Friendship and loyalty

di DalamarF16
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A morning like any others. ***
Capitolo 2: *** I am not going anywhere ***
Capitolo 3: *** Deal? ***
Capitolo 4: *** Please, don't be stupid ***
Capitolo 5: *** False impressions don't speak ***
Capitolo 6: *** You'll wish I Killed You Yesterday ***
Capitolo 7: *** Mr. Murdock is out right now ***
Capitolo 8: *** Kept in the dark ***
Capitolo 9: *** everyone in life should have a Foggy. ***
Capitolo 10: *** Foggy Nelson, avocado at law. ***
Capitolo 11: *** Don't Claire me, Murdock! ***
Capitolo 12: *** Darts and glass ***



Capitolo 1
*** A morning like any others. ***


PERSONAL SPACE: ed eccomi qui, che spunto in questo fandom, perchè mi sono innamorata di Daredevil, di Charlie Cox e di tutto quello che gli gira attorno... Chiedo scusa a chi sta leggendo Trust Me nella sezione Avengers, giuro che presto aggiornerò pure quella!
Comunque, qualche mese fa mi sono imbarcata in una nuova avventura, principalmente a seguito di un brutto evento che ha coinvolto me e la mia famiglia. Dovevo in qualche modo allontanarmi da quello che stavo facendo, estraniarmi, diciamo...e siccome non potevo partire... mi sono immersa in una fanfiction in inglese. Ne è uscita questa cosa, che sto pubblicando con lo stesso titolo anche in inglese su FF.net... eniente...
fatemi sapere cosa ne pensate, e ricordatevi che non mordo se mi lasciate recensioni negative ^__^

Chapter 1: A morning like any other.

Era una mattina come tutte le altre.
Matt Murdock aprì gli occhi al suono della sveglia e, come tutti i giorni da una ventina di anni a quella parte, il mondo prese fuoco attorno a lui. Schiacciò il bottone bianco per zittire quel rumore altamente fastidioso per il suo udito ultrasensibile e la consueta voce metallica (non molto più piacevole del suono precedente, a dire il vero) lo informò che erano le sette del mattino.
Era ora di alzarsi.
Come d’abitudine, prestò particolarmente attenzione ai propri movimenti, pronto a ricevere le ormai solite dolorose proteste provenienti dal proprio corpo; tuttavia, quella mattina, non provò dolore.
La notte prima non era uscito per il suo consueto giro di pattuglia per Hell’s Kitchen, per cui non aveva ferite fresche di cui preoccuparsi, ma realizzò tutto questo solo qualche minuto dopo, quando il suo cervello iniziò a svegliarsi e smise di muoversi per casa come un’automa.
Si diresse immediatamente verso il bagno. Aveva davvero bisogno di farsi una doccia.
Il giorno precedente era stato uno di quei giorni che non si potevano definire semplicemente “pieni di lavoro” o “caotici” o “pazzi”. Era stato un insieme di tutte le tre definizioni e forse qualcosa di ancora peggiore.
Lui, Karen e Foggy non avevano avuto un solo minuto di pace.
Da quando erano riusciti a far arrestare Fisk si erano davvero fatti un nome a Hell’s Kitchen e il numero dei loro clienti era cresciuto in maniera esponenziale, senza contare che la vera novità era che alcuni di essi potevano perfino permettersi di pagarli.
Per la prima volta da quando riusciva a ricordare (escludendo il periodo in cui non si erano parlati) lui e Foggy si erano ritrovati costretti a lavorare su casi differenti, mentre un’eccezionale Karen cercava di aiutarli entrambi e allo stesso tempo teneva a bada i clienti in attesa.
Il risultato di tutto questo era che si erano concessi stento una breve pausa pranzo ed erano tornati a casa dopo mezzanotte.
Matt era rimasto in piedi per un po’ di fronte alla finestra aperta, ascoltando le voci della città, cercando di capire se qualcuno necessitasse del suo aiuto. Quando aveva capito che quella sarebbe stata una nottata tranquilla, aveva tirato un sospiro di sollievo, si era lasciato cadere sul letto e si era addormentato con addosso ancora il suo completo da avvocato.
Arrivato a casa non si era cambiato subito perchè aveva pensato di scivolare direttamente da una divisa a un’altra, e quando aveva deciso di non uscire, si era semplicemente ritrovato senza le forze necessarie a indossare pantaloni della tuta e maglietta.
Foggy. Foggy. Foggy. Foggy. Foggy...
Aveva appena messo piede in bagno quando il suo telefono cominciò a suonare, recitando il nome del suo migliore amico con voce atona ma allo stesso tempo insistente.
Sospirò e tornò in cucina dove l’aveva abbandonato.
Se a chiamarlo fosse stata Karen si sarebbe limitato a lasciarlo squillare e a richiamarla una volta rimessosi al mondo, ma si trattava di Foggy, che da quando aveva scoperto il suo segreto aveva fatto delle chiamate mattutine una sorta di routine.
Gli telefonava solo per accertarsi che fosse rientrato a casa abbastanza in forze da chiamare Claire per farsi ricucire.
Se non avesse risposto, il suo migliore amico si sarebbe probabilmente precipitato a casa sua a controllare che tutto fosse ok, e Matt non voleva che si preoccupasse inutilmente, perciò prese la chiamata nel più breve tempo possibile.
-Ehi. Tutto ok? Ci hai messo una vita a rispondere…-
Matt non potè evitare di sorridere. Il modo in cui Foggy si preoccupava per lui era sempre stato quasi commovente, nonostante non lo avesse mai trattato in guanti bianchi, ma questo era stato uno dei motivi per cui lo aveva tenuto all’oscuro della sua attività notturna.
-Sto bene- rispose - mi stavo facendo una doccia-
-Oh, scusa. Ma… stai bene? Cioè… sai…-
-Sì. Ieri sono rimasto a casa-
-Davvero?- e qui non serviva avere i suoi sensi acuti per percepire il sollievo nella sua voce.
-Troppo stanco-
-Allora… ci vediamo in ufficio?-
-Certo. Lasciami una ciambella.-
Matt chiuse la telefonata e finalmente riuscì ha infilarsi nella doccia calda che lo chiamava già da un po’. Cambiò il completo e, presa la sua borsa, gli occhiali e il bastone si diresse direttamente all’unico ufficio dell’appena nata Nelson&Murdock. Appena arrivato su sollevato dallo scoprire che nessun cliente si era ancora presentato in ufficio, in compenso, Karen e Foggy erano già lì e lo stavano aspettando per colazione.
Anche questa, così come le telefonate) era una nuova abitudine nata dalla mente del suo migliore amico nel momento in cui avevano ricominciato a parlarsi dopo che l’identità di Daredevil gli era stata svelata.
Tutto sommato, la nuova routine non gli dispiaceva poi troppo.
Le settimane in cui lui e Foggy non si erano parlati erano state le peggiori dopo quelle immediatamente successive alla morte di suo padre, perchè Foggy era più di un amico, e più di un socio in affari, anche se solo ora se ne rendeva pienamente conto.
Quando aveva rischiato di perderlo a causa della sua seconda attività, dapprima aveva pensato che sarebbe riuscito a cavarsela anche da solo, come aveva sempre fatto fino al giorno in cui era entrato al college, ma ben presto aveva iniziato a sentire la mancanza delle sue continue chiacchiere inutili e il suo lamentarsi praticamente di qualunque cosa, e aveva realizzato quanto la sua presenza riempisse la sua vita, anche se, quando ci pensava, non poteva fare a meno di porsi la stessa identica domanda che veniva loro posta ogni qualvolta i loro caratteri opposti venivano palesati: com’era possibile che due persone così diverse, praticamente agli antipodi, fossero diventati amici a tal punto da voler fondare uno studio insieme?
Perchè Foggy era davvero il suo opposto.
Matt era, sostanzialmente, una persona silenziosa; non che da piccolo fosse mai stato un chiacchierone, ma da quando i suoi sensi erano stati modificati, aveva ancor di più iniziato a parlare solo quando lo riteneva strettamente necessario. Era tutto così rumoroso attorno a lui, che se poteva evitava di essere la causa diretta di altro rumore.
E, inoltre, non aveva mai amato particolarmente la compagnia, fin da piccolo. A scuola si era sempre concentrato sui propri libri e sul proprio studio, ignorando i giochi e le prese in giro dei suoi coetanei; aveva promesso a suo padre che avrebbe sempre studiato sodo per avere un futuro migliore, ma soprattutto, non c’era cosa più bella per Matt vedere il proprio padre orgoglioso di lui. Questo valeva, di per sè, più di qualsiasi attività ricreativa. Quando aveva perso la vista, le cose non erano certo migliorate, anzi, era diventato più facile per gli altri trovare una scusa per escluderlo da qualsiasi possibilità di vita sociale, ma, di nuovo, non se ne era mai lamentato più di tanto.
I suoi insegnanti dicevano sempre che era un adulto nel corpo di un bambino di 8 anni, forse perchè già allora aiutava Jack Murdock a far quadrare i conti con i soldi che guadagnava dai combattimenti, che, per qualche ragione, erano sempre troppo pochi. Il risultato era che molto spesso indossava vestiti di seconda mano che non erano proprio della sua taglia e aveva sempre evitato di andare alle feste di compleanno perchè spesso non c’erano i soldi per comprare i regali. Da quel punto di vista, la cecità aveva reso le cose più facili: non doveva rifiutare inviti che non riceveva.
Con la morte del padre, le cose erano anche peggiorate: i suoi sensi si erano sviluppati all’improvviso, come se il genitore fosse stato uno scudo che finora l’aveva nascosto al momendo e adesso, all’improvviso fosse scomparso.  L’orfanotrofio, con la sua miriade di suoni e grida, aveva rischiato di farlo diventare pazzo. Il minimo rumore lo sovrastava completamente, e anche quando riusciva a sgattaiolare in chiesa o nella piccola cappella dell’istituto, non trovava pace. Si era quindi ritrovato chiuso nella propria stanza, raggomitolato su se stesso cercando di attutire i suoni attorno a lui.
E poi era arrivato Stick, che puntualmente l’aveva abbandonato non appena aveva iniziato a considerarlo come un padre. Ma l’uomo non voleva un figlio: voleva un soldato fedele, pronto a uccidere al suo comando. Anche se all’epoca era solo un bambino, Matt non aveva ceduto alla tentazione di una nuova figura paterna: gli insegnamenti di Jack e la fede cristiana erano così radicati in lui che ben presto Stick aveva capito che si trattava di una battaglia persa.
Da quel momento, si era convinto che avrebbe passato il resto della propria vita da solo: gli anni erano passati e lui era cresciuto, ma qualcosa in lui gli impediva di avere relazioni che durassero davvero. Aveva perfino provato a prendere un cane guida, ma presto aveva capito che non era cosa per lui.
Al college, per evitare l’imbarazzo di essere trattato come una bambola di porcellana, aveva richiesto una camera singola, ma l’errore di un computer gli aveva fatto incontrare questo tipo strano che stava cercando di farsi ammettere al corso di punjabi solo per correre dietro a una ragazza. Matt ci aveva messo meno di due minuti a capire che con Foggy le cose sarebbero state diverse, e non si era sbagliato. Aveva finalmente riscoperto il calore di una sincera amicizia, che era durata per tutto il corso degli anni: aveva di nuovo una famiglia, e per poco non aveva mandato tutto a puttane.
La notte dopo il loro litigio, si era sentito così in colpa per tutte le bugie dette da star male, e quel poco che era riuscito a mangiare non era rimasto nello suo stomaco a lungo, e i giorni successivi non erano andati molto meglio. Andava in ufficio solo in tarda nottata, spesso dopo il suo giro di pattuglia per Hell’s Kitchen, quando era sicuro che Foggy non ci sarebbe stato (a volte c’era Karen, ma non era lei il problema) e utilizzava le ore diurne per riposare.
Alla fine, se ne era fatto una ragione, e le cose sembravano andare abbastanza bene, o almeno così si era detto. Puttanate. Quando, dopo il funerale di Ben, l’amico l’aveva rintracciato in palestra e insieme avevano deciso di provare a voltare pagina, di nuovo insieme, avrebbe fatto salti mortali di gioia se solo fosse stato meno orgoglioso.
Non avevano solo deciso di continuare le loro indagini per togliere Fisk dalla circolazione senza che lui dovesse ucciderlo, ma anche di ricostruire da zero la loro amicizia, senza bugie questa volta. Colazione e telefonate erano parte dell’accordo, e a Matt andava bene così. Avrebbe accettato qualunque condizione pur di riavere la propria famiglia.
-Sei in ritardo- il saluto di Karen era gioviale, ma con una punta di rimprovero.
-Scusate-
-Muoviti! Abbiamo fame!- protestò Foggy, ma questa volta percepì solo un sorriso dietro un rimprovero -Alzati prima la prossima volta!-
-Sì come no. Scommetto che ti sei già fatto fuori due o tre ciambelle ancora prima di arrivare in ufficio-
-Non è vero!-
-Quattro?-
-Fottiti, Murdock!- Entrambi a quel punto stavano ridendo di fronte a una divertita Karen, e Matt riuscì ad annusare nel suo alito che almeno tre erano state mangiate: sentiva cioccolato, fragola, forse mostarda e… ehi era il profumo di Marcy quello che gli sentiva addosso?
Sorrise prendendo la ciambella e la tazza di caffè che la segretaria gli stava porgendo con un gentile ringraziamento. Aveva davvero bisogno di caffeina per svegliarsi.
-Cosa abbiamo in programma per oggi?- chiese Foggy tra un boccone e l’altro.
-Niente di particolare, ma dovete essere in tribunale alle 16 per quel ragazzino che è stato accusato di aver scippato una donna fuori da una banca-
Foggy annuì. Sarebbe stata una passeggiata, perchè erano riusciti a provare facilmente che all’ora della rapina si trovava a scuola nel bel mezzo di un test: un alibi che l'insegnante era stato ben felice di confermare, fortunatamente.
E infatti, come previsto, il giudice aveva lasciato cadere tutte le accuse contro Peter senza neppure arrivare al vero e proprio processo. Era giá quasi buio quando i due soci erano tornati allo studio e non avendo altro da fare per qual giorno, Foggy aveva deciso di mandare a casa Karen prima del previsto.
-Quindi?- chiese Foggy prendendo Matt in contropiede.
-Quindi cosa?-
-Questa notte-
-Te l'ho detto- sospirò Matt -Sono rimasto a casa. Abbiamo stacctao a mezzanotte ed ero così stanco che mi sono addormentato ancora ancora con il completo addosso-
-Quale dei due?-
-Ma mi prendi in giro?-
-Non posso ascoltare il tuo battito cardiaco, io. Come faccio a sapere se mi stai dicendo la verità?-
Sul serio? Di nuovo quella storia? Matt sospirò di nuovo. Capiva la preoccupazione di Foggy riguardo a Daredevil. E anche che si fosse sentito tradito, ma non riusciva prorio a digerire il fatto che mettesse in discussione tutto quello che gli diceva.
Aveva mentito una volta, per proteggere lui e Karen, e aveva quasi perso tutto.
Non avrebbe commesso lo stesso errore due volte.
-Perchè dovrei mentirti?-
-Perchė tieni a lui, ragazzo-
La voce proveniente dalla porta congelò Matt sul posto.



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Capitolo 2
*** I am not going anywhere ***


A/N: Eccomi!!!! allora allora, grazie a tutti coloro che hanno letto, in particolare a RagDollCat per la sua recensione, sono davvero contenta che questa storia ti piaccia!
Grazie anche a Jhon Savor per averla inserita nelle seguite, spero che continuerete a seguirmi!
E niente...fatemi sapere cosa ne pensate!


Chapter 2: I am not going anywhere.

Foggy pensava di aver conosciuto nel corso degli anni ogni sfumatura di Matt Murdock, incluso il fatto che fosse una sottospecie di incrocio tra un ninja e un boxeur, ma vederlo letteralmente congelarsi in quel modo lo colse completamente alla sprovvista. Pur non avendo i superpoteri del suo migliore amico, riusciva a percepire l'improvvisa tensione che lo aveva invaso, mentre il suo volto perdeva qualche sfumatura di rosa.
Come se fosse un soldato di fronte al proprio superiore, vide Matt alzarsi di scatto e raddrizzare spalle e schiena, mentre contemporaneamente afferrava il proprio bastone e lo stringeva forte, come se si stesse preparando a usarlo come arma da un momento all'altro, o come se gli servisse per aiutarsi a controllarsi.
Non l'aveva mai visto così: Matt era sempre quello calmo, controllato in ogni sua emozione, perfino quando sarebbe stato perfettamente normale esprimerle, mentre adesso sembrava totalmente privo di quel suo autrocontrollo che lo aveva sempre distinto. Le sue dita continuavano a scorrere sull'impugnatura nera del bastone, e, a meno di non avere le allucinazioni, poteva giurare che il suo migliore amico aveva iniziato leggermente a tremare, salvo poi riuscire a riguadagnare un po' della sua compostezza.
Chiunque fosse il proprietario di quella voce, era riuscito a spaventare Matt a morte. Decisamente un brutto segno.
-Matt? Tutto ok?- chiese quasi timidamente nel momento esatto in cui un uomo anziano entrava nell'ufficio, stringendo un bastone bianco e rosso identico a quello del suo migliore amico.
Un vecchio cieco. L'atteggiamento di Matt. Foggy ci mise poco a fare due più due.
-Stick- fu l'unica cosa che riuscì a dire, muovendo appena le labbra.

***

-Il tuo amico è intelligente-
Il suono della voce di Stick, non più soffocata dalle pareti, e il crescere del battito del cuore di Foggy, riuscirono finalmente a smuovere Matt, facendolo reagire.
Si sforzò di riprendere il pieno controllo del proprio corpo e con un immenso sforzo riuscì a smettere di tremare di paura. Non ne aveva per sè stesso, poteva tenere testa al suo vecchio mentore, ma non voleva farlo di fronte al proprio socio. Non voleva metterlo di fronte alla propria brutalità, non ora che stavano cercando di tornare ad avere un rapporto normale. Quando combatteva era un altro, e non era ancora pronto a mostrare a Foggy il Diavolo che era in lui. Strinse ancora una volta il suo bastone, pronto a fronteggiarlo.
-Foggy. Vai a casa- ordinò, e la voce gli uscì un po' troppo tesa e roca per i suoi gusti.
Stick che compariva una seconda volta nella sua vita in pochi mesi lo aveva scioccato, soprattutto perchè si era presentato nel suo ufficio, di fronte ai suoi amici. Matt conosceva il messaggio dietro il gesto: se Stick era riuscito a scoprire dove lavorava, anche il nemico ci sarebbe riuscito, prima o poi.
-Non ci penso neppure!-
-Foggy....-
-Non me ne vado, Matt-
-Pensa davvero di poter fare qualcosa contro di me, signor Nelson?- ironizzò Stick interrompendo il dialogo tra i due. Stick sapeva tutto anche di Foggy. Un brivido gli corse lungo la schiena, mentre improvvisamente capiva che se Stick voleva davvero fare di lui il suo soldato, un vigilante solitario che non esitava a uccidere, avrebbe potuto facilemente far uccidere Foggy e Karen, o addirittura farlo lui stesso.
Sentì il panico crescergli in petto.
Calmati, Matt. Calmati.
Cercò disperatamente di scacciare dalla propria mente le immagini dei corpi dei suoi amici morti, coperti di sangue, gli occhi spalancati e svuotati delle loro anime. Non aveva mai visto le loro facce, quello che sapeva dei loro lineamenti era quello che gli era stato detto, ma, nonostante ciò, gli apparivano chiari come se avesse potuto vedere le foto scattate dagli agenti della scientifica.
Riusciva a vedere concretamente i capelli lunghi e biondi di Karen sparsi sul pavimento dell'ufficio, con una pallottola in fronte e, al suo fianco, il corpo leggermente sovrappeso del suo migliore amico, colpito a morte da numerose coltellate, la sua mano destra che strigneva quella della segretaria in un ultimo gesto di affetto e conforto. Il suo partner era morto lentamente e dolorosamente per mano di Stick. Matt aveva a stento digerito la morte di Ben, non poteva permettere che succedesse di nuovo. Non per colpa sua.
Resistette a malapena alla tentazione di scuotere apertamente la testa.
Stick sapeva che se c'era qualcosa che potesse fargli compiere il fatale passo, da vigilante a giustiziere, poteva essere l'assassinio di Foggy, e la cosa che più lo angosciava, era che non solo Stick sapeva, era che era certo del fatto che il vecchio mentore non avrebbe esitato un secondo a farlo.
Aveva cercato di educare Matt allo stesso modo, ma gli insegnamenti di suo padre, fortunatamente, erano così ben radicati in lui che non era riuscito a soggiogarlo.
-Forse no- Foggy stava rispondendo, riportando Matt alla realtà, testardo nonostante ci fosse un lieve tremore nella sua voce -Ma non lascerò Matt da solo con te-
-Foggy, ti prego- il giovane cercò di iniziare a parlare, ma non riuscì a finire la frase, perchè fu interrotto da Stick e, proprio come accadeva quando era piccolo, si ritrovò incapate di spiaccicare parola.
-Quindi Matt ti ha raccontato il suo piccolo segreto-
Matt si ritrovò a chiudere la bocca, mentre le sue mani stringevano ancora più forte il bastone, fino a quando le nocche non diventarono bianche e lui non sentì le dita indolenzite. Era spaventato e arrabbiato allo stesso tempo. Possibile che dopo vent'anni lo comandasse ancora così facilemente?
Il senso di impotenza che sentiva di fronte all'anziano lo faceva andare fuori di matto. Era un adulto ora, e allora per quale diavolo di motivo non riusciva a tenergli testa? Prima che le cose tra i due degenerassero, comunque, raccolse un po' del suo coraggio e parlò, riportando l'attenzione su di sè e facendo un passo in avanti per mettersi tra Stick e Foggy.
-Che cosa vuoi, Stick? Te l'ho già detto una volta: stai fuori dalla mia città- e soprattutto dalla mia famiglia, pensò, ma il coraggio gli venne meno prima che riuscisse ad articolare quelle parole, di cui, tra l'altro, non c'era poi davvero bisogno. La posizione che aveva assunto (e che Stick aveva sicuramente notato) era più che sufficiente a sottolineare che la sua priorità era quella di difendere il proprio amico.
Stick aveva ancora molto potere su di lui, come sempre, ma questa volta era diverso: c'era la vita di Foggy sulla linea del fuoco, il suo peggiore incubo era diventato realtà e non avrebbe permesso al suo timore di paralizzarlo.
-E io ti ho detto che la famiglia è una debolezza, ragazzino-
-Sì. E io ti ho ignorato- dopo averti dato retta ed aver fallito miseramente.
-Idem-
-Vattene da Hell's Kitchen-
-O cosa? Mi uccidi?- Stick fece una pausa carica di presa in giro -Oh, scusa, dimenticavo. Tu non uccidi. Sei ancora lo stesso moccioso di venti anni fa, dopotutto-
-Uccidere non è la soluzione- all'improvviso Foggy parlò di nuovo, e la sua voce fu come un lampo in una notte serena.
-Foggy, ti prego. Stanne fuori- Matt cercò di fermarlo, e qualcosa in lui si incrinò. La voce del suo amico l'aveva distratto per un istante, e all'improvviso non riusciva più a controllarsi. Ricominciò a tremare mentre le immagini di morte gli tornavano alla mente.

***

-Matt...- chiuse la bocca quando vide Matt cominciare a tremare, scioccato dall'improvviso cambiamento.
L'aveva visto colpire un sacco con tutta la sua forza, furibondo, quando si era deciso a incontrarlo dopo essersi perso il funerale di Ben; aveva scoperto il suo lato debole quando  si era ammalato, anni prima, quando erano ancora compagni di stanza al college (se ci pensava, ricordava con estrema chiarezza il ragazzo raggomitolato sul letto, le mani premute sulle orecchie, mentre praticamente piangeva dal dolore. Ora sapeva che era tutto dovuto al fatto che la febbre e il mal di testa gli impedivano di concentrarsi e filtrare le informazioni provenienti dal resto del mondo. Non l'avrebbe mai dimenticato), ma non aveva mai pensato che qualcuno o qualcosa potesse terrorizzarlo fino a questo punto.
L'aveva sempre visto come senza paura affrontare il mondo (e probabilmente anche Dio, mai non l'avrebbe mai detto di fronte a lui) e qualunque ostacolo si trovava sulla propria strada.
Ora, invece, Matt era completamente in panico,  e il cambiamento era stato così repentino da fargli pensare che quell'uomo stesse praticamendo su di lui un qualche trucco Jedi, del resto, dopo gli alieni volanti e il "mondo in fiamme", cominciava a pensare che tutto fosse possibile.
Vederlo così indifeso per la prima volta lo faceva star male, e tutto quello che avrebbe voluto era mettergli le mani sulle spalle e fargli capire che era con lui e aveva la sua completa fiducia, ma sapeva anche che probabilmente un simile gesto avrebbe significato la sua condanna a morte, quindi si costrinse a restare fermo, fissando la sua schiena e pregando che tutto si sistemasse senza che Matt ne uscisse (troppo) malconcio.
-Non supererò quel limite, Stick, lo sai- la voce del suo migliore amico era di nuovo forte, adesso, come se stesse sfruttando la propria paura per trovare la forza di tenere testa al suo mentore.
Foggy fece l'unica cosa che poteva effettivamente fare: fece un passo avanti, avvicinandosi a lui, cercando di dargli conforto senza toccarlo o parlargli. Sapeva che Matt poteva sentire che si stava muovendo e sperava che il messaggio gli arrivasse comunque.
Capì di esserci riuscito quando vite le dita del ragazzo rilassarsi impercettibilmente mentre nello stesso istante si muoveva di un passo verso destra, facendogli completamente da scudo.
-Non risolverai un cazzo in questo modo! Certe persone vanno ammazzate e basta!-
-Nessuno merita di morire!-
-Smettila di fare il chierichetto, ragazzino! Questa è la vita reale! Sei un guerriero, e i guerrieri uccidono-
-Che cosa vuoi da me?- ripetè Matt, stoppando sul nascere una discussione già avuta e che non avrebbe portato da nessuna parte, se non, forse, alla disintegrazione del loro ufficio.
-Te. Mi serve un soldato-
-Trovati qualcun altro-
-Matt...- Stick fece un ultimo tentativo di convincerlo, ma questa volta l'avvocato non lo lasciò finire.
-Vattene, Stick- E suonò talmente categorico che Foggy ebbe quasi voglia di obbedirgli, se non fosse che l'ordine non era diretto a lui.
-Te ne pentirai, ragazzino-
Senza un'altra parola, il cieco prese il suo bastone e uscì dall'ufficio, muovendolo a piccoli raggi a destra e a sinistra, scomparendo nella notte, lasciando Matt assolutamente immobile nel bel mezzo dell'ufficio, le mani che tremavano leggermente.

***

L'istante successivo, Foggy vide Matt scattare come una molla, come se qualcuno lo avesse colpito con un taser per spingerlo al movimento. Iniziò a muoversi velocemente. Non era uno stupido, e la minaccia nascosta dietro le ultime parole del suo mentore lasciava ben poco all'immaginazione: Stick lo voleva a tutti i costi, e l'avrebbe costretto a seguirlo con le buone o con le cattive.
-Foggy- disse mentre nello stesso momento raccoglieva le proprie cose -Prendi con te Karen e andatevene per qualche giorno-
-Matt...-
-Non c'è tempo- lo interruppe continuando a parlare come se Foggy non fosse davvero lì -Devi sbrigarti. Non usate l'aereo, e possibilmente nemmeno il treno. Prendete un autobus, o un taxi-
-Matt...-
-Non preoccuparti per i soldi, ti restituirò tutto...-
-MATT!-
Foggy adesso stava praticamente gridando nel tentativo di trovare una breccia nella cappa di paura che stava rendendo sordo il suo migliore amico. Finalmente riuscì a raggiungere il proprio obiettivo e l'altro riuscì finalmente a fermarsi per voltarsi verso la direzione in cui sapeva l'avrebbe trovato, il suo corpo era ancora scosso da un lieve, preoccupante tremore.
-Fog...- cominciò a spiegare, cercando di star calmo nonostante il suo istinto gli stesse imponendo di prendere i due amici e piazzarli dentro il primo taxi per spedirli fuori dalla città senza nemmeno dare loro il tempo di prendere un cambio di vestiti -Non abbiamo molto tempo...-
-Io non vado da nessuna parte, Matt- Foggy rispose con tono quieto, guardando il Diavolo di Hell's Kitchen dritto negli occhi nascosti dietro quelle dannate lenti rosse.
La sua semplice frase riuscì nell'intento di fermare Matt dal fare un milione di cose nello stesso tempo.
-Lo hai sentito-
-Sì. L'ho sentito. E ora tu ascolterai me, Daredevil. I. Non. Vado. Da. Nessuna. Parte. Chiaro?-
-Non puoi restare, Foggy. Ti ucciderà solo per fare di me quello che vuole-
-E quindi?-
-Non ci arrivi?-
-Non esattamente...- Foggy fu costretto ad ammettere.
-Sa chi sei, e probabilmente anche dove vivi. Sei in pericolo- spiegò Matt, cercando in tutti i modi di non alzare la voce contro di lui.-
-Ribadisco: e quindi?-
Matt sospirò, giunto al limite di sopportazione. Aveva sempre pensato che Foggy fosse una persona sveglia, ma ora si stava comportando da stupido o, pensò con amara ironia, come se fosse cieco davanti alla situazione in cui si trovavano.
-Mi stai almeno ascoltando?-
-Sì, Matt. E' la solita, vecchia storia: tu te ne vai in giro di notte a picchiare la gente, e se qualcuno dovesse scoprire chi sei, saremmo tutti morti. Ho capito. Ma questo non cambia le cose. Io resto al tuo fianco a pararti il culo, come sempre-
-A rischio della tua vita- Matt diede voce alla postilla sottointesa nella frase.
-Non se ci sei tu con me, giusto?-
Matt percepì il ghigno sul volto di Foggy, e non potè fare a meno di sorridere, scuotendo la testa e cacciando indietro le lacrime di commozione che erano comparse dietro i suoi occhiali. Aveva sempre saputo che Foggy sarebbe stato un amico leale, gliel'aveva provato fin dai primi passi della loro amicizia, nonostante i loro caratteri diversi e la naturale difficoltà del cieco di stringere legami affettivi, combinazione di una naturale timidezza e delle sue esperienze passate. Foggy non si era mai arreso, e piano piano si era ritagliato un posticino nel cuore dell'amico. Un posticino fatto di piccole attenzioni che avevano abbattuto il muro alzato giorno dopo giorno. Matt aveva perso presto il conto di quante volte Foggy aveva rinunciato ad andare alle feste nel campus per stargli vicino quando si sentiva particolarmente sopraffatto dallo stress e dalla stanchezza e non riusciva a tenere a bada l'emicrania, o quanto spesso aveva letto i libri ad alta voce, registrandosi per lui ogni volta in cui non riuscivano a recuperare la versione stampata in Braille. Tuttavia, non pensava che potesse credere così tanto in lui da affidargli la propria vita senza pensarci un secondo.
-Ti terrò al sicuro- promise Matt, ed era sincero.
-So che lo farai, Darevil- e finalmente il suo migliore amico riuscì a posargli entrambe le mani sulle spalle, stringendo piano la presa a suggellare la sua offerta di sostegno sempre e comunque.
Quello che Foggy ancora non sapeva, e che Matt non aveva il coraggio di dirgli, era che c'era un solo modo di mantenere la promessa che gli aveva appena fatto: fare quello che Stick voleva, a costo di perdere la propria anima.
Per Foggy ne valeva la pena.

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Capitolo 3
*** Deal? ***


PERSONAL SPACE: Rieccomi! Terzo capitolo tradotto...grazie a RagDoll_cat per i suoi consigli (e la consulenza grammaticale ^_^) e agli altri che hanno recensito!
Buona lettura!!            


Chapter 3: Deal?

-Evvai! Finalmente si cena! Vieni, Matt?-
Foggy si alzò dalla sedia sul lato opposto al suo della scrivania dell'ufficio di Matt, che i due si stavano dividendo mentre iniziavano a lavorare su un nuovo caso. Era una cosa che facevano fin da quando avevano iniziato il loro tirocinio con la Landman & Zack.
Avevano preso l'abitudine di sedersi nella stessa stanza per leggere la documentazione e cercare informazioni negli archivi on line, scambiandosi opinioni in una sorta di brainstorming per cercare di arrivare insieme a formulare una sorta di strategia.
Quella sera avevano fatto tardi, di nuovo, ed erano ormai quasi le dieci di sera, non esattamente l'ora di cena, non secondo il fuso orario di New York, almeno, ma il lavoro era stato un'ottima distrazione. La visita di Stick li aveva scioccati entrambi e Foggy, in particolare, non riusciva a stare fermo per più di dieci secondi, quindi Matt aveva proposto di iniziare a spulciare il loro nuovo caso per evitare di mandarlo a casa a impazzire definitivamente al pensiero di quello che era successo nel pomeriggio. Per quanto lo riguardava, Matt non era particolarmente più calmo di Foggy ed era ancora dell'idea di caricarli su un taxi e spedirli dall'altra parte del mondo, ma in qualche modo riusciva ad apparire composto come al suo solito. Stare in ufficio stava comunque aiutando anche lui e, inoltre, finché fossero rimasti insieme, avrebbe potuto proteggerlo.
-Arrivo- rispose quindi, alzandosi a sua volta, Rimettendosi gli occhiali e alzandosi per prendere la giacca appesa alla parete, dove aveva appoggiato anche il suo bastone.
Prese il braccio di Foggy e si lasciò guidare al piccolo, economico ristorante sotto il loro ufficio.

Matt cercava disperantamente di non pensare troppo al fatto che quella poteva essere l'ultima cena che divideva con il suo migliore amico. Non aveva idea di quali fossero i piani di Stick, ma di una cosa era certo, perché più volte l'aveva visto in azione: se davvero aveva bisogno del suo aiuto, avrebbe trovato il modo di farlo collaborare. Come sempre.
Ogni volta che i suoi pensieri indugiavano troppo a lungo su quel pensiero, non poteva fare a meno di essere arrabbiato e frustrato e desiderava davvero non essere così debole di fronte al vecchio uomo.
La tua famiglia è la tua debolezza. Anche senza impegnarsi troppo, poteva sentire la voce di Stick nella sua mente, mentre gli ricordava, ancora una volta, di essere una vulvetta lamentosa. Scosse la testa per schiarirsi la mente. Doveva rimanere lucido e pensare.
-Stai bene?- Foggy gli chiese per la milionesima volta, e non senza una ragione. Era consapevole di non essere stato la migliore delle compagnie quel giorno, ma il suo cervello era alla disperata ricerca di una via d'uscita da quella situazione, anche se sapeva che probabilmente, come per un labirinto, c'era una sola via percorribile se voleva salvare i suoi amici. Finora, Foggy non aveva osato chiedere qualcosa di più su Stick rispetto a quello che lui gli aveva detto, tuttavia, Matt sapeva che era preoccupato sul come e se sarebbe riuscito ad affrontare l'intera situazione, e non se la sentiva di biasimarlo per quello. Era uno dei tanti dubbi che assillavano anche la sua di mente,
-Sto bene- rispose succinto, poi però decise di chiarire un po' le cose, perché altrimenti Foggy non avrebbe smesso di preoccuparsi per lui (anche se probabilmente non si sarebbe calmato comunque) -Stick è... È stato una parte importante del mio passato. Senza di lui a insegnarmi a controllare e a filtrare tutto quello che percepivo sarei probabilmente diventato pazzo. ma lui voleva che fossi il suo soldato, che mi concentrassi completamente su questa guerra che lui dice sia in atto...-
-Vuole anche che diventi un killer?- Foggy lo interruppe a voce bassa, probabilmente per la prima volta dalla loro lite. Di solito lo lasciava parlare fino alla fine e solo dopo faceva domande, quando aveva bisogno di chiarirsi le idee su qualche punto oscuro (si ok, faceva un sacco di domande perché c'erano un sacco di punti oscuri). Il fatto che questa volta non fosse riuscito a trattenersi, gli dava una chiara indicazione di quanto fosse spaventato dalla piega che stavano prendendo gli eventi, nonostante fosse abbastanza bravo da riuscire a nasconderlo dietro una maschera di preoccupazione che per ora stava reggendo bene.
-Probabilmente...- iniziò, poi si corresse, scegliendo di essere completamente onesto -Sì. Vuole che faccia quel passo-
-E può riuscirci?- e ora Matt poteva chiaramente sentire la paura nella sua voce al solo pensiero. La maschera si era sgretolata, alla fine, e Matt non potè evitare di esserne commosso, nonostante tutto. Aveva sempre considerato Il suo partner come la propria famiglia, perchè era l'unica persona a cui era riuscito ad affezionarsi dopo la batosta dell'abbandono da parte di Stick, ma finora non aveva mai capito quanto effettivamente la cosa fosse reciproca, nonostante non avesse mai mancato di farglielo sapere; eppure Matt aveva sempre pensato che nella peggiore delle ipotesi, Foggy avrebbe sempre avuto i suoi fratelli e i suoi genitori.
La scoperta, comunque, non gli rendeva le cose più facili, anzi, la sua determinazione iniziò a vacillare non poco.
Non puoi tornare indietro ora, Murdock, si disse, e la sua voce era così simile a quella del suo vecchio mentore da risultare irritante. È per la sua sicurezza.
-A fare cosa?-
-A fartelo fare-
-Non penso proprio- Se solo fosse riuscito a essere sicuro quanto le sue parole...
-E se... Voglio dire... Hai quasi ucciso Fisk dopo la morte della signora Cardenas... E se riuscisse a...uhm... Premere un qualche bottone che ti trasformi in un killer?- Matt non poteva dire niente a riguardo. Foggy poteva essere un avvocato dannatamente bravo, quando voleva. Sapeva esattamente cosa dire e quando dirlo. Come ora.
Tipo se toccasse te o Karen... O Claire? Pensò cupamente, ma nascose i propri pensieri dietro il menù del ristorante, fingendo di riuscire a poterlo leggere.
-Matt?-
-Cosa?-
-Riesci davvero a leggerlo?-
-Nemmeno per idea- ammise, maledicendosi nello stesso istante. Era stato un errore da dilettante e adesso Foggy avrebbe avuto la certezza che stesse pensando ad altro, alla decisione che stava prendendo sempre più forza nella sua testa. -Ero solo... Sovrappensiero-
-Per Stick?-
Annuì, con un sorriso triste che gli incurvava le labbra. Stava davvero cercando di godersi la serata, di concentrarsi su Foggy, di mangiare e scherzare  con lui come faceva di solito, ma il suo cuore si rifiutava di appoggiarlo nell'impresa. Avrebbe davvero voluto cambiare discorso, ma, ancora una volta, la sua anima decise di fare di testa propria, e si ritrovò a parlare dei primi tempi in cui si era ritrovato all'orfanotrofio e di come Stick l'avesse trovato.
-Sai... Quando sono arrivato là dentro, la prima volta, stavo impazzendo, i rumori mi travolgevano...-
-Ti ha salvato?-
-A suo modo,... Sì. E poi mi ha lasciato. Per un braccialetto- e non poté evitare di lasciar trapelare l'amarezza nel suo tono mentre cercava di spiegare le circorstanze che avevano spinto l'uomo ad allontanarsi. Stava realizzando in quel momento che per tutti quegli anni si era sentito in colpa a riguardo; se non gli avesse dato quello stupido pezzo di carta non se ne sarebbe mai andato. Avrebbe potuto esser un buon soldato, o almeno fingere di esserlo, solo per avere qualcuno che si prendesse cura di lui.
-Per cosa?-
Matt cominciò a raccontare di come Stick avesse iniziato ad addestrarlo, insegnandogli a diventare più forte e di come si fosse tirato indietro nell'istante in cui gli aveva regalato quel braccialetto fatto con la carta del gelato. E mentre raccontava, qualcosa cambiò nella sua testa.
In quel momento, capí che Stick non influenzava più la sua vita, da quando aveva deciso di dare una chance a quello strano ragazzo che cercava di farsi ammettere al corso di punjabi. Tutta la sua paura e il timore reverenziale che provava verso di lui, erano solo una sua costruzione mentale, non più solida di un castello di carte, e non avevano più ragione di esistere.
Non era più il ragazzino solo e spaventato che aveva trovato su quel letto all'orfanotrofio.
Ce l'aveva fatta, anche senza Stick. Aveva Foggy, Karen, Claire, e aveva avuto anche la signora Cardenas, nonostante Fosse rimasta con loro per pochissimo tempo.
Qualunque decisione Matt avrebbe preso, l'avrebbe fatto per la sua famiglia, non per paura.
Era un adulto, e Stick non l'avrebbe più controllato come una marionetta.
E all'improvviso si sentì anche abbastanza stupido per l'attacco di panico di poche ore prima.

***

Foggy era senza parole, ed era una cosa che in tutta la sua vita gli era capitata un numero di volte così limitato che poteva contarle forse sulle dita di una sola mano, e di almeno metà di queste occasioni il lì presente Matthew Murdock era il diretto responsabile.
Anche se lui e Matt erano diventati amici praticamente subito dopo il loro incontro (cioè, almeno valeva per Foggy, la diffidenza del suo partner era proverbiale, quindi a lui ci era voluto un po’ di più, comunque) e il cieco conosceva ogni dettaglio della sua famiglia, non aveva mai parlato molto volentieri del suo passato.
Per lui era sempre abbastanza piacevole parlare della sua infanzia e di come sua madre volesse a tutti i costi che diventasse un macellaio, e proprio per questo, non riusciva pienamente a immaginare la sofferenza che l’altro aveva patito e ,vedendo quanto la cosa normalmente turbasse il suo migliore amico, che normalmente era la quintessenza della compostezza (quando non prendeva a pugni i criminali, ovvio); di conseguenza, non aveva mai insistito troppo sull’argomento, anche se all’occorrenza non esitava a rimanergli accanto per ascoltarlo e confortarlo ogni volta che ne aveva bisogno, anche senza ottenere nessuna spiegazione a riguardo.
Certo, qualche volta Matt gli aveva parlato di suo padre e, forse una volta o due, degli anni passati in istituto, ma non si era mai spinto tanto in profondità come invece aveva fatto in quel momento e Foggy non aveva idea di come gestire la cosa. Si sentiva in qualche modo onorato dal fatto che finalmente l’altro si fosse sentito pronto a condividere con lui una parte oscura della sua vita, ma allo stesso tempo non poteva fare a meno di chiedersi perchè mai, dopo tutti questi anni, solo ora stava tirando fuori l’argomento. Aveva forse in mente di fare qualcosa di stupido (cioè di più stupido che saltare in giro per i tetti picchiando la gente)?
Taci! Stai diventando paranoico! Una strana voce nella sua testa zittì i suoi pensieri. Sta solo raccontandoti quello che prima non poteva per via del suo segreto. Si sta solo sfogando. Ora sii un buon amico, taci e ascoltalo!
E ascoltando in silenzio mentre Matt procedeva con il racconto, giocando distrattamente con il risotto che aveva ordinato, percepì tutta la sofferenza, anche dopo vent’anni, del suo piccolo cuore di undicenne che si spezzava mentre Stick lo abbandonava, dopo averlo illuso di aver trovato finalmente qualcuno in grado di sostituire (per modo di dire) suo padre, salvo poi rivelargli che non gliene importava un fico secco.
Per la prima volta da quando si sonoscevano, sentì davvero quanto fossero distanti le loro vite e quanti pochi fossero i punti che li accomunavano. Erano nati e cresciuti entrambi a Hell’s Kitchen, e il caso aveva voluto che venissero assegnati alla stessa stanza alla Columbia ma, a parte questo, venivano da mondi totalmente diversi, e non potè evitare di chiedersi come fosse stato possibile lo sbocciare della loro amicizia.
-Cavolo…- fu l’unica parola che riuscì a dire, concentrandosi sul bicchiere pieno d’acqua davanti a sè per evitare di guardarlo negli occhi.
-Lo sai?- riprese Matt -L’ha tenuto. Il braccialetto-
-Davvero?
-Sì. L’ho trovato mentre riordinavo, la notte del nostro scontro-
Ancora una volta, Foggy non sapeva cosa dire a riguardo. Nella sua testa stava suonando un campanello d’allarme, che gli suggeriva che forse Stick aveva progettato tutto. Daltronde, chiunque avesse passato del tempo con Matt Murdock sapeva quando emotivo fosse quel ragazzo. Era una persona silenziosa, quasi timida o distaccata a occhi esterni, ma chi lo conosceva sapeva che ogni sua azione o quasi era guidata dai suoi sentimenti, e che questo l’aveva messo in più guai di quanti Foggy riuscisse a ricordare. Se Stick era davvero come lo dipingeva Matt, spietato e pericoloso, avrebbe potuto facilmente lasciar cadere apposta l’oggetto per indurlo a pensare che in fondo a lui un po’ ci teneva.
-Qualunque cosa tu stia pensando di dire, dilla-
Dannato Murdock e i suoi diavolo di superpoteri.
-Niente che tu voglia sentire-
-Mettimi alla prova-
-Non se ne parla-
-Foggy…-
-No Matt, taci. Vorrei davvero dirti quello che penso, ma probabilmente finiremmo col litigare, quindi non ho intenzione di aprire la bocca-
Matt sospirò, ma lo ricompensò anche con un piccolo sorriso, mentre finivano di mangiare parlando di tutto e di niente prima di dirigersi alle rispettive case.

***

-Allora? Vieni con me o no?-
Per quella che forse era la prima volta da quando aveva imparato a controllare i suoi poteri, a Matt quasi venne un infarto per lo spavento. Era a casa da circa un’ora, ma non aveva notato che Stick fosse lì fino ad ora, quando si era palesato.
Quando aveva aperto bocca, il giovane era già nel dormiveglia, ed era saltato sul letto, intrappolandosi nelle sue stesse lenzuola di seta.
Il battito del suo cuore, accelerato dallo spavento, gli rimbombava nel cervello e gli ci volle un attimo prima di riuscire a concentrarsi per farlo ritornare al consueto ritmo regolare. La sorpresa lo aveva colto completamente alla sprovvista, e questo lo rendeva nervoso, ma si costrinse a recuperare la calma e a proseguire col piano che aveva perfezionato prima di andare a letto.
Puoi farcela. Si disse. La tua mente controlla il corpo, e non sei più il ragazzino spaventato che eri venti anni fa.
Se avesse potuto, avrebbe evitato di parlare con quell’uomo, ma si costrinse a farlo. Per Foggy.
Scalciando via le lenzuola bianche, riuscì ad alzarsi per fronteggiare il suo ex maestro da uomo a uomo. Per un momento, aveva pensato di mentirgli, di cercare di apparire fragile come lo era stato poche ore prima in ufficio, ma si era subito reso conto che non gli sarebbe stato possibile. Era stato Stick a insegnarsi a riconoscere le bugie e a leggere le emozioni dalle piccole reazioni del corpo. Poteva fingere con chi non conosceva e, se si impegnava, anche con Foggy, ma con l’anziano cieco non avrebbe avuto nessuna possibilità, quindi non cercò neppure di provarci.
Che sappia che lo sto seguendo per proteggere le persone a cui tengo.
Che sappia che l’amore e la famiglia possono essere una fonte di forza, e non di debolezza.
-Sì- rispose senza esitare e senza la minima traccia di gentilezza -Ma prima facciamo un patto. Qui e adesso. E per sempre. Io farò tutto quello che vuoi. Tu stai alla larga dalla mia famiglia-
-Famiglia? Oh, Matty, Matty. Credi davvero di potertene permettere una?-
Matt lo ignorò. Non gli interessava quello che pensava l’altro. Era la sua vita.
-D’accordo?- chiese con la stessa freddezza di prima.
-D’accordo-
-Qual è il piano?-
-Ce ne andiamo, ragazzo. Adesso. Prendi il tuo bastone e lasciato il resto alle spalle-
Nonostante tutto, Matt sentì il suo cuore farsi pesante all’improvviso. Aveva intuito che sarebbe successo qualcosa del genere (e probabilmente, per il bene dei suoi amici era anche la migliore delle ipotesi), ma non potè evitare di sentire un lieve senso di malessere alla bocca dello stomaco.
Non ti controlla più. Ricordò a sè stesso. Lo fai per la tua famiglia. Tornerai indietro e non ucciderai nessuno.
E questa volta, per la prima volta, la sua voce interiore non era più così simile a quella di Stick; era piuttosto un misto tra quelle di tutti i suoi amici. Sentì un sorriso affiorargli alle labbra, ma si sforzò di nasconderlo.
Sapeva che, almeno per ora, Matt Murdock doveva morire, così come sapeva che la sua partenza avrebbe spezzato (di nuovo) il cuore di Foggy, ma non poteva fare altrimenti. Si pentì di non aver preso molto in considerazione la reale ipotesi della partenza: avrebbe potuto lasciare un biglietto di addio o qualcosa scritto in ufficio, ma non l’aveva fatto, aveva sperato che sarebbero rimasti in città, e adesso era troppo tardi.
Mi dispiace, Foggy. Ti prego, non odiarmi.
Lasciò il suo telefono, ancora acceso, sul divano e seguì il suo ex mentore.

PERSONAL SPACE: Dal prossimo capitolo si farà sul serio, promesso!



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Capitolo 4
*** Please, don't be stupid ***


PERSONAL SPACE: rieccomi!! Sono riuscita finalmente a tradurre il quarto capitolo! Si entra un po' di più nel vivo della storia, ma le cose migliori devono ancora arrivare! Intanto grazie a tutti quelli che stanno leggendo questa cosuzza... e un grazie speciale a Ragdoll_Cat per la sua recensione!!
Buona Lettura!


Chapter 4: Please, don't be stupid.

Foggy aprì gli occhi il mattino dopo, sorpreso di non risconoscere il letto come il proprio.
-Buongiorno, raggetto di sole-
Una voce dolce di donna lo fece sorridere, mentre i ricordi della notte precedente gli tornavano alla mente. Aveva avuto un appuntamento con Marci, o almeno si sarebbe chiamato così in un universo in cui un categorico "vieni qui e fa come ti dico" sarebbe stato considerato un invito.
-'giorno- rispose senza disturbarsi ad alzarsi dal letto, con la bocca ancora impastata dal sonno.
-Sono quasi le 11- lo informò Marci con un sorriso e una tazza di caffè tra le mani - E' ora di alzarsi-
-E' per me quella?-
-Neanche per idea. La tua ti aspetta in cucina, in attesa di essere riempita-
-Mm... Ok. Aspetta... le undici?! Perchè non mi hai svegliato?- All'improvviso si ritrovò sveglio, una parte di lui che gli gridava di stare dimenticando qualcosa di importante, ma non riusciva a ricordarsi cosa fosse.
-L'avrei fatto, ma dormivi come un bambino... ed eri tanto dolceeee-
Matt!
Non appena il suo cervello riuscì a connettersi con il mondo, oltre ai ricordi delle ultime ore, gli tornarono anche quelli precedenti, e con questi il vero motivo per cui aveva accettato di mettere in scena una versione di 50 sfumature di grigio a parti invertite (Non che avesse mai letto il libro, ovviamente. Nemmeno per sogno!). Foggy smise all'istante di ascoltarla e si voltò di scatto verso il comodino, cercando disperatamente il proprio telefono.
Dopo aver cenato con Matt, aveva pensato di tornare a casa e concedersi una notte di puro riposo dopo quello che avevano passato negli ultimi due giorni, tra la mezza marea di clienti e la visita di quel tizio, Stick; ma come aveva messo piede in casa la sua mente si era divertita a mostrargli un'innumerevole serie di scenari diversi in cui Matt finiva in grossi guai o, peggio, veniva ucciso, o, ancora (e non sapeva mettere le cose in ordine di gravità, perchè tra la morte e Hogwarts era facile, ma qui...) veniva costretto a uccidere qualcuno da quella sottospecie di ninja cieco.
Si era ritrovato a camminare per tutta la casa come un leone in gabbia, più preoccupato che mai per il suo migliore amico.
Aveva anche preso in mano un paio di volte il telefono, il contatto di Matt sul display, ma poi ci aveva rinunciato, dopo aver cercato di autoconvincersi che poteva cavarsela da solo e che se fosse stato in giro per qualcuna delle sue attività notturne non avrebbe comunque potuto rispondergli.
Quindi si era buttato a letto e aveva cercato di dormire.
Quando aveva realizzato che per quella notte probabilmente non sarebbe riuscito a chiudere occhio, aveva deciso di chiamare Marci per avere un po' di compagnia. Ovviamente (non essendo una così brutta persona) aveva in mente necessariamente quel tipo di compagnia, ma non aveva intenzione di lamentarsi a riguardo a un reciproco, silenzioso, patto di sesso per dimenticare i propri problemi, anche se adesso forse un pochino in colpa si sentiva per come l'aveva, di fatto, usata (o era stata lei ad usare lui? Non ne era proprio sicuro perchè anche se era stato lui a comporre il numero, lei gli aveva praticamente ordinato di raggiungerla senza che lui potesse avere il tempo di dirle "ciao" e, tra l'altro, era stata anche al comando per tutta la notte; e Foggy aveva decisamente gradito la cosa, perchè non aveva dovuto pensare poi a molto).
-Che succede Orsetto Foggy?- Gli chiese mentre lo guardava cercare il suo telefono come se la sua vita dipendesse da quella scatola di metallo mista a plastica, il che, in effetti, poteva anche essere, almeno dal punto di vista di lui. Odiava quel dannato soprannome che gli aveva affibbiato quando uscivano insieme al college, e di solito protestava vivamente ogni volta che veniva usato, ma al momento aveva cose più importanti a cui pensare.
-Devo chiamare Matt- rispose, riuscendo finalmente a trovarlo in una delle sua scarpe (e rifiutandosi categoricamente di chiedere come diamine ci fosse arrivato).
-Di nuovo? A questo punto devo chiedertelo. Siete fidanzati?-
-Che?-
-Ultimamente vi comportate in modo strano: chiamate mattutine, tu che perennemente pensi a lui... sai, questo tipo di stranezza...-
-Sono solo preoccupato- Foggy cercò di difendersi -E' cieco-
-Non è una novità, mi pare-
E qui Foggy cominciò a sudare. Marci era un avvocato coi controfiocchi, ed era sicuramente meglio di lui. Doveva trovare una via d'uscita ma, al momento, non riusciva a vederla.
-Ultimamente è stato...distratto- provò a biascicare -Cade spesso, per questo mi preoccupo-
-Gentile da parte tua...-
E il tono con cui lo disse lo lasciò per un attimo incredulo: ci aveva creduto davvero? Sosprirò internamente di sollievo. Ora doveva andarsene da lì il prima possibile, prima che nuove domande venissero alla luce.
-Già... ascolta, è davvero tardissimo e Matt e Karen mi uccideranno se non mi faccio vivo al più presto, quindi...-
-Devi andare. Capisco- terminò lei la frase, e Foggy, se possibile, si sentì ancora peggio. Aveva perso il lavoro per aiutarli a inchiodare Fisk e finora non era riuscita a trovare un altro impiego. Riusciva a sentire insieme alla tristezza anche un po' di invidia nella sua voce e, non per la prima volta, avrebbe davvero voluto che potessero assumerla nel loro studio; un pensiero, dopo tutto quello che aveva fatto, che, lo sapeva, condividevano anche Matt e Karen.
Per colpa loro aveva perso tutte, e adesso non potevano fare nulla per aiutarla, e se questa situazione era frustrante per i suoi colleghi, per lui era anche peggio, specialmente da quando si erano impegnati in quella sottospecie di relazione.
Sfortunatamente per loro, Marci si era abituata ad essere ben pagata (non che non se lo meritasse; era sempre stata la migliore in classe, seconda forse solo a Matt, ma come avvocato, probabilmente lo superava, ma soltanto perchè aveva accettato di vendersi l'anima e non badare troppo alle conseguenze di quello che portava il suo lavoro: il suo migliore amico si rifiutava testardamente di farlo) e loro potevano a malapena permettersi di pagare Karen (e solo perchè accettava di venire pagata un mese sì e uno no, quando andava bene).
Rimase per un secondo sulla porta, una mano sulla maniglia, senza sapere esattamente cosa dire per rassicurarla.
-Troverai qualcosa- mormorò alla fine facendo un passo verso di lei e prendendole le mani -Ne sono sicuro. Sei sempre stata un avvocato in gambra...-
-Che ha consegnato informazioni riservate al nemico...-
-...Per far arrestare un killer che non avrebbe esistato a disintegrare Hell's Kitchen per raggiungere i propri obiettivi. Hai fatto la cosa giusta, Marci-
-Sì... lo so- c'era del rimorso nella sua voce?
-Possiamo assumerti, se vuoi- cercò di tirarla su, il tono di voce a metà tra il serio e lo scherzo -L'unico problema è che non possiamo pagarti, ma se ti sta bene, sei assunta-
Marci scoppiò a ridere di fronte alla strana offerta di lavoro, ma Foggy già sapeva che non l'avrebbe mai accettata. Era una brava persona, ma faceva l'avvocato per lo più per i soldi che tale professione le consentiva di guadagnare. Era uno squalo. Ok, uno squalo con un'anima, forse, ma pur sempre uno squalo.
- Sono sicura che troveresti il modo di pagarmi anche senza usare il denaro- gli rispose con uno dei suoi sorrisi maliziosi (e un po' inquietante, se proprio doveva essere sincero, perchè lo facevano sentire come un coniglietto circondato dai lupi) -Ma devo pagare le bollette, Orsetto Foggy-
Lui sorrise e la baciò di nuovo, per niente offeso dal rifiuto. Quell'appartamento in centro a Manhattan non costava certo due lire.
-E allora ti aiuterò a trovare un nuovo lavoro. Promesso-
-Vai- quasi lo sospinse teneramente fuori dalla porta -Ti aspettano-
Finalmente annuì e si decise a lasciare la casa per dirigersi alla Nelson & Murdock, e solo allora, finalmente, si decise ad accendere quel telefono. Ci trovò circa venti chiamate e altrettanti messaggi in segreteria, tutti di Karen, ma niente da parte di Matt.
Cavolo, questa volta Karen mi uccide davvero. Non potè fare a meno di pensare mentre iniziava a comporre il numero che l'avrebbe collegato alla segreteria.

Non si era sbagliato. Quando aveva aperto la porta dell'ufficio, ad accoglierlo aveva trovato una bellissima quanto assolutamente furiosa Karen Page, che non aspettava altro che averlo tra le sue grinfie per urlargli contro.
-Finalmente! Dove ti eri cacciato?! E dove diavolo è Matt? Ho dovuto mandare via due clienti perchè nessuno di voi due si è degnato di comparire in ufficio!-
Mi uccidera'. Dolorosamente e lentamente.
Come era possibile che una persona così bella potesse diventare la più terrificante del pianeta? E, soprattutto, perchè diavolo lui e Matt erano così bravi a farla incazzare?
-Mi dispiace- cercò di scusarsi, cercando di abbozzare uno sguardo da cucciolo di quelli che venivano tanto bene al suo migliore amico (e fallendo clamorosamente, tra l'altro) -Ho dormito troppo-
Un attimo.
-Dov'è Matt?- chiese, all'improvviso spaventato mentre tutte le sue fantasie riguardo ai mille dolorosi modi in cui Karen l'avrebbe ucciso svanivano in un istante, rimpiazzati dalla consapevolezza che a quanto aveva detto, Matt non si era ancora presentato in ufficio.
Sta calmo, Foggy. Magari non ha sentito la sveglia. Non essere paranoico.
-Speravo me lo avresti detto tu! Ho provato a chiamarlo almeno quindici volte, ma non ha mai risposto- spiegò mentre si passava una mano tra i lunghi capelli biondi, mentre la sua rabbia si trasformava piano piano in preoccupazione. -Sto iniziando a preoccuparmi-
Non era la prima volta che Matt non rispondeva al telefono al mattino, ma da dopo quella notte, Foggy di solito era a conoscenza del perchè e aveva la scusa pronta per la loro segretaria, ma non questa volta. O meglio, per la prima volta si augurava (sentendosi troppo poco in colpa per i suoi gusti) che il suo amico fosse a casa, ferito e sanguinante, magari, ma a casa.
Per favore, Matt, dimmi che sei talmente conciato male da non riuscire a muoverti.
- A te ha detto qualcosa?- gli chiese, riportandolo alla realtà.
-Non lo vedo o sento da ieri sera - confessò a malincuore, cercando di nascondere la propria paura per rassicurarla -Ma sono sicuro che abbia incontrato una qualche ragazza e che abbia fatto molto tardi-
-Sì, forse- concesse la donna, e Foggy si chiese se era tristezza quella sfumatura nella sua voce mentre diceva quelle parole.
-Ok, senti- all'improvviso non sopportava di non sapere cosa fosse successo al suo partner -Tu resta qui nel caso compaia. Io vado a casa sua, ok?-
La vide annuire solo con la coda dell'occhio mentre si richiudeva la porta alle spalle.
Murdock, dimmi che non hai fatto niente di supido tipo seguire quel vecchio pazzo. Ti prego.
Ormai era quasi mezzogiorno, perciò Foggy optò per la metropolitana invece del solito taxi per evitare di finire bloccato nel trafficio newyorkese. Quando finalmente, venti minuti dopo, raggiunse la casa del suo amico, fece le scale a rotta di collo, lanciandosi praticamente contro la sua porta, bussando con tutta la forza che aveva nelle braccia.
-Matt!- gridò mentre cercava disperatamente la chiave giusta nel mazzo che Matt gli aveva dato (o meglio, che lui lo aveva costretto a dargli) -Ci sei? Stai bene?-
Ma non aspettò la risposta. Trovò finalmente la chiave ed entrò.
Ti prego, dimmi che sei mezzo morto sul pavimento.
-Matt?- ripetè il nome più volte di quante sarebbe poi riuscito a ricordare, all'inizio sottovoce, per poi finire praticamente a urlare, ma la casa era deserta, senza nessun segno del suo amico, di ferite o di colluttazione.
Poi vice il telefono sul divano, lo schermo illuminato da una chiamata in arrivo da parte di Karen. Lo prese e lo mandò a schiantarsi contro la parete.
-Dannato Murdock!!-
L'aveva fatto.

***

-Sveglia, ragazzo!-
Una secchiata di acqua gelata gli arrivò dritta addosso, strappandolo improvvisamente al sonno. Cercò di alzarsi, tremando di freddo, mentre registrava che oltre all'acqua era stato colpito anche da cubetti di ghiaccio, ma con un calcio Stick lo rimandò dritto contro i cuscini.
Matt, ancora intontito e scioccato, non era pronto e incassò il colpo con un grugnito che era un misto tra dolore e sorpresa. Non che non si aspettasse una punizione dopo il proprio comportamento della notte prima, ma di certo non si aspettava quel tipo di sveglia!
-Cos...?- questa volta riuscì a vedere l'attacco arrivare e riuscì a schivarlo saltando fuori dal letto con una mezza capriola.
-Nuova regola, ragazzino- la voce di Stick vibrava di rabbia mentre riusciva a colpirlo di nuovo, troppo veloce per i sensi ancora mezzi addormentati di Matt. -Quando decido di fare una cosa, tu non ti metti in mezzo! Sono stato chiaro?-
-Volevi uccidere quella ragazza! Era innocente!-
-Ti ha visto!-
-Sì, capirai! Ha visto un uomo che indossava una maschera nera. E quindi? Non avrebbe potuto riconoscermi!-
In risposta, il vecchio lo colpì ancora allo stomaco, prima di usare il proprio corpo per bloccarlo a terra così velocemente che non ebbe il tempo di reagire. Si ritrovò in un istante impossibilitato a muovere un muscolo, la faccia di Stick così vicina alla propria che ne avvertiva il calore. Si obbligò a rilassarsi e a smettarla di divincolarsi. Sapeva che era inute e, inoltre, l'acqua fredda gli aveva inzuppato i vestiti e ora gli stava penetrando le osse. Gli serviva una doccia calda al più presto, e non avrebbe concluso niente continuando  a ribellarsi.
-Bravo ragazzo- il tono del vecchio era lo stesso di un padrone che si complimenta con il proprio cane per aver eseguito un esercizio; tuttavia, nonostante la sua resa fosse palese, non lo lasciò andare. -Adesso vedi di ascoltarmi bene. Abbiamo fatto un patto che tu hai voluto, e io lo sto rispettando. Ora ti conviene iniziare a fare la tua parte o ti costringerò a farlo, ok?-
Il suo cervello andò in corto. Le uniche parole che lampeggiavano chiare nella sua mente erano Foggy e Karen. In pericolo.
-Sta lontano da loro- la voce, un po' a sorpresa, gli uscì pericolosamente calma e fredda, in un tono che nascondeva un allarmante livello di rabbia repressa. Era il tipo di voce che normalmente faceva cantare i criminali senza che lui dovesse alzare un dito, ma, sfortunatamente, non impressionò il suo mentore.
-E allora obbedisci, ragazzino- fu l'unica replica che ottenne mentre veniva finalmente lasciato libero. Matt si alzò e senza un'altra parola si chiuse in bagno, tremante di freddo, rabbia e paura.

Erano passati due giorni da quando aveva lasciato Hell's Kitchen con Stick, e da allora aveva praticamente dimenticato cosa significasse la parola riposo, e cominciava a sentire seriamente la stanchezza: si sentiva stanchissimo e i suoi muscoli diventavano più pesanti ogni ora, il che, dati i suoi standard, la diceva abbastanza lunga.
Si erano spostati di continuo in quella che sembrava tutta l'area del New Jersey, e Matt aveva eseguito gli ordini senza discutere o fare domande: non gli interessava. Non stava combattendo la sua guerra.
Voleva soltanto che tutto finisse al più presto e tornarsene a casa, e discutere con Stick avrebbe solo allungato l'agonia, ma la notte prima non era proprio riuscito a trattenersi.
Stavano cercando di impedire che una nave container lasciasse il porto con a bordo 40 ragazzine che a malapena arrivavano ai 15 anni, dirette chissà dove per essere sfruttate nel mercato del sesso.
La loro disperazione e il loro terrore lo avevano colpito così a fondo da farlo quasi sentire male.
Come sempre, si erano divisi i compiti, e poichè aveva reso molto chiare le sue intenzioni di non uccidere, Stick lo aveva spedito a liberare le ragazzine mentre lui si prendeva cura dei colpevoli.
Le aveva messe tutte al sicuro quando all'improvviso aveva sentito un grido.
Il vecchio cieco gli aveva urlato di ignorarla, era il momento di levare le tende prima di finire sotto i riflettori, ma Matt aveva deciso di non dargli ascolto ed era corso verso di lei. Il battito del cuore della ragazzina era accelerato a livelli allarmanti, e dal tono dell'urlo non poteva avere più di tredici anni. Era a terra, circondata da tre uomini (dall'odore che emanavano probabilmente piccoli spacciatori che avevano nel porto il loro "ufficio") che cercavano di strapparle i vestiti di dosso.
La piccola singhiozzava disperatamente adesso, cercando inutilmente di liberasi, ma era troppo piccola, e sola.
E lui aveva agito.

Matt aprì l'acqua e attese pazientemente che si scaldasse a sufficienza prima di entrare nella doccia e lasciare che il getto colpisse il suo corpo, lavando via la stanchezza e i brividi. Si appoggiò alla parete del piccolo box doccia e chiuse gli occhi crogiolandosi nel calore finchè non riuscì a scacciare il freddo e a rilassarsi.

-Ti lascio la mattina libera- gli comunicò Stick quando si decise a uscire dal bagno -Lasciamo questa città all'1-
Matt si limitò ad annuire. A rigor di logica avrebbe dovuto rallegrarsi della cosa, ma in realtà non gli piaceva un granchè. Avere del tempo libero significava non fare missioni e, di conseguenza, ritardare di qualche ora il suo rientro a casa. Inoltre, quando era solo iniziava irrimediabilmente a pensare a quello che si era lasciato alle spalle. Si chiese cosa stesse facendo Foggy: probabilmente era già al lavoro con Karen su qualche caso, nella migliore delle ipotesi. Si domandò se invece stesse girando la città alla sua ricerca; non faceva fatica a immaginare la preoccupazione del suo partner, e probabilmente anche la sua rabbia. Iniziò presto a sentirsi quasi claustrofobico.
Aveva bisogno di aria.
Si rivestì più in fretta che poteva e prese il suo bastone prima di lasciare la stanza che divideva con Stick. Non erano a New York, e Matt non aveva idea di come fosse girata quella cittadina, nè di come si chiamasse, quindi si limitò a girare nei dintorni di quello squallido albergo per evitare di perdersi.

***

-L'hai sentito?-
Karen gli faceva la stessa identica dannata domanda tutte le mattine non appena metteva piede in ufficio dal giorno in cui Matt se ne era andato. In qualche modo, Foggy era riuscito a tirar fuori una scusa abbastanza credibile per giustificare l'assenza del loro collega. Le aveva detto che Matt l'aveva chiamato proprio mentre era nella metropolitana e che gli aveva detto che una delle suore dell'orfanotrofio dove era cresciuto stava morendo. Era stata una delle poche persone a cui era davvero importato di lui, quindi non appena aveva ricevuto la telefonata si era infilato sul primo aereo per il Canada, diretto in un piccolo convento dove l'anziana si era ritirata, e che aveva deciso di rimanere con lei fino alla fine.
-Sì- mentì in risposta (di nuovo).
-Come sta?-
-Lo conosci- Foggy si sentiva male al pensiero di mentirle, soprattutto perchè si era costrutito quella risposta a tavolino mentre faceva colazione -Preferirebbe morire piuttosto che ammettere che qualcosa non va, però penso che stia gestendo la cosa abbastanza bene; probabilmente essere cattolico lo aiuta, in qualche modo-
-Gli hai detto di chiamare se ha bisogno?-
-Ovviamente- Foggy cercò di non far trapelare quanto quella domanda gli avesse dato fastidio. Bugia o meno, lui per Matt ci sarebbe sempre stato, e Dio solo sapeva quando stesse pregando per ricevere una sua telefonata. Sarebbe andato a prenderlo in capo al mondo, se fosse stato necessario. -Torniamo al lavoro. Cosa abbiamo oggi?-
Ma l'avvocato ascoltò solo meno di metà della risposta, così come aveva fatto i giorni precedenti. Non riusciva a fare altro che pensare a Matt. Guardava i telegiornali e i notiziari online con una frequenza che avrebbe fatto concorrenza a qualunque stalker, alla ricerca di un trafiletto, un articolo, un qualunque cosa che parlasse di qualcosa che potesse ricondurre alle sue attività con Stick, ma non era comparso nulla. O se ne stavano semplicemente chiusi in casa a meditare o a fare sedute spiritiche, oppure stavano tenendo un profilo molto, molto basso.
Stai bene, Matt? Dove sei?

PERSONAL SPACE: Grazie per aver letto fin qui! Nel prossimo capitolo: riuscirà Matt a mantenere la parola data?


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Capitolo 5
*** False impressions don't speak ***


PERSONAL SPACE: Ed ecco qui il quinto capitolo! Voglio ringraziare tutti quelli che mi leggono e mi recensiscono, in particolare RagDoll_Cat! Oggi la faccio breve e vi lascio al capitolo, buona lettura!
E ricordate: non mordo chi recensisce, ma potrei mordere chi non lo fa!


Chapter 5: False impressions don't speak

-Uccidilo, ragazzo! Forza!- ordinò Stick, la sua voce più arrabbiata del solito.
Era la quarta, o forse quinta, volta che glielo ripeteva negli ultimi cinque minuti e, non per la prima volta da quando avevano lasciato Hell's Kitchen, era stato tentato di obbedire, così come gli era successo con Fisk dopo l'omicidio della signora Cardenas.
Era piena notte e pioveva a dirotto. Erano ormai tutti zuppi e stanchi, stanchi di quella nottataccia e Matt, in particolare, era stanco di tutto. Stava combattendo per qualcosa in cui non credeva, eseguendo (più o meno) senza fiatare gli ordini di un uomo che non rispettava più come un tempo, che lo trattava come un bambino viziato ogni volta che prendeva una qualsiasi iniziativa sul come gestire le situazioni.
Spesso lo picchiava come faceva in passato, con la sola differenza che ora Matt era cresciuto, quindi le punizioni erano diventate più dure e dolorose rispetto a quando aveva nove anni, e ora si ritrovava con lividi e abrasioni che non erano solo il risultato solo delle loro attività notturne.
L' "uomo" che aveva tra le mani era responsabile dell'omicidio di 5 bambini di età compresa tra i 5 e i 15 anni. Erano tutti figli o nipoti dei politici più influenti del New Jersey e, come tali, sia la Yakuza (la mafia giapponese) che la Triade (il suo equivalente cinese) stavano cercando di controllarli per guadagnare potere sul mercato delle droghe nell'intero stato, e le uccisioni erano state una sorta di dimostrazione di forza senza alcuno scopo preciso (almeno, questo era quello che Stick gli aveva detto, e il vecchio era l'unica persona che Matt non riusciva a leggere. Era stato lui a insegnargli a capire quando qualcuno mentiva, ed era anche un maestro nell'evitare di essere scoperto).
Matt riusciva a malapena a concepire che qualcuno potesse arrivare a tanto senza un motivo. Avrebbero "semplicemente" potuto prenderli come ostaggio e ricattare i genitori, e invece no. Li avevano sterminati.
-Uccidilo! Ora!- la voce di Stick lo riportò drasticamente alla realtà.
Quell'uomo, ora, era completamente in loro potere. In suo potere. Matt lo stava trattenendo in una presa mortale, una di quelle che Stick gli aveva insegnato anni prima. Avrebbe potuto finirlo con un unico, semplice gesto, e di fronte a quello che aveva fatto, con le immagini di quei corpi ancora piantate nella testa (o almeno l'idea di esse), era nel bel mezzo di una lotta con la propria coscienza per combattere l'istinto di obbedire.
Hai promesso, Matthew. La voce di Foggy gli risuonò all'improvviso nella mente, non per la prima volta. Non oltrepasserai quel confine. Se ne può occupare la polizia. Tu non sei Dio.
A fronte di quelle parole, riuscì a fermarsi un istante prima di compiere un insano gesto che gli avrebbe cambiato completamente la vita. Sfortunatamente, Stick non condivideva il suo ideale di giustizia.
-Fermo!- nello stesso istante in cui udì l'ordine, sentì anche la freccia che veniva scoccata dall'arco dell'uomo. Stick l'aveva distratto, e da una distanza così ravvicinata, non potè fare altro che sentire il dardo conficcarsi con forza nella gola dell'uomo. Un minuto di agonia dopo, era morto.
Cazzo. Fu l'unica cosa che riuscì a pensare, perchè il suo mentore era riuscito ad aggirare ancora una volta i suoi sensi. Il suo corpo si ribellò ancora una volta con l'unico mezzo che conosceva per esorcizzare il dolore e lo schifo che provava. Lasciò cadere il cadavere che ancora stringeva tra le braccia, e fece appena in tempo a voltarsi prima di vomitare la pizza che aveva mangiato per cena. Tutto questo era troppo da sopportare anche per i suoi standard. Quella non era giustizia.
Stick non gli lasciò nemmeno il tempo di riprendersi. Senza troppi complimenti lo afferrò per un braccio e lo trascinò, ancora barcollante, via da quel molo e poi fino a casa. Matt riusciva già a sentire le sirene della polizia in arrivo: avrebbero trovato i cinque cadaveri dei ragazzini e quello del capo. I suoi complici invece erano pronti per essere spediti in carcere.

-Stupido, inutile, ragazzino!- gli ringhiò contro nonappena misero piede nella casa, lanciandolo direttamente sul pavimento. Matt picchiò la testa contro l'angolo dell'armadio con un gemito di dolore. Un altro livido che si andava ad aggiungere a quelli già sofferti in battaglia e alla nausea.
Rimase a terra, tenendosi lo stomaco dolorante e tremando per lo shock e la stanchezza, ma sapeva che non era ancora finita per lui. Stick non si lasciava commuovere da così poco e Matt aveva sentito la rabbia crescere in lui mentre lo trascinava per le vie della città, come un padre che aiutava un figlio malato a tornare a casa. Ora però erano soli, e tutto quello che aveva trattenuto era pronto a uscire; Matt poteva solo prepararsi alla punizione.
Il primo colpo arrivò dritto allo stomaco, proprio dove faceva più male, e l'avvocato non riuscì a trattenere un grido. Era appena all'inizio e ben presto si ritrovò al limite, rannicchiato sul pavimento nel vano tentativo di proteggersi.
-In piedi!-
Matt sapeva che se non avesse obbedito, le cose sarebbero solo peggiorate. Perciò puntò i palmi a terra e cercò di sollevarsi, ignorando quanto gli tremassero le braccia. Ricadde sul pavimento prima ancora di arrivare alla piena estensione degli arti.
Stick lo colpì di nuovo.
-In piedi!-
Fallì una seconda volta, e il calcio che raggiuse il suo stomaco fu talmente forte da sollevarlo da terra prima di farlo rotolare su sè stesso. Quando si fermò era sulla schiena, le mani sullo stomaco per cercare di attutire i colpi.
-In piedi!-
Questa volta non ci provò nemmeno. Scosse la testa e rimase sul pavimento, incapace di muoversi. Stick ricominciò a colpirlo, passando da pugni e calci al bastone, fino a quando Matt rinunciò anche a cercare di proteggersi. Si fermò solo quando dalla bocca non uscivano più nemmeno i gemiti.
-La prossima volta che non esegui i miei ordini lo rimpiangerai, ragazzino- promise il vecchio prima di dirigersi verso il bagno, lasciandolo inerme sul pavimento, a malapena in grado di respirare.
Matt non gli rispose. Tossì un paio di volte, sentendo in bocca il sapore metallico del sangue mentre lo sputava sul pavimento, poi tutto divenne nero.

***

Quando lo vide, stava andando al supermercato.
E' impossibile. Si disse. Non può essere lui. E' solo un ragazzo con gli occhiali da sole. Devi smetterla di vederlo in ogni angolo. E' a New York.
Ma non potè fare a meno di osservarlo molto, molto attentamente: la sua camminata, il modo in cui zoppicava ma allo stesso tempo cercava di nasconderlo; un'esitazione nel camminare che cercava probabilmente di ridurre una qualche sorta di ferita, o di dolore. Non riuscì a vederlo in faccia, perchè a parte l'istante in cui l'aveva notato, le dava la schiena; inoltre, non aveva con sè nessun tipo di bastone, il che minava ulteriormente le sue poche certezze, anche se, da dietro, quel ragazzo poteva benissimo essere Matt, se non fosse che al posto dei suoi soliti completi indossava dei jeans e un giubbino sportivo. Non l'aveva mai visto vestito così prima d'ora: a casa, di solito utilizzava delle tute da ginnastica, e sul lavoro era impeccabile. Cercò di fare mente locale per ricordare se nel suo armadio ci fosse qualcosa di simile a quello che indossava, ma senza successo.
Allo stesso tempo, con quel vestiario e senza nessun aiuto nella camminata, poteva benissimo essere un qualunque ragazzo, anche perchè di solito quel pazzoide cercava (e riusciva) a spacciarsi per una qualunque persona cieca, ma non aveva dubbi che, se avesse voluto, in una giornata di sole nessuno avrebbe notato la sua disabilità.
L'uomo entrò nella piccola chiesa proprio di fronte a loro, un altro punto in favore di Matt.
Ignorò la parte di sè stessa che le stava dando della paranoica e lo seguì.

***

Quando riprese i sensi, Matt poteva sentire il calore del sole colpirlo dritto in faccia attraverso i vetri chiusi della finestra. Aveva ancora addosso il suo fedele costume nero (che aveva preferito utilizzare al posto di quello rosso in quanto non aveva idea del tipo di missioni a cui sarebbe andato incontro e non voleva che Daredevil venisse associato ad attività criminali) e sentiva il freddo del pavimento sulla schiena, in netto contrasto con il tepore sul viso. Evidentemente, Stick non si era dato pena a spostarlo dopo che era svenuto in seguito al suo trattamento. Sentiva i vestiti appiccicarglisi addosso, ancora bagnati, e si rese conto poco dopo di stare tremando, con la sensazione di avere freddo fin dentro le osse.
Provò immediatemente a muoversi, e le fitte di dolore provenienti da diverse parti del suo corpo lo fecero quasi gridare. Si prese un minuto per rilassarsi dopo l'involontaria contrattura in seguito allo spasmo e poi fece un secondo tentativo, questa volta avendo cura di muoversi lentamente. Anche se non sarebbe stato piacevole, doveva assolutamente alzarsi, medicarsi le ferite e trovare il modo di mettersi addosso dei vestiti puliti.
Dopo svariati minuti, capì che sarebbe riuscito solo a completare il primo dei tre obiettivi che si era dato. A malapena.
Il petto gli faceva malissimo, soprattutto nella parte bassa dello stomaco, dove Stick si era divertito a colpirlo maggiormente la sera prima, e quando finalmente riuscì a mettersi seduto per terra, il mondo in fiamme era un vortice di vertigine che quasi lo fece vomitare.
Quando gli sembrò che l'equilibrio fosse ristabilito, fece un nuovo tentativo di alzarsi in piedi, reggendosi al tavolo per non cadere. Alla fine riuscì a trascinarsi sul divano dove si stese di nuovo, cercando di calmarsi mentre contemporaneamente cercava di fare il punto della situazione.
Ormai era al limite. E non solo fisicamente.

Stick non aveva nessuna pietà e ogni notte si trovava costretto a guardarlo uccidere persone, che non erano sempre colpevoli. Aveva infatti scoperto che il suo mentore aveva la pessima abitudine di eliminare chiunque li vedesse un po' troppo da vicino per i suoi gusti. E il vecchio aveva una definizione di "vicino" che era abbastanza discutibile.
Aveva scoperto, con qualche giorno di ritardo, che dopo averlo riportato in albergo, Stick quella notte, quella in cui avevano salvato le ragazzine, era tornato indietro e aveva ucciso la ragazzin che Matt si era dato tanto da fare per salvare. E Matt, legato anche dal patto che aveva fatto, non potè farci niente; era in parte troppo spaventato dall'idea che il cieco potesse andare a cercare vendetta su Foggy e Kare, senza contare che ormai qualunque cosa avesse fatto o detto non avrebbe riportato indietro la ragazzina.
Tutto questo, però, lo stava lentamente uccidendo dall'interno, e Matt poteva avvertirlo chiaramente come ora avvertiva il dolore fisico alle ferite.
Essere Daredevil non era sempre facile, l'aveva imparato dopo poche uscite; durante la sua crociata contro Fisk aveva visto cose terribili, e pensava di avere toccato il fondo quando si era intrufolato nel magazzino in cui aveva scoperto centinaia di persone che erano state accecate per fare da corrieri nel traffico di droga dell'uomo; eppure, questo forse era ancora peggiore, perchè Stick uccideva a sangue freddo, e non sempre aveva una valida ragione (ammesso che fosse esistita una valida ragione per togliere una vita). E soprattutto, quando lo faceva, Matt poteva avvertire chiaramente la soddisfazione dell'uomo: la sera che aveva incontrato Claire, aveva detto all'uomo che avevano fatto prigioniero che trovava piacevole far del male alla gente, ma alla fine erano solo parole che servivano a intimidire, mentre per il suo ex mentore, torturare qualcuno era un mero divertimento.
Anche le punizioni che gli infliggeva non avevano poi molto senso. Non era più un bambino di nove anni da addestrare, era un uomo adulto ed era discretamente abituato a prenderle, e di certo non era spaventato dalla minaccia delle botte, senza contare che non sarebbero stati calci e pugni a convincerlo a uccidere. Il riassunto era che Stick non aveva davvero la necessità di picchiarlo: era semplicemente il suo modo di rilassarsi, o almeno questa era la conclusione più logica a cui fosse riuscito a giungere, e la cosa non lo rendeva particolarmente felice, ovviamente, ma aveva deciso di sottomettersi senza provare a controbattere o chiedere spiegazioni: il prossimo bersaglio sarebbe potuto essere Foggy, e Matt ne era fin troppo cosciente.
Non ce la faceva più.
Di nuovo, non per la prima volta, avvertì la sensazione di stare soffocando.
Aveva bisogno di aria. Doveva uscire. Al più presto.
Più facile a dirsi che a farsi.
Scoprì subito che era a malapena in grado di camminare, e rinunciò a terminare di cambiarsi dopo averci messo qualcosa come 10 interminabili minuti per sfilarsi i pantaloni. Aveva provato anche a togliersi la maglia nera a maniche lunghe, ma era così bagnata da appiccicarglisi alla pelle e lo sforzo era stato sufficiente a dargli un capigiro tale da farlo quasi cadere.

Alla fine era riuscito a indossare un paio di quegli odiosissimi jeans che aveva comprato qualche giorno prima. Di solito evitava di usarli, la superficie ruvida del tessuto gli provicava sempre una fastidiosa sensazione di prurito, ma con i pochi soldi che aveva portato con sè non poteva permettersi di meglio.
Non riuscendo a togliersela, coprì la maglia nera con un bomber, avendo cura di allacciarlo fino al collo, in modo da non prendere freddo; stava già abbastanza male di suo, ci mancava solo che si prendesse l'influenza. Si mise gli occhiali da sole e uscì senza prendersi il disturbo di controllare se Stick fosse o meno in casa: se lo era, stava probabilmente dormendo o meditando, e se non lo era... la cosa non gli importava.

Dopo mezz'ora, riuscì finalmente a raggiungere una chiesa. Di norma non gli sarebbe servito così tanto tempo, ma non aveva idea di dove si trovassero, forse a Boston, ma non ne era troppo sicuro, e non riusciva a camminare troppo a lungo prima di doversi fermare per il dolore. Alla fine si era arreso e aveva preso un taxi, che però era stato costretto a lasciarlo a quasi mezzo kilometro dalla destinazione, all'inizio della zona pedonale. La corsa gli era costata metà di quello che gli era rimasto, ma non ne era dispiaciuto, o preoccupato. Aveva bisogno di stare da solo e di sentirsi al sicuro, di trovare un posto dove perfino Stick non avrebbe osato fargli del male. Quando, grazie ai suoi sensi, capì quanto distante si trovasse il luogo sacro, si sentì quasi male, ma alla fine il desiderio di un luogo famigliare lo convinse a muoversi.
Beh, non esattamente, se doveva essere sincero.
Quella chiesa era solo un'illusione, e Matt lo sapeva. Matt sapeva che quello che voleva davvero: voleva tornare a Hell's Kitchen, anche se solo per un minuto. Voleva controllare se Foggy, Karen e tutti quelli a cui teneva stessero bene e respirarne l'aria inquinata, sentire il suo caratteristico mix di odori e sapori, piacevoli o meno, che la caratterizzavano.
Voleva andare a casa, e non si sentiva un bambino capriccioso ad ammetterlo.
E mentre camminava a fatica verso la chiesa, perso nei suoi pensieri, considerò per un momento la possibilità di comprare un telefono usa e getta e utilizzarlo per chiamare Foggy, anche solo per sentirne la voce dalla segreteria telefonica. Il suo amico lo avrebbe probabilmente maledetto in tutte le lingue che conosceva, punjabi incluso, ma Matt sapeva che dietro agli insulti, sarebbe stato contento quanto lui di sentirlo.
Stava già iniziando a fare i conti su quanto gli sarebbe venuto a costare per decidere se avrebbe potuto permetterselo, quando all'improvviso ebbe paura. Era al limite, lo sapeva bene, e la nostalgia lo divorava ogni giorno di più, minacciando di sommergerlo come non accadeva dal giorno del funerale di suo padre.
Capì, poichè grazie a Stick aveva una conoscenza pressochè assoluta della propria psiche, che chiamare Foggy avrebbe causato un totale collasso, e che non sarebbe più riuscito ad andare avanti. Per una volta, decise di essere egoista, e scegliere la strada più facile, quella che non lo avrebbe distrutto, e allontanò l'idea della telefonata.
Era ormai arrivato alla chiesa, e quando spinse il pesante portone di legno, venne accolto da un accogliente profumo di incenso e candele bruciate, e per un attimo visse nell'illusione di sentire Padre Lantom venirgli incontro, pronto a offrirgli una tazza di latte macchiato, il conforto della confessione e, quello che più stava a cuore a Matt, la parola di un amico.
Sentì gli occhi riempirsi di lacrime, ma in qualche modo riuscì a tener duro. Sapeva che non era sbagliato piangere, ma se si fosse arreso ora la disperazione avrebbe preso il sopravvento e avrebbe distrutto quel poco di determinazione che gli restava.
Quando riuscì ad arrivare abbastanza vicino all'altare, si sedette (ok, quasi collassò) su una panca, incapace di riuscire a restare in piedi per un secondo di più. Sentiva dolore in ogni muscolo del proprio corpo, anche in alcuni che non aveva saputo di avere, fino a quel momento. Il legno caldo e lucido era quasi rassicurante contro la sua schiena, e solo con tanta forza di volontà riuscì a resistere all'impulso di sdraiarsi.
Chiuse gli occhi e appoggiò il mento sui pugni chiusi, pensando a casa e a Claire, che si era occupata di lui anche quando non se lo meritava. Se si concentrava a sufficienza, poteva quasi riuscire a percepire il profumo della ragazza come se fosse accanto a lui; immaginò i suoi passi leggeri mentre camminava per il suo appartamento; poteva quasi sentire fisicamente la mano della ragazza, morbida e delicata, prendere gentilmente la sua e non riuscì a evitare di pensare a quanto potesse essere strana la mente umana. Di tutte le persone che amava, riusciva a pensare all'unica che sapeva per certo di aver perso, probabilmente per sempre. Aveva fatto un casino con lei, e Claire aveva messo in chiaro che sarebbe stata la sua infermiera, e niente di più, e il battito del suo cuore gli aveva confermato che era convinta di quello che diceva.
L'intensità delle sue emozioni, della sua nostalgia, era tanta che il suo cervello stava ricreando perfettamente l'immagine della ragazza mentre si avvicinava a lui e gli sfiorava la mano. Il loro potere era tanto che stava rendendo l'irreale, reale.
-Matt...-
Un attimo... le illusioni non parlavano, giusto?

***

Entrò nella chiesa pochi secondi dopo di lui, ma decise di non affrontarlo direttamente. Voleva essere sicura di non fare la figura della stupida con un estraneo, quindi decise di camminare lungo una delle navate laterali, quella alla sua sinitra. Lo guardò sedersi e dopo pochi passi riuscì finalmente a guardarlo in faccia.
Oh mio Dio. E' lui.
E... erano lacrime quelle?
Matt…
Nonostante quello che era ( o meglio, non era) successo tra di loro, aveva rimpianto le proprie parole non appena aveva avuto modo di pensarci su a mente fredda. Aveva lasciato New York con un dolore sordo nel petto e la paura che quello che gli aveva detto avrebbe potuto spingere Matt a fare qualcosa di molto stupido. E ora era qui, a pochi metri da lei, in preda a una qualche sorta di dolore fisico e psicologico, e proprio non se la sentiva di lasciarlo solo.
Claire tornò sui suoi passi e si avvicinò lentamente a lui, mentre allo stesso tempo si preoccupava del fatto che ancora non stava reagendo. Sapeva fin troppo bene che era in grado di ricevere suoni e odori letteralmente a isolati di distanza, e non aveva dubbio che avesse sentito i suoi passi e profumo. Perchè non reagiva, allora?
Non essere stupida, pensi davvero che si ricordi?
Che c'è che non va, Matt?
Si sedette sulla sua stessa panca e, lentamente, scivolò verso di lui fino a quando non riuscì a prendergli la mano, sempre muovendosi senza fare movimenti bruschi, e sempre più preoccupata dalla sua mancanza di reazioni, perchè ora doveva sentirla. Per forza.
-Matt...- sussurrò quando non rispose neppure al suo tocco. -Matt, che succede?-

***

-Matt,  che succede?-
Aprì gli occhi di scatto, un gesto abbastanza inutile considerando che i suoi occhi non erano in grado di vedere; era stata una reazione prettamente istintiva, così come l'atto di girarsi verso la fonte di quella voce che sembrava davvero reale, come se avesse potuto davvero vederla e assicurarsi che non fosse tutto un sogno.
Si voltò verso il sussurro di scatto. Il suo profumo, la delicatezza del suo tocco, la dolcezza nella sua voce, il battito unico del suo cuore, che aveva memorizzato come la più bella delle melodie, formavano  la sua famigliare sagoma infuocata nella sua mente e, anche se non aveva una fiseonomia definita, la riconobbe immediatamente. Claire.
Era reale.
Era lì.
No. No.

***

L'aveva riconosciuta. Ne era certa. L'aveva visto chiaramente rilassarsi per una frazione di secondo dopo che aveva parlato, salvo poi spingerla lontano da lui l'attimo dopo, come se fosse un nemico di cui avesse paura, salvo il fatto che finora Matt non aveva mai avuto paura di nessuno, almeno che lei sapesse.
-Matt- sussurrò, afferrandolo fermamente per le braccia -Matt. Sono io. Sono Claire-
-No. No-  stava cercando di liberarsi dalla sua presa, ma senza riuscirci, nonostante non è che Claire fosse poi così forte, e non stava esattamente combattendo per trattenerlo.
-Matt. Matt, ti prego, calmati.-
-Vattene, Claire. Stai lontana da me- la voce del ragazzo era così bassa che riusciva a malapena a capire cosa stesse cercando di dire -Stammi... lontana. Ti prego, Claire. Ti prego.-
Per tutta risposta, Claire lo lasciò andare, ma solo per abbracciarlo forte, ignorando le sue parole confuse e I suoi tentativi di spingerla via. Lo sentiva tremare forte contro di lei, e infatti, poco dopo smise completamente di respingerla, perdendosi completamente nel suo abbraccio. Lo sfogo successivo iniziò con dei singhiozzi, seguiti poco dopo da un pianto disperato.
-Matt...- Claire sussurrò il suo nome, stringendolo più forte mentre lui nascondeva il viso nell'incavo tra la spalla e il collo. Lo lasciò fare, ignorando le lacrime che le bagnavano la t-shirt. Era troppo preoccupata per farci caso: non aveva mai visto il Diavolo di Hell's Kitchen in questo stato finora, nemmeno dopo la lite con Foggy, e, onestamente, non aveva mai pensato che una cosa del genere potesse succedere.
-Matt...- ripetè a bassa voce, cercando di suonare dolce e rassicurante come faceva talvolta per confortare I bambini che arrivavano al pronto soccorso dopo un incidente. -Shh... va tutto bene, Matt. Andrà tutto bene. Ci sono io. Ci sono io...-

***

Matt voleva davvero smettere di piangere come un bambino.
Matt voleva davvero allontanarsi da lei.
Matt voleva davvero evitare di metterla nei guai.
Ma l'unica cosa che riuscì a fare fu rimanere tra le sue braccia, lasciare che lo stringesse forte e ascoltare il suo cuore battere regolare sotto la sua maglietta, mentre gli sussurrava a dolce litania fatta di parole rassicuranti, e respirare il suo profumo. Sapeva di casa.
Era casa.
Lentamente, cercò di riprendere il controllo delle sue emozioni. Si concentrò sulla respirazione per smettere di singhiozzare e, poco dopo, riuscì anche a smettere di piangere, anche se gli occhi gli rimasero comunque pieni di lacrime. Sentendosi anche un po' stupido, alzò il volto e si liberò dall'abbraccio.
-Stai bene?- gli chiese con un sussurro, e Matt potè sentire nella voce dell'infermiera quanto fosse preoccupata dal suo collasso emotivo, ma anche il suo sollievo ora che si era ripreso.
Annuì.
Mossa sbagliata.
La testa riprese a girargli mentre di nuovo tratteneva a stento la nausea.
-Ehi. Piano, Matt. Piano- Ovviamente Claire si era resa conto di cosa gli stava succedendo e, di nuovo, le sua braccia erano arrivate, pronte a sostenerlo. La sua voce era la cosa più bella del mondo.
Lo afferrò per le spalle e lo aiutò a stendersi sulla panca, facendogli appoggiare la testa sulle proprie gambe. Sentì che gli slacciava la giacca per aiutarlo a respirare meglio, e quando lui accennò a una breve lotta, trovò la maglietta bagnata, dopo aver assolutamente ignorato I suoi tentativi di fermarla.
-Dio, Matt. Sei zuppo! Stai cercando di ammalarti?- la sua voce era un misto tra il dolce, l'esasperato e l'arrabbiato, ma per lui era comunque magnifica -Andiamocene da qui. Ti serve aiuto-
Questo lo riportò alla realtà. Non poteva coinvolgerla, non di nuovo.
-No... No, Claire.- cercò di ribellarsi -Devi... Devi starmi... lontana. O... ti farà... del male-
-Chi?-
-Abbiamo... abbiamo fatto un patto... Devo... obbedire... Foggy...- Stava iniziando a balbettare parole sconnesse, ma non riusciva a evitarlo: c'erano tcosì ante cose che voleva dire in pochissimo tempo che i concetti si erano inesorabilmente mischiati nella sua mente confusa: la testa non smetteva di girargli, mentre iniziava a sentire i segni premonitori di uno svenimento mentre lottava per rimanere cosciente. L'incontro con Claire l'aveva mandato completamente in tilt.
Aveva bisogno di aria.
Voleva andare a casa.
Voleva rimanere tra le sue braccia per sempre.
-Matt! Matt. Ascoltami. Ascolta la mia voce. Concentrati su di me, puoi farlo?- La voce della ragazza era ancora molto bassa e dolce, ma adesso poteva sentire anche una punta di autorità, un qualcosa che lo costrinse, volente o nolente, ad ascoltarla, come se avesse capito perfettamente che stava entrando in uno stato di confusione e panico -Matt. Concentrati. Su. Di. Me-
Cercò di alzare la testa e girarsi verso la direzione da cui proveniva la sua voce, puntando i propri occhi ciechi più o meno nel punto dove sapeva avrebbe trovato quelli della ragazza, o almeno ci sperava. Sentì che gli toglieva gli occhiali e gentilmente gli passava una mano sul volto, per asciugargli le lacrime. Concentrandosi su quei gesti, riuscì più o meno a calmarsi definitivamente, anche se tremava ancora incontrollabilmente.
-Matt...-
-Claire... ti prego. Vattene- la pregò, ormai sull'orlo della disperazione.
-Non se ne parla-
-Se ti...-
-Ci inventeremo qualcosa. Tipo... - Claire fece una pausa, mentre pensava a qualcosa di credibile -mentre eri qui per confessarti sei svenuto, quindi ti ho portato al pronto soccorso e poi a casa mia-
-Conosce... il tuo profumo. L'ha sentito... a casa mia-
-Allora lo cambierò- detta da lei sembrava tutto così semplice che Matt quasi si convinse che avrebbe funzionato -Adesso prendiamo un taxi, ti calmi e lasci che io ti aiuti, ok?-
-Cosa succede se dico di no?-
-Chiamo il 911- e per non lasciare spazio a nessun tipo di dubbio, estrasse il telefono dalla tasca dei pantaloni e iniziò a comporre il numero, perfettamente conscia del fatto che avrebbe sentito tutto. Matt rimase fermo, quasi del tutto certo che alla fine, anche se lui non avesse ceduto, avrebbe terminato la chiamata senza chiedere soccorso. Si decise ad afferrarle il braccio solo quando lei iniziò a parlare, e l'avvocato realizzò che questa volta faceva sul serio.
-No. No. Ti prego- la implorò, cercando di guardarla negli occhi, certo di non dover fare molta fatica per assumere uno sguardo da cucciolo sufficientemente dolce da farla cedere. Peccato che Claire non fosse quel tipo di ragazza. Però guadagnò una breve tregua quando mise la chiamata in stand-by.
-Allora facciamo a modo mio-
Era una condizione a cui non sapeva come ribattere, perchè Claire, essendo Claire, non avrebbe accettato un no come risposta. E Matt era stanco di lottare, stanco di tutto.
Annuì, sconfitto e riuscì a produrre l'ombra di un sorriso quando la sentì mettere via il telefono.

PERSONAL SPACE: Ok, forse dovrei sentirmi in colpa... povero Matt... ma non lo farò. Non ancora, almeno.
Che succederà adesso? Stick scoprirà che si trova con Claire? E come reagirà? Stay tuned!



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Capitolo 6
*** You'll wish I Killed You Yesterday ***


PERSONAL SPACE: Buonsalve!! Chapter 6 is out!
Grazie a tutti voi che leggete, in particolare a ragdoll_cat che mi dice sempre quello che pensa! ^__^
Vi lascio al capitolo. Buona lettura!

PS: momento marchetta: ho pubblicato una nuova one shot, ambientata al college...la trovate qui

Chapter 6: You'll wish I Killed You Yesterday

Matt tremava ancora, Claire riusciva chiaramente a sentirlo dalle sue mani che teneva strette tra le proprie mentre si trovavano sul sedile posteriore di un taxi che li stava portando all'appartamento che aveva preso in affitto quando aveva lasciato New York.
Il ragazzo era praticamente immobile, seduto al suo fianco, all'apparenza perfettamente calmo e accettando il contatto fisico come se i due fossero una coppietta che tornava a casa dopo una giornata in giro per la città. Non poteva dirlo con certezza, poichè il resto del suo corpo era ben nascosto dai vestiti, ma dall'espressione apparentemente rilassata sul suo viso, l'infermiera sospettava che qualunque fosse la causa del tremore, non era soltanto di natura psicologica. Matt sembrava avere i nervi sotto controllo, almeno per ora, e Claire sapeva fin troppo bene che se davvero avesse voluto, sarebbe riuscito a fermarsi.
Dato lo stato in cui si trovava la maglietta, poteva ipotizzare che si trattasse di brividi di freddo... e a proposito: se il resto del suo abbigliamento era asciutto, e di certo non parte del suo costume da vigilante (Claire avrebbe riconosciuto quella dannata maglia nera ovunque), perchè non aveva completato il lavoro? Era ferito a tal punto da non riuscire a sfilarsela?
Una volta cominciate le domande, a quanto sembrava la sua mente non aveva intenzione di smetterla: come le ciliegie, una tirava l'altra: che cosa ci faceva lì, così lontano da Hell's Kitchen? E perchè non indossava il completo rosso che aveva visto sui giornali (e che sembrava fatto decisamente meglio)? E, ancora, con chi cavolo aveva fatto un patto? E cosa c'entrava Foggy in tutto questo? Avevano poi ricominciato a parlarsi quei due?
La sua mente tornò a quella notte, quando aveva conosciuto finalmente il partner di Matt, dopo averne sentito largamente parlare durante le loro sedute di sartoria su pelle umana. Nelle tre ore che era rimasta con lui nell'appartamento dell'amico, Foggy era passato alternativamente dall'essere furioso al piangere di preoccupazione, senza una vera e propria logica, e quando l'aveva dichiarato fuori pericolo, le ci erano voluti dieci interminabili minuti per convincerlo a rimanere per dargli un'occhiata e aspettare di parlargli al mattino.
Già sapeva che il biondo non era mai stato un grande fan del Diavolo di Hell's Kitchen, per questo aveva insistito così tanto perchè ascoltasse le ragioni di Matt, salvo poi scoprire che non ne aveva comunque voluto sapere. Poi lei se ne era andata (non senza qualche senso di colpa, tra l'altro, sapendo che sarebbe rimasto solo) e non aveva idea di come stessero le cose tra i due.
Non divagare, Claire. Ha bisogno di te, ora.
L'infermiera si auto-richiamò all'ordine e gli diede un'altra occhiata, mentre col il pollice gli accarezzava piano la mano, in un tentativo di aiutarlo a restare concentrato su qualcosa. Cercò di rimanere impassibile e di muoversi il meno possibile mentre cercava di capire quanto effettivamente fossero gravi le sue condizioni senza farsi notare troppo. Era molto pallido, ora che lo vedeva alla luce del sole, e la smorfia che aveva fatto (e subito nascosto) quando l'auto era sobbalzata sopra una buca le faceva pensare che effettivamente fosse ferito e che stesse cercando di nascondere il dolore sotto una maschera di stoicismo.

Riuscì a tenere duro per tutta la corsa, e per il breve tratto di strada che li aveva portati dall'auto alla porta del suo appartamento, pur sorreggendosi a lei per aiutarsi a stare in piedi, ma, nel momento in cui lasciò la presa, dopo averlo fatto appoggiare alla parete, il ragazzo si lasciò scivolare a terra fino a quando con un leggero tonfo non si ritrovò seduto sul pavimento, come se fosse troppo stanco per restare in piedi un secondo di più.
-Matt!- esclamò accucciandosi accanto a lui, sfiorandogli la spalla con una mano.
-Sto... bene- le parole uscirono dalla sua bocca come se parlare richiedesse l'uso di una riserva incredibile di energie che non aveva.
-Col cavolo- Aveva pensato di tenere una linea dolce con lui, sembrava già abbastanza sull'orlo di una crisi di nervi senza che ci si mettesse pure lei, ma questa volta non riuscì proprio a contenersi.
Non c'è tempo per scusarti ora, le fece notare la sua voce interiore, mentre faceva passare un braccio sotto la sua ascella per aiutarlo ad alzarsi. Matt cercò di aiutarla come poteva, allungando una mano lungo il muro alla ricerca di un appiglio, e quando non riuscì a trovarlo, cercò di spingere contro di esso per toglierle un po' del suo peso dalla schiena. Claire riuscì finalmente a dare un calcio alla porta e a portarlo fino al divano, dove lo fece stendere ignorando completamente i suoi tentativi di opporsi.
Fu sollevata quando vide finalmente il suo volto distendersi in un'espressione meno tirata mentre chiudeva gli occhi, seguita da un sospiro di sollievo. Si sedette accanto a lui, sul bracciolo del sofà, e gli spostò una ciocca ribelle dalla fronte. Matt allungò una mano verso di lei, sopra la propria testa, cercando a tentoni le sue mani. Senza smettere di accarezzarlo, gli porse la mano sinistra, sentendolo immediatamente stringere la presa, ma senza arrivare a farle male. Sembrava quasi che stringerla forte fosse il suo modo di rimanere attaccato alla realtà, di accertarsi che fosse reale, e Claire non si sottrasse. Se serviva a tenerlo calmo, poteva restare così anche tutta la notte, tenendogli la mano e accarezzandogli la fronte.
E, a proposito di realtà, si ricordò all'improvviso che se non voleva farlo ammalare doveva assolutamente tirarlo fuori dai vestiti bagnati. Lentamente, si alzò, dal bracciolo, e vide immediatamente il suo corpo irrigidirsi, mentre la presa sulla mano si faceva più salda mentre cercava di alzarsi , come se temesse di "vederla" scomparire se avesse interrotto il contatto.
-Non muoverti, Matt- sussurrò mentre dolcemente lo spingeva di nuovo contro i cuscini, liberando nello stesso momento anche la propria mano -Torno subito. Vado a prenderti qualcosa di caldo da metterti, ok? Torno tra un momento.-
Si alzò e più velocemente che potè raggiunse la camera da letto, alla disperata ricerca di qualcosa che potesse andargli bene. Alla fine riuscì a rintracciare una delle vecchie felpe del famigerato Mike, che non sapeva nemmeno come cavolo le fosse finita in valigia prima di partire, non che al momento le importasse molto. Sarebbe andata bene allo scopo, e tanto le bastava. Era una felpa pesante, molto calda e soffice, semplice, grigia con un grande cappuccio, di quelli che non solo coprivano la testa, ma che arrivavano ben oltre, cadendo (fastidiosamente) sugli occhi.
La annusò velocemente, assicurandosi che non sapesse (troppo) di naftalina o di chiuso ( o di entrambi), prima di tornare in salotto.
Sorrise, quando vide che nel frattempo il suo ospite era riuscito ad addormentarsi, e non fu molto felice di svegliarlo, ma quella cosa andava tolta al più presto, e non le sembrava una buona idea cercare di cambiarlo senza svegliarlo. Probabilmente si sarebbe ritrovata bloccata a terra, o lanciata dall'altra parte della stanza nel giro di mezzo secondo se lo avesse fatto.
Prudentemente, gli mise una mano sulla spalla e lo scosse gentilmente.
Tutto inutile.

Matt sobbalzò, aprendo gli occhi di scatto e lasciandosi scappare un gemito di dolore mentre le afferrava la mano con un gesto brusco, tutti i muscoli tesi e pronti all'attacco, o almeno così le era sembrato in un primo istante. Solo dopo un secondo, guardando come l'altra mano fosse rimasta vicino al corpo, a metà strada tra lo stomaco e la testa invece di muoversi in un gesto fulmineo per colpirla, realizzò che non la stava attaccando: stava cercando di proteggersi.
Questo la preoccupò, e non poco. Per esperienza lavorativa sapeva che questo tipo di reazioni erano del tutto istintive, specialmente dopo un trauma, o in situazioni di poca lucidità mentale, mentre le sue notti con il vigilante le avevano insegnato che il suo primo istinto non era mai quello di difendersi; era quello di attaccare.
Cosa diavolo ti è successo, Matty?
- Tranquillo. Sono io, Matt- fortunatamente, il suono della sua voce, unito alla sua mano che andava a cercare quella dell'amico, furono sufficienti a convincerlo a rilassarsi quel tanto che bastava a farlo smettere di intercettare ogni sua mossa, in modo da riuscire a esaminarlo per bene, ora che erano soli e non più in un luogo pubblico. -Bravo. Ora ho bisogno che mi aiuti, però. Puoi farlo? Per me?-
L'unica risposta che ottenne fu un piccolo cenno con la testa, che allo stesso tempo la rassicurò (perchè le diceva che era lucido a sufficienza da capirla), ma allo stesso tempo le rivelò anche quanto fosse debole. Si chiese, distrattamente, cosa gli avesse dato pochi istanti prima la forza di reagire quando lo aveva svegliato, e quando arrivò da sola alla risposta, non le piacque per niente: paura.
Sui giornali aveva letto che lo chiamavano l'uomo senza paura, e per come lo conosceva pensava che fosse un soprannome piuttosto azzeccato, ma cosa poteva spaventare a morte un uomo così temerario, allora?
Decise di escludere la domanda dalla propria mente, ricordando a sè stessa, ancora una volta, che adesso Matt aveva bisogno delle sue doti di infermiera (e di amica); perciò si concentrò di nuovo su di lui.

Prima di cercare di farlo sedere, gli slacciò la cerniera della giacca, prima di aiutarlo a sollevarsi per toglierla. Come il suo braccio di mosse per sfilarsi dalla manica, non riuscì a trattenere un grugnito di dolore, e Claire iniziò a muoversi ancora più cautamente per evitare di aumentare la sua sofferenza.
Tolta la giacca, veniva il difficile. La t-shirt a maniche lunghe era palesemente appiccicata alla sua pelle a causa dell'acqua e del sudore, e toglierla non sarebbe stata una passeggiata, non se voleva evitare di tagliarla, per lo meno.
-Matt, adesso cerco di toglierti la felpa. ok? Voglio darti un'occhiata e, tra l'altro è fradicia. Non hai freddo?- Sapeva che non aveva bisogno di applicare il protocollo da infermiera con lui; non l'aveva mai fatto prima, ma visti i segnali che il suo comportamento le aveva dato finora, riteneva fosse necessario avvisarlo di ogni suo gesto esattamente come se si fosse trovata di fronte a un paziente appena uscito da un incidente.
-Un... pochino- riuscì ad ammettere, riuscendo in qualche modo a mettere insieme un mezzo sorriso, uno di quelli adorabili da cucciolo che avrebbe spento la rabbia di chiunque. Ricambiò, sfiorandogli la guancia con una mano.
-Rilassati, ok? Sei al sicuro-
-Per favore... fa... piano. Fa...un male... cane- Ok. Claire aveva visto Matt mezzo morto, letteralmente, più volte di quanto avesse voluto, e aveva imparato una cosa: Matthew Murdock era testardo ai limiti dell'impossibile e aveva una soglia del dolore al di fuori di ogni logica, considerando quando il suo corpo fosse ipersensibile, ma soprattutto, Matt Murdock non implorava.
Poteva chiedere con educazione (era davvero una delle persone più educate che conoscesse), al massimo, ma mai, mai l'aveva pregata di fare attenzione, e mai, mai aveva ammesso di provare dolore, sopportando il suo lavoro stringendo i denti o, al limite, accettando la resa e perdendo i sensi; sapeva bene che non sempre poteva essere delicata, eppure questa volta lo stava facendo. E nei limiti del possibile, cercò di accontentarlo.
Un centimetro alla volta, sollevò la t-shirt, cercando di evitare il contatto diretto con il suo petto. Matt rimase in silenzio, aiutandola più che poteva cercando di rimanere immobile, e obbedendo quando gli chiese di sollevare le braccia per poter finalmente sfilare l'indumento, che gettò immediatamente a terra per concentrarsi sul.. ammasso di lividi che un tempo era stato un busto perfettamente modellato.
-Dio- si lasciò scappare mentre involontariamente sussultava alla vista dello scempio che aveva davanti, il che, considerando che aveva lavorato prima come paramedico e poi in un pronto soccorso, diceva già tutto. - Come cavolo...-
-Storia lunga- la interruppe, la voce incrinata dal dolore, mentre ricominciava a tremare più forte di prima, ora che la sua pelle era esposta all'aria e a chissà che altro recepiva il suo senso del tatto. Cercando di limitare i brividi, gli fece immediatamente infilare le braccia nelle maniche della felpa, che fortunatamente era di quelle aperte davanti, e poi gli calcò il cappuccio sulla testa per cercare di tenerlo al caldo.
Le mani del ragazzo cercarono subito i lembi dell'indumento nel tentativo di chiudere la cerniera, ma Claire lo fermò afferrandogli delicatamente le mani.
-Matt, mi dispiace. Lo so che hai freddo, ma devo visitarti prima...-
-Sto...Bene- rispose a voce bassa, mentre lottava per restare sveglio, l'infermiera non sapeva bene se per la stanchezza o il dolore, o entrambe le cose insieme -Sono solo... lividi. Forse... una o due...costole... incrinate. Non voleva...uccidermi-
-Ah no?- aveva qualche problema a crederci, onestamente, ma lo vide scuotere lentamente la testa. Molto lentamente.
-Solo... punirmi. Devo... riposare...ti prego...svegliami...un'ora...devo...tornare...ti prego-
Matt stava velocemente perdendo conoscenza, e i brividi erano di nuovo aumentati a un livello quasi allarmante. Velocemente, senza discutere, lo aiutò a chiudere la felpa fino in fondo, sistemandogliela in modo che gli coprisse anche il collo. Mike era di almeno una taglia più grande di Matt, e Claire sfruttò le maniche troppo lunghe per coprirgli anche le mani prima di aiutarlo a stendersi. Un minuto dopo era già profondamente addormentato. Sospirò, perchè avrebbe voluto prima accertarsi che stesse bene, ma se erano davvero solo dei graffi e dei lividi, effettivamente potevano aspettare. Ma allora perchè soffriva così tanto?
Oh giusto. Si rispose mentalmente. Perchè la sua definizione di lividi non è esattamente quella riportata sui manuali di medicina, o nei dizionari. Con un sospiro, lo coprì bene con una coperta di pile e lo lasciò riposare. Magari, se gli avesse dato modo di recuperare le forze (e almeno un pochino della sua lucidità mentale) avrebbe lasciato che lo medicasse senza opporsi (troppo).

Claire non lo svegliò dopo un'ora. Nemmeno dopo due o tre, in effetti.
Semplicemente, lo lasciò dormire. Era così completamente fuori gioco che un paio di volte, passando vicino al divano, si era fermata per assicurarsi che fosse ancora vivo. Era completamente immobile da ore ormai, raggomitolato sul divano sotto la coperta, il respiro lento e regolare e il volto completamente nascosto dal cappuccio. Sembrava non tremasse più, finalmente, e questo la rassicurò. Magari si trattava davvero soltanto di freddo e stanchezza, forse, per una volta, anche Matt Murdock aveva dei problemi comuni a tutti gli essere umani.

***

Matt non era in casa, Stick se ne era reso conto nello stesso istante in cui aveva raggiunto la porta del loro appartamento. Questa volta non si era disturbato a prendere una stanza in un motel, poichè sapeva che la loro missione sarebbe durata molto più a lungo rispetto alle altre, e gli appartamenti per studenti vicino all'MIT di Boston erano, sul lungo periodo, molto più convenienti anche rispetto al più economico degli ostelli.
Quando aveva lasciato la casa quel mattino, era quasi inciampato sul corpo di Matt, ancora svenuto per terra dove lo aveva lasciato la notte prima. Il vecchio si era preso solo un minuto per assicurarsi di non averlo ucciso prima di uscire e finire la parte del lavoro che doveva compiere alla luce del sole.
Di solito, quando doveva fare certe cose, lasciava a quell'idiota la mattina libera, con il doppio intento di non averlo tra i piedi e di non sentirgli recitare una di quelle sue solite manfrine sulla moralità e la giustizia, e di dargli il tempo di andare in chiesa a pregare per la salvezza della propria anima. Per Stick le religioni (tutte, senza distinzioni) erano solo una marea di stronzate che qualcuno svariati secoli prima aveva messo insieme per riuscire a controllare il comportamento delle persone sotto la minaccia di punizioni divine in nome di un qualche Dio. Non aveva mai capito davvero perchè il migliore dei suoi allievi (perchè, porca puttana, l'avvocato era davvero stato uno dei migliori soldati che avesse addestrato, soprattutto grazie ai suoi poteri, se di poteri si poteva parlare.) tenesse così tanto a certe cazzate, ma aveva notato che se andava in chiesa, di solito il periodo immediatamente successivo non rompeva troppo le palle, per cui aveva deciso di fargli fare quel che voleva.
Stick, tra l'altro, non era nato ieri, e aveva capito fin dal principio che non aveva più un controllo assoluto su Matt (e segretamente ne era anche contento: sarebbe stata una vera delusione se,  vent'anni dopo l'abbandono l'avesse trovato pronto ad adorarlo come quando l'aveva tirato fuori dall'orfanotrofio), ma comunque, non era preoccupato che potesse scappare: quel moccioso era un uomo d'onore, oltre che un avvocato, ed era sicuro che avrebbe tenuto fede al patto che avevano fatto prima di partire, se non per lealtà, per la salvezza dei suoi cosidetti amici. Tra l'altro, finchè avesse rispettato gli ordini e non gli avesse creato troppe grane, al vecchio della fedeltà di Matt non fregava praticamente nulla.
Una volta entrato in casa, si svestì velocemente e si infilò sotto la doccia. Si sentiva puzzare di sangue, di morte e di fogne, e non avrebbe tollerato quell'odore su di sè per un istante più del necessario, dopodichè avrebbe meditato. A lungo. Molto a lungo, o la prossima volta avrebbe davvero potuto arrivare a ucciderlo.

Era quasi mezzanotte, ormai, Matt non era ancora rientrato e lui cominciava a innervosirsi. Era sicuro che non se ne fosse andato per sempre: il suo bastone e le sue cose erano ancora nell'appartamento, inclusa la sua preziosa Bibbia, quella che suo padre gli aveva regalato quando aveva iniziato il catechismo (come un allora bambino non aveva mancato di fargli sapere un giorno mentre lo stava addestrando); era una di quelle stampate tradizionalmente, non in Braille perchè all'epoca, Matt ci vedeva, ma non se ne era mai separato, e se l'aveva lasciata indietro, significava che aveva pensato di tornare indietro.
Quel dannato ragazzino emotivo lo avrebbe fatto uscire pazzo, prima o poi!
Stick sospirò e si concentrò per entrare in uno stato di leggera meditazione per calmarsi. Avrebbe dovuto comunque uscire quella notte, con l'unica differenza che avrebbe dovuto fare tutto da solo perchè qualcuno non si era degnato di tornare a casa.
Quando torni, ragazzino, rimpiangerai che non ti abbia ucciso ieri, giuro.

***

Claire era rimasta con Matt, seduta sul tappeto accanto al divano, fino a quando non le si chiusero gli occhi, e l'ultima volta che l'aveva controllato, all'una di notte più o meno, era ancora profondamente addormentato, apparentemente sordo a tutto ciò che lo circondava, (incluso il piatto che aveva rotto per sbaglio mentre preparava qualcosa per cena).
Alla fine anche lei aveva ceduto al sonno e si era decisa a lasciare il suo fianco per infilarsi a letto, cadendo in un sonno leggero e teso.
Si svegliò di soprassalto quando lo sentì iniziare a gemere, e mentre tornava alla realtà, svegliandosi completamente mentre percorreva i pochi metri che la separavano da lui iniziò a vedere che il sonno tranquillo di poche ore prima era solo un ricordo.
Matt sembrava quasi preda delle convulsioni, sembrava lottare contro qualcuno o qualcosa in sogno, mormorando cose incomprensibili alternati a gemiti di dolore. Il cappuccio gli era scivolato via, rivelando quanto stesse anche sudando.
Pur essendo cosciente dei rischi che correva a svegliarlo (lei e Foggy ne avevano provato le conseguenze sulla loro pelle), capì che l'amico stava andando in panico all'interno del sogno e di non avere altra scelta se non quella di sperare di riuscire a schivare qualunque colpo fosse arrivato.
Si avvicinò lentamente e afferrò piano ma risolutamente la sua spalla, scuotendolo per svegliarlo. Ovviamente, si aspettava la sua solita reazione violenta, ma la velocità con cui riuscì a schivare i suoi movimenti e saltare al di fuori del suo raggio d'azione stupì perfino lei stessa
-Matt- chiamò dolcemente, ma a voce abbastanza alta e decisa da penetrargli nelle orecchie -Matt, sono io. Claire-

***

Da quando era partito con Stick, svegliarsi di soprassalto era diventata una routine. Il vecchio trovava sempre la scusa per punirlo per qualcosa che non aveva fatto, eppure, questa volta era abbastanza sicuro di non aver fatto niente per meritarselo.
-Matt. Sono io. Claire-
Non appena sentì la voce familiare dell'infermiera, tuttavia si bloccò. Cosa diamine...?
Calmati, Matt. A quanto pare, la fedele voce di Foggy nella sua testa era più sveglia del suo cervello. Riavvolgi il nastro. Premi play.
Fece un respiro profondo, mentre richiamava (senza nemmeno troppa fatica) alla mente le immagini delle ultime ore. Ora tutto aveva un senso.
Vedi? Riprese, e non riuscì a non chiedersi in quale momento esatto della propria vita la sua coscienza aveva iniziato a parlare con la voce del suo migliore amico, perchè, onestamente, la cosa era un po' inquietante, oltre che seccante. E' tutto a posto, sei solo paranoico.
No. Niente era ok.
Si mise a sedere sul divano, aggrappandosi alla spalliera per tirarsi su e rimanere in posizione.
-Che ore sono?- salutò la ragazza, la voce roca a causa della secchezza che sentiva in gola, probabilmente, mentre si voltava per cercare di guardarla. La dormita gli aveva fatto decisamente bene, e anche se non si sentiva ancora nel pieno delle forze, era abbastanza forte da parlare e muoversi senza troppi problemi.
Sentì i suoi passi leggeri avvicinarsi a lui, mentre gli rispondeva che era notte fonda. Percepì lo spostamento d'aria mentra la ragazza si accovacciava sul tappeto vicino a lui, abbastanza da riuscire a sentire il calore del suo corpo attraverso la propria pelle e il profumo del suo dentrifricio, una particolare fragranza di frutti di bosco mista a menta. Gli prese gentilmente una mano, mentre con l'altra gli accarezzava la fronte, spostandogli i capelli in un gesto che lo fece sentire immediatamente a casa e al sicuro.
Ma c'era dell'altro.
I movimenti della giovane erano lenti, troppo lenti per avere il solo scopo di non spaventarlo. Poi all'improvviso capì quanto fosse esausta, e una fitta di senso di colpa lo attraversò. -Stavi avendo un incubo, credo-
-Ti avevo chiesto di svegliarmi dopo un'ora- Non potè fare a meno di protestare debolmente, mentre un angolo (più vigile) della sua mente cercava di esortarlo a muovere il culo e tornare da Stick prima che andasse a prendersela con i suoi amici. Era una parte molto piccola, e decisamente in conflitto con tutto il resto, che implorava pace e riposo, ma era come una zanzara: insistente e fastidiosa fino a portarti all'esasperazione.
- E da quando faccio quello che mi dici, Matt?-
E, nonostante tutto, non riuscì a evitare che gli angoli delle proprie labbra si incurvassero in un mezzo sorriso, prima di fare un nuovo tentativo di alzarsi, dando retta al suo senso del dovere (paura?) che gli imponeva di uscire al più presto da quella casa, nonostante il resto di lui voleva rimanere tra quelle quattro mura, il più possibile vicino a Claire e alla sua dolcezza, possibilmente, nonostante il dolore che questo gli provocava.
Non avrebbe mai potuto essere sua, questo Matt lo sapeva bene. Aveva buttato tutto all'aria, e riavvicinarsi ora non gli avrebbe certo fatto bene, senza contare che più a lungo restava, più aumentavano le probabilità che Stick facesse un viaggio a New York per prendersela con Foggy; perciò chiuse le porte ai sentimenti e con un gesto deciso (o almeno, il più deciso possibile) si mise in piedi, ignorando il vortice di fuoco che divenne il mondo nell'istante preciso in cui la testa cominciava a girargli, i sensi impazziti. Non vedeva più contorni definiti, solo un mare di fuoco in burrasca. Molto in burrasca. Si prese non più di un minuto per stabilizzarsi e ritrovare una corrente tranquilla dove navigare, poi cominciò ad avanzare nella tempesta.
Non è il mondo a essere in burrasca, razza di idiota, sei tu!
Taci, orsetto- Foggy. Ok quella coscienza stava diventando decisamente invadente e fastidiosa, esattamente come il suo migliore amico, quando ci si metteva d'impegno.
-Dove pensi di andare, esattamente?- Claire sembrava seccata, più che curiosa.
-Devo andare- Rispose, forse più duro di quanto volesse.
-Dove?- Sentì distrattamente che lo stava guardando, in piedi con le braccia conserte
-Devo andare- ripetè, testardo -Non ho molto tempo-
-Ok- rispose lei, fredda come non la sentiva da molto tempo, dal giorno in cui gli aveva detto che non voleva innamorarsi di qualcuno così vicino a diventare quello che non voleva. Sentì una fitta al cuore, che si sforzò di ignorare. -Ci vediamo, Matt. Fa attenzione.-
Non le rispose neppure, e tornò a percorrere la strada verso la porta.

***

Se c'era una cosa che aveva imparato nei mesi in cui aveva ricucito Matt Murdock, alias Daredevil, era che quel pazzo era forse la persona più testarda sulla terra. Per questo, nel momento in cui si era messo in piedi, si era alzata anche lei, interrompendo il contatto tra le loro mani e facendo un passo indietro.
Dopo il loro rapido scambio di battute, lo guardo oscillare attraverso la stanza, aspettando (come aveva fatto durante il loro primo incontro) il momento in cui sarebbe caduto, perchè sapeva che sarebbe successo.
Non sprecò nemmeno il fiato per cercare di fermarlo quando dichiarò che voleva andarsene; era in quella che lei chiamava la modalità da Uomo in Maschera (anche se forse avrebbe dovuto cambiare la dicitura in modalità Daredevil, stando ai giornali) e le parole erano più che inutili quando si trovava in quello stato; quindi lasciò che fosse il suo stesso corpo a fargli capire che se avesse davvero voluto lasciare quel palazzo, avrebbe dovuto il modo di scindere completamente la mente dalle ossa, perchè muscoli e tendini non l'avrebbero seguito in quella pazzia.
Dieci.
Contò mentalmente l'infermiera. Se si fosse trattato di una persona normale, non sarebbe andata oltre il tre, ma si parlava di Matt, perciò gli diede un po' di credito in più. Matt fece il primo passo verso quella che lui fosse convinto essere la direzione della porta, ma che in realtà l'avrebbe portato dritto contro un muro. Non disse una parola per correggerlo, e non si sentì nemmeno troppo in colpa a riguardo.
Nove.
Dannazione.
Matt aveva campito di stare commettendo un errore e si girò per cercare un qualunque cosa che lo aiutasse ad orientarsi; Claire non si aspettava che chiedesse aiuto, ovviamente.
Otto.
Alla fine, trovò quella che capì essere la giusta direzione e riprese a camminare.
Sette.
Finalmente iniziò a incespicare, inciampando sui propri piedi, ma senza cadere.
Sei.
Inciampò ancora.
Cinque.
E ancora.
Andiamo!
Quattro.
Matt cominciò seriamente a barcollare, ora in seria difficoltà, e Claire fece molta, molta fatica a trattenersi dall'andargli incontro quando cominciò ad allungare le mani di fronte a sè stesso, cercando una parete, o qualcosa che lo aiutasse a rimanere in piedi. Alla fine le sue mani incontrarono una sedia.
Tre.
Era, in qualche modo, arrivato alla porta.
Due.
Ora le scale erano a soli uno o due passi di distanza da lui, e il suo equilibrio lasciava decisamente a desiderare.
No no no, ti prego, ti prego cadi. Cadi. Si augurò la ragazza guardandolo preoccupata. Possibilmente, prima delle scale.
Uno.
Sapeva che avrebbe dovuto, ma proprio non riuscì a trattenere il sospiro di sollievo che le salì dal petto quando Matt finalmente si arrese e lasciò il comando ai propri muscoli, che erano evidentemente più svegli del loro proprietario e pensarono bene di fallo collassare a terra.
Un giorno o l'altro ti ammazzo, Matthew, dannazione.
Sospirò di nuovo prima di raggiungerlo e trascinarlo di nuovo in casa prendendolo da sotto le ascelle, ringraziando qualunque divinità del fatto che fosse quel tipo di persona che era in forma, ma comunque piuttosto magra, in modo da non dover chiamare in aiuto nessuno dei vicini.
Tuttavia, Matt era troppo pesante perchè riuscisse a sollevarlo da sola sul divano, per cui lo lasciò per un istante sul tappeto solo per correre a disfare il proprio letto, un matrimoniale che però, fortunatamente era composto da due materassi singoli. Ne prese uno e ansimando lo trascinò fino al salotto, dove lo sistemò nel punto più caldo della casa: vicino al calorifero e nel punto esatto del pavimento dove passavano le tubature del riscaldamento, che restava di conseguenza sempre a temperatura un po' più alta.
-Resisti, Matt- gli sussurrò prima di muoverlo vicino al giaciglio improvvisato -Questo ti farà male, ma non posso fare altro- Con l'aiuto di un lenzuolo, riuscì a far rotolare l'amico sul materasso, comprimendolo il più possibile col proprio peso per rendere il passaggio un filo più confortevole. Non esattamente una manovra da manuale del primo soccorso, e perfino nel suo stato di incoscienza il ragazzo emise un gemito di dolore durante l'operazione, ma al momento non poteva fare di meglio, non con un paziente completamente non cooperativo.
Dopo averlo sistemato al centro del materasso lo coprì bene prima di soffermarsi a studiarlo per qualche istante: aveva il respiro accelerato e stava iniziando anche a sudare, come se avesse appena affrontato una lunga corsa.
Sta calma, Claire. L'hai appena strapazzato per bene. Si disse per placare il principio di panico che le stava nascendo dentro. Lascialo riposare un pochino.
L'infermiera che era in lei (e che aveva preso il sopravvento) aveva decisamente ragione, perciò le diede retta. Gli rimboccò bene le coperte fin sotto il mento e poi si concesse un momento di riposo sdraiandosi sul divano, a meno di un metro da lui.
Si disse che poteva perfino chiudere gli occhi, magari, e riposare una decina di minuti.

Fu svegliata da un raggio di sole che la colpiva in piena faccia, il che era strano perchè aveva chiuso gli occhi solo per cinque minuti mentre la stella non era visibile nell'appartamento fino alle und... Merda.
Si mise seduta di scatto, il collo e la schiena che le dolevano a causa della posizione in cui si era addormentata, metà sdraiata e metà seduta tra lo schienale e uno dei braccioli. Imprecò tra i denti, maledicendosi per non aver messo una sveglia, e iniziò a muoversi molto lentamente, cercando di sciogliere i muscoli irrigiditi senza prendersi uno strappo, mordendosi le labbra per evitare di svegliare Matt con i propri gemiti di dolore. Piano piano, le membra ripresero sensibilità e agilità, e finalmente riuscì a concentrarsi sul proprio paziente.
Dio.
Matt era ancora incosciente, forse svenuto o forse addormentato, non ne era certa, ma le sue condizioni erano decisamente precipitate dalla sera prima. Se quando si era addormentata aveva soltanto il respiro un po' affannato, ora era in preda ai brvidi e coperto di sudore, tanto che aveva spinto via le coperte in cui lo aveva avvolto.
Non andava bene. Per niente.

***

Era ormai mezzogiorno, e di Matt ancora non c'era traccia.
Stick riuscì a percepire la sua assenza non appena si era svegliato dalla mattinata passata a letto dopo una notte dedicata alla sua missione.
Se quell'idiota stava cercando di testare la sua pazienza, presto avrebbe scoperto che non era stata la migliore delle proprie idee.
Arrabbiato, si alzò e si diresse nella stanza dell'avvocato, cercando almeno di capire se fosse tornato a casa a cambiarsi. Niente. Tutte era come l'avevano lasciato due notti prima, e non c'era traccia di odori che tradissero la presenza.
L'uomo scandagliò la stanza. Una giacca e i jeans erano spariti, così come la sua maschera, probabilmente si era rimesso a giocare all'eroe.
Comunque, non aveva importanza, non più, almeno.
Era arrivato il momento di fargli capire che il tempo dei giochi era finito.

No, non mi sento il colpa, sappiatelo XD
Cosa succederà ora? Foggy e Karen saranno in pericolo? Lo scopriremo nel prossimo capitolo!
Ciao!

PS: i feedback sono moooolto graditi :)

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Capitolo 7
*** Mr. Murdock is out right now ***


PERSONAL SPACE: Ciao a tutti! Eccomi qui con un nuovo capitolo di questa long... voglio approfittare di questo spazio per ringraziare chi mi ha recensito negli scorsi capitoli, PaperHero e Ragdoll_Cat (PS: se siete fan di Cap o degli Olicity passate sul suo profilo, non ve ne pentirete ^__^ ) e anche tutti quelli che hanno messo questa storia tra le seguite, le preferite e le ricordate, davvero grazie! ^__^
E ovviamente grazie anche a tutti i lettori silenti, spero che un giorno troverete la voglia/il tempo/il coraggio di darmi la vostra opinione. Giuro che non mordo ^_^.
Niente. Vi lascio al capitolo!
Buona lettura!


Chapter 7: Mr. Murdock is out right now

Un mese.
Era passato un dannatissimo mese dal giorno in cui aveva trovato l’appartamento di Matt vuoto e, quel che era anche peggio, entrambi i cellulari abbandonati a New York. Aveva capito il perchè dello smartphone, ma, dannazione, poteva almeno portarsi l’altro, almeno per fargli sapere che era vivo e stava bene. E invece no.
Di quei 30 fottuti giorni poteva contare (e rivivere) ogni singolo secondo.
Giusto perchè amava alla follia mentire alle persone a cui teneva, si era ritrovato a raccontare palle su palle ogni singolo giorno, fingendo di essere in perenne contatto giornaliero con il proprio partner-e-forse-non-più-tanto-migliore-amico e raccontando che tutto andava bene. Si sforzava di andare in ufficio ogni giorno, anche se quello che avrebbe davvero voluto fare era agire: noleggiare (o perfino comprare, se fosse stato necessario) un’auto e uscire da Hell’s Kitchen, viaggiando per tutto il continente finchè non avesse ritrovato e riportato a casa Matt.
E poi cosa farai, furbone? Bene, adesso il suo cervello suonava come Matt Murdock in versione so-tutto-io.
Ti prenderò a calci in culo per tutta la strada del ritorno, e probabilmente continuerò a farlo vita natural durante! Rispose irritato alla voce. Dannato Murdock. Ora parlava pure da solo!
Tuttavia, era sbagliato dire che Foggy non stesse facendo proprio nulla per ritrovarlo; aveva probabilmente esplorato tutte le opzioni che non includessero una denuncia per persone scomparse pur di avere notizie, ma senza risultati. Ogni mattina consultava l’elenco di tutte le persone arrestate nello stato nella speranza (o forse no, non ne era troppo sicuro in realtà) di trovarci il nome del proprio partner, o un’identità fittizia che gli dicesse qualcosa, perchè di una cosa era sicuro: se Matt si fosse trovato in condizioni di necessitare un aiuto legale, avrebbe trovato il modo di farglielo sapere.
Leggeva e vedeva anche qualunque versione di qualunque notiziario o quotidiano esistente, e spulciava internet costantemente, ma anche questo non aveva dato frutti.
Nessuna nuova? Buone nuove! Era solito dire un amico di suo nonno, il che in effetti poteva anche essere vero, se il tuo migliore amico non è un dannato vigilante con la cattiva abitudine di spuntare fuori mezzo morto nei posti più strani della terra.

Quando squillò il telefono, Foggy stava lavorando a un nuovo potenziale caso, che non sapeva ancora se accettare o meno poichè non era sicuro se la cliente stesse dicendo la verità o nascondesse qualcosa. Nonostante si lamentasse moltissimo della politica aziendale di Matt, ora che era assente cercava comunque di seguire al meglio la strada che avevano deciso di intraprendere quando avevano aperto il loro studio legale. Il vero problema è che senza Mr. poligrafo vivente le cose si erano fatte un po’ complicate, poichè doveva affidarsi solo al proprio istinto, senza contare che concentrarsi era veramente difficile quando la sua testa si divertiva a proporgli i più svariati scenari sul destino del suo socio, ma, per essere fedele alle proprie bugie doveva fingere e a quel punto era meglio fingere lavorando su qualcosa di reale.
Fu Karen a rispondere al telefono, non tanto perchè era la loro segretaria, quanto perchè in quel momento era la più vicina alla reception, e quindi al telefono. Per un nanosecondo, si permise di sperare che all’altro capo della linea ci fosse Matt, realizzando solo in quel momento che sentiva il cuore balzargli in gola per la speranza (o la paura) ogni volta che sentiva la suoneria di uno dei loro cellulari.
La cosa peggiore, però, era il peso al cuore che sentiva ogni volta che restava deluso; avrebbe davvero dato qualunque cosa per un messaggio, una chiamata, un’e-mail, un segnale di fumo, un razzo segnalatore, un piccione viaggiatore…. insomma un qualunque cosa gli potesse dire che era vivo. Non chiedeva altro. Non gli importava quanto gravemente potesse essere ferito. Sapere che respirava sarebbe stato più che sufficiente.
-Nelson e Murdock- rispose Karen, poi fece una pausa prima di mettere la chiamata in stand-by ed entrare nel suo ufficio -Puoi parlare?-
-Certo- rispose fingendo di non aver ascoltato ogni sillaba -Di che si tratta?-
-Non lo so ancora, ma dal tono di voce sembra urgente-
-Ok. Passamela di qui, per favore. Grazie-
La bionda gli sorrise mentre si chiudeva la porta alle spalle e tornava alla propria scrivania. Dal vetro opaco riuscì a vederla esitare di fronte all’uscio chiuso dell’ufficio di Matt, e non faceva fatica a immaginarsi cosa stesse pensando. Mancava a tutti.
Sospirò e alzò la cornetta.
-Fog… Franklin Nelson-
-Foggy… sono Claire-
Quelle tre parole bastarono a raggelarlo sul posto; un best of di tutti gli scenari venne velocemente alla sua mente, mentre cercava di prepararsi al peggio, alla ragazza che gli diceva che Matt stava morendo, o peggio, che fosse già morto. Solo dopo qualche secondo si ricordò che Claire non era in città, e che non poteva sapere che Matt non era reperibile al momento e arrivò alla ragionevole conclusione che stesse solo cercando il suo amico, non riuscendo a parlargli tramite telefono.
-Sì. Ci sono solo io al momento- rispose cercando di fingere che fosse solo una potenziale cliente e non una loro conoscente -Il signor Murdock al momento è fuori, ma se le servono informazioni, sono a sua disposizione, oppure può fissare un appuntamento con la nostra segretaria-
-Non puoi parlare?-
-Esatto. Sì-
-Ok. Matt è con me- e ora poteva tranquillamente andare in panico, mentre un brivido gli correva involontario lungo la spina dorsare. Tiprego,tiprego,tiprego non essere morto. Non. Essere. Morto, E non avvicinarti nemmeno ad esserlo. Per favore, Matty!
-Puo’ spiegarmi la sua situazione?- chiede, meravigliandosi di essere riuscito a tenere la voce ferma nonostante stesse letteralmente andando in panico.
-Non lo so. L’ho incontrato per caso, in una chiesa. Foggy, era esausto e come mi ha riconosciuto è crollato. E’ confuso, molto, e la maggior parte delle volte fatica a riconoscermi. Ti chiamo solo ora perchè sta dormendo, e sembra tranquillo, finalmente-
-Dove abita?-
-A Boston, vicino al campus dell’università-
Boston? Che cavolo ci facevano a Boston?!
-D’accordo, signorina…- stava cercando di tirare fuori un cognome fittizio da affibbiarle, ma da quando Claire aveva pronunciato la parola “crollato” non riusciva a pensare ad altro. In tutti quegli anni, non aveva mai nemmeno pensato che Matt potesse avere un crollo emotivo, e aveva pensato a tanti di quegli incidenti che avrebbero potuto capitargli da poterci scrivere almeno 10 stagioni di un qualunque medical drama.
-Oh.. ehm.. Carter- gli venne in aiuto, e Foggy cercò di aggrapparsi alla calma nella voce della ragazza, tentando di auto-convincersi che il fatto che lei fosse così tranquilla implicasse che, probabilmente, Daredevil non era in pericolo di vita.
-Ok, Signorina Carter. Farò qualche ricerca e le farò sapere, d’accordo?-
-Ok, Foggy. A più tardi-
-Lei stia calma- le raccomandò, cercando di farle coraggio (come se ne avesse bisogno) - e cerchi di raccogliere tutto il materiale che ci serve, d’accordo?-
-Grazie. Ciao-
Doveva trovare un modo di rimanere da solo. E alla svelta.
Questa fu la prima cosa che gli passò per la testa un secondo dopo aver attaccato il telefono, ma poi realizzò che anche se fosse uscito ora e l’avesse richiamata, se Matt fosse stato ancora fuori gioco non ne avrebbe ricavato un ragno dal buco. Claire gli aveva già raccontato quello che sapeva, quindi alla fine si costrinse a concentrarsi sul lavoro.
I clienti vengono per primi.
Taci, Murdock! Stai dormendo su un fottuto divano a Boston!
Tuttavia, l’irritante Matt che aveva preso residenza nel suo cervello aveva ragione; se fosse rimasto in ufficio senza fare niente altro che aspettare sarebbe stato inutile, oltre che sospetto. Doveva darsi una mossa, scoprire se quel tizio era davvero innocente e, nel caso, fare tutto il possibile per far cadere le accuse contro di lui.
Lo doveva anche a Matt.
Muovi il culo, orsetto Foggy!
Taci, cornetto! Al momento sono molto incazzato con te!

***

Doveva ammetterlo: la reazione di Foggy l’aveva piacevolmente sorpresa.
Quando l’aveva chiamata, quella notte in cui aveva trovato Matt mezzo morto, aveva avuto l’impressione che fosse una persona completamente emotiva, che si lasciasse trascinare dalle proprie emozioni senza un minimo di self-control, almeno quando si trattava del suo migliore amico. Ma non questa volta.
Foggy era stato piuttosto intelligente a fingere che si trattasse soltanto della chiamata di una potenziale cliente, e aveva fatto le domande giuste senza sollevare sospetti.
Chiamare Foggy non era stata esattamente una delle sue priorità, ma poi le condizioni di Matt erano peggiorate ora dopo ora.
L’infermiera non l’aveva perso di vista nemmeno per un secondo, controllandolo così spesso da arrivare alla paranoia, ma così non l’aveva davvero mai visto, e la cosa la spaventava abbastanza. Da quello che aveva visto dalla distanza di sicurezza che era costretta a tenere, gli si era alzata la febbre, ma quanto alta, e da cosa fosse causata, non era proprio in grado di dirlo.
L’ipotesi che considerava più probabile era quella di una qualche infiammazione dovuta a una delle trilioni di ferite che aveva sul torace, ancora in attesa di essere medicate, e questa era solo la più rosea delle possibilità, perchè se c’era qualcuno in grado di ferirsi in modi improponibili, quello era proprio Matt Murdock.
Un’alternativa poteva essere dovuta a un qualche danno interno, ma finchè non fosse riuscita ad avvicinarsi non poteva fare di più, e finora lui non le aveva permesso di toccarlo, attaccandola ogni volta che tentava di avvicinarlo per visitarlo, e ormai la situazione andava avanti da più di 24 ore, un termine ben più che sufficiente a terrorizzarla, considerando quello che gli aveva visto fare praticamente 10 minuti dopo il collasso di un polmone.

Claire aveva già provato a calmarlo prima, ma ogni suo tentativo era stato un buco nell’acqua, e nemmeno la sua voce, questa volta, aveva fatto il miracolo.
Matt, anche quando si svegliava, sembrava non essere mai pienamente cosciente di quello che faceva e, non riconoscendo la sua voce, cercava di difendersi nell’unico modo che conosceva: non poteva fargliene una vera e propria colpa, ma era comunque arrivata al punto che legarlo sembrava l’unica soluzione rimasta; non che gioisse all’idea di farlo, anzi, a maggior ragione, ora che era così spaventato, fargli una cosa del genere la faceva venire la nausea, ma, d’altro canto, era ormai evidente che aveva bisogno di assisenza medica. E in fretta.
Tuttavia, prima di compiere l’estremo passo, aveva deciso di dargli un’ultima possibilità, e per quello aveva preso il telefono e chiamato Foggy. Se nemmeno la voce del suo migliore amico poteva calmarlo, non avrebbe potuto fare altro che ricorrere alle maniere forti.
Aveva pensato di svegliarlo non appena iniziata la telefonata, ma poi aveva deciso di evitare: ogni minuto di veglia era prezioso, poichè era ormai così debole che non riusciva a restare sveglio per più di pochi minuti; inoltre, non voleva spaventare Foggy più di quanto fosse necessario. Aveva deciso che era meglio prepararlo sulle sue condizioni, prima di fargli sentire Matt in quello stato di delirio. Meritava di sapere che c’erano serie possibilità che non lo riconoscesse.
Sei un bel casino, Matt Murdock. Sospirò la ragazza chiedendosi, per la milionesima volta, perchè si era lasciata coinvolgere così tanto da quel pazzo.
Si era ripromessa di non innamorarsi di quel folle cieco che saltava per i tetti e se ne andava in giro a picchiare le persone nascosto sotto una maschera, perchè sospettava che, sotto sotto, fosse una persona senza scrupoli, uno che si divertisse a giocare a fare DIo, e quella sera, quando gliel’aveva fatto notare, lui aveva reagito come se fosse esattamente così, come se non gli importasse di nessuno.
Ora, vederlo in quello stato, ricordando le sue lacrime disperate e il modo in cui si era aggrappato a lei in quella chiesa, per non parlare di come un suo singolo tocco fosse sufficiente a ricondurlo instantaneamente alla ragione (quando era abbastanza lucido da porter prestare attenzione, ovviamente), le stava mostrando quanto in realtà tenesse a coloro a cui voleva bene.
Quanto tenesse a lei.
Gli sorrise, anche se non poteva vederla.

Matt si svegliò ore dopo da un sonno durato praticamente tutta la giornata, mentre stava preparando la cena. Lo vide cercare di mettersi seduto, evidentemente disorientato e con la mente confusa riguardo agli avvenimenti delle ultime ore, ma più lucido di prima.
Questo bastò a farle abbandonare i fornelli per raggiungerlo, o almeno provarci.
-Matt?- chiamò sfiorandogli cautamente il braccio, ma tesa e pronta a balzare via da lui al minimo cenno di pericolo. -Va tutto bene. Sono io. Sono Claire-
-Claire?- ripetè, e finalmente l’infermiera riuscì a cogliere una scintilla di ragione dopo ore di puro delirio -Che ci fai qui? Come ti ha trovato?-
Ed eccolo che ricominciava ad agitarsi e a cercare di divincolarsi in preda al terrore e alla confusione, ma questa volta Claire cercò di resistergli, sperando che l’averla riconosciuta bastasse a frenare i suoi istinti da ninja-jedi o quel cavolo che era. Gli prese le mani in una stretta ferrea, nonostante i suoi tentativi di liberarsi.
-Calmanti, Matt. Sono io. Sono io. Va tutto bene…- L’infermiera non smise per un attimo di sussurrare parole rassicuranti, mentre lottava contro la sua paura delirante. Riuscì a colpirla un paio di volte, ma, fortunatamente, era così debole ed eccezionalmente scoordinato da non farle del male. Alla fine, le forze lo abbandonarono del tutto e ricadde con la schiena sui cuscini, arrendendosi completamente, strappandole un (colpevole) sospiro di sollievo. -Nessuno mi ha trovato, Matt- gli sussurrò a voce bassa, con le labbra praticamente attaccate al suo orecchio, nell’unico modo che aveva capito essere in grado di fare breccia: producendo un suono così flebile da essere quasi inudibile, in modo che fosse costretto a ignorare il resto per darle retta. -Ci siamo incontrati in chiesa. Ti ricordi?-

***

Era passata un’ora. Una sola, lunghissima ora e Foggy si era ritrovato a guardare l’orologio più o meno ogni trenta secondi, la sua mente bloccata sull’immagine del proprio migliore amico, da qualche parte a Boston che lottava contro solo Dio sapeva quale male.
Fog. Sto bene. Sono al sicuro. Bene. Il suo cervello aveva ricominciato a reincarnarsi in Matt Murdock (di nuovo). Proprio quello di cui aveva bisogno.
Col cavolo! Eh, bravo Foggy. Rispondigli pure. Asseconda il delirio.
-Foggy?- la voce di Karen lo riportò improvvisamente alla realtà. La ragazza era sull’uscio, appoggiata allo stipite sul lato destro con la spalla e la testa.
-Sì?-
-Va tutto bene?- La bionda sembrava così preoccupata che l’idea di mentirle ancora minacciava di ucciderlo.
-Certo- si sforzò di parlare normalmente -Sono solo un po’ stanco, non preoccuparti-
-Sicuro?- ovviamente, non sembrava convinta. Annuì, non fidandosi oltre della propria lingua.
-Troppo lavoro. Non è facile senza Matt. E’ lui quello bravo-
Karen sorrise ed entrò nell’ufficio.
-Tu non sei da meno. Il tuo unico problema è che non credi abbastanza in te stesso-
-Non sono come lui-
-Si, invece. Ricordi quanto eri spaventato all’idea di tornare alla Landman & Zack? Eppure hai preso Marci ha calci in culo-
Foggy sorrise a quello, e ad altri ricordi. Gli sembrava di ripensare a un’altra vita, una di quelle normali in cui il suo migliore amico era un normale ragazzo cieco e la sua più grande paura era quella che cadesse in un tombino.
-Sì… io…-
La porta dell’ufficio che si apriva li interruppe, offrendogli la possibilità di non terminare la frase (anche perchè non aveva alcuna idea di come finirla). La ragazza sorrise di nuovo, prima di voltarsi e andare ad accogliere il loro ospite.
-Buongiorno, signore, come possiamo aiutarla?-
-Buongiorno- Il tono era dei più cordiale, ma quella voce inconfondibile era più che sufficiente a spaventarlo. Per un momento, rimase paralizzato. Quell’uomo aveva causato a Matt un attacco di panico con la sua sola presenta. Senza di lui, se avesse deciso di ucciderli, non avrebbero avuto neanche mezza possibilità di farcela.
Foggy. Pensa. Ok, questa cosa che il suo cervello parlava con la voce di Matt stava diventando irritante. Ma aveva ragione. Doveva pensare, restare calmo.
Bene. Qual è la tua priorità?
Salvarti il culo, Cornetto.
Andiamo. Puoi fare di meglio. Riprova.
Cercare di non farmi ammazzare da quel vecchio bacucco?
Già meglio. Riprova ancora.
Cosa cav… ? Aspetta… Karen!
E bravo il mio Orsetto Foggy!
Doveva tenere Karen al sicuro. Finalmente le sue gambe si decisero a obbedirgli, e fu di nuovo in grado di camminare. Forse non era in grado di saltare da un tetto all’altro senza spiaccicarsi al suolo,  e sicuramente non faceva tripli salti mortali facendoli sembrare facili, ma avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per tenere la ragazza fuori da quella storia.
Insieme alle gambe, anche le sue orecchie tornarono a funzionare.
-C’è il signor Murdock?- Stick stava chiedendo a Karen, sempre mantenendo il tono cortese ed educato con cui era entrato. Ovviamente, l’uomo cercava Matt.
-Purtroppo non è qui al momento-
-Quando posso trovarlo?-
-A dire il vero…- la sentì rispondere, da dietro la porta, scalpitando per non entrare e interrompere. La loro prassi era che fosse Karen ad accogliere i potenziali clienti prima di introdurli ai due avvocati.-Non lo sappiamo. Si è preso un periodo di pausa per problemi personali e non sappiamo ancora quando sarà di ritorno-
-Oh… capisco- Stick era un ottimo attore, Foggy doveva ammetterlo, ed era anche grato che Karen fosse convinta di dire la verità, perchè sapeva che l’uomo stava proabilmente ascoltandole il cuore in cerca di menzogne. -Ho sentito che è cieco… e speravo potesse aiutarmi con un caso…-
Foggy non riusciva più a resistere alla tensione. Fanculo il protocollo. Prese coraggio e aprì la porta del proprio ufficio, entrando nella piccola reception.
-Possiamo occuparci noi del caso, se vuole. Sono Franklin Nelson, e sarò lieto di ascoltarla-
Non gli tese la propria mano finchè non fu il cieco a sollevarla per primo. Una delle cose che impari quando condividi la stanza con un non vedente, e, in questo caso, un’ulteriore fortuna. Non aveva nessuna voglia di offrire il benvenuto alla persona che aveva trasformato Matt in un potenziale assassino.
-Credo che voi siate la mia unica speranza-
-Signor…-
-Stick-
-Signor Stick, perchè non ne parliamo a pranzo? C’è un posto qui vicino molto discreto, dove potremo parlare senza essere disturbati- Sentì un rivolo di sudore freddo scendergli lungo la schiena mentre attendeva una risposta. Non sapeva esattamente quali fossero i poteri del vecchio, ma non aveva dubbi sulla sua pericolosità, l’appartamento distrutto di Matt ne era una prova. Era piuttosto sicuro che, come il suo amico potesse indovinare cosa aveva mangiato una settimana prima, Stick potesse annusare la sua paura e la sua tensione, mentre cercava in tutti i modi di non coinvolgere Karen. Altrimenti, oltre agli irrimediabili guai che che sarebbero conseguiti, l’identità segreta di Matt non sarebbe stata più così segreta. -Ovviamente a carico nostro- Aggiunse, come a stimolargli una risposta.
-Va bene, la ringrazio- e, per amore della commedia, Foggy gli offrì il proprio braccio esattamente come era abituato a fare con il suo migliore amico, toccandolo leggermente all’altezza del gomito. Stick accettò l’offerta con un cenno del capo e lasciò che fosse l’avvocato a guidarlo, Ovviamente, appena girato l’angolo, Foggy si staccò bruscamente da lui.
-Allora non sei proprio uno stupido, Nelson-
-Che cosa vuoi?- Sì, ok, era una domanda stupida, ma quello che era importante davvero era prendere tempo, evitare la domanda diretta che avrebbe tradito le proprie bugie.
-Quel dannato moccioso-
-Mi spiace. Non ho figli-
-Ritiro quello che ho detto sulla tua intelligenza. Dov’è Matt?-
-Dimmelo tu. E’ con te che ha lasciato la città- fu la replica diretta.
Foggy sapeva di non avere molto tempo prima che il vecchio perdesse la pazienza. Finora era riuscito a evitare la domanda, ma per quanto tempo poteva ancora durare? Prima o poi sarebbe stato costretto a rispondere, e a quel punto Stick avrebbe saputo che mentiva, e sarebbero stati altamente fottuti.
Un’ordinaria pausa pranzo per il migliore amico del Diavolo di Hell’s Kitchen.
-E’ scappato-
-Dovresti fare più attenzione ai tuoi animaletti allora-
La mano del vecchio si chiuse in un pugno stretto, e Foggy, nonostante tutto, provò un brivido di soddisfazione per avergli fatto ammettere che Matt non era più il suo soldatino fedele; tuttavia, sapeva bene di stare rischiando tranto, forse troppo, ma finchè si fossero trovati in un luogo pubblico come quella strada affollata, probabilmente sarebbe stato al sicuro, o almeno così sperava.
All’improvviso il suo piede sinistro inciampò in qualcosa, e mentre lottava per riguadagnare l’equilibrio prima di cadere con la faccia sul cemento, riuscì a percepire che Stick lo aveva appena fatto inciampare nel proprio bastone. Quante volte era stato vittima del bastone di Matt da ubriachi?
-Fottiti-
-Dov’e’?- Ora la voce era appena un sussurro, ma il tono si era decisamente indurito. Foggy non aveva certo bisogno dei loro superpoteri per capire che si stava arrabbiando, tuttavia, doveva cercare di tenere duro il più a lungo possibile.
Dannato Murdock e dannati ninja psicopatici e assassini.

***

Che cavolo era successo?
E che ci faceva lì Claire?
Calmati, Matty, calmati.
Così come molte altre volte nell’ultimo mese, la voce di Foggy entrò nella sua testa, riportandolo alla ragione. Cercò di fare qualche respiro profondo, cercando di schiarirsi la mente, ma qualcosa gli impediva di riuscirci pienamente, come se ci fosse una sorta di nebbia che ricopriva il suo cervello e creava una sorta di barriera tra lui e il resto del mondo, tanto che a malapena riusciva a registrare le mani di Claire sui sui avambracci, gentili, ma decise, che lo tenevano attaccato al divano, probabilmente per impedirgli di cercare di scappare. La cosa che lo allarmava di più, però era quella di non ricordare praticamente nulla delle ore precedenti; l’ultimo particolare di cui era a conoscenza risaliva a quando gli aveva infilato la felpa.
Si era addormentato? Le aveva fatto del male? Dio, l’aveva colpita?
Cercò di concentrarsi e di sforzarsi di ricordare un qualcosa, un qualunque dettaglio che gli desse qualche informazione in più, ma sembrava un’impresa impossibile per il suo cervello. Iniziò ad andare in panico: sapeva di essere una persona estremamente pericolosa, potenzialmente letale. Doveva scoprire se l’avesse picchiata, se l’avesse ferita. Poichè la sua memoria era fuori gioco, cercò invece di scandagliare il corpo della ragazza alla ricerca di lividi o ossa incrinate, ma, di nuovo, anche quella semplice operazione fallì miseramente, tutto si perdeva nei meandri della nebbia. Cercò di scuotere la testa per cercare di schiarirsi… e si ritrovò piegato in due dalla nausea e i giramenti.
Se le vertigini potevano essere fastidiose, per una persona che non poteva contare su cielo e terra per ritrovare l’orientamento erano anche peggio, era come trovarsi di notte su delle montagne russe impazzite. Fortunatamente, la finta pelle del divano contro la sua schiena e la sensazione del bracciolo dietro la nuca gli vennero in soccorso.
-Matt? Che succede? Stai bene?-
-Sì- iniziò, ma poi si corresse, concentrandosi su quello che sentiva e “vedeva”, il che, al momento, era molto meno del solito, il che era tutto dire. Il mondo in fiamme era costantemente annebbiato, nascosto da quella che era probabilmente una rappresentazione della fischia che sentiva in testa. Le sue orecchie continuavano a ricevere impulsi, troppi impulsi, che non riusciva a filtrare ma allo stesso tempo non riuscivano a fargli del male perchè venivano attenuate senza che riuscisse a controllarsi, e la stessa cosa era per tutti gli altri sensi. Tutto era lì fuori, come sempre, ma allo stesso tempo non c’era più. Iniziò ad ansimare, mentre il cuore gli pulsava (attutito) nelle orecchie: era cieco, per davvero questa volta.
Matty. Calmati. Parla con Claire. Foggy aveva ragione. Cercò di riprendere il controllo del suo respiro, contando i respiri e cercando di calmarsi prima di parlare di nuovo. -Forse no.-
-Che succede? La memoria? Ti ricordi della chiesa?-
Matt rimase per un secondo spiazzato, prima di accorgersi che non aveva mai risposto alla sua domanda, e che quindi aveva logicamente pensato che non ricordasse il loro incontro.
-No… No mi ricordo…. Mi sento… E’ strano-
Era difficile spiegare a parole quello che sentiva, perchè non aveva la minima idea di cosa gli stesse succedendo e, non appena prese coscienza di tutto questo, il terrore minacciò di riprendere il sopravvento e l’unica cosa che riuscì a fare per aggrapparsi alla realtà fu cercare disperatamente un contatto con Claire. Le mani dell’ìnfermiera trovarono subito la sua e Matt ripartì da li, dal suo calore e dalla sicurezza che gli dava per placarsi.
-Matt. Calmati, ti prego- La sua voce fu la mossa finale, un qualcosa di chiaro e lucido nel mare di nebbia, qualcosa di piacevole da ascoltare .-Posso aiutarti, ma devi parlarmi… Cosa senti?-
-E’ come… se fosse tutto annebbiato- cercò di spiegare -E’ come… avere una coperta… che mi avvolge la testa… e… ci sono troppi rumori…- Cercò di spiegarsi, mentre perfino la sua stessa voce gli suonava insopportabile.
-Ho chiamato Foggy. Ha detto che appena può mi richiama, ma è molto preoccupato- Ma Matt percepì appena le parole dell’infermiera, occupato com’era a cercare di spiegare come si sentisse.
-Non riesci… a escluderli?- gli chiese Claire gentilmente, posandogli una mano fresca sulla fronte -Non so… con la meditazione magari?-
-Non riesco… a concentrarmi-
-Matt, credo che ti stia salendo la febbre. Forse hai delle ferite infiammate, o forse sono gli attacchi di panico… Posso misurartela?- Matt riuscì soltanto ad annuire. La febbre, in effetti, avrebbe spiegato molte cose, ed effettivamente, non è che negli ultimi tempi si fosse preso particolarmente cura di sè stesso. Sicuramente i sintomi avevano senso: il freddo, il dolore e la fatica che sentiva fin dentro le osse, per finire con l’impossibilità di concentrarsi e il conseguente offuscamento del suo senso radar.
Un attimo.
Aveva detto di aver chiamato Foggy?
Merda.
In quel momento, qualcuno suonò alla porta, e il rimbombo del pugno sul legno gli penetrò direttamente in testa. Gemette di dolore mentre si sforzava di isolare il battito cardiaco del loro ospite, preparando il proprio corpo per un’eventuale lotta. Riconobbe il battito di Claire, ma non riusciva ad avvertirne uno appena poco distante, e conosceva una sola persona in grado di rallentare il proprio cuore fino a quasi a fermarlo. Beh, due in realtà, ma Nobu era morto.
-Claire- Sussurrò, teso -Non aprire la porta-
Cercò di sedersi, infilando le dita nello schienale del divano per sostenersi, mentre cercava disperatamente di pensare a un modo per proteggerla, e disperandosi quando si rese conto che non ne era in grado, non questa volta.
-Chi è, Matt?- La tensione nella sua voce, il battito accelerato del suo cuore: Claire aveva paura, ed era lui che la stava spaventando. Lo capiva e ne era dispiaciuto, ma questa volta era troppo debole per lottare.
-E’ lui- rispose.

PERSONAL SPACE: Un paio di noticine.
Per chi non fosse avvezzo ai fumetti:
-Cornetto è uno dei soprannomi di Daredevil. Ovviamente in inglese sarebbe Horn-Head (Cornuto XD), quindi in italia è stato cambiato. Nella mia versione orginale io l'ho ritradotto letteralmente dall'italiano... mi è uscita una cosa carinissima:  Little Horn. Sì lo so che non ve ne frega nulla, ma così, volevo dirvelo XD
-Il Senso Radar è il sesto senso di Matt, quello che effettivamente gli permette di tradurre le percezioni sensoriali in immagini. Nella serie è stato cambiato in un mondo in fiamme (che effettivamente è molto figo), ma se avete visto il film con Ben Affleck ne avete una rappresentazione più fedele ai fumetti (ma se non avete visto il film, fatevi un favore e NON guardatelo. Sono seria).
Nota generica:
-Vecchio bacucco, copyright di Ragdoll_cat.


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Capitolo 8
*** Kept in the dark ***


PERSONAL SPACE: Buongiorno a tutti! Rieccomi con un nuovo capitolo, che vi avviso, è molto noioso e scritto non benissimo, ma era essenziale ai fini della trama. Se non amate Karen... stringete i denti, come li ho stretti io scrivendolo....
Grazie a Ragdoll_Cat e a PaperHero per le vostre recensioni!


Chapter 8: Kept In The Dark.


Per un qualche miracolo, Foggy e Stick erano riusciti a raggiungere all’appartamento vuoto di Matt senza uccidersi a vicenda. L’avvocato sapeva che non era stata la migliore delle sue idea quella di chiudersi in una casa vuota, ma non voleva discutere di certe cose in un luogo pubblico (in realtà non voleva essere denunciato per maltrattamento di disabile) e di certo non gli avrebbe regalato su un piatto d’argento il proprio indirizzo.
Saperlo avrebbe voluto dire che quel vecchio avrebbe potuto entrarci in qualunque momento e usarlo per ricattare Matt. Ovviamente, se davvero l’avesse voluto, Foggy non aveva dubbi che se lo sarebbe procurato in ogni modo ma, cavolo, almeno avrebbe dovuto faticare e cercarlo.
-Mi dirai dov’è il tuo amico, o no?- e il tono di voce di Stick lo fece rendere conto di quanto fosse stata brutta la sua idea. In un luogo pubblico, non avrebbe osato fargli del male, al massimo avrebbe zoppicato per un po’ a causa dei colpi di bastone, ma qui… Foggy dubitava che Stick fosse ligio al rispetto della convenzione di Ginevra, ma come sempre aveva pensato a proteggere il resto del mondo senza considerare la propria incolumità. Oh, beh. Ormai la frittata era fatta.
-E se ti dicessi di no?-
Finchè Stick non gli avesse chiesto espressamente dove fosse Matt, rispondere in maniera insolente non sarebbe stata una bugia, quindi l’uomo non avrebbe avuto modo di scoprire se gli stesse mentendo o meno, perchè, di fatto, non avrebbe mentito.
Era una tecnica che aveva imparato e sviluppato prima a liceo e poi al college e che aveva sempre fatto sorridere Matt: quando si presentava a un esame orale per cui non aveva studiato niente o quasi niente, iniziava ad evitare di rispondere direttamente dando soltanto mezze risposte prima di trovare un valido collegamento e deviare il discorso su zone di programma meno sconosciute. Incredibile ma vero, quando i professori erano particolarmente di buon umore, riusciva anche ad uscire dall’aula con dei voti quasi decenti. Ovviamente non aveva mai pensato che si sarebbe ritrovato a sfruttare le proprie abilità per salvare le vite sua e del suo migliore amico.
-Sto perdendo la pazienza, ragazzo- lo avvertì -E credimi, tu non vuoi che io la finisca-
Stick fece un passo, un solo passo verso di lui, senza alzare le mani o minacciarlo apertamente, ma la sua sola postura (e Foggy cercò veramente di non collegarla a quella di Matt in versione Daredevil) fu sufficiente a farlo involontariamente deglutire mentre un brivido gli correva lungo la schiena. -Dimmi dove si trova- e questa volta non c’erano punti di domanda. Era ovvio che Stick l’avesse capito.
-O che cosa?- Foggy non avrebbe mai saputo da dove aveva preso il coraggio (o la pazzia), questa volta, per cercare un’ultima volta di rimandare l’inevitabile -Mi uccidi?-
-Non sono un’idiota, ragazzo- la risata di Stick era anche peggiore del suo tono più freddo. Era agghiacciante, priva di allegria. Sarcastica e beffarda. -E questo non è un film di quelli in cui l’eroe convince il cattivo di essere troppo importante per essere ucciso. Sei coraggioso, più di quanto avessi pensato, ma questo non ti salverà- l’uomo non lo disse a voce alta, ma la frase inespressa era certamente nell’aria: decisamente, Stick non era apparentemente un fan dell’articolo 17 della terza convenzione di Ginevra**, evidentemente.
-Devo prenderlo come un complimento?-
Stick si limitò a ignorarlo, evidentemente perso in qualche suo pensiero o, più probabilmente aveva deciso che non valeva la pena continuare quel gioco.
-Ho un’idea- Appunto -Siccome è evidente che Matt non si trova qui, ne lo è stato di recente, direi, e, siccome evidentemente non ti va di parlare, dovrò concentrare le mie attenzioni su qualcun altro per renderti più… collaborativo-
E non dovette aggiungere altro. Evidentemente, chiunque lo avesse addestrato si era scordato anche di insegnargli l’articolo 3, paragrafo 1 della quarta Convenzione di Ginevra*** , eppure, a meno che non fosse ultracentenario (quanto potevano vivere i pazzi ninja ciechi assassini?), doveva essere già stata scritta all’epoca del suo addestramento.
-Sta lontano da Karen! Non sa niente, lo sai!-
-E allora te lo chiederò ancora una volta. Dove. Cazzo. E’. Matt.-
Eccoci. Fanculo.
-Non lo so-
Sapeva che probabilmente Stick aveva sentito il suo cuore accelerare per la menzogna, Matt aveva più o meno cercato di spiegargli come funzionava la cosa (anche se Foggy si era perso a metà discorso). Sperava che perdesse la pazienza, che lo picchiasse o lo torturasse (con buona pace di Ginevra e dell’Aja). Invece, Stick sorrise (il che non era meglio della risata, per la cronaca).
-Torniamo in ufficio, avvocato-
E quel tono freddo, basso e glaciale entrava di diritto nella top tre delle cose più spaventose che avesse mai sentito.

***

Karen era seduta alla propria scrivania, cercando di rimette ordine sulla discutibile logica con cui Foggy riordinava i documenti dopo averli letti, e iniziava a pensare che il disordine del suo capo fosse patologico. Ricordava perfettamente di avergli consegnato il plico di carte in ordine cronologico, e tutto ciò che lui ne aveva fatto era leggerli nello stesso ordine. Com’era umanamente possibile che non ne fosse rimasto uno al proprio posto?
Sospirò, sentendo ancora una volta la mancanza di Matt. Le piaceva lavorare con lui. Era medotico e, nonostante la cecità, le restituiva tutto esattamente come gli era stato consegnato. Sbuffò mentre spargeva le varie cartelle sulla scrivania e si rassegnava a passare un pomeriggio noioso.
Senza esserne davvero cosciente, prese il proprio telefono dalla tasca dei jeans che indossava, e il suo dito esitò sull’icona verde che l’avrebbe messa in contatto con Matt. Le mancava davvero tanto, e non poteva nascondere di essere preoccupata per lui. Oltre a essere cieco, al momento stava gestendo da solo la morte di una persona cara, e non trovava giusto che li avesse esclusi così: nessuno dovrebbe rimanere da solo in certi momenti della propria vita.
Non era la prima volta che pensava di chiamarlo, e non era nemmeno la prima volta che vi rinunciava; aveva subito capito quanto il suo datore di lavoro fosse estremamente riservato riguardo alle proprie faccende e non voleva urtare i suoi sentimenti.
Mise via lo smartphone e si mise a cercare tra i loro pochi mobili un posto in cui mettere la documentazione dei casi ancora in corso in modo che fossero facilmente reperibili quando sentì un tonfo provenire dall’ufficio di Matt.
Rimase un secondo all’erta, indecisa se fosse stato reale o solo il frutto della sua fin troppo fervida immaginazione, ma quando altri rumori, più distinti, si aggiunsero al primo, fu evidente che non si era sbagliata.
Il più silenziosamente possibile, si alzò dalla posizione accucciata in cui si trovava e cercò di raggiungere l’uscita e darsi alla fuga. Non c’era niente in ufficio che valesse davvero la pena difendere: tutti i documenti erano stati copiati sia su un hard-disk esterno che sui computer di Matt e Foggy, che si trovavano ora nei loro appartamenti, e l’attrezzatura elettronica era così vecchia che nessuno avrebbe mai pensato veramente di rubarla.
Quello che non si aspettava era di trovare altri tre tizi che la aspettavano al di fuori della porta, nascosti nelle ombre proiettate dalle rampe di scale.
Non potè fare nulla per fermarli. Provò a divincolarsi, ma nonostante i suoi tentativi disperati riuscirono a immobilizzarla, piantandole contemporaneamente una mano sulla bocca per soffocare qualunque richiesta di aiuto.
La obbligarono a rientrare nei loro piccoli uffici e la fecero sedere sulla sedia di Matt, dove c’erano ancora i due uomini entrati dalla finestra in attesa. A prima vista, sembravano esattamente come l’uomo con la maschera nera, il diavolo di Hell’s Kitchen: delle specie di ninja completamente vestiti di nero, con delle bende a coprirgli il volto. La sostanziale differenza era che sembravano avere tutt’altro che buone intenzioni.
La bionda non era così spaventata dal giorno in cui aveva ucciso Wesley, e il suo primo pensiero fu proprio che Fisk avesse scoperto chi era e che fosse la responsabile della morte del suo tirapiedi. Ringraziò il cielo che nessun altro fosse in ufficio.
-Per favore- pregò nell’istante in cui le tolsero le mani dalla bocca -Non fate del male ai miei amici. Verrò… Verrò con voi-
-Se il tuo amico si comporterà come si deve, nessuno farà del male a nessuno-
Riconobbe immediatamente la voce: il signor Stick. Stava entrando nell’ufficio, navigando sicuro senza l’aiuto di nessun tipo di bastone o guida, e Foggy era immediatamente dietro di lui.
-Foggy!-
-Karen!- L’avvocato si voltò per fronteggiare l’uomo. -Non farle del male!-
-Dimmi quello che voglio sapere. Dov’è Matt Murdock-
Matt? Per quale motivo queste persone cercavano Matt? Si voltò a cercare gli occhi di Foggy, e dentro vi lesse determinazione e paura.

***

La vita di Foggy non era mai stata così difficile prima d’ora.
Finora, la peggior decisione che aveva dovuto prendere era stata quella di andare al college, ma solo perchè sua madre voleva che diventasse un macellaio e lui non aveva la minima idea di come dirle che aveva altre aspirazioni nella vita senza sembrare irrispettoso. Gran parte della sua famiglia commerciava nella carne fresca, e aveva paura che scegliendo una posizione più alta suonasse come se non si considerasse degno di una professione tanto umile, seppur assolutamente dignitosa.
Anche dopo la lite con Matt, non era stato poi così difficile decidere di alzare il culo e andare alla palestra per cercare di sistemare le cose. Era vero, si era sentito tradito, ovviamente, perchè per quattro anni si era spacciato per qualcosa che non era, ma poi, pensandoci, considerando quanti nemici si era fatto il Diavolo di Hell’s Kitchen in pochissimo tempo, aveva capito perchè aveva agito così. Inoltre, Matt gli mancava così tanto che non credeva di poter continuare a vivere senza la sua compagnia. Gli aveva mentito sulle sua capacità, ma lo conosceva, sapeva quanto forte fosse la sua sete di giustizia. Il suo migliore amico era ancora lì, non era cambiato, aveva semplicemente mostrato un altro lato di sè stesso. La teoria della giustizia applicata alla pratica, quando la legge si piegava, qualcun altro doveva sostituirla.
E ora questo dannato vecchio gli stava chiedendo di scegliere tra suo fratello e Karen, e non aveva la più pallida idea di come gestire la cosa.
Non aveva dubbi su come avrebbe agito al posto suo: avrebbe parlato senza esitare per salvare un innocente in pericolo, ma la sua mente continuava a riportarlo alle parole di Claire, e non era così sicuro che Matt fosse in grado di cavarsela in quel momento.
E’ innocente, Fog. Smetti di girarci intorno e parla. Posso farcela.
No che non puoi, cornetto! Non sei nemmeno reale! Sei solo una stupida voce nel mio stupido cervello!
-Foggy!- La voce di Karen tremava, ma allo stesso tempo era forte e squillante -Non dirgli niente!-
Uno dei ninka la colpì in faccia, lasciando un segno rosso sulla sua guancia. La ragazza urlò per il dolore e la sorpresa, e, prima che potesse pensare, l’istinto di Foggy agì per lui. Senza voltarsi a guardare, prese il bastone di scorta che Matt lasciava sempre nell’angolo vicino a lui e lo usò per attaccare i ninja.

***

Karen non riuscì a trattenere un secondo urlo quando vide Foggy fare la cosa più stupida e coraggiosa che qualcuno avesse mai fatto per proteggerla. Si ritrovò immediatamente con una mano a zittirla e altre a tenerla ferma sulla sedia più fermamente di prima, e si ritrovò obbligata a guardare come Stick (se poi era davvero il suo nome) e un paio dei suoi ninja rendevano Foggy innocuo con una brutalità che non riusciva a spiegarsi.
L’avvocato, ovviamente, non era una vera minaccia per loro, e la sua reazione era stato un puro istinto di protezione, eppure lo stavano trattando come se si fossero trovati davanti Daredevil in pelle e corna.
Foggy cadde a terra al primo colpo e siccome non era mai stato addestrato a combattere, non aveva nessuna possibilità di riuscire a reagire, non riusciva nemmeno a rialzarsi, per la miseria!
Presa dalla disperazione, piantò i denti nella mano le la tratteneva. L’uomo grugnì di dolore ma, cosa più importante, la lasciò andare.
-Basta!- gridò -Basta, vi prego! Così lo ucciderete! Basta!-
Finalmente, dopo un ultimo calcio, Stick lo lasciò finalmente in pace. Foggy rimase a terra, a malapena cosciente, tremante per il dolore.
-Ka… Karen- fu tutto quello che riuscì a sussurrare prima di perdere conoscenza.
-Foggy! Foggy!-
-Taci. Vivrà.- la zittì Stick -Ora, se non vuoi che lo uccida, per favore, aiutaci e ti prometto che tutto finirà bene-
-Scordatelo!- un altro calciò raggiunse la schiena di Foggy, facendole cambiare idea all’istante -Ok, ok. Ti prego, basta. Ti dirò dove si trova Matt-
-No che non puoi, ragazzina. Ti hanno mentito. Adesso, verrai con noi, possibilmente senza costringerti a farti troppo del male, ok?-
Karen si prese un minuto per analizzare la situazione. Non le importava un fico secco che le avessero mentito, non ora per lo meno, anche se sicuramente gliel’avrebbe fatta pagare cara. Guardò ancora una volta Foggy, steso sul pavimento, e poi i ninja. Non aveva nessuna possibilità di scappare, quindi non le restava altra scelta. Annuì e obbedì agli ordini che le vennero dati.

***

Si risvegliò in una piccola stanza. Cercò di sedersi, ma si ritrovò le mani legate dietro la schiena, mentre una catena partiva da esse e arrivava a una delle gambe della bradina su cui l’avevano stesa. Riuscì comunque a sollevare un pochino il busto, in una posizione assolutamente scomoda che, tuttavia, la aiutò a scandagliare meglio ciò che la circondava.
La camera era ancora più piccola di quanto le era sembrata a una prima occhiata, e l’unico arredamento presente era quella specie di lettino. C’era una sola, piccola finestra, troppo in alto per essere raggiunta, e probabilmente non sufficientemente larga da poterci passare attraverso anche se fosse riuscita ad arrivarci. Fuori era buio, perciò erano passate parecchie ore da quando era stata costretta a lasciare l’ufficio e sedata non appena era salita su un furgoncino bianco.
Oddio.
L’ufficio.
Foggy!
Dimenticando per un attimo la catena, cercò di alzarsi di scatto, mentre ricordava all’improvviso che avevano lasciato il suo amico steso a terra, svenuto dopo il trattamento ricevuto per averla difesa. Una fitta di dolore proveniente dai propri polsi e la reazione del metallo la costrinsero in posizione distesa. Iniziò a gridare più forte che poteva per attirare l’attenzione dei ninja o dello stesso Stick, il che sarebbe stato anche meglio, in effetti, dato che era lui a dirigere la baracca. Non dovette continuare a lungo prima di venire accontentata.
Il vecchio entrò nella stanza, il bastone stretto in mano in una presa ben diversa da quella che usava Matt per aiutarsi a navigare. Capì subito che doveva fare molta, molta attenzione a quello che diceva. L’uomo le andrò dritto incontro, e per la prima volta Karen prestò attenzione ai suoi occhi azzurri e glaciali. Erano una delle cose più spaventose che avesse mai visto.
Ovviamente sapeva che i ciechi non erano particolarmente espressivi; non riuscendo a vedere, non avevano bisogno di mettersi a fuoco su qualcosa, e questo era uno dei motivi per cui portavano sempre gli occhiali da sole, per non mettere in imbarazzo gli altri. La prima sera fuori di prigione, quando Matt le aveva parlato di come gli mancassero i tramonti, era riuscita a guardarlo negli occhi per la prima e unica volta (il resto del tempo teneva su gli occhiali, a meno che non fosse solo con Foggy). Aveva gli occhi scuri, marroni, ugualmente offuscati, ma allo stesso tempo dolci ed espressivi. Erano lontanissimi dal ghiaccio che riempiva quelli di Stick. Il vecchio sembrava senza anima. Evidentemente era ben consapevole dell’effetto che riusciva ad avere sulle persone solo con la propria postura: non aveva ancora mosso un muscolo, e già Karen si sentiva pietrificata.
-Che cosa vuoi, ragazzina?- grugnì.
-Dov’è Foggy?- Karen quasi si stupì di aver ritrovato la propria voce -Cosa gli avete fatto?-
-Mi ha sfidato- fu la risposta -Ora ne paga le conseguenze-
E senza un’altra parola, uscì dalla stanza. Un minuto dopo uno dei ninja entrò nella stanza e le chiuse la bocca con un pezzo di nastro isolante.

***

Non ricordava che il soffitto dell’ufficio fosse marrone scuro. Karen doveva averlo dipinto senza dire niente a nessuno, evidentemente. E non aveva nemmeno fatto un gran lavoro, tra l’altro. Il colore era così scuro da risultare opprimente; Foggy aveva l’impressione che se avesse allungato una mano avrebbe potuto quasi toccarl… Un attimo. Poteva davvero toccarlo! E più che cemento sembrava… E da dove erano spuntate quelle colonne?
E poi la sua testa iniziò a pulsare dolorosamente man mano che riprendeva coscienza del mondo attorno a sè e del proprio corpo, dai cui proveniva dolore da punti che nemmeno sapeva di avere. Con un gemito si mise a quattro zampe, mentre insieme al male arrivavano anche i ricordi di quello che era successo.
-Karen!- chiamò, la voce alta e chiara nonostante le sue condizioni. -Karen!-
Quando non ricevette nessun tipo di risposta, cercò di rialzarsi in piedi, un passo alla volta per evitare di svenire o vomitare per i giramenti di testa. Alla fine riuscì a raddrizzarsi, appoggiandosi al tavolo che aveva scambiato per il soffitto per non cadere.
-Karen!- gridò un’ultima volta, pur avendo già la certezza di essere rimasto l’unico essere vivente nel loro studio. A fatica, zoppicando, arrivò fino alla porta, il dolore fisico completamente spazzato via dalla preoccupazione: non aveva la minima idea di dove l’avessero portata, ed era spaventato. La ragazza era completamente ignara delle attività notturne di Matt; Foggy sperava davvero che non la torturassero. Non poteva dar loro informazioni che non aveva!
Maledetto Murdock!
Poi, con la coda dell’occhio, notò qualcosa sulla scrivania. Era un rettangolo nero e dall’aria parecchio vecchia, tuttavia, Foggy lo riconobbe subito: era identico ai registratori che usava Matt durante le lezioni. Aveva smesso di utilizzarsi da anni, tuttavia, sapeva che non era finito lì per caso. Stick l’aveva lasciato per lui. Lo prese in mano e spinse il pulsante che avrebbe avviato la riproduzione.
Quando ebbe finito di sentire il messaggio, era pietrificato.
Come poteva fare qualcosa del genere al suo migliore amico?

***

L’oscurità fuori dalla finestrella si era fatta molto fitta, ora, e Karen era ancora stesa e legata su quella dannata brandina, e per di più lo scotch che le avevano messo sul viso iniziava anche a darle qualche problema di respirazione, colpa principalmente delle lacrime che non era riuscita a trattenere dopo che era stata lasciata sola. Non aveva pianto per sè stessa, quanto per Foggy, e per Matt.
Le avevano mentito entrambi, e probabilmente Matt le aveva mentito fin dal primo giorno in cui si erano incontrati, e probabilmente avrebbe dovuto essere incazzata nera con quei due, ma al momento era solo molto preoccupata per le uniche due persone a cui teneva e che ora si trovavano in pericolo, forse per colpa sua.
Per quel che Stick le aveva detto, Foggy poteva anche essere già morto; il vecchio poteva essere tornato indietro e ucciderlo chissà quante volte da quando l’avevano rinchiusa lì dentro.
E Matt… Dio, per quale cavolo di motivo qualcuno avrebbe dovuto volere Matt anche a costo di minacciare le figure che più vicine a una famiglia per lui?
Quella domanda non voleva saperne di uscirle dalla testa.
C’era qualcosa che le aveva tenuto nascosto, di questo ne era certa, magari qualcosa di cui nemmeno Foggy era a conoscenza. Qual era il suo segreto? E Foggy lo sapeva? Era una domanda difficile a cui rispondere. Quei due erano più che amici, forse anche più che fratelli. La loro amicizia era qualcosa veramente difficile da definire, e il loro legame li aveva quasi distrutti entrambi quando avevano litigato.
Karen era certa che Foggy si fidasse ciecamente di Matt, anche se i sentimenti del cieco erano molto più complicati da interpretare, quindi non aveva dubbi che, qualunque fosse il suo segreto, il biondo lo stesse coprendo, ma aveva idea di cosa stesse succedendo?

L’apertura della porta interruppe il corso dei suoi pensieri. Si voltò a guardare Stick che entrava nella cella. Senza esitare, si avvicinò e lei e le strappò il nastro, sostituendolo immediatamente con la propria mano.
-Grida e te ne pentirai. Capito?- scioccata, e con le labbra in fiamme, le ci volle un attimo prima che le parole arrivassero al cervello -Capito!?- Le urlò contro, e lei annuì immediatamente, sobbalzando spaventata. La mano callosa e grande dell’uomo la lasciò, finalmente, e Karen non riuscì a trattenere qualche singhiozzo, dovuto soprattutto alla tensione accumulata. Le lasciò un paio di minuti, quello che le fu appena sufficiente a ricomporsi, prima di parlare. -Quando sai di Matthew?-
-Cosa… Cosa vuoi da lui?-
-E questo risponde alla mia domanda. Non sai niente-
-Cosa dovrei sapere?- indagò, notando, e non per la prima volta, che Stick sembrava essere in grado di camminare perfettamente senza la guida del bastone… esattamente come faceva spesso Matt nel loro ufficio.
In molte cose, ora che lo guardava bene, lui e Matt erano come fotocopie: il modo in cui tenevano il peso esattamente bilanciato su entrambi i loro piedi, il piegare leggermente la testa di lato, come se stessero ascoltando qualcosa di inudibile al resto del mondo. Una volta aveva chiesto a Foggy come fosse possibile che Matt riuscisse a girare per lo studio senza rompersi l’osso del collo, principalmente perchè il biondo depositava di solito tutto il depositabile sul pavimento. Lui si era limitato a farle un sorriso colpevole, seguito dalla spiegazione che si trattava in parte di fortuna e in parte di esperienza: dopo anni di convivenza, il cieco si era abituato al suo disordine e in qualche modo riusciva a prestare attenzione e a non inciampare.
Karen si era messa a ridere, ma ora si rendeva conto che non stava molto in piedi la cosa.
-Sappi solo che ha infranto un patto, e ora ne pagherà le conseguenze-
-Dov’è Foggy? L’avete ucciso?-
-Peggio- fu la risposta -L’ho spedito all’inferno. Dovrà scegliere tra il suo amichetto… e la ragazza che ama-
-Foggy non mi metterà mai davanti a Matt. E non è innamorato di me, comunque-
-Il suo battito cardiaco racconta un’altra storia. E, tra parentesi, l’ha già fatto-
-Perchè Matt è così importante per te? Foggy può aiutarti allo stesso modo!-
-Non penso proprio-
-E’ un avvocato bravissimo!-
Per la prima volta, Karen vide un’espressione diversa dalla rabbia attraversare il viso dell’uomo. Era puro stupore, come se non riuscisse a credere a quello che aveva appena sentito.
-Pensi davvero che mi serva un avvocato? Che abbia fatto tutto questo per ingaggiare Matt Murdock? Ma così stupida ci sei nata o lo sei diventata a furia di stare con quei due?-
L’ira vibrante nella voce dell’uomo la fece tremare. Per una qualche ragione a lei sconosciuta, quello che aveva detto l’aveva mandato fuori dai gangheri. Gridava così forte ora che uno dei suoi subordinati era entrato a chiedere se avesse bisogno di aiuto. A quel gesto, l’uomo riprese coscienza di sè stesso, e si calmò prendendo lunghi e calmi respiri, prima di lasciare la stanza borbottando qualcosa riguardo alla sua inutilità e ingenuità. Non riuscì a evitare un sospiro di sollievo e incredulità quando la porta si richiuse senza che le venisse fatto del male.

I ninja.
Qualcosa in loro le ricordava Daredevil, per quanto assurdo potesse sembrare. Più che a lui, in realtà, lo ricollegava all’uomo con la maschera, prima del costume rosso, tuttavia, cosa effettivamente li collegasse, non riusciva a dirlo. La sua mente cominciò a lavorare sulla cosa, aggrappandosi a quella debole offerta di pensare ad altro per non dare di matto.
Cercò di ricostruire un’immagine mentale dell’uomo che l’aveva salvata quella notte, per come lo ricordava lei, non quelle dei video a bassa risoluzione che si trovavano su youtube, e la mise accanto a quella dei guerrieri che la tenevano prigioniera, cercando di trovare cosa li accumunasse e, allo stesso tempo, un qualcosa che le dicesse che non avevano niente a che fare l’uno con gli altri.
La risposta arrivò in poco tempo, senza che lei dovesse sforzarsi troppo.
Gli occhi.
O meglio.
La maschera che li copriva completamente.
Finora non ci aveva mai fatto davvero caso, principalmente perchè a lei bastava sapere che Daredevil era dalla loro parte e che non le aveva salvato la vita per sbaglio, ma effettivamente il costume nero copriva interamente la parte superiore del volto e, ripensandoci, non aveva visto buchi per gli occhi o qualcosa che indicasse che attorno ad essi il tessuto fosse più leggero per permettergli di vedere dove colpire.
La divisa dei ninja era fatta esattamente allo stesso modo, con niente che lasciasse intendere come riuscesso a usare gli occhi sotto il travestimento.
Stick era il loro capo, ed era cieco, quindi era logico assumere che lo fossero anche i suoi subordinati, altrimenti probabilmente avrebbero già trovato il modo di sopraffarlo.
Pura coincidenza (o forse no) anche Matt era cieco, per cui, quasi inconsciamente, aggiunse anche la figura dell’avvocato agli altri. In effetti, lui e Daredevil sembravano avere la stessa corporatura.
No. Non esiste.
Non puo’ essere.
Mat NON era Daredevil.
Ma nel frattempo nella sua mente si era aperto un altro cassetto, quello che conteneva i pezzi del puzzle chiamato Matt Michael Murdock, e una vocina nella sua testa le diceva che se Matt fosse stato effettivamente il diavolo di Hell’s Kitchen molti di quei pezzi andavano magicamente a posto senza sforzo; i suoi continui lividi (e le pessime scuse con cui li giustificava), le sue misteriose sparizioni notturne, come aveva scoperto di Wilson Fisk (e perchè aveva insistito così tanto perchè loro tenessero un basso profilo) e da lì ovviamente tutto andava direttamente al famigerato “incidente d’auto”.
Foggy sapeva tutto fin dal principio? E Ben?
Era l’unica all’oscuro di tutto?


PERSONAL SPACE: Sorry per aver abbandonato Matt al suo destino... per sapere cosa avrà combinato Fisk... beh ci rivediamo al capitolo 9!

Vi lascio i testi degli articoli delle convenzioni di Ginevra che ho citato!

**Nessuna tortura fisica o morale nè coercizione alcuna potrà essere esercitata sui prigionieri di guerra per ottenere da essi informazioni di qualsiasi natura. I prigionieri che rifiuteranno di rispondere non potranno essere nè minacciati, nè insultati, nè esposti ad angherie od a svantaggi di qualsiasi natura.

***Le persone che non partecipano direttamente alle ostilità, compresi i membri di forze armate che abbiano deposto le armi e le persone messe fuori combattimento da malattia, ferita, detenzione o qualsiasi altra causa, saranno trattate, in ogni circostanza, con umanità, senza alcuna distinzione di carattere sfavorevole che si riferisca alla razza, al colore, alla religione o alla credenza, al sesso, alla nascita o al censo, o fondata su qualsiasi altro criterio analogo.

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Capitolo 9
*** everyone in life should have a Foggy. ***


PERSONAL SPACE: rieccomi!!! e con questo capitolo tornano anche Matt e Foggy (finalmente!) grazie a tutti quelli che leggono, specialmente a ragdoll_cat che si sforza sempre di riuscire a recensirmi!
Eh, niente, per il marchetta moment vi informo che ho sfornato un'altra one shot legata al college, al natale e alla tenera stupidità di Matt... A family for christmas è qui tutta per voi XD buona lettura!

Chapter 9: Everyone in life should have a Foggy.

-Matt! Claire!-

Foggy?
Aveva pensato che la voce del suo migliore amico avrebbe aiutato Matt a calmarsi.
Non si era mai sbagliata così tanto in vita sua.
Matt ricominciò a dare di matto, blaterando qualcosa che riguardava una stecca che aveva trovato Foggy e Karen e che ora gliel’avrebbe fatta pagare per la sua disobbedienza. A dire il vero, non gli prestò poi molta attenzione: era il delirio di una persona ammalata, e la sua salute era, al momento, la sua unica priorità.
-Matt. Matt. Calmati- la scarica di adrenalina gli aveva però regalato nuova forza, una forza nata dalla disperazione e che Claire non sarebbe riuscita a contrastare molto a lungo. Le sue parole tornarono a essere inutili. Lo lasciò per cercare di raggiungere la porta, sperando che non riuscisse a percepirla dato lo stato dei suoi sensi, ma con un balzo le fu addosso e la buttò a terra, tenendola inchiodata al pavimento con il proprio peso, ma senza, tuttavia, farle del male. L’infermiera capì subito che voleva solo evitare che aprisse la porta. Fece un nuovo tentativo di contrastarlo, ma, anche in quello stato, era troppo forte.
-Ehi! Che succede lì dentro? Fatemi entrare!- Foggy stava gridando e contemporaneamente bussava alla porta.
-Matt! Matt!- continuando a lottare per liberarsi dalla sua presa, cercò nuovamente di attirare la sua attenzione, alzando la voce per sovrastare quella di Foggy, ma finalmente vedeva dei segni di stanchezza nel ragazzo . In qualche modo, riuscì a liberare le mani, e non perse un secondo.
Gli prese il volto e lo costrinse a guardarla dritta negli occhi, solo vagamente consapevole che il gesto era prettamente inutile. Al tatto, la sua pelle era rovente, e questo la preoccupò non poco: la febbre non era più solo un sospetto, adesso. -Matt. Concentrati. Ascolta la mia voce- gli sussurrò, le labbra a pochi millimetri dalle sue.
Urlare, a quanto sembrava, non portava a niente, perciò stava tentando un approccio diverso, che però sembrò funzionare. Smise completamente di muoversi, pur continuando a impedirle di alzarsi, una delle proprie gambe abilmente incastrata tra quelle della donna in modo da farla cadere se per caso fosse riuscita a liberarsi. -Mi stai ascoltando, Matt?- gli chiese nello stesso tono, a voce così bassa che a malapena riusciva a sentirsi. Voleva che si concentrasse su qualcosa.
-Sì- rispose alla fine.
Bene
-Puoi sentire il mio cuore battere?-
Non che gliene importasse molto; era più che altro un test. I battiti del cuore erano facili da sentire per lui, anche in pieno panico.
Una pausa. Matt chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, poi inclinò leggermente la testa di lato, come se si stesse sforzando di origliare una conversazione nell’altra stanza.
-No- disse infine, riaprendo gli occhi, e Claire vide la paura nelle iridi marroni lucide di febbre.
Merda. Sta calma, Claire. Non andare in panico.
-Concentrati- gli disse -So che puoi-

***

No, non ci riusciva, e la cosa lo stava spaventando a morte.
Senza il suo senso radar e i suoi sensi potenziati, non riusciva a capire quante persone c’erano dietro quella porta, e nemmeno se il panico che sentiva provenire dalla voce di Foggy fosse reale o meno, come se essere completamente cieco non fosse già sufficiente.
Più cercava di concentrarsi, più la sua mente lo distraeva, facendogli immaginare i suoi amici prigionieri di Stick, che aveva scoperto la sua fuga forzata ed era tornato a Hell’s Kitchen, li aveva trovati e ora si trovavano in pericolo solo perchè non era stato in grado di sostenere la violenza e qualche omicidio.
La nebbia nella sua testa non lo aiutava a puntare l’attenzione su altro per distrarsi.
E nemmeno la lotta che Claire stava facendo contro di lui per liberarsi.
Non voleva farle del male, era l’ultima cosa che avesse voglia di fare, ma doveva impedirle di aprire quella porta. Finchè tra loro e il suo mentore ci fosse stata almeno quella, erano al sicuro.
Doveva riprendersi, però. E in fretta.
Ora poteva distintamente sentire la voce di Foggy, che aveva raggiunto dei toni quasi isterici, pregarli di lasciarlo entrare, probabilmente obbligato da Stick a comportarsi in quel modo. Si sentiva male alla sola idea, ma non poteva permettersi di mettere Claire in pericolo, non di nuovo. Foggy avrebbe capito.
-Matt. Concentrati- Di nuovo, la voce dell’infermiera era così bassa che compì la magia e scacciò i brutti pensieri per costringerlo ad ascoltarla oltre le urla di Foggy. -Cerca il mio cuore. Forza-
-Perchè?- sussurrò.
Non aveva senso. Con tutto quello che stava succedendo, doveva proprio ascoltarle il cuore? Si sentiva anche molto stanco. Dio, era esausto.
Aveva ufficialmente finito la propria riserva di energie, tanto che quel poco che era rimasto della sua “visione” iniziò a diventare confusa e a creare un vortice su sè stessa, come se ci fosse un vento vorticoso che trascinava con sè le fiamme, spegnendole a poco a poco…. ehi, era cenere quella?
Ormai il fuoco era quasi completamente estinto, avvolto dal buio.
No, per favore. Non ora. Non adesso!
Lottò finchè riuscì, poi svenne, intrappolandola sotto il suo peso morto.

***

-Claire?! Matt! Aprite la porta!- adesso non era più occupata a tranquillizzare Matt, riusciva a sentire chiaramente tutta la preoccupazione nella voce dell’uomo, che stava ancora picchiando i pugni contro la porta.
-Sto bene, Foggy!- gridò per rassicurarlo -Arrivo! Per favore, basta!-
“Sto arrivando” era, a dire il vero, una parola grossa, ma se Foggy avesse continuato così i vicini avrebbero probabilmente chiamato la polizia, e altri guai erano l’ultima cosa che servisse loro in quel momento.
Prese un bel respiro e cercò di riordinare le idee; per prima cosa doveva trovare il modo di riuscire a sfuggire alla presa di Matt senza fargli del male.
Puntò gomiti e mani sul pavimento e cercò di scivolare indietro. Niente da fare. Anche in pieno attacco di panico, era riuscito a essere dannatamente efficace. Se voleva liberarsi, avrebbe dovuto farlo con le cattive.
Scusa, Matt.
Posò entrambe le mani sulle spalle del ragazzo, afferrandole saldamente, e spinse per sollevarlo. Nonostante fosse piuttosto esile, i muscoli si facevano sentire, e non aiutava che fosse privo di sensi. Prima che le venissero a mancare le forze, piegò un ginocchio, e lo usò per fare leva e ribaltare Matt, che atterrò molto poco delicatamente accanto a lei con un gemito di dolore, ma, fortunatamente, senza svegliarsi. Sentì un tuffò al cuore, ma non le aveva lasciato altra scelta, e allo stesso tempo sospirò di sollievo per il fatto che non si fosse ripreso, non sarebbe riuscita a gestire un altro attacco di panico, non in quel momento.
Si mise in piedi mentre cercava di calmarsi.
Sentì di stare tremando, probabilmente per una combinazione di paura e tensione (perchè Matt l’aveva davvero spaventata a morte, questa volta), ma riuscì comunque ad arrivare alla porta e a far entrare Foggy.
Si era aspettata di essere invisibile per lui, che si sarebbe precipitato a prendersi cura di Matt, del resto, loro due si conoscevano a malapena, e quella notte non l’avevano certo dedicata a socializzare; per questo fu sorpresa quando Foggy la avvolse in un abbraccio di quelli che possono solo scaldare il cuore, prima di lasciarla e guardarla attentamente da capo a piedi, per accertarsi che stesse bene.
Le sue attenzioni non la aiutarono certo a calmarsi, anzi, il fatto di avere qualcuno in casa che si preoccupasse per lei sembrò autorizzare il suo corpo a lasciarsi andare di nuovo allo shock.
-Claire?- le chiese stringendola ancora - Stai bene? Sembri… sconvolta-
-Sto… sto bene- rispose dopo un secondo di sorpresa. Finora non aveva ancora degnato il suo migliore amico nemmeno di uno sguardo, troppo occupato a rassicurarla. Matt aveva ragione riguardo a Foggy, era davvero una persona straordinaria, e sembrava non conoscere il significato della parola egoismo, o indifferenza. -O almeno… starò bene- si corresse, cercando di mettere insieme un mezzo sorriso.
-Ti ha fatto del male?- Fece di nuovo un passo indietro e la guardò negli occhi, come per accertarsi che non stesse mentendo per proteggere Matt. Ovviamente, non tutti potevano sentire i battiti cardiaci.
-No… no.- rispose, prendendo un respiro profondo per cercare di impedire alla propria voce di tremare, prima di riprendere e spiegarsi -Quando ha sentito la tua voce ha… ha dato fuori di matto. Mi… mi....- ripensare alla velocità (e alla facilità) con lui l’aveva buttata al suolo le aveva fatto di nuovo perdere la calma. Inspira. Espira. Continuò così per qualche secondo, cercando di smettere di tremare e di non cedere definitivamente al panico. L’esperienza, evidentemente, l’aveva scossa più del previsto. -Mi ha… bloccata a terra… e mormorava qualcosa riguardo a una stecca o un bastone… non lo so…- Si scostò i capelli dal viso con un gesto stanco della mano, sentendosi esausta e svuotata. Respirò di nuovo, calmandosi definitivamente.
-Come sta?- le chiese finalmente, vedendola ora più tranquilla.
-Male- rispose, accogliendo l’offerta di Foggy di concentrarsi sul suo paziente, e questo le fece anche recuperare un po’ del suo solito sangue freddo -Anche se non so dirti esattamente quanto, perchè non è una condizione fisica, non solo fisica, almeno. In più, non riesce a concentrarsi. Sai… sentire il battito cardiaco e cose così…-
-Ha la febbre?-
-Stavo per misurargliela quando sei arrivato, ma penso di sì-
E all’improvviso Foggy, senza dire una parola, aveva cominciato a muoversi: andò alla finestra e la chiuse, assicurandosi che non ci fossero spifferi, poi fece lo stesso con tutte le porte, eccetto quella del bagno, e sotto ognuna di esse mise qualcosa a chiudere i pochi millimetri di spazio tra il legno e il pavimento. Claire seguì ogni sua operazione, attonita, chiedendosi se non fosse diventato completamente matto durante il viaggio da New York.
Al momento poteva occuparsi solo di Matt, non di entrambi.
-Posso chiedert…- cominciò, ma lui la interruppe.
-E’ la febbre- parlava in fretta, separando a malapena le parole una dall’altra -Non l’avevo capito prima, al college pensavo che non riuscisse a gestirla per via dei giramenti, ma adesso penso di sapere il perchè… sai… con la storia dei supersensi e tutto il resto…-
Ok, per essere un avvocato, in quel momento Foggy non era proprio un esempio di eloquenza, e il fiume di parole che gli stava uscendo dalla bocca la stava confondendo non poco, anche se intuiva che quello che cercava di dirle era probabilmente importante.
-Foggy, Foggy, Foggy- lo fermò, afferrandolo per le spalle -Per favore, spiegati-
-Non… sono stato chiaro?-
Sul serio? Ok, poteva gestirlo, in qualche modo. Era solo un bambino troppo cresciuto e spaventato.
-In confronto a te, Matt che parlava di una stecca che picchiava le persone aveva perfettamente senso. Ora, prendi un bel respiro, riordina i file nel tuo cervello e poi parla, ok?-
-Ok. Ok, ho capito. Ma non si riferiva a una stecca. A Stick. Stick è una persona-
Che? Ok, una cosa alla volta. Prima Matt.
-Che cosa stavi dicendo riguardo a febbre e superpoteri?- gli chiese, accantonando momentaneamente la questione di questo Stick
Foggy esitò un secondo prima di rispondere, le mani chiuse a preghiera su naso e bocca come se stesse soppesando la risposta in modo da darle più informazioni possibili.
-Quando Matt si ammalava al college, era orribile. Oltre ai brividi e tutto il resto, di solito riusciva solo a dimenarsi a letto, con le mani schiacciate sulle orecchie, e a volte piangeva, come se foss ein preda a qualche dolore. Era completamente fuori controllo. Mi aveva detto che i giramenti di testa sono peggiori per lui, perchè non può usare cielo e terra per orientarsi visivamente…- Claire annuì e agitò una mano per invitarlo a continuare; conosceva già quella parte -Ho sempre pensato che il dolore venisse da quello… che fossero delle forti emicranie, sai..-
-Sì, continua…- Claire si stava ancora chiedendo dove volesse andare a parare.
-Ma adesso che mi ha spiegato come funzionano i suoi poteri, che so che deve essere perennemente concentrato per evitare di impazzire a causa di tutti i rumori…-
Ma certo! Come cavolo aveva fatto a non pensarci prima?
-Ma per via della febbre non può farlo- lo interruppe, resistendo a stento alla voglia di baciarlo, perchè le aveva appena risolto almeno la metà degli interrogativi che la stavano facendo impazzire, poi aggiunse, facendo un ulteriore collegamento -E se questo Stick lo stava ricattando, probabilmente è anche terrorizzato all’idea che qualcuno ti faccia del male…-
-... o lo faccia a te-
-Dobbiamo abbassargli la temperatura- decise, ignorando la risposta di Foggy e lasciando che il suo lato professionale prendesse il comando di quell’assurda situazione. No. Un attimo.
-Come ci hai trovati? Pensavo avresti chiamato…-
-Sì… ma Matt è disperso da un mese quasi… e quando hai detto collasso emotivo… dovevo venire a prenderlo e riportarlo a casa- l’uomo arrossì e si strinse nelle spalle, un mezzo sorriso timido sul volto -Penserai che sia stupido forse…-
Non riuscì a evitare di sorridere, mentre pensava che tutti nella vita dovessero avere Foggy. Cioè, non davvero lui, ma qualcuno che si prendesse cura di loro così come lui faceva con Matt. A Foggy non importava che fosse cieco o, ancora peggio, che fosse un dannato vigilante abbastanza forte (o pazzo) da cavarsela in ogni situazione (quando non era svenuto in un cassonetto e non si stava dissanguando nel proprio appartamento, ovviamente).
-Non è stupido- lo corresse dolcemente -Anzi… è davvero dolce da parte tua. Ha bisogno di qualcuno come te-
-No. Sa badare a sè stesso-
-Gli serve qualcuno che gli ricordi chi è e lo aiuti a non vendersi l’anima-
-Non sono il suo prete…-
-Sei la sua famiglia- concluse in un tono che suggeriva di non osare replicare -Comunque, non mi hai risposto-
-Beh…- le disse dopo un attimo -Hai detto Boston, vicino all’MIT… e così ho fatto qualche ricerca. Matt mi aveva detto mesi fa che eri partita poco prima che inchiodassimo Fisk, quindi ho cercato tra gli appartamenti affittati a Boston in quel periodo, e ti ho trovata- Detta così sembrava così semplice che si stava chiedendo perchè nessuno l’avesse trovata prima.
-Sono contenta che tu sia qui- gli sorrise, di nuovo, mentre provava la febbre a Matt. Già sapeva che era l’alta, l’aveva sentito quando gli aveva toccato la fronte, ma le serviva un numero -Ha bisogno di te-
-E non solo di me. E non solo perchè è ammalato e gli serve un’infermiera-
No, no, no.
Non adesso.
Claire estrasse il termometro e imprecò sottovoce quando riuscì a leggerlo.
Sapeva che era alta, ma non aveva pensato così tanto, addirittura sopra i 40. Se non altro, era un’ottima scusa per evitare di rispondere a Foggy.
-Fammi un favore- gli disse, tornando a essere un’infermiera in piena operatività. Doveva esserlo. Non aveva intenzione di avere quella conversazione con Foggy. Già sapeva quanto fosse importante per Matt, ne era stata consapevole fin dal giorno in cui gli ha detto che sarebbe partita,  nel suo appartamento. Non era riuscita a togliersi dalla testa la tristezza che aveva visto in quegli occhi ciechi ma tremendamente espressivi, e il suo vano tentativo di nasconderla dietro un sorriso timido, e il fatto che bastasse la sua voce o un suo tocco a calmarlo erano un’ulteriore conferma di cui non aveva bisogno, non se voleva evitare di rivedere la sua decisione. -Non possiamo aspettare che le medicine facciano effetto; a dire il vero, non gli ho ancora dato niente- e non c’era bisogno di spiegare perchè, la faccia esasperata di Foggy diceva già tutto -Ma se le cose stanno così come hai detto, dobbiamo far scendere la febbre nel più breve tempo possibile. Credimi, non vuoi assistere a un suo attacco di panico. Vai in bagno e aprì l’acqua fredda. Inizia a riempire la vasca. Torno subito-
-Dove vai?-
-Alla macchina del ghiaccio che abbiamo nel seminterrato - replicò lei chiudendosi la porta alle spalle.

***

La prima cosa che fece Foggy una volta rimasto solo fu obbedire agli ordini. La seconda fu di chiamare Stick.
-Sei con lui?- gli chiese il vecchio, con il suo solito tono freddo.
-Ovvio- rispose, anche se avrebbe voluto davvero essere in grado di mentirgli, di dirgli che era stato un buco nell’acqua e che di Matt non aveva trovato traccia, ma era troppo preoccupato per Karen per osare fare qualcosa di simile. Dopotutto, Matt era qui con loro, al sicuro, mentre la ragazza era da sola nelle mani di quel tizio e della sua banda di ninja scatenati.
-Riportalo indietro-
-Non se ne parla- da qualche parte, riuscì a tirare fuori il fegato di fare da scudo a Matt -E’ ammalato. Deve riposare e rimettersi in sesto-
-Cazzate. Può farcela benissimo-
Non aveva nemmeno chiesto se fosse grave, o cosa avesse o, ancora, se fosse in grado di muoversi, e Foggy iniziava a chiedersi se Stick fosse davvero umano, o se fosse nato senz’anima. Era la persona che l’aveva addestrato da piccolo, e che aveva passato con lui l’ultimo mese. Com’era possibile che non gli fregasse niente del proprio allievo?
-No- Foggy non aveva intenzione di lasciargliela vinta. Anche se era stato costretto a tradirlo, a introdursi in casa di Claire con l’inganno, Matt era ancora il suo migliore amico, un membro della sua famiglia, e Foggy avrebbe preferito farsi uccidere piuttosto che cacciarlo nei guai. Avrebbe ceduto se l’avesse trovato in salute, ma non in quello stato.
Dannazione, non era nemmeno scappato di sua spontanea volontà, era collassato in una dannatissima chiesa! -Lo riporterò a casa, ma solo quando riuscirà a stare in piedi-
Foggy sentì in quel momento l’uscio aprirsi e si affrettò ad attaccare il telefono, ignorando le maledizioni e le minacce di Stick. Non gli interessava, e comunque non sapeva dove fossero. Si concentrò completamente sul suo migliore amico. Quando la donna mise piede in casa, un minuto dopo, trascinando un secchio enorme pieno di ghiaccio, lo trovò accucciato a terra, con una mano sulla sua spalla e l’altra che teneva ferma sulla sua fronte la maglia nera inzuppata d’acqua. Non avrebbe mai voluto usarla, la sua sola vista gli ricordava ancora l’orrore di quella notte, e quello che ne era seguito, ma era l’unica cosa che aveva trovato, e non voleva frugare tra le sue cose in cerca di alternative.
Insieme, sollevarono il secchio e lo vuotarono nella vasca prima di spogliarlo (non del tutto, gli lasciarono i boxer) e prenderlo per spalle e piedi e infilarlo direttamente nel bagno gelato.
L’acqua fredda fece tornare Matt nel mondo dei vivi con un grido di puro terrore, uno di quelli che nessuno dei due avrebbe mai più voluto sentire, non da Matt, per lo meno. Il ragazzo iniziò ad agitarsi convulsamente, cercando di uscire dalla vasca come se fosse caduto in un acquario di piranha. Uno per lato, lui e Claire gli presero le mani, sperando che li riconoscesse e non cercasse di ucciderli.
-Matt- sussurrò Foggy, memore di quanto gli davano fastidio i rumori in università, mentre cercava disperatamente di tenergli la testa fuori dall’acqua. -Siamo noi-
-Hai la febbre alta e dobbiamo abbassarla. Ti prego, tieni duro. Solo per un pochino- lo pregò Claire, accarezzandogli il braccio e la fronte per cercare di calmarlo.
Foggy non aveva idea di quale superpotere avesse Claire nelle mani o nella voce, ma non appena intervenne, Matt smise di fare qualunque cosa stesse cercando di fare (non era ben chiaro se stesse cercando di uscire dall’acqua o ucciderli, o entrambe le cose contemporaneamente) e si immobilizzò, la testa inclinata verso la donna, come se cercasse di ascoltarne ogni singola cellula. Claire intravide la finestra di lucidità e immediatamente gli prese la mano, continuando a parlargli finchè non tornò pienamente cosciente, o quasi.
Finalmente, dopo pochi interminabili minuti, vide Matt riprendere il controllo del proprio corpo, obbligarsi a rimanere fermo nonostante il freddo o qualunque cosa gli stesse passando per la testa in quel momento. Fece dei respiri profondi, e chiuse gli occhi. Solo allora Foggy si azzardò a lasciarla sola con lui per andare a recuperare degli asciugamani.
-Matt? Riesci a sentire il mio cuore?- gli stava chiedendo quando tornò.
-A malapena- la risposta non era che un sussurro -E’ difficile… concentrarsi-
-Appena sei pronto ti tiriamo fuori da qui, ok?-
Alla fine non ci volle molto. Non appena il ghiaccio sparì completamente, lo aiutarono ad uscire, e Foggy lo avvolse subito nei panni asciutti, abbracciandolo forte e strofinandogli la schiena per scaldarlo. Era tutto un tremore.

***

C’era qualcosa che non andava in Foggy.
Matt non ricordava esattamente cosa fosse successo dal momento in cui aveva sentito la sua voce fuori dalla porta fino a quando si era ritrovato in un bagno di acqua e ghiaccio, ma Claire gli aveva detto che aveva avuto una sorta di attacco di panico prima di svenire. A quanto gli aveva detto, era terrorizzato all’idea che Stick li rapisse e facesse loro del male.
Alla fine, era stato tutto nella sua mente. Claire aveva chiamato Foggy e lui aveva fatto tutto il possibile per raggiungerli più in fretta che poteva, e Matt le credette senza nemmeno ascoltare il battito cardiaco. Finora non gli aveva mai mentito, e, per di più, aveva ancora qualche problemino a concentrarsi nonostante la febbre di fosse abbassava.
Dopo il bagno forzato, era riuscito a dormire un paio d’ore, e adesso si sentiva meglio, nonostante Foggy e Claire non volessero che si alzasse. Tuttavia, non potevano impedirgli di pensare.
-Vado a riposare, Matt- la voce di Claire gli arrivò da vicino all’orecchio destro, bassa, per non urtare il suo udito ipersensibile, la mano che prendeva la sua e la stringeva dolcemente. Anche attraverso l’ormai familiare annebbiamento, riusciva a sentire quanto fosse esausta, e si sentì in colpa per averla ridotta in quello stato. Se ne era andata da New York proprio per non restare di nuovo immischiata nei suoi drammi, e invece l’aveva di nuovo trascinata nel vortice. -questa notte ci pensa Foggy a te. Chiamami se però ti serve aiuto, ok?-
-Claire?-
-No dirlo. Non di…-
-Mi dispiace- Non poteva non dirglielo.
In risposta, sentì le sue labbra appoggiarsi delicatamente sulla sua fronte, così come il suo sorriso e, Dio, quanto avrebbe voluto stringerla a sè e baciarla, lasciarsi tutto il resto alle spalle: Daredevil, Stick e qualunque altra cosa minacciasse di allontanarli, ma quello che fece fu stringerle a sua volta la mano, respingendo la tentazione di attirarla contro il suo petto.
Si costrinse a fermarsi e lasciarla andare.
-Buona notte- le rispose, restituendole il sorriso, quasi certo che non avesse visto niente della sua lotta interiore.
-Riposa- gli raccomandò -Sei al sicuro e Foggy è qui con te-
-Ci proverò-
-No! Provare no! Fare o non fare. Non c’è provare!-
Matt rise, riconoscendo la citazione, poi le lasciò le mani e appoggiò la testa al cuscino sul divano.
Gli aveva proposto di lasciargli il letto, ma aveva rifiutato. Non ce n’era bisogno. Era al sicuro, e con lui c’erano le persone a cui teneva. Era tutto più che sufficiente per farlo dormire bene.
Ma doveva comunque parlare con Foggy.
Più riprendeva contatto con la realtà e riprendeva possesso di tutte le sue facoltà, compresa la capacità di tenere a bada le proprie emozioni, più riconosceva tutti i segnali di tensione provenienti dal suo migliore amico.
Matt non l’aveva più visto così nervoso dal loro primo giorno alla Landman & Zack, e non gli servivano certo i supersensi per capirlo, aver condiviso con lui gli anni dell’università era stato più che abbastanza.
Tuttavia, non era quello a preoccuparlo: tra loro due, era sempre stato il biondo a essere quello nervoso e l’intera situazione in cui si era trovato, con Claire che lo aveva chiamato dopo un mese di latitanza, l’attacco di panico e tutto il resto, non si stupiva che fosse sconvolto.
Ma non c’era solo quello. Poteva percepire che c’era qualcos’altro, di più profondo. Matt cercò di concentrarsi ed espandere i propri sensi per raggiungere il proprio amico, ma l’immediata vertigine che ne seguì gli suggerirono che se avesse voluto sapere qualcosa di più, avrebbe dovuto ricorrere alle maniere classiche. Niente scorciatoie, questa volta.

***

Foggy era in agonia.
Eppure, agonia non era la parola adatta a descrivere la sua attuale condizione e, al momento, considerava la febbre di Matt una vera e propria benedizione, anche se lo rendeva incapace di fare praticamente qualunque cosa. Ringraziava il cielo però che non potesse ascoltargli il cuore, altrimenti sarebbe già stato scoperto.
Non vedeva l’ora che Matt si addormentasse, aveva bisogno di rimanere solo, e forse anche di piangere.
Sentiva come se avesse un macigno sul petto che gli rendeva impossibile respirare. Sentiva un dolore quasi fisico, come se la pietra stesse spingendo un ago dritto nel suo cuore. Non aveva idea di come gestire la cosa.
Il messaggio che Stick gli aveva lasciato l’aveva obbligato a scegliere tra Karen e Matt e anche se sapeva di aver fatto la cosa giusta e che Matt non gliene avrebbe mai fatto una colpa, non riusciva a trovare il coraggio di pargliargliene, principalmente perchè sapeva che sarebbe voluto tornare subito a New York e, ora come ora, sarebbe stata la sua condanna a morte.
All’improvviso, non riuscì più a contenersi, non gli importava più se Matt dormisse o meno; scoppiò a piangere, senza alcuna possibilità di controllarsi e smettere.
-Foggy?-

***

Foggy non sapeva niente del segreto di Matt. Non all’inizio, al meno. Non quando l’aveva salvata dai killer mandati dalla Union Allied.
La rivelazione la colpì mentre stava cercando di mangiare qualcosa con l’unico braccio che avevano accettato di lasciarle libero. Sfortunatamente, era il sinistro, e non era semplice riuscire a nutrirsi con una sola mano quando non poteva nemmeno sedersi.
La sorpresa le fece cadere il cucchiaio, il cibo all’improvviso dimenticato nel piatto.
Un altro pezzo del puzzle che andava al proprio posto.
Foggy aveva scoperto che Matt e il Diavolo di Hell’s Kitchen erano la stessa persona la notte dell’”incidente d’auto”. Probabilmente era stato proprio Foggy a trovarlo da qualche parte, così conciato malamente che le era quasi preso un colpo quando era andata a trovarlo qualche giorno dopo l’accaduto, e a scoprirne la vera identità.
Ecco perchè non si erano più parlati. Ecco perchè Matt era convinto che la lite fosse stata totalmente colpa sua, e che Foggy non avesse avuto alcuna colpa.
Per una qualche ragione, Karen aveva sempre pensato che fosse stata colpa sua, che Foggy avesse scoperto la sua cotta per il suo collega e che Matt, segretamente, ricambiasse la cosa. Tutto questo non perchè fosse così narcisista da credersi al centro del mondo, ma semplicemnete perchè entrambi le avevano a malapena rivolto la parola da quel giorno.
Aveva pensato, stupidamente, che solo un grave problema con una donna avrebbe potuto dividerli, ma ora che ci pensava sopra, anche un cieco che correva per la città e massacrava criminali, evidentemente grazie a qualche tipo di superpotere, poteva essere una valida ragione.
Ma non era quella la cosa importante, ora.
Li avrebbe presi entrambi a calci in culo, ovviamente, ma ora voleva solo sapere se quei due stavano bene.




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Capitolo 10
*** Foggy Nelson, avocado at law. ***


A/N: ok, sono ufficialmente la peggior persona del mondo. Avevo finito di tradurre questo capitolo ere fa... e mi sono completamente dimenticata di postarlo *chiede perdono in ginocchio*
Anyway... la faccio brevissima... grazie a tutti voi che state leggendo questa storia, in particolare alla mia fedelissima Regdoll_cat che lascia sempre un commentino... grazie mille!!


Chapter 11: Foggy Nelson, avocado at law.

Una volta presa la decisione di ripartire al più presto possibile, si erano ritrovati in breve tempo sull’auto di Claire, diretti verso New York.
Nessuno di loro aveva dei bagagli, nemmeno Claire, anche se aveva con sè una borsa di medicine e un termometro. Il piano prevedeva che lei tornasse a Boston subito dopo essere tornati da Stick, per questo non aveva bagagli con sè; tuttavia, era più che altro una scena a favore di Matt. Non aveva alcuna intenzione di allontanarsi di nuovo dalla Grande Mela. Probabilmente, il cieco aveva capito che in qualche modo lo aveva raggirato per farlo stare buono, ma con la febbre era difficile dire fino a che punto, ma ora se ne stava sdraiato tranquillo e addormentato sul sedile posteriore con un cuscino di ghiaccio sulla testa, e questo era l’importante.
Foggy era stato contento di vederlo addormentarsi, alla fine. Sarebbe stato un lunghisssimo viaggio, e aveva avuto modo di testare con mano quanto duro potesse diventare Stick, ed era certo che Matt avrebbe avuto bisogno di tutta la forza che avrebbe potuto mettere insieme per sopravvivere alla rabbia del suo mentore.
-Dorme?- gli chiese Claire, impegnata nella guida.
-Sì- Foggy stava cercando di mantenere la propria voce più bassa possibile per non disturbarlo, ma avrebbe davvero voluto gridare fino a non avere più voce o prendere a pugni… qualunque cosa per sfogare la sua frustrazione e sentirsi (forse) un po’ meglio. Era nervoso e quando era nervoso di solito lo esternava diventando talmente rumoroso da diventare insopportabile. Ora, invece, l’unico sfogo che aveva era quello di battere ripetutamente il tallone sul fondo dell’auto.
Era così che si sentiva Matt di solito? Non potè fare a meno di chiedersi. Vedeva, o meglio, sentiva gli innocenti in pericolo e veniva preso dall’impulso di agire? Sentiva che, se avesse avuto anche solo un quarto dell’abilità di Matt avrebbe preso a calci quel vecchio cieco senza pensarci due volte. Al tacco unì anche un quasi-istintivo aprire e chiudere della mano destra a pugno. Decisamente, ora capiva, o pensava di capire, perchè il suo amico si metteva quella maschera ogni notte.
-Stai bene?- Foggy non rispose immediatamente alla domanda, era sull’orlo di esplodere e si morse le labbra per obbligarsi a restare in silenzio. Non era un buon momento per chiedergli se stesse bene. Sussultò quando la mano di Claire sfiorò la sua in un gesto di comprensione. Si voltò a guardarla con un sorriso triste in volto, la rabbia scomparsa e sostituita dalla preoccupazione e dalla rassegnazione: non era Matt, non aveva le sue capacità e non poteva fare un dannato niente per aiutarlo. -Lo so- gli sussurrò -Sono spaventata anche io-
-Lo sai che non può sopravvivere, vero?- riuscì a bisbigliare, entrambe le sue mani ora serrate in pugni strettissimi. Chiuse anche gli occhi, con forza, lottando per non piangere.
-E’ forte, Foggy- la mano si spostò lungo tutto il suo braccio, fino ad arrivare alla spalla -So che non è in piena forma, ma è forte-
-Non mi preoccupo per il suo corpo. Stick lo obbligherà a uccidere qualcuno come punizione, e userà la forza… o noi, per costringerlo a obbedire.-
-Non puoi saperlo…- A Foggy non servivano i superpoteri di Matt per spaere che mentiva o che comunque non credeva a quello che stava dicendo, non davvero almeno. -Forse si limiterà a massacrarlo di botte…-
-... fino a ucciderlo. Non è che sia un’alternativa migliore.- suonò più duro di quanto volesse, e realizzò che avrebbe preferito che Matt uccidesse qualcuno piuttosto che perdere il suo migliore amico per sempre. Con un gesto rabbioso si asciugò le lacrime, sforzandosi di non singhiozzare apertamente. Non che dopo la notte in cui aveva trovato Matt avesse altra dignità da perdere di fronte a Claire, ma perchè sapeva che lui avrebbe sentito.
All’improvviso, Claire fermò l’auto e aprì la portiera, scendendo. Fece il giro attorno al veicolo e aprì anche quella del passeggero, in un chiaro, invito a uscire accompagnato da un gesto deciso della mano. Obbedì, non osando esitare di fronte alla risolutezza della ragazza, che di nuovo aveva preso in mano la situazione. Esattamente come quella sera. Sapeva cosa stava per arrivare. L’avrebbe, forse metaforicamente o forse no, preso a schiaffi fino a quando non fosse tornato in sè. Prima di occuparsi di lui, però, si preoccupò di chiudere bene le portiere e i finestrini, in modo che Matt non prendesse freddo.
-Foggy- lo pregò invece prendendolo per le mani (e di sorpresa) -Ti prego, sii forte. Piangi adesso se devi, ma Matt ha bisogno di noi. Ha bisogno di te, adesso più che mai-
-Non… non posso farlo, Claire. Io… è… è lui quello forte, lo è sempre stato. Io sono solo quello che… che fa ridere-
-Lo so, Foggy. Credimi, lo so. Ma so anche quanto tu sia importante per lui. Non ce la farà se tu non sarai lì a dargli la forza di cui ha bisogno. E’ stato con lui solo un mese, e hai visto i risultati e, credimi, hai saltato la parte peggiore. Quindi, ti prego, ti scongiuro. Fai qualunque cosa ti aiuti a calmarti, poi sii Daredevil per Matt-
E questo lo uccise, quasi letteramente, perchè lui non era quel tipo di persona.
Le strinse forte le mani, cercando disperatamente qualcosa da dire per convincerla che gli stava chiedendo l’impossibile. Non era forte e di certo non era senza paura. Non era riuscito a tenere Karen al sicuro e adesso stava portando il suo migliore amico dritto nelle mani di un uomo che lo avrebbe distrutto fin nel profondo dell’anima, che avrebbe ucciso l’angelo all’interno di Matt liberando completamente il Diavolo, e non poteva fare niente per impedirlo. -Foggy- insistette Claire quando fu chiaro che non le avrebbe risposto -Puoi farcela. Devi tentare, almeno. Per Matt ne vale la pena-
Aveva ragione. Matt aveva fatto così tanto per lui fin dal giorno in cui si erano incontrati. Aveva fatto di lui l’uomo che era diventato, spronandolo a credere in sè stesso quando pensava di essere troppo stupido per andare avanti. Gli aveva fatto capire che se Matt era quello dei discorsi che avrebbero convinto la giuria che il sole fosse verde, Foggy era quello con l’occhio per i dettagli e le sfumature, e che la cosa non era assolutamente meno importante. Gli aveva insegnato che una buona difesa si costruisce proprio sulle minuzie e che se anche era vero che la sua madre biologica gli aveva pagato l’università, la laurea con lode era solo ed esclusivamente frutto del suo lavoro e che aveva esattamente lo stesso valore della sua conquistata grazie alla borsa di studio. Oltre a questo, Matt era (quasi) sempre stato un amico sincero, l’unico che in tutto quel tempo non l’aveva (quasi) mai deluso, e quando l’aveva fatto, Foggy ci aveva messo poco a sbollire la rabbia e a capirne le motivazioni. Quel giorno si era rifiutato di ascoltare, e aveva commesso un errore. Non ne avrebbe commesso un altro sbaglio. Mai più. Annuì.
-Mi dispiace, Clare- si scusò, riacquistando il controllo -Grazie-
La ragazza sorride e gli diede un paio di pacche delicate sulla guancia, e Foggy capì perchè Matt si era innamorato di lei; era forte e risoluta, ma allo stesso tempo molto dolce, senza contare il fatto che fosse anche bellissima. Un po’ gli ricordava quella ragazza greca che aveva rubato il cuore di Matt al college, Elektra, ma, mentre all’epoca tutto in quella giovane donna gli gridava che era portatrice di guai, Claire sembrava, per il momento, pura luce, come se fosse l’altra faccia della medaglia.
-Stai meglio?- gli chiese sottovoce.
-Me la caverò. Andiamo ora.- riuscì a sorriderle -Matt darà di matto se si sveglia e scopre che ci siamo fermati-
-Ci fermeremo comunque- gli rispose lei -Dovremo tutti mangiare qualcosa, incluso Matt-

Gli ci vollero ben 5 ore per percorrere i 340 kilometri che separavano Boston da Hell’s Kitchen, una e mezzo in più di quanto indicato dal navigatore installato sullo smartphone di Foggy, ma i due avevano approfittato di ogni stazione di servizio per fermarsi e guadagnare un po’ di tempo per Matt. Preso il cuscino di ghiaccio sintetico aveva raggiunto la temperatura ambiente, riscaldato dalla mancanza di una fonte refrigerante e dal calore della fronte del loro amico, quindi l’avevano rimpiazzato con una t-shirt che Claire si era comprata durante una delle loro soste. Ovviamente, questo aveva implicato ulteriori, brevissime, fermate aggiuntive in modo da mantenerla fresca.
Matt aveva dormito quasi tutto il tempo, svegliandosi praticamente solo per mangiare e bere. Ovviamente, aveva detto loro di non fermarsi solo per colpa sua, e ovviamente loro si erano limitati a ignorarlo (Beh, non esattamente, Claire si era più o meno imposta dichiarando che se non fosse stato alle sue condizioni lo avrebbe portato dritto in ospedale, e Foggy le aveva dato man forte, sostenendo che sarebbe riuscito a far dichiarare Matt temporaneamente incapace di intendere e di volere in conseguenza al trauma emotivo successivo alla scomparsa da New York).
-Dove vado?- Chiese la ragazza al biondo nel momento esatto in cui entrò nel quartiere.
-Ca… casa mia- A risponderle fu un Matt ancora mezzo addormentato, mentre si metteva seduto -Devo… cambiarmi i vestiti e dobbiamo… lasciare Claire-
-Non esiste, Matt! Vengo…-
-Questa volta ha ragione, Claire. Non possiamo metterti in pericolo, senza contare che avremo bisogno di te-
E il sospiro dell’infermiera gli disse che avevano vinto almeno questa battaglia. Guidò fino all’appartamento di Matt, dove gli lasciarono il tempo di farsi una lunga doccia.
Mentre lo aspettavano, Foggy la strinse a sè ancora una volta.
-Grazie ancora, Claire. Per tutto-
-Tienilo d’occhio, per favore. E se vi dovesse servire aiuto, trova un modo per chiamarmi, ok?-
-Lo farò. Tu resta fuori dai guai, ok?-
-Era proprio per questo che mi ero trasferita- sospirò la ragazza, ma il tono con cui lo disse e il sorriso sulle sue labbra gli dissero che, a conti fatti, un po’ avere Matt tra i piedi un po’ le era mancato.

***

Non voleva separarsi da loro, non così. Si sentiva come se li stesse mandando allo sbaraglio, come se li avesse accompagnati fino a qui per poi tirarsi indietro. Non era così, ovviamente, erano stati i due ragazzi a imporsi e a convincerla che il suo viaggio sarebbe finito lì, in quell’appartamento. A dire il vero, non erano assolutamente riusciti a convincerla, aveva solo rinunciato a lottare, perchè se già sarebbe stato difficile lottare contro due persone, lottare contro due avvocati era praticamente una lotta persa in partenza. Voleva davvero andare con loro e restare vicino a Matt, per assicurarsi che prendesse le medicine e che ci fosse qualcuno (ok, lei) in grado di occuparsi delle sue ferite.
Smettila di mentire a te stessa. La sua voce interiore tornò a farle visita. Vuoi restare con lui perchè provi qualcosa per lui!
Zittì la suddetta voce nell’istante in cui Matt uscì dalla sua camera da letto. Indossava di nuovo il costume nero, e se non fosse stata distratta da quanto pallido risultasse il ragazzo a contrasto con la stoffa scura, non avrebbe mancato di notare come, pur nella sua completa inutilità in fatto di protezione, sottolineasse perfettamente le sue forme perfette.
-Ti ho preparato il letto, e ti ho lasciato dei soldi e la mia carta di credito, così puoi comprare ciò di cui hai bisogno- le disse con quel suo solito ghigno adorabile e irritante allo stesso tempo stampato sulla faccia mentre lo abbracciava. Ok, questo era un bel segno, se non altro per la salute. A quanto sembrava, era abbastanza in forze da aver capito che mentiva. O magari ti conosce così bene che sa che non lo abbandoneresti mai in queste condizioni. Le suggerì la solita vocina. Il dubbio che decisamente non le serviva al momento. Ricambio l’abbraccio e sentì che stringeva di più la presa sulla sua vita, la sua testa appoggiata su quella della ragazza. Per un attimo si concesse si rilassarsi, appoggiando la propria guancia al suo petto e rilassandosi tra le sue braccia, ascoltando il suo cuore battere forte e sicuro. Notò a malapena che Foggy stava uscendo dalla casa, lasciandoli soli.
Non sapeva per quanto tempo rimasero così, in piedi in mezzo all’appartamento, stretti l’uno all’altra senza che nessuno dei due facesse un singolo gesto per staccarsi -Grazie, Claire- sussurrò contro i suoi capelli.
-Promettimi che non ti farai uccidere, Matt-
-Ci proverò, te lo prometto-

***

E questa volta voleva mantenere la promessa con tutto il suo cuore. Sapeva che con Claire le cose non sarebbero mai decollate, e che la colpa era stata principalmente sua, ma non sarebbe morto. Non l’avrebbe fatta soffrire.
-Sarò qui per te, ok? Dovrai solo chiamarmi-
Le braccia della ragazza erano gentili, forti e calde allo stesso tempo, e sentì di non essere pronto a lasciarla andare, ma doveva pensare anche a Karen e più passava il tempo, più aumentavano le probabilità che Stick perdesse la pazienza, quindi, a malincuore, si staccò da quell’abbraccio confortante.
-Puoi restare quanto vuoi- le disse. Non si era bevuto nemmeno per un secondo la sua promessa di tornare a Boston, anche se non ne aveva potuto ascoltare il battito cardiaco -Ma sarei comunque più tranquillo se tornassi a Boston-

***

Le sue parole le fecero prendere la più pazza (e molto probabilmente anche pessima) decisione della sua vita. Aprì la bocca nel momento in cui la pensò, senza lasciare al cervello il tempo di processare e fare intervenire il suo buon senso.
-Io non ti lascio, Matt. Appena puoi, ti compri un telefono e mi dici dove sei, e io ti raggiungerò. Ovunque andrete, io vi seguirò. Sono stata chiara?-
-E’ troppo peric…-
-Taci, Cornetto. Ti conviene obbedire, o giuro che mi offro a Stick come ostaggio-
Ok, forse questa era la peggiore decisione che avesse mai preso in vita sua.

***

Matt non le stava ascoltando il cuore per assicurarsi che fosse sincera, ma per memorizzarne il ritmo e i battiti, in modo da poterli suonare nella sua testa e rassicurarsi, tuttavia, le rivelò anche che non stava mentendo. Era davvero convinta di quello che gli aveva appena detto.
Sospirò e la sentì sorridere mentre l’abbracciava di nuovo. Sapeva di aver appena vinto quella battaglia.
-Non ti metterò in pericolo- rispose e il suo battito cambiò immediatamente, spingendolo a negoziare prima che se ne uscisse con qualche idea ancora più folle -Ti farò sapere se sto bene, ma non ti voglio in prima linea. So già che non potrò fermare Foggy, e probabilmente non voglio nemmeno farlo… ma tu…-
-Matt, ti supplico… Non mi importa cosa dovrai fare, ma non tagliarmi fuori, ti prego-

***

Dio solo sapeva quanto avrebbe voluto baciarla in quel momento. Invece si costrinse a sciogliersi dall’abbraccio.
-Devo… andare-
Sentì l’aria attorno a lei muoversi mentre annuiva e poi di nuovo, più in basso, mentre gli prendeva la mano e vi appoggiava qualcosa. Chiuse il pugno e sentì la forma familiare di un blister di medicine.
-Prendile- gli ordinò in un tono che non ammetteva replica, e il suo tono di voce lo fece ridere. Era buffo: una ragazza gracile e innocente che dava ordini al Diavolo di Hell’s Kitchen. Lo colpì piano, ridendo a sua volta, ma lui non le rispose. Le medicine e il mondo in fiamme non erano esattamente migliori amici e solitamente sceglievano la sua testa per fare a botte. -Matt- lo richiamò all’ordine, finito il momento di gioco -dico sul serio-
-Lo so, Claire. Le prenderò quando Stick mi lascerà riposare, ok?-
Dal tono del suo sospiro non era affatto ok, ma alla fine annuì.
-E’ comunque meglio di un no, immagino-
Matt capiva davvero come si sentisse Claire in quel momento. Si era sempre sentito allo stesso modo le volte che Foggy si era ammalato al college, e lui non aveva potuto fare niente per aiutarlo per non tradirsi, ma non poteva permettersi di assumere medicinali prima di andare in missione, ma riconosceva anche che aveva ragione, doveva combattere la febbre in qualche modo, perciò avrebbe dovuto rischiare. Sperava solo che prendendole prima di dormire avrebbe aiutato a non sviluppare gli effetti collaterali.
Sorrise di nuovo, tirando fuori i migliori occhi da cucciolo che aveva nel repertorio e che sapeva l’avrebbero fatta sorridere, poi si diresse verso la porta.
Foggy lo aspettava sul marciapiede, e da quello che gli dicevano i suoi sensi era sul punto di uscirsene con una delle sue battute…
-Niente sesso da arrivederci?-
Appunto. Matt non era dell’umore in quel momento, stava già abbastanza male all’idea di non averla baciata prima andarsene.
-Sta zitto- cercò di scherzare -E fai strada-
Ovviamente Foggy capì tutto e gli diede un’amichevole pacca sulla spalla.

***

Karen si svegliò di soprassalto quando sentì le voci di Matt e Foggy. Non sapeva con esattezza quanto tempo fosse passato da quando aveva sentito, per pochi secondi, la voce del biondo al telefono (ed erano stati decisamente i migliori istanti vissuti da quando era finita in quella situazione, dannati Nelson & Murdock), ma da allora le avevano concesso di andare in bagno e avevano addirittura rinunciato a legarla di nuovo al letto, il che, se non altro, le aveva permesso di alzarsi ogni tanto e dormire e mangiare decentemente.
Non  che avesse potuto fare molto altro che restare stesa a letto, comunque; la cella era minuscola e in letteralmente tre passi l’aveva percorsa in tutta la sua lunghezza.
Le voci l’avevano svegliata, ma ora non sentitva altro.
Te lo sei sognato, Karen. Si disse e tornò ad appoggiare la testa al cuscino per cercare di tornare a dormire, ma l’adrenalina che le era pompata in corpo le impedì di andare oltre un leggero e teso stato di dormiveglia, di quelli che più che riposare, stancano. Poi lo sentì di nuovo, e questa volta era decisamente sveglia.
-Stick, sono qui. Lascia andare Foggy e Karen-
Matt. No.
Ma non fu la presenza di Matt a spaventarla a morte, era stata personalmente testimone delle sue capacità di combattente, ed era sicura che sarebbe riuscito a contrastare i ninja di questo Stick, in qualche modo. No, fu il suono seguente che le fece letteralmente gelare il sangue nelle vene: il rumore di qualcosa che veniva fatto impattare contro una finestra, frantumandola. E poi arrivò il grido di Foggy, terrorizzato e straziante.

***

Dio benedica i cassonetti e chiunque li abbia inventati.
Matt non era mai stato così felice di ritrovarsi con la bocca e il naso pieni della puzza della spazzatura che aveva appena attenuato la sua caduta dal secondo piano di quel dannato edificio. Come se ne avesse avuto bisogno, ora era assolutamente certo che ai suoi sensi serviva qualche ora per smaltire gli effetti del paracetamolo. Parecchie ore, se doveva essere sincero.
Aveva avvertito lo scatto di Stick, ovviamente, ma non aveva assolutamente avuto modo di capire che cosa stesse facendo fino a quando non lo aveva colpito in pieno petto. Un secondo dopo, la sua schiena si era schiantata contro una finestra, infrangendo i vetri e i decrepiti serramenti in legno.
L’avvocato aveva appena avuto il tempo di sentire il grido di Foggy e gridare a propria volta di sorpresa prima del brusco atterraggio. Stick l’aveva letteralmente lanciato fuori dall’edificio.
E se questo era il prologo della sua punizione, probabilmente era davvero arrivato a vivere il suo ultimo giorno su questa terra.
Avvertì un tonfo accanto a lui, i rifiuti tremarono all’impatto e una nuova ondata di odori gli salì al naso mentre Stick atterrava accanto a lui. Non lo sentì muoversi, un secondo urlo di Foggy coprì ogni altra cosa, e si ritrovò di nuovo in volo, salvo poi colpire l’asfalto. Gridò di nuovo, questa volta di puro dolore, quando i vetri che gli si erano conficcati nella schiena quando aveva rotto la finestra si fecero strada all’interno delle sue carni e nei suoi muscoli.
-Matty!-
La voce del suo migliore amico, proveniente da dove era caduto, coprì di nuovo i movimenti di Stick, impedendogli di sentire il calcio, che gli arrivò dritto allo stomaco, così potente da sollevarlo e farlo rotolare di nuovo. Non cercò nemmeno di sollevarsi e combattere; si sentiva debole, e i suoi sensi erano ancora troppo ovattati per permettergli una visione chiara, senza contare che continuava a concentrarsi su Foggy, troppo preoccupato che gli venisse fatto del male per pensare a quello che gli stava succedendo. In ogni caso, non sarebbe riuscito a combattere. Rinunciò a ogni difesa, e lasciò che Stick gli desse una delle più grandi batoste della propria vita.

-Matt! Matty! Forza, svegliati!-
Foggy. Male.
Queste furono le uniche due informazioni che riusciva a percepire al momento. Tutto il resto era completamente oscurato dalle fitte che provenivano dalla sua schiena e, meno dolorose, da tutto il resto del suo corpo.
Nella sua testa c’era una guerra in corso.  Avrebbe voluto aprire gli occhi, rassicurare i suoi amici che stava bene, che, certo, provava dolore, ma che stava bene. Ne aveva passate di peggio. La sua schiena, però, lo stava implorando di ricadere nell’oblivio e nell’incoscienza. Faceva troppo male.
-Matty…-
La voce di Foggy sfiorava le note del panico, e fu questo a convincerlo ad aprire gli occhi, un gesto che a lui non cambiava niente, il mondo in fiamme sarebbe rimasto comunque un caos di dolore, febbre e paura, ma che sapeva avrebbe aiutato l’altro a non perdere il controllo. Ora che era più lucido, riusciva a percepire come ci fosse qualcosa conficcato saldamente nella propria schiena, un costante dolore che si acuiva ad ogni respiro, oscurando tutto il resto. Cosa cavolo era successo?
-Matt?- c’era una mano che gli accarezzava i capelli, la prima cosa su cui riuscì a concentrarsi oltre il dolore. Conosceva quella mano e, anche se non era quella di una giovane infermiera in grado di calmarlo con la sua sola presenza, fu comunque felice di riconoscerla come quella di Karen. Partì da quel contatto rassicurante per riguadagnare il controllo sul proprio corpo e sulla propria mente.
I suoi muscoli erano tutti in tensione, come pronti a combattere; si costrinse a rilassarli, uno per uno, dolorosamente, e quando ci riuscì, il dolore iniziò un po’ ad attenuarsi. Rimase a terra, ansimante, sudato e distrutto come se fosse appena stato investito da un camion.
Non riusciva ancora ad avere una chiara visione di quello che aveva intorno, ma sembrava esserci più calma di prima. Si concentrò ed espanse un poco i sensi: la stanza era sicuramente piccola, e oltre a quelli dei suoi amici non riusciva a sentire altri battiti cardiaci, segno che probabilmente erano soli lì dentro. C’erano altre persone, ovviamente, ma i loro cuori erano lontani, e attuttiti dalle mura. Tutto il resto era un mare di confusione, ma non tentò nemmeno di processare e filtare tutte le informazioni che gli arrivavano dai propri sensi. Si sentiva esausto e probabilmente non ne avrebbe ricavato niente di veramente utile, perciò si limitò a concentrarsi sulle cose basilari.
La sensazione di freddo arrivava dalla sua pancia, quindi probabilmente era disteso sullo stomaco sul pavimento. Sentiva di avere delle ferite aperte sulla schiena, ma non percepiva l’aria colpire direttamente i tagli: qualcuno l’aveva coperto, probabilmente con una giacca o una coperta. C’era un battito del cuore forte, accelerato, che sapeva di casa alla sua sinistra, Foggy, mentre quello familiare di Karen era dalla parte opposta.
-Sei con noi, amico?-
-Sì- rispose debolmente, piantando i palmi a terra e cercando in qualche modo di rialzarsi, ma la mano di Foggy trovò subito la sua spalla e lo spinse dolcemente di nuovo a terra, obbligandolo a restare giù. Gemette di dolore per il contatto e la pressione scomparve all’istante.
-Scusami- sussurrò Foggy -Ma ti conviene restare disteso… e immobile-
-Fa… male- cercò di spiegare, ma era ancora peggio che respirare; era come se qualcuno stesse giocando a freccette usando la sua schiena come un bersaglio. Ogni parola era quasi impossibile da pronunciare. Cercò di concentrarsi sui punti in cui il dolore era più forte, cercando di capire cosa lo stesse causando. Dio. Sembravano proprio delle frecce, o un qualche tipo di lama. Sollevò una mano e se la portò alla schiena, cercando di toccare una di quelle cose che aveva nella spalla, mentre il dolore si espandeva in tutto il corpo.
-No, no, no. Matt. Fermo. Stai fermo. Matty. Per favore- La mano di Foggy afferrò la sua e la riportò al proprio posto al suo fianco, lontana dal suo obiettivo.
Matt doveva sapere. Si preparò ai lanci.
-Cosa…- Prima freccetta. -ho nella… - seconda -...schiena?- e anche la terza freccettà colpì la sua schiena-bersaglio. -Cos’è…- un secondo giocatore seguì il primo -... successo?- due -Dove…- tre.
-Matt, per favore, basta. Non parlare- la voce di Karen era un tremolio, e tutto ciò che riuscì a percepire da lei fu panico e preoccupazione.
-Stick ti ha letteralmente defenestrato- Foggy sembrava essere abbastanza calmo, cercò perfino di mettere una risata nella sua risposta, ma, se si concentrava appena, riusciva a sentire il suo cuore galoppargli in petto -Poi è saltato dietro di te e… Dio. Pensavo fossi morto. Continuava a colpirti e tu non reagivi…- la voce gli si spezzò all’improvviso, e Matt lo sentì reprimere i singhiozzi prima di continuare, rispodendo a un’altra domanda. -Hai dei pezzi di vetro nella schiena, quindi, ti prego, resta fermo-
Foggy aveva probabilmente ragione, rimanere immobile era la cosa migliore da fare, ma non poteva tenersi quei così dentro troppo a lungo. Oltre a fare un male cane, rischiava anche un’infezione.
-Tirali… fuori… per fav…- alla terza freccetta tutto divenne nero, e il nulla lo avvolse di nuovo.

***

Tirarli fuori? Quel Murdock doveva aver preso un brutto calcio in testa per dire una cosa del genere. Come diavolo avrebbero dovuto fare a curare delle ferite del genere con… praticamente niente?
Foggy era contento che avesse perso i sensi. Ascoltare i suoi tentativi di mettere insieme una frase completa era stata una vera agonia, specialmente perchè non riusciva a non pensare all’ultrasensibilità dei suoi quattro sensi e a non chiedersi quanto più dolorose potessero essere quelle schegge nella sua schiena. Rabbrividì al solo pensiero.
Distolse lo sguardo dal proprio amico, senza lasciargli la mano, e guardò Karen.
-Gli serve aiuto- disse la ragazza sommessamente, quasi timida, perfettamente conscia di stare sottolineando l’ovvio ma, davvero, cos’altro avrebbe potuto fare o dire, eccetto ucciderlo (o uccidere entrambi) per non averle detto fin da subito la verità?
-Lo so. Lo so, Karen-  La voce gli uscì bassa ed esausta, ma dovevano comunque fare qualcosa.
Sii Daredevil per Matt.
Le parole di Claire gli echeggiarono nella mente, e un’idea prese immediatamente forma del suo cervello. Si affrettò ad attuarla senza darsi la possibilità di pensarci due volte, nonostante il solo pensiero lo facesse quasi letteralmente pisciare sotto dalla paura.
-Karen- disse -resta con lui e, qualunque cosa succeda, proteggilo. Promettimelo-
-Che?- ma Foggy non la stava già più ascoltando, non aveva nemmeno aspettato una sua risposta. Si alzò in piedi e iniziò a picchiare sulla porta della loro stanza con entrambe le mani chiuse a pugno, più forte che poteva, urlando allo stesso tempo il nome di Stick.
Andò avanti fino a quando, alla fine, l’uomo non aprì la porta.
Foggy sapeva che il vecchio era cieco dalla nascita, e non come Matt, che aveva perso la vista in seguito a un incidente, eppure poteva giurare che quell’essere altamente inquietante lo stesse fissando dritto negli occhi, con un’espressione… beh, quella in effetti non era diversa da quella che aveva di solito. Era arrabbiato, e molto anche, e tutto nella sua postura era volto a provocare un senso di disagio e paura nelle persone (e, per la cronaca, ci riusciva benissimo). Stick si piantò davanti a lui, in piedi, silenzioso e immobile come una statua.
E’ solo un’arringa. Puoi farcela.
E Foggy Nelson, avocado per la difesa, iniziò il suo discorso, e fu esattamente come la prima volta che era tornato alla Landman & Zack per il caso della signora Cardenas. Fu perfetto e assolutamente magnifico. Le parole fluirono leggiadre dalla sua mente alla sua bocca, senza fare soste o sbagliare strada lungo il percorso.
-Adesso ascoltami bene. Non riesco nemmeno a immaginare come ti sia venuto in mente di fare una cosa del genere. Peestarlo a sangue è già terribile di per sè, ma se mi sforzo posso quasi riuscire a capire perchè tu lo faccia. Ma l’hai lanciato da una cazzo di finestra, e questo è completamente da fuori di testa. Ora, puoi prenderti un’accusa per tentato omicidio, oppure puoi starmi a sentire e accettare l’accordo che ti sto per proporre-
O puoi semplicemente congedarmi nello stesso modo e lasciarmi morire in quel cassonetto, completò nella sua testa. Ora riusciva a guardare quell’uomo negli occhi senza vacillare, la paura completamente sparita. Attese, per quelle che sembrarono ore. Evidentemente, Stick pensava che mantenendo a lungo quella posa Foggy avrebbe ceduto e fatto marcia indietro. Beh, non sarebbe successo.
-Sei davvero una piaga nel culo- cedette il cieco alla fine -Che cosa vuoi?-
-Due settimane per Matt, per riprendersi e per farsi curare. E Karen resterà con lui- Foggy non esitò mai -Io resterò qui a garanzia del suo ritorno-
-Una settimana-
-Ha del fottuto vetro nella schiena!-
-Una settimana- ribadì Stick, poi aggiunse -O lui resta e lo guarderai morire davanti ai tuoi occhi. E quando tornerà, lo punirò di nuovo. Prendere o lasciare-
Foggy scoprì di essere preparato anche per quell’eventualità
-Quanto tornta -contrattò -Picchierai me e non lui-
Questo parve prendere perfino l’imperturbabile Stick alla sprovvista. Rimase in silenzio per un po’, probabilmente soppesando la richiesta. Alla fine, evidentemente, arrivò alla conclusione a cui Foggy sperava sarebbe arrivato: per Matt sarebbe stato molto più doloroso vedere lui picchiato al posto suo che essere malmenato.
-D’accordo-
Stick lasciò la stanza, non preoccupandosi a questo punto di chiudere la porta dietro di sè, e chiamò i suoi uomini, ordinando che venisse organizzato il trasferimento di Matt.
Come furono di nuovo da soli, tornò a rivolgere la propria attenzione a verso Karen, che ora lo guardava come se fosse pazzo, continuando ad accarezzare distrattamente i capelli di Matt, con movimenti che nelle sue intenzioni dovevano essere calmanti.
Ignorò il suo sguardo per concentrarsi di nuovo, brevemente, sul proprio amico prima di tornare a guardarla. La vide aprire la bocca per dire qualcosa, ma lui la interruppe prima che potesse emettere un solo suono. Sapeva che non avrebbero avuto molto tempo, e voleva assicurarsi di darle tutte le informazioni possibili prima che li separassero.
-Karen- sussurrò, anche se immaginava che probabilmente l’udito di Stick fosse pari almeno a quello di Matt -Ascoltami bene. Portalo a casa sua, ok? E promettimi di restare con lui-
-Ha bisogno di un osp…-
-Karen!- la interruppe di nuovo, più bruscamente del dovuto, forse -Fidati di me, ok? Lo so che probabilmente ora non puoi, e che non ho il diritto di chiederti di darmi fiducia, ma ho bisogno di sapere che farai come ti dico. Per Matt-
Karen lo stava ancora guardando, poi il suo sguardo si posò sulla schiena di Matt. Era una scena raccapricciante, quasi da film horror, con l’unica differenza che era tutto reale. Matt era pieno di tagli, e la sua maglietta a maniche lunghe era lacerata, dai più grandi uscivano, ben visibili, pezzi di vetro acuminati, alcuni dei quali vibravano leggermente ogni volta che il petto si alzava e abbassava nella respirazione, accompagnati da frequenti gemiti. Aveva anche l’impressione che la pelle attorno alle ferite stesse iniziando ad arrossarsi. Foggy rabbrividì di nuovo, pregando che rimanesse incosciente il più a lungo possibile.
Alla fine, la ragazza annuì semplicemente, proprio un istante prima che sei ninja entrassero nella stanza. Uno obbligò Foggy ad alzarsi in piedi, sotto la minaccia di un coltello, e ad indietreggiare fino a quando la sua schiena non andò a cozzare contro la parete. Prigioniero e carceriere rimasero lì, e l’avvocato rimase completamente immobile, attento a non muovere un muscolo per evitare il rischio che Stick si rimangiasse la parola. Un altro dei soldati afferrò Karen per un braccio e la trascinò fuori dalla stanza a spintoni, mentre i quattro rimanenti organizzarono una barella e, dopo avervi deposto il vigilante, lo portarono fuori.
Solo quando rimasero soli il ninja abbassò il coltello e lasciò la stanza. Ora era solo.
Non riuscì a evitare un sospiro di sollievo, mentre con la mano si asciugava il sudore dalla fronte.
L’ho fatto, Claire* pensò *Adesso tocca a te.
Solo dopo una decina di minuti realizzò a pieno quello che aveva fatto, quando Stick si ricordò che la porta della cella era ancora aperta e andò personalmente a chiuderla, esibendo un sorriso sarcastico e mormorando qualcosa sulla stupidità dell’amicizia.
Lo aspettava un’intera, interminabile, settimana nelle mani di quel pazzo, nell’attesa che Matt si rimettesse in piedi; nell’attesa di venire massacrato di botte.
Oh beh, ormai quel che era fatto, era fatto.
Sperava solo che gli dessero da mangiare.

Grazie per aver letto fino a qui, fatemi sapere che ne pensate. Alla prossima!


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Capitolo 11
*** Don't Claire me, Murdock! ***


A/N: Buondì!!! I'm back! Buon anno a tutti innanzitutto, e scusate per il ritardo... questo capitolo era già pronto da un po', ma traducevo su un PC più vecchio di me e di scrivere il codice HTML a mano non avevo voglia XD
Quindi... tornando a noi, grazie a Ragoll_cat per la recensione e per sopportare i miei deliri!!
PS: il titolo del capitolo sembra non c'entrare nulla, lo so, ma nella versione inglese era una frase del capitolo...

Don’t Claire me, Murdock!

Quando lo sentì, Matt stava cercando di isolarsi dal resto del mondo e meditare un pochino, ora che, anche grazie ai medicinali, la febbre sembrava dargli una tregua.
Era riuscito a concentrarsi sul battito regolare di Claire, e ne aveva ascoltato il respiro diventare più profondo mentre si abbandonava finalmente al sonno ed era partito da lì per entrare in un leggero stato di meditazione. Era stato più difficile del solito riuscirci perchè, sempre grazie alle medicine, il suo mondo era ancora un po’ sottosopra. Se avesse potuto, avrebbe evitato di prenderle, ma Claire (e Foggy) l’aveva(no) messo davanti a un bivio: paracetamolo o bagni gelati ogni ora. Matt, dopo tutto quello passato con Stick, aveva deciso che di acqua fredda ne aveva avuta abbastanza per almeno un anno, e forse anche per il resto della propria vita.
Ora che finalmente era riuscito nel proprio intento, l’aveva sentito, e il suo intero lavoro era andato all’aria, ma non c’era niente, niente che poteva o voleva fare per ignorare quel suono. Era un suono che lo riportava a quel dannato mattino di pochi mesi prima, quando si era risvegliato su un divano e Foggy se ne era andato da casa sua trattenendo lacrime che aveva versato non appena si era chiuso la porta alle spalle, probabilmente pensando che Matt non l’avrebbe sentito. Si era sbagliato.
Era lo stesso identico suono: Foggy stava piangendo.
Ignorando i giramenti di testa, si mise seduto di scatto, ringraziando di non aver mangiato nulla da un po', o l'avrebbe probabilmente vomitato tutto sul divano.
-Foggy?- sussurrò nel tono di voce più alto che sentiva di poter usare, non voleva svegliare Claire, che aveva lasciato la porta aperta, tra l’altro. Ricordava pochissimo di quello che era successo negli ultimi giorni, solo una serie di immagini frammentarie e sprazzi della voce della ragazza; gli era stato detto che aveva dormito per la maggior parte del tempo, ma sospettava che nei momenti di veglia le avesse dato parecchio da fare e, se la conosceva bene, probabilmente non aveva nemmeno dormito molto, troppo occupata a occuparsi di lui per pensare alla propria salute.
Foggy non gli rispose, ma ora Matt riusciva chiaramente a sentirne i singhiozzi e il pianto soffocato nel cuscino. Sapeva che il suo migliore amico era lì da qualche parte, in quella stanza: doveva solo localizzarlo. Cercò di concentrarsi solo sul piccolo spazio della stanza attorno a lui, alla ricerca del famigliare battito cardiaco, e subito la sua testa iniziò a pulsare dolorosamente per lo sforzo. La ignorò finchè non riuscì a trovarlo.
Eccolo, a forse un paio di metri da lui, sdraiato a poca distanza da terra, su quello che sembrava un materasso. Le forme non gli apparivano nitide come al solito, ma era comunque meglio del nulla del giorno prima, e Matt si fece andare bene quello che i suoi supersensi avevano da offrirgli.
Molto lentamente si alzò in piedi e cercò di avanzare per raggiungerlo, utilizzando le proprie mani per aiutarsi a non inciampare su qualcosa di abbandonato a terra o su una qualche sedia, totalmente concentrato sul non perdere la posizione di Foggy.
-Foggy- chiamò di nuovo, iniziando seriamente a preoccuparsi. Odiava non essere in grado di capire lo stato d’animo di una persona semplicemente ascoltandone il corpo e il cuore, ma gli sarebbero servite forze che non aveva e, tra l’altro, gli aveva promesso che non l’avrebbe mai più fatto nei suoi confronti.
Quando arrivò vicino alla forma che era il suo amico, si inginocchiò piano al suo fianco e finalmente la sua mano trovò la spalla, e solo allora si decise a dare al proprio cervello una tregua, cedendo al mal di testa. Gentilmente strinse leggermente la presa sul suo amico, sperando di ottenere una reazione. -Foggy- chiamò di nuovo, questa volta con una certa urgenza, quando non ebbe risposta -Foggy, ti prego… dimmi qualcosa… mi stai spaventando… Fog…-
Questa volta, se non altro, qualcosa la ottenne: il pianto e i singhiozzi aumentarono di intensità e, più lievemente, di volume. Matt non potè fare altro se non posargli una mano sulla schiena, cercando di fargli capire senza parole che lui era lì, al suo fianco, e non l’avrebbe abbandonato. Cominciò un lento movimento in grandi cerchi, sperando di essergli in qualche modo d’aiuto.
Non sapeva da quanto tempo stava andando avanti quando Foggy finalmente riuscì a calmarsi e a scivolare in un sonno agitato, ma non gli importava; dopo tutto quello che aveva fatto per lui in tutti quegli anni di amicizia, Matt non se l’era sentita di lasciarlo solo in quel momento, nonostante la debolezza. Pur sapendo che l’indomani Claire l’avrebbe probabilmente ucciso, si sdraiò accanto a Foggy, una mano sempre salda sulla sua spalla e si addormentò.

***

Claire si segliò al mattino, dopo un’intera notte di sonno ristoratore. Dio solo sapeva quanto ne aveva avuto bisogno dopo le giornate che aveva passato ad accudire Matt. A dire il vero avrebbe anche avuto bisogno di farsi una doccia, ma la sera prima era stata troppo stanca per trascinarsi fino al bagno, e ora il suo senso del dovere prevalse sui propri bisogni (di nuovo), quindi la prima cosa che fece appena alzata fu quella di controllare lo scavezzacollo che dormiva sul suo… pavimento accanto al proprio migliore amico.
Lo avrebbe ucciso.
Vai a farti quella doccia, si ordinò. Puoi ucciderlo dopo.
Il getto caldo sulla sua schiena era stato anche migliore della notte di sonno, e si prese tutto il tempo di cui aveva bisogno, conscia anche del fatto che non era più sola in caso di necessità. Quando uscì dal bagno, i suoi istinti omicidi erano quasi del tutto evaporati. Quasi.
Tornò in salotto e si fermò per un istante a guardare i due amici, Foggy che dormiva sul materasso e Matt accanto a lui sul pavimento, che gli teneva una mano sulla spalla, come se volesse cercare di rendere reale la sua presenza tramite il senso del tatto, e dopo il delirio dei giorni precedenti, Claire non se la sentiva di biasimarlo, anche se non potè evitare di chiedersi se ci fosse stata una qualche altra ragione che avesse fatto prendere a Matt la decisione di spostarsi sul pavimento, e se Foggy si fosse accorto di lui.
Al momento, però, non era una sua priorità. Era preoccupata per Matt.
Fu tentata di svegliarlo e farlo tornare sul divano, ma poi decise che non valeva la pena rischiare un altro attacco di panico. Si avvicinò e si accucciò vicino a lui, sfiorandogli la fronte con le dita: era calda, ma non a livelli allarmanti, perciò si limitò a coprirlo con la coperta di pile che aveva usato qualche giorno prima e che giaceva abbandonata in un angolo del locale e a lasciarlo dormire.
A dire il vero, ma questo non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, era una scena piuttosto dolce da vedere, anche se probabilmente avrebbe rimpianto quel pensiero non appena i due avrebbero unito le forze per farle saltare i nervi.

***

Foggy aprì gli occhi, e la prima cosa che sentì fu di essere… bagnato? Alzò la testa dal materasso e notò che le sue lacrime l’avevano bagnato. Maledicendosi, si girò per alzarsi, quando si accorse della mano sopra la propria spalla. Fece scorrere lo sguardo lungo il braccio cui era attaccata e finalmente vide Matt, profondamente addormentato accanto a lui, per terra, coperto da una coperta verde a pallini arancioni.
Dio, Matt.
Richiamando alla mente quello che era successo durante la notte, ricordò che il suo migliore amico l’aveva raggiunto dopo essere scoppiato in lacrime e che lui aveva fatto di tutto per ignorarlo, anche quando Matt gli aveva detto di essere spaventato dal suo comportamento. Ricordava anche come la sua mano gli aveva massaggiato la schiena, aiutandolo a calmarsi. Non si era però aspettato che, nonostante la febbre, avrebbe dormito sul pavimento pur di stargli vicino, e al solo pensiero sentì una fitta dolorosa al cuore.
Doveva dirgli tutto, non poteva rimandare ancora.
Sarebbe collassato di nuovo, lo sapeva.
-Sei sveglio?- Foggy sussultò, mettendosi a sedere.
-Non farlo mai più!- sussurrò portandosi una mano al cuore, fingendo di essere più spaventato di quello che fosse in realtà. Fu ricompensato dal suo sorriso esasperato mentre alzava gli occhi al cielo. -Che ore sono?- chiese poi, sempre a bassa voce per non svegliare Matt.
-Le alza il culo da quel materasso e mezzo. Ho bisogno che tu lo tenga d’occhio per un po’. Devo uscire a fare un po’ di spesa. Pensi di farcela?-
Nonostante tutto, era ancora mezzo addormentato, quindi in pratica solo meno della metà della frase gli arrivò al cervello, pur essendo abbastanza per fargli recepire il messaggio.
-Sì, certo. Ciao.- Anche la sua risposta era stata più articolata nella sua mente, ma qualche parola aveva sbagliato a svoltare e si era persa da qualche parte nei meandri delle sinapsi tra cervello e bocca.
Claire gli sorrise di nuovo e gli lasciò il tempo di darsi una rinfrescata e preparare il caffè prima di dargli qualche istruzione su come comportarsi con Matt e lasciare finalmente la casa per la prima volta dopo giorni.
-Quando si sveglia- gli disse - fagli mangiare qualcosa, deve essere rimasta una mela da qualche parte, e provagli la frebbre. Le medicine sono sul tavolino se ti servono-
Fortunatamente, la ragazza non chiese come mai Matt fosse finito dal divano alla sua attuale posizione.
-Sìssignora- rispose facendole il saluto militare, un ghigno divertito stampato sul volto.
Claire scosse la testa e gli fece un cenno con la mano, chiudendosi la porta alle spalle.

***

Matt stava congelando, e fu proprio la sensazione di freddo a svegliarlo. Si ritrovò sul pavimento freddo e la netta sensazione che nella sua testa si fosse di nuovo alzata la nebbia insieme alla febbre, ora che gli effetti dei farmaci si erano quasi del tutto dissolti. Nonostante tutto, questo non gli impedì di sentire, o meglio non sentire, la presenza di Foggy sul materasso accanto a lui.
Si tirò su, spostando una coperta comparsa da chissà dove.
-Fog?- cercò l’amico.
-Buongiorno, bello addormentato!- la voce dell’amico gli arrivò come sempre allegra e alta dalla cucina. La sua testa reagì all’improvviso rumore con una fitta dolorosa. Gemette, portandosi contemporaneamente le mani sulle orecchie. -Scusami, amico!- Foggy abbassò subito il tono di uno o due decibel, e il sollievo fu quasi istantaneo.
Nonostante tutto, Matt riuscì comunque a percepire quanto forzato fosse il buonumore di Foggy, quanto il suo amico si stesse sforzando di suonare normale mentre si inginocchiava di fianco a lui e gli metteva una mano sulla fronte, cercando di percepirne la febbre. -Sei più caldo di prima. La febbre sta risalendo, credo- disse dopo un attimo, e Matt si maledisse, perchè proprio il suo corpo l’aveva tradito, dando modo a Foggy di sviare l’attenzione -Come ti senti?-
Come se non fosse stato perfettamente in grado di dirlo solo guardandolo in faccia fin dagli albori della loro amicizia. Decisamente, Foggy stava cercando di evitare una chiacchierata che entrambi sapevano essere inevitabile, da bravo avvocato qual’era. Ma erano in due a saper giocare a quel gioco.
-Meglio- rispose sinceramente, pronto a tendere la propria trappola, nel caso Foggy cercasse di nascondersi dietro un “c’e’ Claire, non voglio parlarne” -Anche se i giramenti di testa mi stanno uccidendo. Claire dorme ancora?-
No, decisamente non aveva le forze per espandere i sensi e cercarne il battito cardiaco e il lieve rumore del respiro.
-No- rispose -E’ uscita a fare un po’ di spesa. Il suo frigo è anche più vuoto del t…- Matt trattenne a stento un ghigno. Adesso aveva la certezza che fossero soli, per cui non c’era momento migliore per parlare di quello che era successo.
-Allora? Che sta succedendo, Foggy?- e all’improvviso, senza che dovesse fare nulla per cercarlo, il battito del cuore dell’amico gli arrivò forte e chiaro come una martellata, anzi, come un martello pneumatico funzionante a pieno regime, tanto veloce da preoccuparlo -Foggy? Stai bene?- chiese mentre si spostava dalla sua posizione sul pavimento a una più comoda (e calda) sul materasso -Il tuo cuore è… come impazzito-
-Me l’hai promesso, Murdock!-
-Non è colpa mia!- si difese subito, molto probabilmente più brusco del dovuto -Riesco a malapena a sentire il mio di cuore! Ma il tuo sta galoppando!- si rese subito conto del proprio errore e prese un respiro. -Scusa- disse -Ma seriamente… che succede? Sei arrabbiato perchè sono andato via con Stick?- Sapeva benissimo che era un’ipotesi fiacca, che, nonostante tutto, la sua partenza e il ritrovamento non gli avrebbero provocato un crollo del genere. Probabilmente, fosse stata quella la ragione, Foggy l’avrebbe soffocato a suon di abbracci… o ucciso a suon di calci in culo o prima l’uno e poi l’altro. Voleva solo indurlo a parlare, a sfogarsi. Foggy rimase però in silenzio, seduto accanto a lui sul materasso. Matt attese.
-Devi mangiare qualcosa- disse alla fine il biondo, alzandosi e tendendogli una mano per aiutarlo a rimettersi in piedi, guidandolo poi fino a una sedia sulla cucina. Matt continuò ad assecondarlo, e si sedette dopo averne testato i bordi con le mani per essere sicuro di non finire con il sedere per terra. -Adesso ti provo la febbre, così vediamo se ti servono delle medicine-
-Grazie, mammina- sogghignò Matt.
-Ordini di Claire - rispose immediatamente Foggy, sorridendo a sua volta -E faresti meglio a obbedire. Scommetto che se la fai arrabbiare può essere più pericolosa di Fisk-
-Non penso di volerlo scoprire- e nel dire questo diede un morso alla mela che Foggy gli aveva appena messo in mano. Il suo stomaco accetttò l’offerta di buon grado. Non riusciva ricordare esattamente l’ultima volta che aveva mangiato. Ah no. Se la ricordava. Aveva mangiato una pizza la sera prima dell’ultima punizione di Stick… e l’aveva vomitata.
Rimasero in silenzio per un po’, mentre Matt finiva il “pasto” e lasciava che Foggy si occupasse di lui. L’unico momento di tensione fu l’attesa per il verdetto del termometro: il cieco sentiva la febbre alzarsi, ma sperava di non essere ancora arrivato al punto di aver bisogno di ulteriori medicinali. Li detestava perchè offuscavano i suoi sensi ancor più di quanto facesse già la febbre per conto proprio, facendolo sentire veramente disabile.
-Matty?- Matt quasi sobbalzò al nomignolo, più che altro perchè era raro che Foggy lo usasse.
-Sì?- rispose esitante.
-StickhapresoKarenemihaobbligatoavenirtiaprendere- in un altro momento, Matt non avrebbe avuto problemi a seguire le parole di Foggy, ma questa volta aveva parlato così velocemente e così a bassa voce da risultargli incomprensibile, tuttavia, l’improvviso cambiamento nel battito del suo cuore, che aveva di nuovo accelerato fino ad arrivare a livelli allarmanti, fu sufficiente a fargli capire che, qualunque cosa fosse successa, non era niente di buono. Concentrò tutta la sua attenzione sul suo migliore amico, doveva impedirgli di andare fuori di testa.
-Foggy. Foggy. Fog. Ehi. Calmati. Fai un bel respiro- lo istruì toccandogli lievemente il braccio, cercando di tenere calma la propria voce. Sentì che cercava di obbedirgli, ma il respiro soffocò in un singhiozzo. -Prova ancora a parlare, più lentamente questa volta-
- Stick hai Karen atē usa nē ghara dē tuhānū laiṇa la'ī ithē ā'uṇa la'ī majabūra kītā mainū-
Matt avrebbe riso fino alle lacrime al tentativo di Foggy di parlare punjabi, così come aveva sempre fatto all’università, ma le parole Karen e Stick all’interno di quella che supponeva essere la stessa frase bloccarono la comicità della cosa da qualche parte tra il suo stomaco e la sua gola, serrandogliela in una morsa micidiale, soprattutto perchè non aveva idea di quello che Foggy aveva appena detto.
-In inglese? Per favore?- non riuscì a non far trapelare l’ansia nella sua voce.
-Stick… ha preso Karen- finalmente Foggy riuscì a spiegarsi, con la voce tremante -Mi ha… obbligato a venire qui e a riportarti a casa- le ultime parole Matt, più che sentirle, le indovinò, perchè ha metà frase l’amico era crollato di nuovo scoppiando in un pianto convulso e così disperato che Matt non riuscì a fare altro se non stringerlo in un abbraccio stretto, uno di quelli che normalmente erano la specialità di Foggy. Non osava pensare a come dovessero essere stati gli ultimi giorni di Foggy. Matt non era di certo l’abbracciatore professionista della Nelson & Murdock, ma strinse comunque la presa attorno al corpo del socio, cercando di confortarlo e di tenere sotto controllo la propria rabbia allo stesso tempo. Che cavolo, non aveva volontariamene  infranto il patto fatto con Stick, ed era sicuro che il suo mentore lo sapesse bene. Aveva lasciato tutto nel loro appartamento!
-Io… disp… piace… Matt… io… Non… Lui… Karen…-
-Va tutto bene, Foggy. Va tutto bene. Calmati. Respira- Matt sciolse l’abbraccio per permettergli di respirare più liberamente, ma continuò a tenere le proprie mani sui suoi avambracci per non privarlo totalmente del contatto fisico. Lo sentiva tremare distintamente, e non si fidava a lasciarlo andare, anche se sapeva benissimo che Foggy poteva vederlo e quindi sapere che non se ne era andato. -Hai fatto la cosa giusta- cercò di rassicurarlo, ma le sua non erano frasi fatte: decidendo di consegnarlo, aveva davvero preso la decisione migliore per tutti; Matt sapeva cavarsela -Non hai niente di cui scusarti. Calmati. Pensa solo a respirare adesso, ok?-
Matt gli rimase accanto fino a quando Foggy riuscì a smettere di iperventilare e a riprendere il controllo di sè; solo dopo si alzò e a tentoni arrivò fino al lavello e a riempirgli un bicchiere d’acqua. Fu un impresa, e la testa riprese a pulsargli fin dal primo passo, ma riuscì a compirere la missione senza rompere niente. Stava tornando verso le sedie quando trovò il braccio di Foggy, che lo condusse fino al materasso in salotto, dove lo fece sdraiare. La sua emicrania accettò l’offerta di pace e il mondo smise finalmente di girare. Rifiutò quando fece per restituirgli l’acqua, spiegandogli che era per lui che l’aveva presa.
-Grazie, Matty, ma… ti prego, stai buono. Devi riposare-
-Dobbiamo tornare a Hell’s Kitchen il prima possibile-
-No-
-Foggy… Karen è in pericolo! Se dovesse far arrabbiare Stick…-
-La picchierà. Lo so. Ci sono passato-
-Ti ha fatto del male?- chiese subito, maledicendosi per non averci pensato prima. Era ovvio che gliene avesse fatto. Stick era Stick… e Foggy… beh, Matt era sicuro che Foggy avesse cercato di opporsi con tutte le sue forze prima di cedere.
-Niente che non possa gestire. Ora ascoltami, Cornetto. Dobbiamo tornare indietro e molto probabilmente dovrai andartene di nuovo, lo so. Lo capisco. Cioè, veramente no, però hai capito- Matt non riuscì a trattenere un mezzo sorriso. Foggy poteva essere il migliore degli avvocati, ma quando non era in modalità aula di tribunale riusciva a incartarsi nelle sue stesse parole senza speranza di uscita. -Ad ogni modo, prima di farlo, ti prenderai il tuo tempo per riprenderti!-
-Non c’è tempo…-
-Non c’è tempo per cosa?- chiese Claire in quel momento, facendo sobbalzare entrambi mentre apriva la porta e rientrando nella casa con in mano quelle che sembravano due borse piene di cibo.
-Dobbiamo tornare a New…-
-Non pensarci nemmeno, Matthew-  lo interruppe lei bruscamente, posando la roba a terra vicino al divano. -Non so cosa cavolo ti abbia fatto questo Stick per ridurti in quello stato, ma mi ci sono voluti due fottuti giorni per farti riprendere contatto con la realtà, e, nonostante tutto, sei sobbalzato quando ho aperto la porta, quando come minimo avresti dovuto sentirmi tre isolati più indietro!-
-Grazie, Claire- la benedisse Foggy.
-Claire…-
-Non ci provare, Murdock…-
-Almeno fammi spiegare…- ok, sì,stava praticamente implorando e non solo lei. Stava implorando entrambi.

***

Claire non voleva dargli l’opportunità di spiegarsi, perchè era praticamente certa che se ne sarebbe uscito o con uno dei suoi giri di parole che lo rendevano con ottimo avvocato o,  ancora peggio, con una qualche spiegazione relativa al mistero che era il suo passato; ad ogni modo, l’avrebbe sicuramente convinta a lasciarlo andare nonostante le proteste di Foggy (e dell’infermiera che era in lei).
Tuttavia, doveva anche ammettere che una parte di lei era ansiosa di conoscere cosa fosse successo e, soprattutto, chi era questo Stick e com’era possibile che fosse in grado di mettere Matt KO in quel modo. L’aveva visto mezzo morto più volte di quante le piacesse ammettere ma nè Fisk, nè Nobu erano riusciti a terrorizzarlo fino a quel punto. Alla fine sospirò e annuì.
-Ho appena annuito- specificò un minuto più tardi, realizzando che non era riuscito a percepirla o qualunque fosse il verbo giusto per descrivere il suo particolare modo di vedere il mondo. -Ma- aggiunse subito dopo -Appena avrai finito prenderai medicine e antidolorifici…-
-Ok- rispose il cieco, un po’ troppo in fretta per non insospettirla -Ora posso…?-
-Non così in fretta, Cornetto- lo interruppe chiamandolo con il nomignolo che aveva sentito da Foggy e sorridendo alla sua reazione: un adorabile misto tra esasperazione e divertimento, conditi da uno dei suoi mezzi sorrisi che aveva imparato ad amare. - Lascerai anche che ti visiti-
-Ma non c’è t….-
-Finisci la frase e la autorizzo ad anastetizzarti e a legarti finchè non ti sei ripreso!- lo interruppe Foggy -Ecco il patto, avvocato: noi ti lasciamo raccontare la tua storia, e tu dopo le lascerai fare il suo lavoro-
-Ho altra scelta?- tentò di chiedere.
-Assolutamente no-  I suoi amici gli risposero praticamente all’unisono, e con lo stesso tono di voce, e questo gli fece capire che non c’era modo di scamparla, questa volta, così si arrese. Più o meno.
-A una condizione, avvocato-
-Parla-
-Mentre parlo, Claire darà un’occhiata a te. Hai detto che Stick ti ha fatto del male, e voglio essere sicuro che tu stia bene-
-Affare fatto-
Matt finalmente gli tese la mano e Foggy la strinse solennemente. Claire non potè fare a meno di ridere, incredula.
-Ma fate sul serio?-
-Nelson & Murdock, baby- le rispose il biondo facendole l’occhiolino -Avocadi-
-Se mai mi servisse un avvocato - rise lei, avvicinandosi a Foggy -ricordatemi di non chiedere al vigilante cieco e al suo migliore amico. Non sono certa che la frutta possa entrare in tribunale-
Fu ricompensata dalla risata genuina di Matt, e questo la rese felice. Era ancora molto pallido, ancora più del solito, e dalla cautela con cui si muoveva era chiaro che i suoi sensi erano ancora parecchio sottosopra, bastava un movimento incauto della testa o che si spostasse troppo velocemente per provocargli un’evidente scompenso, ma almeno sembrava aver ripreso un costante contatto con la realtà, e Claire sospettava che parte di questo miglioramento risiedesse nella presenza di Foggy. Lei stessa doveva ammettere che da quando l’avvocato aveva varcato la porta di casa, con le sue attenzioni, le sue premure e la sua costante chiacchiera, si sentiva più positiva. Che avesse qualche superpotere pure lui? -Foggy- ordinò poi entrando in una semi-seria modalità infermiera -Sul divano. Matt. Inizia a parlare-
-Sei così dura con tutti gli uomini che ti porti a casa?- chiese il biondo e non era sicura che fosse poi così indignato…
-Solo con quelli che vanno a immischiarsi con dei pazzi criminali e le prendono di santa ragione- rispose e Foggy aprì la bocca per risponderle… ma Matt scelse proprio quell’istante per stroncare i loro giochi e iniziare a parlare.
Cominciò da quando aveva 9 anni e stava impazzendo, sopraffatto dai suoi sensi che ora si erano pienamente sviluppati e gli impedevano in qualunque modo di rimanere a contatto con le altre persone. Le suore avevano pensato come prima cosa a un esorcismo (sul serio? negli anni 90, tendenti al 2000, le suore avevano chiamato un esorcista?), ma quando questo non aveva funzionato, si erano limitate a chiuderlo in un ex sgabuzzino, riadattato con un letto, lontano dai dormitori e dalle aree comuni, non sapendo come altro dargli un po’ di sollievo. Parlò di come quell’uomo, Stick, fosse comparso un giorno, all’improvviso e lo avesse addestrato a diventare un guerriero. Ma non nella versione corta che aveva raccontato a Foggy. Questa volta, forse per far loro capire quanto fosse importante che lui tornasse al più presto da quell’uomo, scese nei dettagli. La sua voce era ferma e tranquilla, come se fosse nel bel mezzo di un’arringa in tribunale, ma c’era altro a tradirlo e a rivelare quanto fosse forzata quella serenità e quanto fosse in realtà difficile per lui parlarne : le sue mani erano strette a pugno tanto che le nocche erano ormai bianche e il suo volto era fermamente puntato al soffitto, gli occhi chiusi. Lei e Foggy avevano trovato una posizione in cui riuscivano a scambiarsi sguardi senza muovere un muscolo (e avevano già appurato che Matt al momento non era recettivo come al suo solito, il che era un bene) e Claire riusciva chiaramente a vedere quanto fosse sconvolto da quello che stava sentendo, probabilmente come lei per la prima volta. Matt era sempre stato piuttosto riservato sul suo passato o su come avesse acquisito le sue capacità (al di là dell’incidente, ovviamente) e quello che stavano sentendo aveva quasi dell’inumano. I due continuavano a guardarsi, increduli, senza il coraggio di parlare, man mano che l’altro continuava il suo racconto; ora gli risultava molto difficile continuare a parlare, e Claire non sapeva dire se era per via dei ricordi o del fatto che probabilmente i loro cuori al momento tradivano i loro sentimenti: la voce a tratti gli tremava, o veniva totalmente a mancargli o, ancora, gli uscivano alternate a singhiozzi, che soffocava stoicamente con dei respiri profondi. Dopo quella che sembrava essere stata un’eternità, finalmente Matt riaprì gli occhi.
-E questo è tutto. Stick è pericoloso. Ecco perchè devo tornare indietro-
-Matt, ti farai uccidere- grazie, Foggy.
-Meglio io che Karen- dichiarò l’altro, risoluto e se non altro questo spiegava l’improvvisa fretta. C’era qualcuno in pericolo, e ovviamente Matt doveva sacrificarsi per un bene superiore. -Come sta Foggy?- le chiese poi voltandosi verso di lei.
-Starà bene- rispose, ed era sincera, perchè a parte qualche livido, sembrava essere tutto intero. Sospirò, prima di voltarsi verso Foggy. Quello che stava per dire non le piaceva, così come non sarebbe piaciuto all’avvocato. -Foggy, quanto tempo abbiamo?-
-Per fare cosa?-
-Per metterlo in condizione di non farsi ammazzare non appena torna indietro-
-Adesso sei d’accordo con lui?- Foggy era, giustamente, incredulo -Davvero?-
No, non era assolutamente d’accordo con Matt, era fermamente convinta che tornare da un pazzo assassino in quello stato fosse l’ultima cosa da fare, ma aveva imparato a conoscere il loro ancora più pazzo amico vigilante, e sapeva che se c’era qualcuno in pericolo per colpa sua, non si sarebbe tirato indietro, quindi la miglior cosa che poteva fare era di rimetterlo in sesto al meglio nel poco tempo che gli restava. Inoltre, non voleva svegliarsi il mattino dopo e scoprire che era scappato durante la notte per tornare a Hell’s Kitchen facendo parkour di tetto in tetto.
-Sai meglio di me che non possiamo fermarlo. E non possiamo lasciare la vostra amica nelle mani di Stick perciò….-
-Grazie, Claire…-
-Taci, Cornetto. Voglio solo essere sicura di non avere la tua morte sulla coscienza. Hai preso le tue medicine?-
Non lo aveva ancora fatto ed era come sempre molto reticente, ma questa volta lo obbligò. La febbre era di nuovo alta e lei voleva evitare di infilarlo di nuovo nella vasca da bagno, se era possibile, senza contare che con le care, vecchie medicine era più probabile che la febbre non risalisse.

***

Matt stava cercando di pensare a cosa fare.
Claire aveva ragione, su tutti i fronti. Anche se fosse riuscito a tornare a New York per conto proprio (e non era sicuro di riuscirci senza soldi o mezzi di trasporto; non era stupido, sapeva che la sua condizione fisica poteva essere al massimo definita pessima) non sarebbe stato in grado di sopravvivere alla loro prima missione, ammesso e non concesso di non lasciarci le penne durante la punizione “made in Stick” che sarebbe sicuramente arrivata, ma allo stesso tempo voleva mettere al sicuro Karen il prima possibile. Ovviamente, non c’erano certezze sul fatto che Stick l’avrebbe liberata, ma per lo meno avrebbe avuto un bersaglio più soddisfacente su cui scaricare la propria ira.
-Foggy?- chiamò.
-Che succede?-
-Chiama Stick. Voglio parlargli-
A dire il vero non ne aveva poi tutta questa voglia, ma non potendo rientrare, sperava almeno di convincerlo a essere paziente e a non farle del male per qualche giorno, inoltre, se doveva essere sincero, l’idea lo spaventava. Non aveva paura di Stick in sè, non l’aveva avuta da bambino e di certo non avrebbe iniziato ora, ma l’uomo gli aveva sempre rimproverato di essere un debole, principalmente perchè quando ci andava più pesante del solito, spingendolo oltre i propri limiti, a fine giornata doveva riportarlo a casa in braccio. Adesso, dopo molti anni, avrebbe dovuto confessare di essere collassato in una chiesa e di essere rimasto incosciente per un paio di giorni, e il tutto di natura psicologica. E ovviamente non poteva confessare che il tutto fosse stato scatenato da una ragazza di cui era innamorato.
-Ne sei sicuro?- chiese Foggy, come sempre intuendo che qualcosa non andava. Il ragazzo era più bravo di lui a leggere le persone. E senza superpoteri.
-Devo- rispose, evitando il più possibile di muovere la testa. Il fottuto paracetamolo era entrato in circolo e tutto iniziava a farsi confuso. La febbre stava iniziando a scendere, poco per volta, Matt percepiva che a poco a poco il materasso gli sembrava meno freddo al contatto con la pelle delle sue mani, ma in compenso gli effetti collaterali del medicinale si erano presentati tutti a bussare alla porta della sua testa, e avevano deciso di dare un fantastico party.
-Gli parlo io, ok?- Foggy gli mise una mano sulla spalla, rassicurante -Perchè non dormi un po’ e lasci che le medicine facciano il loro lavoro?
Matt si chiese distrattamente se una festa nel suo cervello fosse il loro lavoro, ma Foggy aveva ragione e la parte della sua testa ancora in grado di ragionare lo stava pregando di smetterla di tenerla impegnata e di mettersi tranquillo per un po’ (o possibilmente per sempre). Cercò di obiettare per un istante, cercando di rimettersi seduto, ma a quel punto la sua testa rispose giocandosi la carta di giramenti di testa e nausea degna delle migliori combo di una partita a UNO e Matt decise di lasciare il tavolo e la festa.
-Lascia Claire fuori da tutto questo- fu la sua semplice, ed esausta, risposta.
-Certo. Non preoccuparti, Matt. Ci penso io-
-Chiedi… di parlare…-
-Con Karen. Ovviamente. Ora dormi.-

***

A Matt, per una volta, non servì un secondo invito (e Foggy poteva contare sulla punta delle dita di una sola mano il numero di volte che era successo). Un paio di minuti dopo era già profondamente addormentato e Foggy non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo. In tutti quegli anni di amicizia aveva visto tanto lati di Matt Murdock, probabilmente tutti, ora che conosceva il suo segreto, e aveva imparato quanto fosse sensibile alla febbre e alle medicine, e sperava che dormendo riuscisse a trovare un po’ di sollievo.
-Come sta?- chiese Claire.
-Tachipirina 1 - Cornetto 0 - la informò - Si è appena addormentato-
-Lo chiamerai davvero? Stick, intendo-
-Sì. Non voglio tirare troppo la corda. L’ho già fatto, e guarda a cosa ci ha portato. Per cui, sì, lo chiamerò.-
Claire si limitò ad annuire. A Foggy non era certo sfuggita la silenziosità della ragazza, che infatti non aveva detto più di due parole da quando Matt aveva finito la sua storia. Gli aveva dato le medicine e controllato le ferite, poi si era scusata e si era rifugiata nella propria stanza, mormorando qualcosa riguardo il letto da rifare, e da lì non era praticamente più uscita, fino ad adesso. Non aveva osato andare a bussare alla sua porta, un po’ per occuparsi di Matt e un po’ perchè una camera da letto e una porta chiusa erano un segnale ben preciso. Ora però…
-Claire?- chiese un po’ esitante -Va tutto bene?-
La ragazza lo guardò negli occhi e gli fece un sorriso triste, ma annuì.
-Sì… o almeno… lo sarà- gli rispose -Mi serve solo tempo per… digerire… beh… lo sai-
-Ti capisco…- le rispose mettendole una mano sulla spalla -Senti… se non vuoi sentire la chiamata, posso andare altrove. Potrei uscire…-

***

Ancora una volta Claire rimase colpita e spiazzata dalla grande sensibilità di Foggy. Scosse la testa resistendo a stento alla tentazione di abbracciarlo. Si era sempre ritenuta piuttosto brava a nascondere i propri sentimenti, ma evidentemente i superpoteri non erano un’esclusiva di Matt perchè a quanto sembrava era trasparente.
-No, tranquillo. Resta. Solo… starò nella mia camera, ok?-
-Ne sei sicura?-
-No aspetta- lo fermò -Forse è meglio se prendi tu la camera, così posso tenere d’occhio Matt-
-Uhm… ahm. Giusto… ok. Grazie-
L’imbarazzo di Foggy di fronte alla prospettiva di rubarle la camera da letto era talmente tenera che le strappò un sorriso mentre si sedeva sul divano, gli occhi puntati clinicamente su Matt. Era tutto sudato, ma di quello non era preoccupata, erano solo le medicine che facevano effetto. Si avvicinò al materasso e gli scostò la coperta; il suo istintivo sospiro di sollievo le strappò un altro sorriso e allo stesso tempo fu sollevata del fatto che al momento fosse troppo sottosopra per percepirla.
Le sue parole si erano impresse a fuoco nel suo cervello, che si divertiva a riproporgliele a nastro. Non faceva fatica ad immaginarsi un Matt bambino, con i suoi occhioni grandi e dolci, costretto ad combattere e ad addestrarsi per diventare un soldato, per diventare quello che sarebbe diventato l’Uomo Mascherato prima e poi Daredevil. Prima che partisse le aveva detto che era diventato l’uomo di cui la città aveva bisogno, ora sapeva che non era esattamente così.
-Non me ne frega un cazzo! Matt non si muove da qui!- la voce di Foggy, all’improvviso alta, la fece sobbalzare. Trattenne a stento un grido di sorpresa. Fortunatamente, la cosa non sembrava aver disturbato il sonno del suo paziente. Con cautela, si alzò e fece capolino sulla porta della stanza. Foggy era in piedi vicino alla finestra e le dava le spalle. Tuttavia, le bastò vederne la postura per capire che si stava arrabbiando. -E voglio parlare con Karen in meno di cinque minuti!- concluse poi chiudendo la telefonata con un tocco deciso sul touch screen.
Evidentemente vide il suo volto riflesso nel vetro, perchè all’improvviso si voltò, un’espressione mortificata dipinta sul viso. -Scusa- disse -non volevo urlare-
-Tutto ok?-
-Non lo so-  sospirò lui -Non riesco davvero a capire questo tipo, lo sai? Come diavolo è possibile che non gliene freghi niente di Matt?-
-Parli sempre del pezzo di merda che ha adottato un bambino cieco per addestarlo a uccidere, lo sai vero?-
Per la prima volta, Foggy sembrò soffermarsi davvero sulla cosa, come se fino a poco prima non avesse davvero realizzato quale fosse lo scopo primario per cui Stick aveva insegnato a Matt a controllare le sue capacità.
-Suppongo che questo chiarisca alcune cose… - Il telefono di Foggy iniziò a suonare in quel momento. Rispose subito, improvvisamente teso e Claire, mossa da non sapeva nemmeno lei quale istinto,gli disse di mettere in viva voce muovendo solo le labbra. Lui annuì e obbedì. -Voglio parlare con…- esclamò a mò di saluto.
-Foggy!- a rispondergli fu una voce femminile, spaventata ma comunque ferma.
-Karen! Stai bene?- rispose, incapace di nascondere il sollievo nella sua voce. Tuttavia, la successiva risposta venne da una voce maschile. Era dura, e anziana.
-Adesso l’hai sentita, ragazzo. Adesso muovi quel tuo culo grasso e riporta qui quel fottuto ragazzino prima che tu debba trovarti anche una nuova segretaria!-
Quella voce. Quello doveva essere Stick, e il modo in cui stava parlando di Matt, come se fosse stato un oggetto, le fece capire di averne chiaramente abbastanza.
-Vedi di ascoltarmi, razza di coglione.- intervenne prima di avere modo di collegare bocca e cervello -Matt si regge in piedi a malapena. Conciato così sarà inutile per te e non ho intenzione di lasciarlo uscire da questa casa, quindi fai un favore a tutti: rilascia la ragazza, torna alla tua stupida guerra del cazzo e lasciaci in pace!- e questa volta fu lei a chiudere la chiamata.
Sentendosi osservata, alzò lo sguardo e scoprì Foggy che la guardava come se fosse una qualche specie di alieno appena spuntata dal nulla… appena prima di sentire la risata di Matt provenire dall’altra stanza della casa. Le loro voci alte dovevano averlo svegliato.
-Fantastico. Adesso ci ucciderà tutti sicuramente- si lamentò Foggy mentre raggiungevano il loro amico, che trovarono ancora mezzo assonnato, ma con un ghigno stampato in faccia, seduto sul materasso in salotto.
-Naaa… non credo- rispose -sicuramente l’ha fatto incazzare, ma probabilmente sarà anche impressionato. Nessuno osa parlargli così, di solito. Tra parentesti, è stato parecchio figo-
Le sue parole la fecero arrossire, anche se non era sicura che gli avesse appena fatto un complimento, ma era comunque contenta di essere riuscita a farlo ridere genuinamente, nonostante non riuscisse pienamente a nascondere la propria angoscia. E infatti, il buonumore non durò a lungo. -Devo andare, comunque-
-Non se ne parla, Matt-
-Sto bene. Lo prometto- tentò di rassicurarla, ma a questo punto Claire aveva imparato che a volte l’unica cosa che si poteva fare per tenere in vita Matt Murdock era assecondarne la pazzia.
-Allora verremo con te- ribattè in un tono che non ammetteva repliche -e se dici di no ti faccio dormire per il resto della settimana-
-Ora ho capito perchè ti piace, Matt- rise Foggy -E’ Stick, ma con le tette!-

A/N: NON immaginatevi Stick con le tette. Gli incubi mi hanno perseguitata per una settimana, almeno. Io vi ho avvertiti.
Dal prossimo capitolo... si torna a Hell's Kitchen... e da lì in poi ho perso il controllo di personaggi e avvenimenti. Han fatto tutto da soli, giuro.


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Capitolo 12
*** Darts and glass ***


A/N: Eccomi qui e, come al solito... perdonate l'immenso ritardo! Però ci siamo, il capitolo 12 è finalmente finito!
Prima di lasciarvi, come sempre voglio ringraziare tutti coloro che mi hanno recensito... questo fandom è piccolo e ogni recensione davvero mi riempie di gioia!
Grazie anche a chi ha inserito la storia nelle seguite/preferite/da ricordare!
Bando alle ciance... e buon capitolo 12!

Capitolo 12:
DARTS AND GLASS

Non viveva più in un mondo in fiamme. La sua realtà ora era fatta da fitte di dolore e nebbia, che coprivano e offuscavano tutto ciò che lo circondava.
Ricordava una partita a freccette contro la sua schiena, che ora evidentemente si era trasformata in un torneo, perchè c’erano almeno venti persone che lanciavano freccette contemporaneamente, impedendogli perfino di respirare.
Si chiedeva chi cavolo avesse avuto la malsana idea di appendere il tabellone sulla sua schiena. Probabilmente Foggy, ubriaco marcio, o qualcun altro che avevano conosciuto al bar e li aveva convinti che sarebbe stata una grande idea.
-Matt? Sei tra noi?- sentiva ancora la mano di Karen sul suo capo, mentre gli accarezzava i capelli. Era sicuramente la loro segretaria, perchè erano sicuramente una mano e una voce di donna (probabilmente Foggy stava riposando. Per quanto tempo era rimasto incosciente, a proposito?), tuttavia, il suo tocco e la sua voce, seppur familiari, gli sembravano in qualche modo diversi. Probabilmente era solo scombussolato. -Matt?-
Avvertì la preoccupazione nella voce della ragazza, e cercò di risponderle, di dire qualcosa, ma se già respirare era impossibile, parlare era praticamente impossibile. Non riusciva a tirare il fiato.
Ordinò ai propri occhi di aprirsi e mosse lentamente, molto lentamente, la mano per incontrare quella della ragazza. Se si fosse limitato a piccoli movimenti, il bersaglio sarebbe rimasto immobile e i giocatori non si sarebbero arrabbiati, e chissà, magari avrebbero smesso di mettere così tanta forza nei loro lanci.
Come previsto, i giocatori si calmarono e la forza dei lanci diminuì, permettendogli (quasi) di respirare. Sfruttò il momento di relativa calma per concentrarsi sulle mani, quella più vicina, che gli teneva gli stringeva delicamente la sua e l’altra, che scorreva nei suoi capelli.
No, decisamente non era la mano di Karen, ma non era nemmeno quella di Foggy. A dire il vero, il suo calore, la stretta gentile, e quel modo unico di accarezzargli i capelli, sembravano proprio quelli di…
Riascoltò mentalmente la voce, e non riuscì a non andare nel panico quando capì di essersi sbagliato clamorosamente quando l’aveva associata a Karen.
-No, no, no. Matt. Matt, calmati. Calmati.- Claire cercò di calmarlo, spostando la mano dai suoi capelli alla sua guancia per accarezzarla dolcemente, mentre l’altra si allontanò, cercando a tastoni qualcosa che poi gli venne messo tra le braccia. -E’ tutto ok, Matt. Siamo a casa tua. Stringi i guantoni, dai. Stringili. Sai a chi appartenevano. Forza-
Cuoio rovinato, corde ormai sfilacciate e pronte a spezzarsi da un momento all’altro, l’odore familiare. Erano i guantoni di suo padre,e non c’era possibilità che Stick li avesse trovati.
Li strinse forte al petto, quasi piegandosi su sè stesso nel farlo, ignorando il torneo in corso.
Che andassero a fare in culo, la prossima volta avrebbero appeso il tabellone a una parete, se proprio avessero voluto giocare.
La presa sui guantoni lo aiutò finalmente a calmarsi e a concentrarsi. Piano piano rilassò i muscoli, lasciando scemare il dolore.
Riprendendo lucidità, tornarono anche i ricordi, e con loro le parole di Foggy. Giusto, non erano freccette. Erano pezzi di vetro. Molti pezzi di vetro. Nella sua schiena. E doveva ringraziare Stick per questo regalo.
-Matt?- la voce di Claire tornò a parlargli non appena riprese il controllo delle proprie emozioni -Adesso ho bisogno che resti immobile. Devo toglierti i vetri dalla schiena, e ti farà male. Puoi sopportarlo?- Trovò da qualche parte la forza di annuire. Non era sicuro di riuscirci, ma in qualche modo quelle cose andavano tolte, e sicuramente dopo sarebbe stato meglio. Sentì qualcosa di morbido premergli sulla bocca. Un bavaglio. No. No. Iniziò ad agitarsi, gridando per il dolore, cercando di sottrarsi -Matt. Va tutto bene. E’ solo una maglietta. Apri la bocca, forza-
Claire stava di nuovo usando quel tono che lo avrebbe convinto a obbedire a qualunque cosa gli avesse chiesto di fare: onesto, dolce e fermo allo stesso tempo. Obbediente, aprì la bocca e lasciò che la t-shirt gli venisse messa tra i denti. -Stringi forte quando ti fa male, ok? Dovrai stare molto, molto fermo o dovrò anestetizzarti-
No. Tutto ma non l’anestesia. I suoi sensi ci avrebbero messo giorni a tornare alla normalità e fino ad allora chissà cosa avrebbe potuto fare Stick ai suoi amici, soprattutto se Claire si fosse lasciata andare a un altro sfogo come quello che aveva fatto per telefono.
Annuì e cercò di prepararsi al dolore, ma dopo la prima fitta ci fu solo il nulla.
Il nulla non era poi così male, in effetti. Il nulla non faceva male.
***
Scoprirono che Matt non andò oltre l’estrazione della prima scheggia prima di svenire, e l’infermiera non potè fare a meno di sospirare di sollievo.
-E’ davvero la cosa migliore che riesci a fare? Infilargli una maglietta in bocca e sperare che svenga per il dolore?- Karen era seduta sul pavimento, vicino al divano dove i ninja avevano depositato Matt. Quando la donna di colore era uscita dall’armadio, la bionda si era quasi presa un colpo, soprattutto perchè si era subito affrettata a tagliare quello che restava della maglia di Matt e a controllargli le ferite, senza dire una parola e senza lasciarle il tempo di capire cosa stesse succedendo.
In tutto questo, Karen non aveva osato fiatare, troppo confusa e spaventata per riuscire a elaborare una frase completa, soprattutto dopo che l’aveva vista impallidire di fronte allo scempio che era uscito una volta tolta definitivamente la maglietta nera. Ad ogni modo, la ragazza aveva riguadagnato presto il sangue freddo e, nonostante fosse privo di sensi, iniziò a parlargli a bassa voce mentre iniziava a lavorare. Adesso, però, la rabbia che covava dentro da quando si era ricongiunta con i propri datori di lavoro aveva preso il sopravvento.
-Rifiuta di prendere qualunque medicina- fu la calma (e quasi distratta) risposta, data senza staccare gli occhi da Matt, mentre le sue mani si muovevano lentamente sulla sua schiena alla ricerca di piccole schegge invisibili ad occhio nudo, dando al ragazzo un po’ di pausa tra una di quelle grandi e l’altra. -Mordere qualcosa non solo eviterà che i vicini chiamino il 911, ma esorcizzerà il dolore, aiutandolo a restare fermo- continuò poi, sempre senza guardarla -perciò sì, è tutto quello che posso fare per aiutarlo. Sei Karen?-
-E tu chi sei? La puttanella di Stick?- Karen non riuscì a trattenere la propria aggressività, anche se probabilmente questo suo atteggiamento l’avrebbe portata a cacciarsi in un mare di guai, ma con Foggy ostaggio di quel pazzo e Matt ridotto così non riusciva proprio a controllarsi.
Probabilmente, se non fosse stata così sconvolta, avrebbe notato che una collaboratrice di Stick non avrebbe avuto bisogno di nascondersi in un armadio, ma non era decisamente nelle condizioni di notare certi dettagli.
La donna, che finalmente riconobbe come colei che aveva assistito Elena e Foggy la notte delle esplosioni, non le rispose, troppo concentrata a togliere un grosso pezzo di vetro dalla scapola di Matt. Cinque o sei altri frammenti erano già stati estratti, e ora erano appoggiati in un piatto che aveva trovato della credenza della cucina. Guardandoli, Karen non potè che darle ragione: probabilmente era davvero un bene che fosse svenuto al primo, o il dolore sarebbe stato insopportabile. La bionda all’improvviso trattenne il fiato: Daredevil o meno, Matt al momento era completamente inerme nelle mani di quella donna, e ora temeva che la sua impertinenza provocasse una vendetta, ma l’infermiera sembrò non averla nemmeno notata, e rimase professionale, cercando di fargli il meno male possibile.
-Questa era l’ultima- annunciò dopo aver estratto altri tre pezzi e aver medicato e bendato il resto delle ferite, asciugandosi il sudore dalla fronte usando la manica della camicia di Matt che stava indossando.
-Allora? Sei quella che Stick chiama quando rischia di uccidere il suo miglior soldato?- ora che il suo capo non era più sotto trattamento, non riuscì proprio a contenere il proprio sdegno.
-Foggy non ti ha detto nulla?- Che cosa c’entrava ora Foggy?
-Foggy si è offerto come ostaggio per lasciare a Matt il tempo di riprendersi- La donna sospirò, prima di voltarsi verso di lei, ma solo dopo aver preso dolcemente la mano di Matt nella propria.
-Non lavoro per Stick, ok?- rispose, stanchezza ed esasperazione trapelarono dalla sua voce -Non l’ho nemmeno mai incontrato. Sono solo la ragazza fortunata che ha trovato un cieco moribondo nel suo cassonetto nell’unica serata libera che aveva, ok? E, comunque, mi chiamo Claire-
Nonostante la situazione, il modo in cui si era descritta non riuscì a non strapparle un sorriso, senza contare che era stata gentile con lei, nonostante il suo comportamento da stronza.
-Io di solito nel cassonetto ci trovo dei ratti giganti - le sorrise -A te non è andata poi così male-

***
Claire non riuscì a non ricambiare il sorriso, nonostante fosse esausta e volesse più di ogni altra cosa infilarsi a letto e dormire per almeno un mese di fila. Si alzò, pensando che Karen non aveva tutti i torti, e coprì Matt con una delle sue coperte super-morbide.
Erano passate solo due ore, due dannatissime ore, da quando Matt e Foggy avevano lasciato l’appartamento per tornare da Stick, e quel mostro in pochissimo tempo era riuscito ad arrivare a un passo dall’ucciderlo. Foggy aveva avuto ragione.
Ma non poteva pensarci ora, Matt era al sicuro, aveva bisogno di riposare, e lei doveva occuparsi anche di Karen. All’apparenza, non era stata nemmeno sfiorata, ma non sempre le ferite lasciano segni visibili, giusto?
Con un cenno della mano, la invitò a seguirla nella piccola cucina di Matt per lasciarlo riposare (anche se dubitava che si sarebbe svegliato tanto presto) e preparò un tè per entrambe.
-Cos’è successo?- le chiese tendendole la tazza fumante, da cui proveniva il profumo di un infuso di frutti rossi.
-Non lo so. Ho sentito il rumore di qualcosa che si rompeva, e poi Foggy urlare. Dopo un po’, i ninja di Stick sono entrati nella mia cella, con Matt in queste condizioni. Foggy è rimasto per un po’ in silenzio, poi ha fatto un patto con Stick. Io e Matt saremmo venuti qui, e lui sarebbe rimasto come garanzia. Matt ha una settimana per riprendersi e tornare a fare quello che faceva prima con quello squilibrato.
Mentre l’ascoltava, Claire stava giochicchiando distrattamente con uno dei pezzi di vetro ancora insanguinati che aveva estratto dal corpo di Matt. Per la prima volta, a quelle parole, li guardò attentamente, e non ci mise molto a riconoscere che fosse una delle fibre di vetro di solito utilizzate per le finestre, di quelle che aiutavano ad attutire i rumori provenienti dall’esterno e cercavano di minimizzare le perdite energetiche. Sussultò e lo rimise nel piatto, prestando la massima attenzione alla bionda di fronte a lei. Si rese conto che, troppo presa da Matt, l’aveva completamente trascurata.
-Stai bene?- le chiese subito -Sei ferita?
-Eh?- sembrava quasi sorpresa,come se fosse anche lei talmente preoccupata per il loro amico da non aver fatto caso a sè stessa. -No… no. Sto bene. Sono solo dei graffi. Come sta Matt?
-Starè bene…- ed era la verità. Per un qualche miracolo non erano state intaccate parti vitali -Beh, ovviamente se non darà di matto quando si sveglierà e scoprirà quello che ha fatto Foggy- specificò -Gli ho dato anche qualcosa per la febbre, e sto seriamente prendendo in considerazione l’idea di tenerlo sotto sedativi per il resto della settimana se non se ne sta buono.
Karen le sorrise, ma Claire notò comunque il leggero tremore nelle mani della ragazza, che era probabilmente sia arrabbiata che spaventata a morte. Claire sapeva esattamente come si sentiva.  -Allora…- le chiese rompendo il silenzio -Sai chi è? Matt, intendo.
-Adesso lo so- fu la risposta -E non ho idea di come faccia. Però… mi ha comunque salvato la vita.
-Non sei… arrabbiata?.
-Con lui… e con Foggy. Ma farò i conti con loro quando tutto questo sarà finito. Non sono un mostro, e non c’è gusto nel prendere a calci in culo uno mezzo morto.
Claire non riuscì a trattenere una risata. Karen le piaceva; era forte e divertente. Non esattamente il tipo di ragazza da “aiuto sono una principessa in pericolo, vi prego, salvatemi”- Sambrava proprio il genere di persona di cui Matt avrebbe potuto innamorarsi, persò sorseggiando il proprio te.
E perchè stava pensando una cosa del genere, ora?
-Lo terrai davvero sedato per una settimana?- Karen interruppe i suoi pensieri -E’ ferito, se ne starà buono comunque.
Claire rise ancora, senza riuscire a trattenersi, ma solo perchè ridere era comunque meglio che pensare a quanto sarebbe stata dura tenere Matt su quel divano dopo avergli detto che il suo migliore amico era nelle mani di Stick. -Che c’è di così divertente?
Giusto. Karen di Matt aveva visto l’avvocato e la persona sempre gentile e pacata che era quando non si divertiva a picchiare i malviventi sotto una maschera. Probabilmente aveva anche visto quanto potesse essere caparbio nel suo lavoro, ma di certo non l’aveva visto in questo genere di situazioni.
-La notte che l’ho incontrato- spiegò, lasciando che le labbra le si incurvassero in un sorriso nostalgico al ricordo -gli era collassato un polmone. Dopo un’ora era di nuovo sulle strade a combattere dei russi che avevano rapito un ragazzino. Ora parliamo di Foggy, per cui no, credimi, sarà tutto tranne che tranquillo.
Karen si voltò verso il divano, e Claire ne seguì lo sguardo, mentre la rabbia tornava a salirle in corpo. Matt era ancora privo di sensi, la bocca ancora dischiusa dopo che aveva sfilato la maglietta, la schiena, nascosta da una coperta morbida, piena di punti e bende che proteggevano le ferite. Se le sue ipotesi erano giuste, Stick lo aveva con molta probabilità lanciato giù da una finestra e dopo, a giudicare dai lividi che stavano comparendo, doveva anche averlo riempito di botte, e probabilmente Matt non aveva nemmeno cercato di difendersi, per mancanza di forze o, forse, per non rischiare ripercussioni sui suoi amici. Chiuse le mani a pugno e si ficcò le unghie nella carne, respirando lentamente per calmarsi.
-Fo… Fog… - la voce di Matt a malapena definibile come un sussurro, tanto che l’unica cosa che la convinse di averla sentita davvero fu il fatto che Karen era impallidita. Il ragazzo era perfettamente immobile, con gli occhi chiusi, e per un attimo Claire non fu certa che fosse sveglio. Si avvicinò cautamente, fermando Karen con un cenno della mano quando la segretaria accennò a seguirla. Non sapeva quale sarebbe stata la reazione di Matt a un eventuale contatto fisico, e al momento non poteva proprio permettersi un secondo paziente. -Fog… a… aiuto.
-Matt?- Claire sussurrò il suo nome senza però avvicinarsi troppo al divano. Non ci teneva a venire colpita -Matt? Sei sveglio?- Riusciva a malapena a sentire la propria voce, ma non dubitava che a lui sarebbero arrivate forti e chiare. Matt aprì gli occhi.
-Cla… non… r… riesco… a… muov…
Ok, questo non era un buon segno. Era uno di quei segnali abbastanza allarmanti da spaventarla e farle perdere la calma, soprattutto perchè si trovava di fronte a mister “non mi ferma nemmeno un polmone collassato”. Fece mente locale (non che avesse poi bisogno di concentrarsi molto, la mappa delle schegge nella sua schiena le si era stampata in testa, e probabilmente sarebbe tornata a tormentarla la notte) e ricordò che alcuni pezzi, i più grandi, erano penetrati in profondità nella carne, e si chiese, per la prima volta e maledicendosi per non averlo fatto prima, se non avessero causato una qualche emorragia interna o danneggiato qualche organo.
-Karen- mormorò, sforzandosi al massimo di mantenere un tono di voce calmo, non voleva agitare nè Matt nè la ragazza. -Stai pronta a chiamare il 911 non appena te lo dico, ok? Componi il numero e tieni il dito pronto a schiacciare l’inoltro di chiamata.
-No…. Amb… anza.
Claire ignorò l’implorazione.
-Cornetto, adesso ascoltami bene, ok? Mi stai ascoltando?- Un impercettibile cenno con la testa. La stava ascoltando. -Ora sentirai qualcosa di freddo e metallico sulla pelle. E’ uno stetoscopio, lo usero per auscultare gli organi interni. Cercherò di essere delicata, ma probabilmente ti farà un po’ male dove sei ferito. Se sento qualcosa che non sia la tua normale respirazione, ti portiamo in ospedale. Non posso curarti se devo aprirti per drenare un’emorragia. Siamo d’accordo?-
-D’a….o-
Claire sospirò di sollievo. Quel che restava del suo buon senso (perchè gran parte evidentemente aveva fatto le valigie e se ne era andato la notte che la sua vita aveva incrociato quella di Matt Murdock)  la stava implorando di portarlo immediatamente in ospedale, ma si riteneva fortunata che avesse accettato quel patto. In una giornata migliore (o peggiore?) non sarebbe riuscita a ottenere una risposta diversa da un secco “no”, quindi mise a tacere la sua coscienza e si costrinse a considerarla una vittoria e tornò al lavoro. Come promesso, cercò di appoggiare a malapena l’estremità metallica dello strumento sulla pelle nuda del ragazzo, a cui sfuggì comunque un gemito di dolore.
Ignorò la fitta al cuore che la colpì e spostò il tondo in corrispondenza degli organi principali: cuore, polmoni, bronchi, fegato e milza, rimanendo su ognuno un tempo maggiore di quello che normalmente era necessario per cuore e polmoni, ma c’era un motivo se avevano inventato le ecografie per individuare certi tipi di problemi.
Sfortunatamente, un ecografo non passava proprio inosservato se veniva fatto sparire da un ospedale, e costava decisamente più di uno stetoscopio.
Non avvertì nessun rumore anomalo, e non sapeva se essere contenta o meno.
Nel dubbio, imprecò.
E imprecò di nuovo, questa volta direttamente contro Matt, quando in risposta le sue labbra di sollevarono leggermente in una smorfia esultante. Aveva vinto. Di nuovo. L’insulto lo fece sorridere di nuovo, e non potè fare a meno di ricambiare, questa volta, passandogli dolcemente le dita tra i capelli sudati in segno di conforto.
-Ac...a-
-Acqua?- gli chiese Claire. Era difficile capire esattamente quello che stesse dicendo, ma non poteva chiedergli di fare più di così. Senza antidolorifici in corpo, con lo shock della caduta e lo stress dell’intera situazione, l’eloquenza era una delle ultime cose a cui Matt doveva pensare. Un cenno della testa le disse che aveva indovinato. Si alzò dalla posizione accovacciata in cui era solo per trovarsi accanto Karen, pronta con un bicchiere e una cannuccia che aveva pescato da chissà dove nella dispensa di Matt. La biondina le porse entrambe le cose, poi fece un passo indietro, lasciandole campo libero per lavorare. Claire questa volta si mise più comoda, mettendosi in ginocchio sulla tappeto. -Matt, apri la bocca-
Se non altro, sapeva quando era il caso di obbedire. Peccato se ne ricordasse solo quando era in punto di morte. Gli infilò piano la cannuccia, lasciandogli il tempo di capire cosa fosse e richiudere quelle labbra. -Succhia- gli ordinò -lentamente-
-Grazie- sussurrò quando il bicchiere fu vuoto, ed era a malapena un sussurro, come quando si era svegliato, ma questa volta era una vera e propria parola, quindi probabilmente doveva solo dargli il tempo di riposare e calmarsi.
-Riposa- gli sussurrò quindi -Ne hai bisogno-
Non ebbe bisogno di ripeterglielo, non era nemmeno sicura che l’avesse sentita pronunciare l’intera frase, tanto velocemente tornò nell’incoscienza. Si voltò di nuovo verso Karen, che era ancora molto pallida, con gli occhi spalancati dallo shock e dalla paura. Si avvicinò e la prese gentilmente per un braccio, guidandola lentamente verso la sedia più vicina; la sentiva tremare leggermente.
-Karen? Stai bene?-
-Come puoi… sopportarlo?- le rispose la segretaria, sforzandosi di mantenere ferma la propria voce, stringendo le braccia attorno al proprio petto. -E’... terribile. Non… sembra… nemmeno...lui-
-Karen. Ascoltami, ok? Starà bene, te lo prometto. Deve solo riposare e calmarsi-
-Non riesce nemmeno a parlare!-
-E’ spaventato, Karen, e dolorante. Dagli un pochino di tempo, ok? Fai una cosa, mettiti a letto e dormi almeno un pochino anche tu. Sei esausta. Resto io con lui-
-Non posso… io…- la biondina non riuscì a finire la frase. La voce le si ruppe in gola e lacrime cominciarono a scendere sulle sue guance, il corpo scosso dai singhiozzi.
Claire se lo aspettava, e non ne fu troppo preoccupata. Quella ragazza era davvero forte, ma l’ultima settimana era stata dura per lei: era stata rapita, ricattata, e, ciliegina sulla torta, aveva scoperto che il suo capo, un ragazzo mite, educato e cieco, era il vigilante mascherato che le aveva salvato la vita; e adesso la stessa persona era stesa su un divano, incapace di muoversi o formare una frase completa. Il collasso era inevitabile.
Claire la fece di nuovo alzare e la accompagnò nella stanza di Matt, chiudendo la porta dietro di loro per evitare che Matt si svegliasse. Non sapendo bene che altro fare, la abbracciò stretta, sperando che si calmasse. Karen, ovviamente, la respinse e Claire non insistette più di tanto. La aiutò a stendersi a letto, facendole appoggiare la testa su uno dei morbidi cuscini di Matt. La biondina vi nascose il volto e l’infermiera le rimase accanto, ascoltandone i singhiozzi. Alla fine Karen riuscì a ricomporsi, e si voltò a guardarla.
-Mi… mi dispiace-
-No, tranquilla. Va tutto bene- Claire si allontanò per un attimo, ma solo per prenderle un bicchiere d’acqua e un paio di pastiglie -Bevi. Ti aiuteranno a dormire e a rilassarti-
-Non posso prenderle…- obiettò -Matt…-
-Karen, ascoltami. Matt è il peggiore incubo di ogni infermiera- ma il sorriso che le salì spontaneo al volto tradì il fatto che la cosa era ben lontana dall’infastidirla davvero -Domani dovremo dirgli che il suo migliore amico, senza alcuna capacità se non quella di cacciarsi nei peggiori guai per proteggerlo, si è offerto come ostaggio per dargli la possibilità di farsi curare. Ecco, questo lo renderà, se possibile, pure peggio di un incubo e toccherà a noi due sorvergliarlo a vista per evitare che si fiondi da Stick a farsi uccidere per liberarlo. Quindi, ti prego, ho davvero bisogno che ti riposi. Non posso farcela da sola. Quindi, ti prego, Karen, se non vuoi vedermi impazzire, dormi un po’...-
Karen sospirò, ma bevve e poi tornò a stendersi.
-E’ Matt. Non può essere così terribile…- sorrise chiudendo gli occhi.
-Lo scoprirai domani. Ora, dormi-
***
Foggy.
Matt si svegliò di soprassalto, mettendosi seduto sul divano.
La testa gli pulsava e la sua schiena mandava scariche di dolore per il movimento improvviso, ma riuscì comunque a sedersi, soffocando un gemto di dolore per non svegliare Claire. Il dolore scemò abbastanza velocemente, segno che si trovava sotto antidolorifici, ma non sentiva la testa pesante e i suoi sensi non erano ovattati come dopo un’anestesia,
Percepiva chiaramente l’infermiera che dormiva accanto a lui, accoccolata sul tappeto ma con la testa e le braccia poggiate sulla seduta del divano. Cercò di muoversi il meno possibile, ma era già troppo tardi: il suo battito cardiaco aumentò leggermente e il respiro si fece meno profondo. Pochi secondi dopo alzò la testa.
-Scusa- sussurrò, tenendo la voce bassa per non svegliare Karen, che invece dormiva ancora beatamente nel suo letto. Claire gli sorrise in risposta e gli scostò una ciocca di capelli dalla fronte. Si concese un sorriso rilassato in risposta, appena prima di notare che in lei c’era una strana tensione e… un attimo.
Incluso lui, sentiva solo tre battiti cardiaci. Per quale cavolo di motivo non sentiva quello di Foggy? E che ci facevano nel suo appartamento? Cosa era successo? -Claire?- chiese, non riuscendo a sopprimere completamente la nota di panico che si era impossessata di lui in risposta all’assenza del suo migliore amico. Lasciò il resto della domanda sospesa nell’aria tra loro. Era anche l’uomo senza paura, ma in questo momento non riusciva a trovare il coraggio che gli serviva a completare la domanda e, allo stesso modo, che Claire sapesse quello che stava per chiedere e non fosse ansiosa di rispondergli, e questo non aiutava di certo la sua paranoia. Eppure doveva farlo. Non poteva non sapere. -Dov’è… Foggy?-
Il silenzio che ne seguì fu abbastanza da mandarlo quasi in panico.
Fu probabilmente la sua improvvisa tensione a convincere la ragazza a rispondergli, finalmente.
-Matt- lo pregò -promettimi che non farai niente di stupido. Promettimi che non tornerai subito da Stick, che aspetterai finchè non ti sarai rimesso-
Ok, ora era ufficialmente in panico.
-Cosa è successo, Claire?- chiese, con una nota di acciaio nella voce. Se Stick aveva fatto del male a Foggy...
La sentì prendere un lungo, profondo, respiro prima di parlare.
-Foggy è vivo, e sta bene- iniziò, e Matt rilascio finalmente il fiato che non sapeva di aver trattenuto fino a quel momento. Foggy era vivo e stava bene. Ok. Annuì.
Più rilassata, Claire lo aggiornò su quello che era successo e che Karen le aveva raccontato. Matt ascoltò tutto in silenzio con gli occhi chiusi, lasciando che ogni parola penetrasse dentro di lui. Sentì la mano di lei spingerlo a stendersi, ma oppose resistenza e alla fine Claire smise di insistere. Non poteva riposare, non quando tutto ciò a cui riusciva a pensare era Foggy. Foggy che si era sacrificato per lui, Foggy che detestava Daredevil, Foggy che era una delle persone più pacifiche che conoscesse al mondo (tranne quando un certo vigilante lo faceva arrabbiare), Foggy che aveva sempre il sorriso stampato in faccia ed era sempre pronto ad aiutare. Foggy, che adesso era nelle mani di Stick, da solo.
-Matt?- la voce di Claire esitò, preoccupata.
Scacciò con un gesto rabbioso le lacrime che gli erano salite agli occhi.
-Voglio parlare con Stick- la voce gli uscì roca, ma ferma.
In realtà “voglio parlare con Stick” non copriva nemmeno lontanamente quello che avrebbe voluto fare. Avrebbe voluto tornare indietro immediatamente, liberare Foggy e, forse, riempirlo di botte per aver messo la propria vita in pericolo (Disse quello che pestava delinquenti vestito da diavolo…) e poi, forse, abbracciarlo come mai aveva fatto prima, perchè mai nessuno finora aveva rischiato tanto per lui. Ma Claire (e Foggy) avevano ragione: non sarebbe sopravvissuto a un altro volo come quello, senza contare che riusciva a malapena a muoversi, quindi sarebbe stato praticamente inutile, ed essere inutile intorno a Stick equivaleva a diventare un bersaglio su cui il vecchio sfogava la propria rabbia. Tuttavia, chiamare Stick era un primo passo: sentiva un bisogno quasi fisico di sentire con le proprie orecchie che Foggy stesse bene e Stick avrebbe mantenuto la parola data
-Domani mattina, Matt. Te lo prometto- Claire cercò di nuovo di spingerlo giù -Ora, per favore, prova a rilassarti e a dormire, ok?-
Stava di nuovo usando quel tono, e Matt non potè fare altro che obbedire come un bravo bambino. Odiava quando parlava in quel modo. E odiava quell’adorabile sorriso soddisfatto che sentiva che stava nascendo sulla sua bocca, e che avrebbe dato qualunque cosa per vedere, anche solo per un secondo.
-Posso avere dell’acqua, per favore?- le chiese e quando tornò, stava cercando di nuovo di alzarsi.
-Quale parte non era chiara di “prova a rilassarti e dormire”?-
-Cercavo solo di andare a controllare Karen. Sta bene?-
-Siediti- Claire lo spinse gentilmente sul divano e gli piazzò il bicchiere tra le mani con una decisione che gli fece capire che forse non era il caso di obiettare. Era un avvocato, dopotutto, sapeva riconoscere una causa persa. -Sta bene- riprende quando fu certa che non avrebbe cercato di alzarsi di nuovo. -Le ho dato qualcosa per aiutarla a dormire. Ah, e ha anche detto che quando tutto sarà finito prenderà a calci il tuo grazioso culetto e quello di Foggy. Sembrava abbastanza seria, se vuoi la mia opinione-
Matt non trattenne un sorriso. Non aveva nessun dubbio riguardo la serietà della ragazza, ed era anche sollevato: se pensava a prenderli a calci, allora stava bene.
-Anche tu dovresti dormire- le disse, percependo quanto fosse stanca con una fitta di senso di colpa. La stanchezza di Claire era solo l’ultima cosa sulla lista delle cose che i suoi amici, la sua famiglia, stavano passando per colpa sua. Prima Karen era stata presa in ostaggio, ora Foggy, Claire era stata trascinata via dalla sua nuova vita e adesso a malapena riusciva a tenere gli occhi aperti e lui era conciato come uno straccio e non c’era alcuna possibilità che potesse fare qualcosa per aiutare anche solo uno di loro.
-Matt. Smetti di pensare- Con un singolo, fluido movimento, Claire si sedette accanto a lui e gli passò un braccio attorno alle spalle. -Non è stata colpa tua. Ci siamo tutti infilati in questo casino perchè ti vogliamo bene e teniamo a te, e non vogliamo vederti morto o, peggio, trasformato in un killer o uno di quei ninja, ok? Non ci hai costretto tu. E’ stata una nostra scelta- Come faceva a sapere quello che stava pensando? Era davvero un tale libro aperto per lei? -Stai di nuovo facendo quella faccia, quella che dichiara al mondo che sei il Diavolo e nessuno dovrebbe starti vicino- Ok, forse lo era.
-Claire…-
-Matt, ha ragione- la voce di Karen li fece sobbalzare entrambi. Non l’aveva proprio sentita svegliarsi o muoversi fino a raggiungere il salotto. Sentì i suoi passi leggeri avvicinarsi mentre la sua forma infuocava si sedeva vicino al lui, dall’altro lato rispetto a Claire. -Te l’ho già detto, e te lo ripeto ora: non sei solo, Matt. E non sei un Diavolo… mi hai salvato la vita ed evitato una condanna per omicidio, ricordi?-
-E hai salvato me dai russi- le fece eco l’infermiera.
-Sì, che ti hanno rapita per arrivare a me, perchè sapevano che mi avevi aiutato-
***
Ci risiamo.
Matt era caduto di nuovo in uno dei suoi loop mentai in cui si riteneva responsabile per tutti i mali del mondo, incluse le guerre sante, il nazi-fascismo, la bomba atomica e la mela mangiata da Eva. Claire aveva iniziato ad associare questi periodi a un ciclo mestruale, perchè lasciavano il ragazzo silenzioso, irritabile e, soprattutto, irritante e, cosa peggiore, tornavano a intervalli più o meno regolari. Quando succedeva, non c’erano parole o azioni che potessero convincerlo del contrario, perchè finire mezzo morto nei cassonetti non era una prova sufficiente che stesse già facendo anche più di quanto fosse possibile per tenere al sicuro quante più persone poteva. L’infermiera sospirò, preparandosi mentalmente a una lunga notte, quando Karen interruppe i suoi pensieri.
-Si’, in effetti fai schifo-
Claire non fu l’unica a sobbalzare. Matt si voltò di scatto verso la biondina, lo sguardo sorpreso di chi ha appena ricevuto un colpo in faccia che subito si trasformava in senso di colpa. Claire fece per intervenire, ma poi qualcosa nell’espressione di Karen le suggerì di aspettare e vedere dove sarebbe andata a parare. Sperava solo che non finisse troppo male. Claire rivolse lo sguardo verso Matt… e il suo cuore perse qualche battito.
Karen era rimasta in silenzio, mentre Matt… Oh, mio Dio. Sembrava… completamente sconvolto e perso, totalmente è incredibilmente tenero, con gli occhi spalancati e umidi, sull’orlo delle lacrime. Stava trattenendo il respiro, cercando di prepararsi a qualunque altra cosa Karen gli avrebbe detto. Claire la guardò di nuovo, e vide che stava digitando qualcosa sul telefono, dove Matt non avrebbe potuto leggere nemmeno con i suoi supersensi. Karen voltò il telefono verso di lei. “Reggimi il gioco” prima di parlare di nuovo -Lo prendo come un insulto. Claire?”
Che diavolo voleva dire? Decise in mezzo secondo.
-Concordo- disse, convinta. Era quasi sicura che Matt non era nelle condizioni di percepire qualcosa dal suo battito cardiaco.
-C...Cosa?- Matt pose la domanda nel tono più timido che Claire potesse immaginare, a stento in grado di evitare di scoppiare in lacrime. Era una vista che spezzava il cuore.
Ti prego, Karen, se è uno scherzo chiudilo, qui. Ti prego.
-Sei da solo,- riprese la parola la segretaria -in casa tua, con due donne stupende a prendersi cura di te… dovresti assolutamente essere un fottuto diavolo!-
L’allusione era così evidente che Matt divenne all’improvviso più rosso del suo costume. Come cavolo faceva ad essere ancora più tenero di prima? Claire scoppiò a ridere di fronte al suo imbarazzo, sicuramente frutto della sua educazione cattolica, e fu sollevata quando vide il suo viso accendersi in una risata leggera, i suoi muscoli rilassarsi mentre la tristezza veniva, almeno in parte, spazzata via dallo scherzo.
Fu anche sopresa quando si rese conto che il ragazzo non era stato l’unico ad aver bisogno di farsi una risata, anche lei si sentiva decisamente meglio, e anche Karen aveva ripreso colore. Aveva appena salvato la giornata.
Tornò alla realtà quando le ferite di Matt si fecero sentire, trasformando la sua risata in una tosse dolorosa e soffocata. Claire fu subito pronta a sorreggerlo e a farlo stendere, ma quando si calmò stava ancora sorridendo, quindi probabilmente non stava poi così male.
-Vi odio, ragazze-
-Bene- replicò Claire -Allora dormi, così non dovrai vederci-
-Claire, sai che sono cieco, vero?-
-Dormi, cornetto- gli ordinò dandogli un bacio leggero sulla fronte.
-Anche tu, Claire- ed era serio. Annuì senza protestare. Era esausta.
-Promesso, Cornetto. Il tuo tappeto è caldo e comodo-
-Aspetta- intervenne Karen all’improvviso -Matt ha un letto matrimoniale, perchè non vieni a dormire? C’è abbastanza spazio per noi due-
Claire ci pensò un attimo sopra, poi concluse che sarebbe comunque riuscita a sentire se Matt avesse avuto bisogno del suo aiuto, per cui annuì.
-Posso unirmi a voi?- Matt colse la palla al balzo. Fu ricompensato dall’attacco simultaneo con i cuscini da parte delle ragazze -Ahi! Ehi, sono ferito!-
-Buonanotte, Matthew-

A/N: Grazier per essere arrivati fin qui! Fatemi sapere cosa ne pensate!





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