Virus Viperinum

di The Hopeless Girl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO  1

Quando si svegliò, non aprì subito gli occhi.
Mosse lo sguardo da sotto le palpebre: la luce era abbondante nella stanza, quindi qualcuno si era già alzato e aveva ritenuto opportuno svegliare tutti.
Ricordava bene la stanza di motel nella quale si era addormentata la sera prima, nonostante fosse tutt’altro che nelle condizioni di analizzare come si deve una camera. Tese l’orecchio verso l’angolo opposto del locale, dove sapeva trovarsi i letti dei suoi due compagni di stanza: nessun suono, nessun respiro. Bene, dovevano essere fuori. Ascoltando meglio sentì dell’acqua scorrere e concentrandosi ancora poté pure intuire la melodia di una qualche vecchia canzone rock, cantata da qualcuno che evidentemente si stava facendo la doccia. Quasi le venne da sorridere: per essere un brano perlopiù musicale era interpretato con molto sentimento.
Si decise ad aprire gli occhi: dalla fessura tra le palpebre subito penetrò una fortissima luce e per un attimo l’abbaglio la distrasse dalla terribile carta da parati che circondava la finestra dalle tende aperte che al momento la stava accecando. Odiava i motel.
Con un sospiro rassegnato si mise a sedere tra le coperte un po’ ruvide e rigide del letto, strizzandosi gli occhi e pettinandosi all’indietro i capelli con le dita, senza riuscire a trattenere uno sbadiglio.
Ciò che era successo la sera precedente aveva condizionato i suoi sogni, che in realtà erano stati incubi che continuavano a lasciarle il gelo addosso anche da sveglia.
Almeno, in quella stanza accogliente anche se un po’ squallida, si sentiva pressoché al sicuro.
Sul tavolo al centro della camera trovò un biglietto con su scritto in una grafia disordinata: Aspetta ;). Affianco c’era il disegno stilizzato di una ciambella: a quanto pare uno dei due fratelli era andato a procurare una colazione. Non male come inizio.
Mentre si sedeva su una delle sedie di compensato attorno al tavolo, il rumore d’acqua si fermò, e un paio di minuti dopo la porta ai piedi del suo letto si aprì, facendone uscire un uomo sulla trentina, in jeans, maglietta e camicia a quadri aperta, che si stava asciugando i corti capelli biondo scuro con un asciugamano.
Quando la vide appollaiata sulla sedia, in attesa della colazione che suo fratello stava comprando da qualche parte lì intorno e con ancora addosso la maglia che le avevano prestato per la notte (aveva controllato: i suoi vestiti erano talmente lerci da non potersi più definire tali), le sorrise e le disse in tono allegro: «Mi spiace di non avere nient’altro da farti mettere, ma Sam ti troverà di sicuro qualcosa.»
Il suo primo pensiero che ne seguì fu chiedersi se quei due indossassero mai meno di due strati di vestiario.
Il secondo, che probabilmente a lui non dispiaceva affatto che i loro pantaloni le andassero decisamente troppo larghi. Almeno però poteva stare sicura che l’altro fratello non l’avrebbe lasciata con addosso solo una delle loro camice di flanella per tutto il giorno. Era un passo avanti.
Non rispose, limitandosi ad annuire: sapeva di non avere molta scelta, ma non riusciva a fidarsi completamente di quei due. Se erano davvero cacciatori, lei non poteva fidarsi. Non dopo la strada che lei e suo padre avevano intrapreso, non se voleva proteggere i suoi amici.
Probabilmente Dean, così si chiamava, aveva intuito la sua diffidenza, perciò abbandonò l’asciugamano sul tavolo e si sedette a sua volta, di fronte a lei.
«So che quello che ti è successo ti ha parecchio scossa – disse – ma io e Sam possiamo aiutarti a capire… a capire cosa ti è successo, chi ti ha fatto questo e perché. – le lanciò un’occhiata che voleva essere rassicurante – Ma tu dovrai darci una mano. Non proferire parola, non dirci cosa pensi sia successo, chi sei e cosa facevi prima di… insomma, tutto questo non ci aiuterà di certo. Non ti aiuterà.»
Lasciò la frase galleggiare nell’atmosfera un po’ tesa che si era creata durante quel discorsetto, sperando che lei si decidesse a dirgli qualcosa. Povero illuso.
Dean sospirò, in un misto di esasperazione e rassegnazione, e, fissandola intensamente negli occhi, disse: «Soprattutto, per quanto possa essere doloroso, devi dirci tutto quello che ricordi da… da quel momento ad ora. Devi dircelo, Allison
Era proprio questo il punto. Lei non ricordava nulla. Non ricordava nulla, della sua morte.




ANGOLINO ME :))
E così, dopo tanti tira e molla, dopo tanti lo faccio? no non lo faccio. okay lo faccio. no forse no…, e dopo tanta tanta ansia (e fatica) ho imbarcato questa mia storia, la mia prima long, su efp.
Sono letteralmente terrorizzata.
Mi sono presa in anticipo, e ho un paio di capitoli già fatti, ma so che presto mi ritroverò a dover scrivere all’ultimo minuto, senza uno straccio di idea.
E qui entrate in gioco voi.
Se la storia vi interessa, se vi sembra che possa andare a finire bene, scrivetemi, recensite, e ditemi tutto quello che non va, che va, che si potrebbe migliorare e/o cambiare e che vorreste foste aggiunto.
Confido in voi, perché nonostante io abbia un’idea generale di come far funzionare questa storia, ho bisogno di tutto il vostro aiuto per farle veramente prendere il volo. Sono a dir poco una dilettante e voi, lettori esperti, dovete elargirmi le vostre perle di conoscenza.
Grazie a chiunque abbia avuto la pazienza di leggere e avrà (forse) il buon cuore di recensire.
Benvenuti sulla mia personale impala, non allacciate la cintura, stappate la vostra bibita, scartate il vostro hamburger e che il viaggio inizi.
The Hopeless Girl

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Nota autrice:
Avrete notato che i capitoli sono brevissimi, e mi dispiace. Ma gli inizi mi sono sempre stati un po’ difficili e mi escono sempre un po’ confusi. Abbiate la pazienza di districare la matassa che ho scritto :)
p.s.: questo capitolo è un flashback ed è anche per questo che sono così brevi: volevo metterlo come capitolo a sé stante.

CAPITOLO 2

Gli ultimi ricordi coerenti che aveva erano lei e i suoi amici che andavano a Oak Creek per salvare Lydia, la sua freccia che uccideva l’Oni, e la spada di una di quelle creature che…
Il solo ricordo le faceva ancora dolere lo stomaco, lì dove la lama gelida l’aveva trafitta e dove ora non rimaneva neppure un graffio.
E ricordava Scott. Scott che la teneva fra le braccia, Scott che tentava di prendere il suo dolore, Scott che piangeva per lei, per loro. Ricordava di avergli detto che andava tutto bene, che era fra le braccia del suo primo amore e che lo amava.
E poi c’era la morte. Quel fluido freddo e strisciante che le era serpeggiato per tutto il corpo, le aveva appesantito gli arti e le si era depositato sul petto con la pesantezza di un macigno. Quella sensazione dolceamara di distacco da tutto quello che accadeva attorno a lei e all’interno del suo corpo. Quel momento che aveva avvertito con estrema precisione: di colpo sapeva con certezza di aver superato il punto di non ritorno, le Colonne d’Ercole.
Ricordava chiaramente di essere morta.
Tipo fine dei giochi, game over, non hai raggiunto nemmeno i vent’anni, sei morta. Da qui a due settimane sarai cibo per vermi.
Poi però era successo qualcosa di strano: si era svegliata.
Anzi non si era propriamente svegliata, era stata più la sensazione che si ha quando ti perdi nei tuoi pensieri senza nemmeno accorgertene e poi qualcosa ti disincanta e scopri che intanto il mondo è andato avanti.
Ecco, era stato proprio così. Un attimo prima moriva sull’asfalto bagnato di pioggia, e quello dopo era sdraiata in una pozzanghera di fango a lato di una stradicciola persa chissà dove.
Ma sapeva benissimo che le cose non erano così semplici: ogni volta che tentava di ricordare cosa ci fosse stato tra quei due momenti la sua memoria si bloccava e lei si sentiva come quando le sfuggiva la prima parola di una canzone che conosceva perfettamente, ma proprio l’imput, le prime lettere… quelle non riusciva a raggiungerle, per quanto si sforzasse.
Il periodo tra la sua morte e la sua resurrezione era un buco nero.
Una volta tornata in vita, le cose non si erano fatte meno confuse: appena aveva realizzato che lei non avrebbe affatto dovuto essere lì e sentire l’aria notturna che le entrava e usciva dai polmoni, era schizzata a sedere, guardandosi attorno freneticamente, quasi si aspettasse di veder sbucar fuori quei maledetti Oni da un momento all’altro.
L’unica cosa che era comparsa però erano stati i fari di un’automobile solitaria. Senza pensare a quello che stava facendo, Allison si era gettata di corsa in mezzo alla strada, rischiando di venire investita. La macchina aveva frenato e sterzato appena gli abbaglianti l’avevano illuminata, mancandola per un soffio. Pietrificata in mezzo alla carreggiata, con l’espressione che devono avere i cervi quando sbucano sulla strada davanti a un pick-up, aveva sentito le portiere aprirsi cigolando e poi sbattere violentemente sul telaio.
Due giovani uomini l’avevano raggiunta correndo e uno dei due l’aveva afferrata per un braccio gridando: «Ma che ti è passato per la testa? Sei completamente pazza? Avremmo potuto ucciderti!» L’altro uomo aveva strattonato indietro il compagno e gli aveva detto: «Dean, calmati. Non vedi che è sconvolta?»
Poi si era girato verso di lei e, con uno sguardo rassicurante, si era avvicinato, dicendo con voce calma e profonda: «Stai tranquilla, puoi fidarti di noi. Che cosa ti è successo? Che ci fai qui da sola?»
Allison aveva aperto la bocca, trovandosi però ad annaspare senza sapere che rispondere: non poteva dire a due tizi trovati letteralmente per strada che era morta ma ora era tornata in vita. L’avrebbero presa per pazza.
Non ottenendo risposta, il tipo aveva tentato un’altra domanda: «Almeno vuoi dirci come ti chiami?»
«Allison» rispose lei con voce roca, tremante «Mi chiamo Allison.»
Chiaramente sollevato dal fatto che non fosse talmente svitata da non ricordarsi nemmeno il suo nome, l’uomo sorrise: «Bene Allison, cosa…»
«Sam – lo interruppe l’altro uomo, che ora si era calmato e la fissava con le sopracciglia aggrottate – ho già visto un’espressione come la sua, e solo in alcuni casi.»
Anche lui si avvicinò a lei a rapide falcate, mantenendo però una certa distanza. La fissò negli occhi in con un’intensità talmente seria che un po’ la spaventò, come se lui potesse leggerle l’anima e capire tutti i suoi segreti.
«Allison, – disse a voce bassa, lievemente roca – come ci sei arrivata qui? Dove ti trovavi prima?»
Era una domanda bizzarra, se fatta in circostanze normali, ma quelle non lo erano per niente.
Senza riuscire a distogliere lo sguardo da quello profondo di quell’uomo strano, Allison sussurrò, stentando lei stessa a credere alle sue parole: «Prima io… prima ero morta

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Nota Autrice:
Non solo faccio i capitoli corti, ma anche li divido in più parti. PERDONO! È solo che essendo un crossover di ben due serie tv, lo penso e lo “creo” pensandolo come ad un episodio, quindi con frequenti e repentini cambi di scena. Cercate di comprendere la mia mente bacata.
In questo capitolo procede un po’ il flashback, descrivendo a grandi linee cosa succede dalla fine del secondo all’inizio del primo, e poi riprende da dove aveva lasciato alla fine del primo. Confusi? Anche io.
Bene, scusate la lunghissima introduzione e buona lettura.


CAPITOLO 3

Appena l’avevano trovata, Sam e Dean le avevano detto che avrebbe potuto fidarsi di loro, che il loro lavoro era proprio quello di occuparsi di situazioni del genere e che loro avrebbero potuto aiutarla a capire cosa le era successo.
Solo che non sapevano che lei aveva una asso nella manica: aveva sospettato che fossero dei cacciatori fin da quando Dean le aveva posto quella domanda che non lasciava molti dubbi, e ora ne era certa, mentre loro non avevano la minima idea né che sapesse né che fosse come loro.
Infatti aveva deciso di non dir loro altro, niente di niente. Aveva annuito quando le avevano offerto dell’acqua. Era entrata nell’auto quando le avevano aperto la portiera dicendole che se voleva potevano accompagnarla alla città più vicina. Aveva accettato quando le avevano offerto un posto nella loro camera di motel e aveva lasciato che le prestassero qualcosa da indossare per la notte, dato che i suoi vestiti sembravano aver fatto un giro in lavatrice insieme ad un ettaro di terra e fango.
Ma non aveva risposto a nessuna delle loro domande. Né su chi fosse, né su dove abitasse, né su cosa le era successo dal momento della sua morte in poi.
Fortunatamente i due non l’avevano stressata troppo: si erano limitati a chiudere la porta tenendosi la chiave (senza saper che di certo una serratura del genere non avrebbe fermato una cacciatrice come lei) e a dire che ne avrebbero discusso il giorno dopo e che lei aveva bisogno di riposare.
Erano stati talmente gentili da comprale un pasto lungo la strada. Certo, a Dean non era dispiaciuto affatto, dato che si era potuto fare una seconda cena senza che Sam potesse dirgli nulla («Che c’è? Non vorrai mica che si senta a disagio perché è l’unica a mangiare?») ma erano stati molto più accomodanti di quanto non lo sarebbero stati se avessero saputo chi era realmente.
Infatti Allison sapeva di essere al sicuro, con quei due cacciatori, finché fosse stata umana e loro non avessero saputo che era un’Argent. Non sapeva se la notizia della strada che suo padre e lei avevano intrapreso aveva raggiunto anche loro, ma non voleva rischiare.
E poi, se avessero scoperto che era una cacciatrice, le avrebbero chiesto di cosa ci faceva a Beacon Hills, e lei non poteva dir loro di Scott e gli altri. Li avrebbero uccisi tutti.
Ma sapeva anche che non poteva andare avanti così. Sapeva che aveva bisogno d’aiuto per capire cosa fosse successo, prima di tornare a Beacon Hills. La sua situazione era uno stramaledetto vicolo cieco e lei non poteva fare altro che prendere a testate il muro. Era frustrante.
Almeno, i due cacciatori non sospettavano nulla e lei poteva starsene tranquilla a riflettere sul da farsi, trincerata nel suo silenzio.
Dean la stava ancora fissando, supplicandola con lo sguardo di dire qualcosa, qualunque cosa. In risposta lei allungò una mano, afferrò il bigliettino di Sam e iniziò a giocerellarci, tenendo lo sguardo basso. Dean fece un profondo sospiro, più rassegnato che contrariato e battè i palmi sulle cosce, facendo uno schiocco sonoro che fece sobbalzare Allison.
«Dato che vuoi fare il gioco del silenzio – disse, senza però sembrare rimproverarla – almeno rendiamo la cosa utile, mentre aspettiamo che Sam torni»
Incuriosita sia da quello che Dean stava cercando, frugando in una delle loro sacche, e sia dal fatto che pensasse di dover ancora aspettare a lungo Sam, che in fin dei conti era andato solo a prendere la colazione, si raddrizzò sulla sedia e seguì attentamente le mosse del giovane.
Dean aveva entrambe le braccia dentro al borsone fino ai gomiti (Mary Poppins avrebbe invidiato le valige dei due Winchester: sembravano poter contenere un'intera casa arredata più un arsenale ben rifornito) e borbottava frugando tra gli innumerevoli oggetti, producendo un rumore di ferraglia piuttosto sospetto.
Infine, dopo un tempo che sembrò infinito riemerse dalla sua ricerca, reggendo trionfante in mano quello che sembrava un logoro mazzo di carte da gioco. Glielo lanciò e lei l'afferrò al volo, per poi esaminarlo: le carte erano ingiallite e lucide, molto vecchie e molto usate.
«Allora - Dean le rivolse un ammiccante sguardo di sfida - la nostra taciturna amica sa giocare a poker?»

~

Allison sapeva giocare a poker. Molto bene.
Dean se ne accorse subito, e si congratulò con sè stesso per essersi limitato a puntare noccioline. Ma in effetti, non avevano molto altro con cui giocare, al momento.
Erano nel bel mezzo di una mano piuttosto importante (la posta in gioco continuava a salire e nessuno dei due aveva intenzione di mollare) quando Dean sollevò lo sguardo dalle sue carte e lo fissò, con noncuranza, in quello di Allison.
«Allora Allie - posso chiamarti Allie? - mi chiedevo chi fossi. – lo sguardo della ragazza schizzò dalle carte in tavola agli occhi del cacciatore, per poi tornare immediatamente ad abbassarsi – Insomma, una normale ragazzina, che va al college, prende voti nella media, esce con un ragazzo carino e aspetta il ballo di fine anno, non resuscita dal mondo dei morti. Qualcosa di strano doveva esserci anche prima.» Sollevò le sopracciglia con fare allusivo, ma non si scoraggiò davanti all'ennesimo silenzio ostinato della ragazza, che non aveva nemmeno alzato lo sguardo. Infatti al cacciatore non era sfuggito come all'improvviso l'espressione di Allison si fosse fatta di pietra, impenetrabile, come quando lui le diceva scherzoso che avrebbe fatto meglio ad avere delle buone carte ed, effettivamente, ce le aveva. Era brava a giocare, ma non aveva la stessa esperienza di Dean Winchester.
Dalla sua posizione stravaccata sulla sedia, Dean si raddrizzò e appoggiò i gomiti al tavolo, diminuendo la distanza tra loro ed entrando nel campo visivo di Allison che lei lo volesse o no.
«Sai, io sono bravo a capire le persone. – disse a bassa voce, guardando fisso gli occhi di lei che invece sfuggiva il suo sguardo, tesa – Capisco quando una persona ha paura, e anche quando non ne ha. E tu, dolcezza, non ne hai neanche un grammo.»
Si ributtò sullo schienale, soddisfatto della sua conclusione, mentre finalmente Allison lo guardò, ma con un aria perplessa. Quell’uomo stava delirando?
Dean sospirò, mollò le carte sul tavolo, si alzò con calma, e si diresse verso il minuscolo cucinino della camera del motel. Quando passò affianco ad Allison quasi sentì i suoi nervi tesi fremere.
Aprì il frigo, prese due birre e tornò in sala, dove trovò la ragazza esattamente dove l’aveva lasciata, ma non si era persa neanche un suo movimento, seguendolo con sguardo attento.
Posò una delle bottiglie sul tavolo, stappò l’altra e ne bevve un lungo sorso. Il sospettoso e calcolatore contatto visivo con Allison non si ruppe mai.
Indicò con un cenno della bottiglia quella ancora intonsa sul tavolo: «Anche se non hai l’età puoi bere, sai. Sei tra amici.» La ragazza non si mosse.
Rinunciato all’approccio cameratesco, riprese a parlare con tono colloquiale: «Io, mia cara Allison, credo che in te ci sia molto di più di quanto tu dia a vedere. Sei attenta, non ti lasci sfuggire una sola mossa mia e di Sam. – posò la bottiglia sul tavolo – Sei silenziosa, ma non sei timida. – assottigliò lo sguardo, scrutandola come se cercasse di guardare oltre ciò che gli mostrava – Sei misteriosa, ma, come ho già detto, sono bravo a capire le persone.»
E senza lasciarle il tempo di pensare a una risposta che comunque non gli avrebbe dato, fece partire un gancio destro dritto a quel suo bel visino.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Nota Autrice:
Questo capitolo è più lungo degli altri, davvero di un bel po’ (per i miei standard almeno) e mi ci è voluto un po’ di più a scriverlo e rivederlo. SCUSATE! Almeno spero vi piaccia :)


CAPITOLO 4


Ovviamente Allison aveva intuito che Dean sapeva, e che avrebbe fatto qualcosa, fin da quando aveva iniziato a parlare del capire le persone e di come lei fosse diversa dalla confusa ed impaurita ragazzina che ci si aspetterebbe dopo una resurrezione.
Si era aspettata che la smascherasse, dicesse di aver capito che era una cacciatrice, che Sam era andato a cercare altri “colleghi” che potessero fornire informazioni sulla sua vera identità.
Si era aspettata che la accusasse di non essersi fidata di dei suoi, in fin dei conti, commilitoni. Ma non aveva minimamente immaginato che avrebbe potuto attaccarla.
Okay, lo ammetteva, era stata presa di sorpresa, ma i suoi nervi tesi erano pronti a scattare da ben prima che Dean facesse partire quel destro.
Con l’avambraccio sinistro deviò il colpo (accusandone però la potenza sul povero arto) quel poco che bastava per sgusciare sotto di esso e sfuggire al raggio d’azione del cacciatore. Ma la mano sinistra di Dean era pronta ad una mossa simile e la afferrò all’altezza del bacino, strattonandola indietro.
«Non così in fretta, cacciatrice
Beccata. Allison strinse i denti e fece scattare all’indietro il capo con quanta più forza poteva. Il rumore sordo che produsse il suo cranio in collisione con il naso di Dean fu altamente gratificante.
Dean la mollò con un gemito di protesta, ma lei non aveva finito: balzò lontano dall’uomo quel po’ che bastava per girarsi e tirargli un calcio laterale in pieno petto.
A quanto pare l’esperienza da Winchester se l’aspettava: Dean si spostò di lato, sbilanciandola e poi le afferrò la caviglia strattonando quest'ultima con forza.
Allison sentì il terreno mancarle sotto il piede che in teoria doveva essere poggiato sul pavimento e, capendo di star cadendo, si premurò di portare con se anche il suo avversario. Con un colpo di reni allungò il braccio quel po’ che bastava per afferrare il collo della maglietta di Dean, che venne trascinato a terra con un lamento di stoffa lacerata.
Rotolarono sul pavimento, azzuffandosi, prima verso una sedia dove Allison batté il braccio già intorpidito dal primo colpo di Dean, e poi verso il centro della stanza.
Quando finalmente Allison riuscì a salire a cavalcioni sul petto del cacciatore gli tirò un paio di cazzotti in pieno viso prima di notare che Dean aveva le mani alzate ai lati della testa, quasi in segno di resa, e stava… ridendo.
La ragazza smise di colpirlo e lo guardò, corrucciata e con aria interrogativa.
Dean le regalò un sorriso da un orecchio all’altro, apparentemente incurante del labbro spaccato e del naso che un po’ sanguinava, reduce della testata precedente.
«Davvero brava Allie – disse, con ancora la risata nella voce – Una cacciatrice davvero in forma.» Presa da un’improvvisa rabbia nei confronti di Dean, dei cacciatori in generale e della terribile vita che erano costretti a fare, alzò il braccio destro, pronta a far partire un altro colpo verso quel sorrisetto arrogante.
Forse voleva solo alleviare la frustrazione dell’essere stata scoperta e dover quindi abbandonare quei due che, bene o male, l’avevano aiutata, per buttarsi di nuovo sulla carreggiata dopo essere stata morta per mesi, senza un soldo o un mezzo, e forse non sarebbe servito a nulla colpire di nuovo Dean. Ma non l’avrebbe mai scoperto.
Un attimo prima che calasse il pugno chiuso su quel bel faccino sghignazzante, la porta della camera si aprì e l’alta siluette di Sam Winchester comparve sulla soglia.
Il giovane uomo contemplò, confuso, la scena per qualche istante e poi, sorprendendo Allison, guardò con rimprovero il fratello.
«Dean, ne avevamo parlato. – disse, con tono più seccato che preoccupato – Avremmo dovuto aspettare ancora un po’ e parlarle.»br> Si rivolse alla ragazza: «Scusalo, per qualunque cosa abbia fatto. Noi…»
«Ahh Sammy! Smettila con le tue stronzate bon-ton. Interrogarla di nuovo non sarebbe servito a nulla. Ora invece sappiamo di per certo che è una cacciatrice e lei sa che lo sappiamo. Semplice e veloce.»
Allison sentì il torace di Dean vibrare sotto di lei ad ogni parola e diventò improvvisamente consapevole della posizione in cui erano e di come lei indossasse ancora solo una maglia larga.
Incrociò lo sguardo di Sam che, accortosi di come era arrossita, le porse un sacchetto di carta.
«Allison, ti ho preso dei vestiti… spero ti vadano.»
Prima di alzarsi la ragazza lanciò un’ultima occhiata fulminante a Dean, che ridacchiò, e, preso il sacchetto che Sam le porgeva, andò in bagno.
Prima di chiudere la porta sentì la voce di Dean dire: «Visto, fratellino? Non è andata poi così male.»
Allison quasi riuscì ad immaginare l’espressione di Sam, e per un momento pensò che, per quanto strani, quei due le piacevano e sembravano a posto, nella media dei cacciatori. Per un momento.

~

Rivestitasi in fretta, Allison aveva passato dieci minuti abbondanti a fissare negli occhi il suo riflesso emaciato, aggrappata al lavandino e riflettendo sul da farsi.
Era in una situazione estremamente complicata e pericolosa: Sam e Dean sapevano che era una cacciatrice, che era morta, e che qualcuno di molto potente la rivoleva in vita. Sfortunatamente lei a riguardo non ne sapeva molto di più, ma arrivati a questo punto di certo avrebbero voluto sapere il suo cognome, e allora avrebbero scoperto dei trascorsi della sua famiglia e, forse, anche di Scott e tutti gli altri. E lei non poteva permetterlo.
Così si era inventata una bella storiella. In quel bagno dalla luce sfarfallante aveva definito ogni dettaglio della suo nuova vecchia-vita: era Allison Silver, suo padre Chris Silver era morto come lei nel combattimento contro degli Oni, scagnozzi di un Kitsune a cui davano la caccia. Vivevano da soli, itineranti. Non conoscevano la città dove erano morti e lì nessuno conosceva loro. Erano diventati cacciatori dopo che un lupo mannaro aveva ucciso sua madre. Era sola al mondo.
In effetti era una storia credibile, non molto diversa da quella di molte altre nuove famiglie di cacciatori (se si ignorava il fattore "resurrezione") e non forniva indizi sul fatto che non solo il lupo responsabile dell’assassinio della madre (Peter Hale) fosse ancora vivo, ma insieme a lui lo era anche una dozzina di creature sovrannaturali a piede libero per le strade di Beacon Hills e dintorni, compresi i suoi amici e il suo ex. Una mezza verità molto mezza e poco verità.
Allison si sciacquò il viso, sperando di trovare coraggio nell'acqua gelida, e, finalmente, uscì dal bagno, pronta a parlare.
Di qualunque cosa stessero discutendo i Winchester, seduti ognuno sul rispettivo letto, si interruppero appena lei entrò nella stanza.
Sam si alzò in piedi, guardandola vagamente preoccupato, mentre Dean si limitò a fissarla, bevendo un sorso dalla birra fredda che teneva premuta sul viso.
«Allison... stai bene?» le chiese Sam.
«Sì, tutto okay. – giocherellò col bordo della camicia – Grazie per i vestiti.»
«Oh... – Sam sembrava sorpreso di aver ricevuto una risposta, e lei non poteva biasimarlo – Figurati. Spero ti vadano…»
Il cacciatore fece scorrere lo sguardo sugli abiti della ragazza: quello che si definirebbe un classico outfit da Winchester: blu jeans, camicia di flanella sopra una canottiera e scarponcini resistenti.
«Sono perfetti.»
Scese un imbarazzante silenzio, finché Dean non esclamò: «Brr, ragazzi, c'è un po' di gelo o la mia birra è troppo fredda? Vieni qui Allison, siediti, non mordiamo mica.»
Dean sfoderò un sorriso accattivante che le fece venir voglia di riprendere lì dove avevano lasciato la zuffa, ma il fratello la guardò con aria incoraggiante e lei si avvicinò ai due cacciatori.
Quando Sam le sfiorò il gomito sinistro, incoraggiandola a sedersi, Allison sussultò alla fitta che le attraversò il braccio: quel povero arto era stato sbatacchiato un po' troppo.
Sam sgranò gli occhi e, lanciando un occhiata di rimprovero al fratello, che fece spallucce, disse che avrebbe preso del ghiaccio.
Rimasta sola con il Winchester più grande, Allison si sedette sul bordo del letto di Sam e squadrò Dean con diffidenza.
Per un attimo sostennero una battaglia di sguardi, poi Dean cedette sghignazzando: «Okay, okay, hai le mie scuse. – la guardò con occhi divertiti, senza un'ombra di pentimento sul volto – Ma sono un fermo sostenitore della terapia d'urto. Dopotutto ha funzionato, no? E non ne sei uscita neanche troppo male.»
In effetti, Allison doveva ammetterlo, lei ne era praticamente intatta, al contrario di lui, e con ogni probabilità era stato volontario. Dean non aveva minimamente dato il meglio di sè in quel breve scontro. La cosa un po' la infastidì (non la riteneva in grado?) ma soprattutto le fece venir voglia di sorridere: in fin dei conti Dean non aveva mai voluto farle del male, aveva solo cercato di farla reagire.
Gli regalò un sogghigno di sfida: «La prossima volta, prima di tirarmi un pugno, lasciami stracciarti a poker.»
Dean scoppiò a ridere: «Piccola streghetta...»
In quel momento Sam tornò nella stanza, con una bottiglia congelata di soda in mano, e a vederli scherzare insieme si illuminò il volto con un sorriso.
Si sedette di fianco ad Allison, facendo incurvare il materasso, e le porse la bottiglietta: «È il meglio che ho trovato.»
Lei gli sorrise e la prese: «Grazie, Sam.»
Lui la guardò in modo strano, come se sentirla chiamarlo per nome fosse inaspettato. Come se non avesse pensato che, nel suo scontroso silenzio, li avesse osservati ed ascoltati.
«Allora Allison... – Sam appoggiò i gomiti sulle ginocchia, parlandole con un'espressione franca ed incoraggiante – Sei una cacciatrice.»
Dean prese fiato, come per dire qualcosa, ma ad un'occhiataccia del fratello sbuffò fuori l'aria senza pronunciare una parola.
Allison abbassò lo sguardo sulle mani, cercando contemporaneamente di non farle tremare e di sorridere. «Già. Beccata.»br> Sam sollevò le sopracciglia: «E?» Allison sospirò profondamente, preparandosi alla storia di menzogne che stava per raccontare a quei due ragazzi.
«Mi chiamo Allison Silver, cacciavo con mio padre, Chris Silver. Ha iniziato a cacciare dopo che un lupo mannaro uccise mia madre, e io, già grande, sono partita con lui. Eravamo in California, un Kitsune. I più potenti si circondano di Oni, demoni giapponesi praticamente indistruttibili. Stavamo appunto combattendo con questi Oni, avevamo ormai scoperto il rifugio del Kitsune, quando prima mio padre e poi io fummo uccisi. Non so chi ci ha sepolti né dove.»
Rialzò lo sguardo, aspettandosi che i due fratelli le leggessero in faccia la menzogna, ma loro la stavano guardando con empatia. Sospirò di nuovo, un po' più rilassata: «E questo è quanto. Niente di speciale.» Sam la fissava con negli occhi qualcosa di inaspettato... tristezza?
«Anche nostro padre iniziò dopo la morte di nostra madre. Un demone. Noi però eravamo molto piccoli: siamo stati cresciuti come cacciatori.»
Per un momento Allison si vergognò profondamente di sé stessa: aveva inconsciamente fatto leva su un punto debole dei due cacciatori, suscitando la loro comprensione e la loro simpatia. Non le meritava, non meritava il loro rispetto.
Si morse un labbro, ben consapevole di non dover lasciarsi sfuggire di bocca una parola di più di quelle necessarie a reggere la sua sceneggiata.
Dean interruppe bruscamente, come sempre, quella pausa piena di emozioni: «Okay, abbiamo pianto abbastanza. Dobbiamo darci da fare. Prima di incontrare Cappuccetto Rosso persa nel bosco, io e Sam seguivamo un caso e un paio di braccia in più non ci faranno male. Poi potremo concentrarci su quel Kitsune ancora in circolazione e su cosa ti ha... diciamo risvegliata.»
Sorpresa da questo enorme lascito di fiducia totalmente gratuito, Allison si dimenticò di precisare che non era assolutamente necessario andare a rivangare il suo passato fasullo.
«Aspetta, Dean! – Sam richiamò il fratello che già si era alzato in piedi, pronto a riprendere il lavoro – Forse prima dovremmo chiamare... – accennò con il capo ad Allison, che non capiva di cosa parlassero – sai, Castiel.»
Per un attimo Dean fissò il fratello con aria vacua, poi si illuminò.
«Oh giusto! Castiel. Giusto.»
Chiudendo gli occhi Dean si schiarì la voce e incrociò le braccia.
«Ahem, Castiel? Mi senti? Ci servirebbe un tuo... parere, ecco. Ci sei?»
Okay questo era davvero strano.
Passati cinque secondi di silenzioso nulla, Allison stava per chiedere che diamine stessero facendo lì imbambolati, con gli occhi chiusi e quell'aria ebete, quando un rumore come d’ali in movimento riempì la stanza.
Allison scattò in piedi, reprimendo a stento un grido di sorpresa: a pochi passi dai piedi del letto era comparso dal nulla un uomo in trench, con i capelli neri e l'aria seria.
Accennò col capo ai due cacciatori, a mo' di saluto. «Dean. Sam.»
Poi i suoi occhi si concentrarono su Allison, e assottigliò lo sguardo in due lame blu che fecero sentire la ragazza nuda e bucherellata.
«Suppongo mi abbiate chiamato per quest'anima rubata al suo luogo legittimo.»
Con aria lievemente imbarazzata, Dean indicò quello strano uomo e Allison ripetutamente.
«Cas, Allison. Allison, Cas: il nostro amico angelo.»
La ragazza spalancò gli occhi e la bocca le si aprì a formare un ovale.
Questa non l'aveva proprio mai sentita.






Ancora io :)
Questo giro vi avverto con preavviso: mi ci vorrà tempo per scrivere il prossimo capitolo, sia perché i miei prof hanno deciso di iniziate TUTTI ASSIEME ad interrogare e fare verifiche a manetta, sia perché… beh l’ispirazione scarseggia ultimamente e sinceramente non ho proprio intenzione di rifilarvi una di quelle schifezze che mi escono nei miei momenti no.
Au revoir (ノ◕ヮ◕)ノ*:・゚✧

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