Reaching for something in the distance

di Eralery
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Last Year. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: First Step. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Inconsistencies. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: And if life doesn't wait? ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: Snitch and Touch. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: Don't let it break your heart ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: Mustaches and Socks ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8: Back Home ***
Capitolo 9: *** AVVISO ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Last Year. ***


primo capitolo revisionato

AVVISO:

questa storia è incompleta e non verrà finita. La versione revisionata e definitiva è ora in corso e la potete trovare: QUI: Sotto La Pelle.




Un grazie ad Annagiulia,
Un grazie a Silvia,
Un grazie ad Anna,
Un grazie a Marilisa,
Un grazie a Veronica.
E dovrei ringraziare tanta altra gente,
ma ora me ne sfuggono i nomi.

Reaching for something in the distance

Capitolo 1: Last Year.

Hogwarts esiste se noi continuiamo a crederci;
esiste per farci crescere e farci capire cosa sono l’amicizia e l’amore. 
Hogwarts esiste semplicemente per farci sognare.

Dopo giugno con il suo venticello un po’ caldo, luglio passò lento, sfociando poi in un caldo agosto e poi, finalmente, arrivò settembre.
Era strano come tutto le sembrasse diverso, estraneo.
Niente le sembrava più come prima. Forse per il pericolo imminente e nascosto, forse per paura, forse solo a causa di Hogwarts, che ormai rappresentava la sua idea di casa.
Lily guardava fuori dal finestrino posteriore dell’auto mentre la sua mente pensava alle misteriose stragi e alle sparizioni sempre più frequenti tra i babbani, ignari che, sotto il loro naso, una guerra imperversava, riempiendo il mondo magico di terrore da quasi cinque anni. Non riusciva a sopportare l’idea che, forse, un giorno avrebbe potuto sentire il nome di qualcuno a lei caro alla tv, tra i morti o tra gli scomparsi. Non si sapeva, poi, quale dei due casi fosse quello dal tasso più elevato, ma probabilmente quasi si equivalevano.
Con le restrizioni per salvaguardare i mezzosangue, Lily, non aveva ricevuto né inviato notizie.
La sola idea che fosse successo qualcosa alle sue amiche e lei non ne fosse al corrente la terrorizzava. 
«Lily… Lily? Tesoro, siamo arrivati!» la voce dolce della signora Evans la riscosse dai suoi pensieri. La ragazza annuì e scese dalla macchina per prendere il baule che il padre aveva tolto dal portabagagli.
«Forse è meglio se ci salutiamo qui» disse la rossa tenendo gli occhi bassi, ben attenta a non guardare i genitori negli occhi.
Il padre le mise una mano sulla spalla, lo sguardo pieno di sospetto misto a curiosità. «Tesoro, c’è qualcosa che dovresti dirci?» la voce del padre era calma, tranquilla. Loro non sapevano niente della guerra: Lily non glielo aveva detto, consapevole che se lo fossero venuti a sapere non avrebbero permesso che tornasse ad Hogwarts quell’anno.
«No! Ma vi pare?» la ragazza si sforzò di scoppiare in una finta risata che sapeva solamente di nervosismo, cercando di non far trasparire la preoccupazione e l’ansia che in quel momento l’attanagliavano.
«Sicura?»
La rossa annuì.
«D’accordo, piccola, allora noi andiamo».
La madre la strinse in un abbraccio stretto e colmo di affetto. «E’ stato bello averti con noi questi mesi. Anche Petunia l’ha detto».
Lily si astenne dal commentare e si limitò al fingere un sorriso; sapeva bene che la sorella non la sopportava: la credeva un mostro, e i suoi tentativi di farla ricredere sembravano non aver sortito alcun effetto.
«Mi mancherete» mormorò infine Lily, staccandosi dalla madre per salutare l’uomo.
«Anche tu, principessa» sorrise lui, guardandola trascinare il grosso bagaglio e sparire nel caos di King's Cross.

«Lily!».
La rossa si girò rapidamente, ma non fece in tempo a girarsi del tutto che un uragano dai capelli castani l’abbracciò di slancio, facendole quasi perdere l’equilibrio, mentre la sua borsa rovinava a terra.
«Sì, Mary, sono viva!» esclamò Lily, ridendo apertamente come non faceva da tempo.
La ragazza si staccò completamente da lei e le sorrise raggiante, e Lily si sentì finalmente bene, a posto con se stessa. Mary le era mancata, le era mancata tanto. Erano migliori amiche, e rivederla dopo due mesi era una sensazione bellissima. Voleva recuperare i mesi persi, di quello era certa.
«Ci mancava solo il contrario» la rimbeccò la bruna, con il sorriso che le si era incrinato pericolosamente.
Lily sapeva quanto l’amica odiasse parlare della guerra, più che altro perché aveva paura di perderla da un momento all’altro, o almeno così le diceva. E lei ne era certa, poiché provava la stessa cosa. Perdere Mary sarebbe stato sicuramente un brutto colpo, lei che era così disponibile e dolce nei suoi confronti, come in quelli della maggior parte delle altre persone - esclusion fatta per alcuni Serpeverde che era meglio non nominare mai in sua presenza.
Osservandola bene, Lily non si sorprese di vederla leggermente cambiata. Si era alzata un altro po’ e aveva tagliato i capelli, che ora le arrivavano sopra la metà schiena. La pelle si era un po’ scurita, ma sostanzialmente era rimasta chiara come al solito.
«Scusa, non volevo» mormorò appena, chinandosi a raccogliere la borsa che le era caduta.
Il sorriso tornò sul viso dell’amica, che le strizzò l’occhio e la trascinò verso il treno, per occupare il loro solito scompartimento – il terzo del quinto vagone.

Quando entrarono, vi trovarono già le loro tre compagne di stanza: Claire Carpenter, Alice Walker e Miriam Moore.
Alice leggeva un fumetto – probabilmente babbano, visto che i personaggi non si muovevano –, Claire guardava fuori dal finestrino e Miriam era in piedi e frugava nella sua borsa, con un sorriso enorme stampato sulle labbra.
«Ehi» salutò Mary, lanciando lo zaino sul sedile più vicino.
«Ce l’avete fatta, finalmente!» ridacchiò Miriam con voce leggermente acuta prima di abbracciarle entrambe e scoccar loro un bacio su tutt’e due le guance.
«Ma se siamo in orario perfetto!» protestò Lily con le sopracciglia aggrottate.
«Sì, okay, va bene» tagliò corto Alice, ridendo. «Sedetevi e chiudete la porta, ora, i ragazzini del primo anno quest’anno sono veramente chiassosi. Eravamo così anche noi, alla loro età?, così piccoli e rumorosi?»
«Ti rendi conto di star parlando come una vecchietta, tesoro, vero?» le chiese Miriam con un ghigno.
Alice la fulminò con un’occhiata ed evitò di ribattere, limitandosi a sospirare, rassegnata.
«Non ne ho idea, ma credo di no» disse Claire, parlando per la prima volta. «Sono veramente piccoli. Per il ‘chiassosi’… beh, dipende dal soggetto. Alcune persone sì, altre no».
«Sei stata illuminante, cara» le sorrise Miriam.
Alice borbottò qualcosa d’indistinto che attirò l’attenzione delle altre.
«Che?» chiese Lily, inclinando la testa di lato.
«Niente, mi era venuta in mente una battuta infelice» rispose, ma le altre le dissero di spiegare e così aggiunse: «Sapete com’è. ‘Illuminare’, ‘Lumos’…».
Mary scoppiò in una sonora risata, seguita a ruota da tutte le altre, e si appoggiò alla spalla di Lily con gli occhi lucidi. Le guance di Alice, nel frattempo, avevano assunto un colorito rosso a dir poco acceso. In confronto, tra poco, i capelli rosso scuro di Lily impallidivano.
In lontananza, sentirono l’orologio del binario battere le undici in punto e il treno iniziò a muoversi lentamente, sferragliando sui binari. Ben presto la stazione fu solo un puntino minuscolo che si allontanava sempre di più, mentre il treno correva lungo la strada che Lily, dopo sette anni, aveva imparato a riconoscere quasi del tutto.
La rossa osservò le amiche in silenzio, mentre loro prendevano a chiacchierare del più e del meno. Solo in quel momento si accorse di alcune pallide occhiaie che segnavano gli occhi di Claire, che sembrava veramente stanca.
«Tutto bene, Claire?» le chiese con dolcezza, attirando la sua attenzione.
Gli occhi scuri della ragazza erano palesemente stupiti, e chiese:
«Sì, perché?».
«Le occhiaie» disse appena Lily, e riuscì perfettamente a scorgere il lampo di spavento che passò per gli occhi dell’amica. Che le stava succedendo?
«Oh, quelle. Non è niente, non sono riuscita a dormire bene, nient’altro. Sta’ tranquilla» sorrise Claire con noncuranza.
Lily la guardò ancora un altro po’ prima di lasciar cadere il discorso, leggermente stranita, e prestare attenzione alla discussione delle altre. Stavano parlando di dolcetti e ragazzi, dal poco che aveva ascoltato.
«Anche Davies, quello al settimo anno di Tassorosso, è carino» stava dicendo Alice, con un alzata di spalle.
«Già» concordo Miriam con la solita voce trillante e allegra. «Ma tu hai già Frank, quindi ci proverò io».
Alice sospirò e scosse la testa, divertita. «Non cambierai mai. E poi, io stavo solo facendo un’innocua osservazione».
«Dai che stavo scherzando, cara» ridacchiò l’altra, muovendo la testa, i capelli che seguivano i suoi movimenti strani.
Lily sorrise a vederla così: Miriam era sempre stata la più svagata del gruppo, con i suoi capelli biondi lunghi fino alle spalle e il tono spesso trillante, molto trillante. Faceva ridere, a volte, ma lei non se ne curava e tirava dritto restando sempre la stessa. Lily l’ammirava per quello, perché non cambiava mai, nonostante molte persone la giudicassero pazza. Si piaceva così, e, Lily ne era sicura, non avrebbe cambiato niente di se stessa.
«Avete una copia della Gazzetta?» chiese poi, ad un certo punto, dopo aver visto passare fuori dalla porta dello scompartimento un ragazzino di Tassorosso con in mano il suddetto giornale. Una strana sensazione si era fatta largo in lei, e non era solo semplice, pura curiosità. C’era qualcos’altro.
Alice lanciò un’occhiata in tralice alla sua borsa, posizionata sopra la reticella, nervosa.
«Su, Lily, possiamo pensarci dopo ad un giornale?» tentò, sforzandosi di sorridere.
«No» rispose, titubante.
Cos’era successo? Cos’altro era successo?
Alice sospirò e si alzò dal suo posto per aprire la borsa e tirarne fuori una copia un po’ sgualcita della Gazzetta del Profeta. La guardò un attimo con aria indecisa, come se stesse valutando se passargliela sul serio o se lanciarla fuori dal finestrino dello scompartimento. Probabilmente avrebbe preferito la seconda ipotesi.
«Tieni» mugugnò e gliela porse, restia e riluttante.
Lily le lanciò uno sguardo di sbieco e poi si concentrò sul giornale, cercando di ignorare le altre, che la guardavano con la coda dell’occhio mentre cercavano di parlare normalmente come prima. In prima pagina spiccava il titolo “Marchio Nero brilla non molto lontano da Edimburgo. Dove vogliono arrivare?”.
La bocca le si aprì leggermente, mentre leggeva l’articolo. Raccontava che una famiglia di babbani, di cui il figlio era l’unico mago, era stata uccisa nel sonno di quella stessa nottata. Ad Edimburgo. In Scozia. Ed Hogwarts si trovava in Scozia, da qualche parte. Una morsa allo stomaco le mozzò il respiro per alcuni secondi, e lei cercò di digerire la storia assieme al groppo che le aveva serrato la gola in una stretta fastidiosa.
«Che schifo» disse infine, gettando il giornale sul sedile vuoto davanti a lei e guardando un punto imprecisato fuori dal finestrino. La famiglia di Babbani del giornale sarebbe potuta essere anche la sua.
«Per questo ti avevamo detto di non leggerlo, Lils» le ricordò Mary, abbozzando un sorriso. «Almeno il primo giorno dovevi godertelo alla meglio. Mi dispiace».
«Ti dispiace? Ma per cosa? Non dire più niente del genere, non è colpa tua» esclamò Lily e scosse la testa, facendola sorridere dolcemente. «Se loro sono… dei pazzi la colpa è solo di una persona, e non sei tu, Mary».
«Lily, ignorala. È la sua mania da protagonismo, dai» disse Alice, facendo protestare Mary e sorridere le altre, ancora un po’ scosse dall’articolo che Lily aveva appena letto per ridere senza pensare a null’altro.

***

 

Remus era appoggiato alla porta dello scompartimento che aveva occupato assieme a Peter e aspettava gli altri due amici, mentre l’altro stava sistemando il baule sulla reticella con un sonoro sbuffo. Sorrise, e nessuno avrebbe potuto pensare che un ragazzo con quel sorriso potesse aver vissuto l’ennesima luna piena nemmeno quattro giorni prima – ma loro non sapevano, loro non sapevano della voglia che aveva di tornare ad Hogwarts, perché per lui Hogwarts era tutto.
Poi, d
alla porta ancora aperta del treno spuntarono due teste corvine che il licantropo riconobbe immediatamente e si raddrizzò. I loro sorrisi, di rimando al suo, furono come due calorosi “Bentornato a casa, Moony”, e furono i più bei saluti di bentornato che ricevette mai.
«Sempre in ritardo, voi due?» la voce calda di Remus li accolse, e Sirius e James si sentirono subito a casa, un po’ come era già successo con il licantropo.
«Ciao anche a te, Moony!» esclamò James, sorridente, e poi caricò il grosso bagaglio accanto a quello di Peter. «Ciao, Wormtail!».
«Ciao, ragazzi!».
«Ehi, Peter!» lo salutò calorosamente Sirius, prendendogli la testa sotto il braccio e scompigliandogli i capelli chiari con la mano chiusa a pugno, divertito.
Dei ragazzini che passavano lanciarono loro sguardi perplessi, a cui Sirius rispose con un’occhiata penetrante e anche leggermente inquietante. Spesso la gente si chiedeva che ci facesse Peter tra loro, ma lui era un buon amico e un’ottima persona, su questo non si poteva discutere – e Sirius e James avrebbero facilmente pestato chi avesse osato dire il contrario.
«Di buon umore, eh?» chiese Peter, divertito, quando Sirius lo lasciò finalmente andare, andando a sedersi sul sedile più vicino alla porta e stese le gambe sul sedile vuoto che aveva davanti, mentre Remus protestava debolmente qualcosa che aveva a che fare con la pulizia e l’igene.
«Decisamente» assentì Sirius, annuendo, solenne. «Quest’estate ho fatto una grande scoperta, mentre ero da James».
«Illuminaci» sorrise Remus.
«Conoscete le moto? Sapete, quelle cose a due ruote che i babbani usano per muoversi» riprese Sirius, e, ad un cenno affermativo da parte degli amici, continuò: «Ecco, quelle. Le trovo fantastiche. I babbani, alla fin fine, non sono così sprovveduti!». Detto ciò, tirò fuori dallo zaino una rivista di moto babbane e mostrò agli amici i vari tipi di moto che comparivano nelle immagini che popolavano le pagine.
«Solo per le moto?» chiese Peter, perplesso, grattandosi una guancia.
«Non sono pazzo!» si lamentò Padfoot, scocciato.
«Sicuro?».
Dopo un’estate intera passata a sentirlo parlare di moto, James si era stufato e aveva iniziato a prendere in ‘seria’ considerazione l’ipotesi che l’amico fosse impazzito.
«Infedeli… Sono un genio, io» esclamò Sirius gonfiando il petto.
«Se lo dici tu» rise Peter, guardando quegli amici che, ora ne era sicuro, non avrebbe mai tradito.



***

 

La sua mano scattò, rapida, ed arpionò con forza la maniglia della porta scorrevole. Si sentì un clangore metallico appena accennato che la fece rabbrividire e sobbalzare leggermente ed entrò di corsa.
«Scusate il ritardo!» esclamò con il fiatone, mentre i Prefetti all’interno del vagone puntavano lo sguardo su di lei.
Lily scorse dei piccoli ghigni sui volti degli altri e si guardò attorno con sospetto. Quando i suoi occhi si posarono su James Potter e la sua spilla rossa da Caposcuola, la ragazza credette di essere davvero impazzita. Anzi, no, crebbe che Silente dovesse aver perso il lume della ragione. Chi, sano di mente, avrebbe mai assegnato la carica di Caposcuola ad uno come Potter?
Senza rendersene conto, scoppiò a ridere istericamente, stringendo i fogli che aveva in mano, le nocche pallide e i capelli rossi e scarmigliati che le davano un’aria da folle.
«Potter?» domandò con voce più acuta del normale, cercando di calmarsi.
Sul volto di James si fece largo un grosso, enorme sorriso a trentadue denti. Lily avrebbe voluto cancellarglielo dalla faccia, quel sorriso. Però, si ritrovò a pensare, effettivamente non era come i ghigni che era solito rivolgerle.
«Ehi, Evans» la salutò tranquillamente, tornando poi a guardare gli altri Prefetti. «Dicevo: quest’anno le ronde non le svolgeremo più da soli, ma a coppie, per ragioni di sicurezza. Le coppie sono assortite un po’ a caso per ora, ma non appena verremo a sapere degli orari degli allenamenti di Quidditch delle varie Case li cambieremo, ovviamente».
La Caposcuola lo guardò stranita: davvero Potter l’aveva ignorata? No, non l’aveva ignorata; dopotutto l’aveva salutata.
Ma che mi importa se Potter mi ignora o meno?, si chiese dandosi della scema da sola.
«Gli orari dovrebbe averli Evans» riprese James, rivolgendole lo stesso sorriso di poco prima. «Ce li hai tu, non è vero?».
«Uh? Oh. Sì, ce li ho io» rispose, porgendogli i fogli che aveva in mano e lanciando un’occhiata sbieca alla sua schiena magra. Il ragazzo li osservò un attimo, stupito di averli trovati leggermente stropicciati, vista l’accuratezza che Lily solitamente applicava per ogni cosa.
«Okay» proseguì, iniziando a consegnarli per lo scompartimento, ignorando la smorfia che si dipinse sul volto di uno dei Prefetti di Serpeverde. «Se avete qualche problema con orari o compagno siete pregati di farcelo sapere, in modo da organizzarci al meglio».
Lily si appoggiò alla parete e osservò i presenti nel vagone: due ragazze di Corvonero stavano chiacchierando a bassa voce, facendosi scappare una risatina di tanto in tanto, indicando qualcosa sugli orari; un ragazzo di Tassorosso che sorrideva ad una Grifondoro del sesto anno. Durante il suo giro d’ispezione incontrò due occhi neri e malinconici che la fissavano, ma spostò rapidamente lo sguardo. Notò che Remus sorrideva ed annuiva in direzione di Potter, come compiaciuto; probabilmente vedere il suo amico comportarsi così bene lo rendeva orgoglioso. Effettivamente, per alcuni versi Remus assomigliava un po’ a una chioccia – ma c’era anche da dire che, per quanto fosse carismatico, James Potter aveva un modo di comportasi del tutto particolare, e questo era innegabile.
James tornò accanto a lei e Lily si scostò leggermente, anche se non sapeva bene nemmeno lei perché l’aveva fatto. Perché è Potter e non lo sopporto – pensò, mentre lui le lanciava un’occhiata strana.
«Bene. Sappiamo tutti cosa sta succedendo lì fuori, e non possiamo far finta di niente. Sarebbe bene che collaborassimo tutti, gli uni con gli altri. D’accordo?».
Cori di “sì” e di “certo” anche un po’ stanchi arrivarono alle orecchie dei Caposcuola, che annuirono. Lily teneva gli occhi bassi.
«Abbiamo finito» li liquidò James, girandosi verso Remus e avvicinandosi a lui per parlare. Lily li aspettò in disparte, guardandoli con la coda dell’occhio, nel frattempo che gli altri uscivano lentamente dal vagone e andando scemandosi per il treno. Quando i due finirono di parlare e se la ritrovarono davanti, Potter aggrottò le sopracciglia, perplesso, mentre Remus le sorrise calorosamente.
«Ehi» la salutò quest’ultimo, alzando una mano in gesto di saluto.
«Ciao» rispose la ragazza, ricambiando il sorriso.
«Che ci fai ancora qui, Evans?» chiese invece James, e nella sua voce Lily non trovò la solita nota beffarda ma solo pura curiosità. Se ne stupì. «La riunione è finita più di cinque minuti fa».
Lily spostò il peso dalla gamba destra alla sinistra, mordendosi l’interno guancia. Già, perché era rimasta?
«Dovevo… parlare con Remus» disse rapidamente, sforzandosi di non smettere di sorridere, mentre il sopracitato cercava di reprimere un sorrisetto.
«Ah. Okay. Vi aspetto fuori, allora» detto questo, il ragazzo uscì dallo scompartimento chiudendosi la porta alle spalle. Remus lo seguì con lo sguardo finché James non si appoggiò alla porta, dando loro la schiena.
«Che dovevi dirmi?».
«Oh. Ehm. Ecco, vedi-» iniziò Lily, prendendo a gesticolare forsennatamente.
Remus ridacchiò sommessamente. «Ho capito: era una scusa» disse, facendola arrossire di vergogna.
Beccata.
«Non glielo dirò, tranquilla» aggiunse poi, anticipandola.
Lily distese le labbra in un sorriso caldo e annuì. «Grazie, Remus».
«Ma figurati. Ora usciamo, altrimenti James mi affattura».
Lily tentò di bloccarlo per chiedergli cosa intendesse, ma Remus aveva già aperto la porta, facendo quasi cadere James. La ragazza non riuscì a trattenere un sorriso sardonico.
«Avete già finito?» domandò, stupito.
«Guarda che non tutte le persone si chiudono negli scompartimenti per dare sfogo ai loro istinti ormonali, Potter…» mugugnò lei, infastidita.
James batté più volte le palpebre, preso in contropiede. «No, certo, ma io non intendevo ques-» iniziò, ma venne bloccato precocemente, e lui pensò bene di tacere.
«Non mi interessa» con queste tre parole Lily pose fine al discorso, arricciando leggermente gli angoli della bocca in quello che doveva essere un accenno di sorriso. «Devo andare».
«A dopo» sorrise Remus, chiudendo la porta scorrevole dello scompartimento.
Mentre la ragazza spariva dietro la porta del vagone con uno svolazzo dei capelli rossi, James mormorò appena: «Questo è l’ultimo anno in cui potrò vederla».
Remus gli posò una mano sulla spalla e sospirò.
«La verità non è sempre quella più in mostra» disse, iniziando a camminare.
James si affrettò a raggiungerlo, cercando di capire il senso di quella frase.

 

***

 

Non è cambiato niente.
Era quello il pensiero che aleggiava nella mente acuta e sveglia di Lily Evans, mentre camminava in mezzo alle tavolate delle quattro Case per raggiungere la sua.
Il soffitto era la copia sputata del cielo scuro di quella sera, e le candele rendevano tutto più suggestivo. Più magico, in un certo senso.
Per una Nata Babbana come lei, tornare ad Hogwarts dopo due mesi era qualcosa di bellissimo. Avere contatti con il suo mondo le era mancato spesso, specialmente quando, a casa sua, non riusciva a sentirsi al posto giusto. Quando si sentiva fuori luogo persino nella casa dove aveva passato l’infanzia, il pensiero di Hogwarts e le sue amiche riusciva a calmarla.
Dopo aver passato in rassegna le persone sedute ai tavoli, riuscì finalmente a scorgere le proprie amiche, che, tranquille, chiacchieravano. Un sorriso le illuminò spontaneamente il volto e le raggiunse. Si sedette accanto a Mary proprio quando il professor Silente si alzò dal suo posto per iniziare a parlare.
«Miei cari ragazzi, so che sarete stanchi e affamati, ma prima di far gioire la nostra pancia dovremo pazientare ancora un po’». Silente sorrise e fece un cenno con la testa alla professoressa McGranitt, che, rigida come sempre, aprì il grosso portone di quercia facendo entrare i bambini che dovevano venir smistati.
«Bicket, Lauren» chiamò la professoressa, quando tutti i nuovi studenti furono entrati.
Una ragazzina dai capelli neri e gli occhi castani si fece largo nel gruppetto fino ad uscirne, per andare a sedersi sullo sgabello. La McGranitt le mise in testa il Cappello Parlante, che rimase in silenzio per qualche minuto, prima di esclamare:
«Corvonero!».
Susseguirono altri due bambini che vennero smistati a Tassorosso, mentre Lionel Bilman finì a Serpeverde, tra gli applausi di quella Casa.
Dopo un po’ Lily fece spazio a Kora Russel, che le si sedette accanto, lanciandole un gran sorriso.
Poco distante, James continuava, di tanto in tanto, a lanciarle occhiate di sottecchi, curioso; il comportamento adottato dalla ragazza, in treno, l’aveva lasciato perplesso, così come la frase ambigua di Remus.
«Ehi, ciao piccolo!» esclamò Mary, sorridendo a un bambino biondo di nome Charles Ribey.
Passarono una ventina di minuti e lo Smistamento volse al termine, stupendo la maggior parte degli studenti più grandi. Quell’anno i nuovi studenti erano solo trentacinque, poiché molte famiglie avevano iniziato ad insegnare la magia a casa, visti i tempi che correvano.  Avevano bisogno di avere i propri bambini vicini.
E dire, invece, che Lily era dell’opinione che non ci fosse al mondo luogo più sicuro di Hogwarts. Lì, tra quelle quattro mura, tutto sapeva di casa, di un posto dove nessuno avrebbe potuto anche solo sfiorarli. Si sentiva al sicuro.
«Bene. Adesso che si è conclusa la cerimonia dello Smistamento direi di passare alle cose importanti, prima di sfinirci con i deliziosi piatti che sono stati preparati» iniziò Silente, serio. «Come ben sapete, il Mondo Magico è in pericolo. Immerso nel pericolo fino al collo, oserei dire, a causa della guerra che stiamo combattendo contro Lord Voldemort» - qualcuno rabbrividì al solo sentirlo nominare, mentre altri, decisamente meno, abbassavano lo sguardo – «e i suoi seguaci. Sono tempi bui, quelli che ci aspettando, ma non date tutto per perso. Voi siete la nostra speranza migliore; solo uniti riusciremo a sconfiggere Voldemort e a ristabilire la pace nel nostro mondo e in quello dei Babbani».
La mano di Mary scattò verso quella di Lily e la strinse con forza, forse troppa, ma quel gesto era stato talmente normale che nessuna delle due se ne accorse. Accedeva sempre che, quando s’intavolava il discorso guerra, Mary scattasse su come una molla e stringesse Lily in un abbraccio di ferro. Una stretta di mano, in confronto a quegli abbracci, non era niente.
«Dalle notizie che ho,» riprese Silente, abbassando di poco la voce, «Voldemort ha dei seguaci anche in luoghi che ora non mi è permesso di nominare, ma che si trovano molto, molto vicini a noi. È un dispiacere immenso per me dover sospettare di tutti quanti, anche di voi; è orribile sospettare anche che tra i miei studenti ci sia qualcuno che lo segue e che crede nei suoi propositi. Ma non riesco nemmeno lontanamente a immaginare che tra voi possa nascondersi un Mangiamorte» - qualcuno sgranò gli occhi e si guardò attorno, come a cercare qualcosa a cui prima non aveva nemmeno pensato - «Ma la strada che prenderete verrà da sé, in base alle scelte che farete, in base a ciò che ritenete più giusto e corretto. In base a ciò per cui volete lottare. E ora, buon appetito!».
Il preside batté le mani e, magicamente, i piatti dorati si riempirono di ricche pietanze.



***


Si fermò a contemplare la sua Sala Comune con le palpebre leggermente abbassate, i colori caldi della Sala che, sommati al tepore in cui era immersa, facevano venir caldo anche solo a tenere gli occhi aperti.
Passò dei minuti così, ad osservare il via vai di studenti che salivano o scendevano dalle scale a chiocciola, prima di decidersi a raggiungere anche lei la propria stanza.
Salì le scale a due a due e aprì la porta di legno scuro, trovando le sue amiche già impegnate a sistemare le proprie cose.
«Lily, eccoti!» esclamarono Mary e Miriam sbucando fuori dal bagno, sorridendo, la prima con in mano una confezione di quello che doveva essere shampoo.
Si sentì a casa.










La fanfiction è ambientata durante il Settimo Anno dei Malandrini, quando Lily e James dovevano ancora iniziare a frequentarsi. Sinceramente, non penso che lei abbia cambiato idea così, di punto in bianco, ma che abbia cominciato a rivalutarlo verso la fine del sesto anno, anche se è un po' restia ad ammetterlo; per questo motivo, qui possimo già vedere una Lily con dei pensieri un po' contorti, e che sappiamo bene dove la confurranno.
I  ringraziamenti già li ho fatti, ma li rinnovo, perché ci sono state un sacco di altre ragazze gentilissime nei miei confronti e nei confronti di questa storia. Sì, Silvia-Tef, Aras, Francesca, sto parlando con voi, splendori. ♥
Questa, per chi non lo sapesse, comunque, è la seconda 'edizione' - chiamiamola così - di Reaching for something in the distance, ma credo - anzi, ne sono quasi del tutto certa - che sia meglio della prima.
Spero vi sia piaciuto questo primo capitolo, ovviamente ogni parere è il benvenuto e sono pronta a ricambiare ogni recensione ricevuta.
Il prossimo capitolo lo pubblicherò sabato 4 febbraio. ^^
A presto, 
Er.



Se vi interessa, il gruppo facebook è QUESTO.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: First Step. ***


Capitolo 2- Reaching

Alla magnifica SilDaph:
ti adoro.


Capitolo 2: First Step

«Oh, baby, baby, it's a wild world
It's hard to get by just upon a smile (…)
But just remember there's a lot of bad and beware
»
(Cat Stevens - Wild World)


Nei due mesi di vacanze estive tutti si erano abituati ai propri letti che, fedeli, rimanevano sempre lì. Tornare ad Hogwarts e risvegliarsi nei suoi bellissimi letti a baldacchino era un po’ scombussolante, questo è da dire. 
Due occhi castano ambrato si aprirono nella penombra della stanza bardata di rosso. Remus accarezzò il tessuto della coperta che lo copriva fino alle costole, leggermente stordito dal non essersi ritrovato tra le coperte verdine della sua camera a Marloes. Quelle erano rosse, rosso scarlatto.
Un solo pensiero gli balenò per la testa, facendolo sorridere stupidamente: Hogwarts.
Il sorriso gli morì sulle labbra quando si ricordò con chi divideva la stanza.
Con un movimento brusco della mano destra si scostò le coperte da addosso e posò i piedi sulla moquette, cercando di non far troppo rumore mentre sbadigliava.
Vide Sirius muoversi sotto le coperte e decise che sì, doveva decisamente sbrigarsi.
Camminò rapidamente in punta di piedi fino al bagno, entrò e poi si chiuse la porta dietro.
Aprì il rubinetto e, dopo aver osservato l’acqua per una manciata di secondi, come imbambolato, iniziò a lavarsi.
Quando uscì si accorse che James aveva gli occhi aperti e guardava insistentemente la finestra dalla quale filtrava un po’ di luce. Si avvicinò e lo guardò dall’alto, sorridendo.
«Ehi».
«Uhm» mugugnò James con un sorriso sornione stampato sul volto ancora leggermente addormentato. «Sembri mia madre».
Remus ridacchiò e si strinse nelle spalle, dicendo: «Sarà, ma ti conviene alzarti, altrimenti Sirius occuperà il bagno prima di te».
«Hai ragione come sempre, mammina» con un ghigno, James si alzò dal letto e barcollò verso il bagno, ridacchiando di tanto in tanto.
Dopo un po’ la testa corvina di Sirius fece capolino dalle coperte, e il proprietario, con la sua solita grazia, riuscì a svegliare Peter, Frank e Jack in un colpo solo.
«A quanto pare non è cambiato niente: Sirius fa casino e sveglia tutti» brontolò Frank, girandosi sotto le coperte e affondando il viso nel cuscino candido e comodo. Fece per tirarsi le coperte fin sopra la testa, ma riuscì a coprirne solo i tre quarti, poiché era troppo alto per starvi tutto.
«Siamo tornati alla normalità, caro Frank. Te l’avevo detto che non avremmo avuto più pace, con questi qui in camera» disse Jack, ma in realtà sorrideva, allegro.
«Guardate che vi sento!» esclamò Sirius con la voce impastata dal recente sonno. In risposta gli arrivò un cuscino in pieno viso. «Che tu sia maledetto, Paciock!» ululò, scoppiando nella sua risata così simile ad un latrato.
«Prongs, hai fatto?» chiese Peter, bussando alla porta del bagno mentre Sirius camminava invano per la stanza, quasi fosse ubriaco, fischiettando allegramente il motivetto di una canzone babbana che la radio aveva trasmesso d’estate almeno dieci volte al giorno.
«Datemi un momento!» gridò James dal bagno, dal quale si sentiva lo scrosciare insistente della doccia.
«Vestiti, tu, idiota!» esclamò Remus, guardando Sirius dalla superficie dello specchio in cui stava osservando con aria critica il nodo della propria cravatta rosso-oro.
«E smettila, nemmeno sono nudo!» rise Sirius, rilanciandosi sul letto proprio mentre James usciva dal bagno.
«Ho fatto, oh!».
Sirius scattò a sedere e, sotto lo sguardo di tutti i presenti, gridò: «Wormtail, provaci e ti uccido!».
Ma, nemmeno a dirlo, Peter aveva già varcato la porta, chiudendosela alle spalle. 


***


Con una certa dose di decisione si portò le mani, strette a pugni, agli occhi per stropicciarseli. Si rigirò nel letto per una manciata di minuti prima di alzarsi dal letto e rabbrividire al cambiamento di temperatura, che, dal caldo sotto le coperte, era decisamente calata. 
Entrò in bagno con passo barcollante, si tolse il pigiama azzurro e si mise sotto la doccia senza pensarci due volte. L’acqua le scivolava sulla pelle liscia e le bagnava i capelli, facendola sorridere per la piacevole sensazione. Finita la doccia, uscì e si guardò allo specchio: i capelli castani e bagnati le incorniciavano il viso leggermente tondo; gli occhi azzurri ormai svegli la scrutavano attentamente, cercando di trovare diversità dal ricordo che aveva della se stessa di un anno prima. Non era cambiata poi molto, si era alzata un po’, sì, ma in sostanza era sempre la stessa.
Con una scrollata di spalle e un colpo di bacchetta di asciugò i capelli e li raccolse in una treccia prima di tornare in stanza.
Seduta sul proprio letto a gambe incrociate, Lily osservava la porta scura della stanza con apparente interesse. Mary si avvicinò lentamente, bene attenta a non svegliare le altre, e si sedette sul materasso accanto a lei.
«Che succede?» domandò tranquillamente con voce bassa.
Lily girò il viso verso di lei e le sorrise, abbracciandola. «Mi eri mancata».
Mary aggrottò le sopracciglia, spaesata, per poi ricambiare l’abbraccio. «Anche tu. Come mai me lo dici ora? Ci siamo riviste ieri».
La rossa si strinse nelle spalle e trattenne malamente un sospiro.
«Mi siete mancate tutte, lo sai che avevo paura di- di non trovarvi più, quest’anno» mormorò appena, alzandosi dal letto e infilandosi le ciabatte senza staccare gli occhi verdi da quelli dell’amica, che aveva tremato appena.
Mary si alzò a sua volta e l’abbracciò nuovamente. «Siamo qui, perciò smettila di preoccuparti. Siamo qui, e vogliamo goderci questo dannatissimo, settimo anno. Con te. Chiaro?».
Lily annuì e sorrise, sciogliendo l’abbraccio.
«Vado a lavarmi» avvisò, avviandosi verso il bagno. «Ti voglio bene».
«Lo so. Non è cambiato e non cambierà niente, Lily, non preoccuparti». 
Ma Lily era già entrata in bagno, e Mary non sapeva se lei avesse sentito le sue parole; parole che, perlopiù, dovevano convincere se stessa, oltreché Lily.
Non sarebbe cambiato niente, mai. Aveva bisogno di crederci.


***


«Benvenuti, ragazzi» cominciò Vitious. «Come ben sapete, questo è il vostro ultimo anno, e credo che non serva a nulla sottolineare che alla fine dovrete affrontare i M.A.G.O.. Dopodiché, avrete finalmente messo il punto al capitolo “scuola” e andare avanti» - qualcuno si scambiò delle occhiate con gli amici, sogghignando appena – «Questo sarà un anno particolarmente difficile, come avrete già immaginato. Abbiamo un numero ridotto di ore, e quel che dobbiamo fare è tanto, forse troppo, ma sono sicuro che potrete farcela. Dopotutto, siete arrivati alla fine».
Vitious sorrise alla sua classe, orgoglioso: erano arrivati al traguardo. Sinceramente, non si era aspettato di vedere così tanti – certo, erano solo diciotto, ma con i tempi che correvano erano tanti – studenti al corso di Incantesimi per i M.A.G.O.; molti alunni avevano infatti lasciato Hogwarts per proseguire gli studi a casa, dove, secondo i genitori, erano più al sicuro.
Una Tassorosso alzò la mano e chiese: «Cosa studieremo, di preciso, professore?».
«Inizieremo con un ripasso di tutto ciò che abbiamo fatto in questi anni, poi inizieremo l’Occlumanzia e la Legilimanzia, per passare ad un approfondimento di alcuni incantesimi che potranno rivelarsi molto utili, e forse anche l’Incanto Patronus» rispose il professore, sorridendo quando un mormorio entusiasta si levò dai banchi, mentre i ragazzi parlottavano tra loro, sotto il suo sguardo divertito. 
«Faremo meglio ad iniziare, ora. Parlerete dopo» sorrise sornione, da sopra la sua solita pila di libri. «Ora, chi si ricorda qual è l’incantesimo per aprire le porte chiuse?».
Molte mani scattarono in alto, mentre Vitous continuava a sorridere, ora malinconicamente. Il solo pensiero che l’anno successivo non si sarebbero ritrovati più ad Hogwarts, ma fuori, allo scoperto, lo faceva rabbrividire.
Non poteva sapere quanti di loro sarebbero sopravvissuti così a lungo da vedere la caduta di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato.


***


I Malandrini camminavano per i corridoi di Hogwarts, chiacchierando e ridendo tra loro. 
Sembravano passati anni dall’ansia del pre-ritorno a scuola, che non aveva allentato la stretta attorno ai loro cuori nemmeno per una giornata. Avevano passato quasi tutta l’estate l’uno in ansia per l’altro, con la paura che potesse succedere qualcosa a Remus, a Peter, a James o a Sirius senza nemmeno saperlo, nonostante si fossero visti praticamente ogni due giorni.
Avevano passato l’estate a guardare ogni mattina la copertina della Gazzetta, sperando di non trovare mai il nome di uno di loro tra i morti.
«Quindi non sei diventato Capitano, Prongs?» lo sfotté apertamente Sirius, dandogli una spallata amichevole, facendogli quasi cadere gli occhiali dal naso un po’ lungo. «Anche Jack è più bravo di te, a quanto pare!».
«Smettila, cane» si lamentò James, facendo per portarsi una mano alla spalla offesa, per poi cambiare idea. Sarebbe apparso poco virile, dopotutto. «Che poi Jack è bravo. Non quanto me, certo, ma è bravo anche lui» sorrise.
«Ah, beh, era ovvio! Come ho fatto a non pensarci prima?» continuò Sirius, mentre Remus e Peter ridacchiavano sommessamente. «Non ti hanno scelto perché sei troppo bravo!».
James gemette e guardò Remus, quasi implorante, che annuì bonariamente. 
«Forse non poteva assumere due cariche contemporaneamente» ipotizzò Peter, sorridente, battendo Remus sul tempo. «Dopotutto è già Caposcuola, no? Forse dargli anche il ruolo di Capitano era troppo».
James batté le mani e guardò Sirius, gongolante. 
«Visto?» chiese retoricamente.
Sirius sbuffò e roteò gli occhi, un accenno di sorriso sulle labbra: dopotutto, si stava divertendo anche lui. «Sei un pallone gonfiato, Prongs» rispose a tono, sogghignando poi all’espressione basita dell’amico.
«Non sono un pallone gonfiato!» ribatté James, convinto. «Perché dici così?».
«Non sono l’unico, amore» gli ricordò Sirius, con voce affettata, sbattendo ripetutamente le ciglia.
Le guance di James diventarono immediatamente rosse, un po’ per l’indignazione un po’ per la rabbia, e sibilò: «Non sei divertente».
Sirius gli si avvicinò e gli batté una mano sulla spalla. 
«E piantala! Stavo solo scherzando, razza di demente» esclamò, scoppiando poi a ridere, mentre Remus si appoggiava alla spalla di Peter per non farsi vedere.
James imprecò contro di loro, e Sirius disse ad alta voce: «Penso sia arrivato il momento di trovare una ragazza a Remus!».
Il ragazzo chiamato in causa scattò su e lo guardò con gli occhi sgranati, allontanandosi leggermente da Sirius e riprendendo a camminare borbottando cose come: «Ma tu sei tutto matto».


***


Settembre passò e i ricordi sbiadivano lentamente con lui, lasciando il posto ad ottobre e il suo manto fatto di pioggia, nuvoloni e libri scolastici sempre più pieni e corposi. 
Era già passato un mese e la maggior parte degli studenti ancora faticava a capacitarsene. Il tempo volava, sembrava che un giorno durasse solo poche ore, e, al contrario degli anni precedenti, molti studenti avrebbero preferito che non fosse così. Hogwarts era il posto sicuro, per tutti, nessuno avrebbe potuto scalfire le amicizie nate là dentro, se lì si continuava a stare; Hogwarts era un po’ una casa per tutti – per alcuni anche l’unica casa che avevano, a dire il vero. Erano specialmente questi ultimi a non voler vedere i giorni passare rapidi, come se qualcuno stesse premendo il pulsante per andare avanti di un videoregistratore; era snervante sapere che mancavano sempre meno giorni al fatidico diploma. Gli esami si facevano sempre più vicini, e alcuni degli studenti dell’ultimo anno avevano già iniziato i ripassi generali di ogni materia, in previsione dei M.A.G.O. 
Come ogni anno, poi, c’erano stati i soliti inconvenienti che caratterizzavano la scuola, mentre fuori le persone continuavano a sparire o morire, e ciò faceva capire che la guerra continuava. Più feroce e crudele che mai, strappava costantemente le persone alla terra per consegnarle alla Morte, che probabilmente era una dei pochi – o forse l’unica – ad essere felice di quella situazione. 
Il Mondo Magico era in crisi, ma questo veniva nascosto sotto misteri, dubbi e menzogne di ogni tipo. Nessuno voleva dare a vedere il proprio dolore, la propria paura, perciò cercavano di non pensarci, dicendo che era tutta una bugia, che non era vero niente. Ma poi la Morte prendeva a sé altre persone, e la guerra ricadeva su ognuno peggio di prima. Perché si sa, la ricaduta fa più male. I Mangiamorte erano ovunque ormai, ma come si potevano riconoscere senza coglierli sul fatto? Anche tra gli studenti sorgevano dubbi: ragazzi che erano stati amici per anni improvvisamente si dividevano, prendendo strade diverse e ignorandosi quando si incrociavano per i corridoi; altri avevano preso l’abitudine di muoversi sempre in gruppo e mai da soli, per paura di venire attaccati mentre ci si avviava verso la propria destinazione. La guerra, dopotutto, era anche questo. Era difficile fidarsi delle persone, anche quando la persona in questione è quella con cui hai passato l’infanzia e tutti i tuoi momenti felici. 
La maggior parte delle persone ormai viveva a giorno, con l’opprimente ed onnipresente paura di non vincere il buio della notte; ma la vita procedeva, e, tra lo studio e i soliti battibecchi, c’erano amicizie che nemmeno la guerra era riuscita a dividere.
«Moony, a quando la prossima luna piena?» chiese Sirius, sdraiato scompostamente a pancia in su sul suo letto, la testa che ciondolava dal bordo del materasso.
Remus riemerse dal suo tema di Trasfigurazione e sorrise laconicamente. «Il ventisei».
«Bene, abbiamo ventuno giorni per decidere che malattia contrarrai questa volta» disse James sbadigliando, mentre si alzava dal pavimento e si sedeva sul baule di Sirius.
«Che ne dite di intossicazione alimentare?» domandò Peter, alzando gli occhi dal libro di Difesa. «Nessuno sospetterebbe niente. Con tutto il cioccolato che mangia, si potrebbe anche pensare che non si fosse accorto che era andato a male…».
«Per me va bene» sorrise tranquillamente Remus, trattenendo una risata e alzando le spalle per tornare al suo tema.
«Perfetto!» esclamò Sirius, sorridendo apertamente. «Che intossicazione sia!».
«Sapete, ho sempre pensato che aveste qualche rotella fuori posto» iniziò Peter, con un sorriso che gli occupava mezza faccia. «Ora ne sono sicuro!».
Sirius si portò le mani al petto e disse, con voce volutamente più acuta e effeminata del normale: «Oh, Petey! Vieni, fatti abbracciare!». Si alzò rapidamente e scattò verso il letto di Peter, lanciandosi contro di lui e scaraventandolo a terra. 
Scoppiarono a ridere tutti e quattro e James si aggregò ai due amici, che avevano preso a rotolare sulla moquette. 
Remus sorrise pensando che la loro amicizia non sarebbe mai stata distrutta, da niente e da nessuno, prima di buttarsi nella mischia e lasciare il proprio tema da solo.
Perché ci sono cose più importanti dei compiti, come ad esempio l’amicizia.

James seguì Remus fuori dal dormitorio, mentre Sirius e Peter rimasero lì a cercare una valida scusa per le occhiaie che avrebbero avuto dopo la luna piena di quel mese. 
Sorrise vedendo Lily seduta sul divano con le amiche, conscio che avrebbero passato tutta la serata con lei, o almeno quasi tutta. Ciò lo elettrizzava e lo preoccupava al tempo stesso.
Remus si avvicinò, poiché se ci fosse andato l’amico probabilmente sarebbe scoppiata l’ennesima lite tra i due. James sembrava dello stesso avviso e rimase a debita distanza dalla ragazza, in piedi vicino al ritratto della Signora Grassa.
«Lily, abbiamo la ronda, sei pronta?» domandò gentilmente Moony, salutando le altre con un cenno del capo.
La rossa gli sorrise e si alzò. «Sì, ho le cose di sopra. Mi dai un minuto?».
Remus annuì e, mentre la ragazza saliva di corsa le scale, tornò dall’amico, che stava osservando alcuni fogli che aveva tra le mani.
«Non litigate» lo ammonì, con l’accenno di un sorriso sulle labbra sottili.
James roteò gli occhi e rispose: «Ma non ho fatto niente!».
Remus sogghignò e gli batté una mano sulla spalla quando la ragazza scese, portando con sé una borsa e il solito, penetrante profumo di shampoo alla mela, sulle labbra un sorriso gentile.
«Fatto!» disse, agitando la borsa con fare vittorioso.
Remus le sorrise nuovamente ed annuì, per poi spostarsi per farla uscire per prima dal buco del ritratto. James li seguì più o meno ad un passo di distanza; con lei forse era meglio non parlare, o come minimo aspettare che fosse Lily stessa ad aprire un discorso. Probabilmente, se lo avesse fatto lui, la sua incolumità avrebbe potuto rimetterci gravemente.
Lily e Remus iniziarono a chiacchierare del più e del meno, dalla scuola a quello che volevano fare dopo Hogwarts, mentre James gli camminava affianco, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni. Spesso alzava lo sguardo verso il soffitto, cercando con gli occhi un qualcosa per sfuggire alla riunione di quella sera, ma poi l’immagine di lei tornava nei suoi pensieri e James non poteva fare a meno di pensare che, dopotutto, non era così male: ci sarebbero state lei e la sua acidità, in fondo.
Quando sentì la ragazza dire chiaramente di voler fare la Pozionista, una volta finito l’ultimo anno ad Hogwarts, non poté fare a meno di immaginarsela un po’ più grande, seduta sulla cattedra dell’aula di Pozioni intenta a fare lezione a dei ragazzini di undici anni, i capelli rossi raccolti in una coda, l’abito impeccabile come al solito e quella dolce fossetta che si formava ogni volta che sorrideva. Sarebbe stata bellissima comunque, per lui, ma James per lei era solo uno dei tanti ragazzi della scuola, solo che più antipatico e spocchioso. E lui si limitava a guardarla mentre sorrideva alle amiche, quando a lui riservava sempre parole dure, perché dopotutto gli andava bene così, anche se avrebbe preferito mille e una volta poterla abbracciare e sentire il suo profumo di mela impregnare i propri vestiti per non abbandonarli prima di più giorni possibili.
«Potter, è qui la riunione» la voce della ragazza lo riscosse dai suoi pensieri e James si accorse di aver superato i due di una decina buona di passi, sotto il loro sguardo perplesso e stralunato.
«Oh» se ne uscì brillantemente lui, «Sì. Certo».
Ritornò sui suoi passi con calma quasi studiata, accennando poi alla porta con un movimento lieve del capo. Entrarono tutti e tre, e Remus si sedette accanto alla Prefetto del sesto anno di Corvonero, Dorcas Meadowes, e quello del settimo di Tassorosso, Edgar Bones. Lily tirò fuori dalla borsa i nuovi orari delle ronde e li distribuì ai presenti, chiedendo più volte se li avesse dati a tutti, mentre James osservava con attenzione i Serpeverde presenti. Piton aveva gli occhi incollati sulla Evans, pensò, non poco scocciato. Quella di Piton gli sembrava una morbosa ossessione per una ragazza che si meritava più del suo lungo naso, che si meritava anche più di James e il suo sorriso contagioso. Si ritrovò a pensare che, dopotutto, avevano parecchie cose in comune, ma Severus era riuscito ad avere Lily al suo fianco per cinque anni, quando lui non riusciva a starle accanto nemmeno per alcuni secondi, se non per litigare.
«Per ogni turno ci saranno due Prefetti o Caposcuola, il resto è scritto sul foglio» disse Lily, posando i fogli rimasti sul banco dietro di lei. «Ora dovremmo parlare di quello che succede ad Hogwarts, direi. Che sapete dirci?».
Un Tassorosso alzò la mano e Lily gli fece cenno di parlare.
«Ho parlato con il compagno di stanza dei ragazzini che sono stati attaccati» iniziò, mentre sulle facce della maggior parte dei presenti si faceva largo una maschera di puro orrore. «Lui era rimasto in Sala Comune per ripassare alcune cose quando gli altri sono stati attaccati. Sembrava davvero scosso. Per non parlare degli altri quattro… Quando io e Janet siamo andati a trovarli tremavano come foglie e sembravano sul punto di svenire».
La ragazza mora accanto a lui abbassò la testa e si passò una mano sugli occhi.
«Davvero?» domandò James, appoggiandosi al mobile su cui Lily aveva poggiato i fogli.
Il ragazzo annuì tristemente, passò un braccio intorno alle spalle della mora e quest’ultima si appoggiò al suo petto.
«Altro?» continuò, rivolgendosi agli altri Prefetti. «Avete sentito, o visto, qualcosa?».
Non una parola uscì dalle labbra dei ragazzi, che si limitarono a scuotere appena la testa. 
«Bene» mormorò Lily, prima di correggersi automaticamente: «Cioè, male. Il lavoro di noi Prefetti è cercare di mantenere l’ordine, no? Cercate di scoprire qualcosa: è meglio sapere con chi si ha a che fare, piuttosto che giocare con il buio».
James annuì impercettibilmente e disse: «Potete andare».
La sala si svuotò un po’ alla volta, e una volta usciti Lily chiuse lentamente la porta dietro di sé, l’espressione attonita.
«Fantastico, eh? Siamo a scuola da quanto?, poco più di un mese? Ed ecco che cominciano… È una cosa orribile» disse la ragazza, schifata.
Remus le posò una mano sulla spalla, mentre James guardava le ultime ombre dei Prefetti che sparivano nell’oscurità del corridoio, parzialmente illuminato dalle lanterne alle pareti.
«Non dovresti più girare spesso da sola, Evans» suggerì James, preoccupato e calmo al tempo stesso. Fuori, infatti, continuava a mantenere un modo di fare pacato, tranquillo, ma dentro di lui l’agitazione era alle stelle, come Remus aveva ben capito. Ormai conosceva James da sette anni, erano amici: si capivano in fretta.
«Cosa?».
«Hai capito: non dovresti girare spesso da sola di questi tempi» ripeté James, senza guardarla. «Hai sentito cos’è successo a quei Tassorosso, no? Vuoi finire come loro? Lo dico per te».
«Oh» mormorò appena Lily, accennando un sorriso. «Be’, è un pensiero molto gentile».
James si strinse nelle spalle e camminarono in silenzio per un po’: Lily troppo imbarazzata per aprir bocca, James convinto che se solo ci avesse provato non sarebbe arrivato vivo all’indomani. Solo Remus aveva un sorriso sul volto, ancora leggermente oscurato dalla notizia di poco prima.
Quando arrivarono in Sala Comune, Lily si defilò rapidamente, correndo nel dormitorio dopo aver visto che le amiche non erano dove le aveva lasciate. Remus e James si scambiarono uno sguardo e quest’ultimo aprì la porta del loro dormitorio con un sospiro, salendo le scale a chiocciola ed entrando poi in stanza. 
Sirius era ancora sul suo letto, ma stava parlando animatamente con Frank di qualcosa chiamato “manubrio”. Il primo sembrava estasiato dai dettagliati racconti di Frank; da quel che diceva, infatti, il marito della cugina di sua madre era un Nato Babbano che gli aveva parlato molto di moto. Frank, d’altro canto, era rimasto sorpreso dalla curiosità verso le motociclette da parte del suo compagno di stanza.
Peter stava finendo il suo compito per Cura delle Creature Magiche e sembrava completamente assorto nella stesura di esso; una ruga di concentrazione faceva bella mostra di sé sulla sua fronte.
«Jack?» chiese Remus, non vedendo il compagno da nessuna parte.
«Con Ally, di Corvonero» rispose Peter senza staccare gli occhi dalla pergamena: sembrava veramente intenzionato a prendere un bel voto. Quell’anno Peter si stava dando davvero da fare per passare i M.A.G.O. che gli aspettavano di lì ad alcuni mesi.
«Peter, vuoi una mano?» domandò gentilmente Remus, guardando il lavoro da oltre le spalle dell’amico.
«No, grazie, voglio riuscirci da solo» sorrise Wormtail, mordicchiando la fine della penna e sfogliando il libro della materia che stava studiando.
«D’accordo».
Remus osservò l’amico, orgoglioso; era bello vedere i propri amici crescere e maturare, e non fisicamente parlando: negli ultimi tempi Peter si era svegliato, aveva iniziato a mettersi a lavorare sodo, intenzionato ad andare avanti e a realizzare i propri sogni. Remus non poteva che invidiarlo per quel che faceva e che poteva fare: Peter non era come lui, Peter avrebbe potuto avere una vita normale e senza complicazioni, una volta finita la guerra. Lui no.
Scacciò quei pensieri e gli sorrise calorosamente mentre si avvicinava al comodino e tirava fuori dal cassetto una tavoletta di cioccolato. 
James si sdraiò sul suo letto, osservando con attenzione i ghirigori che ornavano il soffitto vermiglio. Sentiva le chiacchiere di Sirius e Frank nelle orecchie, lo sfogliare delle pagine di Peter, Remus che apriva la Mappa e mangiava cioccolato; ma tutto ciò non lo sentiva veramente. La sua mente vagava da tutt’altre parti, in luoghi reconditi, vietati a tutti meno che a lui.
«E quindi, senza il manubrio, la moto andrebbe allo sbaraglio più totale» stava dicendo Frank, indicando a Sirius qualcosa su una rivista Babbana. «Come puoi capire, quindi, è una parte molto importante, ma penso che tu lo sappia già».
«Sì, sì, va’ avanti!» lo incitò Sirius, osservando la rivista con crescente entusiasmo. Sembrava un bambino a cui hanno appena regalato un lecca-lecca di quelli grandi, enormi e colorati.
«Scusa se te lo chiedo, ma da quando hai questa passione per le motociclette?» domandò Frank, colpito e curioso. 
«Mah, da un po’. Non da tantissimo, ma nemmeno da poco. Ne avevo vista una davanti a casa dei miei una volta, e mi sono informato. Le ho trovate interessanti e lo penso tutt’ora».
«Wow, non ti facevo così ‘studioso’».
«Perché, lo sono?» chiese retoricamente Sirius, mentre la sua risata così simile ad un latrato prendeva a risuonare tra le quattro pareti della stanza. «Forse solo con le cose che mi interessano».
«Okay. Cos’altro vorresti sapere?».
«Boh, non so. Tu che ne pensi della Harley Davidson? Io sinceramente la adoro: la trovo una moto splendida! Con quel sellino nero e la montatura in metallo lucente… Sono fantastiche».
«Ah, quella moto è uno spettacolo! Credo sia una delle moto più belle che ci siano» concordò Frank con una risatina.
«E poi ha un bel nome» constatò nuovamente Sirius, incrociando le lunghe gambe sulla coperta vermiglia.
«Non ti piacerebbe avere una moto?».
«Sì, un giorno magari. Sarebbe bello, molto. Be’, speriamo!» sorrise, ricominciando con le domande a cui non aveva ancora ricevuto risposta.
James inconsciamente si ritrovò a pensare a quanto i capelli di lei somigliassero al soffitto che aveva di fronte: erano tutti e due di un rosso meraviglioso.














Sì, so che avevo detto il 4 febbraio, ma ho avuto una (fantastica) febbre che mi ha resa iper-produttiva, e quindi... Comunque, andiamo avanti, mmh? 
La canzone iniziale è, come ho già detto, Wild World, e potete trovarla qui. La traduzione sarebbe: Oh, tesoro, è un mondo selvaggio | è difficile farcela solamente con un sorriso | ma ricorda solo che ci sono molti cattivi, sta' in guardia.
Il titolo del capitolo, First Step, è una sorta di collegamento al primo giorno di scuola e, al tempo stesso, ad uno dei tanti attacchi che accompagneranno Malandrini&Co. fino alla fine ^^.

Ora, però, vorrei davvero ringraziarvi. Non mi immaginavo già tali risultati: 6 preferiti, 16 seguiti e 2 ricordate. Se sto sognando, abbassate quelle mani e non provate a darmi dei pizzichi XD. Seriamente, vi ringrazio davvero moltissimo, è bello vedere così tante persone che seguono Reaching.
Infine, avverto che il prossimo capitolo arriverà tra due settimane, perché il 5 febbraio parto con la scuola e torno l'11. Se riesco, posto l'11, oppure il 12. 
Fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo e dei personaggi, se non vi convince qualcosa chiedete pure. Ovviamente ogni parere è il benvenuto e sono pronta a ricambiare ogni recensione ricevuta.
Mmmh. Vi adoro,
Er.



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Capitolo 3
*** Capitolo 3: Inconsistencies. ***


capitolo 3

Capitolo 3:  Inconsistencies

«I know how I feel when I'm around you
I don't know how I feel when I'm around you
Around you».
(Roulette – System of a Down)

La pallida ombra della luna piena si intravedeva ancora in cielo, e la maggior parte degli studenti erano stipati nelle varie aule del castello, vittime delle interrogazioni dei professori e chini sui libri di Magia già da alcune ore.
Il Platano Picchiatore menava l’aria con i suoi grandi e possenti rami, le già poche foglie che aveva cadevano sull’erba verde, mentre Remus era steso su un letto dalle lenzuola candide e profumate dell’Infermeria, immerso in un sonno senza sogni grazie all’apposita pozione che Madama Chips gli aveva dato da bere qualche ora prima.
Sul comodino accanto a lui c’erano alcune tavolette di cioccolata al latte di Mielandia, proprio come piacevano a lui, e qualche Cioccorana. C’era anche un bigliettino di pronta guarigione da parte di Lily Evans, che era venuto a sapere del suo ricovero dagli altri tre Malandrini e si era sentita quasi in dovere di fargli avere il suo supporto morale. Perché Lily Evans era così, lo sapevano tutti: aveva sempre una parola buona per chiunque ed era gentile con la maggior parte delle persone.
Dei fasci di luce appena percettibili passavano attraverso i vetri delle finestre e gli illuminavano parzialmente il volto pallido.
«Albus, sono solo dei ragazzi! Non puoi farlo!» la voce di Minerva McGranitt era bassa e roca, ma era facile capire che stava litigando con qualcuno proprio fuori dall’Infermeria.
«Non abbiamo scelta, Minerva, lo sai» sospirò appena Albus Silente. «Dobbiamo trovare gente nuova, svelta, giovane. E loro sarebbero perfetti. Non possiamo rischiare che finiscano tra le fila dei suoi. È una cosa necessaria, non dipende né da me né da te».
«Ma è una follia! Sono troppo giovani! Sono alle prime armi, ancora non sanno com’è la vita fuori da queste mura. Non sono pronti a schierarsi da nessuna parte, che sia buona o meno».
«Non farò niente che loro non vogliano fare, ma glielo chiederò prima della fine della scuola e starà a loro decidere cosa fare. Non li costringerò ad accettare se non vorranno, ma ormai sono degli adulti e hanno le capacità per scegliere cos’è meglio per loro» disse Albus, ponendo così fine al discorso.

***

La lezione di Storia della Magia procedeva ininterrottamente da più di un’ora tra sbuffi, sbadigli e qualche svolazzare di piume sulle ruvide pergamene da parte dei più studiosi.
All’ultimo banco, i Malandrini pensavano tranquillamente ai fatti loro. James aveva un braccio fasciato, Peter un occhio nero e Sirius sfoggiava solamente qualche graffietto sul volto. La sera prima non era stato facile tenere a bada Remus, che era sembrato a tutti e tre più lupo del solito. Quando lo avevano lasciato in Infermeria era pieno di tagli e tremante, mentre qualche gemito gli sfuggiva dalle labbra sottili. Madama Chips aveva detto che si sarebbe ripreso presto e che quel pomeriggio stesso sarebbero potuti andare a trovarlo, perciò non potevano che stare buoni ed aspettare la fine delle lezioni, che quel giorno sembravano aver deciso di durare di più.
Ma aspettare equivaleva a pensare ad altro, cosa abbastanza impossibile quando si è in una situazione del genere. L’immagine di un Remus tremante e coperto di graffi era ancora impressa nella loro mente, come se qualcuno si fosse divertito a marchiarla tra i loro ricordi. Non era una cosa piacevole da vedere e rivedere in continuazione: un ragazzo dal corpo freddo, più pallido del solito, il corpo deturpato dal lupo che viveva in lui e che sembrava divertirsi al portarlo al limite. In tutti i sensi.
Anche per loro – loro, che erano sempre riusciti a tenerlo a bada, a calmarlo – era stato arduo. Per quanto potessero vergognarsi ad ammetterlo, avevano perso contro il lupo che abitava in Remus e che, fortunatamente, veniva liberato solo una volta al mese.
Forse era proprio per quello che ogni volta diveniva sempre più difficile: il lupo aveva solo una notte a mese da vivere pienamente, Remus tutto il resto del tempo. Poteva essere questa la causa, ma non si poteva mai sapere; dopotutto erano solo teorie, sebbene molto si basi su delle teorie – spesso sciocche.
Dal canto suo, anche Lily era preoccupato per il ragazzo che, più o meno, era il suo migliore amico. Non lo vedeva dalla sera prima, quando avrebbero dovuto fare la ronda assieme, e aveva iniziato ad angosciarsi quando lui non si era presentato ed era stata costretta a fare da sola. Non era da Remus saltare gli impegni, ma era già la seconda volta da quando avevano iniziato l’anno che finiva in Infermeria. Lily non sapeva cosa pensare; nonostante fosse svelta d’intelletto, non riusciva a capire cosa potesse avere Remus.
Aveva anche sotterrato l’ascia di guerra per quella giornata ed era andata a chiedere a Potter e gli altri cosa avesse, ricevendo come risposta un deciso: «Ha la febbre» accompagnato da una scrollata di spalle da parte di Sirius. Altrimenti cosa poteva essere, se non quello?
Sospirò tristemente e riprese a guardare il professor Rüf, che si aggirava per i banchi continuando a spiegare ininterrottamente, senza ascoltarlo veramente e pensando a Remus.
Si sentiva tradita, in un certo senso. Lei gli aveva sempre detto tutto, perché lui, invece, doveva sempre tenerla all’oscuro di tutto? Che non la volesse tra i piedi? No, non era possibile: era stato Remus, dopotutto, a trovarla per primo dopo il litigio con Severus. Era stato lui a consolarla mentre la scortava da Mary e le altre, che l’avevano cercata invano per diverse ore. Lei gli aveva detto tutto sempre.
Come poteva non fidarsi di lei? Erano amici da non molto tempo, era vero, ma era sempre stata certa di essere riuscita  fargli capire che lei ci sarebbe stata comunque per lui. Che aveva fatto di sbagliato, quella volta? 


***

«Prongs, mi passi la Mappa?» domandò Sirius all’amico, che continuava a spostare gli occhi nocciola da un cartiglio all’altro, inseguendoli finché essi non si finivano con il confondersi assieme agli altri. 
«Un momento, Pad, sto cercando una persona» disse James senza staccare lo sguardo dalla pergamena, nemmeno per un secondo.
Sirius inarcò le sopracciglia e scese con un balzo dal suo letto, avvicinandosi poi a quello dell’amico per osservarla assieme a lui. «Chi stai cercando?».
«Mocciosus».
«Ah, ora capisco tutto» commentò Padfoot, ironico.
Peter entrò in camera e buttò la propria borsa sul letto, mentre Sirius spostava lo sguardo dalla pergamena al viso di James.
«Cosa capisci?» domandò allora Peter.
«Storia lunga, Worm».
«È nella loro Sala Comune, diamine» sbuffò James, passando la Mappa a Sirius, che la prese senza esitazioni.
«Chi?» chiese ancora Peter, che si era perso una parte del discorso.
«Piton» rispose James, lapidario.
Wormtail lanciò uno sguardo alla Mappa prima di rivolgersi nuovamente all’amico: «Come mai lo cerchi? Che ha fatto questa volta?».
 «Niente» sbuffò James, passandosi le tra i capelli e sbottando nuovamente: «Mi dà sui nervi! Insomma, io ce la metto tutta perché la Evans mi risponda senza urlare, mentre lui ha mandato a puttane lei e la sua amicizia!». Lui aveva cercato di attirare la sua attenzione, nei due anni precedenti, facendola arrabbiare, perché in quei momenti era sicuro di occupare uno spazio, seppur piccolo, dei suoi pensieri, negativi o positivi che fossero. Sapere quel che ne era stato dell’amicizia della Grifondoro e di Piton lo mandava letteralmente in bestia. Certo, Piton gli era sempre stato antipatico e aveva costantemente cercato un pretesto maltrattarlo – ormai l’aveva ammesso –, ma quello che il Serpeverde aveva urlato a Lily era stata la goccia.
«Lo sappiamo, Prongs, ma tanto non puoi farci nulla. Ti darà anche fastidio, ma su, è solo una ragazza» disse Sirius, guardandolo come se fosse ovvio.
Peter scosse impercettibilmente la testa e pensò a quanto fosse cieco Sirius davanti ai sentimenti di James per Lily. Se n’erano accorti tutti, ormai: James era cambiato, e l’aveva fatto per lei. Era diventato più maturo, più responsabile. Tutti si erano resi conto che quel che la Evans rappresentava per James era decisamente di più che un trofeo di cui vantarsi con gli amici. Secondo Peter e Remus se n’era accorto anche Sirius, solo che ancora non riusciva ad ammetterlo: Padfoot non aveva mai visto di buon occhio la ragazza, prima per via della sua amicizia con Piton, successivamente per l’espressione delusa e amareggiata che compariva sul viso dell’amico ogni volta che lei lo rifiutava. Non riusciva a sopportarla.
«Voi avete fatto il compito di Erbologia?» domandò Peter, cercando di spostare il discorso su qualcosa di più piacevole.
«Ehm. No» ammise Sirius, arricciando gli angoli delle labbra nel principio di un sorriso sardonico.
«Troppo impegnato, eh, Pad?» sorrise furbescamente James, sapendo quanto Sirius fosse ‘sensibile’ su quell’argomento.
Il giovane Black saltò su come una molla ed esclamò: «E smettila! Ero in punizione con Minnie! Sei tu quello col chiodo fisso, non io!».
James sogghignò di nuovo: «Lo sappiamo. Sai che ancora non riesco a capire come tu sia così… imbranato con le ragazze?».
«Non sono imbranato! Solo che a volte non le capisco! Insomma, alcune vogliono una relazione seria, altre vogliono quelle da una notte e via. Come faccio a distinguerle? Non è colpa mia se per sbaglio ho detto alla Owen che non mi interessava passare una notte con lei quando quella voleva solo uscire. Cioè, avete visto come si comporta con i ragazzi, dai» si difese nuovamente Sirius.
«E anche perché te preferisci quelle da una notte sola, diciamocelo» aggiunse Peter.
«Sì, ma perlopiù perché poi non saprei cosa fare o come comportarmi» disse Sirius, annuendo in maniera abbattuta e sprofondando nel proprio cuscino, come a nascondersi dal ghigno di James. 

***

Lily e Mary camminavano per i corridoi della scuola, parlando concitatamente tra loro. Il viso di entrambe era illuminato da un sorriso, come se ci fossero solo loro e fuori da Hogwarts non ci fosse una guerra che infuriava, divorando la felicità e i sorrisi di molte persone. Quegli attimi erano esclusivamente loro, e goderseli appieno era quasi un dovere, così da poter avere un momento per stare tranquille e in pace. Assieme.
«Cosa pensi di fare, quando usciremo da Hogwarts?» chiese Mary all’amica, che le camminava accanto con due grossi libri della biblioteca stretti al petto. Sorrise, vedendola così buffa: i capelli rossi più scarmigliati del solito e decisamente insoliti per Lily Evans, sempre a posto, gli occhi verdi e stanchi, ma comunque sorridenti; la spalla destra era incurvata leggermente verso il basso a causa della pesante borsa che aveva, ma lei sembrava non curarsene affatto.
«Non so. Forse proverò ad entrare nel corso di Pozionisti di cui mi ha parlato Lumacorno. Tu, Mary?».
«Uhm, credo che me la tenterò come Giornalista. Tu che dici?».
«Sì, ti ci vedo» sorrise la rossa, «Caporedattrice MacDonald… Uhm, suona abbastanza, dai».
«Ti voglio bene, lo sai, vero?» chiese ancora Mary, fermandosi di botto e costringendo così anche Lily a bloccarsi nel bel mezzo del corridoio.
«Te ne voglio anche io, sei la mia migliore amica».
Un sospirò sfuggì alle labbra della bruna, che prese un libro all’amica, per toglierle almeno parte dello sforzo. L’altra si lasciò scappare uno sbuffo, borbottando qualcosa che assomigliava vagamente ad un basso: «Posso farcela anche da sola, eh», infastidito ma allo stesso tempo affettuoso.
«Lo so, lo so. Era solo per farti un favore» ridacchiò sommessamente Mary, allungando leggermente il passo così da avvicinarsi più rapidamente al ritratto della Signora Grassa, posto alla fine del corridoio che stavano percorrendo in quel momento.
Lily si affrettò a recuperare i pochi metri che le avevano divise quando l’amica si era come messa in marcia. Le lanciò un’occhiata interrogativa alla quale Mary rispose con uno sguardo quasi vittorioso.
Mary si fermò poi davanti al grande quadro e disse rapidamente: «Grypis victoria est». Quando la Signora Grassa si fu spostata il necessario per farla passare, scattò velocemente ed entrò correndo in Sala Comune, occupando poi la poltrona di fronte al fuoco e facendo la linguaccia a Lily, che era rimasta impietrita davanti al buco del ritratto.
Le aveva soffiato la poltrona!

***

«Ragazzi, posso anche camminare da solo! Non sono invalido!» esclamò Remus, esasperato dall’opprimente comportamento degli amici. Da quando era uscito dall’infermeria, giusto due giorni prima, non facevano altro che offrirsi di portargli i libri in aula al posto suo, di spostare oggetti secondo loro troppo pesanti e gli chiedevano continuamente se stava bene o sentisse dolore da qualche parte. Alla fine, se avesse voluto essere trattato come un bambino, sarebbe rimasto in Infermeria.

«Scusa, Moony. Noi lo facevamo per te, pensavamo fossi ancora stanco dopo quel che è successo» mormorò appena Peter, sinceramente dispiaciuto. Non gli era mai piaciuto deludere gli amici.
Remus sorrise: «Tranquilli. Volevo solo dire che sì, sto bene, e che non ho ancora bisogno di balie, per mia fortuna».
Gli amici lo guardarono, indagatori.
«Dico sul serio» sbuffò, lanciando uno sguardo al piccolo squarcio di cielo grigio e nuvoloso che si vedeva dalle finestre di quell’ala del castello.
«D’accordo, lupastro, come vuoi tu» disse Sirius e gli lasciò il braccio che poco prima aveva afferrato per aiutarlo a camminare – motivo per cui era sbottato, tra l’altro.
«Ragazzi, scusate, avete visto Miriam?».
Lily e Mary comparvero davanti ai quattro con il fiato mozzo, dovuto alla lunga ed estenuante ricerca dell’amica, che sembrava essere diventata invisibile di punto in bianco. Effettivamente, Miriam riusciva a scomparire per un po’ senza essere vista da nessuno, per poi ricomparire così, come se nulla fosse.
«No, mi dispiace. Non è in dormitorio?» domandò Sirius, guardandole con un sopracciglio inarcato in una posa alquanto buffa.
Le due ragazze scossero ripetutamente la testa in segno di diniego, i capelli che seguivano i loro movimenti.
«Non è nemmeno con le altre?» provò Peter.
Altri cenni negativi da parte delle ragazze, che dal canto loro si stavano avvilendo e preoccupando, visti gli scarsi esiti della loro spedizione.
«Allora boh» concluse Sirius, stringendosi nelle spalle.
Mary lo guardò di bieco prima che la sua attenzione fosse attirata da qualcuno al fianco di Padfoot. Il viso di Remus – già pallido di suo, oltretutto – era sbiancato ancora di più, e grandi cerchi violacei segnavano il contorno dei suoi occhi chiari. C’era anche il segno di alcuni graffi, ma chi conosceva Remus Lupin ormai ci aveva fatto l’abitudine.
«Sicuro di star bene, Remus? Sembri malato» esordì così la ragazza, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio così da poterlo vedere meglio. Lily annuì, assecondando l’amica.
«Sì, tranquilla» rispose Remus, troppo velocemente per non ricevere sguardi penetranti e scettici cercare di leggerlo. Per la prima volta ringraziò per il suo saper nascondere emozioni e dolore dietro una maschera.
«Okay».
James aveva lo sguardo incollato su Lily, che dal canto suo cercava il più possibile di ignorarlo. Già le dava fastidio venire osservata, figurarsi quando era proprio Potter a farlo. Non lo aveva mai sopportato, era troppo egocentrico per i suoi gusti –  anche se, questo è da dire, al secondo e al terzo anno lo aveva trovato piuttosto carino, prima che diventasse antipatico a livelli esorbitanti –, però lui ancora la importunava, senza lasciarle quasi mai tregua. Le chiedeva di uscire, e, nonostante i suoi costanti rifiuti, qualche volta ancora le proponeva un pomeriggio ad Hogsmeade in sua compagnia.
«D’accordo. Grazie ancora, comunque! Se la vedete ditele che è un’idiota e che la cerchiamo da moltissimo tempo!» esclamò ad un certo punto Lily, afferrando Mary per un braccio e trascinandola via sotto lo sguardo sbigottito dei quattro.
Conosceva bene Mary – dopotutto erano migliori amiche, no? – e sapeva che sarebbe potuta rimanere lì a parlare con i Malandrini anche fino all’alba. E di stare con Potter altri cinque minuti non ne voleva proprio sapere.
«Lily, ma che è successo?» chiese Mary, vagamente scocciata, mentre l’amica la guardava fintamente sorpresa.
«Niente, perché?».
«No, sai com’è, è normalissimo che, mentre stai parlando con delle persone, la tua amica ti prenda per il braccio e ti porti via. Succede proprio sempre!» disse, ironica.
Lily alzò gli occhi al cielo e borbottò: «Lo sai che non sopporto Potter».
«Sì, lo so,» sbuffò Mary, «ma non c’era solo lui. Potevamo benissimo parlare un po’ con gli altri, no? Che poi, secondo me non ti danno così fastidio le attenzioni di James». Un sorriso furbo e malizioso illuminò il suo viso, mentre le gote di Lily si coloravano di rosso.
«Ma sei matta?» annaspò, con una nota leggermente isterica nella voce.
«Ovviamente».
«Sei… sei una cretina!» sbottò ancora Lily, guardando male Mary che si teneva la pancia per le troppe risate. La rossa ghignò appena e poi domandò: «Ehi, e tu perché volevi parlare con loro?».
Effettivamente, non capiva perché l’amica si fosse lamentata; certo, parlava spesso con i compagni, ma di solito non diceva niente se qualcuno la interrompeva.
«Non lo so. Volevo solo parlare un po’ con degli amici. E poi loro sono simpatici» disse Mary, guardando oltre la spalla dell’amica quel gruppo di amici così uniti. Erano tutti diversi, ma evidentemente si completavano. Sembrava quasi che si conoscessero dalla nascita, ma tutti sapevano che non era così: Sirius era cresciuto in una famiglia dove il comportamento rigido e freddo era all’ordine del giorno; James veniva da una famiglia di Auror da cui era amato in maniera spropositata; Remus era del Nord della Gran Bretagna, di Marloes, per l’esattezza, nato da una famiglia gentile e disponibile. Dei genitori di Peter, invece, non si sapeva molto, alcuni dicevano che era orfano, altri che i genitori non si prendessero cura di lui: giravano tante voci, ma nessuno sapeva con esattezza quale fosse la verità, e lui non sembrava darci tanto peso.
«Simpatici? Remus e Peter, forse, ma Black e Potter sono insopportabili» sbuffò Lily, ravvivandosi i capelli rosso scuro.
«Bah, a me non sembrano male» la informò Mary, beccandosi poi una botta in testa.

***

«Anche ottobre è praticamente finito. Il tempo passa sempre più in fretta, avete notato?».
«Già. Mi sembra ieri che siamo arrivate ad Hogwarts, mentre ora sono passati già quasi due mesi» disse Miriam, guardando fuori dalla finestra il buio delle cinque che avvolgeva silenziosamente il castello. Il cielo era nuvoloso e preannunciava pioggia.  
Erano tutte e cinque in Sala Comune: Mary e Lily sedute sulla moquette, Alice e Miriam semi sdraiate sul divano e Claire raggomitolata su una poltrona. Chiacchieravano da dopo pranzo, poiché era sabato e quel giorno le lezioni non avevano avuto corso. La Sala era calda e piena, il chiacchiericcio animato degli altri compagni era concitato e tranquillizzante.
«Manca sempre di meno. Tra poco ci troveremo là fuori, da soli» concordò Alice, che lanciò poi uno sguardo alla Gazzetta del Profeta di quel giorno aperta a metà e lasciata a terra. La prese in mano e la sfogliò con calma. Attacchi su attacchi, e nessuno poteva far niente per impedire ciò. Il pensiero di essere ancora ad Hogwarts smorzò solo di poco la rabbia che era cresciuta in lei vedendo il titolo a caratteri cubitali della copertina: “Scompare una famiglia magica nei pressi di Nottingham”.
«Uhm».
«Tra due settimane c’è la prima partita di Quidditch della stagione!» esclamò Mary ad un certo punto, attirando l’attenzione delle amiche.
«E allora?» chiese Lily, inarcando le sopracciglia.
«Be’, era tanto per dire. Stiamo qui a pensare all’anno prossimo quando dobbiamo ancora viverci questo. Non ha senso! Pensiamo a cosa fare questi ultimi mesi. Ad esempio, io voglio un ragazzo!» scherzò, mentre le altre ridacchiavano.
«Sei sempre la solita» la prese in giro Alice.
«Ehi! Siete solo invidiose perché io avrò una famiglia prima di voi» continuò Mary, scherzando ancora.
«Prima di me di sicuro» assentì Miriam, convinta.
«Se Mary avrà una famiglia prima di Alice, però, ci sarà da preoccuparsi» aggiunse Claire, mentre la diretta interessata arrossiva miseramente e si copriva il viso con il giornale.
«Io sono d’accordo con Mary» disse Alice, con voce leggermente acuta e le guance ancora rosse, «Dobbiamo rendere quest’anno il più bello di tutti. Ho il sospetto che sarà un anno pieno di cambiamenti, sapete?».
«E cosa te lo fa pensare?» chiese Claire, curiosa, sistemandosi meglio sul divano vermiglio.
Alice si strinse nelle spalle e rispose: «Non so, ho quest’impressione. E voglio crederci. Penso proprio che quest’anno ci riserverà grandi sorprese, di belle e di brutte. Ma d’altronde la vita cambia sempre, no?».
«Credo di sì. Dopotutto niente è troppo brutto o troppo bello per essere impossibile. Magari Lily si metterà con James, noi che ne sappiamo?» rise Mary, lasciando la rossa allibita e non sapendo quanto vere fossero quelle parole dette tanto per dire.
«Smettila, Mary! Io non mi metterò mai con Potter!».
«Adesso dici così, cara, ma tutto può cambiare, proprio come ha detto Alice» disse Miriam, sicura, sistemandosi un vistoso fermaglio a forma di farfalla tra i capelli biondi.
«Se penso che tutto questo potrebbe finire da un momento all’altro mi viene da piangere» disse ad un certo punto Claire, con voce talmente bassa che le altre faticarono a sentirla.
«In che senso?».
Le amiche la guardarono, stranite. Questo non se lo erano aspettate di certo. Da dove le era uscita quella frase? Claire era seria, così dannatamente seria che Miriam considerò davvero l’ipotesi di prenderla per le spalle e scuoterla, gridandole che non sarebbe finito niente. Ma invece stette zitta, in silenzio, nascondendo tutto dietro a uno sguardo più strano e vagamente sognante del solito.
«Intendo dire che ho paura che vi succeda qualcosa. Dal prossimo anno non saremo più qua, quindi non posso sapere cosa succederà. Magari cambierà tutto, chissà».
«Noi staremo sempre insieme» dichiarò Miriam, sorridendo entusiasta.
«Io lo so, sono la Cooman!» disse Mary, alzando la mano.
Lily la gelò con un’occhiataccia.
«Non faceva ridere» sibilò, acida.
«Nemmeno tu fai ridere» ribatté la bruna, abbracciandola di slancio e ridendo assieme alle altre, riuscendo a contagiare anche Lily. 

***

 Jack lo aveva fermato per il corridoio mentre rientrava da lezione, urlando qualcosa che assomigliava più ad un verso animale che un normale: «James, eccoti finalmente!».
Indossava già la divisa della squadra di Quidditch di Grifondoro e aveva il fiato corto; gli occhi sembravano ardere come fuoco, tanto che James pensava che volendo avrebbe potuto benissimo incenerirlo seduta stante.
«La McGranitt mi ha dato il permesso di organizzare un allenamento extra, stasera, fino al coprifuoco, visto che due dei Cacciatori di Corvonero sono finiti in punizione. Perciò su, prendi la scopa e vieni al campo! Non perdere tempo!» aggiunse, prima di rimettersi la Stella Freccia in spalla e correre di nuovo via, giù per le scale a rotta di collo.
«Quella carica gli ha dato alla testa!» sbuffò James, passandosi una mano sugli occhi e aumentando l’andatura.
«Ce ne siamo accorti. Almeno oggi poteva lasciarti a noi!» si lamentò Sirius. Non era la prima volta che Jack ‘rapiva’ il loro amico per un allenamento extra, ed era raro che James avesse le sere libere, ormai, tra le riunioni dei Prefetti e tutto il resto.
«è diventato insopportabile. Come farà Ally a sopportarlo, proprio non lo so!».
Ally era una Corvonero del sesto anno, e sembrava avere una relazione proprio con il leggermente isterico Jack. Anche loro quattro li avevano beccati più volte in comportamenti intimi, e ovviamente James e Sirius non si erano lasciati scappare l’opportunità di prendere in giro il compagno di stanza.
«Deve essere una santa» sorrise Peter, divertito.
«Quello è sicuro, non ci sono dubbi. Be’, vado a prendere la scopa e vado, altrimenti quello è ben capace di distruggermi» detto questo, James iniziò a correre a rotta di collo per il corridoio del ritratto e sparì dietro esso. Uscì poco dopo, l’uniforme della squadra e la scopa tra le braccia, sempre ci corsa; passò di fianco agli amici e li salutò con un: «Ci vediamo dopo!» e un sorriso, tirando poi dritto verso le scale.
«Non può sequestrarlo ogni volta, Merlino! Sta più in campo che con noi, ultimamente. Che ne dite di fargli uno scherzo, a Jack? Okay che è un nostro compagno di stanza, che è nostro amico… ma solo per provare a farlo calmare» propose Sirius, mentre le sue labbra si increspavano in un ghigno divertito.
«E cosa vorresti fare? Sentiamo» lo sfidò apertamente Remus, incrociando le braccia e guardandolo con un sopracciglio inarcato.
«Boh, non lo so. Qualcosa che lo tenga occupato almeno fino a domani sera!».
Remus fece per protestare, ma Peter si intromise: «Per alcuni versi sono d’accordo con Sirius: dopotutto James torna sempre tardi e distrutto dagli allenamenti».
«Va bene, questo è vero. Sirius, hai qualche idea?» domandò Remus ed alzò gli occhi al cielo.
«Per ora no, ma qualcosa mi verrà sicuramente in mente».


Come ogni volta, James tornò completamente esausto dall’allenamento di Quidditch. La pioggia di quel giorno, sommata al buio serale, non avevano di certo facilitato le cose: anzi, avevano reso il tutto ancora più difficile di quanto non fosse normalmente. Lui non era riuscito a trovare il Boccino, mentre Jack chiamava all’appello Merlino, Morgana e compagnia bella, ed i Battitori non erano riusciti a scagliare bene i bolidi, per paura di colpire un compagno.
«Gripys victoria est» borbottò, sentendo poi un vago aroma ferruginoso in bocca: si era morso la lingua, pur di non urlare contro Jack.
La Signora Grassa si girò verso di lui, indignata, e sbottò con malagrazia: «Non vedi che ho da fare, ragazzo?». Con la testa dipinta accennò al quadro accanto al suo, dove un’altra donna dai capelli neri – che James ricordava si chiamasse Violet – lo guardava con aria di rimprovero.
«Devo passare» la informò però il ragazzo, sbuffando leggermente e muovendo il capo in direzione dei vestiti sporchi di terra.
«Non si interrompono le persone quando stanno parlando, te l’hanno mai detto? È maleducazione!» aggiunse il ritratto, mentre Violet annuiva, concorde.
«Gripys victoria est! Devo entrare!».
«E va bene, va bene. Passa» concluse la Signora Grassa, spostandosi per farlo entrare nella Sala Comune dai caldi colori del Grifondoro.
I suoi amici erano seduti davanti al fuoco, e con loro c’erano le altre ragazze del settimo anno, tra cui Lily. Sirius e Mary litigavano, ma in ciò non c’era poi molto di strano, mentre Remus leggeva e parlava con Lily e Claire. Miriam aveva chiesto a Peter se poteva mettergli lo smalto, sotto lo sguardo attonito del ragazzo e di Alice.
«Invece no» sentì dire a Mary, che alzò gli occhi al cielo.
James si avvicinò e poggiò una mano sporca sullo schienale del divano accanto a loro. Sirius aveva un’espressione scocciata e divertita al contempo stampata sul viso, mentre la ragazza continuava a gesticolare a più non posso.
«Sì, invece! Lo sanno tutti ormai!».
«Ma anche no, Black. Tutti sanno che sei stupido, non che si potrà andare ad Hogsmeade dalla prossima settimana. E sai perché non lo sanno? Perché non è vero! Manca ancora parecchio all’uscita!» riprese la bruna, avvicinando di troppo una mano al viso di Sirius, che scattò all’indietro e sbatté la testa al tavolino che aveva dietro.
«Che male. Porco Salazar, tu vuoi uccidermi» si lamentò Sirius, imprecando sottovoce.
Mary sogghignò e rispose: «Magari».
Sirius mosse le labbra, facendole il verso, beccandosi un pugno su una spalla sempre dalla ragazza.
«Vedo che ti sei dimenticato di me, figlio di un cane» esclamò James, scherzoso, sbattendo le ciglia in modo civettuolo.
Peter lo guardò con gli occhi sgranati, per un attimo agghiacciato, Remus scosse la testa mentre Sirius si portava una mano al cuore con fare teatrale.
«Come puoi accusarmi? Io non potrei mai tradirti!»
«Sì, okay» lo liquidò James, lanciando uno sguardo di fuggita a Lily, che li guardava con la testa inclinata, prima di tornare a parlare: «Che mi sono perso?»
Miriam si strinse nelle spalle e trillò: «Niente di che», stordendo quasi il povero Peter, che si portò le mani alle orecchie per non ritrovarsi con i timpani distrutti.
James ridacchiò e si buttò per terra, finendo praticamente addosso a Sirius, che si scostò da lui dicendo che “i suoi vestiti avrebbero potuto sporcarlo”.
«Disse quello che si rotola nel fango» sussurrò a bassa voce James, per non farsi sentire dagli altri, che intanto avevano ripreso a parlare tra loro.
«Smettila» borbottò, per poi sorridere nuovamente: «Ehi, Mary, guarda che non abbiamo finito di parlare!».
«Sempre il solito, eh, Pad? Non puoi lasciarla in pace, quella povera ragazza?» lo sfotté l’amico, mentre Peter, Miriam, Remus e Alice ridacchiavano sommessamente.
«Che simpatico, Prongs. Sto morendo dalle risate, non vedi?» esclamò Sirius, ironico. «Comunque, Jack ti ha già rilasciato?»
«Per fortuna sì, stavo per ucciderlo».
Lily inarcò le sopracciglia rosse e si chiese come avessero fatto a passare da un discorso a un altro così rapidamente. Poi pensò che, effettivamente, loro erano i Malandrini, e tutto era possibile quando si aveva a che fare con loro.
«Dico sul serio», stava dicendo James, mentre gli altri cercavano di non scoppiare a ridere, «E’ simpatico, ma quando indossa la divisa da Capitano non si può proprio sopportare!»
«Che dovremmo dire noi?» chiese retoricamente Peter, «Ti rapisce ogni volta che può» - Miriam scoppiò a ridere sguaiatamente alla parola ‘rapisce’ - «Ma non si stanca mai?»
«Evidentemente no. Ma cambiamo discorso, per favore». 












So di essere in ritardo e che avrei dovuto postare tre giorni fa, ma per colpa della neve hanno posticipato il viaggio di ritorno dalla montagna di un giorno e sono arrivata a casa che erano le otto e mezza ed io dovevo sistemare tutto. Poi si è fatto il tredici e dovevo studiare, quindi nein. Il quattrodici era il V-Day, e chi posta un capitolo tutto da single in quella data? Nessuno sano di mente! Quindi, quale giorno migliore del Giorno dei Single? Nessuno, perciò eccomi. 
Comunque... Sirius che è un imbranato con le ragazze? Già, e fino a prova contraria è canon. Nei ricordi di Piton, infatti, è James che si mette in mostra, mentre Sirius, quelle che lo guardano, non se le fila nemmeno di striscio. Io lo vedo così: un ragazzo normale, che ha paura di legarsi troppo ad una persona in periodi del genere, con delle paure e delle debolezze. :)
Nelle recensioni, mi hanno chiesto perché ci fosse anche un sesto ragazzo Grifondoro del settimo anno: quando ho scritto la prima versione di questa storia, non sapevo ce ne potessero essere solo cinque, anche perché con la magia si può benissimo ampliare un po' la stanza e infilarci un altro letto; chiedo venia se ciò vi crearà problemi, ma ormai mi ero affezionata troppo a Jack per mollarlo ^^.
La canzone è Roulette, dei System of a Down, e la strofa da me riportata dovrebbe significare: Io lo so come mi sento quando sono vicino a te. Io non lo so come mi sento quando sono vicino a te. Vicino a te.
Il prossimo capitolo verrà postato il giorno 29 febbraio.
Buona serata di San Faustino a tutti i single, io vado a vedermi la puntata cuoricinosa di Glee! 

Er.


Se vi interessa, il gruppo facebook è QUESTO.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4: And if life doesn't wait? ***


capitolo 4hh

A Sara.

Anche se in ritardo, tanti auguri, meraviglia.

Capitolo 4: And if life doesn't wait?

«The end, and if your life won't wait
Then your heart can't take this
Have you heard the news that you're dead?»
(Dead! – My Chemical Romance)


I lampi luminosi e colorati degli incantesimi illuminavano Diagon Alley in tutta la sua devastazione: le vetrine della maggior parte dei negozi erano state frantumate e ridotte a piccole schegge di vetro sparse sulla strada, le finestre dei piani superiori erano barricate, così come le porte, in modo da non far entrare nessuno sconosciuto.
Nessuno, tra le persone con il cappuccio scuro calato sulla maschera scheletrica, badava minimamente a chi colpiva con una maledizione: l’importante, dopotutto, era uccidere più oppositori possibili. Così aveva detto loro il Signore Oscuro. E quel che dice il Signore Oscuro è legge, chi lo contrasta può star certo di non uscirne vivo.
«Dorea, scappa!».
Una donna dai capelli scuri si girò verso il proprio marito, che la guardava a sua volta, negli occhi una muta supplica. L’uomo aveva i capelli leggermente più scuri dei suoi, capelli che in quel momento si erano appiccicati al suo viso sudato e sporco.
La donna scosse la testa.
«Solo se vieni con me, Charlus» disse piano, con voce rotta.
Erano lì da tanto, troppo tempo ormai, ma non si vedeva ancora nessuna squadra di soccorso. Per quanto sarebbe andata avanti quella battaglia?
«Non posso lo sai».
Intorno a loro, qualche Mangiamorte lanciò degli incantesimi verso una casa poco lontana, facendola esplodere. Le persone cedevano, vittime degli incantesimi, come burattini cui vengono tagliati i fili.
«Ti prego» supplicò la donna, con gli occhi socchiusi e la voce stanca.
«Te l’ho detto, non pos—Dorea, attenta!».
Avendo gli occhi semichiusi, la donna non si era accorta di una figura incappucciata ed ammantata in un mantello nero che si stava avvicinando rapidamente, la bacchetta stretta in pugno e puntata dritta verso di loro.
Il braccio destro della figura si alzò e sferzò l’aria fredda di quella sera di novembre, e solo Charlus, che era a poco più di un metro dalla donna, capì cosa stava per succedere. Si buttò sulla moglie nello stesso momento in cui le labbra del Mangiamorte pronunciavano l’incantesimo: «Avada Kedavra!».
La Maledizione lo colpì in pieno, poco sotto le costole. Prima di perdersi per sempre, il volto di suo figlio e della moglie gli balenarono sotto le palpebre, come impresse a fuoco. Poi il nulla: era morto.
Dorea urlò, mentre tutto, per lei, sembra essersi fermato. Tutto il resto le sembrava un eco lontano mille miglia, ma non si rese conto che era il suo grido a rimbombare vanamente tra i maghi che duellavano.
«Crucio!» gridò ancora la figura, e un dolore lancinante costrinse le ginocchia di Dorea a cedere.
La sofferenza dovuta all’incantesimo finì e il Mangiamorte si girò, correndo via assieme ai suoi compagni. Da dietro i suoi occhi lucidi, vide Albus Silente farsi largo tra i rimasti.
Dorea riuscì a vedere una folta, riccia chioma scura, quando un soffio di vento fece cadere il cappuccio al suo aggressore, prima che esso sparisse.
Si girò a pancia in su, e l’ultima cosa che vide fu un riverbero verde acido illuminare il cielo.

***


Dopo gli attacchi ai danni degli studenti, le ronde dei Prefetti si erano intensificate: ormai era difficile non vederne almeno uno controllare i corridoi con la bacchetta stretta in pugno sotto il mantello. Le giornate passavano lentamente, e molti erano già sotto stress.
«Prongs, cosa stai facendo?» chiese Sirius, affacciandosi da dietro la spalla dell’amico per vedere cosa aveva di tanto importante la pergamena su cui era piegato da tempo. L’unica cosa che riuscì a leggere fu un “È successo qualcosa?” scritto evidentemente di fretta, prima che James rigirasse il foglio.
«Niente, niente» disse il ragazzo con gli occhiali, reprimendo malamente un sospiro.
«Niente?» chiese Sirius, confuso. «Niente? È da due giorni che stai così. Non ci sei con la testa, sei assente. Che hai?».
«Sono solo preoccupato per i miei: avevo scritto una lettera più di una settimana fa, ma non mi ancora risposto nessuno. Poi papà con il lavoro di Auror è ancora più a rischio. Probabilmente mi sto preoccupando per nulla». Negli occhi di James, nonostante le sue parole, si poteva leggere facilmente la preoccupazione che vi alloggiava. Sirius non l’aveva mai visto così, nemmeno quando riceveva un ‘no’ dalla Evans.
«Magari hanno avuto da fare, non preoccuparti in questo modo. Conosci Dorea, spesso si dimentica alcune cose» sorrise Sirius, cercando di risollevare l’umore del migliore amico, che quel giorno sembrava essersi rifugiato sotto terra.
«Sì, hai ragione. A volte penso proprio di essere troppo… apprensivo, forse. Tu che ne pensi?» rise James; ma non era una risata come le altre, aveva un non so che di cupo, di forzato. Le iridi castane erano ancora velate da una leggera patina opaca. Sirius non volle indagare oltre nel dolore del compagno.
Lo guardò alzarsi dalla sedia e legare la lettera ad uno dei gufi della scuola, che spiccò poi il volo, venendo così inghiottito dal buio di novembre.
 

Il giorno dopo, a colazione, tutta la Sala Grande poté vedere James Potter uscire di corsa dal grande portone di quercia, una mano premuta a nascondere il volto da occhi indiscreti.
Sirius lo guardò sparire e prese rapidamente il giornale che l’amico aveva abbandonato sul tavolo. Lesse il primo paragrafo e un senso di inquietudine s’impossessò di lui; solo al secondo punto scattò in piedi per seguire l’esempio di James.
Durante una perlustrazione a Diagon Alley, una squadra di qualificatissimi Auror è stata attaccata da persone non ancora bene identificate che hanno distrutto parte della via (vedi pag. 8). Dalle nostre fonti sembra essere in pericolo di vita Edgar Bones, impiegato ministeriale.
L’attacco ha coinvolto sedici persone, stando a quanto abbiamo scoperto. All’arrivo della squadra di soccorso, sono stati ritrovati i corpi esamini di Charlus Potter, noto Auror, Samuel Lewd e, poco lontano, un ragazzo sulla ventina di cui non sappiamo ancora nulla.
«Non è nostro compito informare la stampa sullo stato di salute dei nostri pazienti» dice la Caporeparto del San Mungo alle nostre domande sulla moglie del signor Potter, ricoverata d’urgenza da ieri sera. «Oltretutto, la nostra posizione ci obbliga a non dare spiegazioni a nessuno, se non ai parenti del ricoverato in questione».
Il panico cresce nel nostro mondo, cosa dobbiamo aspettarci ancora? Attacchi alla celebre scuola di Hogwarts?
”.

***


In poco tempo la notizia aveva fatto il giro della scuola: Charlus Potter, uno dei più grandi Auror del Mondo Magico, era morto.
James Potter era entrato in lutto, lo si poteva vedere dal comportamento. Girava a testa bassa e il sorriso che di solito gli illuminava il viso non era più presente, mancava all’appello. La felicità che quegli occhi castani solitamente emanavano era svanita nel nulla, lasciando il posto alla – ultimamente sempre presente – amarezza.
Anche gli altri Malandrini sembravano piuttosto distrutti dalla devastante novità, specialmente Sirius: tutti sapevano che, da un anno a quella parte, era solito passare le vacanze interscolastiche dai Potter; Charlus doveva essere stato come un padre adottivo, per lui.
E poi c’era Remus, che soffriva assieme agli altri: dopotutto Charlus aveva sempre saputo della sua licantropia, ma l’aveva sempre difeso, nonostante le dicerie che giravano riguardo ai lupi mannari; lo aveva protetto quando altri non l’avrebbero fatto. Era stato una specie di idolo, per Remus, e la sua morte l’aveva sconvolto.
Anche Peter era molto abbattuto. I signori Potter erano sempre stati gentili con lui, che spesso veniva dimenticato dai propri genitori. La perdita di Charlus l’aveva toccato molto. Gli ultimi giorni d’estate, di solito, si ritrovavano a casa di James per passarli assieme, e il padre dell’amico lo aveva sempre trattato bene e con gentilezza.
In molti avevano rivolto le proprie condoglianze al giovane Potter, compresa Lily, che aveva riposto da parte l’ascia di guerra e le divergenze – per quel momento.
«Lils, che hai?» chiese Mary alla compagna di banco, che stranamente aveva lo sguardo perso nel nero pece della lavagna. La rossa alzò la testa di scatto e si girò velocemente verso l’amica, riservandole uno sguardo confuso.
«Che cosa?».
«Che hai, Lily? È da qualche giorno che sei strana» sospirò Mary, mordendo la fine della sua piuma.
«Strana? No, non mi pare» borbottò Lily, che poi poggiò la testa sul braccio che teneva sul banco. «Oggi Potter non c’è, hai notato?».
Mary si girò verso gli ultimi banchi e stimò che, effettivamente, James Potter era assente anche quel giorno. Dopo l’articolo, però, era anche relativamente normale. Nemmeno Remus, solitamente attento ad ogni lezione, aveva gli occhi rivolti verso il professore, perciò.
«Be’, ma scusa: dopo la morte del padre mi sarebbe sembrato più strano che venisse a lezione. Non credi?» contestò appunto la bruna, con le sopracciglia inarcate, arricciandosi una ciocca di capelli con un dito.
Quando si comportava così, Lily era decisamente criptica. Parlava in modo strano, le frasi erano spesso lasciate incomplete, come se dovessero essere completate da qualcun altro. Quel giorno, poi, continuava a muoversi nervosamente sulla sedia, e Mary non poteva che guardarla, basita.
«Vero» mormorò appena Lily, cercando invano di concentrarsi sulla lezione di Difesa Contro le Arti Oscure. La ragazza dai capelli rossi sospirò stancamente: non riusciva a concentrarsi, era un dato di fatto. E dire che Difesa era una delle sue materie preferite.
«Io continuo a credere che tu sia strana in questi giorni. Precisamente da quando Potter ha iniziato ad isolarsi» disse Mary, abbozzando un sorriso tirato, mentre Lily roteava gli occhi con aria un po’ scocciata.
«Che vorresti insinuare?».
«Non è che ti piace Potter?» chiese di getto, osservando con attenzione la reazione dell’amica: le guance di Lily assunsero un’accesa tonalità di rosso, mentre cercava di nasconderla con i capelli girandosi da un’altra parte.
«Mary, ma ti pare?» sbottò Lily, una volta ripresasi dallo shock. Insomma, a lei non poteva piacere Potter, proprio no. Sarebbe stato strano, insano, improbabile, impensabile, impossibile! Era un ragazzo arrogante e pieno di sé, solo questo: non aveva altre capacità particolare – a parte il Quidditch e il poter prendere bei voti anche senza studiare poi molto.
«Era solo una domanda, Lily. Calmati!» rise a bassa voce Mary, irritando così il professore.
«Silenzio là infondo!».
Sicura che non ti piaccia Potter?


***


«Signora, come si sente?» la voce di un’infermiera risuonò e riempì il vuoto della stanza del San Mungo dov’era tenuta in osservazione la signora Potter.
La donna sdraiata su letto si mosse sotto le lenzuola candide, mentre un dolore lancinante la scuoteva da capo a piedi. Fremé mormorando appena un: «Mi fa male tutto… Che succede?». Aprì gli occhi e le apparve davanti il soffitto bianco della stanza. La testa le scoppiava e ricordava poco o niente dell’accaduto. L’unica cosa che, se si concentrava, riusciva a rivedere era un lampo di luce verde ed uno rosso. Nient’altro.
«C’è stato un attacco a Diagon Alley, non si ricorda?» chiese l’infermiera, cercando di apparire sorpresa o compassionevole e trattenendo uno sbuffo. Aveva dei capelli biondi raccolti in una cosa bassa e dei grandi occhi castani.
Dorea scosse la testa, reprimendo un gemito per il dolore provocatole dal movimento.
«No, niente. Dov’è mio marito?» domandò con voce roca, mentre un brivido le percorse la spina dorsale, facendola trasalire. Non seppe perché lo fece, ma trattenne il respiro nei polmoni finché l’infermiera non parlò.
«Mi dispiace molto, signora Potter, ma suo marito non c’è più».
Dorea spalancò gli occhi di scatto, perdendosi a contemplare il soffitto. Charlus non c’era. Probabilmente voleva dire che era già stato dimesso e in quel momento non c’era, che se n’era andato da poco. Sì, probabilmente voleva dire ciò.
O almeno, così sperava la donna.
«Oh. Quando riaprono gli orari delle visite?» chiese ancora, con il respiro mozzo.
«Domani mattina, ma suo marito non verrà: è morto» disse la bionda, abbozzando un sorrisino che Dorea trovò decisamente fuori luogo. Quella donna le sembrava parecchio apatica nei confronti del proprio lavoro, non c’era passione in quel che faceva, le parole che uscivano da quelle labbra sottili non erano mai sinceramente dispiaciute, ma sembravano dette forzatamente. Non capiva, Dorea, perché facesse un lavoro che non le piaceva.
Lo sguardo le cadde sulla targhetta che brillava appuntata al petto dell’infermiera e che catturava la luce che le lampade alle pareti emanavano. Mentre archiviava il nome “Caridee Jackson”, il suo cervello realizzò solo in quel momento che Charlus era morto, che non sarebbe andato a prenderla per riportarla a casa, che l’avrebbe più abbracciata stretta mormorandole parole dolci all’orecchio, che non le avrebbe mai sorriso un’altra volta.
«C-come morto?» sussurrò, stringendo convulsamente il bordo del lenzuolo che la copriva, con gli occhi lucidi. Sembrava sul punto di piangere, e la cosa era sorprendente, in un certo senso: era difficile vederla piangere, perché lei non piangeva quasi mai.

«Durante l’attacco è stato colpito da un Anatema. Non ci sono speranze» aggiunse Caridee, scuotendo impercettibilmente la testa, mentre dei capelli biondi le sfuggivano alla coda e le ricadevano lungo il collo chiaro.
«Non è possibile».
«Mi dispiace per lei, signora, so cosa si prova. Il mio fidanzato è… è malato, e ho sempre paura che si possa sentire male e non farcela. Ora mi scusi, ma devo proprio andare» così dicendo, fece per uscire, ma si girò ancora una volta verso la paziente e disse: «Ah, ha ricevuto della lettere. Se se la sente, sul comodino ci sono carta e penna».
Una volta sola, tra le ciglia della signora Potter si fecero largo grosse lacrime, mentre allungava le mani verso il comodino per afferrare le buste di carta che la donna le aveva indicato.

1 novembre 1977.
Mamma,
            che è successo? Sono giorni che aspetto una vostra risposta, ma non arriva niente. Mi sto preoccupando per voi, anche se probabilmente Sirius ha ragione quando dice che sto facendo di un arrosto un incendio. Però è strano non ricevere lettere da parte tua. Di solito mi infastidisce ricevere una sgridata da te, ma ora ne sento addirittura la mancanza.
Okay, ora vado, credo di stare impazzendo completamente.
Rispondimi in fretta, mamma, per favore.
Con affetto,
James.


Dorea strinse la lettera tra le mani per un po’, stropicciandola tutta, prima di prendere carta e penna ed iniziare a scrivere, nonostante la stanchezza. Dopotutto suo figlio aveva il diritto di sapere la verità.
Ma lei non sapeva che suo figlio era venuto a conoscenza della morte di Charlus prima di lei.

***


«James! James, aspettami, ti devo parlare!» lo richiamò una voce femminile alle sue spalle, costringendolo a fermarsi. Sospirò, aspettando che Mary lo raggiungesse.
 
«Che c’è?».
«Lily mi ha… mi ha detto di chiederti una cosa, visto che lei aveva da fare» disse velocemente la ragazza, con il fiato corto per colpa della corsa.
James le riservò uno guardo confuso: la Evans doveva chiedergli qualcosa?
«Lei ha un impegno venerdì» iniziò la ragazza, mordendosi il labbro inferiore: era imbarazzante chiedergli una cosa del genere dopo così poco tempo da una perdita talmente importante, «voleva sapere che potessi fare a cambio con lei. Per le ronde, dico».
James sembrò turbato e si mosse nervosamente sul posto. «No, non posso, mi dispiace». Nella sua voce non c’era rancore o altro, ma era palpabile una leggera nota di sforzo: probabilmente per pronunciare quel ‘mi dispiace’ aveva dovuto tirare fuori tutta la sua forza interiore. Giovedì sarebbe partito con Sirius per Godric’s Hollow, per assistere al funerale di suo padre: ancora non riusciva a crederci. Non aveva anche il tempo di pensare alle ronde, in quel momento.
«James, mi dispiace molto» mormorò appena, «Insomma, per tuo padre. Non so cosa si prova, ma non deve essere facile, né tantomeno bello».
James sorrise aspramente: no che non era facile, anzi. La mente era affollata da ricordi che premevano per proiettarsi nei suoi occhi castani: la sua prima volta sulla scopa; il suo primo giorno ad Hogwarts; il suo dodicesimo compleanno, quando suo padre gli aveva regalato il Mantello dell’Invisibilità; il giorno in cui aveva detto tutta la verità su Remus e il suo “piccolo problema peloso”; il sabato in cui Sirius li aveva raggiunti a casa, dopo essere scappato dalla casa d’origine. Tutti i ricordi gli perforavano la mente. Gli occhi gli divennero lucidi, ma ricacciò indietro le lacrime.
«James, non fare così» tentennò la ragazza, e il ragazzo posò lo sguardo su di lei. «Non devi ridurti così, no. Tu puoi superarlo e lo sai. Non abbatterti, vai avanti a testa alta, non mostrarti fragile: sarebbe come un suicidio, di questi tempi».
James azzardò un sorriso sbilenco e rispose, sistemandosi gli occhiali che rischiavano di scivolargli dal naso: «Grazie, Mary».
«Ma ti pare? Comunque sai, forse dovresti parlarne anche con i tuoi amici: non fa per niente bene tenersi tutto dentro, te lo assicuro» disse, stringendosi nelle spalle e tornando a camminare verso la Sala Comune a passo spedito.
«Non mi tengo tutto dentro» ribatté James, che, dopo un attimo di stordimento, aveva incrementato la velocità del passo così da far diminuire la distanza tra loro.
«Davvero?» chiese, scettica. «io non credo che una persona – specialmente un ragazzo – abbia molta voglia di parlare di quello che prova o della morte di un genitore. Ma probabilmente mi sbaglio, vero?».
«No, non sbagli» ammise lui, dopo una pausa eloquente.
«Appunto. Ma vedi, sfogarsi a volte fa bene. Perché se ti tieni tutto dentro, nel tuo cuore e nella tua testa si formerà un groviglio indistinto di pensieri ed emozioni. E poi che succede? Semplice: a forza di fare così, ad un certo punto, bum!, esplodi» spiegò la ragazza, sistemandosi la tracolla piena di libri sulla spalla e guardandosi distrattamente attorno. Il corridoio era semideserto: dopo gli ultimi avvenimenti era raro vedere persone girare da sole per la scuola dopo le sette.
«Mh. Forse hai ragione. Dopotutto sono i miei migliori amici, non ha senso tenergli nascosto tutto  questo…».
«Lasciatelo dire: non sembri tu» ridacchiò la ragazza, sorridendo.
«Ah, no? E chi sembro?, Mocciosus, forse?».
«Ha un nome, James. Si chiama Severus» s’impuntò lei, che, sebbene non lo sopportasse più di tanto, sapeva quanto ancora stesse a cuore a Lily: era questo quel che più la urtava, il sapere che anche solo il soprannome “Mocciosus” poteva farla soffrire. E lei non voleva che succedesse, perché le voleva davvero troppo bene.
James roteò gli occhi e ribatté: «Lui è Mocciosus, un insopportabile Serpeverde».
«Non tutti i Serpeverde sono malvagi» esclamò, sentendosi chiamata in causa: parecchi dei suoi parenti erano stati degli studenti di quella Casa.
«No, cioè, non capisco. Dopo quel che ha fatto Mulciber, li difendi anche?» domandò James, alzando involontariamente la voce.
Con la coda dell’occhio vide la ragazza fermarsi di colpo ed irrigidirsi. Mary sbiancò notevolmente e spalancò gli occhi azzurri; boccheggiò, presa in contropiede, prima di rispondere con voce tremante: «Sta’ zitto».
«Scusa – non deve essere bello, ehm, ricordare quell’episodio» farfugliò il ragazzo, che si era dimenticato quando lei fosse sensibile all’argomento. Mulciber era un Serpeverde del loro stesso anno, che tre anni prima le aveva teso un agguato in biblioteca. Se non l’avesse trovata James, chissà c0sa sarebbe potuto accadere.
«Non parlarne e basta».
«Come mai la Evans vuole fare scambio di turni, comunque?» domandò allora lui, cercando di spostare il discorso su qualcosa di più gestibile.
«Mah. Non ho capito bene, mi pare c’entri qualcosa con Lumacorno e le sue feste private. Io le odio» sospirò, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio destro. «Ogni volta che ce n’è una cerco sempre di avere qualcos’altro da fare».
«Lumacone e le sue feste… Io non ci sono mai andato, come sono?».
«Orribili: ci sono andata qualche volta e mi sono annoiata sempre».

***


Sirius stava salendo la rampa di scale che l’avrebbe fatto arrivare al settimo piano in compagnia di Peter. Le loro borse erano cariche di schifezze di vario genere e di bottiglie di cui si avvertiva il ripetuto tintinnio.
«Pensi che gli piacerà?» domandò ad un certo punto Peter, un po’ intimorito. Sirius lo guardò di sottecchi e capì che la vera domanda era: «Non è che stiamo sbagliando in pieno, vero?», ma finse di non esserci ancora arrivato e gli sorrise incoraggiante.
«Credo di sì. E poi James adora la Burrobirra» disse, alludendo al liquido dorato che alloggiava in alcune delle bottiglie.
Peter annuì, titubante, e Sirius lo rassicurò: «Andrà tutto bene. E ora andiamo, che dobbiamo arrivare prima di James».

«Ce l’abbiamo fatta» esalò Peter, entrando nel dormitorio fortunatamente vuoto. Posò la borsa sui bauli e si passò una mano sulla fronte leggermente sudata; ringraziò Merlino che gli altri non fossero ancora rientrati, perché sennò sarebbe stata una fatica sprecata.
Sirius sospirò, soddisfatto. «Controlli sulla Mappa dov’è James?» chiese, buttandosi sul letto ancora sfatto.
«Okay» annuì, aprendo il cassetto del comodino di James. Ne tirò fuori la Mappa del Malandrino e l’aprì, scrutando poi con attenzione i cartigli e cercando il nome del loro amico.
«È al sesto piano con Mary» lo informò e gli porse la pergamena incantata.
«E che ci fa con lei?» domandò Sirius, sorpreso.
«Ah, boh. Staranno tornando in Sala Comune assieme, dopotutto vanno d’accordo» rispose Wormtail, stringendosi nelle spalle.
Sirius annuì, pensieroso, con le labbra corrucciate.
«Cos’è tutta questa roba?» chiese Frank, entrando in stanza insieme a Remus, che scosse la testa, rassegnato, come se già sapesse dove volevano andare a parare gli altri due.
«È per Prongs, così magari riusciamo anche a tirargli un po’ su il morale!» esclamò Sirius, mettendosi a sedere. 
I due nuovo arrivati si guardarono un attimo, interdetti, prima di abbozzare un sorrisetto.
«Mi sembra una buona idea» disse piano Frank.
«Ma forse è un po’ presto…» mormorò Remus, confuso. Come avrebbe reagito James? Lo conoscevano da sette anni, ma in quegli ultimi giorni era diventato sempre più scostante e lontano.
Peter ebbe un tremito e Sirius, per quanto volle nasconderlo anche a se stesso, sentì il respiro mozzarsi in gola: era proprio di quello che avevano paura. James avrebbe potuto benissimo sbottare loro contro ed uscire dalla stanza di corsa, incurante dei richiami che sarebbero sicuramente usciti dalle labbra degli altri.
Sirius nascose ogni paura e rispose: «Non credo… E poi cosa c’è, non ti fidi più di noi?».
«Ma che dici, certo che mi fido!» ribatté Remus, perplesso, sciogliendosi il nodo della cravatta e posando quest’ultima sul comodino.
«Non è che mi tradisci, vero, Sirius?» domandò James entrando in camera con passo quasi strascicato; aveva un tono stanco e spossato e gli altri non sanno cosa fare. Perché James, sotto sotto, era sensibile, e per quanto volesse nasconderlo rimaneva tale.
«Ma cosa dici! Non potrei mai!».
«Okay, abbiamo finito con questa storia?» chiese Frank, che poi indicò la scorta di Sirius e Peter.
James puntò lo sguardo dove puntava il dito l’amico e piegò le labbra in un pigro e laconico sorriso stiracchiato. «Ragazzi, grazie, ma…».
«Niente ma, Prongs, o ti mordo» lo avvisò Sirius, facendo ridacchiare Peter e Remus.
James gli sorrise, grato, ma rimase ancora fermo. Poi Frank prese in mano una bottiglia di Burrobirra e gliela passò; Potter lo guardò, titubante, per poi aprirla con un ‘top’ che risuonò per la camera. La avvicinò alle labbra e iniziò a bere, prima piano e poi più velocemente – voleva solo dimenticare almeno per una notte, non chiedeva di più. Smetterla di bagnare il cuscino di notte, nascosto dietro le tirate tende scarlatte che usava per coprirsi agli occhi dei compagni; voleva solo passare una notte senza pensare a niente.

Qualcosa continuava a battere contro il vetro della finestra chiusa e dalle cortine ancora aperte, che lasciavano perciò filtrare pallidi raggi di un sole di inizio novembre. Peter strizzò un occhio, perplesso, cercando di mettere a fuoco l’animale dietro la finestra. Si alzò dal letto e si mosse, a piedi scalzi, verso di essa; la aprì e corrugò la fronte quando si trovò di fronte ad un gufo piccolo e tutto arruffato.
«E tu chi sei?» chiese con voce assonnata, ancora troppo stanco per ricordarsi che quello era un gufo e che non poteva né capirlo né rispondergli.
«Worm, ma con chi diavolo stai parlando?» borbottò la voce di James, attutita dal cuscino in cui aveva tuffato il viso. I capelli neri erano sparsi su tutto il guanciale, come un’aureola scusa su un qualcosa di candido; gli occhi aperti a fatica, perché il tessuto del cuscino li infastidivano tremendamente.
Peter si strinse nelle spalle, ma, guardando finalmente la grafia – tremante – sulla busta capì subito di chi si trattava: Dorea aveva finalmente risposto a James, che in quel momento lo guardava con la faccia assonnata ma gli occhi ancora cerchiati da profonde occhiaie. Dentro di sé, Peter volle solo trovare un modo per aiutarlo, per non farlo stare così male, per non farlo soffrire, per farlo sorridere e fargli capire che lui ci sarebbe stato, che sarebbe sempre rimasto.
«James, è tua madre…» rispose appena, non sapendo bene cos’altro aggiungere.
Guardò le labbra rosse di James che si assottigliavano in una linea dritta e che faceva male. Faceva male solo a guardarlo in viso, perché il dolore e la preoccupazioni erano ben visibili negli occhi scuri ed era orribile sentirsi tanto impotenti davanti a qualcosa di tanto grande.
E noi non siamo grandi, noi siamo piccoli. Siamo piccole pedine in una scacchiera che risulterà sempre troppo grande, anche vista da sopra un aereo – pensò confusamente Peter, che porse la lettera a James, mentre la testa di Frank faceva capolino dalle coperte vermiglie di uno dei letti.
«Che succede?».
«Che giorno è?» domandò James, impallidendo visibilmente.
Non può essere già il quattro novembre. No, no – continuava a ripetersi in testa, scuotendo di tanto in tanto la testa. Ieri che giorno era? Oh, cazzo. Il tre… No, no.
James corse verso il letto di Sirius e strattonò con forza le coperte, scoprendo un Sirius Black sdraiato a pancia in sotto, la testa sul cuscino, un braccio penzoloni e un’espressione beata in viso. Espressione che, naturalmente, venne prontamente sostituita da una smorfia per il freddo e la scocciatura.
«Ma che…?» chiese, borbottando. «Lasciatemi dormire, villici» continuò e nascose il viso con il cuscino.
«Merlino, alzati, Sirius!» sbottò James, che sembrava aver riacquistato vitalità, finalmente, dopo quasi una settimana. «Mamma ci aspetta per l’ora di pranzo e noi non abbiamo nemmeno messo le cose in una borsa! Per Morgana, alzati o ti calpesto».
«Pf» bofonchiò Sirius, mentre Peter sorrideva appena e si sedeva per sbaglio sulla mano destra di Remus, facendo sobbalzare quest’ultimo. «Va bene, ma dimmi che ore sono, plebeo».
James piegò appena le labbra nel principio di un pigro sorriso: perché Sirius non aveva tatto, ma in certi momenti, forse, era l’unica cosa di cui James aveva bisogno. E Sirius faceva bene, perché non pensava mai tanto a quello che faceva, ma lo faceva e basta, e finiva con il far ridere la gente e far dimenticare i problemi.
«Sono le dieci e mezza passate, mia regina» gli rispose per le rime James, frattanto che Jack si alzava e ruzzolava a terra per mancanza di equilibrio. Poi prese uno zaino da sotto il letto – era sempre stato un mago piuttosto disordinato – e iniziò a ficcarvi dentro le cose che pensava gli sarebbero tornate utili.
«Merda…» si lamentò Sirius, alzandosi di malavoglia e seguendo l’esempio dell’amico. Remus, individuando un paio di boxer blu dell’amico sulla lampada, li prese, li appallottolò e poi glieli lanciò, beccandolo sulla guancia. «Moony! Non mettertici pure tu!» sbottò, ma in realtà rideva come un bambino sinceramente divertito. E lo era – Sirius era, in fondo, un bambino troppo cresciuto: con quel sorriso allegro e quel carattere lunatico che tendeva facilmente al capriccioso.
«Avete ancora due ore, state calmi» ricordò Peter, buttandosi di nuovo sul letto a peso morto. Sirius si sedette sul letto e annuì, e fece per stendersi, quando James urlò:
«Ma che stai facendo? Non abbiamo tempo! Muoviti!».
«Certo, certo… Un momento: come sai che dobbiamo andare da Dorea?». James uscì rapidamente dal bagno, dov’era entrato poco prima per afferrare dello shampoo d’emergenza, e gli indicò il comodino: c’erano due lettere, probabilmente una era quella appena arrivata.
Sirius ne prese una a caso.

San Mungo, 3 novembre 1977.

Jamie,
        io sto bene, ma non posso dire lo stesso di tuo padre. Mi fa male dirtelo così, preferirei farlo faccia a faccia, ma purtroppo dovrò accontentarmi: tuo padre è morto, James. Lo so che sarà uno shock, lo è stato anche per me, ma dobbiamo restare forti lo stesso. È quello che vorrebbe.
Domani ti manderanno a casa. Mi farebbe piacere che tu e Sirius veniste a trovarmi. Ho già chiesto a Silente, ed ha acconsentito. Mi mancate.
Vi aspetto per mezzogiorno,
La vostra mamma.

Si era firmata la vostra mamma. Lo faceva spesso, ma per Sirius era sempre importante leggerlo. I signori Potter lo avevano accolto a casa subito, quando era scappato da Grimmauld Place numero 12, lo avevano trattato come un figlio senza mai chiedere niente in cambio. Non avevano fatto domande, quando avevano visto la fine di un taglio che s’intravedeva dalla manica della maglietta che indossava quel giorno d’estate, sebbene Sirius ricordava di aver visto le labbra di Charlus tremare forte. I signori Potter erano stati i genitori che non aveva mai avuto, non poteva lasciare da solo la mamma.

***


Quando bussarono alla porta del suo ufficio, la McGranitt si alzò dalla sedia con la solita compostezza ed andò ad aprire. Davanti a lei, fuori dalla porta, James e Sirius si tenevano la pancia. Avevano il fiato corto – non ci volle molto a capire che avevano corso per evitare il ritardo.
Minerva sorrise e disse: «Bene, venite», e si avviò di nuovo verso la scrivania, mentre uno dei due ragazzi si chiudeva la porta alle spalle. Aprì un cassetto e ne tirò fuori un barattolo pieno di polvere. Lo scoperchiò e fece scivolare un po’ di polvere nei palmi aperti di entrambi i ragazzi, che poi si avvicinarono al camino di pietra liscia.
«Grazie» sorrise appena James, guardando il camino: tra poco sarebbe tornato a casa, ma sarebbe mancato un abbraccio, sarebbe mancato qualcuno, sarebbe mancata una parte di lui. Sentì una stretta alla bocca dello stomaco e subito dopo il bisogno di sbattere le palpebre.
«Non mi ringrazi, signor Potter. In queste circostanze non potevo negarvelo» disse, seria, mentre Sirius faceva cenno a James di entrare nel camino.
«Casa Potter, Godric’s Hollow!» esclamò, buttando la polvere a terra, subito prima di scomparire in un turbinio di fiamme verdi smeraldo che si spensero solo dopo un po’, quando, ormai, all’interno del camino non v’era più nessuno.
Sirius imitò l’amico e poco dopo la professoressa si lasciò cadere sulla sedia davanti alla scrivania, esausta. Quei ragazzi, così giovani, stavano già soffrendo per la guerra.

La signora Potter era seduta sul divano del soggiorno del numero 64 di Godric’s Hollow. Aspettava i due ragazzi, i suoi due figli. Quello stesso giorno era stata dimessa dal San Mungo ed era tornata a casa, rifiutando l’aiuto offertole dalla cara Batildha e preferendo far tornare James e Sirius anche solo per sentirli lì, sentirli vicini, durante il funerale di Charlus.
E mentre sospirava con una mano tra i capelli scuri e lanciava occhiate all’orologio, delle fiamme verdi illuminarono parte della stanza e dal camino uscì un ragazzo dai capelli scuri quanto quelli della donna solo che ricoperti di fuliggine e gli occhiali storti sul naso. Subito dopo, comparve un secondo ragazzo, con i capelli forse un po’ troppo lunghi ed un sorriso storto volto a Dorea.
«Mamma!» esclamò James, non appena la vide. Dorea fece per aprire la bocca, ma le braccia del figlio l’avevano già circondata e se ne stette in silenzio con gli occhi lucidi – ha i tuoi occhi, Charlus. «Mamma, come stai?».
«Male» rispose sinceramente lei, quando il figlio si allontanò. «Perché stai lì, Sirius? Vieni qui immediatamente, sei parte della famiglia» aggiunse poi, sforzandosi di apparire perentoria e allegra come al solito, ma invano, all’altro ragazzo. Questo la guardò mestamente, prima di sorriderle appena e avvicinarsi per abbracciarla.
«Salve, signora Potter» sussurrò piano. «Mi dispiace molto».
Lei lo guardò storto, prima di accennare un sorriso: «Quante volte dovrò dirti ancora che mi devi chiamare Dorea?».
«Non lo so, signora Potter» rispose, forse solo per farla sorridere davvero. James, in quel momento, lo amò davvero.
«Mmh…» la donna lo guardò storto, mentre il figlio si scambiava uno sguardo con l’amico. «Per questa volta passi… Ora andate a posare le borse nelle vostre camere, su! E riposatevi, è stato un viaggio lungo».
«In realtà ci abbiamo messo tre secondi» disse James, perplesso e sorridendo davvero. Ad uno sguardo della madre, aggiunse: «Ma vabbe’. Andiamo».
Sirius annuì e lo seguì per le scale, lo zaino sulla spalla destra. Sulla parete erano appese delle foto e anche due quadri grandi, forse per occupare un po’ lo spazio. Sirius, mentre saliva anche l’ultimo scalino, pensò per la milionesima volta a quanto quella casa fosse piena – di vita, d’amore, d’affetto, di famiglia –, e a quanto il numero dodici di Grimmauld Place fosse diverso da essa.
«Ci vediamo tra poco, Pad» lo salutò James, continuando a camminare fino all’ultima stanza del corridoio, mentre l’amico si fermava di fronte alla seconda.
«D’accordo» annuì Sirius, sorridendogli ed entrando poi nella camera degli ospiti – ormai denominata da Dorea ‘la camera di Sirius’.
Non era una stanza molto grande: c’era un letto dalle lenzuola azzurre proprio sotto la finestra che dava sulla strada babbana, un comodino di mogano con sopra un lume spento ed un orologio, il solito cassettone vicino alla porta con un vaso sopra, la scrivania piena di fogli ordinati in pile e, su una parete, uno stendardo di Grifondoro.
Tirò fuori dal vecchio zaino nero e malandato i vestiti che aveva portato da Hogwarts e spostò il vaso sul cassettone, così da far posto ai propri effetti personali – sarebbe stato lì due giorni, non gli andava di mettere tutto a posto. In fondo non aveva nemmeno portato tante cose: l’abito da cerimonia per il funerale, tre paia di boxer – tra cui quello con i Boccini ricamati sopra che gli aveva regalato Charlus l’anno prima – ed il cambio.
Si avvicinò alla finestra e si sedette sul letto per guardare fuori dalla finestra – c’era un gruppo di Babbani che giocavano a palla e delle ragazze che ridevano e li indicavano con malizia.
Beati loro, che non sanno niente.
Si stese sulle coperte, i capelli che si spargevano sul guanciale morbido, e rimase così, a guardare il soffitto, finché la porta non si aprì di nuovo per far passare James.
«Io ho finito di sistemarmi, e tu?» domandò, guardando con un sopracciglio inarcato i vestiti abbandonati sulla mobilia.
«Idem» rispose Sirius, ignorando bellamente l’occhiata di James molto simile ad un “questo ti sembra mettere a posto?”. «Scendiamo?»
«Sì, è ora di pranzo e scommetto che la mamma ha cucinato tutta la mattinata per… sai… non pensare» rispose, passandosi una mano sul viso e poi – perché era una cosa naturale, e ormai nemmeno si accorgeva di farlo – tra i capelli neri.
L’amico lo guardò mestamente prima di annuire ancora e uscire dalla porta con James dietro.
In salotto, la signora Potter ingannava il tempo – ed i suoi pensieri – leggendo il giornale del giorno. Le labbra erano stese in una smorfia, ma quando i due ragazzi entrarono si sforzò di sorride sul serio.
«Vi siete già sistemati?»
«Non avevamo così da tanto da sistemare, mamma…» le ricordò il figlio, con più tatto possibile. «Non restiamo tanto, lo sai: rimaniamo solo per il weekend».
«Oh, sì, giusto. Giusto» sorrise ancora lei, e sia a James che a Sirius si strinse il cuore. «Scusate, ma ultimamente mi scordo le cose… Vabbe’. Andiamo in cucina? »
Mentre andavano in cucina, Sirius afferrò La Gazzetta che stava leggendo Dorea poco prima e lanciò uno sguardo di sfuggita alla copertina, per poi posare il giornale sul tavolo già apparecchiato.
«C’è scritto qualcosa?» chiese James, sospettoso, mentre si sedevano.
«Ovvio che c’è scritto qualcosa, Prongs» ghignò Sirius, aprendo ad una pagina a caso, mentre Dorea gli metteva nel piatto della carne.
James lo guardò storto. «Che gran battuta, Paddy» lo riprese, usando uno dei tanti vezzeggiativi odiati da Sirius. «Comunque intendevo…»
«Capito» ringhiò l’altro, infastidito dal nomignolo. «Aspetta… Mmh… No, stranamente niente attacchi tra ieri ed oggi».

***


«Mary?» la chiamò Lily, intenta a sfogliare una delle tante riviste di Miriam.
«Sì?»
«Stai bene?» le domandò ancora, con fare apprensivo.
Mary sospirò e si distese sul letto, i piedi sul cuscino e la testa dall’altra parte, passandosi una mano tra i capelli castani. «E tu?» le chiese di rimando.
Lily lanciò uno sguardo al calendario appeso vicino alla porta e non rispose.
4 novembre – funerale.

***


Il funerale era stato celebrato nella piccola chiesa del paese, e furono molte le persone che vi assistirono – molti di loro, infatti, James non li aveva mai nemmeno visti, infatti era d’accordo sulla madre sul fatto che sarebbero potuti essere benissimo dei colleghi di suo padre. Avevano tutti rivolto le loro condoglianze alla famiglia, prima di andare via, mentre in pochi restarono con loro fino alla fine, assistendo così anche alla sepoltura.
Dorea aveva pianto, stretta tra le braccia del figlio, e Sirius, lì accanto, non si era sentito fuori posto come invece aveva immaginato sarebbe successo.
Era venuto anche Alastor Moody, e, con grande sorpresa dei ragazzi, era rimasto anche dopo. La signora Potter aveva spiegato loro che avevano frequentato Hogwarts insieme, che erano amici di vecchia data, ma che poi, con il lavoro e tutto il resto, avevano perso un po’ i contatti.
«Grazie della birra, Dorea» disse Malocchio, mentre camminava nell’atrio di casa Potter per tornare alla propria.
«Figurati, Alastor» sorrise la donna, accompagnandolo. «E’ stato un piacere. È stato bello passare del tempo con un amico, vienimi a trovare più spesso, se vuoi».
«Volentieri, ma ora devo andare: Barty mi ha convocato per non so cosa, e sappiamo entrambi quando gli diano fastidio i ritardi» disse con voce roca, appoggiandosi al bastone di legno e roteando gli occhi chiari.
«Ah, il vecchio Crouch… Ha un figlio, vero?».
«Già. Quel povero Cristo dovrebbe avere uno o due anni in meno di tuo figlio, Dor».
«In effetti a scuola c’è uno che fa di cognome Crouch!» s’intromise James, non capendo cosa c’entrasse il ragazzino biondo e lentigginoso di Hogwarts con il discorso dei due adulti.
«Ecco. Be’,» sospirò, mentre Dorea gli apriva la porta di casa, «mi dispiace, ma devo proprio andare. Ci vediamo, Dor. Spero di vedervi ai corsi per Auror del prossimo anno, allora, ragazzi».
«Non sapevo conoscessi Malocchio, mamma» commentò James, quando la porta si chiuse alle spalle dell’uomo. «Come mai non me ne avete mai parlato – né tu, né papà?».
«Eh? Oh, te l’ho detto: eravamo compagni di scuola ad Hogwarts. Anche Alphard, tuo zio, Sirius, era a scuola con noi».
«Mio zio?» chiese Sirius, aggrottando le sopracciglia, sorpreso e confuso allo stesso tempo.
«Già» gli sorrise. «Non lo sapevi? Dopotutto siamo parenti».
«Sì, solo che non avevo mai fatto il collegamento… E non sapevo che fossi una Black, non mi pare di aver mai visto il su-tuo nome sull’arazzo» disse Sirius, evitando di ricevere un’altra ramanzina sul fatto che doveva darle del tu e non del lei.
«Forse mi hanno cancellata» rifletté Dorea, concentrandosi. «Sapete, io mi sarei dovuta sposare con Theodor Burke, era tutto combinato, ma poi ad Hogwarts conobbi Charlus e successivamente mandai a monte tutto. La cosa non era poi tanto importante, inizialmente: dopotutto Charlus era un Purosangue, il che voleva dire che il sangue sarebbe rimasto puro. Ma poi, con i primi contrasti contro i Babbani, è cambiato tutto. I Potter si schierarono dalla parte opposta a quella dei Black, e i miei lo presero come uno smacco alla Casata. Ma è accaduto tutto prima della nascita di James… qualche anno, mi pare».
«Insomma, racconta lentamente le storie, Dorea!» scherzò Sirius, alludendo alla velocità e la poca cura dei dettagli con cui la donna aveva raccontato la propria storia.
La signora Potter storse un po’ il naso: «Non mi piace parlare del mio passato. E poi è tardi, voi dovete andare a dormire» liquidò il discorso con un tono che non ammetteva repliche, sorridendo subito dopo solo per tranquillizzarli di non sapeva neanche lei cosa.
«D’accordo, d’accordo» borbottò James, dando un bacio sulla guancia della madre e fermarsi davanti alle scale per aspettare che l’amico lo raggiungesse.
«Buonanotte, ragazzi».
«Notte!»
E mentre guardava i ragazzi salire, Dorea pensò al sorriso di Charlus e al suo probabile «Giorno!» detto solo per farla ridere.
i












Uccidiamo l’autrice, yeeeeee. No, serio, vi prego, risparmiatemi! Ho anche il capitolo cinque già pronto, non potete uccidermi così… u_u
Comunque. Che ve ne pare? A me qualche scena non fa impazzire – e mi dispiace da morire per Charlus ç_ç –, ma il capitolo era nato così e doveva finire così. Diciamo che è stato un passaggio un po’ obbligatorio: niente morte di Charlus, niente Lily/James. Giààà. Tranquilli che al dodicesimo capitolo avremo tutto più chiaro – si spera!
Ora, ho qualche appunto **
*Malocchio, ora come ora, ha ancora tutti e due gli occhi. Non è molto rilevante, ma vabbeeee’.
*La scritta “4 novembre – funerale” credo si sia capita: si riferisce al funerale di Charlus *Capitan Ovvio è in città*. Fate che Mary o Lily ne abbiano parlato con Remus. u_u
Il prossimo capitolo lo posterò il 15 marzo.
E ora… TANTI AUGURI, SARA.
 
*Scappa e torna a studiare*

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Capitolo 5
*** Capitolo 5: Snitch and Touch. ***


Capitolo 5

Capitolo 5: Snitch and Touch

«C’è sempre qualcosa di più, un po’ più in là…
Non finisce mai».
(Sulla Strada – Jack Kerouac)

La settimana dopo il ritorno di Sirius e James era iniziata normalmente, quasi come tutte le altre: James sembrava aver riacquistato un po’ del suo solito buon carattere, mentre Sirius, be’, era rimasto Sirius, solo che più allegro ché qualche giorno prima. Tuttavia, se si passava molto tempo con loro, ci si poteva rendere facilmente conto che spesso si perdevano – un po’ tutti, anche Peter e Remus – nei propri pensieri, mentre un velo di malinconia prendeva ad aleggiar loro negli occhi.
Il lunedì era passato lentamente, tra lezioni di Erbologia, Aritmanzia e Storia della Magia, mentre quel martedì l’aspettavano, crudeli come solo loro potevano essere assieme, doppie Pozioni e Trasfigurazione. Ultimamente, poi, la professoressa McGranitt era più strana del solito con gli studenti che frequentavano il settimo anno, anche se nessuno sembrava aver capito il perché, ma dopotutto dei ragazzi non dovevano poi preoccuparsene più di tanto.
Nell’aula di Pozioni faceva caldo, nonostante fosse nei sotterranei del castello. I fumi che si alzavano dai calderoni di peltro degli alunni appesantivano l’aria, facendo tossire alcune persone; altri, invece, sembrano più che a loro agio, tra liquidi e schifezze come gli occhi delle Salamandre.
Lily mescolava con perizia la propria pozione da quasi un quarto d’ora, aspettando pazientemente che essa assumesse la consona tonalità azzurro pallido di una buona e corretta Pozione del Ghiaccio; fortunatamente si stava avvicinando a tale colore, poiché se prima era di un blu acceso e quasi elettrico, adesso stava diventando sempre più chiaro.
Accanto a lei, Mary era in crisi: le punte dei capelli le si stavano arricciando a causa dei vapori a sua detta ‘tossici’, la divisa era sporca di pozione un po’ dovunque e le labbra erano contratte in una smorfia rassegnata ed arrabbiata. E in più, la sua pozione era gialla e non vi era nemmeno la traccia di una minuscola, insignificante sfumatura azzurrina; Lumacorno le girava intorno da un po’, guardando accigliato il suo lavoro, con la paura che il contenuto del calderone potesse esplodere all’improvviso ed ucciderli tutti in un solo colpo.
Mary sbuffò e si passò una mano tra i capelli, cercando di sistemarli alla bell’e meglio; con la bacchetta fece scomparire le macchie che le sporcavano la divisa, ma per i capelli non c’era verso: aveva bisogno di uno specchio, anche se non adorava tali oggetti, e in quel dannato sotterraneo non ce n’era uno nemmeno per scherzo.
«Mary, sicura che quella roba non sia pericolosa?» chiese Lily, preoccupata, guardando con occhio critico la pozione dell’amica. «Forse dovresti provare a sistemarla, anziché aggiustarti la divisa, no?».
«Come se fossi capace! Sono negata, lo sai» si lamentò l’altra, sconsolata.
«Hai una O in Pozioni, non fai schifo!» la spronò la rossa, non molto convinta.
«Solo perché prendo quel voto alle interrogazioni orali e ai compiti scritti. Quando si tratta di pratica a malapena prendo una A, e lo sai che Lumacorno mi mette la O solo per mia madre» disse Mary, stringendosi nelle spalle: Pozioni era una delle poche materie in cui non andava bene, insieme ad Aritmanzia, che aveva mollato subito dopo i G.U.F.O..
«Questi sono dettagli» borbottò Lily, con l’intenzione di risollevare il morale della migliore amica. «Comunque dai, ora proviamo a rimediare» aggiunse, prendendo a trafficare con gli ingredienti sul tavolo e la pozione. Alla fine, dopo qualche minuto, il liquido divenne blu scuro.
Mary sorrise raggiante e la ringraziò con un abbraccio frettoloso, mentre l’altra si raccomandava: «Figurati. Ora devi solo girare in senso orario finché non diventa azzurro pallido» e le metteva un mestolo di legno in mano.

*

La partita tra Grifondoro e Corvonero era alla porte: la stagione del Quidditch stava finalmente per iniziare e James non vedeva l’ora che ricominciasse – aveva bisogno di sfogarsi, e una partita a cavallo della sua amata scopa era l’ideale. Moriva dalla voglia di rimontare sul proprio manico di scopa e sorvolare il campo, il vento tra i capelli, la voce squillante dello speaker e le urla dei tifosi. La sensazione che il volo provocava in lui, poi, era straordinaria, riusciva a risollevare il suo umore anche nei momenti più difficili.
E davvero, lui sperava che funzionasse anche quella volta.
Intanto, la tensione era alle stelle: Brickend metteva sotto torchio tutta la squadra, ricevendo in risposta svariate imprecazione più insulti, borbottati o urlati, dai giocatori. Erano tutti ansiosi, sì, ma se Jack continuava a comportarsi in quel modo forse nemmeno ci sarebbero arrivati alla partita.
«Non starai esagerando, Jack?» domandò James al compagno di camera, un giorno in cui aveva indetto un allenamento extra senza preavviso e al quale nessuno si era presentato.
«No che non esagero: sto solo cercando di far vincere la Coppa del Quidditch al Grifondoro, quest’anno, così come hanno fatto anche i miei predecessori» ribatté quello, compito e con un tono a dir poco pomposo.
«Ma se abbiamo vinto anche l’anno scorso!» esclamò Sirius, interdetto, grattandosi la nuca con fare perplesso.
«E allora? Questo non vuol mica dire che devo essere io a farlo perdere quest’anno, no? Ah, e domani ci sarà l’ultimo allenamento pre-partita, James. Vedi di esserci, mi raccomando» si raccomandò, prima di uscire e andare in Sala Comune.
James fece una sorta di giravolta, le mani tra i capelli ed un’espressione scocciata. «Un altro! Come se non ne avessimo avuti altri tre questa settimana, no!».
«Jack ha sempre avuto qualche rotella fuori posto, comunque» commentò Peter, mentre muoveva un cavallo sulla scacchiera, mangiando uno dei pedoni di Remus. «Non è una novità, questo suo comportamento».
Remus corrugò la fronte, apparentemente impegnato ad ideare una mossa, e sorrise appena. «Scoperto adesso?» chiese, muovendo l’alfiere.
Sirius scoppiò a ridere sonoramente, mentre James sorrise e basta: il Quidditch lo aveva sempre reso allegro, ma in quei giorni portava alla mente troppi ricordi di suo padre – la prima volta sulla scopa, a tre anni; quel giorno in cui era caduto da un metro e mezzo ed era scoppiato a piangere correndo dal padre, a quattro anni…
«Prongs, va tutto bene?» chiese Peter, guardandolo con quel suo tipico sguardo un po’ da chioccia.
«No, Pet. Stavo solo pensando alla partita di domenica» disse, vago, scuotendo la testa.
«D’accordo…».
«Ehi! Voi avete fatto il tema per Lumacorno?» domandò Sirius, cambiando discorso e allungandosi sul pavimento.
«Quello sulla Pietra Lunare? Sì» rispose Remus, picchiettando con un dito sul bordo della scacchiera, meditabondo.
Peter mosse un ultimo pezzo e, sorridendo, disse: «Scacco matto».
James applaudì all’amico, come sempre: battere Peter a scacchi era alquanto difficile, praticamente impossibile, poiché era dannatamente bravo in quel giorno. Non conosceva nessuno bravo come lui.
«Cavolo, mi ero distratto, non mi ero accorto della regina…» sorrise Remus, divertito, guardando la regina bianca che fino a poco prima stava difendendo il suo re. «Sei stato bravo. Per l’ennesima volta, a dire il vero».
«Vuoi la rivincita?» chiese Peter, bloccandosi nel rimettere a posto i pezzi.
«No, magari domani, ora è meglio che ripassi Trasfigurazione per domani» disse, alzandosi dal pavimento e prendendo il libro che aveva preso in biblioteca dopo pranzo. Si sedette sul letto, la schiena poggiata alla tastiera e le gambe piegate, con il libro aperto a pagina centodue.
«Sempre a studiare stai» scherzò Sirius, guardandolo con un sorrisetto sghembo.
«Quest’anno abbiamo i M.A.G.O.…» borbottò il licantropo in propria difesa, senza staccare gli occhi dalle pagine un po’ ingiallite dal tempo.
«Cambia scusa, lupastro dei miei stivali, questa è vecchia» rise Padfoot, appoggiato da James, che nel frattempo aveva preso la sua scopa per lucidarla con cura.
«E’ già novembre» se ne uscì ad un certo punto Peter, guardando il buio che avvolgeva silenziosamente il castello – il loro luogo sicuro, dove nessuno poteva anche solo tentare di sfiorarli, dove sarebbero rimasti ancora per troppo poco tempo. 
«Già» sospirò Remus, dopo un attimo di stordimento. «Tra qualche mese sarà tutto finito. Addio Hogwarts, addio scuola, addio sicurezza. Di tutto rimarrà solo un ricordo – uno dei più importanti. Almeno per me».
«A me sembra ieri, il giorno in cui son stato smistato a Grifondoro. O il giorno in cui vi ho incontrati» disse Sirius, ricordandosi del suo primo giorno di scuola, della prima notte, delle paure sull’essere come la sua famiglia, del terrore del poter finire a Serpeverde e non rivedere quel ragazzino del treno che l’aveva fatto sentire finalmente accettato.
«Faccio ancora a crederci, in effetti».
Chiacchierando – o meglio, mormorando, perché il farsi sentire equivaleva al rendere la cosa troppo vera – di ciò, non si accorsero della figura magra e avvolta nel mantello nero dagli alamari chiari a contrastare con quel colore cupo che si avvicinava loro.
«Remus, scusa, potresti venire un attimo?» sorrise Lily, fermandosi dietro al loro divano. Aveva raccolto i capelli sopra la nuca, e per James il suo viso era bello pure così, anche se lei non lo stava degnando di uno sguardo.
«Be’, certo. Un momento». Il ragazzo si alzò e si tolse un po’ di polvere dai pantaloni con un rapido gesto della mano, per poi salutare gli amici e seguire l’altra fuori dalla Sala Comune.

*

Lily uscì dal bagno con indosso l’accappatoio ed i capelli lavati e già asciugati con un incantesimo. Si vestì rapidamente, mentre Miriam, Alice, Claire e la poco partecipe Mary chiacchieravano di matrimoni e cose del genere.
«A marzo si sposa mia sorella» disse senza nemmeno pensarci, con tono pensieroso ed una camicetta bianca in mano. Quattro paia d’occhi si posarono rapidamente su di lei, perplessi e stupefatti.
«Ti ha invitata, no?» balbettò appena Claire, non trovando nulla di più intelligente da dire.
«No» rispose con una scrollata del capo e sentendosi gli occhi pericolosamente lucidi. «L’ho saputo da mamma. Tunia non voleva nemmeno che lo venissi a sapere. Non mi vuole più come sorella, perché negarlo, ormai?».
Mary scosse la testa, decisa: «Senti, è tua sorella. Non può odiarti. O se ti odiasse davvero, non può comunque impedirti di volerle bene ed andare al suo matrimonio».
Lily si sedette sul letto della migliore amica e scrollò ancora le spalle: «E perché dovrei andarci? Per sentirmi dire “non ti voglio qui”? Grazie, passo» sussurrò, triste, chinando il capo in avanti.
«Be’, ma non è detto che faccia così!» si intromise Alice, annuendo pensierosa.
«Non penso stapperà le bottiglie di champagne quando mi vedrà Anzi, sono sicura che non lo farà» continuò Lily, abbozzando un sorrisino laconico. «E poi non voglio rovinarle il matrimonio…».
«Rovinarle il matrimonio? Lily, ma ti senti?» sbottò con malagrazia Mary, furiosa. «Dimmi che stai scherzando! Petunia sarà pure odiosa – e non guardarmi così, almeno con me non lo è mai stata, e a quanto ho visto nemmeno con te, e solo perché sei una strega! –, ma non può davvero non volerti al suo matrimonio».
«Mary…» tentennò la rossa, ma l’altra la interruppe posandole una mano sul braccio e obbligandola ad alzare il viso.
«Sei una Grifondoro, no? Provaci».
«N-non ha senso provarci».
«E allora? Non dicono sempre che noi Grifondoro siamo degli idioti impulsivi? Per una volta dagli ragione» sorrise Miriam, gentile, sdraiata a pancia in su sul suo letto e con la testa che ciondolava fuori il bordo del letto.
«Lei mi odia! Tunia mi odia!».
«Petunia non odia te, odia la magia» le ricordò Mary, cercando di calmarsi. «Solo che tu te lo scordi troppo spesso. Che poi, secondo me, certe cose bisognerebbe ricordale sempre, e non solo qualche giorno».
Alice annuì, mentre Miriam trillava un «Sì» convinto; Claire intanto si chiedeva come facesse Miriam a trillare sempre, anche in momenti come quello – ma Miriam lo faceva per provare a risollevare il morale delle amiche, lo faceva per provare a farle sorridere.
«Io sono d’accordo con Mary. E poi facendo così stai solo peggio» disse Miriam, regalandole un sorriso raggiante e malizioso prima di aggiungere: «Potrei andare a chiamare Potter, comunque. Scommetto che ti distrarrebbe».
«Certo» sbuffò lei, di risposta, «Così passo da depressione a incazzatura. Che bello» aggiunse, ironica.
Miriam si picchiettò un dito sul mento e disse: «Io in realtà pensavo più a qualcosa del tipo: lui ti vede triste, ti consola, tu lo rivaluti definitivamente, e infine vi saltate addosso e fate quattro figli, così da far essere tutte noi la madrina di uno di loro».
Mary, Alice e Claire scoppiarono a ridere forte, tenendosi la pancia dalle risate, mente Lily sbiancava prima di diventare tutta rossa. «Miriam! Ho diciassette anni! Non ci penso nemmeno a fare quattro figli ora!».
Mary smise di ridere subito, e spalancò gli occhi azzurri: «Aspetta… tu hai appena detto di non voler fare quattro figli ma non hai negato di voler saltare addosso a James Potter? Oh, Merlino» e si portò una mano al petto.
«Ma quello era sottinteso!» si lamentò Lily, sconfortata e imbarazzata.
«Sì, sì, ovvio».

*

Fischiettando per il corridoio del quarto piano, Sirius osservava i cartigli che si muovevano piano sulla Mappa del Malandrino. Sollevava appena i vari fogli per vedere chi era dove, ma perlopiù si concentrava a far vagare semplicemente lo sguardo sui nomi, pensando un ai fatti suoi.
James era in camera assieme a Peter – Probabilmente stanno finendo i compiti di Pozioni, pensò – e Remus in cucina – Sono sicuro che si sta abbuffando di cioccolata. La Evans era in Sala Comune, le amiche in camera, Mary in Biblioteca. Il nome di Jack si trovava praticamente sopra quello di Ally Brown, la sua ragazza, in una delle aule in disuso del sesto piano. Sirius ghignò appena.
Camminò fino alle scale, continuando a fischiare sommessamente, e si fermò lì vicino, non sapendo cosa fare. Non gli andava di studiare, lui il Tema l’aveva finito il giorno prima, evitando di doversi ridurre all’ultimo momento, e – strano ma vero – non gli andava nemmeno di andare a mangiare qualcosa. Lanciò l’ennesimo sguardo alla Mappa, poi scrollò le spalle con un ghigno appena accennato e mormorò: «Fatto il misfatto» premendo la punta della propria bacchetta sul foglio di pergamena.
Sempre ghignando, si avviò verso il terzo piano e l’adorata signora Pince.

Entrò allegramente, finendo di fischiare solo ad un’occhiata ammonitrice della bibliotecaria e prese a girare tra gli scaffali, lanciando occhiate stralunate a tutti i libri enormi e dai nomi assurdi che incontrava. Finalmente, vide Mary seduta ad uno degli ultimi tavoli: il viso chino sul foglio su cui stava pasticciando nervosamente con la piuma; aveva i capelli raccolti sulla nuca e la lingua tra i denti, notò Sirius sorridente.
«Mary!» esclamò raggiante, mentre la ragazza sollevava la testa di scatto e portandosi perciò la mano al collo. Alzò le mani dal tavolo e gli fece segno di non far rumore, indicando poi il tavolo della Pince. Poi, sempre con i gesti, gli intimò di avvicinarsi.
«Ma sei cretino?» gli domandò, sussurrando. «Se ti sentiva, ero rovinata!».
«Secondo me è troppo sorpresa dal vederti qua per accorgersi di me che parlo normalmente» le fece notare Sirius, senza smettere di sorridere. «A proposito. Come mai qui? Cosa ti porta nell’antro della strega cattiva?» aggiunse, sedendosi sulla sedia davanti a lei.
«Il dover finire il tema di Pozioni» sbuffò desolata. «Lily il suo l’ha già finito e Miriam lo sta ricopiando».
«Non potevi fare lo stesso?».
«Magari, ma se voglio entrare nel corso di giornalismo devo impegnarmi» spiegò, stringendosi nelle spalle.
«Però posso darti una mano, mmh? Io il mio l’ho già finito, e comunque non sarebbe copiare, ma solo fare più in fretta» propose Sirius, prendendo il lavoro di Mary per un bordo e ponendoselo di fronte per leggerlo con attenzione.
Lei aggrottò la fronte ed inclinò la testa di lato: «Perché dovresti farlo?» domandò con sospetto ed interesse. «Cosa ci guadagneresti?».
«Mmh» finse di pensarci su lui, alzando gli occhi sulla ragazza e piegando le labbra in un pigro sorriso. «Una Burrobirra?».
Lei sogghignò e scosse la testa: «Nah. Ma dammi una mano lo stesso, la Burrobirra la puoi sognare comunque».
Sirius rise, divertito, beccandosi un’altra occhiata truce da parte della Pince, mentre Mary avvicinava la propria sedia alla sua ed ascoltare le annotazioni di Sirius.

*

«Jones, passa quella Pluffa!» sbuffò ancora una volta Brickend, sorvolando il campo con aria vigile. Tutto si poteva dire di lui, ad onor del vero, ma non che non tenesse alla sua carica di Capitano o che non la prendesse sul serio – a James, a parte quando gli urlava contro, stava quasi simpatico, sul campo.
L’erba del campo era ancora bagnata della pioggia smessa da giusto qualche ora, ma che loro si erano dovuti sorbire per una mezz’oretta almeno. Nessuno aveva detto niente, perché se si vuole vincere si deve per forza arrivare a dei compromessi.
James, a cavallo della propria scopa, zigzagava in aria, fingendo di vedere davvero il campo, e non quello che sembrava essersi impressa davanti ai suoi occhi. Come una fotografia proprio davanti al viso, l’immagine di suo padre che sorrideva gli faceva perdere la cognizione di ciò che accadeva in campo.
«James! Il Boccino è dall’altra parte, non lo vedi?» sbottò Amanda Prynn, mentre gli sfrecciava accanto con la mazza da Battitore stretta nel pugno. Quella ragazza faceva paura, e James era rincuorato dal fatto che si sfogasse più che altro con i Bolidi e non con le persone.
Il ragazzo annuì un po’ distrattamente, e lei lo guardò ancora in cagnesco prima di filare via velocemente, lasciandolo lì, di nuovo da solo. Cercò con tutto se stesso – ci provò davvero – di non pensare più a suo padre, ai suoi consigli sul come correre il più possibile sulla scopa, alla sciarpa legata alla testata del letto in dormitorio che gli aveva regalato lui quando aveva compiuto otto anni ed erano andati assieme alla partita di Quidditch.
Sentì un ronzio vicinissimo all’orecchio e si girò, beccandosi quasi in faccia un Bolide che stava per arrivare. Si piegò per andare in picchiata, salvandosi all’ultimo, e si lasciò sfuggire un sospiro mentre il Bolide incriminato lo sorpassava.
Jack fischiò e gli urlò qualcosa. Lui fece finta di aver capito tutto ed annuì, riprendendo a setacciare il campo. C’era tutto il tempo del mondo per sorbirsi delle ramanzine, mentre James voleva solo poter volare e liberare la mente. E quando, infine, vide un bagliore dorato vicino agli anelli dove stava il loro Portieri, anziché correre al suo inseguimento, si bloccò all’improvviso.
«Il Boccino è lì, peste!».
Ma non era stato l’unico a scorgere il Boccino che volteggiava e poi scappava via, perché Jack, esasperato, gli volò incontro, il viso contratto come a cercare di reprimere la rabbia, che però era palese ugualmente.
«Che ti è preso? Era lì il Boccino, l’abbiamo visto tutti. Perché ti sei fermato?» lo interrogò, con voce forzatamente calma.
«N-non lo so. Io volevo andare a prenderlo… Non so perché non l’ho fatto».
«Non sei in forma, James» sospirò infine Jack, con enorme sforzo, passandosi entrambe le mani tra i capelli castani. James lo guardò martoriarsi le labbra, e capì. No, il Quidditch no. «Non sei in forma, non… non puoi giocare questa partita, James».

*

Al tavolo dei Grifondoro, Brickend stava rintontendo la squadra con un veloce ripasso pre-partita sulla loro affinata tattica di gioco, anche se il tempo aveva già mandato a monte buona parte del piano: grossi nuvoloni grigi si estendevano sopra Hogwarts, il cielo prometteva pioggia e sicuramente quella non sarebbe stata una delle loro partite migliori. E questo senza contare il fatto che James, quella partita, non l’avrebbe giocata.
Il suddetto, infatti, era seduto in mezzo a Sirius e Frank, con davanti Remus e Peter, mentre del suo sorriso non si vedeva niente. Gli avevano tolto il padre, e ora anche il Quidditch; tutto quel che adorava fare gli era stato sottratto, e in quel momento nemmeno organizzare scherzi con l’amico lo faceva sentire meglio. «Avete visto che bella giornata, mmh?» provò Sirius, ostentando un’allegria che non provava: vedere il suo migliore amico in quello stato era quanto di più doloroso potesse vedere.
«Sta per mettersi a piovere» fu l’acuta risposta di Frank, che con il suo cipiglio scettico sembrava davvero pensare di star parlando con un idiota – e non sarebbe stata la prima volta. 
«Mi passi i pancake, Moony?» domandò appena Peter, come per non disturbare l’amico, che probabilmente si era di nuovo ‘addentrato’ nella selva oscura dei ricordi. Dispiace anche a lui, vederlo in quello stato così laconico: James era l’amico ideale, pronto a dispensare sorrisi a chiunque ne avesse avuto bisogno, con una parola buona praticamente per tutti. E in quel momento era così anti-James il dover sorridere per lui, per cercare di fargli increspare appena le labbra.
Afferrò il piatto che Remus gli stava porgendo, e in quel momento Lily Evans si sedette accanto a Lupin, accompagnata dall’amica Mary. Pensò sorriso mesto che le aveva illuminato il viso di dispiacere fosse rivolto a James, e fece per girarsi verso quest’ultimo, va vedendo che non si era nemmeno accorto dell’arrivo della ragazza, si strinse nelle spalle e affogò la tristezza nei pancake.

Era una domenica fredda e dall’aria novembrina e pungente. Gli studenti erano avvolti nei cappotti pesanti e caldi, molti avevano parte del viso nascosta da una sciarpa con i colori di una delle due Squadre in disputa.
Un ragazzino smilzo e dall’aria allegra con la divisa di Tassorosso era seduto alla postazione del commentatore; il microfono era ancora spento, mentre gli altri studenti iniziavano a prendere posto sulle tribune della propria Casa, ridendo e facendo confusione.
Lily e Mary si fecero spazio nella calca di una delle tribune di Grifondoro, spintonando per sbaglio qualche altra persona. La prima non aveva niente della propria squadra, solo un nastro a legare i capelli che l’amica le aveva obbligato di mettere, mentre la seconda aveva il collo avvolto in una sciarpa rosso-oro e un cappello di lana del medesimo colore.
Quando trovarono finalmente dei posti liberi, ci si sederono rapidamente, senza farseli scappare. Mary assestò una gomitata a Lily, che la guardò con aria interrogativa; in tutta risposta, Mary le indicò un punto accanto a lei. La rossa si girò: e poi. E poi si ritrovò James Potter, seduto accanto a lei, con gli angoli delle labbra che sembravano puntare irrimediabilmente verso il basso e l’aria abbattuta e malinconica; per un momento, si chiese come potesse essere possibile.
«Ciao!» disse Peter Minus, sorridendo loro, mentre Remus e Sirius si sbrigavano a fare lo stesso. James si girò verso di loro e si limitò ad un cenno del capo. Lily pensò che era mille volte meglio quando faceva chiasso. Poi si rimangiò tutto.
«Ed ora, ecco che i Grifondoro fanno la loro entrata in campo!» gridò il Tassorosso, esagitato. «A capo di tutti, c’è il nuovo Capitano: Jack Brickend! Seguono Amanda Prynn, Cindy Poltrer, Jason Linch, Katherine Jones e… Michael Davies?». La voce dello speaker risuonò per tutto il campo, che prese a mormorare a più non posso – probabilmente chiedendosi perché James Potter non fosse in campo. «Oh, be’, fidiamoci del nostro Capitano…» continuò, perplesso e non troppo convinto.
La squadra di Grifondoro sorvolò il campo, volando fino alle postazioni assegnate loro, accolti dalle incitazioni dei tifosi rosso ed oro, questa volta meno ruggenti e fragorose del solito. Senza James Potter, la vittoria si preannuncia difficile.
«Dove stanno le vostre altre amiche?» chiese Sirius, seduto dietro James, sporgendosi verso di loro e facendo riscuotere l’amico, che prima corrugò le sopracciglia, poi si girò verso di loro e spalancò appena gli occhi.
«Alice è con Frank» iniziò Mary, indicando un punto leggermente distante da loro, ma abbastanza vicino da poter distinguere senza problemi le sagome dei due amici teneramente abbracciati. «Miriam e Claire avevano da fare, a quanto pare».
«Capito» assentì il ragazzo, spostando rapidamente lo sguardo sul campo. «Ehi, James», si chinò su se stesso per mormorare all’orecchio dell’amico: «Sei il migliore, Prongs, senza di te non sono niente di che».
Le labbra di James s’incresparono in un sorriso, e Lily, vedendolo con la coda dell’occhio, rifletté su quanto l’amicizia tra Potter e Black fosse simile a quella tra la sua con Mary – un gesto, qualche parola, ed un sorriso che torna a far capolino sulle labbra.
«Madama Bumb ha liberato i Bolidi ed il Boccino!» gridò ancora lo speaker, mentre la professoressa usciva dal campo. «Ed ecco anche la Pluffa… la partita ha inizio!». La palla rossa appena annunciata dal ragazzo sferzò l’aria per venir poi presa al volo da Amanda Prynn, che sfrecciò verso la porta avversaria zigzagando tra i nemici. «Grifondoro in possesso di palla! Ma Lynton, Corvonero, recupera la Pluffa in un passaggio tra Prynn e Brickend! Ah, che brave, queste ragazze…» sospirò, scherzoso, mentre la McGranitt lo fulminava con un’occhiataccia.
Jason Linch, Battitore del Grifondoro, colpì un Bolide con un colpo di mazza al rovescio, facendo così sterzare rapidamente la Corvonero, che perse la palla. Cindy Poltrer afferrò la Pluffa e si catapultò verso la porta avversaria.
«Un Bludger Backbeat!» esultà lo speaker, partendo con una descrizione particolareggiata dell’azione. «È difficilissimo sferrare un colpo del genere con tale precisione, ma confonde gli avversari! Il Capitano Brickend si è finalmente dimostrato all’altezza della spilla che porta!». Jack gli scoccò un’occhiata seccata, mentre sorvolava il campo dalla parte opposta a quella di Cindy.
«Wow!» escamò Peter, dopo aver visto la mossa di Jason, probabilmente premeditata.
«Io lo dicevo, che Jack non è male come Capitano» sospirò James, con aria depressa. «Gli allenamenti danno i loro frutti, e i Battitori stavano lavorando a quella tecnica da settimane intere».
«E’ anche carino, il Capitan Jack!» esclamò una voce trillante vicino a loro, facendoli girare verso le ragazze.
Mary scoppiò a ridere e salutò l’amica appena arrivata: «Miriam! Ma non avevi da fare?».
«I Corvonero sono noiosi» si corrucciò l’altra, facendo sporgere il labbro inferiore con fare da bambina delusa. «Preferiva venire a vedere una sciocca partita. Anziché stare con me, capisci?».
«Quale affronto» commentò Lily, sorridendole, mentre James, dietro di lei, abbozzava un ghigno divertito – non strafottente, solo divertito. «Come si è permesso?».
«La Prynn lancia la Pluffa! E… 10 a 0 per Grifondoro!» esclamò il Tassorosso, allegro. «Il Portiere dei Corvonero la riacciuffa e la passa a McDougal, che a sua volta la lancia verso Sarah Owen!».

I Grifondoro erano in testa per 90 a 50, mentre la Cercatrice dei Corvonero setacciava accuratamente il campo dall’alto, stando bene attenta ai movimenti di Davies, il sostituto di James Potter. Non era veloce come il ragazzo occhialuto, ma aveva una buona vista e, essendo piccolo ed esile, si muoveva agilmente sulla scopa. Solo, non era James Potter, non aveva la sua fortuna o la sua esperienza in aria.
«Smith in possesso di Pluffa, si avvicina alla porta dei Grifondoro, lancia e segna!» gridò il commentatore, leggermente imbronciato – dopotutto tutti sapevano della piccola contesa tra Corvonero e Tassorosso, sebbene non fosse forte quella tra le altre due Case. «90 a 60 per Grifondoro! Sembra essere una partita infuocata, questa!».
«Stanno recuperando» bofonchiò Sirius, scocciato.
Mary inarcò un sopracciglio e si girò sul proprio sedile, guardandolo e facendogli segno di avvicinarsi. Lui l’accontentò e la guardò, perplesso.
«Preoccupati per il tuo amico, non della partita» gli mormorò, indicando James con un cenno del capo: il ragazzo era immobile, come pietrificato, con le dita strette attorno alla ringhiera e le palpebre quasi totalmente abbassate.
Lily, che aveva ascoltato distrattamente il dialogo tra Sirius e l’amica – che ora era tornata a chiacchierare con Miriam –, spostò anch’ella lo sguardo sul ragazzo al suo fianco. Sembrava stanco, spossato, distrutto. Istintivamente, si sporse leggermente verso la ringhiera, mentre gli altri erano occupati a fare altro, e gli picchiettò con un dito sul braccio teso. James sussultò e si girò di scatto verso di lei, che si sforzò di non abbassare gli occhi davanti a quello sguardo perso e, così le sembrava, lucido.
«Stai bene?» gli domandò appena, mentre riportava nella tasca la mano con cui l’aveva richiamato.
«Evans,» iniziò lui, e sembrò stanco – stanco davvero, non esasperato o scocciato, nei suoi occhi c’era solo la stanchezza di chi avrebbe voluto semplicemente dormire finché non sarebbe finito tutto. «Non ti interessa. Sei gentile e tutte quelle altre cazzate lì con tutti, ma per favore, di me non ti importa niente, perché dovresti chiedermi come sto?». Non era arrabbiato, stimò Lily, tuttavia sentendosi un po’ ferita: che ci poteva fare, lei, se non riusciva a non preoccuparsi per le persone che le stavano attorno?
«Si chiama cortesia» spiegò, piccata, mentre ritornava con la schiena dritta. Lo osservò fare lo stesso, con occhi scettico. «Non la con-».
«Comunque no, non sto bene» la bloccò, stringendosi impercettibilmente nelle spalle. «Tutto questo qui» le spiegò, indicando il campo con un movimento del polso e della mano. «per me è importante. E stare qui, sulle tribune, non può farmi stare bene».
«Ma… è solo un gioco, Potter. Solo un gioco» farfugliò, perplessa, e poi lui scosse la testa.
«No, Evans, per me non è solo un gioco» sorrise laconicamente, e mentre la ragazza faceva per ribattere, riprese: «Per me è un ricordo».

«Diventerai il Cercatore migliore di tutti, figlio mio».












Ma buonciao, miei pochi ma cari lettori. Vi sono mancata? Ma non preoccupatevi: sono già tornata a rompere.
Allora, che dire di questo capitolo? Io direi che si commenta praticamente da solo: abbiamo un James che soffre, una Lily che anche se non se ne rende conto cerca di capirlo almeno un po’, una partita di Quidditch, il dolore di una ragazza a causa di una mancanza fraterna.
Il matrimonio di Petunia&Co. sono argomenti che probabilmente ritratterò, perché ci sono tante cose da dire. Stessa cosa posso dire riguardo la perdita subita da James: pensate che sia finita così? Vi sbagliate, c’è un motivo se l’ho fatto, come ho già detto, e no, ci tengo a specificare che Lily non consolerà nessuno e che i signori Evans dovrebbero rimanere sani e salvi fino alla fine di questa storia.
Comunque. Le recensioni calano sempre più, ma davvero, ringrazio con tutto il cuore le quattro persone che si sono fermate per recensire lo scorso capitolo: siete degli angeli, ed io vi adoro. Spero di rivedervi nelle recensioni, magari assieme a qualche altro nome :3
Ovviamente ogni parere è il benvenuto e sono pronta a ricambiare ogni recensione ricevuta.

Love you all,
A.


Volevo farmi sapere, poi, che mi sono trasferita in questa pagina.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6: Don't let it break your heart ***


capitolo 6

A Flaqui,
perché anche lei Sirius lo vede solo con Mary 

Capitolo 6: Don’t let it break your heart


« Evans, possiamo andare? » le chiese James, avvicinandosi alla poltrona della Sala Comune dov’era seduta, attento a non sbagliare qualcosa, qualunque cosa.
« Cosa? » si sorprese lei, sobbalzando sulla panca. Socchiuse le labbra per parlare, ma poi si lasciò sfuggire un « Oooh » di comprensione e gli sorrise appena: « Giusto, la ronda. Be’, io direi di sì, comunque… ».
Lily si alzò e iniziò ad incamminarsi. James fece per andarle dietro, ma poi si accorse della borsa che la ragazza aveva dimenticato al posto; la prese e camminò rapidamente fino ad affiancarla. Lei stava dicendo qualcosa, ma, avendo perso la parte iniziale, il ragazzo non capì nulla; Lily dovette accorgersene dalla sua espressione palesemente perplessa, poiché disse: « Potter? Non mi hai ascoltata, vero? Potrei sapere perché, magari? ».
« Perché una certa ragazza dai capelli rossi aveva dimenticato la borsa » sorrise affabilmente il ragazzo, porgendole poi la tracolla. Quando la vide arrossire appena, non poté trattenersi dall’allargare il proprio sorriso: nonostante tutto, renderle le cose un po’ più complicate ancora lo divertiva da morire.
« Oh » borbottò lei, presa in contropiede. «Uhm. Be’… Grazie?»
« Non c’è di che, Evans » liquidò il discorso James con un gesto della mano. « Comunque, che stavi dicendo prima? »
« Niente di importante » borbottò lei, sistemandosi la borsa a tracolla, mentre James scuoteva appena la testa. « Quali piani dobbiamo controllare?»
« Terzo e quarto » disse, dopo aver controllato le varie distribuzioni su un foglietto spiegazzato che aveva tirato fuori dalla tasca dei pantaloni. « Il secondo lo controllano i Serpeverde, a quanto pare ».
« Basta che non li incontriamo » mormorò Lily, scrollando le spalle, quasi senza accorgersene. Quando capì di averlo detto ad alta voce, s’irrigidì ed arrossì un pochino.
« Tranquilla » le sorrise James, facendola passare per prima attraverso il buco del ritratto e poi spingendola verso sinistra. « Vieni di qua, faremo prima e non dovremmo incontrare nessuno ».
Lily annuì, seguendolo appena dietro di lui. Non era mai passata in quel corridoio – ne era sbalordita: pensava che, dopo tutto quel tempo, conoscesse molto di Hogwarts –, ed ogni cosa, lì, per lei, era del tutto nuova: le armature, gli arazzi, i quadri – aveva addirittura colto in fragrante un’avvenente donna dipinta che, dal suo bel quadro medievale, ammiccava senza ritegno in direzione di James. Quest’ultimo, però, sembrava non averlo notato o non averci dato importanza – Lily non seppe perché, ma un po’ le fece piacere.
La bacchetta di James illuminava appena il corridoio buio, rischiarato un poco dalla luce di quello spicchio di luna che s’intravedeva dalle vetrate delle finestre.
Quando fu abbastanza vicina da riconoscere una rampa di scale – che stranamente non si muovevano – sgranò appena gli occhi, girando il viso verso il ragazzo e domandando: « Ma dove siamo? »
James sembrò ridacchiare della sua curiosità malcelata prima di rispondere con un sorriso stranamente pacato: « Al quinto piano, ma scendendo quelle scale arriveremo terzo. Vedi che abbiamo fatto prima? »
« Wow » esalò Lily, impressionata. « Per una volta mi ritrovo ad ammirare i tuoi trucchetti, Potter… ».
A James, d’altro canto, sembrò di mancare un battito, nel sentirle dire ciò. E anche nel vederla così, forse: lì, accanto a lui, per una volta non arrabbiata o irritata, ma semplicemente Lily – con i capelli rossi che le sfioravano guance e collo, gli occhi verdi aperti e grandi, con la pelle chiara e le labbra rosee, con quel piccolo sorriso e la bacchetta per una volta non puntata contro di lui.
Le lanciò delle occhiata di sottecchi, mentre scendevano le scale e iniziavano a muoversi per il terzo piano, ma poi – Bang! – uno strano fragore attirò la loro attenzione. La vide irrigidirsi al suo fianco e stringere la presa sulla bacchetta finché le nocche non le sbiancarono quasi del tutto.
« Ehi… » provò a dire, ma Lily, con la sua voce perentoria, lo interruppe.
« Viene dal piano di sotto, vero? »
« Credo di sì » rispose James, rapidamente. « Mi chiedo cosa stia succedendo. Andiamo a controllare? »
« Direi di sì, dopotutto siamo i Caposcuola ».
« Giusto ».

Il secondo piano, se possibile, era ancora più buio di quello da cui arrivavano, e Lily e James dovevano camminare con attenzione a dove mettevano i piedi, perché anche il benché minimo rumore avrebbe potuto rovinare tutto – qualunque cosa fosse quel tutto.
James era serissimo, e non seppe perché, ma ciò non la stupì – si stupì, invece, che non fosse successo, perché aveva sempre ritenuto James uno sbruffone, uno che non faceva altro che divertirsi, eppure, in quel momento, non le era sembrato così.
Con la mano libera – l’altra teneva alta la bacchetta – continuava a grattarsi i polpastrelli, nervosa, e smise solo quando James, che era avanti a lei di nemmeno due passi, le bloccò la strada alzando un braccio.
« Che c’è? » sbottò a bassa voce, dopo essersi scontrata con l’arto dell’altro.
« C’è qualcuno » rispose semplicemente, guardandola eloquentemente.
Stupidamente, Lily fece per aprire bocca, ma qualcun altro la anticipò, mentre quattro figure uscirono rapidamente da un’aula poco distante senza vederli: « Muoviti, che aspetti? »
Lily fece per muoversi in avanti, la bacchetta pronta a lanciare incantesimi, ma James la trattenne per il braccio, tenendola ferma accanto a sé. Lei lo gelò con un’occhiataccia e provò a divincolarsi senza far rumore, ma James riuscì ad avere la meglio, e, dopo uno sguardo ammonitore, le si pose davanti – Lily boccheggiò un attimo, dopo di ciò, non sapendo se prenderlo come qualcosa di buono o come un “ti proteggo io che tu non ne saresti capace”.
« Muoviti, ho detto! » sbottò sempre la solita voce – Lily era quasi del tutto certa che fosse stato Wilkes a parlare, ma tutti i ragazzi tenevano i cappucci sulla testa e per questo era impossibile vederli in faccia.
« Che stai facendo, stupido? » sibilò un altro, e i due Grifondoro capirono che stava brandendo una bacchetta solo quando videro scaturire poche scintille rosse.
Nel frattempo, dalla porta uscì una quinta figura, il mantello scuro che gli ondeggiava attorno alle gambe. Sembrava piuttosto scocciata, lo si capiva dal tono con cui aveva pronunciato quelle parole: « Eccomi », mentre dall’aula lasciata giungeva come un lamento soffocato. Lily tentò di muoversi, senza pensare ad altro, ma James la trattenne, posandole la mano sul braccio – non dovevano farsi vedere, almeno per ora.
« Finalmente » scandì il più vicino alla finestra, affacciandosi. « Che dovevi fare? Se fosse passato Gazza saremmo finiti in guai seri, te ne rendi conto? »
« Ovviamente » - una voce monocorde, a tratti melliflua, che James non tardò a riconoscere. Lanciò uno sguardo a Lily, che, accanto a lui, sembrava non essersi accorta di nulla, troppo intenta a guardare quello che aveva parlato – e che era Mulciber, colui che aveva usato la Magia Oscura sulla sua migliore amica – come se volesse pestarlo alla babbana. Sperò non si accorgesse di chi aveva appena parlato – ma sapeva che, in fondo, era chiederle troppo.
« Non sembrava ».
« Avete finito o dovete ancora parlare? » chiese Dolohov, sarcastico, sistemandosi il cappuccio. « Ditemi, volete un divano e qualche dolce con del Whiskey? » poi si girò verso il nuovo arrivato, scuotendo la testa. « E tu evita di fare così di nuovo, Piton. Lui non vuole, e noi non dobbiamo farci beccare. Pensavo di essere stato chiaro, su questo ».
James chiuse gli occhi, mentre Lily esalava un respiro che aveva a lungo trattenuto all’interno della cassa toracica – cassa toracica in cui il cuore continuava a battere all’impazzata, come un cavallo impazzito che correva follemente verso il traguardo. Socchiuse gli occhi, poi, James, e la vide appoggiarsi al muro, pallida come un cencio e con gli occhi verdi e spalancati.
Mentre i passi dei Serpeverde, che avevano finito di discutere, si allontanavano, James si piegò sulle ginocchia per essere alla sua altezza – senza che lo volesse, le ginocchia non avevano ceduto e lei si era ritrovata seduta a terra sul marmo freddo.
No – pensò, scuotendo la testa. No, no, no. Non era lui. No, no, no.
«Evans? ». La voce di James Potter le giungeva come ovattata, come se si trovasse da tutt’altra parte. Anche se lo vedeva, avendo gli occhi aperti, non riusciva a percepirlo lì per davvero – si sentiva come isolata da tutto il resto, e con lei rimanevano solo ricordi e pensieri confusi.

Through my maze is flowing

« Evans, dai… ».
Dal canto suo, James non aveva idea di cosa fare – vederla così non gli piaceva, e lui non era molto bravo a trattare le ragazze piangenti, essendo un maschio e per di più figlio unico. La guardava tremare appena, la fronte aggrottata, non sapendo bene se doveva prenderle una mano e aiutarla ad alzarsi o aspettare che si calmasse.
Alla fine, decise di aspettare un attimo per poi riportarla in dormitorio – la ronda, per loro due, finiva lì: James sapeva che Lily non avrebbe retto ancora tanto.
« Evans » la chiamò ancora, e Lily puntò di nuovo gli occhi su di lui, rendendosi finalmente conto di dov’era, di cos’era successo e tutto quanto il resto.
I suoi occhi, per quanto odiasse piangere e mostrarsi debole, si inumidirono rapidamente, ma le lacrime non le scesero lungo le guance. Provò ad alzarsi, Lily, e James all’inizio non fece niente, non sapendo bene cosa fare, ma, vedendola tremare, le passò un braccio attorno alla vita per aiutarla – braccio che tolse subito, una volta fatto il suo dovere, ma che tenne sempre pronto a sorreggerla.
Avvertirono un gemito soffocato giungere dall’aula che i Serpeverde avevano lasciato da poco e vi si avvicinarono – nonostante tremasse, Lily non barcollava, e la presa sulla bacchetta, tutto sommato, era piuttosto salda e decisa: le nocche per erano livide, e le unghie ci si stavano chiaramente premendo contro.
A terra, sdraiato tra un banco ed un altro, c’era un ragazzo di nemmeno quindici anni di Corvonero, la mano premuta sul viso e l’altra sul braccio destro, che stava evidentemente sanguinando, vista la macchia rossa che si allargava sulla manica della divisa.
Lily si inginocchiò accanto a lui, cercando di fargli spostare la mano dal braccio – quando ci riuscì, con un incantesimo tagliò la manica della divisa per vedere meglio: un lungo e profondo taglio faceva bella mostra sulla pelle chiara.
Accanto a lei, James levò la bacchetta contro il ragazzo, sotto lo sguardo confuso della compagna.
« Stupeficium » mormorò, e poi, vedendo Lily sgranare gli occhi, spiegò: « Per fermare il flusso… Sai, la ferita ».
Lily sembrò sinceramente stupita di ciò, ma non disse niente – si limitò ad alzarsi e mormorare un incantesimo per portare il ragazzo in Infermeria.
James la seguì poco dopo, sicuro che no, la serata probabilmente non sarebbe finita lì – non per Lily, almeno. 


*


Una volta entrata in camera, si chiuse lentamente la porta alle spalle – la testa le pulsava terribilmente, e sentiva gli occhi bruciare e le lacrime minacciavano di scendere molto presto. Aveva congedato Potter in Sala Comune con un rapido e borbottato « Buonanotte, Potter », prima di muoversi con passo studiatamente calmo, e poi, quando era stata certa che lui non la vedesse, era corsa a perdifiato fino alla porta del suo Dormitorio.
Le altre erano già tutte in camera – Alice leggeva uno dei fumetti che Miriam soleva regalarle ad ogni festività, Claire scriveva una lettera, Miriam si metteva lo smalto e Mary si stava sfilando la maglietta per mettersi la camicia da notte.
Fu Mary ad accorgersi per prima del suo arrivo, e vedendo i suoi occhi verdi lucidi e grandi si precipitò verso di lei, la maglietta alzata fino a sotto il ferretto del reggiseno, abbracciandola con forza.
« Oi, che succede? » le chiese, mentre le altre si giravano verso di loro.
« Sever- » iniziò, ma Mary la interruppe bruscamente:
« Che ha fatto? » - non aveva mai sopportato Severus Piton, soprattutto quando vedeva la sua migliore amica in quello stato a causa sua. « Dimmi che ha fatto, Lily ».
Lo sapeva, Lily, che quello era il modo di proteggerla di Mary: se qualcosa le faceva male, Mary avrebbe sempre cercato di annientarla o come minimo avrebbe cercato un modo per non farglielo più pesare.
« Terzo piano. Corvonero. Serpeverde » disse Lily, parlando telegraficamente, usando solo le parole chiave, e negli occhi di Mary si fece largo la comprensione e poi la rabbia. « Ho avuto paura ».
« E c’era anche Severus? » le domandò l’amica, mentre le altre assistevano con attenzione, aspettando di capire qualcosa di più – Lily aveva solo sussurrato.
Lily annuì, e Mary cercò di calmarsi.
« Ti hanno fatto qualcosa? »
« Non ci hanno visti » rispose rapidamente, strofinandosi gli occhi con le dita. « Io… perché è diventato così? »
« Lily, tu non ci puoi fare niente… » iniziò Alice, ma Mary, brusca, la interruppe.
« Lils, basta. È lui che ha scelto, okay? Tu non c’entri niente. Non devi sentirti in colpa, non è colpa tua, se è quel che vuole essere lascialo perdere, tu hai perso anche troppo tempo dietro di lui ». Era stata troppo brusca, lo capì vedendo le spalle incurvate di Lily.
« Mary! » esclamò Claire, mentre Miriam richiudeva lo smalto ed osservava la scena con aria critica.
« Mary niente! » sbottò quella, allargando le braccia. « Mary proprio niente! Sono stanca! » - si girò verso Lily. « Sei la mia migliore amica, ti voglio così bene che a volte mi sento troppo piccola ed insignificante per poter contenere qualcosa di tanto grande, ma ora basta. Non puoi ridurti così! L’ha scelto lui, l’ha fatto lui! Tu, con lui, ormai non c’entri più niente! Lui ha scelto da che parte stare, e mi dispiace, ma non è la stessa nostra ».
Lily, ferita, non abbassò gli occhi e provò a ribattere: « Non ha scelto! Lui non è così! »
« Apri gli occhi, Lily! Lui aveva già scelto quando ti ha chiamata Mezzosangue! ».
L’aveva detto. E stranamente, a contrario delle aspettative, non se ne pentì: per qualche ragione, pensava davvero che quella fosse l’occasione giusta per dire tutto. Perché Lily doveva smetterla di ridursi in quello stato per un caso ormai perso, per un’amicizia ormai finita: Lily doveva guardare al futuro, e Severus Piton aveva deciso da solo, due anni prima, di non farne parte.
« Mary -».
« No. Lily, ti prego ».
« Era il mio migliore amico » sussurrò Lily, sentendo gli occhi pizzicare ancora di più e la vista appannarsi.
« A volte alcune amicizie finiscono » ribatté Mary, lapidaria.
Miriam, Alice e Claire chiusero la bocca, girando lo sguardo da un’altra parte, mentre le guance di Lily venivano definitivamente rigate da grosse lacrime perlacee – odiava piangere davanti gli altri, Lily, lo sapevano tutte.
« Come puoi dirmi questo? » domandò a Mary – l’unica che non si era girata ma che continuava a guardarla dritta negli occhi –, con la voce rotta. « Come fai? »
« Lo faccio per te » rispose, afferrando un libro che aveva poggiato sul baule e avviandosi verso la porta del Dormitorio. « Apri gli occhi e capiscilo ».
Così dicendo, si chiuse la porta alle spalle.
« Lily, senti -» cominciò Alice, ma Lily la zittì entrando in bagno e chiudendosi  con forza la porta alle spalle.
« Hanno litigato davvero? » chiese invece Miriam, e non ricevette risposta.


Come on, baby
Don’t let it break your heart


Mary gettò con talmente tanta forza il libro sull’unica poltrona rimasta libera in Sala Comune che un ragazzino poco distante si girò verso di lei per poi allontanarsi un po’. Lei si sedette sulla poltrona, incrociando le gambe e poggiando il libro aperto sulle ginocchia, senza però leggerlo. Lo sguardo rimaneva fermo sulle prime righe della pagina numero trecentonovantaquattro, mentre le dita della mano destra giocavano con l’angolo della pagina.
« Comunque non dovresti spaventare così i primini ».
« E da quando ti importa dei primini, Sirius? ».
Appoggiato allo schienale della sua poltrona, i gomiti che affondavano nel tessuto soffice e il busto inclinato in avanti, verso di lei, Sirius scoppiò a ridere – aveva una risata tutta particolare, Sirius, e Mary si chiese perché tutto, in Sirius, almeno per lei, lo fosse.
« Ovviamente » ribatté, girandosi con il busto verso di lui ed alzando un po’ il viso per ricambiare il suo sguardo.
« Già » annuì lui, facendo poi il giro della poltrona per sedersi per terra, davanti a lei. « Comunque, come mai qui? E da sola, poi? »
Mary si adombrò un attimo, prima di rispondere, monocorde: « Niente, ho litigato con Lily », girando pagina più che altro per fare scena e senza guardarlo più negli occhi.
« Oh » disse soltanto, un po’ sorpreso: da quel che ricordava, Lily e Mary non litigavano sin da quando erano diventate amiche – non come per i primi due anni, che le due avevano passato ad odiarsi cordialmente e vicendevolmente, litigando di continuo per qualunque cosa. « E perché? » domandò poi, cercando di nascondere la curiosità.
Mary alzò gli occhi su di lui, e sorrise nel vedere quel lato di Sirius così da anziana pettegola. « Niente, tranquillo » liquidò il discorso, girando un’altra pagina, senza avere la benché minima idea di cosa ci fosse scritto nelle precedenti.
« Mary, Mary, Mary » la canzonò lui, agitando l’indice della mano destra in aria con fare da maestro. « tu non mi inganni: cos’è successo? »
« Da quando ti importa? » gli chiese, sorridendo appena.
« Lo sai che mi importa » ribatté lui, annuendo con vigore alle proprie parole.
Mary gli sorrise con dolcezza – Sirius, prima di poterselo impedire, pensò che avrebbe staccato la testa a qualunque altro ragazzo ricevesse quel sorriso da parte sua – ed annuì. « Grazie ».
« Ti pare? » domandò lui retoricamente. « Che cogliona… »
« Parli tu, Sirius? » ridacchiò, sentendosi più leggera rispetto a quando era scesa.
« Siamo entrambi coglioni, okay? » rise lui, con allegria, contagiandola mentre annuiva – Sirius la metteva sempre di buonumore, perché sapeva esattamente cosa fare con lei, in quei momenti.
« Ci sto ».

*


Quando rientrò in camera, James vi trovò solo Frank, Peter e Remus. Il primo era seduto per terra a mangiare Cioccorane, il secondo controllava la Mappa del Malandrino, mentre l’ultimo stava sistemando sul baule i vestiti che avrebbe indossato l’indomani.
« Oi » lo salutò Frank, che fu il primo ad accorgersi del suo rientro. « Com’è andata? » chiese, dopo aver visto l’espressione tetra di James.
« Abbiamo incontrato Piton ed altri, durante la ronda » rispose, slacciandosi la cravatta e lanciandola sul proprio letto. « Avevano fatto qualcosa ad un Corvonero. La Evans sembrava sul punto di svenire… ».
« Cosa? » domandò Remus ad alta voce, allibito. « Stai scherzando ».
« No » sospirò James, scuotendo la testa.
« Ma dove eravate? » chiese anche Peter, che aveva chiuso rapidamente la Mappa del Malandrino senza farsi vedere da Frank.
« Secondo piano ».
« Bah… » mormorò Frank, guardando le cartacce dei suoi dolci solo per non dover alzare gli occhi. « Dove siamo finiti… »
In un mondo di matti – pensò James, mesto.
« Già » si limitò invece a dire, per poi guardarsi attorno: « Ma dov’è Sirius? »
« Era andato giù nelle Cucine » rispose Frank.
« Poi vediamo » gli sillabò Peter, indicando con un cenno della testa la Mappa.
James annuì e dopo pochi minuti – passati con il fregare una Cioccorana a Frank e cercare di appiattirsi un poco i capelli – gli chiese di passargli una pergamena – Peter ovviamente capì e gli passò la loro amata Mappa. Vide il cartiglio con il nome dell’amico superare il Ritratto della Signora Grassa e, anziché andare verso le scale, avvicinarsi al nome di Mary MacDonald – per un minuto circa i due cartigli erano rimasti praticamente sovrapposti, lasciando James un attimo perplesso, ma poi quello di Sirius fece il giro di quello di Mary e gli si mise di fronte.
Quando Frank entrò in bagno per farsi una doccia, ghignò nella direzione di Remus e Peter, che stavano tirando fuori un pacchetto di carte da gioco babbane: « Quand’è che si metteranno assieme? » domandò, retorico, sventolando la Mappa.
« Chi? » chiesero gli altri due quasi in coro, osservandolo con aria confusa – effettivamente, visto da fuori, ciò che aveva detto James non aveva granché senso.
« Sirius e Mary, ovvio! »
« Perché ce lo chiedi? » chiese ancora Peter, un po’ spaesato, trovando l’appoggio di Remus.
« Perché poco fa i loro nomi erano l’uno sopra l’altro » rispose con un sorriso angelico James, serafico.
« Mary e Sirius? » domandò Remus, mentre la porta si apriva.
« Sirius cosa? » chiese il diretto interessato, che era appena entrato in stanza – sulla camicia bianca spiccava una vistosa macchia rossa: probabilmente more, vista la snaturata passione di Sirius per esse. Aveva la cravatta allentata e la camicia fuori dai pantaloni, e James ovviamente interpretò male, esibendosi in un largo sorriso sornione.
« Divertito? »
« Eh? Oh, sì, le more erano fantastiche » annuì Sirius, serio, passandosi una mano sullo stomaco. Vedendo l’amico scuotere la testa ed allargare il sorriso, aggrottò le sopracciglia. « Che c’è? »
« C’è che non dicevo del cibo, ma di qualcos’altro… O meglio: qualcun altro... »
Lo sguardo di Sirius si fece pensieroso, ma poi, quando vide la Mappa nel pugno dell’amico, gli lanciò un’occhiataccia: « Che fai, Potter, mi spii? »
« Nah, ma non cambiare discorso. Che ci racconti? » - ed indicò se stesso e Remus e Peter, che cercavano in tutti i modi di non ridere delle occhiate omicide di Sirius.
« Niente, stavamo solo parlando » rispose, guardando con aria critica la propria camicia macchiata.
« E di cosa? » lo interrogò Peter, divertito.
« Boh, niente in particolare… Era un po’ giù e quindi abbiamo chiacchierato » disse con una scrollata di spalle, scrollando le spalle e pulendosi la camicia con un colpo di bacchetta.
Remus, tranquillo, lo avvisò che quel sabato ci sarebbe stata un’uscita ad Hogsmeade, e Sirius lo guardò in tralice, mentre James alzava i pollici nella sua direzione e Peter sorrideva con allegria.
« E con questo che vorresti dire, Moony? »
« Che dovresti invitarla » replicò semplicemente Remus, come se fosse la cosa più ovvia – ed effettivamente, secondo lui, alla fine lo era, visto che parecchie volte aveva notato l’amico guardare verso la ragazza o viceversa.
« Perché? No! Noi siamo amici ».
« Amici molto intimi, allora, viste le occhiate che le lanci di tanto in tanto… » sogghignò James, che si stava divertendo un mondo – prendere in giro Sirius sulle ragazze era davvero divertente, perché l’amico cominciava a protestare, anche se l’unica volta prima di allora che si era davvero interessato a qualcuno ci aveva preso un bel due di picche.
Sirius lo guardò malissimo e fece per parlare, ma Peter lo interruppe:
« E comunque lei accetterebbe ».
« Siamo amici… » tentò ancora Sirius – anche se l’ultima affermazione di Peter l’aveva fatto tentennare notevolmente.
« Quindi non ti darebbe fastidio se lei ci andasse con qualcun altro, no? » domandò ancora Remus, con il suo tipico modo di fare molto diplomatico.
Sirius non rispose ed incassò il colpo, mentre James scoppiava a ridere e Remus gli diceva di andare ad invitarla. Dopo quasi un minuto – in cui la mente di Sirius non riusciva a partorire altro che “Siamo amici”, “Se mi dice di no faccio la figura dell’idiota”, “Lei non mi piace!”, “Però è carina quando sorride…”, “Si potrebbe provare” –, la porta si richiuse dietro le spalle di Sirius.

« Mary! Ehi! »
« Ciao di nuovo, Sirius ».
« Senti, ti va di venire ad Hogsmeade con me, sabato? »


If I lost it all
I fell into the trap
And she goes.









Dopo una lunga pausa, rieccomi qui con il sesto capitolo di Reaching.
Inizialmente non doveva essere così, doveva esserci solo la parte di Severus e un altro paio di cose, ma poi, durante la scena delle ragazze, Mary ha preso le redini del gioco ed è successo questo! Mi è piaciuto da morire poter finalmente scrivere un pochino di lei e Sirius – e nel prossimo capitolo li vedremo assieme ad Hogsmeade *-* -, spero che a voi sia piaciuto leggere di loro! ;)
Oh, e poi qui abbiamo anche la prima litigata tra Lily e Mary. Sinceramente sono dalla parte di Mary XD E voi? Vabbé, però vi prometto che nel prossimo capitolo faranno pace (io ce la sto mettendo tutta, comunque, per scriverlo il più rapidamente possibile in modo da non farvi attendere ancora).
Oh, e iniziano un po’ gli accenni JamesxLily, che ne dite? :)
Poi: i versi in inglese sono della canzobbne dei Coldplay Don’t Let It Break Your Heart (da cui prende anche nome il titolo), e le traduzioni, in ordine, dovreero essere:
- Through my maze is flowing: sto fluttuando attraverso i miei giorni.
- Come on, baby, don’t let it break your heart: Avanti, tesoro, non lasciare che questo ti spezzi il cuore.
- If I lost it all, I fell ito the trap, and she goes: e se perdessi tutto, cadrei in una trappola, e lei se ne andrebbe.
Ora vado, fatemi sapere cosa ne pensate (anche se dopo le zero recensioni al capitolo 5 non è che ci conti più di tanto :)
A presto!
A.



Per chi volesse, la mia pagina è QUESTA.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7: Mustaches and Socks ***


capitolo 7 Mustaches and socks

6 capitoli.
9 preferiti, 4 ricordati, 35 seguiti

Reaching for something in the distance

Capitolo 7: Mustaches and Socks.

 

Quando il periodo natalizio era alle porte, Sirius era palesemente il più felice ed euforico del Dormitorio – neanche i ragazzini avrebbero potuto batterlo su quel campo, ad essere onesti. Sempre per essere onesti, era anche un po’ strano vederlo così felice per il Natale, giacché nella sua famiglia il cenone natalizio era una cena come un’altra e nulla più. Peter, una volta, aveva avanzato l’ipotesi che magari era proprio perché non piaceva alla sua famiglia che adorava così tanto il Natale – in poche parole, magari era una festa che non gli ricordava la sua famiglia.
Vederlo agitarsi per la camera in evidente visibilio, dunque, era davvero esilarante – addobbava tutto, lui, dalle coperte alle manopole del bagno. Una volta aveva addirittura fatto comparire dei motivi natalizi ballerini sulla scorta di pergamene di tutti i compagni di dormitorio, che quindi avevano dovuto consegnare i compiti su di esse, visto che nonne avevano altre – James ricordava ancora il sopracciglio perfettamente inarcato della McGranitt quando aveva consegnato il tema sui Metamorfomagus.
Quell’anno però le pergamene si erano salvate, e l’amico si era concentrato sui calzini dei compagni, sbizzarrendosi in mille tonalità e oggetti natalizi da disegnarci o attaccarci.
Remus, seduto sul proprio letto a baldacchino, sorrise e afferrò quelli che un tempo erano dei normali calzini rossi e che ora erano pieni di rametti verdi – che probabilmente dovevano essere vischio.
« Ti piacciono i calzini, Moony? » gli domandò allegramente Sirius, sollevando poi anche i propri pantaloni per sfoggiare dei calzini su cui aveva fatto apparire un cane con in testa una ghirlanda d’agrifoglio.
« Veramente belli, ma mai quanto quelli di Prongs » ridacchiò Remus, indicando James, che girava per la stanza con addosso solo boxer e calzini – calzini con dei cappelli natalizi.
« Già. Modestamente sono bellissimi! » esclamò Sirius, raggiante, afferrando poi un altro paio di calzini puliti e fiondandosi fuori dal dormitorio e poi giù per le scale. « Io vado giùùùùùù, ci vediamo a colazione! » - il “giù” molto allungato spiegò a tutti che qualcuno aveva ben rischiato di cadere per le scale.
« Penso che non cambierà mai » rise Peter, entrando in bagno con passo stanco.
« Già, lo penso anch'io » sorrise James, passandosi una mano trai capelli.

 

*

 « Dovreste far pace » disse a un certo punto Miriam, sdraiata a pancia in giù sul suo letto, alzando gli occhi dalla rivista che stava leggendo. Era particolarmente seria, e fu questo più di tutto ad attirare l’attenzione di Mary – che forse avrebbe fatto finta di non aver sentito niente e sarebbe andata in bagno o in Sala Comune.
« Dillo a lei. Non mi parla » le fece notare, testarda, senza alzare gli occhi dal proprio baule – il giorno dopo ci sarebbe stata l’uscita ad Hogsmeade e lei, anche se non lo stava dando particolarmente a vedere, era piuttosto nervosa.
« Neanche tu le parli, però » ribatté ancora Miriam, con quel suo tono un po’ svampito, come se stesse parlando del tempo. Le sopracciglia bionde erano aggrottate, e le labbra piegate in una smorfia perplessa.
« Dovrei? » chiese Mary, lanciandole uno sguardo eloquente.
L’altra si strinse nelle spalle, poi sospirò, picchiettando l’indice destro sulla pagina lucida del giornale. Aprì la bocca per parlare, ma poi la richiuse e rimane in silenzio per un po’, mentre l’altra la guardava in attesa di una risposta.
Mary da arrabbiata era un po’ irritante, ma alla fine un po’ la capiva. Se se l’era presa tanto a cuore, quella litigata, era perché Lily stava continuando a sperare che Severus Piton sarebbe cambiato, e l’evento di quella sera le aveva fatto brutalmente capire che lui non sarebbe tornato indietro – Miriam, ad essere sinceri, un po’ lo aveva sempre sospettato.
Mary era arrabbiata solo perché Lily continuava a farsi male consapevolmente, e non poteva sopportarlo. A Mary dava fastidio che Lily non lo capisse, e aveva ragione – perché Lily non poteva continuare a sperare nell’impossibile. La cosa più divertente, rifletté, era che lo diceva lei: Miriam non era una ragazza responsabile, anzi, aveva sempre la testa tra le nuvole, ma capiva perfettamente quando una cosa non poteva realizzarsi.
« Per me hai ragione a essere arrabbiata » disse alla fine, sistemandosi una ciocca bionda dietro l’orecchio con la mano. « Però Lily non lo fa apposta ».
« Non m'importa se non lo fa apposta! » sbottò Mary, infervorandosi – a Miriam fece un po’ tenerezza, vederla così preoccupata per l’amica. « Sta sbagliando, si fa male da sola, non m'importa se non lo fa apposta! La deve smettere! »
Miriam non disse niente, la guardò in silenzio finché quella, stanca e arrabbiata, non uscì rapidamente dalla stanza, sbattendosi la porta alle spalle. Fuori la porta si sentì il rumore di un libro che cadeva e di passi che si fermavano; poi la porta si aprì ed entrò Lily, che d’altro canto sembrava aver colto parte della conversazione.
« Che succede? » le chiese infatti, titubante, ma dal suo tono si capiva bene che sapeva già cos’era appena successo.
« Conosci Mary » si limitò a rispondere Miriam, sorridendole con allegria, cercando di farla sorridere a sua volta.
Le labbra di Lily s’incresparono appena in un sorriso mesto, mentre la ragazza posava sul letto il libro che le era caduto poco prima. Dopodiché si sedette sulla trapunta scarlatta, sospirando. Da quando avevano litigato, Mary aveva preso a ignorarla e ad uscire da una stanza non appena lei vi metteva piede – a parte per le aule di lezione, ma lì era impossibile farlo. Lily, in quella situazione, si sentiva come divisa a metà: da una parte era convinta di avere ragione lei, che Severus non voleva davvero; dall’altra però sapeva che Mary non aveva completamente torto. Non sapeva cosa fare, questa era la verità. Avrebbe voluto poter seguire l’amica fuori dalla porta e raggiungerla per abbracciarla e chiederle scusa, però, allo stesso tempo, pensava che dovesse essere Mary a chiederle scusa. Dopotutto era lei ad averla ferita. O no? Lily non ne era più così sicura, forse anche lei aveva ferito Mary – anche se fosse, Mary, come al solito, non l’avrebbe dato a vedere – e non se ne era neanche resa conto.
Ferirla però non era davvero una cosa di cui sarebbe andata fiera. Mary era la sua migliore amica dal secondo anno – prima si odiavano, sostanzialmente –, e, a parte qualche vicenda, Lily ricordava a malapena la maggior parte del primo anno. Mary, ormai, faceva parte di lei, in un certo senso. E forse Mary lo sapeva anche, e magari era lo stesso per lei, solo che era così testarda, e Lily sapeva che non avrebbe mai preso l’iniziativa.
Il punto era che non l’avrebbe preso neanche lei, per orgoglio. Mary le mancava, ma quel che aveva detto su Severus e su di lei non le erano andati giù per niente; Lily si era sentita come tradita. Tradita da Mary, che sapeva quanto lei ci stesse male. Però Mary aveva detto di starlo facendo proprio per quello, perché lei non poteva continuare così.
Lily non sapeva che dire o che fare. Accanto a lei, Mary era sempre stata una certezza. Che quando si girava la trovava sempre affianco a sé, quello era sempre stato certo, per lei. E ora… addirittura ai pasti, Mary la ignorava e si sedeva quasi dall’altro capo della tavolata.
« Ehi, Lil » la richiamò Miriam, sollevando una mano in aria e muovendola con foga per attirare la sua attenzione. Lily alzò di scatto la testa verso di lei, con un’espressione che doveva dire che c’è? « Ci sta male anche lei ».
Lily si morse l’interno della guancia. Ora anche Miriam ci si metteva, comportandosi come mai aveva fatto. Non pensiamo male, Lily la adorava, ma in quel momento una Miriam stranamente seria e saggia non era quel di cui aveva bisogno.
« Okay ». Non sapeva cosa dire, e non aveva idea di come le fosse saltato in mente di dire semplicemente okay.
« Lily » sospirò Miriam, sorridendo con aria esasperata e laconica. « perché continuate così? Ci state male entrambe, è una cosa sciocca ».
Lily ridacchiò, pensando a come i ruoli sembravano essersi invertiti. Di solito era lei quella più seria – dopo Claire, però –, che diceva a Mary e a Miriam di non fare cose sciocche. E in quel momento, invece, era Miriam a dire a lei e Mary di star facendo delle sciocchezze. La cosa era piuttosto divertente, se vista in quella maniera.
« Sono seria » si corrucciò Miriam, reprimendo un sorriso, mentre un guizzo divertito le attraversava gli occhi da cerbiatto.
« Lo so, per questo è divertente » sorrise Lily, decidendo di sdraiarsi sul proprio letto e perdendosi così trai ghirigori dorati che ornavano il soffitto rosso.
« Ah » disse semplicemente l’altra, ridacchiando con una mano davanti alla bocca, con alcune ciocche bionde che le andavano davanti agli occhi. « Be’, almeno ti ho fatto sorridere. In questi ultimi giorni eri una noia mortale, sai? »
« Mi hanno detto che sei molto delicata » ribatté Lily, non sapendo bene come reagire. L’essere definita una “noia mortale” non era il massimo, ma, a conti fatti, doveva ammettere di essersi più volte comportata come tale.
« Non molto, però sono sincera » le fece notare Miriam, tornando seria.
« Questo è vero » convenne Lily, sorridendo con dolcezza.
« E mi adorate tutti » aggiunse, serissima.
« Non esagerare ».
« Non esagero mica! » ridacchiò ancora Miriam, girandosi e quindi sdraiandosi a pancia in su, facendo cadere per terra la rivista che stava leggendo. « Voi cinque mi adorate, i ragazzi anche… Tutti mi adorano! »
« La Pince non tanto » disse Lily, e senza accorgersene scoppiò a ridere.
« Oh, fa tanto la vecchia arpia, ma… » - si sporse dal proprio letto verso quello dell’amica, per quanto possibile. « in realtà anche lei ha un debole per me ».
« Ah, be’, ne sono sicurissima! »
« Fai bene! » ridacchiò. « Comunque, Lily? »
« Sì? »
« Con Mary si sistemerà tutto, tranquilla ».
 

 

*

 Quando arrivò in Sala Grande, la trovò chiassosa come suo solito. Gli studenti chiacchieravano a voce alta, sapendo che comunque le loro parole si sarebbero confuse con quelle degli altri. I professori presenti, seduti al loro tavolo in fondo alla Sala, mangiavano tranquillamente, discutendo di affari personali o di argomenti scolastici. Il soffitto incantato minacciava pioggia, e, con uno sguardo al portone, Mary poté notare che anche il tempo fuori non prometteva bene.
Speriamo che domani non piova – pensò, camminando tra i tavoli di Tassorosso e Grifondoro, per raggiungere una ragazza bionda del sesto anno che si chiamava Marlene McKinnon.
Non erano molto amiche – Marlene era piuttosto… frivola –, ma la ragazza sapeva essere simpatica e riusciva a farla divertire senza chiedere niente. Marlene era piuttosto singolare, per essere una Grifondoro; non aveva le caratteristiche appartenenti a quella Casa, eppure ne faceva parte. Mary sapeva, però, che insinuare una cosa del genere davanti a lei significava trascorrere in Infermeria almeno una notte.
Marlene aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri, più chiari di quelli di Mary, e un carattere allegro e vivace. A volte però s'incupiva, e lanciava delle rapide occhiate in direzione del tavolo di Serpeverde. Mary più di una volta aveva seguito il suo sguardo, ma aveva sempre fatto finta di niente. Per quanto fosse rumorosa, Marlene non amava parlare di se stessa, e Mary non voleva metterla a disagio.
« Ehi, Marlene » le sorrise, sedendosi di fronte alla ragazza. Marlene sollevò il capo dalla copia di Strega Oggi che stava leggendo e ricambiò il suo sorriso, raggiante come al solito.
« Splendore, ciao! » la salutò di rimando, chiudendo la rivista e riponendola in borsa. « Come va la vita? »
« Oh, tutto bene » rispose Mary, tralasciando i pensieri su Lily e il suo essere così cocciuta. « Tu invece? »
« Benissimo! » trillò Marlene, entusiasta, facendola sorridere di rimando. Marlene aveva quell’allegria contagiosa che ti contagiava, nel bene e nel male. Perché anche a volte si oscurava, Marlene poi tornava a brillare, più accecante di prima.
« Come mai così felice? » le chiese, versandosi dell’acqua nel calice.
Mentre infilzava con la forchetta un pezzo di stufato, Marlene le disse: « Hai presente Stebbins? Il Capitano di Tassorosso, per intenderci » - Mary annuì, capendo già dove voleva andare a parare l’altra. « Ecco: mi ha invitata ad uscire. Non è meraviglioso? Sì, insomma, Stebbins è un figo da paura. No? »
Mary rispose di sì, ma aveva visto benissimo il gesto di Marlene di girarsi ancora verso il tavolo di Serpeverde. Si chiese perché, ma non lo domandò alla ragazza. Anche negli occhi chiari di Marlene, a Mary non sembrava di vedere solo felicità, ma anche un po’ di rassegnazione.

Chissà che ha – meditò, pensierosa, e si mise nel piatto un po’ di spezzatino.
« Tu invece con chi andrai a Hogsmeade, Mary? » le domandò, distraendola dalle varie possibilità che si accavallavano nella mente dell’interpellata, che cercava di trovare un motivo al comportamento di Marlene.
« Oh » rispose Mary, sentendosi subito dopo una completa idiota. Si grattò i capelli dietro l’orecchio, come faceva sempre quando era nervosa. Poi, sotto lo sguardo luccicante e azzurro di Marlene, aggiunse: « Con Sirius Black ».
Gli occhi di Marlene si spalancarono per pochi secondi, prima che la proprietaria si esibisse in un radioso sorriso a trentadue denti. Non sembrava stupida, quanto allegra.
« Finalmente si è deciso! » esclamò, felice, mentre Mary si chiedeva cosa diamine stesse dicendo. Marlene dovette capire cosa stava pensando, perché continuò. « Ooh, non fa che girarsi verso di te quando entri in Sala Grande e cerca sempre di parlarti. Solo uno stupido non capirebbe che gli piaci! »

Okay, allora io sono stupida.
« Come? » gracchiò allora Mary, schiarendosi poi la voce.
« Non fare la finta tonta, Mary! » ridacchiò l’altra, bevendo poi un po’ di Succo di Zucca. Fatto ciò, posò il calice sul tavolo e la guardò un attimo prima di annuire. « Comunque stareste bene assieme, molto carini ».
Mary s'impose di non arrossire miseramente – e dovette fallire completamente, visto il ghigno malizioso che comparve sulle labbra lucide e rosee di Marlene –, mentre scuoteva la testa con aria divertita e mandava giù un altro pezzo di carne.
« Dai, non esagerare » si risolse a dire, con la voce ancora un po’ roca. « Non siamo una… sì, insomma… una coppia ».
« Non ancora » ghignò Marlene, sistemandosi il fiocco che aveva usato per raccogliere in una coda i lunghi capelli biondi. « Oh, non fare quella faccia » aggiunse, vedendo che Mary provava già a ribattere. « lo sai anche tu che ho ragione! »
« Molto modesta » constatò Mary, ritrovandosi a sorridere.
« E molto bella, lo so. Be’, dopotutto sono io » rise Marlene, mandando una ciocca bionda dietro l’orecchio con un gesto volontariamente stupido e frivolo che fece ridere Mary.
Quest’ultima, però, si bloccò di colpo, guardando qualcosa oltre le spalle di Marlene, che girò appena il capo per lanciare un’occhiata alle proprie spalle. Sorridendo, Marlene bevve l’ultimo sorso di Succo di Zucca e si alzò dal tavolo, afferrando la propria borsa.
« Be’, ci vediamo dopo, Mary! » poi si girò, e quando vide il nuovo arrivato, ghignò. « Oh, Sirius, non ti avevo proprio visto! Ci si vede, ciao! ».
« Qualcosa mi dice che mi aveva visto, invece » disse Sirius, osservando la schiena di Marlene che usciva dalla Sala Grande. Poi si sedette di fronte a Mary, con un sorriso tutto denti. « Parlavate di me, per caso? »
« Il mondo non gira intorno a te, Sirius » gli sorrise lei, spezzando del pane e mangiandone un po’.
« E tu? »
« Neanche, fidati ».
« Nervosa? » la provocò, incrociando le braccia sul banco e sporgendosi in avanti, verso di lei.
« Per niente » rispose Mary, ricambiando l’occhiata divertita di Sirius con le sopracciglia inarcate.
« Davvero? A me sembra di sì ».
« Ti sbagli ».
« Ah, sì? » - il ghigno sulle sue labbra parve allargarsi. « Allora perché stai continuando a versare del Succo di Zucca nel tuo bicchiere se questo è già pieno e a te, comunque, non piace il succo? »
Mary abbassò di colpo lo sguardo sulla brocca che aveva inclinato sul proprio calice per prendere da bere – pensando fosse acqua – e si accorse con orrore che Sirius non stava mentendo: il liquido arancione continuava a uscire dalla brocca e ad espandersi sulla tovaglia. Imprecò mentalmente, affrettandosi a rimettere a posto il Succo di Zucca e cominciando a tamponare la tovaglia con un fazzoletto.
« Le grandi avventure di Mary MacDonald e il Succo di Zucca » la prese in giro Sirius, osservando con aria divertita le mani di Mary che si muovevano frenetiche sulla tovaglia per rimediare almeno in parte al danno. Lei gli rivolse un’occhiata truce. « Dai, sta’ calma, non è un dramma ».
Allungò le mani verso quelle di Mary, e ne strinse i polsi tra le dita, spostandoli dalla macchia arancione. Mary, stizzita, come ringraziamento gli tirò addosso il fazzoletto bagnato.
« Ma come osi? » sbottò Sirius, prima di scoppiare a ridere. « Sei un’ingrata, Mary MacDonald! »
Lei gli fece il verso, con una vocina stridula ed eccessivamente acuta, facendolo ridere ancora più forte. Alla fine anche Mary si ritrovò a ridacchiare, sotto lo sguardo allegro di Sirius. Non sapeva bene perché fosse andato a parlarle – o meglio, lo sapeva, ma aveva pensato di fare velocemente, e non di fermarsi a parlare con lei –, e in tasca aveva ancora il regalo che doveva darle.
« Comunque, ti devo dare una cosa » disse infatti, attirandosi addosso tutta l’attenzione di Mary in pochi istanti.
Lei all’inizio parve sorpresa, poi sbiancò. « Cosa? Darmi una cosa? Ma io non ti ho preso niente! »
« Stare zitta non ti piace, eh? » si lamentò Sirius, roteando gli occhi e infilandosi una mano in tasca. Frugò un attimo, poi chiuse le dita attorno alla stoffa e la tirò fuori. « E comunque neanche io ti ho comprato qualcosa ».
« E allor- ». La sua domanda morì prima che lei potesse finirla, perché tra le mani Sirius stringeva dei calzini rossi che lei aveva già visto. Solo che prima il destro aveva un buco sul tallone, dove invece adesso c’era ricamato un ramo di alloro verde. « Ma quelli non sono i miei calzini? » s’informò, allibita.
« Sì » rispose tranquillamente Sirius, come se avere un paio dei suoi calzini fosse la cosa più naturale del mondo.
« E perché tu hai i miei calzini? » domandò, alzando la voce e sentendosela parecchio acuta. Perché quei calzini poteva averli presi solo in un posto… il suo cassetto. E nel suo cassetto non c’erano, ovviamente, solo i calzini. Arrossì solo al pensiero – forse anche un po’ per l’indignazione. « Hai frugato tra le mie cose, Black? Giuro che ti uccid- ».
Mentre Mary si allungava sul tavolo per strangolarlo, lui si allontanò e poi le afferrò nuovamente le mani. « Stai calma, Salazar maledetto! Non ho frugato da nessuna parte, calma! »
« E allora come hai fatto? » spiò ancora lei, per nulla convinta, assottigliando lo sguardo a due fessure azzurre.
« Potrei aver avuto un’aiutante ».
Mary non ci mise molto a capire, e disse: « Miriam. Come ho fatto a non pensarci? »
« Risposta sbagliata, carina » le sorrise. « Me li ha portati la Evans ».
Sirius si godette completamente lo spettacolo di Mary che lasciava cadere le braccia sul tavolo e spalancava la bocca in una piccola ‘o’. Aveva l’aria di qualcuno che era appena stato colpito in testa da un Bolide a cento chilometri orari – ed era davvero, davvero esilarante.
« Mi stai prendendo in giro, è ovvio » esalò alla fine Mary, scuotendo la testa.
« Assolutamente no, posso giurare sulla mia inconfutabile bellezza che è stata proprio la Evans a darmi questi » disse, e le sventolò sotto al naso i calzini – qualcuno lanciò un’occhiata stralunata verso di loro, stupiti dal vedere un paio di calzini a tavola.
« Okay » iniziò Mary, scandendo lentamente le parole. « Ora però dimmi perché te li ha dati Lily e perché tu li volevi ».
« Chiedilo a lei perché me li ha dati, io non ne ho idea, anzi, sono più stupito di te, visto che non mi sopporta » rispose lui, con una scrollata di spalle, lanciando poi un’occhiata a Lily Evans, che sedeva a qualche posto di distanza, vicino a Remus. « E comunque mi servivano per decorarli, ovvio. Tieni, guarda! ». Così dicendo, le passò i calzini con un lancio corto, e lei li afferrò al volo.
Li aprì sotto al tavolo, e sorrise vedendo quel che Sirius ne aveva fatto. Erano davvero carini, con le ghirlande natalizie tutte ricamate sul rosso acceso; sotto, sulla pianta del piede di ognuno, c’era addirittura scritto Merry Christmas.
« Non sapevo avessi una passione per le decorazioni dei calzini » ironizzò, mettendo il ‘regalo’ in borsa con un sorriso.
« Infatti non ce l’ho, solo che a Natale devo decorare qualcosa, e questo è stato l’anno dei calzini » le spiegò Sirius, sorprendentemente serio. « Ritieniti fortunata, comunque, perché sono in pochi gli eletti che possono sfoggiare i miei calzini firmati ».
« Oh, immagino » esclamò Mary, fingendosi molto seria.
« Ti piacciono? » le chiese lui dopo un po’.
Mary distese le labbra in un sorriso intenerito – e si sentì così scema, per l’effetto che Sirius aveva su di lei. « Molto » rispose con sincerità, unendo le proprie mani e torturandosele dal nervosismo che si era appena impossessato di lei.
Sirius parve accorgersene, perché sorrise ancora.
« Ehi, ti va di fare un giro nel parco? » le domandò di punto in bianco, indicando il portone.
Mary inarcò le sopracciglia, guardandolo come se fosse impazzito. « Sta per piovere ».
« Tsk » sbuffò Sirius, facendo l’altezzoso. « Sala Comune? »
« Molto meglio ».

 
Lily, seduta accanto a Remus alla tavola di Grifondoro, spostò gli occhi dalla schiena dell’amica solo quando quella fu del tutto scomparsa dalla sua visuale. Girandosi di nuovo per mettersi dritta, quasi sobbalzò quando vide James Potter seduto di fronte a lei.
« Potter, sei peggio dei funghi! » sbottò quindi, più nervosa del solito.
James, che d’altro canto aveva avuto l’accortezza di restare in silenzio, alzò lo sguardo su di lei, allibito. « E adesso che ho fatto?! » le domandò di rimando, allargando le braccia con fare esasperato e spaesato.
« Tu - » iniziò lei, bloccandosi subito dopo. « No, niente, scusa ».
Remus sorrise, abbassando il capo sul proprio piatto, mentre James guardava Lily, stralunato.
« Stai bene, Evans? » le chiese cautamente, parlando piano e sporgendosi indietro con la schiena, come se rischiasse di essere strangolato da un momento all’altro.
« Benissimo » rispose la ragazza, infilzando con forza una patata al forno. Poi alzò gli occhi su di lui, perplessa, quasi non capisse il perché della domanda. « Perché, scusa? » domandò infatti, mettendosi poi in bocca il boccone di cibo.
« Lo stai facendo ancora! » esclamò James, sempre più stupefatto.
Lily deglutì. « Facendo cosa? »
« Mi hai chiesto scusa due volte! Tu che chiedi scusa a me! Domani faranno quaranta gradi all’ombra » decretò James, serissimo, annuendo con convinzione alle proprie parole.
Inaspettatamente, Lily scoppiò a ridere. A ridere davvero, non una di quelle risate sarcastiche che soleva rivolgergli sino all’anno prima, quando lui la invitava ad uscire con fare baldanzoso ogni volta che la vedeva per i corridoi o a lezione o dovunque.
Aveva una bella risata, Lily, forte e squillante. James si ritrovò a sorridere solo nel guardarla chinare il capo continuando a ridacchiare tra sé, scuotendo di tanto in tanto la testa.
« Sicura di star bene, eh, Evans? » le chiese ancora, questa volta scherzando.
Lei si rabbuiò leggermente. « Sì, solo un po’ stanca ».
« Io vado, ci vediamo dopo! » esclamò Remus, non volendo interrompere la rara chiacchierata dei due – aveva già visto James lanciargli occhiate che significavano palesemente che devo fare?
James, infatti, mentre Lily salutava l’amico, mimò con le labbra: Sei morto, Lupin. Remus gli sorrise e, una volta dietro Lily, sicuro che lei non potesse vederlo, sollevò i pollici nella sua direzione.
« Uhm. Come mai sei stanca? » domandò dopo un po’ James, allargandosi con le dita il colletto della camicia.
Lily gli lanciò un’occhiata in tralice, e senza pensarci James alzò le mani in segno di resa. Lei parve sorpresa da quel gesto, perché sollevò le sopracciglia e lo guardò.
« Abitudine » borbottò James, sentendosi piuttosto stupido.
Inaspettatamente, però, Lily sorrise – appena, certo, ma era un sorriso lo stesso.
« Però non cambiare discorso, Evans! » l’ammonì subito dopo, come se quel sorriso gli avesse dato una spinta in più.
« E se io volessi cambiare discorso? » ribatté lei, tranquilla.
« Prima o poi lo scoprirò comunque, sai? »
« E come? »
« Ho i miei mezzi » rispose candidamente James, stringendosi nelle spalle.
« Mh-mh » convenne Lily, annuendo e poi alzandosi dalla panca. « Io ora devo andare ».
« Oh, okay » disse semplicemente James, un po’ abbacchiato – e ti pareva che quando parlo con lei c’è sempre poco tempo? Poi sorrise tutto denti. « Tanto ci si vede sicuramente in Sala Comune o a lezione, quindi ».
« …Giusto » mugugnò lei, sistemandosi la borsa sulla spalla e piegando appena la testa verso di essa quando la tracolla le tirò i capelli. « Ciao, … »

… Potter – concluse mentalmente, sgranando poi gli occhi. Ho davvero parlato con Potter? E lui non ha fatto battute? Dove ha sbattuto la testa? No, anzi: dove ho sbattuto la testa?
« Ciao, Evans! »

This ain’t about the things you say
Or how you make me feel this way
(…)
It’s about you
And when I get this feeling
It’s hard for me
1

 

*

 Quando arrivò il giorno dell’uscita a Hogsmeade, il cielo era pesante e le nuvole promettevo pioggia o una prematura nevicata. L’aria all’esterno era fredda, e i respiri della gente si condensavano in piccole nuvolette di vapore che s'innalzavano verso il cielo grigio.
Sirius, gli occhi fissi su una nuvola dalla forma strana che stava attraversando il cielo in quel momento, sbuffò impercettibilmente.
Da quando era arrivato, erano state tante le coppie che gli erano passate davanti; si tenevano quasi tutte per mano, stando vicini e parlando piano. Sirius – che comunque non avrebbe mai seguito quei banali esempi – era certo che, se solo avesse provato a comportarsi in quel modo con lei, Mary lo avrebbe piantato in asso senza pensarci due volte. E lui l’avrebbe pure capita. Erano scene davvero mielose, quelle coppiette che si spiaccicavano l’una contro l’altro e si mangiavano la faccia a vicenda.
Mentre nella sua testa compariva l’immagine di Mary che gli tirava un bidone nel verso senso della parola, l’oggetto dei suoi pensieri gli picchiettò sulla spalla sinistra con un dito.
« Ci sei? » gli domandò, ghignando della sua espressione momentaneamente persa e perplessa. Doveva star pensando a cose molto interessanti, meditò lei. « Se vuoi possiamo comunque mettere le radici qui » gli propose in alternativa, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Sirius si riprese subito, esibendosi in un sorriso a trentadue denti. « Per quanto questa sua proposta sia allettante, mi trovo costretto a rifiutare l’offerta e a portare me medesimo e la sua persona a Hogsmeade ».
Mary lo guardò, seria. « Non farlo mai più, sembravi uno dei vecchi amici di mio zio ».
Lui, dopo averla sentita, scoppiò a ridere sonoramente e strinse leggermente le dita sul suo braccio per trascinarla con sé verso il cancello, oltre il quale li attendevano le carrozze dirette ad Hogsmeade.
« Giuro che non lo farò mai più » le promise, continuando a ridere.
Mary ridacchiò a sua volta, mentre una nuvoletta di vapore si formava davanti alla sua bocca. Sirius, notandola, si ritrovò a posare per un attimo lo sguardo anche sulle labbra di Mary, trovandole sottili e rosee.
Arrivati davanti alla carrozza che stava per partire, Sirius lasciò che lei lo precedesse all’interno di essa, prima di seguirla. A quanto pareva sarebbero stati solo loro due, giacché proprio in quel momento la carrozza aveva iniziato a muoversi.
Sirius fece per aprire bocca e chiederle come stava, ma Mary lo anticipò con un: « Oh! » che quasi lo fece sobbalzare.
« Che succede? » domandò quindi, con le sopracciglia inarcate e le mani infilate nelle tasche dei pantaloni. « Hai dimenticato qualcosa al castello? »
« Ti pare? Certo che no! » disse lei, come se avesse appena pronunciato l’idiozia del secolo. « Devo solo farti vedere una cosa. Aspetta un attimo » aggiunse, sfilandosi i guanti e posandoli accanto a lei sul sedile; poi si sporse verso le proprie gambe, fasciate da un paio di jeans chiari, e li tirò appena verso l’alto, svelando il paio di calzini modificati proprio da Sirius. « Ta-dan! »
Sirius, sporgendosi appena verso di lei, rise di nuovo, alla vista del ramo di alloro che le aveva fatto comparire sulla caviglia affinché la circondasse, proprio a stile ghirlanda.
« I miei regali sono sempre i migliori, lo so » constatò Sirius, serissimo, con aria di superiorità.
« Quindi sono impossibili da battere, eh? » gli chiese, fingendosi amareggiata, e Sirius annuì, convinto. « Ah, be’, se è così mi risparmio soldi e fatica e non ti faccio niente »  disse poi, ghignando nel vederlo sgranare gli occhi oltraggiato.
« Non lo sai che è maleducazione non ricambiare un regalo di Natale? » le domandò, appena si fu ricomposto – ovvero dopo pochi secondi.
« Oh, potrei sopravvivere tranquillamente se dovessi considerarmi tale » ribatté Mary, come sempre decisa a non dargliela vinta – alla fine, lui la apprezzava anche per quello, per il suo non cedere immediatamente.
« Essere senza cuore » disse Sirius, scuotendo la testa, un’espressione di finto disappunto dipinta sul volto.
Lei scoppiò a ridere e s'infilò nuovamente i guanti, sistemandosi poi anche la sciarpa di Grifondoro che portava al collo.
« Dai, dove andiamo, quando arriviamo al villaggio? » domandò Mary, appoggiandosi allo schienale del sedile e dando un calcio al piede di Sirius con il suo.
« Non so, io pensavo di legarti, nasconderti e scappare via ».
« Bel piano. Ma se affondo, tu affondi con me ».
« Ma che cosa stai dicendo? » rise Sirius, scuotendo la testa.
Lei si strinse nelle spalle. « È così importante? » gli chiese, prima di affacciarsi al finestrino della carrozza per vedere quanto mancava; appurato ciò, tornò alla posizione precedente, e disse: « Dovrebbe mancare poco, si vedono abbastanza bene i tetti. Preparati ».
« Signorsì, Capitano » la prese in giro, sogghignando. Mary gli fece il verso e poi una linguaccia, mentre controllava che la propria borsa fosse ben chiusa.
Lui stava per parlare, quando la carrozza si fermò davanti all’entrata di Hogsmeade. Fu di nuovo Sirius a scendere per secondo, mentre lei si sistemava la giacca nera che le arrivava qualche manciata di centimetri sotto il bordo dei pantaloni.
« Ora vorrei proporti una cosa » gli disse poi, girandosi verso di lui con le mani unite in grembo e mordicchiandosi il labbro inferiore.
« Illuminami ».
« Allora, visto che ancora non c’è nessuno » cominciò, adducendo alle strade non ancora pullulanti di studenti. « potremmo prendere due Burrobirre a portar via ai Tre Manici e poi fare un giro ».
Sirius, una volta che Mary ebbe finito di parlare, rimase in silenzio pochi secondi, pensando a dove avrebbe potuto portarla per stare un po’ in santa pace solo con lei, prima di rispondere: « Mi sembra una buona idea. Andiamo subito? » e sorriderle.

 

*

 Erano sedute ai Tre Manici da un po’, ormai, e di Mary e Sirius nessuna traccia. Miriam, dall’alto della sua spiccata malizia, riteneva fosse un buon segno, mentre Alice e Claire preferivano non dire niente. Lily, intanto, continuava a passare l’indice destro sul bordo della propria pinta di Burrobirra, non volendo pensare più di tanto a Mary, vista la pesante litigata che ancora non avevano chiarito.
Il locale si era riempito poco a poco, e ora ogni voce si confondeva con le altre, dando origine ad una confusione del tutto ordinaria per un luogo così frequentato ed apprezzato.
Loro quattro avevano occupato un tavolo vicino alla finestra, dalla quale avrebbero potuto tranquillamente avvistare Sirius e Mary, se per caso fossero passati di lì.
In quel momento, Claire ed Alice avevano intavolato una conversazione sui progetti natalizi; Miriam, però, ad un certo punto, s’illuminò e sorrise.
« Ragazzi! » esclamò, trillante. « Cosa ci fate qui? »
Una volta che si fu girata, Lily vide che proprio davanti al loro tavolo si erano fermati Remus Lupin, Peter Minus e James Potter. Probabilmente se fosse capitato anche solo qualche mese prima avrebbe sbattuto la testa contro il tavolo sino a svenire, vedendo James Potter che veniva invitato da una sua amica a sedersi al loro tavolo con gli altri, eppure quel giorno non le diede fastidio. Non provò nulla, non c’era traccia del solito astio che aveva sempre covato nei suoi confronti – per quanto a volte potesse ancora essere un po’ bambino, James Potter era maturato, e lei l’aveva capitolo solo dopo il loro breve discorso durante la partita di Quidditch tra Grifondoro e Corvonero.
 

James aveva appena raggiunto i suoi amici da Zonko, che questi avevano proposto di andare ai Tre Manici prima che si riempisse in maniera esagerata. Purtroppo, si era già creata una discreta folla, e i tavoli erano tutti occupati.
Quando Remus propose di andare a chiedere a Lily Evans e alle altre se potevano sedersi con loro, né James né Peter fecero in tempo a dire niente che quello era già partito in quarta verso le ragazze.
La prima a vederli fu Miriam Parker, la bionda perfora-timpani dall’aria sempre allegra, che com’era prevedibile sorrise e fece loro segno di avvicinarsi e sedersi con loro.
La prima cosa che James notò fu che Lily Evans non l’aveva gelato con lo sguardo, e ciò lo fece sentire vagamente meglio – almeno poteva sperare di aver superato, o star superando, la fase ‘odio profondo per James Potter’.
« Che ci raccontate? » domandò a loro tre Miriam, con voce squillante, facendo quasi sussultare il povero Peter – che era purtroppo capitato proprio vicino alla perfora-timpani.
« Niente di che » rispose Peter con una scrollata di spalle, dopo essersi ripreso.
« Già, abbiamo fatto giusto un salto da Zonko » aggiunse Remus, ordinando a Rosmerta altre tre pinte di Burrobirra.
« Avete in mente qualche scherzo dei vostri? » chiese Alice, bevendo un sorso dell’Acquaviola che aveva ordinato.
« Questo è un segreto » sorrise James prima di poterselo impedire. Poi, accorgendosi che la domanda l’aveva posta Alice, si ricordò di ciò che aveva detto Frank quella mattina in stanza. « Ma tu non dovresti essere con Frank? Aveva detto di avere appuntamento con te! »
Lei annuì, dando un’occhiata all’orologio tanto per controllare quanto mancasse. « Sì, tra mezz’ora dobbiamo vederci qui davanti. Prima aveva da fare con Jack ».
« Che fortuna » sorrise Peter, mentre Madama Rosmerta – la giovane e decisamente florida barista del locale – posava sul tavolo le loro ordinazioni.
James e Remus ridacchiarono, afferrando le loro Burrobirre.
« Avete visto i due, comunque? » domandò Miriam, curiosa, posando i gomiti sul tavolo e sporgendosi un po’ verso di loro con fare cospiratorio.
Remus annuì. « Sì, un’oretta fa » - all’occhiata delle ragazze, che voleva palesemente significare e?, aggiunse: « erano appena usciti da Mielandia ».
Lily, nascosta dietro la propria bevanda, sorrise: Mary aveva una vera e propria passione per Mielandia, specialmente per le Api Frizzole, perché, sollevandola un po’ da terra, la facevano ridere.
Quando posò la Burrobirra sul tavolo, si accorse di avere lo sguardo divertito di James Potter addosso. Aggrottò le sopracciglia e chiese: « Che c’è? »
Lui ridacchiò, bevendo un altro sorso di Burrobirra in modo da avere due baffi di spuma sopra le labbra. Poi li indicò. « Li vedi? » - lei annuì. « Ne hai un paio identico. Ti stanno bene i baffi, sai? »
Lily arrossì appena, prima di ridere a sua volta. Visti da fuori, pensò, dovevano sembrare due idioti. Afferrò un fazzoletto e si pulì le labbra, mentre James continuava a sorridere, incurante dei propri baffi.
« Uhm, però stai meglio senza » constatò alla fine, quando lei ebbe accartocciato il fazzoletto.
« Questa sì che è una notizia » fece Lily, fintamente colpita. « E io che pensavo di avere un futuro al circo! »
James parve perplesso. « Cirgo? Cos’è? » le domandò, mentre Claire chiedeva agli altri se avevano capito qualcosa della rivolta del folletto Zug lo Zuccone e Miriam esclamava « Sempre a pensare alla scuola, eh, Clary? »
Lily, stringendo le dita delle mani attorno alla propria pinta di Burrobirra – ormai vuota per più di metà –, rispose a James: « Circo, con la c » lo corresse prima di tutto. « Comunque è uno spettacolo babbano ».
« Oh! E com’è? » chiese lui, curioso, con quei suoi baffi di spuma sopra le labbra.
« A me personalmente non piace » rispose lei, sincera, con una scrollata di spalle. « Però c’è gente che paga per vedere degli animali sfruttati e ragazze che camminano sui fili ».
James, che da una parte era affascinato dalle ragazze che camminavano sui fili mentre dall’altra era rimasto colpito dagli “animali sfruttati”, annuì, non sapendo bene cosa dire.
« Comunque tieni » attirò la sua attenzione Lily, ancora una volta. James notò che gli stava porgendo un fazzoletto. « Pulisciti i baffi. Anche tu… uhm, stai meglio senza ».

 

*

 Nothing is new, I’ve seen her here before
Watching and waiting
Ooh, she’s sitting with you

Mary posò la propria borsa a terra, issandosi poi accanto a Sirius sulla staccionata che circondava la Stamberga. La costruzione non era una delle più belle, anzi: gridava abbandono da tutte le parti, e le pareti di legno scuro si stagliavano con prepotenza tra la nebbia lattiginosa che quel giorno la circondava.
Sirius le porse la sua Burrobirra ancora calda, e lei la afferrò, stringendola tra le mani per trarne un po’ di calore.
« Perché qui? » gli domandò Mary, sorseggiando la bibita calda e sentendosi subito meglio. « Insomma, non è che sia un gran posto ».
Lui si strinse nelle spalle, dando un sorso alla Burrobirra che aveva in mano. « Già, però è tranquilla, no? »
« Questo è certo, neanche un matto verrebbe qua ».
« Ci sarà un giorno in cui non ribatterai a qualcosa che ti dico? » sbuffò Sirius, divertito, lanciandole uno sguardo in tralice.
Lei ghignò, bevendo. Allontanato il viso dal contenitore, disse: « Nah. Non credo ». 
« Arpia ».
« Oh, sì, ti voglio bene anch'io » ribatté Mary, girando il viso verso di lui e sorridendo raggiante.
« Non ci credo neanche se mi paghi » le disse, ridendo poi alla faccia di Mary – che aveva sporto il labbro inferiore e lo guardava con occhi da cucciolo bastonato. « Non attacca » l’avvisò, senza smettere di ridere.
Lei gli diede una botta sulla spalla, e poi, con grande costernazione di Sirius, ci si appoggiò con la testa. Sospirando, diede un altro sorso alla Burrobirra.
« Non voglio più litigare con Lily » ammise con uno sbuffo. Sapeva che Sirius, in ogni caso, non avrebbe detto o fatto niente che, riguardo tutto ciò, l’avrebbe fatta arrabbiare.
« Allora facci pace, no? » le chiese retoricamente, girando il viso verso di lei e non sapendo bene se posare a sua volta la propria guancia sulla testa di Mary.
« Non è così facile, lei mi rende la cosa impossibile » borbottò.
« Anche tu lo stai facendo, eh » le fece notare, e lei gli diede una leggera testata sulla spalla. « Attenta, così mi sciupi » scherzò, tirandole una ciocca di capelli.
Lei scoppiò a ridere, e Sirius sentì il corpo di Mary vibrare leggermente accanto al suo.
« Ti sciupo? Che peccato » ironizzò, togliendogli i suoi capelli dalle dita.
« Sì, mi sciupi » annuì lui, serissimo.
« Ma sentilo… » sorrise. « James vuole bene a Lily, vero? »
Mary sentì Sirius contrarre la mascella – lo capì dal rumore di denti appena digrignati. « Sì. Lei però non ricambia, a quanto pare » sputò.
« Dalle un po’ di tempo » gli disse Mary, calma. « Ma come mai tu te la prendi tanto? »
« Perché lui ha fatto di tutto, e lei continua a trattarlo di merda » le spiegò, trovandola in forte disaccordo con lui. « Non guardarmi così, è vero. E lui ci rimane male ogni volta ».
« Togliti i paraocchi, Sirius. Ormai Lily non lo tratta più così male ».
« Hai ragione, ora lo illude e basta » disse, ironico, sorseggiando la propria Burrobirra per calmarsi.
« Per me non lo sta illudendo, sai? »
« Cosa vorresti dire? »
In realtà, Sirius aveva capito perfettamente cosa Mary gli stesse cercando di dire. La Evans ormai non trattava più così male il suo amico, anzi, cercava di mostrarsi gentile; la cosa lo faceva sentire meglio, perché almeno così James non avrebbe più sofferto, ma lo faceva sentire quasi in pericolo, perché aveva paura che James lo rimpiazzasse con Lily.
« Che probabilmente prova qualcosa per lui, solo che non l’ha capito o non lo vuole ammettere » ridacchiò Mary. « È tipico di Lily ».
« E non pensi che lei potrebbe rimpiazzarti, se si mettono insieme? ». La domanda gli uscì dalle labbra prima che Sirius potesse fermarla. L’aveva detto, diamine, l’aveva detto. E ora Mary lo guardava con gli occhi sgranati ma quasi dolci e inteneriti.
« Loro non ci rimpiazzerebbero mai, Sirius » gli assicurò, e Sirius pensò che forse in quel momento, mentre lei guardava la casa in lontananza, poteva azzardarsi ad appoggiare la testa contro quella di Mary.
Lei non trovò nulla da obbiettare.

 

* 

Quando rientrò in camera, si sentiva notevolmente più leggera di quando l’aveva lasciata.
Si sentiva… euforica, allegra e raggiante. L’appuntamento con Sirius era andato a gonfie vele e lei si era divertita molto, a parlare del più e del meno, a bere Burrobirra o mangiare dolci sulla staccionata della Stamberga o in giro per Hogsmeade.
« Ti sei divertita, oggi, vedo ».
La voce di Lily la fece girare di scatto, mentre il sorriso le si congelava sulle labbra. Poi si ricordò delle parole di Sirius – « Allora facci pace, no? » – e si accorse che il tono di Lily non era sarcastico o altro, che la sua era solo una contestazione.
Mary annuì senza dire nulla, e Lily sorrise.
« Sono felice per te, May ».
L’abbraccio venne spontaneo. Mary aveva mosso solo un passo, e Lily aveva fatto gli altri due e l’aveva abbracciata di slancio.
In quel momento, Mary capì quanto davvero le fosse mancata la sua migliore amica.
« Poi mi devi raccontare tutto » le disse Lily, ridacchiando.
Oh, sì, le era mancata sul serio.

 

 

1 – Non è per quello che dici | O per come mi fai sentire così | (…) È per te | E quando mi sento così | È difficile per me.
2 – Non è niente di nuovo, l’ho già vista qui prima d’ora | guardando e aspettando | Ooh, lei è seduta vicino a te.

 
Me tapina ;_; Potete uccidermi, sono in ritardassimo ;_; Non era mia intenzione farvi aspettare così tanto, solo che ho dovuto sopprimere il mio gattino perché aveva un tumore, devo fare le versioni di greco e latino e tutto il resto.
Comunque. Sappiate che sto già sistemando il capitolo 8, e spero di poterlo postare entro domenica 22! Mi ci sto impegnando, e conto di farcela.
La Marlene McKinnon del capitolo, comunque, riappare anche nella mia fanfiction "Dietro la pelle", di cui è la protagonista assieme al ragazzo misterioso :)

Ho notato un notevole calo di feedback, poi… Spero in un pronto risollevamento! Voi però fatevi sentire, tengo molto a questa storia e un parere può far comodo!
Ora vi lascio con questo bellissimo banner Lily/James fatto da Roxar per Reaching: BANNER.
Io lo trovo bellissimo! *_*
Ora davvero, a presto! Se vi interessano spoiler e altre notizie sugli aggiornamenti, poi, QUI c’è la mia pagina facebook e QUI il mio gruppo followers ;)
Er 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8: Back Home ***


Reaching8

Capitolo 10
Back Home


Wish I were with you but I couldn’t stay
Every direction leads me away
Pray for tomorrow but for today
And all I want is to be home
(Home, Foo Fighters)

« Sicuro che Dorea sia d’accordo? » domandò Sirius per l’ennesima volta, e James annuì distrattamente.
Il suo sguardo era infatti fisso da alcuni minuti su una ragazza dai capelli rossi e scarmigliati e gli occhi verdi e gonfi di sonno che mangiucchiava una fetta di pane imburrato in compagnia di un’amica, che girava un cucchiaino nel caffè da ormai circa dieci minuti.
A Lily cadde il pane dalle mani, e questo si spiaccicò sul tavolo di legno. L’imprecazione che seguì il ciaf! del pane lo fece sorridere, divertito. Lo stesso fece Mary, perché scoppiò a ridere sguaiatamente, e per poco non si rovesciò addosso la tazza di caffè.
Insieme erano davvero un bel quadretto, pensò James con un sorriso, attirato però solo da Lily.
Non era la prima volta che la osservava – questo lo sapevano tutti –, ma vederla in quello stato lo aveva distolto dai pensieri malinconici che aleggiavano nella sua mente dalla sera prima.
Quella era l’ultima volta che tornavano a casa per le vacanze, perché l’anno seguente loro non avrebbero più frequentato la scuola. Lasciare Hogwarts, comunque, era sempre un colpo al cuore, ma il pensiero di tornarci dopo nemmeno venti giorni allietava un po’ il dispiacere e la malinconia. Un po’.
« James, stavo parlando con te » sbuffò nuovamente Sirius, con la bocca piena di pane tostato, guardandolo con aria scocciata. Quando seguì il suo sguardo e vide su cos’era posato, poggiò il gomito destra sulla tavola e si batté la mano sulla fronte. « Merlino, sei un fissato del cazzo, James! » esclamò.
La Evans era tutto sommato carina – di certo, però, non era tipo di Sirius –, ma lui non la poteva soffrire e non riusciva davvero a capire cosa il suo migliore amico ci trovasse in lei. Non per altro, ma, secondo Sirius, per James ci voleva una ragazza divertente, che giocava a Quidditch e sapeva stare agli scherzi. E Lily Evans non aveva nessuna di questi requisiti – requisiti che, per inciso, avevano avuto praticamente entrambe le ragazze con cui James era stato seriamente. Le altre erano state semplici uscite, mentre Margareth Chace e Hallie Davies erano state con lui rispettivamente per quattro e due mesi; e Margareth giocava come Cacciatrice per Grifondoro, mentre Hallie era la Battitrice di Tassorosso.
E in Lily Evans, James cosa ci trovava? Sirius davvero non riusciva a vedere tutti i pregi che l’amico tanto decantava. Bella? C’era di meglio, ad Hogwarts. Simpatica? A Sirius veniva da ridere solo al pensiero. Intelligente? Okay, quello sì.
« Aah » sospirò James, voltandosi verso di lui, come se non avesse detto niente. « un giorno capirai, mio glaciale amico ».
Sirius lo guardò con commiserazione, poi inarcò le sopracciglia in un’espressione di puro scetticismo. « Capirò cosa, mio stupido amico? »
James ghignò appena, poi rispose: « Capirai cosa si prova quando ti piace qualcuno » con aria molto convinta.
Sirius schioccò la lingua sul palato, impassibile. Il suo sguardo, intanto, si posò per un attimo sulla ragazza di fronte a Lily Evans, Mary, che in quel momento aveva gli occhi chiusi e il viso rivolto verso Miriam Parker, che continuava a parlarle, nonostante fosse palese che quella non la stesse ascoltando minimamente.
La sua espressione lo fece ghignare: sembrava stesse per collassare sul tavolo.

Oh, questa non te la farò scordare facilmente, carina.
« Che stai guardando, Paddy? » gli chiese James, attirando la sua attenzione, chiaramente sarcastico.
« Niente, perché? » ribatté lui, perfettamente calmo.
« Poi sono io il fissato? »
« Sì, sei tu » rispose Sirius con tono ovvio. James sbuffò, dicendo che non era affatto vero. Sirius, allora, domandò prontamente: « Quanto porta di scarpe? »
« Trentasette » rispose subito, e quando vide l’amico sorridere vittorioso capì di essersi fatto fregare in pieno.
Infatti Sirius agitò l’indice della mano destra in aria, soddisfatto. Adorava mettere a tacere la gente – cosa che aveva in comune con Lily Evans, sebbene non lo sapesse ancora –, e riuscirci con James era dannatamente facile, specialmente quando si parlava della sua mania per la Evans.
« Comunque » riprese James – sta davvero cercando di difendersi?, pensò Sirius –, che non voleva dargliela vinta così facilmente. « Io sarò fissato con Lily, ma vogliamo parlare di te? Insomma -»
James aveva la bocca aperta, pronto ad illustrare tutti i motivi che rendevano Sirius fissato a sua volta, ma quest’ultimo lo bloccò, mettendogli in bocca del pane. James quasi si strozzò, ma, una volta tornato ad una tonalità normale, sorrise tutto denti.
« Coda di paglia, Padfoot? »
« Taci, coglione » bofonchiò, rude.
L’amico scoppiò a ridere sonoramente, mentre Sirius lo guardava male e Remus e Peter arrivavano con calma. Remus si sedette accanto a James, mentre Peter prese posto vicino a Sirius.
« Che è successo? » domandò Peter, notando il ghigno di James e il cipiglio arrabbiato di Sirius.
« James soffre di allucinazioni » rispose Sirius, conciso, lanciando un’altra occhiataccia al suo presunto migliore amico – che in quel momento si stava praticamente soffocando nel bicchiere di succo pur di non ridere. « Gravi allucinazioni ».
« Cos’ha fatto? » spiò quindi Remus, cercando di sorridere ma riuscendo solamente a piegare le labbra in una smorfia. La luna piena di quel mese era vicina, ormai mancavano pochi giorni.
« Dice di non essere fissato con Lily Evans » disse Sirius, ilare.
Le reazioni furono piuttosto differenti: Peter scoppiò a ridere, Remus guardò da un’altra parte per non farsi vedere e James arrossì miseramente come una qualunque ragazzina alle prese con la propria prima cotta.
« E dai, però! Non fate quelle facce! » si lagnò James, sbattendo la fronte sul tavolo. « Non sono fissato ».
« No » gracchiò Remus con voce acuta, divertito. « Hai ragione, non lo sei. Per niente, James ».
« Peter, proteggimi tu! »
« Mi dispiace, amico, ma io non posso farci niente » ridacchiò quello, mangiando del bacon.
« Infedeli ».


Era appena passato la signora del carrello – Remus aveva preso delle Cioccorane, Sirius delle Api Frizzole, Peter i Topoghiacci e James degli zuccotti di zucca –, quando Peter, addentando un Topoghiaccio, chiese:
« Quand’è che dovrebbe cadere, questo mese? »
Non ci fu bisogno che aggiungesse altro: la domanda, almeno per loro, era chiara come l’acqua. Sirius smise di muovere rumorosamente le dita dentro al pacchetto di caramelle alla ricerca di quella più grossa, mentre Remus con voce atona rispondeva:
« Il venticinque ».
Remus finì la frase in un sospiro appena accennato. Odiava quando la luna piena capitava troppo vicina alle vacanze, perché in quella maniera lui non avrebbe potuto vedersi con i propri amici. O meglio, l’avrebbe fatto, perché loro sarebbero andati a trovarlo ogni giorno per tenergli sempre compagnia, ma non sarebbero potuti uscire dalla sua casa a Marloes.
« Noi saremo lì con te » disse prevedibilmente James, abbandonando a se stesso lo Zuccotto di zucca che prima aveva iniziato a scartare avidamente.
« Non ce n’è bisogno » ribatté Remus, ancor più prevedibilmente. « Davvero » aggiunse, cogliendo al volo l’occhiata che i suoi amici si scambiarono. Sembravano dire tutti e tre: sì, come no.
« Moony - » cominciò Sirius, ma Remus lo interruppe rapidamente.
« E poi papà ha apportato tutte le modifiche necessarie alla grotta. Non farò male a nessuno e aspetterò lì finché non arriverà l’alba ».
« E a te non ci pensi? Lo sai benissimo che stando da solo ti farai del male, Remus » gli ricordò Peter, seriamente preoccupato. Non aveva voglia di lasciare uno dei suoi migliori amici in balia del lupo che abitava in lui e che usciva solo una notte ogni ventotto giorni.
« Tu stai male, se pensi che non verremo comunque » disse James, scuotendo la testa mentre gli occhiali gli scivolavano sul naso e se li risistemava. « Non ce ne frega niente delle modifiche alla grotta o quel che ti pare, noi saremo lì »
« Sono perfettamente d’accordo con James » s’intromise Sirius, serissimo. « Ficcatelo in quella testa, lupastro dei miei stivali ».
Remus – dimenticandosi anche di correre ai ripari e ricordare ai propri amici di abbassare la voce – piegò debolmente le labbra sottili in un sorriso appena accennato. Quei tre erano i suoi unici, primi, veri amici. Gli unici ad averlo mai accettato per quello che era. Quando avevano scoperto del suo segreto, Remus aveva avuto paura che lo allontanassero, mentre gli si erano fatti più vicini. Tranne Sirius, che per due settimane l’aveva evitato, e James, per difenderlo e proteggere al contempo la loro amicizia, aveva detto che aveva problemi in famiglia. Era stato uno dei periodi peggiori, per Remus, secondo solo alle prime lune piene e a quando i suoi amici di infanzia avevano cominciato a trascurarlo. Ma Remus se l’era anche immaginato, perché Sirius, per quanto potesse essere diverso dalla sua famiglia, era stato cresciuto con certi princìpi ed era stato colto dal panico – gliel’aveva spiegato lui stesso quando avevano fatto pace.
Remus ricordava ancora benissimo quando l’avevano scoperto, quando lo avevano completamente messo a nudo.



« Dovevi dircelo » disse James, incrociando le braccia al petto. Gli occhi nocciola, solitamente allegri e giocosi, erano tremendamente seri, troppo per un ragazzino di dodici anni e mezzo. Quello sguardo lo faceva sembrare quasi più grande, più maturo – probabilmente Lily Evans l’avrebbe apprezzato.
« Già » gli aveva dato man forte Peter, accanto all’altro. « Siamo tuoi amici, nonostante tutto ».
Remus aveva chinato il capo, notando perfettamente che Sirius non aveva detto assolutamente nulla. Non osava alzare il viso su di lui, ma quando lo fece, gli sembrò di essere sul punto di piangere.
Sirius era un passo dietro James, con gli occhi sgranati, le labbra appena socchiuse e le mani, sebbene fossero nascoste dentro le tasche, tremavano, Remus lo sentiva. Sembrava… impaurito, smarrito, preso in contropiede. Non schifato – il ché lo tranquillò un poco –, ma era talmente pallido che sembrava sul punto di svenire da un momento all’altro.
James, quando seguì lo sguardo di Remus, dovette accorgersene, perché poi posò la mano sull’avambraccio più vicino di Sirius e lo trascinò fuori dall’Infermeria, lanciando uno sguardo di scuse a Remus.
Quando la porta si chiuse alle loro spalle, Remus sospirò e si rannicchiò sul letto dell’Infermeria. Peter rimase lì, accanto a lui, finché non si svegliò di nuovo, due ore e mezzo più tardi.


« Sei ancora con noi, Moony? » lo richiamò alla realtà Sirius, le sopracciglia aggrottate.
« Sì ».
« Bene » sorrise James, cercando di calmarlo. « perché noi verremo. Possiamo aiutarti meglio di qualche semplice incantesimo di difesa. Noi possiamo proteggere te ».
Peter annuì alle parole dell’amico, lanciando a Remus uno sguardo carico di affetto.
« Ne sono certo, Prongs, ma vedi: nessuno sa del vostro segreto, e se tornaste a casa tutti graffiati e diceste di aver passato la notte con me, la cosa risulterebbe… improbabile. Un lupo mannaro non si sa controllare con gli umani, vi ricordo ».
Peter aprì la bocca per ribattere, ma poi fu costretto a richiuderla, perché Remus aveva perfettamente ragione. Dire di aver passato la luna piena con un lupo mannaro non era credibile, perché teoricamente non sarebbero stati in grado di tornare a casa, in quanto fatti probabilmente a pezzi. E l’unico modo per sopravvivere era l’essere animali, nel loro caso Animagus. Non potevano rischiare così tanto, visto che non si erano neanche registrati…
James abbassò lo sguardo sulle cartine di Zuccotti che aveva in grembo, mentre Sirius si allungò verso di lui e gli batté una pacca sulla spalla.
« Potremmo andare via subito dopo… » provò James, poco convinto, e Remus finse di non sentirlo, chiedendo agli altri:
« Che farete, quindi, durante le vacanze? »
James fece per aprire di nuovo la bocca e protestare – ormai la sua testardaggine era conosciuta anche in capo al mondo –, ma Sirius gli tirò casualmente un calcio sullo stinco e gli lanciò uno sguardo che doveva significare: taci, idiota. James gli lanciò un’occhiataccia, ma non disse nulla, limitandosi a scrollare le spalle e liquidare la questione con un semplice: « Le solite cose ».
« Idem » fece quindi Sirius, indicando poi James. « Vado da Prongs, e spero che Dory » - gli altri tre sorrisero al soprannome che Sirius aveva affibbiato alla madre di James, nonostante quando ce l’avesse davanti la chiamasse Signora Potter. « prepari il suo meraviglioso arrosto di Natale ».
James scoppiò finalmente a ridere e commentò: « Oh, quello sicuro. È una tradizione, ormai ».
Sirius fischiò e sollevò un pollice all’indirizzo del proprio migliore amico, prima di afferrare un’altra Ape Frizzola, mettersela in bocca e distendere il viso in un’espressione beata.
Peter, dopo aver lanciato un’occhiata a divertita quasi nello stesso istante di Remus e James, si strinse nelle spalle e si poggiò allo schienale del sedile.
« Starò a casa con i miei » rispose, mentre un lieve sorriso gli increspava le labbra al pensare a sua madre, la disponibile Annabeth Minus. « Probabilmente verranno anche i nonni… Devo aiutare mamma a sistemare ».
« Tu, invece, Moony? » domandò Sirius, e, quando Peter e James lo guardarono shockati, aggiunse: « Oltre… quello ».
Remus sorrise alla bell’e meglio, almeno per quanto gli era possibile.
« Rimarrò a letto a leggere, probabile ».
« Tranne a Capodanno! » esclamarono in coro James e Sirius, lanciandosi poi un’occhiata complice. « Il Capodanno lo passiamo insieme! »
« E dove? » chiese giustamente Peter, perplesso e raccomandandosi con se stesso di ricordarselo e dirlo a sua madre una volta tornato a casa.
« Casa mia » disse James.
« Abbiamo già trovato dove prendere l’alcol » aggiunse Sirius, convinto che senza alcol non si potevano organizzare feste grandiose. « Inviteremo qualche persona per stare in compagnia e poi ci si scatena ».
« Esatto! » esclamò James, raggiante, per poi bloccarsi e girarsi verso il proprio amico. « Aspetta. Qualche persona? Non solo noi quattro? Scusa, ma chi vuoi invitare? » domandò poi, preso in contropiede, gli occhi nocciola sgranati dietro le lenti tonde degli occhiali da vista.
Sirius rimase in silenzio qualche secondo di troppo e Remus seppe la risposta prima che uscisse dalle sue labbra: « Be’, Mary, magari Frank… ». Si grattò un attimo la testa, e gli altri ghignarono.
« A proposito, Pad » ghignò infatti James, sporgendosi verso Sirius. « Cosa c’è tra te e Mar? ». Doveva sembrare amichevole e gentile, ma Sirius vide perfettamente il guizzo minaccioso che gli attraversò gli occhi. Dopotutto, James e Mary erano amici da tanto tempo – era anche grazie a James che Sirius l’aveva conosciuta, infatti –, e non era mai stato molto confidenziale con i ragazzi di lei. La trattava come una sorella, come se nessuno dovesse toccare anche solo per sbaglio la sua migliore amica.
Sirius sbuffò, fingendosi seccato, mentre in realtà stava solamente cercando di prendere tempo.
« Che dovrebbe esserci? » ribatté.
« State spesso assieme » gli fece notare Peter, con un tono del tutto casuale.
« Sembrate molto, molto amici » continuò Remus, divertito da quella situazione. Sapevano benissimo tutti e tre che quel momento sarebbe entrato tra i più imbarazzanti, per Sirius.
« Molto più che amici » rincarò James, sorridente ma serio.
« Siete dei fottutissimi stalker » si lamentò Sirius, girando il viso verso lo sportello dello scompartimento.
Remus ridacchiò e lo avvisò: « Non è passata ».
« Chi? » domandò Sirius per autodifesa.
« Come se non lo sapessi » rise Peter. « E come se non ne stessimo già parlando, poi ».
James aprì la bocca per l’ennesima volta, e Sirius pensò che stesse per prenderlo in giro o cose del genere, ma l’amico lo spiazzò completamente dicendogli: « Tu le piaci » - Sirius lo guardò inclinando impercettibilmente la testa di lato. « E lei ti piace. Quindi ehi, non fare cazzate ».
Sirius rimase in silenzio. Tu le piaci. Era vero? Lui piaceva a Mary? Pensarlo era… bizzarro, ma lo faceva sentire euforico. Lo faceva sentire in grado di sollevare tutti e quattro i suoi amici fino a far toccare loro il cielo. Lo faceva sorridere.

Lei ti piace. Quello sì. Sirius lo sapeva, che Mary non era come le altre. Perché Mary non aveva una mente maliziosa, l’aveva avvicinato solo per avere un amico con cui scommettere, solo perché era simpatico e non perché era Sirius Black, il ragazzo bello e benvoluto da tutte. Perché Mary, come anche James e Remus e Peter, lo vedeva per quello che era davvero, e gli voleva bene comunque. In quel suo modo particolare, lei gli voleva bene. Con quei suoi sorrisi sghembi, pieni di sottintesi. Con quei suoi occhi azzurri e grandi, che lo guardavano e a lui pareva di non averne mai visti di così intensi e luminosi. Con quelle sue mani, che muoveva freneticamente mentre parlava, fendendo velocemente e ripetutamente l’aria e rischiando più volte di colpirlo senza neanche accorgersene.
Oh, sì, Mary gli piaceva. Gli piaceva da matti. Lo faceva impazzire. E non perché fosse bella – e lo era, Mary era bella e lo sapeva, ma non ne faceva poi un gran vanto, se non per scherzare –, ma perché era così particolare, lo sapeva cogliere di sorpresa anche con il più banale dei modi e non ci metteva molto a farlo sorridere.
Mary, la ragazzina che gli aveva tirato un calcio quando, al primo anno, lui aveva osato rubarle il posto accanto a James durante la lezione di Trasfigurazione. Mary, dalla fattura facile e la battuta sempre pronta. Mary, con la sua folta chioma scura, il sorriso raggiante, allegro, la risata cristallina. Mary, con le braccia che sembravano tanto esili ma che quando lo abbracciavano ci mettevano una forza che tu non avresti detto avrebbero potuto avere.  Mary, che senza neanche volerlo gli era entrata fottutamente dentro, dietro la pelle.
Quando vedeva una chioma scura qualunque, Sirius non si girava a guardarla per scoprire se era lei. No, lui i capelli castani di Mary li avrebbe saputi riconoscere. Come avrebbe saputo riconoscere il collo magro, le spalle dritte, i fianchi stretti, la vita sottile. Come avrebbe potuto anche solo pensare di confonderla con qualcun’altra? Solo lei poteva fregarlo con la facilità con la quale vinceva quasi sempre le loro scommesse.

Merlino. Sono fottuto. Porca puttana.
I pensieri gli accavallavano nella testa, ma poi tra le parole affiorava il viso di Mary, e lui si perdeva tra la linea delle labbra piene, nelle screziature più scure dei suoi occhi azzurri, sulle piccole e poche lentiggini sulle guance.
Fu James, dopo quelle che a Sirius erano parse ore intere ma che in realtà erano solo semplici e banali secondi, ad interrompere il flusso di tutte le sue elucubrazioni.
« Okay? »
Sirius, dopo un principale attimo di confusione, annuì. « Okay ».


*


Quando erano scese dal treno, Lily aveva visto subito i suoi genitori, che la stavano salutando, e quindi si erano dovute separare quasi subito. Mary l’aveva trattenuta un po’ più a lungo nell’abbraccio in cui l’aveva stretta, sapendo che non si sarebbero potute sentire o vedere prima del ventisette, giorno in cui lei sarebbe andata a trovare la famiglia Evans. L’avrebbe ospitata lei a casa sua, ma Lily aveva continuato a dire che, essendo lei una Sanguesporco, sarebbe stato pericoloso; perciò era Mary a dover andare da lei, nonostante pensasse che fosse più sicura la sua casa nello Yorkshire Dales.
Dopo aver visto l’amica salutare i suoi genitori e poi andare via, Mary afferrò ancora il proprio baule e si avviò verso l’uscita del binario per Smaterializzarsi.
Aveva fatto giusto qualche passo, quando qualcuno fermò il suo bagaglio, obbligandola a bloccarsi. Girandosi, vide Sirius che, sorridendo, aveva ancora una mano su una delle maniglie del baule.
« Che c’è? » gli domandò, soffocando una risata, allibita.
Sirius lasciò la presa sul baule e lo aggirò, facendo un passo avanti per potersi fermare proprio davanti a lei. Si strinse nelle spalle con nonchalance, e rispose semplicemente: « Volevo salutarti ».
« Oh » disse semplicemente Mary, sentendosi un’idiota subito dopo. Come mi è uscito ‘oh’? Molto intelligente, Mary, complimenti. « Be’, sono felice di non vederti per settimane anche io » aggiunse dopo, con la solita ironia.
Lui sorrise e posò la mano su quella di Mary, che ancora stringeva la cinghia del baule; con le dita, le fece mollare la presa. Mary lo guardò, insospettita.
« Penso che James ti stia aspettando » gli fece notare, vedendo che James, vicino al treno, cercava di attirare l’attenzione di Sirius in tutti i modi possibili, con scarsi risultati.
« Io penso che possa aspettare » ribatté il ragazzo, facendola sorridere.
Sirius, imprevedibilmente, mentre lei stava per dire qualcosa, posò una mano sul fianco coperto dal maglione color panna di Mary, che aveva le labbra socchiuse, e la avvicinò a sé. Poggiò l’altra mano sulla nuca della ragazza, catturandone poi le labbra con le proprie.
Non era come se il mondo intorno a loro si fosse fermato, affatto; sebbene avesse gli occhi chiusi, a Mary sembrò che quello avesse preso a girare ancor più velocemente.
Poggiò le mani sulle guance di Sirius, su cui avvertì un accenno di barba, e si sollevò sulle punte dei piedi più per avvicinarsi maggiormente a lui che per raggiungerlo in altezza.
Era piuttosto… strano. Era strano pensare che loro due erano i Sirius e Mary che solo fino all’anno prima scommettevano su Frank e Alice e altre coppie. Prima di quell’anno, Mary non aveva mai pensato a Sirius in quel modo. Era sempre stato particolarmente attraente e bello, e non si era mai fatta problemi a dirglielo, ma lo aveva visto solo come un amico. Non come… quello.
Sirius fece scorrere la mano dal suo fianco all’altro, circondandole così la vita. Quando si staccò e si raddrizzò, spostò la mano dalla nuca alla spalla di Mary.
Come se avesse sentito tutti i suoi pensieri, disse: « Forse avremmo dovuto scommettere anche su qualcos’altro ».
Mary scoppiò a ridere, allungando poi una mano dietro di sé per riafferrare il baule. Fatto ciò, sorrise ed esclamò: « Già, forse avremmo dovuto ».
Sirius fece per posare di nuovo le labbra su quelle di Mary, ma lei si scansò e lui fu costretto a lasciarla andare e far ricadere le braccia lungo i fianchi.
« Be’, Buon Natale, Sirius! ». Gli lanciò un ultimo sguardo – piuttosto carico di sottintesi –, poi l’ultima cosa che Sirius sentì fu la sua risata prima che la ragazza scomparisse dietro il muro del Binario.
Rimase fermo qualche istante, prima di rendersi conto di sembrare piuttosto sciocco a restare fermo lì a guardare la parete e tornare quindi indietro. Una volta raggiuntolo, James gli batté una mano sulla spalla, allegro.
« Così si fa! » si congratulò infatti, sistemandosi poi gli occhiali che gli erano scivolati sul naso. Ma non aveva finito di parlare – Sirius glielo leggeva negli occhi. « Però lasciati dire che alla fine è stato esilarante, quando tu ti sei avvicinato per baciarla di nuovo e lei se n’è andata ».
Remus, che era appena arrivato insieme a Peter da un punto imprecisato dietro Sirius, scoppiò a ridere, portandosi poi dietro gli altri due. Sirius esibì una smorfia che doveva essere scocciata ed allargò le braccia.
« Bravi, prendetevi gioco di me, traditori! » scherzò.
« Su, non te la prendere » lo rassicurò Peter, prima di aggiungere: « Però ricordami di farle i complimenti, quando la rivediamo ».


*


Qualcuno bussò alla porta della sua stanza, e lui si rigirò sul letto per poterla vedere aprirsi. Sua madre fece il proprio ingresso, con un piccolo, sottile pacchetto incartato tra le mani.
« Ho una cosa per te, tesoro » disse Charlotte, chiudendosi poi la parte alle spalle con un gomito. Poi si avvicinò al letto di Remus e si sedette sulle coperte calde e pesanti.
Cercando di suonare in qualche modo scherzoso, lui rispose: « Non è ancora Natale, mamma ».
Lei liquidò il discorso sferzando l’aria con la mano libera, prima di porgergli il pacchetto. Remus quindi si tirò faticosamente a sedere e si tirò a sedere, poggiando la schiena alla tastiera del letto e posandosi sul grembo il regalo.
Quando stracciò la carta che avvolgeva il pacchetto e vide cosa esso conteneva, Remus sollevò il viso verso quello di sua madre e le sorrise. Se n’era completamente dimenticato, ormai, della cioccolateria dove suo madre l’aveva portato poco dopo che era stato morso. Il ricordo portava ancora un po’ di dolore, di autocommiserazione, ma il nome del negozio sulla confezione delle tre tavolette di cioccolata che aveva in grembo gli aveva fatto ricordare anche come si era sentito bene quel giorno.
« Te lo ricordi, eh? » domandò Charlotte, ridacchiando appena.
« Come…? »
« Sono tua madre » rispose lei, enigmatica, facendolo, per quanto possibile, sorridere. « Ma come si dice? »
Remus roteò appena gli occhi. « Grazie, mamma, però non ho più cinque anni ».
« E questo cosa vuol dire? » spiò la donna, serissima, prima di sciogliersi in un sorriso. « Rimani comunque il mio Remus ».
Quando sua madre tirava fuori una di quelle frasi, Remus sentiva la bocca dello stomaco che si chiudeva. Probabilmente ciò era dovuto al fatto che, prima di venir morso, sua madre gliele ripeteva sempre – non che dopo la sua trasformazione avesse smesso, ma ognuna di quelle frasi era come tornare indietro e questo a volte era peggio di uno schiaffo in pieno volto. Ad esempio Remus ricordava perfettamente come sua madre, quando era piccolo, lo chiamasse “il mio piccolo ometto” e come lui si lamentasse talmente tanto, dicendo di non essere un piccolo ometto, che lei alla fine scoppiava a ridere e gli accarezzava la testa e si correggeva con un semplice “il mio Remus”.
Dovette essersi adombrato almeno un po’, perché il volto della madre si fece quasi immediatamente corrucciato – fronte aggrottata, labbra strette e il sopracciglio destro leggermente più inarcato del sinistro: la tipica espressione preoccupata di sua madre.
« Va tutto bene? » chiese infatti Charlotte dopo qualche secondo di meditazione.
« Certo, perché? » si sentì rispondere quasi in automatico, e fu sicuro di aver sbattuto le palpebre più velocemente del normale.
Diamine.
Dopo tutto, l’ultima cosa che voleva era mettere in agitazione sua madre. Soprattutto visto che pochi giorni dopo ci sarebbe stata il plenilunio, il che per lei era già un pesante fardello da portare sulle spalle magre.
« Hai fatto una faccia… » stava per insistere Charlotte, ma poi sembrò cambiare idea. « Lascia stare, magari mi sono sbagliata » si bloccò – ma Remus sapeva benissimo che non pensava di essersi sbagliata. « Preparo la cena. La vuoi l’insalata? »
Remus, grato per il fatto che la madre non avesse insistito, nonostante tutto finse un gemito sofferente.
« Sono grande, mamma… »
« Lo prendo per un sì » sorrise – anzi, ghignò – la madre, uscendo dalla stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
Sebbene gli fosse costato una piccola fitta all’addome, Remus le gridò dietro: « Era un no! » prima di scartare la prima tavoletta di cioccolata.

*

Non appena avevano finito di cenare, Dorea aveva insistito perché i due ragazzi salissero al piano di sopra senza che l’aiutassero a mettere a posto. Ormai ci aveva preso l’abitudine, ed avere compagnia nel fare le faccende domestiche le avrebbe solo ricordato ancor più Charlus.
Il buio era calato su Godric’s Hollow già da qualche ora ormai, e le luci babbane brillavano, dietro le finestre, nella notte.
James era sdraiato sul proprio letto, la testa che ciondolava fuori dal bordo e gli occhiali storti come al solito. Stava giocando con il boccino che qualche anno prima aveva preso dopo una partita, mentre Sirius, seduto a terra, insisteva sul fatto che dovevano andare comunque da Remus, indipendentemente da ciò che diceva quest’ultimo.
« Io speravo di andarci almeno il ventisei, per fargli compagnia e aiutare Charlotte, sai » stava ancora dicendo, quando Dorea lo chiamò dal piano di sotto.
« Sirius! C’è una visita per te! »
I due si scambiarono un’occhiata, perplessi: fatta eccezione per sua cugina Andromeda, nessuno aveva mai fatto visita a Sirius. Ma quella volta non poteva essere Andromeda: la ragazza – ormai madre di famiglia – era partita assieme al marito e alla figlia per passare le vacanze con i genitori i suoceri.
« Va be’, scendo, torno subito » disse Sirius, facendo leva sulle ginocchia per alzarsi. Poi squadrò l’altro dall’alto in basso. « Se devi fare pensieri  sporchi sulla Evans, metti un calzino sulla maniglia » aggiunse, ghignando, correndo poi fuori dalla porta e chiudendosela alle spalle.
Mentre scendeva le spalle ridendo, sentì il rumore di un cuscino che andava a sbattere contro il legno della porta. Smise tuttavia di ridere quando, non appena mise piede sul pianerottolo, vide suo zio Alphard in piedi vicino alla porta.
Alphard dovette sentirsi osservato, perché dopo qualche secondo – o minuto, Sirius non lo sapeva: non aveva ancora metabolizzato la cosa – si girò verso di lui e gli sorrise. I suoi occhi erano grigi come li ricordava, ma erano contornati da sottili rughe, così come la bocca e la fronte; i capelli non erano più neri come la pece, ma alcuni capelli grigi gli rigavano la folta chioma scura.
« Zio? » gracchiò infine – naturalmente nessuno avrebbe mai saputo di quel suo versetto poco virile.
« Io vado in camera, ho alcune cose da sistemare » sorrise Dorea, avviandosi verso le scale. Prima di mettere piede sul primo gradino, si girò un’ultima volta verso gli altri due. « Buonanotte » disse, e cominciò a salire. Probabilmente James doveva essersi fermato in cima alle scale, perché si sentì la sua voce blaterare qualcosa che assomigliava vagamente ad un « Stavo solo andando in bagno, mamma! »
Sirius ridacchiò tra sé e sé, prima di tornare a prestare attenzione a suo zio – che, d’altro canto, aveva sogghignato per il suo stesso motivo.
« Cosa ci fai qui, zio? » gli domandò, ancora perplesso.
« Ho una proposta, Sirius » iniziò quello. « Mi sono perso molto. I miei viaggi per il mondo mi sono costati cari, e il poco tempo a mia disposizione mi ha impedito di venire a trovare te e tuo fratello spesso come vi avevo promesso. Ma ho intenzione di rimediare ».
Sirius inarcò le sopracciglia scure, ascoltando attentamente ciò che Alphard stava dicendo. Non capiva bene perché suo zio si stesse scusando: se fosse stato nella sua stessa posizione lui non sarebbe mai tornato indietro, probabilmente.
« Cosa vuoi dirmi, zio? » lo esortò a continuare.
« Quanta fretta, Sirius » scherzò Alphard, quasi ridendo e sistemandosi meglio il cappotto puntellato qua e là da qualche fiocco di neve. « Non ci vediamo da così tanto tempo, hai così poca voglia di parlare con me? »
Sirius piegò le labbra sottili in una smorfia al metà tra l’oltraggiato e il divertito. Sin da quand’era bambino, le visite di suo zio Alphard erano sempre state rare e non tropo lunghe – mancava spesso alle vacanze di Natale, e quando c’era non si fermava mai più di qualche giorno prima di ripartire –, e per questo motivo si era comportato come soleva fare anni addietro: cercando di sprecare meno tempo possibile.
« Pensavo avessi poco tempo » si giustificò infatti, scrollando le spalle.
Alphard sospirò e scosse la testa, ma gli angoli delle sue labbra screpolate erano rivolti verso l’alto.
« Ho sempre tempo per mio nipote » disse, lanciando un’occhiata fuori dalla finestra per poi riposare lo sguardo su Sirius. « E il fatto che io sia qui, ora, ne è la prova » ammiccò. « Ma forse ora è meglio se vado al punto, d’altronde sei sempre stato un ragazzo curioso… »
L’ultima frase pronunciata da suo zio gli riportò alla mente la volta in cui sua madre, sentendo Alphard dire ciò, aveva ribattuto che la curiosità, prima o poi, uccideva tutti. A Sirius a volte, ripensando ai discorsi deliranti di sua madre, venivano ancora i brividi e la pelle d’oca.
« Quindi ecco le tue risposte » continuava intanto lo zio Alphard, facendo qualche passo davanti al caminetto scoppiettante. « Se sono qui, è per farti una proposta. So che ormai Grimmauld Place è… come dire… be’, non è più casa tua ».
« Lo è mai stata? » ribatté quasi rabbiosamente Sirius, senza neanche pensarci.
Alphard si soffermò su di lui qualche secondo più del solito, con quel suo sguardo pieno di sottintesi e un po’ di alterigia. Certamente non poteva negare che Sirius avesse sempre dimostrato un certo disprezzo per le mura in cui era stato tirato su da sua sorella e Orion, ma lui ricordava ancora bene quanto Sirius, da bambino, si fosse trovato bene in quel palazzo con suo fratello.
È davvero un peccato che si siano allontanati così. È una sciocchezza, scommetto che entrambi sentono la mancanza dell’altro ma non sanno come dirselo.
Nonostante ciò, Alphard ignorò il commento di Sirius e continuò il proprio discorso.
« Proprio per questo, volevo proporti di venire a vivere con me. Non ho mai venduto la mia casa qui in Inghilterra, e forse sarà un po’ da risistemare, ma in due sarà più facile rimetterla in sesto rapidamente ».
Quando finì e spostò nuovamente gli occhi su suo nipote, Alphard capì che se Sirius si fosse aspettato qualcosa, di sicuro a quella non ci aveva pensato. Aveva la bocca socchiusa e gli occhi leggermente sgranati – il tipico aspetto di chi è stato preso contropiede.
« Mi stai seriamente invitando a vivere a casa tua? » domandò infatti il ragazzo, sbalordito e perplesso. « Insomma, zio… non ti conviene. Hai idea di ciò che farà mia madre » - Alphard notò chiaramente la difficoltà con cui Sirius pronunciò le ultime due parole. « quando lo verrà a sapere? Ti cancellerebbe dall’arazzo, saresti un reietto… come me ».
« Personalmente » sorrise Alphard. « penso che lo farebbe anche se solo venisse a sapere di questa mia visita. Ma vedi, Sirius, a volte non bisogna pensare a cosa si perde, ma a cosa si guadagna. E io guadagnerei, anche se per poco tempo, della gradita compagnia, al di fuori di Milly ».
Sirius ci mise un po’ a ricordarsi di Milly: tornando indietro, l’immagine di un elfo domestico dall’espressione molto più dolce di quella di Kreacher gli balenò davanti agli occhi. Milly era ancora solo un’immagine confusa nella sua testa, ma a Sirius sembrava di ricordare di un giorno in cui lui e Regulus avevano fatto cadere un vaso e lei se n’era presa la colpa senza che lo chiedessero.
« Ne sei sicuro? » gli domandò ancora, titubante. Un po’ si sentiva anche in colpa a lasciare James e la Signora Potter, perché loro per lui ci erano sempre stati, ma dall’altra parte la cosa che più desiderava era ricongiungersi con qualcuno della propria famiglia, della propria infanzia. Sentirsi, almeno in parte, di nuovo il bambino di un tempo – e la casa di zio Alphard, dove lui aveva spesso trascorso qualche giorno durante le vacanze, era il luogo perfetto.
« Se non ne fossi sicuro non te lo chiederei, Sirius, mi conosci » sorrise Alphard, avvicinandosi di nuovo alla porta di casa e prendendo il proprio cappotto dall’appendiabiti. « Ora mettiti la giacca e seguimi fuori ».
« Non posso andarmene senza dire nulla! » protestò Sirius, allibito, guardando poi i suoi abiti e pensando che anche se avesse parlato con James e Dorea non sarebbe ugualmente uscito in pigiama.
« Non ce ne stiamo andando, ti devo solo far vedere una… » - Alphard parve soppesare le parole. « una sorpresa ».
« Un’altra? »
Alphard annuì, e, indossato il cappotto, uscì dalla porta. La lanterna sopra il portone illuminava parzialmente sia lui che il pianerottolo su cui si trovava. L’uomo scese i gradini e, una volta posati i piedi sui ciottoli del vialetto, si girò verso di lui, non senza lanciargli prima uno sguardo che voleva dire ‘seguimi subito’.
Sirius non se lo fece ripetere ancora e si scapicollò fuori dalla casa, indossando la giacca alla bell’e meglio. Quando lo ebbe raggiunto, lo zio gli parlò di nuovo.
« Dorea mi ha detto che hai una passione per i veicoli babbani, è vero? »
Lui annuì, non capendo dove lo zio volesse andare a parare. Nel frattempo, il sorriso sul volto di Alphard si allargò maggiormente.
« E che le motociclette sono le tue preferite, è vero anche questo? » - Sirius annuì ancora, mentre girava la strada insieme allo zio. « Allora ho fatto bene ».
« A fare cosa? » domandò ingenuamente Sirius, le sopracciglia inarcate.
« A prenderti questa » rispose Alphard, indicandogli il muretto fatto in pietra davanti a loro.
Quando Sirius vi posò lo sguardo, gli mancò l’aria per un paio di secondi. Davanti a lui c’era una delle motociclette più belle del suo catalogo – una Harley Davidson, quella di cui spesso aveva parlato con Frank. Si avvicinò al veicolo e ne accarezzò il metallo con i polpastrelli della mano destra; la carrozzeria era perfettamente lucida e pulita, non c’erano macchie d’olio e neanche graffi superficiali. Il sellino era lungo e nero, mentre dal manubrio partivano gli specchietti retrovisori laterali metallizzati e tondi come piacevano a lui – quelli rettangolari gli davano un po’ ai nervi, non sapeva bene perché.
« È bellissima, zio, grazie » esclamò, senza curarsi di mantenere un tono di voce basso.
« Con tutto il tempo che sono stato assente questo è il minimo, davvero » gli sorrise, per poi avvicinarsi alla moto ed indicargli un bottone luminescente vicino ai freni che lui prima non aveva notato. « Ho apportato qualche piccola modifica: ora può anche volare, basta che premi qui ».
« Sul serio? » chiese, estasiato.
Alphard, dopo essersi guardato attorno per essere certi che non ci fosse nessun altro a parte loro, annuì e disse: « Sì, ma devi stare attento. Devi volare alto, perché i Babbani non sono abituati a vedere delle moto che volano. Con il bottone rosso accanto a quello del volo puoi renderla invisibile, ma ti conviene usarlo solo per decollare o atterrare dato che consuma molto carburante ».
A Sirius venne quasi da ridere, ma poi si trattenne e si risolse ad abbracciare zio Alphard – l’unico che, in famiglia, l’avesse sempre capito.
Una moto che vola. Un’Harley che vola. E diventa invisibile. Oh, Merlino, lo devo dire a James!


*


Mary sistemò lo spartito della canzone che doveva suonare, in modo da avere le mani libere per potersi legare i capelli scuri in una coda alta e lasciare scoperto il collo lungo e flessuoso. Spostò poi lo sguardo su una delle grandi vetrate del salotto, e quel che vide fu solo verde; l’abitazione dei MacDonald, bella e arroccata sul pendio di una montagnola, era nascosta tra gli alti alberi dello Yorkshire Dales, complici poi le protezioni azionate dai coniugi.
Le piaceva quel posto, la faceva sentire protetta. Quando era in casa, difficilmente si sentiva molto in pericolo.
Sospirando, Mary posò le dita sui tasti e cominciò a suonare lentamente, cercando di riprendere la mano con il ritmo del brano che stava suonando – era il suo preferito, e ogni volta che tornava a casa dopo i mesi scolastici ricominciava a suonare con quello.
Le note, leggere e dolci, cominciarono a riempire il grande salotto, fino a poco prima colmato solo dallo scoppiettio del fuoco che ardeva nel camino. Ormai neanche guardava più lo spartito: dopo aver preso il via, le note le erano tornate alla mente senza neanche il minimo sforzo.
Mentre le sue dita si muovevano piano sulla tastiera, Mary cercava di rimettere un po’ in ordine i propri pensieri. Da una parte c’era la Lily migliore amica, quella forte e impavida; dall’altra la Lily sorellina, da dover proteggere e difendere. Poi c’era Sirius che prima era un semplice migliore amico e forse qualcosa di più. Poi suo padre che sembrava strano. Poi…
« Ti interrompo? »
Nonostante fosse abituata alle sue entrate ad effetto, Mary quasi sobbalzò sulla sedia. La risata, proveniente da dietro di lei, che ne conseguì la fece ridere a sua volta. Dimenticandosi del brano che stava suonando, si girò e sorrise a suo fratello maggiore Richard, che era appoggiato allo stipite della porta e continuava a ridere tranquillamente.
Si alzò in piedi e gli si avvicinò quasi di corsa per poterlo abbracciare; Richard non si fece pregare e la accolse tra le sue braccia senza neanche pensarci, scoccandole un bacio trai capelli e stringendola forte.
« Mi sei mancato » mormorò Mary, posando il mento nell’incavo del suo collo. « Perché ieri non c’eri? »
« Dovevo lavorare » rispose evasivamente Richard, ma Mary non ebbe il cuore di dirgli che tanto lei sapeva benissimo cosa facesse per lavoro.
« Sono sicura che sei stato bravissimo » disse quindi, staccandosi da lui e guardandolo negli occhi – azzurri come i suoi. « Dove siete andati? »
Richard allontanandosi dall’entrata e camminando fino al lungo divano di pelle, su cui si stese tranquillamente, rispose: « A sud. Ci avevano segnalato un gruppo di lupi mannari, ma non abbiamo trovato nulla, solo qualche impronta ».
Mary annuì e andò a sedersi su una poltrona a gambe incrociate, tentando di mascherare il sollievo – non poteva sapere cosa sarebbe successo se avessero trovato davvero il branco. Capì di aver aggrottato le sopracciglia – come faceva sempre quando era nervosa – quando vide suo fratello sospirare, a metà tra il divertito e il rassegnato.
« Che ho fatto? » gli chiese, facendo finta di nulla e allargando le braccia.
« So badare a me stesso » disse Richard, lanciandole un’occhiata eloquente e facendole incassare il colpo a testa bassa.
« Mi preoccupo solo per te » si difese Mary a voce bassa, leggermente contrariata.
Richard si tirò su a sedere sul divano, si sporse in avanti, verso di lei, e prese a parlare nuovamente, calmo e tranquillo come era sempre: « Lo so, ma non ce n’è bisogno. Sono un Auror, so cavarmela, tu devi stare tranquilla. Non mi capiterà niente. Okay? »
Mary avrebbe voluto dirgli che le sue parole non servivano a niente: se si fosse trovato nei guai, parole come quelle sarebbero state vane ed inutili. E lei si sarebbe preoccupata comunque, sempre. Come avrebbe potuto non farlo? Era suo fratello, una delle persone più importanti di tutta la sua vita; c’era sempre stato, pensare che un giorno avrebbe potuto non esserci era qualcosa che la terrorizzava enormemente.
Vedendolo lì, sul divano, con i capelli biondi spettinati e gli occhi accesi, Mary non poteva immaginare quella casa vuota. Perché senza Richard sarebbe stata effettivamente vuota. Se c’era casino, era per Richard. Se si rideva, era per Richard. Richard era… fondamentale. Per tutti, per lei.
« Se ti succede qualcosa, io cosa faccio? » sbottò, al limite. Non solo Lily doveva farle quei discorsi: ora anche suo fratello? Non ci stava. « Cosa faccio? »
« Ehi, ehi » mormorò Richard, andando a sedersi sul bracciolo destro della poltrona. « Sta’ calma. Non dire così, perché potrei offendermi » continuò, serissimo.
« Scusa? » sibilò Mary, gli occhi ridotti a due fessure. Lui si sarebbe dovuto offendere? Era sinceramente allibita, e le ipotesi erano due: o suo fratello era impazzito all’improvviso, o lei si era persa parte del discorso.
Sì, ma io non mi sono persa nessuna parte del discorso, quindi…
Richard raddrizzò la schiena, le posò una mano sulla spalla e la guardò fissa negli occhi. Dunque aprì la bocca e le diede fiato: « Stai dubitando di me. A me non può succede niente. Io sono invincibile, ricordi? »
Mary sgranò gli occhi e sentì salirle dentro una grande voglia di prenderlo a pugni su quel dannato petto che aveva, ma alla fine si sentì solo scoppiare a ridere e abbracciarlo stretto.

* 


Il corridoio sul quale si affacciavano le entrate del salone, della cucina e le scale si aprì davanti ai suoi occhi non appena mise piede sul parquet chiaro della casa di Liverpool in cui era cresciuto.
Dalla cucina arrivava il rumore metallico delle posate e dei piatti che venivano posati e sciacquati nel lavandino, segno che sua madre non lo aveva sentito aprire la porta di casa e che si stava ancora affaccendando in casa.
Proprio per questo, Peter chiuse la porta facendo appena un po’ di rumore – il giusto perché sua madre capisse che era arrivato – ed esclamò al vuoto del corridoio: « Sono a casa! »
Il tintinnio delle posate smise subito di riempirgli le orecchie e, al suo posto, si udirono dei passi veloci e leggeri che si muovevano; poco dopo comparve la figura minuta di Annabeth Minus sulla porta della cucina. La donna, non appena lo vide, gli sorrise dolcemente e corse ad abbracciarlo con affetto.
« Peter! » esclamò, scoccandogli due baci sulle guance. « Come stai? È andato bene il trimestre? »
Peter sorrise per l’interrogatorio di sua madre, e, quando questa lo lasciò andare, rispose: « Tutto bene, i primi mesi sono praticamente volati… »
Nel dirlo, si rese conto di quanto fosse effettivamente vero: quei quattro mesi erano davvero volati, e lui quasi se n’era accorto.
« Ora mi racconterai tutto, vieni in cucina che ti preparo un tè! » chiocciò Annabeth, precedendolo verso la cucina.
Quando Peter entrò in stanza, lei stava già mettendo su l’acqua per il tè. Sua madre tirò fuori due tazze – una rossa e una blu – dalla credenza e le posò sul tavolo; dentro ad ognuna infilò un filtro di tè alla cannella, il loro preferito.
« Allora » riprese il discorso Annabeth, ancora in piedi ad aspettare che l’acqua bollisse. « Novità? »
« Be’, insomma… » rispose Peter, grattandosi il collo con la mano sinistra. « Poche. Sai che sono migliorato in Incantesimi? Se mi impegno potrei prendere una O! »
« Sapevo che ce l’avresti fatta, sei un ragazzo intelligente, Peter » lo lodò sua madre, sorridendo. Peter pensava che sua madre avesse davvero un bel viso, e che quando sorrideva diventasse ancora più bello. Aveva il volto ancora lievemente paffuto, le labbra a cuore e il naso un po’ lungo; i capelli biondi le cadevano sulle spalle e le incorniciavano il volto con dolcezza. Non era molto alta, infatti lui la superava di quasi dieci centimetri.
« E i tuoi amici? Stanno bene? » gli chiese ancora Annabeth, prima di girarsi verso la teiera. Spense il fuoco, indossò un guanto e versò dell’acqua in entrambe le tazze; l’acqua cominciò immediatamente a colorarsi.
Peter si rabbuiò appena e abbassò il capo sulla tazza che sua madre gli mise tra le mani; dal filtro di tè uscivano sottili fili scuri in cui, per un momento, si perse. Subito dopo rialzò lo sguardo sua madre, che lo guardava in attesa di una risposta, e si strinse nelle spalle.
« Più o meno » rispose, poco convinto. Effettivamente per nessuno di loro era stato un bel periodo, soprattutto per James.
E ora tocca anche a Remus… Decisamente non è l’ultimo anno che ci aspettavamo.

« Come mai più o meno? » indagò ancora Annabeth – sua madre era sempre stata un po’ pettegola.
Peter tentennò un attimo: non sapeva bene se dirle del padre di James – di Remus non le avrebbe detto niente, dopotutto sua madre non sapeva nulla della sua natura licantropa. Alla fine pensò che forse era meglio dire la verità, piuttosto che farsi scappare qualcosa dopo e all’improvviso.
E almeno non farebbe le solite domande del tipo “come stanno i tuoi?” quando mi verranno a trovare… Sarebbe imbarazzante.
« Be’… » bofonchiò. « Il padre di James è… ecco, è morto… A novembre. Non è stato un periodo facile ».
Dall’espressione che comparve sul viso di sua madre, Peter capì che quella fosse una delle poche cose che non si aspettava. Poteva capirla, alla fine: anche lui era rimasto scioccato, quando aveva letto l’articolo sulla morte di Charlus Potter. Lui però poteva anche capire James: avendo perso suo padre anni addietro, Peter sapeva benissimo cosa si provava.
« Non dev’essere stato facile per lui » disse Annabeth a voce bassa e roca – probabilmente anche lei aveva pensato a suo padre Leonard.
Dopotutto Peter sapeva che sua madre non lo aveva mai dimenticato. Sulla mensola sopra al camino le cornici erano piene di foto, e nella maggior parte di queste uno dei soggetti era proprio suo padre. La preferita di sua madre era quella scattata in un mercatino di Liverpool dove lui, piccolo, era sulle spalle di suo padre e giocava con il suo cappello.
« Va tutto bene, mamma » le sorrise, bevendo un sorso di tè alla cannella. Pensò che la terza tazza era in quella credenza da anni, ormai, e la cosa lo rattristò un po’.
« Sì, lo so. Vuoi dei biscotti? »

*


La casa era proprio come se la ricordava – con il camino che emanava calore e la televisione accesa che con il suo chiacchiericcio riempiva il salotto e un po’ anche l’atrio e la cucina.
I suoi stavano parlando al piano di sotto, e, dopo aver appoggiato il muro ai piedi del proprio letto, Lily si fermò un attimo ad osservare la stanza. Il rosa delle pareti si era sbiadito così tanto che in alcuni punti sembrava quasi bianco, ma alla fine non le dispiaceva così tanto, visto che il rosa erano uno dei colori che più odiava e che meno le donavano – come diceva sempre Miriam, faceva davvero a pugni con il suo colore di capelli.
Le foto attaccate al muro con lo scotch si erano ormai un po’ rovinate, a parte quelle magiche, che però erano quasi tutte nuove con i loro soggetti che si muovevano per la foto senza fermarsi e regalando sorrisi a tutti. I libri negli scaffali erano leggermente impolverati, ma a quello ci avrebbe pensato dopo, decise mentre usciva dalla stanza.
Al piano di sotto, suo padre era seduto sul divano e sua madre al tavolo della cucina ad impacchettare gli ultimi regali; si scambiavano di tanto in tanto qualche commento sul tempo o su “secondo te cosa devo scrivere nel biglietto per la cugina Lucy?”. Petunia, nel frattempo, era appoggiata al muro e parlava concitatamente al telefono, arrotolandosi il filo della cornetta intorno alle dita lunghe.
Per sbaglio pestò con il piede un rotolo di scotch – che doveva essere scivolato a sua madre dal tavolo – e automaticamente attirò lo sguardo dei presenti su di sé.
Mentre Petunia le fece un semplice cenno con il capo, sua madre le chiese:
« Hai finito di mettere tutto a posto? »
« Be’, non proprio tutto » minimizzò, toccandosi le punte dei capelli con le dita. « Quasi ».
Suo padre, che “io la conosco bene, la mia bambina!”, alzò gli occhi dal giornale per farle l’occhiolino e commentare tra una risata e un’altra: « Tutta suo padre! »
La madre roteò gli occhi e sbuffò, ma Lily era sicura di averle visto tremare appena gli angoli delle labbra – sin da piccola le era sempre piaciuto vedere come i propri genitori facessero di tutto pur di darsi contro, senza mai però fare sul serio. Se ci pensava bene, effettivamente, l’unico vero litigio dei suoi genitori risaliva a quando lei aveva undici anni ed erano addirittura finiti con il tirarsi l’insalata – all’inizio si era sentita in colpa, dato che avevano litigato perché non erano stati entrambi subito d’accordo con i lasciarla andare a studiare ad Hogwarts.
Pensando a tutto ciò, Lily si sedette sulla poltrona accanto al fuoco, e quando riposò lo sguardo sui propri genitori non poté fare a meno di pensarci: lei non aveva detto loro niente, loro non sapevano nulla. Della guerra, delle sparizioni, delle morti… Ma come poteva dirglielo? A Natale, poi? Non poteva farlo, ma non poteva neanche aspettare ancora per molto.
Devo trovare il momento giusto. Se c’è un momento giusto per dire certe cose.
Fu, stranamente, sua sorella a evitarle altri pensieri del genere. Quando attaccò il telefono e si avvicinò a sua madre, infatti, Lily catalizzò su di lei tutta la sua attenzione. Aveva i capelli in disordine e gli occhi di chi è palesemente innamorato di qualcuno.
« Mamma, posso invitare Vernon da noi per Natale? » domandò, la voce più trillante e allegra che Lily le avesse mai sentito e un sorriso raggiante.
Dovrebbe sorridere più spesso. L’aria da musona eternamente insoddisfatta non le dona per niente.
« Be’, certo » rispose flebilmente Susan, non del tutto convinta. Era palese che suo madre avesse ancora delle perplessità su Vernon – dopotutto Susan aveva sempre voluto il cosiddetto ragazzo perfetto, per le sue figlie, al contrario di Anthony, che invece le voleva semplicemente vedere felici.
E ora che si parla di ragazzi…
« E tu Lily? » interloquì infatti sua madre, curiosa, mentre Anthony lasciava perdere il giornale per ascoltare la conversazione appena iniziata. « Ragazzi? »
Lily si limitò a scrollare le spalle e a scuotere la testa – cosa che parve rincuorare notevolmente suo padre. Lui la vedeva ancora come la sua piccola bambina, sebbene avesse appena tre anni meno di Petunia.
« Ma come, nessuno? » insistette Susan, sorpresa. « Sei una così bella ragazza… » continuò, mentre Petunia sembrava piuttosto interessata all’argomento. Lily non avrebbe saputo dire se la questione le interessasse perché lei aveva qualcosa che a Lily mancava o perché le voleva bene.
« Sto bene così » rispose semplicemente Lily. « Non ho bisogno di un ragazzo ».
Non voglio un ragazzo.
Sarebbe stata una cosa troppo difficile da gestire: la scuola, le amiche, la guerra, gli attacchi, i doveri… Non poteva incasinarsi ancora di più facendo entrare un ragazzo nella propria vita. A che pro, poi? Avere un ragazzo comportava l’aprirsi a lui, rendersi più deboli e vicini alla rottura. Era l’ultima cosa di cui avesse bisogno in quel momento. Altri pensieri per la testa no, assolutamente no.
« Ma non bisogna mai dipendere da un ragazzo » disse Susan – che naturalmente non sapeva perché non volesse o non avesse bisogno di un ragazzo. « Sto solo dicendo che a volte avere qualcuno che ci sostiene può aiutare. Ci si sente… più amati, penso. Io ormai ho dimenticato come mi sentivo prima di incontrare vostro padre » concluse, e si perse nei ricordi della sua ormai passata gioventù.
« Che bei ricordi » commentò semplicemente Anthony, tornando poi al suo giornale con il sorriso sulle labbra.

 









*il pezzo su Sirius che si allontana da Remus e i problemi in famiglia sono ispirati alla “Twenty things James Potter knows about Sirius Black”, di guns_and_butter.

Okay, potete menarmi, non ve lo impedirò. Sono sparita per… insomma, non mi faccio viva da luglio. Vi basti sapere che sto avendo un anno scolastico orribile, ma che vi prometto – no, stavolta sono seria – che questa storia continuerà e che presto aggiornerò di nuovo. Sicuramente durante le vacanze avrete un capitolo, se riuscirò a fare un miracolo anche due, ora vedrò. Spero di poter riprendere con il sistema ‘una settimana sì, una settimana no’, così da rimettermi in pari anche con l’altra mia Long.
Spero vi sia piaciuto questo capitolo, fatemi sapere se c’è ancora qualcuno qui o se ormai sto parlando da sola! Ovviamente ogni parere è il benvenuto e sono pronta a ricambiare ogni recensione ricevuta.
A presto,
Alessia

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Capitolo 9
*** AVVISO ***


AVVISO

Molta gente probabilmente non si ricorderà nemmeno di questa storia, altri sì e sicuramente vorrebbero ammazzarmi con le loro mani, ma se sono qui a pubblicare questo avviso c’è un motivo.
Ho abbandonato questa fan fiction tre anni fa, ormai, e mi dispiace molto. Ho avuto dei problemi – che non mi sento di divulgare qui – e ho dovuto fare una scelta: risolverli o meno. E per risolverli mi sono dovuta concentrare solo su me stessa e sulla vita reale.
Sono cresciuta molto in questi tre anni, ma qualche settimana fa mi sono imbattuta in una fan fiction che avevo salvato sull’iPod e ho pensato che, forse, era il momento di tornare a scrivere.
Ho provato a rimettere mano a Reaching For Something In The Distance, ma c’erano troppe cose di questa fan fiction che non mi piacevano. Così l’ho ripresa in mano, ho riscritto tutta la trama e concluso 14 capitoli.
Ho ricominciato a pubblicarla, sotto il nome di Sotto La Pelle, e potete trovarla QUI.
Mi dispiace molto, soprattutto di avervi fatto aspettare così tanto per un capitolo che non è mai arrivato. Spero di ritrovarvi nell’altra fan fiction, in Sotto La Pelle, ma non è un obbligo e posso assolutamente comprendere che possiate non fidarvi della mia promessa di portarla a termine.

In ogni caso, prima di lasciarvi, volevo ringraziarvi uno per uno.
A voi che avete messo Reaching tra le Preferite:
1 - Alessia98HP_1D
2 - Dreamcatcher_ 
3 - franciviola 
4 - hug_
5 - Kira_Iris
6 - luna19
7 - martinuccinetta
8 - michaelgosling
9 - MiriamLucy89
10 - nicolfinzicontini
11 - OnlyTheGoodDieYoung
12 - Pad_foot
13 - tata92
14 - TheycalledmeAsia
15 - UnderTheSunFlower
16 - _Ophelia
A voi che l’avete messa tra le ricordate:
1 - blackout_
2 - cescapadfoot
3 - elisa0103
4 - GingerHair
5 - Inter3
6 - JaneNoire
7 - Jeje_chan
8 - Lady blue
9 - riccardoIII
10 - _lilyevans
A voi che l’avete messa tra le seguite:
1 - Alex_J
2 - angelslucy
3 - ArwenUndomiel
4 - asder
5 - B l u e
6 - Black Panther
7 - Cathy Linton
8 - cescapadfoot
9 - ChiaWeasley
10 - daphnea
11 - Eternity610
12 - FloxWeasley
13 - Giuliasss93
14 - Giuliuli
15 - giuliy
16 - gufetta_95
17 - Herm93
18 - hug_
19 - itsinthescars
20 - Jess20
21 - lerte93
22 - Lily45
23 - LilyeJames
24 - Little_Bee
25 - MerythGreen
26 - midnight589
27 - Midori394
28 - Nipotina
29 - onabrokenwings
30 - Pad_foot
31 - Pichu_chan
32 - Pipa_bella
33 - Prongs4
34 - Riley Blue
35 - Roxar
36 - Saarah
37 - SaraCatelyn
38 - Scorpyon
39 - Serena_Potter
40 - Shadow_Soul
41 - she_san
42 - Smaels
43 - SweetCherry
44 - thera
45 - VSRB
46 - Windancer
47 - Wynne_Sabia
48 - _Schwarz

Sono mortificata, ma ci tenevo molto a ringraziarvi. Grazie per il sostegno, per i commenti che alcuni di voi hanno lasciato a questa storia, grazie per avermi tenuto compagnia per questi 9 capitoli… Questa storia significava – e significa tutt’ora – moltissimo per me, e voi l’avete resa ancora più speciale.
Un bacio,
Alessia

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