Amare senza amarsi di Momo_91 (/viewuser.php?uid=506947)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo giorno al Garden di Balamb! ***
Capitolo 2: *** In attesa di risposte ***
Capitolo 3: *** Chi sono veramente? ***
Capitolo 4: *** Illusioni. ***
Capitolo 5: *** Fame sconosciuta ***
Capitolo 1 *** Primo giorno al Garden di Balamb! ***
Un essere umano, quando compie tanti errori, poi deve vedersela col karma.
Ormai questa storia del karma era di mia forte convinzione. Stavo per essere punito per le mie “follie”. Il viaggio non giungeva mai al termine, i raggi del sole battevano insistenti sul mio viso. Ho sempre preferito climi caldi, ma vestito da damerino con questa stupida cravatta ad irritarmi il collo non era il massimo. Mi giro per un istante e lancio uno sguardo a mio padre, seduto qualche posto più in la nella limousine, a sbrigare chissà quale faccenda lavorativa col suo portatile.
Mi affaccio annoiato al finestrino, il paesaggio era sempre lo stesso da quelle che sembravano ore: una continuità di curve, da far venire il voltastomaco, con la foresta da contorno.
"Rajesh, da quanto siamo in viaggio?" Chiedo al nostro autista sistemandomi un po' sul sediolino stanco di quella posizione.
"Sono circa due ore, ma non tema signorino tra pochi minuti saremo arrivati all'istituto!"
Dopo poco potei scorgere, da non molto lontano, un’immensa struttura doveva essere di 3 o 4 piani ma le dimensioni erano da paura. Quanti studenti vivevano lì dentro?
“Cos’hai figliolo? Impaziente di cominciare? Vedrai che in un collegio severo come questo, e di soli uomini, le tue smanie verranno tenute a freno. Me ne accerterò personalmente!”
Finì la frase stendendo le labbra fino a formare un lungo sorriso compiaciuto e si sbrigò a chiudere e riporre il suo portatile.
Restai in silenzio. Ci guardammo per pochi secondi: nulla in quell’uomo mi piaceva, mi ha sempre considerato una nullità perché non ero al pari dei miei fratelli negli studi, perché ero un fottuto combina guai, perché non ero come loro.
Distolsi lo sguardo e tornai a concentratami sull’istituto. La foresta cominciava a diradarsi e si intravedevano vari campetti, riuscivo a distinguerne uno da calcio, uno da tennis.
Quando vedo dei ragazzi fare riscaldamento in un campo da rugby, il mio cuore perse un battito. Era forse l’unica cosa alla quale non avrei mai rinunciato, questo collegio era conosciuto anche per aver sfornato alcuni campioni internazionali in vari sport. La cosa mi consolava non poco, non sono mai stato un gran cervellone e l’unica cosa “impegnativa” che potesse interessarmi era proprio il rugby.
Quando, finalmente arriviamo ai parcheggi auto, Rajesh aprì lo sportello e ci accingiamo a scendere dall’auto. Lì ritti davanti a noi c’erano sono due figure. Un uomo di mezz’età, basso e grasso e una donna alta, snella e giovane. Le avrei dato si e no 25 anni, aveva i capelli rossi raccolti sulla nuca e portava degli occhiali, che le ricadevano sulla punta del naso minuscolo, senza dubbio una bella donna.
“Piacere signor Almasy! Sono Cid, il preside dell’istituto! Per noi è un vero onore poter istruire uno dei vostri figli” Disse l’uomo basso e grasso rivelatosi il preside. Mio padre gli strinse la mano a sua vola, col solito sorriso compiaciuto.
Poi fu la donna rossa a parlare:
“Io sono Quistis Trape! Insegnante di lettere e vicepreside dell’istituto! Piacere di conoscerla.” Mio padre strinse la mano anche a lei.
“Il piacere e mio signori! Purtroppo Seifer è un ragazzo molto svogliato, ha cambiato varie scuole nel corso degli ultimi anni, rimanendo in arretrato con gli studi. Ha la tendenza a combinare troppi guai. Non so che voci siano giunte a voi, ne sono girate di ogni, ma il ragazzo ha bisogno di essere messo in riga! E’ per questo che ho scelto il vostro rinomato istituto.”
Mi si rivoltò lo stomaco. E’ vero non ero uno stinco di santo, ma se mio padre avesse avuto una coscienza saprebbe di non poter aprire bocca a riguardo. I discorsi sull’istituto e la diligenza degli insegnanti continuò ancora per un po’, e io, che non ero stato preso in considerazione nemmeno durante le presentazioni, cercavo di farmi piccolo all’ombra di mio padre. Nel giro di tre anni avevo cambiato quattro scuole e portato a casa solo scandali, che erano un peso troppo grande per una famiglia rinomata come la mia. Arrivavano spesso minacce del tipo: –Se continui così ti spediamo al collegio-. Come si fa con i bambini, ma dopo gli ultimi casini era successo davvero, e ora mi toccava cavarmela da solo. Anche se l’idea di stare lontano da casa mi rallegrava non poco.
Durante la noiosa chiacchierata, che ascoltavo a intermittenza giusto per capire l’argomento, ci fecero fare un rapido giro dell’istituto. Salimmo la scalinata esterna, ai lati si mostravano forti e coraggiosi due leoni di pietra, alti probabilmente 3 metri. Pensavo fosse un enorme pacchianata ma appena varcata l’entrata sembrava di essere finiti nella fiaba della “Bella e la bestia”. Un enorme sala con pilastri in marmo, ai lati due enorme scalinate giravano intorno alla sala e in fondo si intravedeva un lungo corridoio. La sala sarebbe stata vuota se non fosse per la statua situata al centro della costruzione, dalla quale si ergeva fiero Dante, con la divina commedia in una mano e l’altra che si prostrava verso il prossimo.
Perfino io riuscivo a sentirmi piccolo in quel posto, io che sono 1 metro e 82 di altezza, muscoloso e spavaldo. Tutto lì, però, sembrava schiacciarti.
Il tour continuò, in fondo al corridoio si finiva nella mensa, non avrei saputo dire quanti tavoli ci fossero, ne erano 100? Di più? Scoprii che in quell’istituto vi erano sia ragazzi delle medie che delle superiori, il che pareggiò un po’ i conti con quell’enorme istituto.
Ci indicarono le scale spiegandoci che erano divise per le camere degli alunni: quelli delle medie e del primo anno superiori lato sinistro, mentre gli altri e i professori lato destro.
Infine andammo nella sala del preside dove mio padre ed io ci accingemmo a firmare alcune carte. Fu lì che pare si fossero accorti della mia presenza. Beh probabilmente ero il pargolo di una delle famiglie più ricche del paese che gli capitavano a tiro.
Si era deciso che avrei cominciato con dei corsi extra per recuperare lo studio arretrato, e pare mi fosse stato assegnato anche un alunno, una specie di secchine che avrebbe dovuto aiutarmi nello studio.
“Affido mio figlio a voi, sperando che in lui ci sia qualcosa di buono!” Aveva sputato quelle parole con il chiaro intento di ferirmi. Non che mi importasse più di tanto, ormai le parole della mia famiglia mi scorrevano addosso come acqua. Io non ero uno di loro, io non ero come loro. L’unica cosa importante era che io avessi il massimo dei voti e diventassi qualcosa di “importante”, un avvocato, ad esempio, proprio come mio padre, o un ginecologo, come mia madre, entrambi i numeri uno del paese. I miei fratelli, geni fin da bambini, chiudevano il tutto come una ciliegina sulla torta.
Poco dopo mio padre ripartì per tornare a casa. Mi fu assegnata la stanza, la 201.
“Almasy, lui è Irvine Kinneas, è uno dei tuoi compagni di stanza. Ci penserà lui a spiegarti le cose, e dove sistemarti.” Disse la vicepreside frettolosamente per poi svincolare via verso il lungo corridoio.
“Piacere amico, qua la mano! Vieni ora ti indico dove si trova la tua camera” Afferrò uno dei miei borsoni infilandoselo a tracolla facendo ballare sinuosamente i suoi lunghi capelli castani raccolti in un codino. Mi affrettai ad afferrare il mio trolley e a seguirlo. “Noi siamo del terzo anno quindi andremo all’ala est dell’istituto, siamo all’ultimo piano. Ogni stanza è formata da massimo 3 alunni. Io la condivido con Zell, siamo qui entrambi da 3 anni. Già due ragazzi hanno cambiato stanza, pare sia difficile convivere con noi due… anche se non capisco proprio perché.”
Annuisco distrattamente perso ancora nei miei pensieri.
“Allora?” mi chiede
“Cosa?” domando
“Come mai sei stato spedito nel paese delle meraviglie?” mi sentivo stanco e in quel momento non mi andava di parlare o fare altro che non riguardasse una doccia gelata, poi cerco di ricompormi e non comportarmi da stronzo.
“Beh come dire, genitori troppo perfetti, fratelli troppo troppo perfetti e nel quadretto stonavo.” Spiegai senza troppo preamboli. Mi fissò per qualche secondo con quegli occhi che sembravano due profonde pozze d’acqua.
“Ah, capito… a me non lo chiedi”
“Se non lo faccio è perché non mi interessa.” Ecco la mia pazienza aveva già toccato il fondo… “Piuttosto, com’è che un’insegnante donna insegni in un istituto rigorosamente maschile?”
“Visto che bomba? Lei è la mia musa ispiratrice, uno dei pochi motivi validi per aprire gli occhi ogni giorno! Ci sono altre professoresse, ma non temere tutte vecchie racchie.” in effetti era una bella donna, anche se sembrava decisamente troppo grande con quell’espressione sul viso da donna di mondo.
Arriviamo alla camera senza dirci molto altro. Quando Irvine aprì la porta quasi non si scorgeva la differenza con l’esterno. Tutto in marmo arredato con mobili d’epoca, dovevano essere lì da 100 o 200 anni probabilmente. Tutto era arredato per due: due letti, due armadi, due scrivanie.
“La tua stanza è di là.” Disse anticipando la mia domanda. Scorsi un arco nella parete alla mia destra, all’interno vi erano gli stessi mobili: armadio, scrivania e letto una piazza e mezza. Riponiamo le mie valigie nelle camera, un po’ più appartata.
“Sai in queste settimane l’intero istituto parlava di te e del tuo arrivo. Non so cosa sia vero oppure no, ma se vuoi divertirti di tanto in tanto si trova un modo per raggirare la guardia notturna, e si passa la sera con le ragazze dell’istituto femminile! E’ il paradiso per noi poveri reclusi. Pieno di pollastrelle!” Scoppiai a ridere, quel ragazzo era proprio fissato con le donne! In cuor mio fui grato di non ricevere immediatamente domande su di me del tipo “Questo e vero? E quest’altro?”.
“Meno male, cominciavo a pensare che non ci fossero forme di divertimento in questo posto!”
“Per ora credo sarà comunque dura per te, prima devi ambientarti al posto, ai ritmi dello studio. E poi il ragazzo al quale sei stato affidato… beh non ha la fama di essere uno paziente e simpatico. Si chiama Leonhart, Squall Leonhart ed è un grande stronzo. Perlopiù lo si trova in giro a fare a botte con qualcuno. A volte credo che ce l’abbia anche con se stesso.” Sembrava quasi che il ragazzo dalla lunga criniera stesse parlando con se stesso. Poi come se si fosse risvegliato dai suoi pensieri disse: “Oi Almasy, io ora scappo che ho lezione. Sistemati le cose o fatti un giro per l’istituto. Ci vediamo a orario di pranzo nella mensa così poi ti porto a vedere il corso di studi e altre palle simili insomma!”
Sorrisi tra me e me, non era male. Forse qui mi sarei trovato bene, e di certo non ero l’unico a fare parte di una famiglia senza essere particolarmente desiderato.
“Ah e mi raccomando! Arriva puntuale all’apertura della mensa. Altrimenti ti resterà il peggio!” E lo vidi sparire dietro la porta.
Mancavano circa due ore all’apertura della mensa, le mie valigie completamente svuotate con una metà che giaceva all’interno dell’armadio e l’altra ancora sul letto. Non avevo resistito molto e mi ero fiondato sotto la doccia poco dopo. Ora me ne stavo imbambolato sulla sedia della mia scrivania a sfogliare il dépliant.
Infine mi decido ad uscire per fare un giro per i vari campetti da sport che avevo intravisto arrivando all’istituto, con il rischio di perdermi in quell’enorme struttura!
Una volta uscito mi diressi verso il campetto di calcio quello più vicino all’entrata.
Adoravo gli sport, sin da bambino, ma il rugby era la mia vocazione, era il mio modo di sentirmi vivo. Prima di finire qui frequentavo una discreta scuola di rugby, ero il quarterback e mi vantavo non poco di quella posizione per far colpo sulle persone.
Ed ecco che incappo nel tanto bramato campo da Rugby, nulla da dire facevano proprio le cose in grande qui. Avevano di tutto, attrezzature e campi per ogni genere di sport.
Ad un tratto non potevo fare a meno di sentirmi osservato e scorciavo vari ragazzi parlare tra loro indicandomi o semplicemente guardandomi. Irvine non aveva esagerato dicendo che ero stato l’atteso oggetto di discussione per gli studenti.
Vedo l’allenatore avvicinarsi pronto per stringere la mia mano.
“Tu devi essere Almasy! Io sono Rajin, l’allenatore. Ho sentito che sei uno bravo nel campo, mi farà piacere vederti all’opera! Qui facciamo tanto per quelli che promettono bene, anche tornei e cose simili, ma per questa volta credo che tu sia arrivato troppo tardi.” Dopo avermi stretto la mano con un sorriso divertito tornò all’interno del campetto urlando a squarciagola contro un ragazzino magrolino. Mi piaceva, sembrava uno tosto e già solo accennandomi delle opportunità dell’istituto ero suo, potevo anche smettere di pensare agli studi. Era quello che volevo più di tutto nella mia vita!
Resto ancora lì a guardare l’allenamento, appena individuo il capitano i miei occhi si fissano su di lui come fosse una calamita. Probabilmente era più grosso di me di pochi centimetri, dovevo ammettere a me stesso che si impegnava e sembrava sapere il fatto suo, anche se ero abbastanza sicuro di poter pareggiare con lui, se non addirittura fare di meglio.
Quando mi accorgo che anche lui mi stava fissando gli mostro un bel sorriso spavaldo. Lui in tutta risposta mi mostra il dito medio, mi scappa una risata beffarda e ricambio il gesto.
Senza pensarci due volte alzo i tacchi e continuo a camminare lungo i campetti, non era il caso di cominciare una lite a poche ore dalla mia presenza all’istituto.
Mentre il mio cervello vagava il mio sguardo fu rapito da un altro ragazzo: si allenava nel campo da tennis, aveva la tuta apposita e un berretto bianco a coprirgli lo sguardo dai raggi del sole, eppure si intravedevano i capelli castani che gli ricadevano sulla fronte grondanti di sudore.
Da una parte della rete c’erano 4 ragazzi che gli lanciavano palle a turni brevi in ogni direzione, e dall’altra c’èra lui che le respingeva senza sosta. Correva veloce come un felino e non sbagliava un colpo.
Ero come ipnotizzato da quell’interminabile sequenza e dalla grinta del giovane.
“Ok, adesso basta! Ultima serie da otto!” Aveva gridato un uomo non troppo alto e muscoloso nei limiti. Immaginai dovesse essere l’allenatore: aveva un espressione severa in viso come se fosse la sua faccia abituale.
l’allenamento terminò pochi secondi dopo e il ragazzo si gettò su una panchina laterale distante pochi passi da me. Era piccolo, rispetto alla mia stazza, sul metro e 70, forse. I capelli, ormai non più cinti dal berretto, gli ricadevano sul viso e grondavano sudore quasi fosse appena uscito da sotto la doccia, ansimava affaticato. Si girò a fissarmi, aveva gli occhi di vetro con quelle fastidiose ciocche che, ricadendogli sul viso, li coprivano in parte, ed io ero lì come un ebete a fissarlo.
“Allora? Che cazzo vuoi?” Sbotta il ragazzo.
“Eh?” Esclamo intontito, effettivamente non aveva senso stare ancora lì.
“Ti ho chiesto che cazzo hai da guardare!” Continua lui.
“Ma che avete tutti qui? Vi servono merda a colazione?” Basta veramente poco per farmi svalvolare e questo qui ci stava riuscendo benissimo!
Si rimette velocemente in piedi e ancora affannato comincia ad allontanarsi, decisi di prendere la palla al balzo avviandomi dalla parte opposta, ma mi salto un nervo quando lo sentii dire:
“Che razza di coglione depravato…”
Lo afferrai per un polso e lo strattonai tirandolo dinanzi a me, dovetti usare una certa forza perché mi sembrò di spostare una piuma e non poteva essere lo stesso ragazzo che poco fa sembrava un automa in campo.
“Che cazzo dici idiota! Dimmelo in faccia!”
Aprì la bocca per dire qualcosa ma la richiuse quasi subito e mi fissò qualche secondo pensieroso.
“Ah tu sei quello nuovo! Cos’è, vuoi dimostrare di cavartela anche senza papà?”
Ero confuso, disse il tutto con un tono senza dubbio provocatorio ma il viso era fermo senza espressioni, senza sorrisetti superbi o altro. Cercai di mantenere la calma mentre un mostro sembrava graffiarmi all’interno dello stomaco.
“Ma come fate a riconoscermi tutti?” Chiesi senza pensarci troppo.
“Semplice! Sapevo dell’arrivo di un coglione, figlio di papà, senza spina dorsale e con una faccia da culo!”
La mia reazione fu istantanea, non sentii più nulla intorno a me c’èra il nulla, tutta la rabia stava nel mio pugno che regalai violentemente allo stomaco del ragazzino. Ero forte, molto, lo sapevo e il moro cadde a terra tutto d’un pezzo.
Avevo ricevuto ordine di non muovermi da fuori all’infermeria, me ne stavo appoggiato spalle al muro a sperare che la notizia non arrivasse a mio padre e che per questa volta chiudessero un occhio sulla faccenda! Ero lì da poche ore e quel pivello mi aveva già fatto combinare un casino… mi veniva voglia di dargli un altro pugno!
“Ehi tu!”
Sobbalzai. Avevo davanti un ragazzo più grosso di me (cosa che non mi capitava spesso), occhi castani e capelli rasati. E questo cosa voleva ora?!
“Sono Jass il caposquadra della squadra di rugby! Ti consiglio di andarci cauto fratello sei appena arrivato e già ne pesti uno?”
Mi venne in mente il ragazzo che poco fa mi mostrava il dito medio nel campo.
“Io sono nuovo, Sei…”
“Si si lo so chi sei, lo sanno tutti a dire il vero.” Mi interrompe Jass, e stavolta non chiesi come facesse a sapere chi sono.
“Sono passato solo per conoscerti! Spero non ti becchi una punizione e di vederti in campo quanto prima! Sono curioso di vedere di cosa sei capace, non credere di passarmi avanti ok?!” Mi guarda serioso per pochi secondi e poi si allontanò.
Beh non avrei iniziato un’altra lite ma il suo comportamento non facevo altro che stuzzicarmi e volevo solo andare in campo a fargli mangiare la polvere.
Subito dopo la porta dell’infermeria si spalanca e ne esce un’anziana signora col viso corrucciato.
“Almasy?” Chiede.
“Presente!” Rispondo serio.
“Insomma mi spiegheresti perché hai preso a pugni Squall?! Sei un nuovo bullo?”
“Insomma, lui mi ha provocato ed ho reagito d’istinto!” Mi giustifico brevemente.
“Ti pare un buon motivo? Se io dicessi che non mi piacciono i tuoi capelli prenderesti a pugni anche me?” Insistette lei furiosa.
“No signora, no di certo…” Non sapendo cosa altro dire resto in silenzio. L’anziana signora dell’infermeria torna dentro e lascia la porta aperta, lo prendo come un invito ad entrare e lo faccio.
“Lascia perdere, va tutto bene.” Diceva Squall all’anziana.
“Oh certo, dici sempre così tu e ti ritrovo qui un giorno si e l’altro pure!” Aveva ribattuto lei.
A quanto pare era un accanito frequentatore dell’infermeria, beh se si rivolgeva a tutti come aveva fatto con me la cosa non mi stupiva poi molto.
La donna si congedò in un’altra stanza con un sonoro sbuffo. Il ragazzo, il cui nome non mi era nuovo, si stava mettendo a sedere con un po’ di fatica.
Provai a dire qualche parola:
“Ehi, senti non mi andava di pestare un ragazzino appena arrivato qui”
“Allora non dovevi farlo.” Mi venne da sorridere. Era serio? Crede di poter provocare senza conseguenze?
“Come dici? Guarda che ti sei comportato come uno stronzo giù al campo!”
“Cosa vuoi che mi interessi di te? Sei il solito cretino, come tutti gli altri!” Stavolta era in piedi e mi guardava negli occhi.
“Posso sapere che hai? Stavo solo cercando di scusarmi.” Non avrei mai ammesso di star a per scusarmi ma con lui proprio non riuscivo a ragionarci, cercavo un filo conduttore tra il mio e il suo cervello.
“Ah non hai bisogno di scusarti per evitare che avvisino i tuoi, parlerò io con la vicepreside. Non avere paura per papà!” Ecco era tornato il tono di prima sempre privo di espressione, sembrava l’unico modo con il quale era capace di comunicare.
Fece per avviarsi alla porta ma gli andai incontro.
“Chi ti ha chiesto niente?! Io non voglio propri… ma che ca!” Squall dovette avere un attimo di sbandamento perché in pochi secondi mi ritrovai a reggerlo in piedi, si ridestò subito
“Non mi toccare!” Esclamò rimettendosi in piedi.
“Guarda che stavi cadendo… aspetta vado a chiamare l’infermiera.” Dissi girandomi verso la porta dove poco prima era sparita la donna.
“Non farlo più ok? Non toccarmi!” Mi voltai e Squall mi fissava era diverso, affaticato probabilmente incazzato… in quell’istante decisi di evitare quel ragazzo, era decisamente uno fuori di testa. Sembrava uno di quelli che fa cose autolesionistiche, non era esattamente il mio genere, quelli così erano bravi a dare la colpa agli altri.
Mentre lo fissavo ancora straniato la porta dell’infermeria si aprì nuovamente ed entrò la vicepreside.
“Oh insomma Squall!! Quand’è che deciderai di finirla col tuo caratteraccio!”
“E’ tutto ok Quistis, sul serio… come vedi siamo già grandi amici . Non è che si potrebbe cambiare?” Mi parve strano il loro rapporto sembravano avere una forte intimità, poi lui l’aveva chiamata per nome. Forse non era il solo ad avere quel rapporto con lei, forse era più “alla mano” per la sua giovane età.
“Oh no! Non se ne parla proprio, il preside ha scelto così e non si torna indietro! E tu Almasy insomma! Da quanto sei qui, 10 minuti?”
Non capivo di cosa parlassero i due e nemmeno mi importava volevo solo ripartire lontano da quel tizio “Credevo di dover parlare col preside!” Dissi con un sorriso beffardo.
“Oh non provarci ragazzino ok?! Ti avviso che questa sarà l’unica volta che te la faccio passare liscia, che non si ripeta più. E parlo con tutti e due!” Finì la frase rivolgendo uno sguardo severo a Squall che si girò dall’altro lato.
“Beh questo sarebbe dovuto accadere in giornata ma tanto vale farlo ora: Seifer lui è Squall Leonhart, il ragazzo a cui ti abbiamo assegnato per rimetterti in pari col programma. Mi raccomando ragazzi fate i buoni, ok?” Gli occhi e le labbra della donna si chiusero in un sorriso allegro e divertito. Ero sconcertato, ecco dove avevo sentito quel nome oh insomma
“Dannato Karma!”
“Come?” Chiese la vicepreside
“No nulla!” E mi sforzai di sorridere a mia volta.
Fine capitolo I
Spero la storia vi stia piacendo! Dal prossimo capitolo le cose saranno più "moviventate". Spero che qualcuno commenti positivamente o nevativamente sarei comunque contentissima! Grazie per l'attenzione!! :) |
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Capitolo 2 *** In attesa di risposte ***
Era
una mattinata di metà marzo e la pioggia incessante
non aiutava molto nella mia corsa mattutina. Ci tenevo ad allenarmi
tanto e
correvo almeno un’ora al giorno tutti i giorni, e non potevo
certo rallentare
ora che si avvicinavano le finali del torneo di Tennis.
Uno solo sarebbe stato scelto per la finale ad Ester e quello dovevo
essere io!
Ero quasi arrivato ai campetti di rimpetto all’istituto
quando appostati tra
gli alberi intravedo Jass e la sua banda erano una ventina in tutto, li
si
vedeva spesso a girare insieme e a combinare casini. Faccio un ghigno
schifato
e continuo a correre fingendo di non vederli, quando mi ritrovo a pochi
passi
da loro Jass mi afferra il collo col suo enorme braccio.
“Oi oi oi non allenarti troppo ragazzino, o va a finire che
crepi prima delle
prove finali!”
Lo guardai irritato e mi liberai dalla presa.
“Lasciami in pace idiota!”
“Chi ti ha insegnato a parlare così eh? Tanto lo
sappiamo che se vieni scelto e
solo perché sei raccomandato.” Questa volta a
parlare era stato il mio rivale,
Max, non mi facevo problemi ad ammettere la sua bravura in campo ma era
decisamente al disotto del mio livello. Lui e Jass erano i capo branco
di
quella massa di idioti, ed io ero un loro bersaglio abitudinario, ma
non avevo
certo intenzione di farmi mettere i piedi in testa!
“Max arrenditi, verrò scelto io per le finali
quest’anno!” Dico altezzoso
cercando di camuffare l’affanno per la corsa.
“L’anno scorso sono stato mandato io alle finali, e
ci andrò anche quest’anno!”
“Forse perché gli studenti del primo anno non
possono partecipare ai tornei
esterni, e guarda caso sei di un anno più grande di me! A
quanto pare non è
solo il tuo allenamento a perdere colpi!”
Come di consueto Jass fa un cenno con la testa ad un
“novellino del branco”,
come li chiamavo io, e quello si fionda su di me bloccandomi le braccia
da
dietro. Erano in troppi in quel momento e sarebbe stato stupido
reagire, Jass
si avvicina minaccioso stringendo una mano a pugno.
“Ehi Jass perché non lasci perdere?
L’hai detto anche tu, no? Max lo batterà
sicuramente lasciamo che se la vedano sul campo!” Era
spuntato lui Almasy, era
arrivato al Garden da poco più di un mese e come immaginavo
si era unito alla
banda dei senza cervello. Avevamo cominciato le lezioni nella mia
stanza da due
settimane ma era come parlare con una scimmia, così quel
pomeriggio gli avrei
sottoposto un test per capire come meglio muovermi. Non avevamo
praticamente
scambiato parola oltre che per lo studio, volevamo evitarci a tutti i
costi e
speravo di liberarmi di lui quanto prima, o comunque prima che
diventasse come
gli altri della banda.
Il ragazzino dietro di me allentò la presa e ripresi a
camminare senza
aspettare la sentenza del “capo”
Era sera fuori faceva
freddo, aveva nevicato tutto il giorno. Avevo 5 anni, non capivo ancora
il
perché di tante cose.
Eravamo pochi metri lontani dal cancello di casa e lui mi
portò a vedere il
corpo del cucciolo di un gatto in decomposizione.
“Questo accade quando il genitore sa che il cucciolo non
è abbastanza forte per
sopravvivere alle difficoltà della vita, viene
abbandonato!”
Non piangevo, non lo facevo mai. Ero arrabbiato, solo tanto arrabbiato.
“Allora la mamma è cattiva! Perché ha
lasciato questo piccolo tutto solo!?”
Chiesi indispettito.
“Perché se lo avesse fatto sopravvivere lui
sarebbe morto comunque, perché se
nasci sotto la luna nera della malasorte devi essere forte il doppio
per
sopravvivere!” Disse l’uomo con voce tremolante.
“E’ colpa mia vero? Quello che è
accaduto… non potrò mai essere felice,
vero?”
Questa volta calde lacrime vennero a pizzicarmi gli occhi, puntai lo
sguardo
sulla neve per non cedere, per essere forte!
“Ricordatelo Squall, sarà sempre così:
i bambini cattivi non potranno mai
essere felici!”
Un forte rumore mi ridestò dai miei ricordi, era arrivato
Seifer. Si era seduto
sullo sgabello e aveva lanciato i suoi libri sulla scrivania.
“Oi sei vivo! Ho bussato per un’ora qua fuori e non
ti sei accorto di me
nemmeno quando sono entrato!” poi prese a grattarsi il mento
con fare annoiato.
“Mmm ero impegnato, ripetevo!” la butto
lì cercando di passare velocemente
all’ora di recupero che ci aspettava.
“Come no… cosa sei un romanticone che ti metti a
fissare il tramonto?” Giro la
testa verso la finestra, in effetti si intravedeva un tramonto di
fuoco… da
quanto tempo ero lì?
“Squall, tutto bene?” Mi chiese fissandomi negli
occhi.
“Che ti frega? Si sto bene! Tieni compila questo e poi
cominciamo ok?” Dico
mentre gli porgo il foglio con le domande.
“Non sei un professore non puoi rifilarmi un
compito!”
“Idiota! E’ per vedere il tuo livello di studi, se
hai imparato qualcosa
insomma.” Lui continuò a dire qualcosa riguardo al
compito, poi a lamentarsi e
a chiedermi cosa significasse una parola o un’altra. Quando
vide che non gli
rispondo si mette a leggere in silenzio il questionario.
“Non
hai segni sulle braccia…” Ancora una volta vengo
colto di sorpresa, avevo
ancora lo sguardo verso la finestra, doveva essere passata
un’ora ormai.
“Come hai detto?” Chiesi a Seifer una volta tornato
in me.
“No… niente, beh sei strano! Non hai amici, sei
l’unico studente a stare in una
camera singola, sei a dir poco odioso e poi… beh e poi
guardi la finestra!” Mi
rispose, stava stillando un lista della spesa o cosa?!
“Grazie per le belle parole, ma cosa centra questo con la
finestra? I segni?”
Quella giornata ero stressato più del solito e volevo solo
buttarmi sul letto a
dormire
“Nulla! Sai porti maglie a maniche lunghe e quando sei in
campo hai i polsini e
quindi… ah lascia stare sono un’idiota!”
Aveva una faccia da tonto e
un’espressione confusa.
“Cioè tu credi che io mi tagli? Sul serio sei un
idiota. Tutti portiamo maglie
a maniche lunghe e io faccio Tennis i polsini servono per il
sudore.”
“Senti ma come mai hai una camera da solo? Allora
è vero che sei raccomandato
per via di tuo padre?” Cerco velocemente di cambiare
discorso. Nemmeno a me
interessava continuare quella conversazione e lasciai perdere.
“Non ho alcun favoritismo per via di mio padre, non sono uno
che ama
socializzare, e dopo alcuni mesi passati a cambiare camere per via
delle
violente conseguenze, hanno deciso di assegnarmi questa
stanza.”
“Beh non ti è andata male, è piccola ma
non hai molti oggetti a quanto pare,
hai anche un balcone che affaccia sul bosco, l’unica pecca
è che si deve fare
tutta la scalinata. Nah qui c’è lo zampino di tuo
padre come dicono i ragazzi!”
Si stese un po’ sulla sedia e incrociò le mani
dietro la testa, voleva
provocarmi.
“Ora cominci a essere esattamente come loro… mi
hai visto in campo, credi
davvero che io non valga nulla? Credi che abbia bisogno di
raccomandazioni per
dimostrare di essere il migliore?” Non poteva darmi torto,
capitava spesso di
incrociarsi durante gli allenamenti. Se mi avesse dato torto era un
cretino
come tutti gli altri.
“No è vero te la cavi bene, ma sai tuo padre
è il presidente di Esthar… e poi
sei sempre convito di essere il numero uno, mi sa che
l’aiutino ci sta.” Mi
voltai iroso verso di lui aveva la testa pendete verso destra e un
sopracciglio
alzato. La voglia di afferrarlo per il collo e sbatterlo contro il muro
era
forte, dovevo trattenermi per via delle selezioni
l’allenatore era stato molto
chiaro: “Niente richiami o risse
fino
alla partenza, o ritieniti fuori prima che io abbia deciso chi mandare!”.
Rimasi in silenzio e presi il compito di Seifer, cominciai a cancellare
e
ricorreggere con la penna rossa.
“Dai “numero uno” sii clemente non posso
aver sbagliato tutto. Spiegami come
fai tu, se hai un trucchetto insomma.” Continuava a fare
allusioni su mio padre
e lo sforzo diventava sempre maggiore. Dopo poco staccai la penna dal
foglio
completamente rosso e glielo porsi.
“Tieni portalo al preside, vicepreside, professori non mi
interessa. Sei un
caso perso, non ho intenzione di continuare con te.” Mi alzai
dalla sedia e mi
diressi verso la porta, ma il biondo afferrò la maglia
tirandomi verso di lui.
“Chi ti credi di essere eh? Sei così convinto di
essere il migliore di tutti?!”
Cercavo di non guardarlo negli occhi e non gli diedi alcuna risposta.
“Squall senti…” Cominciò lui
lasciandomi andare “Tu non piaci a me e io non
piaccio a te, mi serve il tuo aiuto ok! Ho il compito di recupero tra
pochi
giorni, magari se mi va bene potrò smettere di venire qui e
ti lascerò in pace.
Magari convinco anche i ragazzi a lasciarti stare!”
“Non ho alcun bisogno che tu dica loro di smettere. So
cavarmela da solo, sono
un mio problema!” Non volevo essere aiutato da nessuno in
nulla, ma Seifer
aveva ragione se volevo togliermelo davanti era meglio usare il
cervello.
Tornai a sedermi alla scrivania
“Allora? E’ già passata l’ora
di recupero oggi faremo gli straordinari, fammi
vedere cosa non ti è chiaro.”
Non vedendolo arrivare mi voltai a guardarlo: aveva le mani appoggiare
ai
fianchi e sorrideva, l’angolo desto della bocca tendeva ad
alzarsi più del
sinistro. Dalla finestra entravano gli ultimi raggi del tramonto, i
suoi
capelli biondi sembravano fondersi con quel colore caldo, il tutto
calcava il
suo viso come a fare de cornice a un quadro perfetto.
“Se passo il test e tu vieni scelto per le finali ad Esthar,
giuro che non dirò
mai che è grazie a tuo padre!” Giunse al suo
accordo e si sedette accanto a me
sorridente. Quel pomeriggio restammo lì a studiare fino
all’ora di cena. Era
strano, non passavo così tanto tempo con qualcuno, pensai
che quando il biondo sarebbe
arrivato in pari con gli studi non ci saremmo più visti. Era
inutile tanto
sarebbe finita presto.
Ero in piedi nell’atrio principale e continuavo a guardare la
bacheca in sughero,
era questione di attimi e sarebbero stati affissi i nomi dei
partecipanti ai
tornei ad Esthar. Ero fermo e tranquillo all’apparenza ma
dentro morivo dall’ansia.
Dietro di me Max e un suo compagno, altro tennista, parlottavano tra
loro,
aveva gli occhi sempre puntati su di me come se avessi potuto
imbrogliare in
qualche modo.
Atri ragazzi per altri sport erano lì in attesa, molto
probabilmente io e Max
saremmo stati insieme comunque, anche se la partita era una singola
serviva
comunque qualcuno in panchina.
Finalmente vedemmo arrivare Quistis con i fogli in mano.
“Ragazzi restate indietro! Fra un attimo saprete
tutto!” Attaccò i fogli e
appena si allontanò di qualche passi ci fiondammo tutti
sulla bacheca, sembrava
la mensa quando stavano per terminare i panini.
E finalmente il momento che aspettavo da anni eccolo lì:
Tennis/Gara singola –
Squall Leonhart! Ce l’avevo fatta! Il cuore sembrava
impazzirmi nel petto!
Tutto d’un tratto mi sentii strattonare via.
“Brutto stronzo!” Max aveva gli occhi pieni di
rabbia e probabilmente voleva
fare a botte. Quistis era ancora lì appena si accorse della
scena venne verso
di noi “ Max cosa hai intenzione di fare!” Non so
se la vicepreside si rendesse
conto che col suo modo di fare aiutava solo a farmi odiare ancora di
più. Max
mi lasciò andare, aveva il viso contratto in una smorfia di
rabbia, perfino i
suoi capelli neri a spazzolino sembravano più ritti del
solito.
“Lenhart questa me la paghi!” Sussurrò
prima di allontanarsi, io ero sempre lì
impassibile con l’espressione di sempre… non avrei
fatti sciocchezze proprio
ora.
Erano le sei di sera e stavo tornando dalla lavanderia, ero ancora
eccitato
dall’idea di partire tra due giorni. Imboccai il corridoio e
mi scontrai con
Seifer.
“Squall! Ma dov’eri? Ti ho cercato. Ho passato il
test! Ma devo avvisarti che
sono ancora indietro col programma, quindi vogliono che continui a
studiare con
te.” Nei giorni scorsi avevamo studiato spesso fino a tardi,
personalmente non
era un gran problema visto che io ero vanti col programma ma la cosa un
po’ mi
infastidiva.
“Non è una novità che sei ancora
indietro, non credere che ti terrò fino a
tardi nella mia stanza, scordatelo!”
“Oh insomma, faremo solo un ora come pattuito, non mi
tratterò ok? Oh ho saputo
dei risultati per le finali. Congratulazioni, non è stato
grazie a tuo padre!”
Lo fissai per qualche secondo
“Sei proprio stronzo!” Gli passai di fianco e
continuai la mia strada
“No no Squall dico sul serio, credo davvero che tu meritassi
più di Max di andare
alle finali. Anche se non è quello che ho detto a lui. Sai
è piuttosto
irritato!” Fini la frase calcando l’ultima parola,
era vero doveva essere
proprio fuori di se.
“Comunque volevo ringraziarti per
l’aiuto.”
“Aiuto? L’ho fatto perché non potevo
fare altrimenti.”
“Non eri costretto a stare tante ore a darmi lezione
però, il patto era solo di
un’ora. Ti sei comportato da amico, per questo ti
ringrazio.” Mi sentivo
confuso, amico? Io e lui… ma cosa aveva capito.
“Seifer cosa cavolo credi? Continuerò ad aiutarti
per un ora al giorno ma io e
te non siamo amici, è impossibile.”
“Certo perché tu sei superiore giusto? E io che ti
ho anche chiesto di aiutarmi!
Sai una cosa Squall tu non vali proprio nulla.” Un secondo
dopo era entrato
nella lavanderia.
Io continuai a camminare fino ad arrivare alla lunga rampa di scale e
scalino dopo
scalino mi avviai alla mia stanza. Seifer voleva farmi credere di
essere suo
amico solo per essere aiutato, questo mi dava la nausea.
L’avrei fatto solo
perché mi era stato imposto non mi interessavano falsi
interessi, non volevo
nessuno intorno a me.
La conversazione avuta con Seifer poco prima continuava ronzarmi per la
testa.
Non ne capivo il motivo, era come se cercassi un ulteriore significato
nelle sue
parole.
Avevo quasi finito di prepararmi per la cena in giardino con parenti
che si
teneva ogni 3 mesi e qualche volta per gli eventi importanti. Mi
infilai il
vestito classico dell’istituto quello che si usa in momenti
importanti tipo
quello, per ultimo infilo la giacca con lo stemma del garden. Do un
veloce
sguardo all’orologio erano le 20:08 stavano già
per cominciare a servire i
tavoli, non tutti i genitori prendevano parte a questo tipo di eventi.
Io ci
andavo sempre nel caso si fosse prestato mio padre. Arrivato in
giardino mi
avviai verso l’allestimento di tendoni bianchi messi apposta
per l’occasione,
non avevo molto appetito avrei soltanto controllato la sicura assenza
di mio
padre e sarei tornato in camera.
Entrai nel tendone. Molte famiglie erano già sedute ai
tavoli in attesa di
essere serviti.
Mi sentivo sempre fuori luogo in quella situazione, era fastidioso
zigzagare
tra i tavoli ed essere osservato da tutti.
“Squall! Hai la luna storta anche oggi? Ho saputo delle
selezioni per le
finali, non ne avevo dubbi! Biondina sexy a ore nove, pare sia la
sorellina di
qualcuno” Irvine, aveva bisbigliato l’ultima frase.
Fastidioso e stupido,
cercava sempre modo di fare conversazione con me, con scarsi risultati
ovviamente.
Lo ignorai bellamente e incrociai le braccia al petto, continuai a
guardarmi
ancora un po’ intorno.
“Oi Seifer tu invece non sei stato preso in nessuna categoria
per la squadra di
Rugby!” Mi voltai e dietro di me era apparso lui, il biondo.
Aveva anche lui l’abito
da sera del Garden, mi stava fissando poi rispose ad Irvine:
“Sono qui solo da un mese e da pochissimo ho cominciato ad
allenarmi con la
squadra, non avrebbero potuto mandarmi!”
“Oppure potresti ammettere di non valere più
nemmeno negli sport fratellone.”
Dietro di lui era spuntato un ragazzino sorridente che sembrava la
miniatura di
Seifer, occhi azzurri capelli biondi e carnagione chiara.
“E tu chi sei piccoletto?” Irvine si
abbassò all’altezza del ragazzino e la sua
lunga coda castana gli cadde da un lato.
“Ah non parlagli così.”
L’avverti Seifer
“Io sono Gaho, non un ragazzino! Sono risultato quarantesimo
ai risultati del
QI di tutta la nazione. Sono il più intelligente di tutti e
da grande avrò un
brillante carriera!”
“Ti avevo avvertito…”
Commentò Seifer tirando dietro suo fratello.
“Seifer non ci presenti i tuoi amici?” Si fecero
avanti altre persone
“Piacere io sono Kojima e lei è mia moglie Selena,
mentre lui è il mio
primogenito Kakuei!” Il padre di Seifer gli somigliava molto,
solo che aveva capelli
e occhi castano scuro.I colori li aveva presi decisamente dalla madre.
“Vedo che avete già conosciuto la piccola peste di
casa!” Disse il fratello
maggiore tirando Gaho vicino a se, lui invece non somigliava agli altri
aveva
capelli e occhi scuri portava gli occhiali e aveva l’aria di
un’intellettuale
più degli altri. Era quasi come se Seifer con i suoi muscoli
e i suoi modi
stonasse lì in mezzo.
“Piacere io sono Irvine compagno di stanza di vostro figlio,
e lui è Squll, l’allenatore
del cervello di Seifer. Non mi avevi detto di avere una famiglia
così numerosa!”
Concluse Irvine, poi tornò a fissare la ragazzina bionda
seduta al tavolo lì
vicino.
“Oh allora sei tu il ragazzo che sta aiutando Seifer! Spero
che non ti crei
tanti problemi!” Il padre di Seifer mi si era avvicinato e mi
aveva stretto la
mano. Mi sentivo a disagio, volevo solo tornare nella mia stanza in
quel
momento.
“Mmm si più o meno, spero che prima o poi si
rimetta in pari.”
“Senti la tua famiglia è qui?” Mi chiese
l’uomo.
“No, in fondo lo immaginavo. Sono molto impegnati, vi auguro
un buona serata.”
Seifer mi fissava da quando era arrivato e non mi staccava gli occhi di
dosso.
Non volevo le carinerie della sua famiglia per litigare ancora di
più con lui.
“Ho saputo che mio figlio ha superato il primo test oggi,
perché non ti unisci
a noi per la cena. Ci farebbe molto piacere.” Era stata la
madre a farmi l’invito,
mi prese delicatamente un polso. Per qualche istante mi persi nei suoi
occhi:
avevano un tratto severo ma allo stesso tempo trasmettevano
tranquillità. Erano
identici a quelli di Siefer.
“Ehm, no io ecco preferirei non distrubare.”
“Non disturbi affatto, ho sentito parlare molto di te. So che
sei molto
intelligente e poi chissà quante cose ha da raccontare il
figlio del presidente
di Esthar!” Disse Kakuei, mi osservava come se fossi un
alieno da ispezionare.
Sembrava analizzare tutte le persone in realtà.
“Non sapevo fossi il figlio del presidente! Mi dispiace ti
sia capitato proprio
mio figlio!” Si affrettò a dire il signor Kojima.
“Vorrà dire che per Natale manderemo alla famiglia
una bottiglia del vino più
costoso esistente.” Finalmente Seifer aveva detto qualcosa.
Forse in quel
momento ci sentivamo allo stesso modo… fuori posto.
Alla fine non ci fu verso e mi trovai seduto al tavolo con loro,
servirono l’antipasto
e Kakuei mi aveva già fatto mille domande sulla medicina,
cose pensassi di
questo o di quello. Erano tutti piuttosto impressionati nel vedere la
mia vasta
conoscenza nelle materie in generale e soprattutto in campo medico.
Sembrava di
essere in un quiz televisivo con tutte quelle domande. Seifer era
seduto accanto
a me e mangiava in silenzio, non ero nemmeno sicuro che stesse
ascoltando la
conversazione.
“Tuo padre deve essere molto fiero di te! Sei molto preparato
e tra poco
partirai anche per il torneo. Un ragazzo a dir poco in
gamba!” Rimasi
interdetto… essere fiero di me? E perché mai
avrebbe dovuto, in quell’istante
ci tolsero i piatti e cominciarono a servire i primi. Non avevo toccato
ancora
nulla.
“Ah come vorrei che mio figlio fosse come
te…” Aveva dichiarato il padre
esausto.
“Oh papà mi dispiace tanto… dai ti
è andato male uno su tre non essere tanto
triste!” Aveva risposto di rimando Seifer. Aveva il viso
imbronciato e
continuava a guardarsi intorno.
“Mi dispiace Signor Almasy ma non la penso come lei. Seifer
mi ha chiesto di
sua spontanea volontà di restare fino a tardi a studiare per
superare questo
test. Sicuramente è molto indietro col programma ma
probabilmente anche per me
sarebbe stato difficile studiare tante materie tutte
insieme.” Mentii, per me
non sarebbe stato difficile. Mi dispiaceva un po’ per come
trattavano Seifer e
quello che dissi mi venne spontaneo senza nemmeno pensarci troppo.
Tutti al tavolo mi fissavano e mi strinsi nelle spalle. Chi diavolo me
lo aveva
fatto fare!!
“Si forse hai ragione Squall. Sei proprio un bravo ragazzo,
ma ho imparato a
non riporre speranze in mio figlio.” Alle parole del padre mi
girai a guardare
suo figlio e lui continuava a guardarsi intorno e capii. Insomma il
ragazzo più
sfigato dell’istituto era seduto a cenare con la sua
famiglia, non doveva
essere il massimo per lui.
Posai le posate sul tavolo e mi congedai immediatamente fingendo un
malore,
salutai educatamente tutti anche il piccoletto che non aveva parlato
per tutto
il tempo e mi allontanai velocemente dal tendone.
Mentre camminavo respiravo lentamente scrollandomi di dosso il peso di
quell’insolita
serata.
D’un tratto mi sentii afferrare il polso. Era Seifer, e ora
cosa voleva.
“Senti non era mia intenzione metterti in imbarazzo ok? Non
mi ero accorto che
tutti mi fissavano, sono stati i tuoi ad insistere!” Non
avevo intenzione di
farmi provocare, non avrei resistito ad un’altra lite.
“Ok sono stato un coglione a sentirmi a disagio. Volevo solo
ringraziarti!” Si
passò una mano tra i capelli tirandoseli
all’indietro sulla nuca. Sorrideva.
“Nessuno ha mai parlato così di me con mio padre.
Anche se non siamo amici ti
sei comportato ancora una volta come tale. Ti sono debitore
Lenhart.” Mi fissò
un ultimo secondo e poi tornò al tendone.
Mi ero comportato da amico… non capivo, ero confuso. Per
quella sera cercai di
non pensarci troppo. Dovevo concentrarmi per il torneo, finalmente un
altro
giorno e lo avrei rivisto!
Bussai alla porta ancora una volta, e finalmente il volume dello
sterio, che
proveniva dalla stanza fu abbassato.
Zell aprì la porta
“Ciao Squall, come butta? Scusa ascoltavamo musica non ci
eravamo accorti che
stessi bussando!” Disse Zell, a volte cercavo di capire chi
fosse più cretino
tra lui e Irvine, di sicuro insieme erano insuperabili.
“Sono solo venuto a vedere se Seifer è qui. Devo
consegnargli una cosa e pare
che oggi abbia saltato alcuni corsi. Non riesco a trovarlo.”
Era tutta la
mattina che cercavo Seifer, tra poco avevo gli allenamenti poi mi sarei
congedato, visto che l’indomani c’era la partenza.
“No amico, qui non si è visto. Vuoi che gli dica
qualcosa?”
“No. Mmm si, digli solo che lo cerco ok?” Senza
aspettare risposta me ne andai.
Ero stanco non vedevo l’ora che quella giornata finisse. Mi
diressi verso i
campetti avrei chiesto al suo allenatore a quel punto. Era tutto il
giorno che
lo cercavo. La sera scorsa ero stato in libreria, avevo fatto un
piccolo
riassunto di cose che sarebbe stato in grado di studiare anche senza di
me, così
al mio ritorno avremmo ripreso insieme a studiare. Solo che non avevo
idea di
dove si trovasse, Eppure era sempre in giro, trovava sempre modo di
farsi
notare.
Arrivai al campo da rugby, dove da poco aveva cominciato gli
allenamenti, ma
nemmeno l’allenatore aveva idea di dove fosse. Non si era
presentato nemmeno lì.
Alla fine decisi di dirigermi all’allenamento. Dopo avrei
consegnato i
riassunti a Zell sperando che non li distruggesse in qualche modo.
Mi cambiai e cominciai il riscaldamento. Katsuo, il mio allenatore, era
sorridente e di buon umore, anche io lo ero. Erano anni che aspettavo
quel
momento, oltretutto sapevo che lui era fiero di me e la cosa mi faceva
sentire
bene. L’idea che qualcuno avesse scommesso senza pensarci
troppo su di me mi
rendeva in qualche modo felice.
Quando l’allenamento finì l’allenatore
venne a parlare con me
“Bene Squall vedo che sei in ottima forma. Domani faremo un
figurone, continua
così. Sta rilassato e tutto andrà per il
meglio!” Voleva incoraggiarmi, la cosa
mi faceva piacere ma ormai non erano più tanto le partite a
darmi ansia.
Mi diressi alle docce, quelle nel giardino. Era una struttura costruita
sotto
terra, era il bagno meno frequentato e quindi il mio preferito.
Lanciai i panni nell’armadietto assegnato a me e mi lanciai
sotto la doccia.
Pensai molte cose in quel momento, l’adrenalina era viva in
me. Nonostante la
stanchezza sarei stato ancora in campo a giocare. Ma non dovevo
esagerare
troppo. Infine i miei pensieri andarono anche a Seifer, pensai al
comportamento
dei suoi genitori a lui che mi ringrazia e mi dice che sono come un
“amico”.
Come si faceva l’amico? Non ne avevo mai avuto uno, e non
reputavo lui tale.
Mi infilai i boxer e mi asciugai i capelli. Fuori cominciava a fare
scuro era
meglio darsi una mossa.
Mi incamminai nella sala dove c’erano gli armadietti per
infilarmi i vestiti.
Appena oltrepassai la porta ad arco mi ritrovai davanti Seifer
“Hei, ma dove eri finito?! Ti ho cercato tutto il
giorno!” Lui non rispose, lo
guardai con più attenzione: era scuro in volto e aveva un
espressione seria.
Non eravamo soli nel camerino, pensai che qualcun altro fosse sceso a
farsi la
doccia. Erano troppi e tutti nello stesso momento.
Mi guardai intorno e vidi Jass appoggiato al muro in fondo agli
armadietti, poi
Max e gli altri della loro banda.
Il cuore cominciò ad accelerarmi nel petto. Mi voltai a
guardare ancora una
volta Seifer
“Cosa sta succedendo…”
Questo è il secondo capitolo. I primi sono un po' lenti ma ci tengo che le tematiche della storia siano chiare.
Spero che mi facciate sapere cosa ne pensate! Grazie a tutti! |
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Capitolo 3 *** Chi sono veramente? ***
“Cosa
sta succedendo…” Aveva detto Squall,
più a se
stesso che a qualcuno. Ci guardava stordito e non sapeva cosa fare.
“Adesso!” Jass aveva dato il via e i ragazzi della
banda gli erano andati in
contro cercando di tenerlo fermo. Sembrava piuttosto difficile visto
che Squall
non smetteva di dimenarsi. Infine Jass si avvicinò al
ragazzo e gli assestò un
potente pugno nello stomaco.
Il moro si piago per qualche secondo su se stesso, non
lasciò uscire nemmeno un
gemito di dolore. Fu più facile per gli altri afferrarlo e
trascinarlo al
centro della stanza.
“Bastardi! Lasciatemi andare!” Jass si mise dietro
di lui e con una mano gli
coprì la bocca.
“Ora stai zitto moccioso.” asserì
stringendolo bene vicino al suo corpo in
maniera da tenerlo ben saldo. Anche gli altri ragazzi si disposero
lungo il
corpo di Squall, era praticamente steso a terra viso
all’insù e ogni ragazzo si
premurava di tenerlo ben fermo.
Infine Arrivò Max che gli afferrò la caviglia
destra.
“Te l’ho detto che te l’avrei fatta
pagare! Seifer muoviti, tocca a te!” In
quell’istante gli occhi di Squall si posarono su di me, erano
sgranati e
cercava di dire qualcosa, nonostante la mano di Jass non lasciasse
uscire nemmeno
una parola.
Ogni passo che facevo sembrava che i miei piedi diventassero sempre
più pesanti,
arrivai accanto alla panca e con la coda dell’occhio lo
vedevo ancora
dimenarsi.
“Allora ti muovi? O vuoi che ci scoprano!”
Sbottò Jass infastidito.
Per loro tutto quello era normale, non so se fossero abituati o cosa ma
io non
riuscivo a stare calmo. Afferrai la cassetta degli attrezzi, era
pesante. Un
brivido mi percosse la schiena. Presi coraggio e mi voltai verso gli
altri
“Jass… non credi che dirà che siamo
stati noi?” Esclamai usando un tono di voce
decisamente troppo agitato
“Non avere paura, Squall non dirà nulla. Lui non
fa mai nomi!” rispose l’altro
velocemente.
Mi avvicinai di qualche passo e vidi Max tendere ancora un
po’ la gamba di
Squall.
Non resistetti. Lo guardai negli occhi non vi vedevo paura, era agitato
e
continuava a cercare di dire qualcosa. Sentivo un enorme peso sullo
stomaco,
cercando di non pensarci abbassai lo sguardo sulla cassetta e la
protesi un po’
in avanti. La voce di Squall si fece più forte e capii,
stava dicendo “Seifer”
stava cercando di dire il mio nome, voleva che io lo aiutassi?
Perché cazzo
doveva dire il mio nome.
Esitai qualche secondo, poi guardai Jass
“Non c’è la faccio, cazzo Jass non ci
riesco.”
“Idiota! Vieni qui! Sbrigati che tra poco arriverà
il bidello! Tieni, e fa si
che non esca nemmeno un fiato, hai capito?!” Jass
levò per un attimo la mano
dalle labbra di Squall
“No. Seifer No!” disse cercando di divincolarsi
dalla presa della mia mano
sulla sua bocca.
Strinsi forte e ogni mugolio che emetteva lo sentivo nella mia mano che
formicolava, era come se urlasse dentro di me.
Jass afferrò in fretta quella dannata cassetta e tutto fu
veloce, rapido, e il
mio cervello che non sembrava più in grado di pensare, fu un
fiume in piena di
pensieri e sensi di colpa.
“La prossima volta imparerai a stare al tuo posto!”
Furono le ultime parole del
capo della banda e lanciò la cassetta degli attrezzi, con
non poca violenza,
sull’arto inferiore della gamba di Squall.
Si piagò letteralmente in due, molti di quelli che lo
tenevano fermo
vacillarono o lasciarono la presa. Io strinsi forte, fortissimo anche
se quello
del moro fu un urlo muto che mi attraversava tutto il corpo, a me
pareva di
sentire il suo dolore nello stomaco.
Premevo forte sulla mano come a voler diminuire il dolore. Dopo poco mi
accorsi
che alcuni erano già andati via compreso Max. Io rimasi
ancora lì, ero l’unico
a trattenerlo ancora.
“Alla fine te la sei cavata. Adesso sei uno dei nostri,
andiamocene ora!”
Quelle furono le ultime parole che mi disse Jass e poi si diresse verso
l’uscita.
Lasciai lentamente la presa su Squall, lo guardai era a terra dolorante
e
ansimava.
Con quell’immagine nella mente corsi via. In un attimo mi
sembrava di aver già
raggiunto la mia camera, spalancai la porta e mi diressi verso il bagno
“Oh ciao, Squall ti cercava oggi e sai… ma che ti
è successo?” Mi trovai Zell
davanti e aveva detto proprio quello che meno volevo sentirmi dire.
“Ah non ora Zell!” Gli passai di fianco e mi chiusi
a chiave nel bagno.
Aprii l’acqua del lavandino e ci infilai sotto la testa, mi
sedetti a terra.
Che cavolo stavo combinando!
Non scesi per la cena, tantomeno chiusi occhio quella notte. Ero solito
litigare o prendermela con gli sfigati anche prima di finire al
Gardern, ma non
avevo mai fatto nulla di grave. Non avevo mai spezzato la gamba a
nessuno.
E anche se Squall aveva quel caratteraccio non si meritava una cosa del
genere.
Quei pensieri mi tormentavano e alle prime luci dell’alba mi
misi la tuta e
andai a correre fuori per i boschi li in torno.
La mattina precedente Jass aveva parlato a turno con ognuno di noi, ci
aveva
detto della cosa e io non potevo tirarmi indietro orami ero uno di loro.
Non capivo perché me ne fregasse tanto, era come se avessi
preso in giro
Squall, prima mi sentivo in debito con lui poi gli spezzavo la gamba.
Più ci pensavo più mi girava lo stomaco. Il
giorno precedente lo avevo passato
a nascondermi e non avevo toccato cibo.
Dopo poco più di mezzora ritornai verso
l’istituto. Volontariamente o no passai
fuori allo spogliatoio sotterraneo. C’era
l’ambulanza, il preside, vicepreside,
bidelli e addetti alla guardia notturna e anche l’allenatore
di Tenniss.
Come era possibile? Era successo tutto alle 6 del pomeriggio erano le 7
del
mattino e solo ora Squall usciva di lì?
Vidi la barella con lui sopra e il suo allenatore accanto a lui, mi
avvicinai
involontariamente.
“Dobbiamo andare, dobbiamo partire Katsuo…
dobbiamo andare!” Ripeteva il moro
al suo allenatore. Mi sentivo una merda.
Aveva il viso bianco e le labbra, se possibile, ancora più
bianche. Chiaramente
vaneggiava, sperava ancora di poter partecipare. Per un attimo pensai
che
avessi dovuto lanciare io la cassetta degli attrezzi, di certo
l’avrei fatto
meno violentemente.
“Seifer cosa ci fai qui?” Quistis era spuntata
accanto a me, o io mi ero
avvicinato troppo senza rendermene conto.
“Cosa è successo qui?” Mi usci spontaneo
da chiedere. Forse con la faccia
avvilita e spuntato lì a quel modo mi ero creato anche un
forte alibi senza
nemmeno volerlo.
“Squall… pare sia stato preso di mira,
chissà chi sarà stato eh?” Disse in
modo
sarcastico. Non risposi, sapevo si riferisse a Max, probabilmente mi
tradii ma
non resistevo più.
Scappai letteralmente, senza pensare alle conseguenze o quello che la
vicepreside potesse pensare.
Erano passate due settimane dall’incidete. Nonostante
l’allenatore di Tennis
non volesse mandare nemmeno Max alle finali, credendolo responsabile,
fu
mandato comunque. Alla fine non vinse nessuna coppa. Come previsto
Squall non
aveva fatto nomi, pare avesse detto che gli aggressori erano coperti in
volto.
Mi chiesi a lungo il perché di quella risposta.
Alla fine, per assenza di prove, nessuno fu incolpato. Si decise,
però, di
incrementare i turni dei bidelli. A quanto pare quella sera il bidello
aveva
saltato il suo turno spostandolo alla mattina. La notizia ovviamente si
diffuse
anche tra i genitori degli alunni e si vociferava
dell’applicazione di
telecamere.
Io avevo passato quelle settimane a cercare di recuperare, mi avevano
affidato
ad un altro ragazzo ma non riuscivo a capire nulla di quello che
spiegava lui,
quindi rinunciai e passai molto tempo con la banda.
Ci si divertiva con loro e non mi andava di fare altro. Irvine e Zell
mi
avevano detto chiaro e tondo di ritenermi uno dei responsabili
dell’accaduto a
Squall, non si parlò d’altro
nell’istituto per una settimana, io comunque non
risposi. Non avevo alcun tipo ti rapporto con loro. Sembravano degli
angeli
buoni, mi ricordavano di studiare di comportarmi bene… erano
bravi ragazzi ma
non facevano per me.
Stare con quelli del gruppo invece si stava rivelando il meglio per me,
un paio
di volte eravamo riusciti a ricavare qualche cassa di birra dalla scorta degli
insegnanti. Qualsiasi sala
poteva diventare il nostro punto di ritrovo, perché eravamo
noi a comandare.
Tutto quello mi faceva sentire un po’ meglio, mi faceva
allontanare dai
problemi, mi aiutava a non pensare.
Un giorno ero nell’aula di tedesco, ero seduto al mio posto e
parlavo con Hill,
un amico del gruppo, parlavamo dell’istituto femminile. Ci
ero stato la prima
volta diverse sere fa, una volta alla settimana ci si organizzava in
piccoli
gruppi per andare all’altro istituto attraversando il bosco e
ci si incontrava
con alcune ragazze.
Il tutto era sempre ben studiato per non farci sorprendere. Avevo
conosciuto
una ragazza, Rinoa, era molto carina e sapeva il fatto suo.
Quella sera ci sarebbe stata anche lei quindi sarei andato anche io.
“Tieni, ti ho preparato questi! Vieni nella mia stanza quando
vuoi e ti spiego
quello che non ti è chiaro.” Era comparso Squall
davanti a me. Rimasi in
silenzio e lo fissai, aveva una gamba ingessata e per camminare aveva
bisogno
delle stampelle. Era stato in ospedale circa due settimane e sapevo
fosse
ritornato al Garden da tre o quattro giorni. Ovviamente non mi ero
premurato di
fargli visita.
Abbassai lo sguardo sui fogli che aveva poggiato sul banco, dai titoli
in rosso
mi resi conto che era il punto in cui eravamo arrivati a studiare
storia
insieme. Erano molti fogli… non volevo credere fossero dei
riassunti di tutte
le materie.
“Cos’è?” Chiesi direttamente,
ma non lo guardai in viso.
“Quistis mi ha detto che con l’altro ragazzo non
fai progressi, credevo saresti
tornato per continuare, ma evidentemente non ti interessa
più. Comunque prendi
questi, non sono difficili.” Disse ancora una volta, si
tirò un po’ più su lo
zaino in spalla prese le stampelle e si avviò verso
l’uscita dell’aula.
Mi sentivo confuso, che diavolo aveva nel cervello! Dopo quello che era
successo si era messo lì a compilare dei riassunti per me?
Hill mi borbottava qualcosa riguardo la stranezza di Squall ma non gli
prestavo
molta attenzione. Mi alzai e corsi a raggiungere il ragazzino bruno.
“Ehi Squall! Perché mai hai fatto quei riassunti
per me?” Si fermò e mi guardò
negli occhi, doveva aver perso peso e la sua espressione sembrava
più “morta”
del solito. Da parte mia sentivo solo un gran senso di colpa.
“Se non ti interessano buttali.” Stava per
riprendere a camminare ma lo fermai
ancora una volta.
“Ma come dopo quella cosa… si insomma dopo quello
che è successo hai ancora
intenzione di aiutarmi?”
“Non avevo molto da fare. In realtà non ho mai
molto da fare. So che non vuoi
avere a che fare con me quindi lascia perdere, fa finta che non ti
abbia detto
nulla.” Stavolta si incamminò, per quanto
possibile, più velocemente. Non lo
fermai, rimasi sulla soglia della porta a pensare… voleva
che tornassi da lui a
studiare. Pensai che se voleva continuare con le ripetizioni fosse
perché si
sentiva solo, e questo mi faceva sentire ancora uno schifo. Quel
ragazzo mi
mandava in tilt il cervello! Cosa avrei dovuto fare.
Era pomeriggio ed erano passate cinque ore da quando Squall mi aveva
portato
quegli appunti. Già sfiorandoli tutto era più
chiaro. Era capace di farmi
capire le cose, come se si abbassasse al mio livello per farmi
comprendere ogni
cosa.
Ero arrivato fuori la porta della sua camera, incerto se bussare o meno
me ne stavo
lì fuori come un cretino.
Infine girai la maniglia e aprii la porta senza bussare, dopo un paio
di passi
oltrepassai il piccolo corridoietto, davanti a me c’era
Squall che mi fissava,
aveva un quaderno in mano e stava seduto di lato alla scrivania, aveva
la gamba
ingessata poggiata sullo sgabello.
“Perché sei entrato senza bussare? Ci sono gli
altri dietro di te e volete
rompermi l’altra gamba?” Le sue parole mi colpirono
come tanti spilli infilzati
nello stomaco. D’altronde aveva ragione.
“Sono venuto da solo. Volevo chiederti alcune
cose.” Sventolai gli appunti che
mi aveva dato. Mi fece cenno di sedermi sul letto. Mi accomodai sul
bordo e gli
mostrai alcuni punti che non riuscivo a comprendere.
Lui prese a darmi delle spiegazioni, poi aggiunse che ci sarebbero
voluti degli
esercizi da fare per comprendere al meglio.
Non lo ascoltavo molto attentamente, perlopiù mi fissavo a
guardare la gamba.
Quando si accorse della mia assenza smise di spiegare.
“Cosa vuoi realmente?” Chiese senza troppi giri di
parole.
“La gamba, volevo sapere come va.”
“E’ rotta, come vuoi che vada?”
“Cosa devi fare ora? Cosa ti hanno detto i medici?”
“Si tratta della tibia e perone, tra poco più di
una settimana mi leveranno il
gesso. Farò della riabilitazione, giusto il tempo per
tornare a camminare come
si deve, nulla di grave.”
Mentre parlava, con violenza una bruttissima idea si insinuò
in me
“E il tennis? Quando tornerai in campo?” Si
guardava la gamba e non rispose.
“Tornerai in campo, vero?!” Rimase in silenzio e
capii. Cosa avevo fatto?
Quella mattina era così distrutto sulla brandina…
per tutto quel tempo mi ero
detto che era solo una cosa rinviata, invece non sarebbe più
tornato in campo?
Mi alzai dal letto di scatto.
“Squall mi dispiace ok? Io non avrei dovuto farlo…
io non”
“Non mi interessa, è meglio che sia andata
così. Ho capito delle cose.” Era
davvero convinto di quello che diceva.
“Di cosa parli?”
“Nulla! Sciocchezze. Vuoi sapere altro? Altrimenti
vai.” Gettò gli appunti
sulla scrivania, ovviamente aveva capito che non ero lì per
quello.
“Perché ti comporti come se non ti importasse
nulla?!” Il mio tono di voce si
era alzato un po’.
“Perché non è nulla di
importante.” Aveva ripreso a leggere il suo quaderno. Mi
irritava, non poteva essere così calmo.
“Ho visto come eri agitato quella sera, ti vedevo chiedermi
aiuto!”
“E l’hai fatto comunque!” Mi
guardò negli occhi col suo sguardo serio, era come
una pietra inscalfibile non si poteva penetrare in lui. Non si riusciva
a
capire cosa pensasse.
“E’ una scelta mia. Potrei continuare,
probabilmente dopo mesi o anni di
riabilitazione chissà, comunque non voglio.”
“Squall potrei aiutarti io. Cosa diavolo hai che non
va?!”
“Seifer… mi spezzi la gamba e poi ti offri di
aiutarmi, non credo di essere
l’unico strano qui.” Mi sedetti di nuovo sul bordo
del letto. Mi sentivo in
colpa per quello, volevo stare con Jass e gli altri ma mi rendevo conto
di non
essere me stesso con loro. Squall mi faceva tornare con i piedi per
terra.
Feci un profondo respiro
“Senti, hai ragione. Io non ho mai fatto una cosa del genere
prima. Jass, Max e
gli altri… mi piace stare con loro. Anche se quando fanno
queste cose… io non
sono come loro. Non so come spiegarmi. Una parte di me vorrebbe che
almeno una
volta nella loro vita i miei genitori fossero orgogliosi di me, e
quando sto
con te io riesco ad essere quello che voglio, mi impegno. Poi
però ho anche
paura, io non voglio diventare come mio padre. Ed è
più facile stare con gli
altri ed ubriacarmi.” Non avevo idea di cosa pensasse Squall,
tanto per cambiare,
avevo lo sguardo puntato sui miei piedi e speravo dicesse qualcosa.
“Capisco.” Alzai lo sguardo su di lui. “A
me non interessa se frequenti sia me
che loro, basta che mi lasciate in pace e non mi spezzate
nulla!” Continuo
facendo una risata nasale, non una vera risata o un sorriso. Non rideva
mai.
Infine mi diede gli appunti “Ti preparerò degli
esercizi. A domani!”
Titubante mi alzai e uscii dalla stanza.
Il giorno dopo mi presentai e l’altro pure, era come una
tacita promessa di
aiuto.
Lui mi aiutava con le ripetizioni e io non lo lasciavo completamente
solo, o
almeno così credevo fosse. Magari prima o poi avrei capito
cosa lo tormentava
tanto, volevo essergli amico. Io volevo conoscerlo!
Commento Autore:
Il prossimo capitolo
verrà pubblicato prima, visto che ho già quasi
terminato
di scriverlo.
Grazie a tutti quelli
che spendono un po’ di tempo per leggere la storia!!
|
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Capitolo 4 *** Illusioni. ***
Avevo
tolto il gesso da diversi giorni. I
primi giorni la gamba faceva malissimo, anche se non davo a vederlo.
Avevo
preso con la riabilitazione e mi ero rimesso piuttosto in fretta.
Vidi Seifer venire verso di me, eravamo nel pieno del bosco e quella
sera
faceva freschetto, indossava un lungo cappotto bianco, spesso mi
capitava di
pensare che fosse un diavolo mascherato da angelo.
“Oi Squall cosa ci fai qui? Hai la ragazza e non mi hai mai
detto nulla?”
Chiese sgranando gli occhi. Mi venne quasi da sorridere, mi capitava
spesso con
lui.
“Ovvio uno come me non troverebbe mai una ragazza.”
Mi guardò esasperato.
“Non l’avrei mai detto prima, ma tu hai
l’autostima sotto i piedi sai? Insomma
devi esserti guardato allo specchio!”
“Non è vero! Cosa intendi dire?” Non mi
piaceva che gli altri mi analizzassero.
“No nulla lascia perdere. Come mai Jass ti permette di andare
all’istituto
femminile?”
“Diciamo che su questa storia tende a chiudere un
occhio.” Poco dopo sbucò
proprio lui
“Eccomi ragazzi andiamo!” E ci incamminammo verso
l’istituto femminile.
Seifer stette tutto il tempo con i suoi amici, sapevano che studiavamo
insieme
ma cercava di evitarmi quando c’erano loro.
Io stavo in fondo al gruppo tenendo il passo. Quando arrivammo sbucammo
al
solito posto, lo chiamavano “Il vecchio Garden” Era
una piccola struttura
abbandonata poco lontano dall’istituto femminile. Era il
punto di ritrovo
segreto delle due scuole.
Il tempo di spuntare dalle aiuole che lei mi saltò addosso
stringendomi forte,
la strinsi a mia volta e le carezzai la testa.
“Sono tanto contenta che tu sia venuto!”
“Beh ti avevo detto che appena la gamba riprendeva a
funzionare sarei corso da
te!” Ci guardammo negli occhi. Ogni volta che la vedevo mi
sembrava sempre più
grande.
“Scusa tu non sei la ragazza di Jass?” Seifer stava
di fianco a noi decisamente
confuso.
“Purtroppo è così, lei è mia
sorella Ellione.” Mi beccai un pugno in testa da
parte sua e le sorrisi dolcemente. Un secondo dopo Jass
l’aveva attirata a se e
la baciava. Mi voltai disgustato e Seifer era ancora lì a
fissarmi.
“Hai una sorella? E sta con Jass?! Questa è
bella!” Portai l’indice sul naso in
segno di fare silenzio, mi avvicinai a lui e gli sussurrai.
“Ellione non è a conoscenza delle divergenze tra
me e tutti gli altri. Lasciamo
la cosa così, ok?” Non riuscivo a capire se fosse
confuso o divertito da quel
gioco del destino. Non ebbi il tempo di capirlo perché
stavolta fu un’altra
ragazza a gettarsi tra le sue braccia.
Quando si staccò da lui notò la mia presenza e si
fece rossa in volto.
“Ciao Squall…” Disse timidamente.
“Ciao Rinoa.” Risposi freddamente, era la migliore
amica di mia sorella. Era
una brava ragazza ed ero felice che fossero come sorelle. Sapeva
certamente
scegliere amicizie migliori dei fidanzati. Qualche tempo fa, durante
una visita
segreta come quella, si era dichiarata. Rifiutai immediatamente, loro
non
sapevano come mi consideravano nell’altra scuola, Jass teneva
tutto segreto per
mia sorella. E non volevo mettere in cattiva luce Rinoa. Li fissai per
un
attimo.
“Ah state assieme!!””
“
“No Squall, non è proprio
così.” Cercava di giustificarsi lei senza motivo.
“Non devi darmi spiegazioni.” Li liquidai
così e mi avviai verso mia sorella.
Ci abbracciammo un paio di volte poi Jass la trascinò via, e
sinceramente non mi
piaceva pensare dove o a fare cosa.
Mi sedetti su una costruzione in pietra lì vicino e aspettai
le solite due ore
prima di tornare.
Trascorse le due ore i ragazzi cominciarono a fare ritorno, Seifer
tornò senza
Rinoa e venne a passo spedito verso di me.
“Fammi capire: tua sorella sta con il tuo peggior nemico e io
sto uscendo con
la ragazza che ti piace.” Parlò col suo solito
tono spavaldo.
“A me non piace Rinoa!”
“Si effettivamente è un po’…
appiccicosa! Mi ha detto che tu gli piacevi e che
l’hai rifiutata brutalmente!” Non risposi nulla,
strozzai in gola uno
sbadiglio.
“Ehi… sei rimasto qui da solo fino ad
ora?” Ancora una volta non risposi nulla.
Le altre volte restavo in compagnia di Rinoa, non che la cosa mi
facesse
piacere ma almeno non facevo la figura dello scemo. Pian piano erano
tornati
quasi tutti.
“Sai prima, con tua sorella, era la prima volta che ti vedevo
ridere.” Stava
appoggiato con le braccia vicino a me, ci fissammo negli occhi per
diversi
secondi e solo allora mi venne una domanda: cosa aveva fatto con Rinoa?
Cosa
diavolo me ne importava poi.
Quando staccai lo sguardo dai suoi occhi vidi mia sorella avvicinarsi,
scesi
dalla struttura e le andai incontro.
“Scusa fratellino, volevo venire prima
ma…” Una morsa di gelosia mi bruciò lo
stomaco, la seppellii senza dargli voce e al suo posto sorrisi, il mio
solito
sorriso finto.
“Non dire sciocchezze!” poggiai ancora una volta la
mano sulla sua testa
castana.
“Ci vedremo la settimana prossima e starò con te
tutto il tempo! Verrà anche
papà sai? Oggi sono riuscita a sentirlo e ha detto che
sarebbe venuto! E’ da
tanto che non stiamo tutti insieme!” Le brillavano gli occhi,
sembrava così
eccitata.
“Ellion io non ci spererei troppo, sai che è
impegnato e non è mai venuto per
la festa annuale degli istituti!” Ogni 20 d’aprile
si festeggiava l’anno di
quei due grandi college, gli alunni e le famiglie si riunivano per
cenare e
festeggiare. Ma nostro padre era sempre mancato a
quell’appuntamento, non
volevo che Ellione ci restasse male.
“Papà ha detto che sarebbe venuto! Meglio che
mantenga la promessa. Nel caso
staremo io e te!” Mi poggiò un bacio sulla
guancia, ci salutammo e mi misi in
disparte. Non mi piaceva vederla salutare Jass.
Durante il ritorno all’istituto non potevo fare a meno di
sentirmi osservato da
Seifer, volevo chiedergli cosa volesse ma non l’avrei
avvicinato davanti ai
suoi amici. Infine fu lui ad indietreggiare avvicinandosi a me.
“E’ per il fatto che tua sorella e Jass stanno
insieme che non hai detto
nulla?”
“Cosa intendi dire?”
“Io pensavo che l’aggressione nello spogliatoio ti
avesse spaventato, per
questo non avevi fatto nomi o cercato vendetta. Ma non è da
te startene buono,
quindi non capivo. E’ perché non volevi che tua
sorella sapesse cosa ti fanno
Jass e gli altri.”
“Uno: a me non spaventa nulla. Due: chi ti ha detto che non
gliela farò pagare?
Tre: tu fai parte degli “altri”. Quattro: Si, mia
sorella non deve sapere
nulla.” Seifer restò indietro di qualche passo.
“Se odi anche me allora perché mi aiuti con gli
studi?” La conversazione
cominciava a darmi sui nervi.
“Non avevo di meglio da fare.”
“Che razza di risposta è?!”
“Credo che i tuoi amichetti si accorgeranno che stai parlando
con me se resti
ancora qui.” Detto ciò mi avviai avanti tra gli
altri ragazzi, così non si sarebbe
più avvicinato. Provavo una strana fitta quando pensavo che
Seifer veniva da me
solo per gli studi. Come mi dava fastidio che quel cretino di Jass
fosse il
ragazzo di mia sorella, e che Rinoa ora stesse con Seifer. Si
l’avevo rifiutata
io, non provavo nulla per lei, come per nessuno. Solo che adesso mi
dava
fastidio.
Il giorno successivo Seifer non si presentò, ero casualmente
passato con la
vicepreside davanti uno dei posti dove si appostava la banda. Ed erano
tutti a
bere birra, quindi quelli presenti erano stati tutti messi in punizione
chissà
in quale modo. Caso volle che Seifer fosse proprio con loro in quel
momento.
Era così che vivevamo io e Jass, io trovavo il modo di
metterli in ridicolo e
poi facevamo a pugni. Anche se non si era mai presentato un episodio
come
quello della palestra.
Non li sopportavo, li avevo visti a volte intimidire quelli del primo
anno o
quelli con poco carattere. Si sentivano forti così, ma io
non mi ero mai tirato
indietro. Da quando Seifer mi aveva detto di avermi visto spaventato
quella
sera mi sentivo come se una parte del mio muro si fosse sgretolata.
Per me era solo importante partecipare a quella stupida gara! Erano 5
anni che
aspettavo quel giorno, era come se non vivessi di altro aspettandomi
chissà
cosa. Pensare di essermi mostrato debole davanti agli altri mi faceva
agitare.
Sentivo il forte bisogno di consigli ed andai dall’unica
persona dalla quale
andavo sempre in quei casi.
Bussai alla porta dell’aula insegnanti ed entrai.
“Permesso! Cercavo la vicepreside Trepe.”
Successivamente sbucò proprio lei
dietro una scrivania con sopra un enorme pila di libri.
“Squall! E’ successo qualcosa?!”
“No, se non ha nulla da fare volevo mostrarle dei compiti
poco chiari.” Sistemò
delle cose dietro la pila di libri e mi seguii in corridoio.
“Vieni andiamo nella mia stanza!” Andammo dove
c’erano le camere degli
insegnanti ed entrammo nella sua camera, come di consueto.
“Mi sa che dobbiamo cambiare la scusa del “mi aiuti
a fare i compiti”, orami
sei una sorta di genio.” Si guardò velocemente
allo specchio e si alzò un po’
gli occhiali sul naso. Era così che facevo quando avevo
bisogno di parlare con
lei, dicevo la scusa dei compiti e lei mi portava via.
“Mi ero preoccupata fosse successo qualcosa, è da
prima dell’incidente che non
vieni a cercarmi.” Mi lanciò uno sguardo di
rimprovero.
“Quistis non ero dell’umore…”
“Si lo so!” Mi strinse una mano sulla spalla, mi
svincolai senza sembrare
troppo brusco. “E’ per questo che volevo che
parlassi con me.”
“Sono venuto per altro.” Cercai di cambiare
discorso quasi subito. “Come si fa
a cambiare quello che è successo” Restai in
silenzio in attesa di una risposta.
“Potresti esser un po’ più preciso
Squall?” Scosse la testa esterrefatta.
“Non posso.”
“E come credi che possa aiutarti?”
“Scusa se ti ho rubato del tempo allora!” Mi avviai
verso la porta della camera
a passo veloce.
“Aspetta, voglio aiutarti ma come… oh insomma. Non
si può cambiare quello che è
successo, puoi cercare delle scappatoie all’infinito e non
accettare la cosa o
affrontarla e parlarne con il diretto interessato. Ti può
essere utile questa
risposta?” Finì in tono ironico.
“Forse, devo pensarci.” Conclusi
“Squall prima che tu vada. Volevo dirti che è
stato confermato il tavolo dalla
tua famiglia per domani sera. Non so che pensare ma credevo fosse
giusto
dirtelo.”
Non dissi nulla e uscii dalla stanza.
Era arrivato il 20 aprile. Quel giorno non c’erano lezioni,
gran parte degli
alunni aiutava in giardino per l’allestimento della festa.
Quistis mi aveva
buttato nel girone degli aiutanti senza dirmi nulla, certe volte era
detestabile.
“Squalli!!” Bene, non poteva capitarmi capogruppo
migliore di Selphie,
frequentava l’istituto femminile ma non era lì che
ci eravamo conosciuti. Lei
come me era la vincitrice di una delle borse di studi per questo
frequentava il
college. Eravamo in molti a chiederci come fosse possibile, era sbadata
e
sembrava proprio il tipo di persona incapace di fare due più
due. Mentre mi
veniva incontro inciampò su un filo e cadde a terra stesa
come un salame. Si
rimise subito in piedi e si sistemò il vestito giallo
canarino, per nulla
imbarazzata o altro. Era decisamente abituata a certe figuracce.
“Sono contenta tu sia venuto ad aiutarci! Ci sono dei tendoni
da alzare su, vai
forza!”
“Faccio questa cosa e vado via, ok?”
“Squall non puoi fare solo una cosa e andare via!”
“Non sono stato io a mettere il mio nome nella bacheca per i
partecipanti, e
poi la gamba non funziona del tutto quindi farò questo ed
andrò via!”
“Già è da un po’ che non ci
vediamo, come va la gamba?”
“Non funziona del tutto.” Ripetei e mi avviavi
verso un gruppo di ragazzi
intenti ad alzare i tendoni.
Ero annoiato e non parlai per nulla, aiutati solo a tiare delle corde
quando me
lo dicevano. Poi uno con la delicatezza di un elefante mi
pestò il piede,
proprio quello che funzionava poco.
“Che cazzo!” Mi accasciai e mi massaggiai la gamba
come mi aveva detto di fare
il dottore di riabilitazione.
“Ti ho fatto male?” Seifer, chi altro
sennò. “Diciamo che ora siamo pari per
avermi fatto beccare a bere birra!” Sorrideva beffardo.
“Idiota!” Mi alzai e cercai di allontanarmi ma la
gamba doleva e zoppicavo
visibilmente.
“Ehi cosa hai fatto a Suqalli!” Selphie si era
avventata su Seifer come un
tornado.
“Nulla dolcezza, gli ho calpestato il piede. Ma non
l’ho fatto apposta.”
“Ah, senti io torno dentro, non riesco a poggiare il
piede.” Dissi rivolto a
Selphie.
“Sicuro non sia nulla di grave?” Chiese col volto
preoccupato, mi infastidiva
che le persone di preoccupassero per me. Feci di no con la testa e mi
avviai
zoppicando verso l’entrata.
“Non credevo di averti fatto così male. Vieni ti
aiuto.” Mi prese un braccio
per sorreggermi, lo strattonai via.
“Sparisci non voglio il tuo aiuto!”
“Non fare lo schizzinoso, mi dispiace solo che sia stato
proprio io a calpestarti
il piede. Sai che me ne importa!” Una morsa di rabbia mi
percosse il corpo, mi
fermai e mi voltai verso di lui.
“Nessuno ti ha chiesto di preoccuparti per me e nessuno ti ha
chiesto di starmi
dietro. Ti sto aiutando con gli studi perché mi fai pena!
Sei un tale cretino
che prima mi spezzi la gamba e poi te ne penti!” Mi aspettavo
una qualche
reazione da lui, invece restò zitto e se ne andò.
Vallo a capire quello.
A fatica mi avviai dentro l’istituto mi sedetti sui gradini e
massaggiai la
gamba aspettando che il dolore passasse un po’.
Come un raggio di sole in una giornata piovosa vidi Ellione venirmi
vicino.
“Squall ciao.” mi poggiò un bacio sulla
testa. “Papà ha prenotato un tavolo,
quindi staremo tutti insieme dopo tanto tempo. Quanto tempo
è che non stiamo
tutti insieme?”
“Non lo
so, è da un po’ in effetti.” Le
sorrisi dolcemente.
“Cos’hai ti fa male la gamba?” Chiese
osservando le mie mani intorno alla
caviglia.
“No, faccio solo un massaggio di routine!” Mentii.
“Senti non sperare troppo che
papà venga stasera ok?”
“Ah il solito pessimista!! Ora vado che sta per partire il
pullman per tornare
all’istituto!” si alzò e
attraversò l’enorme portone
dell’entrata. Era così
bella e così forte, dovevo darle il meglio, io le dovevo
tutto.
Me ne tornai lentamente in camera in attesa della serata.
Stavo in alto sulla scalinata principale, avevo indossato il vestito da
sera
del garden, come sempre. Aspettavo lì che Ellione arrivasse
e mi vedesse.
Quando infine la vedo arrivare decisi di andarle io incontro, era
bellissima
come sempre. Indossava un lungo vestito da sera azzurro molto elegante,
vicino
a lei c’era Rinoa, indossava un abito bianco. Alle ragazze
era consentito
indossare abiti da sera purché non fossero troppo scollati o
provocanti.
Le sorrisi e l’abbracciai, poi salutai anche Rinoa nel mio
solito modo freddo e
distaccato.
“Scusa, sai dov’è Seifer?” Mi
chiese timidamente.
“Eccomi!” Era appena arrivato lui, indossava lo
stesso vestito che indossavamo
noi uomini. Sembrava più grande con quel vestito, lo pensai
anche la prima
volta che glielo vidi indosso. Non gli rivolsi la parola e pensai
brevemente
alla conversazione avvenuta la mattina.
“la vostra famiglia verrà?” Chiese il
biondo
“Oh si, verrà nostro padre. Sarà qui a
momenti.” Rispose Ellione. Seifer mi
fissò qualche secondo.
“Beh ne i miei ne quelli di Rinoa verranno quindi andremo al
tavolo degli
alunni… senza famiglia?” Era stranamente agitato e
sembrava non sapere nemmeno
lui cosa stesse dicendo.
Erano già arrivate molte famiglie, quasi tutte.
“Eccolo la!” Esclamò mia sorella.
Guardai nella sua stessa direzione e mi mancò
un battito. Da una delle Limousine appena parcheggiate uscì
lui, Laguna.
Quando si avvicinò un po’ Ellione corse da lui, io
ero ancora fermo e non
sentivo la piena stabilità sulle gambe.
“Tu non vai?” Seifer era ancora accanto a me, e non
so se per divertimento o
cosa ma non faceva altro che fissarmi.
Mi incamminai verso di loro con le gambe un po’ tremolanti.
“E tu che dicevi che non sarebbe venuto!” Disse mia
sorella facendomi la
linguaccia. Avrei voluto sorriderle o ricambiare ma ero troppo preso
dalla
presenza di nostro padre.
“Allora, non lo saluti!” Cercando di camuffare
l’agitazione allungai una mano
verso di lui per stringergliela.
“Buona sera Laguna!” Mi strinse la mano a sua volta
e mi tirò verso di lui, mi
abbracciò velocemente. Non capivo bene cosa stesse
succedendo ma lo assecondai.
“Oh tutti insieme. Dov’è che si mangia?
Sto morendo di fame!” Disse mio padre
rivolto a noi.
“Papà sai che ti vedo molto dimagrito? Devi
mangiare! Non farci preoccupare.”
Poi si incamminarono verso i tendoni e io li seguii con qualche passo
di
distanza. Entrammo e una volta trovato il nostro tavolo ci sedemmo.
Eravamo al
centro, praticamente sotto gli occhi di tutti. Ci sedemmo ed Ellione e
Laguna
conversavano delle varie cose, poi mio padre cominciò a
punzecchiarla dicendole
che voleva conoscere il suo ragazzo. Non credevo lo sapesse.
Restai in silenzio per tutto il tempo e non feci altro che fissare la
tavola
apparecchiata.
Poi arrivarono i camerieri, servirono noi per primi con gli antipasti.
“Squall che ti prende?” Sobbalzai allo scrollarmi
di Ellione.
“Nulla. Pensavo a.. ehm.”
“Cosa succede? C’è la ragazza che ti
piace?” Fissai mio padre ma non gli
risposi. Dovevo aspettarmi sarebbe venuto ma non mi sentivo pronto.
Sembrava
così assurdo…
“Buona sera signor Loire! Scusate, disturbo?”
Quistis si era avvicinata, la
guardai e sgranai gli occhi cercando di farle capire di andar via.
“Prego!” La invitò mio padre che le
strinse la mano.
“Sono Trepe, la vicepreside, per noi è un onore
averla qui. Come avere suo
figlio nel nostro istituto è praticamente il primo in tutte
le materie e sono
felice di parlarne con lei!” Mi si raggelò il
sangue nelle vene, cosa combinava
ora?
“Oh la ringrazio signorina trape. Sono a conoscenza degli
ottimi voti di mio
figlio, mi rende molto fiero.” Quistis mi lanciò
una veloce occhiata di intesa
e si congedò. Io fissai per un po’ mio padre. Mi
venne da pensare che fosse
vecchio. Mi faceva strano sentirgli dire quelle parole, era una farsa
oppure
era sincero? Dopo poco fu l’insegnante di fisica che venne a
replicare le
parole di Quistis.
“Oddio che noia Squall sei un secchione! Nemmeno uno dei miei
insegnanti si è
avvicinato!” Disse Ellione appena il professore fu andato
via. Mio padre
sorrise e mi sentii tremendamente fuori posto.
“Scusa.”
“E di cosa? Scherzavo dai, stai rilassato!” Certo
la faceva facile lei.
“Allora Squall come va con la gamba?” Chiese Laguna
sorridendo.
“Molto bene, la terapia prosegue ma a breve dovrei
terminarla!”
“E’ stato terribile quello che ti hanno
fatto!” Commentò Ellione.
“Squall è mio figlio è un ragazzo in
gamba si riprenderà.” Lo guardai e mi
venne da sorridergli.
Le altre portate proseguirono veloci e noi ci lasciammo andare ad altre
varie
conversazioni, non parlai molto ma mi tenevo presente.
Quando la cena finì ci alzammo dai tavoli, c’era
chi ballava o chi restava a
chiacchierare. Non ero mai restato fino a quel punto. Arrivò
Jass che si
avvicinò a noi e salutò Ellione
“Papà lui è Jass… un mio
amico!”
“Certo amico, piacere ragazzo!”
“Signore per me è un onore conoscerla, una persona
importante come lei. La
stimo molto!” Cominciò Jass.
“Mi raccomando fai il bravo ragazzo con mia
figlia!” Ora stava per venirmi da
vomitare. Che doppio faccia. Chiese il permesso a mio padre di invitare
mia
sorella a ballare e si avviarono sulla pista da ballo.
Restammo soli e stavolta potevo sentire la tensione anche da parte sua.
“Allora come va qui?” Mi chiese un po’
agitato.
“Bene.” Risposi semplicemente guardando la pista da
ballo.
“Te la cavi bene insomma. Sembri uno tosto.” Mi
faceva strano sentirlo parlare
così, quasi mi venne da sorridere. Mi voltai a guardarlo.
“Se è questo che pensi mi rende felice.”
Gli sorrisi e lui rimase fermo, il suo
viso mutò in una smorfia severa e smisi subito di sorridere.
Vedendo la mia reazione scosse la testa.
“Scusa ragazzo, sono solo stanco.” Mi stinse la
spalla con una mano. Possibile
che avesse deciso di tornare?
“Sono felice che questa volta sei riuscito a
venire.” Confessai.
“Non sei cambiato molto da quando eri piccolo.” Mi
fissava intensamente in
viso.
“Buna sera signor Leonhart! Io sono Seifer Almasy!”
Cosa voleva combinare ora?!
“Seifer lui fa Loire di cognome! Insomma dovresti ricordare
almeno i cognomi
dei presidenti!” Lui si fece paonazzo, in fondo è
normale che lui pensasse
avessimo lo stesso cognome, d’altronde era anche normale che
sapesse il nome
dei presidenti.
“Mi scusi signor Loire! Volevo solo fare la sua
conoscenza!”
“Sei un amico di mio figlio?” Chiese mio padre
incuriosito.
“S… si, lui mi sta aiutando a riprendere con il
programma di studi!” Lo guardai
incuriosito, cosa stava cercando di fare?
“Mi fa piacere per te ragazzo.” Poi mio padre si
allontanò e prese a parlare
con alcuni genitori, probabilmente altri prezzi grossi.
“Scusa cosa volevi fare?” Chiesi passando la mia
attenzione a Seifer.
“Volevo fare qualcosa di buono.”
“E in che modo?”
“Quello che hai detto questa mattina. Mi dispiace di essere
un coglione ok?
Volevo dire qualcosa di buono. Ah me ne vado!”
“No aspetta.” Lo fermai.
“Allora? Cosa vuoi dirmi?” Mi chiese aspettando una
risposta.
“Nulla, è una serata strana per me.”
“Sembri agitato infatti, cosa succede?” Mi chiese
avvicinandosi di nuovo.
Restai in silenzio incerto su cosa dire.
“Ok lascia stare. Volevo dimostrarti che sono qui e parlo con
te davanti a
tutti, per farti capire che io faccio quello che voglio e non me ne
frega nulla
di cosa pensano gli altri.” Alle sue parole mi guardai
intorno alcuni del suo
gruppo in effetti ci fissavano, ma sembrava importare poi tanto. Cosa
voleva
dire con quelle parole?
“Comunque, visto che sono un fastidio me ne vado.”
“Aspetta, puoi restare solo un attimo?” Le parole
mi uscirono di bocca da sole,
Laguna continuava a conversare poco distante, ero agitato provavo mille
emozioni e non ero abituato a gestire tutto quello.
“Come, come? Squall Lenhart mi chiede di restare con
lui!” Volle prendermi in
giro lui. Mi sentii tremendamente stupido. La testa prese a girarmi
molto
forte, in effetti mi sarebbe piaciuto svenire e svegliarmi da solo
nell’infermeria.
Seifer mi afferrò da dietro e mi tenne fermo in modo da non
dare nell’occhio.
“Squall che ti prende stasera? Vuoi uscire da qui?”
Cercai di rimettermi in piedi
ma la vertigine non passava. Gli feci cenno di si con la testa e piano
piano ci
avviammo verso l’apertura dei tendoni.
Una mano mi afferrò la spalla era mio padre.
“Eccoti qui ragazzo! Volevo presentarti i signori
Dalam.” Si pararono davanti a
me due signori dell’età di mio padre. Seifer era
alla mia sinistra e mi
sorreggeva con la sua spalla dietro di me. Accanto a loro
c’erano anche Jass e
Ellione, supposi fossero i genitori del quarterback. Allungai la mano e
la
strinsi ai signori mentre Laguna faceva le presentazioni.
“Lui è mio figlio, è l’alunno
migliore dell’istituto e non può fare a meno di
vincere la borsa di studio a quanto pare!” Mio padre si
pavoneggiava col mio
nome in bocca.
“Squall quest’estate, alla fine delle lezioni, la
tua famiglia verrà da noi per
cenare tutti assieme. Sarei molto contenta di avere anche il fratellino
della
fidanzata di mio figlio!” La signora Dalam mi stava invitando
da loro ma io non
potevo andare, guardai mio padre stralunato solo in quel momento mi
accorsi dei
suoi occhi spenti, ingrigiti, vecchi. Come se lui avesse capito che
aspettassi
il suo consenso disse:
“Certo che verrà! Verremo tutti insieme
quest’estate!”
mi sembrava di impazzire. Tutto quello… non era normale. Il
mio sguardo vagava
tra i presenti da Jass a mia sorella e infine a mio padre. In preda al
panico
afferrai il polso di Seifer. Aveva il braccio dietro di me e nessuno
poteva
vedere, lui mi prese la mano e io strinsi forte.
Feci di si con la testa e senza dite altro sgattaiolai fuori di
lì con Seifer.
Appena fuori lasciai la mano dell’altro e presi a fare dei
profondi respiri,
lui era lì che mi guardava. Chissà cosa pensava
di tutta quella situazione.
“Squall vuoi andare via?” Aveva gli occhi fissi nei
miei, volevo dirgli
qualcosa provare a spiegarmi ma nemmeno io ci capivo qualcosa. La sua
presenza
mi teneva lucido mi teneva ancora presente.
“Squall tutto bene?” Era arrivato anche Laguna, mi
voltai immediatamente verso
Seifer, non volevo ci lasciasse da soli. Lui fece di si con la testa e
si
allontanò. Parlare con le espressioni non era il nostro
forte.
“Scusami per poco fa, oggi ho avuto dei problemi con la
gamba. Sono solo stanco.”
Cercai di giustificarmi in qualche modo.
“Manca poco e andrò via, cerchiamo di finire bene
la serata.”
Rientrammo nel tendone senza dirci altro, alcune famiglie avevano
già
cominciato a salutarsi e i pullman per riportare le ragazze
all’istituto femminile
sarebbe partito di lì a poco.
Accompagnammo Ellione al suo pullman, lei e Laguna si salutarono
più volte.
Infine accompagnai mio padre alla Limousine. Lui stava di fianco a me e
non
diceva nulla, fuoi io a prendere l’iniziativa.
“La prossima volta che verrai potremmo chiedere comunque
all’istituto femminile
di far venire Ellione, sai alcune famiglie che hanno figli in entrami
gli
istituti lo fanno.” Lui continuò a camminare e non
disse nulla.
“Beh se la cosa non ti piace non fa nul…”
“Senti Squall quello che è successo questa sera
è solo per Ellione ok? Era da
tanto tempo e lei ha insistito. Non pensarci più.”
Era come se il cuore non ci
fosse più, sentivo solo un forte bruciore al suo posto.
“Capisco, nessuna prossima volta.” Dissi facendo
l’ultimo passo accanto all’auto.
Laguna mi guardò gesticolando con le mani come in cerca di
qualcosa da dire,
rassegnato si avviò verso l’auto. Di fronte a me
c’era Baltier il nostro
autista lo vedevo spesso perché veniva a pagare rette e
altro, aveva aperto la
portiera per far salire mio padre e mi guardava preoccupato. Era sempre
stato
un po’ protettivo con me anche quando ero piccolo, e il suo
sguardo di pietà
non era mai cambiato.
“E’ stata una bella serata.” A quelle
parole Laguna esitò un secondo prima di
entrare in auto. Mi voltai e percorsi la strada a ritroso senza
aspettare di
veder l’auto sparire in quel momento potevo veder partire
anche uno dei pullman
e vidi Seifer venirmi in contro proprio da lì, dove poco va
sostavano i mezzi.
Affrettai il passo, ora ero esausto non mi andava più di
ragionare.
“Squall ehi aspetta! Ma non ti faceva male la
gamba?!” Mi raggiunse in pochi
secondi e mi afferrò per il braccio, misi entrambe le mie
mani sul suo petto e
lo spinsi via più forte che potevo. Lui mi guardò
stranito e si fece ancora
avanti, questa volta avverrai la giacca e lo spinsi quasi fino a farlo
cadere.
“Ma che cazzo hai adesso?!” Sembrava irato oltre
ogni limite.
“Adesso non ti va di fare a botte? Beh a me si!” Mi
avventai ancora su di lui,
mi afferrò il pugno e cercò di calmarmi
“Ok, ok vieni con me. Facciamo in un altro modo!”
Mi trascinò nella palestra,
rimase la porta semichiusa lasciando entrare la luce da fuori. Se
avesse acceso
le luci sicuramente sarebbe arrivato qualcuno a controllare. Dopo poco
arrivò
con dei guantoni da box piuttosto consumati.
“Indossali!” Mi incitò e si
posizionò dietro il sacco da box.
“Vieni, colpisci qui. Quando accumulo stress vengo qui e mi
sfogo, forza!”
Infilai i guantoni e cominciai a lanciare qualche cazzotto.
“Se è con tuo padre che sei incazzato posso
consigliarti di pensare a lui. Ti
assicuro che ti sentirai meglio, te lo dice un veterano.” A
quelle parole mi
fermai, Seifer l’asciò la presa del sacco e venne
verso di me.
“Cos’è successo?” Mi chiese
lui, sembrava sinceramente interessato e io non
sapevo cosa pensare dei suoi continui sbalzi d’umore verso di
me. Ma in quel
momento avevo altri pensieri per la testa.
“Tu perché odi tanto tuo padre?” Si
prese del tempo per pensare, probabilmente,
se rispondere o no.
“Non lo dirai a nessuno?” Ancora una volta mi
guardò negli occhi in quel modo
strano, come solo lui sapeva fare.
“No.” Prese a camminare avanti e dietro.
“Ero, sono, un gran combina guai ne ho fatte tante. Ad
esempio una volta ho
dato fuoco all’auto di un professore, credo tuttora se lo sia
meritato era un
grande stronzo e aveva molestato una mia amica. A mio padre non
piacevano i
miei modi o anche solo quello che pensavo e finiva sempre per
slacciarsi la
cinta, insomma hai capito.
Credo di essermele meritate molte di quelle botte.” Sorrise
fra se e se, poco
dopo tornò serio.
“Un giorno successe il putiferio, fu una ragazza della mia
età che si presento
a casa mia e urlò a mio padre di doverle dei soldi per
mantenere il bambino.
Si ero stato con lei e l’avevo messa incinta. Era solo
un’amica e ci eravamo
divertiti.
I miei genitori si videro con la sua famigli e decisero di insabbiare
la cosa
facendola abortire. Il fatto è che io non volevo.”
“Eri innamorato di lei?” Interruppi il suo discorso
curioso dei fatti.
“No assolutamente, ma era mio… si so di essere un
ragazzino ma era un errore
mio ed era mio figlio, cercai di far valere la mia idea. Andai anche da
lei le
dissi di tenersi il bambino che avrei lavorato, non volevo
più dipendere da
loro, alla fine capii che a lei non interessava nulla e che tutto
quello l’aveva
fatto solo per ricevere soldi dalla mia famiglia. Gli avevano proposto
una
grande somma per non far uscire la cosa allo scoperto.
La fine della storia è che quel bambino alla fine non era
nemmeno mio. Era già
incinta prima di stare con me e aveva camuffato tutto solo per il
denaro.”
“Per questo lo detesti tanto?”
“Ti pare poco? Vivo in una famiglia dove non sono libero di
scegliere nulla,
dove mi insegnano che se hai i soldi il libero arbitrio non conta
nulla. Ecco
si quando penso a tutto questo mi viene da odiare mio padre.”
Chiuse gli occhi
e fece in gran respiro, successivamente tornò a guardarmi.
“Tu invece perché odi il tuo?”
“No io non lo odio…”
“Allora cos’è successo
stasera?” Ci pensai un po’
“Era tanto che non lo vedevo, all’improvviso si
è presentato qui dicendo che io
sono suo figlio e che era fiero di me e io non capivo cosa stesse
succedendo,
ma alla fine ha detto che era solo per Ellione quindi nulla.”
Mi guardava
intontito.
“Scusa cosa hai detto? Non ho capito nulla” Sorrise
“Da quanto tempo non lo
vedevi” Mi si seccò la saliva in gola, non
l’avevo mai detto e in qualche
strano modo nemmeno mai ammesso a me stesso. Continuai a guardarlo
negli occhi
come per cercare un aiuto o un suggerimento per spiegargli la cosa.
“Sono… beh un po’ di tempo…
molto direi.”
“Dall’inizio dell’anno a settembre? Non
dovresti essere così pesante lui è il
presidente sarà impegnato.”
“Cinque anni.” Mi studiò il viso poi
sorrise.
“Non dire sciocchezze!” Vedendomi serio smise di
ridere. “Sul serio non vedevi
tuo padre da 5 anni?” Staccai gli occhi da lui e puntai lo
sguardo sul
pavimento della palestra.
“Già, lui mi odia molto. Un giorno mi
portò qui e non l’ho mai più visto ne
sentito. Dopo stasera dubito capiterà ancora.”
“E dici di non odiarlo, non puoi pensarlo davvero! Insomma
Squall questo deve
essere uno scherzo, e le vacanze estive?” Cominciava a
gesticolare e comportarsi
in modo agitato.
“Sono stato sempre qui.” Restò in
silenzio e non smetteva di guardarmi, ora
potevo leggere la stessa pietà che aveva negli occhi il mio
autista.
“Stasera si comportava come se tutto questo… per
Ellione vero?”
“Si lei non deve sapere nulla.”
“Ok abbiamo bisogno di qualcosa di forte. Molto, molto forte!
Vieni andiamo dal
preside.” Uscimmo dalla palestra e socchiuse la porta.
“Preside?”
“Tu passeggi sempre da quelle parti non ci noteranno. Fidati
di me.”
Sicuramente non aveva pensato all’importanza di quelle ultime
parole, strinsi i
pugni e lo seguii. ;i fidai di lui.
COMMENTO
DELL’AUTORE:
Ringrazio ancora una
volta tutti quelli che si soffermano a leggere questa
storia.
Spero che questo
capitolo vi piaccia. Si concentra molto sulla storia e su una
parte del vissuto di Squall, la cosa si evolverà sempre di
più nella storia.
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Capitolo 5 *** Fame sconosciuta ***
Ero
entrato nell’ufficio del preside e avevo lasciato a
Squall l’ingrato compito di fare da palo. Era solito sbrigare
commissioni per
il preside e cose così e ho pensato che se qualcuno gli
avesse chiesto qualcosa
lo avrebbero sicuramente creduto. Ma quando lui mi ha chiesto cosa
avesse
potuto inventare non seppi fare di meglio che chiudermi nella stanza
senza
dagli una risposta. Nella stanza c’erano molti liquori e
alcolici vari, tutti
dietro delle vetrine alcune erano chiuse con una serratura. Non me ne
premurai
molto presi una bottiglia di vodka alla menta e una liscia, infine
presi una
bottiglia di vetro con del rum quasi finito. Pensai di fermarmi
lì per non dare
troppo nell’occhio ma qual posto faceva invidia ai veri e
proprio bar.
Così andai verso un armadietto dove supponevo si poggiassero
cappotti e indumenti
di questo genere. Nelle mie esperienze passate ne avevo capite un
po’ di cose
di gente benestante, cercai un po’ a testoni e trovai un
cassettino che non si
vedeva per via della poca luce. Bingo! Dell’assenzio!
L’assenza di quella
bevanda sarebbe sicuramente stata notata ma non ci pensai troppo su.
Mi sistemai tutte le bottiglie in modo da mantenerle solo con un
braccio. Mi
sfilai la giacchetta col marchio del garden e cercai di coprire meglio
che
potevo le bevande.
Con una certa fretta mi avviai alla porta e tirai giù la
maniglia, in realtà il
mio gesto fu solo un mimo perché la maniglia fu tirata
giù da qualcun altro. Mi
irrigidii sul posto, la testa di Squall sbucò da dietro la
porta
“Allora ti muovi?! Vedo delle persone in
lontananza… hai preso solo quelle
bottiglie?” Disse mentre mi vedeva sistemarle sotto la
giacca, per poco non mi
faceva venire un infarto!
“Non hai idea di cosa sia questa roba, vero?”
Chiesi sorridendo.
“Non ho mia bevuto nulla!” Rispose con un tono
freddo, come se si fosse offeso.
“Da che parte stanno arrivando?” Deviai il
discorso, volevo alleviare la
tensione tra di noi non crearne dell’altra. Ci avviammo dalla
parte opposta
sicuri che non ci avessero notato. Erano talmente lontani che li si
vedeva
appena e doveva essere lo stesso per loro verso di noi.
“Dove andiamo ora?” Mi chiese il moro, pareva che
il broncio gli fosse passato.
“In camera tua mi pare ovvio! Nessuno sospetterebbe di
te!” Mi affrettai a dire
prima che potesse replicare. “E comunque questa è
roba molto forte, vacci piano
ok?”
“Molto forte cosa?” ci trovammo davanti
l’allenatore di tennis. Un brivido mi
attraversò la schiena, mi ero distratto parlando a Squall e
prima di girare
l’angolo ci era sbucato davanti. Restai in silenzio e
osservai il mio compagno
aspettandomi che fosse lui a tirarci fuori da quella situazione. Ma
restava in
silenzio con lo sguardo rivolto altrove.
“I miei voti, professore! Sono forte, vado alla grande! Buona
serata!” Buttai
lì sperando che non si soffermasse o facesse altre domande,
intanto Squall al
mio fianco sembrava calmissimo ed impassibile.
Il professore mi lanciò uno sguardo veloce augurandomi a sua
volta buona serata
e proseguimmo per le nostre strade. Tra lui e Squall non
c’era stato nemmeno
uno scambio di sguardi, beh sicuramente si trattava di un altro casino.
Era
meglio sbiascicare i nodi uno per volta così non chiesi
nulla.
Arrivammo alla rampa di scale e cominciammo a salire i gradini che ogni
volta
sembravano infiniti.
“Sai Squall, forse ho preso degli alcolici troppo alcolici.
Con cosa ti farò
cominciare?” Dissi quasi stessi parlando più con
me stesso che con lui. Se
stavo zitto la mia testa faceva troppo rumore, ero bramoso di sapere
ogni
minima cosa su Suqall. Le cose che mi aveva detto mi avevano scioccato,
non
volevo darglielo a vedere, ormai un po’ lo conoscevo e se
avessi fatto troppe
domande sarebbe partito con il gioco del silenzio.
“Quello che hai detto non significa nulla!
Comincerò con la bottiglia più
piccola.” La più piccola era quella
dell’assenzio non era decisamente una buona
idea cominciare con quella.
Le scale erano piene di studenti che stavano rientrando, cercammo di
sgusciare
senza farci troppo notare. Ovviamente trovammo Jass a fermarci.
“Seifer ma con chi diavolo ti frequenti!” quasi
urlò nel tentativo di superare
il frastuono degli altri studenti. “Squall, eravamo una bella
famigliola
stasera.” Concluse sorridendo. Squall, che era stato fino a
quel momento in
silenzio dietro di me, era partito come un missile pronto a lanciarsi
addosso a
Jam.
Con la mano libera lo afferrai per il colletto della giacca, lo tirai
indietro
verso di me.
“Lascia perdere ora è meglio non dare
nell’occhio, ok?” Bisbigliai al suo
orecchio. “Jass non me ne frega un cazzo di quello che pensi
ok?” Senza perdere
altro tempo mi avviai su per le scale ancora una volta, sperando che
stavolta
nessuno ci interrompesse il passaggio.
mi voltai a guardare Squall sembrava piuttosto scioccato dal mio
comportamento
verso Jass. In verità io e Il quoterback eravamo spesso in
disaccordo e usavamo
trattarci in questi modi.
Finalmente arrivammo agli ultimi due piani che erano praticamente
disabitati.
Le camere erano dedicare a ripostigli o cose del genere, quindi a parte
trovare
qualche inserviente di tanto in tanto non ci avevo mai trovato nessuno.
Arrivammo all’ultimo piano dove c’era
l’ampia vetrata e l’unica stanza
disponibile. Finalmente entrammo e immediatamente bloccai la serratura
della
porta con una sedia, nel caso qualcuno fosse entrato.
Posai le bottiglie sul letto e allentai un po’ la presa della
camicia
sbottonando qualche bottone, proprio non sopportavo le cose strette
alla gola.
Il moro era in piedi di fronte a me e sembrava a disagio in quella
situazione.
La cosa mi divertiva.
“Allora, cominciamo?” Non rispose nulla, continuava
a stare sulle sue e a mascherare
il suo imbarazzo come faceva con qualsiasi altra emozione.
Non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso, come la prima sera che lo
vidi
con quel vestito quando i miei genitori si presentarono a lui. Per me
era
praticamente evidente il fatto che volesse scappare via. Quando aveva
la giacca
aperta si poteva vedere come la camicia gli stesse aderente. Mi passai
una mano
tra i capelli e scacciai quegli insoliti pensieri.
“Andiamo col più leggero.” Dissi allora,
afferrai la bottiglia di vodka alla
menta. Era l’unica bottiglia a non essere mai stata aperta,
la aprii e feci una
lunga bevuta. Era come bere i vecchi tempi, l’impatto
dell’alcol sulla mia
lingua mi ricordava il sapore di serate passate in giro per la
città a far
baldoria con persone che un giorno sono tue amiche e l’altro
non ricordi
nemmeno chi fossero.
Passai la bottiglia a Squall che continuava a stare in piedi titubante.
“Oh insomma amico! Hai bisogno di allentare i
nervi!” Gli andai vicino, avvicinai
la bottiglia alle sue labbra, quando lui l’afferro non
lasciai la presa e
accompagnai il gesto fin quando bevve. Cominciò a riversare
l’alcol dentro di
se e appena ne sentì il sapore lanciò via la
bottiglia.
Gli misi la mano sulle labbra e aspettai che avesse ingoiato tutto.
Allentai la presa con un tremolio, riaffiorò nella mia mente
il ricordo di
quando gli stringevo la bocca durante l’attacco alla gamba.
Mi ricomposi in
fretta vedendo che a lui non aveva causato alcuna reazione.
“Posso assaggiarne un altro? Questo sa di spirito.”
Trattenni una sonora
risata, sarebbe andato su di giri altrimenti.
“Se non ti piace quello con gli altri sarà
peggio.” Gli lasciai la bottiglia di
vodka e presi per me la bottiglia di rum, sembrava passata
un’eternità
dell’ultima volta.
Presi a bere la mia bevanda ma Squall non contento me la
strappò di mano e fece
un lungo sorso. Poi cominciò a tossire e ne
riversò anche un po’ sul pavimento.
Ridere era inevitabile ormai, la cosa sorprendere fu che una volta
ripreso
anche lui sorrise.
Bevendo alcol cominciava a fare sempre più caldo e ci
sistemammo fuori al
balconcino della sua stanza. Ci stavamo a stento in due.
L’atmosfera sembrava essersi fatta più tranquilla.
Squall non sembrava stare
sempre lì pronto per scoppiare alla minima cosa e io potevo
allentare la
tensione a mia volta.
Ormai sembrava aver preso gusto e la vodka era diventata in poco tempo
il suo
biberon.
“Perché tuo padre ti ha lasciato per
così tanto tempo?” Buttai il discorso
lì
senza pensare a come formulare la domanda e se fosse realmente il
momento
giusto.
Stette in silenzio per pochi secondi. Aveva la schiena poggiata alla
parete adiacente
alla finestra, guardava diritto davanti a se con il suo solito sguardo
serio,
malinconico. Proprio come la prima sera con i miei genitori. Lui
guardava
altrove, io non riuscivo a staccare lo sguardo da lui. Il mondo
appariva pieno
di colori attorno a lui ma era il suo colore che volevo scoprire.
“Successe tanti anni fa…”
Cominciò: “Avevo circa 10 anni, da piccolo non
potevo
mai uscire per via di… alcuni problemi. Vivevo nella villa e
non mi era
permesso uscire, tranne qualche rara volta. Quel giorno mio padre mi
sveglio di
buon’ora, mi portò con lui in giro per il centro
di Esthar! Ero al quanto
euforico sai, mangiammo un cheeseburger e, era la prima volta che ne
mangiavo
uno. Infine mi portò al campo a vedere
un’importante partita di tennis. Al
ritorno, in macchina, crollai dormii per tutto il viaggio quando mi
svegliai
non eravamo casa. Mi lasciò qui. Non l’ho
più visto e sentito fino ad oggi.”
Non staccai nemmeno un attimo gli occhi da lui e lui fece altrettanto
con
l’orizzonte che aveva catturato il suo sguardo.
Quello che mi aveva detto, era tutto così assurdo senza
senso! Lui riusciva a
raccontarlo con una tale calma che sembrava avessi assorbito io tutta
la
tristezza e l’agitazione per quell’incomprensibile
realtà.
“Tua madre?”
“Ha lasciato la famiglia quando ero ancora un bambino. Non ho
alcun ricordo di
lei.”
Voltò la testa dall’altro lato in modo che io non
potessi vederlo.
Smisi di fare domande per un po’, forse era arrivato il
momento di passare a
qualcosa di più forte. Presi la vodka liscia e cominciai a
berla. Ancora una
volta bevevo il sapore delle sere passate con gli amici, che tanto
amici non
erano.
Un paio di bevute e passai la bottiglia a lui.
“Vacci piano con questo.”
Squall avvicinò la bottiglia ne sentì
l’odore e ci pensò prima di bere. Preso
dall’indecisione bevve veloce tutto d’un fiato.
Perché doveva fare sempre
l’opposto di quello che gli dicevo?
Cominciò a tossire e l’alcol gli cadde dalla bocca
e poi anche dal naso.
Scoppiai a ridere fragandomene di chi potesse sentirmi. Ben gli stava,
la
prossima volta avrebbe fatto meglio ad ascoltarmi. Continuò
a tossire e la
parte divertente di tutto ciò era che cercava di camuffare
il tutto, come se
non fosse stato per via dell’alcol!
Più mi sentiva ridere più si arrabbiava. Si tolse
la giacca con un gesto veloce
e si asciugò il viso con quella, pensai che si stesse
lasciando proprio andare.
Si voltò a guardami, aveva le guance rosse e gli occhi
umidicci, mi ero
preparato a una qualche sfuriata o a un silenzio impenetrabile. Invece
riprese
la bottiglia e bevve a lungo per dimostrarmi, in
quell’assurdo modo, di essere
in grado di farcela.
“Adesso basta Squall!” Gli staccai la bottiglia
velocemente. “Domattina non ti
alzerai dal letto...” bisbigliai.
“Come ti pare.” Furono le sue parole, ero
abbastanza sicuro che fosse ubriaco,
molto ubriaco. Squall aveva ancora 15 anni e quella era la prima volta
che
beveva alcolici, era più che normale. Anche io ero
abbastanza stonato, sembrava
passata una vita che non bevevo più così.
Il moro poggiò a terra i talloni e alzo le punte dei piedi
verso l’alto,
facendo dondolare le punte da un lato e poi dall’altro. Si,
era decisamente
andato.
“Non capisco ancora perché odi tanto tuo
padre… avrà sbagliato ma forse anche
io avrei agito come lui conoscendoti.” Dopo quelle parole
avevo una forte
voglia di lanciargli un pugno!
“Io non ho scelta. Vivo come dice lui faccio quello che dice
lui e anche se mi
ribello o cerco di cambiare le cose la mia volontà non
conta!” Usai un tono
forte senza nemmeno volerlo.
“Nah… io credo che tu cerchi
l’approvazione di tuo padre. Vorresti che lui
fosse fiero di te! Lo capisco, anche io l’ho fatto in questi
5 anni. Ci sono
arrivato solo quando mi avete spezzato la gamba!” Sorrise,
come non lo si
vedeva mai fare. Era tutto così distorto, riusciva a
sorridere solo per le
avversità della vita. Più cercavo di capirlo
più mi sentivo la copia di un
puzzle con i pezzi sbagliati.
Parlava di quell’avvenimento sempre con molta leggerezza,
ogni volta che lo
faceva era come se la spezzassero a me una gamba.
“Cosa intendi? Anche in passato me lo dicesti, cosa
significa? Non si può
trarre insegnamento da una cosa del genere!” Mentre parlavo
pensai che quella
ad Esthar sarebbe stata la sua prima uscita da
quell’istituto. “Tu ci tenevi
tanto perché volevi uscire di qui…”
Dissi più tra me e me mentre sentivo una
stretta al petto.
Squall bevve ancora un po’ di vodka liscia “No! Non
me ne fregava nulla di
uscire di qui! Sai chi è presente alle finali dei
campionati?” In quel momento
capii tutto.
“Volevi vedere tuo padre! Essendo lui il presidente sarebbe
stato certamente
presente alla partita.” Squall non disse nulla. Quindi era
veramente così, si
era impegnato tanto da diventare il numero uno solo per vedere suo
padre.
Squall mi osservò e non poteva vedere che compassione sul
mio volto.
“Tranquillo, avevo la TV in stanza e vedendo i notiziari il
presidente non
c’era! Troppi impegni lavorativi.” Parlò
con un tono scherzoso come se stesse
ridendo ma non c’era espressione sul suo viso.
A quel punto riprendemmo a bere: io il mio rum, lui la sua vodka.
Squall cominciava a sudare un po’ sulla fronte. Ci stavamo
andando giù forte.
Si sbottonò quasi tutti i bottoni della camicia che era
ancora bagnata della
vodka che aveva sputato. E io ero lì in silenzio a fissarlo.
Aveva un forte
senso del pudore. Anche durante gli allentamenti o negli spogliatoi non
si
mostrava mai a torso nudo. L’unica volta che lo vidi senza fu
quella sera negli
spogliatoi ma data la situazione non ci feci tanto caso.
Mi raddrizzai al mio posto e bevvi un altro sorso di rum, dovevo
decidermi a
smetterla o anche io non mi sarei alzato dal letto il giorno dopo.
Non trattenni la domanda più ovvia che potessi fare
“Perché ti odia tanto?”
Si votò di scatto sgranando gli occhi, lo vidi leggermente
sbandare si frenò
poggiando le mani sul marmo freddo davanti a me. Tornò a
fissarmi e questa
volta era molto vicino a me. L’odore della vodka, i suoi
capelli attaccati al
collo per via del sudore, quello sguardo smarrito… tutto
quello non mi aiutava
a restare lucido.
“E me lo chiedi?!” Incalzò
“Chi vorrebbe un foglio come me. Anche tu lo sai,
sono uno sfigato, no? Insopportabile e sono il giochino
dell’istituto! Vuoi
fare a botte? E vai da Squall. Hai voglia di far sentire qualcuno meno
di zero?
Vai da Suqall! Vuoi spezzare la gamba a qualcuno?
Vai…”
“Quello che dici non ha un cazzo di senso lo sai vero? Tuo
padre dovrebbe
odiarti per dei motivi campati in aria? E poi, ti prego, BASTA CON
QUELLA CAZZO
DI GAMBA!” Urlai. Ero stufo di sentirmi in colpa. Era palese
che Squall non era
pienamente cosciente ormai.
“Giusto! Io non sono uno dei tuoi amici con i quali ridere su
della cosa.” La
rabbia crebbe forse per il pizzico di verità. Quando si era
soli col gruppo si
finiva spesso a parlare di quella sera e ridere, io me ne stavo in
silenzio ma
sapevo che non giustificava nulla. Se lì c’era uno
sfigato quello ero io.
“Basta ti prego. Ogni volta che prendi a parlare di
quell’episodio… io sto
male. Quello non sono io! Tu ne parli con tanta leggerezza, come se
fosse una
cosa normale, io invece mi sento male se penso a quello che ti ho
fatto!”
Finalmente lo avevo detto! Avevo confessato il mio peccato con annesso
il senso
di colpa. Il moro era ancora li a penzoloni sulle mani mi guardava con
i
capelli arruffati e lo sguardo assente. Infine il mio sguardo cadde
sulle sue
labbra leggermente aperte il mio cuore cominciò a battere
come un treno
all’impazzata! Afferrai Squall per le spalle e lo spinsi
all’arcata della
finestra, dovevo allontanarmi e volevo uscire da quel dannato balcone.
Il moro non era pienamente stabile e si trattenne a stento tra il vetro
e il
muro per non cadere all’indietro.
“Che diavolo ti prende?! Vuoi fare a pugni?!” Aveva
preso la mie reazione come
una sfida e subito dopo mi lanciò un pugno, che secondo lui
doveva finirmi
dritto in faccia, ma bastò un leggero movimento per
scansarlo. Aveva perso
nuovamente equilibrio e stava cadendo all’inditro, mi usci
naturale afferrarlo
per le spalle ma cademmo entrombi nell’angusto arco della
finestra. Squall era
steso per metà fuori e per metà dentro e io lo
stesso sopra di lui.
Feci forza sulle braccia sollevandomi a guardarlo: Aveva ancora
un’aria di
sfida nonostante non riuscisse a fare o a capire nulla. I suoi occhi
erano di
ghiaccio la sua espressione era sempre così seria, ma ora
potevo capirlo un po’
aveva vissuto sempre da solo nel vero senso della parola. Le sue
sopracciglia
sempre inarcate in un’espressione di provocazione, le labbra
serrate… quello
era l’unico modo che conosceva per sopravvivere?
Quella sera era una vera e propria giungla di pensieri e di emozioni,
molte
delle quali senza senso. Potevo sentire le tempie battere velocemente.
Fu
Squall a smuovere quella situazione si sollevò sui gomiti e
mi arrivò
vicinissimo al volto, si guardava attorno palesemente intontito dai
giramenti
di testa.
“Adesso spostati” Sussurrò troppo vicino
al mio orecchio. Ebbi un brivido
forte, palese, l’aveva sentito anche lui. Poi fu
l’alcol, decisamente fu
quello! Rimasi una mano a terra per sostenermi e con l’altro
afferrai la testa
di Squall, lo spinsi verso di me e le nostre labbra si sovrapposero.
Una parte
di me voleva pensare dare un motivo o una scusa per quella situazione,
ma
l’altra era solo un istinto irrefrenabile di desiderio e non
sapevo porvi fine.
Lui non si ritrasse così lo strinsi ancora di più
e il nostro bacio prese
forma, il rum e la vodka conobbero un nuovo modo per essere miscelati.
Le sue labbra erano morbide e calde e ogni minimo dettaglio di quella
situazione non faceva altro che eccitarmi di più. Lo baciavo
avidamente e lui
non riusciva a stare al mio passo, più che altro annaspava
in cerca di aria,
quando anch’io non ne potevo più mi staccai da lui
e presi a respirare.
Questa volta mi alzai frastornato e cercai dei pensieri lucidi, cosa
cazzo
avevo fatto? L’idea di aver baciato un altro ragazzo mi stava
facendo impazzire
“Squall…” Cercavo delle scuse per quel
comportamento solo che lui non era più
steso a terra si stava lentamente avvicinando al letto e si stava
sedendo con
la lentezza di un bradipo, come se tra lui e il letto ci fossero metri
di
distanza. Il suo tentativo fu vano e cadde in avanti tenendosi sulle
ginocchia,
risi silenziosamente faceva tenerezza in quelle condizioni.
Andai verso di lui cercando di non pensare a nulla lo aiutati a
sollevarsi e lo
feci sedere sul letto, i nostri sguardi si incrociarono e nessuno dei
due lo
distolse. Il mio respiro si fece affannato e solo un pensiero
martellava la mia
testa –vodka, voglio altra vodka!– spensi il mio
cervello e mi protesi verso di
lui a baciarlo ancora una volta.
Questa volta il bacio fu meno violento, Squall spinse la lingua nella
mia bocca
e la faceva guizzare come avrebbe fatto uno che non ha mai baciato.
Probabilmente non aveva dato molti baci in passato, staccai le mie
labbra da
lui e quando ripresi a baciarlo fui io a prendere
l’iniziativa con movimenti
lenti della lingua. Imitava i miei movimenti e il bacio diveniva sempre
più
passionale e acceso, ad un tratto mi spinse leggermente via e cadde sul
letto
scosso da un altro giramento.
La camicia gli era scivolata via e ammirai il suo petto muscoloso e ben
definito eppure se lo teneva sempre ben nascosto. Lo vidi alzare la
testa e
fissarmi, non resistevo più ero eccitato. Salii sul letto mi
misi sopra di lui
e ripresi a baciarlo non avrei ammesso altre interruzioni, ancora le
nostre
labbra si toccavano e il mio corpo era scosso da temiti non avevo mai
provato
nulla di simile. Mi staccai ancora da lui sentendolo mugolare di
dissenso andai
ad assaggiare il collo –mordi, lecca, bacia– ma
questa volta non era una
tecnica per far eccitare qualche ragazza, era fame, fame pura e
sconosciuta.
Lo sentivo gemere mentre esploravo quel sapore nuovo: il collo era duro
diverso
da quello di un collo femminile. Forse era quello il motivo per il
quale
sentivo di dover mordere più forte, per farmi sentire, per
trasmettergli quello
che stava succedendo a me.
La mano che non sorreggeva il mio peso andò ad esplorare i
suoi addominali, lui
stava fermo incapace di reagire a tanto piacere. Il mio sesso era
diventato
duro non sapevo dire da quanto ormai, la mia mano scese sempre
più giù arrivai
all’attaccatura dei pantaloni, di scatto mi lanciai in avanti
ansimante
allontanando il contatto dei nostri corpi. Squall era rimasto fermo
lì ad
ansimare a sua volta.
Quello che stavo toccando e desiderando era un uomo…
qualcosa non andava, forse
era l’astinenza troppo tempo che non avevo rapporti. Poggiai
le mani sul
materasso e mi tirai un po’ più su, quella follia
doveva finire! Abbassai lo
sguardo cercando di non incrociare gli occhi di Squall, non mi ero
accorto che
questa volta lui stava fissando me col mento
all’insù, aveva la bocca
leggermente aperta un chiaro invito a baciarlo. Come un bambino davanti
a un
negozio di caramelle non resistetti! Mi avventai su di lui come un
serpente, lo
baciavo avidamente con i pensieri che facevano rumore. Allargai le sue
gambe e
mi sistemai in mezzo, questa volta anche lui reagì
stringendomi forte a se.
Strusciai il mio sesso contro il suo ed io stesso gemetti nella sua
bocca, non
sembrava duro come il mio, l’adrenalina che provai quella
sera non mi portava
ad avere pensieri concreti.
Continuai a strusciarmi contro di lui velocemente questa volta era lui
e gemere
continuamente. Mi diressi al petto lasciando una scia di baci. Non
sentii più
la sua presa sulle mie spalle non me ne curai e continuai a baciarlo
salendo un
po’ per volta per arrivare alle sue labbra morbide. Mi resi
conto che non lo
sentivo più nemmeno gemere, allora mi staccai per guardarlo,
sembrava un angelo
e la camicia stropicciata dietro di lui dovevano essere le sue ali. Si
era
addormentato
“Squall…” Lo scossi leggermente me era
caduto in un sonno più forte di lui.
Mi alzai e cercai di sistemarmi la camicia, non ci potevo credere era
crollato
lasciandomi come un cretino. Ora che Squall non era più
presente a farmi
perdere la testa con il suo corpo non mi restavano che i pensieri. Ero
abbastanza convinto che fosse stato l’alcol ad indurci a
quella situazione, era
stata pura curiosità… avevamo solo bisogno di
sfogarci. Lanciai una rapida
occhiata al corpo dormiente del moro, lui era sistemato era talmente
ubriaco da
aver risolto tutto addormentandosi ma il mio pene non ne voleva sapere
di
addormentarsi. Un forte senso di vergogna mi strinse lo stomaco, tirai
via la
sedia che bloccava la porta e senza curarmi che fosse chiusa o meno
corsi giù
per le scale.
Mi avviai verso gli spogliatoi interni del terzo piano, come immaginavo
a
quell’ora l’istituto era vuoto. Dopo le 8 di sera
non era possibile entrare
negli spogliatoi ma ne avevo un bisogno urgente. Le camere disponevano
di un
bagno ma avevano solo un lavandino e un water. Io avevo bisogno di una
doccia
fredda! E fu quello che ottenni, mi diressi sotto la prima doccia e
feci
partire il getto d’acqua. Era gelida, cadeva con una certa
velocità sul mio
corpo, non mi tolsi nemmeno i vestiti. Lasciai che l’acqua
gelida portasse
tutto via, la mia erezione, le sensazioni di quella sera e la vergogna
che
provavo dentro.
Non ero gay! mio padre non l’avrebbe mai… era
proprio come diceva Squall, era
la sua approvazione che cercavo! Ero talmente sbagliato che non mi
avrebbe mai
accettato. Restai molto tempo sotto la doccia che pian piano si
portò via tutto
anche le mie lacrime silenziose. Ma qualcosa rimase, qualcosa che
ancora non
conoscevo bene che mi portava un brivido di emozioni belle e brutte.
Il mattino seguente fui svegliato da un gallinaccio rumoroso,
continuava a
chiedermi cosa fosse successo mi sentivo a pezzi e ci misi un
po’ per
ricompormi era come se avessi dei pesi di 100 kili su tutto il corpo.
Mi
guardai intorno ero steso sul letto nella mia camera ed era tutto
bagnato, io,
il letto e i miei vestiti
“Allora cosa è successo?!”
Ripeté ancora una volta con la sua insopportabile
voce acuta non era capace di parlare senza urlare, quella mattina la
sua voce
era più fastidiosa del solito. A completare il tutto era
arrivato Irvine che mi
guardava con gli occhi sgranati mentre finiva di vestirsi.
“Ci sei?!” Continuò Zell, mi si
avvicinò afferrò il mento e tirò la
mia testa
troppo bruscamente verso l’alto, voleva guardami per vedere
come stavo. Non
fece altro che peggiorare le cose il suo gesto mi provoco un giracapo
tremendo
che percepì anche il mio stomaco, in un attimo tutto quello
che era successo la
sera precedente era chiaro e limpido nella mia mente.
“Idiota di un gallinaccio!!” Esclamai mentre
correvo al bagno, feci appena in
tempo ad aprire la porta e cominciai a vomitare tutto! Si suol dire che
il
buongiorno si vede dal mattino.
Dopo una doccia e, quello che era stato probabilmente un litro, di
caffe arrivai
a uno stato quasi umano. Mi premurai di saltare le prime ore
nell’aula di
letteratura e scienza visto che erano gli stessi corsi che frequentavo
con
Squall. Partecipai a due lunghissime ed infinite ore di matematica e
una di
storia moderna, nonostante avessi ingerito poco prima un
antinfiammatorio la
testa sembrava stesse per scoppiare da un momento all’altro.
La mente tornava sempre a ripescare i ricordi del bacio cercavo di non
farmi
pesare la cosa. In fono non era successo nulla di grave non eravamo
arrivati
chissà dove ed eravamo ubriachi fradici. La cosa che mi
metteva maggiormente
ansia era un probabile faccia a faccia con Squall, non avevo idea in
quali
condizioni versasse non ero tanto contento
di dover andare da lui quel pomeriggio.
L’infernale ora di storia finì e andai dritto
nella sala mensa, Jass e il resto
della banda non erano ancora arrivati non arrivavano mai molto presto.
Mi guardai attorno in cerca di qualche viso conosciuto pochi tavoli
più avanti
vidi Irvine e mi sedetti accanto a lui.
“Il gallinaccio è già in fila per i
panini vero?”
“Se lo chiami ancora così penso che ti
lancerà giù per le scale. Ovviamente è
lì” Indicò la fila al bancone dei
panini. Lo guardai, per la prima volta in
faccia quel giorno, e aveva una chiazza violacea in faccia.
“Cosa diavolo hai fatto alla faccia?”
“Ah una tipa ieri alla festa degli istituti, le ho chiesto se
le ragazze si
lavavano a vicenda sotto le docce e lei mi ha lanciato un ceffone
talmente
forte da far tremare la virilità di un uomo!” Mi
spiegò, come se la sua domanda
fosse stata più che lecita.
“Sei proprio un cretino! E pensare che se non fossi tanto
idiota potresti avere
molte ragazze dietro.”
“Vuoi dire che sono un bel ragazzo!” Sorrise
facendo un occhiolino “Mi dispiace
sono solo per le donne.” Divenni paonazzo, lo afferrai per il
colletto
“Cosa vorresti dire eh?” Lo avevo strattonato e il
suo viso era molto vicino al
mio, avevo perso il controllo. Dopo quello che era successo ero ancora
straniato.
“Ohi Seifer che diavolo ti prende? Scherzavo
amico!” Rispose lui allontanando
la mia mano senza problemi. Non era uno che amava creare liti inutili,
non si
poteva dire lo stesso di Zell. Si risistemò sulla sedia e
stavo per fare lo
stesso io, ma qualcuno mi prese con forza il polso e
cominciò a tirarmi via
“Chi cazz..”
“Devi aiutarmi, cosa devo fare con questi dolori lancinanti
alla testa? Ti pare
il modo di andartene?! Mi sono ritrovato Quistis fuori dalla stanza
questa
mattina è stato un casino nasconderle tutto!” Era
Squall, lo avevo volutamente
evitato tutto il giorno ed ora eccolo lì. Non sapevo cosa
dire, notai che lui
mi fissava mi mancò un battito, quelle scene si muovevano a
rallentatore nella
mia testa.
“Cosa diavolo ti prende?!” Mi scosse vedendo che
non avevo reazioni.
“N… nulla. Che hai?” Come diavolo faceva
a comportarsi come se nulla fosse? Ero
forse io quello strano?
“La testa sta per scoppiare cosa devo fare?” In
quel momento misi a fuoco il
suo viso, non aveva certamente una bella cera il viso era cereo e aveva
due
occhiaie nere sotto agli occhi.
“Ti serve un antinfiammatorio.”
“Ho creduto di vomitare le mie stesse interiora.”
Ero teso e lui lo vedeva
“Cosa ti prende?”
“Nulla, solo che… niente, ho bevuto troppo anche
io!” Quando mi guardava negli
occhi subito fissavo un altro punto, non riuscivo a sostenere il suo
sguardo.
“Sei stato male anche tu? Ma che fine hai fatto
ieri?” Chiese confuso.
“Sono… non ricordi nulla?”
“Certo abbiamo bevuto e parlato, poi mi sono
addormentato!” concluse senza
imbarazzo o aggiungere altro. Non ricordava nulla, lui non ricordava
quello che
era successo.
Quando pensai che lui non fosse cosciente qualcosa dentro mi fece male,
molto
male.
Era stato l’alta assunzione di alcol a fargli fare quello che
ha fatto, non ero
più sicuro di poter dire lo stesso di me.
Senza dire altro mi allontanai da lì, uscii
dall’istituto e cominciai a
camminare lungo i campetti. Ero confuso, ero deciso a lasciarmi quella
vicenda
alle spalle, ma sapere che Squall aveva dimenticato tutto avrebbe
dovuto
rincuorarmi invece mi faceva sentire un tale idiota.
Sapevo dall’inizio che quel cretino mi avrebbe portato solo
casini, sorrisi tra
me e me. Ah avevo decisamente bisogno di una donna!
Commento
dell’autore
E’ passata
una marea di tempo chiedo perdono!! Spero che questo capitolo vi
piaccia.
Ci terrei a precisare
che con certi concetti o avvenimenti non intendo
offendere nessuno, vorrei solo far emergere la difficoltà di
certi ragazzi nel
conoscere se stessi.
Grazie a chi mi
legge, lasciate un commentino <3
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