Ares Chronicles - Destini spezzati

di DarkSide_of_Gemini
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Ares Chronicles – Destini spezzati

 

Le donne erano tre, sedute in uno stretto vicolo ai margini della strada. All’apparenza sembravano identiche: tre figure coperte da un mantello del colore della notte, le teste chine e vicine come se stessero confabulando qualcosa. Sembravano avvolte da una nebbia immobile e nessuno faceva caso a loro. La gente che affollava la strada sterrata del piccolo villaggio era del tutto indifferente a quella misteriosa presenza che aveva invece attirato l’attenzione del ragazzino. Era in piedi fuori da una bottega ad aspettare sua zia e nel frattempo scrutava curioso quelle tre figure che parevano invisibili agli occhi degli altri. Aveva la strana sensazione che solo lui potesse vederle, che volessero essere visibili solo ai suoi occhi. Ma perché?

Indeciso lanciò un’occhiata all’interno del negozio e sembrò misurare la lunghezza della strada che lo separava da quelle figure spettrali. Infine decise di avvicinarsi.

-Il giovane viene incontro al suo destino-

Esordì quella al centro. Nessuna delle tre aveva alzato lo sguardo.

-Chi può dire, Sorelle, se la scelta è saggia o meno?-

A primo impatto il bambino pensò che, forse, l’idea di andare da quelle donne non era stata poi così saggia. Un brivido freddo gli corse lungo la schiena: il destino, avevano detto. Loro conoscevano il suo destino? Nessuno, se non gli Dèi, era capace di simili prodigi.

-Vuole sapere: glielo leggo negli occhi-

-Non ci è dato rivelare il fato ai mortali-

-Tuttavia- concluse la terza –un monito su di esso possiamo concederlo. Il futuro rimarrà immutato fino alla sua scelta-

Fino ad allora era rimasto in silenzio ad ascoltare quelle tre anziane che discutevano di lui come se non ci fosse. Il ragazzino prese coraggio e si schiarì la voce: nonostante quello, il suono delle sue parole risuonò assai incerto.

-Che cosa potete rivelarmi di ciò che il futuro ha in serbo per me?-

L’aura intorno alle donne parve intensificarsi mentre le loro voci si sovrapponevano –Vita o morte. Potere o amore. Cosa sceglierai una volta giunto il momento? Due vite unite da un vincolo arcano, due destini separati da una scelta cruciale. Sacrificio o indifferenza? Questo determinerà la tua sorte-

Quella luce lo abbagliava e diventava sempre più intensa –Non capisco…-

-Tra sette anni- continuarono le voci –arriveranno. Ma non verranno per te: è tuo fratello che cercano-

Il cuore del ragazzino ebbe un sussulto –Mio fratello?-

-E’ tempo di andare-

-Aspettate!-

Ma in un lampo le tre figure svanirono lasciandolo solo e tremante. Mai, in seguito, raccontò a qualcuno di quello strano incontro, né fece parola di ciò che le tre donne gli avevano rivelato. Tuttavia, di tanto in tanto, le loro parole gli ritornavano alla mente e con loro quel senso di smarrimento e impotenza che gli avevano mozzato il respiro già la prima volta. Il significato di quel monito oscuro sembrava sfuggirgli non appena era ad un passo dall’afferrarne il significato. Con il passare degli anni in petto gli cresceva un timore di ciò che sarebbe successo una volta giunto il momento di prendere quella decisione da cui le donne lo avevano messo in guardia.

Pericolo, avevano preannunciato. Aveva detto che qualcuno sarebbe arrivato a cercare suo fratello e che allora, in base alla sua scelta, il suo destino sarebbe stato deciso. Ma di quale scelta parlavano? E perché degli individui misteriosi avrebbero dovuto dare la caccia a suo fratello?

******

-Arethas!-

Il gemello agitava un braccio per fargli cenno di sbrigarsi. Lui camminava con fare svogliato sul sentiero di ghiaia che portava alla casa della zia. Avevano sempre vissuto con zia Khloe, sin da quando erano piccoli, in un calmo villaggio non lontano da Atene. Era quasi l’imbrunire, le prime stelle brillavano nel cielo color indaco mentre gli ultimi riflessi infuocati del sole svanivano tra le lontane onde di cristallo del mare.

Quella sera non ci teneva particolarmente a tornare a casa. Quella sera era la sera. Erano passati esattamente sette anni da quando Arethas aveva incontrato le tre donne. Secondo la loro profezia, quella sera sarebbe giunto il momento di determinare il suo destino. Ma come? Quella domanda lo aveva assillato nel corso del tempo, mese dopo mese, anno dopo anno. Aveva percepito con ansia il tempo accorciarsi come fosse lo stoppino consumato di una candela che, quella notte, avrebbe smesso di bruciare. Sentiva che doveva succedere qualcosa, e non era una bella sensazione.  Inoltre, lui non era mai stato tipo da prendere decisioni importanti. Lui era un tipo timido, equilibrato, che mai si lasciava andare ad atti violenti o scelte affrettate. In effetti, lui era tutto il contrario di suo fratello. Sollevò lo sguardo dal terreno disseminato di pietruzze e incontrò, a pochi metri da lui, gli occhi di ametista del gemello.

Sosthenes era l’impulsività fatta persona: era sempre attivo, pieno di energia e voglia di esplorare. Una testa calda – a parere della zia – dato che spesso era ritornato a casa pieno di lividi e sanguinante dopo l’ennesima lotta ingaggiata con i bulli del quartiere.

Lui sosteneva sempre di aver agito per difesa, sia personale che di altra gente, e borbottava indignato quando la zia lo pregava di tenersi fuori dai guai.

-Cosa dovrei fare quando vedo che qualcuno viene maltrattato?- ribatteva tra un lamento e l’altro mentre Khloe gli bendava strette le ferite –Pensi che dovrei stare lì a guardare? O che semplicemente dovrei girare i tacchi e non prestare soccorso?-

-Sosthenes- sospirava la zia –tu non sei un eroe. Apprezzo questo tuo spirito altruista, ma non puoi sempre sacrificarti per il bene del prossimo. Vedi tuo fratello? Lui non mi ha mai dato questo genere di preoccupazioni. Lui sa come stare lontano dal pericolo-

A quelle parole, in teoria, Arethas avrebbe dovuto sentirsi fiero di servire come modello di riferimento, ma ogni volta non poteva fare altro se non chinare lo sguardo con vergogna. Lui non era mai stato coinvolto in una rissa, era vero, ma per il semplice fatto che fuggiva qualsiasi problema gli si parava sulla strada. Se era vero che Sosthenes si sarebbe gettato a capofitto in soccorso di una persona in difficoltà, lui avrebbe di certo voltato la schiena per ritornare sui suoi passi.

Spesso si rimproverava per quei suoi eccessi di vigliaccheria, eppure non riusciva a superarli. Non riusciva ad imporsi né voleva rischiare anche in minima parte coinvolgimenti personali in situazioni rischiose. Evitava i guai per quanto gli era possibile, e le poche volte in cui ciò gli era difficile finiva sempre con lo scegliere la via più facile per venirne fuori senza lottare un minuto di più o perdersi in difesa di chi si trovava nella sua stessa situazione.

A volte Arethas rimpiangeva il fatto di non possedere almeno una parte dello spirito battagliero del fratello. Tra loro due Sosthenes era sempre stato il più forte, il vero cuore della famiglia. Sebbene si scambiassero solo di poche ore lui era sempre stato il fratello maggiore, quello che sapeva sempre come cavarsela in ogni situazione, quello che era disposto a sacrificarsi per il fratellino, gli amici o i parenti. A volte Arethas si sentiva la sua ombra, una fotocopia riuscita male, come se i loro genitori avessero voluto provare ad eguagliare la perfezione del primo figlio con una seconda creatura del tutto simile a lui nell’aspetto ma, purtroppo, diametralmente opposta nel carattere. Subito dopo ricacciava indietro quei pensieri. Lui amava suo fratello nonostante si sentisse solo una sua pallida imitazione, nonostante non riuscisse ad eguagliarlo in quanto a forza fisica o a presenza di spirito.

Erano una coppia speciale, loro, la loro armonia di contrasti era ciò che li rendeva unici e complementari. Sosthenes era di gran lunga più bravo nell’agire, nel porre la sua forza a difesa dei più deboli; lui, Arethas, in compenso sapeva ascoltare, riflettere e donare i giusti consigli al momento opportuno. Insieme erano il braccio e la mente, il pensiero e l’azione. Erano unici e indivisibili. E poi erano gemelli, legati sin dal giorno della loro nascita da un vincolo misterioso quanto potente. Spezzarlo sarebbe stato impossibile. Dividerli sarebbe stato impossibile.

*****

A volte era capitato che Arethas colonizzasse il letto del fratello quando era troppo stanco per fare caso all’errore o semplicemente quando entrambi si contendevano il posto vicino la finestra. Quella notte invece decise di restare sul letto di Sosthenes di proposito. Quella notte, a detta delle tre donne, qualcuno sarebbe venuto a cercare il fratello: questa era l’unica cosa che aveva chiara; per il resto, aveva deciso di lasciar perdere tutte quelle farneticazioni sul destino. Ciò che sarebbe accaduto era un mistero e nessuno, d’altronde, era mai stato capace di sottrarsi al proprio fato: ciò che gli Dèi decidevano trovava sempre il modo di avverarsi. Inoltre, per lui era importante solo una cosa: proteggere suo fratello. Se per riuscirci avrebbe dovuto rischiare, allora l’avrebbe fatto.

Mentre stava steso nell’oscurità della camera rifletteva su quella sua prima, vera presa di posizione. Mai aveva pensato di sacrificarsi per qualcuno, nel suo egoistico modo di affrontare la vita l’unica cosa importante era la salvaguardia personale. Quella decisione forse avrebbe cambiato la sua vita, o forse non l’avrebbe fatto. Chi avrebbe potuto dirlo?

In qualche modo si sentiva responsabile verso un'unica persona, e quella persona era suo fratello Sosthenes. Forse era per dimostrare l’ammirazione che aveva sempre nutrito nei suoi confronti, o per ripagarlo di tutte le volte in cui era stato malmenato al suo posto quando era accorso in sua difesa nel corso degli anni, o forse perché voleva dimostrare di essere come lui, di avere il coraggio di affrontare il pericolo come Sosthenes aveva sempre fatto sin da bambino. Tra quelle opzioni non aveva ancora saputo decidere quale fosse la più corretta, né se tutte e tre fossero parte di una verità più estesa che si celava alla sua comprensione. Qualunque cosa fosse, ormai aveva deciso: quella volta era il suo turno di difendere il gemello.

Le ore passarono lente senza che nulla turbasse la quiete della casa. Quel silenzio d’attesa impediva al ragazzo di rilassarsi o anche solo pensare a qualcosa che non fosse la minaccia imminente di una forza oscura. Arethas si limitava a stare lì, disteso nell’ombra, ad ascoltare il lontano sciabordare del mare e le voci della zia e del gemello nella cucina.

Passò così tanto tempo che iniziò a pensare persino che quella fosse stata tutta una sua paranoia. A pensarci bene era assurdo: insomma, tre vecchie fantasma gli avevano predetto che il suo destino era messo a repentaglio da una minaccia diretta al fratello. Nella sua visione razionale della vita tutto quello gli era sempre sembrato inverosimile, eppure sentiva che in quelle parole c’era un fondo di verità. E quell’unico pensiero lo aveva sempre convinto dell’assoluta veridicità della profezia.

Sosthenes non era ancora rientrato in camera quando un’improvvisa folata di vento spalancò la finestra della stanza. Nel buio Arethas ebbe un sussulto, tuttavia si costrinse a rimanere immobile. Il cuore iniziò ad accelerare i battiti e gli balzò in gola nel momento in cui due mani di ghiaccio dalla consistenza quasi incorporea lo afferrarono per trascinarlo via.

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Salve salve! Si capisce che ho una venerazione per i gemelli? In effetti questa è la prima fic in cui tratto di una coppia di fratelli, di solito i miei personaggi sono tutti figli unici. Però… eh, quando si parla di gemelli è un altro discorso *^* poi si sa… in Saint Seiya non è che i gemelli siano proprio fortunati… cosa ne dite, sarò più cattiva di zio Kuru? ;)

Dunque, sarà stata una buona idea lo scambio di persona o sarebbe stato meglio un po’ di sano menefreghismo? A voi i giudizi.

Ringrazio chiunque vorrà seguire questa nuova impresa :) e vi do appuntamento al prossimo capitolo, in cui entreranno in scena due dei miei OC preferiti… ehehe!

Buon weekend!

Kisses,

Rory_Chan

 

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Capitolo 2
*** 2 ***


Ares Chronicles – Destini Spezzati

 

Arethas avvertì uno strappo allo stomaco ed ebbe come la sensazione di sorvolare l’intera Grecia in meno di tre secondi. Subito dopo fu lasciato precipitare malamente al suolo. Era pietra ruvida quella sulla quale era caduto, e quando il trauma per quel brusco viaggio dimensionale fu in parte assorbito il ragazzo si mise a sedere per cercare di capire dove mai fosse finito. Scoprì con sorpresa di non essere solo: attorno al lui si trovavano altri ragazzi più o meno della sua età, che a loro volta si guardavano attorno senza capire cosa fosse quel luogo. Si trovavano in una sala circolare come di un vecchio tempio, l’aria all’interno era fredda e l’illuminazione stentata di alcune torce era insufficiente per capire di più. I bagliori in continuo movimento delle fiamme danzavano sulla roccia spoglia riflettendosi su quei visi increduli.

Era ben intuibile il timore che aveva man mano contagiato persino i più spavaldi, rendendo ciascuno dei ragazzi una maschera atterrita da un terrore non specificato. Quello non presagiva nulla di buono: Arethas era sempre stato abile nel fiutare un pericolo, e quella situazione gli urlava di trovare al più presto una via di fuga.

“Codardo, sei solo un codardo” – non c’era via di fuga, quello era evidente. E qualcosa gli diceva che non gli si sarebbe prestata alcuna occasione per fuggire in futuro. Dunque avrebbe dovuto affrontare ciò che lo attendeva, avrebbe dovuto per la prima volta fare affidamento unicamente sulle sue scarse forze e l’istinto di sopravvivenza.

Odiava ammetterlo, ma avrebbe giurato di essere il più spaventato nella sala: si sentiva debole, esposto e il suo unico desiderio era filarsela da quel posto e ritornare a casa. Un pensiero, tuttavia, gli era di conforto: in quel momento al suo posto avrebbe potuto esserci Sosthenes. Chissà da quali insidie lo aveva salvato scambiandosi per lui. Sì, doveva essere fiero di quel suo gesto, continuò a ripetersi per darsi coraggio, fino a quando i suoi pensieri non vennero interrotti.

-In piedi!-

Una voce aspra risuonò tra le pareti della sala. All’unisono decine di teste si voltarono nella direzione dalla quale era provenuta: un uomo stava in piedi davanti ad una porta aperta che nessuno aveva notato; la sua figura era per metà inghiottita nell’ombra, le fiamme illuminavano solo l’orlo di una tunica color porpora.

-Non avete sentito? Seguitemi, subito-

I ragazzi si guardarono come a cercare aiuto, come a scovare il ribelle che avrebbe preteso la libertà opponendosi al carceriere. Ma nessuno osò protestare. Senza neanche fiatare tutti si alzarono incamminandosi nella direzione in cui l’uomo era sparito. Percorsero stretti corridoi illuminati a intervalli regolari da alcune torce fissate alle pareti. Le fiamme erano smosse a tratti da spifferi di aria fredda, segno che, in qualche modo, doveva essere stato costruito qualche impianto di areazione. Le mura erano corrose dall’azione di quell’aria e dall’acqua che filtrava da alcuni anfratti sulla roccia dando vita a piccole pozze o rigagnoli.

Infine entrarono in un’ampia sala circolare, il tetto era sorretto da antiche colonne in stile dorico. In cima ad alcuni scalini sui quali si trovava una sorta di palco rialzato era in piedi l’uomo che li aveva portati fin lì. Sembrava anziano, aveva lunghi capelli grigi che sembravano fatti di fil di ferro e occhi scuri come braci. Impugnava una sorta di scettro alla cui estremità inferiore era incastonata la punta senza dubbio affilata di una lancia da guerra; l’asta era imbrattata da macchie scure, era facile indovinare che quella verga non servisse solo come oggetto di arredamento. Doveva aver colpito almeno una volta, e nessuno si era curato di ripulirla dal sangue.

Arethas sgomitò tra la folla per cercare di avvicinarsi in modo da avere una visuale migliore.

-Scusa- chiese ad un ragazzo accanto a lui –tu sai cosa…?-

-Silenzio!-

La voce dell’uomo risuonò tra le pareti di pietra. I suoi occhi sembrarono squadrare il ragazzo con severità in un ammonimento che non aveva bisogno di parole. Era chiaro che quel tipo non avrebbe esitato a usare la sua arma se fosse stato necessario.

-Vi è stato concesso un grande privilegio, fortunati giovani- esordì subito dopo iniziando a passeggiare sulla sua pedana, ogni parola amplificata dal tetto a cupola –un futuro di gloria e potere vi attende. Voi siete stati scelti per formare un esercito, il più grande e eroico di sempre, il più terribile che sia mai stato assemblato nel corso dei secoli. Insieme creeremo una nuova epoca di terrore e prosperità il nome del dio che ci guiderà alla vittoria-

“Un dio…?”.

Un brivido freddo corse lungo la schiena di Arethas. Le fiamme illuminarono il viso scarno dell’uomo conferendo al suo sguardo un bagliore d’inferno mentre i suoi occhi vagavano sulla folla di ragazzi che lo fissavano attoniti.

-Permettete che mi presenti: il mio nome è Ktesias, Sacerdote di Ares Andreiphontês-

Un silenzio totale accolse quella dichiarazione. L’atmosfera della stanza non avrebbe potuto essere più pesante; i ragazzi si voltarono appena cercando gli sguardi l’uno dell’altro come a chiedersi se quello fosse solo un sogno o la realtà.

Ares lo sterminatore di uomini l’aveva chiamato il Sacerdote utilizzando uno dei tanti epiteti del dio. Ares, il dio della guerra brutale, amante del sangue e del terrore. Ares, che tra tutti i Dodici Olimpi era il più spietato e violento. Non era possibile!

Loro avrebbero dovuto formare l’esercito di Ares? Loro, le guardie prescelte di un dio che ancora non si era palesato?

Arethas aveva predetto giusto: pericolo. Quello andava ben oltre la sua immaginazione. Fino ad allora aveva pensato che suo fratello si fosse messo nei guai con gli ennesimi malviventi e che questi volessero dargli una lezione. Aveva pensato che fosse una questione risolvibile, un qualcosa sulla quale un giorno magari avrebbe anche potuto riderci su. Ma quello era troppo: lui, un guerriero di Ares?

-Adesso- continuò Ktesias –vi guiderò nelle vostre stanze: domani vi attende un grande giorno. Vi unirete ai vostri compagni e inizieranno per voi le sessioni di allenamento-

“I vostri compagni?” Arethas seguì il flusso di ragazzi senza badare a dove stavano andando “Vuol dire che ce ne sono degli altri?”.

Che cosa significava tutto quello? Ares – o chi per lui – aveva intenzione di rapire altri giovani per formare il proprio esercito? Quella strategia, a pensarci bene, era tipica del suo stile. Ragazzi forti e capaci da indottrinare al proprio culto al fine di dare inizio ad una nuova guerra per il potere.

Ecco perché quelle donne lo avevano messo in guardia, ragionò Arethas mentre entrava in una specie di dormitorio dove file di letti spartani da caserma percorrevano le lunghe pareti – certo, ecco perché avevano parlato di suo fratello: tra di loro, uno come Sosthenes sarebbe stato di gran lunga più adatto a diventare un guerriero di Ares.

Tuttavia Sosthenes non era lì, e lui avrebbe dovuto capire presto cosa si nascondeva in quel luogo e imparare quantomeno a sopravvivere.

*****

Gli era sembrato di aver appena chiuso gli occhi quando la voce di Ktesias donò un brusco risveglio agli occupanti della stanza. Dalle strette finestre poste vicino al soffitto filtravano i primi raggi dell’alba. Per quanto si guardassero intorno non c’era traccia del Sacerdote, eppure la sua voce era suonata ben chiara e aveva ordinato di ritornare nella sala dove erano stati accolti la sera prima.

Al loro arrivo nella notte quella stanza era fredda e spoglia: non appena rientrarono, invece, era stata imbandita con panche di legno e lunghi tavoli apparecchiati con ogni sorta di ben di Dio. Ktesias aveva parlato di addestramento: era logico che volevano averli bene in forma per poter restare al passo con i rigidi ritmi militari che sembravano vigere in quel luogo. Mentre i ragazzi prendevano posto il Sacerdote iniziò a illustrare come si sarebbe svolto il loro apprendistato.

Arethas notò che quasi nessuno lo ascoltava; alcuni dei suoi compagni scrutavano sospettosi il cibo quasi temessero che fosse avvelenato. La voce dell’uomo fu null’altro che un insistente ronzio per tutta la durata della colazione. Nessuno tra i ragazzi aveva ancora spiccicato una parola: era come se avessero paura di arrendersi all’evidenza di quello strano sogno, sarebbe stato come accettare di trovarsi alle prese con un dio megalomane e spietato. Si limitavano a scambiarsi occhiate furtive quasi volessero chiedere conforto l’un l’altro per scacciare, se non altro, la sensazione di vivere da soli in una realtà dalla quale a nessuno era concesso di scappare.

Dopo Ktesias li guidò lungo un altro dedalo di strette vie fino a giungere ad una porta che si affacciava su un ampio anfiteatro; altri ragazzi erano già seduti sugli spalti di pietra. Indossavano quelle che sembravano tenute da combattimento con rinforzature e pettorali in cuoio.

In quella sala, a detta del Sacerdote, li attendeva il loro allenatore. Non appena li lasciò un rumore di passi provenne da un luogo indefinito, e poco dopo quello che sarebbe stato il loro istruttore fece il suo ingresso sul palco circolare. Molti occhi si sgranarono e alcune teste si sporsero per vedere meglio: era appena entrata una bella donna dai lunghi capelli corvini che contrastavano con il colorito diafano della sua pelle. Malgrado si trovassero in una palestra la donna indossava un lungo vestito nero dal tipico taglio greco. I suoi occhi d’argento ispezionarono i nuovi arrivati e le labbra le si piegarono in un sorriso enigmatico.

-Vedo che abbiamo dei novellini- la sua voce vellutata aveva un che di autoritario; nonostante fosse una donna il suo tono metteva subito in chiaro che pretendeva il rispetto dovuto ad un qualsiasi guerriero –bene: per chi ancora non mi conoscesse io sono Enio, vostro personale istruttore di combattimento. Invito i molti visi adoranti a non lasciarsi distrarre da ciò che deve essere il vostro obiettivo principale: la guerra. Invito tutti ad essere puntuali e dare il meglio di voi: chiunque sarà ritenuto indegno di far parte dell’esercito di Ares… credetemi, i poveretti che finora si sono mostrati sgraditi ai nostri gusti lo saranno invece a quello dei vermi-

Qui inserì un’occhiata come a dire: intesi? – molti annuirono senza il bisogno che lei dicesse nulla.

Il suo sorriso si allargò –Perfetto. Cosa ne dite di un po’ di ripasso, oggi? Veterani, facciamo vedere a questi bambini di cosa siamo capaci-

Le iridi grigie della donna scrutarono la folla che pendeva dalle sue labbra. Arethas si accorse di trattenere il respiro e pensò ancora una volta all’ironia della sorte: per tutta la sua vita non aveva fatto altro che evitare i combattimenti, e adesso si trovava in mezzo a orde di aspiranti militari con l’unico scopo di mostrare la propria forza spezzando le ossa di qualcuno. Si passò una mano tra le ciocche scomposte di capelli neri, sperando che quel gesto non attirasse l’attenzione di Enio. Per un attimo gli parve che la donna si fosse voltata a fissarlo, ma poi comprese che stava guardando qualcuno seduto qualche fila sotto di lui.

-Chrysante- quel nome parve miele sulle sue labbra –vieni avanti. Mostriamo ai tuoi compagni la vera forza di un guerriero di Ares-

Un ragazzo tra le prime file si alzò portandosi al centro dell’arena. Era di una spanna più alto di Enio, aveva capelli biondi pettinati all’indietro anche se alcune ciocche gli scivolavano sulla fronte e più lunghi sulla nuca. Quando si voltò sembrò fare sfoggio di due cicatrici, una sul sopracciglio sinistro e l’altra sulla guancia. Arethas si chiese se le avesse da prima o se se le fosse procurate durante gli allenamenti. I suoi occhi verde pallido sembravano fluorescenti alla luce delle torce. Sul viso aveva stampata un’aria diffidente, un’espressione di secca superiorità che ad Arethas non piacque per nulla: aveva tutta l’aria di essere il gradasso di turno, e a lui non piacevano quel genere di persone.

Tutti osservavano con una malcelata meraviglia i due contendenti: Enio e Chrysante si squadrarono per alcuni istanti prima di dare il via allo scontro. Fu lei ad attaccare per prima: veloce come il pensiero indirizzò un destro dritto al viso del ragazzo, il quale si scansò con altrettanta abilità e rispose con un colpo diretto allo stomaco che però non andò a segno.

Da lì in poi i loro corpi parvero impegnati in una danza fluida e violenta al tempo stesso; un attimo prima si sfioravano e quello dopo erano già lontani per poi avvicinarsi di nuovo e stringersi o scansarsi in una sequela di mosse mai lasciate al caso.

Enio non sembrava in alcun modo impacciata dalle lunghe gonne che le volteggiavano intorno come lucide piume di corvo e a volte si sollevavano scoprendole le gambe e provocando una marea di acclamazioni selvagge e fischi di apprezzamento. Anche i capelli le svolazzavano attorno al viso e sulle spalle come fossero un lungo mantello di seta nera.

Arethas guardava la scena meravigliato; guardava i muscoli di quel ragazzo, Chrysante, guizzare sotto la pelle ambrata, il viso teso e arrossato sul quale spiccavano le cicatrici come due squarci su una tela immacolata. Anche lui sarebbe stato capace di combattere in quel modo? Conoscendosi lo riteneva impossibile. Era sicuro che, se solo si fosse trovato ad affrontare Enio in quell’istante, la donna lo avrebbe battuto in meno di cinque minuti. Davvero avrebbe potuto diventare come i ragazzi che già avevano iniziato l’addestramento?

Enio si fermò quando l’avversario rimase in ginocchio un secondo di troppo; ma lo scontro era tutt’altro che terminato: la donna prese una spada da una rastrelliera e la lanciò al ragazzo che si era prontamente rialzato nel frattempo. Aveva il respiro corto e la fronte imperlata di sudore, ma negli occhi gli balenò un lampo di determinazione, puro desiderio di vittoria. Chrysante doveva essere uno a cui la sconfitta non andava a genio.

I ragazzi notarono che Enio non aveva preso una spada per sé. Di fatto si limitò a passare una mano a mezz’aria: un bagliore argenteo scaturì dal suo palmo e solo un attimo dopo la donna impugnava una spada dalla lama in puro argento, dello stesso colore brillante dei suoi occhi. Era senza dubbio una gran bell’arma, e l’essere impugnata da quell’amazzone indomita le conferiva un che di leggendario e divino.

Il clangore del metallo riempì presto l’aria. Fendenti dalle velocità impossibile illuminavano l’aria di brevi lampi dai riflessi di fiamma. All’improvviso i due si bloccarono: la lama di Enio era ancora poggiata sulla guancia destra dell’avversario. L’argento si tinse di rosso, subito dopo le prime gocce di sangue colarono sul viso di Chrysante decretando così la vittoria della donna. Lei sorrise al ragazzo che aveva di fronte ostentando una secca aria di superiorità, poi gli strizzò l’occhio. Passò la lingua sulla lama insanguinata e sollevò la spada al cielo: quel gesto fu seguito da un coro sguaiato di urla trionfanti, decine di voci iniziarono a ripetere il suo nome in coro fino a che l’eco risultò essere solo un grido irriconoscibile.

Uno dei pochi a non partecipare a quel giubilo era proprio Arethas. Lui guardava ancora la donna e il ragazzo accanto a lei. Chrysante era forte, non c’era alcun dubbio: doveva avere una naturale inclinazione alla battaglia, e gli allenamenti lì con Enio lo avrebbero reso ancora più esperto e letale. Eppure neanche lui era riuscito a danneggiare la donna. E se non ci era riuscito lui, che era in pratica un guerriero nato, che speranze aveva qualcuno come Arethas di uscire vivo da lì?

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Bella gente, come va? Siete stati rapiti da qualche divinità pazza nel frattempo?

Ebbene, eccoci qui in quasi-compagnia di Ares. Che dire, anche se è un grandissimo antipatico è sempre stato un dio per il quale ho sempre provato un certo interesse, era inevitabile che prima o poi ci sarebbe scappata la fanfiction. Poi, su… si parla di guerra: chi meglio di Ares?

Come avevo annunciato ecco che entrano in scena due personaggi che adoro, sui quali si scoprirà di più andando avanti ;) ovviamente parlo di Enio e Chrysante, il Sacerdote mi sta abbastanza antipatico, anche se sarà utile pure lui. E sappiate che mi sono presa una cotta mortale per Chrys, voglio rapirlo io, altro che Ares!

Su: facciamo il tifo per Arethas, che da bravo ometto dovrà affrontare le sue paure e… ma che fai? *Arethas si è rintanato in un bunker di cuscini* - … ok, vedrò di farlo uscire da lì entro i prossimi capitoli <_<

 

Intanto ringrazio Aquarius no Leni e Jadis_ per aver inserito la storia tra le Seguite, e Jadis_ e winnie343 per le recensioni *inchino* :)

 

Ho finito anche per stavolta, alla prossima!

Kisses,

Rory_Chan

 

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Capitolo 3
*** 3 ***


Ares ChroniclesDestini Spezzati

 

Dapprima Sosthenes non aveva fatto caso alla scomparsa del gemello. Non era un segreto che spesso Arethas lasciasse la casa per insolite passeggiate notturne, quando per una ragione o per  l’altra non riusciva a prendere sonno. Lui e Khloe avevano imparato a lasciarlo fare; sapevano entrambi che Arethas aveva sofferto forse più di tutti per la perdita dei genitori, e il fatto che volesse di tanto in tanto stare da solo era del tutto giustificabile. Da quando, otto anni prima, i loro genitori erano scomparsi Arethas si era chiuso in sé stesso in un mutismo che solo adesso iniziava a superare. Lui era sempre stato un ragazzo riservato al quale non piaceva mostrare i propri sentimenti: il nascondere quel dolore così grande agli occhi di tutti doveva essergli costato una fatica immensa. Solo una volta Sosthenes lo aveva seguito quando, per la prima volta, lo aveva visto sgattaiolare furtivo fuori dalla casa della zia. Lo aveva visto passeggiare in riva al mare notturno e asciugare una lacrima e poi un’altra, aveva visto le sue spalle sussultare con violenza crescente e per la prima volta aveva sentito il gemello singhiozzare disperato come un bimbo inerme davanti alla crudeltà del mondo. Avrebbe voluto andare a consolarlo, stringerlo in un abbraccio e lasciarlo piangere sulla sua spalla fin quando quella sofferenza non l’avesse abbandonato del tutto, ma sapeva già che non sarebbe stata una buona idea: se solo Arethas avesse scoperto di essere stato seguito si sarebbe privato anche di quei momenti di sfogo, e ciò avrebbe contribuito solo a farlo stare ancora più male. Alla fine Sosthenes era ritornato a casa e non aveva fatto parola con nessuno di quella notte.

Dunque quella sera aveva pensato che Arethas fosse stato colto da uno dei suoi attacchi di malinconia e avesse preferito sfuggire da sguardi indiscreti per cercare il conforto complice della notte. Aveva scacciato quel brutto presentimento che per un attimo lo aveva messo in agitazione ed era andato a letto, convinto che la mattina dopo avrebbe trovato il fratello in camera. Ma quando si svegliò di colpo alle prime luci dell’alba la stanza era vuota e una sensazione di ansia opprimente gli premeva in petto. Rimase per un lungo istante a guardare il letto ancora in ordine del gemello, segno evidente che Arethas non era tornato a casa.

Arethas non era tornato a casa. Aveva sempre temuto qualcosa del genere. In tutti quegli anni Sosthenes aveva sempre avuto il terrore che il fratello potesse commettere qualche imprudenza, che alla fine non avrebbe retto più il peso del trauma e avrebbe finito con il combinare qualche guaio. Dov’era finito, dove diavolo era andato?

Si trattenne dal gridare il suo nome. Era ancora presto, avrebbe solo finito per svegliare la zia e metterla in agitazione. Doveva ragionare, doveva fermarsi a riflettere. Peccato che lui non fosse proprio il tipo da starsene seduto a pensare, lui si trovava più a suo agio nel momento dell’azione.

Sosthenes si prese la testa tra le mani imprecando sottovoce. Dove poteva essere? Scostò con un gesto brusco le lenzuola e, ancora prima di rendersene conto, era già vestito e diretto verso la porta. Esitò nel passare davanti la stanza della zia: non potevano sparire entrambi, alla povera vecchia sarebbe venuto un colpo. Così si mise alla ricerca frenetica di carta e penna e lasciò un messaggio breve e conciso sul tavolo della cucina: Arethas era sparito. Lui l’avrebbe trovato e poi sarebbero tornati a casa. “Non ti preoccupare”, scrisse alla fine, anche se sapeva che era del tutto inutile: Khloe avrebbe dato di matto già dalla prima riga.

Subito dopo era fuori a guardarsi intorno: da dove iniziare le ricerche?  In quel momento lo spirito pratico del fratello gli avrebbe fatto comodo. Mai lui si era perso in lunghe riflessioni, mai aveva esaminato le diverse possibilità alla risoluzione di un problema. Di solito agiva di impulso, spesso sbagliava o non riusciva ad affrontare la situazione al meglio. Gli veniva persino difficile seguire i ragionamenti logici che il fratello spesso provava ad illustrargli per il semplice fatto che non riusciva a fermarsi per riflettere, l’unica cosa che gli premeva era passare alla parte pratica della questione.

Cos’avrebbe fatto Arethas al suo posto? Infine decise di cercare prima nei luoghi che frequentavano spesso, dove credeva di avere maggiori possibilità di trovare qualcosa. Scese dunque in spiaggia, esaminò ogni singola insenatura senza risultato; poi passò lì dove avevano costruito una pericolante casa sull’albero qualche anno prima; dopo ancora ispezionò le vie sterrate che conducevano alla campagna, nei loro mille nascondigli. In nessuno di quei posti gli fu possibile scovare anche il minimo indizio del passaggio del gemello. Il sole era già alto in cielo quando Sosthenes tornò sui suoi passi per dirigersi infine verso il cuore del villaggio: forse lì qualcuno avrebbe potuto aiutarlo, in cuor suo sperava che qualcuno avesse notato qualcosa di insolito, un movimento, un’ombra che avrebbe potuto condurlo sulla pista giusta.

Chiese inutilmente ad ogni persona che incontrava se avesse visto un ragazzo identico a lui passare per quella via la notte scorsa: qualcuno scrollò le spalle, altri lo guardarono in modo strano borbottando con disapprovazione su quello scherzo idiota.

Sosthenes iniziò a perdere le speranze. Calciò una pietra con rabbia: doveva pur esserci una spiegazione, suo fratello non aveva certo potuto volatilizzarsi da un giorno all’altro! Non voleva pensare al peggio. Non voleva pensare che forse Arethas avesse potuto avere un incidente, che potesse essergli successo qualcosa di irreparabile. Non se lo sarebbe perdonato.

Stava pensando se non fosse il caso di chiedere aiuto quando la voce di un’anziana lo distolse dai suoi pensieri.

-… la scorsa notte, inspiegabilmente-

Stava dicendo a qualcuno. Sosthenes ebbe un sussulto e si affrettò a sporgersi dall’angolo di un’abitazione: un uomo gli dava le spalle, di fronte a lui c’era la donna che aveva parlato. L’uomo era alto, indossava quella che sembrava una divisa da addestramento; aveva lunghi capelli blu sciolti sulla schiena e poggiava una mano sulla spalla della nonnina come se stesse cercando di rassicurarla.

-Scopriremo cosa sta succedendo e ritroveremo suo nipote-

Promise prima di andare via.

“E’ scomparso qualcun altro?” – cosa stava succedendo? Il cuore gli batteva forte in petto, agitato da quell’inquietante notizia.

Sosthenes fu abbastanza svelto da nascondersi prima che l’uomo si girasse, ma non poté fare a meno di notare la sua aria cupa quando gli passò accanto. Era evidente che lui si stava in qualche modo occupando della faccenda. Dopo un attimo di incertezza il ragazzo prese coraggio e gli corse dietro.

-Fermatevi!-

Quello si voltò subito, rimanendo a scrutare il ragazzo che lo aveva richiamato. Mai Sosthenes si era sentito in imbarazzo, eppure in quel momento, sotto gli occhi azzurri di quell’individuo, si sentì di colpo a disagio.

-Posso fare qualcosa per te?-

Gli venne incontro il suo interlocutore dopo alcuni secondi di silenzio. Quello contribuì solo a impacciarlo ancora di più: perché non aveva pensato prima a cosa dire? Di sicuro Arethas lo avrebbe fatto.

-Io… ho sentito che dicevate di cercare il nipote di quella donna. Mi chiedevo…-

-Conoscevi quel ragazzo? Sai dove può essere?-

Sosthenes scosse la testa –No. Però questa notte è scomparso anche mio fratello. In realtà non so se sia scomparso, fatto sta che non riesco a trovarlo da nessuna parte. Insomma, non intendo scomparso nel nulla, ma forse…-

“Diamine, penserà che sono un idiota!” il ragazzo decise di tacere.

In effetti lo sguardo dell’uomo tradiva una certa perplessità, ma dopo un po’ si accorse che quell’atteggiamento non era dovuto alle sue parole. Il giovane di fronte a lui pareva riflettere su qualcosa, la fronte appena aggrottata. Infine quella ruga si distese quando tornò a guardarlo.

Sosthenes decise di andare dritto al punto –State facendo delle indagini riguardo questa faccenda?-

L’altro indugiò nel dare la risposta –Sì, diciamo pure così-

Il ragazzo gli si parò davanti –Permettetemi di aiutarvi! Per favore, farò qualunque cosa mi sarà detto di fare, non vi sarò in alcun modo d’intralcio. Per favore-

Gli occhi azzurri dell’uomo scrutarono i suoi per un tempo che parve lunghissimo. Il ragazzo confidava sul fatto che un aiuto avrebbe fatto comodo in quelle circostanze: nessuno era così sprovveduto da accollarsi la ricerca di due ragazzi smarriti, sempre ammesso che non ce ne fossero stati altri.

-Seguimi-

Disse alla fine l’uomo, e riprese il cammino senza aggiungere altro mentre lui si affrettava a corrergli dietro.

Si allontanarono sempre di più dal centro abitato percorrendo strette vie e gole profonde fino ad arrivare in un largo spiazzo deserto. Uno spettacolo mozzafiato si rivelò agli occhi del ragazzo. Aveva sentito parlare di quel luogo solo nelle antiche leggende. Il sentiero ripido tra le insenature delle rocce, il marmo bianco dei templi che riluceva al sole, tutto era come l’aveva sempre immaginato. Sosthenes non credeva ai suoi occhi.

-Questo… questo è…!-

-Sì, esatto. Benvenuto al Grande Tempio-

Il Grande Tempio di Atene, il luogo di culto della Vergine guerriera. Molti erano i racconti che Sosthenes aveva sentito narrare su Athena e i suoi Cavalieri, le gesta degli eroi che avevano più volte salvato la terra. In realtà le narrazioni di quelle battaglie memorabili erano andate perdute nel corso del tempo, e lui aveva sempre creduto che non fossero altro che storie antiche, nient’altro che leggende volte ad esaltare grandi eroi dei quali nessuno poteva confermare l’esistenza.

Eppure ecco che tutto era realtà, proprio lì davanti ai suoi occhi. Dopo la sorpresa iniziale di fronte al complesso dei dodici templi, una nuova supposizione si fece strada nell’animo del ragazzo. Si voltò a guardare l’uomo accanto a sé con un timore quasi reverenziale e parve riconoscere solo allora chi si trovava di fronte.

-Voi siete dunque…-

-Saga di Gemini, custode della terza Casa dello Zodiaco-

Per un attimo Sosthenes ebbe la netta impressione di trovarsi in un sogno. Come poteva essere altrimenti?

-Ti vedo stupito, ragazzo- un leggero sorriso divertito illuminava il viso del Saint di Gemini –posso assicurarti che è tutto reale. Finirai per farci l’abitudine, suppongo. Se hai ancora l’intenzione di aiutarmi seguimi pure-

Quasi Sosthenes non si accorse che il Cavaliere si stava allontanando; teneva ancora gli occhi fissi sull’intero complesso, troppo stupito per ribattere.

Il Tempio di Athena, i Saints… quelle erano le storie che avevano accompagnato la sua infanzia. Adesso gli sembrava incredibile che tutto si fosse materializzato davanti ai suoi occhi: si sentiva come risucchiato indietro nel tempo fino ai tempi del mito, accanto a guerrieri valorosi e Dèi senza pietà. Lui cosa ci faceva immerso in quelle vicende di sangue?

Sebbene qualcosa gli dicesse che quello non era il suo posto si affrettò a seguire Saga su fino al terzo Tempio. L’interno era semibuio nonostante la luce del sole al di fuori, un’atmosfera pesante e carica di mistero aleggiava tra le mura di marmo, come se quelle pareti facessero uno sforzo enorme per non gridare di tutto il dolore e la morte a cui avevano assistito.

Sosthenes si sentiva in soggezione mentre percorreva il lungo corridoio centrale, e si sentì ancora più a disagio quando una nuova figura sbucò dall’ombra squadrandolo con ostilità.

Il nuovo arrivato era del tutto identico a Saga: esistevano solo alcune piccole, impercettibili differenze tra loro, che solo un occhio esperto avrebbe potuto cogliere; la più evidente in quel momento era l’espressione del viso: l’altro lo scrutava come un leone che ha appena fiutato un intruso nel proprio territorio.

Rivolse una breve occhiata al Cavaliere e incrociò le braccia appoggiando il peso su una colonna. Un sorriso sbieco gli distorse le labbra mentre continuava a fissare l’ospite con aria di superiorità.

-Bè, Saga… se proprio volevi portare in casa un randagio, avresti potuto scegliere un cane-

Quello era chiaramente l’unico benvenuto che Sosthenes avrebbe ricevuto da parte sua.

Saga degnò il gemello di una fugace occhiata di rimprovero –Il randagio potrebbe aiutarci, Kanon-

Il ragazzo si sentì perquisire dallo sguardo indagatore dell’uomo. Una scrollata di spalle fu la sua prima risposta –Già, lo vedo. Allora, ragazzo, svelaci un po’ di quest’oscura minaccia. Ne sai qualcosa, immagino-

Lui fece per rispondere, ma Saga gli si era già parato davanti –Smettila. È possibile che tu sia sempre così…-

Abbassò il capo senza terminare la frase. Sosthenes aveva intuito una nota di disperata rassegnazione nelle parole del Cavaliere. Gli fu subito chiaro che, qualunque cosa fosse successa tra i due, il loro rapporto non era dei migliori. Tutto l’opposto di lui e Arethas. Nel pensare al fratello gli si strinse lo stomaco in una nuova fitta di preoccupazione.

Solo dopo che si furono allontanati Saga gli rivolse una fugace occhiata colpevole.

-Perdonalo, Kanon è fatto così. I rapporti sociali non sono mai stati il suo forte. Temo che dovrai farci l’abitudine quanto prima-

In poche parole: avrebbe dovuto imparare a convivere con chi avrebbe preferito la compagnia di un cane alla sua.

Il Cavaliere non approfondì l’argomento, tuttavia Sosthenes ebbe come l’impressione che quell’uomo portasse dentro un gran peso, qualcosa che lo tormentava a proposito del fratello.

Attraversarono in silenzio le restanti Case prima di giungere nella sala in cui Athena li aspettava già: la giovane si alzò dal trono rialzato non appena i due fecero il loro ingresso nella stanza. Il suo viso tradiva una certa apprensione, non si aspettava buone notizie.

Sosthenes rimase in disparte mentre il Saint riferiva delle notizie apprese al villaggio: a quanto pareva altri ragazzi erano spariti, e nessuno aveva idea di dove trovarli. L’espressione della ragazza si fece ancora più grave, poi i suoi occhi azzurri si spostarono sull’ospite.

-Tu hai dunque promesso a Gemini di aiutarci a scoprire di più su queste sparizioni?-

Sotto quello sguardo si sentì subito sotto interrogatorio; nonostante quello si fece avanti.

-Farò tutto il possibile per esservi d’aiuto, potete starne certi-

Lei lo scrutò a lungo quasi volesse scrutargli dentro per scoprire le sue intenzioni –Potrebbe non essere semplice. Per quale motivo hai deciso di unirti alle ricerche?-

Sosthenes chinò per un attimo lo sguardo, subito dopo strinse i pugni con rinnovata determinazione –E’ per via di mio fratello. Lui è tra i ragazzi scomparsi. Ho promesso che l’avrei trovato e riportato a casa, a qualunque costo. Se posso fare qualcosa per aiutarvi a ritrovarlo non mi tiro indietro-

Tra la ragazza e il Cavaliere corse un breve sguardo d’intesa. La determinazione di quel nuovo arrivato gli sarebbe stata d’aiuto, tuttavia la questione non era semplice come poteva sembrare.

-Potrebbe celarsi qualcosa di oscuro dietro queste sparizioni- la giovane strinse le braccia al petto, il viso teso da una preoccupazione che non si era curata di nascondere –non possiamo sapere a cosa andremo incontro. Forse…-

Non terminò la frase. Sosthenes scrutò il Saint di Gemini: aveva dipinta in volto un’espressione pari a quella della dea; i muscoli gli si erano irrigiditi quasi fosse pronto a scattare contro un misterioso rivale.

-Temete qualcosa in particolare, Signora?-

Aveva preso la questione alla larga, facendo però intendere di volere una risposta ben precisa.

Lei sospirò, i suoi occhi vagarono alla ricerca di quelli di lui –Temo un avversario più potente di un semplice criminale. Se così fosse sai cosa potrebbe scatenarsi, Gemini-

Saga annuì appena, riflettendo sulla rivelazione appena appresa.

Dal canto suo, Sosthenes si stava rendendo conto che i due lo avevano tagliato fuori dalla conversazione come se stessero decidendo da soli se valesse la pena tenerlo con loro o meno. Non poteva perdere quell’occasione: se gli fosse stato negato l’aiuto di chi combatteva per la sua stessa causa cosa ne sarebbe stato di suo fratello?

-Se credete che si stia preparando una battaglia- prese parola approfittando del silenzio sceso nella sala –sappiate che non temo la guerra. Ho fatto un giuramento e intendo mantenerlo, che voi mi concediate il vostro appoggio o meno. Se proprio è una battaglia quella che dovremo affrontare allora preparatemi, non chiedo altro-

Athena e Saga lo scrutarono per un istante infinito.

-Essere allenato qui, al Grande Tempio? Ciò che richiediamo ai nostri allievi va oltre le capacità di un comune essere umano-

Il ragazzo strinse i pugni: era facile capire che non avrebbe demorso fin quando non avesse ottenuto ciò che voleva –Mettetemi alla prova. Se non sarò degno di ciò che cercate allora me ne andrò senza intralciare oltre le vostre ricerche. Ma datemi almeno una possibilità-

La ragazza fece per ribattere, ma un gesto del Cavaliere bloccò la sua protesta. Gemini lo squadrava come se avesse riconosciuto in lui qualcosa, come se lo ritenesse davvero degno di perseguire quella lotta al fianco dei guerrieri della dea vergine.

-Se è questo che vuole allora sta bene. Una possibilità: ti accetto come allievo, ragazzo, ti concedo una settimana per farmi vedere ciò di cui sei capace-

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Eccoci qua, finalmente entrano in scena Saga e l’amore fraterno di Kanon. Si vogliono tanto bene, non so se avete notato xD lo so, forse sono stata crudele a contrapporli a due gemelli che, invece, si amano profondamente. Questo li metterà parecchio in crisi.

Concentriamoci un po’ su Sosthenes: a differenza del fratello lui è senza dubbio più forte, ma cosa dite: riuscirà a sopravvivere all’addestramento del nostro Gemini? Lo scopriremo solo leggendo ;)

Vi ringrazio come sempre per seguirmi, adesso si aprono le scommesse su quale dei due gemelli avrà vita più dura.

Come riferimento temporale la storia si svolge nel solito ipotetico post Hades, tutti vivi, tutti felici (felici?), tutti a poter morire allegramente insieme di nuovo, insomma.

Bon, passo e chiudo,

alla prossima

Rory_Chan

 

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