Glasslife - Mondo d'Immaginazione

di Black Swallowtail
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 「A Prologue」 ***
Capitolo 2: *** 「Chapter 1 – Walking home with the Devil Eye」 ***
Capitolo 3: *** 「Chapter 2 – One thing I know about her」 ***
Capitolo 4: *** 「Chapter 3 – Welcome to the New Arcane Library of Eternal Darkness」 ***
Capitolo 5: *** 「Chapter 4 – A secret between us」 ***
Capitolo 6: *** 「Chapter 5 – Under those scary eyes」 ***
Capitolo 7: *** 「Chapter 6 – Even in my dreams, I've seen you a lot」 ***
Capitolo 8: *** 「Chapter 7 – A precious, little story」 ***



Capitolo 1
*** 「A Prologue」 ***


Glasslife – mondo d'immaginazione

 

A Prologue

 

She lives in a fairytale,

somewhere too far for us to find;

Forgotten the taste and smell,

of a world that she left behind.”

 

Qui, la luna è di un pallido colore blu, e scintilla in cielo illuminando il mondo di un'aura soffusa e magica; non è altro che il sinistro, tetro rimasuglio di una maledizione, una oscurità caduta sul mondo e che minaccia di divorarlo di giorno in giorno, estendo le sue lunghe, tremolanti dita di nebbia verso ogni luogo, vicino e lontano, senza alcuna distinzione, rinchiudendo nelle illusioni di un altra realtà coloro che vi finiscono vittime. Non sembra ci sia speranza, per noi. Tutto sembra destinato a scomparire, divorato dall'avanzare lento ma inesorabile di questa essenza incolore ed allo stesso tempo avvolgente quanto soffocante, che procede portando con sé una subdola quanto invisibile distruzione. Come un araldo dell'apocalisse imminente, che porta l'abbandono di ogni castello ed ogni casa, e reca con sé l'estinzione, la Nebbia scivola senza fermarsi, come una legione invisibile di creature demoniache e folli; è cantata in leggende e storielle da taverna, dove bardi brilli suonano con il loro strumento, intonando canzoni epiche di una maledizione infinita ed antica, senza tempo, sgorgata da un gigantesco portale verso il vuoto, spalancato dall'incauto desiderio dell'uomo di conoscere quel che non è a lui dovuto, di mettere piede in un territorio che non è destinato ai mortali, per dimostrare che non vi sia nulla che all'uomo sia proibito o limitato; una superbia, una tracotanza che è costata caro a tutti noi. Sono stati chiamati eroi da ogni angolo del mondo, per fare in modo che questa nuova apocalisse giunga alla fine prima che sia troppo tardi; quando la Nebbia ha iniziato a fuoriuscire, ed i cieli sono divenuti di uno smorto color granito, lacerati tutt'attorno al Cratere, quasi come se siano risucchiati inesorabilmente verso di esso, il presagio che tutti abbiamo atteso, che abbiamo pregato non dovesse mai verificarsi si è materializzato davanti ai nostri occhi. È stato allora che tutti quei combattenti si sono accalcati ai confini della Nebbia, unendosi in grandi legioni, in piccoli gruppi o intraprendendo l'arduo viaggio in solitaria, con le loro armi in mano, sfidando creature abominevoli e pericoli di ogni sorta solo per arrivare fino al Cratere e distruggere la fonte di questa maledizione. Il suo silenzio mortale inizia ad ingoiare qualunque suono, e la sua fitta cappa, talmente spessa da non potervi distinguere nulla attraverso, a nascondere quel che vi è dietro. In qualunque luogo vi si trovi, non c'è bocca che non parli della fine del mondo e di come si stia inesorabilmente approcciando a noi, minacciando di ingoiare ogni terra, vicina e lontana.

Tuttavia, nonostante il terrore, nonostante il vessillo della morte di ogni cosa che si fa sempre più vicino, nonostante tutti, in cuor loro, si stiano preparando ad un destino feroce ed inevitabile, la speranza non si è del tutto spenta. Come un'esitante candela che vive delle ultime gocce di cera, allo stesso modo la tremolante fiamma nei loro animi, seppur esitante di fronte a quella suprema dimostrazione di forza virtualmente imbattibile, espressione stessa della fine di ogni cosa, ancora sta fieramente eretta, illuminando tenue le tenebre della loro oppressiva, agonizzante paura. Le chiese si riempiono di fedeli che pregano silenziosi, augurando buona fortuna a quegli uomini valorosi che ogni giorno passano di città in città stringendo le loro armi, elaborate e lucenti, simboli di mille battaglie; spesso con strane creature al seguito, o palpitanti magie ad aprire loro la strada, con mitragliatrici talmente grandi da potervi accogliere sopra un uomo sdraiato, o cecchini con canne talmente lunghe da sfiorare il terreno quando tenuti di traverso sulla schiena, questi magnifici mercenari peregrinano senza sosta, in una marcia continua e faticosa, verso quei confini perennemente immobili e compatti di grigiore assoluto: in loro, non sembra esserci alcuna esitazione, e per questo tutti hanno messo sulle loro spalle quel briciolo di flebile speranza che ancora persiste. Fermeranno sicuramente tutto questo, ripetevano tutti, e le leggende rimarranno rimaste tali.

Questo è quello che volevano credere. Questo è quello che dicevano, per allontanare il fantasma sempre più prossimo della soffocante Nebbia, una massa senza forma né colore che stava divorando senza limite ogni cosa, senza lasciare alle proprie spalle nulla, se non una ancor più fitta massa indistinta a nascondere il risultato de suo operato.

Sono passati mesi e mesi, e nessuno dei valorosi eroi che ha sfidato il Cratere con tutta la sua forza di volontà e la sua sconfinata potenza ha fatto ritorno. Ogni tanto, la Nebbia avanza ancora, prendendo in sé intere città, cancellando spesso villaggi interi dalle mappe del mondo. Tutto sembra perduto, a questo punto. Nessun nuovo combattente è più giunto fin qui, nessuno ha osato più sfidare la punizione crollata sulle spalle dell'uomo. E solo ora la consapevolezza della fine ha spento anche l'ultima, flebile fiammella rimasta accesa nei cuori della gente, e una cupa comprensione mai stata così reale è caduta su tutti. Senza più nessuno ad innalzarsi di fronte al nemico come ultimo baluardo, non vi è alcuna possibilità; dopotutto, chi può sapere cosa vi sia oltre quel muro indifferente e mutevole, eppure sempre uguale?

Ma ora, ora tocca a me.

Sono stata scelta per brandire un potere che va oltre ogni immaginazione. Un potere proibito, ma allo stesso tempo l'unico in grado di poter riportare al suo sonno l'Antico, un potere garantito alla nascita da un prescelto che abbia impresso il suo marchio nell'occhio destro, dove un'effige dalla forma di spirale imprime l'iride di un profondo color porpora: il simbolo dell'Occhio Demoniaco, l'unico in grado di fronteggiare e sconfiggere la Nebbia, ricacciarla nel luogo da cui viene, e con essa la distruzione al suo seguito.

Non ho conosciuto il mio potere fino al giorno del mio quindicesimo compleanno, quando i miei genitori hanno dovuto abbandonare la nostra casa per andare a combattere contro la Nebbia, per guadagnare il tempo necessario allo sviluppo dei miei poteri. Il sacrificio di tutti quegli uomini non è stato vano, ma mi ha dato il tempo di affinare il controllo che posso esercitare su quel dono oscuro datomi per combattere l'ultima battaglia di questo mondo.

O almeno, così ho creduto. La verità, è che sono caduta io stessa vittima del mio nemico e della sua illusione. Quando ho compiuto i quindici anni e ho assistito alla rivelazione del mio potere, dopo aver scoperto di poter brandire l'Occhio Demoniaco, ho realizzato anche una terribile verità – il mondo in cui sono imprigionata ora, non è quello reale; così come le persone tutte attorno a me, sono stata ingannata dalla Nebbia che mi ha inghiottito e che ha offuscato la mia mente. I miei genitori non sono scomparsi, semplicemente sono andati avanti, perché hanno intravisto l'inganno, e mi attendono ancora, più avanti, perché io possa raggiungerli. Ora che l'Occhio mi ha permesso di osservare la verità, la mia unica speranza, è quella di trovare il portale, che risiede oltre l'orizzonte, attraverso il quale troverò l'Antico e spezzare questa maledizione che tiene tutti quanti imprigionati, ed ignari.

Ora mi rendo conto di quanto sia grande il potere della Nebbia e di come plagi la mente, spingendola a credere che non vi sia nulla di diverso da questa realtà, e che qualsiasi altro mondo non sia che un sogno, una fantasia, qualcosa che va tenuto lontano. Nessuno oltre a me sembra volersi svegliare – sono pochi quelli che ancora serbano i ricordi della nostra vera casa. Combattono una battaglia persa, perché non riescono a mantenere del tutto la loro sanità, e lentamente iniziano a perdere la memoria. Lentamente, rifiutano quel che sono stati, rinnegano del tutto il loro passato, la loro vera essenza, lasciando che l'invito della Nebbia li plagi con le sue visioni di un mondo come perfetto; iniziano a demonizzare coloro che persistono, perché la Nebbia li spinge a combattere contro i valorosi che ricordano, nella speranza di mutare anche loro in esseri vuoti e privi dei veri ricordi. Ma l'Occhio Demoniaco può combattere tutto questo, può spezzare i sigilli che sono stati applicati alle loro menti.

Quando troverò qualcuno in grado di aiutarmi, quando avrò dei compagni al mio fianco, quando finalmente potrò liberare il mio potere – allora, trapasserò questo velo che ci separa dal vero mondo. Fino ad allora, dovrò sopportare, e camminare a testa bassa, sola nella mia lotta contro tutto ciò che mi circonda. A volte, mi sento sola. A volte, vorrei poter porre fine a questa battaglia. Ma l'Occhio Demoniaco non può essere sconfitto.

Oggi, sono più vicina che mai all'Antico e al centro della sua Nebbia.

Oggi, è un anno della mia lotta.

Oggi, a sedici anni—sono tornata nella mia città natale.

*

C'è una parte di noi di cui tutti ci vergogniamo. Tentiamo di tenerla nascosta, di seppellirla nel profondo; facciamo in modo di sbarazzarcene, così che non torni più a tormentarci; tuttavia, come si suol dire, è qualcosa di più facile a dirsi che a farsi. Il passato torna sempre a bussare alla tua porta, in un modo o in un altro, che sia con un rapido flashback mentre stai tentando di addormentarti inutilmente in una nottata afosa, o con un oggetto che salta fuori dal fondo del tuo armadio, da quella scatola che pensavi di aver buttato con le altre in fondo alla cantina, in un modo o nell'altro, i peggiori ricordi tornano sempre, come se fosse il destino stesso a volerti ricordare com'eri un tempo, nonostante tutti gli innumerevoli sforzi di toglierti per sempre dalla testa quell'imbarazzante situazione.

Per me, è quella che ho portato fino all'età di quindici anni come una maschera sul mio volto. Posso dire di aver finto di essere qualcun altro per almeno tre anni; ed ora che ne ho sedici, e sono finalmente “pulito” da quell'immagine distorta di me stesso che mi ero creato, una versione alternativa della mia personalità, posso finalmente dire di sentirmi un ragazzo normale. Il grande segno rosso sul calendario, che racchiude la data di oggi in un ampio cerchio sbarrato da una croce dello stesso colore, indica che è esattamente un anno da quando ho smesso del tutto di imbottirmi la testa di illusioni e di distorcere la realtà attraverso i miei occhi di giovane ed ingenuo ragazzino. Posso quasi considerarla una conquista – aver eliminato ogni segno della mia vecchia esistenza, dopotutto, non è cosa da poco e in questa mattinata che mi appare così frizzante e luminosa, inizia un nuovo, lungo anno scolastico da affrontare. Eppure, nonostante sia un giorno tutt'altro che buono, non posso fare a meno di sentire una vaga sensazione di diffusa gioia, una felicità tipica di chi riesce a raggiungere un traguardo dopo tanta fatica e determinazione. Oggi, ne sono sicuro, è l'inizio di una nuova vita, quella all'insegna della normalità.

Non entrerò più in classe fingendomi ferito per uno scontro con un mago della Chiesa del Male Necessario, non disegnerò più cerchi magici d'evocazione sul pavimento di camera mia nel tentativo di richiamare un demone, non passerò più intere ore a scrivere appunti sovrannaturali in tre quaderni – ma sopratutto, non farò più svolazzare il mantello nero, allungando il braccio destro verso il “nemico”, coprendomi il viso con il sinistro, gridando “Inchinati ad Overlord of Nightmare—Il Signore dell'Oscurità!”. Mi contorco al solo ricordo di queste scene imbarazzanti, che sono ancora sorprendentemente vivide e tangibili, abbastanza per tormentarmi come vecchi spettri che mi sussurrano cose terribili. O meglio, in questo caso, me le mostrano.

Sono finiti quei giorni. D'ora in avanti, sarò semplicemente Minato – non “Minato il Signore dell'Oscurità”, non “Minato colui che brandisce la Black Zagan”, non “Minato the Nightmare Edge”, niente di tutto questo.

Ed è con questa determinazione che esco sul terrazzo della mia camera da letto, respirando a pieni polmoni l'aria mattutina che appare, quest'oggi, così rilassante e meravigliosa, perché finalmente, dopo tanto tempo, non dovrò più sprofondare dalla vergogna quando entrerò in classe, non dovrò più stare a sentire gli altri che mi sbeffeggiano e sopratutto, potrò finalmente avere una vita completamente normale. Mentre sto appoggiato alla ringhiera, con il mento sorretto dal palmo della mano, il mio sguardo cade pigramente sul camion dei traslochi parcheggiato in strada, mentre alcuni uomini spostano gli ultimi pacchi all'interno. Sono arrivati ieri pomeriggio e non hanno smesso di lavorare da quel momento, portando verso l'ingresso della casa di fronte alla nostra voluminosi pacchi e contenitori, che, in confronto alla quantità di mobili, sono decisamente numerosi. Da quel poco che sono riuscito a vedere, sembra che il nuovo inquilino sia solo una persona, il che mi ha portato a dedurre che si tratti di qualche studioso o accademico, e che in tutte quelle scatole vi siano libri e tomi necessari per il suo lavoro, non c'è altra spiegazione. È alquanto strano che qualcuno si trasferisca qui in questo periodo dell'anno, ma probabilmente si tratta di lavoro. Forse, se il destino è abbastanza annoiato, deciderà che quest'uomo venga ad insegnare nella mia scuola, magari nella mia classe; sarebbe davvero un colpo di scena più adatto ad un manga, qualcosa che nella vita reale non potrebbe mai accadere: il nuovo arrivato che finisce nella stessa scuola del protagonista.

Scuoto le spalle, tornandomene all'interno, senza prestare più attenzione agli ultimi preparativi che i traslocatori stanno approntando. Dopotutto, tra poco, avrà inizio l'anno scolastico – nuova scuola, nuova vita. Mi getto lo zaino in spalla e, dopo aver guardato per un'ultima volta la mia stanza, ora meno ingombra, senza tutti quegli scatoloni che ora sono depositati nel ripostiglio in fondo al corridoio, ribattezzato in “la stanza dei ricordi terribili da non rivangare”, chiudo la porta con un mezzo sorriso.

“Io vado. Ci vediamo,” dico, mentre spalanco l'uscio di casa, salutando mia madre e mia sorella che probabilmente sono ancora in cucina, e senza attendere alcuna risposta esco nell'abbraccio del tiepido sole primaverile.

Siccome le facciate delle due case sono esattamente l'una di fronte all'altra, quando mi ritrovo sul vialetto, non posso che notare come il camion dei traslochi si sia allontanato, probabilmente hanno finito di poggiare le ultime scatole ricolme di tomi e se ne sono andati. Quindi, a tutti gli effetti, posso dire di avere un nuovo vicino di casa, l'ennesima novità di questa giornata; ad essere onesti, non ricordavo nemmeno che la casa fosse stata venduta. Sono più che sicuro che appartenesse ad una coppia, tempo addietro, che poi si è trasferita nel luglio di due anni fa; se non ricordo male, mi pare avessero perfino una figlia della mia stessa età, ma all'epoca ero troppo preso dalle mie smanie e dalla mia personalità di Conquistatore delle Tenebre per poter prestare attenzione ad una persona qualunque. La solitudine non mi pesava per nulla, probabilmente perché non mi ero nemmeno reso conto di non avere nessuno vicino – dopotutto, gli altri non potevano certo comprendere il mio potere, o la battaglia che dovevo ingaggiare ogni giorno contro esseri invisibili ai loro sguardi, ma che tormentavano il nostro mondo. Ora che ci penso, forse nemmeno io riesco a capirlo. È come se qualcosa, in me, si fosse spento, come se avessi perso qualcosa, posso quasi sentire il me stesso di quel tempo rimproverarmi, probabilmente mi rimbeccherebbe dicendo che sono divenuto “uno di loro”, o qualcosa di simile. Ah, ecco, un altro ricordo imbarazzante. Devo assolutamente smetterla, ormai è tutto finito, e non ho intenzione di tornare a sognare ad occhi aperti, a mettermi in imbarazzo di fronte a tutti.

Dopo una rapida occhiata al telefono, e dopo essermi accertato di avere ancora un margine di anticipo sull'orario dell'inizio delle lezioni, non perdo altro tempo e chiudo il cancello con un tonfo. Mentre mi allontano verso la scuola, tuttavia, mi sembra quasi di cogliere una fugace visione, una figura indistinta che sta alla finestra, come un'ombra dall'occhio scintillante che segue i miei passi. Quando mi volto di scatto, non c'è nessuno, come se si fosse tratto solamente della mia immaginazione. Possibile che la mia mente mi abbia giocato un brutto scherzo? Sto immaginando mostri nascosti proprio come allora. Sbuffo e, come per riportarmi alla realtà, mi do una pacca sulla fronte, “Non è possibile, decisamente no. Forza, Minato, riprenditi. Nuovo inizio, ricordi?”

Nonostante ciò, non posso fare a meno di sentire gli occhi di qualcuno puntati sulla mia schiena, come una sorta di fastidiosa sensazione di essere osservati, mentre perdo di vista la casa e continuo a procedere verso la scuola.

Casa mia non è troppo distante, circa quindici minuti di una camminata sostenuta, abbastanza tempo per poter riflettere su come pormi con la classe ed i nuovi compagni che troverò. Vorrei davvero poter stringere qualche amicizia, poter uscire con gli amici e fare cose normali, cose che sembrano nella mia mente così distanti dalla realtà, ma che ora ho l'opportunità di raggiungere; ora che mi sono lasciato indietro tutto, non c'è più nulla che mi impedisca di vivere quella che potrei definire “normale adolescenza”, una terra promessa che sembrava irraggiungibile. Dopo tutto questo tempo, finalmente...

I cancelli della Gakuen High School sono già aperti, a lasciare passare il flusso di pigri studenti che, ancora assonnati, si muovono lentamente verso le porte della scuola; il loro basso brusio, il diffuso chiacchiericcio, i saluti, alcuni, spenti, altri, davvero pochi, gioiosi, di chi trova un volto già conosciuto, riempiono l'aria tiepida. Il fatto che una doppia fila di ciliegi in fiore, a destra e a sinistra del viale scolastico, filtrino i raggi solari in una luce rosata che incornicia il mio camminare tra i petali che cadono spinti da un venticello appena percettibile, rende tutto talmente perfetto da apparire come falso, un altro sogno non diverso da quelli che facevo fino a che—no, no, no. Non devo più pensarci; mi è bastato solo richiamare alla memoria per errore un episodio di quel periodo per infiammarmi il volto e darmi un'improvvisa voglia di scappare via e seppellirmi nel giardino di casa per non uscirne più. Quindi, per il mio bene, è meglio evitare. Il più possibile.

“Nuova scuola, nuova vita, eccetera!” mi ripeto a voce alta, bloccandomi in mezzo alla strada. Ovviamente realizzo un secondo troppo tardi di aver accompagnato a questa azione un movimento risoluto del braccio, che è andato a chiudersi in un pugno davanti al mio volto, in un'espressione di determinazione che è l'eredità del Nightmare Edge. Sentendo gli sguardi di qualcuno calamitati su di me, mi affretto ad allontanarmi senza alzare la testa, tenendo lo sguardo fisso a terra come se la punta delle mie scarpe fosse la cosa più interessante del mondo – in breve, ho appena rovinato questo momento all'apparenza così perfetto. Che tu sia dannato, Minato del Passato! Aaaah, ma davvero sono arrivato a questo punto?! Riprendere me stesso chiamandolo per nome? Un'altra pessima abitudine rimastami da quel periodo oscuro che non sono riuscito a purgare. Bisogna procedere a piccoli passi, per compiere un lavoro perfetto, ed io ho fatto tutto insieme, un cambiamento radicale nell'arco di cinque o sei mesi, quindi non ho avuto tempo per rifinire i dettagli. Dovrò accontentarmi di quel che sono riuscito a fare, e finire il lavoro strada facendo.

Non so se sia più triste stare ancora riflettendo su queste cose, o il fatto di trattare questa intera situazione come una malattia terribile di cui liberarsi al più presto – in entrambi i casi, non ho intenzione di sprecare tutto il duro lavoro che ho fatto. “Forza, Minato, ci siamo… la mia classe dovrebbe essere questa,” sussurro mentalmente a me stesso, dando una rapida occhiata all'interno, prima di entrare, giusto per accertarmi di non compiere alcun fatale errore che potrebbe pregiudicarmi a vita. Quindi, dopo aver preso un bel respiro, quando sto per entrare—

“Hey, vuoi toglierti di mezzo? O hai intenzione di fare la statua di cera qui davanti?” la voce che mi riprende suona tutt'altro che amichevole. A dirla tutta, è abbastanza tetra, e il solo sentirla è sufficiente ad irrigidire il mio intero corpo; come un automa, meccanicamente, mi volto fino a trovarmi faccia a faccia con un teppista da strada probabilmente in procinto di compiere una sorta di crimine. O almeno, è questa l'impressione che dà la sua figura. Sarà il taglio affilato degli occhi, anzi dell'unico occhio, visto che i capelli, di un colore biondiccio, ricadono disordinatamente sulla fronte, a nascondere quello destro, appena visibile al di sotto del ciuffo; ed è anche terribilmente altro, almeno dieci o quindici centimetri in più di me, a giudicare da come mi guarda dall'alto in basso con la bocca serrata in un'espressione seccata e vagamente minacciosa, forse la stessa che ha un animale da preda prima di divorare la sua vittima giornaliera, “Sto parlando con te. Mi hai sentito?!”

“S-sì. Scusami, scusami tanto, stavo solo...” le parole tremanti mi muoiono incerte sulle labbra, e l'unica cosa che riesco a fare è spostarmi, dopo aver ordinato con sommo sforzo alle gambe di schiodarsi da quella posizione simile a quella di un palo della luce, dritto, immobile e rigido. Il teppista schiocca la lingua irritato, prima di entrare a testa bassa in classe senza guardare nessuno, per poi caracollare sul suo banco con la testa affondata tra le braccia. La mia solita, immensa fortuna, a quanto sembra – in classe con quello che sembra un criminale tesserato nella Società Criminali Palesi, ammesso che ne esista una.

Quando sento il mio corpo riacquistare sensibilità, mi accorgo di un'altra persona che mi sta guardando; e non una qualunque, ma bensì una ragazza, i cui occhi verdi hanno una sfumatura di preoccupazione nel vedermi ridotto in questo stato. Si inchina profondamente, completamente mortificata, ed io non posso che rimanere a guardarla con aria a dir poco confusa mentre si scusa, “Perdonalo, per favore. Solitamente non si comporta così—” il suo sguardo improvvisamente si rattrista di colpo, e le sue dita si intrecciano nervosamente, mentre aggiunge qualcosa sottovoce che suona terribilmente come un “O almeno, non lo faceva...”

Nonostante in questo momento io sia l'immagine stessa della confusione e dello sgomento, riesco a ricompormi in un istante, sopratutto quando l'imbarazzo e l'emozione di star parlando con una ragazza normalmente mi colpiscono come un treno, spazzando via lo choc di un attimo fa, “No, non fa niente, davvero,” rispondo scuotendo la testa con più vigore di quanto vorrei, e facendo un rapido cenno con la mano, agitandola quasi convulsamente, “Va tutto bene. Mi ha solo preso di sorpresa, ecco tutto.”

“Capisco. Non giudicare troppo male Kazuhiro, ti prego… è un bravo ragazzo in fondo. Ah, non mi sono presentata, perdonami!” si dà un colpetto alla tempia, come per sottolineare la sua improvvisa sbadataggine, “Mi chiamo Nao. Sembra che saremo insieme, quest'anno, quindi cerchiamo di andare d'accordo!”

Il mio cervello sta faticando a processare del tutto la situazione. Una ragazza che si sta presentando a me, senza chiedermi per quale motivo sono bendato, o perché ho una spada da cosplayer sulle spalle? Siamo sicuri che non sia un sogno? Dovrei darmi un pizzicotto? Combattendo contro questo istinto, e contro la mia stessa incredulità, riesco a collegare abbastanza neuroni per riuscire a trovare le parole adatte a presentarmi - “Il mio nome è Minato, the Nig—” mi mordo la lingua, divorando immediatamente quella parola che stava per uscire fuori dalla mia bocca inavvertitamente, a testimoniare che non ho ancora ben interiorizzato la situazione, “Minato, scusami. Piacere di conoscerti. Spero andremo d'accordo.”

“Non sei di queste parti? È la prima volta che ti vedo.” non sembra essersi accorta del mio quasi fatale errore, fortunatamente. Posso solo esultare per essere riuscito a non rovinare tutto a partire dalla mia prima conversazione.

“Frequentavo una scuola media in un altro quartiere, perché mio padre lavorava lì, prima di trasferirsi all'estero per lavoro.”

“Tuo padre lavora all'estero? Dev'essere incredibile!”

“Lo sarebbe, se tornasse più spesso a casa…”

“Vivi da solo?”

“No, no, ci sono mia madre e mia sorella, con me.”

“Quindi sei l'uomo di casa? Dev'essere dura, eheh...”

“Più di quanto immagini.”

Ovviamente è una bugia. Non c'è mai davvero molto da fare, a casa, ed anche fosse stato, probabilmente non lo avrei fatto, preso com'ero dalle mie fantasie e dal mio mondo di immaginazione. Ma questo era il passato, ora che ho rimesso la mia vita sui binari giusti, probabilmente le cose cambieranno. Mentre continuiamo a chiacchierare del più e del meno, qualche domanda e qualche battuta, a cui lei ride mostrando il suo sorriso – che, ai miei occhi, appare come un meraviglioso raggio di sole in una giornata nuvolosa, probabilmente preso ancora come sono dal momento e dalla sua bellezza che va crescendo man a mano che la guardo, veniamo interrotti da un'altra persona che passa tra di noi per entrare in aula. O meglio, sguscia tra di noi, perché è come se scivolasse sinuosamente sul pavimento, talmente veloce che non riesco nemmeno a vederla bene. Io e Nao ci scambiamo una veloce occhiata dubbiosa, ma le domande che sono sul punto di nascere vengono bloccate dall'arrivo del nostro docente, che intima a tutti di andare a sedersi al proprio bianco.

Mentre prendo posto, posso notare come lo sguardo di molti, se non tutti, sia calamitato sulla figura del grande e sinistro Kazuhiro, che nonostante sia seduto compostamente e si sia alzato a salutare normalmente, come tutti gli altri, emette una sorta di aura che sembra dire “Sono un teppista che ti divorerà come un povero animaletto se oserai incrociare il mio sguardo”. Dev'essere per via della sua altezza, dei suoi capelli, dei suoi occhi, che insieme formano un complesso abbastanza inquietante. Per quanto Nao abbia detto che sia un bravo ragazzo, una vocina dentro di me mi ricorda come poi abbia sussurrato tra se e se qualcosa con aria malinconica; ed il fatto che si sia rivolto a me in quel modo, di certo non gli fa guadagnare punti.

Il professore apre il registro, esaminandolo per qualche istante nel tentativo di associare nomi ai volti, prima di picchiettare la penna contro il bordo della cattedra con fare pensoso; il suo sguardo scorre lentamente su di noi, squadrandoci con attenzione, uno ad uno. Nonostante mi ispiri una sorta di soggezione, in lui non c'è alcun intento ostile, in questa semplice azione, sta semplicemente osservando quella che sarà la sua nuova classe per i prossimi tre anni; tuttavia, com'è prevedibile, sembra quasi pietrificarsi quando arriva a Kazuhiro e il suo intero corpo si irrigidisce di colpo. A questa reazione segue un frenetico confrontare il registro ed i posti, nel tentativo di individuare il nome di quel ragazzo dall'aria losca seduto a metà dell'aula, con lo sguardo annoiato che si perde fuori dalla finestra e le labbra strette, come se fosse abituato a scene simili. Probabilmente non è la prima volta che qualcuno si spaventa nell'osservarlo. La situazione sembra appianarsi quando il docente riesce a scrollarsi di dosso l'improvviso choc per passare alle presentazioni di ognuno di noi.

A cominciare dalla fila di destra, uno ad uno, i miei compagni si alzano in piedi e, detto nome e cognome, aggiunta qualche curiosità sulla loro vita o sui loro gusti, tornano a sedersi, in un processo meccanico che sembra quello di una macchina che accende uno dopo l'altro degli automi per controllarne la funzionalità. Mi mordo la lingua di colpo, come a scacciare questo paragone, terribilmente affine al me stesso di tempo fa – e mi redarguisco mentalmente di evitare certi pensieri tossici, che devo tenere il più lontano possibile, se voglio realizzare il mio obbiettivo di abbandonare per sempre quel pallido fantasma del passato che è Minato the Nightmare Edge. Mentre le presentazioni proseguono pigramente, mi ritrovo a tamburellare con un misto di tensione ed eccitazione le dita sul banco. È importante che io faccia una buona, prima impressione; mi sono allenato tanto per evitare che accada qualcosa come quella verificatasi alle medie, un ricordo talmente vivido da arrivare quasi ad ardere sulla mia pelle, e che mi fa imporporare leggermente le guance al solo pensiero; si tratta di una di quelle memorie così dure a morire da rimanere impresse nella mente come scolpite, e più la si tenta di allontanare, più si rafforza e si imprime nell'insieme di ricordi sempre più imbarazzanti.

Il primo giorno di prima media, quando la mia profonda convinzione di essere stato scelto per controllare poteri oscuri mi colpì come un treno, trasformandosi in una vera e propria sindrome – quello fu il giorno in cui iniziò tutto. Il giorno in cui, anche solo pensarlo mi manda un brivido gelido lungo la schiena, sprofondai nelle mie delusioni e contrassi quella che viene definita “sindrome di seconda media” in una delle sue tipologie peggiori, la “Evil Eye”. Quando fu il mio turno di presentarmi, in quel preciso istante, nacque Minato the Nightmare Edge, Colui che brandisce la lama delle anime Black Zagan, il Dominatore delle Tenebre, eccetera, eccetera. Rivangare quella scena è sufficiente a far nascere in me un istintiva voglia di colpirmi il più forte possibile sul naso, al solo pensiero di quanto sia stato insopportabile ed idiota. Prima di tutto, senza nemmeno degnarmi di alzare lo sguardo, senza accennare a mettermi in piedi, con fare teatrale mi portai una mano al viso… ed iniziai a ridere. Uno sghignazzare in un primo momento basso, ma che poi aumentò in un crescendo sempre più alto, fino a divenire una vera e propria folle risata; quando si spense, unii le punte delle dita di fronte al viso, scostai i capelli dalla fronte con un gesto quasi stizzito, e passai lentamente lo sguardo sugli astanti, tutti totalmente assorbiti da quella mia reazione inaspettata, probabilmente chiedendosi cosa diavolo stesse accadendo – mentre, nel mio mondo personale, filtrato attraverso i miei occhi, mi stavano tutti guardando con aria allibita, soverchiati dall'improvvisa realizzazione del mio potere. O qualcosa di simile.

“Voi poveri esseri inferiori pretendete di conoscere il mio nome? Ebbene, così sia! Io sono Nightmare Edge, colui che brandisce la lama che fende le anime, la Black Zagan. Ho combattuto contro il Signore dell'Oscurità e ne sono uscito vincitore. Mi sono seduto sul suo trono e sono divenuto immortale. Ed ora, mi sono reincarnato dopo millenni in questo fragile corpo! Quindi, temetemi e servitemi come merito, o verrete spazzati via dal mio potere.”

Non c'è nemmeno bisogno di dire che, nel pieno di questo delirio, mi ero tirato in piedi, sfoggiando un improbabile mantello nero da cosplayer ed un ghigno che nella mia mente sarebbe dovuto apparire folle, ma che dall'esterno sembrava decisamente ridicolo. Il gelo che piombò nella classe fu più che sufficiente, per quell'idiota che ero, a darmi soddisfazione, ritenendo di averli lasciati basiti a causa della mia rivelazione incredibile.

Resisto all'impulso di sbattere ripetutamente la testa contro il banco per infliggermi abbastanza dolore fisico da rimuovere questo ricordo, e attendo pazientemente che sia il mio turno. Proprio mentre mi ritrovo ad aspettare, senza prestare davvero attenzione agli altri, tutto preso dall'organizzare mentalmente un discorso che possa farmi apparire il più normale possibile agli occhi degli altri – quindi, niente poteri oscuri, spade incantate o anime tormentate – la vedo. È seduta tre posti davanti a me, e sembra tutta raccolta su se stessa, come se attendesse qualcosa. Tiene una mano poggiata sotto il mento, e le ginocchia unite, ben serrate, in trepidante attesa. I suoi capelli di un profondo nero, come quello dell'inchiostro che gocciola da un calamaio rovesciato, le sfiorano appena le spalle, e seppur disordinatamente lasciati liberi, senza alcun vincolo a dare una parvenza di ordine, appaiono lisci e brillanti, quasi palpitanti, come tessuti di fili notturni. Se ne sta talmente immobile, da apparire come una statua; no, non una statua, ma una bambola, così piccola e così diafana. Complessivamente, non sembra nemmeno reale, è quasi come se non fosse di questo mondo.

“Bene, il prossimo,” la voce del professore suona lontana alle mie orecchie, come se la udissi attraverso un ampia parete di spesso vetro, immerso nell'acqua, un suono attutito che tuttavia mi fa sobbalzare. Perso com'ero nei miei pensieri, e nell'osservare la ragazza di fronte a me, non ho fatto caso che fosse il mio turno. E, la cosa peggiore, è che non ho pensato a nulla. Posso quasi sentire il sudore gelido scivolarmi addosso, mentre mi alzo meccanicamente in piedi, probabilmente tremando leggermente. Prego mentalmente che nessuno lo noti, ma un respiro profondo basta a farmi riprendere la calma sufficiente per parlare, “Mi chiamo Minato Saito, e vengo da una scuola media fuori da questo distretto. Non conosco praticamente nessuno qui, ma spero andremo d'accordo.”

Una presentazione estremamente banale, talmente normale da suonare praticamente vuota. Non è del tutto quello che desideravo, ma si tratta comunque di un grande passo in avanti, e quindi non posso fare a meno di sentirmene soddisfatto. Mi siedo rapidamente, e con gli occhi cerco Nao, seduta nella seconda fila a destra; incidentalmente, nell'istante in cui la individuo, i nostri sguardi si incrociano e lei mi rivolge un sorriso seguito da un rapido saluto, prima di tornare immediatamente a seguire la nuova presentazione, come se il suo sguardo fosse stato calamitato dalla persona che, in questo momento, si è alzata in piedi per parlare.

È lei. La bambol—voglio dire, la ragazza seduta davanti a me. Inizialmente, non sembra voler dire nulla, solo rimanere immobile così, su due piedi, con le braccia lungo i fianchi e la testa bassa, che non accenna ad alzarsi, come se si trattasse effettivamente di una bambola rotta. Confusa. Quasi non sapesse che fare. Per un lungo istante, mi chiedo cosa voglia fare, perché non stia parlando, ma semplicemente rimanga paralizzata, così, su due piedi; come a rallentatore, proprio nell'istante in cui tutti hanno iniziato a mormorare, il suo braccio destro ha seguito un ampio arco che ha tagliato l'aria. La sua figura ruota su se stessa, come trasportata da un peso invisibile legato alla sua mano, fino a trovarsi di tre quarti rispetto a me. Il suo indice, teso di fronte a lei come a lanciare una sentenza verso qualcuno, tant'è che mi aspetto di sentirla gridare “Obiezione!” da un secondo all'altro, si blocca, come la lancetta di un orologio.

Su di me.

Gli sguardi di tutti i compagni si muovono pieni di confusione dalla figura esile della ragazza senza nome alla mia, come calamitati da un magnetismo irresistibile. Nao mi lancia un'occhiata confusa, alla quale io non posso che rispondere con un'alzata di spalle e scuotendo la testa, tanto sorpreso quanto lei. Mi volto per un secondo, come ad accertarmi che non stia indicando la persona alle mie spalle, ma è più che chiaro che quel dito stia puntando a me. Proprio a me. Verso il mio petto, con una intensità tale da sentirmi quasi trapassato da quel mero gesto.

—Cosa sta succedendo?, sarebbe una domanda perfetta da porre in questo caso. Non riesco a capire minimamente perché una persona che non ho mai visto senta il bisogno di alzarsi nel bel mezzo dell'aula e, senza proferire una parola, invece di presentarsi, indicarmi. Non ha ancora detto nulla, ma continua a puntarmi con insistenza, come a volermi far prendere coscienza che sia io la persona designata per… per cosa? Per quale motivo mi sta indicando con tanta insistenza?!

“Finalmente ti ho trovato.” sussurra improvvisamente, con voce funerea, come cenere che venga soffiata nell'aria gelida, un tono vibrante, pieno di una nota che non riesco a distinguere chiaramente – ma che suona quasi come minacciosa. O forse è più il fatto che le sue parole assomiglino alla battuta di un assassino che abbia raggiunto il suo bersaglio. In un'altra situazione, probabilmente mi sarei odiato per tutti gli strani paragoni che continuo a tirare fuori, ma l'intera situazione mi appare così surreale che l'unica cosa che sono in grado di fare è rimanere lì, immobile, con gli occhi sbarrati e la bocca leggermente storta in un'espressione di confusione totale. È come se l'intero mondo si fosse congelato, e fossimo rimasti solo noi due, in quest'aula. Non sento più nemmeno le occhiate penetranti dei miei nuovi compagni, eppure fino ad un momento prima non potevo fare a meno di sentirle come punzecchiarmi ogni angolo del corpo.

“Mi hai… trovato?” le parole che riesco a fatica a dire sono esitanti, e il mio dito, che si stende verso il petto, ad indicarmi da solo come per ricevere la prova definitiva quanto inutile che stia parlando con me, trema leggermente. La ragazza annuisce profondamente, senza accennare a voler abbassare quel dito, “Tu sei come me. Ho sentito il mio Occhio reagire al tuo potere latente. Anche tu sei un guerriero rimasto soggiogato dalla Nebbia e dalla sua maledizione!” con tono teatrale, chiude a pugno la mano sinistra, ed allo stesso tempo muove lateralmente la testa di scatto, abbassando lo sguardo, “Sei potente proprio come immaginavo. Nonostante l'Antico tenti di soffocare la tua aura, riesco ancora a percepirla,” digrigna i denti e, come se qualcosa l'avesse colpita, arretra di qualche passo, piegandosi sui talloni, “Insieme, possiamo riuscire a sfuggire da questo incubo!” Nessuna titubanza, nessun dubbio, esattamente come se ogni cosa che sta uscendo dalla sua bocca sia nient'altro che la verità, una realtà inafferrabile ma sulla quale non vi è dubbio.

Sul suo viso, c'è un'espressione di determinazione che mi fa rabbrividire.

Una profonda, totale convinzione in ciò che sta dicendo.

Esattamente come è stato per me.

Sì, per un singolo istante, in lei, non posso far altro che vedere la mia immagine riflettersi pallidamente, che mi rivolge un sorriso ironico, beffardo.

Possibile che sia—

“Gli umani mi chiamano Mana Maeda. Ma per te, mio compagno eterno, io sono The Evil Eye, l'Occhio Demoniaco!”

E, a quelle parole, come nelle mie fantasie più sfrenate, il suo occhio sinistro scintilla improvvisamente, come avvolto da un'energia spirituale fino ad ora invisibile. Con un secco movimento, rivela il dorso della sua mano destra e l'emblema scintillante rappresentato su di esso, un complesso cerchio magico che incide la sua pelle come se fosse stato marchiato con il fuoco. Le sue dita si allungano verso di me, in una surreale, sospesa atmosfera di sogno. Quei suoi occhi magnetici, sono neri, più neri delle piume di un corvo, più neri dell'inchiostro – sì, sono neri come l'Abisso che ho tante volte immaginato di affrontare. Più guardo in loro, più sembrano volermi attirare.

“Vieni con me, Nightmare Edge! Insieme, possiamo sconfiggere qualunque nemico.”

Come attratto irresistibilmente, come se il mio corpo si muovesse da solo, spinto da un automatico istinto che non riesco a comprendere, mi tendo in avanti, finché le nostre dita non si sfiorano. Ed è allora, in quel preciso momento, quando i nostri polpastrelli si toccano, che riesco a vedere per la frazione di un istante un'immagine che si imprime nella mia mente come un marchio ardente – qualcosa di stranamente bello. Le sue labbra, fino ad allora rimaste immobili in un'espressione gelidamente seria, sembrano come sciogliersi, liberate da un peso invisibile.

Mana Maeda sorride. Tutt'attorno, la realtà si infrange in un milione di schegge senza colore, che si dissolvono nell'aria in un soffio, prendendo la forma di innumerevoli, infinite farfalle che volano tutt'attorno a noi in una miriade di colori diversi.

Sembra… un sogno.

“Posso sapere esattamente cosa sta succedendo?” con un improvviso colpo basso, la realtà crolla sulle mie spalle con il peso di un milione di macigni. Mi ci vuole un lungo, infinito istante per realizzare cosa sia appena successo, per capire esattamente quale madornale, gigantesco, no!, titanico errore io abbia commesso. Sono in mezzo alla classe, con la mano tesa a sfiorare quella di una ragazza mai vista, durante il primo giorno, mentre lei, invece di presentarsi, si è messa a gridare quelle cose con un tono talmente serio, talmente deciso, da avermi afferrato e trascinato con sé nella tana del coniglio e nelle sue profondità, dalle quali sono stato tirato fuori a forza dalla brutale realtà. In altre parole, ho appena distrutto ogni mia possibilità di apparire come una persona normale. Ma sopratutto, lei mi ha chiamato… Nightmare Edge?! Come fa a saperlo?!

“Vede, io ed il Nightm—”

“Ah, niente, niente. Mi ha solo teso la mano, ecco tutto, e pensavo… che sarebbe stato giusto stringerla...” la interrompo prima che possa continuare a parlare ed abbasso lo sguardo imbarazzato, lasciandole di scatto la mano, come se fosse bollente e minacciasse di ustionarmi da un momento all'altro. Non riesco più a sopportare gli sguardi basiti di tutti che si sono conficcati su di noi, come tanti spilli che lacerano la carne. Non riesco a credere che sia tutto andato in pezzi così, ancor prima di iniziare. Sono condannato a vivere perseguitato dal mio passato fino a questo punto? Il destino mi odia al punto da mandarmi contro una incarnazione vivente delle mie peggiori ed imbarazzanti memorie, come se non fosse abbastanza doverle richiamare involontariamente dai ricordi senza poter fare nulla se non sentire il bisogno di seppellirmi sottoterra ogni qualvolta accade.

“Ah, ma voi due siete vicini di casa. Maeda si è trasferita di nuovo qui dopo molto tempo, eh? Dev'essere stata una bella sorpresa ritrovarvi così. Ora capisco, certo,” annuisce compiaciuto il professore, come se improvvisamente avesse capito esattamente tutto, soddisfatto della sua deduzione, “Molto bene, allora. Il prossimo.”

Con un sospiro esausto, crollo a sedere sulla sedia, con un desiderio estremamente profondo di sparire dall'aula il prima possibile. Non posso far altro che ringraziare fortuitamente il caso che il professore abbia letto che abitiamo vicini, così da aver arginato il problema, quanto meno per ora. Dovrò persistere su questo errore e convincere Maeda a fare altrettanto, oltre a prepararmi a rispondere ad una quantità enorme di domande che sicuramente mi pioveranno addosso da tutti i compagni. Sopratutto, ho bisogno di una giustificazione per il fatto che mi abbia chiamato Nightmare Edge. Immagino che troverò qualcosa con cui salvarmi per un soffio, nella speranza che questo episodio venga dimenticato al più presto – anche se ho la pessima sensazione che non sarà così.

Mentre rifletto su come affrontare questi problemi appena germogliati, come triste augurio della mia nuova vita scolastica, non posso fare a meno di tornare a guardare Mana. Non c'è dubbio che quella che sembra la possegga sia una sindrome di seconda media. Non c'è altra spiegazione per cui una ragazza debba saltare in piedi gridando di essere Evil Eye, l'Occhio Demoniaco, farneticando di una Nebbia, dell'Antico e di altri scenari chiaramente inventati da una mente che mostra tutti i sintomi di quella sindrome divorante che ho sofferto anche io. Un'altra Evil Eye… rabbrividisco. Sembra una ragazza normale, avvolta da una bellezza tutta sua, una sorta di vago fascino che non riesco a spiegare, eppure è stata maledetta da quello stesso problema che mi ha tormentato come un fantasma per così tanto tempo.

Quando Nao ha terminato, mi getta un'occhiata di sottecchi, piena di dubbi, prima di sedersi, uno sguardo con mille domande e che cerca disperatamente risposte. Mi riprometto mentalmente di soddisfarla non appena ne avrò l'occasione, al termine delle lezioni la fermerò e le spiegherò tutto, senza scendere troppo in dettagli imbarazzanti. Per qualche ragione, sento che lei mi possa capire. Quanto meno, lo spero. Altrimenti, dovrò sparire dalla faccia della Terra per l'imbarazzo, e sinceramente non voglio dovermi trasferire ancor prima che l'anno scolastico sia davvero iniziato.

Per qualche ragione, il professore sembra saltare del tutto la presentazione di Kazuhiro, che si limita ad alzarsi e dire il suo nome, prima che le presentazioni vengano sospinte in avanti con una certa fretta dal docente. Effettivamente, non posso certo biasimarlo del tutto per essere impaurito da quello che ha tutta l'aria di essere una sorta di teppista.

Mentre la campanella della lezione suona, ed il professore esce dalla classe,mi sembra di avvertire uno sguardo estremamente insistente sulla schiena; riseco a cogliere, per un secondo, gli occhi di Mana che si staccano velocemente dalla mia figura, tornando a precipitare sui fogli davanti a lei, senza dire una parola. Come se stesse “misurando la mia aura”.

Durante il corso della giornata, a volte, mi sembra che si tocchi il marchio sulla mano e poi tenda la mano verso di me, come a volermi chiamare. Prima ovviamente di tornare a nascondersi da qualche parte. Così, fino al suono della campanella, non posso che sentirmi continuamente, morbosamente osservato da una ragazza piccola e innocente che sembra una bambola e ha un cerchio magico tatuato sul palmo, profondamente convinta di possedere un potere oscuro.

Se questo è l'inizio della mia carriera scolastica alle superiori, non posso che chiedermi cosa mi riserba il resto dell'anno.

Ma sopratutto, quante volte dovrò pentirmi di essere stato un malato di sindrome di seconda media.

 

 

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Capitolo 2
*** 「Chapter 1 – Walking home with the Devil Eye」 ***


Chapter 1 – Walking home with the Devil Eye

 

Il suono della campanella arriva come una sorta di benedizione, un tintinnare talmente atteso che, al solo udirlo, non posso fare a meno di scattare in piedi, pronto ad andarmene a casa il prima possibile, così da evitare ancora gli sguardi dei compagni di classe. Dall'episodio di questa mattina, non hanno ancora staccato gli occhi da me, continuando a lanciarmi occhiate di sottecchi; ovviamente non sono l'unica vittima delle loro attenzioni, e Mana ne ha ricevuto altrettante, se non di più, con il suo strano modo di fare.

Dopo l'accaduto, si è semplicemente messa a sedere, senza dire più nulla, cadendo in un silenzio profondo e totale; nessuno le si è ancora avvicinato, probabilmente troppo scioccati da quella presentazione tanto insolita per avere il coraggio di iniziare una conversazione. Seduta lì, da sola, con lo sguardo basso e le spalle leggermente piegate, mi ha riportato alla memoria, per l'ennesima volta, me stesso e la mia solitudine negli anni precedenti. Provo un po' pena, per lei, ma non me la sento ancora di approcciarla e tentare di parlarle, nonostante una parte di me muoia dalla voglia di sapere come faccia a conoscermi, ma sopratutto come faccia a sapere del mio oscuro passato e della mia sindrome di seconda media. Terminata la prima ora di lezione, ho messo a tacere i dubbi e mi sono, invece, dedicato a tentare di riparare alla pessima prima impressione che ho dato – e, grazie all'aiuto di Nao, penso di esserci riuscito. Quando gli altri mi hanno visto chiacchierare con una ragazza come lei, sembra che si siano convinti del malinteso; ho parlato con qualche compagno di classe, ho intrattenuto una conversazione senza lasciarmi sfuggire nulla di strano, mi sono morso la lingua quando ho quasi rivelato dettagli imbarazzanti, e nonostante ora abbia un leggero pulsare all'interno della bocca, posso dire di essere soddisfatto di aver quanto meno parzialmente raggiunto il mio scopo.

Ed ora, la pausa pranzo.

Nao si è seduta accanto a me, trascinando anche Kazuhiro con lei, ma il ragazzo ha declinato dopo qualche istante di profondo pensiero, preferendo rimanere in disparte; inutile dire che anche lui non ha attirato alcuna simpatia, esattamente come Mana. La differenza fondamentale è nel fatto che, mentre Maeda ha tenuto gli altri lontani con le stranezze che ha sfoggiato durante l'arco della giornata, prima tra tutte un complesso rituale di purificazione del cibo che ha incluso una preghiera dai toni macabri all'oscurità e al sangue e disegnare un cerchio di epurazione su un foglio di carta che poi ha poggiato al di sotto del suo banco, Kazuhiro incute in tutti lo stesso timore che ha soverchiato me, e perfino il professore. Non importa quel che Nao abbia detto di lui, rimane all'apparenza un vero e proprio teppista della peggior risma, una di quelle persone che ti aspetti di trovare su un cartellone da ricercato per una lista di crimini esageratamente lunga – insomma, un tipo non molto raccomandabile. A coronare il tutto, il suo carattere scorbutico di certo non lo aiuta.

“Quel Kazuhiro, a volte non riesco proprio a capirlo...” sbuffa per l'ennesima volta, portandosi il cibo alla bocca e masticando pensosamente, mentre tiene il mento poggiato al palmo destro, “Voglio dire, è il primo giorno delle superiori, dovrebbe tentare almeno di socializzare con qualcuno!”

“Credo finirebbe solo per spaventarli. Gli altri sono terrorizzati da lui,” ed io non sono da meno, ma è un pensiero che tengo per me. Poggio la scatola con il pranzo, ora vuota, sotto al banco e mi pulisco le labbra con un tovagliolo di carta, prima di appallottolarlo e di iniziare a giocherellarci pigramente, dandogli piccoli colpetti con l'indice, “Dagli un po' di tempo.”

“Se solo tentasse di essere più amichevole, forse non lo tratterebbero così...” Nao scosta il cestino del pranzo, anche il suo ormai vuoto, e inizia a toccare una ciocca di capelli, lasciando che scivoli tra le sue dita con lo sguardo chiaramente sovrappensiero, “Piuttosto, cosa mi dici di te? Sembra che gli altri siano passati sopra a quello che è accaduto questa mattina.”

“Ah, sì...” preso alla sprovvista, abbasso di colpo lo sguardo con fare imbarazzato e non posso evitare di sentire le guance tingersi appena di rosso, mentre annuisco nervosamente, “Ho chiarito tutto. È stato solo un malinteso.”

“Anche Maeda ha detto così, vero? Quindi non vi conoscete?”

Esito nel rispondere. La realtà, è che non lo so. Vorrei poter dire di no, ma a quanto sembra sarebbe solo una parziale verità – lei, chiaramente, mi conosce estremamente bene. Ma rispondere affermativamente significherebbe ammettere l'esistenza del mio passato oscuro che voglio tenere il più possibile a distanza, dopo tutta la fatica che ho fatto per cominciare d'accapo. È una domanda abbastanza ostica a cui dare una risposta.

Mi poggio l'indice sulla tempia, come nel tentativo di ricordare qualcosa, per poi scuotere la testa con aria confusa, “Non so cosa dire, in realtà.”

“Il professore ha detto che abitate vicini.”

Un altro dettaglio che non ho ancora del tutto afferrato. Per quanto poco mi sia interessato alle persone attorno a me fino a non molto tempo fa, non sono mai stato tanto distaccato dal mondo dal non conoscere, almeno vagamente, le persone che mi abitassero vicine; una cosa certa, è che non ho mai visto Mana Maeda nel mio quartiere, né tanto meno abbiamo frequentato la stessa scuola media – cosa che tutti i ragazzi della mia zona hanno fatto, in un modo o nell'altro, e che rappresenta anche il motivo dello scegliere una scuola abbastanza lontano dalla mia abitazione.

Scrollo le spalle, senza sapere bene come dire che, effettivamente, questa è la prima volta che la incontro, “Forse abitiamo in una zona distante. Il mio quartiere non è troppo grande, ma comunque è abbastanza abitato,” è una giustificazione estremamente debole, ma Nao sembra accettarla, perché annuisce, prima di voltarsi a guardare l'esile figura di Mana che sta ora scrivendo con fare febbrile ed estremamente concentrato su un piccolo quadernino degli appunti. Da quel che riesco a vedere da qui, la sua calligrafia è estremamente artificiosa, e ogni lettera è accompagnata da numerosi ghirigori, motivo per il quale anche solo scrivere una sola parola le impiega una gran quantità di tempo. Probabilmente sta tentando di imitare qualche carattere gotico. Strizzo gli occhi, nel tentativo di riuscire a leggere almeno una parola, ma purtroppo non ho superpoteri di alcun tipo, e l'ho capito dopo molto tempo, quindi senza una qualche sorta di vista aumentata non riesco a distinguere bene nulla.

“Mi spiace per lei. È un po' come Kauzhiro,” aggiunge improvvisamente, spostando l'attenzione sul teppista dall'aria assonata che dorme con la testa abbandonata tra le braccia, sdraiato sul banco con tutta la sua stazza, “Incompresi. Sono sicura che, se solo ci provassimo...”

Oh, Nao, tu sì che sei una persona estremamente gentile. Sembra uno di quei personaggi creati per trovare del buono in tutti ed essere gentile con chiunque, che crederebbe in qualunque persona per via del suo ottimismo. È come se brillasse di una luce propria che si riflette nel suo sorriso e nei suoi occhi, talmente intensa da rimanere abbagliati. Si alza in piedi, stiracchiandosi leggermente e allungando le braccia in aria, emettendo un basso gemito di soddisfazione, “Sono ancora stanca, devo decisamente abituarmi ai nuovi ritmi scolastici,” mi rivolge un rapido cenno di saluto, mentre si appresta ad uscire dall'aula, “Vado in bagno, prima che torni il professore.”

“Uh, ok.” è l'unica cosa che riesco a rispondere, mentre la sua figura si perde nella massa indistinta dei ragazzi e del loro andirivieni costante nel corridoio, come una massa di zombie che—

No, non ancora. Devo smetterla, assolutamente piantarla con questi paragoni terribili e fuori luogo. Mi alzo in piedi, sovrappensiero, ed i miei occhi mirano automaticamente al cestino in fondo all'aula. “Basta, non sono più il Nightmare Edge, o quello che è...” la mia mano si muove automaticamente, seguendo il filo di quel pensiero, portando con sé il braccio in una torsione che fa girare il mio busto su se stesso, la stessa posa che ero solito compiere quando brandivo quella claymore da cosplayer che avevo comprato tempo fa, e che avevo soprannominato Black Zagan.

Solo dopo che la pallina di carta è caduta esattamente nel centro del cestino, mi rendo conto di aver compiuto due errori madornale. O meglio, due errori madornali ed una azione che dall'esterno, per le persone ignare, dev'essere sembrata incredibile, perché un ragazzo mi si avvicina emettendo un basso fischio di approvazione, “Bel lancio, Minato. Giocavi a baseball? Sembrava proprio una posa da battitore, quella.”

Come colpito alle spalle da un attacco a sorpresa, mi irrigidisco di colpo, voltandomi di scatto verso il mio interlocutore, che risponde al nome di Makoto Kobayashi, un ragazzo tranquillo seduto esattamente dietro a me, ed anche la persona con cui ho parlato di più, escludendo ovviamente Nao. Si è rivelato simpatico oltre che molto amichevole, ed è stato uno dei primi a chiedermi cosa fosse accaduto tra me e Maeda; anche grazie a lui, che poi ha diffuso tra gli altri la voce dell'equivoco, sono riuscito ad evitare la catastrofe.

“Baseball? Oh, no. Semplicemente—” semplicemente ho brandito la riproduzione in scala uno ad uno di uno spadone medievale da cosplayer, ritenendo che fosse un'arma demoniaca di qualche sorta, e portandola con me praticamente ovunque, “Giocavo con i ragazzi del mio quartiere, e finivo sempre a fare il battitore, ecco,” una spiegazione decisamente più accettabile della imbarazzante e terribile realtà.

“Ci sai fare. Hai intenzione di entrare nel club di baseball, allora?”

“Devo pensarci, non so ancora cosa fare. Tu, invece, hai già pensato a qualcosa?” le chiacchiere innocenti da normale studente, che non coinvolgono argomenti come il potere oscuro, invasioni di spiriti o l'attacco di società segrete, sembra quasi un sogno. Un sogno talmente fragile che sembra sia destinato ad infrangersi di qui a poco, perché, con la coda nell'occhio, ho intravisto Mana che si è avvicinata al secchio della spazzatura, osservando intensamente la palla di carta che vi ho tirato. Lentamente, volta la testa fino ad incrociare il mio sguardo; distolgo immediatamente il mio, per tornare a concentrarmi su quello che sta dicendo Makoto, “Uh, Minato? Chi stavi guardando? Ah, Maeda. Avete chiarito, poi, giusto? Sai, anche se è un po' strana, ha un aspetto davvero… come posso dirlo?”

“Lontana?” un aggettivo che probabilmente nessuno userebbe per descrivere una ragazza, ma che, per lei, è perfetto. Irreale, perché è come se non vivesse del tutto in questo mondo. Irreale nel suo aspetto, nel suo modo di essere. Un po' come lo ero io, prima? Davo questa impressione? No, sono sicuro che io apparissi solo più ridicolo… ma questo è il punto di vista di chi lo ha vissuto e se ne pente con tutto se stesso.

Kobayashi schiocca le dita, come se avessi trovato il termine perfetto, “Esatto. Sembra perennemente assente. E quel che ha detto stamattina…” sembra riflettere per qualche istante, prima di scrollare le spalle, “Mh, non importa, alla fine. Piuttosto, ho visto che stavi parlando con Watanabe. Qualcuno l'ha già definita come una delle migliori.”

“Uh?” piego la testa lateralmente, dubbioso, “A cosa ti riferisci?”

“Ma ovviamente alla lista delle ragazze più carine della classe!” il tono di solennità ed eroismo con il quale lo annuncia, tendendo il braccio verso l'alto e poggiandosi una mano sul fianco, con un sorriso sghembo sul volto, non bastano a nobilitare quello che ha appena detto, “Siamo davvero fortunati, comunque. Hitomi Mori è già considerata un mostro sacro!”

Non voglio sapere come abbia fatto in un solo giorno a divenire un “mostro sacro”; non dovrei essere io a dirlo, ma è un termine che suona terribilmente sbagliato quando associato ad una ragazza, sopratutto ad una come Hitomi, che appare come una di quelle ragazze perfette in tutto, baciate dalla fortuna con talento, bellezza ed intelligenza. Probabilmente, nei tempi a venire, diverrà oggetto di venerazione ed invidia di molti. Non posso negare che sia una bella ragazza, ma… “Kobayashi.”

“Chiamami pure Makoto, non c'è bisogno di essere così formali, siamo compagni di classe, Minato.”

“Oh, certo...” mi schiarisco la voce, “Non pensi che sia un po' troppo per il primo giorno?”

La sua risata fragorosa è sufficiente come risposta, ed equivale ad un grosso, pesante no – evidentemente, per lui, non è troppo. Probabilmente ha già squadrato ogni ragazza della classe, con la stessa precisione e dedizione di una macchina a cui venga affidato un importante incarico. Ci sediamo ai nostri posti, in attesa che si consumino gli ultimi minuti della pausa, mentre Makoto continua a sommergermi con le sue infinite opinioni e voci che ha già raccolto su questa o quella ragazza.

Una macchina. Una macchina specializzata nell'incamerare informazioni inutili.

“Hey, Makoto, stai di nuovo riempiendo la testa di qualcuno con quella strana lista?” la voce dal tono profondamente rassegnato che ci raggiunge, inserendosi prepotentemente nella conversazione, appartiene al ragazzo seduto nella fila a destra davanti a Nao. Si siede tra di noi, tenendo un libro aperto a metà in mano, l'indice che ferma le pagine in modo da non perdere il segno, ed il suo sguardo annoiato è indice del fatto che questa non è sicuramente la prima volta che deve sorbirsi i deliri di Kobayashi.

“Oh, tu sei Saito, vero? Piacere di conoscerti, sono Haruhiko Nishimura—”

“Basta con tutte queste formalità, Haru! Sai, Minato, io e lui andiamo in classe insieme dalle medie. È un vero genio, credimi.”

“Sono solo abbastanza assennato dal non mettermi a raccogliere informazioni sulle ragazze come un ossessionato,” risponde sistemandosi gli occhiali dalla semplice montatura nera, stringendomi la mano che gli ho teso nel frattempo, “Scusalo, ma non riesce a trattenersi, ha atteso l'inizio delle superiori per mesi.”

“No, non fa niente, un po' lo capisco,” scuoto la testa mentre rispondo, con un cenno di vago diniego, “Quindi vi conoscevate già da prima, eh?”

“Devo tenerlo al guinzaglio, altrimenti rischia di finire con qualche denuncia.”

“Sbaglio o mi stai facendo passare per una sorta di stalker?”

“—Ma non ti sto facendo passare per una sorta di stalker. Lo sei e basta. E quella lista lì ne è la prova.”

La discussione tra i due viene interrotta dall'inizio della lezione. Ognuno torna al proprio posto e, mentre poggio i libri di testo sul banco che il professore sta illustrando come necessari per lo svolgimento del programma dell'anno, mi ritrovo a sfogliarne pigramente le pagine senza davvero leggerne il contenuto, troppo preso dal pensiero di essere riuscito a farmi finalmente degli amici. Nonostante lo strano inizio della giornata, tutto sembra stare procedendo perfettamente, ancora meglio di quanto mi immaginassi. Fino a qualche mese fa, non avrei mai nemmeno pensato che tutto questo potesse accadere; quando ancora stavo uscendo dai postumi della mia sindrome, e mi sono ritrovato a pulire la mia stanza da tutti quegli oggetti che ho accumulato inutilmente, pieno della convinzione che appartenessero al mondo dell'occulto, che vi fossero collegati in qualche maniera, che possedessero poteri magici, il giorno in cui ho deciso che avrei iniziato una nuova vita al liceo, sembra così lontano.

Tuttavia, se non fossi così preso dalla mia malcelata felicità, probabilmente mi renderei conto che qualcuno non ha smesso di guardarmi dall'inizio della giornata; e che, dopo la pausa pranzo, i momenti in cui si è voltata a fissarmi sono aumentati esponenzialmente. Se non fossi così preso dal mio entusiasmo, sicuramente noterei che Maeda sta disegnando febbrilmente qualcosa sul suo quaderno e tutta la mia esperienza accenderebbe i campanelli d'allarme sparsi per tutto il mio cervello, a segnalarmi un imminente pericolo. Ma, quando Makoto mi dà un colpetto sulla spalla, per poi piegarsi leggermente in avanti sul banco nel momento in cui il professore si volta verso la lavagna a scrivere il programma di studi che affronteremo quest'anno, e mi chiede se voglio venire con lui ed Haruhiko a mangiare qualcosa dopo la scuola, lanciandomi automaticamente in uno stato d'incredulità che si traduce in un “...Ma proprio io?” che suona stupido perfino alle mie stesse sbalordite orecchie, perdo ogni possibilità di prestare anche solo un minimo della mia attenzione alla piccola ragazza-bambola dalla mano tatuata.

L'unica cosa a cui riesco a pensare, in questo momento, con un sorriso che incurva la mia faccia in un'espressione di pura gioia, è che finalmente le cose sembrano andare per il verso giusto. Finalmente, non sono più vittima della sindrome. Ed è pieno di entusiasmo che al termine dell'ultima ora di lezione, metto velocemente i libri al loro posto, gettandoli senza troppo riguardo uno dopo l'altro all'interno dello zaino, per poi gettarmelo sulle spalle e raggiungere Haruhiko e Makoto sulla porta, che stanno animatamente discutendo di qualcosa che non riesco a comprendere.

Cerco con lo sguardo Nao, e la vedo che scuote appena la spalla di Ogawa, svegliandolo dallo stato di profondo sonno catatonico in cui sembra essere caduto nel corso dell'ultima mezz'ora. Il ragazzo risponde con una scrollata delle spalle, mettendosi seduto sulla sedia con aria infastidita. Non riesco a sentire bene cosa si stiano dicendo, ma l'espressione sul volto del ragazzo sembra più truce del solito. Dopo una risposta esitante, Nao annuisce e si avvia verso di noi, dicendo qualcosa che suona come “Ti aspetto fuori.”

“Vai via, Watanabe?” chiedo, salutandola con un gesto della mano. Si ferma davanti a me, gonfiando le guance con un'espressione offesa, “Ti ho detto di chiamarmi per nome. Forza, ripeti con me – Nao. N A O.”

“Scusami, scusami, Nao.

“Molto meglio. Sì, sto andando a casa. Quindi, ci vediamo domani, Minato!” come se l'energia sprizzasse da ogni suo poro, nonostante abbia accusato della stanchezza che non sono riuscito a vedere né percepire in lei, si dirige verso l'uscita, facendo dondolare ritmicamente la borsa al suono della melodia che sta sussurrando a labbra strette, sparendo dopo un attimo nell'ambrato sole del primo pomeriggio.

Quando non riesco più a vederla, il mio sguardo passa invece a posarsi su Kazuhiro, che si sta lentamente alzando, con un'espressione che, seppur mezza intontita dal sonno, appare comunque terribilmente minacciosa – nei suoi occhi così affilati sembra palpitare una specie di furia omicida che mi manda un brivido freddo lungo il corpo, lo stesso che ho sentito stamattina quando me lo sono trovato improvvisamente alle spalle.

“Secondo voi, dovremmo chiedere anche a Ogawa di venire?” chiedo, esitante.

“Vacci tu, allora, a me fa paura,” sussurra in risposta Makoto, evitando di alzare lo sguardo verso l'alto teppista.

Haruhiko chiude il tomo con un tonfo, infilandolo in tasca dopo avervi messo nel mezzo un segnalibro dalla strana forma di un gufetto, “Per una volta, sono d'accordo con lo stalker.”

“Mi hai di nuovo dato dello stalker?”

Distogliendo per un secondo l'attenzione dai due che continuano a litigare scherzosamente, punzecchiandosi vicendevolmente in un continuo scambio di battute, per lo spazio di un singolo secondo, mi sembra di cogliere un movimento appena visibile al limitare del mio campo visivo, come se un'ombra si fosse mossa in fondo al corridoio, scivolando sinuosamente lungo il muro e nascondendosi dietro all'armadio dei trofei sportivi che si trova di fianco all'ufficio di segreteria del nostro responsabile di classe – il professor Mikuni. Che si sia trattato solo della mia immaginazione? Una parte di me, muore dalla voglia di andare a controllare, solo per togliersi un dubbio quasi divorante, come se non trovare nulla, come spero, scacci via due spettri in uno: il primo, è quello della mia sindrome che mi spinge ancora ad immaginare esseri sovrannaturali; l'altro, invece, è qualcosa di molto più reale, anche se forse non meno spaventoso. D'altra parte, andare fin lì significherebbe arrendersi nuovamente al lato che voglio respingere con tutto me stesso, e questo vorrebbe dire subire una sconfitta imperdonabile.

Dopo aver pensato per qualche istante, scrollo le spalle con noncuranza, decidendo che non si sia trattato di nulla di particolare e accodandomi ad Haruhiko che mi sta chiamando davanti all'entrata della scuola, con un rumoroso Makoto che agita le braccia come in preda a qualche convulsione estremamente plateale. Con un sorriso stampato in faccia, mi sistemo meglio lo zaino sulla spalla destra e mi avvio, lasciandomi alle spalle la classe e tutto quel che è accaduto oggi.

 

Quando decido di tornare a casa, sono le cinque del pomeriggio. Ho chiamato mia madre per avvertirla del ritardo, e nonostante sia sembrata un po' sorpresa di questa improvvisa uscita con i nuovi compagni di classe, fin dal primo giorno, mi è sembrata decisamente contenta che io mi sia ambientato fin da subito. A dire la verità, non ha mai dato troppo peso alla mia sindrome, né ha mai percepito quali problemi questa mi creasse: ai suoi occhi, appariva solo come una sorta di gioco che mi aveva coinvolto talmente tanto da indurmi a bizzarrie di ogni genere, come quando analizzavo profondamente la composizione del pasto per stabilire la quantità di mana che avrebbe ripristinato nei miei circuiti magici, o quando spruzzavo strani composti alchemici per scacciare via eventuali benedizioni o veleni negli alimenti per attaccarmi di sorpresa. Come ripetevo sempre, pur incarnatomi in questo corpo mortale, rimanevo sempre Nightmare Edge, colui che brandiva la Black Zagan, eccetera eccetera, e questo mi rendeva il bersaglio di una infinità di nemici diversi, talmente numerosi che non riesco nemmeno a ricordarli del tutto, ma sono sicuro che nei miei quaderni vi siano descrizioni accurati di ognuno di loro.

Comunque, il sole non è ancora calato, ma ha appena iniziato a tingere di un vago colore rosso il cielo quando saluto all'incrocio dove le nostre strade prendono vie diverse i miei due nuovi compagni; Makoto mi saluta con il solito entusiasmo quasi dirompente, e con una strizzata d'occhio che probabilmente è riferita alle numerose congetture che è andato a costruire attorno alla mia figura: nella sua testa, sono già conteso ferocemente tra Nao e Maeda, in una sorta di competizione che probabilmente ha costruito nella sua testa basandosi su fatti completamente casuali e parziali. Dopotutto, è impossibile che una ragazza si interessi a me di punto in bianco, a partire dal primo giorno di scuola. Certo, mi piace stare con Nao, ed oggi abbiamo anche pranzato insieme, ma non conosco nulla di lei, così come lei non conosce nulla di me; non che sia del tutto un male, visto e considerato cosa nasconde il mio passato, tuttavia la fantasia di quel ragazzo corre fin troppo. Haruhiko lo ha redarguito di trattenersi e di non sfoggiare troppo in classe questa sua attitudine, se non vuole cacciarsi nei guai, ma è stato un avvertimento che è entrato da un orecchio ed uscito dall'altro, a giudicare da come ha raccontato nei dettagli come si svolgerà lo scontro che dividerà la classe in due fazioni. Per dirla con le parole di Haruhiko, “Se non lo conoscessi abbastanza bene, direi che le sue delusioni siano molto peggiori di quelle di Maeda, all'apparenza,” un commento che mi ha ferito parzialmente, come vittima ormai guarita. Quanto meno, per la maggior parte. Ma ho incassato il colpo ed ho riso alla battuta, anche perché non sembra qualcosa di così improbabile.

Sono soddisfatto. No, non solo soddisfatto – sono felice di essere riuscito a raggiungere, almeno per oggi, gli obbiettivi che mi ero prefissato e per cui ho lavorato tanto a lungo. Oggi posso ufficialmente dire di essermi liberato definitivamente dalla sindrome di seconda media e dal mio passato oscuro. Se si esclude quell'incidente, tutto ha seguito dei binari perfetti, ancora migliori delle mie fantasie, come se fossi stato benedetto da qualche divinità. Insomma, ho avuto un primo giorno di scuola superiore degno di una commedia scolastica.

Eppure, non riesco a scrollarmi di dosso una strana sensazione che mi si è appiccicata alle spalle fin dal momento in cui abbiamo lasciato la scuola; anche solo pensarlo mi sembra imbarazzante, perché, neanche a dirlo, mi ricorda di quando facevo finta di essere pedinato da agenti nemici venuti a catturarmi, ma mi sembra di essere osservato da un bel po' di tempo. È come se avessi costantemente due occhi incollati alla schiena, che seguono ogni mio movimento dalla distanza. Quando mi sono voltato, tentando di capire chi o cosa potesse essere, non sono riuscito a vedere nessuno; mentre camminavamo per strada, al fast food, quando ci siamo fermati in libreria per controllare i libri di testo e permettere ad Haruhiko di comprare un nuovo romanzo da leggere, in ogni luogo e situazione, è stato come avere una seconda ombra perennemente alle calcagna. Un'ombra con un paio di occhi estremamente insistenti, abbastanza da arrivare quasi a sentirne il peso.

In un primo momento, ho creduto che si trattasse nuovamente dei rimasugli della mia sindrome, com'è accaduto a scuola, ma quando la cosa ha iniziato a divenire talmente insistente, non ho potuto fare a meno di provare una sensazione di fastidio e tensione al tempo stesso. Per quanto sia improbabile che qualcuno mi stia seguendo, ho comunque continuato a gettarmi occhiate di sottecchi tutt'attorno per praticamente tutto il giorno. Inutile dire, che i luoghi in cui siamo stati erano troppo affollati per riuscire ad individuare un potenziale… inseguitore, ed eventualmente ho smesso di prestarci troppa attenzione, preso dalla conversazione con Haruhiko e Makoto.

Ora che sono solo, tuttavia, la sensazione è comparsa nuovamente. Prima di arrivare a casa, devo camminare ancora per circa quindici minuti, anche se probabilmente ne impiegherò una ventina, perché voglio godermi il mio primo rientro da scuola da liceale, che sancisce l'inizio di una lunga serie; e, chi lo sa, un giorno forse tornerò a casa accompagnato da un amico, o da una ragazza. Mi do un colpetto alla guancia, scacciando via questo pensiero che dimostra come i discorsi insensati di Makoto siano stati abbastanza martellanti.

Mentre mi perdo in questi pensieri, attraverso la strada deserta, immettendomi nel vialetto che conduce al mio quartiere, relativamente distante rispetto agli altri. La strada è deserta e, visto che è un'area pedonale, ovviamente non devo preoccuparmi delle macchine; il cielo si sta scurendo e le ultime ombre serali iniziano a sbiadire nell'ancora tremolante aria crepuscolare, in quell'ultimo momento incerto di luce diurna.

Ancora una volta, sento uno sguardo fissarmi insistentemente la schiena. Questa volta non posso sbagliarmi, sono sicuro che non si tratti della mia immaginazione – anche perché, le fantasie non producono un leggero rumore di passi. Quindi, effettivamente, c'era qualcuno. Mi mordo il labbro, mentre il cuore inizia a battere ad un ritmo sempre più rapido. Domande su domande si affollano nella mia mente. Chi è che mi seguirebbe per tutto il giorno, con una tale insistenza? Non è che si tratta di Kazuhiro? Vuole farmela pagare per stamattina? No, no, cosa vado a pensare. Uno come lui spiccherebbe anche in mezzo ad una folla, lo riconoscerei al primo sguardo a causa della sua altezza e del colore dei suoi capelli. Deve trattarsi di qualcun altro… ma chi?

Mi fermo di scatto, ed i passi alle mie spalle fanno lo stesso, seppur con un attimo di ritardo. Colgo al volo l'occasione per voltarmi di colpo, senza alcun preavviso, lanciando un rapidissimo sguardo alle mie spalle, spaziando rapidamente per la strada. Quel che accade alle mie spalle, prima di riuscire a vedere, è abbastanza da confermare le mie ipotesi; con la coda dell'occhio, riesco a vedere di nuovo la stessa ombra che oggi, a scuola, ho intravisto di sfuggita. Con l'unica differenza che, questa volta, il suo movimento non sembra essere stato abbastanza sinuoso: un forte rumore di una testa che sbatte contro un oggetto metallico, seguito da un gemito di dolore, squarciano il silenzio della stradina deserta.

All'apparenza, sembra vuota – solo un lampione, che emette una flebile luce appena visibile ma che diviene più nitida man a mano che il buio si fa più fitto, e un secchio della spazzatura poggiato al lato destro della strada. Ed è proprio lì che cadono i miei occhi indagatori, verso quella sagoma bassa e tozza… ma sopratutto, su quella gonna a scacchi che sporge appena, insieme alla punta di una scarpa e ad un ciuffo di capelli corvini.

In un'altra situazione, forse sarei stato quasi felice che una ragazza provi interesse per me al punto da seguirmi per tutto il giorno con la dedizione di uno stalker. Ma così, è solamente inquietante, e non in un senso buono, ammesso che ve ne sia uno. Non sembra particolarmente pericolosa, anzi, al contrario, ora che siamo soli e senza una folla in cui rifugiarsi, appare decisamente più maldestra di quanto avessi immaginato. Non devo sforzarmi molto per richiamare alla mente l'unica persona che potrebbe aver fatto tutto questo.

Vorrei non fosse vero, ma—

“Ah, meno male che non c'è nessuno!” dico ad alta voce, in un tono che suona perfino alle mie orecchie come palesemente artificioso, mettendomi le mani in tasca e voltandomi nuovamente, “Così potrò trasformarmi senza alcuna remora!” Oh no, anche solo pensare a quel che sto per fare, è sufficiente a farmi stare male con me stesso. Perdonami, Makoto, sto per metterti di nuovo in imbarazzo come ai vecchi tempi… Mi schiarisco la voce, in modo da avere di nuovo quel particolare tono estremamente arrogante e distorto che impiegavo nei momenti in cui vestivo i panni di Nightmare Edge, “Oh, Regno delle Ombre, quanto mi sei mancato! Vieni a me, Zafkiel, Angelo Custode dell'Ultima Ombra del Crepuscolo, e recami tra le mani la luce morente di questo giorno!”

“Ah, sapevo che avresti rivelato i tuoi poteri, Nightmare Edge!”

Proprio come speravo.

No, non come speravo – come immaginavo. Stavo sperando che si trattasse di una allucinazione talmente realistica e persistente da avermi aggredito e manipolato abbastanza a lungo da spingermi a credere di essere seguito, ma purtroppo non sono così fortunato, perché la figura che balza fuori con una capriola maldestra, sgualcendosi l'uniforme da primina, è proprio Mana Maeda, che si stringe il polso destro con la mano sinistra, mostrando minacciosamente il pentacolo impresso su di esso.

“—Mi hai seguito davvero per tutto il giorno?”

“Sei riuscito a scoprirmi per via della tua capacità di percepire le aure, vero? Non lo avevo tenuto in conto, che errore imperdonabile...”

“No, sei solo maldestra!” la interrompo, avvicinandomi a lei e incrociando le braccia al petto con un sospiro rassegnato, “Quindi eri davvero tu. È da quando me ne sono andato da scuola che mi stai pedinando?”

“Stavo attendendo il momento giusto per vederti rivelare i tuoi poteri. So bene che non puoi farne sfoggio davanti a tutti, perché altrimenti diverresti un nemico dell'Antico e ti scatenerebbe contro tutti i Vuoti.”

Vuoti? Antico? Mi batto una mano sulla fronte, lasciando sfuggire il secondo sospiro della serata tra le labbra, senza riuscire a trattenermi dallo scuotere la testa. Sul serio, anche io ero così imbarazzante? Sì, probabilmente sì.

Come ho detto, mi sentirei sentito lusingato, forse anche felice, nel sapere che una ragazza trovi abbastanza interesse in me da seguirmi per tutto il giorno, in lungo ed in largo, fino a casa mia – ma non se quella ragazza è Mana Maeda, e lo sta facendo solo perché spinta da un tipo di “attenzione” ben diversa da quella che immaginavo. Qui stiamo sfiorando il ridicolo.

“Ascoltami, dovresti davvero tornare a casa, si sta facendo tardi. E poi, non ho alcun potere speciale, capito? Ho chiuso con quella storia. Ormai è acqua passata.”

Maeda alza il suo sguardo, così limpido, eppure allo stesso tempo tanto torbido per via del colore nero abissale che caratterizza i suoi occhi, e piega la testa lateralmente, confusa, “Di cosa stai parlando?” sembra riflettere profondamente sulla frase che le ho appena rivolto, come a sviscerala pezzo per pezzo nel tentativo di trovarvi un significato di qualche genere che le sia sfuggito, “Ah, ho capito!” il suo viso si illumina tutto d'un tratto, come se fosse arrivata alla conclusione che, qualcosa mi dice, non è decisamente quella giusta.

“Bene, se hai capit—”

“Non devi mentire con me, Nightmare Edge. Io sono una tua alleata. Anche se… temi che i Vuoti possano sentirci? Mhmh, hai ragione. Sei un tipo previdente – non per nulla sei stato scelto dalla Black Zagan.”

“Ecco, esattamente… No, aspetta, hai frainteso tutto. Ma sopratutto,” mi interrompo di colpo, la domanda che ho tenuto in serbo per tutta la mattinata che riaffiora improvvisamente nella mia mente e raggiunge le mie labbra in un impeto di morbosa curiosità, “Come fai a sapere tutte queste cose di me? È la prima volta che ti vedo, quindi...”

Maeda lascia andare una breve risata dalla sua bocca, portandosi la mano destra al viso, coprendo così il lato sinistro, lasciando scoperto solo un singolo occhio e metà del ghigno inquietante che si è aperto sul suo viso, “Ma certo, tu non puoi ricordare, perché nell'ultima battaglia hai perso la memoria dei tuoi ricordi passati. In realtà, noi ci siamo incontrati in altre vite, numerose volte, sempre con un solo scopo – combattere l'Antico e riportarlo al suo sonno,” il suo braccio sinistro si stende di nuovo in quel gesto teatrale che ha sfoggiato questa mattina in classe, indicandomi con l'indice ben teso nell'aria, “Siamo indissolubilmente legati, per questo il mio Occhio Demoniaco ti conosce e ti troverà sempre.”

“Mi stai dicendo che conosci ogni cosa di me per via del tuo… occhio?”

Se prima avevo qualche dubbio, ora ne ho la certezza schiacciante. Mana Maeda non è solo affetta dalla sindrome di seconda media, e dalla sua peggiore declinazione, l'Evil Eye, ne è totalmente assorbita, completamente parte. Esattamente come lo ero io.

“Esattamente.”

Questo non risponde minimamente alla mia domanda, ma so per esperienza che insistere è totalmente inutile. Per lei, tutta la sua conoscenza di me deriva esattamente da questo potere mistico che le è stato concesso per qualche motivo, e non c'è modo di farla ragionare o farle dire altrimenti. L'unica cosa da fare, per ora, è assecondarla, finché non riuscirò a capire come fa a conoscere il mio oscuro passato. Il lato positivo, è che non sembra intenzionata a dirlo a nessuno, cosa di cui non posso che esserle grato, seppur ovviamente lei non ne capisca il motivo – nella sua visione della realtà, le altre persone, questi “Vuoti” non devono sapere di me, altrimenti mi attaccherebbero. Se ci penso bene, non è altro che una interpretazione molto amara della realtà. Probabilmente deve essere stata emarginata e tormentata quanto me per via della sua sindrome, quindi è naturale che gli altri, coloro che la trattavano così male, ai suoi occhi siano mostri, esseri asserviti a questo Antico. Da questo punto di vista, lo ammetto, un po' mi fa tenerezza…

“Senti un po', tu...” le dico, piegando appena la testa lateralmente con un'espressione pensierosa, “Non ti bastava parlarmi quando siamo usciti? Non c'era bisogno di seguirmi fino a qui.”

Scuote la testa con forza, abbassando lo sguardo che fino ad ora è rimasto ostinatamente in alto, e inizia a tormentarsi l'orlo della gonna con le dita, “Eri insieme a quei due ragazzi. Non potevo approcciarti senza essere sicura della loro natura ma...”

“Guarda che quei due ragazzi sono nostri compagni di classe!” rispondo, indignato dalla sua mancanza di considerazione.

“...ma se sei rimasto in loro compagnia, devo dedurre che non siano nemici. Non rappresentano un ostacolo, per Nightmare Edge!”

“Non dire ad alta voce quel nome, per favore. E nemmeno a bassa voce. Anzi, non dirlo e basta.”

“Ci siamo solo noi, qui, nessun Vuoto in ascolto, il mio Occhio non percepisce alcuna aur—”

“Oh, buonasera Sato!” come a voler smentire immediatamente i vaneggiamenti della ragazza, la figura del vecchietto che abita a tre case di distanza emerge da un vicolo laterale, impegnato in una delle sue lunghe passeggiate serali con il cane al guinzaglio.

“Buonasera, signor Fuji,” ricambio il saluto dell'anziano signore con un cenno del capo, “Dicevi? Non c'è nessuno ad ascoltarci, eh?”

Le guance di Maeda si imporporano leggermente, e storce la bocca come delusa, tant'è che per un secondo sembra davvero affranta dalla sua incapacità. Come colpita da qualcosa, cade in ginocchio, stringendosi convulsamente il palmo della mano ed emettendo un basso gemito di dolore, “Urgh, non di nuovo...”

“C-cosa c'è che non va? Ti senti male?”

“Le interferenze della Nebbia mi impediscono di utilizzare al meglio i miei poteri.”

“No, aspetta, ti stai solo giustificando per il fallimento di un attimo fa?!” e, con questa frase, il terzo sospiro della serata, uno dei primi di una ben più lunga lista, se ne va nell'aria serale, trasportato da un improvviso venticello. Nonostante sia primavera, le serate sono ancora abbastanza fredde, ed è solo ora che realizzo come il sole sia del tutto scomparso oltre l'orizzonte, lasciandoci a discorrere nella semioscurità di una stradina di un quartiere, sotto la luce pallida e biancastra di un lampione scrostato. Per di più, seguendo il ritmo di una conversazione senza un vero senso, dettato da una ragazza che conosco da poco meno di un giorno e che mi ha seguito come una vera e propria stalker; se lo raccontassi a qualcuno, non ci crederebbe mai. Le offro la mia mano per alzarsi e lei la accetta, seppur riluttante, tornando a mettersi in piedi con un'espressione affranta sul volto, “Perdonami per averti messo in pericolo.”

“Ah, non fa nulla, credimi. Piuttosto, si è fatto tardi e dovrei andare a casa, quindi...”

“Ti accompagnerò, allora,” sentenzia lei, ovviamente senza chiedere il mio parere, e iniziando a tracciare complicati arabeschi in aria con le mani, come a voler scagliare un incantesimo di qualche sorta contro un nemico invisibile. Anche se, guardando meglio… “Ma cosa fai, lanci una magia d'illuminazione?”

“Oh, l'hai riconosciuta?” sorride, lo scintillio negli occhi che dimostra tutta la sua ammirazione e soddisfazione nel vedermi analizzare una magia del genere ad una prima occhiata, “In modo da fendere le tenebre che impediscono il nostro cammino.”

Ignorando l'imbarazzo che mi ha stretto in una morsa e dandomi dello stupido per essermi lasciato sfuggire una frase simile che andrà solo ad alimentare le sue fantasie, indico perplessamente l'altro lampione della stradina, posto a qualche metro da noi e tristemente spento, probabilmente rotto – non mi pare di averlo visto funzionare negli ultimi mesi, nemmeno una volta, “Guarda che non basterà una magia per ripararl...”

Prima in modo esitante, poi sempre più deciso, il bulbo del lampione inizia a brillare fiocamente, aumentando gradualmente d'intensità, fino ad accendersi del tutto sotto il mio sguardo stupito. Come se avessi visto un fantasma, sposto lo sguardo incredulo da Maeda al lume funzionante e viceversa, lasciandomi sfuggire un impressionato “Incredibile...”

“Uhuh, ha funzionato alla perfezione.”

“No, non è possibile!” protesto, scuotendo la testa con un cenno di esagerato diniego, sventolando le mani a mezz'aria, “Si dev'essere trattato di un caso. Non è possibile che…”

Senza darmi tempo di continuare la mia incredula protesta, la mia compagna di classe mi precede, continuando a fare strani segni con le mani e a sussurrare formule arcane a mezza bocca, saltellando spensieratamente in mezzo alla strada. Il quarto sospiro segna anche l'inizio della breve camminata di cinque minuti che ci separa da casa mia. Durante tutto il tragitto, Maeda non fa altro che spiegarmi una qualche complicata storia fantasy secondo la quale, periodicamente, il mondo è minacciato dall'Antico e da una certa Nebbia che corrompe gli uomini e ruba loro l'anima, immergendoli in una potente illusione che fa dimenticare loro la realtà – ed il mondo in cui viviamo non è altro che frutto di questo incantesimo. Ovviamente, non posso far altro che starla ad ascoltare con tono accondiscendente, ed annuire meccanicamente ad ogni frase, aggiungendo un “Oh, ma davvero?”; in realtà, pur ostentando questa aria disinteressata, non posso dire che mi dispiaccia starla ad ascoltare. Se togliamo la parte in cui crede tutto questo estremamente reale, più vero della realtà stessa, si tratta solamente di una storia decisamente ben congegnata.

“Dovresti scriverci un libro,” dico improvvisamente, senza riflettere, ma la risposta che ricevo è ovviamente qualcosa sulla falsariga di “Non dare informazioni al nemico” o qualcosa del genere, esattamente come c'era da aspettarsi.

Poco fa stavo pensando a come sarebbe stato tornare a casa con una ragazza, un sogno adolescenziale come tanti, ed una cosa è certa, sicuramente non avrei mai immaginato che sarebbe stato così. Maeda è estremamente, incredibilmente bella, nel suo genere, e il parco di espressioni che animano il suo viso mentre racconta, in un ciclone che ruota sempre attorno ad una piega entusiastica del volto, la rendono terribilmente affascinante, finché non ci si concentra sul motivo della sua eccitazione. In lei, persiste la stessa sensazione che ho avuto questa mattina – è come se non camminasse insieme a noi. È come se vivesse in un mondo diverso, e ci osservasse attraverso il vetro di uno specchio, probabilmente perché ne è lei stessa profondamente convinta.

“E questo è tutto quello che c'è da sapere,” conclude improvvisamente, fermandosi davanti a me, le mani poggiate sui fianchi in una posa che nella sua immaginazione dev'essere decisamente più eroica.

“Perché ti sei fermata?”

“Perché sei arrivato a casa,” risponde, improvvisamente confusa dalla domanda, “Non te ne eri accorto?”

Effettivamente, questo è il cancello di casa mia. Ero talmente preso dai miei pensieri e dal suo continuo, schiacciante chiacchierare da non rendermi conto di aver coperto in un così breve lasso di tempo tutta la strada fino a qui. Dopo una lunga giornata, arrivare a casa è davvero soddisfacente, penso proprio che ora mi rilasserò un po' e… “Aspetta, sai anche dov'è casa mia?!”

“Mh? Sì, perché?” risponde, con uno sguardo interrogativo, ed una espressione talmente ingenua da chiedersi se effettivamente si renda conto di quel dice.

“Non ammetterlo con quell'espressione innocente!” sbuffo, ancora più rassegnato di quanto non fossi prima; poggio lo zaino sul muretto e massaggio appena la spalla indolenzita, sulla quale ho portato per tutto il giorno il peso dei libri di testo – una accortezza inutile, visto che li abbiamo a malapena sfogliati e solo per dare una rapida scorsa al programma delle future lezioni. Dal canto suo, invece, noto solo ora come la borsa di Maeda sia estremamente leggera. Tuttavia, a ben guardarla, sembra che qualche strano oggetto dalla forma irregolare sia stato spinto dentro a forza, ma non voglio indagare, sono ben conscio del fatto che lì dentro potrebbe tenere una spada o la riproduzione di un fucile, come facevo io nei miei tempi bui.

“Piuttosto, ora dovrai andare a casa da sola. Pensi di farcela?” non è una domanda così scontata. Non è bene che una studentessa vada in giro da sola a quest'ora, e seppur la nostra città sia tranquilla, ed il nostro quartiere sia una zona particolarmente priva di pericoli sensibili, la sera non è mai una buon'ora per andarsene troppo a bighellonare. Inoltre, mentirei se dicessi di non essere preoccupato più per il fatto che, conoscendola e sopratutto conoscendo la sindrome di cui sono stato vittima a mio tempo, potrebbe perdersi sulla via del ritorno. Tuttavia, l'espressione di dubbio che aveva sul volto un attimo fa si acuisce di colpo a quella domanda, “Oh? Cosa intendi?”

“Beh, è tardi ed una ragazza che va in giro da sola...”

“Non preoccuparti di questo,” mi interrompe, “Abito qui vicino.”

Effettivamente, ora che ricordo, il professor Mikuni ha detto che siamo vicini, seppur non la abbia mai vista da queste parti. Vuol dire che abita nel quartiere, nemmeno troppo lontano da casa mia, una insolita coincidenza. Persiste ancora, in me, il dubbio sul non averla mai notata prima d'ora, ma forse potrebbe semplicemente essere stato un caso – potrebbe, magari, abitare all'estremo, rispetto a me, e aver frequentato un'altra scuola media. Non sarebbe nemmeno tanto improbabile.

“Davvero? E dove?”

“Lì,” il suo indice si tende verso la casa esattamente davanti alla mia.

La casa in cui, ieri sera, qualcuno si è trasferito. Quindi, mi sta dicendo che lei vive di fronte a me… e che si è trasferita solo ieri?

Effettivamente, avrei potuto pensarc—

No, aspetta, cosa?!

Il mio sguardo sbigottito si pianta su di lei, del tutto ignara della catena di pensieri che si sta dipanando all'interno della mia mente, e che mi porta alla conclusione ineluttabile – ho frainteso tutto. Non c'è alcuno studioso. L'ombra che ho visto stamattina, alla finestra… era lei. Tutti quegli scatoloni, contengono chissà quali strambi oggetti dalle supposte proprietà magiche. Ne sono sicuro, più che sicuro.

“Sembri sorpreso. Eppure, pensavo che ne fossi al corrente.”

“...Scusami, devo digerire la notizia,” sussurro con tono funereo, afferrando il cancello alle mie spalle, trascinandomi verso l'uscio di casa e salutandola con un gesto secco della mano, “Buonanotte, Maeda.”

“Mana.”
Mi volto lentamente, fino a poterla nuovamente guardare negli occhi, quegli occhi come un abisso, che sembrano volermi inghiottire, “Come?”

“Chiamami Mana,” tende la sua mano, a sfiorare il mio petto. Mi irrigidisco di colpo, a quel contatto improvviso, nel sentire quella piccola, calda mano poggiarsi su di me, “Ed io ti chiamerò Minato. Siamo legati da un patto indissolubile, dopotutto.”

Penso che, se fossi stato in un'altra situazione, avrei avuto le guance in fiamme.

Ma ora, con lei, mi sembra qualcosa di scontato.

“Buona notte, Mana.”

“Buona notte, Nightmare Edge.

“A doma… No, aspetta, mi hai di nuovo chiamato in quel modo?!”

Ma la mia protesta si perde nel buio della strada mal illuminata, perché lei è già sparita dall'altro lato, chiudendosi a sua volta il cancello dietro con un tonfo metallico che risuona come un tetro commiato.

Mentre rientro a casa, noto una lettera lasciata sul mobile dell'atrio, che annuncia la riparazione dei lampioni in tutta l'area e l'entrata in funzione di prova alle diciotto di questa sera. Ovvero, cinque minuti fa.

Non posso trattenere un sorriso.

Per qualche strana ragione, ho come l'impressione di aver iniziato qualcosa che sfuggirà al mio controllo ancor prima di iniziare.

Il quinto ed ultimo sospiro della serata, è rivolto ancora a lei, alla ragazza che vive di fronte a me e che è convinta di essere una maga demoniaca.

L'ultimo sospiro di oggi. Ma indubbiamente, uno dei tanti tra quelli a venire.

 

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Capitolo 3
*** 「Chapter 2 – One thing I know about her」 ***


Chapter 2One thing I know about her

 

“Io vado a scuola, ci vediamo!”

Nella speranza che mia madre sia già sveglia per udirmi e che non sia rimasta in piedi fino alle tre di notte a lavorare, mi chiudo la porta alle spalle senza fare rumore, lo zaino sulla schiena che sembra un po' più pesante del solito. La primavera è nel pieno del suo splendore, ma da oggi inizierà il suo rapido passaggio verso l'estate, anche se l'aria mattutina appare più fredda di quanto non fosse qualche giorno fa; quando esco all'aria aperta, sento un brivido di gelo che mi attraversa, passando dal tepore di casa all'esterno. Ancora con un po' del sonno che inevitabilmente mi ritrovo a dover sopportare, mi stiracchio platealmente, per poi sfregarmi le mani con forza per riuscire a dare loro un minimo di calore; non ho di certo intenzione di tenere il manubrio della bicicletta con le dita intorpidite.

Come ogni mattina, da una settimana a questa parte, mi avvicino al garage, sollevandone la serranda con un forte rumore di acciaio stridente che aggredisce le mie orecchie e infrange l'aria sospesa di questa mattina particolarmente silenziosa; quando la luce dell'esterno filtra nello stanzino buio, la sagoma della nuova bicicletta di un banale color rosso scuro, o meglio “Cremisi come il sangue dei demoni feriti” secondo l'opinione di Mana, compare fiammante in attesa di essere cavalcata – esattamente come un destriero. Anche questo è un paragone della mia stramba vicina di casa, che ovviamente non ha esitato a darle un nome tipico del suo gusto distorto dalla sindrome di seconda media: Abaste II, che, come mi ha spiegato lei stessa in un complicato discorso di mitologia, altri non era che uno dei numerosi destrieri infernali appartenenti al Signore dell'Oltretomba Ade, una divinità greca che avrebbe regnato sull'aldilà di cenere e fumo destinato alle anime degli uomini. Ovviamente non le ho chiesto come sapesse tutte queste cose, né tanto meno il motivo per cui fosse documentata talmente tanto sulla mitologia occidentale, perché la risposta sarebbe stata un altro, infinito sermone su qualche mondo parallelo o su un viaggio nel mondo dei morti; in realtà, la semplice verità è che ogni cosa che abbia a che fare con la magia o l'occulto affascina in modo irresistibile tutte le vittime della sindrome di seconda media, ed io stesso ho tentato inutilmente di apprendere l'alfabeto runico delle popolazioni germaniche. Non c'è nemmeno bisogno di dire che si tratta di una conoscenza talmente superficiale da non andare oltre qualche nozione generica, ma che diviene più che sufficiente nel contesto del dover dissacrare, o nobilitare, dipende dal punto di vista, la mia bicicletta.

Abaste II ha una bella storia alle spalle; o meglio, il suo predecessore, Abaste I, ne ha una che inizia quando l'ho dipinta di nero e gli ho attaccato due finte ali di plastica con l'intento di dargli un'aura vagamente demoniaca, riuscendo solo a renderla ridicola e terribilmente sbilanciata verso destra, e che si è conclusa esattamente una settimana fa, quando ho deciso per la prima volta di non andare a scuola a piedi e di portare con me Mana. Quando lei ha visto la bicicletta, ovviamente è andata su di giri, indicandola teatralmente come se avesse appena poggiato gli occhi su una creatura incredibile, per poi lasciarsi scappare un commento ammirato, “Non mi aspettavo di meno da Nightmare Edge, cavalcare il destriero del Signore dei Morti. Lo hai domato grazie al tuo potere incredibile, vero?”

“Non so di cosa tu stia parlando, e smettila di chiamarmi in quel modo...” la mia protesta a quel punto era priva di volontà, rassegnato com'ero al fatto che per quanto la riprendessi, non avrebbe mai imparato; l'unica cosa che mi tranquillizza, ora come in quel momento, è che a scuola evita di rivolgersi a me in questo modo.

“Sali, forza,” ho detto stancamente, dando un colpetto al sellino. Subire fin dalla mattina presto un tale assalto psicologico è più stancante di quanto potessi immaginare. Mana si è avvicinata lentamente, piena di timore, ed ha sussurrato formule magiche in una lingua probabilmente inventata, prima di avvicinarsi al manubrio… e carezzarlo come avrebbe fatto con un vero cavallo.

Quell'azione ha risvegliato in me i ricordi di quando gridavo incitamenti alla bicicletta per mandarla più forte, ridendo follemente delle fiamme oscure ed ardenti che in teoria avrei dovuto lasciarmi alle spalle per via degli zoccoli del mio incredibile destriero demoniaco. Trattenendo tutto me stesso dal morire di vergogna, ho aspettato che Mana avvicinasse il suo esile corpo alla parte posteriore della bicicletta, la tastasse insicura, per poi guardarmi negli occhi con profonda solennità, “Sono degna di montare una creatura tanto potente?”

“—Ma certamente.” e così se n'era andato il primo sospiro della giornata.

“Hai già imposto il tuo Sigillo di Comando su di lui, per lasciarmi salire?”

“Sigillo di Comando..?” mi sono passato una mano sul viso per tentare di trovare la volontà di risponderle ancora, “Sì. Sì l'ho fatto, per chi mi hai preso?” A quel punto ero disposto a tutto pur di farla sedere sulla bicicletta, per evitare di fare tardi a scuola. Stavo già iniziando a rimuginare su quella mia pessima idea e su come avessi sbagliato anche solo a portare fuori la bicicletta dal garage, quando Mana ha annuito e, sempre con fare reverenziale, si è inchinata a Abaste I e si è seduta con fare timoroso. Finalmente, mi sono detto, si può partire, ed ho spinto il pedale, facendo sferragliare per un attimo la catena. A quel rumore sinistro, tuttavia, ne è seguito un altro, ed un altro ancora. Prima che me ne rendessi conto, l'intera bicicletta emetteva un basso rumore agonizzante, tremando da cima a fondo.

E poi, contro ogni mia aspettativa, mentre Mana gridava qualcosa sulla furia del destriero infernale… mi sono ritrovato a barcollare per evitare di cadere sui rottami della bicicletta. Purtroppo per lei, Maeda non aveva avuto la stessa fortuna o prontezza di riflessi, finendo per terra insieme alla ferraglia inutilizzabile che rimaneva di quello che fino ad un attimo fa era nella sua mente un potentissimo cavallo dell'oscurità e della morte.

A due settimane dall'inizio della scuola, Abaste I ha incontrato la sua indecorosa fine, dopo anni di onorato servizio. Mi sono sentito un po' malinconico, quando il pomeriggio seguente Mana ha organizzato una specie di funerale abbastanza ridicolo nel giardino di casa mia, prima di andare a gettare quel che ne era rimasto. Dopotutto, quella sgangherata e consumata bicicletta mi aveva reso un onorevole servizio e aveva sperimentato direttamente su di sé le conseguenze della mia sindrome di seconda media. È stato un po' come perdere un compagno e probabilmente mi sarei sentito un po' più emozionato se Mana non avesse disegnato un enorme cerchio di evocazione con il gesso in mezzo al vialetto che divide le nostre due case, adducendo come intento quello di voler evocare un nuovo destriero.

“Perdonami, Minato, è stata colpa mia se Abaste è morto...” in quel momento, la sua voce affranta e il suo viso accartocciato in un'espressione sinceramente e teneramente dispiaciuta mi hanno colpito come un pugno allo stomaco, e non ho potuto fare a meno di arrossire di colpo pensando che, alla fine, al di sotto della sua sindrome di seconda media, rimane comunque una ragazza talmente bella nella sua unicità da assomigliare ad una bambola.

“No, non devi preoccuparti. Avevo comunque intenzione di comprarne una nuova,” il che era una bugia solo in parte, così come dopotutto non era di certo stata lei a rompere la vecchia bicicletta, ma quelle parole l'avevano ispirata talmente tanto da spingerla a mettere insieme quella plateale messinscena della evocazione. Fortunatamente abbiamo cancellato il gesso prima che qualcuno venisse a darci dei vandali.

Comunque, dopo una settimana dalla “morte” di Abaste I, mia madre mi ha comprato come regalo per l'inizio della mia nuova e brillante vita scolastica una nuova bicicletta. Inutile dire che Mana ne è stata talmente entusiasta da commuoversi nel vedere riuniti cavaliere e cavallo. Ha insistito per gettare su di lui una quantità di incantesimi e sigilli di protezione, per renderlo ancora più forte, e poi mi ha nuovamente chiesto del Sigillo. Ancora una volta, le ho risposto di sì. Ancora una volta, lei è salita dietro con fare timoroso. Ancora una volta, ho spinto il pedale. E la bicicletta, tuttavia, questa volta, si è mossa senza crollare; anzi, al contrario, si è lanciata dopo qualche pedalata in una vera e propria gara contro il vento che mi ha preso ben più di quanto pensassi.

Per tutto il viaggio, tuttavia, ho avuto costantemente le braccia di Mana attorno al petto, per evitare di farla cadere, e quando sono arrivato a scuola probabilmente il mio viso era più rosso per quel contatto che per la pedalata.

Da quel giorno, di quando in quando, io e Mana andiamo a scuola in bicicletta. Quando non succede, semplicemente andiamo a piedi, coprendo la distanza tra la scuola ed il liceo chiacchierando come farebbero due normali adolescenti. O meglio, io ascolto le sue strampalate storie di magia, commentando di quando in quando, ostentando un fare disinteressato che non rispecchia esattamente la verità – i suoi racconti di sindrome di seconda media ancora fanno nascere in me ricordi imbarazzanti abbastanza da darmi l'istinto di prendermi a schiaffi; d'altra parte, quando si perde, in quei momenti, nella descrizione di una scena particolarmente importante, i suoi occhi iniziano a brillare intensamente e divengono due vortici, due pozzi di ombra che sembrano attraversare il velo della realtà per scrutarvi attraverso e osservare qualcosa che a me, a noi tutti, è stato precluso.

In classe, tutti hanno capito dopo poco che Mana è afflitta dalla sindrome di seconda media, e hanno iniziato ad osservare le sue stranezze ad una distanza di sicurezza; fortunatamente, nessuno vede come una cosa strana il fatto che io e lei passiamo tanto tempo insieme, probabilmente perché siamo vicini di casa, e per questo vederci andare e venire insieme da scuola non è qualcosa di insolito. Tra le ragazze, l'unica che ha avuto il coraggio di parlare con Mana e di stringere amicizia con lei è Nao; con la sua aura abbagliante da angelo, non ha potuto far altro che conquistare la piccola chunnibyou, che l'ha immediatamente annessa nella sua cerchia di compagni di avventure sovrannaturali, definendola come “The Fallen Angel”, nonostante non abbia assolutamente nulla che possa classificarla come rinnegata o caduta in disgrazia.

“Perdona l'attesa, Nigthmare Edge,” come apparendo dal nulla, Mana mi dà un colpetto al braccio per richiamare la mia attenzione, distogliendomi dal flusso dei miei pensieri e rivolgendomi uno sguardo dubbioso, “Ti vedo assente, sei stato vittima di un attacco mentale? Devono essere state le Streghe di Salem ed i loro incantesimi...”

“Assolutamente no! Piuttosto, sbaglio o avevamo deciso che mi avresti chiamato normalmente, d'ora in poi?”

Come realizzando il suo terribile errore, Mana sgrana gli occhi, iniziando a scuotere la testa, “Ho commesso un errore imperdonabile che potrebbe metterti in pericolo. Hai ragione… Allora, buongiorno Nigh—” prima di sbagliare nuovamente, si morde la lingua, interrompendo a metà la frase, “Minato, perdonami. E buongiorno anche a te, Abaste.”

Niente da fare, non ci riesce proprio. Evito di sottolineare come sia inutile chiamare me per nome, se poi si rivolge alla bicicletta con quell'assurdo nome che le ha affibbiato, e la invito a salire, “Andiamo, o faremo tardi.”

Questa volta senza alcuna esitazione, Mana si accomoda e allunga le mani a stringermi la giacca, un compromesso che abbiamo trovato per evitare quel contatto fisico esagerato e fraintendibile, visto che qualche voce ha iniziato a circolare in classe ed ho dovuto fare di tutto per riuscire a metterla a tacere, con l'aiuto di Nao e di Haruhiko. Avere due rappresentanti di classe come amici ha i suoi vantaggi, dopotutto; nella seconda settimana, sono state effettuate le votazioni, scegliendo un ragazzo ed una ragazza per ricoprire questo delicato ruolo. Ovviamente tra i ragazzi l'unica opzione è stata Haruhiko, che ha ricevuto il cento per cento dei voti, grazie alla sua aria seria ed affidabile. Per le ragazze, la cosa è andata un po' diversamente. Da una parte, Hitomi Mori e dall'altra Nao Watanabe – ovvero, le due stelle della nostra sezione; la lotta è stata terribilmente accanita, e quando Nao ha ottenuto la vittoria grazie alla sua condotta diligente ed impeccabile ed al suo carattere che ispira fiducia e tranquillità, Hitmoi non l'ha presa bene. In realtà, credo che veda in lei una rivale, una sfidante al suo dominio, quando in realtà non c'è nulla di più distante dalla verità.

“Il tempo è volato, oggi inizia la terza settimana di scuola,” dico, voltandomi appena per rivolgermi alla ragazza che stringe saldamente la giacca e fa vagare il suo sguardo sul paesaggio che le scorre sotto gli occhi, “Piuttosto, hai già deciso se entrare a far parte di qualche club? La prossima settimana inizieranno le attività.”

“Ho già in mente qualcosa di utile al nostro scopo,” a quell'affermazione di Mana, non posso far altro che maledire la mia boccaccia per aver posto una domanda alla quale so benissimo che ci sarà una risposta terribile, “Ci basterà organizzare un club di magia per attirare a noi tutti gli altri guerrieri prescelti per sconfiggere l'Antico e riportare la pace nel nostro mondo. Distruggeremo quest'illusione!”

“Cosa fai?! Non metterti in piedi così di scatto, o rischi di cadere! E poi, è un'idea folle, nessuno accetterà mai.”

Giunti nel cortile della scuola, la mia prima preoccupazione è quella di dover sostenere questa ennesima follia che sta mettendo in piedi Mana; mentre, infatti, chiudo la bicicletta con la catena, lei non ha ancora smesso di illustrarmi un complicato e contorto piano che consiste nello sconfiggere una sorta di demone, il quale albergherebbe nella sala professori, utilizzando i docenti come marionette – e così facendo, una volta eliminato questa sorta di boss finale, la scuola diverrebbe una roccaforte dei valorosi guerrieri che si oppongo alla Nebbia.

“Buongiorno Minato. Mana, vedo che sei piena di energia fin dalla mattina,” il saluto accompagnato da un sorriso radioso non può che appartenere a Nao, seduta al suo posto con i libri di testo già aperto, a ricontrollare qualche esercizio con aria pensosa.

“Fin troppo piena...” rispondo, con aria esausta, ricambiando il saluto e andando a poggiare lo zaino al mio posto. Mentre frugo al suo interno, per estrarne qualche quaderno e qualche penna, un paio di mani si poggiano sulle mie spalle, seguite da una scossa energia che fa tremare tutta la sedia, e da una risata a stento trattenuta. Ho imparato a mie spese che questo è il saluto tipico di Makoto nei giorni in cui, a suo parere, hai bisogno di una carica in più; il più pacato Haruhiko, invece, mi si affianca, gettandomi il solito sguardo d'intesa che ci unisce come un filo rosso del destino: entrambi, infatti, dobbiamo portare un peso che ha la forma e la voce di una persona. Penso che nessuno meglio di lui riesca a comprendermi in momenti come questo.

“Makoto, Haruhiko…” sussurro, stropicciandomi gli occhi, “Sto morendo di sonno.”

“Hai fatto le ore piccole per finire i compiti?” chiede il rappresentante di classe, rivolgendomi un sorriso comprensivo.

“Ah, no, non è così, è solo che—” la mia frase viene troncata a metà da un improvviso sbadiglio che mi sale alla bocca.

Makoto, con l'aria di chi la sa lunga, mi allunga una lattina, poggiandola sul banco con un tintinnio, “Prendi questo. Ti terrà sveglio.”

“Mh? Concentrato di caffeina?” leggo ad alta voce, rigirandomi dubbioso la lattina tra le mani e osservandone l'etichetta nera sulla quale è disegnata una fiamma dal pallido colore azzurro, e che porta il nome del prodotto: E-Flame, o Energy-Flame. Una bevanda energetica dall'aspetto sinistro, “Bevi questa roba?”

“Solo in casi di estrema necessità. E questa mattina mi sembra una di quelle situazioni,” si siede sul bordo del mio banco, dandomi la schiena per metà, e mi prende dalle mani la lattina, allontanandola dalla mia presa prima che possa aprirla, “Cosa hai fatto ieri sera? Non dirmi che sei stato davvero in piedi fino a tardi a fare matematica. Ed io che pensavo fossi un tipo ragionevole, non come Haruhiko...”

“Guarda che sono qui.”

La verità, è che non mi sono reso conto dell'ora mentre portavo gli ultimi scatoloni rimasti in fondo all'armadio fino allo sgabuzzino; avrei fatto prima se, nel cercare qualcosa di utile rimasto in mezzo a quelle cianfrusaglie, non avessi iniziato a rievocare una quantità di memorie talmente imbarazzanti da arrivare a tormentarmi anche prima di dormire. Il risultato dell'intera operazione, sono state le appena tre ore di sonno che sono riuscito a dormire prima di dovermi svegliare di malavoglia per venire fino a scuola. Ho preso la bicicletta nella speranza che la pedalata potesse rinfrescarmi e svegliarmi del tutto, ma non sono stato così fortunato; anzi, forse ho ottenuto l'effetto opposto. Ma come posso spiegarlo ad Haruhiko e Makoto? La realtà dei fatti non è qualcosa di così facile da raccontare, nel mio caso… “Sì, erano compiti estremamente difficili. Dannata matematica.”

“Effettivamente hai ragione. Sono decisamente più difficili di quello che eravamo abituati a fare alle medie, ma sono sicuro che ci abitueremo presto,” afferma Haruhiko, sistemandosi gli occhiali sul volto, mentre annuisce vigorosamente alla mia affermazione, solo per essere ripreso da Makoto e da un suo schiocco di lingua contrariato, “Tu sei un genio, Haru, di cosa stai parlando? Non avrai il minimo problema. Prenderai di nuovo dei voti altissimi, eh, capoclasse?”

“Puoi anche smetterla di chiamarmi così...”

L'amichevole battibecco mattutino dei due, un vero e proprio rito, viene interrotto dall'arrivo del professor Mikuni, e tutti torniamo a sederci ai nostri posti. Infilo rapidamente la lattina nello zaino, con l'idea di non berla e di riconsegnarla a Makoto quanto prima; mentre ci sediamo tutti, dopo l'inchino, la mia attenzione viene catturata da un posto vuoto in fondo all'aula. La sedia di Kazhuiro oggi è vuota; non è la prima volta che succede, nelle ultime settimane. Questa dev'essere la terza o quarta volta, almeno, che non si presenta alle lezioni. Automaticamente, non posso che cercare Nao per vederne una reazione e, come mi aspettavo, il suo sguardo è colmo di preoccupazione ed una sorta di vaga tristezza, come se non sapesse bene cosa fare in questa situazione.

Non conosco esattamente quale sia il rapporto tra loro due, onestamente; Nao tenta spesso di parlargli, o di invitarlo ad unirsi a noi, ma lui rifiuta sempre con una risposta secca. Dall'inizio della scuola, esattamente come per Mana, nessuno gli si è ancora avvicinato a causa della sua presenza soverchiante e dell'aura intimidatoria che emana; quando è tornato a lezione, mostrando il suo permesso per l'assenza, il viso del professore per un secondo si è come piegato in un'espressione di stupore, ed ha accettato tutto senza dire nulla, ma limitandosi ad annuire. Una reazione che ha generato molti sussurri in classe.

Il professor Mikuni chiude il registro dopo aver segnato rapidamente le presenze, proprio nel momento in cui la campanella che segna la fine della homeroom mattutina tintinna, risuonando per tutti i corridoi; ed è nello stesso istante, che la porta della classe si apre. Simultaneamente, tutte le teste si voltano verso l'ingresso dell'aula. Quando alcuni riconosco la figura che sta sull'uscio, abbassano la testa o distolgono lo sguardo, ma la maggior parte rimane immobile, come congelata dall'improvvisa apparizione di Kazuhiro. Se è possibile, il suo volto sembra ancora più cupo del solito, increspata in un'espressione di disappunto e rabbia. Senza una parola, ignorando tutti gli sguardi che sono calamitati su di lui come attirati da una forza misteriosa, attraversa l'aula fino a raggiungere il suo banco, dove si siede tranquillamente, poggiando lo zaino come se nulla fosse, per poi voltarsi a guardare fuori dalla finestra, fissando insistentemente il cielo parzialmente scuro al di fuori.

Il silenzio è talmente pesante da essere insopportabile, e perfino il docente non sembra intenzionato a dire nulla, sorpreso e spaventato quanto noi dall'apparizione talmente improvvisa. Dopo un lungo istante di forte indecisione, come risvegliandosi da un improvviso stato catatonico, si schiarisce la voce con forza – ed è come se spezzasse, con quel singolo suono, l'incantesimo di sospensione caduto su tutti noi. Pur rimanendo in silenzio, tentiamo di smetterla di fissare il nuovo arrivato con tanta insistenza ed io, per conto mio, non posso che notare come l'intera figura di Nao sia presa da un leggero tremore, e se prima i suoi occhi erano pieni di preoccupazione, ora sembra volerla riversare tutta sul ragazzo silenzioso e dall'aria minacciosa che non sembra intenzionato a fare nulla.

“Ogawa..?” la voce del professore è esitante, quasi non sappia come comportarsi in una situazione come questa, con una persona come lui, “Il tuo… permesso?”

Quelle parole attirano l'attenzione di Kazuhiro, che distoglie lo sguardo dall'esterno per poggiarlo, dopo aver voltato la testa con estrema lentezza, in quello del professore. Nessuno ha il coraggio di incrociare quegli occhi. Nessuno ha il coraggio di guardavi all'interno per capire cosa stia passando nella sua testa. Per un istante, qualcosa in lui mi ricorda me stesso. Terribilmente solo. Lasciato in disparte.

“Il permesso dell'altro giorno è valido fino alla fine del mese,” la sua risposta secca è sufficiente a far irrigidire il professor Mikuni, “Può controllare anche subito.”

Resosi conto di aver commesso un errore madornale, allo stesso modo che se avesse stuzzicato un leone o una qualche altra bestia feroce estremamente pericolosa, disturbandone il riposo, il docente responsabile, come una statua portata alla vita che tenti penosamente di muoversi, annuisce meccanicamente, “Perdona la mia dimenticanza,” ed ancor prima di poter udire la risposta, esce dalla classe in una maniera che purtroppo non salva per nulla il suo decoro.

Kazuhiro schiocca la lingua, senza aggiungere altro, e si piega sul banco, poggiando la fronte tra le braccia incrociate, rimanendo lì immobile come una riproduzione in cera. Nao vorrebbe parlargli, ma purtroppo per lei, l'insegnante della prima ora è già entrato in aula, gettandoci anche uno sguardo pieno di curiosità nel vederci così silenziosi ed estremamente composti, ma non sembra badarci troppo, probabilmente convinto di possedere una sorta di aura che incute rispetto, o qualcosa del genere.

Mentre la lezione inizia e tutti tentano di concentrarsi e dimenticare quel che è appena accaduto, qualche commento si alza, a bassa voce, tra un banco e l'altro. Ma a Kazuhiro non sembra importare. Scrive tranquillamente sul suo quaderno senza distogliere lo sguardo dalla lavagna, senza curarsi di chi gli sta intorno. A volte, mi chiedo se non abbia ragione Nao – se sotto quell'aspetto possa esserci qualcos'altro che non riusciamo a vedere perché non vogliamo saperne di avvicinarci a lui.

Le mie riflessioni sono ancora una volta interrotte, questa volta da un bigliettino volante recapitatomi sotto la forma di una pallina di carta lanciata per la distanza di due banchi, come se fosse una sfera di energia, e che va a colpirmi proprio in mezzo alla fronte. Trattenendo un sussulto, alzo rapidamente gli occhi dal messaggio non ancora aperto per cercare il suo mittente, anche se so benissimo di chi si tratta. Il solo fatto che la prima frase del messaggio sia “Saluti, Branditore della Black Zagan”, circondato da una torma di ghirigori e disegnini gotici stilizzati è sufficiente a fornirmi l'identità del colpevole. A confermare i miei sospetti, Mana se ne sta a fissarmi con aria di trepidante attesa, le dita delle mani incrociate a formare una specie di complicato intreccio magico di qualche genere. Mi fa cenno di continuare a leggere, nonostante questa sia l'ultima cosa che vorrei fare…

“Saluti, Branditore della Black Zagan; io, la scelta dall'Occhio Maligno, ti annuncio che, quando la luna sarà al suo quinto plenilunio, e i pianeti allineati nel cielo mostreranno i loro volti pallidi e sanguigni, ed il cielo si tingerà di viola illuminando le stelle di bagliori cremisi, allora ci recheremo a fronteggiare il demone che si nasconde nelle spoglie del professor Mikuni per reclamare come nostra fortezza un'aula di questa scuola.”

Rileggo una seconda volta il foglio di carta, per essere sicuro di non essermi sbagliato nell'interpretare quel delirio condensato in poche righe, prima di tornare ad incrociare il mio sguardo con il suo. Ovviamente, ignara dei miei dubbi, nonostante penso sia ben chiaro dalla mia espressione che sembri tutto tranne una buona idea, lei stringe le piccole, delicate mani in due pugni, come ad incitarmi ad affiancarla in battaglia.

Per qualche strano motivo, ho come la pessima sensazione che finiremo in qualche guaio.

 

All'ora di pranzo, quando tento stancamente di riprendermi dalla pesantezza delle lezioni mattutine e vorrei davvero solo poter mangiare tranquillamente il mio pranzo tutti insieme, vengo letteralmente trascinato via da Mana. O meglio, prima di potermene accorgere, lei è già al mio fianco che mi prende la mano e mi incita a seguirla, continuando a chiedermi se sono pronto, perché “Si prospetta una dura battaglia. A proposito di questo, non vedo la Black Zagan,” aggiunge, uscendo dall'aula e lasciandoci alle spalle Haruhiko e Makoto che mi guardano con aria confusa.

“Dove vai, Minato?” chiede Makoto, indicando il mio pranzo abbandonato sotto il banco.

Haruhiko chiude il libro, poggiandovi il solito segnalibro nel mezzo, “Ti aspettiamo?”

“No, fate pure con calma, non so quanto ci metterò. Non so nemmeno se tornerò vivo.” La mia espressione funerea dev'essere stata sufficientemente esplicativa di per sé, perché entrambi sembrano perfettamente comprendere quali siano le circostanze, più o meno. Forse pensano che stiamo andando a parlare di qualcosa di estremamente grave con il responsabile di classe; non è esattamente sbagliato, dopotutto, ma forse è meglio non specificare il motivo di tutto questo trambusto. Il solo fatto che mi abbiano visto allontanarmi con Mana dovrebbe essere abbastanza per far comprendere loro la realtà dei fatti.

“Scusami, ma non avevi detto che avremmo dovuto aspettare il giorno in cui la luna è rosso sangue, o qualcosa del genere?” chiedo, quando arriviamo in prossimità dell'ufficio di Mikuni. Per qualche motivo, siamo accovacciati dietro all'armadietto dei trofei, in attesa di un agguato o del momento propizio per portare il nostro attacco. O almeno è stata questa la giustificazione con la quale se n'è uscita Mana.

“Il giorno è proprio questo.”

“Ma non c'è la luna, siamo in pieno giorno!” protesto, indicando il cielo al di fuori della finestra che si è schiarito, rivelandosi terso e sgombro da ogni nuvola – ma sopratutto, decisamente non viola. Anzi, è di un azzurro talmente intenso da chiedersi se non sia estate, piuttosto che un primo pomeriggio di primavera.

Mana si volta di scatto, ed i nostri visi si ritrovano a pochi centimetri l'uno dall'altro. I nostri occhi sono immersi l'uno in quelli dell'altra e mai come ora mi sono sentito assorbire dai suoi, divorare dall'oscurità che si muove in essi come una bestia famelica che strisci nell'ombra; se mai ho immaginato l'Abisso, nei giorni della mia sindrome, sicuramente lo avrei descritto così. Come i suoi occhi senza fondo, attraverso i quali il mondo cambia forma, aspetto e significato. Non posso che chiedermi, se anche io avessi gli stessi occhi, un tempo.

Il suo respiro caldo mi solletica il viso, e solo ora, quando riesco a distogliere lo sguardo, mi rendo conto di quanto siamo vicini. Un po' troppo vicini.

“Forse nell'illusione può essere giorno; ma di qua, nel mondo reale, è tutto perfetto.”

“—Avresti potuto scrivere semplicemente di aspettare la pausa pranzo.”

“Non so di cosa tu stia parlando; piuttosto...”

“E non cambiare discorso!”

“...non hai portato la Zagan con te perché puoi richiamarla, vero? Che cosa magnifica, proprio degno di un uomo che ha sconfitto la morte stessa,” sembra eccitata come una bambina anche al solo immaginare di poter richiamare un'arma dal nulla, estraendola dall'oscurità come ero solito pensare di fare io con la mia katana. Imbarazzante. Sopratutto quando tentati di farlo in cortile davanti a metà della scuola. Mi mordo il labbro per scacciare quel ricordo dolorosamente tremendo ed annuisco, “Ma certo, posso evocarla come e quando voglio...”

“Il piano è semplice. Evocherò il mio Sohn Der Nacht e lo attaccherò frontalmente, tenendolo occupato abbastanza perché tu possa strappare via la sua anima utilizzando la Black Zagan. Al mio segnale, entriamo, va bene?”

“No che non va bene! E poi, mi spieghi cosa vuoi fare con quella pistola giocattolo?” non so dove l'avesse nascosta fino ad ora, ma improvvisamente tra le sue mani è comparsa una riproduzione estremamente fedele di una revolver, proveniente probabilmente da qualche set di cosplay di quel famoso gioco da tavolo fantascientifico che non riesco a ricordare – qualcosa che aveva a che fare con asce e guerre. Ma non è questo quel che importa, perché… “Mi devi seriamente spiegare dove tenevi anche quella spada. Puoi davvero fare apparire le cose dal nulla? Aspetta, oggi, mentre non guardavo, sei venuta qui per nascondere tutto questo, vero? Anzi, non dirmelo. Ho paura della risposta.”

“Mh? Ho semplicemente evocato la mia arma. Ti presento—” con un gesto estremamente teatrale, accompagnato da un basso e continuo sussurrare formule magiche tra i denti, abbastanza da attirare sguardi curiosi di più di uno studente, incastra la pistola sul manico inferiore dell'arma, rendendola a tutti gli effetti una Gunblade, “—Sohn Der Nacht!”

Se prima si trattava solo di una impressione, ora sono più che sicuro che questa intera faccenda finirà estremamente male se non faccio qualcosa. Quindi, scuotendo la testa mentre raccolgo tutta la pazienza rimasta nel mio stanco e provato corpo, il cui stomaco continua a reclamare meritato cibo, mi alzo in piedi e mi preparo a fermare l'impeto di Mana. Non ho intenzione di prendere una nota disciplinare all'inizio dell'anno. Non dopo averne avute abbastanza alle medie per i miei tentativi di svolgere i compiti con la magia o di evocare demoni in classe – entrambe cose che non hanno mai funzionato.

“Ascolta, Mana—”

“Bene, ora è il momento: via!” Prima ancora che io possa dire qualcosa lei è già scattata in avanti, sgusciando via dal mio braccio teso, senza nemmeno voltarsi indietro, sicura che io sia al suo fianco in questa follia. Davanti ai miei occhi sbarrati, come se tutto il mondo fosse improvvisamente rallentato per mostrarmi secondo per secondo la scena, la vedo entrare nell'ufficio del professor Mikuni, la cui porta era socchiusa; non sono abbastanza rapido da riuscire a seguirla e tapparle la bocca prima che dica al nostro responsabile, guardandolo negli occhi con una espressione mortalmente seria e la Gunblade ben tesa in avanti,“Reclamo questo luogo come mia fortezza nella guerra contro l'Antico!”

L'espressione sul viso di Mikuni è talmente confusa che, in un'altra situazione, sarebbe anche potuta essere comica. Ora come ora, invece, l'unica cosa a cui riesco a pensare è risolvere questa situazione prima che precipiti più di quanto non abbia già fatto. Agitando la mano destra come un forsennato, e togliendole di mano quella imitazione dall'aria estremamente realistica, ignorando la proteste di Mana, riesco a riguadagnare il controllo della situazione; “Vuole fondare un club, un club, ecco cosa intendeva!” mi affretto a dire, tentando di correggere quell'enorme malinteso generato dalla divorante sindrome della mia compagna di classe, “Vero, Mana?” aggiungo, strizzandole l'occhio con complicità, piegandomi poi per sussurrarle, “Non possiamo vincere, siamo in pieno territorio nemico. Dobbiamo essere diplomatici, va bene?”

Comprendendo la situazione, Mana annuisce meccanicamente, prima incerta, ma poi come realizzando la veridicità delle mie parole, mi indica senza nemmeno voltarsi, “Esattamente come dice Minato.”

Mikuni riesce a ricomporsi abbastanza da ricostruire lo svolgersi degli eventi, tuttavia non sembra eccezionalmente disturbato dall'accaduto; anzi, si lascia scappare una risatina, come se avesse preso tutto questo per una sorta di scherzo, “Volete entrare a far parte del club di teatro? O uno di roleplay? Potrebbe essere un'idea. Ma non c'era bisogno di fare tutta quella messinscena.”

Ed ecco spiegata la sua mancanza di reazione. Ha frainteso decisamente le intenzioni di Mana. O meglio, ha solo pensato all'opzione più plausibile e normale tra le possibilità e non può che essere un bene. Effettivamente il comportamento di questa piccola ragazza affetta da sindrome di seconda media potrebbe essere scambiato per quello di una appassionata di teatro o di una fanatica di giochi di ruolo – ma la cruda verità forse sarebbe troppo da sopportare per il professore. Comunicargli così apertamente di avere un altro elemento problematico in classe, al di fuori di Kazuhiro, sarebbe traumatico.

Comunque, stando così le cose, forse il piano strampalato di Mana potrebbe trovare un senso; per una volta, la sindrome di seconda media potrebbe essersi rivelata utile al nostro scopo...

“In realtà, avevamo intenzione di creare una associazione di guerrieri per sconfiggere l'avanzare della Nebbia.”

...o forse no.

E con questa affermazione, possiamo dire addio ad ogni possibilità di fondare un club.

“Non credo che la scuola potrebbe accettare qualcosa di simile, purtroppo,” il professore ci porge un modulo da compilare per inoltrare richiesta, rivolgendoci allo stesso tempo un sorriso comprensivo, “Però potreste provare, no?”

Mentre usciamo dalla segreteria, impegnato come sono a consolare una abbattuta Mana che ha visto infrangersi i suoi piani per la creazione di un gruppo per affrontare qualunque nemico invisibile, incrociamo una Nao sovrappensiero e malinconica, che ad occhi bassi bussa alla porta dell'ufficio di Mikuni, senza nemmeno notarci mentre ci allontaniamo dalla direzione opposta rispetto a quella da cui è venuta. È impossibile che lei abbia fatto qualcosa; possibile che si tratti di Kazuhiro? Non c'è altra spiegazione. Mi riprometto di chiederle spiegazioni, non appena ne avrò l'occasione; ora, purtroppo, non posso far altro che continuare a tentare di tenere sollevato il morale a terra di Maeda, che stringe tra le mani il modulo per la richiesta con fare abbattuto.

“Siamo stati sconfitti,” sentenzia funerea, entrando in classe proprio mentre la campanella suona la fine della pausa pranzo, senza che nessuno di noi due abbia toccato cibo. A quell'affermazione, Haruhiko mi lancia una occhiata interrogativa, alla quale rispondo con una scrollata di spalle, sufficiente a fargli capire che è una questione abbastanza delicata.

“Ascoltami,” le dico, dandole un colpetto sulla spalla, “Non c'è di certo bisogno di abbattersi così. Dobbiamo almeno provare ad inviare il modulo. Potrebbero anche accettarci, no?”

Come se quelle poche parole fossero bastate a riportare la luce della speranza nelle tenebre dell'abbattimento, rischiarandole l'animo, Mana annuisce vigorosamente, afferrando la mia mano con le sue piccole e affusolate dita, in un gesto che non passa inosservato, visto che ci troviamo nel bel mezzo della classe, “Hai ragione, Minato! Averti al mio fianco è decisamente un'ottima cosa.”

A quelle parole, un coro di voci sorprese si alza in un unico, unanime “Oh”, seguito da un'ondata di sussurri ed occhi sbarrati inevitabilmente raccolti attorno alle nostre dita intrecciate. Impiego qualche secondo a capire la situazione nella sua totalità e nelle sue implicazioni; arrossendo di colpo, libero la mano dalla presa di Maeda, nel vano tentativo di spiegare il malinteso, “No, non avete capito, non è come pensate! Mana, diglielo anche tu, per favore!”

“Dirgli cosa?” chiede lei di rimando con sguardo interrogativo, piegando appena la testa di lato, completamente ignara del putiferio che è scoppiato da quell'unico gesto.

“Beh, le mie congratulazioni, voi due,” Hitomi Mori si fa largo tra la folla, arrivando a piazzarsi tra di noi e stringendoci la mano con un sorriso entusiasta in viso, come se stesse osservando in diretta la scena più emozionante della sua vita; addirittura, sembra quasi che stia piangendo dall'emozione, mentre continua a parlare, “Non mi aspettavo di certo che… voglio dire, in così poco tempo, anche se innegabilmente mi sembrate molto affiatati. Allora quelle voci erano vere, alla fine!”

“Perché non mi hai detto nulla, Minato?! Pensavo fossimo amici!”

Makoto, sei il solito idiota, per favore non immischiarti anche tu, la situazione è già sufficientemente disperata in questo modo. Fortunatamente, Haruhiko ha molto più buon senso di lui, e lo mette a tacere con un colpo deciso del dorso del libro sulla testa, che risuona come una campana vuota, e mi fa segno di resistere, prima di sparire dalla classe alla ricerca di rinforzi con il suo compagno stordito al seguito; nonostante questo, non riesco a parlare a causa del continuo cinguettare deliziato di Hitomi, ancora impegnata a dipingerci come una coppia perfetta. L'intera classe sembra pendere dalle sue labbra e non posso fare a meno di pregare che arrivi il professore per mettere fine a questa che assomiglia quasi ad una visita allo zoo, dove io sono chiuso in gabbia e sottoposto ad una morbosa attenzione. Con la differenza che un animale riceve delle attenzioni per un motivo fondato, non per via di un pettegolezzo che ha allungato le sue radici ed è sbocciato in un malinteso derivato da un'azione innocente.

Tuttavia, la figura che entra in classe aprendo la porta di scatto, con una decisione tale da far irrigidire tutta la classe, non è quella di un professore, bensì di una ragazza – di Nao, per la precisione, che appare con le braccia incrociate e lo sguardo deciso della rappresentante di classe, affiancata da un ansimante Haruhiko, che alza il pollice in segno di vittoria al mio silenzioso ringraziamento. Guardandola ora, mi chiedo come potesse essere fino ad un momento prima così abbattuta. Sembra un'altra persona, come rinata, nel momento in cui è stata chiamata al suo dovere, e non posso che sentirmi rassicurato nel vederla arrivare fino a noi, chiedendo cosa stia accadendo. Il problema che sorge ora è un altro – ci sono tutte le carte in regola per uno scontro tra Nao ed Hitomi, uno spettacolo a cui non vorrei assistere per nulla al mondo. In questo preciso momento, mi ispirano entrambe un terrore soverchiante, e posso quasi avvertire la tensione schiacciante che gravita tutt'attorno alla coppia, quasi come se un'aura di energia vorticasse attorno a loro espandendosi nell'area circostante. Con la coda nell'occhio, vedo Kazuhiro che accenna ad alzarsi, seduto solo per metà, quasi come se stesse per intervenire nel momento in cui ha visto Nao farsi avanti.

Fortunatamente, Haruhiko riesce a mettersi in mezzo e a fare il ragazzo ragionevole abbastanza da riportare la serenità in mezzo a questo delirio in cui si è andata trasformando la classe.

“Mori, per favore, potresti chiedere scusa a Minato e Maeda?”

“E va bene, come vuoi tu, Nishimura. Perdonatemi, sembra che io abbia frainteso, eheh...”

Se solo ci fosse un briciolo di sincerità, al di sotto di queste parole, mi sentirei decisamente meglio. Ma l'importante è che tutto si sia risolto senza che nessuno sia rimasto ferito. La lezione inizia, dopo qualche istante di esitazione da parte del professore, che ha osservato le ultime battute dell'accaduto immobile sull'uscio, senza riuscire a comprendere del tutto cosa stesse accadendo. Seduto al mio banco, noto che Kazuhiro è tornato al suo solito atteggiamento; sono più che sicuro, tuttavia, di averlo visto reagire quando Nao si è fatta avanti. Era come se fosse pronto ad intervenire in qualsiasi momento per mettersi al suo fianco ed allontanare Mori. O forse lo ho solo immaginato? Con questo dubbio, passa il resto della giornata, priva di intoppi e stranamente tranquilla dopo tutti gli eventi della mattinata.

Come a volerci sbeffeggiare, dopo averci dato un istante di cielo terso, ora grandi nuvoloni grigiastri si ammassano su di noi, minacciando pioggia da un momento all'altro. Essendo venuti in bicicletta, sarebbe un problema se finissimo a dover pedalare sotto un temporale, ma non possiamo fare altrimenti. Mentre Mana aspetta con il foglio in mano, che si è rigirata nervosamente tra le dita talmente a lungo da sgualcirlo leggermente, io sgancio la catena di Abaste II. Il destino vuole che, proprio accanto a me, passi una certa ragazza dall'aria innocente e dolce, ma che probabilmente nasconde più spine di un rovo – Hitomi mi saluta con un cenno della mano, poggiandosi al palo che regge il piccolo telo teso sopra le biciclette, onde evitare di farle bagnare, e mi rivolge un mezzo sorriso, scusandosi di nuovo, questa volta con più sincerità, “Non volevo metterti in imbarazzo,” aggiunge, chinando la testa, “So come ci si sente ad avere un'amica afflitta dalla sindrome di seconda media.”

“Davvero?” lo stupore nella mia voce dev'essere più che evidente, perché scoppia a ridere di colpo passandosi una mano sugli occhi per asciugare una lacrima provocata da quello scoppio improvviso di ilarità, “Era una mia cara amica. No, anzi – la mia migliore amica.”

“Ed ora?”

“Ora non c'è più. È andata via per sempre,” il suo sguardo è perso nel vuoto, mentre lo dice, come se stesse guardando ad un ricordo lontano, attraverso il velo della realtà, dove i miei occhi non riescono a raggiungerla, ma le sue labbra si serrano di colpo in una piega di determinazione un attimo dopo, “Ma non posso dire di esserne scontenta. Anzi, forse il contrario.”

“Non è una cosa un po'… scortese da dire? Era una tua amica, dopotutto, o no?”

“Già. Lo era. Ma dobbiamo tutti svegliarci dalle nostre illusioni, prima o poi… Beh, ci vediamo, Minato, sembra che Maeda ti stia cercando. Posso chiamarti Minato, vero? Tu chiamami pure Hitomi.”

“Ah, c-certo...” perché sto balbettando? E perché sto arrossendo? Sono davvero caduto in una trappola di così infimo livello? Quando mi sono ripreso del tutto dal suo attacco psicologico, lei è già sparita, andata per la sua strada, e riesco ad intuirne la sagoma che attraversa il cancello della scuola, dirigendosi nella direzione opposta alla nostra. Un tuono romba potente in lontananza, come un araldo del temporale che si sta preparando a venire, e mi ricorda che non ci rimane molto tempo. Mentre pedalo verso casa, con Mana che se ne sta in silenzio, presa dall'ansia di aver consegnato quel foglio, anche se non lo ammetterà mai nemmeno insistendo, il mio pensiero torna ad Hitomi e a quello che mi ha raccontato. Nel parlarmi di quella sua amica, mi è apparsa terribilmente onesta. Non la conosco da molto, né ho scambiato con lei più di qualche parola, ma fino ad ora per me è come se fosse stata avvolta da una sorta di aura di falsa bontà nel tentativo di imitare quella genuina di Nao; è come se indossasse una maschera per apparire diversa agli occhi degli altri, più brillante di quanto sia in realtà. Ma prima, sono sicuro che non stesse mentendo, né che stesse recitando alcun ruolo. Era la vera Hitomi Mori, quella? Quella specie di malinconia, nella sua voce, quando ha parlato dell'amica perduta… non c'è modo che fosse falsa, vero? Domande che pongo a me stesso, ma a cui non trovo una vera risposta. L'unica cosa che riesco a pensare, è che forse, per qualche momento, ho intuito qualcosa di lei che non avrei altrimenti mai scoperto. Le persone attorno a lei, forse non riescono a vederle attraverso… esattamente come non riescono a vedere attraverso a Kazuhiro, o a Mana? “Ah, sto solo complicando le cose!” sbotto, aumentando la velocità con cui sto pedalando quando un altro lampo riempie la mia visuale con la sua intensa luce.

E poi, una goccia. Mi cade sul naso, inumidendolo; come se fosse stato un segnale, il cielo si incupisce ancora di più, ed in un momento, una fine pioggerellina inizia a cadere su di noi, come in un preludio a qualcosa di ben peggiore che sta per abbattersi con tutta la sua forza, e questo mi spinge a pedalare più forte.

“—Minato,” la voce di Mana arriva flebile dalle mie spalle, in quello che è poco più di un sussurro sospirato caldamente dalle sue labbra vicine al mio orecchio, carezzandole appena, “Potresti rallentare?”

Non so bene perché me lo abbia chiesto, ma la accontento, diminuendo sensibilmente la velocità della mia andatura. La sento che si alza in piedi, in equilibrio precario, minacciando di farmi sbandare di colpo, ma riesco in qualche modo a tenere il controllo della bicicletta.

“Cosa fai? È pericoloso!”

“Sai… a me la pioggia non dispiace.”

In quelle semplici parole, c'è una tristezza che non mi sarei mai aspettato di udire. Non posso fare a meno di voltarmi ed osservarla, per un secondo, in piedi, così esile, con i capelli che fluttuano al vento e le braccia tese verso l'alto, come a voler afferrare le gocce che le scivolano lungo il viso. Quei due abissi neri più della notte e dell'inchiostro sono rivolti verso il cielo, quasi a volersi perdere in esso.

In questo momento, immobile, tesa con tutta se stessa verso l'infinita oscurità del cielo, circondata dalla pioggia, lei è—

“Hey, Minato.”

“Dimmi.”

“Impegniamoci al massimo per riuscire ad avere la nostra base, va bene? Così riusciremo a combattere. A vincere questa guerra. Io voglio davvero… rivedere casa mia.”

Non so esattamente di cosa stia parlando. La sindrome di seconda media è qualcosa di strano. Per la prima volta, mi ritrovo a voler davvero vedere questo luogo d'immaginazione che mi è stato precluso. Vorrei davvero poter vedere casa sua.

“...Ma certo.”

“Grazie, Minato,” con queste parole di ringraziamento, sento le sue mani stringersi di nuovo sulla mia giacca umida.

Oggi, posso dire di sapere una cosa su di lei. Forse una cosa sola.

Non le dispiace la pioggia.

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Capitolo 4
*** 「Chapter 3 – Welcome to the New Arcane Library of Eternal Darkness」 ***


Chapter 3Welcome to the New Arcane Library of Eternal Darkness

 

Il giorno dopo, ci aspettano notizie più amare di quanto possa immaginare.

Le prime ore di lezione passano senza che alcun evento troppo rilevante disturbi la nostra quotidianità; durante la quarta ora, il professore di educazione fisica annuncia che non possiamo usare il cortile per il maltempo e che la lezione di conseguenza non si terrà, quindi ci ritroviamo assegnati allo studio libero, una specie di benedizione per me a causa della stanchezza che sento ancora dopo la pedalata di ieri sotto la pioggia. Per una volta, voglio credere che sarà una giornata normale e non sottomessa alle fantasie estreme di Mana o a qualche conflitto tra i membri della classe. Questa tranquillità quasi noiosa nella sua estrema normalità è, per me, qualcosa di stranamente piacevole e che non pensavo avrei mai provato davvero, rassegnato come sono ad essere vittima dell'irresistibile sindrome di seconda media della mia vicina di casa.

Questa mattina, quando sono uscito di casa, lei mi stava già aspettando davanti al cancello, qualcosa di assolutamente insolito, perché sono io che devo aspettare un paio di minuti che lei esca di casa, impegnata in qualche strano rituale sul quale non ho avuto il coraggio di indagare. Mentre mi avvicinavo a lei, per un lungo istante, come se la realtà si fosse congelata e stretta attorno alla sua figura, non ho potuto fare a meno di ammirarla. Immersa nei suoi pensieri, in silenzio e con lo sguardo perso in un punto non determinato del cielo limpido, le dita che giocherellavano nervosamente con l'orlo della gonna, mostrando di tanto in tanto quel tatuaggio sul dorso della mano, mi ha bloccato sul posto, gettandomi in una sorta di trance. Era…

“Minato, Maeda ti sta cercando.” Nao mi strappa violentemente dai miei pensieri, dandomi un colpetto sulla spalla, prima di rivolgermi un'espressione preoccupata, “Stai bene? Ti vedo assente, oggi.”

“Sono solo stanco. Ieri ho dovuto pedalare sotto la pioggia e forse mi sono preso un raffreddore...” rispondo, portandomi una mano alla testa che, effettivamente, è da ieri sera che non vuole smettere di pulsare, come tanti spilli che perforino la fronte ritmicamente, “Spero non sia nulla di grave.”

“Forse dovresti tornare a casa...”

Mentre parliamo, non posso che notare con la coda dell'occhio Mana che si sta sporgendo appena dalla porta della classe, facendomi segno di avvicinarmi con un'aria di solennità che mi fa subito presagire il peggio. Sono stato davvero tanto illuso da sperare in una giornata senza avvenimenti? Non ho ancora imparato la lezione, a quanto sembra. Quindi, con un sospiro profondo, faccio cenno a Nao e a Makoto, che nel frattempo mi ha lanciato uno sguardo interrogativo indicando con gli occhi Mana ed il suo insolito atteggiamento, al quale ho risposto solo con una scrollata di spalle.

Avrei dovuto immaginare che sarebbe accaduto qualcosa.

Questa mattina, dopo quel preciso istante in cui l'ho osservata mentre se ne stava silenziosa ed immobile ad aspettare, la mia sorpresa si è andata rapidamente spegnendo quando si è accorta di me e mi ha salutato con un rapido cenno della mano. Sembrava come se un qualche spettro si fosse impossessato di lei, facendo nascere in lei un nervosismo che non avevo mai visto; i suoi occhi abissali esprimevano una preoccupazione talmente palese che ignorarla sarebbe stato un crimine, ed inoltre quel suo tormentare la gonna o la ciocca di capelli che le ricadeva vicino all'occhio destro erano sintomi più che sufficienti a suggerire che vi fosse un motivo per quel suo atteggiamento.

Tuttavia, contro ogni mia aspettativa, o forse proprio in risposta ad esse, non ci fu nemmeno bisogno di parlare. Semplicemente, mi guardò negli occhi, “Oggi è il giorno...”, e senza aggiungere altro, ha iniziato ad andare verso la scuola, ignorando ogni mia richiesta di spiegazione.

Mana è in piedi accanto alla porta della classe, e tra le mani tremanti stringe quella che sembra una piccola busta della segreteria scolastica. Il mio sguardo dubbioso si sposta dalla lettera al viso della ragazza, e viceversa, per almeno due volte, prima che lei riesca in qualche modo a trovare la forza di parlare con la voce che trema leggermente, “Il momento è giunto,” sentenzia in un vuoto tentativo di apparire ferma, anche se le sue mani stanno visibilmente tremando, “Finalmente possiamo avere il nostro quartier generale per sconfiggere l'Antico.”

Effettivamente Mana deve aver atteso questo momento per tutta la notte. Avrei dovuto capirlo, notando il suo atteggiamento e quello che mi ha detto ieri, sotto la pioggia, ma non pensavo fosse qualcosa di talmente importante per lei.

Io voglio davvero… rivedere casa mia.” Le sue parole echeggiano nella mia mente, mentre Mana continua a rigirarsi la lettera tra le mani, come indecisa se aprirla o meno. Si mordicchia il labbro inferiore, divorata dal dubbio che traspare attraverso i suoi occhi.

“Cosa aspetti, aprila,” la incoraggio, dandole un colpetto al braccio con il palmo della mano.

“—Ho le mani paralizzate. Doveva esserci qualche incantesimo di protezione e...” sussurra debolmente, stringendo con ancora più forza gli angoli stropicciati della busta e muovendola rigidamente davanti al mio viso come a voler confermare quanto appena detto.

La colpisco alla testa lievemente nella parodia di un colpo di karate, “Smettila di giocare.”

“Sono serissima!” protesta debolmente, massaggiandosi il punto in cui le ho inflitto l'attacco, prima di tornare rapidamente a stringere la lettera, come accorgendosi di essersi appena contraddetta, ma senza dare segno di voler fare nulla se non starsene immobile come una statua di gesso.

E va bene. Non pensavo che questa problematica ragazza mi spingesse a tanto, ma situazioni disperate richiedono misure disperate. Mi scuso con me stesso per quello che sto per fare, digrigno i denti pronto a ricevere un metaforico calcio nell'autostima, e poggio la mano aperta sulla lettera, chiudendo gli occhi e aggrottando la fronte, come se tentassi di concentrarmi profondamente su qualcosa.

Posso sentire Mana trattenere il fiato nell'istante in cui la mia bocca si muove, sussurrando a bassa voce parole arcane di annullamento magico. Chiunque ci stia guardando in questo momento, dev'essere estremamente confuso dalla situazione. Una studentessa ferma, come se fosse bloccata, e con gli occhi sbarrati di chi sta assistendo ad un prodigio, che regge una lettera sul quale un ragazzo ha teso la mano e, con il viso distorto in un'espressione di profonda meditazione, recita parole incomprensibili.

“—Per il potere dell'Incubo, spezzati, sigillo,” concludo il mio sermone magico, che ha come unico effetto quello di danneggiare la mia reputazione e la mia confidenza, oltre a darmi un grandissimo senso di imbarazzo abbastanza potente da mandarmi in fiamme il viso. Dopo un anno, ricordo ancora formule magiche e parole di rito. Mi faccio pena da solo.

“Allora… allora la apro, va bene?”

“Lasciami solo con il mio dolore, questa ferita psicologica non sarà facile da mandare via,” il mio tono funereo indica che ho chiaramente compreso troppo tardi la conseguenza delle mie azioni. Non ho per nulla considerato il fatto di essere a scuola e nel mezzo del corridoio affollato, nel momento in cui mi sono prestato a questa imbarazzante recita. Sento più di uno sguardo trapassarmi da parte a parte come una lama, giudicandomi silenziosamente; ma la mia attenzione passa rapidamente dalla mia commiserazione al viso di Mana, che si accartoccia in un'espressione affranta. Davanti a me, le sue labbra si curvano verso il basso e i suoi occhi si velano di una profonda delusione, mentre scorre lentamente la lettera, prima di abbandonare debolmente le braccia lungo i fianchi e accucciarsi a terra, affondando il viso tra le ginocchia.

“Mana..? Cosa c'è, stai bene?” al mio tono di voce preoccupato, lei risponde semplicemente allungandomi la lettera, senza nemmeno guardarmi in viso, tenendo il suo strenuamente seppellito tra le braccia. Prendo la busta e la apro, sfilando fuori il piccolo messaggio dagli angoli stropicciati contenuti al suo interno – ed immediatamente, non può che saltarmi all'occhio la scritta in rosso in cima alla pagina.

Respinto? Come respinto?!” mi sfugge dalle labbra con più sorpresa di quanto io stesso potessi immaginare. Effettivamente, l'idea di Mana non era molto sensata e il modo in cui l'ha presentata al professor Mikuni non è stata delle migliori, eppure negargliela così velocemente…

Mana sembra davvero ferita dalla situazione. Se ne sta come una bambola a cui abbiano tagliato i fili, accasciata contro la parete del corridoio, senza la minima intenzione di alzare la testa per parlarmi, nemmeno quando mi chino su di lei per poggiarle la mano sulla testa in un vuoto tentativo di conforto, “Mana, mi dispiac—eeeeh?

Il mio tono di voce cambia nettamente nel momento in cui arrivo a leggere il modulo allegato alla lettera – ovvero, proprio quello che lei ha riempito per la richiesta di fondare un club scolastico; improvvisamente, mi è del tutto chiaro il motivo del fallimento del suo progetto. E, più vado avanti nella lettura dei campi riempiti dalla calligrafia di Mana, più la mia compassione passa da lei al povero Mikuni che ha dovuto esaminare questa follia vergata con l'inchiostro, su carta, nata dalle illusioni di una vittima della sindrome di seconda media.

“Si può sapere cosa hai scritto? Cos'è la New Arcane Library of Eternal Darkness?!” sbraito, scuotendola per la spalla, e poggiando l'indice sul foglio come a sottolineare l'assurdità del nome che campeggia in cima al foglio della proposta, uscendo addirittura dallo spazio assegnato e sfiorando il bordo del foglio. A quelle parole, Mana si rivitalizza di colpo, scattando nuovamente in piedi e riacquistando in un solo colpo il suo solito atteggiamento. Un momento fa sembravi la persona più depressa del mondo, non puoi cambiare umore in questo modo!

“Il nome del nostro gruppo,” risponde fieramente, mettendosi la mano destra al fianco e portando l'altra mano a coprire metà del volto, in un gesto che ricorda esattamente la posa che usavo assumere ai tempi della sindrome. Un altro calcio alla mia fragilità.

“Guarda che è decisamente troppo lungo!” il mio indice sostiene ineluttabilmente il mio argomento, scorrendo lentamente parola per parola quell'infinito nome straniero, messo insieme unendo aggettivi in alcun modo correlati tra di loro. Non che sia questo il problema, oltretutto, ma mi trattengo dall'aggiungerlo, perché probabilmente non capirebbe certo che scrivere “Combattere l'Antico e respingere la Nebbia, in modo da distruggere questo mondo illusorio con l'aiuto di nobili e potenti guerrieri” come motivazione per la fondazione di un club scolastico porta automaticamente alla bocciatura di qualunque cosa.

“Lo ritengo un nome adeguato al nostro scopo,” risponde imperterrita, incrociando le braccia al petto con aria di superiorità, “Ed è un riferimento alla Biblioteca Arcana dell'Eterna Oscurità, il luogo dove sono contenuti tutti i segreti sulla magia nera e su ogni cosa che riguardi il sovrannaturale.”

“Ah, e dove sarebbe questa Biblioteca?”

“Uhuh, ma è ovvio, Minato – in un luogo accessibile solo a me, dove è necessario pagare un tributo di sangue per varcarne le porte e spezzare dodici sigilli magici che—”

“...è casa tua, vero?”

“Ai tuoi occhi forse può apparire come una normale abitazione, ma è grazie alle mie magie di illusione che allontanano gli intrusi.”

Rassegnato, non posso far altro che rimettere la lettera al suo posto e consegnarla di nuovo a lei, “Fatto sta che la tua idea di fondare un club è appena andata in fumo,” le ricordo, entrando in classe al suono della campanella che indica la fine dell'ora di studio libero, “Quindi non abbiamo una base dove… radunare i guerrieri.”

“Questi subdoli tentativi di sabotaggio da parte del nemico non ci fermeranno!” la risposta è decisamente più spavalda di quanto immaginassi. Dev'essere davvero determinata a mettere insieme questa fantomatica associazione di combattenti – dopotutto, nessuno può sapere meglio di me quanto si è profondamente convinti delle proprie fantasie, quando si è vittime delle proprie delusioni di cui la sindrome si fa portatrice. Non mi sono mai chiesto per quale motivo Mana ne soffra, né come mai stia persistendo così a lungo. La verità è che, pur passando molto tempo con lei, non so molto sul suo conto, perché sono sempre impegnato a seguirla in qualche suo progetto o missione per sfidare un nemico o raccogliere fantomatiche informazioni. Mi chiedo… cosa ci sia, oltre l'abisso delle sue iridi.

“Cosa succede a Maeda?” la voce che sento alle mie spalle è sufficiente a farmi irrigidire di colpo, provocando anche una piccola risatina nella mia interlocutrice. Hitomi si piega sui talloni di fianco al mio banco, poggiando entrambi i gomiti sul bordo, e rivolgendomi un sorriso compiaciuto, “Non dirmi che ti ho spaventato, Minato.”

Non sono ancora abituato a parlare, figuriamoci a sentirla chiamarmi per nome. Il ricordo di ieri e di come mi abbia attirato nella sua trappola con qualche parola è ancora abbastanza vivido per tenermi in guardia, un atteggiamento che sembra notare, perché le sue labbra si incurvano ancora di più in un'espressione decisamente divertita, “Non mordo, lo giuro.”

“Certo, certo...” sospiro, rendendomi improvvisamente conto di quanto sia stato inutilmente guardingo, e rilassando la schiena che era divenuta un'unica, compatta lastra di immobile marmo, “Hanno respinto la sua richiesta di fondare un club.”

“Perché ne è felice?”

Una domanda estremamente legittima, ma di cui non conosco la risposta, per cui mi limito a scrollare le spalle, “Forse ha già un piano di riserva.” L'ipotesi peggiore è quella che probabilmente si rivelerà più veritiera, quindi mi limito ad esprimerla ad alta voce a modo di risposta.

“Oh? E quale sarebbe questo piano di riserva?”

“Se solo lo sapessi, potrei prepararmi alle inevitabili conseguenze...” rispondo, allontanando il mio sguardo da lei per spostarlo sulla classe tutt'attorno, quasi a controllare che Mana non abbia preparato qualcosa nei pochi istanti in cui non l'ho tenuta sotto controllo.

Ed è solo in questo momento che realizzo di avere addosso tre sguardi diversi. Il primo, ed anche il più intenso, come una miriade di coltelli che mi precipitino sulle spalle conficcandosi tra esse, è quello di Makoto, a cui si accompagnano quelli interrogativi di Haruhiko e Nao. Tutti e tre sono più che sorpresi nel vedermi parlare con Hitomi – e lo sarebbero ancora di più, se sapessero che mi ha anche chiamato per nome. Fortunatamente, Mori sembra accorgersi della mia perplessità e decide di chiudere lì la conversazione, “Non voglio certo provocare qualche litigio,” si alza in piedi, facendomi l'occhiolino, ed in quell'unico gesto posso quasi vedere stelline e cuoricini brillanti che si spargono nell'aria tutt'attorno. È stato un gesto talmente palese che chiunque in classe con un minimo di attenzione lo ha notato. Prima di tornare al suo posto, come ricordandosi si qualcosa, si volta a guardarmi di nuovo ed i nostri sguardi di incrociano.

“Ricorda quello che ti ho detto, Minato. Tutti dobbiamo svegliarci dalle nostre illusioni, prima o poi. E più il tempo passa… più sarà doloroso.” Per un momento, nei suoi occhi ho visto una velata e malinconica nostalgia, ma è solo questione di un attimo, prima che mi dia le spalle e se ne vada senza guardarsi indietro, sedendosi al suo posto come se nulla fosse accaduto.

“Minato! Da quanto sei così in confidenza con Mori, eh? Eh?!” Makoto, ci sono volte in cui sento il bisogno di colpirti con violenza, sopratutto quando decidi di urlare certe cose in mezzo alla classe mentre mi scuoti per la spalla con abbastanza irruenza da provocarmi mal di testa. Fortunatamente Haruhiko è esattamente dietro di lui, ed interviene appena in tempo per bloccare l'impetuosa cascata di domande e l'innocente assalto fisico del mio amico, colpendolo al collo con il voluminoso tomo di Lovecraft a cui si sta dedicando da qualche giorno.

“Smettila, Makoto, sei rumoroso,” sbuffa il rappresentante di classe, chiudendo il volume e poggiando l'indice tra le pagine per tenere il segno, “Non sapevo che andasse così d'accordo, tu e Mori, Minato.”

“Nemmeno io, a dire la verità. Ieri l'ho incontrata per caso e abbiamo parlato un po', nulla di più,” Makoto sembra pendere dalle mie labbra come se stesse ascoltando un oracolo di qualche sorta che gli stia predicendo fortuna eterna o qualcosa di simile, lo scintillio nei suoi occhi assomiglia terribilmente a quello delle lacrime di commozione, “E mi ha chiesto di potermi chiamare per nome. Tutto qu—Makoto, stai bene?”

“Sono commosso ed estremamente invidioso al tempo stesso, Minato,” ed effettivamente, come a tenere fede a queste parole, inizia ad asciugarsi quelle che sono effettivamente lacrime, e si porta una mano al petto, come un padre orgoglioso del proprio figlio. Lo sguardo che mi scambio con Haruhiko è carico di compassione, mista a rassegnazione, ormai abituati fin troppo bene alle esagerate reazioni del nostro amico. Mi chiedo come una persona simile non sia stata affetta dalla sindrome di seconda media.

“Sei un caso perso, davvero,” Haruhiko lo colpisce ancora, provocando un gemito di dolore simile a quello di un animale che sia stato ucciso da un preciso colpo di proiettile, e un'espressione soddisfatta si apre sul viso del rappresentante di classe mentre annuisce con approvazione a Makoto che si è rimesso in piedi, gemendo per il dolore del secondo colpo assestato a tradimento.

Fortunatamente, il discorso cambia immediatamente argomento quando Haruhiko mi chiede cosa sia accaduto con Maeda poco fa. Con l'accortezza di non citare la parte in cui siamo entrati nell'aula di Mikuni minacciandolo con una spada da cosplay o quella in cui ho esorcizzato una lettera sigillata da incantesimi paralizzanti, racconto velocemente dell'idea di Mana di fondare un club dell'occulto, visto che è la cosa più normale che mi è venuta in mente sul momento, ma di come sia stata respinta a causa della… inadeguatezza della proposta.

“Non mi sembra particolarmente affranta,” nota Haruhiko, indicandola con un cenno della testa; ed effettivamente, Mana sembra intenta a fare ben altro, piegata su un quaderno che sta riempendo di strani segni che non riesco a distinguere, la penna vola veloce sul foglio tracciando ampi archi di inchiostro, in quello che ad una rapida occhiata sembrerebbe lo schizzo di un disegno. Conoscendola, e conoscendo la sindrome di seconda media, probabilmente sta prendendo appunti su qualche mostro immaginario che potrebbe aver affrontato in precedenza, come la Chimera che abbiamo combattuto tre giorni fa. Il gatto della signora Yasawa ne deve essere uscito traumatizzato, visto che Mana lo ha inseguito per due ore nella speranza di legarlo a sé come suo famiglio, nonostante io gli abbia ripetuto almeno tre volte che non si trattava di una Chimera e che, sopratutto, aveva già un padrone. Nonostante questo, dall'espressione sul suo viso, eccitata e ardente, posso sicuramente dire che tra non molto scopriremo quel che ha macchinato – e naturalmente, io ne sarò parte essenziale.

Contro ogni aspettativa, l'ora successiva passa senza intoppi, così come quella dopo, in cui l'unico neo è il momento di tensione nel quale il professor Mikuni ha chiesto a Kazuhiro di rispondere ad una domanda. Per un istante, la classe si è gelata e, volenti o nolenti, ci siamo ritrovati a guardare la figura del ragazzo che ha alzato lo sguardo dagli appunti ed ha bloccato la penna nel suo scrivere, lasciandola immobile, come sospesa sul foglio di carta. Contro ogni aspettativa, si è alzato, ha osservato per un secondo la domanda scritta alla lavagna, ci ha pensato per un secondo ed infine ha risposto. Il professore è rimasto più sconcertato di noi, perché l'ho visto sbarrare gli occhi con una tale intensità da temere che i suoi occhiali si potessero incrinare, ma poi ha annuito e lo ha fatto sedere di nuovo. L'unica completamente tranquilla, durante quella situazione, è stata Nao, che ha rivolto uno dei suoi sorrisi brillanti a Kauzhiro. Ovviamente, lui ha schioccato la lingua come infastidito ed ha abbassato il viso, tornando a scrivere senza dire una sola parola – ma mi è sembrato che fosse—arrossito? Anche se fosse, non credo avrei il coraggio di dirlo a qualcuno. Devo essermi sbagliato… credo.

Quando la campanella annuncia la pausa pranzo, non faccio nemmeno in tempo a poggiare la scatola del pranzo sul tavolo, che un quaderno dall'aria sinistra, di un colore nero come la pece su cui è stato scritto in alfabeto runico qualcosa che non riesco a capire precipita sul mio banco. Volto lentamente la testa ad incontrare la figura di Mana che sta al fianco del mio banco, la penna ancora in mano, tenuta stretta come se fosse una sorta di pugnale.

So che non dovrei chiederlo, ma non posso semplicemente ignorare il fatto che mi sia stato tirato un quaderno sul banco, giusto?

“Mh, cos'è questo?” la domanda suonava molto meno esitante e rassegnata nella mia testa, ma lei non sembra farci troppo caso, perché annuisce soddisfatta, “Sapevo lo avresti notato, Nightma… Minato.”

“Sai, me lo hai tirato quasi in faccia, è difficile non farci caso...”

Senza prestare minimamente attenzione alla mia protesta, Mana ha già spinto il banco di fronte al mio fino ad unirli, sedendosi al lato opposto ed afferrando l'oggetto della discussione come se fosse qualcosa di estremamente sacro, sfiorandone la copertina con le dita e seguendo l'intricato schema di simboli che vi ha tracciato, “Questo è il...”

“Hey, Makoto, Haruhiko, volete pranzare con noi?” Nao, comparsa anche lei dal nulla, ha unito altri due banchi, creando una vera e propria tavolata, sedendosi vicino a Mana mentre lei stava teatralmente iniziando a spiegare quale sia lo scopo di quel quaderno nel quale ha scribacchiato per due ore intere, senza prestare la minima attenzione ad alcuna lezione, “Scusa per averti interrotto, Maeda.”

“Non ce la facevo più, ho una fame terribile...”

“La tua mente funziona secondo un codice binario, Makoto – cibo o non-cibo. Sei sorprendente.”

“Ti ringraz—Aspetta, non era un complimento, vero?”

“Anche oggi Kazuhiro ha rifiutato, vero?” quando porgo la domanda, lo sguardo di Nao si intristisce di colpo. La risposta è ovvia, visto che non è in classe; è uscito non appena ne ha avuto l'occasione, andandosene chissà dove, “Però oggi ha risposto alla domanda del professor Mikuni. Ne sono rimasto davvero impressionato,” mi affretto ad aggiungere, in un patetico tentativo di riparare al mio errore, senza riuscirci davvero. Nao, comunque, sembra togliersi di dosso quell'improvviso calo di umore dopo aver mangiato il primo boccone, come se l'avesse rivitalizzata in qualche modo, lasciandoci sfuggire un suono che somiglia vagamente a “Squisito!”

“Effettivamente siamo rimasti tutti sorpresi dal suo intervento,” aggiunge Haruhiko, “Tutti pensavano che non avrebbe risposto.”

“Dovete sapere che Ogawa non è per nulla come sembra,” le parole di Mana diventano poco più di un sussurro, al punto che dobbiamo tutti sporgerci verso di lei presi dalla curiosità. Come può lei fare questa osservazione, se non ci ha mai parlato? Possibile che lo conosca? Che sia riuscito a capirlo in qualche modo? “Perché ho scrutato la sua aura ed ho capito che quello non è che una barriera!”

Se la rassegnazione potesse avere un rumore, probabilmente sarebbe quello del sospiro che esce dalle mie labbra. E pensare che per un attimo abbiamo creduto che potesse dire qualcosa di utile per aiutarci a capire meglio Kauzhiro. Torniamo tutti a sederci e a concentrarci sul nostro pranzo, ma prima che qualcuno possa anche solo mangiare un altro boccone, Mana si alza in piedi, aprendo il libro sulla prima pagina – rivelando una grande scritta che occupa tutto lo spazio disponibile. Un nome – un nome in caratteri occidentali che ho già letto una volta.

“Visto che siamo tutti qui,” inizia schiarendosi la voce, “Direi che è il momento giusto per annunciarvi una grande novità. D'ora in avanti, noi coraggiosi guerrieri siamo tutti uniti nella nostra lotta… Benvenuti alla New Arcane Library of Eternal Darkness!” Più di una testa di volta a guardarci a quell'annuncio tanto plateale fatto alzando ben in vista, al di sopra della testa, il foglio su cui ha tracciato in caratteri gotici il nome assurdamente lungo. Con la coda dell'occhio riesco a vedere Hitomi che scuote la testa, rassegnata, prima di uscire dall'aula senza degnarci di un altro sguardo.

“Di cosa sta parlando, Minato?” chiede Makoto, perplesso, “Dobbiamo lavorare in una biblioteca..?”

“Se solo fosse così semplice...” la mia risposta deve averlo lasciato con più dubbi di prima, ma non riesce ad aggiungere altro, perché Mana riprende a parlare senza darci il tempo di proseguire, sfogliando il quaderno alla ricerca di un secondo, elaborato disegno. Mentre scorre le pagine, svariate, diverse illustrazioni compaiono davanti ai miei occhi e nonostante ne riesca a cogliere appena qualche stralcio prima che le sue dita passino oltre, non posso che notare quanto la sua abilità nel disegno sia estremamente raffinata – probabilmente, esattamente come facevo io, deve passare moltissimo tempo a disegnare attacchi, armi, ambientazioni e creature da inserire in una sorta di compendium, come lo era il mio Diario dell'Incubo Nero.

Quando finalmente il suo indice si ferma, esattamente al centro della sedicesima pagina a destra, ed inizia a seguire il complicato cerchio magico vergato su di essa, lo fa con estrema concentrazione, tenendo il polso destro con la mano sinistra – quasi a dover trattenere il potere che sgorga da simbolo che ha marchiato sulla mano. Alza gli occhi, cercando quelli di ognuno di noi, e risucchiandoci uno ad uno nel suo abisso… prima di chiederci con aria entusiasta cosa ne pensiamo, distruggendo completamente quell'atmosfera di sospensione che era riuscita a creare. Makoto, con la bocca piena di riso, bofonchia qualcosa che non riesco a capire ed Haruhiko invece sembra molto preso a studiarne i simboli esterni, confrontandoli con un piccolo manuale di qualche sorta che tira fuori dalla sua raccolta di racconti di Lovecraft.

“Sei davvero brava a disegnare, non lo avrei mai immaginato,” dico, dopo averle preso il quaderno dalle mani sfogliandone qualche pagina con più attenzione. Mana arrossisce di colpo, abbassando gli occhi per evitare il mio sguardo, presa alla sprovvista da quel complimento, iniziando a schernirsi a bassa voce. Alla fine, è una ragazza molto più emotiva di quanto dia a vedere.

“Minato ha ragione, Maeda, sei davvero brava. Questa cos'è?” esclama Nao, poggiando il quaderno sotto agli occhi di Mana, che sembra ardere abbastanza da emettere fumo dalle orecchie, al punto da farmi quasi preoccupare della sua temperatura corporea; trova comunque l'entusiasmo di iniziare a spiegarle nei minimi dettagli che si tratta di una Chimera, descrivendola come un essere dai poteri incredibili ed estremamente feroce ma fedele al suo padrone.

“Qualche giorno fa, io e Minato ne abbiamo cacc—” Non appena sento le parole che iniziano ad uscirle inavvertitamente dalle labbra, presa dal suo entusiastico discorso, il mio corpo si muove molto più velocemente della mia mente. Scatto in piedi e, in un battito di ciglia, le sono alle spalle, a coprirle la bocca con la mano, così che non riesca a terminare la frase; mi salvo appena in tempo, lasciando che un sospiro di sollievo si libri in aria dalle mie labbra. Nao mi guarda con gli occhi sbarrati, “Cosa… state facendo?” il suo tono di voce confuso è sufficiente ad esprimere la sua perplessità riguardo la scena.

“No, è che, ecco… Io...” mi mordo il labbro, e chiedo mentalmente scusa a Mana per quello che sto per farle. Un colpetto in mezzo alle spalle, impercettibile, ma sufficiente ad essere interpretato per una richiesta di aiuto. Ti prego, non tradirmi proprio adesso, le chiedo con tutte le mie forze, nella speranza che i miei pensieri la raggiungano e che capisca la situazione abbastanza da mettermi in salvo.

Poi, di colpo, Mana inizia a tossire vigorosamente, come se le fosse andato di traverso qualcosa. La guardo. Lei mi guarda. Ed è questo scambio di sguardi che è sufficiente a farmi capire che ha compreso, e che questo è il suo piano per salvarmi da questa situazione. Con la mano tesa, sferro una sonora pacca ben assestata tra le sue spalle esili, ma senza metterci forza, perché ho come paura di romperla, piccola e fragile com'è, quindi è quella che a malapena può essere considerata una carezza, ma lei si irrigidisce di colpo e si divincola dalla mia presa, dando un altro colpo di tosse. Ancora con le guance imporporate, si pulisce la bocca con un tovagliolo, “Grazie, Minato, mi era andato qualcosa di traverso.”

“Oh, capisco,” annuisce Nao, unendo le mani vigorosamente con uno schiocco, “Sei davvero pronto, Minato!”

“Vero? Eheh...” rido nervosamente, tornando ad accucciarmi accanto a Mana, mentre Nao viene chiamata da Haruh per discutere di qualche faccenda del comitato prima che la pausa pranzo finisca, “Grazie dell'aiuto. Se non fosse stato per te… Ti devo davvero un favore, Mana.”

La sua espressione si fa di colpo confusa, e piega le sopracciglia in un'espressione interrogativa “Oh? Di cosa parli?”

“...Non hai appena fatto finta di avere qualcosa in gola?”

“No, perché? Mi era davvero andato il riso di traverso.”

“Ah.”

In questa singola sillaba è racchiusa tutto il mio stupore per il colpo di fortuna capitato esattamente al momento giusto. Se non fosse stato per quel chicco di riso, la situazione sarebbe stata terribilmente difficile da spiegare, “Comunque, avevamo detto di non parlare di certe cose con gli altri.”

“Ma di loro ci si può fidare. Sono tuoi amici, e questo vuol dire che non sono Vuoti, perché il Nightmare Edge sceglie sempre bene i suoi alleati, no?” una logica inattaccabile, dal suo punto di vista, e alla quale non posso di certo fare obiezioni. Oltretutto, ormai li ha tirati nel mezzo di questa storia della società segreta, quindi non c'è un modo per nascondere il fatto che io mi ritrovi ad assistere Mana nelle sue fantasie, di quando in quando. Se solo riuscissi a convincere anche loro, sarebbe tutto più semplic—

Come un fulmine a ciel sereno, l'idea arriva a folgorarmi da capo a piedi. C'è un modo per tirare dentro anche loro e così riuscire a rendere ogni cosa più facile, senza mettere in pericolo la mia autostima e la mia appena guadagnata normalità. Se riuscissi a convincerli a far parte della società per reggermi il gioco, allora…

“Tornando a noi, oggi avremo il nostro primo incontro ufficiale in una base provvisoria!” esclama di colpo Mana, tornando ad essere il centro dell'attenzione di tutti noi, ed anche di qualche altro compagno di classe, “Dopo la scuola, ci recheremo tutti nel luogo che vi indicherò.”

“Di che posto si tratta?”

“Di casa tua, no?” l'innocenza con la quale ha appena scaricato completamente la responsabilità di tenere un meeting di pseudo-magia sulle mie spalle è qualcosa di estremamente impressionante, potrei anche invidiarla se non fossi impegnato ad assorbire la notizia.

“Ah, capisc… No, aspetta, cosa?!”

“Non è un problema, vero?”

Sì, sì che lo è! Vorrei davvero dirlo ad alta voce, ma questo suo sguardo così speranzoso, così colmo di aspettativa, che sembra attraversarmi da parte a parte, ed afferrarmi con una presa invisibile per attirarmi verso di esso… sarebbe una sorta di offesa anche solo pensare di riempirlo di tristezza o di delusione.
Sono troppo accondiscende.

“Non hai appena detto di doverle un favore?” E lui quando mi ha sentito dirlo?! Il commento pacato di Haruhiko è il colpo di grazia alla mia già tremolante volontà, che a questo punto non può far altro se non piegarsi a questa improvvisa ed irragionevole richiesta alla quale non posso di certo sottrarmi.

E poi…

Impegniamoci al massimo per riuscire ad avere la nostra base, va bene? Così riusciremo a combattere. A vincere questa guerra. Io voglio davvero… rivedere casa mia.”

...voglio davvero aiutarla, in qualunque modo. Anche in quello più piccolo. Anche se si tratta di qualcosa come questo.

“Nessun problema.”

Il sorriso sul volto di Mana, pieno di entusiasmo, e la luce improvvisa dei suoi occhi si accendono di colpo alla mia affermazione, e subito si getta a capofitto nella scrittura di chissà che altri appunti, la penna che non sembra volersi fermare nemmeno per un istante, infervorata.

“Non vedo l'ora di vedere casa tua, Minato. Sono sicuro che ci divertiremo, tutti insieme, vero?” Nao mi sorride.

Ed improvvisamente, l'idea di andare tutti insieme a casa mia per discutere di una associazione segreta dedita a combattere un nemico invisibile generato dalla fantasia della mia vicina di casa, vittima della sindrome di seconda media, mi sembra la più fantastica che Mana abbia mai avuto.

 

E così, suonata la campanella, ci raduniamo tutti fuori dalla classe, in attesa che Nao finisca di parlare con Kazuhiro. La conversazione non è lunga, ma da quel poco che posso avvertire, attraverso la porta socchiusa della classe, qualcosa dev'essere andato storto. Effettivamente, il primo ad uscire è un Kazuhiro dall'aria più omicida che mai, con la fronte aggrottata in un'espressione feroce abbastanza da minacciare morte a chiunque incroci il suo sguardo; solo dopo, una Nao dallo sguardo affranto e che si morde nervosamente il labbro fa capolino fuori dall'aula. Trovandoci ad attenderla lì fuori, si ricompone in un secondo, sfoggiando un sorriso che, tuttavia, mi appare meno brillante del solito.

Vorrei davvero sapere cosa sta accadendo tra quei due. Questa domanda continua a fluttuarmi nella testa per quasi tutto il tempo impiegato a raggiungere l'ultimo semaforo prima del mio quartiere, riempiendo la mia testa di inutili immagini e strampalate teorie. Nonostante mi ripeta che non sono altro che stupide fantasie, una parte di me soffre nel pensare che Nao potrebbe… No, cosa sto dicendo? Scuoto la testa, addirittura mi do uno schiaffo sonoro sulla fronte, provocando una risata esagerata in Makoto che in un attimo si diffonde a tutti gli altri, pur di esorcizzare quella stupida sensazione e quell'idea che l'ha creata.

Quando attraversiamo il vialetto che porta a casa mia, riempendo la strada altrimenti placidamente silenziosa, avvolta nella sua tranquillità, Haruhiko è impegnato in una conversazione strana con Mana circa le creature lovecraftiane, un argomento al quale lei è completamente estranea, una mancanza a dir poco imperdonabile. Per tale ragione, è estremamente comico vedere come il serio e posato Nishimura, rappresentante di classe ed il detentore della media più alta della classe, sia istruendo una ragazza dai voti disastrosi, dall'atteggiamento prono all'emotività e del tutto vittima delle illusioni di un mondo inesistente, su creature e tematiche di un autore straniero di qualche tipo.

“Vorrei davvero capire di cosa stiano parlando, ma quando ho provato ad ascoltare ho sentito dei nomi a dir poco impronunciabili e mi sono arreso,” il commento di Makoto è sufficiente a dare l'idea della piega che sta rapidamente prendendo il discorso tra quei due.

Nao, dal canto suo, sembra divertirsi anche solo nel vedere Maeda così assorbita da una semplice conversazione. Io, che cammino tra Makoto e Nao, muovo continuamente lo sguardo verso di loro, come ad accertarmi che non rimangano indietro; probabilmente è qualcosa che sto facendo un po' troppo spesso, perché Nao sembra notarlo, al punto da darmi una gomitata amichevole per attirare la mia attenzione, “Credo sia la prima volta che vedo Maeda parlare con qualcuno che non sia te, Minato. È una ragazza difficile da prendere, vero?”

“Esattamente. Anche solo pensare a come l'ho incontrata...” mi rendo contro a metà della frase di starmi avventurando in un terreno pericoloso, quindi mi blocco istintivamente mordendomi la punta della lingua e provocandomi un leggero dolore, sufficiente a richiamarmi alla realtà. Non posso negare di essere anche io felice di vedere Mana interagire con qualcun altro, ma allo stesso tempo mi dà una strana sensazione di timore – non posso fare a meno di chiedermi se non si lascerà scappare qualcosa di inopportuno e che non deve andare a dire a nessuno sul mio conto. Per quanto si tratti di Haruhiko, è comunque qualcosa che vorrei evitare.

“Quando il professor Mikuni ha detto che abitavate vicini, non credevo intendesse letteralmente uno di fronte all'altro,” Makoto guarda impressionato la casa di Mana e poi la mia, come a voler essere sicuro che non sia una sorta di scherzo, “Ecco perché venite a scuola insieme tutte le mattine!”

“Non dirmi che pensavi ci fosse un altro motivo?!” protesto, dandogli un colpo identico a quello inflittogli solitamente da Haruhiko, imprimendo tuttavia meno forza, provocandogli giusto un piccolo gemito che ha più il suono della rassegnazione di chi ci ha fatto l'abitudine, piuttosto che vero dolore.

Mia madre non è abituata a vedermi portare amici a casa. Alle medie, non ne avevo molti. Anzi, a dire la verità, probabilmente ne avevo solo una – ed era prima che si trasferisse. Eravamo simili e pensavamo entrambi di vivere in qualche mondo diverso dal nostro, in un mondo di illusioni e vetro talmente fragile da potersi rompere da un momento all'altro ed allo stesso tempo tanto solido da resistere per interi anni. Mia sorella non è di certo da meno, per cui entrambe subiscono uno choc nel vedermi arrivare con ben quattro persone al seguito. L'unica a cui sono abituate, dopotutto, è Mana, e lei stessa è stata ai loro occhi una sorta di rivoluzione.

Quando Hanako apre la porta, non sembra farci troppo caso; si limita ad un semplice, “Bentornato,” per poi voltarsi e fare qualche passo verso il soggiorno. È solo quando gli altri chiedono permesso, entrando uno dopo l'altro, che sembra paralizzarsi di colpo. Ora, mia sorella ha tredici anni ed ha appena iniziato le scuole medie, ma è già dotata di una inconsapevole lingua tagliente, che sfugge al suo controllo molto più spesso di quanto dovrebbe; quando si gira lentamente, come se fosse stretta da qualche pastoia, fino ad arrivare ad osservarci tutti e cinque che stiamo in piedi sull'ingresso, in un primo momento la sua unica reazione è uno sbarrarsi degli occhi. Poi, la sua bocca si apre a formare un perfetto, circolare ovale di stupore, dal quale esce solo un suono indistinguibile che assomiglia terribilmente ad un tentativo di dire qualcosa.

Infine, l'urlo.

“Mamma! Minato ha portato degli amici veri!” e, con questa unica frase, scompare correndo attraverso il corridoio, diretta in cucina, come a doversi riprendere da un qualche tipo di trauma orribile e lasciando me in uno stato di totale imbarazzo e tutti gli altri pietrificati e confusi dalla scena, indecisi su come reagire.

Fortunatamente, mia madre decide di fare l'adulta e di comportarsi in modo più ragionevole – ovvero, senza urlare o correre in giro, il che è decisamente un passo avanti rispetto all'accoglienza che hanno appena ricevuto da mia sorella.

“Ci dispiace per il disturbo e per esserci precipitati qui all'improvviso, signora Saito,” Nao è la prima a parlare, inchinandosi in segno di scuse, seguita da Haruhiko, “Speriamo di non crearle problemi,” aggiunge lui, offrendole una scatola di cioccolatini comprati alla pasticceria vicino alla scuola, un dono che entrambi hanno insistito per portare nonostante le mie proteste. Mia madre pensa di stare sognando, perché per un momento, tenendo la scatola tra le mani, sembra quasi non credere ai suoi occhi, “Non disturbate davvero, no, certo che no. Sono contenta che Minato abbia portato degli amici. Sapete, non è mai stato il tipo da portare qualcuno a casa. Alle medie, poi—”

“Va bene, va bene, va bene,” la blocco di colpo, intromettendomi nella conversazione con irruenza, bloccandola esattamente un secondo prima che sia troppo tardi, “grazie mamma, noi ora andiamo in camera mia!” prima che la situazione possa precipitare ulteriormente, trascino tutti e quattro fino alla mia stanza, la penultima stanza in corridoio, vicino allo sgabuzzino dove ho riposto tutti i miei cimeli delle medie e che sembra quasi fissarmi minaccioso mentre mi chiudo la porta alle spalle. Devo assicurarmi che nessuno ci si avvicini, tanto meno Mana, altrimenti sarebbe un disastro irreparabile.

“Tua madre e tua sorella sono simpatiche,” ride Nao, “Tuo padre lavora all'estero, vero? Ricordo che me lo avevi detto il primo giorno.”

Penso di essere arrossito, almeno a considerare quanto le mie guance ora sembrino ardere; davvero si ricorda di quello che le ho detto il primo giorno di scuola? Ah, no, riprenditi Minato. Riprenditi.

“Esatto, sono l'unico ragazzo qui in casa.”

“So come ti senti, amico. Io ho tre sorelle minori e sono una vera tortura...” Makoto mi offre il suo supporto morale, poggiandomi la mano sulla spalla, ma il rumore di Haruhiko che si sistema gli occhiali è più che sufficiente a metterlo in guardia, come se sapesse che quel gesto non sia altro che un preludio a...

“Oh, ma come Makoto? Tu non eri un siscon?” ...ad una battuta di questo genere.

“Tu sei il siscon!”

“Sono figlio unico e lo sai bene.”

“Accidenti...”

In questo scambio di battute, Mana si è messa al centro del semicerchio che abbiamo formato, alzandosi dalla sua posizione accovacciata, come a volersi raggomitolare su se essa, per arrivare a squadrarci dall'alto in basso, visto che noi siamo ancora seduti sul pavimento. Quando si schiarisce la voce, attirando la nostra attenzione, ha di nuovo estratto il quaderno dalla borsa e lo tiene ben alto davanti a sé… con la differenza che, da una delle sue pagine, estrae con fare estremamente teatrale cinque fogli sui quali è stato disegnato qualcosa che non riesco a distinguere chiaramente.

Porta la mano destra sulla copertina del quaderno, e sussurra rapidamente una dopo l'altra delle formule di barriera, che se la mia mente non si inganna dovrebbero respingere gli intrusi e rendere la stanza insonorizzata, una serie di precauzioni contro i Vuoti. Probabilmente considera mia sorella e mia madre vittime della fantomatica maledizione di cui va tanto parlando. Compiuta questa azione, annuisce soddisfatta, poggiando le mani ai fianchi, “Bene, ora questa stanza è a prova di intruso. Nessuno potrà entrare, né sentirci, a meno che non sia uno di no—”

Il suono della porta che si apre, lasciando appena uno spiraglio, sufficiente a mia sorella per gettare uno sguardo all'interno, prima di ritrarsi come ad accorgersi di essere stata vista, interrompono le sue parole. Mi pare di aver già vissuto questa situazione…

“Nessuno potrà entrare, eh?” chiedo, indicando la porta.

“Ed infatti non è entrat—”

Con un tempismo che ha dell'eccezionale, Hanako fa con esitazione capolino nella stanza, reggendo un vassoio tra le mani dove mia madre ha poggiato i biscotti fatti in casa, appena sfornati come suggerisce l'aroma che si va diffondendo per la stanza. Proprio com'è arrivata, senza una sola parola, ma al doppio della velocità, dopo aver poggiato il vassoio sul comodino, scompare in corridoio, chiudendosi la porta alle spalle.

Un attimo di silenzio.

“Nessuno potrà entrare, eh?”

“Ci dev'essere qualcosa che influenza i miei incantesimi...” sussurra, senza riuscire a capacitarsi di quel che è appena accaduto, convinta che i sigilli appena applicati siano stati infranti così facilmente, “Ho capito!” esclama di colpo, come se l'illuminazione fosse arrivata all'improvviso, “Non potevo di certo aspettare che reggessero contro la sorella di Nightmare—”

“Che ne dici di iniziare questa… riunione, senza perdere altro tempo, prima che si faccia troppo tardi, eh?” per la terza volta quest'oggi, sono riuscito all'ultimo secondo a non provocare danni irreparabili. Spero che non diventi qualcosa di troppo comune, perché vivere continuamente sul chi vive mi sta stancando da morire e alla lunga non potrò certo intervenire ogni volta. Mi sto muovendo su un campo minato...

“Molto bene, allora. Io, l'Occhio Demoniaco, dichiaro aperta la prima seduta della New Arcane Library of Eternal Darkness. In qualità di capo dell'organizzazione—”

“No, aspetta, chi ti ha nominato capo?”

“...Haruhiko, per favore, non anche tu,” il sospiro di agonia che esce dalla mia bocca è inevitabile nel momento in cui l'unica altra persona all'infuori di Nao capace di ragionare se ne esce con questo commento inutile. Non posso credere che stia davvero protestando per il comando di un gruppo come questo. Io mi fidavo di te, Haruh! Pensavo fossi una persona matura!

Come a leggere nei miei pensieri, Makoto mi dà una gomitata, rivolgendomi un sorriso di commiserazione, come se capisse perfettamente la mia reazione, “Haruh è un tipo estremamente competitivo,” sussurra a me e Nao, lasciandosi scappare una mezza risata, “È per questo che la sua media è così alta.”

Competitivo o non competitivo, mi sembra che stia davvero esagerando. Se la situazione dovesse degenerare, non so cosa potrebbe accadere. L'unica cosa in cui posso sperare, è che arrivino ad una conclusione pacifica. Spero solo che Haruhiko non insista, o che Mana non ceda alle sue provocazioni, perché altrimenti sono abbastanza sicuro che questo incontro terminerà in uno scontro abbastanza feroce da non lasciare che un solo vincitore – e lo sconfitto umiliato per sempre.

“Non c'è nemmeno bisogno di discutere, l'Occhio Demoniaco è il più forte, quindi è ovvio che sia io a comandare,” Mana sogghigna, mostrando il dorso della mano tatuato con fierezza, come a voler provocare Haruhiko mostrandogli la sua inferiorità con quel singolo gesto di potere, scoccandogli un sorriso di compassione, “O vuoi forse sfidare i miei poteri oscuri..?”

A questo punto, non mi resta che credere nel buon senso di Haruhiko. Dopotutto, essendo il rappresentante di classe, una persona così seria e sempre pacata, non può di certo…

“Non ci sperare troppo, Minato, una volta che è stato sfidato in questo modo, non c'è verso di farlo tornare sui suoi passi. L'unica cosa che possiamo fare è metterci in un angolo ed osservare,” sussurra Makoto, tirandosi indietro rispetto ai due che ora, entrambi in piedi al centro della stanza, si lanciano occhiate cariche di tensione, come se volassero scintille tra i loro sguardi. Sbarro gli occhi, nell'osservarli – posso sentire la loro volontà che soffia come un vento impetuoso e minaccia di sbattermi via, di sopraffarmi con il suo potere. Lo spirito di questi due… arde come una fiamma. La loro aura è talmente potente da schiacciarmi.

“Incredibile...” sussurro, mentre davanti ai miei occhi le loro figure sembrano come colpirsi l'una con l'altra, come se due fiamme eteree che li avvolgono si scontrassero. I loro animi indomabili.

Nao tenta inutilmente di calmarli, ma nessuno dei due contendenti sembra prestargli ascolto. Entrambi sono totalmente concentrati dalla loro sfida personale, lo scontro per decidere chi diverrà leader.

“Ci sto. Giocheremo a scacchi e decideremo chi è il più forte, qui!”

“Non sta succedendo davvero,” provo a dirlo, nella speranza che si tratti di un sogno, ma no, è la cruda realtà, quei due stanno per sfidarsi ad una partita mortale e all'ultimo sangue di scacchi. Ma almeno Mana sa giocare a scacchi? Una come lei? Probabilmente è convinta che il cavallo sia uno di quelli di Ade, o che gli Alfieri siano demoni servitori evocati dal Re. Verrà distrutta senza pietà!

“Scacchi? Si mette male per Maeda. Haruh ha vinto il campionato regionale delle medie, l'anno scorso.”

“Grazie mille per il tuo supporto, Makoto!” mi avvicino a Nishimura, poggiandogli una mano sulla spalla per attirare la sua attenzione, ma non sembra intenzionato ad interrompere il contatto visivo con Mana, quindi gli sussurro fievolmente, senza aspettare una sua reazione, “Haruhiko, vacci piano con lei, per favore.”

“—Ti garantisco che quando avrò finito con lei, rimarrà la cenere,” il tono con cui lo dice basta a mandarmi brividi lungo la schiena. Ma hanno intenzione di giocare a scacchi o di uccidersi tra di loro in uno scontro mortale? “...Ma è esattamente il contrario di quello che ti ho chiesto!”

Molto bene, allora,” la voce di Mana si fa improvvisamente solenne e mortalmente seria; si porta una mano all'occhio, la mano con il cerchio magico, e punta l'altra verso l'alto, come a voler squarciare il tetto con quell'unico gesto, e le sue labbra iniziano a muoversi, recitando una sinistra formula che non ho mai sentito prima d'ora, ma che risuona funerea alle mie orecchie,Attraverso questo mondo di buio e cenere, richiamo l'Occhio perché porti rovina sui miei nemici. Squarciati, velo,chiude le dita in un pugno e la porta davanti a sé, come se stringesse tra le mani qualcosa di invisibile ai nostri occhi, mentre la destra si poggia su una lama eterea di un'arma, Verrai annichilito!” sentenzia, indicando Haruhiko con la punta dell'arma immateriale che solo lei può vedere.

 

“Non posso… non posso crederci… ho perso?!”

La voce di Haruhiko è rotta. La voce di qualcuno il cui spirito è stato ridotto a brandelli. Il suo sguardo incredulo continua a spostarsi dalla scacchiera, dove il suo Re è immobilizzato tra un Alfiere, una Regina e due pedoni, e l'espressione trionfante di Mana, che sta ridendo piena di soddisfazione alla sua vittoria schiacciante.

“Fufu, te lo avevo detto, l'Occhio Demoniaco non ha eguali.”

Non so bene cosa sia accaduto, dal momento in cui ho portato la vecchia scacchiera di mio padre nella stanza. Non sono mai stato un amatore degli scacchi, ma la partita è stata talmente intensa da tenermi con il fiato sospeso fino all'ultimo. Non avevo idea che Mana fosse tanto talentuosa. Non sapevo nemmeno che sapesse giocare a scacchi. Nonostante abbia dato nomi assurdi ai pezzi, come Servants ai Pedoni o Wraith Knights agli Alfieri, ha combattuto in un testa a testa con Haruhiko che si è prolungato per un bel po'. Alla fine, contro ogni aspettativa…

“—Ho perfino utilizzato tutte le tecniche di Kasparov… ed ho perso...”

Mi alzo in piedi, per poter ringraziare Haruhiko. Sono felice che alla fine abbia deciso di accontentarla lasciandola vincere. Dopotutto, non si trattava di una competizione per la quale valesse la pena impegnarsi così tanto. Ha semplicemente lasciato che Mana lo schiacciasse senza concedergli respiro ed è stato facile notare come si sia lasciato intenzionalmente soverchiare. Alla fine, perfino nelle competizioni, rimane un ragazzo serio ed affidabile, “Grazie per esserci andato piano, con lei.”

Ma Haruhiko non dimostra alcuna reazione, solo un tremore ancora più forte mentre continua febbrilmente a ripetere i movimenti e le azioni dei singoli pezzi di Mana, confrontandoli con i suoi. Makoto mi si avvicina, scuotendo la testa, “Ti prego, Minato, non rigirare il coltello nella piaga,” mi sussurra con un tono palesemente divertito, mentre dà un colpetto al suo amico nel tentativo di farlo riprendere dallo choc.

“Oh. Oh, capisco.”

Non ci è andato piano.

“Ora, è il momento di giurare con il sangue!” ignorando del tutto la precaria condizione psicologica in cui ha lasciato il suo devastato avversario, Mana ci porge i fogli che aveva mostrato prima, rivelando che su ognuno è stato disegnato un emblema diverso, sotto al quale sono stati scritti nome e titolo.

“Quella è semplice vernice rossa.”

Ignorando la mia osservazione, Mana porge ad ognuno un pennello già intriso della giusta quantità di vernice, e lascia cadere qualche goccia sopra al segno che ha disegnato; il mio è uno scheletro estremamente particolareggiato, che regge tra le fauci una riproduzione della Black Zagan, esattamente come l'ho sempre immaginata, al punto che mi chiedo se non abbia sbirciato tra i miei appunti. Impossibile, non è mai uscita dalla stanza, e lo sgabuzzino è sempre stato chiuso.

Mana sussurra una lunga preghiera rituale, stringendo tra le mani il quaderno ed il foglio, con gli occhi chiusi; poi, alza lo sguardo, cercando i nostri.

Cercando il mio.

“Da oggi, noi combatteremo l'Antico e la sua Nebbia. Qui, in questo momento, nasce la New Arcane Library of Eternal Darkness. D'ora in avant—”

“Mana, non voglio interromperti, ma si è fatto davvero tardi e loro dovrebbero tornare a casa.”

“Ma il rituale...”

“Non lamentarti, siete voi che avete perso tempo con gli scacchi; lo faremo un'altra volta, non possiamo farci nulla.”

Mentre accompagno gli altri alla porta, posso sentire Mana che, alle mie spalle, non stacca il suo sguardo da me. Lo sento insistente sulla mia schiena. Quando mi volto, lei è davanti a me, che tiene gli occhi bassi.

“...Lo volevo davvero,” è l'unica cosa che sussurra.

“Dobbiamo soltanto aspettare domani o un paio di giorni. Non te la prendere tanto.”

“Volevo sentirtelo dire.”

Mi sembra quasi di essermi congelato sul posto, come se quelle uniche parole fossero bastate a bloccare ogni mio movimento.

“Volevo sentirti dire che avresti combattuto con me. Che Nightmare Edge avrebbe fatto parte della New Arcane Library of Eternal Darkess.”

Probabilmente me ne pentirò.

Ma non riesco a vederla così triste. Davvero ci tiene così tanto? Ha davvero tutta questa importanza per lei?

Ah, questo farò decisamente più male di stamattina.

Dalle Tenebre Profonde dell'Abisso, spalanco le mie ali. Zafkiel è la sinistra, Azaziel è la destra, e portano l'ultimo respiro sulle ossa dei miei nemici. Attraverso gli Incubi, Nihgtmare Edge ha udito la tua chiamata, Occhio. Sono qui… per combattere con te,” tendo la mia mano verso di lei, “Non ti ho forse già detto che ti avrei aiutato?”

Per un istante, sembra quasi non crederci. Poi, come presa da un impeto irresistibile, afferra la mia manco con la sua, la destra, la mano del cerchio magico, così piccola, così minuta, così fragile, così delicata. Non parla, semplicemente mi guarda negli occhi, con un sorriso di trionfo tipico di una conquistatrice.

“Ricorda che l'Occhio è il più forte.”

“Come vuoi, come vuoi...” sospiro.

Anche oggi, la giornata è finita. Anche oggi, ho dovuto combattere contro la sindrome di seconda media. È stato divertente, devo ammetterlo. Tuttavia, ho come l'impressione che ci sia ancora qualcosa che non va…

“Mamma! Mamma! Minato sta tenendo per mano la ragazza della magia!” scattando via più agile di un gatto, non appena il mio sguardo la intravede, Hanako sparisce lasciandosi alle spalle solo quel grido di sorpresa terribile che mi colpisce come una stilettata al cuore. Mana non sembra aver capito cosa intendesse, quindi è meglio così. La accompagno al cancello, in giardino, e lì ci separiamo, ognuno a casa propria. Mentre la guardo attraversare la strada, non posso fare a meno di osservare come, in casa sua, le luci siano tutte spente. Forse i suoi sono usciti e la hanno lasciata a casa da sola. Forse si sente sola. Avrei potuto dirle di restare, ma l'Occhio si sarebbe abbassato ad una simile offerta?

Senza trovare una risposta, torno in casa, con la mente persa nei miei pensieri, finché non torno in camera a rimettere in ordine il campo di battaglia.

Sul letto, c'è ancora il foglio con lo stemma che ha disegnato. Una testimonianza in più del mio passato oscuro. Tuttavia, non mi sento in imbarazzo ad averlo tra le mani. Non troppo, almeno. Si è impegnata davvero tanto, eh?

D'ora in poi, mio malgrado, ricorderò questa giornata come quella in cui è nata la New Arcane Library of Eternal Darkness – un nuovo ricordo da aggiungere alla mia collezione di memorie imbarazzanti.

 

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Capitolo 5
*** 「Chapter 4 – A secret between us」 ***


Chapter 4A secret between us

 

Se c'è qualcosa che ho appreso durante questo tempo trascorso con Mana, è che la pausa pranzo difficilmente è un momento di riposo; mangiare con tranquillità è divenuta una sorta di utopia fin dal momento in cui io e lei ci siamo ritrovati insieme, ed ora che siamo tutti coinvolti in questa ennesima follia che lei chiama la Libreria dell'Oscurità Eterna, grazie alle mie numerose insistenze sono riuscito a farle accorciare il nome quanto meno nei momenti che lei ha definito “non ufficiali”, sembra che sia divenuta una sua priorità assegnarci dei titoli che rappresentino le nostre personalità ed i nostri poteri. Per questo, a due settimane esatte dalla fondazione del gruppo, ci ritroviamo intorno ai banchi uniti a mangiare il nostro pranzo mentre Mana ci mostra, uno ad uno, i cinque fogli dove ha disegnato ognuno di noi.

La sua abilità nel disegno è ancora più sconcertante di quanto avessi intuito inizialmente; io avendo seguito qualche corso posso dire di essere un disegnatore discretamente abile, per quanto riguarda lo stile tipico dei manga e più di una volta durante le lezioni di educazione artistica ho ricevuto complimenti per le mie opere. Hitomi, poi, non si è lasciata sfuggire l'occasione per venire al mio fianco ad osservarmi, con aria pensosa, prima di chinarsi appena sulla mia spalla a chiedermi, in un soffio che ha carezzato il mio orecchio facendomi irrigidire sotto il suo tocco, di farle un ritratto un giorno - “Esattamente come questo che stai facendo a Maeda.” Inutile dire che non sono riuscito a dirle di no.

Mana ha speso davvero molto tempo in questi disegni, e posso dirlo con sicurezza perché la maggior parte delle volte in cui vi ha lavorato sopra, io ero lì vicino. Da quando è venuta quel pomeriggio, mia madre sembra aver sviluppato una sorta di entusiasmante inclinazione verso di lei; quando ha scoperto, poi, che siamo vicini di casa, non ha esitato a chiederle più e più volte di fermarsi da noi. Ogni volta, seppur abbia tentato di nasconderlo, sul suo viso si è come formata un'espressione di felicità, e non ha esitato ad accettare. Quando le ho chiesto cosa ne pensassero i suoi genitori, lei semplicemente ha scrollato le spalle ed ha risposto, senza alzare gli occhi dai disegni, “Non importa, va bene così,” e questo è stato più che sufficiente a mettere a tacere ogni mia domanda. Il suo tono di voce mi è sembrato cambiare impercettibilmente a quella risposta, come se avessi toccato un argomento estremamente delicato; non ho più chiesto nulla riguardo la sua situazione famigliare, da allora. A giudicare da come non abbia mai chiamato nessuno per avvertire, probabilmente non sono in buoni rapporti. Quando mangiamo insieme, e la vedo sorridere o addirittura arrossire ai complimenti che le fa mia madre, o entusiasmarsi mentre si lancia in qualche dettagliata spiegazione di questo o quell'incantesimo che lancia sul nostro cibo per eliminarne eventuali veleni. Averla in giro significa anche dover costantemente preoccuparmi di quello che le dice mia madre o delle improvvise constatazioni di mia sorella sul mio periodo di sindrome, dettagli che ogni volta vanno ad impreziosire la sua collezione di illusioni su di me; infine, devo stare estremamente attento a non farla avvicinare allo sgabuzzino. Se dovesse scoprire tutte le cose che ci sono all'interno, mi ritroverei a dover affrontare una crisi di proporzioni che sfuggono all'umana comprensione.

Quando ci consegna le singole opere, posso vedere come lo sguardo di tutti inizi gradualmente ad assumere una luce di sorpresa; nessuno di loro deve aver prestato troppa attenzione ai lavori di Mana durante l'ora di educazione artistica, sopratutto perché ho sempre avuto l'accortezza di nasconderli – non voglio che qualcuno veda “Il Nightmare Edge che affronta Owl il Signore della Tenebra Movente”, quell'incredibile disegno che mi ha provocato un senso di imbarazzo divorante ma allo stesso tempo ha risvegliato in me una parte della mia sindrome, perché nemmeno nelle mie più sfrenate fantasie ho mai immaginato una scena talmente strabiliante. Mi chiedo ancora come faccia a conoscere alcuni dettagli, o chi sia Owl, visto che si tratta di eventi appartenenti al passato, ma questa è una domanda a cui non ho ancora ricevuto una risposta.

Su ogni disegno, è vergato il nostro nome, esattamente come nei sigilli che ci ha conferito la settimana scorsa, ma questa volta accompagnato dal titolo che ci ha assegnato arbitrariamente. Il mio è rimasto invariato, su questo non avevo alcun dubbio, ma sono molto curioso di sapere che soprannome abbia affibbiato agli altri; posso intuire quello di Nao, visto che ormai l'abitudine di chiamarla “The Fallen Angel” si è radicata in Mana fino al punto di non ritorno. Haruhiko sta passando lentamente i polpastrelli sul disegno, come ad accertarsi che sia effettivamente reale, e continua ad apparire impressionato seppur tenti di nasconderlo; riesco a sporgermi abbastanza verso di lui da arrivare ad osservare il disegno, in cui è ritratto seduto su un trono crepato e dall'aria decadente, circondato da pezzi di scacchi incrinati e libri dall'aria sinistra strappati a metà, con il viso parzialmente in ombra e un occhio dalla pupilla che sembra rappresentata in diversi cerchi concentrici. Al di sotto della figura, il suo titolo vergato in caratteri neogotici, molto più nitidi di quanto immaginassi, recita “The Grimoires Master” decisamente appropriato data la sua passione smodata per la lettura.

“Maeda…” la voce tremante è quella di Makoto, che regge il disegno con aria abbattuta, come di chi abbia ricevuto un calcio nel pieno della propria autostima, subendo un contraccolpo estremamente violento. Incapace di continuare a parlare, crolla sul banco con la testa affondata tra le braccia, privo di forza, risucchiato di ogni volontà.

“Ma cosa hai scritto sul suo foglio?!” il mio tono velato di preoccupazione non sembra toccare Mana, che semplicemente mi lancia un'occhiata interrogativa, del tutto ignara delle sue colpe. Non si rende conto di aver praticamente distrutto il povero Makoto…

Haruhiko, che ha allungato la sua mano a togliere il disegno dalla debole presa del nostro amico, non riesce a trattenere la risata che lentamente crepa la sua espressione fino a esplodere in un basso sghignazzare che gli impedisce di parlare, divenendo sempre più forte, fino al punto da indurlo a piegarsi in due sul tavolo e allungare tremando il foglio a me e a Nao che mi si è affiancata presa dalla curiosità. Quando lo ho tra le mani e riesco a guardarlo, capisco terribilmente bene entrambe le reazioni; io stesso devo mordermi la lingua per soffocare una risata che minaccia di esplodere dalla mia gola.

“Mana...” sussurro, stentando nel trattenermi, “Forse ci sei andata troppo pesante.”

“Non credo che lo volesse, Minato,” risponde Nao, con la mano destra a coprirsi la bocca, anche lei nella mia stessa situazione, “Però… non trovi che gli assomigli?”

“Effettivamente è uguale a Makoto,” confermo, annuendo, “Bel lavoro, Mana!”

Mentre lei arrossisce appena, scuotendo la testa, seppure ancora confusa da quel che sta accadendo, del tutto ignara di aver assestato un colpo a dir poco fatale al povero ragazzo, riconsegno il foglio a Makoto con un colpetto sulla spalla, “Andiamo, non c'è bisogno di abbattersi così, è solo un soprannome che non useremo mai. E nessuno lo conosce al di fuori di noi, no?”

“Makoto ha ragione. Vero, Haruhiko?”

Il rappresentante di classe, sentendosi chiamato in causa da Nao, semplicemente si irrigidisce nello sforzo di soffocare la sua risata e riguadagnare compostezza, e si sistema gli occhiali spingendoli meglio sul naso con l'indice ed il medio, in una posa estremamente stereotipata ma decisamente adatta al ruolo che Mana gli ha assegnato. Quando sta per aprire la bocca per confortare in qualche modo il suo amico d'infanzia, tuttavia, viene interrotto da qualcun altro.

“Oh, e questo cos'è?” Hitomi Mori si avvicina a noi, ovviamente incuriosita dalla scena tragicomica che si sta svolgendo, e prima ancora che riesca a fermarla, ha già preso in mano il disegno di Makoto. Come in un film dell'orrore, non posso far altro che osservare la sua espressione cambiare lentamente ed accartocciarsi, passando dalla confusione, allo stupore ed infine, seguendo una parabola di ascendente quanto fatale orrore, le sue labbra si piegano in un ghigno. La risata che segue è probabilmente una coltellata sferrata in profondità nell'autostima di Makoto. La ragazza si piega sui talloni, mentre tra una risata fragorosa e l'altra, la sua bocca riesce a malapena ad esalare il nome che Mana ha affibbiato al nostro amico.

The Infernal Pet?!”

La goccia che fa traboccare il vaso. Makoto non sembra riuscire più a rialzarsi, a questo punto, mentre Haruhiko perde nuovamente la sua compostezza nell'udire Hitomi che si lancia in una sorta di dettagliata descrizione del disegno, in cui Mana ha rappresentato con grande abilità una sorta di incrocio tra una scimmia ed un lupo… con la testa di Makoto stesso, opportunamente resa bestiale per adattarsi al resto del corpo.

Hitomi dà una forte, forse troppo, pacca d'incoraggiamento tra le spalle del distrutto ragazzo, lasciando il foglio tra le sue braccia debolmente abbandonate lungo il banco, “Qualcuno ha trovato un ruolo adatto a te, Kobayashi.”

“Hitomi, per favore, non credo che possa reggere ancora,” sospiro, nonostante stia impegnando tutto me stesso per non scoppiare a ridere a mia volta.

“Va bene, va bene,” mentre si allontana, mi dà un amichevole colpetto alla testa e mi sorride maliziosamente, “Ci vediamo, Minato.”

“Sbaglio o ti ha chiamato per nome?” Makoto mi appare alle spalle come una sorta di spettro, la voce funerea, completamente ripresosi dal pessimo stato psicologico in cui versava; se avessi saputo che bastava così poco, lo avrei fatto subito.

No, aspetta un momento, ci stava ascoltando?

“Ma tu non stavi morendo fino ad un secondo fa?!” sbraito, allontanandomi istintivamente dalla sua occhiata indagatrice, cercando rifugio accanto a Mana, che nel frattempo ha assistito a tutta la scena senza proferire parola.

“Non sapevo che tu fossi amico di Mori.”

“Ah, non è che siamo proprio amici...” balbetto alla constatazione ad Haruhiko, che mi riserva uno sguardo dubbioso, come non del tutto convinto dalla mia risposta; fortunatamente l'argomento sembra cadere quando sentiamo il sordo rumore di una sedia che viene strusciata contro il pavimento con un impeto improvviso e violento, tale da attirare l'attenzione anche di qualche altro compagno di classe rimasto nell'aula. A provocare il rumore è stata Nao, che si è alzata di scatto quando ha visto qualcuno entrare in classe; e quel qualcuno non può essere altri se non Kazuhiro. Prima ancora che qualcuno di noi possa chiederle cosa non va, lei è già al suo banco, con aria visibilmente arrabbiata. Sbatte con rabbia entrambi i palmi delle mani sulla superficie di legno, facendola tremare leggermente, nell'istante in cui Ogawa si siede con aria indifferente al suo posto, ignorando l'improvviso scatto di rabbia della ragazza.

Non ho mai visto Nao arrabbiata. È sempre stata l'unica a trattare Kazuhiro con gentilezza, a parlare con lui normalmente, nonostante il suo aspetto che incute timore o il suo atteggiamento apatico; ogni volta che accade, ognuno di noi si chiede quale sia il legame tra loro. Lei stessa, dopotutto, si è scusata al posto suo il primo giorno di scuola e non posso dimenticare le parole che mi ha rivolto, come se lo conoscesse da tempo. Eppure, lui non ha mai dato questa impressione, si è sempre limitato a rispondere seccamente alle sue domande e richieste; non l'ho mai visto accettare un singolo invito a venire con noi o a mangiare insieme. Se n'è sempre andato via dalla classe, diretto chissà dove, ma alla fine è sempre tornato.

Fino a due giorni fa. Non è più tornato dopo la pausa pranzo. Qualcuno ha detto di averlo visto uscire dalla scuola, e i commenti che si sono alzati nel mormorio generale sono stati tra i peggiori. Molti hanno detto che probabilmente se n'è andato a fumare sigarette di contrabbando da qualche parte, ed è stata una delle ipotesi meno pesanti. Nao non ha mai dato peso a queste voci. È come se sapesse perfettamente che non valgono nulla e che sono solo malignità messe in giro a causa del suo aspetto e del suo comportamento; eppure, quando non lo ha visto tornare in classe, è come sbiancata di colpo. Per le ore successive, ha continuato a far scorrere lo sguardo dal banco di Kazuhiro alla porta, come in attesa del suo arrivo, ma le sue aspettative sono state terribilmente deluse. Non è più tornato, quel giorno; e nonostante tentasse di nasconderlo, in qualche modo ne era preoccupata. Quando le ho chiesto cosa non andasse, ha semplicemente scosso la testa, senza dire nulla. Suonata l'ultima ora, è uscita di corsa dalla classe ed è sparita, l'ho intravista da una finestra mentre correva nella stessa direzione verso la quale si dirige ogni giorno Ogawa dopo la scuola. Non posso negare di essermi posto più di una domanda, nell'osservare il loro atteggiamento; possibile che si conoscano davvero dalle scuole medie? Le parole di Nao potrebbero suggerirmi di sì, ma il modo in cui Ogawa si comporta indica esattamente il contrario. E da quel che ho potuto capire, dovrebbero anche vivere vicini. La settimana scorsa, poi, Kazuhiro non è sembrato per nulla contento che lei venisse con noi. Possibile che… No, devo sbagliarmi, non è possibile. Lei è semplicemente troppo gentile, ecco tutto… Anche se, il fatto che lei si preoccupi tanto continua a lasciarmi dubbioso.

Ieri, Kazuhiro non è venuto a scuola. Nao ha provato a chiamarlo, ma non ha risposto, ed è rimasta per tutto il giorno sovrappensiero, esattamente come il giorno precedente. Quando alla fine, durante la pausa pranzo, è rientrata in aula, aveva un'espressione indecifrabile e non ha proferito parola, limitandosi a qualche mugolio di risposta quando le abbiamo chiesto qualcosa. Non ha voluto dire nulla su cosa stesse accadendo e quando Mana si è preoccupata al punto da tentare di lanciarle un incantesimo contro il Controllo Mentale, lei ha sorriso tremolante ed ha detto che andava tutto bene.

Era una bugia. Lo sapevamo tutti. Ma nessuno di noi è riuscito a chiederle di più – forse perché siamo abituati a vederla così positiva e felice, perché non l'abbiamo mai vista agire diversamente dalla sua solita, ottimista personalità.

Ed ora, per la prima volta… la vedo furiosa.

“Perché non sei tornato in classe? Perché non mi hai risposto ieri? Perché continui ad ignorarmi, Kazu?!” il suo tono è pieno di ira. Ma non è solo quello. La sua voce trema, incerta, come se stesse per rompersi da un momento all'altro, incapace di rimanere ferma; le sue spalle fremono, mentre sbatte ancora i pugni contro il legno come a voler sfogare tutte le emozioni impetuose che le si agitano dentro, che le parole non bastano ad esprimere, “Rispondimi! Cosa ti dà fastidio? Perché continui a fare di testa tua? Perché non vuoi che ti aiuti?! Rispondimi…”

Siamo tutti paralizzati. Nello spazio di un attimo, sembra che tutto stia crollando. L'intera classe, perfino le persone in corridoio, si sporgono a guardare. L'attenzione di tutti è calamitata su questa scena surreale. Fino ad un momento fa, stavamo tutti ridendo, senza alcuna preoccupazione; perché, improvvisamente…

“Kazu… Kazu, per favore...” la mano di Nao si avvicina a lui, sfiorando appena la sua spalla, e basta quel contatto fisico a crepare completamente l'espressione di Ogawa, rimasta fino ad ora impassibile come una maschera di cartapesta.

“Lasciami stare,” sono le parole che pronuncia con tono laconico, senza nemmeno guardarla negli occhi. Non dice altro. Si limita a scuotere le spalle, scrollandosi di dosso la mano di Nao. Il tempo sembra sospeso. Nessuno si muove, nessuno parla. Perfino il respiro sembra produrre un rumore insopportabile, troppo forte in questo assoluto silenzio.

Come colpita in faccia da uno schiaffo inaspettato, Nao si ritrae senza riuscire a fermare il tremito delle sue gambe. Per un singolo istante, sembra indecisa sul da fare. Sembra incapace di muoversi. Rimane semplicemente rigida, nel mezzo della classe, di fronte a Kazuhiro che non accenna nemmeno a voltarsi, rimanendo con lo sguardo perso fuori dalla finestra. L'unico rumore che si può udire, è un basso chiacchierare di coloro che sono ignari di quello che sta succedendo, e le loro voci attutite sono poco più che un brusio indistinguibile. Gli occhi di tutti sono calamitati verso di Nao, verso la rappresentante di classe che non ha mai mostrato alcuna esitazione, che non si è mai lasciata andare a pessimismi, che ha sempre sorriso ed aiutato tutti.

Proprio lei, ora, se ne sta lì, incapace di muoversi, ferma, in bilico. Le sue dita si serrano in due pugni stretti con tutta la sua forza, “Va bene,” è poco più di un soffio, “Come vuoi.”

Senza aggiungere altro, senza un'altra parola, un gesto, si volta rimanendo a testa bassa, in modo che nessuno ne possa incrociare lo sguardo, ed esce dalla classe.

“Nao—” è stato un gesto istintivo, ma mi sono alzato in piedi chiamando debolmente il suo nome. Solo la mano di Haruhiko che mi stringe il braccio mi trattiene dal seguirla. Mi volto a guardarlo, e lui semplicemente scuote la testa, in un unico, secco cenno di diniego. “Non è il momento. Lasciamola da sola,” mi sussurra, indicando l'orologio al di sopra della lavagna, “E tra poco inizierà la prossima ora.”

Incapace di protestare, non posso far altro se non sedermi di nuovo. Haru ha ragione, dopotutto. Cosa potrei fare, se la inseguissi? Non le sarei di alcun aiuto. Per ora, è meglio lasciarla da sola. Non c'è altro da fare, giusto? Il mio sguardo va inevitabilmente al posto vuoto di Nao, in prima fila. Non so bene perché, ma sono sicuro che non tornerà oggi e quel banco rimarrà vuoto. Ha lasciato qui perfino le sue cose. Forse tornerà a prenderle.

Il tocco di Mana che mi sfiora leggermente le dita è sufficiente a strapparmi da queste riflessioni, ed il suo sguardo preoccupato e confuso mi fa scuotere la testa, “Va tutto bene?” mi chiede con tono vagamente preoccupato.

“Vorrei davvero sapere cosa sta succedendo tra quei due.”

La campanella suona, ingoiando tutti i miei dubbi con il suo tintinnare, e annuncia l'inizio di una nuova ora di lezione mentre il professore entra in classe. Apre il registro, inizia a scorrere la lista dei presenti. Dopo qualche istante, con una sorpresa che notiamo tutti, si accorge che Nao non è in classe.

Per la prima volta, Nao Watanabe viene segnata come assente sul registro di classe.

 

“Secondo te è grave?”

La domanda di Mana giunge inaspettata alle mie orecchie. Solitamente non è il tipo di persona che affronta i problemi in modo ragionevole, perché nella sua visione del mondo offuscato dalla sindrome di seconda media, le soluzioni ai piccoli problemi quotidiani sono tutte molto più semplici. Quando ad esempio Makoto si è presentato a scuola con il polso fasciato a causa di una distorsione, perché a quanto sembra cadere dalle scale può essere estremamente pericoloso, sopratutto nel caso di qualcuno distratto come lui, Mana si è limitata lanciare un incantesimo di cura di qualche genere tracciando una ampia striscia runica sulla fasciatura con un pennarello, nonostante abbia tentato di fermarla.

“Spero di no. Anche se non ho mai visto Nao così arrabbiata.”

“Perché Lost Hero è stato assente?”

“—Hai dato un nome anche a lui?” il mio tono di voce scandalizzato sembra divertirla, perché il sorriso che le si apre sul volto scaccia via quella punta di preoccupazione tanto insolita che lo tingeva, “Comunque, sembra che sia proprio per quello. O meglio, sembra che lui non voglia più parlarle di qualcosa… Ah, non è importante ora, non riusciremo comunque a capirne nulla. Andiamo, prima che si faccia tardi.”

Salgo sulla bicicletta, attendendo ancora una volta che Mana termini il solito rituale, prima di sedersi alle mie spalle, tendendo il braccio verso la strada ad incitarmi a partire, “Andiamo, oggi abbiamo un sacco di cose da fare! Dobbiamo catturare assolutamente quella Chimera!”

“Quante volte devo ripeterti che è un gatto?! E poi, non è nemmeno un randagio, non possiamo prenderlo in questo modo, o in qualsiasi altro.”

Anche oggi, quindi, si fermerà da noi. Sarebbe strano il contrario, a questo punto; ormai è come se fosse di famiglia. Non è molto il tempo da cui ci conosciamo, eppure è come se fosse con me da più di chiunque altro. Forse perché sono l'unico che può capirla del tutto, o perché per certi versi, molto più di quanto vorrei, mi ricorda me stesso. Forse perché passiamo moltissimo tempo insieme, sia a scuola che fuori, ma è probabilmente la persona più vicina che ho. Ormai mi sono abituato alla sua sindrome di seconda media e riesco a tenerla bada anche nelle situazioni più estreme... più o meno. Mia sorella e mia madre sono costantemente un rischio, quando lei è in casa, perché non raramente si lasciano scappare qualche vecchio ricordo, e questo non va di certo a mio favore. Inoltre, nonostante tutto l'impegno che ci abbiamo messo per metterle a tacere, ogni tanto sorge qualche voce su di noi, anche se comunque ha vita breve e si dissipa senza nemmeno il nostro intervento, come se qualcuno le mettesse ogni volta a tacere estirpandole sul nascere.

Certo, finché lei mi sta intorno, continuo a rischiare di essere scoperto e che il mio passato oscuro torni a presentarsi alla mia porta, ma per ora si tratta solo di un pallido spauracchio.

“E se invece, per una volta, studiassi un po'?” suggerisco, esitante, “Tra non molto avremo gli esami di metà anno, sai?”

“Uhm, hai ragione,” mugugna Mana tra sé e sé, stringendo un po' più forte la presa attorno alle mie spalle mentre riflette attentamente sulle mie parole, prima di chiudere a pugno una delle sue piccole mani in un gesto di spavalderia guerriera, “Studierò tutto il giorno incantesimi per risolvere le insidie che l'Antico ci lancerà contro! Mi chiedo che terribili creature avrà preparato per questi esami...”

“Abbiamo una concezione un po' diversa di esame, credo.”

Arrivati davanti alle nostre rispettive case, smonto dalla bicicletta e mi stiracchio un secondo, prima di aprire il cancello e portare Anabaste II in garage, lasciando che Mana mi preceda in casa; stranamente, non sento né mia madre né mia sorella salutarla, ma non do troppo peso alla cosa, mentre mi allungo per riuscire ad afferrare la maniglia del garage per chiuderlo, accompagnato dal solito rumore fragoroso che aggredisce le mie orecchie.

Le luci dell'ingresso sono accese, così come quella della cucina, ma la casa sembra vuota; Mana è seduta accanto al tavolo, con una gamba piegata sotto il corpo e l'altra lasciata a penzolare a qualche millimetro da terra, e mi accoglie con una semplice constatazione, “Non c'è nessuno a casa.”

“Mh, sembra proprio di sì. Chissà perché...” mentre lo dico, il mio sguardo cade su una piccola nota che mia sorella ha lasciato attaccata al frigorifero, scritta con cura impeccabile, come a dimostrare che non siano uscite di corsa ma che si trattasse di una cosa programmata. La stacco e la leggo rapidamente, prima di darmi un colpetto alla fronte per la mia stessa, stupida dimenticanza – avrei dovuto ricordare che oggi sarebbero andate al saggio di pianoforte di Yukari. Mia sorella onestamente ha troppe amiche, non credo di riuscire a ricordare ogni suo impegno… Poco male, comunque.

“Che dice il biglietto?”

“Sono all'esibizione di un'amica di mia sorella. Torneranno per l'ora di cena, non preoccuparti,” mi affretto a precisare, non voglio che tenti di accendere i fornelli utilizzando qualche magia del fuoco o qualcosa di simile. L'ultima volta ha tentato di volare lanciando una magia del vento e mi ha fatto quasi venire un infarto saltando dal balcone di camera mia; fortunatamente aveva preparato una sorta di trampolino che ha tirato fuori da non so dove e ne è uscita illesa. Da quel momento tuttavia, non ho intenzione di lasciarle fare quel che vuole. Quanto meno, se non per la sua incolumità, per la mia tranquillità.

“Capisco,” annuisce, per poi mettersi a frugare all'interno della sua borsa per estrarne il quaderno dall'aspetto sinistro, probabilmente per via della copertina nera o delle scritte rossastre vergatevi sopra, contenente in realtà solo appunti e disegni per la Nuova Biblioteca e per tutto il resto di quel mondo che solo lei riesce a vedere, in cui si muove consapevolmente. Dopo averne sfogliato rapidamente delle pagine fitte di illustrazioni e annotazioni a margine, esattamente come un vero e proprio manuale rigorosamente scritto ed ordinato con precisione maniacale, arriva ad un nuovo capitolo, iniziando a scribacchiarne le prime righe. Mi stupisce come in queste cose la sua precisione sia incredibile mentre invece nella maggior parte delle altre sia talmente approssimativa da sfiorare la negligenza più totale.

“Cosa stai scrivendo, ora?” chiedo cautamente, conscio che questa semplice domanda potrebbe avere ripercussioni a dir poco distruttive sul resto della mia giornata e sulle mie condizioni psicologiche e fisiche, ma lei sembra semplicemente rifletterci su, mordicchiando il cappuccio della penna con aria assorta; dopo qualche istante, si volta verso di me tenendo il quaderno aperto sulle ginocchia e facendo scorrere le dita sulle numerose pagine, con una delicatezza assoluta, come se avesse tra le mani un testo sacro che abbia il terrore di rovinare. Non è la prima occasione che ho di guardarlo, ed una volta ho perfino avuto il privilegio di sfogliarlo mentre mi invitava ad aggiungervi parte della mia “infinita conoscenza sul Mondo dell'Abisso”, costringendomi a compilare perfino una piccola scheda sulla divinazione, un'arte che a suo dire non è ancora riuscita a controllare del tutto.

“Sto terminando la descrizione dei Fuochi Fatui che abbiamo intravisto l'altra notte. Hanno bisogno di essere indagati più a fondo, potrebbe trattarsi di incantesimi di ricerca; qualche nemico forse è venuto a conoscenza della Nuova Biblioteca...” mi sorprende come riesca a far sembrare una faccenda seria questa fantasia dovuta alla sindrome semplicemente mettendo solennità assoluta nella sua espressione; quando lo fa, inevitabilmente la sua voce suona terribilmente artificiosa, sopratutto quando assume questa posa teatrale in cui tratta la sedia come un trono, poggiando la mano con il tatuaggio del cerchio magico a coprire la metà destra del viso e tenendo l'altra poggiata tra le pagine del libro, “Quindi stanotte—”

“Non ho alcuna intenzione di uscire ad un orario improponibile per andare a cercare dei Fuochi Fatui. E domani dobbiamo andare a scuola, oltretutto, quindi non se ne parla,” il mio tono cambia improvvisamente quando entro nella modalità responsabilità, che ho duramente appreso nel tempo passato con lei; senza ammettere repliche, mi avvicino a darle un colpetto amichevole sul retro della testa, mentre mi avvicino al frigo per cercare qualcosa da bere.

“Ma...”

“Niente ma. Cosa direbbero i tuoi genitori, se te ne andassi in giro di notte? Si preoccuperebbero, no?”

Quando lo dico, abbassa lentamente lo sguardo, senza proferire parola. Le sue dita iniziano a tormentare gli angoli del quaderno. Un cambiamento talmente repentino da lasciarmi basito per un lungo istante. Devo aver detto qualcosa di sbagliato, vero? Non c'è altra spiegazione.

Sembra esitante nel parlarne, ma dopo una mia occhiata dubbiosa, semplicemente stringe le labbra e scuote la testa, come rifiutando un pensiero che le è arrivato alla mente. Solitamente, non è di certo il tipo di ragazza che ha remore nell'esprimere quello che pensa; anzi, gran parte dei nostri problemi quotidiani derivano dalla sua eccessiva scioltezza nei modi di fare e parlare, che si traducono molto spesso in avventate azioni in cui vengo trascinato mio malgrado. Le sue labbra si aprono appena, “Hai ragione. Niente caccia, allora,” lo dice in poco più di un sussurro, al punto che devo avvicinarmi a lei per udirla chiaramente.

Deve tenerci davvero tanto, ad andare a cercare questi Fuochi Fatui… Sono davvero poche le situazioni in cui l'ho vista in questo modo, ed è qualcosa che non riesco a sopportare, per qualche ragione. Forse perché sembra piegarsi tristemente su se stessa, quando questo accade, come chiudendosi ancora di più nel suo mondo senza nessuno ad aiutarla, una sensazione che conosco bene. Fin troppo bene. Quando hai la sindrome, è difficile che qualcuno possa ascoltarti, perché le persone si allontanano da te. Si rimane soli.

Ma lei non è sola, giusto? Non finché ci sono io.

Ben conscio del fatto che me ne pentirò amaramente quando giungerà il momento, le poggio una mano sulla testa, scompigliandole scherzosamente i capelli nel tentativo di tirarle su il morale, “Ascolta, Mana, possiamo andarci domani. Va bene?”solo per poi dover indietreggiare di colpo quando si alza in piedi di scatto; io muovo automaticamente un passo all'indietro, preso di sorpresa da questa improvvisa esplosione di vitalità, quando fino ad un secondo fa, seppur per lo spazio di un istante, è apparsa terribilmente abbattuta.

“Davvero?!” il bagliore nei suoi occhi è talmente entusiasta da farmi immediatamente pensare a cosa sto andando incontro, annuendo in risposta con un po' di esitazione, “Evviva! Sapevo che non avresti potuto resistere alla prospettiva della caccia. Il Nightmare Edge, dopotutto, deve annichilire le anime che si rifiutano di tornare nell'Abisso, è naturale che tu saresti andato a caccia di quei Fuochi.”

“...Lo avevi capito, eh?” il mio tono di voce suona poco convincente perfino a me stesso, ma Mana non sembra darci troppo peso, anzi, esattamente il contrario, sembra terribilmente entusiasta della mia risposta, al punto da iniziare a sfogliare febbrilmente il quaderno fino a trovare una pagina dove ha abbozzato un rapido schizzo dei Fuochi, indicandone la descrizione appena sotto.

“Nella nostra scuola ci dev'essere un mago di alto livello. Non c'è altra spiegazione. I Fuochi Fatui di quel tipo possono essere solo richiamati da un Arcimago Superiore ed il fatto che siano comparsi lì vicino...” Mana termina la sua spiegazione con un sorriso inquietante, “Qualcuno che ha saputo della Nuova Biblioteca. Non c'è altra spiegazione. Potrebbe essere un amico o un nemico inviato dall'Antico. Ma non temere,” salta in piedi sulla sedia, alzando il braccio in alto e aprendo il palmo della mano, in modo da rivelare chiaramente l'emblema sul dorso, mentre dalla sua bocca si alza un secco incantesimo di comando per scacciare la luce.

“Guarda che non puoi spegnere le luci cos—”

La luce della cucina, interrompendomi bruscamente, si spegne di colpo, lasciandoci entrambi nell'oscurità appena rischiarata dai lampioni all'esterno; e solo allora noto che il cerchio magico prende ad illuminarsi fiocamente di un vago colore bluastro, come pulsando in risposta alla magia scagliata da Mana. Non è possibile. Ci deve essere un trucco. Non c'è altra ragione.

“Ma come hai..?”

“L'Occhio Demoniaco è il più forte...” salta giù dalla sedia, il tatuaggio sul dorso che fiocamente le illumina il viso di un vago colore fosforescente, mentre si avvicina con uno sguardo terribilmente minaccioso. Improvvisamente, mi rendo conto di essere indietreggiato fino al muro. La mia schiena trova l'ostacolo del cemento e non posso far altro che rimanere congelato ad osservare Mana che si avvicina sempre di più, inesorabilmente, come se la realtà si stesse distorcendo attorno a lei. Una piccola, minuta bambola vendicatrice dai capelli corvini e gli occhi come pozzi d'oscurità. La pelle diafana illuminata dal riverbero flebile della sua magia.

“Mana...”

Nightmare Edge…

“Mana, il tuo tatuaggio.”

“Vuoi dire, il mio Cerchio Demoniaco.”

Non ho la forza di chiederle perché ogni cosa che le appartiene sia in qualche modo demoniaca. Probabilmente inventerebbe una lunga e contorta storia per ogni singolo manufatto. Piuttosto, il suo Cerchio Demoniaco, a quanto sembra, si sta staccando, come grattato definitivamente via.

Non dirmi che…

La mia mano scatta in avanti a stringerle il polso, senza che riesca a reagire minimamente. La strattono in avanti, tirandola contro di me, e i nostri visi si fermano a pochi centimetri l'uno dall'altro, al punto che posso sentire il suo respiro sulla mia pelle. Senza dire nulla, porto la mano che stringo nella mia vicino al viso, per analizzare il marchio.

Proprio come immaginavo… “Un tatuaggio temporaneo fosforescente?!” gemo, come colpito nello stomaco da un me stesso più razionale che mi dà dell'idiota per aver anche solo pensato per un secondo che stesse per accadere qualcosa, “Lo applichi ogni giorno?”

“Cosa stai dicendo? È impresso con il fuoco nella mia carne.”

“E allora perché posso grattarlo via?” chiedo, senza aspettarmi una vera risposta, e passandoci delicatamente un'unghia sopra; come mi aspettavo, una parte del tatuaggio viene via quando lo strappo in questo modo.

“Cosa stai facendo al mio Cerchio Demoniaco? La mia essenza!” come a voler sottolineare il dolore incredibile che le sto infliggendo in questo modo, inizia a gemere più forte, quasi che ad ogni frammento rimosso corrisponda uno squarcio inflittole non nel corpo, ma nell'anima; stringendosi il polso, si allontana di scatto da me, accovacciandosi a terra e lanciandomi un'occhiata ferita, come se l'avessi tradita, “Non me lo aspettavo da te, Nightmare Edge...”

“Scusami, scusami...” dico, mentre accendo la luce dall'interruttore principale… solo per accorgermi che non funziona. Non dirmi che si è fulminata? Effettivamente anche nei giorni precedenti non funzionava benissimo. Probabilmente dovrei cambiarla prima che arrivi mia madre. Ah, che sfortuna… se la magia funzionasse proprio come dice Mana, mi basterebbe una formula per ripararla. Ed invece, siamo al buio.

Il lampadario, dopo qualche esitazione, infine si accende, riportando la luce nella stanza e rivelando Mana che ha estratto una piccola bustina trasparente contenente un nuovo tatuaggio, visto che ormai quello attuale è irrimediabilmente rovinato.

“...”

Ignorando la lampadina beffarda che ha deciso di funzionare male nel momento meno opportuno, per farmi perdonare di averle rovinato il Cerchio Demoniaco, dico a Mana di venire al lavandino e, in qualche minuto, dopo aver applicato dell'acqua calda, il Marchio nuovo di zecca ha sostituito quello vecchio e strappato. Questa volta, sembra ricoperto di sottili venature rossastre, quindi immagino che si colori di rosso al buio… “C'è un modo per vederlo?” chiedo, ormai preso, mio malgrado, dalla curiosità. Mana sembra pensarci per qualche istante, prima di annuire, “Basta fargli ombra con le mani, no?”

Quindi mi ha porto la mano ed io mi sono poggiato su un ginocchio prendendola tra le mie, coprendola con le mie dita a coppa, in modo da lasciare solo lo spazio sufficiente per riuscire a vedere quale pallido riverbero emetta questo nuovo tatuaggio fosforescente.

“Bentornata alla Nuova Arcana Libreria dell'Eterna Oscurità, Hanako,” saluta improvvisamente Mana con tono estremamente velato, come se avesse appena ricevuto un ospite in qualche stanza segreta e mistica, quando in realtà siamo solo nella mia cucina. Una frase a cui non do troppo peso, così come non ho dato troppo peso alla porta che si apriva in fondo al corridoio, né a mia sorella appena entrata nella stanza, finché non la sento emettere un basso rumore simile un lungo respiro… prima di esplodere in un grido che si perde al di fuori della stanza, mentre corre all'ingresso, “Mamma! Mamma! Minato sta chiedendo a Mana di sposarlo!”

La lampadina si fulmina del tutto, lasciandoci di nuovo nel buio, chiudendo il sipario su questa serata.

 

Quando Mana scende da Abaste II, salutandolo con un ampio inchino estremamente rispettoso che ovviamente attira più di uno sguardo, nonostante ormai sia divenuto un rituale abituale al quale non faccio più caso, non ci dirigiamo subito verso l'aula; come le ho promesso ieri, infatti, oggi dovremo metterci a caccia di Fuochi Fatui. O meglio, di colui che li genera; il pensiero che nella nostra scuola vi possa essere un Arcimago non ha abbandonato la sua testa per tutta la serata. Dopo aver dovuto sopportare le battute di mia madre sul matrimonio e lo sguardo sospettoso di mia sorella, ci siamo ritirati in camera mia, dove Mana ha lanciato uno dei suoi incantesimi di allontanamento, tentando di mescolarlo ad uno di percezione dell'aura, perché a suo dire la conversazione era di vitale importanza. In breve, mentre lei ha passato quasi due ore nel creare una lista di ipotetici candidati, restringendola dopo lunghi e contorti ragionamenti basati su ipotesi e teorie senza alcun fondamento logico, io ho avuto il buon senso di finire gli esercizi che ci hanno assegnato per oggi – sia i miei che i suoi, visto che il pensiero di farli non ha attraversato minimamente la sua testa, ma alla fine si è trattato solo di copiare qualche frase di inglese. Ah, i vantaggi di frequentare la stessa classe…

Se n'è andata a casa ancora assorta nei suoi pensieri, dimenticandosi perfino il quaderno degli esercizi sulla mia scrivania. Mentre l'ho vista attraversare la strada fino al suo cancello, entrando poi a casa, ho notato ancora una volta come da lei tutte le luci fossero spente. Probabilmente i suoi genitori devono essere fuori per lavoro, e questo spiegherebbe anche il motivo per il quale Mana non abbia nemmeno avvisato nessuno del fatto che sarebbe rimasta da me. In realtà, non lo ha mai fatto, ma è qualcosa a cui non ho mai dato troppo peso, forse perché mi sembra sempre che non abbia problemi nello stare a casa mia senza avvertire; deve essere dura avere dei genitori che non sono molto presenti per via dei loro impegni. Io ne so qualcosa.

Per strada, poco fa, ha continuato a parlare di come abbia lavorato per tutta la notte ai preparativi sulla ricerca, e a testimoniarlo ci sono le sue piccole, appena accennate occhiaie, il segno di una nottata movimentata, ma certo non sufficiente a sfinirla davvero. Ho tentato inutilmente di persuaderla, ma ha continuato ad insistere nel dover disporre per la scuola diverse sentinelle arcane – spiriti di energia, invisibili all'occhio comune, e che solo lei può osservare grazie al potere dell'Occhio Demoniaco. Per questa ragione, dopo avermi salutato frettolosamente, è già corsa via, diretta chissà dove a borbottare formule magiche e ad attirare sussurri dubbiosi ed occhiate curiose. Mi dispiace per lei, ma non credo di riuscire a reggere il suo ritmo, non a quest'ora della mattina. Inoltre, sono ancora preoccupato per Nao e per la reazione che ha avuto ieri dopo aver litigato con Kazuhiro, perciò voglio arrivare in classe il prima possibile.

Mi piego a chiudere il lucchetto della bicicletta, sotto al sole mattutino che rischiara l'aria di questo venerdì, scaldandola piacevolmente del tepore che segna l'avvicinarsi di Maggio e, con esso, anche gli esami di metà trimestre. Mi chiedo se Mana si stia effettivamente preparando; per quanto possa vivere nel suo mondo d'immaginazione, non è talmente distaccata dalla realtà da dimenticarsene o da ignorarli. Anche se, passando con lei la maggior parte del tempo, non l'ho ancora vista effettivamente tentare nemmeno lontanamente di studiare, il fatto che fino ad ora i professori non le abbiano posto domande a cui non avesse risposta mi fa sperare.

Preso come sono dalle mie riflessioni e dall'urgenza di incontrare Nao per parlarle di ieri, non presto abbastanza attenzione a dove vado; dopotutto, essendo abbastanza presto, non sono molti gli studenti che si aggirano per la scuola infatti giunto nel cortile lo trovo deserto, senza nessun altro oltre a me, quindi affondo le mani in tasca e mi perdo nuovamente nei miei pensieri mentre lo attraverso senza nemmeno guardarmi attorno.

Poi, l'ombra al limitare del mio campo visivo, che è come se apparisse di colpo di fronte a me solo con lo scopo di urtarmi; alzo la testa per riacquistare controllo su me stesso un secondo troppo tardi. Non so contro chi sono andato a sbattere, ma il dolore al ginocchio che è andato ad urtare contro le mattonelle è più che sufficiente a farmi capire che non è stato un semplice urtarsi; abbiamo perso l'equilibrio e nonostante il mio pessimo tentativo di rimanere in piedi agitando le braccia come a voler afferrare qualcosa che non c'è, solo per poi stringere nulla più che aria tra le dita, siamo finiti entrambi a terra con un sonoro tonfo. Massaggiandomi il sedere sul quale sono caduto sonoramente scivolando all'indietro, in una scena che sarebbe stata decisamente più imbarazzante se vi fossero stati spettatori, e per questo ringrazio mentalmente la mia urgenza di correre in classe, mi ritrovo a terra con le borse aperte ed il loro contenuto sparso, sul selciato del cortile. Senza alzare lo sguardo del tutto, solo le sottili gambe femminili della ragazza con cui sono andato ad urtare appaiono nel mio campo visivo; mentre riacquisto abbastanza lucidità da parlare, inizio a scusarmi con la povera vittima della mia disattenzione, “—Oh, scusami non stavo guardando e...” Solo per essere interrotto a metà da una voce familiare, “Dovresti fare più attenzione, Minato.”

“Hitomi?” sorprendentemente, la ragazza contro cui mi sono scontrato è effettivamente Hitomi Mori. Accettando la mano che le tendo, la mia compagna di classe si rimette in piedi, lisciandosi la gonna dell'uniforme con qualche rapido colpetto, prima di ricambiare il mio sguardo contrito con un'occhiata di scherzoso rimprovero, “Andare a sbattere contro una ragazza, sei proprio pessimo.”

“Non sono molto presente, oggi,” tento pallidamente di giustificarmi, mentre mi chino sui talloni a raccogliere i quaderni sparsi a terra, ficcandoli distrattamente nella borsa senza prestare troppa attenzione.

“Sei preoccupato per qualcosa? Fammi indovinare – si tratta di Watanabe, vero? Vero?”

Probabilmente il mio silenzio ed il mio abbassare di colpo lo sguardo per rifuggire al suo indagatore, che ha visto attraverso di me come se fossi un libro aperto, è una risposta che vale più di qualsiasi parola, perché batte le mani deliziata dal suo stesso acume, mentre un sorriso malizioso le dipinge il volto.

Riprendiamo la strada insieme, dopo aver rimesso a posto tutti i libri ed aver poggiato nuovamente gli zaini in spalla; attraversiamo il cortile, questa volta senza intoppi, ed incrociamo anche alcuni studenti che ormai stanno iniziando ad arrivare. Mancano appena dieci minuti all'inizio della Homeroom, quindi il mio piano di arrivare prima non è ancora del tutto sfumato, seppure probabilmente non avrò l'occasione di fermarla per parlare in disparte prima della pausa mattutina.

Siccome è ancora presto, Hitomi insiste per fermarsi al distributore automatico in fondo al corridoio, riuscendo perfino ad estorcermi un caffè in lattina con la scusa di rimediare allo scontro di qualche minuto fa; non riesco a dirle di no, un po' per la consapevolezza del fatto che, effettivamente, ha ragione, un po' perché probabilmente nessuno riuscirebbe a negarle qualcosa quando chiede con quello sguardo talmente intenso da poter sciogliere il cuore come fuoco. Probabilmente Mana direbbe qualcosa su una magia di coercizione, ma da persona razionale la risposta è che, semplicemente, Hitomi Mori è troppo abbagliante nella sua bellezza e nei suoi modi di fare per riuscire a negarle qualcosa. Noi ragazzi siamo estremamente più deboli a questa sua sorta di aura.

Si siede sul gradino della scalinata di sicurezza, nonostante vada contro le regole sostarvici sopra, ma sembra abbastanza sicura che nessuno verrà a disturbarci. La leggera brezza che si è alzata a smuovere l'aria immobile di questa giornata fa ondeggiare i suoi lunghi capelli castani al vento, e la luce del sole già alto si riflette sulla sua figura ad avvolgerla in quella che sembra quasi un'aura palpitante – abbastanza da strapparmi per un lungo istante il fiato dal petto.

Normalmente, Hitomi è una ragazza che tiene a distanza gli altri, pur avendoli attorno. La sua bellezza è associata alla sua lingua tagliente che addolcisce con un modo di fare all'apparenza perfino innocente; ma ho capito chiaramente che si tratta di qualcosa di costruito. Eppure, nonostante questo, nonostante da quel giorno mi ritrovi ogni tanto a parlarle o ad averla attorno, non riesco ancora a capirla. Nessuno riesce a farlo. È una ragazza estremamente criptica e forse terribilmente calcolatrice… eppure, allo stesso tempo, sembra avere un lato di sé che ho appena percepito. Che posso vedere ora, ora che se sta seduta a sorseggiare caffè amaro e acquoso preso da una macchinetta malconcia, in una mattina di scuola mentre sento ancora la fronte e il ginocchio dolermi, seduti entrambi sulle scale antincendio di ferro; in questo istante, con la lattina poggiata alle labbra e le ginocchia raccolte al petto, lo sguardo perso nell'infinità del cielo, vedo chiaramente per la prima volta Hitomi Mori.

Quando si accorge che la sto osservando intensamente, solleva gli angoli della bocca in un ghigno e si gira verso di me a colpirmi leggermente in mezzo alla fronte con la fredda lattina, “Cos'hai da guardare? Non dirmi che ti ho lasciato senza fiato?” chiede scherzosamente, ritornando velocemente nel suo personaggio, inclinando la testa lateralmente, poggiandola sulle ginocchia, “Sei davvero senza speranza, Minato.”

“C-cosa stai dicendo?” peccato che le parole non rispecchino la mia reazione, perché il mio viso avvampa di colpo, e sento il rossore salire bruciante fino alle guance, mentre lei si lascia scappare una risata divertita, “Stavo solo scherzando.”

Piega la schiena all'indietro, la testa rivolta al cielo ed i gomiti ben piantati a sorreggersi, senza guardare nulla in particolare se non le nuvole bianche che scorrono faticosamente sulla striscia di cielo al di sopra di noi. Per un lungo istante, è come se stesse riflettendo su qualcosa da dire – per poi alzarsi in piedi per gettare la lattina scagliandola con un debole tiro che la manda inevitabilmente a cadere a terra.

“Dimmi una cosa,” non si volta, mentre parla, si piega meramente a raccogliere la lattina per gettarla tristemente nel cestino senza tentare nuovamente di centrarlo, “Perché fai tutto questo—?”

“Mh?”

“Per Maeda. Non è una situazione facile, la tua. Devi sempre starle accanto, aiutarla e venire poi costantemente frainteso ed associato a lei. Come fai? Perché lo fai?”

È una domanda a cui non ho una vera risposta. Forse perché, fin dal primo momento in cui mi ha parlato in classe, mi è sembrata… sperduta. Terribilmente sola, senza nessuno ad aiutarla. Forse perché mi ha ricordato me stesso. Perché l'ho vista credere tanto profondamente in tutto quello che dice ed immagina.

Perché..? Non so davvero cosa dirle. “Sono solo preoccupato per lei, ecco tutto,” rispondo senza pensarci particolarmente, come se fosse la risposta più ovvia, “Da sola combinerebbe molti più guai di quanto non faccia già, perché non si rende conto di quello che la circonda. Forse proprio per questo,” sorrido, pensando a tutte le sue idee folli e ai suoi interminabili discorsi, “è così incredibile. Può suonare strano, ma voglio aiutarla in qualunque modo – perché altrimenti, rimarrebbe sola.”

Non riesco a vederla in viso, dato che mi dà le spalle, ma sembra quasi che la sua schiena si sia irrigidita leggermente.

La campanella interrompe il nostro discorso, squarciando la quiete del mattino ed il brusio degli studenti con il suo tintinnare imperioso, richiamandoci di corsa nella nostra aula.

Quindi, senza perdere tempo, corriamo a perdifiato fino in classe, entrando appena in tempo, con il fiatone e l'aria esausta, esattamente qualche istante prima che il professor Mikuni apra il registro. Il suo sguardo sbalordito non è l'unico a calamitarsi su di noi – tutta la classe non può che osservarci con un misto di curiosità e sospetto, a cui segue qualche rapido scambio di battute, commenti sussurrati che non riesco a distinguere. I miei occhi si muovono automaticamente verso il banco di Nao… che anche oggi è vuoto. Mi mordo il labbro, mentre vado a posto, rispondendo rapidamente ad un'occhiata interrogativa di Mana con un gesto della mano, facendole capire che è tutto ok.

Makoto, com'era prevedibile, non la vuole smettere di parlare concitatamente, sparando una raffica di domande degne di una mitragliatrice sul perché io e Hitomi siamo arrivati in classe insieme ed in ritardo. Solo ora realizzo il perché di tutti gli sguardi sospettosi e curiosi che gli altri ci hanno rivolto, quando in realtà non stavamo facendo nulla di strano, a meno che sedersi sulle scale antincendio non sia motivo di scandalo. Lei lo ha capito?

Ignorando tutte le domande del mio amico, incrocio lo sguardo di Hitomi, che mi risponde con un segno della pace ed un sorriso sardonico, quasi beffardo. Chiaramente, non solo sembra aver percepito le reazioni degli altri, ma non sembra le importi particolarmente. Ma io, al contrario di lei, sono già stato vittima di un numero abbastanza elevato di dicerie e non ho ancora del tutto smaltito l'imbarazzo della situazione che lei stessa ha deliberatamente creato qualche settimana fa.

Come in risposta ai miei pensieri, unisce le mani in un gesto di preghiera e piega la testa lateralmente, muovendo le labbra in una silenziosa frase che leggo faticosamente attraverso la classe, “Mi dispiace.”

Sospiro.

No, non ti dispiace per niente.

 

Non so esattamente come spiegarlo.

Quando l'ho intravisto, in fondo allo zaino, sono sbiancato di colpo, pensando che, per qualche ragione, Mana avesse frugato nello sgabuzzino di casa mia e lo avesse infilato di nascosto tra gli altri quaderni. Solo dopo ho realizzato, osservandone lo spessore, che non si trattava di un quaderno, né tanto meno delle mie note risalenti al periodo in cui ero il Nightmare Edge. Durante l'intervallo tra la seconda e la terza ora, quando me ne sono accorto, l'ho estratto cautamente controllando che non vi fosse nessuno a prestarmi più attenzione del dovuto. Accertatomene, l'ho poggiato con circospezione sulle ginocchia e la mia bocca si è storta verso il basso, mentre la mia intera espressione dev'essere cambiata di colpo, perché dall'altra parte dell'aula Haruhiko mi ha chiesto se tutto andasse bene.

Quello che anche ora ho tra le mani, seduto su una delle panchine disposte nel cortile interno della scuola, è un vero e proprio voluminoso tomo rilegato con cura da mano esperta; il suo dorso è stato opportunamente lavorato in modo da apparire come di pelle antica se osservato in una libreria, ed la copertina invece è ricoperta di un linguaggio che non riesco a tradurre, un sistema basato su caratteri latini e runici probabilmente inventato dal possessore del libro. Come sia finito nel mio zaino, è un mistero; quando a pranzo ho chiesto a Mana se per caso avesse qualcosa di simile, ha scosso la testa, ma si è infervorata quando le ho mostrato il contenuto, dicendo che senza dubbio si tratta del libro dell'Arcimago che sta cercando. Le sue “trappole”, come prevedibile, non hanno sortito alcun effetto, se non far sorgere qualche domanda tra tutti gli studenti che si sono accorti di post-it con impresse formule magiche sparsi per la scuola; tuttavia, ha insistito per tutto il giorno che non si è trattato di un suo errore, bensì di una strategia del mago.

“Probabilmente sta utilizzando qualche incantesimo di mimetizzazione, per evitare di essere scoperto; è eccezionalmente furbo e potente, ma L'Occhio Demoniaco...”

“Sì, sì, è il più forte,” ho risposto, senza prestarle troppa attenzione, preso come sono stato nel tentativo di indovinare la storia dietro a questo volume, chi sia questo “Arcimago” se così possiamo chiamarlo, e sopratutto perché io possiedo questo libro. Dopo, l'ho mostrato agli altri per un secondo, riuscendo ad evitare che facessero domane spacciandolo per un eccentrico taccuino di storie horror e gotiche; mentre eravamo tutti radunati lì intorno, con Mana che impazientemente ne divorava ogni riga, Hitomi è venuta a prendermi da parte. Neanche a dirlo, Makoto mi ha lanciato un'occhiata di sottecchi che sembrava abbastanza tagliente da ferirmi, ma l'ho ignorato ed ho lasciato che lei mi portasse al suo banco.

Era terribilmente pallida, e mi ha chiesto se per caso non avessi trovato qualcosa di suo in classe. Probabilmente ha perso un bracciale o una collana, ma le ho risposto di no ed è partita immediatamente alla ricerca di questo fantomatico accessorio; le ho suggerito il cortile, dove ci siamo scontrati, ma non credo mi abbia sentito, visto e considerato con che velocità è sparita.

Rientrata in classe, le ho chiesto se avesse trovato quel che cercava, ma lei ha scosso la testa ed ha cambiato immediatamente argomento, chiedendomi di cosa stessi parlando oggi con gli altri in maniera così concitata. È stato allora che le ho mostrato il libro, chiedendole se ne sapesse qualcosa, ma lei, bianca com'era dalla preoccupazione, ha scosso la testa; quando è suonata la campanella, aveva gli occhi sbarrati, puntati verso di me, come se cercasse qualcosa, probabilmente persa nei suoi ragionamenti.

Mana mi ha riferito, poi, che Hitomi si è aggirata intorno al mio banco cercandomi per qualche motivo, ma a quel punto lei se n'era già andata, tornando probabilmente a casa sconsolata dai vuoti risultati della sua ricerca; quindi, con il tomo sempre ben stretto, assorbito dall'aria misteriosa che lo circonda, mi sono messo ad aspettare che la mia compagna finisca il suo lavoro di sostituzione dei simboli sparsi per l'edificio.

“Quanto ci sta mettendo...” sussurro, carezzando la copertina del tomo distrattamente. Deve staccare tutti i post-it che ha sparso per la scuola, e non posso certo lasciarla sola, ma potrebbe almeno sbrigarsi; immagino stia tentando di lanciare qualche nuovo incantesimo. L'orologio posto appena sopra alla porta d'ingresso indica che sono le tre del pomeriggio, le lezioni sono terminate da un quarto d'ora; normalmente, staremmo arrivando ora davanti al cancello delle nostre rispettive abitazioni, ma il fallimento della sua strategia è stato un duro colpo per lei ed ha deciso di strappare via quei sigilli inutili. Che questo comprendesse anche il crearne di nuovi, avrei dovuto quanto meno immaginarlo, ma non l'ho minimamente tenuto in conto, preso come ero dal mio rimuginare su questo libro comparso nel mio zaino.

In tutta la scuola, che io sappia, ci sono solo due persone che potrebbero averne uno, io e Mana, e non appartiene né a me né a lei. Possibile che ci sia un altro studente che è stato affetto dalla sindrome? Anche se fosse, non capisco in quale modo una cosa talmente imbarazzante sia finita nella mia borsa. Sarebbe tutto più semplice se mi limitassi ad aprirlo e provassi a leggerne qualche pagina, tuttavia il solo atto mi sembra quasi un insulto al suo possessore. Avendo avuto, al mio tempo, una raccolta di note simili, so benissimo quante cose potenzialmente pericolose per la propria reputazione ed autostima contenga.

“Ma così non andrò da nessuna parte… Perdonami, chiunque tu sia,” le mie parole vengono accolte solo da un solitario soffiare di brezza calda, quasi afosa, che preannuncia l'avvicinarsi della fine del mese e l'inizio di giugno, e gli esami di metà trimestre; dopo qualche istante di religioso silenzio, preso il coraggio a due mani, stringo la copertina rigida e cautamente, come se potesse da un secondo all'altro prendere vita ed azzannarmi il volto, lo apro sulla prima pagina dove, come previsto, campeggia il nome del libro, lo stesso della copertina ed anch'esso vergato nello stesso strano alfabeto. Appena sotto, più piccolo, il nome del suo autore; o meglio, lo pseudonimo che ha adottato nell'universo alternativo della sua immaginazione. La calligrafia estremamente elegante è quasi familiare, come se non fosse la prima volta che la vedo, ma deve trattarsi di una qualche strana coincidenza.

“Mmmh… Steel Maiden, Mo—

“NOOOOOO!”

L'urlo di disperazione mi coglie di sorpresa. Mi alzo in piedi di scatto, chiudendo il libro con un colpo secco della mano, guardandomi attorno con il cuore che batte senza fermarsi quasi volesse schizzarmi fuori dal petto. Gli occhi sbarrati non riescono a trovare nulla di insolito, scandagliando il cortile, eppure questo urlo disperato veniva proprio da qui, l'ho sentito con troppa chiarezza per essermi sbagliato. Ci deve essere assolutamente qualcuno qui intorno. Sembrava un grido di dolore e disperazione, come se avessero colpito una persona – no, una ragazza, dritta al cuore, strappandole quel lungo ululato di sofferenza terribile. Come se stessero trucidando qualcuno, proprio come nelle storie dell'orrore. Con la differenza che questa è la realtà, e siamo in pieno giorno, nel mezzo della scuola, non è assolutamente possibile; stare troppo con Mana mi ha portato a formulare ipotesi del tutto distaccate dalla realtà. Ma quindi, chi potrebbe aver mai...

“—finito, è finito, è tutto finito...”

Ed è solo ora, abbassando gradualmente lo sguardo che ho sempre tenuto alto, facendolo scorrere con circospezione verso il selciato dal quale proviene il singhiozzare di una persona, che finalmente trovo l'origine di quell'urlo tanto improvviso quanto trapanante che mi ha fatto sobbalzare, strappandomi un battito e mettendomi in allarme.

Davanti a me, in ginocchio e con la testa abbassata come sconfitta, le spalle piegate debolmente, tremanti, e la bocca che si muove in un basso, continuo sussurro carico di disperazione, come in una bassa litania dal timbro terribilmente cupo, Hitomi Mori sembra totalmente svuotata.

“H-Hitomi..? Stai ben—” non appena mi chino su di lei, la sua mano scatta ad afferrare il libro, strappandomelo dalle mani con un movimento terribilmente rapido, lasciandomi nello spazio di un battito di ciglia senz'altro che aria in mano. Completamente attonito, non posso che muovere un passo all'indietro spaventato da quell'improvviso movimento, finendo inevitabilmente per incontrare la panchina; riesco a stento a mantenere l'equilibrio, prima che lei si alzi in piedi e mi lanci uno sguardo penetrante attraverso gli occhi chiari, quasi volesse trapassarmi da parte a parte solo per aver commesso un peccato del quale non sono consapevole.

“Lo hai letto, non è vero? Non mentire, ti ho sentito mentre lo facevi! Ti ho sentito!” sussurra, con aria minacciosa, stringendo con rabbia il libro, tirandolo talmente forte per le estremità da produrre un sinistro rumore di qualcosa che si strappa. La sua intera figura vibra mentre si morde il labbro con forza.

E solo ora capisco, riesco a mettere insieme i tasselli del puzzle. Hitomi che mi parla di un'amica con la sindrome dalla quale si è allontana dopo essere cresciuta, lo scontro in cortile di questa mattina, io che metto i libri nello zaino senza fare attenzione e lei che cerca un oggetto misterioso, perso proprio in cortile, per poi sbiancare vedendolo nelle mie mani, arrivando al punto di ispezionare il mio banco per riuscire a prenderlo. Ma è arrivata troppo tardi – ormai ho letto il nome che sta accanto al soprannome che si è data. La sua reazione non è che una conferma: Steel Maiden, Hitomi Mori.

“Scusami...” provo a dire, tendendo la mano a fermarla prima che possa saltarmi addosso con la sua furia omicida. Questo è un lato di Hitomi che non ho mai visto, come probabilmente chiunque altro, e che non avrei mai sospettato potesse esistere. Una Hitomi Mori che, vittima della sindrome di seconda media, tenta di ricostruirsi un'immagine alle scuole superiori, disposta a tutto pur di difendere il suo segreto. Esattamente come me. Non siamo molto diversi in questo aspetto, entrambi volenterosi di iniziare di nuovo; eppure, il fatto che avesse questo libro tra i suoi è come un segno, una testimonianza del fatto che, in qualche modo, non sembra esserne uscita del tutto.

“Se provi a parlarne con qualcuno, giuro che ti lancerò contro i miei Fuochi Fatui,” un secondo dopo aver ringhiato questa minaccia, come realizzando cosa ha detto con le sue stesse labbra, se le tappa con entrambe le mani, iniziando ad emettere una specie di piagnucolio, raccogliendosi su se stessa, seduta sulla panchina.

Per quanto ora mi appaia così, non posso negare che mi spaventi; assomiglia terribilmente ad un demone impazzito, di quelli che adoravo combattere nella mia immaginazione e che Mana mi ha descritto meticolosamente qualche giorno fa. Alla fine, aveva ragione lei, c'era davvero una sorta di Arcimago che evoca Fuochi Fatui… anche se, sicuramente, non si tratta che di una coincidenza di qualche tipo.

“Ascolta, Hitomi, non lo dirò a nessuno, va bene? Sappi che io ti capisco. Ti capisco… meglio di chiunque altro.”

Alza la testa affondata sulle ginocchia, gettandomi una occhiata circospetta, come se stesse soppesando se si tratti di una qualche sorta di trappola, prima di abbassare la guardia e sedersi normalmente, poggiando il libro sulla minigonna a scacchi, “Cosa intendi?”

Sospiro profondamente, inspirando e gettando fuori talmente tanta aria da poter generare un uragano, perché so benissimo quanto me ne pentirò, ancora una volta, e quanto sarà doloroso per me stesso, ancora una volta.

“Anche io…” prendo fiato, “Ho avuto la sindrome di seconda media,” mi alzo in piedi, abbassando la testa e posizionandomi di fronte a lei. Sento già il viso arrossarsi nel momento in cui stendo il braccio destro verso l'esterno, stringendo la mano attorno all'impugnatura di una spada che solo io posso vedere, frutto della mia immaginazione, estraendola da un portale di oscurità formatosi proprio al mio fianco, “Dalle Tenebre Profonde dell'Abisso, spalanco le mie ali. Zafkiel è la sinistra, Azaziel è la destra, e portano l'ultimo respiro sulle ossa dei miei nemici. Attraverso l'infinito luogo dove tutto inizia e tutto finisce, richiamo la Black Zagan e asserisco il mio dominio sulla Morte!” alzo lo sguardo, incrociando il suo, le guance in fiamme per l'imbarazzo di questo teatrino e affondo le mani nelle tasche, “O qualcosa di simile… quindi, ecco, sappi che i—”

Senza alcun ritegno per me o per il sacrificio che ho appena compiuto per lei, Hitomi scoppia in una fragorosa risata, stringendosi lo stomaco dolorante dal ridere, piegandosi addirittura su se stessa, mentre tenta di ricomporsi inutilmente con un debole, “Scusami, scusami...” Si asciuga le lacrime, prima di rivolgermi un ampio sorriso, “Ecco perché tu e Maeda andate così d'accordo. Tu sei stato come lei. La capisci.”

“Già… a volte, guardandola, mi sembra di rivedere il me stesso di due anni fa,” dico, tornando a sedermi accanto a lei, “Piuttosto, perché ti sei portata dietro quel libro? Non è imbarazzante averlo con te?”

“Potrebbe suonare stupido, ma è una sorta di memento.”

“Non dovrebbe essere il contrario? Non vuoi dimenticare?” è questo che vogliamo, dimenticare per iniziare da capo, lasciandoci alle spalle questo passato oscuro, seppellendolo lontano dove nessuno lo possa trovare di nuovo, in uno sgabuzzino dove nessuno possa più entrare, dove la polvere ricoprirà oggetti e memorie. Ma Hitomi ha un'espressione malinconica, mentre passa il dito sul nome che ha vergato lei stessa con quella calligrafia che mi era sembrato di aver già visto, “Volevo salutare un'amica per l'ultima volta.”

Quando alzo gli occhi, Mana mi sta chiamando agitando le braccia in aria con gran vigore, sventolando un blocchetto di post-it ormai terminato, consumato per spargere nuovi cerchi magici per tutta la scuola.

Sorrido, alzandomi in piedi.

“Capisco.”

 

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Capitolo 6
*** 「Chapter 5 – Under those scary eyes」 ***


Chapter 5 Under those scary eyes

 

Anche oggi, un banco in prima fila è tristemente lasciato vuoto. La finestra accanto ad esso, aperta, lascia entrare una leggera brezza che muoveva l'aria afosa, ad annunciare l'avvicinarsi delle vacanze estive, ma sopratutto del terribile ostacolo che si frappone tra noi, la bestia nera che ha terribilmente assunto l'aspetto che un tempo davo ai miei nemici immaginari più potenti, una creatura dalle molteplici teste: il test di metà trimestre. Questo terribile spauracchio che incombe su di noi ci spinge a studiare ad un ritmo che, fino ad ora, non ho mai sperimentato, qualcosa di completamente nuovo; tento in tutti i modi di evitare lo stress eccessivo di intere giornate passate chino sui libri, e fino ad ora sono riuscito a non perdere la mia razionalità, ma non so per quanto riuscirò ancora a resistere al ritmo estenuante che stanno prendendo le mie giornate. Sempre più compagni di classe arrivano con facce stravolte dal sonno e gli occhi cerchiati, segnati da uno studio a dir poco disperato, mentre il tempo inizia a stringere, ed io non sono da meno: ho strappato tempo prezioso al sonno e meno prezioso a quello trascorso con Mana per riuscire a prepararmi decentemente alla sfida che verrà.

Se da una parte, la situazione per la maggior parte di noi sembra diventare più critica ogni giorno che passa, le persone che sembrano immuni a questo clima sono poche.

Non c'è nemmeno bisogno di dire che Mana è una tra queste. Anzi, probabilmente tra tutti noi è quella che sta prendendo più alla leggera l'intera situazione, perché vivendo nel suo mondo di immaginazione, crede che tutto questo non sia che l'ennesimo attacco psicologico orchestrato dall'Antico per assalire le nostre deboli menti mentre siamo rinchiusi nella Nebbia; convinta com'è che il suo Occhio Demoniaco le permetta di trascendere i limiti della realtà, non è minimamente preoccupata di qualsiasi prova che le possano mettere contro. Non so se ammirare questa sua totale fedeltà alla sindrome di seconda media, oppure preoccuparmi terribilmente dei suoi risultati, visto che fino ad ora, quando è venuta a casa mia, non sono riuscito nemmeno a studiare una sola pagina, ritrovandomi seduto alla scrivania a esercizi quando il cielo fuori si sta già tingendo delle prime chiazze di oscurità, fino a che non devo accendere la lampada da tavolo per poter continuare. Mia madre mi ha chiesto se forse non sto esagerando, e se invece al contrario Mana non stia prendendo tutto abbastanza seriamente, ma io ho risposto con una scrollata di spalle, “Cercherò di convincerla a studiare,” l'ho rassicurata, senza troppa convinzione. È una battaglia già definitivamente persa in partenza.

Makoto è, come prevedibile, refrattario all'atmosfera quasi quanto Mana. Se non fosse per la pazienza immensa di Haruhiko, che gestisce il tempo di studio di entrambi, credo che probabilmente riuscirebbe a fare peggio perfino di lei. Quando siamo usciti da scuola, ieri, Haruhiko lo ha trascinato di peso in biblioteca con una rapidità a dir poco fulminea. In breve, Makoto, al suono della campanella, è letteralmente volato fuori dall'aula come se avesse già preparato ogni cosa nei minimi dettagli, passando sotto il naso di un atterrito Haru; non abbiamo potuto far altro che osservarlo mentre sgusciava via con uno scatto attraverso il corridoio, gettandosi sulle scale antincendio. Sono sicuro che abbia studiato questo piano di fuga a lungo, con la sua solita precisione maniacale, una qualità ammirabile se non l'applicasse solo a cose futili come improbabili piani di fuga. Prima ancora che potessi voltarmi verso Haruhiko, con la bocca aperta a metà per lo stupore, a chiedergli cosa stesse accadendo, una sorta di tifone mi è passato al fianco, partendo dalle mie spalle, e il rappresentante di classe si è lanciato in un folle inseguimento, come un lampo che è sparito davanti ai miei occhi in un secondo.

Morale della storia – Haruhiko è riuscito ad afferrare Makoto per il colletto, da dietro, nel momento stesso in cui lui giungeva in fondo alla rampa di scale. Mentirei se dicessi di non aver quasi provato pena, vedendolo pregarmi di liberarlo dalla presa ferrea del suo amico d'infanzia, mentre lo trascinava a studiare. L'unica cosa che ho potuto fare, è stata poggiarmi la mano al petto e, puntato lo sguardo verso di lui, rivolgergli l'estremo saluto al suono di un solenne “Buono studio,” al quale Haru ha risposto con un cenno della mano e Makoto con un lungo, disperato gemito di dolore.

L'altra persona che non appare eccessivamente provata, è Hitomi. Haru mi ha assicurato che i suoi voti in graduatoria sono estremamente alti; non so se questo dipenda da un suo talento naturale, o se da uno studio intenso, tuttavia non appare diversa dal solito. Certo, ora sbadiglia molto più spesso del solito, sempre con la massima attenzione in modo da trasformare anche quel riflesso di stanchezza in un gesto studiato nei minimi dettagli. Ora che conosco la verità su di lei, su quella sorta di nostalgia che prova per quell'amica che ha abbandonato, l'unica che avesse avuto ai tempi della sindrome, riesco a capirla decisamente meglio, perfino nei suoi gesti, e scrutare attraverso la sua personalità. Non è del tutto costruita, ma gran parte del modo in cui si rivolge agli altri, ignari, è la dimostrazione che sta nascondendo a tutti il suo passato, esattamente come me. Fin dall'inizio, fin da quel giorno nel cortile esterno della scuola, quando è venuta a chiedermi scusa, il suo comportamento verso di me è cambiato – ed ora che sono a conoscenza del suo segreto, posso vantarmi di essere probabilmente l'unica persona che ne conosce questo lato. Sempre che questo possa essere considerato un merito, visto come sono andate le cose. Oltretutto, dato che anche lei conosce i miei precedenti allo stesso modo, direi che siamo pari.

In quest'aria di tensione, con il calore degli ultimi giorni che si sta facendo insopportabile, al punto che perfino pedalare fino a scuola è divenuto una sofferenza, Nao è ancora assente. Oggi è il quarto giorno che non si presenta a scuola, e se ero preoccupato all'inizio, ora non posso che fissare la sua sedia abbandonata, con il mento poggiato sul palmo della mano. Vedere il suo posto vuoto appare terribilmente sbagliato; non tanto per il fatto che lei sia la rappresentante di classe, o una studentessa impeccabile, quanto perché ogni volta che il mio sguardo vi cade sopra, rivivo il momento in cui si è alzata per andare a discutere con Kazuhiro, una scena talmente irreale ed inaspettata da lasciare tutti senza parole, come pietrificati. Fino ad un momento prima, stavamo ridendo senza alcuna preoccupazione, ed il momento dopo quel diverbio tra i due è scoccato come una scintilla furiosa che per quel singolo istante ha distrutto l'immagine della Nao sempre sorridente e solare, rivelando invece un volto disperato ed incupito, mentre tentava di parlare con lui senza ottenere nulla, se non una risposta a mezza bocca sussurrata con quella che sembrava quasi irritazione.

Da quel momento, Nao non è venuta a scuola. Haru mi ha fatto sapere che lei stessa ha chiamato il professor Mikuni per avvertirlo di una leggera forma di febbre, rassicurandolo sul fatto che tornerà senza dubbio in tempo per sostenere gli esami. Ovviamente, Mikuni non ha potuto fare altro se non assentire, anche perché nessuno dubiterebbe mai delle parole di una ragazza come lei.

Ed in tutto questo, Kazuhiro è uscito dalla classe anche oggi…

“Dovresti davvero toglierti quel broncio, non aiuta certo a migliorare la tua faccia, sai?”

La sedia davanti al mio banco viene spostata per fare spazio ad Hitomi, che, sedutasi, poggia i gomiti sul banco, inclinando appena la testa per rivolgermi un sorriso di scherno quando distolgo immediatamente lo sguardo dal banco di Nao per portarlo su di lei; non abbastanza in fretta, tuttavia, per sfuggire ad un commento pungente, “Se continuerai a fissarlo, lo consumerai.”

“Sono già quattro giorni che non si fa viva,” rispondo seccamente, come se bastasse a giustificarmi, ma allo stesso tempo non posso che abbassare gli occhi ed arrossire leggermente, “è normale che mi preoccupi, no?”

“Dovresti pensare ai tuoi esami, ora. Watanabe starà bene, è solo un litigio,” si sporge leggermente verso di me, gli occhi socchiusi come a volermi trapassare da parte a parte solo con la forza del suo sguardo, nel quale noto una certa luce di divertimento.

“Se fosse solo un litigio, sarebbe tornata a scuola prima...” sospiro, scacciando via i pensieri di Nao dalla testa, e torno a concentrarmi sul quaderno che ho aperto sotto agli occhi, dove una fitta pagina di appunti di letteratura inglese è sottolineata solo fino a metà. Picchietto la penna sul punto in cui sono fermo, inarcando le sopracciglia, nel tentativo di riuscire a tradurre la frase che ho sotto agli occhi senza troppo successo; dopo qualche inutile tentativo, Hitomi si lascia scappare una risatina divertita, ma ho abbastanza buon senso da ignorarla e alzare la testa a cercare Haru, ma dopo una veloce occhiata alla classe non mi sembra di scorgerne la figura da qualche parte. “Makoto, dov'è Haruhiko?” chiedo, voltandomi verso il mio amico che, sdraiato sul banco, sonnecchia camminando sul sottile confine che divide il sonno dalla veglia e dal quale riesce a gorgogliare una risposta comprensibile solo dopo un paio di tentativi, “Dal professor Mikuni, per discutere di non so che cosa...”

Avrei dovuto immaginarlo. Dopotutto, Haruhiko non ha bisogno di mettersi sui libri anche a scuola, durante l'ora di studio libero, e le sue incombenze di rappresentante di classe si sono fatte maggiori nel momento in cui Nao è rimasta a casa. E con lui, sfuma anche la mia ultima possibilità di riuscire a capire qualcosa di questo testo di inglese prima del suono della campanella. Faccio per chiudere il quaderno, quando la mano di Hitomi scatta ad afferrarlo, togliendolo dalla debole presa della mia mano. Prima che possa fermarla, afferra una penna dal mio astuccio, scrivendo rapidamente un appunto al margine del foglio, prima di riconsegnarmelo con una strizzatina d'occhio, “Avresti dovuto chiedere a me, invece di cercare Haru. Mi sento offesa, sai?”

“Non dirmi… Hitomi—” il mio tono di voce suona ancora più sconvolto di quanto pensassi, nel momento in cui leggo la traduzione che ha fatto della sezione di testo che stavo tentando inutilmente di leggere, “Tu sei una specie di genio?”

“...Hai deciso di vendicarti perché ho riso di te?”

“Haru mi ha detto che hai dei voti estremamente alti. Non ci ho mai fatto caso. Sei arrivata seconda, nella graduatoria della nostra classe?”

A quella domanda, il volto di Hitomi si rabbuia di colpo e capisco di aver toccato un tasto dolente e di aver potenzialmente scatenato la sua furia su di me, ma dopo aver storto appena la bocca si limita a scuotere la testa, “Terza. Sono arrivata terza.”

“Se il primo è Haruhiko, e la quarta è Nao...” chiedo, stringendo la penna tra indice e pollice, facendola ruotare appena con un colpetto del dito, “Il secondo chi è?”

Tra tutte le risposte, questa è probabilmente quella che mi aspettavo di meno. Non lo avrei mai detto, ma credo che, così come me, nessun altro lo avrebbe fatto; dopotutto, sembra che solo Haruhiko e Hitomi abbiano davvero guardato i risultati della nostra classe e quindi è una notizia che nessuno conosce. Se avesse avuto più diffusione, forse a quest'ora la situazione potrebbe essere diversa? Non lo so. Fatto sta, che devono passare almeno una manciata di secondi prima che la mia mente riesca a collegare la risposta di Hitomi alla realtà – il secondo in graduatoria, nella nostra sezione, è stato Kazuhiro Ogawa.

Ancora una volta, le parole che Nao mi ha rivolto il primo giorno della mia vita di liceale risuonano lontane, ma ancora abbastanza chiare nonostante sia già trascorso diverso tempo. Possibile che, in realtà, Kazuhiro non sia esattamente come appare? Nessuno ha avuto la possibilità di scoprirlo. Solo Nao ha continuato a perseverare, nel tentativo di portarlo tra di noi; lei è l'unica a conoscerlo, perché il loro rapporto risale a prima delle scuole superiori, ma nonostante questo sembra che qualcosa sia cambiato. Ancora una volta, dev'essere stato un duro colpo per lei…

“Sei ancora qui, Minato, o sei completamente partito per un altro pianeta?” Hitomi mi agita la mano davanti agli occhi, “Seriamente, devi fare qualcosa per questo tuo riflettere così profondo.”

“Ah, no...” scuoto la testa, “è solo che non mi aspettavo che lui…”

“Anche io, quando l'ho visto, non volevo crederci. Sembra in tutto e per tutto un teppista della peggiore risma. Ma se ci stessimo sbagliando?” mi sorride sardonica, prima di allontanarsi dopo avermi scritto velocemente un'ultima nota a margine sul quaderno, “Dopotutto, è difficile vedere attraverso gli altri, e quel che vogliamo mostrare agli altri, o che loro vedono di noi, non corrisponde sempre alla realtà.”

Mentre la guardo tornare al suo posto, chiudo il quaderno con un sospiro. Hitomi, non sei di certo meno complicata di Kazuhiro, a modo tuo. Non ti riferivi a lui, no? Parlavi di quella ragazza che si faceva chiamare Steel Maiden, quella che mi ha parlato con tono malinconico di una persona perduta e che mi ha trascinato con sé sulle scale antincendio, quella che tenti tanto di nascondere… parlavi di te stessa.

Prima ancora che me ne accorga, sono caduto vittima dell'apatia generata dal clima infernale della giornata. Per quanto sia ancora primavera, oggi sembra che il sole non voglia darci tregua. Nello spazio di qualche minuto, mi ritrovo nella stessa condizione di Makoto, troppo sfiancato dal calore per riuscire a fare alcunché, tanto meno leggere il testo che Hitomi mi ha appuntato con la penna rossa. Semplicemente, me ne sto immobile con la testa che ciondola leggermente, pregando mentalmente per un po' di tregua. Purtroppo, non importa a quale divinità mi appelli, l'afa non diminuisce; faccio vagare pigramente lo sguardo per la classe, fino ad individuare la piccola figura di Mana rigida sulla sedia che tenta di mantenere un'espressione dignitosa, sussurrando quelle che sembrano formule magiche di ghiaccio a bassa voce, senza ovviamente alcun successo.

Combattendo contro il torpore, mi trascino fino al suo banco, poggiandole una mano sulla spalla per attirare la sua attenzione, senza che tuttavia lei smetta di sussurrare una complicata formula che non riesco a riconoscere, complice la poca reattività dovuta all'incrocio della stanchezza e della pesantezza dell'aria soffocate.

“Mana...”

“Dimmi, Nightmare Edge.”

Il fatto che rinunci a riprenderla sull'avermi chiamato con quel nome ridicolo nel bel mezzo della classe, senza alcun ritegno, è sintomo del mio stato. Ignorando quell'appellativo, indico la porta della classe alle mie spalle, “Ti va di prendere qualcosa da bere ai distributori automatici?”

“Mh?” interrompe di colpo la cantilena, piegando appena la testa con fare interrogativo, mentre si volta del tutto verso di me, sciogliendo la posa che aveva assunto con le braccia incrociate sul petto come una sorta di croce, le cui estremità toccano le spalle, “Ma non possiamo uscire dalla classe, durante l'ora di studio libero.”

“Non credo di riuscire a sopravvivere senza bere qualcosa… tu non hai caldo?” è una domanda scontata.

E la risposta, d'altro canto, lo è ancora di più.

“Ufufu, certo che no. L'Occhio Demoniaco non teme di certo il calore. Rispetto alle roventi pianure di Hellitia, questo non è che un piacevole teporino...”

Guarda che lo vedo benissimo quanto stai sudando, bugiarda che non sei altro. Se avessi la forza di riprenderla, le farei notare come si sia perfino tolta la giacca, che sta appesa in malo modo sullo schienale della sedia, lasciando solo il leggero maglioncino a maniche corte, ma mi limito ad annuire, “Sì, hai ragione… quindi, non vuoi niente? Sei sicura?”

“Beh, se proprio insisti, accetterò una delle tue pozioni come offerta per suggellare la nostra alleanza, mio eterno compagno in questa guerra che—”

“Cosa ti prendo?” taglio corto, mentre tiro leggermente il colletto del maglione nel vano tentativo di trovare un po' di frescura, una speranza inutile, perché dopo qualche istante mi sto ancora asciugando la fronte in attesa. Mana non sembra pensarci troppo, “Basta che non sia l'amaro veleno nero.”

“Niente caffè, quindi...”

“Aspetta!” l'urlo di Mana mi blocca ancora prima che possa muovere un passo verso la porta, attirando lo sguardo di più di un compagno di classe, che torna dopo qualche istante alle sue faccende, troppo provato per effettivamente voler prestare attenzione alla scena, cosa di cui non posso fare altro che ringraziare il caldo, “Fai attenzione, lì fuori, Nightmare Edge. Ci sono nemici che potrebbero mettere in difficoltà perfino te… ma ricorda, che se tu mi chiamerai utilizzando il Legame di Valpurga, allora io sarò al tuo fianco.”

“Legame di Valpurga..? E quando lo avremmo stretto scusa?!” rassegnato, mi piego su me stesso, annuendo senza convinzione all'avvertimento “Come vuoi, come vuoi. Tu, nel frattempo, potresti provare a studiare un po', no?”

“Ho faccende di importanza maggiore di cui occuparmi – sto tentando di evocare uno Spirito del Ghiaccio Maggiore per spazzare via questo calore.”

Ma non aveva detto che per lei è un semplice teporino? Scuoto le spalle, senza insistere ulteriormente. So che con Mana, è una causa persa, tuttavia non posso che preoccuparmi per lei. Dovrò aiutarla, non appena posso, e riuscire a convincerla almeno ad imparare il minimo necessario per non fare fallire il test. Oggi, a casa, non importa cosa accada, la costringerò ad aprire un libro e prepararsi adeguatamente. Con questa idea piena di responsabilità in testa, ed improvvisamente come rinvigorito dalla mia stessa determinazione, mi accingo ad imbarcarmi in una missione estremamente pericolosa – sgattaiolare fuori dalla classe per arrivare al bottino finale.

Nessuno sembra prestarmi più attenzione del solito, nemmeno quando apro la porta della classe, lasciando uno spiraglio appena sufficiente a farmi scivolare al di fuori e ringrazio mentalmente la mia nuova normalità per questo dono che mi ha fatto; probabilmente, se fossi ancora una vittima della sindrome di seconda media, pur non urlando a pieni polmoni ogni mia azione per darle un senso teatrale, avrei comunque richiamato un numero di sguardi decisamente non indifferente.

Con un leggero tonfo, chiudo l'uscio alle mie spalle e mi stiracchio vigorosamente nella frescura del corridoio, dove l'aria è decisamente più fresca rispetto a quella dell'aula dove la calura entra libera dalle finestre lasciate spalancate. Senza sprecare altro tempo, frugo nella mia tasca fino a che i miei polpastrelli non avvertono la fredda superficie screpolata delle monetine che ho in tasca e le tiro fuori tenendole sul palmo della mano, contandole una ad una, mentre attraverso sovrappensiero il corridoio.

Proprio perché non sto prestando attenzione a dove cammino, sicuro del fatto che non vi possa essere nessun altro oltre a me a quest'ora nel mezzo del corridoio, e sono assorbito completamente dal contare gli spiccioli che rappresentando la chiave di volta verso il fresco sollievo dalla calura, non mi rendo conto della persona che sta davanti al distributore automatico. Semplicemente, mi metto dietro a lei, in attesa che finisca di digitare il numero della sua bevanda, mentre penso a quanto lavoro ancora mi manchi per riuscire a finire di prepararmi prima degli esami, e quanto poco tempo abbia a disposizione; oltretutto, sono anche deciso ad aiutare Mana per evitare che combini qualche disastro, esattamente come me ai tempi delle scuole medie.

Ricordo nei più deterioranti dettagli come durante la prova di storia, lette le domande che mi venivano poste, mi misi a ridere tra me e me, in uno sghignazzare sinistro che richiamò ogni sguardo su di me. Ovviamente ero più che convinto che grazie ai miei poteri sovrannaturali, avrei potuto rispondere a quelle semplici domande utilizzando la mia Visione della Vera Realtà per scrutare attraverso il velo che annebbia l'occhio dell'uomo – un complicato modo per dire che scrissi le cronache delle mie imprese, in cui agivo nell'ombra per agevolare la battaglia di questi uomini contro le potenze dell'Abisso. Presi dodici punti su cento e fu il mio esame migliore, visto che lasciai le altre prove in bianco, perché “Queste conoscenze futili non riguardano di certo colui che brandisce la Black Zagan” o qualcosa di simile. Rischiai seriamente il mio anno scolastico, e dovetti riparare a tutte le idiozie che avevo combinato durante l'estate; riuscii a passare gli esami di recupero per pura fortuna, e questo non mi salvò comunque da un rimprovero di tutti gli insegnanti e di mia madre, che non mi turbò minimamente perché mi ritenevo totalmente al di sopra di quelle vuote vicende mortali.

Proprio quando mi sto per contorcere per questo ennesimo ricordo imbarazzante, la persona davanti a me si muove, ed io alzo la testa che ho tenuto fino ad ora abbassata verso il palmo della mia mano, assorto nel ricordo; e solo ora mi rendo conto di chi è la figura che mi sovrasta per ben più di qualche centimetro, con uno sguardo truce e talmente intenso da farmi automaticamente indietreggiare di un passo, come a voler mettere distanza di sicurezza tra me e lui. Kazuhiro Ogawa mi sta osservando attentamente con le due mani che reggono altrettante lattine di caffè freddo, come in attesa di una risposta.

“...Come, scusa?” chiedo, esitando, mentre le sue sopracciglia si piegano in un'espressione di disappunto, “Eri davvero distratto al punto da non sentirmi?” nella sua risposta vi è un tono quasi impressionato, mentre allunga la mano a porgermi una delle due lattine. Deve aver notato la mia confusione e la mia reazione di paura istintiva, perché digrigna appena i denti, come se ormai fosse abituato a questa situazione, “Ne ho presa una in più. Prendila. Non voglio farti niente,” aggiunge immediatamente, a causa della mia esitazione anche solo nel muovermi, “Anzi, c'è una cosa di cui vorrei parlare con te, Saito.”

“Con… me?” la sorpresa nella mia voce è talmente evidente da risuonare perfino nelle mie stesse orecchie, ma è qualcosa di assolutamente comprensibile. Ogawa non ha mai parlato con nessuno di sua spontanea volontà, dal giorno in cui è arrivato, se escludiamo la volta in cui mi ha intimato di togliermi di mezzo il primo giorno di scuola perché stavo bloccando il passaggio. È normale, quindi, che in un primo momento non possa che ritrovarmi confuso da questa sua improvvisa richiesta, arrivata dal nulla e senza preavviso, come una pallonata che ti colpisce mentre passeggi per strada. Annuisce, mentre apre la lattina con uno schiocco secco della linguetta, e ne beve un lungo sorso, prima di passarsi una mano tra i capelli biondicci con fare quasi imbarazzato, “Temo di aver fatto qualcosa di irreparabile.”

Aspetta, aspetta… non si starà davvero riferendo a quello?!

Abbassa leggermente lo sguardo, nel dirlo, non so se per imbarazzo o semplicemente perché si sente colpevole, forse addirittura triste, per quello che ha fatto; la sua presa attorno alla lattina si irrigidisce di colpo, e il suo tono di voce si abbassa di colpo, al punto che devo avvicinarmi per sentire cosa voglia dirmi.

“Credo di aver ferito davvero molto Nao.”

Dalla mia bocca esce soltanto un secco, stupito suono che mi affretto a sopprimere chiudendola di scatto; non è stata la migliore delle reazioni, ma è l'unica che sono riuscito a produrre per via dello stupore. Avevo intuito che, in qualche modo, il rapporto tra Kazuhiro e Nao andasse oltre a quegli scambi di battute che vedevo in classe; e, dopotutto, Nao stessa mi aveva detto che si conoscevano da prima delle scuole superiori perché sono vicini di casa. Nonostante ciò, non ho mai visto Ogawa parlarle davvero, se non qualche rapida risposta di quando in quando, ed il fatto che lui declini tutti gli inviti che lei gli porge non è certo un punto a favore. Per questo, mi ritrovo preso alla sprovvista da questa improvvisa affermazione, fatta con questo tono di profondo dispiacere, abituato come sono a vedere Kazuhiro solo e perennemente silenzioso, con uno sguardo che dà i brividi, sempre in ritardo, circondato dalle peggiori voci sul suo conto.

E se, in realtà, al di sotto di questa scorza così coriacea, al di sotto dei capelli tinti e l'aria da teppista, vi fosse qualcos'altro? Le parole che Nao mi ha rivolto sul suo conto, quando si è scusata per lui, durante il primo giorno, riaffiorano mentre lo guardo che finisce di sorseggiare la lattina di caffè, gettandola nel cestino della spazzatura.

Perdonalo, per favore. Solitamente non si comporta così—”

Capisco. Non giudicare troppo male Kazuhiro, ti prego… è un bravo ragazzo in fondo.”

Possibile che, fino ad ora, non abbiamo fatto altro che giudicarlo male?

Non mi sarei mai aspettato tutto questo da una persona come lui.

“Hai provato a scusarti con lei?” è una domanda banale, ovviamente deve averci già provato senza alcun successo. Kazuhiro annuisce, poggiandosi contro il muro, “Sua madre mi ha detto che sta male, e lei non ha risposto al telefono. Io...” esita terribilmente, come se il solo pronunciare quelle parole bastasse a farlo sentire male, “Non le ho mai detto quelle cose. Non avrei voluto. È una storia lunga.”

Va bene, ma non ho ancora capito cosa voglia da me. Una spalla su cui piangere non metterà di certo a posto la situazione. L'unica cosa da fare, in questo momento, è riuscire a farli parlare faccia a faccia, ma se lei è determinata a non vederlo, allora non c'è modo.

Proprio mentre lo penso, è come se gli ingranaggi nella mia testa iniziassero a scattare uno dopo l'altro, con un rumore secco, mettendosi in moto – non vorrà mica che io..?

“So che non ho alcun diritto di chiedertelo. Se non vuoi farlo per me, fallo per Nao...” mi si avvicina, guardandomi negli occhi. Ma, nonostante questo, non c'è alcuna minaccia in essi. C'è solo una silenziosa richiesta, che lentamente affiora alle sue labbra.

“Per favore, aiutami.”

Vorrei davvero sapere come sono finito in questa situazione.

 

“Oh, Lost Hero vuole mettere le cose a posto con Fallen Angel?” gli occhi incuriositi di Mana si calamitano automaticamente verso Ogawa che è alle nostre spalle, in attesa davanti all'entrata della scuola; accorgendosi di essere osservato, come se tutte quelle improvvise attenzioni lo mettessero a disagio, abbassa lo sguardo per sfuggire a quello che lei gli sta rivolgendo con intensità esagerata, quasi volesse consumarlo.

“Sì, esatto. E non fissarlo in questo modo,” le rispondo tra i denti, afferrandola per il colletto e tirandola nuovamente verso di me, impedendole di sporgersi ulteriormente dal mio fianco sinistro. Un ampio sorriso di entusiasmo si apre sul suo volto, mentre esulta concitatamente, “Un nuovo guerriero che si unisce con noi nella lotta contro l'Antico. Non sei emozionato anche tu, Minato? Eh?”

“Credo che combattere contro nemici immaginari sia l'ultimo dei problemi di Ogawa...” rispondo a mezza bocca, mentre, scuotendo le spalle, ci incamminiamo verso Kazuhiro che nel frattempo si è messo la borsa in spalla, pronto ad andare. Fortunatamente, questa mattina non siamo venuti in bicicletta, quindi non dovrò portarla a mano fino a casa mia. Mana, nel momento in cui ci avviciniamo, sembra come una falena attirata dalla luce di una lanterna, completamente su di giri per questo improvviso cambio di eventi. Inoltre, non ha certo mancato di sottolineare come anche questa volta il suo Occhio Demoniaco abbia centrato la verità, scrutando attraverso la scorza di Kazuhiro.

Non appena ho avuto abbastanza tempo per elaborare la richiesta che mi ha fatto in corridoio, dopo esseri ripreso dallo shock, non ho potuto fare altro che acconsentire. Dopotutto, se riappacificarli permetterà a Nao di tornare a scuola, e di riportare tutto alla tranquillità, non c'è motivo per rifiutare. Inoltre Kazuhiro mi è sembrato terribilmente sincero, nel farmi la richiesta, e sicuramente deve essersi impegnato non poco per riuscire a chiedermi qualcosa del genere, lui che fino ad ora non ha mai nemmeno parlato con qualcuno al di fuori di Nao. Siamo entrati in classe sotto gli sguardi di tutti, e per un momento mi sono sentito nuovamente come durante il primo giorno di scuola, quando tutti non facevano altro che punzecchiarmi con le loro occhiate silenziose; sedutici al mio banco, ignorando momentaneamente Makoto che mi faceva segnali più simili a convulsioni epilettiche, abbiamo deciso di incontrarci a casa mia appena dopo la scuola.

Peccato che Mana abbia deciso di trasformare il tutto in una riunione della Nuova Libreria. Non mi sono accorto di averla alle spalle finché non si è lasciata cadere su di me a peso morto, completamente sfinita dal caldo, emettendo un basso gorgoglio d'aiuto. Dopo averla fatta rianimare con delle sorsate di caffè freddo, che ha ingollato storcendo la bocca per via del sapore, alla fine è riuscita a rimettersi in piedi. Non appena ha appreso la notizia, ha iniziato uno dei suoi lunghi monologhi sulla battaglia contro l'Antico, manifestando tutta la sua felicità con una mezza risata che nella sua testa dev'essere suonata sinistra, ma che in realtà è apparsa semplicemente come un normale acceso di ilarità. Kazuhiro ha alzato un sopracciglio, non è sembrato troppo confuso a quella reazione, ma gli ho comunque fatto cenno di non badarci troppo; dopotutto, ormai alcune uscite di Mana sono considerate come la normalità.

Usciti dal cancello della scuola, iniziamo la lenta camminata verso casa, sotto il sole cocente che sembra intenzionato a rendere dura anche questa semplice passeggiata quotidiana. Arranchiamo sotto gli impietosi raggi, con Mana che si è aggrappata alla mia giacca e che si fa trascinare per inerzia a causa della sofferenza estrema che prova per il caldo nonostante si vanti di aver attraversato le pianure di Hellitia.

“Mana, smettila di tirare o mi strapperai la giacca,” sbuffo, afferrandole la mano e liberandomi dalla sua presa estremamente salda, nonostante sembri terribilmente esausta. Dopo aver frugato nella borsa, le do una bottiglia d'acqua che ho comprato prima di uscire dalla scuola, e le piccole gocce di condensa che si sono formate su di essa mi scivolano tra le dita gelate dal contatto con la sottile plastica, “Bevi piano o ti sentirai male, capito? Mi stai ascoltando?!”

La risposta, giudicando da come si attacca avidamente al collo della bottiglia, è ovviamente un no. Tuttavia, dopo appena due sorsi, la allontana dalle labbra e torna a porgermela, con un mezzo sorriso poco convinto e tremolante, “Non ho di certo bisogno di acqua, io… era solo per ripristinare il mana. Ora lancerò un incantesimo di pioggia e vedrai, il cielo si riempirà di nuvole, ci saranno tuoni e...”

“A me sembra sereno ed il caldo soffocante mi sta ancora uccidendo.”

“Aspetta un secondo, Nightma—”

Riesco appena in tempo a zittirla, prima che Kazuhiro la senta; Mana mi rivolge un'occhiata interrogativa, dopotutto dal suo punto di vista Ogawa non è una persona a cui si debba tenere nascosta la nostra presunta, vera identità, essendo uno di noi e non uno degli schiavi dell'Antico che lei definisce come Vuoti.

Tuttavia, Kazuhiro sembra aver capito abbastanza di quello che è accaduto, perché mi fa cenno di non preoccuparmi con la mano, “So già tutto del vostro gruppo – la Biblioteca, vero?”

Nuova Biblioteca,” precisa Mana, annuendo profondamente, “L'originale è ospitata nella mia magione, nascosta da potentissimi incantesimi per respingere gli intrusi.”

Avrei dovuto pensare al fatto che Nao gli avesse raccontato qualcosa. Era inevitabile, visto lo stretto rapporto che c'è tra i due. Non sembra particolarmente disturbato dalla folle e pallida imitazione di un club che Mana ha creato per radunarci tutti sotto un'unica bandiera, con lo scopo di portare avanti una crociata contro nemici che solo lei può vedere. Forse è meglio che già sappia, perché semplifica molto le cose, e sarebbe inevitabilmente venuto a galla, prima o poi. Dimostrando di essere a conoscenza della Biblioteca, Kazuhiro ha inconsciamente attivato una sorta di interruttore in Mana che inizia immediatamente a raccontare precisamente lo scopo della Biblioteca, promettendo di liberarlo al più presto dalla maledizione che lo tiene ancora ancorato alla follia della Nebbia: “Grazie all'aiuto di Fallen Angel,” annuncia solennemente, mentre io spingo il cancello di casa a testa bassa, ormai abituato a questi improvvisi scoppi di sindrome di seconda media acuta, che si traduce in discorsi solenni della durata di svariati minuti, “Non sarai più Lost Knight, ma Seraphine Knight, l'ultimo eroe della nostra organizzazione!” conclude infine portandosi la mano con impresso il Marchio al viso, assumendo la tipica posa che ho sfoggiato anche io, tempo fa.

“Oh, bentornati, fratellone, Man—aaaaah?!” tra tutte le reazioni che mia sorella potesse avere, nel vedere Kazuhiro, non mi sarei aspettato che rimanesse a fissarlo a bocca aperta per un lasso di tempo di svariati secondi, prima di fuggire via al grido di “Mamma, mamma, Minato ha portato un teppista biondo ed altissimo in casa!”

“Non farci caso, è una cosa che fa sempre. Mi spiace solo che ti abbia affibbiato quel soprannome, dovrai tenertelo per un po'.”

L'altra persona di cui temevo la reazione, mia madre, si dimostra al contrario entusiasta di avere Kazuhiro a casa; credo che sia bastato vederlo esitare di fronte ai biscotti che ci ha offerto, ed arrossire di colpo, abbassando perfino lo sguardo, quando si è scusata per la reazione di Hanako, per capire che l'apparenza inganna, qualcosa che noi abbiamo capito solo dopo molto tempo. Dopo aver appurato che effettivamente Kazuhiro non rappresenta un pericolo, quella piccola ragazzina dalle reazioni esagerate ha iniziato a tempestarlo di domande, in un botta e risposta abbastanza impietoso, che si sta consumando attorno al tavolo della cucina.

Seduti di fronte al vassoio di biscotti, allungo la mano a prenderne uno dalla pila, masticandone la pasta frolla friabile con lentezza, preso dai miei pensieri: ho promesso di aiutare Kazuhiro, ma la cosa è più facile a dirsi che a farsi; ho accettato preso più dal momento, che ponderando al meglio la situazione, ed ora ci ritroviamo con una situazione spinosa tra le mani. La cosa migliore sarebbe capire quale sia stato il motivo del conflitto; pensandoci bene, deve avere a che fare con le assenze ed i ritardi frequenti che Nao gli ha sempre rimproverato e che hanno sollevato numerose voci di corridoio in giro per la scuola. Questo suo comportamento va a nozze con il suo aspetto fisico da presunto teppista, quindi non c'è da meravigliarsi se… “Ah!” mi massaggio di scatto il dito che ho addentato, preso come ero dalla riflessione non mi sono accorto di aver finito il biscotto.

Avvicino il bicchiere di latte alla bocca, sorseggiandone un po', mentre Hanako si sporge verso Kazuhiro per toccargli un ciuffo biondo con gli occhi che brillano di curiosità, “Li hai tinti?”

“Mia madre è straniera, e per questo ho i capelli di questo colore,” spiega, senza riuscire a nascondere una sorta di imbarazzo per via delle attenzioni morbose riservate a quei capelli che, fino ad ora, non devono aver fatto altro che procurargli guai.

“Non c'è bisogno di nascondere la verità, Lost Hero, puoi parlare liberamente della maledizione delle Ceneri Pallide che ti affligge,” sentenzia Mana, infilandosi tra i due con aria di superiorità, e poggiando la mano sulla spalla di Hanako, “La sorella del Nightmare Edge un giorno potrebbe succedere a noi e dover combattere contro altri nemici temibili, è necessario che sappia tutto.”

“M-ma quindi… è maledetto?!” il terrore nella voce di mia sorella si traduce perfettamente nella sua espressione spaventata.

“Non far diventare mia sorella una Evil Eye, per favore!” protesto, alzandomi in piedi, mentre stringo Mana per la vita, trascinandola verso camera mia, ignorandola mentre tende le mani inutilmente verso i biscotti. Con Kazuhiro al seguito, entriamo finalmente in camera mia, sedendoci sul tappeto dove la Nuova Biblioteca è stata fondata. Mentre aspetto che Mana finisca di lanciare i suoi incantesimi di isolamento di rito, noto come gli occhi di Ogawa appaiano, perfino nei momenti in cui è rilassato, terribilmente minacciosi, come se fossero perennemente piegati in un'espressione corrucciata, se non furiosa e sinistra. Deve essere stata dura, vivere con i pregiudizi degli altri perennemente su di sé; il suo carattere deve essere divenuto così come è ora, una sorta di apatia e di distacco dagli altri, in conseguenza di tutto quel che ha dovuto subire a causa del suo aspetto fisico. Nao deve essere stata la prima, forse l'unica, a vedere attraverso di lui. Posso immaginarla mentre si avvicina a lui in un parco giochi del loro quartiere, attirandosi le occhiatacce e gli sguardi preoccupati degli altri bambini terrorizzati.

Se la metto in questo modo, è facile capire come Kazuhiro abbia trovato la forza di chiedermi aiuto, ed il motivo per il quale entrambi si sentano così lacerati da questo conflitto. Da una parte, lui si sente terribilmente in colpa per aver ferito senza volerlo l'unica persona che lo capisse, dall'altra, lei si sente terribilmente affranta dal comportamento schivo e sempre più misterioso della persona a cui è stata vicina per così tanto tempo. Non c'è dubbio, poi, che Kazuhiro provi una sorta di gelosia nei nostri confronti, perché fino ad ora nessuno oltre a lui deve essere riuscito a passare così tanto tempo con Nao; allo stesso modo in cui lei non riesce a sopportare l'idea che Kazu non voglia più confidarsi con lei, non voglia più permetterle di capirlo. Non voglia più averla intorno.

Possibile che due persone unite da un rapporto così forte, possano finire per litigare semplicemente perché sono troppo affezionati l'uno all'altra?

Con Mana alle spalle che continua a gesticolare e borbottare parole magiche, guardo l'orologio: abbiamo un'ora e mezza prima che arrivino gli altri, prima di allora devo riuscire a sapere tutto quello che possa essermi utile per capire la situazione e trovare una soluzione.

Ed è allora che interviene Mana.

Sedendosi accanto a me, poggiando la schiena sulla mia spalla destra come esausta, mi guarda con un sorriso determinato, “Ora nessuno può sentire nulla.”

“Ottimo lavoro...” sospiro, dandole un buffetto sulla testa.

“Quindi veniamo a noi, Lost Hero. Perché… tu e Fallen Angel avete rotto il vostro Patto?”

Una domanda semplice e diretta, nonostante l'abbia formulata a modo suo. Forse un po' troppo, al punto che per qualche istante, vedendo l'esitazione di Kazuhiro, mi chiedo se effettivamente risponderà. Mi lancia uno sguardo dubbioso, probabilmente confuso dallo strano modo in cui Mana ha posto la domanda, quindi mi presto da intermediario, “Per quale motivo tu e Nao avete litigato, qualche giorno fa?”

Kazuhiro sospira, e la sua espressione si scurisce di colpo, quando gli pongo la domanda, per un lungo istante, rimane in un cupo silenzio, che grava su di lui come un macigno. È quasi se un profondo conflitto lo stesse tormentando, mentre raccoglie le forze per riuscire a parlare; serrando le mani in due pugni, annuisce lentamente, e apre la bocca a lasciarne uscire la voce che, al contrario di quel che pensavo, non trema, né esita, ma è ferma esattamente come se stesse parlando di una cosa qualsiasi. Anche se questo gli richiede uno sforzo incredibile, non vuole mostrarsi esitante, nemmeno per un istante.

“Mia sorella è in ospedale dall'inizio di quest'anno. Ha sempre avuto problemi di salute, e da quando i miei genitori si sono separati, la cosa è andata peggiorando. Lei viveva con mio padre, quindi non abbiamo avuto modo di vederci spesso...” per un secondo, la sua voce si incrina, “Quando è stata trasferita in questo ospedale per avere delle cure mediche migliori in una clinica specializzata, sono andato a trovarla. È così debole, che non riesce nemmeno ad alzarsi dal letto. I dottori sono ancora dubbiosi, nonostante tutto. L'unica cosa che possiamo fare è aspettare e sperare che riescano a—” si porta le mani al volto, sfiorandolo appena, mentre il suo tono si affievolisce sempre più, “Per questo cerco sempre di starle vicino, ogni volta che posso. L'ospedalei ha rilasciato un permesso speciale mensile per la scuola, in modo che possa entrare in ritardo o uscire prima, così da passare da lei quando voglio.”

Quindi è per questo che Kazuhiro usciva ed entrava da scuola a piacimento, non per un proprio egoistico capriccio o desiderio di ribellione, non per andare a fumare sigarette di contrabbando o chissà quale altra azione da teppista che gli hanno affibbiato. Mentre tutti noi lo guardavamo con sospetto, mentre voci maligne si accumulavano sul suo conto, mentre sguardi intimoriti lo seguivano ovunque, lui ha pensato, per tutto questo tempo, solo a quella sorella in bilico tra la vita e la morte, con cui non ha mai potuto passare abbastanza tempo. Non posso che sentirmi in colpa, nonostante non abbia mai avuto ostilità verso di lui; mi sento in colpa perché, come altri, non sono andato oltre quello che ho visto. Mi mordo il labbro con forza, prima di sussurrare un basso “Mi dispiace,” al quale lui risponde scuotendo la testa, come se avesse capito a cosa mi riferisco.

“Non hai detto nulla a Nao, vero?” la constatazione di Mana lo fa irrigidire di colpo, “Non volevi che si preoccupasse...”

“Sì. Se avesse saputo tutto, avrebbe iniziato a—”

“Tuttavia, in questo modo, hai ottenuto esattamente l'effetto opposto,” lo interrompo, “Il tuo atteggiamento...”

“Lo so!” il suo tono di voce si è alzato di colpo, talmente inaspettato da farmi allontanare di un passo, preso alla sprovvista, “...Lo so bene. Ho solo combinato un disastro… per questo, ho bisogno del vostro aiuto.”

“Beh, allora è semplice. Basta scusarti, no?” chiede Mana, come se fosse la cosa più semplice del mondo, incrociando le braccia al petto, “Mi basterà creare un varco di oscurità tra la camera di Minato e quella di Nao, così che tu possa raggiungerla!”

“Puoi davvero fare una cosa simile?!” esclama sorpreso, strabuzzando gli occhi davanti a quella prodigiosa affermazione.

Non posso credere che stia accadendo davvero, fino ad un attimo fa l'atmosfera era così cupa e pesante da apparire soffocante, ed ora Kazuhiro ha appena chiesto a Mana se sia davvero in grado di aprire squarci nella realtà. Non importa da che angolazione si guardi, questa situazione continua a precipitare.

“No che non può! Ascoltatemi, tutti e due,” afferro Mana per il colletto, facendola sedere a terra, ed indicando l'oggetto che Kazuhiro ha portato con sé per tutto questo tempo – la borsa che aveva in spalla non è la sua: è quella di Nao, “Basterà dire che siamo andati a riportarle la borsa. E allora...”

Sì, è un piano perfetto.

Non c'è nessun ostacolo sul nostro cammino—

 

—Se non una febbre improvvisa.

“Sembra che non stesse mentendo, dopotutto...” sospiro, sedendomi sull'altalena sgangherata che scricchiola quando mi spingo lentamente in una precaria oscillazione, mentre Mana, accanto a me, si è messa in piedi sul sedile per poter osservare meglio il sole che tramonta all'orizzonte, accendendo il cielo di lingue rossastre.

Siamo nel piccolo spazio verde dove, un tempo, andavo a giocare da bambino, sfoggiando tutte le mie capacità di guerriero dell'oscurità, e iniziando a forgiare il nome di Nightmare Edge. Insieme ad altri bambini, questo piccolo riquadro d'erba, con le sue altalene e i suoi scivoli, diveniva il nostro regno ed il nostro dominio incontrastato. Quei ricordi sono sfocati, e non riesco a richiamare alla memoria le facce ed i nomi delle persone, nemmeno quello della figura sbiadita che mi stava sempre al fianco, e di cui conservo solo l'entusiasmo nell'osservarmi e nel pormi continuamente domande; sono poco più che meri flashback nebbiosi, privi di dettagli.

Non so nemmeno cosa ci ha guidati qui, abbiamo semplicemente camminato fin qui sovrappensiero, sedendoci sull'altalena arrugginita ed abbandonata, ormai lasciata a se stessa, perché tutti coloro che venivano qui a giocare ormai non ci sono più, sono cresciuti, abbandonando le loro fantasie.

Ed infatti, l'intero parchetto è vuoto e silenzioso, e solo il cigolio delle catene dell'altalena risuona tra le nostre parole.

Mana mi guarda per un lungo istante, prima di mostrarmi orgogliosamente il dorso della mano con il marchio, orgogliosamente, come se si aspettasse una sorta di lode, ricevendo solo un mio sospiro in risposta.

“Il Patto tra i due è stato saldato di nuovo. È questo quello che conta,” risponde lei, annuendo soddisfatta, “Ancora una volta, l'Occhio Demoniaco ha permesso di superare questa terribile situazione, unendo la Nuova Biblioteca contro il comune nemico.”

“Sì, sì, come vuoi tu...”

Il mio piano di andare da lei insieme a Mana, con la scusa di riportarle la borsa e di farli parlare al telefono dicendole di dover discutere qualcosa con Haruhiko, in modo che potessero fissare un luogo per incontrarsi e mettere a posto la questione, è andato in fumo nel momento stesso in cui Nao ci ha aperto la porta, pallida e con i capelli in disordine. Avvolta nel suo piumone, con lo sguardo spento dalla febbre, ci ha fatti accomodare in cucina, dove, con la voce flebile per via del mal di gola, ci ha spiegato che le era venuto esattamente il giorno dopo la lite con Kazuhiro e che, dal quel momento, non ha fatto altro che dormire. Ed ecco spiegato perché il telefono era sempre spento, mi sono detto silenziosamente; ci ha detto che non era più arrabbiata con lui, e che è abituata a queste cose, perché per una ragione che non capisce, il ragazzo che credeva di capire perfettamente è cambiato di colpo. Vedendo la malinconia nei suoi occhi, non ho potuto trattenermi dal chiamare Kazuhiro immediatamente, dicendogli di venire a casa di Nao. Dopo qualche minuto, un Ogawa dal volto arrossato e il fiatone si è presentato alla porta, probabilmente ha percorso il quartiere di corsa, senza nemmeno fermarsi, nel momento stesso in cui l'ho chiamato.

E così, Kazuhiro le ha raccontato tutta la storia. Nao si è portata le mani tremanti al volto, e dai suoi occhi lucidi per la febbre hanno iniziato a scorrere lacrime; ha pianto, quando ha saputo tutti i dettagli, e lo ha rimproverato tra i singhiozzi di averle tenuto nascosto qualcosa di simile. “E poi,” ha aggiunto, “Io non ho mai dubitato di te.”

Si è fatta promettere di andare in visita con lui, un giorno, per conoscere sua sorella, e credo di aver visto Kazuhiro arrossire veementemente per la prima volta, rispondendo con un esitante sì, in cui tuttavia ha celato tutta la sua felicità per l'accaduto.

Peccato che poi Mana abbia distrutto l'atmosfera commovente annunciando di aver rimosso con successo la maledizione da Lost Hero, facendolo tornare ad essere Seraphine Knight. Ovviamente, questo sottintende che lui sia ora parte della Nuova Arcana Biblioteca dell'Eterna Oscurità, volente o meno, anche se credo che, ovunque vada Nao, a lui stia bene. Dopotutto, ci ha osservati a lungo e, se le cose fossero andate diversamente, probabilmente sarebbe stato dei nostri molto tempo fa. Suo malgrado, è finito tra gli artigli di Mana, e quindi anche lui diverrà un compagno nelle nostre sventure quotidiane. Quando l'ho realizzato, non ho potuto far altro che dargli una pacca di commiserazione sulla spalla, insieme ad un “Mi dispiace da morire,” funereo. La sua occhiata interrogativa è rimasta congelata per un lungo momento, senza riuscire a capire cosa intendessi, per cui gli ho solo detto di aspettare e che avrebbe capito da solo cosa intendessi.

Improvvisamente, Mana scende a terra e si avvicina al limitare della recinzione di ferro che circonda il parchetto, le mani intrecciate dietro la schiena e il volto alto ad osservare il tramonto. Non è da lei essere così silenziosa, solitamente avrebbe iniziato a raccontarmi qualcosa sulle sue imprese, o sull'Antico e sulla Nebbia, o ancora mi avrebbe proposto una qualche spericolata ed imbarazzante caccia ai mosti. Ed invece, se ne sta semplicemente lì, come a riflettere, assorbita dall'ardere rossastro del sole che si avvicina sempre più alla linea dell'orizzonte.

“Cos'hai?” chiedo, avvicinandomi a lei, “Qualcosa non va?”

“Questo tramonto… mi ricorda qualcosa,” riesco appena ad udirle il flebile sussurro della sua voce, mentre tende la mano con il cerchio impresso sul suo palmo verso il cielo, lasciando che i raggi le scivolino tra le dita, quasi a volerli stringere in mano, “un estate di tanto tempo fa.”

“Eh sì. L'estate ormai si avvicin…” e poi, l'evidenza mi colpisce come un treno. Mi irrigidisco di colpo, afferrandola per le spalle con uno scatto tanto improvviso da farla sobbalzare al mio tocco, “aspetta un momento. Mana, a che punto sei con la preparazione per gli esami?”

“Uhuh, che impertinenza… non ti è bastato oggi, come ulteriore dimostrazione, che l'Occhio è in grado di mostrarmi la verità?”

“Andiamo immediatamente a casa mia a studiare, muoviti. Ora.” La prendo per il braccio, ed insieme usciamo dal parchetto del quartiere, imboccando la strada che si perde tra le case arrossate dall'ultimo tramonto.

“Ma… aspetta, non… anche se siamo uniti da un Patto questo non ti permette di...”

Ignorando le sue proteste, ci incamminiamo verso casa mia, con le orecchie piene delle sue maledizioni e dei miei sospiri.

 

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Capitolo 7
*** 「Chapter 6 – Even in my dreams, I've seen you a lot」 ***


Chapter 6 Even in my dreams, I've seen you a lot

 

Ci sono innumerevoli ostacoli sulla via di uno studente, ma pochi sono spaventosi e distruttivi quanto i primi esami di metà trimestre. Prima ancora di essermene reso del tutto conto, la mia carriera da liceale è già arrivata quasi a metà del suo primo ciclo e, mentre le vacanze estive sono all'angolo, prima di poterci godere un po' di libertà, dobbiamo affrontare un nemico talmente potente da incutere un timore come nessun altro. Non sarebbe un gran problema riuscire a prepararmi adeguatamente alle prove delle varie materie, se non fosse sorto un altro, gigantesco imprevisto che ha preso il nome della mia vicina di casa e compagna di classe. Esattamente come sospettavo, Mana non ha aperto nemmeno un libro di testo dall'inizio dell'anno, e solo la fortuna ha impedito che i professori la trovassero impreparata di volta in volta; anzi, ora che ci penso, mi sembra che nessuno le abbia mai chiesto di risolvere un quesito o le abbia posto qualche domanda. Che razza di fortuna sfacciata possiede questa ragazza?

Mentre mi chiedo secondo quale principio cosmico ed invisibile il destino favorisca una scansafatiche come lei, sto con il mento poggiato sul palmo sinistro ad osservare Mana che pigramente e senza troppo impegno risponde alle domande di storia che le ho preparato, mettendo ogni tanto qualche crocetta dopo aver annuito tra sé e sé. Non mi ci è voluto molto per capire il modo di scegliere le risposte; dopo aver, meccanicamente, portato il palmo alla fronte ed aver atteso un istante con il cerchio magico impresso su di esso a contatto con la pelle, ha sbarrato gli occhi come se una verità assoluta le fosse stata rivelata, e poi ha tracciato il segno senza nemmeno leggere la domanda – per tutti e trentadue i quesiti.

Inutile dire che, quando ho corretto velocemente il primo foglio, non sia riuscita a totalizzare nemmeno dieci punti su cento. Strano a dirsi, ma consegnare in bianco apparirebbe più dignitoso e risparmierebbe imbarazzanti commenti sul fatto che abbia modificato alcuni quesiti per conformarli alla sua idea del mondo: in breve, quello che mi sono ritrovato a leggere non è stato un comune test di storia, ma una verifica a risposta multipla sul suo mondo immaginario.

“—Questa volta stai rispondendo normalmente?” chiedo stancamente, picchiettando la matita contro la pagina del libro di giapponese moderno aperto sotto i miei occhi, sottolineando pigramente una frase che ormai ricordo a memoria, dopo averla letta così tante volte, “Non è che stai facendo come prima, vero?”

A quella domanda si irrigidisce di colpo, come se avessi toccato un nervo scoperto, e annuisce seccamente, “Certo, per chi mi hai preso… Non sono domande difficili.”

“Mh? Meglio così,” torno a leggere il testo, scorrendo velocemente la vita dell'autore, fino ad arrivare alla poesia; inizio a leggerne i caratteri uno ad uno, ripetendoli meccanicamente, e cerchiando i passaggi più importanti, nel tentativo di concentrarmi sul mio studio, ma è del tutto inutile finché con la coda dell'occhio vedo Mana che fissa il suo foglio come se fosse incantato con qualche magia ipnotica. La sua fronte corrucciata e le sopracciglia inarcate dicono esattamente il contrario di quanto ha appena affermato, ma non voglio saltare a conclusioni affrettate. Vorrebbe dire non avere fiducia in lei.

Ma chi voglio prendere in giro? Non è questione di fiducia, è che sono il primo a non voler accettare la realtà innegabile. Ora come ora, Mana è un caso talmente disperato da rasentare l'irrecuperabilità. Mi porto la matita alla bocca, mordicchiandone appena con i canini l'estremità, mentre la osservo leggere per l'ennesima volta una domanda bianca, e continua a sfiorare la casella delle risposte, senza riuscire a sceglierne una. Tentenna da almeno tre minuti e in venti non è arrivata ad un quarto dell'intera prova, nonostante l'abbia preparata basandomi sulle ultime lezioni di storia. Vorrei chiederle cosa abbia fatto invece di prestare un minimo di attenzione alle spiegazioni del professore, ma mi basta scavare qualche istante nella memoria per riuscire a vederla mentre riempie la sua agenda di appunti di magia nera o tenta di scagliare qualche magia silenziosamente. Per quanto siano cose del tutto fuori dal comune, e sempre sintomo della sua sindrome, almeno ha smesso di comportarsi in quel modo estremamente teatrale dei primi giorni; probabilmente deve essere soddisfatta dalla piega che stanno prendendo gli eventi, con tutti questi nuovi membri della Biblioteca, oltre ad aver preso molto più sul serio la storia dei Vuoti quando le ho detto che, con l'avvicinarsi degli esami, il loro numero aumenta esponenzialmente.

Non ho avuto il coraggio di chiederle se effettivamente abbia aperto almeno un libro, prima di oggi, o se abbia prestato attenzione a qualche lezione, perché temo la risposta, pur conoscendola chiaramente: Mana, fino ad ora, non si è nemmeno data la pena di scoprire le materie di cui tratteranno gli esami di metà trimestre, figuriamoci di studiarne il programma. Ovviamente posso dirlo, perché la mia esperienza diretta, e terribilmente imbarazzante, è stata simile se non identica. Ma io, allora, ero solo; Mana, invece, ha qualcuno al suo fianco. Mi impegnerò al massimo per farle passare questi esami, fosse l'ultima cosa che faccio.

“Ho finito!” la sua esaltazione è talmente prorompente da prendermi alla sprovvista, facendomi sobbalzare e sbattere la gamba contro il tavolino. Mi mordo la lingua, trattenendo una imprecazione, mentre tendo la mano tremante verso di lei, in una tacita richiesta di consegna; nonostante lo sguardo interrogativo, me la consegna senza tergiversare, incrociando le braccia al petto e socchiudendo gli occhi; il suo viso, in un istante, si tinge di un'espressione di superiorità che le ho già visto numerose volte e che conosco fin troppo bene.

“Una passeggiata, come ti avevo detto, per una del mio livello. Ancora una volta, ricorrendo all'Occhio Demoniaco, ho osservato la realtà che l'Antico ha creato per intrappolare gli inconsapevoli e ho riportato le sue risposte sul foglio della Prova. Ora, vai pure avanti, Nightmare Edge,” il suo braccio destro compie un ampio arco a mezz'aria, fendendola fino a tendersi verso di me, l'indice allungato a puntare verso la mia persona, con un'aria di sfida tipica dell'eroe che affronta il nemico senza abbassare lo sguardo – convinto di avere la situazione in pugno, “Emetti la tua sentenza. Ma ricorda, l'Occhio Demoniaco è il più fort—”

“Zero su cento.”

“...Eh?”

La mia sentenza funerea deve averla colpita più forte del previsto. Mi è sembrato di sentire il rumore di qualcosa che si rompeva. L'espressione di superiorità sul suo viso inizia lentamente a mutare, fino a congelarsi in una di sorpresa con la bocca incurvata, completamente sconfitta dalle mie parole così secche. Mi è bastato scorrere velocemente le risposte per capire che non ha la minima idea di quello che dovrebbe studiare.

“Non è possibile… eppure mi sono impegnata così tanto, ho chiesto l'aiuto dell'Occhio,” si porta le mani al volto, tremanti, totalmente annientata dal giudizio impietoso; si rannicchia in un angolo della stanza, il viso rivolto verso il muro, e l'aria attorno a lei sembra divenire improvvisamente più pesante, mentre mugugna sottovoce qualcosa di incomprensibile. Mi passo una mano tra i capelli, sospirando a fondo, prima di scuotere la testa con rassegnazione.

“Era ovvio che avresti sbagliato, hai messo le risposte in modo da formare un cerchio magico!” le dico, dando un colpo con il dorso della mano al foglio delle risposte che, effettivamente, se visto nel suo insieme, ha le caselle delle risposte completamente riempite a penna e disposte a foggia di una posticcia e molto semplicistica effige del marchio sulla sua mano, “Non può funzionare!”

“...Pensavo che così facendo avrei attivato l'incantesimo che sigillava il foglio e mi avrebbe rivelato le risposte già complete,” si giustifica, senza guardarmi negli occhi, la fronte tenuta bassa a guardarsi le ginocchia poggiate sul pavimento, appena sfiorate dall'orlo della gonna color vinaccia della divisa estiva.

Mi porto la mano al viso, senza riuscire a trovare una risposta adatta, limitandomi a rannicchiarmi nell'angolo che poco prima ha occupato lei e iniziando ad emettere bassi lamenti di dolore e gemiti disperati. Questa situazione è a dir poco irrecuperabile.

“A-andiamo, Minato, non fare così,” Mana mi si avvicina, scuotendomi lentamente per la spalla, “Mi impegnerò, va bene?”

A quelle parole, una piccola luce di flebile speranza si riaccende in me, abbastanza da farmi alzare lo sguardo verso di lei, incrociando i suoi grandi occhi corvini che tremolano leggermente quando incontrano i miei, e per un momento posso quasi sentire una scintilla tra di noi, la scintilla della determinazione, di chi è disposto a combattere e dare tutto quello che ha per raggiungere il suo obbiettivo, la volontà di un guerriero.

“Davvero?” le chiedo, con un soffio, stringendo i pugni con tutta la mia forza, “Hai davvero intenzione di impegnarti seriamente?”

“Certo che sì!”

Non tutto è perduto, allora. Mancano solo quattro giorni agli esami, certo, ma possiamo ancora farcela. Nonostante i giorni precedenti siano stati inutili, nonostante tutti i miei tentativi fino ad ora si siano rivelati vani, ora sembra finalmente disposta a collaborare e a dedicarsi con tutta se stessa a questo obbiettivo. Sì, quel fuoco che arde nei suoi occhi lo potrei riconoscere ovunque, ormai, perché è proprio solo di lei: il fuoco di chi può fare tutto quello che vuole, se lo desidera. Questa volta, ne sono sicuro, possiamo farcela.

“Stai a vedere!”

“—Eh?” il gorgoglio di stupore che emerge dalle mie labbra è l'unica reazione possibile a quella affermazione da brividi gelidi lungo la schiena; voglio davvero sperare di aver interpretato male quello che sta facendo. Perché sta spostando il tavolino? Perché sta agitando le braccia in quel modo?

“Mana, posso sapere cosa hai in mente?”

“Non ti ho forse detto che mi sarei impegnata con tutta me stessa, per raggiungere il nostro obbiettivo?” mi lancia un'occhiata da sopra la spalla, dopo essersi voltata dall'altra parte, che scintilla sinistramente, come se volesse afferrarmi e risucchiarmi con sé, ingoiarmi nel pozzo infinito dell'oscurità che le tinge le iridi, “Stai a vedere.”

Totalmente rapito da quello sguardo che mi ha lanciato, non posso che rimanere immobile come una statua, completamente paralizzato, mentre incrocia le braccia al petto, come se stesse stringendo qualcosa tra le dita.

Non dirmi che…

Oh, Nero Assoluto, figlio dell'ultima fiamma cremisi, discendi su questa terra e distruggi le convenzioni di questo mondo… Obbedisci all'Occhio che tutto vede e tutto comprende. INFRANGI QUESTA REALTÀ!”

Piegatasi leggermente all'indietro, tende le braccia verso il soffitto, il Marchio rivolto verso l'alto. Per un lungo istante, non succede nulla.

...E continua a non accadere niente.

“Basta, mi arrendo,” lascio che dalle mie labbra venga esalata quella testimonianza di sconfitta più totale, crollando penosamente a terra, senza nemmeno avere la forza di rialzarmi. Mana, dal canto suo, sembra terribilmente in disappunto per non essere riuscita a squarciare il velo della realtà, perché, pur se fuori dal mio campo visivo, occupato solo dal lampadario spento e dal soffitto illuminato dai raggi del sole del tramonto, la sento che si chiede dove ha sbagliato nell'eseguire l'incantesimo. Non ho nemmeno la forza di rimproverarla, questa volta, la mia saldezza è andata spaccandosi in mille pezzi dopo che la mia ultima, flebile fiammella di speranza è stata spenta brutalmente.

Dopo qualche istante, il viso di Mana si china sopra di me, l'espressione interrogativa sul suo volto è più che sufficiente a farmi capire che non ha ben presente la gravità della situazione, “Tutto ok?”

“Scusami, Mana...” sussurro, coprendomi gli occhi con le dita, lasciando solo uno spiraglio che mi permetta di vederla ancora appena, di poter ancora osservare i suoi occhi dubbiosi, “Ho fallito miseramente.”

“Non devi scusarti… tu hai fatto del tuo meglio,” la sua voce, in questo momento, è fievole, ma riesco appena ad udirla, a percepire il suo tono, “è colpa mia.” Lo stesso di quando, quella volta, sotto la pioggia, mi ha detto di voler rivedere casa sua. Il luogo a cui appartiene, attraverso la Nebbia che si è creata attorno. Un tono di voce talmente malinconico da farmi sbarrare gli occhi.

Il sole cremisi entra con i suoi raggi arancioni all'interno della stanza, e i suoi riflessi le colorano appena il viso di milioni di sfumature, e perfino l'assoluto nero delle sue iridi sembra più chiaro; quell'espressione triste, su di lei… in questo momento, è irreale come la prima volta che l'ho vista. È così lontana, eppure così vicina. Se tendessi la mano, riuscirei ancora a toccarla?

Senza pensarci, allungo la mano verso il suo viso, verso quel sorriso triste che sta esattamente sopra di me, e lo sfioro appena, in una sorta di timida, impacciata carezza.

Solo quando lei arrossisce di colpo e i suoi occhi si sbarrano tremolanti di colpo per la sorpresa, mi rendo conto di quello che, di riflesso, senza pensarci, come se non fossi in questa realtà per il quale ho tanto penato, ho fatto. Il fatto è che, per un lungo istante, mi è sembrata sfuggire via dalla mia presa. Per un momento, mi è sembrata scivolare via, verso un mondo dove non avrei potuto raggiungerla.

“Forse per oggi è meglio lasciare perdere,” riesco ad articolare, dopo un lungo, infinito silenzio di sospensione che nessuno dei due è riuscito a rompere, “Ti va di mangiare qualcosa?”

“Ah… ah, sì,” risponde, dopo qualche momento di esitazione, la voce ancora tremolante per quell'improvvisa azione, “Arrivo, allora.”

Evito di incrociare il suo sguardo, ed esco direttamente dalla camera, senza nemmeno voltarmi per accertarmi che mi stia seguendo in cucina. Se mi girassi in questo momento, la vederei che, immobile sull'uscio della porta di camera mia, tocca il punto in cui le mie dita l'hanno sfiorata, stringendo le labbra, prima di scuotere la testa e raggiungermi.

Seduta davanti al televisore, con le gambe incrociate e il collo teso verso lo schermo, del tutto assorbita dalla sequenza epilettica che si sta svolgendo sullo schermo, Hanako sembra risvegliarsi solo quando ci sente entrare nella stanza; si volta appena a guardarci, inclinando la testa lateralmente, come se ci stesse studiando con attenzione, allo stesso modo in cui si studierebbe un animale raro rinchiuso in una gabbia. Tento del mio meglio per ignorarla, anche se è difficile sentirsi osservati qualunque cosa si faccia, anche prendere del semplice gelato dal congelatore; quando lo apro, una leggera brezza gelida mi carezza il volto, mandandomi un brivido lungo il corpo che scaccio affondando la mano a scavare tra gli spinaci surgelati e le bistecche di manzo brinate, finché non sento tra le dita l'inconfondibile forma di due gelati, due semplici ghiaccioli al limone, gli ultimi superstiti di una scorta comprata una settimana fa e terminata in ancora meno tempo a causa del continuo aumentare delle temperature e dell'intensità delle nostre infruttuose sessioni di studio.

Ci sediamo attorno al tavolo e, dopo averlo scartato, inizio a succhiare pensosamente il ghiacciolo, lo sguardo perso verso la finestra, per evitare di incontrare lo sguardo di Mana ancora una volta. Dopotutto, ora abbiamo altri problemi a cui pensare, molto più urgenti di una semplice…

“Fratellone, stai male? Sei tutto rosso.”

La domanda di Hanako mi prende alla sprovvista, e per un istante rischio quasi di soffocarmi con il ghiacciolo; dopo aver tossito qualche volta, scocco un'occhiata penetrante alla colpevole e alla sua capacità totalmente inopportuna di piombare nei momenti peggiori e di fraintendere continuamente le situazioni.

“No, non sto male,” le rispondo seccamente, affondando i denti nel ghiacciolo e riducendo in piccoli frammenti il pezzo strappato, prima di ingoiarlo, “Sarà il caldo.”

Hanako non sembra dare troppo peso alla mia risposta, scrolla semplicemente le spalle, prima di spegnere la televisione e andarsene in camera sua a finire i compiti che ha lasciato in sospeso. Ci ritroviamo di nuovo io e Mana, soli, e il silenzio crollato improvvisamente tra di noi, come a separarci.

Mana è la prima a romperlo, mentre giocherella con il bastoncino del ghiacciolo ormai sciolto, picchiettandolo contro la superficie del tavolo, “Minato,” trattengo il respiro, pronto a ricevere una qualsiasi domanda su quello che è accaduto prim... “Prenderesti il mio cellulare?”

Preso alla sprovvista, obbedisco meccanicamente a quell'ordine, e dopo essere tornato in camera mia, e aver recuperato il cellulare poggiato sopra il mio letto accanto al mio, glielo porgo, incuriosito da quella improvvisa richiesta. Quindi, evidentemente, quel momento di imbarazzo è già sparito. Sì, dopotutto non è stato nulla, ed abbiamo qualcosa di molto più importante da affrontare, una situazione decisamente difficoltosa e che, da qualunque verso la possa guardare, non sembra avere via d'uscita.

“Comunque, a cosa ti serve il cellulare?” le chiedo, mentre mi alzo per andare a prendere del tè freddo dal frigorifero, versando il contenuto ambrato della bottiglia in due bicchieri in cui lascio cadere anche qualche cubetto di ghiaccio recuperato dal freezer; immagino si aspettasse la domanda, perché si volta verso di me mostrandomi il dorso della mano ed il Marchio, leggermente sbiadito perché, probabilmente, non ha avuto tempo di applicarlo di nuovo.

Tende le braccia verso l'esterno, come se stesse richiamando qualcuno verso di sé, e dalla sua bocca emerge una bassa risata di soddisfazione, come di chi ha raggiunto un'illuminazione di grado superiore che gli permette di superare qualunque ostacolo.

Questo vuol dire che ha trovato un modo per uscire da questa situazione?

Nightmare Edge, per quanto l'Occhio Demoniaco sia il più forte, a volte è necessario ricorrere all'aiuto di altri compagni per sconfiggere l'Antico. È il momento che, per la prima volta, la Nuova Arcana Biblioteca dell'Eterna Oscurità si riunisca per affrontare il suo nemico, per adempiere allo scopo per la quale è stata creata!”

“Vuoi studiare in gruppo, quindi? Questa è… davvero un'ottima idea! Haruhiko e Nao sono tra i migliori della nostra classe...” e forse loro riusciranno dove io ho fallito, ma mi trattengo dal dirlo e mi limito ad annuire. Per una volta, un'idea di Mana non si è rivelata del tutto folle, mi sento quasi commosso.

“Mh, va bene, ci penso io a quello,” la sento mormorare, annuendo tra sé e sé, “non ci dovrebbero essere problemi. Domani allora metteremo a punto gli ultimi dettagli. Un piano degno di te, Grimoires Master.”

Quando Mana mi si avvicina, sto bevendo gli ultimi sorsi del tè leggermente annacquato, alcuni cubetti si sono sciolti mentre giocherellavo sovrappensiero con il bicchiere; si siede accanto a me, mostrandomi un'aria compiaciuta che indica chiaramente come la sua strategia sia andata a segno. Conoscendo Haruhiko, difficilmente le avrebbe rifiutato un favore, sopratutto di fronte ad una richiesta così disperata.

“Domani, appena terminata l'ultima ora, la Biblioteca si riunirà per sconfiggere l'ennesimo ostacolo posto dall'Antico sul nostro cammino,” mi annuncia solennemente, senza nascondere la soddisfazione nell'annunciarlo, “Dobbiamo distruggere questo esame, per liberare la via verso il nostro nemico.”

“Sì, sì, come ti pare. Devo avvertire mia madre che avremo ospiti,” rispondo, facendo per alzarmi, ma Mana scuote repentinamente il capo, “Non ce n'è bisogno, Nightmare Edge.”

“Andiamo in biblioteca?”

Un altro cenno di diniego.

Non mi viene in mente nessun altro luogo in cui potremmo riunirci. Forse casa di Haruhiko o di Makoto, ma anche questo tentativo si rivela un buco nell'acqua. A casa di Ogawa è fuori discussione, visto tutti i problemi che ha con sua sorella, e quella di Nao è inaccessibile visto che, ironia della sorte, sua madre si è ammalata subito dopo di lei. E se non è casa mia, né tanto meno quella di Mana, poiché i suoi genitori non ci sono…

Il mio cellulare vibra improvvisamente e, sovrappensiero, non presto troppa attenzione al mittente quando lo apro; solo nel momento in cui leggo il testo e mi ritrovo con gli occhi sbarrati, noto che mi è stato mandato da lei.

Come sono riusciti a convincerla..?

Non mi dire che—

DA:Hitomi Mori

Impegniamoci al massimo domani nello studio, Minato!

 

La scuola è particolarmente pesante, oggi. I professori stanno facendo del loro meglio per non metterci pressione, ma il fantasma degli esami imminenti si fa sempre più vicino e le lezioni di ripasso hanno aumentato di colpo il ritmo, crollando sulle nostre spalle di stanchi e provati studenti; l'aula sembra un forno crematorio, e il caldo dell'esterno non ha fatto altro che aumentare esponenzialmente entrando in classe, risucchiando nello spazio di poco tempo ogni minima volontà di essere produttivi; a detta di Haruhiko, questo è il momento in cui i forti di distinguono dai deboli, o qualcosa del genere, un discorso che non sono riuscito ad ascoltare del tutto. Ridotti praticamente a fantocci colanti sudore, chi sdraiato sul banco, chi in un precario equilibro tra il sonno e la veglia, sembriamo più una massa di zombi che un collettivo di studenti. Makoto, dietro di me, ha ceduto alla calura dopo la terza ora, ritrovandosi con la testa ciondolante e in uno stato di dormiveglia, interrotto bruscamente solo dai richiami del professore; Kauzhiro, nonostante abbia tentato di non farlo notare, non ha sofferto di meno il caldo, al punto che, in questo momento, dopo che ci siamo radunati per il pranzo, sta trangugiando avidamente ampie sorsate d'acqua da una bottiglia da un litro estratta da chissà quale tasca magica. Mi chiedo come non stia annegando, nel berne così tanta.

L'unico che sembrava totalmente immune alla calura, è stato Haruhiko: per qualche motivo, è come se il clima esterno non lo tocchi e abbia ripercussioni minime sul suo fisico. O almeno, è quello che ho creduto, finché Hitomi non mi si affianca con un sorriso sardonico, sedendosi di fronte a me, nel posto solitamente occupato da Mana. Riuniti intorno ai tavoli uniti per mangiare, Kazuhiro poggia la bottiglia d'acqua ormai vuota con un profondo sospiro di sollievo, proprio nel secondo in cui Hitomi indica uno strano, insolito oggetto sporgere dal banco di Haruhiko: una borsa termica comparsa da chissà dove, posso giurare che questa mattina all'ingresso non la avesse con sé, ed effettivamente mi appariva stranamente deformata e gonfia, come se contenesse una grande quantità di… qualcosa. E quel qualcosa si rivela essere una scorta di acqua minerale ed integratori di vario genere, abbastanza da trascendere il comune livello di sopportazione umano ed ascendere ad un piano superiore, al prezzo probabilmente di qualche anno di vita, almeno a giudicare dalla quantità di contenitori di plastica accatastati all'interno.

“Incredibile, Acqua delle Sorgenti di Reillor!” esclama Mana, strappando fulmineamente dalla mano di Hitomi uno dei pochi integratori superstiti, esaminandolo con un'espressione rapita controluce, le bollicine colorate al suo interno che galleggiano pigramente verso la superficie.

“No, è una comune bibita energetic—” ovviamente la mia debole protesta viene soffocata dall'entusiasmo della mia compagna, che inizia immediatamente a porre domande a raffica ad Haruhiko su come l'abbia ottenuta, domande che vengono spente da Hitomi con un sorriso affilato, “Anche tu non sei immune del tutto a questo clima, allora.”

“Posso stare benissimo senza quelle,” risponde di rimando a bassa voce, stringendo le bacchette con tanta forza da farle leggermente scricchiolare; l'unica cosa che lo trattiene, credo sia l'idea di non poter mangiare senza, “E non credere di poter minare le mie capacità in questo modo solo per ottenere il primo posto, Mori!”

“Oh-oh, Nishimura! Ti vedo più sicuro di quanto in realtà tu sia!” ringhia lei di risposta, alzandosi in piedi e allungandosi verso di lui, il sorriso incurvato in un ghigno mordace, “Ma questa volta sarà diverso. Sfrutterò ogni mia capacità per vincere, mi hai sentito?”

“Questi due… ce l'hanno ancora per le simulazioni?” ovviamente il commento rassegnato è quello di Nao, il cui sguardo perplesso non sembra volersi staccare dalle espressioni feroci, se non animalesche, che hanno piegato i loro visi.

Scrollo le spalle, troppo esausto per riuscire ad intervenire con più di qualche patetica parola nel vano tentativo di dividerli. Effettivamente è dalle simulazioni della settimana scorsa che la scintilla di rabbiosa competizione scoppiata tra questi due non sembra spegnersi; è qualcosa che va ben oltre la voglia di primeggiare. È come una lotta per il posto di animale dominante, e la terribile aria di sfida che aleggia tra i due, talmente tesa da poter esplodere con una minima scintilla, non accenna ad allentarsi e non credo lo farà prima dei risultati degli esami stessi. Il punto è che Haruhiko è sopra di Hitomi di uno o due punti sul punteggio complessivo, una differenza talmente minima da poter essere facilmente ignorata; ma nessuno dei due è il tipo da arrendersi su questo punto. Come ho imparato a mie spese, Haru adora la competizione e non si lascerebbe superare per nulla al mondo; quanto ad Hitomi, non è così differente da lui, in questo, e farebbe di tutto per creare una nuova immagina di sé completamente antitetica a quella di un tempo.

Il risultato, lo abbiamo sotto agli occhi ogni giorno.

“Kazu, ti dispiace..?”

Alla richiesta di Nao, Kazuhiro, ormai abituato a questo scenario, li divide mettendosi in mezzo con il suo sguardo sinistro da teppista mancato, che automaticamente fa indietreggiare entrambi i contendenti come presi di sorpresa. Non posso biasimarli, dopotutto anche io ho sentito un brivido scorrermi lungo la schiena, quando ho incrociato il suo sguardo corrucciato in alcune occasione, pur sapendo come egli non sia per nulla come appaia esternamente. Nao batte le mani con aria conciliante, riportando la pace sul campo di battaglia che è divenuto il nostro tavolo per il pranzo, “Basta, voi due. Haruhiko, tu sei un rappresentante di classe, e tu Mori, che impressione vuoi dare agli altri?”

Come se entrambi avessero ricevuto un calcio nello stomaco, i loro corpi si irrigidiscono di colpo. Ricadono quasi simultaneamente sulle loro sedie con un tonfo, uno con un'aria terribilmente mortificata, togliendosi gli occhiali con mano tremante, l'altra rossa in viso e con i denti digrignati, le spalle leggermente vibranti dall'imbarazzo. Faccio uno stanco gesto di ottimo lavoro alla nostra salvatrice, e avvicino alla bocca la lattina di soda fredda presa dal distributore, bevendone una piccola sorsata per schiarirmi la gola, prima di riuscire a parlare nuovamente, “Vi avverto, non sarà un compito facile. Mana è un caso disperato e...”

“Non sono andata così male,” protesta senza troppa energia, passando imbarazzata le dita sul bordo della lattina, ma il suo commento viene ignorato, perché sappiamo tutti più che bene in che situazione si trovi.

“Dicevo, sarebbe stata un'impresa impossibile per me. Per questo motivo, voglio ringraz—”

Hitomi soffoca le parole ancora prima che lascino le mie labbra, avvicinandosi pericolosamente a me in un solo, sinuoso scatto, piegandosi leggermente verso di me in modo da far incontrare i nostri occhi; come se fossero magneti, in un solo istante mi ritrovo a guardarla senza riuscire a staccarmi, e il sorriso che si apre sul suo volto di colpo è totalmente diverso dal ghigno sinistro che aveva fino ad un secondo fa, come se fosse cambiata repentinamente semplicemente nel momento in cui ho iniziato a parlare.

“Non preoccuparti, Minato, ce la metteremo tutta. E se avrai bisogno di aiuto, puoi sempre chiedere a m—eh?!” la frase viene interrotta quando Mana appare da dietro, colpendola alla testa con la mano su cui è impresso il sigillo, facendola barcollare all'indietro per la sorpresa. Il mio sguardo sorpreso incontra il suo e, per un istante, mi sembra di cogliere in esso una scintilla di un'emozione passeggera, inghiottita di nuovo dalle tenebre delle sue iridi.

“Cosa ti salta in mente?” le chiedo, mentre Hitomi si massaggia il punto colpito, “Guarda che non si attaccano le persone alle spalle.”

Mana abbassa gli occhi, il ciuffo che li copre leggermente, ed evita di guardarmi in viso, mentre sussurra appena, “Non lo so. Mi ha dato fastidio.”

Queste sono le ultime parole della nostra pausa pranzo, prima che la campanella suoni richiamandoci tutti di nuovo ai nostri posti, condannati ad un'altra, lunga ora di lezione prima di poter fuggire da quest'aula dalla calura infernale e recarci a casa di Hitomi per imbarcarci nell'impresa titanica di riuscire a preparare una ragazza disperata e priva di nozioni, nello spazio di soli tre giorni, agli esami del trimestre: un miracolo, più che una sfida. Ma se c'è una cosa di cui sono sicuro, è che se deve accadere qualcosa di prodigioso, le persone adatte a compierlo sono quelli che lei stessa ha riunito nella Nuova Arcana Biblioteca dell'Eterna Oscurità. E, anche se ho smesso con le fantasie della sindrome di seconda media da un bel po', non posso che chiudere gli occhi per un secondo e formulare un incantesimo di fortuna, nella speranza che essa ci aiuti nel triste avvenire.

Quando la campanella finalmente emette il suo penetrante e metallico suono, io e Hitomi siamo i primi ad uscire dall'aula; mentre attendiamo che gli altri ci raggiungano, ci sediamo sulle panchine del cortile, il sole estivo che non vuole darci nemmeno un secondo di tregua, il cielo talmente terso da ferire quasi gli occhi con il suo azzurro così splendente, privo di imperfezioni, senza alcuna nuvola. Una giornata talmente perfetta non solo è quasi irreale, ma sembra invitarci a risparmiare le energie, piuttosto che camminare sotto il sole per poi crollare sui libri a studiare. Sposto cautamente lo sguardo su Hitomi, che sta poggiata allo schienale con un'espressione assente stampata in viso, e una lattina di cola nella mano destra, che si porta delicatamente alle labbra per berne un lungo sorso, senza alcuna pietà della mia bocca riarsa dalla calura.

Come intuendo i miei pensieri, i nostri sguardi si sfiorano e la sua faccia si illumina di colpo; tende la lattina verso di me, inclinandola appena così da farmi vedere il liquido scuro e fresco al suo interno muoversi secondo il leggero roteare del suo polso, “Ne vuoi un sorso?” mi chiede, rivolgendomi un sorriso ancora più ampio di quello della pausa pranzo, “Prima che gli altri arrivino e si facciano strane idee.”

“C-come?” faccio fatica a deglutire, sia per la gola secca ed impastata, sia per l'improvviso battito accelerato che ha preso il mio cuore. Per quanto possa darmi dello stupido, la mia mente non riesce a processare del tutto quello che sta accadendo davanti ai miei occhi.

“Non farti strane idee. È solo per aver mantenuto il segreto con gli altri compagni di classe,” spiega, picchiettando l'indice sul bordo della lattina, e producendo un sordo rumore di alluminio contro la sua unghia, ricoperta di un pallido smalto colore violaceo.

“Gli altri della Biblioteca lo sono venuti a sapere comunque...” sospiro, allungando la mano verso la bevanda offertami come un dono dal cielo, esattamente con la stessa avidità di un disperso in mezzo al deserto, “Mi dispiace per quello. Avrei dovuto stare più attento a parlarne con Mana.”

“Non potevi farci nulla. E poi, mi hai anche ascoltato e per poco non ti ho fatto ritardare a lezione. È il minimo.”

Vinco ogni resistenza, e dopotutto sono troppo assetato per poter rifiutare un così generoso dono del cielo. O di Hitomi, in questo caso. Stringo la lattina, e la piacevole sensazione di freddo che si allunga per il mio braccio mi rinfranca per qualche secondo, scacciando l'afa dal mio corpo, “Allora, grazie mille,” esitando, con ancora qualche dubbio, ma troppo spossato dalla sete per badarci, avvicino la lattina alle labbra e…

“FERMO!” un colpo deciso di mano me la strappa dalle dita, scagliandola a rotolare a terra e rovesciando tutto il prezioso contenuto; la cola gocciola penosamente sull'asfalto, quasi sfrigolando al contatto, e io non posso che rimanere completamente immobile ad osservare quel dolce elisir, la mia salvezza, completamente sprecato, come se mi stesse beffardamente ridendo in faccia. Con un movimento meccanico del collo, la mia attenzione passa lentamente dallo sfacelo della bevanda rovesciata, all'autrice sconsiderata di quel gesto folle ed insensato – una voce che riconoscerei tra migliaia. Mana emette un profondo sospiro di sollievo, quasi come se mi avesse appena salvato per un pelo, ed annuisce compiaciuta tra se e se per l'intrepida azione che mi ha negato un sacrosanto momento di refrigerio.

“Si può sapere perché lo hai fatto..?” sussurro, disperato, incapace perfino di provare rabbia per questo gesto inconsulto, mentre tento vanamente di stringere l'aria, il vuoto, poco prima occupato dalla lattina.

Lo sguardo interrogativo di Mana è quello di chi non comprende come gli altri non intuiscano il motivo di un'azione talmente sconsiderata, o insensata ai miei occhi. Hitomi, dal canto suo, sembra esattamente confusa come me, e quando Mana nota che nessuno di noi riesce a capire, estrae il suo quaderno degli appunti arcani, sfogliandolo concitatamente sotto i nostri sguardi curiosi di una spiegazione plausibile, finché non raggiunge la pagina che cerca, aprendola fieramente davanti a noi con un, “Non è ovvio? Ora capite, vero?”

Il capitolo si chiama -Veleni e Filtri- ed è una copiosa raccolta di intrugli totalmente inventati dagli effetti osceni e talmente crudi nella descrizione, da darmi un improvviso impulso di vomitare i rimasugli del pranzo; trattenendo l'istinto di rimettere, indico debolmente la pagina aperta sul Kurokemono, che l'elegante scrittura gotica di Mana descrive come un potente veleno infettivo dal colore nero che divora il suo possessore, rendendolo una parte dell'Ultimo Oscuro, una creatura di qualche tipo di cui serbo un vago ricordo. In pratica, lei ha fatto tutto questo perché… credeva che della cola fosse un veleno.

Mi porto le mani al viso, completamente rassegnato, e limitandomi ad emettere un sospiro di una tale intensità, da lasciarmi praticamente senza aria nei polmoni. Hitomi, invece, ha già la bocca aperta per protestare, quando Haruhiko compare alle nostre spalle, la borsa in spalla – dove diavolo ha messo quella in cui teneva le bottiglie?! – che gli dà un colpetto sulla testa come per calmarci, con l'aria intransigente del capoclasse, “Allora, avete finito di fare i bambini, voi tre? Piuttosto, Mori. Dov'è casa tua?”

“Ah, non preoccupatevi di quello,” Hitomi si alza in piedi, ed estrae il cellulare dalla tasca, “Due minuti e saremo lì.”

“Abiti così vicino?” chiedo, mentre tengo sotto occhio Mana che si è seduta vicino a me con aria rattristata, tirandomi appena la manica per richiamare la mia attenzione. La sua espressione è talmente affranta che non me la sento nemmeno di tenerle il broncio, e dopotutto fino ad ora non ho avuto nemmeno l'idea di litigare con lei, per quanto mi abbia trascinato nelle situazioni più assurde; quella, dopotutto, è stata solo un'altra delle sue fantasie ed io la capisco fin troppo bene. Forse è per questo che non riesco ad arrabbiarmi, nonostante tutto. In fondo, sento quasi di divertirmi, quindi le do un buffetto amichevole alla guancia, e torno a concentrarmi sulla risposta di Hitomi, che scuote la testa, “Non troppo distante da qui.”

“Andiamo, allora, non abbiamo tempo da perdere,” risponde Haruhiko.

“Sono questi i momenti in cui vorrei poter usare il Teletrasporto...” sospira Hitomi, mentre ci allontaniamo dalla panchina.

“Ah, posso fare io, se volete...”

“No, Mana, non serve, stava scherzando.”

“Oh.”

Mentre ce ne andiamo, Mana rimane indietro. Sta in piedi di fronte alla lattina, come se esitasse a toccarla. Una singola nuvola passa, in questo momento, a coprire il sole, oscurando con la sua ombra il cortile, e in quel preciso istante è come se la sua intera figura si fosse fatta più scura. Ed è solo ora che noto l'espressione ancora malinconica sul suo viso. Non si accorge nemmeno che le sono arrivato al fianco, finché non le poggio la mano sui capelli, scompigliandoglieli appena, facendoli ondeggiare alla luce del sole che riprende a farsi spazio, fino ad investirci nuovamente con la sua calura.

“Tutto bene?” le chiedo.

Annuisce, “Stavo solo… pensando.”

“A cosa?”

Improvvisamente, come se questa innocente domanda avesse infranto qualcosa, sembra tornare di colpo in sé, perché scuote la testa e tende la mano con il cerchio magico verso il cielo, “A come affrontare il terribile mostro che si cela dietro agli Esami, non è ovvio? E se aumentassi la mia capacità di Vedere oltre il Velo? Pensi che potrei farcela?”

“Dovresti studiare seriamente, piuttosto. Andiamo, gli altri ci aspettano.”

La prendo per mano e, senza voltarmi, la trascino quasi di peso verso l'entrata della scuola, dove tutti gli altri stanno aspettando pazientemente il nostro arrivo – dopotutto, è principalmente per Mana che stiamo facendo tutto questo.

Se solo mi girassi, ora, potrei vederla che si tocca, con le dita tremanti, il punto dove l'ho accarezzata, e forse noterei anche come le sue guance si stanno tingendo di rosso.

Ma sono troppo schiacciato dall'idea terribile dello studio che si prospetta davanti a noi, per riuscirci.

Riuniti tutti al cancello, e dopo aver ascoltato un mezzo rimprovero di Haru sulla nostra lentezza, ci mettiamo tutti in marcia guidati da Hitomi, che ci indica la strada di volta in votla, un percorso abbastanza semplice da seguire, in realtà; Cinque minuti a piedi sono sufficienti per arrivare in una strada secondaria che non sembra diversa dalle altre che ho già visto, banalmente identica alle stesse in cui si trova la mia abitazione o quella di Mana. Mi sfugge solo la necessità di avere un muro laterale talmente ampio, che prosegue per una lunghezza impressionante, dove ci sarebbero potute essere delle altre case, ma non faccio domande, dopotutto l'urbanistica non è di mia competenza, ma è un dubbio che viene fugato dalla nostra guida poco dopo, quando ci fermiamo di fronte a quella che sembra essere nulla più che una semplice parte del muro stesso; si volta verso di noi, rivolgendoci un sorriso soddisfatto, come ad attendere le nostre reazioni – probabilmente molto diverse da quelle che si aspettava, perché Kazuhiro è il primo a riuscire a porle la fatidica domanda, data la palese confusione di tutti noi. “Per quale motivo siamo fermi qui davanti?”, chiede Ogawa senza riuscire a nascondere un tono dubbioso, come se si aspettasse una sorta di gioco di prestigio da un momento all'altro.

Ma la risposta di Hitomi non fa altro che lasciarci ancora di più nel dubbio, visto che dal suo sguardo siamo noi che non riusciamo a capire qualcosa di tanto ovvio, “Come perché?”

“Ogawa si è espresso male,” interviene pacatamente Haruhiko, “Volevamo sapere dove hai lasciato il cerv—” Io e Makoto siamo abbastanza veloci da tappare la sua bocca prima che la sua affermazione dia il via ad un'altra lite, combattendo strenuamente contro il suo agitarsi, e riusciamo a soffocare le sue parole in un basso mugolio indistinguibile. Una occhiata di supplica a Nao è sufficiente a farla intervenire, prima che la situazione precipiti ancora di più.

“Perché siamo fermi davanti a questo muro.”

“Ah, giusto. Non ve l'ho detto. L'ingresso è più avanti, venite.”

Per qualche ragione, ho come l'impressione che fosse solo una messinscena per rendere ancora più impressionante lo spettacolo che ci si presenta dopo aver mosso qualche altro passo fiancheggiando il muro, sul quale si apre improvvisamente un grosso cancello in ferro battuto e finemente decorato con motivi simili a quelli che ho visto nelle mie ricerche sull'arte occidentale greca, ai tempi in cui ne studiavo la mitologia per soddisfare la mia sete dell'occulto generata dalla sindrome; e, al di là del cancello, si apre un lunghissimo viale alberato circondato da un prato come l'ho visto solo nelle foto di alcune ville nobiliari della vecchia Europa. Tuttavia, ciò che cattura davvero l'occhio, è l'edificio elegantemente sfarzoso che si innalza sul fondo, stagliandosi fieramente contro il cielo terso, una architettura dalle reminiscenze occidentali che, seppur di soli tre piani, ruggisce fierezza e stato sociale elevato da ogni suo mattone.

“Benvenuti a villa Mori! Fate pure come se foste a casa vostra,” sorride tranquillamente Hitomi, come se non ci stesse mostrando nulla di speciale. Non riesco a capire se si tratti di falsa modestia, o se effettivamente sia convinta che non ci sia nulla di esagerato o di incredibile da sfoggiare – in entrambi i casi, non sembra comunque che il suo scopo fosse impressionarci per appagarsi del nostro stupore. Nessuno di noi è riuscito a trattenersi dal rimanere a bocca aperta di fronte a quell'improvvisa apparizione nel mezzo di un quartiere qualsiasi. Perfino il muro che abbiamo visto, è parte stessa della casa, la sua recinzione che delimita il giardino dalla strada.

“Su, venite, non abbiamo molto tempo, vero Nishimura?” sogghigna, ammiccando verso Haruhiko, che tenta di ricomporsi dallo stupore in una frazione di secondo, assumendo nuovamente la sua espressione seria da capoclasse. Mentre attraversiamo il vialetto, con la ghiaia che scricchiola sotto le suole delle nostre scarpe, all'ombra ristoratrice degli alberi che lasciano filtrare solo qualche occasionale raggio di sole, noto l'espressione dubbiosa di Mana, come se qualcosa non andasse e la disturbasse. Vorrei non doverle chiedere nulla, ma semplicemente non riesco ad ignorarla, quindi le do un colpetto alla spalla per richiamare la sua attenzione, “Qualcosa non va?”

“Questa casa… è protetta da numerosi incantesimi. Il mio Occhio Demoniaco potrebbe essere impossibilitato a sfruttare il suo pieno potenziale,” mi spiega con un'espressione talmente seria che se non fossi abituato alle sue fantasie, probabilmente finirei quasi per dare credito a quello che mi sta cautamente sussurrando, “In caso di attacco del nemico, dovremmo disattivare le protezioni, solo in quel modo riuscirò a combattere. Pensi di potercela fare?”

“Siamo qui per riuscire a farti passare gli esami, non per...” mi passo una mano tra i capelli, quando noto il suo sguardo pieno di aspettativa, non me la sento di spegnerlo in questo modo; quindi mi mordo la lingua per trattenermi e, preparandomi a dare uno scossone a quella parte di me che si vergogna terribilmente del suo passato, annuisco e mi piego verso di lei, per sussurrarle il mio piano, “Mi basterà attivare la Black Zagan e incanalare Zafkiel verso il nucleo delle difese. Quindi, mi raccomando, tenta di individuarlo.” È come se qualcosa di agitasse dolorosamente in me, mentre lo dico, ma è una sensazione che sparisce nell'istante stesso in cui sul volto di Mana si apre un sorriso entusiastico per la mia risposta, “Certo. Farò subito, vedrai,” stringe le piccole mani in due pugni di determinazione, “Lo individuerò senza alcun problema.”

L'idea geniale mi attraversa come una scarica elettrica. Mi congratulo con me stesso anche solo per aver partorito questa geniale intuizione; mi sembra quasi di raggirarla, sfruttandone l'innocenza, ma dopotutto a mali estremi, estremi rimedi – e visto com'è disastrosa la sua situazione, ogni mezzo è valido. Per cui...

“Ah, Mana,” aggiungo, quasi come se si trattasse di un dettaglio secondario, “Voglio stringere un patto con te. Allora, ecco...” mi schiarisco la voce, in modo da farla suonare nuovamente come quella del Nightmare Edge, decisamente più sprezzante e cupa del mio normale tono, “In nome del nero Abisso che tutto divora, se riuscirai a studiare per i test, e a passarli tutti...” tendo il braccio in avanti, dopo un gesto esageratamente teatrale, “Ti concederò un frammento del mio potere!”

Nella mia testa, suonava decisamente migliore. Forse pretendo troppo, nello sperare che ceda davvero ad una scusa banale come questa; chiunque si accorgerebbe che è una bugia creata con il solo di—

“Davvero?!”

“Ah… certo.”

“Giuramelo!” si pianta davanti a me, le braccia sui fianchi, un piglio deciso come non l'ho mai visto sul suo volto, una volontà talmente bruciante da minacciare quasi di scottarmi. Senza mostrare alcuna esitazione, annuisco, coprendomi la parte destra del viso con la mano sinistra, e sforzando il viso un ghigno di superiorità, “Ho mai mentito, forse?”

“Allora...” mi afferra la mano e, abbassando la testa, in modo che i nostri occhi non si incrocino, “Giura,” le nostre dita si incrociano, mentre insiste, con voce talmente fievole da non riuscire nemmeno ad udirla, “che mi darai il tuo potere.”

“Lo giuro sul nostro patto.”
A quelle parole, la sua presa si fa un po' più forte. I suoi occhi si illuminano di colpo, “Allora farò del mio meglio, Nightmare Edge!

“Mi raccomando, allora. È una promessa.”

Non so nemmeno io perché la stia prendendo così seriamente. Forse perché ho visto quanto lei ci tenga, o forse perché è difficile vederla illuminarsi così. Fatto sta, che ora spero davvero di poter adempiere a questo giuramento che ci siamo scambiati. Quindi, ora più di prima, dovrò mettere tutto me stesso per aiutarla a superare questi esami.

Prima che gli altri ci richiamino, ci accodiamo di nuovo al gruppo, raggiungendo Makoto e Kazuhiro, gli ultimi della fila, il cui sguardo perplesso è ovviamente rivolto verso Hitomi e Haruhiko che stanno ancora discutendo sui risultati che otterranno, utilizzando termini abbastanza inadeguati per un contesto scolastico, come “annichilire”, “distruggere”, “fare a pezzi”, o “ridurre a una manciata di inutili atomi fluttuanti nel nulla cosmico”. Anche i migliori, quindi, a modo loro, sono stressati da questi esami, alla fine; spero solo che passino in fretta, in modo che la competizione tra quei due si spenga e il loro rapporto torni a normalizzarsi. Ogni volta che li guardo, è come se osservassi uno scontro tra due titani in grado di spazzarci via tutti e onestamente non è uno spettacolo a cui voglio assistere.

L'interno della magione di Hitomi non ha nulla da invidiare all'esterno e, pur non ostentando un lusso sfrenato, non posso che sentirmi un intruso qui dentro. La sensazione persiste anche quando saliamo al secondo piano, seguendo la padrona di casa che fa strada, impegnata con Haruhiko a scrivere qualcosa su un foglio con una dedizione quasi demoniaca, al punto che mi sembra di poter vedere uno scintillare sinistro nei loro occhi, come accesi da una sorta di malvagità furiosa; riesco vagamente ad immaginare di cosa si tratti e, se la mia ipotesi è giusta, non posso reprimere un brivido lungo la schiena. Deglutisco a vuoto, mentre rivolgo a Mana un'occhiata di sottecchi, ovviamente trovandola ignara di quella fatalità si sta per abbattere su di lei. Forse, pensandoci meglio, non è stata una così buona idea affidarsi a loro…

La camera di Hitomi è… stranamente normale. Mi aspettavo qualcosa più in tema con il resto dell'abitazione, e quindi decisamente più sfarzoso, ma in realtà è solo molto ampia ed il letto è a due piazze, decisamente troppo grande per una sola persona. Per il resto, non ha nulla di insolito o troppo diverso da una qualsiasi altra camera da letto. Ci sediamo attorno al tavolino messo appositamente al centro della stanza, sopra ad un tappeto da un vago color viola incredibilmente soffice, i libri già impilati davanti a noi. L'espressione determinata sul viso di Mana mi scalda il cuore, perché so benissimo quanto stia prendendo seriamente la sua promessa, ma allo stesso tempo mi preoccupa la sua preparazione attuale e le misure disperate che richiederà.

Haruhiko si schiarisce la voce, e questo è tutto quello che basta per far calare il silenzio tra noi, tutti in attesa di quel che sta per accadere, pronti ad udire il suo giudizio, opportunamente vagliato per una situazione tanto buia come quella di Mana. Nella sua mano destra c'è un foglio, anzi una tabella perfettamente divisa per ore, argomenti e giorni – un piano perfettamente congegnato di studio matto e disperatissimo necessario a far raggiungere a Mana un livello sufficiente a sopravvivere agli esami. I miei occhi si spalancano di fronte a quella schiacciante e fitta mole di lavoro che lascerebbe sfinito chiunque, figuriamoci una come lei che vive distaccata da questa realtà e immersa nelle sue fantasie, rinnegando il mondo e preferendogli quello di magia e irrealtà. Io che ho studiato con lei, so benissimo quanto sarà dura seguire quel programma, ma… la guardo. Non l'ho mai vista così pronta per qualcosa, così carica di aspettativa e volontà, e questo accende in me una flebile speranza. Forse possiamo farcela.

No, dobbiamo farcela.

“D'ora in poi, per i prossimi giorni, tu non sarai più un essere umano.”

“Piantala, Nishimura, così le metti paura...”

Il primo scambio di battute tra Hitomi e Haruhiko non è per nulla rassicurante, ma Mana non ne sembra eccessivamente turbata, perché inizia a sghignazzare a bassa voce, incrociando le mani di fronte al volto con un gesto di superiorità agghiacciante, “L'Occhio Demoniaco non ha di certo paura di affrontare un ostacolo del genere. Lo spazzerò via senza alcun problema.”

Non credo che abbia del tutto afferrato la situazione, ma quanto meno sembra aver accettato di buon grado il fatto che verrà sottoposta ad un regime massacrante che, su carta, assomiglia più ad una tortura psicologica di qualche genere.

“In questo caso, ti assicuriamo che riuscirai a superare i test senza alcun problema,” Haru si aggiusta gli occhiali sul naso, mentre apre il primo libro che ha preso in man dalla pila di fronte a sé, storia moderna, “Acquisirai una conoscenza senza pari!”

L'espressione di Mana si accende di colpo all'udire quelle parole e balza in piedi tendendosi verso di lui, piegata a metà sul tavolino, “Una conoscenza senza pari?! Potrò lanciare incantesimi ancora più potenti?”

“Beh, no ma—” Haruhiko viene bloccato prima che possa terminare la frase da un calcio ben assestato di Hitomi sul suo piede destro, mettendolo a tacere di colpo; dalla sua bocca ancora aperta esce solo un gemito soffocato e si rannicchia a terra senza dire una parola, lasciando che Hitomi continui al posto suo, cogliendo la palla al balzo, “Ovviamente. Riuscirai a divenire esponenzialmente più forte, alla fine di questo intenso allenamento.” Mi fa un segno di vittoria, sorridendomi, ed io le rispondo annuendo con gratitudine.

“Lascio tutto nelle vostre mani...” le dico, quando mi si siede accanto, “E sei stata davvero pronta a risponderle in quel modo. Sicuramente ora sarà ancora più motivata di prima.”

“Ho solo fatto quello che fai anche tu di solito, no?” mi risponde, “Piuttosto, tu non hai bisogno di aiuto?”

“Mh? No, sono a posto così. Anche se...” do un colpetto con la penna alla pagina di un problema di matematica sul libro e che ho tentato invano di risolvere inutilmente nei giorni precedenti, “Non so come proseguire, da qui.”

“Oh, è semplice. Basta che fai così… e così… chiaro?” dopo aver scritto rapidamente delle note al lato della pagina, alza la testa ad incrociare i nostri sguardi, in attesa di una conferma.

“Sì… sì, è vero. Che stupido, e pensare che ci ho messo così tanto. Grazie, Hitomi. Sei molto più gentile di quanto tu voglia far vedere, eh?”

Abbassa di colpo gli occhi, scuotendo la testa, “E questo da dove esce? Sei quel tipo di persona che aspetta che una donna abbassi la guardia, prima di attaccarla?”

“Ma cosa stai dicendo?”

Ancora confuso, non mi accorgo di Mana che sopraggiunge alle mie spalle, gettandosi addosso alla mia schiena e facendomi cadere in avanti, con la faccia dritta sul suo quaderno che mi ha prontamente messo in faccia per mostrarmi una pagina fitta di domande… e una valutazione di Haruhiko in un angolo. Sessantadue su cento.

Non riesco a credere che, in a malapena qualche ora di studio, sia riuscita a fare passi da gigante. È passata dallo scrivere che la crisi economica era dovuta alla guerra con i Sovrani dell'Abisso a saperne perfino la data di inizio. L'entusiasmo e la felicità che le dipingono il viso, non posso che sentirli specchiarsi in me. Non posso che ridere insieme a lei di quel risultato.

“Allora, Nightmare Edge, che ne dici? Sto mantenendo fede al nostro patto,” sorride trionfante, mettendosi in piedi e stringendo il quaderno con orgoglio, “proprio come ti avevo detto.”

“La battaglia è appena iniziata,” le do un buffetto sulla testa, “Ma sembra proprio che, procedendo così, dovrò darti una parte del mio potere.”

“Sarà un gioco da ragazzi, per l'Occhio Demoniaco!” e, lanciato questo proclama, dopo aver assunto la sua solita posa, se ne scappa via trotterellando verso Haruhiko che la sta richiamando per continuare la sessione di studio; sono sicuro che sia sgattaiolata via solo per mostrarmi l'esito di quel test. Era così felice, dopotutto, che sono sicuro lei stessa non ci abbia creduto all'inizio.

“...Un po' la invidio,” sussurra Hitomi alle mie spalle, affiancandosi a me, “—Perché altrimenti rimarrebbe sola, eh?”

Mi volto verso di lei, con ancora il mio libro tra le mani, e le lancio un'occhiata interrogativa, “Come?”

“Non importa. Piuttosto,” mi ridà il libro, “Togliti quel sorriso dalla faccia, abbiamo molto da fare.”

Sto sorridendo?

Non me ne ero reso conto.

 

Quando arriviamo a casa, manca poco all'ora di cena. Il cielo si è imbrunito ed i lampioni gettano la loro pallida luce sul marciapiede. Passiamo sotto quel tenue bagliore, entrambi con l'aria esausta di chi ha passato un intero pomeriggio a lavorare senza sosta. Paradossalmente Mana, che dovrebbe essere la più stanca, non sembra essere messa peggio di me, nemmeno dopo che Haruhiko e Hitomi l'hanno tenuta sotto uno stretto regime di studio che l'ha portata a raggiungere dei risultati incredibili in così poco tempo. Non voglio sapere con esattezza come e secondo quale schema abbiano lavorato, perché probabilmente mi sentirei mancare solo pensando a qualcosa di simile, eppure sono sicuro che si tratti di qualcosa decisamente più impegnativo del semplice risolvere problemi. Tra l'altro, Kazuhiro mi ha aiutato più di una volta, e quindi non ho nemmeno fatto tutto da solo.

Grimoire Master si è raccomandato di continuare a studiare il più possibile per non rimanere indietro nella tabella di marcia,” dice lei, quando arriviamo di fronte a casa sua, “Spero di riuscire a farcela.”

“Cerca di non fare troppo tardi, va bene?” mi sistemo meglio la cartella sulle spalle doloranti, ed alzo lo sguardo verso casa sua. È buia, come al solito, senza nemmeno una luce, come se non vi abitasse nessuno al di fuori di lei. I suoi genitori sono davvero poco presenti… è come se non ci fossero. È qualcosa che posso capire solo in parte, ma a cui non sono del tutto estraneo, visto quanto poco riesco a vedere mio padre. A volte, vorrei chiederle cosa facciano, ma è un argomento che mi passa sempre di testa, impegnato come sono a starle dietro in tutte le sue stravaganze e nelle sue immagini surreali della realtà.

Anche questa sera… sarà da sola?

“Vuoi venire a cena da me?” le chiedo, indicando casa mia alle spalle, “Non credo che sarebbe un problema.”

Sembra pensarci su per qualche istante. Si morde le labbra e torce le dita, mentre riflette, prima di scuotere la testa con poca convinzione, e sussurrare un no a bassa a voce. Non sembra del tutto convinta, e non posso costringerla a venire da me, ma per qualche ragione non riesco a sopportare l'idea che stia da sola. Dopotutto, l'ho detto anche ad Hitomi qualche tempo fa, che sono accanto a lei perché mi sembra di essere l'unico a capirla. Perché non voglio che rimanga in solitudine. Schiocco la lingua con tutto il mio disappunto, prima di annuire in risposta, e voltarmi, salutandola, “Ricorda che io ci sarò sempre,” le dico, dopo averle dato le spalle, con una voce tanto bassa che forse riesco ad udire solo io, “per qualunque cosa.”

Per un istante, mi sembra che tutto sia caduto nel silenzio. Serro i pugni nelle tasche, senza aggiungere altro, senza attendere una risposta, muovo il primo passo verso il cancello di casa mia che, pur stando dall'altra parte della strada, mi appare in questo momento così terribilmente lontano.

“Minato.”

Mi paralizzo. È come se il mio intero corpo fosse stato attraversato da una scarica elettrica e, per un istante, l'incredulità è talmente forte da non lasciarmi nemmeno spazio per riuscire a capire del tutto quel che è appena accaduto.

Mi ha chiamato… per nome?

Non con il titolo che mi sono dato a causa della mia sindrome di seconda media, ma con il mio nome vero e proprio.

“Mh?” mugugno, voltandomi nuovamente verso di lei, le mani ancora in tasca, e lo sguardo fisso verso l'asfalto, verso le mie scarpe, come se avessi paura di incrociare il suo. Che voglia dirmi qualcosa di importante? Qualcosa che fino ad ora non mi ha rivelato? Mi sento nervoso. Terribilmente nervoso. È qualcosa di… tanto serio?

“—Non ho idea di come fare per letteratura.”

“...Eh?”

Il suono che esce dalla mia bocca risuona nella strada priva di suoni, nel suo silenzio quasi spettrale, e Mana abbassa lo sguardo imbarazzata, “Domani Grimoire Master mi chiederà di fare il test di letteratura...” mi lancia un'occhiata di supplica talmente comica da farmi scoppiare a ridere sul posto, abbastanza da dovermi tenere per qualche secondo lo stomaco, mentre le faccio cenno di non preoccuparsi.

“Ti aiuterò io, per questa volta,” le rispondo, dopo aver fatto qualche respiro profondo per calmarmi. Con un cenno di assenso pieno di gratitudine, Mana si volta a spingere il cancello di casa sua, facendomi cenno di seguirla.

Dopo aver frugato per qualche secondo nella borsa, ne estrae tre chiavi strette attorno ad un anello nero, sul quale riesco a distinguere dei caratteri runici incisi di un colore ambrato che riluce appena nella semioscurità. Dopo aver trovato quella giusta, la infila nella serratura ed apre la porta con uno scatto, su un ingresso lasciato nel buio, senza una minima fonte di luce a rischiararlo. Mana entra per prima, togliendosi le scarpe, e accende l'interruttore posto accanto all'uscio, salutando sottovoce con un flebile, “Sono a casa” senza ricevere ovviamente alcuna risposta.

Casa sua è leggermente più grande della mia, ma non sembra molto diversa. Mi tolgo anche io le scarpe e la seguo, “Scusate per l'intrusione,” dico ad alta voce, ovviamente senza rivolgermi a qualcuno in particolare, dato che l'intera abitazione sembra deserta, come se nessuno vi sia entrato da questa mattina. L'unica cosa fuori posto, è una sedia in cucina leggermente spostata, probabilmente quella usata da Mana per mangiare prima di uscire per andare a scuola. Le altre due sedie lì attorno sono invece perfettamente al loro posto.

“Sei pronto ad entrare nell'oscurità?”

Sobbalzo quando lei si ferma di colpo di fronte ad una porta chiusa, senza voltarsi verso di me, dandomi solo la schiena minuta. Allunga la sua mano verso la maniglia e sembra quasi carezzarla, mentre la sfiora, il dorso della sua mano che riluce appena con la sua fosforescenza nel buio del corridoio dove ha lasciato la luce spenta, senza alcun dubbio per rendere tutta questa messinscena più teatrale.

“Una volta entrato, non potrai più tornare indietro.”

“Guarda che stiamo solo entrando in camera tua.”

“No, questo portale è un collegamento con le Fauci del Primo Peccato e—”

Apro la porta di scatto con un gesto secco del braccio, stringendo la sua mano che era già poggiata sulla maniglia, rivelando, per l'appunto, una piccola stanza da letto che letteralmente straripa di ogni sorta d'oggettistica concepibile dell'occulto, fantasy e gotica. Modellini di spade, pistole, pile di libri dall'aria antica, probabilmente edizioni speciali di qualche collana di dark fantasy, disegni di creature o cerchi magici su tutte le pareti, ed una invidiabile collezione di peluche sul letto, una quantità tale di oggetti da rendere praticamente impossibile muoversi liberamente. In un certo senso, non scherzava quando ha detto che non si può tornare indietro.

“Quanta roba hai qui dentro?” tento di arrivare fino alla scrivania senza calpestare nulla, rischiando più di una volta di inciampare in qualche strano vaso e di finire impalato su una riproduzione di qualche lama. Molte sono disposte disordinatamente sul pavimento, ma ce ne sono una decina che invece sono accuratamente poggiate su una sorta di rastrelliera da parete, e sono proprio quelle ad attirare la mia attenzione, e non perché, mentre mi avvicinavo, scivolando su una boccetta vuota di una pozione, ho rischiato di finirci contro, ma perché piuttosto tra di esse ho riconosciuto… “Ma è la riproduzione identica della DarkFang! È meravigliosa, guarda i dettagli, le rune, sono perfette, ed il manico, guarda com'è lavorato finemente, questa è arte! Ti sarà costata tantissimo, ho saputo che è prodotta in edizione limitatissima e solo poche sono state donate a dei fortunati vincitori di un concorso speciale. Ovviamente io non ho vinto.”

“Uhm, puoi provarla, se vuoi...”

“Posso?!” il mio tono entusiasta sembra accendere anche lei, che annuisce vigorosamente prima di avvicinarsi alla rastrelliera, facendomi cenno di allontanarmi, perché deve togliere l'incantesimo protettivo. Mentre la sento che mugola un mantra, il mio sguardo è totalmente assorbito da quell'arma che ho sempre desiderato, fin da bambino, e sulla quale ho a lungo fantasticato, quindi poterla stringere tra le mani è come, per un istante, tornare ad essere il me della sindrome, il vero Nightmare Edge.

Quando ne sento il peso, non posso fare a meno di menare un paio di fendenti per saggiarla, prima di poggiarla sulla mia spalla in una posa teatrale che rapisce lo sguardo di Mana. Quando lo sento su di me e la vedo osservarmi assorta, torno immediatamente cosciente di me stesso e le porgo la spada con una sorta di silenzioso imbarazzo, mugugnando un semplice grazie.

“Per un momento,” ride, prendendo l'arma dalle mie mani e rimettendola al suo posto con uno scatto metallico dell'anello che la sostiene, “Mi sei sembrato pronto per combattere chiunque, perfino l'Antico. Proprio come mi aspetto dal Nightmare Edge.”

“Non dovremmo studiare, piuttosto?”

Il rumore che tuttavia proviene dal mio stomaco, seguito dopo un solo istante da quello di Mana, ci avverte che effettivamente ci stiamo dimenticato dell'ora. Presi come eravamo dalle nostre faccende, non ci siamo resi conto che l'ora di cena è passata da almeno mezz'ora e che ancora non abbiamo mangiato niente.

“Vuoi che sia io a cucinare?” chiedo, mentre entriamo nella stanza semibuia che ho intravisto prima, e la osservo mentre cerca all'interno del frigorifero con sguardo corrucciato. Quando mi sente, si volta a guardarmi con aria meravigliata, e gli occhi che brillano, “Sai cucinare?!”

“Un po'. Posso fare del curry, se vuoi.”

La sua espressione si spegne subito e inizia a strusciare l'una contro l'altra le gambe, come se qualcosa la mettesse a disagio. Non sembra voler parlare, quindi non mi resta che avvicinarmi io stesso al frigo nonostante lei tenti debolmente di prendermi per la manica, solo per scoprire che… è vuoto. Completamente vuoto, senza nulla al suo interno e talmente asettico da sembrare mai utilizzato. Capisco la mania della pulizia, ma qui si esagera… “I tuoi non ti hanno lasciato nulla?” le chiedo, dopo aver richiuso la porta su quella tristezza ed essermi seduto, “Cosa mangi di solito?”

Silenziosamente, allunga la mano verso la credenza e, davanti al mio sguardo stupito, la apre rivelando una pila di cibo precotto; ne prende due confezioni, e le poggia tristemente sul tavolino insieme alle due bacchette chiuse in una bustina di carta usa e getta. Quel cibo in scatola poggiato sul tavolino illuminato dalla smorta luce del lampadario, consumati nella solitudine di questa casa semibuia, sono la sua cena. Stringo i denti, imprecando contro quei genitori invisibili che se ne sono andati da qualche parte, lasciando Mana da sola, scaricandola qui dentro con del cibo preconfezionato. In me, monta della rabbia. Una rabbia che non riesco a sopprimere, ma che muta rapidamente in tristezza quando lei si siede accanto a me e, con sguardo vuoto, quasi rassegnato, apre la piccola confezione di ramen, versandoci dentro dell'acqua calda preda da un thermos.

“—è sempre così?” devo prendere tutto il mio coraggio per riuscire a farle la domanda.

Annuisce malinconicamente, mentre si porta alla bocca quegli spaghetti smunti e penzolanti, che grondano gocce colorate di spezie, succhiandoli nella bocca. “Non è colpa loro,” mi sussurra, come se stesse leggendo nella mia mente, “Stanno facendo qualcosa di più importante.”

“Più importante di te?”

“Stanno combattendo l'Antico.”

Cosa vuol dire? È così che vedi questa situazione? Perché… perché sei così sola? Ti sta bene così? Per questo non me lo hai mai detto?

—Sei così abituata ad essere sola?

“M-Minato?”

Non so quando l'ho abbracciata. Non so quando l'ho stretta con tutta la mia forza. Ma so che, ora più di ora, non voglio che rimanga in questa solitudine. Se non ci fossi io, sarebbe sola? Non lo so. So solo che, ora che è qui con me, non voglio più che passi un'altra serata così, in questa casa vuota, senza nessuno, con solo se stessa.

“Scusami,” sussurro a bassa voce, “Non ti lascerò più sola.”

“...Mh.” Ricambia il mio abbraccio, e sento le sue braccia sottili che stringono la mia testa, mentre, a bassa voce, con il volto poggiato nella mia spalla, sussurra tenue “Grazie, Minato.”

Non dirò a nessuno quel che è accaduto stasera, né che io e Mana siamo rimasti stretti in quel modo per un tempo che mi è sembrato infinito, fluttuando lontano da questo mondo, in un luogo dove eravamo solo noi due.

L'unica cosa che posso fare, è mentire a chiunque mi chieda cosa abbia fatto questa sera e pregare che Mana faccia altrettanto.

Sarebbe troppo imbarazzante, mi dico.

In realtà, qualcosa in me sembra come volermi sussurrare che questo singolo ricordo perderebbe di valore, se scappasse dalle nostre labbra.

Dopotutto, è qualcosa che solo io so di lei.  

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Capitolo 8
*** 「Chapter 7 – A precious, little story」 ***


Chapter 7A precious, little story

 

E così, anche settembre è passato. Ci lasciamo alle spalle l'ultimo giorno del mese ed entriamo di gran carriera ad ottobre; prima ancora di rendermene conto, le vacanze estive sono finite, sono sopravvissuto ad una folle settimana di guerriglia nella casa al mare di Hitomi, riuscendo a cavarmela senza dover finire all'ospedale seguendo Mana nelle sue fantasie adolescenziali, e onestamente sono anche riuscito a divertirmi nonostante tutto. Tutto sommato, è stata una bella estate, sicuramente migliore di quelle precedenti in cui, tormentato com'ero dalla sindrome, ho passato intere giornate a scrivere libri di magia nera o compiere rituali per aprire porte verso l'Abisso e tornare al mondo al quale pensavo di appartenere fin dalla nascita, avvenuta migliaia di vite fa.

I test sono solo un vago ricordo, sono passati nello spazio di un battito di ciglia, e se devo essere sincero ricordo più chiaramente l'ansia che provavo per Mana, che la mia; ho ancora impresse perfettamente nella memoria tutte le espressioni in cui il suo viso si è contorto mentre li affrontava ed ho avuto il terrore che, nonostante tutto quel tempo passato a studiare con gli altri, la rovina fosse già destinata a cadere sulle sue minute spalle; non ho potuto che provare un profondo di senso di sollievo, una sorta di voce nella testa che mi ha rimproverato per essermi preoccupato troppo, quando Mana è riuscita a prendere dei voti perfino qualche spanna al di sopra del punteggio minimo richiesto per la sufficienza.

Ha preso i fogli in mano, muovendo ogni singolo passo con una tale baldanza che sarebbe stata più appropriata ad un condottiero che torna vincitore da una qualche guerra, piuttosto che ad una ragazza delle superiori che è riuscita a passare gli esami di metà trimestre solo dopo l'intervento di emergenza di due geni. Nonostante questo, non me la sono sentita di sminuire tutti i suoi sforzi, sopratutto quando ho visto l'espressione dei suoi occhi – una felicità di chi è riuscito a guadagnare una vetta che appariva insormontabile. Purtroppo, aver passato i test nonostante le previsioni fossero contro di lei, ha significato dover ascoltare per un bel pezzo il suo vantarsi della potenza dell'Occhio e di come, tramite la sua Visione oltre il Velo, sia riuscita a sconfiggere in un arduo gioco psicologico l'emissario dell'Antico che si celava dietro alle domande; in breve, l'ennesimo delirio costruito per deformare la realtà.

Il fatto è che, per tutto questo tempo, non ho potuto fare a meno di tornare a quella sera a casa sua, quando l'ho vista da sola, seduta in una cucina semibuia, su un tavolo vuoto, con una confezione di cibo in scatola tra le mani. In quel momento, ho capito davvero quanto sia in realtà sola, abbandonata da tutti coloro che gli stanno intorno. Non so dove siano i suoi genitori, e la sua unica risposta è stata “Stanno combattendo l'Antico”, a cui non so dare una interpretazione. So solo che, ogni volta, quando apre quella porta, trova le luci di casa sua spente. Non c'è mai nessuno ad aspettarla o a starle vicino.

Prima di allora, avevo notato come le sue luci fossero sempre spente, quando non era in casa, o come non si scomodasse a chiamare i suoi genitori per avvertirli che non sarebbe tornata per cena, eppure non avevo mai pensato che Mana potesse essere così terribilmente sola – molto più di quanto immaginassi.

Una volta, ho detto ad Hitomi che le sono accanto perché altrimenti tornerebbe a raggomitolarsi su se stessa, lontana dalla realtà e da tutti. Tornerebbe a camminare senza alcuno al suo fianco, senza essere in grado di raccontare a nessuno delle sue battaglie, senza poter trascinare qualcuno nelle sue folli, spericolate ricerche di questa creatura o quella magia. Per qualche ragione, proprio perché so come ci si sente nella solitudine, non posso sopportare un simile pensiero; non voglio più farla sentire abbandonata, non voglio che torni alla sua solitudine e al suo mondo così distante dal nostro, non dopo che è riuscita a radunare attorno a sé delle persone che la capiscono, che le sono amiche e a creare quel luogo a cui tanto aspirava, quella casa che chiama con l'altisonante nome di “Nuova Arcana Biblioteca dell'Eterna Oscurità”.

Ma sopratutto, non voglio più vedere quell'espressione di rassegnazione e malinconia sul suo viso.

Non è colpa loro, stanno facendo qualcosa di più importante.”

In quel momento, avrei voluto gridarle che non c'è niente di più importante di lei.

Ma non ho trovato le parole e l'ho solo abbracciata. L'ho stretta a me con tutta la forza che sono riuscito a trovare e le ho detto che non l'avrei più lasciata sola.

Nessuno ha più tirato in ballo l'accaduto, come in un tacito accordo per mantenere l'equilibrio di tutti noi, e siamo andati avanti con le nostre solite vite, passando quest'estate diversa dal solito e che è volata via in un soffio, finendo ancor prima che me ne accorgessi. E così, sono scivolati via gli altri mesi, la scuola è ripresa e la quotidianità ci ha afferrato di nuovo; la routine di ogni nuova giornata scolastica è andata ripetendosi ad un ritmo talmente serrato, priva tuttavia di alcuna novità tangibile, al punto da lasciarmi basito quando, stamattina, ho visto sul calendario quanto poco tempo manca all'approcciarsi dell'evento più quotato del periodo autunnale – il festival scolastico.

Da qualche giorno, non si fa che parlarne ed in ogni momento libero disponibile, Hitomi e Haruhiko tentano di organizzare in qualche modo le idee della nostra classe per riuscire a mettere insieme qualcosa che sia allo stesso tempo divertente per noi ed interessante per i visitatori. La scuola aprirà le sue porte per due giorni e ovviamente, per non sfigurare rispetto a tutte le altre classi, dobbiamo cercare di mettere insieme un'idea abbastanza buona e sopratutto alla nostra portata. Le idee che sono uscite fuori non sono delle migliori, per ora, ma l'assemblea di classe programmata per oggi dovrebbe essere il momento giusto per riuscire a prendere una decisione definitiva.

“Buongiorno,” saluto stancamente, poggiando la borsa sul banco e stiracchiandomi vigorosamente, mentre alle mie spalle posso sentire Makoto infervorarsi per una discussione piuttosto accesa su qualche malsana idea per il festival, probabilmente un maid cafè o qualcosa di simile.

“Oh, Minato, dov'è Mana? Di solito posso sentirla urlare fin dal corridoio,” Hitomi mi porge un foglio, il primo dalla voluminosa pila che porta in mano, che ad una rapida occhiata si rivela essere una lista di preferenze per scegliere quello su cui la nostra classe dovrà lavorare, “—Stai bene? Sembri preoccupato.”

“Direi più rassegnato,” mi passo nervosamente una mano tra i capelli, facendole cenno verso la porta che si apre in questo preciso istante, lasciando entrare una Mana del tutto presa dalla lettura del suo voluminoso libro pieno di nozioni di magia nera, “La situazione è molto più complicata di quello che pensi...”

“Che intendi?”

“Il fatto è che...”

La mia frase viene troncata a metà dalla comparsa della diretta interessata alle mie spalle, che poggia entrambe le mani contro la mia schiena per sporgersi verso Hitomi, “Si tratta di un segreto che solo l'Occhio Demoniaco può rivelare. Oggi, quando il sole nero inizierà la sua ascesa, la Biblioteca si radunerà – solo allora, ne saprete di più.”

Per svariate quanto ovvie ragioni, l'espressione di Hitomi si deforma improvvisamente non appena sente quelle parole. Non c'è nemmeno stato bisogno di spiegare nulla, per farle capire quanto disperata sia la situazione; solitamente, quando Mana concepisce un piano segreto di cui non vuole rivelare nulla a nessuno, non ne deriva nulla di buono.

Non ha aperto bocca nemmeno con me, limitandosi ad annunciarmi questo suo misterioso progetto ieri sera, per poi sparire dall'altra parte della strada in un lampo; prima ancora che potessi aprire la bocca, ho sentito il cancello di casa sua chiudersi con un leggero tonfo metallico, lasciandomi pieno di dubbi ed incerto su cosa stia macchinando. Potrebbe trattarsi di una caccia come quella in cui ci ha coinvolti durante le vacanze estive? Al solo pensiero mi vengono i brividi lungo la schiena. Forse ha a che fare con qualcuno dei suoi rituali, di recente l'ho vista preparare un sacco di oggetti diversi, tra cui spade, anelli, collane; non ho avuto il coraggio di chiederle cosa ci stesse facendo, ma ho un brutto presentimento, sopratutto perché ormai sono abituato al suo modo di agire. L'ultima volta che l'ho seguita senza pensarci, siamo finiti a minacciare un professore con un'arma da cosplay estremamente costosa.

“Minato, avverti anche gli altri, per favore, io devo occuparmi degli ultimi dettagli,” dopo avermi dato rapidamente queste istruzioni, Mana torna al suo posto, dove un nuovo quaderno è già aperto e pronto per essere riempito dalla sua elegante quanto insolita grafia gotica e dai suoi schizzi.

Quando la vedo così presa da qualcosa, non riesco a trattenere un mezzo sorriso.

Ma allo stesso tempo, ho una costante preoccupazione per quel che mi aspetta. L'attesa è ancora più snervante, sapendo che probabilmente diverrò vittima di qualche macchinazione grottesca; per questo, non riesco a sopportare l'idea di dover aspettare fino al suono della campanella per sapere. Sempre ammesso che “l'ascesa del sole nero” coincida effettivamente con la fine delle lezioni.

“Quindi ci vediamo da te dopo la scuola, Minato?” chiede Hitomi, dopo aver terminato di distribuire i fogli, mentre passa accanto a me per tornare verso la cattedra, “Per scoprire cos'ha preparato il nostro Occhio Demoniaco.” Fa un cenno con la testa verso Mana completamente assorbita nello scrivere chissà quale tipo di fantasia, questa volta, la testa piegata e la penna che si muove ad una velocità quasi disumana, scorrendo sui fogli uno dopo l'altro, in una foga tale da aumentare esponenzialmente tanto la mia curiosità, quanto la mia voglia di fuggire e rendermi irreperibile per le prossime settimane.

“Non abbiamo alternative,” rispondo, scrollando le spalle, mentre scorro pigramente le opzioni del foglio, sottolineandone qualcuna senza prestare troppa attenzione, “Dopotutto sono troppo curioso di sapere cosa le è venuto in mente.”

“Sei preoccupato?”

Agito la mano in cenno di diniego, “Non proprio. Il fatto è che si tratta della prima volta in cui non mi svela in cosa abbia intenzione di coinvolgermi.”

“Ti senti un po' perso, perché per la prima volta non si è confidata con te, mh?”

Mi irrigidisco di colpo, a quelle parole, in una reazione così improvvisa da far incurvare le labbra di Hitomi in un sorriso vagamente derisorio ed affilato, che non scompare nemmeno quando tento in tutti i modi di negare quell'affermazione; senza nemmeno prestare attenzione alle mie parole, presa dai suoi doveri di rappresentante, torna alla cattedra facendomi un cenno di saluto sventolando il foglio sopra la spalla, lasciandomi lì a balbettare proteste che vengono inghiottite dal clamore della classe.

Il resto dell'assemblea sembra passare in un soffio. Haruhiko riesce in qualche modo a tenere l'attenzione della classe calamitata sul problema e la illuminata guida di Hitomi ha appianato ogni diatriba; infine, nonostante qualche conflitto interno che ha minacciato di spaccarci in fazioni e di scatenare una guerra civile, le decisioni si sono ristrette a due o tre opzioni – finché, nell'ultima votazione, non è stato scelta…

“Una rappresentazione teatrale?!” l'incredulo ululato di dolore si è alzato da un Makoto ferito nei più profondi desideri, in particolare quello di allestire un maid café e vedere Hitomi vestita da cameriera. Quando ho tentato di spiegargli che quelle sono cose che accadono solo nei cartoni animati o nei fumetti, ha emesso un rantolo di disapprovazione, prima di iniziare un'invettiva contro la mia mancanza di fede, per poi spiegarmi in ventidue punti precisi tutti i vantaggi offerti da una ragazza che indossa un vestito da maid vittoriana, passando poi a descrivere l'uniforme “perfetta” per ogni ragazza. Fortunatamente il suono della campanella ed un'occhiataccia da parte di Kazhuiro, quando l'argomento ha toccato Nao, hanno posto fine alle fantasie sfrenate di Makoto.

“Scusate l'attesa, ma dovevo finire di compilare il verbale dell'assemblea per il professor Mikuni...” Haruhiko si sistema gli occhiali sul naso, gettando un'occhiataccia a Hitomi che sta tranquillamente seduta a sorseggiare del tè in lattina, seduta sulla panchina, “Perché qualcuno ha preferito svignarsela invece di aiutarmi.”

“Oh, devo essermi del tutto dimenticata.”

“—Prima o poi me la pagherai, Mori.”

In certe faccende, non c'è verso che questi due riescano ad andare d'accordo, è qualcosa a cui ormai mi sono rassegnato. Purtroppo, nutrendosi entrambi dell'essenza stessa della competizione, a volte i loro scambi sfuggono ad ogni controllo ed entrambi, senza dare troppo nell'occhio, si punzecchiano ogni giorno solo per il gusto di farlo.

Senza ulteriori indugi, ci mettiamo in cammino verso la mia abitazione per allestire l'ennesima riunione della Biblioteca e per ascoltare quel che Mana ha in mente, questo terribile piano partorito per chissà quale scopo. Fin dal momento in cui l'assemblea è terminata, l'Occhio Demoniaco non ha mai smesso di gongolare, mostrando un ghigno compiaciuto e ripetendo, ad ogni mia domanda, che anche questa volta il suo potere è entrato in gioco, muovendo gli eventi a suoi favore. Ho tentato in ogni modo di sviscerare l'oscuro significato che potrebbe celarsi dietro questa spicciola risposta, ma non ho la minima idea di quali eventi stia parlando, né cosa intenda per “mossi a mio favore”.

Il sole pomeridiano sta già sfumando verso la sera, a testimoniare che dell'estate non rimane più nulla e che l'autunno ormai fa da padrone alle nostre giornate scolastiche. Abbiamo di nuovo vestito le uniformi invernali, con una vaga sensazione di nostalgia per il tempo passato, al punto che mi sono ritrovato a guardarmi allo specchio con aria incredula, pensando a come sia passato già così tanto tempo dal primo giorno di scuola. I mesi sono volati ancor prima di potermene accorgere e, quando mi sono abbottonato la giacca con i colori della scuola, ho di colpo realizzato che sono passati già otto mesi da quando ho conosciuto Mana. Mi sono ritrovato inconsciamente a sorridere, ricordando il nostro primo incontro, come mi abbia additato in classe e seguito per tutto il giorno, per non parlare di quando i lampioni si sono spenti in concomitanza con un gesto della sua mano.

Ora, vedendo le sue spalle esili di fronte a me, i suoi capelli corvini che ondeggiano al tenue vento di ottobre, non posso fare a meno di pensare che, in tutto questo tempo, mi sono abituato ad averla intorno, lei e le sue delusioni, la sua sindrome di seconda media, che mi ha trascinato inevitabilmente in ogni tipo di disavventura. E mi sono anche reso conto che è divenuta una di quelle cose fondamentali della mia vita quotidiana.

Come percependo il mio sguardo su di sé, Mana si volta appena ad incrociare il mio sguardo, scoccandomi un'occhiata furbesca associata ad una strizzatina d'occhio, che ha il gusto di una subliminale minaccia, una sorta di “ci sarà da divertirsi” che mi manda un brivido lungo la schiena. Se mi sono reso conto di come sia parte della mia vita di ogni giorno, non sono ancora del tutto sicuro se questa sia una cosa buona.

Mentre Haruhiko continua a fornire supporto morale ad un disperato Makoto, che si trascina piangendo silenziosamente l'impossibilità di “avere cose belle nella sua vita”, affermazione che si guadagna una risposta pungente del suo ascoltatore, entriamo in casa uno dopo l'altro.

“Mia madre non è in casa,” spiego, facendo cenno di entrare, “Quindi possiamo andare in cucina, per ascoltare questo… annuncio.”

Mana coglie la palla al balzo e si precipita immediatamente ad occupare il posto a capotavola, sedendosi sulla sedia con le gambe accavallate ed una mano poggiata sul volto in una posa che probabilmente ha preparato appositamente per questo momento. Trepidante ed anche leggermente preoccupato per quello che mi attende, rivolgendo silenziosamente una preghiera alle divinità dell'Abisso, mi siedo attorno al tavolino, insieme a tutti gli altri. I nostri sguardi sono tutti puntati su di lei, assorbiti completamente dalla sua minuta figura immobile e silenziosa, esattamente come potrebbe essere una bambola, proprio l'impressione che mi ha dato la prima volta che l'ho vista, seduta al suo banco, gelida e distante.

L'unica differenza sta nel fatto che ora so benissimo quanto l'apparenza possa avermi ingannato, e che ora ha assunto questo atteggiamento solo per aumentare esponenzialmente la drammaticità di questo momento, almeno secondo il suo modo nebuloso di vedere la realtà.

Dopo che interi secondi scorrono senza che Mana mostri la minima intenzione di aprire bocca, le occhiate interrogative di tutte si muovo su di me, con una tale intensità da poterle avvertire come una pressione sulle spalle. Hitomi mi dà una gomitata sul fianco, Haruhiko si schiarisce appena la voce, Nao giunge le mani ed inclina la testa in una silenziosa richiesta; senza via d'uscita, circondato da loro, impazienti quanto me di scoprire il motivo dell'adunata, ma troppo timorosi di aprire bocca per paura di scatenare chissà quale inferno, hanno scelto me come vittima sacrificale?

Stringo le mani in due pugni, sconfitto. Non possiamo fare altrimenti, giusto?

Non mi sono mai definito come una persona temeraria; tuttavia quando si tratta di Mana, sono l'unico a poter prendere in mano la situazione. O almeno, questo è quello che dicono gli altri per scaricarmi addosso il gravoso compito di formulare le fatidiche domande. Quindi, preso quel poco coraggio che riesco a trovare ancora in me, preparandomi all'inevitabile, apro la bocca e con una forza di volontà, o ancora meglio con una rassegnazione ormai temprata dai mesi passati accanto a lei, riesco finalmente a chiedere, “—Di cosa stavi parlando, prima?”

“Trovo ammirevole il tuo sforzo di nascondere la nostra vera identità, Nightmare Edge, ma puoi stare tranquillo! Ho fornito la tua abitazione di uno schermo che impedisce ai seguaci dell'Antico di origliare.”

“Schermo..? Aspetta, vuoi dire che quello strano lucchetto che bloccava il mio cancello stamattina era opera tua?!”

“Ovviamente. E non è un lucchetto qualsiasi, bensì il Sigillo di Arial, un potente strumento magico intriso del potere dell'Occhio.” il suo è il tono di voce di chi sta illustrando qualcosa di elementare e mentre continua a parlare, inizia ad indicare diversi disegni ed appunti in caratteri gotici sul suo quaderno; nessuno, ovviamente, riesce a capire una sola parola di quel che ha annotato, perché non abbiamo idea di come si leggano le lettere gotiche, tuttavia annuisco senza protestare. Decido mentalmente di non accennarle al fatto che il Sigillo di Arial sia andato in pezzi semplicemente con un paio di tronchesi, né come la sua premura ci abbia quasi fatto arrivare entrambi in ritardo a lezione.

“Comunque, come vi stavo dicendo,” riprende, tornando ad assumere la sua posa, accavallando le gambe per darsi ulteriore tono, “grazie al potere dell'Occhio Demoniaco, ho fatto in modo che tutti si trovassero d'accordo con la scelta del nostro Rituale.”

“Rituale?” la domanda dal tono estremamente confuso di Makoto fa sogghignare Mana.

“Come c'era da aspettarsi dal Pet, non possiedi di certo una conoscenza abbastanza elevata della magia.”

“E questo cosa vorrebbe dire?”

“Ti ha detto che sei uno stupido.” risponde piattamente Haruhiko.

“Ed un animale.” rincara la dose Hitomi, sottolineando le parole del rappresentante di classe, “Ma questo lo sapevamo già.”

“Un Rituale,” prosegue Mana senza prestare loro attenzione, “è un tipo specifico di magia che richiede determinate condizioni per poter essere attivato. Tempo, luogo, oggetti e riti, tutto deve essere eseguito alla perfezione, senza sbagliare, per poter riuscire a scatenarne appieno la potenza.”

“Capisco, ma questo cos'ha a che fare con la nostra recita?”

Ancora prima che Nao finisca di porre la domanda, tutti i tasselli sembrano tornare a ricomporsi. Mi irrigidisco. Possibile che sia così?

Un giorno specifico, il giorno del Festival, di sera, in cui metteremo in scena uno spettacolo teatrale, scelto da noi come classe... in cui seguiremo delle procedure ben precise, secondo un ordine impeccabile. Lentamente volto la testa, con una terribile sensazione che si attorciglia nello stomaco e lo artiglia, come se guardare il sogghigno comparso sul volto di Mana, nel momento in cui incrociamo gli sguardi, possa darmi la conferma che temo. La breve risata che fuoriesce dalla sua bocca non è altro che il segno che temevo di trovare – non ho sbagliato. Ho capito, ho capito fin troppo bene.

“Mana...” deglutisco, esito ancora per un istante, “Non dirmi che il rituale di cui parli...”

“Sì, esatto, Nightmare Edge. Ero sicura che tu per primo lo avresti intuito.” a quelle parole, gli altri che si erano messi a confabulare per cercare, come me, una soluzione alle nuove, misteriose delusioni della nostra compagna, tornano inevitabilmente a guardarla, pendendo alle sue labbra, “ Ho manovrato la classe grazie al mio Occhio Demoniaco perché potessi attivare un preciso Rituale, nella notte tra il sedici ed il diciassette ottobre, quando le lame di Lucatiel e Leor saranno incrociate, io e Nightmare Edge combatteremo sotto al cielo stellato – il nostro potere, il nostro sangue, aprirà la porta verso il Piccolo Ragnarok, dove finalmente potrò ottenere abbastanza potere da—”

“Fermafermaferma!” blocco quel crescendo di assurdità che, purtroppo, al contrario degli altri, ho capito perfettamente, afferrandola per le spalle e scuotendola leggermente, “Di cosa stai parlando? Io combattere contro di te, sul palco? Di fronte a tutti? No, no, no, Mana...”

“Occhio Demoniaco.”

“...non accadrà mai.”

Di fronte ai miei occhi, con un cambiamento così repentino da arrivare come un pugno nello stomaco, la sua espressione di entusiasmo e mistero si infrange, accartocciandosi in una delusione tanto grande da farmi pentire immediatamente delle mie parole. Il fatto è che, fin dall'inizio, non ho mai avuto la capacità di negarle qualcosa; e la cosa non è che andata peggiorando, dopo quella fatidica serata. Ma questa volta, non demorderò – non posso certo mettermi in ridicolo di fronte a tutti. Sarebbe qualcosa di tanto imbarazzante, finirei per non riuscire nemmeno a guardare qualcuno negli occhi, nel migliore dei casi, e vedere inevitabilmente la mia faticosamente guadagnata nuova vita distrutta, senza possibilità di tornare indietro.

Vanificare tutti i miei sforzi, tutto l'impegno che ho messi nel tentativo di guarire dalla mia sindrome, solo per poi infrangere tutto nello spazio di un banale teatrino scolastico suona come una colossale azione suicida, un atto che sfiora il masochismo.

Mi dispiace, Mana, ma non cederò, nemmeno di fronte a quella tua espressione così afflitta e delusa.

“—Onestamente, non mi sembra un'idea così malvagia. Forse, per una volta, la sindrome di Mana potrà essere utile a tutti, no?”

Devo analizzare una ad una le parole appena pronunciate da Nao, prima di riuscire a comprendere appieno il loro significato e le sue implicazioni. Lentamente, come se il mio collo avesse appena subito un colpo assurdamente doloroso, come una coltellata alle spalle, mi volto lentamente ad incrociare il suo sguardo. “Nao..?” chiedo, incerto, come a ricevere conferma delle sue parole.

“Ma certo, con Mana a scrivere il copione, la nostra messinscena sarà sicuramente perfetta ed originale! Chi meglio di lei, che vive in un mondo di illusioni, può creare uno spettacolo?”

“Haruhiko, aspetta, stai scherzand—”

Makoto mi interrompe a metà della mia domanda incredula, “E poi, Mana non ha nemmeno bisogno di recitare, quindi non dobbiamo nemmeno preoccuparci di trovare una protagonista!”

Kazuhiro annuisce ad ogni parola, trovandosi perfettamente d'accordo con tutti gli altri, e non solo con Nao, facendo sfumare ogni speranza di trovare in lui uno stoico alleato. Mi sento come accerchiato, costretto contro il muro, tradito dai miei compagni più fidati. Forse, se scappassi dalla finestra…

Mi volto supplicante verso l'unica persona rimasta ancora in silenzio, con le braccia incrociate e gli occhi chiusi, come in profonda meditazione. Come avvertendo su di sé la mia disperata richiesta di aiuto, una silenziosa chiamata alle armi per difendere la mia dignità, apre un occhio, incontrando inevitabilmente il mio sguardo supplichevole. Anche lei, dopotutto, è passata attraverso lo stesso, travagliato percorso che ho dovuto seguire io, quindi non c'è dubbio che possa capirmi. Chi meglio di Hitomi è in grado di comprendere la mia situazione?

“Mh...” mugugna, pensosa, intrecciando le dita per poggiarvi sopra il mento, la testa piegata leggermente verso sinistra, il sorriso che si alza sul suo volto talmente affilato da rendere taglienti perfino le parole che ne fuoriescono, “A me sembra un'ottima idea. Non vedo perché no. Sono sicura che farai un figurone sul palco, Minato.”

Il colpo di grazia arriva nella forma delle sue taglienti parole, che trapassano il mio cuore e quella tremolante, debole speranza di riuscire ad evitare l'imminente disastro. Sconfitto, svuotato, crollo sul tavolo, senza poter protestare. Come un assetato in mezzo al deserto che attende la sua morte, resto semplicemente così, immobile, ascoltando gli altri che si sono già gettati nel progetto, iniziando a discutere dei dettagli.

“Non prendertela con loro,” la mano di Mana si poggia sulla mia spalla, “influenzare le loro scelte con l'Occhio è stato davvero facile.”

“Posso immaginare...” sussurro, muovendo appena la testa senza nemmeno alzarmi dalla mia posizione di sconfitta, per guardarla in viso. Vedendola accanto a me che sorride, che sprizza felicità ed entusiasmo da tutti i pori, non riesco a provare, mio malgrado, una vaga sensazione di calore – abbastanza da farmi pensare che, alla fine, forse il mio imbarazzo è un prezzo equo da pagare, per poterla vedere così. Per scacciare la sua solitudine e donarle, per una volta, un po' di felicità.

Sono in grado di sopportare tutto questo. Probabilmente se ne dimenticheranno tutti in un attimo, sarà il solito evento scolastico che scompare dalle memorie di tutti, sbiadendo gradualmente, fino a sfumare in una indefinita matassa di ricordi vaghi.

“Portiamo a termine questo rituale insieme, Nightmare Edge!” esclama, stringendo i pugni con un vigore ed un entusiasmo che, per un istante, minacciano quasi di contagiarmi. Starò impazzendo, ma andare verso il mio patibolo scolastico non è così male… se è qualcosa che la rende così felice.

Quindi, sorridendo stupidamente, nonostante dentro di me la riluttanza persista, nonostante fino ad un attimo fa mi sembrava di imbarcarmi verso l'apocalisse, non riesco a fare a meno di risponderle, “Guarda che si tratta solo di una recita scolastica.”

“Già, si tratta di un'ottima copertura per il nostro rituale,” alza la testa orgogliosamente, come se fosse stata lei in prima persona a muovere gli eventi in questo modo, “Nessuno dei servi dell'Antico se ne accorgerà mai.”

Prima ancora di rendermene conto, sono stato trascinato da Nao e Haruhiko verso l'altra metà del tavolo, per lavorare sui dettagli. Non so quanto tempo sia passato, quando finalmente decidiamo di chiudere qui la riunione, ma fuori il cielo si è scurito; senza che me ne accorgessi, abbiamo passato il pomeriggio a buttare giù delle idee preliminari e a dividerci i compiti, oltre che a progettare un modo per esporre al resto della classe l'idea, l'indomani.

Senza alcun riguardo per il già gravoso ed imbarazzante compito che mi attende, la parte del protagonista della storia di Mana, gli altri si sono raccomandati di sorvegliare la stesura del testo e di regolare la creatività della nostra autrice, di tenerla entro i limiti delle nostre possibilità – affibbiandomi, in pratica, la parte di lavoro che mi riesce meglio, secondo loro. Nonostante Hitomi apparisse riluttante a scaricarmi sulle spalle un altro peso, non sembrava ci fosse un'altra opzione, visto che sono quello che la capisce meglio e che le abita più vicino, oltre ad avere un legame più saldo con lei.

Credo di essere arrossito a quelle parole e Mana non ha aiutato, continuando a ripetere come sia destino incontrarci sempre e comunque, in ognuna delle nostre innumerevoli vite ultraterrene.

Quando mi chiudo la porta alle spalle con un tonfo, dopo aver salutato per l'ultima volta, mi siedo esausto di fronte all'uscio, poggiandovi contro la schiena. Mi passo una mano sugli occhi, stropicciandoli, per scacciare via la stanchezza e mi sforzo ad alzarmi in piedi per preparare qualcosa da mangiare prima che torni mia madre più che per dare un contentino al mio stomaco; per quanto sgranocchiare snack non sia esattamente la scelta alimentare più salutare, dopo aver passato tutto questo tempo a mangiarne meccanicamente, a grandi manciate, in un automatico gesto equivalente ad un esorcismo per scacciare l'ombra dello spettacolo, che è andata crescendo su di me, non riesco a trovare appetito.

Mi alzo in piedi chiamando a gran voce Mana, senza ricevere risposta. Non è tornata a casa sua, poco ma sicuro… che sia tornata in cucina?

“Mana, cosa ti va di mangia—” Nel momento in cui arrivo nel corridoio, le parole mi muoiono in gola ed il mio intero corpo sembra congelarsi sul posto, come paralizzato da uno dei miei peggiori incubi. A volte, ho immaginato cosa sarebbe potuto accadere se Mana avesse trovato qualcosa sul mio passato e sulla mia sindrome.

Ogni volta, il risultato non è stato dei migliori. Ho sempre archiviato queste eventualità come nulla più che fantasie e vuote preoccupazioni, scenari improbabili, impossibili nella realtà.

Eppure, davanti a me, in questo momento – Mana Maeda sta frugando nel ripostiglio.

Non in un ripostiglio qualsiasi, ma proprio quello in cui ho accatasto tutte le mie vecchie cianfrusaglie delusionali, una grande, vasta collezione di oggettistica fantasy, fantascientifica ed occultistica costruita in anni ed anni di fantasie folli e prive di ogni vincolo. Il contenuto di quella stanzetta buia è equivalente a svariati chili di esplosivo, nelle sue piccole mani.

La peggiore di tutte le ipotesi, lo scenario più terrificante si sta avverando proprio davanti ai miei inermi occhi. La esile figura di Mana inginocchiata, con tutto il busto che sparisce all'interno dello sgabuzzino, è impegnata a scavare in quella montagna di oggetti.

L'unica cosa che riesco a fare è…

“COME HAI FATTO A TROVARLO?!”

...urlare.

Mi precipito al suo fianco, infilandomi nella semioscurità rischiarata solo da una debole lampadina ormai prossima all'esaurimento, solo per vedere la mia adorabile vicina di casa che scava tra spade, pistole, libri e mantelli con gli occhi che brillano di una intensità tale da superare il flebile risplendere della lampadina. Non che sia così arduo, considerando quanto è vecchia.

Il terrore dipinto sul mio volto si esprime in una rapida serie di contrazioni dei miei muscoli facciali, un arco di tempo in cui osservo come paralizzato tutti i miei oggetti, i ninnoli abbandonati, venire riportati alla luce. Nonostante le mie proteste, non riesco a fare nulla se non osservare il manifestarsi davanti a me di una tra le peggiori, e decisamente più apocalittiche, possibili situazioni: Mana che mette le mani su tutta quella montagna di oggetti che rappresentano il mio oscuro passato da vittima della sindrome.

“Ma è fantastico!” esclama, mentre trascina fuori da quello spazio angusto uno dei tanti scatoloni, riportandolo alla luce del sole dopo mesi di oscurità, confinato nell'universo alternativo che è il mio ripostiglio.

“Ascolta, rimettiamo tutto al suo posto, va bene..?” provo a proporre timidamente, nella speranza che per una volta la fortuna sia dalla mia, senza ottenere nessun risultato apprezzabile, dato l'entusiasmo della autoproclamata Signora dell'Occhio.

“Quindi era qui che nascondevi la tua armeria arcana, la sterminata collezione di trofei raccolti durante le innumerevoli battaglie attraverso i secoli. Questa cripta è il tuo Sancta Sanctorum, quindi.”

“No, quello è un semplice ripostiglio...”

“—Ma questa è la Neva, la leggendaria spada che strappò la corona al Signore del Lago Cinereo!” Con uno scatto fulmineo, ed ignorando del tutto le mie proteste e le mie raccomandazioni, estrae una lunga spada dal suo fodero, rivelandone la lama ricoperta di incisioni. Ricordo di aver risparmiato per un anno intero, per riuscire ad acquistarla da un sito internet specializzato. All'epoca, ero talmente felice di averla da portarla in un fodero allacciato sulla schiena praticamente ovunque andassi.

“SHADOW SLASH!” Mana si lancia in una serie di fendenti maldestri, vibrandoli a casaccio a destra e manca, minacciando più volte di accecarmi; fortunatamente, la lama è smussata, altrimenti avrei potuto perdere qualche arto con estrema facilità.

Stizzito, le tolgo la spada di mano, scuotendo la testa con disapprovazione. Ma tu guarda, prima vuole impugnare le armi del Nightmare Edge e poi non conosce nemmeno come utilizzarle. “—E poi,” aggiungo, “Non è Shadow Slash. Stai a vedere… prima metti la spada così, piegando la punta verso il basso, con il piatto rivolto verso l'alto. Poi, una torsione dall'alto verso il basso e attiverai ASHEN CUT!” Soddisfatto della mia dimostrazione, rimetto la lama nel fodero, scostandomi i capelli con un movimento secco della testa. Un mezzo ghigno si apre sul mio volto di fronte all'espressione stupefatta di Mana, gli occhi sbarrati e la bocca spalancata in una perfetta rappresentazione dello stupore.

“Sei stato magnifico, Nightmare Edge. È la prima volta che ti vedo in azione,” riesce infine ad articolare, mentre le porgo la spada, “Posso davvero prenderla..?”

“A te, mia alleata, posso concederl—“ Interrompo bruscamente la frase a metà.

No, aspetta. Cosa sto facendo?!

Mi rendo conto di colpo di cosa sta accadendo solo ora, quando la mia mente riesce a mettere a fuoco del tutto l'elsa della spada. Pieno di imbarazzo, mi volto di scatto, facendo finta di tornare a concentrarmi sullo scatolone trascinato fuori; Mana non sembra farci troppo caso, assorbita com'è dalla lama, posso vederla con la coda dell'occhio che continua ad esercitarsi nella posa che le ho mostrato un attimo fa.

Non riesco a credere di essermi lasciato trascinare da lei senza nemmeno rendermene conto. Mi do un colpo alla fronte, ripromettendomi di stare più attento, d'ora in poi. Anche se, dopotutto, finché è con lei, non è così male… era così presa, quando le ho mostrato la posa, ed è stato tutto così naturale che non ci ho nemmeno fatto caso.

È proprio vero, che ormai è una parte essenziale della mia vita quotidiana.

“Domani Grimoire Master e Fallen Angel riferiranno la decisione al resto della classe. Spero che accettino, perché ho già in mente qualcosa di incredibile. Sarà un rituale perfetto, abbastanza da scatenare i miei veri poteri di Occhio.”

Ora capisco perfettamente perché io sia finito in questa posizione. Effettivamente, nessun altro riuscirebbe a tenere Mana a freno, a dare un limite alla sua immaginazione.

“Ricorda che è prima di tutto una rappresentazione teatrale scolastica. Non esagerare.” le ricordo, mentre accendo i fornelli per iniziare a cucinare qualcosa per cena. Il tempo è decisamente volato senza che ne accorgessimo, ancora una volta. Mana si siede accanto al tavolo, impegnata a scrivere sul suo quaderno con una solerzia che posso definire solo preoccupante.

“Quella è solo una copertura per il nostro vero obbiettivo.”

“Non credi sarebbe meglio raccontare una storia? Magari una che ti sia particolarmente cara, in un certo modo, così che tutti possano capire per quel che combatti.”

Questa affermazione sembra accendere una scintilla sul suo volto.

Alza la testa, per incrociare il mio sguardo – e mi rivolge uno di quei suoi sorrisi inaspettati, che a volte sfodera come un'arma segreta che lascia congelati, come assorbiti, incantati.

“Hai ragione! Non per nulla, sei il Nightmare Edge.”

“Scriverai una storia, allora? Non sarà mica la storia della chimera, vero? Perché non ho intenzione di prendere quel gatto e costringerlo a recitare.” protesto scherzosamente, sedendomi accanto a lei.

“Mi dispiace, ma è un segreto che non posso rivelare nemmeno a te, ma...” stringe il quaderno al petto, “Sono sicura che ti piacerà.”

Nonostante la consapevolezza di essermi fatto trascinare per l'ennesima volta in una spirale di eventi al di fuori della vita scolastica normale che ho sempre desiderato, non posso lamentarmene.

Se c'è una cosa che ho capito, è che quella normalità che immaginavo non sarà che un illusione, per me, finché Mana sarà al mio fianco. Ed è qualcosa che ho accettato, gradualmente, seppure una parte di me non voglia arrendersi.

Senza l'Occhio Demoniaco, sarebbe tutto più noioso.

Senza Mana, tutto sarebbe un po' più grigio.

Dopotutto, lei vede un mondo che io ho dimenticato. Un mondo d'immaginazione, al di sotto di una sottile lastra di vetro.

 

Avrei dovuto capire che la giornata sarebbe finita male dal momento in cui Mana ha sbattuto lo scatolone ritrovato nello sgabuzzino perduto, da lei denominato la Bocca dell'Abisso, al centro del tavolo attorno al quale ci eravamo riuniti. Ma ancora conservavo una flebile vena di ottimismo.

Inutile dire che si è spenta un attimo dopo l'inizio del discorso di Mana, quando ha sbattuto il contenitore della mia vergogna al centro del tavolino della casa di Hitomi, annunciando a tutti che avremmo utilizzato questi “artefatti dall'oscuro potere” come parte integrante del rituale.

L'unica cosa che voglio, in questo momento, è poter tornare indietro nel tempo ed avvertire il me stesso del passato di nascondere gli scatoloni da qualche altra parte. Perché non li ho buttati, quando è stato il momento? Dannata nostalgia. Ora che non posso farci nulla, e che i rimasugli della mia sindrome mi si sono rivolti contro, non posso che rimanere a guardare gli altri che scavano all'interno del mio passato, tirando fuori riproduzioni di armi, mantelli, maschere, pendenti, una quantità impressionante di cianfrusaglie che non ricordavo nemmeno di possedere.

“Dove hai trovato tutte queste cose, Mana?” la genuina curiosità di Nao, mentre guarda attentamente il piccolo libro di rune che ho compilato io stesso, fa scattare immediatamente un campanello di allarme nella mia testa,“Sono tutte tue? La calligrafia qui sembra diversa.”

Combattendo il mio impulso di porre fine alla mia esistenza tagliandomi la giugulare con il pugnale del caos Wornir, che altro non è se non un tagliacarte elaborato nella sua decorazione, con tanto di incisioni in latino sulla lama, mi affretto a rispondere nervosamente, prima che Mana possa aprire bocca e mandare in pezzi tutto quanto, “Oh, queste cose—”

Mi basta sentire il mio stesso tono di voce, tremolante ed incerto, per capire quanto poco realistica suonerebbe qualsiasi scusa che possa sputare fuori, in un patetico tentativo di difendermi. Il mio sguardo supplicante incrocia quello dell'unica persona in grado di aiutarmi, l'unica oltre a Mana a conoscere la verità; peccato che Hitomi non sembri intenzionata a fare nulla, se non rivolgermi un sorriso tagliente e divertito, abbastanza da trapassarmi da parte a parte.

La mia silenziosa richiesta di aiuto sembra disperata abbastanza da riuscire a smuovere il suo cuore dopo qualche istante, vedendomi come in bilico su una corda che rischia di spezzarsi, e mossa da magnanimità celestiale, e sicuramente dall'idea di farmela salatamente pagare in seguito, Hitomi si intromette tra noi tre, “Se non sbaglio, Minato mi aveva detto che sono di un suo cugino cosplayer, o qualcosa di simile. Me ne avevi parlato l'ultima volta, ricordi?”

Credo di aver sentito il cielo aprirsi e gli angeli cantare lodi in lingue perdute alla mia salvatrice, perché per un lungo momento rimango assorbito dalla sua figura radiosa. Sì, non c'è dubbio: se un serafino che aiuta i guerrieri nelle loro imprese ha un aspetto, è sicuramente quello di Hitomi Mori.
Mentre sono ancora avvolto dall'estasi contemplativa della mia salvatrice, lei mi si avvicina con passi leggeri, camminando come sospesa da terra, lasciando dietro di sé frammenti lucenti...

“Ora sei in debito con me,” mi sussurra, scivolandomi vicino, con un tono talmente sinistro da mandarmi un brivido di gelo lungo la schiena.

—Cosa ho combinato?

Mi lascio cadere sul tavolo, lamentando a bassa voce la mia sorte, ignorato da tutti, presi come sono dai preparativi. Sono finito dalla padella alla brace, sono stato attirato nella tela di un ragno. Oh, ingenuo, povero me stesso…

“Come dicevo, l'idea è stata approvata dal resto della classe. Abbiamo il via libera per mettere su lo spettacolo di Mana; dobbiamo decidere i ruoli, prima di tutto, poi occuparci dei costumi, degli sfondi…” Haruh inizia a leggere diligentemente dall'elenco che si è preparato prima della riunione, “E sopratutto, dobbiamo riuscire a mettere insieme qualcosa che possa rappresentare al meglio quel che siamo in grado di fare. Ma prima di tutto, abbiamo bisogno del fulcro dell'intero progetto, il manoscritto. Come procede il lavoro, Minato?”

Alzo la testa, ricomponendomi come meglio posso e interrompendo per un momento la contemplazione del mio triste destino, solo per passare a combattere i sudori freddi.

Ho aspettato questo momento a lungo. Negli ultimi tre giorni, non ho fatto altro se non pensare a ciò che avrei dovuto dire loro quando questa domanda fosse inevitabilmente arrivata. Ho soppesato numerosi approcci finché non sono arrivato ad una decisione. Ho scelto l'opzione migliore, quella più adatta, perfetta per la situazione.

“Benissimo, siamo a buon punto!”

...Mentire.

Peccato che il tono di voce e l'espressione con cui ho rifilato loro questa enorme bugia non siano per nulla convincenti. Probabilmente hanno capito esattamente che si tratta solo di una menzogna, tirata in ballo con il solo scopo di prendere tempo e tentare di aggiustare le cose prima che qualcuno se ne accorga. La verità è che l'idea di Mana è decisamente troppo per noi; inizialmente, si trattava di una sequela complessa di rituali, in cui era necessario parlare nella lingua Abissale, tracciare svariate rune ed infine ingaggiare uno scontro violento e furioso con il quale portare a compimento l'intero procedimento.

Per quanto abbia insistito, per quanto abbai tentato numerose volte di convincerla a cambiare il tutto, ho ottenuto l'effetto opposto a quello sperato. Abbandonata l'idea del rituale, credevo avrebbe fatto solo qualche aggiustamento qua e là, eliminando parti a suo dire non fondamentali del tutto.

Invece, ha iniziato a scrivere, come presa una frenesia indescrivibile, narrando nel frattempo ad alta voce la sua idea. Anche se chiamarla effettivamente “opera teatrale” non è giusto: si tratta di più di un intricata ed elaborata trasposizione di vicende ultraterrene, della battaglia furibonda tra l'Antico ed i Primi Eroi, della nebbia, della caduta dei primi regni, fino alla sconfitta della creatura abominevole e turpe.

Il problema principale è la lunghezza e complessità dell'intero scritto. Nonostante abbia assistito alla sua realizzazione e nonostante abbia passato gli ultimi giorni a leggerlo come un disperato, non sono riuscito ad arrivare nemmeno a metà – senza contare che ho potuto comprendere l'intreccio solo grazie alla mia sconfinata, e allo stesso tempo inutile, conoscenza del mondo in cui Mana è convinta di vivere, quello che a tutti gli altri è precluso dalla mancanza di fervida immaginazione e totale fede in essa.

Quello che Mana ha dato alla luce è un tomo di cronache in prosa teatrale, qualcosa che richiederebbe una compagnia professionista per essere messo in scena, non di certo una classe liceale alle prime armi, tempo limitato e ristrettezza di fondi.

Solo che, in tutto questo, non sono stato in grado di cambiare alcunché; per qualche ragione, sembra essere fondamentale, agli occhi di Mana, raccontare con precisione maniacale ogni singolo avvenimento costruito dalla sua sterminata fantasia – come se stesse ponendo le basi per raggiungere qualcosa, in fondo alla storia stessa. Tutto quello che ho letto non sembra condurre da nessuna parte, eppure deve esserci una motivazione, un fine ultimo – dopotutto, la sua espressione si è accesa di colpo, quando ho parlato di una storia da raccontare. Per quanto sia rischioso, per quanto potrebbe rovinare tutto, ho deciso di credere in lei; sono sicuro di poter riuscire a trovare quel che vuole mostrare a tutti.

Ma fino ad allora, non c'è che un'opzione possibile, ed è ingannare gli altri.

So che questo porterà inevitabilmente alla mia punizione e che sto camminando sui carboni ardenti, eppure… ho già deciso.

“Bene, per la prossima settimana ho bisogno che sia tutto ultimato. Il tempo stringe.”

Devo fare del mio meglio per evitare che la mia espressione si crepi all'affermazione di Haruhiko. Una settimana. Non mi aspettavo più di così, il lavoro da svolgere è tanto e bisogna rientrare in un limite ragionevole, eppure sentirselo dire è ancora peggio – è un pugno allo stomaco.

Va tutto bene, mi ripeto, sapevi già che sarebbe accaduto. Non vacillare. Ormai hai deciso di credere in lei, non puoi tornare indietro. Non puoi abbandonarla.

Se lo facessi, chi altro le sarebbe accanto? Chi altro le darebbe sostegno?

Rimarrebbe sola.

E non posso sopportarlo.

Quindi, dovrò stringere i denti e capire… cosa pensi davvero, Mana.

“Stai tranquillo, Haruh. Ci daremo da fare.”

Fuori è già buio, quando ci lasciamo alle spalle l'imponente cancello di casa Mori e salutiamo tutti gli altri, andando ognuno per la sua strada; Kauzhiro se n'è andato prima, con Nao, perché oggi è giorno di visite all'ospedale. Sembra che la malattia di sua sorella stia migliorando ed anche lui ha iniziato a frequentare più regolarmente le lezioni, per la felicità di Nao.

Ora, ci ritroviamo io e Mana che, come ogni giorno, camminiamo per la stessa strada del nostro quartiere, la stessa strada in cui, quella sera, ci siamo conosciuti. Ogni volta che passiamo sotto un lampione la cui luce tremola, esitante, come a minacciare di spegnersi, mi ricordo vividamente in ogni dettaglio il nostro incontro.

Mentre camminiamo, stringendoci nei cappotti per ripararci dal freddo pungente della sera, lei continua a parlare della storia, di quanto le manca per terminarla e di come non vede l'ora che io la legga tutta. Quando inizia a dirmi queste cose, si infervora di colpo e posso vederla accendersi, posso distinguere una luce di entusiasmo nei suoi occhi così intensa da lasciarmi assorto. Da quella sera, a casa sua, da quando l'ho abbracciata, vederla spensierata pur sapendola sola mi lascia un gusto amaro in bocca; per questo, cerco sempre di rimanerle accanto, più che posso. Anche in questa situazione orribile in cui ci siamo cacciati.

Il suo respiro si condensa in nuvolette e stretta nel suo cappotto invernale stranamente sembra quasi più esile del solito. La sua pelle è così diafana ed i suoi capelli così scuri, da sembrare un'apparizione notturna, così tremolante da poter sparire in un soffio o in un battito di ciglia. Come se fosse finita qui, vicino a me, per caso; come se questo non fosse il suo posto e in realtà vivesse davvero in un mondo d'immaginazione che io ho dimenticato.

“Hey, Mana.” Mi fermo di colpo, in mezzo alla strada illuminata pallidamente dalle luci smorte, esitanti. Il cancello di casa mia è aperto a metà, la mia mano stretta sulla sbarra gelata. Lei si interrompe e, tenendo le mani intrecciate dietro la schiena, si volta a guardarmi, inclinando appena la testa, “Qualcosa non va?”

Non so come esprimere in parole quel caos che sono i miei pensieri. Non sono in grado di tradurre tutto quel che penso, quell'accozzaglia di emozioni, sentimenti contrastanti ed immagini che suscita in me. Forse nessuno può farlo, nemmeno uno scrittore che conosca tutto di me; si tratta di una matassa talmente ingarbugliata che, probabilmente, non può essere slegata.

Quindi, dopo aver preso un profondo respiro, guardandola negli occhi, “—Che storia vuoi raccontare?” chiedo, con voce tenue, talmente bassa da chiedermi se mi abbia sentito, nonostante il silenzio assoluto di questa strada di periferia, in una fredda notte serale di ottobre.

Mana rimane in silenzio, come se stesse riflettendo, gli occhi socchiusi; le guance arrossate che spiccano sulla sua candida carnagione, le sue labbra un po' screpolate che si stringono mentre cerca una risposta, le sue dita che nervosamente giocherellano con una ciocca di capelli.

La sua piccola, lontana figura, sola sotto la luce biancastra di un lampione qualsiasi, in una strada qualsiasi, di un quartiere qualsiasi, assomigliano ad un eco di un mondo lontano, tremolante. Talmente fragile e trasparente, che qualcuno potrebbe scambiarlo per vetro.

“Lo hai capito, alla fine...” abbassa lo sguardo, come fuggendo il mio, affondando il volto nella sciarpa viola, riesco appena ad udire la sua voce soffocata, “Anche se ho tentato di nascondertelo. Speravo di farti una sorpresa. Ma, come sempre, è impossibile tenerti all'oscuro di qualcosa, non è così?” stropiccia le mani una contro l'altra, prima di poggiarsi una mano sul petto, “Dopotutto abbiamo passato tante vite, insieme. L'Occhio Demoniaco ed il Nightmare Edge. Talmente tante che è impossibile ricordarle tutte...”

Alza la testa, per tornare a guardarmi negli occhi. Sul suo viso, è tornato quel sorriso che ho visto solo raramente, ma che ogni volta sembra afferrarmi per un istante, congelando il tempo senza che nemmeno me ne accorga.

“...Voglio raccontare la nostra storia, Nightmare Edge.”

Eppure, sembra così triste, questa volta.

“La storia di come, ogni volta, mi hai ucciso.

Di come, ogni volta, la tua spada mi ha trapassato.

E di come, ogni volta… hai pianto su di me, giurando che ci saremmo rivisti. Perché i nostri destini sono legati, indissolubilmente.”

Si volta, riprendendo a camminare, verso il cancello di casa sua.

Prima di sparire nell'ombra, mi guarda un'ultima volta.

“Sai cosa ti ho detto, ogni volta?”

Per qualche ragione, mi sento in colpa. Mi sento in colpa, perché non conosco la risposta. Non posso conoscerla, perché queste cose sono accadute solo nelle sue fantasie, nel suo mondo.

Ma nonostante questo, il fatto che io non ricordi deve farla soffrire.

Eppure, continua a sorridere.

“Sto bruciando… Non è un peccato abbracciarmi mentre brucio, vero? Estingui le tenebre con il tuo fuoco—Nightmare Edge.”

 

Questo è stato il nostro saluto, in questa fredda serata di ottobre.

 

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