CAPITOLO II
“Pride can stand a thousand trials,
The
strong will never fall”
Kissing You, Des’Ree.
Inuyasha Taisho si trovava di
fronte alla finestra del soggiorno, con le tende bianche spalancate e la
fastidiosa sensazione dei raggi solari sui suoi occhi dorati.
Osservava ancora quella stradina
deserta e il susseguirsi di automobili, in attesa. Sul suo volto, una smorfia di
strana impazienza lo stava divorando.
“Inuyasha... ma allora è proprio
un’ossessione!” sbottò Miroku, ricomparendo dalla cucina con in mano una tazza
di the.
Un piccolo grugnito fu l’unica
risposta che ottenne.
“Vorrei davvero che mi spiegassi
cosa diavolo stai aspettando. Essere così in ansia per l’arrivo di un nuovo
vicino mi sembra ridicolo!” berciò, accomodandosi nuovamente sul divano e
assaporando il quieto profumo di vaniglia del the.
L’hanyou si voltò, con
espressione dispersa e confusa. “Non–” deglutì, roteando lo sguardo per tutta la
stanza senza un apparente senso logico. Cominciò a percorrere tutto il salotto a
pesanti falcate, nuovamente. “Niente”.
Miroku bevve un sorso della
bevanda calda, senza smettere di fissarlo. Poi, disse, piccato: “Inuyasha, tu lo
sai che mia madre è una psicanalista, vero?”.
Il mezzodemone sembrò digerire
quell’insinuazione, pronto alla successiva frase del suo migliore amico. Non
accennò però a calmare quell’evidente nervosismo che lo stava divorando.
“Oh, bene. Non vuoi dirmi niente?
Fantastico,” sospirò, accavallando le gambe e disinteressandosi completamente di
lui, “Crogiolati da solo nel tuo brodo,
Mister–io–non–parlo–con–nessuno–dei–miei–affari–personali”. Si sporse per
prendere il telecomando della televisione e la accese.
Inuyasha si fermò, quasi stranito
per l’arrendevolezza con cui Miroku aveva parlato, poi tornò alla finestra
scompigliandosi più volte la frangia argentea.
Miroku capitò casualmente sul canale del bon ton. “Oh!
Favoloso! Le regole per apparecchiare la tavola, com’è interessante!” esultò, a voce più alta
del solito.
Rimase in silenzio, serrando le
palpebre violentemente. “Non il canale del Galateo” sibilò l’hanyou, disgustato,
“Tutto ma non quello!”.
Il moro sbatté le ciglia,
stranito. “Oh. Non ti piace? Che peccato, è così interessante!” cinguettò,
amorevole.
“Cambia immediatamente canale!”
tuonò, furioso, fumando rabbia dalle orecchie.
Prima fase: perdita del controllo. Seconda
fase: arresa di fronte al proprio stato d’animo, si ricordò, meticoloso. Era
così che Inuyasha reagiva di fronte a quello che gli capitava. Beh, certo, poi
ostentava sicurezza, e l’orgoglio lo faceva chiudere in sé stesso, ma non doveva
accadere. “E perché, scusami? Tu non mi vuoi parlare, dovrò pur far qualcosa”
spiegò, pacato.
“Miroku, cambia immediatamente
canale o qui finisce male” esalò, già in assetto di guerra, portando avanti al
corpo il piede destro e strisciandolo sul pavimento.
L’improvviso ma debole rumore di
un’automobile li fece zittire. Ci volle un secondo, ed Inuyasha si trovava con
il naso incollato al vetro e le mani pallide attorcigliate al davanzale,
tendendo l’udito sopraffine, stretto in una morsa carica di tensione.
Miroku si alzò di scatto,
rischiando di rovesciare tutto il the e lasciandolo malamente sul tavolo. Corse
verso la finestra più vicina ma intercettò lo sguardo del mezzodemone, che si
frappose fra lui e il famigerato
vicino.
Si fronteggiarono, scivolando
alternativamente a destra e a sinistra, finché Miroku non parlò, affannato: “Chi
stai coprendo, Inuyasha? E perché non vuoi che io lo veda? Ammettilo! Io sarei
solo un impedimento per la tua chiusura in tè stesso, non è vero? Cosa c’è in gioco, eh?” lo provocò, con
sguardo affabile.
Inuyasha lo fissò, digrignando i
canini demoniaci, finché non sbarrò gli occhi dorati, rimanendo completamente
immobile. Parve cristallizzarsi all’istante, freddo come una statua di
ghiaccio.
Il moro ne approfittò e si fiondò
alla finestra, riversando tutta la sua curiosità sul taxi che si era appena
fermato di fronte alla villetta. Kami–sama! Ci aveva azzeccato!
Una ragazza era ritta in piedi di
fronte al finestrino del conducente; la voluminosa chioma castana le scivolava
lungo la schiena, fino alla vita sottile. Più a fianco, stava un’altra ragazza,
e stringeva fra le mani un trolley di un accecante blu.
“Ma, Inuyasha...” sussurrò,
voltandosi verso di lui. Rimase interdetto nel trovarlo nascosto dietro le
tende, intento a spiare la medesima scena ma senza farsi vedere. Tornò a fissare
le due ragazze, debole. “Cosa si stanno dicendo?”.
L’hanyou si fece cupo in volto ma
ostentò un forte silenzio. Serrò duramente la mascella alabastrina, puntando gli
artigli nelle tende e strappandone la curata cucitura.
Miroku tornò a guardare le
ragazze, mentre una morsa gli divorava lo stomaco. D’un tratto, quella con il
trolley in mano alzò lo sguardo, incrociando i suoi occhi blu cobalto. La sua
espressione timida si trasformò in una delusione malcelata, finché non tornò a
guardare l’amica.
Si girò, ed Inuyasha sedeva ormai
sul divano, alternando furiosamente un canale all’altro della tivù.
“Inuyasha...” cominciò a dire,
tentennando, “Posso sapere se... se c’è qualcosa che non va?”. Cercava di
analizzarlo come aveva sempre fatto, ma quel giorno gli parve che ci fossero
troppi tasselli mancanti per comprendere il comportamento del ragazzo.
“Va tutto bene,” sussurrò, secco,
“Va tutto bene”.
“Va tutto bene, Inuyasha, non piangere”
esclamò sua madre, asciugandogli le guance con un piccolo fazzoletto bianco.
“Su, va tutto bene”.
“M–ma... m–ma...” balbettò il bambino,
sentendo la gola impastarsi e la vista farsi offuscata, “...Mamma!” gemette,
piangendo più forte.
Lei lo abbracciò di slancio, sotto l’occhio
vigile di suo padre Inu–Taisho. “Inuyasha, va tutto bene” sussurrò, affondando
le dita affusolate fra i capelli argentei. “Va tutto
bene...”.
* * *
“In effetti qui c’è un sacco di
lavoro da fare...” sussurrò, incredula, osservando l’altezza del prato e le
piante da tagliare. Per non parlare dei muri della villetta, ormai praticamente
sbiaditi. “Sei sicura di non voler chiedere aiuto ad una ditta di pulizie?”.
Kagome abbassò il capo. Non c’era. “Eh? Ah, no, no. Non mi fido
delle ditte di pulizia, farò tutto da sola. E comunque non è così grande come
sembra, ha solo...”.
“Una decina di locali –
immagino!” completò per lei, grave, “Credo che verrò a darti una mano, dai”.
“Grazie,” mormorò Kagome,
trascinando il trolley lungo il selciato, “La ditta di traslochi dovrebbe
arrivare nel tardo pomeriggio. Ah!, non vedo l’ora di rivedere la mia vecchia
stanza!” trillò, saltellando fino al portone.
Infilò la chiave nella toppa,
avvertendo un leggero tremolio alla mano. Era... emozionata, si. Poi la aprì, rivelando
un piccolo corridoio buio.
“Hai provvisto a far tornare la
corrente?” domandò Sango, assottigliando gli occhi color nocciola.
“Si, ed anche l’acqua,” sussurrò,
“Ma devo far ripartire tutto dal contatore della corrente, vieni”. Si piegò
verso il trolley, estraendo una piccola torcia.
Lei sbarrò gli occhi, scuotendo
terrorizzata il capo.
“Sango! Non ci sono gli zombie,”
assicurò, ridacchiando. Poi la prese delicatamente per mano, “Dai, vieni”.
Si fecero strada nel buio più
totale – causato dalle tapparelle abbassate, con Sango che sussultava ad ogni
singolo rumore. “KAMI–SAMA!” gridò, avvertendo qualcosa sfiorarle la gamba
tornita.
Kagome puntò immediatamente la
torcia. “È un pezzo di stoffa!” sbuffò, caustica. “Dai, ancora pochi metri”.
Fecero qualche passo raggiungendo finalmente il contatore; Sango non fece
neanche in tempo a sbattere i denti che fu possibile accendere la luce.
“Oh Kami–sama, grazie” gemette,
staccandosi dal braccio della sua migliore amica.
Il salotto si apriva di fronte a
loro, piccolo ma accogliente. I divani erano ricoperti da teli bianchi, che gli
davano un’aria alquanto antica. Le pareti, tinteggiate di un leggero beige,
risplendevano sotto il lampadario ampio e luminoso.
“È molto bella” esclamò Sango,
con un sorriso.
“Lo so,” mormorò, tremolante, “Ci
sono tremendamente affezionata. Mi era mancata tanto”.
“Da quanto tempo non rimetti
piede in questa casa?” domandò, storcendo un pelo il naso notando il livello di
polvere depositatasi sui mobili.
Kagome si avviò ad aprire
rapidamente tutte le finestre, tossicchiando. “Da quando avevo sette anni,”
spiegò.
Sango fece lo stesso ed una forte
luce invase la stanza, donandole un aspetto completamente diverso e
confortevole.
“Sai, io, Souta e la mamma
abitavamo qui. Poi abbiamo dovuto trasferirci dopo che mio nonno morì, per poter
badare al Tempio di famiglia”.
Sango rimase un attimo
interdetta. “..Kami, non pensavo... scusami” balbettò, dispiaciuta.
Kagome aggrottò la fronte, con un
piccolo sorriso. “Non ti preoccupare, non hai detto niente di male” mormorò,
“Potresti andare in cucina a vedere se scende l’acqua?”.
“Agli ordini!” cinguettò, mimando
il saluto militare e spostandosi nel locale antecedente. Aprì la piccola
finestra che dava sul giardino e scostò i teli bianchi, trovando finalmente il
lavandino. “Malediz...!” sbuffò, cercando di girarne la maniglia. In un lampo
cominciò a scendere acqua rossastra, facendola sobbalzare. “Ka–Kagome...”.
“Cosa c’è?” esclamò dall’altra
stanza, ripiegando malamente il telo che ricopriva il divano, per nulla
preoccupata.
“C’è... c’è... Vieni qui!”
ordinò, balbettando.
La mora arricciò le sopracciglia
arcuate. “Arrivo,” disse, sorpresa. Quando giunse in cucina, Sango fissava
ipnotizzata l’acqua sporca del lavandino come se fosse sangue. “Oh cielo, sono solo le tubature
sporche, Sango–chan! Sono dieci anni che non entra nessuno qui!” rise, battendo
la mano affusolata sulla spalla dell’amica.
“Credimi, al primo impatto non sembrava acqua sporca” sussurrò,
respirando profondamente. “Sarà meglio che io mi occupi della polvere” propose,
titubante.
Kagome ridacchiò. “Diamoci da
fare, dai. Per prima cosa dobbiamo smantellare il soggiorno, visto che sarà lì
che finiranno tutti i miei averi, per ora”.
“E sarà anche il caso di
recuperare la valigia, Kagome–chan!” tergiversò, sarcastica.
Lei cadde dalle nuvole. “Oh! La
valigia!” si precipitò alla porta, raccogliendo il fantomatico trolley blu
elettrico e adocchiando il vicinato.
L’occhio le cadde alla villetta
vicina, con un leggero imbarazzo. Setacciò tutte le finestre con sguardo
attento, ma non vide nulla. Io non cerco
nessuno, si disse, arricciando orgogliosamente le labbra carnose. Poi fece
dietro front dentro casa.
* * *
“Credo che stiano... ehm...” si
interruppe, vedendo le due ragazze uscire nel piccolo giardino e scuotere un
telo bianco, “Credo che stiano... facendo pulizie?”.
Inuyasha era finalmente passato
nella fase dell’arrendevolezza. Sedeva sul divano con la testa fra le mani,
trattando la folta massa di capelli che si ritrovava come un anti stress.
“Quella casa è in disuso da dieci anni, sarà ovviamente piena di polvere”
sospirò, atono.
“Ah. Polvere,” mugugnò, “Ma
intendi...”.
“Quella che si deposita sui
mobili e sul pavimento se non li pulisci, Miroku,” lo anticipò, con sguardo
perentorio, “Ah giusto. Tu non sai neanche cosa significa ‘pulire’”.
“Ehi!” sbottò, offeso, “Io ho
pulito una volta, in vita mia... anzi no, lo faccio davvero spessissimo: scopo!” concluse, ridendo
sconclusionatamente.
L’hanyou alzò un sopracciglio,
sconcertato. “Ed è per questo che ti hanno licenziato” replicò, acido.
“Oh, il mio piccolo Inu–chan!
Stai tornando lo stronzo di sempre!” esordì, emozionato. Si cimentò in un
piccolo applauso, corredato di sorriso ebete.
Inuyasha si limitò a ricadere nel
suo stato di catalessi, con l’impressione che il suo amico stesse facendo di
tutto per sconfortarlo maggiormente.
Miroku lo scrutò di sottecchi,
chiedendosi se fosse giunto il momento di porgli qualche indiscreta domanda
sulle due nuove arrivate. Probabilmente no; gli avrebbe malamente risposto che
non erano affari suoi. “Se proprio vuoi saperlo, anche loro si stanno dando
granché da fare” soffiò, malizioso.
Ci mancò poco che l’hanyou si
strozzasse con la sua stessa saliva. Sbarrò i magnetici occhi dorati. “Ma che
diavolo dici, Miroku?!” esclamò, acuto.
“...Puliscono la casa, ovvio”
profuse, gagliardo, “Non quello che hai pensato tu” aggiunse, adocchiando la
ragazza dalla coda di cavallo chinarsi in avanti, dandogli un piccolo assaggio
del suo fondoschiena. “Ora credo sia il caso che io vada. Sai, il mio
lavoro...”.
Inuyasha alzò un sopracciglio,
tentando di calmare l’istinto omicida che gli faceva solleticare le dita. “Sei
stato appena licenziato e già torni a lavorare?!” sbottò, sorpreso.
“Beh, sai, fare il fotografo non
è come fare un lavoro normale. Vai in giro, scatti foto, tutti dicono che è
bella e diventi famoso,” ciarlò, disinteressato, “Bisogna cogliere l’attimo; carpe diem!”.
“Si, certo. Dillo che vai ad
oziare” sbuffò, lasciandosi cadere malamente nel divano e affogando dubbi e
preoccupazione fra le morbide stoffe.
Miroku ghignò. “Non credo
proprio. Bye, bye, darling”
canticchiò, avviandosi alla porta, “Salutami il tuo caro amico divano e
l’amichetta chiudiamoci–in–sè–stessi!” urlò, prima di chiudersi la porta alle
spalle.
Inuyasha roteò gli occhi,
poggiando i gomiti sulle ginocchia muscolose. Miroku, oltre ad essere pervertito
era anche lunatico, e sinceramente non sapeva quale delle due cose fosse
peggio.
Un momento.
Aggrottò le sopracciglia,
spiccio. Era strano che non gli avesse rivolto alcuna domanda da psicanalisi
com’era solito fare. Anzi, era proprio ridicolo che se ne tornasse a casa – a lavorare per di più!
Si alzò di scatto, con un
terribile presentimento. Quando arrivò alla finestra – sentendo il cuore
sballonzolargli nel petto da destra a sinistra – si chiese anche come avesse
fatto a cascare così facilmente in quel tranello. Poi giurò che da quel momento
non avrebbe più avuto alcun migliore amico.
* * *
“Scusate ragazze, avete bisogno
d’aiuto?”.
* * *
Ciao =) Innanzitutto, grazie
mille ai lettori, ai recensori e a chi ha aggiunto la storia ai preferiti (poi
mi dilungherò di più, scusate). Comunque, è il caso che dia qualche precisazione
in più sulla storia: è ambientata a Tokyo, siamo nell’epoca contemporanea, e
l’età dei personaggi è ovviamente over diciotto. Il titolo della storia proviene
dall’omonima canzone degli Oasis, “Wonderwall”, alquanto significativa per la
storia che ho in mente (vi consiglio di ascoltarla, se non avete nulla da fare
=3) Per il resto... vi lascio ai ringraziamenti ;P
Bacioni,
Janelle.
Mione90: Ciao! Suppongo che il
tuo nick provenga dal personaggio di Hermione Granger, di HP; se è così, sei
entrata automaticamente sulla lista dei miei preferiti! La adoro! Comunque,
grazie mille per la recensione, soprattutto per i complimenti sul mio modo di
scrivere. Baci =)
Beverly Rose: Sei concisa e
diretta, e queste sono ottime qualità! Grazie mille, spero davvero di ricevere
altre tue recensioni in futuro *_*
Kagome19: Grazie mille di avermi
detto il tuo parere! Eccoti accontentata dunque, poi se vuoi dimmi quello che ne
pensi ;P kiss.
Bea91: Oh..! Grazie! “Un inizio
accattivante”... per me è un enorme complimento, visto che non sono granché
brava con i misteri ed i segreti =P Spero davvero che ti appassioni,
bacioni!
Dolce Sango91: Come non amare
queste coppie? Sono le mie preferite di sempre *ç* Ah...! Una cosa l’hai
sicuramente azzeccata; Kagome sarà la vicina di Inu! Ma per il resto ti lascio a
crogiolarti nei dubbi... ;P Grazie mille per tutti i complimenti e perché
leggendo la tua recensione (e anche le altre, of course), mi avete spinta a
scrivere questo capitolo! Kiss.
Marea: Ma che bel nick! Grazie
mille dei complimenti, davvero; sono lusingata! Anche io molto spesso trovo
storie piacevoli e intriganti ma non del tutto corrette dal punto di vista
lessicale e grammaticale... spero di riuscire ad essere una comunione delle due
parti! =) Bacioni!
Bellatrix_Indomita: La tua
recensione è stata in grado di tenermi col fiato sul collo! (Ho un certo timore
per le critiche, lo ammetto; anche se poi ne faccio tesoro). Ma alla fine...
grazie! Grazie davvero! Ah... lo spoiler, eheh. =P Vedremo, vedremo. Spero di
ricevere una tua recensione! Baci.
Inukag4ever: Concordo pienamente
col tuo nick *_* Ho deciso che metterò alcuni spezzoni di testi musicali
all’inizio di ogni capitolo; ovviamente sono pienamente (o quasi) inerenti al
testo! Davvero uso termini poco comuni? =P Il fatto è che cerco sempre di
variare un po’ il vocabolario, evitando di usare sempre gli stessi aggettivi.
Grazie per tutti i complimenti, thanks. Baci!
Al prossimo capitolo, darling. =P
Janelle.