Di pallavolo, vita e sentimenti

di Paperetta
(/viewuser.php?uid=15226)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tra non molto ***
Capitolo 2: *** Promesse ***
Capitolo 3: *** Brothers ***



Capitolo 1
*** Tra non molto ***


Nota: questa storia contiene SPOILER!
Nota2: per apprezzarla meglio, vi consiglio di dare un'occhiata qui http://headbandxbowties.tumblr.com/post/130266312825
Viene spiegato (in inglese) un po' del passato di Ushiwaka. In sintesi, quando era piccolino i suoi genitori divorziarono; la famiglia della madre era molto tradizionalista e rigida, mentre il padre (Takashi) era un ex giocatore di pallavolo ritiratosi in seguito ad un infortunio e che, dopo il divorzio, andò a vivere all'estero. Wakatoshi ha potuto così vederlo solo di rado, ma gli ha trasmesso la passione per la pallavolo; il sogno di Wakatoshi è diventare un grande giocatore, in modo che suo padre possa essere orgoglioso di lui (e magari possa così vederlo dalla tv!). Ciccino lui *____*
In questa breve fic mi sono immaginata il momento della partenza. Spero che piaccia anche a voi, perché a me è piaciuto moltissimo scriverla!
 
***

"Papà, dove stai andando?"
Chino sulla valigia che stava chiudendo, Takashi rispose senza guardare suo figlio.
"Sto partendo per un viaggio, Toshi".
"E quando torni?" chiese ancora il bambino. Stava in piedi dietro di lui, sbirciando da sopra le sue spalle per capire cosa stesse facendo.
Questa volta, Takashi non rispose subito.
"Tra non molto".
A cinque anni, Wakatoshi era troppo piccolo per capire. Un giorno, una settimana, un mese, tra poco o tra non molto: per lui erano solo "tempo", un concetto vago che ancora gli sfuggiva.
"E quanto tempo è tra non molto?"
"Quanto è?" chiese Takashi, più a se stesso che a lui. Non sapeva davvero come rispondergli, al suo piccolino. Rifletté qualche secondo, ormai fingendo di avere qualcosa da sistemare in valigia per ritardare il confronto con suo figlio, coi suoi begli occhioni confusi e pieni di domande. E decise che non poteva più voltargli le spalle; perciò si alzò, si avvicinò alla scrivania, prese la palla blu e gialla che vi stava sopra e gliela porse.
"Facciamo così. Tra non molto è il tempo che ci vorrà per imparare quello che ti ho mostrato in questi giorni. Ti ricordi cosa ti ho fatto vedere?"
"Sì, papà!" rispose Wakatoshi, gli occhi che improvvisamente parevano risplendere di emozione. "Mi hai insegnato il bagher e il palleggio!"
Takashi gli scompigliò i capelli.
"Esatto! Tu impara a farli bene, allenati tutte le volte che puoi, e quando li avrai imparati sarà trascorso non molto tempo".
"Ok papà! Comincio subito e diventerò bravissimo, così tornerai presto".
Takashi sorrise debolmente. Non avrebbe sopportato un secondo di più quello sguardo così fiducioso e ammirato. Si raddrizzò, prese la valigia e il cappotto e si avviò verso la porta, ma si fermò quando sentì qualcosa tirargli i pantaloni all'altezza della coscia. Suo figlio lo guardava dal basso con aria un po' timida.
"Papà?"
"Sì?"
"Mi... mi prendi in braccio, per favore?"
Avrebbe voluto piangere. Avrebbe voluto gridare tutta la tristezza e la rabbia e la frustazione che aveva dentro, ma non poteva farlo di fronte a suo figlio. Doveva tenere ancora qualche minuto la maschera del padre felice. Solo qualche minuto.
"Ma certo, piccolo".
Lo strinse forte e lo baciò sui capelli spettinati. Wakatoshi sorrise contento.
"Ti voglio bene papà"

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Promesse ***


PROMESSE

 

PERSONAGGI: Asahi, Nishinoya

GENERE: fluff, romantico

RATING: verde

AVVERTENZE: fluff a vagonate!!

INTRO - E infine eccoli, l'uno di fronte all'altro, imbarazzati, tesi, innamorati, coi foglietti su cui hanno versato l'inchiostro delle promesse di matrimonio.

 

***

“Non sono mai stato molto bravo coi discorsi. È difficile per me trovare le parole giuste per esprimere dei sentimenti, e così risulto spesso goffo e impacciato, nonostante il mio aspetto.
Forse non lo hai mai notato, ma ogni tanto mi soffermo a guardarti. Ti vedo così forte, pieno di vitalità, di energia, coraggio e fiducia in te stesso e mi chiedo cosa tu possa trovare in me, cosa tu veda oltre il mio aspetto e la mia timidezza tanto da spingerti a voler trascorrere il resto della tua vita insieme a me.
So che ora starai morendo dalla voglia di picchiarmi, perché non sopporti che io pensi queste cose, ma ti chiedo di attendere ancora qualche secondo (potrai uccidermi dopo).
Mi chiedo cosa tu veda in me, è vero, ma mentre vago in cerca di una risposta mi domando anche cosa io veda realmente in me. E dopo tanti anni, nonostante i miei difetti e la mia timidezza, posso dire, oggi, di vedere anche un coraggio che prima non conoscevo. Sono diventato una persona molto più forte, che non getta più la spugna al primo ostacolo, che riesce a credere nelle proprie capacità, che quando cade si rialza ancora e ancora, pronta a combattere di nuovo.
Da quando ti ho conosciuto, Yuu, la mia vita è cambiata. Mi sono lentamente trasformato in una persona migliore, e le mie giornate risplendono della tua energia. I tuoi incoraggiamenti, i tuoi consigli, la tua rabbia quando mi lascio sopraffare dagli eventi e il tuo sguardo ammirato quando mi faccio coraggio e reagisco sono ormai come aria per i miei polmoni. Non riesco a immaginare la mia vita senza tutto questo.
Ed è per questo che oggi mi trovo qui, Yuu, con la voce spezzata e le lacrime agli occhi. Per dirti che benedico il giorno in cui sei entrato nella mia vita. Per dirti che, senza di te, questo mondo non sarebbe degno di esistere.
Per chiederti di diventare mio marito, e di restare per sempre al mio fianco.
Ti amo, Yuu”.

 

“Accidenti a te, mi hai fatto piangere… ok, ok, ci sono... Neanch’io sono molto bravo coi discorsi, almeno non con quelli imbarazzanti, infatti penso che finirò per improvvisare.
So che tutti pensate che sia forte e figo (e in effetti abbastanza figo lo sono, dai!) e fate sempre affidamento su di me e sulla mia energia. Sono instancabile, mi butto a capofitto in ciò che amo e non mi lascio abbattere da nessuno. Eppure – e non è semplice da ammettere – anche io ho bisogno del sostegno di qualcuno. Mi lascio coinvolgere a tal punto da ciò che faccio che, certe volte, mi sento quasi soffocare, mi manca il fiato, schiacciato tra la necessità di continuare a combattere per i miei obiettivi e il bisogno di fermarmi un attimo, di chiudere gli occhi e calmarmi. Sono troppo iperattivo – credo che la mia prima parola sia stata proprio “fèrmati”: grazie, mamma!
All’inizio guardavo a questo lato del mio carattere come a un pregio, e ne sono tuttora convinto, ma col tempo ho realizzato che quando mi lascio avvolgere da questa carica finisco col perdere la mia bussola. Avevo bisogno di qualcosa, di qualcuno cui aggrapparmi, di qualcuno cui mi sentissi libero di dire che no, non ce la faccio; avevo bisogno di qualcuno che volesse stringermi con tutta la sua forza, e diventare quella bussola che avevo perso.
Ne avevo bisogno, e ho incontrato te: Asahi, il mio senpai, la persona che più ammiravo e ammiro a questo mondo. Quando sono con te mi sento al sicuro, come se il tempo attorno a me si fermasse, come se tutto si facesse più chiaro, più caldo, più leggero, più semplice da affrontare.
Ci siamo fatti forza a vicenda per tutti questi anni ed ora siamo qui, vestiti come due pinguini e imbarazzati come ragazzini, a giurare che ci faremo forza per il resto dei nostri giorni, qualunque cosa accada.
Tu sei la mia roccia, Asahi, e ti amo da morire.
E adesso sposiamoci per l’amor del cielo, ché sto per mettermi a piangere di nuovo!”

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Brothers ***


NdA - Questa flash senza pretese è statta scritta inizialmente per il contest Quattro modi di vivere l'amore indetto da MissChiara, in cui mi sono classificata seconda con un'altra raccolta che non prevedeva più questa storia (anche perché lo stile che ho usato è diverso).
Il rapporto tra Tsukki e suo fratello mi ha sempre incuriosita molto, perciò ho pensato di descriverne un piccolo stralcio, sperando che possa piacervi come è piaciuto a me scriverla ^^

____________________________________
* BROTHERS *

 

Non gli parlai per mesi.

Quando ricominciai, dalla mia bocca non uscivano altro che monosillabi, borbottii, dialoghi appena accennati verso una persona che ritenevo quasi indegna di rivolgermi la parola.

Col tempo, sì, le nostre conversazioni si fecero un po’ più consistenti, ma non riuscivo a dimenticare. Dentro di me c’era ancora quel bambino entusiasta, pieno di ammirazione verso il suo fratellone, nutrito di bugie per mesi e anni e trascinato infine davanti alla verità e alla delusione; perdere la fiducia verso una persona così importante, per un bambino, è qualcosa di indescrivibile.

Ma poi gli anni trascorsero, e nonostante fossi cresciuto, nonostante fossi divenuto adulto, la comprensione che Akiteru cercava in me non riusciva ad arrivare; lo stupido orgoglio di cui ero composto mi impediva di trovarlo, e così quel bel rapporto che avevamo un tempo, quei sorrisi che gli indirizzavo quando tornava la sera, scomparvero insieme ai suoi sogni.

Oggi sono trascorsi venticinque anni. Un’eternità.
Mi trovo in salotto, in piena, notte, seduto al centro del divano col capo chino e le mani tra i capelli.

Sono qui da un’ora, forse due, e la mia mente lavora strenuamente per capire quali parole possano spiegare a un bambino di otto anni che suo padre è un fallito. Che fa solo finta di tornare a casa da lavoro, perché un lavoro non ce l’ha più. Che non fa tardi perché il capo l’ha trattenuto in ufficio, ma perché spreca le sue ore a vagare per la città, a pensare, a bere, a sostenere colloqui per lavori che non otterrà mai.

Non sa come dirgli la verità senza deluderlo, così la tiene per sé. Si è inventato una tale mole di bugie, il mio cervello, che qualche volta riesco persino a crederci, ma non posso farne a meno. Quando apro la porta, la sera, e incontro quei due occhioni che mi guardano, felici di poter rivedere il papà dopo una lunga giornata, il terrore di perdere la sua fiducia prende il sopravvento: morirei se non potessi più vedere quegli occhi pieni di luce.

Non potrei sopportare che mi guardi come io guardavo mio fratello.

Dopo tanto tempo, dopo venticinque lunghi anni, riesco finalmente a comprendere la grande pena che Akiteru deve aver provato per non deludere il suo fratellino, per non apparire ai suoi occhi come un perdente, un fallito, un traditore.

Per la prima volta nella mia patetica vita, un senso di colpa asfissiante mi schiaccia il petto e mi mozza il respiro.

E così prendo il telefono, scorro la rubrica, premo il tasto verde, e trattengo a stento le lacrime mentre una voce impastata dal sonno mi chiede preoccupata come sto.

“Ho bisogno di te, Aki-chan”.

Ti prego, perdonami.

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3393472