Dreaming about you

di kate98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Relocate ***
Capitolo 2: *** Nightmere ***
Capitolo 3: *** III Capitolo ***
Capitolo 4: *** IV Capitolo ***
Capitolo 5: *** V Capitolo ***
Capitolo 6: *** VI Capitolo ***



Capitolo 1
*** Relocate ***


Relocate


«Starò dagli Anderson.» 
Jenna sgranò gli occhi, come se le avessi tirato un pugno nello stomaco. 
«Quella famiglia che abita a Rickson St.?! Ma sei impazzita?». 
«Che c'è di male, scusa? Sono vecchi amici di famiglia, sono sempre stati gentili con me. Mi troverò bene!» un po' stavo cercando di convincere anche me stessa che sarebbe andata così. 
«Non sono loro il problema. Il problema è il posto. Ho sentito dire che è un brutto quartiere. Non c'è gente per te lí.» potevo vedere la preoccupazione chiara sul viso della mia amica. 
«Beh, vorrà dire che starò in casa, passerò il tempo a studiare. E poi loro hanno due figlie, giocherò con loro, lo sai che mi piacciono i bambini. Starò bene, davvero. Poi non sono mai stata una che esce molto, lo sai.»
«Lo so, lo so. Ogni volta per farti venire ad una festa devo pregare in aramaico. Però venerdì non puoi mancare, davvero!». 
«In realtà vorrei preparare le valigie, non so...». 
«Ma è una festa in tuo onore, verranno tutti a salutarti, non puoi non esserci. Saranno tutti lì per te, ci divertiremo un mondo...». 
«Va bene, ci sarò.» acconsentii sapendo che era l'unico modo per zittirla. 
Mi sorrise e mi abbracciò. 
La strinsi più forte che potevo, mi sarebbe mancata. 

«Oddio, ma hai invitato anche Alex? Perché?» Guardai in cagnesco Jenna. 
Lei scosse la testa «Non l'ho invitato io, ma non ho invitato nemmeno un sacco di gente che è qui stasera, lo sai come vanno le cose a queste feste. Inviti 10 persone e te ne ritrovi 30. In ogni caso non farti rovinare la serata da lui, lo dicevi tu che é un idiota, no?» e mi passò un bicchiere di una qualche bevanda alcolica che non avevo alcuna intenzione di bere. 
«Vado un attimo in bagno». 
«Va bene, io vado a ballare, ti aspetto in pista così poi ci scateniamo!»
Salii le scale e mi ritrovai nella camera dei genitori di Jenna. Andai nel loro bagno e mi guardai allo specchio. Ero pallida, più del solito. Già solitamente il colore della mia pelle era un po' troppo biancastro. Il viso incorniciato da una cascata di capelli color fuoco. Occhioni marroni un po' troppo grossi e lucidi. Sembrava che fossi sempre sul punto di piangere. Il naso piccolino e le labbra carnose. Avevo una figura esile, Jenna diceva sempre di invidiare il mio corpo. Ricevevo spesso complimenti e molti ragazzi si interessavano a me. Ma a me non interessavano loro. Mi lavai le mani con acqua fredda e poi andai a sedermi sul letto.
Si, Alex era un vero idiota, non c'erano dubbi. Eravamo stati insieme sei mesi e poi lui mi aveva lasciata senza un apparente motivo. 
Non che mi dispiacesse più di tanto, non avevo mai provato nulla di particolare per lui. 
Però era stato il primo ragazzo che avessi mai baciato. 
Ogni tanto ritornavo con la mente a quel mio primo bacio: non mi era piaciuto per niente. 
Avevo fantasticato da sempre su come sarebbe stato, su ciò che avrei provato, su quanto mi sarebbe piaciuto. E invece, mentre ci baciavamo, il mio unico pensiero era "Tutto qui? Ma dura sempre così tanto? Ma la gente non si annoia?".
Arrivata a casa, dopo quella nostra uscita mi ero chiesta come mai quel bacio non mi fosse piaciuto. Ho pensato che probabilmente era perché era stato il mio primo bacio e non ero tanto pratica, di sicuro poi la situazione sarebbe migliorata. 
Ma non era migliorato proprio nulla. 
Durante i successivi sei mesi, ogni volta che ci baciavamo i miei pensieri erano sempre gli stessi. 
Ma probabilmente il problema ero io. Non mi piacevano i baci, fine della storia. 
Un po' ero dispiaciuta, avrei voluto provare anche io quelle sensazioni che Jenna mi diceva di provare ogni volta che baciava Nick. Ma niente da fare. 

Mi ricordai che Jenna mi stava aspettando di sotto, così presi coraggio e scesi le scale. 
Mi ritrovai davanti Alex che si slinguazzava con una ragazza che non conoscevo. 
Guardai per un po' quella scena finché non mi sentii tirare un braccio. 
«Ehi, vieni dai andiamo via di qua» e senza aspettare una mia risposta Jenna cominciò a trascinarmi via. 
«Certo che è proprio uno stronzo. Ma tu non  farti scalfire. Tutti i ragazzi che sono qui stasera hanno fantasticato almeno una volta su di te. Scegline uno e baciatelo per bene.»
«No grazie, sono a posto così. Non me ne frega proprio nulla di chi si slinguazza Alex.» e poi, piuttosto che provare di nuovo quella sensazione di noia che mi pervadeva sempre durante un bacio, avrei preferito mangiarmi una pizza. 


«Kath, mi mancherai così tanto. Non so davvero come farò senza di te. Chiamami appena puoi, ok? E fai attenzione, mi raccomando. Cerca di parlare il meno possibile con i ragazzi di lì. Sono pericolosi.» Continuava a raccomandarsi Jenna piangendo. 
«Anche tu mi mancherai tantissimo, ti voglio bene. E stai tranquilla, farò attenzione» la strinsi forte a me dopo di che mi staccai, presi la valigia e salii sul pullman che mi avrebbe portata all'aeroporto. 

Due ore dopo ero scesa dall'aereo e stavo cercando con lo sguardo Amelie. Avevo paura di non riconoscerla più, erano passati anni da quando l'avevo vista l'ultima volta. 
Notai una donna dai capelli neri che mi stava sorridendo e sventolava un braccio in aria. 
La guardai per un paio di secondi e finalmente mi resi conto che era proprio lei. 
Le corsi incontro e la abbracciai. 
Ricambiò il mio abbraccio e mi diede un bacio sulla guancia. 
«Ma quanto sei cresciuta! E sei bellissima! Mi fa così piacere rivederti. Vieni dai, andiamo a casa.». 
E si incamminò prendendo la mia valigia. 
Le domandai come stessero il marito e le figlie. La più piccola non l'avevo ancora conosciuta, aveva quattro anni. La più grande ne aveva otto, quando ero più piccola spesso le facevo da babysitter e giocavamo insieme. 
Il tragitto in macchina durò un'ora e io e Amelie parlammo del più e del meno. 
Era così facile parlare con lei, era una donna così gentile. 

Appena entrammo a Rickson St. capii cosa intendesse Jenna. Era un quartiere abbastanza povero, lo si vedeva subito. 
Arrivammo davanti ad un palazzo con le mattonelle color Bordeaux, era uno dei palazzi messi un po' meglio. 
Amelie parcheggiò e io scesi dall'auto e andai a prendere la mia valigia dal portabagagli, non volevo che la portasse di nuovo lei. 
La seguii ed entrammo nel palazzo. 
Nell'androne c'erano dei ragazzi, miei coetanei. Si voltarono tutti a guardarmi, i sorrisi sui loro volti mi fecero rabbrividire. Le ragazze mi guardavano con aria di sfida. 
Faticavo un po' a trascinare la valigia su per le scale. 
«La principessa ha bisogno di aiuto?» disse uno di loro, credendosi divertente. 
Tutti gli altri si misero a ridere, le uniche a non trovarli divertenti eravamo io e Amelie che li fulminò con lo sguardo. 
«Nathan, invece di ridere come un imbecille, vieni a darle una mano.». 
Uno dei ragazzi si avvicinò con aria imbronciata. Aveva gli occhi più belli che avessi mai visto, erano di un azzurro ghiaccio, incantevoli. 
Tese la mano verso la mia valigia. 
Mi tirai un po' indietro «Ce la faccio da sola, grazie» non volevo che mi vedessero come una debole. 
Lui mi strappò la valigia di mano e si avviò sulle scale. Lo fulminai con lo sguardo mentre gli altri imbecilli scoppiavano nell'ennesima risata. Si divertivano con poco. 
Gli Anderson abitavano al primo piano. 
Il ragazzo posò la mia valigia davanti alla porta e, mentre aspettava che Amelie aprisse, iniziò a fissarmi, studiandomi da capo a piedi. 
Mi innervosii all'istante e, senza nemmeno pensarci, gli dissi nel tono più acido che potessi «Ma vuoi per caso anche una foto?». 
Scoppiò a ridere, ovviamente. 
Finalmente Amelie aprì la porta, afferrai velocemente la mia valigia ed entrai in casa. 
Speravo che il ragazzo se ne andasse, invece entrò pure lui e chiuse la porta. 
Sentii dei gridolini e vidi due bambine dai capelli ricci e biondi correre incontro ad Amelie. La abbracciarono e non potei che sorridere alla vista di quell'immagine adorabile. 
Si accorsero che ero lì e mi ritrovai due paia di occhioni verdi che mi fissavano. 
Debbie, la più grande, mi sorrise. Aveva le guanciotte rosse e paffute, era tenerissima. 
«Tu sei Kathlyn, vero? Mamma ha detto che da piccole giocavamo assieme ma io non mi ricordo di te»
«Tranquilla, è normale. Io invece mi ricordo di te, sai che sei diventata proprio una bella signorina?» le dissi abbassandomi per arrivare alla sua altezza «da piccola non ti staccavi un attimo da me, dimmi ti piacciono ancora gli abbracci come ti piacevano allora?» e allargai le braccia. 
Le ci si tuffò dentro e io sorrisi come non mai. 
Notai che la sorella mi guardava un po' confusa, mi avvicinai a lei ma non troppo, non volevo spaventarla. 
«Noi invece non ci conosciamo, come ti chiami tu?». 
Era esattamente come Debbie da piccola, uno splendore. 
Erano una più bella dell'altra, due bambine adorabili. 
Sapevo come si chiamava, Amelie me ne aveva parlato così tante volte al telefono che era come se già la conoscessi, ma volevo sentirlo dire da lei. 
«Io sono Elisa» disse timidamente. 
«Oh ma che bel nome che hai! Sai che sei uguale a tua sorella quando era piccola? Anche a te piacciono gli abbracci come a lei?». 
Annuì timidamente e si avvicinò a me. La strinsi leggermente e le sorrisi. 
«Cos'è la convention degli abbracci? Manchiamo solo più io e Nathan all'appello mi sa» riconobbi la voce di Alan. 
Mi alzai ed andai ad abbracciarlo. 
«Mi fa così piacere rivedervi tutti. E vi ringrazio di cuore per l'ospitalità. Cercherò di non essere di troppo disturbo.»
«Non potresti disturbarci neanche se volessi, tranquilla. Sentiti come se fossi a casa tua.» mi disse Alan con voce gentile. 
«Wow, come mai a me non dici mai di sentirmi come se fossi a casa mia?» Esordì il ragazzo. Mi ero quasi dimenticata che era lì. 
Lo guardai con freddezza. 
«Perché ti senti già fin troppo a tuo agio» lo punzecchiò Alan. 

«Vieni cara, ti faccio vedere dove dormirai» Amelie mi fece segno di seguirla e io mi incamminai trascinandomi dietro la valigia. 
La stanza era piccola ma confortevole, mi sentivo come se fossi a casa. 
«Se vuoi fare una doccia il bagno è in fondo al corridoio a sinistra.»
Mi ricordai che non mi ero portata nè spazzolino nè spugna e dissi ad Amelie che avevo bisogno di comperare un po' di cose. 
«Oh, non c'è problema, dico a Nathan di accompagnarti al negozio». 
E si diresse verso l'ingresso. 
«No, in realtà non c'è bisogno, siamo passate davanti al negozio prima, sono sicura di riuscire ad arrivarci» Non volevo avere qualcuno che mi facesse da babysitter, men che meno quel ragazzo. Ma ormai era troppo tardi. Alan, che aveva sentito la moglie, aveva subito intimato a Nathan di accompagnarmi. 
«E cerca di essere gentile» lo ragguardó Amelie. 
Rassegnata presi la borsa che avevo posato sulla piccola poltrona che c'era vicino all'ingresso e seguii il ragazzo. 
Quando scendemmo le scale, gli altri si voltarono subito a guardarci. 
«Che succede Nath, sei già stato ingaggiato come babysitter per la principessina?». 
Lui fece il segno del dito medio al ragazzo che aveva parlato, sul suo viso però c'era un sorrisetto da stronzo. 
Sembravano tutti degli stronzi. 
Mi affrettai a seguirlo fuori dal palazzo. 
Camminava velocemente, cinque passi più avanti a me e ogni tanto sbuffava. 
Feci una piccola corsetta per raggiungerlo. 
«Guarda che davvero posso andarci da sola, non ho bisogno del tuo aiuto. Torna pure dai tuoi amici.» lo guardai negli occhi, cercando di sembrare il più decisa possibile. 
«La tua voce è sempre così fastidiosa? Mi stai facendo venire mal di testa» 
Rimasi a bocca aperta. 
«Oh e non dirmi che ti stai per mettere a piangere. Non così presto almeno, ho appena iniziato. »
«Io non piango» dissi ancora più decisa e mi incamminai lasciandomelo alle spalle. 
Fece una risatina da stronzo e mi superò di nuovo. 
Arrivammo al negozio. Entrai, presi più in fretta possibile ciò che mi serviva e andai a pagare. Stavo per poggiare lo spazzolino sul bancone quando un ragazzo mi spintonò via per appoggiare una bottiglia di vodka. 
Lo guardai in cagnesco ma decisi di farmi da parte, non volevo litigare. 
Nathan invece non la pensava come me e prese il ragazzo per la giacca e lo strattonò via. «C'era prima lei amico, levati dalle palle». 
Ebbi paura che l'altro reagisse male e che si sarebbero picchiati ma, per fortuna, non lo fecero. 
Il ragazzo si fece da parte e io potei pagare ciò che avevo preso. 
Fuori dal negozio ringraziai Nathan. 
«Non montarti la testa, bambola. Non l'ho fatto per te. Il fatto è che avrei delle cose da fare, gente da vedere e non vedo l'ora di liberarmi di te.»
«Beh allora vattene e lasciami in pace, ti ho detto che non ho bisogno del tuo aiuto». 
Ero veramente infuriata ormai, iniziai a correre verso casa. 
Ma lui era più veloce di me, mi raggiunse subito, mi prese il braccio e mi strattonò. 
«Lasciami subito!» mi tirai indietro. 
«Senti, smetti di fare la bambina. C'è un motivo se mi hanno mandato con te e cioè che le ragazze, specialmente quelle come te, non dovrebbero girare da sole qua. Ora, datti una svegliata e renditi conto che non sei più nel tuo bel mondo delle favole, c'è gente pericolosa da queste parti.»
«E che ne so che tu non fai parte di quella gente pericolosa?»
«Oh, io sono molto pericoloso. Ma gli Anderson sono sempre stati gentili con me, perciò cercherò di fare il bravo con te, ma non ho molta pazienza, sappilo»
«Non mi spaventi.» in realtà mi spaventava. Mi spaventavano tutti in quel posto, ma non volevo darlo a vedere. 
«Si, e io ci credo. Andiamo vah.» 
Lo seguii, non sapevo più che dire ormai. 

Non dissi più nulla durante tutto il tragitto fino a casa. Quando arrivammo davanti al palazzo mi prese di nuovo per il braccio e mi fece voltare verso di lui. 
«Cosa vuoi ancora?» gli domandai. 
«Senti, devi cercare di ignorarli, okay? Per ora sei la novità, ma se li ignori si stancheranno presto» disse riferendosi ai ragazzi che erano dentro. 
Ero confusa da quel suo comportamento. 
Ma feci come mi disse e passai con fare impassibile tra le loro risatine. 
Nathan si fermò con loro. 

Io salii le scale e aprii la porta con la chiave che mi aveva dato Amelie. 
Andai a farmi una doccia bollente. 
Mi sentii subito meglio. 
Andai in camera in accappatoio e mi chiesi come mi sarei dovuta vestire.
Era sera ormai e a breve sarei Amelie mi avrebbe chiamata per cenare. Optai per il mio pigiama tigrato, era così caldo e comodo.
E poi era come se facessi parte di quella famiglia, lo sapevo, perciò non ci sarebbero stati problemi se avessi cenato vestita così.
Pochi minuti dopo la voce di Amelie riecheggiò per la casa «A cenaa!»
Chiusi il libro che stavo leggendo e mi avviai verso la cucina.
Mi imbambolai sulla porta alla vista di quegli occhi azzurri che mi squadravano di nuovo da capo a piedi. Il solito sorrisetto da stronzo si stava aprendo sul suo viso.
«Carina.» disse in tono sarcastico.
Decisi di non lasciarmi intimidire da lui «Grazie, è il mio pigiama preferito.» mi sedetti nell'unico posto rimasto libero, cioè di fronte a lui.
Durante la cena tenni gli occhi fissi sul piatto, la testa bassa.
Mi sentivo in imbarazzo a stare in pigiama davanti a quel ragazzo.
Dopo cena mi alzai e andai a lavare i piatti nonostante le proteste di Amelie. Io volevo dare una mano, non volevo approfittarmi della loro ospitalità.
Nathan si alzò e salutò tutti, mi passò accanto prima di uscire dalla cucina.
«Buonanotte, tigrotta.» mi fece l'occhiolino e se ne andò. Il piatto che stavo lavando mi scivolò dalle mani ma per fortuna non si ruppe.
Mi lavai i denti, diedi la buonanotte a tutti e andai subito in camera mia. Ero stanchissima perciò mi addormentai subito.

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Capitolo 2
*** Nightmere ***


Nightmere


La mattina seguente mi svegliai di malumore.
Avevo avuto un incubo che però non riuscivo a decifrare bene.
Ricordavo solo che faceva freddo, io stavo tremando e tanti occhi erano puntati su di me e si sentivano delle risate. Io mi guardavo intorno cercando di capire da chi venissero ma non riuscivo a vedere nessuno, continuavo a tremare e a cercare di riscaldarmi con le mani quando, ad un certo punto, mi rendevo conto di essere nuda e sentivo come se gli sguardi mi ardessero la pelle e le risate mi facessero male alle orecchie per quanto erano forti.
Mi ero svegliata di soprassalto, erano le 5 di mattina.
Scesi dal letto, ormai non sarei più riuscita ad addormentarmi.
Nonostante nel sogno avessi freddo, ero tutta sudata.
Non sopportavo quella sensazione perciò andai a fare una doccia, per fortuna il bagno era lontano dalle camere, non avrei fatto tanto rumore.
Dopo la doccia indossai una tuta, mi sentivo già un po' meglio.
Però avevo bisogno di prendere un po' d'aria.
Erano quasi le cinque e mezza e fuori iniziava ad esserci già un po' di luce.
Decisi che non sarebbe stato pericoloso uscire a quell'ora, probabilmente tutta la città stava dormendo.
Così presi la giacca, la chiave che mi aveva dato Amelie e il mio mp3 e uscii.
Non sapevo bene dove andare, non conoscevo il posto, non volevo perdermi perciò percorsi delle vie lineari, ero alla ricerca di un parco o un posto in cui potermi rilassare.
Camminai ancora per un po' e finalmente trovai un parco, non era nelle migliori delle condizioni, c'era un'altalena rotta e le panchine avevano tutte delle scritte sopra. 
Mi avvicinai all'altra altalena, quella che sembrava essere ancora integra, la tirai un po', per vedere se reggeva e mi ci sedetti iniziando a dondolarmi leggermente.
Alzai il volume della musica e chiusi gli occhi, continuando a dondolarmi.
Mi sentivo in pace, con l'aria fresca che mi punzecchiava leggermente il viso.
Senza quasi rendermene conto iniziai a canticchiare la canzone che stavo ascoltando.
Mi sentivo così in pace con tutto in quel momento.
Lanciai un grido di terrore quando sentii una mano appoggiarsi sulle mie spalle, mi alzai di scatto e mi strappai dalle orecchie le cuffie girandomi con il panico negli occhi.
Due occhi color ghiaccio mi guardavano fissi, era Nathan. Sembrava piuttosto arrabbiato.
«Pensavo di averti detto che è pericoloso uscire da sola in questo quartiere? Non mi hai forse sentito?» mi arrivò odore di alcool e notai che dondolava leggermente.
«Beh si ma pensavo che a quest'ora del mattino non ci fosse pericolo.» cercai di dire in tono calmo, la verità è che avevo sempre avuto un po' paura delle persone ubriache.
Non sapevo mai cosa aspettarmi da loro e soprattutto non sapevo cosa aspettarmi da Nathan, non lo conoscevo per nulla.
«Beh, eppure hai incontrato me, quindi di pericolo ce n'è. Certo ti sarebbe potuta andare anche peggio. Sei una ragazza fortuna, ma non esagerare a testare la tua fortuna. Dai vieni, ti accompagno a casa.»
Si incamminò e non potei fare altro che seguirlo, non volevo che si innervosisse.
Camminava più lentamente questa volta perciò riuscii a stare al suo passo.
Ogni tanto si girava a guardarmi. Io tenevo il volto fisso in avanti, non sapevo cosa dire.
Un po' avevo paura, ero da sola con lui e le strade erano deserte. Strade che io non conoscevo mentre lui probabilmente sapeva ad occhi chiusi. Avrebbe potuto mettermi la mano alla bocca e trascinarmi da qualche parte se solo avesse voluto.
Pero gli Anderson si fidavano di lui, no? Potevo fidarmi pure io?
No, certo che no. Non bisogna mai fidarsi delle persone, figuriamoci di coloro che vivono qui. Figuriamoci se mi posso fidare di questo ragazzo dagli occhi color ghiaccio che si comporta sempre in modo così strano, insomma ieri aveva detto che con me aveva appena iniziato e poi mi aveva consigliato di non dare peso ai suoi amici. Cosa significava ciò? 
Forse cercava solo di confondermi, e ci riusciva bene.
Giunsi alla conclusione che non dovevo fidarmi e che forse non sarei più dovuta uscire a meno che non fosse strettamente necessario.
Arrivammo davanti al palazzo. Mi voltai a guardarlo.
«Grazie per avermi accompagnata, sei stato molto gentile.» 
Mi guardò dritto negli occhi, quegli occhi color ghiaccio sembravano volermi entrare dentro.
Spostai lo sguardo, era troppo intenso da poter reggere.
Feci per entrare nel palazzo quando lo sentii schiarirsi la gola.
«Devi fare attenzione Kath, potresti farti male.»
«Sto bene.» dissi, senza aver bene capito a cosa si riferisse.
E corsi in casa, al sicuro.
Lontano da quegli occhi color ghiaccio.

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Capitolo 3
*** III Capitolo ***


III Capitolo


Quando entrai in casa stavano ancora dormendo tutti.
Cercando di fare meno rumore possibile raggiunsi la mia camera e mi misi sul letto a leggere.
dopo aver letto una pagina mi resi conto che non avevo capito assolutamente nulla di ciò che era successo, i miei pensieri erano continuamente volati altrove.
Sbuffai e lanciai il libro sul pavimento.
«Ma cosa mi sta succedendo?».
Guardai l'ora: erano quasi le 7.
A breve si sarebbero alzati tutti, Alan per andare a lavoro e Amelie per preparare le bimbe per scuola.
Decisi di andare in cucina a preparare la colazione.
Cercai gli ingredienti per i pancakes e mi misi all'opera.
Avevo quasi finito quando Alan entrò in cucina seguito da Amelie, avevano entrambi le facce imbronciate e assonnate.
Amelie mi guardò con aria sorpresa «Oh ma che tesoro che sei, hai preparato tu la colazione? Grazie cara, allora vado a svegliare le bambine.»
Elisa e Debbie entrarono in cucina, sul volto la stessa espressione dei genitori.
Sorrisi loro e misi i pancake sul tavolo.
«Non è un po' presto per Elisa per alzarsi? All'asilo solitamente non si va alle 9?» chiesi sorridendo alla bambina più piccola che stava sbadigliando.
«Beh si, in realtà si. Però Amelie la porta un po' prima perchè poi deve andare a lavoro. Invece Debbie la porto io in macchina mentre vado in fabbrica. Ogni tanto però, quando non fa l'idiota e passa la notte senza uriacarsi, viene Nathan e le porta lui.» mi rispose Alan.
«Se volete potrei accompagnarle io a scuola, così voi avreste più tempo per prepararvi e potrebbero dormire un po' di più.» mi offrii, ansiosa di aiutare in qualche modo.
Mi chiesi come mai fossero in così buoni rapporti con Nathan. Forse i suoi genitori erano amici di lunga data con gli Anderson.
Non mi osavo a chiederlo, per ora sarei rimasta con il dubbio.
«Beh si, mi faresti un grande favore, allora oggi vieni con me così ti faccio vedere dove è la scuola di Debbie così magari, se ti va, poi la passi a prendere all'una perchè oggi esce prima e se no dovrei prendere un permesso da lavoro. E poi accompagnamo Elisa.» disse Amelie contenta.
Finimmo di fare colazione e Alan e Debbie uscirono mentre Amelie si preparava per lavoro.
Io aiutai Elisa a vestirsi e lavai i piatti.
«Non c'era bisogno di lavarli, si poteva fare dopo.» 
«Ma si, non è un problema, non erano molti.»
«Andiamo dai, che sono già in ritardo.»
Amelie prese in braccio Elisa e io presi il suo zainetto e uscimmo.
Passammo prima davanti alla scuola di Debbie e poi andammo all'asilo nido che però apriva mezz'ora dopo. Elisa aspettava l'arrivo degli altri bimbi insieme alla bidella.
Salutammo Amelie che iniziò a correre per non arrivare tardi.
«Oggi ti farò compagnia io e da domani in poi arriverai insieme a tutti gli altri bambini, va bene?»
Elisa annuì sorridendo «'a bene.» 
Le sorrisi, era una bimba tanto dolce. «Fa un po' freddo qui fuori, magari entriamo così conosco anche io questa bidella alla quale tieni compagnia ogni mattina» e, tenendo Elisa per la manina, entrammo.
«Oh ma chi abbiamo qui? Una nuova amica? Ciao cara, io sono Agnes.» disse la donna porgendomi la mano.
Gliela strinsi «Io sono Kathlyn, sto dagli Anderson, è un piacere conoscerla.»
Agnes poi si dedicò alle pulizie mentre io parlavo e giocavo con Elisa.
Erano ormai le 9 quando gli altri bambini iniziarono ad arrivare.
Salutai Elisa e mi diressi verso il negozio, quella mattina avevo finito le uova per fare i pancakes perciò volevo comprarne altre.
Il negozio era vuoto, nessuno che mi passasse davanti ansioso di comprare alcolici per ora.
Pagai ciò che avevo comprato e mi avviai verso casa.
Non sapevo ancora che cosa avrei fatto fino all'1, forse avrei dovuto iniziare a studiare qualcosina.
Seguivo delle lezioni universitarie online ed ero rimasta un po' indietro con gli studi negli ultimi tempi.
Si, avrei studiato.
Ero quasi arrivata quando venni fermata da una ragazza.
Era bionda e aveva la faccia piena di piercing.
«Ehi, principessina. Dov'è la tua carrozza?» mi disse con fare derisorio.
«Quanta originalità! Avrei da fare, cosa vuoi?» le chiesi guardandola con aria di sfida.
«Voglio che stai lontana da lui.»
«Lontana da chi, scusa?»
«Non fare la furba, so come siete fatte voi principessine. Fate tanto finta di essere delle santarelline e poi colpite alle spalle e ci rubate gli uomini. Nathan è mio, okay? Perciò smetti di troieggiargli attorno.»
Scoppiai a ridere per l'incredulità di ciò che avevo appena sentito «In realtà sto cercando di stare lontana un po' da tutti voi, non mi interessate, proprio per nulla. E ancora meno mi interessa Nathan perciò stai pure tranquilla. Ora se vuoi scusarmi, devo andare.» e corsi in casa.
Ma erano davvero tutti così odiosi in quella città? Qualcuno di normale, oltre agli Anderson, c'era?

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Capitolo 4
*** IV Capitolo ***


IV Capitolo


Studiai ininterrottamente fino alle 12:30. Ci volevano 10 minuti per arrivare alla scuola di Debbie, perciò pelai delle patate per prepararle successivamente per pranzo e uscii.
Nell'androne c'erano un paio di ragazzi intenti a fumare, non sapevo se fossero semplici sigarette o altro e non volevo saperlo.
Per fortuna erano troppo occupati ad aspirare quella roba per prestarmi attenzione, perciò potei uscire tranquilla.
Arrivai davanti a scuola con un paio di minuti in anticipo, mi aspettavo ci fosse più gente, forse sarebbero arrivati dopo. O forse alcuni ragazzi già andavano a casa da soli.
Pochi minuti dopo sentii suonare la campanella e i ragazzi si riversarono nel cortile davanti alla scuola.
Scorsi Debbie e le feci segno con la mano, lei mi sorrise e mi venne incontro.
«Ciao, com'è andata la giornata?» le chiesi offrendomi di prenderle lo zaino dalle spalle, aveva l'aria pesante.
Lei me lo passò «E' andata abbastanza bene, solo c'era la verifica di matematica e non penso di aver risposto molto correttamente a tutto...» si accigliò un pochino.
«Matematica? Oh ma lo sai che io adoro la matematica? Sappi che se hai bisogno di una mano io ti aiuto volentieri.» le feci l'occhiolino.
Mi sorrise sollevata e ci avviammo verso casa.
Nell'androne c'erano ancora quei ragazzi, a loro però si erano aggiunte un paio di ragazze tra le quali anche la bionda che mi aveva fermata quella mattina ed era arrivato pure Nathan.
La bionda, appena mi vide, si agghindò a Nathan, baciandogli il collo. Come se me potesse fregare qualcosa di quel gesto.
Lui sembrava quasi impassibile da quel gesto, anzi forse un po' irritato. Non sapevo esattamente come interpretare la sua espressione, ma di sicuro non ne sembrava compiaciuto.
«Oh, stai andando anche tu alle elementari? Pensavo che principesse studiassero in casa.»
«Non sei divertente Joanna.» le rispose Debbie.
«Lascia stare, dai andiamo a casa.» Non volevo che Debbie infastidisse quei ragazzi, chissà cosa avrebbero potuto farle.
Debbie salì le scale e io la seguii, mi sentivo gli occhi di tutti puntati sulle spalle.
Preparai il pranzo e mangiai insieme a Debbie, poi lei si mise a fare i compiti e io studiai un po'.
Qualche ora dopo sentii aprirsi la porta, era Amelie.
«Ciao ragazze, come va? Avete mangiato?»
Io e Debbie le andammo in contro, lei per abbracciarla, io per aiutarla con la busta della spesa.
«Tutto bene. Si, abbiamo pranzato e ora, da brave bambine stavamo studiando.» Le feci l'occhiolino e mi avviai con il sacchetto della spesa in cucina.
«Oh, brave. Alle 5:30 andiamo a prendere Elisa all'asilo e poi magari facciamo un giretto al parco, che ne dite? Kathlyn se devi studiare non c'è problema.»
«No problem, ho studiato già abbastanza per oggi. Una passeggiatina al parco la faccio volentieri.»

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Capitolo 5
*** V Capitolo ***


V Capitolo


Poco dopo eravamo al parco, Elisa si diresse subito verso l'altalena e io la seguii per assicurarmi che ce la facesse a salire e non rischiasse di cadere.
La spinsi un po' dopo di che disse che voleva andare sullo scivolo.
La accompagnai e intanto Amelie e Debbie ci raggiunsero.
Le due sorelle iniziarono a giocare insieme, ridendo e rincorrendosi.
«Allora, come ti stai trovando qui?» mi chiese Amelie con fare gentile.
«In realtà per ora sono un po' scombussolata.» mi chiesi se era il caso di svelarle le mie preoccupazioni.
«Oh, è normale cara. Ma c'è qualcosa in particolare che ti preoccupa? Puoi dirmelo, se vuoi, magari posso darti qualche suggerimento.»
«Ecco...il fatto è che mi hanno detto tutti di stare cauta in questo posto, che ci vive gente brutta e cose così. E un po' sono intimorita da quei ragazzi che vedo sempre nell'androne del palazzo. Però qui ci vivete anche voi, e non sembrate così preoccupati della situazione. Non capisco come devo comportarmi...» dissi tutto d'un colpo.
«Beh, in effetti non è uno dei quartieri migliori del mondo ma non è neanche così male. Il problema purtroppo è che i ragazzi sono presuntuosi e tendono a non accettare molto volentieri le persone nuove. Ma non c'è tutto questo gran pericolo se segui alcune accortezze. Basta non uscire quando è buio e non andare in posti troppo isolati. Per il resto quei ragazzi non ti faranno mai nulla di male se tu non farai nulla a loro. Si limiteranno solo a punzecchiarti ma tu cerca di ignorarli. Potresti fare amicizia con Nathan, è un bravo ragazzo. Potrebbe aiutarti ad ambientarti.» mi disse con voce dolce, mentre mi accarezzava la spalla.
«Non sono convinta di andargli a genio. E sinceramente nemmeno lui va tanto a genio a me.» dissi ma me ne pentii subito. Loro erano in buoni rapporti con Nathan, forse avrei dovuto essere un po' più cauta.
«Nessuno è mai convinto di andare a genio a Nathan e, sinceramente, anche a noi all'inizio era sembrato un teppistello da tenere alla larga però conoscendolo imparerai ad apprezzarlo. Certo non dico che dobbiate diventare migliori amici ma...potresti provarci. Anche perchè lui passa molto tempo da noi, perciò sarà inevitabile per voi incontrarvi.»
«Ci proverò.» dissi senza però esserne tanto convinta.
In realtà avrei voluto tenermi più lontana possibile da lui, c'era qualcosa che mi spaventava.
Ma non riuscivo ancora a decifrare cosa fosse.

Era ormai tardi e Amelie chiamò le bambine, era ora di tornare a casa.
Aiutò Amelie a preparare la cena e, quando avevano quasi finito, arrivò Alan da lavoro.
Con lui c'era pure Nathan. Cercai di guardarlo il meno possibile.
Mangiai velocemente ma dovetti aspettare che anche gli altri finissero per poter lavare i piatti.
Nathan mi portò al lavandino i piatti che c'erano sul tavolo.
«In realtà oggi sarebbe il mio turno per lavare i piatti, ma vedo che ti stai divertendo perciò ti concederò il privilegio di continuare al posto mio.» disse mentre aggiungeva un bicchiere nel lavandino. Per farlo mi sfiorò la mano e io mi scostai leggermente.
«Ehi, calma. Non ho mica la lebbra sai? Come mai sei così taciturna poi? Mi era sembrato di scorgere un bel caratterino, che fine ha fatto?» mi punzecchiò ancora.
«Non mi vanno molto questi giochetti da bambini, perciò ho deciso di seguire il tuo consiglio.»
Sgranò gli occhi sorpreso «Il mio consiglio? Quale consiglio?».
«Si, ti ignorerò finchè smetterò di essere la novità e ti stancherai di punzecchiarmi.» stavo quasi finendo di lavare i piatti e non vedevo l'ora di finire anche quella conversazione e di rintanarmi nella mia camera.
 «Oh, ma quel consiglio riguardava gli idioti che sono sotto, non puoi ignorare me.»
«Non posso, dici? Guada come lo sto facendo invece.» Finii di lavare anche l'ultimo bicchiere e mi diressi in camera lasciando Nathan imbambolato lì, con un'espressione incredula sul volto.


ANGOLO AUTRICE:
Ciao a tutti/e. Sono Kate e spero che la storia fino ad ora stia piacendo almeno a qualcuno.
Io non ne sono molto convinta ma sto comunque continuando a scriverla perchè boh, di per sè la storia mi piace, per come è nella mia testa. Poi per iscritto risulta un po' più banale...
Mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate voi perciò non fatevi problemi a lasciarmi il vostro parere, anche le critiche sono ben accette.
Un bacione a tutti coloro che leggono questa storia, al prossimo capitolo :*

Kate.

 

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Capitolo 6
*** VI Capitolo ***


VI Capitolo


Lessi fino a tardi dopo di che mi addormentai quasi senza pensare a nulla.
La mattina seguente non ricordai di aver sognato nulla di particolare.
Erano le 7 quando scesi dal letto, feci un po' di streching e poi mi diressi in cucina, volevo preparare di nuovo i pancakes.
Amelie e Alan entrarono pochi minuti dopo, mi ringraziarono per aver preparato di nuovo la colazione e poi andarono a prepararsi.
«Grazie ancora Kath, sei gentilissima a portare tu le bambine a scuola!» Amelie mi diede un bacio sulla guancia e uscì seguita da Alan.
Alle 7:20 svegliai Debbie che mangiò velocemente e andò a prepararsi.
Sentii suonare alla porta, pensai che forse era il postino e non andai a rispondere.
Avrebbe aperto qualcun altro.
Ma suonò di nuovo e mi resi conto che in realtà non stavano suonando da sotto.
Andai alla porta e guardai fuori, era Nathan.
Ma che diamine ci faceva lì?
Aprii la porta rimanendo però di fronte ad essa, sbarrandogli il passaggio.
«Non mi fai entrare?» chiese con un sorrisetto.
«Gli Anderson non sono in casa, perciò non posso far entrare nessuno. E poi oggi non devi riprenderti da una bronza?» chiesi inarcando il sopracciglio.
«Ah ma smettila, sei sempre così acida la mattina? Fammi passare, dai.» e mi spintonò da una parte.
Intanto Elisa si era alzata ed era andata in cucina.
«Ci sono i cereali? Ho fame.» andò subito a sedersi al tavolo, come se fosse a casa sua.
Notai che Elisa era alla porta e guardava prima me poi Nathan.
«Buongiorno piccola, ti sei svegliata? Come mai così presto?» andai a darle un bacino sulla guancia.
«E' stato il campanello. Possiamo fare colazione?» chiese lei assonnata.
«Ma certo! Ho preparato di nuovo i pancake.»
Preparai due piatti, fortunatamente ne avevo fatti abbastanza così che potessi darne anche a Nathan. Tutto sommato gli Anderson sembravano tenerci a lui perciò dovevo cercare di comportarmi bene.
Io avevo già fatto colazione perciò mi sedetti solo al tavolo per fare loro compagnia.
Guardai per un po' Elisa, era dolcissima.
Poi mi resi conto che Nathan mi stava fissando, alzai lo sguardo e iniziai a fissarlo pure io di rimando.
Probabilmente lo colsi impreparato perchè sgranò gli occhi e abbassò lo sguardo sui pancake.
Ma che problemi aveva quel ragazzo? Un attimo prima era tutto lui e l'attimo dopo faceva il timido.
«Ehm...allora come mai sei qui? Sei venuto solo per scroccare la colazione o c'è un motivo in particolare?» gli chiesi per interrompere quel silenzio che stava cominciando a pesarmi.
«Ogni tanto accompagno le bimbe a scuola, gli Anderson non te l'hanno detto?» rispose lui, con la bocca piena.
Mi tirai un po' indietro da quella scena e feci un'espressione disgustata «Viva le buona maniere. Comunque non c'è bisogno, le posso accompagnare io.»
«Non fare troppo la schizzinosa. E comunque non è che puoi piombare qui e rubarmi il lavoro, bambola.» mi rispose lui.
«Il lavoro? Vuoi dire che ti fai pagare per portare le bambine degli Anderson a scuola?» chiesi sorpresa.
«No, certo che no.» fece una risatina «Però è una cosa che faccio io, ma se proprio vuoi possiamo portarle assieme.»
Non riuscivo a capire il suo atteggiamento.
«Beh, se proprio non hai di meglio da fare...Non è che poi i tuoi amici o la tua ragazza sentiranno la tua mancanza?» chiesi, un po' curiosa di vedere la sua reazione.
«Non sono fatti che ti riguardano, ci penso io ai miei amici e quella non è la mia ragazza. E ora andiamo.»
Aiutai in fretta Elisa a prepararsi e uscimmo.
Lasciammo Debbie a scuola e poi portammo Elisa all'asilo.
Non appena lei entrò mi voltai verso Nathan.
Lo guardai negli occhi e lui si tirò un po' indietro.
Ero un po' confusa da quel gesto «Calmati, non ho mica la lebbra. Io ora tornerei a casa, buona giornata!».
E feci per andarmene.
«No.» mi prese la mano «tu vieni con me.» e iniziò a tirarmi.


Angolo autrice: 
E finalmente sono riuscita a scrivere un altro capitolo, spero che la storia continui a piacervi.
Mi raccomando non fatevi problemi a scrivermi e a dirmi ciò che vi piace e ciò che non vi piace, a me fa moltissimo piacere leggere le vostre recensioni.
Un bacio a tutti coloro che leggono la mia storia, a presto!

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