The legend of Avengers

di Testa d_Alghe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


La battaglia finale per la salvezza dell’Olimpo era cominciata piuttosto bene. La collaborazione tra dei e semidei dava i suoi frutti, in quanto unendo i poteri col proprio padre o con la madre divina si sentivano più potenti, più resistenti.
La disuguaglianza per le prime ore non si era fatta sentire, i mezzosangue abbattevano mostri su mostri, mentre i bersagli grossi se ne stavano in disparte ad osservare, per non rifare gli errori del passato. Non erano stupidi, e sapevano che finché erano riposati e uniti, gli olimpi con i figli avrebbero vinto.
 
Il combattimento continuava a infuriare, e Percy Jackson era sempre più disperato.
Combattevano da un giorno e sette ore, e da sei il figlio di Poseidone non sentiva più i muscoli. Aveva inserito il pilota automatico, andava avanti per la forza dell’inerzia. Combatteva per vendicare i suoi amici, combatteva per salvare Annabeth, l’unica che vedeva ancora in piedi oltre sé.
Uno dopo l’altro, i Sette erano caduti.
Jason, il figlio di Giove per cui nutriva un profondo affetto, nonostante non lo desse a vedere, con cui divideva l’onere del comando, la stessa potenza di fuoco, la perdita di memoria, l’aver affrontato un titano, era stato il primo a cadere. Aveva visto Piper in pericolo, che stava per essere colpita da Polibòte, e si era messo in mezzo alla spada avvelenata, prendendola in pieno stomaco. Il corvino aveva visto il suo corpo squagliarsi lentamente e senza poter fare niente.
Poi era venuta la volta di Hazel, che aveva dato la vita per Frank. Il figlio di Marte era da solo contro il proprio gigante e non poteva reggere il confronto. Così la figlia di Plutone per salvarlo, aveva dato la propria essenza per far sprofondare il figlio di Gea nel Tartaro, anche se solo per qualche ora.
Poi Leo, ucciso da una lancia vagante, un colpo molto fortunato per un ragazzo davvero sfortunato. Frank e Piper erano stati gli ultimi.
Questo aveva causato un temporaneo aumento dei poteri di Percy, alimentati dalla rabbia, che gli avevano permesso di causare addirittura un paio di terremoti, falciando le file nemiche e sorprendendo tutti quanti.
Combatteva per la libertà, combatteva per non pensare al dolore che la perdita degli amici gli causava. Sapeva che molto probabilmente li avrebbe rivisti di lì a poco, ma avrebbe portato nella tomba quanti più avversari possibili.
Tuttavia, mentre combatteva, sentì uno strappo al petto, come se la sua anima stesse subendo una divisione particolarmente dolorosa. Non si rese conto del perché istantaneamente, poiché mentre i nemici si erano fermati, lui approfittò della distrazione per ucciderne una dozzina, prima di rendersi conto della donna bionda con gli occhi grigi che piangeva inginocchiata.
Non volle credere ai propri occhi e al proprio cervello, ma quando vide una ragazza della sua età, identica ad Atena, essere presa in braccio da quest’ultima, dovette accettare la realtà.
Era l’ultimo dei Sette, e Annabeth era morta.
Si bloccò in mezzo al campo di battaglie e nemmeno si accorse che il suo corpo cominciò a brillare, non si rese conto che i suoi occhi stavano diventando freddi come il ghiaccio e pericolosamente brillanti, quasi innaturali.
L’unica cosa che capì, fu che era rimasto solo lui, e che niente avrebbe potuto cambiare questo. Quando Le Parche tagliavano un filo, era finita.
La consapevolezza di essere rimasto solo lo riempì di rabbia. Rabbia così intensa che dal suo corpo si sprigionò un potere persino superiore a quello degli dei, superiore a quello di Gea e a quello di chiunque altro, che si manifestò con un urlo disumano. Le migliaia di mostri ancora presenti esplosero in polvere, e il padre di Perseus capì che aveva evaporato i liquidi all’interno di ognuno di loro, uccidendoli.
Il suo sguardo si volse verso Madre Terra, che istintivamente indietreggiò di un passo. Per un secondo quella sensazione chiamata paura l’aveva invasa, ma non fece in tempo a dire o fare niente che si ritrovò gli occhi verde mare del figlio del dio del mare a pochi centimetri, e un dolore lancinante a percorrerle il petto.
Abbassò la testa, solo per scoprire all’interno del proprio corpo una spada lunga novanta centimetri e che brillava d’oro, spezzata in due e il cui moncone rimaneva in mano al proprietario.
Ringhiò, ma non poté fare a meno di sentirsi scivolare di nuovo nell’incoscena, per chissà quanti anni.
- Non hai vinto niente Jackson. Quello che non farò oggi, lo farò tra un millennio. Non ci saranno sempre semidei come te a difendere l’Olimpo –
Percy non rispose, ma osservò la dea che lentamente si accasciava e si confondeva con il terreno. Dopodiché si voltò verso gli dei e si incamminò verso di loro. Aveva delle domande e voleva risposte.
 
Londra non le era mai piaciuta del tutto. C’era sempre qualcosa che la bloccava, che la spingeva a non fidarsi di tutte quelle persone che apparentemente erano tutte perfette e senza difetti, beh nel limite del normale.
Per questo, quando ricevette la chiamata del comandante Fury, la prima cosa che fece fu sospirare di sollievo. Nuova missione in arrivo uguale spostamento dalla capitale inglese. A meno che non fosse proprio sfortunata, ipotesi da escludere non del tutto.
- Sì, comandante? – la voce era fredda e distaccata come sempre, ma prima di riuscire a parlare così, aveva dovuto passarsi la lingua sulle labbra, per evitare di far trapelare emozioni. Stare a contatto con persone che si definivano quotidianamente suoi amici, e che di fatto lo dimostravano, metteva a dura prova il suo autocontrollo.
- Agente Romanoff, deve subito rientrare a New York. Ho chiamato tutti quanti, abbiamo una nuova minaccia e un nuovo nome. I dettagli al rientro. Il suo jet privato l’aspetta all’aeroporto. Buon volo –
La ragazza dai capelli rossi mise via il cellulare e si avviò verso la destinazione. Un minuscolo sorriso impreziosiva il suo volto al pensiero di rivedere i suoi pseudo amici.
Poche ore dopo, si ritrovò davanti alla base segreta dello S.H.I.E.L.D, situata alla Stark Tower. Gli ultimi piani erano tutti appartamenti per gli Avengers, e quasi tutti vivevano lì. Tutti tranne Thor che viveva in giro per l’universo.
La prima persona che si ritrovò davanti fu Tony Stark
- Ehi Natasha. Hai notizie da Fury? A noi non ha detto niente – la rossa sbuffò mentalmente e riportò l’attenzione al suo interlocutore, anche se avrebbe preferito tornare a concentrarsi sul capire qualcosa della missione.
- No Stark. Sai perfettamente che se non dice niente a voi non lo dice neanche a me. Per essere un genio a volte fai proprio cilecca – Se ne andò senza aggiungere nient’altro, sentendo lo sguardo del filantropo, miliardario e di un sacco di altri titoli sul proprio fondoschiena. Si trattenne a stento da lanciargli contro uno dei tacchi dodici che stava indossando.
Posò la valigia nel proprio appartamento, e scese con l’ascensore verso la stanza adibita a sala riunioni. Sala che comprendeva tv da sessanta pollici, divani ad angolo, messi in modo da formare un ferro di cavallo davanti alla televisione, un cucinotto e un frigo. Oltre che a vari attrezzi da allenamento.
Lì seduti c’erano già Capitan America e Thor, che la salutarono con un sorriso, tornando poi a discutere di tattica militare.
Davanti al frigo stava Clint, con l’arco in spalla, che rovistava all’interno alla ricerca di qualcosa da mangiare, e che fosse gradito al suo stomaco.
Non appena la notò le si avvicinò e fece per abbracciarla, ma si ricordò dei limiti di spazio vicino al suo corpo, così si limitò ad un’affettuosa pacca sulla spalla.
Seduto al tavolo con un paio di computer aperti davanti a lui, c’era il professor Banner, alias Hulk, che la salutò con un sorriso amichevole.
- Buongiorno squadra. Seduti grazie –
L’arrivo di Fury fece scattare sull’attenti tutti quanti, e dopo pochi secondi tutti erano rigidamente composti sul divano.
- Ottimo. Vi ho riuniti quasi tutti qui perché abbiamo un problema. Loki è scappato, come ci ha riferito Thor. E ha radunato attorno a sé le migliori spie del paese, quindi siamo solo noi e tutti i nostri agenti. Inoltre, abbiamo delle informazioni top secret: a quanto pare sta reclutando i terroristi più pericolosi del mondo, e uno dei maggiori è lui –
Mise sul tavolo un’immagine formato A4 che raffigurava un ragazzo. Questo ragazzo sembrava alto ad occhio e croce come Thor, aveva i capelli neri come le ali di un corvo e gli occhi verde mare. Un fisico che pareva piuttosto atletico. Nella foto era chinato con un ginocchio a terra e una mano a sostenersi, davanti ad una lapide.
- Ma è un ragazzino! – protestò subito e vivacemente Stark.
- Ha diciotto anni. E non è un ragazzino. È…- Il comandante tentò di iniziare una spiegazione ma venne subito interrotto dal dio del tuono
- Lui è Perseus Jackson –

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


- Sì. E tu come fai a saperlo? – la domanda del comandante era più che legittima, ed era la stessa che si facevano anche gli altri.
- È una leggenda ad Asgard! Le sue imprese ed azioni lo rendono uno dei guerrieri più forti mai esistiti. In un combattimento, mi schiaccerebbe come una pulce, e farebbe lo stesso con ognuno di noi, se usasse i suoi poteri. Nel corpo a corpo forse no, ma troverebbe il modo di batterci. Se Loki lo vuole tra le sue file, allora dovremo armarci veramente bene– il figlio di Odino non credeva alla teoria del criminale, ma non poteva dirlo apertamente. Anche se non lo mostrava apertamente, ci teneva al suo posto nella squadra e tra gli amici
- Sembri conoscerlo piuttosto bene. Non farti influenzare dalle storie della tua gente, fino a quando non ne sapremo di più, per noi è un terrorista. Anche perché potrebbe trattarsi di un altro con lo stesso nome- l’agente Romanoff aveva ragione, e lui avrebbe verificato di persona se era chi credeva che fosse.
- Ve l’ho detto Natasha, nel mio mondo è una leggenda. Voglio andare io a conoscerlo, poi viene chiunque altro, non mi interessa – il tono eccitato del dio era una novità per gli altri. Sembrava uno di quelli che i civili chiamavano fanboy. Era inquietante.
La rossa non rispose, ma osservò ancora un secondo il ragazzo nella foto, sentendo istintivamente le guance farsi leggermente rosate, e alzò gli occhi al cielo, rimproverandosi da sola per quel momento di debolezza. Si concentrò piuttosto sulla postura che stava tenendo Perseus, e intravide una certa rigidità dei muscoli, come se fosse pronto per combattere da un momento all’altro. Notò anche come i suoi occhi fossero freddi, inespressivi e sofferenti. Per qualche strana ragione voleva far parte del “Comitato d’accoglienza”
- Ottimo. Thor e l’agente Romanoff andranno a recuperarlo. Avete tre opzioni di comportamento: la prima, gli spiegate la situazione, ovviamente senza dirgli che lo cerchiamo perché pensiamo sia un terrorista, e lo convincete con le buone. La seconda, provate a farlo ragionare a suon di botte. La terza, lo rapite direttamente. Tutto chiaro? –
- Sì signore –
- Perseus esce dall’università di Biologia Elementare. È il primo della classe, ed esce sempre da solo. Lo voglio qui entro le cinque di pomeriggio. Riposo –
- Un’altra domanda, comandante –
- Dimmi Thor –
- Perché lo considerate un terrorista? – la domanda del dio era più che legittima ed era quella che si stavano facendo tutti. Nessuno credeva fosse un criminale, né tanto meno una leggenda. Credevano fosse un semplice ragazzino.
- Ha una lunga lista di precedenti e di cose oscure nella sua vita. Vi spiegherò con lui presente –
L’ex spia del KGB si ritirò nella sua stanza, seguita dagli altri.
Voleva fare un po’ di allenamento.
 
- Jackson, mi sa dire di cosa abbiamo parlato negli ultimi minuti, mentre lei guardava fuori dalla finestra? –
La voce maligna del prof risvegliò Percy, che si era incantato nei ricordi. Aveva visto fuori dalla scuola, appena oltre il cancello, i fratelli Stoll, che rincorrevano un paio di mostri, e si era rivisto mentre chiedeva il proprio dono agli dei
Gli dei gli si avvicinarono lentamente e quasi con timore. Persino Atena mostrava rispetto, e Ares aveva abbassato decisamente la cresta.
Il primo fu suo padre, Poseidone, che lo abbracciò con forza, e lui si lasciò andare per qualche secondo al dolore, sfogandosi con lacrime amare e che sembravano volergli lacerare il petto. Non disse niente, ma strinse forte la schiena  del dio del mare, che adesso sovrastava di qualche centimetro, essendo un metro e ottantasette.
Quando si staccarono strinse le mani a tutti quanti e rimase in attesa che Zeus parlasse.
- Percy – e lui rimase sorpreso della nota di rispetto nella sua voce – hai salvato l’Olimpo di nuovo. Noi tutti ti facciamo le nostre condoglianze per le perdite che hai subito e ho deciso, se agli altri va bene, che riceverai tre desideri – nessuno degli altri dei negò la sua decisione.
Il figlio di Poseidone sapeva già cosa desiderava per sé stesso, ed era una cosa sola. Non aveva bisogno di altro oltre a quello. Si mise a riflettere su che cosa poteva chiedere agli dei invece.
- Voglio che sull’Olimpo ci sia un trono per Ade e uno per Estia. Sapete anche voi che è giusto così – il volto del dio dei morti era esilerante e per un istante sentì le proprie labbra stirarsi leggermente all’insù
- Secondo, voglio un portale che colleghi il Campo Mezzosangue e quello Giove. Ormai siamo amici, non c’è più alcun bisogno di nascondersi e farci la guerra a vicenda. Inoltre potranno anche aiutarsi a vicenda nel caso di difficoltà e imparare gli uni dagli altri –
Non passò inosservato il riferirsi ai semidei come ad altri, come se lui non ne facesse parte
- Cosa intendi con potranno? –
- Questo, papà, è il mio terzo desiderio. Non ne voglio più sapere del mondo degli dei, dei semidei, dei mostri e di qualunque altra cosa che non sia perfettamente normale. Non voglio più essere coinvolto nelle vostre stupide guerre e nelle vostre scaramucce. Non voglio più essere né l’eroe né il Salvatore né il Campione dell’Olimpo. Vi ho dato la mia vita. Ora la pretendo indietro –
Era un discorso maturo e nessuno ebbe il coraggio di contraddirlo, così, anche se a malincuore, tutti giurarono sullo Stige che non lo avrebbero più coinvolto, e che non lo avrebbero più chiamato.
Ognuno poi tornò indietro e sparirono in lampi di luce. Suo padre gli strinse una spalla con sguardo triste, dicendogli che si sarebbero rivisti presto.
- Scusi – Percy fermò con la mano sul polso la dea della saggezza, che si girò a guardarlo con sguardo fermo ma che luccicava ancora per il pianto recente.
- Mi dispiace di non essere riuscito a proteggere Annabeth. Mi dispiace sul serio –
- Lo so Perseus. Non te ne faccio una colpa, e so che se avessi potuto l’avresti salvata. Ora so che non sei come tuo padre, per questo hai il mio rispetto. Nel caso in cui avessi bisogno di aiuto, io se potrò, te lo darò –
Dopodiché scomparve anche lei, solo quando il figlio di Poseidone chiuse gli occhi.
Percy si ritrovò da solo e decise di ignorare sia quella sensazione di vuoto e di inadeguatezza sia quella piccola vocina nel cervello che gli diceva che era la scelta sbagliata e che non doveva per forza abbandonare la vita del semidio.
Perciò si avviò verso il portale che gli dei gli avevano lasciato aperto, con cui sarebbe capitato proprio davanti all’appartamento di sua madre
-  Non ne ho idea. Mi scusi, starò più attento –
Il professore borbottò ma non fece in tempo a dire niente che il suono della campanella segnò la fine di anche quel sabato.  Il figlio di Poseidone era già pronto, così schizzò fuori dall’aula mettendosi lo zaino in spalla e le cuffie nelle orecchie, evitando chiunque gli si parasse davanti.
Era lì dentro da due mesi, e non aveva ancora parlato con nessuno che non fosse un insegnante. Non voleva amici, e gli altri non sembravano intenzionato a fare amicizia con lui.
Uscì dalla scuola a passo veloce e la prima cosa che notò, furono le due persone che aspettavano dall’altra parte della strada. Erano una ragazza con i capelli ricci lunghi fino al collo rossi ramati, non molto alta e un ragazzo alto come lui, dai capelli biondi. Non vedeva gli occhi e non gli interessava visto che stavano guardando lui.
Con nonchalance invece della solita strada che passava proprio di fianco ai due, virò a sinistra, per fare la strada lunga. Non si girò per guardare indietro ma li sentì muoversi nella sua direzione. Non voleva creare disordini nelle vie più conosciute, perciò li avrebbe portati in un luogo sconosciuto e piuttosto deserto, per poter chiedere loro che cosa volevano da lui.
Era sicuro di non averli mai visti, ed era altrettanto certo del fatto che non erano mostri. Il ragazzo aveva dei poteri ed una forte aura, ma non capiva da dove poteva venire. La ragazza invece era perfettamente umana, ma da come si muoveva sembrava un’esperta di arti marziali.
Mezzo chilometro dopo, erano in una via dove non c’era nessuno e lui si fermò.
Si girò velocemente e se li ritrovò ad una decina di metri, così si tolse il cappuccio svelando il proprio volto e si prese due secondi per osservarli meglio. La ragazza era davvero bella e notò degli occhi freddi e inespressivi del colore del ghiaccio, un corpo atletico fasciato da dei jeans attillati azzurro chiaro, t-shirt e felpa nera.
L’altro da vicino era evidentemente più alto di un paio di centimetri, corpo muscoloso e occhi azzurri come il cielo. Gli ricordavano quelli di Jason, ma un poco più saggi e profondi. Inoltre aveva l’aria di saper usare i muscoli che metteva in mostra.
- Cosa volete? – non perse altro tempo in convenevoli e fece subito la domanda che più gli interessava.
- Sei Perseus Jackson? –
La domanda lo fece accigliare, perché era chiaro come il sole che sapevano che si chiamasse così. Decise di essere sincero ed evitare ulteriore accumulo di tensione, che gli aveva fatto irrigidire i muscoli.
- Sì – i due si guardarono per un istante, dopodiché dimezzarono le distanze che li separavano.
- Dovresti venire con noi. Non vogliamo farti del male, vogliamo solo farti alcune domande – anche la voce della rossa era fredda, ma non credeva fosse davvero così. Sperava sul serio di non dover combattere ma di riuscire a declinare l’offerta civilmente.
- Di solito nei film dicono così proprio quando le intenzioni sono l’esatto contrario –
Questa replica fece scappare un sorriso al ragazzo, ma fece corrugare le sopracciglia all’altra. Quest’ultima disse – Okay Thor. Piano B – e partì contro di lui velocemente.
Purtroppo per lei Percy era pronto e quindi schivò con agilità un destro al volto e voltò di lato il busto per evitare un calcio nello stomaco. Natasha indietreggiò di paio di passi solo per poter effettuare un calcio volante. Percy afferrò il suo piedi e con un calcio cercò di spostarle quello d’appoggio. La rossa saltò e riuscì a roteare su sé stessa per piantare il tallone sulla guancia sinistra del figlio di Poseidone, ma non riuscì a liberare il piede, che venne piegato fino a quando non si sentì un crack.
- Scusa rossa – dopo la frase che lo fece sentire un pochino meglio, la colpì sul collo e la fece svenire. La appoggiò delicatamente a terra e si perse un secondo a guardarla.
Sentì un movimento dietro di sé e fece appena in tempo a girarsi per beccarsi un altro pugno in pieno viso da parte dell’altro che lo seguiva.
La straordinaria forza lo spinse indietro di due metri, ma incassò il colpo molto meglio di quanto Thor si aspettasse. Era più forte di un normale umano o semidio. Non voleva usare i propri poteri o il martello, quindi cercò di limitarsi al corpo a corpo.
Il corvino si riprese velocemente ed alzò la guardia come se fosse un pugile. Tentò un diretto al volto seguito da un pugno allo stomaco e solo il secondo andò a segno, per poi ricevere un tentato gancio. Lo schivò, come schivò anche il sinistro, e mise a segno un uno due che stordì il dio dei fulmini per qualche secondo. Perseus Jackson picchiava più duro di quanto pensasse.
Non fece in tempo a fare nient’altro che lo stesso colpo dato alla Vedova Nera lo prese di sorpresa e lo fece cadere a terra incosciente.
Percy lo prese al volo prima che rompesse il naso e lo adagiò vicino all’altra ragazza. Prese un pezzo di foglio da un quaderno di scuola e ci scrisse due parole, dopodiché lo lasciò sulla faccia del gigante biondo e se ne andò per la sua strada, verso la casa di sua madre. Dove avrebbe dovuto essere mezz’ora prima.
 
Il figlio di Odino aprì gli occhi lentamente e si ritrovò davanti un foglio. Lo prese e fece per buttarlo, ma notò la firma e decise di leggerlo. La scrittura era leggermente obliqua e piuttosto disordinata ma comunque leggibile.
Caro chiunque tu sia,
ho rotto la caviglia alla ragazza rossa. Richiedile scusa da parte mia, ma dovevo farvi svenire per evitare di farvi più male. Spero che la faccia non ti pulsi troppo. Andate via e non fatevi più vedere. Se non sarò io a cercarvi e vi farete di nuovo vivi, non sarò così gentile.
Per sempre vostro,
Perseus Jackson
Il dio dei fulmini sorrise e prese in braccio il corpo di Natasha Romanoff. Si prospettava un lungo pomeriggio alla Stark Tower e lui voleva prima godersi una passeggiata tranquilla.
- Mi potreste gentilmente spiegare come diavolo ha fatto un ragazzino di diciotto anni a battere un dio immortale e la nostra spia migliore con otto colpi? Oltretutto rompendole una caviglia! –
Il direttore Fury era veramente furioso. Non poteva credere davvero a quello che il figlio di Odino gli aveva riferito e le risate degli altri Vendicatori non lo aiutavano a sbollire la rabbia. Cercava di darsi una spiegazione, ma non ne trovava, e per quanto quel ragazzo potesse essere bravo, non poteva esserlo così tanto.
- Ehm… penso sia un esperto di lotta, e sa incassare molto bene. L’ho centrato in pieno viso e ha retto bene, molto bene. In più picchia più duro di me –
Le parole di Thor presero di sorpresa gli altri, e lo aiutarono a sviare ancora una volta le domande di Natasha. Sicuramente l’esperta assassina gli avrebbe voluto chiedere il motivo della sua reticenza ad usare i propri poteri, e lui sapeva anche che non avrebbe potuto dare risposte abbastanza soddisfacenti senza compromettere il desiderio espresso dal figlio di Poseidone
- E ti ha lasciato un biglietto. Di scuse miste a minacce. E ti ha anche preso per il culo, ma guarda te questo ragazzino! Lo voglio qua entro le prossime quarantotto ore, non un minuto di più. E stavolta, ci andate tutti. niente discussioni, Stark, quello che tu definisci bambino ha steso due Vendicatori con meno di dieci colpi. Quindi tu alzerai il culo e lo andrai a cercare – il comandante sfidò tutti a ribattere con lo sguardo, ma visto che nessuno sembrava intenzionato a farlo, prese fiato per parlare ancora.
- Professor Banner, lei andrà con Tony. È abbastanza bravo da farti arrabbiare in fretta in caso di bisogno. Romanoff, tu seguirai Thor da qui, perché per almeno una settimana e mezza non puoi muoverti e Capitano con Barton. Tutto chiaro? –
La squadra annuì unanime e ognuno si avviò verso il proprio partner per organizzare le ricerche.
Da quel momento erano passate ben quaranta ore dall’ordine ricevuto e in quel lasso di tempo non avevano trovato traccia del figlio di Poseidone. All’università non c’era, si era dato per malato e non sapevano dove abitava. Avevano chiesto ai suoi compagni di classe ma nessuno ci aveva fatto amicizia così era stato solo un altro buco nell’acqua.
Per i Vendicatori era impensabile che qualcuno potesse scomparire così nel nulla nel bel mezzo di New York. Non si poteva semplicemente scomparire così.
Si erano ritrovati davanti all’Empire State Building per fare il punto della situazione e cercare una pista da cui partire.
L’ultimo ad arrivare fu il dio dei fulmini, che aveva un sorriso di vittoria stampato in volto. Si avvicinò e mise sulle spalle di Steve e su quelle di Tony un braccio, per poterli spostare e facendo segno agli altri due di seguirlo.
- Cos’hai scoperto biondino? – Iron Man cercava di spostarsi, ma nonostante l’evidente irritazione, l’altro non voleva saperne di lasciarlo andare.
- Ho scoperto l’attuale località di Perseus, e no Tony, non l’ho scoperto io. Mi ha aiutato Natasha. In questo istante di trova a Montuak, nella casa di sua madre. Penso che potremo fargli una visita –
- Quanto dista? – Clint era quello pragmatico del gruppo, e la domanda diretta lo dimostrava ancora una volta.
- Tre ore di macchina. Ce la facciamo in un’ora e mezza se voliamo – la proposta non fu accolta da tutti con la massima benevolenza, ma alla fine non c’era molto da discutere se un dio ti prendeva per il colletto della maglia e ti alzava come un fuscello. Poco dopo Thor sentì l’armatura del proprietario delle Stark Industries partire in volo dietro di sé, con appeso al braccio l’arciere.
 
Le onde lambivano la spiaggia dolcemente e il sole si avviava verso il tramonto. I gabbiani cantavano nel cielo e nessuna nuvola oscurava quest’ultimo. Era una giornata perfetta per il bagno e per il divertimento.
Seduto con le gambe leggermente piegate verso il petto e le braccia ad avvolgersi le ginocchia, con i piedi nudi, un costume blu e la maglia bianca, stava Percy Jackson. Il vento gli spostava leggermente il ciuffo, che ora teneva più corto e moderno, gli spazzava il viso. I suoi occhi però rimaneva fermi e tempestosi, inespressivi.
Visto da fuori sembrava quasi morto, se non fosse stato per il leggero movimento delle spalle.
Era venuto nel posto preferito da lui e sua madre perché aveva bisogno di un posto tranquillo e fuori mano, dove sarebbe stato difficile trovarlo. Oltretutto sperava che stare qualche giorno lì lo avrebbe aiutato a fare chiarezza nella propria mente.
Pensava che sarebbe riuscito se non ad accettare, almeno a pensare alla morte dei suoi amici e del suo amore, ma ogni volta che lo faceva, un flashback lo prendeva d’assalto e dopo aver rivisto un immagine inerente alla persona cui aveva pensato, era il turno degli incubi. Ne aveva ogni notte e stavano peggiorando ma non aveva detto niente a sua madre per non farla preoccupare. Si era già preoccupata abbastanza per tre vite intere.
Decidendo che poteva rientrare per ordinare una pizza e guardare qualche film alla tv, si alzò con un movimento fluido, facendo un primo passo e alzando di scatto il braccio sinistro verso l’alto, bloccando a un centimetro da lui una freccia metallica la cui punta era intrisa di tranquillante.
Suo malgrado, un ghigno poco tranquillizzante si fece strada sul suo volto.
Magari si sarebbe divertito.
 

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