio di luce era disegnato nell'aria, davanti al suo viso. Da esso uscivano filamenti fiammeggianti, che scivolavano sul pavimento e si fondevano creando una massa unica, che lentamente prendeva forma antropomorfa.
Sebastian però non le prestò attenzione. Era concentrato sulla figura che si stava delineando. Arti snelli, corpo magro. Il suo sguardo era di disgusto e scetticismo. Disapprovava, ma non solo il fatto che lei volesse al suo fianco una seconda persona, oltre a lui. Ad infastidirlo di più era l'individuo su cui la scelta era ricaduta. Alicia lo sapeva, ma non aveva potuto trattenersi. Provava un'attrazione magnetica verso quella particolare creatura. Certo amava la natura demoniaca di Sebastian, ma c'era un fascino particolare in quest'altro. Un demone non era, alla fine, né più né meno di quello che si diceva comunemente. Bestie affamate, che si nutrono di anime e devono convivere con la loro fame. Occasionalmente alcuni potevano provare sentimenti nei confronti di altri, ma era estremamente raro. Comunque non c'erano misteri su di loro.
Quello che stava prendendo vita di fronte a lei, invece era tutt'altra cosa. La sua natura stessa era un mistero, andava oltre l'immaginabile. Poteva dirle cose che non avrebbe mai scoperto altrimenti. Quello era un trasferimento molto difficile: un essere particolarmente complesso richiedeva maggiore concentrazione e dispendio di energie. Ma ne valeva la pena. Avrebbe potuto risparmiarsi molti sforzi facendo apparire altri suoi simili, ma non sarebbe stata la stessa cosa. Gli altri non erano come lui. Erano troppo... normali. Lei avrebbe tanto voluto sapere il più possibile sulla vita, sulla morte, su ogni cosa. Il demone non le era d'aiuto: sapeva  solo ciò che lo riguardava e ciò che aveva appreso tramite l'osservazione degli altri. Ma non poteva sapere ciò che voleva lei.
- Sebastian. Ti ho detto di stare lontano. Non comprendo la tua gelosia: non ti ho abbandonato. Voglio solo potergli parlare, e averlo attorno -
Sebastian fece una smorfia – I vostri gusti sulle compagnie si rivelano assai peggiori di quanto credessi -
- Non sono affari tuoi. Mi piace chi mi piace. E ricorda che anche tu rientri nella categoria delle mie compagnie -
Eccolo, la luce si stava dissipando. Vedeva già il suo profilo, il naso delicato, le labbra ben disegnate. Tremava come una foglia. Alicia si lasciò andare in un sospiro deliziato. La sua adorazione verso l'essere di fronte a lei era più che palese. Sebastian storse il naso nel sentire l'odore di sangue e morte di cui l'essere era impregnato. Non era un odore che aveva sulla pelle, ma qualcosa che veniva da dentro, come una peculiarità della sua specie. Solo da quello poteva riconoscerlo a distanza senza esitazione. Ma in pochi lo potevano sentire. A pochi loro erano effettivamente pericolosi. Purtroppo i demoni rientravano nella categoria.
Il bagliore scomparve completamente, lasciando la visuale libera. La ragazza Astral sorrise come non aveva mai fatto con lui. Due grandi occhi spaventati la stavano squadrando, balzando in ogni direzione rapidamente.
- Oh, ti prego! - sibilò a denti stretti il demone. Con uno scatto fulmineo precedette l'umana, e diede un forte colpo alla testa alla creatura pallida, che emise un gridolino strozzato, e cozzò contro l'asfalto sottostante. Sotto alla sua testa iniziò a formarsi una piccola chiazza cremisi. Non l'aveva ucciso, ovviamente. Quelli lì erano quasi impossibili da uccidere.
Alicià lanciò un grido. Si mise tra lui e la sagoma accasciata.
-Non toccarlo, mostro! - gli gridò, furiosa. Nel suo sguardo, solo odio. - Se gli torci un capello, ti massacro! -
Rabbrividì, però, quando lo vide assumere le sue vere sembianze. - Eppure mi piacevate, lady Alicia -
Si protese verso di lei. Era provata per l'evocazione appena compiuta. Non sarebbe riuscita a combatterlo. Inoltre lui era superiore alle belve che lei aveva cacciato fino a quel momento. Ci volle veramente poco a spezzarla. Le ruppe il collo e la schiena, e lei cadde riversa a terra. I suoi capelli biondi si sparsero attorno a lei a raggiera, prendendo una forma simile ad un'aureola attorno al suo capo. Una volta uccisa, si accanì sul corpo, mutilandole il viso.
- Stupida, stupida ragazzina umana! - ringhiava furiosamente. Una volta che si fu sfogato, rivolse la sua attenzione alla disgustosa creatura che lei aveva voluto portare nel suo mondo così tanto. Diavolo, di tutte le persone!
Aveva un'aria confusa, spaesata. Sicuramente non aveva ancora preso del tutto coscienza di ciò che aveva attorno. Gli venne da ridere, nel vedere quella cosa arrancare a gattoni, in quella maniera penosa e ridicola. Oh, quei rantoli tra il terrorizzato e il sofferente erano il massimo. Vedere una delle persone più pericolose che avesse mai conosciuto ridotta in quello stato gli provocò un moto di soddisfazione indescrivibile.
Che ci avesse trovato quella ragazza in quella... cosa... non l'avrebbe mai capito.
Lasciò quello scenario sanguinolento e disgustoso sentendosi decisamente più appagato di quanto fosse mai stato da parecchio tempo.
 
Mi ripresi dalla visione trattenendo il fiato di colpo, come se mi stessi soffocando. Mi ci vollero cinque minuti per riprendermi dallo shock. Era arrivata all'improvviso, cogliendomi del tutto impreparata.
Questa volta avevo percepito anche parte delle emozioni del demone. Non aveva senso. Era Alicia ad avere avuto quasi un legame con lui, io che c'entravo? Non avrebbe dovuto essere possibile per me sentire i suoi pensieri.
Di nuovo non ero riuscita a vedere chiaramente la creatura evocata da Alicia. Avevo capito che reazioni scatenava negli altri due, però. Doveva essere qualcuno che Sebastian detestava. Purtroppo la lista era molto lunga, non era certo il più amichevole e tollerante degli individui.
- Mi sembra di impazzire... - mormorai a me stessa, sfregandomi gli occhi.
Forse Sara aveva ragione, non mi avrebbe fatto male chiuderli per un po', quindi tornai dentro. Sempre ammesso che ci fossi riuscita, a riposare.
Non dormii più di dieci minuti di fila, continuando a svegliarmi dopo brevi intervalli. Non ero proprio in grado di spegnere il cervello. Quello era ancora più estenuante che non dormire proprio, tanto che mandai a quel paese tutti i tentativi, e me ne restai seduta sul letto con le ginocchia strette al petto.
Se quella piccola guerra non fosse finita in breve tempo, avrei davvero perso la testa. Era davvero questo, che desideravamo, prima che iniziasse? Quando ero una persona comune, pensavo che qualsiasi cosa sarebbe stata meglio della situazione monotona in cui si viveva. Non provavo quasi nulla verso nessuno al di fuori della famiglia stretta, e cercavo disperatamente un surrogato, qualcosa che sostituisse quei sentimenti. Lo avevo trovato, ed era addirittura migliore di essi. Era un'emozione che non comportava rischi di alcun genere, che non necessitava di essere ricambiata. Ciò che non esisteva era per me molto più invitante e desiderabile di qualsiasi cosa, che fossero amicizia o ricchezze, di reale.
Poi era divenuto la realtà, quel mondo che amavo. Solo che vederlo in prima persona non era come leggerne le vicende. Noi amavamo le storie tristi. Ebbene, ora ci vivevamo dentro, ad una storia drammatica di guerra.
Ma tu sei felice lo stesso, in fondo.
Non riuscii a scacciare il pensiero prima che si formasse. E ne rimasi sconvolta.
Perché la gente normale tutte queste emozioni che tu consideri tristi, le provano comunemente. Tu invece no, e hai bisogno di questo per provare sentimenti.
Non sei fatta per il mondo normale. Hai bisogno dell'adrenalina della battaglia. Hai bisogno di più, di quello che non avevi prima, e continuerai in questo modo. Più ti addentrerai nel sovrannaturale e nell'ignoto, e più vorrai sprofondarci, perché è per questo che sei fatta. Chiacchieri con i demoni, uccidi mostri con una falce e sei innamorata di un dio della morte.
Ma non sei sbagliata. Non sei apatica. Sei differente, e per crescere e sbocciare completamente, hai bisogno di esperienze differenti. Tutto qui.
Le ultime parole quasi le sentii nell'aria. Mi riverberarono nella mente, come se cozzassero con le pareti del mio cranio. Vibranti, ma non dolorose. Era tutto lì.
Come lo pensai, una fitta lancinante di attraversò lo stomaco. Mi si mozzò il fiato. Strinse convulsamente le mani sulla pancia, cercando una qualche ferita, o qualunque cosa che potesse spiegarlo. Non sentivo un dolore da blocco intestinale o roba del genere. Mi sembrò di venire trapassata con una spada.
Le lacrime iniziarono a fluirmi dagli occhi ininterrottamente, mentre cercavo di respirare, e di alzarmi. Arrancai come meglio potei verso il bagno, traballando e incespicando ad ogni nuova stilettata. Nessuno, tra i pochi ancora svegli, era in quell'area della nuova base, e nessuno si accorse di me. Raggiunsi il bagno, non sapendo neanch'io cosa fare visto che non sapevo cosa mi stesse provocando quel tormento.
Poi venne la nausea. Soppressi un conato, il tempo sufficiente per piegarmi sul gabinetto, inginocchiata a terra. All'inizio rigurgitai fuori quello che avevo mangiato, fino all'ultimo grammo. Ipotizzai confusamente ad un'indigestione, che comunque non spiegava le fitte.
Dopo, però, iniziai a sputare sangue, e infine a vomitarlo letteralmente, a fiotti. Provai a gridare, ma la voce non mi usciva, come se mi avessero tolto le corde vocali, anche se io stavo sforzando la gola.
Caddi in preda al panico. Non sapevo che fare, non sapevo che stesse accadendo, e perché così improvvisamente. Volevo chiedere aiuto, ma non ci riuscivo. Cercai di afferrare il bordo della tazza, ma scoprii che i miei arti tremavano come in presa alle convulsioni. Il flusso sanguinolento che mi usciva dalla bocca s'interruppe, dandomi un istante di sollievo.
Pochi secondi, e di nuovo una lama mi penetrò l'addome. Di nuovo non riuscii a gridare.
E poi il dolore si estese, finché ogni singola fibra del mio corpo s'infiammò, venne frustata e tagliata. Mi sentivo sciogliere come cera esposta al fuoco, e bruciare nelle braci ardenti. Infine iniziai a disgregarmi, ma non era solo una sensazione fisica. Lo vidi succedere. Le mie dita per prime brillarono come stelle e si sbriciolarono, si dissolsero al vento. Credetti di vedere lo stesso accadere alle braccia, ai piedi, e alle gambe.
Il buio mi avvolse.
 
Quando mi risvegliai, era mattina. Abbastanza presto, non più tardi delle sette. Ma probabilmente la maggior parte dei funzionari erano già al lavoro. Dapprincipio non ricordai cosa fosse successo la notte prima. Infatti mi chiesi cosa ci facessi sdraiata sul pavimento del bagno. Quando mi tornò alla mente, il battito cardiaco mi aumentò decisamente. Presa dalla frenesia, scattai in piedi, toccandomi convulsamente lo stomaco e la bocca, come a cercare qualche rimasuglio di quel male. Ma sembrava non ci fosse nulla che non andava.
Eppure ero sicura di aver visto il mio corpo bruciare e volatilizzarsi! 
Posai lo sguardo sul pavimento.
Sì, il sangue c'era. Non avevo fatto in tempo a tirare lo sciacquone, figuriamoci a pulire, quindi macchie cremisi erano ovunque, nell'ambiente bianco. Solo che non sentivo assolutamente nulla. Tirai l'acqua, per prima cosa, liberandomi del vomito e del sangue che avevo rigurgitato. Cercai qualcosa per lavare le piastrelle del pavimento. Fortunatamente avevamo sempre tutto l'indispensabile a portata di mano. Tolsi ogni traccia dell'accaduto con acqua e candeggina. Infine, rimossi le chiazze rosse anche da me stessa.
Mi lavai e rassettai come meglio potei, tornai in camera per indossare un'uniforme dell'Astral Project pulita (ovviamente bianca), mi misi il bracciale al polso, e appuntai la spilla con il nostro simbolo. Ogni persona dell'associazione indossava l'uniforme e la spilla. Era un cerchio con una falce bianca di luna sul lato destro, tagliato a metà orizzontalmente nell'area restante. La parte superiore era nera. La parte inferiore aveva un colore diverso per ognuno di noi, a seconda della nostra armatura.
Sul momento non me ne resi conto, ci pensai invece tempo dopo: nonostante il ricordo della sera precedente fosse più che chiaro, non ero per nulla agitata. Mi sentivo incredibilmente calma, pacata. Come se niente potesse sfiorarmi. Me ne andai, infatti, in tutta tranquillità, senza batter ciglio. Nessuno si sarebbe accorto di nulla.
Andai quindi nella sala principale, ovvero l’area già esistente prima che noi modificassimo la costruzione. Lì si svolgevano le quotidiane mansioni di controllo. C’erano poche persone a lavorare lì, perlopiù adulti. La donna più vicina a me aveva delle occhiaie molto marcate, e pareva sul punto di addormentarsi sulla tastiera del computer. Mi rivolse un cenno di saluto ed un sorriso stanco.
- Novità? – le chiesi.
- No, nulla. O almeno, nulla relativo al nostro tipo di ricerca e rilevazione. Forse l’altro gruppo, nelle camere private… -
- Stanno lavorando nelle camere private? – domandai, sorpresa.
Lei annuì – Sì, un gruppetto di ragazzi. Non so che stiano cercando, ma sono lì dalle cinque del mattino –
Girai su me stessa, tornando nella direzione da cui ero venuta. Probabilmente avrei bussato a tutte le porte fino a trovare quella corretta. Stavo quasi per battere il pugno sulla prima, quando quella si spalancò. Dall’internò spuntò fuori il viso di Sara. E anche le sue braccia, che mi presero e trascinarono dentro di forza.
Scombussolata, mi liberai, e le rivolsi uno sguardo interrogativo. Lei chiuse la porta, guardandosi attorno per assicurarsi che non ci fosse nessun altro. Poi girò due mandate di chiave, e mi fisso con aria assorta e preoccupata.
- Ehi, che c’è? Stavolta ho dormito! – le dissi. Era una bugia solo in parte, in effetti.
- Sofia, non so che tu stia facendo, ma qualcosa di molto strano è stato rilevato dal mio computer – il suo tono era serio. Sollevai un sopracciglio. Lei era una degli Astral attualmente responsabili del controllo delle anime, ovvero rilevava le aure di ogni persona nell’associazione e in ogni altro posto desiderato, per vedere se ci fossero creature non umane in circolazione.
Mi indicò uno dei segnali nella mappa della nuova sede. Era di un colore diverso dagli altri, e invece che avere una dimensione stabile, si dilatava e restringeva ritmicamente. – Che cos’è? Io non sono mai stata responsabile a queste cose. Cacciavo e basta –
Sara alzò gli occhi al cielo. – Ma vedi dov’è questo segnale? È in questa stanza. Questo è il tuo segnale! E non è come era fino a ieri sera. Prima ti segnava come Astral, dello stesso colore degli altri, anche se più grande. Ma questo segnale, non so cosa sia. Non è nella legenda delle percezioni, non è descritto in nessuna delle guide –
- Cosa? Sei sicura? Questo non è possibile –
- Conosco le mie strumentazioni, Sofia. Tu hai fatto qualcosa ieri, e questo ti ha fatta mutare. Non sono stupida, e come ti ho già detto l’empatia e il riconoscimento delle emozioni e dei cambiamenti nella gente sono la mia specialità. Dimmi che hai fatto –
Io alzai le spalle, dato che nemmeno io lo sapevo esattamente. Mi tornò in mente il brillio che aveva emanato il mio corpo prima che lo vedessi, o avessi creduto di vederlo, sbriciolarsi.
- Non lo so. È successo qualcosa, ma non so cosa. Per favore, non chiedermi dettagli –
Girai la chiave ed aprii la porta. Uscii prima che potesse fermarmi, correndo. Ora ero sicura che qualcosa fosse davvero accaduto. Qualcosa di importante. Forse aveva a che fare con l’ultima allucinazione. Non potevo saperlo, ma sapevo a chi chiedere informazioni. Se qualcuno sapeva qualcosa, all’interno dell’associazione, non poteva essere che il padre di Alicia, Simon. Cambiai idea a metà strada. Non me la sentivo di raccontare l’accaduto a nessuno.
Ripensandoci, c’era qualcosa che poteva aver scatenato quella singolare reazione. Quando avevo sentito la prima fitta al ventre, avevo appena realizzato una cosa. Mi ero resa conto che in un certo senso non facevo parte del mondo della gente normale, anche se ero nata lì. Normalmente l’avrei chiamata una coincidenza, ma già da un po’ quella parola aveva perso significato. Quasi nulla avveniva per caso, ai membri dell’Astral Project.
Una ragazza dai capelli neri era piegata in due, inginocchiata su un pavimento di marmo nero. Quei fili del colore dell’inchiostro le coprivano il viso, rivolto verso il basso. Stava tossendo prepotentemente. Sollevò appena la testa, ed un rivolo di sangue denso le colò dalla bocca, e lei lo fermò con le mani. Provò a rialzarsi, sostenuta da un uomo vestito di nero. Anche i capelli di lui erano neri, come pure l’abito della ragazza e quasi tutto ciò che li circondava. Le lampade che illuminavano di luce soffusa la stanza emanavano luce azzurrina. La fanciulla era incredibilmente pallida, quasi cadaverica. I suoi occhi erano viola.
- Siete sicura che questa reazione fosse una cosa positiva? –
- Sì, Sebastian. Non spaventarti solo perché il mio corpo si è disgregato e ricomposto. Dovresti essere abituato a certe cose no? –
- Sì, Black Lady. Posso chiedere cosa significa? –
- Cosa significa? Finalmente sono ciò che ero destinata ad essere, e posso dire addio a quel fragile e insignificante fisico da essere umana con cui ero nata. Tutto merito di Alicia –
Con grande facilità fece dispiegare due ali da pipistrello, apparse chissà quando sulla sua schiena. Le osservò soddisfatta, e in men che non si dica erano già cambiate in ali di corvo.  Ora era tutto facile.
Mi ripresi con un sobbalzo.
Le allucinazione cominciavano a venirmi sempre più spesso, e la cosa mi impensieriva abbastanza. Una cosa erano delle sporadiche visioni, e già le accettavo solo perché ero in una situazione fuori dalla norma, ma cominciare ad averle di continuo era tutta un’altra cosa. Mi sembrava di essere in trasformazione. Mi sembrava di star perdendo la mia umanità. In effetti, come potevo ancora considerarmi umana? Io facevo cose che gli umani non avrebbero dovuto saper fare, quindi naturalmente non potevo più esserlo. Non del tutto. Lo ero una volta, ma le cose erano cambiate, dal giorno in cui ero stata condotta all’associazione.
Mi guardai le mani. Diedi un pugno al muro. Lo vidi sgretolarsi, senza che io sentissi alcun dolore alle nocche. Eccolo, il risultato della scelta fatta quel giorno, diversi mesi prima. Ecco, cos’era accaduto la sera precedente. Quando ero diventata Astral avevo deciso di abbandonare la normalità, ed avevo sviluppato poteri magici. Ora avevo reso definitiva quella decisione, realizzando che l’anormalità, l’eccezione che facevamo come individui nel mondo in cui vivevamo mi piaceva, ed anzi mi sentivo appartenente ad essa. Non ero più umana, del tutto. E mi stava bene così. Anzi, mi parve naturale. Dopotutto stavo con dio della morte, combattevo mostri ed entravo in conflitto con demoni. Smettere di essere umana era ovvio, a quel punto.
Sfiorai appena la superficie intaccata del muro, il pensiero di farlo tornare come prima mi sfiorò soltanto, e già era tornato intatto. Forse era questo a rendere la mia potenzialità, e quella di Black lady ed Alicia, più alta degli altri: eravamo disposte ad abbandonare la nostra natura umana per diventare qualcos’altro, senza tanti scrupoli. Non solo ci andava bene la cosa, ma anzi si addiceva a noi. Ora ero me stessa. Forte, con capacità sovrumane. Non dovute a pura fortuna di nascita, ma alla mia determinazione e capacità di desiderare ed immaginare una realtà diversa da quella che vedevo. Questo era il tipo di forza che volevo.
Mi sentivo ribollire di energia. Avrei potuto fare qualsiasi cosa. La stanchezza delle notti insonni era svanita, così come l’inquietudine.
Chiusi gli occhi, e mi concentrai sulla scena della morte di Alicia, e di ciò che era avvenuto poco prima. Focalizzare i miei pensieri era diventato facile, una sciocchezza. Riuscii a mettere più a fuoco l’immagine. Invece che pensare a lei e a Sebastian che litigavano, rivolsi lo sguardo verso la creatura tremante appena evocata. Sì, era terrorizzata, spaventata a morte. Spesso le persone appena evocate erano confuse, e non si rendevano conto molto bene di ciò che li circondava. Aveva due grandi, sfolgoranti, occhi verdi quanto degli smeraldi. Trapassavano l’oscurità dell’ambiente, come due fari. Erano quasi fluorescenti. La sua pelle, come avevo già notato, era di un pallore perlaceo. Però  era differente da quello di Sebastian: il demone era esangue, quest’individuo invece era candido e delicato come una bambola di porcellana, ed altrettanto bello, se non di più. Ma non era questo ciò che mi fece mancare il respiro. La chiazza cremisi che all’inizio avevo scambiato per sangue, nella confusione della scena, si rivelò essere tutt’altro. Si trattava di capelli. Lunghissimi, sottili capelli rossi.
Aprii le palpebre, e tornai con la mente nel corridoio.
Ora sapevo perché Sebastian era così geloso e stizzito, quando Alicia aveva deciso di evocare un altro essere: non poteva sopportare di essere messo a paragone con lo shinigami scarlatto che tanto detestava. Ecco anche perché nessuno l’aveva trovato, quando era venuto in questo mondo: non sapevano nemmeno quando e dove fosse stato evocato, ma se lo erano ritrovato sugli schermi senza preavviso, di punto in bianco. E nessuno era lì con lui alla sua apparizione, se non una ragazza morta ed un demone infuriato. Nella confusione era strisciato via, ed era sopravvissuto nell’angoscia fino a che io non l’avevo stanato nella stessa fabbrica abbandonata dov’ero in quel momento.
Pezzettino per pezzettino, il puzzle della storia degli Astral si stava ricomponendo, lentamente ma inesorabilmente. Alla fine iniziava e finiva tutto lì: l’amore. Per qualcosa che non c’è e si desidera, per qualcosa che ti strappa dalle tenebre, che ti permette di realizzarti, che ti salva dalla solitudine o dalla paura. Quest’unica emozione era stata in grado di provocare un’infinità di comportamenti e reazione diverse in tante, tante persone. Alicia aveva iniziato quest’opera, aveva cercato le due creature che amava anche se così diverse tra loro, una delle due l’aveva uccisa per gelosia, e l’altra si era rifugiata nella propria natura violenta per proteggersi in un mondo ignoto. Sempre quell’emozione mi aveva guidata all’Astral Project e mi aveva spinta a trarre in salvo quella bellissima, fragile e letale creatura.
Forse quell’emozione sarebbe stata anche quella che mi avrebbe permesso di porre fine ad ogni cosa. Con un po’ di fortuna, presto quella piccola guerra sarebbe stata solo un ricordo. Ma non un brutto ricordo: una memoria dolce e amara, perché aveva portato sia sofferenze che felicità.
Uno scalpiccio affrettato veniva verso di me.
- Eccoti, finalmente! –
Girai la testa – Ti vedo agitato, Simon. È successo qualcosa? – risposi con assoluta calma.
- A dir la verità, sì. Una grande quantità di esseri infernali si sta radunando in una piccola area poco fuori dalla città. Pensavo potesse essere un’indicazione –
Ecco, il segnale era arrivato.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
********
 
Cella di manicomio (torniamo a quest’espressione, che è meglio):
Allora… buondì! Avverto in anticipo che questa pubblicazione così vicina alla precedente ha un motivo. Domenica parto per la Francia, e anche se avrò con me un computer, avrò poche occasione per utilizzarlo. Di conseguenza mi sono messa d’impegno per scrivere velocemente questo capitolo, così da non lasciarvi troppo tempo ad aspettare me e i miei tempi assurdi.
Spero che vi sia piaciuto come gli altri. Ditemi qualunque cosa che vada o che non vada, come sempre. continuo a ripetere che le critiche sono indispensabili per migliorarsi, quindi nessuno le tenga per sé, per favore.
Al prossimo capitolo, meravigliose lettrici!
Un bacio!
Sofyflora98

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Capitolo 17
*** Atto 17, le persone non cambiano ***


Ero china sullo schermo del computer di Simon, intenda ad osservare le centinaia di lucine intermittenti raggrumarsi in un'area in periferia, che in scala lessi misurava circa un chilometro quadrato. Si trattava di segnali rossi, ovvero quelli che indicavano i demoni e le creature infernali che noi estirpavamo. Erano moltissimi, e tutti si dirigevano in quel luogo. Non ricordavo che ci fosse nulla di speciale lì, solo capannoni e squallidi palazzi di cemento. Un incantesimo di  mascheramento, e una protezione dalla percezione dei radar dell'associazione, supposi. Che però ora era stato rimosso: ora i nostri apparecchi rilevavano la presenza di qualcosa, più precisamente di un intreccio di sortilegi e creazioni magiche incredibilmente complesso, dal quale si irradiava la traccia di una forte aura Astral. Lì doveva essere il covo di Black Lady, la mia rivale. Lì avrei anche ritrovato il mio amato e gli altri Astral scomparsi recentemente.
- Certo è piuttosto sconsiderata, quella Black lady – commentò Sara – Se fossi stata al suo posto, non avrei sbandierato così l'ubicazione del mio nascondiglio. Se fosse rimasta celata, avrebbe avuto un vantaggio su di noi. Ora invece ti ha praticamente chiamata a darle la caccia! -
- È questo che vuole. Non credo le interessi eliminarci, ma piuttosto dimostrare di essermi superiore. È più una specie di lotta tra noi due, che una guerra. Una competizione all'ultimo sangue per il predominio. Non vuole interferenze, ora. Quando andrò lì, sarà l'ultima battaglia tra noi due -
Sara mi guardò accigliata - Sembri molto sicura di ciò che dici -
- Infatti lo sono. Ho avuto prova di questo poco tempo fa... ti spiegherò quando sarà finita, d'accordo? Per ora non è il caso che tutti lo sappiano -
Lei annuì. Quando iniziava a parlare non finiva mai, ma non faceva troppe domande, e sapeva tenere la bocca chiusa quando serviva. Anche se aveva intuito che qualcosa mi era accaduto, ero certa che non mi avrebbe assillato mettendomi in difficoltà, e non l'avrebbe detto a nessuno senza il mio consenso. Le avevo accennato vagamente ad una specie di trasformazione, ma l'avevo anche pregata di non chiedermi nulla fino alla fine dello scontro contro Dianoia, la mia rivale.
Guardai l'orologio. Entro dieci minuti sarei dovuta essere alla riunione segreta che si sarebbe svolta tra alcuni membri scelti dell'associazione, all'oscuro dal resto degli Astral e dei funzionari. Avevamo tenuto l'informazione sulla scoperta del rifugio di Black Lady riservata solo a pochi, altrimenti tutti avrebbero voluto precipitarsi lì, e non sapevamo come lei avrebbe reagito ad un attacco di massa. Per questa ragione avevamo deciso di evitare quella che sarebbe potuta diventare una strage.
- Sofia – disse Sara. La sua voce si era fatta più bassa, quasi grave. Mi guardava. Il suo sguardo era serio, cupo, ma determinato. Non come quello del resto dei membri dell'Astral Project. Io vedevo come mi osservavano, anche se loro credevano che non me ne fossi accorta. Quello che mi rivolgevano era uno sguardo triste, quasi compassionevole da parte di alcuni. Ormai che io e Grell fossimo una coppia era di dominio pubblico, e tutti facevano quell'espressione pietosa, quando pensavano alla maniera in cui Sebastian me l'aveva portato via, come a dire “Oh, poverina! Ha perduto il suo innamorato, chissà quanto soffre!”. Gli altri erano a metà strada tra il timore e venerazione. Per quelli lì ero una specie di fenomeno, o una belva ammazza-demoni da temere. Si erano fatti l'idea che fossi anch'io una specie di shinigami, o di dea, da quel che avevo capito. Non riuscivo a comprenderne la ragione, e mi irritavano quasi quanto quelli che fingevano di capire i miei sentimenti.
I primi erano insopportabili per una semplicissima ragione: nel loro tentativo di essere empatici, non facevano che disturbarmi. Io facevo del mio meglio per mantenere la freddezza e non lasciarmi prendere dal terrore che potesse accadere qualcosa al mio Grell, e il loro continuo guardarmi con quegli sguardi malinconici non mi aiutava.
I secondi mi sembravano un po' idioti: quasi tutti mi avevano vista arrivare all'associazione, quando ancora non sapevo combinare un'accidente con i miei poteri. All'inizio mi trattavano come una normale ragazza appena arrivata e un po' maldestra. Ora questi si comportavano come se fossi fuori dalla loro portata, nonostante con molti di loro avessi chiacchierato tranquillamente un'infinità di volte.
- Sofia... - ripeté la mia amica – Non gli è stato fatto nulla, e anche se fosse sai che si rimetterebbe in un batter d'occhio. Tu ucciderai Black Lady, e riporterai a casa i nostri compagni. Questo è quanto -
Ecco perché lei mi piaceva: era sempre così sicura che tutto sarebbe andato per il meglio, da influenzare anche me. Io non ero pessimista, ma realista sì, da sempre. Mi veniva naturale prendere in considerazione il peggio che potesse succedere. Lei mi toglieva quei pensieri dalla mente.
Io le sorrisi. Lei dapprima mi si fece vicina, e poi mi abbracciò delicatamente. - Tu sei tanto forte, Sofia. Puoi superare tutto, se solo lo vuoi – dicendo questo mi strinse di più.
Non riuscii a trattenere la commozione. Raramente mi era capitato di avere degli amici che mi parlassero in quel modo. - Grazie – mormorai con voce rotta, abbracciandola a mia volta.
Restammo così per un po', non seppi quanto. Poi lei riprese.
- E anche lui è forte, Sofia. Lo sai bene, ma tendi a scordartene. Tu ti imponi sugli altri con l'energia di un ciclone, tanto che sei riuscita a domare persino un dio della morte del suo livello. Ma non devi mai dimenticare che è solo con te, per te, che si mostra fragile. Tu sei l'unica ad essere più forte di lui. Non cederà, qualsiasi cosa accada. Fidati di lui -
Certo che era forte. Il mio Grell era stupefacentemente forte sia fisicamente che emotivamente, anche se instabile. Non sarebbe stato il dover resistere in attesa di me a logorarlo, di questo ero sicura. Ciononostante, era l'idea stessa che dovesse resistere a qualcosa a disturbarmi. Era forte e ne ero consapevole, ma io avrei preferito se non ci fosse stato bisogno che mi venisse dimostrato. Io l'avrei tenuto al sicuro, lontano da ogni pericolo. Se ci sarebbero state situazioni rischiose, l'avrei lasciato fuori e me ne sarei occupata di persona. Tutto questo per lui, solo per lui, solo da parte mia.
- Lo so, Sara. Ma grazie comunque -
 
 
 
Forse arrivai un po' in ritardo alla riunione, forse no. Non ci feci caso. Comunque arrivai per ultima. Oltre a me e Simon, c'erano un ristretto manipolo di Astral esperti, alcuni membri della squadra scientifica, e alcuni Esterni, tra cui William e pochi altri shinigami. I mietitori erano stati subito classificati come i più affidabili, ed essendo creature sovrannaturali anche parte integrante delle nostre forze d'attacco. La loro natura neutrale inoltre impediva che meschinità da demoni o stupidi discorsi sull'onore e vari altri superflui ideali intaccassero la loro efficienza.
Il raduno iniziò con un breve discorso tenuto da Simon, dove spiegò la ragione del nostro incontro segreto, e riassunse i fatti recenti, schematizzando anche ciò che sapevamo su Black Lady. Da quel che mi aveva detto precedentemente, ero consapevole che veramente in pochi sapevano chi fosse la nostra nemica, e dell'incidente di Alicia. Trattandosi di persone scelte per la loro esperienza, nessuno rimase particolarmente sbalordito dalla sua storia, o almeno non lo diede a vedere. Lo shinigami dai capelli neri a malapena mosse un sopracciglio.
Ogni tanto, però, dava un'occhiata non poi così rapida nella mia direzione.
A discorsi terminati, Simon chiuse la bocca, e chinò lievemente il capo, in attesa. A questo seguì un silenzio nervoso. Potevo chiudere gli occhi, e sentire i vari ritmi di respiro delle persone che mi circondavano. Anche le mie percezioni erano aumentate dall'episodio della mia trasformazione.
Il primo su cui mi concentrai mi sembrò quello di una ragazza. Era rapido e ansioso, ogni tanto interrotto da lievi, quasi impercettibili, singulti. Sensibile, la storia l'ha rattristata intuii. Poi un altro era lieve e tranquillo. E ancora più avanti, uno calmo ma ogni tanto più rapido, come se stesse tentando di controllarsi. Poi uno mi colpì al di sopra degli altri. Era profondo, chiaramente di uomo, ogni respirazione era lunga. Anche un po' tremante. Cercai con le orecchie la direzione di provenienza. Quando fui abbastanza sicura, riaprii le palpebre.
William.
Era lui a respirare in quel modo...
William?!
Mi ci volle un attimo in più a stupirmene. Non era il suo solito modo di respirare. Sembra bizzarro a dirlo, come se fossi una maniaca che va ad ascoltare gli ansiti della gente, ma era sul serio differente. Il suo ritmo era solitamente di una regolarità e noia abissali. Si poteva ascoltarlo per ore senza trovarci mai nulla di differente, a meno che non lo si costringesse a compiere attività fisica, ma l'unico risultato era l'accelerazione dovuta all'affaticamento, mai un cambio di velocità dei respiri per cause emotive.
Si dovette accorgere del mio sguardo, perché voltò la testa nella mia direzione, e stavolta l'occhiata che mi diede non fu per niente rapida. Aveva assottigliato gli occhi, e mi scrutava come a volermi esaminare, giudicare. Per la prima volta vidi la sua espressione toccata dalla curiosità. Si era anche incupito un po'.
Io aggrottai la fronte, sconcertata, e feci un segno con la testa, chiedendo spiegazioni. Lui si girò di nuovo, in modo che non potessi più vederlo in viso. Sbuffai, e tornai a concentrarmi su Simon.
- Questo è tutto ciò che c'è da sapere, escludendo le informazioni non in nostro possesso – riprese l'uomo. Ora che aveva vuotato il sacco anche con gli altri, pareva più rilassato. Ora non rimaneva che arrivare al punto della questione. Certo non ci aveva convocati solo per avere qualcuno con cui parlare dei suoi problemi.
- Sappiamo dove Black Lady risiede. Sappiamo anche di che tipo di forze dispone al momento, ovvero di un'orda di demoni e belve malefiche. Inoltre ha degli ostaggi. Ciononostante, dubito che sia sua intenzione aggredirci con quell'esercito ora. Non prima di vincere la sfida che ha lanciato a Sofia, perlomeno -
Guardò verso di me, invitandomi a proseguire. Io tirai un sospiro. Poteva benissimo finire da solo, accidenti. - Io vado lì il prima possibile, la ammazzo e mi riprendo il mio compagno, la mia amica Giorgia e il resto degli ostaggi. Se qualcuno di voi volesse accompagnarmi e facilitarmi il compito, non potrei che essergliene grata, perché non sono né una dea né una macchina instancabile, e mi piacerebbe davvero che voi altri la smetteste di pensare che io sia sempre qui a risolvere la situazione. Quindi, se qualcuno ha tempo da perdere dietro alla causa, è pregato di farsi avanti ora o mai più -
in fin dei conti, era stato un bene che Simon avesse ceduto a me la parola. Lui sarebbe stato capace di fare loro uno di quei discorsi altisonanti e pieni di belle parole sul coraggio e la giustizia, che io avrei trovato terribilmente imbarazzanti solo ad ascoltare.
Forse li avevo scossi un pochetto, non tutti erano abituati al mio modo di fare. Bah, non erano bambini, e io non avevo tempo da perdere a fare discorsetti gentili. Gettai un'occhiata alle loro facce, in attesa di qualche volontario suicida.
- Onestamente – sospirò infine una voce maschile – Mi irrita ammetterlo, ma è mio dovere salvaguardare quanto possibile i miei colleghi, pertanto ti accompagnerò -
A parlare era stato nientemeno che il glaciale mietitore William. Avevo forti dubbi sul fatto che fosse solo il suo dovere a smuoverlo, ma preferii non contraddirlo. Non era tra le mie attività preferite mettere in imbarazzo gli tsundere. Gli rivolsi un sorriso riconoscente, e lui si sistemò gli occhiali in tutta fretta, sfuggendo al contatto visivo. Ma che carino, allora anche lui aveva delle emozioni, in fondo!
- Grazie mille, Will! - cinguettai, ansiosa di vedere altre sue dimostrazioni di umanità. Come se non stesse aspettando altro, lo vidi avvampare nel sentirsi chiamare con il nomignolo appioppatagli in passato da Grell.
La sua intraprendenza fu un bene, perché se sui faceva avanti proprio lui, che detestava lavorare fuori orario, gli altri non avrebbero voluto per nulla al mondo essere da meno.  Pian piano vidi alcune mani alzarsi, un paio di ragazze poco più grandi di me con cui avevo già cacciato, tre membri della squadra scientifica e un certo quantitativo  di ragazzi Astral. Poi alcuni mietitori, e naturalmente Simon. Mai si sarebbe tirato indietro, essendoci buone probabilità di vendicare l'uccisione di sua figlia Alicia.
- Se non ti disturba, vorrei venire con te anch'io – Kevin, il mio amico d'infanzia che aveva sempre avuto un debole per me, si era timidamente fatto avanti. Non essendo molto alto, era stato coperto dagli individui più grandi e non l'avevo visto.
Sorrisi anche lui, con più calore di quello che avevo dispensato agli altri però: sebbene cercasse di non darlo a vedere, era stato impossibile non fare caso alla sua lieve gelosia. Non era esattamente felice che lo shinigami scarlatto lo avesse battuto sul tempo, era chiaro. Apprezzai molto però i suoi sforzi per non provare rancore nei suoi confronti. Se fossi stata al suo posto, probabilmente avrei cercato in tutti i modi di liberarmi del rivale.
- Grazie a tutti, davvero – dissi. Kevin arrossì, e abbassò gli occhi. Non lo ricordavo così impacciato, e non lo era stato fino a pochi giorni prima, in realtà.
Facemmo spostare i volontari da un lato del tavolo, e dopo li mettemmo in fila. Simon raccolse tutti i loro nomi e le loro specializzazioni nell'utilizzo dei poteri Astral. Scegliemmo una persona a cui far conservare il documento fino al termine della missione, qualcuno al di fuori del gruppo che sarebbe andato all'attacco. Alla fine optammo per una posata e dinamica donna di trentacinque anni, che lavorava nel reparto informatico.
La strategia era... quasi assente, in verità. Io sarei entrata nel castello, o qualunque altra forma avesse il “covo malvagio”, accompagnata da William, Simon e Kevin. Gli altri sarebbero restati all'esterno a tenere d'occhio la situazione, controllando che i demoni che si stavano ammassando nella zona non entrassero dietro a noi.
Era abbastanza azzardato come piano, ma non potevamo fare di meglio, non sapendo che tipo di difese Black Lady avesse eretto attorno a se.
- Tra quanto si svolgerà la missione? - domandò lo shinigami, facendo mostra del più professionale e distaccato dei toni di voce.
Simon chiuse un attimo le palpebre.
- Tra due giorni. Giusto il tempo di prepararci come si deve -
 
 
I due giorni non erano per preparare l'equipaggiamento. Gli Astral possono creare le proprie armi dal nulla con la sola forza del pensiero. I due giorni erano per prepararsi psicologicamente al fatto che avremmo potuto non tornare. Per poter salutare le persone a cui tenevamo, in qualche modo, anche se l'operazione era un segreto tra i partecipanti della riunione.
C'era stato chi aveva fatto dichiarazioni d'amore, temendo che forse non avrebbe più avuto occasione in futuro. Qualcun altro ne aveva approfittato per stare il più possibile con gli amici.
E poi c'era chi, come me, non aveva fatto nulla. E perché avrei dovuto? Le nostre famiglie erano state incantate perché non ricordassero di noi momentaneamente. Li avremmo rimessi a posto una volta finita la guerra, quando non avremmo più corso il rischio di rivelare l'esistenza dell'associazione. Parte di quelli che erano miei amici sarebbero venuti con me a cercare Black Lady, e gli altri non erano in realtà amici così stretti. Volevo bene a Giorgia, ma lei era tra gli ostaggi. L'unica persona a cui avrei, in un momento del genere, potuto desiderare di dire addio era anche quella che stavo andando a salvare, quindi al massimo avrei potuto dire “Aspettami, sto arrivando”.
Stranamente, l'ambiente cupo e carico di nervosismo e febbrile paura non mi aveva contagiata. Rimasi abbastanza insensibile al senso di impellenza che invece dominava chi sarebbe venuto con me. Tutti che avevano fretta di dire e fare cose che prima non necessitavano una tale urgenza. Tutti a cercare di vivere gli ultimi minuti, prima di andare incontro al rischio di morire. Invece io non solo non avevo nulla da fare, anche non riuscivo a meditare abbastanza a lungo da farmi venire in mente qualche rimpianto che avrei potuto avere. E che comunque sapevo non avrei avuto.
Non riuscivo a scostare il filo dei miei pensieri da quelle brevi immagini che avevo avuto dopo la trasformazione di cui ancora non avevo intuito davvero la natura. Okay, era come se mi fossi ricostituita completamente, ed i miei poteri erano amplificati, anche se facevo in modo che gli altri non ci facessero caso. Sapevo quale mio stato psicologico aveva azionato la cosa. Ma non capivo se era una cosa che aveva a che fare con me e Black Lady soltanto, o se semplicemente solo noi due eravamo riuscite a trasformarci ulteriormente. E ad Alicia era accaduta la stessa cosa oppure no?
Ero abbastanza sicura, in ogni caso, che Dianoia avesse subito quella mutazione diverso tempo prima. Non sapevo come spiegarmelo, ma quando avevo una visione, in qualche modo percepivo se l'avvenimento era più o meno recente. Quello era molto più vicino nel tempo rispetto alla morte di Alicia, ma comunque avevo avvertito una certa distanza.
Non l'avevo vista bene, ma non mi ricordavo di nessuno nell'associazione che avesse delle caratteristiche simili a quelle che avevo notato. Era di certo molto pallida, e aveva capelli neri come l'inchiostro, lisci e lunghi. Parecchio magra, mi sembrava. Quindi doveva aver usato i suoi poteri per mutarsi d'aspetto e non farsi riconoscere.
Molti Astral erano spariti dall'associazione, dall'incidente che aveva fatto cadere me e i miei compagni nell'altro mondo. Probabilmente lei era una delle ragazze scomparse, sempre ammesso che non si fosse camuffata da ragazzo. Considerai che era una possibilità, e non potevo ridurre la lista dei sospetti. 
C'erano troppe cose che non sapevo, e io detestavo non sapere quello che mi accadeva attorno. Digrignai i denti, frustrata. Se fosse stato per me, sarei partita in missione al più presto. Non sopportavo restare lì ad aspettare che gli altri si facessero i loro comodi quando c'era una psicopatica simile in circolazione. Era cattivo da parte mia avere così poca considerazione dei sentimenti altrui, ed essere impaziente di portarli alla morte, ma ero sempre stata così. Fin da bambina avevo sempre visto gran parte delle persone circostanti come un limite, un fardello, con tutti i loro problemi e le loro esitazioni. Per non parlare della loro paura di non riuscire ad integrarsi alla massa. Oh, quello era stato il principale motivo di tutte le amicizie interrotte che avevo visto e vissuto. Prima mi si attaccavano perché mi trovavano interessante, ma quando si accorgevano che stare vicino a me significava venire separati nettamente da quasi tutti gli altri, allora si spaventavano, e si allontanavano. O io allontanavo loro, quando iniziavano a lamentarsi. Io ero di indole solitaria. Anche a scuola, quando assegnavano lavori di gruppo, io finivo sempre per litigare con chi doveva lavorare con me, staccarmi e fare temi e ricerche singole. Dover accomodare le mie idee con le loro mi rallentava, e mi limitava. Non avevo lo spazio per liberare me stessa, lasciar vagare la mente e fondere ciò che raccoglievo. Diversamente, non riuscivo a vedere che un'accozzaglia di frammenti di idee assurdamente differenti tra loro messe insieme alla meno peggio. Un enorme miscuglio di tutto e niente, aromi e profumi accostati per costrizione, che stonavano del tutto. A mio parere, era estremamente difficoltoso trovare persone che potessero operare assieme e condividere le loro capacità e illuminazioni in maniera armoniosa ed omogenea.
E come per le idee, lo stesso valeva per le persone. Tutti provavano ad essere un grande gruppo di amici, che si imitavano a vicenda per sentirsi uniti, e reprimevano le loro opinioni pur di non isolarsi. A volte era patetico, a volte grottesco. Ed io ero talmente differente da loro, che neppure volendo avrei potuto star vicina ai miei coetanei. Nessuna paura della solitudine, nessun senso di alienazione. Indifferenza e freddezza, abitudine ad arrangiarmi con le mie sole forze. Tentativi quasi sempre vani di legame, andati alla deriva da paura non mia.
Nell'Astral Project era andata meglio. Le persone mi somigliavano di più, ed erano meno terrorizzate. Ciononostante tra di loro già intravedevo un modello che andava formandosi. Un gruppo di Astral che si comportavano in un certo modo, e reagivano in un certo modo agli stimoli circostanti. In questo caso, eravamo io, Dianoia, Alicia e pochi altri ad essere ancora più dissimili.
Con Grell, invece, era tutta un'altra storia. Non ci somigliavamo poi così tanto, in realtà, meno di quanto somigliassi ad Astral con cui non riuscivo ad entrare in sintonia, ma eravamo compatibili, come due ingranaggi. Anche lui non era come prima, anche se il suo carattere era rimasto uguale. Non ci eravamo cambiati a vicenda. Tutte quelle storie sul fatto che l'amore cambia le persone erano balle. Le persone non cambiano. Semplicemente riescono ad esternare parti di sé che prima non erano riuscite ad esprimere. In un mondo ottocentesco ed antico, Grell era un'anormalità. In un mondo dove le persone sono fissate con la socializzazione e il divertimento fine a se stesso, allora io ero un'anomalia. Nessuno dei due aveva cambiato la natura dell'altro. Semplicemente il suo modo di venerare e far sentire importanti le persone di cui si innamora aveva sciolto il nodo di tensione causato dal mio continuo scontro contro persone che invece non facevano che sparlare di me. La mia apertura mentale particolarmente spiccata e la mia tendenza ad apprezzare anche ciò che altri avrebbero considerato magari non indecente, ma strano, gli aveva consentito di rendere meno forzati i suoi tentativi di essere diverso da com'era, perché veniva comunque amato.
Le persone non cambiano mai. A cambiare, sono i loro sentimenti.
 
Fu con questo pensiero che finalmente giunse il giorno.
 
 
 
 
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Cella di manicomio:
Mi dispiace. Mi dispiace davvero avervi abbandonate così per quasi un mese, se non un mese vero e proprio, ma ero in vacanza, e non avevo il computer con me. E anche se l'avessi avuto, non avrei avuto tempo di scrivere, tra cattedrali e forti medioevali da visitare.
Comunque, appena tornata, ho cercato di mettere il turbo, e ignorare la mia costante pigrizia, dato che non intendo stare un altro anno su questa storia. Ormai non manca moltissimo alla fine. Non terminerà in due capitoli, tranquille, ma nemmeno in dieci.
Ho voluto allungare la parte che separa la fuga di Sebastian dall'incursione nel palazzo di Black Lady, per dare spazio ai pensieri e ai sentimenti della protagonista. Non amo le storie con ritmi troppo serrati. Devono esserci momenti di azione, in cui accadono molte cose una dopo l'altra, ma anche periodi più lenti. O almeno questo è il mio parere, poi è una questione di gusti.
Ditemi voi cosa ne pensate.
Quella rappresentata nel disegno, è Alicia.
Tanti baci, come sempre!
 
Sofyflora98

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Capitolo 18
*** Atto 18, traditrice numero due ***


Avevamo indossato le armature in anticipo. Le avevamo anche rinforzate con sottili ma resistenti corazze metalliche che coprivano petto e addome, per precauzione. Ci eravamo allacciati degli spessi cinturoni a cui avevamo già appeso varie armi che pensavamo ci sarebbero servite, per averle già pronte quando ne avremmo avuto bisogno. Ovviamente se volevamo usare strumenti più grandi, avremmo dovuto evocarli al momento, perché non potevamo portarceli dietro così.
Ci eravamo svegliati alle cinque del mattino, ed eravamo sgattaiolati via dall’attuale sede dell’associazione velocemente e silenziosamente che potemmo. Non mi parve che qualcuno si fosse accorto di noi. Avevamo fatto attenzione, molta attenzione. Dopotutto, ne andava della loro vita, non solo della nostra.
Quando tutti finirono di allacciarsi le corazze di acciaio bianco, e fissare pugnali, spade e quant’altro addosso alla propria persona, io aprii un portale, aiutandomi con la mappa che mi aveva dato Simon. Con un pennarello rosso aveva cerchiato l’area di raduno dei demoni. Se anche non vi fosse davvero stato il palazzo di Black Lady, anche se le probabilità erano a favore di quest’idea, ci sarebbe stata una bella caccia massiccia.
Attraversammo il cerchio perlaceo che squarciava l’aria in fila indiana, senza esitare. Né io né gli altri, ne ero certa, volevamo perdere tempo e cominciare a pensare. Se ci fossimo soffermati a pensare troppo, ci saremmo resi conto che la nostra era una missione suicida, e che dovevamo essere pazzi per pensare di riuscire a tornare indietro. Quindi nessuno si fermò.
Arrivammo nel bel mezzo di un campo. O almeno, quello che doveva essere stato un campo. Ora, era evidente, non ci veniva più coltivato nulla da un bel pezzo, a giudicare dall’erba alta e dagli arbusti che vi crescevano. Però non era stato nemmeno edificato. Forse il terreno si era inaridito, forse era scomodo per il trasporto. Qualunque fosse la ragione, non mi importava, perché era disseminato di demoni. Demoni ovunque, alcuni antropomorfi ed altri mostruosi, erano ammucchiati lì, in piedi, immobili. Ce n’erano di massicci e di magri e flessuosi, con grandi occhi da insetto e visi ovali, oppure affilati, o ancora duri e squadrati. Sempre che non somigliassero alla melma schifosa che avevo sterminato nel labirinto, o a quello simile ad un cane titanico che aveva provato a sbranarmi davanti alla fumetteria, quando avevo incontrato Sebastian per la prima volta.
Nessuno di loro sembrò accorgersi del nostro arrivo. Erano tutti lì, incantati, a fissare qualcosa al centro del campo. In mezzo alla massa, vidi un’ampia area vuota. Tutti guardavano verso quell’area. Anzi, verso lo strano oggetto nerastro che era verso il limitare dello spazio vuoto. Mi avvicinai a quella cosa cautamente, con il resto della combriccola al mio seguito. Non ci degnarono di uno sguardo, presi com’erano da quella… colonnina di marmo?
Sì, era una colonnina di marmo nero con venatura grigiastre. Non molto alta, liscia, con un capitello scolpito molto accuratamente a motivi floreali. Opera fatta con la magia, naturalmente. Il nero del materiale era troppo assoluto, e le venature troppo scintillanti per poter essere naturali. E la fattura troppo pregiata. Che io sapessi, non c’erano molti scultori così abili che amavano fare colonne in stile classico, e comunque non le avrebbero messe in mezzo ad un campo.
Allungai la mano, la sfiorai con le dita. La sentii pulsare di energia al mio tocco. Indirizzai il mio potere verso quell’oggetto, pensando con forza a ciò che volevo, intimando a quella cosa di svelarmi il suo segreto. A differenza dei demoni, quella mi diede retta.
Una seconda colonna, qualche metro più in là, apparì lentamente, prima come debole immagine sfumata, fino a divenire nitida e solida. Lo stesso accadde con la scalinata che si ergeva in mezzo alle due, i gradini che diventavano visibili uno alla volta. E dopo la scalinata ci fu un portone, due pilastri, e pareti, torri e guglie, archi rampanti e vetrate scure. Un immenso palazzo, sviluppato in altezza, prese posto in quell’area che prima era stata vuota. Completamente nero, venato di grigio-argento, da vero cattivo da cartone animato, in stile tendenzialmente gotico.
Nessuno comunque diede segni d’insofferenza o fastidio. Ormai mi avevano riconosciuta come leader. Si limitarono ad
- Si tratta bene, la lady nera -  disse con stupore uno dei ragazzi Astral che erano con noi.
Mi voltai faccia a faccia con la mia compagnia. – Qui ci dividiamo. William, Simon e Kevin, venite con me dentro al palazzo. In qualche modo faremo uscire quella donna dal suo buco. Voialtri restate all’entrata. Se i demoni cercano di entrare li tenete fuori. Se dei mostri dall’interno cercheranno di uscire, voi li uccidete. Nessuno fatta eccezione per noi quattro e i prigionieri che libereremo deve passare da questa porta, è chiaro? – forse risultai troppo imperiosa. Annuirono, seri.
Io e i tre nominati salimmo per la scala. Gli altri ci accompagnarono solo fino a metà del percorso. Lì si misero in fila uno a fianco all’altro, voltati ad intervallo uno verso il fondo e uno verso la cima.
La salita non fu lunga, o comunque non lo sembrò. Arrivati al termine della scalinata, ci trovammo ai piedi del portale d’entrata, mentre il vero portone era qualche metro più in fondo. Anche qui, ogni pilastro, colonna e cornicione era intarsiato con fiori e rovi. C'era un non so che  di inquietante in quella costruzione, ma era magnifica, veramente magnifica ed imponente.
Davanti alle due ante dell'entrata tentennai un istante, prima di appoggiare il palmo della mano sui battenti. Provai a spingere, ma naturalmente non accadde nulla. Era troppo pesante per essere aperta anche con tutto il mio peso, figuriamoci con una lieve pressione con la mano. Cambiai tattica, e immaginai la soglia schiudersi, per lasciarci passare.
Non ci fu nessuno scricchiolio sinistro, né rumore rimbombante, mentre si apriva. E nemmeno una musica di sottofondo epica e solenne. Semplicemente un fruscio. Il palazzo era talmente perfetto e liscio che scivolò senza quasi emettere alcun suono.
Sporsi un poco la testa dentro, e sbirciai. Apparentemente non c'era nessuno, per cui entrai, facendo segno agli altri di seguirmi tranquillamente.
Se l'esterno era stupefacente, l'interno era davvero meraviglioso. Ovviamente nero venato di grigio argenteo, come tutto ciò che componeva il castello della mia nemica. Davanti a noi si apriva una lunga sala, con tre navate separate da dei pilastri a fascio immensi, collegati tra loro con archi a sesto acuto. Il soffitto a botte era più chiaro, e le venature erano quasi cinque volte più fitte e scintillanti. Ai pilastri erano fissate delle fiaccole che emettevano delle curiose fiamme azzurre, che proiettavano lunghe ombre tremolanti.
E ancora incisioni, intarsi e quant'altro a decorare ogni centimetro di quello splendore architettonico. Il quale mi ricordava in modo agghiacciante una cattedrale, ma decisi di lasciar correre, perché almeno era il tipo di cattedrale che preferivo, esteticamente.
In fondo alla navata centrale c'era un trono. Un seggio nero, dallo schienale alto, con intarsi di rovi e rose, che proseguivano sui due braccioli. Molto pretenzioso. Black Lady non era una persona modesta, evidentemente. Beh, perlomeno aveva un buon senso dello stile. Se non fossimo state avversarie, avremmo potuto fare delle belle chiacchierate sulle gothic lolita, o altra roba del genere.
Nelle pareti, vidi, si aprivano innumerevoli altre scalinate, alcune dirette verso l'alto ed altre verso il basso, in corridoi illuminati anch'essi da fiaccole azzurre. Ovvio. Non ce n'era mai uno solo, in modo da facilitare la scelta del percorso da fare. Dovevano sempre essere tanti, per confonderti le idee. Iniziavo già ad irritarmi. Quella Dianoia aveva visto troppi film americani.
- Che si fa? Da che parte andiamo? - borbottai.
Simon scosse la testa – Se non lo sai tu... -
Mi mordicchiai il labbro. C'erano sei rampe, tre ascendenti e tre discendenti. Dividerci tutti non era neanche da considerarsi. Non mi rimaneva che tentare i miei poteri di percezione, seguire l'istinto e sparare un po' a caso.
Mi avvicinai alla prima rampa, che saliva verso l'alto, sul lato sinistro. Cercai di sentire che tipo di presenza provenisse da lì. Non percepii nulla, e passai alla successiva, che invece scendeva. Ancora niente. Fu alla terza da sinistra, sempre ascendente che sentii finalmente qualcosa. Un flebile tremolio, come una fiammella. La vedevo, quasi, se chiudevo gli occhi. Era piccola ma densa, corposa, resistente. Racchiusa in se stessa come in un guscio.
Tornai indietro, e esaminai le altre tre rampe. Ancora una volta nelle prime due non c'era nulla, mente nell'ultima, discendente e più vicina al trono, avvertii una fonte di energia vitale. Anzi, più di una. Umane, Astral. I miei compagni spariti erano probabilmente lì sotto.
Tornai dal mio gruppo. - Sentito niente? - chiese Kevin.
Io annuii – Le due più in fondo. Da quella che va giù credo di percepire gli ostaggi Astral. Simon e Kevin, potreste andare voi? -
I due nominati acconsentirono.
- Da quella che sale, invece sento qualcosa di differente. Io andrò di là. William, se non ti dispiace... -
Ci dividemmo a coppie in questo modo. Non mi andava molto l'idea di separarci, ma perlomeno non eravamo stati costretti ad andare ognuno per contro proprio. Per cui, Simon e Kevin scesero la scalinata nera in fondo sulla destra, mentre io e William quella che saliva, dall'altra parte.
Mentre percorrevamo la scala, che si attorcigliava dolcemente, in una chioccola molto larga, notai che lo shinigami mi scoccava delle occhiate corrucciate e incuriosite. Alzai gli occhi al cielo. C'erano delle volte, tutte le volte in verità, in cui fissava la gente con espressioni pensierose, senza però decidersi a sputare il rospo. La cosa spesso diventava imbarazzante, o fastidiosa, a seconda del contesto.
- William, dimmi che c'è ora, se non vuoi che inizi a chiamarti Will-chan in pubblico -
Lui storse il naso, e ovviamente si aggiustò gli occhiali – D'accordo. Avremmo potuto andare tutti nell'altra direzione, e avremmo impiegato meno tempo a liberare gli Astral tenuti prigionieri. Così avremmo anche avuto un numero maggiore di combattenti con noi, e saremmo saliti qui in molti di più. Cosa che sarebbe stata più conveniente, dato che l'energia che tu percepisci è chiaramente non umana, e a me ignota. Ma questo lo sai bene. Quindi perché stai agendo in questo modo? -
Sospirai, abbassando di un poco la testa. A lui potevo dirlo senza correre il rischio che lo raccontasse agli altri, era per questo che l'avevo voluto con me.
- Preferirei che mi vedessero combattere il meno possibile. Ecco... sono diversa. Loro non lo sanno, e vorrei che continuassero a non saperlo. Poi, con troppe persone attorno a me, farei fatica ad usare i miei poteri al massimo senza rischiare di ferirli -
- E inoltre, se trovassimo Sutcliff, non vorresti avere troppa gente attorno, vero? -
- Vedo che capisci al volo. Ma per favore, non dire a nessuno di quello che vedrai quando userò la magia. So che loro non troveranno nulla più che gli ostaggi lì sotto. Ma da qui, come ti sarai accorto, si aprono più strade. Non mi avrebbero mai lasciata andare incontro a Black Lady da sola. Ma io devo farlo. Voglio essere io, con le mie mani, a distruggerla. E nessun altro può -
William non parlò più, finché non giungemmo alla fine della scalinata.
Trovammo una sala circolare, sempre nera. Era priva di ornamenti, a differenza della sala del trono e dell'esterno. Era del tutto vuota, tranne che per una specie di piccolo e spoglio altare al centro, sul quale aleggiava l'unica fonte di luce.
Eccola, la fiammella che avevo percepito. Una sfera di luce dorata pulsante, che galleggiava nell'aria, era ciò che avevo percepito. Da essa si propagava un dolce tepore, che sembrava volermi avvolgere con le sue dita soffici e calde.
Affascinata, tesi una mano verso quella cosa.
William si schiarì la voce – Non credo sia il caso di toccare quell'oggetto senza prima verificare cosa sia. Potrebbe essere pericolosa -
Mi ritrovai a dargli ragione, per cui espansi la mente, per indagare la sua natura. Non riuscivo a capire cosa fosse, ma era diverso da tutto ciò che era in quel palazzo. L'artefice non era Black Lady, o avrei percepito la sua traccia su di esso. Non emanava nessun segnale distorto o malvagio. Decisi di azzardarmi a toccarla.
 
 
-Smettila, Sebastian! Allontanati! - gli gridava la fanciulla dai capelli dorati. Ma lui non prestava attenzione.
Per compiere quell'evocazione aveva dovuto trovare un posto fuori mano, e decidere un orario in cui sapeva nessun avrebbe setacciato quell'area. Il dio della morte che intendeva animare non aveva ancora passato l'esaminazione con cui decidevano chi era controllabile e chi troppo instabile. Gli elementi considerati eccessivamente violenti non potevano essere evocati, secondo il loro regolamento.
Aveva deciso spontaneamente di contravvenire a quella regola: aveva bisogno di vederlo prendere vita, o sarebbe impazzita. Certo, all'inizio voleva quel maggiordomo nero, ma le cose erano cambiate da quando tutto quello era cominciato.
Non aveva previsto, però, che Sebastian potesse scoprirla, ed essere addirittura geloso. Lui, per quel che sapeva, non provava emozioni affettive verso gli umani. Okay, avevano stretto un legame, ma non si trattava di altro che energia elettrica che si trasmetteva a distanza tra loro, rendendoli perfettamente idonei a combattere assieme. Null'altro. E lui non aveva mai dato segni di interesse nei suoi confronti, non più che ad ogni altro.
Ma sentiva la necessità di avere vicino qualcuno che provasse emozioni, per questo era rimasta affascinata dalla natura passionale ed impulsiva dello shinigami.
Il demone ora digrignava i denti, inferocito.
- Sebastian, ti ho detto di stare lontano. Non comprendo la tua gelosia: non ti ho abbandonato. Voglio solo potergli parlare e averlo attorno -
Sebastian fece una smorfia – I vostri gusti sulle compagnie si rivelano assai peggiori di quanto credessi -
- Non sono affari tuoi. Mi piace chi mi piace. E ricorda che anche tu rientri della categoria delle mie compagnie -
La luce emanata dalle sue mani iniziava a scemare. La sagoma si faceva nitida poco per volta. Eccolo, ore era visibile. La sua pelle bianchissima era quasi argentata, lunghissimi capelli simili a rivoli di sangue si posavano sulle sue spalle per poi scendere dolcemente fino a terra. Raggomitolato così, era la cosa più bella che avesse mai visto. Appariva così... fragile! Incredibile a pensarsi! Proprio lui, l'assassino sanguinario, il mietitore scarlatto, ora la fissava con occhi terrorizzati, le membra tremanti.
- Oh, ti prego! - sibilò il demone a denti stretti.
Con uno scatto fulmineo, la precedette, e colpì quella creatura meravigliosa, mandandola a sbattere la testa al suolo.
Alicia gridò di rabbia. Si mise tra i due, per impedire che il demone provasse ad ucciderlo. - Non toccarlo mostro! Se gli torci un capello, ti massacro! -
Rabbrividì, però, quando lo vide assumere le sue vere sembianze. In condizioni normali sarebbe anche riuscita a sconfiggerlo, ma ora era troppo provata dall'evocazione appena compiuta. Non ce l'avrebbe fatta. E quegli occhi come braci ardenti, quegli artigli, e il sorriso serafico e malvagio di quello che era stato il suo partner... le gelarono il sangue nelle vene. Si rese conto che avevano commesso un errore a fargli passare l'esaminazione. Sembrava stabile, ma in un mondo in cui non gli era concesso mangiare l'anima del piccolo lord il contratto tra loro non era valido, per cui non era tenuto ad obbedire ai suoi ordini. Era libero di agire come meglio preferiva.
- Eppure mi piacevate, lady Alicia – la sua voce era quasi triste, quasi rassegnata.
Fu quando lo vide protendersi verso di lei, che capì cosa doveva fare. Il dolore fu devastante. Ma non per questo perse il controllo dei suoi poteri. Mentre il demone si lanciava sul suo corpo per sfogare la rabbia, graffiando e lacerando con denti e artigli, lei usò la forza che le era rimasta per tessere un incantesimo.
Doveva metterli in guardia da lui, ma non sarebbe sopravvissuta. Si rinchiuse nella propria mente, per isolarsi dal mondo esterno, e cercò la propria anima, la propria identità. Poi la spaccò in due, e la liberò dal suo fisico. Almeno una delle due nuove Alicia che sarebbero nate avrebbe soppresso quella creatura nociva.
La prima Alicia si spense.
 
 
Tirai indietro il braccio di scatto, respirando affannosamente. Ero uscita da quella specie di visione come se fossi caduta da molto in alto, improvvisamente, e barcollai all'indietro. Mi girava la testa.
Il mietitore mi sorresse, sempre attento com'era. Mi lasciai far tenere in piedi da lui, mentre cercavo di riprendere l'equilibrio e rallentare il battito cardiaco. Feci una lieve pressione sulla mano di William, che mi teneva per la spalla. Lui mi lasciò andare, ma rimase comunque sufficientemente vicino da potermi riprendere se avessi traballato di nuovo.
- Da quando se così cavalleresco, Will? -
Lui corrugò la fronte. - Sei un mio superiore. Vai preservata – rispose semplicemente, dandosi giusto una raddrizzatina agli occhiali. Io sbuffai, per nulla convinta. Non credevo proprio che avrebbe fatto lo stesso con il direttore della Shinigami Dispatch Society, ma lasciai stare.
La sfera luminosa era ancora lì, a levitare, pulsante e splendente come prima, ma non tanto innocua. Non era stata una visione a spararmi quelle immagini davanti. In qualche modo quella sfera conteneva dei ricordi di Alicia. Black Lady l'aveva messa lì di proposito. Non capii perché, ma era sua esatta intenzione farmi salire in quella stanzetta rotonda.
Una persona sana di mente avrebbe deciso di sottrarsi a quella trappola, perché di certo era una trappola, ma io non sono sana di mente quindi preferii fare il suo gioco, e vedere dove mi avrebbe condotta adesso. Era curiosa. Troppo curiosa per sottrarmi al rischio quando invece avrei potuto addentrarmi ancora di più, e vedere che altro c'era da scoprire.
Mi inginocchiai davanti all'altare in marmo, setacciandone la superficie. Quel palazzo era immenso, e le torri altissime, quindi di sicuro la strada continuava anche da quella parte, tutto stava nel trovare il passaggio.
La accarezzai con le mani, ma la trovai liscia.
Mi rialzai in piedi. Feci lo stesso con tutta la parete, ma non trovai nulla. Tentai ancora una volta da entrambe le parti, ed iniziavo già ad essere frustrata, prima che William facesse un colpetto di tosse, indicando un punto sotto la sfera di luce.
C'era una piccola cavità, visibile solo per il contrasto di luci ed ombre creato dal contenitore di ricordi. Stando attenta a non toccarlo un'altra volta, feci scivolare le dita sotto alla sfera, e posai un polpastrello in quella conca, scoprendo che s'incastrava alla perfezione.
Sentii un forte fragore. Il passaggio si aprì sul soffitto, da cui scese anche una scala, sempre di marmo. Ovviamente magica, altrimenti non avrei saputo spiegarmi da dove cavolo fosse sbucata, una volta escluse una serie di opzioni eccessivamente volgari per essere plausibili o anche solo nominabili.
- Sofia – stavo quasi per salire il primo gradino, quando William mi trattenne per un lembo del mantello. Mi voltai indietro, perplessa. Ma ben presto tornai seria. La sua espressione era preoccupata, e anche, se possibile, ansiosa.
- Che c'è? -
L'uomo respirò profondamente, come per darsi coraggio. - Grazie -
Io rimasi disorientata. - Ehm... grazie per cosa? -
La mia domanda lo mise ancora più in difficoltà, da quel che vidi. Mi parve che stesse cercando di trovare le parole adatte, ma che non sapesse esprimere quello che pensava. Nulla di strano, quindi. Lui non esprimeva mai nulla, a parte il fastidio.
- Grazie per... quello che hai fatto. Con... lui – allora finalmente capii. Si riferiva a Grell. Non avevo ben chiaro, però, cosa avevo fatto di tanto straordinario da essere ringraziata, per cui gli rivolsi un'espressione ancora più perplessa.
- E che cosa avrei fatto con lui? -
Ormai aveva rotto la barriera, per cui le parole successive non gli uscirono con la stessa difficoltà delle prime.
- Da quando ti ha incontrata è cambiato. Non mi riferisco al fatto che stia con te nonostante tu sia una ragazza, o alla diminuzione del suo infastidirmi. I suoi istinti omicidi sono calati a picco. Tu... hai qualcosa che spazza via le ombre dagli altri. Li rassereni -
Rimasi a bocca aperta. William che faceva discorsi sulle emozioni? Proprio quel William, lo shinigami tutto d'un pezzo? Non potevo credere alle mie orecchie. Questo sì che era un cambiamento, altro che Grell!
- E di conseguenza crea molti meno problemi alla Shinigami Dispatch Society, quindi ti ringrazio per averlo fatto rigare più dritto – si affrettò ad aggiungere il dio della morte. Non avevo mai sentito un tentativo così debole.
- In fondo ti sei affezionato, eh Will? - scoppiai a ridere. Lui avvampò, e cercò di nascondersi il viso sistemandosi gli occhiali rettangolari.
- Assolutamente no. Procediamo -
Ripresi a salire la scala. Dopo aver raggiunto il livello del soffitto, continuava ancora per diversi metri nel buio. Il pavimento superiore era davvero molto spesso. Proseguii nell'avanzata per cinque minuti buoni, prima di toccare qualcosa di duro con la testa. Dissi a William di tenermi per la vita, così che non cadessi, mentre spingevo con le braccia verso l'alto. In qualche modo riuscii a sollevare la lastra di marmo quadrata, e ad aprire il passaggio. Ci arrampicammo per l'apertura, ritrovandoci in una sala notevolmente più grande della precedente, cosa inspiegabile data la forma delle torri. Magia di nuovo, era chiaro come l'acqua.
Riabbassammo la lastra, che si rivelò essere parte della decorazione del pavimento a quadri bianchi e neri, attraversati da venature ognuno del colore opposto ad esso.
La stanza era vuota, e in penombra. Non sentivo nessuna presenza nelle vicinanze.
E adesso?
Un bip-bip a me noto uscì dal mio bracciale. Qualcun altro dell'associazione mi stava chiamando. Sperai che fosse un membro della squadra, e non una delle persone rimaste alla sede provvisoria, che si chiedeva magari dove fossimo andati a finire. Il nome segnalato dal display era quello di Simon. Tirai un sospiro di sollievo. Diedi un colpetto al piccolo schermo con il polpastrello, per poter parlare con lui.
- Simon, eccomi -
- Oh, grazie al cielo! Temevo che potesse esservi successo qualcosa! - la sua voce era affannosa e colma di tensione e nervosismo.
- Simon, che è successo? Siete stati aggrediti? - domandai. Improvvisamente, iniziai a sentirmi in ansia. Mi appoggiai una mano al petto: il battito cardiaco era accelerato parecchio. E di colpo. Prova che ancora una volta stavo costringendo me stessa ad essere calma, ed una sola scintilla era stata sufficiente a mandare tutto all'aria.
- No, noi stiamo bene, ma gli ostaggi... -
- Cosa?! Cos'è successo ai nostri compagni? - esclamai.
- Mi dispiace. Tutti quelli che abbiamo trovato sono morti, ma... -
Mi mancò il respiro. Era successo di nuovo. A causa di Black Lady, se non per mano sua, degli innocenti avevano perso la vita. Se non l'avessi fermata al più presto...
- … ma non ci sono tutti -
Un rumore di passi, che rimbombavano nella sala. Girai gli occhi. Una sagoma ora si stagliava nell'ombra dall'altro lato. La sua presenza era apparsa all'improvviso, come se si fosse materializzata dal nulla. Era la sagoma di una ragazza.
Trattenni il fiato.
- Sofia, qui non c'è G... KEVIN, ALLE TUE SPALLE! - il messaggio s'interruppe con quel grido d'allarme. Abbassai il braccio, non smettendo di tenere lo sguardo fisso su quella giovane che ci scrutava.
Quando la voce di Simon si spense, lei si esibì in un applauso pacato. - Le mie congratulazioni. Non credevo che saresti arrivata fin qui così in fretta, mia cara Sofia – quella voce... l'intonazione era differente, ma la conoscevo. Un brivido mi attraversò la schiena. Non era possibile. No, non poteva... non lei.
Si fece avanti. No, non era lei. Lei era alta, con spalle larghe e folti capelli castani. Questa fanciulla invece era minuta e pallidissima, con lunghi capelli neri come l'inchiostro e occhi viola dalla ciglia folte, che quasi le sfioravano gli zigomi quando sbatteva le palpebre. Era bellissima, di una bellezza inquietante. Ma anche di una bellezza fredda e triste.
Era molto magra, la sua vita era così sottile che Will avrebbe potuto circondarla con le mani. Vestita completamente di nero, con uno strascico grigio fumo che toccava terra per diversi centimetri, ed un corpetto allacciato sul davanti, sembrava una principessa delle tenebre.
- Ciao, mia dolce e pericolosa Sofia. Non mi saluti? Se non ricordo male, eravamo amiche, all'associazione – disse ancora, con voce morbida e sensuale.
- Black Lady... tu non puoi davvero essere... la tua voce... - mormorai incredula. Più si avvicinava e più vedevo le sue espressioni facciali somigliare a quelle di quell'altra ragazza Astral.
Lei rise. - Davvero non ci avevi mai pensato? Dio, quanto sei... pulita! Mai disposta a credere che una tua presunta amica possa essere una signora del male? Eppure, dopo aver sentito il racconto di Simon su di me, ed aver lottato contro quei mostri assieme a me, avresti dovuto rendertene conto anche da sola! -
Io serrai gli occhi. Iniziavo a sentire un moto di nausea. William era pietrificato, anche se bisogna dire che lo era quasi sempre, in verità.
- Davvero hai creduto a quelle scenate lacrimose? Oh, povera Lulu! Cosa farò ora che Black Lady le ha bucato la pancia con una spada grande quanto un tronco d'albero? Oops! Dimenticavo che Black Lady sono io! -
Ma certo. Era ovvio.
Aveva poteri d'illusione avanzati. Era l'unica amica di Lulu, ed anche quella che me l'ha presentata. Era stata la prima ad avvicinarmisi. Era scomparsa con un tempismo perfetto. E Sebastian... quel giorno era vicino a lei, e le parlava, poco prima che fuggisse portando con sé il mio Grell.
Giorgia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
****************
 
Note:
Qualcuno lo aveva già ipotizzato, lo so. Beh, finalmente si scopre chi è Black Lady. Stavolta non ho quasi nulla da dire, quindi vi invito solo a non mandarmi al diavolo se sarò lenta ad aggiornare con il prossimi capitolo, e a sopportarmi almeno finché non finirò. Poi sarete libere di lanciarmi uova marce, esorcizzarmi, mutilarmi e quant'altro. Ma dopo: se dovete dire quanto è assurda questa roba che sto scrivendo, aspettate di avere anche un finale da aggiungere alle considerazioni.
Quasi dimenticavo: nel prossimo capitolo metterò anche un disegno di Black Lady.
Kisses<3
Sofyflora98
 
 

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Capitolo 19
*** Atto 19, gioco mentale ***


Giorgia era Black Lady. Giorgia era Dianoia, la mia misteriosa avversaria. Ed era lì, di fronte a me, che mi fissava con quell'aria strafottente e gelida. Splendida e crudele. Una ragazza magra ed esile, di un pallore quasi mortale, con quei due occhi simili ad ametiste che mi congelavano sul posto. Bianca e nera, come il pavimento a scacchi, a causa del contrasto tra la sua carnagione, i suoi capelli corvini e i suoi abiti d'inchiostro.
Non potei fare a meno di pensare che fosse bellissima.
Quella che avevo dinnanzi non era soltanto un'Astral, ma una semidea, che ci osservava come se fossimo stati delle piccole formiche ai suoi piedi.
- Comprendo il tuo stupore e la tua delusione, Sofia – riprese a parlare. - Non è mai carino essere traditi da qualcuno che credevamo nostro amico, lo so bene. Ma in fondo, è quel che è successo a me, no? Dovevi sapere anche tu come ci si sente, prima di scontrarti con me. Non posso certo affrontare una nemica ingenua e felice, no? - sembrava quasi che le dispiacesse dirlo, guardandola; sembrava quasi triste.
Non sapevo se essere più furiosa o disgustata da lei. Furiosa per ciò che aveva fatto ai miei compagni, per ciò che intendeva fare al mondo intero, con quei demoni che attendevano i suoi ordini fuori dal palazzo. Disgustata per i suoi modi subdoli e velenosi di agire. Come un ragno, che prima tesse la sua tela in attesa della preda, e poi attende che essa si dibatta e provi a liberarsi, avviluppandosi ancora di più tra i fili della trappola. Solo allora si decide a muovere un muscolo, ma sempre lentamente, imprigionando la preda e lasciandola ad agonizzare prima di ucciderla definitivamente e divorarla.
Questa era Black Lady: un ragno che aveva tessuto una tela immensa, appositamente per noi, usando piccole prede per attirarne di sempre più grandi e pericolose, costringendole ad abbassare la guardia.
- Mi trovo nel frangente in cui chiunque tu sia e qualunque piano tu abbia, tu ucciderò ugualmente. Restituiscimi Grell – ribattei comunque, ostentando una calma ed un controllo di me che non sapevo di avere.
Lei sorrise. Se prima sembrava davvero triste, ora sembrava sinceramente felice.
- Okay, sei forte. Mi piacciono le tipe che hanno carattere. Ma lo sei davvero o è solo tutta scena? -
- Che intendi dire? -
- Oh, in realtà... avrei preparato un giochetto solo per te! - esclamò entusiasta. - Se lo superi, allora significa che sei una nemica degna di essere combattuta, altrimenti sei una nullità. Accetti la sfida sì o no? - tese la mano verso di me, ansiosa di sentire la mia risposta.
Io la guardai incredula. Gioco, eh? Per qualche ragione la cosa non mi piaceva per nulla. Troppi film in cui i cattivi propongono sfide e patti, e poi li infrangono. Nah, non avrei accettato.
Lei però doveva aver intuito i miei pensieri, perché si affrettò ad aggiungere – Non ho alcuna intenzione di barare. Io non partecipo, e non muoverò un dito per intralciarti. Si tratta solo di un piccolo test. E non hai sentito la parte migliore: è un gioco mentale! -
Scrutai attentamente le sue espressioni. Diceva la verità, dovetti ammetterlo. In quel momento stava facendo fluire le sue emozioni liberamente, permettendomi di percepirle, e non c'era alcuna ambiguità in esse. Vi vedevo l'odio, l'ostilità, la rivalità e una lieve ammirazione, ma nessuna segretezza. Lei voleva uno scontro leale tra di noi, per dimostrare di essere la migliore, la più forte. Una vittoria ottenuta con l'imbroglio non avrebbe avuto alcun significato per lei.
Allungai la mano con circospezione, ma quando lei fece per afferrarla, io la ritrassi. – Non intendo sfidarti a nessun tipo di gioco, se prima non mi dici che ne è di Grell –
Lei sospirò, come se si aspettasse questa domanda. – Sta bene, ovviamente. Non mi piace infierire sugli Esterni, sono troppo fascinosi e belli, se mi spiego. Ma non intendo fartelo vedere prima della sfida mentale. Soltanto dopo, prima di combatterci magari. Per te è a posto? –
Cristo, sembrava che stessimo discutendo un contratto in una riunione d’affari, invece che il destino del pianeta. Ma d’altronde, che altro ci si può aspettare da adolescenti che hanno ottenuto poteri sovrannaturali a causa della loro ossessione per cartoni e fumetti? In maniera quasi casuale, con nonchalance allo stato puro. E così, io e lei mettemmo in palio il futuro del nostro mondo, con un semplice scambio di battute che prevedevano fiducia nella sincerità l’una dell’altra. Ma stranamente, non avevo alcun dubbio sulla sua sincerità, in quel momento.
Strinsi la sua mano, e lei strinse la mia a sua volta, con un guizzo deliziato che le attraversava gli occhi. Mi venne il dubbio che lei trovasse tutto questo estremamente divertente, e che le interessasse più la sfida in sé che il recupero della sua posizione di Astral più potente dell’associazione.
- Dì al tuo compare occhialuto di allontanarsi, eh? Non vorremmo che la sua vicinanza interferisse! –
Annuii. – William, allontanati. Questa cosa è tra me e lei –
Lui esitò, ma alla fine obbedì, e si fece indietro di qualche metro, addossandosi alla parete della stanza.
- Guardami, Sofia. Ho bisogno della tua completa attenzione – io la guardai, incatenando lo sguardo ai suoi magnetici occhi viola intenso. – Brava, così. Mi piace quello sguardo, Sofia. Somiglia tanto a quello della vecchia Alicia… -
Allungò le dita pallide fino a sfiorarmi la fronte. Immediatamente la vista iniziò ad annebbiarmisi, e presi a sbattere rapidamente le palpebre. Poi ricordai: un gioco mentale, aveva detto. Se si sarebbe svolto solo nella mia testa, allora dovevo aspettarmi di finire in qualche bizzarro scenario da un momento all’altro, ed era quello che stava accadendo.
- Che begli occhi di smeraldo… - la sentii sussurrare, prima che il suo viso niveo sparisse dalla mia vista, sostituito da una nebbia grigia, che copriva il mio intero campo visivo.
 
Quello che mi ritrovai davanti era un piccolo cortile.
Mi guardai attorno spaesata, con la netta impressione di averlo già visto in passato.
C’era un largo spazio in terra battuta, con qualche striscia di erba sottile, chiaramente seminata: quella spontanea sarebbe stata più dura e spessa. Circa al centro di questo spazio stavano alcuni di quei tappetoni fatti riciclando i copertoni delle auto, e sopra ad essi uno di quei castelletti di legno e plastica, con gli scivoli, le reti e i tubi di acciaio verticali su cui giocano i bambini. Io non li avevo mai particolarmente amati. Troppa confusione.
Poco più in là stavano un paio di altalene, dei cavallini a dondolo, con quelle grosse molle di ferro attaccate al terreno, un ponte di legno con uno spazio vuoto sotto ad esso, e per finire una piccola teleferica. Sembrava un parco giochi a tutti gli effetti, come quelli dei giardini pubblici. O meglio, lo sembrava finché non ci si girava dall’altra parte, vedendo l’edificio arancione con le finestre allungate terminanti con archi a tutto sesto, incorniciate da una striscia di vernice bianca. Una scuola elementare. La mia scuola elementare.
Avevo quasi dimenticato che aspetto avesse; se potevo evitavo di passarci davanti, e di rado tornavo a pensare a quei cinque anni. I primi due erano stati normali, ma dopo… dopo era cambiato tutto. Gli anni successivi erano quelli che avevano determinato il mio modo di essere.
Sentii uno scalpiccio alla mia sinistra. Buttai l’occhio di lato. C’era una ragazzina graziosa, con le guance rosee, magra ed asciutta. No, non una ragazzina: una bambina, di circa dieci anni. Con grandi occhi castani e capelli biondissimi, simili a fili dorati. Con il sole sembravano quasi splendere di riflessi metallici.
Angelica. La prima Angelica che avevo conosciuto, la prima persona che ero stata costretta ad allontanare e rigettare. Era davvero moltissimo tempo che non pensavo più a lei. Ogni tanto ritornava come vago ricordo passeggero, se mi chiedevano della mia infanzia, ma non mi ci ero mai soffermata.
E invece ora era lì, e mi fissava, con quel misto di furbizia ed ingenuità che hanno molte bambine. Così carina. Un dolce angelo, innocente e maliziosa.
Ed ora ero anch’io una bambina, mi resi conto. Il mio corpo era tornato alla stessa età di quello di Angelica. Gambette corte, manine ancora prive di calli sulle dita e cicatrici sul dorso, che invece avevo nel presente. E, dal prurito sul collo, mi tornò alla mente che all’epoca avevo anche i capelli a caschetto.
Tutto questo è nella mia mente mi dissi Se Angelica fa parte di questa prova, significa che lei deve avere un certo peso per me. Eppure… io credevo di essermi liberata anche dei ricordi di quando ero assieme a lei!
- Lo sai che sei strana, vero? – disse la bionda, ridacchiando come se trovasse il tutto molto spassoso. Cristo, se lo sapevo! Lo sapevo da sempre, era stata uno degli elementi più pressanti della mia vita, la cosa che mi era stata fatta notare di più in assoluto dalle persone che mi circondavano.
Era per questo che lei mi aveva detto di non volermi stare più vicino. Perché borbottavo tra me e me come se stessi parlando con qualcun altro, perché avevo lo sguardo perso nel vuoto, perché iniziavo a fantasticare entrando in trance, e non sentivo più le parole degli altri. Perché ero sempre più avanti degli altri nelle materie scolastiche, perché avevo imparato il corsivo poco dopo la spiegazione da parte delle maestre sui caratteri in stampatello, perché ero stata la prima a cui avevano dato il permesso di usare penne non cancellabili, e via discorrendo. Perché li guardavo dall’alto al basso, e li squadravo come farebbe uno scienziato con un vetrino al microscopio.
Lo sapevo, che ero strana. Non potevo farci nulla. Lei non poteva farci nulla.
- Perché non rispondi? Hai paura, o sei solo stupida? – mi canzonò Angelica.
Dio, no. Non l’avevo mai cancellata, mi resi conto con inquietudine. Ecco perché si presentava ora. Io non avevo mai realmente cancellato Angelica dalla mia sfera di preoccupazione, l’avevo solo isolata in un angolo della mente. E ora stava scavando per uscire, fino a raggiungere la superficie.
Era apparsa per provare di nuovo a scuotermi.
Non riuscivo a dir nulla, finché la vedevo ridacchiare. Assieme al mio corpo, anche il mio cuore era tornato quello della Sofia bambina, impacciata e insicura, che già si atteggiava freddamente come quella del futuro, ma che aveva ancora timore nei confronti dell’opinione della sua unica amica.
È questo il tuo gioco, Black Lady? Vuoi mettermi di fronte ai miei punti deboli del passato, e vedere se li supero?
Mi conficcai le unghie nei palmi, forzando la sensibilità della piccola Sofia. - Questo non è sufficiente – sibilai, e colpii la bimba dai capelli dorati i pieno viso. Intravidi la sua espressione di sorpresa, prima che si sbriciolasse.
Ovvio che non l’avevo cancellata. Ma non significava certo che quello sarebbe bastato a farmi capitolare. Quella Angelica era inutile e stupida, mi dissi, freddamente. L’avevo messa in quarantena nella mia testa per un motivo. L’avevo allontanata da me per un motivo. Erano passati anni, e non me ne pentivo minimamente.
Il mio aspetto era tornato alla sua forma presente, così come la mia voce. E per fortuna, avevo trovato inquietante sentirmi uscire quella vocetta da biscotto, mentre le dicevo “Questo non è sufficiente”.
Il terreno si disgregò sotto ai miei piedi, e il parco giochi, l’asilo ed ogni cosa sparirono, sostituiti da un bianco senza confini.
 
- Mi dispiace davvero non poterti più vedere –
Quella frase riecheggiò nel vuoto già prima che prendesse forma. Questa volta ero in un cortile di ghiaia, seduta su una bassa gradinata di finto marmo, all’entrata di un edificio grigio slavato, protetto da un cancello di ferro arrugginito. Il cielo era coperto da delle fitte nubi grigio perla. Nubi da neve.
E anch’io ero vestita di grigio, con l’aspetto di quando avevo tredici anni. Capelli poco sotto le spalle, cappotto di feltro grigio e gonna a pieghe grigia, con calze di lana grigie e scarpe nere di vernice. Guanti di lana grigia, anche, ed un berretto grigio con quadri scozzesi neri.
Ad aver parlato era un ragazzino della mia età. Era molto pallido, e aveva le guance spruzzate di lentiggini chiare. I suoi lineamenti erano molto morbidi e delicati, e aveva le labbra carnose e scarlatte. Il viso da elfo era incorniciato da soffici boccoli biondo oro. Era lì, e mi guardava con quegli occhi verdi a mandorla, che conoscevo così bene…
“Non andartene! Per favore!” ricordai di aver detto quel giorno. Sì, ricordavo quel giorno.
Prima di staccarmi da Angelica, vedevo colori. Dopo averlo fatto, ho visto linee. Ma da quel giorno ho visto grigio.
- Non andartene – mi sentii pigolare, come un tempo – Per favore –
Lui scosse la testa. – Non posso fare nulla – mormorò, gli occhi luccicanti di lacrime. – I miei genitori hanno già deciso. Ci trasferiremo in Inghilterra di nuovo. Io… mi dispiace! –
Ti odio. Vattene, sparisci. Non farti più vedere. Ti odio.
Ti odio.
Kevin.
E ancora una volta, proprio come allora, sentii una valanga travolgermi, gridandomi di picchiarlo a sangue e fargli male, proprio come avevo già fatto ad Angelica. Perché non era giusto, perché non aveva il diritto di lasciarmi lì, da sola. Non lui.
Aveva fatto male, quel giorno.
Quando avevo picchiato Angelica, era stata lei quella che aveva provato dolore. Questa volta invece non era stato Kevin a subire le conseguenze degli avvenimenti, ad essere schiacciato dall’esplosione delle mie emozioni. Questa volta erano esplose in ritardo, quando ormai lui non poteva più vedere, né sentire, né esserne aggredito.
Ma dovevo farle uscire, stavolta. Non avevo potuto farlo anni fa. Dovevo farlo ora, anche se sarebbe stato tutto nella mia testa.
Per questo, quando lui ormai si era già rassegnato a non avere una mia risposta, e stava lentamente camminando verso il cancello, io lo rincorsi, afferrandolo per le spalle. Lui si fermò, e si girò di scatto verso di me, stringendomi forte. – Ti amo – dissi.
- Lo so. Anch’io. Addio –
- No. Ci rivedremo. Di sicuro –
- Ma non sarà più lo stesso –
- No, non lo sarà –
- Tu dimentichi sempre tutti. Dimenticherai anche me. Se ci rivedremo, sarai con qualcuno di strano ma splendido, e completamente fuori dalla normalità. Com’è giusto che sia –
- Già, sarà così. Mi dispiace. Non avresti dovuto lasciare che ti portassero via –
Non si sgretolò come aveva fatto Angelica. Si dissolse lentamente, diventano mano a mano sempre più aeriforme, finché non mi ritrovai a stringere l’aria. Perché lui non era qualcuno che avevo distrutto con la forza. Lui l’avevo lasciato andare, come sabbia che scivola dalle dita. Inevitabile, certo. Ma senza opporre molta resistenza. Come con la sabbia.
Tirai un sospiro di sollievo, quando di nuovo tornai alla mia vera età. Non era l’aspetto a preoccuparmi, ma il fatto che entrambe le volte anche il mio modo di pensare e le mie emozioni erano state condizionate ad essere quelle dei momenti rivissuti.
Inizia a capire il senso del gioco: Black Lady intendeva vedere con i suoi occhi come mi sarei comportata rimettendomi di fronte agli eventi che più mi avevano toccata del mio passato. Verificare se di nuovo avrei fatto fuoriuscire la Sofia più forte, che si sarebbe fatta valere sulla prima delle due Angelica che aveva avuto come amiche. Scoprire se invece, rivivendo l’addio con Kevin, anni addietro, l’avrei di nuovo lasciato andar via senza aggiungere nulla più di quello che già sapeva. Da questo, mi feci una mezza idea su cosa aspettarmi dopo.
 
Capii di averci visto giusto, quando la ormai familiare fabbrica abbandonata mi si solidificò attorno.
Non era però attrezzata con le apparecchiature portate dall’associazione, non era illuminata, e non era gremita di gente. Era buia, sporca, puzzolente di vernice e polvere, e quasi totalmente buia, come la prima volta in cui ci avevo messo piede.
Indossavo la mia armatura, ed attorno a me c’erano alcuni membri dell’associazione. Erano immobili però, come pietrificati. Sembrava proprio il giorno della spedizione alla ricerca dell’assassino che pensavamo fosse lo shinigami scarlatto, ma gli altri Astral non battevano nemmeno le ciglia, per cui dovetti supporre che non erano importanti per quello che Black Lady intendeva osservare. Non che avessi dubbi in proposito, ma questa era una palese conferma.
 
E quindi, ancora una volta, mi avvicinai con cautela alla sagoma accovacciata in fondo alla stanza, alla sagoma di quel giovane con i capelli simili ad una cascata di sangue, che mi fissava terrorizzato con quegli occhi verdi fluorescenti, che brillavano nell’oscurità come fari.
Pensi che non lo rifarei, Dianoia? Pensi che non lo colpirei di nuovo, ora che sto assieme a lui?
- Ti uccido – soffiò lo shinigami, scoprendo la sua caratteristica schiera di denti appuntiti ed acuminati. Uccidermi? Oh, quanto si sbagliava! Se solo quel giorno qualcuno gli avesse detto cosa sarebbe successo tra noi due nel futuro, credo che Grell gli avrebbe riso in faccia. E se non ci fossimo mai incontrati, invece, probabilmente sarebbe ancora sperduto in un mondo estraneo, a fare a pezzi chiunque gli si avvicinasse. Il mio adorato e incantevole shinigami...
Schivai la motosega scivolando di lato, proprio come avevo fatto quando era accaduto sul serio. Ed esattamente come in quell'episodio, lo vidi distrarsi, attratto dal colore rosso della mia armatura. Mi sfuggì un sorriso. Era letale, estremamente forte e violento, ma in realtà bastava così poco a fargli distogliere l'attenzione! Ed era molto, molto più fragile di quanto non volesse far pensare.
Feci una mezza piroetta, girandogli attorno nel momento in cui credeva di essere sul punto di colpirmi con la death schyte.
Avevo usato una semplice spranga di metallo, per metterlo al tappeto, ricordai. Portai la mano al bracciale, e sfiorai il quinto tasto, che aiutava a focalizzare l'energia nell'evocazione delle armi. Non ci volle molto perché il freddo ferro della sbarra mi facesse rabbrividire, facendo la sua comparsa tra le mie mani.
Lui tornò ad attaccarmi. Mi preparai.
Feci forza sulle braccia, e sferrai il colpo, prendendolo in fonte. Lui annaspò, e cadde sulla ginocchia, ma prima che potesse anche solo sfiorare il suolo, gli avevo già assestato il secondo colpo, alla nuca. E per la seconda volta, vidi quella scena, in cui perdeva i sensi e si accasciava ai miei piedi, con una ferita qualche centimetro sopra le sopracciglia, l'ultimo sfarfallio di un'espressione colma di stupore, prima che le palpebre gli si chiudessero.
 Mi inginocchiai lì a fianco, lasciando cadere la spranga di ferro, e allungai le dita a sfiorargli uno zigomo delicato, una guancia, e poi le labbra. Raccolsi una ciocca di capelli e presi ad intrecciarla e arrotolarla. Bellissimi, così soffici... erano più leggeri e morbidi della seta, come miliardi di fiamme che mi incendiavano le mani.
- Impegnati di più, Black Lady – mormorai – Questo non è nulla –
 
 
Spezzare: rompere in due o più parti, fratturare, procurare un dolore insopportabile, dividere.
Oh, questi requisiti c’erano tutti. Sia la rottura che il dolore.
Non ricordava nulla, e non aveva coscienza di nulla. Non sapeva chi fosse, né cosa le fosse successo, ma di alcune cose era inconsciamente consapevole: era una ragazza, era viva, era giovane, e le sembrava che il suo corpo fosse stato appena lacerato. Non sapeva, però, da quanto durava quel dolore. Era terrificante, inimmaginabile.
E poi semplicemente cessò.
Continuava a non avere idea di come fosse finita lì, in quel luogo abbandonato e lurido. Non solo lurido: squallido e puzzolente. Sembrava un vecchio capannone, un qualche posto dove nessuno metteva più piede da anni. Non c’era alcun motivo per cui un’ adolescente avrebbe dovuto svegliarsi, all’improvviso, in un luogo del genere.
Fece forza sugli avambracci per sollevare il busto. Era sdraiata a terra, su quel pavimento di asfalto annerito e coperto di polvere, e le doleva la schiena. Aveva pure mal di testa. Si massaggiò le tempie, senza ottenere alcun risultato. Decise che tentare di alzarsi in piedi era la scelta migliore. Le ci volle un po’ per farlo come si deve, però, perché scoprì di avere le gambe tremanti e deboli, come se non avesse camminato per mesi.
All’ennesimo traballamento, si appoggiò ad una pila di bancali in legno lì vicino, respirando affannosamente.
Non aveva davvero alcun ricordo. Tabula rasa, il vuoto assoluto. Beh, quasi: qualcosa c’era, ma era talmente vago e confuso che non le diceva nulla. L’immagine sfocata di una creatura dagli occhi rossi, un grido, e poi solo quel dolore, fino al suo risveglio.
Ah, c’era anche uno zaino, sul pavimento. Il suo contenuto era sparso ovunque, doveva essere caduto aperto, e libri scolastici e penne erano lì in bella vista. Il libretto scolastico, o un abbonamento dell’autobus, pensò. Se li avesse trovati, magari avrebbe saputo a chi appartenevano. O se erano suoi.
Frugò per diversi minuti tra tutta quella roba, ma non trovò nulla per un bel pezzo. Solo alla fine riuscì a recuperare la tessera d’identità dell’abbonamento, scivolata tra le pagine di un voluminoso libro di greco antico. La fotografia era quella di una ragazza pallida con i capelli neri e gli occhi viola. Seppe che era lei, semplicemente. “Dianoia” lesse. Il suo nome era Dianoia.
Barcollando, uscì da quel posto, che le sembrava una specie di officina. La cosa più sensata da fare. in quel momento, sarebbe stato cercare qualcuno, e chiedere aiuto. Ma qualche strana motivazione, la spinse invece ad allontanarsi, e camminare tra i campi circostanti, dove cresceva rigogliosa una coltivazione di grano.
Non aveva camminato neanche dieci minuti, che un ragazzo ed una ragazza furono davanti a lei. Praticamente sbucati dal nulla.
- Come ti chiami? – fece la prima.
Lei batté le palpebre confusa. Il ragazzo mise una mano sulla spalla della ragazza, e le sussurrò qualcosa all’orecchio. Poi tornò a voltarsi verso di lei, con espressione dolce e rassicurante. Le tese la mano.
- Perdona la nostra irruenza. Stiamo cercando una ragazza, che probabilmente ha avuto trauma da non molto tempo –
- Io non ricordo nulla – mormorò Dianoia – Ma credo che qualcosa mi sia successo –
Il sorriso del ragazzo si allargò. – Vieni con noi –
 
Dianoia era la Prima Astral. Lo era diventata in pochissimo tempo, e senza alcuna discussione in proposito. Quello di Prima Astral era un ruolo molto simbolico, in realtà. Lo era diventata perché le sua abilità sia di combattimento che di utilizzo della magia era spaventosamente superiori a quelle dei suoi simili, ma non era solo una questione di forza. Essere Prima Astral significava essere la guida, la leader, la Stella Polare degli altri Astral. A lei si rivolgevano nei momenti di difficoltà. Lei era il punto di riferimento di ogni altro Astral. Ed era una sensazione meravigliosa.
Non aveva recuperato i ricordi, ma non le interessava. Non aveva neppure cercato di capire chi fosse in precedenza, perché non aveva alcuna importanza. Lei era Dianoia, prima Astral dell’associazione, e tanto bastava. Aveva anche smesso di domandarsi cosa le avesse fatto perdere la memoria. Simon, uno dei membri fondatori dell’Astral Project, era invece molto più curioso in proposito. Aveva indagato su di lei, anche se Dianoia aveva rifiutato la proposta di farle sapere ciò che avrebbe scoperto, ma sembrava sempre insoddisfatto. A quanto pareva, la sua vita era stata abbastanza normale. L’unica cosa che era fuori dalla norma era la sua improvvisa perdita di memoria, avvenuta in contemporanea ad una specie di esplosione energetica, che aveva  ingigantito a dismisura la sua aura tutt’un tratto. Era proprio per quel motivo che l’avevano cercata e trovata poco dopo il suo risveglio: la trasformazione repentina della  concentrazione di energia in lei aveva messo l’associazione in allarme. A quanto pareva, per lei non avrebbe dovuto essere ancora il momento per svegliarsi, ma qualcosa doveva essere successo ed aver non solo accelerato il processo, ma anche amplificato i suoi poteri.
Era venuta a conoscenza del motivo del disagio che parecchi altri membri, specialmente Simon, sembravano provare alla sua presenza. Qualcuno le aveva parlato di una certa Alicia, figlia di Simon, che era stata trovata morta non moltissimo tempo prima. Era lei la precedente Prima Astral, e da come tutti ne parlavano doveva essere davvero straordinaria. Vedevano in lei qualcosa di Alicia, e questo li inquietava.
Ma c’era anche qualcuno che sembrava tutto tranne che infastidito da lei. C’era quel demone dagli occhi rossi, affascinante ed attraente. La sintonia con lui era stata spontanea, naturale. Erano fatti per lottare assieme, parlare assieme e parlare agli altri assieme.
Tutto era perfetto, tutto andava bene.
Andava perfettamente bene.
 
- Questo segnale è quello di cui vi parlavo –
- Non ti sbagli, Simon. Sta crescendo velocemente, a ritmo stabile e regolare. È una specie di prodigio, come la prima Astral, Dianoia –
- Oh, no. Se continua così questa ragazza sarà ancora più dotata di lei. Dianoia è un fenomeno, ma è così oscura… limita se stessa, non ammette trasgressioni nemmeno da parte propria. C’è qualcosa di strano in lei, qualcosa che mi mette i brividi –
- Capisco benissimo cosa intendi. È una ragazza tenebrosa. Questa invece splende come una stella, è quasi abbagliante. Guarda come si espande, come cambia forma per toccare le persone che la circondano… se questa futura Astral sarà come promette, avremo una nuova Prima Astral –
- Esatto. E a dir la verità, credo che sia solo per il meglio. Preferisco una fanciulla fatta di luce, per quanto anche questa sia un’anomalia nel suo genere, che una fatta di ombre –
 
Odio. Rabbia. Disgusto. Disprezzo.
Perché? Lei era l’Astral più potente in vita, lei! Come potevano dire di volerla rimpiazzare con una bambinetta che ancora nemmeno si era svegliata? Cosa dava loro l’arroganza di poter decidere chi delle due fosse migliore prima ancora che l’altra si palesasse?
Li odiava, li odiava tutti.
Eccetto Sebastian. Mai Sebastian.
- Mia lady? –
- Ce ne andiamo, Sebastian. Li uccideremo tutti. Come tu hai ucciso Alicia –
Il demone sogghignò. – Yes, my lady –
 
 
 
 
 
 
 
 
 
******
Note:
Mi dispiace davvero per averci messo così tanto ad aggiornare. Il fatto è che ho iniziato un’altra fanfiction in un’altra sezione, e davvero non potevo aspettare prima di pubblicare anche quella. Ma sono sicura che le adorabili e comprensive lettrici sapranno essere clementi con me, non è vero?
Comunque farò tutto ciò che posso per non metterci troppo.
Il disegno rappresenterebbe Black Lady.
Kisses <3
Sofyflora98


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Capitolo 20
*** Atto 20, la fanciulla bianca ***


Mi muovevo con leggerezza tra le copie di me stessa che erano apparse nel gioco mentale. L’ambientazione si era trasformata nel centro città, poco distante dalla mia scuola, e Black Lady si era presa la briga di metterci anche la folla in mezzo. All’inizio non avevo visto nulla di interessante apparire, quindi mi ero chiesta che importanza avessero il negozio di accessori e la bottega dei cosmetici biologici, ma dopo si erano fatte avanti tante ragazze identiche a me. in men che non si dica, avevano fatto apparire attorno al loro corpo delle armature molto simili alla mia, differenti solo per minuscoli dettagli, e si erano lanciate contro di me con tutto l’intento di uccidermi, ovviamente. Mai che vogliano fare solo quattro chiacchiere, eh?
Mi ero quindi ritrovata in netto svantaggio numerico, a dover schivare gli attacchi di un sacco di nemici contemporaneamente. Come se non bastasse, la folla si era messa a gridare e correre, confondendomi ancora di più.  Non fu semplice evitare di farmi ammazzare, ma in qualche modo ce la feci.
Un punto che ebbi a mio favore era che i cloni non collaboravano tra loro, anzi sembravano volersi intralciare a vicenda. Due si fecero a pezzi da sole, e mi bastò togliermi di mezzo al momento giusto per vederle finire l’una contro l’altra.
La cosa che mi turbava era la semplicità di questi scenari. Da un gioco mentale ci si aspetta della pressione psicologica, lo scontro contro le proprie paure, ma a parte le prime due apparizioni, di Angelica e Kevin, non avevo trovato niente che mi mettesse davvero in difficoltà. Era più simile a un festival sportivo, in un certo senso. Solo combattimenti. Che poi non combattevo davvero, visto che succedeva tutto nella mia testa. Ero perplessa.
Due mani fredde e forti mi strinsero il collo. Mi lasciai cadere di peso sul lastricato, trascinando il clone, con me, e quando sentii la presa allentarsi, torsi ilo busto e le sferrai un calco alla mandibola. La scaraventai a due metri di distanza, e schivando gli attacchi degli altri cloni, la trafissi con la mia falce, facendola sparire.
Sembrava che Dianoia non volesse nemmeno più destabilizzarmi, ma semplicemente osservare come mi comportavo, studiarmi. Non mi piaceva. Questo non mi fermò, però, dal disintegrare altre due copie di me stessa con una singola falciata. Non ero il tipo di persona che si lasciava intimidire, né che permetteva al disagio di avere la meglio.
E in men che non si dica ero rimasta l'unica Sofia, in quella strada. Non c'erano più nemmeno i passanti terrorizzati.
Lo scenario ci mise più del solito a cambiare, come se Black Lady stesse esitando a continuare.
Quando però iniziava già a scemare e prendere nuova forma, tutto lo spazio vibrò e tremò. Era sgranato a tratti, come se fosse fatto di pixel danneggiati.
Un boato mi fece tremare. Tremare fisicamente, non di paura.
 
Devi prestare attenzione.
 
Sollevai lo sguardo, in cerca della fonte di quella voce, ma non vidi nulla né lì ne da altra parte.
Era una voce che non mi sembrava di conoscere. Non era quella di Black Lady, né di altri Astral che conoscevo, eppure aveva la vaga impressione di averla già sentita. O meglio, aveva un suono che non mi era del tutto estraneo, come la voce di qualcuno che non vedevo da molto tempo e non ricordavo bene. Non riuscivo però ad associarla a nessun volto.
 
La prima cosa che devi capire è che lo spazio non ha solo tre dimensioni, ed il tempo non è lineare come quasi tutti credono. Lo spazio ha infinite dimensioni, ed il tempo è più simile ad una sfera. Scusami se ti dico questo in maniera così sintetica, ma non mi restano che pochi minuti a disposizione.
 
Aggrottai la fronte. Era una voce femminile, e non sembrava una donna adulta, dal timbro. Più quella di una ragazza di circa la mia età. Non veniva da una punto preciso, mi resi conto. Era nella mia testa, ma ci entrava da fuori. In realtà questo è ciò che mi parve, perché non riuscii a capire davvero da dove provenisse.
 
Io ti sto parlando da un altro momento nel tempo. O per meglio dire, ho lasciato una traccia della me del passato che potesse comunicare con te. Io sto parlando da sola. Questo è più simile ad un dialogo registrato, per cui se farai domande non potrò risponderti.
 
- Cosa... - iniziai, ma poi chiusi la bocca. Comunque non mi avrebbe risposto.
 
Se stai ascoltando, significa che sono stata tradita, e ho dovuto spezzarmi. Mi auguro che ti sia rimasto ancora tempo per fermare l'altra metà. Ho buone ragioni di supporre che ce ne sia una buona e una cattiva. Succede sempre così, chissà perchè.
 
Alicia. Era Alicia, realizzai. Rimasi a bocca aperta. Quella ragazza, quella Astral eccezionale aveva trovato un modo per parlare con me anche dopo essere morta!
 
Grazie alla forma sferica del tempo, è possibile formare dei collegamenti diretti. Non si tratterà mai di cambiare il tempo, questo è impossibile. Ma lo spazio ha molte dimensioni, per cui si apre una specie di varco, che durerà per un certo tempo limitato. In questo breve periodo si possono fare molte cose. Tu sai a cosa mi riferisco: brevi viaggi, piccoli trasferimenti di energia, da cui si possono compiere incanti più grandi.
Per quanto tu possa uccidere l'altra, non puoi fermare l'orda di demoni che lei avrà sicuramente chiamato a sé. Quando lei sparirà, loro andranno fuori controllo, perché è lei a comandarli.
Scusami, ma non è scarsa fiducia in te. È solo che nessuno può averti insegnato una magia di quel genere: non ho fatto in tempo a spiegare agli altri le mie ultime scoperte magiche.
Sicuramente hai dentro di te le capacità, ma tu sei solo mezza me, per cui non puoi tirarle fuori senza aiuto. In questo entro in gioco io.
Ma di questo non ti devi preoccupare: il varco lo aprirò quando sarà necessario, tu devi solo combattere la tua avversaria e sconfiggerla. Il resto verrà da sé... beh vedrai a tempo debito.
Lo sai come fanno ad esistere i molteplici mondi? In realtà è più semplice di ciò che sembra al livello fisico, ma sarebbe complicato spiegarlo a parole in maniera scientifica, per cui te lo dirò in parole povere.
I mondi esistono perché qualcuno li ha pensati. Hai studiato filosofia? Un filosofo sosteneva che niente che non è può essere pensato. Di conseguenza se puoi pensare qualcosa, allora quella è, in un certo senso. Lo stesso principio vale per le dimensioni tra i mondi.
Gli Astral soltanto, però, riescono a metterli in comunicazione. E sai perché? Perché voi non solo li pensate, ma li vivete. Voi conoscete quei mondi, e li sentite vicini, voi pensate alla vicinanza, alla comunicazione. Di conseguenza tale comunicazione esiste. Il concetto è questo, in breve.
 
 La faceva facile, lei! Se pensava davvero di poter spiegare in due minuti una cosa del genere, in un messaggio senza possibilità di interlocuzione per di più, era davvero... molto simile a me.
Doveva avere davvero scarsa fiducia in se stessa, se era convinta che una sua metà non sarebbe stata in grado di comprendere cose che lei stessa conosceva, riflettei. Simon aveva accennato a qualcosa del genere quando mi aveva parlato di lei. Se non ricordavo male, mi aveva riferito che lei era “meno sicura” rispetto a me, più o meno.
 
Se stai pensando che non ha senso non avere fiducia in una ragazza che è mezza me, hai certamente ragione. Ma chissà, forse tu sei la metà sicura. Comunque ci vorrebbe troppo tempo a spiegare, e io non ne ho.
Come faccio a sapere che verrò tradita, immagino ti starai chiedendo. Beh, è facile: i demoni tendono a manifestare il loro malcontento, quando la causa è qualcuno con cui hanno un patto o un legame. Sebastian è molto difficile già di suo, e in effetti sto mettendo una mano sul fuoco, ma... se tu esisti sai anche che ne è valsa la pena, no?
Nessun demone mi potrebbe far ricredere sulla mia decisione di rendere materiale anche lo shinigami rosso. Spero di non creare troppo caos, ma se come ho già detto tu esisti, allora quel caos l'ho creato eccome!
Tornando a noi... oh, sì!
Se tu non esisterai, ovviamente questo messaggio non arriverà mai. È stato progettato perché si manifesti solo in alcune specifiche circostanze. Se a me non accadrà nulla, resterà lì dov'è. Se io sarò costretta a sopravvivere con qualche tecnica estrema, allora credo che sceglierò di spezzarmi, è il metodo più semplice. E in questo caso, il messaggio giungerà alla metà riconosciuta come me stessa con l'emanazione meno negativa. L'altra non potrà ricevere, leggere, né percepire questo messaggio. Ma ti giungerà solo quando sarete molto vicine, e verrà registrato un contrasto tra le mie due metà.
 
Lo spazio attorno a me iniziava a prendere forma, ma dopo si cancellava. Era come se Black Lady fosse indecisa sullo scenario da propormi. Mi irrigidii quando le vaghe forme di albero che si intravedevano nel bianco presero a deformarsi e cambiare forma solo per metà, trasformandosi in immagini grottesche e indefinite.
 
Ah, un’ultima cosa prima di salutarti e augurarti buona fortuna.
Mi dispiace per i problemi che ti ho creato. So che probabilmente era una persona normale, o al massimo un’Astral dall’esistenza abbastanza tranquilla. Ora se sei diventata una delle mie due metà, devono esserti successe tante di quelle cose… se fossi e potessi vedere le conseguenze delle mie azioni, credo che impazzirei dal rimorso. Ora, nella situazione in cui sono, posso solo sperare che non accada nulla e questo messaggio non debba mai arrivare a nessuno.
Preventivamente, devo farti sapere quanto profondamente io sarei addolorata se dovesse accadere il peggio.
Mi dispiace.
Davvero.
Scusami.
 
La voce di Alicia si spense.
Non rimase altro se non lo spazio vuoto con poche figure malformate e bizzarre. Tutto vibrava, persino il bianco. Migliaia di minuscoli tremolii scuotevano gli atomi dell’ambiente illusorio.
Ero confusa: da come parlava, Alicia dimostrava di sapere cosa avrebbe potuto accadere, e doveva esserne anche parecchio sicura, altrimenti non si sarebbe presa il disturbo di compiere una magia così complicata per poter comunicare con me. Però, se sapeva quali sarebbero state le conseguenze, perché non aveva semplicemente lasciato perdere?
Ah, ma io ero solo metà della sua persona. Se io ero così decisa e priva di dubbi sulle mie azioni, e Black Lady lo era in azioni contrastanti con le mie, lei sarà stata nel limbo, in preda all’indecisione e al disorientamento. Mi sentii male per lei. Non ero abituata ad essere indecisa, e mi sembrava una prospettiva molto spiacevole e fastidiosa. Qualsiasi cosa si scelga, si proverà sempre dispiacere per ciò che si è dovuto scartare.
Non ebbi molto tempo però per rimuginarci troppo. Tutto, ma proprio tutto, quello che avevo attorno si stava sfaldando, si ripiegava su se stesso, persino il vuoto bianco. Spariva in maniera uniforme, non aveva un punto di partenza o di fine. Ogni cellula, ogni punto si richiudeva e scuriva, diventava solido e reale.
Intuii che il gioco stava finendo, che Dianoia doveva essersi stufata di quell’inutile battaglia o che aveva visto abbastanza da trarre le sue conclusioni, qualunque fossero queste.
Le immagini si ricomposero un tono alla volta, come le velature di un dipinto. Prima apparvero i neri, poi i blu, e solo alla fine le fievoli luci della stanza del palazzo di Black Lady, dove mi trovavo davvero, assieme a lei e a William.
Nulla si era mosso. Probabilmente non erano passati che poche manciate di secondi nella realtà, e lo scorrere del tempo nel gioco era un’illusione anch’essa.
L’unica cosa che faceva intuire cosa fosse accaduto, era Dianoia stessa. Aveva piegato la schiena e respirava affannosamente, rossa in volto, come se avesse corso. Ma soprattutto la sua espressione facciale era mutata: se prima mi aveva accolta con serenità e una punta di strafottenza, ora era solo confusa e furente. Mi guardava con gli occhi sgranati, le sopracciglia corrugate in un tentativo di giudizio.
- Non capisco… - mormorò, la voce spezzata dal fiatone. – Questa tecnica illusoria è sempre efficacie. Di rado qualcuno supera più di un paio di scenari, e fallisce sempre prima o poi. Come diavolo fai? – il suo tono si era fatto più alto, quasi più un grido che un’esclamazione.
Io alzai le spalle. – Io non sono come gli altri. Quegli scenari non erano niente di che, in fin dei conti. Non sono nemmeno lontanamente sufficienti ad indebolirmi –
Lei si prese la testa tra le mani. –No, no no. Tu non capisci. Gli altri, anche se avvertiti, dimenticano che è solo un’illusione. Impazziscono e perdono la ragione. Vanno in preda al panico di fronte a prove minuscole. Cosa diavolo hai nella testa? – borbottò febbrile.
- Perché allora non hai semplicemente provato con delle sfide più credibili? –
Lei alzò lo sguardo su di me. – Ti eri fermata. Ti guardavi attorno senza che ci fosse nulla da guardare. Avevi l’aria attenta di chi ascolta qualcosa. C’era stata un’interferenza nella mia simulazione. No, no… qualcuno parlava con te? DIMMELO! – urlò, e strinse le mani a pugno con così tanta forza che si conficcò le unghie nella carne, bucando i guanti di seta nera. Il sangue scivolò lento e sgargiante sul pavimento di marmo bianco e nero. Netto e visibile sui quadrati chiari, lucido e poco definito su quelli scuri.
William mi si fece vicino. Era già pronto ad un contrattacco, il corpo teso e scattante in posizione di difesa. Non potevo biasimarlo: Black Lady sembrava aver perso ogni stilla di autocontrollo. Era completamente trasfigurata, ed una smorfia dura e con una punta di follia le deformava il bel viso. Gli occhi continuavano a saettare prima verso di me, poi verso lo shinigami, e infine nelle zone in ombra della stanza. Spalancati e accesi da una luce sinistra.
- Non so davvero che dirti – le risposi seraficamente – Se i tuoi poteri non funzionano a dovere è un problema tuo, non mio – non sapevo neanche da dove stavo tirando fuori tutta quella pacatezza ironica. Però volevo che scattasse, che facesse qualcosa per smuovere la situazione. Avevo atteso che si facesse vedere ai miei occhi per troppo tempo, e non intendevo indugiare oltre, ma nemmeno fare la prima mossa verso di lei. Prima si osserva, e poi si adatta il combattimento basandosi sull’atteggiamento dell’avversario. Questa era una delle regole principali che insegnavano durante l’addestramento degli Astral.
Dianoia abboccò senza esitare, ed emise un ringhio prima di gettarsi letteralmente contro di me. Allontanai Will con una sgomitata, di cui forse mi pentii più tardi, ma sul momento avevo altro a cui pensare che essere aggraziata nei movimenti. Lui sembrò farci più caso di me, a dir la verità.
Black Lady tentò di afferrami il collo. Grazie al cielo (anzi, grazie al mio istinto), avevo previsto la sua mossa, e la bloccai afferrandole le braccia. Lei tentò di liberarsi furiosamente. Era più forte di quanto la sua corporatura esile lasciasse credere.
Quando si rese conto che non sarebbe riuscita a togliersi dalla mia presa, mi artigliò le spalle, nel tentativo di indebolire la morsa sui suoi avambracci. Dovetti stringere i denti: aveva conficcato le dita con tutta la sua forza, e se avesse premuto un poco di più, mi avrebbe lacerato la pelle.
Le tirai un calco agli stinchi, e mentre lei annaspava, inciampando nella lunga gonna, la spinsi giù con il mio peso. Continuammo a lottare sul pavimento, con unghie, denti e pugni. Non mi sarei mai aspettata che lo scontro contro di lei sarebbe stato così. Avevo sempre immaginato un duello di magia, o qualcosa del genere, come le maghette dei cartoni, solo più violento e reale. Mi sentivo, invece, come se fossi finita in una zuffa tra gatti.
- Ti detesto, ti detesto! – sibilò quando riuscii ad afferrarla per i capelli – Per te è stato facile. Tu sei nata così, non lo sapevi? Quando Alicia si è spezzata, le due metà sono schizzate via libere da alcuna legge spazio temporale. Si sono attaccate ai primi due essere viventi che hanno incontrato. Ma la tua metà, ti ha trovata nel passato, quando eri nata da poco. Sei abituata ad essere così, in realtà –
- Stai zitta – dissi con fermezza glaciale. Le tirai i capelli indietro, facendole piegare la testa.
- Lady Sofia, non… - fece William, che evidentemente doveva essere sopravvissuto alla mia sgomitata letale. Io lo fermai con un’occhiata di fuoco. – Non disturbarmi! Vattene! Lascia che me la veda io con lei! È tra noi due! – lui sobbalzò, e scese la scala che portava fuori dalla stanza. Probabilmente era andato a cercare il resto della squadra per portarli qui, ma non mi importava. Per quando sarebbero arrivati avrei già finito con lei.
- Tu sei cresciuta con un pezzo di Alicia dentro di te – proseguì Dianoia. – La mia parte mi si è fusa che avevo già quattordici anni. Ho perso la memoria della mia vita precedente. È stato uno shock sia per la mente che per il corpo. Credevo di aver trovato il mio posto nell’Associazione, ma poi hanno trovato te, la perfetta fanciulla di luce. La ragazza d’ombra non andava più bene, a parer loro. Mi hanno buttata via senza ritegno! – la sua voce si era fatta stridula. Vidi la follia nel suo sguardo, una luce malsana  perversa.
Mi dispiacque per lei. Mi dispiacque sul serio. Doveva essere stata una persona normale, che faceva la sua vita. All’improvviso tutto doveva essere stato distrutto, e un frammento di un’altra persona si era insediato in lei. Il frammento sbagliato. Niente ricordi, il lato oscuro di una ragazza estremamente potente e combattuta. Quella di Dianoia doveva essere stata un’esistenza difficile, almeno nella parte che poteva ricordare.
- Nessuno ti ha buttata via – ribattei comunque. In quel momento, in quelle circostanza, non mi riusciva di non odiarla. – Sei pazza. Sei completamente pazza, e lo sai. Sei la metà più cattiva di Alicia, e sei instabile. Temevano che avresti perso la testa, ed avevano ragione! Non ti avrebbero cacciata, solo liberata dal fardello di essere la Prima Astral! Speravano di salvarti dalla autodistruzione, ci hai pensato? Ma ovviamente no! Sei la metà cattiva, la parte oscura, e non riesci mai a pensare a ciò che viene fatto per il tuo bene! –
Lei non disse nulla.
Io ripresi fiato, rossa in viso. Volevo ucciderla, volevo picchiarla, volevo salvarla. Quella povera ragazza, volevo salvarla.
- Come mai vuoi distruggerci? – sussurrai, senza smettere di tenerla per i capelli cosicché non potesse scapparmi via.
Lei sbatté le palpebre ripetutamente. Inclinò il viso di lato. Sembrava che nemmeno lei sapesse cosa rispondermi, dall’espressione che fece. Era confusa e disorientata, con un velo di tristezza. La follia ora era scomparsa, ed il suo volto era tornato angelico e bellissimo.
- Io… - mormorò con voce spezzata - … Voglio farlo. Sento il bisogno di farlo. Immaginare di scatenare il mio potere, di imporre la mia autorità sugli altri… oh, non sai quanto è frustrante ogni secondo che passo senza riuscire a farlo! – esclamò infine, guardandomi dritto negli occhi. L’aveva detto come se volesse liberarsi di quel peso, come se si stesse confidando con un’amica. Mi inquietò.
- Potremmo anche non ucciderti, a questo punto – dissi lentamente. Lei fece una risata vuota, morta. – Davvero. Se tu facessi sparire tutti quei demoni, e ti lasciassi privare dei tuoi poteri. E giurassi di non avvicinarti più a noi –
Lei rise più forte. Non come se non mi credesse, però. Come se la mia opzione fosse ridicola, infattibile. Aveva le lacrime agli occhi, ma anche queste non erano di divertimento. Aspettai che smettesse di schiamazzare, prima di chiedere cosa ci fosse di tanto divertente nella mia proposta.
- Ti diverte tanto il fatto che noi siamo capaci di pietà? –
- Oh, no! Ma Simon non accetterebbe mai che io rimanga in vita, dopo quello che ho fatto alla memoria di sua figlia! -
- Lui capirà – ribattei – Non hai fatto nulla a sua figlia. Sebastian l’ha uccisa. Tu sei parte di lei –
- Ma non è lui a preoccuparmi, Sofia cara! Sei tu quella che vorrà uccidermi! –
Mi bloccai. – Perché? Sono io stessa a volerti dare questa possibilità. Se volessi ucciderti e basta, l’avrei già fatto, non ti pare? Sei qui, immobilizzata. Non mi ci vorrebbe che un attimo –
Dianoia rise di nuovo. – Oh, se tu sapessi! Se tu sapessi cosa ho fatto! Ah, ma se tu lo avessi saputo, non avresti nemmeno pensato di fare il gioco mentale, di parlare con me! Saresti piombata in questo castello come un tornado, facendo a pezzi qualunque cosa ti si parasse davanti. Inclusa me, ovviamente. Dubito che sarei riuscita a fermarti, se tu avessi davvero perso la testa –
Un pensiero si fece largo nella mia mente. Un minuscolo sospetto, ma sufficiente a farmi gelare il sangue. No, non poteva essere. Black Lady non poteva realmente suggerire di aver fatto una cosa simile.
- Dianoia – cominciai, e mi accorsi che la voce mi tremava – Di cosa stai parlando? –
Lei alzò gli occhi al cielo, e sospirò profondamente, come se fossi stupida a non capire.
- Sebastian, mi fai il favore di venire fuori dall’ombra? – chiamò la ragazza.
Il maggiordomo sbucò da un angolo, silenzioso come un felino. Non mi ero nemmeno accorta della sua presenza, tanto era camuffato nel buio. Aveva stampato sulle labbra un sorrisetto storto che non mi fece presagire nulla di buono. Ora anche le mani mi tremavano, così forte che le tirai i capelli più forte, facendole emettere un gemito di dolore.
L’uomo si avvicinò con circospezione, ma tenne sempre una certa distanza di sicurezza tra me e lui. E non smetteva di sorridere. Avevo visto troppi episodi per non sapere che quando sorrideva in quel modo stava per succedere o era successo qualcosa di decisamente poco buono. Almeno per chi è contro di lui.
- Lady Sofia, non avrete certo pensato che avremmo tenuto ostaggi, spero! – esclamò fingendosi meravigliato. – Avete visto che ci siamo sbarazzati degli Astral che avevamo catturato. Voi credevate soltanto che volessimo ricattarvi con le loro vite in ballo. Ma vi sbagliate: noi non siamo interessati a simili giochetti. Noi non siamo dei comuni mostri da baraccone. Siamo una Lady Astral ed un demone! –
Oh, avevo capito perfettamente cosa intendeva dirmi, con quell’aria sfrontata e quel ghigno diabolico. Ma non volevo credergli. Non potevo, semplicemente. Non l’avrei mai fatto, finché non avrebbe pronunciato quelle parole esplicitamente, finché non mi avrebbe fatto sapere quanto vano era stato esitare prima di sterminarli tutti e basta.
Mi ritrovai disperatamente a pensare, a supplicare che non aggiungesse nulla. E ciò che era peggio era che lui sembrava perfettamente consapevole delle nubi nere che si stavano formando dentro di me. E se ne compiaceva.
- Lady Sofia… - cominciò, fermandosi volutamente dopo quei due vocaboli.
Non dirlo, non dirlo! Ti prego…
- Il vostro amante è già morto. Lo abbiamo ucciso subito dopo avervelo portato via. In effetti, non ci serviva a nulla. Era solo un potenziale pericolo nelle nostre mura. Ma voi cosa avreste fatto al nostro posto? Vi sareste tenuta una bomba pronta a esplodere in casa, con il rischio che potesse liberarsi e farvi saltare in aria? –
Ecco. Ora l’aveva detto.
Fine.
Chiuso.
Smisi di respirare.
Smisi di pensare.
E anche di trattenere Black Lady, smisi anche di vedere lei e il demone come esseri viventi e come persone. Smisi di preoccuparmi della loro esistenza.
Niente aveva più un senso. Non c’era uno scopo. Ma soprattutto non c’era un motivo dietro a quello che accadeva. C’erano due individui malati e folli, che uccidevano e facevano del male, e questo provocava loro piacere, diamine. Loro si divertivano a farlo, e l’avrebbero fatto ancora. E anche se non fossero stati dotati di poteri sovrumani, l’avrebbero fatto comunque, perché questa era la loro natura.
Io ero un’Astral, ed era il mio sacro dovere liberare il mondo da loro. Perché non l’avevo già fatto, mi chiesi. Ero stata davvero stupida. Avremmo solo dovuto irrompere qui tutti e fare tabula rasa, radere al suolo ogni cosa. Niente meritava di esistere.
Nemmeno il mondo esterno, ripensandoci, a cosa servivano tutte quelle persone che passano le loro vite in modo monotono, leccando le scarpe di qualcuno più forte di loro in cerca di favori, e cercando sollievo nel puntare il dito contro chi era più solo? Perché erano vivi, perché non avevamo cancellato anche tutti loro? Oh, ma l’avremmo fatto, l’avrei fatto.
E avrei cominciato da quella ragazza magrissima che era ancora sdraiata per terra, con i capelli d’inchiostro sparsi a raggiera sul pavimento di marmo bicolore.
- Laevatain – dissi con voce atona.
La falce iridescente prese rapidamente consistenza sotto le mie dita. Non ci pensai neanche, feci solo ciò che il mio istinto mi gridava a squarciagola, quello che avrei dovuto fare già da mezz’ora, nel momento in cui avevo messo piede lì.
Con un unico movimento fluido, prima che Sebastian potesse intervenire o Black lady potesse rendersi conto di cosa stavo facendo, le conficcai l’arma nel ventre. Il suo corpo esile fu trapassato da parte a parte, ed io feci leva sull’arma per sollevarla e piantarla più a fondo.
Mi rivolse un solo, unico, sguardo incredulo, ed un grido strozzato, prima di morire. Il suo corpo sembrò emanare fumo, a quel punto. Lunghi filamenti scuri uscirono dalla sua pelle, si attorcigliarono tra loro, levitando in aria.
E poi fu il buio.
 
 
 
 
Sebastian aveva assistito alla scena esterrefatto. Quello a cui aveva appena assistito era qualcosa che non aveva mai visto prima di quel momento, che non credeva nemmeno possibile. Non in così poco tempo, e non a quei livelli.
Prima c’erano un’eroina coraggiosa che lottava la sua antitesi. Poi erano state sufficienti poche parole, per farla trasformare in una fredda assassina, che non aveva battuto ciglio prima di uccidere l’altra violentemente.
In seguito c’erano state quelle due volute di fumo, una scura e violacea, l’altra dorata e splendente. Erano fuoriuscite dai corpi delle due in un lampo, e alla stessa velocità si erano entrambi riversati in quelli della ragazza con il mantello rosso e gli occhi verdi.
Ma ora non c’era più quella ragazza. Invece al suo posto c’era una giovane più alta e più magra di lei, ma non tanto sottile quanto Dianoia. Era molto bella, con lunghi boccoli biondi, ed enormi occhi di smeraldo. Vestiva di bianco da capo a piedi, con qualche decorazione nera a bordi degli abiti.
Alicia.
L’Astral lo guardò con severità.
Era lei, era la stessa che lui aveva ammazzato. Ma era impossibile. Lei era morta, morta!
Però quello sguardo duro e gentile allo stesso tempo, la postura regale ed elegante, la morbidezza dei movimenti, erano inconfondibili. Quella era davvero Alicia, la sua Alicia. L’Alicia che aveva rinnegato.
Ed ora avanzava nella sua direzione, bellissima e terrificante.
Questione di un lampo, e di lui non rimase nulla. L’aveva appena sfiorato con la punta della sua lancia. O spada. O quello che era. Fatto sta che lui scomparve.
Alicia rivolse uno sguardo triste intorno a sé. Sospirò profondamente.
Uscì da quella stanza. Uscì di lì, scese le scale, cercando la luce del sole. Non si curò degli sguardi sbalorditi degli altri membri della squadra, quando la videro. Non prestò loro attenzione. Diede solo una carezza sul viso a suo padre Simon, prima di attraversare il portone da cui era entrata la metà di sé che aveva ricevuto il suo messaggio.
I demoni erano ancora lì dove li avevano trovati all’inizio, ma ora vagavano confusi, senza nessuno a guidarli. Alicia sollevò la sua arma scintillante verso l’alto, raccogliendo per l’ultima volta la sua energia per un incantesimo. E anche loro non ci furono più infine. Tutto spariva prima o poi.
Voltò il capo verso gli Astral che avevano accompagnato quella ragazza in rosso che aveva intravisto mentre tornava ad essere un’unica entità.
- Addio. Stavolta sul serio – mormorò.
Non provarono a fermarla quando andò via. 
Non andò lontano, non lontanissimo. La vecchia sede dell’Astral Project era la sua meta.
La trovò desolata e semidistrutta. Vedendo i ricordi delle due metà di se stessa, capì cosa era accaduto. Non poteva assolutamente lasciare le cose così com’erano. La sua avventatezza aveva dato vita ad altre due persone complete, che avevano sofferto ognuna a suo modo, che avevano lottato l’una contro l’altra. Una aveva perso la ragione. L’altra aveva perso l’amore. Più o meno.
- Credo sia possibile – sussurrò – che quando ti sveglierai di nuovo ricorderai le mie parole. Ricordi il tempo sferico, eh? Ho dimenticato di dirti una cosa. Il tempo nei vari mondi scorre in modo differente, ed è indipendente l’uno dall’altro in molti casi. Siamo in pochi a sapere come cancellare qualcosa in tutti gli universi che esistono in modo definitivo –
Girò su se stessa, giocherellando con un lembo del mantello. – Sono sicura che tu capirai di cosa sto parlando. Anche lo spazio e la materia seguono le stesse regole. Soprattutto quando la materia prende forma per un collegamento mentale astratto, come nel caso degli Astral. Dall’altra parte… potrebbe essere differente –
Si preparò a spezzarsi di nuovo, ma questa volta solo una delle due metà avrebbe preso vita. Solo quella giusta, quella che era sopravvissuta davvero. L’altra sarebbe svanita assieme a lei.
- Vai dall’altra parte, Scarlet Lady – disse a voce bassissima.
E dopo anche lei smise di esistere.
 
 
 
 
 
 
 
 
**********
 
Note:
Immagino sia troppo chiedere che mi perdoniate per i tempi lunghissimi che sto tenendo ultimamente. È solo che davvero ho dovuto iniziare a scrivere un’altra fanfiction in un’altra sezione. Era questione di vita o di morte.
Un bacio a chi legge, segue o recensisce.
 
Sofyflora98

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Capitolo 21
*** Atto 21, mai più nessun varco ***


Il silenzio regnava nella sede provvisoria dell'Astral Project. Quando i funzionari si erano alzati ed avevano iniziato il loro lavoro, come prima cosa si erano accorti che non c'erano più segnali di presenze demoniache nei paraggi. Allargando il campo, continuarono a non trovarne, fatta eccezione per qualche occasionale mostriciattolo di bassa lega, come quelli che erano abituati ad affrontare prima dell'arrivo della fantomatica Black Lady.
Erano quindi andati a svegliare il signor Simon, ma non lo trovarono. Il suo letto era vuoto. A quel punto si erano allarmati. Avevano iniziato a cercarlo per tutto l'edificio, senza successo. Man mano che perseguivano nel battere a tappeto l'ex fabbrica di vernici, anche il resto dei membri iniziò ad aprire gli occhi, a causa del loro vociare e dello scalpiccio dei loro passi pesanti ad affrettati. Anche loro si misero d'impegno per aiutarli, ma si resero conto che anche altre persone erano assenti, tra cui la Prima Astral, Sofia, un Esterno ed altri ancora.
Trovarono l'armeria più vuota di quanto fosse la sera prima. Non ebbero difficoltà a fare due più due e a capire che missione avessero intrapreso alle loro spalle. E a quel punto giunsero l'ansia e la paura. Paura che non tornassero, che la nemica avesse la meglio su tutti loro.
Cominciò la loro attesa. Controllavano nervosamente gli schermi dei computer, per vedere se qualche segnalazione cambiava, a sfavore o favore loro. Qualunque cosa era meglio di quello stato di stasi che perdurava da qualche ora.
Continuò a non accadere nulla fino a dopo pranzo. Non c'erano né demoni né altro. Non era mai accaduto, negli ultimi mesi. Avrebbero voluto prenderlo come un buon segno, ma i loro compagni persistevano nel non tornare, e già pensavano che fosse solo la quiete prima della tempesta.
Li rividero solo quel pomeriggio.
Stavano già iniziando a prepararsi ad uscire dalla loro base per vedere cosa fosse accaduto, quando sentirono un lento bussare al portone. Qualcuno si avvicinò cautamente e sbirciò attraverso la finestrella per vedere di chi si trattasse.
Gioirono nel vedere il signor Simon tornare sano e salvo, accompagnato da Kevin, William e gli altri membri della squadra. Ma la Prima Astral non era con loro, e nemmeno Black Lady e gli ostaggi da lei presi. In effetti, tutti quanti avevano un'aria abbattuta.
Fu a quel punto che un ristretto numero di membri dell'Associazione rivelò della riunione segreta che si era svolta al fine di organizzare una missione dentro al palazzo di Black Lady, e della scelta di chi avrebbe diretto e composto questa squadra.
Poi venne il turno dei suddetti membri di raccontare cosa fosse successo. Riferirono loro dei demoni radunati davanti al palazzo, della loro irruzione e di come le loro strade si fossero divise, di come Simon e Kevin fossero andati a cercare gli ostaggi, mentre Sofia e William fossero saliti in cerca di Black Lady e Grell. La voce dell'uomo di incrinò mentre narrava di come avessero scoperto della morte degli ostaggi e dell'assenza del corpo dio Giorgia, che a quel punto doveva per forza essere Black Lady sotto copertura.
Non sapevano cose fosse accaduto allo shinigami e alla guerriera in rosso, ma dalla torre lei non era mai scesa, e nemmeno Dianoia. Poi dissero di come i loro sospetti riguardo a Giorgia si rivelarono fondati quando William era sceso di corsa dal piani superiore, dicendo loro dello scontro tra Dianoia e Sofia.
Gli occhi di molte persone si erano spalancati dallo stupore quando immaginarono, seguendo le parole di Simon, la discesa dalla scalinata di Alicia, vestita di bianco e nero, i boccoli dorati lunghissimi e gli occhi verde chiaro come quando era viva, lì tra loro.
Il racconto terminò in quel punto. Nessuno aveva idea di cosa fosse realmente accaduto alle due guerriere, nella torre, anche se la comparsa della fanciulla candida diede ad intendere, ai pochi a conoscenza di tutti i dettagli, che fossero tornate in qualche modo a fondersi. Restava il mistero di dove fosse andata Alicia, quando si era smaterializzata sotto i loro occhi.
I loro rilevatori la cercarono, ma non trovarono nulla che somigliasse né a lei né alle altre due.
 
 
 
Sentivo un rumore attutito. E voci, tante voci di ogni tipo. Non avevo idea di dove fossi, e non riuscivo a dischiudere le palpebre.
Sentivo tutto il corpo intorpidito, come se avessi dormito per giorni e giorni, senza muovermi. Anche il cervello doveva aver dormito, considerato lo stato confusionale in cui si trovava. Primo, perché l’ultima vaga cosa che ricordavo, era il castello di Black Lady, e quello sotto la mia schiena non era decisamente marmo, ma piuttosto ciottoli e sassolini.
Riuscii ad un certo punto a sollevare un braccio, e portare una mano a stropicciarmi gli occhi. Molto lentamente, con fatica, raddrizzai anche il busto, e mi misi seduta. La prima cosa che notai, fu che mi trovavo all’imbocco di un vicolo che dava su una strada affollata. Una strada brulicante di uomini in marsina, donne con crinolina e corsetto, e carrozze trainate da cavalli, per l’esattezza. Da questo, dedurre che non si trattava della mia città non fu complicato.
La seconda cosa a cui feci caso riguardava il mio abbigliamento: indossavo ancora l’armatura da Astral. Andarsene in giro in minigonna in quella che pareva una città vittoriana non era proprio il caso.
Scattai in piedi, e coprendomi le gambe coperte dalle sole calze con il mantello mi imbucai più a fondo nel vicolo, fino a trovare un angolo deserto dove potermi cambiare d’abito senza dare nell’occhio. Grazie al cielo avevo ancora il mio bracciale.
Una volta che mi fui adeguatamente camuffata con strati e strati gonne e sottogonne, tornai nella strada principale. Il rumore della folla mi avvolse, mi disorientò. Continuavo a non avere idea di cosa ci facessi lì. E di dove fosse “lì”.
Un suono di campana che conoscevo bene rispose a quest'ultimo quesito. Ero il suono della campana del Big Ben, o torre dell’orologio. Mi trovavo a Londra.
Naturale. A chi non è mai capitato di ritrovarsi di punto in bianco nel centro della Londra vittoriana, mentre poco prima era nell'Italia contemporanea?
Cercai di fare mente locale. Svuotai la mente, per rievocare passaggio per passaggio gli avvenimenti, da quando avevo incontrato Black Lady. Avevamo terminato il gioco mentale, dal quale io ero uscita vittoriosa. Prima di uscire dalla dimensione virtuale che Dianoia aveva creato nella mia testa, avevo ricevuto una specie di messaggio da parte di Alicia, dove mi spiegava una serie di nozioni incomprensibili riguardo al tempo sferico, o roba del genere. Black Lady aveva capito che qualcosa doveva essere successo, e si era infuriata. Avevamo lottato corpo a corpo, e l'avevo immobilizzata, cosa non difficile considerata la sua magrezza. E dopo era arrivato Sebastian, e aveva detto quella cosa.
“Il vostro amante è già morto. Lo abbiamo ucciso subito dopo avervelo portato via.”
Serrai gli occhi, reprimendo un conato. Mi addossai al muro di un palazzo, appoggiandomi ad esso con la schiena, per non scivolare a terra. Mi sentivo il fiato mancare. Ma non devi pensarci, non ora! Devi capire come sei finita qui! mi rimproverai.
Dopo aver sentito... quelle parole, avevo ucciso Black Lady a sangue freddo. E dopo iniziava il vuoto di memoria. Una vaghissima immagine l'avevo, però. Si trattava di una sensazione corporea stranissima, come se le mie membra si fossero dissolte nel vuoto.
E anche una voce, ricordai, anche se non riuscivo ad associarla ad alcun momento di tutta quella sequenza. “Il tempo nei vari mondi scorre in modo differente, ed è indipendente l’uno dall’altro in molti casi. Siamo in pochi a sapere come cancellare qualcosa in tutti gli universi che esistono in modo definitivo”. Era una voce di ragazza, senz'ombra di dubbio. Ed era la stessa voce del messaggio che avevo ricevuto durante il gioco mentale.
“Anche lo spazio e la materia seguono le stesse regole. Soprattutto quando la materia prende forma per un collegamento mentale astratto, come nel caso degli Astral”.
Era la voce di Alicia.
“Dall’altra parte… potrebbe essere differente”
Il ricordo si fece più nitido. Una fanciulla in bianco che trafiggeva Sebastian con una specie di grande spada, che scendeva una lunga scalinata, che attraversava un portone nero. I capelli dorati erano scossi dal vento, mentre voltava la testa a dare un ultimo sguardo agli Astral increduli dietro di lei.
Ecco cos'era successo quando avevo ucciso Black Lady. Eravamo tornate a fonderci in una, ed Alicia, ora riuscii a rivedere, aveva cancellato il demone al servizio della mia nemesi.
Improvvisamente capii il significato delle parole della precedente Prima Astral. Gli Esterni non facevano tecnicamente parte del mio mondo, per cui forse la loro presenza dalla mia parte era più una specie di riflesso, mentre la loro essenza si trovava nel loro mondo. Ma questo non valeva per me, perché i mondi degli Esterni erano frutto della nostra mente, mentre il mio mondo esisteva già da sé. Ma per i demoni che lottavamo valeva eccome.
E se invece che morire sul serio, semplicemente si disintegrasse la loro immagine nel nostro mondo, e tornassero in quello da cui erano originari? Possibile.
E se fosse stato così, allora anche… mi sentii scorrere dentro un’energia del tutto nuova, e decisi subito di verificare la mia ipotesi.
Fermai una carrozza, e dissi al conducente di portarmi alla villa cittadina del conte Phantomhive. Per fortuna già all’epoca esistevano i mezzi pubblici.
Durante il tragitto, osservai l’andirivieni delle persone, strette in quei bellissimi abiti antichi che avevo sempre adorato, per quanto scomodi fossero. Se anche la mia teoria si fosse rivelata fondata, non spiegava perché io mi fossi trovata improvvisamente in quel luogo.
Ci vollero non più di venti minuti per giungere a destinazione. Pagai il conducente (i miei poteri avevano potenzialità molto varie, oltre a quelle relative al combattimento), e mi riassettai la gonna. Doveva davvero essere scocciante dover indossare quel tipo di abbigliamento tutti i giorni. Metterlo anche solo come costume per i raduni di cosplayers era sempre stato molto impegnativo. Grazie al cielo ora potevo perlomeno sfuggire alla fatica di infilarli ed allacciarli, potendo farmeli comparire direttamente addosso e delle misure esatte.
La casa era la stessa in cui eravamo stati quando Black Lady ci aveva fatti precipitare in quel mondo in precedenza
Senza esitazione, bussai alla porta con forza. All’inizio non accadde nulla, ma dopo altri tentativi l’uscio si aprì, rivelando la presenza di un uomo alto e pallido, con capelli neri e occhi cremisi. Come sospettavo: era morto solo nel mio mondo.
- Buonasera a te, Sebastian – lo salutai, senza riuscire a trattenere un risata.
Lui aggrottò le sopracciglia, scocciato. – Ah. Quindi sei tornata ad essere una sola – sbuffò. Aveva perso tutta quell’ostentata galanteria di cui era solito fare uso. Perlomeno non aveva già provato ad azzannarmi.
- Posso entrare? – domandai, divertita dalla sua reazione per nulla sorpresa.
Lui alzò le spalle. – Non c’è nessun altro oltre a me, per cui dubito che qualcuno possa essere disturbato dalla tua improvvisa irruzione –
Lo seguii dentro la villetta lussuosa, stupita dal suo atteggiamento. Avevo pensato che sarebbe stato molto più aggressivo, che mi avrebbe aggredita magari, dato che avevo visto nei miei ricordi Alicia ucciderlo. Invece niente, era solamente scocciato. Non che fosse un problema, anzi il contrario.
Mi condusse nel salotto, e si sedette su una poltrona. Io mi accomodai sul divano, facendo attenzione a non sciupare quell’assurda impalcatura che teneva la gonna aperta. Lui mi fissò, in attesa che parlassi.
- Sei vivo – dissi.
Lui inarcò un sopracciglio. – Già, sono vivo -
- Ma Alicia ti ha ucciso, se non sbaglio –
- Non ti sbagli. Pare che la nostra morte nell’altro mondo non implichi che debba avvenire anche in questo. Sarebbe stata una bella seccatura, non trovi? –
Emisi un rumore a metà tra uno buffo ed una risata. Lui sembrò rilassarsi un poco, a quel suono.
- So cosa vuoi chiedermi – mormorò. – Vuoi sapere se può essere accaduto lo stesso anche a Grell Sutcliff –
Io annuii con decisione. – Esattamente, Sebastian. Credo che sia possibile? –
Sebastian alzò le spalle. – Non ne ho idea, lady Sofia. Sono qui da poco anch’io, come te. Andare in cerca di quella fonte di problemi ambulante non era esattamente la mia prima preoccupazione, anche se… - mi lanciò un’occhiata maliziosa, a quel punto. – Anche se sembra essere la tua –
Non dissi nulla. Sapeva benissimo di avere ragione. Inutile negare che, non appena mi ero svegliata, il mio primo pensiero era stato per lo shinigami. Pensiero involontario, ovviamente, ma rivolto a lui comunque.
- Pensi di andare subito a dargli la caccia, sempre ammesso che lui sia qui nei dintorni? – chiese d’improvviso il demone. Io alzai le spalle. Non avevo idea di dove cominciare, anche se avessi avuto l’energia necessaria per intraprendere una ricerca del genere.
- Posso chiederti una cosa, Sebastian? – gli chiesi a bassa voce. Lui si scostò un ciuffo di capelli corvini dagli occhi, ed annuì piano. Accavallò le gambe, ed appoggiò il mento sul palmo della mano.
- Perché hai ucciso Alicia? E perché hai scelto di seguire Dianoia, dopo? –
Stavolta fu lui ad alzare le spalle. – Non so perché ho voluto seguire Dianoia. Tu sai perché sei così attratta dallo shinigami rosso? Immagino di no. Lei mi piaceva e basta. E poi, lei era la parte di Alicia che aveva stretto il legame con me. Riguardo al perché ho ucciso lei, la questione è molto semplice: gelosia. Tu sei la sua metà incuriosita dagli dei della morte, e dovresti sapere che lei aveva evocato Grell Sutcliff -. Fece scivolare il viso verso il basso, portandosi stavolta le mani alla fronte. – Lei era la mia Astral. Non potevo sopportare che volesse avere con sé proprio lui. Ho perso la testa –
- Non hai provato ad uccidermi, pochi minuti fa, nonostante io l’abbia uccisa –
Lui sollevò di nuovo lo sguardo. – Che senso avrebbe avuto? Siete la stessa persona. E comunque, dubito che ci sarei mai riuscito. Ora sei molto forte. Più forte di me senz’altro –
Sprofondai di più nel divano. Aveva ragione. Ora ero più forte di lui, in tutti i sensi. Da quando avevo riaperto gli occhi nella Londra vittoriana, avevo percepito fisicamente che qualcosa in me era cambiato. Mi sentivo non diversa, ma piuttosto come se ci fosse qualcos'altro dentro di me, delle parti in più. Riuscivo a sentire che l'altra parte di Alicia, in quel momento capii, era tornata al suo posto, lasciandomi però il predominio. 
- Vuoi restare qui un po’? - domandò cautamente il demone.
Io alzai le spalle di nuovo. - Per il momento sarebbe comodo. Magari domani mattina vado a cercare Grell. Secondo te da dove potrei partire? -
- Vicoli bui, East End, tetti. Oppure dove c'è qualcuno che muore. O qualche luogo dove si trovino, ah... quelli come lui – e storse il naso.
- Bah, domani vedrò. Non dovrebbe essere troppo difficile. Potrei usarti come esca – scherzai.
Lui aggrottò le sopracciglia. - Credo che tu stessa sia un'ottima esca per attirarlo, lady Sofia – mormorò. Io gli rivolsi un mezzo sorriso.
Per il resto della giornata, restai alla villa di Ciel. Io e Sebastian ci ignorammo reciprocamente la maggior parte del tempo, lui impegnato a fare dio solo sapeva cosa, ed io a cercare di racimolare più informazioni possibili sulla città e sui recenti avvenimenti tramite i sistemi informatici quasi fantascientifici del mio bracciale, stranamente adattabili a qualsiasi luogo in qualsiasi tempo.
Nemmeno per cena interagimmo molto: lui non necessitava cibo, per cui rimasi per conto mio pure durante il pasto.
Lo salutai brevemente prima di andare a coricarmi, e lì finì il dialogo del giorno.
 
 
La mattina successiva mi svegliai presto. Lui era già in piedi. O meglio, era ancora in piedi dalla sera prima. I demoni non dormivano.
Non persi troppo tempo a gironzolare per la casa, e dopo aver fatto colazione, aver riempito una borsa di un po' di tutto, ed aver ripristinato il mio camuffamento da lady ottocentesca del giorno prima, diedi un saluto a Sebastian e me ne andai.
Dapprima girovagai senza meta, tanto per dare un'occhiata alla zona. Fu interessante studiare i comportamenti della gente dell'epoca, e molto utile a migliorare il mio camuffamento. In poche ore riuscii a imparare ed imitare i modi di camminare e di parlare delle nobili signore che passeggiavano per Londra. La parte più difficile fu copiare le loro espressioni altezzose e un po' schifate, perché ad ogni tentativo dovetti dare fondo a tutte le mie energie per non mettermi a ridere spudoratamente quando passavo loro davanti.
Nessuno mi disturbò, per fortuna, nonostante in quegli anni non era molto comune che una ragazza della mia età se ne andasse in giro senza un accompagnatore o una donna della servitù con me. Beh, dovevano solo provarci. Se avessero osato dire una sola parola, li avrei fatti pentire di aver imparato a parlare.
Mi presi il mio tempo facendo una breve passeggiata al St. James’s Park, tranquillo e pacifico come nella Londra moderna, nonostante ci fossero sempre diverse persone.
Mi sedetti sul prato, ringraziando di non aver messo un vestito su cui si sarebbero potute vedere delle macchie d’erba, e cercai di fare delle prime ipotesi su dove iniziare la mia ricerca.
Se Grell era in questo mondo invece che essere morto, doveva essere da poco tempo, come me e Sebastian. Se voleva era in grado di spostarsi molto velocemente, ma non credetti che fosse il caso: doveva essere confuso quanto me, anche più di me, ed era probabile che volesse capire come mai era tornato nel suo mondo invece che sparire e basta. Restare quindi nei paraggi del luogo dove si era ritrovato, era la cosa migliore da fare.
La prima cosa a cui pensai, fu l’East End, come aveva detto Sebastian. Non avevo idea di dove potesse essere apparso, in realtà, nemmeno un indizio, ma scartai poco dopo quest’ipotesi: non avrebbe avuto alcuna ragione di recarsi lì in questa situazione.
Non riuscii a trovare nessun’idea fondata, a dir la verità, per cui dopo venti minuti totalmente futili, mi alzai in piedi, decidendo di battere a tappeto la città, magari partendo dal punto in cui avevo ripreso conoscenza io stessa.
Digitai rapidamente sul bracciale, che avevo ben nascosto sotto ad ampie maniche e guantini di pizzo, cercando di creare un piccolo sistema per rendermi invisibile. Non ci misi troppo ad elaborarlo, ed una volta completata la programmazione, mi nascosi in un angolo dove molta meno gente passava e molti più alberi potevano celarmi, ed attivai la funzione.
Provai a verificare se effettivamente funzionasse passando a pochi centimetri da una donna graziosamente seduta sul prato assieme ai figli. Le avevo quasi sfiorato il naso, e lei non mi aveva degnata di uno sguardo, quindi dedussi di essere riuscita nell’intento.
Ora che ero nascosta agli occhi della popolazione londinese, potei tornare ad indossare la mia armatura. Quando l’ebbi addosso, tirai un sospiro di sollievo. Per quanto avessi sempre trovato molto belli i vestiti ottocenteschi, erano di una scomodità ineguagliabile. La gonna pesava ed intrigava, il bustino rendeva difficile respirare, oltre che far dolere il costato, e le scarpe non erano per nulla adatte a camminare per molto tempo.
Per la seconda volta nel giro di un anno, iniziai a dare la caccia allo shinigami scarlatto.
 
Per tutta la giornata, continuai a non aver fortuna. Setacciai tutta l’area entro un chilometro quadrato dall’angolo in cui ero al mio risveglio, tornando e ritornando nei vari punti della zona innumerevoli volte, per molte ore, ma non avevo notato nulla di strano o di rosso.
Nel tardo pomeriggio, delusa e stanca, mi appollaiai sulla cima di un palazzo, intenta a dare un’ultima occhiata panoramica. Feci penzolare i piedi dal cornicione, battendo ritmicamente il pesante tacco degli stivali contro il muro.
C’era una leggera brezza, un po’ freddina, ma niente di troppo forte da non poter essere contrastato dalle caratteristiche magiche dell’armatura Astral, studiata appositamente per ogni evenienza.
- Non ti sei ancora stufata? – ridacchiò una voce alle mie spalle.
Mi irrigidii. Stavo per voltarmi ed alzarmi in piedi, il più velocemente possibile, ma quell’individuo fu più rapido, e in un istante fu a pochi centimetri da me. Avevo a malapena fatto in tempo a pensare di muovermi.
Il secondo istinto fu di sfoderare le armi. In quel mondo, solo delle creature sovrannaturali non avrebbero trovato strano vedere una ragazza in minigonna e mantello seduta su un tetto, e soprattutto solo delle creature sovrannaturali avrebbero potuto vederla (forse) quando ella si era resa invisibile.
Ma non sfoderai le armi. A fermarmi fu una cosa che mi finì in faccia nel momento in cui il proprietario di quella voce chinò la schiena, da dietro di me: una lunga ciocca di capelli cremisi. O per meglio dire, una massa indomabile di capelli rosso fuoco che mi finì sugli occhi, accecandomi per qualche attimo.
- Tu! – esclamai, quando riuscii a togliermi quella roba dalla faccia, e per poco non scoppiai a ridere. – Da quanto mi stai seguendo? –
Finalmente mi girai a fronteggiarlo. Ed eccolo lì, che si divertiva alle mie spalle, con le lacrime agli occhi dalle risate. Rosso e bianco, con quegli occhi magnetici e quasi inquietanti. Dopo tutte le ore che avevo speso a cercarlo, si faceva vivo con nonchalance, come se nulla fosse. Insopportabile idiota.
- Da un bel pezzo – rispose lui, allontanandomisi di un passo. – Pensavo che stessi fingendo di non vedermi, ma a quanto pare mi sbagliavo. Sei davvero cieca! –
Ero combattuta tra il prenderlo a pugni e il saltargli addosso e farlo tacere con un bacio. Decisi di mettere pace ad entrambi gli impulsi, per cui prima lo scaraventai a terra con un colpo ben assestato allo zigomo, e dopo lo afferrai per la testa e premetti le labbra sulle sue.
- Non farlo più, mai più! Fatti uccidere di nuovo, e giuro che verrò a tirare fuori la tua anima dagli inferi per ammazzarti con le mie mani! – sbottai, corrucciando le sopracciglia.
Lui sorrise, stavolta dolcemente. – No, non lo farò – mormorò, allungando una mano ad accarezzarmi i capelli. – Non lo farò più – mi diede un bacio sulla fronte, sulla guancia, e di nuovo sulla bocca.
 
 
 
 
…..
Qui il mio racconto giunge al termine. Le parti della storia a cui non ho personalmente assistito, come premesso quando ho cominciato a narrare, le ho raccolte successivamente dalle testimonianze di altre persone. Proprio a questo fine sono tornata, una singola volta, nel mio mondo: per conoscere i dettagli che non conoscevo. Gran parte di questi mi sono venuti direttamente dai ricordi di Dianoia, che man mano hanno cominciato a riordinarsi nella mia mente.
 
Dopo quel singolo breve viaggio nel mio mondo, ho fatti ritorno alla Londra vittoriana, e nessun portale tra una dimensione e l’altra è mai più stato aperto da me. Restai lì dov’ero, assieme al mio shinigami. Ora, immortale come lui.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Note:
Ebbene sì, questa storia finisce. Ho avuto difficoltà a scrivere quest’ultimo capitolo, non sapendo esattamente come risolvere le cose. Avevo speso settimane a pensare ad una conclusione più epica, magari, ma ho finito per optare per un finale più semplice e tranquillo: gli scontri sono finiti, e finalmente voglio poter dire che vissero tutti felici e contenti. Più o meno.
Un profondo ringraziamento a tutte le persone che hanno letto, seguito o recensito questa fanfiction!
 
 
Un bacio.
Sofyflora98

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