Sweet word

di rachelesogna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1° capitolo ***
Capitolo 2: *** 2° capitolo ***



Capitolo 1
*** 1° capitolo ***


Questo che sto scrivendo non è per alietare un pomeriggio piovoso o per il puro picere di leggere; questo- che non so neppure cosa sia precisamente- deve servivi suppongo per capire l'importanza di una parola.

Chi sono io?

Adelaide Smith. Più conosciuta con il nome di: sfigata cicciona con gusti di merda, abbreviato S.C.G.M.

Vorrei spiegarvi il perché di questo bellissimo appellativo che mi è stato affibbiato dai miei “amiconi”. Andiamo per gradi.

Sfigata: agg. [der. di figa, variante settentr. (ma largamente diffusa) di fica, col pref. s-; è più prob. che sfiga sia tratto da sfigato, che non viceversa]. – Nel linguaggio giovanile, sfortunato, iellato (anche con riferimento non a circostanze occasionali, ma a condizioni sociali, economiche e sim.). Il perché? Molto semplice. Amo la lettura, perdermi nel mondo che creano gli scrittori per noi profughi di un mondo che non ci piace poi così tanto. Sfigata perché inevitabilmente in classe, o in qualsiasi altro frangente, ho la mente persa altrove e non mi importa di ascoltare quello che i comuni esseri umani dicono...sono già costretta ad ascoltarmi da sola.

Cicciona: ho 20 chili in più. I fianchi larghi, il seno prosperoso, le cosce grosse. Lo ammetto da sola che sono sono in sovrappeso, anche se proporzionata, non c'è bisogno che loro mi offendano e di certo non mi aiutano a dimagrire. Pensate che da piccola ero magra, bionda e molto bella. Ora sono grassa, mora e un comune essere umano nella norma. Devo dirvi la verità però, non mi importa poi molto dei miei 20 chili in più...il cibo è troppo buono per non essere mangiato.

Gusti di merda: questo è il mio punto preferito da spiegare. Diciamo che la generazione di oggi tende ad ascoltare la musica house, rap o comunque qualsiasi cosa che non sia rock, punk-rock, pop-rock, hard-rock, metal e via dicendo che, per la cronoca, sono i miei generi musicali preferiti. Per carità non critico assulutamente gli altri generi, in fin dei conti ognungo ha i propi gusti, ma gli altri questo non lo capiscono. Oh ma non temete non mi disprezzano solo per questo motivo! Un altro motivo che contribuisce è indubbiamente la mia scelta nel modo di vestirsi. Provate ad indovinare il mio colore preferito? Nero. Certo che sì! Tuttavia non è come pensano gli altri che dicono, cito testuali parole, “Il nero è da emo depressi che si tagliano le vene. Tu sei una emo depressa, sfigata che si taglia le vene”. Ora ditemi voi se non sono da prendere a sprangate sui denti. Ma, essendo io una persona buona e calma, gli evito, mi astengo dal rispondere e mi defilo il prima possibile; vorrei comunque spiegare a voi, santi lettori, che io mi vesto di nero perché il nero è uno stile di vita, non implica che si è emo, o depressi o che si soffre di autolesionismo. Certo non posso dire che io sprizzi gioia da tutti i pori e che,con il passato disastrato che ho avuto, non abbia pensato qualche volta di salutare il mondo una volta per tutte! Tornando all'argomento principale vorrei aggiungere un'ultima cosa, i miei “gusti di merda” come dicono loro, sarebbe legati anche alla mia cotta stratosferica, chi più chi meno, per qualsiasi individuo di sesso maschile presente in un libro, in una fanfiction, in una serie tv e in una band. Ovvero in termini più semplici sono affetta da una malattia degenerativa che porta alla pazzia: sindrome da fangirl.

 

Bene dopo aver tirato per le lunga la presentazione di me stessa mi ritengo soddisfatta e abbastanza pronta per raccontarvi la mia storia alquanto strana e improbabile.

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Capitolo 2
*** 2° capitolo ***


Era Febbraio. Un freddo, piovoso Sabato pomeriggio Londinese del mese di Febbraio. La mattina ero andata-sfortunatamente-nella tana del lupo alias scuola;frequentavo il 4 anno di un istituto tecnico commerciale e andavo fiera dei miei voti compreso quello in educazione fisica che era un 6 arrancato. Appunto quella mattina ero passata sotto le grinfie di due arpie che mi avevano prosciugato qualsiasi capacità di intendere e di volere, portandomi allo sfinimento totale con tanto di caduta sul tram dovuta alle ore arretrare di sonno impiegate nello studio approfondito della Globalizzazione; arrivata a casa ero riuscita e stendermi un po sul letto, giusto per estraniarmi dal resto del mondo, prima del più grande avvenimento della mia vita. Dovevo leggere davanti a persone sconosciute, raccolte in un caffé letterario, venute proprio per udire il primo capitolo del mio primo libro; ero fiera di me stessa per aver completato,dopo anni di duro lavoro, quello che per me era la storia della mia vita, un racconto delle avventure vissute in un periodo disgustoso accompagnata da un personaggio reale che ora non fa più parte della mia vita.

Cosa successe quel pomeriggio?

È stato tutto alquanto strano, ricordo che mi ero vestita con una delle felpe di mio padre, quelle più grandi di tre,quattro traglie con sopra stampato il death-bath degli Avenged Sevenfold, e gli immancabili jeans strappati ovviamente neri e i fidati anfibi vecchi di una vita. Avevo camminato per le strade di Londra ascoltando la voce di Adam Gontier cullarmi dolcemente con la sua voce.

This world will never be

What I expected

And if I don't belong

Who would have guessed it

I will not leave alone

Everything that I own

To make you feel like it's never too late

It's never too late.

 

Il locale era già affollato quando arrivai, le gambe stanche dei chilometri consumati velocemente. All'entrata mi aspettava il proprietario,un certo Mark Argent, un uomo stempiato e secco come un chiodo vestito di tutto punto; mi salutò con un gelido sorriso per poi farmi strada all'interno del locale. Persone dai 15 anni in su sedevano sulle sedie rosso scarlatto disposte a semicerchio davanti al palco spoglio di qualsiasi ornamento, solo un microfono e uno sgabello svettavano nella loro semplicità; con le mani tremanti e le gambe molli salì quei pochi scalini che mi dividevano dalla divulgazione dell'opera più importante della mia vita. Non appena la mia figura,non propriamente magra, incontrò la luce un applauso esplose forte e devastante per il mio cuore già partito per la tangenziale, sorrisi imbarazzata davanti a quella dimostrazione d'affetto improvvisa e non meritata visto che ancora non avevo aperto bocca, ma l'accolsi a braccia aperte, come un balsamo sul mio corpo a lenire le ferite di migliaia di prese in giro, migliai di ferite incise sulla mia pelle memori di orribili ricordi. Mi accomodai sullo sgabello soffiando fuori il fiato, sistemai i capelli dietro le orecchie in un gesto di nervosismo, poi avvicinai le labbra al microfono.

“Ciao a tutti.” tentai, e puntualmente un fischio sordo e fastidioso irruppe nel locale, uno stridore non gradito né da me né dagli ospiti.

“Perdonate la mia goffaggine...sono nuova in tutto questo...” risolini si alzarono nella stanza facendomi sorridere “Sapete la prima volta che scrissi una storia ero soddisfatta di quello che avevo scritto, come un bambino quando ottiene un giocattolo che tanto desiderava. Se ora rileggessi quelle storie scoppierei a ridere per la banalità, la grammatica pessima e l'aggettivazione scadente...” risi appena ricordando la storia che scrissi a 11 anni 'Cuscino parlante' così si chiamava.

“Da quella volta ho fatto tante esperienze, sono cresciuta, non ho più lo stesso punto di vista di quando andavo in prima media. Questo...” e indicai il libro “...è forse un pezzo della mia anima. Non perché ho sudato per realizzarlo, anche se devo ammetterlo in parte è per questo, ma perché racconta di me. Delle mie cadute, delle mie debolezze. Perché lo faccio, vi starete chiedendo, la risposta è molto semplice. Perché le persone giudicano, puntano il dito senza neanche conoscere, ti prendono in giro, di etichettano per sfigata...tutte le persone lo fanno , compresa me che ogni tanto perdo la ragione. Nessuno è perfetto. Il mio intento è quello di far capire alla gente che c'è molto più di quel che si crede dietro un sorriso, uno sguardo, una lacrima.” alzai lo sguardo dalle mie mani intrecciate e sudate puntandolo sulla platea raccoltasi lì per me. Altri scroscii di applausi si levarono alti, sù, sempre più sù portando con loro la mia felicità.

L'ora e mezza seguente lessi il primo capitolo del mio libro, che ebbe un gran successo. Alcune case editrici mi proposero di firmare un contratto per la pubblicazione del libro e io annuendo risposi a tutte che gli avrei fatto sapere. Elettrizzata, saltellavo quasi, mentre mi dirigevo a ringraziare Mark.

Qui, mentre la felicità mi saturava le membra, feci l'incontro che mi cambiò la vita. Più che incontro lo possiamo definire scontro, un frontale tra la mia testa e un petto solido e caldo. La prima cosa che sentì fu il profumo forte, un misto tra pasta dentifricio e essenza di uomo. La seconda cosa che sentì era la consistenza solida su cui la mia fronte poggiava e il calore avvolgente che quel corpo emanava. Attirata, come le falene dalla luce, restai ancora appoggiata a quel corpo senza rendermene minimamente conto; finché una voce familiare mi chiese dolcemente se mi sentissi bene. Rossa, mi resi conto dell'enorme stupida figura che avevo appena fatto, ma quello fu niente in confronto a quello che successe dopo.

Dopo essermi allontanata da quel corpo, imbarazzata, alzai lo sguardo per chiedere scusa, e di certo non mi aspettavo di trovare due occhi di ossidiana a scrutarmi preoccupati. Dovetti respirare più di una volta, ossigenare il cervello prima di comprendere che quella figura imponente fasciata in skinny jeans e semplice maglia nera, non era altro che Calum Thoma Hood.

Il sorriso che si aprì su quelle belle e carnose labbra, fu il più meraviglioso e sincero sorriso che ricevetti in vita mia, o almeno il primo di una serie che mi fece perdere il lume della ragione.

“Mi è piaciuto molto il tuo libro. Credo proprio che lo leggerò” continuò lui imperterrito non notando l'effetto che mi faceva, oppure notandolo ma non facendoci caso comportandosi da comune mortale.

“Grazie. Io amo la tua voce...” arrossì

“Cioè amo il tuo basso...” assunsi una gradazione di rosso superiore e dopo vari boccheggiamenti riuscì a dire la frase giusta “Amo la vostra musica. Mi ha aiutato molto a scrivere, e a superare momenti difficili.” sorrido imbarrazzata grattandomi il capo.

Lui sorrise ancora, facendomi palpitare il cuore un po' di più. Ricordo che rimasi ferma a fissare le sue labbra per minuti interi non badando minimamente allo sguardo divertito di Calum.

“Vuoi provarle?”

“Come scusa?” sgranai gli occhi sorpresa, perché insomma non poteva farmi una domanda del genere, i miei ormoni sarebbero impazziti. Fortuna vuole che riuscì a contenermi.

“Stavo scherzando...” rise lui in quella risata tanto bella quanto buffa, e sorrisi anche io contagiata da tanta bellezza e semplicità.

“Io mi chiamo Calum, ma credo che questo tu già lo sai...”

“Io sono Adelaide.”

“Bene Adelaide, qual'è la tua canzone preferita?”

“Jet black heart.”

“Posso chiederti il perché?” aggrottò la fronte lui, ed era veramente curioso di saperlo, lo scoprì tempo dopo.

“Leggi il mio libro e lo scoprirai.” risi divertita da quella faccia buffa che fece, un misto tra l'indignato e il divertito.

“Questo è un ricatto bello e buono signorina!” mi riprese lui fintamente arrabbiato. Da quel momento lo scambio di parole tra noi due era diventato sempre più disinvolto, passammo molto tempo insieme quel giorno senza neanche rendercene conto, innamorandoci. Io della sua voce che tante volte ascoltavo cantare, delle piccole rughine che si formavano attorno agli occhi quando rideva, a quei piccoli nei sul viso e al suo modo di esprimersi gesticolando per enfatizzare il tutto. E lui si innamorò delle mie parole, dei miei occhi, dei miei 20 chili in più e del mio modo buffo di ridere producendo un leggero fischio prima di scoppiare nella risata vera e propria.

Quel giorno non solo riuscì a trovare una casa editrice per il mio libro che raggiunse un successo mondiale, ma trovai anche l'amore. Quello vero, quello puro.

Sembra improbabile, vero? Credetemi, inizialmente faticavo anche io ad abituarmi alla sua presenza e quella degli altri tre ragazzi nella mia vita, pensavo sempre che erano frutto della mia immaginazio!

Non è stato per niente facile il nostro rapporto, lui che partiva per anni, io che restavo a casa e spesso mi addormentavo con le lacrime, io che ero in giro per incontrare i fan... era un completo casino la nostra vita di coppia. Lentamente trovammo una soluzione a questi problemi.

Sette anni dopo il nostro incontro Calum mi chiese di sposarlo, e a Maggio dello stesso anno entrai in un vestito bianco con il pancione in bella vista, e lui in quel meraviglioso completo nero che tanto amo.

E ora siamo qui, io e James, dopo cinque anni dalla nascita del bambino che aspettiamo il papà. Seduti sul divano, uno a guardare i cartoni, l'altra a scrivere un altro capitolo della sua, oramai divenuta loro, vita.

L'ultimo?

Non si sa. Vedremo come la prenderò,il bassista, dell'arrivo di un altro bambino nella nostra famiglia.

Note:
Salve, salvino signore e signori. Non sono brava nel rapportarmi con le persone quindi spero solo che vi sia piaciuta questa breve storia.
Buon proseguimento di vita,
rachelesogna

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