Punto fermo

di alidipenna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Silenzi ***
Capitolo 2: *** Riflessioni ***



Capitolo 1
*** Silenzi ***


Era luglio ed io leccavo il mio gelato come non facevo da tempo, libero da ansie e paure. Quando stai per un lungo periodo lontano da casa spariscono anche i sapori; tutto si dissolve e inizia ad essere insipido ed insignificante, come il cibo. In questo caso, il piacere di un buon gelato, mi aveva fatto rinascere e mi aveva trasportato di nuovo a quel giorno di nove anni prima quando avevo portato mia figlia nella gelateria vicino a casa nostra. 
-"Papá, papá posso prendere quello grande?" Mi aveva detto, e io avevo subito annuito dando segni di complicitá; e mentre lei appiccicava il suo nasino alla vetrina e creava quell' alone di vapore con il respiro per guardare e scegliere accuratamente i gusti, io facevo segno al commesso di non esagerare nelle dimensioni del cono. Non avrei mai voluto che le venisse mal di pancia.
-"Hai scelto i gusti tesoro?" Le avevo chiesto 
-"Sì! Fragola e cioccolato, tanto cioccolato" mi aveva risposto subito con aria golosa. 
Il cono fu pronto in poco tempo e io la guardai mangiare con una felicitá immensa e il sorriso senza un dentino di chi del mondo conosce solo le cose piu belle. 
Tornai al presente. Quella non era esattamente la scena che si stava svolgendo davanti a me. La mia bambina era cresciuta, ormai era diventata maggiorenne e non mi chiamava più papá,ma per nome. Erano cambiate tante cose da quella calda giornata di nove anni prima. Ora la gioia che prima era di Cristina la vedevo in Anna, mia figlia minore. Anna aveva 9 anni ed era una bambina solare come se ne vedono poche al giorno d'oggi.
- "Anna non far sciogliere il gelato, leccalo intorno, dai che cola!" Le aveva detto Marco con tono affettuoso, come solo un fratellone sa fare. Lui era il mezzano, 15 anni e tante speranze. Mi rispecchiavo molto in lui, anche se non osavo dirlo. Marco mi guadava con la coda dell'occhio accennando un sorrisino, come quando la professoressa ti chiama alla cattedra dopo la lezione per chiederti qualcosa di personale, con uno sguardo fisso che ti penetra l'animo e tu cerchi solamente di evitare di farti intrappolare nel vortice di informazioni che avresti dovuto darle. Ecco io ero il professore, mentre lui sfuggiva ai miei sguardi e tirava avanti dicendo cose assolutamente impersonali. 

-"Allora Marco, quando mi presenterai la tua ragazza?" Avevo domandato per rompere quel muro di ghiaccio che si stava creando. 
-"Papá te l'ho detto è complicato, siamo amici e basta per adesso." Aveva risposto. 
-"Allora farai bene a dirle di venire alla grigliata di sabato prossimo!" Dissi con convinzione, "Ci penserò " aveva risposto. Poi con la testa china sulla sua coppa aveva ricominciato a mangiare. 
Il condizionatore del negozio aveva iniziato a farmi venire un leggero mal di testa ma convenivo che non fosse esattamente l'unica cosa che emanasse freddo in quel momento. Gli occhi di Cristina erano lucidi e azzurri, con una leggera sfumatura di giallo vicino alla pupilla, ereditati da mia mamma. Lei non mi parlava, non mi aveva piu parlato da quando ero tornato. Ancora non mi spiegavo del tutto perchè avesse innalzato questo muro nei miei confronti. Era girata di spalle rispetto a noi, seduta al tavolino a fianco, mangiava a piccole cucchiaiate quel gelato ormai sciolto di cui si capiva che non le interessasse. In mano aveva il suo smartphone e spostava il pollice avanti e indietro molto velocemente aiutandosi con il movimento del polso per mandare messaggi e tenersi compulsivamente in contatto con tutto il suo mondo digitale ed i suoi amici.
- "Cristina, girati, siediti con noi" le avevo detto esortandola ad avvicinarsi al nostro tavolo in modo da non rivolgerci più la schiena e far parte di una famiglia unita anche solo per il piccolo spazio dedicato ad un gelato. Lei non alzò la testa dal cellulare nè smise di scrivere per un momento, mi disse solamente con un filo di voce un no risoluto. 
Ciò che mi feriva maggiormente non era tanto quello che diceva, ma la freddezza con la quale si esprimeva, la noncuranza nei confronti della situazione. I suoi occhi erano fissi e le mani rigide, non muoveva un muscolo mentre parlava, sembrava che nemmeno la sua bocca si muovesse, solo un sottile soffio d'aria che passava tra i denti e appena articolato con un leggero movimento veniva fuori. Pagai i gelati ed uscimmo.  

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Capitolo 2
*** Riflessioni ***


Mi svegliai di soprassalto spalancando gli occhi, deglutii. L'orologio elettronico sul mio comodino segnava le 02.41. Mi girai verso mia moglie, dormiva; decisi di alzarmi. La casa era silenziosa, andai in bagno e mi lavai il viso, l’acqua fredda mi diede un po’ di ristoro, quello che bastava a farmi riacquisire un po’ di lucidità. Andai a vedere i bambini, Marco e Anna dormivano beati; così scesi in cucina e mi feci un tè, da sempre mi aiutava a calmarmi. Faceva molto caldo, uscii in veranda. Avevamo un dondolo, lo ero andato a comprare io anni prima in un negozio specializzato in attrezzature da giardino, quando Clara era incinta amava lasciarsi cullare dal dondolo nei pomeriggi di mezza estate. Sperando di provare lo stesso piacere cominciai a dondolarmi piano avanti e indietro. Lo avevo sognato ancora, ormai era così da tempo, mi tormentava. Un uomo in divisa, alto e dai capelli bruni, ritto e fiero di sé che punta una pistola verso un ragazzino che avrà avuto l’età di mia figlia minore e spara. Avevo visto quella scena senza aver avuto il potere di fare nulla per cambiare i fatti. Mi ricordo perfettamente i suoi pianti, il sudore a goccioline sulla sua fronte sporca di terra, un grido e poi il silenzio. Potevo sentire il suo dolore, potevo vedere attraverso i suoi occhi il viso del suo carnefice. Un brivido freddo mi risalii la schiena, scossi la testa. La psicologa diceva che era normale, un comune disturbo post-traumatico; insisteva col dire che ci voleva del tempo prima che potessi tornare a vivere tranquillamente. “Devi volerlo” mi ripeteva sempre. Io però non ero proprio convinto che fosse possibile tornare alla vita di prima, tutto era cambiato, ero cambiato anche io; la mia vita mi pareva un castello di sabbia pronto a crollare di nuovo alla prima folata di vento o a ripiegarsi su se stesso non appena il sole ne avesse asciugato la superficie. Benché sapessi bene di non poter più fare i lavori in giardino o dare una mano in casa non mi sentivo più utile niente, ero un’ombra d’uomo che non riusciva nemmeno a dormire tranquillamente. Anche come padre avevo fallito, Cristina mi rifiutava e Marco mi percepiva come un estraneo. L’unica che ancora non mi aveva abbandonato era Anna ed era la sola che mi desse la forza di migliorarmi. Fermai il dondolo e tornai in casa. Mi ricordai che Clara aveva insistito mesi prima per farmi prescrivere delle compresse che mi aiutassero a dormire, io non pensavo fosse il caso di prenderle e le avevo nascoste in una biscottiera sulla mensola che non veniva mai utilizzata, quella con i fiori blu. La presi e la aprii, erano lì; decisi di prenderne una. Una volta rimesso tutto in ordine tornai a letto, mia moglie dormiva ancora, girata dall’altro lato però. Feci piano per non svegliarla, anche se era difficile nelle mie condizioni. In attesa che la compressa facesse effetto iniziai a pensare a cosa mi portò ad arruolarmi, non mi ero mai soffermato a capire i motivi veri, forse era stata la brama di giustizia, anche se in guerra di giustizia c’è n’è ben poca… Mi abbandonai al flusso impetuoso dei miei pensieri e mi presto mi addormentai.

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