You're here, there's nothing I fear

di Stellacalimon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Two souls toward the truth ***
Capitolo 3: *** No signs, no lights ***
Capitolo 4: *** Love doesn't ask why ***
Capitolo 5: *** Hit and Run ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Vedo la stessa scena ogni notte. Ogni volta che chiudo gli occhi, mi appaiono i volti sorridenti dei miei amici, della mia famiglia, e poi... poi rivedo gli avvenimenti che distrussero tutto in così poco tempo... in maniera così crudele 
 
Yuu rimase con gli occhi fissi sulla pagina ingiallita, scritta nemmeno per metà. L'inchiostro era ormai sbiadito e la grafia era un disastro, come al solito: quella di un giovane incasinato come era stato lui, al tempo dei suoi vent'anni, quando ancora non si era ripreso da... 
Serrò gli occhi, soppresse le lacrime. 
Le vocine allegre dei suoi nipoti gli riempirono il cuore di gioia e tristezza allo stesso tempo. Le mani di sua moglie sulle sue spalle gli fecero salire un groppo in gola. 
Alzò una mano a carezzare il dorso di entrambe, con dolcezza, mentre sotto le palpebre compariva un altro volto, chiaro, giovane e sorridente. Il volto di...
"Mika...
La piccola risata che si produsse lo fece riavere velocemente. Riaprì gli occhi e quel viso tanto amato scomparve. 
Al suo posto, quando si volse completamente, trovò quello di sua moglie. 
"Non sono Mika" sottolineò la donna, non perdendo il sorriso. Yuu sospirò, e le strinse le spalle. Era vecchio, ormai. Lo erano entrambi e ne avevano passate tante. Troppe volte si era destato nel cuore della notte gridando il nome del suo amore perduto tanto tempo prima, e lei ci aveva semplicemente fatto l'abitudine. D'altro canto, non era che a Yuu piacesse, tutta quella situazione, non era come se volesse che tutto quello continuasse. 
"Shinoa..." sussurrò, con gli occhi bassi ed il cuore stretto. Avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma la lingua rimase immobile nella bocca arida. 
"Non è importante. Lo sai" tentò la donna, ma Yuu scosse la testa e voltò le spalle. 
Shinoa era la sua compagna. Lo era stata per tanto tempo. Lo aveva accolto quando, reduce dalla tragedia del naufragio che aveva distrutto la sua vita e quella di altre innumerevoli persone, era rimasto per la seconda volta solo al mondo. 
Lo aveva preso a casa sua, come un gatto vagabondo e senza un posto dove stare, era rimasta anche quando tutti gli altri sarebbero scappati, lo aveva ascoltato e lo aveva appoggiato, cercando di colmare il grosso vuoto nel suo animo. La loro era sempre stata una relazione strana, basata sul bisogno e sulla paura di essere abbandonati e, anche dopo tutti quegli anni, benché Yuu potesse affermare con sicurezza di volere molto bene a quella donna, non era certo di amarla.
Osservò di nuovo il viso di Shinoa e le mani callose che aveva lui. Ne era passato di tempo... 
Eppure, se solo ci pensava, poteva ancora sentire l'odore della salsedine e il rumore delle onde sulla chiglia di quella nave enorme, a quanto si diceva all'epoca inaffondabile. 
Se solo si concentrava, poteva udire le voci degli amici parlare allegramente...
Ricordò di aver pensato a quello come un anno fortunato, pieno d'avventura. Il solo fatto di aver come meta l'America, per un povero ragazzo come lui era abbastanza. Non gli importava di cosa avrebbe trovato, una volta giunto in  suolo straniero, perché, in ogni caso, non si era lasciato nulla alle spalle. Era stato tutto merito della sua abilità nelle zuffe: con tre pugni ben assestati aveva messo k.o. quella specie di palo della luce che aveva scommesso sulla sua sconfitta i biglietti del viaggio, suo e della sua ragazza. 
L'idiota era stato troppo certo di se stesso e non aveva calcolato le sue abilità.
 
Il momento in cui, quel giorno lontano, Yuu si rese conto di star finalmente  attraversando l'oceano e di essere riuscito ad imbarcarsi sulla nave più famosa e grande di tutti i tempi, fu lo stesso in cui scorse il paio d'occhi cerulei più bello di sempre. 
Una ragazza, poco lontano da lui, guardava i flutti con una malinconia che gli fece dolere il cuore. Strizzò gli occhi, cercando di allievare il disagio e la morsa alla gola che gli impediva quasi di respirare. 
Era vestita di un candido abito di merletto spruzzato d'azzurro e sembrava davvero un angelo.
Yuu deglutì e dischiuse le labbra, mentre il suo udito pareva aver smesso di funzionare. Era per quello che non riusciva più ad avvertire il rumore dell'oceano o il verso dei gabbiani... giusto? Era per quello che il suo battito cardiaco riecheggiava così forte nelle sue orecchie... vero? 
I due occhi azzurri che non riusciva a smettere di fissare erano tersi, grandi, e Yuu si stupì di quanto fossero riusciti ad attrarlo. 
Tuttavia, quando la proprietaria di quei due zaffiri voltò il viso nella sua direzione, il ragazzo si sentì morire. 
La ragazza era senz'altro incantevole, con i biondi capelli che si agitavano al vento, risplendendo come oro puro ai raggi del sole morente. I suoi tratti delicati erano chiari e Yuu dedusse che la sua nazionalità fosse straniera. Forse proveniva dalle lontane terre del nord, pensò con un sorriso involontario; probabilmente era una dell'alta società, una davvero troppo fuori dalla sua portata, considerando l'abito dai ricchi intarsi che le fasciava il corpo snello e slanciato. 
Yuu non poté evitare di arrossire quando si accorse che lei se ne stava ancora intenta ad osservarlo. Distolse lo sguardo, imprecando tra i denti. Che orribile impressione doveva aver fatto alla giovane! Non si sarebbe stupito se avesse cominciato a pensare a lui come ad un maniaco. 
"Ah, che idiota!" si lamentò, guardando in tutte le direzioni, tranne che in quella della ragazza. Yuu senti il viso andare a fuoco quando si accorse che  gli occhi della giovane erano ancora fissi su di lui, ma non poté che sentirsi perso quando avvertì quelle due gemme cerulee abbandonarlo e la sagoma della ragazza allontanarsi, per poi  scomparire poco dopo in una delle grandi sale da pranzo di quella che doveva essere certamente la prima classe.  
 
Non si sarebbe di certo aspettato di rivederla. 
Quantomeno non tanto presto. 
Invece, quando decise di farsi una passeggiata sul ponte per sbirciare le stelle, quella sera, la ritrovo' vicino al parapetto, con le mani sottili strette alla balconata, con le spalle chine ed i capelli in disordine. Yuu non poteva vedere il suo volto, ma aveva la netta impressione che qualcosa non andasse. Come guidato da una forza invisibile, fece un passo avanti, e poi ancora un altro. Un altro ancora, proprio mentre lei si sporgeva pericolosamente dalla prora della nave.
I suoi occhi si spalancarono quando, senza una cognizione dei propri movimenti, protese le mani e strinse le braccia attorno alla vita della giovane. Costei si irrigidì immediatamente, rivoltandosi velocemente nella presa, come una biscia, lasciandolo stupito della sua velocità.  
Gli occhi con cui lo guardò erano acquosi e disperati. 
"Stai piangendo" constatò Yuu, pensando a quanto tutto quello fosse sbagliato. Quel dolore, quella tristezza, non avrebbero dovuto arrossare e far crucciare quel viso, il tremore della disperazione non avrebbe dovuto scuotere in un tal modo quelle piccole mani delicate. 
Yuu avverti una grande angoscia nello stomaco e si sforzò di respirare, mentre la ragazza aveva preso a stringergli le spalle con talmente tanta foga da fargli penetrare le unghie nella carne. 
"Lasciami subito" sibilò fredda, divenendo pallida tutt'un tratto, e indurendo lo sguardo. Fiamme scottanti si agitavano in quegli abissi color ciano, pieni di sfumature alla luce delle stelle che fino a poco prima Yuu stava osservando. 
"No" rispose semplicemente, rafforzando la presa, premendo i loro corpi assieme, beandosi di quel calore che lo aveva investito, a dispetto del vento ghiacciato della sera tarda. Quel corpo era esile, minuto e lei era così piccola tra le sue braccia, che Yuu avrebbe potuto stringerla per tutta la vita, proteggendola da qualsiasi cosa l'avesse tanto sconvolta. Era una bella sensazione, trovare qualcuno che necessitasse di lui, una sensazione che Yuu non provava da davvero troppo tempo. 
Quando la ragazza smise di dimenarsi, quando i suoi occhi ritornarono placidi e il suo respiro rallentò, Yuu avverti le sue mani scendere, giù lungo le spalle lentamente, fino a staccarsi da lui. 
"Fa così male..." sussurrò, raggiungendosi il petto con le dita, chinando il viso, nascondendolo agli occhi di Yuu, che rimase immobile come una statua. La osservò scuotere il viso più volte e la sentì mormorare frasi sconnesse, senza senso. 
"Cosa potevo pretendere, per una figlia adottiva come me?"
Solo dopo un tempo che parve infinito, la giovane tirò su lo sguardo. 
"Vorrei tanto sapere cosa vedono gli altri quando mi guardano"
Yuu stette zitto. Non era di certo quello il momento di aprire bocca, quando non aveva saputo fare nulla di meglio che balbettare frasi scontate per tutto il tempo. Non le avrebbe detto ciò che aveva visto quando lui l'aveva guardata, né le avrebbe confessato del fatto che vederla lo avesse fatto ringraziare di essere vivo, di non essersi lasciato andare molto tempo prima, quando tutta la sua famiglia era stata uccisa senza pietà da alcuni banditi.
"Non posso tornare là dentro..." disse ancora la ragazza, tra i denti, volgendo solo per un istante il viso alle finestre illuminate del grande ristorante da cui era uscita, fuggita "...vorrei non rivedere più tutti quegli sporchi succhiasangue. Se avessi saputo a cosa sarei andata incontro nel venire presa da gente come loro, sarei di certo rimasta all'orfanotrofio, insieme agli amici con cui sono cresciuta!"
Yuu indurì lo sguardo e la scosse lievemente, giusto per farla smettere di agitarsi e di parlare. 
"Qualunque sia la ragione della tua infelicità, ciò non rende meno grave il fatto che hai cercato di ucciderti" 
Si meravigliò di quanto la sua voce suonò fredda. Il rimorso gli fece accartocciare le budella. Non avrebbe dovuto essere così duro. La ragazza sembrava esser passata attraverso molte avversità, a discapito dei begli abiti ricchi. 
"Noi due siamo simili" affermò Yuu, ora in maniera più pacata. Sapeva anche troppo bene cosa volesse dire essere soli, ritrovarsi in situazioni difficili e non avere nessuno che offrisse la propria mano per aiutare. 
Gli occhi della ragazza si fermarono sul suo viso per tutto il silenzio che seguì le parole appena pronunciate, ed i loro volti erano talmente vicini che... i loro nasi quasi si sfioravano, e lui poteva avvertire i capelli biondi e soffici di lei sfiorargli le guance, sospinti dal vento che soffiava fortemente. 
"Sono Yuu"
Malgrado tutto, Yuu avvertì la ragazza sorridere lievemente. 
"Mikaela" sussurrò al suo orecchio, come se quello fosse stato il segreto più geloso che avesse. Yuu non poté trattenere le sue labbra, che si distesero a formare un grande sorriso. 
"Un po' troppo lungo" commentò, non preoccupandosi di sembrare villano e sentendosi davvero troppo contento per essere riuscito a dare un nome al volto che lo perseguitava dalla prima volta in cui si era accorto di quella ragazza.
"Ti chiamerò Mika, d'ora in poi" decise, e lei annuì, con gli occhi lontani e le mani nuovamente sulle sue spalle. 
Yuu non seppe quanto tempo trascorse prima che qualcosa accadesse. Il vento che spirava da nord era aspro e gli faceva lacrimare gli occhi, ma in compenso la presenza di Mika era la cosa più calda e confortevole che avesse avuto in tanto tempo, tempo in cui si era rassegnato al fatto di essere da solo, inutile, senza scopo.
"Sono d'accordo, ma ad una condizione" disse Mika, con un sorriso giocoso, estremamente contrastante con il lucore dei suoi occhi, ancora umidi
Yuu sbuffò una debole protesta, palesemente fittizia. Mika notò come i suoi occhi fossero in realtà ridenti, pieni di speranza.
"Non hai intenzione di dirmi qual è questa condizione, vero?"
Mika diede vita ad una piccola risata, ma tornò immediatamente seria. 
"Io ti chiamerò Yuu-chan"
Le guance di Yuu divennero di un bel color magenta e lui esalò qualche lamentela. 
"Questi suffissi sono roba da bambini, Mika"
"Noi non possiamo definirci adulti, Yuu-chan"
Yuu scosse la testa, chiudendo gli occhi, sembrando davvero stanco. Mika non poté non sentirsi in colpa per questo. Se si fosse buttata dal parapetto una manciata di minuti prima, nessuno l'avrebbe fermata, Yuu-chan sarebbe tornato al coperto e quando la sua famiglia adottiva si fosse accorta della sua assenza, Mika non avrebbe già più dovuto preoccuparsi di loro: l'acqua gelida avrebbe seppellito ogni cosa, insieme alla sua disperazione, insieme alle mani invadenti del promesso sposo che terze persone avevano scelto per lei, insieme agli ordini di sua madre, che la considerava una mera pedina. L'uomo che avrebbe dovuto sposarla non avrebbe più potuto prenderla con la forza di notte, quando si appropriava del suo corpo come fosse quello di una bambola  senz'anima, a dispetto di quanto lottasse, di quanto gridasse.  Nessuno era mai parso in grado di avvertire il rumore della ceramica in frantumi, probabilmente a nessuno era mai importato. Nessuno aveva mai avanzato domande sui graffi che il nobile promesso sposo portava addosso e che sbucavano dal colletto della camicia, rossi e profondi. 
Quando tornò a guardare gli occhi del ragazzo che aveva di fronte, che la stringeva dolcemente, come fosse stata la cosa più importante del mondo, Mika comprese che a dare senso alla sua vita, ci sarebbero stati, d'ora in avanti, i suoi occhi di smeraldo. 
 
Lo sguardo di Yuu vacillò. Avrebbe voluto chiederle molte cose, soprattutto il perché fosse giunta alla decisione tanto drastica di farla finita, ma non ebbe tempo. Dei passi alle sue spalle lo fecero trasalire e gli occhi brucianti di Mika puntati in un punto indefinito dietro di lui, lo portarono a volgersi completamente. 
Una figura alta si stava avvicinando, avvolta nel buio: un uomo dai lunghi capelli argentati raccolti in una coda fluente ed il passo a malapena udibile, felpato come quello di un felino.
Gli occhi dell'uomo erano rossi e squadravano entrambi con un intensità incredibile, tanto da far correre alcuni brividi lungo la schiena di Yuu. 
"Ah, dunque era qui che ti trovavi, Mikaela" disse, in un tono di voce musicato, quasi irreale. Yuu gettò sguardo oltre la propria spalla destra, solo per accorgersi di quanto l'espressione di Mika si fosse tramutata. 
Benché il suo sguardo ostentasse indifferenza, il ragazzo poteva scorgere qualcosa di molto più profondo affiorare da quelle due pozze d'oceano.
I passi dell'uomo si approssimarono e, prima che potesse rendersene conto, giunse a fronteggiarlo. Lo sguardo con cui studiava Mika non gli piaceva per niente e non si premurò di salutare, come invece avrebbe dovuto, visto il suo rango. 
All'uomo, comunque, non parve importare.
"Mikaela, mia cara, il tuo futuro sposo aspetta delle spiegazioni" fece ancora, con quella sua voce odiosa.
Probabilmente il disgusto che Yuu stava provando era percepibile, perché l'uomo lo osservò per alcuni attimi come fosse stato un insetto insignificante, degno solo di essere schiacciato. Fu proprio in quel momento che una piccola mano gli si pose sul petto e lo sospinse indietro con una forza inaspettata. In un batter di ciglia, Mika fu davanti a lui, con i capelli biondi sconvolti ed il vestito gonfiato dal vento, la pelle d'oca sulle braccia nude.
"Non vuoi presentarmi il tuo amico?" ridacchiò l'uomo, incrociando le braccia e sogghignando malevolo, sembrando davvero stupito dalle azioni della ragazza.
"L'ho conosciuto questa sera, mi ha aiutata con...uhm, un problema" spiegò Mika, tentando di nascondere la sua maldisposizione verso il nobile, suonando distaccata, fredda come il ghiaccio. 
Yuu si domandò come riuscisse a cambiare in quel modo facciata. 
Come poteva qualcuno essere la persona più solare e dolce dell'universo un momento prima e, appena qualche attimo dopo, trasformarsi in qualcosa di così diverso? 
Fissò a lungo la mano di lei, ancora ferma sul suo petto, ancora tesa. 
"E di che problema si è trattato, di grazia? Sembravate piuttosto intimi" 
Il nobile indurì lo sguardo e, nonostante il sorriso non avesse ancora abbandonato il suo volto, negli occhi ardeva qualcosa di molto simile alla collera più nera. 
Yuu cercò di pensare a qualcosa per quietare la situazione. Vedeva le spalle di Mika tendersi e quasi tremare, dunque le sfiorò solo per un attimo, nel buio, in una carezza dolce. 
"Veramente l'ho soccorsa quando si è sporta troppo dalla prora della nave" buttò fuori, ostentando la sua migliore faccia da bronzo "l'ho afferrata stretta e... Insomma, le ho evitato una brutta caduta" fece spallucce, come se nulla fosse, oltrepassando Mika, attirando tutta l'attenzione (e la collera) dell'uomo su di lui. Avrebbe potuto beccarsi anche qualche pugno, non gli importava. 
Il nobile non disse niente eccetto un "capisco" a malapena sussurrato e Yuu non poté trattenere un sorrisetto di scherno, infilando le mani nelle tasche e sporgendosi verso l'altro, mentre anche altre persone sopraggiungevano.
"Insomma, anche se ho tratto in salvo la sua dama non c'è motivo di ringraziarmi o di dimostrare gratitudine" fece ancora, quando fu certo che tutti fossero abbastanza vicini da udire le sue parole.
Gli occhi di Mika lo abbandonarono proprio in quell'istante, e Yuu avvertì una strana sensazione sconvolgergli lo stomaco. 
Colpa? 
Paura di averla ferita? 
Non lo sapeva. 
Non lo sapeva, né riusciva a comprendere come, in un lasso di tempo tanto esiguo, avesse potuto legarsi tanto a quella ragazza appena conosciuta, né il motivo per cui i suoi occhi di zaffiro continuassero a perforargli la mente e scaldargli il cuore.

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Capitolo 2
*** Two souls toward the truth ***


Il ponte era freddo, pensò Mika, fissando lo sguardo al di là della folla radunata lì attorno, sull'acqua increspata dell'oceano, illuminata dalla luce della luna e degli astri siderei. 
La voce di Yuu-chan rimbombava ancora nelle sue orecchie, benché lui avesse terminato il suo discorso da tempo.  
La verità era che quelle parole l'avevano colpita più di quanto fosse disposta ad ammettere e, onestamente, Mika si chiese da quando avesse deciso di riaprire il suo animo al mondo esterno, dopo tutti quegli anni di ostinato ritiro. 
 
Ciò che la indusse a riportare lo sguardo sulla scena che le si stava svolgendo di fronte, furono le due mani che le adagiarono sulle spalle un soprabito bianco. 
Ferid le sorrise dall'alto, e le incorniciò il viso con una mano, per poi dirigere la propria  attenzione di nuovo sul giovane moro. 
"Ti ripagherò del disturbo, se è questo che intendi" disse, dando vita ad un sorriso amabile "non preoccuparti, il mio denaro rimpinguerà l' inconveniente; d'altronde, sono a conoscenza di quanto Mikaela possa essere cocciuta, a volte"
Mika non si prese il disturbo di dire nulla. Si limitò solamente a scostare il volto e distogliere lo sguardo, come se non le fosse importato niente. Di nulla. 
"È abbastanza" sussurrò, tuttavia, duramente, alla maniera di un soldato in guerra "dai tregua al ragazzo" 
La sua voce si alzò sempre di più e divenne tagliente. 
"Mi ha salvato la vita, dopotutto. Se mi ami davvero qualcosa dovrà pur importarti"
Ci fu qualche attimo di silenzio in cui tutto parve essersi pietrificato, come nelle fiabe di Andersen che la direttrice leggeva ai bambini dell'orfanotrofio in cui era vissuta felicemente per lungo tempo, sognando un avvenire migliore. 
Per un attimo, un solo attimo, le venne da ridere. Il cuore fece male, al pensiero di come fosse andata la sua vita, e la vicinanza di Ferid -la sua mano che cercava il suo braccio ed i suoi occhi penetranti che squadravano il suo viso- non faceva altro che peggiorare la situazione. 
Mikaela dovette smettere di respirare per un attimo, al fine di non cedere ai conati.
A dire il vero, non sapeva proprio se fosse colpa di Ferid o della dannata nave in movimento, ma dato che la prima opzione era quella più semplice da apporre ad ogni quesito riguardante i suoi malesseri, decise di evitare tutto l'iter di ragionamento, almeno per una volta. 
Oltrepassò l'uomo, ignorando i suoi gesti, e giunse con passo deciso di fronte a Yuu-chan, anch'egli voltosi verso di lei. 
Il suo viso era disteso ed i suoi occhi placidi: non vi era alcun segno di turbamento in lui, e Mika se ne scoprì stranamente sollevata. Gli angoli della sua bocca si sollevarono repentinamente all'insù, senza che se ne rendesse propriamente conto. 
Fu una bella sensazione, la stessa che aveva provato quando, a poca distanza dalla prora -e dalla morte- aveva ascoltato quel ragazzo parlare, la stessa che le aveva scaldato l'animo mentre veniva stretta dolcemente tra le sue braccia. 
Anche in quel momento presente, quando Mika studiò gli occhi del bruno, scorse solo bontà. Bontà e tanta forza; talmente tanta energia da saltare nello spazio e prendere la luna, portarla sulla terra, ad illuminare quelle orribili tenebre. 
Le loro dita si intersecarono nel buio, solo per un secondo, un momento di stupidità, incoscienza e convinzione di poter ancora essere liberi. Un attimo che si esaurì subito, quando sopraggiunse il ridente Ferid. 
Mika ringraziò la sua fortuna: l'uomo non pareva aver visto nulla e quello era il massimo in cui aveva creduto di poter sperare.
"Dunque" iniziò il nobile, schiarendosi la voce, facendo drizzare tutti gli astanti,  neanche fossero state marionette "come ho anticipato già prima, per ringraziare il nostro baldo  messere, darò a questo garzone una ricompensa degna dei suoi servigi~" canticchiò, avvicinandosi ancora, in modo da porsi tra i due ragazzi e separarli.
 
Yuu non poteva negare di sentirsi parecchio in soggezione. Non solo aveva avuto un inaspettato momento di intimità -seppur latente, seppur effimero- con Mikaela, ma ora quello strano tipo del suo promesso sposo era di nuovo lì a studiarlo e il posto della mano che aveva sfiorato, fino a poco prima, era ora occupato dal vuoto. L'uomo si era praticamente interposto, scostando malamente la giovane bionda, e costei non era riuscita a trattenere una imprecazione ben poco signorile ma comunque scusabile.
Yuu scosse la testa, mentre il nobile aveva preso a parlare senza freni, come un principe del foro, su qualcosa come la sua ricchezza e la sua generosità, materializzando nel contempo in una delle mani qualche banconota da chissà dove. 
Il ragazzo si morse un labbro e sospirò.
Quella non era di certo la ricompensa che avrebbe desiderato.
Quello che avrebbe voluto era... Era... 
I suoi occhi vagarono sperduti per qualche attimo, eludendo la presenza ingombrante e troppo vicina del nobile, correndo fino ad un paio di scarpette color ciano che sbucavano da un vestito di merletto bianco, salendo lungo le gambe, fino a giungere ai fianchi, ben fasciati dall'abito, e poi al seno, alle spalle, sulle quali si strusciavano mossi capelli biondi ribelli. 
Mika...
Perché stava provando tutto quello per una pazza, sconosciuta, aspirante suicida? Perché, se solo pensava al gesto che stava per compiere, la testa gli girava  e gli occhi pungevano?  
---
Mika aveva assistito alla scena con orrore crescente: le movenze di Ferid, la sua mano che materializzava come per magia un paio di venti dollari per poi porlo al ragazzo, occhieggiandolo con sufficienza, dall'alto in basso. 
"Ecco qua, mia dolce Mikaela. Adesso sei contenta?" 
Tutto quello era davvero vergognoso. Ferid era vergognoso; tutti quei nobili lo erano, e nulla di quello che facevano era frutto della bontà d'animo, come invece loro assicuravano. 
Il cuore di Mika si strinse. Yuu-chan non si muoveva ed i suoi occhi indugiavano sulle dita del nobile, come se non sapesse che fare. Probabilmente accettare quei soldi per lui era più penoso di quanto sembrasse, e Ferid sembrò capirlo, perché la sua espressione divenne compiaciuta. 
"Andiamo, sono sicuro che la tua famiglia ti festeggerà come un eroe, quando farai ritorno da loro"  incitò, stimolando risatine da ogni dove e facendo crucciare il giovane moro. 
Mikaela si dette della stupida: avrebbe dovuto aspettarsi un comportamento del genere da uno come Ferid; d'altronde, lo sbandierare in faccia i suoi soldi era il modo preferito di divertirsi, per lui. 
Strinse i pugni e si avvicinò, cercando di restare composta come le maestre di portamento le avevano insegnato, ma -al diavolo la leggiadria- calcando il passo come un ufficiale di brigata pronto ad assaltare un reggimento nemico. 
Sul serio, ne aveva abbastanza. 
"Davvero?" proruppe, sollevando più di un gemito stupito da parte degli astanti, tutti signorotti fermamente legati all'etichetta silenziosa che avrebbe dovuto ostentare una buona dama di corte.
Mikaela si godette appieno l'espressione contrariata di Ferid e quella piacevolmente sorpresa di Yuu, marciando tra i due, volgendo le spalle al nobile e porgendo tutta la propria attenzione al ragazzo bruno. 
"Ascolta, Yuu-chan" iniziò, con fare complice, concedendogli un tenero sorriso "perché non ti unisci a noi, domani a cena?" un lampo furbo le illuminò lo sguardo azzurro "tanto sono certa che il mio promesso sposo concordi con me, dato che sei stato così gentile nei miei confronti"
La ragazza non si volse nemmeno per cercare consenso. Non era da lei, ed inoltre, era più che certa del fatto che Ferid non avrebbe trovato il coraggio di opporsi a quella apparentemente futile richiesta. Non quando tutti quei nobili esponenti della classe borghese erano intenti ad osservare tutte le mosse che sarebbero state compiute, non quando l'opinione pubblica sarebbe stata pronta a giudicarlo. 
Come previsto, l'uomo agitò con nochalance una mano e sorrise falsamente, come a decretare la banalità dell'argomento. 
"Al contrario, ritengo che questa sia una splendida idea!" esclamò, stridulo, accostandosi a Yuu ed annuendo con davvero troppa enfasi, portando il ragazzo a scostarsi di un po'. 
Fu in quel preciso istante che Mikaela gli prese un polso, come a richiamare la sua attenzione, attendendo che gli occhi di lui la raggiungessero. 
Quando ciò accadde, la ragazza vide adagio l'espressione del giovane mutare, da stupita divenire dolce e poi assorta, mentre le labbra si distendevano a formare un bel sorriso. 
"Va bene, ci sarò senz'altro"  
 
Quando Yuu fece ritorno nella sua cabina, poco più tardi, quasi rischiò di finire con l'urtare un'altro passeggero nel corridoio. 
Era tutta colpa di Mika e dei suoi occhi azzurri, che non volevano proprio saperne, di lasciarlo in pace. 
Aprì velocemente la porta, entrò nella camera deserta, e si gettò esausto nella sua cuccetta, premendo il viso nel cuscino fino a farsi mancare l'aria. 
Quella era stata sul serio la giornata più incredibile della sua vita, ed il sorriso non voleva andare via. La mascella doleva e lui non poteva far altro che pensare a lei
Le sue mani corsero a stringere la coperta ed i suoi occhi si chiusero, solo per dare la possibilità al suo cervello di visualizzare di nuovo il viso della giovane. 
Mikaela...
Anche il suo nome era angelico. 
Yuu si chiese come sarebbe stato affondare le dita in quei fili mossi e dorati. Parevano morbidissimi ed erano assai profumati. Yuu aveva avuto l'occasione di appurare quest'ultima caratteristica quando aveva agganciato i loro corpi insieme. Le guance divennero impossibilmente bollenti e lui imprecò, cambiando posizione e stendendosi sulla schiena. 
"Per la miseria, devi calmarti, se vuoi arrivare a domani" si disse, con le mani tra i capelli scuri e gli occhi fissi da qualche parte sul soffitto, di nuovo aperti, di nuovo vigili. 
I pensieri vorticavano così velocemente che a malapena riuscì a trattenersi dal saltare in piedi per l'eccitazione.
"Mika, non vedo l'ora che sia domani" disse alla stanza vuota, in un attimo di esaltazione ancor più prorompente. 
Dio, il cuore batteva all'impazzata.
Si morse le labbra e si impose di essere ragionevole: in fondo, non c'era motivo di agitarsi tanto.
Che scemo, che era. 
Quella alla quale era stato invitato sarebbe stata nient'altro che una cena di cortesia, eppure l'emozione che provava non gli permetteva neppure di restare un minuto di più nella posizione supina in cui si era trovato fino ad allora. 
Con un lamento strozzato, si tirò in piedi e gettò un'occhiata veloce al piccolo specchio attaccato alla parete asettica della stanza, uno dei suoi pochi ornamenti. 
Con un sospiro, si dette una ravviata ai capelli, e poi uscì di nuovo, con una strana sensazione nel petto. 
Si cercò nelle tasche, ma l'unica cosa che riuscì a recuperare furono pochi spiccioli. Dannazione. 
Alzò lo sguardo verde al soffitto, poggiando le spalle al muro, sentendosi tutto d'un tratto troppo stanco, tanto esausto da non accorgersi nemmeno di una mano alquanto invadente che lo afferrò per il colletto della camicia. 
Benché incredulo di quello che stava accadendo, Yuu si preparò mentalmente a tirare qualche pugno: sarebbe passato senz'altro all'azione, se solo non avesse notato il viso famigliare del tipo che lo aveva aggredito.
Non poté fare altro che buttar fuori uno sbuffo infastidito, allontanando assai poco gentilmente la mano del suo mentore, che ancora non lasciava la presa.
"Ma sei idiota? Che ti salta in mente, certe volte?" esclamò, urtato, mentre l'uomo -un giovane di più o meno venticinque anni- gli lanciava una smorfia orribile, per poi cominciare a sbraitargli contro a sua volta. 
Che scemo. Neanche fosse suo padre. 
"Ti ho aspettato insieme a quegli altri mocciosi dei tuoi amici per un'intera giornata, sul ponte superiore. E tu dove diavolo eri? Il tuo cervello è peggiorato così tanto da non segnalarti più neanche gli avvenimenti del giorno?" 
Il ragazzo più giovane si prese il viso con entrambe le mani, dipingendosi sulla faccia un'espressione tediata.
"Quanto rompi, stupido Guren" si lamentò, ritornando alla realtà in poco meno di due secondi netti, scendendo dalla sua nuvola di contentezza e preparandosi a fronteggiarlo nuovamente. 
Guren aveva avuto un passato non facile: era stato un lavoratore nella fattoria di suo padre e si era molto legato a lui, presenziando ad ogni evento importante della sua famiglia. Per quel giovane, all'apparenza tutto rimproveri ed anaffettività, il padre di Yuu era stato un genitore, una spalla a cui appoggiarsi quando nessun'altro lo aveva accolto nei momenti di bisogno.
Yuu sorrise al pensiero di quanto lui e Guren si somigliassero. 
Ricordava bene il momento in cui l'uomo lo aveva preso con sé, dopo l'uccisione dei suoi familiari, e di come lo avesse spinto ad andare avanti.
In effetti, era proprio grazie a Guren che Yuu era uscito da quella storia più forte e saldo. Lui lo aveva incoraggiato e sostenuto sempre, nonostante, in un primo tempo, Yuu non avesse avuto altro scopo che la rivalsa. 
'Anche se vendicare i tuoi familiari è l'unica ragione per respirare ancora, tieni duro e continua a vivere: prima o poi troverai qualcuno che avrà nuovamente bisogno di te' gli aveva detto, in un giorno lontano, quando aveva appena dodici anni, e, in quel momento, Yuu si rese conto di quanto le sue parole fossero state fondate. Alla fine, aveva trovato davvero una persona che necessitasse la sua presenza ed era una sensazione paradisiaca. 
Yuu deglutì rumorosamente, con testa e cuore permei di emozioni fortissime. Finalmente aveva uno scopo, qualcuno da aiutare, qualcuno a cui dedicare ogni primo pensiero la mattina e ogni ultimo la sera, qualcuno da stringere tra le braccia ed amare incondizionatamente. Qualcuno da cui essere amato...
Qualcuno da cui cancellare la disperazione... 
Una manata in faccia lo fece riavere velocemente, e la prima cosa che vide dopo l'impatto furono gli urtati occhi viola di Guren, che lo squadrava dall'alto. 
"Uh. Dannato te. Hai la forza di un gorilla!" si lamentò Yuu, alzando una mano ed iniziando a massaggiare il punto leso, già arrossatosi, strizzando infastidito le palpebre, ma cercando comunque una spiegazione plausibile all'assenza di quel giorno.
"Ho avuto un..." com'era che lo aveva chiamato Mika? Ah. Sì. "... Un problema"
Guren inarcò un sopracciglio e Yuu comprese che quell'accenno non sarebbe stato sufficiente: a quanto pareva l'idiota lì presente pretendeva che gli raccontasse tutta la storia. 
"Oggi, ho salvato la vita ad una persona, quindi..."
"Chi, tu? Ma non farmi ridere. Tu non sapresti sopravvivere nemmeno da solo una settimana, scemo" 
Yuu non poté evitare di imbronciarsi teatralmente e Guren non poté non scoppiare a ridere. 
"Non sto scherzando, buffone!"
"A me pare proprio di sì"
"Comunque, fa come ti pare. Potevi semplicemente evitare di chiedermelo e saremmo rimasti tutti contenti, senza le tue scenate. Ad ogni modo" continuò, sorpassandolo e volgendogli le spalle. 
"...Dove sono gli altri?"
"A cena, credo. Se siamo fortunati la prima classe avrà avanzato qualcosa"
Yuu tentò di tenere il cuore a freno, mentre le parole di Guren lo colpivano più di quanto si fosse aspettato. 
La prima classe, Uh? Con i suoi pavimenti splendidi ed i grandi lampadari cristallini, le tavole imbandite ed oro dappertutto... E poi Mika. Di nuovo Mika, sempre Mika, ovunque nei suoi pensieri.
Yuu si chiese cosa avrebbe indossato l'indomani: le sue braccia sarebbero state ugualmente scoperte? I suoi capelli avrebbero brillato in eugual maniera? 
"Beh, sei diventato anche sordo, adesso?"
La voce lontana di Guren lo fece ripiombare nuovamente nel mondo reale, e solo in quel momento si rese conto che l'altro doveva averlo agguantato nuovamente per il collo della camicia ed iniziato a trascinare fino alla sala pasti, blaterando qualcosa sul fatto che, a quanto sembrava, era talmente stupido da non rammentare nemmeno la direzione della mensa. 
 
A Mika era sempre piaciuto guardare l'oceano. Le infondeva quel senso magnifico di rilassatezza che le ricordava la sua infanzia passata insieme ai genitori naturali, prima che si sbarazzassero di lei.
Si tirò a sedere, nel letto morbido e allungò una mano ad accendere la luce. Sbirciò in direzione della porta della cabina e sospirò sollevata quando si accorse che non c'era nessuno ad attendere il suo risveglio, accanto allo stipite. 
Quindi Ferid aveva deciso di darle tregua, almeno quella volta... giusto?
Rimase immobile per lunghi attimi, che parvero ore, con gli occhi persi al di là della finestra che dava sull'oceano. 
Le onde erano illuminate di argento e le stelle punteggiavano il cielo come mille piccoli diamanti. 
Si alzò lentamente e prese la vestaglia, adagiata ai piedi del letto, per poi gettarsela sulle spalle. 
La suite era quieta ed il fuoco ardeva ancora nel camino di marmo, poco più in là. Passandovi davanti nella via per il bagno, Mika non poté far altro che incontrare il suo riflesso sul grande specchio che lo sovrastava. 
Si arrestò bruscamente e rimase ad osservare il suo viso, come se non si vedesse da secoli. 
Allungò un paio di dita solo per attorcigliarle lungo uno dei corti boccoli biondi. 
I suoi capelli erano stati sempre un disastro impossibile da sistemare, che aveva indotto anche le domestiche a dare forfait.
Mika sorrise. Fissò intensamente le fiamme, e, senza pensare, si strinse le braccia addosso, ricalcando la stretta con cui Yuu-chan le aveva impedito di gettarsi dal ponte. 
Non poté non rimanere crucciata e delusa quando si accorse di non riuscire a suscitare in se stessa le identiche sensazioni che le avevano fatto vibrare l'animo, appena qualche ora prima. Il rossore colorò le sue guance e lei si sentì incredibilmente in imbarazzo.
Stupida... 
Come aveva potuto anche solo credere che la sua presa attorno alla vita avrebbe potuto donarle le medesime percezioni provate sulla prora, quando era stato Yuu-chan a stringerla? 
Adagio, con una smorfia infastidita, abbandonò le braccia lungo i fianchi e sospirò, grattandosi distrattamente la nuca, scapigliandosi ancora di più.
Si sedette dinnanzi al fuoco, a terra, con le gambe incrociate, dimenticandosi della ragione per cui era sgusciata fuori dal letto. 
Protese le mani verso le fiamme e chiuse di nuovo le palpebre, tentando di rilassare le spalle. Passò una mano sul viso e portò le ginocchia a contatto con il petto. 
Cercò di non pensare al tempo che passava, al tragitto che diminuiva, alle catene del suo fato che si stringevano sempre di più, avviluppandosi attorno alla sua coscienza, soffocandola. 
Scosse la testa, nascose il viso, perché non era semplicemente un fatto da poter ignorare, almeno non per lei. 
Mano a mano che la nave avanzava, tagliando l'acqua, infrangendo le onde, la meta si faceva più vicina ed i vincoli più dolorosi da sopportare; che le piacesse o meno, quando fosse scesa da lì, quando avesse messo piede su quel pezzo di mondo ignoto che per lei era l'America, sarebbe definitivamente stata schiava, prigioniera di un torturatore.  
A meno che... 
Due occhi verdi affiorarono dal buio della sua mente assonnata, dissipando il grigiore della sua esistenza. 
Il petto divenne piacevolmente caldo e il battito accelerò. 
Sorrise. 
L'indomani lo avrebbe rivisto; avrebbe potuto rincontrare Yuu-chan... 
Sperò che il sole sorgesse presto, sperò che Yuu-chan non tardasse ad arrivare... 
Si sdraiò sul morbido tappeto di pelle di cervo su cui era seduta -un regalo di Ferid- e, senza che nemmeno vi badasse, mentre ancora il viso del ragazzo le sommergeva i pensieri, si addormentò.
 
Yuu-chan... Vieni da me... 
 

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Capitolo 3
*** No signs, no lights ***


 
Philadelphia, 4 agosto 1997
 
Yuu chiuse gli occhi, sospirando. Posò la testa sul morbido cuscino bianco e tentò di tenere a freno il mal di testa.
Evitò di proposito lo specchio, poco più in là, appeso alla bianca parete fresca. 
Lì, nel suo arioso studio, avrebbe atteso fino a che il sole non avesse raggiunto la sua massima altezza, e poi si sarebbe alzato dalla poltrona su cui sedeva, perché il calore estivo gli avrebbe raggiunto le ginocchia, e lui odiava avere caldo alle gambe.
Avrebbe chiuso le tende, come sempre, avrebbe sorriso a sua moglie e sarebbe andato avanti, finché avesse avuto aria nei polmoni, e poi... 
Si tirò in piedi, rialzando lo sguardo e cercando... cercando qualcosa... 
Si avvicinò allo scrittoio di legno di quercia, sorridendo al pensiero di essersi chiuso la porta alle spalle, di essere sfuggito alle voci ed alle risate dei suoi nipotini, che erano affettuosi, ma che lo sfiancavano. 
Si sedette allo scranno e gettò un'occhiataccia veloce allo schermo del nuovissimo computer che suo figlio gli aveva regalato per Natale, e che se ne stava poco più in là, tronfio ed ingombrante.
Non importava quanto si impegnasse: non sarebbe mai riuscito a comprendere il funzionamento di quell'aggeggio demoniaco. 
Aveva sempre scritto e disegnato a mano, nella sua vita... 
Le sue dita corsero in automatico alla sua cartellina azzurra, e quando l'aprì, il sorriso di Mika gli scaldò l'anima, la dolcezza dei suoi occhi lo fece ridacchiare, i suoi capelli, mossi dal vento, lo fecero sognare... credere, per un solo attimo, di essere ancora con lei. 
La sua mano non era peggiorata: i suoi disegni erano sempre precisi, sempre minuziosi; Yuu non ricordava come avesse fatto ad imparare: era qualcosa di innato in lui, qualcosa che gli era venuto spontaneo come innamorarsi di Mika. 
Tutti i suoi disegni la raffiguravano, tutti quei disegni erano una impeccabile riproduzione dei ricordi che aveva di lei. 
L'aveva rappresentata mentre gli parlava, mentre rideva, mentre guardava l'oceano.
L'aveva rappresentata perfino con l'acqua alla vita ed i capelli in disordine, le guance accaldate per via della corsa, il vestito bagnato, gli occhi che lo cercavano. 
Yuu-chan...
Talvolta gli sembrava ancora di udire la sua voce. Era bella e limpida, come una campanella, e tutto ciò che Yuu avrebbe voluto era ritornare ad ascoltarla. 
Yuu-chan!
Si volse solo per un attimo, in direzione della finestra.
Sbirciò attraverso i vetri lucidi, che la governante non scordava mai di pulire. 
Era solo il vento.
Solo il vento.
"Stai proprio diventando pazzo, vecchio mio" fece a se stesso, mentre tornava ad osservare i disegni. 
Se solo avesse fissato la pagina per un po' avrebbe potuto avvertire l'aria fresca sul viso e tra i capelli, e le mani di Mika sulle sue guance. 
Se solo si fosse chiuso in un luogo silenzioso, avrebbe potuto udire di nuovo i gabbiani. 
Le sue dita salirono spontanee al collo e strinsero un piccolo ciondolo, un pendente che non aveva mai tolto in vita sua. 
Quell'oggetto era tutto. Era stato di Mika, ed era la cosa a cui teneva di più: una piccola piuma dorata. 
Yuu la tenne a lungo sul suo palmo ruvido -davvero troppo grande in confronto a come era stato all'epoca dei suoi beneamati sedici anni- e rimase, per altrettanto tempo, ad occhieggiare la piccola gemma azzurra che scintillava al suo centro.
Mi manchi, Mika, vorrei che tu fossi qui... vorrei stringerti tra le braccia per tutta la vita, Mika...
Mika, Mika, Mika... 
 
Yuu non era più andato al mare; non dopo il disastro, non dopo che le turbe psichiche gli avevano devastato l'esistenza per gli anni che avevano seguito quell'avvenimento e che erano andate affievolendosi solo in quegli ultimi anni. 
Solamente nell'ultimo periodo erano cessati gli incubi sull'oceano, sull'acqua gelida che gli faceva dolere il corpo come se fosse stato trafitto da centinaia di coltelli, sulla mano di Mika che era tesa verso di lui, ma che non riusciva mai a raggiungere, sulle lacrime che stillavano dai suoi occhi azzurri, mentre la nave stava affondando, con loro al suo interno; mentre lei gli diceva di andare, scappare. 
Tuttavia, faceva sogni ugualmente traumatizzanti. E forse peggiori.
Mikaela che gli era di fronte, di spalle, che non si voltava quando chiamava il suo nome. Mikaela che iniziava a camminare lontano, via, affondando nelle tenebre, nell'ombra, nell'acqua salmastra, nonostante lui le urlasse a squarciagola di fermarsi, che quella era la direzione sbagliata...
Oh, Dio.
E poi, tutto finiva lì: Yuu si svegliava, gridando il suo nome, con gli occhi spalancati, pieni di tutte le lacrime non versate ed una mano tesa ad afferrare qualcosa che non c'era più da tanto tempo. 
 
Titanic, sabato 13 aprile 1912
 
Quella mattina, Mika venne destata da due occhi cremisi che la scrutavano, e dalla conseguente sensazione di pizzicorio su fronte e guance. 
Sebbene con molta fatica, aprì gli occhi con un mugolio, e ciò che vide, la lasciò vagamente turbata.
Ferid se ne stava comodamente seduto in una delle tre poltrone che originariamente si trovavano dinnanzi al camino, ma che lui aveva rivoltato in modo da rivolgerla verso il letto. 
Il suo letto. 
Oh, Buon Dio.
Il nobile teneva una mano a sorreggersi il viso ed un sorriso ben poco rassicurante sulla faccia. 
Mika si tirò a sedere il più velocemente possibile, gridando interiormente. 
Che diavolo ci faceva lì quel maniaco? E perché la fissava in quel modo?
Cielo, non credeva di volerlo davvero sapere.
Si passò una mano sulla fronte, e tentò di fare mente locale riguardo a ciò che doveva essere accaduto quella notte, perché -accidenti- lei non ricordava proprio di essersi addormentata a letto. 
L'ultima cosa che ricordava erano le fiamme ardenti del focolare, il tepore della vestaglia e... 
Serrò le palpebre e tentò di nascondere il viso, mentre avvertiva le guance ardere. 
Anche allora, il pensiero degli occhi di Yuu le faceva effetto. 
"Finalmente, Mikaela. Ho atteso il tuo risveglio per un bel po'"
Mika inghiottì appena in tempo una rispostaccia, e non poté non imprecare tra sé e sé quando avvertì il lieve scricchiolio della poltrona ed il rumore di passi che si avvicinavano. 
Non poté non distogliere lo sguardo quando il nobile si sedette sulla sponda del suo letto, iniziando a lisciare con aria composta il copriletto di raso blu all'altezza delle sue ginocchia.
Nonostante lo conoscesse già da qualche anno, Mika non si era ancora abituata all'eccentricità di quel personaggio: era uno di quegli individui che indossava perennemente un'espressione fittizia, un mare di pensieri dietro un sorriso vuoto. 
"Beh, sembri a disagio, mia cara..."
La ragazza scosse il capo, con una mano tra i capelli, e la mente vagante per lidi lontani. 
"Ti sbagli. Mi stavo solo chiedendo..." 
Si interruppe, per poi alzare gli occhi e fronteggiare direttamente il nobile.
"Io non ricordo di essere venuta a letto..."
Ferid ridacchiò, e quella fu una delle poche volte in cui il divertimento si dimostrò evidente in lui. 
Mika lasciò che una delle sue mani salisse al proprio viso, che le sfiorasse la guancia con alcuni delicati buffetti. 
Non che le facesse piacere ricevere tutte quelle attenzioni da lui, ma almeno non era stata coinvolta ancora in uno dei suoi giochetti piccanti. 
Qualche carezza avrebbe anche potuto sopportarla... forse.
Probabilmente. 
"Ma certo che non ricordi!" spiegò Ferid, amabilmente "Quando sono entrato qui, questa mattina, ti ho trovata sdraiata sul tappeto" 
Strinse gli occhi, in piena concertazione, mentre tentava di pettinarle la chioma con una mano, abbassando un ciuffo particolarmente arduo da domare e che si ergeva sulla sua testa a mo' di antenna.
"Per favore, Mikaela, smetti di comportarti come una proletaria..." sibilò con disprezzo, soffermandosi e calcando con attenzione sull'ultima parola, come se si fosse trattato di una bestemmia. 
Mika non poté sopportare la piega disgustata che aveva deformato la bocca dell'uomo, e quindi si schiarì la voce, scostandosi da lui, fuggendo dalle sue mani. 
"Ti dispiacerebbe uscire? Devo cambiarmi" chiese, con più asprezza di quanto avesse desiderato. 
Comunque, anche se sapeva bene di aver sbagliato, non avrebbe dato la soddisfazione all'uomo di vederla vacillare. Ormai il danno era fatto, e non restava che attendere le conseguenze. 
Forse Ferid si sarebbe oltraggiato, probabilmente avrebbe gridato, come al suo solito. Beh, lei non aveva tempo, per tutte quelle scempiaggini, non davvero. Non quando la cena con Yuu era così vicina. 
Tutto ciò che Mikaela chiedeva era che si sbrigasse a fare il pazzo e che levasse le tende il più presto possibile. 
Tuttavia, già dai primi attimi che seguirono, Mika comprese che quel giorno il nobile avrebbe cambiato il suo gioco, che non avrebbe assecondato il suo piano. Che avrebbe continuato ad alimentare i suoi incubi anche da sveglia. 
Il silenzio aveva letteralmente sommerso la lussuosa suite e non si sentiva altro che lo sciabordio dell'acqua aldilà della finestra e gli sbuffi intermittenti dei fumaioli. 
Non credeva che lo avrebbe mai pensato, ma Mika avrebbe pagato per udire di nuovo la voce di Ferid: vederlo così, in piedi, volto verso di lei ormai solo per tre quarti e con gli occhi ancora intenti a scrutarla, non era l'immagine più rassicurante del mondo.
Il nobile sbatté un tacco a terra, con forza, e Mika aumentò istintivamente la presa sulle lenzuola. 
Quando, alla fine, Ferid parlò di nuovo, la sua voce riempì la stanza come un'onda burrascosa, fredda e tagliente come un coltello.
"Puoi farlo mentre sono qui con te" disse, senza battere ciglio, lasciandola spiazzata e senza nulla da dire. 
Il nobile sorrise, ferino, voltando il viso e portando il mento quasi a contatto con il petto. 
Mika sapeva -o meglio, credeva di sapere- cosa le avrebbe detto: che sarebbe diventata sua moglie, che avrebbe dovuto farci l'abitudine; tuttavia, quando l'uomo parlò, ciò che udì, la fece tremare da capo a piedi. 
"Tua madre mi ha dato il benestare" 
Il cuore le si strinse ed il viso si scurì, venendo velato dalla frangia. Tentò di defilarsi, ma le labbra dell'uomo le aggredirono il collo prima che avesse anche solo il tempo di realizzare le sue mossa fulminee, e lei non riuscì a reprimere un singulto sorpreso. 
Stette inerte a percepire le mani del nobile infilarsi sotto la camicia da notte, ad avvertire le unghie graffiarle blandamente la pelle delicata della schiena. 
Strinse i pugni, chiuse gli occhi. 
Provò a divincolarsi, ma l'uomo scosse la testa, ridacchiando contro la sua pelle ormai preda dei brividi.
Mikaela provò un disgusto tanto profondo -per quella situazione e per se stessa- da chiedersi quante probabilità ci fossero che il pavimento si alzasse e la inghiottisse in quel preciso istante. 
Poteva scorgere il suo riflesso, poco più in là, nello stesso specchio in cui si era osservata la notte precedente, davanti al quale aveva pensato al suo incontro con Yuu-chan. 
Yuu-chan...
Fu quello il pensiero che la fece riavere, e scuotere la testa.
"Per favore... oggi no" sussurrò, dissipando qualche lieve carezza sul capo dell'uomo, mentre gli occhi si velavano di lacrime. 
Doveva ammansirlo, giusto? Non poteva semplicemente opporsi, perché non ne aveva il diritto, no? Sua madre sarebbe andata per stracci, se solo il matrimonio fosse saltato, e lei non glielo avrebbe mai perdonato.
Per la prima volta, pregò che Ferid avesse pietà di lei, anche se sapeva bene quanto fosse remota la possibilità che ciò accadesse.
Come previsto, il nobile rise e, per tutta risposta, rinsaldò la presa su di lei, cominciando a sbottonare il retro della camicia da notte.
Gli occhi di Mika pizzicavano, e le immagini cominciavano a perdere nitidezza. 
Sbatté più volte le ciglia, dissipando le lacrime, ed osservò attentamente tutto ciò che aveva intorno: ricche suppellettili, una camera meravigliosa, un dorato cofanetto con costosi gioielli proprio sul comodino... ma tutto ciò che provò fu pena ed odio per l'inerzia della sua vita. 
Nella sua mente stava gridando. 
Nella sua mente tutto vorticava, ed a lei parve di impazzire. 
Quando il nobile fece aderire i loro corpi assieme, sospingendola nuovamente tra le lenzuola, credette che, davvero, avrebbe dovuto subire di nuovo, sopportare ancora. 
"No... per piacere"
Come avrebbe voluto che con lei ci fosse Yuu-chan... 
Come avrebbe voluto...
La sua attenzione si focalizzò sulla superficie lignea del comò che fiancheggiava il suo letto e sulla tazzina da the, in delicata porcellana smaltata che lei stessa aveva posato lì la sera precedente. 
Allungò un braccio più che poté e, sebbene non avesse nutrito fiducia, riuscì a raggiungerla. 
Strinse i denti e, con una violenza inaspettata, calò la porcellana sulla testa argentata del nobile, serrando gli occhi un attimo prima che l'oggetto si riducesse in mille acuminate schegge. 
Avvertì il viso ferito, e, cosa più importante, il corpo di Ferid che si allontanava con un'imprecazione. 
Si tirò in piedi così velocemente da non rendersene nemmeno conto, ritovando a malapena una labile consapevolezza per trattenere la camicia addosso. Fece qualche passo indietro, incespicando, osservando il disastro a terra, sul suo letto...
La risata di Ferid le fece gelare il sangue nelle vene. 
Si affrettò a raggiungere lo scrittoio e ad afferrare un pennino, ancora sporco d'inchiostro.
Giusto per precauzione, si disse.
Il nobile non si mosse. Si teneva una mano sul viso e le volgeva le spalle, ancora sul letto. 
"E brava Mikaela" disse "non me l'aspettavo" 
Mika pregò che il suo cuore non battesse così forte da essere percepito dall'uomo, pregò che la sua paura rimanesse nascosta, celata. 
Strizzò gli occhi ed il cuore parve spezzarsi. 
Così debole. Sei così debole. È per questo che il tuo destino è segnato: non riuscirai a cambiarlo neanche volendolo. 
Indubbiamente, parte di quei pensieri era vera. Era stata debole, troppo per essere rispettata, o almeno felice. 
Era stata debole perché non aveva trovato nulla per cui continuare davvero a vivere, ma ora che aveva conosciuto Yuu sarebbe stato diverso: sarebbe stata abbastanza forte da liberarsi dai vincoli e da non lasciarlo andare. Avrebbe trovato la forza per proteggere entrambi. 
Con quell'ultimo pensiero, aprì la porta della stanza e vi si buttò oltre.  
 
I suoi piedi nudi corsero per un tempo che parve infinito, tra i corridoi ancora mezzi assopiti della prima classe, almeno finché non individuò, poco lontano, la figura di uno dei camerieri più fidati di casa sua. 
Il giovane uomo si era voltato già da qualche istante verso di lei, sebbene Mika non avesse prodotto un suono. 
Le andò incontro con un espressione congelata, il sorriso tranquillo ora trasformatosi in una smorfia pietrificata. 
Si preparò ad accoglierla tra le sue braccia, quando lei si coprì il volto con una mano, piena di imbarazzo per il fatto di essere seminuda. 
"Accidenti, signorina... René! René, porta un soprabito, svelto!" 
Quando giunse di fronte alla ragazza, le circondò le spalle con un braccio e con l'altro tentò di sorreggerla. 
"Signorina... è successo di nuovo?"
"No" sussurrò Mika, scuotendo la testa, parendo lievemente insicura di quello che stava dicendo "no, io... io credo che... credo che questa volta-" 
Venne bloccata dai passi lontani e frettolosi dell'altro inserviente, a servizio della sua famiglia da minor tempo, ma non meno fidato. 
Le mani di René le adagiarono sopra un cappotto pesante, anche se lei riuscì a malapena a notare la sua presenza. 
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Yuu venne malamente destato da una mano posata dritta in faccia.
In un primo momento, il ragazzo pensò che dovesse trattarsi di Guren, che cominciava già dalla prima mattina a dargli fastidio: in fondo, l'uomo non era di certo nuovo a riservargli certi tipi di trattamenti. 
Tuttavia, quando -con incommensurabile fatica- riuscì a tirar su le palpebre, si ritrovò faccia a faccia con uno dei suoi più cari amici. 
"Uh, Yoichi... si può sapere che diavolo ci fai qui?" chiese, assonnato, tentando senza troppo sforzo di riacciuffare la coperta che gli era stata rudemente strappata di dosso. 
L'altro giovane sorrise, indulgente, ma non gliela dette vinta. 
Si raddrizzò, abbandonando la posizione prona che gli era servita per infilarsi nella cuccetta del moro, e portò le lenzuola con 
"Mi dispiace, Yuu, ma è impossibile svegliarti con le buone maniere!"
A quelle parole, il ragazzo bruno si rannicchiò velocemente, ravvoltolandosi su se stesso in poco tempo. 
"F-freddo!" sibilò, allungando una mano in direzione dell'amico e muovendo lievemente le dita, più nel tentativo di fare pena, che altro. 
"Per favore, Yoichi... sto congelando..."  
A quel punto, Yuu aspettava solo la vittoria: Yoichi stava tentennando per via del suo buon cuore, e lui pregustava altre tre belle ore di sonno. Sorrise, mefistofelico, nascondendo abilmente il viso tra le braccia, e continuando a gemere. 
"Yuu..." sussurrò, infatti, un vacillante Yoichi, riavvicinandosi piano. 
Ecco, era quasi fatta: Yuu avrebbe riavuto sicuramente indietro la sua meravigliosa coperta di linus, se in quel momento non fosse sopraggiunto un certo spilungone di sua conoscenza.
"Sei patetico" disse lo spilungone in questione, il cui nome era Kimizuki. 
Yuu aprì, adagio, prima un occhio e poi l'altro. 
Inutile dire che, quando scorse il ragazzo torreggiare su di lui (peraltro con un alquanto terrificante secchio gocciolante d'acqua gelida tra le braccia), Yuu saltò a sedere velocemente sul materasso, guadagnando una dolorosissima collisione tra la cuccetta superiore e la propria fronte. 
Si prese immediatamente la testa fra le mani, mugolando qualche imprecazione, mentre -per la miseria!- le risate di Kimizuki non lo stavano aiutando per niente. 
"Dannazione a te!" 
"Ahaha! Chissà che grande impressione farai questa sera con la tua bella: incasinato e con la fronte livida! Ahaha, la bimba di prima classe chiamerà il suo vecchio maggiordomo  e ti farà prendere a pedate nel didietro, scemo di uno Yuu" 
In quel momento, tra le proteste di Yoichi -che pregava Kimizuki di non essere troppo scortese- e tra le repliche di quest'ultimo, ancora intento a ridersela della grossa, Yuu riuscì a porre in essere il primo pensiero coerente della giornata. 
Si prese la radice del naso e strizzò gli occhi, allungò una mano, nel tentativo di richiamare l'attenzione di uno dei due, e, alla fine gabbò un polso a Yoichi. 
Questi tacque immediatamente, porgendogli la più sveglia attenzione. 
"Che ore sono?"
"Le undici"
Il cuore di Yuu rilasciò un sospiro di sollievo: per un attimo (un solo istante) aveva creduto di aver dormito talmente tanto, da essere in ritardo all'appuntamento con Mikaela. A quel punto, perciò, non riusciva proprio a comprendere come mai lo avessero destato in un modo tanto brutale.
Duh.
"Quindi perché-" 
Quando provò discretamente ad informarsi, Yoichi lo interruppe immediatamente, con un cenno della mano ed un sorriso tranquillo. 
"Io e Kimizuki crediamo che tu non possa andare questa sera all'appuntamento con quei tuoi vestiti" informò, con le mani dietro le spalle ed un'aria fin troppo dolce. 
Ma non ho nient'altro!
"Eeeh?" 
Yuu strabuzzò gli occhi e sbatté le mani sulle coscie, in un attimo di concernimento. 
Quindi lo avevano tirato fuori dalle coperte per parlare di vestiti? 
Dove diavolo erano finiti i suoi vecchi amici? 
"Non essere più stupido di quello che sei, altrimenti ci complicherai la situazione" disse duro Kimizuki, incrociando le braccia sul petto. 
"Ma non scherziamo" 
Yuu puntò velocemente un dito in direzione dei due ragazzi, per poi spostarlo alternativamente da uno all'altro "esigo delle spiegazioni" 
Yoichi sorrise e Kimizuki... Kimizuki si limitò ad essere semplicemente sé stesso.
"Il fatto è che abbiamo contattato una persona che può darci una mano con l'abito per te: una mia amica cameriera davvero molto gentile; le abbiamo raccontato la tua storia e non ha avuto il coraggio di dire di no"
Gli occhi di Kimizuki scintillarono sinistramente.
"Questo ti dimostra quanto sei penoso!" buttò fuori, rigidamente, con il palese intento di provocarlo.
Yuu decise semplicemente di ignorarlo, e strisciò lentamente fuori dal letto, stando ben attento alla testa, stavolta. 
"Ma questo cosa c'entra con il mio interrotto riposo di bellezza?"
Quando fu in piedi, Yoichi gli strinse affettuosamente una spalla. 
"Vedi, Yuu, l'incontro è stato stabilito per l'ora di pranzo in prima classe..."  
A quelle parole gli occhi di Yuu si dilatarono davvero tanto, permei di comprensione. 
"E a che ora mangiano, i nobili?" si informò, con le mani nelle mani e le sopracciglia aggrottate. 
Sperò davvero che il suo amico pronunciasse un'ora compresa tra le due e le quattro del pomeriggio, ma a rispondere fu di nuovo Kimizuki.
"Alla nostra stessa ora, asino!" 
Yuu saltò immediatamente fuori dal letto ed iniziò velocemente a cercare i propri vestiti, senza provare neanche una minima vergogna nonostante avesse indosso solo le mutande. 
Acciuffò la maglia, la camicia ed i pantaloni migliori che aveva, in fretta e furia.
"Ragazzi... io non so davvero come ringraziarvi" disse, con gli occhi concentrati fissi sulle proprie mani, affondate nella piccola borsa da viaggio che si era portato dietro. 
"Non preoccuparti, Yuu: lo abbiamo fatto con piacere: ci hai parlato così tanto di quella ragazza che anche noi ci siamo affezionati, e vogliamo solo il meglio per te" sorrise Yoichi, mentre Kimizuki si limitava a negare il suo coinvolgimento in tutto quello. 
Yuu sorrise, non potendo essere più grato ai due amici, e si lasciò guidare, fuori dalla terza classe, per tutto il ponte Lance, fino a giungere in prossimità della prima. 
 
Inutile dire che, anche solo occhieggiando l'insegna che indicava il settore, fuori dall'entrata, a Yuu salì l'ansia. 
Aveva osservato passeggiare alcuni di quei ricconi per la nave, e non poteva non ammettere a se stesso che, in confronto ai loro, i suoi abiti non sarebbero stati idonei nemmeno per pulire uno dei loro pavimenti. 
"Beh, che hai, scemo?" 
Kimizuki lo sospinse molto poco gentilmente in avanti, per poi trattenerlo alla svelta quando, squadrandolo, si accorse di qualcosa a cui sarebbe stato opportuno porre immediato rimedio;
"Prima sistemati quei capelli"
Yuu annuì, per la prima volta in vita sua, senza ribattere. 
Si osservò, riflesso in quel vetro scintillante di prima classe, e, poco dopo, emise un lamento sfiduciato, non sapendo proprio dove mettere mano: le ciocche scure dei suoi capelli erano incasinate quasi quanto lui; la vertigine partiva dalla frangia fino a giungere sulla nuca e, anche quando il ragazzo trovò il coraggio di infilare le sue dita in quel disastro color pece, per tentare di aggiustare la situazione, i capelli lo ignorarono bellamente, ritornando strenuamente nella loro posizione iniziale, facendolo sbuffare per il disappunto. 
Prese due ciocche e le tirò con forza, frustrato; le braccia dolevano e non aveva ottenuto nulla, in più, se avesse incontrato Mika che razza di impressione avrebbe fatto? 
"Insomma, hai finito?" 
"Ohi, vedi di piantarla, Kimizuki! Non vedi che-" la mano dell'amico corse immediatamente a tappargli la bocca, con uno schiocco di lingua infastidito. 
Ricordati che sei in prima classe, Yuu. Non fare le tue solite figure, parve ricordargli anche il suo cervello. 
Cosa penserebbe Mika, vedendoti adesso? 
Yuu sbuffò sonoramente, districandosi dalla presa dell'amico e spingendolo via con un mugolio a malapena trattenuto, ma quando, tuttavia, vide da lontano lo scintillio adirato negli occhi dell'altro ragazzo, si preparò subito per contrastarlo. 
"Adesso ti insegno io, le buone maniere" minacciò il più alto, mostrando il pugno con fare battagliero, e Yuu rise, con le mani sui fianchi e un'aria di chi la sa lunga sul viso. 
I capelli in disordine gli davano ancor più l'aria di un tipo da zuffe. 
"D'accordo, Kimizuki, vediamo quello che sai fare, ma non piangere quando sbatterò il tuo sedere per terra!"
Nessuno dei due parve accorgersi delle preghiere disperate di Yoichi, che cercava di fare da pacere, nessuno dei due parve neanche rendersi conto degli sguardi scioccati dei pochi passeggeri di prima classe che passavano di lì. 
Kimizuki colpì comunque la guancia di Yuu, e questi, di rimando, gli fece volar via gli occhiali con un manrovescio.  
Kimizuki ricambiò con uno spintone che lo avrebbe spedito dritto dritto contro la porta d'entrata della prima classe, ma che, lo fece finire proprio addosso ad uno sfortunato passeggero che era uscito di lì in quel preciso istante. 
 
Il passeggero in questione, notò Yuu una volta che furono entrambi piombati a terra, era una ragazza, e lui le posava proprio il viso sul petto morbido. 
Quando si accorse di ciò, l'imbarazzo lo paralizzò. Le guance cominciarono a scottare terribilmente, e la testa a girare. 
Il cuore della ragazza batteva all'impazzata, e Yuu sapeva che avrebbe dovuto togliersi da sopra di lei, o, quantomeno spostare il capo dai suoi seni, ma in quel momento gli parve di aver esaurito tutta la forza che aveva. 
Dio, che imbarazzo.
"Signore, si tolga subito. Questo non è un guanciale. Lei è un grande maleducato" 
La voce della ragazza si alzò irritata, e Yuu si sentì un verme. 
Facendo leva sulle braccia, si tirò su quel tanto che bastava per staccarsi dal corpo morbido e caldo della giovane, senza scendere da lei. 
Si vergognava da morire e avrebbe pestato Kimizuki, quando fossero tornati in cabina, questo era più che sicuro. 
"Lei è veramente un villano. Travolgere in questo modo una persona e non chiedere neanche venia" 
Chiedere cosa a chi? 
Yuu storse la bocca e si preparò a rispondere a quella voce tanto fredda ed urtata, ma rimase con le labbra dischiuse e gli occhi persi, quando si ritrovò faccia a faccia con qualcuno di molto familiare...
 
...Mika pareva altrettanto stupita di vederlo. 
Si era rialzata sui gomiti e in una delle mani guantate reggeva un grande cappello a larga tesa.
Il suo viso era incredibilmente prossimo a quello di Yuu, i suoi occhi di zaffiro erano spalancati, le sue guance erano piacevolmente colorite e le labbra tremavano, in piena sorpresa. 
Ah. Adesso aveva smesso di parlare.
"Yuu-chan"
 
Yuu non seppe quanto avessero trascorso in quella posizione: gli occhi di Mika erano due calamite che non riusciva a smettere di osservare, che gli avevano fatto dimenticare anche del tempo che passava e del fatto che si trovassero in una posizione alquanto imbarazzante. 
Eppure, anche allora, Mika sorrideva, ed il suo approccio era completamente mutato: sorrideva come se Yuu non l'avesse appena sbattuta al suolo col suo stesso peso, sorrideva come se la gonna che indossava non si fosse sollevata lasciando scoperte le gambe in una maniera che non si addiceva ad una signora. 
Yuu si dette dello stupido, mentre anche il suo cervello lo stava insultando pesantemente; diavolo... possibile che, tra tutti i passeggeri che si trovavano a bordo, doveva proprio urtare contro Mikaela?
"Mi dispiace davvero, Mika" sussurrò, pentito, sbrigandosi a rialzarsi dal corpo di lei, ed aiutandola a tirarsi in piedi, sorreggendola scrupolosamente per la vita e premurandosi di riabbassarle la gonna color lavanda, inchinandosi e lisciando persino le pieghe del prezioso tessuto, ma arrestandosi quando la mano di Mika strinse la sua.  
La ragazza allontanò con delicatezza le sue dita dall'abito, e tirò Yuu di nuovo in posizione eretta.
Scosse la testa, le belle labbra ancora piegate agli angoli in un dolcissimo sorriso e le ciocche bionde dei suoi capelli che le incorniciavano il volto, illuminando tutta la sua figura di oro. 
Mika era il sole.
A Yuu incespicarono le gambe, mancò il fiato e forse -solo forse- Mika se ne rese conto, perché il ragazzo avvertì una delle sue mani stringergli la spalla destra, ed avvertì il suo respiro ancora più vicino, mentre, intorno a loro, il tempo sembrava essersi congelato. 
"È tutto a posto, Yuu-chan; ascolta, io non sono una persona che bada a queste cose" 
Ma se poco prima di riconoscermi stavi per mangiarmi vivo?!
A Yuu occorse tutto il suo autocontrollo in quel momento. 
Respirò a fondo più volte l'aria salmastra e poi tirò su lo sguardo, affondando letteralmente in quello d'oceano che aveva di fronte. 
Senza pensare, allungò una mano a sfiorarle la vita. Solo un attimo, solo per essere sicuro che tutto quello fosse reale, tangibile. 
Mika non si scostò, ma gli occhi vennero posseduti da uno strano lucore, lacrime che scomparvero nell'arco di qualche istante, così come erano comparse, tanto velocemente che Yuu si domandò più volte cosa effettivamente avesse visto. 
---
Mika deglutì il più lievemente possibile, e dissipò la tristezza con un battito in più di ciglia. Respirò più volte, cercando di non attirare altre attenzioni. Yuu doveva aver capito che qualcosa non andava, sicuramente, ma Mika non avrebbe voluto mai leggere la preoccupazione che, invece, aveva scorto pochi attimi prima.
Semplicemente, non era giusto. 
Yuu stava probabilmente vivendo il sogno di una vita grazie a quel viaggio, e lei non avrebbe dovuto angustiarlo con i suoi problemi; avrebbe dovuto restare lontana, perché non sarebbe stata altro che veleno per il bel sorriso del ragazzo; non avrebbe nemmeno dovuto invitarlo a cena, a ben riflettere, avrebbe dovuto dimenticarselo e tornare alla sua vita di sempre... sorridere, subire, nascondere
Invece, l'unica cosa che si ritrovò a fare, fu ridacchiare, mentre sperava che gli occhi di Yuu non fossero tanto acuti da scorgere le ferite sul viso procurate dai cocci di quella mattina, celate con il trucco. 
Quando scorse il sorriso di Yuu si rilassò un poco. 
Avvertì la mano del ragazzo stringere il suo fianco con tenerezza, e lottò di nuovo contro le lacrime. 
Benché fosse uscita nella speranza di rivederlo, ora svincolarsi era necessario, ma il lasciarlo si faceva sempre più difficile, secondo dopo secondo, e non importava quanto si reprimesse, non importava quanto evitasse i suoi occhi verdi.
"Ehi, Mika" iniziò Yuu con un sorriso, interrompendo i suoi pensieri e sospingendola più in là, lontano dagli astanti "ti creerebbe disturbo se scambiassimo due parole?" 
Disturbo? 
Oh, Cielo, la testa faceva male per l'urto con il suolo, ma avrebbe ripetuto quel l'episodio per almeno altre quattro volte. 
Mika infilò una mano tra i capelli e massaggiò per un attimo la nuca, proprio nel punto in cui sarebbe sicuramente sbucato un bel bernoccolo.
Che giornata. 
 

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Capitolo 4
*** Love doesn't ask why ***


Yuu e Mika parlarono a lungo, senza rendersi conto dei minuti che trascorrevano, o, perlomeno, non badandovi troppo. Disquisirono del più, del meno, risero e scherzarono come due vecchi amici, come se si conoscessero da una vita, fino a che non si trovarono faccia a faccia, a poca distanza dal parapetto, in mezzo ad una fiumana elegantemente vestita di signorotti e ragazzini fastidiosi. 
Yuu dovette mettercela tutta per non imbambolarsi. 
Non poteva farci nulla: Mika -contro luce, con alle spalle l'oceano, con i capelli sparsi al vento- era un immagine da mozzare il fiato. Per questo, prima di sbattere anche solo le palpebre, Yuu si assicurò di aver preservato quel momento nei suoi ricordi, così da poterlo riportare su carta quando fosse tornato in cabina. 
Le si avvicinò piano, mentre nel petto si diffondeva nuovamente un calore piacevole, lo stesso tepore che lo aveva cullato per tutta la notte, durante la quale non aveva potuto evitare di sognare quella ragazza appena conosciuta. 
Diamine, non c'era nemmeno bisogno che qualcuno gli dicesse quanto tutto ciò fosse strano. Solitamente, lui legava molto difficilmente con le persone, e non era mai arrivato a provare qualcosa di simile a ciò che sentiva per Mika. 
Si conoscevano solo da poche ore, ma Yuu avvertiva il cuore sballare le pulsazioni anche solo quando si ritrovava ad osservare i suoi gentili occhi azzurri.
Diavolo, era da malati...
Non- non doveva considerarsi un maniaco... vero?
Si avvicinò a Mika incespicando, quasi impattando contro una donna tutta agghindata -munita di un cappello tanto piumato da sembrare lei stessa una faraona- ed inciampando nei suoi stessi piedi, preso com'era dalla foga del momento. 
 
Non seppe neanche dire, a quel punto, come si fosse ritrovato tra le braccia di Mika. 
Con la testa di nuovo sul suo petto. 
Con il sorriso ancora sulle labbra. 
Nonostante fosse già trascorso qualche attimo, le dita di Mika non avevano cessato di artigliargli la camicia: lo stava ancora sorreggendo, come se la caduta non fosse stata già scampata, e Yuu poteva avvertire gli sguardi dei presenti penetrargli la schiena come coltelli. 
Si rimise in piedi, goffamente, buttando fuori qualche scusa impacciata. 
"Oh, Yuu-chan è tutto rosso" scherzò benevolmente Mika, tuttavia affrettandosi a stringergli teneramente una spalla "ad essere sincera, quella imarazzata dovrei essere io, visto che mi sono già abituata ad avere il tuo viso sul cuore..." 
Gli fece un occhiolino ed una linguaccia scherzosa, senza lasciare la presa sui suoi abiti. 
"Mika..."
"No, no... Non si illude una signora per poi lasciarla" continuò, con aria sbarazzina, le guance colorite come pesche mature e gli occhi brillanti come lapislazzuli. 
Yuu scosse fortemente la testa, dimentico della propria voce. 
Non avrebbe potuto illuderla... Non avrebbe potuto lasciarla...
Non avrebbe...
"Sto solo scherzando, Yuu-chan" asserì la giovane, ampliando il suo sorriso, socchiudendo gli occhi, esponendo le lunghe ciglia bionde e ricurve all'attenzione di Yuu, che non riuscì a fare a meno di allungare una mano ad arruffarle i capelli. 
Chissà se erano morbidi come sembravano...
Non si sarebbe stupito se Mika si fosse ritratta, non l'avrebbe biasimata se lo avesse accusato di essere villano, e quindi non poté non restare di sasso quando la vide rilassarsi nel suo tocco, spingendosi più contro il suo palmo.
Era la cosa più calda e tenera che avesse mai avuto la fortuna di vedersi comparire davanti, e, Yuu non riuscì a non carezzarle la guancia con il pollice.
"Aha, capito" fece allegro, dopo un tempo abbastanza lungo speso ad ammirare il suo viso, lottando per allontanare il tatto da quelle mosse ciocche setose. Quando vi riuscì, le afferrò velocemente un polso e la tirò a sé, cominciando a guidarla lontano. Lontano da quella folla, lontano da quei personaggi che non avevano nulla a che fare con loro.
Non conosceva la meta, ma non gli importava: ogni luogo sarebbe stato meraviglioso, se solo Mika fosse rimasta al suo fianco. 
 
Percorsero velocemente tutto il ponte, lasciando che il vento li spettinasse e che gli schizzi d'acqua salata li bagnassero in viso, che le loro mani si stringessero e le dita si intrecciassero.
Il sole era perfetto. Caldo, alto e splendente, illuminava l'oceano d'oro e tingeva gli occhi di Mika di una innumerevole gamma di sfumature.
Corsero fino a perdere il fiato, fino ad arrestarsi nel punto opposto a quello da cui erano partiti, e Mika fece fatica ad avvertire se stessa così felice.
Avevano percorso l'intero perimetro della nave, e le gambe iniziavano a dolere per via dei tacchi, ma tutto quello che lei riusciva a fare era gioire come un'idiota e stringere ancora di più le dita di Yuu. 
Del cappello non sapeva proprio che farsene: se solo non fosse costato un occhio della testa, le sarebbe piaciuto mollare la presa e lasciarlo andare via col vento. Vederlo librarsi verso i flutti, e stringere la mano del ragazzo moro anche con la propria impegnata.
Gettò un'occhiata di sottecchi al bruno, solo per osservare di nuovo il suo sorriso, quel sorriso tanto bello, capace di scaldare il cuore, anche uno come il suo, che fino ad allora aveva prolungato i propri battiti senza un motivo, che fino ad allora era stato un ammasso di ghiaccio gelido.
Quando ripresero il loro tragitto, poco dopo, si mossero con calma, ritornando a passeggiare.
Yuu camminava con disinvoltura. La mano libera in tasca, i polsini della camicia arrotolati, gli straccali ben tirati e le scarpe vecchie lucidate fino alla noia. 
Quando giunsero in corrispondenza della prora, tuttavia, il viso di Yuu si scuri e lui si arrestò. 
Mika lasciò le sue dita e non si azzardò a raggiungerlo; rimase discostata, qualche passo più indietro, le mani nelle mani, il cappello stretto tra le dita ed un gran freddo improvviso alla schiena, esposta al vento di ponente. 
Le labbra ormai definitivamente adagiate in una serica linea piatta.
Si morse fortemente il labbro inferiore, solo per imporsi il silenzio: avrebbe voluto chiedere a Yuu-chan se tutto fosse a posto, se tutto andasse bene, del perché -tutto d'un tratto- la sua voce sicura e forte si fosse persa nel rumore delle onde, ma non poteva arrischiarsi a farlo.
 
Cosa c'è di così interessante nell'oceano, quando potresti stare in compagnia di una persona disposta a raccogliere i tuoi pensieri come se fossero stelle cadenti?
 
Passò molto tempo; minuti in cui Mika si interrogò incessantemente sul da farsi. Avrebbe potuto andar via -d'altronde, i suoi dovevano essersi già riuniti nella sala da pranzo, e Ferid non le avrebbe di certo fatto passare liscia un'eventuale assenza- ma il pensiero di lasciare Yuu era davvero insopportabile per lei, quindi lo scansò velocemente, scuotendo la testa. 
"Ehi, Mika" 
Quando finalmente il ragazzo parlò, la sua voce suonò roca, diversa. Mika si trovò ad avanzare verso di lui senza sapere come comportarsi in seguito. 
Avrebbe dovuto sorridere? Aggiustarsi il vestito? 
Raddrizzare la schiena per sembrare carina? 
Si portò una mano alla fronte, tentando disperatamente di aggiustarsi i capelli -in quel momento un ammasso biondo e davvero disastrato- ma non ottenendo altro risultato di arruffarli ancora di più.
"Dimmi, Yuu-chan" sussurrò, composta, non appena gli fu giunta accanto. 
Tentò di non far cadere gli occhi sul vuoto, cercò di mantenere sopite le reminiscenze del suo passato prossimo. Chiuse gli occhi, mentre le lacrime premevano per uscire. 
Perché Yuu l'aveva condotta proprio in quel punto? Perché, tra tanti posti su quella nave, aveva arrestato il suo tragitto proprio nel luogo in cui la disperazione si era impadronita della sua mente, solo la sera precedente? 
"Cosa ti ha spinto a cercare la morte, Mika?" 
La voce di Yuu era seria; i suoi occhi, quando la guardarono, erano tetramente gravi. 
Il suo viso, pallido. 
Mika non riusciva proprio a far mente locale su cosa avrebbe dovuto rispondere. 
Si portò una mano al petto, e sospirò, mentre il vento le soffiava in faccia i capelli e gli schizzi di acqua marina. 
Perché aveva pianificato di scavalcare il parapetto e lasciarsi cadere nell'oceano? Perché aveva creduto che la morte fosse l'unico rimedio possibile? 
"Non credo che tu debba giudicarmi. Non penso nemmeno che tu sia in grado di capire" disse, indurendo lo sguardo, tentando disperatamente di tenere assieme il suo cuore scheggiato dalle troppe sofferenze. 
Fin da bambina, la sola cosa che avesse mai desiderato era rendere felici le persone che aveva intorno; era stata così disperata, da fare qualunque cosa per far star bene la sua famiglia, eppure, tutto quello non era bastato: i suoi veri genitori l'avevano abbandonata tanto tempo prima, come un giocattolo vecchio, e la sua nuova madre l'aveva usata come un pedone in una partita a scacchi. 
Perché si sarebbe buttata? 
Nessuno sembra accorgersi di quello che sento. A nessuno sembra importare di quello che provo: poteva essere forse questa la risposta corretta?
Non era la prima volta che Ferid le metteva le mani addosso, e in quelle precedenti non era stata capace di opporglisi. Si era limitata a chiudere gli occhi, pregando che terminasse presto di fare quello che voleva e che se ne andasse.    
La prima volta che era successo era davvero molto giovane, e le lacrime erano scivolate dai suoi occhi senza che lei se ne rendesse propriamente conto. 
Poi, a quel l'episodio era seguito un altro ed uno nuovo ancora, e Mika aveva smesso di piangere. 
Dunque, perché aveva attentato alla propria vita?
Le labbra si arricciarono in un sorriso amaro, le mani vennero strette. 
Yuu aveva smesso di fissare l'oceano, ed aveva preso a squadrare lei, con le spalle alle acque e le mani strette sul parapetto, le nocche quasi bianche, lo sguardo triste. 
"Non ti sto giudicando, ma prova almeno a spiegare"
"Non credo di poterlo fare"
 
Yuu non poté fare a meno di ritrarsi dalla voce che aveva proferito quelle parole. A muoversi erano certamente state le labbra di Mika, ma quella ragazza che gli era davanti, che stringeva convulsamente il cappello, che tentava di mascherare il dolore con finta indifferenza, non era Mikaela. Decisamente no. 
Una mano si diresse spontaneamente verso di lei -immobile, con gli occhi ovunque, tranne che su di lui- e le strinse una spalla. 
Sebbene con immenso sforzo, Yuu dipinse un nuovo, grande sorriso sul suo volto, e strizzò le palpebre, per recitar meglio la parte di chi non aveva notato nulla, dello spensierato bamboccio che molti credevano fosse, ma che in realtà non era. 
"Senti, Mika, io sono cresciuto tra povera gente, e non ci siamo mai fatti troppi    problemi a parlare di noi stessi... Non ho avuto un passato facile, puoi credermi, ma nei tuoi occhi vedo più sofferenza di quanta ne abbia mai scorta altrove" 
Mika volse il viso di scatto, sobbalzando come se fosse stata punta. Come se si fosse sentita scoperta e, probabilmente, ciò era vero: la ragazza non sembrava un tipo di persona che facilmente metteva a nudo il proprio animo; per la prima volta, Yuu scorse spavento, sul suo viso, nei suoi occhi, e questo gli fece accartocciare le budella. 
Si chiese cosa avrebbe dovuto fare per rimettere a posto tutto. Non vendevano una macchina del tempo, lì nei paraggi, vero?
Quando si affrettò a pronunciare nuovamente il suo nome, lei non dette nemmeno un cenno, e Yuu si complimentò sarcasticamente con se stesso per aver rovinato tutto. 
Probabilmente, a quell'ora, la ragazza si stava chiedendo perché un poveraccio come lui stesse ficcando il naso nei suoi affari; forse stava rimpiangendo perfino di averlo invitato a cena, quella stessa sera.
A Yuu vennero i brividi istantaneamente, e non era di certo colpa del vento freddo che lambiva la sua camicia leggera. Non voleva che Mika se ne andasse, che fuggisse da lui, che preservasse di lui un brutto ricordo.
Non voleva che gli unici occhi di cui non aveva potuto più fare a meno, fin dal primo momento, scomparissero, perciò, quando vide la ragazza voltargli le spalle, fu abbastanza pronto per acciuffarle un polso e tirarla di nuovo verso di sè, senza calcolare neanche il peso delle conseguenze; 
Anche se la ragazza gli avesse mollato un ceffone, non gli sarebbe importato. Non a quel punto. Non quando voleva che rimanesse con ogni piccolo frammento della propria volontà.
"Ascolta, Mika..."
L'unica cosa che ottenne furono due iridi spente. Gelide.
Yuu dovette ricordarsi di respirare.
"Mika..." riprese, incespicante.
"Mikaela, per te" 
Oh, diavolo.
Yuu scosse la testa, senza abbandonare gli occhi di lei, senza lasciarle il braccio, inerte nella sua salda presa. 
Avrebbe voluto dire tante cose, e dischiuse le labbra per parlare, ma quando fu il momento, la voce non uscì. Rimase li, immobile, con la bocca pronta e gli occhi che pizzicavano a fissare due gemme azzurre che non brillavano più. 
Avrebbe voluto dirle che gli dispiaceva; che era stato uno stupido, che non avrebbe più indagato su affari che non avrebbero dovuto interessarlo, tuttavia, proprio in quel momento, il nobile Ferid si affiancò alla giovane, sbucando dal nulla, passandole una mano intorno alle spalle e tirandosela contro. 
A Yuu non passò inosservato lo sguardo compiaciuto che l'uomo gli gettò in quel momento. 
Il nobile strinse Mikaela a sè, e la presa che Yuu aveva ottenuto sul suo polso si sciolse. 
Tutto quello era davvero troppo sbagliato, e al ragazzo salì la nausea. 
Che fosse stato l'uomo la causa del dolore negli occhi di Mika?
Non voleva nemmeno pensarci. Non voleva credere che il suo promesso sposo le avesse potuto far del male, ma il pensiero ritornò più volte a pizzicargli la coscienza, come un chiodo fisso, impossibile da rimuovere. 
Stette ad osservare Mikaela per qualche attimo, solo per vederla stretta maggiormente tra le braccia dell'uomo, solo per osservare i suoi occhi tristi volgersi prima verso il nobile e poi verso di lui, in un palese intento di spiegare. 
Yuu non era stupido. Comprese a pieno ed i pugni si serrarono sulla stoffa dei pantaloni. 
Mika era lì, a pochi passi. Lui non poteva nemmeno toccarla. L'uomo che avrebbe dovuto amarla e proteggerla come un fiore le aveva fatto del male. 
Quello era totalmente ingiusto. 
 
---
 
Una volta giunti sottocoperta, Ferid prese a trascinarla verso la camera come una furia. Teneva una mano stretta sui suoi capelli e non mancava di tirare le ciocche con forza, più per procurare dolore che a causa del semplice ritmo della corsa. 
Mikaela tentò più volte di liberarsi, ma la presa dell'uomo era ferrea e decisa. 
Non c'era modo di svincolarsi: anche lei avrebbe dovuto scendere a patti con quel dato di fatto. 
Onestamente, vedendo come tutta la situazione fosse degenerata vorticosamente, Mika non poteva fare a meno di preoccuparsi: gli occhi del nobile le gettavano continue occhiate straripanti di odio e rimorso e lei sapeva che la situazione non sarebbe di certo migliorata.
Mika non lo aveva mai visto in quello stato, e le spalle iniziarono a tremarle fortemente. Strinse i denti ed non poté evitare di imprecare tra sè: odiava farsi cogliere tanto sprovveduta ed inerme. 
Ferid la spinse dentro la camera e chiuse la porta con il chiavistello, lasciando fuori sia gli stuart che le cameriere. Sciolse la presa sulle ciocche bionde e si avviò verso il camino, verso i vasi ed i fiori che erano stati cambiati quella stessa mattina, come aveva ordinato lui stesso.
Dopo un momento ad osservare le rose scarlatte, si prese il viso tra le mani e ridacchiò istericamente qualcosa di incomprensibile, mentre con una mano stringeva fortemente il bordo del ripiano. 
"Cosa stavi facendo con quello sul ponte?" sibilò, terribilmente chiaro, scoprendosi il viso e volgendosi verso di lei, cominciando ad avvicinarlesi piano, come un predatore infuriato. I suoi occhi cremisi parevano scintillare ancora di più, in quel momento. I suoi capelli argentei raccolti oscillavano da ogni parte, frusciando come il più pregiato dei tessuti. 
In pochi attimi, le fu di fronte. 
In pochi attimi, le serrò la gola con una mano. 
"Sei solo una lurida sgualdrina" bofonchiò, spingendola con le spalle al muro e spiandola con soddisfazione "ed è per questo che non ti permetterò di ridicolizzarmi di fronte a tutti i più illustri personaggi" 
Mika indurì gli occhi. Strinse le labbra. Avvertì il gelo della parete sulla schiena, ma trattenne un brivido. 
"Non ti serve il mio aiuto, per essere ridicolo, lord Ferid" ribatté, infine, beffarda, nonostante fosse lei quella a cui mancava l'aria per anche solo respirare.
Per tutto quel tempo, desiderò che la stretta durasse abbastanza da sfinire il suo corpo, da farlo accasciare soffocato, senza vita. Per tutto quel tempo, auspicò a se stessa la fine di ogni sua sofferenza. 
Niente più baci forzati, Mikaela, si disse. Niente più mani addosso
Ecco, era per tutte quelle semplici motivazioni che la morte assumeva un sapore più dolce. Per quei motivi non le sarebbe dispiaciuto lasciare quel mondo.
 
Anche quando i suoi occhi persero luminosità, non si agitò; non pregò Ferid di lasciarla andare, non regalò falsi giuramenti. Che la uccidesse pure. 
Quella vita non era comunque degna di essere chiamata tale. 
Quando il nobile ansimò, stupito da quella sua calma, sorrise. 
Raggiunse il suo polso con la mano solo per stringerlo maggiormente e, anche quando i suoi piedi vennero sollevati da terra, non mollò la presa. Non la lasciò fino a che la mancanza d'aria non cominciò a farsi seria, fino a che la mente cominciò a divenire preda di labili pensieri. 
Quando i suoi occhi non riuscirono più a restare aperti, a sostituire il volto del nobile giunse il viso chiaro di Yuu. 
Oh, Yuu-chan... 
Avrebbe mai potuto perdonarla? Sarebbe mai venuto a conoscenza di come la sua morte fosse sopraggiunta?
L'ultimo pensiero che le attraversò la mente, fu un desiderio. 
Spero che tu possa essere sempre felice...volare come non ho potuto fare io...
 

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Capitolo 5
*** Hit and Run ***


Mika credeva davvero che quelli sarebbero stati i propri ultimi attimi, tuttavia, un momento prima che la coscienza l'abbandonasse, avvertì la presa lasciare la gola e la gravità richiamarla al suolo. 
Sbatté la nuca e trattenne a stento un gemito, troppo debole anche solo per aprire gli occhi, troppo debole anche solo per reagire alle mani dell'uomo, già sulle sue gambe, alle labbra sul collo, al corpo pesante di lui sopra al suo. 
Nuovamente troppo labile per opporsi. 
---
Yuu stette immobile per alcuni attimi, attimi che sembrarono ere. Non sapeva quale fosse il motivo, ma non era riuscito nemmeno con tutta la propria volontà a scollare gli occhi dalla schiena di Mika che si allontanava, dalla mano del nobile sulla sua pelle, dalla stretta sul suo corpo. 
Non sapeva come spiegarlo, ma qualcosa non andava; i suoi sensi, avvezzi al pericolo, erano allerta e reattivi, e Yuu si fidava dei propri sensi. 
Per un tempo che parve infinito, rimase inerte, con la mano che aveva stretto il polso della ragazza ancora teso verso il punto in cui l'aveva osservata sparire -dietro la porta della prima classe- le gambe molli come gelatine, ed il vento negli occhi. 
Solo le voci familiari dei suoi amici riuscirono a riscuoterlo, quando i due lo raggiunsero. 
Kimizuki, ovviamente, chiese subito del perché fosse rimasto da solo, per poi tirar fuori qualche assurda ipotesi riguardante la bellezza di Mika e del fatto che lei si fosse probabilmente accorta solo quel giorno di quanto lui fosse stupido.
Yuu non lo degnò nemmeno di una rispostaccia; non aveva proprio tempo per quello, non quando tutto ciò che aveva scorto precedentemente sembrava così sbagliato. 
Si aggirò per qualche istante inquieto, per poi immobilizzarsi con le spalle ai due amici e le mani strette al parapetto, con lo sguardo fisso sull'oceano. 
Fu in quel momento -dopo alcune eloquenti occhiate tra Yoichi e Kimizuki- che il primo avanzò di alcuni passi e, con una voce lievemente preoccupata,  chiese se fosse accaduto qualcosa tra lui e Mikaela. 
Yuu imprecò.
"Sono stato un idiota"
Kimizuki buttò fuori una risata senza allegria.
"Mah. Dicci almeno qualcosa che non sappiamo" disse, blandamente, più nel tentativo di risollevare l'atmosfera che di provocarlo, questa volta.
Di nuovo, non ottenne risposta, né il benché minimo accenno da parte dell'amico sulla questione. Yuu era apparentemente perso in un mondo tutto suo. 
Lo vide socchiudere le palpebre, stringere la presa sul bianco e metallico parapetto, in piena riflessione. 
"Non mi quadra per nulla..." lo udì, infine, brontolare tra sè, scuotendo la testa, criptico e, probabilmente con gli occhi di Mikaela a mettergli a soqquadro il cervello. 
 
In effetti, le iridi di Mika erano proprio quello su cui Yuu si era focalizzato. Erano state così dolenti che per lui era impossibile relegarle in un angolo. Quel nobile, poi, era parso solo estremamente contento di tutta la loro disperazione. Aveva osservato Mikaela con gusto, come se fosse stata un pasto prelibato, e non una persona.
Si prese velocemente la testa tra le mani e strinse gli occhi, mentre l'emicrania minacciava di fargli esplodere i circuiti. 
D'accordo; adesso era definitivamente incasinato.
"Yuu, sembri in pensiero" 
Il bruno percepì la voce di Yoichi come un qualcosa di molto lontano e accantonò l'amico con un sorriso di scusa, stringendogli con affetto una spalla e passandogli oltre, sperando che capisse. 
"Non c'è che dire. Sei proprio scemo"
Kimizuki gli si fece accanto e, con alcuni movimenti fermi lo prese per il bavero della camicia e lo voltò verso di sè. Lo guardò con due occhi stretti, quasi ostili, dietro i quali si celava tuttavia sincera preoccupazione. 
"Invece di giocare agli indovinelli, potresti parlarci di quello che non ti convince... ma tu sei tutto idiota e quindi non mi stupisco più di tanto" 
Yuu si morse il labbro superiore e sbuffò qualche lamentela ad alta voce, scansando l'altro giovane e voltandogli la schiena. 
"È solo che ho come l'impressione che la famiglia di Mika nasconda qualcosa..." 
Yoichi sorrise e gli donò qualche colpetto sulla schiena che avrebbe voluto essere tranquillizzante, ma che non ebbe altro risultato di far agitare Yuu anche di più.
"Beh, ad ogni modo, avrai l'opportunità di appurare la tua tesi questa sera a cena, no? Dunque, che aspettiamo? Abbiamo un appuntamento!"
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Quando la cameriera entrò nella stanza, Mika si trovava seduta di fronte allo specchio della toeletta per il trucco, con le mani strette sul vestito stropicciato, gli occhi che tentavano di non soffermarsi sui segni rossi che le circondavano il collo sottile, e la capigliatura più scarmigliata che mai. 
La giovane cameriera si fece più vicina, a passi incespicanti, con il viso pallido e le mani dietro la schiena; lo sguardo fisso sul pavimento coperto delle schegge di cristallo di uno dei tanti vasi che avevano fatto bella mostra di loro sul camino, ma che in quel momento non era altro che poltiglia sul pavimento, insieme all'acqua e le rose che aveva contenuto. 
Mika sibilò un imprecazione, osservandosi le mani ferite. 
Nemmeno la mente offuscata le aveva impedito di contrattaccare all'aggressione di Ferid, si disse, cercando di convincersi del fatto che non fosse poi così debole. 
Anche se troppo tardi per evitare il solito trattamento, si era difesa. 
Alla fine il vaso aveva colliso con la testa del nobile. 
Onestamente, Mika non avrebbe saputo dire con quale forza si fosse rialzata dal pavimento e fosse strisciata fino al camino. Come si fosse messa in piedi.
L'unica cosa che ricordava con precisione era di aver atteso che Ferid le voltasse le spalle, dopo essersi acceso la pipa, tutto soddisfatto, e di essersi avvicinata furtivamente. 
L'impatto era stato fortissimo. Il nobile era caduto a terra, svenuto, senza produrre neanche un gemito. 
 
Le mani di Mika sfiorarono lievemente la propria pelle del collo, e lei non trattenne un gemito. Chiuse gli occhi. Sospirò.
"Hai intenzione di rimanere sulla porta, oppure pensi di entrare, Chess?" chiese, altera, benché dentro di sè si sentisse un essere miserabile.
La gola doleva e la voce faceva fatica ad uscire, e non aveva proprio tempo per tutto quello.
La giovane donna incespicò, titubante. Probabilmente non sapeva come comportarsi, né dove mettere le mani. Mika sapeva di essere un disastro, in quel momento. 
Scosse la testa e le gettò -dallo specchio- alcune occhiate: si era arrestata a pochi passi di distanza come voleva l'etichetta. 
"Cosa sei venuta a fare, qui?" domandò roca, con un sospiro, prendendosi il viso tra le mani  e sembrando davvero esausta. 
"Il signor Bathory mi ha ordinato di aiutarla a vestirsi" 
Oh, dunque il mentecatto si era ripreso in fretta. 
Le mani si strinsero a pugno sulla stoffa del vestito. 
"Allora vattene" 
La cameriera parve colpita, e Mika si chiese perché non stesse già correndo fuori, entusiasta del mancato impegno lavorativo. Le stava risparmiando della fatica, giusto?
"Ma ho ricevuto incarico di-"
Mika scattò in piedi velocemente. Passò un braccio sulla superficie della consolle, spazzando via ogni cosa. Trucchi, ciprie, graziosi profumi confezionati nelle forme  più variegate di cristallo. Ogni cosa si infranse al suolo. 
"Ti ho detto di andartene!" gridò, senza voltarsi, osservando le spalle della cameriera sobbalzare in ansiti sconvolti. A Mika non interessava. Non più, da molto tempo. 
Strinse le mani sul luminoso legno bianco. 
Le gambe dolevano, gli occhi pizzicavano. 
Si sfilò gli orecchini di topazio con una veloce mossa. Gettò anche quelli a terra. 
Sfilò i guanti e li accantonò con furia. 
Scostò di malagrazia il piccolo sgabello intarsiato e caracollò instabile verso la donna in uniforme nera, che la squadrava preoccupata, che aveva teso le mani nella sua direzione, come se lei stesse per cadere. Precipitare, in un baratro senza fine. 
Scansò le sue braccia, e si aggrappò alla colonna lignea e ben modellata del letto a baldacchino. 
Poggiò la fronte sulla sua superficie liscia e sospirò.
"Non ho bisogno di te. Chiama Lacus"
La giovane donna parve interdetta. Forse si stava interrogando su cosa avesse potuto fare uno stuart per essere d'aiuto ad una dama che doveva prepararsi per una cena di gala. 
"Il signor Bath-"
"Puoi anche dire a Ferid di andare al diavolo" bofonchiò la ragazza, tentando di suonare il meno aggressiva possibile (unicamente per la povera donna, che, davvero, non c'entrava nulla e stava svolgendo solo le proprie mansioni), ma voltandosi a guardarla con un'espressione ferma e due occhi che non ammettevano repliche. 
Strinse il legno e si sedette sul letto, esausta. 
"Chiama Lacus. Se non si farà vivo entro un tempo decente, uscirò di qui e lo andrò a cercare io stessa, anche così conciata" disse, trattenendo il tremito del suo corpo, ma non della sua voce. 
Accidenti, non le lacrime. 
Si coprì il volto con una mano e sospirò, con l'animo oppresso dalla disperazione. 
Le lacrime non avrebbe potuto sopportarle. 
La cameriera esitò, ma, alla fine, aprì la porta e si affrettò fuori di essa. 
 
Mika rimase nella medesima posizione per un tempo che le parve indefinito. 
Aveva appena affondato il viso nel guanciale (e macchiato la federa con trucco e pianto) quando la porta si riaprì e dei passi rapidi si avvicinarono. 
"Oh, Dio, signorina... Ho fatto prima che ho potuto" 
Due mani la presero per le spalle, e Mika avvertì delle braccia forti sollevarla. Quando dischiuse gli occhi, il viso schietto di Lacus ed i suoi capelli color melanzana tagliati in maniera imprecisa le omaggiarono la vista. 
L'espressione franca del ragazzo si tramutò in una smorfia crucciata e, in un attimo, Mika si avvertì tirare in posizione seduta, mentre lo sguardo di Lacus la esaminava. 
"Cosa posso fare per farla star meglio?"
"Un bagno... Devo solo fare un bagno..." 
Mika strinse i denti e si tirò in piedi, imprecando coloritamente contro sua madre, Ferid, tutto e tutti, eccetto Yuu-chan. Si mosse lentamente, sotto gli occhi dello stuart, che parevano non volerla lasciar andare.
Mika si diresse verso il camino e sprofondò in una delle poltrone, mentre cercava di ignorare lo sguardo del giovanotto, ormai focalizzato su di lei, sul suo collo malconcio.
"Non hai intenzione di andare, vero?" sussurrò, prendendosi la fronte con una mano. Sapeva bene quanto la sua vista in quello stato avesse sconvolto il ragazzo. Sapeva bene come la paura avesse già cominciato a strisciare nel suo animo, poiché lei aveva provato le medesime sensazioni, all'indomani dell'ingresso nel palazzo di sua madre.
Il dubbio, poi il terrore, infine la rassegnazione. 
Mika serrò gli occhi. 
Personalmente, avrebbe preferito morire, che diventare una di loro. 
Le sue dita strinsero la pelle della poltrona ed i suoi occhi si fissarono sulle fiamme. Le sue labbra si strinsero assieme, in una piatta linea bianca
"Signorina... Per piacere... Mi dica cosa sta succedendo"
Mika non poté trattenere una risata amara. Una risata che rimbalzò sui muri ovattati della suite e che riempì l'ambiente. 
Cosa avrebbe dovuto fare? Confessare come fosse già condannata da tempo? Beh, sarebbe stato orribile ma veritiero.
Mika si coprì la bocca con una mano tremante, mentre alcuni respiri spezzati le salivano alla gola senza che potesse impedirlo. 
Ascese con gli occhi lungo il camino in marmo brunito, su, fino allo specchio, per poi gettare una sbirciata alla porzione di stanza che in esso era riflessa: un alto soffitto, pareti rivestite della più pregiata carta da parati, oro ed argento ovunque, candelabri ramati e candele accese. Lenzuola vermiglie, come la propria linfa vitale. 
Un cielo troppo lontano da raggiungere al di fuori della finestra e stelle troppo distanti da acciuffare, a discapito di ciò che aveva sempre creduto da bambina. 
Lacrime che deformarono tutto, seppure per un esiguo momento. 
"Cosa... Cosa sta succedendo? Non riesci a comprenderlo solo guardandomi?" sussurrò tristemente, rialzandosi dalla poltrona, allontanandosi dalle fiamme e restando ad ascoltare il frusciare della veste sul pavimento. 
Si avvicinò a Lacus e gli sorrise, arricciando le labbra esangui. 
"Signorina..."
"Ci troviamo in un mondo infame, Lacus... E di questo mi dispiaccio.... Sei un bravo ragazzo, in fondo" lo osservò con dolcezza e permise ad una lacrima -solo ad una- di scivolare lungo la sua gota di latte. 
 

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