Wonderwall

di Janelle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


fanfiction

 

CAPITOLO I

 

 

 

 

 

 

“And now I can't be sure of anything.
Black is white and cold is heat.”

 

The Ground Beneath Her Feet, U2.

 

 

 

 

 

 

“È pressoché ridicolo,” borbottò Miroku, portandosi la sottile sigaretta alle labbra e aspirando una manciata di nicotina, “Mi hanno licenziato per un’inezia”.

 

Il sole si spargeva sull’erba fresca, insinuandosi fra le fronde verdeggianti degli alberi, mentre le coltri nuvolose nel cielo scomparivano lentamente. “Non credo che fare delle avances al proprio capo sia un’inezia” replicò Inuyasha, allontanandosi dalla finestra.

 

Il moro sbuffò. “È una sciocchezza, ecco la verità. Non ho fatto alcun tipo di avances,” asserì, serio, “Cioè: le avances le ho fatte, ma lei non mi ha in alcun modo rifiutato. Sono stato imbrogliato!”.

 

L’hanyou percorse in lungo la stanza, per poi tornare alla finestra, con una smorfia indifferente sul volto. “Non è scritto nel contratto di lavoro che avere una relazione con i colleghi è vietato?”.

 

“Indubbiamente,” recitò, accavallando elegantemente le gambe, “Ma l’animo umano è sempre condotto verso le tentazioni. È per questo motivo che esistono”.

 

“È necessario propinarmi pillole letterali ogni volta che ci vediamo, Miroku?” esordì, stizzito, poggiando il pugno serrato sul bordo della finestra.

 

Il ragazzo smise immediatamente di fumare, studiando attentamente il comportamento del suo migliore amico. “Stai per caso aspettando qualcuno, Inu–chan?” domandò, con un pungente sorriso.

 

Cadde per un istante il silenzio. “Nessuno” assicurò, atono.

 

Colpito e affondato, pensò Miroku, soddisfatto. Spense la sigaretta nel posacenere, per poi distendere le lunghe gambe sul divano. “Orsù, raccontami tutto. C’è una donna che avvolta nella notte inciampa così nei tuoi pensieri*?”.

 

Le dita affusolate e pallide di Inuyasha Taisho si raggomitolarono sul legno del davanzale, violentemente. “Nessuna donna,” gli fece eco, per poi voltarsi e raggiungerlo sul divano. Lasciò scivolare la mano fra i capelli, scompigliandone la confusa massa argentea. “Perché non ti fai gli affaracci tuoi, Miroku?”.

 

Il moro alzò l’angolo destro delle labbra, e poi disse: “Ma perché la mia vita è così noiosa!” profuse, capriccioso.

 

“Essere licenziati da ogni datore di lavoro è per te sintomo di una vita noiosa?” disse, piccato, alzando volutamente un sopracciglio cesellato.

 

“Percepisco un certo sarcasmo,” trillò, con un ghigno. “Si tratta di una donna, ci avevo azzeccato! E immagino molto bella, se ti procura questo nervosismo” aggiunse, indicando le dita bianche del ragazzo intente ad intrecciarsi furiosamente.

 

Lui le staccò di scatto. “Non c’è nessuna donna, Miroku,” ribadì, furioso, “Sto solo... aspettando che giunga il nuovo vicino”. Si rialzò elegantemente, ritornando alla finestra.

 

Oltre il vetro si rifletteva lo squarcio di una strada, sorvolata da auto isolate. Poco più in là, un sentiero in ciottoli sbucava fra i cespugli divelti e non curati di una piccola villetta dai colori pastello.

 

Il moro aggrottò le sopracciglia scure. “Il nuovo vicino? Sbaglio o quella casa non era affatto in vendita?” berciò, sventolando la mano aristocraticamente.

 

Inuyasha sospirò appena. “Era quello che credevo anch’io”.

 

 

 

* * *

 

“Mi scusi, ma il treno da Kyoto è già arrivato?” esclamò Sango, acuta, sporgendosi verso l’inserviente della stazione con una certa frenesia.

 

“Ma non ha letto il cartello?! È in ritardo di cinque minuti! Ed ora per favore si sposti che ci sono persone che hanno quesiti molto più sensati del suo!” sbottò, frustrato, sistemandosi i piccoli occhiali da vista e riprendendo a scrivere freneticamente sulla tastiera.

 

Che gentile!, pensò, stizzita, lasciando il posto ad un’anziana signora che a quanto pare aveva smarrito il suo cane. Rialzò lo sguardo, rileggendo per l’ennesima volta l’avviso di ritardo del treno. Era un quarto d’ora che compariva la scritta “Ritardo di cinque minuti”.

 

Sospirò, trascinandosi fino ad una panchina e gettandocisi sopra avidamente. Una folta massa di persone si disperdevano fra binari, mentre le rotelle delle valigie scricchiolavano rumorosamente confondendosi con gli sbuffi delle locomotive.

 

Un suono stranamente familiare le giunse alle orecchie, sfocato, finché non si rese conto che era il suo cellulare. Lo prese di scatto, notando l’immediata fotografia di Kagome che alternava un sorriso ad una linguaccia. “Ka–chan!” gemette, sorpresa. “Dove ti trovi?!”.

 

“Ciao Sango–chan!” trillò, gioiosa. “Qui dicono che mancano dieci minuti all’arrivo alla stazione di Tokyo” borbottò.

 

“Sono già qui ad aspettarti, non preoccuparti,” le assicurò, sorridente, “Speriamo solo di trovare un taxi”.

 

“Non vedo l’ora!” esordì, sospirando. “Le poltrone di questo treno sono di una scomodità unica, ho il sedere completamente spiaccicato!”.

 

“Er, mi fa piacere saperlo” mormorò, ridacchiando.

 

“E poi, sono stata in cabina con un signore che ha russato tutto il tempo,” sussurrò, interdetta, “Per fortuna esistono gli i–pod”.

 

Sango trattenne un’altra risata per puro rispetto. “Mi dispiace per te” gracchiò, notando il povero inserviente a cui prima aveva chiesto aiuto cercare di calmare la signora che aveva perso il cane.

 

“Mi stai prendendo in giro?” echeggiò, stizzita, “Guarda che quando vengo lì ti picchio!”.

 

“Eh? Ah, no, scusami! Mi ero distratta guardando una signora che colpiva ad ombrellate un altro signore...” ammise, sobbalzando all’ennesimo attacco della donna.

 

“Oh, Kami. Non ricordavo che Tokyo fosse così violenta” celò, ridendo, “Ora scusami ma devo raccogliere un po’ le mie cose. Ci vediamo fra poco”.

 

Sango richiuse la chiamata con un piccolo sorriso fra le labbra rosse. Disperse lo sguardo fra i passeggeri dei treni, fra persone distratte dai propri pensieri e desideri, arrischiando perfino di addormentarsi.

 

Sobbalzò appena quando una voce squillante la avvisò dell’arrivo del treno da Kyoto al binario sette. Si alzò, cercando di non spintonare nessuno, e si fece spazio fra i passeggeri in discesa dai vagoni.

 

“Mi scusi, ma sta bloccando la strada a tutti gli altri passeggeri!” esordì furiosamente una voce cristallina, poi sovrastata dal fischio di un treno.

 

Sango circumnavigò un gruppo di turisti alquanto confusi e notò finalmente una voluminosa chioma castana corredata di un enorme trolley blu. “Come scusi!?” replicò la ragazza, poggiando le mani sottili sui fianchi, mentre due chiazze rossastre le oscurarono il volto.

 

“Kagome, KAGOME!” la chiamò, perentoria, “Sono qui!” esclamò, cercando di farsi notare.

 

La ragazza superò malamente il signore. “Non ritengo neanche necessario risponderle,” disse, secca. Non appena vide Sango si aprì in un caloroso sorriso, gettandosi verso di lei, “Sango–chan!”.

 

La ragazza si calò in un abbraccio con l’amica, stringendole la schiena sottile. “Come stai Kagome–chan?! È davvero un sacco che non ci vediamo!”.

 

“Un mese preciso,” ammise, amara, “Ma sono felice di essere tornata, e di aver scoperto che la maleducazione viaggia anche in treno!” aggiunse, a voce più alta. Raccolse il trolley fra le dita, sospirando. “Allora? Ti ho fatto aspettare tanto?”.

 

“Un po’, lo ammetto,” cinguettò, sorridente. “Hai cambiato pettinatura?” domandò, curiosa, notando immediatamente la diversità nella capigliatura dell’amica.

 

Piccoli riflessi bluastri si spargevano frastagliati fra le ciocche nere della ragazza, circondando il pallido volto a forma di cuore. Gli occhi color cioccolato, velati da ciglia scure, si aprivano sul mondo con un’innocenza e semplicità disarmante. “Ma no, certo che no!” mormorò, ridendo. “Ho solo tagliato le punte, due millimetri”.

 

Ha cambiato pettinatura, si disse, sospirando. Kagome era sempre stata così; non amava molto i cambiamenti, men che meno quelli radicali. “Beh, poco male. Stai benissimo”.

 

“Anche tu, Sango–chan!” replicò, con vivacità. “Ma ora – ti prego – fammi salire su un taxi o non sarò testimone delle mie azioni. Potrei sedermi per terra” sussurrò, sardonica.

 

La mora scoppiò in una risatina. “Per tutti i Kami, sbrighiamoci, allora! Vieni, i taxi sono da questa parte” disse, trascinandosela lontana dai binari, “Allora: dimmi. Com’è andato il viaggio?”.

 

“A parte il mio compagno di cabina che russava?” borbottò, scorbutica.

 

“A parte quello” rise. Svoltarono a destra, raggiungendo finalmente l’ampia uscita principale. Il sole si infranse limpidamente sui loro volti, lasciando poi il posto ad una luminosa vista della piazza.

 

Kagome si sistemò rapidamente una ciocca di capelli mossi dietro l’orecchio, sospirando. “No, è andato bene. Un po’ lungo, ma per il resto tutto ok”.

 

“E tua mamma come sta?” chiese, curiosa, “E Souta–chan?”.

 

“Stanno tutti bene. Erano un po’ preoccupati, a dir la verità, soprattutto per il fatto che andavo a vivere da sola. Si sono tranquillizzati solo quando gli ho detto che c’eri tu a proteggermi” scherzò.

 

“Proteggerti?” berciò, vagamente perentoria.. “Andiamo, mi racconterai tutto sul taxi” borbottò, strappandole di mano lo zaino e facendosi strada fra le auto in coda.

 

Kagome si lasciò sfuggire un sorriso. Raccolse il trolley e la seguì, sperando di non spaccarsi le braccia nel tentativo di sollevare quel macigno. Traversarono la strada furiosamente, rischiando di essere investite almeno due volte e riuscendo ad aggiudicarsi il taxi. “Non ricordavo fosse così faticoso attraversare le strade”.

 

“Perché, a Kyoto è diverso?” esclamò Sango, leggermente interdetta.

 

Lei aggrottò le sopracciglia, pensosa. “No, in effetti. Ma qui è proprio un inferno”.

 

 

 

 

 

* * *

 

*citazione tratta da ‘Romeo e Giulietta’ di William Shakespeare.

 

Oh. Non pensavo di rimettere mai mano a questi quattro. Invece, eccomi qua °–° Comunque; questa volta si tratta di una storia a capitoli, anche se non so quanto durerà. Bene, spero in qualche recensione, ricordando che i pairing sono Kagome/Inuyasha e Sango/Miroku, of course. Baci.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


fanfiction

 

CAPITOLO II

 

 

 

 

“Pride can stand a thousand trials,
The strong will never fall”

 

Kissing You, Des’Ree.

 

 

 

 

 

Inuyasha Taisho si trovava di fronte alla finestra del soggiorno, con le tende bianche spalancate e la fastidiosa sensazione dei raggi solari sui suoi occhi dorati.

 

Osservava ancora quella stradina deserta e il susseguirsi di automobili, in attesa. Sul suo volto, una smorfia di strana impazienza lo stava divorando.

 

“Inuyasha... ma allora è proprio un’ossessione!” sbottò Miroku, ricomparendo dalla cucina con in mano una tazza di the.

 

Un piccolo grugnito fu l’unica risposta che ottenne.

 

“Vorrei davvero che mi spiegassi cosa diavolo stai aspettando. Essere così in ansia per l’arrivo di un nuovo vicino mi sembra ridicolo!” berciò, accomodandosi nuovamente sul divano e assaporando il quieto profumo di vaniglia del the.

 

L’hanyou si voltò, con espressione dispersa e confusa. “Non–” deglutì, roteando lo sguardo per tutta la stanza senza un apparente senso logico. Cominciò a percorrere tutto il salotto a pesanti falcate, nuovamente. “Niente”.

 

Miroku bevve un sorso della bevanda calda, senza smettere di fissarlo. Poi, disse, piccato: “Inuyasha, tu lo sai che mia madre è una psicanalista, vero?”.

 

Il mezzodemone sembrò digerire quell’insinuazione, pronto alla successiva frase del suo migliore amico. Non accennò però a calmare quell’evidente nervosismo che lo stava divorando.

 

“Oh, bene. Non vuoi dirmi niente? Fantastico,” sospirò, accavallando le gambe e disinteressandosi completamente di lui, “Crogiolati da solo nel tuo brodo, Mister–io–non–parlo–con–nessuno–dei–miei–affari–personali”. Si sporse per prendere il telecomando della televisione e la accese.

 

Inuyasha si fermò, quasi stranito per l’arrendevolezza con cui Miroku aveva parlato, poi tornò alla finestra scompigliandosi più volte la frangia argentea.

 

Miroku capitò casualmente sul canale del bon ton. “Oh! Favoloso! Le regole per apparecchiare la tavola, com’è interessante!” esultò, a voce più alta del solito.

 

Rimase in silenzio, serrando le palpebre violentemente. “Non il canale del Galateo” sibilò l’hanyou, disgustato, “Tutto ma non quello!”.

 

Il moro sbatté le ciglia, stranito. “Oh. Non ti piace? Che peccato, è così interessante!” cinguettò, amorevole.

 

“Cambia immediatamente canale!” tuonò, furioso, fumando rabbia dalle orecchie.

 

Prima fase: perdita del controllo. Seconda fase: arresa di fronte al proprio stato d’animo, si ricordò, meticoloso. Era così che Inuyasha reagiva di fronte a quello che gli capitava. Beh, certo, poi ostentava sicurezza, e l’orgoglio lo faceva chiudere in sé stesso, ma non doveva accadere. “E perché, scusami? Tu non mi vuoi parlare, dovrò pur far qualcosa” spiegò, pacato.

 

“Miroku, cambia immediatamente canale o qui finisce male” esalò, già in assetto di guerra, portando avanti al corpo il piede destro e strisciandolo sul pavimento.

 

L’improvviso ma debole rumore di un’automobile li fece zittire. Ci volle un secondo, ed Inuyasha si trovava con il naso incollato al vetro e le mani pallide attorcigliate al davanzale, tendendo l’udito sopraffine, stretto in una morsa carica di tensione.

 

Miroku si alzò di scatto, rischiando di rovesciare tutto il the e lasciandolo malamente sul tavolo. Corse verso la finestra più vicina ma intercettò lo sguardo del mezzodemone, che si frappose fra lui e il famigerato vicino.

 

Si fronteggiarono, scivolando alternativamente a destra e a sinistra, finché Miroku non parlò, affannato: “Chi stai coprendo, Inuyasha? E perché non vuoi che io lo veda? Ammettilo! Io sarei solo un impedimento per la tua chiusura in tè stesso, non è vero? Cosa c’è in gioco, eh?” lo provocò, con sguardo affabile.

 

Inuyasha lo fissò, digrignando i canini demoniaci, finché non sbarrò gli occhi dorati, rimanendo completamente immobile. Parve cristallizzarsi all’istante, freddo come una statua di ghiaccio.

 

Il moro ne approfittò e si fiondò alla finestra, riversando tutta la sua curiosità sul taxi che si era appena fermato di fronte alla villetta. Kami–sama! Ci aveva azzeccato!

 

Una ragazza era ritta in piedi di fronte al finestrino del conducente; la voluminosa chioma castana le scivolava lungo la schiena, fino alla vita sottile. Più a fianco, stava un’altra ragazza, e stringeva fra le mani un trolley di un accecante blu.

 

“Ma, Inuyasha...” sussurrò, voltandosi verso di lui. Rimase interdetto nel trovarlo nascosto dietro le tende, intento a spiare la medesima scena ma senza farsi vedere. Tornò a fissare le due ragazze, debole. “Cosa si stanno dicendo?”.

 

L’hanyou si fece cupo in volto ma ostentò un forte silenzio. Serrò duramente la mascella alabastrina, puntando gli artigli nelle tende e strappandone la curata cucitura.

 

Miroku tornò a guardare le ragazze, mentre una morsa gli divorava lo stomaco. D’un tratto, quella con il trolley in mano alzò lo sguardo, incrociando i suoi occhi blu cobalto. La sua espressione timida si trasformò in una delusione malcelata, finché non tornò a guardare l’amica.

 

Si girò, ed Inuyasha sedeva ormai sul divano, alternando furiosamente un canale all’altro della tivù.

 

“Inuyasha...” cominciò a dire, tentennando, “Posso sapere se... se c’è qualcosa che non va?”. Cercava di analizzarlo come aveva sempre fatto, ma quel giorno gli parve che ci fossero troppi tasselli mancanti per comprendere il comportamento del ragazzo.

 

“Va tutto bene,” sussurrò, secco, “Va tutto bene”.

 

 

 

 

“Va tutto bene, Inuyasha, non piangere” esclamò sua madre, asciugandogli le guance con un piccolo fazzoletto bianco. “Su, va tutto bene”.

 

“M–ma... m–ma...” balbettò il bambino, sentendo la gola impastarsi e la vista farsi offuscata, “...Mamma!” gemette, piangendo più forte.

 

Lei lo abbracciò di slancio, sotto l’occhio vigile di suo padre Inu–Taisho. “Inuyasha, va tutto bene” sussurrò, affondando le dita affusolate fra i capelli argentei. “Va tutto bene...”.

 

 

 

 

 

* * *

 

 

 

“In effetti qui c’è un sacco di lavoro da fare...” sussurrò, incredula, osservando l’altezza del prato e le piante da tagliare. Per non parlare dei muri della villetta, ormai praticamente sbiaditi. “Sei sicura di non voler chiedere aiuto ad una ditta di pulizie?”.

 

Kagome abbassò il capo. Non c’era. “Eh? Ah, no, no. Non mi fido delle ditte di pulizia, farò tutto da sola. E comunque non è così grande come sembra, ha solo...”.

 

“Una decina di locali – immagino!” completò per lei, grave, “Credo che verrò a darti una mano, dai”.

 

“Grazie,” mormorò Kagome, trascinando il trolley lungo il selciato, “La ditta di traslochi dovrebbe arrivare nel tardo pomeriggio. Ah!, non vedo l’ora di rivedere la mia vecchia stanza!” trillò, saltellando fino al portone.

 

Infilò la chiave nella toppa, avvertendo un leggero tremolio alla mano. Era... emozionata, si. Poi la aprì, rivelando un piccolo corridoio buio.

 

“Hai provvisto a far tornare la corrente?” domandò Sango, assottigliando gli occhi color nocciola.

 

“Si, ed anche l’acqua,” sussurrò, “Ma devo far ripartire tutto dal contatore della corrente, vieni”. Si piegò verso il trolley, estraendo una piccola torcia.

 

Lei sbarrò gli occhi, scuotendo terrorizzata il capo.

 

“Sango! Non ci sono gli zombie,” assicurò, ridacchiando. Poi la prese delicatamente per mano, “Dai, vieni”.

 

Si fecero strada nel buio più totale – causato dalle tapparelle abbassate, con Sango che sussultava ad ogni singolo rumore. “KAMI–SAMA!” gridò, avvertendo qualcosa sfiorarle la gamba tornita.

 

Kagome puntò immediatamente la torcia. “È un pezzo di stoffa!” sbuffò, caustica. “Dai, ancora pochi metri”. Fecero qualche passo raggiungendo finalmente il contatore; Sango non fece neanche in tempo a sbattere i denti che fu possibile accendere la luce.

 

“Oh Kami–sama, grazie” gemette, staccandosi dal braccio della sua migliore amica.

 

Il salotto si apriva di fronte a loro, piccolo ma accogliente. I divani erano ricoperti da teli bianchi, che gli davano un’aria alquanto antica. Le pareti, tinteggiate di un leggero beige, risplendevano sotto il lampadario ampio e luminoso.

 

“È molto bella” esclamò Sango, con un sorriso.

 

“Lo so,” mormorò, tremolante, “Ci sono tremendamente affezionata. Mi era mancata tanto”.

 

“Da quanto tempo non rimetti piede in questa casa?” domandò, storcendo un pelo il naso notando il livello di polvere depositatasi sui mobili.

 

Kagome si avviò ad aprire rapidamente tutte le finestre, tossicchiando. “Da quando avevo sette anni,” spiegò.

 

Sango fece lo stesso ed una forte luce invase la stanza, donandole un aspetto completamente diverso e confortevole.

 

“Sai, io, Souta e la mamma abitavamo qui. Poi abbiamo dovuto trasferirci dopo che mio nonno morì, per poter badare al Tempio di famiglia”.

 

Sango rimase un attimo interdetta. “..Kami, non pensavo... scusami” balbettò, dispiaciuta.

 

Kagome aggrottò la fronte, con un piccolo sorriso. “Non ti preoccupare, non hai detto niente di male” mormorò, “Potresti andare in cucina a vedere se scende l’acqua?”.

 

“Agli ordini!” cinguettò, mimando il saluto militare e spostandosi nel locale antecedente. Aprì la piccola finestra che dava sul giardino e scostò i teli bianchi, trovando finalmente il lavandino. “Malediz...!” sbuffò, cercando di girarne la maniglia. In un lampo cominciò a scendere acqua rossastra, facendola sobbalzare. “Ka–Kagome...”.

 

“Cosa c’è?” esclamò dall’altra stanza, ripiegando malamente il telo che ricopriva il divano, per nulla preoccupata.

 

“C’è... c’è... Vieni qui!” ordinò, balbettando.

 

La mora arricciò le sopracciglia arcuate. “Arrivo,” disse, sorpresa. Quando giunse in cucina, Sango fissava ipnotizzata l’acqua sporca del lavandino come se fosse sangue. “Oh cielo, sono solo le tubature sporche, Sango–chan! Sono dieci anni che non entra nessuno qui!” rise, battendo la mano affusolata sulla spalla dell’amica.

 

“Credimi, al primo impatto non sembrava acqua sporca” sussurrò, respirando profondamente. “Sarà meglio che io mi occupi della polvere” propose, titubante.

 

Kagome ridacchiò. “Diamoci da fare, dai. Per prima cosa dobbiamo smantellare il soggiorno, visto che sarà lì che finiranno tutti i miei averi, per ora”.

 

“E sarà anche il caso di recuperare la valigia, Kagome–chan!” tergiversò, sarcastica.

 

Lei cadde dalle nuvole. “Oh! La valigia!” si precipitò alla porta, raccogliendo il fantomatico trolley blu elettrico e adocchiando il vicinato.

 

L’occhio le cadde alla villetta vicina, con un leggero imbarazzo. Setacciò tutte le finestre con sguardo attento, ma non vide nulla. Io non cerco nessuno, si disse, arricciando orgogliosamente le labbra carnose. Poi fece dietro front dentro casa.

 

 

 

* * *

 

 

“Credo che stiano... ehm...” si interruppe, vedendo le due ragazze uscire nel piccolo giardino e scuotere un telo bianco, “Credo che stiano... facendo pulizie?”.

 

Inuyasha era finalmente passato nella fase dell’arrendevolezza. Sedeva sul divano con la testa fra le mani, trattando la folta massa di capelli che si ritrovava come un anti stress. “Quella casa è in disuso da dieci anni, sarà ovviamente piena di polvere” sospirò, atono.

 

“Ah. Polvere,” mugugnò, “Ma intendi...”.

 

“Quella che si deposita sui mobili e sul pavimento se non li pulisci, Miroku,” lo anticipò, con sguardo perentorio, “Ah giusto. Tu non sai neanche cosa significa ‘pulire’”.

 

“Ehi!” sbottò, offeso, “Io ho pulito una volta, in vita mia... anzi no, lo faccio davvero spessissimo: scopo!” concluse, ridendo sconclusionatamente.

 

L’hanyou alzò un sopracciglio, sconcertato. “Ed è per questo che ti hanno licenziato” replicò, acido.

 

“Oh, il mio piccolo Inu–chan! Stai tornando lo stronzo di sempre!” esordì, emozionato. Si cimentò in un piccolo applauso, corredato di sorriso ebete.

 

Inuyasha si limitò a ricadere nel suo stato di catalessi, con l’impressione che il suo amico stesse facendo di tutto per sconfortarlo maggiormente.

 

Miroku lo scrutò di sottecchi, chiedendosi se fosse giunto il momento di porgli qualche indiscreta domanda sulle due nuove arrivate. Probabilmente no; gli avrebbe malamente risposto che non erano affari suoi. “Se proprio vuoi saperlo, anche loro si stanno dando granché da fare” soffiò, malizioso.

 

Ci mancò poco che l’hanyou si strozzasse con la sua stessa saliva. Sbarrò i magnetici occhi dorati. “Ma che diavolo dici, Miroku?!” esclamò, acuto.

 

“...Puliscono la casa, ovvio” profuse, gagliardo, “Non quello che hai pensato tu” aggiunse, adocchiando la ragazza dalla coda di cavallo chinarsi in avanti, dandogli un piccolo assaggio del suo fondoschiena. “Ora credo sia il caso che io vada. Sai, il mio lavoro...”.

 

Inuyasha alzò un sopracciglio, tentando di calmare l’istinto omicida che gli faceva solleticare le dita. “Sei stato appena licenziato e già torni a lavorare?!” sbottò, sorpreso.

 

“Beh, sai, fare il fotografo non è come fare un lavoro normale. Vai in giro, scatti foto, tutti dicono che è bella e diventi famoso,” ciarlò, disinteressato, “Bisogna cogliere l’attimo; carpe diem!”.

 

“Si, certo. Dillo che vai ad oziare” sbuffò, lasciandosi cadere malamente nel divano e affogando dubbi e preoccupazione fra le morbide stoffe.

 

Miroku ghignò. “Non credo proprio. Bye, bye, darling” canticchiò, avviandosi alla porta, “Salutami il tuo caro amico divano e l’amichetta chiudiamoci–in–sè–stessi!” urlò, prima di chiudersi la porta alle spalle.

 

Inuyasha roteò gli occhi, poggiando i gomiti sulle ginocchia muscolose. Miroku, oltre ad essere pervertito era anche lunatico, e sinceramente non sapeva quale delle due cose fosse peggio.

 

Un momento.

 

Aggrottò le sopracciglia, spiccio. Era strano che non gli avesse rivolto alcuna domanda da psicanalisi com’era solito fare. Anzi, era proprio ridicolo che se ne tornasse a casa – a lavorare per di più!

 

Si alzò di scatto, con un terribile presentimento. Quando arrivò alla finestra – sentendo il cuore sballonzolargli nel petto da destra a sinistra – si chiese anche come avesse fatto a cascare così facilmente in quel tranello. Poi giurò che da quel momento non avrebbe più avuto alcun migliore amico.

 

 

 

* * *

 

 

 

“Scusate ragazze, avete bisogno d’aiuto?”.

 

 

 

 

 

* * *

 

Ciao =) Innanzitutto, grazie mille ai lettori, ai recensori e a chi ha aggiunto la storia ai preferiti (poi mi dilungherò di più, scusate). Comunque, è il caso che dia qualche precisazione in più sulla storia: è ambientata a Tokyo, siamo nell’epoca contemporanea, e l’età dei personaggi è ovviamente over diciotto. Il titolo della storia proviene dall’omonima canzone degli Oasis, “Wonderwall”, alquanto significativa per la storia che ho in mente (vi consiglio di ascoltarla, se non avete nulla da fare =3) Per il resto... vi lascio ai ringraziamenti ;P

Bacioni, Janelle.

 

Mione90: Ciao! Suppongo che il tuo nick provenga dal personaggio di Hermione Granger, di HP; se è così, sei entrata automaticamente sulla lista dei miei preferiti! La adoro! Comunque, grazie mille per la recensione, soprattutto per i complimenti sul mio modo di scrivere. Baci =)

 

Beverly Rose: Sei concisa e diretta, e queste sono ottime qualità! Grazie mille, spero davvero di ricevere altre tue recensioni in futuro *_*

 

Kagome19: Grazie mille di avermi detto il tuo parere! Eccoti accontentata dunque, poi se vuoi dimmi quello che ne pensi ;P kiss.

 

Bea91: Oh..! Grazie! “Un inizio accattivante”... per me è un enorme complimento, visto che non sono granché brava con i misteri ed i segreti =P Spero davvero che ti appassioni, bacioni!

 

Dolce Sango91: Come non amare queste coppie? Sono le mie preferite di sempre *ç* Ah...! Una cosa l’hai sicuramente azzeccata; Kagome sarà la vicina di Inu! Ma per il resto ti lascio a crogiolarti nei dubbi... ;P Grazie mille per tutti i complimenti e perché leggendo la tua recensione (e anche le altre, of course), mi avete spinta a scrivere questo capitolo! Kiss.

 

Marea: Ma che bel nick! Grazie mille dei complimenti, davvero; sono lusingata! Anche io molto spesso trovo storie piacevoli e intriganti ma non del tutto corrette dal punto di vista lessicale e grammaticale... spero di riuscire ad essere una comunione delle due parti! =) Bacioni!

 

Bellatrix_Indomita: La tua recensione è stata in grado di tenermi col fiato sul collo! (Ho un certo timore per le critiche, lo ammetto; anche se poi ne faccio tesoro). Ma alla fine... grazie! Grazie davvero! Ah... lo spoiler, eheh. =P Vedremo, vedremo. Spero di ricevere una tua recensione! Baci.

 

Inukag4ever: Concordo pienamente col tuo nick *_* Ho deciso che metterò alcuni spezzoni di testi musicali all’inizio di ogni capitolo; ovviamente sono pienamente (o quasi) inerenti al testo! Davvero uso termini poco comuni? =P Il fatto è che cerco sempre di variare un po’ il vocabolario, evitando di usare sempre gli stessi aggettivi. Grazie per tutti i complimenti, thanks. Baci!

 

Al prossimo capitolo, darling. =P

Janelle.

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