Syd

di Corvo_Nero
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 0 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 0 ***


In un altro luogo, in un'altra epoca.


Nel silenzio della notte, la luna piena si rifletteva negli occhi spalancati e vitrei di un corpo che galleggiava nelle acque del lago, la bocca dischiusa, un rivolo di sangue che usciva dalle labbra e dal naso, la tunica con una larga macchia brunastra e una freccia che usciva dal petto; solo i versi degli animali notturni rompevano quella quiete e lentamente il corpo iniziava a affondare, con gli occhi sempre rivolti verso la luna e con la mente ancora lucida che rievocava i ricordi delle ultime ore...


- Poche ore prima -


"Un lavoretto facile e pulito": era la prima cosa che aveva pensato, quando il suo cliente gli aveva passato il sacchetto pieno di monete d'oro sotto il tavolo della taverna in cui si erano incontrati pochi giorni prima. Di solito non accettava lavori notturni quando si avvicinava la luna piena, ma il committente aveva delle buone referenze, infatti il Diacono gli aveva indicato il suo nome tempo addietro e quella sera si erano incontrati per discutere degli ultimi dettagli.
<< Come potete constatare, caro Syd, si tratta di un generoso anticipo per un lavoro simile, spero vivamente che non ci saranno contrattempi o imprevisti in seguito >>, disse, parlando sottovoce, un uomo di mezza età dalla fronte stempiata e sudaticcia, con vestiti eleganti nascosti da un pesante pastrano bruno. Era visibilmente innervosito dalle circostanze che lo avevano spinto a contattare la persona che gli sedeva di fronte, stando attento a non far sovrastare il suono della sua voce sul consueto brusio della taverna "Luna spezzata"; era fine settimana e i minatori rinfrancavano i loro spiriti e riempivano i loro stomaci vuoti con le generose vivande offerte dal Capo Jules; canti e risate, urla e imprecazioni varie coprivano adeguatamente discussioni ben più tenebrose che si tenevano in un angolo appartato del locale.
Syd infilò velocemente il sacchetto in una tasca interna della sua giacca di pelle nera. Gli inserti e legacci celavano i suoi strumenti di lavoro tenendoli al sicuro, in modo che muovendosi non tintinnassero tra loro, rivelando la sua presenza. Ad un occhio poco attento sarebbe passato come un normale viaggiatore infreddolito, avvolto nella sua cappa scura e calzando stivali in pelle robusta; un individuo alto, di corporatura media, capelli scuri legati in una piccola crocchia dietro la nuca e una cicatrice sullo zigomo sinistro. Non dimostrava più di 25 anni.
La mano sinistra guantata copriva una lettera sigillata con ceralacca e un simbolo piuttosto anonimo, un cerchio spezzato.
<< Le istruzioni sono contenute in quella busta, aprila quando sarai lontano dalle mura, dopodiché distruggila >>, proseguì l'uomo, con voce tremolante. Mentre questi si guardava in giro per cogliere qualche sguardo indiscreto, Syd prese la busta e la infilò rapidamente nella borsa da viaggio posata sotto di lui; proprio in quel momento giunse, con un ampio vassoio, la giovane figlia dell'oste che portò le loro ordinazioni.
<< I due boccali di birra e l'arrosto per Lord Dyke >>, disse con la sua allegra voce giovanile la ragazza, mostrando un ampio e candido sorriso ai due avventori, uno solo dei quali rispose con un breve cenno del capo, iniziando a sorseggiare la sua birra schiumosa dal boccale; Syd, nel mentre, la congedò con una moneta d'argento come mancia, che la giovane accettò con gioia, infilandosela nella tasca del corsetto e tornando alle sue mansioni roteando su se stessa e facendo svolazzare i suoi lunghi capelli rossi.
 
Una volta che la ragazza si fu allontanata, sicuri che non venissero più interrotti da orecchie indiscrete, ripresero a parlare dei loro affari privati.
<< Devo partire prima che la luna si alzi troppo, Lord Dyke. Domani mattina ci incontreremo fuori delle mura a sud per il saldo pattuito. Se non mi vedrete significa che qualcosa sarà andato storto, a quel punto noi non ci incontreremo più; ricordate che questa conversazione non ha mai avuto luogo, noi non siamo mai stati qui >>. Le parole fluide ma decise di Syd resero l'uomo ancor più nervoso; quest'ultimo trangugiò un lungo sorso di birra prima di annuire al giovane che, una volta presa la borsa da viaggio, sparì velocemente nel trambusto della locanda. Rimasto solo al tavolo, Lord Dyke allontanò il vassoio: aveva perso completamente l'appetito.
Fuori dalla locanda l'aria era fresca, la primavera ormai stava arrivando e il freddo notturno iniziava a essere meno rigido. Syd, arrivato alle stalle, fissò la borsa da viaggio alla sella e in groppa al suo cavallo iniziò a dirigersi verso le mura cittadine. Il solido portone in ferro e legno era chiuso per la notte. Si avvicinò alle guardie, che gli chiesero la motivazione per uscire di città a quell’ora tarda; in tutta risposta il giovane mostrò loro un medaglione rotondo in rame, con inciso il simbolo del vescovato. La guardia, ammutolita, ordinò ai suoi sottoposti di aprire il portone per far passare l'Emissario della Chiesa.
Sorridendo tra sé e sé, il cavaliere rifletteva su quanto ipocrita fosse diventata la specie umana, pronta a inchinarsi di fronte a degli idoli e a prendere per oro colato le parole di un loro pari solo perché capo di una religione.
"No, decisamente c'entra qualcosa il vestirsi sempre di bianco: il candore dell'aspetto rende qualcuno più candido anche nell'animo, probabilmente". A quel pensiero non poté fare a meno di ridere.
Uscito dalla città, prese il sentiero per il castello del Conte, altra persona apparentemente candida e con più di un segreto scomodo.
Su una collina che sovrastava la cittadella del Conte, Syd lesse con attenzione il contenuto della busta:

"Ancora una volta, caro amico, dovrai essere la nera mano portatrice di giustizia divina e colpire dove quella terrena non riesce ad arrivare. Il Conte Sanders ha ancora una volta abusato della propria posizione, macchiando l'onore della famiglia di uno dei nostri confratelli. Ciò non può rimanere impunito".

"Così è questo il pretesto, questa volta", pensò Syd mentre proseguì nella lettura.

"Tutte le domeniche il Conte organizza una battuta di caccia come buon auspicio per la nuova settimana, ma stavolta la volontà divina chiederà ben più del sacrificio di un cinghiale: fa’ in modo che il Conte non arrivi all'alba. La tua anima verrà ricompensata.
Il lato sud della cittadella non avrà sentinelle quella sera: abbiamo già approntato tutto per facilitarti l'ingresso, dopodiché starà alla tua abilità trovare un modo per uscirne.
La stanza del Conte è ben sorvegliata ma probabilmente potrai trovarlo in una delle stanze vicine. Sappiamo che ha l'abitudine di leggere un buon libro prima di coricarsi; quello che ti serve lo possiedi già, fa’ in modo che sia una dipartita rapida e senza spargimenti di sangue.

Che il cielo ti protegga,
C.                          
PS: distruggi il messaggio! "

Mentre piegava lentamente il foglio a formare una stella, Syd rifletteva sulle parole del suo “amico”. Guardava il cielo stellato illuminato dalla luna piena ormai alta, pensando a come quella visione rievocasse in lui ricordi spiacevoli; si affrettò a scacciarli, lanciò via il foglio di carta che, trasportato dal vento della notte, si incendiò incenerendosi in pochi istanti senza lasciare traccia. Il cavaliere tirò su il cappuccio e si diresse al lato sud della cittadella per compiere la sua missione di morte.
Giunto poco distante dalle mura meridionali della cittadella del Conte, Syd scese da cavallo e, con in mano le briglie, si avvicinò silenziosamente alla parete di roccia del castello. Assicurò il cavallo ad un albero vicino e prese un piccolo astuccio di pelle dalla borsa da viaggio. Le mura del castello erano composte da grosse pietre squadrate in maniera irregolare; pochi metri più in alto Syd vide una finestra non illuminata, il che gli suggerì di scalare la parete per poi ridiscendere dalla stessa finestra una volta compiuta la missione. Prese una sottile ma robusta corda intrecciata dalla sella e iniziò la lenta scalata verso l'apertura, col vento che faceva svolazzare la sua scura cappa; i bastioni vicini erano illuminati da delle torce ma non scorse nessuna sentinella, come il Diacono aveva assicurato nella sua lettera.
“Evidentemente sarà bastato oliare qualche ingranaggio e i turni di guardia saranno stati cambiati per favorirmi”, rifletté Syd mentre le sue mani artigliavano una dopo l'altra le pietre sporgenti della parete.
Arrivato alla finestra, si sporse leggermente per assicurarsi che la stanza fosse deserta; a quel punto si tirò su e penetrò nel castello. L'ambiente era illuminato solo dalla luna che, ormai alta nel cielo, faceva capolino dalla finestra. Syd si trovò in quella che aveva tutta l'aria di essere una stanza per gli ospiti piuttosto modesta, con un letto appena fatto e mobili non intarsiati, probabilmente l'alloggio di qualche attendente o servitore personale di chissà quale nobile. Si ricordò che il giorno seguente si sarebbe tenuta una battuta di caccia e una festa nel cortile del castello, ma sarebbe stata ben poco gioiosa questa volta.
Assicurò un capo della corda a un pesante armadio e gettò l'altra estremità dalla finestra, infine decise di cominciare a pensare su come agire: poggiando l'orecchio al pavimento e chiudendo gli occhi, cercò di orientarsi concentrandosi su tutti i rumori che riuscì a percepire; capì quindi di trovarsi al secondo piano del maniero. Ascoltò alcune voci inizialmente non ben distinguibili sotto di lui, probabili rimproveri del cuoco ai propri servitori; riuscì a capire che il Conte Sanders aveva richiesto nuovamente una brocca di vino nella sua biblioteca personale. Syd fece un breve sorriso, si alzò e sbirciò con cautela dalla porta d'uscita.
Il corridoio che vide era sufficientemente illuminato da delle piccole torce appese alle pareti, ma era deserto; silenziosamente lo percorse fino alla svolta successiva e, nascondendosi dietro una colonna, vide due guardie armate di lance sorvegliare una porta chiusa. Aveva trovato la camera personale del conte ma penetrarvi direttamente era fuori discussione - almeno senza eliminare le due sentinelle. Dall'altro lato del corridoio vide arrivare un servitore con un vassoio e una brocca di terracotta, il quale entrò in una porta lasciandola socchiusa. Incuriosito, Syd andò a osservare la scena e, origliando, ascoltò una conversazione illuminante: pareva che quel servitore si fosse perso tra i corridoi del castello e, giustificandosi dicendo di essere stato appena assunto, chiese a due guardie, sedute a ingannare il tempo giocando a dadi, dove fosse la biblioteca del Conte; le guardie furono ben felici di indirizzarlo nella giusta via in cambio di un sorso di quel dolce nettare, e il ragazzo fu costretto ad accontentare i soldati.
Syd pedinò silenziosamente il servo fino alla destinazione, entrò dopo di lui e si nascose nella penombra della sala piena di scaffali riempiti di tomi vecchi e nuovi. Il giovane sguattero non fece altro che posare il vassoio su un tavolo illuminato da un piccolo candelabro in bronzo e uscì dalla medesima porta. Del Conte nessuna traccia.
Il sicario capì che non doveva lasciarsi sfuggire questa occasione: sfilò l'astuccio di pelle dalla tasca, dal quale sfilò a sua volta una piccola fiala in vetro, e ne vuotò il contenuto nella brocca di vino. Fu interrotto da uno scricchiolio poco distante: il nobile era dietro un altro scaffale a scegliere dei libri. Syd lo vide arrivare una volta che tornò nascosto nell'ombra: era un individuo basso, grassoccio e con radi capelli neri, vestiva una lunga camicia da notte di lino e delle calzature morbide. Divenendo quasi tutt'uno con la penombra della stanza, Syd tenne una mano pronta su una delle sue lame da lancio fissate alla fondina cosciale, nel caso venisse scoperto anzitempo.
 
Il silenzio venne interrotto da un breve sbadiglio del nobiluomo che, chiuso il pesante tomo di fronte a lui, si alzò per riporlo, non prima di aver svuotato il calice ricolmo di vino; all'improvviso avvertì dei passi veloci alle sue spalle, e non fece neanche in tempo ad aprire bocca per urlare che una mano guantata gli strinse la mandibola e lo forzò a sedere nuovamente. Sanders era impietrito dal terrore: chi era quell'uomo e cosa ci faceva nel castello, ma soprattutto, come vi era entrato? Queste preoccupazioni, però, lasciarono presto il posto all'autentico terrore: iniziò ad avvertire nausea e la vista gli si offuscò, il calice gli sfuggì di mano e cadde sul pavimento; la fiamma della candela, tremolante, tracciò ombre spettrali sui muri e sul soffitto della biblioteca, ma i suoi anziani occhi erano fissi su quelli del suo assalitore, grigi ed inespressivi. Si sentiva come un roditore stretto all'angolo da un serpente velenoso.
Lentamente Syd allentò la presa e lasciò libera la bocca del Conte, il quale però non riusciva a proferir verbo, figurarsi urlare; solo degli ansiti sommessi uscirono dalle sue labbra. Lo sguardo sconvolto del nobile fece sorridere il sicario.
<< Veleno >>, fu la prima parola che il giovane pronunciò alla sua vittima. << Una volta ingerito agisce rapidamente in modo indolore, blocca prima i muscoli delle membra, poi toglie la voce ed infine... beh, non c'è bisogno che te lo dica, lo scoprirai a breve. Voglio farti solo dono della conoscenza, un pesante fardello che ti porterai nel tuo viaggio all'altro mondo: immagino ti ricorderai di Lord Dyke, dico bene? >> L'espressione terrorizzata del Conte lasciò spazio a uno sguardo di totale stupore: evidentemente quel nome aveva scatenato in lui più di un'emozione. Con le sue ultime forze afferrò un lembo della tunica di Syd, le sue nocche sbiancarono per lo sforzo, gli occhi divennero vitrei. Syd vide la sua vittima iniziare a tossire debolmente e a tremare per le convulsioni: la tossina vegetale, che solo pochi erboristi avrebbero potuto curare con un antidoto somministrato tempestivamente, stava iniziando la sua fase finale, il soffocamento; una schiuma trasparente iniziò a uscire dalla bocca del Conte, il quale si accasciò con la testa all'indietro sulla sua poltrona finché smise di muoversi.
Syd attese ancora due minuti e poi premette le dita sulla gola del Conte per accertarsi della sua dipartita. Lo sguardo del giovane venne rapito dalla gemma che portava al dito, un piccolo zaffiro intagliato a stella incastonato in un anello d'argento; con un gesto meccanico prese il gioiello e lo intascò nella tunica, infine si diresse silenziosamente nella camera degli ospiti da cui era arrivato. Con un po' di fortuna non avrebbero scoperto il cadavere prima del giorno seguente; in ogni caso avrebbe fatto meglio ad affrettarsi e a cambiare aria per qualche tempo, ma mentre rifletteva sui suoi prossimi spostamenti non si accorse di due occhi che lo spiavano nell'oscurità della stanza.
Assicurandosi che la fune fosse ben salda, il giovane assassino scese velocemente le mura del castello e saltò a cavallo per allontanarsi; poco sopra però una pozza di liquido nero si formò sulla parete della stanza degli ospiti: da essa fuoriuscì una figura vestita di nero con una maschera di metallo, armata di arco e frecce. Si sporse dalla finestra e, puntando la sua arma verso il cavaliere al galoppo, scoccò un singolo dardo che colpì Syd alla schiena, mozzandogli il respiro; soffocando un’imprecazione, riuscì a restare in sella ancora per poco, fino a che non cadde rotolando per un dirupo e precipitò nel lago vicino al villaggio.

Poco dopo, nel silenzio della notte, la luna piena si rifletteva negli occhi spalancati e vitrei di un corpo che galleggiava nelle acque del lago, la bocca dischiusa, un rivolo di sangue che usciva dalle labbra e dal naso, la tunica con una larga macchia brunastra e una freccia che usciva dal petto; solo i versi degli animali notturni rompevano quella quiete e lentamente il corpo iniziava a affondare, con gli occhi sempre rivolti verso la luna e con la mente ancora lucida che rievocava i ricordi delle ultime ore, per capire dove avesse sbagliato, cosa fosse successo, chi lo avesse tradito, e l'ultima cosa che ricordò prima di perdere conoscenza fu il nome di chi avrebbe potuto dargli delle risposte...
Conrad.

Affondando lentamente nelle scure acque del lago, Syd rivide nella sua mente altre immagini del suo oscuro passato, immagini liete, altre truculente, oscure e spaventose. Ricordò ogni nemico che aveva sconfitto, ogni ferita mortale che altri gli inflissero, ogni volta che venne creduto morto per poi risorgere dopo poco tempo. Era così da troppo tempo ormai; si sentiva intrappolato in un cerchio di morte e vita senza fine e ormai iniziava a sentire il peso del tempo sulla sua anima piuttosto che sul suo corpo rimasto giovane e vigoroso.
All'improvviso riprese conoscenza, si accorse di essere nelle profondità di un lago, ma anche nella più completa oscurità riuscì ad orientarsi e iniziò una lenta risalita verso la superficie. 
"L'oblio non mi avrà neanche oggi, non ancora". La sua mente riprese a lavorare con intensità, riavvolse il filo dei ricordi fino a poche ore prima e tastandosi il fianco trovò la freccia conficcata nel suo petto; toccandola soffocò una smorfia di dolore, una sensazione sconosciuta per lui.
Mentre le prime luci dell'alba iniziarono ad illuminare i dintorni, riemerse dalle acque del lago e si diresse verso un vecchio albero abbattuto sulla riva. Era stremato, si sentiva debole come non mai.
La prima cosa che bisognava fare era rimuovere la freccia. La maggior parte dei suoi attrezzi era nella borsa da sella e il cavallo era chissà dove, ma a quello ci avrebbe pensato in seguito. La punta della freccia in metallo era frastagliata, impossibile da rimuovere in quelle condizioni. Prese uno dei suoi coltelli, incise con forza lungo l'asta per cercare poi di spezzarla con un colpo secco e morse il coltello coi denti per attenuare il dolore; impugnando la freccia con ambedue le mani e preparandosi a romperla contò mentalmente fino a tre e con un colpo deciso riuscì a spezzarla, non senza lanciare un sommesso gemito di dolore. Lentamente rimosse la freccia osservando lo squarcio che aveva formato sul suo petto; notò anche una leggera tumefazione nerastra ma l'emorragia era già arrestata. Pian piano il dolore si attenuò e Syd sorrise.
"Ancora una volta la mia fine dovrà attendere; ancora un po', dovremo attendere", pensò tra sé e sé.
Decise di provare ad alzarsi, ma si sentiva estremamente indebolito dalla strana ferita e dal brusco risveglio a cui si era costretto in fondo al lago; iniziò ad incamminarsi lungo la sponda per cercare tracce del suo cavallo ed incontrò ad un certo punto un piccolo carro fermo sulla strada. Non vi era nessuno nei paraggi; la sua attenzione venne attirata da una sagoma nelle acque del lago, una fanciulla dai capelli rossi che nuotava agilmente con spensieratezza. All'improvviso i loro sguardi si incrociarono e la ragazza soffocò un urlo di sorpresa più che di spavento; pur nell'imbarazzo di essere stata colta in un momento così sconveniente, sorrise timidamente all'uomo, avvicinandosi alla riva, rimanendo immersa per pudore.
<< Ben trovato, messere! >> disse con la sua giovane voce squillante. << Onestamente non mi aspettavo di trovare anima viva di buon ora da queste parti; per favore, potreste allontanarvi in modo che possa uscire e rendermi presentabile? >> Il tono era visibilmente imbarazzato e Syd acconsentì immediatamente alla richiesta della giovane; si diresse dietro il carro e attese che lei lo raggiungesse, più vestita ma egualmente nervosa per la situazione in cui si trovava.
Teneva lo sguardo basso di fronte al prestante ragazzo vestito di nero, ma la sua timidezza non offuscò la sua aria solare e spensierata, tipica della giovinezza; il suo semplice vestito campagnolo ben in ordine era in forte contrasto col più elaborato completo scuro ma fradicio e consunto di Syd.
<< Mi rincresce aver disturbato la vostra nuotata, ho avuto un incidente, e il mio cavallo è fuggito chissà dove. Potrei chiedervi un passaggio fino a RavenMoon? Magari è tornato verso le stalle >>, disse lui, sorridendo alla ragazza.
<< Mi ricordo di voi! Siete il bel giovane di ieri sera, ho una buona memoria per i clienti generosi. Salite pure. Spero che la nostra birra sia stata di vostro gradimento, la Luna Spezzata è la migliore locanda di RavenMoon, nonché l'unica. Io sono Alyss, figlia del proprietario Jules, e voi? >>
<< Syd, è il mio nome. Vi ringrazio molto del passaggio >>.
Il tragitto, fortunatamente, non era molto lungo; il ragazzo tenne la mano sul fianco premendo la ferita e la giovane se ne accorse.
<< Avete bisogno di cure? >>
<< Una sfortunata caduta da cavallo, devo aver preso un ramo mentre cadevo, ma non è nulla di grave >>, rispose Syd sorridendo.
<< Appena arriveremo provvederò a fornirvi l'occorrente per medicarvi >>.
Syd ringraziò la giovane e le assicurò che avrebbe pagato puntualmente la pigione. La ragazza rise con la sua voce giovanile e squillante.
<< Mio padre mi ha insegnato a trattare bene i migliori clienti, sono sicura che si troverà bene da noi, ma non è da molto che è arrivato a RavenMoon, dico bene? >>
<< Sono arrivato solo pochi giorni fa, sono un messaggero del Vescovato, ma ogni tanto posso concedermi il lusso di un vero letto per dormire >>, rispose Syd con un mezzo sorriso.
<< Oh, un uomo di chiesa, a vedervi non si direbbe. Perdonate la mia impudenza, è solo che sono abituata a vedere anziani in toghe lunghe e voi siete decisamente differente >>, la giovane arrossì lievemente per timore di essere stata troppo sgarbata.
Syd la rassicurò. << Infatti non ho preso i voti, semplicemente viaggio molto, recapito messaggi a persone che hanno più o meno a che fare con la Chiesa >>. Nell'ultimo anno, infatti, aveva recapitato molti messaggi a varie persone indicategli dal Diacono: lettere di morte, come usava chiamarle.
Tastandosi casualmente la tasca interna, avvertì la presenza dell'anello con zaffiro che aveva rubato al Conte: una gemma talmente pura non l'aveva mai vista in vita sua. Non era solito prendere oggetti personali dalle sue vittime, ma quell'anello lo aveva colpito particolarmente.
Il filo dei suoi pensieri fu interrotto quando arrivarono alle porte del villaggio; ormai era mattino inoltrato. Syd aiutò la ragazza a legare i cavalli, poi entrarono nella locanda, semivuota vista l'ora.
<< Potete salire e rilassarvi, prima porta a destra. Godetevi il soggiorno >>, disse Alyss indicando le scale per il piano superiore della locanda.
Syd entrò nella stanza e chiuse la porta, si sfilò la tunica nera e osservò nello specchio la ferita provocatagli dalla freccia nera, di cui aveva conservato i frammenti nello stivale: i bordi della ferita erano nerastri ma si stava richiudendo, anche se più lentamente del solito. Generalmente le sue ferite guarivano in poche ore senza lasciare che una piccola cicatrice, ma tuttavia questa volta era diverso: provava dolore e l'alone violaceo si stava allargando.
"No, stavolta qualcosa è cambiato, non è una ferita come le altre".
Venne distratto dal cigolio della porta aperta da Alyss, che gli aveva procurato una ciotola d'acqua e delle pezze pulite; la giovane chinò subito lo sguardo visibilmente arrossita e si scusò per l'intrusione, non prima di aver notato la schiena muscolosa del giovane ricoperta da cicatrici.
Dopo pochi minuti bussò nuovamente alla porta per la colazione; Syd ora era nuovamente rivestito, con sollievo per la giovane che si riprese dall'imbarazzo di poco prima. Il ragazzo sedeva sul balconcino della finestra, guardando nel vuoto verso l'orizzonte, pensieroso.
<< Vi ho portato la colazione, vi chiedo scusa per l'intrusione di poco fa, ma a quanto pare ora abbiamo vissuto entrambi dei momenti imbarazzanti! >> disse Alyss con la sua caratteristica allegria e spensieratezza.
Syd, distratto dai suoi pensieri, scese dalla finestra e ringraziò la giovane cameriera che, non avendo altro da fare apparentemente, restò a far compagnia al suo enigmatico inquilino.
<< Se ho ben capito non resterete molto a RavenMoon. Vi piace viaggiare? >> Alyss seduta sul bordo del letto guardava mangiare il ragazzo, che gustava silenziosamente il suo pane appena sfornato con pancetta. Il suo aspetto rievocava in lei sopiti desideri di libertà e avventure che mai aveva vissuto, troppo impegnata com'era nel suo misero impiego; non odiava suo padre per quella vita così tranquilla, odiava la sua vita fin troppo tranquilla.
<< Probabilmente partirò nel pomeriggio, salvo imprevisti >>, rispose asciutto quel misterioso viaggiatore dallo sguardo imperscrutabile.
<< E dove andrete, se non sono troppo indiscreta? Sapete, vivo qui da quando ero una bambina, ma sono nata alla Capitale, mia madre vive lì con la sua famiglia... >> Un velo di tristezza si posò sul volto della giovane: i suoi si erano separati poco dopo la sua nascita; suo padre non le aveva mai spiegato i dettagli, era sempre stato evasivo a riguardo.
<< Tornerò alla capitale, Eastar. Già, mi dirigerò lì per concludere il mio affare e per fare quattro chiacchiere con un vecchio amico... >> L'espressione di Syd si indurì brevemente mentre la sua mano strinse il boccale di legno con forza e ira. "Ho parecchie cose da chiarire con il Diacono... mi contatta per un lavoro da dilettanti e mi ritrovo con frecce stregate nella schiena. Voglio ficcargli i frammenti nella gola, appena lo vedo..."
Improvvisamente vennero sorpresi entrambi dal suono delle campane della chiesupola e dalle grida degli abitanti del villaggio. Alyss andò a vedere affacciandosi alla finestra della stanza, vide donne ai balconi degli edifici di fronte che guardavano spaurite a destra e a sinistra chiedendosi cosa fosse successo, bambini che correvano nelle case, le guardie al cancello che, ancora assonnate dalla fine del turno di notte, si misero in allarme; dal cortile si potevano udire le urla concitate dei minatori e dei contadini:
<< Ma che succede? >>
<< E' scoppiata la guerra! >> 
<< No, pare sia successo qualcosa al castello! >>
<< Il Conte Sanders, dicono che sia morto! Hanno ucciso il conte! C'è la bandiera nera sulla Grantorre! >>
Anche Syd si affacciò per vedere. "A quanto pare hanno già scoperto il cadavere, ma del mio cliente nessuna traccia. Comunque il mio lavoro qui è finito, approfitterò del trambusto per lasciare il villaggio". La mente di Syd era in pieno fermento, ma fu la cosa successiva che vide che per la prima volta lo mise realmente in allarme: le porte del villaggio si spalancarono e una truppa di cavalieri in armatura scura entrò all'interno seguita da una carrozza; il simbolo su di essa, una testa di cavallo nera su uno scudo dorato, non lasciava spazio a dubbi: erano i Cavalieri Neri, la guardia scelta del Re, che veniva mandata in missione solo in tempo di guerra o in caso di gravi emergenze.
Syd e Alyss osservarono la scena ammutoliti, e gli occhi del giovane si fissarono sull'origine delle sue preoccupazioni: la testa di Lord Dyke, il suo cliente, conficcata su una picca sul tetto della carrozza.
E in quel momento, nella tasca della sua tunica, il gioiello azzurro rubato al conte iniziò a illuminarsi leggermente.

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Dopo quasi tre anni dalla prima stesura, mi sono deciso a modificare e, se possibile, migliorare questo racconto. Pian piano, ripubblicherò tutti i capitoli, aggiungendo o modificando dettagli, e apportando alcune correzioni.
Ringrazio tutti i miei lettori per il supporto in questi anni.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


- Venti anni prima -
Nubi di cenere coprivano il cielo della terza giornata di assedio; il fragore della battaglia terrorizzava i pochi profughi rimasti bloccati nel castello, mentre tutti gli uomini abili erano impegnati a tentare di respingere il nemico, ma la battaglia era ormai persa e gli ultimi superstiti riuscirono soltanto a chiudere i portoni della fortezza e a prepararsi ad abbandonarla.
Rikard era uno dei tanti abitanti del villaggio, ormai ridotto in cenere, che era riuscito a rifugiarsi al castello; ma era da solo, seppur circondato da persone come lui; si sentiva solo. I suoi amici e parenti non ce l'avevano fatta, e lui non poteva far altro che starsene rannicchiato sul freddo pavimento di pietra e aspettare la fine, tremante e in lacrime. Non era la sua guerra, non voleva che lo fosse, ma ormai ne faceva parte. La porta si spalancò ed entrarono tre soldati che portavano in barella il capitano della guarnigione, ferito da una freccia all'addome. Lo posarono sul letto e cercarono di estrarre il dardo dalla ferita, ma il vecchio sapeva che era arrivato alla fine; silenziosamente fece cenno a uno dei suoi soldati di avvicinarsi e questi si inginocchiò davanti a lui; gli altri si allontanarono con deferenza. Faticosamente il vecchio Capitano si mise a sedere, per affidare il suo ultimo ordine e la sua benedizione al giovane di fronte a lui, che si tolse il pesante elmo liberando i lunghi capelli neri sciolti. Rikard assistette alla scena dapprima distrattamente e poi con un certo interesse.
Il vecchio soldato, con mani tremanti posate sulle spalle del giovane, gli comunicò il suo ultimo ordine, sicuro che fosse l'unico che potesse portarlo a termine: << Figliolo, il mio viaggio termina qui purtroppo; ma il tuo è ancora lungo, come ben sappiamo; tranquillo... porterò il tuo segreto nella tomba, ma ora devi concludere la missione: porta in salvo i profughi per il tunnel sotterraneo, salvali tutti... poiché sono il nostro futuro... Ora vai, sei tu il Capitano Nero ora. >>
Il giovane soldato si rimise la barbuta, che copriva quasi interamente il volto, mostrando solo gli occhi attraverso una stretta fessura, dandogli nella penombra un aspetto fiero e spaventoso allo stesso tempo; coprì con la tabarda macchiata di sangue il suo superiore dandogli l'ultimo saluto e si riunì brevemente ai suoi compagni riferendo loro le parole del vecchio capitano. Dopodiché si rivolse ai pochi profughi, informandoli della situazione e lo sguardo si posò su un ragazzino sporco e gracile nell'angolo della stanza. I due si fissarono: Rikard, attraverso la fessura nell'elmo, vide un paio di occhi grigi che sembravano scrutarlo fin dentro l'anima; non li avrebbe mai dimenticati.
Soffocata dall'elmo provenne una voce austera e metallica: << Sei rimasto solo anche tu, vuoi rimanere qui a morire? O vuoi continuare a vivere? >>
Rikard fissava il soldato, era impaurito, ma il suo piccolo cuore ebbe un sussulto: non voleva morire, non voleva finire come i suoi parenti e amici, bruciato vivo o trafitto dalle frecce, voleva vivere. Rivolse un segno d'assenso all'alta figura in piedi di fronte a lui. Il Capitano Nero sfilò dalla cintola un lungo pugnale e lo gettò ai piedi del ragazzino. << Se vuoi vivere, devi alzarti in piedi, se vuoi ottenere ciò che brami, devi combattere per esso. Alzati e combatti, dunque. >>
Il ragazzino raccolse lentamente il pugnale, tenendolo con entrambe le sue gracili mani e lo sguainò.
 
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I cavalieri entrarono in parata nel cortile del villaggio di RavenMoon e dalla carrozza uscì un uomo in armatura, alto e dalla corporatura massiccia, con radi capelli grigio sporco, una mascella squadrata e sguardo di ghiaccio: gli occhi erano azzurri e chi li guardava si sentiva immerso in una tormenta; la sua armatura nera era leggermente diversa e più rifinita rispetto a quella dei suoi sottoposti, con un mantello rosso appeso al collo e un pugnale appeso alla cintura. Il suo attendente si avvicinò per passargli la sua lunga lancia nera e scambiarono brevemente due parole, dopodiché quest'ultimo, mettendosi sull'attenti, iniziò il suo triste proclama: << Cittadini e cittadine di RavenMoon, della contea di EadenShire, da secoli parte del grande regno di Eastar. Sono la voce del grande Re Georg VI, gloria eterna al grande Re! >> All'unisono i soldati e cavalieri si batterono tre volte il pugno sul petto. L'eco risuonò per il cortile, attirando l'attenzione dei pochi cittadini che ancora non si erano accorti di ciò che stava accadendo.
Il soldato riprese il suo discorso, aleggiava un timoroso e cupo silenzio: << Udite, udite, il Conte Erwin Sanders si è riunito pacificamente questa notte del 23 Agosto 781 al grande Padre, gloria eterna a lui, pace al suo spirito. >> Altri tre colpi sul petto da parte della guarnigione anche se meno convinti dei precedenti.
<< Il Consigliere del Re ha decretato che il villaggio di RavenMoon, la Contea di EadenShire e tutti i possedimenti, passino sotto il controllo diretto del Re fino a nuova decisione, per motivi di sicurezza da questa sera vigerà il coprifuoco. Il nostro sovrano Re Georg VI vi darà tutta la protezione necessaria. >> Lentamente la folla iniziò a diradarsi, alquanto annoiata dai successivi proclami politici del soldato; rassicurazioni, promesse, tante belle parole addolcite a cui molti erano abituati, altri infastiditi. Molti passanti iniziarono a parlottare tra di loro discutendo dei continui problemi del regno, che erano ormai noti anche nelle province di confine; per decine di anni si sono susseguiti regnanti sempre meno legittimi, reggenti con le mani ancora lorde di sangue, conti e baroni che passavano il tempo a pugnalarsi alle spalle, o assumendo chi lo facesse al loro posto.
Syd, al contrario, ascoltò il discorso fino alla fine, visibilmente preoccupato ma anche incuriosito... "Nemmeno una parola sul motivo per cui uno dei nobili della zona sia stato decapitato e messo alla berlina in quel modo, evidentemente ci sono ben altre ragioni per cui i nobili abbiano impiegato i Cavalieri Neri per una faccenda simile... Conrad, in che razza di guaio mi hai ficcato...?"  Le mani nervose del giovane artigliavano il balcone di duro legno, creando delle piccole crepe sulla superficie, tanta era la forza con cui lo stringevano.
Una voce maschile da basso chiamò Alyss che, scusandosi, si congedò dalla camera; era suo padre, un uomo alto e corpulento, con pochi capelli grigi e barba incolta; aveva una notizia piuttosto importante per lei. << Figlia, è arrivata una lettera dalla capitale, a quanto pare tua madre vuole incontrarti con urgenza. >> Il tono dell'uomo era visibilmente incerto e preoccupato, la reazione della ragazza invece fu di pura sorpresa. "Mia madre vuole incontrarmi; dopo così tanti anni..." Colta alla sprovvista dalla notizia, si sedette al tavolo ascoltando il racconto del padre. << Vorrei che anche tua madre fosse qui in questo momento, e purtroppo non è così, in ogni caso ora sei abbastanza grande per capire alcune cose. >> Il tono del genitore si fece grave e nervoso. << Alyss, posso capire che potrebbe essere un duro colpo da digerire, ma ora sei grande ed è giusto che tu lo sappia: noi non siamo i tuoi veri genitori... >>
Il volto della ragazza, già abbastanza pallido, si fece esangue per lo shock, la bocca semidischiusa per il totale stupore. Jules proseguì: << Come ti spiegherà meglio tua madre Anna, perché in ogni caso ti consideriamo comunque nostra figlia, ti trovammo in una culla davanti la nostra porta ad Eastar, insieme a una lettera, probabilmente dei tuoi veri genitori, che spiegava in maniera alquanto vaga le ragioni del tuo abbandono, eri in pericolo mortale e ti avevano affidato a noi per portarti in salvo. Mi dispiace averti mentito per 19 anni ma ti abbiamo voluto bene come se fossi la nostra vera figlia... >>
<< Padre... >> La voce di Alyss era un sussurro, la notizia l'aveva devastata, sconvolta; le labbra tremanti non riuscivano a proferire verbo mentre gli occhi si inumidivano di lacrime. Jules, commosso dalla reazione della giovane, andò ad abbracciarla amorevolmente, baciandole il capo. << Ora ascolta, questa lettera sarebbe dovuta arrivare una settimana fa e il tono mi è sembrato piuttosto preoccupato, Anna chiede che tu la raggiunga alla Capitale in fretta, quindi ti prego di preparare le tue cose, io cercherò qualcuno che possa accompagnarti nel viaggio. Trovo strano e sospetto l'arrivo di quei cavalieri in questo piccolo villaggio. Quanto al resto, Anna ti spiegherà meglio i dettagli, non preoccuparti. >> I due si abbracciarono amorevolmente.  << Ti ho sempre considerato mio padre, non smetterò mai di pensarlo >> Disse la ragazza singhiozzando sommessamente.
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Al piano di sopra, Syd aveva involontariamente origliato la conversazione, ma i suoi pensieri erano turbati da problemi di ben altra natura: aveva perso il medaglione e senza di esso sarebbe stato alquanto problematico riuscire a fuggire di città senza essere notato, e sicuramente non voleva spiegare le ragioni della sua presenza alla Guardia Reale, la quale, in ogni caso, aveva nascosto i reali motivi della sua presenza ai confini del regno. Senza dubbio qualcuno sapeva della sua presenza a RavenMoon, ciò spiegherebbe anche la freccia stregata e al solo pensiero sentì una fitta al fianco; non poteva aspettare molto, doveva parlare col Diacono e decise quindi di partire in giornata. "Devo pensare a un modo per uscire dalle mura cittadine senza destare sospetti, ma con tutte queste guardie sarà praticamente impossibile senza ricorrere a misure drastiche. E in più sono appiedato." Il filo dei suoi pensieri venne ancora una volta interrotto da dei piccoli colpi alla porta, seguiti dal cigolio dei cardini. Alyss entrò nella stanza col capo chino e il viso rigato dalle lacrime. << Ho un favore da chiedervi... >> Disse con un filo di voce. Syd si sedette per ascoltare ciò che aveva da dirgli.
Dopo che Alyss gli ebbe spiegato la situazione in cui si trovava, un mezzo sorriso comparve sul volto di Syd. << Se ho ben capito dovete urgentemente partire per Eastar e avete bisogno di una scorta? >> Disse con aria tranquilla. "Accompagnando questa giovane desterei meno sospetti rispetto al viaggiare da solo, in più disporrei di un comodo carro e con un po' di fortuna potrei ritrovare il mio cavallo. La giornata è iniziata male ma inizio a vedere qualche miglioramento."
<< Sì, è così, e avendo una certa fretta non ho altri a cui chiederlo; purtroppo la guardia cittadina ha ricevuto ordini di non lasciare RavenMoon. E siccome voi siete un esperto viaggiatore, se ho ben capito... E poi anche voi siete diretto lì, giusto? >> la voce si stava facendo incerta e tremante: a quanto pareva il nervosismo per le recenti rivelazioni stava avendo il sopravvento. Syd si alzò dalla sedia e si avvicinò alla giovane lentamente, le posò una mano sulla spalla e lei sollevò il viso per guardarlo negli occhi. << Accetto l'incarico. >>
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Una volta caricati tutti i bagagli sul carro, Alyss si accomiatò dal suo padre adottivo, salutò alcuni amici e clienti abituali della locanda e venne aiutata da Syd a salire a cassetta. Mentre sistemava le provviste, Jules si prodigò in numerose raccomandazioni ad Alyss e al suo nuovo accompagnatore. << Non preoccuparti padre, messer Syd è un esperto viaggiatore e lavora per il vescovato, il viaggio con lui sarà più sicuro >> le aveva detto la giovane, e si fidava del suo giudizio. Era ormai il momento del commiato e il padre strinse per un'ultima volta tra le braccia la figlia. << Piccola mia, ricordati che in questo luogo avrai sempre un posto da chiamare casa, anche quando scoprirai la verità sulle tue origini, ti vorrò sempre bene, ricordatelo. >>
Il cuore della giovane era più leggero, anche se ormai si era adattata a pensare che gli ultimi 18 anni della sua vita erano una menzogna. Voleva bene ai suoi genitori adottivi, specie suo padre che non le aveva mai fatto mancare nulla, e non vedeva l'ora di riabbracciare sua madre, con cui aveva solo un rapporto epistolare; ma più di tutto ora desiderava certezze, fugare tutti i dubbi sul suo passato e scoprire cosa aveva in serbo per lei il futuro.
Syd incitò il cavallo e lentamente il carro iniziò la sua corsa; in lontananza scorse il capitano dei Cavalieri Neri che dava ordini ai suoi luogotenenti, ben sull'attenti di fronte alla imponente figura avvolta nel mantello scarlatto, con un consunto pugnale appeso alla cintola; vedendolo Syd sorrise e pensò semplicemente: "Sei cresciuto, ragazzino, continua a combattere nella tua breve vita e non smettere mai di lottare."
Sentendosi osservato, Rikard si voltò per guardare quel carro che usciva dalle mura cittadine, fissò il conduttore di spalle e un vago senso di nostalgia lo pervase, ma il suo senso del dovere lo scacciò immediatamente, continuando a assegnare ordini alle guardie cittadine e ai suoi cavalieri per organizzare i turni di guardia, indirizzandoli con gesti della sua mano al cui polso brillava un bracciale con rubino, la cui gemma in quel momento emetteva uno strano baluginio.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Le porte del villaggio si chiusero con un sordo cigolio e le sentinelle abbassarono il largo tronco necessario per bloccare l'accesso. Il Capitano Rikard continuava a dare ordini ai soldati, riflettendo sugli ultimi che aveva ricevuto. Pochi giorni prima, la sua guarnigione era impegnata in esercitazioni presso una delle fortezze al confine e un messaggero dalla capitale lo avvisò di notizie preoccupanti: una sola frase in codice, riguardante le mosse di uno dei nobili di quella provincia aveva messo in allarme il Re.
Giunsero alla periferia di RavenMoon il giorno prima e fecero irruzione nella villa di quel nobile; il loro arrivo evidentemente era previsto dato che lo trovarono impegnato a progettare la propria fuga nel regno vicino, Ebones. Accortosi dell’arrivo dei cavalieri, il nobile tentò di scappare, ma un arciere a cavallo riuscì a ferirlo e fermarlo. Rikard e un suo attendente lo raggiunsero e, secondo le leggi in vigore in quel regno, lo decapitarono sul posto per alto tradimento contro la corona. Il Capitano Nero svolse l’incombenza con scarso interesse: non era certo il primo processo sommario per tradimento, tuttavia tra i vari insulti che il traditore lanciò loro contro, distinse anche due parole che lo impensierirono: "Stanno tornando". Avrebbe voluto saperne di più ma la dura consegna in questo genere di situazioni era ferrea: divieto assoluto di interrogare i condannati. Si sentiva come un volgare boia in quei momenti ma ormai era abituato ad obbedire ed eseguire gli ordini senza discutere; inoltre, per le due settimane a venire, avrebbe dovuto fare da balia a un branco di incapaci male addestrati.

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Era tardo pomeriggio quando il carro lasciò RavenMoon; sul campanile della chiesa una magra figura vestita di nero osservò la scena con un paio di occhi dorati, unico dettaglio del volto celato da una sinistra maschera di metallo e un aderente vestito di pelle nera intarsiata. Un sibilo simile a un sussurro, un sospiro, un lamento, emanato da quella maschera nera, impugnò il suo arco e scagliò un'altra delle sue malefiche frecce lontano nella vallata; dopo poco essa raggiunse il suo bersaglio e un tremendo nitrito di dolore ruppe il silenzio della vallata. Toccando con una mano guantata la superficie solida del campanile, la Maschera attraversò la parete come se fosse acqua, il muro di pietra tremolò come la superfice di uno stagno rotta da un sasso lanciato dalla riva, per poi tornare semplice roccia.

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Seduto sullo scomodo pianale del carro, Syd tranquillamente si godeva il dondolio delle ruote di legno sulla strada dissestata. Tra non molto avrebbero raggiunto la strada imperiale, e poi sarebbe stato semplice andare sempre dritto per raggiungere Eastar; prevedeva che dopo una breve sosta notturna, avrebbero raggiunto la Capitale per il mattino del giorno successivo. La ferita aveva smesso di far male, ma notava che la macchia scura si stava allargando sempre più e la cosa iniziava a preoccuparlo.  Non ricordava l’ultima volta che provò un senso di preoccupazione, o addirittura paura, ma quella ferita che non accennava a guarire e che gli provocava dolore iniziava a disturbare la sua mente, a riempirla di innumerevoli pensieri. “Inizio ad avere lievi tremori agli arti e una sensazione di freddo, come se si stesse infettando, nulla di più assurdo nel mio caso; una persona normale non avrebbe dubbi su come agire, io invece devo affrettarmi a tornare da lui…”
Seduta a cassetta, anche Alyss aveva le sue preoccupazioni: le ultime rivelazioni sulla sua vita le avevano fatto passare l'appetito; le piccole mani stringevano le redini del vecchio cavallo che tirava il carretto, reggendosi ad esse come si aggrappava ai ricordi, ai lunghi anni spensierati della giovinezza trascorsa con un uomo che aveva sempre chiamato padre, ma era tutta un’illusione, si diceva. In una sola notte Alyss era cresciuta: non era più una bambina ormai e quando sarebbe arrivata a Eastar, quando avrebbe scoperto tutta la verità, o qualunque cosa le avesse detto la sua madre adottiva, sarebbe diventata un'altra persona, con nuovi obiettivi nella vita.
Alle loro spalle il sole stava per tramontare e Syd suggerì di accostare al lato della strada vicino a un piccolo fiume per bivaccare e far riposare il cavallo. << Passeremo la notte qui, sarà un po' scomodo ma temo che il tuo ronzino abbia proprio bisogno di una sosta>>, disse Syd accarezzando il fianco sudato e magro dell'anziano animale. Coi polpastrelli poteva avvertire il respiro affannato e le ossa sporgenti.
Mentre aiutava Alyss a scaricare qualche provvista e l'attrezzatura per piantare un campo, ripensava al suo baio: dopo l'incidente alla cittadella ne aveva perso le tracce, e sulla sua groppa aveva il proprio bagaglio. Con sé non aveva altro che un paio di coltelli da lancio, tutto il resto delle sue armi si trovavano nella bisaccia da sella. “Non sento più il suo odore, chissà cosa gli sarà accaduto…”. Syd era molto legato a quell’animale e si ripromise di tornare a cercarlo una volta risolto quel fastidioso problema.

Dopo mezz'ora la cena era quasi pronta: carne essiccata e radici bollite. Syd stava per ridurre la fiamma del falò quando sentì un tenue brivido lungo la schiena...  “Qualcosa si sta avvicinando velocemente, qualcosa di tremendo e oscuro!”
 Anche il cavallo di Alyss iniziò a dare segni di nervosismo, la ragazza si alzò dal giaciglio per andare a rassicurarlo ma Syd la fermò con un urlo: << Resta vicino al fuoco, non muoverti da lì! >>
Scrutava le tenebre intorno a loro in cerca dell'origine della oscura sensazione, in lontananza gli parve di scorgere due occhi giallastri in cima a una collina. Stava per mettere a fuoco quando un rumore inumano simile a un verso animalesco lo distrasse: gli parve un nitrito di cavallo ma nettamente diverso, come se fosse a metà tra un lamento e una risata.
Iniziò a sentire galoppare dal ciglio della strada e vide una grande sagoma fosforescente, due occhi verdi e luminosi che lo fissavano; un essere spettrale si stava avvicinando a loro a gran velocità, diretto verso Syd che fece appena in tempo a tuffarsi a terra per evitare di venir travolto da quella "cosa".
Alyss al riparo vicino al fuoco urlò per la sorpresa e l'orrore. Ora che era illuminata dalla luce delle fiamme si poteva vedere chiaramente con cosa avevano a che fare: di fronte ai loro occhi si ergeva l’immagine evanescente di un cavallo di pelle scura, con le orbite oculari scavate, pupille luminose come lanterne, avvolta in un'aura spettrale; la creatura era bardata con sella e finimenti neri che Syd riconobbe immediatamente come suoi: si rese quindi conto che aveva di fronte il suo cavallo trasformato in un morto rianimato!
 La bestia lo fissava negli occhi e scalciava a terra pronto a caricare nuovamente verso il suo padrone allo scopo di travolgerlo; malgrado la situazione svantaggiosa Syd riuscì a mantenere il sangue freddo: sfoderò dalla cintola i due piccoli pugnali e corse verso il mostruoso cavallo con l'intento di tranciargli i tendini delle zampe per immobilizzarlo, o quantomeno rallentarlo. Evitando per un soffio un colpo di zoccolo diretto verso la sua testa con una scivolata, Syd ferì con un fendente lo stinco del cavallo; sentì distintamente la lama scavare le carni e i muscoli, tuttavia la mobilità del cavallo spettrale non ne risentì e Syd dovette velocemente allontanarsi per evitare di essere schiacciato e calpestato.
Rimasti a una distanza di pochi metri il cacciatore e la preda (chi dei due era uno e chi l'altra?) si fissavano negli occhi; il cavallo nitriva e rideva della sua superiorità, mentre l’uomo rimaneva in guardia sulle sue gambe pronto a evitare un'altra carica della bestia, stringendo con mano ferma i due pugnali. Deciso a rompere quello stallo prima che il mostro tirasse fuori altre sorprese, Syd tracciò nell'aria dei segni con tre dita della mano e una violenta raffica di aria bollente investì il cavallo che iniziò a barcollare, stordito da quell'onda d'urto rovente. Quando iniziò a scalciare a caso e a nitrire con rabbia, Syd ne approfittò per saltargli in groppa, scattando verso di lui con una velocità fulminea e conficcandogli nel collo entrambi i pugnali per rimanergli saldamente aggrappato. La bestia infuriata scalciava, si dimenava, urlava con tutte le sue forze ma il coraggioso cavaliere non si fece sbalzare via dalla sella.
Nella concitazione del momento la mente di Syd ebbe comunque il tempo di notare due cose: la sua borsa era ancora appesa alla sella con tutti i suoi averi e sul fianco del cavallo era conficcata una freccia nera, come quella che aveva ferito lui dopo quella infausta notte; la rimosse con uno strattone deciso e per poco non gli saltarono i timpani dall'urlo animalesco che ne seguì, ma notò che fu sufficiente a far perdere un po' le forze al cavallo rianimato. Syd ne approfittò per aprire la borsa e sfoderare una delle sue armi: un pugnale ricurvo con lama in argento. Prese velocemente la mira e lo conficcò nel fianco dell'animale che urlò a squarciagola; infine saltò via dalla sella con la borsa da viaggio in una mano e osservò il mostro agonizzante sul prato, scarsamente illuminato dal suo bagliore spettrale e dal falò da cui Alyss aveva assistito a tutta la scena terrorizzata e completamente impietrita.
<< Sei tenace, a quanto pare l'incantesimo che ti ha riportato in vita era estremamente potente >> disse il ragazzo con un lieve sorriso sul volto mentre osservava il mostro avere ancora le forze di strisciare verso di lui, ringhiando con versi che non richiamavano più quelli di un normale cavallo, ma più qualcosa di demoniaco e ultraterreno. Un orecchio attento avrebbe potuto distinguere il nome di Syd in quei raccapriccianti suoni, pronunciato da una voce femminile.  
<< Vediamo di farla finita, una volta per tutte. A breve, almeno tu sarai libero per sempre, Zoroastro. Grazie di tutto >>, disse infine il giovane, che tracciò in aria segni diversi dai precedenti e un cerchio di fiamme bluastre circondò il mostro divorandone il corpo in breve tempo. Del cavallo rianimato non rimase un cumulo di cenere.
Syd si guardò intorno alla ricerca di altre minacce quando all'improvviso una voce che non udiva da chissà quanto tempo risuonò nella sua testa: "Non puoi fuggire in eterno, non puoi nasconderti all'infinito, tu ci appartieni".
I due occhi dorati che avevano osservato gli eventi da lontano sparirono nel buio della notte.

L'assassino fece ritorno al focolare dove era rimasta al sicuro la giovane Alyss che lo fissava terrorizzata; impugnava un bastone infuocato e lo puntava verso Syd che non fu affatto lieto di aver dovuto fronteggiare quella creatura di fronte a lei. Avrebbe dovuto darle qualche spiegazione, ma prima bisognava decisamente calmarla.
Le mani che stringevano la rudimentale torcia tremavano ed era sull'orlo delle lacrime << C-che cosa era quella ... cosa?? Come hai fatto a ucciderla? Quella luce non era un fuoco normale e lo hai fatto apparire dal nulla! Cosa era?? COSA SEI TU?? >> Alyss non si accorse neanche che Syd non era più di fronte a lei ma alle sue spalle e con un colpo ben assestato la disarmò del bastone e la strinse a sé bloccandole i polsi.
<< Calmati, hai ragione, hai diritto a una spiegazione visto che tutto sommato dovremo trascorrere del tempo insieme viaggiando verso Eastar, ma deciderò io cosa, come e quanto dirti; ti chiedo solo di fidarti di me, dopotutto ti ho appena salvato la vita. >>
La giovane tremava come una foglia, tentava invano di liberarsi dalla presa di Syd, fino a che non perse le forze per la paura e si accasciò in ginocchio. Il ragazzo le posò calmo la mano sui rossi capelli spettinati. << Il mondo fuori dal tuo piccolo villaggio è ben diverso da come te lo eri immaginato, e purtroppo accade sempre più frequentemente di assistere a qualcosa di così poco umano, dopotutto anche il concetto stesso di "umano" non è ben definito >>, disse Syd, sorridendo leggermente al ricordo di molti eventi ben più spaventosi che aveva visto e vissuto.
Seppur più calma, ma non meno spaventata, Alyss chiese cosa volesse dire con quelle parole.
 << L'interessante spettacolo a cui hai tuo malgrado preso parte non è che una inezia di ciò che accade realmente a questo mondo: niente è come sembra, e io ho assistito ad ogni singolo mutamento che ha avuto luogo in queste lande maledette, da quasi cento anni... Sì, Alyss, neppure io posso considerarmi umano, pur avendone l'aspetto>>.
La ragazza ammutolì a quella spaventosa rivelazione.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Molti anni prima, in una foresta al confine tra i due grandi regni dell'Est e dell’Ovest.

Mentre correva nella foresta, Julia non osava voltarsi per vedere se i suoi inseguitori le stessero ancora alle calcagna; guardava semplicemente avanti, evitando rami bassi e saltando grosse e nodose radici degli alberi che le ostacolavano la fuga. Il tintinnio delle catene ai polsi accompagnava la sua rapida andatura, le gambe esili e piene di piccole ferite sembravano non toccare il suolo nella sua frenetica corsa verso l'altro lato della foresta. Era vestita semplicemente di un sacco di tela grigio e consunto, aveva gli occhi scavati e il fisico provato dai duri mesi di prigionia. Aveva approfittato del trasferimento verso un'altra prigione per sfuggire ai suoi aguzzini, per scappare pur non avendo una meta, per inseguire il suo assurdo sogno di libertà.

Julia si sentiva come se avesse dei pugnali conficcati nei fianchi, correva senza fermarsi, ansimava fortissimo, i suoi piccoli polmoni chiedevano pietà, ma se si fosse fermata, sapeva che avrebbe avuto un destino ben più atroce di un leggero dolore al petto. La luna piena non riusciva a illuminare tra le fronde degli alberi nella foresta, ma un leggero scintillio le suggerì che di fronte a lei ci fosse uno specchio d'acqua; dopo un tempo che sembrava interminabile arrivò al limitare del bosco e vide la riva di un enorme lago.

Si sedette su una larga roccia per prendere fiato, guardandosi attorno. Era sola, completamente sola. Si guardò le mani piagate e ossute: sembravano quelle di una vecchia, con la pelle raggrinzita dalla malnutrizione a cui era stata costretta. Lo sguardo si posò sulle catene che le legavano i polsi, il respiro si fece calmo; si concentrò sugli anelli delle manette, che iniziarono a vibrare, prima di spaccarsi in due; dopo lunghi mesi finalmente osservò le sue mani libere da costrizioni. “La luce della luna mi rende più forte, per questo mi tenevano rinchiusa in quel sotterraneo.”

Vide un sentiero dall'altro lato del lago, così pensò di tuffarsi e attraversarlo a nuoto. L'acqua che le accarezzava il corpicino indebolito fu un toccasana, restituendole un po' di vigore, lavando via il fango, la polvere, la sporcizia che la ricopriva; i suoi capelli anneriti recuperarono un po' del loro naturale colore rosso.

Era arrivata sull'altro versante, sfinita sia dalla corsa che dalla nuotata e non si accorse della presenza di un'altra persona: era un cavaliere incappucciato, che probabilmente l'aveva scorta nuotare dal sentiero, con la luce della luna. Julia si sentì perduta, il suo sentimento di gioia per aver gustato quel breve periodo di libertà si spense rapidamente; pensò di implorare pietà, di cercare di spiegare a gesti che si arrendeva: alzò le mani in segno di resa, piccole ossute mani da bambina che per troppo poco tempo aveva conosciuto la fanciullezza. Il cavaliere sorrise mentre si levò il cappuccio e le accarezzò i capelli con la sua mano guantata. Le chiese qualcosa in una lingua che non conosceva, Julia non poté rispondergli, ma sapeva che era libera.

La luna piena illuminava le acque del lago e solo il tenue sciabordio del vicino fiume e il rumore di zoccoli del cavallo a trotto rompevano il silenzio. Julia ricordava le ultime ore che erano appena trascorse, poi i giorni precedenti, e via così fino a ricordare molti eventi importanti della sua giovane vita, mentre il lento movimento del cavallo la cullava, aggrappata alla vita dello sconosciuto cavaliere che l'aveva tratta in salvo.

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Da quel poco che sapeva, era orfana di entrambi i genitori, aveva vissuto i primissimi anni della sua vita in un orfanotrofio; era una bambina come le altre, apparentemente, e viveva giorni tranquilli e spensierati con i suoi compagni; poi scoppiò una grande, assurda guerra, tra due popoli all'apparenza così simili ma anche così diversi. La direttrice dell'orfanotrofio, una vecchia megera che impartiva a chiunque le disobbedisse dure punizioni, non parlava per nulla di ciò che succedeva nel mondo, le poche notizie arrivavano dai carri di provviste provenienti dalla città vicina. Julia e gli altri bambini origliavano le conversazioni dei lavoranti: si raccontava di eserciti che contavano migliaia di soldati per parte fronteggiarsi in brulle vallate, divenute rosse del sangue dei caduti, o in grigie fortezze, che torreggiavano su colline e dirupi lungo il confine tra quei due regni lontani; Julia era nata e cresciuta nel lontano nord, il cui clima rigido rendeva poco appetibile quella terra ai malvagi signori della guerra.

Ricordava come, pur origliando coi suoi amici i racconti dei braccianti, fosse poco interessata a quegli eventi, orrende storie di guerra e di battaglie, che avevano un certo influsso sui suoi coetanei, ma lei era diversa: odiava la guerra e la trovava insensata.

Una mattina d'estate di parecchi mesi prima, iniziò a rendersi conto di alcuni cambiamenti che la rendevano differente dai suoi compagni: i suoi capelli stavano passando da un nero corvino a un brillante colore vermiglio, il pallore della sua pelle si stava accentuando pur vivendo spesso all'aria aperta, sotto il tiepido sole primaverile, ma soprattutto iniziò ad accorgersi che poteva fare cose che gli altri bambini non potevano: una volta, a seguito di una punizione della Direttrice, la sua rabbia, montata per le umilianti percosse, spezzò la verga con cui la vecchia la percuoteva quando disubbidiva, oppure diede fuoco a uno dei ritratti che raffiguravano la megera, immaginandola avvolta tra le fiamme. Non passò molto tempo prima che iniziassero a circolare voci su di lei, e i compagni finirono con allontanarsi, impauriti dal suo "dono". Il suo cuore un tempo gioioso si riempì di tristezza e rancore. Perfino la Direttrice iniziò a trattarla diversamente, infliggendole meno punizioni corporali, ma forzandola all’isolamento e alla solitudine. Infine, una notte vennero a prenderla; la vecchia le tappò il viso con uno straccio imbevuto di qualcosa di puzzolente e, soffocando un urlo, la ragazzina si addormentò. Al risveglio si ritrovò in una fredda cella in cui visse per chissà quanto tempo, incapace di contare il passare dei giorni, priva di riferimenti temporali, in quell’oscuro sotterraneo angusto. Quella prigione la devastò mentalmente: presto dimenticò tutto del mondo esterno e nella sua mente c'era solo desiderio di libertà, un desiderio che venne esaudito solo poche ore prima, durante uno spostamento su un carro; riuscì a sfondare la serratura immaginando che si sciogliesse per un intenso calore, e fuggì nella foresta vicina, correndo più forte che poteva.

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Cavalcarono tutta la notte, tenendosi lontani dai sentieri; Julia aveva le braccia strette alla vita dello sconosciuto salvatore. Solo pochi giorni prima l'acido fetore della cella riempiva le sue narici, mentre adesso respirava a pieni polmoni l'aria pura della foresta. Parlavano due lingue differenti, però riuscivano a spiegarsi facilmente a gesti e sembrava che comunque lui la capisse perfettamente anche quando parlava nella sua lingua nativa dei popoli del nord. Passarono la notte in una spaccatura nel fianco di una montagna, al riparo da occhi indiscreti di eventuali inseguitori e con una facile via di fuga verso la foresta. La ragazza riposava le membra indolenzite dalla lunga cavalcata e lo sconosciuto raccoglieva una manciata di rami secchi per il falò; Julia, rannicchiata sul morbido mantello di pelliccia dell’uomo, osservava la piccola catasta di legna e la mente ritornava ai giorni tranquilli dell'orfanotrofio, poi al suo rapimento, alla prigionia; il cuore iniziò a batterle forte in petto e senza che neanche se ne accorgesse, il mucchio di legna prese violentemente fuoco! Ella gridò dallo spavento, allontanandosi dalle fiamme. Il cavaliere accorse e col mantello cercò di domare l’incendio e controllarlo; a poco a poco il fuoco si ridusse e poterono calmarsi. Durante la cena nessuno dei due proferì verbo; lui ogni tanto la guardava, lei cercava di distogliere lo sguardo dai suoi occhi profondi. “Sei stata una stupida, ora avrà capito cosa puoi fare “, pensò tra sé e sé. Il cavaliere spiegò a cenni che dovevano riposare, per poi riprendere il viaggio all’alba.
 
Julia si svegliò quando il sole ancora doveva far capolino oltre le montagne all'orizzonte, vide il suo salvatore studiare una mappa incisa su pelle di animale, intento a decidere il loro tragitto; non aveva idea di dove stessero andando, ma a giudicare dalla posizione del sole durante il loro viaggio, intuì che si stessero lentamente dirigendo verso nord. “Casa... “, fu il primo pensiero che le balenò in mente. Ma come poteva quest'uomo sapere da dove provenisse? Chi era veramente?

Dopo un’altra lunga giornata di viaggio, si ritrovarono in una strada dissestata in mezzo a una foresta di alberi morti; i tronchi e rami secchi sembravano tante lance conficcate nel suolo. Era il tramonto e nodose e scheletriche ombre li circondavano, il silenzio innaturale in cui si trovarono era rotto raramente dal continuo gracchiare di un corvo che sembrava li seguisse. Julia fissava il panorama circostante: un tempo quella doveva essere una rigogliosa foresta, ora era completamente priva di vita. << Sydernhent... >> sussurrò nella sua lingua madre: significava Foresta Morta, un luogo privo di vita che simboleggiava l'aldilà nella cultura del suo popolo.

Il sibilare di una freccia e il nitrito del cavallo interruppero i pensieri della ragazzina e la spaventarono al punto che dovette aggrapparsi alla cintola del cavaliere per non cadere di sella; la loro cavalcatura si era impennata quando una freccia si conficcò sul terreno proprio davanti ad essa, impaurendola. Il cavaliere si guardò attorno per individuare la minaccia e scorse in lontananza, oltre gli alberi, non meno di cinque figure incappucciate armate di spada e arco.

Una volta scesi da cavallo, Julia si strinse a lui sull'orlo delle lacrime; carezzandola con una mano, le fece cenno di rimanere vicino al cavallo; con l’altra, lentamente sguainò una sciabola affilata, andando incontro, poi, agli sconosciuti che lo affrontarono, armi in pugno. Con un elegante gesto della mano lanciò un pugnale a quello che brandiva l'arco, centrandolo nel collo; la mano che impugnava la sciabola si mosse, facendola sibilare nell’aria, falciando gli assalitori come se fossero spighe di grano; in breve il suolo sterrato si macchiò del caldo sangue dei caduti.

Julia non poté credere ai suoi occhi: un solo uomo contro mezza dozzina di nemici e li uccise tutti in pochi secondi. Lo vide rinfoderare la spada sorridendole quando all'improvviso si arrestò, emettendo un breve gemito: una freccia lo aveva colpito alla schiena, altre arrivarono, due, tre, cinque, lo trafissero sulle gambe, le braccia, il torace... Julia urlò dall'orrore e dalla disperazione. Il cavaliere si accasciò al suolo, lei si avvicinò velocemente per soccorrerlo, ma non poteva fare nulla, non sapeva fare nulla. Le lacrime scorrevano sul suo viso mentre lo sguardo inespressivo e vacuo dello sconosciuto salvatore diveniva sempre più spento.

Dopo molti mesi di prigionia, aveva riassaporato la libertà grazie a lui, solo pochi secondi prima l'aveva nuovamente salvata, ed ora si sentiva impotente come non mai, guardandosi, con gli occhi colmi di lacrime, le mani sporche di sangue caldo; sgomenta, non si avvide delle decine di soldati in armatura che si avvicinavano per circondarli…

E pianse, Julia pianse, sfogando innumerevoli mesi di dolore condensati in quell'ultimo atto di crudeltà a cui dovette assistere, e urlò, verso una persona di cui non sapeva il nome, gridandogli nella sua lingua di non morire, di non lasciarla nuovamente sola. << Ehn syhd... Ehn syhd... >>

Uno dei soldati la afferrò per il braccio e fu l'ultima cosa che fece, l'ultimo crimine che commise: il guanto di ferro si sciolse come se fosse cera, il tessuto sottostante prese fuoco, in pochi secondi divenne una torcia umana, che si contorse e rotolò a terra per tentare di estinguere le fiamme che lo avvolgevano. In breve le urla di dolore e terrore si arrestarono e del soldato non rimase che carne bruciata. Julia si alzò dal cadavere del suo amico e, col viso rigato dalle lacrime, fissò gli innumerevoli soldati, recanti le effigi del regno dell'Est; urlò nella propria lingua: <>

I soldati terrorizzati iniziarono a indietreggiare, malgrado gli ordini urlati dal comandante che esigeva che la ragazza venisse catturata; la videro alzare le mani al cielo e fu l'ultima cosa che i loro occhi poterono scorgere, prima di finire inceneriti dall'estremo calore emanato da Julia, i cui capelli divennero rossi come il fuoco, danzanti al vento, liberi.

La notte scese su quella che un tempo era una foresta, e che il potere di Julia mutò in una landa desolata e brulla, piena di cenere. Solo il punto in cui si trovava, vicina al cavallo e al corpo del cavaliere sconosciuto, era rimasto intoccato. E sedeva ancora lì, immobile, non sapendo cosa fare, la mano che accarezzava il viso freddo di quell'uomo a cui doveva la libertà. Sapeva però che doveva lasciarlo; gli donò un gentile bacio sulla fronte e fu allora che avvertì il suo respiro, le palpebre tremolare. Nel profondo silenzio della notte riuscì a sentire perfino il suo battito... Era vivo! Trafitto da innumerevoli frecce ed era vivo. Julia non riusciva a credere ai suoi occhi quando scorse quelli grigi e brillanti fissarla di rimando; dei colpi di tosse ruppero il silenzio e Julia si accorse che stava trattenendo il respiro dallo stupore, che non fece che aumentare quando egli le si rivolse nella sua lingua madre: << Quelle parole, che pronunciavi tra le lacrime, erano sincere? Vuoi davvero che ti riporti a casa? >> disse mentre si strappava con noncuranza le frecce dal petto e la schiena. << Sì... >> Fu l'unica cosa che la fanciulla riuscì a pronunciare, più come un sospiro di sollievo. << Ma tu... eri morto, eppure ora vivi e respiri e il tuo cuore batte, io non capisco... >>

Il cavaliere si alzò in piedi, ritirandosi il cappuccio sulla testa, e si apprestò a rassicurare il cavallo ancora molto nervoso; non disse nulla per un po' di tempo. Poi mentre ripresero il viaggio, rispose: << Sì, in un certo senso ero morto, e lo sono tuttora... In un certo senso. È come avevi detto, come avevi chiamato quella foresta, morta, senza vita. >>

<< Qual è il tuo nome, cavaliere? A chi devo la mia libertà? >> Disse la giovane, appoggiando la testa alla schiena grande e forte, un gesto semplice ma che le infondeva ancor più sicurezza.

La voce calma dell'altro, ora che l'ascoltava nella sua lingua, era ancora più amabile: << I morti, agli occhi dei vivi, non hanno nome, ma se vorrai, Syd andrà bene, poiché è ciò che sono, morto, malgrado le apparenze. >>

Dopo un altro giorno e mezzo di viaggio, videro in lontananza le mura di pietra di una piccola cittadella fortificata, uno dei castelli di frontiera del Regno del nord. In cima alla torre sventolava una luna su sfondo azzurro con una fiamma, blasone del Regno della Luna di Fuoco, e Syd poteva intuire le origini di quel nome, guardando il viso di Julia, sorridente e raggiante, per essere tornata finalmente a casa.
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


I due viaggiatori passarono una notte insonne. Syd era di guardia sul carro, con tutti i sensi all'erta, cercando di cogliere nell'oscurità altri segni di agguati provenienti da parte di animali feroci o creature da incubo; Alyss, invece, era avvolta in una coperta vicino al fuoco. Syd aveva suggerito di spostare il campo in uno spiazzo sull'altro lato della strada per avere maggiore visibilità sui dintorni; Alyss acconsentì senza proferir parola, ancora scossa da quello a cui aveva assistito: una bestia, con le vaghe sembianze di un cavallo, avvolto da una spettrale aura fosforescente, aveva aggredito Syd, il quale era riuscito a tenerle testa mostrando delle doti sovrumane; quella fiamma che evocò per distruggere il mostro, poi... “Magia, stregoneria!” pensò la giovane. Quando era piccola, il pastore del villaggio narrò del pericolo che gli stregoni rappresentavano per il mondo civile, così il neonato Vescovato scatenò la caccia contro i possessori di quelle arti malefiche: una persecuzione finalizzata alla salvezza delle anime innocenti, atta a non ripetere la catastrofe dell'Alba Rossa, come diceva sempre nei suoi sermoni. E ora viaggiava insieme a uno di loro, addirittura centenario, come egli stesso aveva affermato.
Ripartirono alle prime luci dell'alba, Syd a cassetta, Alyss sul carro, sempre avvolta nella coperta per ripararsi dalla brezza umida del mattino. Tenendo le redini con una mano, Syd rovistava nella sua borsa da sella recuperata dal suo vecchio cavallo, per riordinare ciò che restava del suo equipaggiamento. Nella sua mente rievocava la furiosa lotta contro l'essere stregato e la voce che sentì in seguito rafforzò i suoi sospetti su chi lo stava braccando.
“Dopo tutti questi anni sono tornate, artefici del mio destino e causa della mia triste esistenza”. Questo e mille altri pensieri si affollarono nella sua mente.
Osservando la lama scheggiata del suo pugnale d'argento, rifletté su numerosi eventi del suo passato: le innumerevoli battaglie, i lunghi viaggi, durante i quali osservò le sconsiderate follie dell'uomo per brama di potere e ricchezza. Rinfoderò il pugnale danneggiato, ripromettendosi di ripararlo appena tornato alla capitale e dopo aver risolto un altro problema, tastandosi il fianco mentre pensava a quella strana ferita che non riusciva a guarire.
Dalla tasca della sua tunica tirò fuori l'anello del Conte Sanders: lo aveva incuriosito subito non appena lo vide e fu per lui un richiamo irresistibile, come se fosse legato ad esso in qualche modo. Ancora una volta si chiese come mai quel nobile tenesse al dito un simile gioiello; era una strana gemma azzurra incastonata su un sottile anello d’oro bianco, che brillava alla luce dell'alba e mandava riflessi multicolore. Lo infilò all'indice sinistro, notando la semplice ma squisita fattura dell'oggetto, per poi rimetterlo nel taschino.
Era mattino inoltrato quando Alyss si sfilò la coperta e si sedette vicino a Syd per fissare con sguardo spento ed assonnato l'orizzonte e il paesaggio circostante; erano ormai a mezza giornata di viaggio dalla capitale e già si potevano vedere le prime fattorie e capanne di boscaioli e cacciatori. Syd rimaneva immobile, col capo coperto dal suo cappuccio e il volto inespressivo.
<< Sei riuscita a dormire un po'? >> chiese alla ragazza.  
<< Credo di sì, anche sono ancora scombussolata...>> Aveva la voce tremolante, poiché in realtà, anche durante il sonno, nella sua mente vorticarono ancora i recenti avvenimenti. Aveva mille domande a cui da sola non avrebbe mai trovato risposta, avrebbe voluto porle a quella persona di cui sapeva poco o nulla, ma le avrebbe risposto? E se lo avesse fatto, le avrebbe detto la verità? O avrebbe fatto solo la figura della ficcanaso? Dopotutto una volta arrivati a Eastar si sarebbero separati. Tuttavia, la curiosità era troppa: per anni era rimasta rinchiusa in un minuscolo angolo ai confini del mondo, e non aveva idea di cosa succedeva realmente oltre le mura del villaggio.
<< Sai... Non riesco a togliermi dalla mente ciò a cui ho assistito stanotte... >> Disse con un sussurro... “Ecco fatto” si disse, “male che vada non risponderà”. Si accorse appena di aver utilizzato un tono troppo amichevole con un uomo che conosceva da così poco tempo, anche se, considerati gli eventi della notte scorsa, in cui le aveva salvato la vita in maniera stupefacente, non lo reputava così grave. Attese per una reazione, una risposta di qualche tipo, poi riprese: << Quell'essere... quel mostro, perché ci ha attaccati? E soprattutto... come sei riuscito a batterlo? Una persona normale non potrebbe mai muoversi a quella velocità, con quella forza... e poi, quelle fiamme... Era magia quella, non è vero?? >>
Syd rimase impassibile di fronte a quella marea di domande; in fondo se l'aspettava. Sapeva che una volta che la situazione si fosse calmata avrebbe dovuto dare qualche chiarimento ma, per il bene di quella ragazza, meno sapeva meglio sarebbe stato. Con voce calma e scandendo bene le parole, senza distogliere lo sguardo dalla strada, stringendo le redini del cavallo, Syd rispose: << Mi dispiace di averti coinvolto in questa storia, onestamente non potevo prevedere che il mio passato tornasse a tormentarmi, proprio oggi e proprio in questi luoghi. Posso solo dirti che non ho sempre lavorato per il Vescovato, che in passato ho avuto modo di apprendere arti magiche nel corso dei miei viaggi, le quali tutto sommato si sono rivelate alquanto utili e che le persone per cui lavoro al momento sono a conoscenza di ciò che so fare. >> Mise una certa enfasi sull'ultima frase, quasi a sottolineare che la sua collaborazione con la casta religiosa, che da sempre reprimeva l'esistenza della magia, dipendesse proprio dalle sue innaturali capacità.
<> Questo argomento suscitò una certa curiosità nella ragazza; passato il pericolo, la sua gioviale tranquillità riprese lentamente a mostrarsi nel suo sguardo.
Syd soppesò attentamente i suoi pensieri e le parole da usare. << Per il semplice fatto che l'uomo, nella sua follia, ha pensato prima di tutto di usarla come un'arma>>
Dapprima ci fu un’espressione spaventata sul volto della ragazza, che si trasformò in curiosità.
<< Lo so, la prima domanda che uno si porrebbe, sentendo parlare di guerre e assassinii è: perché? >> E con un leggero sospiro iniziò a spiegarle: << Sicuramente i monaci viaggiatori saranno giunti molte volte nel tuo villaggio per diffondere gli editti vescovali, le notizie dai quattro angoli del regno, annunci reali e via dicendo; quindi immagino saprai già di quanto funesto e sanguinoso sia il passato di questo mondo. Dalla barbarie in cui versava l'uomo, ai tempi delle prime tribù ed insediamenti, sorsero i primi regni, divisi, deboli e aggressivi l'uno verso l'altro. Nacquero poi i Regni dell'Est e dell'Ovest: Eastar e Ebones, i quali, per spartirsi i territori pieni di risorse, le praterie lussureggianti e le ricche miniere, ma anche per motivi culturali e faide personali tra i vari nobili, mandarono al massacro migliaia di uomini e donne. Avidità, orgoglio, vanità e disprezzo per la vita, furono i semi da cui germogliarono orrori come guerre, saccheggi, carestie, malattie... e anche la stregoneria. Eastar e Ebones ricorsero all'uso di arti magiche, manufatti di potere e ogni altro genere di nefandezze sovrannaturali per assicurarsi il predominio nelle loro innumerevoli guerre. Dopo l'ultima grande guerra, dopo quella catastrofe che ne segnò la conclusione, parecchi anni fa, tutti i regni firmarono un armistizio e un accordo per il controllo e la repressione delle arti magiche >>
<< Intendi dire che quel mostro che ci ha attaccato potrebbe provenire da un regno ostile? Ma credevo che fossimo in pace finalmente da molti anni! >> Alyss si posò la mano sul petto dal timore e ansia in cui stava ricadendo, ma Syd cercò di rasserenarla: << Non esattamente: quel mostro è stato mandato per aggredire me; come ho detto, ho un passato lungo e tormentato. Ancora una volta mi rammarico per il tuo coinvolgimento; non è la tua battaglia questa, lo so bene >>.
Cercando di virare il discorso su altri e più innocui argomenti, Syd riprese la parola: << Dunque, una volta arrivati alla capitale, visto che le nostre strade si separeranno, che progetti avrai? Ti stabilirai lì e ti rifarai una vita? >>
Nella mente di Alyss tornarono a riaffiorare ben altri pensieri, più normali, più importanti: scoprire la verità sulla sua famiglia. << Prima di tutto dovrò rintracciare la mia madre adottiva, Anna; da anni dirige una società di mercanti alla capitale, fin da piccola pensai che i miei genitori avessero litigato, si fossero separati, che mio padre mi avesse portata via con sé per chissà quale screzio con mia madre, ma gli ultimi avvenimenti hanno reso dubbio ogni certezza... Ho bisogno... Ho bisogno di capire, di sapere>> Sospirando, lo disse più a se stessa che come replica alla domanda del suo compagno di viaggio.
Tentando di svuotare la mente dalla miriade di pensieri che la affollavano, la ragazza osservò il panorama che si ergeva davanti a loro: superata l'ultima collina videro la Capitale, Eastar, in tutto il suo splendore: contemplò le grandi torri di guardia, le solide mura in granito, il viale che portava a una delle varie entrate in pallido alabastro e marmo; oltre le alte mura si scorgevano le centinaia di case, casupole e, verso il centro della città, più ricchi palazzi, templi, chiese e monumenti di ogni tipo; al centro esatto svettava un alto obelisco squadrato, che partiva dal tetto di un enorme palazzo, sede del trono e dimora della famiglia reale; ogni editto, in partenza dalla capitale verso i quattro angoli del regno, recava la firma del re Georg VI, sovrano da cinquant'anni in una terra tormentata da frequenti guerre e schermaglie; la più lunga, la famosa guerra dei dieci anni contro l'ovest, costò migliaia di anime a entrambe le parti e ingenti risarcimenti di guerra alla fazione sconfitta. Si poteva facilmente immaginare che da tempo gli occidentali covassero propositi di vendetta.

__________
 
 
Oltrepassata l'arcata con la pesante grata di ferro sollevata per permettere il passaggio di carri e passanti, Syd diresse il cavallo verso una piccola piazza con una fontana al centro; c'era un gran viavai di contadini e artigiani, ognuno con ceste, carriole cariche di merci e pacchi di vario tipo che si incamminavano per una piccola viuzza in mezzo a alti palazzi; erano nei pressi, infatti, del quartiere commerciale e, a giudicare dalla ressa, doveva sicuramente essere giorno di mercato. Syd fermò il carro e si voltò verso la giovane, entrambi affaticati per il viaggio lungo e ben più difficoltoso del previsto; in special modo, il volto di Syd era pallido e madido di sudore, cosa che non sfuggì ad Alyss: << Hai una brutta cera, avresti dovuto lasciarmi condurre un po' il carro e riposarti, stanotte non hai chiuso occhio...>>
Syd non diede peso alle sue parole, prese la sua sacca da sella portandosela in spalla e si apprestò a scendere dal carro: << Beh, gli accordi erano di portarti a destinazione, ti auguro pace e fortuna, ragazza >>, disse con un leggero inchino. Alyss non rispose, non sorrise; le dispiaceva dover distaccarsi da un uomo appena conosciuto ma per cui già provava assoluta fiducia, però che poteva fare per indurlo a fermarsi? Rimase immobile e muta in quella situazione, come in quella simile giornata che cambiò profondamente la sua vita: stava per subire un altro distacco, un'altra persona che si allontanava dalla sua vita, pur essendoci rimasta per poco, molto poco tempo.
Si obbligò a dire qualcosa, qualsiasi cosa per prolungare quell'istante: << Ma tu dove andrai ora? Resterai qui a Eastar?>>
Il ragazzo si voltò appena. <> “Uno in particolare. E non vedo l'ora di incontrarlo”, pensò. Era infuriato con Conrad per essere stato spedito in una missione che si era rivelata molto più pericolosa del previsto, in cui è stato costretto a usare le sue arti magiche, contro un nemico sconosciuto, dopo aver subito una ferita che non riusciva a guarire. Gli doveva molte spiegazioni, ma mascherò abilmente la sua furia mentre continuava a rivolgersi alla sua compagna di quel viaggio ormai concluso. <> Syd non riuscì a terminare la frase che la vista gli si appannò di colpo, tentò di aggrapparsi al carro ma mancò la presa e si accasciò al suolo. Alyss trattenne un verso di terrore e si affrettò a soccorrerlo, quando l'occhio le cadde su una macchia brunastra sulla tunica, intrisa del sangue della ferita all'addome.
Cercando di mantenere la calma, Alyss usò uno straccio per fare pressione sulla ferita. Aveva appreso alcuni rudimenti dagli abitanti di RavenMoon, che si trovavano spesso a curare ferite simili, causate da incidenti di caccia. Urlando a squarciagola attirò l'attenzione di alcuni passanti che la aiutarono a rimettere Syd sul carro, non senza interrogare la giovane su cosa fosse successo al ferito che manteneva a stento conoscenza.
Alyss cercava di rassicurarlo ma non aveva la minima idea di cosa fare ora. Chiese ai passanti dove trovare un cerusico nelle vicinanze ma Syd le strinse il polso con forza, malgrado le sue condizioni, tirandola a sé le sussurrò qualcosa; infine Alyss prontamente domandò indicazioni per raggiungere la Grande Cattedrale nel quartiere religioso.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Nello stesso momento a RavenMoon, nella caserma, Rikard stava passando una notte insonne; dopo aver organizzato la guardia cittadina al meglio delle sue possibilità, secondo gli ordini ricevuti, aveva pattugliato i dintorni: stava cercando indizi su quanto fosse successo in quella fatale notte in cui il Conte Sanders aveva trovato la morte. La corte reale era venuta a conoscenza di un complotto che prevedeva l'eliminazione sistematica di molti nobili; stavolta erano arrivati con un ritardo minuscolo, l’omicidio era avvenuto da poco. Indagava da tempo su questa setta di cospiratori ed era riuscito a capire che la mano assassina era sempre la stessa, per quanto il modus operandi fosse ogni volta diverso. Era riuscito a collegare molti omicidi degli ultimi mesi; l'elemento comune era sempre la presenza di un messaggero o emissario della Chiesa proveniente dalla capitale. Aveva setacciato il villaggio, interrogato gli abitanti, ma il sospettato sembrava essere sparito nel nulla, probabilmente sfuggito alla cattura poco prima del loro arrivo, oppure nello stesso momento…

Tuttavia anche altri pensieri erano per il Capitano fonte di preoccupazione: il traditore era stato sistemato in fretta con una sentenza di morte da lui stesso eseguita, ma ciò che lo impensieriva erano gli strani oggetti che erano contenuti nei suoi bagagli impacchettati in fretta e furia per l'imminente fuga: strumenti alchemici, idoli pagani, libri dal contenuto oscuro e sostanze maleodoranti di vario tipo. In una stanza segreta della sua villa di campagna era allestito un altare sacrificale, e dall'odore di putrefazione di cui era impregnato il locale, doveva anche essere usato di recente.

Era seduto a un tavolo del Posto di Guardia e, riflettendo sugli avvenimenti degli ultimi giorni, si apprestava a redigere un rapporto, scrivendo in un codice segreto utilizzato solo dalle alte cariche militari del regno:

"Al glorioso Re Georg VI, Sovrano di Eastar.

Dando seguito ai Vostri precedenti ordini, abbiamo raggiunto il territorio di confine e, come temevamo, siamo comunque arrivati troppo tardi, lo Spettro aveva già colpito. Abbiamo ristabilito l'ordine nella regione instaurando la legge marziale, siamo in attesa di un contingente per darci il cambio.
I sospetti del Consigliere erano fondati, c'era un traditore a corte, il nome già lo conoscete; applicando la legge sull'alto tradimento, ho eseguito personalmente la condanna a morte.

Mi preme tuttavia portare alla Vostra attenzione delle scoperte preoccupanti: il traditore era probabilmente a conoscenza del nostro arrivo e stava già approntando dei preparativi per fuggire, probabilmente oltre confine; era inoltre in possesso di oggetti altamente sospetti, verosimilmente di origine stregata; porteremo il tutto in una cassa sigillata al ritorno alla Capitale. Ispezionando la sua dimora abbiamo scoperto qualcosa che non avevamo previsto: un altare per riti pagani. Tutti questi elementi, unitamente al comportamento incontrollabile del traditore, sono per me fonte di grande turbamento; se la Vostra Signoria mi permettesse maggiore libertà d'azione in casi come questi, avremmo in mano maggiori elementi per poter gestire situazioni pericolose per il Regno.

 Ho infine dato ordine di ispezionare altri siti collegati al traditore, quali la tomba di famiglia e la Miniera a ridosso delle colline..."


Con un sospiro di stanchezza, Rikard posò la piuma sul calamaio e si grattò i corti capelli grigi. Indossava ancora la corazza, talvolta non la toglieva neanche per dormire, la lancia e la spada erano sempre a portata di mano vicino al giaciglio. Era passata un'ora da quando aveva mandato 4 cavalieri a ispezionare quella miniera e ancora non erano tornati. Due colpi leggeri ma decisi alla porta lo distrassero dai suoi pensieri. << Avanti >> disse con una voce calma ma roca; entrò Jan, il suo attendente che gli aveva portato la cena. Era l'aiutante del Quartiermastro del Battaglione dei Cavalieri Neri, ma svolgeva anche compiti da cuoco, furiere, stalliere e anche magazziniere quando risiedevano al Quartier Generale sulle colline fuori dalle mura di Eastar.

Era un ragazzo gracile, dai capelli biondo cenere; il suo fisico snello spiccava particolarmente quando era insieme ai suoi commilitoni. Il suo posto alquanto privilegiato ottenuto con estrema facilità aveva attirato parecchie malelingue nella guarnigione, ma egli non gli dava peso, per quanto non potesse fare a meno di chiedersi come mai il Capitano Rikard fosse interessato a lui. Jan era orfano di entrambi i genitori e si guadagnava da vivere facendo il boscaiolo, malgrado il suo essere gracile. Una volta rischiò di finire schiacciato da un tronco, quando Rikard lo salvò riuscendo a sollevarlo da solo; da quel giorno iniziò a frequentare sempre più spesso le caserme, per assistere agli allenamenti ed esercitazioni dei cavalieri, affascinato dalla loro forza, dal loro coraggio, dal carisma del loro Capitano. Le sue visite non passarono inosservate, e un giorno Rikard gli offrì un'opportunità. Jan ignorava che le loro vite fossero piuttosto simili, che entrambi avessero provato il dolore della perdita delle persone amate.

<< 'Sera Capitano, sono tornato ora dalla locanda per fare qualche provvista, il bello di vivere in campagna è l'avere sempre prodotti freschi >>, disse con la sua voce giovanile; spalancò la porta con un piede mentre nelle mani teneva un largo vassoio con una ciotola di zuppa di cereali, pane caldo e un boccale di birra. Rikard mise nella sua borsa da viaggio la lettera ancora incompleta, posò in un cassetto penna e calamaio e fissò il vassoio con un certo disgusto: le sue preoccupazioni gli avevano tolto quasi del tutto l'appetito, ma non voleva rendere vani gli sforzi di quel ragazzo che faceva di tutto per essergli di aiuto.

<< Siediti Jan, non fare complimenti >> Disse il Capitano, mentre si apprestava a gustare la calda pietanza. Il giovane soldato si accomodò sullo sgabello di legno di fronte al tavolo. << Ancora nessuna notizia della squadra esplorativa? >> chiese poi al suo superiore; malgrado la differenza di grado e di età (Jan ancora non aveva raggiunto le venti primavere), c'era un'amichevole confidenza tra i due, che si comportavano come se si conoscessero da sempre. << Ne so quanto te che vieni dal cortile, ovviamente >>. Jan annuì silenziosamente, sistemandosi continuamente sullo sgabello, in preda a un certo nervosismo, e la cosa non sfuggì a Rikard. << Diavolo, ragazzo, che ti prende? Non è la prima missione a cui partecipi, qual è il problema? >> disse fissando il giovane soldato. << No, nessun problema signore, è solo che... non so... Tra i soldati di stanza qui circolano strane voci su questo assassino a cui stiamo dando la caccia da mesi, questo... Spettro, come lo avete definito per il suo scomparire sempre senza lasciare traccia. Alcuni hanno raccontato di strane leggende su esseri demoniaci e mostri. Signore, non mi reputo un individuo impressionabile, ma abbiamo visto di cosa è capace. Il Conte Sanders è solo l'ultima delle tante vittime colpite da questa ignota mano assassina, agile e rapida come solo la Morte stessa potrebbe essere! >>, disse Jan, sussurrando le ultime parole, come se temesse di essere sentito da altre orecchie.

Rikard non era affatto turbato da simili pensieri, e anzi, l'odore della zuppa gli aveva procurato un po' di appetito; fece in tempo a finire di assaporarla, accompagnandola con il boccale di birra e il pane prima di rispondere tranquillamente. << Se non ti conoscessi un po' potrei pensare che provi una certa ammirazione per il nostro ricercato, perché ti posso assicurare che la mano autrice di molti delitti compiuti in questo Regno è una mano umana, fisica, nessuna oscura presenza, nessuna maledizione; è un semplice assassino, e giuro sulla mia spada che verrà fermato e verrà fatta giustizia! >> e sbattendo la mano sul tavolo, facendo sobbalzare Jan, si alzò e si diresse alla finestra. << Tuttavia non è la sola ragione che ci ha spinto qui al confine. Jan, quanto sai dell'ultima guerra contro Ebones?>> Sempre seduto sullo sgabello, ma un po' meno nervoso, Jan rispose, dopo averci pensato un po' su: << Molto poco in verità, so che l'ultima guerra venne combattuta prima che nascessi; scoppiò per una disputa tra due famiglie nobiliari e per dieci anni la regione venne messa a ferro e fuoco. Interi villaggi vennero dati alle fiamme, le riserve delle miniere e delle foreste vennero messe a dura prova per rifornire gli eserciti di armi e armature... Ma questo cos'ha a che fare con la nostra missione?>> Rikard rimase alla finestra, a assaporare la brezza notturna. << I nobili a corte hanno ragione di credere che sia in atto un complotto per spodestare Re Georg, tuttavia queste uccisioni degli ultimi tempi, il fatto che vengano colpiti solo elementi di secondo piano, di scarsa importanza politica, mi inducono a pensare che sia solo una manovra per distrarre l'attenzione da un pericolo ben più grande. La guerra può essere finita venti anni fa, ma Eastar non ha mai cessato di essere in pericolo. Io ero lì, in prima linea: al concludersi di quel massacro, ho visto i cumuli di cadaveri di soldati amici e nemici nel cortile del castello, ho visto quelle... cose, calpestarli, camminando in un fronte unico, un muro di carne, scaglie, zanne... Veri e propri incubi divenuti realtà. Ebones, sapendo che stava per perdere la guerra, aveva infranto un sacro patto bilaterale, sul non utilizzare mai più arti magiche e soprannaturali nelle contese guerresche, se mai ce ne sarebbero state altre dopo l'Alba Rossa, quasi un secolo fa... Quel giorno, scoprimmo che solo Eastar aveva rispettato il patto. >>

Jan aveva ascoltato attentamente il racconto del Capitano, ma lo interruppe con una domanda che gli balenò in testa all'improvviso. << Capitano... avete detto che eravate in prima linea, ma se l'ultima guerra si è combattuta vent'anni fa dovevate essere molto giovane! >> Rikard si girò, sorridendo, tenendo la mano sull'elsa del pugnale che portava con sé da quella fatidica battaglia. << Avevo quindici anni, ero anche più giovane di te quando ho preso in mano la mia prima arma, quando ho solcato il mio primo campo di battaglia, abbattendo il mio primo nemico. Divenni allora un Cavaliere Nero, sotto la guida del nuovo Capitano. Ero orfano di guerra, tutti avevamo perso qualcosa o qualcuno; il signore del castello pensò solo a salvarsi la pelle quando ordinò di barricare le porte lasciando fuori mercanti e contadini. Solo grazie all'arrivo dei Cavalieri neri che ruppero temporaneamente l'assedio i pochi superstiti riuscirono a mettersi in salvo e io ero tra quelli, ma non avrei mai voluto esserci; ero rimasto solo. Lui mi diede coraggio, forza, desiderio di vivere un altro giorno, e questo pugnale, che porto con me da allora, in ricordo dell'uomo più coraggioso che abbia mai conosciuto. >>

Si fermò un secondo per riprendere fiato. Jan non disse nulla, era sempre stato affascinato dai racconti di battaglie, ma questa volta una sensazione di orrore gli si era poggiata sul petto come un peso invisibile. Rikard riprese il racconto: << Il nostro Capitano, aveva l'aria di aver visto molti più campi di battaglia di tanti altri veterani del battaglione; pur nella tragicità del momento, riuscì a infervorarci, al suo fianco uscimmo dalla caserma in cui avevamo trovato rifugio, lo vedemmo spazzar via i soldati nemici che incrociammo con ferocia ed abilità; nessuna lama o maglio riuscì a ferirlo, in tutta la mia vita non ho conosciuto nessun guerriero che abbia eguagliato la sua maestria. Sotto la sua guida raggiungemmo il cortile... E lì assistemmo a un orrore a cui non eravamo preparati. >>

Jan era totalmente rapito da quel racconto, attese che il suo superiore riprendesse fiato, evidentemente turbato da quei ricordi; questi riprese la parola: << Erano... bestie, non avevano l'aspetto di uomini, questo è certo, ma i loro occhi... quelli indubbiamente erano umani, si poteva cogliere una scintilla di intelligenza e ragione nei loro sguardi, per quanto il loro aspetto facesse intendere tutt'altro! Eretti su due gambe, o per meglio dire zampe, nudi, escludendo varie parti di armatura, probabilmente saccheggiate dalle loro vittime, alcuni ricoperti di una rada pelliccia, altri con pelle a scaglie come quella dei rettili, altri ancora con una carnagione del colore del carbone. Erano più di venti e ci sbarravano la strada, ma conoscevamo un'altra via di fuga, nei sotterranei; era solo necessario evitare che ci inseguissero o tutto sarebbe stato inutile. Fu allora che successe, che il Capitano pronunciò delle parole che non dimenticherò per il resto della mia vita! Mi affidò il compito di portare in salvo i pochi abitanti superstiti, di restare con gli altri cavalieri, e lui avrebbe impedito a quelle bestie di braccarci. Chiese a un soldato la sua spada, e ci ordinò un'ultima volta di fuggire, senza mai guardarci indietro, di correre il più velocemente possibile! L'ultima cosa che vidi furono le sue larghe spalle ergersi in nostra difesa, le sue braccia armate di spada aprirsi come ali. Fu il nostro scudo, il mio salvatore e mentore. Raggiunta la capitale, in suo onore mi arruolai nell'esercito reale; il resto, bene o male, lo conosci. >> Jan era totalmente impietrito da quel racconto; era la prima volta che Rikard si era aperto così tanto con lui, ma evidentemente c'era molto di più che lo turbava e che ancora non gli aveva confidato. Avrebbe voluto fare qualche commento ma le campane delle torri di guardia presero a suonare all'impazzata, le torce sulle mura brillarono più intensamente, sentirono le vedette urlare grida d'allarme per avvisare di un'ombra di fronte al portone, qualcuno che chiedeva disperatamente di entrare. I due si scambiarono uno sguardo e uscirono dal Posto di Guardia in fretta e furia, Rikard seguito come un'ombra da Jan, diretti verso il portone principale. Le guardie mezze assonnate stavano attendendo ordini dal Capitano. << Si tratta sicuramente della pattuglia esplorativa, aprite! >> Disse Rikard, ma ciò che vide gli fece mozzare il fiato: dei quattro cavalieri che aveva inviato a esplorare la miniera, solo uno era tornato, più morto che vivo. Si era trascinato fino al villaggio, gravemente ferito, l'armatura di acciaio nero perforata in più punti, il braccio sinistro maciullato ridotto a un moncherino penzolante sul fianco. Si accasciò a terra una volta che il portone fu dischiuso. Le guardie cittadine erano paralizzate dall'orrore; Rikard si avvicinò al corpo del soldato, cercando di tenergli la testa sollevata perché non soffocasse nel suo sangue. Il soldato gli strinse il braccio con la mano rimasta intera, gli occhi spalancati dal terrore più puro; fissando negli occhi il suo capitano, il sopravvissuto, sussurrò un'unica parola: << Mostri! >> prima che la fiamma della sua vita si estinguesse.

Nel frattempo, in un luogo sconosciuto, tre oscure figure incappucciate, sedute a un piccolo tavolo in legno e bronzo, contemplavano gli ultimi eventi del mondo, nel riflesso dell'acqua di una bacinella di rame. Tenendosi per mano, intonavano una cantilena in una lingua sconosciuta e il riflesso magico mostrava ciò che un'altra oscura presenza vedeva con i suoi occhi dorati; la Maschera correva rapida, per boschi e sentieri, diretta verso la Capitale di Eastar.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***



Riusciva a udirlo, il rumore della risacca, lento e costante, unico rumore che rompeva un silenzio innaturale; Syd aprì gli occhi e si guardò attorno: era solo, su una spiaggia deserta ricoperta di sabbia brillante come avorio, sotto un cielo grigio, ma non nuvoloso, un cielo privo di sole, l'acqua del mare era scura e limacciosa, come dopo una burrasca. Quella spiaggia sembrava non finire mai, alle sue spalle il deserto, ai suoi lati miglia e miglia di quella riva infinita, all'orizzonte una densa nebbia non permetteva di distinguere il limite tra cielo e mare.
Si alzò in piedi, tranquillo, sapeva bene dove si trovava, già altre volte era finito in quel luogo fuori dalla realtà; si guardò le mani e il corpo, era nudo, privo dei suoi vestiti e delle innumerevoli ferite che aveva subito in decine di anni di vita, anche a questo era abituato, stava visitando quel luogo con la sua essenza, mentre il corpo soffriva e si consumava in un altro mondo, in un altro tempo, ma tutto ciò cessava di avere importanza per lui, ogni volta che si trovava lì.
E attese, attese l'arrivo di quella presenza a lui ben nota, il motivo per cui si trovava lì, il suo traguardo finale; chiuse dunque gli occhi, per poi riaprirli quando fu sicuro di non essere più solo, si voltò e la vide, seduta sulla spiaggia, che lo fissava con i suoi occhi bianchi, come il resto del corpo, velato da un logoro mantello color crema che copriva quasi interamente un corpo magro e pallido, le piccole mani poggiate su esili gambe, all'apparenza sembrava avere il corpo di una bambina, se quella non fosse stata una delle forme predilette di una delle entità più antiche dell'universo.
Al solo vederla, Syd si tranquillizzò e le sorrise, erano passati molti anni dall'ultima volta che si incontrarono, in quel medesimo posto. Syd non aveva voce come essenza spirituale, tuttavia i due riuscivano a comunicare semplicemente con sguardi e pensieri.

"Sei rimasta uguale all'ultima volta che ti ho vista, oh Dama Bianca. Così come questo luogo, tutto è congelato nel tempo qui." Syd si avvicinò alla entità, inginocchiandosi di fronte a lei, come un devoto suddito.

Lei allungò una mano e gli carezzò il viso e i capelli. "Tutto rimane com'è perchè sei tu a rimanere sempre lo stesso, almeno in superficie, ma basta scavare un poco... E noterai i cambiamenti" Con l'altra mano spostò un po' di sabbia e da essa spuntarono dei ciuffi d'erba. "Anche tu in questi anni sei cambiato un po' dentro, e ancora stai cambiando, è inevitabile."

Syd assaporò il contatto con quella mano gelida e liscia, come se fosse la cosa più piacevole del mondo, socchiuse gli occhi e sospirò tranquillo. "Mia dama.. è dunque finalmente giunto il giorno..? Ma la riva è ancora vuota, ancora non vedo la barca per navigare in quel mare.."

"Esatto. Sei ancora fermamente legato al tuo mondo, ancora non puoi passare, puoi fermarti solo per poco in questa spiaggia; solo quando ogni cosa che ti lega alla terra verrà spezzata, potrai tornare qui, per sempre. Tuttavia qualche piccolo cambiamento c'è stato dalla tua ultima visita, osserva laggiù." Gli indicò un angolo della spiaggia da cui stava arrivando al galoppo un cavallo baio, che scorgendo Syd, emise un forte nitrito; era il suo destriero, e una volta avvicinatosi al suo padrone, gli offrì il muso da accarezzare. Syd indugiò lungamente nel toccare e sfiorare la criniera folta dell'animale, nel tastare i suoi muscoli tonici da cavallo in perfetta salute, riusciva a sentire perfino l'odore del suo crine, ma era comunque triste poichè giunse alla conclusione che erano solo ricordi. Appoggiò il capo sul dorso dell'animale, e gli sussurrò: "Perdonami...". Il cavallo sbuffò e lo allontanò con una spinta facendolo cadere a terra e gli nitrì sdegnato, calpestando la sabbia con uno zoccolo in segno di nervosismo.

"Ehi! che diavolo fai?" Lo rimproverò Syd. L'entità pallida rise assistendo a quella scena. "Credo che voglia dirti che non sta provando rancore per ciò che è avvenuto, che ora sta bene, in pace." Syd tese la mano contro il muso dell'animale, e stavolta fu certo della sensazione che provava, del pelo corto e ruvido, delle narici calde. Era lì, davanti a lui. E sapeva che un giorno avrebbero cavalcato insieme nuovamente. Nella sua mente vide anche gli ultimi istanti di vita dell'animale, vide quando Syd cadde di sella, trafitto dalla freccia nera, vide un'ombra, due spaventosi occhi gialli immersi nell'oscurità, avvertì la paura dell'animale, un attimo di dolore, e poi il buio. Syd sentì anche paura, rabbia, e un urlo, era il suo, per un breve istante lui e il cavallo, le loro essenze, divennero una sola. Syd interruppe bruscamente il contatto, sentiva ancora il calore dell'animale sul palmo, sentiva la furia montargli in corpo. Si volse a guardare la bambina, che gli sorrideva.

"Ricordi ora, ricordi cosa è successo prima che tu ti svegliassi qui?" Chiese l'entità, e Syd annuì. Tutti i suoi ricordi riemersero nella sua mente, sapeva dove si trovava realmente, riusciva a sentire in lontananza le grida di persone sconosciute, miste a una che riusciva a distinguere tra le altre, il rumore di zoccoli sulla strada pietrosa, le vibrazioni del carro su cui era sdraiato. "Svegliati dunque, svegliati e continua il tuo viaggio, non puoi lasciarlo incompiuto."

Si voltò verso quella presenza che già stava svanendo alla sua vista, così come la spiaggia, il mare, il cielo grigio, tutto. E mentre tese verso di lei una mano, iniziò a sentire un dolore al fianco che cresceva sempre più, fino a che i suoi occhi si chiusero nuovamente, per un tempo che gli sembrò infinito.

____________

Seduta a cassetta, Alyss incitava a più non posso il cavallo con le redini e con urla per spingerlo ad andare al galoppo, più in fretta possibile; seguendo le indicazioni dei passanti che la avevano aiutata a soccorrere Syd, procedette lungo le strade di Eastar, verso il quartiere religioso; varcando un cancello si ritrovò in una larga piazza con una grande e lussuosa fontana, sull'altro lato si ergeva una grande cattedrale, senza dubbio l'edificio più alto che  avesse mai visto, con due grosse torri quadre, decorate da sculture di tre donne, con le mani giunte in segno di preghiera, alternate a altre sculture, con fattezze molto meno umane, vide un essere cornuto e un angelo, privi di volto però, anche essi ritratti nell'atto di pregare, ai lati estremi della parete frontale; più in alto vide tre enormi rosoni, con vetri multicolore, uno più grande degli altri; fu per Alyss uno spettacolo splendido ma non poteva perdere altro tempo a contemplarla; arrestò la corsa del cavallo e si volse per accertarsi delle condizioni del suo compagno di viaggio.

"Signorina, la fasciatura è intrisa di sangue e il volto è pallidissimo, dovete affrettarvi a chiedere aiuto ai monaci della cattedrale." Disse uno dei mercanti che la avevano accompagnata lungo il breve tragitto verso la chiesa.

Alyss carezzò il viso di Syd per accertarsi delle sue condizioni, gli occhi le si stavano riempiendo di lacrime per la tensione; Syd con gli occhi socchiusi tremava in tenui convulsioni, con la fronte madida di sudore e le labbra violacee, con un filo di voce sussurrava continuamente un nome e un titolo: "Conrad.. il Diacono.. cercalo.. fa presto" e Alyss seppe subito cosa fare. "Signori, vi prego di aiutarmi ancora un poco, cercate di stringere più che potete la fasciatura e trasportatelo verso il portone della chiesa." E mentre finiva quella frase, corse al portone, bussando più rumorosamente che poteva. "C'è qualcuno? Aprite vi prego! Abbiamo un ferito, per l'amor del cielo rispondete! Diacono Conrad, vi prego, rispondete!" E coi suoi piccoli pugni batteva contro il solido legno del portone, fino a che udì un rumore di chiavistello e il cigolio di grossi cardini.

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Seduto sul suo scranno, davanti a una grossa tavola intarsiata, ricoperta di antichi tomi, pergamene, boccette di inchiostro e penne d'oca, sedeva un enigmatico individuo, all'apparenza dimostrava almeno venti anni, ma meno di trenta, la pelle diafana non aveva l'ombra di una ruga, il capo, nascosto dal cappuccio di un saio totalmente bianco con decorazioni dorate cucite sul cappuccio e maniche, a indicare il suo rango ecclesiastico, era ricoperto di capelli dorati molto chiari; gli occhi erano senza dubbio la caratteristica più inusuale, uno azzurro e l'altro verde. Stava sfogliando con le sue mani con dita lunghe e sottili, avvolte in candide bende, un vecchio tomo con la rilegatura consunta, le pagine ingiallite recavano scritture in una lingua straniera, immagini di creature mostruose e un'unica parola scritta nei caratteri della lingua comune: Shaytan.

Mentre era intento nella lettura di quel tomo, bussarono alla porta dello studio, un giovane monaco grassoccio la aprì lentamente e si profuse in un inchino: "Diacono Conrad, mi duole disturbarvi ma abbiamo visite, una popolana chiama a gran voce al portone richiedendo l'ingresso per un ferito, Fratello Giulius li ha fatti entrare, sono un uomo, il ferito, e una donna dai capelli vermigli; quanto al ferito, beh... " E qui si fermò, incerto su come proseguire, Conrad lo fissava, massaggiandosi le tempie, poi lo incoraggiò a proseguire: "Via, Fratello Vald, qual è il problema? Non è certo il primo ferito che vedete, qual è la ragione per disturbarmi per queste sciocchezze?". Il pingue monaco si inchinò nuovamente e farfugliando rispose: "Quella ferita non è normale, mio signore, il sangue fuoriesce da essa con un colore troppo scuro e troppo lentamente, credo... credo che dovreste venire a vedere.". A quelle parole Conrad sgranò gli occhi e si alzò subito dalla scrivania, seguendo il monaco per i corridoi della cattedrale, lungo il tragitto ordinò al suo confratello di portare il ferito nella sua infermeria personale, e si separarono. Il portamento fiero del Diacono, il suo passo rapido ed agile, nascondeva i suoi pensieri, fissi sulle parole del confratello; quasi ogni accolito, durante il suo periodo di formazione, apprende i rudimenti della medicina umana, e lui aveva conoscenze ben più estese dei comuni monaci, da quel breve resoconto aveva riconosciuto immediatamente il suo paziente. << Bentornato a casa, Syd. >> pensò sorridendo.

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I monaci stesero Syd su una barella e introdussero lui e Alyss nella cattedrale. La ragazza seguiva il trio lungo la navata osservando le colonne intarsiate d'oro, le file di panche di legno, l'alto soffitto decorato con affreschi di scene di guerra contro gli esseri demoniaci e glorificazione di santi e cavalieri, i rosoni che illuminavano l'interno con riflessi multicolore,  e sotto una ampia balconata si trovava l'altare in pietra, per le consuete cerimonie. Alyss non aveva mai visto in vita sua così tanta magnificenza e sfarzo in un solo luogo; soltanto una delle coppe d'oro su quell'altare poteva avere lo stesso valore di un gregge intero, o poter pagare decine di braccianti per una intera annata.

Il gruppetto si diresse verso una porticina di legno, che dava su un corridoio; lo percorsero lentamente ed arrivarono in una stanza non molto spaziosa, con un tavolo in pietra, uno scaffale pieno di libri polverosi, una piccola nicchia nella parete piena di alambicchi, cristalli luminescenti e altri oggetti di cui non ne capiva la natura e l'uso. I monaci posarono con delicatezza il ferito sul tavolo, Alyss lo osservò con una certa pena, la mano stretta sulla ferita, le membra tremolanti e madido di sudore. I monaci la invitarono a uscire e nel corridoio incrociarono una alta figura vestita di bianco verso cui i due si inchinarono con deferenza, l'altro rispose con un breve cenno del capo coperto dal cappuccio ed entrò nella stanza. Il più alto dei due frati uscì dal corridoio, mentre l'altro, che si presentò ad Alyss come Vald, la accompagnò nella grande sala. "Non temete per il vostro compagno, figliola, il Diacono saprà cosa fare senza dubbio; ma venite pure a riposarvi su una delle panche, sarete stremata per il lungo viaggio. Una silenziosa preghiera per gli infermi aiuterà sicuramente." Alyss non rispose, si limitò a seguirlo con la mente turbinante di pensieri.

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Conrad chiuse dietro di se il portone e tirò il chiavistello, nessuno li avrebbe disturbati ma era buona cosa esserne più che certi. Syd era ancora steso sul largo tavolo di pietra, la ferita sanguinava ancora, il sangue era nero come la pece e denso come fango, ma la cosa non destò nel Diacono alcuna preoccupazione; dopotutto chi è già morto da tempo non può morire nuovamente. << Anche se... quella ferita è alquanto interessante. >> Si tolse il cappuccio rivelando la sua pelle chiara e i capelli biondi, i due occhi di colore differente scrutavano il corpo di fronte a lui con freddo distacco, a uno spettatore ignaro sarebbe sembrato che i due non si conoscessero minimamente. Tolse la mano di Syd dalla ferita per ispezionarla con più attenzione, tastò i bordi da cui fuoriusciva il sangue e sorrise. Con un ringhio Syd fissò rabbioso il Diacono, covava un furioso rancore per quell'individuo, anche se erano anni che lavorava per lui, era certo che gli nascondesse molti segreti, mentre lui gliene aveva svelati fin troppi sulla sua lunga esistenza, le sue capacità e i suoi obiettivi. Non era in grado di parlare per il dolore, ma riusciva a trasmettergli i suoi pensieri, gli raccontò mentalmente della sua missione a Ravenmoon, e il Diacono vide tutto ciò che era successo. Quindi frugò nel suo stivale e rinvenne i pezzi della freccia nera e li osservò rigirandoseli tra le dita fasciate dalle bende. Sorridendo disse: "Vecchio amico mio, penso che tu sappia meglio di me l'origine di questo manufatto, intriso di una magia antica quanto quella che ti lega a questo mondo. Questa freccia è unica nel suo genere, è stata forgiata col solo scopo di abbatterti, costringerti ad arrenderti, concludere la tua fuga che dura da molti, molti anni."

Syd digrignava i denti, sapeva benissimo di cosa stesse parlando Conrad, poichè dopo lo scontro con il suo cavallo rianimato nella foresta, era giunto alla stessa conclusione. Era un fuggitivo, aveva cambiato padrone una volta di troppo, per la prima volta si era ribellato e l'esilio volontario era il prezzo da pagare; ma evidentemente erano riusciti a rintracciarlo; il turbinio di pensieri venne interrotto da una nuova fitta di dolore, con uno sguardo meno rabbioso del precedente interrogò il Diacono sul perchè sentisse simili sensazioni, lui che non aveva più da tempo provato cose come fatica, sonno e dolore, ora era quasi immobilizzato da una semplice ferita da freccia, e non riusciva a guarirne, cosa ancor più incredibile per lui.

Conrad sorrise brevemente: "Il tuo dono della Rinascita, un autentico miracolo che va ben oltre il concetto stesso di Magia, ti rende praticamente immortale, ferite come questa normalmente si rimarginerebbero in pochi minuti, ferite mortali ti lascerebbero privo di sensi al massimo per una mezz'ora, veleni, fiamme, folgori magiche di vario tipo ti lascerebbero intatto, ancora nel pieno delle forze..." Gli carezzò il petto con deferenza, giungendo fino al viso, madido di sudore. "Sì.. magnifico potere il tuo, ti hanno reso il Guerriero Perfetto. Solo chi ti ha creato, dunque, può nuocerti, bloccando alla fonte il tuo potere quel tanto che basta da impedirti di fuggire, ma evidentemente hanno sottovalutato il tuo lato umano, la tua volontà ferrea di sopravvivere, il tuo istinto.." Gli strappò la tunica rivelando il petto pieno di cicatrici, ora ben visibili a causa della ferita maledetta, decine e decine di ferite da freccia, ustioni, tagli... Lentamente Conrad svolse le bende che avvolgevano le sue mani, rivelando una pelle bianchissima ma ricoperta di simboli tatuati fino ai polsi.

"Posso bloccare e arginare quella maledizione. Anche se mi costerà notevole impegno. A dire il vero non sono neanche sicuro di riuscirci, potrei ucciderti nel tentativo, ma non credo che ti dispiacerebbe.. Allora, iniziamo?" Un cenno del capo di Syd fu sufficiente e Conrad posò le mani sul corpo del guerriero ferito, i tatuaggi iniziarono a brillare e scariche di elettricità multicolore avvolsero i due, partendo dalle mani del Diacono, penetrando il corpo di Syd, fin dentro la ferita.
Questi rimaneva immobile, stringendo i denti e col viso contratto dal dolore, mentre lentamente le cicatrici sul suo corpo iniziarono a svanire, e la ferita da freccia si rimpiccioliva fino a diventare un piccolo punto scuro sul ventre, circondato da minuscoli glifi arcani che lentamente sparirono senza lasciare traccia; ora sembrava una semplice cicatrice in via di guarigione.

Conrad, più pallido di quanto già non fosse, appoggiò le mani, tremante, sul tavolo di pietra, il respiro affannato e il volto imperlato di sudore, ma con un fiero sorriso di colui che ha compiuto un difficile compito. Syd non provava più dolore, con una mano carezzò l'addome, tranquillo, tuttavia non riusciva a muoversi più di tanto, era sfinito, provato, esausto... Conrad lesse anche quel pensiero, e con un ghigno sussurrò: "Ovviamente per completare il rito, devi recuperare immediatamente tutte le tue energie, e c'è un solo mezzo per ottenere ciò nel più breve tempo possibile, mio caro amico. Semplicemente, devi morire!" Accadde tutto così rapidamente che Syd fece appena in tempo ad accorgersi della mano del Diacono che estraeva qualcosa dalla tunica e l'ultima cosa che sentì prima di perdere i sensi fu la lama del pugnale trapassargli il cuore.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Nella cattedrale, i minuti trascorrevano lenti, divenivano poi ore, lunghe e interminabili. Alyss si intratteneva con il monaco Vald, un uomo gioviale e allegro, un po' più giovane del suo padre adottivo Jules, e a giudicare dalla corporatura doveva essere una buona forchetta, sedendo con lei su una delle numerose panche in legno della navata centrale si allentò la fune che stringeva il saio, la ragazza notò anche i suoi occhi verdi sereni e sorridenti, i radi capelli castano scuri della sua chierica, il viso perfettamente rasato; si sentiva a suo agio in quell'ambiente, e non capiva perchè.

Vald chiese alla fanciulla da dove venisse e cosa l'avesse condotta alla capitale, Alyss fu piuttosto evasiva nel rispondere: "Vengo da un villaggio della frontiera, RavenMoon, della contea di Eadenshire, sono venuta a trovare mia madre, gestisce una impresa mercantile nel regno, prima vivevo con mio padre; lungo la strada ho soccorso Syd e l'ho accompagnato alla vostra cattedrale, su sua richiesta." Mise una strana enfasi nel pronunciare le parole "padre" e "madre", poichè erano solamente adottivi, come aveva appreso recentemente, tuttavia non vedeva l'ora di riabbracciare Anna, che l'aveva invitata alla capitale per darle ausilio nel rintracciare i suoi veri genitori, per capire qualcosa del suo passato. Aveva anche omesso notevoli particolari sulle circostanze del suo incontro con Syd, poichè non intendeva tradire la fiducia del suo nuovo amico parlando con leggerezza del suo incredibile segreto; tuttavia riflettè sul fatto che i monaci non erano molto sorpresi di vederlo, all'inizio pensò semplicemente che furono molto distaccati e al contempo caritatevoli nell'accogliere persone bisognose di aiuto, poi ricordò quando incrociò il Diacono nel corridoio e, forse per la stanchezza del viaggio o per il nervosismo, sentì un brivido percorrerle la schiena al ricordo dei suoi occhi di un diverso colore.

La mano del monaco sulla sua spalla la distolse dalle sue riflessioni. "Figliola, leggo la preoccupazione nel vostro volto, cercate di stare tranquilla, qui siete al sicuro e lui è in buone mani." Qualcosa scattò nella mente di Alyss, curiosità forse, o anche istinto. "Ditemi gentile monaco, è vero che il mio amico lavora per conto del Vescovato in qualità di messaggero? Mi aveva accennato a qualcosa di simile durante il viaggio; dunque voi dovreste conoscerlo sicuramente, cosa sapete di lui? È una persona un po'... strana devo dire." Vald tolse velocemente la mano dalla spalla della giovane, e iniziò a fissare i sandali con evidente imbarazzo, la voce era nervosa e impastata per quella domanda inaspettata: "Beh... Sì e no, lo conosciamo di vista, il Diacono senza dubbio lo conosce molto meglio di me, vi posso confermare che è un nostro... Messaggero, ma non penso sia importante parlarne. Ditemi, vorreste qualcosa da mangiare? Sarete affamata, vado subito nella dispensa a prepararvi una buona zuppa di verdure." Alyss non fece neanche in tempo a rifiutare che Vald fu già in piedi e in marcia a lunghi passi verso una porticina laterale, fece in tempo a vedere il suo volto divenire pallido; evidentemente aveva parlato troppo e si diede mentalmente della stupida.

_________________

Conrad chiuse a chiave la porta dell'infermeria, e toccando la serratura con un dito, questa sparì senza lasciar traccia. << Una doppia sicurezza per zero rischi, tanto per qualche tempo non andrà da nessuna parte. >> Si diresse tranquillamente verso il suo ufficio, doveva controllare le ultime missive dei suoi informatori sparsi per tutto il regno e oltre, le memorie di Syd avevano fatto scattare un campanello d'allarme, più di uno in realtà. I nobili cadevano come pedine, ma il Re aveva dispiegato rapidamente i Cavalieri Neri, ciò poteva solo significare che l'ultima mossa è stata decisiva. Aprì la mano e contemplò il vero motivo della missione di Syd, l'anello di Pietra Azzurra del Conte Sanders; ora doveva pensare a un nascondiglio per questo inestimabile tesoro, ma per il momento addosso a lui sarebbe stato sufficientemente al sicuro.

Leggendo e rileggendo le pergamene apparentemente bianche, e in realtà piene di messaggi visibili solo ai suoi occhi, mise insieme altri pezzi di un puzzle ben più esteso e complesso del previsto; anche l'Ovest aveva iniziato a muoversi, l'armistizio ventennale tra i due grandi regni è stato un clamoroso errore strategico. Conrad aprì il coperchio di una grossa scatola rettangolare in legno intarsiato, con un simbolo inciso sopra, due martelli da fabbro incrociati. Sorrise nel constatare che il contenuto era esattamente quello che si aspettava di trovare.

Una delle grosse clessidre su uno scaffale aveva quasi terminato la sabbia. << Dovrebbe essere pronto ormai. >> Portando con sè la scatola e alcuni fogli, il Diacono chiuse lo studio e si recò nuovamente nell'infermeria; posando il palmo sulla porta e la serratura ricomparve magicamente, la sbloccò e scivolò silenziosamente all'interno, sprangando nuovamente il portone. Syd era rimasto nello stesso posto in cui lo aveva lasciato, disteso sul tavolo in pietra, la ferita da pugnale sul petto era scomparsa, ma il viso era pallido, e il torace era immobile, non respirava. Conrad si diresse a una scrivania e posò carte e scatola su di essa, la aprì e ne estrasse il contenuto: due magnifiche spade corte in acciaio argentino, con else decorate con simboli magici, ne stava osservando il filo quando disse: "Per quanto ancora pensi di far finta di dormire?", ma era troppo tardi, Syd era già arrivato alle sue spalle, lo prese per il collo con una sola mano e lo lanciò attraverso la stanza, il Diacono si schiantò contro la parete, non fece neanche in tempo a riaprire gli occhi che Syd fu subito addosso a lui, impugnando l'altra spada e puntandogliela contro il collo; l'assassino fissava con ferocia gli occhi di diverso colore del Diacono, il quale si limitò a sorridere.

"So che sei furibondo, amico mio, so che vorresti sfogarti e infliggermi una punizione per essermi nuovamente servito di te in maniera così meschina, ma so anche che sei preoccupato e vorrai delle spiegazioni, non è così? "

Syd sbuffò, la mano armata di spada era immobile ma tutto il resto del corpo fremeva di impazienza e tensione. "Doveva essere un lavoro da niente, bastardo, l'hai fatta facile: entrare, eliminare, ripulire le tracce, uscire! E invece è andato tutto storto! Qualcosa o qualcuno è riuscito a ferirmi, probabilmente lo stesso essere che ha ucciso il mio cavallo e lo ha scagliato contro di me, costringendomi a distruggerlo, a svelare il mio segreto a una mortale, a provare lunghe sofferenze, ma soprattutto costringendomi a chiedere aiuto! Esigo delle spiegazioni, e stavolta non accetterò prediche da uomo ecclesiastico, voglio la verità!"

Il filo della lama sfiorava la pelle pallida del Diacono. Questi sorrideva tranquillo, la voce priva di nervosismo, a differenza di quella rabbiosa dell'assassino. "Esigi delle spiegazioni, eh? Suppongo di dovertele, considerato il rischio che hai appena corso e le circostanze. Tanto per cominciare, il Conte Sanders, e i nobili che lo hanno preceduto all'altro mondo, facevano parte di una lista di "condannati" dal Vescovato per crimini contro la fede, ovviamente una copertura per destabilizzare la Corte Reale e convincere il popolo ad appoggiare la Chiesa; una morte "naturale" o degli sfortunati incidenti, a volte sono sufficienti per convincere la plebe che la Nobiltà non ha più l'appoggio del Grande Padre." Rise brevemente a quelle parole, Syd era disgustato da quei discorsi, ma lo lasciò proseguire. "Con la morte di Sanders, questo piano può considerarsi concluso, e abbiamo ( << ho >> ) ottenuto una vittoria anche più importante del previsto; riconosci questa?" E gli mostrò la mano, su cui teneva al dito la gemma azzurra.

Syd allentò la morsa e allontanò la lama dal collo del Diacono, distratto dal tenue bagliore di quella gemma. << Dove ho già visto questa luce? >>. "E così ora depredi i cadaveri dei loro averi, uomo di chiesa? Dai un pessimo esempio ai tuoi devoti discepoli; dovrai andare a confessarti." Disse Syd con un ghigno. " Perchè sei così interessato a questo oggetto? A dire il vero neppure io saprei dirti perchè me lo sia infilato in tasca."

Conrad approfittò per sfuggire lentamente alla sua presa e sistemarsi il candido saio stropicciato dalla collutazione. "Ho preferito non darti eccessive spiegazioni sul perchè dovessi assolutamente impossessarti di questa pietra, che, ne ero sicuro, era in possesso del Conte Sanders, così ho allegato alla Lettera di Morte che hai ricevuto dal tuo cliente, Lord Dyke, un messaggio ipnotico nascosto, che solo i tuoi occhi potevano percepire. È stato spiacevole apprendere della sua dipartita, e ancor più spiacevole scoprire che in realtà fosse un agente dell'Ovest sotto copertura, ma almeno i Cavalieri Neri ci hanno risparmiato la seccatura di provvedere a nostre spese."  Syd era rimasto impietrito a quei discorsi, oltre che disgustato dalla mancanza di fiducia del Diacono nei suoi confronti, sensazione a cui ormai era abbastanza abituato, visto che l'uomo di chiesa tirava le fila a innumerevoli intrighi e Syd era un mero esecutore; tuttavia continuò ad ascoltare la sua spiegazione.
"Trovare questo oggetto, specialmente di questi tempi, è una fortuna insperata; vedi, amico mio, abbiamo davanti agli occhi uno degli artefatti più antichi del mondo, la sua creazione risale alla notte dei tempi, in cui gli Dei calpestavano questa terra, e no, non parlo certo del Grande Padre, a cui riserviamo ogni giorno i nostri pensieri e rivolgiamo i nostri omaggi" La sua voce si fece per un momento sprezzante e sarcastica, poi proseguì. "A quei tempi si narra che l'uomo dovesse ancora nascere, e potenti entità sovrannaturali si contendevano il dominio del mondo utilizzando questi oggetti arcani, e se i miei studi sono esatti, e generalmente lo sono, esistono solo tre gemme come questa; e io ne posseggo ben due."

Syd osservava con maggior interesse quell'oggetto che si era ritrovato inconsciamente tra le mani fino a poco tempo fa. "È così potente questa pietra? l'ho toccata a lungo e non ho avvertito alcunchè di magico provenire da essa, e la seconda dove sarebbe nascosta?"

Conrad rise, soddisfatto di aver catturato l'interesse di Syd. "Stiamo parlando di pura magia, in forma cristallizzata, non senti nulla perchè in questo momento è come addormentata, ma a tempo debito si risveglierà, e presto si riunirà alle sue sorelle. L'altra gemma? È in un luogo sicuro e ben difeso." Disse toccandosi la tempia e sistemandosi al dito l'anello con la pietra azzurra. "E quando saranno riunite tutte e tre, avremo la possibilità di far avverare i nostri desideri, amico mio."

La furia di Syd verso il Diacono sembrava essersi attenuata, stava riflettendo sulla mole di informazioni che aveva condiviso con lui, maneggiando distrattamente la spada corta ancora nella sua mano disse: "Suppongo che ora dovremo dare la caccia alla terza gemma, hai qualche idea su dove possa essere? Noto che non sei tornato a mani vuote dal tuo covo". Osservò con maggiore attenzione per la prima volta l'arma che aveva usato per minacciarlo; in quel momento avrebbe potuto strappargli la pelle a mani nude, se non gli avesse fornito sufficienti giustificazioni su quanto era avvenuto nei giorni precedenti. Conrad gli porse l'altra spada. "Sono arrivate giusto oggi da Stahlergrad, dal profondo sud, sotto quella montagna anni fa scoprirono un giacimento di un materiale molto interessante, lavorandolo hanno ottenuto una lega metallica in grado di tagliare e perforare qualsiasi cosa. Acciaio argentino; le ho fatte forgiare su misura per te, anche se non mi aspettavo che ne avresti testato il filo a mie spese." Disse sogghignando mentre osservò Syd maneggiare entrambe le lame testandone il peso e l'equilibrio; le fece roteare sopra la sua testa e sotto le braccia con una maestria senza eguali, Conrad lo osservava ammirato. "Tuttavia, la terza gemma dovrà aspettare, almeno per ora; mi sono giunte notizie estremamente gravi dall'Ovest, a quanto pare, alcune nostre vecchie conoscenze hanno ripreso a tramare ai danni del Regno di Eastar. Se riusciranno nei loro oscuri propositi, la prossima guerra tra Est e Ovest potrebbe essere l'ultima; Syd, tu ricorderai bene l'ultima grande guerra, vent'anni fa; quel massacro in quel castello sulla frontiera, ricordi cosa usarono come ultima risorsa, vero?" 

L'abile spadaccino inguainò le due spade nella cintura con un velocissimo e agile gesto, e si voltò verso il Diacono con sguardo granitico. Sì, ricordava bene quel giorno, dovette far evacuare una dozzina o più di sopravvissuti del villaggio attraverso un passaggio segreto, e una volta chiusa la porta alle sue spalle potè fronteggiare quel plotone di esseri disumani che i Maghi Oscuri di Ebones aveva evocato; essi non avevano assalito solo le truppe in difesa del castello ma massacrarono perfino gli assedianti occidentali. Il cortile del castello era tinto del sangue di entrambe le fazioni, e quelle zampe bestiali calpestavano senza ritegno i cadaveri martoriati dei poveri soldati, Syd ricordava tutto molto bene, pronunciò una sola parola, in una lingua straniera: "Shayatin.", la progenie del Male. Il Diacono annuì silenziosamente e gli mostrò i rapporti dei suoi informatori, o almeno solamente quelli che intendeva condividere; Syd lesse con attenzione soffermandosi su frasi quali "Gli eserciti si stanno riformando" o "I Negromanti della corte reale hanno rinvenuto gli antichi rituali del Passaggio tra i Mondi e stanno iniziando a far trasmigrare le creature". Si chiese per un momento quanti e di che genere fossero gli informatori di Conrad per essere riusciti a scoprire così tanto e a rimanere vivi abbastanza a lungo da comunicare i risultati delle loro ricerche.

" È solo una mia ipotesi ma credo che anche l'Ovest brami queste antiche pietre magiche, sanno che sono tutte e tre nel regno di Eastar, e vogliono impadronirsene. I segni dell'imminente invasione ci sono tutti, amico mio; riti pagani, oggetti stregati, avvistamenti di mostri; la Nobiltà, con le sue patetiche promesse e rassicurazioni, con la sua diplomazia basata sulle menzogne e concessioni, non solo ha impedito agli Eserciti Santi di marciare sulle rovine della maledetta capitale dell'ovest, Sharael, e di schiacciare la resistenza degli immondi senzadio, ma ha indirettamente permesso che si rafforzassero a sufficienza per ricostruire le loro armate, spingendosi al punto da evocare una armata demoniaca, gli Shayatin, prole del Diavolo. Vent'anni fa ci fu una prova generale di quello che potevano fare con quei mostruosi esseri, e se non fosse stato per te, Syd, non saremmo riusciti a costringerli a firmare la tregua, e soprattutto rinnovare il Sacro patto bilaterale per la non proliferazione delle arti magiche; a quanto pare credevano di riuscire a violarlo di nascosto. Stupidi Pagani, e ancor più stupidi Nobili ad accontentarsi di qualche sacco d'oro come risarcimento di guerra. Uno stratega deve essere sempre sette passi avanti, prevedere le mosse nemiche, solo così si può trionfare, e queste spade forgiate con questo miracoloso metallo saranno l'incipit della nostra contromossa." 

Improvvisamente, il dialogo fu interrotto da un frastuono proveniente dalla grande sala della cattedrale, rumore passi in corsa, urla di terrore, tra cui Syd riconobbe all'istante quello di Alyss; veloce come il fulmine si precipitò fuori dall'infermeria, diretto verso l'origine delle grida, la navata centrale. E la trovò lì, impietrita dal terrore e col viso rigato dalle lacrime, davanti al cadavere semicarbonizzato di un monaco, trafitto da una freccia nera.

Alyss si gettò tra le sue braccia, estremamente felice di vederlo in piedi ma ancora sconvolta per quel nuovo orrore a cui fu costretta ad assistere. "Non posso crederci, stai bene, sei vivo! Ma quel povero monaco...! La freccia è arrivata dal nulla, dal tetto della cattedrale, e appena è stato trafitto ha preso fuoco, e mi sono allontanata..." Nascondendo il viso nel petto del giovane, la ragazza si abbandonò a un pianto disperato; Syd istintivamente la strinse in un abbraccio protettivo, con lo sguardo diretto alla volta della cattedrale ma riparandola con la sua schiena, gesto che non sfuggì al Diacono, che li raggiunse in quel momento; questi non prestò minimamente attenzione al cadavere del suo confratello, ma si concentrò sulla ragazza, scrutandola con sguardo indagatore.

"Occupati di lei, la cosa che ha ucciso il mio cavallo e quel monaco è ancora qui, in agguato, la sento." Spinse con garbo Alyss verso il Diacono, che apprese con un certo disappunto la notizia; "Non vorrai combattere dentro la Cattedrale! Ho speso un patrimonio per riarredarla dopo la tua ultima inopportuna sfuriata!" Ma Syd lo ascoltò con poca attenzione, sguainando le spade e mettendosi in guardia sogghignò; "Che ti importa? Non erano soldi tuoi! Mettetevi al riparo, sta arrivando!" E in quell'istante il grande rosone centrale sulla parete frontale della cattedrale esplose in un miliardo di frammenti multicolore, il sole brillava alto nel cielo, e all'interno dell'edificio si stagliò una lunga ombra irregolare, originatasi da una figura esile, vestita in pelle nera, con una Maschera di metallo che lasciava scoperti solo gli occhi, due terrificanti pupille dorate, rese più brillanti dalla penombra, nella mano stringeva un sottile arco nero, con cui aveva precedentemente scagliato il dardo mortale.

La Maschera si lanciò dalla balaustra e atterrò agilmente sul pavimento della chiesa, gettò a terra l'arco che si dissolse in una piccola nuvola di cenere, e dalle sue mani apparvero due scimitarre, nere come la notte.

Syd non si mosse, stringendo le lame gemelle nelle mani; "Così alla fine mi avete trovato, avete tentato di fermarmi con la magia, e credete che questo burattino possa fare di meglio?" Sembrava rivolgersi all'avversario, ma in realtà le sue parole erano dirette verso altre persone, non presenti in quel momento.

I due contendenti si fronteggiarono, preannunciando uno scontro epico.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Poche ore prima, a centinaia di chilometri a nord, nella più alta torre di un castello circondato da montagne innevate, tre figure incappucciate sedevano a un tavolo quadro di legno e bronzo; su di esso era poggiata una bacinella di rame piena di un liquido semitrasparente, più denso dell'acqua, nel cui riflesso vorticavano immagini sbiadite viste con gli occhi di una creatura spettrale, che si muoveva, per volere di queste figure ammantate, a grande distanza, obbedendo ciecamente ai loro comandi; e una di queste si rivolgeva, furiosa, alle orecchie lì vicine. Sbattendo il pugno sul tavolo, facendo vibrare il bacile e disturbando il magico riflesso che aveva appena mostrato loro la vittoria di Syd sulla creatura rianimata, Esther manifestò con gran rabbia il suo disappunto. "Non è possibile! È riuscito a battere quella creatura! Sta diventando troppo potente, se non lo fermiamo subito diverrà inarrestabile. Sorella Agatha, la Maschera avrebbe dovuto indebolirlo a sufficienza con la tua freccia maledetta, eppure non solo sembra ancora nel pieno delle forze, ma riesce addirittura a competere con le nostre magie più potenti!"
Dall'altro lato del tavolo, sedeva un'altra donna incappucciata, le labbra violacee morse in segno di rabbia e frustrazione, le guance lisce e pallide, il mento sottile, erano l'unica cosa che si poteva notare nella semioscurità della stanza. "L'arma incantata che ho forgiato per la nostra Maschera, avrebbe dovuto bruciarlo dall'interno e danneggiarlo il tempo necessario per immobilizzarlo nel suo sonno rigeneratore, per permetterci di riportarlo da noi. Qualcosa o qualcuno deve averlo reso più potente, poichè è da quando abbiamo ritrovato le sue tracce nel regno di Eastar che avverto qualcosa di diverso in lui, una magia che non appartiene a noi;  forse è per questo che abbiamo faticato così tanto per ritrovarlo, è sotto la protezione di qualcuno. Ritengo sia il caso di rinunciare per il momento, Esther cosa ne pensi?"

"È fuori discussione! Siamo ormai vicine a riprenderlo, deve assolutamente tornare sotto il nostro controllo. La tua freccia funzionerà, evidentemente servirà più tempo del previsto. Nadine, che manovra la Maschera, lo seguirà a debita distanza e aspetterà il momento propizio per colpire, abbatterlo, e riportare il suo corpo qui, dove deve essere."

La terza donna, Nadine, non partecipò alla discussione, rimanendo seduta assorta, con le mani giunte in preghiera, con gli occhi vacui fissi sul bacile, mormorando sottovoce parole incomprensibili. A centinaia di chilometri di distanza, la Maschera, pedinava a debita distanza il carro coi due viaggiatori, muovendosi agilmente tra la vegetazione della foresta, ringhiando e sbuffando come un animale feroce, e tra quei versi si poteva interpretare una parola degli idiomi del Nord, "Syd", << Morte >>; e nella penombra della stanza abitata dalle tre donne si poteva notare un arazzo raffigurante una mezzaluna su sfondo azzurro, con una fiamma che bruciava al suo interno, l'emblema araldico della famiglia reale del Regno della Luna di Fuoco.

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Gli stivali di pelle della Maschera calpestavano i cocci del rosone infranto dal suo ingresso, lo scricchiolio era l'unico rumore che rompeva il silenzio in cui era caduta la cattedrale. Syd fissava il suo nemico; aveva una corporatura esile, di media altezza, interamente avvolta in una uniforme di pelle nera come la notte, l'elmo e una maschera di metallo nascondevano i lineamenti del volto, dalle feritoie due occhi dorati e crudeli scrutavano la sua preda. A passi lenti la Maschera si avvicinava a Syd, il quale, sempre tenendo alta la guardia con le sue due spade, si rivolse al Diacono e Alyss: "Siete ancora qui? Rifugiatevi in qualche stanza, e attendete il mio ritorno." I due erano sull'entrata del corridoio che portava alla sagrestia, gli alloggi dei monaci e l'infermeria da cui provenivano Syd e Conrad, Alyss poté solo vedere la schiena nuda di Syd in controluce, le sue braccia semiaperte, armate di spada, le sembrarono due grandi ali, nate per proteggere più che per volare. Avrebbe voluto dirgli di stare attento, di non farsi uccidere, ma ricordando quella notte passata nella foresta, e sentendo le sue parole, capì che era sicuro di trionfare, ancora una volta; non c'era traccia di paura nella sua voce, e anche lei per un attimo smise di averne. Lentamente si fece trascinare via dal Diacono, senza distogliere lo sguardo da quelle spalle solide e rassicuranti, da quel guerriero indomabile e invincibile che stava per affrontare un nuovo pericoloso nemico senza alcuna incertezza o tentennamento; l'ultima cosa che vide prima che girassero l'angolo fu Syd fare un passo in avanti verso quella minacciosa e tetra creatura.

Syd non perse di vista alcun movimento dell'avversario, che si avvicinava lentamente, per poi fermarsi alle prima fila di panche di legno, lui girò attorno a quelle dell'ultima fila, di fronte all'altare; studiavano i reciproci gesti. Syd si sentiva lo sguardo addosso, evitò quindi ogni tipo di movimenti superflui, mantenendo perfettamente l'equilibrio sulle gambe per scattare al primo segno di pericolo. Un suono di porte che si chiudevano in lontananza fu come un segnale per la maschera che infilzò una panca di legno con entrambe le spade, la sollevò con la stessa leggerezza di una balla di fieno e la scagliò in direzione del guerriero, il quale non potè far altro che rotolare di lato per evitarla; la grossa panca si infranse sul solido pavimento in pietra spezzandosi. Syd si rialzò immediatamente e con agilità, tenendosi al riparo dall'arrivo di altri attacchi simili rimanendo dietro le colonne di marmo ai lati della navata. Perso l'elemento sorpresa, la Maschera ringhiò rumorosamente di rabbia e si lanciò con entrambe le scimitarre verso il guerriero; tirò un doppio fendente con esse e tagliarono di netto una colonna come se fosse un filo d'erba; ancora una volta Syd dovette far ricorso alla sua sovraumana agilità per evitare di subire inutili ferite, mezzo accecato dalla nuvola di polvere e schegge di pietra dell'impatto alzò le sue spade e parò con non poche difficoltà un ennesimo attacco da quella Creatura. Le due coppie di spade impattarono con un sordo suono metallico e si respinsero a vicenda, e ancora, e ancora, la Maschera spingeva all'angolo Syd apparentemente in difficoltà per la assurda velocità di quei fendenti; schivò l'ultimo abbassandosi all'improvviso e tentò di sbilanciare il nemico calciandolo alle gambe, che sembrò anticipare quella mossa e saltò con una serie di capriole all'indietro, verso il centro della navata. La Maschera emise un ringhio simile a una risata, Syd non disse nulla, ma un sorriso comparve sul suo volto e, flettendo leggermente le gambe, si lanciò contro il nemico a testa bassa.

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Il fragore della lotta si avvertiva distintamente all'interno dell'infermeria dove Conrad e Alyss si erano messi al riparo. Il Diacono sedeva tranquillo a una scrivania e tendeva le orecchie a interpretare i rumori che sentiva, tracciava alcuni segni su una pergamena e borbottava sottovoce numeri ed imprecazioni. Era alquanto infastidito dalla situazione, alcuni mesi addietro Syd venne inseguito da una pattuglia di Cavalieri Neri che lo avevano colto sulla scena di un delitto e fu costretto ad attirarli nella cattedrale dove poté disfarsi di loro velocemente ed efficientemente, se non fosse per il fatto che toccò ai monaci ripulire tutto dal sangue e dalle membra dei malcapitati. << Questo era un sedile in legno di radica del secolo scorso, e ora? Rumori di pietra? Sì... Una colonna di marmo pregiatissimo, in mille pezzi. Possibile? Non era mai arrivato a tanto; no, non è stata opera sua; credo proprio che si stia divertendo un mondo, razza di irresponsabile. >> Conrad prese un'altra pergamena e tracciò altri scarabocchi e ghirigori, poi posò la piuma e lo sguardo gli si posò sulla sua ospite; una lunga cascata di capelli rossi, pelle chiara, occhi verdi con uno sguardo intelligente ma spaventato; camminava avanti e indietro per la stanza, mentre con le braccia si cingeva la vita, come ad abbracciarsi, nervosa e impaurita. Conrad si carezzava una guancia, riflettendo, mentre studiava la ragazza. << E qui abbiamo un autentico enigma, Syd generalmente non prende a cuore i problemi degli altri, se ha deciso di aiutare questa giovane è perchè lo ha ritenuto utile per i suoi piani, oppure ci dev'essere un altro motivo. >>

"Vi prego, figliola, sedetevi e tranquillizzatevi; comprendo benissimo il vostro nervosismo per la situazione in cui vi trovate. Ma abbiate fede, qui sarete al sicuro, ho bloccato la porta e solo io dall'interno posso aprirla." Conrad fece un cenno ad Alyss di sedersi sulla sedia di fronte la sua scrivania, e la ragazza, essendo incuriosita ma al contempo intimorita da quell'uomo, accettò e si avvicinò lentamente.
"Negli ultimi giorni ho assistito a eventi sconcertanti, inimmaginabili, pazzeschi, sotto più punti di vista, ho visto sconvolgersi la mia vita, mi sono trovata catapultata in un mondo che non pensavo potesse esistere. Mio signore, non sono mai stata una fervente seguace della Chiesa, tuttavia la paura che ora alberga in me, le tante domande che affollano la mia mente, il mio desiderio di comprendere come funzioni realmente il mondo che mi circonda, mi spingono a cercare conforto  e conoscenza." Il suo cuore batteva all'impazzata nel sentire i rumori della battaglia furiosa che si svolgeva nella cattedrale, Alyss tremava come una foglia, seduta sulla sedia, stringendosi per la paura, avrebbe voluto diventare sempre più piccola e nascondersi.
"Figliola, date tempo al tempo, e avrete le risposte che tanto cercate, prima di tutto vorrei porvi qualche domanda sulle ragioni che vi hanno portato alla Capitale, probabilmente oltre che protezione, la Chiesa potrà darvi anche altri tipi di aiuto. Ma prima di ogni altra cosa, vi prego, raccontatemi cosa avete visto che vi ha tanto sconvolto, raccontatemi di voi, ditemi tutto ciò che sapete riguardo Syd." Conrad le sorrise bonariamente, squadrandola con sguardo profondo con i suoi occhi di diverso colore. "Non abbiate timore, figliola, sono qui per aiutarvi, fidatemi delle mie parole." Mentre udiva quella voce vellutata, Alyss  fissava rapita quelle pupille brillanti e quel sorriso dolce e sincero, senza che se ne accorgesse, si ritrovò le mani strette da quelle del Diacono, e si sentì improvvisamente più calma, il cuore rallentò la sua corsa, trasse un lieve sospiro e iniziò a raccontare a quello sconosciuto la sua storia.

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Le due coppie di lame continuavano a scontrarsi, rapidamente e violentemente, il rumore della lotta riecheggiava nella grande navata della cattedrale; la lunga danza delle spade, fluida e ritmata, durava da svariati minuti, interrompendosi brevemente per piccole pause, durante le quali i due spadaccini si studiavano a vicenda. La Maschera finora aveva tenuto facilmente testa a Syd, mentre quest'ultimo con qualche difficoltà era riuscito a eludere gli affondi e i fendenti dell'avversario: era uno scontro totalmente alla pari, Syd scoppiò improvvisamente a ridere; "Davvero abile questa marionetta, in fondo la burattinaia che lo manovra è colei che mi conosce più di chiunque altro. Ma non abbastanza. In questi ultimi decenni vissuti fuori dal vostro giogo non mi sono limitato a nascondermi, ho trovato altre fonti di potere, e ho accresciuto le mie innate abilità; ma lasciate che vi mostri; in fondo, questo 'riscaldamento' è durato fin troppo."
Syd strinse con maggior forza le else delle due spade, le nocche divennero bianche dallo sforzo, le vene sulle braccia si gonfiarono, i muscoli si tesero, e le pupille si dilatarono; la Maschera inclinò la testa da un lato perplessa, non fece in tempo a reagire che si ritrovò sbalzata in aria da un calcio di Syd, piombato su di lei a velocità inumana. Recuperando l'equilibro in volo con una capriola, fece leva con le gambe su una balconata e si gettò in picchiata verso Syd, già pronto a ricevere l'attacco; con una spada deviò facilmente entrambi gli attacchi in volo e con l'altra aprì uno squarcio nel fianco della creatura, che ruzzolò sul pavimento in marmo; un filo di fumo nero usciva dalla ferita che si richiuse dopo pochi secondi, mentre si rimise in piedi, ringhiando e sbuffando; Syd la guardava ridendo, roteando a mò di scherno le sue spade. "Un punto per me, direi. Vuoi continuare?" Fece un cenno con le mani rimanendo in attesa della reazione del nemico, che non si fece attendere: la Maschera gli lanciò contro le sue due scimitarre, che, a mezz'aria cambiarono entrambe direzione girando attorno a Syd, muovendosi come se avessero vita propria. I riflessi sovrumani dell'assassino gli permisero di difendersi facilmente da quell'attacco sorprendente, ma con la coda nell'occhio si accorse appena in tempo dell'arrivo di altre quattro spade, e fu costretto a tuffarsi in volo per evitarle, ma non fu abbastanza lesto, e un paio di esse lo ferirono al braccio e alla schiena. Noncurante delle ferite, Syd si rimise in piedi, rivoli di sangue uscirono dalle lacerazioni, che iniziarono a richiudersi quasi immediatamente.
<< Interessante, questa bambola riesce ad adattarsi velocemente ai miei cambi di tattiche e alla mia velocità, è letale sia a distanza che in uno scontro ravvicinato, quelle tre devono aver dato fondo a tutta la loro sapienza per cercare di fermarmi, ma dubito che abbiano dotato il loro giocattolo di difese contro la loro stessa magia. >> Syd iniziò a concentrarsi e a muovere lentamente i polsi nel formare degli impercettibili gesti nell'aria, per evocare delle fiamme magiche, stando attento a non far trapelare la sua strategia da quei movimenti, che occultò gesticolando con le spade, fingendo di invogliare la creatura ad attaccarlo, ma essa rimaneva a distanza studiando il suo comportamento, ringhiando il suo nome.
Poi Syd si accorse di qualcosa di strano, le sue spade stavano reagendo alla sua magia, gli sfuggì un ghigno di soddisfazione, Conrad gli aveva fatto davvero un bel regalo, decise di mettere fine allo scontro una volta per tutte. Saltò in alto verso il colonnato e non appena toccò il soffitto con i piedi, scagliò contro la Maschera una delle due spade; l'avversario deviò facilmente il colpo ma fu una distrazione sufficiente: nel frattempo Syd si era scagliato dal soffitto, in picchiata, con una spada resa incandescente dalle sue scintille magiche, e mozzò di netto una delle braccia della creatura, l'impatto la spinse contro il muro, Syd la inchiodò alla parete conficcandole la spada nella spalla rimanente, e prese a prenderla a pugni sul viso, una, due, tre e più volte, facendole sbattere la testa contro il marmo,  sentendo il cranio incrinarsi per i colpi, e con un ultimo, potente colpo, spezzando la maschera di metallo che celava il volto della creatura; con un gesto rabbioso Syd gliela strappò di dosso e la gettò via e finalmente osservò il vero volto del suo persecutore.
La creatura aveva la pelle scura, crespa come se fosse carbonizzata, labbra ruvide e gote scavate, sotto quegli occhi d'ambra che spuntavano dalla maschera di metallo che indossava fino a poco prima. "Beh, per quanto sia una frase ambigua nel mio caso, chi non muore si rivede, Nadine." Syd prese per il collo l'ormai inerme avversario e rigirò nella spalla la sua lama ancora incandescente, l'oscura femminea creatura sputò sempre e solo il suo nome, con la sua voce roca e dolorante. "Non mi sembra molto loquace la tua marionetta, quindi non mi aspetto una risposta, limitati ad ascoltarmi. Hai visto a cosa ha portato la vostra ostinazione? Avete solo perso tempo, da quanti anni mi state dando la caccia? Sessanta? Ottanta? Non ricordo neanche, e non mi interessa; ve lo dico una volta per tutte" Si avvicinò al suo orecchio per sussurrarle il suo fatale messaggio. "Lasciatemi stare, per sempre, smettetela di intralciarmi o vi verrò a cercare e vi farò a pezzi!" sibilò queste ultime parole con un tono di minaccia e sfida, carico d'odio. "Non vi è bastata la sofferenza che mi avete arrecato, per cercare di riportarmi da voi ad ogni costo, non vi siete fermate davanti a nulla, mi avete costretto a farmi uscire allo scoperto, e ancora una volta mi avete tolto quel poco che avevo.  E cosa avete ottenuto poi? Solamente di farmi infuriare ancora di più, di accrescere il mio rancore verso di voi, il mio desiderio di vendetta; e dunque eccovene un assaggio, della mia vendetta, e di quella di Haven, il mio cavallo!" E mentre la teneva contro il muro con una mano, con l'altra le penetrò il petto con le dita, sfondandole la cassa toracica e afferrandole il cuore; lo sentiva battere all'impazzata, sentiva il suo dolore, il suo terrore, e ne godeva appieno; per un solo, breve istante, Syd rilasciò tutta la sua furia e accese una Scintilla nel petto della Maschera, che urlò dal dolore prima di esplodere in mille pezzi. Sfinito dal lungo combattimento, appagato per la vittoria e insieme distrutto dalla rabbia e frustrazione, Syd si inginocchiò sul pavimento della chiesa e si lasciò andare a un pianto liberatorio.

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Una volta che fu sicuro che il combattimento fosse terminato, Conrad riaprì la porta dell'infermeria e condusse Alyss nel corridoio e si diressero lentamente verso l'ingresso della chiesa. La navata era irriconoscibile, un autentico campo di battaglia era davanti agli occhi di Alyss, le splendide colonne di marmo erano piene di crepe, o addirittura sbriciolate, molte delle panche di legno erano distrutte, l'altare era spezzato in due, qua e là c'erano pozze di liquido nero e macchie bluastre sulle pareti, e non capiva cosa le avesse causate. Poi lo vide, seduto su una delle poche panche rimaste integre, con le mani giunte, non in segno di preghiera ma in una semplice posa riflessiva, a capo chino e gli occhi chiusi. Syd la vide arrivare e si alzò in piedi appena in tempo per ricevere il suo abbraccio; regnava di nuovo un sacro silenzio nella cattedrale, si udivano appena i sommessi singhiozzi di Alyss, col viso nascosto nel largo petto di Syd e i passi di Conrad che ispezionava, con sguardo malinconico e assente, i danni provocati da quella lotta infernale. Questi non disse né fece nulla, si limitò a fissare quel nugolo di capelli rosso vivo sotto al suo mento. << Ha il suo stesso profumo. >> un frammento di ricordo si fece strada tra quei pensieri oscuri e rabbiosi che invadevano la sua mente, un piccolo raggio di luce che scacciò le tenebre che avvolgevano il suo animo in quel momento, e lo aiutarono a schiarire la mente, poi la udì rivolgersi a lui. "Ho avuto tanta paura, quella cosa era ancor più terribile di quel mostro della foresta, ma che diavolo sta succedendo? Chi sono queste persone che ti danno la caccia?" Da lontano Conrad osservava la scena di sottecchi, e sorrideva, poiché sapeva ben più di quella fanciulla e spettacoli come quello di quel giorno non lo lasciavano più particolarmente esterrefatto. "Una risposta alla volta, giovane fanciulla, non bisogna correre in maniera incosciente sulla via della conoscenza, poiché è irta di ostacoli." Syd fece una smorfia a quelle parole insensate. "La figura del vecchio saggio non ti è mai riuscita bene, piantala con la commedia, e portami una tunica nuova, piuttosto; non posso rimanere in questo stato."
La mente dell'assassino era un turbinio di pensieri, ora che la tensione del combattimento era passata, poteva riflettere con maggiore tranquillità, ma, oltre che pensare alla sua prossima mossa, doveva considerare anche il fatto che ora Alyss sapeva troppe cose per lasciarla andare: il suo segreto, il suo legame col Diacono Conrad, e tutto quanto era avvenuto, nella foresta e qui nella cattedrale, erano parti di un mondo che un comune mortale non dovrebbe conoscere. Eppure esitava, il seme del dubbio era ben piantato nella sua mente, sin da quando gli chiese di accompagnarla alla Capitale, da RavenMoon, allora pensava solamente a una copertura per eludere i Cavalieri Neri; nella foresta aveva avuto centinaia di occasioni per sbarazzarsi di quel testimone scomodo, eppure non fece nulla, e anzi le rivelò il suo segreto più oscuro, la sua natura di immortale.  << Perchè non ho agito subito? Quei capelli rossi... >> La sua ragione ostacolava i suoi istinti, che fin troppo lentamente guidarono la sua mano sulla spalla di Alyss, per allontanarle il viso rigato di lacrime dal suo petto, la guardò in quei profondi occhi verdi, e qualcosa dentro di lui si accese, un altro ricordo, più caldo, più intenso, il suo ricordo più importante; e mentre realizzò questo, udì la voce di Conrad nella sua testa.

<< Lo hai capito finalmente? Hai capito perchè non puoi ucciderla? Vado a cercarti dei vestiti, avremo molto di cui parlare, tutti e tre. >>

Syd rimase impietrito, incapace di proferire verbo, con la coda nell'occhio vide un'ombra ma non si mosse, vide solo Alyss girarsi alla sua sinistra, il suo volto distorcersi in una smorfia di terrore, gridargli "Syd attento, è ancora viva!" e tutto sembrò andare al rallentatore: si girò appena in tempo per vedere la testa mozzata della Maschera gettarsi a tutta velocità contro di lui, venne spinto via da Alyss che alzò l'altra mano come a proteggerlo, e vide una sfera di fuoco erompere dal palmo, colpire la testa e incenerirla senza lasciarne traccia.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


L'anno 700 venne ricordato per il giorno dell'Alba Rossa, un sole che sorse sia a est che a ovest; al crepuscolo, l'orizzonte occidentale, in direzione della capitale del regno di Ebones, Sharael, venne illuminato da un lampo di luce abbagliante, e poi si vide sorgere una gigantesca sfera infuocata; perfino la notte fu rischiarata da quell'incandescente globo di luce. Chi fu abbastanza vicino da veder nascere quell'alba ad ovest, non vide più altro per il resto della sua vita. Della grande e gloriosa capitale del regno occidentale, non rimasero che cumuli di macerie, quando, giorni dopo, guarnigioni dell'Esercito Reale tornarono in patria per capire cosa fosse successo. In quegli anni infuriava una delle più sanguinose guerre tra Est e Ovest, in cui agli eserciti regolari si affiancarono individui dai misteriosi poteri, fu la prima guerra in cui venne utilizzata la magia per fini bellici, e per molto tempo fu anche l'ultima: dopo quel giorno di primavera, il Re di Eastar, decretò il bando delle arti soprannaturali e poco tempo dopo stipulò un trattato di pace col suo omologo di Ebones, sopravvissuto alla catastrofe.

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Poche settimane prima, lontano dagli orrori della guerra, nelle pianure settentrionali del regno della Luna di Fuoco, una donna vestita con cappuccio di pelliccia e tunica di pelle, cavalcava un muscoloso cavallo bianco sul sentiero innevato, diretta a una piccola fattoria ai margini di una foresta. Scesa di sella, si strinse nella sua candida e calda pelliccia, e silenziosamente si incamminò per la prateria, calpestando la morbida neve da cui spuntavano arbusti e cespugli.  Superata una collinetta, si accucciò per osservare ciò che c'era al di là di essa: una piccola capanna con un recinto e un orto, un lago ghiacciato dietro di essa e un cavallo in una stalla poco lontano; di fronte la casupola c'era un giovane boscaiolo, intento a spaccare grossi tronchi di legna con una accetta, agiva con profonda serenità e grande destrezza, come se fosse intento a maneggiare un ventaglio anzichè un ingombrante attrezzo: senza mostrare fatica o sforzi, spaccava un ciocco dopo l'altro e in pochi minuti si erano formati due enormi cumuli di legna vicino a lui; era a torso nudo, indossava solo degli stivali malconci e dei pantaloni di pelle nera, sembrava non soffrire per nulla il freddo intenso di quei luoghi, i neri capelli sciolti, tirati all'indietro, ricadevano sulle robuste e muscolose spalle. La donna continuava a spiarlo e il boscaiolo, stando di spalle, sembrava completamente ignaro di quello sguardo indiscreto; da sotto il mantello sfilò un piccolo arco e con un gesto esperto tese la corda, incoccò una freccia e, presa rapidamente la mira, tirò verso la schiena dell'uomo; questi, senza neanche girarsi, usò l'accetta per deviare in volo la freccia, diretta verso il suo collo; il dardo cadde ai suoi piedi, spezzato. La donna imprecò sottovoce e alzò leggermente il candido cappuccio, rivelando un paio di intelligenti occhi verdi e una ciocca di capelli rossi. Si alzò dal suo nascondiglio e lentamente, agitando nervosamente il piccolo arco nella mano, si diresse a raggiungere il boscaiolo che, voltatosi verso di lei, le sorrise bonariamente. "Non è possibile, hai gli occhi dietro la testa o cosa?" La voce squillante della donna mostrava tutta la sua incredulità per la prodezza a cui aveva assistito. Per tutta risposta il giovane rise brevemente: " Vi occorreranno almeno un centinaio di anni di allenamento per riuscire ad avvicinarvi alle mie spalle senza far rumore, mia regina; vi ho sentito scendere da cavallo sul sentiero e ho semplicemente atteso." Per tutta risposta la donna gli diede un pugno sul braccio. "Syd, ti ho ripetuto mille volte di non chiamarmi così, ho un nome, dannazione. E il fatto che quelle tre arpie ti vietino di usarlo mi fa innervosire ancora di più! Dopotutto sei o no la mia guardia del corpo? Quindi devi fare tutto ciò che ti ordino!" Il boscaiolo  infisse l'accetta nel ceppo e, sorridendo, si inginocchiò davanti alla nobile, con la mano sul cuore. "Come desideri Julia, ma  non dovresti parlar male delle tue sorelle, e, in ogni caso, sono soggetto tanto ai loro ordini quanto ai tuoi." << E a volte, i loro ordini hanno la precedenza sui tuoi >> La donna lo guardò dall'alto verso il basso, con sguardo triste, gli accarezzò i capelli e sbuffò lievemente. << Hai fatto così tanto per me in questi anni, salvarmi dai miei rapitori, farmi incontrare con le mie sorelle, la cosa più vicina a una famiglia che abbia mai avuto, insegnarmi a tirare con l'arco, rimanermi accanto fino a ora. Sei molto più di un semplice servitore per me, e vorrei che fossi molto di più ancora... Ma è solo una illusione la mia, non puoi dare la vita, solo la Morte. >> Un brivido di freddo interruppe quel fiume di pensieri, notandolo Syd si alzò per aprire la porta della casupola e invitarla dentro.
L'interno era piuttosto spoglio, un letto intatto con lenzuola fin troppo pulite, un tavolo con due sedie di semplice fattura, un caminetto con un piccolo cumulo di legna da ardere a fianco e due finestre ben chiuse.
Julia si sedette sul letto e osservò Syd tirare fuori da una mensola dei piatti e posate di legno, << Li ha fatti tutti da solo? Come questa capanna, ha impiegato pochi giorni, non deve aver neanche dormito, ma allora questo letto...? >> lo vide mettere nel camino un pentolone pieno di zuppa d'avena, e si alzò per aiutarlo, nell'unico modo che lei conosceva: tese il palmo verso i ciocchi di legna del caminetto e iniziò a concentrarsi. Improvvisamente Syd la fermò, afferrandole con decisione e dolcezza insieme il polso, "Meglio di no, l'ultima volta hai carbonizzato una intera stanza del palazzo." disse ammiccando. Julia sgranò gli occhi, leggermente offesa. "È stato un incidente e da allora riesco a controllarmi alla perfezione! Inoltre ricordati che è grazie a me se puoi riuscirci anche tu ora, anche se quelle megere non erano d'accordo che ti insegnassi le basi della magia!" L'espressione di Syd si indurì, anche lui pensava che fosse stata una pessima idea, ma Julia prendeva tutto come un gioco, e forse in quel modo sarebbe stato più facile per lei tenere sotto controllo il suo potere; per coinvolgerla e stimolarla maggiormente, le insegnò a usare un arco e la sfidò a coglierlo di sorpresa, di tanto in tanto, e di provare a ferirlo con una freccia; in cinque anni ci aveva provato innumerevoli volte, senza successo. I suoi pensieri vennero interrotti dalla sua voce: "Allora visto che non posso farlo io, provaci tu! Vediamo se ti sei allenato in questi ultimi anni!" Syd abbozzò un sorriso, e iniziò un semplice rituale per creare una Scintilla: aprì e chiuse la mano, tesa verso il focolare, tracciò nell'aria alcuni gesti e si concentrò, ma nulla, neanche un fil di fumo. Julia iniziò a ridere a quella scena. "Se fai così non mi aiuti di certo, mi deconcentri!" Sbuffò Syd, che iniziò ad innervosirsi, ha sempre creduto di poter imparare qualsiasi cosa semplicemente osservando, ma per la magia a quanto pare serviva qualcosa di più, qualcosa che forse non possedeva.
Julia soffocò a stento le risate e gli prese la mano, intrecciò le dita con le sue. "Ecco, vedi? Non ti concentri abbastanza, devi vedere la Scintilla, dentro di te, e poi... La accendi; i pensieri, o i ricordi, servono per ravvivare le fiamme, devi pensare a qualcosa di intenso, e poi, le controlli, come se tu riuscissi a toccarle con le mani." Syd sentì il calore avvolgerlo, nascere dentro di lui, attraversargli il braccio, partire dalla mano aperta, e improvvisamente il ciocco più grande nel camino prese violentemente fuoco. "Wow! Visto com'è facile?"
E Julia riprese a ridere, sembrò aver dimenticato quel giorno, quel fatidico giorno che Syd non avrebbe mai rimosso dalla mente.

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Ricordi. I suoi primi ricordi; il buio, il vuoto, poi una sensazione nuova, sentiva di avere un corpo, due braccia, due gambe, una testa, ma ancora non vedeva, ma udiva, tre voci che intonavano una cantilena.

"Svegliati, Vagabondo, sorgi, combatti, e difendi; poiché sei nato per servire."

<< Nato per servire >>

"Non conoscerai dolore, fatica, rimorso; poiché sei nato per trionfare."

<< Nato per trionfare >>

"Nato non dalla vita, ma dalla Morte, e Morte porterai nel mondo; poiché la Morte è in te"

<< La Morte è in me >>

Syd aprì gli occhi, era disteso su un altare di pietra, intorno a sè intravedeva, nella penombra illuminata da piccole candele, tre figure incappucciate, con le mani giunte in preghiera, erano loro le voci femminili che fino a poco fa risuonavano nella sua mente. Lentamente si alzò dall'altare per fronteggiare quelle donne.

"Sorelle, che ne dite? Per quanto riguarda l'aspetto fisico possiamo ritenerci più che soddisfatte, è un uomo in tutto e per tutto!" Rise una delle tre donne, contemplando il corpo nudo con una perfetta muscolatura, i lunghi capelli neri che gli ricadevano sulle spalle, i penetranti occhi grigi sopra zigomi leggermente sporgenti, che osservavano i dintorni con sguardo intelligente e indagatore. "Esther, l'estetica conta fino a un certo punto, un valido guerriero deve essere sempre pronto a combattere, in ogni momento, in ogni situazione. Vagabondo, dietro di te, sull'altare, c'è una spada; impugnala e preparati a difenderti; Nadine, evoca l'Ombra!" La terza donna allargò le braccia avanti a sè, come ad invitare qualcuno ad avvicinarsi, e da una parete emerse una macchia scura, che prese subito una forma vagamente umana, seppur con un aspetto molto rozzo, priva di volto e fin troppo esile; anche essa impugnava una spada e si gettò, in maniera goffa, all'attacco di Syd; questi parò senza troppe difficoltà l'attacco, e, con un agile movimento, rispose con un fendente che squarciò il fianco dell'Ombra. La creatura urlò, più di rabbia che di dolore, e assaltò con furia omicida Syd, saltandogli addosso e graffiandogli il viso coi suoi artigli; Syd le piantò la spada nel costato trapassando il cuore della creatura, facendola evaporare.

"Eccellente, Vagabondo, hai abbattuto in pochi minuti il tuo primo avversario, con una abilità decisamente superiore a quella di un qualsiasi mortale. Anche se... non ne sei uscito completamente illeso, poco male. " Esther indicò una ferita su uno zigomo di Syd, causata dagli artigli dell'oscura creatura, un rivolo di sangue scendeva lungo la sua guancia ma sembrò non badarci. Esther gli carezzò la guancia e la ferita si richiuse, lasciando una piccola cicatrice. "Sarà l'unica ferita che non guarirà mai completamente, un monito per te stesso, per ricordarti le tue origini." Gli altri graffi iniziarono subito a rimarginarsi, lasciando il resto del volto intatto, giovane, privo di difetti. Perfetto.

"Sei stato portato qui per servire e proteggere questo Regno, Vagabondo; anni fa, a sud, in un piccolo villaggio, è nata un'altra nostra sorella; la nostra magia è riuscita a trovarla poiché il suo potere si è recentemente destato, e presto, per volere del fato, si troverà poco lontano da qui; i barbari invasori che si contendono un potere più grande della loro comprensione, non devono impadronirsi del segreto che custodisce, uccidi se necessario, massacra chiunque si ponga tra te e il tuo obiettivo. Ora vai, ai piedi della torre c'è un cavallo per te." Con un lieve inchino, senza proferire parola, Syd si voltò e, come per magia, vestiti e un mantello apparvero addosso a lui; si tirò su il cappuccio, inguainò la spada e iniziò il suo viaggio.

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<< Dodici anni, non è invecchiato di un solo giorno, ricordo quando mi tese la mano dalla sella del suo cavallo, in quel momento riacquistai la speranza, la forza di continuare a vivere e di non arrendermi; mi disse che potevo chiamarlo Morte, ma ciò che mi diede fu la Vita, salvandomi da un orribile destino. >> Mentre consumava lentamente la sua zuppa, Julia osservava Syd, all'altro capo del tavolo, intento a desinare, con gesti meccanici, senza apparentemente gustare il sapore del cibo. << Chissà se ne ha bisogno o lo fa solo per tenermi compagnia, ed apparire più umano di quanto sembri. >>

<< Ero poco più di una bambina allora, quei giorni mi sembrano così lontani, molte di quelle giornate dolorose sono ricordi ormai dissolti nel tempo, quelli che restano vividi nella mia mente riguardano quasi tutti lui. La sua schiena solida a cui mi sono appoggiata nel viaggio verso quella grande città, le passeggiate nei boschi, le lezioni con le mie tutrici da cui ho appreso la storia di questo mondo e degli uomini che lo abitano, sempre insieme a lui. Le lezioni di tiro con l'arco, e di magia. Ci insegnammo reciprocamente ciò che per noi era naturale fare.

Dopo avermi salvata, mi portò da loro, le mie tre "sorelle", definizione curiosa non avendo gli stessi genitori, eppure con molto altro in comune; gli stessi segreti, i  medesimi pensieri, perfino i capelli rosso fuoco, a volte era come guardarsi in uno specchio quando ero con loro. Dissero di avermi sentita nascere, di aver ascoltato le mie lacrime e i miei lamenti, il mio desiderio di libertà, e mandarono il loro Vagabondo, Syd, come lo chiamai io, in mio soccorso. Sono la cosa più vicina a una famiglia che abbia mai avuto, mi hanno dato una casa, un supporto emotivo, mi hanno aiutata a capire quel lato oscuro di me, ciò che mi rende diversa, mi hanno insegnato a controllarmi... eppure... non riesco completamente a fidarmi di loro, soprattutto ora che, una volta ascesa al trono del Regno della Luna di Fuoco, per loro decisione, mi hanno costretta a restare rinchiusa nel palazzo. Ma non possono tenermi d'occhio in ogni momento, di tanto in tanto riesco a sfuggire alla sorveglianza della guardia reale e a tornare qui nella foresta dove sento di appartenere, o forse solo perchè lui vive qui. Tra non molto arriveranno i cavalieri per riportarmi a casa, posso solo godermi questi pochi istanti di libertà, prima di tornare alla mia solitaria esistenza. Una prigione, seppur lussuosa è pur sempre una prigione.>>

Mentre elaborava questi variegati pensieri, tutti assieme, Julia si mosse meccanicamente, seguì Syd verso il pozzo dietro casa da cui attingeva acqua, vicino il laghetto ghiacciato, e silenziosamente lo abbracciò da dietro, poggiando la testa ricoperta di capelli rossi sulla sua solida schiena. Syd non disse nulla, lei nemmeno, solo il tenue soffio del vento e un rumore di zoccoli lontani in avvicinamento ruppero il silenzio che li avvolgeva. Julia sapeva bene a chi appartenessero quei cavalli.

Quattro cavalieri in candida tenuta invernale, con elmi e scudi scintillanti, scesero lungo il sentiero, arrestando la loro marcia davanti la capanna; una volta scesi di sella si diressero in un sol gruppo nel cortile posteriore, e il loro leader, inchinandosi, omaggiò la sua regina: "Regina Julia Es Mikenos, ancora una volta devo ricordarle che non le è consentito lasciare il palazzo senza avvisare, sarebbe più sicuro  per la Vostra Maestà richiedere la nostra scorta, ma mai come di questi tempi è estremamente sconveniente lasciare le sacre mura del castello, i regni meridionali di Ebones e Eastar hanno più volte sconfinato, numerose spie sono state scoperte all'interno dei nostri territori e, sia la Guardia Reale che la Sacra Congrega, temono per la Vostra sicurezza. Vi prego di seguirci dunque, vi scorteremo a palazzo immediatamente." Julia li osservava dall'alto in basso, con sguardo carico di risentimento, anche se dai modi e toni gentili, erano pur sempre dei carcerieri, sentiva l'odio e la rabbia crescere dentro di lei e, seppur costretta dal peso delle sue responsabilità, li seguì senza proferire parola, se non un cenno di saluto diretto a Syd, accompagnato da un piccolo sorriso.

Nel frattempo, alle sue spalle, il ghiaccio del laghetto iniziò a spaccarsi, per poi sciogliersi rapidamente, l'acqua iniziò a bollire e fumi di vapore emersero salendo in aria. Syd guardò il fenomeno, corrucciato. << Il suo potere, generato dall'odio e dalla rabbia che invadono il suo animo, è cresciuto enormemente in questi anni, non mi stupisce che le altre nazioni le stiano dando la caccia. >>

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Passavano i giorni, lenti, monotoni e silenziosi; da quella volta Julia non era più riuscita a incontrare Syd, poiché venne spedito in missione ai confini del Regno; le mancava, non poteva non pensarci, ma doveva cercare di rimanere concentrata sulla sua vita, sui suoi doveri di regnante. Lei, una povera orfanella, divenuta una regina, a stento riusciva a credere a quanto era accaduto negli ultimi anni.
Raggiunta la maggiore età, Esther, la maggiore delle sue tre sorelle, le rivelò che una visione predisse la sua nascita, e la grandezza dei suoi poteri: "Pur non conoscendo le tue origini, mia piccola Julia, quella premonizione è assolutamente corretta, sei un'autentica figlia della Luna di Fuoco, nostra grande divinità e protettrice, colei che ha creato il nostro popolo e che ci ha donato questi poteri; li abbiamo al fine di proteggere, non di distruggere; e tuttavia, spesso la distruzione è un male necessario, ma le nostre lezioni ti hanno permesso di imparare a controllare il tuo enorme potere magico. Ora sei pronta, Julia, pronta per compiere il tuo destino e divenire la Grande Protettrice che questo mondo aspetta da secoli." Con le lacrime agli occhi, Esther le carezzò il viso e le baciò la fronte, donandole una tiara d'oro massiccio e incoronandola il giorno stesso. Era l'anno 690, due anni dopo essere stata salvata da Syd, due anni di serenità e libertà, vissuti in sua compagnia; ma una volta nominata Regina, le sue sorelle decisero che non necessitava più di una guardia del corpo, avendo a disposizione l'intera Guardia Reale. Fu un brutto colpo per Julia, ma, come aveva sempre fatto, chinò il capo e si sottomise al volere di altre persone. Ma spesso la voglia di vedere il suo vecchio amico fu tale che riuscì a scappare dal castello, o a invitarlo a corte per passare qualche ora insieme.

Tutto cambiò con lo scoppio di una grande guerra tra due regni confinanti; la Luna di Fuoco si mostrò sempre neutrale riguardo alle schermaglie tra quei due regni, quello di Julia non era molto esteso ma ricco di risorse, ma la magia dei suoi governanti era da sempre un efficace deterrente per coloro che conoscevano ben poco della magia e di come manipolarla. In questo ennesimo conflitto però tutto cambiò: esploratori del regno, tra cui Syd, informarono la Congrega Magica che sui campi di battaglia dell'Est vennero utilizzate delle stregonerie e creature magiche, seppur elementari e per nulla minacciose per il regno. "Ma è pur sempre un segnale di cambiamento; quei barbari hanno dei maghi nelle loro fila, era questione di tempo prima che comparissero anche in altri regni." La voce di Agatha aveva un tono preoccupato, durante la riunione della Congrega, in cui Julia sedeva a capotavola in quanto Regina. Esther le posò una mano sulla spalla. "Ho ricevuto comunicazioni da entrambi i regni, vogliono parlamentare, invieranno degli ambasciatori e ci comunicheranno le loro offerte per una possibile alleanza; a quanto pare sono ancora interessati a ottenere il potere del Fuoco Sacro, dovrai difenderti dai loro astuti inganni, spesso delle belle parole nascondono lame affilate." Sorrise alla giovane Regina. Da allora, non faceva che ricevere emissari da Est e Ovest. Tutti quanti offrivano aiuti economici, commerciali, perfino militari, e in cambio chiedevano la stessa cosa: conoscenze magiche. Julia non dimenticò quando tentarono di rapirla e di portarla in un regno lontano, di quando venne circondata da altri cacciatori dopo essere stata salvata da Syd, di come scatenò per la prima volta il suo potere devastante per salvarsi...

E per punire.

Odio.

Rabbia.

Fu la prima volta che provò quelle sensazioni e per molto tempo riuscì ad arginarle, ma durante quelle udienze, con gli emissari di quegli uomini avidi e meschini, sentì di nuovo qualcosa... E le fiamme delle torce che illuminavano la sala del trono brillarono maggiormente.

Sul finire dell'inverno, giunse un Visir di Ebones, un vecchio dalla lunga barba nera, ben curata, sul collo portava un medaglione d'oro, su cui era incastonata una pietra purpurea, grande e brillante. "Il glorioso regno di Ebones vi porge i suoi omaggi, regina Julia Es Mikenos." disse, togliendo il cappuccio e inchinandosi davanti al trono. Con voce calma e netta, l'ambasciatore iniziò a elencare i numerosi, quanto fasulli, vantaggi che otterrebbe il Regno della Luna di Fuoco grazie a una alleanza con Ebones; Julia armeggiava con la sua lunga treccia rossa, ascoltando appena le parole del vecchio, per lei quelle menzogne politiche erano tutte uguali, la risposta che dava a quegli stranieri era sempre la medesima: << Il regno vi ringrazia dell'offerta, che verrà valutata con estrema attenzione >> ; tuttavia notò qualcosa di insolito in quella persona, qualcosa di diverso; fu molto attento a non incrociare mai lo sguardo di Julia, e, mentre era inchinato, il ciondolo con la pietra purpurea ondeggiava lentamente, come se fosse mosso da una mano invisibile.

<< Quella pietra... non è una gemma qualunque... E nemmeno lui è un uomo comune. >> Lentamente Julia si alzò dal trono e senza prestare attenzione al discorso dell'ambasciatore, gli si avvicinò e gli intimò di alzarsi. Il vecchio, sorpreso da quel gesto si mise in piedi, sempre  con il capo chino. "Ditemi, Visir, dove avete trovato quel curioso gioiello che portate al collo?" Julia lo fissava, sul petto dell'altro, stando bene attenta a non toccarlo, era attratta e al contempo spaventata da quell'oggetto, era agitata, nervosa, sentiva i guanti di velluto diventare più caldi. << Devo controllarmi... Respira, Julia... >> Il vecchio prese il medaglione e se lo rigirò tra le mani, come se fosse la prima volta che lo vedesse. "Oh, questo, mia regina, è solo un vecchio monile appartenente alla mia famiglia, lo ricevetti in dono da mio padre, che a sua volta lo ottenne dal padre di mio padre. È una gemma piuttosto comune ad Ebones, almeno credo, mio padre mi disse che ce ne sono altre come questa, ma non ho mai prestato molta attenzione a quelle parole; oh, non voglio annoiarvi con questi ricordi di un povero vecchio. Piuttosto ditemi, avete considerato la nostra proposta? Accetterete di visitare la nostra capitale e di condividere con il mio popolo le vostre conoscenze?" Julia rispose senza pensarci, in quel momento la sua vita era giunta a una svolta, fu una scelta dettata dal puro istinto, per la prima volta nella sua vita, mentre strinse la mano dell'ambasciatore, seppe quale fosse il suo destino.

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"Julia, ti chiedo di ripensarci, è una mossa sconsiderata, un viaggio troppo pericoloso, non sei ancora pronta. Pensa alle conseguenze!" Esther e Agatha erano in piedi, al tavolo dove avvenivano le periodiche riunioni, stavolta in una atmosfera più tesa del solito. Nadine, era seduta in un angolo, con gli occhi chiusi. La sua mente era altrove in quel momento.

"Esther, sorella mia, sei sempre stata fin troppo protettiva nei miei confronti, ma la mia decisione è irrevocabile, costringerò Ebones a concludere la pace con Eastar, con la forza se necessario. E se per farlo dovrò andare nella tana del serpente, correrò il rischio; queste guerre nuocciono tanto al loro che al nostro popolo; mi hai rivelato il contenuto della tua premonizione per un motivo, perché mi impegnassi a compiere il mio destino, ebbene, credo che otterrò più risultati agendo in maniera attiva, che rimanendo seduta sul trono senza far nulla!"

Agatha, con uno sguardo più calmo e amorevole, sotto la frangia scarlatta, la fissò lungamente, con i suoi occhi verde smeraldo. Sorridendo le carezzò il viso: "Julia, sorella mia, sei cambiata, improvvisamente, hai visto qualcosa in quell'uomo dell'ovest, vero? Dimmelo, noi possiamo aiutarti..." Un lampo rosso negli occhi di Julia e una folata d'aria bollente, costrinsero Agatha ad allontanarsi di scatto;  massaggiandosi il palmo ustionato, vide con terrore Julia uscire dalla stanza, gli arazzi alle pareti presero fuoco e si carbonizzarono in pochi istanti al suo passaggio. Voltandosi verso le due donne, con lo sguardo tornato quello sereno e infantile che la contraddistingueva: "Mi dispiace sorelle, ma ho preso la mia decisione, e sono convinta che sia la cosa giusta da fare, per salvare il mio Regno. A presto, spero."

"Agatha, cosa hai visto? Parla!" Esther era furiosa e terrorizzata per ciò a cui aveva assistito. Agatha, con voce sofferente, sussurrò: "Non era lei, non era la Julia che conoscevamo, c'era qualcos'altro in lei, qualcosa che non ho riconosciuto."

"La pietra del messaggero... Era una di quelle, l'ho riconosciuta appena è entrata nel palazzo. Le Lacrime degli Dei. Julia deve aver intuito, se non compreso del tutto, il reale potere di quella gemma." La voce di Nadine, la più giovane, era solo un sussurro, la sua mente era quasi sempre...  Altrove. "Finora non sono stati in grado di sfruttarne appieno i poteri, credono che con l'aiuto di Julia possano scoprirne i segreti, ma l'avidità degli uomini sarà la loro stessa condanna. E credo che lei sappia bene a cosa sta andando incontro."

Esther si lasciò cadere sulla sedia, i suoi lunghi capelli rossi, scivolarono sulle sue spalle, si contemplò le mani, e seppur lisce e giovanili, ai suoi occhi apparivano ruvide e sottili, le mani di una vecchia. << Tempi bui ci attendono, e con essi, decisioni dolorose da prendere. >> Agatha, intuendo i pensieri della sorella, le posò una mano sulla spalla: "Cosa dobbiamo fare con 'lui'? Sono legati indissolubilmente, non appena avvertirà il pericolo, correrà da lei." Esther non la guardò neanche, la sua voce era quasi impercettibile: "Richiamatelo alla capitale, lo sigilleremo per impedirgli di andare a salvarla, sarebbe inutile, e lei non lo vorrebbe. Ora come ora non possiamo rischiare di perdere anche lui."

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Julia venne accolta ai confini tra i due regni da una nutrita scorta militare, e iniziarono il lungo viaggio verso sud-ovest;  a capo della spedizione c'era il Visir che aveva conosciuto al palazzo reale il giorno precedente. Al collo, aveva ancora quella gemma, il solo vederla la faceva sentire a disagio, riusciva a percepire le atrocità commesse col potere di quella gemma, sapeva anche che ne avevano attinto una minima parte, avevano grattato solo la superficie. << È un recipiente di puro potere, inimmaginabile, un simile oggetto in mano di uomini così malvagi e infidi, non mi stupisce che questa regione sia perennemente in guerra. Questi stupidi sono convinti che io possa aiutarli, in cambio di un trattato che so già che non rispetteranno, sono venuti a mercanteggiare pace e conoscenza con un pugnale nascosto dietro la schiena, esseri gretti e meschini, accecati dall'odio per il loro prossimo e dall'avidità e sete di potere. Esattamente come loro, i cacciatori di Maghi che mi rapirono, ancora bambina. >>

Odio

Rabbia

Rancore

Vendetta

Giustizia

Castigo! << Sì! Meritano il Castigo degli Dei, questi infimi esseri; no, non ancora, ancora per poco, respira, respira Julia... >>

Faticosamente riprendendo la calma e il controllo di sé, Julia si rivolse al suo accompagnatore, che la osservava preoccupato. "Milady, il lungo viaggio forse vi ha stancato? Gioite, dunque, visto che l'indomani saremo a destinazione; una volta usciti da questa foresta scorgeremo le mura di Sharael, e lì vi garantisco una sistemazione ben più degna per la Vostra Maestà, al Palazzo del Re. Per ora, il carro da viaggio sarà sufficientemente confortevole e sicuro." Ringraziando l'emissario per la sua gentilezza e premura, Julia gli augurò la buonanotte e andò a coricarsi nel carro coperto che la scorta militare aveva portato con sé; faticò a prendere sonno, era agitatissima al pensiero di ciò che avrebbe dovuto fare l'indomani, ma era sempre più convinta che fosse la cosa giusta da fare. Poco prima di cadere nel silenzioso abbraccio del sonno, pensò a lui, a quanto tempo era passato dall'ultimo incontro, al fatto che non aveva più bisogno di lui come guardia del corpo, ma come qualcos'altro. Pensò che un giorno sarebbero stati nuovamente insieme, qualunque cosa sarebbe successa, era quello il suo desiderio più grande. Quel pensiero, da solo, le diede la forza di calmarsi e riposare un po' prima dell'alba.

Nel complesso, il viaggio verso Sharael fu piuttosto breve e tranquillo. Superate montagne, deserti e foreste, dopo due giorni, arrivarono in una grande pianura circondata da giungle estese; il clima di Ebones era generalmente molto umido e caldo, e i primi giorni di primavera di quell'anno furono salutati da una pioggerellina fine, quasi impercettibile. La capitale del regno di Ebones era una città gigantesca, cinta da mure altissime e con torri quadrate a difesa dei confini.

Il corteo militare con il carro di Julia in testa, venne accolto con fredda allegria, le persone alle finestre e sul ciglio della strada gioivano agitando le mani e salutando coi cappelli, ma la giovane regina riusciva a percepire il disprezzo e l'odio negli occhi che la fissavano, quello stesso sguardo che, da piccola, vedeva ogni giorno all'orfanotrofio. << Anche loro, mi guardano come se fossi un mostro, vedo la paura nei loro occhi, paura e odio... >>

Odio

Rabbia

Rancore.... << Non ancora, non ancora... Respira... >>

Il sontuoso castello, in cima a una collina, al centro della città, aveva una altissima torre rotonda, dalla cui sommità probabilmente si sarebbe potuto osservare tutto il territorio circostante. Oltrepassando la grande entrata con una pesante inferriata ed enormi portoni di legno e metallo, Julia notò la maestosità di quella costruzione, pensando a quanti anni, e a quanta fatica, siano serviti per costruire un simile monumento alla superbia dell'uomo. Ogni secondo che trascorreva in quel luogo, sentiva la furia aumentare in lei. Una volta scesi da cavallo, la scortarono in una lussuosa stanza degli ospiti dove potè riposare per il lungo viaggio; notò che ovunque andasse, quattro cavalieri pesantemente armati la scortavano, e che la porta della sua stanza veniva chiusa dall'esterno. "Per la sua sicurezza, oh Regina" disse uno dei cavalieri nello spiccato accento occidentale. << Certo, ovviamente hanno considerato anche la loro sicurezza, oltre la mia. >> Durante la cena, Julia non potè non notare l'assenza del suo ospite, il sovrano Elerhin I, alla tavolata; il vecchio Visir si giustificò dicendo che era ancora in viaggio dal fronte, dopo aver comunicato la richiesta di armistizio al suo omologo di Eastar. Un'altra menzogna ovviamente, per Julia era ormai chiaro come il sole che non avevano alcuna intenzione di trattare, ma di sfruttare i suoi poteri per continuare la guerra. "Ma possiamo iniziare a delineare i dettagli del trattato già adesso se lo desiderate, come abbiamo proposto, ed eventualmente tralasciare le questioni, diciamo così, culturali, in un secondo momento." << Finge estremo disinteresse, eppure è palese che la sua priorità è vedere di cosa io sia realmente capace >>

"Ditemi, Visir, come mai il vostro regno, improvvisamente, ha deciso di interrompere le ostilità? Dalle informazioni in mio possesso Ebones sta vincendo la guerra contro il suo secolare nemico, perché fermarsi proprio ora? Temete forse che il mio Regno decida di schierarsi dalla loro parte? O forse non riuscite più a attingere potere dal vostro piccolo monile?" Conclusa la frase, Julia sorseggiò il vino dal suo calice, ma gustò maggiormente il pallore sul volto del suo interlocutore e il mormorio di nervosismo degli altri convitati, apparentemente innocui nobili di corte, in realtà l'intera congrega dei più potenti maghi del regno.
Julia sorrise, alzandosi da tavola, con il calice in mano, e fissando i volti nervosi e sorpresi che la seguivano con lo sguardo, volti tesi, imperlati di sudore, ne avvertiva il sapore, quello della paura.

I loro giochi erano stati scoperti.

"Oh, credo di aver interrotto il filo dei vostri pensieri, siete rimasto senza parole, Visir, o devo chiamarvi Grande Maestro?" Il volto del Visir divenne esangue, era terrorizzato. "Ebbene sì, probabilmente avreste potuto ingannare chiunque con quella storiella del cimelio di famiglia, probabilmente un comune stregone, come quelli che avete riunito nel vostro regno, per rafforzare le vostre armate, per stregare e maledire i vostri nemici, semplici giochetti, seppure sufficienti per sopraffare degli avversari incapaci di contrastarvi sullo stesso livello di potere; poi tutto cambiò, Eastar riuscì a procurarsi altri stregoni, e l'equilibrio di forza tornò a ribaltarsi. E qui entra in gioco quel gioiello; non vi chiederò come ve lo siate procurato, non credo che mi rispondereste con sincerità; avete provato a utilizzarlo per aumentare il potere magico dei vostri stregoni, e il Cielo solo sa cosa siate riusciti a scatenare, ma non è stato abbastanza per voi, vero? Il potenziale di quella gemma vi ha resi ben più avidi di quanto foste normalmente, non vi bastava quel poco che siete riusciti a incanalare, volevate tutto il potere, TUTTO!"
Il calice dorato nella mano di Julia divenne incandescente, per poi fondersi nella sua mano rovente; alcuni maghi iniziarono a intonare alcune cantilene magiche di protezione ma Julia li ignorò e proseguì il suo monologo. "Poi, avete messo gli occhi sul mio regno, avete scoperto che la mia famiglia è tra le più antiche depositarie di conoscenze arcane, e avete più volte tentato di carpirne i segreti, dodici anni fa usando la forza, e non penso che vi debba ricordare cosa sia successo, ora avete tentato la via diplomatica, o per meglio dire quella dell'inganno e della menzogna, confidando sull'inesperienza di una stolta ragazzina, immagino che mi avrete definita così. Ebbene questa stupida ragazzina è qui, al vostro cospetto, pronta a darvi il potere che desiderate tanto!"
Julia mosse la mano verso il Visir, che, attratto da una forza invisibile, fluttuò davanti alla Regina, che gli mise la mano al collo per strappargli la collana con la gemma purpurea; urlando di dolore, il vecchio prese istantaneamente fuoco e finì carbonizzato dall'aura rovente che circondava Julia.
Scoppiò un autentico putiferio nella sala del trono del palazzo, i maghi urlarono di paura, alcuni fuggirono verso il portone d'ingresso, altri tentarono di attaccare Julia con saette magiche, ma non sortirono alcun effetto, e vennero inceneriti col suo sguardo. Per ogni secondo che reggeva quella gemma maledetta, il potere della Regina cresceva sempre più.

E tutto divenne Fuoco.

Stringendo la gemma nella mano, Julia ne esplorò la struttura, carpendone ogni più intimo segreto arcano. In pochi istanti comprese la storia di quelle gemme, definite Lacrime degli Dei. Oggetti troppo pericolosi per l'Uomo, troppo potenti per poter continuare a esistere. In un fatidico instante, Julia prese la decisione più ardua della sua vita, e aumentò a dismisura il suo potere sfruttando quello della gemma.
<< Ormai per me è tardi per tornare indietro, non riesco più a spegnere la Fiamma che ho acceso. Tra non molto il calore sarà abbastanza intenso da distruggere questo oggetto malefico, e chiunque altro nelle vicinanze, che potrebbe utilizzarlo nuovamente per compiere massacri e nefandezze. Sto per... morire? È tristezza quella che provo? Dovrei essere totalmente insensibile a questo punto, eppure...

Sì, sto ancora pensando a lui. Non sono nemmeno riuscita a dirgli addio, a dirgli... Non ha importanza ormai.

Tuttavia, se questo oggetto ha un potere realmente oltre ogni limite, potrei usarlo un'ultima volta per me stessa.

Sì... è possibile, anche se richiederà tempo.

Manca poco ormai, sto sfiorando il limite. Perdonami, Syd, perdonami per abbandonarti. Ma so che vivrai, so che non puoi morire, perché tu sei......... >>

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Sorse il sole ad est e ad ovest, quel giorno di primavera. Un evento spaventoso che venne ricordato per molti anni a venire. Una intera città spazzata via senza lasciare traccia, una Nazione in ginocchio, una guerra conclusa con la richiesta di tregua di Ebones, accettata immediatamente da Eastar, una volta che si resero conto delle abominevoli conseguenze dell'abuso delle arti arcane.

E su, al nord, riecheggiò un urlo di dolore, rabbia e sofferenza di un'anima prigioniera, un'anima con un potere talmente grande, originato da una volontà inarrestabile, che riuscì a rompere le catene a cui era vincolato, ad abbattere i muri delle segrete in cui era sepolto, a evadere dal controllo delle streghe che lo avevano schiavizzato.

Syd, impazzito dal dolore, fuggì; in preda alla collera, si diresse al confine con Ebones, verso il centro di quel piccolo sole nato sulla terra, in cerca di Julia. Incontrò un contingente militare del regno, di ritorno dal fronte, diretto alla capitale per indagare su quello spaventoso evento, e anziché risposte, trovarono Syd, trovarono la Morte. Nessuno di quegli uomini capì con chi ebbero a che fare, finché non fu troppo tardi.

E da allora, di Syd si persero le tracce.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Un Dio è tale poiché nulla ha a che vedere con le brevi esistenze dei comuni mortali.
Un Dio vive in un etereo piano astrale, con leggi del tempo e dello spazio inconoscibili all'uomo comune.
Stolto è l'uomo che crede di poter stabilire chi o cosa sia in realtà un Dio, poiché la mente umana è troppo limitata per comprendere la reale natura di una divinità.
Esistono tuttavia creature che nascono con dei doni che le rendono più vicine al reame del divino, possiamo chiamarli maghi o stregoni, o con tanti altri nomi, ma la loro capacità di attingere all'enorme potere degli Dei li rende in grado di potersi avvicinare, anche se in misura alquanto limitata, al regno del divino.
Uno di questi Dei è il nume della sapienza e conoscenza, che gettò il seme della nascita sul mondo, da cui germogliò la vita, animale e vegetale; generò le prime creature senzienti, diede loro differenze culturali e razziali, ma tutte accomunate dalle medesime necessità e istinti.
Egli si commosse alla visione del suo creato, e dal suo viso caddero delle Lacrime che si sparsero nel mondo. Esse erano pregne del Suo potere divino, vennero trovate e raccolte dagli uomini, c'è chi ne fece buon uso, chi invece ne sfruttò l'essenza per scopi malvagi.
Ma il Dio della conoscenza osservava attentamente l'evolversi di quella curiosa razza che si autodefinì Umanità.
La vide dividersi in Nazioni, formare diverse società con differenti usi e costumi; vide degli idoli eretti in Suo onore,  osservò quegli esseri che Lo chiamarono con molti nomi, pur non essendo nemmeno certi della Sua esistenza, rappresentandoLo in vari modi, ciò Lo divertì alquanto.
Vide poi quelle piccole deboli creature farsi la guerra l'un l'altro, e questo Lo rese perplesso. "Incredibile, hanno tutto ciò che potrebbero desiderare, eppure bramano di più, la loro avidità li spinge a ammassare cose a discapito del benessere dei loro simili... Dove ho sbagliato?" E si strusse in questi pensieri, poiché neppure un Dio è infallibile.
Trovò poi alcune di quelle creature, particolari, differenti dalle altre. "Sembra che in queste anime non alberghi il male e la corruzione come nelle altre. Forse, se potessi avvicinarmi ad esse, potrei migliorare le cose... Ma sarebbe giusto? Non dovrebbero forse migliorarsi da soli?"
Alla fine il Dio, prese una decisione, pur non essendo convinto della bontà della stessa.
"Il tempo mi dirà se sarà la scelta giusta."

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A RavenMoon, molti passarono una notte insonne, eccetto gli ignari abitanti del borgo, i soldati rimasero all'erta sui bastioni, i Cavalieri Neri aiutarono la guarnigione sulle torri di guardia, attenti a ogni movimento inusuale, presenze anomale, qualunque cosa si avvicinasse alle mura sarebbe stata avvistata e sarebbe stato lanciato l'allarme.

Nell'ufficio del comandante della Guarnigione, intanto, Rikard aveva completato il suo rapporto per il Quartier Generale a Eastar, ma lo avrebbe inviato solo a emergenza conclusa, una volta ristabilito l'ordine; sapeva che i rinforzi erano già in viaggio, che la loro missione lì era solo temporanea, ma ciò che aveva scoperto era qualcosa che i comuni soldati non potevano gestire. In quella stanza era in corso una riunione tra gli alti ranghi della guarnigione di Eastar e dei Cavalieri Neri; anche Jan avrebbe voluto essere presente, ma a poco servirono le sue proteste, Rikard era stato inflessibile a riguardo, dovette quindi accontentarsi del poco che riusciva ad ascoltare origliando dalla finestra del cortile.

"Mostri, è con questo dunque che abbiamo a che fare, e penso di sapere di cosa si tratti." Rikard era in piedi, dietro a un grande tavolo, su cui era poggiata ciò che rimaneva dell'armatura dello sventurato cavaliere, mandato in esplorazione la notte precedente nella miniera vicina al villaggio, e tornato in fin di vita. << Mostri >> era l'unica parola che  aveva appena fatto in tempo a sussurrare prima di spirare tra le braccia del suo Capitano. Poco prima dell'alba, il soldato venne cremato in un cerimoniale funebre militare non abbastanza glorioso per un soldato coraggioso; ciò che rimase a ricordo del suo sacrificio era la sua armatura nera, estremamente danneggiata, il metallo era perforato in più punti e sull'attaccatura dello spallaccio sembrava addirittura lacerata, come se una forza incredibile avesse piegato e deformato il ferro nero di cui era composta. Il comandante della guarnigione di RavenMoon osservava quei pezzi di metallo piegati e distorti con orrore, il suo volto era pallido alla luce del mattino che filtrava dalla finestra. "Ma di cosa staremmo parlando? Quel soldato era probabilmente in stato di shock per le ferite, per quanto fossero orribili, sicuramente causate da un puma o da un orso, si sarà salvato per miracolo e si sarà trascinato fino al villaggio." Egli era un militare veterano, ma alquanto privo di fiducia verso il Regno, mostrando tali sentimenti nell'uso di parole sprezzanti verso Rikard; desideroso di far carriera nella capitale, venne invece spedito in una cittadina sperduta della frontiera, dopo molti anni di inattività si impigrì, indossando la divisa militare più per abitudine che per senso del dovere, viveva solo per aspettare il pensionamento, ormai il fuoco che brucia in ogni soldato, quel desiderio patriottico di dimostrare il proprio valore, si era spento da tempo in quel vecchio. "I mostri non esistono se non nelle favole per bambini, non diciamo sciocchezze! Mi meraviglio di voi, Capitano, dovreste pensare alla nostra sicurezza, invece che diffondere il terrore basandosi su assurde ipotesi!"
Il militare fece appena in tempo a finire di parlare che subito ricevette un pugno in pieno volto da Rikard e finì al tappeto, con il volto ridotto a una maschera di sangue. Rikard si avvicinò al vecchio comandante, lo prese per il bavero dell'uniforme e lo spinse verso la parete, mentre quegli tentava di arrestare l'emorragia dal naso rotto. "Quel soldato, quel guerriero, era uno dei miei Cavalieri Neri, noi siamo l'Èlite dell'Armata Reale di Eastar, ognuno di questi soldati è addestrato al solo scopo di servire e proteggere il nostro Re, ogni sole che sorge rappresenta un nuovo giorno in cui facciamo fede al nostro giuramento. E tu, non solo manchi di rispetto a quel caduto, ma insulti anche colui che ci ha inviati in missione in questo villaggio che fingi di proteggere! Non sei degno di servire il nostro Re, nè di proteggere i suoi sudditi, considerati destituito e ringrazia che non ti deferisca alla corte marziale! Portatelo via, voi." Lo spinse tra le braccia di due soldati alquanto sconvolti dalla scena a cui avevano assistito ma sufficientemente assennati da non disobbedire all'autorevole ordine del Capitano Nero.
Una volta ristabilita la calma nella stanza, Rikard e gli altri astanti, rappresentanti della lega dei minatori, e alcuni graduati della guarnigione, osservarono in silenzio la corazza divelta sul tavolo, nessuno di loro aveva creduto alle parole del Comandante, ma nessuno, tranne Rikard, aveva fegato di ammetterlo apertamente; e quando egli riprese la parola, tutti trattennero il fiato nell'ascoltare ciò che aveva da dire.

"Non è opera di alcun tipo di animale, le nostre corazze sono state forgiate coi fuochi magici più intensi a disposizione del nostro regno, fuse con i minerali più duri delle nostre miniere, come certamente il qui presente membro della lega dei minatori può confermare; soltanto una creatura da incubo potrebbe provocare simili danni, e io... Io ho avuto già la disavventura di imbattermi in questi... Mostri." Un lieve mormorio si sollevò tra i presenti, che subito fu azzittito da un'occhiata gelida di Rikard. "Il cavaliere che era riuscito a tornare al villaggio, era in compagnia di altri due commilitoni, tutti e tre armati e ben addestrati; quale animale, ripeto, avrebbe potuto compiere una simile strage? Nessuno, ve lo dico io! Più tardi, mi recherò personalmente nella miniera per eliminare la fonte del male, andrò da solo, non intendo mettere a rischio le vite di altri innocenti." I mormorii si intensificarono, chi si congratulò per il coraggio del capitano, chi lo prese per folle, chi temette che non riuscisse a compiere fino in fondo il suo dovere."Cosa temete, villici? Stiamo parlando dei Cavalieri Neri, i gloriosi Cavalieri Neri, la Guardia Reale di Eastar! E soprattutto state dubitando del loro Capitano Rikard! Mentre voi ve ne state rintanati a tremare, lui non esita ad andare in prima linea, mentre voi esitate!" Questa volta fu una voce estranea a zittire le altre e riportare la calma, una voce giovanile, piena di orgoglio. "Jan, mi pare di averti proibito di presenziare a questa riunione." Il giovane soldato si sporgeva dal davanzale della finestra da cui aveva origliato la discussione; era l'assistente del Quartiermastro dei Cavalieri Neri, nonché stalliere e cuoco, una sorta di tuttofare, che  si unì ai Cavalieri Neri dopo aver conosciuto Rikard. "Chiedo scusa Capitano, ma tecnicamente non sto partecipando, essendo al di fuori della stanza, comunque, per quello che può valere, potete contare sul mio sicuro appoggio, come sempre!" E sorridendo, si mise il pugno sul cuore, in un militaresco saluto al suo superiore, il quale non potè far a meno di sorridere di fronte a tale gesto di rispetto.

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Nel cortile dove sostava il carro coi rifornimenti, Rikard si preparava alla sua missione; le scorte speciali del suo contingente consistevano in protezioni incantate, create dai maghi di corte, per aiutare i Cavalieri Neri a difendersi da pericoli sovrumani. Rikard era sempre stato restio a utilizzare oggetti arcani, era convinto che il reale valore di un cavaliere risiedesse nelle sue capacità naturali, nel duro addestramento e nel coraggio. Mentre fissava i legacci dell'armatura, gli cadde l'occhio sul guanto di metallo, su cui aveva incastonato una gemma scarlatta, era una sorta di portafortuna, che rinvenne durante la fuga dal castello di Hess, molti anni prima, e da allora sembrò che le difficoltà lungo il suo cammino svanissero come per magia: desiderò trasferirsi alla capitale, e ottenne un aiuto da un mercante girovago; desiderò trovare un lavoro per vivere, e un fabbro lo assunse come assistente, ciò temprò la sua mente e il suo fisico, e da gracile ragazzino divenne un giovane aitante e robusto; desiderò infine arruolarsi nell'armata dei Cavalieri Neri e riuscì, con poche difficoltà, a superare le dure prove fisiche che dovette sostenere; scalò presto la gerarchia diventando un soldato imbattibile e ligio al dovere, venendo infine nominato Capitano Nero. << Stavolta, fortuna o no, avrò bisogno realmente di un aiuto sovrumano >> pensò, maneggiando una polvere di incenso incantato; decise infine di spolverarla sulla sua corazza. I maghi di corte e i suoi superiori, generali e consiglieri del re Georg, lo avevano adeguatamente addestrato ai pericoli che avrebbe affrontato, una volta divenuto Capitano Nero; dare la caccia a pericolosi criminali e traditori, mantenere la pace nelle province in tempo di guerra e sedare rivolte e tumulti, e soprattutto, difendere il regno e i suoi abitanti da pericoli sovrannaturali. Rikard fece mente locale su quanto aveva scoperto negli ultimi tempi. << Ogni giorno che passa, sento di essere sempre più vicino a scoprire l'origine di quelle creature; ho ancora nelle orecchie quei suoni spaventosi, grugniti famelici, ringhi animaleschi di esseri che nulla avevano di umano, tranne gli occhi, mostri con lo sguardo di un uomo. Le prove della colpevolezza di quel nobile sono schiaccianti, e quelle parole dette poco prima che lo giustiziassi evidentemente non erano vuote minacce. C'è davvero 'qualcosa' in questa cittadina, qualcosa di oscuro e malefico. I segni di morsi sul cadavere di quel povero ragazzo sono inconfondibili. Sono le stesse bestie. I rinforzi della capitale non arriveranno in tempo, devo fermarli ora, quel tanto che basta per mantenere al sicuro la popolazione. E ottenere un briciolo di rivalsa e vendetta. >> Rikard strinse con forza il pugno e la gemma scarlatta si illuminò debolmente, come ad ascoltare i suoi pensieri.

Una volta terminati quei preparativi, si diresse in un edificio in legno, con l'insegna della Lega Mineraria Orientale, una montagna colpita da una saetta. Varcò la soglia e osservò l'interno, alquanto spoglio: un paio di panche di legno e un tavolo a cui sedeva un vecchio minatore, il rappresentante che aveva presenziato alla riunione di poco prima. "Capitano." Lo salutò alzandosi in piedi, Rikard si avvicinò al tavolo, notandolo coperto di documenti di vario tipo, con il marchio della Lega Mineraria e di varie compagnie commerciali. "Mio signore, siete ben certo di ciò che vi apprestate a fare? Spingervi in quell'inferno? Come ci avevate chiesto abbiamo evacuato la miniera, tutti i miei colleghi sono al sicuro entro le cinta di mura della cittadina, ma voi, entrare da solo col serio rischio di fare la fine del vostro sottoposto? Perché non attendere i rinforzi dalla capitale?" Rikard lo squadrò coi suoi gelidi occhi azzurri. "Arriverebbero troppo tardi, gli orrori che si celano quasi sicuramente in quella miniera non tarderanno a trovare la via d'uscita, vanno fermati, o quantomeno rallentati ora, prima che accada l'irreparabile. Avete preparato, dunque, quanto vi avevo richiesto?" Il vecchio minatore si grattò la barba grigia sporca di terra, con fare nervoso, e prese una cassetta da sotto il tavolo, in cui c'erano vari oggetti: una pergamena arrotolata, una lanterna da cintura simile a quella che usavano i minatori e alcune sfere con delle protuberanze. "Questa è la mappa della miniera, ho già segnato i punti in cui si trovano le travi di sostegno, basta far saltare quelle e la galleria sarà inaccessibile per molto tempo, e queste, sono ciò che vi servirà per raggiungere lo scopo: sono cariche esplosive che generalmente utilizziamo in superficie, abbiamo aumentato la loro potenza, e queste sporgenze vi permetteranno di decidere dopo quanto tempo farle scoppiare." Indicando le varie parti in rilievo dalla più minuta alla più grande, spiegò: "Dopo cinque minuti, due minuti, e quindici secondi, quest'ultima ovviamente è sconsigliabile da usare." Rikard ringraziò il vecchio minatore e infilò le cariche nella bisaccia, si fissò la lanterna alla cintura e uscì dall'edificio. Il minatore fece un lieve inchino e augurò buona fortuna al Cavaliere. "Che il creatore vi osservi e vi protegga, Capitano Nero." Rikard sbuffò leggermente. "Non lo ha mai fatto in trent'anni, dubito che inizierà proprio oggi."

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Con la bisaccia in spalla, il pugnale e una spada inguainati alla cintura, la mappa della miniera, stretta nella mano, il Capitano Nero varcò le porte del villaggio di RavenMoon, incamminandosi per il sentiero diretto alle vicine miniere. Quella regione era ricca di minerali pregiati, e molti anni addietro, il Re di Eastar fece fondare quella piccola cittadina mineraria, che in breve tempo divenne molto ricca, pur rimanendo un piccolo centro abitato. La sua posizione al confine con Ebones l'avrebbe resa un bersaglio facile durante i frequenti conflitti armati, tuttavia non venne mai assaltata, o assediata da armate nemiche. << La casata dei Sanders non brilla certo per potenza militare e conoscenze strategiche, incredibile come questa regione, in mano loro, sia rimasta incolume dalle frequenti schermaglie di confine. >>

Mentre la sua mente vagava in questi pensieri, i suoi passi lo condussero all'entrata della miniera, dove qualcuno era in attesa. Lo sguardo sorpreso di Rikard incontrò gli occhi verde chiaro di Jan, appoggiato a uno steccato, vestito con la divisa degli arcieri del contingente dei Cavalieri neri, una robusta ma leggera armatura di pelle bollita con bracciali e gambali, in mano teneva una balestra, l'unica arma che sapeva padroneggiare egregiamente. "E questo che dovrebbe significare? Avevo dato ordini precisi di rimanere a presidiare le mura." La voce del Capitano Nero era dura e inflessibile, ma lo sguardo era pensieroso; Jan sorrise mettendosi sull'attenti e presentando l'arma, tenuta saldamente tra le mani. "Signore, i bastioni sono ben difesi, sia dalle nostre forze che dai regolari di RavenMoon, in qualità di suo attendente mi sono preso la libertà di seguirla nella sua missione, signore!" Rikard lo squadrò da capo a piedi e la sua voce non si addolcì minimamente. "Libertà? Io la chiamo, piuttosto, insubordinazione, ma non sei nuovo a questo tipo di comportamenti, per quanto veniali possano essere. Jan, l'armata è una grande famiglia, te l'ho sempre detto, e anche agli altri; tuttavia questa è una faccenda che devo sbrigare da solo, si tratta della MIA famiglia, quella che non ho più, per colpa loro, per colpa dell'Ovest, di quello che hanno fatto." Jan si mise lentamente a riposo e lo guardava preoccupato. "Capitano, volete andare incontro alla morte pur di inseguire l'illusione della vendetta? A che sono servite allora tutte le lezioni sull'onore e sul senso del dovere, la dedizione alla causa, la fedeltà al Re? No, anche se è una vostra scelta io non l'accetto! Ci deve essere un'altra soluzione." Con un gesto rapido, Rikard sguainò la sua lunga spada e la fermò a pochi centimetri dal viso del giovane, che rimase immobile, i due continuarono a fissarsi a vicenda. "E anche per evitare che ci siano altri funerali come quello di ieri, per non avere più orfani e vedove che piangano di fronte a delle bare vuote, per questo tu e gli altri dovete starne fuori. I miei ordini li conosci, soldato. Ora torna al tuo posto." Jan indietreggiò lentamente, distanziandosi dalla lama del suo superiore, il quale, dopo averla rinfoderata, gli voltò le spalle e si diresse verso l'entrata della miniera, chiudendosela alle spalle. Il ragazzo, con ancora la balestra stretta tra le mani sottili e pallide, fissò il portone di legno per svariati minuti, e poi, fece un lento passo in avanti.

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Nella penombra della galleria, rischiarata da una tenue luce proveniente dall'esterno, che filtrava tra le assi malconce del portone di ingresso, Rikard armeggiò con l'acciarino e la pietra focaia per accendere la lanterna. La mappa fornitagli dal minatore mostrava le poche diramazioni lungo il corridoio principale della miniera, e i punti in cui piazzare le cariche e seppellire tutto. Il Capitano Nero iniziò a incamminarsi, l'aria viziata e piena di polvere gli appesantiva il petto, l'armatura, in quella situazione, gli sembrava ben più pesante, e camminava a stento. Il silenzio della miniera era rotto solo dai suoi passi pesanti e dal leggero rumore metallico delle piastre della corazza, le sue orecchie tese non udivano altri suoni estranei o insoliti. Fu il suo olfatto, invece, a mantenerlo in guardia, un odore inconfondibile per un soldato, l'odore di sangue e putrefazione. << Un cadavere, un altro membro della pattuglia dispersa, le macchie di sangue si dirigono verso il fondo della galleria, e poi spariscono, devono averlo sbranato, ormai è alquanto evidente che qui ci sia 'qualcosa'. Poveri ragazzi. >> Rikard arrivò a una delle grandi travi che sostenevano la volta della cava, prese uno dei congegni esplosivi e lo posò a terra, ci pensò su un attimo e poi schiacciò la sporgenza più piccola. << Cinque minuti, ora devo sbrigarmi, la prossima trave è in una diramazione laterale. >> Accelerò il passo, avventurandosi con la lanterna in una mano e la spada sguainata nell'altra, arrivò alla sua destinazione e attivò il secondo congegno. Cercando di allungare il passo, e iniziando a sentire la fatica accumularsi per l'ambiente povero d'aria pura, scese verso il fondo della galleria, dove, secondo la mappa, si trovava un largo spiazzo. Lì, secondo i suoi calcoli, avrebbe attivato un altro congegno con un tempo di esplosione più breve. E fu in quel momento che li sentì: versi animaleschi, sommessi e lontani, sembravano arrivare da tutte le direzioni, probabilmente per l'effetto dell'eco in quelle strette gallerie. Man mano che si avvicinava al fondo, divenivano sempre più forti, così come il fetore di sangue e morte che avvertiva da prima; nell'oscurità debolmente illuminata dalla luce della lanterna, intravide delle ombre muoversi lungo le pareti di roccia, aguzzando la vista capì che appartenevano alle fonti di quegli orribili rumori: le bestie che aveva visto per la prima volta tanti anni prima, dalla forma vagamente umanoide, anche questi erano tutti molto diversi tra loro, uno con delle gibbosità sulla schiena, uno ricoperto di pelliccia, e un altro di scaglie, un altro aveva addirittura quattro braccia muscolose con delle mani dai lunghi artigli e zanne aguzze che sporgevano dalla bocca mostruosa, ma tutti loro avevano occhi intelligenti ed espressivi, occhi di uomini.
A Rikard il cuore iniziò a battere all'impazzata dalla rabbia, dopo molti anni li vedeva di nuovo, e, gettando a terra la lanterna e impugnando la spada, lanciò un urlo per richiamare la loro attenzione. "Maledetti mostri, ho impiegato anni per ritrovarvi, e finalmente siete qui di fronte a me, e per quanto orribili e inumani possiate essere, vi garantisco che sarò la vostra ultima vittima; fatevi avanti!" In tasca aveva un altro congegno esplosivo, già settato per esplodere in cinque minuti, sperava di resistere tanto a lungo per farli esplodere assieme a lui. 
Il mostro dalle quattro braccia annusava l'aria in direzione del Capitano Nero e lanciando un urlo animalesco, ordinò a due suoi simili di assaltarlo: correndo quasi a quattro zampe, si avventarono su Rikard, il quale menò un potente fendente con la sua spada, che ne colpì uno in pieno petto e ne ferì un altro al fianco; la violenza dell'impatto li fece indietreggiare, confusi. Rikard avanzò nello spiazzo, con la spada stretta tra le mani, lo sguardo feroce fisso sulle creature per nulla intimorite. Lo attaccarono da entrambi i lati, e il Capitano ne trafisse una con un possente affondo e facendo leva su di esso calciò con entrambi i piedi l'altra in pieno volto. Per il momento riusciva a tener testa a quelle mostruosità ma i suoi attacchi non sembravano sortire effetto, era come se non sentissero minimamente il dolore, mentre lui doveva evitare e deviare i loro artigli con la spada e il bracciale dell'armatura, che già mostrava delle crepe dopo pochi graffi di quei mostri. << La polvere dei maghi di corte è totalmente inutile, dovrò faticare il doppio per cercare di non farmi squartare. >> 
Un quarto mostro scese dalla galleria principale, Rikard notò che stringeva tra le fauci una balestra e dei brandelli di cuoio, con orrore  riconobbe subito quell'oggetto, era l'arma di Jan, ma di lui nessuna traccia. << Dev'essere rimasto ferito nella galleria, luridi bastardi. >> Ora quello che doveva essere il capo, il mostro dalle quattro braccia, gli bloccava il passaggio verso l'uscita, Rikard doveva assolutamente accertarsi che il suo giovane amico fosse riuscito a salvarsi; con un urlo, caricò le creature che tentarono di fermarlo, i loro artigli e le loro zanne trapassarono l'armatura in più punti, sul braccio, sulle spalle e schiena, ma il Capitano Nero era inarrestabile; con un colpo di spada squarciò la gola di uno di loro, la lama si spezzò nell'impatto, con la mano libera, tirò fuori di tasca l'ordigno esplosivo e schiacciò la leva maggiore, per l'esplosione dopo quindici secondi e la spinse con forza nella bocca del mostro dalle quattro braccia. "Mordi questo, infame!" Sibilò Rikard, e con la spada spezzata gli perforò il petto, con uno sforzo sovraumano lo atterrò grazie allo slancio dell'affondo e lo superò con un salto, iniziando a correre per la galleria in cerca di Jan.
Reggendosi il fianco con una mano, sentì il sangue uscire da una ferita, ma si sforzò di proseguire il più in fretta possibile e dopo pochi secondi l'intera caverna fu investita da una fragorosa esplosione, fu in quel momento che vide Jan, sdraiato in un angolo, privo di sensi e con l'armtura di pelle macchiata di sangue. "Jan! Maledizione, ti avevo ordinato di non seguirmi, stupido ragazzo." Esclamò Rikard, controllandogli il polso; era debole ma era ancora presente, doveva assolutamente portarlo via da lì prima che esplodessero le altre cariche. In quell'istante udì un ringhio animalesco alle sue spalle, una delle bestie era sopravvissuta, pur alquanto malconcia dall'esplosione nella caverna, Rikard si voltò per fronteggiarla, armato solo del suo pugnale di ferro, l'unica arma che gli era rimasta; lo fissò dritto negli occhi, col respiro pesante ed affaticato. "Se devo crepare, tanto vale morire col tuo sangue sulle mie mani, avanti, fatti sotto e ti caverò gli occhi. Che aspetti??". La creatura si bloccò a una certa distanza dal Capitano Nero e dal suo amico privo di sensi, iniziò a comportarsi in modo strano, annusando l'aria, ringhiando nella loro direzione e fendendo l'aria con gli artigli, ma non accennava ad avvicinarsi. Rikard la osservò perplesso ma capì che doveva approfittare di quel momento di incertezza del mostro per caricarsi Jan in spalla e uscire dalla caverna prima che fosse troppo tardi. Malgrado il peso dell'armatura e del suo attendente, riuscì a percorrere i pochi metri che lo separava dall'uscita, sfondò la porta con un calcio e uscì poco prima delle altre esplosioni, le cui onde d'urto sbalzarono violentemente i due sopravvissuti, facendoli atterrare sul selciato.

_______________

Dopo chissà quante ore, Rikard riprese i sensi, si ritrovò in un letto, in una delle stanze della locanda di RavenMoon. Le sue membra erano ancora intorpidite dal lungo sonno, doveva aver dormito parecchio, ricordava ben poco di ciò che era successo prima che perdesse i sensi, una grande esplosione e poi il buio completo. 
La stanza era illuminata dal fuoco scoppiettante del caminetto, alle sue spalle la finestra era spalancata, sul balcone sedeva Jan, sveglio e apparentemente incolume, gli dava le spalle ma doveva comunque essersi accorto del suo risveglio. "Finalmente ti sei svegliato, hai dormito per un giorno e mezzo, avevi decisamente bisogno di riposare." Il giovane scese dalla finestra e si avvicinò al letto del Capitano Nero, che potè osservarlo alla luce del focolare pur avendo lo sguardo ancora annebbiato; era illeso, sebbene giurasse di averlo visto ferito e agonizzante nella miniera, ora sembrava perfettamente in forma, eppure, sembrava cambiato, il suo sguardo sereno e il suo sorriso gioviale erano scomparsi, fissava Rikard con espressione severa, fredda e distaccata, come si potrebbe guardare un sasso sul sentiero, insignificante. Nella mano teneva il bracciale metallico dell'armatura Nera, con incastonata la pietra scarlatta, che emetteva un tenue bagliore. Rikard allungò una mano tremolante verso quell'oggetto da cui non si separava mai, da quando lo rinvenne, quasi per caso, era per lui una sorta di amuleto portafortuna. "Dammelo." ordinò con una voce affaticata al ragazzo, che a quell'ordine non rispose, fissando l'oggetto che teneva tra le mani come se fosse la prima volta che lo vedesse. "È grazie a questa pietra che sei sopravvissuto a tante avversità, che sei riuscito a rimanere incolume dopo cento battaglie, che hai sempre ottenuto ciò che desideravi, sì, alla fine tutto si basa sui desideri, ora lo comprendo appieno, avevo qualche dubbio ma... dovevo vederlo da vicino." Rikard non comprendeva quei discorsi e fissò il ragazzo con sguardo stralunato. "Jan che diavolo stai dicendo? Hai battuto la testa più forte di quanto pensassi evidentemente, aiutami ad alzarmi, dai... Devo..." Jan gli tese la mano e Rikard la afferrò per rimettersi in piedi, improvvisamente tutto il torpore e il dolore delle ferite svanirono, e la vista tornò lucida, si sentiva totalmente pieno di energie. Jan continuava a fissarlo con quello sguardo vuoto, attraverso due pupille un tempo verde chiaro, ora con una tonalità dorata. Porse al suo Capitano il suo bracciale. "Hai sofferto per molti anni, e ti sei comportato sempre in maniera nobile, hai messo a repentaglio la tua vita innumerevoli volte, mai per interesse personale, non potrei trovare un'anima più generosa della tua. Credo che posso affidarti questa pietra, ancora per un po'. Vestiti, abbiamo molto di cui parlare." Il giovane uscì dalla stanza, lasciando Rikard solo, con mille domande che vorticavano nella sua testa.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***



Rikard era ripiombato a sedere sul letto, ancora scosso da innumerevoli pensieri scaturiti dal breve dialogo con Jan, non riusciva a capire cosa fosse successo ma doveva costringersi a riprendere il controllo di sé. << Va bene, riflettiamo, sono rimasto svenuto per un giorno e mezzo, per prima cosa devo assolutamente riprendere il comando della guarnigione e fare il punto della situazione. La miniera è saltata ed è inaccessibile, almeno per qualche tempo le bestie non saranno fonte di preoccupazione. Devo urgentemente tornare alla Capitale e fare rapporto al Re e al Consiglio. Ma non riesco a togliermi dalla mente quello sguardo... Quello che avevo davanti non era Jan, per quanto ne avesse l'aspetto. Non era lui, ne sono sicuro, si muoveva diversamente, parlava diversamente, quello che ha detto poi... Totalmente assurdo. Devo parlarci ancora, devo assolutamente capire. >> Si diresse alla tinozza per rinfrescarsi, si tolse la tunica di seta che qualcuno gli aveva fatto indossare al posto della corazza, e sciolse le bende sul suo fianco, la pelle completamente intatta, poteva giurare di essere rimasto ferito dalle bestie nella miniera, eppure neanche una cicatrice. << È stato lui, quando mi ha toccato. Assurdo, inconcepibile, nessuna magia che io conosca sarebbe in grado di simili prodigi; non solo i danni fisici, sono completamente tornato nel pieno delle mie forze. Devo trovarlo e costringerlo a dirmi tutto ciò che sa. >> 

In un angolo era posata la sua corazza nera, danneggiata e macchiata del suo sangue, questo confermava i suoi pensieri, non si era certo sognato tutto. Optò per una divisa meno formale, una tunica grigia che non utilizzava quasi mai e un cinturone di pelle, ciò gli fece ricordare che anche la sua spada era andata perduta; fortunatamente aveva conservato il suo pugnale, a cui era molto legato, e la pietra scarlatta incastonata sul bracciale; decise di portarla con sé piuttosto che chiuderla nel baule, anche su quella avrebbe voluto sapere di più.

Uscito dalla stanza venne attirato dai rumori provenienti dal piano inferiore della locanda, adibito a taverna, riconobbe molte voci note, suoi sottoposti e soldati della guarnigione di RavenMoon, la consapevolezza di aver salvato molte vite in quella pericolosa missione, lo rinfrancò e per un attimo quel pensiero gli alleggerì il cuore; in un giorno normale si sarebbe unito ai festeggiamenti per un'altra missione portata a termine, ma sapeva che qualcosa stava per cambiare, lo sentiva.

Scese le scale di legno e accedette alla larga sala, piena di lunghi tavoli e panche, gremita di militari in armatura e in tuniche; notò subito un assembramento a un tavolo d'angolo, molti suoi Cavalieri Neri osservavano con estremo interesse qualcosa di evidentemente inusuale per loro. Si avvicinò e sbirciando dalle spalle dei soldati vide Jan, seduto al tavolo coperto da pezzi di legno grezzi, intagliare piccole statuine con un coltellino, le sue dita si muovevano rapide, abili e industriose, la lama del coltello sembrava carezzare la superficie del legno, rapidamente prendeva forme tutte diverse; sul tavolo notò dei soldatini in armatura e scudo, uno a cavallo di un destriero, una piccola torre, un re e una regina; Jan stava intagliando delle pedine da scacchiera, e molti si complimentarono per l'estrema cura per i dettagli. "Bravissimo Jan, non sapevamo che fossi così abile in questo genere di cose, Albert diceva che sapevi a malapena da che parte impugnare una spada!" Tutti risero alla irriverente battuta di uno dei Cavalieri, ma Rikard rimase in silenzio, e anche Jan che si limitò a guardare di sottecchi gli spettatori, mentre continuava a intagliare, sempre più rapidamente altre pedine, creando in poco tempo un set completo per una scacchiera che aveva intagliato il giorno precedente. Un piccolo colpo di tosse di Rikard, attirò l'attenzione del capannello di Cavalieri, che, girandosi, si congratularono con il loro Capitano per essersi rapidamente ripreso dalle ferite, mettendosi sull'attenti e salutandolo militarmente. "Va bene, va bene, vi ringrazio, ora tornate ai vostri posti, avrete sicuramente qualcosa da fare, altrimenti trovatevelo; riunione in cortile nel primo pomeriggio, poi, appena arriverà il cambio, probabilmente in serata, prepareremo il carro e domattina ripartiremo per la capitale. Congedati!" "Sì, Capitano Nero!" Gridarono all'unisono i Cavalieri, e in breve tempo la sala si svuotò quasi del tutto, rimasero alcuni soldati della cittadina, intenti a tracannare boccali di birra scura, e l'oste, intento a servirli.

_______________

Rikard si sedette al tavolo, osservando la maestria con cui Jan arricchiva di dettagli i suoi piccoli prodotti di artigianato, non alzava lo sguardo, totalmente concentrato nel suo lavoro, ma fu il primo a iniziare a parlare. "Sai giocare? Nell'attesa che ti risvegliassi ho pensato di tenermi impegnato, qui il tempo scorre troppo lentamente per i miei gusti." Jan prese la scacchiera da sotto il tavolo e posò con cura i pezzi su di essa. "Scommetto che preferisci il bianco al nero, a dispetto delle apparenze, visto che sei uno che ama fare sempre la prima mossa." Fissò negli occhi Rikard, per la prima volta dal dialogo nella stanza, con quegli enigmatici occhi color ambra, nella penombra della sala erano ancor più brillanti. Rikard era incapace di proferir verbo, così Jan proseguì: "Ho sentito i tuoi pensieri fin dal piano superiore, non sei impaurito, ma evidentemente nervoso, sei turbato ma anche incuriosito, non temi le cose che non conosci e che non riesci a comprendere, ma invece vuoi capire e ti poni giustamente delle domande a cui vuoi dare delle risposte. Il che, per me, è del tutto ragionevole, credo tu abbia il diritto di sapere qualche pezzo di verità. Chiedi pure, e cercherò di rispondere per quanto possibile."

La mano di Rikard, nervosamente, mosse una pedina, e Jan rispose con una banale e prevedibile contromossa. Poi, il primo finalmente prese la parola: "Dov'è Jan?" Una domanda apparentemente semplice che però celava interessi ben più profondi. Poi, scelse di compiere una mossa più azzardata, sulla scacchiera, alla quale Jan rispose immediatamente, con un'altra mossa piuttosto elementare; poi fece un semplice gesto, toccandosi il petto: "È qui, di fronte a te, e allo stesso tempo non è. Quel giovane non ti avrebbe abbandonato per nulla al mondo, è stato il suo intenso desiderio di rimanere al tuo fianco ad attirare la mia attenzione, ne ho approfittato poiché avevo bisogno di un modo per interagire in questo mondo, lui mi ha dato i mezzi, io gli ho salvato la vita. In questo momento riesce a vederti, seppur con gli occhi chiusi, ascolta le tue parole, ma non può risponderti, è felice di saperti sano e salvo, questo è quanto."

Quella risposta enormemente enigmatica innervosì ancor di più Rikard, che scelse una pedina esterna per tentare un accerchiamento. La partita per il momento volgeva in suo favore. "Se non sei Jan, con chi sto parlando in questo momento?" Avrebbe potuto chiedere semplicemente 'Chi sei?' ma per capire meglio chi avesse di fronte, doveva pesare bene le parole. L'altro fece una breve pausa per ripulire il tavolo dai trucioli di legno rimasti dal suo lavoro di intaglio, li versò nella sua mano, coprendola poi con l'altra. "Prima di tutto, posso dirti che non sono come te, tu creatura nata e vivente in questo momento, che un giorno morrai; io sono, effettivamente; e tuttavia non sono, poiché ciò che è eterno e immutabile, che esiste da sempre, non può definirsi come vivente. Ai tuoi occhi e alla tua mente posso apparire come un complesso enigma, per cui dovrai scoprirmi a poco a poco. Innanzitutto, posso dirti che non posso fare determinate cose, ma come vedi, ne so fare molte altre." Lentamente schiuse le mani e da esse uscì un piccolo topolino bianco che corse subito a rosicchiare una crosta di formaggio sul tavolo per poi correre via. Lo stupore per quel prodigio colpì Rikard come un pugno in pieno stomaco, tanto da non fargli comprendere appieno il senso di quelle parole ancor più sibilline. Jan mosse una pedina, avanzando notevolmente sulla scacchiera, un attacco inaspettato agli occhi di giocatore sufficientemente esperto come Rikard, il quale ci mise qualche secondo a trovare una contromossa efficace, a cui fece seguire un'altra domanda.

"Hai detto che volevi interagire in questo mondo, che intendevi dire? Qual è il tuo scopo, se così si può definire?" Jan replicò senza neanche guardare più la scacchiera, rispondendo in maniera sempre più rapida ed efficace alle mosse di Rikard. "Ho le mie ragioni per essere qui, ovviamente, ma per ora ti basti sapere che intendo solo osservare l'evolversi di certi eventi." Rikard iniziava a spazientirsi, stava discutendo con un mago folle sotto le sembianze di Jan: dovrebbe smascherarlo e metterlo agli arresti e torturarlo per ottenere le risposte che desiderava, ma erano successi troppi fatti inspiegabili e per il momento preferiva stare al suo gioco. Tuttavia.. Quegli occhi, dai riflessi dorati, che lo scrutavano incessantemente, mentre la mano di Jan volava veloce e fluida sulla scacchiera, lo turbavano, sembrava che scavassero sin nei più profondi recessi della sua anima, si sentiva imprigionato da quello sguardo, e, probabilmente per il nervosismo e la tensione, iniziò a perdere pedine su pedine; Jan rispondeva alle sue mosse immediatamente, non solo vanificando i suoi tentativi di offensiva, ma addirittura anticipando le sue decisioni.

"Non mi sembra che tu stia rispondendo adeguatamente alle mie domande, sebbene tu avessi detto di essere disposto a darmi delle risposte."
Jan sorrise leggermente; "Forse dovresti porre le domande giuste, allora."

Intanto la partita si faceva sempre più difficile, Rikard non era abituato a perdere, pur avendo fronteggiato giocatori ben più abili, non riusciva a capire quale strategia stesse usando il suo avversario, apparentemente muoveva le pedine a caso, ma ogni mossa era sempre più pericolosa per lui. Rikard iniziò a sfiorare la sua gemma rossa, come faceva ogni volta che era inquieto, ogni volta che desiderava che le cose andassero meglio. Questo gli diede lo spunto per la prossima domanda. "Poco fa hai parlato della mia gemma portafortuna, che intendevi dire con quella faccenda dei desideri? Cos'è realmente questa pietra? E come fai a conoscerla?" Stavolta la domanda era più importante delle altre, perché la mano di Jan, già a mezz'aria per muovere la prossima pedina, una tra le più pericolose della scacchiera, si arrestò e si posò nuovamente sul tavolo.
"Procediamo con ordine: innanzitutto quella gemma non è una pietra comune, ne esistono ormai pochissime in questo mondo, per vostra fortuna, e ciò è al tempo stesso anche una sventura, poiché da quando ne avete scoperto l'esistenza, non fate che massacrarvi a vicenda per il loro possesso. Pur non essendo un mago, sei a conoscenza di molti aspetti della magia e di molti segreti arcani, una conoscenza basata sul tuo odio per gli stregoni e per l'uso che fanno delle loro arti; ebbene sappi che pietre come la tua sono state la causa di guerre sanguinose e di atti orribili compiuti da uomini verso altri uomini. Dimmi, sei a conoscenza delle leggende sulla creazione del mondo? Immagino che la vostra religione abbia ideato storie alquanto convincenti su tale tema."

Rikard sbuffò brevemente: "Sì, è stato parte della mia educazione, imparare tutto sulla figura del Grande Padre e sui suoi misericordiosi atti compiuti nei confronti dei suoi fedeli: la creazione del cielo, la formazione delle montagne e delle pianure, circondate da calde acque piene di pesci, i suoi insegnamenti su come coltivare la terra e su come difendersi dal freddo invernale, ma tutto questo cosa c'entra?"
Jan lo fissò con il suo sguardo impassibile: "La creazione è un atto divino che richiede incommensurabili energie, ma nulla si crea dal nulla, come hai avuto modo di vedere poc'anzi. In precedenza, c'era un altro mondo, corrotto, devastato, distrutto. Quello in cui vivi è relativamente giovane, eppure... è già sottoposto a giudizio. E la colpa è proprio di queste pietre. Tuttavia la vostra sola colpa è quella di abusarne per interessi meschini, non sarebbero mai dovute cadere qui, no... è stato un errore. Un enorme e tragico errore." Per la prima volta, le mani di Jan iniziarono a tremare ed abbassò lo sguardo. Rikard, lentamente, mise insieme tutti i pezzi, stava cominciando a capire finalmente.

"Sei stato tu a salvarmi da morte certa, non è vero? Perché l'hai fatto?" Nel frattempo la partita stava volgendo alle fasi conclusive: Rikard era rimasto con pochissimi Difensori e il Maestro, Jan aveva ancora due Arcieri, tutti e due i Cavalieri e Difensori e aveva ormai circondato i Reali dell'avversario.

"Non è stato solo merito mio, quella pietra ha un potere oltre ogni immaginazione, può in parte influenzare il destino di chi la utilizza; tu, inconsciamente, avrai desiderato cambiare la tua vita, da quando l'hai rinvenuta, quasi per caso, ti sarai reso conto delle straordinarie fortune che ti sono occorse, tutto merito di questo oggetto; un oggetto troppo potente per appartenere a questo mondo. Tuttavia, il puro desiderio di vincere questa partita a scacchi contro di me, non è stato sufficiente, a dimostrazione del fatto che perfino un simile miracolo ha i suoi limiti, dovrai quindi tenere conto di ciò, qualora deciderai di continuare ad affidarti a quella gemma."

Rikard si slacciò il bracciale e lo lanciò sul tavolo, rovesciando le pedine rimaste in piedi. "Puoi anche riprendertela subito, tanto è per questa che sei giunto qui no? Ho sempre provato disgusto per magie e stregonerie, hai ragione, per colpa di queste forze soprannaturali ho perso tutto ciò che avevo di più caro! Non intendo averci più a che fare, e se dovrò pagare con la vita tale rinuncia, tanto meglio, meglio vivere con le sole proprie forze che affidarsi a simili aiuti esterni!"

Jan prese il bracciale e contemplò la gemma rossa, brillante come una brace ardente, poi porse l'oggetto al proprietario. "La pietra ti ha scelto, Rikard, non puoi disfartene così facilmente, tornerebbe da te in ogni caso, ma non dubitare, quando tutto sarà finito, saprò bene cosa farne. Lo definisci un oggetto malefico, eppure è solo uno strumento, come una spada, che può essere usata sia per ferire che per tenere a distanza un avversario, per attaccare e nuocere, o per difendere. La scelta che hai appena compiuto è la dimostrazione che posso fidarmi ciecamente di te."

Riluttante, il Capitano Nero si riappropriò del suo bracciale e lo fissò all'avambraccio destro dove era sempre stato. "Perchè io? Perchè avrebbe scelto me?" Jan sorrise, evidentemente era una domanda che attendeva da tempo. "Queste pietre sono immerse in un torpore che dura da centinaia di anni, proprio perché non appartengono a questo mondo. Tuttavia hanno iniziato a risvegliarsi, di recente, e ciò ha attirato delle... attenzioni. Come ho detto, molti uomini si sono contesi il controllo di queste gemme per egoismo ed avidità, ma sono le pietre a cercare i loro padroni, e questa, ha scelto te, tra le decine dei profughi di quel villaggio, si è fatta notare solo da te. Anche in quel frangente, ho assistito a tutto, ma ho preferito attendere l'evolversi degli eventi."

Rikard rimase silenzioso per un minuto, soppesando le sue ultime parole, si sentiva come un animale spiato da lontano da un predatore, o peggio. Era una sensazione mai provata prima. Poi riprese la parola: "Hai parlato di un giudizio, esattamente cosa minaccia questo mondo?" Jan chiuse gli occhi e sospirò brevemente: "Ecco, hai posto un'altra domanda di un certo peso. Come ti ho accennato poco fa, l'universo è un susseguirsi di creazioni e distruzioni. Prima di questo mondo ce n'era un altro, che venne giudicato irrecuperabile da Entità superiori ad esso. Inoltre, venne posto sotto giudizio anche il Creatore del mondo. Generalmente, è un procedimento, quello di nascita, distruzione e rinascita, che dura centinaia di migliaia di anni, nel caso di questo mondo, il Giudizio è iniziato dopo appena pochi millenni; quelle entità di cui ti ho parlato, chiamali Giudici se preferisci un termine a te noto, sono state attirate dalle orrende guerre causate da pietre come la tua, e anche dall'operato malevolo di alcune creature, che hanno iniziato ad abusare dei loro poteri per loro tornaconto, distorcendo le leggi naturali del mondo. Ad alcuni eventi, neppure io posso ormai porre rimedio, mentre per altre faccende, forse faremo ancora in tempo a rimediare." Jan volse lo sguardo verso il Capitano Nero, fissandolo con quei brillanti occhi d'ambra: "Rikard, è per questo che sono qui, devo chiedere il tuo aiuto per salvare il tuo mondo dalla fine prematura a cui sta andando incontro. La pietra che ti ha scelto è ancora pura, grazie alle tue azioni altruiste e alla tua rettitudine, capisco le tue ragioni, non ti obbligherò a usarla ulteriormente, se non lo desideri, ma sappi che arriverà il momento in cui sarà inevitabile. E ciò contribuirà a decidere il fato del mondo. Cosa decidi di fare?"

Rikard era rimasto muto e immobile ad ascoltare quel discorso: sebbene avesse trovato risposte ad alcune domande, molte altre erano nate nella sua mente, era confuso ma allo stesso tempo risoluto a capire cosa stesse accadendo al suo mondo, aveva sete di verità, e, per quanto assurdo, l'uomo che aveva di fronte era l'unico che poteva condurlo a tutte le risposte che cercava. Sempre senza dire una parola, si alzò dal tavolo e volse le spalle a Jan, rimase fermo un istante, infine parlò: "Una parte di me non vuole credere a una sola parola di ciò che mi hai detto, dovrei metterti agli arresti e farti confessare chi tu sia realmente. Ma un'altra parte di me ha istintivamente compreso Chi ho di fronte. E, detto francamente, fatico a credere di non ritenermi completamente impazzito. Esattamente, cosa dovremo fare?"

La voce di Jan cambiò tonalità, divenendo più autoritaria, era completamente cambiato. "Devo assolutamente rimediare ai miei errori, e a quelli compiuti da creature stolte e incaute. Errori che potrebbero decidere la sopravvivenza di tutte le specie di questo mondo. Per prima cosa dobbiamo rintracciare le altre pietre, ed evitare che qualcun altro abusi del loro potere, ho un solo problema a riguardo... Recentemente ho perso di vista due di esse, come se l'attuale possessore sia riuscito a nasconderle alla vista di chiunque, perfino alla mia. Potrebbero essercene altre nascoste e sopite, in questo momento, pronte a risvegliarsi in ogni istante, più aspettiamo, minori sono le possibilità di riuscita. Per prima cosa devi guidarmi alla tua grande città per indagare sulle pietre scomparse; dovremo partire stasera stessa." Rikard non rispose, si limitò a uscire dalla taverna, e Jan lo seguì.

_______________

Dopo un'ora, il cortile di RavenMoon era in fermento, soldati e Cavalieri Neri che facevano su e giù per i bastioni, nell'atto di organizzare i turni di guardia, altri preparavano il carro delle scorte per l'imminente viaggio di ritorno, e attorno ad esso si erano riuniti sottufficiali del contingente, sull'attenti di fronte al loro Capitano.
"Avete capito bene, dovrete fare ritorno alla Capitale senza di me, ho affari urgenti, troppo urgenti per attendere l'indomani, prendete il comando della squadra e fate un buon lavoro, mi fido di voi." Nessuno, neppure il più giovane ed inesperto tra i graduati, provò a discutere quell'insolito ordine, si congedarono e iniziarono a dividersi i compiti in perfetta efficienza. Rikard sorrise, riflettendo che lasciava l'Armata in buone mani. Incuriosito dal trambusto, il minatore con cui aveva parlato giorni addietro si avvicinò, con la faccia barbuta ancora sporca di polvere. "Vi siete appena ristabilito dalle fatiche e già non vedete l'ora di tornare in azione, eh? Ah, avrei voluto qualche uomo in più come voi ai miei tempi. Un vero peccato che la vostra indole vi conduca sui campi di battaglia, piuttosto che in più pacifici luoghi di lavoro. Ma... Evidentemente il Creatore ha preferito indicarvi un'altra via." Rikard rimase un attimo in silenzio, riflettendo sulle casuali parole di quell'uomo, voltandosi per osservare Jan che assicurava i bagagli a un muscoloso cavallo baio e saltando in sella con un gesto estremamente atletico; si perse un attimo nei suoi occhi d'ambra, illuminati dalle ultime luci del tramonto.
"Può darsi che abbiate ragione, vecchio mio, il Creatore ha sicuramente altri piani in serbo per me, per tutti noi. Vi auguro buona fortuna." 
E silenziosamente si diresse verso le stalle, per prendere il suo destriero, e iniziare un viaggio che cambierà per sempre la sua vita.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


<< È successo tutto così all'improvviso che non mi sono minimamente resa conto di cosa abbia fatto. Ero in quella cattedrale, ho visto le origini di quel frastuono che udivo da quella stanza in cui mi ero rinchiusa con quell'uomo misterioso, ne sono uscita quando i rumori sono cessati, ero in ansia, pensavo solo alla sua sicurezza, volevo... Dovevo vederlo. Lo trovai seduto su quello che rimaneva di una grossa panca di legno, notai appena il disordine in cui versava la cattedrale, sentii il cuore iniziare ad accelerare, lui si accorse di me e si alzò poco prima che mi lanciassi tra le sue braccia, e mi lasciai andare in un pianto liberatorio. Poi cosa successe? Non ricordo con esattezza, qualcosa catturò la mia attenzione ancor prima che mi girassi, e da quel momento, non mi sentii più me stessa, come se assistessi agli eventi al di fuori del mio corpo: vidi la testa del mostro scagliarsi verso me e Syd, alzai un braccio come per difenderci e una fiammata scaturì dal mio palmo, colpì la testa che andò in mille pezzi fiammeggianti. Poi, il buio. Devo aver perso i sensi, Sento delle voci indistinte, due paia di braccia che mi trasportano altrove, poi il nulla. >>

_______________

Il boato della deflagrazione riecheggiò per molti secondi, Alyss si accasciò tra le braccia di Syd, che la adagiò delicatamente sul pavimento. I suoi occhi erano colmi di stupore, aveva assistito a qualcosa che non vedeva da molti anni: magia del fuoco, estremamente potente e distruttiva, nonché totalmente controllata, i suoi trucchetti erano nulla rispetto a quanto aveva visto, una Fiammata Completa scaturita in un unico, immediato gesto. Lo sguardo passò dai brandelli semi carbonizzati della creatura al volto svenuto di Alyss. Il Diacono si inginocchiò accanto a lei, mise una mano sulla fronte, madida di sudore, osservò il suo respiro accelerato, e la fissò lungamente coi suoi occhi di diverso colore. "La sua mente è avvolta nel caos, non capisco, poco prima era in preda alla paura, ma non c'era un tale grado di confusione..."

Syd osservò la scena in silenzio, poi parlò, con voce calma: "Conrad, esattamente cosa vedi dentro di lei? In queste poche ore trascorse insieme a lei, ho sempre avvertito qualcosa di inusuale, ma non sono riuscito a comprendere le mie sensazioni. Ho creduto che fossero i deliri derivanti dalla ferita maledetta, ma ora che sono risorto e rigenerato, le sensazioni che non riesco a spiegare sono ancora più forti... Non capisco, o forse temo di capire." Conrad sollevò il viso per fissare l'amico negli occhi grigi: "È qualcosa che nemmeno io forse posso comprendere del tutto. Per ora cercherò di acquietare la sua anima..." il tono della sua voce si fece incerto a quelle parole, poi riprese: "Intanto che penso a cosa fare, portala nella mia stanza, adagiala sul divano. Ti raggiungo tra un minuto." Syd, che fino a quel momento, inconsciamente, teneva stretta una mano della giovane, la prese in braccio e si avviò verso il corridoio. Conrad, una volta rimasto solo, contemplò la devastazione della cattedrale, ma non ne fu più particolarmente inorridito. Cercò con lo sguardo, sul pavimento, uno dei brandelli di quella oscura creatura, lo fissò col suo occhio verde smeraldo, con un piccolo gesto della mano lo sollevò in aria, racchiudendolo in una piccola boccetta di vetro, che si infilò in tasca. Poi, a passo lento, si avviò verso il suo studio, dove Syd lo attendeva.

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<< Che strana sensazione, sento di avere gli occhi aperti, eppure non vedo nulla, neanche la più piccola ombra; forse sto ancora sognando. Il brusio di quelle due voci è appena percettibile, non riesco a distinguere suoni o parole, eppure mi sembrano familiari. Credo di essere distesa, eppure le mie gambe riescono a muoversi come se stessi camminando senza meta, sono così confusa... Mi sfioro il viso, come per controllare di non essere bendata, niente... Ancora non vedo nulla, provo a gridare ma dalla mia bocca non esce alcun suono, è una sensazione orribile e opprimente. Un lampo di luce, e tutto si fa giorno, come se fossi uscita da un oscuro tunnel; tuttavia non riesco a orizzontarmi in questa distesa bianca e vuota, sono sempre più disorientata, forse dovrei semplicemente sedermi e attendere che mi svegli. Mi accovaccio a terra appoggiando la fronte sulle braccia; dopo pochi istanti è calata la notte, o così sembra, visto che non c'è più quella luce accecante. Scopro di trovarmi davanti alle rovine di una alta torre in pietra, e in cielo, enorme e luminosa, brilla una argentea falce di luna. Intanto alle voci che ronzano nella mia testa si aggiunge una terza voce, più chiara... Mi sta chiamando.

"Alyss, sei qui finalmente, abbiamo molto di cui parlare." Attorno a me non c'è nessuno, eppure sento questa voce nella mia testa e risuona come se fosse vicina a me, una voce di donna, calma, serena. "Qui... dove? Dove sono? E tu chi sei? Mostrati, ti prego" La paura per questa strana situazione lascia per un attimo posto allo stupore: posso parlare! Decido di entrare in quella torre diroccata, il piano terra è formato da una piccola stanza illuminata da torce, al centro vi è un trono in pietra, vuoto. Senza pensarci decido di sedermi, e la voce torna a parlarmi. "È il tuo Mondo Interiore, dove tu puoi essere te stessa, o ciò che desideri essere, è un luogo che non esiste in nessun altro mondo, se non dentro di te. Ciò che vedi, è ciò che pensi, e ciò che pensi si tramuta in ciò che desideri vedere." Improvvisamente la voce è molto più vicina, è alle mie spalle! Mi giro e ciò che vedo davanti a me, mi lascia completamente stupefatta! L'origine della voce misteriosa, sono io! Anche se... a ben vedere non mi somiglia così tanto, abbiamo gli stessi occhi e gli stessi capelli, ma quelli della donna di fronte a me sono molto più lunghi, di un rosso più acceso, del colore del fuoco. La donna misteriosa fa il giro del trono di pietra e mi osserva dall'alto in basso, indossa un lungo abito di seta bianca, candido e brillante come una nuvola, posa le sue sottili mani candide sulle mie spalle e mi sorride, una piccola ruga si forma attorno ai suoi occhi verde acceso.

"Io... Non capisco cosa stia succedendo, tu chi sei? E come fai a conoscermi? Perché ci somigliamo così tanto...? Dimmi chi sei..." Sento la voce tremarmi dall'emozione, nella mia vita non avevo mai visto un'altra ragazza con la mia stessa carnagione, i miei stessi capelli rossi, mi sono sempre sentita un'estranea nel villaggio dove ho vissuto per molti anni. E ora, in questa specie di sogno, ecco davanti a me un'altra donna simile a me, fin troppo simile.

"Pazienta, mia cara ragazza, avrai la risposta a tutte le tue domande, e avrai molto di più, avrai conoscenza e verità, oltre ogni immaginazione. Mettiti comoda, ci vorrà un po', ma il vantaggio di vivere in questo luogo è che il tempo non scorre mai. Qui non sentirai mai la fame, la sete o la stanchezza, qui vivi come pura Essenza, e le fatiche terrene sono inesistenti." La donna dice il vero, da quando mi sono risvegliata in questo luogo non mi sono mai sentita così bene.

"Ora, veniamo a noi, o meglio, a te, Alyss; io ti conosco da quando sei nata, da ben diciannove anni sono insieme a te, anche se tu non te ne sei mai resa conto; ho udito i tuoi primi vagiti, visto i tuoi primi passi, salutato i tuoi primi sorrisi. E ho visto anche gli eventi recenti ovviamente. Il tuo incontro con Syd, e con l'Uomo Bianco della Capitale. Ascoltami bene, Alyss, per quanto possibile chiudi la tua mente a quell'uomo, non devi fidarti delle sue parole, poco fa ha provato a sondare la tua mente, ma sei troppo inesperta, per ora, e sono dovuta intervenire io per fermarlo prima che scoprisse troppo." A quel punto mi torna in mente uno degli ultimi istanti di coscienza nel mondo terreno, quella Fiammata scaturita dalla mia mano, dal nulla. E mi basta pronunciare poche parole, "Come ho fatto a...?", che la donna capisce subito a cosa mi riferisco, e riprende a parlare.

"A questo mondo, Alyss, esistono varie forme di magia, hai sentito parlare molte volte di maghi e stregoni di terre lontane, di come questa pratica arcana sia stata del tutto bandita nel regno dell'Est salvo rare eccezioni, che gli unici depositari della conoscenza mistica del Regno sono la Nobiltà, e il Clero. Gli alti gerarchi degli Uomini arrivarono alla conclusione che la Magia è una forza difficile da controllare, e per evitare altre catastrofi decisero di impedire la diffusione della conoscenza, segregando nuovi maghi via via che li scoprivano, o sfruttandoli per i propri fini."

Ascolto la donna con vivo interesse, la sua voce calma è quasi ipnotica e tutto ciò che dice si fissa fermamente nella mia memoria, ma alla parola catastrofe, il mio cuore sobbalza, poiché sospetto a cosa si riferisce.

"Intende dire... l'Alba Rossa, vero?" Cerco di farmi coraggio, ricordando le storie che i prelati della chiesupola del villaggio hanno narrato nelle loro prediche; il volto della donna si incupisce, come se ciò che ho detto l'avesse in qualche modo ferita. Leva una mano e mi carezza la fronte, improvvisamente nella mia testa risuonano centinaia di urla, sento un calore rovente avvolgermi, mi sento quasi bruciare e lancio un urlo di terrore, scostando di scatto la sua mano. "Cos'era? Cosa diavolo era quel calore infernale? Oh, per un attimo ho temuto di..." 

"Di bruciare viva?" Mi interrompe. "Sì, Alyss, ti ho trasmesso una semplice immagine mentale di cosa è realmente successo quel giorno. Un potere inimmaginabile sprigionato in un istante, che ha cancellato un'intera città, e ha messo in ginocchio il Regno dell'Ovest, ponendo fine, anche se momentaneamente, a una lunga guerra tra gli uomini. Ma ahimè, la lezione a quanto pare è stata presto dimenticata, poiché, proprio in questo momento, si stanno facendo preparativi per un'ennesima guerra scellerata e assurda, e chi ne farà le spese saranno sempre e solo coloro che desiderano vivere in pace. Ma finché il sentimento d'odio e d'avidità vivrà nell'animo degli Uomini, queste barbarie non avranno fine."

"Come sai che ci sarà un'altra guerra? E cosa si può fare per impedirla, ammesso che ciò sia possibile?" Il suo sguardo si fa triste e la risposta lo è ancor di più "Purtroppo è inevitabile, non si può cambiare il decorso delle scelte degli stolti uomini. Né è questo il motivo per cui ora siamo qui. Il mio compito è pensare alla tua educazione, poiché è il tempo che tu sappia quali sono le tue reali origini. Vieni, saliamo di sopra." E porgendomi la mano, mi invita a salire le scale della torre. Incuriosita dalle sue precedenti parole, provo a sperimentare ciò che posso fare in questo... Mondo Interiore: osservo il suo abito, e provo a immaginarlo; improvvisamente, i miei abiti campagnoli spariscono e uno bianco senza maniche, scollato, con un orlo ornato finemente, appare al loro posto. Sorrido alla mia maestra, anche se mi sembra strano definirla così, non so nemmeno se esista realmente o sia un'altra mia fantasia... Dopotutto, ancora non ha detto nulla di sé.

Uscendo dalla sala del trono, arriviamo a una tromba di scale a spirale che sale verso la sommità della torre. L'aria aperta ci scompiglia i lunghi capelli vermigli, lei volge lo sguardo verso l'orizzonte, con aria malinconica, io osservo i dintorni che sono cambiati totalmente, ora posso scorgere verdi foreste in una direzione, catene montuose in un'altra, un litorale con una lunghissima spiaggia, e una brulla prateria. Lei si gira poi verso di me. "Riconosci ora il nostro mondo? Il mondo in cui vivi, dove vivevo anche io, un tempo? Da qui, da questa posizione elevata, puoi scorgere i regni dell'Est, e Ovest e... Le montagne del Nord, un regno senza più regnanti ormai. Il Regno della Luna di Fuoco." La sua voce trema al pronunciare quelle parole e ciò mi rende ancora più confusa e inquieta, ma non la interrompo. "Il tuo potere, è originario di quel Paese. Grazie al dono della Dea Luna, hai a disposizione una delle magie più grandi del mondo, il Fuoco della creazione e della distruzione. Una fiamma non è usata solo per bruciare, può anche scaldare, lenire le ferite, se usata nel modo giusto." E posandomi nuovamente la mano sulla fronte, mi trasmette un piacevole tepore, a differenza del calore tremendo e doloroso di poco prima; la mia mente si rilassa, i miei muscoli si distendono, mi sento più in forze di prima; in questo luogo percepire lo scorrere del tempo è quasi impossibile, non ho idea di quante ore siano trascorse dal mio arrivo alla torre, ma il cielo si scurisce dopo il tramonto, e rapidamente scende la notte; esercito la mia nuova arte, accendendo piccoli falò sulla cima della torre, apprendo così a utilizzare questo nuovo, incredibile potere a poco a poco, facendolo mio. Sento scorrere questo nuovo calore nelle mie membra, nelle mie vene, come un fiume caldo, portatore di vita, ma anche di morte.

"Molto bene, ragazza mia, impari alla perfezione a controllarti, questo è essenziale per un corretto utilizzo della magia, devi sempre ricordarti che le emozioni destabilizzano la tua mente, e i pensieri confusi, messi in disordine dai sentimenti, rendono molto più difficile controllarsi. E ti ho già mostrato cosa può fare una magia priva di controllo." Conscia dei rischi che potrei correre, proprio nel cuore del Clero, se perdessi il controllo, mi sforzo di reprimere i miei poteri, spegnendo totalmente il fuoco che brucia nella mia anima, riducendolo a una minuscola candela quasi impercettibile; improvvisamente, mi ricordo di chi mi aspetta al risveglio, quel misterioso Diacono e... Syd! Mi sono completamente dimenticata di lui, assorta da queste nuove scoperte, mi torna improvvisamente alla mente il suo viso, le sue gesta, le sue peculiari capacità... Il cuore sobbalza nel petto al ricordo del nostro viaggio e... E i falò accesi sulla torre intensificano le loro fiamme, iniziando a incendiare i drappi delle bandiere; mi sforzo di contenere il fuoco ma con scarsi risultati, la mia maestra interviene e soffoca totalmente l'incendio con un solo sguardo. "Vi... chiedo perdono, mi sono distratta.". Lei mi sfiora il viso amorevolmente. "Non importa, comprendo la ragione di quella distrazione; ma devo ricordarti i pericoli che corri con una mente inquinata da emozioni intense." Chino il capo in segno d'assenso, e timidamente chiedo: "Avete fatto il nome di Syd poco fa, quindi sapete tutto di lui, dico bene?". Sento la sua mano irrigidirsi sulla mia guancia. "Sì, so quanto basta per ribadirti di tenere la mente sgombra da futili e pericolosi pensieri." La sua risposta mi sembra evasiva, tuttavia preferisco non insistere.

Il mattino seguente noto di aver fatto notevoli progressi nel controllo delle intense energie che scorrono in me, e la mia maestra si congratula sorridendo: "Perfetto, ragazza mia, hai appreso come nascondere la magia ad occhi indiscreti, e a lasciarla prorompere in situazioni di emergenza, e ora, arriviamo alla questione più importante: distinguere queste situazioni. Ti ho già accennato al fatto che gli Uomini stanno cercando altri maghi potenti per prevalere l'uno sull'altro in sciocche guerre, che un altro enorme conflitto tra i Regni sta per scoppiare e che c'è poco che si può fare per evitarlo; la lunga pratica a cui ti ho sottoposto è necessaria prima di tutto per proteggerti, poco fa, inconsciamente, hai risvegliato la tua magia innata per difendere Syd, tuttavia quel gesto è stato avventato, e sono dovuta intervenire per portarti in questo luogo nella tua anima e avvisarti delle conseguenze di simili azioni; ti ho anche avvisata di non fidarti dell'Uomo in bianco, quel membro della casta clericale è più infido di quanto si possa ritenere, detiene un potere che può rivaleggiare con il nostro e al momento non sei pronta per affrontarlo se dovesse usare la forza per soggiogarti". Seduta sul terreno erboso di fronte la torre, ascolto i saggi consigli della mia maestra, ha sollevato una questione importante ora che ci penso. "Una volta che riprenderò i sensi, sicuramente mi faranno mille domande, mi tratteranno... diversamente! Cosa farò?" La donna sospira brevemente: "Per il momento fingi di non ricordare nulla di quanto accaduto, tieni nascosto il tuo potere, vedremo cosa accadrà in seguito. E non preoccuparti, io farò quanto possibile per consigliarti."

Ci abbracciamo a lungo, le narici mi si riempiono del profumo dei suoi capelli, avverto il suo calore, così simile al mio, ora. "Ancora una domanda... Chi sei realmente?" E lei, tenendomi le mani, mi sorride: "Sono ciò che sono stata in passato, e tu sei ciò che sarei potuta essere, abbiamo molte più cose in comune di quanto tu possa immaginare, Alyss. Ora vai, ritorna alla vita." La risposta è quanto di più evasivo si possa immaginare, non faccio in tempo a rifletterci su che avverto una sensazione strana, tutto si fa buio attorno a me, rapidamente spariscono le montagne, le colline, i boschi, la torre, il cielo e il terreno sotto i miei piedi, chiudo gli occhi e... Sento due voci, ben note, che parlano tra loro. >>

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Conrad chiuse dietro di sé la porta della stanza e cercò con lo sguardo i suoi due ospiti, trovò Alyss distesa sul divano in fondo alla stanza e Syd accovacciato davanti a lei a osservarla pensieroso; si era procurato una delle sue mantelle grigie per coprirsi. Senza aprir bocca, il Diacono si accomodò alla sua scrivania, chiudendo in un cassetto la boccetta di vetro sfilata dalla tasca. Fu Syd il primo a spezzare il silenzio: "Ancora non ha ripreso conoscenza, ma sembra più tranquilla di prima, per un attimo mi è sembrato che la sua pelle scottasse, ma non noto altri segni di malanni di mia conoscenza." Conrad non alzò lo sguardo, impegnato a riordinare le carte sul tavolo: "Mi pare logico, deve aver subito un forte shock; hai visto anche tu cosa è riuscita a fare, diamine! Una vera e potente magia, senza alcun tipo di addestramento, un vero prodigio." E aggiunse con un tono di voce più basso: "E per di più in un luogo sacro, grazie al Creatore senza testimoni o mi sarebbe stato arduo spiegare la situazione ai miei superiori..." 

Syd gli lanciò un'occhiataccia, il suo cinismo talvolta lo disgustava, ma la sua mente era in preda alla confusione: nella sua lunga esistenza aveva conosciuto solo poche persone che potessero manipolare il fuoco magico a quel modo, e tre di loro erano sulle sue tracce da fin troppi anni, ma non solo; un'altra di quelle persone, era la più potente, tuttavia... non era più di questo mondo. Syd le controllò la fronte, la temperatura gli sembrava normale ora, anche il respiro era più calmo. "Che ne sarà di lei ora? Finirà come gli altri stregoni?" Conrad sospirò e si appoggiò allo schienale della poltrona: "Il suo è indubbiamente un caso peculiare, amico mio. Anche se decidessi di denunciarla come eretica, nessuna prigione, temo, potrebbe contenerla, non in questa città per lo meno. Ciononostante, se non facessi nulla, in breve tempo la scoprirebbero lo stesso. Mi ha detto che sta cercando una persona in città; non appena si sveglierà accompagnala, e poi fa in modo che non resti a lungo qui. Anche perché abbiamo problemi ben più urgenti temo." Conrad sventolò in mano i fogli coi rapporti delle sue spie, i quali lo informavano dei piani di guerra del Regno dell'Ovest. "I Nobili hanno tergiversato fin troppo con le loro manovre diplomatiche e ora ci ritroviamo con un coltello puntato alla gola, per l'ennesima volta. Eliminare alcuni tra i membri della fazione garantista della Corte permetterà al Vescovo di costringere Re Georg a iniziare le manovre militari, e stavolta avremo una parte molto più importante rispetto al passato; Nobili e Chierici che combatteranno gli infedeli fianco a fianco!" Syd ascoltava quello sproloquio con scarso interesse, ha sempre considerato stupide le ragioni per cui i mortali si facevano continuamente la guerra tra loro, ma lui, con tutto il sangue che aveva fatto scorrere, non poteva certo reputarsi migliore.

La discussione venne nuovamente interrotta da pesanti colpi al portone d'ingresso della cattedrale. "Maledizione, riceviamo troppe visite inopportune oggi, e i miei confratelli saranno scappati per tutto quel trambusto; vado ad aprire, tu resta pure con la fanciulla." Disse sogghignando il Diacono, che, uscito dall'ufficio corse a tirare il chiavistello del portone, la luce del tramonto gli illuminò gli occhi che, visto il volto del visitatore, si spalancarono dalla sorpresa. "Tu...!" Riuscì a pronunciare, accogliendo la figura avvolta in un ampio mantello bianco con il simbolo di un sole d'oro sulla schiena.

Nel frattempo, nella stanza del Diacono, le membra di Alyss iniziarono lentamente a muoversi, le palpebre si schiusero, Syd fu la prima cosa su cui i suoi occhi si posarono.

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