L'essenziale è invisibile agli occhi

di regarde_le_ciel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo -L'inizio di una nuova vita- ***
Capitolo 2: *** Uno studio in rosa parte 1 ***
Capitolo 3: *** Uno studio in rosa parte 2 ***
Capitolo 4: *** C'era una volta un piccolo principe che aveva bisogno di un amico ***
Capitolo 5: *** Il banchiere cieco parte 1 ***
Capitolo 6: *** Avviso ***



Capitolo 1
*** Prologo -L'inizio di una nuova vita- ***


L'ESSENZIALE E' INVISIBILE AGLI OCCHI

 

PROLOGO

 

L'INIZIO DI UNA NUOVA VITA

 

Una serie di bare bianche si trovavano vicino alla pista dell'aeroporto, erano tutte ricoperte con la bandiera degli U.S.A., tutt'intorno vi erano degli uomini con la stessa uniforme, proprio come quella di papà; un uomo che avevo visto tante volte in TV stava davanti ad un leggio anche esso bianco. Tante donne e altri bambini come me stavano lì davanti all'uomo, tutti vestiti di nero, non riuscivo a capire cosa ci facevo lì, i miei pensieri furono interrotti dall'inno cantato e suonato dalla banda. Mia mamma stava piangendo ma non ne capivo il perché, cosa stava succedendo?

-Signori, signore cari bambini e ragazzi. Siamo qui riuniti per onorare i nostri eroi, che hanno messo il benessere dello stato sopra la loro stessa vita, che hanno lottato con tutte le loro forze per proteggerci e salvare la vita a persone innocenti, uguali a noi. I nostri eroi, sono stati capaci di sacrificare le loro vite per salvarne altre e io, presidente degli Stati Uniti d'America, mando le mie più sincere condoglianze a tutti coloro che hanno perso una persona cara, sappiate, che anche noi soffriamo insieme a voi. Vi ringrazio per essere qui, oggi, per ricordarli e vi prego di non scordarvi mai di loro.

Il nostro governo vi offrirà sostegno sia morale che economico.

Vogliamo far ricordare per sempre i seguenti eroi:

-Poseidone Jackson

-Tristan McLean

-Esperanza Valdez

-Giove Grace

-Plutone Levasque

-Marte Chang

 

Mi alzai di scatto, silenziosamente per non svegliare Rachel, presi la mia stampella e cercai di andare nella terrazza vicino alla camera da letto, senza fare rumore, cosa che era quasi impossibile a causa dell'oggetto ortopedico. Appena giunto lì mi sedetti con molta attenzione su una poltroncina in vimini. L'aria fresca della notte riusciva quasi sempre a calmarmi e farmi riprendere, soprattutto dopo quel doloroso ricordo che mi affliggeva quasi ogni notte, provai ad alzarmi per andare vicino al parapetto ma, mi dimenticai della stampella e il dolore che sentii alla gamba sinistra mi fece urlare e cadere sulla sedia.

-Cos'hai Percy?- una figura dai capelli rossi si affacciò davanti alla porta trasparente che portava al terrazzo.

-Niente, Rachel, passa.- di solito riuscivo a convincerla e andava tranquilla a letto.

-Va bene, ma evita di fare tutto questo rumore, starei cercando di dormire.-

-Certo, amore.-

Rimasi lì seduto fino all'alba. Presi la mia fidata amica stampella e mi avvicinai lentamente al parapetto. Osservai tutte quelle sfumature che partivano dal bianco per andare fino ad un arancione vivace, con qualche chiazza violacea e bleuette. Per molti l'alba simboleggia la rinascita, la vittoria della luce sul buio, per me no. Fin da quando ero piccolo avevo sognato di essere come papà, come un eroe, capace di salvare la vita a molte persone innocenti e, se fosse stato il caso, anche di sacrificare la mia vita per il bene dello stato, proprio come lui. Così mi iscrissi alla scuola militare e successivamente mi arruolai nel esercito, diventando così un medico militare. Passai anni a curare ferite di guerra più o meno gravi, amputazioni e altri interventi del genere erano molto frequenti, lì in Afganistan. Circa una settimana fa, eravamo a corto di uomini, molti di loro erano morti a causa delle mine antiuomo, così dovetti andare a combattere: stavo perlustrando il territorio, quando lo vidi. Un uomo, era distante da me circa una ventina di metri, aveva una divisa diversa dalla mia, era il momento giusto di colpirlo, dato che lui non mi aveva ancora visto: presi la mira e nel mentre, lui si girò; ci guardammo negli occhi, non potevo farlo, non potevo uccidere un uomo. Sfortunatamente lui non la pensò così, prese la sua pistola, la mira e sparò. Riuscii a buttarmi ma non nonostante ciò sentivo un dolore incredibile alla gamba sinistra, spostai lo sguardo e vidi l'arto ricoperto interamente di sangue. Quando tutto ciò successe era l'alba.

Il proiettile era rimasto bloccato nella gamba e dopo vari tentativi riuscirono a toglierlo, ma, nonostante l'intervento fosse riuscito, l'arto mi faceva ancora molto male: alcuni dottori mi proposero di amputare la gamba, perché non sarei mai guarito.

L'alba aveva lasciato spazio all'azzurro grigiastro del giorno. Dovevo andare a prepararmi per andare dal dottore che avrebbe dato un'occhiata alla mia gamba per controllare che tutto fosse apposto. Mi vestii, salutai Rachel e presi un taxi. Arrivai subito davanti allo studio, visto che stranamente non c'era tutto quel traffico caratteristico di New York, entrai e presi posto; fui accolto dal dottore che mi fece qualche controllo e dopo di che mi consigliò come al solito di prendere un taxi dato che era meglio non sforzare la mia sensibile gamba e di evitare i spazi affollati: così feci. Il traffico si era parecchio intensificato: due code lunghissime occupavano l'avenue principale di New York, gente che tirava un colpo di clacson, altra che imprecava, altra che parlava al cellulare e altra stressata che si era arresa e aveva appoggiato la testa al volante. Arrivai a casa a verso le dieci e mi fermai a comprare un quotidiano vicino al chiosco di casa mia: in prima pagina si parlava delle ormai vicine elezioni presidenziali e dei candidati, nell'altra della nazionale di rugby e dello scandalo delle scommesse, continuai a sfogliare il giornale disinteressato fino a quando un titolo non attirò la mia attenzione; l'articolo in poche parole diceva che nell'ultimo mese nella metropoli di New York vi erano stati cinque casi di suicidio ma, che in un modo o nell'altro erano collegati tra di loro.

Chiusi il giornale e ed entrai in uno dei palazzi ove era situata casa mia, erano circa le dieci e dieci, di solito quando tornavo da una visita medica arrivavo verso le dodici. Salii nell'ascensore e provai ad aprire la porta. Era chiusa a chiave: la mia fidanzata non chiudeva mai la porta di casa a meno che nessuno di noi vi fosse presente, era parecchio strano come comportamento. Bussai una, due, tre volte ma non mi rispose nessuno; cosa diavolo stava succedendo?

-Rachel? Sei a casa?- ero preoccupato, se fosse entrato qualcuno di pericoloso? Non osavo immaginare quello che poteva succedere.

Stavo per buttare giù la porta quando Rachel aprì la porta:-Ma che hai? Sei impazzito? Che ci fai a quest'ora qui, mica eri dal dottore?- parlava velocemente, il colorito della pelle era diventato della stessa tonalità dei capelli, rosso fuoco, gli occhi verdi prato mi rivolgevano uno sguardo severo, io ero lì che mi stavo preoccupando, immaginandomi scenari che andavano di male in peggio e lei mi rimproverava. Il mio flusso di pensieri fu interrotto da un rumore che sembrava essere causato da una caduta, feci per entrare in casa ma la mia ragazza mi fermò:- Che credi di fare?-

-Entrare nella mia casa?- dissi con un tono sarcastico

-Oh, ma questa non è più casa tua!- un uomo si avvicinò dietro di lei, le mise un braccio intorno alle spalle, il ragazzo era coperto solo da un paio di boxer -e questa non è più la tua ragazza da almeno due anni, io se fossi al tuo posto me ne andrei, sai, magari rimani anche senza l'altra gamba.- inspirai profondamente e contai fino a dieci per mantenere la calma, entrai in casa presi i miei pochi averi e me ne andai via, non aveva senso iniziare a lottare una battaglia già persa. Nonostante avessi reagito in modo calmo la rabbia cresceva dentro di me in modo smisurato. Uscii dall'appartamento sbattendo la porta in una mano tenevo il borsone mentre nell'altra mano la mia fidata stampella.

 

Un anno dopo

 

-Percy, hai scritto nel blog? Certo che non hai scritto. Lo sai tu come lo so anch'io che tu ce la puoi fare, è vero, sei un soldato e ti ci vorrà del tempo per abituarti alla tua vita di civile, ma te l'ho detto, che se tu scrivessi sul tuo blog inizierai piano, piano ad ambientarti e vedrai che anche la tua gamba ne trarrà beneficio.-

-Va bene Dottore Solace.-

Intanto

 

-Signor Grace, com'è possibile che la polizia non sia ancora riuscita a risolvere “il caso”? Vogliamo conoscere la realtà, è già passato un anno e se nota ci sono stati altri dieci suicidi.-

-le forze di Polizia si stanno impegnando e stanno facendo del loro meglio: quello che sappiamo ve l'abbiamo detto-

-sono le stesse cose che ci avete detto l'anno scorso!-

 

 

Ero seduto su una delle panchine del Central park, stavo aspettando la mia migliore amica, Piper.

Era una ragazza alta del fisico slanciato, capelli castani intrecciati con delle piume e con due grandi occhi color caleidoscopio. Si avvicinò e si sedette vicino a me salutandomi battendomi una pacca sulla spalla, un sorriso che partiva da un orecchio e arrivava fino all'altro le impreziosiva il volto, quel giorno era stato molto speciale per lei: era molto portata per la scrittura, fin da quando eravamo piccoli narrava gli avvenimenti, i giochi e gli scherzi che facevamo tra di noi, i “figli dei caduti”, non c'era sicuramente da sorprendersi se era riuscita a trovare lavoro al New York Times, proprio quella mattina pubblicò il suo primo articolo.

-Jason è un gran pallone gonfiato, pensa sempre di avere la situazione sotto controllo quando non è così, ma in realtà non riesce a recepire il fatto che deve lasciare il suo dannato orgoglio da parte, qui si tratta di persone innocenti!-

-Non ho ancora capito perché stanno indagando, voglio dire, si tratta di suicidio. E poi hai ragione Jason dovrebbe calmarsi un po'- dissi ridendo, io, Piper e Jason (o ispettore Grace) avevamo perso i genitori, erano caduti in guerra, eravamo cresciuti praticamente insieme, ovvio, continuavamo a litigare ma ci volevamo bene.

-Dovevi sentirlo alla conferenza: la polizia sta risolvendo, abbiate fiducia in me, so fare il mio lavoro!- disse imitando il ragazzo biondo.

-Lasciando perdere questi futili argomenti, come va la gamba? E che ti ha detto l'analista?-

Alzai gli occhi al cielo e le risposi -la mia gamba va benissimo e il dottore ha detto le solite cose.-

-Sai Percy che cosa ti ci vorrebbe? Conoscere qualcuno, socializzare, magari, che ne so, trovare un coinquilino o una coinquilina, sei sempre lì solo chiuso in quella specie di buco.- dove voleva andare a parare?

-Suvvia Piper, chi pensi che mi voglia, sono solo un medico militare reduce dalla guerra in Afghanistan, e per di più zoppo!-

-Sai, sta mattina qualcun altro mi ha detto la stessa cosa.- disse in modo persuasivo.

-Un altro zoppo? Che bello ci uniamo in un club!- dissi in modo sarcastico. Non capivo assolutamente perché mi stesse praticamente spingendo ad andarmene a vivere con qualcuno che non conosco.

-Dai muoviti Percy!-

Prendemmo un taxi e ci avviammo verso uno studio di ricerca, fantastico, mi toccava pure vivere con un dottore?

Prendemmo l'ascensore che ci portò in un corridoio anonimo, simile a quello degli ospedali, ci trovammo davanti una porta bianco sporca.

Una ragazza bionda con i capelli riccioli stava china su un telescopio intenta a osservare chissà quali batteri. Alzò leggermente lo sguardo per poi ritornare al suo lavoro: la pelle era abbronzata, gli occhi grigi come nubi temporalesche.

-Che servizio inefficiente avete voi americani, circa dieci minuti fa ho ordinato un caffè, e non è ancora arrivato.- disse sbuffando, aveva un accento strano, forse britannico?

-Ciao.- disse la mia migliore amica. Ma la ragazza non le rispose, già l'odiavo pareva una persona fredda, altezzosa e saccente, non capivo il motivo per cui me la volesse presentare.

-Afghanistan o Iraq?- continuava a fissare l'oggetto da lavoro concentrata.

-Scusa?-

-Dov'è successo, in Afghanistan o Iraq?- rivolsi uno sguardo sorpreso a Piper.

-Afghanistan, ma lei come fa a saperlo?-

-Io vado a prenderti il caffè, come lo vuoi?-

-Espresso, corto e senza zucchero.- disse studiando la provetta che si trovava davanti a lei. Il silenzio seguente fu imbarazzante: lei non parlò e io non parlai., fu interrotto dalla mia amica che era tornata con la bevanda calda.

-Tieni.- disse porgendogli il caffè.

-Non lo voglio più , bevilo tu, ormai ne hai già bevuto un po', non voglio fare scambio di germi e DNA con te.- e si rimise al lavoro senza considerarmi.

Stette zitta per una decina di minuti analizzando vari materiali da lavoro, quando, improvvisamente parlò:

-A lei piace il veleno?- non capivo con chi stesse parlano, ne tanto meno il senso della domanda.

-Come scusa?- magari non avevo capito bene.

-Io sono il veleno quando penso, a volte non parlo per giorni interi. Due potenziali coinquilini dovrebbero poter conoscere i difetti reciproci.- Che cosa aveva combinato Piper?

-Gli hai parlato di me?- chiesi alla ragazza mora.

-Niente affatto.- mi rivolse un sorriso compiaciuto e sincero allo stesso tempo.

-Allora chi ha parlato di coinquilini?-

-Io, sta mattina ho detto a Piper che sarà difficile trovare un coinquilino e dopo pranzo si presenta con un vecchio amico chiaramente rientrato da una missione in Afghanistan, non è stato difficile.-

-Come sapeva dell'Afghanistan?-dovevo sapere come aveva fatto.

-Ho adocchiato un piccolo appartamento al centro di New York, insieme potremmo permettercelo, ci vediamo lì domani sera alle 7. Scusate ma adesso devo proprio scappare.- disse prendendo il trench.

-Tutto qui?-

-Tutto qui cosa?- era una ragazza bella, molto bella, pareva quasi californiana se non fosse stata per la particolare sfumatura degli occhi, peccato per il carattere.

-Vuoi condividere un appartamento con me?-

-Problemi?-

-Noi due non ci conosciamo affatto, non conosco neanche questo posto e nemmeno il suo nome.-

-Io so che lei è un medico militare, che è stato ferito in Afghanistan, so che ha un fratello che si preoccupa per lei ma non gli chiederà aiuto perché probabilmente è un alcolista e che di recente ha lasciato la moglie. E so che la sua analista pensa che il suo zoppicare sia psicosomatico, diagnosi corretta, è sufficiente per frequentarci non crede?-

Uscì dalla stanza e poi si riaffacciò e disse con fare teatrale: -il mio nome è Chase, Annabeth Chase e il mio indirizzo è il 221b di Baker Street.

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Hey, carissimi!

Penserete che sono pazza, voglio dire, sto già lavorando su un'altra long però non sono riuscita a resistere alla tentazione: quando l'ispirazione arriva non si può far altro che scrivere.

Ringrazio tutti coloro che sono arrivati alla fine del mio esperimento (che spero sia andato a buon fine), non so quanto sarà lunga la storia, se a voi piace come idea potrei aggiungere più capitoli.

Fatemi sapere la vostra opinione :)

-Alexandra.

 

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Capitolo 2
*** Uno studio in rosa parte 1 ***


L'ESSENZIALE E' INVISIBILE AGLI OCCHI

 

CAPITOLO 1

 

UNO STUDIO IN ROSA -parte 1-

 

Baker Street 221b. Cosa mi era saltato per la mente, voglio dire, l'avevo vista per circa mezz'ora e avevo decretato una serie di cose: irritante, fredda e saccente. Eppure nonostante ciò decisi di andare a dare un'occhiata, magari l'appartamento non era tanto male e forse mi ero fatto una cattiva impressione della ragazza.

Ero davanti al grande portone del palazzo da circa dieci minuti indeciso sul da farsi, dopo aver meditato al lungo alzai la mano per bussare alla porta, ma fui interrotto.

-Buongiorno Perseus!- Annabeth Chase scese da un taxi giallo e si avvicinò a me.

-Buongiorno Chase.-

-Chiamami pure Annabeth.- distesi il braccio per stringere la mano ma la ragazza la guardò con diffidenza e aria di superiorità.

-Di solito gli appartamenti di questa zona sono abbastanza costosi.- dissi per fare un po' di conversazione, mi sentivo a disagio di fronte alla misteriosa bionda.

-Sì, lo so, ma l'amministratrice mi deve un favore: qualche anno fa suo marito fu condannato a morte in Florida e io riuscii ad aiutarla.-

-Quindi lei è riuscita a bloccare quel esecuzione?- forse quella ragazza non era tanto strana e neanche una sociopatica, dopo tutto aveva salvato la vita ad un pover'uomo.

-Oh no, la confermai- un ghigno tra il malefico e il sadico si posò per un attimo sulle labbra carnose. Come non detto, avevo a che fare con una bellissima ragazza, affetta sicuramente da qualche grave problema psicologico, avevo l'impressione che sicuramente sarei finito nei guai a causa sua.

-Annabeth, carissima! Oh, lui è il giovane che deve venire a vivere qui? Piacere...-

una signora sulla sessantina d'anni uscì fuori dal portone mentre un grandissimo sorriso di circostanza colorò il viso della mia coinquilina.

-Signora Hudson, che ne dice di entrare e di vedere l'appartamento: le presentazioni le facciamo dopo.- il tono di voce era gelido, ma l'anziana signora non ci fece caso, sorrise in modo affettuoso alla ragazza e ci condusse verso una rampa di scale; erano circa una decina di scale, ad ogni gradino che salivo la gamba mi faceva sempre più male, ero abbastanza scomodo con quella stampella, certe volete l'odiavo.

La signora Hudson aprì la porta: davanti a noi vi era un ampio soggiorno, il pavimento era in parquet mentre le mura erano ricoperte da una carta da parati bordeaux, in fondo alla camera vi era un bellissimo cammino in pietra: certo era piena di scatole di varie dimensioni e vari oggetti ma sicuramente erano appartenuti al vecchio proprietario che avrebbe portato via tutto.

-Delizioso, veramente delizioso-

-Già, è quello che pensavo anch'io-

-Sarebbe un bel posto dopo aver buttato tutta quell'immondizia!-

-Proprio per questo mi sono già trasferita!- dicemmo allo stesso tempo, dopo anni feci la mia prima gaffe.

Sopra al caminetto notai qualcosa che non era di mio gusto:-Quello è un teschio?-

-E' un mio amico e con amico intendo...- disse prendendo una penna stilografica dall'aspetto ottocentesco, spostandola su un tavolino che era posizionato al suo fianco. Mentre le guance si coloravano di porpora si allontanò.

-C'è un'altra stanza da letto al piano di sopra se vi serve.- quell'anziana signora appariva molto aperta e disponibile, però quella domanda non aveva nessun senso.

-Certo che ne occorrono due!- dissi ovvio

-Oh, si vede di tutto qui in giro! La signora Turner, la vicina di casa, preferisce quelli sposati.- disse a bassa voce con fare confidenziale.

-Lo terrò presente, grazie.-

-Oh cielo! Ho dimenticato lo stufato nel forno! Arrivò subito ragazzi.-

-Perseus, prendi posto-

-Percy.-

Ci sedemmo uno davanti all'altro sulle delle poltrone in pelle, ci guardammo negli occhi.

-Sa, ho fatto delle ricerche, l'ho trovata su Internet ieri sera.-

-Qualcosa di interessante?-

-Il suo sito: “scienza della deduzione”.-

-Ah, che cosa ne pensa?- il solito sorriso di circostanza era riapparso sulla bocca, il tono glaciale mi fece venire un brivido alla schiena, non avevo intenzione di rimanere a bocca aperta senza parole come l'altra volta, oh no, stavolta mi ero preparato per bene.

-Lei dice di riconoscere un programmatore dalla cravatta e un pilota di linea dall'indice sinistro...- ciarlatana, sicuramente stava mentendo, era semplicemente impossibile riuscirci.

-Sì, e so leggere la sua carriera militare dal suo viso e dalle sue gambe e le abitudini alcoliche di suo fratello dal suo cellulare.-

-Come fa a saperlo?- ero determinato a smascherarla, aveva sicuramente tirato ad indovinare.

La signora Hudson apparve davanti all'uscio della porta, stringendo in mano il New York Times:

-Che ne dici di questi suicidi Annabeth, pensavo che ti interessassero, quindici perfettamente identici.-

La bionda intanto si era messa di fronte alla finestra, aveva spostato la tenda e si era affacciata.

-Sedici, c'è ne stato un sedicesimo ma sta volta c'è qualcosa di diverso.-

Si sentì una serie rumorosa di passi che salivano velocemente sulle scale, Annabeth era ancora di spalle. La porta si aprì.

-Dove?- Jason aveva un'aria stanca e affannata.

-Fifth Avenue n° 24- disse l'ispettore rapidamente.

-Novità? Altrimenti non saresti venuto a cercarmi.- era impassibile, si trattava di una persona che ha perso la vita e lei non reagiva in nessun modo.

-Avevano mai lasciato un messaggio?-

-No.-

-Stavolta sì: vieni con me?- non avevo mai visto il mio amico in quelle condizioni, doveva essere successo qualcosa di grave se io-so-tutto-Jason non riusciva a cavarsela da solo.

-Chi c'è della scientifica?-

-Castellan.-

-Non lavora bene con me!-

-Non sarà il tuo assistente.- il mio sguardo si spostava da una parte all'altra come se seguissi una partita particolarmente coinvolgente di tennis.

-Allora, vieni con me?-

-Non con l'auto della polizia.-

-Grazie- Jason pareva molto riconoscente.

-Ciao Percy!-

-Ciao Jason.-

La ragazza dagli occhi tempestosi rimase ad osservare la finestra, il biondo uscì dalla stanza e iniziò a correre sulle scale.

Anche la signora Hudson, che pareva una donna chiacchierona non fiatò.

-Ottimo!-il silenzio in cui la stanza era sprofondata fu spezzato da un urlo gioioso e liberatorio, Annabeth fece un balzo e batté le mani-sedici uguali, ah, sembra Natale, Percy, si serva una tazza di the, si metta comodo. Buona notte!-disse mettendosi il trench e andando a recuperare i guanti.

Che nervoso, mi toccava rimanere lì, tutto solo: io dovevo capire come faceva a sapere tutto e oltre ciò mi sarei annoiato a morte, non che la signora Hudson non fosse simpatica solo che...

-Dannata gamba! Scusi, mi dispiace, solo che delle volte questa maledetta...-

-Oh, la capisco, io molto spesso ho mal di schiena, vado a farle il the, ma si ricordi: io non sono la vostra governante!-

La signora Hudson si incamminò verso la cucina; la sagoma slanciata di Annabeth era apparsa davanti all'uscio della porta, mi osservava con fare inquisitorio.

-Lei è un medico, un medico militare- disse mettendosi un guanto nero sulla mano.

-Sì.-

-Uno bravo- non era una domanda ma neanche una constatazione.

-Molto bravo...- chissà cosa aveva per la mente, lo sguardo che prima era inquisitorio, adesso era diventato leggermente malizioso.

-Avrà visto ferite, morti violente- che domande erano? Era ovvio che avevo vissuto sulla mia pelle tutte quelle terribili esperienze

-Sì-

-Anche qualche malattia magari...-

-Certo, sì, abbastanza, anche troppe.-

-Vuole vederne altre?- altro che bella, era attraente: se prima c'era una piccola scintilla di malizia negli occhi, adesso anche il sorriso non tentava di nasconderla. Al diavolo!

-Oddio si!-

-Era, noi usciamo!-

-Ma come? E il the? Va bene, ma ricordatevi: non sono la vostra governante! Dove andate?-

-A lavorare!- disse Annabeth con un sorriso malandrino

-Capisco che è il tuo lavoro Annabeth, ma suvvia, si tratta pur sempre di una povera persona che ha perso la vita: almeno un po' di decenza- disse la signora Hudson scandalizzata.

-Al diavolo la decenza, il gioco è appena cominciato!- e uscimmo fuori dalla porta principale.

Prendemmo posto sul taxi. L'eccitazione iniziale era andata scemando, nell'aria era tangibile la tensione, guardavo fuori dalla finestra stando attento a ciò che la ragazza stava facendo.

-O.K. Vada con le domande-

-Dove stiamo andando?-

-Sulla scena del crimine.-

-Lei chi è, che cosa fa?-

-Secondo lei?-poteva apparire sarcastica, ma non lo era, pareva quasi che volesse farmi ragionare.

-Un'investigatrice privata ma...-

-Ma..- sorriso curioso e delicato le adornava il volto

-La polizia non chiama investigatori privati.-

-Sono una consultante investigatrice, ho inventato io questa figura professionale: quando la polizia barcolla nel buio, ovvero sempre, consulta me.-

-La polizia non consulta i dilettanti- la bionda parve quasi offesa dalla mia affermazione, alzò gli occhi al cielo e sbuffò.

-Quando ci siamo conosciuti prima e le ho chieste Afghanistan o Iraq lei mi è parso sorpreso.-

Ovvio che ero sorpreso: una sconosciuta che ti fa certe domande...

-Lo sapeva-

-Non lo sapevo, l'ho capito: il taglio di capelli e il portamento militare. Ha il volto e le mani abbronzate, ma non oltre i polsi, è stato all'estero, ma non per vacanza. Zoppica quando cammina ma non chiede una sedia per riposare: quando è fermo e come se ne dimenticasse, quindi, è almeno parzialmente psicosomatico, il che significa che le circostanza della ferita sono state traumatiche, quindi è rimasto ferito in missione.- detto ciò prese una boccata d'aria, neanche Eminem sarebbe stato capace di parlare così veloce.

-Ha detto che ho un analista.-dissi sfidandola.

-Chiunque abbia disturbi psicosomatici ha un analista.- disse con fare ovvio ed un fastidioso accento britannico, rispose al mio sguardo e ri-iniziò a parlare-E' il turno di suo fratello. Il cellulare, è costoso con mail e lettore mp3, e pure cerca un coinquilino, non spenderebbe tutti quei soldi per comprarne uno, quindi è un regalo.

È pieno di graffi, stava nella stessa tasca con le monete e le chiavi, l'uomo che ho qui davanti non tratterebbe un oggetto di lusso così, quindi ha avuto un altro proprietario. Poi vi è l'incisione: Tyson Jackson, sicuramente non appartiene a suo padre, è un oggetto troppo moderno, probabilmente di un cugino; ma lei è un eroe di guerra, non ha un posto dove vivere quindi è improbabile che abbia una grande famiglia, perciò ha un fratello. Ora, Ella, tre baci indicano un rapporto con un forte legame sentimentale, molto più probabile che sia la moglie, non una fidanzata. È un regalo recente, il matrimonio non è andato bene visto che l'ha riciclato, l'avrebbe tenuto se lei l'avesse lasciato, di conseguenza lui ha lasciato lei e l'ha dato a lei perché voleva rimanere in contatto.

Lei cerca un appartamento economico ma non vuole chiedere aiuto al fratello, perciò avete dei problemi, magari lei voleva bene a sua moglie e non approva l'alcolismo.- non era possibile, ero letteralmente senza parole, di solito non ne parlavo nessuno, neanche Rachel con cui sono stato insieme cinque anni non lo sapeva: quella ragazza con uno solo sguardo riusciva a leggerti dentro, in modo oggettivo e senza implicarsi emotivamente.

-C-come diavolo a fatto a sapere che beve? Come l'ha intuito?-

-Diciamo che ho tirato ad indovinare, la presa del caricatore ha dei piccoli graffi: quando lo metteva in carica gli tremavano le mani, non ho mai visto il cellulare di un alcolista senza questi segni sopra: ecco fatto! Come vede avevo ragione come sempre.-

-Aveva ragione? A che proposito?-

-La polizia non consulta i dilettanti.- un sorrisetto soddisfatto le impreziosiva il volto. Eravamo appena entrati nella famosissima Fifth Avenue.

Mi girai verso la finestra per poter osservare meglio lo spettacoli di luci che offriva New York-E' stato incredibile- dissi a bassa voce, non volevo certo darle alcuna soddisfazione però cavolo...era semplicemente incredibile, ero rimasto senza parole per la quinta volta consecutiva e ciò non mi era mai successo.

-Davvero?- pareva quasi che non credesse al complimento che le avevo appena fatto.

-Ma certo, straordinario, veramente straordinario.-

-Non me l'ha mai detto nessuno.- sul suo volto non c'era il solito ghigno saccente, lo sguardo era vitreo e la guance erano diventate di un'adorabile sfumatura bordeaux.

-Che cosa le dicono?- ero curioso, se fino a qualche ora fa ero alquanto scettico sulla sua persona, in quel momento sentivo il bisogno di conoscerla, almeno un minimo.

-Fuori dai piedi!- ci guardammo negli occhi e sorridemmo, poi scendemmo dal taxi: davanti a noi vi era un palazzo poco curato, l'intonaco cadeva, l'atmosfera era inquietante, un paio di auto della polizia stavano circondando l'abitazione, mentre la classica benda gialla che diceva di non oltre passare svolazzava leggera.

-Allora, ho sbagliato qualcosa?-

-Tyson e io non andiamo d'accordo da sempre, Ellie e Tyson hanno rotto tre mesi fa e Tyson è un'alcolista. In realtà si chiama Cimpolea ma quand'era piccola praticava boxe, così l'abbiamo soprannominata Tyson, come il campione.- continuai ad avanzare lentamente tenendo stretta la mia stampella, mi girai perché Annabeth si era fermata.

-Tyson è tua sorella?-

-Esattamente...-

-Sua sorella!- gli occhi tempesta furono animati da una luce pericolosa, dava l'impressione quasi di essere omicida, Dei, l'umore di quella donna cambiava così velocemente.

-Io che ci faccio qui?-magari se provavo a cambiare argomento si sarebbe calmata.

-C'è sempre qualcosa di SBAGLIATO!- una serie di poliziotti della scientifica si voltò a guardarci. Arrivammo davanti alle bende gialle, una donna sulla trentina rivolgeva uno sguardo severo ad Annabeth, l'avevo già vista da qualche parte, ma non ricordavo dove: occhi azzurro elettrico, capelli nero pece, ma certo, era la sorella di Jason, Thalia, non la vedevo da anni.

-Annabeth.-

-Thalia.-

-Che ci fai qui?- si guardavano negli occhi, la loro voce era fredda, non si curavano nemmeno di avere un sorriso di circostanza.

-Sono stata invitata da tuo fratello.-

-Perché?-

-Mi sembra abbastanza logico: sono venuta a dare una mano.-

-Dai passa.- la mora alzò le bende di plastica per far passare Annabeth.

-Percy? E tu che ci fai qui?- non ebbi neanche il tempo di ascoltare per bene la frase che la bionda rispose.

-Lui è con me, è un mio collega.- collega? Io dovevo semplicemente dividere l'affitto con lei, non partecipare a queste “allegre” escursioni.

Dopo aver oltre passato, le due strisce di plastica tenute da Thalia, la mia coinquilina, si voltò e le disse -qualcuno non ha dormito a casa.-

-Ah, Castellan, eccoci qui.- eravamo giunti davanti alla porta d'ingresso, un uomo dai capelli biondi guardava in cagnesco Annabeth.

-E' la scena di un crimine, non voglio contaminazioni sono stato chiaro?-

-Cristallino. Tua moglie è via da molto?-

-Chase, non immischiarti...-

-Deodorante da uomo.-

-ovvio, vuoi che metta quello da donna?- disse sarcasticamente.

-No, solo che è lo stesso che ha addosso la Grace.-

Thalia intanto si era avvicinata a noi.

-Annabeth, non è quello che credi.-

-Lo so, la signorina Grace è passata a casa sua per fare qualche chiacchiera, suppongo, suppongo anche, che le abbia lavato i pavimenti a giudicare lo stato in cui si trovano le ginocchia della poveretta.- la scena era decisamente imbarazzante, volevo andarmene subito via da lì.

-Annabeth, vieni qui, ti concedo due minuti- Jason era vestito con una divisa sterilizzata che gli conferiva un'aria da alieno.

Dovevamo salire al piano superiore, la mia stampella doveva aiutarmi a superare una trentina di scale.

L'ambiente era spoglio, non c'era la traccia né di un armadio né di un tavolo, il nulla. La porta era spalancata, appena mi affacciai dovetti fare un respiro profondo e contare fino a dieci per mantenere la calma: lì, in mezzo alla stanza, vi era il cadavere di una donna vestita di rosa, per terra vicino alla sua mano vi era una scritta incisa: Rache. Deglutii e cercai di tranquillizzarmi.

Annabeth si avvicinò al corpo, si mise un paio di guanti in lattice, si fermo e si girò verso Jason:- Silenzio-

-Non ho parla...-

-Pensavi, è fastidioso.-

Detto ciò iniziò ad esaminare il cadavere, due minuti dopo fu interrotta dall'ispettore.

-Trovato niente?-

-Non molto.-

Castellan si appoggiò allo stipite della porta-E' tedesca, Rache, in tedesco significa vendetta, forse...- non fece in tempo a terminare la frase che Annabeth gli sbatté la porta in faccia.

-Sì, grazie per l'informazione.-

-Perciò è tedesca.-

-Affatto Grace, viene da fuori città, voleva rimanere a New York per una notte prima di tornare a casa, a Philadelphia, fin qui è ovvio.-

-Scusi, ovvio?- non capivo cosa ci fosse di ovvio, io, per terra vedevo solo un cadavere.

-E allora quel messaggio?- l'ispettore pareva scettico.

-Dottor Jackson che ne pensa?- che sia totalmente fuori di testa. Non volevo essere interpellato, stavo così bene lì ne mio angolino.

-Del messaggio?-

-Del corpo, è lei il medico.-

-Abbiamo un'intera squadra di medici, senza offesa Percy.-

-Non lavorano con me, dottor Jackson-

-Fai come ti dice.- Jason mi guardava quasi come se mi sarebbe successo qualcosa di brutto, poi uscì dalla camera mentre io mi avvicinai ad Annabeth, aveva un buon odore, fresco, sapeva di limoni.

-Allora?- mi inginocchiai vicino al cadavere.

-Che ci faccio qui?- era un mio diritto saperlo, la seguivo come se fossi un cane che segue fedelmente il suo padrone!

-Mi aiuta a capire la situazione.- disse semplicemente.

-Dovrei aiutarla a pagare l'affitto.-

-Questo è più divertente.-

-Davvero? C'è una donna morta.-

-La sua analisi è esatta ma speravo in qualcosa di più approfondito.- un brivido mi attraversò la schiena, non riusci a crederci, non era normale un simile comportamento, capivo magari essere impassibili, ma addirittura divertirsi? La situazione era assurda.

Jason ritornò nella stanza, presi il braccio della vittima e l'analizzai:-Sì, asfissia, probabilmente è svenuta e si è soffocata nel suo vomito, non ha bevuto alcol, probabilmente ha avuto un collasso, magari causato da una droga.-

-Ha letto cosa hanno scritto i giornali?-

-Bhé, è uno degli sedici suicidi.-

-Sono passati i due minuti, mi serve tutto quello che sai.-

-La vittima a quasi quaranta anni, è una professionista a giudicare dall'abito immagino che lavori nel mondo della televisione e dalla tonalità improbabile di rosa. E' arrivata da Philadelphia oggi con l'intenzione di passare una notte a New York dalla dimensione della sua valigia.-

-Valigia?- disse Jason confuso, lì in effetti non c'era nessuna valigia.

-Sì, la valigia. È sposata da almeno dieci anni, ma non è felice: ha avuto una sfilza di amanti ma non sapevano che fosse sposata.-

-Per l'amore del Cielo, te lo stai inventando?- il biondo la guardava divertito, anche a me dava l'impressione che stesse inventando.

-La fede nuziale è sporca mentre il resto dei gioielli viene pulito regolarmente, ma non la fede nuziale questo indica un matrimonio infelice: l'interno dell'anello è più lucido dell'esterno, veniva rimosso spesso, l'unica lucidatura che riceve è quando se lo sfila dal dito, ma non per lavoro, guarda le unghie, non si lavora con mani come quelle, quindi per cosa o per chi si sfila la fede? Non aveva un unico amante, non si può fingere di essere single per tanto tempo, gli amanti erano più di uno, elementare.-

-Straordinario! Scusi.- ero rimasto a bocca asciutta di nuovo, quella ragazza al posto del cervello sembrava avesse un computer.

-Philadelphia?- il poliziotto era ancora poco convinto

-E' ovvio.-

-Non è ovvio per me.- volevo capire come ragionava, e perché riusciva a trovare tutte quelle risposte semplicemente osservando.

La bionda sbuffò, alzò gli occhi al cielo per poi guardarmi con superiorità ma anche un po' di compassione, come se fossi stupido.

-Mio dio, ma che cosa avete dentro quei piccoli cervelli, nel caso in cui ce l'abbiate. Il cappotto è ancora umido, è stata sotto una forte pioggia per delle ore, a New York non ha piovuto, il colletto è umido segno che che l'ha alzato per proteggersi dal vento, ha un ombrello ma è asciutto ed inutilizzato, vento forte, troppo forte per usare l'ombrello, lo capiamo dalla valigia, deve venire da una distanza ragguardevole. Quindi dove c'è stata pioggia pesante e forte vento nelle ultime ore? Philadelphia.- concluse mostrandoci il meteo sul cellulare.

-Fantastico- sul serio, non potevo tenere la mia boccaccia chiusa?

-L'ha detto ad alta voce.-

-Scusi, starò zitto.-

-F-fa niente, v-va bene- disse arrossendo.

-Annabeth, perché parli di una valigia.-

-Sì, dove sta?- disse fra sé -Avrà avuto un cellulare o un'agenda, scoprite chi è Rachel.-

-Sta scrivendo Rachel?- chiese il biondo.

-No, stava scrivendo una minaccia in tedesco. Ovvio che stesse scrivendo Rachel, non può essere nient'altro. La domanda è perché ha aspettato di agonizzare per scriverlo?-

-Come sai che aveva una valigia?-

-Dietro la sua gamba destra ci sono delle piccole macchie sul tallone e sul polpaccio, ma non sulla sinistra, stava trascinando un trolley con la mano destra. Quelle macchie non hanno altra spiegazione, una valigetta a giudicare degli schizzi. Una valigetta e una donna così elegante, uno solo cambio, sarebbe stata fuori solo una notte. La valigetta dov'è, che fine ha fatto?-

Annabeth si guardava in giro

-Non c'erano valigie.- Jason pareva sicuro di quello che diceva

-Dillo di nuovo.- lo sguardo tempestoso era finito sull'ispettore,

-Non c'erano valigie, non ci sono mai state!- la ragazza chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. Aprì la porta e uscì urlando:-Una valigia, qualcuno che ha trovato una valigia? C'era una valigia in questa casa?-

-Chase, lo vuoi capire che non c'era nessuna dannata valigia!- intanto lei era già scesa giù dalla rampa di scale, io e Jason ci guardammo terrorizzati.

-Assumono dosi di veleno, masticano ed ingoiano le pasticche, sono segnali chiarissimi anche per persone come voi!-

-Ah, grazie, simpatica e gentile come al solito!-

-Sono omicidi, tutti quanti, non so come ma non sono suicidi, sono omicidi in serie.- prese una pausa, gli occhi le diventarono vitrei, sul suo volto apparve un sorriso malizioso, sembrava quasi come se fosse in trance-un serial killer tra le mani, gli adoro, riescono sempre a sorprenderti!-

avevo la pelle d'oca, appena riuscivo a reggermi in piedi, quella donna era una psicopatica, l'avrei portata dal mio analista.

-Sarà andata in albergo e avrà lasciatola valigia lì.-disse tentando di intuire: se ci riusciva lei ci potevo riuscire anch'io.

-Non è mai arrivata in albergo, guardatele i capelli, non uscirebbe mai con i capelli in disordine. I serial killer sono casi difficili, devi aspettare che commettano un errore.- disse sognante e felice.

-Non abbiamo tempo per aspettare!- Jason stava perdendo la pazienza e non era sicuramente l'unico, anch'io non sarei rimasto un minuto di più ad ascoltarla!

-Abbiamo finito di aspettare, osservate attentamente, Houston abbiamo un problema, andate a Philadelphia, cercate i famigliari e gli amici della vittima, trovate Rachel.-

-Sì, certo ma quale problema?- l'ispettore non capiva più niente.

-Il rosa!-

Poi iniziò a correre. Cercai di scendere il più velocemente possibile ma quando uscii fuori dalla casa era rimasta solo Thalia.

-Annabeth?-

-E' già partita.- disse accendendo una sigaretta-Sai perché viene qui? Non viene pagata, più il crimine è intricato, più si diverte. Un giorno non le basterà più e scopriremo che Annabeth è l'autrice del crimine.-

-Perché dovrebbe farlo?- avevo pensato che fosse una psicopatica, ma addirittura operare un omicidio per sfuggire alla noia?

-Perché è una psicopatica e gli psicopatici si annoiano. Non puoi cambiarla, lei non ha mai avuto, non ha e non avrà mai amici. Stai alla larga di Annabeth Chase.

 

Angolo dell'autrice:

Oddei, ma quanto ho scritto? Eccomi qui con il capitolo numero 1 che ho dovuto dividere in due, per motivi di spazio.

Ero indecisa sul fatto di far tornare la fedele Rachel ma alla fine ho deciso di dare il posto a Luke.

Volevo ringraziare: ReneeFandoms, Elisa_Holmes, anonima31, Ccezional_PM, per le recensioni e il feedback, per chi ha inserito la storia tra le preferite e le seguite, ma anche coloro che seguono la storia da “dietro le quinte senza recensire” come Viola, Francesca e Beatrice.

Fatemi sapere cosa ne pensate indifferentemente dal parere, è molto importante così so cosa va bene e cosa è da sistemare :).

Un bacio a tutti

-Alexandra

P.s.: Per coloro che seguono Eroi dell'olimpo il ritorno: vorrei mettere la testa sotto la terra stile struzzo per la vergogna, non mi sono dimenticata di voi.

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Capitolo 3
*** Uno studio in rosa parte 2 ***


UNO STUDIO IN ROSA parte 2

 

-Stai alla larga da Annabeth Chase!-

 

Iniziai a dirigermi verso la parte più frequentata della Fifth Avenue, le parole di Talia continuavano a rimbombare nella mia mente <<E' una psicopatica>>, <<Non ha mai avuto, non ha e non avrà mai degli amici!>>, <>, mi sentivo la testa pesante, per non parlare di quanto mi facesse male la gamba: in quel momento desideravo soltanto rientrare a “casa” farmi un doccia e dormire per scordarmi quella giornataccia, peccato che i miei desideri non furono realizzati.

Stavo cercando di attirare l'attenzione di un tassista quando il mio telefono suonò, non conoscevo quel numero, poteva essere di Annabeth come poteva essere il numero di uno sconosciuto, decisi di rispondere:-Pronto?-

-Alzi lo sguardo, dritto davanti a lei c'è una telecamera.- una voce femminile pacata e allo stesso tempo autoritaria uscì fuori dalla cornetta.

-Mi scusi, potrei sapere chi parla?-

-Ho detto che alzando lo sguardo davanti a lei c'è una videocamera di sicurezza. La vede?-

-Sì. Come fa a farla muovere?-

Una macchina nera si fermò vicino a me, la situazione era diventata inquietante.

-E' appena arrivata una macchina nera, alla sua destra. Ci salga, è un ordine, non ho voglia di minacciarla.- che stava succedendo?

-Va bene, ci salirò ma prima voglio sapere qual è la destinazione.-

-Ho detto che non ho voglia di minacciarla, sono una persona poco paziente, esegua gli ordini e andrà tutto bene.-

Per qualche motivo mi sentivo il protagonista di un film horror, ma non avevo paura, più che altro ansia, salii sull'automobile. Accanto a me c'era seduta una bella ragazza dai tratti esotici: i capelli erano lunghi e castano scuro, la pelle abbronzata e gli occhi verdi, aveva lo sguardo fisso sul telefono intenta e stava digitando qualcosa.

-Buonasera.-

-Ciao-

-Come si chiama?-

-Gea.-

-E' il suo nome vero?-

-No.-

-Il mio è Perseus ma tutti mi chiamano Percy.-

Stringevo forte la mia stampella, lo facevo sempre quando mi sentivo a disagio.

-Potrei sapere qual è la nostra meta?-

-Credo proprio di no.- disse sorridendo. Non mi era mai piaciuto andare da qualche parte senza sapere la mia destinazione e gli obiettivi da raggiungere, questa sfaccettatura del mio carattere si era andata ad intensificare soprattutto durante la guerra; tentai di guardare fuori dal finestrino ma non riuscii a vedere niente, il vetro era talmente tanto oscurato da non permettere ai passeggeri di osservare l'ambiente circostante. La macchina improvvisamente si fermò, e l'autista mi aprì la porta. Mi trovavo in un immenso garage che pareva abbandonato: era sporco e spoglio. Una figura slanciata e tutta vestita di nero mi attendeva al centro della stanza, avvicinandomi notai che era una donna: aveva i capelli castano chiaro e ricci, gli occhi color cioccolato e la pelle abbronzata.

-Buonasera, lei è il dottor Jackson?-

-Mh, sì, sono io.-

-Lei è il nuovo coinquilino di Annabeth Chase?-

-Ci siamo conosciuti solo ieri.- pare ignorare la mia risposta

-Molta gente gira per questa città e vede solo grattacieli, luci, strade, negozi, auto e chi più ne ha più ne metta, ma quando si sta con Annabeth Chase si vede il campo di battaglia, lei l'ha già visto, non è vero?-

-Lei chi è, che cosa vuole da me?-

-Io sono la nemica di Annabeth, anzi, se lo chiede a lei potrebbe definirmi la sua acerrima nemica e volevo proporle qualcosa di interessante: io le pagherò una somma consistente di denaro ad ogni ora e lei in cambio mi darà qualche informazione, che ne dice?- proprio in quel momento il mio telefono vibrò: era un messaggio di Annabeth <<Vieni subito a Baker St., non mi interessa se hai da fare, può essere pericoloso A.C.>>

-No, mi dispiace.-

-Non le ho ancora detto la cifra, se vuole possiamo anche gonfiarla un po'.-

-Sto bene così, non ho l'intenzione di fare la spia.-

-Ma io non voglio i dettagli della sua vita privata, sono semplicemente preoccupata.- disse con un sorriso delicato.

Mi girai per pronto ad andarmene ma la donna cominciò a parlare di nuovo.

-Interessante.-

-Che cosa?-

-La sua mano.-

-La mia cosa?-

-La mano, me la mostri.- con fatica mi avvicinai a lei e tesi la mano

-Ha un intermittente tremore alla mano, il suo analista pensa che sia dovuto ad uno stress post traumatico, ritiene che lei sia tormentato dai ricordi della guerra.-

-Come fa a saperlo?- la situazione se prima era inquietante adesso era snervante, sembravano tutti dei geni mentre io ero l'idiota del paese.

-Lo licenzi: ha torto su tutta la linea, lei in questo momento è sotto stress, eppure la sua mano è ferma. Lei non è tormentato dalla guerra Jackson: ne ha nostalgia, ben tornato sul campo di battaglia. Scelga da che parte stare dottor Jackson, alla prossima. Il mio autista l'accompagnerà a casa.-

Salito in macchina mi trovai vicino a Gea -221 b di Baker Street, ma prima devo fermarmi in un altro posto, Oxford Road 15.- giunto nella mia vecchia casa mi avviai verso la camera da letto e presi dal secondo ripiano del comodino un oggetto che conservavo da quando ero ritornato dall'Afghanistan: una pistola di piccole dimensioni, non so perché la presi, sentivo che qualcuno, nel giro di poche ore sarebbe stato in pericolo. Presa la pistola tornai a Baker Street, la mia coinquilina si trovava in mezzo alla stanza seduta per terra con gli occhi chiusi.

-Ciao, qual è il problema?- la bionda spalancò gli occhi mostrando la solita ma particolare sfumatura di grigio.

-Prestami il telefono-

-Sul serio? Non puoi usare il tuo?-

-Nope.-

-Perché?-

-Non ho voglia di alzarmi, ah, puoi farmi anche una tazza di the?- la sua non era una domanda, era un ordine, detto in modo carino ma nonostante ciò era un ordine, ero il suo coinquilino, non il suo maggiordomo.

-No, tieni il telefono.-

-signora Hudson!- Annabeth iniziò ad urlare il nome dell'anziana signora-

-Zeus, Annabeth, cara, che è successo?-

-Mi fa il the, senza zucchero, se contiene della caffeina ci metta del latte se no del limone. Tutto chiaro?- probabilmente spalancai gli occhi sorpreso, ma cosa pensava, non eravamo certo i suoi servi!

-Va bene Annie cara.-

-non mi chiami Annie!-

-Signora Hudson, vada pure a casa, la nostra dolce Annie oggi si farà il the da sola.- lo sguardo di Annabeth si incupì di colpo, richiuse gli occhi. La signora Hudson se ne andò. Ero indeciso se parlare con Annabeth dell'incontro che avevo avuto poco fa ma alla fine dopo una serie di ragionamenti constatai che era meglio parlarne.

-Ho conosciuto una sua amica.-

-Amica?!-pareva disgustata dalla mia affermazione

-Nemica.- il viso si rilassò

-Quale?- disse con un sorrisetto

-La sua acerrima nemica.-

-Le ha offerto dei soldi per spiarmi? Gli ha accettati?-

-Per la prima domanda la risposta è affermativa mentre per la seconda negativa.-

-Oh, che peccato, avremmo potuto condividere la cifra.- disse con un sorrisetto malizioso per poi tornare seria-Prenda il suo telefono, sul tavolo della cucina è segnato un numero telefonico, lo scriva e digiti questo messaggio, le stesse identiche cose che le detto io.- andai in cucina, presi il biglietto e tornai in soggiorno ove mi accomodai sulla poltrona in pelle.

-Cosa è successo al Empire State Building devo aver perso i sensi. Vediamoci a Times Square n° 22 alle 21.00. ha finito?-

Si alzò e trascinò una valigia rosa davanti a me -Quella non sarà mica la valigia della signora in rosa, vero?-

Si sedette davanti a me con aria contemplativa -secondo lei?-

-Dove l'ha trovata? Ci avrà impiegato un sacco di tempo.-

-circa una trentina di minuti: l'assassino deve averla portata all'Empire State Building e ha tenuto la valigia per sbaglio dato che era in macchina, non poteva passare inosservato con una valigia del genere specie se era un uomo, cosa statisticamente più probabile, quindi è stato costretto a sbarazzarsene nel momento in cui si è accorto di averla ancora con lui, ci avrà messo circa cinque minuti ad accorgersene. Ho controllato ogni stradina a cinque minuti dal grattacielo ovunque ci si possa liberare di un oggetto senza essere notati. Che ne dice di fare una passeggiata e fermarci in un locale a mangiare?-

-Mi sembra un'ottima idea.-

Neanche una decina di minuti dopo stavamo facendo una passeggiata nella famosa Times Square, avevo tentato più volte di conversare con la bionda che a sua volta mi ignorò.

-Adesso cambia tutto, sappiamo che rapisce le vittime da posti affollati e molto frequentati, senza che nessuno se ne accorga. Percy, chi passa inosservato tra la folla? Di chi ci fidiamo anche se è uno sconosciuto?-

-Non lo so. Perché pensa che l'assassino rispondi al messaggio'-

-Perché è un genio incompreso, adoro le persone intelligenti, bramano di essere catturate.-

-Perché vogliono farsi catturare?- non aveva un senso, io se avessi commesso un omicidio la prima cosa che avrei cercato di fare sarebbe stata nascondermi.

-Per la fama, per far sapere che loro hanno escogitato quel piano: questa è la debolezza dei serial killer! Mangiamo? Qui vicino c'è un ristorante italiano gestito dalla famiglia Di Angelo, sarà anche piccolo come locale, ma come si suol dire, il vino buono sta nella botte piccola.-

Times Square era tutta luci e suoni piena di locali raffinati, il ristorante Di Angelo era tutto il contrario: certo era raffinato ma aveva un qualche cosa di rustico, forse a causa delle mattonelle in pietra ricoperte d'edera o per i grandi tavoli fatti di un legno scuro consumato su cui vi era stesa una tovaglia biancha come le nuvole, nell'aria risuonava allegra la tarantella e vi era diffuso un odore frizzante di vino rosso.

Annabeth aveva già riservato un tavolo per due persone molto vicino alla finestra.

-Annabeth, accomodati pure, sei sempre la benvenuta, Nico, è arrivata la tua salvatrice!-

-Buonasera Bianca.-

-Buonasera Annabeth.-

-Buonasera Nico.- un ragazzo abbastanza esule con la pelle biancastra e pieno di tatuaggi ci porse due menù.

-Tutto quello che vuoi Annabeth, è gratis, anche per il tuo ragazzo.- ci disse Bianca.

-Non sono il suo fidanzato!-

-Vado a portarvi un candela, per rendere l'atmosfera più romantica.- il ragazzo sulla ventina non aveva ancora parlato, osservava silenziosamente la scena.

-Ti starai chiedendo perché il cibo per la tua ragazza è gratis.-Dei, ma quante dovevo ripetere che non era la mia ragazza?-Mi ha salvato da un'accusa di omicidio.-

-Tre anni fa riuscii a dimostrare a Grace che nel momento in cui avveniva un triplice omicidio Di Angelo era dall'altra parte della città che stava partecipando ad un furto con scasso.-

-A salvato la reputazione della nostra famiglia- aggiunse la ragazza che era tornata con una piccola candela- dai Nico, lasciamogli della privacy.-

-Lo sa che nella vita reale le persone non hanno nemici o acerrimi nemici?-

-Cosa hanno allora?-

-Amici o fidanzati.-

-Il tutto mi sembra abbastanza limitato.-

-Ha un fidanzato?-

-Non è proprio il mio genere- quell'affermazione mi colpì quasi come il proiettile che causò il mio dolore

-Una fidanzata?- la mia coinquilina mi guardò confusa

-Guardi che non c'è niente di male a essere...-

-Lo so, ma io non lo sono.- strabuzzò leggermente gli occhi per poi dire -Oh, capisco, senta Percy, deve sapere che io mi considero sposata con il mio lavoro...-

-No, ha inteso male, volevo fare solo un po' di conversazione.- cademmo in un silenzio imbarazzato per un paio di minuti.

-Guardi, fuori dalla finestra, lo vede?-

-Un taxi?-

-Molto intelligente, astuto, davvero astuto.-

-Chi?-

-L'assassino. Non lo fissi.-

-ma lei lo sta fissando.-

-Possiamo fissarlo uno alla volta. Su andiamo, non abbiamo tempo da perdere! Arrivederci!-

Quando uscimmo dal ristorante il taxi partì, Annabeth chiuse gli occhi e poi gli riaprì-Seguimi!-

Iniziammo a correre e ci infiltrammo in una stradina secondaria per raggiungere una lunga rampa di scale a chiocciola, poi prendemmo la destra e scendemmo giù dalle scale, dopo di che attraversammo e scavalcammo un automobile, per poi trovarci davanti al taxi ove era seduto il nostro assassino, Annabeth aprì la porta del passeggero -Su le mani, polizia!- disse mostrando un cartellino. -Non è l'uomo che cerchiamo: californiano, viene da Santa Monica, suppongo che sia per la prima volta a New York. Buon giro turistico, si diverta!- Annabeth si allontanò dal mezzo di trasporto.

-Mh, se ha qualche problema non esiti a farcelo sapere. Arrivederci!- mi avvicinai alla bionda e guardai il cartellino – ma quello non è di Jason?-

-Sì, gli rubo le cose quando mi annoio, se vuole può tenerlo, l'appartamento ne è pieno. Taxi!-

 

Tornati a Baker St. trovammo la signora Hudson che ci aspettava sull'uscio della porta, pareva parecchio preoccupata.

-Annabeth, dei, che hai combinato stavolta?- la mia coinquilina la ignorò.

-Alla fine non è servito a niente, voglio dire tutta quella corsa e quel moto.-

-Solo per passare il tempo e per dimostrarle una cosa.-

-Che cosa?-

-Lei, signora Hudson, il dottor Jackson prenderà la camera di sopra.-

-Prenderei volentieri la camera di sopra, peccato che una delle due gambe non funzioni molto bene.-

qualcuno bussò alla porta.

-Percy, è per lei.- ero abbastanza sorpreso :chi voleva cercarmi, a quest'ora per di più? aprii scettico la porta e trovai davanti a me il ragazzo del ristorante con il braccio teso verso di me.

-La signorina Chase ha detto che ha dimenticato questa.- la mia stampella, non era possibile, io la mia ce l'avevo proprio... o.k. Era la mia stampella.

-Mh, grazie.-

-Annabeth, che hai combinato stavolta?-

-Perché? Non mi dirà mica che...? Grace!.-

Iniziò a salire le scale velocemente, aprì la porta rumorosamente -Che cosa fate?-

-Sapevo che avresti trovato la valigia.-Jason era seduto sulla poltrona vicino al caminetto

-Non puoi fare irruzione nel mio appartamento!- sembrava una leonessa inferocita pronta a difendere il suo territorio.

-E tu non puoi nascondere una prova alla polizia, in più io non ho fatto irruzione.- disse l'ispettore tranquillo.

-Ah sì? E questa come la chiameresti?-

-Perquisizione per droga.- Annabeth si zittì subito.

-Sul serio? Questa donna una drogata? Potreste perquisire ogni angolo di questo appartamento, sono sicuro che non vi è la minima traccia di sostanze stupefacenti!- mi sentivo quasi in dovere di proteggerla da una simile accusa, era semplicemente assurdo: sapevo che Jason era molto abile a trovare il punto debole delle persone per riuscire a risolvere un caso, ma adesso era veramente esagerato!.

-Percy, per piacere, stia zitto.- l'immagine che aveva davanti a me della mia coinquilina era cambiata totalmente, se prima era pronta a lottare per i suoi “diritti” e aveva un'aria sicura e determinata adesso gli occhi tempestosi stavano lacrimando e le tremavano le mani -sono pulita, neanche fumo- disse alzando la manica della giacca. -Cerotti alla nicotina.- Jason alzò a sua volta la manica -ti capisco, ho lo stesso problema.- il biondo si riprese e parve sentirsi in colpa per averla ridotta in quello stato, infatti cambiò argomento -Abbiamo trovato Rachel.-

-Dov'è? Devo interrogarla, subito, non abbiamo tempo da perdere!-

-E' morta, voglio dire non è mai nata: è la figlia nata morta della signora in rosa.-

-Perché dovrebbe incidere per terra il nome della “figlia” in punto di morte? Non ha senso!-

-E' molto probabile che ne sia rimasta ancora scioccata- dissi sicuro di me, Annabeth mi guardò curiosa.

-Perché ne dovrebbe rimanere scioccata? Oh, forse ho capito...-

-Alla buon'ora Chase, ecco confermata la mia ipotesi. Sei una psicopatica.- Castellan si affacciò sullo stipite della cucina.

-Castellan stai zitto, non sono una psicopatica, mia madre mi ha fatto controllare*! Sono una sociopatica iperattiva. Quando non hai qualcosa di intelligente da dire, ovvero sempre, dovresti imparare a tacere.- il tono di voce era freddo e velenoso, gli occhi sembravano che contenessero un uragano capace di distruggere tutta la West Coast.

-Ora ragioniamo, era una donna scaltra, sapeva cosa stava per succedere, ci ha lasciato il telefono e ha inciso sul pavimento Rache, molto probabilmente non stava ricordando la figlia.- un brusio si era diffuso nel nostro salotto -Dei, STATE ZITTI, TUTTI QUANTI ZITTI, NON MUOVETEVI, NON PARLATE- la stanza piombò in un silenzio religioso, nessuno osava fiatare e muoversi, Jason trattene il respiro per una decina di secondi, l'uragano si stava scatenando.

-Adesso va molto meglio! Allora, lavorava nel mondo della televisione di conseguenza aveva un sacco di materiale da gestire...- Annabeth spalancò gli occhi -ma certo, avevamo fin dall'inizio tutto quello che ci serviva. Avete capito, non è vero?- la bionda guardò speranzosa me e l'ispettore.

-Grace, la valigetta! Guardi sull'etichetta.-

-C'è un indirizzo e-mail.- Annabeth accese il portatile e si collegò ad un sito e dopo di che chiese al biondo di dettarglielo.

-Il cellulare ce l'ha l'assassino, lei sapeva che stava per morire. È un telefono recente, di conseguenza contiene un dispositivo per rintracciarlo in caso di perdita: basta inserire l'indirizzo di posta elettronica e la password, Rachel. Et voilà, adesso bisogna solo aspettare che venga segnalata la posizione e il gioco è fatto!- Si girò verso di noi, un'espressione soddisfatta le colorò il volto, era senza parole per l'ennesima volta.

-Tu che ne sai? Magari voleva realmente ricordarsi della figlia!-

-Castellan, non parlare abbassi il quoziente intellettivo di tutto lo Stato di New York.-

-Annabeth, non è possibile.- Jason guardava lo schermo del computer basito – 221b Baker St. Proprio in quel momento il telefono della bionda vibrò, lesse il messaggio e annunciò che sarebbe uscita a prendere una boccata d'aria.

-Dove sta andando?-

-Non ne ho la più pallida idea Percy, lavoro con lei da circa due anni ma il bello è che so solo un paio di cose sul suo conto.- il biondo pareva dispiaciuto e giù di morale, a rattristirlo di più ci pensò Talia.

-Io non ho ancora capito perché ogni volta che non riusciamo a fare qualcosa dobbiamo venire da lei, Jason, io te lo ripeto: questa è Annabeth non la possiamo cambiare, rinunciaci.- poi si rivolse a me. -io se fossi al tuo posto fuggirei da qui immediatamente.- poi si girò e disse a suo fratello – Ti conviene parlare con Piper, sai, per quella cosa...- poi uscì dalla porta per poi essere seguita dal biondo.

Giunto all'uscio della porta si girò verso di me – Percy, non perdere le speranze, secondo me ce la possiamo fare: Annabeth Chase è una gran donna, e credo che un giorno, se saremmo fortunati, diventerà anche brava. Ci si vede in giro.- si girò e uscì fuori dall'appartamento.

Mi buttai pesantemente sulla poltrona, e iniziai a guardarmi intorno: la mia vita era cambiata in meno di un giorno, non capivo se in modo positivo o negativo, ma era certo che io non sarei mai ritornato un civile, ed era abbastanza chiaro che la bionda dagli occhi tempesta ne era stata la causa. Il mio flusso di pensieri fu fermato da un serie di squilli fastidiosi provenienti dal laptop rimasto acceso: mi avvicinai e notai che il punto non era più posizionato davanti a casa nostra, bensì si spostava velocemente verso la parte più settentrionale di New York, corsi in camera mia, presi la pistola che avevo nascosto nel comodino e il computer e mi avviai alla ricerca di un taxi.

 

-Su, più veloce! A destra, no, scusi, a sinistra! Adesso prenda la prima uscita.- Ero giunto a destinazione: era la scuola superiore J:F. Kennedy, a quell'ora della notte era il posto perfetto per nascondersi, si trovava in una zona malfamata ove le uniche persone che ci passavano davanti erano gli adolescenti che erano obbligati ad andare a scuola.

Dopo aver pagato il tassista osservai che davanti a me c'era un altro taxi, che cosa stava succedendo? Non capivo più niente, speravo solo che la mia coinquilina stesse bene.

Entrai dentro all'edificio e iniziai a correre nell'ala destra della scuola mentre urlavo a squarciagola il nome della bionda; correvo ormai da una decina di minuti quando vidi due sagome nell'altra ala della costruzione. Presi deciso la pistola che tenevo all'interno della giacca, Annabeth stava parlando con un uomo molto più basso di lei e con i capelli bianchi mentre guardavo attentamente la scena presi la mira ma non tirai, speravo che sarebbe riuscita a salvarsi da sola grazie alla sua intelligenza e io non avrei dovuto uccidere o ferire qualcuno.

La bionda stava tenendo in mano qualcosa di piccolo dalla forma cilindrica e la stava avvicinando lentamente alla bocca, subito dopo mi accorsi che si trattava di una pillola, Dei, non lo stava facendo sul serio, vero?

La distanza tra la sua bocca e la pillola era quasi inesistente, ripresi la mira e stavolta schiacciai il grilletto senza nessuna esitazione: un rumore secco uscì fuori dall'arma, il proiettile attraversò il vetro e colpì l'uomo nel petto. D'istinto mi abbassai subito e guardai la pistola, non riuscivo a credere a quello che avevo appena fatto; misi la pistola all'interno della tasca interna della giacca e tolsi la polvere da sparo dalle mani, dopo di che scesi.

La scuola era circondata di poliziotti e criminologi intenti a mettere le classiche bende gialle intorno alla zona interessata, Annabeth era seduta vicino ad un'ambulanza, teneva sulle spalle una coperta che pareva voler togliere e discuteva animatamente con Jason.

-Ma io non sono sotto shock!-

-Lo so, ma a Piper piace rendere le cose più drammatiche, già ti immagino sul New York Times in prima pagina con questo lenzuolo addosso- disse Jason sorridendo.

Mi tenevo a debita distanza da loro ma nonostante ciò riuscivo a sentire la loro conversazione.

-Allora, chi ha sparato?-

-Non lo so, chiunque ha sparato però deve però sapere sparare bene, di sicuro è un professionista, ma deve avere anche degli sani principi morali: ha sparato solo quando ero in reale pericolo e...- la bionda smise di parlare e mi guardò intensamente – niente, Jason, lascia perdere sono ancora sotto shock.-

-Ma se un attimo fa hai detto che...-

-Non vedi, osserva, ho pure la coperta, sono traumatizzata!-

La ragazza dagli occhi grigi si avvicinò a me e si tolse la coperta -Bel colpo, davvero un bel colpo!- il suo sguardo era indecifrabile, non riuscivo a capire se mi stesse facendo un complimento o se era pronta a testimoniare contro di me così feci finta di non saperne nulla.

-Già, un colpo preciso...-

-Guarda che non sono stupida, ti sarai anche tolto la polvere da sparo dalle mani ma ciò non toglie che sia stato tu. Che ne dici di tornare dai Di Angelo? Stavolta però mangiamo, ho una fame!- quella donna era un enigma: passava dalla serietà assoluta a momenti di follia e sguardi e sorrisi maliziosi, ero totalmente confuso.

-Annabeth!- io e la mia coinquilina ci girammo.

-Lei è la donna che mi ha offerto...- dissi a bassa voce.

-So benissimo chi è.- non pareva affatto sorpresa di vedere la sua acerrima nemica lì – Reyna che vuoi?-

-Come siamo sgarbate, ci siamo svegliate con la luna storta oggi, sorellina? - sorellina?

-Aspetta voi due siete...-

-Sì, io e questa specie di bradipo stalker siamo sorelle.- disse la bionda disgustata

-Suvvia, dolce Annie, smettila con questo comportamento puerile, non abbiamo più cinque anni.-

-Disse quella che offre grandi cifre di denaro per raccogliere notizie su di me.-

-Io ho un lavoro migliore del tuo.-

-Sì, quando non lavori per la C.I.A. e l'Interpol!- Annabeth si girò e se ne andò

-Allora era davvero preoccupata?-

-Sarà che siamo nemiche ma dopotutto siamo anche sorelle.- disse con un sorrise amaro -Se vuole riconsiderare ciò che le ho proposto...-

-No, sto benissimo così.-

-Percy muoviti, il ristorante sta per chiudere!-

 

Angolo dell'autrice:

Ciao a tutti!

Auguri di Buona Pasqua! (scusate per il ritardo però, meglio tardi che mai, no?)

Ecco la fine del primo capitolo, non so se inizierò subito a scrivere il capitolo del banchiere cieco o se farò un capitolo più corto che non descriverà un caso ma un evento sorpresa (?).

Allora ritornando al capitolo: Percy protegge Annabeth da varie accuse (tipo quella di Jason) e le rimane accanto nonostante sia stato messo in guardia da Talia e il fatto che la ragazza non abbia proprio un carattere facile, e le salva la vita. Dall'altro canto Annabeth ha capito che ci si può fidare del figlio di Poseidone. Detto ciò ci vediamo al prossimo capitolo.

Un bacio a tutti

-Alexandra

 

P.S.: Ho iniziato a scrivere una storia interattiva sulle storie originali nella sezione romantiche (che non so quanto sarà romantica perché odio le cose sdolcinate), se vi va di fare un salto a leggere l'introduzione e magari partecipare creando un personaggio mi fare piacere. Dimenticavo l'asterisco indica una citazione da the big bang theory

 

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3416267&i=1

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Capitolo 4
*** C'era una volta un piccolo principe che aveva bisogno di un amico ***


Attenzione: premetto che questo capitolo non sarà decisivo ai fini della storia ma ci potrebbero essere dei riferimenti o delle riflessioni dei personaggi principali nei capitoli futuri. Detto ciò buona lettura!

 

C'era una volta un piccolo principe che viveva su di un pianeta poco più grande di lui e aveva bisogno di un amico...

tratto da “Il piccolo principe” di Antoine De Saint-Exupéry

 

(capitolo bonus)

 

 

Fui svegliato da una dolce melodia melanconica e triste suonata da un violino che pareva quasi piangere. Mi alzai lentamente dal mio letto e segui involontariamente quelle note che mi portarono nel soggiorno: di fronte a me Annabeth, era affacciata alla finestra e teneva lo strumento sotto il mento facendogli vibrare le corde grazie ad un arco e le mani; mentre faceva ciò, guardava fuori dalla finestra con fare perso e lo sguardo vitreo, spostava con maestria le dita da una corda a un'altra. Sembrava che non si fosse accorta della mia presenza, ero rimasto appoggiato allo stipite della porta con le braccia incrociate ed ero semplicemente incantato, non pensavo sapesse suonare uno strumento musicale, specie il violino che pareva uno strumento così delicato e sensibile. Ascoltai quel canto straziante per circa una decina di minuti, la trance in cui ero finito fu interrotta dai squilli del telefono di casa così andai velocemente a rispondere, alzata la cornetta sentii la voce di uno sconosciuto – Annie, Auguri! Buon Compleanno figlia mia, Atena muoviti, nostra figlia ha risposto!- l'uomo pareva abbastanza sorpreso ma contento.

-Signore...-

-Ho sbagliato numero? Quanto odio questi aggeggi, Atena, lo sapevo io che era meglio scriverle un telegramma o una lettera.-

-Non ha sbagliato numero, se vuole gliela chiamo.-

-E tu chi sei giovinotto? Che fai a casa di mia figlia?-

-Sono il coinquilino-

-Ah, non sapevo avesse un coinquilino!-

-Gliela passo.-

Mi avvicinai alla bionda che continuava a suonare lo stesso pezzo, sembra che fosse da un'altra parte con la testa, fissava i grattacieli innevati pensierosa.

-Ehm,Ehm, Annabeth, penso che ci siano i tuoi genitori al telefono.- non mi sentiva, almeno questa era l'impressione che dava a me.

-Signore, l'ho chiamata ma...-

-Non risponde? Conosco mia figlia. Per caso sta suonando il violino?-

-Sì-

-Ohi, ohi, buona fortuna ragazzo, ne avrai bisogno. Richiameremo tra una settimana.- il padre di Annabeth attaccò senza salutare.

M sedetti sulla poltroncina vicino al caminetto ove una timida fiamma riscaldava la casa, presi il giornale e lo sfogliai svogliatamente, alzai lo sguardo e guardai la bionda, decisi di andarle a comprare un regalo e magari anche un torta, dopotutto era il giorno in cui faceva gli anni, doveva pur festeggiare, no? Presi la sciarpa, il cappotto e i guanti e mi preparai per uscire, nel frattempo, Annabeth continuava a suonare il violino senza considerarmi, presi l'ombrello e uscii fuori di casa. New York d'inverno era bellissima, la neve cadeva soffice sui grattacieli e nell'aria era diffuso un accogliente odore di cioccolata calda; quell'atmosfera magica che si era creata veniva disturbata dai clacson dei tassisti e dei guidatori stressati a causa dei disagi creati.

Dopo aver fatto una ventina di metri di camminata mi fermai all'improvviso e iniziai a guardarmi intorno smarrito, non sapevo che cosa potevo donarle; alla fine decisi di regalarle un libro e successivamente di fermarmi in pasticceria.

Giunto in libreria iniziai a perlustrare gli scaffali ricolmi di libri e varie carte e cercai di capire che genere potesse piacere ad una ragazza come Annabeth: sicuramente erano da evitare dei libri sdolcinati con storie di vampiri e altre creature magiche. Dopo una decina di minuti trovai una serie di libri scritta da Sir Arthur Conan Doyle, una raccolta di gialli.

Soddisfatto della mia ricerca presi i tomi e mi avviai verso la cassa convinto della mia scelta. A metà strada un piccolo libricino bianco attirò la mia attenzione, appoggiai i libri gialli su un tavolo e lo presi in mano, un sorriso spontaneo e sincero si fermò sulle mie labbra.

 

-Dai mamma! Devo scoprire cosa succede all'aviatore! E il Piccolo Principe? Che fine fa? La pecorella mangerà la rosa oppure no?- adoravo ascoltare mia madre leggermi le fiabe e le favole, mi portavano in un altro mondo molto diverso da quello in cui vivevo in più, molte volte mia madre invitava i figli dei caduti a casa nostra a fare la merenda con le Crêpes alla nutella e delle bevande calde, poi, ci leggeva le storie dei fratelli Grimm, Fedro e Hans Chsistian Andersen, tutte erano molto belle, ma la mia preferita era il Piccolo Principe.

 

Il piccolo principe arrossiva spesso, così come la mia coinquilina, non rispondeva alle domande ma adorava farne, più ci pensavo più mi accorgevo delle somiglianze tra il protagonista del romanzo ed Annabeth. Lasciai i libri firmati Doyle e presi il libricino che aveva fatto la mia infanzia, mi avvicinai alla cassa e chiesi alla commessa di impacchettarlo, dopo di che passai in pasticceria e presi dei pasticcini.

Tornato a casa trovai la mia coinquilina nella stessa posizione in cui l'avevo lasciata intenta a suonare il violino, certe volte la trovavo inquietante. Mi tolsi i guanti e il cappotto e mi avvicinai a lei.

-Annabeth!- nessuna risposta.

-Annabeth!- mi ignorava.

-ANNABETH!-

-Mh, ah, Percy, sei tu.- gli occhi tempesta fissavano un punto indefinito.

-Annabeth, stai bene?- mi stavo preoccupando sul serio.

-Cosa? Si, si, mai stata meglio.-

-Dai lascia il violino e siediti vicino a me.- le presi il violino dalla mano e lo appoggiai sulla mensola alla mia destra, poi la presi per mano e l'accompagnai vicino al divano.

-Sei sicura di stare bene?- la bionda fissava le fiamme del camino.

-Sì.-

Lo sai che hanno chiamato i tuoi?-

-Sì-

-Ti hanno fatto gli auguri.- un sorriso tra l'amaro e sarcastico spuntò sulle sue labbra

-Non hanno detto nient'altro?-

-Che chiameranno tra una settimana.-

-Chissà che vogliono adesso?!- Annabeth si alzò dalla sua poltrona e riprese lo strumento.

-Volevo farti anch'io gli auguri.- non mi rispose, mise il violino sotto il mento, si voltò e mi diede le spalle.

-Ti ho fatto un pensierino.-

-No.-

-Cosa?- si girò verso di me per un paio di secondi, le lacrimavano gli occhi.

-Non lo posso accettare!-

-Dai Annabeth, non è niente di che, è solo un libricino!- gli occhi della mia coinquilina parvero per un attimo illuminarsi per poi spegnersi.

-Non posso.- prese l'arco e cominciò a suonare la stessa melodia, presi il libro e lo misi sul tavolo vicino a lei, mi rimisi il capotto e uscii dal loft, non mi ero arrabbiato, più che altro mi sentivo un po' offeso e triste. Non per il fatto che non avesse accettato il regalo ma perché non voleva aprirsi, sembrava quasi che nascondesse e tenesse dentro sé tante cose.

Il cielo era di un grigio scuro che dava l'impressione di essere nero , la soffice e bianca neve aveva lasciato il suo posto a delle grandi e minacciose nuvole temporalesche, anche se erano solo le 15.00 sembrava che fosse mezzanotte a causa di tutto quel buio, decisi di tornare velocemente a casa per evitare l'eminente temporale.

Entrato in casa non trovai più Annabeth davanti alla finestra e non sentivo più neanche il violino cantare: la casa era immersa nell'oscurità, l'unica macchia di luce proveniva dal camino ancora acceso, proprio lì si trovava la mia coinquilina, aveva girato la poltroncina a quarantacinque gradi e si era aggomitolata in una coperta verde, era intenta a leggere qualcosa.

Istintivamente spostai lo sguardo sul tavolino dove avevo lasciato il mio dono, con mia grande sorpresa non lo ritrovai dove l'avevo messo.

-Non ha senso!-

La osservai senza fiatare.

-Perché la volpe vuole farsi addomesticare? Sa già che soffrirà!-

-E' vero, soffrirà e piangerà, ma, imparerà qualcosa di molto importante.-

L'investigatrice mi guardò scettica, io le sorrisi di rimando.

-E poi, che significa che l'essenziale è invisibile agli occhi? Osservando attentamente si riesce a sapere tutto di una persona: età, lavoro, quanto guadagna, se è sposato, se ha figli...-

-Può anche darsi che tu abbia ragione, ma quelle, secondo me, non sono delle cose essenziali.-

-Ah sì?! Allora secondo te cosa sarebbe l'essenziale?-

Iniziai a dirigermi verso la mia camera sorridendo.

-Sei un'investigatrice, hai detto che con uno sguardo puoi capire tutto.- entrai in camera mia speranzoso, forse Jason aveva ragione, forse piano piano, riusciremo a conoscere la vera Annabeth Chase, a vedere oltre la maschera ben costruita di sociopatica iperattiva e farle capire che l'essenziale è invisibile agli occhi.

-Adesso me lo dici Percy!-

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:

Eccomi ritornata, con questo mini-capitolo!

Potete pure dirmi che sono una bambina etc. ma, io adoro il piccolo principe, anzi, è il mio libo preferito.

Non trovate anche voi Annabeth somigli tantissimo al personaggio di Exupéry?

Piano piano la mentalità di Annabeth cambierà, così come il suo rapporto con molti personaggi della storia (tranne che con alcuni tipo Castellan o i suoi genitori).

Lo so che ho impiegato molto tempo a scrivere queste due righe, ma ci tenevo a scrivere qualcosa di carino.

Detto ciò ringrazio tutti coloro che hanno recensito, hanno inserito la storia tra le preferite e le seguite e anche i lettori silenziosi.

Fatemi sapere che cosa ne pensate.

Al prossimo capitolo

-Alexandra

 

P.S.: mando le mie scuse in anticipo ai recensori, non riuscirò a rispondere subito perché mi si è rotto il telefono di conseguenza devo fare tutto al computer.

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Capitolo 5
*** Il banchiere cieco parte 1 ***


Il Banchiere Cieco

 

 

 

 

-Carta di credito non accettata. Per piacere riprovi.-

-Carta di credito non accettata. Per piacere riprovi.-

-Carta di credito...-

Alzai gli occhi al cielo e sbuffai irritato: se dovevo redigere una lista del cose che detestavo fare, le compere sarebbero state al primo posto. Una decina di persone aspettavano “pazientemente” il loro turno: ovviamente la cassa non ne voleva assolutamente saperne di accettare la mia carta di credito facendo così diminuire il mio imbarazzo e il cattivo umore della clientela.

-Carta di credito non accettata. Per piacere riprovi.

Sbuffai un'ultima volta e decisi di abbandonare gli articoli.

Tornato a casa trovai Annabeth seduta sulla sua poltroncina intenta a leggere il New York Times.

-Dov'è la spesa?- disse alzando lo sguardo su di me.

-Lascia perdere: ho litigato con la cassa...-

-Hai litigato con una cassa?- era alquanto divertita dalla mia affermazione.

-Sì, non funzionava la carta di credito.-

-Prendi pure la mia: il portafoglio si trova sul tavolo della cucina.-

-Ma tu non ti annoi a stare qui ferma tutto il giorno?-

-Niente affatto.- mi disse sorridendo.

Avviandomi in cucina notai sul tavolo un grosso graffio causato da qualche lama, probabilmente un coltello, presi la carta e rassegnato tornai al supermercato.

Tornai al loft con due sacchetti di plastica carichi di frutta, verdura, pane e altri alimenti, la mia coinquilina leggeva tranquilla una mail. Sul mio computer. Nessuno poteva toccare le mie cose senza il mio permesso!

Appoggiai le borse per terra vicino alla porta della cucina, mi avvicinai ad Annabeth e chiusi il laptop.

-E' protetto da una password, non so se te ne sei resa conto!- esclamai sarcastico.

-Appunto: ci ho messo meno di un minuto a trovare la parola giusta, non si tratta mica di qualche password del Pentagono o della Casa Bianca.- disse ovvia.

Ripresi il mio computer e lo misi sul tavolino che stava in mezzo alla sala: sullo stesso mobile c'erano delle buste, bollette della luce e del gas ma anche dell'acqua e del traffico internet, le guardai preoccupato: dopo un mese di convivenza avevamo già dei problemi economici.

-Lo sai che abbiamo bisogno di un caso, vero?- la bionda mi guardò e mi sorrise.

-Dobbiamo andare in banca.-

-A fare cosa?-

-Abbiamo un caso.-

 

Quando qualcuno nomina la parola banca istintivamente le persone l'associano a lunghe code, stress, irritazione e burocrazia; per non parlare dei banchieri, esseri di perenne cattivo umore, menefreghisti che riescono a passare l'intera giornata dietro a un computer e una lastra di vetro pretendendo di lavorare.

La banca in cui mi portò Annabeth non somigliava neanche un po' allo stereotipo a cui la mia mente si stava già preparando psicologicamente da affrontare: appena giunto in Wall Street rimasi a bocca aperta. Non avevo mai visto una costruzione del genere, forse solo nelle foto o nei disegni di Rachel. Non erano certo state le dimensioni della banca a colpirmi, a quelle ci ero abituato, anzi, rispetto ai grandi grattacieli new yorkesi appariva piccola; ricordava molto le costruzioni greche antiche: tutto l'edificio era in marmo bianco pieno di fregi delicati e leggeri bassorilievi, sulle colonne di marmo nero erano dipinti dei piccoli ghirigori dorati, argentati e ramati, c'erano tre grandi porte d'ingresso in ebano.

Oltrepassata la porta centrale d'ingresso entrammo in una grande stanza rettangolare, al centro vi erano quattro divani in pelle nera, posizionati alla mia destra e alla mia sinistra c'erano quattro sportelli in betulla: tutte le segretarie avevano un'aria severa e concentrata sui loro computer e documenti; infondo alla stanza una donna vestita elegante continuava a guardare insistentemente il suo orologio da polso, alzò lo sguardo e si avvicinò a noi.

-La signorina Annabeth Chase?-

-Sì.-

-Potete seguirmi per piacere?-

Seguimmo la segretaria silenziosamente lungo una grande rampa di scale anche esse in marmo, superammo il secondo piano dove gli impiegati e le segretarie lavoravano silenziosamente per raggiungere il terzo piano, la donna ci aprì la porta in ebano e ci salutò con un cenno di capo.

Un uomo vestito in giacca e cravatta camminava nervosamente per tutta la lunghezza della stanza.

-Malcom.- la mia coinquilina pareva irritata

-Annabeth, sei arrivata! E tu sei?-

-Percy Jackson. È un mio amico.- Malcom fu sorpreso

-Collega- puntualizzai

-Accomodatevi...- ci disse prendendo posto e indicandoci le due sedie nere.

-Vedo che te la passi bene Malcom: hai fatto due volte il giro del mondo in soli due mesi.-

-Oh...hahahaha- Malcom iniziò a ridere

-Vedi- mi disse dopo che si riprese dalla risata -Annabeth aveva l'abitudine all'università di fare un giochetto: con uno solo sguardo riusciva a dirti cose e avvenimenti della tua vita che neanche noi stessi sapevamo.-

-Lo so.-

-Ogni volta che noi passavamo la notte con qualcuno, la mattina seguente sapeva con chi l'avevi passata. Non sai quanto la odiavamo.-

-Mi limitavo semplicemente ad osservare.- disse la bionda con uno sguardo vitreo

-Ci hai azzeccato, è vero, ho fatto due volte il giro del mondo in due mesi, sentiamo, da che cosa l'hai capito? Sulla mia camicia c'è una determinata macchia che si trova solo in Azerbaijian? Sul mio orologio c'è un tipo di polvere presente solo in Cina?- disse ironico, sorrisi sotto i baffi pensando che alcune volte appariva leggermente ridicola.

-Precedentemente ho parlato con la tua segretaria, me l'ha riferito lei.- disse a bassa voce e abbassando lo sguardo verso le sue scarpe. Mi voltai verso di lei mentre sgranai gli occhi, quella era la sua parte preferita, spiegare come era arrivata alla soluzione.

-Ah- l'uomo sorrise -Chase, mi stupisci. Tralasciando i bei vecchi tempi dell'università da narrare in ben altri momenti torniamo al motivo per cui ti ho convocata.- l'uomo spostò completamente lo sguardo sulla bionda e iniziò a giocherellare con una penna stilografica, poi la posò sulla scrivania vicino al computer e si alzò, avvicinò la sedia al banco di lavoro, si avvicinò ad Annabeth e le porse la mano per alzarsi che la mia coinquilina accettò restia. Ci alzammo e scendemmo al secondo piano del palazzo dove tutti gli impiegati stavano chini sui portatili.

-C'è stata un'infrazione, nell'ufficio di Hofstader quella stanza è come una specie di monumento: sta notte qualcuno ha forzato la serratura.-

-Cosa hanno rubato?-chiesi curioso

-Niente, hanno solo lasciato un messaggio. Ci hanno messo sessanta secondi. Ieri notte qualcuno è entrato, ha dato qualche spennellata e se n'è andato, tutto ciò in un minuto.-

-Quante entrate ci sono per ufficio?-

-E qui che viene il bello.- disse avvicinandosi ad una grossa macchina-Qualsiasi porta che permetta l'accesso all'edificio viene chiusa da qui, indifferentemente dal fatto che sia un armadio o una camera blindata.-

-Perciò ieri notte la porta è rimasta chiusa?-

Ci spostammo dal computer e ci dirigemmo verso l'ufficio di Hofstader, dipartimento di Hong Kong. La stanza era tutta bianca con un'anonima scrivania e computer, infondo alla stanza c'era un grande ritratto: i malfattori avevano tirato una grossa riga gialla sugli occhi dell'uomo rappresentato nel quadro; vicino all'opera, sulla parete c'era uno scarabocchio giallo. Strabuzzai gli occhi cercando di capire cosa ciò potesse rappresentare.

-C'è una falla nella sicurezza: scoprila e noi ti pagheremo, saremo generosi. Questo è l'anticipo, il prossimo sarà più grande.- disse tirando fuori dal taschino interno della giacca un assegno.

Ad Annabeth non interessavano certo i soldi: gli occhi grigi stavano brillando, mi vennero in mente le parole che mi disse Talia “Sai perché viene qui? Non viene pagata, più il crimine è intricato, più si diverte. Un giorno non le basterà più e scopriremo che Annabeth è l'autrice del crimine.”.

-Non ho bisogno di alcun incentivo Malcom.- disse fredda e sprezzante allontanandosi dall'uomo.

-Lei stava scherzando ovviamente, le dispiace se...grazie.- dissi prendendo l'assegno e andando all'inseguimento della mia coinquilina: si muoveva avanti e indietro, a destra e a sinistra, abbassandosi e saltellando in mezzo ai banchieri che la guardavano straniti, scandalizzati e disprezzanti. Dopo che Annabeth controllò più volte anche la stanza di Hofstader e si assicurò del fatto che la porta fosse stata chiusa dall'interno ci dirigemmo verso l'uscita.

Mentre ci stavamo dirigendo all'uscita non resistetti alla tentazione e le chiesi come aveva fatto a capire che Malcom aveva fatto due volte il giro del mondo in due mesi.

-L'orologio.- disse ovvia con fare altezzoso

-Cos'aveva l'orologio?-

-L'ora era giusta ma la data no, era quella di due giorni fa: ha oltrepassato la linea del cambio giorno due volte.- disse mettendosi la sciarpa grigia

-E i due mesi?-

-Conosco quella marca di orologi, quel modello è uscito due mesi fa.- disse infilandosi il guanto destro e guardando dritta davanti a se. -Quel graffito era un messaggio, per qualcuno che lavora in banca, basta trovare il destinatario e...-

-Lui ci condurrà al mittente- dissi continuando la frase – c'è tanta gente la dentro, a chi era destinato?-

-Gli schedari.- disse guardando l'orario

-Come?- non capivo cosa centrassero gli schedari, sinceramente pensavo che quel scarabocchio astratto fosse qualche lettera scritta in qualche lingua strana.

-Gli schedari. Molti pannelli coprono la visuale del graffito, questo restringe il campo. Il messaggio è stato lasciato alle 23:24:00 altro grosso indizio.- capivo solo parzialmente, era vero, sotto al nome della città e del dipartimento c'erano scritti il nome e il cognome delle persone che lavoravano lì ma non comprendevo il suo ragionamento.

-Ovvero?-

-I trader lavorano a ogni ora; con Hong Kong si lavora in piena notte: un messaggio per chi a mezzanotte sarebbe stato lì. Non ci sono tanti Nakamura sull'elenco telefonico.- mi disse facendomi un occhiolino.

La prossima nostra tappa, com'è facile da intuire fu l'appartamento di Nakamura, Ethan Nakamura. Giunti sotto il condominio mi domandai come potevamo entrare: non avevamo le chiavi.

-Dev'essere nuova.-

-Cosa?-

-La ragazza che sta al piano di sopra.- probabilmente comprese che non avevo capito dove volesse arrivare e aggiunse -targhetta nuova.-

-Può averla cambiata?-

-Sul serio? Hai mai visto qualcuno cambiarla? Non lo fa praticamente nessuno.- detto ciò citofonò.

-Chi è?-

-Buongiorno, non so se ci conosciamo, sono la sua vicina di casa, sto proprio sotto al piano sotto al suo.

-ah, no, mi sono appena trasferita, buongiorno.-

-Senta, io avrei dimenticato le mie chiavi...- solo in quel momento compresi che la mia coinquilina se la cavava incredibilmente con la recitazione.

-Vuole che le apra la porta?-

-Si grazie, senta... potrei utilizzare il suo balcone?- spalancai gli occhi e adesso che cosa aveva in mente?

-Percy, vai davanti alla porta di Nakamura ti aprirò io.-

Aperto il portone principale salì su per le scale che conducevano al loft di Nakamura, improvvisamente sentii un tonfo sordo proveniente dall'altra parte dell'appartamento, a ciò seguì un rumore leggero e il ticchettio del scarpe col tacco di Annabeth.

-Tranquilla, fammi entrare quando ti fa comodo. Potrei rimanere qui per il resto dei miei giorni ad aspettarti.- la bionda si allontanò dalla porta e si riavvicinò, l'aprì.

La trovai intenta e digitare dei numeri sul cellulare e mettere il telefono all'orecchio -Grace, manda una pattuglia in Queen's St. numero 34, c'è un cadavere.- attaccò subito dopo e si spostò verso la camera da letto: di per se tutte le stanze dell'appartamento erano piccole ma erano arredate lussuosamente,basta pensare al frigorifero pieno di bottiglie di champagne e spumante. Steso a pancia in su sul letto, c'era un uomo e vicino al suo corpo ormai senza vita c'era una pistola.-

-Avrà perso tanti soldi? Il suicido tra i fighetti della City è molto diffuso, sembra quasi una moda- dissi schifato

-Non si tratta di uno suicidio.- disse mettendosi un paio di guanti in gomma.

-Andiamo, la porta era chiusa dall'interno, sei entrata dal balcone.- ero abbastanza sicuro di ciò che stavo dicendo. Annabeth si avvicinò ad un bagaglio che si trovava vicino al letto, pieno di indumenti sporchi.

-A giudicare dai vestiti è stato via tre giorni.- si tolse i guanti e li buttò nel cestino che c'era in cucina.

-Quei simboli in banca, il graffito, perché e stato messo lì?- Annabeth mi guardava intensamente cercando di capire se la seguivo.

-E' una specie di...codice...penso.- ero poco sicuro di ciò che dicevo.

-Ovviamente, ma perché dipingerlo? Per comunicare bastava mandare una mail o un SMS- la mia coinquilina voleva farmi ragionare.

-Forse lui non rispondeva.-

-Ah, bene, vedo che mi segui.-

-Sì...no, non ti seguo.-

-Qual è il genere di messaggio che tutti cercano di evitare? Cosa ne dici di stamattina, della lettera che stavi leggendo?-

-Stai forse parlando della bolletta?-

-Sì, era stato minacciato.-

Proprio mentre la ragazza dagli occhi grigi tracciò la propria conclusione uno gruppo di poliziotti della scientifica entrò nell'appartamento seguiti da un uomo che non conoscevo: era alto, scuro e possente.

-Buongiorno, sono la detective Annabeth Chase, dov'è l'ispettore Grace?-

-Aveva da fare così hanno chiamato me, sono l'ispettore Beckendorf, comunque, ti pregherei di non toccare le prove.- fece un giro veloce della casa e guardò frettolosamente il cadavere -potreste rovinarle.-

-E' chiaramente un suicidio, è l'unica opzione plausibile.- disse l'ispettore convinto, un colpetto di tosse di Annabeth molto simile a quello della simpaticissima Dolores Umbridge fece girare tutti i presenti.

-Sbagliato, è una possibile spiegazione ad alcuni indizi. Mi piace usare questa affermazione, state scegliendo di ignorare la strada più complessa, che per la cronaca, è quella corretta.- disse con un largo e falso sorriso.

-Ad esempio?- chiese l'ispettore scettico.

-La tempia destra.-

-E allora?-

-Nakamura era mancino, richiederebbe una gran contorsione.- affermò portando la mano destra verso la sua tempia sinistra.

-Mancino dici?- maledetta la mia bocca!

-Basta guardare e osservare l'appartamento: il tavolino è sul lato sinistro, il manico della tazza è rivolto a sinistra, usava la presa di corrente a sinistra, metteva i fogli alla sinistra del telefono perché rispondeva con la destra e prendeva appunti con la sinistra, continuo?-

-No, va bene così Annabeth, hai ragione tu...-

-Ma ho quasi finito! C'è un coltello sul tagliere con il burro sulla destra della lama perché usava la sinistra. Ora ho finito.-

-Ma la pistola era vicina al suo corpo.-

-Appunto, teneva la pistola accanto a lui proprio per difendersi.-

-Come avrebbero potuto sparargli' La porta era chiusa dall'interno.-

-Semplice, dalla finestra.-

-Investigatrice Chase non dica cavolate, ciò che afferma è assurdo.-

-Ah sì? Aspetti i risultati della balistica e ne riparliamo.- la sua voce era calma e pacata, gli occhi avrebbero potuto ghiacciare chiunque con uno solo sguardo.

-Ma allora come ha fatto...?-

-Bene, finalmente si è deciso a fare le domande giuste!- detto ciò si mise i guanti, mi guardò e uscì dall'appartamento di Nakamura; prima di seguirla diedi un ultimo sguardo ai presenti e li salutai.

-Annabeth dove stiamo andando?-

-Da Malcom, devo riuscire a parlargli prima che lo faccia la polizia: quei idioti hanno un quoziente intellettivo talmente tanto basso che riuscirebbero a contagiare tutti gli altri esseri che hanno un'intelligenza mediocre!- alzai gli occhi al cielo leggermente irritato dalla sua affermazione: cosa intendeva con “persone con un'intelligenza mediocre”?

Dopo una decina di minuti arrivammo davanti al ristorante della famiglia Di Angelo: Malcom, era intento a conversare con una decina di persone davanti a una bottiglia di champagne.

-Non penso sia il momento più adeguato per parlargli di un omicidio.- bisbigliai.

La mia coinquilina parve non sentirmi e si avvicinò al tavolo dell'uomo dagli occhi grigi.

-Buonasera Malcom, ho degli aggiornamenti.-

-Chase, non è il momento più adatto per parlare, prenota un appuntamento con la mia segretaria.- disse versandosi del vino.

-Che ne dici alle nove a Scotland Yard? Un tuo impiegato, trader è stato ucciso.- velenosa, come un arpia.

-Scusatemi.- disse alzandosi e accompagnandoci fuori nel giardino del retro

-Chi è stato ucciso?-

-Ethan Nakamura.-

-Nakamura? Peccato, era un ragazzo brillante, aveva superato Cambridge a pieni voti dopo di ciò lavorò per un periodo in Asia. Una volta perse dieci milioni di dollari in una sola mattinata e riuscì ha recuperarli tutti-

-Per questo gli affidasti il reparto Hong Kong?- il cellulare di Malcom squillò.

-Si tratta di uno suicidio, la polizia mi ha appena mandato i rapporti della balistica.-

-Non è vero, lui era mancino...-

-Ti ho assunto per farmi un lavoro non per distrarti.- disse con uno sguardo severo.

-Ma...- Annabeth arrossì istantaneamente.

-Pericoloso il mestiere del banchiere!- intervenni

-Già, tanta gente gelosa e invidiosa, ma, alla fine tutti hanno dei nemici, no?-

-Ah, e tutti voi venite colpiti da un proiettile in testa?-

-Solitamente no. Buona serata.- si allontanò e tornò dentro al locale lasciandoci soli.

-Sai Annabeth, ho sempre visto i banchieri come dei bastardi senza cuore.-

 

ANGOLINO DELL'AUTRICE:

Pensavate che fossi stata risucchiata da un buco nero? Che avessi ricevuto la mia letterina per Hogwarts (di parecchi anni di ritardo)? No miei cari, io sono ancora qui a torturarvi con questi fantastici capolavori ;) purtroppo in ritardo ( dopotutto lo sapete anche voi, i mesi di aprile e maggio sono quelli più dannati per i studenti). Diciamo che ho scritto queste due parole qui sotto per dare dei segnali di vita (?). ah, stavo per dimenticare, se avete tempo libero etc. mi farebbe molto piacere leggere i vostri pareri sia su questo nuovo capitolo che su quello “bonus” così che io possa sapere se scrivere o no altri capitoli di questo tipo.

Baci

-Alexandra

 

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Capitolo 6
*** Avviso ***


 

AVVISO!

 

 

Carissime/i lettrici e lettori, ho deciso di scrivere queste due parole per avvertirvi che non avrò la possibilità di aggiornare questa storia per tre mesi; causa:vacanze.

Non dico che non scriverò più perché è arrivata l'estate, ma semplicemente perché il 19 partirò e andrò di là (no, non andrò nell'aldilà, come aveva inteso la prof. Di inglese, andrò in Romania in campagna da mia nonna) di conseguenza non avrò l'opportunità di aggiornare per mancata connessione wi-fi. (mi stupisco del linguaggio altisonante che ho usato. ;) ).

Detto ciò, durante questo periodo sarò poco presente su EFP, nonostante ciò scriverò molto e una volta tornata in Italia vi tormenterò con le mie fantastiche storie.

Buone vacanze a tutti!

Ci vediamo a Settembre

-Alexandra

 

P.S.: se qualcuno ha voglia di seguirmi su Wattpad mi chiamo regarde_le_ciel (tanto per cambiare), non ho ancora postato nulla. Fatemi sapere che siete di EFP così vi seguo ;).

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