The 25th Hour

di Andy Black
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: - 24 Ore ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: - 22 Ore e 58 Minuti ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: - 16 Ore e 26 Minuti ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3: - 13 Ore e 48 Minuti ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4: - 10 ore e 22 minuti ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5: - 9 ore e 24 minuti ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6: - 8 ore e 34 minuti ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7: + 1 ora. ***



Capitolo 1
*** Prologo: - 24 Ore ***


.  ... The25THhour.. .
- Prologo

- Universo X -
 
 
- 24 ore
 
“Le condizioni di Nina sono critiche, Signor Jackson. Ciò che posso dire è che se l’operazione di trapianto al cuore non comincerà entro ventiquattr’ore da adesso, la situazione diverrà irreversibile e la bambina morirà”.
Oliver, quello che il Dottor Brown aveva chiamato Signor Jackson, si passava la testa tra le mani per capire come fare. Certe notizie, all’una del mattino, non erano il migliore dei modi per cominciare la giornata. O per finirla, è tutto fin troppo relativo. Col capo basso valutò la situazione: un cuore viaggiava da Unima ad Adamanta chiuso in una scatola ermetica, su di un aereo bloccato in un aeroporto sperduto, colpito da una tempesta.
Non sarebbe finita in ventiquattr’ore, ne era certo.
Ed a Nina, piccola anima pia di soltanto sette anni, rimaneva soltanto un misero giorno di vita prima che il suo cuore, già affaticato per tutti i malanni che aveva subito, collassasse.
Il Dottor Brown si dileguò, lasciando quell’uomo davanti la finestra dell’Ospedale di Edesea, mentre deglutiva quelli che gli sembravano essere residui di limatura di ferro e brecce.
S’avvicinò al vetro gelido, le strade di gennaio erano ancora addobbate a festa nonostante le festività fossero terminate la settimana precedente, e quella sera tutti sorridevano felici.
In particolare, Oliver vide un ragazzino della stessa età di Nina, ben chiuso nel suo cappottino nero, con al guinzaglio un cucciolo di meticcio che camminava dietro di lui.
Anche Nina voleva un cane, glielo aveva chiesto migliaia di volte.
Ma i cani sono per i bambini normali, non per quelli che hanno difetti congeniti ai ventricoli.
Si chiese per quale motivo la buonanima di sua moglie avesse partorito una bambina rotta, malfunzionante. Si chiese perché quella povera vocina dovesse essere squassata da attacchi di tosse violenta, conditi da macchie purpuree di sangue.
Sette anni. I bambini a sette anni corrono nei prati, giocano con gli amici, con la palla. Imparano.
No, in tutta la sua vita, da quando le era stata diagnosticata la displasia aritmogena del ventricolo destro, Nina aveva passato più tempo in ospedale che a scuola.
E lei era una bimba vitale e sorridente, che lottava contro la sfioritura prematura della sua corona acerba. Una bimba che faceva di tutto un gioco.
Che lavorava con la fantasia per portare in alto la mente ed allontanarla dai bip degli elettrocardiogrammi.
Oliver le stava vicino ogni qualvolta poteva. Lavorava come avvocato prima che le condizioni di Nina peggiorassero. Era entrato in aspettativa ormai da due mesi, e lo studio faceva enormi pressioni perché rientrasse.
Ma insomma, era un suo dovere prima che un suo diritto stare vicino a sua figlia.
Non si scompose alla notizia, anzi, impostò l’orologio alla mezzanotte: due giri completi di lancette, quello era il tempo che aveva per procurare il cuore giusto a sua figlia.
L’uomo si ravvivò i capelli con la mano e poi sospirò.
Non era religioso, era molto pragmatico e schematico sulle cose. Aveva fatto della razionalità il suo unico credo, ed il vedo o non credo era la sua religione.
Ammise a se stesso di aver paura e sciolse il nodo alla cravatta, che portava quasi sempre ben stretta al collo.
Oliver era un uomo tutto d’un pezzo, non si doveva perder d’animo. Se il cuore che sua figlia avrebbe dovuto ricevere doveva arrivare da quell’aereo, ebbene, sarebbe arrivato da quell’aereo.
 
Rientrò nella stanza. La bambina leggeva un libro illustrato. Oliver la guardò sorridente, intanto le lancette dell’orologio gli trapassavano l’animo da parte a parte, creando tumulto nel suo stomaco.
“Piccola... Sei ancora sveglia?” disse, cercando di celare il nervosismo con un sorriso storto e triste.
Quella affacciò la coppia d’occhi smeraldini dalla balaustra di pagine che creava quel libro, quindi sorrise. “Papà. Il medico che ha detto?”.
“Il...” deglutì. Ancora ferro e pietre. Il medico ha detto che il tuo cuore sta per arrivare”. Le si sedette accanto, sorridendo e riconoscendo in lei lo stesso sorriso dellla donna che lui amava e che aveva messo al mondo la sua meraviglia. Assomigliava a sua madre, in tutto e per tutto.
Toccò i gemelli del vestito, che gli aveva regalato proprio Roxanne. Ogni volta che la pensava li carezzava, tanto che aveva levato da su la patina lucida dell’oro.
“E dopo starò meglio?” domandò quella, chiudendo il libro con il dito dentro, per mantenere il segno della pagina.
Il papà annuì, carezzandole la testa ed arruffandole il ciuffo. “Certo. Dopo sarai la ragazzina più forte del mondo”.
“Bene!” esclamò lei, prima di tossire. Niente sangue, per fortuna. “Sarò fortissima!”.
Oliver annuì di nuovo, mentre guardava l’orologio: erano passati sei minuti da quando i battiti del suo cuore avevano cominciato a triplicare ogni movimento delle lancette del suo Breil.
“Ora papà deve andare. Ma stai sicura che domani, a quest’ora, ti staranno operando. Avrai il tuo cuore nuovo...”.
“Mi opereranno?!” esclamò impaurita lei, spalancando gli occhi.
Oliver sorrise, divertito. “E come pensi che ti avrebbero messo, il cuore nuovo?”.
“Non faccio mica il medico! Mi lasceranno delle cicatrici, vero?”.
“Sì, ma col tempo non si vedranno poi tanto. Ora devo andare, sarà Suor Serina a tenerti compagnia fino a domani”.
“Ok. Vai a lavarti. E fatti la barba, che pungi”.
Oliver sorrise ancora, con le lacrime agli occhi. “Sicuro. Ci vediamo domani, bimbetta”.
“Ciao papà” fece, riaprendo il libro.
 
Toc – toc.
 
Erano le diciannove da qualche minuto, e generalmente alle diciotto e trenta la facoltà chiudeva le porte d’ingresso. Sentire qualcuno che bussava alla sua porta era insolito, a quell'ora.
“Avanti” fece Alma, finendo di sistemare le carte sulla sua scrivania. Quella sera sarebbe tornata a casa ed avrebbe preparato un bel piatto di fonduta. L’avrebbe steso su delle patate.
Calorico, ma con quel freddo non poteva fare altrimenti.
La porta s’aprì ed un uomo dai capelli scuri e ben pettinati, occhi verdi e barba di tre giorni entrò; aveva la cravatta larga al collo ed i gemelli consumati.
“Mi scusi per l’intrusione, Professoressa Ramìz, ma dovevo parlarle con estrema urgenza”.
Alma s’accigliò. “Avvocato Jackson. Che... che cosa è successo?”.
Oliver sospirò e portò le mani ai fianchi, cercando di buttare fuori tutta l’ansia che si stava accumulando.
“Si sieda pure. Vuole un po’ d’acqua?” domandò Alma.
“No, ho premura di parlarle, e la sua risposta dovrà essere concisa. Rapida”.
Alma mosse la testa per spostare la lunga treccia corvina alle sue spalle: faceva sempre a cazzotti con il colletto del camice. Poi gli fece cenno con le mani di parlare.
“Mia figlia, Nina, ha un problema gravissimo al cuore, una malformazione congenita al ventricolo destro che la porterà a morire entro le prossime ventiquattr’ore se non si procederà ad un trapianto. Ecco, il gruppo sanguigno di Nina è impossibile da trovare, lei sa che mia moglie non era propriamente... ecco...”.
“Sì, conosco bene la storia, ho aiutato personalmente Roxanne nel periodo della gravidanza, pace all’anima sua”.
“Già. Trovare un cuore per mia figlia è stato difficilissimo e dispendiosissimo, ma quando ci sono riuscito, beh, ero al settimo cielo. Stamattina era partito da Unima un aereo con su un box medico che conteneva il cuore destinato a mia figlia, ma una grande tempesta ha costretto l’aereo ad un atterraggio inaspettato in un aeroporto poco oltre i confini di Unima. E stasera il dottore mi ha informato che, per le condizioni del cuore di mia figlia, nonostante sembrasse così pimpante, aveva soltanto ventiquattr’ore di vita. Ed ora...” abbassò lo sguardo sull’orologio,
“... sono soltanto ventitre ore e trentotto minuti” disse, con una freddezza che lei non sarebbe riuscita a vestire.
Alma annuì, incrociando le mani e girando i pollici.
“Lei mi deve aiutare. Devo recuperare quel cuore, in ogni modo”.
“Ha a disposizione fondi sufficienti per un recupero d’emergenza?” domandò la Professoressa.
L’uomo fece spallucce. “Non sarebbe sufficiente il tempo. Andata e ritorno porterebbero via trentasei ore con un jet veloce e l’aereo ce ne impiega ventitre per arrivare qui... Ed ora è bloccato, ed il tempo scorre...”.
Alma sbuffò; quelle cose erano così ingiuste che quasi non comprendeva come potesse davvero esistere una divinità quando succedevano cose del genere.
“C’è un modo, forse...”.
Oliver spalancò gli occhi, pendendo dalle belle labbra ambrate della donna che aveva di fronte.
Alma, sospirò, aprendo il PC che aveva chiuso e digitando qualcosa.
“Beh, ci sono diverse leggende... Una che forse potrebbe interessarla è... quella... di Jirachi” disse, mentre batteva qualcosa alla tastiera. Girò il monitor e mostrò all’uomo una foto di quel Pokémon.
“È simile ad una fata, ed ha il potere d’esprimere tre desideri...”.
E a quelle parole Oliver s’illuminò. “E dov’è?!”.
“Avvocato, è fortunato, perché si sveglierà stanotte, assieme alla caduta della sua stella. Calcoli che non sarà semplice trovarlo ma sappia che non è impossibile. Ha ventiquattr’ore per trovarlo”.
“Ventitre ore e trentaquattro” rettificò quello. “Il tempo adesso è importantissimo”.
Alma annuì, con un mezzo sorriso sulla faccia: era felice d’averlo aiutato ma al contempo non era affatto compiaciuta delle condizioni della piccola Nina.
“E dove lo posso trovare?” fece nuovamente.
“La pioggia di stelle che preannuncia l’arrivo di Jirachi sulla terra è avvenuta ieri sera. Stasera dovrebbe cadere anche la sua cometa. Non posso dirle con precisione dove avverrà ma sarà nei cieli di Adamanta, o di Sidera".
“Sidera?! È lontanissima! Alma, ho bisogno di trovare subito quel Pokémon!” urlò Oliver, battendo i pugni sulla scrivania. La donna spalancò gli occhi, impressionata dal gesto.
“Scusi...” aggiustò il tiro lui. “Devo fare presto ed ho paura per mia figlia...” disse l’uomo, respirando con la bocca.
“Non posso fare nulla di più per aiutarla, avvocato. Guardi il cielo e trovi Jirachi. Dopo desideri di curare sua figlia ed ha risolto... so che non è così semplice ma il suo piano deve essere questo”.
“Non potrei mai desiderare di curare mia figlia, sa bene quanto complicata fosse Roxanne. Beh, Nina è sua figlia, ed è l’incompatibilità genetica dei suoi genitori ad averle provocato questi problemi. No, Nina deve ricevere quel cuore”.
“Non ha senso, avvocato...”.
“Lo so, ma mia figlia ha bisogno di quel cuore e sarà quel cuore ad entrare nel suo petto, non la magia dei Pokémon o quant’altro...”.
“Non crede che possa curare sua figlia?”.
“E se si sbagliasse?!” esclamò improvvisamente. “E se il mio desiderio venisse male interpretato? Nina morirebbe nonostante tutti i miei sforzi!” urlò ancora.
“Si calmi”.
“Certo, scusi. Anzi, la ringrazio molto” disse quello, sistemando poi il nodo alla cravatta. Strinse la mano alla donna e corse a casa.
 
Mancavano ventitre ore e dodici minuti ed era ormai notte quando Oliver rincasò.
Il perfetto ordine ed il silenzio gli ricordavano quanto tempo fosse passato dalla morte di sua moglie Roxanne. Era parecchio disordinata e sbadata, lei, ma a lui non importava.
Lei era speciale e ciò giustificava tutti i difetti che si portava appresso.
Indossò scarpe da corsa e pantaloni d’una tuta nera, abbastanza larghi. Felpa dello stesso colore e cappuccio alzato sulla testa.
L’avvocato s’era cambiato. Si sentiva Mattew Murdock guardandosi allo specchio. Salì su in terrazza e si stese a guardare il cielo immenso, mentre le lancette dell’orologio gli ricordavano che era lì a far niente, a perdere tempo, mentre una grande forbice accorciava la linea della vita di sua figlia con avidità.
Sospirò, una mano piena di spine sembrava stritolargli la pancia dall’interno; gli faceva male. Prese allora il cellulare, mentre l’immenso e l’infinito s’incontravano nella volta e la coloravano con tanti punti luminosi, messi lì a guardarlo. Chiamò il cellulare di Nina, nonostante fosse notte fonda.
Rispose quasi subito.
“Papà...” disse lei, con voce compressa.
“Hey, bimbetta, che vocina. Scusami se ti ho svegliata, ma volevo sentirti prima di...”.
“Dove devi andare, papà?” tossì lei.
“A... a fare un servizio importantissimo, Nina. Ma domani io sarò affianco a te”.
“Non mi sento molto bene...”.
Gli occhi di Oliver si spalancarono. “Non preoccuparti, sei solo stanca, oggi hai letto molto”.
“Ma quando potrò uscire dall’ospedale? Ho tanta voglia di tornare a casa”.
Una lacrima scese involontaria sulla guancia dell’uomo.
“... Subito, amore. Il cuore arriva subito e tu tornerai a casa prima di quel che pensi”.
“Oh, ok. La suora voleva che mangiassi la mela cotta...” fece, con voce ancor più compressa, seguendo poi il tutto con un colpo secco di tosse. Oliver attese l’esito.
“C’è di nuovo sangue...” disse la piccola. “Mi fa male il cuore, papà”.
Oliver piangeva a dirotto ormai, mordendosi le labbra per non lasciarsi andare alle emozioni.
“Lo aggiusteremo, Nina. Aggiusteremo tutto. Staremo bene e vivremo per sempre insieme”.
“Perché stai piangendo, papà?”.
E quello gli diede il colpo di grazia, permettendo al malessere di strappare quei lacci di speranza che aveva attaccati al polso. “Non sto piangendo... È raffreddore. Tu invece copriti bene e vai a dormire, che è tardi”.
E poi il cielo si rischiarò in parte quando, lemme e silenziosa, una scia argentata tagliò la volta, andando a puntare una zona del sud della regione.
“Ok, papà... dormi bene”.
Attaccò, mentre l’uomo guardava l’orologio che ormai segnava ventidue ore e cinquantotto minuti alla fine.
 
Non dormirò affatto, bimbetta. Credimi, non dormirò.
 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1: - 22 Ore e 58 Minuti ***


.  ... The25THhour.. .
- Capitolo 1
 
- 22 ore e 58 minuti;
 
Emerald era contrariato.
Crystal lo aveva avvertito che avrebbe dovuto intraprendere un viaggio nella vicina Adamanta perché secondo i calcoli di Green sarebbe stato lì che la Cometa Millennium sarebbe caduta, ma non gli aveva detto che avrebbe dovuto salire mille gradoni di granito, scavati nella grossa montagna al centro della regione.
Era stata una faticaccia, per altro s’era visto costretto ed invitato dal profumino d’uno chalet verso la metà degli scalini ad entrare ed a rifocillarsi in quella struttura un tantino fatiscente, un tantino vecchia, un tantino evocativa.
S’era addormentato con la testa sul bancone e poi s’era rimesso in marcia.
Una volta arrivato sulla cima la neve era ben distesa, come una coperta candida, sul terreno pieno d’erba bruciata dal freddo e sul tetto del tempio.
Il ragazzo si strinse nel suo piumino verde e fece la sola cosa che avrebbe avuto senso fare: alzò la testa.
Sulla cima le luci artificiali erano poche. Una in particolare era parecchio invadente, un grosso riflettore sull’ingresso del tempio. S’avvicinò e, con l’ausilio delle sue mani allungabili, staccò lo spinotto del faro, immergendo nel buio più che totale il Monte Trave.
Solo le stelle ad illuminare il mondo, dall’alto, mentre dal basso altre migliaia di piccole stelle, partivano da Edesea, Primaluce, Timea, ed oltre.
Non poteva quantificare il numero di lampadine accese nell’universo. Ogni volta che si trovava davanti quello spettacolo si sentiva piccolo ed insignificante, schiacciato dalla proverbiale magniloquenza della natura.
Prese l’Holovox e chiamò Crystal. Pochi secondi dopo l’immagine della ragazza fu trasmessa davanti ai suoi occhi, azzurrina.
“Hey, Rald. Novità?”.
Quello scosse la testa, guardando in cielo. “No, Crys, niente ancora. Non mi avevi detto che fosse così difficile questa missione!”.
“Hai trovato difficoltà?” domandò quella.
“Mille scalini!”.
“C’era un montacarichi, alle spalle della montagna, Rald...”.
Quello abbassò la testa e spalancò gli occhi. “E me lo dici soltanto adesso?!”.
“Comunque... La cometa passerà da sud-est verso il quadrante nord-ovest del cielo, quindi focalizzati lì”.
“Avete già scelto i desideri?”.
Crystal fece cenno di no con la testa. “Sceglieranno domani in una riunione di comitato della Lega di Hoenn a cui noi Dexholder di Johto non siamo stata invitati. Decideranno loro”.
“Ok. Ma Ruby è lì, no?”.
“Sì, Ruby sarà presente perché farà le veci di suo padre, ancora in ospedale”.
“Ok. Beh, la cometa è appena passata”.
Attimo di silenzio.
“Me lo dici così?!”.
“Sì. È diretta verso... verso nord-ovest”.
“Te l’avevo già detto, Rald...” sospirò lei, cercando di mantenere la calma.
“Ed è anche caduta da qualche parte... Secondo la mappa...” consultò quello, cacciando la lingua tra le labbra. “... qui dice che è a... Ondalta...”.
Crystal annuì, poi s’accigliò. “Non è Ondalta, quella si trova ad sud... a nord c’è...”.
“Solarea! A nord c’è Solarea!” si corresse lui.
“Ottimo, avverto subito Rocco Petri”.
Emerald continuava a guardare il cielo,  
“Posso andare a dormire, adesso? È notte fonda”.
 
*
- 18 ore e 33 minuti;
 
La sveglia suonò alle 6:24, come ogni mattina da dieci anni a quella parte. Rocco Petri spalancava gli occhi d’acciaio nel buio del mattino ancora acerbo, tendendo gli arti nell’atto di stiracchiarsi, sbadigliando.
Era stanco, l’ansia per quel grande giorno lo aveva tenuto fin troppo sveglio, ma comunque era già a conoscenza della solfa: responsabilità, lavoro... Poi lo stato d’emergenza di Hoenn appena concluso era il sintomo di una pila enorme di carte che lo raggiungeva.
Non si lamentava del lavoro di scrivania, in un certo senso gli piaceva risolvere problemi burocratici seduto sulla sua bella poltroncina di pelle, nella stanza accanto alla Sala d’Onore, ma chiaramente c’era gran bisogno d’aiutare gli sfollati e di appianare tutte le incombenze create dai neoterroristi ambientali che avevano sconfitto poche settimane prima, tramite l’apporto dei Dexholder di Johto ed i Ranger d’Oblivia.
S’alzò, cercando di non svegliare Fiammetta che gli dormiva accanto, quindi andò in bagno. Canticchiava Laila di Eric Clapton mentre l’acqua bollente intorpidiva i suoi muscoli, raffreddati dal gelo di gennaio. Si rasò, come faceva ogni mattina ed infilò i boxer.
Doveva vestirsi.
Tornò in stanza, Fiammetta aveva avvertito la mancanza dell’uomo nel grande letto e s’era posta in diagonale.
Era seminuda, indossava slip ed una canottiera che era inevitabilmente salita in alto, scoprendole ombelico e torace, fino ai seni.
Irrequieta ed incandescente, Fiammetta riusciva a rimanere immobile soltanto quando Rocco la stringeva tra le sue braccia.
E fortuna che fuori la temperatura baciava i quattro gradi centigradi, in estate sarebbe stato improponibile dormirle accanto: il suo sangue era bollente.
Ma poi la osservò meglio, con quei capelli lunghi e spettinati, rossi come il fuoco e sparsi a raggiera sopra le lenzuola. S’era scoperta, evidentemente aveva caldo.
Con lo sguardo carezzò la pelle rosea della donna, indugiando sul collo, sui seni sotto la canottiera e poi sulla zona dell’ombelico. Le gambe strette erano lunghe e sottili.
Ed i piedi: congelati. Insomma, aveva il sangue bollente ma era pur sempre una donna.
Le si sedette accanto e le poggiò una mano sulla pancia.
Era calda.
Le dita dell’uomo invece erano fredde e lei compresse il volto in una smorfia di fastidio, bastevole a fargli capire che dovesse levarle.
“Fiammetta... È ora di svegliarsi”.
Quella emise una sorta di muggito, girandosi dall’altra parte, dandogli la schiena.
E lui ne abusò. Con lo sguardo, s’intende.
Le carezzò la coscia e poi le si stese affianco. Il suo corpo era freddo per via della doccia ed aderì contro quello bollente della ragazza; parvero trovarvi sollievo entrambi.
“Buongiorno...” concluse lui, ed ormai non c’era più nulla da fare, Fiammetta s’era svegliata.
Odiava quel momento della sua giornata. Nonostante fosse una persona attivissima, piena di vita, esplosiva al massimo, avrebbe passato metà del suo tempo a caricare le batterie.
E pareva anche giusto, dato che quella sostanzialmente viveva due problemi esistenziali:
 
  1. Per una questione congenita, insita all’interno del suo animo, nello stomaco, nel petto, nella testa, non riusciva a dormire più d’un paio d’ore senza svegliarsi. Come una cretina, controllava d’essere ancora viva e poi ricadeva esanime sul suo cuscino.
  2. Andava a dormire troppo tardi. Certo, col passare del tempo le cause erano mutate, diventate molteplici e spesso si erano accavallate tra di loro, finendo di fatto per allungare ancor di più le sue giornate; inevitabilmente, finiva spesso per vedere l’alba prima d’accasciarsi sul letto senza energie. Adolescente, passava il suo tempo per le vie di Cuordilava con gli amici della sua combriccola, divenuta Capopalestra invece doveva regolare conti e bilanci, oltre che allenare come si doveva i suoi Pokémon.
    In quel periodo, infine, il suo sonno lo stava rubando Rocco, con quei baci, e quelle mani, e gli addominali scolpiti ed i sorrisi. Ed i gemiti.
    Il piacere stava saccheggiando le sue notti.
 
Fatto stava che ogni mattina si rendeva conto quanto fosse stato un errore enorme non essere andata a dormire prima, mentre abbracciava il cuscino ed un raggio di sole le apriva gli occhi pian piano.
Quel giorno non fece differenza.
Sentiva le braccia forti di Rocco che la stringevano, il suo petto freddo dietro la schiena.
“... Mi stai tirando i capelli...” disse, con voce compressa.
“Scusami” rispose l’altro, alzandosi e facendola girare verso di lui. Gli occhi vermigli della ragazza s’aprirono verso i suoi, bucandoli con un sorriso.
“Oggi è il grande giorno...” sospirò lei; provava un misto d’ansia e timore assieme ad una grande carica adrenalinica. Cioè, l’avrebbe provata una volta alzatasi.
“Già. Pat sarà sicuramente già sveglia”.
“Pat qui, Pat lì...” sbuffò lei, spingendolo e voltandosi. Abbassò la canottiera sulla pancia e prese un elastico dal comodino accanto al letto, mettendolo attorno al polso, quindi s’alzò.
“Fai presto... T’aspetto di sotto per la colazione...”.
“Un tempo a quest’ora cenavo” sospirava lei, sfilando verso il bagno della stanza sotto gli occhi da lupo di Rocco. Lei preda ingenua, lui predatore famelico.
 
Il Campione stava versando del succo d’arancia da una grande brocca in un bicchiere quando Fiammetta comparve in cucina. Rocco alzò la testa, vedendola in pantaloni e giubbino di jeans con sotto una maglietta nera.
Portava un orologio, al polso.
Ed era strano, perché non li indossava mai.
I capelli erano stati legati alti, come faceva sempre, ma erano gli occhi ad attirare più di tutti l’attenzione dell’uomo: vividi, ardevano di quel fuoco che bruciava nel suo cuore nei momenti in cui c’era bisogno di quella marcia in più.
Quando c’era bisogno d’una svolta, Fiammetta aveva quegli occhi lì.
“Sei bellissima stamattina” fece lui, levando la sedia dal tavolo per permetterle di sedersi. Quella sorrise, arrossendo. “Grazie mille” rispose.
Rocco andò verso i fornelli e portò verso il tavolo una scodella, riversando nei due piatti della macedonia di frutta fresca. Versò poi del latte in due bicchieri e si sedette.
Fiammetta sorrise: le piaceva il fatto che il suo uomo le preparasse la colazione; lui sapeva cucinare molto bene, ma lei era più brava.
“Ho sentito Leslie, prima” fece lei, addentando la colazione.
“Oh... Forse è un po’ presto per chiamare le persone, no?”.
“Dovevo sapere come stesse Jarica, Rocco. Comunque dormiva. Sta bene.”.
Lui annuì. Da quando quell’onda di calamità s’era abbattuta sulla loro regione, Fiammetta s’era vista costretta a consegnare sua sorella Jarica a Leslie, la tata di famiglia, che per sicurezza s’era trasferita a casa di Alice, Capopalestra di Forestopoli.
Non la vedeva da una settimana e la mancanza cominciava a farsi sentire.
“Bene. Ricordi tutto quello che dovrai fare?”.
“Sì. Il viaggio ad Adamanta è prenotato per oggi alle 12.00. Dopodiché dovremmo andare verso il corpo della stella sul suolo e infine catturare Jirachi. Lo portiamo a te, tu esprimerai i tre desideri ed io potrò tornare a dormire...”.
“Uhm...” sospirò lui.
“Che c’è, ora?”.
“Tu dormi troppo”.
“E tu ti svegli troppo presto!”.
“Ho tante cose da fare, devo per forza svegliarmi presto” rispose sorridendo quello.
“Io invece non ho nemmeno una Palestra, quindi sono idealmente libera da ogni impegno prima delle 14:00”.
Cuordilava era stata sommersa dalla lava, lei ricordava ancora il momento in cui aveva dato le sue dimissioni, sentendosi colpevole per qualcosa che non avrebbe potuto contrastare. Ma aveva messo tutto a posto, lei con i ragazzi di Johto. Ed i Ranger.
Rocco sorrise ancora. “Facciamo presto ed andiamo”.
 
“Allora...” fece Rocco, zittendo le voci che si incontravano in quel chiacchiericcio selvaggio. La Lega di Hoenn al completo, o quello che ne rimaneva, era seduta attorno ad un tavolo ovale. Mancavano Norman, sostituito da un Ruby più che cupo, oltre a Tell, Petra e Rudi, e tutti i Superquattro.
“La situazione è semplice. Grazie al supporto di Emerald,  e di Crystal, Dexholder col titolo di Catcher di Johto, siamo riusciti a localizzare la Cometa Millennium”.
“Dove si trova?” chiese Pat, con la treccia ben sistemata che cadeva davanti, sul suo petto.
“Adamanta” rispose Alice, informata dei fatti. “La cometa è caduta tre ore fa ad Adamanta. Tu, Pat, assieme a Fiammetta, sarai parte della rappresentativa della Lega Pokémon per il recupero del leggendario Pokémon Jirachi” faceva la donna, vedendo Adriano annuire, come se stesse recitando a memoria le battute d’un copione trito e ritrito.
“Va bene. A cosa servirà?” domandò quella di Verdeazzupoli, tamburellando con le dita sul tavolo, innervosendo un già più che teso Ruby.
Alice ed Adriano si scambiarono uno sguardo che si spostò automaticamente verso Rocco. Quello s’alzò in piedi e prese a camminare lungo la grande sala, fino a raggiungere l’ampio finestrone che, dall’alto della grossa scogliera che altro non era Iridopoli, dava la vista pietosa d’una Hoenn distrutta e dilaniata.
“Rudi e Petra... Tell. Sapphire...  tutti i Superquattro, e migliaia di altre persone. Sono tutti morti per mano di Groudon e Kyogre, Pat”. Fiammetta incrociò lo sguardo di Ruby e quello non lo riuscì a sostenere, abbassandolo.
Rocco continuava a parlare. “I danni alle costruzioni ed al territorio sono stati devastanti... Le Cascate Meteora ed il Monte Pira sono crollati, Porto Selcepoli e Bluruvia sono sott’acqua... Cuordilava è stata ricoperta dalla lava ed il deserto ha raggiunto Ciclamipoli... per non parlare dei danni derivati dai forti terremoti, l’Università di Ferrugipoli è crollata, come anche la volta del Tunnel Menferro e la Palestra di Verdeazzupoli... La gente di Hoenn non si riprenderà molto in fretta, ma cominceremo con restituire loro i posti dove vivevano, e le persone care che hanno perso ingiustamente”.
“Questo con i desideri di Jirachi” puntualizzò Walter, ridendo. “Hai presente le Sfere del Drago?”. Partì poi con una delle sue risate sguaiate.
“Più o meno...” annuì Rocco. “Ragazze” disse poi, voltandosi verso le due incaricate. “Hoenn è nelle vostre mani”.
Pat e Fiammetta vivevano un dissidio non indifferente all’interno dei propri animi: era per entrambe l’occasione di riscattarsi dagli errori commessi durante l’apocalisse che aveva colpito Hoenn qualche settimana prima. Pat, per esempio, non era riuscita a proteggere Tell, suo fratello, quello più grande di tre minuti e venticinque secondi, dai grandi occhi violacei ed i lunghi capelli neri, legati. Era bellissimo e ricordava, lei, la sensazione di dolore e vuoto, sconfitta e baratro, che aveva provato quando vide spuntare dalle macerie della sua Palestra la mano esanime di suo fratello.
Aveva aiutato gli specialisti suo malgrado, aveva fatto tutto ciò che era nelle sue possibilità per mandare avanti la missione di cattura di Groudon e Kyogre ed aveva visto i cattivi perire.
Ma il vuoto nel suo cuore non s’era colmato quando in quelle notti fredde sentiva la sua casa, la loro casa, silenziosa come non mai.
Per Fiammetta era un altro paio di maniche. Lei si sentiva profondamente responsabile di Cuordilava, il suo paese, quello che era stato sotto l’egida della famiglia Moore, la sua famiglia, per intere generazioni. Il Monte Camino, il grosso vulcano sulle cui pendici era costruito il villaggio, aveva eruttato in seguito ad un grosso terremoto con epicentro poco al di sotto d’una camera magmatica ricca di gas sulfurei. Vulcanologia a parte, un’onda rossa si stese lungo tutto il fianco del Monte Camino e si riversò tra le case, sommergendole di materiale piroclastico e lavico. Una piana distesa e sopraelevata che puzzava di zolfo, Cuordilava era diventata quello; la gran parte della gente era rimasta intrappolata nelle proprie case, morte con la lava nei polmoni e la pelle fusa. I pochi superstiti, orfani di padri e madri, vedovi e vedove, genitori di figli uccisi, si riunirono in salvo, dove venne dato dell’incompetente a Fiammetta, che alle cinque del mattino, orario dell’eruzione, non era riuscita ad evitare il tutto.
Aveva abdicato ed era andata via, in cerca di redenzione.
Ma casa sua non c’era più.
Erano le persone più motivate tra quelle presenti a quel tavolo. Oltre a Ruby, un sempre più spento Ruby. Tutti lo guardavano, mentre si rodeva gli intestini col veleno che stava ingoiando.
E quegli occhi sembravano accusarlo, deriderlo delle catene che gli erano state imposte.
Esplose.
“Dovrei essere io a partire! Dovrei essere io ad andare avanti e ad aiutare Sapphire!”.
Tutti rimasero in silenzio, sbalorditi. Adriano, da sempre reputato dal giovane un mentore, gli mise una mano sulla spalla, cercando di calmarlo; mano che lui cacciò via con rabbia.
“Non m’interessa nulla delle vostre giustificazioni! E se loro fallissero? Dovremo aspettare altri mille anni per vedere Jirachi! No, non c’è alcun modo di fermarmi qui!” scattò all’in piedi, facendo per andarsene. Ma Adriano lo afferrò per un polso.
“Fermati” tuonò poi, e la sua voce rimbombò nella fredda sala, sotto gli sguardi attoniti delle persone.
Adriano si alzò, sempre con la mano stretta attorno al polso del giovane, tuffando i suoi occhi in quelli rubicondi dell’interlocutore, inquinandoli con un’insana tranquillità portata dalla saggezza e dall’esperienza.
“Non è il tuo compito. Tu sei importante qui ad Hoenn. Devi darci una mano”.
“Io... io devo pensare a Sapphire, Adriano!” fece il ragazzo, con le lacrime ancora incredibilmente ferme sulle rime inferiori degli occhi, appoggiate alle ciglia, come su delle balaustre anticaduta.
“Se può valere a qualcosa...” si sentì Fiammetta dalle retrovie. “Io darò tutta la mia vita per concludere questa missione... Sapphire era anche una mia amica, ma sarei ipocrita se dicessi che partecipi a questa spedizione soltanto per lei... Io penso a Cuordilava. Pat anche, suppongo sia dispiaciuta per Sapphire, ma nella sua mente c’è soltanto sua fratello Tell, ne sono sicura. Di motivi per agire ne abbiamo, e non lasceremo che nulla ci possa passare avanti”.
Rocco le donò un sorriso dolce, annuendo.
“Darò tutto” s’aggiunse Pat. “Inoltre tu non sei tranquillo, e questo potrebbe creare problemi”.
“Anche tu hai perso un tuo caro! Perché dovresti partire?! Chi dice che tu sia tranquilla?!” urlava Ruby, quasi scagliandosi contro la ragazza, trattenuto ancora da Adriano.
Walter fece spallucce. “Beh, innanzitutto non vuole uccidere nessuno” e poi sorrise.
“Chiudi il becco, Walter!” lo fulminò il Dexholder.
“Ha ragione” Alice difese il Capopalestra di Ciclamipoli. “E non mancare di rispetto ad un membro della commissione, per altro più anziano di te”.
Ruby venne smontato da quelle parole e si perse nelle sue lacrime, poi strattonò il braccio e lo liberò dalla presa di Adriano, uscendo fuori furibondo.
“Seguilo...” ordinò Rocco al suo compagno di merende. Si voltò poi verso le ragazze. “È ora di andare”.
 
Porto Alghepoli era stata la prima città ad essere presa di mira dai processi di ricostruzione, essendo il porto principale d’ingresso e di uscita di Hoenn. Certo, le crepe tra le mattonelle della pavimentazione e parte della banchina crollata erano rimaste, ma s’era installata una nuova società navale, più temeraria rispetto alla precedente, la quale aveva abbandonato le tratte di Hoenn dopo i disagi dei mesi passati. Questa nuova compagnia garantiva viaggi verso tutti i porti limitrofi.
A Porto Alghepoli il sole splendeva. Era quel sole che dava luce bianca, che non riscaldava. Avvolti nelle proprie giacche, Rocco, Pat e Fiammetta camminavano lungo la banchina. Alle spalle c’era il grosso plesso residenziale, interamente crollato. C’era anche la casa d’un noto artista, da quelle parti, emigrato via da Hoenn l’anno prima del secondo risveglio di Groudon e Kyogre.
L’anno in cui Rocco era morto. Sorrideva a ripensarci, mentre i brividi accoglievano la muscolatura dell’uomo ed i suoi nervi in una stretta morsa. Ricordava il bacio freddo della vita che lo salutava, che percorreva l’intera lunghezza delle sue vene per volare via in una spirale incandescente, lasciando su di un pavimento sporco di polvere un corpo vuoto.
Lui era morto ed era tornato in vita.
Ed aveva conosciuto la bella ragazza dai capelli rossi che camminava con lo sguardo distratto, mentre le onde s’infrangevano contro il cemento stanco della banchina. Venti metri più avanti c’era la MN Prima, l’aliscafo che avrebbe portato Fiammetta e Pat ad Adamanta.
E camminavano, in un silenzio teso e pesante, fastidioso come un pizzico sottile.
“Lo avrò detto migliaia di volte ma voglio...” Rocco decise d’abbattere la barriera del silenzio.
“Sì, Rocco, abbiamo capito!” tuonò infastidita Fiammetta, dandogli una leggera spinta. L’uomo sorrise, ed anche Pat lo fece.
“Siete una bella coppia” aggiunse la più piccola dei tre.
“Grazie” arrossì l’altra. “Comunque stai tranquillo” si rivolse all’uomo. “Faremo tutto ciò che in nostro potere per riuscire a concludere il nostro compito”.
La nave stava per salpare. Rocco strinse la mano a Pat, serio, e poi si soffermò su Fiammetta.
Sulla sua donna.
Le prese entrambe le mani e poggiò la fronte alla sua, baciandogliela poi. “Io mi fido di te”.
Fiammetta attese qualche secondo prima di sorridere, come sorride qualcuno che viene consolato da qualcosa di brutto, e di rispondere. “Grazie” fece.
“Ora vai’” chiuse lui, dandole un bacio appassionato.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2: - 16 Ore e 26 Minuti ***


.  ... The25THhour.. .
- Capitolo 2
- 16 ore e 26 minuti;
 
La Prima attraversava il mare velocemente, tagliando le distanze tra Hoenn ed Adamanta in maniera radicale. Durante il viaggio, Pat e Fiammetta avevano studiato l’intera regione.
 
“Crystal, ciao, sono Fiammetta”.
Sei arrivata?”
“Non ancora, siamo sull’aliscafo”.
“Bene. Allora: hai la cartina di Adamanta davanti, come ti avevo detto?”.
“Sì, è qui”.
“Benissimo. Adamanta si sviluppa attorno a Timea, la città centrale e capoluogo della regione. È la zona più sopraelevata, a livello d’altitudine, ma non dovrebbe interessarvi. Altre grandi città della regione sono Edesea e Solarea, per altro davvero carina e suggestiva. Voi sbarcherete in quest’ultima” disse, mentre la linea della sua voce veniva interrotta dalle interferenze. “Una volta lì dovrete recarvi ad est, probabilmente, e cercare con perizia il luogo del risveglio di Jirachi... quando lo troverete dovrete catturarlo”.
Non sei tu la Catcher?” domandò poi la rossa, sbuffando.
“Sì, ma Rocco ha spinto per far partire voi due. Poi qui a Johto c’è ancora parecchio da fare e...”.
“Va beh, ho capito, tranquilla” fece nuovamente, vedendo Pat seria davanti a lei.
“Quando lo avrete catturato tornate di corsa ad Hoenn e poi prendetevi una bella pausa, al resto ci penseranno Rocco, Alice ed Adriano”.
 
E conclusero la conversazione. Fiammetta vedeva Pat con la fronte poggiata sul vetro, silenziosa. La ragazza di Cuordilava credé immediatamente al suo cuore quando questo gli suggerì che il pensiero della moretta fosse vicino all’immagine del fratello, a quella mano esanime e fredda sotto le macerie della Palestra che tanto avevano amato.
“Patricia...” esordì poi, con un accenno di sorriso, sperando fosse contagioso.
E di fatti quella seguì l’espressione divertita sul volto. “Solo mia nonna mi chiamava così”.
“Infatti scherzavo. Come vanno le cose? Ancora non ho avuto l’opportunità di chiedertelo”.
“Beh, è ancora... strano” concluse, dopo una pausa. Staccò la fronte dal vetro e si mise dritta, accavallando le gambe, urtando la coscia contro il ginocchio di Fiammetta.
Le chiese scusa, poi continuò a parlare. “Sai... Siamo nati insieme. Cioè, lui qualche minuto prima di me”. Si levò un ciuffo corvino dallo sguardo e poi continuò a parlare. “Essere gemelli è strano, ti rivedi in qualcuno che non sei tu. Certo, eravamo molto diversi, Tell era vulcanico e pieno di vita. Molto più di me, almeno...” sorrideva dolcemente. “Anche il fatto di essere... Come dire? Speciali? Ecco, ci ha sempre fatti tenere per mano. Se sono qui è perché non sono pronta a lasciare la stretta di mio fratello”.
Fiammetta vedeva il volto delicato della donna incupirsi e combattere contro lo stimolo di piangere, mentre lo sguardo si piegavano verso il basso.
“È bellissimo il rapporto che avete stretto. Con mia sorella è molto differente”.
“Hai una sorella?”.
“Sì. Beh, Jarica. L’abbiamo adottata, l’ho trovata quattro anni fa mezza morta nel Passo Selvaggio. L’ho rifocillata e curata, aveva una forte febbre. Poi l’ha adottata mia madre e figura come mia sorella, anche se è in tutto e per tutto come una figlia, per me”.
“La stai crescendo tu”.
“Sì, assolutamente!” esplose lei, in una di quelle strane botte d’entusiasmo che la coglievano di tanto in tanto. “E stranamente mi somiglia anche! Che cosa insolita!”.
Fiammetta prese il cellulare e mostrò a Pat una foto in cui le due sorelle si stringevano, sorridenti. Pat riconobbe che Fiammetta fosse realmente bellissima e che, con lei, anche quella bimbetta con un incisivo mancante sarebbe diventata davvero bella, una volta adulta.
Con quegli occhi rossi, e le fossette accanto alla bocca carnosa.
Ed i capelli rossi, spettinati ed arruffati.
Si assomigliavano davvero molto. Quasi incredibile, a pensarci.
“È meravigliosa...” sorrise Pat.
Fiammetta ripose il telefono e poggiò la testa sulla poltrona, mentre ricordi bollenti di qualche notte precedente alla partenza salivano a galla: Rocco, i suoi baci, le sue braccia forti, le spinte del suo corpo contro il suo. Ed ancora, i sospiri, i gemiti, il calore, il freddo, la stanchezza, le urla.
L’abbraccio alla fine.
S’era innamorata, sentiva la consistenza delle nuvole sotto le mani, così soffici, così profumate.
Come ovatta.
Ed il cullare delle onde sulle quali la motonave passava conciliò il sonno ad entrambe.
 
Fu la sirena della nave a svegliare Fiammetta. Pat era già in piedi, mentre prendeva lo zaino di Fiammetta e lo poggiava sulla poltrona dov’era seduta.
“Oh, sei sveglia” fece, prendendo lo zaino che le apparteneva ed indossandolo. “Stiamo per attraccare”.
Fiammetta sbadigliò e stropicciò gli occhi con gli indici, stirò le gambe e si alzò. “Siamo arrivate?” chiese, per conferma.
“Sì. Hai dormito per tutto il tempo”.
“Oh... Mi spiace non esser stata di compagnia...”. Infilò lo zaino e si avviò verso il ponte, seguita dall’altra.
“Tranquilla. Quando non ho niente da fare esploro”.
Fiammetta si voltò, sulla scalinata verso l’uscita, in basso, facendo un’espressione corrucciata.
“Esplori?”.
“Sì” rispose l’altra. “Viaggio con la mente, lontano. Vado lontano, conosco persone... Certo, loro non mi parlano, non mi vedono neppure, però è un modo per allenare le mie capacità e tenere la mente occupata”.
Fiammetta rimase stupita ed uscì fuori. Finalmente, avrebbe aggiunto; Solarea era un paese decisamente carino. Certo, i recenti terremoti avevano creato grandi fratture all’interno della pavimentazione stradale, che sembrava molto antica. In tutta la città risiedeva uno spirito di calma e monumentalità che aveva osservato soltanto a Ceneride.
Pat notava come molte persone stessero ancora lavorando alla ricostruzione della parte finale del molo, con grossi blocchi di tufo trasportati da forti Machamp. Era crollato per via dei sismi dei mesi precedenti, come anche alcuni palazzi del centro.
“Qui è parecchio carino” fece la rossa, salendo le scale del porto ed entrando nella piazza principale. Nonostante fosse ancora gran parte ancora disastrato, in quel paese la vita brulicava calda, con le sue mille sfumature. Dapprincipio erano quattro i grandi palazzi bianchi, con le finestre in legno e le porte ornate da eleganti archi intarsiati, poi uno era rovinato su se stesso, lasciando un vuoto che permetteva d’intravedere una lunga strada costeggiata da casette piccoline ed eleganti, interamente costruite con pietra gialla e tetti in legno.
Il centro della piazza vedeva una grande fontana con scolpito un imponente Kingdra che emetteva bellissimi getti d’acqua baciati dal sole di mezzogiorno.
Miriadi di persone passeggiavano, chi in maniera rilassata, godendosi il sottofondo del canto del mare, chi invece stringeva la mano del suo amore, col cuore nella testa e la testa nello stomaco e lo stomaco in gola. C’era, davanti alla fontana, un bravissimo sassofonista che riproduceva alla perfezione dei pezzi di John Coltrane e più in là, verso la parte nord, un giocoliere faceva roteare dei birilli mentre si manteneva in equilibrio su di un monociclo.
Camminavano tra la folla i diversi carretti che vendevano caldarroste, qualcuno anche zucchero filato. Un ragazzino con una coppola in testa trascinava un box pieno di bibite, vendendo Lemonsucco e Gassosa assieme al suo Aipom.
“Suggestivo” sorrise Fiammetta, che adorava quelle scene così calorosamente popolari.
Pat invece si sentiva piuttosto a disagio nello stare fisicamente in mezzo a tante persone. “Dobbiamo trovare subito il punto di schianto delle stelle... Jirachi ne sarà stato sicuramente attratto” fece.
Fiammetta annuì, quindi portò le mani ai fianchi. Un uomo, col cappuccio nero alzato sulla testa, la urtò sbadatamente. “Mi scusi” disse, senza manco voltarsi.
Camminava con fretta verso un vicolo, in cui s’immise e scomparve.
“Che fretta che aveva... non mi ha neppure guardata in faccia”.
Pat sospirò, vedeva attorno a quell’uomo un’aura di colore blu, fredda ed impaurita.
Se si concentrava riusciva vedere i sentimenti che avvolgevano le persone, come se vi fossero immersi totalmente.
“È molto preoccupato...” concluse la moretta.
“Già però... dovremmo chiedere a qualcuno”. Un Wingull s’alzò in volo poco vicino a lei, perdendo una piuma che finì nella fontana, quindi Fiammetta s’avvicinò al ragazzino con la coppola che vendeva bibite.
“Ciao” disse quello. “Vuoi una bibita? Ho Acqua Fresca, Lemonsucco, Gassosa, Succo di Bacca, cola, chinotto e soda”. Gli occhi erano scuri e riflettevano lo sguardo divertito della ex Capopalestra di Cuordilava. Anche i capelli, sotto il copricapo, erano neri come la pece.
“No, non voglio una bibita, mi servono delle informazioni e...”.
“Io non so niente, sto solo vendendo bibite”.
“Ma una domanda! Devo fare solo una domanda!” esclamò sorpresa Fiammetta.
Il ragazzino si perse per un attimo nelle iridi di fuoco della donna ma poi le spostò verso il centro della piazza. “Acqua Fresca! Lemonsucco! Gassosa!” urlava, mentre Aipom spingeva da dietro il cassone con le rotelle, che pareva essere parecchio pesante.
“Ma...”. Fiammetta era rimasta sbigottita, mentre Pat rideva.
Già, era parecchio divertita. L’aura attorno a quel bambino era dorata. “È cresciuto in strada, dare per avere” spiegò quella. “Non tutti sono felici di aiutare gli altri. Spesso devi dare qualcosa in cambio. Aspetta, ragazzino!” urlò poi la moretta.
L’Aipom saltò sulla cassa che quello stava tirando e poi salì sulla coppola del ragazzino, con un balzo.
“Che c’è, Penny?” domandò questo. Il Pokémon indicò con la coda in direzione delle due ragazze e lo costrinse a voltarsi. Sbuffò, quella volta la rossa era indietro, a braccia incrociate, mentre sbuffava; infatti si stava avvicinando la moretta con la treccia.
“Scusa la mia amica... Vorrei una Gassosa”.
Gli occhi del ragazzino s’illuminarono. “Ok, ma voi siete due”.
“Hai ragione, dammene due e tieni il resto. Ora puoi rispondere ad una domanda?”.
“Beh, avete guadagnato un po’ del mio tempo” sorrise quello, prendendo due Gassose fredde e mettendole nelle mani di Pat.
“Vorremmo sapere se c’è una Palestra, qui nei dintorni”.
Gli occhi del ragazzino s’illuminarono. “Certo! Rupert allena Pokémon d’acqua nella Palestra che è proprio alla fine di quella strada!” indicò il ragazzino col dito la cui unghia era mezza mangiucchiata.
“Grazie piccolo. Come ti chiami?”.
“Ora vuoi sapere qualcosa che non è compreso nella tariffa di due Gassose”.
“Beh, riuscirò a vivere senza saperlo... Bernard” sorrise Pat, andando via e posando tra le mani di Fiammetta una delle due Gassose. Il ragazzino rimase lì, stranito, e prese a correre dietro alle due forestiere.
“Come fai a sapere questa cosa?!” chiese, mantenendosi la coppola con la mano mentre si sforzava nel tirare il carretto. “Io non ti ho detto il mio nome!”.
Fiammetta e Pat non rispondevano, camminando svelte zaino in spalla fino allo svincolo della piazza nella grande via principale di Solarea.
“Hey, ho fatto una domanda! Rispondete!”.
Fiammetta si girò, accigliata. “E quanto saresti disposto a pagare per quest’informazione?!”.
Bernard emulò l’espressione accigliata della ragazza e sbuffò. “Dovete dirmelo!”.
“Avanti” sorrise ancora Pat, che di certo non voleva dire a tutti di essere in grado di far implodere gli organi interni alle persone con un po’ d’applicazione.
Doveva essere un segreto, più o meno. Almeno lì ad Adamanta.
“Rispondimi!” urlava il ragazzino continuando a trascinare il carretto pesantissimo.
 
Ma le ragazze erano più veloci e riuscirono a dribblare i passi del giovane e ad arrivare per prime alla Palestra di Rupert. Era grande, enorme, ed all’interno si sentiva il rumore delle onde infrangersi. Fiammetta odiava quei luoghi. In ogni caso, dopo uno sguardo scambiato con la sua compagna d’avventura aprirono la porta ed entrarono.
L’odore della salsedine pervase i loro polmoni e lo stupore le costrinse ad alzare in alto gli occhi: il tetto era composto da tante lastre di vetro.
“Wow...” disse Fiammetta, a bocca aperta, immaginando una notte passata in quella Palestra.
“È per la pioggia” tuonò una voce baritonale. “Vedere la pioggia che cade è un’esperienza da fare... Ti fa sentire in balia degli eventi. Ed in un mondo in cui ci vantiamo di riuscire a controllare tutto, vedere qualcosa che non possiamo gestire è meraviglioso”.
Pochi passi ed un uomo anziano dalla perfetta forma fisica apparve dalle retrovie della Palestra. La barba candida era stata spazzolata da poco tempo, risultando lucida ed ordinata. Anche i capelli erano ben ordinati. Quell’uomo dava un senso di calma incommensurabile, soltanto allo sguardo; la pacatezza di ogni sua movenza, l’eleganza sapiente di ogni sguardo che elargiva facevano di lui un cavallo raro, un purosangue della vecchia scuola.
Fiammetta lo guardò, sorridendo educatamente. “Buongiorno. Lei è Rupert, vero?”.
Quello annuì, con un rapido movimento della testa, quindi fece un mezzo inchino alle ragazze. “In persona” fece. “Sono il Capopalestra di Solarea, maestro di tecniche d’Acqua”.
“Piacere mio” rispose la rossa. “Io sono Fiammetta Moore, Capopa... Ex Capopalestra di Cuordilava, Hoenn. Assieme a Pat, ovvero lei...” la indicò, poi continuò: “... siamo giunti in questa regione per un’importantissima missione legata alla ricostruzione delle nostre zone...”.
Rupert annuì sommessamente. “Vi conosco, vi ho viste in uno dei convegni dell’Unione Lega Pokémon; sono a conoscenza dei grandi cataclismi che hanno causato il collasso di Hoenn. E so anche che voi due siete tra i coraggiosi eroi che hanno riportato la pace”.
“Beh, abbiamo dato una mano” sorrise la rossa.
“Non siate modeste, Rocco mi ha raccontato tutto”.
Pat esordì. “Ci ha detto infatti che vi conoscevate”.
“Lui è stato per qualche tempo in questi luoghi ed ho avuto il piacere d’incontrarlo: una brava persona”.
“Molto” confermò l’altra.
“Che ci fate qui, allora?”.
Fiammetta guardò Pat; questa si prese la responsabilità di scegliere le parole adatte.
“Bene... Ci serve sapere se per caso può indirizzarci verso il luogo sono cadute delle stelle, nelle scorse ore”.
Rupert sembrò sorpreso dalle parole che ascoltava. “Beh, si vocifera sia passato uno sciame di stelle proprio su Campo Miracielo, ad una ventina di chilometri da qui, verso est”.
Fiammetta sorrise. “La ringrazio di cuore; il suo aiuto è preziosissimo per Hoenn e la sua gente”.
“Riuscirebbe a portarci lì?” chiese poi Pat.
Subito Rupert scosse la testa. “Mi spiace molto, signorina, ma proprio tra qualche minuto comincerò le lezioni agli allievi più giovani. Capirà che sono soltanto le faccende impellenti di cui sopra a costringermi a non accontentarvi. Perorerò la vostra causa però, e vi affiderò nelle mani di una delle migliori guide della zona. Venite con me” fece il più anziano, avanzando verso l’uscita, seguito dalle due.
La porta s’aprì ed il sole entrò prepotente. Il gruppo uscì e cominciò ad incamminarsi lungo la grande via. Grandi marciapiedi erano gremiti di folla che, nonostante i recenti terremoti, guardavano le vetrine ed entravano nei negozi.
“La vita sta riprendendo anche qui...” sospirò sollevato Rupert, rispondendo con un cenno del capo ad un uomo con in baffi ed il bastone che lo aveva salutato.
“Ad Hoenn ci vorrà qualche anno per vedere questa tranquillità...” sbuffò Fiammetta, con lo sguardo basso. Pat li seguiva silenziosa, col sorriso sulle labbra.
“Mi pare ovvio. Noi abbiamo avuto grandi danni, ma sono soltanto effetti collaterali del lavoro di Groudon. È proprio per via dei terremoti di Hoenn che si sono manifestati sismi qui. Del resto siamo su di un territorio particolarmente propenso a fenomeni del genere”.
Pat annuì poi Rupert continuò.
“Questi sono soltanto gli effetti superficiali, gli strascichi, di quello che è successo da voi. Immagino sia stato devastante...”.
“Sì. Come se non bastasse, oltre a Groudon, anche Kyogre ha sommerso intere zone”.
“Anche noi abbiamo dovuto combattere contro un’onda gigante, poche settimane fa. Fortunatamente c’era qui con noi una ragazza parecchio abile con i Pokémon; si chiamava Rachel Livingstone”.
Fiammetta guardò Pat per un attimo, la vide scuotere la testa e fare spallucce quindi tornò dall’uomo. “Non abbiamo il piacere...”.
“Rachel Livingstone è il motivo per cui siamo tutti qui. È stata lei a placare Arceus”.
Fiammetta spalancò gli occhi: aveva sentito già di quella storia, raccontatale da Lanette ed anche da Rocco. Arceus aveva dato l’ultimatum, Groudon e Kyogre s’erano svegliati per causa sua.
“Quindi è un’Allenatrice leggendaria” concluse la rossa.
Rupert non annuì, né disse di no; rimase semplicemente in silenzio, muovendo lunghi passi sul cemento del marciapiede. “Abbiamo affrontato una brutta sfida... Se penso che adesso saremmo potuti essere soltanto cenere e cadaveri rabbrividisco. Insomma, non sono nient’altro che un vecchio... ho buttato la mia vita nel fare cose effimere, pensando d’esser libero ma senza esserlo stato veramente...”. La sua barba bianca fu attraversata da un soffio di vento. “È per questo che adesso cerco di vivere più intensamente possibile questi ultimi anni che mi restano... Stare a contatto con i giovani, insegnare loro ciò che so... In un certo senso c’è voluto un terremoto per risvegliarmi dal coma in cui sono caduto trent’anni fa, quando ho preso possesso della mia Palestra”.
“Non c’è età per apprezzare la vita” esordì Pat.
Rupert  annuì, sorridendo sotto la folta barba. “Esattamente, cara mia. Solo quando vedi la morte con gli occhi ti accorgi di quanto poco tu abbia fatto nella tua vita e di come una semplice passeggiata tra la folla, il vento sulla pelle... anche il vedere due belle ragazze come voi, possa essere un dono che ci sia stato fatto”.
Fiammetta sapeva perfettamente ciò di cui parlasse l’uomo: aveva abbandonato il suo paese quando praticamente non esisteva più, assieme a Crystal e Silver, cercando un modo per redimersi da quella che credeva essere la sua poca capacità, quell’apatia che la brandiva.
Aveva ritrovato se stessa rimettendosi in gioco, tirando la sua vita via dalle grinfie della morte più d’una volta, salvando quelle dei suoi amici, della sua gente.
Trovando infine l’amore.
 
Rupert si fermò davanti ad una porta, infine. Era di legno massiccio, nero, forse verniciato o forse no, Pat non lo sapeva di preciso.
Di tanto in tanto si fermava a riflettere su cose poco importanti, come al colore della porta che avesse davanti o a quante mattonelle ci fossero complessivamente sul marciapiede che calpestava; così, per far passare il tempo e rilassare il cervello, in attesa d’esprimere tutto il potenziale che avesse a disposizione.
L’uomo bussò e pochi secondi dopo aprì una donna dagli occhi azzurri. Nei capelli neri spuntava qualche filo argentato, stanco come i suoi occhi; la signora, che dimostrava una cinquantina d’anni, sorrise alla vista di Rupert.
“Hey... Che ci fai qui?” fece quella, con voce graffiata. Tossì un paio di volte e schiarì la voce.
“Ciao Marie. Ragazze” fece poi, voltandosi. “Questa è mia sorella Marie. Marie, loro sono Fiammetta e Pat, da Hoenn”.
Gli occhi della donna si spalancarono. “Sono allibita dalle vicende che si sono susseguite nella vostra regione. Se posso aiutare in qualche modo sarò felicissima di farlo”.
“In realtà le ragazze hanno bisogno dell’aiuto di Flynn. È in casa?”.
“No, mio marito è fuori per lavoro, ha accompagnato alcune persone di Kalos ad Edesea”.
“Oh...” disse Rupert, spiazzato, quando poi una voce proruppe sul mormorio della folla.
 
“Tu!” si sentì urlare. “Dimmi come fai a conoscere il mio nome!” gridava un ragazzino, tirando a fatica un pesantissimo carro delle bibite.
 
Rupert lo guardò e poi sorrise. “Ecco la nostra soluzione! Bernard!”.
Fiammetta guardò in cagnesco il ragazzino e poi sospirò, voltandosi per un breve istante. Marie la guardava, ancora nascosta dietro l’uscio.
“Rupert! Questa qui!” fece, puntando l’indice sotto il naso di Pat. “Lei conosce il mio nome ma io non gliel’ho mai detto! Come fa a saperlo?! Chi gliel’ha detto?!”.
Pat non riuscì a nascondere il divertimento che provava. Rupert la guardò e sorrise a sua volta.
“Bernard, non sai chi è lei, vero?”.
Il ragazzino cambiò espressione, spalancando gli occhi e rilassando i muscoli della fronte. “Chi è?” chiese.
“Lei è Pat, Capopalestra di tipo Psico a Verdeazzupoli, Hoenn, maestra di telecinesi. La sua mente è più forte delle nostre braccia” sorrise l’uomo.
“Oh. Allora è per questo che... Beh! Poteva dirmelo prima!”
“Avresti dovuto pagarci, per le nostre risposte” punse Fiammetta.
Rupert s’inserì in tackle. “Lui è Bernard, qui a Solarea lo conosciamo tutti. È un ragazzino tanto sveglio. Bernard, loro sono due Allenatrici molto forti, provenienti da Hoenn. Ed hanno bisogno del tuo aiuto”.
Il ragazzino alzò il volto verso l’alto uomo e s’accigliò. “Ed io che ci guadagno?”.
“Ci guadagni l’orgoglio d’aver salvato centinaia di migliaia di persone, morte fra i terremoti e le inondazioni di Hoenn, del mese scorso”.
“L’orgoglio non si mangia” rispose asettico il ragazzino.
“Andiamo, Bernard! Tuo padre sicuramente non avrebbe tollerato certe risposte! Tu dovresti aiutare il prossimo, soprattutto perché questa è una buona causa”.
“Che dovrei fare?” chiese poi, con gli occhi sottili e le labbra increspate.
“Dovrai condurci a Campo Miracielo” rispose Pat. “Dobbiamo esaminare le stelle cadute questa notte”.
“Fin lì?! Impossibile, ci vorranno almeno due giorni di cammino tra andata e ritorno e...”.
“Non esagerare” sorrise Rupert, dandogli una pacca affettuosa sulla spalla. Pacca che risultò lo stesso energica e che gli fece cadere la coppola dalla testa.
“Ho un business da portare avanti, io! Che credi, che appena me ne andrò le mie bibite si venderanno da sole?! E che do da mangiare ad Aipom, pacche sulle spalle e parole d’incoraggiamento?!”.
“È un problema economico?” chiese poi Fiammetta.
“Sì! No. Non solo... se mi allontanassi per più di un giorno dalla piazza sono sicuro che Billy Grimes mi ruberebbe il posto! Quel tipo è uno sciacallo e vende roba di seconda mano!”.
“Bibite bevute e risputate?” chiese ancora la rossa.
“Molto probabilmente sì. E poi quel ragazzo mi è sempre stato antipatico... Comunque, non posso assolutamente accompagnare queste due”.
Rupert s’accigliò ed incrociò le braccia, serissimo. “Bernard” tuonò lui. “Stai facendo fare una pessima figura ad Adamanta”.
Quello fece spallucce. “Ce ne faremo tutti una ragione” disse, voltandosi verso il carretto e riprendendo a trascinarlo, quando il più anziano lo tirò per il colletto della camicia gialla e consunta.
Gli occhi scuri del giovane guardarono il cielo limpido, per un attimo, almeno prima che Rupert lo riportasse indietro.
“Bernard, ti faccio una proposta... Ti pagherò tutte le bibite che hai nel carrello se accetterai d’accompagnarci in questo viaggio” disse poi Pat.
Quello spalancò gli occhi. “Guarda che sono tante bibite! Hai tutti questi soldi?!”.
Pat fece una smorfia. “Io sto andando a salvare la vita di mio fratello, in questo momento, e per me non ha prezzo... Anche lei salverà tutta la gente del suo paese”.
“Sono tutti... morti?” domandò ancora il moretto.
Fiammetta annuì. “Pochi superstiti”.
“Quindi... potrei aiutarvi a riportare in vita delle persone innocenti, come tuo fratello e la tua gente?” s’accertò ancora lui, timido.
Fu Pat ad annuire, quella volta.
“Allora non fa nulla, ragazze, vi aiuto con piacere, non dovrete pagare nulla...”.
Rupert sorrise e gli diede un’altra delle sue energiche pacche sulla spalla.
“Così si fa, giovanotto!”.
“Sì, ma... qualcuno dovrà conservare il carretto e tenere le bibite in fresco per me” disse Bernard, mantenendo la coppola con la mano.
L’uomo annuì e sorrise, sotto la folta barba. “Mia sorella Marie sarà più che felice di mettersi a disposizione. Vero, Marie?”.
“Senz’altro” rispose quella. “E mi raccomando, state attenti”.
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3: - 13 Ore e 48 Minuti ***


.  ... The25THhour.. .
- Capitolo 3
 
“E quindi cercate uno dei meteoriti caduti a Campo Miracielo?”.
Pat e Fiammetta seguivano il passo svelto di Bernard che, con Aipom in equilibrio sulla sua coppola, apriva la strada alle due.
“Sai per certo della caduta delle rocce dal cielo, ragazzino?” chiese Fiammetta, mentre i suoi passi cominciavano a farsi più stanchi; aveva bisogno di un caffè. Sapeva che facesse male berne troppo e quindi di tanto in tanto alternava con del buonissimo tè al ginseng.
“Sì, l’altra sera io e Millicent Perkins eravamo qui e...”.
Fiammetta sorrise. “Chi è questa Millicent? Una ragazzina che ti piace?!” sfotté.
Pat la guardò, pensando che fosse inopportuna, poi sbuffò.
“No! Non mi piace! Eravamo solo venuti a fare una passeggiata!”.
“Prosegui...” sospirò la mora, facendo segno di andare avanti con la mano.
“C’erano le stelle cadenti, ed è strano, non è sotto Natale che le vediamo spesso... è intorno al Pianto delle Stelle, in agosto. Ma è successo... erano tante, ed una, più luminosa, seguiva le altre che scappavano davanti. Sembrava come... stanca? Beh, alla fine è scesa qui. Millicent ha avuto paura ed è scappata ma io ho preso un pezzo della stella”.
Fiammetta spalancò gli occhi. “Davvero?!”.
“Sì, la porto con me da quando l’ho presa, guarda” fece il ragazzino, tirando fuori dalla tasca un frammento bianco di roccia. Fiammetta lo prese per le mani, affascinata, pensando che avesse tra le mani qualcosa che avesse attraversato l’atmosfera.
Quel pezzo di meteorite era argenteo, viveva di luce propria.
“È bellissimo” sorrise Pat. “Le comete che compongono lo sciame attorno alla cometa di cui parliamo sono così. Dobbiamo vederle... Sarebbe la conferma che ciò che cerchiamo è sveglio”.
“Cosa?!”.
Pat lo rimbalzò totalmente. “Sembra davvero un frammento di quelle stelle. Come regola dovrebbero esser cadute tutte, tranne  quella più luminosa, che ha proseguito il suo percorso nel cielo”.
“Volete rispondermi?!” urlò Bernard.
Le ragazze rimasero in silenzio, poi ripresero a camminare.
“Spiegatemi!” urlava quello, inseguendole e tirandole per gli avambracci. “Voglio sapere anche io!”.
Pat sorrise e carezzò il piccolo sulla guancia. “Non ce n’è bisogno, Bernard. È pericoloso”.
Il ragazzino si fermò. “Allora non vi accompagnerò”.
“Dai, non fare così!” esclamò Fiammetta.
“Raccontiamoglielo, non farà nulla di male, è un bravo ragazzo”.
“E se poi usa Jirachi come vuole lui?!”.
Bernard spalancò gli occhi. “Jirachi?! Il Pokémon che esprime i desideri?!”.
Nella testa di Fiammetta esplose la voce di Pat.
 
“Testona, gli hai detto tutto...”
 
Fiammetta spalancò gli occhi e fissò la ragazza, che ancora la guardava crucciata.
“Sento la tua voce!” esclamò, terrorizzata.
 
“Finiscila, sembri impazzita, e ascoltami. Meno persone sanno di Jirachi e meglio è. Bernard è ancora un ragazzino e con un blocco di cioccolata e comprando qualcuna delle sue bibite potremmo garantirci il suo silenzio, ma quel Pokémon ha un potenziale assurdo... Il fatto che riesca ad esaudire dei desideri lo rende appetibile a chiunque. E dobbiamo prenderlo noi! Chiaro?”
 
“Tutto chiaro...” annuì la rossa, infilando le mani nelle tasche.
Bernard si voltò, stupito. “Ma con chi diamine stai parlando?”.
“Ne-nessuno”.
“Insomma, vi decidete a rispondermi?”.
“Sì, dobbiamo desiderare che sia messo tutto a posto”.
Gli occhi di Bernard s’illuminarono improvvisamente, come quella volta che vide una banconota da cinquanta dollari Pokémon svolazzare verso di lui, nella piazza. Quello avrebbe significato che, almeno per qualche tempo, avrebbe smesso di rubare le monetine nella fontana giù ad Edesea.
“Quindi... quindi anche io potrei esprimere un desiderio, giusto?!”.
Fiammetta guardò immediatamente Pat. “No, non è così, Jirachi serve alle persone di Hoenn e...”.
“Ma io ho bisogno di lui! Voglio diventare ricco ed esprimere i miei desideri!”.
Pat sorrise dolcemente, guardando la sua camicia consunta ed il buco sul cappello.
“Non preoccuparti per quello. I soldi arriveranno ma tu dovrai essere un brav’uomo a farne l’uso adatto”.
“Pat... Io sono un ragazzino, ma sono stanco di stare per strada a tirare quel carretto. Eppure è l’unico modo con cui riesca a portare qualche soldino a casa”.
Camminavano ancora, cominciando a salire un’impervia salita. Erano alle pendici della collina di Miracielo. Le fronde, qua e là, venivano spazzate dal vento mentre qualche Caterpie selvatico osservava gli avventori tra le radici annodate degli alberi.
“Sono stanco di dover guardare gli altri bambini con i loro palloni, ed i gelati, ed i vestiti caldi e puliti. Mia mamma fa quel che può ma non riusciamo da soli, col suo lavoro e con la piccola che sta per nascere”.
“Wow... Ed il tuo papà?” domandò Fiammetta, quando Pat spalancò gli occhi e strinse i pugni, comunicando di nuovo con lei, telepaticamente.
 
“Non hai sentito Rupert?! Ha inteso che il padre non ci fosse più!”
 
Fiammetta non s’aspettava di sentire nuovamente la voce di Pat e, impanicata, scivolò e cadde con le ginocchia per terra, affondando le mani tra aghi di pino e rami secchi.
“Pat... per favore! Non farlo più!” urlò lei, facendo alzare in volo qualche Pidgey.
“Mio... mio padre...” s’incupì ancor di più Bernard. “... mio padre è morto quest’inverno, durante un incendio a Plamenia... in un palazzo”.
“Beh... almeno tu e tua mamma state bene. E la piccola, certo. Come si chiamerà?” cercò di sviare Pat.
“Jessica”.
Pat gli carezzò una guancia e sorrise ancora. “Se avrà i tuoi occhi sarà la signorina più bella di tutta Adamanta”.
“Dopo Millicent Perkins” sorrise Fiammetta, facendo voltare Bernard, pronto a darle un’occhiataccia.
“Smettila! In ogni caso vorrei che la mia famiglia stesse bene. Vorrei che mia madre si possa riposare e vorrei che Jessica nasca e cresca tranquilla”.
 
“Ha solo otto anni e già ragiona così...”
 
“Già” le rispose Fiammetta.
Bernard si voltò verso di lei, nuovamente, accigliato. “Ma perché parli da sola?”.
“Non parlo da sola! È che Pat...”
 
“Non gli dire anche questo, per cortesia!”
 
“Pat?” domandò curioso il ragazzino dagli occhi neri.
“Pat... Quello è uno Steelix?” domandò poi, vedendo il grande Pokémon attraversare velocemente la radura a qualche centinaia di metri da loro.
Bernard si voltò. “Sì, lo è. Il mio papà ne aveva uno. Sapete, lavorava come operaio. Non guadagnava molto, anzi... però quando poteva mi portava sempre a giocare a basket, al campo privato vicino Palladia”.
“È lontana Palladia?” chiese Fiammetta.
“Mezz’oretta di macchina, credo. Costava abbastanza comprare il campo per un’ora... ma giocavamo e ci divertivamo... Mi venivano i crampi nella pancia quando vedevo la sua faccia quando doveva pagare”.
Fiammetta e Pat sospirarono. Quanto sarebbe potuto costare quel campo, un biglietto da dieci? Cose di tutti i giorni per loro.
Ma per Bernard e la sua famiglia equivalevano ad un pranzo ed una cena.
Quel ragazzino se lo meritava un desiderio.
Ad otto anni tirava il carretto con le ruote rotte in piazza.
Avrebbe dovuto giocare a calcio con gli amici, tenendo la mano a Millicent Perkins, invece di lavorare.
“Andrà tutto bene, non preoccuparti” disse la moretta. “... tutto bene...”.
 
Stavano salendo la collina, la passeggiata era piacevole, quando videro un’ombra attraversare il bosco velocemente. Era scura e parecchio veloce. Impaurito, un Deerling tagliò il percorso che i tre stavano seguendo, impaurito. Saltò nell’altro versante, nascondendosi tra i cespugli e qualche tronco intrecciato.
I tre si bloccarono.
“Cos’era?” domandò Fiammetta.
“Sarà un Pokémon... Spesso dei Liepard s’aggirano per questi posti”.
Pat però vedeva l’aura azzurra e glaciale, la stessa aura che aveva visto qualche ora prima in piazza; apparteneva all’uomo col cappuccio che  aveva urtato Fiammetta, senza girarsi.
Non disse nulla però, rimanendo in silenzio.
 
- 13 ore e 48 minuti;
 
Oliver aveva superato le due donne ed il ragazzino, cercando di fare quanto meno rumore possibile. Un Deerling fortunatamente, con il suo balzo sul percorso centrale, aveva costretto i tre a fermarsi, consegnando tra le sue mani un tantino di tempo, bastevole a dargli il vantaggio di raggiungere per primo la sommità della cima della collina.
Una volta arrivato lì non si curò né della natura né del panorama.
Oliver si comportava come un vero e proprio ladro, con la fretta di chi aveva paura di essere scoperto. Scavalcò con un agile salto le panchine e si ritrovò proprio dove erano caduti dal cielo quei frammenti di stella.
Erano bianchi, quasi argentei.
E più in là aveva visto una scia di polvere splendente che, camminando giù per la collina, aveva formato un percorso luccicante.
 
Ji-jirachi...
 
Guardò l’orologio, mancavano poco meno di undici ore e l’ansia stava crescendo. Pensò a Nina, al suo cuore che batteva, che batteva ancora e che poi non batteva più. Pensò a Roxanne, alla sua voce ed agli occhi che aveva, gli stessi che aveva poi consegnato alla loro bambina quando era nata.
Pensava alle abilità di Roxanne, a come era affascinato quando lei raccontava le sue avventure tra le stringhe degli universi.
Roxanne era speciale e con Nina aveva ottenuto tutto ciò che voleva.
Ma poi Roxanne era morta e la loro bambina era quello che era rimasto dei loro progetti.
Il frutto del loro amore.
Oliver vedeva tanto di Roxanne in Nina. Per gli sguardi che faceva, e quel sorriso forzato quando doveva ridere, per cortesia e gentilezza.
E che fosse dannato, quanto gli ricordava Roxanne quando avevano quei battibecchi che lui vinceva sempre, perché avvocato, perché aveva votato la sua vita alla parola, e lei voltava la faccia imbronciata dall’altra parte.
Nina era tutto quello che gli era rimasto di Roxanne.
E l’avrebbe protetta a costo della sua stessa vita.
Sospirò, trenta secondi erano passati ed erano troppi.
Nina doveva ricevere quel cuore assolutamente, così avrebbe vissuto in pace il resto della sua vita. Doveva trovare assolutamente Jirachi.
Prese a percorrere il versante scosceso della collina, seguendo la scia argentata, scendendo attraverso il bosco.
Avrebbe vinto lui.
 
Dieci minuti dopo, Pat, Fiammetta e Bernard avevano raggiunto la sommità della collina: quattro panchine erano disposte ai lati di un quadrilatero immaginario, molto ampio.
L’erba era abbastanza alta in alcuni punti, in alti era rada. Cresceva una grossa quercia, proprio verso il centro.
Alcune ghiande erano cadute e rimanevano ai piedi dell’albero, come figli bisognosi al cospetto d’una madre. E poi, verso il bordo a sud del promontorio, vi erano diversi fossi, con detriti biancastri.
“Ecco lì! La stella!” fece Fiammetta, avvicinandosi.
Raccolse uno dei frammenti della stella e lo guardò: solido e biancastro, l’impatto con l’atmosfera aveva dapprima sgretolato e poi compattato i detriti che poi s’erano schiantati sul suolo.
Fiammetta poi vide un’orma affondata nel fango.
Guardò Pat. “È stato qualcuno, qui”.
“Avevo avvertito qualcuno nel bosco. La stessa persona che ti ha urtato in piazza”.
“Quello col cappuccio?”.
Pat annuì.
“Questa allora è la sua orma?” domandò Bernard.
Fu Pat a guardare Fiammetta, quella volta; la rossa annuì. “Sicuramente è lui. Avresti dovuto dircelo prima”.
“Non so perché l’ho fatto. Non mi sembrava una minaccia”.
Poi Bernard le interruppe.
“Qui c’è una scia di polvere argentata”.
Le due s’avvicinarono al ragazzino, che s’era abbassato per raccoglierne un po’ col dito.
“È Jirachi” disse Pat, sicura. “Riesco a sentirne l’energia”.
“L’ultima volta s’è nascosto in una grotta” s’inserì poi Fiammetta.
“Un posto coperto dalla luce del sole, al sicuro”.
Quella di Cuordilava si voltò con forza verso il ragazzino. “C’è una grotta da queste parti?!”.
“Sì, c’è la Grotta delle Lanterne” rispose Bernard, puntando il dito verso un massiccio posto a nord. “È proprio lì”.
Fiammetta e Pat voltarono il viso in direzione del dito del più piccolo e quindi annuirono.
 
“Non è lontano, Fiammetta. Sarà sicuramente lì, Jirachi”.
 
“Hai ragione, dobbiamo arrivare a Jirachi prima di quella persona”.
“Tu sei pazza...” tuonò Bernard, dall’alto del suo metro e cinquanta. “Comunque andiamo immediatamente lì”.
“Andiamo?!” chiese, sgomenta Fiammetta. “No, sta per diventare troppo pericoloso ed il tuo compito era accompagnarci fin qui. L’hai svolto, ora torna dalle tue bibite”.
“Ma neanche per sogno!”.
Pat annuì. “Fiammetta non ha tutti i torti, Bernard... Può diventare pericolosa davvero, la situazione; insomma, non conosciamo chi sia quella persona e per quale motivo voglia Jirachi anche lui. Potrebbe essere uno psicopatico”.
“Non tornerò mai a casa, ora! Vi ho portate io qui e vi ho aiutato anche a localizzare la Grotta delle Lanterne! Me lo merito!”.
“Ti meriti il rischio di morire?!” chiese Fiammetta, sarcastica.
“... sì. Qualunque cosa sia ci sono mani e piedi dentro quanto voi!”.
“Hoenn non ha nulla da vedere con Adamanta...” fece Fiammetta, cominciando a voltarsi per valutare la discesa dalla collina.
“Oh beh! E secondo te il Magmortar che ha appiccato il fuoco a Plamenia non è stato aizzato da Arceus e spaventato dai terremoti?! Secondo te è stato tutto casuale?! Io vi aiuterò a trovare Jirachi ed insieme desider... desidere... insomma, esprimeremo il desiderio che la furia di Arceus non fosse mai stata scatenata!”
Pat spalancò gli occhi, stupita. “Tu come sai tutte queste cose?”.
“Ho sentito Rupert ed una ragazza dai capelli neri che ne parlavano, il giorno dell’onda gigante. Ho le orecchie lunghe”.
“Si vede!” esclamò Fiammetta, vedendo Pat sorridere ancora, dolcemente.
 
“Stiamo perdendo troppo tempo, e lui non mollerà, è coraggioso ed ostinato”.
 
Fiammetta sospirò. “Ok, ok, lo proteggerò io. Ma dovremmo andare”.
Bernard spalancò gli occhi e sorrise. Poi si crucciò. “Un momento! Io non ho bisogno di protezione, ma mettiamo il caso succedesse qualcosa, pensaci tu, Pat: Fiammetta parla da sola ed io ho po’ paura di lei!”.
Fiammetta sorrise e diede una pacca energica sulla spalla del piccolo. “E fai bene”.
 
- 13 ore e 12 minuti;
 
La Grotta delle Lanterne era davanti a lui, guardava ancora l’orologio, Oliver, e sentiva lo stomaco tirare con forza. Decise di chiamare sua figlia.
Squillava.
Non rispondeva.
Continuava a squillare.
Rispose.
“Nina, amore. Come va?”.
Nina tossì. “Papà... ma dove sei?”. La voce della bambina non era mai stata così debole.
“Sono... sono...”. Pensò per qualche secondo ma non riuscì a pensare a qualcosa che non allarmasse la figlia.
“Perché non sei qui? Ho bisogno di te...”.
Oliver portò una mano ai fianchi mentre spingeva con l’altra il cellulare all’orecchio. “Tranquilla, tra poco papà sarà lì da te. Tu non sforzarti...”.
Nina tossì ancora. “Ancora sangue, papà... è questo che succede quando si muore?”.
A quelle parole, l’uomo cominciò a piangere. Non aveva mai pianto tutte quelle lacrime nella sua vita come in quei giorni.
“Non dire così, bimbetta! Resisti, il cuore sta arrivando!”.
“Papà, non piangere... altrimenti...” tosse e lamento di dolore. “... altrimenti farai piangere anche me...”.
“Mi dispiace tanto, piccola mia...” continuava a piangere, col cappuccio nero alzato sulla testa ed i piedi congelati, mentre l’antro davanti a lui produceva un rumore sinistro. Vedeva del gas fuoriuscire ad altissima pressione dal terreno e dirigersi verso la volta bucata ogni circa dieci metri, in modo da permettervi l’espulsione.
Non sapeva quale gas fosse e se fosse tossico. Vedeva dei Pokémon muoversi al suo interno, a dimostrazione del fatto che avrebbe avuto pochi problemi con l’organismo.
“Papà, non stare male per me... forse è meglio così”.
“Non è meglio così!” tuonò lui. “Non smettere di resistere! Devi lottare! Presto avrai il tuo cuore nuovo, non preoccuparti!”.
“Ma dove sei?”.
“Ti sto scegliendo un Pokémon nuovo. Una volta che starai meglio t’insegnerò a combattere”.
La sentì sorridere. “Diventerò forte come te?”.
“Di più. E partirai per il tuo viaggio. Batterai anche il Campione d’Adamanta”.
“Io...” tossì nuovamente. “... io lo spero. Ma ora vieni qui, il Pokémon lo prendiamo dopo, assieme”.
“No, ho quasi finito, bimbetta”.
Un secondo di silenzio. “Papà, i dottori mi guardano con un’aria strana...”.
 
Certo che ti guardano con un’aria strana, amore, pensò Oliver.
Stai per morire...
 
“Stai tranquilla e rilassati. Finisci di leggere il tuo libro. A che pagina sei arrivata?”.
“Quattrocentosessantadue. Questo libro che mi ha regalato Mia mi piace molto, scrive davvero bene”.
“Finiscilo, poi la andremo a trovare”.
“Papà” sorrise la bimba. “Come mai tutti questi regali? Il mio compleanno è lontano”.
“Sì, lo so. Ma tu ti meriti tutti i regali del mondo”.
“Grazie” sorrise ancora. “Ti chiamo dopo”.
“Sì” disse Oliver, guardando l’orologio. “A dopo”.
Attaccò immediatamente per poi immergersi nel buio incostante della grotta, illuminata da grandi fasci di luce che penetravano dal soffitto.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4: - 10 ore e 22 minuti ***


.  ... The25THhour.. .
- Capitolo 4


“Adamanta è molto bella” osservò Fiammetta, camminando con passo svelto, seguita a fatica da Pat e Bernard.
“Rallenta!” esclamò quest’ultimo, arrabattandosi sulla radura oltre la Collina Miracielo con la coppola tra le mani.
“Siamo arrivati, dai! Dannazione, ma perché ho messo l’orologio?! Mi da un fastidio assurdo!” esclamò la rossa.
La Grotta delle Lanterne era chiamata così per via dell’Argon che fuoriusciva dal terreno. Si diceva fosse la dimora di parecchi Charmander e che, per questo, le loro code bruciassero di uno strano colore viola; in realtà erano soltanto delle fuoriuscite di gas ricco di polvere di ametista, abbondante nel sottosuolo.
I tre mossero i loro primi passi nella grotta, con estrema cautela. Si guardarono attorno straniti, per via del buio tagliato da grandi fasci di luce che penetravano dalla volta forata. Spirali di pulviscolo s’alzavano dal pavimento, talvolta secco talvolta fangoso, per salire verso l’alto seguendo le carezze del sole.
Sarebbero poi state spazzate dal vento, geloso protettore.
“La polvere argentea portava qui...” osservò Fiammetta.
“Jirachi è in questa grotta, sento la sua energia. Ma...”. ripose poi l’altra.
“Che c’è, Pat?! Che cos’è successo?!” domandò infine Bernard, affondando coi piedi nella fanghiglia.
“Non siamo soli, qui dentro”.
Fiammetta spalancò gli occhi. “È l’uomo col cappuccio?” domandò.
Pat si limitò ad annuire.
 
“Pat! Mi senti?” provò a chiedere Fiammetta, soltanto pensando.
“Certo che ti sento, sento tutto”.
“Tutto?! Ma proprio tutto?!”.
“Sì... Anche i tuoi pensieri su Rocco in momenti inopportuni come questo”.
 
Fiammetta sorrise.
 
“Beh, non voglio che Bernard ci senta, potrebbe urlare e far spaventare il nostro rivale, che accelererebbe l’eventuale cattura di Jirachi”.
“Sì, hai ragione” rispose Pat, facendo segno vicino a Bernard di stare in silenzio, da quel momento in poi.
“Dobbiamo raggiungere velocemente Jirachi, ma questa grotta è un labirinto” pensò l’altra.
“Io riesco a vedere da lontano l’energia spirituale di Jirachi... ma non è molto vicina. E vedo anche quella di quell’uomo”.
“L’ha raggiunto già?!”.
“No, fortunatamente è nel punto sbagliato della grotta”.
“Benissimo! Ora...” e poi Bernard tirò la manica di Fiammetta. Quella lo guardò come a chiedergli cosa volesse ed il ragazzino fece gesto con la mano di andare avanti, di proseguire.
Fiammetta annuì e mosse qualche passo lento in avanti.
“Dove dobbiamo andare?” chiese poi a Pat.
“Beh... Jirachi è proprio davanti a noi, bisogna proseguire dritto... Vedo la sua energia”.
“Testona, davanti a noi c’è un muro, leva gli occhialoni dell’energia spirituale e guarda le vere pareti che ti trovi di fronte! Destra o sinistra?!”.
Pat sbuffò.
“Non ne ho idea...”.
Bernard allora si spazientì. Tirò nuovamente la manica, stavolta ad entrambe, facendo segno di avvicinarsi.
“Che diamine state facendo?! Vi state guardando come se vi voleste baciare!” quasi urlò a bassa voce. “Se quel tizio è entrato qui dentro, ed è entrato qui dentro perché le sue orme sono dappertutto, dobbiamo fare presto! Conosco a memoria questa grotta! Andiamo, vi porto io!”.
“Conosci questa grotta a memoria?! Che ci sei venuto a fare?!”.
“Nascondino, naturalmente. Non hai idea di quanto fosse difficile giocare qui dentro”.
Aipom, sulla sua spalla, fece un balzo, spostandogli di poco la coppola. Lui la risistemò.
“Allora?” domandò ancora.
“Jirachi è proprio davanti a noi, a circa duecento, duecentocinquanta metri...”.
“Uhm... la sala centrale allora. La più lontana”.
“Naturalmente...” sbuffò Fiammetta.
“Andiamo!” esclamò poi Bernard, urlando un po’ troppo.
 
 
- 10 ore e 22 minuti;
 
 
“Andiamo!”.
Qualcuno aveva urlato ed Oliver s’era bloccato d’improvviso.
“Sono qui...” ringhiò. “Devo fare alla svelta...”.
Si girò attorno, con la torcia tra le mani, illuminando le pareti della grotta.
S’era perso.
“Devo fare presto, cazzo... Devo fare presto!” esclamò, a denti stretti. Prese il cellulare, sentendolo vibrare.
Qualcuno lo telefonava, nonostante fosse in una grotta. Forse era anche grazie ai grossi fori nel soffitto.
Jarvis, c’era scritto. Impanicato, rispose immediatamente.
“Che succede?!” urlò. Dalla sua voce trapelavano ansia e paura.
“Signor Jackson, sono Jarvis, mi sente?!”.
“Sì, ti sento! Che succede?!”.
“Io la sento poco!”.
“Sono in una grotta!”.
“Non la sento!”.
“Per l’amor del cielo, mica devi dirmi qualcosa su Nina?! Che diamine vuoi?!”.
La telefonata fu disturbata da rumori d’interferenza, quindi la voce di Jarvis tornò piuttosto chiara.
“Volevo dirle che il pacco è stato spostato su di un aereo che è già in volo verso l’aeroporto di Timea”.
Oliver spalancò gli occhi. “Davvero?!”.
“Sì! È partito un quarto d’ora fa ma sono riuscito a telefonarle solo adesso!”.
“Il... il cuore di Nina è in volo?!”.
“Sì! Arriverà tra circa nove ore lì!”.
Oliver si morse il labbro, stringendo il pugno libero. L’altra mano, che teneva il telefono all’orecchio, era ben salda. “Va bene, Jarvis, ti ringrazio! Sarai lautamente ricompensato per questo”.
“Dovere, Signor Jackson. Speriamo che la piccola Nina resista”.
“Resisterà. C’è Roxanne che la protegge, dall’alto”.
 
La telefonata non durò ancora molto. Era solo più motivato a trovare il Pokémon, sperando di non incappare nelle due ragazze e nel moccioso che aveva seminato nel bosco vicino la Collina Miracielo.
Si guardò attorno, capendo che la stradina che aveva davanti lo avrebbe condotto ad un vicolo cieco. Si rigirò e tornò indietro, puntando con la luce della torcia un Charmander dalla fiamma violacea sulla coda.
Lui lo snobbò, non gli interessavano i Pokémon in quel momento; o meglio, gliene interessava solo uno e non riusciva a trovarlo.
La polvere argentata non risaltava nel fango e quindi non era più riuscito a seguirne le tracce.
Vide le orme dei suoi piedi, quelle che aveva lasciato all’andata, sentiva il tempo che passava ed il sangue che pulsava nelle tempie.
Anche se il cuore di Nina era partito con anticipo da Unima non era certo che l’operazione potesse avvenire in tempo.
La cosa gli aveva donato un po’ di sollievo, ma sostanzialmente la sensazione di essere seduto su di una graticola sulla brace non gli era passata.
Doveva trovare Jirachi, se lo ripeteva spasmodicamente, spostando quella torcia velocemente verso le pareti in lontananza, nella speranza di vedere il Pokémon di fronte a sé.
Non ci riusciva.
E poi si accorse di aver incrociato altre orme.
Orme umane, proprio come le sue.
Due erano leggermente più grandi della terza, più minuta, e proseguivano in direzione ovest.
Proprio dalla parte opposta di quella che aveva preso lui in precedenza.
Le seguì, rapidamente, cercando di fare meno rumore possibile e di tenere la torcia per terra, per non farsi avvistare erroneamente.
Ormai l’aveva capito, Oliver, anche quei tre stavano cercando Jirachi.
Doveva far qualcosa, il panico lo stava straziando.
Corse, corse e corse, e quando perse di vista le tracce dei tre che seguiva s’accorse d’essere in una grande sala, illuminata da una grande apertura nel soffitto, collassato parecchi anni prima.
Lì il pavimento era assai fangoso, ma a Jirachi non importava.
Lui fluttuava, proprio alla fine di quella stanza, stanco e sonnacchioso. Il terzo occhio, sulla sua pancia, era spalancato.
Tra Oliver e Jirachi c’erano quei tre.
Sì, quella tutta curve coi capelli rossi, la moretta con la treccia ed il ragazzino con la coppola.
“Fermatevi!” urlò.
 
I tre si voltarono all’improvviso.
“Fermatevi! Jirachi è mio!” urlò l’uomo incappucciato.
Tempestivamente Pat, Fiammetta e Bernard acuirono i sensi.
“L’avevo detto che ci stava seguendo...” disse Pat, seria. “Non dovevamo portarlo qui”.
“Meglio così” sorrise sorniona Fiammetta, spostando l’orologio dal polso, facendolo scendere più in basso. “Vuol dire che ci leveremo quest’incombenza da mezzo più velocemente”.
“Bernard, mentre noi lottiamo tu dovrai tenere d’occhio Jirachi” ordinò Pat, spostando la treccia dietro le spalle muovendo la testa.
Il ragazzino annuì, vedendo l’uomo nero incappucciato mettere mano alla cintura delle Pokéball.
“E così vuoi lottare?!” chiese Fiammetta.
“Tienilo d’occhio!” ripeté Pat al ragazzino, che annuì nuovamente.
L’uomo col cappuccio staccò le Pokéball e le strinse con vigore. “Certo che voglio lottare. Quel Pokémon è mio”.
“Jirachi è ancora libero, fino a prova contraria” punse Fiammetta.
“Fino a che non metterò le mie mani su di lui”.
“Siamo una delegazione della Lega di Hoenn. Quel Pokémon serve a noi, per ricostruire le nostre case e resuscitare la nostra gente”.
“Non m’interessa nulla di Hoenn!” tuonò l’altro, improvvisamente. “L’unica cosa che m’interessa sono io e quindi levatevi da mezzo, perché Jirachi è mio!”.
Urlò con così tanta foga che gocce di saliva partirono involontarie in avanti, terminando nel fango denso che avevano ai piedi.
L’uomo incappucciato tirò poi la prima Pokéball, mandando in campo un esemplare di  Escavalier, assai grosso.
“Forza, leviamole da mezzo...” sussurrò, digrignando i denti.
L’Aipom sulle spalle di Bernard ebbe un attimo di panico nel vedere il Pokémon dell’uomo incappucciato e saltò tra le braccia del padrone. “Stai tranquillo... forse queste due sono forti davvero” fece.
“Me la vedrò io...” disse poi Fiammetta, sorridendo. Pat le mise poi una mano sulla spalla, fermandola.
“Forse non dovresti... Forse dovrei fare io...”.
Fiammetta si voltò, come per protestare, quando l’uomo col cappuccio ordinò al suo Pokémon di attaccare pesantemente le Allenatrici stesse con Forbice X.
“Attente!” urlò Bernard, saltando di lato. Fiammetta e Pat evitarono l’attacco massivo del Pokémon Cavaliere e caddero nel fango.
“Farabutto!” urlò Pat.
Fiammetta si rimise in piedi, pulendosi le mani sulle cosce dei pantaloni. “Sei stata troppo gentile... arrostirò te e quella sottospecie di scarafaggio. Vai!” urlò, mandando in campo un bellissimo esemplare di Ninetales.
“Prendere quel Jirachi è il mio scopo!” urlò l’uomo incappucciato.
“Anche il mio!”.
L’uomo si perse nel guardare Ninetales, con gli occhi spalancati e le code ritte.
“Stai attenta, Fiammetta. Questo è un osso duro” avvertì Pat, da dietro.
“Non c’è problema, me la vedrò io! Cominciamo col riscaldare l’atmosfera! Quel dannato scarafaggio sembra essere corazzato. Chissà che succede se lo metto nel microonde! Usiamo Ondacalda!”.
 
“Usiamo Ondacalda!” urlò Fiammetta.
Oliver rabbrividì. Era benissimo a conoscenza del fatto che Fiammetta usasse Pokémon di tipo Fuoco, e scegliere Escavalier non era stata forse la scelta migliore.
Siamo in ballo. Balliamo, dannazione. Balliamo pensò, col cappuccio che gli saltava davanti agli occhi. Sospirò, sentiva l’ansia nel petto che premeva, come quando da giovane lottava coi Pokémon, prima d’abbandonare tutto e pensare agli esami di giurisprudenza.
Aveva però voluto continuare ad allenarsi, nell’evenienza di un ritorno in campo.
Inoltre aveva rischiato di ammazzare quelle due Capopalestra di Hoenn.
Ma doveva avere Jirachi, non poteva rischiare. Anche a costo di ammazzare un uomo o una donna. O due donne.
Avrebbe sopportato la galera ma sapere di aver salvar la vita a Nina lo avrebbe rinfrancato da ogni cosa.
Il suo Escavalier era profondamente debole contro attacchi di tipo fuoco, lo sapeva.
Contava sulla sua buona difesa però, e, almeno un colpo, sarebbe riuscito a sopportarlo.
Già, perché vedeva quell’onda fiammante avvicinarsi a lui ed al suo Pokémon con così poco preavviso che non sarebbe riuscito ad ordinargli di evitarla.
“Riduciamo i danni, Escavalier, parati!” urlava, mentre le fiamme lo investivano e s’avvicinavano anche a lui. Indietreggiò di qualche passo, il calore seccò le sue pupille e lo costrinsero a lacrimare.
Sentì un gemito dolorante, il suo Pokémon stava subendo gli effetti dell’attacco di Ninetales.
Alzò gli occhi, vedendo sul volto di Fiammetta un ghigno soddisfatto.
Non sarebbe stata quella donna a privare sua figlia della vita.
Doveva pensare ad un modo per diminuire la potenza del fuoco. Poi annuì, illuminato.
“Escavalier, usa Fossa!”.
 
“Escavalier, usa Fossa!” urlò l’uomo incappucciato e subito il suo Pokémon lo ascoltò, perforando con i due arti puntuti il fondo fangoso ed immergendovisi all’interno.
Fiammetta guardò Pat con aria preoccupata ma quella annuì con un cenno d’intesa.
La donna dai capelli rossi era benissimo a conoscenza del fatto che un attacco del genere, portato a termine da un Pokémon del genere, avrebbe fatto molto male a Ninetales, nonostante Escavalier fosse particolarmente provato dal’attacco precedentemente subito.
Il Pokémon Coleottero-Acciaio era ormai sparito dal campo fangoso e si muoveva sottoterra e Fiammetta fremeva, un po’ impaurita dall’attacco incombente un po’ eccitata dalla lotta in essere.
“Hey, stai attenta...” fece poi al suo Pokémon.
“Non servirà a nulla! Esci fuori!” urlò poi l’uomo incappucciato.
E così Escavalier sbucò dal fango, interamente ricoperto da quel miscuglio di acqua e terreno.
“Schivalo!” urlò la rossa dai capelli legati, inutilmente. Già, perché Il Pokémon Cavaliere sferrò un tremendo colpo con una delle sue lance, facendo ruzzolare Ninetales diversi metri indietro.
“Nina! No!”.
“Come l’hai chiamata?!” urlò l’uomo incappucciato.
“Si chiama Nina. E tu fatti gli affari tuoi ed arrenditi!”.
“Non ora che ho la vittoria in pugno! Escavalier, usa Doppio Ago!”.
Ninetales si rialzò velocemente e si scrollò il fango di dosso, prima di venir colpito nuovamente.
Pat si voltò e guardò Fiammetta, raccogliendo il suo sguardo sparso nell’antro.
Un altro paio di quei colpi e Ninetales sarà davvero messa male, anche per i Centri Pokémon.
Fiammetta annuì.
“Lo so...” disse.
“Che cosa sai?!” chiese Bernard, alle sue spalle.
“Silenzio” lo chiuse Pat.
“Ma lei parla da sola e...”.
“Usiamo un po’ di strategia... Fuocofatuo!” fece Fiammetta.
 
Fuocofatuo!” sentì urlare Fiammetta dall’altra parte dell’antro.
Oliver guardava ancora con un occhio Jirachi, dietro al ragazzino.
Sembrava che stesse prendendo coscienza di ciò che succedeva.
Contemporaneamente doveva stare attento a quello che accadeva durante la lotta: quel Ninetales che si chiamava come sua figlia, la stessa figlia il cui pensiero gli martellava le tempie.
Sentiva l’ansia dentro che spingeva per uscire, e poi quel secondo infinito terminò, e dalla fauci del Pokémon avversario comparvero fiammelle blu e sinuose.
Affascinavano con il loro movimento armonioso ma erano lungi dall’essere mere attrazioni visive: quelle erano maledizioni.
Ed erano partite, scagliate contro il suo Escavalier.
Oliver lo guardò meglio e si rese conto del fatto che fosse interamente ricoperto di fango, come il mostro della palude.
“Attaccala!” urlò ancora.
Escavalier si fidava, come si era sempre fidato, ed ascoltò, andando contro Ninetales velocemente, perdendo gocce di fango dall’armatura.
Fu coraggioso poiché si scontrò con quella fiamme blu, che gli scivolarono addosso senza attecchire.
“Il fango...” disse tra i denti Oliver. “Sembra isolarti dalle fiamme! Usa nuovamente Fossa!”.
 
Usa nuovamente Fossa!” urlava l’uomo nascosto dal cappuccio.
Fiammetta invece strinse i pugni. “Sembra facile il gioco così... Usa Doppioteam, Nina!”.
 
Usa Doppioteam, Nina!”.
Oliver si risentì quando sentì nuovamente il nome di sua figlia. Pensò a lei, forse un istante di troppo, prima che Escavalier s’immergesse nuovamente nel fango.
Rialzò lo sguardo, decine di Ninetales erano bassi sulle zampe, irosi e ringhianti.
“Non riesci a sentire il suo odore?” chiese la donna, mentre Oliver sospirava. Il fango aveva attutito l’impatto olfattivo di tutta la situazione e Ninetales era in forte difficoltà.
“Non servirà a nulla! Esci fuori!”.
La voce di Oliver rimbombò lungo la grande stanza. Jirachi ancora fluttuava stanco, lo aveva visto per un momento con la coda dell’occhio.
Sentiva il tempo passare, scorrergli al centro della schiena come una goccia di sudore, lenta e fastidiosa, impossibile da ignorare.
Aveva bisogno di più tempo, per far atterrare l’aereo col cuore di Nina e poter far partire l’operazione.
Attese intrepidamente durante quel secondo in cui il suo ordine fosse recepito dal Pokémon, quindi strinse i pugni quando lo vide sbucare dal fango, totalmente ricoperto da acqua e terreno.
Ma quando stava per colpire Ninetales si era accorto, con grande sgomento del suo Allenatore, che l’avversario stava fluttuando a diversi metri dal terreno.
 
“Grazie, Pat” sorrise Fiammetta.
Quella aveva le mani incrociate sopra il ventre, totalmente immobile, con gli occhi che emettevano un’inquietantissima luce azzurra. La stessa che poi aveva ricoperto Ninetales.
“Ma... è scorretto!” urlò l’uomo incappucciato, rimasto totalmente sbalordito.
“Non è corretto neppure attaccare delle persone indifese!” rispose Bernard dalle retrovie, a tono.
“Ora usa Lanciafiamme!” fece la ragazza di Cuordilava.
Ninetales era ancora mantenuto dall’energia di Pat quando una lingua di fuoco incandescente fu gettata con vigore contro Escavalier, che incrociò le lance davanti al torace, cercando di proteggersi.
Sia l’uomo mascherato che il gruppo proveniente da Hoenn rimasero sbalorditi quando videro il fango cuocersi e solidificarsi per il forte calore.
Escavalier sembrava immobile, negli occhi di Fiammetta era rinata una scintilla.
“È bloccato!”.
“Non può andare a finire così!” urlò l’avversario.
 
“Non può andare a finire così!”.
La voce di Oliver rimbombò con così tanto vigore all’interno della sala che Jirachi si risentì, muovendosi in maniera leggiadra verso l’alto.
“S’è spaventato!” urlò il più piccolo dei tre contendenti.
Guardò l’orologio, il tempo passava e Jirachi si stava allontanando.
Panico.
“No! Jirachi, io ho bisogno di te!” fece, muovendo un passo verso il centro.
Quel Ninetales venne infine messo per terra. “Anche noi abbiamo bisogno di lui, e di certo non per scopi loschi come i tuoi!” esclamò Fiammetta.
Pat la guardò, corrucciata. Pareva sapesse qualcosa, preferì però stare zitta.
“Dragonair, aiutami!” ordinò Oliver.
“Hey!” urlava invece Bernard. “Jirachi se ne sta andando via!”.
Pat e Fiammetta si voltarono repentine, guardando il Pokémon fluttuare veloce verso l’alto, nella grande apertura presente nella volta della grotta.
“Jirachi, aspetta!” urlò Fiammetta. “Pat! Fa’ qualcosa!”.
“Che dovrei fare?! Inseguiamolo!” disse.
 
“Inseguiamolo!” sentì Oliver mentre saltava in groppa al suo Dragonair.
Aveva le lacrime agli occhi e sentiva la paura colpirgli le gambe con un bastone; avrebbe avuto una voglia matta di starsene per i fatti suoi sul divano, tirando i piedi sui cuscini mentre guardava il football.
Ma poi il pensiero di Nina lo attanagliava e lo costringeva a stringere il collo di Dragonair ancor più vigorosamente  mentre il Pokémon Drago s’alzava al cielo.
“Inutile...” sentì poi la voce del bambino. “Sarà già scomparso”.
Forse era così ma doveva provarci, Oliver.
Assieme a Dragonair tagliava l’aria come una lama affilata, salendo sempre più in alto, fino a raggiungere il cielo.
Ma quando il vento tirò giù il suo cappuccio Jirachi era già sparito.
“Per Arceus!” urlò, e la sua voce rimbombò per tutta la vallata.
 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5: - 9 ore e 24 minuti ***


.  ... The25THhour.. .
- Capitolo 5



- 9 ore e 24 minuti;
 
“Dottoressa Alma... Salve, sono l’Avvocato Oliver Jackson”.
“Oh, salve Avvocato. Quanto è rimasto?”. La voce metallica della donna attraversava la rete e fuoriusciva dalle casse interne del cellulare.
“Beh, poco meno di dieci ore. E non sono riuscito a catturare Jirachi, ho avuto degli... degli impedimenti, ecco. Però l’ho visto, è sveglio e mi è sfuggito per poco. Era nella Grotta delle Lanterne, proprio dieci minuti fa. Sa dove potrebbe essersi rifugiato, ora? Cioè...”.
“Dannazione, Avvocato... lei l’ha visto ed è sfuggito. Non so dove possa essere ora...”.
“Oh, ok, giustamente, come potrebbe saperlo lei... Mi scusi se mi trema la voce, ma come sa c’è in ballo parecchio e... e nulla, la ringrazio”.
Oliver attaccò il telefono, con la mano nelle viscere che stringeva sempre più forte, facendogli tremare le gambe. Doveva fare presto.
 
Alma rimase con la cornetta tra le mani per qualche secondo, poi sospirò. Non aveva mai visto l’Avvocato Jackson in quel completo di nervosismo ed indecisione, anzi: era sempre stato per lui un esempio di pacatezza e classe.
In questo modo lui e Roxanne stavano crescendo Nina, donandole grazie e capacità di giudizio.
Si alzò dalla scrivania, arrovellandosi attorno alla domanda postale da Oliver.
Dove potrebbe essersi rifugiato ora?
Le grotte, pensò. O i posti alti.
Alzò la cornetta, dopo un lungo sospiro, quindi fece quella telefonata.
 
Squillò il cellulare, per almeno venti secondi buoni prima che Zack potesse rispondere.
“Pronto...” sbadigliò quello.
“Zack. Rapido e conciso”.
“Chi è?” chiese il ragazzo, con ancora la bocca impastata.
“Alma! Sono Alma, Zack! Devi dirmi dove potrei trovare una grotta, o un posto che Jirachi potrebbe prediligere per nascondersi”.
Zack spalancò gli occhi, girandosi verso il letto e guardando la sua donna con la pancia tra le mani. “Jirachi?! L’avete già trovato?”.
“Ne sei al corrente? Sai della ricerca di Jirachi?”.
“Certo che lo so! E dimmi, è stato trovato?”.
Rachel si fermò e guardò il suo fidanzato con profonda attenzione. Vedeva l’ansia nel suo viso, mentre le mandibole restavano serrate in attesa di una risposta.
“Sì, però è scappato. Ora dove potrebbe essersi nascosto? Grotte, Zack, antri bui ed invisibili! Insomma, hai girato questa dannata regione da capo a piedi, l’hai risvoltata come un calzino, dovresti conoscerla bene!”.
Rachel chiamò Zack, bussandogli sulla schiena. Quello si girò, incrociando il suo sguardo cristallino, chiedendogli soltanto con gli occhi che cosa volesse.
S’allungò un po’ impacciata, cercando di non dare scosse violente a quella che sarebbe diventata una pancia bella voluminosa, contenente sua figlia Allegra, strappò il cellulare da mano a Zack e parlò.
“Alma, sono Rachel”.
“Oi, bellissima. Che succede?”.
“C’è una grotta dietro le Cascate Armonia, nella parte occidentale del massiccio del Monte Trave. Ci sono stata con Zack, il mese scorso, quando siamo andati alla ricerca del Cristallo di Arceus”.
“Sembra passato un secolo” sorrise Zack. “Comunque hai ragione”.
Alma annuì. “È vero! Jirachi potrebbe essere andato lì! Ottima intuizione Rachel! La gravidanza come sta andando?”.
“È appena cominciata, non c’è alcun problema se non nausee killer, istinti omicidi ed un’insensata voglia di abbinare gusti mai provati prima”.
Zack fece un sospiro, passando la mano tra i capelli castani ed abbandonandosi sul letto.
“Va bene, Rachel, mi raccomando, stai a riposo. Buona giornata”.
“Ciao Alma”.
Rachel attaccò e diede il cellulare nelle mani di Zack, quindi sospirò. “Lo stanno trovando”.
“Salveremo Allegra” rispose il ragazzo. Poi le si accoccolò vicino e sospirò, poggiandole la testa sul petto e mettendole una mano su quella pancia ancora acerba.
“Quando lo prenderanno, Green verrà qui e faremo quel che devo. È importante che il cristallo rimanga al sicuro”.
“Già” annuì Rachel, spostando una ciocca di capelli corvina lontana dagli occhi cerulei. “Vorrei solo che la mia bambina abbia una vita tranquilla”.
“Ci saremo noi a proteggerla” rispose l’altro.
 
“Avvocato Jackson... sono la Professoressa Alma Ramìz, dell’Università di studi di Storia. Mi ha telefonato prima”.
“Sì, ricordo Professoressa. Che succede?” domandò Oliver, camminando guardingo, scrutando il cielo.
“Deve provare a cercare il Pokémon dietro le Cascate Armonia. Lì c’è una grotta, molto antica; deve vedere lì, se vuole trovare Jirachi”.
Oliver si voltò, guardando da grande distanza le cascate di cui parla Alma.
“È sicura che è lì troverò il Pokémon?”.
“Non sono sicura di nulla ma a meno che lei non abbia un’idea migliore le consiglio di cercare lì”.
Oliver annuì. “Ha ragione, Professoressa”.
“Andiamo, mi chiami Alma” sorrise quella.
“E lei mi chiami Oliver”.
 
Fiammetta camminava velocemente, seguita come sempre da Pat e Bernard.
“È stata dura arrivare fin qui” fece la moretta, asciugandosi la fronte con la manica della felpa.
“Già” annuì Oliver. “Anche perché non sarà una passeggiata attraversare il laghetto che si è formato sotto la cascata. La forza dell’acqua della caduta potrebbe farci annegare”.
Fiammetta si voltò, col sopracciglio inarcato. “Ma tu come diamine sai tutte queste cose?”.
Bernard fece spallucce e sorrise, mentre Aipom rimaneva in equilibrio sulla coda manuta, giocoso. “Esperienza, direi”.
E lì Fiammetta partì in una risata. “Ma sei un ragazzino!”.
“Piuttosto...” interruppe Pat. “Siamo sicuri di quel che ha detto Crystal?”.
La rossa annuì. “Sì, mi fido ciecamente di lei... è una Dexholder dopotutto... è in gamba. Controllato il Pokédex ha detto che Jirachi si trovasse lungo quelle coordinate, e le mappe, assieme a Bernard, ci hanno confermato che Jirachi si trovasse dietro le Cascate Armonia”.
“Grande cosa, questo Pokédex. Dovrebbero averlo tutti” sorrise l’altra.
“Non sarebbe più una cosa così esclusiva, penso. E poi per usarlo ci vogliono abilità ed esperienza”.
“Andiamo, c’è riuscito Gold...” sorrise poi la moretta, suscitando le risate anche in Fiammetta.
“Quel testone... Ma lui ha un cuore che nessuna di noi riuscirebbe ad equiparare... Oak ha fatto bene ad affidargli una missione come quella di Hoenn”.
“Aumentiamo il passo” sospirò poi il ragazzino, che non sapeva di chi diamine stessero parlando.
 
“Piccola?” chiese Oliver, con l’attitudine di chi tirava due dadi e dovesse necessariamente trovare un dodici. Aspettava la voce di Nina con la paura che questa arrivasse fin troppo distorta, e non per colpa del telefono.
“Papà...” rispose la piccola. Soltanto quella parola, nel modo in cui l’aveva pronunciata, lo costrinse a fermarsi a rivalutare tutto; aveva capito che Nina stesse per morire davvero e che la fine fosse parecchio vicina. Guardò l’orologio, mancavano nove ore alla scadenza delle ventiquattro poste dal Dottore che aveva consultato la notte prima.
L’Avvocato aveva sonno, era stanco e sfatto. Forse Nina sarebbe morta, sarebbe stato meglio tornare il più velocemente possibile vicino a lei e tenerle la mano fino a quando non si fosse spenta. Fino a quando i suoi occhi si sarebbero spenti ed il suo piccolo cuore sarebbe esploso.
Pianse. Sarebbe morta per via del suo cuore, proprio come sua madre. Avrebbe dovuto camminare attraverso gli universi, sperare di arrivare in quello giusto e strappare dal petto di una bambina qualsiasi il cuore che serviva a sua figlia.
Ma Oliver lo sapeva, non era possibile viaggiare nelle realtà. Non sarebbe mai riuscito in nove ore a trovare il metodo per farlo.
“Papà” fece di nuovo lei.
“Piccola”.
“Piangi di nuovo?”.
“Sì, Nina”.
“Perché piangi?”.
Oliver sospirò. “Perché mi spiace”.
“Sto per morire, vero? Piangi perché sai anche tu che non ce la posso fare”.
Fu un gesto istintivo, l’Avvocato staccò l’orecchio dal ricevitore e gridò come un ossesso, per liberare quell’ansia così opprimente che gli stava distruggendo il fegato.
“Papà!” urlò poi la bambina, tossendo. “Non devi fare così... Ti prego, vieni qui, ho bisogno di vederti...”.
E voleva farlo, Oliver. Accontentare sua figlia, vederla l’ultima volta sveglia, prima di quel sonno eterno che le spettava.
Poi sarebbe tornato a casa, avrebbe fatto una doccia ed avrebbe bevuto un bicchiere di quel buon Cognac che Roxanne aveva portato da Kalos, infine avrebbe indossato il suo completo migliore, fatto passare un nodo sotto la ringhiera delle scale e si sarebbe impiccato.
Non sarebbe servito più a nulla vivere in un mondo dove non c’era più niente per lui.
Pensò a Roxanne, poi. Di sicuro non avrebbe mai voluto che lui facesse pensieri simili.
Si stava rassegnando, vedeva le cascate a qualche chilometro da lui ed aveva capito che se non vi avesse trovato Jirachi al suo interno sarebbe stata la fine per Nina.
“Papà! Ti prego!” cominciò a piangere anche la bambina. “Non fare così! Vieni qui da me!”.
Se le avesse detto di sì avrebbe condannato sua figlia a morte.
“Ok. Sbrigherò una faccenda importante e verrò”.
“Cosa c’è più importante di vedermi un’ultima volta, papà?”.
“Non dire così!” le urlò. “Non sarà l’ultima volta! Io ti porterò via da quell’ospedale e sarai fuori pericolo! Non permetterti di darti per rassegnata! Se il tuo cuore s’accorge che ti sei arresa si fermerà, e tu con lei! Lotta per me, campionessa!”.
“Papà...” pianse la piccola. “Io sento che il mio cuore si sta per fermare”.
“No! Non è così!” urlò ancora Oliver. “Riprenderà a correre più di prima”.
“Ok...” annuì la ragazzina. “Allora ti aspetto qui. Non fare tardi”.
“No. Farò il prima possibile. Ora devo fare un’altra telefonata. Ci sentiamo dopo, piccola”.
 
Pat, Fiammetta e Bernard raggiunsero il lago nato dall’impeto della caduta verticale.
“Eccoci arrivati” bofonchiò il ragazzino. Vide una coperta di goccioline che si alzava fumosa dalla superficie dell’acqua, salendo verso l’alto e disperdendosi.
Il lago fluiva verso ovest, sfociando poi in mare diversi chilometri dopo. La grande montagna alle spalle delle Cascate Armonia si snodava lungo tutta la zona centrale di Adamanta, dividendola in quattro porzioni ben definite, qualcuna più grande, qualcuna più piccola.
Solo Timea era costruita sull’altura montana, in una zona un po’ più pianeggiante.
Lì nevicava sicuramente, pensò Bernard.
Il Monte Trave, il picco più alto del massiccio, imperava silenzioso al centro della regione.
“Il punto è quello” indicò il ragazzino.
“Speriamo che quell’uomo non ci abbia preceduti” sospirò Fiammetta.
“Un momento” entrò Pat in tackle. Chiuse gli occhi, riaprendoli poi ricoperti dalla solita patina di luce. Annuì. “Crystal diceva il vero, vedo l’energia di Jirachi. C’è solo lui, oltre che qualche Pokémon selvatico. Dovremmo soltanto stare attente ai Qwilfish presenti nelle acque del lago”.
“Per quelli ho io la soluzione!” sorrise Bernard. Si voltò, cercando nel boschetto limitrofo un grosso ramo, con grandi fronde ormai rinsecchite. Levò le scarpe ed immerse i piedi nell’acqua.
“Ci sono i sassi. Ed è fredda” fece, camminando lentamente. Guardava sotto la superficie, vedendo piccoli Magikarp e Remoraid nuotare vicini alle gambe del ragazzo, attratti dal calore del suo corpo.
“I Qwilfish sono ancora lontani”.
“Sta’ attento, ragazzino” tuonò Fiammetta, levando le scarpe ed infilandole nella borsa impermeabile. Pat rimase immobile.
“L’acqua è un po’ profonda, vi avverto. Ci inzupperemo tutti”. Poi alcuni Qwilfish fecero per avvicinarsi alle gambe del ragazzino, e lui prese a battere la superficie dell’acqua con il bastone che aveva trovato nel bosco.
“Di solito i Qwilfish vivono in acque profonde ma in questa zona risalgono il fiume e vengono a riprodursi. Sono parecchio territoriali e possono diventare aggressivi”.
“Sembra di guardare National Geographic” sospirò Fiammetta, con le braccia ad anfora e le mani puntellate sui fianchi.
“Queste cose me le ha insegnate Rupert” fece il ragazzino. “Lui è esperto di Pokémon d’Acqua... Ora vi consiglio di tuffarvi e raggiungere velocemente la cascata. Poi troveremo un modo per passare senza essere travolti. Prima dei terremoti non era così forte, la cascata era più lenta. Ora si sarà rotto qualcosa, non si può più passare senza essere travolti. Millicent Perkins stava affogando”.
“Bene...” sospirò Pat.
Fiammetta s’immerse con rapidità, spalancando gli occhi. “È congelata, banana infame!”.
“Fai presto, Fiammetta! Ed anche tu, Pat” fece il ragazzino, sorridendo all’imprecazione.
La donna di Cuordilava prese a nuotare più velocemente che poteva. Odiava l’acqua fredda, odiava i sassi ed i pesci. Avrebbe preferito nuotare nel Monte Camino, piuttosto.
Pat invece, con gli occhi ancora ricoperti da quell’energia mistica, cominciò a camminare lentamente sull’acqua.
Raggiunse Fiammetta e la superò, facendo sorridere Bernard.
“Lazzaro... alzati e cammina...” disse Fiammetta, tra una bracciata e l’altra.
Pat arrivò poi alla cascata. Alzò il braccio e da lì s’alzò una lingua d’energia di un paio di metri, che agì a mo’ di tettoia, lasciando uno spazio nella caduta della cascata senza acqua.
Fiammetta e Bernard raggiunsero a fatica il punto, lottando contro la forte corrente, e stavano per passare quando Pat cominciò a sentire le forze venir meno. Insomma, stava deviando la caduta di una cascata.
“Fate... fate presto!” strinse i denti lei, mentre sotto i suoi piedi un Dratini nuotò veloce, raggiungendo in poco tempo la foce. “Non riesco a mantenere tutto questo peso per... per così tanto tempo...” si lamentò.
Bernard passò e l’acqua tornò a scorrere, ma poi Pat perse la concentrazione e cadde nell’acqua congelata.
La pressione delle cascate era enorme, l’acqua pareva fatta di pesante ferro e la portava giù, sempre più giù, in quelle acque congelate. Aprì gli occhi, non vide nient’altro che bollicine e verde acqua, qualche sasso, un Remoraid, e poi la mano di Bernard che la tirava fuori, prendendola per il braccio.
Era dall’altra parte. Il ragazzino tremava per il freddo mentre Fiammetta si ricomponeva alla bene e meglio.
“Siamo passati. Ora facciamo presto e saliamo, ne ho già le palle piene di Adamanta” fece la rossa.
 
- 8 ore e 56 minuti;
 
“Dottor Brown, salve, sono Oliver Jackson, il padre di Nina Jackson”.
“Avvocato” replicò quello. “Si hanno notizie?”. Marcus Brown era nel suo ufficio a guardare delle cartelle cliniche portategli dall’infermiera Joy Lover. Analizzava dei casi sospetti di emicrania.
“Dottore, l’aereo è in viaggio”.
“Ottimo. Ma lei sa che per questo genere d’interventi c’è bisogno di tempistica... l’operazione dovrà cominciare entro... poco meno di nove ore”.
“Il cuore arriverà tra circa nove ore e mezza”.
“È troppo tardi, Avvocato. Deve fare in modo di guadagnare tempo. Anche un’ora in più potrebbe aiutare Nina”.
“Non si potrebbe mettere Nina sotto il controllo di quelle macchine... non so come spiegare... quelle che fanno sopravvivere il cuore all’esterno del corpo”.
Sorrise spontaneamente, Marcus Brown. “Il cuore è troppo debole per sopportare un’asportazione e non collassare su se stesso. Poi il corpo di Nina non resisterà a lungo senza il motore... mi capisce, vero?”.
“Sì, la capisco, la capisco, è che...” l’ansia tornava a farsi viva, rosicchiando dall’interno il corpo di Oliver.
“Il cuore deve essere qui quando la opereremo, altrimenti rischieremo di perderla sotto i ferri”.
“Non deve accadere”.
“Assolutamente no” convenne il Dottore.
Oliver deglutì. “Dottor Brown... lei è assolutamente sicuro che non si può sforare di qualche minuto?”.
“Direi di no. Le condizioni di Nina sono fin troppo precarie. Anzi, se fossi in lei verrei qui da lei. Potrebbe esserci uno sbalzo, un imprevisto... il suo cuore potrebbe collassare prima del tempo”.
“Non aveva ventiquattr’ore?!” urlò Oliver, guardando le Cascate Armonia, proprio davanti a lui.
“Sì, la mia stima è quella, secondo la mia esperienza... ma provi a mettersi nei miei panni, non ho mai visto un organo di questa fattezza, non lo conosco. Mi baso sulla mia esperienza di cardiochirurgo, ma la malformazione congenita del cuore di Nina rimette tutto in discussione”.
“Andiamo! Lei è il miglior medico di tutto il paese! Ci sarà pur qualcosa che possiamo fare, intanto!”.
L’Infermiera entrò nell’ufficio del Dottore.
“C’è un’emergenza alla 815”.
“Nina?! Dottore, mica è la stanza di Nina?!”.
“No, si calmi, è un paziente che soffre di cancro, un ottantenne. Devo lasciarla. Ripeto, si calmi. L’unica cosa che c’è rimasta da fare è pregare”.
“Non prego un cazzo!” urlò quello, attaccando il telefono. La caduta dell’acqua era proprio davanti a lui.
 
Bernard era avvolto da una grande coperta, Aipom non smetteva di starnutire.
Anche Pat era avvolta da una grossa coperta e, assieme ad una Fiammetta che non sembrava accusare minimamente la temperatura rigida, saliva lungo il corridoio scavato nella montagna.
“Questo... questo posto è vecchissimo. Si dice sia stato scavato dai templari in caso di necessità di fuga per l’Oracolo” diceva il più giovane.
“Ma come diamine sai tutte queste cose?!” chiese Fiammetta, quasi infastidita.
“Hey, ascolto i grandi che parlano, vedo, faccio, viaggio!”.
“Ma sei un bambino!”.
“Sono un bambino che ascolta, vede, fa e viaggia”.
Pat annuì e sorrise, poi Fiammetta si rivolse a lei.
“Non sarebbe più semplice se con i tuoi poteri bloccassi Jirachi e lo portassimo a Rocco? Con i tuoi... bzium sbash zzzam secondo me potremmo semplificare il lavoro”.
La moretta sorrise, scuotendo la testa. “Tu non hai idea di quanto sia forte Jirachi, vero? La sua forza psichica mi ridurrebbe a pezzi. Senza contare che non gli ci vorrebbe nulla per rompere i miei campi di forza”.
“Oh...” fece la rossa.
Continuavano a salire, Fiammetta lasciò uscire dalla sfera Magcargo, in modo da riscaldare la situazione e permettere a tutti di asciugarsi.
Raggiunsero infine la sala superiore, al termine della salita impervia. Lì vi era una grossa apertura, a mo’ di finestrone, nella roccia viva.
Vi erano delle mensola incavate nella parete della montagna e diversi utensili antichi. Vi erano anche le tracce di quello che doveva essere un giaciglio, proprio dove fluttuava uno spensierato Jirachi.
“Ora lo catturo...” sorrise Fiammetta.
“Tu non catturi proprio nessuno!” tuonò qualcuno dietro di lei.
Sì, esatto. Era proprio l’uomo dal cappuccio nero.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6: - 8 ore e 34 minuti ***


.  ... The25THhour.. .
- Capitolo 6


 
- 8 ore e 34 minuti;
 
“Ancora tu!” esclamò Fiammetta, stringendo i pugni.
Si erano ritrovati davanti lo stesso uomo che era stato battuto nella Grotta delle Lanterne, con i vestiti totalmente inzuppati.
“Io non posso cedere” fece quello, stringendo la Pokéball vuota del Dragonair che gli fluttuava alle spalle, sinuoso ed eleganti. “Non posso fermarmi. Jirachi mi serve”.
“Serve anche a noi! Salverà la vita di milioni di persone!”.
 
Ma non quella di Nina...
 
“Non ho intenzione di combattere con voi. Vi chiedo solamente di levarvi dai piedi, lasciarmi prendere Jirachi e consentirmi di andare via” disse l’uomo.
“Ma nemmeno per sogno!” esclamò Fiammetta. “Sarai tu a farti indietro!”.
“Non capite!” urlò quindi l’uomo, facendo sobbalzare Bernard. Il ragazzino fece un passo indietro verso Jirachi. “Dovete levarvi dai piedi!”.
Dragonair si pose tra i contendenti, con i suoi movimenti armoniosi.
Oliver sapeva quanto Dragonair fosse legata a Nina. “Indra” disse poi al Pokémon, che si voltò. “Lo facciamo per Nina”.
Pat analizzò rapidamente il poco spazio a disposizione, capendo che lì sarebbe stata parecchio complicata una lotta Pokémon. Pensò che avrebbe tranquillamente potuto creare un campo d’energia nel cervello dell’avversario ed espanderlo fino a che la sua testa fosse esplosa.
Lo avrebbe potuto ammazzare velocemente, e molto volte aveva ripreso suo fratello Tell dal torturare piccoli Pokémon selvatici quando erano bambini.
Ma la sensazione di essere la causa scatenante della fuga di un’anima da un corpo la struggeva talmente tanto da costringerla a ravvedersi: meglio la strada difficile ma pulita che quella semplice e piena di sangue.
“Fiammetta... dovresti usare un Pokémon buono a corto raggio” le disse la stessa Pat.
Quella si voltò e la guardò, annuendo. “Blaziken qui è perfetto”.
“Lotterei io, ma devo tenere d’occhio tutto per evitare altre fughe o addirittura qualcosa di peggiore.
Quando Blaziken entrò in campo, in quel piccolo e ristretto campo di circa venti metri quadrati, Indra attaccò velocemente, colpendo frontalmente Blaziken e facendolo cadere di schiena. Non lasciò tempo al Pokémon Vampe di rendersi conto di ciò che fosse successo che l’ordine di attaccarlo con Dragofuria uscì dalla bocca di Oliver come una minaccia.
Indra gettava il proprio corpo pesantemente contro quello dell’avversario, bersagliandolo col capo, col muso e con la possente coda.
“Indietro! Stai indietro, Pat! Blaziken, cerca di bloccarlo!”.
Lo spazio era poco ed i movimenti di Dragonair erano dettati più dall’emozione e dal sentimento che dalla reale consapevolezza di ciò che avesse attorno: in quel momento l’unica cosa che contasse era sottomettere quell’avversario.
Fuocopugno!” urlò la Cuordilavense, che vide il proprio Pokémon accendere la fiamme sul polso e colpire dritto sul muso l’avversario. Dragonair non sembrò accusare molto il colpo.
“Vai con Schianto!” ordinò Oliver.
Dragonair si voltò feroce e lasciò che la sua coda frustasse Blaziken.
“Attacco corto!” urlò Fiammetta al Pokémon. “Attacco Rapido e poi Stramontante!”.
Blaziken saltò lo Schianto di Indra e s’avvicinò celere all’avversario, prima di colpirlo con un grosso pugno alla sommità della nuca.
Quello lo aveva sentito, Indra.
Ricadde per terra, accusando parecchio il colpo, per poi rialzarsi qualche secondo dopo.
“Ottimo lavoro, Blaziken! Ora Fuocobomba!”.
“Non farai niente al mio Pokémon con i tuoi attacchi di Fuoco! Indra, rimettiti in piedi ed usa Tornado!”.
Blaziken eseguì ma l’attaccò non andò neppure a segno, complice la grande agilità del Pokémon Drago, perdendosi nell’aria umida del primo pomeriggio alle spalle dell’uomo, oltre la grande apertura nella parete rocciosa. Dragonair invece tramutò le proprie forze in vento ed un vortice cominciò a girare all’interno della piccola camera. Jirachi guardava impaurito la scena mentre Pat e Bernard indietreggiavano spaventate.
Fiammetta invece restava avanti, ultimo baluardo prima della tempesta.
“Attento Blaziken!” urlava, ma il colpo lo costrinse a subire parecchi danni senza potersi difendere.
“Dobbiamo chiuderla, dannazione! Anche a costo di gettarvi giù da quest’apertura, dovrò vincere! Usa Iperraggio!” urlò l’uomo incappucciato.
Fiammetta spalancò gli occhi. Blaziken avrebbe dovuto indietreggiare, magari schivare, ma ciò avrebbe comportato un’altra cosa: quel raggio d’energia avrebbe colpito loro.
Guardò Pat, poi guardò Jirachi, pensò all’autoconservazione e quindi deglutì un amaro boccone: doveva sacrificare Blaziken, lasciando che fosse colpito.
“No!” sentì poi. Qualcuno urlava dall’esterno della sala, nel corridoio che precedentemente avevano percorso.
L’energia dell’attacco di Dragonair era quasi pronta ad essere scagliata, sulla punta del corno che aveva sulla fronte, quando un forte Geloraggio lo colpì lateralmente, scagliandolo nella parete accanto, attecchendo un principio di congelamento.
“Devi stare fermo!” sentirono poi, e d’improvviso un giovane dal cappello bianco e gli occhi color rubino entrò nella stanza con un balzo, dando un grosso calcio sul petto dell’uomo incappucciato.
Quello cadde, perdendo l’equilibrio e sbattendo di schiena sul muro accanto ad Indra. Si rialzò repentino, col cappuccio abbassato. Fiammetta vide quell’uomo di poco meno di quarant’anni, dagli occhi color nocciola ed i capelli castani, ben pettinati. Sul suo volto due enormi solchi erano scavati, ad attestare la forte stanchezza.
“Ruby!” urlò Fiammetta.
“Forza! Dobbiamo prendere Jirachi ed andare via, per Sapphire! Per Arceus, siete totalmente fradice!” disse il ragazzo. Respirava con la bocca, ansimava profondamente e stringeva le mani nei pugni.
“Ora non importa, Ruby! Dobbiamo mettere definitivamente fuorigioco questa persona... poi dovremmo combattere contro Jirachi” tuonò Pat.
Ruby scambiò un’occhiata con Bernard e sospirò. L’uomo, ormai privato del suo cappuccio, s’alzò in piedi, in preda alla disperazione.
“Hey! Hey, Indra! Forza, dobbiamo rimetterci in piedi altrimenti Nina non ce la farà!” piangeva quello. Il Dragonair scosse l’enorme corpo e lasciò cadere i pezzi di ghiaccio che si erano formati.
“Zuzu, forza, usa di nuovo Geloraggio!” urlò Ruby, mentre il suo MegaSwampert fece il suo ingresso nell’ormai strettissima sala.
“No! Indra, evitalo!”.
Ruby fece cenno di no. “Bloccalo!” urlò poi.
Zuzu, afferrò per il collo lungo e sottile Dragonair, schiantandolo nella parete e premendolo lì. Poi caricò il Geloraggio.
“Usa la coda per non farti colpire! Pensa a Nina!” urlava quello.
 
Fiammetta si chiese chi fosse Nina mentre Pat abbassò la testa, sentendosi colpevole di qualcosa che sapeva solo lei.
“Che succede, Pat?” le chiese la rossa, mentalmente.
Non userà Jirachi per scopi loschi... lo userà per una persona a lui cara”.
“...”.
“Già... ora è dura”.
 
Indra ascoltò il suo Allenatore e colpì il volto di Zuzu proprio mentre partiva l’attacco, facendogli spostare la testa verso destra: una lunga striscia di ghiaccio percorse l’intera parete, sfiorando Pat, Fiammetta e Bernard, che s’abbassarono repentini.
“Oh, diamine!” urlò il ragazzino, tenendosi la coppola sulla testa.
“Dobbiamo liberarci! Usa Schianto!” ripeté Oliver.
E con la coda colpì le braccia di Zuzu, che lasciarono il collo dell’avversario.
“Blaziken, aiutiamo Ruby! Usa Calciardente!” urlò Fiammetta.
“E tu Gelopugno!” ordinò invece il Dexholder dal cappello bianco.
Fu una combinazione incredibile, con MegaSwampert che colpiva con un montante congelato e Blaziken che allungava la zampa inferiore infuocata. Agilissimo, Indra schivò i colpi e passò davanti.
“Bravissima, Indra! Ora usa Idrondata!”.
“Che cazzo hai intenzione di fare?!” urlò Fiammetta, guardandosi attorno e capendo che in un posto così piccolo quella mossa sarebbe stata devastante, e quindi Indra rilasciò una grande quantità d’acqua dal corpo sinuoso.
“Pat, fa’ qualcosa!” urlò Bernard, vedendo la grande onda correre verso di loro, pronta ad investirli.
“Non ci riesco!” urlò quella, terrorizzata. “Non ho abbastanza energia!”.
“Fa’ qualcosa, dannazione!” le urlò ancora il ragazzino.
La ragazza strinse occhi e denti, cercando di scaricare tutta l’energia di cui era munita nell’animo per chiudere le porte all’avversario.
Non sentì più nulla. Poi aprì le palpebre e una grande sfera d’energia argentea li aveva ricoperti.
Il verso di Jirachi, alle loro spalle, li costrinse a girarsi tutti: era lui la causa di quella barriera d’energia argentea.
Tutti zitti e silenziosi, si voltarono nuovamente e videro la grande onda infrangersi sulla parete psichica. Ruby indietreggiò lentamente, avvicinandosi a Pat.
“Sei tu?” chiese.
“No, è Jirachi”.
“Ma come...”. Ruby era rimasto esterrefatto dalla forza del Pokémon e sospirò, ritraendo nella sua sfera Zuzu, nell’eventualità di qualche danno. Fiammetta invece restò ferma ed immobile, alle spalle di un più che protetto Blaziken.
Vedeva l’avversario infrangere le sue speranze liquide contro una barriera d’energia.
E poi l’acqua ricadde dall’apertura grande nella parete, e Oliver restò immobile. Indra era esausta per lo sforzo, stesa lunga per terra ed esanime.
S’era ritrovato tutti quegli avversari.
 
Piangeva, disperato.
 
E quando Pat vide quella scena non poté fare altro che fare un passo in avanti.
“Si chiama Nina, hai detto? È tua moglie?” chiese la moretta.
Ruby guardò Fiammetta, curioso, che rispose ad un’ipotetica domanda del ragazzo facendo spallucce.
“È mia figlia. E Jirachi mi serviva per curarla”.
Tutti si voltarono verso il Pokémon. Alle spalle di Bernard non c’era più nulla.
“È andato via...” sospirò poi l’uomo.
Un attimo di silenzio e di panico. Ruby si girava attorno rapidamente, cercando segno del Pokémon, ma sembrava essere totalmente sparito.
“Come ti chiami?”  gli domandò Pat.
“Oliver. Oliver Jackson, e sono una brava persona che per tutto questo tempo ha vissuto nell’ombra della paura. Mia figlia Nina ha un cuore malato, un cuore che arriverà soltanto tra poco più di... nove ore...” disse, guardando l’orologio. “E l’operazione di mia figlia deve cominciare assolutamente entro otto giri d’orologio”.
“Un’ora...” osservò Fiammetta.
“Già. Per un’ora, una semplice ora, mia figlia morirà...”.
Ruby fece un passo in avanti. “È morta la donna che amo, per via di due mostri... gli stessi mostri che hanno distrutto anche questa regione. Mio padre è in fin di vita, mia madre non dorme più da tre settimane. A me dispiace per tua figlia Nina ma Jirachi serve a noi. Hoenn vivrà col ricordo di questo momento per sempre”.
Oliver annuì, con le grosse lacrime che colavano dal mento, sul quale la barba era cresciuta rada; non la tagliava da due giorni e non succedeva quasi mai che non si rasasse. A Roxanne piaceva liscio, diceva che odiava quando la sua barba la pungeva.
Riconobbe di non poter fare più niente. Non aveva più idee.
Avrebbe finito per girovagare ulteriormente per Adamanta senza una meta precisa. Nina stava morendo e lui aveva capito che l’unica cosa che doveva fare, in quel momento così delicato, era starle vicino.
Sì, sua figlia sarebbe morta. Ma lui aveva fatto il possibile per mantenerla in vita. E forse avrebbe potuto tirare un po’ con il dottore, stabilizzare le condizioni di sua figlia, aspettare quell’ora in più ed attendere che l’aereo arrivasse a destinazione, sperando che l’elettrocardiogramma di sua figlia non fosse diventato piatto.
Avrebbe passato quelle ultime ore accanto a lei, aveva bisogno di tenerla al suo fianco quanto più tempo possibile. Gli mancava la sua voce, voleva vederla subito.
Si voltò e se ne andò, sparendo, sconfitto e disperato.
 
I quattro ragazzi rimasero lì, in silenzio, per quasi un minuto.
Si guardarono negli occhi, e Fiammetta fece rientrare Blaziken nella sfera.
“Beh... Ora che quell’uomo non ci metterà più i bastoni tra le ruote sarà più semplice trovare Jirachi... A proposito...” disse la stessa Fiammetta, con le mani sui fianchi. Guardò Pat. “Che diamine di fine ha fatto adesso?”.
“È sparito...” fece Bernard, mentre Aipom saltava sulle spalle del ragazzo.
“Già” s’inserì Ruby, avvicinandosi ulteriormente alle due. Pat sorrise e guardò la parete alle spalle di Bernard, ancora scosso e silenzioso, quindi tornò a guardare Fiammetta e Ruby.
Quel silenzio li stava snervando. Pat sapeva qualcosa, entrambi erano a conoscenza del fatto che la moretta avesse qualche risposta, da tirare fuori come un coniglio dal cilindro.
“Avanti!” esclamò Fiammetta.
Pat sorrise e guardò Bernard. Quello fissò la ragazze con occhi di circostanza.
“Bernard...” sorrise ancora Pat.
Quello sbuffò e levò la coppola, dentro il quale vi era una Pokéball. “Non ti si può nascondere nulla! Avrei desiderato un milione di Pokédollari ed un nuovo banchetto per le bibite, meno pesante, con ruote rinforzate e sistema frigo d’ultima generazione!”.
“Brutto ladruncolo!” urlò Fiammetta, prendendo la sfera dal cappello. La rimirò per bene, il peso del Pokémon all’interno della sfera attestava che quella fosse piena. “Lo hai catturato tu?!”.
“Sì...” annuì quello, a testa basta ed i capelli arruffati. Manteneva il cappello con entrambe le mani all’altezza delle cosce. “Voi eravate girati. Volevo dare una speranza alla mia vita...”.
“Sei soltanto un ragazzino” sorrise Pat, accovacciandosi, mantenendosi sulle spalle di quello. “Ci sarà tempo per dare speranza alla tua vita. E poi, guarda casa, avevo proprio voglia di regalare il mio carretto con le bibite d’ultima generazione a qualcuno” sorrise.
Bernard la imitò, con gli occhi spalancati.
“Dobbiamo andare” fece poi Ruby. “Sapphire mi aspetta”.
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7: + 1 ora. ***


.  ... The25THhour.. .
- Capitolo 7.
- Epilogo.


Alla fine tutto era terminato. Pat e Fiammetta avevano ringraziato Rupert ed erano ritornati ad Hoenn tramite un aereo privato di Adriano. Una volta arrivate ad Iridopoli entrarono nella sede della Lega e fecero il proprio ingresso nella stessa sala dove quella mattina avevano preso in carica quell’insolita missione.
Fiammetta pensava durasse di più, quella situazione, e invece in poche ore erano riuscite a risolverla, a chiuderla.
Si sentiva turbata però, e Pat lo sentiva mentre camminavano e s’avvicinavano agli altri esponenti della Commissione della Lega di Hoenn.
Erano tutti lì, tranne Ruby. Lui era nella sala medica dell’edificio, accanto alla postazione di Sapphire Birch. Anche Tell era lì; non era mai andata a vedere suo fratello da quando era morto, e pensava fosse meglio in quel modo.
Non appena Fiammetta mise piede nella camera Rocco si diresse verso di lei; si alzò dalla sua poltroncina di pelle rossa ed allargò le braccia, accogliendola con un abbraccio caloroso.
“Come stai?” le chiese.
Fiammetta si specchiò nei suoi occhi d’acciaio e sorrise, baciandolo. “Sto bene”.
Tutti gli altri si alzarono ed applaudirono, e poi andarono a salutare Fiammetta mentre Rocco rimase davanti a Pat.
“Hey, soldatessa, come va?”.
Quella annuì, sorridente. “Tutto bene... È stata dura ma ce l’abbiamo fatta...”.
Dopo essersi congratulati con le due, si sedettero tutti.
Silenzio, attendevano che Rocco parlasse.
“Allora. Ce l’avete?”.
Fiammetta rise. “Sembriamo le tue pusher...”.
“In un certo senso è così...”.
Fiammetta guardò Pat e quella annuì, tirando fuori da una borsa la Pokéball di Jirachi.
La posa al centro del tavolo e si risedette.
Rocco scattò una rapida istantanea dei volti delle persone sedute a quel tavolo: tutti tesi, stanchi e provati. Impauriti.
Allungò la propria mano verso la sfera, tenendola ben stretta.
“È chiaro che non avremo altre occasioni, quindi sarà una sola persona a parlare a Jirachi, in modo da poter esprimere soltanto il desiderio che ci occorre”.
“E gli altri due?” domandò Alice.
Adriano la fissò per qualche istante, prima di tornare a seguire la scena.
“Il Pokémon passerà sotto il controllo di Green Oak, che lo ha richiesto ufficialmente”.
Alice annuì. Poi fu Walter a prendere parola.
“Chi è che parlerà con Jirachi?”.
Rocco s’alzò in piedi. “Lo farò io. Sono io il Campione, del resto. E non bisogna parlare... è più complicato di quel che sembra, quindi mi aspetto che voi facciate silenzio e mi lasciate fare quest’operazione con calma”.
Tutti annuirono.
Rocco lasciò che il Pokémon uscisse dalla sfera; Jirachi prese a fluttuare sul tavolo, fermandosi proprio di fronte al Campione.
“Jirachi” lo chiamò quello. “Mi chiamo Rocco Petri e...”.
Quello lo guardò.
In mente” lo redarguì Pat, facendolo sobbalzare. Poi sorrise quando Fiammetta increspò le labbra. “Lo stai facendo anche con lui?!” le chiese, a bassa voce.
Pat sorrise ancora e tornò a guardare Rocco.
 
Jirachi... poche settimane fa l’ira di Arceus ha risvegliato Groudon e Kyogre. Loro hanno continuato il proprio scontro millenario lungo il territorio di Hoenn, distruggendo totalmente città e paesi. Ammazzando chiunque si ponesse sul loro cammino. Alcune persone, dei malintenzionati, hanno approfittato di ciò, ammazzando e distruggendo a propria volta; so che è difficile da rendere possibile ma tu sei l’unica entità vivente in grado di aiutarci: ti prego, fa’ che tutte le persone morte per via di questi avvenimenti resuscitino e che le nostre città vengano liberate dalle macerie... fa’ che ritornino allo stato iniziale delle cose; fa’ che tutte le città sommerse dall’acqua tornino ad essere bacini di civiltà; fa’ che Cuordilava venga liberata dalla lava solidificata e che la vita torni a scorrere normale, come un anno fa”.
 
Fiammetta guardava Rocco, che stava con gli occhi chiusi e le mani tese a toccare le zampe anteriori di Jirachi. Il Pokémon, amichevole, guardava incuriosito Rocco, come ascoltando una storia toccantissima che nessuno aveva mai raccontato.
 
“Siamo nelle tue mani”.
 
Jirachi sobbalzò, colpito notevolmente dalla richiesta. Il suo terzo occhio, già  aperto sulla pancia, s’illuminò e su di uno dei tre fogliettini che pendevano dalla sua testa cominciò ad apparire, in bella grafia, il desiderio espresso da Rocco.
“Sta succedendo!” esclamò Adriano, stringendo Alice in un abbraccio.
Walter rideva, mentre tutt’intorno cominciava a brillare di una luce argentea fortissima, che costrinse i presenti nella stanza a stringere gli occhi.
 
*
 
Ruby era davanti al lettino di Sapphire. Era rimasto immobile a guardare il suo volto cereo per tutto il tempo da quando avevano rimesso piede ad Hoenn; voleva che una volta risvegliatasi gli occhi blu di Sapphire guardassero i suoi, come prima cosa.
Erano passate quattro ore e ancora non era successo nulla, tardavano ad esprimere quel desiderio ed era immensamente sfinito da quella situazione.
Ruby voleva riabbracciare Sapphire e dimenticare le sevizie subite dal Team Magma, le torture attraverso le quali loro due, ed anche Emerald, erano finiti per cadere in uno stato di coma.
Ruby si sarebbe sacrificato volentieri al posto di Sapph. Le avrebbe donato il cuore se avesse potuto, ma purtroppo così non poteva essere.
Era sul letto a trattenere le lacrime, a sudare freddo, a sperare che gli sforzi fatti per catturare Jirachi non fossero stati vani.
Sapphire non poteva morire.
Era una ragazza troppo solare per perdere la vita; amava stare in mezzo alla natura, amava ridere delle sciocchezze. E poi non aveva pazienza e s’arrabbiava spesso, e lui rideva di lei, e lei metteva il broncio.
Ruby ricordava ogni sfaccettatura del suo carattere, ogni particolare del suo viso. Ogni movenza del corpo sinuoso che possedeva, maturato da quando era una giovane selvaggia.
Rideva, se ci pensava. Vestita di foglie e rami.
Per sentirsi parte della natura, diceva.
La cosa peggiore di tutta quella situazione era che lui la amava. E veder morire una persona che si ama è come morire a propria volta.
Soffriva, promise a se stesso di proteggerla da ogni cosa ove mai Jirachi l’avesse riportata in vita.
Poi tutto s’illuminò, come se venti riflettori da stadio si fossero accesi in quel preciso istante, inondandolo di luce argentea.
E lentamente tutto svanì.
Ruby mantenne gli occhi chiusi, una lacrima cadde.
“Ruby...” sentì poi, la voce di Sapphire era compressa.
Quello spalancò gli occhi, non riuscendo più a trattenere le lacrime. “Sei viva!” esclamò, gettandosi su di lei e la strinse.
Quella sorrideva, col volto sfatto e stanco.
“Cosa... cos’è successo?”.
Ruby la baciò e sorrise. “Cielo, è lungo da raccontare... Dovrebbero scrivere una storia, su quello che è successo...”.
 
*
 
Tutta la commissione Pokémon della Lega di Hoenn riaprì gli occhi.
“Che è successo?” domandò Fiammetta.
“Non lo so...” rispose Alice.
Tutti corsero verso le ampie finestrate, guardando a distanza Ceneride. Si vedevano le punte degli alti palazzi, che pochi minuti prima non c’erano.
“Ci siamo riusciti!” urlò Rocco, sorridente.
“Sì! Dannazione, avevo proprio voglia di rilassarmi un po’ sul mio divano” sorrideva a sua volta Walter.
Tutti erano fieri e soddisfatti del lavoro svolto.
Il Campione s’avvicinò a Fiammetta e le diede un bacio passionale, stringendola, sentendo il suo calore penetrargli nelle ossa.
“Ce l’avete fatta, dannazione... Sei la migliore...” sussurrò, baciandole la fronte.
Fiammetta sorrise, poggiando la testa sulla spalla di quello.
Si sentiva protetta, finalmente.
Dopo tanto tempo era tranquilla sul suo domani.
“Questo vuol dire che Fiammetta è nuovamente la Capopalestra di Cuordilava” sorrise Alice, da lontano.
Tutti applaudirono, anche Pat, che era rimasta in disparte, sorridente ma triste.
Fiammetta la vide.
Hey, belladonna, che è successo?” domandò la rossa, cominciando un’altra delle loro conversazioni mentali.
Pat allargò il sorriso. “Sono felice per te... credimi. Pensavo a Tell e... ad Oliver Jackson”.
“E chi diavolo è?!”.
“L’uomo col cappuccio. Quello che ci ha parlato di sua figlia... Vorrei poterlo aiutare”.
Fiammetta annuì, quindi alzò la testa.
“Rocco, io e Pat dobbiamo dirti una cosa in privato”.
 
 
- 2 ore e 48 minuti;
 
 
Oliver era a casa sua.
Aveva passato il resto di quella strana giornata con sua figlia Nina, accanto a lei, tenendola per mano. Il suo battito era debole e lei aveva dormito tutto il tempo, tranne per una ventina di minuti, in cui gli aveva raccontato di come la suora l’avesse convinta a mangiare la mela cotta e di quanto quella le fosse piaciuta.
“È dolce” fece, dopo un paio di distruttivissimi colpi di tosse.
Oliver aveva annuito, aveva sorriso ed era tornato cupo.
Le guardava il petto, immaginando quel putrido pezzetto di carne che lentamente collassava su se stesso.
Le diede un bacio sulla fronte, promettendole di ritornare una mezz’oretta dopo, il tempo di farsi una doccia e cambiarsi d’abito.
Aveva telefonato per chiedere informazioni sull’arrivo dell’aereo. Avevano detto che avrebbero fatto anticipo di dieci minuti ma chiaramente non era abbastanza.
Il Dottor Brown, dal canto suo, non gli aveva dato molte speranze; come ogni buon medico che si rispettasse era rimasto fedele alla sincerità, dicendo che se quel cuore non sarebbe arrivato lì entro quelle tre ore non avrebbe potuto fare più niente per Nina.
Era davanti allo specchio, Oliver, nudo dopo una doccia bollente.
Il vetro dello specchio era frantumato, con il rossetto di Roxanne ci aveva scritto sopra.
 
fanculo
 
“Già... fanculo. Fanculo a tutti. Fanculo ai dottori, che non vogliono prendersi le responsabilità di rischiare: mia figlia è una morta che parla, non cambierebbe nulla provare a scommettere, a sperare che il cuore arrivi in tempo, tanto nel peggiore dei casi la situazione non cambia. Loro non vogliono operare senza il cuore, non possono stabilizzare il corpo di mia figlia, ripulirlo dai danni che sta subendo. Una bambina sta tossendo sangue, a loro importa solo di non andare in galera.
Fanculo alle tempeste, a quel cazzo di Thundrus che non poteva lasciar passare il mio aereo, quello col cuore di mia figlia.
Fanculo a mia moglie Roxanne, così strana, così dannatamente diversa da me, anche i suoi organi erano differenti.
Fanculo alla Lega di Hoenn, altruisti del cazzo che non possono lasciar passare nulla. Fanculo a quella rossa demente e quella psicopatica con la treccia, ad i loro Pokémon iperpotenziati e a tutte le lotte. Fanculo a quel ragazzino con la coppola, invece di stare per strada a giocare doveva per forza rompere le palle al prossimo.
Fanculo a Groudon e Kyogre, che non hanno mai trovato il tempo per capire che il mare ed i continenti stanno bene dove stanno. Perché dovete lottare, fatevi una canna e guardatevi i Denver Broncos in televisione. Fanculo anche ad Arceus, despota, prepotente del cazzo, incapace di fare le cose per bene, privo di compiere un lavoro perfetto. Ci ha fatto a sua immagine e somiglianza? Beh, brutta notizia per lui, hai una malformazione cardiaca, stronzo!
Fanculo a tutta la gente che specula su queste situazioni, che  guadagna sulle lacrime della povera gente, dei disgraziati, dei disadattati.
Fanculo ai Pokémon: abbiamo creato un mondo basato su di loro ma la vita non ce la semplificano quasi mai, quando necessario. Sono soltanto un futile passatempo, amici, compagni. E poi lasciano morire le persone.
Talvolta le uccidono.
Fanculo a te, Jirachi, Pokémon dei desideri... Che diamine di necessità hai? Come puoi stare sveglio sette giorni per ogni millennio? È esagerato!
Fanculo ad ogni dannata persona che ha avuto a che fare con me soltanto per sfruttarmi; ora sono solo, non ho più mia moglie, non ho più mia figlia. Non ho più un cazzo.
Ed il fanculo più grande, quello più importante, va a te, Oliver Jackson: non sei stato capace di costruirti una famiglia, vivi in una castello di carte. Hai quasi quarant’anni e non hai una dannata sicurezza nella tua vita e questo dovrebbe farti capire quanto tu sia patetico. Hai fatto finta di nulla quando Roxanne è morta, perché sei un fottuto debole! Non riesci a fare più nulla, non sei riuscito neppure a combattere per proteggere tua figlia. Ti meriteresti di morire più di chiunque altro perché sei una persona inutile”.
 
E poi il telefono squillò.
Lui lo tirò fuori dalla tasca, sperando che fossero quelli dell’aereo, dicendo che avevano rosicchiato abbastanza tempo. Oppure che il velivolo fosse crollato in mare, in modo da mettersi l’anima in pace, invece di vivere con quel patema d’animo fisso nel petto.
Il numero non gli diceva nulla, non lo conosceva.
Lasciò squillare.
Andò in salotto, ancora nudo, ed aprì una bottiglia di Cognac. La suoneria era cessata.
Roxanne aveva arredato quel posto in maniera sopraffina, creando ottimi punti luce ed abbinando gradevolmente i colori forti dei divani, rosso e blu, con gli elementi in acciaio del mobilio.
Versò il liquore in un bicchiere di cristallo e lo buttò giù senza neppure dare adito alle papille gustative di risvegliarsi, bruciandole in partenza.
Quel Cognac era fortissimo. Se ne versò ancora e giù tutto d’un sorso.
Si chiese perché diamine non stesse bevendo dalla bottiglia, quindi frantumò il bicchiere per terra sentendo i frammenti di cristallo colpirgli il polpaccio nudo.
Bevve da vicino, riempì la bocca, ustionò le tonsille e poi tossì.
Era troppo forte.
Il telefono squillò di nuovo, fanculo anche al telefono. Troppo tempo speso a far telefonate per gente di cui non gli importava nulla.
Gli girava la testa, pensò fosse meglio posare la bottiglia. Sospirò, guardando il vuoto e pensando al fatto che in cantina ci fosse una fune fatta di corda, quattro bei filoni intrecciati.
Solidi.
Il nodo scorsoio lo sapeva fare. Oddio, forse la testa girava un po’ troppo per riuscire a farlo per bene, ma in qualche modo ce l’avrebbe fatta. Si voltò proprio quando il telefono terminò di squillare e guardò la ringhiera.
Lo avrebbe retto, sicuramente.
Il silenzio si riappropriò di nuovo di quel salotto buio, il telefono aveva smesso di suonare ma quel rumore risuonava ancora nella sua testa.
S’alzò, calpestando i frammenti di cristallo che gli penetrarono nel piede; lui non fece una grinza. Lì levò alla bene e meglio e poi si diresse verso la camera da letto.
Ma il telefono suonò nuovamente.
E se il telefono di Nina fosse scarico e stesse usando quello di qualcun altro per contattarlo?
Gli prese il panico e corse verso il cellulare, rispondendo immediatamente.
“Pronto!” fece, accorato.
“Ehm... Oliver Jackson?”.
“Chi è?!” tuonò quello, mentre vedeva il suo tallone perdere sangue.
“Sono Fiammetta Moore. Ci siamo visti ad Adamanta, cercava di catturare Jirachi... dovrebbe ricordare”.
“Come ha avuto il mio numero?!” domandò duro quello, totalmente stupito dalla chiamata della donna.
“Abbiamo i nostri mezzi. Tra trenta minuti un aereo privato sarà all’aeroporto di Edesea. Jirachi la sta aspettando”.
“Come?!” esclamò quello. “Che cosa sta dicendo?!” urlò, spalancando gli occhi.
“Si sbrighi, è già partito. Il tempo passa e a lei serve... quindi vada all’aeroporto”.
“Subito!” esclamò Oliver, zoppicando nel buio del corridoio in direzione della camera armadio.
 
*
 
Pat entrò nella sala medica. Ruby riposava accanto a Sapphire, con la testa poggiata sul fianco della ragazza e la schiena curvata, seduto su di una sedia d’acciaio.
La salutò rapidamente dandole un bacio sulla guancia e poi proseguì oltre. Rudi e Petra dormivano, ma Alice era andata a verificare personalmente le condizioni dei due e stavano benone; insomma, avevano appena oltrepassato la soglia che delimitava la vita dalla morte, e nel modo più anticonvenzionale per altro, andando a ritroso.
Era logico non fosse tutto regolare fin da subito.
Il letto oltre era libero, Fosco era con ogni probabilità uscito. Oppure non lo sapeva.
Frida e Drake, e poco oltre Ester, riposavano ognuno su di un fianco.
E all’ultimo c’era Tell.
Era sveglio, seduto sul letto, annoiato; giocava facendo fluttuare due bicchieri di plastica vuoti.
Era vivo, e stava bene.
La moretta spostò la treccia dietro le spalle e sorrise, avvicinandosi nel silenzio più che totale, e lo strinse.
I bicchieri crollarono sul letto.
“Sei vivo!” pianse poi. Affondò il naso nei capelli del ragazzo che la strinse.
Totalmente identico a lei, lineamenti più marcati, più solidi, barba sul volto pallido e capelli sciolti.
Tell la tirò a sé, quella s’adagiò su di lui.
“Ho avuto paura di perderti” pianse lei. “T’ho visto senza vita e... e... Cielo!”.
“Non fare così... Ora è tutto finito. Ruby mi ha raccontato tutto, sei stata bravissima”.
Pat si tirò indietro e guardò gli occhi del fratello, del tutto uguali ai suoi.
Tra quei due c’era un filo indissolubile, una linea così forte da passare attraverso le pareti delle differenze e fungere d’autostrada.
Lì, i due si passavano sensazioni ed emozioni, vivendo in simbiosi perfetta l’una con l’altro.
“Ora andrà tutto per il verso giusto, ne sono certo”.
 
*
 
- 1 ora e 07 minuti;
 
Oliver scese dall’aereo, con la premura che gli stritolava lo stomaco.
Ad accoglierlo ci fu Rocco.
Era decisamente tardi, nessuno era più in quel posto.
“Lei... lei è Rocco Petri?” domandò umilmente Oliver, asciugandosi la mano sui pantaloni prima di stringergliela.
Presa stretta, come piaceva a lui.
“In persona. E lei è la persona di cui mi hanno parlato Fiammetta e Pat. Ammetto che in simili situazioni sarei ricorso al suo stesso metodo” sorrise l’uomo dai capelli grigi.
Oliver abbassò lo sguardo. “Non c’è ancora tanto tempo...”.
“Andiamo subito”.
Arrivarono nell’ufficio di Rocco. Oliver si guardò attorno, vedendo enormi librerie, zeppe di tomi antichi, rilegati con pregiati materiali. Vi era anche una grossa teca, dentro la quale vi erano ordinatamente disposte e classificate diverse pietre e gemme, con targhetta identificativa davanti ad ognuna.
Rocco camminava con quel portamento elegante che lo aveva sempre contraddistinto, fino ad arrivare alla sua grande scrivania. Aprì un cassetto e ne estrasse una Pokéball.
Guardò Oliver negli occhi e vi vide timore e speranza uniti. Quello si mordeva un labbro.
“È molto semplice: lei pensi ardentemente al desiderio di cui necessita... si prenda pure tutto il tempo necessario per formulare la frase ma deve far sì che sia molto chiaro in quel ch’esprime. La cometa Millennium tiene aperto l’occhio sulla pancia del Pokémon, ed è grazie a questo che siamo in grado di esprimere i desideri. Tutto chiaro fin qui?”.
“Sì. Tutto chiarissimo”.
“Oliver... Posso chiamarti per nome, vero? Posso darti del tu? Beh, Oliver... io mi sto fidando di te. Tu potresti desiderare qualsiasi cosa in questo momento, anche qualcosa di profondamente egoistico, di cattivo. Di inutile. Mi appello alla tua umanità; se è vero che tu devi salvare tua figlia, voglio vedere sui fogliettini che Jirachi ha accanto alla testa proprio questo desiderio”.
“Non c’era bisogno nemmeno di dirlo”.
“Lo so, figurati, ma meglio essere precisi fin dall’inizio”.
Rocco fece uscire Jirachi dalla sfera.
Oliver non riuscì a trattenere un fremito d’eccitazione: aveva davanti a sé il Pokémon che aveva soltanto sfiorato nella lunga giornata che era trascorsa. Quello fluttuava, con la sua solita aria, stanca e felice. Notò che uno dei tre bigliettini che pendevano dal suo capo era già scritto.
Era il desiderio che Pat e Fiammetta gli avevano decantato liberamente durante i loro scontri.
Ve ne erano due liberi.
Due.
Avrebbe potuto salvare due persone.
Nina, certamente. E Roxanne.
Avrebbe potuto portare indietro Roxanne.
Guardò gli occhi severi di Rocco e poi lasciò che a parlare fosse solo il proprio cuore: non poteva fare una cosa così bassa; quella gente non aveva nessun obbligo verso di lui, quei tre desideri appartenevano a loro, ma ne avevano concesso uno a lui.
Lo avevano concesso a Nina.
Si convinse quindi a salutare Roxanne da lontano, una volta per tutte, e si sedette di fronte al Pokémon.
Lo guardò per altri dieci secondi quindi, nervoso, strinse i pugni e sospirò.
 
Dovresti ricordarti di me, Jirachi... Sono l’uomo che oggi ha provato a catturarti almeno due volte. Sai, ho una figlia, che si chiama Nina. A Nina rimane poco più di un’ora di vita... Vorrei che potesse averne almeno un’altra. Già, puoi tu, Jirachi, donarle una venticinquesima ora?”.
 
Jirachi s’illuminò, i suoi tre occhi esplosero di luce e tutto fu investito per qualche attimo che sembravano ore, anni, fino a quando il suo desiderio non apparve scritto sul bigliettino che aveva sulla fronte il Pokémon. Sorrisero, entrambi, poi il cellulare di Oliver squillò.
Rocco guardò con occhi intrepidi l’avvocato che con eccitazione malcelata cercava il cellulare nella tasca interna del completo grigio Armani che indossava.
Voleva morirci in quel completo, pensò, con una corda a spezzargli la colonna vertebrale. Prese il Samsung e guardò la chiamata in ingresso.
Marcus Brown, c’era scritto.
Era il Dottore.
“Avvocato Jackson? Sono Marcus Brown, seguo sua figlia, Nina”.
“Ricordo, Dottor Brown. Che è successo?”.
Temeva che quello gli stesse per comunicare di accorrere lì subito, per il repentino peggioramento delle condizioni di sua figlia. Forse Jirachi non era servito a nulla, forse era stato tutto inutile.
“Sua figlia sembra stare meglio. Potremmo mantenerla in osservazione per un’ora ulteriore. Il suo aereo dove diamine si trova?!”.
Le lacrime sgorgarono dagli occhi dell’uomo ed un sorriso s’aprì fiero sulle sue labbra.
“È... è poco al di fuori di Adamanta! Sarà lì a brevissimo!”.
“Bene. L’aeroporto non è molto lontano dall’ospedale, qui ad Edesea. Mi raccomando. Lei dov’è?”.
“Sono... ad Hoenn...”.
“Hoenn?! Sua figlia è in queste condizioni e lei si allontana?”.
Rocco aveva sentito tutto e guardava gli occhi mortificati di Oliver. “Gli dica che tra meno di venti minuti sarà lì” fece il Campione.
“Sarò... sarò lì tra... tra meno di venti minuti... Ora dovrei andare”.
Poi si sentì bussare alla porta.
“Un momento” tuonò Rocco. Vide Oliver chiudere la telefonata e rinfilare il cellulare nella tasca interna della giacca, quindi si alzò in piedi, non riuscendo più a trattenere le lacrime.
“Grazie” esplose, abbracciando l’uomo in maniera fin troppo goffa. “Grazie mille! Giuro che le sarò riconoscente a vita! Io e mia figlia le saremo riconoscenti a vita!”.
“Si figuri! Abbiamo salvato milioni di vite, oggi, per noi è importante continuare a preservare la sicurezza ed il bene di tutti”.
“Grazie mille”.
“Ora le chiamo Pat, che con i suoi Pokémon sarà in grado di teletrasportala velocemente ad Adamanta”.
Oliver spalancò gli occhi. “Grazie”.
“Non mi ringrazi più. Ora vada che ho un altro appuntamento”.
 
Oliver uscì dallo studio di Rocco e vide due persone in piedi ad aspettare. Era notte fonda, lui era stanchissimo, e si recò all’ingresso. Poco dopo arrivò Pat.
Quella gli lesse l’aura, decisamente più calda, di un giallo vivo.
“Salve” sorrise lei, stringendogli la mano. Lo vedeva, ancora con le lacrime agli occhi.
“Grazie anche a lei” disse.
“Bene. È importante che lei raggiunga velocemente Adamanta a quanto mi ha detto Rocco”.
“Sì. L’aereo sta per arrivare e mia figlia ha ottenuto una venticinquesima ora”.
“Perfetto”. Tirò fuori dalla sfera un grande Gardevoir. “Gli prenda le mani” disse poi.
Oliver lo fece immediatamente. Aveva paura di ciò che stava per succedere, ma durò poco meno di un secondo, chiuse gli occhi ad Iridopoli e li riaprì fuori l’ospedale di Edesea.
E trenta minuti dopo il cuore raggiunse l’ospedale.
Tutti i medici si predisposero per un intervento d’urgenza. Nina salutò il suo papà con la mano prima di entrare in sala operatoria.
L’intervento durò trentasette ore consecutive, ed il Dottor Brown riuscì a trapiantare quello strano cuore nel petto della piccola.
Un mese dopo Nina era a casa, e giocava con Indra nel loro giardino.
Oliver riprese a lavorare, anche se per poco, nello studio in cui era entrato in aspettativa, per poi ritirarsi ed aprirne uno proprio. “Jackson&Wishes” si chiamava, ma nessuno aveva mai visto il secondo socio.
Era più tranquillo, il sorriso di sua figlia era lo stipendio giornaliero che gli spettava per essere un buon padre. La guardava, alle spalle delle finestre della camera da letto. Assomigliava così tanto a sua madre che ogni due minuti era costretto a voltarsi a guardare il volto di Roxanne dalle fotografie appese alle pareti.
“Ce l’abbiamo fatta” sorrise a sua moglie.
 
Ma Rocco aveva ancora un appuntamento.
 
Poco dopo che Oliver Jackson abbandonasse lo studio, le due persone in sala d’attesa entrarono.
Uno dei due era Green Oak. Sorrise cordialmente mentre, entrando, Rocco accorse a stringergli la mano.
“Caro Green, come stai?”.
Quello sorrise ancora, cercando di allontanare la stanchezza dallo sguardo. “Tutto bene. Ti presento Zackary Recket, ex Campione della Lega di Adamanta”.
Dalle spalle del Dexholder apparve Zack, sorridente, con gli occhi più stanchi di quelli di Green.
“Ti conosco di fama” sorrise Rocco, stringendo la mano anche a lui. Quello aveva una stretta potente. “So che eri parecchio forte, ed hai abdicato per motivi personali”.
“Sì, poco tempo fa... la mia donna è incinta e voglio starle accanto”.
“Mi sembra più che giusto. Ma accomodatevi” disse Rocco, dando il buon esempio. Jirachi fluttuava sonnecchiante al suo fianco.
Guardò il volto di Green, con i capelli di quel castano chiaro e gli occhi smeraldini stanchi. Il volto era solido, come un blocco di granito, e la sua serietà era interamente rivolta verso Jirachi. Anche Zackary Recket guardava il Pokémon, con immensa serietà ma con il viso più disteso. Anch’egli aveva gli occhi smeraldini ma i capelli decisamente più scuri.
“Rocco” aprì Green. “Mi spiace che tu abbia dovuto riceverci in piena notte, ma a quanto ho visto hai impegni ad ogni ora”.
“È il destino di chi è Campione. Hoenn è un cantiere a cielo aperto, dopo i danni provocati da Groudon e Kyogre...”.
“Arceus” rettificò Zack, sbuffando. “È stato parecchio stressante l’ultimo mese...”.
Rocco sorrise.
“Beh, siamo venuti qui perché il destino di molta gente dipende dal bambino che aspetta Rachel, la donna di Zack” fece invece Green.
“Come mai?” domandò l’altro, a braccia conserte.
“Vuoi raccontare tu?” domandò il Dexholder a Zack. Quello annuì e si sistemò meglio nella poltroncina.
“Beh. Rachel è praticamente l’oggetto che un migliaio di anni fa l’oracolo di Arceus utilizzava per evocare il Pokémon. Caso voglia che Rachel sia l’oracolo stesso”.
“La storia del cristallo della luce, giusto?” chiese Rocco.
“Esattamente” annuì Green.
“Me l’hanno raccontata due anziani che vivevano sul Monte Pira. In effetti ora ci vivono di nuovo... Dunque, continua”.
“Prima di venire qui, Rachel ha dovuto affrontare suo padre, l’uomo che l’ha letteralmente rapita e sfruttata per evocare Arceus. Lo ha sconfitto, ma abbiamo capito che esistono persone che mirano ad Arceus per i propri scopi, per le proprie megalomanie. Oltre a non volere che ciò succeda, io amo Rachel e non posso permettere che succeda qualcosa di male a lei”.
“Mille anni fa...” entrò in tackle Green “... scoppiò una grossa guerra ad Adamanta. C’era chi voleva proteggere Arceus e chi lo voleva distruggere. L’oracolo, che non è altri che un’antenata di Rachel, per proteggere il cristallo decise di desiderare, proprio tramite Jirachi, di inglobare il cristallo e diventare essa stessa il modo per evocare Arceus. In questo modo avrebbe levato dalla circolazione il cristallo e lo avrebbe tenuto sotto controllo. L’oracolo diventava quindi il cristallo, e così via, di generazione in generazione”.
“Ok” annuì Rocco.
“Rachel stava per morire, Rocco. Non voglio che a mia figlia accada lo stesso”.
“Già sai che è una femmina?” si voltò Green, stupito.
“Il cristallo fa nascere solo donne, perché soltanto le donne possono fare da oracolo”.
“Dannazione...” sospirò Rocco.
“Allegra, mia figlia, non avrà niente a che fare con tutta questa storia”.
Il Campione di Hoenn s’alzò dalla sedia ed annuì. Camminò fino all’ampia finestra e guardò fuori, mentre Fiammetta prendeva il volo per raggiungere Verdeazzupoli.
“La situazione è più delicata del previsto. Dopodiché il cristallo dove sarà mantenuto?”.
“Sarà nascosto fino a quando non avremo una locazione definitiva. Intanto verrà indetta con urgenza una riunione generale” rispose Green.
“L’Unione Lega Pokémon, l’insieme delle federazioni... Tutti presenti. Ne sono già tutti a conoscenza?”.
“Per il momento no. Lo sappiamo solo noi in questa stanza e Camilla, che è stata allertata” rispose Zack.
“C’è bisogno di questa riunione, assolutamente. Questo cristallo è uno strumento assai importante e bisogna preservarlo  con la massima cura possibile. Dovrebbe essere decretato come segreto di Livello S e messo agli atti”.
Green guardò Zack.
“La ragazza d0v’è?” chiese ancora Rocco.
“È a Primaluce, a casa” rispose quello di Adamanta.
“È al sicuro?”.
“Sì, ci sono i Superquattro e Ryan Livingstone in casa, l’attuale Campione a cui ho lasciato il posto”.
“Dovrebbe essere protetta” aggiunse Green, grattandosi il mento.
Rocco annuì. “Prendete il Pokémon e detenetelo con la massima cura. Sappiate che una volta espresso il terzo desiderio automaticamente fuggirà. Avete ancora pochi giorni prima che la Cometa Millennium lasci l’orbita che s’affaccia sulla Terra, ed allora il suo occhio si chiuderà”.
“Saremo tempestivi” s’alzò in piedi Green. Zack lo seguì.
Rocco fece rientrare Jirachi nella Pokéball e la diede a Green.
“Abbiatene cura. Ora, scusatemi, ma è stata una lunga giornata” fece Rocco, accompagnando gli ospiti alla porta ed uscendo con loro.
Spense le luci e tornò a casa. Fiammetta dormiva già nel grande letto, abbracciata al cuscino dell’uomo, inalando ciò che rimaneva del suo odore.

 
nd.
 

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