Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli: Capitolo 1: *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 1 *** Capitolo 2: *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 2 *** Capitolo 3: *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 3 *** Capitolo 4: *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 4 *** Capitolo 5: *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 5 *** Capitolo 6: *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 6 *** Capitolo 7: *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 7 *** Capitolo 8: *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 8 *** Capitolo 9: *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 9 *** Capitolo 10: *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 10 *** Capitolo 11: *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 11 *** Capitolo 12: *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 12 *** Capitolo 13: *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 13 *** Capitolo 14: *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 14 *** Capitolo 15: *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 15 *** Capitolo 16: *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 16 *** Capitolo 17: *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 17 *** Capitolo 18: *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 18 *** Capitolo 19: *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 19 *** Capitolo 20: *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 20 *** Capitolo 21: *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Epilogo ***
Capitolo 1 *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 1 ***
Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 1
Non
E’ Mai Troppo Tardi
1
Juna cercò tentoni la tazza di caffè nero, fumante
e ben zuccherato che la sua sempre efficientissima segretaria gli aveva
lasciato sulla scrivania.
La mano scivolò sulla spessa lastra di cristallo
che proteggeva il piano di legno scuro dell’elegante scrivania stile impero
fino ad arrivare alla calda porcellana della tazza e le dita agili e nervose
l’afferrarono.
Almeno era ancora caldo.
Gli occhi d’ossidiana non lasciarono neanche per
un attimo il fascio di fogli che aveva nell’altra mano, bevve un lungo sorso
del liquido scuro, poi appoggiò nuovamente la tazza dove l’aveva trovata.
La vasta stanza che era il suo ufficio era
silenziosa e inondata di luce, anche se era tardo pomeriggio. Lavorava lì da
otto anni ormai, ma ancora non aveva fatto l’abitudine allo spettacolo che dava
il tramonto a quell’altezza.
Ogni tanto gli arrivava attutito il rumore del
telefono di Alison che squillava.
Aveva dato precise direttive per non essere
disturbato in nessun caso e…
L’interfono mandò un breve ronzio e automaticamente
premette il bottone che lo mise in contatto con Alison Colemann. «Cosa c’è Ali,
stavo giusto congratulandomi con me stesso per aver avuto la brillante idea di
dirti che non c’ero per…» cominciò.
La voce di solito squillante e allegra della
ragazza risuonò monotona e metallica «Drake in linea. Ha affermato che è
importante e che lui è sempre un’eccezione… e aveva il tono di uno che dice sul
serio.»
Sospirò pesantemente.
Doveva leggere altre duecento pagine
dattiloscritte e intendeva farlo da lì a massimo un’ora e mezzo. «Passamelo.»
Spense l’interfono e azionò la viva voce «Ciao Drake.»
«Compare, cosa ci fai ancora in quella prigione
d’acciaio, cemento e vetro anti-sfondamento? Sono le cinque e mezzo passate!»
Non spostò lo sguardo dalla successione di parole,
ma la fronte si corrugò: il suo migliore amico aveva un tono abbastanza
scocciato, cosa rara se rivolta a lui.
Se l’era forse presa perché Alison aveva fatto
storie per passargli la telefonata?
Che Drake stesse impazzendo?
«Diciamo che sto cercando di lavorare.»
Una breve risatina gli fece capire che Drake oltre
che scocciato era anche nervoso «Hai la flemma degli Alifahaar, te lo ha mai
detto nessuno?»
«Mio nonno nei momenti di cattiveria… quelli
peggiori.» Seguì un breve attimo di silenzio, poi… «Ok Drake, devi dirmi
qualcosa?» … quasi diciannove anni di pratica gli avevano se non altro
insegnato che tanto valeva smetterla di girarci intorno e andare subito al
punto.
Il sollievo nella
voce di Drake fu quasi commovente «Devo parlarti.»
Finalmente alzò gli occhi dai fogli e li puntò
sulla moquette color crema che copriva l’intera stanza, si perse pigramente a
seguire gli elaborati disegni color ghiaccio per qualche secondo «Dove e
quando.»
«T’invito a cena,
approfittane Mac! In quanto pensi di sbrigartela lì?»
Chiuse gli occhi, il novantanove per cento delle
volte che Drake lo chiamava Mac era
per dargli cattive notizie, maledizione «Mi passi a prendere fra un’ora e
mezzo?»
«A dopo.»
Juna riattaccò poi premette di nuovo il pulsante
«Alison? Chiama casa mia per favore e avverti che non sarò a cena. Per stasera
non ci sono neanche per Dio, non passarmi più nessuno.»
Alison tendeva a prenderlo alla lettera, infatti… «Juna,
ti cercasse tuo padre cosa gli racconto?» chiese.
Sospirò, «Beh, credo che mio padre e mia madre
cadano sotto una categoria a parte, la stessa di Drake: meritano un’eccezione.»
«Hai bevuto il caffè?»
«Non ancora.»
«Ecco perché lo vuoi bollente: per quando ti
decidi a berlo è tiepido.» Pausa «Juna, potrei uscire una mezz’oretta prima?»
«Oh la la,
sorpresa delle sorprese! Appuntamento galante signorina Colemann?»
«Sì, inutile anche solo provare a nasconderti
qualcosa.»
«E sei una dittatrice anche con lui?» la
punzecchiò.
«No, il mio lato peggiore lo affilo solo con te,
pensavo lo sapessi ormai.»
«Come ogni segretaria che si rispetti…»
«Direi come ogni segretaria che può vantare un
capo giovane, bellissimo, ricco sfondato, affascinante, a detta di tutti anche
spiritoso e divertente… e nessun invito a cena!»
Scoppiò a ridere «Andiamo Ali, mi stai veramente
dicendo che pianifichi la mia vita da anni e non riesci ad avermi un po’ tutto
per te?»
Quel sorriso e quella sfumatura ironica nella voce
bassa e ben modulata erano stati la rovina di diverse ragazze, ma Alison era
immune e lo sapevano entrambi.
«Sei impossibile!» ribatté la ragazza ridendo.
«Ok ok, per quello che mi riguarda puoi già
toglierti di torno, non ho più bisogno di te stasera! Solo stacca il telefono.
Mio padre mi troverà sul cellulare.»
«Ma Juna…»
«Cosa?» la interruppe «Ti sto regalando quasi due
ore di stipendio? Non credo finirò in bancarotta per questo! Piuttosto, coccolati
un po’ e divertiti!»
«Grazie. A domani.»
Il contatto s’interruppe.
Juna tornò a leggere con un sorrisetto
compiaciuto.
Alison era la sua segretaria personale da otto
anni, ed essere la segretaria personale del vice presidente di una compagnia
come la McGregor Investments aveva più contro che pro, uno su tutti l’avere gli
stessi orari del tuo principale.
Era una ragazza precisa e tranquilla, estremamente
lucida e presente, con un senso dell’umorismo che le permetteva di sopravvivere
a Junayd Kamil Alifahaar McGregory… senza contare che fosse una delle poche
donne che conosceva che lo guardava negli occhi quando gli parlava, una delle
poche che si ricordasse dei suoi diciannove anni scarsi e una delle due che
riuscisse a scherzare sul suo aspetto da dio greco.
L’altra era sua madre.
Suo padre aveva visto giusto affiancandogli una
ragazza senza esperienza nel campo, all’epoca era lui stesso un bambinetto di
undici anni, anche se il suo I.Q. lo aveva catapultato nel mondo dei grandi
molto tempo prima, e Connor McGregory si era rifiutato categoricamente di
affiancargli una quarantenne.
Aveva sempre avuto una fiducia illimitata sulle
potenzialità del suo unico figlio e il tempo gli aveva dato ragione: a quasi
diciannove anni era già laureato a pieni voti in economia e commercio e in
lingue, ne parlava e scriveva perfettamente cinque, ed era vice presidente
della McGregor Investments, una delle cinque compagnie più potenti del mondo,
che apparteneva alla sua famiglia da qualcosa come quattro secoli… in pratica
da quando il mondo aveva scoperto cosa fosse la finanza.
Nel tempo libero, come di solito
dicevano fra di loro con Drake, era anche un agente segreto e un killer
dell’F.B.I., ma questo lo sapevano solo Drake, essendolo lui stesso, e le due
persone che li avevano arruolati quattro anni addietro: il generale Richard
Lewing e il comandante Matthew Farlan.
Era l’orgoglio delle persone che lo amavano e la
morte per quelle che lo odiavano… la sua vita e non per ultima anche la sua
sfera familiare, comprendevano largamente entrambe le categorie!
Era cresciuto con Alison al fianco, di nove anni
più grande di lui, e con il tempo si era creato un rapporto perfetto, sia a
livello professionale sia personale: come segretaria gli leggeva nel pensiero
ed era come una sorella.
Sbirciò l’orologio che gli stava di fronte e con
un sospiro mise da parte il dannato ciclostilato che stava leggendo poi, preso
il telefono, formò uno di quei numeri che sapevano solo quattro o cinque
persone al mondo.
La voce potente e profonda del generale Richard
Lewing gli arrivò chiara come se lo avesse avuto davanti.
«Sono io» rispose.
«Come va ragazzo? Mi aspettavo una tua telefonata.»
«Mi stai dicendo che sto diventando prevedibile?»
«Non oserei mai. Vi siete sentiti vero?»
All’eloquentissimo silenzio che gli rispose, controbatté con tono calmo e
rilassato, «Falcon mi ha detto che ti avrebbe incontrato il prima possibile.»
A differenza di Richard e Matthew, che li chiamavano
sempre con i loro nomi in codice o
non li chiamavano proprio, lui dopo anni ancora doveva abituarsi a pensare a
Drake come Falcon… e probabilmente se
avesse chiesto all’improvviso a Drake chi fosse Darkness si sarebbe sentito chiedere se avesse scoperto una nuova
marca di lampadine!
Questo però era meglio che Lewing non lo sapesse…
«Anche prima di
quanto tu pensi. Tutto bene dalle tue parti?»
«Ottimo come sempre. Quando pensi di venire a dare
un’occhiata?»
«Mai. Sai come la penso.»
«Testardo come un mulo.»
Sorrise pensando che voleva essere un’offesa… a
volte faceva fatica a ricordarsi che quell’uomo era a capo di una delle sezioni
più importanti in seno ai servizi segreti.
«E’ uno dei miei pregi più evidenti» si portò
indietro i capelli corvini e naturalmente ondulati, scalati fino alle spalle,
con un aggraziato gesto della mano. «Ti saluto, alla prossima.»
«Ragazzo.»
«Cosa?»
«Se vi servisse qualsiasi cosa, sono da mia
madre.»
«D’accordo.»
Riattaccò con la fronte corrugata.
Lewing era stato stranamente chioccia, non lo aveva mai reso partecipe dei suoi piani… senza
contare che andare dalla mamma nel
linguaggio dell’F.B.I. era una cosa tutt’altro che positiva.
Scosse le spalle e liquidò il pensiero. Aveva
altro cui pensare al momento e poco tempo a disposizione.
La cosa importante era che l’ultima missione fosse
andata bene come il solito, che i capi fossero soddisfatti… anche se volevano
ancora sapere quando lui e Drake si sarebbero decisi ad entrare nelle fila dell’F.B.I.
ufficialmente.
Sempre le solite cose.
Si alzò dalla scrivania e, preso il cellulare, si
spostò nella zona salotto della stanza.
Almeno sarebbe stato più comodo.
Affondò su di una poltrona e riprese
diligentemente a leggere.
Il bilancio di metà anno era alle porte.
La ferrari nera parcheggiò davanti alla sede
centrale della McGregor Investments, un moderno grattacielo di una settantina
di piani nella zona più recente di Boston, e ne scese un bellissimo ragazzo
biondo, alto e slanciato.
Entrò nel palazzo e il portiere gli si fece
incontro con un sorriso di benvenuto «Signor Tyler, che piacere vederla!»
«Buonasera a lei
Ronan… è ancora in ufficio vero?»
L’anziano portiere sospirò, «E’ così giovane e
lavora così tanto. Menomale ha lei!»
Drake sorrise, «Non so se lui sarebbe d’accordo
con l’ultima parte del suo ragionamento!» Fece una smorfietta «Fatto sta che
non mi evita mai il giro turistico, e si è preso uno degli ultimi piani!»
Dopo aver salutato l’uomo si avviò all’ascensore
portandosi indietro i capelli scalati lunghi sul collo e lo prese al volo,
registrò le occhiate che gli rivolsero alcune impiegate e mascherò un
sorrisetto soddisfatto con un leggero colpo di tosse che gli permise di
coprirsi la bocca.
Sua madre lo avrebbe preso a calci dopo una cosa
del genere.
Fece vagare lo sguardo verdazzurro sul pannello
dei piani e vide che quello che interessava a lui era stato richiesto. Brutto
segno: il sessantottesimo piano era esclusivo territorio di Juna.
«Chi si ferma al sessantottesimo?» chiese.
«Io» rispose una donna elegantemente vestita:
Anne, la segretaria personale di Connor.
«Mi dica che non tratterrà molto Juna, lo sto
andando a prendere.»
Dopo un attimo di sorpresa lo guardò attentamente,
«Devo solo portargli dei documenti da firmare.»
«Anne, lei è un
angelo… oltre ad una cuoca d’eccezione se la memoria non m’inganna.»
Il sentirsi chiamare per nome da un illustre
sconosciuto la fece sussultare, il suo sguardo si fece ancora più attento. «Ci
conosciamo?» chiese molto educatamente.
«Lei non può ricordarsi di me, saranno sette o
otto anni che non ci vediamo, ma io la ricordo bene. Il tempo le vuole bene, in
quasi dieci anni non è cambiata minimamente.»
Un leggero rossore colorò le guance della donna, a
conferma che il complimento era andato a segno.
Le sorrise «Sono Drake, Anne, ero un ragazzino e
la sua torta al cioccolato mi è rimasta nel cuore.» Alludeva alla torta che la
donna aveva preparato per festeggiare l’entrata del nipote nell’impresa di
famiglia.
La donna s’illuminò «Oh Dio, il migliore amico di Juna,
ma sì quell’angioletto!» esclamò mentre tutta la glacialità che
contraddistingueva la leggendaria segretaria personale del presidente dal resto
del mondo svaniva come nebbia al sole. «Dio come sei cresciuto, sei un uomo
ormai!»
Lui era l’angelo e Juna il diavolo
tanto era la diametricità del loro aspetto fisico.
Se Manaar avesse solo lontanamente immaginato la
nomea del suo pargolo…
Arrivarono al piano parlando amichevolmente e notò
subito l’assenza di Alison alla scrivania.
Chissà che scusa aveva trovato Juna per
convincerla a lasciare il suo posto… doveva aver già telefonato a Lewing
comunque: avrebbero passato la serata a parlare di questo.
Chiuse un attimo gli occhi al pensiero di quello
che lo aspettava. Doveva trovare il coraggio di dirlo a Juna in tutti i modi,
fra un paio di giorni avrebbero dovuto affrontare una nuova missione.
La voce del suo migliore amico si levava
tranquilla ma decisa e proveniva dal suo ufficio che copriva metà dell’intero
piano, l’altra metà era suddivisa fra il suo archivio, l’ampio ingresso dove
stava Alison e la stanza per le riunioni, dove si trovava anche la macchina per
il caffè.
Stava parlando al telefono. «Dico sul serio, ho
appena finito di leggere la relazione. Il solito lavoro preciso e scrupoloso. Dovremo
discutere di alcuni punti anche con mio padre e mio nonno naturalmente, ma
nell’insieme è un ottimo lavoro.» Silenzio, poi scoppiò a ridere «Che devo fare
per convincerla Bart?» Altro silenzio «Come vuole, chiami domani mattina la mia
segretaria e fissi un appuntamento.» Apparve sulla soglia e, vedendolo, gli
fece segno di avvicinarsi mentre ascoltava quello che gli veniva detto
dall’altro capo del telefono «D’accordo. Buonasera Bart.» Riattaccò.
«Buonasera McGregory.»
«Buonasera Tyler. Ciao Anne, cosa c’è?»
Aveva già sentito Lewing, ci avrebbe scommesso le
sue parti più delicate. Era inverosimile che gli avesse detto della
chiacchierata con Matthew, toccava a lui farlo, non c’erano altre strade… e lo
sapeva. Però…
«Leggili e firmali, servono a tuo padre per domani
dopo pranzo.»
Riconobbe all’istante il pensiero che attraversò
la mente dell’amico… e lo capì anche Anne.
«Puoi farlo domani mattina», aggiunse quell’angelo
di donna «adesso togliti di torno, non far aspettare Drake. Alla tua età
dovresti pensare solo alle ragazze e invece sei fisso qui!»
Non riuscì a
trattenersi, «Anne, vuole adottarmi ufficialmente?»
Scoppiarono a ridere, poi fu di nuovo Anne a
parlare, «Su, sparite tutti e due!»
Uscirono
dall’ufficio ridendo e scherzando, ma appena furono soli in macchina…
«Ho sentito Richard» cominciò Juna.
Mise in moto ignorando l’ondata di panico che lo
avvolse «Che ti ha detto di bello?»
«Se mi prometti di non montarti la testa ti dico
che sei l’uomo chiave della situazione: sai tutto tu e devi illuminarmi.»
«Non ho bisogno di montarmi la testa, sono
abituato ad essere importante.»
Juna scosse la testa con un sorriso, «Sembra che
il mondo intero tenda a prendermi alla lettera, neanche tu fai eccezione. Ok,
che progetti hai per la serata?»
«Ti invito a cena.
Ti va bene il Daxar?»
«Come se non sapesse che è il mio ristorante
preferito…» fu il commento.
Si guardarono di traverso e scoppiarono a ridere.
Arrivarono all’esclusivo ristorante e furono
accolti dal proprietario in persona che gli si fece incontro raggiante «Signor Alifahaar
McGregory! Signor Tyler! Che piacere vedervi!»
Juna rivolse all’uomo una delle sue occhiate
criptiche. Chi lo chiamava con entrambi i cognomi, aveva paura di entrambi i
suoi nonni. Era praticamente matematico.
«Buonasera signor Valentine, come va?» rispose
lui.
«Bene! Voi? Tutto bene?» Al gesto affermativo fece
un leggero inchino «Se volete seguirmi.»
«Un posticino tranquillo signor Valentine, mi
raccomando.»
«Si fidi di me signor Tyler.»
Furono sistemati in un tavolo nell’area rialzata
della sala, vicino alla ringhiera di ferro battuto che ne percorreva la
semicirconferenza e, appena gli furono consegnati i menu, furono lasciati soli.
«Che accoglienza!» commentò lui «Non ti deve stare
molto simpatico però» aggiunse pensieroso.
«Da cosa lo avresti capito?»
«Dalla tua commovente espansività nei suoi
confronti.»
Fece spallucce mordendosi appena il labbro
inferiore, non voleva dargli la soddisfazione di ridere alla sua battuta, «Fa
così con tutti quelli che hanno un conto bancario a sette o più cifre» lo
informò.
«Beh, allora sono pochi.»
Juna scosse la testa e lo seguì nella risatina che
si trasformò in una risata.
Non smetteva mai di guardarsi intorno.
Era la classica persona alla costante ricerca di
qualcosa… anche se di che cosa probabilmente non lo sapeva neanche lui.
Lo vide riconoscere subito un paio di uomini che,
quando incrociarono il suo sguardo, lo salutarono con un breve cenno della
testa. Rispose al saluto.
Si soffermò un po’ più a lungo anche su un famoso
stilista del quale sicuramente non si ricordava il nome… come tutti i geni era
perfettamente in grado di perdersi in un bicchier d’acqua.
Quel pensiero lo fece sorridere.
Ancora quando pensava al quoziente d’intelligenza
di quel ragazzo stentava a crederci.
Gli voleva un bene che andava al di là di qualsiasi
spiegazione razionale che sapeva essere ricambiato incondizionatamente.
Erano più che amici, erano complici, confidenti,
fratelli… erano l’uno il continuo dell’altro, e Juna si fidava di lui.
Non poteva sopportare l’idea che fosse in
pericolo, era lui il più grande dei due, quindi Juna era il suo fratellino più
piccolo: toccava a lui proteggerlo.
Incontrò uno sguardo azzurro la cui espressione
era inequivocabile e distolse il proprio infastidito da quell’interruzione dei
suoi pensieri.
Toccava sempre a lui accorgersi di quello che Juna
lasciava completamente perdere in situazioni come quelle: le donne. Nella
fattispecie i loro sguardi, i loro atteggiamenti.
Possibile che i loro compagni non si accorgessero
di niente?
Non ce n’era una che non li stesse spogliando con
gli occhi.
Juna attirava le donne, di qualsiasi età, come il
miele attirava di norma le api.
Erano attratte da quegli occhi di ghiaccio
ombreggiati da ciglia che erano l’invidia di diverse modelle di sua conoscenza:
occhi neri, illuminati da una sfumatura argentea-dorata che in quasi
ventun’anni di vita non aveva riscontrato in nessun altro elemento in natura,
occhi che ti inchiodavano, che rispecchiavano e insieme celavano in ogni
momento lo stato d’animo del loro proprietario. Dal suo modo di fare, di
parlare, dalla sua pelle dorata.
Loro due attiravano le donne per motivi
complementari ed estremamente opposti: Juna per il mistero che gli aleggiava
intorno come un profumo irresistibile, per l’aspetto esotico ereditato dal ramo
arabo da parte di madre, per l’illusione di essere sempre ad un passo dallo
scoprire cosa nascondessero quegli occhi, quel sorriso ironico ed insieme dolce
che curvava le labbra nei momenti più impensati… era il classico tipo che ti
faceva desiderare di conoscerlo meglio proprio perché era evidente che avrebbe
potuto essere pericoloso.
Da parte sua, lui era perfettamente cosciente di
avere l’aria da canaglia su di un viso d’angelo, l’aria scanzonata unita a modi
galanti, sapeva sempre cosa dire e come dirla.
Il problema era che a quasi diciannove e
ventun’anni, con incarichi improvvisi da parte dell’F.B.I. che dovevano
rimanere segreti, non potevi imbarcarti in una relazione seria.
Le loro rispettive madri avrebbero fatto salti
mortali per saperli due volte con la stessa ragazza, il problema era che
quando dovevi partire all’improvviso alla tua famiglia potevi raccontare che il
motivo era una ragazza che non avrebbero mai conosciuto, ma alla tuaragazza
cosa potevi inventare senza scatenare un casino di proporzioni ciclopiche?
No, troppe complicazioni, dovevano rimanere
indipendenti, dovevano mantenere intatto il loro lato cattivo.
Tornò il cameriere, fecero le ordinazioni e appena
rimasti soli, Juna lo guardò, «Ti serve un invito scritto?» esordì.
Sorrise. Era il suo migliore amico, conosceva quel
tipo da quando era al mondo, eppure la gelida calma che aveva nel parlare di
queste cose riusciva ancora a sconcertarlo. In quei momenti era impensabile la
dolcezza che poteva dimostrare alle persone che amava.
Si accese una sigaretta, «L’obiettivo è Carlos
Estrada» cominciò con l’aria di uno che commenta un cielo nuvoloso. «La notte
di sabato.»
«Non era in Brasile?» chiese Juna osservando
curioso l’acquario alla sua destra.
Probabilmente stava calcolando il volume della
vasca.
«Sì, fino a due o
tre settimane fa, sembra che sia in programma una consegna piuttosto importante
dalle nostre parti.»
«I particolari?»
Erano persone conosciute, tutti sapevano chi fosse
Junayd Kamil Alifahaar McGregory, chiamato semplicemente Juna… lui lo
apostrofava come Mac in pratica solo
per dargli cattive notizie, e di riflesso sapevano chi fosse lui, anche se
suo padre non fosse stato uno dei medici chirurghi più famosi del mondo.
Nessuno sano di mente avrebbe mai immaginato che
stavano discutendo dell’omicidio di uno dei più pericolosi trafficanti di droga
sudamericani. Erano pur sempre due ragazzi di diciannove e ventun’anni. Per
eccesso.
Erano perfetti per Matthew e Richard.
Gli si contorse lo stomaco ripensandoci.
No, non poteva affrontare un discorso simile in un
luogo pubblico, avrebbe aspettato di essere solo con lui in casa, sarebbe
sicuramente successo prima di sabato notte.
«Vedo Matt
domani, solita ora, al parco.» Fu solo la lealtà verso l’amico che gli fece
uscire dalla bocca le successive parole «Vuoi esserci anche tu?»
«Perché no?» lo guardò «Deve essere proprio
tragica se Richard è andato da sua madre…»
Trattenne a stento un sussulto. «Sua madre?» non riuscì a trattenersi
sperando di essere riuscito a nascondere il tutto a Juna.
Mamma era il nome in
codice della struttura più sicura di cui disponevano i servizi segreti nello
stato del Massachusetts.
Era una cosina di due piani con l’aspetto di una
villetta familiare, a prova di bomba nel senso più vero dell’espressione, vi
avevano trovato rifugio i testimoni e i pentiti più a rischio con le rispettive
famiglie, i collaboratori più importanti… e sembrava che talvolta la usassero
anche i pezzi grossi dell’F.B.I..
Maledizione,non siamo al sicuro.
Richard in pratica gli aveva detto dove andare a
nascondersi se qualcosa fosse andato storto. Credeva che lui ne avesse già
parlato anche con Juna… e invece Juna non sapeva ancora nulla.
I camerieri scelsero quel momento di silenzio per
portare le prime ordinazioni.
«Sabato notte quindi» riprese Juna cominciando a
mangiare. «Bene, partiremo da casa mia.»
«E dove se ne
vanno tutti?»
«Dalla famiglia di mia zia», rispose con un lampo
negli occhi che disse più di cento parole, non lasciando dubbi circa l’identità
della zia di cui stava parlando.
Il fratello minore di suo padre, il secondogenito
della quinta generazione McGregory rispondente al nome di Paul, aveva sposato
Lennie, un’esponente della casata Lemilton la quale era in affari con la
McGregor Investments da decenni.
Paul non aveva opposto la minima resistenza al
volere di Patrick Joseph McGregory, attuale patriarca-padrone della famiglia.
Al contrario Connor, primogenito e padre di Juna,
aveva dato il via ad una guerra fredda che durava da venticinque anni, vale a
dire da quando aveva sposato Manaar Alifahaar, la figlia più piccola e la
prediletta di Mansur Alifahaar.
Era stato il secondo dei tre fratelli a sposarsi,
pur essendo il più grande, e Manaar aveva dovuto sopportare ben tre aborti spontanei
in sette anni prima di riuscire ad avere un figlio… oltre naturalmente ai
commenti del suocero riguardo il fatto che sembrava non essere capace di fare
figli: cosa ci si doveva aspettare da una Alifahaar?
Manaar, che evitava liti e guai più che poteva,
conoscendo bene il carattere sia del marito sia del figlio, si era sfogata solo
con la madre la quale però lo aveva riferito al marito: Mansur Alifahaar aveva
aspettato quasi quindici anni l’occasione propizia per ripagare l’avversario di
sempre con la moneta migliore.
Delle tre figlie che aveva Manaar, il cui nome
significava Luce Che Guida, era l’eletta: si era piegato al suo volere e le
aveva lasciato sposare il primogenito del suo peggior nemico, ma era diventato
spietato.
Per poco Juna, fedele al suo primo nome che
significava Giovane Guerriero, non aveva messo le mani addosso al nonno paterno
quando, durante l’ultima cena che aveva visto sedute alla stessa tavola le due
famiglie, dopo il solito battibecco fra Juna e Justin, Mansur era venuto fuori
con il discorso che finalmente capiva la giustizia divina dietro le sofferenze
dell’adorata figlia: alla fine aveva ricevuto in dono un figlio che valeva
tutti quelli che aveva perso.
Non c’entrava niente l’essere capace o meno di
fare figli, l’essere o meno una Alifahaar: meglio soffrire e farli geni, piuttosto
che mettere subito al mondo degli incapaci buoni solo a correre a nascondersi
sotto la sottana della mamma.
Solo le preghiere della madre avevano convinto
Connor a non abbandonare la casa paterna, Juna aveva definitivamente stabilito
che suo nonno paterno non meritava il minimo rispetto… e la situazione era, se
possibile, ulteriormente peggiorata.
Se si escludevano Ryan, il terzo e ultimogenito,
sua moglie Elisabeth, la figlioletta di quasi cinque anni della coppia, un
angioletto biondo che rispondeva al nome di Melissa… la quale aveva una vera e
propria adorazione per Juna, e Madeline, la moglie di Patrick e madre dei tre
fratelli, tutto il resto della famiglia era ormai in pieno stato di guerra.
A volte Drake poteva essere trasparente.
A parte il fatto che qualcosa lo stava
preoccupando a morte e non sembrava intenzionato a parlargliene quella sera,
cosa che di per sé era già strana, con uno sguardo del genere non poteva che
pensare alla sua situazione familiare.
Per essere uno famoso per la sua glacialità, era
il colmo che ancora non riuscisse a parlare di sua zia Lennie senza tradire
l’amarezza per il modo in cui era trattata sua madre in seno alla famiglia.
D’altra parte era anche troppo chiaro cosa lo
salvasse dall’essere lo zerbino di Justin e Georgie, i suoi cugini maggiori:
essere un genio, sapere sempre cosa fare, come e quando farla e avere la
volontà di uno schiacciasassi.
Sua madre ci aveva visto veramente lontano quando
aveva convinto suo padre a chiamarlo Junayd Kamil, che in arabo significavano
Giovane Guerriero e Completo, Perfetto.
Beh, non che avesse fatto molta fatica… poteva
immaginare che suo padre avesse trovato da subito appropriati quei nomi.
«Tutto questo non sarà troppo… troppo per tua madre?» chiese Drake.
Era raro che Drake rimanesse senza parole e il
pensiero gli strappò un sorriso. «No, mio nonno sa che chiunque metta in
imbarazzo mia madre dovrà vedersela con mio padre, poi con me.»
«E se tuo padre con la ragione lo puoi bloccare,
tu non ti fermi fino a che non vedi il sangue… non lo facevo così intelligente
tuo nonno.»
«Beh, comincia a conoscermi dopo diciannove anni
di convivenza, meglio tardi che mai.»
Drake serrò i pugni, «Ho una famiglia di persone
che si adorano, perché i McGregory non possono fare altrettanto?»
«Perché la tua famiglia non ha un patrimonio da
gestire che sfiora il mezzo miliardo di dollari, non ha un’azienda che è la
responsabile del quaranta per cento delle entrate del paese e di seguito ha una
concorrenza spietata… ah, dimenticavo: sei figlio unico di due figli unici.»
Drake in quel momento aveva la classica
espressione mai fare domande del genere a Juna.
«Tuo nonno non accetta che qualcosa non sia andato
come voleva lui, ecco cosa» riprese. «Quando qualcuno gli spiegherà che il
mondo non è ai comandi di Patrick Joseph McGregory?»
«Non sarò certo io a perdere tempo in quel senso,
Drake.»
Drake lasciò cadere il discorso. C’era decisamente
qualcosa che non andava in lui quella sera.
«Come sta il pezzo meglio della famiglia?»
«Dolcissima e pestifera come sempre.»
«Dalle un bacio da parte mia quando la vedi.»
«Lo farò.»
Occuparono il resto della cena a stabilire i punti
fondamentali per l’assassinio di Carlos Estrada.
Juna oltrepassò la soglia della grande villa
bianca e grigia in stile barocco che erano da poco passate le due, tutto era
silenzio e pace.
O quasi.
«Cominciavo a pensare che avresti passato la notte
fuori.»
Si allentò la cravatta e slacciò i primi due
bottoni della camicia. La vicinanza di quell’uomo aveva cominciato a farlo soffrire
di claustrofobia. «Credevo fossi già a letto.»
«Dove sei stato?»
La nota di alterazione che avvertì nella voce di
suo nonno gli fece prendere fuoco come un fiammifero, ma si impose la calma,
«Fuori a cena, ho fatto telefonare Alison per avvisare…»
«Con chi?»
«Non credo di dover rendere conto a te della mia
vita. Certe uscite potrei accettarle da tua moglie, anche solo per il fatto che
mi reputa uguale agli altri suoi nipoti e mi tratta di conseguenza.»
«Tu non sei come gli altri, tu sei il migliore, e
comunque Junayd questa non è…»
«Oh, lo so, questa non è casa mia» cominciò a
numerare sulle dita della mano, «non posso usarla come se fosse un albergo,
fino a quando vivo sotto il tuo stesso tetto sei tu che comandi… vedi nonno, il
problema è che se io vivo ancora qui è perché tua moglie è riuscita a
convincere mio padre a non andarsene, e io e mia madre stiamo dove sta lui,
siano una famiglia, anche se tu hai
un concetto piuttosto discutibile di questa parola. Non ti permetterò di
ficcare il naso nella mia vita, sono un McGregory solo a metà, mando avanti la tua compagnia perché è mio padre a
chiedermelo e tollero la tua
vicinanza e quella del tuo degno figlio Paul per assecondare un desiderio di mia
madre. Non potrò mai perdonarti per quello che le hai fatto passare e…»
«Juna…»
«… e fino a quando il tuo atteggiamento nei suoi
confronti non cambierà radicalmente in
meglio, io e te non abbiamo nulla da dirci.»
«Non volevo controllarti Juna, volevo solo sapere
se era successo qualcosa che ti aveva costretto a non tornare a casa per cena,
c’erano anche Diana e Gary stasera, pensavo che saremmo stati tutti.»
I rispettivi fidanzati di Justin e Georgie.
«Non sapevo che anche loro fossero compresi nel
programma» sorrise ironico, «e in ogni caso la famiglia che consideri come tale
c’era tutta.»
«Io non…»
«Sono stanco nonno, vado a letto.»
Gli voltò le spalle e salì al piano superiore.
Sì, era decisamente il colmo che la sua
leggendaria glacialità lo abbandonasse quando ne aveva più bisogno.
Arrivò in camera sua e decise di farsi una doccia
prima di andare a letto.
Quando riaprì gli occhi non era solo: Melissa era
sdraiata accanto a lui e dormiva profondamente.
Il fatto che fosse lì e non all’asilo gli fece
dedurre che probabilmente si era svegliato troppo presto, guardò la sveglia sul
comodino e scoprì che invece erano le otto passate.
Probabilmente zia Elisabeth la stava cercando per
tutta la casa.
Andò in bagno e si vestì velocemente, poi svegliò la piccina «Melissa?», la scosse leggermente «Ehi cucciola.»
Spalancò gli occhioni azzurri «Ciao Juna…», gli
sorrise raggiante alzandosi a sedere «buongiorno…»
«Cosa ci fai qui?» chiese sforzandosi di apparire
severo.
Il sorriso le morì sulle labbra, «Ho fatto di
nuovo un brutto sogno… quel brutto
sogno» aggiunse poi come se ce ne fosse bisogno, «stavo affogando e… e tu mi
sai salvare» spiegò sforzandosi di sorridere ancora.
«Melissa, sai che non è reale quello che sogni.»
«Ma la paura lo è.»
Ne aveva di logica per la sua età…
L’estate prima la bambina era caduta dalla barca durante
una gita al lago e lui si era tuffato dietro di lei appena in tempo per
ripescarla, da allora quello che era già amore fraterno si era trasformato in
pura e semplice adorazione… si sentiva al sicuro solo se lui era a portata di
vista.
Si sedette sul bordo del letto e Melissa si tuffò
fra le sue braccia, «Senti Lissa, io e te dobbiamo fare un discorso serio.»
«Non sei arrabbiato con me vero?»
L’ansia nella sua voce avrebbe sciolto una lastra
di ferro. «Ma no, non sono arrabbiato, sono preoccupato. La tua paura è dettata
dal fatto che non sai nuotare» cominciò sotto il suo sguardo attento, al suo
cenno affermativo continuò «così, appena farà bel tempo, ti insegnerò io.»
La sua espressione si fece contrita «Vuoi… vuoi
dire… entrare nell’acqua? … Nell’acqua profonda? Dove non tocco?»
«Ci entreremo insieme e ti insegnerò a nuotare.»
«Ma perché devo imparare?»
«Per vincere la paura.»
«Ma ci sei tu…»
«Ma non ci sarò sempre.»
«No no, blocca tutto! Vuoi dire che mi lascerai?!»
lo strinse forte mentre la voce si alzò di un’ottava «No! Oh no ti prego! Non…»
«Lissa, cerca di ragionare. Stanotte sono
rientrato tardi, cosa farai la volta che non mi trovi?»
«Ti vengo a cercare.»
Esattamente quello che non doveva fare.
«Da sola? Al buio?» Al suo silenzio la allontanò appena
da sé e le asciugò i lacrimoni che le scendevano sulle guance «Ti fidi di me?»
la testolina fece di sì «Mi credi se ti dico che è necessario?»
La bambina sorrise debolmente «Sì.»
La prese in collo, «Andiamo a fare colazione ora,
la mamma ti starà cercando da un’ora.»
Uscirono dalla stanza.
«Dove sei stato ieri sera?»
«Fuori con Drake… a proposito, questo è da parte
sua» disse baciandola sulla guancia.
Melissa sorrise stringendosi a lui come una
gattina.
Come era prevedibile i suoi zii erano nel panico.
Appena li videro scendere il sollievo nei loro
visi fu commovente. «Si era di nuovo rifugiata in camera di Juna!» esplose zia Elisabeth
«Dio ti ringrazio!»
«Melissa, quante volte ti dovrò ancora ripetere
che…» cominciò zio Ryan con un vago tono di rimprovero nella voce.
«Piccola, vai a fare colazione» lo interruppe
allegro Juna. «Io, mamma e papà scambiamo quattro chiacchiere!»
La bambina partì a razzo e suo zio sospirò «Juna
non imparerà mai niente se…»
Tutta l’allegria del ragazzo sparì «Zio, a parole non
risolverai nulla con Melissa. Non viene da me per passare il tempo: ha di nuovo
sognato di affogare.»
«Cosa? Ma è passato quasi un anno da quel giorno!»
disse sua zia sorpresa «Com’è possibile che…»
«Sentite, non voglio impicciarmi degli affari
vostri solo perché viviamo sotto lo stesso tetto» sospirò, «ma voglio bene a
Lissa e voi siete fra le poche persone in questa casa che mi trattano da essere
umano, perciò mi sento in dovere di dirvi come la penso.»
Suo zio gli appoggiò una mano sulla spalla, «Sei
mio nipote Juna, ti voglio bene e ti ammiro, in più hai salvato la vita di mia
figlia che da più retta a te che a me. Dimmi pure cosa ritieni opportuno
dirmi.»
Perché è così rara questa collaborazione
nella mia famiglia?, si sorprese a pensare.
«Lo shock per Melissa è stato immenso quel giorno»
rispose cercando di mantenere un tono leggero. «Non può superarlo senza l’aiuto
di qualcuno.»
«Vuoi dire uno psicanalista?» chiese sua zia.
Juna annuì. «Stamani sono riuscito a convincerla
che è necessario per il suo bene che impari a nuotare. Le insegnerò appena fa
un po’ più caldo.»
Lo stupore di sua zia si fece evidente, «Sul
serio? Con me fa storie per avvicinarsi alla vasca da bagno.»
«Ma allora a cosa serve uno psicanalista?» chiese
suo zio confuso.
«A farle superare lo shock in modo da poter poi
smantellare la sua convinzione che solo io posso proteggerla e che solo con me
è al sicuro.»
Sua zia guardò il marito «Ha ragione», disse.
«Per convincerla ad entrare in piscina ho dovuto
fare leva sulla sconfinata fiducia che ha in me zio, non va. Deve imparare a
stabilire cosa è bene e cosa è male per se stessa. E poi queste spedizioni
notturne: cosa farà la notte che non mi trova in casa? Presa al panico potrebbe
scordare il buonsenso e avventurarsi fuori. Lizar e Dragar non la
attaccherebbero, stanne certo, la conoscono e probabilmente le starebbero
vicini… ma se varca il cancello?»
Suo zio chiuse gli occhi con un profondo sospiro,
«Cercheremo un buon psicanalista da oggi stesso Juna… e grazie.» Cinse le
spalle a tutti e due «E ora a fare colazione.»
Quella mattina era stato deciso di fare colazione
nel gazebo che si trovava nel parco.
Juna prese posto fra suo padre e sua madre.
«Buongiorno a tutti.»
Lennie partì subito all’attacco e la sua voce si
levò su di un mormorio di risposta al suo saluto. «Verrai a far visita ai miei,
vero?» chiese mielosa.
«Ce l’hai con me zia?» chiese innocentissimo
addentando un toast che sua madre gli aveva imburrato «Devono essere cambiate
molte cose in questa settimana se ora desideri la mia partecipazione ad un così
importante evento. E’ per questo che
sei stata così… silenziosa in questi
giorni?»
Sua zia Lennie ebbe la decenza di chetarsi e
abbassare lo sguardo, forse perché sapeva che l’ironia del nipote non veniva
mai sprecata.
Suo marito non fu altrettanto furbo. «Juna, cosa
c’entra la settimana passata? Tua zia è stata gentile ad invitarti, mi sembra.
Possibile che tu non riesca semplicemente a rispondere a una domanda?»
«Ah. Perché se non mi avesse invitato io non sarei potuto venire in quanto suo nipote? Cosa c’è,
servono inviti singoli per la nostra famiglia? Questa riunione è talmente
importante che non è sufficiente essere suo nipote per essere presente? Vedi
zio, tua moglie è stata gentile, come no. Peccato che: uno, si ricordi di
essere gentile con me solo in
presenza di terzi; due, che me lo abbia chiesto gentilmente come se fosse una cosa dovuta e non una cortesia e tre,
che guarda caso oggi sono esattamente otto giorni che la tua dolce metà non mi
rivolgeva la parola.» Sorrise dolcemente «Ho risposto abbastanza semplicemente
alla domanda o sono andato troppo veloce per te?»
Calò il silenzio più assoluto, la voce di Manaar
si levò dolcissima come sempre, «Caffè Juna?»
«Sì, grazie mamma.»
Si sorrisero e la loro somiglianza fu quanto mai
evidente.
Connor seguiva la scena con un sorrisetto che la
diceva lunga riguardo l’orgoglio e l’amore che nutriva nei confronti del figlio
e della moglie.
«Sei rientrato tardi stanotte Juna, ti sei
divertito?» chiese all’improvviso Madeline con una noncuranza che non avrebbe
convinto neanche Melissa.
Juna guardò sua nonna «Come al solito nonna,
grazie per l’interessamento.»
«E la conosco?»
Il sopracciglio di Juna si sollevò con aria
interrogativa, «Mi spieghi perché quando faccio tardi deve essere sempre per
forza colpa di una donna?»
«Beh, perché la speranza è l’ultima a morire.»
«A chi lo dice…» fu il commento di sua madre.
Alzò le mani in segno di resa, «Ok voi due, mi
arrendo! Era una splendida bionda con gli occhi verdi, contente?»
Sua madre scosse la testa sorridendo… ormai
conosceva il senso dell’umorismo del suo unico pargolo, e conosceva anche il
suo migliore amico!
«Come si chiama?» chiese sinceramente interessata
Madeline.
«Drake Tyler.»
Manaar non resse oltre e la sua risata cristallina
ruppe il silenzio, subito seguita da Ryan ed Elisabeth.
Madeline rimase troppo stupita in un primo
momento, poi scoppiò a ridere anche lei, in un modo che, i presenti lo
sapevano, era in grado di provocare solo Juna.
Ciò che fece scoppiare a ridere Juna fu la
reazione di suo padre.
Connor si era piegato sul tavolo con la testa fra
le mani e continuava a mormorare Non ci
credo, non può essere, vi prego ditemi che non è vero, povero me… con una
sconsolazione veramente toccante.
Il figlio lo abbracciò con fare consolatore, «Dai
papà, non fare così, il giorno che deciderò di sposarmi non sceglierò certo
Drake… lo conosco troppo bene per fare una pazzia del genere!»
Connor alzò gli occhi su di lui «Bella
consolazione davvero, figlio mio» fu il suo unico commento.
Paul, Lennie e relativa prole erano troppo
occupati a seguire la scena con aria disgustata per accorgersi del sorrisetto
compiaciuto che era apparso sul viso di Patrick.
Arrivò in ufficio poco dopo le dieci e mezzo ed
Alison lo accolse con un sorriso, ma non con il solito sorriso: si vedeva lontano un chilometro che era felice.
«Deve essere andata bene ieri sera» buttò lì con
il tono più casuale del suo repertorio.
La ragazza gli porse dei fogli, «Molto, grazie.»
«Matrimonio in vista eh?»
Alison sussultò, «Nel quoziente duecentosessanta è
inclusa la telepatia per caso?»
Prese i fogli «No. E che so riconoscere una donna
felice, e tu oggi risplendi di luce propria tesoro!»
«Sai, comincio a capire il perché sei stato la
rovina di tante ragazze Juna…»
La guardò di traverso «Questa faccio finta di non
averla sentita! E prendilo come un grosso favore che ti faccio! Quando me lo
presenti?»
«Mai, se va come spero.»
«Mi stai dicendo che non m’inviterai al
matrimonio?» Scosse la testa e si avviò verso il suo ufficio «Questa poi!»
La ragazza lo seguì sbuffando, «Il mio problema
sei tu e la leggenda del tuo fascino! Anche lui vuole conoscerti!»
«Davvero?»
«Già. A quanto pare sei uscito con un’amica di sua
sorella e la suddetta leggenda ha varcato i confini dell’alta finanza.
Maledizione.»
Alison era encomiabile.
«Un’amica di sua sorella hai detto?» chiese
togliendosi la giacca e posteggiandosi dietro la sua scrivania «E come si
chiama?»
«Chi? Sua sorella, lui o l’amica?»
Le scaricò addosso un’occhiata fra il rimprovero e
lo scherzo «La felicità ti rende più spiritosa del solito, che Dio mi aiuti
quando tornerai dalla luna di miele!»
Alison lo gratificò di una linguaccia «Stephen
O’Neil.»
«Il giocatore di hockey?»
«Lo conosci?»
«Di fama. Ho sentito che è un ottimo giocatore e
un bel ragazzo… l’ho visto giocare un paio di volte. Ha una sorella hai detto?»
«Juna…»
Ridacchiò, «Scherzavo tesoro.»
La ragazza alzò gli occhi al cielo, era il massimo
sdegno che riusciva a procurarle. «E’ un ragazzo molto gentile e buono, lo
conosco da poco più di sei anni, ma usciamo insieme da circa cinque e stiamo
insieme da poco più di quattro, anche se non abbiamo mai parlato di trasformare
la cosa in una storia seria.»
«Infatti non me lo hai mai nominato. Sarà uno
shock per chi ti crede votata al sottoscritto e alla compagnia.»
Alison sospirò afflitta, «Già. E dopo tutta la
fatica che ho fatto in questi anni per tenervi lontani è probabile che lo
conoscerai oggi stesso: mi passa a prendere e pranziamo insieme.»
«Non vedo l’ora, mi sei incuriosito con questa
storia di sua sorella e dell’amica. Ali, che ne diresti del pomeriggio libero?»
Lei lo guardò spaesata, poi esplose «Junayd-Kamil-Alifahaar-McGregory»
sillabò «sei un demonio! Stavo per chiedertelo!»
Le sorrise «Lo so.» Si appoggiò sul piano di
cristallo «Cosa mi aspetta oggi?»
La ragazza assunse il tono professionale, «Fra
meno di mezz’ora Anne sarà qui, ha telefonato un’oretta fa per ricordarti di
dare un’occhiata al bilancio che ti ha portato ieri, tuo padre ne ha bisogno
per pranzo. Ha telefonato il signor Stellison… tu lo conosci come il segretario del presidente della Worldcaft»
spiegò alla sua occhiata, «ha chiesto di fissare un appuntamento fra te e il
suo principale al più presto.»
«Ti ha detto il perché di questo appuntamento?»
«Non è stato molto espansivo, ma era molto
agitato.»
«Di solito ho a che fare con il vice… senti, ok,
fissa l’appuntamento al più presto e avverti mio padre di questo. Poi annulla
tutti gli appuntamenti di oggi pomeriggio e rimandali alla prossima settimana
ormai, se ti rendi conto che non sono importanti anche oltre, dai la precedenza
alla Worldcaft comunque.»
«L’appuntamento con Bart è per martedì mattina
alle dieci, ho già avvisato tuo padre e tuo nonno.»
«Bene. Appena arriva Anne dai l’allarme e…»
«… ti porto un bel caffè, nero, bollente e ben
zuccherato!»
«Esattamente… finirò con il doverti dare un
aumento…»
Poco dopo l’una e mezzo lasciò l’ufficio in
compagnia di Alison e Stephen.
Declinò gentilmente l’invito di unirsi a loro per
il pranzo e si separarono nell’atrio.
Si diresse a piedi verso il luogo
dell’appuntamento con Drake e Matthew e, sebbene arrivò con un quarto d’ora di
anticipo, li trovò ad aspettarlo.
Si salutarono e Matthew, un uomo sulla cinquantina
dall’aspetto severo e vagamente marziale, tirò fuori una voluminosa busta
gialla, di quelle imbottite che si usavano per spedire oggetti fragili, «E’
tutto qui ragazzi, dove, quando, come. Falcon, al solito posto troverai
l’attrezzatura che vi servirà. State attenti, c’è un vero esercito di esaltati
a protezione del carico e di chi lo porta. E’ un’occasione più unica che rara,
erano quasi vent’anni che non veniva in America.»
«La cosa deve essere grossa allora.»
«Darkness, stiamo parlando di una spedizione di
quasi quaranta chili di cocaina purissima. Si pensa sarà nella villa, è la cosa
più logica, ma non è un problema vostro, l’assassinio sarà la scusa per noi per
piombare lì, capite?»
«Nessun testimone.»
«Esatto Darkness. La roba non deve essere
spostata. Non vi nascondo che è una missione molto importante per i capi,
sarebbe un colpo quasi mortale per il traffico dal Sud America, Carlos ha due
fratelli, ma è lui il punto focale.» Seguì un breve silenzio, «Ragazzi, non vi
nascondo che la vostra parte in questa storia sarà un po’ diversa dal solito.
Vi abbiamo insegnato ad essere silenziosi e invisibili, ma questa volta dovrete
alla fine far sentire che ci siete.»
«Non dovremo usare i silenziatori?» chiese Drake
sorpreso.
«Prima di andarvene due o tre colpi sparati in
aria andranno benissimo… è scritto tutto nella relazione che ho preparato per
voi. Abbiamo da anni un uomo nella centrale di polizia che si occupa della
zona, sarà certamente lui a prendere la telefonata che avvertirà degli spari,
l’importante è che non siate visti. Ci muoveremo appena il nostro uomo ci
avvertirà della telefonata e prenderemo il controllo dell’operazione sul
posto.»
Perché gli stava
dicendo tutto questo se era già scritto nella relazione? E da quando doveva
importargli di cosa sarebbe successo dopo la loro sparizione? Perché il suo
istinto gli diceva che c’era qualcosa che non andava e che quel qualcosa
continuava ad essere Drake?
«Sta bene» disse Drake. «Prenderò l’attrezzatura
domani mattina presto e verrò subito a casa tua. Se i tuoi non saranno ancora
andati via, aspetterò di vederli partire, ok Juna?»
Matthew quasi sussultò.
Non c’era proprio verso di abituarsi.
Gli annuì.
C’era qualcosa che non andava. Matthew non aveva
mai parlato così tanto e Drake mai così poco.
Si separarono.
«Che si fa?» chiese.
«Andiamo a casa mia a dare una prima occhiata
all’incartamento» rispose Drake. «Mio padre è a New York fino a mercoledì e mia
madre a fare shopping… quindi fino a cena non la vedo in casa. Staremo
tranquilli. Il peso di quella busta mi dice che non sarà una passeggiata amico
mio.»
Annuì, era completamente d’accordo con l’amico:
più una missione era difficile, più era documentata per non lasciare nulla al
caso.
Luoghi, orari, abitudini… un intreccio di dati che
loro due avrebbero dovuto imparare a memoria.
Per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordare
una missione senza una busta accompagnatoria di proporzioni mastodontiche.
«Neanche io amico mio» disse Drake. «Dovremo dirlo
ai nostri superiori, tu che dici?»
Passò sopra il fatto di quanto Drake si divertisse
a terminare i suoi pensieri ad alta voce, «Secondo te, ci darebbero retta?»
«Da quell’orecchio sono uno più sordo dell’altro.»
Ridacchiarono e lasciò che il silenzio di
protraesse per qualche minuto.
«Matthew era stranamente loquace oggi, che pensi?»
chiese all’improvviso.
«Mh… strano vero? Non credo che abbia una
famiglia… cioè, una moglie o roba del genere… avrà problemi al lavoro.»
Non rispose.
Certo, così si poteva spiegare il suo
comportamento… peccato che il suo migliore amico avesse parlato evitando di
guardarlo negli occhi.
«Passeggiata?!»
esplose Drake tre ore dopo seduto al tavolo della sala da pranzo di casa sua
«Questo è un suicidio!!»
Juna osservava la cartina del parco e della villa
che avrebbero dovuto espugnare di lì a cinquantaquattro ore, al suo silenzio l’amico
continuò «Gli orari sono folli! Abbiamo solo quarantacinque minuti per arrivare
alla stanza, sparargli ed uscire! … Ah no, è vero: deve avanzarci qualcosina
per far fuori i due esaltati che saranno a guardia della stanza di Estrada…»
«Se non altro sono stati coerenti» disse Juna,
«per entrare nel parco, uccidere la ventina di esaltati che lo sorvegliano,
arrivare al generatore, scollegare l’allarme e fare il giro per tornare
all’ingresso principale ci hanno dato la bellezza di un’ora e mezzo.»
«Ma che gentili!» ironizzò Drake «Che proponi?»
«Prima abbiamo l’attrezzatura, prima potremo
veramente renderci conto di ciò che possiamo realmente fare.»
«A che ora se ne vanno i tuoi?»
«Dovrebbero partire intorno alle otto.»
«Se arriverò prima aspetterò fuori dal cancello di
vederli andare via. Assicurati che il vecchio garage oltre il capanno sia
aperto, nasconderò lì la macchina e porterò le borse in casa. Chi ci sarà?»
«Howard.»
Entrambi sapevano che l’anziano maggiordomo non
vedeva nulla su cui non fosse espressamente richiesta la sua attenzione, era al
servizio dei McGregory da oltre quarant’anni.
«In pratica saremo soli» disse Drake. Cominciò a
raccogliere le carte sparse sul tavolo, «Resti a cena?»
«Meglio di no. Con il fatto che domani parte mia
madre vorrà stare un po’ con me stasera.»
«C’è qualcosa che non va Juna? Sei… strano. Non
eri così ieri sera.»
«Mio nonno.»
Drake alzò gli occhi al soffitto, gli dette
assurdamente l’impressione di essere sollevato «Cosa vuole ora?»
«Mi ha aspettato alzato la scorsa notte. Mi ha
fatto un sacco di domande… sembrava… dispiaciuto che non fossi stato presente
alla cena. Mi ha detto che erano presenti anche Diana e Gary. Ripensandoci a
mente fredda non era scocciato come
ho pensato appena ha aperto bocca ma dispiaciuto.
Il fatto è che ha la capacità di farmi incazzare solo respirandomi vicino e non
sono stato ad ascoltarlo. Mi ha anche detto che sono il migliore dei suoi
nipoti.»
«Se n’è accorto?! Meglio tardi che mai!»
«Drake, hai mai pensato che la McGregor
Investments appartiene a lui? Io e mio padre rivestiamo le cariche più
importanti all’intero della compagnia e il novanta per cento delle decisioni le
prendiamo noi, ma è tutto suo.»
«Non ti seguo più Juna.»
«Non lo so. Ho la sensazione che volesse dirmi
qualcosa. Era dispiaciuto della mia assenza a cena, più ci penso più ne sono
certo… sta covando qualcosa Drake.»
«Ok, sono pronto ad ammettere che sono rimasto di
sasso quando, con altri due figli a disposizione che non gli hanno mai fatto
girare le palle ha messo sulla poltrona della presidenza proprio tuo padre, ho
pensato che fosse impazzito quando sulla poltrona della vice presidenza ci ha
messo un nipote, e neanche il suo preferito… ma la realtà è la realtà, e quello
che sai fare tu, non lo può fare nessun altro.» Si portò indietro i capelli con
una mano, «Assomigli molto a tuo nonno caratterialmente parlando Juna, hai
ripreso le caratteristiche McGregory che sono il suo vanto e orgoglio… e sei
l’unico. Justin non muove foglia che suo nonno non voglia, Georgie è una
marionetta nelle mani di sua madre che è quello che è, Melissa è un angelo ma
ha solo quattro anni, è fuori gioco ancora. In più grazie a tua madre, nelle
tue vene scorre sangue blu da otto generazioni. Non ti sto parlando da amico
ora, ma da persona che osserva i fatti. Hai capacità infinite con
l’intelligenza che ti ritrovi e le hai messe a disposizione della McGregor
Investments, quando per come sono andate le cose fino ad ora avresti potuto
lavorare per il governo o per Mansur, che ti adora.» Fece una smorfietta, «Ok,
io e te sappiamo che effettivamente
lavori per il governo, ma ci siamo capiti!»
«Sono voluto restare al fianco di mio padre, è lui
che mi ha chiesto di accettare la carica e mio nonno lo sa. Ti sembra realista
che si sia svegliato solo adesso? Il fatto che lavori anche per l’F.B.I. è
accidentale e nessuno meglio di te può saperlo.»
«Ma questo non cambia che la compagnia è fra le
prime al mondo, nel giro di otto anni è diventata una vera e propria leader del
campo ed esiste da secoli. Tuo nonno non è scemo, si comporta da idiota, ma non
è scemo.»
«Ti rendi conto che stai quasi parteggiando per
lui, vero?» Drake alzò gli occhi al cielo «Stamani a colazione ne è successa
un’altra…» riprese e raccontò gli avvenimenti della colazione. «Non mi ha dato
contro, non ha detto una parola» concluse.
«E cosa avrebbe potuto dirti? Avevi ragione su
tutta la linea!»
«Già, ma tante volte in passato ho avuto ragione
su tutta la linea e ha sempre avuto qualcosa da ridire. Te lo ricordi l’affare
con quella compagnia araba?»
Drake annuì.
Era successo un paio di anni prima.
Juna aveva favorito una strada e Patrick si era
opposto con tutte le sue forze. Alla fine Connor aveva dato ragione al figlio e
l’accordo aveva dato un netto di parecchi milioni di dollari. In seguito, da un
calcolo di probabilità eseguito da esperti, era saltato fuori che la soluzione
di Juna, anche se più rischiosa, aveva comportato un incentivo del quindici per
cento delle entrate rispetto a quella proposta da Patrick.
Juna si era sentito dire che voleva sempre
strafare.
«Se io fossi in te, ci dormirei un po’ sopra»
disse Drake vagamente preoccupato.
«Per prima cosa dobbiamo pensare a cosa ci aspetta
sabato notte.»
«Come cosa ci aspetta? Una passeggiata no?»
L’aria era tesa e tutti mangiavano in silenzio.
Per Juna questo era uno stato di grazia più unico
che raro… quindi era anche destinato a non durare a lungo.
«Non hai risposto a mia madre stamani.»
Alzò lo sguardo sulla cugina maggiore e sorrise,
«Pensavo di aver detto abbastanza a tuo padre.»
«Hai capito cosa voglio dire. Sei insopportabile,
non stupido.»
«Questo è il primo complimento che mi fai da
quando sono al mondo, sei sicura di stare bene Georgie?»
«Vieni o no?»
«No.»
«Perché no?» chiese Justin.
«Perché no.»
«Non è una risposta» s’intestardì lui.
«Ma ti garantisco è quanto di più intimo saprai
sulla faccenda cugino», ribatté mettendo finalmente in mostra la sua calma
glaciale.
«Ti sembra di comportarti bene Juna?» s’intromise Paul
«Il tuo comportamento mi piace sempre meno, stai alzando un po’ troppo la
cresta per i miei gusti, mio figlio non si permetterebbe mai di…»
Juna sospirò pesantemente, posò le posate e alzò
uno sguardo freddo e cattivo sullo zio che lo fece chetare all’istante.
La voce suonò perfettamente abbinata allo sguardo.
«Cerchiamo di mettere le cose in chiaro una volta per tutte Paul McGregory. E’
già la seconda volta nel giro di ventiquattr’ore che mi rivolgi la parola, e questo piace sempre meno a me. Tuo
figlio non si permetterebbe di alzare la
cresta come dici tu, neanche con il gatto di sua sorella, per il semplice
fatto che senza di te o sua madre alle spalle è più indifeso di un pulcino. Tu
stai facendo del fatto che tuo figlio non sia in grado di difendersi un
orgoglio. Che razza di padre sei? Che
razza di uomo sei? Mio padre mi ha insegnato a non chinare mai la testa, a
lottare per ottenere quello che voglio. Non paragonarmi mai più a tuo figlio e non ti azzardare mai più a dirmi cosa devo o non devo fare. Ho un padre e una madre
per questo che valgono mille volte te.»
Paul aprì bocca più per la sorpresa che per dire
effettivamente qualcosa, ma Juna continuò implacabile «In quasi diciannove anni
di vita ti risulta che sia mai venuto a queste allegre riunioni? Se ti fosse
sfuggito, ti informo che non è mai
successo. Cosa ti ha fatto
pensare che le cose sarebbero cambiate da oggi? Il fatto che non rispondo alle
provocazioni? O che lascio passare le frecciatine su mia madre senza battere
ciglio? Di questo dovete ringraziare solo lei, badate bene. Tiene più lei
all’unità di questa famiglia di voi
che ne portate il cognome dalla nascita e andate in giro a sbandierarlo come
fosse un trofeo. Troppo scomodo per il vostro ego pensare che per dinastia lei
valga molto più di voi, ma è esattamente questa la verità. Per concludere,
zietto, posso anche dirti che il rispetto non è dovuto a nessuno, non è sufficiente nascere McGregory per averlo: bisogna
guadagnarselo e meritarselo, e a questa tavola chi si merita il mio si enumera
nelle dita di una mano, e avanza spazio.» Si alzò con calma dalla sedia «Credo
che dopo questo chiarimento circa i nostri rapporti, con un po’ di fortuna, non
sentirò la tua voce o quella di tua moglie e relativa prole per almeno altre
due settimane, spero solo che la stessa fortuna tocchi anche a mia madre,
perché non sono più disposto a tollerare i vostri giochetti idioti, le uscite
spettacolari e le varie occhiate altezzose e sprezzanti. Spalanca le orecchie
nonno, sto parlando anche con te. Mi sono spiegato bene zio Paul? Da oggi in
poi potrei diventare estremamente cattivo e spiacevole in caso contrario.»
Gettò il tovagliolo sulla tavola, «Credo che salterò il caffè stasera: sono già
abbastanza nervoso.»
Uscì dalla stanza e sulla soglia incrociò Howard,
pietrificato dalla sorpresa.
Howard servì e lasciò la stanza senza praticamente
alzare lo sguardo.
«Alla fine lo avete fatto esplodere.»
La voce di Connor suonò come una fucilata.
Melissa sussultò «Era proprio arrabbiato…» disse a
bassa voce. «Zio Connor, ce l’aveva anche con me?»
«Ma no Lissa, come puoi pensarlo?» rispose Manaar.
Si rivolse inaspettatamente a tutti, «Fino a ieri avrei chiesto scusa per il
suo comportamento, ma mi rendo conto che siamo proprio arrivati al limite. Vado
da lui.»
«Papà» disse Connor mentre la moglie lasciava la
stanza. «Mi sembra evidente che la situazione non è più sostenibile. Per quel
che mi riguarda Juna ha retto anche troppo per il carattere che ha, e ha
mantenuto una calma veramente ammirevole anche nello sfogo…»
«Gli stai dando ragione» disse allibita Lennie. «Il suo comportamento di stasera è
inqualificabile e tu gli dai…»
«Fate silenzio.»
Tutti si voltarono verso Patrick.
«Papà» riprese Connor, «ce ne andremo da Villa
McGregory dopo il fine settimana.»
«Aspetta un attimo Connor» intervenne Madeline.
«Andarvene? E dove?»
«Nell’appartamento che Mansur ha regalato a Manaar
come regalo di nozze, resteremo a Boston mamma, ma non…»
«Sei il maggiore dei tuoi fratelli Connor» lo
interruppe Madeline, «cerchiamo di ragionare da persone razionali.»
«Sarebbe la prima volta che succede da venticinque
anni a questa parte, forse Paul e papà non si ricordano neanche più come si
fa.»
Tutti gli sguardi si puntarono sorpresi su Ryan
che sostenne quelli del fratello e del padre, «Paul, papà, vi rendete conto di
quello che ha detto Juna stasera? Vi rendete conto che mia figlia è nata in una
famiglia in guerra? In guerra contro la persona che le ha salvato la vita? Vi
rendete conto che io e Beth non ce la facciamo più? Che non sappiamo più cosa
inventarle per giustificarvi ai suoi occhi?»
Connor si sentì tirare una manica e abbassò lo
sguardo, Melissa era accanto a lui e piangeva da far pietà senza emettere un
suono. Probabilmente aveva smesso di ascoltare cosa succedeva intorno a lei
alla notizia che avrebbero lasciato la villa.
Si maledisse per non averci pensato.
«Z-z-io… non… non mi portare via Juna, zio ti
prego… tutto ma non… come f-fac-cio io…» singhiozzava lottando per prendere
fiato, si aggrappò con entrambe le manine al suo braccio «portami con voi…
vengo anche io con Juna… p-portami con Juna zio ti prego… come… fa… sarò buona lo prometto, anzi lo giuro… zio…»
Connor si ritrovò a lottare contro le lacrime, la
prese in braccio e la strinse a sé «Buona Lissa, non fare così… troveremo una
soluzione va bene? Ma adesso ti prego smettila di piangere così…»
Ma non c’era verso, era in piena crisi isterica.
«Justin, va a chiamare Juna» ordinò Patrick con
voce malferma.
Manaar entrò senza bussare e trovò il figlio
disteso bocconi sul letto.
«Sì, lo so» esordì con una strana flessione nella
voce, «ho sbagliato.»
«Allora siamo in due ad aver sbagliato stasera.
Avrei dovuto chiedere scusa per il tuo comportamento…»
Juna balzò a sedere come una molla «Non puoi
averlo fatto!!»
«Non ci ho neanche provato, sono troppo orgogliosa
di te.»
«E papà?»
Si sedette vicino a lui «E’ stato il primo a
difenderti.»
«Mamma, è stato più forte di me.»
«Lo so, ma da oggi cambierà tutto, vedrai.»
«Che cambierà è poco ma è sicuro… solo dubito che
cambierà in meglio.»
Manaar scosse la testa, «Qualunque cosa accada,
siamo una famiglia, io, te e papà. E’ questo che conta.»
Juna sorrise, «Da quanto non ti dico che ti voglio
bene?»
«E’ sempre troppo.»
La porta si spalancò e apparve Justin, sconvolto
come mai lo aveva visto in vita sua, «Juna… Juna ti scongiuro torna giù…
Melissa ha… una crisi, non lo so, ma ti prego…»
Juna balzò giù dal letto e si precipitò giù per le
scale.
I singhiozzi accorati della bambina si sentivano
dal pianerottolo del primo piano, Justin stava snocciolando una spiegazione
incoerente alla velocità della luce, ma Juna afferrò quanto bastava: erano nei
guai.
Se non fosse riuscito a calmarla erano in guai
seri.
Entrò nella sala, passando accanto a suo zio Ryan
che era di vedetta, «Melissa?» chiamò.
La bambina quasi cadde distesa in terra per
scendere dalle gambe di suo padre e si precipitò verso di lui ancora prima di
aver raggiunto un equilibrio, inciampando nei suoi stessi piedi diverse volte.
Si inginocchiò spalancando le braccia e l’impatto con quel corpicino per poco
non fece finire disteso in terra lui stesso.
«Juna!» gridò con una voce irriconoscibile «Ti… ti
prego non… non… andare… non andare… no… con me… qui… rimani…»
Fuori dalla
grazia divina.
Per qualche secondo non poté che rimanere ad
osservare senza parole quel fascio di nervi che aveva le sembianze di sua
cugina che si stava arrampicando verso il suo collo, quasi cercando di fondersi
con il suo corpo.
Sua zia Elisabeth e sua nonna piangevano senza
ritegno, suo padre era sconvolto, zia Lennie, suo zio e Georgie erano bianchi
come lenzuoli, suo nonno aveva gli occhi lucidi.
Si voltò verso sua madre e la vide osservare
allibita la nipote, suo zio Ryan era aggrappato alla maniglia della porta,
Justin aveva le spalle al muro e guardava la scena sotto shock.
Non perse neanche tempo a respirare profondamente,
abbracciò la piccina, «Andare? Andare dove?» chiese «Io resto qui, sei tu che
parti domani, e anzi: vedi di tornare alla svelta perché mi hai promesso che
impari a nuotare, ricordi?»
Melissa si immobilizzò all’istante, le manine
artigliate al suo maglione. Si separò lentamente da lui lo stretto
indispensabile per guardarlo in faccia e nei suoi occhi passò l’intera gamma di
sentimenti che vanno dalla sorpresa, al sospetto, alla speranza.
La sua voce suonò di nuovo consona a una bambina
di quattro anni «Tu… tu rimani… qui?»
chiese meravigliata.
Aveva smesso di piangere anche.
Juna tirò fuori il fazzoletto e, dandolo alla
bambina, scoppiò a ridere «Ma certo! Guarda la mamma e la nonna, piangono come
fontane anche loro! Ho il sospetto di essermi perso qualcosa, gente!»
«Lo zio Connor ha detto che… che andavate via»
disse Melissa con una chiara nota di sdegno nella voce, fra le righe aveva
anche detto che pensava che suo zio fosse impazzito.
«Chi?»
«Voi.»
«Melissa, sei certa che non intendesse una pausa
per sé e la zia? Non è la prima volta che se ne vanno un po’ per gli affari
loro.»
La bambina si soffiò rumorosamente il naso, nella
stanza non volava una mosca «Beh, io…» cominciò, poi si rivolse a suo padre
«Zio, intendevi con la zia?» chiese.
Suo padre sorrise debolmente, «Io… sì, certo.»
Fra di loro saettò uno sguardo.
«Oh! … E io che avevo capito…» sorrise raggiante
«ho pianto per nulla!»
«Già, proprio fiato sprecato! E ora a nanna
cucciola, ti aspetta un’alzataccia domani mattina.»
«Vieni a darmi il bacino della buonanotte?»
«Arrivo subito, il tempo di salutare tutti quelli
che partono con te ok?»
«E domani mattina se prometto di non svegliarti
posso venire a darti il bacino del buongiorno e quello del ciao a domenica?»
«Un totale di due bacini? Mh, mi sveglierai di
sicuro.»
Melissa affondò il visino sul suo collo, «No, non
ti sveglio, te li do piano.»
«Va bene tesoro, ma ora vai con la mamma a
prepararti per la notte.»
«Ok, buonanotte a tutti!»
Nessuno le rispose, ma non ci fece caso: il suo
mondo era tornato a posto.
Sua zia Elisabeth si mosse per seguirla e
giuntagli vicino, lo abbracciò. Dopo un attimo di indecisione rispose
all’abbraccio. «Il discorso di stamani è più che mai valido Juna» bisbigliò
appena con voce rotta, poi si allontanò da lui «grazie.»
Quando anche suo zio Ryan scomparve su per le
scale insieme alla moglie e alla figlioletta, Juna si rivolse al padre «Si può
sapere cosa è successo?»
Connor lo guardò un attimo, poi mormorò, «Ho detto
che… che dopo il fine settimana ce ne saremmo andati da questa casa, e
intendevo proprio tu, io e la mamma.»
Manaar si affiancò al figlio e guardò il marito
con affetto.
«Credi che questo sistemi le cose papà?» Allo
sguardo del padre continuò, «Perché se tu veramente pensi che questo basti,
allora ce ne andiamo sul serio.»
«Juna…» cominciò Patrick.
Lo bloccò con un cenno della mano, senza staccare
gli occhi da quelli del padre «Sappiamo entrambi che non basta, vero papà? Non
è sufficiente separarci per fare di noi una famiglia.»
«Juna, vorrei parlarti da solo.»
«Nonno, preferisco far sbollire la rabbia prima di
aprire di nuovo bocca con uno dei brillanti membri di questa casa. Che ne dici
di rimandare dopo questo famoso fine settimana?»
Suo nonno sorrise, «Devo chiamare la tua
segretaria lunedì mattina e fissare un appuntamento?»
Non c’era ironia pungente, per la prima volta in
quasi diciannove anni che lo conosceva, suo nonno stava scherzando con lui.
Gli sorrise come risposta, «Ali sa tutto nonno,
per te non ci sarei mai. Potremmo pranzare insieme, prometto di lasciare il
veleno in ufficio, se tu mi farai la stessa cortesia.»
«Ti passo a prendere in ufficio verso le tredici.»
Nessuno nella stanza poteva credere alle proprie
orecchie.
Capitolo 2 *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 2 ***
Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 2
Non
E’ Mai Troppo Tardi
2
Drake fu puntuale, riservava l’esigua scorta di
puntualità del suo DNA per l’F.B.I..
Scaricò due borsoni e gliene consegnò uno. «Rock
‘n’ roll» fu il suo commento.
Si avviarono al portone principale, «Hai dato
un’occhiata?» gli chiese.
«Ho saputo resistere alla tentazione.»
«Allora non era una tentazione.»
Drake gli rivolse una di quelle occhiate che
avrebbero dovuto farlo sentire un privilegiato in quanto suo migliore amico,
perché solo in quanto tale gli risparmiava di fargli sapere cosa pensasse di
lui in quel momento.
Entrarono e salirono subito in camera sua, «Ok,
togliamoci il pensiero.»
Aprirono i borsoni.
Ognuno di essi conteneva un completo nero
elasticizzato di uno strano tessuto leggero e quasi impalpabile che comprendeva
una tuta intera, un passamontagna, stivaletti e guanti leggeri, poi una
fondina, una Beretta novantadue/fs calibro nove mm Parabellum, silenziatore e
relativo adattatore e infine auricolari con microfono.
Rimasero un attimo in contemplazione del tutto,
poi Drake sospirò «Ecco spiegati quei tempi assurdi: si presuppone che ci si
divida», disse mentre osservava meglio l’apparecchiatura portatile di
comunicazione a distanza. «Testa e croce per chi sta fuori?»
«Chi è entrato l’ultima volta?»
Drake ebbe un brevissimo attimo d’esitazione,
«Io.»
«Allora credo proprio che ti tocchi il parco
stavolta.»
«Un po’ di contatto con la natura non mi farà che
bene.»
Rimise tutto a posto, «Se lo dici tu… bene,
abbiamo solo trentadue ore per mettere insieme un piano perfetto.»
Passarono tutta la mattina davanti alla piantina
del parco e la planimetria della villa.
Era immensa, quasi quanto Villa McGregory, e la
stanza di Estrada si presumeva essere fra le più interne, al secondo piano.
«Abitazioni con più di dieci stanze dovrebbero
essere dichiarate fuori legge» commentò Drake. «Mi spieghi che senso hanno diciannove
stanze? Io mi perderei in una villa del genere.»
«Dopo vent’anni anche qui non vai più in là del
salotto e di camera mia…» ribatté Juna, evitando di sottolineare che, con gli
ultimi lavori, le stanze a Villa McGregory erano salite a venticinque.
Lo gratificò di una smorfia, poi riprese «Penso
ancora che i tempi siano dannatamente stretti.»
«Troveremo una soluzione.»
Dopo pranzo rimasero soli in casa: dietro esplicita
richiesta di Juna, all’intera servitù era stato dato il fine settimana libero.
Si trasferirono sul tavolo da venti persone nella
sala e tirarono le linee generali della situazione.
Verso le quindici squillò il portatile che Juna
aveva accanto, rispose al terzo squillo «Pronto?»
«Ciao tesoro.»
«Mamma! Come va?»
«Bene. Tu?»
«Tutto ok.»
«Che fai di bello?»
«Lavoro.»
Che poi non era una bugia.
Sua madre sbuffò, «Tanto per cambiare eh? E
Drake?»
«Cosa ti fa pensare che Drake sia qui?»
«Il fatto che Jessica mi ha chiesto se voglio un
tot per la pensione completa di suo figlio per questo fine settimana.»
Guardò l’amico, «Tua madre ci ha sputtanato» lo
informò.
Drake scosse la testa, «Dio fa le mamme e poi le
accoppia. Non potevano essere meglio assortite queste due.»
«Digli pure che le mamme in questione pensano lo
stesso dei figli.»
«Lo sa già mamma. Ho coinvolto anche lui
comunque.»
«Me lo immaginavo…» disse qualcosa a qualcuno che
doveva esserle accanto, poi proseguì «Che progetti avete per la serata?»
«Nessuno, usciamo domani. Chi c’è lì con te?»
«Papà e il nonno.»
«Ah… e sei proprio sicura che vada bene?»
«Sicurissima.»
«Sta succedendo qualcosa mamma, ma non riesco a
capire cosa» disse serio.
«Credo che tutto si sistemerà. Ti passo papà.»
«Ok, ciao mamma.»
Breve silenzio, poi la voce rilassata di suo padre
lo salutò allegramente, «Ciao campione.»
«Ciao papà, ti diverti?»
«Da morire. Ti salutano tutti.»
«Capirai, non mi hanno mai visto.»
«Riferirò, saranno contenti di ricevere i tuoi
saluti.»
Rise, «La diplomazia è un tuo pregio che mi era
sfuggito.»
«Raramente, ma ogni tanto capita anche a te di
esserlo, in fondo avrai ripreso qualcosa di buono anche da tuo padre.»
«Vuoi dire a parte l’amore per una donna
stupenda?»
«Soprattutto
quello! La mamma sarà contenta di saperlo.»
«Non le dire niente o si monta la testa…»
«Canaglia», disse trattenendosi a stento dal
ridere.
«Beh, qualcosa di buono l’ho preso anche da te no?
A parte le battute, saluta tutti.»
«Tutti tutti?»
«Mi hai insegnato tu a non essere razzista…»
Questa volta non riuscì a trattenere una risata,
«Hai decisamente ripreso il meglio da me! Ciao pargolo, ci vediamo domenica
sera!»
Riattaccò.
«Come sta tua madre?»
«Sembra bene.»
«Mi fa piacere.» Gli mise davanti la cartina
«Guarda un po’ qui che forse ho avuto un lampo di genio. Vedi, qui c’è
l’entrata principale, qua invece quasi in linea retta dalla parte opposta c’è
il generatore, tutto intorno il parco, mi segui?» Al gesto affermativo
dell’amico si assestò meglio sulla sedia e continuò, «Entriamo scavalcando il
muro a metà strada fra i due obbiettivi, poi ci dividiamo: tu verso l’entrata,
io al generatore. Man mano che incontreremo sentinelle… bang.»
«Odio fare l’avvocato del diavolo, ma se non
incontriamo tutte le sentinelle fuori? Voglio dire, a parte il fatto che per
fare quello che dici attraverseremmo solo mezza circonferenza del parco: questa
parte, da dove entriamo», disse segnandola sulla cartina con un dito. «E’
ragionevole pensare che le sentinelle saranno dislocate su tutta la superficie
del parco non credi? Non riesco a capire poi su quali basi abbiano stabilito il
dislocamento delle sentinelle all’interno della villa. Mi sembra inverosimile
che ce ne siano solo due davanti alla porta di Estrada.»
Negli occhi di Drake passò un lampo che lo stupì.
«Dimentico sempre qualcosa» fu il suo solo commento. «Ma anche io ho qualche
perplessità per le sentinelle all’interno» aggiunse tetro.
«Potremmo seguire il tuo piano, poi tu mi
raggiungerai all’entrata dalla parte diciamo ripulita, è troppo pericoloso
per una persona sola affrontare l’altra parte da sola, e mi aspetterai nascosto
fuori controllando che non arrivino sorprese. Io mi occuperò di quelle dentro.»
Drake annuì.
«Ti va un caffè?»
«McGregory, se non fossi il mio migliore amico e
ti conoscessi come ti conosco, potrei fare la follia di sposarti.»
Juna scosse la testa sorridendo.
Menomale suo padre non era lì ad ascoltare.
A volte lui e Drake sembravano ragionare con lo
stesso cervello… certo a forza di stare insieme il loro senso dell’umorismo ne
aveva risentito!
Quella notte un temporale lo tenne sveglio per un
bel pezzo.
Che aveva Drake? C’era qualcosa che non quadrava
in lui.
Erano le tre passate quando si decise a scendere
in cucina a bere qualcosa… e si scontrò con Drake.
«Cosa ti tiene sveglio?» gli chiese appena lo vide
sulla soglia della porta «Il temporale o il nervosismo?»
«Sei nervoso Drake?»
«Come se non te ne fossi accorto…»
«E’ una missione un po’ strana» concesse prendendo
posto davanti a lui, «ma non ci stai rimuginando sopra un po’ troppo?»
«E se rivoluzionassimo gli orari?»
Juna si fece attento, «Stai veramente chiedendomi
di fare di testa nostra?» chiese lentamente, quasi sillabando le parole.
«Lo so, è follia. Quegli orari sono saltati fuori
da settimane di appostamenti ma…» sospirò, «non lo so. Quello che so è che per
la prima volta tutti e due abbiamo delle perplessità riguardo i dati che ci
hanno dato.»
«Ok Drake, voglio la verità intesi? Cosa stai
covando? Matthew ti ha detto qualcosa che ti ha messo in allarme? Credo di avere
il diritto di saperlo, se corriamo realmente dei rischi.»
Il ragazzo rimase in silenzio, lo sguardo fisso
sul piano di formica del tavolo di cucina.
Lo conosceva anche troppo bene per cercare di
illudersi: Drake stava radunando il coraggio per una confessione in piena
regola.
All’improvviso alzò lo sguardo su di lui e… «Juna,
sono fermamente convinto che la nostra ultima missione sia stata una trappola
in piena regola e che solo un mostruoso colpo di fortuna ci ha impedito di
lasciarci la pelle.»
Gli occhi di Juna si fecero penetranti come un
raggio laser. Ci mise qualche secondo ad assimilare la notizia, poi si alzò,
«Ok amico mio, raccontami tutto, io faccio un po’ di tea… ne abbiamo
decisamente bisogno.»
Drake si rilassò visibilmente e prese a raccontare.
Juna non spiccicò parola, ogni tanto annuiva,
mentre il mosaico andava completandosi con una semplicità che lo portò a
chiedersi dove avesse tenuto il suo geniale cervello nelle ultime due
settimane. Sotto naftalina, dannazione.
Adesso si spiegavano molte cosette.
«… è per questo che alla fine hai dovuto
aspettarmi per ben un quarto d’ora»
concluse.
«Non ci doveva essere nessuno e per una manciata
di secondi non ti hanno beccato?» chiese Juna con l’aria di uno che è convinto
di aver capito male.
Drake annuì, «Mi ha salvato l’essermi impigliato
facendo scattare quel meccanismo che ha aperto la parete capisci? E pensare che
ero convinto che i passaggi segreti esistessero solo nei romanzi. Erano in tre Juna,
erano armati e sapevano che ero lì. Non ti dico la loro sorpresa trovando solo
il cadavere. Hanno ribaltato la stanza per cercarmi, hanno guardato sotto il
letto, aperto gli armadi… sapevano che
ero lì. Hanno anche controllato il cornicione fuori della finestra! Ho
cominciato a temere che alla fine avrebbero preso te che mi aspettavi per
quanto sono rimasti nella stanza. Appena ho potuto mi sono precipitato
dov’eri.»
Juna si passò le mani fra i capelli, «Drake, per
Dio, cosa aspettavi a dirmelo? Lo hai detto a Farlan vero? E lui ha avvertito
Lewing. Con tutti quei particolari non stava rassicurando noi, stava cercando
di tranquillizzare se stesso.»
Drake assunse l’aria del bimbo beccato dalla mamma
con la manina nel vasetto di marmellata, per altro una delle espressioni
migliori del suo repertorio, «Non t’incazzare Mac, so di averla fatta grossa e
non cerco giustificazioni, aspettavo solo il momento giusto. Volevo dirtelo
quando siamo andati fuori a cena, ma dovevamo essere soli. E poi la tua
osservazione di oggi pomeriggio sul fatto delle guardie all’interno della
villa… è stata la prima cosa che ho pensato leggendo la relazione, ma sentirlo
dire ad alta voce da te…»
«Ho visto l’effetto che ha avuto su di te, e ora
capisco il perché.»
Doveva cercare di ragionare lucidamente, c’era in
ballo anche la vita di Drake.
Aveva dell’incredibile per Dio.
«Juna…»
«Dovrei strozzarti lo sai vero?, ma visto che ti
voglio troppo bene e in ultima analisi mi servi, dovrò limitarmi a trovare una
soluzione. Sta bene. Arriveremo alla villa con un bel po’ di anticipo, direi che
verso l’una o le due andrà bene. Seguiremo il piano che abbiamo preparato ed
entreremo tutti e due dentro… dopo di che, andremo letteralmente con Dio.
Scordiamo tutte le notizie di quel dossier. Se qualcosa dovesse andare storto,
andremo da Richard, a questo punto sono certo che nell’evenienza della peggiore
delle ipotesi, ci aspetta. Spero solo che lui sia dalla nostra parte e di non
cadere dalla padella alla brace.»
Drake sembrò andare a sbattere contro un muro. «Veramente
pensi che…??» cominciò allibito.
«So che tendi ad affrontare una brutta notizia per
volta Drake, ma questa è una situazione che va affrontata a trecentosessanta
gradi. Cerca di ragionare: se dobbiamo proprio dirla tutta, chi è in grado di
tenderci una trappola o di mettere qualcun altro in grado di farlo?»
Il suo migliore amico chiuse gli occhi, «Oh merda…
Mac, mi rifiuto di credere una cosa simile. Ci hanno arruolato loro, che senso
avrebbe?»
Juna scosse appena le spalle, «Potremmo funzionare
troppo bene. Potrebbero essere cambiate alcune cose. Chi lo sa?»
«Amico mio, se non possiamo fidarci di Lewing e
Farlan, non usciamo neanche di casa.»
«Qualcuno ci ha traditi Drake, questo non è in
discussione. Darkness e Falcon sono diventati scomodi per qualcuno e fino a
quando non sapremo chi è questo figlio di puttana, non possiamo fidarci
più di nessuno tranne che di noi stessi. Abbiamo preso un impegno e lo
porteremo a termine, ma da adesso fino a quando non avremo le idee chiare,
voglio che tu abbia ben chiara una cosa Drake: io sono l’unico amico che hai e
l’unico di cui ti puoi fidare.»
Drake lo fissò per qualche istante, poi
semplicemente annuì.
In fondo era così da sempre.
Il primo a svegliarsi fu proprio Drake. Erano da
poco passate le ventuno.
Svegliò anche l’amico e decisero di indossare
subito le tute.
Nessuno dei due aveva riposato bene.
Juna stesso si rendeva conto che per essere agenti
segreti avevano vissuto nel mondo dei sogni fino ad allora. Addirittura davanti
all’evidenza di un tradimento, neanche per un attimo Drake aveva messo in
discussione Richard Lewing e Matthew Farlan… eppure erano loro due le persone
più ovvie.
Ci vollero quasi due ore per vestirsi e preparare
le apparecchiature, era evidente che non si sentivano per niente sicuri.
Avevano preso la loro appartenenza all’F.B.I. come
un gioco, ecco la verità, e alla fine si erano svegliati da quel bel sogno.
L’auricolare era ad una sola cuffietta – la destra
- collegata tramite un filo sottilissimo al microfono ultrapiatto della
grandezza di una monetina che restava agevolmente sotto il passamontagna, il
quale, una volta indossato, lasciava scoperti solo gli occhi.
Controllarono le pistole, smontandole e oliandole,
e i caricatori, infine, inserito il caricatore nella pistola e assicurato
quello di scorta alla cintura, le misero nella fondina legata alla coscia.
Provarono i microfoni e Drake lanciò un breve
fischio, «Ti ho a meno di un metro e mezzo, eppure ti sento dall’auricolare.»
«Queste tute devono essere di un particolare
materiale isolante, hai notato come sono leggere? Sembrano una seconda pelle.»
Drake annuì.
Farlan aveva scritto in un biglietto a parte di
averle scelte all’ultimo momento, che erano arrivate in dotazione all’F.B.I.
meno di una settimana prima… e adesso sia lui che Drake si stavano chiedendo se
per caso quella fosse l’ironia finale.
Stavano andando a farsi ammazzare?
«Che ne facciamo dei borsoni?» chiese Drake.
«Ce li portiamo dietro, insieme al cambio di
abiti.»
Uscirono dalla porta di servizio e raggiunsero il
garage dove avevano nascosto la porche nera con la targa falsa e i finestrini
scuri.
Per circa mezz’ora nessuno dei due parlò.
Juna guardava la strada che scorreva veloce sotto
le ruote della macchina e la sua guida era sicura e sciolta come sempre, era
l’aria che li circondava carica di un qualcosa di molto simile alla tensione.
Alla fine fu Drake a parlare «Ce l’hai con me
vero?»
«No Drake, non ce l’ho con te. Capisco la tua
reticenza nel dirmi una cosa del genere: è grave, sono in gioco le nostre vite,
volevi essere sicuro. Pensi che non mi sia accorto che la preoccupazione ti
stava quasi soffocando? Certe cose sono pericolose a prescindere che siano vere
o false… stiamo parlando di una talpa in seno a un dipartimento che conta più
agenti in incognito e sotto copertura di qualunque altro all’interno
dell’F.B.I., dannazione. Se non si tratta né di Richard né di Matthew la
situazione è addirittura al limite della catastrofe. Lascia perdere per un
attimo noi due e la tragedia che sarebbe per le nostre famiglie che non sanno
nulla. Ricordi quella lista? Tutti gli agenti in Libia, in Jugoslavia, in Afghanistan… sarebbe una strage.»
«Matthew, per quello che può valere adesso, mi ha
assicurato che sono al corrente di questa missione solo cinque persone: lui, il
suo braccio destro, Lewing, il capo dell’F.B.I. e il Presidente degli Stati
Uniti…»
«… ma non sono sicuri. Altrimenti Richard non ci
avrebbe messo a disposizione sua madre.»
«Esattamente quello che ho pensato io. Sempre che
quella non sia la trappola se usciamo vivi da quella villa, dannazione!» esplose
dicendo finalmente a chiare lettere e ad alta voce quello che pensavano
entrambi «Come ho fatto a non arrivare a pensare una cosa simile? E’ la più
logica.»
«Ora dobbiamo solo pensare ad arrivare a vedere
l’alba, dopo di che se c’è qualcosa da scoprire, sta’ certo che la scopriremo.»
Si lanciarono un’occhiata.
Arrivarono al muro di cinta poco prima dell’una e
nascosero la macchina. Scesero e, indossati i giubbotti antiproiettile, Drake
prese la corda con gancio dal portabagagli.
Guardarono un attimo i lacrimogeni che giacevano
sul fondo, poi i loro sguardi s’incrociarono.
Drake chiuse il bagagliaio con un tonfo sordo.
Non c’era che dire: l’automobile era stata ben
equipaggiata.
«Dimmi il punto da scavalcare, sei molto più bravo
di me con i calcoli spazio-aria.»
Juna si guardò intorno mentre quel computer che
era il suo cervello si mise in moto.
Avevano superato il cancello e girato intorno alla
villa per circa trecento metri, tenendo conto che il cancello era a circa
centocinquanta metri in obliquo rispetto all’entrata… «Dobbiamo spostarci di un
altro centinaio di metri verso destra o ci troveremo troppo distanti dal
generatore.»
Drake annuì e si mossero silenziosi e fulminei.
Quando Juna gli fece cenno che era il punto
giusto, si fermò e lanciò la corda che attaccò alla prima.
Si arrampicarono e saltarono dall’altra parte. Non
si curarono della corda, con un po’ di fortuna gli sarebbe servita di nuovo
alla fine della storia e, accovacciati sul manto erboso si guardarono intorno
per mandare a memoria tutti i possibili particolari del luogo per poi poterlo
ritrovare.
«Si dice di andare?» chiese Drake.
«La minima cosa che non ti torna, avvertimi.»
«Mi hai tolto le parole di bocca…»
«Drake.»
«Cosa?»
«Tieni questi.»
I piccoli pugnali ninja
luccicarono sotto un improvviso raggio di luna.
Sentì il respiro del suo migliore amico
bloccarglisi nei polmoni. «Dove li hai
presi?» chiese.
«Ho le mie scorte personali Tyler. Ne abbiamo
dieci per uno.»
Drake scosse la testa, «Mac, ecco perché sono
sempre pronto a mettere la mia vita nelle tue mani…»
«In bocca al lupo.»
«Crepi.»
Estrassero le pistole e tolsero le sicure, poi
scattarono nelle due direzioni opposte.
La luna era andata in vacanza quella notte,
probabilmente vi erano ancora le nuvole della notte prima.
Per fortuna i suoi occhi si abituavano subito
all’oscurità, ma se si fosse messo a piovere - anzi a diluviare – come
la notte precedente, sarebbero stati dolori.
All’improvviso la voce di Drake gli diede una
bella notizia, «E cinque… mi sento tanto come un bambino davanti al bersaglio
al luna park, anche se qui non ci saranno orsacchiotti in omaggio.»
C’era decisamente qualcosa che non quadrava per la
miseria, in poco meno di trentacinque minuti Drake aveva incontrato e ucciso
cinque guardie, lui non aveva ancora visto un’anima!
Che accidente di sorveglianza era quella?!
«Sta’ attento Drake.»
«So cosa vuoi dire… vedi qualcuno in giro?»
«Neanche un cane.»
«E’ una situazione di merda Juna, se c’è un po’ di
istinto animale in te, è ora di tirarlo fuori.»
Sorrise «Hai anche tu la netta sensazione di
essere troppo in anticipo?» Drake gli rispose con un verso a metà fra il
sospiro e il ringhio. «Ho capito. Avvertimi quando hai scollegato l’allarme.»
Continuò a procedere lento e guardingo.
All’improvviso sentì un brusio distante ed
incomprensibile, si bloccò appiattendosi contro un grosso albero e rimase
immobile. Qualunque cosa fosse, puntava verso di lui.
Alla fine distinse due voci e nel suo campo visivo
entrarono due figure precedute da un fascio di luce… e la prima sorpresa della
serata.
Cani. Stramaledizione,
due dobermann.
«Io non capisco tutta questa fretta» stava dicendo
quello più alto in uno spagnolo biascicato accendendosi una sigaretta. «Prima
delle quattro e mezzo non si vedrà nessuno, è appena l’una e mezzo e mister
F.B.I. se la faceva già sotto dalla paura!»
«Già, quei due devono essere autentici fenomeni.
Io non capisco perché vogliono fare fuori i loro agenti migliori, da quello che
ho capito, elementi del genere servirebbero a noi!» Dette una risatina bassa ed
estremamente sgradevole «Ma sarà comunque un gioco da ragazzi farli fuori
quando arriveranno! Calcola che non sanno dei cani e che già per le tre avremo
organizzato il comitato di accoglienza… quasi quasi mi vergogno di essere
pagato stasera!»
«Non ti nascondo che sono curioso di vederli in
faccia questi due» continuò l’altro, «per mettere il pepe al culo a uno come
Carlos devono essere davvero delle belve! Sai cosa ho sentito dire…?»
Per un attimo scordò il problema dei cani e una
rabbia sorda s’impossessò di lui. Drake aveva visto giusto! Era una dannata
trappola! Se avessero eseguito alla lettera le istruzioni ricevute sarebbero
stati ammazzati senza possibilità di difendersi.
Un pensiero lo colpì: perché i cani non sentivano la sua presenza? Se ne stavano
tranquilli vicino ai due uomini, a meno di quattro metri da lui.
Lizar e Dragar lo sentivano appena passava il
cancello.
Chiuse gli occhi e si sentì improvvisamente più
leggero. Ringraziò mentalmente Matthew e le sue improvvisazioni: la tuta, ecco cosa lo stava proteggendo.
Tirò fuori due pugnali ninja.
Con l’altra mano impugnava la pistola.
Essere ambidestro tornava veramente utile a volte.
Anche le lezioni di piano che aveva preso fino a tre anni prima lo avevano
aiutato non poco a disconnettere le mani l’una dall’altra.
Agì come un ciclone e in pochi secondi quattro
corpi senza vita giacevano ai suoi piedi.
«Drake.» La rabbia era troppo violenta per essere
trattenuta o nascosta «Drake, ascoltami bene, siamo nei guai.»
«Juna? Ma cosa…?»
In poche parole gli spiegò cosa aveva scoperto, la
novità dei cani e quanto dovessero ringraziare Matthew, «Il problema è che non
so quanti cani ci sono, e tanto meno sono sicuro di quante guardie ci siano
rimaste… e calcola che stanno organizzando un comitato di accoglienza.»
Drake bestemmiò, «Sono davanti al generatore da
almeno cinque minuti Juna e ora capisco: l’allarme
è scollegato, ci ho messo una vita a capacitarmene! Questi figli di puttana
non hanno neanche perso tempo ad attivarlo per quanto erano sicuri di farci
fuori! Fra quanto sei all’entrata?»
A parte il fatto che fosse incazzato nero percepì
lo stesso sollievo nel suo tono.
Matthew poteva essere ragionevolmente pulito… a
meno che non avesse voluto coprirsi le spalle all’ultimo momento.
«Dieci minuti scarsi.»
«Aspettami lì.»
«Occhio ai cani Drake, non ti sentono, ma possono
vederti. E sono dei dobermann, sai cosa voglio dire.»
«Stai tranquillo amico mio, ho visto i tuoi
cuccioli in azione.»
Appena un quarto d’ora dopo erano entrambi
acquattati a una trentina di metri dall’entrata principale, un grosso e pesante
portone di legno.
«I quattro cani siamo costretti a ucciderli tutti»
cominciò Juna, «uno degli uomini deve sopravvivere il tempo utile per dirci
quel nome Drake, voglio quel nome.»
«Scegli compare, quale vuoi che sopravviva?»
chiese indicando con un gesto della mano i quattro uomini che stazionavano
davanti al portone.
Potevano saperlo tutti o nessuno, a quel punto
scelse l’alternativa più pratica per loro.
«Quello con il giubbotto di jeans.» Era il solo non
armato, tratteneva due cani.
«Scelta lungimirante. Tu gli uomini, io i cani?»
Gli annuì. «Grazie.»
«Figurati.»
Stavano per muoversi, quando Drake vide un
qualcosa di così incredibile che per qualche secondo riuscì a convincersi di
avere le allucinazioni.
Afferrò l’amico per un braccio, «J-Juna, hanno un
ostaggio» farfugliò senza crederci neanche lui.
«Cosa? Ma dove lo vedi?»
«Tu quella specie di puffo legato ed imbavagliato
come lo definiresti?»
«Tu prendi l’uomo e fatti dire il nome, io mi
occupo del bambino. Stanno andando via Drake, muoviamoci!»
Saettarono fuori della vegetazione e coprirono la
distanza che li separava dall’ingresso in pochi secondi.
Tutti i bersagli scelti furono colpiti a morte.
Il ragazzino rimase inchiodato al suolo, due
occhioni azzurri sgranati e terrorizzati.
L’altro si guardò intorno come se non ci credesse
e Drake gli fu fulmineamente addosso con un allegro “Sorpresa!”, che ovviamente sentì solo lui, per poi trascinarlo
lontano da loro.
Il bambino lo guardava con un misto di stupore e
curiosità. «Tutto ok cucciolo», disse mentre gli toglieva il bavaglio «non
vogliamo farti del male.»
Lo sguardo non cambiò, se si esclude un lampo di
paura.
Dannazione, il passamontagna, non lo sentiva.
Si liberò la bocca e ripeté il concetto, «Stai
tranquillo piccolo, non vogliamo farti del male.»
«Mi-mi portate a casa?» chiese in un bisbiglio.
Aveva sì e no l’età di Melissa.
«Come ti chiami?»
«Michy… cioè, Michael.»
«E poi?»
«Flalagan.»
S’impose la calma, in fondo non c’era un solo
Flalagan in tutta Boston… quell’improvviso pessimismo era a causa delle brutte
notizie che gli aveva dato Drake.
«Come si chiama tuo padre?»
«Jeremy… e la mamma Sarah e mia sorella Jennie…
Jennifer.»
Per un attimo gli mancò il respiro, poi dovette
fare uno sforzo notevole per reprimere una bestemmia: il governatore per
l’appunto si chiamava proprio Jeremy Flalagan, ed era troppo realista per
cercare di convincersi che esistesse un altro Jeremy Flalagan sposato con una
Sarah e con una figlia di nome Jennifer.
Che razza di nottata!
Drake tornò «Ho il nome» annunciò torvo. «Non mi
dice niente, ma il tizio mi ha confermato che era uno dell’F.B.I..»
E ancora non sapeva il resto…
Rimise a posto il passamontagna, «Bene, me lo
dirai dopo. Il piano è cambiato, io entro e tu torni subito in macchina con
lui. Ti spiegherò tutto dopo.»
Drake non sembrò molto contento della cosa, «Juna…»
Ecco un bel problema.
«Per parlargli libera la bocca o non ti sente e
ricordati di usare i nostri nomi in codice in sua presenza, potresti
scordartene quando non hai il passamontagna. Non ti azzardare a chiamarmi Juna
davanti a lui, intesi?»
«Non ci sono altri cani dentro, ma sei uomini
oltre Estrada e sono armati fino ai denti.»
«Ora che lo so, saprò regolarmi di conseguenza.
Drake, non possiamo portarci dietro il bambino là dentro e non possiamo
lasciarlo qui, è spaventato a morte. Dammi retta. Tu poi neanche capisci lo
spagnolo, sapere cosa dicono aiuta parecchio. Torna alla macchina con lui, come
senti gli spari in aria…»
«Come farò a sapere che sono spari in aria e non
contro di te?»
A volte Drake aveva più domande di un bambino di
tre anni. Lasciava Michael in buona compagnia.
Attinse dal suo arsenale di pazienza, «Quelli che
sparerò io saranno al di fuori della villa e li sentirai, quelli all’interno
della villa non li sentirai: hai letto anche tu che le pareti sono
insonorizzate, ricordi?»
«Come pensi di uscire dal parco? Sarò costretto a
tirare la corda dall’altra parte uscendo con lui e non è detto che la ritrovi
se la lancio alla cieca, hai imparato a volare stanotte? Sarai completamente…»
«Troverò un’altra uscita, vieni a prendermi al
cancello.»
«Quanto coprono di distanza questi auricolari?»
«Temo solo il perimetro del parco della villa
Drake, non era nei piani dividersi così tanto.»
«E’ una follia Juna, là dentro niente potrebbe
essere come te l’aspetti.»
«Dovrò rischiare. Drake, non perdiamo tempo
inutilmente: non è in discussione che il bambino debba uscire subito dal
perimetro del parco, ok? Non abbiamo altra scelta. Appena senti gli spari, porta
la macchina al cancello e aspettami lì.»
Detto questo si girò verso il portone.
Drake lo bloccò per un braccio, «Aspetta accidenti
a te. Dammi la tua pistola, prendi la mia e il mio caricatore di riserva.»
«Tu pensi di difenderti a parolacce?»
«Li abbiamo uccisi tutti, restano solo quelli
dentro, e preferisco che i proiettili avanzino a te. Tu hai sparato meno di me,
la tua pistola è più carica: ho sparato alle cinque guardie, poi abbiamo usato
i pugnali, tu hai sparato solo alle due guardie, per i cani hai usato subito i
pugnali. Non rimarrò indifeso.»
Ci pensò qualche secondo, «Ok», disse prendendo la
pistola e il caricatore, «porta via il bambino.»
Sparì dentro il portone.
«Testone incosciente…» bofonchiò. Si alzò il
passamontagna il minimo indispensabile per liberare la bocca, «Come ti chiami
campione?»
«Michael.»
«Ok, vieni con me.»
«E il tuo amico?»
«Ci raggiungerà fra poco» rispose sperandolo con
tutto se stesso.
«Va dall’uomo cattivo vero? Da Carlos.»
«Può darsi, ha qualche importanza?»
«Se ti chiedo come ti chiami non me lo dici vero?»
«No piccolo, non posso.»
«Tu e lui non siete cattivi.» Gli tese la manina
«Vengo con te.»
Mentre si avviava verso la vegetazione con quel
puffo appeso alla mano cominciò a chiedersi come accidenti pensava di ripassare
dall’altra parte del muro con lui.
Eppure Juna aveva ragione: c’erano tutta una serie
di follie da fare e non avevano altra scelta.
Il cancello di ingresso era troppo normale
e poi forzare la serratura avrebbe richiesto tempo e rumore… e comunque per raggiungere
la macchina sperando di non essere visto doveva per forza uscire da dove era
entrato.
Quel bambino non ci voleva proprio.
«Michael, hai mai scalato un muro?» Al cenno
negativo del bambino sorrise, «Non è mai troppo presto per cominciare. Tu dovrai
solo tenerti molto forte, ok?»
Michael annuì.
Si rimise il passamontagna. «Amico mio, mi senti?»
Lo accolse un buio totale e un piacevole fresco.
Non era affatto tranquillo. Da quel momento era
solo ed era la prima volta che succedeva da quando lui e Drake si erano
imbarcati in quell’avventura.
La voce di Drake lo raggiunse in cuffia «Amico
mio, mi senti?»
«Per ora sì.»
«Mi sto avviando al muro. Proverò a ricontattarti
solo appena passato il muro… probabilmente per avere la conferma che non sarai
più raggiungibile, maledizione. Concentrati su quello che devi fare ed esci
vivo di lì, perché solo io posso smontarti, intesi?»
«Intesi.»
Recuperò nella memoria la piantina della villa,
sperando sempre che fosse… aggiornata.
Capì subito verso dove doveva dirigersi, ma i
primi due problemi apparvero nel salone d’ingresso.
I due uomini rimasero talmente scioccati
intravedendolo alla luce delle torce che fece in tempo a raggiungerli e
ucciderli con una pugnalata alla gola.
Quanti ce ne dovevano essere? Sette?
Salì velocemente lo scalone che portava al piano
superiore e appena arrivato nel pianerottolo si scontrò con il terzo problema.
Gli ruppe semplicemente l’osso del collo, stordendolo prima con il calcio della
pistola.
Era abbastanza evidente che non lo aspettassero
così presto… neanche erano armati.
Arrivò senza ulteriori problemi davanti alla porta
della camera di Carlos… sempre, per inciso, che fosse veramente quella
la stanza di…
La sua attenzione fu catturata da delle voci in
fondo al corridoio.
Le seguì raso al muro e vide della luce filtrare
attraverso una porta socchiusa. Sembrava che gli assenti all’appello fossero
tutti lì.
Aveva il caricatore praticamente pieno di Drake
nella pistola e in ogni caso lo sapeva cambiare a velocità record se la
situazione lo richiedeva.
Sei solo adesso, Dio solo sa se la
situazione lo richiede.
Si avvicinò ancora di più alla porta… gli
conveniva entrare e aprire il fuoco? Non sapeva la dislocazione dei bersagli
nella stanza.
«Carlos, saresti dovuto andare via con Diego e Migũel»
disse la voce numero uno.
«Non mi sarei perso lo spettacolo per niente al
mondo Ernando» rispose la voce di Carlos Estrada, perché doveva essere per
forza lui a rispondere.
Serrò la mascella imponendosi la calma… lo avrebbe
vissuto in diretta lo spettacolo, quel figlio di puttana, poteva scommetterci.
«Sono dei sicari, Flyer è stato chiaro, più che
per l’F.B.I. lavorano per chi li ha arruolati… siete proprio sicuri che non sia
il caso di provare ad averli dalla nostra?» chiese la voce numero due.
«Ci hanno creato troppi problemi» disse la voce
numero tre «e poi come tradiscono l’F.B.I. potrebbero tirarlo in culo a noi.
No, meglio toglierli di torno.»
«Sante parole» disse Ernando. «Mi addormenterò più
tranquillo sapendo quei due al Creatore.»
Dalle voci dovevano essere raggruppati… seduti
intorno ad un tavolo o forse su un divano e delle poltrone vicine.
Erano così gentili da voltare anche le spalle alla
porta?
«Come siamo messi con il governatore?» chiese
all’improvviso Carlos «Sono stanco di avere il moccioso fra i piedi.»
«Se lo uccidiamo adesso dovremo trovare un posto
per nasconderlo a dir poco a prova di bomba Carlos» disse la voce numero due.
«Quel ragazzino è l’unica motivazione che potrebbe convincere Flalagan a non
firmare quella legge.»
«Io mi sarei divertito molto di più con la
figlia…» aggiunse la voce numero tre.
Senza rendersene conto accarezzò la canna della
pistola… lo avrebbe fatto divertire lui adesso.
Le risatine che seguirono quel commento gli fecero
venire l’impulso di irrompere nella stanza.
Si riscosse sorpreso… che gli stava succedendo?
Ricordava Jennifer… era un pulcino spaurito quando
avevano passato quella vacanza insieme alle loro famiglie alle Hawaii, non
sarebbe sopravvissuta un quarto d’ora con quegli animali.
La decisione fu immediata.
Spinse appena la porta e si piantò sulla soglia.
Lo accolse il silenzio più assoluto e due paia di
occhi che si sgranarono fino all’inverosimile.
«Ma che accidente…» cominciò la voce numero tre,
poi si girò e lo vide.
Carlos, lo riconosceva per averlo visto in foto,
lo guardò come se non ci credesse.
Per sfizio sparò subito in testa alla voce numero
tre.
Lo sparo fu seguito dal silenzio più assoluto.
Poi fu la voce numero due a balbettare, «Non… non
è possibile… non puoi essere davvero…»
Sparò anche a lui, al cuore colpendolo in pieno.
Avevano avuto la gentilezza di mettersi già in
posizione da plotone di esecuzione…
Puntò la pistola contro Ernando, che tese le mani
in avanti, «No! Ti scongiuro! Non f…!»
Sparò anche a lui.
Occhi-cuore occhi-cuore.
Le più classiche esecuzioni.
Il silenziatore rendeva ogni detonazione come un
palloncino che si sgonfia tutto insieme, ma nel silenzio assoluto sembrava un
boato.
Puntò la pistola contro Carlos.
«Aspetta…» disse Carlos. «Capisci la mia lingua?»
Voleva parlare? Ok, anche i condannati hanno
diritto ad un ultimo desiderio.
Annuì con la testa, sempre tenendolo sotto mira.
«Stammi a sentire… posso darti molti soldi.
Chiedimi quello che vuoi.»
Gli sarebbe scoppiato a ridere in faccia se avesse
avuto la soddisfazione che lui lo vedesse.
Scosse la testa.
Carlos storse la bocca in un sorrisino tirato,
«Sono il solo rimasto vivo in questa casa, vero?»
Alzò la mano libera facendogli segno che erano in
due.
Carlos ebbe uno sbuffo, «Hai anche senso
dell’umorismo. E il figlio del governatore? Lo avete già ripreso?»
Annuì.
Aveva molta flemma quell’uomo. Sembrava non aver
paura.
«Come dannazione avete fatto a capire che era una
trappola?»
Scosse le spalle, era la vita.
«Già che sono un uomo morto potresti toglierti il
passamontagna. Voglio guardare in faccia chi ammazza quattro uomini disarmati.»
O era molto coraggioso o…
Qualcosa lo mise in allarme, senza pensare piegò
il braccio che teneva la pistola sopra la sua spalla e fece fuoco alle sue
spalle, all’altezza della sua testa, colpendo alla cieca.
Ebbe la soddisfazione di udire un gemito seguito
da un tonfo sordo.
L’uomo aveva chiaramente mentito a Drake.
In quanti erano allora?
A quanti stronzi stava voltando le spalle?
S’impose la calma.
Vide Carlos cambiare colore per la prima volta… ne
dedusse che l’uomo aveva visto cadere a terra la sua sola speranza.
Alzò il passamontagna per liberarsi la bocca,
adottò il suo timbro di voce più soave. «Flyer non ti ha avvisato che ho gli
occhi anche di dietro? Peccato. Tanto per chiarire: sei disarmato perché sono
arrivato prima che ti armassi, gran figlio di puttana. Non farmi discorsi
sull’etica e l’onore Estrada, sei l’ultima persona al mondo che può parlarne.
Nei tuoi piani sarei dovuto essere io quello massacrato, vero? Dieci persone e
quattro cani da guardia contro due persone totalmente impreparate ad
un’imboscata: era questo il tuo onorevole piano, vero? Ti do una notizia in
esclusiva: ti è andata male. Appena ho un attimo di tempo mi occuperò anche del
tuo aggancio all’interno dell’F.B.I. e ti posso garantire una cosa: i tuoi
fratellini si troveranno con il culo scoperto e io sarò lì pronto a prenderli a
calci.»
Sparò anche a lui e chiuse virtualmente la
missione.
Si tirò di nuovo giù il passamontagna ed eseguì
una rapida perlustrazione della stanza.
Scorse velocemente i documenti sul tavolo in fondo
alla stanza, si rese conto che erano le planimetrie della villa e decise di
lasciarle dov’erano.
Dopo un’ultima occhiata in giro uscì dalla stanza
e ripercorse a ritroso la strada che lo aveva condotto lì.
Quando dopo i quaranta minuti più lunghi della sua
vita, durante i quali non si maledì mai abbastanza per aver dato retta a quella
testa matta del suo migliore amico, sentì gli spari, mise in moto la macchina e
si diresse verso il cancello.
Aveva dovuto spostare la macchina in una stradina
piccola e mal illuminata, aveva cercato di avvicinarsi il più possibile al
cancello… ma gli sembrava sempre di esserne troppo lontano.
Da quel momento in poi avevano i secondi contati,
sempre sperando che gli agganci di Matthew fossero già ai loro posti.
Guardò l’ora, forse sì.
«Andiamo a prendere il tuo amico?»
La voce di Michael lo fece sussultare.
Con il fatto che si fosse placidamente appisolato,
si era quasi scordato di lui.
«Sì Michael, vuoi farmi un favore? Rimettiti a
dormire, non avremo molto tempo per te.»
Si coprì di nuovo la bocca abbassando
completamente il passamontagna.
Il bambino si rimise buono buono sdraiato sul
sedile posteriore.
Arrivò al cancello in meno di dieci minuti e Juna
lo stava giusto scavalcando.
Per chissà quale miracolo non si ruppe niente
saltando a terra da un’altezza impossibile.
Quando entrò in macchina cominciò a rilassarsi di
nuovo.
«Tutto a posto, parti.»
Partì con una sgommata.
«Stai bene?»
«E’ stato un gioco da ragazzi, non mi aspettavano
così presto.»
«Quanti erano?»
«Uno in più rispetto a quanto ti hanno detto.»
Le mani di Drake si serrarono intorno al volante,
«Quel figlio di puttana… sei sicuro di stare bene?»
«Sono illeso, stai tranquillo. Mi è arrivato alle
spalle ma gli ho sparato colpendolo anche senza vederlo.»
Drake sbuffò, «Gli addestramenti di Cip e Ciop
fanno miracoli.»
«Non ho neanche dato un’occhiata in giro per
vedere se ci fosse ancora qualcun altro all’interno della villa.»
«Non ti sei neanche messo un bersaglio sulla
schiena, perché avresti dovuto comportarti come se lo avessi?»
Sentì la risatina di Juna, «Sei esilarante quando
sei incazzato, lo sai?»
Cosa lo tratteneva dallo strangolarlo? Decise di
ignorare il commento.
«Che ne facciamo di lui adesso?»
«Lo riportiamo a casa.»
«Nel quoziente duecentosessanta c’è inclusa la
chiaroveggenza? Come fai a sapere dove abita?»
«Prima ti faccio io una domanda: hai avuto
problemi a portarlo fuori di lì?»
«No, figurati. Mi si è avvinghiato addosso e non
ha respirato fino a quando non abbiamo toccato terra dall’altra parte.»
«E’ il figlio del governatore.»
«Cosa?»
«Fermati a quella cabina.»
«Chi chiami?»
«Farlan, la talpa si chiama Flyer vero?»
«Ti faccio una domanda idiota: chi te lo ha
detto?»
«Li ho sentiti parlare.»
«Colin Flyer a voler essere precisi.»
«So cosa stai pensando Drake, ma a prescindere dai
sospetti dobbiamo essere realisti adesso: deve arrivare per primo alla villa,
fa parte del piano, non possiamo essere sicuri che i suoi agganci siano pronti
a quest’ora.»
«Sai vero che potrebbe arrivare per primo per
trovare il modo di incastrarci.»
«E’ un rischio che dobbiamo correre. La contro
partita sarebbe l’aver fatto tutto questo per niente.»
Drake accostò senza fiatare.
Juna entrò nella cabina, parlò meno di due minuti
al telefono e rientrò in macchina.
«A casa del governatore ora, ti dico io dove
andare.»
«Non possiamo farci vedere.»
«Ci penso io. Conosco bene quel posto, mio nonno
conosce Jeremy Flalagan da quando è nato, con suo padre andavano a scuola
insieme. Io è da circa sei anni che non li vedo, sapevo della nascita di
Michael, ma non lo avevo mai visto prima. Lascerò il bambino sulla soglia di
casa e gli chiederò di contare fino… beh, fino a dove può arrivare, speriamo
arrivi fino a trenta o quaranta, prima di bussare.»
«Se non sa ancora contare, digli di cantare per
venti volte di seguito la sigla del suo cartone preferito. Io non so chi me lo
fa fare di darti retta, abbiamo fatto più cazzate in una nottata che nel nostro
ultimo anno di vita.»
«Pensa a che noia sarebbe la nostra vita
altrimenti.»
Drake decise di ignorarlo. «Che facciamo dopo?»
«Andremo da Richard, Matthew ci raggiungerà lì.»
Michael lo seguì docile.
Lo vide illuminarsi quando riconobbe la propria
casa e la stretta di quella manina nella sua si serrò.
«Mi avete davvero riportato a casa… grazie»
mormorò con le lacrime agli occhi.
Lo guidò dietro una siepe e il bambino lo seguì
fiducioso, anche se si allontanarono dalla casa.
Si liberò la bocca dal passamontagna e si accucciò
accanto a lui. «Michael, devo chiederti un favore.»
«Dimmi.»
«Per motivi che non posso spiegarti, per niente al
mondo i tuoi devono vedere me o il mio amico. Ti accompagnerò fino alla porta,
poi dovrai contare fino a cinquanta prima di suonare il campanello o farti
sentire.»
«So contare fino a dieci senza sbagliare.»
«Ok, allora conta fino a dieci per cinque volte.
So di chiederti molto perché tutto quello che vuoi in questo momento è rivedere
il tuo papà, la tua mamma e la tua sorellina… ma devi lasciarmi il tempo di
mettermi al sicuro.»
L’espressione di Michael si fece corrugata, «Sei
in pericolo?»
«Potrei esserlo se qualcuno mi vede.»
«Conterò fino a dieci per cinque volte e lo farò
lentamente. Te lo prometto.»
Lo spettinò in un gesto d’affetto che sorprese lui
per primo.
Michael si limitò a gettargli le braccia al collo
e baciarlo sulla guancia lasciata scoperta dal passamontagna alzato, «Grazie
guerriero. Grazie anche a quello che mi ha portato oltre il muro, ho avuto
paura, ma sapevo che non mi avrebbe fatto cadere.»
Gli annuì e rimise a posto il passamontagna, poi
lo prese di nuovo per mano e lo accompagnò davanti alla porta.
Lo lasciò davanti alla porta e si allontanò.
Quando si voltò arrivato al cancello, Michael lo
stava ancora guardando, una manina sprofondata nella tasca dei pantaloni e una
davanti alla bocca… neanche aveva iniziato a contare.
Capitolo 3 *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 3 ***
Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 3
Non
E’ Mai Troppo Tardi
3
L’alba li sorprese a pochi chilometri dalla mamma.
Avevano deciso di non cambiarsi fino a quando non
fossero arrivati da Richard, anche se era più probabile che attirassero
l’attenzione così conciati che vestiti da ragazzi normali. Fortuna voleva che
oltre al fatto di avere una macchina con i finestrini scuri, la villa fosse
isolata, quindi una volta passata la highway che era ancora buio, il problema
si era risolto da solo.
Il problema che non erano riusciti a risolvere per
motivi di tempo - e che li aveva convinti a non cambiarsi subito - era che
Matthew, quando gli avevano telefonato, non era certo che Richard fosse solo
nella villa, e per nessuna ragione al mondo qualcuno doveva vederli in viso.
Matthew non aveva neanche accennato al fatto di
avvisare Richard del loro arrivo, dicendo che, considerati i precedenti, nella
peggiore delle ipotesi li stava aspettando… di solito una trappola non era così
tranquillamente pubblicizzata.
Non ci stavano capendo più niente.
Il problema riguardo al quale nessuno dei due
aveva la più pallida idea di come trovare una soluzione era che alla fine
qualcuno li aveva visti: un bambinetto di tre o quattro anni, terrorizzato a
morte, figlio del migliore amico del nonno di Juna.
Soprattutto Drake era preoccupato, perché lui
aveva il cento per cento di possibilità di poter evitare di incontrare di nuovo
il bambino… ma Juna?
Quando arrivarono alla villetta si resero conto di
quanto fosse effettivamente una copertura perfetta: nel vederla nessuno avrebbe
potuto immaginare cosa si nascondesse dietro di lei.
Il garage era chiuso e, al rumore della macchina, Richard
apparve sulla porta.
«Secondo te cosa ci fa alzato e vestito a
quest’ora?» chiese Drake.
Come risposta Juna tolse la sicura alla pistola.
Dopo un momento di chiaro smarrimento, il generale
alzò la saracinesca e gli fece segno di entrare. Chiuse il garage dietro di
loro e gli si fece incontro.
Juna e Drake uscirono insieme dalla macchina e si
piantarono spalla contro spalla contro il cofano posteriore.
All’apparenza, Richard Lewing era completamente
disarmato.
Drake mantenne lo sguardo basso.
«Per favore, non me lo dite» esordì. «Che ci fate
qui a quest’ora, è saltata la missione?»
«Ho ucciso Estrada due ore e mezzo fa» rispose Juna.
«Ho subito avvisato Matthew. Il problema non è quello.»
«Siete feriti?»
Juna scosse la testa.
Richard chiuse gli occhi, «Allora è semplicemente
il mio peggior incubo diventato realtà. Era veramente una trappola? Immagino
che Matt sia dovuto correre alla villa per l’anticipo con cui si è svolta la
cosa. Volete un caffè? Fatevi una doccia per prima cosa, e cambiatevi, il bagno
è al secondo piano a destra. Poi mi racconterete tutto. Dovete essere furiosi
con noi.»
Drake alzò lo sguardo su di lui e… «Ti spiace se
mi faccio la doccia per primo? Tu tieni d’occhio lui.»
Sparì lasciando Richard a bocca aperta. «Tenermi
d’occhio?» ripeté. Poi, fu evidente il momento in cui capì il significato di
quella frase… il generale Richard Lewing cambiò letteralmente colore «Pensate
che io e Matt…???» esplose.
«Andiamo dentro Richard, e fammi il favore di non
fare mosse azzardate.»
Il generale Richard Lewing lo precedette sotto
shock.
Rimase in silenzio per tutto il tempo, seduto a
testa china sul divano.
Quando Drake entrò nella stanza andò lui a farsi
una doccia e al suo ritorno Richard non si era mosso.
Prese posto accanto a Drake e Richard alzò lo
sguardo, «Avete intenzione di uccidermi?» chiese.
Li ritenevano veramente capaci di tutto.
D’altra parte la cosa più logica sarebbe stata davvero
uccidere sia lui che Matthew e ritenere la parentesi nell’F.B.I. conclusa.
«Toglimi una curiosità Richard» disse Drake, «se
non vi aspettavate qualche ulteriore sorpresa, perché hai detto a Juna che eri
qui? Ti rendi conto che abbiamo pensato che l’attirarci qui fosse l’ultima
spiaggia nel caso fossimo usciti anche stavolta vivi dalla missione?»
«Richard, ci avete mandato al macello per due
volte di seguito» riprese calmissimo Juna. «Ciaspettavano dannazione, ho sentito con queste orecchie che eravamo condannati a
morte. Il che significa che se avessimo seguito alla lettera gli orari
che ci avete dato tu e Farlan, ci avrebbero massacrato.» Si alzò «E visto che
ci sei, potresti anche spiegarmi cosa ci faceva lì il piccolo Michael
Flalagan.»
Il generale si rianimò, «Il figlio del…?? Era lì??
Dov’è adesso?»
«Lo abbiamo riportato a casa» rispose Drake.
Lewing si passò le mani fra i capelli, «Sono mesi
che gli diamo la caccia. Questa proprio non me l’aspettavo… cioè, mi sembra un
miracolo. Più di una volta a me e a Matt è passato per la mente di mettervi
sulle tracce di quel bambino, ma prima Lonely, poi Estrada che ci è capitato
fra capo e collo… era un’occasione più unica che rara. Erano così sicuri di
avervi in pugno che non hanno pensato a spostare il piccolo Flalagan con un
certo anticipo. Il governatore era ricattato, capite? Per quella legge
antidroga che deve passare fra qualche mese. Abbiamo tenuto la scomparsa del
bambino il più segreta possibile o sarebbe stato uno scandalo. La scorsa volta
abbiamo pensato che fosse abbastanza scontato che avremmo cercato di far fuori
Lonely, era plausibile che si
aspettassero che ci fosse qualcuno, anche se la perquisizione della stanza
descritta da Falcon… beh, è stata a dir poco accurata, ma che Estrada fosse a Boston
lo sapevamo solo io, ovviamente voi, Matthew…»
Come evocato Matthew piombò nella stanza, lui e
Drake furono dei fulmini ad impugnare le pistole e il comandante si trovò a
guardare negli occhi le canne di due Beretta novantadue/fs calibro nove mm
Parabellum, con tanto di colpo in canna.
Sorrise, «Sono io.»
«Non è per niente una rassicurazione adesso» fu il
gelido commento di Drake.
Si vedeva lontano un chilometro che il comandante
era armato.
Il sorriso sparì dalle labbra del comandante
Farlan che si voltò a guardare il suo superiore.
«Siediti Matt, non si fidano più di noi e hanno
tutte le stramaledette ragioni di questo mondo. Non so cosa li trattenga dallo
spararci un colpo in testa e andarsene.»
Matthew tornò a guardare loro, il ritratto dello
shock «Darkness, Falcon… credete che siamo stati noi a…?» non finì la frase, ma
si mise a sedere perché le gambe sembrarono non reggerlo più. «Oh cazzo, avete
tutte le ragioni di pensarlo, me ne rendo conto. Abbiamo fatto una cazzata a
mandarvi in missione così presto, dopo quello che mi aveva detto Falcon. Il
fatto è che dovevamo essere sicuri che Estrada non sarebbe arrivato a vedere
l’alba di oggi, capite?»
«Un altro al vostro posto si sarebbe fatto
prendere dal panico» continuò Richard, «non avrebbe portato a termine la
missione… e vi garantisco che chi di dovere lo ricorderà. Già il fatto che
siate usciti di casa sospettando che c’eravamo noi due dietro la dice lunga sul
vostro senso del dovere.»
«Che mi dici della villa?» chiese Drake alla testa
di Farlan.
«Avete fatto il solito capolavoro, nonostante la
situazione. La squadra scientifica della polizia non ha trovato nulla di
concreto.»
«Non possono risalire in qualche modo alle armi?»
«Le armi che avete usato sono state rubate da
un’armeria di New York lo scorso anno, durante uno scontro a fuoco fra bande»
rispose Richard. «E sono stato io in persona a limare la canna interna e quindi
a manomettere i segni lasciati nei bossoli… un trucchetto che ho imparato da un
veterano del Vietnam. Quelle pistole
sono come cascate dal cielo, non hanno una storia e le fonderò di persona, se
non deciderete di ammazzarmi con una di esse.»
Matthew alzò lo sguardo su di lui, poi si voltò
verso di loro «E’ questo che avete pensato? Che dovessi arrivare per primo per
incastrarvi?»
Drake distolse lo sguardo.
Si prese la testa fra le mani piegandosi su se
stesso, «Non potrei mai fare una cosa del genere. Non ho idea di come potessero
sapere dell’agguato di stanotte, ma state certi che lo scoprirò. Io e Gerard
siamo arrivati appena in tempo per prendere in mano la situazione. Quando ho
visto i cani mi è preso un colpo… ho letto la relazione e non c’era nessun
accenno ai cani, non so come possa essere sfuggito a Colin un particolare del
genere.» Non vide l’occhiata che si scambiarono Juna e Drake e continuò, «Il
piccolo Michael?»
«Lo abbiamo riportato a casa» rispose Juna. «Così
su due piedi non c’è venuto in mente niente di meglio. Sentite, ho aspettato
che ci foste entrambi per dirvelo: ci hanno dato un nome.»
Richard e Matthew sgranarono gli occhi.
«Mi state dicendo che vi hanno fatto i nostri
nomi?» chiese Richard sbigottito.
«Sarebbe così impossibile?» chiese Drake a metà
fra l’ironico e il curioso.
«Assolutamente sì» rispose Matthew. «Se la persona
che hanno agganciato è vicina a noi, potranno aver sentito i nostri nomi da
questa persona, ma… vi siete fatti dare una descrizione della talpa?»
«No» rispose Drake senza fare una piega. «Mi hanno
dato un nome che non avevo mai sentito prima, non ho perso altro tempo. Juna
era da solo davanti all’entrata con il puffo… cioè, il bambino, e comunque
avrebbe potuto mentirmi, ti pare? Lo ha fatto quando mi ha detto quante persone
erano rimaste dentro, accidenti a lui.» Si rivolse al suo migliore amico, «Più
ci penso e più è un miracolo che ne siamo usciti vivi: o stiamo profondamente
sull’anima al Signore, o ci ama alla follia, scegli tu.»
Matthew annuì con un sorriso alla battuta, si
passò una mano sugli occhi «Sì, hai fatto la cosa più logica Falcon. Scusami. Io
conosco chi lavora nella sezione, tu non hai la minima idea di chi siano queste
persone: una descrizione fisica non avrebbe fatto nessuna differenza per te… e
poi avrebbe potuto comunque mentirti» sottolineò di nuovo il concetto.
«Dai per scontato che lavori a stretto contatto
con te» commentò Juna.
«Darkness, per forza» disse Richard. «E’ un
pensiero terrificante per me e Matt, ma non c’è altra possibilità. O lavora a
stretto contatto con noi o con il presidente degli Stati Uniti e chi lavora con
il presidente è seguito a vista dalla C.I.A. o da noi quando si allontana dal
datore di lavoro, se avesse avuto contatti con qualcuno vicino a Estrada lo
avremmo saputo. Sto parlando di un gruppo scelto di cinque o sei persone al
massimo.»
«Ragazzi, devo sapere quel nome» disse Matthew.
«Io e Richard dobbiamo eliminare la talpa, chiunque esso sia.»
«Colin Flyer» sillabò quasi Drake.
Richard chiuse gli occhi e rovesciò la testa
indietro, «Porca puttana.»
«Cooosa?»
soffiò Matthew.
«Chi ha raccolto le informazioni per il dossier
che hai scritto?» chiese Juna.
«Colin, come sempre.»
«Flyer sapeva di quelle tute?» continuò Juna.
«No» rispose Richard, «sono arrivate nel mio
ufficio la sera prima del vostro appuntamento con Matthew, sono stato io stesso
a preparare i borsoni e a portare la macchina dove poi Falcon l’ha trovata…
considerato il precedente.» Sorrise appena, «Forse ho messo anche troppa roba
in quella macchina, ma se avessi avuto una bomba nucleare a portata di mano ci
avrei infilato anche quella. Non ho dormito stanotte.»
Il silenzio si prolungò.
Matthew respirò profondamente, «Avete tutte le
ragioni di questo mondo per comportarvi così ragazzi, Richard ha ragione:
dobbiamo ringraziarvi per non averci sparato appena ci avete visto. Posso darvi
solo la mia parola d’onore a sostegno della verità che né io né Richard vi
abbiamo tradito. Colin deve aver agito da solo. Ma voglio che abbiate chiara
una cosa: solo noi due sappiamo chi siete. Colin non si è mai neanche
lontanamente avvicinato a voi, dovete credermi. Non esiste nessuna traccia che
possa portare a voi.»
Seguì un altro silenzio, poi fu Juna a parlare,
«Io non so ancora come farò ad affrontare mia madre dopo quello che ho sfiorato
nelle ultime settimane. So già che mi sentirò un verme. Anch’io voglio che sia
chiara una cosa: teneteci alla larga il governatore. Non voglio problemi del
tipo che voglia sapere chi siamo. Mio nonno lo conosce da una vita e già per
quello avrò la mia bella fetta di casini.»
«Pensi che il bambino ti riconoscerà?» chiese Richard.
«Quello che penso non ha importanza, a questo
punto mi aspetto il peggio.»
Matthew si prese la testa fra le mani, «Dio che
casino. Dovrete restare fermi per un po’… non voglio pensare a quello che
sarebbe potuto succedere stanotte. Ringrazio il Cielo di avervi addestrato
anche meglio di quanto immaginassi. Dobbiamo capire chi vi da la caccia e
perché, chi può aver agganciato Colin. Non me la sento di rischiare ancora.»
«Ascoltatemi» disse Richard. «Darkness, Falcon, so
di chiedervi molto alla luce degli ultimi avvenimenti, ma dovete fidarvi di
noi. Vi proteggeremo. Abbiamo delle responsabilità nei vostri confronti e vi do
la mia parola che una cosa del genere non succederà più. Da ora in poi le
missioni per voi le prepareremo solo io e Matthew. Flyer non arriverà al lavoro
domani mattina, e passeremo l’intera sezione al setaccio, dovremo fare una vera
e propria disinfestazione, a questo punto è ragionevole pensare che Flyer possa
non essere la sola mela marcia. Penso io alla macchina e all’attrezzatura.
Matthew, riaccompagnali subito a casa, saranno sfiniti.»
Juna e Drake si guardarono, erano arrivati al
punto di dover prendere una decisione: fidarsi di Richard e Matthew, e quindi
rendere le pistole rimanendo disarmati o tenersi le pistole e mettere un muro
che difficilmente sarebbe stato abbattuto.
Sentirono un rumore di metallo contro legno e si
voltarono verso Matthew. Il comandante aveva appoggiato la propria pistola sul
tavolo. «Vi fa sentire più tranquilli?» chiese.
«Se fosse quello il problema ti avremmo disarmato
quando sei entrato Matt» disse Drake. «Riprendi la tua pistola.»
Matthew guardò Juna che annuì, «Riprendila»
ripeté.
Il comandante la riprese, infilò di nuovo il
caricatore e la ripose nella fondina.
I due ragazzi tolsero il colpo in canna e
consegnarono le pistole a Richard che respirò profondamente e disse
semplicemente «Grazie. Non ve ne pentirete.»
Matthew si alzò insieme a Juna e con due passi gli
fu davanti, «Darkness, guardami. Ti prego, devi credermi. Non sono stato
evidentemente in grado di proteggervi adeguatamente e non ho scusanti per
questo, ma non ho mai pensato di farvi del male. Dovranno passare sul mio
cadavere e quello di Richard prima di arrivare a voi.»
Si trattenne a stento dal prendere Matthew per le
spalle e scuoterlo.
In quel momento era chiaro come il Sole che per
lui Darkness rappresentava qualcosa di speciale. E lui sapeva il perché per
Matthew era importante cosa pensasse quel ragazzo di quella storia.
Al silenzio di Darkness, Falcon lanciò uno sguardo
a lui poi si rivolse a Matthew «Neanche per un solo istante ho pensato che tu o
Richard poteste entrarci in qualche modo, tant’è vero che sei stato il primo
con cui ho parlato della prima imboscata, ma appena ne ho parlato con Juna la
cosa è sembrata ovvia… terrificante, ma ovvia. Non so quanto ci metteremo a
lasciarci alle spalle questa cosa Matthew. Non possiamo farti promesse. Al
momento, l’unico di cui mi fido, è Juna e so che per lui è la stessa cosa.»
Matthew annuì, così evidentemente ferito dal
silenzio di Darkness da farlo stare male.
Adesso però doveva pensare a mettere al sicuro i
suoi agenti migliori.
«Ragazzi» prese la parola. «Ho preparato una
contromisura speciale nel caso stanotte fosse successa una cosa del genere.»
Darkness e Falcon lo guardarono, si lanciarono
un’occhiata, poi fu Darkness a prendere la parola. «Sarebbe?»
«Ho fatto preparare dei cellulari uguali identici
a quelli che avete adesso. La differenza è che, come quelli che usiamo da
qualche anno io e Matthew, sono schermati. Nessuna antenna o apparecchio per le
rilevazioni potrà intercettare o codificare le vostre chiamate in entrata e in
uscita. Anche i messaggi che mandate o ricevete saranno crittografati.»
Matthew annuì, «Ottimo Richard, come al solito mi
leggi nel pensiero.»
«Possiamo usare i nostri soliti numeri?» chiese
Falcon.
Annuì, «Ho pensato ai telefoni schermati proprio
per evitare di farvi cambiare numero di cellulare tutti e due insieme… credo
che attirerebbe l’attenzione delle vostre famiglie.»
Darkness annuì lentamente, «D’accordo.»
«Ce li avete dietro ragazzi?» chiese Matthew
«Cambiateli subito e datemi i vostri.»
Darkness e Falcon eseguirono.
Li accesero.
«E’ uguale identico al mio» disse Falcon. «C’è
addirittura la rigatura nel display!»
Darkness sorrise appena, «Non ho mai dubitato di
essere agli ordini di persone in gamba.»
Matthew sembrò rifiorire. «Ti ringrazio.»
«Dovrete inserire un codice per accedere alla
rubrica» disse tutto d’un fiato.
Falcon annuì rassegnato. «Sì, e lo capisco.
Abbiamo i vostri numeri in memoria.»
«Purtroppo è il minimo» aggiunse Darkness. «Io e
te useremo i telefoni di casa solo per gli auguri di Natale fino a quando non
saremo arrivati a capo di questa cosa, intesi?»
Matthew gli lanciò un’occhiata.
Oh sì, quei ragazzi avevano le idee chiare.
Sapevano cosa fare.
Il primo a rivedere casa fu proprio Drake che,
scendendo, si rivolse a Juna «Ti chiamo stasera, ok? Vai subito a nanna eh…»
«Sì mamma…»
«Darkness, spostati avanti, così parliamo meglio.»
Ubbidì e d’istinto lanciò un’occhiata
all’orologio, erano da poco passate le dieci.
«Non so dirti quanto mi dispiace. Sei furioso con
noi, e hai tutte le ragioni di questo mondo per esserlo, sono anche troppo
cosciente di quello che è successo e il pensiero che abbiamo rischiato di
perdere te e Falcon per ben due volte… non solo siete i nostri migliori agenti,
ma… dannazione, siete due ragazzi e vi abbiamo tirato io e Richard in
quest’avventura. Ci sentiamo responsabili per voi come se foste dei figli.
Credimi quando ti assicuro che io e Richard proteggeremo te e Falcon con tutti
i mezzi a nostra disposizione. Non vi abbiamo mandato ad uccidere Estrada a
cuore leggero, abbiamo preparato la vostra attrezzatura di persona, ero
convinto di aver preso tutte le precauzioni possibili… ed era il mio braccio
destro il pericolo. Proprio colui che ha preso le informazioni e stilato la
relazione, Cristo. Era il mio braccio destro da cinque anni, non so spiegarmi
cosa sia potuto succedere. Starete un po’ fuori dal giro» ripeté.
Era un particolare su cui riflettere il
fatto che ne parlasse già al passato?
«Come pensi di sistemare Flyer? Richard ha detto
che non arriverà al lavoro domani mattina.»
«Quello è l’ordine che mi ha dato e io lo
eseguirò… e a questo punto con immenso piacere. A prescindere dal fatto che ha
messo la vostra vita in pericolo e ha preso per il culo il sottoscritto, ha
minato la cosa più importante che unisce agenti come te e Falcon a chi vi da
ordini: la fiducia. Il fatto che abbiate portato a termine e con successo la
missione conferma, se ce ne fosse stato bisogno, che siete i migliori elementi di
cui disponiamo. Lo sto ripetendo ogni due frasi, ma non è per farvi
gratuitamente un complimento: in pochissimi sarebbero usciti vivi dalle ultime
settimane della vostra vita. Questo, aggiunto alla vostra età, vi rende i
migliori elementi che ho mai avuto ai miei comandi. Sarò onesto con te
Darkness, mi preoccupa il non poter contare su di voi… se deve scoppiare un
casino, sta certo che scoppierà adesso… in un modo o nell’altro cercheranno di
portarvi di nuovo allo scoperto, dannazione. Per quanto riguarda Flyer, non
possiamo processarlo, te ne renderai conto. Tu e Falcon siete leggende, solo io
e Richard sappiamo chi siete… sai come vi hanno soprannominato alla sezione? Gli Infallibili Due… anche i gran capi hanno cominciato a fare
pressioni per conoscervi» fece una pausa. «Così immagino che avrà un
brutto incidente… stile tipicamente F.B.I. comunque.»
«Niente sarà abbastanza per lui, Drake ha
rischiato la vita per due volte a causa di quel figlio di puttana.»
Matthew si raddolcì, «Tu e Falcon vi adorate, lui
lo vuole morto perché tu hai
rischiato la vita.»
«Sarei morto se non avessi la fiducia che ho in
lui, sono ancora incazzatissimo se ci penso.»
«Pensi veramente che il piccolo Michael possa
riconoscerti?» chiese di colpo serio.
Juna ebbe l’impressione che l’uomo fosse
finalmente giunto dove era sempre voluto arrivare. «I bambini hanno un istinto
speciale Matthew e ricorda che gli abbiamo salvato la vita.» Si passò le mani
fra i capelli, «Preferisco non pensarci.»
«Mi dispiace immensamente per la situazione in cui
ti ho messo.»
«Con il senno di poi non posso biasimarti. Di
qualcuno ti devi fidare, non puoi pensare a tutto. Mi chiedo come abbiano fatto
ad arrivare al tuo braccio destro. Fossi in te starei attento.»
«Che vuoi dire?»
«Mi viene spontaneo un ragionamento, che è
esattamente l’opposto di quello che hai fatto tu: io credo che siano arrivati
con cognizione di causa al tuo braccio destro. Se vogliono far fuori me e Drake
si sono agganciati a Flyer perché in qualche modo sanno che tu sei vicino a noi…
che sai chi siamo. E Richard è sulla tua stessa barca.»
Il comandante Matthew Farlan cambiò espressione e
fu evidente che prese seriamente in considerazione questo suo ragionamento.
Rimase in silenzio per diversi minuti.
«Sai Darkness… mi sono sempre chiesto come
funzionava un cervello come il tuo. Egregiamente, direi. Ti ringrazio per
averci pensato subito, ero talmente preso ad analizzare la situazione da un
solo punto di vista che probabilmente ci avrei messo qualche settimana a
rendermi conto dell’ovvio: non hanno puntato a caso il mio braccio destro.»
«Non devi ringraziarmi.»
«Certo che devo. Dovresti essere completamente
preso a pensare a proteggere te stesso e Falcon e invece hai pensato anche a me
e Richard.»
«Ti ricordo che in ultima analisi tu e Richard mi
siete più utili al sicuro che preoccupati a pensare a salvare anche voi
stessi.»
Un sorriso piegò le labbra del suo diretto
superiore, «Non credere che non lo sappia Darkness, sono stato io ad insegnare
a te e a Falcon che quando indossate i panni dell’agente voi stessi dovete
venire prima di tutto… e tutti. Questo è la quinta essenza dell’egoismo.
Ovviamente, so anche che entrambi avete trovato subito l’eccezione a questa
regola. Tu metti Falcon prima di te stesso, ma Falcon fa la stessa cosa con te…
ed è anche per questo che stanotte ne siete usciti vivi. Visto che la cosa
funziona, non ho niente da ridire. Il mio istinto comunque mi dice che devo
ringraziarti e io do sempre retta al mio istinto. In ultima analisi, non è
stato certo il buon senso a farmi reclutare due ragazzi di appena quindici e
diciassette anni.»
«Su questo siamo perfettamente d’accordo:
l’istinto è la miglior cosa che ci accomuna ancora con gli animali.»
«Cosa pensi di fare con Michael?» gli chiese a
brucia pelo.
«Non lo so. Per rimanere in argomento: il mio
istinto mi dice che non ci saranno problemi. Credo che abbia capito che se
portavamo una maschera, un motivo c’era. Ci ha seguito ciecamente anche se
abbiamo ammazzato delle persone sotto i suoi occhi. Anche se dovesse riconoscermi,
non mi tradirà.»
«Appena lasciato te, mi organizzerò con Richard
per mandarlo dai Flalagan. Riesco a malapena ad immaginare il caos che ci sarà
in quella casa. Terrò lontano il governatore da te e Falcon.»
«Come gli spiegherete la ricomparsa del bambino?»
«Sarà difficile inventare qualcosa che regga. Li
abbiamo sempre tenuti aggiornati su quello che volevamo fare. Il bambino avrà
sicuramente parlato di voi ai suoi. Credo che la cosa migliore sia la verità: i
rapitori hanno finalmente commesso… definiamola una leggerezza, e i
nostri migliori agenti li hanno inchiodati.» Gli lanciò un’occhiata, «Se vi
cataloghiamo subito come i nostri migliori agenti, potremo anche arrivare alle
minacce se continua a fare domande… e so che ne farà tante» aggiunse
tetro.
Rimasero in silenzio fino al cancello di villa
McGregory. «Lasciami qui.»
«Sicuro?»
«Li senti?» chiese mentre un furioso abbaiare
cominciava a farsi sentire «Sono i miei cuccioli, ci penseranno loro a
proteggermi da qui all’entrata.»
«Ci sentiamo fra qualche giorno.»
Aprì la portiera ma Matthew lo prese per un
braccio, «Aspetta un attimo.» Prese un foglio e ci scrisse sopra un numero. «Ho
chiesto la tua fiducia Juna» riprese chiamandolo per la prima volta con il suo
vero nome «e per meritarmela ti darò incondizionatamente la mia. E’ una follia
questa che sto facendo, ma tu e Drake avete coscientemente messo la vostra
testa nella ghigliottina uscendo di casa la scorsa notte. Il numero scritto qui
appartiene alla mia vita al di fuori dell’F.B.I. e ce l’hanno solo altre tre
persone al mondo oltre te. Ti chiedo di impararlo a memoria e non trascriverlo
da nessuna parte. Drake purtroppo non ha le tue capacità mnemoniche… dovrai
averlo tu per tutti e due. Usalo solo in caso di pericolo, e solo se non
rispondo al solito numero, intesi? Chiedi di Aaron se non rispondo io di
persona.»
Gli annuì semplicemente e Matthew gli porse il
biglietto.
Non lo toccò neanche, lo lesse imparandolo
istantaneamente a memoria e guardò di nuovo il suo superiore. «Credimi quando
ti dico che mi auguro di non doverlo usare mai.»
Uscì dalla macchina e si ritrovò a guardare
l’elegante cancello di ferro battuto, aprì la porticina di lato ed entrò senza
voltarsi indietro.
Lizar e Dragar, la coppia di dobermann da guardia,
gli si fecero incontro festosi «Ciao belli, se sapeste cosa sono stato
costretto a fare stanotte, non mi vorreste più tanto bene.»
Lo considerarono meno di zero, continuando a
cercare la sua attenzione e relative carezze.
Lo accompagnarono per tutto il tragitto, erano più
agitati del solito, specie Lizar, la femmina che si faceva avvicinare solo da
lui, era evidentemente restia a lasciarlo andare; si attaccò ai suoi jeans con
i denti e non voleva saperne di mollarlo, tanto che Dragar cominciò ad
abbaiarle contro in una chiara manifestazione di rimprovero.
«Lascia perdere amico mio», disse accarezzando la
testa del cane che si calmò all’istante «cercare di avere ragione di una
femmina è una battaglia persa in partenza!»
Sapeva il perché di quel comportamento: la cagna
sentiva il suo stato d’animo.
Si fermò un po’ più a lungo con loro.
Quando si sentì chiamare si voltò di scatto,
«James!» esclamò piacevolmente sorpreso scorgendo l’anziano giardiniere che gli
si faceva incontro.
Insieme ad Howard, quell’uomo era una pietra
miliare nella vita della famiglia McGregory.
Lizar ringhiò voltandosi verso di lui e l’uomo si
bloccò, «Quella cagna creerà dei seri problemi alla tua futura fidanzata» lo
informò senza staccare gli occhi dall’animale. «La tieni vero?»
Quando erano soli decadeva il lei, era un accordo che regnava da quando Juna aveva cominciato a
camminare.
«Tranquillo James, non mordono se ti conoscono.»
Batté affettuosamente una mano sulla testa della cagna che guaì appena cercando
di leccargliela. «Ti hanno dato fastidio fino ad ora?»
«Non li ho né visti né sentiti, ero convinto che
fossero già rinchiusi nel recinto.»
«Che ti avevo detto?»
«Non mi aspettavo di trovarti alzato a quest’ora
di domenica mattina.»
«Se mi prometti di non dire nulla a nessuno, ti
rivelo un segreto…» l’occhiata dell’uomo gli disse che aveva già capito.
«Esatto: devo ancora vedere com’è fatto un letto.»
«Beata gioventù! Doveva proprio essere una donna
di tutto rispetto per farti fare quest’ora…»
Sua nonna e sua madre non erano le sole ad
arrivare sempre alle stesse conclusioni.
«E’ stata una nottata interessante.»
James sorrise scotendo la testa, «Vola a riposarti
ragazzo, ci penso io alle belve stamani. E se te lo chiedono, tu non hai visto
me e io non ho visto te!»
«Sei un tesoro.»
«Va’ a dormire ora.»
Crollò sul letto dopo una doccia.
L’ultima cosa che sentì prima di sprofondare nel
sonno fu l’allegro abbaiare di Lizar e Dragar sotto le sue finestre e la voce
di Howard che intimava ai cani di stare zitti perché il signorino doveva
riposare.
L’ultimo pensiero fu che Howard sarebbe dovuto
tornare quella sera… quell’uomo non riusciva proprio a stare troppo lontano da
Villa McGregory.
Matthew ripartì con una sgommata appena il ragazzo
sparì dentro il cancello.
Come era potuta succedere una cosa simile?
Con quei due poi… gli elementi più preziosi che
avevano lui e Richard.
Dovevano veramente ringraziare il Cielo che non li
avessero uccisi.
Era stato lui ad insegnare a quei ragazzi che i
pericoli andavano eliminati senza mezze misure e ritrovarsi con il dubbio che i
tuoi superiori ti abbiano tradito… beh, era un pericolo di tutto rispetto.
Era l’incubo peggiore di persone nella posizione
sua e di Richard.
Avrebbero dovuto avvertire anche le altissime
sfere e probabilmente l’intera sezione sarebbe stata sostituita di sana pianta.
Senza contare che Darkness aveva avanzato
un’ipotesi gravissima e molto, troppo reale.
Qualcuno cercava di avvicinarsi a lui e Richard?
Lo squillo del cellulare lo fece sobbalzare. Prese
l’auricolare e se lo mise all’orecchio.
La voce del suo vecchio amico Richard era nervosa.
«Sei solo?»
«Ho appena riaccompagnato Darkness.»
«Come stanno?»
«Comprensibilmente sul chi vive Richard. Sto
ancora congratulandomi con me stesso per come sono riuscito ad addestrarli. Se
fossero leggermente meno in gamba di come sono… non voglio pensarci.»
«Flyer va assolutamente eliminato.»
«Quello è il minimo. Ci penso io. Tu pensa ai
Flalagan, sai che non possono vedermi.»
«Ci penso io» seguì un silenzio, poi… «Sono
veramente molto soddisfatto di loro Matt. Quei due ragazzi stanno andando ben
oltre le mie più rosee aspettative.»
«A chi lo dici. Richard, ricordami di parlarti di
una cosa che mi ha detto Darkness. Tu ti ricordi che è un genio?»
«E’ un po’ difficile da accantonarsi… direi che è
evidente in ogni cosa che fa, e non sto parlando solo dell’agente. Mi capita
spesso di leggere di lui nei giornali che parlano di finanza. Ti ricordi quando
li mandammo a recuperare quel chip? Quando scoprì che quel portatile era
predisposto all’autodistruzione quel ragazzo si imparò a memoria l’equivalente
di venticinque pagine di nominativi e relativi nomi in codice!»
Sorrise al pensiero. Nel cervello di Darkness
c’era l’intera lista degli agenti in incognito del pianeta Terra aggiornata al
dicembre dell’anno prima!
Richard rideva divertito, «Quando lo dissi a
Gerard non ci voleva credere! Pensava di aver perso la lista! Mi ha creduto
solo quando gliela consegnai riscritta a mano dopo due ore e mezzo per
trascriverla di nuovo tutta sotto dettatura di Darkness!»
«Ah, amico mio, non è stato il buon senso che me
li ha fatti arruolare e ti ho sempre detto che capivo le tue reticenze, ma si
sono rivelati due agenti come non ne ho mai avuti e sono due elementi che non
saprei come rimpiazzare.»
«Capisco cosa vuoi dire e sono d’accordo con te.
Speriamo di non esserci giocati la loro fiducia in modo irreparabile.»
«Mi sento di sperare di no.»
«Cosa te lo fa dire?»
«Ricordami di parlarti di quella cosa che mi ha
detto Darkness.»
«Ok.»
«Richard…»
«Dimmi.»
«Ho fatto una cazzata.»
«Ah… quale?»
«Ho fatto memorizzare a Darkness il numero di
cellulare… di Aaron.»
Il silenzio dall’altra parte disse più di cento
parole. «Sei impazzito? Ti rendi conto di quello che… per Dio se chiama e
risponde tua moglie o tua figlia cosa…??»
«Ho agito d’istinto, come al solito, so che posso
fidarmi di quel ragazzo… so per certo che lui si fida di me.»
«Matt… non farti prendere la mano dal fatto del…
insomma… so che quando lo guardi negli occhi vedi anche quelli di tua figlia e
lo capisco… ma è un nostro agente e per quanto tu indirettamente devi a
Darkness… oh Cristo, anche io mi sono affezionato a quei due ragazzi ma non…»
«Ho capito Richard. Volevo solo che tu lo
sapessi.»
«Ok. Vado dai Flalagan e ti faccio sapere appena
esco di lì.»
«Pranziamo insieme?»
«Certo. A più tardi. Ora sono curioso di sapere
cosa ti ha detto Darkness.»
«Eh amico mio, se quel ragazzo ha visto giusto,
non ti piacerà affatto sentire quello che ho da dirti.»
«Ecco, adesso oltre che curioso sono anche
preoccupato. Accidenti a te Matthew. Ci vediamo a pranzo nel mio ufficio,
preparati al cibo cinese.»
Poco prima dell’una e mezzo arrivò all’ufficio di Richard
e Marlene, la storica segretaria del suo amico, lo accolse con un sorriso. «Ben
arrivato comandante, il generale l’aspetta, il pranzo dal ristornate è arrivato
meno di cinque minuti fa.»
«Sempre perfettamente in orario, vero Marlene?
Grazie e non passare telefonate fino a quando io sono dentro, ok?»
«D’accordo.»
Bussò alla porta e la voce di Richard lo invitò ad
entrare. «Appena in tempo amico mio, accomodati.»
Mentre chiudeva la porta a chiave lo vide
avvicinarsi al tavolo e lo prevenne, «Ho già detto a Marlene di non passare
telefonate fino a quando io sono qui.»
Richard fece semplicemente dietro front con
espressione rassegnata, «Ci rinuncio. Avanti, siediti e mangiamo o si fredda
tutto… dopo anche io ho da dirti delle cose che non ti piaceranno.»
«Tanto per facilitarmi la digestione, vero?»
Mentre mangiavano parlando del più e del meno, gli
passò per l’ennesima volta per la testa che Darkness e Falcon gli ricordavano
proprio loro quando entrarono in marina, poco più che diciottenni.
Vedendoli interagire, sin dai tempi degli
addestramenti, era evidente che quei due si leggevano nel pensiero. Erano l’uno
il continuo dell’altro.
Lui e Richard si erano conosciuti durante
l’addestramento e la loro amicizia si era saldata con il tempo, conoscendosi.
Da quello che sapeva, quei due ragazzi prima si erano conosciuti a fondo poi
avevano stabilito di essere amici.
«Andiamo per grado?» propose Richard in una
battuta che li seguiva da quando lui aveva rinunciato a passare di grado per
potersi permettere una vita segreta con tanto di moglie e figlia.
Richard, prima separato dalla moglie e rimasto poi
virtualmente vedovo con la sua morte in un incidente stradale, non aveva avuto
niente che gli impedisse il salto e aveva accettato il grado di generale. Lui
aveva preferito tenersi il privilegio di poter sparire per settimane, sparire
dalla faccia della Terra per essere solo un marito e un padre con tanto di identità
diversa… era stato l’onesto compromesso che aveva trovato per non lasciare da
solo Richard al comando di una sezione che richiedeva di continuo tutta
l’energia di cui un uomo disponeva e sposare al tempo stesso la donna che amava
senza metterla in costante pericolo di vita.
La venuta al mondo di sua figlia era stata la
perfezione… specie se si pensa che la sua bambina era come era grazie a…
«Stai di nuovo pensando al trapianto di occhi di
tua figlia» disse Richard.
«E’ più forte di me. Se non fosse successo
probabilmente non avrei mai messo, scusa il pietoso gioco di parole, gli occhi
su Darkness e di seguito…»
«Te lo ripeto: non farti prendere la mano da
questo. Oggi per la prima volta ho visto la tua facciata di professionalità
sgretolarsi davanti a quel ragazzo. Per quello che ne sappiamo Darkness stesso
non…»
«Te lo ripeto: lo so. Stanotte abbiamo sfiorato un
disastro di proporzioni apocalittiche Richard, te ne rendi conto? Lascia
perdere cosa rappresenta quel ragazzo per me. Stiamo parlando di Junayd
Kamil Alifahaar McGregory, il futuro capo di due dinastie, di due imperi
finanziari. Se gli succedesse qualcosa le due famiglie arriverebbero anche a
Dio per avere risposte.» Al silenzio di Richard, che equivaleva a un dannazione
so che hai ragione, riprese, «Dicevi di andare per grado vero? Com’è andata
dai Flalagan? Come sta Michael?»
«Per me è un bel problema che tu non ci possa
andare, sei molto più diplomatico di me. Il governatore è testardo come un
mulo… e non ci crederai, ma anche il bambino mi ha dato filo da torcere.»
«Micky?» non riuscì a trattenere la sorpresa «Come
mai? E’ comprensibile che abbia fatto scena muta, è sotto shock e…»
«Scena muta? Magari. Mi ha tartassato di domande
sui due guerrieri! E’ incredibile che tutto quel fiato stia dentro un
corpicino così piccolo.»
«Anche questo è comprensibile. Se ci pensi bene,
lui deve aver avuto l’impressione che Darkness e Falcon stessero facendo una
passeggiata: lo hanno preso e tirato fuori da un incubo. Stavamo dando la
caccia a quel bambino da mesi e non avevamo ancora la minima idea di dove fosse
tenuto.»
Richard si accese un sigaro e si rilassò contro la
poltrona, «Sarò onesto Matt. A volte penso che quei due non si rendano conto di
cosa stanno veramente facendo e della facilità con cui lo fanno. Abbiamo
trasformato due ragazzi all’epoca di quindici e diciassette anni in due
killers, in due macchine da guerra. So che è tardi per i rimpianti e non è
senso di colpa quello che provo… mi sono immunizzato contro queste cose, lo
sai. Li ho studiati a lungo in questi anni anche nella loro vita… normale,
per così dire, e più passa il tempo più mi meraviglio che non abbiano problemi.
E sto parlando proprio di problemi di carattere psicologico. A te non sono
bastati quindici anni per tirare un netto confine fra la tua vita militare e la
tua vita da civile… e non dire di no, dannazione» lo bloccò vedendolo aprire
bocca. «Hai dato quel numero a Darkness, per la miseria, ancora non riesco a
crederci!» Riprese, «E tu non sei neanche un killer. Solo oggi ho sentito
nominare a Darkness sua madre e l’ho sentito porsi finalmente il problema: come
l’affronto dopo una cosa del genere? Il punto è che sono quasi cinque anni
che quei due ragazzi fanno questa vita.»
«Richard, dove vuoi andare a parare?»
«Non mi meraviglierei se ci annunciassero che ci
mollano, Matt. E’ questione di tempo, ma hanno già imboccato quella strada.»
Rimase in silenzio per qualche secondo.
Si trovò ad annuire quando un pensiero gli
attraversò la mente, «Ti ricordi cosa ti ho detto giusto poche ore fa? Che
non…»
«… sapresti come rimpiazzarli» terminò Richard.
«Ti conosco meglio di quanto tu possa pensare, o temere, vecchio mio.»
«Egoisticamente spero che continui così almeno
fino alla mia pensione.»
Richard si limitò a sorridere. «E’ il tuo turno»
gli annunciò.
Fu sua madre a svegliarlo poco prima di cena.
«Mmmmmmh, ciao mamma, ben tornata…» la salutò
stiracchiandosi.
«Ben svegliato dormiglione! Quando Howard mi ha
detto che eri ancora a letto non ci volevo credere! A che ora indecente sei
andato a letto per dormire ancora a quest’ora?!»
Juna sorrise pensando che se non altro doveva
renderle atto che ce la stava mettendo tutta per apparire severa e vagamente
arrabbiata…
«Mooolto
tardi mamy.»
«Sempre colpa della solita bionda vero?»
«Non ci vuole molta fantasia vero?»
«Ti sei fatto la doccia prima di crollare…»
costatò osservandolo con occhio critico.
«Hai mai pensato di fare l’investigatore?»
Quel ragazzo aveva ripreso proprio il meglio dal
padre…
«E ti sei asciugato la testa prima di addormentarti?»
continuò imperterrita, decisa a non mollare.
L’occhiata colpevole che suo figlio le rivolse
sarebbe stata più che sufficiente, in ogni caso aggiunse un Ehm!, a scanso d’equivoci.
«Lo-sapevo» sillabò.
«Ora mi vesto e scendo!» esclamò fiondandosi in bagno
con un paio di jeans neri «Com’è andata?» le chiese poi da dietro la porta
socchiusa.
«Bene.» Rimase un attimo in silenzio, poi… «Juna?»
«Dimmi mamma» rispose uscendo dal bagno a torace
nudo.
Dimenticando per un attimo che era suo figlio, era
davvero un bellissimo ragazzo.
«Hai visto il maglioncino di cotone bianco?»
«Sulla poltrona.»
«Perderei la testa se non l’avessi attaccata al
collo.»
«Sono tutti concordi nell’affermare che fa parte
del tuo charme. Ti ricordi l’appuntamento con tuo nonno?»
L’espressione di suo figlio, tolta l’occhiataccia
per il primo commento, si fece comicissima «Fosse una cosa che capita spesso…»
commentò. «Perché?»
«Beh… io e tuo padre ne abbiamo discusso un po’.»
«Mamma, se ti chiedo di farmi il discorsino tutto
insieme, ti offendi?»
Sì, decisamente il meglio…
«No, ci stanno aspettando giù. Volevo solo dirti
di prepararti a tutto.»
«Mamma, sono sempre pronto a tutto quando si
tratta di Patrick Joseph McGregory, è una delle prime cose che ho imparato
dalla vita.»
«Tu vuoi bene a tuo nonno.»
Un altro sorrisino piegò le labbra del ragazzo,
sapeva cosa passasse per la testa di suo figlio in quel momento: solo mia
madre può fare una domanda che è già di per sé una risposta!
«Se devo essere onesto, non lo so.»
Rimase ad osservarlo in silenzio mentre indossava
il maglioncino a pelle, preferendo non insistere sull’argomento… quando
riguardava le sue emozioni e le sue sensazioni, aveva messo al mondo una
cassaforte.
Gli sorrise «Pronto? Bene, allora possiamo
scendere.»
Era sopravvissuto all’ennesimo confronto con sua
madre su un argomento delicato.
Quella donna gli leggeva dentro, faceva una fatica
immensa a nasconderle qualcosa… se per qualche assurdo motivo sua madre avesse
cominciato a fargli domande in qualche modo riguardanti il suo fine settimana,
era nei guai.
La domanda era: com’è che realizzava tutto questo
solo adesso?
Appena mise piede in salotto, Melissa gli
trotterellò beatamente incontro, «Ciao Juna, sono tornata!»
«Vedo. Ti sei divertita?»
«Abbastanza. Ma mi sei mancato.»
Sua zia Elisabeth guardò preoccupata la
figlioletta.
«Ciao Juna.» Si voltò verso suo zio Paul che era
apparso sulla soglia con un bicchiere di brandy in mano «Vuoi qualcosa da bere
anche tu?»
«Preferisco di no zio, mi sono appena alzato.»
Suo zio gli sorrise, «Ti sei dato alla pazza gioia
in nostra assenza eh?»
Il tono scherzoso lo lasciò un attimo senza
parole, di riflesso rispose al sorriso «Non mi posso lamentare.» Si guardò
intorno, «Il nonno?»
Sua nonna gli sorrise debolmente, «Ti ricordi
Jeremy? E’ al telefono nello studio con lui.»
Già, come aveva fatto a non pensarci prima? Suo
nonno doveva sapere del rapimento di Michael… e a giudicare dal sorriso tirato
di sua nonna…
Quando suo nonno entrò nella stanza con un sorriso
felice, Juna ebbe la conferma dei suoi sospetti.
«Buone notizie» azzardò suo zio Ryan.
«Ottime notizie. Una delle mie più grosse
preoccupazioni si è miracolosamente risolta da sola.» Si rivolse alla moglie,
«Mi verseresti due dita di scotch?»
Sua nonna si affrettò ad accontentarlo sotto almeno
quattro paia d’occhi sgranati per la sorpresa: aveva sempre da ridire quando si
trattava di alcolici a causa dei problemi di fegato del marito.
«Ma mamma…» cominciò suo zio Paul.
«Paul, a cena spiegherò all’intera famiglia il
perché tua madre non ha fatto le solite storie. Adesso, brindiamo» disse suo
nonno con un sorriso che non gli aveva mai visto prima.
«Jeremy aveva dei problemi?» chiese suo zio Ryan.
«Quando tuo padre ti spiegherà la situazione,
quello che hai detto ora ti sembrerà una battuta di spirito. Non abbiamo potuto
dirvi nulla prima perché era una situazione veramente delicata.»
Anche sua nonna lo sapeva.
Per la prima volta in quasi diciannove anni di
vita, Juna si ritrovò a pensare che il grande Patrick Joseph McGregory doveva
amare molto sua moglie, al punto da non nasconderle neanche segreti che
valevano la vita d’altre persone… e che una persona che ama così, in fondo era
anche buona.
Accettò il bicchiere da suo zio Paul.
Non si smetteva mai d’imparare nella vita.
Dopo aver messo a letto Melissa, la famiglia si
ritrovò nel salone e dopo che tutti ebbero preso posto, Patrick si decise.
Si schiarì la voce e cominciò a parlare
lentamente, «Forse non tutti quelli seduti a questa tavola sanno che Jeremy ha
avuto un secondo figlio quattro anni fa» cominciò. «Credo che non lo sappiano
Connor, Manaar e Juna, perché sono gli unici che, per quanto ne so, non lo
hanno rivisto dopo quella vacanza trascorsa insieme, cinque anni fa.»
«Stai parlando di Michael» disse Paul con voce
incolore.
Connor lo guardò sorpreso.
Conosceva, o almeno credeva di conoscere,
abbastanza il fratello da sapere che fino a un paio di giorni prima, il fatto
che lui, sua moglie e suo figlio fossero all’oscuro di quella nascita, sarebbe
stata l’ennesima occasione per evidenziare quanto fossero tenuti fuori dalla
famiglia.
«Io lo sapevo» disse tranquillo Juna. «Jeremy è
venuto a trovarmi un paio di anni fa in ufficio e abbiamo parlato un po’.»
«Non mi hai detto nulla.»
«Papà, sono ancora dell’idea che non toccava a me
dirtelo.»
Patrick lo stava guardando sorpreso, poi sorrise
«Dovevo aspettarmelo, Jeremy ti adora. E’ arrivato a molte conclusioni ovvie
molto prima di me.» Sospirò profondamente, «Il problema era che quasi sei mesi
fa, Michael è stato rapito.»
La stanza saltò in aria in un coro di proteste ed
esclamazioni di sorpresa.
«Aspettate, fatelo finire» disse calma Manaar. «Si
sa da chi?»
«Grossi spacciatori di droga. Volevano impedire
che Jeremy, come governatore dello stato del Massachusetts, uno dei più
importanti a livello economico nazionale, avallasse la nuova legge contro la
droga che sarà discussa alla Casa Bianca fra due mesi.»
Elisabeth si agitò sul divano. «E’ mostruoso.»
«Ecco perché non si vedevano da un po’» commentò Paul.
«Un paio di settimane fa ho incontrato Sarah in
centro mentre facevo acquisti con le mie amiche» disse Georgie. «E’ stata lei a
riconoscermi e fermarmi… meno male non mi è passato per la testa di chiederle dei figli.»
«Ma come hanno fatto a tenere nascosta la
sparizione del bambino?» chiese Justin «Voglio dire, non è un vestito che puoi
buttare o una macchina che puoi cambiare.»
«Ufficialmente Michael era in vacanza con la nonna
e la governante» riprese Patrick. «Il problema più grosso di questa storia dopo
il rapimento stesso è stata Jennifer e il crollo che ha avuto. Ve la
ricordate?» chiese, ai cenni di assenso continuò, «E’ caduta in depressione, ha
smesso di dormire, il suo profitto a scuola è crollato… Jeremy e Sarah erano
disperati.»
«Deve essere molto attaccata al fratellino»
commentò Juna.
«Io l’ho vista con quel bambino» disse Madeline
con gli occhi lucidi. «Si comporta come se fosse la madre e Michael ricambia
quell’amore incondizionatamente.»
«In ogni modo, quello che so è che ieri mattina
prima dell’alba Michy è riapparso sulla soglia di casa, comprensibilmente
spaventato ma incolume. Domani mattina vado da Jeremy per cercare di capirci
qualcosa.»
«Nonno, se preferisci rimandare il nostro
appuntamento non ci sono problemi, capisco perfettamente» disse Juna.
«Grazie per il pensiero, ma non posso più aspettare,
sono diciannove anni che rimando. Io e te dobbiamo parlare di molte cose.
All’una passo a prenderti in ufficio.»
Juna gli annuì.
«Io proporrei di andare a dormire» disse Madeline.
«Hai avuto parecchie emozioni oggi Patrick, è stata una giornata pesante per
tutti.»
Patrick si alzò, «Buonanotte a tutti.»
Gli rispose un coro.
Appena Madeline e Patrick uscirono dalla stanza,
Ryan si voltò verso Paul, «Tu sapevi niente del rapimento?»
Paul fece cenno di no con la testa.
Justin si alzò, «Io sono a pezzi, vado a nanna.»
Juna si alzò al suo seguito, «Cugino, per la prima
volta da quando sono nato, sono d’accordo con te.»
Paul sorrise, «Immagino che questo vorrà
sicuramente significare qualcosa. Mi unisco a voi. Andiamo Lennie?»
Nella stanza regnava il silenzio più assoluto.
______________________________________________
NOTE:
Salve a tutti!
Tanto per dare un assaggio… è la prima “original”
che metto insieme!
Capitolo 4 *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 4 ***
Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 4
Non
E’ Mai Troppo Tardi
4
La mattina successiva arrivò in ufficio poco prima
delle dieci e Alison lo accolse con il solito sorriso più felice del solito.
Si sentiva a pezzi, erano anni che non gli
succedeva di sentirsi così stanco… dentro.
Stava invecchiando male.
«Hanno già telefonato Drake che ti richiama più
tardi, ti sei scordato di accendere il cellulare vero? Il signor Carson per un
consiglio e un certo signor Aaron che non ha lasciato detto nulla.»
Aaron? Matthew
cominciava a calare in quanto a fantasia.
Represse un sorriso al pensiero, «Passameli tutti
quando richiamano.»
«Non hai una bella cera stamani.»
La preoccupazione nella voce della ragazza lo
allarmò: doveva essere proprio evidente. «Grazie per avermelo fatto notare. Tu
per contro partita sembri catarifrangente da come brilli.»
«Non sto scherzando Juna, tu non stai bene.»
«Sono solo stanco, ho un po’ di mal di testa» si
aggrappò automaticamente alla scusa “madre” del suo repertorio, «passerà. Cosa
mi aspetta stamani?»
«Non hai appuntamenti. Devi sbrigare le solite
scartoffie.»
«Grandioso, non sono dell’umore adatto per stare
in compagnia.»
«Sulla scrivania ti ho messo la bozza di un paio
di preventivi per l’acquisto di due nuovi computers e almeno quattro nuovi
hardwares per il quindicesimo piano che devi controllare e approvare…»
«Sai come mai?»
«I due nuovi computers sono per i due nuovi
consulenti che entrano oggi e gli hardwares… beh, sembra che ci siano ancora
problemi con la memoria: troppi dati.»
Sospirò, «Dobbiamo deciderci a creare archivi di
altro genere o per tenere tutti i dati degli ultimi dieci anni in corsa
finiremo con l’uscire noi per far posto ai computers. Ci deve essere una
soluzione. Devo parlarne a papà.»
«Ti ho lasciato anche un appunto su quello che
vuole Carson, quando ritelefona almeno sai già cosa ti aspetta. Ti porto un
caffè?»
«Ottima idea. Prima che me ne scordi: verso l’una
arriverà mio nonno. Fallo passare, lo aspetto.»
«Che è sta novità?»
«Pranzo con lui.»
«Mi autorizzi a svenire?»
«No.»
«Armistizio?»
«Forse un trattato di pace.»
«Addirittura,
ma dai.»
Sparì dentro la sala riunioni prima che potesse
ribattere.
Alison era entrata perfettamente nella mentalità
del suo datore di lavoro.
Lo raggiunse in ufficio, Juna era già seduto alla
scrivania con un paio di fascicoli aperti davanti. «Il tuo caffè.»
«Grazie.»
Il telefono squillò, la segretaria nascosta in
Alison saltò fuori alla velocità della luce prendendo la cornetta a pochi
centimetri da lui, ancora prima che lui avesse il tempo di muovere un muscolo.
Dopo poche battute, coprì la cornetta con una
mano, «E’ il signor Aaron di prima.»
Le fece cenno di passargli la cornetta ed Alison
uscì silenziosamente dalla stanza.
«Ciao» esordì allentandosi il nodo della cravatta
e sganciandosi il primo bottone della camicia.
«Ovviamente sapevi che ero io» disse Matthew.
Sprofondò nella morbida poltrona di pelle nera. «Al
momento sei l’unico Aaron della mia vita. Stavo
giusto pensando che la tua fantasia sta cominciando a calare.»
«Oh, grazie. Come stai ragazzo?»
Accidenti, si era proprio scordato di accendere il
cellulare.
«Non posso lamentarmi.»
«Hai sentito Drake?»
Aveva già smesso di usare il nome in codice al
telefono. Brutto segno?
«Ancora no. Ieri sera non mi ha chiamato, stamani
quando ha chiamato qui non ero ancora arrivato… il solito sincronismo per cui
siamo famosi dalle tue parti» concluse serafico.
Inquadrò un foglio sulla scrivania, lo prese e gli
diede un’occhiata, ma era inutile: lo accartocciò e con un aggraziato gesto del
polso lo fece atterrare nel cestino della carta straccia, uno dei cinque che
aveva strategicamente sparso in tutta la stanza.
A volte anche lui peccava di pigrizia, Dio gli
aveva concesso un’ottima mira… perché non approfittarne?
Matthew ancora ridacchiava. «Ti confermo che è
tutto a posto. Tutto sistemato. L’ultimo affare è andato in porto come ti avevo
già accennato, si complimentano tutti. A costo di suonare ripetitivo, ma penso
ancora che dovresti incontrare anche gli altri sai? Ti chiedo di non
preoccuparti... e di tenere acceso il cellulare, benedetto ragazzo. Come
promesso ci sentiremo fra… un po’. Riposatevi.»
«D’accordo.»
La comunicazione s’interruppe.
Fece appena in tempo ad appoggiare di nuovo la
cornetta che Alison fece capolino, «Sono più veloce di te» lo informò tutta
soddisfatta.
«E’ stata solo fortuna. Come sta Stephen?» chiese
mentre accendeva il cellulare.
«Bene. Da quando ti ha visto poi, sta benissimo.
Pensa che gli sei anche simpatico, è proprio evidente che non ti conosce. Era
geloso di te, ma ora…»
«Evidentemente si è accorto che la leggenda sul
mio fascino è appunto solo una leggenda»
la interruppe ignorando il poco gentile commento iniziale. Bevve un sorso di
caffè e sorrise. «Ma la cosa migliore, ragazza mia, è che ora non potrai
proprio fare a meno di invitarmi al tuo matrimonio!»
Alison scosse la testa, «No, la leggenda sul tuo
fascino non è stata minimamente intaccata, anche lui ha ammesso che sei
bellissimo. Ha semplicemente scoperto che io sono immune!»
Stavolta squillò il suo cellulare e non ebbe
problemi ad arrivarci per primo. «Pronto?»
Alison lasciò discretamente la stanza, si rilassò
di nuovo contro lo schienale della poltrona.
«Come va la vita?» chiese Drake.
«Come il solito.»
«Hai anche il coraggio di annoiarti?»
Le labbra si piegarono in un sorriso, «Tu come stai?»
«Da Dio, ho dormito ventiquattr’ore di fila!»
«Ah, ora capisco.»
«E’ possibile che sia una lieve nota di rimprovero
misto ad ironia quella che sento nella tua voce? … Ok, ti ho dato buca ieri
sera e mi dispiace, per farmi perdonare t’invito a pranzo!»
Juna aggrottò la fronte, con il gran casino che
era nato dall’assassinio di Estrada si era scordato di aggiornare l’amico sugli
ultimi sviluppi della sua situazione familiare.
«Ehm, Drake, mi sono scordato di…» esordì.
«Ecco, lo sapevo: sono sempre l’ultimo a sapere le
cose! Mh, è bionda?»
«Chi?»
«No. Rossa?»
«No Drake, non ci siamo.»
«Giuro su Dio che se ti azzardi a uscire con una
mora ti stacco la testa Mac. Mi sembrava che fossimo d’accordo su…»
«Non è una ragazza.»
«Ah, pranzo d’affari, allora non m’interessa.»
«Pranzo con mio nonno.»
Drake rimase qualche secondo in silenzio, poi
riprese vita, «Aaaah, Mansur! Si ferma molto? Mi piacerebbe salutarlo!»
Juna sorrise, uno poteva aggrapparsi a tutto!
Si sistemò meglio sulla poltrona, «Ho capito
Drake: devo portartici per gradi. Noi dove viviamo?»
«A Boston, l’ultima volta che ho controllato.»
«E la famiglia di mia madre?»
«Los Angeles…»
Seguì un silenzio totale.
«E mio nonno attraverserebbe il continente per un
pranzo? Siamo d’accordo sul fatto che mi adora, però…» lasciò in sospeso la
frase e prese la tazza. «Drake?» chiamò poi visto che il ragazzo non dava segni
di vita. Bevve un sorso di caffè.
«Che stai cercando di dirmi?» disse finalmente il
ragazzo «Che pranzi con Patrick McGregory?»
«Esattamente»
scandì. «Ho solo due nonni all’attivo, sai?»
«Sto per svenire.»
«Anche tu? Almeno Alison ha avuto la cortesia di
chiedermi l’autorizzazione.»
«E tu le hai dato l’autorizzazione?»
«No.»
«Ah, mi sembrava. Se si vuole qualcosa da te, non
bisogna chiederla. Ok, mi racconterai tutto quando ti chiamo stasera vero?»
«Mi chiami?»
«Sì, stasera.»
«Hai presente che giorno è oggi, vero?»
«Juna, per quanto tempo pensi di rinfacciarmela la
buca di ieri?»
«Non molto: fino alla prossima.»
«Sei intollerabile Mac, sul serio.»
«Ognuno ha gli amici che si merita…»
Drake ridacchiò, «Bella consolazione davvero.»
Schioccò la lingua «Ti telefono dopo le nove e mezzo.»
«A dopo allora.»
Quando si aprì la porta dell’ascensore, Alison non
riuscì a mascherare del tutto un sussulto.
Non ebbe bisogno di spostare lo sguardo dal
monitor per sapere chi fosse entrato: era l’una e la puntualità era una
prerogativa McGregory elevata alla massima potenza.
Continuò a digitare la relazione al computer.
Non riusciva proprio ad esternare simpatia per il
patriarca. Non riusciva a non pensare che Juna stesse dando tanto alla
compagnia del nonno, praticamente la mandava avanti lui, e in cambio riceveva
cattiveria e sprezzante ironia.
Voleva troppo bene a Juna per poter ignorare tutto
questo.
Aveva sempre sperato che le cose si sarebbero
sistemate, ma negli anni la situazione era andata a peggiorare. La speranza si
era riaccesa quel giorno, specie dopo l’ultimo scambio di idee con Juna… ma…
«Buongiorno Alison» salutò una voce profonda.
«Buongiorno a lei signor McGregory.» Spostò lo
sguardo sul pannello di pulsanti alla sua destra e vide che la spia della linea
interna di Juna era accesa «In questo momento Juna è al telefono, appena
riattacca lo avverto del suo arrivo. Desidera un caffè, un tea o altro?»
«No, grazie, sono a posto così.»
«Preferisce aspettare seduto?»
«Questo sì, le mie ossa non sono più quelle di una
volta.»
Si ricordava Alison come una ragazzina, era
cresciuta molto dall’ultima volta che l’aveva vista.
Se pensava a quante storie aveva fatto per
l’assunzione di quella ragazza… come al solito Connor aveva visto giusto:
quella ragazza e Juna erano un team vincente.
Suo nipote riusciva a istaurare rapporti basati
sulla più feroce lealtà: era sicuro che quella ragazza non ci avrebbe pensato
due volte a rimbalzarlo fuori da quell’ufficio se Juna non l’avesse avvisata in
anticipo che lo aspettava.
Alison continuò il suo lavoro tenendo
contemporaneamente d’occhio la spia, quando questa si spense all’improvviso,
premette il pulsante del citofono. «Juna, è arrivato tuo nonno.»
«Fallo passare Ali, grazie» rispose la voce di suo
nipote resa metallica dall’apparecchio.
Alison si rivolse a lui, «L’accompagno?» chiese
semplicemente.
«Non ti disturbare Alison, grazie.»
Entrò nell’ufficio di suo nipote e come al solito
si meravigliò del perfetto caos che quel ragazzo riusciva ad organizzare
intorno a sé, la cosa più incredibile era che poi riuscisse a capirci qualcosa
e a rimettere tutto a posto in pochi secondi.
In quel momento se ne stava seduto dietro la scrivania
e aveva l’aria di uno che cerca qualcosa che non trova, «Ciao nonno,
posteggiati da qualche parte, arrivo subito.»
«Cosa stai cercando?» chiese sedendosi in una
delle due poltrone davanti a lui.
Notò la foto di sua madre che teneva sulla
scrivania, un paio di foto con Mansur e suo padre attaccate al muro, in
un’altra era circondato dalle sue cugine da parte Alifahaar… da quanto non
entrava in quell’ufficio?
Dio quanto tempo aveva perso con quel ragazzo… la
paura di viziarlo gli aveva preso la mano.
«Una statistica.»
«Qualcosa di grave?»
Juna sbuffò, «La ricordo a memoria, potrei scriverla
e darla ad Ali per batterla a macchina, ma è quello che comunemente definisco perdita di tempo.» Mosse altre due o tre
cartelline di vario colore e alla fine alzò trionfante un ciclostilato di
quattro o cinque fogli «Tombola! Sapevo di averlo messo qui!»
«Juna… veramente sai a memoria quei fogli?» chiese
senza riuscire a nascondere una certa sorpresa.
«Nonno, tu forse non lo sai, ma a me basta guardarlo un foglio per impararlo a
memoria. Si chiama in generale memoria visiva.
Dispongo anche della cosiddetta memoria
eidetica.»
Quella sorta di rimpianto tornò a farsi sentire.
«So che sai fare cose prodigiose… ma temo di essere un po’ fermo sulla teoria.»
«Ci credo. Questa è la prima volta da quando sono
nato che parliamo da persone civili.» Lo vide chiudere gli occhi e mormorare
qualcosa. «Cominciamo bene.» Alzò le mani in segno di resa abbandonandosi
contro lo schienale della poltrona «Scusami, mi è scappata. Come non detto.»
«Figurati, è vero.»
Mise il ciclostilato in una cartellina che gli
porse e che lui prese di riflesso, mise a posto il resto della roba che
affollava il piano della scrivania e lo guardò. «Devo portare quella cartellina
a papà e poi possiamo andare.»
Uscirono dalla stanza e Alison alzò subito gli
occhi, «Visto che è qui signor McGregory lo ricordo anche a lei: domani l'altro mattina
lei, Connor e Juna avete quell’appuntamento con il responsabile degli
acquisti.»
«Brava Ali» disse Juna, «devo salire su da mio
padre e lo ricordo anche a lui e ad Anne. Tornerò a capo di tre o quattr’ore
circa, ma se mi cerca qualcuno, io rientro in ufficio domani a pranzo, ok? Ci
occupiamo della Worldcaft oggi pomeriggio.»
«Ok, ciao Juna, a dopo. Buonasera signor
McGregory.»
«Buonasera Alison.»
Suo figlio li accolse con un sorriso, «Ciao papà.
Ah, ti sei ricordato quella statistica, campione! Menomale, Anne era già
pronta a scendere!»
«Papà, ti ricordi quella riunione con Bart domani
mattina vero?» chiese Juna.
«Alle dieci» confermò suo figlio. «Ci vediamo più
tardi.»
La limousine li stava aspettando all’uscita, Ken,
l’autista, li salutò e li fece accomodare dentro l’abitacolo tenendo la
portiera aperta.
«Sai nipote, ancora non ci credo che siamo andando
a pranzo insieme!»
«Se è per quello non ci credo neanch’io. Inoltre
non so immaginare di cosa mi devi parlare.»
«Di tante cose Juna, ma abbiamo tempo stando a
quello che hai detto ad Alison.» Sospirò «In fondo ho perso quasi diciannove
anni, da qualche parte mi devo rifare.»
Juna gli sorrise in risposta.
Arrivarono all’Empty Space e dopo un caloroso
benvenuto, furono accompagnati al tavolo.
Ordinarono e il silenzio si protrasse per qualche
secondo.
«Puoi cominciare con le domande nonno.»
Sorrise, suo nipote aveva stile.
«Hai una ragazza fissa?»
«No.»
«No?»
«No» ribadì.
«Qualcuna che potrebbe diventare la tua ragazza?»
Fu Juna a sorrise, «Nessuna all’orizzonte.»
«Ti stai guardando intorno almeno?»
«Certo. Non perdo un’occasione.»
Alzò gli occhi al cielo, non per il fatto che suo
nipote avesse indiscutibilmente successo con le ragazze, quanto per il fatto di
dover dire a sua moglie che le sue attenzioni non erano rivolte ad una
particolare esponente del gentil sesso. «Beata gioventù! Chi la sente tua nonna
adesso?»
Juna non riuscì a trattenere una risata, «Ah, ora
capisco, questa parte del discorso
l’ha richiesta lei!»
«Hai già diciannove anni Juna, questo è
innegabile.»
«Nonno, non ho già
diciannove anni, ne ho solo
diciannove, per la miseria!» sbuffò «E li devo ancora compiere!» aggiunse «Mi
bastano mia madre e tua moglie, ti prego!»
«Io mi sono fidanzato a sedici anni e tua nonna ne
aveva tredici.»
«Davvero? Si spiega perché vi amate così tanto.»
«Siamo cresciuti insieme. Non puoi sposare la
prima che passa ti pare?»
«Sposare?
Tiro il freno a mano nonno. Mio padre si è sposato a ventisei anni, ricordi?»
«Già, e perché ha avuto la fortuna di incontrare Manaar.
Tu assomigli molto a Connor: teneva alla sua libertà più che a qualsiasi altra
cosa… ma quando a quella festa posò gli occhi su tua madre…»
«Fortuna?
Da quando è diventata una fortuna?»
«E’ una di quelle cose che io e te oggi metteremo
finalmente in chiaro, se sei d’accordo.»
«Ti ascolto.»
«Io e tuo padre abbiamo parlato a lungo durante il
fine settimana, e siamo finalmente riusciti a spiegarci.»
«E la mamma?»
«Manaar doveva solo perdonarmi per averla… usata, in un certo senso, per forgiare te. Ho avuto parole cattive
per lei, ma da quando sei al mondo tu, io non ho avuto più nulla contro di lei…
in fondo la mia è sempre stata solo rabbia verso tuo padre. Prova a metterti
nei miei panni Juna: con tutte le ragazze del mondo proprio della figlia di Mansur
Alifahaar doveva andarsi ad innamorare? Per certi versi mi è crollato il mondo
addosso. Tua madre è una donna intelligente e ha capito tutto dall’inizio, è
bastato parlarci per capirlo. Se ce l’avessi veramente avuta con te, nel modo
in cui l’ho sempre data ad intendere, non ti avrebbe mai chiesto di ignorare la
situazione: ti avrebbe spronato a difenderti.» Scosse la testa con un sorriso,
«Tua nonna è tutta una vita che me lo dice e avrei dovuto darle retta molto
tempo fa. L’istinto materno è una cosa meravigliosa, quello femminile in
generale ha dell’incredibile. Una delle caratteristiche Alifahaar per
eccellenza è proprio l’orgoglio, Manaar
non avrebbe mai abbassato la testa se fosse stato in pericolo suo figlio. L’ho
sottovalutata parecchio, tua madre… credevo di avere in mano la situazione, mentre
invece era lei a tenere sotto controllo il centro di tutta la faccenda: tu.»
Sorrise di nuovo, «Il tuo sfogo di tre giorni fa mi ha finalmente aperto gli
occhi: sei diventato quello che sognavo, quindi adesso posso far crollare il
muro che ti ho costruito intorno. Forse ho aspettato anche troppo.»
«Nonno, temo di non afferrare la situazione nel
suo insieme.»
Nel silenzio che seguì arrivarono i camerieri e
furono costretti ad interrompere la conversazione.
«Cominciamo dall’inizio, vuoi? Quando Connor sposò
Manaar andai su tutte le furie, solo le preghiere di tua nonna mi portarono a
quel matrimonio. Mansur era sempre stato, a seconda dei punti di vista, il
peggiore o migliore avversario della McGregor Investments e all’inizio presi
quel matrimonio come un atto di ribellione di tuo padre nei miei confronti:
Connor sapeva di essere l’erede designato, essendo il primogenito. Poi tua
madre accettò di venire ad abitare a villa McGregory, quando tuo padre mi aveva
detto a chiare note che sua moglie non l’avrebbe vista se non in foto. C’era
qualcosa che non quadrava. Stendiamo un velo pietoso sugli aborti che ha
sopportato tua madre, posso dirti solo che stavo da cani a vedere mio figlio e
mia moglie in quelle condizioni… e adesso posso ammettere che già allora ero
affezionato a tua madre. Sono arrivato a dare la colpa all’intera stirpe Alifahaar,
renditi conto. Manaar ha rischiato la vita per dare la vita a te, dopo che
avevo sentito mio figlio dire che non gliene fregava nulla di avere un erede se
doveva rimetterci la moglie. Se mi fossero rimasti dei dubbi circa l’amore, la
devozione che tua madre ha nei confronti di mio figlio, beh, sarei proprio un
idiota: sarebbe morta per dargli quello che desiderava. Quando arrivasti tu,
presi la decisione che avrei fatto di tutto per non farti diventare un viziato
egocentrico… le premesse che tu lo diventassi c’erano tutte: avevi tre giorni
di vita quando il quaranta per cento dell’impero di tuo nonno è passato sotto
il tuo nome!»
«Sono l’unico nipote maschio di cui dispone, e le
idee di mio nonno sono quelle che sono. Non credere che fra me e lui non vi
siano discussioni nonno: siamo troppo simili per andare d’amore e d’accordo. Quando sarà il momento, stai certo che le mie cugine avranno la loro parte.»
«Mansur Alifahaar è diventato un altro» concesse.
«Tanto per dirne una, cominciò a rivolgermi la parola.»
«Mia madre è sempre stata la sua preferita. Non le
ha mai negato nulla, ma questo non ha fatto di lei una viziata egocentrica.»
«Il problema è che ti ho adorato dal primo istante
in cui ti ho visto, avvolto in quella copertina blu. Eri tutto occhi da
piccolo! Non lo scorderò mai quel momento: eri il primogenito del mio primogenito. Tua nonna alza gli
occhi al cielo quando mi sente parlare così, dice che tutti i nipoti sono
uguali, ma i McGregory sono una dinastia e nelle dinastie i primogeniti sono
quelli che prendono in mano le redini della famiglia quando il più vecchio
passa a miglior vita. Per Mansur è la stessa situazione. Hai due cognomi
proprio per questo motivo… sei il figlio del primogenito McGregory e l’unico erede maschio da parte dei Alifahaar.
Avresti avuto, in breve, due nonnini ricchi sfondati che avrebbero fatto a gara
a regalarti il mondo.»
«Siamo arrivati al momento in cui mi tirerai una
mazzata vero?»
«Hai il potere di farti amare dalle persone che ti
stanno intorno.»
Nascose una risatina in uno sbuffo, «Oh sì. Lo zio
Paul effettivamente mi adora.»
«In ultima analisi ho usato anche lui. Paul non mi
fa domande, e io ne ho approfittato in modo vergognoso. Il modo in cui lo hai
trattato però lo ha fatto riflettere, per la prima volta da quando è nato, ha
messo in dubbio che stessi facendo la cosa giusta. Mi ha chiesto se non fosse
il caso di sistemare la situazione.
Ebbene, la situazione va sistemata, e comincerò a sistemarla da te.»
«Ho l’impressione che tu abbia già tutto chiaro
nella tua mente.»
«Comincerò con il dividere le azioni della
compagnia fra i figli e i nipoti. Comincio ad essere vecchio, non voglio più
troppe responsabilità sulle spalle: passerà tutto sotto il vostro controllo, io
mi godrò i frutti.»
«Mh, e…?»
Come tutti i McGregory che si rispettassero, Juna
andava diritto al sodo.
Lasciava la compagnia in ottime mani.
Sorrise al pensiero, «Posso ritenere sistemata la nostra situazione?»
Juna scosse le spalle, «Se ti ha perdonato mia
madre, non vedo perché non dovrei farlo io. Ti ho sempre detto chiaramente cosa
pensavo di te nonno, ho la coscienza a posto.»
«Ho fatto il miglior affare della mia vita. Mansur
me lo ha detto.»
«Ne avete parlato?»
«Quella settimana e mezzo lo scorso mese, io e tua
nonna siamo andati un po’ in vacanza a Los Angeles.»
«Questa poi…» commentò con un sorriso scuotendo la
testa.
«Appena sono riuscito a farmi ascoltare gli ho
spiegato cosa avevo cercato di fare in questi anni e quella testa dura è andato
su tutte le furie… sono propenso a credere che sia essenzialmente perché l’idea
non è stata sua!»
Risero.
«Non credevo tu fossi anche spiritoso nonno…»
commentò Juna alla fine. «Oggi sembra essere la giornata delle sorprese.»
«Ah, le cose andranno diversamente da ora in poi.
Saremo una famiglia a tutti gli effetti, unita e compatta.»
«Nonno, ne parli come se si trattasse di girare un
interruttore… non credo che sarà così facile.»
«Se ti riferisci a tuo zio Paul, credimi: lo sarà.
Per Paul sarà come ritornare a quando lui e Connor erano ragazzi. Adora il
fratello maggiore e se lo conosco come penso di conoscerlo, la sua ammirazione
per lui non è che aumentata in questi anni. Tu e tuo padre siete gli unici che
mi contraddicono.»
«Come pensi di metterla con Justin e Georgie? Ti
rendi veramente conto di quello che hai fatto? Con il senno di poi nonno, posso
dirti che mi hai precluso un’infanzia normale. Non sto parlando del fatto che a
quattro anni discutevo con papà di finanza, sto parlando del fatto che sono
figlio unico, ma almeno con i miei cugini ci sarebbe potuto essere un rapporto completamente
diverso da quello che c’è stato… se si può definire rapporto.»
«Capisco cosa vuoi dire Juna… e so che non basta
chiederti scusa per questo, ma quando ho cominciato mai avrei pensato di
arrivare fino a questo punto. Il fare di te l’erede dei McGregory mi ha preso
la mano, lo riconosco. Per fortuna Justin è un ragazzo intelligente. E’ da un
po’ che ho iniziato a parlare con tuo cugino e Justin ti vuole bene. So che può
suonare assurdo per quante ve ne siete dette fino ad oggi, ma tuo cugino ti vuole
bene e non aspetta altro che poterti trattare come amico. Inoltre, ha già ben
chiaro quale sarà il suo ruolo nella McGregory Investments.»
«Davvero? Ti va di illuminarmi?»
«Perché credi che stia studiando giurisprudenza?»
Il sopracciglio di suo nipote scattò all’istante.
«Sarà il legale della compagnia?»
Annuì lentamente, «Entrerà a far praticantato da
Warren e prenderà in mano il lato legale della McGregory Investments.»
Juna non staccò gli occhi da lui, poi fece un
sorrisino che era una smorfia, «Devo chiedertelo nonno?» Al suo silenzio
assunse un’espressione rassegnata, «Ok. Come si evolveranno le alte cariche
della società senza di lui?»
Era davvero arrivato il momento di mettere le
carte in tavola con quel ragazzo.
«Tu diventerai il presidente dopo tuo padre. Drake
prenderà il tuo posto, ormai gli manca poco alla laurea, avrà tutto il tempo di
farsi le ossa accanto a te prima che tu prenda il posto di tuo padre.»
Ebbe la soddisfazione di vedere quel monumento
all’auto controllo che era suo nipote veramente sorpreso… scioccato quasi. «Cooosa?»
«Hai capito benissimo. E se te lo stessi
chiedendo, ho preso questa decisione quando Drake ha annunciato di voler
prendere la laurea in economia e commercio… e tu sei il primo al quale lo
dico.»
«E se Drake non fosse d’accordo?» chiese dopo
qualche secondo di silenzio.
Suo nipote aveva un tempo di ripresa a dir poco
stupefacente.
Gli era cascata fra capo e collo la notizia più
sorprendente della sua breve esistenza, l’ultima cosa che si sarebbe aspettato
potesse accadere e aveva già ripreso totalmente il controllo di sé, poteva
sentire le rotelline del suo cervello da dove era seduto.
«Rifiuterebbe di lavorare gomito a gomito con te?
In pratica mio figlio e Manaar hanno due figli.»
Un lampo indescrivibile passò negli occhi di suo
nipote… un lampo che gli fece mancare il respiro.
Dolore? Possibile che fosse…?
«Come pensi di giustificare una cosa del genere
con lo zio Paul e lo zio Ryan?»
«I tuoi zii non capiscono niente di finanza,
saranno più che felici di questa soluzione. Forse, con il tempo, potranno
prendere in mano un settore della compagnia… ma in quelle due poltrone servono
elementi che sanno quello che fanno. E poi Drake è uno di famiglia. Giusto ieri
Paul si è chiesto perché non viene a cena da noi da almeno una settimana.»
«Quando pensi di parlarne a Drake?»
«Pensavo lo volessi fare tu.»
«No nonno, scordatelo: questa è una cosa che devi
dirgli te.»
Gli annuì. Era vero, ma voleva rendersi conto di
quanto suo nipote lo tenesse in considerazione.
Forse non era arrivato troppo tardi.
«Possiamo passare ad altro, vero nonno?»
«C’è una cosa che mi sta molto a cuore, ne ho
volutamente accennato ieri dopo cena.»
L’espressione di suo nipote si fece
improvvisamente attenta.
Una strana sensazione s’impossessò di lui, era
quella che lo avvisava di un pericolo in arrivo. Con un certo sforzo s’impose
di ignorarla.
Non ne aveva già avute abbastanza?
Non riusciva ad immaginare la reazione di Drake
davanti ad una notizia come quella che aveva appena saputo.
«Come stanno Jeremy e la sua famiglia?»
Suo nonno sorrise, evidentemente lieto che avesse
capito al volo «Adesso bene. Il piccolo è sotto shock ovviamente, continua a
parlare di due guerrieri neri, forti e coraggiosi, che lo hanno salvato… parla
degli agenti dell’F.B.I. che lo hanno trovato e riportato a casa, ovviamente.
Io stesso ho parlato con il generale interno all’F.B.I. che coordinava la
missione… si vede che Jeremy è un pezzo grosso, scomodano i generali per lui,
ed è stato con immenso sollievo che l'ho riconosciuto: Richard Lewing. Hai
ancora contatti con lui?»
Dovette guardare suo nonno in maniera
indescrivibile, perché per la prima volta da quando lo conosceva, Patrick
McGregory apparve insicuro… e abbassò
lo sguardo. «Beh» riprese, «qualche anno fa ad una festa tu e Drake avete
parlato con lui e sono sicuro che mi ha riconosciuto stamani…»
Era già abbastanza grave, diciamo anche che rasentava
quasi la catastrofe, che suo nonno avesse in qualche modo collegato lui e Drake
a Richard, ma per Dio, non poteva chiedergli di… questa proprio non l’aveva
preventivata.
Eppure sapeva perfettamente che suo nonno gli
avrebbe in pratica chiesto di indagare o quanto meno sondare il terreno per
scoprire la sua identità e quella di Drake.
«Abbiamo amici in comune» stroncò il fiume di parole
che stava ancora uscendo dalla bocca di suo nonno… e del quale lui non aveva
afferrato niente. «Ma non siamo amici, se è questo che vuoi sapere.» Tanto
valeva andare direttamente al punto, suo nonno sapeva che non usava giri di
parole e comunque il peggio lo aveva già ammesso. «Nonno, Jeremy non vorrà
sapere i nomi di quei due agenti vero?»
«Juna, credimi quando ti dico che le ho provate
tutte per convincerlo a non impuntarsi, ma è fuori dalla grazia di Dio, lui e
Sarah vogliono ringraziarli.»
«Nonno, per quale ragione Lewing dovrebbe dirli a
me?»
«Non te li dirà sicuramente, ma voglio essere in
grado di dire a Jeremy che le ho provate tutte,
capisci? Se per una volta in vita tua fallisci in qualcosa, significa che ciò
che ti ho chiesto è veramente impossibile.»
Scosse la testa, era semplicemente pazzesco.
A quel punto era autorizzato a sentirsi
infallibile?
«Non ho neanche la più vaga idea di come
rintracciarlo, questo Lewing» mentì.
«Non hai certo limiti di tempo Juna, so di chiederti l’impossibile» ci fu una
pausa. «Come hai conosciuto un pezzo grosso dell’F.B.I.?» chiese poi.
«Te l’ho detto, abbiamo amici in comune... e
comunque l’essere un McGregory mi rende praticamente fosforescente.»
«Sei una miniera inesauribile di sorprese nipote.
Dico sul serio.»
«Ho ripreso il meglio dei McGregory.»
«Su questo siamo d’accordo!»
Si guardarono e scoppiarono a ridere.
Alla fine anche a lui sarebbe toccata una notizia
sconvolgente per Drake.
Dopo cena si alzò da tavola e, allo sguardo
interrogativo di suo nonno, rispose semplicemente che doveva fare una
telefonata.
Non considerò neanche il telefono di casa.
Drake fu sorpreso di sentirlo così presto… alla
fine del racconto era senza parole.
«Chiamalo e spiegagli cos’è successo, io non
posso: mi staranno già aspettando per la prima riunione di famiglia che i
McGregory ricordino negli ultimi venticinque anni.» Fece una pausa e al
silenzio dell’amico continuò «Drake, hai capito cosa ti ho detto?»
«Temo proprio di aver capito tutto» fu la
risposta. «Stiamo scivolando nella fantascienza. Questo è puro delirio.»
E non sapeva tutto.
«Richiamami sul cellulare appena fissi con loro,
qualsiasi ora tu faccia, lo lascio acceso, intesi?»
«A più tardi.»
Riattaccò e tornò in sala.
Lo stavano aspettando.
Prese posto nel divano fra suo padre e sua madre e
Melissa, che lo aveva aspettato in piedi, gli si sistemò in collo.
«Bene» cominciò Patrick. «Questa riunione
familiare ha uno scopo ben preciso, ma prima di passare ad illustrarvelo, devo
rendere ufficiali un paio di cose: intanto io e Connor abbiamo appianato i
nostri ultra ventennali dissapori, poi la situazione fra me, Juna e Manaar si è
definitivamente sistemata» fece una pausa. «E’ una premessa necessaria per
spiegare la decisione che ho preso.» Si guardò intorno. «Paul?»
Il figlio lo guardò, «Sono senza parole papà.»
«Sei contento di questo?» chiese Madeline.
L’uomo sospirò, «Certo che lo sono mamma. Ho
pensato molto durante questo fine settimana. A ciò che mi ha detto Juna prima
di partire, intendo… e per la prima volta ho realizzato che a me,
personalmente, Manaar e Juna non avevano fatto nulla che giustificasse il mio
comportamento nei loro confronti. E tanto meno ho scusanti per come mi sono
comportato con mio fratello. Mi sono semplicemente limitato ad appoggiare mio
padre, come ho sempre fatto.» Guardò il fratello maggiore, «E’ questo che
volevo dirti a quattr’occhi se non ci fosse stata questa riunione: mi dispiace.
Non mi sono comportato lealmente nei tuoi confronti, altrimenti ti avrei
spalleggiato in tutto e per tutto, perché è evidente che sei felice e che il
tuo matrimonio non ha assolutamente nuociuto alla famiglia» lanciò una breve
occhiata al nipote, «anzi.» Guardò la cognata, «Scusami anche tu se puoi, e
scusa anche Lennie perché il suo comportamento è interamente colpa mia: essendo
mia moglie si è sentita in dovere di appoggiarmi anche in questa guerra fredda,
senza fermarsi a pensare se fosse giusto o sbagliato.»
Manaar sorrise, «E’ tipico di una donna che ama Paul.
Mi butterei sul fuoco se Connor me lo chiedesse e il concetto giusto o
sbagliato sarebbe l’ultimo dei miei pensieri.»
«A proposito di giusto o sbagliato» riprese Paul,
dopo un sorriso alla cognata, «devo fare una precisazione. Non è un mistero che
abbia sempre seguito il volere di mio padre… e tu lo sai meglio di chiunque
altro Lennie.»
Sentendosi chiamare direttamente in causa la donna
alzò lo sguardo e lo puntò sul marito, che continuò, «Voglio però che su un
punto tu non abbia dubbi: non ti ho sposata perché mio padre mi ha detto che
eri la donna della mia vita. Ti ho sposata perché ti amo, testardaggine e
snobismo inclusi.» Sorrise, «Immagino che avrei dovuto dirtelo già parecchio
tempo fa, ma tendo a dare parecchie cose per scontate. Non vorrei che tu fossi
veramente convinta che solo matrimoni contrastati come quelli di Connor e Manaar
siano matrimoni d’amore.»
Lennie aveva gli occhi pieni di lacrime.
Justin guardava i suoi genitori come se li vedesse
per la prima volta, Georgie guardava la madre come se avesse due teste.
«Quando lo hai capito?» chiese Lennie in un
sussurro.
«Mamma!» esplosero Justin e Georgie con un
sincronismo perfetto.
«Sono un gran testone amore mio, ma quando
m’impongo di pensare come Dio comanda, non sono poi da buttare via.»
Il coro dei due si ripeté, stavolta sotto forma di
papà! e Paul li guardò, «Sì?»
Justin e Georgie si guardarono.
«Tu ci hai capito qualcosa?» chiese Justin alla
sorella «Perché ho l’impressione che finita questa riunione dovrebbe
cominciarne un’altra con soli quattro presenti!»
«Dio solo sa se noi quattro abbiamo bisogno di
parlare, e lo faremo, statene certi» disse Paul.
Georgie guardò il padre, «Papà, sei proprio tu?»
«Georgie!» esclamò Lennie.
Ryan ridacchiò, «Non sei la sola a chiedertelo,
nipote…» Rise apertamente, «Posso dire solo una cosa? Era ora gente!»
Patrick sorrideva, «V’interessa sapere cosa ho
deciso?»
«Spero niente di troppo sorprendente» disse
Justin. «Per oggi ho già avuto abbastanza emozioni. Se devo essere onesto devo
ancora riprendermi dal fatto che ieri Juna si è trovato d’accordo con me!»
Juna scosse la testa, «Mi spieghi dove lo tenevi
nascosto il senso dell’umorismo? In questo sei pari pari tuo nonno!»
«Quando qualcuno mi fa incazzare raramente riesco
ad essere spiritoso.»
«Justin!» esplose Lennie.
«Ok mamma: infervorare. Quando qualcuno mi fa
infervorare…»
«T’insegnerò che l’ironia usata bene è la migliore
arma per scatenare… le infervorazioni degli altri» promise Juna.
«Sono certo sarai un maestro di prim’ordine: non
ho problemi a riconoscere che tu sei un asso in questo.»
«Grazie Justin.»
«Prego Juna.»
«Nonno, io voglio sapere cosa hai deciso» disse
Melissa, «ma se fossi in te mi sbrigherei a dirlo adesso che stanno zitti.»
Tutti risero… e a memoria di Juna quella era la
prima volta che qualcosa faceva ridere tutti i membri della famiglia.
«Grazie Lissa, farò tesoro del tuo consiglio»
disse Patrick. «Come già sapete, Connor e Juna detengono le cariche più
importanti all’interno della compagnia. Ho intenzione di portare grandi
cambiamenti, ma questo resterà invariato… almeno fino a quando mio figlio non
si sentirà pronto per la pensione. A quel punto Juna diventerà presidente e
Drake entrerà al posto di Juna alla vice presidenza.»
Non volò una mosca per qualche secondo, poi fu
Connor a parlare, «Juna, vuoi ripetermi cosa ha appena detto mio padre per
cortesia? Lentamente e scandendo bene le parole. L’unico Drake che conosco è il
tuo migliore amico nonché eterno complice, che Dio mi aiuti.»
«Hai capito benissimo Connor» ribatté Patrick.
«Drake è fatto della stessa pasta di Juna e li ho visti all’opera in diverse
occasioni: sono inarrestabili. Drake inoltre ha un legame affettivo che
lo lega a mio nipote come è più profondamente di un fratello. Solo questo lo
rende la persona più fidata.»
«Ha la sua logica» convenne Manaar nel silenzio
che seguì. «Ma Drake lo sa? Patrick, ha detto adesso che è fatto della stessa
pasta di mio figlio e non creda per un solo istante che in questi anni i
sentimenti di quel ragazzo nei suoi confronti siano…»
«Lo so Manaar. Mi sarei meravigliato del
contrario, visto la feroce lealtà che ha verso Juna, ma visto che la società
passerà sotto il controllo dei miei figli e dei miei nipoti, Drake non lavorerà
per me, lavorerà con Juna.»
«L’hai veramente studiata bene papà» ammise Paul
con una chiara nota di ammirazione nella voce. «Ecco perché non hai opposto
resistenza quando Justin ha scelto giurisprudenza.»
«L’unico che potrebbe avere da ridire potrebbe
essere appunto Justin, in quanto erede maschio» riprese Patrick, «ma ho già
parlato da solo con lui in varie riprese negli ultimi mesi e alla prospettiva
di prendere in mano la società gli passava l’appetito», concluse.
Justin inaspettatamente sorrise, «Vuoi farmelo
dire ad alta voce davanti a tutti eh? Ti ho già promesso che appena laureato
entrerò a fare praticantato da Warren e con il tempo prenderò io in mano il
lato legale della società. Il fatto di Drake è solo un optional per me.»
Paul guardò esterrefatto il figlio, «E quando lo
avresti deciso?»
«Il giorno che ho deciso di iscrivermi a
giurisprudenza, papà. Secondo te perché mi sono intestardito a non dare più di
tre esami l’anno? Voglio il massimo dei voti.»
«Ma non mi hai detto nulla!»
«Devo ammettere che quando Juna ha cominciato a collezionare
lauree la mia sicurezza è stata un po’ minata, di proposito non ne ho parlato…»
sorrise al coro di risatine che seguì l’affermazione, poi riprese «lo sapevano
solo Georgie e Diana di questo progetto, ma a questo punto lui sarà il
presidente, che prenda o no una laurea in giurisprudenza, avrà bisogno di un
legale a tempo pieno.»
Connor guardava il nipote come se letteralmente
non lo avesse mai visto prima, «Quanti esami hai dato finora?» chiese.
«Me ne mancano solo tre, zio, e la tesi… ma credo
di farcela in un paio d’anni includendo anche la tesi: ho lasciato di proposito
gli esami più facili in fondo.»
Paul era semplicemente allibito. «Da quanto non do
un’occhiata al tuo libretto universitario?» chiese con una nota di rammarico
nella voce.
«Se ti va puoi rimediare stasera stessa.»
«Contaci.»
Patrick si schiarì la voce, il patriarca era
decisamente commosso. «Prima finiamo qui e prima lo farai, giusto Paul?»
«Giusto papà.»
«Fino ad oggi ho sempre detenuto la totalità delle
azioni della società, due settimane fa ho fatto preparare i documenti per
spartire queste azioni fra i miei figli e i miei nipoti.»
Juna sussultò, «I documenti sono già pronti da due
settimane?» chiese.
Patrick gli sorrise, «Sapevo di aver scordato
qualcosa a pranzo. Gli occhi hanno cominciato ad aprirmisi quando mi sono reso
conto che eri arrivato ad un tale punto di saturazione che solo il fatto che ti
respirassi vicino ti faceva andare in bestia. Avrei voluto dare questa notizia
a cena, la sera che non sei tornato… ecco perché ti ho aspettato sveglio. Il
terrore di contribuire a fare di te un ricco egocentrico e viziato mi ha preso
la mano Juna, te l’ho detto. Sono giorni che cerco di parlarti, credo che Mansur
avesse proprio ragione quando parlava di giustizia divina: ti ho avuto sotto lo
stesso tetto da quando respiri, ma quando ho deciso di parlarti, non c’è stato
verso di acchiapparti per settimane.»
Juna scosse la testa.
«Roba da pazzi?» suggerì Georgie.
«Mi hai letto nel pensiero cugina.»
«E’ più facile di quanto credessi.»
Per la prima volta da quando erano al mondo si
sorrisero con convinzione.
Possibile che suo nonno avesse ragione? Che
bastasse così poco a far crollare i muri?
«Tornando a noi» riprese Patrick. «A me e a mia
moglie rimarrà il venti per cento delle azioni. A Connor, Paul, Ryan, Georgie,
Justin e Melissa il dieci per cento a testa e a Juna il restante venti, almeno
fino a quando Drake non entrerà nella compagnia. Per quanto riguarda la quota
di Melissa, la gestirà Juna fino al compimento della maggiore età della
bambina. Il consiglio d’amministrazione sarà composto dagli azionisti al completo.
Credo vi rendiate conto che a Juna, in sede decisionale, basterà avere dalla
sua me e con la quota di Lissa avrà l’appoggio del cinquanta per cento delle
azioni…»
«La maggioranza è il cinquantuno però» fece notare
Juna.
«Cugino, credi veramente che sia così pazza da
darti contro in un campo in cui non ci capisco nulla?» chiese Georgie «Saranno
comunque il nonno o lo zio Connor a fare la differenza, grazie a Dio.»
Paul annuì.
«E’ vero» continuò Ryan. «Le quote di Juna, papà,
Connor e Lissa formano il sessanta per cento del totale.»
«Non voglio sapere niente di queste cose» disse
Melissa. «Io sono troppo piccola.» Nascose il viso contro il torace di Juna «Ho
già mal di testa.»
«Oh Dio!» esclamò Madeline «L’avete spaventata!»
«Le decisioni le prenderà Juna al posto tuo» la
tranquillizzò il padre.
«Ryan, io, te e Connor dovremo poi parlare di un
fondo per Lissa, dove finiranno gli utili della sua quota» disse Patrick.
«Quando vuoi papà.»
«Voi tutti dovrete fornire a Juna le vostre
coordinate bancarie per i versamenti» riprese il patriarca. «Firmeremo tutti il
contratto durante la prima riunione che fisseremo nei prossimi giorni» concluse
poi.
Il suono del suo cellulare lo fece sobbalzare.
Matthew.
Ah. Fantastico.
Si alzò. «Scusate un attimo.»
«Chi è?» chiese sua madre.
«Non una futura cognata mamma, stai tranquilla.»
Uscì dalla stanza seguito dagli sguardi di tutta
la famiglia e prese la telefonata. «Pronto?»
«Ciao ragazzo.»
«Ciao.»
Il comandante Matthew Farlan era nervoso. «Che
stia per finire il mondo? Ho fatto in tempo a dire che non ci saremmo sentiti
per un po’ che ne stanno capitando di tutti i colori. Passerò a prenderti in
ufficio alle due domani, fatti trovare fuori ok?»
«Ok, a domani.»
Riattaccò e tornò in salotto.
Elisabeth cercava di convincere Melissa ad andare
a letto e la bambina non ne voleva sapere.
«Lissa, è tardi. Avevi promesso che dopo la
riunione non avresti fatto storie.»
«Juna, chi era?» chiese suo nonno.
«Ha accettato di vedermi domani.»
Suo nonno capì all’istante, «Stai scherzando? Così
presto? E menomale non sapevi dove rintracciarlo!»
«Essere un McGregory serve a qualcosa nonno.»
«Di chi state parlando? Chi vedi domani?» chiese
Melissa mollando la madre a parlare da sola.
Dannazione.
«I discorsi della società non sono i soli per i
quali sei troppo piccola tesoro. E’ una faccenda delicata.»
«Ma tu non sei in pericolo, vero?»
Rimase troppo sorpreso dalla domanda per ribattere
subito. «Non dire sciocchezze Melissa» la prese in collo e le posò un bacio
sulla guancia. «Fai la brava, vai a letto.»
Melissa lo guardò negli occhi, l’agente segreto si
svegliò di botto e sostenne quello sguardo.
La bambina sorrise debolmente, «Va bene.
Buonanotte Juna.»
«Buonanotte pulcino.»
La consegnò alla madre.
«Juna, vuoi il caffè?» gli chiese sua zia Lennie.
«Sì, grazie.»
«Juna…» lo chiamò suo nonno.
Rispose alla domanda ancora prima che venisse
formulata, nella vaga… e ne era certo anche vana speranza che il
discorso si chiudesse senza scendere in particolari davanti a sua madre «Non ho
idea di come si svolgeranno le cose nonno. Non farmi domande assurde, ok?»
«Di cosa state parlando?» chiese Connor.
Patrick guardò il nipote e colse un qualcosa nei
suoi occhi, una freddezza che lo scosse.
Era chiaro che suo nipote non voleva che il
discorso venisse trattato davanti ai suoi genitori… e non poté fare a meno di
chiedersi il perché.
Forse Melissa aveva intuito qualcosa che…?
Poi si disse che non era possibile: la domanda di
Melissa lo aveva fatto rimanere male, ma suo nipote non poteva trovarsi in
pericolo per parlare con qualcuno dell’F.B.I.… vero?
«Nulla Connor, Juna mi sta facendo un favore.»
Sorrise salottiero, «A proposito, lo sai che tuo figlio s’impara le statistiche
a memoria?»
«La cosa ti ha proprio sconvolto eh?» chiese Juna
sedendosi accanto alla madre «E’ un qualcosa che non controllo nonno, guardo un
foglio e quello mi si imprime nella memoria.»
«Ti capita con qualsiasi cosa?» chiese Ryan
interessato.
«Qualsiasi. A volte è scocciante perché mi ritrovo
la testa piena di cose che non m’interessano minimamente, per fortuna George mi
ha insegnato a…»
«George?» chiese sua madre.
«Ma sì, dai mamma, George Cowley: il professore
che mi segue negli esercizi per i tests di I.Q..»
Manaar e Connor si guardarono un attimo, poi
ricordarono, «Già!» dissero ad una voce.
«Sai cugino, comincio a capire perché a scuola
avevi tutti nove e ti si vedeva sui libri sì e no per due ore al giorno…»
commentò Justin.
«Quanto sonno ci hai perso per questo?» s’informò
simpaticamente sua sorella.
«Parecchio.»
Juna ridacchiò.
Arrivò il caffè e Juna decise evidentemente di
spostare il discorso lontano da sé, «Mi chiedevo: avete impegni per domani l'altro mattina verso le dieci?»
«Con chi ce l’hai?» gli chiese «Io, te e tuo padre
sì, se non ricordo male.»
«Mi chiedevo se agli zii e a Justin e Georgie non
facesse piacere assistere a una riunione riassuntiva sul settore acquisti della
società per i primi quattro mesi dell’anno.»
Connor guardò i fratelli e i nipoti, «Non male,
potrete cominciare a farvi un’idea di cosa vi aspetta.»
Paul guardò il fratello maggiore, «Sai come
infondere coraggio Connor, complimenti.»
«Io sono troppo curioso» disse Ryan, «accetto.»
Sorrise.
Da sempre Ryan era stato il piccolino di famiglia.
Il ragazzino coccolato e vezzeggiato dai fratelli maggiori.
Doveva aver passato l’inferno vedendo Connor e Paul
darsi costantemente contro. Sembrava rinato in quel momento.
«Va bene lo stesso se sono dei vostri a partire
dalle dieci e mezzo?» chiese Justin «La lezione mi finisce alle nove e mezzo.»
«Nessun problema» lo tranquillizzò Connor.
«Troverai la mia segretaria ad aspettarti all’ingresso.»
Juna finì il caffè e si alzò, «Io vado a nanna.»
Uscì seguito da un coro di risposta.
Uscì seguito da un coro di risposta. Era la prima
volta che gli succedeva in quasi diciannove anni di vita.
Si trovò da solo in camera e optò per una doccia.
Aveva bisogno di riflettere.
Quella era stata veramente la giornata delle
sorprese, a dire il vero qualcuna l’avrebbe evitata volentieri, ma non si
poteva avere tutto dalla vita.
Dall’indomani lo attendeva una vita completamente
nuova dal punto di vista familiare, si rendeva conto che da quel momento
l’intero nucleo familiare si sarebbe interessato a lui… e in tutta onestà non
poteva affermare che la cosa gli dispiacesse, come non poteva fare nulla per
impedirlo o rifiutarlo.
No, da quel punto di vista non era preoccupato…
l’unico problema che si profilava all’orizzonte era di riuscire a tenere ancora
separata la vita di agente da quella privata.
La prova più lampante di quanto sarebbe stato
difficile era stato suo nonno: lo aveva in qualche modo collegato a Richard.
Da quanto aveva cominciato a prestare attenzione
alle sue abitudini?
Sarebbe dovuto diventare ancora più cauto,
prudente, senza mettere a repentaglio il sottile filo che finalmente cominciava
a legare i componenti di quella famiglia.
Uscì dalla cabina e si asciugò, poi indossò un
paio di boxer.
Decise di fare il servizio completo e si fece
anche la barba.
Era mezzanotte passata quando toccò il letto e
crollò all’istante.
L’ufficio di Richard si trovava nella sede
dell’F.B.I. più nascosta del paese e quel giorno era già la terza volta che Juna
e Drake ci mettevano piede.
Matthew li fece entrare da una porta di servizio e
li costrinse a mettersi dei passamontagna.
«Non è per niente divertente» commentò Drake.
«Avanti ragazzi, nessuno deve vedervi in viso, lo
sapete.»
Entrarono nel piano e la segretaria sobbalzò sulla
sedia vedendoli, Matthew li scortò dentro l’ufficio di Richard.
Richard li aspettava sulla porta. «Ci porti subito
un caffè Marlene» disse Richard alla segretaria. «Dopo chiuderò la porta a
chiave e non ci sarò per nessuno.»
Entrarono nella stanza e, al commento del loro
superiore su quanto fossero carini conciati così, risposero con un ringhio
sincronizzato.
«Scusatemi ragazzi, è stato più forte di me» cercò
di fare ammenda il generale.
«Posso toglierlo?» chiese Juna «Ho dei pessimi
ricordi legati a questo aggeggio.»
«Appena chiudo la porta» lo rassicurò Richard.
Marlene entrò nella stanza come se temesse di
essere morsa, lasciò il vassoio sulla scrivania di Lewing e uscì alla velocità
della luce.
«Lo vedete che ho ragione quando affermo che fate
paura?» chiese Matthew.
Richard chiuse la porta ridacchiando e i due ragazzi
si tolsero i passamontagna.
«Ti odio» lo informarono ad una voce.
Cominciarono a bere il caffè. «Allora Darkness,
per prima cosa, giusto per la forma: perché non hai risposto picche a tuo
nonno?» chiese Richard.
«Motivo personale: finalmente fra me e mio nonno
sta cominciando a formarsi un rapporto, mi ha chiesto un favore, non me la sono
sentita di dirgli di no. Motivo professionale: come temevo il governatore è
deciso a sapere chi siamo. E’ testardo come un mulo e ha agganci ovunque. Anche se io dicessi di no,
sicuramente cercherebbe altre strade. Preferisco che sappia qualcosa da me che
so fino a dove posso spingermi, piuttosto che rischiare che arrivi troppo
vicino alla verità da altre strade che non potremmo controllare.»
Tutti gli annuirono.
«Immaginavo una cosa del genere» ammise Matthew.
«Posso parlarci di nuovo io se vuoi» disse Richard.
«Dannazione, a quanto pare ho parlato con un muro due giorni fa.»
«Fai provare lui» disse Drake. «Ti garantisco che
sa essere quanto meno convincente nelle sue argomentazioni.»
«Ma come accidenti ha fatto tuo nonno a collegarti
con Richard?» chiese Matthew.
«Ci ha visto parlare ad una festa» rispose Juna.
«So che mio nonno non ha assolutamente capito cosa ha realmente visto.»
Drake scosse la testa, «Roba da pazzi.»
«Darkness, per me hai carta bianca» disse Richard.
«Usa tutte le argomentazioni che vuoi… dopo tutto si tratta di te e Falcon.»
«Ma specifica che parli ufficiosamente» continuò
Matthew. «Non nominarmi mai, per nessun motivo, Richard è l’unica figura che
devono aver presente in questa storia. E sottolinea che nulla di quello che
dirai sarà mai confermato.»
«Ovviamente» commentò Juna.
«Ufficiosamente puoi anche minacciare, d’altra
parte non è una bugia che tu e Falcon siete troppo preziosi per noi per
rischiare che un semplice uomo politico, anche se governatore, vi arrivi vicino»
convenne Richard.
Più carta bianca di così.
Rientrò in ufficio poco prima delle cinque e
Alison era alla scrivania, tazza di caffè accanto, a digitare diligentemente al
computer.
«Ciao Ali, novità?»
«Ciao Juna. Beh, in un certo senso. Ha telefonato
quattro volte tuo nonno, alla fine gli ho detto che lo avresti chiamato appena
rientrato.»
«Lo chiamo subito. Altro?» Al suo cenno negativo
riprese, «Faccio quella telefonata e poi vado un paio d’ore in palestra. Se
vuoi andartene a casa, fai pure.»
«Usciamo insieme.»
«Dici che è troppo tardi per un caffè?»
«Assolutamente no. Te lo porto subito.»
Entrò nel suo ufficio e si rilassò contro la
poltrona, poi formò il numero di casa. Gli rispose Howard.
«Ciao Howard, c’è il nonno?»
«Glielo passo subito.»
Breve silenzio, poi la voce di suo nonno, «Hai
saputo qualcosa?»
«Non i nomi, ma ora so più o meno come sono andate
le cose. Nonno, Jeremy si sta mettendo nei guai, in guai grossi e dovrò fargli
un discorsino piuttosto serio.»
Suo nonno rimase un attimo in silenzio, «Devo
avvisarlo anche di questo?»
«Fai come credi.»
«Eventualmente… per stasera ti andrebbe bene?»
«Ok, ma dopo cena. Vado un po’ in palestra adesso,
sarò a casa per le otto.»
«Perfetto. A dopo allora… e grazie. Hai già fatto
un miracolo.»
«A dopo nonno.»
Riattaccò ed entrò Alison. «Ci beviamo un caffè in
santa pace e poi dichiariamo chiusa la giornata di lavoro?» propose.
«Non riuscirò mai a dire di no ad una donna…»
«Allora vai a scaricarti un po’ in palestra?»
«Vado a prendere a pugni qualcosa che non reagisce.»
«Fai del pugilato?! Da quanto?!»
«Non è pugilato. Full contact, sai cos’è?»
«No, ma non mi suona bene, quindi preferisco non
saperlo.» Lo guardò un attimo, «Non avrei mai detto che ti piacesse menare le
mani, eppure penso di conoscerti.»
«Allenarsi in palestra non è menare le mani Ali, se è per quello pratico anche altre arti
marziali: scarico la mia sana aggressività in maniera innocua.»
«Non avrei neanche mai detto che tu fossi aggressivo, se è per quello.»
«Oggi non ti va bene nulla. Ci rinuncio.»
«Ti è passato il mal di testa?»
«Mh? Ah, sì.»
«Lo sapevo: tu non avevi mal di testa stamani.»
«Alison, sono un po’ distratto.»
«Quando qualcosa ti preoccupa non riesci neanche
ad essere un bugiardo convincente.»
Questa era proprio una bella notizia…
Le sorrise, «Mi vuoi bene Ali?»
«Certo.»
«Allora non mi psicoanalizzare, potresti cambiare
idea.»
La ragazza sbuffò, «Sei intollerabile Juna, sul
serio.»
Gli venne da ridere al pensiero che era la seconda
persona nel giro di due giorni a dirgli la stessa cosa… era una buona media.
Capitolo 5 *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 5 ***
Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 5
Non
E’ Mai Troppo Tardi
5
Jennifer Flalagan aveva leticato da piccola con la
chimica: una di quelle leticate che ti segnano per tutta la vita.
Michael era alle sue spalle, tranquillamente
sdraiato sul suo letto, completamente concentrato a studiare un libro
illustrato.
«Jennie?» la chiamò all’improvviso con vocina
insicura.
Dio quanto le era mancato il suo nome detto da
lui.
«Dimmi.»
«So che ho promesso a mamma di non disturbarti, ma
posso chiederti una cosa?»
Spalancò le braccia e il suo fratellino non si
fece ripetere due volte l’invito. Si trovò ad abbracciare anche il libro
illustrato.
Respirò profondamente il profumo dei suoi capelli,
ancora le sembrava un sogno che fosse di nuovo lì con lei.
Anche quella notte si era alzata un'infinità di
volte per andare a controllare che Michael dormisse. Suo fratello doveva avere
ancora gli incubi perché lo aveva visto rigirarsi e sentito gemere nel sonno,
ma non si era mai mosso dal suo lettino.
Le era sembrato d’impazzire senza di lui.
«Cosa c’è?» chiese.
Michael sistemò il libro in perfetto bilico fra di
loro, «Che animale è questo qui?»
«Un camaleonte.»
«E che cosa fa? Non riesco a capire. Cambia
colore?»
«Esatto. Cambia colore a seconda della superficie
con la quale entra in contatto… è il suo modo di difendersi, capisci? Si chiama
mimetizzazione.»
Il bambino tornò a guardare la foto, poi sorrise
«Certo che è proprio buffo, vero? Hai visto che occhi grossi che ha?»
«Anche quelli servono a difendersi. Tu riesci a
guardare solo davanti o dietro di te, lui invece ha sempre una visuale a
trecentosessanta gradi.»
«Mi stai dicendo che guarda sempre sia davanti che dietro?» chiese sgranando gli occhi per la
sorpresa.
«Esatto.»
I suoi occhi tornarono sulla foto, «Beh, in
effetti sembra un po’ strabico, vero?»
Rise divertita, «Beh, un po’ è vero!» ammise.
Michael lasciò andare il libro che scivolò in
terra e la abbracciò forte. «Mi sei mancata tanto…» mormorò.
Gli occhi le si riempirono subito di lacrime.
Rispose all’abbraccio stringendolo forte, «Anche tu pulcino. Mi è sembrato
d’impazzire senza di te… ma adesso sei al sicuro, non ti prenderanno più.»
Lo sentì annuire contro il suo collo. «Devo
ritrovare quei guerrieri, l’ho detto anche a papà. Con loro staremo al sicuro.»
Chiuse gli occhi.
Come poteva spiegare ad un bambino di quattro anni
che quelli che lui credeva guerrieri invincibili che sarebbero accorsi in suo
aiuto tutte le volte che ce ne sarebbe stato bisogno, erano in realtà dei
killers professionisti, agenti dell’F.B.I., che non avrebbe più rivisto?
Il capo delle indagini che era venuto a parlare
con i suoi la mattina dopo la riapparizione di Michael era stato chiaro: erano
intoccabili, praticamente non erano neanche al mondo.
Sapeva che a spingere suo padre a volerli
conoscere era stata soprattutto la richiesta di Michael. Li nominava in
continuazione, era rimasto profondamente colpito dall’apparente facilità con
cui lo avevano tirato fuori da quell’inferno.
Si udì un lieve bussare, seguito dall’entrata di
Sarah Flalagan.
Era una donna sulla cinquantina, ancora molto
bella ed elegante… e in quel momento anche piuttosto agitata.
«Ciao mamma!» salutò allegro Michael.
«Ciao amore, sempre a controllare che Jennifer non
possa studiare eh?» chiese con un vago cenno di rimprovero nella voce.
Michael le sorrise raggiante, «Devo recuperare un
bel po’ di tempo. Dov’è papà?»
«Nel suo studio.»
«Mamma, cosa c’è?»
«Avremo visite dopo cena, me lo ha appena detto
papà.»
«E… c’è qualcosa che non va?»
«Verrà Patrick… e suo nipote.»
«Qual è il problema?» provò a chiedere più direttamente.
«Il terzultimo… forse non ti ricordi di lui, avevi
nove anni quando lo hai visto l’ultima volta. Si chiama Junayd.»
Il respiro le si bloccò nei polmoni. «Juna?» le
uscì di bocca in un soffio prima che potesse impedirselo.
«Che nome strano» commentò Michael. «Non lo
conosco.»
Sua madre lanciò un’occhiata al figlio minore,
«Mmmh, Michael, che ne diresti di andare in cucina a farti dare da Susan un
paio di quei biscotti al cioccolato che ti piacciono tanto?»
«Davvero posso?!» si lanciò in terra e uscì dalla
stanza.
Sua madre chiuse la porta dietro di lui, poi si
sedé sul letto di fronte a lei. «Non mi fraintendere Jennie» riprese, «ho avuto
la possibilità di vederlo e parlarci anche ultimamente ed è gentilissimo e
molto spiritoso, sua madre poi è una donna squisita…»
«Ma?»
«Ma c’è qualcosa nel suo sguardo… di… non so…
inquietante. E poi è un genio: il suo quoziente d’intelligenza ha
dell’incredibile. Le mie amiche non fanno che parlare di lui, è vice presidente
della compagnia di Patrick, ha già due lauree… e solo tre anni in più di te.»
«Mamma, hai deciso di farmi innervosire?»
«Verrà qui per darci notizie sulle persone che
hanno riportato Michael a casa.»
Sua madre rifiutava di definirli per quello che
erano: killers.
«Cosa ne sa lui?» Sua madre fece spallucce «Ti
serve aiuto?»
«No no, Susan è sufficiente, prepareremo dei
pasticcini e del tea.» Rimase un attimo in silenzio, «Non ti ricordi di lui?»
A sua madre era sfuggito il suo bisbiglio, per
fortuna. Veramente pensava che fosse possibile scordarsi di lui?
«Così su due piedi, no» mentì spudoratamente
sperando che sua madre non se ne accorgesse come al solito.
Ma Juna l’aveva proprio sconvolta.
«Avevamo anche delle foto, di quando siamo andati
in vacanza insieme sei o sette anni fa, ma non so più dove sono finite.» Si
alzò, «Beh, non ha importanza, tanto lo vedrai stasera. Non arriveranno prima
delle dieci.»
Detto questo uscì.
Rimase a fissare la porta, poi si alzò e
lentamente andò alla libreria. Dovette scorrere un paio di piani prima di
trovare ciò che la interessava, ma alla fine sfilò l’album di fotografie: Hawaii, agosto 2001, la informò la
copertina di pelle blu.
Lo aprì facendo scorrere le pagine e si fermò su
di una foto di gruppo. Ritraeva una quindicina di persone: la sua famiglia e
quella McGregory. Gli adulti erano in piedi, i ragazzini accucciati in terra
davanti a loro.
Jennie lo riconobbe all’istante e sua madre aveva
ragione: se quegli occhi non erano cambiati, definirli inquietanti era poco.
Se lo ricordava, e come.
Era bastato il nome a farle tornare in mente la
persona alla quale apparteneva, perché mai nome era stato più azzeccato: a
dodici anni aveva tenuto testa all’intera famiglia con una forza e una
determinazione che l’avevano profondamente colpita, anche perché in quasi sedici
anni di vita non aveva incontrato nessun altro con una forza interiore
paragonabile a quella.
Tutte le persone che aveva visto difendere le
proprie idee finivano inevitabilmente con il perdere la pazienza e alzare la
voce, cercando più o meno inconsciamente di imporsi sugli altri… un paio di
volte era successo anche a suo padre.
Come una diga lasciata a sé stessa e tenuta per
troppo tempo chiusa, aperto uno spiraglio crollò tutto.
Ricordò improvvisamente tutta una serie di episodi
che avevano caratterizzato il mese passato insieme alla famiglia McGregory.
Juna, il cui nome significava Giovane Guerriero, a
soli dodici anni, aveva avuto ragione di suo nonno e suo zio con una
glacialità, una freddezza… che l’avevano scossa profondamente.
Erano stati Patrick e il figlio ad uscire fuori
dai gangheri in quel confronto.
Juna bisbigliava in un mondo che urlava e riusciva
non solo a farsi ascoltare, ma a convincere chi aveva davanti.
Ripensandoci, all’epoca era già da un anno aveva
preso il posto di vice presidente della compagnia, bastava sentirlo parlare con
persone molto più grandi di lui per rendersi conto che era proprio ad un altro
livello… e suo padre l’aveva adorato da subito.
Corrugò un attimo la fronte mentre un pensiero
sconcertante la colpì come uno schiaffo.
Si morse un labbro e chiuse l’album di foto.
Un lato del suo carattere di cui suo padre era
sempre andato fiero, era la sua capacità di ragionare senza mai perdere la
pazienza.
Si alzò e rimise l’album a posto.
Ad appena dieci anni forse era un pensiero
impossibile da avere… ma a quasi sedici si riteneva una ragazza con la testa
sulle spalle e se le era passato per la testa una cosa del genere…
Juna era stato un buon esempio per forgiare quel
lato del suo carattere.
Ricordava bene Juna… nessuno l’aveva mai più
terrorizzata a quella maniera.
Juna attraversò la soglia di casa che erano quasi
le otto e mezzo e incontrò sua zia Lennie, «Alla buon’ora!» lo apostrofò con un
sorriso «Tuo nonno dice che avete un appuntamento alle dieci e che massimo per
le nove e un quarto dovete andare via.»
«Ho fatto tardi perché mi sono fermato a fare la
doccia in palestra» si giustificò. «Vado su a posare la roba e a cambiarmi,
cominciate senza di me.»
«Avverto gli altri.»
Salì di corsa in camera e si cambiò in tempo
record scegliendo il suo accostamento preferito: jeans neri e maglione bianco.
Tornando giù si scontrò con il padre, «Alla
buon’ora!» lo apostrofò meno sorridente della cognata.
«Ho fatto tardi in palestra papà, mi dispiace.»
Suo nonno apparve dietro il figlio, quasi lo fece
sussultare: non lo aveva visto.
«Non preoccuparti Juna, stasera siamo in ritardo
tutti quanti.»
Entrarono nella sala, «Cos’è successo?» chiese
perplesso.
La cena era un rito che si ripeteva con una
puntualità svizzera.
Mancavano solo loro all’appello.
«Avevo perso Molly» spiegò Georgie riferendosi
alla gattina persiana che adorava. «Non sapevo più dove cercarla, ho cominciato
seriamente a temere che una di quelle belve la fuori l’avesse presa!»
«Mh, improbabile» disse Juna prendendo posto come
al solito accanto alla madre. «Quei due non entrano mai in casa e quella gatta
ha un istinto di conservazione troppo spiccato per avventurarsi oltre la
porta.»
«E infatti si era rintanata sotto il tuo letto
cugino!» esclamò Justin «Abbiamo dovuto mandare Melissa a recuperarla! Era
l’unica abbastanza stretta per passarci!»
«Melissa, hai fatto scuola…» disse Manaar
dolcemente. «Anche Molly ha imparato la via che porta alla camera di mio
figlio.»
«Non sono gelosa di una gatta» disse la bambina.
«Molly poi era sotto il letto, non
sopra.»
«E il giorno che finalmente Juna si fidanzerà?»
chiese Madeline tirando in ballo il suo argomento preferito «La sua fidanzata
non potrà certo dormire sotto il letto, ti pare?»
Passò un lampo negli occhi della piccola, «Se
questa ragazza piace a lui, piacerà anche a me… spero.» Sorrise speranzosa,
«Comunque io sono piccolina, prendo poco spazio!»
Elisabeth guardava affranta il marito, che a sua
volta osservava la figlioletta, «Melissa, pensi davvero di poter continuare
così?» chiese sconcertato.
Era ora di intervenire, «Nonno, non abbiamo un
appuntamento stasera?» disse «Forse è il caso di mangiare.»
Melissa scattò come un serpente, «Vai via? Dove?»
«Da un amico del nonno, tu non lo conosci.»
«Quando torni?»
Non le poteva fregare di meno di chi fosse questo
amico…
«Non penso di fare tardi. Non ti azzardare a fare
avanti e indietro dalla tua stanza per controllare però, intesi?»
Melissa sgranò gli occhi, ovviamente era stato il
primo pensiero che aveva avuto. «Ma come faccio a sapere se sei tornato?»
«Se ti addormenti e non avrai incubi sarà molto
meglio. Domani mattina mi troverai nella mia stanza se vuoi venire a
svegliarmi.»
Sorrise più tranquilla, «E’ vero. Ok.»
Per la prima volta vide negli occhi di Justin
autentica preoccupazione per la cugina più piccola… e gli venne improvvisamente
in mente che forse quella preoccupazione gli era sempre sfuggita fino ad
allora.
Alla crisi di Melissa, Justin era crollato… non lo
aveva mai visto così sconvolto.
Il ragazzo si voltò verso la sorella e Georgie
scosse le spalle, poi guardò la madre che rispose al gesto con un cenno
affermativo della testa.
«Lissa, mi stavo chiedendo…» cominciò allora la
ragazza, «vuoi venire a fare una passeggiata con me e la zia Lennie domani
pomeriggio?»
Per poco a suo zio sfuggì la forchetta di mano, sua
zia invece aveva l’aria di una che aspettava da una vita quel momento.
Dovevano averne parlato in precedenza, le sue zie,
i rispettivi mariti invece sembravano appena atterrati sulla Terra dopo decenni
di assenza.
«Dove?» chiese Melissa.
«Avevamo pensato di fare un salto al centro
commerciale» rispose Lennie, «ovviamente può venire anche la mamma, vero?
Potrebbe esserci qualcosa che ti piace.»
«E’ un’ottima idea Lissa» disse sua zia Elisabeth.
«Ti va di andare?»
Come un radar gli occhi della bambina cercarono
lui, «Tu vieni con noi Juna?»
«Ho già un impegno con Justin, vero cugino?»
Justin sorrise, «Sì, è un impegno che rimandiamo
da una vita.»
Melissa sembrò farsi più piccola, mentre fra Paul
e Connor saettò un’occhiata a dir poco incredula.
Come al solito sua madre era l’unica a non essersi
persa per la strada.
«Io non so se…» cominciò la bambina.
«Melissa, da quanto è che non usciamo con la zia
Lennie e Georgie?» chiese sua zia Elisabeth con una anche troppo chiara tensione
nella voce. «Sarebbe carino…»
«Non siamo mai uscite con loro» fu la lapidaria
risposta della bambina. «Sono uscita con la zia Manaar, mai con la zia Lennie.»
Entrambe le sue zie cercarono sua madre che
sorrise, «E’ un aperto invito alla sottoscritta Lissa?»
Melissa si trovò chiaramente presa in contro
piede, poi fu anche troppo chiaro il ragionamento che le passò per la testa: se
non poteva avere il figlio, si sarebbe presa la madre. «Verresti?»
Aveva l’impressione che la situazione stesse
peggiorando a vista d’occhio.
«Fantastico!» esclamò salottiero Justin.
«Un’uscita di sole donne! Farete la gioia del
centro commerciale!» continuò suo zio Ryan.
«Madeline, vuole venire con noi?» chiese sua madre.
«Partiamo verso le quattro» propose zia Lennie.
«Ci sono problemi?»
Nessuno ebbe da ridire.
«Juna, tu che fai domani?» tornò all’attacco
Melissa.
«Justin verrà in ufficio…» improvvisò.
«… dopo di che Justin, affrontato eroicamente un
giro turistico della McGregor Investments, con un po’ di fortuna riuscirà a
portarlo fuori di lì in tempi ragionevoli» continuò Justin come se stesse
ancora parlando lui.
«Credo riuscirò a concederti una fortuna del
genere, abbiamo diverse cose di cui parlare.»
L’occhiata piena di gratitudine di zia Elisabeth
gli disse che aveva capito e perfettamente assecondato le intenzioni delle sue
zie: Melissa doveva capire che lui l’indomani sarebbe stato esclusiva proprietà
di Justin.
Melissa doveva averlo capito alla perfezione, a
giudicare dallo sguardo angosciato che aveva in quel momento. «Terrai il
cellulare acceso?» chiese come ultimo appiglio.
Zia Elisabeth chiuse gli occhi.
«Certamente» rispose dopo qualche secondo.
La bambina annuì visibilmente più rincuorata.
«Ehm… Juna, fra meno di un quarto d’ora dobbiamo
andare» disse suo nonno.
«Sì nonno. Justin, ce la fai per le quattro ad
essere in ufficio?»
«Nessun problema cugino.»
Jennifer aveva deciso di aspettare l’arrivo degli
ospiti nella tranquillità della sua stanza, ma più passava il tempo, più
sentiva il nervosismo crescere.
Quando bussarono alla porta, praticamente saltò in
piedi.
«Jennie? Sono arrivati» l’avvisò sua madre senza
entrare.
Segno che toccava proprio a lei scendere.
Respirò profondamente, «Arrivo mamma.»
Michael era già stato messo a letto, in modo che
non partecipasse a quella che si delineava come una vera e propria riunione.
Durante la cena Michael aveva fatto diverse
domande su Juna, specie quando a suo padre era sfuggito il significato del suo
nome arabo, e aveva colto un certo nervosismo anche in suo padre… la cosa
l’aveva quasi spaventata.
Senza contare che ancora non riusciva ad
immaginare quale collegamento potesse esserci fra Juna e chi si era occupato
del rapimento di Michael.
Come poteva quel ragazzo sapere qualcosa che
neanche suo padre era riuscito a scoprire?
Non aveva mai sbandierato il fatto di essere la
figlia del governatore Flalagan, ma era cosciente che suo padre fosse un
uomo influente… e anche estremamente determinato.
Uscì dalla stanza e seguì la madre al pian
terreno.
«Non me lo ricordavo così affascinante» le confidò
in un sussurro la donna che l’aveva messa al mondo.
Non fece commenti.
Arrivarono in salotto e al loro ingresso intravide
tre persone alzarsi.
La stanza non le era mai sembrata così piccola.
«Ecco Jennie!» esclamò suo padre… con una nota di
nervosismo nella voce che le fece contrarre lo stomaco. «Bambina, ti ricordi
Patrick, vero?»
«Certo.» Si sforzò di mantenere la voce ferma e
puntò lo sguardo sul migliore amico del padre, «E’ un piacere rivederti
Patrick. Come sta Madeline?»
Suo padre la guardava compiaciuto. Si rendeva
conto dello sforzo che stava facendo? Le mancava il respiro e neanche sapeva il
perché.
«Maddie sta bene, grazie, anzi, ti manda i suoi
saluti. Ha apprezzato molto il tuo biglietto d’auguri per il suo compleanno.» Ci
furono cinque secondi di silenzio assoluto, poi… «Ti ricordi di mio nipote Junayd?»
«Non… non molto per la verità» mentì.
«Io mi ricordo di lei.»
Quella voce la fece sussultare, sarebbe potuta
appartenere ad un uomo di trenta o anche trentacinque anni per com’era bassa e
ben modulata… e quel ragazzo non ne aveva diciannove, stando a quanto le aveva
detto la madre e se la matematica non era un’opinione!
Juna continuava a bisbigliare e ad essere
ascoltato.
«Vado a prendere il tea e i biscotti» disse la sua
voce perfettamente tranquilla. «Qualcuno preferisce un caffè?»
«Sì, io. Grazie Jennifer.»
La sua fu una vera e propria fuga.
A metà strada incontrò Susan con il vassoio che
era stata la sua momentanea salvezza. «Dai pure a me Sue, lo porto io di là.
C’è anche il caffè?» Al cenno affermativo di Susan sospirò, «Bene.»
«Hai visto quel ragazzo? E’ bello come il
peccato.»
La guardò sorpresa, «Cosa?»
«Ho aperto io la porta… e sono rimasta inchiodata
al suolo… eh, avessi quarant’anni di meno…!»
Era una congiura o cosa?
«Non… non l’ho guardato.»
Susan tornò verso le scale che portavano alla
cucina con un’occhiata al soffitto piena di rassegnazione, «Ma dove li ha gli
occhi, questa generazione?»
Tornò in salotto e servì il tea, facendo bene
attenzione a non guardarlo in faccia.
Quando gli passò la tazza di caffè quelle dita
lunghe e nervose la sfiorarono… e per poco non rovesciò il liquido bollente
addosso ad entrambi.
D’istinto alzò lo sguardo e si perse nella
profondità di due oceani neri come la notte che la trapassarono.
Fu un lampo che li illuminò a farla riscuotere, si
guardò intorno e nessuno sembrò essersi accorto che le era momentaneamente
crollato il mondo addosso.
«Grazie Jennie.»
«Pensa Jennie, Juna ha capito chi sei perché si è
ricordato di quando ti punse quella vespa» disse Patrick.
«Ah, se lo ricorda anche lei: adesso scappa tutte
le volte che ne vede una!» fu il commento di suo padre.
Tutti risero, solo Juna sorrise appena guardando
suo padre.
Ne approfittò per prendere la propria tazza.
«Jennie, siediti qui» disse sua madre.
Le ubbidì d’istinto, solo quando rialzò lo sguardo
si rese conto di essere di fronte a Juna.
Bello come il
peccato,
aveva detto Susan.
Rendeva perfettamente l’idea.
A prescindere dagli occhi, Juna aveva un viso
incredibilmente espressivo… e da quello che aveva intravisto, anche il resto
non…
Bloccò i suoi pensieri e li deragliò verso binari
più sicuri.
Sembrava incredibile che Patrick e quel ragazzo
fossero patenti stretti… fisicamente erano agli antipodi.
Juna aveva la pelle di un colorito ambrato-dorato
che quasi abbagliava accanto alla pelle color latte di Patrick.
Se non ricordava male i tre figli avevano ripreso
i colori del padre, quindi Juna doveva per forza assomigliare alla madre.
Improvvisamente le tornò in mente Manaar Alifahaar
McGregory… e sì, Juna era la fotocopia al maschile di sua madre.
«Juna…» cominciò all’improvviso suo padre, «non
vorrei sembrarti impaziente, ma…»
«Non c’è problema Jeremy, sono qui per questo.»
Per poco non si strozzò.
La voce era quella di un altro, il ragazzo
sembrava un altro.
Ogni accenno di sorriso era sparito, la bella
bocca era rigida, gli occhi si erano fatti, se possibile, più scuri e
l’espressione seria non prometteva nulla di buono.
Ecco cosa si era scordata o forse aveva
semplicemente rimosso di lui: non aveva bisogno di alzare la voce per farsi
sentire, bastava che ti piantasse quegli occhi in faccia per farti scordare il
resto del mondo.
Sperò ardentemente di trovarsi all’altro capo del
mondo quando Juna avesse perso la pazienza.
«Patrick mi ha accennato a delle cose poco
piacevoli…»
«Jeremy, dovrò essere estremamente chiaro e
diretto. Mio nonno deve aver cercato di indorarti la pillola, perché poco piacevoli è un termine piuttosto
blando per la situazione che ho presente io. Ti dico subito che tutto quello
che ti dirò stasera non verrà mai confermato ufficialmente e soprattutto, dopo
che io sarò uscito da questa casa, io e il generale Lewing non ci saremo mai né
sentiti né tanto meno visti. Intesi?» Al cenno affermativo di suo padre continuò,
«Mi ha detto quello che sto per dirti per una sola ragione: cercavano già il
modo di farti arrivare all’orecchio che ti stai cacciando in un qualcosa molto
più grande di te, quando hanno saputo che sono il nipote del tuo migliore
amico… beh, mi hanno richiamato subito. E’ una cosa che ha stupito anche mio
nonno, pensa te. Sei una persona molto in vista Jeremy e hai amici molto
potenti, ti hanno aiutato finora, ma nulla potrebbe salvarti se non ti tiri
fuori da questa storia, adesso.»
Sua madre ebbe una specie di singulto, suo padre
resse lo sguardo di Juna, «Continua.»
«Il punto è questo: stai cercando di avere notizie
di un caso che non esiste e informazioni su delle persone che non sono mai
nate. Gli agenti che hanno riportato a casa Michael lavorano in nero per
l’F.B.I., sono… definiamoli liberi
professionisti…»
«Killers.»
Rimase sorpresa dal suono della sua stessa voce.
«Mi fa piacere sapere che non hai paura di
chiamare le persone con i loro nomi, Jennie» disse Juna dopo qualche secondo di
silenzio lanciandole un’occhiata che non avrebbe mai voluto vedere. «Sono
esattamente killers», riprese tornando a concentrare la sua attenzione su suo
padre, «e non erano neanche lì per tuo figlio. Non sono scesi in particolari,
ovviamente, ma da quello che ho capito, Lewing è stato il terzo a cadere dalle
nuvole quando ha saputo che il figlioletto del governatore era con Carlos
Estrada. I primi due sono stati quelli che lo hanno trovato.»
«Carlos
Estrada?!» esplose Patrick «Il trafficante ucciso la notte fra sabato e
domenica!»
Sua madre posò velocemente la tazza sul tavolo, le
mani le tremavano troppo per sperare di reggerla.
Aveva ascoltato alla televisione la notizia
dell’uccisione di quell’uomo solo perché ci si trovava vicino, presa com’era
dalla ricomparsa di Michael, ma ricordava di essersi sentita sollevata non
sapendolo più in giro per il mondo: gli avevano attribuito qualcosa come
cinquanta omicidi, era il mandante di chissà quanti altri delitti e per di più
vendeva droga che faceva lavorare a ragazzini più piccoli di lei.
E suo fratello era stato nelle mani di gente del
genere?
Suo padre chiuse gli occhi, «Quei figli di
puttana… Estrada, dannazione. Come ho fatto a non arrivarci subito? Non ho
minimamente collegato il suo assassinio con il ritrovamento di Michy. Era così
logico.»
«Il ritrovamento di tuo figlio li ha presi così in
contropiede che lo hanno portato subito a casa. Per motivi che non sapremo mai
non potevano portarsi dietro il bambino e piuttosto che lasciarlo per la strada
sotto shock, lo hanno riconsegnato subito alla famiglia.» Respirò
profondamente, «Jeremy, hai pensato che stai mettendo in pericolo la vita di
chi ha salvato tuo figlio?»
«Cosa?» chiese suo padre con voce strozzata.
«Il centro di tutta la storia è questo: tu adesso
stai dando in un certo senso la caccia a questi due killers, sei un governatore
e hai conoscenze e agganci. Le motivazioni che ti spingono sono molto
onorevoli, siamo d’accordo, ma hai idea di quanti delinquenti sarebbero in fila
dietro di te ad aspettare che tu li trovi? Gente come Estrada, che venderebbe
la mamma per mettergli le mani addosso. Lewing non lo ha detto a chiare
lettere, è ovvio, ma da quello che ho capito non è in grado di controllarli più
di tanto, se questi due si sentissero in qualche modo minacciati da te…» Juna
si interruppe.
Nella stanza non volava una mosca e il viso di suo
padre era una maschera… dove stava cercando di arrivare quel ragazzo?
«Stai cercando di dirmi che potrebbero uccidermi, Juna?»
Sua madre non resistette oltre, «Cosa?!» urlò.
Patrick guardava il nipote come se lo vedesse per
la prima volta… lei lo guardava perché semplicemente non poteva farne a meno.
L’espressione di Juna era indecifrabile… reggeva
lo sguardo di suo padre senza muovere un muscolo.
Dio santissimo, aveva un controllo di se stesso
che aveva del sovrumano: stava dicendo ad una persona che conosceva da quando
era nato che stava rischiando di essere uccisa e niente nel suo atteggiamento o
nel suo sguardo tradiva la minima emozione.
«Il nocciolo della situazione è tutto qui Jeremy»
continuò infatti calmo. «Non sempre lavorano dalla parte della legge. Ti
ripeto: non me lo hanno detto a chiare lettere, è stato un incontro all’insegna
del surreale perché ogni discorso iniziava con un poniamo il caso che o diciamo
che potrebbe essere. Una cosa però temo di averla capita bene: sono dei
cani sciolti. Lewing ricorre a loro quando vuole essere certo che le cose
vadano come devono andare e non è in grado di controllarli: ucciderne uno in
più o uno in meno, se ne va della loro vita poi, non li spaventerà di sicuro.»
Una tazza si frantumò in terra, abbassò lo sguardo
per avere la conferma che fosse la propria, poi i suoi occhi cercarono ancora Juna,
come la calamita è attratta dal ferro. «Uno in più o uno in…?» mormorò.
Quegli occhioni verde-acquamarina, sgranati e
terrorizzati, gli ricordarono quelli del fratellino e dovette fare uno sforzo
enorme per non dirle qualcosa che cancellasse l’accusa, il terrore che vi
leggeva.
Si costrinse a stare fermo e sostenne quello
sguardo.
«Juna, stai parlando di mio padre…» riprese. «Uno
in più o uno in meno?» ripeté «Ma sei fatto di carne o di ghiaccio?»
Fece appello a tutta la sua calma e razionalità…
non occorreva essere un genio per capire che quella ragazza lo stava
considerando un mostro.
«Sono sempre stato dell’idea che il medico pietoso
fa più danni che risolverne Jennie. Quando affronto un problema o parlo chiaro
o non comincio neanche. Se sono qui è proprio perché è tuo padre. Pensi
che sia un divertimento per me informare una persona che conosco da sempre che
sta rischiando di farsi ammazzare? Posso capire che sei sotto shock ragazza
mia, ma è tutto meno che un complimento quello che mi hai appena fatto… e per
la cronaca, ho un concetto di divertimento molto diverso.»
«Non avevo assolutamente capito a cosa ti riferivi
quando mi hai detto che la situazione era seria» disse suo nonno. «Quindi è
stata l’F.B.I. a decidere l’assassinio di Estrada.»
«Per quello che ne so sarebbero anche potuti
essere sulle tracce di Michael e, dopo averlo ritrovato, aver deciso di non
lasciare nessuno vivo. Unire l’utile al dilettevole, per così dire. Non sono
andato a prendere un tea con il generale nonno, non abbiamo parlato
amichevolmente di come si è svolto il suo fine settimana» rispose senza
staccare gli occhi da quelli della ragazza. «Il discorso è stato messo insieme
all’insegna del condizionale, ma l’unico trafficante di droga ucciso in città
la notte di sabato è stato Estrada e tu stesso mi hai parlato dei due guerrieri
che Michael va santificando. Ho fatto due più due e la cosa torna.»
Jennifer distolse lo sguardo dal suo e lo abbassò
sulla tazza che si era frantumata in terra.
Si rivolse di nuovo a Jeremy, «Avete fatto domande
a Michael?» chiese sperando di capire a che punto fosse il bambino.
Jeremy scosse le spalle impotente, «Non parla
altro che di loro Juna, ne parla come di due creature soprannaturali… è
arrivato a dire che si è divertito un mondo a scalare il muro con il
guerriero che non ha ucciso Estrada perché ha dovuto portare lui in salvo alla
macchina!»
Sentì quasi il rumore degli argini dell’auto
controllo di quell’uomo che crollavano, Jeremy aveva bisogno di parlare…
sembrava quasi che si fosse scordato che nella stanza ci fossero anche sua
moglie e sua figlia.
«Lewing non è riuscito a tirargli fuori altro se
non cosa hanno fatto i due guerrieri e di come lo hanno tirato fuori da
quell’incubo. Adesso che mi ci fai pensare ha parlato di un uomo cattivo ma ha
nominato un certo Diego, non Carlos… ma Lewing sembrava capire tutto quello che
diceva. Appena Micky ha intuito che Lewing poteva conoscerli lo ha fatto
letteralmente scappare via a furia di fargli domande. Non riconosco più mio
figlio… mentre pregavo che tornasse a casa vivo, sapevo che non sarebbe
mai tornato il bambino che è stato rapito… Dio mio, l’ho sempre saputo ok? Ma
Michael è… è come una centrale elettrica a pieno regime adesso.»
«Sta probabilmente dando libero sfogo allo shock
Jeremy» disse suo nonno. «Ne abbiamo parlato… dovrebbe tranquillizzarti adesso…
non si sta tenendo tutto dentro.»
«Ah no? Mi rivolge la parola per sapere se so
qualcosa di nuovo sui suoi guerrieri Patrick!» esplose quasi alzando la voce… e
sua moglie sobbalzò chiaramente accanto a lui.
Jennifer.
La cercò con lo sguardo e la vide immobile, seduta
davanti a lui, che osservava il vuoto.
«Ok Juna» disse Jeremy come se avesse cambiato
discorso all’improvviso… e si rese conto che aveva smesso di ascoltarlo.
«Immagino che Lewing aspetti di sapere come sono andate le cose. Puoi dirgli
che mi impegno a non fare più domande, a non chiedere più nulla riguardo questa
storia. In qualche modo convincerò Michael che non è possibile ritrovarli come
vorrebbe lui… ha più bisogno di un padre che di figure mitologiche, vi pare?»
Stava cercando di convincere se stesso, era così
evidente che sentì quasi tenerezza per quell’uomo.
Dunque era chiaro che fosse Michael a fare
pressioni in quel senso.
La situazione si stava rivelando esattamente come
temeva.
«Jeremy, ti è passato per la testa che Michael
voglia ritrovarli anche per voi?»
Questa aveva trovato direttamente la via della
bocca.
«Che vuoi dire?» chiese Sarah visto che il marito
lo stava guardando a bocca aperta.
«Non sono uno psicologo, non riesco ad immaginare
cosa possa passare per la testa di un bambino di quattro anni che è stato
rapito ok? Ma se Michael pensasse una cosa del genere…» aprì in aria delle
virtuali virgolette con le dita, «“ok, mi hanno rapito, hanno cercato di far
del male al mio papà, non ci sono riusciti completamente grazie a questi due,
se li trovo staremo tutti al sicuro: non solo io, ma anche mamma, papà e la mia
sorellina”.»
«Non… non ti sembra un discorso un po’ articolato
per un bambino di quattro anni?» chiese incerto suo nonno dopo un silenzio di
tomba «Juna, tu a quell’età potevi arrivare ad un ragionamento del genere, ma…»
«Oh Cristo…» La voce di Jennifer era appena al di
sopra del sussurrò, ma la udì senza problemi. «Papà, Micky… Micky mi ha fatto
un discorso del genere giusto oggi, mentre era in camera con me. Ha detto,
testualmente, che tu li devi ritrovare perché con loro staremo al
sicuro.»
Suo nonno assunse un’espressione sbigottita, «Che
mi venisse…»
Jeremy e Sarah si guardarono.
Gli tornarono improvvisamente in mente i discorsi
che aveva sentito fare a Estrada e ai suoi riguardo Jennifer.
«E la parte peggiore della situazione è che
Michael potrebbe aver visto giusto» riprese. «Quando firmerai quella legge?»
chiese rivolto a Jeremy.
Jeremy lo fissò senza capire. Il suo cervello si
rifiutava di afferrare il significato della sua ultima frase. «Fra due mesi.»
«Lewing mi ha fatto capire che sarebbe meglio
tenere d’occhio il bambino fino ad allora. E anche Jennie.» L’occhiata smarrita
di Sarah gli disse che aveva già capito. «Sì Sarah, potrebbero riprovarci, e
visto che Michael ha già vissuto l’esperienza e potrebbe essere più difficile
riavvicinarlo, potrebbero decidere di rapire Jennie.»
La donna guardò la figlia, che adesso stava
raccogliendo i cocci della tazza, poi il marito che aveva cambiato colore e
cominciò a tremare, «No. Dovranno passare sul mio cadavere prima di prendere
ancora una delle mie creature» disse.
Juna guardò di nuovo Jennifer, i capelli le
scendevano a coprire il lato del viso dalla sua parte, non capiva cosa stesse
pensando, ma sentiva che stava per cedere.
Quella ragazza era un fascio di nervi.
Suo nonno aveva detto che era caduta in
depressione, lui vedeva una ragazza sull’orlo di un collasso nervoso.
Sedici anni scarsi erano veramente troppo pochi
per sopportare quello che le era successo.
«L’F.B.I. non ci può proteggere?» chiese Jeremy
con un filo di voce.
«Jeremy, è chiaro che l’F.B.I. penserà a voi, ma è
il minimo che quei delinquenti si aspettano» disse suo nonno. «Sono sicuro che
sanno bene chi devono ringraziare per la morte del loro capo. Dico bene Juna?»
«Sì nonno, temo tu abbia ragione.»
Non riusciva a staccare gli occhi dalla ragazza.
Le sue esili spalle sussultarono due, tre, quattro
volte. La fece alzare e l’abbracciò… fu come aprire un rubinetto e i singhiozzi
si fecero rumorosi e vicini.
Si aggrappò al suo maglione mentre i presenti
scattarono in piedi come molle.
I loro sguardi gli dissero che era stato il solo
ad intuire quello che stava per succedere.
«Da quanto non piangi?» le chiese.
Jennifer scosse la testa contro il suo torace,
incapace di spiccicare parola.
«Oh mio Dio, Jennie…» cominciò Sarah.
«Sarah, che ne dici di una camomilla?» chiese alla
donna.
«N… no, non…» farfugliò Jennifer.
«Sì invece», la rimbeccò meno severo di quello che
sarebbe dovuto essere «o stanotte non chiuderai occhio e da quello che ho
capito, di sonno ne hai già perso anche troppo.»
«Che succede qui?» chiese all’improvviso una
vocina insonnolita.
Tutti gli sguardi si puntarono sulla soglia.
Michael.
«Oh no…» mormorò Sarah.
«Ho sentito degli strani rumori e Jennie non è in
camera sua e…» fu allora che vide la sorella in lacrime e si svegliò tutto d’un
botto. «Jennie! Jennie, stai male?» Fece un passo verso di loro… e alzò lo
sguardo su di lui.
Sgranò gli occhi in un’espressione di assoluto
stupore, spalancò la bocca e la richiuse subito. La sua mascella schioccò per
la violenza con cui la chiuse, ma il piccolo sembrò non registrarlo.
Lo aveva riconosciuto, questo era poco ma era
sicuro.
«La… la stai proteggendo?» chiese come se stesse
valutando l’ipotesi di unirsi all’abbraccio.
Inconsciamente strinse fra le braccia il peluche
che aveva in mano.
«Stai tranquillo piccolo» disse come la prima
volta che si erano incontrati. «E’ tutto a posto» aggiunse, «torna a letto che
è tardi.»
Il sorriso del bambino illuminò a giorno la
stanza, ogni dubbio era stato cancellato: adesso Michael sapeva che lo aveva
ritrovato.
Jeremy non avrebbe avuto problemi.
«Come ti chiami?»
Chissà quante volte se l’era chiesto.
«Juna.»
Gli occhioni si aggrottarono appena, ma rimasero
ben fissi su di lui «Tu sei Juna?» chiese.
«E’ il nipote di Patrick tesoro» disse Sarah con
il tono di una che sta attraversando una polveriera con in mano un candelotto
di dinamite acceso. «Ti ricordi di Patrick? E’ tornato a trovarci.»
Michael lanciò un’occhiata a suo nonno e sorrise
di nuovo, «Sì… ciao Patrick.»
«Ciao piccino» rispose suo nonno. «Come stai?»
Michael tornò a guardare lui, incantato.
Il bambino non riusciva a credere ai suoi stessi
occhi, ascoltava appena cosa gli veniva detto. «Bene» sussurrò.
Guardò la sorella che non si era mossa e riguardò
lui.
«Penso io a lei, tua sorella ha passato un brutto
periodo con la tua scomparsa, si sta sfogando un po’.»
«Il mio papà mi ha detto che il tuo nome significa
Giovane Guerriero.»
Rimase un attimo sorpreso dal cambio di discorso…
poi gli venne da ridere: Michael lo aveva definito un guerriero.
«E’ vero.»
Lo vide annuire, «Ti si addice molto. Tornerai
qui, vero? Posso venire a trovarti?»
«Certo Michael, ci vedremo presto. Torna a letto
adesso.»
Sorrise di nuovo, si guardò intorno, «Buonanotte
allora.»
La sua uscita fu seguita dal silenzio.
«Non… non posso crederci» disse Sarah
assolutamente allibita. «Non si è mai comportato così con qualcuno che non
aveva mai visto.»
«Con Juna è normale» disse suo nonno senza sapere
di aiutarlo, «i bambini lo adorano Sarah, sembrano irresistibilmente attratti
da lui.»
Perfetto, anche perché suo nonno aveva validi
motivi per crederlo.
Tornò a concentrare la sua attenzione sulla
ragazza rannicchiata fra le sue braccia.
Sembrava essersi calmata, non tremava più come
prima, ma era ancora saldamente aggrappata al suo maglione.
«Sarah?» chiamò usando il suo tono di voce più
dolce.
Ebbe effetto. La donna lo guardò e asserì, «La
camomilla.»
Uscì dalla stanza.
Riuscì a pilotare Jennifer sul divano e a farla
sedere accanto a sé, senza che la ragazza allentasse la presa.
«Jennie, piccola mia…» cominciò Jeremy quasi
calando di nuovo a sedere «cosa è successo? Vuoi dirmelo?»
«Temo sia colpa mia Jeremy» rispose Juna al posto
suo. «Tua figlia ha passato un brutto periodo e il mio discorso di prima deve
essere stata proprio la goccia che ha fatto traboccare il vaso.»
Jennifer stava ascoltando in silenzio, il ragazzo
aveva capito tutto.
Era piacevole starsene così, si sentiva al sicuro
circondata dalle braccia del ragazzo, dal suo profumo.
«Juna?» mormorò.
La stretta alle sue spalle si serrò appena,
«Cosa?»
«Dicevi… parlavi sul serio prima?»
«Non mi sembrano cose su cui scherzare Jennifer.»
«Se rapissero di nuovo Michy non lo sopporterei…»
Un silenzio innaturale calò sulla stanza, il
respiro di Juna le sfiorava i capelli ed era un suono che le rimbombava dentro.
«Ho un’idea!» esclamò all’improvviso Patrick
«Jeremy, puoi trasferirti a casa nostra con la tua famiglia.»
«Cosa? No Patrick, siamo amici da tanto tempo, ma
questo è…»
«Ragiona Jeremy. Tutti sanno che abiti qui e poi è
un luogo aperto, esposto. Villa McGregory è protetta, anche per l’F.B.I sarebbe
facile tenerla sotto controllo e poi c’è sempre qualcuno in casa, Sarah e i
ragazzi non resterebbero mai soli.»
«Patrick, non lo so» la voce di suo padre aveva
già perso gran parte della convinzione che aveva prima.
«Michael potrebbe andare all’asilo con Melissa per
gli ultimi mesi, non ci vuole nulla a fare il trasferimento, Warren avrà
sicuramente un socio che si occupa di queste cose, e Jennifer andrebbe a scuola
accompagnata da Connor e Juna… e non dimenticare che Sarah non resterebbe sola
in casa tutte le mattine come adesso, in casa c’è sempre qualcuno e le mie
nuore le farebbero compagnia.»
«Jeremy, sarebbe una sistemazione momentanea»
prese la parola Juna, «la villa è abbastanza grande per tutti e non pensare di
mettere in pericolo noi, da sempre Villa McGregory ha un sistema d’allarme di
tali proporzioni che le prime volte ha messo in difficoltà anche noi.»
«Juna ha ragione» continuò Patrick, «è la
soluzione ideale, non so come ho fatto a non pensarci prima!»
«Io… io devo prima parlarne con la mia famiglia
Patrick, ma già da ora ti ringrazio per la tua offerta e grazie anche a te Juna,
ho apprezzato immensamente quello che hai fatto.»
Tornò sua madre e questa volta c’era anche Susan
che si fermò perplessa sulla soglia a guardarla.
Jennifer si ricordò di essere ancora rannicchiata
fra le braccia di Juna e senza riuscire a nascondere una certa riluttanza, si
scostò.
«Va meglio?» le chiese il ragazzo.
«Sì, grazie.»
«Non ringraziarmi, probabilmente dovrei essere io
a chiederti scusa.»
Si ricominciava, non aveva più il coraggio di
alzare lo sguardo.
«Direi che siamo pari… scusami per prima… mi
dispiace molto, io non avevo capito… ho frainteso il tuo atteggiamento calmo
e…»
«Non preoccuparti Jennifer, non mi conosci, non
puoi sapere che questo è semplicemente il mio modo di essere. E comunque hai
delle attenuanti. Non è successo niente.»
«Jennie, bevi questo» disse sua madre porgendole
una tazza.
La prese ma le tremavano ancora le mani e la voce
di Juna suonò vagamente preoccupata, «Ce la fai?»
«S… sì, credo di sì.» Si costrinse ad alzare lo
sguardo «Forse hai ragione, ho accumulato troppa tensione, prima o poi dovevo
cedere.»
Il ragazzo sorrise e le accarezzò una guancia con
il dorso di una mano… aveva una pelle morbida e calda.
Uno strano silenzio aleggiava intorno a loro,
Jennifer lanciò un’occhiata in giro e incontrò quattro paia di occhi sgranati…
le venne il sospetto che non si fossero persi una virgola di cosa fosse
successo.
Juna si alzò senza staccarle gli occhi di dosso,
«Nonno, direi di andare adesso.»
Patrick lo seguì, «Hai ragione, si sta facendo
tardi.» Si rivolse a suo padre, «Ci sentiamo domani Jeremy?»
«Ti chiamo io Pat» rispose suo padre ancora
visibilmente scosso.
Al sicuro nella sua stanza, sotto le coperte,
Jennifer ripercorse gli eventi della serata.
I suoi non avevano fatto domande, neanche Susan,
ma i loro sguardi erano perforanti.
Juna la metteva quanto meno in crisi, ma fra le
sue braccia si era sentita al sicuro come mai prima in vita sua.
Era un controsenso?
Ancora i suoi non erano andati a dormire, era
ragionevole pensare che suo padre stesse parlando a sua madre dell’idea di
Patrick e c’erano buone possibilità che sua madre accettasse di buon grado la
cosa: dal rapimento di Michael vivevano guardandosi le spalle e da quando era
riapparso la situazione era anche peggiorata… ed era un inferno per persone
miti e gentili come sua madre. E anche per lei, inutile far finta di nulla.
Poteva solo sperare che non le chiedessero cosa ne
pensasse perché… beh, proprio non avrebbe saputo cosa raccontare.
Certo, la sicurezza del suo fratellino veniva
prima di tutto, era più importante di qualsiasi suo dubbio o paura personale,
ma…
Guarda che sei in
pericolo anche tu!, le ricordò una vocina interna, Juna è stato chiaro stasera!
Fece una smorfia e il secondo pensiero assurdo
della giornata le attraversò la mente: cosa sarebbe stato più pericoloso per
lei? Essere rapita o una convivenza con quel ragazzo?
Quale delle due cose le avrebbe dato maggiori
probabilità di uscirne viva?
Juna si buttò sul letto, dopo la solita doccia che
completava la giornata, esausto.
Aveva l’impressione che un treno si fosse affilato
le ruote su di lui… e non era una sensazione molto piacevole.
Aveva telefonato subito a Richard per metterlo al
corrente delle ultime novità e il generale era stato più che felice di
apprendere che almeno un problema era stato risolto, avrebbe avvisato lui
Matthew e i grandi capi.
La stanchezza gli era piombata addosso tutta
insieme.
Si sentiva spezzato, ed era una sensazione
nuova per uno da sempre definito tutto d’un pezzo.
Fece una smorfia e si passò una mano sul viso.
Quello non era l’unico problema, ovviamente.
Se sua madre fosse venuta in qualche modo a
conoscenza del suo comportamento di quella sera, si sarebbe ritrovato fidanzato
nel giro di due settimane!
A volte era proprio imbattibile nel complicarsi
oltremodo la vita.
Come se non bastasse, quello che gli aveva detto
Jennifer aveva… come fatto vibrare qualcosa in lui.
Sei fatto di carne o di ghiaccio.
Era la domanda dell’anno.
Guardò la sveglia sul comodino, erano quasi le due
e forse era il caso di cominciare a dormire.
Allungò la mano per spegnere la luce e sentì il
suono del suo cellulare.
Balzò in piedi e rispose al terzo squillo.
«Juna, allora?» chiese Drake senza preamboli.
Aprì bocca per rispondere ma qualcosa lo mise
improvvisamente in allarme.
Si piegò appena sulle gambe, assumendo
istintivamente la posizione di difesa, e si guardò intorno cercando la causa di
quella sensazione… poi inquadrò la porta… c’era qualcuno in corridoio.
«Juna??»
«Mi vieni a trovare in ufficio Drake? Così
parliamo tranquillamente.»
«Non sei solo?» chiese meravigliato.
Quel ragazzo arrivava a delle conclusioni
veramente fantascientifiche a volte…
«Mh, sì e no.»
Lo sentì farfugliare qualcosa che in presenza di
un qualsiasi altro essere vivente si sarebbe limitato a pensare, «Melissa è
nascosta in camera tua.»
Drake era imbattibile nel fare affermazioni che
rispondevano alle domande che non perdeva tempo a fargli.
«Non esattamente, ma ci sei andato vicino. Ci
vediamo in ufficio allora? Tardo pomeriggio, così Alison non c'è.»
«Rispondi solo sì o no: ti ha riconosciuto?»
«Sì.»
«Ecco fatto, adesso posso dormire tranquillo. Arrivo dopo le cinque.»
Riattaccò e spense il cellulare, poi tornò a letto
e spense finalmente la luce.
Chiuse gli occhi cercando di svuotare la mente.
La porta della sua camera si aprì.
Non aprì gli occhi e dette al suo respiro una
cadenza lenta e regolare, non stava entrando un pericolo.
I pericoli non erano così rumorosi quando si
avvicinavano.
Sapeva perfettamente chi stava per fare la sua
spettacolare entrata.
Aprì piano gli occhi, aveva la fortuna di averli
così neri che non si notavano nel buio.
La figuretta era ancora sulla soglia e si stava
guardando intorno con una circospezione veramente notevole per una bambina di
cinque anni.
Si decise ad entrare e chiuse la porta. Si
avvicinò a tentoni al letto e ci si arrampicò ad una velocità impressionante.
Un anno di pratica aveva dato i suoi frutti, aveva
conosciuto donne che avrebbero avuto da imparare in fatto di grazia e agilità.
Gattonò fino a lui, si infilò sotto le coperte
battendo i denti per il freddo e gli si sdraiò accanto abbracciandolo.
Era gelata.
Incastrò la testolina contro il suo collo e una
manina affondò fra i suoi capelli, la sentì rilassarsi con un sospiro di
felicità. «So che non stai ancora dormendo Juna… non ce la facevo più a stare
lì. Menomale sei tornato. Non mandarmi via, ti prego» bisbigliò strusciando il
nasino contro il suo collo.
Passò un braccio sotto quel corpicino e si voltò
verso di lei cercando di riscaldarla, sembrava di abbracciare un cubetto di
ghiaccio, dannazione.
Appoggiò una mano fra i suoi capelli, «Non dovevi
farlo, e lo sai. Che ti ho detto a cena?»
«Avevo paura.»
«Di cosa? Affogare nel tuo letto?»
«Che ti succedesse qualcosa… cosa faccio io se ti
succedesse qualcosa eh?»
«Ero con il nonno, cosa mi sarebbe dovuto
succedere?»
«Qualsiasi cosa.»
Si arrese. Melissa doveva riposare.
«Dormi adesso Lissa, è tardissimo.»
Altro sospiro, poi il suo respiro si fece lento e
regolare e la sentì scivolare nel sonno.
Guardò il vuoto davanti a lui.
Quelle lezioni di nuoto dovevano cominciare il
prima possibile, non era proprio possibile andare avanti così.
Era un stress troppo forte per una bambina di
cinque anni.
A questo punto era certo che, gelata com’era, era
stata a guardia fino a quando non lo aveva sentito rientrare con il nonno e poi
era rimasta dietro la sua porta aspettando che la luce si spengesse.
Era rimasta sveglia fino ad allora.
La situazione stava precipitando.
Era la prima volta che Melissa si preoccupava per
lui, non del fatto che lui non fosse con lei.
Molteplici aspetti della sua vita gli stavano
sfuggendo di mano tutti insieme.
Finalmente chiuse gli occhi e scivolò in un sonno
profondo e senza sogni.
Capitolo 6 *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 6 ***
Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 6
Non
E’ Mai Troppo Tardi
6
Aprì gli occhi pochi secondi prima che suonasse la
sveglia e bloccò l’allarme.
Melissa non si era staccata di un millimetro e con
non poca fatica riuscì a liberarsi dalla stretta della piccina senza
svegliarla.
Andò in bagno per sciacquarsi il viso e lavarsi i
denti, si vestì con cautela e uscì dalla stanza.
I suoi zii erano letteralmente a guardia davanti
alla porta.
Ormai andavano sul sicuro quando si trattava di
dove fosse la figlia quando non la trovavano.
«E’ di nuovo da te vero?» chiese sua zia.
Chiuse la porta alle sue spalle e fece segno ai
suoi zii di seguirlo.
Si allontanò di qualche metro dalla porta per
evitare che, svegliandosi, la bambina potesse ascoltare cosa si dicevano.
«Juna…» cominciò suo zio.
«Zio, temo mi abbia aspettato sveglia.»
«Cosa? Ma se l’ho messa io a letto» disse
Elisabeth.
«Zia, ho fatto in tempo a spegnere la luce che è
entrata in camera. Per la prima volta stanotte Lissa non è venuta da me per un
incubo, mi ha direttamente aspettato sveglia perché era preoccupata che potesse
succedermi qualcosa.»
Suo zio si stropicciò gli occhi con una mano,
«Dannazione, il fatto di oggi l’ha sconvolta più di quanto credessi. Deve
essersi sentita in trappola ieri a cena.»
«Ryan, cosa devo fare con lei secondo te?»
s’inalberò sua zia.
«Tesoro, non sto dicendo che è colpa tua. Il fatto
è che… dannazione, non riesco ad immaginare cosa potrebbe fare Lissa se
cominciasse a pensare che vogliamo separarla da Juna.»
«Ho l’impressione che la situazione stia
peggiorando a vista d’occhio» disse sua zia rivolgendosi a lui. «Cosa devo fare
secondo te adesso? Non portarla fuori con gli altri?»
«Assolutamente no zia, il programma non deve
cambiare. Resta il fatto che si è addormentata che erano le due stanotte, dici
di farla andare comunque all’asilo?»
La donna sospirò, «Lasciamola dormire, in camera
tua sta comunque tranquilla. Quando si sveglia le faccio fare il bagno, le lavo
la testa e ci prepareremo per uscire.»
Suo zio cinse le spalle ad entrambi con
espressione torva, «Ottimo. A fare colazione adesso.»
Scesero e andarono nella sala.
Suo nonno alzò lo sguardo appena entrò nella
stanza.
«Juna, non ti ho chiesto nulla ieri sera, ma
vorrei sapere una cosa prima di parlarne alla famiglia.»
Si sedette accanto a lui ricambiando lo sguardo
che gli veniva rivolto. «Pensi sia una buona idea far venire Jeremy e la sua
famiglia qui?» continuò suo nonno.
«Cosa?» chiese Ryan.
Suo nonno non staccò gli occhi dai suoi… doveva
dare lui il benestare adesso?
Cercò nel proprio archivio di risposte sensate e
diplomatiche la più adatta, «Al momento se c’è qualcosa di meglio da fare, non
mi viene in mente.»
«Molto bene. Ryan, ne parlerò quando saremo tutti.
La situazione è anche più grave di quanto pensassi.»
«Buongiorno» salutò Paul entrando.
«Buongiorno Paul» rispose Ryan.
«Ryan, cosa è successo?» chiese suo zio al
fratello minore. «Sei nero stamani.»
Suo nonno osservò il figlio più piccolo, «Tuo
fratello ha ragione Ryan, cos’hai?»
«Melissa ha aspettato alzata Juna» spiegò dopo un
breve silenzio sua zia.
«Cooosa??» esplosero suo nonno e suo zio
insieme.
«Juna mi ha detto qualcosa che mi ha gettato nel
panico» disse Ryan. «Melissa ha iniziato a preoccuparsi che succeda qualcosa a
lui.»
Suo nonno lo guardò, «Ho capito bene?» chiese «Non
è stato un incubo a portarla da te stanotte.»
«Hai capito bene nonno: è stata la paura reale che
mi succedesse qualcosa mentre non mi ha sott’occhio a tenerla sveglia.»
«Ma per la miseria!» continuò suo zio Paul «Qui la
situazione va peggiorando a vista d’occhio ormai!»
Suo nonno rimase un attimo in silenzio, poi si
rivolse al suo ultimogenito, «Ryan, ti prometto che ne parleremo stamani,
questa situazione deve risolversi, ma devo affrontare un discorso con l’intera
famiglia prima che Juna e Connor vadano via.»
Suo zio Ryan annuì, «Stai tranquillo papà.»
«Paul, hanno molto tua moglie, Georgie e Justin?»
chiese suo nonno.
«Credo di no papà, perché?»
«Saresti così gentile da chiamare anche tuo
fratello e tua cognata? Devo parlare a tutti.»
L’uomo rimase un attimo in silenzio, poi «Riguarda
Jeremy?»
Suo nonno gli annuì e suo zio sparì dalla stanza
com’era apparso.
Sua madre entrò subito dopo, «Buongiorno a tutti.»
«Buongiorno Manaar» salutò suo nonno. «Connor?»
«Me lo ha chiesto anche Paul, l’ho incontrato per
le scale, ha detto che lo chiamava. E’ successo qualcosa?» gli arrivò alle
spalle e come il solito gli posò un bacetto sui capelli, «Buongiorno Juna.»
«Buongiorno mamma» rispose toccandole una mano
posata sulla sua spalla.
«Effettivamente ci sono novità. Ancora non sono
sicuro, ma preferisco che lo sappiate subito.»
Sua madre prese posto vicino a lui senza staccare
gli occhi dal suocero, «Nulla di grave spero.»
«No Manaar, sta’ tranquilla.»
«Ah, vi volevo avvisare che comunque oggi Melissa
non andrà all’asilo» disse Elisabeth. «Ha dormito troppo poco. Manaar, quasi
certamente avrò bisogno del tuo aiuto.»
«Sta poco bene?» chiese sua madre sempre pronta a
preoccuparsi per il mondo intero.
Mentre sua zia spiegava alla cognata cosa aveva
deciso, e in parte il perché di quella decisione, la sua attenzione fu
catturata dall’entrata di sua cugina.
Georgie stava a testa china e camminava
lentamente.
«Georgie?» chiamò.
La ragazza alzò lo sguardo su di lui, «Sì?»
«Stai bene?»
I suoi occhi si sgranarono, «Non molto, è così
evidente?»
«Abbastanza, di solito sei più rumorosa.»
Gli sorrise appena, «E il bello è che hai anche
ragione.»
«Cos’hai Georgie?» chiese sua madre pronta come
sempre «Posso esserti utile?»
Sua cugina apparve improvvisamente imbarazzata,
scosse le spalle «Niente di grave» fece una pausa. «Mal di testa, devo comprare
degli analgesici quando usciamo.»
Mal di testa eh… e per il mal
di testa si teneva la pancia e camminava curva.
Lanciò uno sguardo a sua madre che lo ricambiò con
uno che diceva chiaro e tondo lascia fare a me che sono una donna che
gli tolse ogni dubbio.
«Ho degli analgesici in camera, vado a prenderli.»
«Ma zia…»
«Perché devi stare male tutta la mattinata? Mangia
qualcosa e lo prendi subito.»
«Grazie zia, non so neanche come ho fatto a
rimanere senza, fra me e la mamma ci stiamo così attente.»
Arrivò alla sedia e si sedette con cautela.
«Se non te la senti di venire a quella riunione
non ci sono problemi Georgie» disse suo nonno che evidentemente non aveva
capito.
«Nonno, ecco…» cominciò la ragazza.
«Nonno, ha mal di testa, non è in fin di vita» le
andò in soccorso. «Anche a me passa subito il mal di testa con un analgesico.»
Georgie lo guardò e si arrese con un sorriso, «Per
il tuo mal di testa vale lo stesso analgesico?»
«Il mio è di natura leggermente diversa, cugina.»
Zia Elisabeth ridacchiava, suo nonno e suo zio
vagavano senza meta nella nebbia più fitta.
Rientrarono tutti insieme e si sedettero.
Appena Howard uscì con le varie ordinazioni, suo
nonno prese la parola.
«Innanzitutto buongiorno a tutti. Mi dispiace
cominciare subito la giornata con un discorso, ma aspetto notizie da Jeremy e
se le cose andranno come spero, è meglio che ve ne parli subito. Prima di
spiegarvi tutto però, devo anche avvertirvi che dobbiamo parlare di Melissa,
perché la situazione sta degenerando… pensandoci bene, magari Connor e Juna
potranno arrivare in ufficio più tardi stamani.»
Sua madre gli lanciò un’occhiata perforante, ma la
sua attenzione fu catturata di nuovo dal suocero che annunciò novità su Jeremy
e la sua famiglia.
In breve spiegò cos’era successo la sera prima,
omettendo la parentesi con Jennifer ringraziando il Signore, e le conclusioni
alle quali era arrivato.
«Quindi Jeremy, Sarah, Jennifer e Michael si
trasferirebbero qui» riassunse suo padre.
Sua madre lo guardava insistentemente. Sapeva cosa
stesse pensando, il collegamento fra lui e Richard doveva lasciarla non poco
perplessa.
Stava succedendo esattamente quello che aveva
sempre evitato con tutte le sue forze.
«Esatto Connor, ho pensato che spazio ce n’è e certo
Villa McGregory è molto più protetta di quella di Jeremy. Voi che ne pensate?»
stava intanto dicendo suo nonno.
«Juna, tu che ne pensi?» chiese suo zio Paul.
«Zio, credo che Jeremy e la sua famiglia siano
sotto una pressione intollerabile adesso. Tu come ti sentiresti nella loro
situazione? Qui sua moglie e i suoi figli non sarebbero mai soli e poi Villa
McGregory è a prova di bomba.»
Zia Elisabeth alzò lo sguardo al soffitto, «Io li
capisco perfettamente: se succedesse qualcosa a Melissa ne morirei.»
Registrò con la coda dell’occhio un movimento da
parte di sua madre. Si era sporta verso la cognata e le aveva preso una mano
stringendola, sua zia la guardò con gratitudine.
Dio solo sapeva se sua madre e suo padre sapessero
cosa significasse perdere un figlio.
Il silenzio che seguì gli disse che non era stato
l’unico nella stanza ad avere quel pensiero.
«Hai sentito ancora il generale ieri sera?»
riprese suo nonno dopo essersi schiarito la voce.
Rimase un attimo in silenzio, parlare di queste
cose davanti a sua madre era uno dei suoi peggiori incubi divenuto realtà.
«Sì nonno» rispose. «Gli ho spiegato cosa avevamo
in mente di fare e non ha fatto commenti.»
«Come fai ad avere agganci all’interno
dell’F.B.I.?» chiese Justin.
«E’ esattamente quello che mi stavo chiedendo
anch’io» disse sua madre.
«Ma quali agganci… abbiamo amici in comune, nel
senso che a volte è capitato di parlarci. La verità è che cercavano un modo per
arrivare a Jeremy e non si sono fatti ripetere due volte l’invito.»
«Io non ho nulla in contrario» disse Paul.
«Neanche io» continuò Ryan.
«Se ci fossero veramente pericoli, l’F.B.I. non
metterebbe in mezzo un’altra famiglia» commentò Manaar.
Lennie alzò gli occhi al cielo, «I McGregory poi.»
«Per me va bene» disse suo padre.
Madeline guardò il marito, «Speriamo solo che
Jeremy accetti.»
«Non sarà Jeremy a decidere Madeline» disse suo
nonno. «Sarah e Jennie sono sull’orlo di un esaurimento nervoso… e poi avresti
dovuto vedere la reazione di Micky davanti a Juna, sembrava lo conoscesse da
una vita. Sono questi i fattori che decideranno per Jeremy.»
«Beh, sembra che finalmente avrò un po’ di
compagnia vicina alla mia età» commentò Georgie.
Justin soppesò la sorella con un’occhiata… «Guarda
che se la matematica non è un’opinione, Jennifer ha circa sedici anni adesso…
devo ricordarti quando sei nata, sorellina?»
«Mostro.»
Tutti risero.
Arrivò la colazione e il discorso si spostò su
Melissa e gli ultimi peggioramenti della situazione.
Michael rimase con il biscotto a mezz’aria,
«Andare? Andare dove?» chiese.
«Ci trasferiamo per un po’ da Patrick.»
Suo fratello si trasformò in una molla, «Da Juna!!»
esplose saltando letteralmente in piedi sulla sedia. «Juna vive con Patrick
vero??!!»
«Michael, non gridare» disse sua madre sbigottita.
«Papà, andiamo a vivere con Juna?!» ripeté.
Suo padre guardò la moglie, «Beh, Patrick vive con
i figli e le rispettive famiglie, quindi sì, c’è anche Juna.»
«Quando andiamo?!»
«Devo telefonare a Patrick e sentire quando
possiamo andare.»
«Chiami subito allora? Voglio salutare Juna! Mi
passi Juna?!»
«Micky, adesso è troppo presto, sono appena le
sette.»
Suo fratello fece una smorfietta, «Chiami oggi
comunque?»
«Certo, chiamerò oggi.»
Michael sorrise raggiante, «Mamma, ti piace Juna?»
chiese poi.
Sua madre per poco si rovesciò il tea addosso. «Ma
Michael…» cominciò.
«Voglio dire, se sposasse Jennie a te andrebbe
bene?»
Fu ad un niente dal far fuori la seconda tazza nel
giro di dodici ore, «Micky!» esplose.
Suo padre rideva con le lacrime agli occhi, «Dio
Santo Micky, certo che Juna ti ha proprio colpito eh?»
«Dev’essere una prerogativa di famiglia» commentò
sua madre.
Le lanciò un’occhiata che fu completamente
ignorata.
Michael neanche l’aveva sentita.
«Deve essere una persona molto forte, coraggiosa e
buona vero papà? Si merita il suo nome! Mi sono sentito tranquillo appena l’ho
visto. Sembra sicuro di sé, vero papà?»
«Beh, certo che Juna è il miglior partito della
città. Ha un cugino ma è già fidanzato con la figlia maggiore dei Lewis…»
«Mamma?!»
«Avanti Jennie, si fa per parlare» si difese sua
madre. «Ieri sera mi è sembrato andaste d’accordo.»
«Adesso basta, via» le venne in aiuto suo padre.
«Tesoro, Jennie farà tardi a scuola se non ci sbrighiamo.»
«Papà?»
«Dimmi Michy.»
«Non hai risposto alle mie domande.»
Suo padre si arrese dopo cinque secondi di
silenzio, «E’ un ragazzo in gamba, al di là del suo quoziente d’intelligenza. Ha
la testa sulle spalle. Sa ciò che vuole e sa come ottenerla. Non so dirti se è
una persona buona Micky, ma so per certo che è molto coraggioso e determinato.»
Michael annuì evidentemente soddisfatto della
risposta.
Lei rimase semplicemente sbigottita: non aveva mai
sentito suo padre parlare di qualcuno con così tanta ammirazione e… affetto.
Forse di Patrick, ma Patrick era il suo migliore
amico.
Aveva visto giusto: suo padre adorava quel
ragazzo.
La situazione era anche peggiore di quanto avesse
pensato.
«Micky… c’è anche una cosa che volevo dirti.»
Suo fratello alzò lo sguardo dalla tazza di
cioccolata… stava ancora sorridendo felice, «Cosa?»
«Riguardo i due guerrieri.»
Sua madre deglutì il morso di pane imburrato come
se fosse un masso di una tonnellata.
Michael aprì bocca e la richiuse subito, lo
sguardo improvvisamente vigile. «Cosa?» ripeté.
«Purtroppo non è possibile rintracciarli. Ho fatto
di tutto Micky, devi credermi, ma non è proprio possibile.»
Michael rimase in silenzio, poi sospirò. «Ok»
disse semplicemente.
«Micky, saremo al sicuro adesso, anche senza di
loro» aggiunse suo padre.
Suo fratello sorrise, «Ti credo papà.»
Suo padre guardò il figlioletto attonito, poi
guardò sua madre… sembrava non credere a quello che aveva appena sentito.
E ci credeva.
A parte il fatto che il figlio di quattro anni
aveva appena cercato di rassicurarlo come se fosse lui il bambino in quella
stanza, anche lei si sarebbe aspettata tutto all’infuori di una così placida
resa.
Dopo appena un’ora e mezzo di riunione, giusto il
tempo necessario per un resoconto dettagliato dei primi due mesi, i suoi zii e
i suoi cugini avevano l’aria di esseri umani con un urgente bisogno di uno
stacco… e se ne aveva bisogno Justin, arrivato da appena mezz’ora, figurarsi i
suoi zii e Georgie in che condizioni mentali erano!
Il suo sguardo si posò su Bart, completamente
assorbito dal grafico che stava spiegando.
Bart era un uomo di circa sessant’anni… forse più
settanta che sessanta. Forse era coetaneo o quasi di suo nonno, a volerla dire
tutta, anche se portava gli anni molto bene.
Per quanto si sforzasse, non ricordava il suo
cognome… gli venne improvvisamente il sospetto di non averlo mai saputo… era
semplicemente Bart.
Era una persona estremamente precisa, metodica e
nel ruolo che aveva nella compagnia era a dir poco perfetto. Era come se il
ruolo si fosse plasmato a forma di Bart.
Suo nonno lo chiamava per nome dandogli del tu,
quindi era figlio di uno degli elementi che nei primi anni trenta del novecento
era entrato nella compagnia nell’unico momento di crisi che questa ricordasse:
come diretto effetto della grande crisi si verificò un massiccio fuggi fuggi
di personale e il suo bis nonno, nonno di suo padre, aveva rimpiazzato tutti
gli storici elementi con giovani con voglia di fare che all’epoca furono
considerati pazzi per il rischio che si apprestavano a correre di loro
spontanea volontà.
Molti dei figli di quegli impiegati avevano preso
pari pari il posto del padre e Bart era uno di questi.
Di seguito non lo meravigliava neanche più che ad
occhio e croce Bart considerasse suo nonno alla stessa stregua di Dio in
persona… era un qualcosa che capiva.
Quando suo padre era arrivato al posto che adesso
occupava lui e suo nonno era il presidente, il consiglio di amministrazione era
formato dagli anziani della compagnia, Bart incluso che poi era stato fra i
primi a lasciare la carica per occuparsi solo ed unicamente di un singolo lato
della compagnia, e suo padre era stato considerato, all’età di trentacinque
anni, un ragazzino.
Alla luce di tutto questo, lui era praticamente
ancora in fasce.
Con due lauree e in grado di reggere il ruolo che
gli era stato affidato in maniera esemplare, ma pur sempre un bebè.
Decise di fare una buona azione.
«Bart, mi scusi se la interrompo.»
«Mi dica signor Junayd.»
Bart poi era veramente vecchio stampo: lui
diventava signor McGregory se non vi erano suo padre e tanto meno suo
nonno nella stanza. Fino a quando suo nonno fosse stato presente, suo padre
stesso era signor Connor.
«Qualcuno vuole un caffè?»
Si alzò un coro di accettazione a dir poco
commovente, Bart stesso accettò con un sorriso.
Alison lasciò il blocco che usava per stenografare
e si alzò per andare alla macchina per il caffè strategicamente parcheggiata
nella sala riunioni.
Anne rimase alla sinistra di suo padre.
«Come vi sentite?» chiese suo padre con un
sorrisino che gli disse che sapeva già la risposta.
«Credo che sopravvivrò…» disse zio Paul.
«Se sono andato troppo veloce, mi scuso» disse
Bart.
«Temo che dovremo abituarci a questo ritmo» disse
zio Ryan.
Alison cominciò a portare i caffè e Anne si alzò
per darle una mano, nel giro di pochi minuti stavano tutti bevendo.
«Papà, nonno, c’è una cosa di cui vi volevo
parlare. Come responsabile degli acquisti volevo fosse presente anche Bart.» Al
silenzio che seguì, riprese «Riguarda gli hard disks
che continuiamo regolarmente a comprare per tenere in corsa i dati degli ultimi
anni. A parte il fatto che in un futuro non tanto lontano, usciremo noi per far
spazio ai computer, ci ho pensato un po’ e temo che sia un po’ pericoloso: se
disgraziatamente uno di questi hard disk cade fra uno spostamento e l’altro,
che fine fanno i dati?»
Suo padre sospirò pesantemente, «Immaginavo una
cosa del genere, giusto pochi giorni fa è partito l’acquisto per altri due. Era
il minimo che ci facessi caso.»
«Qualcuno ha idee da proporre?» chiese suo nonno.
Seguì il più classico dei silenzi.
Suo padre si copri gli occhi con una mano, poi si
coprì la bocca per non ridere.
S’impose di restare serio.
«Nonno, che razza di domande ci fai?» chiese
Georgie.
«Così a bruciapelo poi…» aggiunse Justin.
«Beh…» riprese Georgie «potrebbe funzionare
secondo voi un archivio centrale collegato a tutti i computer che hanno bisogno
di quelle informazioni?»
«Tipo come il server per chi si collega ad
internet?» chiese suo zio Paul.
«Come idea non è male» disse suo padre. «E bravo
il mio fratellino, chi lo avrebbe mai detto… sai cos’è internet?»
«Molto spiritoso Connor.»
«Hai idea di quanto ci ho messo a convincerlo a
sedersi davanti ad uno schermo?» chiese Justin «Almeno ha funzionato…»
«Dovremmo cominciare a cercare qualche società che
si intenda di queste cose, sottoporre quello di cui abbiamo bisogno e farci
fare qualche preventivo» disse Ryan.
«Non sarà una passeggiata» sospirò suo padre.
«D’altra parte credo che Juna abbia ragione. Bart, lei che ne pensa?»
«E’ un bel lavoro, per quanto riguarda i costi,
non saranno bassi, questo è poco ma è sicuro, ma snelliremmo molto il lavoro in
quanto a tempo e sicurezza. E’ un investimento a lungo termine, sicuramente.
Signor Junayd, che ne dice di scrivere alle società di hardware più importanti
della città e organizzare una specie di appalto? Far circolare la voce che la
McGregor Investments necessita di un massiccio lavoro di ristrutturazione a
livello informatico. Sono sicuro che pur di averci fra i clienti, le società
faranno a gara ad abbassare i prezzi. Ovviamente, un esperto d’informatica di
nostra fiducia si accerterà che i lavori e il materiale siano di prim’ordine.»
«Ottima idea Bart. Nonno, tu che ne pensi?»
«Ah, state parlando arabo per me. Bart, non
immaginavo che avessi così tanta familiarità con questi termini.»
«Beh, signor McGregory, quando sono entrato a
lavorare qui si faceva quasi tutto a mano, ricorda? Se non mi fossi tenuto al
passo con i tempi e le tecnologie, a quest’ora ci sarebbe un compagno di
università del signor Junayd al mio posto!»
Suo nonno scosse la testa fra le risate generali,
«Il ragionamento non fa una piega Bart.»
«Bene» disse suo padre. «Anne ed Alison si
occuperanno di trovare queste società e i loro indirizzi. Direi di sceglierne
sei o sette, non di più. Juna, vuoi buttare giù una bozza per la lettera di
richiesta del preventivo?»
«Ci penso io papà.»
«Bene, vogliamo andare avanti con il resoconto?»
chiese suo nonno.
In un coro di sospiri più o meno celati, tutti
annuirono.
Il riflettore era di nuovo puntato su Bart.
Il tutto finì che era l’una passata e per quando
tutti furono d’accordo di fissare la riunione per firmare i contratti di lì ad
una settimana erano quasi le due.
Justin a quel punto decise di rimanere
direttamente a pranzo con lui, mentre tutti gli altri tornarono a casa.
Andarono a mangiare in un piccolo ristorante
seminascosto in una stradina secondaria vicino alla sede della compagnia.
Spesso e volentieri capitava che anche con suo
padre si fermasse a mangiare lì e il cameriere lo riconobbe subito
accompagnandolo poi all’ultimo separé, che era il più tranquillo.
«Carino qui. Ci sarei passato davanti senza
neanche rendermi conto che è un ristorante» disse Justin prendendo posto
davanti a lui. «Cosa fanno di buono?»
«Un po’ di tutto, dal piccante alla pizza.»
«Scommetto che tu e lo zio Connor ci siete quasi di
casa: il cameriere ti ha riconosciuto, ci ha portato a questo tavolo senza
chiedere niente e la cameriera si è illuminata d’immenso.»
«Veniamo spesso qui se non ce la facciamo a
tornare a casa» si limitò a rispondere ignorando il commento sulla cameriera.
Justin lo guardò per qualche secondo, poi sospirò
«Ok, non vuoi dirmi niente sulla cameriera. Strano perché è bionda.»
S’impose di non abboccare all’amo, ma se Justin
aveva ripreso qualcosa dai McGregory, quella era la testardaggine «Hai da
sempre una spiccata propensione per le bionde cugino, non ci hai mai fatto
caso? Ci credo che vai d’accordo con Drake: l’unica bionda che gli ho visto
vicino è sua madre!»
Le sue labbra si piegarono in un sorriso contro la
sua volontà. «Non ti facevo così osservatore.»
«Non occorre essere attenti osservatori per notare
le ragazze con cui esci: avere due occhi è più che sufficiente. A volte ci
siamo incrociati in un locale, ma ovviamente mi sono guardato bene dal venirti
a salutare… ero sempre con Diana.»
«Un vero gentiluomo.»
Justin gli sorrise furbescamente, «Me lo dicono
tutti!»
«Ti va di ordinare?» chiese per cambiare discorso.
«Certo, ho una fame! A che ora rientri di solito?»
«Mai prima delle tre e mezzo: fa male al
pomeriggio.»
«Ottima visione della vita.»
La conversazione scivolò tranquilla fino alla
seconda portata.
«Ti piace?» gli chiese.
«Tutto buonissimo, avevi ragione. Ripensavo alla
riunione. Il cervello ancora fuma… reggi tutto questo da otto anni, vero?» Al
suo cenno affermativo scosse la testa «Hai tutta la mia ammirazione cugino.»
«Aspetta di partecipare ad una riunione per
l’approvazione del bilancio annuale per esternarmi la tua ammirazione.»
«Ah, ho tempo! Siamo appena ad aprile!»
«Giusto, peccato che a giugno c’è il bilancio di
metà esercizio.»
«Dimmi che stai scherzando.»
«Neanche un po’. Sai che a giugno c’è la
dichiarazione dei redditi vero?»
«Anche!»
«Non tocca a noi quella, abbiamo una squadra di
commercialisti che se ne occupa… dal prossimo anno toccherà anche a te farla.»
«Già… l’attivo della società viene diviso fra gli
azionisti. Come si chiama?»
«Attivo, lo hai detto tu ora.»
«No, la mia parte.»
«Vuoi una lezioncina di finanza?»
«Mh, chiesto con quello sguardo mi fai pentire di
avere una bocca. Lasciamo perdere Juna.»
Ridacchiò, «Oggi pomeriggio ti faccio fare un giro
turistico del palazzo, piano per piano.»
«Non è una minaccia, vero?»
Non riuscì a trattenere una risata, «No, Just…
tranquillo. E comunque toccherà anche a tuo padre, tua sorella e allo zio Ryan
prima o poi!»
«Mi conforta fare da cavia.»
Seguì un breve silenzio.
«Justin, devi dirmi qualcosa?»
Suo cugino rimase qualche secondo in silenzio, poi
sospirò «Non so te, ma sto ancora aspettando di svegliarmi da un momento
all’altro.»
«Devi fare l’abitudine all’idea di andare
d’accordo con me?»
«Mh… non hai una laurea in psicologia vero?»
«No, mi manca. Forse non sei abituato all’idea di poter
andare d’accordo con me.»
«Non demordi.»
«Mai, è un vizio ereditario… dovresti saperne
qualcosa.»
Justin si guardò un attimo intorno, poi guardò di
nuovo lui, «Davvero Juna, ancora non ci credo.»
«Immagino perfettamente. La cosa non deve metterti
in crisi però, è normale. Anche per me è una situazione nuova. Prova a
guardarti indietro, la nostra infanzia, la vita sotto lo stesso tetto… e dimmi
se ricordi un momento in cui io e te ci siamo messi a parlare faccia a faccia
come adesso.»
Justin sorrise, «Stai scherzando? Le uniche volte
che io e te ci siamo trovati faccia a faccia è stato per dircene di tutti i
colori. Se proprio vogliamo dirla tutta, questa è la prima volta che mangiamo
da soli!»
«Appunto. Devi solo abituarti all’idea.»
«Il nonno ce l’ha proprio combinata bella.»
«Parli del fatto che per vent’anni siamo stati
cane e gatto o del fatto che ci ha scaricato addosso tutta la compagnia da un
giorno all’altro?»
Justin rise di cuore, «Non lo so neanche io
guarda!»
«Sei un po’ sotto shock cugino… ma non è terribile
come sembra.»
«Spero che tu abbia ragione… forse non sono
semplicemente preparato ad una cosa del genere.»
Ebbe, e non per la prima volta, l’impressione che
Justin stesse cercando di dirgli qualcosa.
Il problema era che aveva anche l’impressione che
era meglio che ci arrivasse da solo a dirgliela.
«Come va con Diana?» chiese per cambiare di nuovo
discorso.
Justin cambiò letteralmente colore, lo guardò per
qualche secondo sbigottito, in un attimo si riprese, «Bene.»
Ok, era il caso di cambiare di nuovo
argomento…
«E cosa ne pensi del fatto che i Flalagan verranno
a stare da noi?»
«E’ una soluzione alla quale non avrei mai
pensato, ma riflettendoci è la più ovvia, considerato quanto sono amici Jeremy
e il nonno. Il problema è che non so come dirlo a Diana. E’ gelosa fino
all’inverosimile, sembra ci siamo messi insieme la scorsa settimana invece di
essere fidanzati da cinque anni, e se Jennifer non è cambiata dall’ultima volta
che l’ho intravista, è una bellissima ragazza.»
«E’ ancora una bellissima ragazza.»
Si bloccò sorpreso.
Questa aveva trovato direttamente la strada della
bocca… non si era fatta neanche un giretto di ricognizione nel cervello.
Gli capitava spesso ultimamente.
Per fortuna Justin sembrò non farci caso. «E ti
pareva. Ti ricordi quando andammo in vacanza insieme alle Hawaii? Io e altri
tre o quattro ragazzini del villaggio turistico le morivamo dietro già allora e
lei non aveva occhi che per te. Credo che cominciai ad odiarti proprio in quel
momento.»
«Ma falla finita.»
«Davvero. La spaventavi a morte, era evidente, ma
non riusciva a starti lontana.»
Guardò suo cugino aspettando che gli dicesse che
stava scherzando… «Eravamo ragazzini Justin, lo hai appena detto» disse
visto che non si decideva.
«Vuoi dire che ieri sera ti ha accolto con un
sorriso e ciao?»
Come dannazione erano arrivati a parlare di
questo?
«Certo che no Just, sia lei che sua madre sono
sull’orlo di una crisi di nervi per la storia del bambino.»
«Mh mh… fossi in te starei attento Juna.»
«A cosa?»
«A chi, casomai.»
«A Jennie? Ma dai!»
«No cugino. In primo luogo a nostra nonna:»
cominciò ad enumerare nelle dita della mano, «da qualche anno la tua ipotetica
fidanzata è il suo argomento preferito e sta facendo di tutto perché questa
fidanzata diventi reale… non credo di doverti ricordare tutti i nomi. In
secondo luogo a tua madre: contro ogni regola che fa della mamma l’essere più
geloso del mondo riguardo il figlio maschio, la batte solo la suocera riguardo
il desiderio di vederti fidanzato. In terzo luogo la madre di Jennifer: Sarah è
molto amica di nostra nonna e va molto d’accordo con zia Manaar. In quarto
luogo a nostro nonno e a Jeremy… inutile che ti spieghi passo passo cosa
significherebbe per loro se tu e Jennifer vi fidanzaste vero?»
«Justin, forse quella riunione ha avuto effetti
più devastanti dell’immaginabile su di te» disse con calma.
Doveva trovare di corsa un altro argomento!
«Andiamo Juna, sei troppo attento a ciò che ti
circonda perché ti possa essere sfuggito! Jeremy ti ha sempre adorato, anche
quando il nonno era troppo occupato a costruirti un muro intorno. Di fatto io,
mio padre, mia madre e mia sorella siamo stati gli unici a darti contro sempre
con una certa convinzione! Riesco a malapena ad immaginare cosa possa essere
significato per Jeremy che proprio tu abbia potuto aiutarlo in questa
situazione.» Si bloccò di colpo come se un pensiero lo avesse fulminato «E se
la memoria non mi inganna, Jennifer è pure bionda!»
Lo squillo del cellulare di Justin lo salvò in
extremis. «Scusa un attimo.» Dette una rapida occhiata al display e prese la
telefonata, «Ciao, dimmi.»
Concentrò la propria attenzione sulla porta
d’ingresso del ristorante.
Mettendo un attimo in secondo piano i
vaneggiamenti di suo cugino, il nonno era convinto che Jeremy lo avrebbe
chiamato in giornata e avrebbe accettato la proposta.
Di lì ad una settimana avrebbero avuto ospiti a
casa.
Lo credeva anche lui… e ci sperava anche, perché
sarebbe stato molto più facile controllare Michael e Jennifer avendoli sotto lo
stesso tetto.
Carlos Estrada era morto, ma il traffico della
droga esisteva ancora e quella legge era una minaccia.
Doveva proprio essere addormentato per non
accorgersi di quanto gli aveva detto Justin.
Davvero Jennifer aveva paura di lui?
Cercò di mettere a fuoco il loro incontro a casa
della ragazza… aveva creduto che fosse così tesa per via del fatto del
fratellino. Si era sbagliato?
Su una cosa era certo di non sbagliarsi: fra le
sue braccia di era sciolta come neve al sole.
Il problema era che ne aveva troppe a cui stare
dietro, ecco cosa.
Doveva anche parlare con Michael il prima
possibile… era come avere una bomba a mano senza sicura sotto il letto,
dannazione.
Un’improvvisa vibrazione nella tasca interna della
giacca gli ricordò che anche lui aveva un cellulare.
Prese l’apparecchio e per pura abitudine gettò
un’occhiata al display.
Casa.
Mh.
«Pronto?»
«Ciao…»
«Ciao cucciola, dimmi.»
Sentì distintamente il sospiro di sollievo della
bambina, gli venne in mente solo in quel momento che per stare al gioco di zia Elisabeth
probabilmente si sarebbe dovuto arrabbiare ricevendo quella telefonata.
Aveva veramente troppo a cui stare dietro, neanche
lui era infallibile.
«Come stai?» chiese Melissa.
«Bene, sto pranzando con Justin. Tu?»
«La mamma sta preparando la vasca.»
Ah, tradotto significava che non poteva
andare peggio.
«Ti stai preparando per lo shopping?»
«Proprio non ti puoi liberare? Accetto anche
Justin.»
«Non è molto carino quello che hai appena detto
sai?»
«Lo so, ma… posso richiamarti nel pomeriggio?»
«Lissa, sarebbe meglio di no. Ho un sacco di cose
da fare e poi mi si sta scaricando il cellulare.»
Seguì un silenzio angosciante, «Solo un secondo,
per favore Juna.»
Ah, dannazione…
«Senti, facciamo così: la zia Manaar ha il numero
del mio ufficio, fino alle cinque e mezzo sono pieno di impegni, dopo le cinque
e mezzo puoi provare, ok?»
«Ok. A dopo allora. Bacino.»
«Bacino. Ciao piccina.»
Justin lo stava guardando, «Era Melissa?» Al suo
cenno affermativo sospirò profondamente, «Devo proprio essere idiota per non
essermi reso conto di quello che sta succedendo a mia cugina. Neanche Georgie
sa dove sbattere la testa.»
«Abbiamo sottovalutato tutti la situazione,
Justin. Anch’io credevo che con il tempo le passasse, invece è successo
l’esatto contrario, dannazione.»
«Sono preoccupato soprattutto per lo stress che ne
deriva. Prendi la giornata di oggi per esempio: Lissa non vivrà fino a quando a
cena non ti trotterellerà incontro.»
Si trovò ad annuire, «Credi che non ci abbia
pensato? L’unica cosa che mi è venuta in mente è uno psicanalista, ma
onestamente non so se a cinque anni sia il caso. Ha accettato di imparare a
nuotare sai?»
Justin si fece attento, «Davvero? E’ un passo
avanti no?»
«Alla luce di stanotte non ne sono così sicuro.»
«Già, ci mancava l’abitudine di aspettarti alzata
la notte.» Fece schioccare la lingua, «Ah, merda… succederà un casino un giorno
o l’altro. Pensi sia un rischio reale che esca di casa a cercarti?»
«E’ l’ipotesi che mi fa più paura Just.»
«Hai idea di come fare?»
Scosse la testa, «Non ho la soluzione a tutti i
problemi del mondo. Non so come arginarla… è questo il problema. Se esce di
casa, fino al cancello è al sicuro, ma se esce dai confini della proprietà
McGregory, i cani non la seguiranno.»
«Sei certo che Lizar non la attacchi?»
«Ma stai scherzando? Lizar non si sognerebbe mai
di attaccare qualcuno della famiglia, in nessun caso.»
«E con i Flalagan come la mettiamo allora?»
«Scordi che durante il giorno sono chiusi nel
recinto? Comunque presenterò la famiglia Flalagan ai nostri cuccioli appena
possibile. Se devo essere onesto però non credo che Jennifer o Sarah o Michael,
con la paura che hanno, si avventureranno nel parco da soli e Jeremy sarà
l’ombra del nonno quando sarà a casa.»
Justin fece una smorfietta, «Hai ragione.» Seguì
un breve silenzio «Diana ti saluta.»
«Ricambia quando la risenti.»
«Sai che le sei sempre stato simpatico? Mi ha
sempre detto che un giorno o l’altro avrei smesso di fare il rimorchio di mio
padre.»
Diana ci andava leggerina con il fidanzato
eh?
«Per assecondare l’analogia della tua fidanzata:
fino a quando lo zio Paul non smetterà di essere il rimorchio del nonno, temo
che le cose non miglioreranno.»
«Anche su questo hai dannatamente ragione.»
«Direi che ha iniziato a fare passi verso la
direzione giusta. Anche il nonno si è meravigliato che finalmente abbia messo
in dubbio che stesse facendo la cosa giusta. Da qualche parte si deve pur
cominciare.»
«Devo ricordarti che mio padre si avvia a passi da
gigante verso la sua prima metà di secolo su questo pianeta? Meglio tardi che
mai! Non so spiegarti, è come se in questi giorni avessi ritrovato mio padre
dopo anni che non lo sentivo. La tua sfuriata della scorsa settimana ha avuto gli
stessi effetti di un tornado. Georgie mi è piombata in camera alle due quella
notte… erano almeno quindici anni che non succedeva più. Abbiamo fatto le
quattro a parlare e alla fine si è addormentata con me.»
«Tu e Georgie siete sempre stati molto legati. Da
sempre, quando vi vedo insieme, l’essere figlio unico mi pesa.»
Justin abbassò lo sguardo sul tavolo. «Voglio
farti una confessione. Probabilmente non ti sarà sfuggito, ma voglio dirtelo
chiaro e tondo.»
«Sentiamo.»
«Se io e Georgie siamo così legati, è soprattutto
merito tuo.»
Il sopracciglio di suo cugino scattò come una
molla.
Lo vide lanciare un’occhiata al suo bicchiere, poi
guardò di nuovo lui «Eppure sono pronto a giurare che non hai bevuto altro che
coca cola.»
Scoppiò a ridere.
Il senso dell’umorismo di Juna lo aveva fatto
ridere anche quando erano l’uno contro l’altro!
«Non sono ubriaco!» protestò.
«Fingi bene.»
«Ooohhh vai al diavolo Juna! Ti degni di ascoltare
la spiegazione?»
«Sono proprio curioso guarda.»
«Adesso non ne vado molto fiero, ma credo che tu
debba saperlo. Sei sempre stato inarrestabile e niente sembrava toccarti… ti ho
sempre visto come una specie di muro contro il quale andavo puntualmente a
sbattere rimbalzando. Molto presto io e Georgie ci siamo resi conto di come
cambiava il tuo sguardo quando capitava che le facessi uno scherzo o un gesto
di affetto o lei mi abbracciasse dicendo semplicemente il mio fratellino!
o cosa analoghe. Crescendo il rapporto con mia sorella si è rafforzato
naturalmente, ma quando eravamo bambini, andavamo d’amore e d’accordo perché in
qualche modo tu questo lo accusavi.»
Juna sorrise appena, poi dette una scrollatina di
spalle «Beh, allora a qualcosa è servita questa ventennale lotta familiare.»
«Alla fine dei conti io e Georgie ci siamo
comportati come due stronzi.»
«Diciamo che avete dato il vostro contributo per
temprare il mio carattere.»
I loro sguardi s’incrociarono e scoppiarono a
ridere entrambi.
Ok, stava recuperando la sua famiglia… adesso
doveva cercare di non perdere la sua fidanzata.
Ancora non riusciva a parlarne con Juna, anche se
gli aveva dato un input straordinario quando gli aveva chiesto se voleva
parlargli di qualcosa e poi gli aveva direttamente chiesto come andava con
Diana!
A volte quel ragazzo sembrava leggere nel pensiero
e non c’era verso di nascondergli qualcosa.
Solo lui poteva aiutarlo a chiarire il casino che
aveva dentro.
Juna aveva da sempre visto la sua relazione con
Diana dall’esterno e anche Georgie, quando aveva provato a farle un quadro
completo di quello che pensava e sentiva riguardo la famiglia di colei che si
avviava a diventare sua moglie, aveva riassunto la sua unica via d’uscita in
tre parole: parlane con Juna.
Questo addirittura prima dell’annuncio del nonno
che la famiglia era di nuovo riunita.
Se i suoi genitori avessero solo lontanamente
immaginato una situazione come quella che stava vivendo ci sarebbero entrambi
rimasti sul colpo, a parte che volevano un bene infinito a Diana, adesso
dovevano pensare soprattutto a risaldare il loro matrimonio.
Neanche aveva lontanamente immaginato cosa stesse
covando sua madre.
La verità era che avrebbe dovuto avercela a morte
con suo nonno, ecco.
Aveva deliberatamente usato l’intera famiglia in
funzione di Juna… e suo padre c’era cascato in pieno, trascinandosi dietro la
moglie e i figli.
Se avesse avuto un minimo di buon senso, avrebbe
dato retta al suo istinto perché fin da bambino, in fondo al cuore, aveva
sempre voluto bene a Juna… aveva avuto il sopravvento il suo bisogno di
compiacere suo padre, ecco la verità.
Di sapere che suo padre era contento di lui e
approvava cosa faceva.
Non era un mistero che suo padre si fosse sempre
sentito un gradino al di sotto del fratello maggiore e, pur volendogli un bene
infinito, aveva sempre cercato di ovviare a questo assecondando
incondizionatamente il padre.
In un certo senso la nascita stessa di Juna aveva
sollevato suo padre da qualsiasi lotta con il fratello maggiore: a prescindere
che fosse un genio, le dinastie come quella dei McGregory viaggiavano di
primogenito in primogenito, non era in discussione.
Non era un genio al pari di Juna, non avrebbe mai
avuto le sue potenzialità, ma non era un idiota.
Juna avrebbe avuto bisogno di lui e lui ci sarebbe
stato.
Aveva sempre avuto le idee chiare su quello che
sarebbe stato della sua vita e fino a quel momento aveva rispettato fedelmente
le tappe che si era prefissato.
Amava Diana e non riusciva a capire il suo
improvviso cambiamento, quel suo improvviso pendere dalle labbra di quella iena
di sua madre… quell’improvviso voler accelerare i tempi.
Con un sospiro cercò di tranquillizzarsi dicendosi
che quella non sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe avuto suo cugino tutto
per sé.
Adesso poteva pian piano conquistarsi anche
l’affetto, e perché no?, il rispetto di suo cugino.
In quello stesso momento, in un sobborgo malfamato
di New York, il vetro di una finestra al secondo piano di un fatiscente motel
vibrò per il colpo che Diego Estrada assestò al tavolo, già per altro
traballante.
Nessuno dei quattro uomini che erano nella stanza
con lui batté ciglio: esplosioni di rabbia da parte di Diego erano la regola,
anche in mancanza di validi motivi come quello di quel giorno.
Soltanto Carlos riusciva ad essere più violento di
lui in certe situazioni e con la sua morte, Diego aveva ereditato anche quello
scettro.
«Sono circondato da un branco di idioti!» esplose
in un rabbioso spagnolo «Vi ho chiesto due fottuttissimi nomi! Mio
fratello è morto da quasi una settimana e ancora non ho messo le mani sui
bastardi che l’hanno ammazzato!» Si rivolse all’uomo alla sua destra «Carlos è
morto perché si è fidato di gente incapace! Ecco cosa! Doveva essere una
trappola vero? Dovevamo mettere le mani su Darkness e Falcon stavolta, vero?! Li aspettavamo, vero?? Se
ripenso a quanto era sicuro Carlos! Così sicuro che è andato direttamente lui a
fare da esca e non ha fatto sparire neanche il figlio del governatore! Mesi per
agganciare qualcuno all’interno dell’F.B.I. e tutto quello che abbiamo sono i
nomi in codice! Questi due ci hanno fregato ancora, ci hanno ridicolizzato
davanti a tutti gli altri capi famiglia e per di più hanno ammazzato mio
fratello per Dio!!» Il tono della voce era cresciuto fino a diventare un
ruggito «Voglio le loro teste, una volta per tutte!!»
«Il nostro aggancio all’interno dell’F.B.I.…»
cominciò l’uomo al quale si era rivolto.
«Fanculo il nostro aggancio Pablo! Non capisci che
non è servito a niente?!» dette un violento calcio alla sedia che aveva davanti
facendola schiantare contro il muro «Minimo ci ha fregato proprio lui, se l’è
fatta addosso e all’ultimo momento li ha avvisati!»
«… ha avuto un incidente la mattina dopo
l’assassinio di Carlos» riprese Pablo come se non lo avessero interrotto. «La
sua macchina è saltata… e non siamo stati noi. Quindi c’è una sola possibilità
Diego: Darkness e Falcon hanno mangiato la foglia. Dio solo sa il perché non li
abbiamo beccati la volta scorsa e questa volta hanno fatto di testa propria.
Probabilmente Flyer lo hanno fatto fuori appena riconsegnato il moccioso al
governatore.»
«Abbiamo a che fare con dei demoni Diego» disse
l’uomo più anziano seduto su una sedia. «Tuo fratello non era stupido e…»
«Carlos sapeva stare al mondo papà, ma era
circondato da idioti!» lo interruppe Diego «Per favore, te lo chiedo per
favore, non attaccare con i discorsi di spiriti e demoni! La gente più
vecchia che lavora con noi crede ancora alle maledizioni, alle fate e agli
elfi, ci manca solo che comincino a farsi il segno della croce tutte le volte
che sentono nominare questi bastardi! Abbiamo a che fare con gente in carne ed
ossa papà! Dannatamente efficienti, ma si possono uccidere! Basta trovarli!»
«Diego, quei due sono delle belve e all’interno
dell’F.B.I. sono una leggenda» riprese quello che sembrava il più giovane della
stanza. «Non so più dove sbattere la testa» continuò poi. «Ma ti ricordi cosa
ci ha confermato Flyer? Solo in due sanno chi sono: Lewing e Farlan e tengono a
quei due più che alle loro vite… anche perché sarebbero morti comunque, in caso
contrario. Tentiamo di farci dire da loro chi sono? Come pensi di avvicinare un
generale e un comandante a quei livelli? Quei figli di puttana sono
introvabili… sembra che non siano mai nati. Pensi che non voglia trovarli e
fargliela pagare? Non solo hanno ucciso Carlos ma hanno minato gli equilibri
stessi della famiglia!»
Diego Estrada si fece insolitamente dolce,
«Fratellino, so cosa stai passando. Non ce l’ho con te Migũel. So quanto
tenevi a Carlos. Devi credermi quando ti dico che li prenderemo. Ci vorranno
settimane, mesi o anni… ma li prenderemo.» Si rivolse al padre, «Sono giunto ad
una conclusione: ormai che quella legge passi o meno non ci interessa.
Sposteremo i punti strategici che abbiamo qui altrove. Ho ripreso le trattative
con i messicani e i colombiani. Ormai l’F.B.I. avrà costruito un muro di cemento
intorno al governatore e alla sua famiglia. L’errore di valutazione che è
costato la vita a Carlos e ci ha definitivamente legato le mani con il
governatore, ha messo anche in pericolo la nostra credibilità: dobbiamo trovare
quei due e vendicarci, prima che i capi degli altri cartelli ci saltino alla
gola credendoci indeboliti.»
«Diego, stai veramente dicendo di ignorare quello
che aveva deciso Carlos?» chiese l’uomo con un sigaro mangiucchiato in bocca
che era stato in silenzio ad ascoltare fino ad allora.
Tutti guardarono il vecchio seduto.
Dopo qualche secondo, questi sospirò, «Anton,
Diego ha ragione. La morte di mio figlio è una tragedia… ma non possiamo
assolutamente permetterci di piangerci addosso. Gli Estrada sono ancora una
delle famiglie più potenti. Dobbiamo riprendere in mano la situazione. Ad ogni
costo. Diego, adesso è tutto in mano tua e Migũel sarà il tuo braccio destro, mi sono spiegato?»
«Sì papà» risposero i due fratelli in coro.
«Migũel» cominciò Pablo, «cosa ti fa dire che
quel generale e quel comandante sono inavvicinabili?»
«Sono costantemente sotto scorta. Dalle quindici
alle venti persone intorno, armate fino ai denti. Allo stato attuale delle cose
te la senti di rischiare un’imboscata del genere?»
«E le loro famiglie?»
«Da quello che ho scoperto, Farlan è scapolo,
Lewing è divorziato, ma la moglie è morta, quindi…»
«Nessuno dei due ha figli?»
Migũel negò con un gesto della testa.
«Lasciate perdere quei due» disse Diego. «I nostri
soli obbiettivi devono essere Darkness e Falcon adesso.» Prese l’audio cassetta
dal tavolo e la osservò per qualche secondo, «Trovatemi il proprietario di
questa voce. Trovatemi il figlio di puttana che ha ucciso mio fratello e il suo
complice. Trovatemi quei due, costi quel che costi.»
Quello fu il primo ordine che Diego Estrada diede
come nuovo capo della famiglia.
Capitolo 7 *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 7 ***
Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 7
Non
E’ Mai Troppo Tardi
7
Furono necessari quattro giorni in più rispetto a
quanto previsto da Patrick, più che altro a causa degli impegni di Jeremy, ma
alla fine la famiglia Flalagan arrivò a Villa McGregory.
Jennifer rimase senza parole davanti all’immenso
edificio a tre piani, diviso nel corpo centrale e due ali, in stile barocco.
Al confronto casa sua sembrava una baracca.
Suo padre le aveva detto che negli ultimi quattro
o cinque anni Patrick aveva aggiunto alle parti, per esempio tre stanze comunicanti
ad uso di studio privato per lui, Connor e Juna che volendo avrebbero potuto
mandare avanti gli affari anche da casa, un’intera ala e una serra nel parco
che circondava la villa, e ristrutturato quello che già esisteva, ma aveva un
po’ minimizzato il lavoro che era stato fatto alla villa che ricordava lei.
Era il trionfo del marmo.
Suo fratello poi camminava a mezzo metro da terra,
era convinta che se le avesse lasciato la mano avrebbe cominciato a lievitare
nel vuoto.
«Belllllloooooo» fu il suo unico, enfatico
commento, quasi in trance a guardare cosa lo circondava «Abita qui Juna?»
Da quando lo aveva visto riusciva a dire il suo
nome in media almeno una volta ogni dieci parole.
«La ristrutturazione è riuscita bene» commentò sua
madre. «Jeremy, da quanto non veniamo qui?»
«Troppo tempo Sarah. Micky non c’è mai stato.»
Michael le appoggiò una manina sulla guancia e
pilotò il suo sguardo fino al proprio «Ti piace qui?»
«E’ bellissimo Micky.»
«Staremo bene Jennie, credimi.»
Per l’ennesima volta il tono di voce di suo
fratello la sconvolse, suo padre girò la testa di scatto e guardò il figlio più
piccolo sbigottito.
Sua madre era diventata un pezzo di marmo, ma
teneva testardamente la testa girata fuori dal finestrino.
Susan aveva le lacrime agli occhi.
Michael era cresciuto in un lampo. Non era
riapparso il bambino che era stato rapito… e questo, come aveva anche ammesso
suo padre, se lo aspettava, ma quel piccolo ometto di quattro anni a volte la
spaventava a morte.
Le faceva male il cuore quando pensava a cosa
avesse potuto trasformarlo così. Chissà la paura che aveva provato, cosa gli
avevano fatto passare gli uomini che lo avevano rapito.
La prima cosa che suo padre aveva preteso era
stata una visita medica per… non riusciva neanche a pensarci: per accertarsi
che Michael non avesse subito violenza sessuale e Michael non aveva fatto
storie, affrontando tutto in silenzio.
Le esplodeva l’inferno dentro al pensiero che suo
fratello avesse potuto correre un pericolo del genere.
Non erano arrivati a tanto e ringraziava il
Signore per questo.
Poi una seduta da un psicanalista, ma Michael non
aveva aperto bocca, se non per informare la dottoressa Horgan che presto
sarebbe andato ad abitare con Juna, che era un giovane guerriero.
Suo padre aveva dovuto spiegare alla dottoressa
che il nome del ragazzo era arabo, come la madre, e che significava Giovane
Guerriero.
La dottoressa Horgan, una donna molto dolce e
gentile, aveva detto che avrebbe parlato quando fosse stato pronto, che non si
poteva correre il rischio di forzarlo a rivivere il trauma.
«Sono sicura che hai ragione.»
Michael le sorrise e si riappoggiò a lei.
Susan scese dalla macchina per prima, «Hanno
coraggio a definirla una villa, questa è una reggia!»
Scesero tutti quanti e Michael le tirò subito i jeans,
era il segnale che voleva essere preso in collo. Lo accontentò più che
volentieri e si strinse a lui con la stessa forza con la quale suo fratello si
incollò a lei.
Dal portone centrale in massiccio legno scuro e
vetro, al quale si accedeva mediante una scalinata di marmo bianco e grigio,
apparve Patrick con tre uomini al seguito, che riconobbe subito essere i figli
senza però riuscire a dare un nome ad ogni volto, e gli si fece incontro
raggiante.
«Ben arrivati! Finalmente!»
«Grazie Patrick» disse suo padre, poi si rivolse
agli altri tre, «Connor, Ryan, Paul, è un piacere rivedervi.»
I cinque uomini si strinsero la mano.
«Lasciate perdere le valigie!» disse poi quello
che sembrava essere il più giovane «Ci pensano i domestici a quelle! Ciao
Sarah, ben arrivata.»
«Ryan, come va?» rispose sua madre.
«Bene, grazie. Jennifer! Sei irriconoscibile, come
sei cresciuta!»
«Fratellino, siamo noi che invecchiamo!» disse uno
dei due che era rimasto a parlare con suo padre «Aspetta che Lissa abbia l’età
di Jennifer!»
«Parla per te Paul!» ribatté Ryan «Melissa ha
ancora qualche anno davanti a sé! E tu sei Michael, giusto?»
Suo fratello annuì strusciando il viso contro il
suo collo.
«Sai, Melissa, la mia bambina, ha poco più della
tua età e non vede l’ora di conoscerti. E’ in piscina con Juna adesso.»
Aveva detto la parola magica, suo fratello scattò
come una molla.
«Juna?? Dov’è??»
Patrick rise, «Connor, visto? Che ti avevo detto?»
Quello che doveva essere per forza il padre di Juna
e il primogenito di Patrick, sorrise «Il fascino di mio figlio non perdona.»
«Eh, tutto suo padre…» commento Ryan.
Michael reclinò la testolina guardando Connor che
stava guardando di traverso il fratello, «Sei il papà di Juna?»
«L’unico e solo.»
«Com’è che non ti assomiglia?»
Suo padre e sua madre cambiarono letteralmente
colore, Ryan e Paul soffocarono una risata con una serie di colpi di tosse,
Patrick sgranò gli occhi… Connor esplose in una fragorosa risata, «Perché ha
ripreso il meglio da entrambi i genitori Micky: il mio senso dell’umorismo e i
colori della madre! Non conosci mia moglie, vero Micky? Posso chiamarti Micky?»
Suo fratello sorrise, «Certo. Vai d’accordo con il
mio papà?»
«Direi di sì, come mai?»
Stava per succedere un disastro, anche suo padre
aveva intuito dove voleva andare a parare il figlioletto.
Fu salvata dall’entrata in scena della donna più
bella che avesse mai visto e che era rimasta tale e quale a come se la
ricordava: la fotocopia al femminile di Juna.
«Cosa ci fate ancora qui fuori? Io, Beth, Georgie
e Lennie dobbiamo fare una richiesta scritta per salutare i nuovi arrivati?»
«Arriviamo Manaar!» disse Connor.
Cominciarono a salire la scalinata.
«Oh Dio Connor, scusalo» disse suo padre. «E’ la
prima volta che si comporta così.»
«Scusarlo? E di cosa? Jeremy, tuo figlio non aveva
ancora visto Manaar e i bambini hanno un’ingenuità straordinaria. Ti garantisco
che ha avuto più classe lui di quanta ne ho mai riscontrata in tutta la mia
vita!» lanciò un’occhiata alla moglie «Beh, esclusa mia moglie, ovviamente! E
in un certo senso anche mio figlio, a pensarci bene!»
«Juna si è fatto un uomo ormai. Quando l’ho visto
giorni fa stentavo a credere ai miei stessi occhi… è incredibile che debba
ancora finire diciannove anni.»
«A volte penso che mio figlio, bambino o
adolescente non lo è mai stato.»
Entrarono e, appena varcata la soglia, per poco
non lasciò andare Michael per la sorpresa: lì dentro c’era una collezione di
ori, argenti, marmi, statue e quadri a dir poco sbalorditiva.
Ci credeva che il sistema d’allarme era a prova di
bomba!
«Ciao Sarah! Ben arrivata!» esclamò Manaar
abbracciando sua madre… che rispose all’abbraccio di getto.
«Manaar, che piacere vederti!»
«Tutto bene? Vi va qualcosa? Un tea?»
Sua madre guardò lei e Michael, il suo fratellino
era in vena di follie quel giorno «Io un tea lo prenderei volentieri signora Manaar,
grazie.»
Manaar sgranò gli occhi, «Ma che perfetto
gentiluomo! Dici che sono troppo vecchia per essere chiamata solo Manaar?»
«Mi chiamerai Micky?»
«Mi sembra equo. Affare fatto Micky. Ciao Jennie,
ben arrivata.»
«Grazie.»
La somiglianza era impressionante… poteva essere
la sorella gemella di Juna, invece che la madre.
Gli occhi erano praticamente identici, ma Manaar
aveva una luce dolcissima… Juna… beh, Juna no.
«Sai Manaar che sembri la sorella gemella di Juna?»
Per un attimo ebbe paura di aver dato
involontariamente voce ai propri pensieri… poi si rese conto che era stato suo
fratello a dirlo.
Manaar rimase un attimo pietrificata, poi rise
rovesciando la testa indietro, «Micky, sei un tesoro, proprio quello che una
donna ha bisogno di sentirsi dire! Connor?»
«Dimmi tesoro.»
«Micky dovrebbe darti qualche lezione di galateo
sai? Tu non mi hai mai detto che sembro la sorella gemella di tuo figlio!»
Connor sorrise furbescamente, «Io so perfettamente
che non lo sei tesoro e poi non devo conquistarmi il tuo cuore: è già mio!»
«Sei veramente troppo sicuro di te amore.»
«No Manaar, io sono sicuro di te.»
Si sorrisero… e praticamente il sole venne
oscurato.
«Ma guardateli, gli eterni sposini in luna di
miele!» esclamò una voce alle sue spalle.
Si voltò e vide una ragazza che sembrava più o
meno della sua età… ovviamente ricordava che Georgie avesse quasi undici anni
in più di lei, ma non li dimostrava affatto.
«Perché davanti al vostro pargolo non dite queste
cose?» continuò indagatrice.
«Perché nostro figlio si diverte a prenderci in
giro per questo senza ulteriori incentivi» rispose Connor. «Aveva appena cinque
anni quando l’ho sentito affermare di essere figlio dell’amore!
Jennifer, ti ricordi Georgie?»
«Ciao Georgie» la salutò sopra le risatine.
«Ciao Jennifer, ben arrivata. Finalmente un po’ di
compagnia vicina alla mia età, che ne dica mio fratello. Tu devi essere
Michael.»
«Micky.»
«Micky» ripeté Georgie.
«Puoi chiamarmi Jennie, lo fanno tutti.»
Georgie le sorrise, poi si guardò intorno, «Papà?»
Paul si voltò verso di lei «Ho sentito Just adesso: è, cito testualmente le sue parole, appena riuscito a strappare la nonna dalle grinfie delle sue amiche e
ce la sta riportando a casa sana e salva.»
«Georgie…» cominciò una donna.
«Lennie, ha reso perfettamente l’idea… e non ha
detto una bugia. Lascia perdere» disse Paul a colei che doveva essere la
moglie.
«Propongo di spostarci nei tavolini accanto alla
piscina!» esclamò Ryan «Conoscerete anche mia figlia così.»
«Manaar, che significa il tuo nome?» riprese suo
fratello mentre si spostavano.
«Luce Che Guida» rispose Connor, «e credimi, è
azzeccatissimo.»
Manaar abbracciò il marito con un sorriso.
«Anche il nome di Juna è az-zec-cat-issi-mo» disse
suo fratello sillabando la parola più complicata per essere sicuro di non
sbagliarla.
Suo fratello capiva sempre il significato delle
parole, anche le più difficili, solo sentendole nel contesto del discorso.
Manaar lo guardò sorpresa, «Sai il significato del
suo nome?»
«Sì, me lo ha detto il mio papà. Giovane
Guerriero.»
Connor scoppiò a ridere, «Sarebbe stato adatto
anche Testa Dura, ma Manaar non ha voluto tradurmelo!»
Risero tutti.
Le sue perplessità riguardo alla piscina svanirono
quando si rese conto che era al chiuso e ancora riscaldata artificialmente.
Patrick non aveva tralasciato niente.
Per poco suo fratello non le cadde dalle braccia
quando si gettò in avanti urlando a pieni polmoni Juna!! Juna!! Ciao!! e
alla fine lo vide anche lei: era in acqua con una bambina bionda saldamente
allacciata a lui.
L’acqua gli copriva per metà il torace e con i
capelli bagnati portati indietro quegli occhi erano ancora più in primo piano,
anche a quella distanza.
«Michael, non urlare, per favore» disse sua madre
esterrefatta. «Cosa devono pensare vedendo come ti comporti?»
Suo fratello si girò verso di lei e le sorrise
raggiante, «Cosa devono pensare mamma? Che sono felicissimo di vedere Juna! Mi
sembra chiaro!!»
Suo padre le gettò un’occhiata rassegnata,
«Mettilo giù adesso Jen, o ti cade.»
Di malavoglia mise a terra suo fratello che scattò
come un razzo verso la piscina. «Oh Dio Micky, sta’ attento!» gridò senza
riflettere «Non sai nuotare!»
Michael rallentò visibilmente ma non si fermò, in
un battito di ciglia era accovacciato sul bordo della piscina.
«Jeremy…» cominciò sua madre angosciata.
«Calma Sarah.»
«Che succede?» chiese Patrick.
Sua madre guardò la scena e bisbigliò, «Quello non
è mio figlio, che sta succedendo?»
«Mamma!» esplose «Non dire sciocchezze! Mi
preoccuperei se Micky si comportasse come se non fosse successo niente!»
Sua madre respirò profondamente, «Hai ragione
Jennie. Scusatemi» disse a tutti e a nessuno dopo aver recuperato il controllo
di sé.
Manaar le cinse le spalle con un braccio, «Non
devi scusarti di niente Sarah. Posso solo dirti che un comportamento del genere
da parte di un bambino nei confronti di mio figlio è la regola.»
«E’ vero Sarah» disse una donna che non aveva
notato prima. «Stando in questa casa ti renderai conto che la situazione di mia
figlia non si discosta molto dal comportamento di Michael.»
Suo padre la guardò, era sempre attento agli stati
d’animo di chi lo circondava e neanche a lei era sfuggito il tono rassegnato e
angosciato insieme della donna «Come mai Elisabeth?»
«L’anno scorso Melissa cadde dalla barca mentre
eravamo in gita. Non sapeva nuotare, la vedemmo sparire sott’acqua e nessuno di
noi seppe reagire prontamente» rispose Ryan. «Tranne Juna. Si tuffò
ripescandola letteralmente per i capelli. Da quel giorno mia figlia entra nel
panico se non ha Juna a portata di vista, si è convinta che solo con lui è al
sicuro, che solo lui può proteggerla. Da qualche giorno ha iniziato ad essere
ossessivamente preoccupata che possa succedere qualcosa a Juna mentre lei non è
con lui. Abbiamo iniziato a portarla da un’analista e…»
«… il nome della dottoressa Horgan me lo ha dato
proprio Jeremy, Ryan» disse Patrick.
Jeremy si voltò verso Patrick, «Era per
Melissa?» chiese sbalordito.
Patrick si limitò ad annuire.
«Non mi meraviglierei se alla fine la dottoressa
volesse conoscere tuo nipote, Pat» continuò suo padre. «Michael lo ha nominato
in continuazione durante la seduta. Sono stato costretto a spiegare a quella
donna il significato del suo nome.»
«Juna ha una pazienza titanica con sua cugina»
disse Paul. «E Melissa pende dalle sue labbra. Se si esclude quando è venuto a
casa vostra con papà, è quasi una settimana che non esce la sera, lo avete
notato?»
Connor respirò profondamente, «Come non notarlo?
Lo vedevo solo in ufficio fino a un paio di settimane fa. Sto cominciando
seriamente a temere che si senta in qualche modo responsabile della
situazione.»
«Starai scherzando» disse Ryan. «Che doveva fare?
Lasciare affogare mia figlia?»
Connor si rivolse al fratello minore, «No Ryan,
non mi sono spiegato: responsabile perché non si è reso conto del lento
degenero della situazione fino a quando non siamo arrivati in fondo e abbiamo
cominciato a scavare.»
«Quando Justin è rimasto a pranzo con lui hanno
parlato anche di Lissa» disse Paul. «Juna teme che Melissa esca di casa a
cercarlo, capisci? Ecco perché non esce più la sera. Lo ha detto chiaro e tondo
a Just: se presa dal panico uscisse dai confini della parco, Lizar e Dragar
potrebbero non seguirla.»
Calò il silenzio.
«Andiamo a sederci?» propose Manaar.
«Devo parlare di questo con mio figlio» decise
torvo Connor.
«Vado ad avvisare Howard di fare del tea» disse
Elisabeth.
Arrivarono vicini alla piscina e la voce del
ragazzo le giunse chiara, «Lissa, devi rilassarti: i pezzi di marmo vanno a
fondo.»
«Non mi lasciare andare, prometti?» piagnucolò la
bambina.
«Ti sta tenendo Melissa, lo vedo» cercò di
rassicurarla suo fratello.
«E’ alta l’acqua.»
«Melissa, deve esserlo se vuoi imparare. Rilassa
la schiena, se ti lasci andare resti a galla.»
«Juna…» lo chiamò Manaar.
Il ragazzo alzò lo sguardo su di lei, vide sua
madre, «Buongiorno Sarah, ben arrivata.»
«Grazie Juna.»
«Jeremy, ti ricordavi ancora la strada?»
«Sembra che il mio autista abbia un’ottima
memoria!» fu la risposta di suo padre.
Juna scosse la testa, «Capisco perché vai così
d’accordo con mio nonno.»
«Questa faccio finta di non averla sentita!»
esclamò Patrick.
«Ciao Jennifer, stavamo parlando di te.»
«Gli ho detto che neanche tu sai nuotare» disse
Michael.
Melissa la guardò improvvisamente interessata, «Non
sai ancora nuotare?» ripeté.
Si sentì improvvisamente alla stregua di una
deficiente. Scosse la testa in risposta.
«Se lei che è grande non sa nuotare, perché devo
imparare io che sono piccola?» chiese a Juna.
«Perché se una persona sbaglia non è scritto da
nessuna parte che debba farlo anche tu» fu la lapidaria risposta del ragazzo.
«Non è mai troppo tardi per imparare, ma prima lo si fa e meglio è.»
«Ma io…» riprese la bambina.
«Se tu avessi saputo nuotare adesso non passeresti
le notti a fare la guardia per vedermi tornare Melissa» stroncò perentorio la
protesta sul nascere. «Abbiamo fatto un patto io e te, ricordi?»
«Quando Melissa non vuole più imparare, insegni a
me?» chiese suo fratello «Sai che per farmi stare buono quegli uomini mi
dicevano che altrimenti mi avrebbero gettato in piscina? Mi faceva più paura la
piscina delle pistole e dei coltelli.»
Per poco non cascò in terra.
Oh mio Dio.
Sua madre si aggrappò a suo padre che aveva
cambiato colore.
Come c’era da aspettarsi, fu evidente che a Juna
non sfuggì una virgola del tutto. Quegli occhi, nel giro di un secondo, avevano
registrato ogni particolare delle loro reazioni.
«Quali uomini?» chiese Melissa.
«Lissa, abbiamo un appuntamento, ricordi?» disse
precipitosamente Ryan «Esci dall’acqua, raggiungiamo la mamma: dobbiamo farci
la doccia e vestirci.»
Juna portò la bambina fino al bordo e Ryan la
prese in collo tirandola su.
Lennie aveva già pronto l’accappatoio.
«Michael, se vuoi puoi starci tu con Juna adesso»
disse la bambina mentre scivolava dentro l’indumento di spugna.
«Parola mia, non riesco a credere alle mie
orecchie» commentò Connor. «Micky, questo è un onore che Lissa ha concesso solo
a te fino ad oggi.»
«Non… non abbiamo portato costumi da bagno» disse
sua madre.
«Jennie può mettere uno dei miei» disse Georgie,
«e Micky ha più o meno la misura di Melissa.»
«Un costume da bambina?» chiese
scandalizzato suo fratello.
«Ne ho uno nero che puoi mettere, vero mamma?»
disse Melissa intercettando sua madre che stava tornando in quel momento, «E’…
è…» guardò Juna in cerca di aiuto.
«Unisex» terminò il ragazzo, le braccia conserte
sopra il bordo della piscina.
«Quindi va bene anche per te… e poi vuoi o non
vuoi nuotare con Juna?»
Michael guardò Melissa in silenzio, poi sorrise,
«Ok.»
Si sentì prendere una mano, «Andiamo, a te ci
penso io!» esclamò Georgie.
«E io?» chiese subito Michael.
«Jennie, il costume per Micky lo do a te?» disse
Elisabeth.
«Io veramente non vorrei…» cominciò.
«Jennie, vai a cambiarti e aiuta Micky» disse suo
padre. «Vi aspettiamo qui.»
Michael le prese la mano, pronto a seguirla.
«Io ho veramente paura dell’acqua alta» provò a
spiegare. «Preferirei non entrare in…»
«C’è Juna con te» disse Melissa, «è impossibile
che affoghi.»
«Ha ragione sorellina… per favore.»
Fu costretta ad arrendersi.
Jennifer seguì Georgie con la stessa aria di un
condannato a morte.
Come Michael e le due ragazze sparirono dalla loro
vista, Sarah piombò a sedere su una delle poltroncine in vimini che
circondavano i tavolini e Jeremy non fece più nulla per continuare a nascondere
lo shock.
Decise che era meglio uscire momentaneamente
dall’acqua.
Sua madre lo aiutò a mettersi l’accappatoio senza
dire una parola.
«Jeremy, cos’è successo?» chiese suo nonno.
«Michael non ha mai accennato a niente riguardo il
periodo della prigionia» spiegò Jeremy con un filo di voce. «Non… non ero
pronto a una tale spontaneità… così all’improvviso…»
«La dottoressa Horgan» Sarah interruppe suo marito
scandendo quasi sillaba per sillaba, «ci ha detto che non possiamo costringerlo
a rivivere il trauma, che ne parlerà quando si sentirà di farlo e che l’unica
cosa che potremo fare allora sarà ascoltarlo.» Si rivolse a lui, «Juna, hai un
potere incredibile su Michael, si fida di te… e a questo punto spero che
continuerà a tirare fuori particolari del rapimento, anche se solo con te. La
dottoressa ha anche detto che una volta che si è aperta una falla, verrà giù
tutta la diga che separa i ricordi di mio figlio legati al rapimento dalla sua
vita prima e dopo. Ti chiedo di ascoltare mio figlio e te lo chiedo come
favore, perché so che non hai alcun obbligo nei nostri confronti.»
«Non preoccuparti Sarah, non avrò alcun problema a
farlo, ma anch’io devo chiedervi un favore, a te, a Jeremy e a Jennifer… appena
potrò parlarle riguardo a questo: non potete rischiare un collasso tutte le
volte che Michael comincerà a parlare del rapimento, qualsiasi cosa dica.
Capisco che il pensiero che vostro figlio si sia trovato a tu per tu con una
pistola vi abbia tolto vent’anni di vita» continuò parlando ad entrambi, «mi
meraviglierei se così non fosse, ma dovete assolutamente restare calmi o
Michael potrebbe cominciare a tenersi tutto dentro per paura di farvi star
male.»
«La stessa cosa che ci ha detto anche la Horgan»
disse Jeremy. «Ho paura per Jennie soprattutto.» Si rivolse alla moglie, «E’
stata davvero una vigliaccata mollarle Micky in quel modo.» prese atto della
realtà, poi continuò «Con la carriera che ho scelto ho imparato a mettermi una
maschera, e all’occorrenza saprò metterla anche davanti a Michael, per quanto
riguarda mia moglie… beh, è capace di qualsiasi cosa quando ci sono di mezzo i
nostri figli: reggerà anche a questa… ma Jennie…»
«Parlerò io con lei» riprese sedendosi davanti a
Sarah, «sono certo che avrai modo di scoprire che anche tua figlia è capace di
tutto quando si tratta della sua famiglia.»
«I problemi non sono finiti qui però» disse suo
zio Paul. «Spero di sbagliarmi, ma temo sarà estremamente difficile gestire
Melissa se si renderà conto che Michael si affeziona troppo a Juna.»
«Potresti avere ragione» ribatté suo padre, «ma il
fatto che gli abbia già dato il permesso di stare con mio figlio, mi
rende ottimista. E poi non scordare che dalla prossima settimana andranno
all’asilo insieme… confido che si crei una specie di coalizione fra di loro.»
Jeremy scosse la testa, «Sapevo che alla fine
sarebbe stato un errore venire qui.»
«Non dire stupidaggini Jeremy» insorse suo nonno.
«Sistemeremo tutto, vero Juna?»
«Jeremy, tu adesso devi solo preoccuparti
dell’incolumità della tua famiglia» disse suo zio Paul, «e se noi possiamo
aiutarti in qualche modo, non ci fa che piacere.»
«Ah! Eccovi qui finalmente!!» esclamò la voce di
sua nonna «Abbiamo incrociato Jennie e Micky con Georgie! Jennie diventa più
bella ogni volta che la vedo!»
«Maddie!» esclamò Sarah scattando in piedi.
Le due donne si abbracciarono.
«Ed ecco il mio secondogenito!» esclamò Paul
«Justin, ti ricordi di Jeremy e Sarah?»
«Certo! Ben arrivati!»
«Ciao Justin, certo che anche tu sei cresciuto
parecchio!» esclamò Jeremy «Quanti anni hai adesso?»
«La veneranda età di ventiquattro anni, ma non
dirlo in giro per favore!»
Jeremy si voltò verso Paul, «E lui è il più
piccolo dei due? Quanti anni ha Georgie?»
«Quella faccia da bambina ne ha ben ventisette!»
rispose sempre Justin «Ho una sorella che si avvia a passi da gigante verso i
trent’anni!!»
«Smettila Just!» disse Lennie «Sai che tua sorella
si arrabbia quando dici così!»
«Certo che lo so, è per questo che di solito è
presente anche lei quando lo dico!»
Tutti risero.
«Si becchettano ancora come vent’anni fa, questi
due!» commentò Paul.
«Justin, vuoi fare una nuotata con noi?» gli
chiese.
«Andavano a mettersi in costume quei tre?» Al suo
cenno affermativo sorrise, «Va’ che mi hai dato una bella idea. Devo solo
avvertire la mia fidanzata di arrivare armata di costume!»
Quando tornarono Georgie, Jennifer e Michael, il
bambino gli si arrampicò subito in collo «Davvero questo costume lo posso
mettere anch’io?» chiese dubbioso.
«Beh, ci sei già dentro o sbaglio?»
Il bambino rise, «Oh uffa, hai capito!»
«Jennie, puoi toglierti l’accappatoio, qui fa
caldo» disse Georgie dando il buon esempio.
La ragazza guardava la piscina come se fosse piena
di serpenti pronti a morderla.
«Ha molta paura dell’acqua alta» gli bisbigliò
Michael con l’aria di uno che confida un segreto di stato. «E il costume che ha
addosso adesso la fa anche sentire imbarazzata. Georgie le ha detto che le sta
bene… ma non l’ha convinta granché.»
Perfetto.
Si alzò posando il bambino in terra e si tolse
l’accappatoio, «Bene, entriamo in acqua?»
Nel tempo in cui Jennifer gli lanciò un’occhiata
che diceva chiaramente perché proprio io? E’ davvero necessario? Io sto
benissimo così, ti prego, Michael si era tolto il suo e Georgie era già in
acqua.
«Io entro quando sei dentro tu» mise in chiaro il
bambino.
«Io aspetterei tre o quattr’ore» disse Jennifer.
«Jennie, mettiamo subito in chiaro la situazione.
Tu hai due possibilità: o entri in acqua da sola o entri con me.»
«Entro dopo di te» decise all’istante.
«Ok, ma a quel punto se ti azzardi a ripensarci,
sappi fin da ora che ti verrò a prendere e non avrai luogo dove nasconderti o
santo al quale votarti, mi sono spiegato bene?»
L’espressione della ragazza gli disse che era
stato chiarissimo.
Si rivolse a Michael, «Io mi tuffo e poi ti prendo
dal bordo ok? Aspettami seduto lì.»
Gli rispose con un veloce cenno della testa e un
sorriso felice.
Si voltò e si avviò al limite della piscina senza
voltarsi.
L’acqua era sempre piacevolmente calda e poi
nuotare lo aiutava a scaricarsi.
Michael era esattamente dove gli aveva detto di
mettersi. Si fece trascinare in acqua senza la minima resistenza e gli cinse il
collo.
Quegli occhioni erano esattamente come se li
ricordava, con la differenza che erano luminosi e brillavano, invece che
terrorizzati.
Michael sembrava risplendere da quanto era felice.
Un’ombra gli coprì parzialmente la luce e alzò lo
sguardo su Jennifer.
Da dove saltava fuori quel costume? Doveva essere
uno di quelli che il fidanzato di Georgie le proibiva di mettere se non c’era
anche lui… e cominciava a capire il perché…
Decise di risparmiare a Jennifer almeno questa.
«Ok Micky, adesso afferra bene il bordo più basso,
quello bravo, e tieniti forte che porto in acqua tua sorella e torno da te.» La
guardò, «Avanti Jennie, lo stesso esercizio che hai visto fare a tuo fratello.»
La ragazza si mise a sedere sul bordo senza una
parola, lo sguardo fisso sull’acqua, «Qui tocchi anche tu Jennie, sta’
tranquilla.»
Portò in acqua un pezzo di marmo con gli occhi
serrati.
Quando si rese conto di toccare il fondo e avere
la testa abbondantemente fuori dall’acqua li aprì di botto, sorpresa.
«Che ti aveva detto?» disse Georgie alle sue
spalle.
Jennifer era di una quindicina di centimetri più
bassa di lui… e non si era legata i capelli.
«Rovescia la testa indietro e entra sott’acqua.»
«Coosa?» fu l’istantanea reazione.
«Devo farti la sillabazione?» Lanciò un’occhiata a
Michael «Falle vedere come si fa.»
Il bambino eseguì senza il minimo tentennamento,
tornò a galla e rise «E’ buffissimo là sotto!» esclamò.
Jennifer lo guardava come se non credesse che
quella creatura fosse davvero suo fratello.
«Non ti azzardare a lasciarmi» gli disse
all’improvviso piantandogli quegli oceani acquamarina che aveva al posto degli
occhi nei suoi.
«Parola di lupetto.»
Prese aria per un’immersione di un minuto e stette
sotto appena tre secondi.
Riemerse tossendo, «Non posso credere che ti ho
davvero dato retta!» disse fra un colpo di tosse e l’altro.
Non riuscì a trattenersi dal ridere, «Siamo appena
all’inizio Jennifer! Aspetta a dire non posso credere!»
Tese un braccio verso Michael che si staccò dal
bordo gettandosi verso di lui, poi si lasciò tirare.
Georgie si avvicinò, «Ci penso io a Jennie, Juna.»
Fece per togliere la mano che ancora poggiava sul
fianco della ragazza e, evidentemente per puro riflesso, Jennifer si avvicinò a
lui e gli afferrò un braccio con una mano, «Che fai?» chiese di nuovo
spaventata.
«Come non detto!» esclamò Georgie.
«Io posso stare anche abbracciato a te» disse
Michael. «Così insegni a mia sorella prima.»
Aveva visto Melissa poco prima, una delle cose che
più piaceva a sua cugina era stare dietro di lui, aggrappata alle sue spalle,
cingendogli il collo.
In quel modo stava in acqua, ma come una
conchiglia attaccata ad uno scoglio.
Con un solo braccio riuscì a far spostare il
bambino dietro di sé e Michael seppe esattamente dove aggrapparsi e quanto
stringere… che fosse nel dna dei bambini di quell’età?
«Va bene così? Non ti stringo troppo, vero?» gli
chiese in un orecchio.
«No, va benissimo Micky. Occhio a scalciare, hai
la mia schiena davanti.»
Lo sentì appoggiare una guancia sulla sua spalla,
«Stai tranquillo.»
Tornò a guardare la ragazza che era a dir poco
sbigottita.
«Lezione numero uno: galleggiare.»
Quella frase, come aveva previsto, attirò tutta la
sua attenzione. «Come prego?»
Con tutte due le mani libere fu un gioco da
ragazzi alzarla di peso, anche con la naturale resistenza dell’acqua intorno al
suo corpo.
Jennifer lanciò un gridolino e chissà come le sue
braccia trovarono l’unico spazio ancora libero dal fratello intorno al suo
collo, «No Jennie, non ci siamo: non devi abbracciarmi se vuoi galleggiare.»
Si aspettava che dopo una frase del genere la
ragazza lo lasciasse andare, arrossendo magari… invece la presa non accennò ad
allentarsi, «Io non voglio galleggiare!» fu la lapidaria risposta.
«Quindi l’acqua ti fa più paura di quanta non te
ne faccia io eh?»
Smise letteralmente di respirare, avendola così
vicina se ne accorse benissimo.
Lo guardò con una tale sorpresa che fu anche lui a
meravigliarsi: di quanto fosse trasparente quella ragazza.
«Eccoci di nuovo!» annunciò la voce di Justin.
Alzò lo sguardo e vide anche Diana accanto a lui.
Diana guardava Jennifer.
«Ciao Diana, ben arrivata.»
«Ciao Juna, mi fa piacere rivederti.»
«Ciao cognatina!» la salutò Georgie «Venite a
farci compagnia?»
«Saluto i tuoi e arriviamo» rispose la ragazza
ancorandosi alla mano di Justin.
Era decisamente gelosa.
Dieci minuti dopo anche Justin entrava in acqua
per poi aiutare la fidanzata.
«Presentazioni» cominciò poi, «mi sa che voi due
non vi conoscete di persona, vero? Jennifer, lei è Diana Lewis, la mia
fidanzata, Diana, lei è Jennifer Flalagan e quello ancorato alle spalle di mio
cugino è Michael, suo fratello.»
Jennifer guardò Diana e le sorrise, «Scusa la
posizione, ma è di una prepotenza senza limiti questo ragazzo. Piacere di
conoscerti.»
Di bene in meglio.
«Ciao…» disse timidamente Michael.
«Piacere mio.»
Diana la guardava in modo un po’ strano e non
poteva certo meravigliarsi, visto le condizioni precarie in cui era in quel
momento.
In fondo al cuore lo aveva sempre saputo: Juna le
avrebbe portato un sacco di guai.
«Juna, come ha fatto il tuo fidanzamento a
sfuggire a mia madre?» chiese di punto in bianco la ragazza.
Si sentì morire.
«Ancora non sono fidanzati» rispose candidamente
Michael battendo tutti sul tempo… e riuscendo a dire ancora come una
minaccia.
Fra Juna e Justin saettò un’occhiata, poi entrambi
scoppiarono a ridere.
Quando rideva diventava un’altra persona… quegli
occhi non sembravano più tanto pericolosi. Aveva anche lo stesso modo di sua
madre di rovesciare la testa indietro.
«Cugino, io lo sapevo!» esclamò Justin «E non dire
che non ti avevo avvisato! Anzi, forse ho addirittura sottovalutato la cosa!»
«Mi stai dicendo che tu non c’entri niente
con il commento della tua fidanzata?» chiese Juna alzando un
sopracciglio.
Sembrava che ciò che riusciva a sconvolgere lei,
lui non lo toccasse minimamente.
«Giuro che è una sua iniziativa! Diana, diglielo!
Io non c’entro niente!»
«Aspetta di sentire cosa ti dirà Gary!» disse
Georgie.
Significava che ancora non era finita?
«Se te lo stessi chiedendo, Gary è Gary
Wenther: lo storico, e stoico, fidanzato di mia sorella» continuò Justin
rivolgendosi a lei. «Stanno insieme da dodici anni, la sopporta da dodici
anni e se l’è voluta lui, capisci? Almeno io ho l’attenuante che non me la sono
scelta: mi è toccata. E’ fuori Boston per affari e torna presumibilmente questo
fine settimana, visto che lo ha nominato.»
«Lo conoscerai sicuramente» riprese Georgie
ignorando il commento del fratello, «è molto simpatico…»
«… specie quando sta fermo e zitto» aggiunse Juna
con una risatina.
Georgie lo fulminò con lo sguardo, «Antipatico.
Pensare che ha sempre parlato bene di te!»
«Sorellina, ancora non hai capito che io e te eravamo
gli unici a dirne di tutti i colori su di lui?» chiese Justin.
«Jennie, posso farti una domanda?» chiese
all’improvviso Juna.
«Cosa?»
«Ti rendi conto che stai galleggiando da sola?»
Ci mise qualche secondo ad assimilare il
significato di quella frase, per prima cosa controllò dove fossero le mani del
ragazzo, e vide le braccia come erano sempre state da che l’aveva alzata di
peso.
«Ottimo spirito di osservazione Jennie… ma non ti
sto toccando» disse leggendole nel pensiero.
Si aggrappò d’istinto a lui e il suo corpo planò
in acqua senza alcun sostegno.
«Juna!»
«Cosa?»
«Avevi promesso che non mi avresti lasciata!»
«Sono sempre qui, mi sembra.»
«Jennie, con lui devi stare attenta alle parole
che usi e a come le usi» disse Georgie, «tende a prendere le cose alla
lettera.»
«Galleggiavi da sola!» esclamò Michael contento
«Visto che non è difficile?»
«Ragazzi?» li chiamò Manaar «Il tea e i biscotti
sono pronti.»
«Biscotti?» chiesero ad una voce Justin e Juna.
Si lanciarono un’occhiata, poi continuò Juna, «Da
quando in questa casa ci sono biscotti?»
«Mi hai tolto le parole di bocca cugino!» esclamò
Justin.
«Li ha portati Susan.»
«I biscottini al cioccolato di Susan??» chiese suo
fratello «Li devi assaggiare!» aggiunse poi rivolto a Juna.
Il ragazzo cominciò a trascinarla tenendola a
galla con un braccio intorno alla vita, avvicinandosi alla scaletta con lei
tipo pacchetto postale.
«Comunque l’acqua è alta» lo informò.
«Non è alta, e se proprio ti fa paura, non
guardarla: guarda me.»
Era una battuta?
«E non sto scherzando, se te lo stessi chiedendo.»
Non riuscì ad evitare di alzare gli occhi al
cielo, «Sei impossibile Juna.»
«Scoprirai, conoscendolo, che è uno dei suoi pregi
più evidenti» commentò Georgie.
«Che Dio mi scampi dallo scoprire i difetti…»
«Fosse vero: Juna ha trovato qualcuna insensibile
al suo fascino!» disse Justin «Pensa Jennifer, l’unica che ho trovato fino ad
ora è diventata la mia fidanzata!»
Diana gli diede uno scherzoso pugno su un braccio,
«Ma pensa!»
Risero.
Poi Juna si rivolse a suo cugino, «Tutto è
possibile fra questo cielo e questa terra. Prendi me e te, lo avresti mai detto
che saremmo andati d’amore e d’accordo?»
«Non in questa vita» rispose Justin dopo averci
pensato un po’ su.
Juna, Diana, Justin e Georgie scoppiarono a
ridere.
Fra lei e Michael saettò uno sguardo sorpreso, ma
neanche suo fratello si azzardò a fare domande in proposito.
Era una sorpresa lo scoprire il senso
dell’umorismo di suo cugino… senza contare quello di Jennifer.
Uscirono dall’acqua e le mamme erano in fila con gli
accappatoi… anche suo padre era pronto con il suo.
Ci mise meno di mezzo secondo a capire che, guarda
caso, sua madre si sarebbe occupata di Jennifer, visto che Sarah era occupata
con Michael.
L’occhiata di Justin fu una vera poesia.
Decise di ignorare il tornado che si apprestava a
travolgerlo.
Suo nonno doveva aver vuotato il sacco con qualche
donna della casa alla fine, probabilmente la moglie… quindi solo Dio aveva
qualche possibilità di salvarlo da sua nonna e sua madre adesso.
Prese posto davanti a Jeremy che gli sorrise e
Michael fu un fulmine a salirgli in collo.
Seguirono secondi di silenzio assoluto, poi sua
madre gli porse il vassoio. «Cominciate a mangiare ragazzi.»
Diana si era piazzata in collo a Justin e non poté
fare a meno di notare l’occhiata perplessa che suo zio rivolse al
secondogenito. Occhiata che Justin ignorò in maniera esemplare.
Gli venne improvvisamente il sospetto che ci fosse
qualche problema fra il cugino e la fidanzata.
«Micky, così sbricioli anche addosso a Juna.»
La voce di Jeremy lo riscosse, abbassò gli occhi
sul bambino e vide che si era appoggiato a lui, il viso quasi nascosto contro
il suo collo, e mangiava tranquillamente il biscotto. «Non è un problema
Jeremy.»
«Ero convinta che Melissa fosse un caso isolato»
disse Diana all’improvviso, «ma vedo che mi sbagliavo.»
Michael la guardò di sottecchi ma non disse nulla.
Lennie osservava Michael come assorta, poi scoppiò
una bomba che non si sarebbe mai aspettato. «Sono sorpresa anch’io» continuò
sua zia. «Mi ero ormai convinta che Melissa agisse così per via del fatto che Juna
le avesse salvato la vita… con Michael questa teoria crolla miseramente.»
Era ad un passo dalla catastrofe.
Dovette fare ricorso a tutto il suo auto controllo
per rimanere impassibile.
Michael non ebbe la minima reazione, ringraziando
il Signore.
Continuava a mangiare il suo biscotto e a
guardarsi ogni tanto in giro, praticamente estraneo al fatto che stessero
parlando di lui.
«Beh mamma» disse Justin, «è evidente che hai
sottovalutato il fascino di tuo nipote.»
Tutti risero, e si costrinse a seguirli.
Con un po’ di fortuna, sua zia non avrebbe mai
saputo quanto fosse andata vicina alla verità.
Apparve Howard con il cordless che gli porse, «Il
signor Tyler.»
«Immagino si stia parlando di quello che deve
ancora laurearsi, vero? L’altro lo chiami professore» lo punzecchiò
tanto per non perdere una buona abitudine.
Howard sfoderò l’espressione più prossima ad un
sorriso del suo repertorio, «E’ Drake» si arrese.
Prese il telefono, «Grazie Howard. Pronto?»
«Cosa è successo?» chiese Drake.
«Tutto ok, tu?»
«Non sei solo. Juna, hai una voce che non mi
piace. Devo venire?»
«Mica male come idea. Ti fermi a cena?»
«E’ successo qualcosa con il bambino?»
«Sì e no, ne parliamo quando arrivi, ok?»
«In mezz’ora sono da te.»
Riattaccò. «Mamma, Drake resta a cena.»
«Lo avevo intuito» commentò la donna che lo aveva
messo al mondo guardandolo come se avesse voluto fargli una radiografia.
Doveva correre ai ripari. Se Drake si era accorto
che qualcosa non andava, era troppo sperare che sfuggisse a sua madre.
Decise di far leva su una delle cose che più
preoccupava quella donna… a mali estremi, estremi rimedi. «Mamma, hai qualcosa
contro il mal di testa?»
Istantaneamente sua madre si alzò, «Vado a
prendertelo.»
Michael alzò lo sguardo su di lui, «Ti fa tanto
male?» chiese a metà fra il preoccupato e il tenero.
«Un po’. A volte capita.»
«Jennie è brava a fare i massaggi. Fa passare il
mal di testa a papà» continuò il bambino.
Sì, non mi ci manca altro Micky.
In pochi attimi elaborò una scusa il più credibile
possibile, «Non ne dubito Micky, ma purtroppo non ho tempo per un massaggio:
fra poco Drake sarà qui e abbiamo da fare. Devo farmi ancora la doccia.
L’analgesico che usa mia madre funziona ed è veloce.»
«Posso venire anch’io con te?» chiese.
Un’ottima occasione per parlare con quella
creatura a tu per tu.
«Perché no. Dobbiamo continuare la sua tesi,
staremo in camera mia.»
«Prometto di non far rumore.»
Sorrise e gli scompigliò i capelli, «Ok.»
Sarah si alzò, «Andiamo a farci la doccia allora?
Così sarai pronto per quando arriva l’amico di Juna.»
Michael la seguì senza protestare.
Jennifer si alzò, «Vado anch’io.»
«Ti accompagno?» chiese Georgie.
«Volentieri, non sono certa di trovare da sola la
stanza.»
Quando la sua intera famiglia si fu allontanata,
Jeremy sospirò. «Sei sicuro che Michael non ti intralci? Non ho avuto il
coraggio di dirgli qualcosa, è così tranquillo quando ci sei tu.»
«Nessun problema. Spero solo che non si annoi:
economia e commercio non è una materia molto allegra.»
«Anche Drake è alle prese con la tesi eh?» chiese
Justin «Dio come lo capisco.»
Paul lo guardò con affetto. «Per quello che ci
capisco mi sembra che la tua proceda bene.»
«Guardando Juna che la prendeva mi sono convinto
che fosse anche divertente… pensa te che fesso.»
Diana gli accarezzò i capelli senza una parola,
Justin ricambiò il gesto con un’occhiata tenera.
Quei due si adoravano… allora qual era il
problema? Dando per scontato che ci fosse qualcosa che non andava… ma come gli
era venuta in mente una cosa simile?
Si ripromise di parlarne con Justin.
Si alzò, «Vado a farmi la doccia. Papà, dici alla
mamma di portarmi in camera l’analgesico? E quando arriva Drake, mi avverti se
non sono già sceso?»
Al cenno affermativo del padre, salutò tutti e si avviò
in camera propria.
Fu con immenso piacere che seguì suo figlio in
camera.
Era un po’ che quel bel tipo non la convinceva
affatto.
Bussò appena e la voce di Juna le disse di
entrare.
Fece appena in tempo a vederlo sparire dentro il
bagno e per quando raggiunse la porta del bagno, suo figlio si era già
barricato dentro la doccia.
«Ho l’analgesico.»
«Lascialo pure sul comodino» fu la risposta mentre
l’acqua cominciò a scorrere.
«Juna, da quando non vai da Larry? Questi mal di
testa iniziano a preoccuparmi seriamente.»
Breve silenzio da parte di suo figlio, poi… «E’
una cosa normale mamma, lo sai. Ogni cosa ha le sue controindicazioni: anche
l’essere un genio.»
Aveva sempre una risposta per tutto… peggio di suo
padre.
«Beh, una visitina a Larry non ti farà certo
male.»
Lawrence “Larry” McIntyre aveva fatto nascere suo
figlio e salvato la vita a lei, conosceva bene entrambi… a quel punto era
pronta a tutto pur di capire cosa frullasse per la testa di quel ragazzo, anche
a ricorrere a mezzi sleali.
Quei mal di testa erano dovuti ad un semplice
fatto: il cervello di suo figlio lavorava come se fossero due. E lei sapeva che
erano effettivamente due.
«Ne riparliamo dopo il bilancio di metà esercizio,
ok mamma? Adesso non ho testa per queste cose.»
«Queste cose, Juna, è la tua salute.»
«Va bene, dopo il bilancio mi farò rigirare come
un pedalino, contenta?»
Si appoggiò allo stipite della porta e rimase ad
osservare la forma di suo figlio attraverso lo spesso cristallo della doccia.
Si sentiva impazzire al solo pensiero che potesse
succedergli qualcosa… o semplicemente che qualcosa non andasse e lei non fosse
abbastanza vigile da accorgersene.
Juna era l’unico figlio che le era rimasto.
Come sarebbe cambiato l’atteggiamento di quel
ragazzo sapendolo? L’avrebbe odiata scoprendo cosa gli aveva nascosto da quando
era nato?
Il pensiero le procurò una scossa lungo la spina
dorsale.
Stava impazzendo? Stava davvero prendendo in
considerazione l’ipotesi di parlare a Juna di Jawad?
Da dove saltava fuori questa?
A Connor sarebbe venuto un colpo solo immaginando
che lei avesse pensieri del genere.
I patti fra lei e suo marito erano chiari.
Il dolore per la morte di Jawad, a quasi
diciannove anni di distanza, era ancora lancinante.
A differenza degli aborti spontanei, Jawad era venuto
al mondo, aveva respirato anche se per meno di ventiquattro ore… Larry era
stato chiaro: Juna era stato il gemello omozigote che aveva avuto il
sopravvento, si era preso tutto, anche quello che non gli serviva.
Jawad era nato praticamente senza massa celebrale
e senza cuore e con un solo polmone… Juna lo aveva tenuto in vita fino quasi a
morirne, ma alla fine lei e Connor avevano dovuto scegliere: vederli morire
entrambi o cercare di salvarne almeno uno.
E ringraziando Dio, Juna ce l’aveva fatta… anche
se quando Jawad aveva smesso di respirare, dall’altra parte della stanza, il
suo cuore, quel cuoricino che aveva tenuto in vita anche il fratello, si era
fermato per trenta, lunghissimi secondi.
Il fiato le si mozzò di nuovo nei polmoni
rivivendo il momento… aveva pregato, lo ricordava benissimo, Dio, lasciamene
almeno uno.
Praticamente Jawad non era neanche un neonato… era
stato un’estensione di Juna e solo lei, Connor e Larry sapevano che era
esistito e Jawad viveva solo nei loro ricordi.
Con la scusa che era stato un parto difficile,
Larry aveva imposto ai familiari e agli amici di vedere Juna, che allora ancora
non si chiamava Junayd… perché quel ragazzo si era guadagnato il suo nome
proprio in seguito all’operazione e all’aver lottato come una tigre per
sopravvivere, il giorno dopo la nascita e quella stessa notte i due gemelli
erano stati divisi… Larry aveva portato in sala operatoria le persone del suo
staff di cui si fidava ciecamente, avvisandole che andava salvata una vita e
che questo era tutto quello che avrebbero saputo sulla faccenda.
Non erano rimaste tracce dell’intervento sul corpo
di Juna, Larry aveva fatto un autentico capolavoro, e anche per quello era
stato possibile nascondere il tutto… neanche Jessica sapeva niente e Jessica
era la sua migliore amica dai tempi del liceo…
Connor, la notte che Jawad era morto, era rimasto
in ospedale con lei e avevano parlato fino all’alba: Junayd Kamil, Giovane
Guerriero Completo, Perfetto (era quello che aveva detto loro Larry dopo
l’operazione: è completo, adesso è
perfetto), era vivo e loro figlio non avrebbe mai saputo che per vivere
aveva sacrificato il fratello, Che Da’ A Piene Mani. Aveva dato anche il nome
di una stella a suo figlio, il nome completo era Jawad Tareq.
Con il senno di poi, si era convinta che Juna era
destinato a restare un essere unico.
Avevano comunque quindi deciso di tacere
l’esistenza stessa di Jawad e Larry aveva giurato di mantenere il segreto,
aveva falsificato il certificato di nascita di Juna e messo a tacere tutto.
Anche lei aveva fatto un giuramento a se stessa:
sarebbe potuto crollare il mondo, ma nessuno avrebbe fatto del male a
suo figlio.
«Mamma?»
L’acqua si era fermata.
«Sono sempre qui, scusami… ero soprappensiero.
Dimmi.»
«Stai a guardia come quando decidevo di farmi il
bagnetto da solo?»
«Beh, sei un po’ grandicello no?»
«Oh, grazie per essertene accorta…»
«Sei sempre il solito.»
«Non vedo perché perdere le buone abitudini.»
«Hai ripreso la filosofia di vita di tuo padre,
povera me.»
«Detesto sottolineare l’ovvio mamma, ma sei tu che
l’hai sposato.»
«Certo, e lo rifarei altre cento volte.»
La risata di suo figlio la scosse nel profondo,
«Ogni cosa ha le sue controindicazioni!»
Le sue labbra si piegarono in un sorriso contro il
suo volere… quel ragazzo era davvero intollerabile a volte.
«Torno dai nostri ospiti, quando arriva Drake te
lo mando qui?»
Capitolo 8 *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 8 ***
Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 8
Non
E’ Mai Troppo Tardi
8
Arrivò a casa di Juna stabilendo un nuovo tempo
record.
Cosa dannazione era successo?
Possibile avesse fatto appena in tempo a mettere
piede in casa che il bambino si era tradito in qualche modo? Nella peggiore
delle ipotesi, come avrebbe reagito trovandosi davanti anche lui?
Si sarebbe svegliato prima o poi da quell’incubo?
Gli venne ad aprire l’intramontabile Howard,
quell’uomo sembrava eterno.
C’erano altre tre cameriere in quella casa, fra
cui la moglie e la figlia di Howard, ma in giro c’era sempre e solo lui.
«Buonasera Howard.»
«Buonasera signor Tyler, ben arrivato.»
Apparve Connor, «Ah, sei tu Drake! Vieni, Juna
scende fra poco. Howard, per favore, avvisi tu mio figlio che Drake è
arrivato?»
Con il solito inchino da manuale l’uomo sparì.
«Come stai?» chiese a Connor.
«Molto bene, tu?»
«Tutto ok.»
Si lasciò guidare attraverso l’ingresso. «Tua
madre e tuo padre?» continuò Connor.
«Mia madre in giro a fare shopping credo, mio
padre è in Belgio.»
«Sempre le solite cose allora» commentò facendogli
l’occhiolino.
«Direi proprio di sì!»
Da sempre una battuta classica di Connor e di suo
padre riguardava il fatto che sua madre e Manaar, a spasso per negozi insieme o
separatamente, facevano più danni di un tornado.
Entrarono nel salone principale e in un attimo
inquadrò la famiglia Flalagan. Se si escludeva quella che doveva essere la
madre, anche loro sembravano parenti suoi: tutti biondi con gli occhi chiari.
Se si escludeva l’assenza di Juna, c’era anche la
famiglia McGregory al gran completo.
Che Dio lo aiutasse.
«Ah, ecco Drake, il migliore amico di Juna» lo
presentò subito Patrick.
«Buonasera a tutti.»
Michael lo fissò per qualche secondo a bocca
aperta, tanto per fargli capire che lo aveva riconosciuto, poi gli sorrise e
gli trotterellò incontro, «Ciao Drake, io sono Michael, ma tutti mi chiamano
Micky.»
Fu presentato all’intera famiglia Flalagan e
Michael non si schiodò dalle sue gambe.
Soppesò per qualche secondo Jennifer con lo
sguardo… prevedeva tempi duri per Juna.
Non faceva il minimo sforzo ad immaginare il piano
che si era delineato nelle menti di Manaar e Madeline vedendo Jennifer… e
soprattutto, vedendo Jennifer vicino a Juna.
Quel ragazzo non si trovava in una bella
situazione, sotto nessun punto di vista.
Incontrò lo sguardo di Justin e per la prima volta
da quando lo conosceva si scambiarono un gesto di saluto… oltre ad un’occhiata
che gli fece capire che il ragazzo avesse non solo capito cosa aveva pensato,
ma come avesse visto giusto: Madeline e Manaar probabilmente stavano già
organizzando lo stampo degli inviti per il matrimonio.
«Hai frantumato tutti i tuoi precedenti record
oggi» gli comunicò il suo migliore amico alle sue spalle.
Fresco di doccia, a giudicare dai capelli bagnati.
«Cosa non si fa per amicizia…»
«Drake, posso stare con voi mentre lavorate sulla
tua tesi?»
Tesi?
Juna si era dovuto inventare qualcosa in quattro e
quattr’otto!
«Certo, avrai modo di farti quattro risate.»
Juna ridacchiò, «Ho detto appena venti minuti fa
che economia e commercio non era una materia allegra…»
«Tanto per cambiare mi hai sottovalutato. Io so
rendere qualsiasi cosa divertente.»
«Una delle cose che mi piacciono di te Drake, è la
tua immensa modestia. Vuoi un caffè?»
«Hai detto la parolina magica.»
Come da abitudini ormai radicate, Juna si
posteggiò nella poltrona più vicina al caminetto e lui si prese posto sul
bracciolo accanto a lui.
Michael, inutile dirlo, si sistemò in collo a Juna.
«Beh Drake, sembra che tu ti sia fatto un nuovo
amico» commentò Patrick.
Non capì a cosa si riferiva fino a quando non
guardò Michael e si rese conto che il bambino lo stava osservando con un
sorriso raggiante.
Michael si voltò verso Patrick e dette una
graziosa scrollatina di spalle, «E’ il migliore amico di Juna, quindi è anche
amico mio, se a lui va bene. E’ anche biondo come me.»
Le cose stanno andando bene oppure a
rotoli?
«Ho conosciuto i tuoi genitori ad una festa» disse
Jeremy. «Anche tu, come Juna, assomigli in modo impressionante a tua madre.»
«Già, mio padre dice che ho ripreso il meglio: la
testardaggine e il senso dell’umorismo da lui e i colori da mia madre.»
«Io e Brian guardiamo la vita dallo stesso punto
di vista…» commentò Connor.
«Avete anche la stessa adorazione per le vostre
rispettive mogli» gli fece notare Juna.
Se Michael si era tradito in qualche modo, non
doveva essersene accorto nessuno all’infuori di Juna.
«E io e Jessica abbiamo la stessa pazienza nel
sopportare sia il consorte che la prole» commentò Manaar.
«Ah, Manaar, a proposito di sopportare la prole:
mia madre aspetta ancora la fattura per l’alloggio.»
Manaar rise, «Vorrà dire che faremo un tutt’uno a
fine anno!»
«Riferirò. Sarà sicuramente tranquillizzata da
questo.»
«Faremo anche uno sconto, vero mamma?» chiese Juna.
Cosa dannazione era successo?
Arrivò il caffè e dopo averlo bevuto, Juna si alzò
prendendo in collo Michael. «Si dice di andare Tyler?»
Era il fischio di partenza.
Si alzò anche lui e, salutati i presenti, lo seguì
fuori dalla stanza.
Appena si chiuse la porta della camera di Juna
alle spalle, si girò a fronteggiare qualsiasi cosa lo aspettasse.
Juna posò Michael sul suo letto.
«E’ sempre un piacere lo scoprire che sei pronto
all’improvvisazione» disse con il tono inequivocabilmente da agente.
Cambiava il tono, la cadenza… non lo sapeva
neanche lui di preciso, fatto sta che era inconfondibile.
«Ho dovuto farci l’abitudine a furia di starti
accanto.»
«Immagino che tu abbia capito che Micky ci ha
riconosciuto entrambi, vero?»
Il bambino li guardava tranquillo.
Aveva accettato quanto meno bene di dividere la vita con due agenti dell’F.B.I..
Quel bambino sapeva un qualcosa che lo accomunava
ad un generale e ad un comandante dei servizi segreti degli Stati Uniti
d’America… e adesso le loro vite dipendevano anche da lui.
Se non c’era da aver paura di questo…
«Direi che è uno dei pochi punti fermi dell’intera
faccenda. Come va Micky?»
«Bene. Tu?
«Eh, da Dio.»
Michael si rivolse a Juna, «Ho fatto bene a
comportarmi così con Drake?» chiese.
«Sì Micky. Non credo avresti potuto fare di
meglio.» Si rivolse a lui «Siediti Drake, devo raccontarti qualcosa che non ti
piacerà.»
Alla fine della storia si trattenne a stento dal
mettersi le mani nei capelli.
Andando letteralmente alla cieca, Lennie aveva
preso in pieno il centro della situazione.
«Mi dispiace tanto» disse Michael. «Io non sapevo
di Melissa.»
Juna lo guardò con un sorriso, «Nessuno si è
accorto di niente. Forse mia madre, come al solito… non sfugge niente a quella
donna, ma quando tiro in ballo il mal di testa, non concepisce altro… con un
po’ di fortuna si scorderà tutto.»
«Vi giuro sulla mia mamma, sul mio papà e sulla
mia sorellina che non dirò mai niente a nessuno.»
Forse neanche Dio sarebbe stato sufficiente a
salvarli, stavolta.
«Juna, siamo in una situazione assurda, per usare
un eufemismo, ti rendi conto?»
Michael abbassò lo sguardo sulla coperta.
«No piccolo non fare così, non ce l’ho
assolutamente con te. Da quello che mi avete detto, ti sei comportato
benissimo.»
Il bambino alzò di nuovo lo sguardo con un debole
sorriso, «Ero così felice di averlo ritrovato…» cominciò.
«Micky, l’importante è che non ti scappi detta una
parola» disse Juna.
«Senti Micky…» cominciò, «dovrei farti delle
domande… sugli uomini che ti hanno rapito.»
Juna sussultò e lo guardò sorpreso.
Eh già, questa non la sapeva neanche Juna: Lewing
aveva telefonato a lui e basta. «Se non te la senti di parlarne, lo capisco e
sono disposto ad aspettare.»
Michael aveva ripreso ad osservare con interesse
la coperta, «Lo vogliono sapere i tuoi capi?» chiese.
Istintivamente fece un semplice assenso con la
testa, ma Michael non poteva vederlo, occupato com’era ad osservare la coperta
del letto di Juna. «Sì.»
«E i tuoi capi sono anche quelli di Juna, vero?»
In quel momento dimostrava tutti i suoi quattro
anni. «Sì.»
Sollevò la testa, «Cosa vuoi sapere?»
Juna si sedette vicino a lui e Michael gli si
appiccicò letteralmente addosso.
Dio, fa che tutto questo non lo traumatizzi
più di quello che è.
«Ti dirò dei nomi, se li hai già sentiti, mi devi
dire se hai mai visto questi uomini.» Michael annuì «Carlos Estrada.»
«Era il capo degli uomini che mi hanno rapito»
rispose istantaneamente il bambino. «Era lui a dirmi che se non fossi stato
bravo mi avrebbe gettato in piscina.»
«Diego Estrada.»
Michael sussultò, «E’ suo fratello… lui è proprio
cattivo. Mi ha picchiato qualche volta… ma davanti a lui non ho mai pianto.»
Juna gli scompigliò i capelli. Ne aveva avuto di
coraggio, il puffo.
«Migũel Estrada.»
«Lui è stato quello più buono con me. Mi ha dato
dei dolci una volta… non mi avevano dato da mangiare perché ero stato cattivo…
secondo loro, e lui me li ha portati di nascosto.»
«Michael, stiamo parlando di uomini che erano
nella villa dove ti abbiamo trovato?» chiese tanto per essere sicuro.
Il bambino annuì.
«Fantastico» disse rivolto a Juna, «c’è l’intera
famigliola in gita.»
Juna annuì, «I fratelli devono aver tolto le tende
poco prima del mostro arrivo.»
«Continuiamo Micky?» Al suo cenno affermativo,
riprese «Pablo Scontria.»
Michael socchiuse gli occhi, «L’ho visto solo due
volte, pochi giorni prima che mi trovaste, quando parlavano della trappola per
Darkness e Falcon.»
Vide Juna scattare come una molla e seppe di
guardarsi allo specchio quando vide l’espressione allibita dell’amico.
«Quante volte hanno parlato di questi due?» chiese
Juna.
«Li ho sentiti nominare spesso negli ultimi
giorni… ma non li ho mai visti.»
«Cosa dicevano di preciso, te lo ricordi?»
Michael rimase in silenzio per qualche secondo con
gli occhi ridotti a due fessure, «Li avrebbero portati lì o sarebbero arrivati
da soli, non ho capito, e li avrebbero uccisi. Poi però non credo che lo
abbiano fatto perché siete arrivati v…»
Lo vide letteralmente cambiare colore: capì tutto
all’improvviso, «Oh no! No!» si aggrappò al maglione di Juna «Eravate voi che volevano uccidere!»
Juna lo abbracciò, «Calma Micky.» Guardò lui
«Dannazione, sanno i nostri nomi in codice.»
«E c’è solo da sperare che non sappiano altro.»
«Quell’uomo con la giacca e la cravatta non è
riuscito a sapere i vostri nomi, non ho mai sentito i vostri nomi o me li
ricorderei sicuramente. Non sanno chi siete.»
Juna spettinò il bambino in un gesto di affetto,
«Sai cosa significa questo, vero Drake?» gli chiese senza guardarlo.
Quando alzò lo sguardo su di lui, Drake lo stava
guardando quasi rassegnato, «Ci stanno dando davvero la caccia. Il fatto che
Flyer non sia riuscito a scoprire le nostre identità non significa niente: se
sono riusciti ad agganciare lui, possono agganciarne altri. Dobbiamo
assolutamente avvertire Cip e Ciop.»
Michael lo guardò stralunato, «Cosa c’entrano Cip
e Ciop?»
«Diciamo che sono i nomi in codice dei nostri
capi» gli spiegò.
Michael sorrise meravigliato, l’F.B.I. doveva
cominciare a sembrargli una specie di Paese delle Meraviglie: prima lui, poi
Drake, ora Cip e Ciop.
«Li hanno scelti loro?»
Drake ridacchiò, «Decisamente no Micky… anzi,
credo che non sarebbero affatto contenti di sapere come li chiamiamo io e Juna!»
Seguì un breve silenzio, poi Michael sospirò,
«Sono così felice di avervi ritrovato.»
Drake guardò lui.
Uno sguardo dove c’era di tutto.
Era successo esattamente quello che non avrebbero
mai voluto che accadesse… e adesso dovevano trovare il modo di venirne fuori
senza mettere in pericolo anche chi gli stava intorno.
«Micky, ricordi qualcos’altro?» riprese Drake.
«Non mi hai chiesto del papà di Carlos, Diego e Migũel,
ma c’era anche lui. E’ venuto insieme a Pablo e ad un altro che stava sempre
insieme a Diego… un nome strano, tipo Anton. Mi è rimasto in mente
perché un mio compagno è italiano e si chiama Antonio. Da quello che ho
capito non voleva che Carlos rimanesse lì con me.»
«Il padre non è nella lista che mi hanno dato L…
Cip e Ciop» disse Drake.
«Come mai non voleva? Parlavano americano o
spagnolo?» chiese.
«Beh, come tutti i padri si preoccupava del
figlio…» fu la disarmante risposta del bambino. «Parlavano spagnolo più che
altro, ma un mio compagno di scuola ha la baby-sitter spagnola e a forza di
sentir parlare lei, qualcosa lo capivo.»
«Pensi che loro sospettassero che tu un po’ li
capivi?»
«Non credo… comunque bastava che stessi fermo e
zitto e mi ignoravano. Quando mi davano da mangiare mi slegavano e a volte non
mi rilegavano se c’erano i cani.»
La verità, e ci era arrivato anche Drake ne era
certo, era che avevano già messo in conto di ucciderlo, quindi cosa poteva o
non poteva sapere non era mai stato un problema per loro.
«Questo Anton invece è nella lista, bravo Micky»
riprese Drake. Si rivolse a lui, «Sembra sia il braccio destro di Diego, ma non
c’era quando siamo arrivati noi. Se è per questo non abbiamo beccato neanche Pablo,
che era il braccio destro di Carlos. Non ti ricordi il nome del padre?»
Michael scosse la testa, «Tutti lo chiamavano per
cognome… tranne Migũel, Diego e Carlos che lo chiamavano papà.
Quando una volta è venuto il signore con la giacca e la cravatta lo nascosero
al piano di sopra.»
«Ti ricordi come si chiamava questo signore?»
chiese Drake.
«Non lo so, lo chiamavano Mister F.B.I.»
rispose Michael. «La prima volta che l’ho sentito, credevo fosse venuto a
salvarmi.»
Probabilmente la sua ingenuità di bambino aveva
iniziato ad incrinarsi in quel momento: qualcuno che avrebbe dovuto portarlo
via da quell’incubo, ne faceva parte.
«Cento ad uno che è lui» disse Drake rivolgendosi
a lui.
«Ma se Flyer era uno di loro, perché nasconderlo
al suo arrivo?» chiese.
Drake si bloccò perplesso. «Non lo so. Onestamente
non so immaginare come funzioni il cervello di gente del genere. Forse non si
fidavano molto neanche di Flyer, in fondo uno che ha già tradito, non ci mette
niente a farlo una seconda volta.»
In fondo era plausibile: si stava parlando della
famiglia Estrada al gran completo.
«Micky… a proposito dei cani. Hai paura di loro?»
Drake chiuse gli occhi, evidentemente si era
scordato che Lizar e Dragar erano della stessa razza di quelli che avevano
trovato alla villa.
«Quelli lì facevano paura.»
«Qui alla villa ce ne sono di identici, si
chiamano Lizar e Dragar e non ti faranno del male.»
Michael sorrise, «Se lo dici tu, ci credo. Anche
Jennie ha paura di quei cani.»
Ci avrei scommesso.
«Temo che anche tua sorella dovrà farci amicizia.»
Rimase un attimo in silenzio, decidendo se era il caso o no di parlarne, poi
decise di farlo «Micky, c’è anche un’altra cosa della quale vorrei parlarti.»
Il bambino si limitò a girarsi verso di lui e
rimase in attesa.
«Sai che i tuoi genitori ci stanno molto male per
quello che ti è successo, vero?»
Michael chiuse gli occhi, «Sì. Anche Sue ha sempre
le lacrime agli occhi, anche quando non capisco il perché.»
Si soffermò a pensare che Michael avesse una
padronanza del linguaggio che andava molto oltre la sua età.
D’altra parte lui non lo stava certo trattando
come un bambino di quattro anni.
«Devi parlargli di cosa ti è successo.»
«Ma stanno così…!»
«Lasciarli fuori da questa… definiamola parentesidellatuavita non è la soluzione per farli stare meglio,
credimi.»
«Sei sicuro?»
«Purtroppo sì. I problemi non si risolvono
aggirandoli o ignorandoli, bisogna affrontarli, per quanto facciano male.»
Con una scarpina cominciò a strusciare contro la
coperta, si concentrò su di essa «Sai, papà mi ha fatto fare una visita medica
strana… un po’ il dottore mi ha fatto male anche se… aveva il guanto coperto di
quella gelatina.»
Anche Drake sbiancò.
Cristo.
Avevano controllato che non avesse subito abusi
sessuali.
Seguì un lungo silenzio.
«Hai capito perché ha chiesto che te la
facessero?»
Michael fece una smorfietta, «Sicuramente per il
mio bene… anche se… no, non ho capito.»
Drake lo guardò chiedendogli senza un suono se era
il caso di imbarcarsi in una discussione del genere.
Esattamente la stessa cosa che si stava chiedendo
anche lui.
«Ti va di parlarne?»
Michael si morse il labbro inferiore.
Seguì un altro silenzio.
Era già pronto a cambiare in qualche modo
argomento, quando con vocina appena udibile il bambino riprese a parlare. «Il
dottore ha detto che avrebbero potuto farmi delle brutte cose… io gli ho detto
che mi avevano picchiato a volte, ma non mi ha creduto.»
«Chi?»
«Papà.»
«Michael, non è vero che tuo padre non ti ha
creduto. Lui ti ha creduto… disperatamente. Con tutte le sue forze. Sei stato
fortunato, ma anche i bambini a cui capitano queste brutte cose a volte si
ostinano a dire che non sono successe.» Michael alzò di scatto la testa,
incredulo «So che ti sembra incredibile, ma per la vergogna fanno finta che non
siano successe… e tuo padre, tua madre e Jennifer non potevano vivere con
questo dubbio, capisci?»
La sua espressione gli disse che aveva capito,
aveva capito dannatamente bene per un bambino di quattro anni.
Stava parlando di stupro con un bambino di quattro
anni.
Se qualcuno glielo avesse predetto, non ci avrebbe
mai creduto.
Sorrise appena, «Sono contento di averne parlato
con te, adesso sto meglio.»
Gli sorrise in risposta.
Lanciò un’occhiata a Drake e vide il suo migliore
amico chino su se stesso, con una mano sugli occhi… tutti i corsi di
addestramento all’F.B.I. non li avevano preparati ad una cosa del genere.
E al posto di Michael sarebbe potuta esserci
Jennifer.
Il resto della serata, almeno fino alla fine della
cena, si svolse tranquillamente.
Durante la cena Melissa dimostrò, contro ogni
previsione, di aver completamente accettato Michael e lo volle assolutamente
accanto a sé, cosa che rivoluzionò l’originale mappa dei posti ideata da sua
nonna… il che, a sua volta, portò Jennifer ad essere molto più distante da lui
di quanto sua nonna avesse mai voluto.
Ormai poteva dare per scontato che suo nonno
avesse raccontato tutto.
A proposito di Jennifer, sembrava quanto meno
restia a posare gli occhi sulla sua persona, cosa che gli fece venire il dubbio
che forse l’aveva lasciata alla mercé di sua nonna e di sua madre… senza
contare Justin, un po’ troppo a lungo.
C’erano un bel po’ di cose da affrontare con
quella ragazza.
Drake si rivelò essere il solito, solido appoggio
di sempre e lo sorprese la velocità con cui si abituò all’idea che Justin da
potenziale nemico era passato ad essere amico.
Jeremy osservava di tanto in tanto il figlioletto
come se lo vedesse per la prima volta, ma si guardò bene dal fare commenti.
I bambini furono messi a letto alle nove in punto
e stranamente Melissa non fece storie.
Lo stato di grazia terminò quando Drake, a
sorpresa, lasciò il campo in anticipo sulla solita tabella di marcia.
Non poteva neanche dirgli di rimandare, perché
sapeva che Cip e Ciop non erano questioni che si potessero rimandare… questa
volta poi, erano troppo vicini alla catastrofe totale per permettersi di
perdere tempo in qualche modo.
Questo diede il via a suo padre che senza troppe
cerimonie gli mise un fascicolo sotto il naso, incurante dell’occhiataccia che
gli rivolse la consorte.
«Cos’è?» chiese rassegnato.
«Che ne dici se ci lanciassimo in un nuovo campo?»
chiese suo nonno accendendosi il sigaro che completava il rito della cena.
«Questo ha tutta l’aria di essere un
accerchiamento…» commentò guardandosi intorno sospettoso. Poi aggiunse «Quale
campo?»
«La moda» rispose suo zio Paul. «Oggi siamo andati
a vedere l’agenzia.»
«E…?»
«L’idea è di comprarla» disse Justin.
«Comprarla o rilevarla?»
Succedeva di rado, ma succedeva, che la McGregor
Investments si lanciasse in acquisti di società di vario genere che
tergiversavano in cattive acque, le rimettesse in sesto e le rivendesse. Ancora
più di rado, ma esistevano precedenti, la società comprava attività per
estendere il suo raggio di azione.
«Comprarla» ripeté suo padre. «Gli affari
vanno a gonfie vele» continuò poi assumendo il tono dell’orefice che valuta la
pietra grezza… un tono che conosceva bene. «Abbiamo finito stamani di
controllare i libri e l’agenzia è in ottime condizioni. Il proprietario si è
improvvisamente scoperto attore nato… dovresti solo vederlo figlio mio»
aggiunse come se l’espressione che aveva non dicesse già di per sé che per suo
padre la scoperta era completamente sballata!
Juna non mosse un muscolo.
«Zio, che significa quando fa così?» chiese
Georgie.
«Non mi sembri molto entusiasta della notizia,
sai?» continuò Justin.
«Non capisco la mossa, tutto qui.»
«E’ un ramo di cui mi occuperei io» riprese Georgie.
«Tutto puoi dire di me, fuorché che di moda non me ne intendo. Non è solo
un’agenzia di modelle, capisci? Quella è solo una parte dell’azienda. E’ anche
un atelier con tanto di laboratorio proprio e boutique.»
«Se te ne occupi tu, mi spieghi che ci fate tutti intorno a me?» fece una smorfietta guardandosi intorno «O sono io che
soffro di improvvise manie di persecuzione?»
«Ti stiamo tutti intorno essenzialmente per
quattro motivi: sei il numero due della società, per il passaggio di proprietà
mi servirà tutto il tuo aiuto, conto tanto sul fatto che nella prossima
avanscoperta ci sarai anche tu con me… e soprattutto, perché ti vogliamo bene!»
«Ah! Mi vuoi bene! T’immagini se tanto tanto facevo
di starti un po’ di traverso?! Ci doveva essere la fregatura da qualche parte…
perché non ti fai accompagnare da tuo fratello?»
«Hai voglia di scherzare?» insorse Diana «In
un’agenzia di modelle? Con tutte quelle tentazioni in giro? Non
se ne parla neanche!!»
«Pensa un po’ te la fortuna che hai cugino: non ti
sei innamorato di una fidanzata gelosa, quindi sei libero come l’aria e sembri
un modello! Visto che sei praticamente il capo dove lavori adesso…»
«Grazie della considerazione Just…» commentò suo
padre. «In fondo sono solo il presidente vero?»
«… potresti prenderti un bel periodo di ferie,
farti assumere in quell’agenzia e lavorare un po’ in incognito per vedere se
davvero il gioco vale la candela no?» concluse Justin.
Il bicchiere si fermò a mezz’aria e rimase ad
osservare suo cugino da sopra il bordo, «Justin, fermo restando che sono anni
che battaglio con i talents scouts di queste
agenzie per essere lasciato in pace quindi è probabile vedermi nelle vesti di
un modello quanto di vedermi vestito di giallo… è una mia impressione o tu sei
addirittura felicissimo di evitare tutte quelle tentazioni?»
«Devo essere sincero? Beh, tanto non ti si può
nascondere nulla… senti, io ci sono stato e ho visto che razza di ambiente è:
solo quella pazza di mia sorella può pensare di aver ragione di gente del
genere.»
«Justin!» esplose Georgie con tono chiaramente
minaccioso.
«Le modelle ci sono, come no… ma prima di arrivare
a loro devi affrontare orde di segretarie e fotografi con le loro troupes al seguito. Le prime sono isteriche perché
vorrebbero essere loro stesse delle modelle, i secondi sei fortunato se li
becchi solo isterici!»
«Justin!!» ripeté la ragazza… sensibilmente più
minacciosa della prima volta.
Justin la ignorò per la seconda volta. Lo soppesò un
attimo assorto, poi disse, «Pensandoci bene cugino, forse è meglio se uno come
te lì dentro non ci mette piede…»
Georgie si rivolse a Diana, «Portalo via se
davvero tieni a lui!»
Diana appoggiò una mano sul braccio del fidanzato,
«Avanti Just, ti ospito da me stanotte.»
«Ssseeee… è ventiquattro anni che dice che mi
ammazza e sono sempre qui.»
«Just, fossi in te, accetterei l’invito della tua
fidanzata» disse suo zio Ryan. «Tua sorella mi sembra veramente nera
adesso.»
Georgie si rivolse a lui, «Non gli crederai vero?»
«Sei proprio decisa eh?»
«Juna, non puoi abbandonarmi al mio destino…»
«Ah no?»
«Juna!»
Scoppiò a ridere, «Ok cugina, va bene: mi arrendo.
Non ricordo i miei appuntamenti adesso, ti chiamo domani mattina dall’ufficio
per dirti quando posso venire con te… e voglio la tua parola che mi difenderai
a spada tratta dai talentsscouts!»
Era quasi mezzanotte, ma ancora Jennifer non
riusciva a prendere sonno… e dire che si sentiva esausta.
La stanza dove si trovava in quel momento era due
volte e mezzo quella che l’aveva ospitata sin da bambina.
Il letto a baldacchino da solo occupava i due
terzi dell’intera parete, era immenso per una persona sola, di fronte aveva un
armadio che occupava l’intera parete… tutta la roba che si era portata, che le
era sembrata tanta, lo aveva a malapena riempito per un terzo.
Alla sua destra si apriva una parete di vetro che
dava sul balcone con vista nel parco che circondava la villa, sulla sinistra,
accanto alla porta, si trovavano una scrivania e il tavolino per il trucco.
Tutto era immenso e la villa era un insieme di
meraviglie… si muoveva con il terrore di rompere qualcosa!
Si girò verso la vetrata da dove filtrava il
debole bagliore della luna.
Tutto intorno a lei parlava di potere, ricchezza…
eppure vi era un’atmosfera meravigliosa.
A parte i commenti che aveva raccolto da Justin e Juna,
suo padre le aveva spiegato che in pratica la famiglia si era compattata di
nuovo poche settimane prima.
Sembrava che fino ad allora, ci fosse stata una
guerra senza quartiere fra Juna e Patrick, guerra che aveva finito con il
travolgere l’intera famiglia… in realtà tutto era cominciato quando Connor
aveva sposato Manaar, ma alla fine era stato Juna il muro dove Patrick era
andato a sbattere per diciotto anni.
La cosa non la meravigliava affatto.
Non riusciva a capire bene cosa fosse successo, ma
quello che le aveva detto suo padre quadrava con quello che ricordava di quella
vacanza trascorsa insieme alla famiglia McGregory e collimava con tutte le voci
che erano circolate fino ad allora sui McGregory… quadrava anche con il fatto
che si era trovata tu per tu con una famiglia completamente diversa da quella
che si aspettava.
Le ragazze delle classi superiori che in qualche
modo avevano conosciuto Georgie ne parlavano come una ragazza altezzosa,
saccente, viziata ed egoista… perfettamente cosciente di essere una
McGregory. La ragazza che si era trovata davanti era dolce, buona,
disponibile e tutt’altro che egoista: in pratica le aveva messo a disposizione
la sua stanza e il suo guardaroba.
Justin era conosciuto come un ragazzo chiuso e
scontroso e le malelingue dicevano che si fosse messo insieme a Diana per
interesse, in pratica erano stati i genitori dei due a decidere tutto. Aveva
passato la giornata con due ragazzi che si adoravano e Justin aveva un senso
dell’umorismo pronto e vivace.
L’unico che era esattamente come lo descrivevano
era Juna… e forse anche meglio.
Aveva sempre creduto che quello che veniva detto
su di lui fosse in gran parte leggenda: il suo senso degli affari, il fatto che
fosse praticamente infallibile, la sua determinazione, la sua spietatezza negli
affari, la sua glacialità come essere umano… era pur sempre una ragazzo di
appena diciannove anni, per la miseria. Genio e bellissimo quanto vuoi, ma
doveva pur avercelo qualche limite!
Qualsiasi mamma a Boston che avesse una figlia di
almeno quindici anni sapeva vita, morte e miracoli di lui e probabilmente la
cosa non si limitava a Boston, visto che i nonni materni di Juna erano di Los
Angeles.
Inutile dire che qualsiasi ragazza nella sua
scuola sapeva chi fosse Junayd Kamil Alifahaar McGregory. Sorrise al pensiero
che Sharon sapesse chi fosse Juna perché Drake le piaceva da anni.
Quando aveva passato quel mese in vacanza con
l’intera famiglia, aveva un’idea piuttosto confusa di cosa fosse un genio
ed obbiettivamente non poteva dire di aver passato molto tempo con Juna
all’epoca… la spaventava troppo.
Il quoziente d’intelligenza di quel ragazzo faceva
paura solo a pensarlo, si era convinta che la cosa pesasse quando ti trovavi a
parlarci… invece Juna riusciva a comportarsi come un ragazzo qualsiasi, aveva
semplicemente un carisma impossibile da ignorare: entrava in una stanza e la
stanza diventava improvvisamente troppo piccola.
E quegli occhi…
La sua non era semplice bellezza fisica: era qualcuno
e lo si notava subito.
Una cosa era certa: Michael lo adorava.
Sprofondò nel sonno senza rendersene conto.
La mattina dopo scoprì ad attenderla una colazione
che era un pranzo, almeno a giudicare dai vassoi che andavano e venivano.
Per ora aveva contato un maggiordomo e due
cameriere.
Michael era venuto a prenderla in camera,
abitudine che aveva da quando aveva imparato a camminare, e lo vide saltare a
piè pari gli ultimi due gradini.
«Bomboloni!» esclamò estasiato guadagnandosi il
sorriso di due cameriere che stavano portando i vassoi che avevano attirato la
sua attenzione.
Lo riprese per la cintura dei pantaloni, «Michael
Flalagan, non si corre in casa! Potresti farti male!»
Suo fratello alzò lo sguardo su di lei e sorrise,
«Hai ragione, scusa.»
Dio, com’era felice.
«Buongiorno.»
Non riuscì a trattenere un sussulto.
Come dannazione faceva ad arrivarti così vicino
senza fare un rumore?!
«Ciao Juna!» salutò suo fratello.
«Ciao cucciolo. Ciao Jennie, dormito bene?» Al suo
cenno di assenso, aggiunse «Il cambio di letto non ti ha creato problemi
allora.»
«No, grazie.»
Le poggiò una mano sulla base della schiena quando
d’istinto puntò verso il salone e le fece segno di avviarsi alla vetrata,
«Facciamo colazione nel gazebo quando il tempo è così bello.»
Uscirono fianco a fianco e si avviarono verso una
piccola costruzione circolare. Era chiusa da vetri decorati tenuti insieme da
una struttura di ferro lavorato.
Era un piccolo capolavoro.
«E’ bellissimo.»
«Piace a tutta la famiglia, quando posso mi porto
il lavoro qui. Ti piace la tua stanza?»
Fece appena caso al radicale cambio di discorso,
«Molto. E’ tutto bellissimo qui.»
«Oh, grazie.»
Il suo cuore ebbe un’improvvisa accelerazione, ma
si costrinse a guardarlo. Ok, nel completo gessato era anche più che
bellissimo.
Gli sorrise d’istinto, «Abiti qui da quando sei
nato, pensavo che lo sapessi… inoltre ho visto molti specchi sparsi un po’ da
per tutto» aggiunse come diretta risposta alla frecciatina del ragazzo.
Il sorriso che le rivolse Juna la sconvolse,
«Jennie, sto cominciando a credere nei miracoli.»
«Perché?»
«Non solo mi hai parlato guardandomi, ma mi
hai anche sorriso. Cominciavo a temere di starti sull’anima.»
Anche il giorno prima, in piscina, aveva buttato
lì che l’acqua la spaventava più di lui.
Se n’era accorto.
Decisamente non aveva cominciato bene con lui…
appena si erano rivisti gli aveva in pratica detto di ritenerlo umano quanto un
pezzo di ghiaccio e adesso…
«Mi… mi dispiace averti dato quest’impressione.»
«Figurati.»
Entrarono dentro la costruzione, che all’interno
era molto più spaziosa di quanto apparisse dall’esterno, e Juna le scostò una
sedia, «Prego.»
«Grazie.»
Le si sedette accanto, «Cosa ti va? Tea, caffè,
succo di frutta?»
«Tea al limone.»
«Micky?»
Il bambino si era piazzato davanti a loro e li
osservava, notò solo lo sguardo adorante che rivolse al ragazzo, «Succo di
frutta.»
Apparve Howard, come partorito dalla terra,
«Buongiorno, desiderate?»
«Un tea al limone, un succo di frutta… come lo
preferisci?»
«Fino ad un paio al di sotto della soglia
dell’indigestione» rispose la voce di suo padre alle loro spalle. «Ho
l’impressione che lo faresti anche senza il mio permesso!»
«Buongiorno Jeremy» disse Juna senza voltarsi.
«Buongiorno papà» dissero in coro lei e suo
fratello.
C’era anche Connor, ma Juna non poteva averlo
visto.
«Buongiorno figlio, dormito bene?»
«Certo. Tu?»
«Impertinente.»
Juna alzò gli occhi sul padre che si era seduto
davanti a lui, accanto a Michael e sorrise, «Imparerai prima o poi che certe
domande a quest’ora la mattina non me le devi fare…»
«A volte mi chiedo da chi hai ripreso.»
«Prova a chiederlo alla mamma e senti cosa ti
dice.»
«Mh, figurati: stando a lei tutti i tuoi lati
migliori mi appartengono. Buongiorno Jennifer.»
«Buongiorno Connor.»
Ricomparve Howard che prese le ordinazioni degli
ultimi arrivati.
Di lì a poco cominciarono ad arrivare le tazze.
«Allora» disse suo padre, «stamani si comincia
nella nuova classe Micky?»
Suo fratello non alzò gli occhi dal bombolone, «Sì
papà.»
«Non mi sembri molto entusiasta della cosa»
commentò Juna prima di bere un sorso di caffè. «E’ una mia impressione?»
«Non conosco nessuno.»
«Conosci mia nipote» disse Connor. «Melissa è una
specie di leader in quella classe, se arrivi con lei non farai il minimo sforzo
a conoscere altri bambini.»
«Me lo ha detto anche Lissa.»
Come evocata comparve la bambina che puntò Juna,
«Buongiorno Juna.»
«Buongiorno Lissa, ben svegliata.»
«Non ho fatto incubi stanotte, visto?»
E lui non aveva messo il naso fuori di
casa… la perfezione, praticamente.
«Sono molto contento.»
«Buongiorno a tutti» disse Ryan dietro di lei.
Gli rispose un coro.
«Ciao Jennifer, come stai?»
Non si era accorta che Melissa si era spostata
accanto a lei, «Bene Melissa, grazie.»
«Lissa, cosa vuoi per colazione?» chiese Ryan.
«Quello che ha preso Micky. Jennifer, posso
sedermi accanto a te?»
«Ma certo.»
«Zio Connor?»
«Stai per dirmi che ho preso il tuo posto vero?
Perdona la mia sbadataggine: è l’età. Non succederà più, promesso.»
Melissa sorrise a Connor, poi si concentrò su suo
fratello, «Micky?»
«Ciao Lissa.»
«Ciao… cos’hai?»
«Niente.»
«Allora perché non mi guardi?»
Suo fratello alzò lo sguardo e vide che aveva le
lacrime agli occhi.
«Micky, cosa c’è?» chiese sull’orlo del panico.
Juna le afferrò una mano sotto il tavolo, bastò
quel gesto a calmarla.
«Non… non voglio andare a scuola» bisbigliò suo
fratello. «Per favore. Ho paura.»
Vide suo padre chiudere gli occhi e smettere di
respirare.
Melissa lo guardava come se lo vedesse per la
prima volta, «Scherzi vero?» chiese.
Michael la guardò e un lacrimone gli scivolò lungo
la guancia, «Non è colpa tua Lissa. Io… io non…»
Juna le lasciò la mano, «Michael.»
Suo fratello spostò di botto lo sguardo su di lui,
«Ho capito di cosa hai paura, ti prometto che non succederà più. Ti
accompagneranno anche tuo padre e Patrick a scuola, e ti verranno a riprendere.
A tua sorella penseremo io e mio padre. A scuola ci sarà sempre Lissa con te,
vero Lissa?»
La bambina asserì con la testa, anche a quell’età
si rendeva conto che c’era qualcosa che le sfuggiva. Qualcosa d’importante.
«Micky, mi dici cosa ti fa paura?»
«Quegli uomini mi hanno rapito all’uscita da
scuola» fu la lapidaria risposta di suo fratello. «Ci torno oggi per la prima
volta.»
Melissa sgranò gli occhi, «Ti hanno rapito??»
esplose. «Come l’uomo nero fa con i bambini cattivi?» Si rigirò verso suo padre
«Tu lo sapevi!»
Ryan si guardò intorno in cerca di aiuto.
«Lissa, nessuno a scuola deve saperlo, intesi?»
disse Juna «E’ un qualcosa che Michael deve lasciarsi alle spalle e in meno lo
sanno e meglio è.»
«E non mi hanno rapito perché sono un bambino
cattivo» disse suo fratello. «Mi hanno rapito per far del male al mio papà.»
Jeremy era ad un passo dal crollare e Jennifer non
era messa meglio.
«Ok» disse. «Melissa, ascoltami bene.» Aspettò che
la bambina lo guardasse, «La situazione è questa: Jeremy è un uomo importante,
credo che tu l’abbia capito. Sta per firmare una legge che potrebbe mettere nei
guai molta gente cattiva, questa gente ha pensato bene di rapire Michael per
impedire a Jeremy di firmare questa legge.»
«Ma questo è un ricatto!» esclamò la bambina con
un’ingenuità che solo a cinque anni si può avere.
«Esatto, della peggior specie per di più.»
«La mamma mi ha detto una bugia allora: non sono
qui perché hanno lavori in casa, vero?»
«Mamma ha detto e fatto quello che riteneva più
giusto per te. Ti ripeto che nessuno a scuola deve sapere di questa
storia.»
Melissa asserì decisa con la testa, «Non lo dirò a
nessuno Juna. Micky, ti proteggo io a scuola.»
Neanche Jennifer riuscì a restare seria davanti ad
un’affermazione così innocente e ingenua e un sorriso le piegò le labbra,
Melissa se ne accorse e rispose al sorriso.
«Michael, perché non mi hai detto tutto prima?»
chiese Jeremy.
«Non… non credevo di essere così pauroso papà.»
Jeremy resse abbastanza bene all’ennesima legnata
che gli arrivò fra capo e collo… Jennifer si morse il labbro inferiore fino
quasi a sangue.
Le riprese una mano e la ragazza per la sorpresa
smise di mordersi e lo guardò.
Mentre si specchiava in quegli occhi, pensò che in
momenti come quello gli sarebbe stato utile essere telepatico, come faceva a
farle capire che non doveva assolutamente avere reazioni del genere davanti al
fratello?
Jennifer chiuse gli occhi e annuì velocemente.
Serrò un attimo la stretta intorno alla sua mano e la ritrasse.
Aveva capito?
Con la coda dell’occhio intravide un movimento
dietro di lui e si voltò.
Sua madre lo stava guardando con occhi sgranati… e
Sarah accanto a lei guardava con espressione altrettanto sorpresa la schiena
della figlia.
Si voltò di nuovo verso la tavola, chiedendosi
dove fosse la giustizia divina se per arginare un problema ne creava uno ancora
più grosso.
La mattinata passava lentamente e per la testa
aveva tutto all’infuori del lavoro.
All’una Jennifer usciva da scuola e tecnicamente
lui e suo padre sarebbero passati a prenderla per tornare poi a pranzo a casa.
Lui non sapeva che fare.
Ok, il punto fermo della situazione era che doveva
parlare con Jennifer di Michael, pensandoci aveva anche stabilito che per
arrivare a qualcosa con quella ragazza, doveva parlarci da solo… avevano di
regola già abbastanza problemi di comunicazione a tu per tu, senza bisogno di
ulteriori complicazioni esterne.
Il tornare o meno per pranzo a casa non avrebbe
fatto la differenza da quel punto di vista perché soli non sarebbero
stati di sicuro, ma forse sua nonna
lo avrebbe visto come un suo tentativo di evitare Jennifer quando c’erano tutti
e non riusciva a pensare ad un modo migliore per complicarsi la vita.
Nel tragitto casa-scuola e ritorno c’era suo
padre… allora?
Doveva anche trovare un terreno neutro… si guardò
un attimo intorno…
Il suo ufficio?
Soluzione che trovava, nuovo problema che nasceva:
come far arrivare Jennifer nel suo ufficio?
No. Doveva trovare un posto adatto nel perimetro
della proprietà McGregory… per esempio il gazebo.
Ottimo, il gazebo.
Si lasciò andare contro la poltrona e sentì
bussare. «Avanti» disse senza preoccuparsi di recuperare la posizione del vice
presidente: con Alison non esistevano problemi del genere.
«Ti vedo pensieroso.»
Per un attimo pregò di avere le
allucinazioni uditive, poi si voltò verso la porta e… c’era inderogabilmente sua
madre sulla soglia. «Mamma?»
«In persona. Posso entrare?»
«Ma certo.» Si alzò per andarle incontro, «E’
successo qualcosa?»
Subito dopo averlo detto si sarebbe preso a calci.
«Sono venuta qui per saperlo da te.»
Rimase un attimo in silenzio maledicendosi per la
propria capacità di tirarsi la zappa sui piedi… specie con quella donna.
«Questa me la sono proprio cercata.»
«Effettivamente di solito sei molto più prudente.»
«Eh, invecchio anch’io, sai mamma?»
«Non cercare di forviare… tutto tuo padre, povera
me. Sediamoci un po’ nel tuo salottino personale, vuoi?»
La seguì verso le poltrone e il divano che,
insieme al tavolino di cristallo, formavano quello che sua madre definiva salottino
personale, mentre per lui era solo il posto più comodo dove decidere le sorti
dei soldi dei clienti più importanti della compagnia.
«Vuoi un caffè?»
«L’ho già preso con tuo padre.»
Sempre meglio.
Prese posto accanto a lei nel divano e, come
sempre, sua madre andò dritta al punto.
Un punto che lui neanche aveva lontanamente immaginato.
«Voglio sapere cosa ti preoccupa da qualche
settimana Juna. Non ci dormo più la notte vedendoti sempre così cupo e
pensieroso. E’ come se avessi un problema che non sai da che parte rifarti per
risolvere e se n’è accorto anche tuo padre.»
Il che significa che anche i muri in casa
si erano accorti di qualcosa? si chiese cercando di recuperare la voce.
Qualsiasi cosa era meglio del primo
problema saltato fuori settimane prima, quindi senza il minimo rimorso di
coscienza mise in pratica cosa gli avevano insegnato all’F.B.I.: a mali
estremi, estremi rimedi.
«Effettivamente per te non è un problema avere
sotto lo stesso tetto una potenziale fidanzata per tuo figlio, vero?»
Avrebbe dovuto segnare sul calendario quella data:
era la prima volta in vita sua che riusciva a prendere in contropiede sua
madre.
«E’ per Jennifer?!» chiese meravigliata.
«Mamma, non fare la finta tonta, ok? Ve l’ho letto
in faccia, a te e alla nonna, il piano che si è delineato nella vostra mente…
addirittura Justin si è sentito in dovere di mettermi in guardia.»
«Cosa ha fatto Justin?»
«Già che siamo entrati in argomento, ti avverto:
non cercate di mettermi con Jennifer, o peggio ancora di mettere lei con
me. Non si merita assolutamente una cosa del genere quella ragazza.»
Sua madre lo guardò un attimo, «Ti preoccupi per
lei?»
«No mamma, mi preoccupo per me. Al momento
non ho la testa per una relazione.»
«Allora ti preoccupa qualcos’altro?»
Dannazione, quella donna sentiva solo
quello che voleva sentire.
«Sì, una preoccupazione di quattro anni e una di
cinque… comunque collegate a quella di sedici.»
«Melissa e Michael.»
«Esatto. Hai avuto modo stamani di sentire cosa ha
detto Michael o hai solo notato come sono riuscito a calmare Jennifer?»
Sei veramente uno stronzo McGregory.
Sua madre sospirò, «Ho sentito. Mai avrei
immaginato una cosa del genere.»
«Siamo in due. Ascoltami mamma, dovrò parlare con
Jennifer riguardo a Michael, e dovrò parlarci seriamente. Mi rendo conto che ho
sottovalutato e di parecchio la situazione… e non posso assolutamente avere il
patema d’animo che se tu o la nonna ci vedete parlare da soli cominciate a
stampare le partecipazioni al matrimonio, lo capisci?»
Sua madre si morse il labbro inferiore. «E’ solo
per questo? Sei sicuro? Perché se è solo per questo, allora ti prometto che i
tuoi problemi sono risolti. Parlerò con Madeline.»
«Non puoi fare niente di meglio mamma. Non chiedo
altro alla vita.»
Manaar Alifahaar lo guardò negli occhi, e come
sempre si sentì nudo sotto quello sguardo, «Juna, se ci fosse qualcosa di… grave,
me lo diresti, vero?»
Chiamò a raccolta tutto quello che gli avevano
insegnato del tipo pensa nero e rispondi bianco e le sorrise, «Lo faccio
da tutta una vita mamma. Non c’è niente, sul serio.»
La vide arrendersi con un sospiro di sollievo.
Gli aveva creduto.
Disperatamente.
Con tutte le sue forze.
McGregory, sei proprio uno stronzo.
______________________________________________
NOTE:
Zarah, che bello ritrovarti anche in questa sezione! Mi sento a casa! Grazie
per il commento! *inchino*
Capitolo 9 *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 9 ***
0009
Non
E’ Mai Troppo Tardi
9
Jennifer entrò dentro l’abitacolo della macchina
come se si aspettasse di essere morsa da un serpente… e ci voleva proprio
fantasia per indovinare a chi toccasse il ruolo del serpente.
Sembrava anche più nervosa del solito… il che era
tutto dire.
Suo padre rientrò dietro di lei e si sedette
accanto al lui. «Siamo in orario Jennie, vero?» chiese poi.
La ragazza continuava a guardarsi intorno. Stava
ancora cercando il serpente?
«Eh? Oh sì, grazie Connor.»
«Sai che è la prima volta che vado a prendere un
figlio a scuola?» continuò suo padre salottiero «Anche se non sei figlia mia
c’è una bella soddisfazione. Juna ha cominciato a frequentare effettivamente
lezioni solo all’università e non ha mai voluto che qualcuno lo accompagnasse o
lo andasse a riprendere.»
… e da come lo dice ancora non mi ha
perdonato per questo…
Jennifer lo guardò come se avesse avuto quattro
teste. «Non sei mai stato a scuola?» chiese come se solo questo fatto lo
ponesse automaticamente sopra la media.
Si guardò bene dal fare commenti: con tutta
probabilità aveva ragione.
Suo padre continuò a chiacchierare con la ragazza
che sembrò rilassarsi e arrivarono a casa.
Il primo segnale che sua madre aveva parlato con
sua nonna lo riscontrò nella disposizione dei posti a tavola: Jennifer era
dalla parte esattamente opposta alla sua.
Se non si fossero specificatamente cercati, non si
sarebbero neanche visti.
Possibile che le donne in seno alla famiglia
McGregory ignorassero completamente cosa fossero le mezze misure?
Tornarono anche Melissa e Michael e, dai racconti
del bambino, sembrò che il primo giorno di scuola nella nuova classe fosse
andato anche meglio del previsto.
Appena dopo il caffè, decise di partire subito
all’attacco.
Si alzò da tavola e si rivolse a Jennifer, «Hai
mezz’ora da dedicarmi, Jennie? Vorrei parlarti da solo.»
Furono addirittura in cinque a cambiare colore: Jennifer, sua madre, sua nonna, Jeremy e
Sarah.
Melissa e Michael, superato il primo momento di
sorpresa, cominciarono praticamente a brillare… non poteva pensare a tutto.
Senza una parola, Jennifer si alzò da tavola e lo
seguì fuori dalla stanza.
«Ti va di fare due passi nel parco?» le chiese…
pardon: chiese alla sommità della sua testa.
Asserì semplicemente e lo seguì docile fuori.
Puntò verso il gazebo. «Forse hai già un’idea di
quello di cui voglio parlarti.»
«Riguarda… riguarda stamani vero? Si tratta di mio
fratello.»
«Esattamente Jennie, quindi rilassati. Credo che
sia chiaro ormai che il fatto di esserti trasferita qui con la tua famiglia non
comporti necessariamente il fidanzamento con il sottoscritto.»
La vide letteralmente sobbalzare e lo guardò,
dritto negli occhi.
I miracoli potevano ancora succedere.
«Con chi hai parlato?» chiese.
«Jennie, sono sempre molto attento a quello che mi
succede intorno, specie se mi riguarda, e per di più conosco anche troppo bene
mia madre e mia nonna. La mia ipotetica fidanzata è il loro argomento
preferito.»
La ragazza diede un sospiro di sollievo, «Temevo
fosse stata mia madre a…»
Lei smise di parlare, lui smise di camminare.
«Tua madre?» le chiese.
Jennifer abbassò di nuovo lo sguardo.
Erano messi anche peggio di quanto immaginasse!
Da qualche tempo, anche se stava attento, tendeva
a sottovalutare le situazioni, specie quelle peggiori.
«Ok, adesso abbiamo altro a cui pensare. Ricordati
sempre che nessuno decide per noi, intesi? Parleremo di questo quando avrai
fatto amicizia con l’idea che non mordo.»
Jennifer sorrise, «Sei impossibile Juna, parlo sul
serio. Sembra non ci sia modo di avercela con te.»
«Lo dici come se fosse un obbligo. Perché dovresti
avercela con me?»
Fece una retromarcia da manuale, «Hai detto che
abbiamo altro a cui pensare, ricordi?»
Sorrise.
Arrivarono al gazebo ed entrarono dentro.
Jennifer si sedette dove aveva fatto colazione la
mattina stessa e senza pensare le si sedette vicino.
«Ok, sono pronta. Parti.»
Mh… da dove?
«Preferirei che fossi tu la prima a dirmi cosa ti
sconvolge.»
Jennifer gli lanciò un’occhiata, «Non hai usato un
termine a caso vero? Micky è confuso… credo… è come se una parte di lui fosse
stata cancellata e anche se mi fa paura, forse mi farebbe più paura il
contrario.» Fece una pausa «Forse sono più confusa di lui.» Altro silenzio «Ti…
ti ha più parlato del rapimento?»
Le annuì, un movimento che Jennifer dovette
recepire con la coda dell’occhio perché si guardò bene dal voltarsi verso di
lui.
Ci fu un lungo silenzio, poi vide distintamente
gli occhi della ragazza riempirsi di lacrime, «Perché con te sì e con me, papà
o la mamma no? Non riesco a capire.»
«La spiegazione è più ovvia di quanto immagini
Jennie: perché a me non vuole bene come ne vuole a voi tre.»
Era incredibile come quella ragazza, a sedici
anni, avesse lo stesso comportamento di suo fratello di quattro quando si
trattava di sorpresa.
«Cosa stai dicendo?» gli chiese con due occhi
immensi.
«Io posso provare rabbia, amarezza, anche disgusto
quando penso a cosa ha passato tuo fratello… non proverò mai il dolore e
l’angoscia che provate tu e i tuoi genitori. E Micky vede la differenza. E ci
sta male quanto voi se non di più. Tuo fratello pensa di proteggervi in qualche
modo non parlandovi di quello che ha passato.» Cercò le parole adatte per dire
la parte peggiore del discorso «E alla fine, se riuscirai ad essere onesta
almeno con te stessa, ammetterai che anche tu e i tuoi avete paura che ne
parli.»
Jennifer chiuse gli occhi, «Sì, riesco ad
ammetterlo. E’ tutto così assurdo. Quando Micky non c’era mi sono convinta che
quando sarebbe tornato tutto si sarebbe sistemato, invece i guai seri sono
cominciati proprio quando è riapparso sulla soglia di casa. C’è… c’è una cosa
che probabilmente non sai. Mio padre ha insistito per… per sottoporre Michael a
una… una…»
«Tuo fratello mi ha parlato della visita per
assicurarsi che non abbia subito abusi sessuali.»
«Te lo ha detto?» Ci fu una pausa, poi…
«L’ha davvero presa bene come è sembrato?»
«E’ un bambino di quattro anni Jennie. Immagino e
posso capire che da quando è tornato tu faccia fatica a ricordarlo perché temo
che Michael sia cresciuto molto e troppo in fretta durante la prigionia, ma ha
sempre quattro anni. Pensava che suo padre non gli avesse creduto quando gli ha
detto che non era successo nulla. Ne abbiamo parlato un po’ e credo che abbia
capito adesso. Forse anche troppo bene per la sua età.»
«Non tornerà più quello che era prima vero?»
Aveva bisogno che qualcuno le dicesse a voce alta
quello che lei sapeva già. «No. Con pazienza potrà superare il trauma del
rapimento e della prigionia, di questo sono certo: tuo fratello è un bambino
forte. Ma tornare quello che era prima… no, è escluso.»
«Non so che fare Juna. E neanche mamma e papà. A
volte Michael parla e noi stiamo ad osservarlo come in trance. Ancora non
riesco neanche a credere che sia di nuovo con me.»
«Ti sembrerà una frase fatta, ma posso comprenderti.
Il problema è che Michael se n’è accorto.»
«Anche la psicanalista ha detto che ha retto bene
allo shock che deve aver subito nel trovarsi improvvisamente lontano da casa
con persone che non conosceva.»
«Forse la psicanalista ha detto che ha retto anche
troppo bene a questo shock?»
Jennifer annuì.
Lo sospettava.
«In altre parole lo sta covando. Jennie, tuo
fratello è una bomba ad orologeria e nessuno sa quando il timer arriverà allo
zero. Il fatto che dobbiate essere sempre pronti a tutto, non vi autorizza però
a trattarlo come se fosse fatto di cristallo, o non riuscirà mai ad affrontare
quello che ha dentro e superarlo.»
Juna sospirò pesantemente, «Ti sto dicendo cose
che tu sai già, non credere che non lo sappia. Ti sto offrendo il mio aiuto e
al momento non vedo modo migliore per aiutarti se non dirti chiaramente come
stanno le cose.»
«Devo assolutamente riuscire a mettermi una
maschera davanti a Micky, lo so… ma non sono mai stata in grado di nascondergli
qualcosa, ed è questo che mi spaventa.»
«Quando penserai di non farcela, ricorda sempre
che lo stai facendo per lui, non contro di lui. Sarà come vivere
due vite separate e non sarà facile, lo so… ma non durerà per sempre perché
anche Michael vuole che tutto questo finisca, gli serve solo che voi gli
andiate incontro.»
Qualcosa nella voce di Juna le spedì una scossa
elettrica lungo la spina dorsale, lo guardò e il ragazzo stava osservando un
punto vuoto davanti a sé… lesse un qualcosa in quegli occhi che la sconvolse.
Tristezza, preoccupazione… sembrava così indifeso
in quel momento.
«Non è facile fingere Jennifer, e ci vuole poco a
capire che nel tuo DNA la cellula della finzione manca proprio. Sei trasparente
Flalagan e ancora non mi spiego come hai fatto ad arrivare tutta intera ai
sedici anni nel mondo in cui viviamo.»
Un pensiero le attraversò la mente mentre lo
vedeva tornare di colpo il ragazzo che aveva conosciuto: mi sta dicendo che
lui è abituato a mentire e fingere? Per questo può capirmi così bene? Per
questo immagina quanto costi a me?
Juna sorrise, la sua voce tornò melodiosa, sparì
il tono di tristezza, i suoi occhi tornarono a brillare di quella luce
scanzonata e ironica che gli aveva sempre conosciuto, ebbe l’improvvisa
certezza che Juna nascondesse qualcosa… le sembrò di non averlo mai visto prima
di allora.
«Adesso però, devi cercare di non essere una brava
ragazza, non del tutto almeno.»
«Ci proverò.»
Il ragazzo si alzò, «Molto bene: pseudo paternale
terminata.»
«Devi tornare in ufficio adesso?»
«Il piano è questo, perché?»
«Niente.»
Juna reclinò appena la testa e un sorrisino gli
curvò le labbra, «Io e te abbiamo già stabilito che non sai raccontare balle,
ricordi?»
«Era solo curiosità.»
La testa si reclinò ancora di più e gli occhi si
socchiusero appena, «Flalagan, fatti un favore: non cercare di nascondermi
qualcosa perché sono più curioso di un gatto.»
Optò per una mezza verità, «Micky è più tranquillo
se ci sei anche tu in casa.»
Tanto per farle sapere che non l’aveva bevuta, Juna
ripeté semplicemente, «Micky.»
Accidenti a lui.
«Ok, e anche io» ammise alla fine senza guardarlo.
Juna sospirò, «Ho un appuntamento verso le
quattro, torno a casa appena ho finito.»
Lo sentì uscire dal gazebo senza aggiungere una
parola.
Si appoggiò al tavolo nascondendo gli occhi contro
la mano… cosa dannazione sto facendo?
Suo padre lo intercettò appena messo piede in
casa, «Spero che tu ci sia andato piano con lei.»
«Gli altri dove sono nascosti?» chiese prendendo
la giacca.
«Juna…»
«Ho detto a Jeremy che avrei parlato con Jennifer
e l’ho fatto. Ringraziando il cielo quella ragazza non è stupida papà, tutto
quello che sto facendo, non lo sto facendo per me. Gradirei tanto che
fra tutti quanti siete lasciaste le cose come stanno. Pensi che chieda troppo
alla vita?»
«Le hai parlato di Michael?»
Si mise la giacca e si apprestò a controllare di
avere tutto.
Notò sul display del cellulare l’icona che
segnalava un messaggio non letto, ma preferì rimandare la lettura a quando
fosse stato solo.
Un problema, anche se solo potenziale, alla volta.
«Di cosa avremmo dovuto parlare?»
«Non lo so, dimmelo tu.»
«Papà, a volte penso di lasciarti troppo solo con
tua moglie, sai?»
Connor McGregory sorrise e scosse la testa, «Ok,
ci siamo capiti. Resterei a casa, se non hai problemi ad affrontare Lynch da
solo.»
«Solo? Magari, minimo avrà la figlia
dietro. Tornerò a casa appena ho fatto con lui. A dopo.»
Uscì e ad attenderlo c’era già Kyle, l’autista che
si occupava di lui e suo padre. «Buonasera signor McGregory.»
«Buonasera Kyle, direttamente in ufficio, grazie.»
Salì in macchina e Kyle prese posto alla guida.
Come partirono prese il cellulare e lesse il
messaggio di Drake.
Forse Dio sarà sufficiente anche stavolta.
Passo a trovarti verso le cinque e prendiamo un caffè insieme. Avvertimi se non
puoi.
Rimise nella tasca il cellulare e sospirò. Aveva
decisamente bisogno di buone notizie.
Tornò a casa anche più tardi di quanto
preventivato, ma con Drake il tempo era volato.
Le uniche buone notizie erano che Lewing aveva
personalmente controllato Dio-solo-sapeva-cosa ed era certo che in nessun
modo informazioni o notizie su di loro fossero presenti sotto qualsiasi forma
in qualche archivio dell’F.B.I. (a Drake la cosa era piaciuta così tanto
che si era scritto la frase nero su bianco per ripetergliela alla lettera) e
che sarebbero restati dormienti per tutta l’estate… a riposo nel
gergo tecnico dell’F.B.I..
La seconda buona notizia era da prendere con il
beneficio del dubbio, e lo sapevano entrambi, ma la buona volontà di Matthew e Richard
era encomiabile.
Era una situazione a dir poco inverosimile.
Sia lui che Drake erano perfettamente coscienti
che il punto focale di tutta la situazione era che quei due si erano presi un
accidente da restarci scoprendo di avere da chissà quanto una talpa in seno
alla sezione e come se una talpa non fosse un problema di tutto rispetto,
adesso dovevano anche cercare di riconquistarsi quella fiducia totale che, da
parte dei loro agenti, faceva la differenza fra una missione andata a buon fine
e un esito disastroso.
Non li invidiava affatto.
Appena messo piede in casa furono in due a
trotterellargli allegramente incontro, addirittura mano nella mano.
«Hai fatto tardi e ti sei perso la merenda» lo
informò Melissa.
«Cosa mi sono perso esattamente?»
«Te ne abbiamo lasciata un po’, così la mangi dopo
cena con il caffè» continuò Michael.
«Mh, promette bene. Qualcosa di dolce?» continuò
togliendosi la giacca.
Anne apparve dal nulla e gliela tolse di mano per
appenderla. La degna figlia di Howard.
La ringraziò con un sorriso ascoltando nel
frattempo i due bambini che avevano tutte le intenzioni di coinvolgerlo in una
specie di gioco a quiz.
«Sarà una torta.»
«Non c’è gusto a nascondere qualcosa a te: lo
scopri subito!» disse Melissa imbronciata.
«Indovini anche di che torta si tratta?» chiese
Michael improvvisamente preoccupato.
Melissa tornò allegra «Ah, questo no! Vero che non
lo indovini?»
Sorrise, quei due facevano proprio una bella
squadra. Alla fine sarebbero stati un aiuto prezioso l’uno per l’altra. «No,
non lo indovino, me la mangio dopo cena.»
«Vieni in salone? Ci sono tutti» disse Melissa.
«Fatemi strada.»
Seguì i due bambini che continuarono a tenersi per
mano.
Entrò nella stanza e la prima cosa che vide fu sua
madre accanto a Jennifer: le stava insegnando il ricamo o aveva improvvisamente
le allucinazioni?
«Buonasera.»
«Finalmente!» esclamò suo padre «Com’è andata?»
«Tutto ok. Lynch era addirittura estasiato quando
ha scoperto quanto gli abbiamo fatto guadagnare.»
Suo nonno lo guardò con un sorriso, «Saresti in
grado di vendere congelatori al Polo Nord, tu.»
«Solo agli esquimesi più idioti, nonno.»
Si levò un sottofondo di risatine.
«Ti hanno già avvisato che ti sei perso una
merenda che non ha precedenti in questa casa?» chiese Justin.
«Sì, e mi hanno anche detto che per lasciarne un
po’ a me ti hanno dovuto legare e imbavagliare.»
«Non è vero!» insorse Michael.
Guardò il bambino, «Mi stai dicendo che non lo
avete dovuto legare e imbavagliare?»
Michael gli sorrise birichino, «No, non è vero che
te lo abbiamo detto. Hai tirato ad indovinare vero?»
Justin rise, «Micky, mi conosce meglio di quanto
pensassi!»
«Immagino che sia merito di Susan questa
improvvisa predisposizione di casa McGregory ai dolci» disse prendendo posto
nella sua poltrona preferita.
Come se si fossero messi d’accordo in precedenza,
ed era certo che la cosa avesse richiesto quasi tutto il pomeriggio di
contrattazioni, Michael e Melissa presero posto ai due lati mettendosi a
cavalcioni sui braccioli… ovviamente dovettero lasciarsi la mano.
Lo sguardo angosciato di sua zia Elisabeth avrebbe
sciolto una lastra di ferro, quello sorpreso di Sarah non era da commentare.
«La passione per i dolci di mio figlio è
leggendaria quasi quanto il fascino di Juna» commentò suo zio Paul.
«Anche perché il bel faccino di Juna è molto più
visibile» commentò l’interessato.
«Sono perfettamente d’accordo con te» ribatté lui
prima che qualcuno potesse prendere il commento di suo cugino come una ripicca.
Justin andava capito, a volte neanche i suoi ci
riuscivano, a forza di avercelo contro era diventato lampante per lui quando
suo cugino scherzava.
«Sai cosa pensavo?» cominciò suo padre «Ne abbiamo
parlato anche con il nonno…»
«… e con la mamma…»
«E’ pressoché impossibile parlare di te senza che
quella donna se ne accorga, dovresti saperlo ormai.»
Sua madre ridacchiò brevemente, «Beh, devo farmi
valere in qualche modo no? I McGregory sono più cocciuti dei muli, è risaputo»
fu il commento. «Mi fa comunque piacere che mio marito si sia accorto che è
difficile nascondermi qualcosa.»
«Tesoro, questa faccio finta di non averla
sentita» commentò suo padre guardandola di traverso.
Sua madre gli sorrise raggiante.
«E a quali conclusioni siete giunti?»
Con la coda dell’occhio intravide Georgie entrare
nella stanza.
«Sia tu che tuo padre potreste sbrigare il lavoro
a casa, almeno il pomeriggio» disse suo nonno. «Sarebbe la scusa buona per
cominciare ad usare quelle stanze che ho fatto aggiungere in pianta apposta…
abbiamo comunque già portato la corrente e una linea telefonica nel gazebo, so
quanto ti piace quella costruzione.»
Questa poi le batteva tutte…
Rimase in silenzio, aspettando le varie reazioni…
che puntualmente arrivarono.
«Non sei d’accordo?» chiese suo padre.
«La cosa ti creerebbe qualche problema?» chiese
suo nonno.
«Era solo un’idea, se non ti va…» disse Jeremy.
Tutti e tre insieme.
Jennifer guardava suo padre come se lo vedesse per
la prima volta. Quindi lei era all’oscuro di tutto.
Stessa cosa non poteva dirsi per i due puffi che
aveva ai lati: Melissa e Michael avevano un’aria colpevole e insieme implorante
che gli tolse ogni dubbio sulla motivazione che aveva fatto scattare
quell’idea.
«Non ho problemi, possiamo mettere il
trasferimento di chiamata in ufficio fino alle sette e al limite Alison vedrà
slittare il suo orario di lavoro. Le parlerò domani mattina.»
«Chi è Alison?» chiese Michael circospetto «La tua
fidanzata?»
«Sta per sposarsi, ma non con me: è la mia
segretaria.»
«Alison si sposa?» chiese meravigliata… e
interessata sua madre.
«Sì mamma… e credo sia il momento adatto per ricordarti
che ha quasi dieci anni in più di me…»
Sua madre lo guardò malissimo, ma la freccia era
stata spuntata ancora prima che toccasse l’arco… e lo sapevano entrambi.
«L’ho conosciuta un anno fa credo… è molto
simpatica» disse Melissa con un tono che l’intera stanza prontamente tradusse
come un non è pericolosa per i nostri piani, tranquillo compare.
Jennifer cambiò letteralmente colore, sua nonna e
sua madre si lanciarono un’occhiata allarmata, Sarah e Jeremy forse
anche più che allarmata, suo padre guardava la nipote e il suo nuovo
alleato fra il rassegnato e il divertito, Elisabeth guardava la figlia per
niente divertita, Justin intercettò il suo sguardo e fece un gesto con la mano
come per dire ecco, appunto, che ti avevo detto?… dulcis sin fundo,
Georgie diede una leggera pacca sulla spalla di Jennifer… il messaggio era non
preoccuparti, sono solo bambini.
Alison era comunque scampata ad un linciaggio e al
momento tanto gli bastava.
«Bene Lissa, posso tradurlo come un assenso che
Alison venga qui con me a lavorare?» chiese.
«Possiamo farti compagnia mentre lavori?» chiese
di rimando la bambina.
«Potremmo imparare un sacco di cose» le fece eco
Michael speranzoso.
«Da quanto sei appassionato di alta finanza?»
chiese Jeremy cercando di riprendere in mano le redini della situazione.
«Da quando so che se ne occupa Juna» fu la
lapidaria risposta del bambino.
Beh, aveva cominciato con quel piede, non
nascondendo minimamente che se avesse potuto si sarebbe infilato in una sua
tasca pur di non allontanarsi da lui, cambiando atteggiamento a quel punto
effettivamente avrebbe destato più perplessità che altro.
Jeremy si arrese con un sospiro sprofondando nel
divano accanto alla moglie, guardando il figlioletto come se si aspettasse che
cominciasse a lievitare in aria da un momento all’altro.
«Dieci e lode per la sincerità Michael» disse
Justin.
«Ascoltatemi bene voi due» disse Juna ai due
bambini, i quali buttarono fuori istantaneamente il resto del mondo dalle loro
vite per concentrarsi su di lui. «Io non ho nulla in contrario a lavorare a casa
e ad avervi accanto, ma il fatto che porti qui il lavoro, non cambia che sia lavoro
e come tale deve essere fatto bene, ci siamo capiti?»
«Saremo muti come pesci» disse Melissa solenne.
«E silenziosi come…» disse Michael, poi si bloccò
non sapendo quale animale tirare in ballo «… come se non ci fossimo» ovviò al
problema.
Apparve Howard e come al solito le fece fare un
salto. Per fortuna aveva smesso di ricamare o avrebbe fatto un disastro.
Suo fratello avrebbe potuto dire silenziosi
come Howard, non credeva che Juna potesse chiedere di più alla vita!
«La cena è pronta.»
«Arriviamo subito» disse Patrick.
Juna si alzò e sorrise, «Non importa che
diventiate trasparenti, mi accontento che siate silenziosi come il nostro
Howard!»
L’anziano maggiordomo guardò il ragazzo e,
incredibile ma vero, sorrise «La ringrazio per il complimento signorino Junayd.»
«E’ vero Howard, non riesco ad immaginare questa
casa senza di te. Sei encomiabile, anche quando ti prendo in giro.»
Fece in tempo a intravedere uno strano luccichio
negli occhi dell’uomo, prima che si inchinasse e dicesse semplicemente, «E’
sempre un piacere prima di un dovere.»
Sparì com’era apparso.
«Quell’uomo ti adora Juna» disse suo padre. «A
meno che non sia impazzito, il tuo semplice complimento lo ha portato alle
lacrime.»
«A volte penso di dare parecchie cose per scontate
Jeremy» rispose Juna. «Per esempio la presenza di Howard o di James, il
giardiniere, forse ti ricordi di lui. Voglio molto bene ad Howard, è con me da
quando sono nato. Una volta, avrò avuto due anni, ricordo che mi cambiò il
pannolino, quando c’erano in casa altre tre donne che potevano farlo.»
«E’ vero» disse Manaar. «Quando tornai a casa e lo
seppi mi sembrò incredibile. Chiesi ad Howard perché lo aveva fatto, quando
appunto c’erano anche Anne e sua moglie in casa, oltre a Madeline che adorava
fare bagnetti e cambiare pannolini. Beh, la sua risposta fu se avessi
chiamato qualcuno avrei lasciato il signorino Junayd da solo ed era già
evidentemente intenzionato a toglierselo da solo da come gli dava fastidio. Di
necessità virtù… non è stato poi così difficile.»
Tutti risero divertiti.
Effettivamente Howard alle prese con un pannolino
era un qualcosa che faceva sorridere… e se è per quello anche il pensiero che
un bambino di due anni avesse portato un adulto a pensare o lo faccio io o
ci pensa da solo non era da tutti i giorni!
D’altra parte, si stava parlando di Juna.
Cominciarono ad uscire dalla stanza.
Si trovò accanto a suo padre e sentì distintamente
Patrick dire, «Il punto è che Juna è il nipote che più mi assomiglia, Jeremy. A
prescindere che sia un genio, è un McGregory di prima categoria e Howard vede
in lui il futuro capo dei McGregory e so che ha ragione. Madeline mi
staccherebbe la testa quando mi sente dire cose simili, ma è Juna l’erede
designato al di là di suo padre. Justin prenderà in mano il lato legale della
compagnia e adesso so che saranno una squadra vincente… nessuno fermerà i miei
nipoti, ma sarà Juna l’essenza stessa dell’impero che i miei nonni e mio padre
hanno costruito prima di me.»
«Ti garantisco che è già evidente Patrick»
continuò suo padre. «Juna è un leader nato, ma ha anche umanità oltre a fascino
e carisma. E’ impossibile non volergli bene.»
«Esatto Jeremy, esatto.»
Sentì un braccio di suo padre cingerle le spalle,
«Abbiamo fame principessa?»
«Abbastanza papà.»
«Jennifer, volevo dirti una cosa» riprese Patrick,
«anche se, conoscendo mio nipote, Juna avrà già trovato il modo di dirtelo a
chiare lettere: a prescindere dal fatto che in questa casa, chi più chi meno,
tutti vi vediamo già sposati, gli unici che hanno e avranno sempre voce in
capitolo siete tu e lui.»
Le sembrò che un macigno le atterrasse sullo
stomaco, Patrick era il primo che affrontava il discorso usando le parole
precise.
Si sforzò di sorridere, «Ci ha già pensato Juna,
in effetti. Grazie però.»
Durante la cena il ragazzo fu stranamente
silenzioso e distante.
Le occhiate che saettavano fra Manaar e Connor
erano impossibili da non notare, come il fatto che Michael fosse attento e
vigile ad ogni minimo movimento del ragazzo e Melissa mangiasse con un occhio a
controllare di trovare la bocca e uno al cugino.
Improvvisamente Juna sospirò profondamente.
«Nonno, non credo sia il caso di aspettare oltre.»
Si fece il silenzio più assoluto.
«Di cosa stai parlando Juna?» chiese Patrick.
«Lizar e Dragar devono vedere Jeremy, Sarah,
Jennie e Micky.»
Michael si morse appena il labbro inferiore…
sembrava sapesse di cosa stesse parlando il ragazzo.
Patrick si batté una mano sulla fronte,
«Dannazione! E’ vero! Come ho fatto a non pensarci?»
«Chi sono Lizar e Dragar?» chiese Sarah.
«Dragar e il figlio di Betty-Blue e Northerst, te
li ricordi Jeremy? E Lizar è la sua compagna.»
«Ah, stai parlando dei cani!» esclamò sua madre.
Bastò quella parola a darle i brividi.
«Sono i cani da guardia della villa» spiegò Paul.
«Forse Jennie si ricorda i genitori di Dragar. Accidenti, non ci ho proprio
pensato.»
«Beh, a dirla tutta nessuno ci ha pensato perché
l’unico che può avvicinare Lizar e raccontarlo è Juna» disse Ryan.
«Sono dobermann vero?» chiese suo padre.
«Sì» rispose Connor. «Dragar essendo nato e
cresciuto qui si fa avvicinare da tutti i componenti della famiglia, Lizar
invece è proprio ostica.»
«Sono… sono addestrati ad attaccare?» chiese con
voce il più possibile ferma.
Il risultato fu, ovviamente, una catastrofe.
«Sì, ovviamente sì» rispose Justin. «Li liberiamo
la sera prima di andare a letto… beh, per la verità ci va sempre Juna.»
«Stasera verrete con me ad aprire la gabbia» disse
allora il ragazzo.
«Che bisogno c’è che li veda o mi vedano? Io non
esco la sera e Micky neanche. Possiamo evitare questo incontro no?»
«Ah beh, da ora in poi sono certo che ti
barricherai in casa dopo il tramonto» fu il commento apertamente ironico di Juna.
«Ed è esattamente quello che voglio evitare.»
«Io li vengo a vedere se pensi che debba farlo»
disse suo fratello.
Juna rimase un attimo in silenzio, poi si appoggiò
allo schienale della sedia. «Voi non immaginate il motivo del perché voglio che
i cani li conoscano vero?»
«Beh…» cominciò Paul «può capitare che si trovino
a passeggio nel parco.»
Juna scosse la testa, «No zio. Mi dispiace
parlarne visto che tutti lo evitate accuratamente, so di ricordare cose
quantomeno spiacevoli… ma sono certo che nessuno qui si è scordato il perché
Jeremy e la sua famiglia sono in questa casa.»
Justin sospirò profondamente, «Lo sospettavo sai?
In poche parole: Juna vuole essere sicuro che, nella peggiore delle ipotesi, i
cani non abbiamo dubbi riguardo chi attaccare e chi proteggere… e se non
conoscono Jennie e Micky, come possono farlo?»
Madeline dette in un’esclamazione soffocata,
seguita da sua madre, Elisabeth e Lennie.
«Credi sia possibile che riescano ad entrare qui?»
chiese Connor incredulo.
«Papà, sei pronto a mettere la mano sul fuoco
circa la possibilità che non ci riescano?» fu la risposta di Juna
«Sicuramente Villa McGregory è più sicura di dove abitano Jeremy e Sarah, ma
non stiamo parlando di vaghe ipotesi, stiamo parlando di persone che hanno già
colpito una volta.»
«Juna ha ragione, inutile girarci intorno» disse
Patrick. «Siamo stati noi degli incoscienti a non pensarci subito.»
«Nonno, forse sarebbe il caso di far venire qui
anche Indios, Venusia e Cocoon. Conoscono la villa e il parco.»
«Altri cani?» chiese suo fratello.
«Venusia e Cocoon sono i fratelli di Dragar.
Indios è il fratello di Lizar. Per comodità loro tre li abbiamo sempre lasciati
nella villa in campagna…» rispose Connor, «ma forse non è un’idea malvagia
radunarli tutti qui per un po’. Quando siamo sicuri che conoscono chi sta in casa,
possiamo lasciarli liberi anche il giorno.»
«Telefonerò stasera stessa a Ronald per avvertirlo
di prepararli per il viaggio» disse Patrick.
«Posso venire anch’io con voi?» chiese Melissa.
«Andremo tutti quanti Lissa» disse Ryan. «Li
vedranno con l’intera famiglia, sono cani intelligenti, non avranno dubbi
riguardo il fatto che siano amici.»
Juna si alzò, «Mentre aspettiamo il caffè, vado a
cambiarmi.»
Uscì dalla stanza nel silenzio più assoluto.
Poteva letteralmente ascoltare il respiro di suo
fratello accanto a lei e percepiva addirittura quello di Manaar dall’altra
parte del tavolo.
«Tuo figlio riesce ancora a sorprendermi, Connor»
disse Paul.
«A chi lo dici» commentò Manaar. «In questi giorni
lo vedevo così cupo e silenzioso che il primo pensiero è stato che avesse un
problema. Sono arrivata a piombargli in ufficio fra capo e collo. La realtà è
che mio figlio ha troppo a cui stare dietro.»
«E qualcosa si sta come… allentando in lui
zia» disse all’improvviso Justin. «Lo dico adesso, davanti a tutti: Juna non
sta bene, c’è qualcosa in lui che non va.»
«Just ha ragione. L’ho notato anche io.»
Anche i muri si voltarono verso Melissa, che aveva
pronunciato lentamente l’ultima frase.
«Ok» prese la parola Connor, «sono pronto ad
ammetterlo. Melissa, devi capire che mio figlio non è invincibile. E ti chiedo…
vi chiedo» si corresse poi, «di non
parlargli di tutto questo, per nessun motivo, perché conoscendolo si
barricherebbe dietro un muro di allegria scanzonata e non ci sarebbe più verso
di cavare il ragno dal buco. Fino a quando Juna non si rende conto che lo
stiamo tenendo d’occhio, perché è esattamente questo che stiamo facendo, avremo
qualche possibilità di capire cosa gli frulla per la testa, se si accorge di
qualcosa, ci troveremo irrevocabilmente tagliati fuori.»
«Avete preso in considerazione l’ipotesi di
parlare con Drake?» chiese Madeline «Se c’è qualcuno che può sapere qualcosa,
quello è lui.»
«Effettivamente mi sono sembrati molti uniti quei
due» disse suo padre.
«Quei due sono inseparabili
dalla nascita» disse Manaar. «Io e Jessica ci conosciamo dal liceo e siamo
sempre state legatissime. Quando Juna è nato lei e Drake erano nella sala
attesa insieme alla famiglia. In pratica appena l’ha visto, Drake ha stabilito
che Juna era “suo”» disse suo disegnando in aria delle virgolette con le
dita… un gesto che le portò automaticamente in mente Juna.
«Il problema è che parlare di qualcosa a Drake è
come dirlo in faccia a mio figlio» continuò Connor. «Quel ragazzo è
geneticamente incapace di nascondere qualcosa al mio pargolo.»
«Io però ho parlato con Jessica» riprese Manaar,
«e qualcosa è successo di sicuro, perché anche Drake da qualche giorno le
sembra come su un altro pianeta.»
«Quindi se qualcosa è successo, è successo ad
entrambi» disse Paul. «Oppure è successo ad uno solo e l’altro è talmente
preoccupato per l’amico che non si da pace.»
«Ti giuro che non so cosa sperare» disse Manaar.
La voce di Juna riecheggiò nell’ingresso, «Ma dai…
Tyler, ti rendi conto che è come comprare un salvavita dal boia di Londra? …
Ecco, appunto, non voglio più uscire con lei e fisso con la cugina?? … Ma non
mi interessa se è bionda e bella, il mondo è pieno di belle bionde, devo andare
a letto con tutte?»
Manaar sgranò gli occhi, Connor cominciò a
ridacchiare senza vergogna, seguito da quasi tutti i maschi presenti nella
stanza.
«… Senti, ho detto di no, ok? Pensi quello che
vuole, dille che sono malato, che esco con un’altra, che sono diventato gay,
fai come vuoi… no, tutto quello che vuoi tranne questo, Drake! …
Non voglio più sentire nominare né lei né qualcuna in qualche modo collegata
alla sua persona, intesi? … Mh, ok… sì, va bene, ti aspetto domani, pranziamo
insieme?» Apparve sulla soglia con il cellulare incastrato fra la guancia e la
spalla, «Aspettarti nella hall? Ti ha dato di volta il cervello? …
Drake, tu non sei mai puntuale con il sottoscritto, ok? La triste verità è che
la tua esigua scorta di puntualità la riservi al resto del mondo e… … No, non
sto parlando delle buche telefoniche, coda di paglia, sto parlando del fatto
che se ti voglio in un dato posto alle quattro e mezzo, devo dirti che
l’appuntamento è per le quattro! … Antipatico a me?? … Senti, io sono
nel mio solito ufficio ok? Ed è lì che ti aspetto.» Cambiò orecchio, «Drake, se
per caso stanotte impari ad essere puntuale, domani ti chiedo scusa, resta
sott’inteso che a quel punto al primo sgarro che fai, t’inchiodo!» Scoppiò a
ridere, rovesciando come al solito la testa indietro e prese il cellulare con
una mano, «Lo scopri adesso che sono crudele e senza pietà verso il prossimo? …
Ok, a domani.»
Chiuse il cellulare e lo mise nella tasca
posteriore dei jeans.
«Capitano spesso dialoghi così… costruttivi
fra te e Drake?» chiese Manaar.
«Direi che sono la norma più o meno da quando ho
il dono della parola» rispose Juna. Poi sorrise, «Immagino che tu voglia
sapere, nella fattispecie, da quanto i dialoghi fra me e Drake s’imperniano
sulle bionde, per me, e sulle more, per lui, e sui letti, giusto?»
«Ti piacciono le ragazze bionde?» chiese suo
fratello.
«Micky, abbi un po’ di pietà per tua sorella
adesso ok?» disse Justin correndo in suo aiuto «Ha già un bel problema a cui
far fronte stasera.»
Juna guardò il cugino e si sorrisero, poi tornò a
guardare la madre, ignorando lei. «Mamma?»
«Lasciamo perdere Juna, ho l’impressione di aver
appena perso una potenziale futura nuora, forse anche due.»
Il ragazzo fece una smorfia, «Impressione
sbagliata, la bigamia è illegale in questo paese, sai? Ma fa niente.» Riprese
il proprio posto a tavola e si guardò intorno, «Allora, di cosa stavate
parlando?»
Silenzio.
«Quando torniamo dalla gabbia potremmo provare se
i computers nel gazebo funzionano» disse Connor.
Juna soppesò per qualche secondo il padre con lo
sguardo, poi si voltò verso di lei, «Jennie, di cosa stavate parlando?»
«Perché lo chiedi a lei?» chiese Ryan.
«Perché lei non sa mentire, almeno con me non ci
riesce, e tanto mi basta.»
C’è sempre una prima volta nella vita e
comunque, tentar non nuoce.
«Credevo che la battuta di Justin fosse abbastanza
illuminante anche per te.»
Juna socchiuse gli occhi, «Stavate ancora parlando
dei cani?» chiese.
Cercò d’ignorare il tono incredulo del ragazzo,
«Non sono mai andata d’accordo con i cani in vita mia, non credo comincerò
proprio stasera.»
«Io non voglio che tu vada d’accordo con i cani,
tu devi andare d’accordo con Dragar e Lizar.»
«Ma perché?»
«Perché potrebbe fare una bella differenza.» Al
suo silenzio sbuffò, «Jennifer, dannazione, pensi che mi stia divertendo?»
chiese «Ricordi cosa ti ho detto oggi?»
Capì subito a cosa alludeva e asserì: stava
continuando a dirle esattamente come stavano le cose. «Lo so Juna, ma…»
«Ti fosse venuto il dubbio, non ho alcuna
intenzione di aprire la gabbia, sbattertici dentro, chiudere e venire via.»
La risata le salì alle labbra prima che se ne accorgesse,
«Gentile da parte tua sottolinearlo! Il pensiero non mi ha neanche sfiorata
comunque.»
Le risatine salirono di tono intorno al tavolo e
di lì a pochi secondi tutti ridevano, anche suo padre e sua madre.
Soltanto Juna poteva far ridere qualcuno in
momenti del genere.
«Era da tanto che non ti sentivo ridere così» le
disse suo padre.
«Eh, a qualcosa servo anch’io» fu il commento del
ragazzo.
Arrivarono Howard e Anne con i caffè e finalmente Juna
si trovò a tu per tu con la torta al cioccolato di Susan, che portò lei stessa.
«Il suo è l’unico parere che mi manca signor McGregory.»
«Ti ho sentito dare del tu a Jennie e ho solo tre
anni in più di lei, Susan, posso sperare che almeno tu riesca a trattarmi come
un ragazzo di quasi diciannove anni?»
Susan guardò Juna per qualche secondo, poi
sorrise, «Esigo che tu la finisca, intesi?»
«Dai per scontato che mi piacerà… e se una fetta
non mi bastasse?»
«Fra venti minuti sono pronte altre tre torte, giù
in cucina.»
Michael e Melissa saltarono in piedi sulla sedia
con un sincronismo sconcertante lanciando gridolini.
«Michael Flalagan, rimettiti subito a sedere!»
esplose sua madre.
«Melissa!» esclamò costernata Elisabeth.
«Se voi due fate i bravi, vi dico subito la
sorpresa che avrete domani mattina» disse Susan ai due bambini. «Una sorpresa
di cui potrà beneficiare anche Jennie, sempre che…»
«Io sono sempre una brava bambina Sue»
disse lei.
Era uno scherzo che andava avanti da quando lei
aveva quattro anni.
«Da stasera si trasformerà in una bambina
addirittura eroica…» commentò Juna prima di addentare la torta.
Lo guardò male, ma il ragazzo aveva chiuso gli
occhi, inghiottì il pezzo di torta «Susan, parola mia, è la torta più buona che
abbia mai mangiato. Includimi nella sorpresa di domani mattina, qualunque sia!»
«E io??» chiese Justin.
Lennie guardava il figlio con occhi sgranati,
«Justin…»
«Cosa mamma?»
«Ti stai comportando come un bambino, ti rendi
conto?»
Con naturalezza agganciò le occhiate di Juna,
Georgie e Justin e capì al volo cosa doveva fare.
«Come un bravo bambino!» corressero ad una
voce tutti e quattro.
Scoppiarono a ridere sotto gli sguardi sorpresi
dell’intera stanza.
Ok, sarebbe sopravvissuta anche ai cani.
Dragar e Lizar lo avrebbero sentito e riconosciuto
a chilometri di distanza, ancora prima che la gabbia fosse visibile fra la
vegetazione che copriva il parco, il furioso abbaiare dei due cani esplose
gioioso.
Ovviamente Jennifer era troppo tesa per cogliere
sottili differenze come l’abbaiare di un cane festoso da quello di un cane che
mira alla gola e in pratica se la trovò in collo.
«Scu… scusa» mormorò allontanandosi lo stretto
indispensabile per farlo camminare.
Lizar e Dragar saltavano contro la rete,
impazienti di fargli le feste come succedeva da cinque anni a quella parte.
«Fermatevi qui» disse agli altri.
Si avvicinò alla gabbia e la aprì.
In un lampo i due cani gli furono addosso,
saltando, abbaiando e cercando le sue attenzioni.
Come sempre Dragar si staccò da lui e corse
incontro al resto della famiglia.
Anche lui però si bloccò vedendo persone che non
conosceva o riconosceva.
Jeremy si accovacciò a terra, «Ciao Dragar, Dio
eri un cucciolo di poche settimane quando ti ho visto l’ultima volta, non puoi
ricordarti di me.»
Lizar si appiccicò alla sua gamba e rimase in
attesa di vedere cosa avrebbe fatto il suo compagno.
«La femmina è quella con Juna, vero?» chiese
Sarah.
Nel frattempo Dragar aveva cominciato ad annusare
con attenzione Jeremy.
«Papà…» cominciò Jennifer con una vocina appena
udibile.
«Io non ho paura di loro, e Dragar lo sente…
chissà che non si ricordi, lo tenni in collo un intero pomeriggio quando era
piccolo.»
Alla fine con un debole guaito, Dragar cominciò a
leccare il viso di Jeremy, «Ma sì che mi hai riconosciuto!» esclamò l’uomo
contento.
Michael fu il primo ad agire e fece un passo verso
Dragar che se ne accorse subito e si voltò verso di lui.
«Tu hai gli occhi più dolci di quelli che erano
alla villa» decise il bambino. «Juna dice che non mi attacchi. Non mi
attaccherai, vero?»
Fece un altro passo, più sicuro del primo e Dragar
si girò completamente verso di lui.
«Micky, stai attento» disse Sarah.
Dando probabilmente fondo alla sua scorta di
coraggio, Michael tese una manina verso Dragar che l’annusò con la solita
attenzione.
Completamente rincuorato, il bambino si avvicinò,
«Quegli altri me l’avrebbero staccata con un morso. Juna ha ragione: tu sei
buono.»
Cinse il collo dell’animale alto quanto lui e
cominciò ad accarezzargli il dorso.
Dragar fece un solo passo avanti e Michael perse
l’equilibrio finendo a sedere in terra con una risata.
Sarah e Jennifer dettero in un’esclamazione
terrorizzata.
«Mi stai lavando la faccia Dragar!» esclamò
ridendo il bambino al cane che nel frattempo si era messo in piedi sopra di lui
«Devo andare a letto fra poco, ma me la lavo con l’acqua! Smettila mi fai il
solletico con quella lingua!»
Come se avesse capito, Dragar fece un passo
indietro e… affondò il muso nel pancino di Michael.
Vedendo che il fratellino di stava divertendo,
Jennifer sembrò rilassarsi.
Non si era neanche accorta che Lizar era arrivata
alle sue gambe.
La cagna annusò la mano di Jennifer che
improvvisamente realizzò che c’era qualcosa che non andava.
Gridò, letteralmente, e fece un salto indietro.
Lizar rimase immobile.
«Come ha fatto ad arrivarmi così vicina?!» esplose
la ragazza addirittura con il fiatone, dall’accidente che si era presa «Non
l’ho sentita!»
«E’ un ottimo cane da guardia proprio per questo
Jennie» le rispose Juna con una calma che in quel momento odiò con tutto il
cuore. «Hai appena rifiutato un suo incredibile gesto di amicizia, quindi devi
fare tu il prossimo passo.»
«Non ho rifiutato niente, mi ha fatto paura!»
protestò.
Lizar era rimasta perfettamente immobile.
«Ha capito che sei un’amica» disse Connor. «In
caso contrario ti avrebbe già azzannato.»
In quel momento suo fratello riuscì a rimettersi
in piedi e Lizar si concentrò su di lui. Mentre si puliva i pantaloni dalle
foglie, la cagna gli si avvicinò alle spalle.
«Michael, voltati a conoscere Lizar» disse Juna.
Quei cani erano più grossi di suo fratello, lo
avrebbero potuto uccidere in un attimo.
«Ciao Lizar, tu sei la più cattiva vero?» chiese
girandosi. Si fermò a guardare negli occhi l’animale e si morse il labbro
inferiore, «Sì, tu hai gli stessi occhi di quegli altri» disse poi.
Lizar si guardò intorno, poi decise che era
proprio lei quella che le stava, e sperava davvero con tutto il cuore che fosse
così, più simpatica.
La vide tornare verso di lei e le gambe non la
ressero, piombò in ginocchio a terra e la cagna si fermò.
«Sente che hai paura di lei Jennie» disse suo
padre. «Cerca di rilassarti.»
«Richiamala Juna, ti prego» disse in un sussurro.
Fu Dragar a sbloccare la situazione: trotterellò
tranquillamente fino a lei, passando accanto alla sua compagna, e le dette una
leccata a tutta faccia che la fece rimanere talmente inebetita dalla sorpresa
che non reagì.
Poi rise, «E’ il tuo benvenuto questo? Sai che mio
fratello ha ragione? Fai il solletico!»
Istintivamente gli accarezzò la testa e Dragar
indietreggiò di qualche passo, sedendosi poi davanti a lei.
Guardò oltre lui e vide che Lizar non si era
ancora mossa.
Dio solo sapeva il perché, visto che a lei tale
motivo sfuggiva completamente, le tese una mano e Lizar non si fece ripetere
l’invito la seconda volta.
Arrivò con il naso a meno di un centimetro dal suo
dito e rimase immobile.
«Juna, potresti anche collaborare adesso: che devo
fare?» chiese un po’ spazientita.
«Ritira lentamente la mano.»
Lo fece e si rese conto che Lizar avanzava allo
stesso ritmo con il quale lei ritraeva il braccio.
«Che dannazione sta facendo?» chiese Paul.
«Sta stranamente rispettando la paura di Jennifer»
rispose Patrick. «Possiamo stare tranquilli, i cani hanno capito
perfettamente.»
Quando fra lei e la cagna ci fu meno di mezzo
metro, il che significava che le era anche più vicina di Dragar, Lizar si
spostò improvvisamente verso l’esterno e, aggirandola, si mise di fianco a lei.
«Non riesco a credere ai miei stessi occhi» disse
Georgie. «Da quando quella cagna è qui, e sono ormai quasi sei anni, non c’è
stato verso per me di avvicinarla.»
«Juna, secondo te è il suo modo per dirti che ha
capito?» chiese Madeline.
«Può darsi nonna, purtroppo non sono né
telepatico, né parlo con gli animali» rispose il ragazzo. «Ce la fai ad alzarti
o devo prenderti di peso?» le chiese poi.
Racimolando tutto il coraggio, se così si poteva
anche definire l’incoscienza, che le era rimasto si alzò di nuovo.
«In fondo non è poi così cattiva» disse Michael
seraficamente appoggiato a Dragar.
Amore a prima vista.
«Cerchiamo di capirci, per favore» disse Justin.
«Se i cani da due diventeranno cinque e soprattutto se abbiamo intenzione di
tenerli sempre liberi devo saperlo per avvisare Diana.»
«Al più tardi la prossima settimana, le cose
cambieranno in questo senso» confermò Patrick.
Lizar era tornata al fianco di Juna che chiuse la
gabbia. «Faccio una passeggiata nel parco con i cani prima di rientrare»
annunciò.
«Vengo anch’io!» esclamarono due vocine a caso.
«Melissa, devi andare a letto, è tardi» disse
Ryan.
«Ma papà…»
«Niente ma, i patti sono chiari, ricordi?»
«Michael, preferirei che anche tu andassi a letto
adesso» disse suo padre.
Suo fratello lo guardò per un secondo, poi annuì.
«Può mettermi a letto Jennie?» chiese poi.
All’occhiata di suo padre, fu lei a muoversi.
Andò incontro al fratellino e lo prese in collo,
«Avanti campione, a nanna.»
Gli si contorse lo stomaco nel vedere
l’espressione di Melissa quando Jennifer prese in braccio il fratellino.
Conosceva bene quell’espressione e cosa si
nascondeva dietro: neanche Drake era riuscito a colmare del tutto il vuoto che
un fratello o una sorella aveva sempre lasciato in lui.
Nessuno ne aveva mai parlato, neanche Drake lo
sapeva, e parlando con Justin aveva capito che lui e Georgie avevano appena
intuito quello che aveva passato.
Sapeva che nei piani di sua madre e suo padre lui
neanche avrebbe mai dovuto saperlo e infatti era stato un caso quello che lo
aveva portato a conoscenza del fatto che il giorno della sua nascita era morto
suo fratello.
Gemelli omozigoti. Perfettamente identici, in tutto
e per tutto.
Aveva fatto una serie di ricerche sull’argomento
da quando lo aveva scoperto e aveva imparato tante cose sul fratello, al quale
era stato dato il nome di Jawad Tareq, che non aveva conosciuto.
Avrebbero avuto lo stesso identico DNA e addirittura
le stesse impronte digitali.
Erano mesi che non pensava a lui.
La sua nascita-morte era stata tenuta nascosta
praticamente al mondo intero, Dio solo sapeva il perché, non esisteva il
certificato di nascita né quello di morte, lo sapeva per certo perché quando
aveva avuto la possibilità di curiosare nel computer di Richard, il quale tanto
per fare cifra pari gli aveva anche dato la propria password di accesso, aveva
fatto qualche ulteriore ricerca in vari schedari e archivi e di Jawad non c’era
traccia.
Aveva scoperto della sua brevissima esistenza,
meno di dodici ore, perché a quattro anni aveva avuto per qualche tempo
l’abitudine di nascondersi sotto il letto dei suoi a leggere… si nascondeva
perché in un certo senso pensava di rubare i libri dalla biblioteca e,
ovviamente, non voleva essere scoperto.
Sua madre quel giorno aveva avuto una specie di
crisi di nostalgia per il figlio morto.
L’aveva sentita piangere per delle ore e quando
suo padre era tornato a casa e l’aveva raggiunta in camera, per la prima e
ultima volta aveva sentito nominare Jawad.
Fosse stato un bambino di quattro anni con l’I.Q.
di un bambino di quattro anni, forse non avrebbe neanche capito quello che si
erano detti i suoi genitori, ma essendo già all’epoca in grado di leggere e
capire Il ritratto di Dorian Grey e destreggiarsi con l’andamento della borsa
mondiale…
«Juna?»
Si riscosse.
Sua madre aveva il tono di chi non chiama qualcuno
per la prima volta.
«Cosa?»
«Qualcosa non va?»
Si guardò intorno, «Dov’è Lissa?»
«Sembravi perso su un altro pianeta e Georgie è
riuscita a convincerla a non disturbarti» rispose suo zio Ryan. «Temo però che
per farla dormire dovrai rimandare di qualche minuto la tua passeggiata e
salire a salutarla.»
Movendosi, si rese conto di essersi inconsciamente
spostato mentre pensava a suo fratello e si era appoggiato con la schiena al
tronco di un albero.
«Nessun problema, vado subito.»
Lizar abbaiò vedendolo avviarsi verso casa. «Torno
subito, aspettatemi lì voi due.»
«Forse non parla con gli animali, ma gli animali
lo capiscono alla perfezione» commentò Jeremy osservando i due cani che,
inutile dirlo, si erano accucciati all’istante.
Riuscì a distogliere lo sguardo dal punto dove suo
figlio era sparito e incrociò quello di sua moglie.
Era successo di nuovo.
Juna aveva qualcosa che lo preoccupava fino a
farlo star male, sapeva di non essersi sbagliato: lo aveva visto muoversi fino
al tronco quasi in trance.
Dannazione, cosa stava succedendo?
«Connor.»
Si rivolse verso suo padre, «Dimmi.»
«Stavolta l’ho notato anch’io. Io e tua madre
stavamo pensando di dargli la possibilità di svagarsi un po’… non so, fare un
viaggio… potrebbe andare a trovare i suoi nonni a Los Angeles.»
«Se Juna fosse un po’ meno sveglio e attento
potrei fargli una proposta del genere, ma ti garantisco che adesso mangerebbe
la foglia e comunque se c’è qualcosa che lo preoccupa qui, certamente
non si allontanerà.»
Sentì le braccia di sua moglie cingergli la vita e
automaticamente l’abbracciò.
«Sto cominciando a chiedermi da quanto tempo ha questi…
vuoti» disse Manaar. «Amore, lo hai visto?»
«E se invitassimo Mansur qui?» continuò sua madre.
«Mio padre?» chiese Manaar… come se ci fossero
almeno due Mansur al mondo.
«L’idea è di far distrarre un po’ Juna» le spiegò.
«Sono certo che se c’è qualcosa qui lo preoccupa, sicuramente non partirà.»
«La scusa ufficiale sarebbe che voglio che Jeremy
lo conosca» disse suo padre.
Manaar si agitò, chiaramente a disagio. «Non so
come la prenderebbe Juna, messa così.»
«Che vuoi dire?» chiese suo padre sorpreso.
«Potrebbe vederla come la scusa per far conoscere
Jennifer anche ai miei.»
Silenzio.
Aveva ragione.
«Qualcuno della tua famiglia finisce gli anni?»
chiese sua madre «In questa casa siamo tutti nati fra agosto e aprile» aggiunse
quasi dispiaciuta.
«Beh, mio padre fra un mese finisce gli anni, ma
non ha l’abitudine alle feste.»
«E se gli spiegassimo perché deve farsela venire?»
chiese.
Manaar alzò gli occhi al cielo, «Sarebbe capace di
affittare la Casa Bianca e invitare tutta l’America.»
«Ancora non hai parlato di questo a Mansur» disse
suo padre.
Non era una domanda, era una presa di coscienza
della realtà.
«Ha voglia di scherzare Patrick? Mio padre sarebbe
qui ancora prima che posassi la cornetta… e poi è tutto così confuso. Cosa gli
devo dire? Come gli spiego che mio figlio, suo nipote, sembra essere talmente
preoccupato per qualcosa che a volte mi spaventa? Se mi chiede da quanto va
avanti questa storia, cosa gli dico? Che non lo so? Che me ne sono accorta da
qualche settimana ma chissà? Patrick, lei può capirlo meglio di chiunque altro
l’attaccamento che mio padre ha per Juna, con che coraggio gli dico una cosa
del genere?»
«Zia, zio…»
Tutti si voltarono verso Justin che si era
avvicinato. «Scusate se mi intrometto, ma ho ascoltato quello che stavate dicendo.
Fra una decina di giorni è il compleanno di Diana, Juna potrebbe uscire con
noi, che ne dite di questa scusa?»
Sua madre cambiò letteralmente colore, «Oh Santo
Dio, che testa! La piccola Diana! Stavo per dimenticarmene!»
Justin rise, «Nonna, non te lo sei mai scordato in
cinque anni che io e lei stiamo insieme! Te lo dico io perché non ti è venuta
in mente lei: tu hai pensato a qualcuno che ti permettesse di organizzare una
festa qui in casa e io e Diana siamo sempre usciti fuori a cena per il suo compleanno.»
Evidentemente rincuorata sua madre sorrise, «E’
vero! Beh, si può sempre cominciare no? Fra dieci giorni hai detto? I tempi
sono un po’ stretti, ma potremmo organizzare qualcosa nel padiglione.»
Justin lanciò un’occhiata a lui e per la prima
volta da che quel ragazzo era al mondo lo capì al volo, «Mamma, non è mai
successo di organizzare una festa per Diana qui. Detesto sottolineare l’ovvio,
ma mio figlio non è stupido.»
Madeline McGregory si spense, «E’ vero» ammise a
malincuore.
«Potremmo organizzare una cena a sei» riprese
Justin. «Volente o nolente Jennifer dovrà aiutarmi però. Per Georgie e Gary non
ci saranno problemi, se Gary è a Boston.»
«Ottima idea Justin» concluse suo padre. «Parlane
a Juna appena ti è possibile.»
Capitolo 10 *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 10 ***
Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 10
Non
E’ Mai Troppo Tardi
10
Al suono della campanella fu fra le prime ad
uscire dalla classe: Sharon la stava aspettando nel cortiletto interno.
Aveva decisamente bisogno di parlare un po’ con
l’amica, per ora poteva accontentarsi del quarto d’ora d’intervallo.
Anche la scuola era diventata un campo minato per
lei: da quando le ragazze degli ultimi anni l’avevano collegata a Juna non
aveva più pace.
In quella casa abitavano di norma altre undici
persone, ma agli occhi del mondo lei conviveva con Juna.
Sharon le venne incontro e si abbracciarono.
Era la sua migliore amica da quasi quattordici
anni, benché avesse due anni in più di lei.
Quell’anno aveva la preoccupazione dell’esame di
maturità e un’influenza con quaranta di febbre l’aveva bloccata a letto per due
settimane.
La prima cosa che notò fu che l’amica era ancora
molto pallida. I capelli e gli occhi neri accentuavano ancora di più il
pallore.
«Sei sicura di non essere tornata troppo presto?»
chiese.
«Sto bene. Esco con tre strati di roba addosso,
figurati: sembro la sorellina dell’omino Michelin.»
Rise suo malgrado. «Smettila. Hai perso anche peso
sai?»
«Se n’è accorta anche mia madre… non dovevo
portare la cintura con questi jeans.»
«Sei rimasta molto indietro?»
Fino ad un paio di settimane prima aveva sempre
pensato lei a prendere gli appunti dalla compagna di banco dell’amica e a
portarli a casa di Sharon, ma ormai le ragazze di quarta e quinta erano vere e
proprie mine vaganti per lei.
«Stai tranquilla: hanno interrogato. Come sta
Michy?»
«Sempre meglio, ha molto legato con Melissa.»
«Mi sembrano secoli che non lo vedo, mi manca da
morire. Com’è andata ieri sera?»
Sospirò. Ecco la bomba.
L’uscita per il compleanno di Diana era stato un
colpo basso.
Justin l’aveva praticamente incastrata.
«Devo dire che è andata molto bene. A volte riesce
ancora a spaventarmi… sembra che osservi direttamente il mio cervello quando mi
guarda, però le cose stanno migliorando.»
Sharon intrecciò le braccia al seno, «Dai, è
chiaro che puoi stare tranquilla… almeno fino a quando vivi in quella casa.»
«Che vuoi dire?»
«Anche se non fosse risaputo che è un genio, ci
vorrebbe comunque poco a capire che Juna è un ragazzo intelligente, anche se ha
mire su di te, non farà un passo fino a quando abiterai sotto il suo stesso tetto.
Glielo hai chiesto?»
«Ancora no.»
«Jen, obiettivamente è l’unico che può aiutarti.
La Colgrane mi ha chiesto di te.»
«Cosa?»
«Sa che siamo molto amiche e non riesce a
spiegarsi cosa ti è successo. Non hai mai brillato in chimica, ma almeno
arrivavi alla sufficienza. Non le ho detto niente di Michy, mi sono limitata a
dire che avevi qualche problema in famiglia, ma che mi ero impegnata a non
parlarne.»
«Quest’anno non ce la farò Sharon.»
«Non dirlo neanche per scherzo. Chiedi aiuto a Juna,
saprà sicuramente consigliarti qualche metodo di studio adatto a te.»
Annuì soprappensiero.
«Lo hai visto spesso Drake?»
Sorrise, finalmente un argomento innocuo… almeno
per lei.
«Viene spesso a cena. Cosa ti piace esattamente in
lui?»
Sharon scoppiò a ridere, «Non lo capisci vero?
Beh, il tuo prototipo è Juna!»
«Non è vero!»
«Alto, occhi neri e capelli neri no? Sembra mio
fratello, se ne avessi uno!»
«Ooooh… piantala!»
La colpì scherzosamente ad un braccio e Sharon
rise di nuovo. «Mi piace da tempo immemorabile, lo sai. Non so… immagino sia
l’insieme, è un bellissimo ragazzo, ma mi conosco: fosse solo per quello non
penserei a lui da anni. Da quando poi ci hanno presentato a quella festa è
sempre peggio: ha anche cervello e senso dell’umorismo che Dio mi aiuti.»
«Non mi avevi detto di conoscerlo.»
«Infatti non lo conosco. Ci hanno presentato poco
più di un mese fa ad una festa, abbiamo parlato un po’… probabilmente non si
ricorderà neanche il mio viso. E’ incredibile quante ragazze gli vadano dietro.
Perché non vieni a dormire da me oggi? Domani c’è assemblea e se decidiamo di
andarci ci può accompagnare mio padre, altrimenti ce ne stiamo al calduccio in
casa. Ho voglia di parlare un po’ con te come Dio comanda.»
«Chiederò a mio padre di accompagnarmi.»
Il suono della campanella le fece sussultare.
Sharon fece una smorfia, «Ci vediamo all’uscita.»
Juna si stiracchiò contro lo schienale della
poltrona.
Menomale era già ora di andare a prendere Jennifer
a scuola.
Prese la cornetta e premette il pulsante
dell’intero di suo padre.
«Dimmi tutto.»
«Ci troviamo giù fra cinque minuti?»
«Giù? Oh Santo Dio, fra meno di un’ora Jennie esce
da scuola! Juna non ce la faccio, di’ a Kyle di tornare a prendermi verso le
quattro, ok?»
«Ok papà. Serve aiuto?»
«No, stai tranquillo. Ci vediamo dopo a casa.»
Riattaccò.
Alison era già uscita per andare alla posta e
anche con lei aveva appuntamento a casa per le tre e mezzo… restava solo da
avvisare Kyle che sarebbe sceso.
L’autista era già pronto, quindi si mise la giacca
e uscì per avviarsi all’ascensore che trovò stranamente semivuoto.
Nella hall c’era sempre il vecchio Ronan, un
portiere che era un’istituzione della McGregor Investments, sempre più felice
di vederlo finalmente fare orari cristiani, come li definiva lui.
Non poteva mentire a se stesso: ormai andare a
prendere Jennifer a scuola era diventato un piacevole appuntamento.
Kyle era in piedi accanto alla portiera
posteriore, «Buongiorno signor McGregory.»
«Buongiorno Kyle, sai dove devi andare vero?»
L’uomo gli rispose con un sorriso e un cenno
affermativo della testa, entrò dentro l’abitacolo e sprofondò nel sedile.
Quel pomeriggio non aveva neanche appuntamenti che
lo avrebbero riportato in ufficio.
Arrivarono con pochi minuti d’anticipo.
Disse a Kyle di rimanere al suo posto e uscì dalla
macchina.
Non chiuse la portiera e si appoggiò alla
carrozzeria.
Osservò con attenzione l’edificio.
Non lo avrebbe ammesso ad alta voce per tutto
l’oro del mondo, ma gli era mancato il far parte di quel mondo.
Quel giorno poi era anche curioso di vedere la
reazione di Jennifer dopo la sera prima.
Justin gliela aveva combinata proprio bella.
In un primo momento avrebbe strangolato il cugino,
poi aveva capito che la mossa voleva essere una scusa per portare fuori di casa
lui (effettivamente adesso poteva dire sono uscito con mio cugino),
cercare di convincere Diana che Jennifer non era una minaccia per la loro
relazione e allo stesso tempo mettere a proprio agio Jennifer che ancora
oscillava fra il nervosismo di chi vive nell’attesa che succeda una catastrofe
da un momento all’altro e l’inquietitudine che la sua presenza sembrava creare
in lei.
Il suono della campanella squarciò l’aria.
Decisamente quello era stato un periodo della sua
vita che non aveva vissuto come avrebbe voluto.
Una marea di ragazzi e ragazze si riversò fuori
dall’edificio e s’incanalò verso il cancello.
Con una certa sorpresa mista a piacere notò che,
pur essendo una delle scuole più rinomate di Boston, con tutta una storia alle
spalle, non costringeva i suoi alunni ad indossare una divisa o comunque uno
stemma che li collegasse a vista all’istituto.
La vide subito, ignorando talune occhiate
veramente difficili da equivocare, parlava con una ragazza mora molto carina.
Anche lei lo vide e addirittura da quella distanza
percepì il suo sussulto.
Almeno uno dei traguardi di Justin non era andato
a buon fine.
Lo sorprese il senso di fastidio che quella
situazione gli dava. Non sapeva più che fare con quella ragazza, per come la
vedeva lui aveva messo in chiaro ogni possibile lato della situazione.
Jennifer prese per mano l’altra ragazza e la
trascinò con sé.
«Ciao Juna.»
«Ciao Jennie.»
«Aspetti da molto?» Si limitò ad un cenno negativo
con la testa «Questa è Sharon Castlemain, la mia migliore amica. Direi più o
meno quello che è Drake per te. Sharon, lui è Junayd Kamil Alifahaar McGregory,
tutti lo chiamano Juna.»
Passando sopra la sorpresa nel sentire Jennifer
presentarlo con entrambi i cognomi, la prima impressione che ebbe di Sharon, a
parte l’occhiata al vetriolo che rivolse all’amica, fu una sola parola:
innocua.
Quando rivolse la propria attenzione a lui, vide
un’occhiata di pura valutazione.
«Ciao Sharon» disse tendendole la mano.
Aveva una stretta decisa e insieme leggera, «Ciao Juna.»
Notò allora anche un’altra cosa: era molto
pallida.
«Tutto bene Sharon?» chiese.
«Più o meno. Sono così pallida perché ancora non
sono uscita del tutto dall’influenza.»
«C’è qualcuno che ti viene a prendere? Possiamo
accompagnarti a casa noi.»
Sharon lo guardò sorpresa, Jennifer addirittura
scioccata.
«Non importa Juna, grazie del pensiero.»
«No, ha ragione invece, non so come ho fatto a non
pensarci da sola» disse Jennifer. «Entra in macchina.»
Gli rivolse un sorriso che tradusse senza
problemi: grazie.
Non ci aveva pensato da sola perché quella ragazza
era costantemente cosciente di non essere in casa sua e di non viaggiare nella
sua macchina.
Entrò in macchina dietro le ragazze. «Dove abiti
Sharon?»
Avuto l’indirizzo lo passò a Kyle.
«Grazie Juna, sei molto gentile.»
Le fece segno di non pensarci e si concentrò su
quello che passava fuori dal finestrino.
«Quando pensi di poter essere da me?» continuò
Sharon.
«Verso le quattro e mezzo?» propose Jennifer.
Un secondo prima Juna stava guardando fuori dal
finestrino, il secondo dopo la stava guardando.
Sentì di aver detto o fatto qualcosa di sbagliato
e l’attimo dopo capì anche che cosa.
Fu il lampo di preoccupazione negli occhi
del ragazzo a riportarla alla realtà.
Come si poteva essere così idioti?
«Shasha… non posso venire da te.»
«Come mai?» chiese Sharon stupita.
Capì che non le era sfuggito lo scatto di Juna e
visto che si era guardata bene dal dirle la vera causa del suo trasferimento a
villa McGregory, avrebbe potuto pensare chissà che cosa.
Capì di essere in trappola.
Sospirò profondamente.
«Per favore Juna, spiegale tutto tu.»
Juna la guardò sorpreso. «Non lo sa?»
chiese incredulo.
«Non so cosa?» chiese Sharon
improvvisamente sul chi vive.
«Aspetta un attimo Sharon» disse Juna. «Jennie,
guardami.» Quando gli ubbidì, chiese semplicemente, «Come le hai spiegato il
fatto che hai lasciato casa tua?»
«Mio padre ha deciso di aggiungere un sistema
d’allarme e quindi a causa dei lavori non potevamo abitarci.»
«Non è vero??» esplose Sharon. Si rivolse a Juna,
«Qual è il vero motivo??»
Juna staccò gli occhi da lei per lanciare
un’occhiata a Sharon, poi tornò a guardare lei, «Jennie, sai che dirò la verità
senza giri di parole, vero?»
«Io comunque non ne avrei il coraggio. Pensi che
non ci abbia provato? Ma stava male, poi ha la preoccupazione dell’esame…»
«Flalagan, prima che ti strozzi: cosa mi hai
nascosto?»
«Sa almeno del rapimento di Michael?» chiese Juna.
Al suo cenno affermativo lo sentì sospirare, «Ok
Sharon, ascoltami.»
Sharon si voltò verso di lui e istintivamente si
protese in avanti come per avvicinarsi a lui. «Jennifer e la sua famiglia si
sono trasferiti a casa mia perché quando Michael è ricomparso a casa l’F.B.I.
ha dato chiaramente ad intendere che fino a quando quella legge non verrà
firmata nessuno di loro quattro è al sicuro. Potrebbero cercare di riprendere
Michael, ma potrebbero anche cercare di prendere Sarah o Jennie.»
Vide Sharon voltarsi verso il finestrino, poi
chinarsi su se stessa e coprirsi gli occhi con una mano.
«Se non ti ammazzo io, arrivi ai cent’anni
volando» disse poi. «Jennie per l’amor di Dio, cosa hai in quella testa? Questo
mi sembra un particolare piuttosto rilevante, non pensi?»
«Non volevo che tu ti preoccupassi.»
Sharon stava per dire qualcosa ma si bloccò. «Beh,
mi sembra evidente che meno vai in giro e meglio è. Dovremo rimandare.»
«Puoi venire tu da noi.»
Per la seconda volta in meno di un quarto d’ora Juna
la spiazzò.
Un pensiero che le mozzò il fiato le attraversò il
cervello: forse a Juna piaceva Sharon?
«Io non credo che…» cominciò Sharon.
«Sharon, ho davvero l’aria di uno che morde?»
Sharon sorrise, «Direi di no, almeno spero.»
«Ottimo, in famiglia siamo tutti così. Beh, più o
meno. Fissa con Jennie, ti farà piacere rivedere anche Jeremy, Sarah e Michy.
La stanza di Jennie è abbastanza grande per tutte e due.»
Sentì la sua migliore amica sospirare, «Beh, è
un’occasione d’oro: domani vedrai che non andremo a scuola.»
«Come mai?» chiese Juna interessato.
«Assemblea d’istituto. Sai di cosa parlo.»
«Veramente no: non è mai andato a scuola prima di
entrare in una università» le uscì dalla bocca ancora prima di pensarla.
Juna le lanciò un’occhiata divertita, «Volete
illuminarmi fanciulle?»
Sharon era ancora a bocca aperta, «Che significa
che non sei mai andato a scuola?»
Juna tornò a guardarla, «Tocca a te Flalagan. Tu
hai cominciato e tu finisci.»
Se l’era proprio cercata.
In breve le spiegò quello che aveva messo insieme
dai racconti di tutta la famiglia McGregory… alla fine Juna sembrava sorpreso.
La cosa le dette un’inspiegabile soddisfazione.
«Roba da non credere» fu il commento di Sharon.
L’auto si fermò e Juna lanciò un’occhiata fuori
dal finestrino, «Credo che siamo arrivati a casa tua Sharon.»
La portiera si aprì.
«Allora ci vediamo più tardi» le disse. «Ti
accompagnerà tuo padre?»
«Nessun problema, facciamo verso le cinque… dove
abiti Juna?»
Mentre Juna le dava l’indirizzo si rese conto che
lei non lo sapeva. Individuava casa di Juna come Villa McGregory, non come un
numero civico in una via.
Rimasti soli la macchina ripartì e si concentrò
sulla tappezzeria. «Grazie per Sharon.»
«Non devi ringraziarmi. So di averti ricordato
qualcosa di spiacevole.»
Adesso o mai più.
«Deve… deve essere stato facile per te studiare.»
Sentì quello sguardo posarsi su di lei. «Se per facile
intendi veloce, sì. Sono sempre stato definito al di sopra della
media. Con il tempo la cosa è diventata quasi una barzelletta, te ne sarai
accorta sentendo parlare i miei.»
«Devo chiederti un favore Juna, forse è già troppo
tardi, ma non posso non provare.»
«Di cosa si tratta?»
«Del mio rendimento scolastico.»
Il più brevemente possibile gli spiegò come il
rapimento di Michael l’avesse rinchiusa sotto una specie di campana di vetro e
quando quella campana si era infranta aveva trovato ad attenderla una pagella
disastrosa.
«So che i miei non ne farebbero una tragedia anche
se bocciassi, perché hanno visto in prima persona quello che ho passato, ma so
che mio padre ci starebbe comunque male. Si sente già in colpa per non essere
stato in grado di impedire che Michael venisse rapito, sarebbe capace di vedere
una mia bocciatura come un suo ulteriore insuccesso. Non so come
spiegarti.»
«Ti sei spiegata alla perfezione Jennie. Quanto
manca alla fine?»
«Fra tre mesi e mezzo ci sono gli scrutini
finali.»
«Quante materie hai lasciato indietro?»
«Chimica, fisica, francese e greco.»
«Mh, per il francese non ci sono problemi, per le
altre materie dovrò dare un’occhiata ai libri di testo prima di sperare di
aiutarti.»
«Vuoi dire che mi aiuteresti?»
«Sto dicendo che ti aiuterò, senza condizionale.
Perché non dovrei?»
Bella domanda.
«Mi… mi è sembrata un’impresa disperata da subito,
non credevo che…»
«Flalagan, mi hai appena detto una bugia, ma ci
passerò sopra per questa volta.»
«Oh uffa.»
Lo sentì ridacchiare e non riuscì a trattenersi
dal seguirlo.
Forse era solo lei a complicarsi la vita.
Alle quattro e mezzo era già appostata al cancello
con Cocoon accanto, ovviamente si era scordata di avvisare Sharon dell’esercito
di cani da guardia che infestava il parco.
Sospirò accarezzando distrattamente la testa del
cane.
Non era l’espressione giusta: una volta rotto
il ghiaccio ci aveva messo poco ad accettare la vicinanza degli animali…
anche di Lizar.
La vicinanza di Cocoon le dava sicurezza.
All’improvviso il cane accanto a lei ebbe uno
scatto, il suo corpo s’irrigidì e la sua attenzione si concentrò verso destra.
Sentì il rumore del motore e vide la macchina.
Sharon scese e si voltò a salutare chi stava alla
guida.
Aveva visto Aaron Castlemain una dozzina di volte
in quindici anni che conosceva Sharon e quell’uomo le aveva sempre dato
un’impressione di mistero.
Aveva l’aria di una persona abituata a comandare,
aveva un aspetto severo, quasi marziale, ma era anche una persona estremamente
gentile e adorava la moglie e la figlia.
Sharon le aveva detto solo che era un uomo
d’affari e con il tempo aveva capito che non le aveva detto di più perché non
sapeva altro.
Spariva per mesi interi e allora Sharon sentiva
molto la sua mancanza, perché come lei era legata profondamente al padre e
quando aveva visto Aaron insieme a Corinne, la madre di Sharon, aveva avuto
l’impressione di due persone che si amano profondamente.
Lo vide fare un gesto di saluto verso di lei e
rispose.
Sharon del padre aveva ripreso lo sguardo e la
testardaggine, stando a Corinne… indubbiamente sul piano fisico era una fotocopia
della madre.
La sua migliore amica si sistemò meglio lo zaino
sulle spalle e si avvicinò al cancello.
«Jennie, sai che hai accanto un cane?» le chiese
all’improvviso.
«Si chiama Cocoon. Ce ne sono altri quattro.»
«Ah davvero? Me lo sono sognato o tu fino a ieri
avevi un sacro terrore di questi adorabili animali?»
Le aprì la porticina al lato del cancello e Cocoon
le fu subito accanto annusandola.
Sharon adorava i cani.
«Dio, che esemplare splendido.»
«Sono tutti bellissimi.»
Si avviarono verso casa lungo il viale alberato.
«Sai quanto ci ho messo a convincere mio padre che
era questa la casa?»
«Tua madre ha fatto storie?»
«No, figurati, è stato sufficiente dirle che ci
saresti stata anche tu e la tua famiglia. Piuttosto, mi sa che mio padre
conosce qualcuno qui… e mi sa tanto che è Juna questo qualcuno.»
«Mah, se ci pensi è possibilissimo. Tuo padre è un
uomo d’affari no?»
«Hai una logica di ferro Flalagan.»
«Antipatica.»
«Dove stiamo andando?»
«Per prima cosa molli tutto in camera, poi andiamo
nel gazebo da Juna. C’è anche Micky e mio padre con lui. Ti avverto che
resterai senza fiato dentro la villa, ci sono cose stupende.»
«I McGregory sono ricchi sfondati, lo sanno anche
i muri. Ah, tua madre?»
«Di solito passa il pomeriggio insieme a Madeline,
la nonna di Juna, Manaar, sua madre, Lennie ed Elisabeth, le zie.»
Il suono del clacson le fece letteralmente saltare
in aria.
Una ferrari nera si fermò accanto a lei e la voce
di Drake suonò divertita. «Scusate, non volevo farvi paura.»
Sharon riconobbe istantaneamente la voce perché la
incenerì con lo sguardo.
Mentre lei cercava di farle capire in uno pseudo
alfabeto muto che non sapeva niente della presenza del ragazzo, Drake uscì
dalla macchina, «Volete un passaggio fino all’entrata? Non sarà molto comodo,
ma tanto la strada da fare è poca» senza aspettare di sapere se loro fossero o
meno d’accordo risalì in macchina e spalancò la portiera dalla loro parte.
Sharon salì dopo di lei sistemandosi praticamente
in collo… menomale erano di costituzione piuttosto esile tutte e due.
«Cocoon?» chiese mentre Sharon chiudeva in qualche
modo la portiera.
«Arriverà prima di noi, conosce questa proprietà
ad occhi chiusi. Probabilmente raggiungerà Juna, ovunque lui sia. Come va
Jennie?» chiese Drake ripartendo.
«Bene, grazie, tu?»
«Come al solito. Ciao Sharon, ti chiami Sharon
vero?, è da un po’ che non ci vediamo.»
Si ricordava di lei.
Sharon non sembrava molto contenta della cosa.
«Ottima memoria Drake, ciao.»
«Come mai da queste parti?»
«E’ la mia migliore amica. Resta a dormire qui con
me» rispose lei per tutte e due.
Questa volta Sharon l’avrebbe uccisa. «Non sapevo
che oggi saresti stato dei nostri» aggiunse tanto per cercare di salvare il
salvabile.
«L’abbiamo deciso… pardon: l’ha deciso
mezz’ora fa, ormai dovresti sapere che uno dei pregi più evidenti di Juna è la
democrazia. Che tu sappia è sempre al gazebo vero?»
Gli annuì.
In meno di un minuto arrivarono davanti
all’ingresso. «Avete in programma di andare al gazebo anche voi?» continuò il
ragazzo dando le chiavi a Kyle dopo averlo salutato con un sorriso.
Entrarono in casa.
«Sì. Ci aspetti?» chiese di rimando lei.
«Certamente.»
Sharon Castlemain.
Tutto si sarebbe aspettato fuorché di trovarla a
casa di Juna.
Ormai si era quasi rassegnato all’idea di averla
persa di vista, erano mesi che non la incrociava a nessuna festa… esattamente
da quando era finalmente riuscito a farsela presentare dalla cugina di sua
madre.
La migliore amica di Jennifer, era tutta da
ridere.
Se possibile era anche più bella di quello che ricordava…
un po’ troppo pallida a volerla dire tutta, ma…
«Ciao Drake.»
Si guardò intorno alla ricerca del proprietario
della voce, alla fine abbassò lo sguardo e vide Michael.
Era così perso nei suoi pensieri da non
distinguere la voce di un bambino da quella di un uomo, andava proprio bene.
«Ciao campione, come stai?»
«Bene, sono venuto a prendere Poppy.»
Inquadrò un cagnolino di peluche grosso quanto un
pallone da calcio in mano al bambino, che lo teneva per un orecchio, ed evitò
le domande due e tre (Poppy? Chi è Poppy?) per passare alla numero
quattro. «Non penserai di presentarlo a Dragar vero?»
Michael rise, «Credo che se lo papperebbe in un
boccone… no, devo darlo ad Howard che lo mette in lavatrice, di natura è bianco
neve» aggiunse sollevandolo.
Il colore attuale di Poppy andava dal grigio tenue
al nero.
«Ah, capisco.»
Apparve Howard, «Buonasera signor Tyler.»
«Quando mi farai il regalo di chiamarmi Drake?»
Era una specie di missione per lui e Juna ormai.
Howard sorrise scuotendo la testa. Nel frattempo
quell’uomo aveva trovato il modo di farsi rimbalzare la loro missione addosso.
«E’ questo Poppy?» chiese Howard a Michael.
Il bimbo glielo passò annuendo.
L’uomo controllò subito l’etichetta e sorrise… da
quando Howard sorrideva così spesso? «Perfetto, si può mettere in
lavatrice.»
«Shasha! Shasha!» esplose all’improvviso Michael
fiondandosi verso le scale.
Si voltò appena in tempo per vederla scendere di
corsa gli ultimi gradini in un trionfo di capelli neri al vento e gettarsi in
ginocchio a terra con le braccia aperte, «Il mio pulcino! Micky, Dio quanto mi
sei mancato!»
Michael le gettò le braccia al collo. Rimasero
abbracciati per un tempo indefinito.
Alla fine Sharon lo allontanò appena da sé e gli
accarezzo il viso, «Lo sai che sei cresciuto?» chiese con le lacrime agli
occhi.
«Mi sei mancata tanto anche tu sai? Come stai
adesso?» chiese il bambino con le manine affondate fra i capelli della ragazza.
«Molto meglio, da una settimana non ho la febbre e
oggi sono tornata a scuola. Sai dove sono la mamma e il papà?»
«La mamma è nel salotto con Manaar, Lennie,
Elisabeth e Madeline, papà è nel gazebo con Juna, Lissa, Connor, Patrick,
Dragar, Lizar…»
«Micky, diciamo con i cani e facciamo
prima?» lo interruppe.
Michael si voltò verso di lui e lo gratificò di un
sorriso, «Già, sono cinque in tutto.»
Sharon si voltò verso Jennifer, «Propongo di
salutare tua madre per prima, poi andremo fuori.»
Jennifer annuì e toccò a lui fare strada.
Quando entrarono nella stanza Sarah balzò in piedi
e si fece incontro a Sharon. «Ciao Sharon, che piacere rivederti! Come stai?»
«Adesso molto meglio Sarah, grazie.»
«Sei sicura? Sei così pallida…»
«Fino a una settimana fa avevo anche la febbre a
quaranta, quindi adesso sto da Dio al confronto.»
«Juna e Jennie mi hanno detto che resterai a
dormire qui stasera, domani con la scusa dell’assemblea voi due avete già
deciso di far festa eh?»
Sharon tirò fuori un’espressione assolutamente
irresistibile che lo inchiodò a terra, «Che vuoi Sarah? E’ l’unica occasione
per la quale mia madre non fa storie!»
«Come sta Connie?» continuò Sarah «Mi sembra un
secolo che non la vedo.»
«Mamma sta bene, papà anche. E’ stranamente a
casa, riparte fra qualche giorno. Vi salutano.»
«Vuoi salutare Jeremy? E’ nel…»
«… gazebo con Juna, Lissa, Connor e la tribù a
quattro zampe» terminò lui.
Sarah gli sorrise, «Vi avverto quando la merenda è
pronta.» Si bloccò di colpo e si tirò una leggera manata sulla fronte, «Dio che
testa! Sono così contenta di vederti che ho scordato le buone maniere!»
Si voltò verso la stanza e fece le presentazioni.
Quando riuscirono ad uscire di lì, Sharon si
rivolse a Jennifer, «Non ho avuto il minimo problema ad inquadrare la madre di Juna,
quel ragazzo è la sua fotocopia al maschile.»
«Ha ripreso il meglio da entrambi, vero Drake?»
disse Jennifer.
«Indubbiamente.»
Uscirono dalla porta principale e si trovarono a
tu per tu con tre cani.
A occhio e croce erano Dragar, Cocoon e Venusia,
ma non era pronto a giurarci.
Michael abbracciò subito quello che era
sicuramente Dragar e Jennifer venne affiancata da Cocoon.
«Ciao Venusia, ti ricordi di me?» chiese alla
cagna che fatti tre passi verso di lui cominciò ad annusarlo.
«Pensi che non ti riconosca?» chiese Sharon.
«Dragar e Lizar sono sempre stati qui, mi
conoscono bene ormai, Venusia, Indios e Cocoon sono qui da qualche settimana…
diciamo come rinforzo.» La cagna nel frattempo aveva stabilito che le
stava simpatico e aveva cominciato a leccargli la mano, «Quindi preferisco
andare sul sicuro.»
«Capisco.»
Qualcosa nella voce della ragazza gli fece alzare
lo sguardo.
«Non mi perdonerai mai vero?» chiese Jennifer.
Si era perso qualcosa.
«Sai cosa mi ha combinato la mia migliore amica?»
gli chiese Sharon. Senza aspettare la sua risposta continuò, «Non mi ha detto
che si è trasferita qui perché rischia in pratica la vita.» Si rivolse a
Jennifer, «Io sono incazzatissima con te. Me l’ha dovuto dire Juna, ti rendi
conto?»
«Forse non voleva farti preoccupare?» cercò di
andare in aiuto di Jennifer.
«Tu nasconderesti qualcosa di così grave al tuo
migliore amico?» chiese lei «Se per assurdo la tua vita fosse in pericolo, lo
nasconderesti a Juna?»
Aveva fatto di peggio, ancora non riusciva a
credere di essere stato capace di tanto: aveva nascosto per quasi due settimane
che entrambe le loro vite erano in pericolo, ma come fare a dirle che la
sua vita e quella di Juna erano ancora in pericolo e all’inizio Juna non
lo sapeva?
«Il giorno che per assurdo mi troverò in una
situazione del genere te lo saprò dire. Quando una persona vuole bene ad
un’altra è capace di qualsiasi cosa.»
Sharon lo guardò come se fosse fosforescente… e ci
credeva.
Cosa stava succedendo? Non gli era mai pesato
nascondere la sua doppia vita fino ad allora.
«Se tu vuoi a Jennifer la metà del bene che io
voglio a Juna, saresti capace di nasconderle il Sole se questo le fosse utile,
o no?» continuò «Capisco che tu sia incazzata, perché se Juna si azzardasse a
nascondermi anche il solo fatto di non sentirsi bene… beh, non so se tu sei
coetanea di Jennie o più grande o addirittura più piccola di lei, ma Juna ha
due anni in meno di me ed è da quando è al mondo che è il mio giocattolo
preferito, vale a dire che posso smontarlo solo io. Chiunque altro si deve solo
provare a toccarlo.» Fece una breve pausa, «Non so se ho reso l’idea.»
Sharon rimase ancora in silenzio per qualche
secondo, poi affondò le mani nelle tasche dei jeans «Alla perfezione: ho due
anni in più di Jennie. Non avevo pensato alla cosa in questi termini.» Si
rivolse a Jennifer «Devi un grosso favore a questo ragazzo» l’avvisò.
Jennifer sorrise, «Sono una squadra vincente
questi due, te ne accorgerai. Praticamente ragionano con lo stesso cervello.»
Non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere, «Sì,
quello di Juna!»
Mentre le due ragazze lo seguivano nella risata,
si sentì tirare i jeans e abbassò lo sguardo.
Michael gli sorrise e gli tese le braccia.
Automaticamente lo prese in collo, «Ok fanciulle,
che ne dite di raggiungere gli altri al gazebo?»
Quando alzò casualmente lo sguardo e inquadrò il
gruppetto che si stava avvicinando, sentì un vero e proprio concerto di
campanellini d’allarme.
Poche volte aveva visto quell’espressione negli
occhi di Drake: guardava così le persone che lo interessavano.
Anche un cieco si sarebbe accorto che la fonte di
tanto interesse fosse Sharon e che quell’interesse fosse ricambiato era
altrettanto evidente.
«Oh, ecco Sharon!»
esclamò Jeremy.
«Figlio mio, Drake mi sembra abbastanza preso…
dici che è il caso di avvisare la fanciulla?» chiese suo padre.
«Pensi che ti starebbe ad ascoltare?»
Suo padre scosse la testa divertito, «Se Drake si
fidanza prima di te, chi la sente tua madre?»
«Drake sicuramente si fidanzerà prima di
me: è più vecchio.»
Alison gli rivolse un’occhiata divertita, Jeremy e
suo nonno stavano seguendo lo scambio di battute con crescente interesse.
«Buonasera!» salutò Drake appena entrò nel gazebo
«Salve Mac, come va?»
«Da Dio, tu?»
«Divinamente. Ali, ancora qui a lavorare?»
Nel frattempo Sharon stava abbracciando Jeremy.
«Sto aspettando Steve, mi viene a prendere lui.»
«Ciao Juna» lo salutò
Sharon.
«Ciao Sharon, ben arrivata. Lei è la mia
segretaria, Alison Colemann, lui è mio padre Connor, mio nonno Patrick e lei è
la puffetta di casa, Melissa.»
Appena Melissa ebbe la possibilità di avere
l’attenzione di Sharon, le fece una domanda che nessuno si sarebbe mai
aspettato.
«Ciao Sharon, sei fidanzata?»
Sharon sorrise sorpresa, «Al momento no, perché?»
«Mia nipote sta organizzando il suo avvenire come
direttrice di un’agenzia matrimoniale» le spiegò suo padre, forse rendendosi
conto solo in quel momento dell’errore che aveva fatto commentando l’interesse
di Drake per quella ragazza.
«Sharon, hai paura dei cani anche tu?» chiese suo
nonno cercando un argomento innocuo.
«Li adoro. Ho già conosciuto Cocoon, Dragar e
Venusia.»
«Lizar è sotto il tavolo attaccata a Juna» disse
suo padre, «Indios sarà andato a sgranchirsi un po’ le zampe.»
«Buonasera a tutti.»
Alison scattò in piedi, «Stephen!»
«Vi presento Stephen O’Neil, il fidanzato di
Alison. Stephen, mio padre e mio nonno già li conosci. Lui è Jeremy Flalagan,
sua figlia Jennifer, suo figlio Michael, Sharon Castlemain, Drake Tyler… e
questa è Melissa, mia cugina.»
Stephen salutò tutti con un cenno della testa,
«Ciao Juna, come va?»
Si strinsero amichevolmente la mano. «Bene,
grazie. Tu?»
«Tutto bene. Menomale Ali mi ha spiegato bene la
strada, mi sarei perso altrimenti.»
«Beh, tutti sanno dov’è Villa McGregory» disse
Jeremy.
«Io parlavo del percorso dal cancello a qui.»
Tutti risero divertiti.
«Ti va un caffè?» chiese suo padre.
«Dobbiamo scappare, i miei genitori ci aspettano
per andare al cinema e poi a cena. Grazie lo stesso.»
«Sei tu che sposerai Alison?» chiese Melissa.
Stephen la inquadrò e sorrise, «Il piano è
questo.»
«Quanti anni hai?» continuò Michael.
«Quasi trenta.»
Jeremy si rivolse a suo nonno, «Pat, questi due
sono veramente tremendi!»
Juna si alzò, «Vi accompagno alla porta.»
Lizar spuntò da sotto il tavolo, sbadigliò, si
stiracchiò e, dopo essersi guardata intorno, si attaccò di nuovo a Juna.
«E’ un esemplare fantastico» disse Sharon quasi
con reverenza. «E’ un maschio o una femmina?»
«Femmina, si chiama Lizar» rispose suo nonno.
«E’ una creaturina simpatica» commentò Drake,
«tutta il suo padrone.»
«Ha un aspetto molto feroce» disse Stephen.
Drake lo guardò e sorrise, «E secondo te a cosa alludevo
quando ho detto che è tutta il suo padrone?»
Connor e Patrick cominciarono a ridacchiare
seguiti in pratica da tutti, Juna rivolse al suo migliore amico un’occhiata
rassegnata, «Tyler, sei in una delle tue solite giornate felici, vero?» Si
rivolse a lei e a Jennifer, «Cercherò di lasciarvi con lui il meno possibile,
promesso. Nonno, papà, Jeremy, le affido a voi.»
Dopo i saluti si allontanò con Stephen ed Alison.
Drake sorrise, «So che sembra incredibile adesso,
ma ci vogliamo bene.»
«Sedetevi ragazzi» disse Connor.
Presero posto e Jeremy prese in collo Michael.
«Allora, voi due avete stabilito di non andare a scuola domani» esordì.
«C’è assemblea papà, sai che è una perdita di
tempo» disse Jennifer.
«Papà, posso rimanere a casa anch’io con Jennie e
Shasha?» chiese Michael.
«Oh ti prego Jeremy!» esclamò Melissa «Quando lo
chiederò a papà se tu hai detto di sì lo dirà anche lui!» Si rivolse a Michael,
«Posso rimanere anch’io con te?»
Gli sguardi di Connor e Drake si incrociarono.
«Michael, sentiamo cosa dice la mamma, va bene?»
prese tempo Jeremy.
Ricomparve Juna come partorito dalla Terra.
«Allora Mac, che mi racconti di bello?» chiese
Drake.
«Che sto iniziando a lavorare al bilancio di metà
esercizio.»
«Vuoi farmi un favore? Non starci sopra dodici ore
al giorno, chiamami e in sei ce la caviamo entrambi, ok?» Si rivolse a Connor
«Tuo figlio ha dei ritmi folli.»
«Come procede la laurea Drake?» chiese Patrick.
«A passi da gigante quando riesco a coinvolgere
suo nipote. Mancano quattro esami e la dannata tesi.»
«Hai preso anche tu medicina?» chiese Sharon.
«Hai voglia di scherzare? Di pazzi di quel genere
in famiglia ne basta uno. La mia parte di follia è sfociata nella scelta di
prendere economia e commercio.»
«Questo ragazzo diventerà il braccio destro di mio
nipote in seno alla compagnia quando Connor deciderà di andare in pensione»
disse Patrick. «Quando Justin sarà in grado di prendere in mano il lato legale,
niente e nessuno li potrà fermare.»
«Ti sei già organizzato per i prossimi
cinquant’anni eh Pat?» chiese Jeremy divertito.
«Non avrei potuto fare di meglio.»
«Patrick, mio padre lo sa già che intende
adottarmi?» chiese Drake con una calma ammirevole dopo averlo studiato con
interesse… e aver rivolto a Juna un’occhiata che diceva io e te dobbiamo parlare!
«Brian è un uomo intelligente. Avrebbe opposto
molta più resistenza alla tua scelta se non avesse saputo che il tuo futuro era
già assicurato.»
«Nel senso che mi avrebbe tolto la parola per un
anno invece che per soli sei mesi?»
Tutti scoppiarono a ridere, Connor scosse la
testa, «Dio li fa e poi li accoppia: questi due non potevano essere meglio
assortiti.»
«Se ti può consolare io e tuo figlio la pensiamo
alla stessa identica maniera riguardo le nostre rispettive madri» riprese
Drake. «Dev’essere genetico. E comunque non stavo scherzando, mio padre
all’inizio non l’ha presa affatto bene.»
«Cosa fa il tuo papà?» chiese Michael.
«E’ uno dei chirurghi estetici più famosi del
mondo» rispose Patrick.
«Sharon, cosa fa tuo padre?» chiese Connor.
«Si definisce un uomo d’affari e non so molto di
più.»
«Aaron Castlemain» disse Jeremy, «lo avete sentito
nominare?»
Connor e Juna si guardarono, poi scossero la
testa.
«Ah, aspetta!» disse Patrick «Il nome non mi è
nuovo… è uno del nostro ambiente? Forse uno di quelli che noi definiamo privati,
nel senso che si occupano di un ristretto numero di clienti, una cerchia
d’elite di cui si può entrare a far parte solo se sei amico di chi già è
dentro.»
«Io non l’ho mai sentito» disse Juna.
«Strano» disse Sharon. «Mi ha accompagnato lui qui
oggi e quando gli ho detto dove andavo mi ha dato l’impressione di conoscerti…
non sapevo il nome di tuo padre o di tuo nonno e gli ho dato il tuo. Non ha
fatto storie per darmi il permesso di passare la notte qui e ha convinto la
mamma.»
«Forse sei entrato in contatto con lui tramite uno
dei suoi clienti che è in affari con uno dei tuoi» disse Drake. «Non puoi
ricordarti sempre tutto Mac, in fondo sei un essere umano anche tu.»
«E’ la spiegazione più logica» convenne Patrick.
«La prima o la seconda parte?» chiese Juna.
Risero tutti divertiti.
«Ho un’idea, perché voi ragazzi non andate a fare
un giro nel parco mentre io e mio padre finiamo qui?» propose poi Connor «Fate
sgranchire le zampe ai cani e fate vedere i dintorni alle ragazze.»
«Ecco da chi ha ripreso la genialità questo
ragazzo!» esclamò Drake.
Appena si furono allontanati dal gazebo, Drake
riprese la parola come se stesse commentando un quadro, «L’unica cosa che mi
frena dall’ucciderti, Juna, è che dovrei ammazzarne tre in una botta sola… e
queste due non si meritano una fine del genere. Ti ha dato di volta quel tuo
geniale cervello o ti è semplicemente sfuggito di rendermi partecipe di cosa
aveva in mente tuo nonno?»
Juna fu l’unico che riuscì a non ridere, «L’ho
saputo quando sono andato a pranzo con lui Drake… e questa era una cosa che
doveva dirti lui.»
«E’ da quando hai cominciato a parlare che mi
chiedo cosa posso aver combinato di così grave in una vita precedente per
meritarmi uno come te.»
«Oh avanti Drake, adori Juna, è evidente» disse
Jennifer. «La vostra amicizia è leggendaria!»
«E lui non perde occasione per approfittarsene
vergognosamente. Parola mia, non riesco a crederci!»
«Mio nonno ce l’ha combinata proprio bella Tyler,
te lo concedo.»
Drake alzò gli occhi al cielo fra le risatine di
Sharon e Jennifer «Così adesso mi tocca laurearmi con il massimo dei voti per
tenere alta la media della società.»
«Dovevi già laurearti con il massimo dei voti per
salvare la testa con tuo padre. Rimani a cena?» continuò Juna.
«Quando mia madre mi vede partire per casa tua,
automaticamente mi esclude dalla tavola!» fu la risposta «Credo che a breve se
non mi do una regolata mi ritroverò direttamente fuori di casa!»
Quando parlava di sua madre, quel ragazzo dava il
meglio di sé: un’altra cosa che li accomunava.
«Beh, lo spazio qui non manca…» fu il commento di Juna.
«Ah, figurati… sai cosa ha fatto mio padre? Questa
devo proprio raccontartela, è la novità di cui ti parlavo al telefono!
Stranamente è a casa da una settimana di fila e ieri a cena, cogliendo
l’occasione che ci fossi anch’io, mi ha informato di quale sarà il mio regalo
di compleanno.»
«Finisci gli anni?» chiese Jennifer.
«A novembre arrivo finalmente a quota ventuno!»
«Cosa ti regala?»
«Un appartamento. Un attico, per la precisione.
Credo che stavolta mia madre chiederà il divorzio.»
Juna scoppiò a ridere, «Non ci credo!!!»
«Ti giuro! Le chiavi me le consegnerà
definitivamente il giorno del mio compleanno, ma stamani me le ha date per due
giorni per farmi dare un’occhiata al regalo e domani lo vado a vedere! Vieni
con me Mac?»
«Non me lo perderei per niente al mondo!!»
Drake scosse la testa… «Non mi ci trasferirò
subito, non prima del mio compleanno comunque… mi ci vorranno dai sei mesi ad
un anno per abituare all’idea mia madre… se basteranno. Anche mio padre ha
lanciato la bomba con un certo anticipo, come si può notare. Magari
potremmo passarci i fine settimana, eh Juna? Così anche Manaar vorrà la testa
di mio padre!»
«Il massimo sarebbe se l’idea ispirasse in qualche
modo anche il padre di Juna…» commentò Sharon.
Drake la guardò un attimo, «Io e Juna ci
ritroviamo orfani in quanto te lo dico! Tu non conosci il duo Jessica-Manaar.»
Juna sorrise e scosse la testa, «A parte il fatto
che ho ancora un paio d’anni davanti a me… e mio padre ha un istinto di conservazione
di tutto rispetto…» seguirono risatine divertite, «la situazione della mia
famiglia è completamente diversa da quella di Drake. Guardatevi intorno: questa
è la casa dei McGregory. Forse Georgie ne uscirà, seguendo Gary una volta
sposata, ma Justin porterà qui Diana.»
Seguì un breve silenzio, poi la voce di Sharon si
levò calma e tranquilla, «E tu?»
«Io sono troppo giovane anche solo per pensarci.»
«Intendevo chiederti se asseconderai tuo nonno.»
Juna respirò profondamente, «Chi vivrà, vedrà.»
«Già che siamo in argomento Mac, io devo
assecondarlo?» chiese Drake «Guarda che almeno su una cosa non stavo scherzando
prima: questa potrebbe essere una realtà con la quale potrei fare parecchia
fatica a scendere a compromessi.»
Juna scosse le spalle, «Te l’ho detto che la
compagnia è passata interamente sotto il controllo mio, di mio padre, dei miei
zii e dei miei cugini?»
Drake lo fissò per qualche secondo, cercando evidentemente
di appurare se stesse scherzando o facesse sul serio, quando stabilì che faceva
sul serio, sorrise e si rivolse alle due ragazze, «Se vi fa impressione il
sangue, vi consiglio di allontanarvi.»
Quei due facevano proprio una bella squadra.
Due bellezze totalmente opposte e complementari,
stesso senso dell’umorismo.
«Mi devo essere scordato di aggiornarti Drake»
prese atto Juna.
Drake si limitò a fissare il proprio migliore
amico in un modo che lei, al posto di Juna, non avrebbe messo più il naso fuori
di casa per il resto della sua vita… il ragazzo invece sembrava esserci
abituato.
«Chi ti ama non ti conosce Juna» decretò alla
fine.
Juna diede una leggera scrollata di spalle, «Detto
da te è un complimento.»
Era da non credere le voci che giravano su quei
due.
Juna era avvolto dal mistero delle origini arabe
di sua madre, che rifletteva in pieno, qualcuno era addirittura convinto che da
qualche parte in Arabia lo aspettasse un trono, e come se non bastasse era pure
un genio e ricco sfondato.
Drake per certi versi viveva nell’ombra del suo
migliore amico, pur essendo ampiamente conosciuto, ma alla luce del fatto che a
ventuno anni da finire gli mancavano pochi esami e la tesi per laurearsi in
economia e commercio, non era certamente l’ultimo degli idioti, senza contare
che Juna faceva molto affidamento su di lui.
E a quanto pare anche Patrick McGregory faceva
molto affidamento su di lui.
Si trovava a vedere all’opera due leggende
viventi… poteva suonare assurdo considerato l’età dei soggetti, ma era
esattamente ciò che erano.
Se avesse avuto un minimo di cervello si sarebbe
tolta dalla testa Drake Tyler alla velocità della luce.
Uno così avrebbe potuto annientarla nel giro di
una settimana… ammesso e non concesso che fosse interessato a lei.
Era pronta a giurare che si ricordasse di lei a
causa di Nancy, la cugina di sua madre, perché purtroppo c’era anche lei alla
festa e le avevano presentate insieme al ragazzo. Nancy aveva quasi
cinquant’anni e si era comportata come l’ultima delle gatte morte con Drake.
Se non le fosse già stata antipatica dalla
nascita, si sarebbe giocata la sua simpatia quella sera!
«Pianeta Terra chiama Sharon.»
Si riscosse e si rese conto che si era fermata
mentre pensava. Juna e Jennifer erano ad una ventina di metri davanti a lei…
Drake le era accanto.
«A cosa pensavi con quello sguardo criminale?»
chiese.
«Nessuno.»
«Allora pensavi davvero a qualcuno.»
Si accorse della trappola nella quale era cascata
in pieno. «Nessuno di importante.»
«Se lo dici tu…»
Ripresero a camminare per raggiungere Juna e
Jennifer… ma i due ripresero a camminare davanti a loro.
Jennie era impazzita o la vicinanza di Juna la
sconvolgeva a tal punto da farle scordare che era la sua migliore amica?
«Ti spiace se ti chiamo Shasha anche io? E’ un
nomignolo carino.»
«Fai pure. Me lo ha appioppato mio padre.»
«La prima cosa che ho pensato è che fosse una
creazione di Michael.»
Rise, «No, ma lo ha aiutato parecchio quando ha
iniziato ad avventurarsi oltre a tata!»
Drake sorrise divertito, «Tu e Jennie vi conoscete
da parecchio.»
Un pensiero le fece capolino nel cervello per
essere subito scacciato: gli piaceva Jennifer?
Praticamente era possibile quanto l’ipotesi che
lei piacesse a Juna o che esistesse vita sul Sole, ma a parte questo, ci
mancava solo che diventasse gelosa di quel ragazzo o della sua migliore amica!
«Quattordici anni.»
«Fantastico, allora saprà sicuramente il tuo
numero di telefono, se ti rifiuti di darmelo posso chiederlo a lei.»
Ci vollero quattro passi perché la frase trovasse
la giusta collocazione nel suo cervello.
Si bloccò di colpo e Drake la imitò dopo un
ulteriore passo.
«Come prego?» chiese con una calma che era ben
lungi dal provare.
«Ho detto che allora saprà sicuramente…»
«Ho capito perfettamente cosa hai detto, quello
che mi sfugge è cosa hai voluto dire.»
Drake la osservò per qualche secondo, reclinò
addirittura la testa da un lato, come se stesse studiando un qualcosa di
curioso, poi sorrise, «Ti ricordi quando ci hanno presentato?» Al suo cenno
affermativo continuò, «Non ti ho chiesto il numero di telefono quella sera solo
perché ero troppo occupato a difendermi da quella piovra che avevi accanto e…»
«E’ la cugina di mia madre.»
Drake assunse un’aria rassegnata a dir poco
irresistibile, «Non si può avere tutto dalla vita, mi dispiace molto per tua
madre.»
Non riuscì a trattenersi dal ridere, «Siamo
perfettamente d’accordo! Dicevi?»
«Non te l’ho chiesto allora e mi sono
tranquillizzato dicendomi che tanto prima o poi ti avrei ribeccata… beh, tutto
mi sarei aspettato tranne che di trovarti a casa di Juna, ma non ho intenzione
di perdere la seconda possibilità che il Signore mi ha gentilmente offerto.»
Stava sognando o cosa?
«Posso darti il mio numero di cellulare.»
«Affare fatto. Ce li scambiamo stasera prima che
vada via.»
______________________________________________
NOTE:
giunigiu95: prima di tutto, grazie per il commento. L’idea di un
I.Q. così alto mi è venuta il giorno che mi sono chiesta se l’I.Q. avesse dei
limiti. Ho scoperto che tale Marilyn Vos Savant è apparso nel Guinness dei
primati mondiali per aver ottenuto un I.Q. pari a 228.
Andando avanti con la storia, anche se ne ho già parlato (vedi fine cap.
7 il PoV di Manaar mentre Juna si fa la doccia), scoprirai che la situazione
celebrale che ho immaginato per Juna… probabilmente non ha riscontri con la
realtà… >.< (si chiama “Licenza Poetica” dalle mie parti)… però mi serviva
per far quadrare la storia e… di necessità… :D
Capitolo 11 *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 11 ***
Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 11
Non
E’ Mai Troppo Tardi
11
In qualche modo passarono altre tre settimane.
Era crollata qualche altra barriera fra lui e
Jennifer, specie da quando aveva chiesto il suo aiuto per cercare di salvare i
suoi risultati scolastici, crollati vertiginosamente durante il rapimento di
Michael.
Da quasi due settimane, tutte le sere dopo cena,
passavano due o tre ore nel gazebo, che Jennifer sembrava adorare almeno quanto
lui, armati di caffè e degli esplosivi dolci di Susan, con la compagnia di
Lizar, Dragar, Indios, Venusia e Cocoon, per rimettere insieme come un puzzle
le materie che aveva lasciato più indietro.
Aveva scoperto le meraviglie della fisica e della
chimica.
I rapporti fra Jennifer e Lizar
miglioravano, mentre era stato amore a prima vista fra la ragazza e Cocoon…
effettivamente il più dolce di tutta la banda, l’unico che di cane da
guardia aveva solo la nomea.
Michael aveva ufficialmente adottato Dragar e non
era raro trovarli insieme.
Non era raro neanche trovare Drake con Sharon e
aveva la netta sensazione che il suo migliore amico si stesse innamorando.
Con il passaggio di proprietà dell’azienda, lui
ebbe comunque modo di godere poco di questo nuovo equilibrio, anche se il
pomeriggio lo passava a casa.
Georgie camminava a mezzo metro da terra e la sua
mente e le sue energie erano tutte proiettate al futuro.
Ignorava totalmente tutto quello che vorticava
dietro l’attività che tanto la appassionava.
La sua vita sociale era precipitata sotto lo zero
in un batter d’occhio, e Drake cominciava a lamentarsi… anche se con pochissima
convinzione, sempre merito di Sharon, ma doveva ammettere che gli unici momenti
della giornata dove si divertiva erano quelle ore passate con Jennifer sui
libri.
Probabilmente questo fatto da solo la diceva già
tutta sulla situazione.
Da qualche giorno poi, la situazione stava
degenerando: un mal di testa feroce non lo mollava un attimo, non c’era
aspirina o analgesico che tenesse, e il suo umore ne aveva risentito
vistosamente.
Quando quella mattina, poco dopo le undici, si trovò
improvvisamente a tu per tu con sua cugina, vuoi per il mal di testa, vuoi che
sarebbe voluto essere da qualsiasi altra parte che non fosse il suo ufficio, la
linea del suo stato d’animo era di parecchie tacche sotto lo zero del buon
umore.
Diciamo che era molto vicino alla definizione di asociale.
Concentrarsi su qualsiasi cosa era un’autentica
tortura.
Ringraziò il cielo di essere già seduto.
«Ciao Juna» lo salutò con un sorriso.
«Come mai Alison non mi ha avvisato del tuo
arrivo?» chiese forse un po’ troppo sulle sue.
Georgie sembrò non notarlo, «Le ho detto che
volevo farti una sorpresa.»
«Ok, cosa vuoi?»
«Questo è per te.»
Un bombolone, presumibilmente alla crema, si
materializzò completo di piattino e succo di frutta ancora sigillato sui fogli
che stava cercando di leggere.
In qualsiasi altro giorno della sua vita quella
sarebbe effettivamente stata una bella sorpresa, perché andava pazzo per i
bomboloni alla crema, ma quel giorno il suo stomaco fece una piroetta da
manuale.
Non mangiare e dormire poco e male non era il
massimo della vita. Non avrebbe retto ancora per molto in quella condizioni, ma
non sapeva cosa fare.
Non capiva il
perché stava così male.
Alla sua occhiata la cugina lo gratificò di un
nuovo sorriso e scosse graziosamente le spalle… era una sua impressione o
dietro il sorriso lo stava osservando con un’attenzione tutta nuova?
Chissà cosa avrebbe
detto se avesse saputo che erano almeno ventiquattr’ore che scansava il cibo…
«Ieri sera ti sei vergognosamente approfittato del
fatto che ero fuori e non hai cenato e già sono arrabbiata per quello, in più
da qualche giorno spesso e volentieri salti il pranzo, senza contare che non
hai fatto colazione stamani, così…» concluse il ragionamento con un’eloquente
occhiata al bombolone.
Decise che non era curioso di scoprirlo.
Appoggiò il documento che aveva fra le mani sulla
scrivania, nel farlo però si sporse in avanti e il movimento gli dette
l’impressione che il suo cervello si fosse liquefatto dentro la bacinella che
era la sua testa.
Ringraziò il cielo di avere lo stomaco vuoto,
perché se l’improvviso coniato di vomito non ebbe esito fu solo grazie a
quello.
La parte peggiore fu però la fitta che partì dalla
sua nuca trasmettendosi all’istante a tutta la testa, come se il suo cranio si
fosse trasformato in una cassa di risonanza.
Chiuse gli occhi premendo i palmi delle mani sulle
tempie e reprimendo testardamente il gemito.
Cercò di concentrarsi. «Grazie Georgie, molto
gentile da parte tua.»
«Juna, cos’hai?»
Registrò un significativo cambiamento nel tono di
sua cugina, ma era troppo occupato ad impedire alla sua testa di staccare la
spina con il resto del mondo per analizzarlo. «Nulla.»
«Nulla?? Per la miseria ho fatto bene a
venire qui: Jennie aveva ragione!»
Jennie? Cosa dannazione c’entra lei adesso?
Alzò lo sguardo su sua cugina e non la vide più
davanti alla scrivania.
Una mano fresca gli sorresse la fronte e Georgie
lo aiutò ad appoggiarsi allo schienale della poltrona.
«Juna, oh Dio, hai la febbre alta.»
«Ma no, non…»
«Juna, per favore, dammi retta: sembri una
caldaia.»
La voce di sua cugina era angosciata.
«E’ solo un forte mal di testa.»
«Accidenti ai testardi, non hai niente da
invidiare ad un mulo!» prese fuoco «Sono almeno tre giorni che Jennie vede
degli strani comportamenti in te! Mettiti la giacca, ti riporto a casa… e non
ti azzardare a fare storie o te le do di santa ragione! Nella condizioni in cui
sei non saresti neanche in grado di difenderti!»
La vide uscire dalla stanza come un ciclone.
Ma perché a lui? Cosa poteva aver fatto per
meritarsi una cosa del genere?
La porta si aprì con cautela e fece capolino
Alison. «Juna?»
«Entra Ali.» Cercò di abituarsi all’idea di
alzarsi in piedi, «Mangialo tu alla mia salute, ok?» aggiunse indicando il
bombolone.
Alison si avvicinò alla scrivania osservandolo,
«Dio che occhi lucidi hai. Come ho fatto a non accorgermi di niente?»
La domanda giusta è un’altra: perché adesso
qualcuno se n’è accorto. Perché il mio muro, la mia facciata tanto
faticosamente costruita, sta crollando completamente Alison, ecco perché.
«Sono un ottimo attore Ali, non preoccuparti.»
«Ti vengo a trovare a casa oggi» lo avvertì quasi
fosse una minaccia, «e se ti trovo fuori dal letto…»
Era una minaccia.
Fece leva con le mani sul piano della scrivania e
ordinò al suo corpo di staccarsi dalla poltrona.
Il suo corpo ubbidì.
Successe appena si separò dalla scrivania.
Ebbe l’impressione che tutto il suo sangue,
partendo dalla testa, cadesse in discesa libera fino ai piedi.
La stanza fece un violento giro su se stessa,
sentì Alison gridare il suo nome, poi un gelido buio lo avvolse.
Per chissà quanto visse come in un limbo.
Le orecchie gli ronzavano, sentiva le voci come se
provenissero da un altro pianeta… ma riconobbe bene quella concitata di sua
madre e quella calma e profonda del professor Lawrence McIntyre, colui che
quasi diciannove anni prima lo aveva aiutato a fare la sua spettacolare entrata
al mondo.
Larry con tutta probabilità sapeva anche che fine
avesse fatto suo fratello.
Avrebbe potuto chiederglielo se non avesse avuto
la certezza di innescare un casino di proporzioni mastodontiche.
I suoi genitori non si meritavano una cosa del
genere perché una cosa la sapeva per certa: se avevano deciso di nascondergli
qualcosa come la morte del fratello, alla base c’era un motivo più che valido.
«Ma cos’ha?» stava chiedendo sua madre angosciata.
«Ad occhio e croce è una brutta influenza. Fino a
quando è in stato d’incoscienza non posso azzardare altre ipotesi.»
«Ma è svenuto Larry! E’ finito disteso in terra!»
sottolineò il concetto.
«Non mi meraviglio affatto, tuo figlio ha quasi
quarantuno di febbre Manaar!» breve sospiro e la voce tornò bassa «Quel ragazzo
ha una costituzione forte, certo, ma una temperatura del genere stroncherebbe
chiunque! Mi chiedo da quanto tempo è in queste condizioni, quell’incosciente!»
«Allora che si fa?»
«Dobbiamo aspettare che riprenda conoscenza, solo
allora potrò fargli una visita accurata.»
Che nel gergo di quell’uomo significava rigirarlo
come un pedalino.
Ci fu una pausa «Usciamo adesso. Speriamo che
Howard abbia trovato il ghiaccio.»
Con un notevole sforzo aprì gli occhi e la
penombra della stanza non gli diede fastidio.
Che la febbre fosse alta era poco ma era sicuro.
Si sentiva… ovattato e bollente.
Gli occhi cominciarono a bruciargli e li richiuse
con un sospiro di rassegnazione.
Appena Manaar e il professore uscirono dalla
stanza, Justin e Georgie si staccarono dal muro come se questo scottasse,
«Allora?» chiesero ad una voce.
«E’ ancora in stato d’incoscienza» rispose il
professore del quale si stava sforzando di ricordare il nome, «per ora posso
solo ipotizzare una brutta influenza.»
«Ma la febbre…» cominciò Connor.
«Supera abbondantemente i quaranta Connor» riprese
lui, «ma fino a quando non riprende conoscenza non posso azzardare ipotesi. Adesso
la cosa più importante è far scendere la temperatura.»
«Buon Dio» disse Lennie, «siamo in tanti in questa
casa e nessuno si è accorto che stava così male.»
«Certo che il ragazzo è un incosciente» continuò
Madeline, «uscire di casa con quella febbre… non so come dirlo a Patrick quando
tornerà.»
«Nonna, pensiamo a come dirlo a Michael e Melissa»
disse Justin. «Fra meno di un’ora torneranno dall’asilo e si fionderanno al
gazebo alla ricerca di Juna.»
Calò il silenzio più assoluto.
Ovviamente Justin aveva ragione, ma nessuno aveva
voluto pensarci.
Apparve Howard, bianco come un lenzuolo, e si
rivolse al professore, «Ho trovato il ghiaccio professor McIntyre… come sta il
signorino?»
«Non si preoccupi Howard, ha una costituzione
d’acciaio quel ragazzo» rispose il professore.
«Quando gli metterò le mani addosso non si salverà
neanche fosse fatto di ferro Larry!» esplose Georgie «Ho creduto di… di morire quando l’ho visto svenuto a
terra! E’ un miracolo che non si sia spaccato la testa contro la scrivania!
Alison piangeva come una fontana, è dovuto venire a prenderla il fidanzato da
quanto era sconvolta!»
Justin cinse le spalle della sorella e Georgie
scoppiò in lacrime, sfogando finalmente lo shock che, era evidente, stava
covando da quando era tornata a casa insieme a Connor e Juna privo di sensi.
Paul e Lennie rimasero pietrificati davanti alle
lacrime della figlia, Justin cominciò a parlarle a bassa voce quasi cullandola.
Juna stava male… ma male davvero.
Quel pensiero le toglieva il respiro.
«Signora McGregory… posso entrare a sistemare il
ghiaccio?» chiese Howard.
Aveva bisogno di vederlo, era evidente.
«Certo Howard, grazie» rispose Manaar.
«Georgie» cominciò Connor, «come mai eri da Juna
stamani? Me lo sto chiedendo da quando sei piombata nel mio ufficio.»
Georgie tirò su con il naso e automaticamente
Justin prese un fazzoletto dalla tasca dei suoi pantaloni e lo passò alla
sorella che lo usò prima di rispondere.
«Ho parlato con Jennie stamani, prima che andasse
a scuola. Quando le ho chiesto dove fosse Juna mi ha detto che era uscito senza
fare colazione. E’ stata lei a mettermi la pulce nell’orecchio. Da quello che
mi ha detto mi aspettavo di non trovare Juna al massimo della forma, ma da qui
a vederlo a terra svenuto, ce ne corre!»
Si trovò al centro dell’attenzione generale.
«Di cosa ti sei accorta esattamente?» le chiese Manaar.
Quella donna sembrava sull’orlo di un baratro
senza fine.
«Da qualche settimana dopo cena io e Juna stiamo
un paio d’ore nel gazebo: mi sta aiutando a recuperare qualche materia. Da
qualche giorno ho notato come dei… vuoti in lui. A volte smetteva di
parlare, chiudeva gli occhi, perdeva colore… e se tuo figlio sbianca, ti garantisco che è evidente.
E’ anche successo che alzandosi dalla sedia barcollasse… cose del genere. Gli
ho chiesto se stava poco bene, ma lui mi ha sempre detto che era solo mal di
testa.»
«Questi dannati mal di testa» ringhiò quasi
Connor.
Howard uscì dalla stanza di Juna.
«E’ ancora privo di sensi?» chiese Madeline.
«Sì signora» rispose il maggiordomo. «Ha un respiro
così strano…» aggiunse angosciato «a volte sembra faccia fatica ad incamerare
aria, a momenti è così leggero che… che quasi sembra non respiri.»
Il professor McIntyre gli diede una pacca sulla
spalla, un gesto che strappò all’uomo un sorriso tirato.
«Jennie, per favore, staresti un po’ con Juna?»
chiese Manaar all’improvviso «Io devo assolutamente fare delle telefonate e non
voglio che resti solo.»
Il professore si rivolse a lei, «Assicurati che il
ghiaccio resti sulla sua fronte e se riprende i sensi o comincia ad agitarsi
corri ad avvertirmi.»
Annuì al professore ed entrò nella stanza dopo
aver salutato tutti con un cenno della testa.
Il suo cuore cominciò a battere più forte appena
abbassata la maniglia.
Entrò con circospezione, si guardò intorno chiudendosi
la porta alle spalle e appena gli occhi si furono abituati alla penombra
inquadrò il letto e la sedia.
Il respiro di Juna aveva un ritmo incostante,
Howard aveva ragione.
Movendosi con cautela arrivò alla sedia senza
danni e prese posto senza perdere di vista il profilo del ragazzo.
Era ancora incosciente.
Chiuse gli occhi quando l’ondata di panico che
l’aveva già assalita alla vista di Juna privo di sensi la travolse di nuovo.
Aveva cominciato a sentire qualcosa di
attanagliante al petto quando aveva visto solo Kyle all’uscita da scuola.
«Avevo intuito che tu non stessi bene» mormorò,
«ma non avevo capito fino a che punto. Spero che tu guarisca presto perché devo
picchiarti, testone che non sei altro.»
Juna trattenne a stento una risata nell’udire
quella che doveva essere una minaccia detta con voce così sommessa ed
angosciata.
La piccola Jennifer era preoccupata per lui?
Non gli conveniva ridere comunque… la sua testa
non avrebbe retto. All’interno del suo cranio si erano scatenati tutti i
tamburi del mondo.
Sentì le mani morbide e fresche della ragazza
avvolgere la sua e il contatto lo fece rabbrividire, quasi più del ghiaccio
sulla sua fronte.
«Dio come sei caldo» continuò lei, «ma lo sai che
la febbre così alta può essere pericolosa? Ho letto da qualche parte che una
temperatura troppo elevata può addirittura danneggiare le cellule celebrali…
ok, tu sei un genio e forse le tue sono a prova di bomba, ma perché sfidare
così la buona sorte? Non ti porti il rispetto che dovresti. Mi hai fatto prendere
un colpo, tua madre è sull’orlo di una crisi nervosa, Georgie piange come una
fontana e a quanto sembra Alison le fa compagnia…»
Gli piaceva starla a sentire… e gli piaceva che
fosse preoccupata per lui.
Che stesse impazzendo?
«Jennie?» mormorò.
Silenzio.
«Juna?» Non alzò la voce e di questo le fu grato,
«Finalmente… come stai?»
«Male.»
«Ti sta bene testone, cosa aspettavi ad andare dal
medico o dirlo a qualcuno?»
Fosse stato in cerca di comprensione sarebbe
davvero cascato male.
«Non credevo fosse così grave… sei arrabbiata con
me Jennie?»
«Io? Arrabbiata?» Sentì le mani allentare la presa
intorno alla sua «Vado a chiamare il professore.»
Strinse la mano bloccando le sue, «Aspetta.
Torneranno prima o poi… resta qui.»
«Ne hai di forza per essere malato.»
«Appunto: malato. Non in fin di vita.» Cominciò ad
accarezzarle una mano con il pollice come soprappensiero «Sei la seconda che
vuole menarmi oggi… è un record.»
La ragazza ci mise dieci secondi per racimolare la
voce «Non mi meraviglio affatto, faresti perdere la pazienza ad un santo.» Si
bloccò appena realizzò appieno la sua affermazione e la sentì inspirare con la
bocca, «Tu… tu non eri privo di… tu hai sentito tutto quello che ti ho…
McGregory, sei… sei un… un…»
«Abbi pietà Jennie, sono malato, ricordi?»
«Sei impossibile Juna!»
«Ho paura che stasera non potrai beneficiare della
mia compagnia.»
Altri dieci secondi di silenzio, «Non preoccuparti
di questo adesso, devi pensare a rimetterti in piedi.»
«Stammi a sentire. Non perdere il ritmo del
ripasso. Ce la puoi fare a recuperare tutto, ok? Manca poco. Ce la puoi fare.»
«Ti ho detto di non preoccuparti, ho capito il tuo
metodo… e puoi giurarci che ce la farò.»
La convinzione nella sua voce gli dette una
sensazione a metà fra il sollievo e la tenerezza.
Stava decisamente poco bene…
«Vedrai che anche Lizar ti farà compagnia anche se
non ci sono io. Le stai stranamente simpatica.»
«Se un essere vivente riesce a voler bene a te, è
potenzialmente capace di andare d’accordo con tutto il mondo.»
Il senso dell’umorismo di quella ragazza faceva
passi da gigante.
Sentì chiaramente la porta aprirsi e la sentì
anche Jennifer perché si girò.
Si rendeva conto che si tenevano per mano?
E lui si era appena reso conto che le stava ancora
accarezzando il dorso.
«Jennie?»
Sua madre.
«Entra Manaar, ha ripreso conoscenza.»
«Spiona» le bisbigliò.
«Dio ti ringrazio…» sentì quasi gemere sua madre.
«Siediti qui Manaar» aggiunse la ragazza
alzandosi, «vado a chiamare il professore.»
La sentì uscire e si rese conto di vedere solo
ombre confuse che si muovevano. «Mamma?»
«Sono qui… Dio che accidente ci hai fatto
prendere. Come stai?»
Di comprensione da sua madre ne avrebbe avuta
anche troppa.
«Sto bene, non preoccuparti.»
«Se è una battuta non è per niente divertente.»
Sospirò rassegnato, «Ok, allora preoccupati tanto,
va bene?»
Sua madre gli prese la mano, «Hai la febbre molto
alta.»
«Lo so… che ore sono?»
«Quasi le quattro ormai, sei stato privo di
conoscenza per ore. Larry si è assicurato che non avessi problemi di
respirazione o roba del genere poi ha detto di non svegliarti. Dio mio Juna,
perché hai aspettato di arrivare a questo prima di ammettere che non stavi
bene?»
«Pensavo fosse il solito mal di testa mamma.»
«Tuo padre è fuori dalla grazia di Dio, non
nominare il mal di testa davanti a lui.»
«Va bene. Ho sete.»
«Immagino, ma cerca di resistere, voglio sentire
cosa dice Larry prima di darti qualsiasi cosa.»
Un lieve bussare precedette l’entrata di Larry.
«Ho sentito che sei tornato fra di noi.»
«Ciao Larry, è sempre un piacere. Direi che mi sei
anche mancato.»
«Tuo figlio è squisito Manaar.»
«Lo sa, assomiglio a lei. Larry, ti sarei grato se
non accendessi la luce.»
«Ci credo. Manaar, saresti così gentile da
lasciarmi solo con tuo figlio?» Rimasti soli la sua voce cambiò completamente,
«Per tutti i fulmini Juna, adesso a noi due. Ti rivolterò come un guanto. Sai
da quando non ti fai visitare?»
«Mi sembra ieri.»
«Non scherzare. Il tuo respiro mi piace proprio
poco. Anche Howard si è accorto che c’è qualcosa che non va, ed è stato qui dentro
pochi minuti, renditi conto. Spero solo che almeno il tuo organismo abbia avuto
il buon senso di cedere prima del punto di non ritorno.» Vide la sua ombra
appoggiare quella che doveva essere la sua borsa sulla sedia, «Senza contare
che hai fatto perdere dieci anni di vita alla tua fidanzata.»
«Alla mia cosa?»
«Quando sono arrivato pensavo che fosse lei a
stare male. Anche tua cugina è in salone che piange. Quella ragazza però ha
carattere, finalmente hai trovato pane per i tuoi denti eh? Devo dire che fate
davvero una bella coppia… ben assortita, intendo. Credo che i bambini saranno
stupendi, a prescindere da chi assomiglieranno…»
«Larry…»
«… mi offro già da ora disponibile per il parto…
in fin dei conti ho fatto un buon lavoro con te, ti pare?»
«… cosa stai dicendo?»
«Se non ho capito male si chiama Jennifer.»
Che Dio lo aiutasse.
«Tanto per cominciare Jennifer non è la mia
fidanzata, in secondo luogo ti diffido dal fare certi discorsi davanti a
mia madre, ci siamo capiti? Tu sarai già ampiamente in pensione quando io sarò
pronto ad avere figli.»
«Certo certo…»
«Non sto scherzando.»
«Neanch’io… tirati su a sedere e alza la
maglietta. Respira profondamente quando te lo dico e stai zitto.»
Lo assecondò e si rese conto che qualcuno lo aveva
spogliato prima di metterlo a letto.
Per la prima volta si chiese chi lo avesse portato
fino al letto.
Improvvisamente sentiva una debolezza incredibile.
Alla fine il respiro profondo che fece Larry gli
piacque meno di zero.
«Ok Larry, spara.»
«Bronco-polmonite.»
«Cosa?»
«Hai capito benissimo. Fra l’altro una delle forme
peggiori che ho visto in vita mia. Dovrai stare a letto almeno per le prossime due settimane, forse anche un mese e sperare
che gli antibiotici siano sufficienti.»
«A letto per due settimane?»
«Ti prescriverò sciroppo, pasticche, bustine… e
stai attento a non sgarrare una volta o ti giuro che ti faccio ricoverare in
ospedale, mi sono spiegato?»
«Tu mi vuoi morto. A letto per due settimane forse
un mese?» ripeté.
«Ti concedo di stare a letto solo fino a quando
avrai la febbre, poi potrai girare per casa, a patto che il riscaldamento sia
acceso e funzioni bene. Prendi l’abitudine di indossare una sciarpetta o roba
del genere intorno al collo, non pretendo che sia di lana, e stai sempre ben
coperto, soprattutto il torace. Juna, mi stai ascoltando? Sgarra una volta e ti
faccio ricoverare nel giro di un’ora, intesi? Non voglio sapere da quanto stai
male, altrimenti ti strozzo adesso con le mie mani, ma una bronco-polmonite se
non presa più che seriamente ci mette un niente a diventare cronica.»
«Tappato in casa per un mese» riassunse ancora ad
alta voce la situazione.
«Preferisci l’ospedale?»
«Oh Larry, andiamo…»
Lo vide scuotere la testa, «Juna, giuro sulla
testa di mio figlio che ti ricovero in ospedale e butto via la chiave se non mi
dai retta. Voglio una promessa da te: seguirai alla lettera le mie
prescrizioni. Alla lettera. Forse così te la caverai in un mese senza
danni permanenti.»
Cristo, era così grave la situazione?
«Stai cercando di mettermi paura vero?»
«Gli incoscienti non hanno paura e tu sei un
incosciente di prima categoria. Faccio leva sulla cosa che più ti infastidisce:
limitare drasticamente la tua libertà.»
«Ok Larry, affare fatto: mi impegno a seguire alla
lettera le tue prescrizioni per il prossimo mese.»
Lo vide scuotere la testa e sentì lo sbuffo, «Se
non ti conoscessi da quando sei nato riusciresti a fregare anche me. Tu
seguirai alla lettera le mie prescrizioni fino a quando non ti dirò che sei
guarito, il che significa, come ti ho già detto, che sarà un mese se ti va
bene.»
Fregato.
«Va bene… ma ho anch’io una condizione.»
«Hai una faccia tosta senza confini ragazzo.»
«Rendi la pillola più dolce possibile per i miei:
non dirgli quello che hai detto a me.»
«Juna…»
«E’ un favore che ti chiedo Larry. In cambio sarò
un paziente modello.»
L’anziano professore rimase un attimo in silenzio,
poi sospirò, «Ok, affare fatto Juna.»
«Fai entrare i miei.»
«Devo scendere a chiamarli, sono in…»
«Sono tutti e due dietro la porta Larry, fidati.»
Lo sentì ridacchiare mentre andava ad aprire la
porta e la voce di suo padre lo accolse con un allora?
«Entrate.»
Suo padre fu il primo ad avvicinarsi, «Juna?»
«Ciao papà.»
«Ciao papà? Mi hai fatto perdere vent’anni
di vita e tutto quello che hai da dirmi è ciao papà?»
«Ok, sono pronto ad ammettere che sono stato un
irresponsabile ma ti giuro che non avrei mai pensato di arrivare a questo.»
«Pensavi fosse uno dei tuoi soliti mal di testa»
disse suo padre con un tono che era una vera poesia.
In quel momento fu chiaro che da quel giorno
doveva inventarsi un altro diversivo per sua madre.
«Come sta?» chiese sua madre a Larry.
«A parte la febbre e un principio della peggior
bronco-polmonite che abbia mai riscontrato in vita mia, tuo figlio sta da Dio»
fu la risposta.
L’etica di quell’uomo gli aveva impedito di non
dire almeno in parte la verità.
«Bronco-polmonite??» esplosero con un
sincronismo perfetto la sua mamma e il suo papà.
«Juna deve restare chiuso in casa fino a mio nuovo
ordine» continuò Larry. «Ho dietro delle pasticche che stroncano la febbre, è
quella che mi preoccupa di più adesso, ma stenderanno anche lui perché sono
molto forti e probabilmente farà tutta una tirata fino a domani mattina. Te ne
lascio due Manaar, scioglile nell’acqua e dargliele dopo avergli fatto mangiare
qualcosa perché, ti ripeto, sono pesantissime. Prescriverò anche uno sciroppo
che dovrà prendere tre volte al giorno, delle pasticche, ogni sei ore, e delle
bustine, ogni dodici ore, bisognerebbe andare a comprarle prima che chiudano le
farmacie perché deve iniziare la cura completa domani mattina.»
«Nessun problema» disse suo padre. «Oggi quindi
prende solo le due pasticche che hai portato.»
«Esatto. E mi raccomando: massimo riposo e deve
stare al caldo, specie gola e torace. Vi consiglio spassionatamente di alzare
il riscaldamento, almeno per la prima settimana… immagino che Juna avrà bisogno
di andare al bagno.»
«Grazie del pensiero Larry.»
«Fino a quando la febbre non sparisce legatelo al
letto se necessario, poi può stare anche alzato, ma in casa al caldo. Ora che
ci penso anche delle vitamine non gli farebbero male, considerato il
bombardamento di antibiotici. Preferisci le pasticche o le bustine, razza
d’incosciente che non sei altro?»
E’ questo il suo modo di indorare la
pillola, dannazione?
«Pasticche.»
«Ok. Manaar, scendi con me e preparo le ricette?
Ci vediamo domani Juna, passerò a darti un’occhiata. E ricorda che io e te
abbiamo fatto un patto.»
«Tesoro, avverti Paul che massimo fra un paio
d’ore andiamo in farmacia a prendere il tutto» disse suo padre. «Impedisci ad
Howard di andare al posto nostro.»
«Sta’ tranquillo.»
Rimasero soli e suo padre prese posto nella sedia.
«Se non fosse che sei il mio solo erede, ti
ucciderei. Georgie ha ragione: non so per quale miracolo tu non ti sia spaccato
la testa contro la scrivania o comunque sbattendola a terra.»
«Sono un ragazzo fortunato.»
«Io devo essere fuori di me quando dico che hai
ripreso il mio senso dell’umorismo.»
«Sei solo realista papà. Senti, non preoccuparti,
ok? Cerca di tenere buona la mamma perché non voglio pensare a cosa mi
aspetta.»
«Io penso a te adesso, la mamma non ha la
bronco-polmonite.»
«Un principio di bronco-polmonite»
corresse.
«Se proprio vogliamo essere pignoli, figlio mio, è
il principio della peggior
bronco-polmonite che Larry abbia mai riscontrato… e considerato che quell’uomo
fa il medico da prima che nascessi io, la precisazione non mi consola neanche
un po’. Come dannazione ho fatto a non accorgermi del perché stavi male Dio
solo lo sa!»
Anche in quelle condizioni il campanellino
d’allarme prese a suonare con insistenza. «Cosa pensavi che fosse?»
Suo padre rimase in silenzio tre secondi in più
del solito. «Io e tua madre ce lo stavamo chiedendo da quasi un mese ormai… a
volte sembravi così… così… perso. Cupo. Non lo so. Sembrava che qualcosa
ti preoccupasse a morte.»
Dio svegliami che sto sognando.
Rimase in silenzio.
Cosa dannazione stava succedendo? Non riusciva a
nascondere più niente in quella casa?
La porta si aprì e la voce di suo nonno suonò
bassa. «Connor?»
«Vieni papà, è sveglio.»
«Lo so, ho parlato con Larry, Ragazzo mio, ci hai
fatto perdere non so quanti anni di vita.»
«Nonno, tranquillizza tutti la fuori, non…»
«Una bronco-polmonite è una cosa seria. Larry era
nero.»
«Oh ti prego!» sbuffò muovendo la testa per
girarsi verso suo nonno «Per quanto andrete avanti con questa…??»
Un dolore allucinante alla nuca gli impedì di
andare avanti e si curvò su se stesso tenendosi la testa con entrambe le mani.
«Juna!» esplose suo padre.
In un attimo gli fu praticamente addosso.
«Oh Santo Dio!!» sentì gemere suo nonno.
«La mia testa…» cercò di spiegare.
Stava per riperdere i sensi?
Dio, la sua testa stava per esplodere.
Serrò gli occhi e si concentrò sulla voce di… di…
«Connor, che succede?»
… Jennifer.
«Non ne ho idea Jennie. Juna, parlami!»
«Una fitta alla testa. Sto bene, è passata.»
«Porca miseria Juna, azzardati a dire un’altra
volta che stai bene e voli fuori dalla finestra!»
Rimase di sasso… forse scioccato era il
termine che più si avvicinava.
«Oh, finalmente qualcuno che gli dice le cose come
stanno!» le fece eco Larry.
Ecco perché non sentiva più la voce di suo nonno:
era corso a chiamare di nuovo lui.
«No Jennie, non fare così…» sentì sua madre… e
subito dopo realizzò i singhiozzi.
«Su su» continuò Larry, «Jennifer, questo ragazzo
farebbe perdere la pazienza anche ad un sasso, ma non è il caso di piangere… da
quanto state insieme? Che sia un essere impossibile è la prima cosa che salta
all’occhio!»
Cominciò a pensare alle torture da infliggere a
quell’uomo: questa Larry gliela
avrebbe pagata… e molto cara.
Nel silenzio più totale, la voce di Jennifer suonò
a metà fra il risentimento di prima e la preoccupazione, «Sono ospite di
Patrick con la mia famiglia, ma questo non comporta fidanzamento con questo bel
tipo.»
«Immagino che tu te ne sia assicurata prima di
mettere piede in casa» fu il commento che uscì dalla sua bocca prima che
potesse fermarlo.
Per Dio che stava succedendogli?
Era stato lui il primo a metterla sotto quella
luce parlando con lei, Jennifer stava semplicemente ripetendo quello che le
aveva detto per tranquillizzarla!
La voce di Juna suonò più dura dell’acciaio, ebbe
la sensazione di esserne colpita.
«Sai che non è così» rispose di getto.
E quelle lacrime che non si fermavano, accidenti a
loro.
L’entrata di Georgie e Justin fu la sua salvezza.
«Ad averlo saputo avrei preparato una scorta di
fazzoletti fanciulle!» esclamò allegro quest’ultimo «Come va cugino?»
«Da Dio.»
«Vedo. Ti porto via un po’ di compagnia ok? Sembra
che tu debba stare tranquillo adesso.»
Georgie fissava Juna come a volergli fare una
radiografia.
«Sto be…» cominciò il ragazzo, poi le lanciò
un’occhiata e con un sorrisetto che non avrebbe più scordato e si corresse,
«Sto meglio Georgie.»
Le venne improvvisamente da ridere, «Juna, sei
veramente intollerabile.»
Fu allora che un ciclone entrò nella stanza.
Aveva la forma e la voce di Melissa.
«Juna! Come stai? Che è successo? Da quanto sei a
letto?»
Justin chiuse gli occhi e rovesciò la testa
indietro.
«Melissa, ti prego…» disse Juna toccandosi la
tempia.
«Signorina, abbassa la voce, tuo cugino ha mal di
testa» disse Larry. «E adesso deve restare da solo e cercare di riposare.»
«Ma sta bene?»
«Ti spiegherò per filo e per segno cosa è
successo» si offrì Larry, «ma adesso usciamo tutti di qui.»
Si voltò verso la porta e vide suo fratello
letteralmente aggrappato allo stipite della porta, gli occhi sgranati e
un’espressione di puro terrore che non avrebbe scordato per il resto della sua
vita.
«Micky…» cominciò.
«Michael?» chiamò Juna «Melissa, avvicinatevi al
letto.»
Melissa volò, suo fratello si tirò dietro i propri
piedi come se fossero di piombo.
Juna, con un certo sforzo, si voltò verso di loro
e tirò fuori dalle coperte una mano che i due bambini afferrarono come se da
quello dipendesse le loro vite. «Ascoltatemi pulcini: ho la febbre e non sono
al massimo della forma, ok? Ho bisogno di riposare un po’, ma tornerò come
nuovo. La bella notizia è che starò a casa per qualche giorno.»
«Sei sicuro?» chiese con un filo di voce Michael
«Dobbiamo avvertire Drake.»
«Ok Micky, vai con mia madre e telefona a Drake.»
«Giurami che starai bene» disse suo fratello.
Juna lo guardò un attimo, la debole luce che
passava dalla porta illuminava i due bambini e le loro ombre erano l’unica cosa
che proteggeva il ragazzo. «Tornerò come nuovo» ripeté. «Andate adesso.»
Melissa e suo fratello uscirono dalla stanza senza
ulteriori incentivi.
Corse dietro a suo fratello.
Riuscì a fermarlo all’inizio delle scale.
«Pulcino?» lo chiamò prendendolo per le bretelle «Guardami.»
Michael si voltò verso di lei osservando il
pavimento, «Ti prego Micky, guardami.»
Alzò gli occhi gonfi di lacrime… anche Melissa
piangeva.
Le si gettarono entrambi addosso mentre singhiozzi
accorati li scuotevano.
Li abbracciò entrambi e accarezzando dolcemente le
piccole schiene riuscì a farli rilassare. «Ascoltate… che ne dite di stare un
po’ in camera con me? Vi potete addormentare sul lettone mentre io studio un
po’… che ne dite?»
«Jennie?» Ryan apparve da chissà dove.
«Senti… Lissa verrebbe con me e Micky, se le va.»
«Resto con voi» disse la bimba.
Come per dare maggior enfasi all’affermazione le
due manine si allacciarono saldamente.
Ryan annuì, «D’accordo. Juna?»
«Adesso deve solo dormire.»
«Dov’è Manaar?» chiese suo fratello tirando su con
il naso «Non so il numero di Drake.»
«Sono qui Micky.» Manaar comparve accanto al
cognato e prese in collo suo fratello, «Su, andiamo.»
Lo squillo del cellulare lo riscosse dalla lettura
dell’articolo sugli sviluppi, se così si potevano definire, nelle indagini
sull’assassinio di Estrada.
Vagavano nella nebbia più fitta… cosa abbastanza
ovvia visto che Matthew sapeva fare il suo lavoro.
L’ipotesi più accreditata era che fosse stato
ucciso da un concorrente.
La cosa lo avrebbe fatto ridere se non fosse stato
cosciente che la famiglia Estrada sapesse perfettamente chi doveva ringraziare
per l’improvvisa dipartita di Carlos.
Juna casa.
Fantastico. Non avevano stabilito di ignorare il
telefono di casa?
«Ciao compare, dimmi tutto.»
«Drake, sono Michael.»
Scattò in piedi come se fosse stato colpito da una
scossa e sua madre fece un salto dallo spavento.
«Michael??»
«Juna si è sentito male Drake, è svenuto, ha la
febbre alta, per favore vieni qui» cominciò a piangere. «Ho tanta paura Drake.»
Oh santo Dio.
«Micky, arrivo subito. Stai calmo ok?» sperò che
il bambino cogliesse anche il messaggio non espresso a parole.
La schermatura del suo cellulare copriva anche le
chiamate da un telefono fisso? Dannazione, non se lo ricordava. Doveva chiamare
Matthew.
E comunque era improbabile che Michael fosse solo
accanto a quel telefono, se preso dal panico gli fosse sfuggito qualcosa…
«Ti aspetto» disse solo.
Riattaccò e improvvisamente le parole di Michael
entrarono in circolo nel suo cervello: Juna era svenuto?
«Drake?»
«Mamma, devo correre a casa di Juna. Sembra…
sembra che stia male.»
La decisione di sua madre fu immediata, «Dammi
cinque minuti per cambiarmi, vengo anch’io.»
Appena fuori dal cancello di Villa McGregory vide
ferma una macchina accostata al muro di recinzione e riconobbe subito il
professor Lawrence McIntyre, lo storico medico dei McGregory, appoggiato al
cofano.
Doveva a quell’uomo l’entrata al mondo di Juna.
Istintivamente parcheggiò subito dopo l’auto e
scese, dicendo a sua madre di aspettarlo in macchina.
«Drake, stavo aspettando te» lo accolse.
Un senso di inquietitudine lo attanagliò.
«Come sta?» chiese subito.
«Male. Sta male Drake. Mi ha fatto promettere di
indorare la pillola ai suoi, ecco perché appena ho capito che saresti arrivato
ho deciso di aspettarti qui: almeno una persona vicina a lui deve sapere come
stanno le cose.»
S’impose la calma. «La ascolto.»
Rimase in silenzio ad ascoltare l’uomo
maledicendosi per non essersi accorto di nulla.
«… Quindi, in pratica lo affido a te Drake»
concluse il professore. «Se la bronco-polmonite diventasse cronica sarebbero
guai seri: se la porterebbe dietro per il resto della sua vita.»
«Stavolta lo uccido.»
E non stava scherzando.
Il professor McIntyre sorrise, «Perfetto, proprio
la filosofia giusta da adottare con uno come Juna. E’ sufficiente che lo
costringi a seguire le mie indicazioni per ora.»
«A letto fino a quando la febbre non è passata e
tappato in casa fino a suo nuovo ordine. Lo sciroppo tre volte al giorno, le
pasticche ogni sei ore, le bustine ogni dodici e le vitamine la mattina e la
sera.»
«Adesso vado via molto più tranquillo.»
«Grazie professore.»
«Grazie a te Drake. Se hai bisogno di qualsiasi
cosa…» tirò fuori un biglietto da visita e ci scrisse dietro qualcosa, «qui ci
sono anche i miei numeri di casa e di cellulare. Non esitare ad alzare il
telefono, dirò a mia moglie e alla mia segretaria chi sei e che mi passino
comunque le tue telefonate. Basterà il tuo nome.»
Prese il biglietto e lo mise in tasca. «Stia
tranquillo professore, e grazie ancora.»
Rientrò in macchina e sua madre contò fino a tre
prima di cominciare a fargli domande, «Non era il professor McIntyre quello?»
«Il professore che ha in cura la famiglia
McGregory da secoli, proprio lui.»
«E cosa voleva?»
«Mamma, sei incapace di nascondere qualcosa a Manaar,
non posso dirti niente.»
Si sarebbe morso la lingua: aveva appena detto a
sua madre che esisteva qualcosa da nascondere!
«Stai pur certo che se Juna è grave non sarà certo
sfuggito a sua madre.»
Evitò di guardarla in faccia: a lei e a Manaar
sfuggiva da anni che i loro pargoli fossero killers dell’F.B.I.… ed era
abbastanza grave, no?
«Mamma, te lo chiedo per favore: scordati di
averlo visto. La situazione sarà già difficile da gestire, non complicarmi
ulteriormente le cose.»
Il pesante cancello in ferro cominciò ad aprirsi.
Jessica Tyler alzò gli occhi al cielo, «Tutto tuo
padre.»
Nella fattispecie era tutto meno che un
complimento, ma poteva anche andargli peggio.
In casa c’era un perfetto delirio.
Addirittura Howard inciampò per prendere i
soprabiti suo e di sua madre.
Lo sorresse prendendolo per le spalle, «Howard,
stai tranquillo, sono sicuro che Juna tornerà come nuovo» gli disse.
«Spero tu abbia ragione Drake. Sono così contento
che tu sia qui.»
Rimase a bocca aperta.
La fine del mondo era vicina.
Apparve Manaar che li abbracciò tutti e due
insieme, «Mi sembra di vivere in un incubo. Grazie per essere corsi subito
qui.»
«Non dirlo neanche per scherzo tesoro» disse sua
madre. «Come sta Juna?»
Manaar spiegò loro cosa era successo nelle ultime
ore, «Connor e Paul sono andati in farmacia. Juna dovrà prendere un intero
arsenale di medicine e so già che mi farà impazzire per questo. Melissa e
Michael sono in camera con Jennie adesso… hanno avuto una reazione spaventosa.
Michael in particolare mi ha fatto paura… e non me l’aspettavo. Melissa sì, ma
lui… si è calmato solo quando ha saputo che arrivavi» concluse rivolgendosi a
lui.
«Posso vedere Juna?»
Manaar sorrise, forse per la prima volta nelle
ultime otto ore, «Se ti dicessi di no fa qualche differenza? Ho aspettato a
dargli le pasticche apposta. Lo stroncheranno, Larry è stato chiaro: dormirà
fino a domani mattina.»
«Vado da lui, poi da Michael. Dammi queste
pasticche, gliele farò prendere io.»
Appena ebbe il bicchiere pronto, sua madre prese
in consegna Manaar e lui non perse neanche tempo a salutare chi era in casa:
andò diretto nella stanza del suo migliore amico.
Entrò senza bussare.
«Ti aspettavo.»
Chiuse la porta alle sue spalle, appoggiò il
bicchiere sul comodino, poi prese posto nella sedia accanto al letto, dopo di
che si sentì abbastanza controllato per parlare senza sbranarlo. «Sei un
incosciente.»
«Non pensavo di arrivare a svenire Drake, ma non
preoccuparti, non…»
«Non cercare di raccontarmi puttanate Juna: il
professor McIntyre mi ha aspettato al cancello e so tutto quello che non sanno
i tuoi.»
Solo Dio sapeva come faceva a rimanere così calmo
e controllato, forse doveva ringraziare gli addestramenti ai quali erano stati
sottoposti da Matthew e Richard.
Era arrivato il momento di fare una scelta ben
precisa.
Juna rimase in silenzio, probabilmente stava
maledicendo McIntyre.
«Ascoltami bene» riprese senza alzare la voce.
«Direi che siamo più o meno pari adesso: voglio pensare che tu mi abbia reso il
favore di non averti parlato subito del pericolo che corriamo. Da adesso
ripartiamo da zero, intesi? Voglio sapere cosa pensi ancora prima che il
pensiero venga concluso a livello mentale, mi sono spiegato? Da parte mia farò
lo stesso, è una promessa. Meno di un mese fa ho detto ad alta voce che non ti
avrei perdonato se solo non mi avessi detto che stavi male, sembra quasi che mi
stessi a sentire.»
«Pensavo che fosse il solito mal di testa Drake,
non ti nasconderei mai qualcosa che…»
«Anche verso questi mal di testa devi cambiare
atteggiamento. Da quanto sono tornati alla carica? Da quanto non fai più quegli
esercizi con George? Qui è anche colpa mia, perché è evidente che a volte non
sei in grado di badare a te stesso e io non sono migliore di te. Ci sta
sfuggendo tutto di mano Juna, te ne rendi conto?»
«Non dire cretinate: non è colpa tua.»
«Io e te daremo le dimissioni a Richard e
Matthew.»
«Cosa?»
«Ci tiriamo fuori da questa storia Juna, adesso.
Telefonerò oggi stesso a Matthew e gli dirò che Darkness e Falcon spariranno
come sono apparsi. Sei come e più di un fratello per me, stai male, e il mio
primo pensiero è come fare con Michael e questa storia che ci danno la caccia,
invece di occuparmi di te. E’ ora di
finirla. E’ stato bello finché è durato, ok? E’ stata una bella avventura e non
rinnego niente, ma è ora di finirla. Siamo due ragazzi di diciannove e ventuno
anni e cominceremo a vivere come tali.»
«Sharon non c’entra niente con questa decisione
vero?»
Uno dei lati negativi di avere accanto uno come Juna,
era che puntualmente capiva anche quello che lui non arrivava neanche a
pensare.
Quel ragazzo lo conosceva troppo bene, ecco la
triste verità.
«Stai cercando di dirmi che rimarresti agli ordini
di Richard e Matthew anche senza di me?» cercò di riportare il discorso dove
gli interessava.
Juna, ovviamente, non aveva alcuna intenzione di
collaborare. «Vuoi, per una volta in vita tua, rispondere ad una mia domanda
senza una domanda?»
«Credo di essere innamorato di Sharon, e se tu ne
avessi un po’ meno a cui star dietro, probabilmente ti saresti accorto che la
tua voce cambia quando ti rivolgi a Jennifer. Ricordo perfettamente il patto
che abbiamo fatto quando decidemmo di diventare agenti segreti… devo
ricordartelo punto per punto?»
Regola numero uno: insieme o niente. Ognuno di
loro teneva troppo all’altro per fidarsi di un’altra persona. Regola numero
due: se uno solo di loro si fosse stancato di quella vita, avrebbero mollato
entrambi. Regola numero tre: niente casini sentimentali. Dovevano mantenere
intatta la loro indipendenza e il loro lato cattivo.
I punti salienti erano tutti qui.
«No, basta ricordarsi i primi tre.»
«Non saremo mai completamente fuori da questa
storia fino a quando la situazione creatasi con il ritrovamento di Michael non
sarà sistemata, non pensare che non me ne renda conto, ma questa sarà la nostra
ultima missione Juna.»
Aspettò la risposta dell’amico, era pronto a
dargli battaglia senza il minimo rimorso per le sue attuali condizioni di
salute.
«D’accordo. Chiama Matthew e avvisalo di quello
che abbiamo deciso.»
Si rilassò.
«Adesso parlerò con Michael. Tu prendi queste
pasticche, sono già sciolte nell’acqua, dovrebbero buttarti giù la febbre.
Tornando un attimo al professor McIntyre, dimmelo subito: collaborerai anche in
questo o devo trasferirmi in questa stanza?»
«Ti ha detto che se sgarro mi interna in ospedale
e butta via la chiave?»
«No, ma lo prendo come un tuo tacito assenso alla
collaborazione.»
Juna si alzò su un avambraccio, «Dammi quella
porcheria.»
Nel passargli il bicchiere gli toccò la mano e si
trattenne a stento dal bestemmiare: era bollente.
«A quanto hai la febbre?»
«Quando sono arrivato a casa era abbondantemente
sopra i quaranta.» Buttò giù tutto il bicchiere in un fiato, «Che schifo, ma
cosa è?»
«Appena ti rimetti in piedi te le suono di santa
ragione Juna.»
«Bisogna vedere se io starò fermo a prenderle.»
«Saranno almeno in dodici a darmi man forte.»
«Tredici con Alison, mi sa.»
«Quattordici con Sharon, appena saprà cosa hai
fatto passare a Jennifer.»
«Togliti quell’espressione soddisfatta dalla
faccia Drake.»
«Rimettiti sotto le coperte, e non cercare di
rimanere sveglio adesso: queste pasticche sono autentiche bombe. Torno a
trovarti domani.»
«Va bene…» rimase in silenzio il tempo di farlo
alzare dalla sedia, poi… «Drake?»
«Cosa?»
«C’è una… una cosa di cui non ti ho mai parlato.
Riguarda la mia nascita. Non farne parola con anima viva, i miei vivono
tranquilli perché convinti che io non sappia niente. Prometto che appena mi
rimetto in piedi affronteremo il discorso.»
Rimase un attimo senza parole, poi capì tutto «Me
ne hai accennato adesso per costringermi ad impedirti di cambiare idea e
rimandare ancora, vero?»
«Dovresti fare anche tu un test di intelligenza,
Drake… i risultati potrebbero sorprenderti.»
Aprì bocca per dirgli esattamente cosa pensava di
lui in quel momento, ma Juna riprese «Quando chiederai a Sharon di diventare la
tua ragazza?»
«Prima ho un paio di cosette da sistemare.»
«Credo che sia la ragazza giusta per te sai?
Peccato è mora.»
Non riuscì a trattenere un sorriso, «Caso vuole
che Jennifer sia bionda.»
«Ah, se n’è accorto anche Justin.»
«Mettiti a dormire, accidenti a te.»
Juna non rispose neanche.
Il giorno che avrebbero smesso di affrontare anche
la situazione più disperata in modo scanzonato, avrebbe veramente cominciato a preoccuparsi.
Il leggero bussare alla porta le diede la scusa
che cercava per staccarsi dai libri. «Avanti» disse sottovoce.
Fece capolino Drake. «Ciao.»
Istintivamente guardò i due bambini sul letto, si
erano addormentati.
Drake entrò nella stanza e le fece segno di non
svegliarli.
Prese la sedia davanti al tavolino da trucco e la
spostò accanto alla sua, «Come stai?» le chiese sedendosi.
Drake era davvero bello. Poco da dire o da fare,
poteva capire Sharon.
«Come una sopravvissuta ad un uragano. Hai visto Juna?»
Drake annuì, «Si è addormento adesso.»
«Come sta?»
«Adesso sta splendidamente, in confronto a quando
gli metterò le mani addosso.»
Il colpo per Drake doveva essere stato brutto: non
sorrideva.
«Lo hai detto meno di un mese fa, ricordi?»
Drake la guardò sorpreso, «Te lo ricordi anche te
eh? Lasciamo perdere guarda. Se non l’ammazzo io, arriva ai cent’anni volando.»
Sorrise, «Sharon la pensa allo stesso modo su di
me.»
Anche il ragazzo sorrise, «Non è un complimento
sai Jennie? Non sorriderei così soddisfatta. L’hai già avvisata di questo nuovo
cataclisma?»
«No. So che vi sentite stasera, ci pensi tu?»
«Sarà un piacere» disse rassegnato. Guardò suo
fratello e Melissa, «I due puffi?»
«Melissa… beh, ha avuto una reazione nella norma…
per così dire. Michael mi ha completamente spiazzata.»
«Il fascino di Juna non perdona, è proprio vero.»
Stava cercando di scherzare, ma si vedeva che era
preoccupato.
Scoprì che le faceva tenerezza.
Lo vide alzarsi e sedersi sul letto accanto ai due
bambini.
Sfiorò il braccio di Michael che si svegliò
subito.
«Drake!» esclamò subito sveglio e lucido
gettandosi fra le sue braccia… seguito a ruota da Melissa.
«Oh Drake è successa una cosa terribile!» esclamò
la bambina.
«So già tutto, ho visto Juna poco fa e finalmente
si è addormentato.»
«Come sta?» chiese suo fratello.
«Adesso non molto bene, ha la febbre alta… ma
tornerà come nuovo.»
«Resti qui con lui?»
Rimase spiazzata dalla domanda, Drake invece
sembrava averla messa in preventivo come la cosa più ovvia.
Il legame che esisteva fra Juna e Drake andava oltre
la logica umana, realizzò all’improvviso.
«Se farà ammattire Manaar per prendere le
medicine, puoi star certo che verrò di persona a fargliele ingoiare.»
Melissa asserì con la testa.
L’istinto della chioccia che quella bambina aveva
verso Juna sembrava escludere Drake: lui era libero di fare quello che voleva,
anche batterlo contro un muro.
«C’è anche la tua mamma?» chiese Melissa «Mi
piacerebbe salutarla.»
«Certo che c’è, è con Manaar adesso. Sono sicuro
che le farà piacere vederti.»
«Possiamo venire anche io e Jennie?» chiese suo
fratello.
«Ma Micky…»
«Ma certo! Nessun problema!»
Quindi scesero in gruppo.
Drake era la fotocopia al maschile di sua madre,
una bellissima donna al pari di Manaar.
Fatte le presentazioni, Jessica si rivolse a
Melissa «Cerca di non farmi impazzire Manaar adesso, intese signorina?»
Melissa sorrise appena, «Tanto ci pensa tuo figlio
adesso.»
Drake alzò lo sguardo al cielo, «Capito mamma?
Puoi stare tranquilla!»
«Rimanete a cena vero?» chiese Manaar «Brian è già
partito?»
«Aveva l’aereo alle dieci stamani» rispose
Jessica. «Non vedeva l’ora di partire dopo quello che mi ha combinato.»
Drake ridacchiò, «Dai mamma, è naturale per un
figlio andare a vivere da solo.»
Manaar sgranò gli occhi, «Cos’è questa novità?»
chiese.
«Ancora non glielo hai detto?»
Jessica alzò lo sguardo al cielo, pari pari suo
figlio «Aspettavo un momento tranquillo.»
«Come sta Juna?» chiese Manaar a Drake.
«Dorme come un angioletto.»
Esempio meno calzante non poteva trovarlo.
Manaar prese a braccetto Jessica e la riportò in
salone, «Abbiamo tutto il tempo del mondo, dimmi cosa ha combinato il tuo
consorte.»
«E’ per l’attico vero?» chiese al ragazzo quando
le due donne furono ragionevolmente lontane.
«Ne hai dubitato anche per un solo istante?»
Aveva l’impressione di aver svaligiato la
farmacia, e la cosa non gli piaceva affatto.
«Come stai?» gli chiese improvvisamente suo
fratello.
Erano almeno vent’anni che Paul non gli rivolgeva una
domanda del genere.
«Credo che sotto shock sia la definizione
che più si avvicina.»
«Juna ha una fibra forte, supererà anche questa,
vedrai.»
«Avrebbe potuto spaccarsi la testa in ufficio, tua
figlia non ha esagerato. Se avesse preso lo spigolo della scrivania invece che
a casa avrei dovuto portarlo direttamente all’obitorio. Ho un monumento
all’incoscienza a grandezza naturale come erede.»
Sentì il fratello ridacchiare, «Ho sempre
apprezzato il tuo senso dell’umorismo Connor.»
Le sue labbra si piegarono contro il suo volere e
di lì a poco ridevano tutti e due.
«Ora va meglio» continuò Paul. «Non è nello stile
McGregory affrontare le situazioni, anche le più preoccupanti, con il broncio.»
«Grazie per avermelo ricordato.»
«Credo che a casa troveremo anche Drake.»
«E’ poco ma è sicuro. Probabilmente anche Jessie.
Per come si sono delineate le cose mi aspettavo di dover mettere a letto anche Manaar.
E’ stata una mazzata per lei.»
«Connor… hai notato Michael?»
Gli lanciò un’occhiata.
L’aveva notato e come. Melissa era quasi nel
panico… Michael addirittura terrorizzato.
«Sì.»
«Sto ringraziando il Signore di avere dei figli
già grandi, ti giuro. Nei panni di Ryan o Jeremy non saprei dove sbattere la
testa. Ci deve essere una spiegazione.»
«Sto pensando di andare a parlare con questa
dottoressa Horgan» ammise per la prima volta ad alta voce. «Magari farle
incontrare Juna, anche casualmente. Manaar mi staccherebbe la testa se solo
immaginasse quali pensieri mi affollano la mente, quindi se non vuoi diventare
il presidente della compagnia tienitelo per te.»
Paul sbuffò, «Non ci tengo minimamente» lo
tranquillizzò.
«A volte mi sembra di non conoscere affatto mio
figlio, Paul. Prendi questi mal di testa… sto veramente iniziando a chiedermi
se ho davvero avuto cura di lui fino ad oggi.»
«Sai Connor… pensavo… ho sentito Juna nominare il
professor Cowley poco tempo fa, ma non riesco a ricordare quando è stata
l’ultima volta che gli ho sentito dire vado da George a fare gli esercizi.»
Ci mise qualche secondo a fare mente locale. «Sai
che hai ragione?»
«E se Juna avesse smesso di farli?»
Per poco inchiodò sul posto.
Con uno sforzo enorme si costrinse a non frenare
né accelerare… ma le nocche gli divennero bianche intorno al volante.
Dio che pezzo di idiota.
«Devo… devo parlarne con Manaar. Dannazione Paul,
potresti avere ragione.»
«Me lo ha fatto notare Just. Ho realizzato che mio
figlio sta più attento a suo cugino di quanto abbia mai lontanamente
immaginato.»
Certo stava più attento di suo zio.
______________________________________________
NOTE:
giunigiu95: ;) Sì sono una
femminuccia! XD Hai evitato la figuraccia! Grazie per i complimenti,
apprezzatissimi!
Capitolo 12 *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 12 ***
Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 12
Non
E’ Mai Troppo Tardi
12
C’erano sia Drake che Jessica, ovviamente, ma la
pulce nell’orecchio che gli aveva messo Paul lo rese praticamente sordo a
qualsiasi altra cosa.
Rispose al saluto di Jessica e relativo bacio
sulla guancia, poi affrontò la moglie. «Da quanto nostro figlio non vede
Cowley?»
Manaar non dovette cercare molto nella sua
memoria. «Sono… mesi» rispose semplicemente.
«Lo hai mai visto quest’uomo?»
Manaar scosse la testa in senso negativo.
«Io sì» rispose invece Drake avvicinandosi. «E se
è venuto in mente anche a te che non lo vede da un po’, sappi che ho già dato a
tuo figlio una sonora lavata di capo a riguardo. Uno a cento che questi mal di
testa sono diventati frequenti perché non si esercita più con George.»
Sua moglie guardava Drake come se fosse
fosforescente. «Gliene ho parlato anche io tempo fa» ammise poi.
Fantastico, era il solo a non averci pensato.
«Cowley?» chiese improvvisamente Lennie «George
Cowley?» Al cenno affermativo di Manaar si batté una mano sulla fronte, «Dio,
ho sfiorato una figuraccia da manuale! Ha telefonato stamani chiedendo di Juna, poi con quello che è successo…»
Rivolse anche a lui un’occhiata di scusa.
«Non preoccuparti Lennie. Drake, sai come
rintracciarlo?»
«Quasi sicuramente Juna ha il suo numero nel
cellulare.»
Fu Drake a trovarlo… non solo conosceva i codici
per accedere ai numeri personali di suo figlio, quindi per inciso suo figlio
aveva i numeri della rubrica protetti, ma notò come ebbe anche la premura di
spengere l’apparecchio appena ebbe trascritto il numero su un pezzo di carta.
Fu come se un velo gli calasse di colpo da davanti
agli occhi: non sapeva niente della vita di suo figlio al di fuori di quei
maledetti uffici.
Come aveva fatto ad arrivare a questo punto?
«Manaar, lo chiamiamo dallo studio» disse a sua
moglie.
La donna alla quale aveva giurato eterno amore
stava ancora soppesando Drake con un’occhiata assorta. Si rivolse a lui e
annuì, poi… «Drake, vorrei che ascoltassi anche tu la telefonata. Mi sembra
evidente che sai molte più cose su Juna di quante ne sappiamo io e suo padre.»
Fu Jessica a cambiare colore, Drake si limitò a
fissare Manaar per qualche secondo e poi annuì.
«Paul, avverti gli altri di cosa stiamo facendo io
e Manaar, ok?» disse a suo fratello.
Si spostarono nello studio e Drake prese posto nel
divano, più lontano dal tavolo rispetto alle poltroncine, sua moglie invece
prese posto in una di queste.
Mise il telefono in viva voce e compose il numero.
Rispose una voce femminile, «Pronto?»
«Buonasera signora, mi chiamo Connor McGregory,
sono il padre di Juna… un alunno del professor Cowley. Posso parlare con il
professore?»
La donna rimase un attimo in silenzio, poi disse
soltanto, «Glielo passo subito.»
Una profonda voce maschile riempì la stanza.
«Pronto?»
«Professor Cowley?»
«Signor McGregory, se ho capito bene.»
«In persona. Stanno ascoltando la telefonata anche
mia moglie Manaar e Drake, che penso conosca già.»
«Buonasera a tutti.»
«Buonasera George» rispose Drake.
«Buonasera» fece eco sua moglie.
«Professore, l’ho chiamata appena mia cognata mi
ha avvisato della sua telefonata di stamani.»
Ci fu un lungo silenzio dall’altra parte, poi un
profondo sospiro, «Juna si è sentito male alla fine, vero?»
Il suo sguardo incrociò quello di sua moglie. «Juna
è svenuto stamani… e ha la febbre molto alta.»
Altro silenzio, «Non bestemmio per rispetto a lei
e a chi mi sta ascoltando, ma suo figlio farebbe perdere la pazienza ad un
morto. Drake?»
«Lo so George, ma a volte non da retta neanche a
me.»
«Per avere l’intelligenza che ha, a volte il suo
buon senso non basterebbe per una formica. Voglio essere estremamente chiaro
signor McGregory…»
«Mi chiami Connor. Preferisco essere chiamato per
nome quando mi si danno brutte notizie.»
Breve silenzio, poi… «Beh, almeno ora so che è
vero ciò che mi ha sempre detto Juna: è da lei che ha ripreso il senso
dell’umorismo.» Ci fu una breve pausa, poi riprese, «Avere un cervello come
quello di Juna ha più contro che pro. Sono anni che glielo dico, dannazione: ha
bisogno di continui stimoli, continue sfide, quel ragazzo rischia di impazzire
altrimenti.»
Sentì il sangue confluirgli ai piedi e Manaar
perse chiaramente colore… Drake si portò le mani sul viso.
«Da qualche mese ha continui mal di testa» disse Manaar
con un filo di voce. «Molto più… frequenti del solito.»
A quel punto toccò a lui raccontare per filo e per
segno cos’era successo quando Juna aveva risposto, scattando infastidito, al nonno.
«Forse non dovrei dirlo proprio a voi che siete i
suoi genitori, ma a questo punto non ho altra scelta: sono anni che sprono Juna
a prendere altre lauree. Le persone con un alto I.Q., e quello di Juna è da
record mondiale, non prendono lauree per hobby o per avere qualcosa da
incorniciare: è una questione di sopravvivenza. Studiare qualcosa sotto
molteplici punti di vista come di solito si fa per prendere una laurea è un
ottimo esercizio mentale… senza contare che mettere insieme una qualsiasi tesi
per uno come vostro figlio, che potrebbe sostenere in modo credibile anche
l’esistenza dell’acqua sul Sole, è soddisfazione pura e semplice. Juna negli
ultimi anni si è buttato esclusivamente sul lavoro e in un battito di ciglia ha
imparato tutto quello che c’era da imparare: non ha più stimoli. E’ diventato
un robot.»
Manaar si portò una mano sulla bocca e una lacrima
le scese lungo la guancia, poi si coprì gli occhi.
«La colpa è interamente mia professore» ammise.
«No Connor. Le colpe non servono a niente. Juna è
perfettamente cosciente di quanto le ho appena detto, è perfettamente cosciente
che non fare esercizi è pericoloso: appena ha iniziato ad avere mal di testa
doveva alzare il telefono e chiamarmi. Dio solo sa cosa gli passa per la mente.
E’ il cervello il vero pannello di controllo del corpo, se qualcosa non va ne
risente l’intero organismo.»
«Al momento ha la bronco-polmonite» lo informò
Drake.
Altro silenzio.
«Professor Cowley, è una madre che le parla» disse
Manaar, «adesso voglio sapere tutto quello che c’è da sapere: Juna è l’unico
figlio che mi è rimasto.»
La frase lo colpì come un pugno in pieno viso.
Lì per lì non capì neanche cosa avesse
avuto quell’effetto su di lui e istintivamente mantenne un’espressione neutra.
Connor guardava la moglie come se la vedesse per
la prima volta.
Juna era l’unico figlio che le era rimasto.
Beh, sapeva che Juna era nato dopo diversi aborti
spontanei… quindi Juna era l’unico figlio che aveva avuto.
Manaar si era espressa in altri termini però.
Juna è l’unico figlio che mi è rimasto.
Significava, alla lettera, che prima di lui ce ne
erano stati altri?
Sentì il fiato rifiutarsi di uscire dai polmoni.
Stavolta gli toccò fare uno sforzo enorme per mantenere quell’espressione.
«… ne hanno risentito i bronchi adesso» stava
dicendo George. «Ho conosciuto persone che ci hanno rimesso il cuore.»
«Cosa?» chiese prima di poterselo impedire.
«Drake, benedetto ragazzo, pensi davvero che Juna
debba fare tutti quegli esercizi per passare il tempo? Lo so che gli crederesti
anche se ti dicesse che la Terra è ottagonale. Ti fidi a tal punto di lui che
gli affideresti la tua vita… e con la tua vita, Juna sarebbe la persona
più coscienziosa di questo pianeta. Da fondo alla sua incoscienza solo con se
stesso.»
«Juna avrà un sacco di tempo libero nelle prossime
settimane» disse Connor con il tono di chi ha preso una decisione insindacabile.
«Professor Cowley…»
«Mi chiami George, la prego.»
«George, verrebbe qui a casa a fargli fare quei
dannati esercizi?»
«Molto volentieri Connor. Juna mi ha sempre
parlato dei suoi genitori, mi piacerebbe molto conoscervi, finalmente.»
«Le prometto che la terremo aggiornato sulla
salute di Juna, professore» disse Manaar. «Grazie del tempo che ci ha
dedicato.»
Ci fu un altro breve silenzio, poi la voce di
George suonò incredibilmente dolce, «So cosa sta pensando signora McGregory, ma
mi deve credere: Juna è il primo che a volte non capisce se stesso. Un genio è
anche questo. Non basta una vita per imparare il mestiere di genitori, lei e
suo marito non avete fatto errori diversi da quelli che fanno dei genitori di
solito. Ho un figlio che ha una decina d’anni più di Juna e ci è stato concesso
molto tardi, so cosa significa. Juna è un ragazzo con la testa sulle spalle, il
novantacinque per cento delle volte, con sani valori e tutti i soldi che ha non
gli hanno impedito di sviluppare un rispetto per gli altri e per la vita che lo
rende attento a ciò che lo circonda. Non vi porta rispetto e vi adora come vi
adora solo perché siete i suoi genitori, vi rispetta e vi ammira perché
siete le persone che gli hanno insegnato come affrontare la vita nel modo
giusto… e sto citando testualmente le sue parole. La corazza di quel
ragazzo si ammorbidisce solo quando parla di sua madre e suo padre.»
Manaar ormai piangeva a dirotto, «In questo
momento la persona che amo di più al mondo dorme sopra la mia testa con la
febbre che sfiora i quarantuno, professore. Quando è svenuto li superava,
addirittura. Il dottore mi ha detto che l’organismo di Juna ha staccato la spina prima di arrivare a
danni irreparabili. Mio marito me lo sono scelto e ho lottato per averlo…
mio figlio è semplicemente una parte di me. A prescindere da quanto ho
desiderato essere madre, Juna è quanto di più prezioso ho al mondo. Da almeno
un mese ho registrato comportamenti in lui che mi hanno spaventata, a volte… e
quando ho avuto il coraggio di affrontarlo, mi sono lasciata cullare dalle sue
rassicurazioni.»
Questa era una tragedia.
Capì anche troppo bene cosa stava dicendo Manaar.
L’unica cosa che riuscì a tranquillizzarlo fu il
pensiero che lui e Juna avevano già deciso di mollare l’F.B.I..
Quando tornarono nel salone non si era per niente
tranquillizzata… ma aveva un problema ben più grave a cui far fronte.
Le era scappata la verità davanti a Drake, per
tutti i santi.
Il ragazzo non aveva mosso un muscolo, non aveva accennato
la minima sorpresa… forse gli era sfuggito il vero significato di ciò che aveva
detto… forse aveva pensato che era sconvolta e si era confusa parlando.
Troppi forse ad arginare una catastrofe.
Madeline le andò incontro abbracciandola, «Manaar,
figliola, hai un aspetto tremendo. Che è successo?»
Connor prese il posto di sua madre e mentre
raccontava cosa avevano saputo, assicurandosi prima che né Michael né Melissa
fossero nei paraggi, si strinse a lui.
Alla fine del racconto, calò il silenzio.
Justin si rivolse a Drake, «Tu la sapevi in questi
termini?»
«In parte sì» ammise Drake. «Sapevo del fatto che
non fare quegli esercizi era pericoloso per Juna… ma che rischiasse di impazzire… questa volta gliela stacco,
quella testa.»
Jessica lo abbracciò e Drake le baciò
affettuosamente la sommità della testa.
Patrick crollò su una poltrona, «Connor, non
sarebbe il caso di far conoscere Larry e questo professore?» chiese poi «Cowley
è un po’ il dottore della mente di Juna.»
«Ottima idea papà» disse Connor. «Sta certo che da
ora in poi mi terrò in contatto con entrambi e Juna non potrà più fare di testa
sua. Imparerà ad avere cura di se stesso, dovessi…»
Gli mise un dito sulla bocca, «Calmati Connor.
Arrabbiarsi adesso non serve a niente.» Si rivolse al suocero, «Patrick, stanno
arrivando mio padre e mia madre, non c’è stato verso di fermarlo.»
Madeline scattò in piedi, «Faccio preparare una
stanza per loro. Stavo quasi per chiederti se li avevi già avvisati.»
«Manaar, forse è il caso che io e Drake ce ne
andiamo» disse Jessica.
«Neanche per idea» disse Patrick.
«Fosse per me rimarreste qui anche stanotte» disse
Justin. «Adesso che Juna sta male mi sento più tranquillo sapendo che c’è Drake
nei paraggi.»
Drake si voltò verso Justin guardandolo
sbalordito.
«Forse non te ne sei accorto» gli spiegò Patrick,
«ma da quando Juna respira, tutta la famiglia ti vede come un tutt’uno con
lui.»
Jessica fece una smorfietta, «Quando Brian è a
casa e non vede o sente Juna almeno una volta al giorno, chiede sempre che fine
ha fatto il suo pargoletto acquisito. A dirla tutta, quando vede Drake uscire
di casa gli dice sempre di salutare Juna da parte sua.»
«Beh, effettivamente dopo tre giorni che non vedo
Drake ho sempre l’impressione che manchi qualcosa in questa casa» ammise Paul.
«Andiamo bene» fu il commento di Drake. «L’ipotesi
che io e Juna si possa leticare o semplicemente stancarci l’uno dell’altro non
è contemplata nella logica universale, vero?»
Cominciarono a ridacchiare e in breve ridevano
tutti quanti.
«Non vi azzardate a farmi una cosa simile!»
esclamò Patrick, poi si rivolse a lei, «Sono contento che venga Mansur. Avrei
preferito che l’occasione fosse migliore, ma non si può avere tutto dalla
vita.»
Ryan respirò profondamente, «Sarà una bella novità
vedervi andare d’amore e d’accordo.»
«Più che altro sarà la prima volta» commentò Paul.
«Beh, veramente no, ma la prima volta voi non
eravate presenti. Io e Mansur abbiamo sotterrato l’ascia di guerra quando sono
andato a trovarlo con Maddie qualche mese fa.»
Nel silenzio che seguì, Paul guardò Connor «Sai
fratellino? Credo che abbiamo sottovalutato parecchio nostro padre.»
Mansur e Charmaine Alifahaar arrivarono poco prima
di cena.
L’uomo per i primi due minuti non ebbe occhi che
per la figlia.
Se la strinse con forza al petto, poi l’allontanò
da sé e la guardò in faccia, «Tu hai pianto.»
«E tu hai mobilitato mezza Los Angeles per
arrivare qui in tempo record.»
«Sai che non voglio che tu pianga.»
«Potresti essere un po’ meno attento e non ti
accorgeresti di nulla.»
Mansur sbuffò e la moglie ne approfittò per
abbracciare anche lei la figlia.
«Come sta quell’incosciente?» chiese poi
rivolgendosi a Connor.
«Dorme. Probabilmente dormirà fino a domani
mattina. Si è beccato una bella bronco-polmonite, ma… beh, se fosse solo questo
sarebbe troppo facile. Ti spiegherò tutto per filo e per segno dopo cena, con
calma.»
La spiegazione sembrò essergli sufficiente, asserì
con un deciso cenno della testa.
«Tuo padre ha dovuto ordinare specificatamente
alle tue sorelle e relative nipoti di non lasciare Los Angeles» disse Charmaine
alla figlia. «La sola idea che Juna stesse male le ha distrutte. Afef era fuori
di sé.»
«Ci credo. E’ il futuro capo dei Alifahaar, cosa
farebbero senza di lui?» tagliò corto Mansur.
Madeline alzò gli occhi al cielo, «Assomigli a mio
marito più di quanto tu possa immaginare, Mansur.»
«Evita questi discorsi davanti a mio figlio
adesso» disse Connor, «lo sai che lo mandano in bestia.»
Dopo di che passarono a salutare tutti… e alle
presentazioni.
Giunto davanti a Jennifer e Michael, rigorosamente
in collo alla sorella, si bloccò sorpreso, «Patrick, ti sono spuntati due
nipoti supplementari?» chiese «Se non avessi già salutato Georgie e Justin
avrei potuto pensare che la prima si è accorciata e il secondo si è ristretto
fino all’inverosimile.»
Jeremy si fece avanti fra le risate divertite,
«Loro sono figli miei: Jennifer e Michael.» Tese la mano, «Sono Jeremy
Flalagan, lieto di conoscerla signor Alifahaar, lei è mia moglie Sarah.»
Mansur gliela strinse osservandolo con attenzione,
«Omonimo del governatore?»
«Sono proprio io.»
Si rivolse a Patrick, «Non ti sembra di aver
esagerato? Mobilitare il governatore sembra eccessivo addirittura a me.»
Patrick scosse la testa con un sorriso, «Ti
spiegherà tutto Connor.»
Michael tese la manina verso Mansur, «Piacere di
conoscerla signor Mansur.»
«Piacere mio Michael.» Si rivolse a Jennifer,
«Buonasera signorina.»
«Buonasera signor Alifahaar, lieta di conoscerla.»
Si guardò intorno, «Howard è sopravvissuto al
colpo?»
«Ha retto abbastanza bene, direi… gli è solo
sfuggito di darmi finalmente del tu e chiamarmi Drake.»
«Ah! L’eterno complice di mio nipote! Stavo giusto
chiedendomi dove potessi essere!» lanciò un’occhiata dietro di lui «Ciao
Jessie.»
«Buonasera Mansur.»
«Le cose non sono cambiate molto negli ultimi
quarant’anni, vero? Quando mia figlia ha bisogno, tu accorri. Hai addirittura
avuto la lungimiranza di mettere al mondo Drake due anni prima rispetto a Juna.»
«Che Dio ci aiuti, sei in splendida forma Mansur!»
commentò Connor.
Apparve Howard, «Benvenuto signor Alifahaar, è un
piacere vederla. Signora Alifahaar, ben arrivata.»
«Come stai Howard?» chiese Charmaine togliendosi
il soprabito e passandolo all’uomo «Anche mio marito se lo stava chiedendo.»
«Come uno a cui è crollato il mondo addosso
signora, ma sopravvivrò. Il signorino ha una fibra forte.»
«Howard, non tollererò passi indietro, intesi?»
disse Drake «Da oggi mi dai del tu e mi chiami per nome.»
«Speravo che non se ne fosse accorto.»
«Howard…»
«D’accordo Drake.»
Sparì com’era apparso.
«E’ sotto shock pover’uomo» commentò Paul.
«Appunto: se non ne approfitto adesso…» fu il
commento di Drake.
«Che ne dite di mangiare?» propose Madeline «Dopo
di che Mansur e Charmaine daranno un’occhiata a Juna e gli spiegheremo cosa è
successo.»
Doveva uscire di lì e doveva farlo subito.
Si sentiva come paralizzato, riusciva a stento a
respirare…
Dov’era Drake? Non lo sentiva e non riusciva a… e
da qualche parte dovevano esserci anche Jennifer e Michael…
Qualcuno lo afferrò per le spalle e di riflesso si
liberò con uno strattone.
Un tonfo sordo.
«Oh santo Dio, Connor!» esplose la voce di sua
madre.
Connor?
«Juna? Sono Drake, calmati adesso!»
Spalancò gli occhi rendendosi conto solo in quel
momento di averli chiusi. «Dove sono?»
«In camera tua, sei svenuto stamani ricordi? Hai
la febbre alta, stavi delirando» gli spiegò Drake con una carezza fra i
capelli.
«Faccio fatica a respirare Drake.»
«Chiamo Larry, di corsa» disse la voce di Justin.
«Fermo dove sei» disse Drake. Gli sollevò la testa
con entrambe le mani, «Adesso?»
«Va molto meglio.»
«Manaar, va a prendere dei cuscini.»
Nonno?
«Nonno?»
«In persona, Juna. Ne hai di forza per essere
malato, hai scaraventato tuo padre attraverso la stanza.»
«Cosa? Papà?»
«Calmo Juna, sono qui» anche suo padre apparve nel
suo campo visivo. «Non mi hai fatto male, stai tranquillo.»
«Elisabeth, Sarah, controllate che Melissa e
Michael non vengano qui adesso» disse la voce pacata di Jeremy.
Apparve anche sua madre, accanto a suo padre, e la
sua testa fu sollevata permanentemente.
Gli sembrò di rinascere.
Inalò profondamente, «Ora va decisamente
meglio. Grazie mamma.»
Gli accarezzò la fronte, «Ho l’impressione che
queste pasticche non facciano effetto. Come va la testa?»
«Me la sento vuota.»
«Deve dormire Manaar, Larry è stato chiaro. Si è
svegliato perché probabilmente ha avuto un incubo» disse sua nonna Madeline da
un punto imprecisato della stanza.
E’ stata organizzata una riunione di
famiglia a mia insaputa?
«Rimango qui con lui stanotte» decise all’istante
sua madre.
E se nel sonno mi metto a parlare?
«Rimane Drake, mamma.»
«Ma…»
«Ho fatto fare un volo a papà. Non voglio
rischiare di far del male a te. Se Drake vola fuori dalla finestra è il male
minore.»
«Si sente che mi vuole bene» disse Drake con un
sollievo nella voce che per chiunque altro poteva essere inteso come una
battuta di spirito, ma che a lui fece capire che l’amico aveva i suoi stessi
timori.
«Lasciamolo solo adesso» disse la voce di suo
nonno Mansur fuori dal suo campo visivo. «Ho visto abbastanza, dannazione. Io e
tua nonna rimaniamo qui per qualche giorno» lo informò.
«Vado a prendere dell’acqua, nel caso ti venisse
sete stanotte, e torno qui» disse Drake, «ma tu devi dormire Mac. Sta’
tranquillo, ci penso io.»
Al momento era tutto quello che gli serviva
sapere.
Chiuse gli occhi e sprofondò nel vuoto.
Chiuse la porta alle sue spalle e cominciò a
piangere senza riuscire a controllarsi.
Più che addormentarsi, Juna sembrava aver riperso
i sensi.
Suo padre le fu accanto in un attimo e la strinse
a sé come aveva sempre fatto. «No piccola mia, piangere non serve a nulla.»
«Chissà da quanto si stava agitando in quella
maniera… era completamente scoperto dannazione…»
Connor si stava frizionando il braccio destro.
«Fischia che volo ti ha fatto fare zio» disse
Justin. «Mettici qualcosa o ti verrà un livido come un campo da calcio.»
La sua preoccupazione trovò qualcosa di solido e a
portata di mano su cui cristallizzarsi. «Tesoro, stai bene?» chiese mentre suo
padre la lasciava andare.
«Non mi sono mai reso conto della forza che ha
nostro figlio. Che mi venisse un colpo… ha una presa che è una morsa d’acciaio,
mi ha spostato come se fossi una piuma.»
«Era incosciente Connor» disse Drake.
«Ci mettiamo una pomata, ok amore?»
Connor le accarezzò una guancia, «Ok tesoro, ma ti
prego, calmati.»
Ricominciò a piangere.
«Perché non mi vuole con lui?» disse ancora prima
di pensarlo.
Sembrava di sentire una bambina alla quale era
stato tolto il dolcetto e si odiò per questo, ma…
«Oh santo Dio figlia mia!» esplose Charmaine «Devi
essere fuori di te dalla preoccupazione e te la passo solo per questo! Juna ti
ha dato una spiegazione più che valida, mi sembra! Se è riuscito a far fare un
volo del genere a Connor, tu potresti farti seriamente male.»
«Vado a farmi dare una bottiglia d’acqua da
Howard» disse Drake. «Jennie, per favore, chiama tu Sharon e spiegale cosa è
successo. Voglio lasciarlo da solo il meno possibile.»
«Ci penso io.»
Cercò la ragazza con lo sguardo e, inquadratala
accanto a Jeremy, le si fece incontro e l’abbracciò. Avrebbe riconosciuto quel
tono di voce ovunque: sono-preoccupata-a-morte-per-Juna.
Jennifer cominciò a piangere al pari di lei.
«Ok Jennie, stanotte faremo a turno, io e te» le
disse dolcemente.
Jennifer le cinse la vita e affondò il viso contro
il suo collo in cerca di conforto.
Jeremy si passò una mano sul viso, impotente.
Suo padre cominciò a guardare Jennifer con
un’attenzione tutta nuova.
Alla fine era successo esattamente quello che
avevano deciso di evitare: Jennifer aveva conosciuto la famiglia Alifahaar e
suo padre era troppo attento a qualunque cosa riguardasse il suo unico erede
maschio per non…
«Su su, bambina» disse Patrick, «mio nipote è uno
che va affrontato come hai fatto oggi pomeriggio.»
«Puoi spiegarti meglio?» chiese suo padre.
Riscesero tutti al piano di sotto, Jennifer sempre
allacciata a lei.
«Lennie, per favore, mi trovi una pomata per
Connor?» chiese alla cognata.
Lei annuì e sparì.
Nel frattempo Patrick stava aggiornando suo padre…
a modo suo. «… Gli ha detto chiaro e tondo che lo avrebbe scaraventato fuori
dalla finestra… e ci crederesti? Juna non si è più azzardato a dire che stava
bene!»
Suo padre lanciò un’occhiata a Jennifer.
«Fantastico ragazza mia, ma non puoi cedere così. Mio nipote richiede forza di
volontà, testardaggine e sprezzo del pericolo a tempo pieno.»
Una cosa che adorava di suo padre era la sua
capacità di sdrammatizzare qualsiasi situazione… Connor era uguale.
Anche Jennifer rise.
Ricomparve Drake con una bottiglia e un paio di
bicchieri. «Beh, io vado. Mamma, preferirei rimanessi qui anche tu stanotte,
non mi va che tu stia a casa da sola. Chiama papà e diglielo.»
«Tu occupati di mio figlio, che a tua madre ci
penso io» gli disse.
Drake le sorrise e le posò un bacetto sulla
fronte, «Ecco da chi ha ripreso la predisposizione al gioco di squadra, quel
ragazzo…»
Diede un bacio anche a Jessica che gli accarezzò
una guancia, «Mi raccomando Drake.»
Le annuì «Chiama papà» ripeté. «Potrebbe pensare
che sei in giro a folleggiare senza di lui per vendicarti.»
«Ed è esattamente questo che si meriterebbe» fu il
commento di Jessica.
Drake le sorrise con un’espressione da canaglia,
poi si rivolse al resto del mondo, «Buonanotte a tutti.»
Apparve Howard, «Drake, prendi questa e questo… la
poltrona sarà più comoda.»
Una pesante coperta e un cuscino.
Drake le prese, «Grazie Howard, se non ci fossi
bisognerebbe inventarti.»
Era già a metà scale quando sembrò ripensare a
qualcosa e si girò di nuovo. «Ryan, Elisabeth?»
«Mia figlia non si muoverà dal suo letto» disse
Ryan, intuendo cosa pensava Drake. «Dovessi legarcela.»
Appena sparì, Jessica sospirò, «Però è vero: devo
chiamare Brian. Non riesco ad immaginare che reazione avrà quando saprà che
Juna sta così male.»
Jennifer si staccò da lei, «Oh Dio, Sharon. Devo
chiamarla, assolutamente. Ho lasciato il cellulare in camera, scusatemi.»
Sparì anche lei su per le scale.
Jessica le si avvicinò, «Tu sei mia amica, vero Manaar?»
«Sharon è Sharon Castlemain, la migliore
amica di Jennifer. Ha diciannove anni e… e sembra la sorella di mio figlio. E’
tutto quello che so di lei.»
Si bloccò sorpresa dalle sue stesse parole.
Jessica alzò gli occhi al cielo, «E’ già la terza
o quarta volta che gliela sento nominare… senza contare quelle quando è
convinto che non lo sento.»
«A questo punto credo che tuo figlio si fidanzerà
prima del mio.»
Jessica lanciò uno sguardo verso dove era sparita
Jennifer. «Abbi pazienza, e lei?» Si rivolse a Jeremy e Sarah «Potreste pensare
che non sono fatti miei, ma l’unica differenza fra Juna e Drake è che Juna non
l’ho partorito io e so che per Manaar è la stessa cosa.»
Jeremy sorrise, «Me ne sono accorto. Nessun
problema.»
A guardare quelle due si poteva smettere di
chiedersi da chi avessero ripreso i rispettivi pargoli.
«Ragazze, so che resterete sveglie ancora per un
bel po’» prese la parola. «Qui c’è un pover’uomo che aspetta le attenzioni
della consorte.»
Manaar gli fu accanto in un attimo, «Come stai?»
Lennie si materializzò con un tubetto e delle
garze.
«Parola mia Connor, sei incomparabile.»
«Detto dalla moglie di Brian Tyler è un
complimento.»
«Neanche mio marito è mai arrivato a tanto.»
Le rivolse un ghignetto, «Ti consiglio di non farglielo
sapere: potrebbe mettersi d’impegno per riguadagnare il terreno perduto.»
«E la parte migliore della cosa è che hai
ragione!»
Scoppiarono a ridere.
Aprì con cautela la porta e scivolò dentro la
stanza.
Per un solo istante prese in considerazione
l’ipotesi di chiudere a chiave, ma lasciò perdere.
Manaar avrebbe potuto decidere di venire a dare
un’occhiata durante la notte e aveva tutti i diritti di farlo.
Ringraziando il Signore, Juna non era talmente
fuori di sé da non tener presenti i rischi che correvano se durante un incubo
gli fossero sfuggite le parole sbagliate.
Cristo.
Era stato il killer dell’F.B.I. a far volare
Connor attraverso la stanza, l’agente addestrato prima di tutto a difendersi,
poi a prendere eventualmente in considerazione la vita altrui.
Juna non si sarebbe mai sognato di fare una cosa
del genere ad uno dei suoi genitori.
Per un attimo se l’era vista davvero brutta. Per
fortuna, era bastato il suono della sua voce a calmarlo.
Prese il proprio cellulare e lo spense, poi
organizzò il suo letto per quella notte.
Juna respirava decisamente meglio e sembrava
dormire tranquillo.
Si raggomitolò sotto la coperta fissando la forma
del corpo del suo migliore amico.
Non era mai riuscito a spiegare a parole cosa
fosse Juna per lui.
Si definivano migliori amici per comodità
verso il resto del mondo, ma erano soprattutto complici, fratelli… l’alfa e
l’omega del loro mondo.
Ormai nessuno dei due avrebbe potuto dire dove
cominciava l’uno e finiva l’altro.
A sedici anni, quando aveva accettato di diventare
un killer dell’F.B.I., aveva giurato alla creatura che dormiva in quella stanza
eterna fedeltà e lealtà. Aveva giurato che avrebbe dato la propria vita per lui
e che all’occorrenza l’avrebbe tolta agli altri.
Di solito ci si sposava passati i ventuno anni, ma
loro due erano stati portati virtualmente all’altare dalle loro rispettive
madri quando lui aveva due anni, Juna appena una settimana di vita… e comunque
sposandosi non si giura di uccidere chiunque metta in pericolo la vita
dell’altro.
Loro lo avevano fatto… Jeremy l’aveva scampata
bella.
Juna gli aveva dimostrato, se ce ne fosse stato
ancora bisogno, che lo metteva al di sopra di tutto: aveva messo in conto di
uccidere una persona che conosceva da una vita se avesse messo in pericolo
loro.
Beh, probabilmente all’atto pratico uccidere
Jeremy sarebbe toccato a lui, ma Juna non lo avrebbe fermato.
Aveva preso così in considerazione l’ipotesi, che,
pensandoci in quel momento, aveva fatto personalmente da scudo a Jeremy.
Cosa avrebbe fatto senza di lui?
Cosa aveva fatto fino ad ora per lui?
Come dannazione avevano fatto, fra tutti e due, ad
arrivare a questo?
Per essere davvero al sicuro si sarebbero dovuti
ritirare sulla Luna e trasferire le loro famiglie su Plutone!
Si abbandonò contro lo schienale e chiuse gli
occhi cercando di rilassarsi.
Fino a quando un solo Estrada avrebbe camminato su
quel pianeta, non erano al sicuro.
No, decisamente la loro carriera di killers non
era terminata.
Compose il numero di Sharon con la ferma
intenzione di mantenere il giusto distacco dalla situazione.
Aveva già pianto abbastanza per quel monumento
all’incoscienza chiamato Junayd Kamil Alifahaar McGregory.
«Ciao Jen!»
Appena sentì la voce dell’amica ricominciò a
piangere.
«E’ successa una cosa terribile…» disse imitando
alla perfezione Melissa.
Alla fine Sharon era senza parole. Letteralmente.
Pensò che non fosse più all’altro capo del
telefono.
«Shasha?»
«Santo Dio Jennie, adesso mi chiami?»
«Drake mi ha detto…»
«Lascia stare Drake adesso, ho capito dov’è e
perché e mi fa piacere che abbia pensato di farmi avvisare» liquidò il
discorso. «Io voglio sapere di te. Perché stai piangendo così? Juna si
riprenderà no?»
Eccola, la domanda che nessuno le aveva fatto. Era
il minimo che le la facesse proprio Sharon. Perché?
«Non lo so Sharon… so che mi sono sentita morire
quando l’ho visto privo di sensi… così indifeso… poi tutti quei discorsi sul
fatto che rischia di impazzire se non fa quegli esercizi… ma come si fa ad
essere così irresponsabili, vorrei sapere!»
Un leggero bussare alla porta le fece interrompere
la comunicazione. «Sì?»
Madeline fece capolino, «Tesoro, se può farti
stare tranquilla, invita Sharon a dormire qui stanotte. Connor è pronto per andare
a prenderla.»
«Oh Maddie, grazie. Sharon?»
«Ho sentito. Aspetta che chiedo a mio padre.»
Mansur rimase ad osservare in silenzio il marito
della figlia.
«Com’è che non sapevo niente di questa…
chiamiamola controindicazione della genialità di mio nipote?» chiese
calmissimo.
«Perché non lo sapevamo neanche noi!» rispose
Connor, tutt’altro che calmo «Juna si è guardato bene dall’avvisarci!»
«Drake lo sapeva» non era una domanda, ma
un’affermazione.
«In parte sì.»
«Capirai: gli eterni complici» commentò Jessica
con uno sbuffo. «Ci sono dei periodi che se voglio sapere come sta mio figlio
devo telefonare a Juna!»
«Dio li fa e poi li accoppia.» Mansur si rivolse
alla figlia e alla di lei migliore amica «Certo che vuoi due vi ci siete messe
d’impegno.»
«Se riuscirete ad essere onesti almeno con voi
stessi, ammetterete che è anche colpa di chi gli sta intorno» disse
improvvisamente Manaar. «Ma guardatevi. Avete fatto a gara a sobbarcarlo di
responsabilità.»
Connor, Mansur e Patrick abbassarono lo sguardo.
«E la colpa è anche mia» riprese la donna. «E’ mio
figlio, dannazione. L’istinto mi diceva da settimane che non stava bene e l’ho
lasciato fare come al solito di testa sua.»
«Zia, secondo me è stato un insieme di situazioni
che l’ha portato al limite» disse Justin. «Pensa a Melissa e al tracollo che ha
avuto, pensa all’acquisto di quella società di moda…»
«Pensa alla situazione che si è creata con il
nostro arrivo in questa casa» disse Jeremy. «A Melissa si è aggiunto pari pari
Michael.»
«Ah, smettila» disse Patrick. «Il problema è un
altro. Per qualsiasi problema la prima voce che si vuole ascoltare è la sua.
Fino ad ora ha sempre avuto tutte le risposte, ma ha appena diciannove anni.
Dio, mi sembra incredibile adesso che abbia diciannove anni da finire.»
Calò il silenzio e Madeline rientrò nella stanza
in quel momento, «Connor, Sharon sta chiedendo il permesso al padre e Jennie
verrebbe con te.»
Jeremy si alzò, «Finché si scherza, si scherza. A
prendere Shasha, vado io.»
«Per vedere se mio figlio appena si rimette in
piedi mi prende a calci in culo. Non uscirete né tu, né tanto meno tua figlia»
disse Connor.
«Mio figlio ha ragione» disse Patrick. «Cerchiamo
di non fare sciocchezze.»
Jennifer entrò praticamente di corsa nella stanza,
«Sono al telefono con Aaron, papà, ti vuole parlare.»
Jeremy prese il cellulare della figlia.
«Buonasera Aaron.»
«Buonasera Jeremy. Non ti chiederò come stai.»
«Sei un amico.»
«Chi si sente così male da gettare nel panico tua
figlia?»
«E’ il nipote del mio migliore amico, colui che ci
sta ospitando… si chiama Juna. Stamani è svenuto per la febbre, ha fatto
prendere un accidente a tutti.»
Ci fu un breve silenzio, «Ah. Allora chi è Drake?»
Jeremy scoppiò a ridere, «E’ strettamente il padre
di Sharon che mi sta facendo questa domanda, vero?»
Altro silenzio, «Mettiamola così.»
«E’ il migliore amico di Juna. Stanotte gli farà
la veglia. Sharon tecnicamente farà la stessa cosa con mia figlia! Domani
mattina le accompagnerò io a scuola.»
«Avevo intuito qualcosa del genere. Beh, ho un
aereo fra meno di tre ore, accompagno io Sharon. La strada ormai la so.»
«Grazie Aaron. Vengo al cancello a salutarti.»
«A fra poco.»
Aaron Castlemain, l’alter ego del comandante
Matthew Farlan quando faceva una vita normale, rese il cellulare alla figlia.
«Contento papà?» chiese Sharon imbronciata.
Darkness stava male.
E sua figlia usciva con Falcon.
Contento?
Aveva solo voluto avere la conferma dell’ovvio:
quanti Junayd Kamil Alifahaar McGregory e Drake Tyler ci potevano essere in
tutta Boston? Per non dire al mondo intero?
Cosa stramaledizione poteva ancora succedere?
«Dai, preparati che ti accompagno prima di andare
all’aeroporto.»
«Aaron» disse Corinne, «davvero la fai andare? Ma
hai visto che ore sono?»
«E’ una situazione fuori dall’ordinario Connie.
Resta tua madre con te, anche se già dorme, non starai sola. Shasha, sei ancora
qui?» chiese alla figlia che non si muoveva «Prendi la tua roba e la cartella.»
Aspettò che Sharon sparisse su per le scale e
tornò a rivolgersi alla moglie, «Ti ho spiegato perché Jennifer non può venire
qui e adesso quella ragazza è sotto shock. Sharon non dormirebbe meglio di lei
sapendola sola.»
Sua moglie sospirò profondamente, «Ti conosco
bene. Non manderesti mai tua figlia a casa del primo che capita, anche se è il
migliore amico del governatore. Tu non me la racconti giusta.»
La sua assicurazione erano Darkness e Falcon,
anche se il primo al momento stava male e il secondo, per Dio, si stava
trasformando in un potenziale fidanzato… in altre parole, l’incubo peggiore di
un padre come lui.
Restavano sempre i suoi due agenti migliori, anche
se avevano deciso di mollare, e sapeva di potersi fidare di loro.
«Immagino tu debba fidarti di me.»
«Lo faccio da sempre… devo solo inventarmi
qualcosa da raccontare a mia madre.»
Sharon da parte sua rimase in silenzio fino a
quando svoltarono l’angolo. «Sai papà… mi sembra evidente che tu conosci
qualcuno in casa McGregory e a occhio e croce conosci Juna… Juna però non
ricorda di averti mai conosciuto.»
Mi hai presentato con il nome sbagliato,
figlia mia.
«So chi è Junayd Kamil Alifahaar McGregory,
chiunque si occupa di finanza lo ha sentito nominare, ma non ho mai avuto
contatti con lui. Adesso so anche che è il migliore amico del tuo fidanzato.»
Sharon gli scoccò un’occhiataccia, «Drake non è
il mio fidanzato papà. Al momento siamo solo amici.»
«Beh, non esci così spesso con i tuoi amici.
Dovrò informarmi su di lui.»
«Anche se ti dicessi di non farlo non farebbe
differenza, vero?»
«Se mi dicessi tutto tu, mi faresti risparmiare
tempo.»
«Ancora non lo conosco papà. So pochissimo su di
lui e quello che so è legato a Juna. Li ho visti all’opera e quella che credevo
essere una leggenda si è rivelata essere la verità pura e semplice. Sono due
ragazzi fantastici.»
«Ti piace anche Juna?»
Sua figlia assunse un’espressione comicissima,
«Stai scherzando? A parte il fatto che crearmi un harem non rientra nei miei
progetti futuri, quel ragazzo sembra mio fratello! E poi Jennie mi ucciderebbe.
Non lo ammetterà mai, ma… beh, direi che le piace molto.»
Il commento di sua figlia, così naturale e
spontaneo, gli fece saltare un battito del cuore.
Juna sembrava suo fratello?
Lei lo guardava, letteralmente, con gli occhi del
gemello omozigote di quel ragazzo.
La breve esistenza di quel bambino era stata
evidentemente nascosta a tutti, non solo Darkness non ne aveva mai lontanamente
accennato ma neanche Falcon sembrava saperne qualcosa… e se Falcon non era a
conoscenza di questa realtà della vita di Darkness, per forza di cose non ne
doveva sapere niente neanche Darkness stesso.
Lui sapeva che era nato perché sua figlia era
venuta al mondo con una grave malformazione agli occhi e quelli del fratello di
Darkness erano stati subito disponibili e miracolosamente compatibili.
Anche essendo chi era, era risalito a fatica alla
fonte di quel dono che era stato un miracolo, per lui e sua moglie, perché
ufficialmente quella creatura non era mai nata.
Era stato un caso che le analisi di Sharon fossero
finite nelle mani del professor McIntyre, il quale per fortuna aveva subito
capito la compatibilità fra i due neonati e aveva agito a compartimenti stagni
fra loro e i genitori del donatore fantasma.
Gli era stato chiesto di non far domande e Aaron
Castlemain si era limitato ad accettare quel dono piovuto dal cielo, ma per il
comandante Matthew Farlan era un altro paio di maniche.
Ci aveva messo del tempo ma alla fine aveva saputo
tutta la verità e da quel momento non aveva mai perso di vista Darkness.
Con il tempo, scoprendo le potenzialità di quel
ragazzo, era stato naturale, nonostante la giovane età, pensare a lui come un
elemento da inserire nella squadra sua e di Richard e Falcon era stato il
completamento inaspettato ma logico di quella che adesso era la sua squadra
migliore.
Doveva molto a Connor e Manaar McGregory e per
ricambiare aveva fatto del loro unico figlio un killer professionista.
Cosa sarebbe successo se lo avessero saputo?
Quanto tempo ci sarebbe voluto, con Sharon e
Darkness sotto lo stesso tetto, che saltasse fuori che non solo erano nati ad
appena dodici ore di distanza ma che erano nati nella stessa clinica privata?
Si scrollò di dosso quei pensieri come se
bruciassero.
«Drake piace molto a te, a quanto ho capito.»
«Ok, mi arrendo: Drake mi piace da anni papà.»
Esattamente quello che temeva.
Il padre di Sharon scese dall’auto per salutarli.
Jeremy aveva insistito perché ci fosse anche lui,
magari vedendo Aaron Castlemain lo avrebbe riconosciuto.
Ovviamente non fu così.
Jeremy abbracciò l’uomo con affetto e Aaron
ricambiò, poi dette un buffetto a Jennifer, già soffocata dall’abbraccio di
Sharon. «Ciao signorina.»
«Ciao Aaron, sono contenta di vederti. Grazie per
aver permesso a Sharon di venire qui.»
«Figurati. Anche mia figlia non avrebbe passato
una nottata migliore della tua, sapendoti sola.»
Jeremy prese in mano la situazione, «Ti presento
Connor McGregory. Connor, lui è Aaron Castlemain.»
Aaron Castlemain lo osservò con attenzione.
Si strinsero la mano.
«Mi dispiace molto per suo figlio. Spero si
rimetterà presto.»
«La ringrazio.»
«Beh, io adesso vado o quell’aereo partirà senza
di me.»
«Mi mandi un messaggio quando atterri? Lo leggo
quando mi sveglio» disse Sharon.
«Va bene. Cercate di dormire voi due, intesi
signorine?»
Jennifer e Sharon scattarono sugli attenti,
«Signorsì!»
Aaron guardò Jeremy, «Cosa bisogna fare per farsi
prendere sul serio da queste due?» chiese.
«Appena lo scopro sarai il primo a saperlo!»
Si salutarono e tornarono verso casa.
«Lo hai riconosciuto?» chiese Jeremy.
«Onestamente, non l’ho mai visto in vita mia.»
«Mio padre mi ha detto che conosce Juna di fama,
ma non ha mai avuto contatti con lui» disse Sharon.
Jeremy si rivolse di nuovo a lui, «Tuo figlio è
piuttosto famoso.»
«Sembra proprio di sì.»
Fu un leggerissimo intorpidimento alla
schiena… parente stretto del colpo della strega, a farlo svegliare.
Si stiracchiò cercando di muovere tutto il corpo e
più di un’articolazione ebbe da ridire sull’iniziativa, poi tese l’orecchio e
il respiro di Juna era lento e regolare.
Le lancette fosforescenti del suo orologio lo
informarono che erano appena le due e mezzo.
Aveva bisogno di bere qualcosa di caldo, decise.
Con tutte le precauzioni del caso si avvicinò a
lui e gli posò una mano sulla fronte… la febbre doveva essere calata, non gli
sembrava più bollente come la sera prima.
Uscì da quella stanza e si diresse in cucina.
Qualcuno lo aveva preceduto.
Allora… poteva essere Manaar, Jennifer, Madeline,
Connor…
Quando entrò nella stanza pensò di avere le
allucinazioni.
«Sharon?»
La ragazza sussultò come se fosse stata colpita e
si voltò di scatto, «Drake?»
Rimasero a fissarsi immobili per qualche secondo…
poi entrò Jennifer. «Drake, sei sveglio anche tu.»
«Tu sapevi che era qui?» chiese Sharon.
«Beh… oh Dio, tuo padre non te lo ha detto?»
Suo padre?
«Come-dannazione-poteva-saperlo, mio padre?»
chiese Sharon scandendo le parole.
«Glielo ha detto il mio al telefono» fu la limpida
risposta di Jennifer. «Aaron deve avergli chiesto chi fosse Drake e mio padre
gli ha risposto che era il migliore amico di Juna e che gli avrebbe fatto la
veglia stanotte.»
Sharon rimase… beh, sbigottita era solo una
parola. Sconvolta era un concetto che si avvicinava di più alla realtà.
Dovette fare uno sforzo enorme per non
abbracciarla.
«Che ci fate alzate a quest’ora?» chiese tanto per
sbloccare la situazione.
Sharon si riscosse, «Volevamo bere qualcosa di
caldo.»
«Bene, includetemi nel programma.»
«Juna?» chiese Jennifer.
«Lui è meglio se continua a dormire.»
Jennifer gli diede un leggero colpo sul braccio
mentre Sharon cominciò a ridacchiare, «Antipatico. Volevo sapere come sta.»
Quelle due erano le promotrici di una nuova moda?
Mai visti pigiami così carini.
«Ringraziando il Cielo dorme tranquillamente.
Credo che la febbre sia calata.» Un pensiero lo colpì, «Non hai visto mia
madre?» chiese a Sharon.
«E’ andata a letto prima che arrivasse» rispose
Jennifer. «Shasha, io ho dato per scontato che tuo padre te lo avesse detto.»
Sharon scosse la testa.
Drake sorrise nel modo che riusciva solo a lui,
«Credo che tuo padre mi starà simpatico. Se sopravvivrai a mia madre, ne
riparleremo.»
Lo gratificò di una linguaccia.
Era adorabile spettinato.
In quel momento fecero il loro ingresso Manaar e…
quella che doveva essere inderogabilmente la madre di Drake, visto che sembrava
sua sorella e sapeva per certo che fosse figlio unico.
Il ragazzo sorrise appena, «E’ stato fissato un
appuntamento per sole donne per il tea in cucina o è un caso?» chiese più a se
stesso che effettivamente a qualcuno nella stanza.
«Mi è sembrato che non scottasse più, tu che
pensi?» gli chiese Manaar che evidentemente aveva fatto una fermata intermedia
nella stanza del figlio mentre l’altra la fissava con aperto interesse.
Drake annuì, «Spero che il peggio sia passato…
almeno per Juna. Mamma?»
La donna spostò lo sguardo da lei al figlio, «Sì?»
«Non conosci Sharon Castlemain, vero?»
Aveva davvero intenzione di…?
«… E’ la migliore amica di Jennifer. Sharon, lei è
mia madre, Jessica Tyler.»
… presentarle.
Era in pigiama. E per di più spettinata.
Questa volta lo avrebbe ucciso.
«B… buongiorno signora Tyler.»
«Sei la prima che mi viene presentata da mio
figlio, credo tu possa chiamarmi Jessica.»
E gli avrebbe fatto anche tanto male.
«Pensavamo di farci un tea, siete dei nostri?»
chiese Drake salottiero.
«Faccio io, almeno mi tengo impegnata» disse Manaar.
«Manaar, Juna sta decisamente meglio, cerca di
darti una calmata» disse Jessica.
Manaar mise le braccia conserte. «Non ci riesco.
Jessie, ti giuro che non ci riesco. Non ho ancora chiuso occhio, mi sono alzata
per paura di svegliare anche Connor. Deve assolutamente riposare: in ufficio,
in una sola giornata… anzi mezza, è successo il finimondo senza Juna e oggi
sarà una giornataccia per lui.»
«Temo che Connor dovrà rivedere la gestione della
compagnia» disse Drake. «Juna non si muoverà di casa per un bel po’.»
«Paul e Ryan si sono offerti volontari» Manaar
cominciò a preparare le tazze e automaticamente lei e Jennifer si mossero per
aiutarla, «ma… beh…» lanciò un’occhiata a Jessica.
La quale alzò gli occhi al cielo, «Per sostituire Juna
non basterebbero dieci persone» concluse. «E comunque i tuoi cognati non
capiscono un’acca di finanza.»
Manaar fece una smorfietta, «Esatto. Connor però
non ha avuto il coraggio di dirglielo.»
Fra trent’anni le sarebbe piaciuto che lei e
Jennifer fossero esattamente così.
«Vi conoscete da molto?» chiese ancora prima di
pensarlo.
Manaar le sorrise, «Trentasette anni. Ci siamo
conosciute al liceo.»
«Che pazienza…» commentò Jessica.
Drake soffocò una risatina.
Lei e Jennifer erano letteralmente a bocca aperta.
Sapeva che anche Jennifer aveva fatto al volo il
calcolo che aveva fatto lei: quelle due avevano cinquanta anni a testa!?
Manaar scoppiò a ridere, «Prendo la vostra
espressione allibita come un complimento!»
«Non è possibile» disse Jennifer, «non potete
avere cinquanta anni.»
Jessica scosse la testa scherzosamente sconsolata,
«Possibilissimo, ahimè. La mia dolce metà ne ha quasi cinquantacinque!»
«Connor quanti anni ha?» chiese Jennifer.
«Pochi mesi più di Brian» rispose Manaar. «Ho
avuto Juna dopo quasi tredici anni di matrimonio.»
«Questo capolavoro ha visto la luce che ero
sposata da undici anni» disse Jessica indicando con un cenno della testa Drake.
«Grazie mamma.»
Oh Santo Dio… quelle due dimostravano quarant’anni
nei momenti peggiori!
«Complimenti» disse. «Davvero. Dove devo firmare
per arrivare a cinquant’anni così?»
Il primo a scoppiare a ridere fu Drake, «Devi
ancora arrivare ai venti Shasha!» le ricordò.
Si sederono intorno al tavolo per bere il tea e
l’atmosfera si era notevolmente rilassata.
Drake fu un fulmine a finire il proprio e si alzò,
«Beh, torno a montare di vedetta. Cercate di andare a nanna anche voi.»
Fu salutato da un coro di saluti.
Fece appena in tempo ad uscire dalla stanza che
Jessica sbuffò, «Mio figlio si scorderebbe la testa se non l’avesse più o meno
saldamente attaccata al collo!»
Aveva scordato il cellulare sul tavolo.
Automaticamente lo prese e si alzò, «Ci penso io.»
Gli corse dietro su per le scale, arrivata
nell’ingresso lo cercò con lo sguardo ma evidentemente Drake era già arrivato
al primo piano.
Cosa faccio se è
già entrato nella stanza di Juna?, si chiese mentre saliva i gradini due a
due.
Il problema non si pose: Drake era tranquillamente
appoggiato con le spalle al muro appena finite le scale. Praticamente gli andò
addosso.
«Alla buon’ora, pensavo ci mettessi molto meno.»
Successe tutto in meno di dieci secondi.
Drake le sfilò di mano il proprio cellulare, le
cinse la vita… e la baciò.
Fu proprio un bacio. La prese così di sprovvista
che per una manciata di secondi rimase immobile fra le sue braccia, poi gli
gettò le proprie al collo.
Quando si separò appena da lei aspettò che aprisse
di nuovo gli occhi, poi le sorrise, «Devo chiederti una cosa seria Sharon»
bisbigliò.
«Sa… sarebbe?»
«Hai molti pigiami in questo stile?»
Contò fino a cinque.
Non stava scherzando, per lui era davvero una
questione seria.
«Praticamente un intero cassetto.»
«Sono molto carini. Credo che ogni tanto ti
permetterò di indossarli anche se ci sarò io.»
Aprì bocca, ma la richiuse subito. Sorrise perché
non sapeva che altro fare, «Che Dio mi aiuti, sei completamente pazzo Drake.»
Lui scosse appena le spalle, «Un po’» ammise. Poi
riprese, «Non sto scherzando adesso, vedi di dormire o ti toccherà
un’alzataccia.»
Dormire??
«Va bene.»
«Quanto tempo ci hai messo a realizzare che ho
lasciato il cellulare in bella vista?»
Rimase a bocca aperta, «Lo hai fatto apposta
per…?»
Drake la interruppe con una risatina, «… per
rendere memorabile il nostro primo bacio tesoro!»
Non riuscì a trattenersi dal mettersi una mano fra
i capelli. «Se n’è accorta tua madre.»
«Ah. Allora le stai simpatica, tutto sommato.»
«A proposito di tua madre, ricordami che devo
farti tanto male.»
L’espressione di quel ragazzo si fece limpida e
innocente, «Perché amore mio?»
Ignorò il tonfo del suo cuore a sentirsi chiamare
così da lui e si sforzò di mantenere la stessa espressione, «Non dovevi
presentarmi così.»
«Cosa dovevo dirle? Mamma ignorala perché
ancora non è la mia ragazza? Ti ho presentata come la migliore amica di
Jennifer.»
Cercò di allontanarlo da sé… poteva arrivare
qualcuno.
Drake le impedì di farlo senza il minimo sforzo,
«Ce l’hai con me?» chiese.
«No» ed era la verità. Come faceva ad avercela con
lui?
«Allora me lo dai un altro bacio?»
«Potrebbe arrivare qualcuno Drake.»
«Sicuramente non mia madre… altrimenti non ti avrebbe
lasciata andare con il mio cellulare.»
Ovviamente il bacio se lo prese senza il minimo
sforzo… ancora non era il suo ragazzo e non c’era verso di dirgli di no… era
proprio messa bene.
«Ok Shasha…» disse alla fine in un sussurro
allontanandosi appena da lei, «a fare la nanna adesso, devi andare a scuola
vero?»
«Non me lo ricordare.»
«Recupera anche Jennie perché non si sposterà mai
dalla cucina se non ti vede.»
Le venne da ridere, «Questo è poco ma è sicuro.»
«Dopo scuola torni qui?»
«Non credo… devo assolutamente studiare Drake, il
che significa che io e te ci sentiremo per telefono a cena, intesi?»
«Potrei aiutarti.»
«Tu riesci solo a distrarmi adesso.»
«Sei senza cuore.»
Gli sorrise e gli passò una mano fra i capelli, «E
poi adesso non avresti testa che per Juna.»
Drake la fissò per qualche secondo, poi scosse la
testa, «Sei la prima che prende con così tanta filosofia il mio attaccamento a Juna.»
«Io ho Jennifer» gli ricordò.
Si bloccò rendendosi improvvisamente conto di una
cosa: voleva bene a Juna.
Com’era possibile visto che lo conosceva da meno
di un mese?
Non era lo stesso bene che provava per Drake… Juna
non le mozzava il respiro… Juna la faceva sentire come mai nessuno prima.
«Terra chiama Sharon…»
«Scu-scusami, mi… mi sono distratta.»
«Non meravigliarti se ti sei affezionata così
tanto a Juna.»
Dovette guardarlo in maniera indescrivibile, Drake
le chiuse la bocca facendo leva sul suo mento. «Pensi che non me ne sia
accorto? Sono il primo a rendersi conto di quanto quel ragazzo sia
irresistibile. Sono tranquillo perché è evidente che per lui non provi le
stesse cose che provi per me. Non lottare contro l’affetto che provi per lui…
te lo dico per esperienza: farebbe perdere la pazienza ad un sasso, ma non è in
discussione che sia un persona eccezionale.»
«Mh, ti sopporta da diciannove anni, vero?»
Drake rise appena, «Solo mia madre e mio padre mi
sopportano da più tempo!»
Lo spintonò appena con un sorriso, «Torna da dove
sei venuto.»
«Cerca di dormire adesso, ok?» ripeté il ragazzo.
«Ok» si arrese.
Dopo un altro bacio lo vide allontanarsi verso la
porta di Juna.
______________________________________________
NOTE:
giunigiu95: eheheheh… non si direbbe che Juna è il mio
personaggio preferito, vero?
Capitolo 13 *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 13 ***
Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 13
Non
E’ Mai Troppo Tardi
13
Ci avrebbe giurato: l’assassino era proprio la voce narrante.
Poirot aveva detto abbastanza e la scena iniziale era stranamente vaga
per una scrittrice così prodiga di particolari.
Il libro scorreva bene, e anche il tempo sembrava volare: era
già passato quasi un mese, dannazione, e lui era sempre inchiodato a quel
letto.
Ormai in ufficio doveva esserci un casino senza pari. Suo padre doveva
essersi accorto che lui da solo lavorava come dieci persone.
Da una settimana la febbre era scesa sotto i trentanove e
quella mattina finalmente aveva toccato i trentasette e mezzo… ma la cosa non
gli era minimamente di conforto.
Stava diventando un esperto di Agatha Christie, una delle scrittrici
preferite di sua cugina.
Leggere era indubbiamente un ottimo modo di passare il tempo, peccato
che capisse chi fosse l’assassino a metà libro: la soddisfazione era grande, ma
presto il tutto perdeva di interesse.
L’alternativa era Stephen King, Justin non si era perso un
libro della sua produzione, ma dopo sei dei suoi libri, l’organismo necessitava
di uno stacco.
Si era quasi scordato quanto gli piacesse leggere, da sempre.
Aveva cominciato a prelevare libri dalla biblioteca di casa ad
appena tre anni, quando aveva imparato a leggere, e andava a nascondersi sotto
i letti… era così che un bel giorno era inciampato sull’esistenza di Jawad.
Scacciò il pensiero e lanciò un’occhiata alla sveglia sul
comodino.
Jennifer e i suoi sarebbero già dovuti essere di ritorno
ormai. I quadri con i risultati sarebbero dovuti essere affissi fin dalle
dieci.
Non dubitava che Jennifer fosse stata promossa, voleva sapere
con quale media.
Un leggero bussare e Jennifer fece capolino aprendo appena la
porta.
Entrò senza dire una parola e si avvicinò al letto tenendo lo sguardo
basso.
Appoggiò il libro accanto a sé. «Allora?» le chiese.
La ragazza praticamente si gettò sul letto abbracciandolo,
«Otto» disse in un bisbiglio. «Sono stata promossa con la media dell’otto.»
Dopo di che scoppiò a piangere.
Stavolta non fu necessario fare domande: era lo sfogo della
tensione accumulata in quei mesi di studio.
Appoggiò una mano fra i suoi capelli e rispose all’abbraccio,
«Non te lo aspettavi?» chiese divertito «Un McGregory s’imbarca in qualcosa per
arrivare al massimo o non comincia neanche. Il prossimo anno arriverai al
nove.»
La sentì sorridere, «In realtà sono arrivata al sette e mezzo,
ma lo hanno arrotondato per eccesso per premiarmi dell’impegno. Oh Dio Juna,
ancora non ci credo. Papà per poco è cascato in terra quando ha letto i
risultati, mamma si è messa a piangere. I professori mi hanno fatto tutti i
complimenti e papà si è voluto fermare a prendere dolci e pasticcini per
festeggiare. Potrei chiedere la Luna adesso e me la darebbero.»
«Non ti sarai messa a piangere a scuola vero?»
Scosse la testa, «Ero troppo scioccata.»
«Ok, allora adesso hai tutti i diritti di sfogarti.»
Stavolta rise, serrando l’abbraccio «Grazie Juna, non ce
l’avrei mai fatta senza di te.»
«Ah, figurati, è stato un piacere.»
Si allontanò da lui, gli occhi ancora gonfi di lacrime, «Era
da un sacco di tempo che non piangevo perché sono felice. Adesso resta solo
quella dannata legge» aggiunse diventando improvvisamente tetra.
«Non pensarci adesso Jennie, oggi preoccupati solo di goderti
questa soddisfazione.»
Altro bussare e fece capolino Jeremy, «Posso?»
«Entra Jeremy.»
«A giudicare dai lacrimoni, Jennie ti ha dato la bella
notizia! Come stai?»
«Due ore fa la febbre era a trentasette e mezzo. Diventerò
pazzo se continuo a stare bloccato a letto.»
Jennifer sembrò attraversata da una scossa ad alto voltaggio e
lo guardò preoccupata. «In senso metaforico, Jennifer» aggiunse.
«Questa febbre è più tosta del previsto, anche il professor
McIntyre ha detto che si aspettava che sparisse nel giro di dieci, quindici giorni,
non di più» ammise Jeremy. «La bronco-polmonite?»
«I bronchi, sempre secondo Larry, si sono liberati. Quell’uomo
si è rifatto di dodici anni nei quali non ho avuto neanche un raffreddore!»
La porta si spalancò ed entrò un ciclone, «Jennie!!» esclamò
saltando letteralmente addosso alla ragazza «Mamma me lo ha detto ora! Che
bello! Sei felice?»
Sarah entrò in quel momento e si bloccò a guardare la scena
con un sorriso, «Scusate, non sono riuscita a bloccarlo.»
Jennifer strinse a sé il fratellino, «Sì, è fantastico tesoro,
sono felicissima.»
«Adesso manca Shasha, vero? Juna potrebbe aiutare anche lei a
ripassare, prenderebbe il diploma con otto.»
Jeremy scoppiò a ridere, «Juna è una garanzia vero?»
Scosse le spalle, «Se Sharon ha bisogno, io sono qui.»
«Davvero?» chiese Jennifer.
Jeremy divenne serio, «Stai facendo sul serio Jen?» chiese.
«Io dicevo sul serio. Non posso muovermi di qui, ma la stanza
è abbastanza grande per tutti.»
Jennifer sorrise, «Posso avvisarla allora. E’ stata ammessa
all’esame con la media del sette.»
«Quando cominciano gli scritti?»
«Fra circa un mese. Come orali porterà inglese, storia e
arte.»
«Ci è andata leggerina eh?»
Jennifer alzò gli occhi al cielo, «Se capitassero le stesse
materie a me, mi chiudo in convento piuttosto che dare l’esame!»
Jeremy scoppiò a ridere, «Beh, capisco la tua attuale
avversione per i libri principessa e l’asseconderò fino a settembre, te lo
meriti davvero!» L’occhio gli cadde sul libro che aveva accanto «Ma ti abbiamo
interrotto Juna? Stavi leggendo.»
«Ho già capito chi è l’assassino.»
«E’ un po’ noioso leggere così eh?» chiese Jeremy.
«Ognuno ha le sue croci.»
«Papà?» chiamò Michael «Ti ricordi cosa mi hai promesso?»
«Certo, una guerra di spruzzi in piscina!» Si alzò prendendolo
con entrambe le mani e facendolo volare in aria, Michael gridò allegramente
«Avanti campione!»
«Jennie?» chiese semplicemente Sarah.
«Resto ancora un po’ con Juna se non è troppo stanco.»
«Non sono mai stanco per la compagnia di una donna.»
Jeremy si voltò a guardarli scherzosamente accigliato ma non
commentò.
Rimasti soli, Jennifer si concentrò sulla coperta. «Come
stai?» chiese.
«Ho voglia di camminare… ho addirittura voglia di andare in
ufficio, pensa.»
«Ti rendi conto che non saresti arrivato a questo se ti fossi
degnato di andare prima dal professor McIntyre, vero?»
«Pensi che alla luce di questa verità non dovrei lamentarmi?»
«Questo lo hai detto tu, non io.»
Stava davvero arrugginendosi.
«Jennie, dove vuoi andare a parare?»
«Quanti anni avevi la prima volta che hai iniziato
l’università?»
«Avevo sette anni, mi sono laureato in economia e commercio,
poi a dieci ho cominciato lingue e in cinque anni mi sono laureato in inglese,
italiano, francese, spagnolo e tedesco.»
«Parli anche l’arabo.»
«Non ti chiederò come fai a saperlo. Per quello non sono
andato a scuola, l’ho imparato parlandolo, per far contento mio nonno.»
«E a undici anni hai iniziato a lavorare nella compagnia…»
«Esatto.» Sorrise alla sommità della sua testa, «Come mai
questo terzo grado?»
«Non te l’ho detto, ma qualche mese fa un genio è venuto a
tenere una conferenza nella mia scuola e sia io che Sharon ti abbiamo pensato
tutto il tempo. Ha cinquantaquattro anni e quattro lauree, tutte con la lode
tranne una…»
«Le ho prese tutte con la lode» rispose alla muta domanda che
quella pausa implicava.
Jennifer asserì come se lo sapesse. «Il suo quoziente è di
centottantasei… fa un test di intelligenza ogni quattro anni. Tu ne fai
ancora?»
«Certo. Il primo l’ho fatto a quattro anni. Il farmelo fare o
meno scatenò una baruffa fra mio padre e mio nonno. L’ultimo l’ho fatto a
sedici e il prossimo lo farò fra un anno.»
«Ti ricordi la domanda più difficile del primo test che hai
fatto?» chiese con una così aperta curiosità da farlo sorridere «Immagino fosse
il più semplice» aggiunse prima di accorgersi del suo sorriso. «Beh, so che il
concetto di difficile è relativo per te, ma…»
«Hai frainteso Jennie, non sorridevo per quello… te lo ha mai
detto nessuno che sei trasparente?»
Jennifer si accigliò un attimo, «Se intendi dire che non so
assolutamente nascondere cosa mi passa per la mente, sei forse la centesima
persona che me lo fa notare negli ultimi sei mesi… ma sei il primo che ha usato
quel termine.» Reclinò la testa da un lato, «Stai tergiversando?»
Quella ragazza stava veramente facendo passi da gigante con
lui.
«Allora Jennie, dimmi quale di queste parole non ha alcuna
attinenza con le altre tre: zio, asfalto, sabato e cose.
Hai due minuti di tempo per rispondermi.»
«Cosa? Solo due minuti?» Al suo silenzio sbuffò, «Tu quanto ci
hai messo?»
«A sedici anni una media di venticinque secondi per domanda,
lettura del quesito inclusa.»
«Quoziente?»
«Duecentosessanta.»
Il silenzio si protrasse per circa un minuto, poi Jennifer
sospirò con un tale abbattimento che gli fece tenerezza. «Mi stanno venendo in
mente le cose più assurde.»
«Quale sceglieresti istintivamente?»
«Mah, zio.»
«Perché è l’unica parola che leghi ad un essere umano?»
«Sì.»
«Il novantotto per cento delle persone risponde così.»
«E il due per cento genio?»
«Asfalto.»
«Ho quasi paura a chiedertelo… perché?»
«Zio d’America, sabato inglese, cose
turche: asfalto è l’unica parola non legata a qualche nazionalità.»
«Stai scherzando vero?» Al suo cenno negativo respirò
profondamente, «Non ci sarei mai arrivata» ammise come se confessasse un
omicidio.
«Sai Jennifer… il concetto di intelligenza è visto sotto un
aspetto molto distorto. Per la stragrande maggioranza della gente un genio è
colui, o colei, che riesce a fare i calcoli più assurdi senza calcolatrice,
conosce cinque lingue, può parlare indistintamente di filosofia greca,
astrologia… e bada che esistono otto differenti sistemi astrologici… chimica»
la vide sorridere alla frecciatina, stavano davvero migliorando! «matematica,
arte, storia, geografia… intelligenza è anche analizzare a trecentosessanta
gradi e scegliere l’opzione più originale… e ovviamente cogliere al volo
l’ovvio, che proprio in quanto tale sfugge sistematicamente alla stragrande
maggioranza della gente.»
«Fammi un’altra domanda!»
Scoppiò a ridere, «Non era una sfida Flalagan!»
«Fa lo stesso, mi hai incuriosita con questa storia
dell’ovvio!»
Ci pensò meno di cinque secondi.
«Mh, ok. Hai quarantotto ore per arrivare alla soluzione di
questo problema. E’ definito di informazione minima. In una stanza ci
sono dei sacchi di lingotti d’oro. Diciamo che sono quattro.» Prese il
blocchetto dal comodino e scrisse le informazioni man mano che le diceva, «Ogni
sacco è pieno di lingotti d’oro, di questi quattro sacchi solo uno contiene
lingotti falsi che pesano meno di quelli veri. Diciamo che un lingotto vero
pesa una libbra, uno falso…» decise di renderle la cosa il più facile possibile
«una libbra meno un oncia. Ci sei fin qui?» Jennifer annuì «Ecco il tuo
problema: devi scoprire quale di questi sacchi contiene lingotti falsi, hai una
bilancia a gettoni nella stanza e un solo gettone a tua disposizione.»
Il silenzio della ragazza disse più di cento parole, «Tutto
qui?» chiese poi.
Le passò il foglietto dove aveva scritto i dati, «Tutto qui.»
Jennifer guardò il foglio, poi di nuovo lui «Non ti dico cosa
penso di te in questo momento» sentenziò con l’aria di una che gli faceva un
gran favore.
«Sei stata tu a chiedermi di…»
«E’ solo per questo che non te lo dico ad alta voce.»
Ah, ecco…
Spese qualche secondo a piegare attentamente il foglio, poi
quegli occhioni tornarono su di lui. «Posso farti una domanda? Vorrei tu
rispondessi sinceramente.»
Ebbe l’improvvisa sensazione che la ragazza fosse finalmente giunta
dove voleva arrivare da quando gli aveva annunciato la sua promozione.
Si limitò ad annuire.
«Non c’è un'altra laurea che ti piacerebbe conseguire?»
La domanda, inutile dirlo, lo prese in contropiede. La sua bocca parlò
prima che la risposta passasse dal cervello.
«Ce n’è più di una, a dirla tutta.»
Subito dopo si sarebbe preso a calci.
Jennifer s’illuminò come un albero di Natale. «Quale?»
Ok, tanto il danno lo aveva fatto.
«Beh… giurisprudenza… anche se Justin potrebbe uccidermi per molto meno.
Poi psicologia, medicina e arte. Perché?»
«Beh… questo genio ha detto che un cervello come il vostro è una spugna
mia satura…»
Sorrise, sembrava di sentir parlare George!
«… e tu mi hai appena dimostrato che è vero. Perché non ricominci a
studiare? Hai una capacità di apprendimento incredibile. Hai tutto il tempo
necessario per conseguirle anche tutte, se tu lo volessi.»
Pari pari George… doveva cominciare a pensare che quell’uomo avesse
sempre avuto ragione?
Erano mesi che non lo sentiva.
«Sei carina a preoccuparti per me… come ti è venuta quest’idea?»
La ragazza si fece imbarazzata e il solito adorabile rossore le
imporporò le guance, probabilmente per l’aggettivo carina «Lo so che non
sono fatti miei, io volevo solo…»
«Flalagan, devo farti l’analisi logica e grammaticale della frase? Non
ho assolutamente detto che non sono fatti tuoi, la mia è solo curiosità.»
Jennifer rimase in silenzio qualche secondo, poi… ingranò di botto la
marcia più alta. «Sei cambiato. Non ti so spiegare bene, io mi baso su di un
tempo molto limitato… sono semplici impressioni più che altro, anche alimentate
dai commenti dei tuoi. All’inizio pensavo che fosse per Lissa e Micky, poi per
il fatto di essere bloccato a letto… ma non credo sia così. Anche i tuoi
pensano che se ricominciassi a studiare…»
Si accese il solito concerto di campanellini di allarme. «Che significa
anche i miei pensano?»
Si rese conto che Jennifer aveva lo stesso atteggiamento di Drake
quando si trattava di dover fare una confessione scomoda. «Va bene, te lo dico,
anche se non dovrei. Connor e Manaar hanno parlato con il professor Cowley quando
ti sei sentito male.»
Chiuse gli occhi. Dannazione.
George ci doveva essere andato leggero come uno schiacciasassi per
spingere addirittura Jennifer a farsi avanti!
«Come hanno trovato il numero di telefono?»
«Lo ha trovato Drake nel tuo cellulare.»
Prese un appunto mentale: strangolare Drake.
«Cosa gli ha detto esattamente?»
«Non lo so. Io ho ascoltato il resoconto che hanno fatto al resto della
famiglia.»
Di bene in meglio.
Un pensiero lo fulminò, «Era presente anche mio nonno Mansur?» chiese.
«Non quando ha fatto il resoconto, ma tuo padre gli ha fatto una specie
di relazione quando è arrivato. Drake era con i tuoi quando hanno telefonato al
professore.»
Pensò di aver capito male, «Come prego?»
Jennifer assunse l’espressione di chi si rende conto di aver combinato
un casino. «Non… non te ne ha parlato?»
«Tu che dici?» chiese di rimando dopo averla osservata per qualche
secondo.
«Probabilmente ha accantonato la partaccia per quando stai meglio.»
«La cosa dovrebbe essermi di conforto?»
Jennifer scosse filosoficamente le spalle.
«Dannazione. George ha il tatto di uno schiacciasassi.»
Ecco perché i suoi nonni erano ancora lì… aspettavano che si alzasse
dal letto per rigirarlo a turno come un pedalino, maledizione.
«Tuo padre è furibondo essenzialmente perché non gli hai mai detto i
rischi che corri smettendo di fare quegli esercizi… e ovviamente perché hai
smesso di farli.»
George gli sarebbe piombato fra capo e collo appena si sarebbe staccato
da quel letto…
«E se tu stessi pensando che probabilmente il professor Cowley ti
piomberà fra capo e collo appena ti alzerai da quel letto… beh, mi sa che hai
ragione.»
La soppesò con una lunga occhiata… a quel punto due erano le cose: o
Jennifer stava imparando a ragionare come lui, cosa che avrebbe dovuto quanto meno
preoccuparlo, o stava semplicemente imparando a cogliere i suoi stati d’animo…
cosa che avrebbe dovuto spaventarlo a morte, con tutto quello che doveva
nascondere.
Perché non era così?
«Sei diventato un efficientissimo robot, Juna e i tuoi genitori lo hanno
capito solo quando sei letteralmente crollato a terra. Adesso non puoi
biasimarli se cercano di capire come stanno le cose.»
Questa era la mazzata finale o doveva aspettarsi di peggio?
Se veramente i suoi avessero cercato di capire come stavano le cose…
«Forse è vero» ammise cauto, per la prima volta addirittura con se
stesso.
«Non volevo essere invadente.»
«Credimi: non lo sei stata. Grazie per avermi avvisato del tornado che
si abbatterà a breve sulla mia testa. E di avermi dato un’ottima ragione per
rigirare Drake come un pedalino. Questa me la paga.»
Jennifer si alzò, «Tu non hai bisogno di ottime ragioni per rigirare
quel ragazzo come un pedalino.»
«Ah ah… il fascino di Drake ha colpito ancora.»
«Scherzi? Ci tengo alla mia vita. Anche Sharon al momento potrebbe
uccidere per molto meno.»
«Già che siamo in argomento, sai qualcosa di nuovo? Il mio migliore
amico glissa sempre.»
«Beh, non le ha chiesto niente… ma li ho visti insieme e ti garantisco
che non si nota la differenza.»
Annuì con un sorriso.
«Stavo per andare a fare un cappuccino… ti va di farmi da cavia?»
«Volentieri, grazie.»
Uscì dalla stanza con un ultimo sorriso verso di lui.
Ormai stavano andando in discesa libera senza freni. Stava perdendo il
controllo su tutto quello che faceva parte della sua vita.
Anche Drake sembrava iniziare a perdere colpi.
Si abbandonò contro il guanciale e respirò profondamente… e il peggio
doveva ancora arrivare.
Più ci pensava, più era chiaro che non sarebbe stato facile difendersi
dagli Estrada.
L’unica possibilità che avevano lui e Drake era ucciderli uno ad uno. Richard
e Matthew li avrebbero sicuramente spalleggiati.
Come avrebbe fatto a tenere ancora nascosta la sua identità di killer
dei servizi segreti?
E soprattutto, come avrebbero potuto, solo lui e Drake, proteggere le
loro famiglie e quella dei Flalagan?
Rivolse lo sguardo al finestrone e sospirò profondamente.
No, non c’era altra via d’uscita.
Il resto della mattinata si svolse lentamente, entrambe le nonne gli
fecero compagnia per la maggior parte del tempo.
Di solito il pomeriggio ci pensavano Melissa e Michael a non mollarlo
un attimo.
Non poteva ancora scendere a mangiare con gli altri e la famiglia aveva
preso la sana abitudine di fermasi a parlare un po’ dopo pranzo… la cosa lo
faceva sentire un po’ escluso, ma decisamente non soffriva di solitudine.
Finì il libro solo per scoprire che aveva visto giusto sin dall’inizio
e lo appoggiò accanto a sé.
Cosa poteva fare adesso?
Sarebbe davvero uscito matto se non trovava una soluzione.
Rimettersi a studiare.
Inutile cercare di prendere in giro se stesso: era una prospettiva che
lo allettava.
A pensarci bene George stesso lo spronava da anni a rimettersi a
studiare… senza contare quale regalo sarebbe stato per lui se finalmente si
fosse deciso ad entrare nell’Omega.
L’Omega era una specie di club nel quale gli associati dovevano avere
almeno una cosa in comune: un I.Q. non inferiore a centosessanta.
Parlando con George, era saltato fuori che in realtà esisteva
un’associazione internazionale, chiamata Mensa, che raccoglieva sotto di sé
coloro che avevano il più alto I.Q. della popolazione.
L’Omega era invece stata costituita per la città di Boston, non era in
gara con la Mensa, era semplicemente un’alternativa.
George vi era entrato a soli ventun’anni e ne era il presidente da
quasi venti. Ne facevano parte solo altre dodici persone, fra cui tre o quattro
professori universitari, un paio di scienziati, un avvocato, un musicista e un
imprenditore. Lui sarebbe stato in pratica il tredicesimo socio se le cose non
erano cambiate nell’ultimo anno.
Con il tempo si era fatto sempre più evidente che il semplice fatto che
George si fosse occupato di persona di lui fosse qualcosa di cui andare fieri:
di fatto non solo il presidente era colui che vantava l’I.Q. più alto, ma chi
si occupava dell’apprendistato dei nuovi membri erano gli altri iscritti… e in
ultima analisi, come già sottolineato, lui non era un membro di quel club.
Aveva conosciuto George ad una festa, una decina di anni prima, e aveva
messo subito in chiaro che un bambino di nove anni non era minimamente
interessato ad una cosa del genere, George l’aveva comunque preso sotto la sua
ala protettrice e gli aveva insegnato con una pazienza che spesso aveva avuto
dell’incredibile ad usare al meglio le sue capacità.
Non era mai stato interessato a far parte di Omega, ma adesso si
rendeva conto che per lui non sarebbe stato affatto un sacrificio e che per
George sarebbe stato un regalo immenso.
Il leggero bussare alla porta lo strappò ai suoi pensieri.
«Avanti.»
Justin fece capolino. «Ti disturbo?»
«Affatto, entra pure.»
Insieme a lui entrò anche un piattino con tanto di fetta enorme di
dolce. «Al diavolo ok? Non ne posso più di vederti qui costretto a mangiare
solo e solo cose che fanno bene. Questa mangiatela alla faccia della
febbre!»
«Ricordami che ti devo un favore!» esclamò afferrando il piattino e
cominciando a mangiare «Fatto tutto da solo?» gli chiese dopo aver ingoiato un
paio di morsi.
«Devi ringraziare anche la tua futura fidanzata, è stata lei a distrarre
l’esercito in cucina.»
Smise di mangiare e lo guardò male, «Vuoi piantarla, per cortesia?»
Justin ridacchiò e prese posto sul letto di fianco a lui. «Come stai?»
gli chiese poi serio.
«Direi che sto bene… è questa febbre che non si decide ad andarsene che
mi indebolisce: per alzarmi e arrivare al bagno devo prepararmi spiritualmente
almeno un quarto d’ora prima.»
«Sono tutti molto preoccupati per questo… anche Larry, li ho sentiti
parlare. Si può sapere perché hai aspettato tanto a dire che non stavi bene?»
«Oh Dio Just, ricominci anche tu adesso?»
«Ok ok, come non detto. Sei abbastanza intelligente da renderti conto
di quando fai una cazzata. Hai mezz’ora da dedicarmi?»
«Certo. Dimmi tutto.»
Suo cugino lo guardò per qualche secondo, poi… «Di cosa pensi che ti
voglia parlare?»
«Mi stai proponendo un gioco a quiz?» Al suo cenno negativo sospirò,
«Diana?»
Justin chiuse un attimo gli occhi, poi sorrise appena, «Hai fatto
centro alla prima, complimenti. E’ tanto evidente?»
Sentendosi decisamente meglio con qualcosa nello stomaco che gli aveva
dato soddisfazione nel mangiarlo, appoggiò il piattino sul comodino, «Che ne
dici di cominciare dall’inizio?»
«Certo… di solito è la tattica migliore. Non so neanche se ho un
problema con Diana… sicuramente ho un serio problema con sua madre.» Si sistemò
meglio accanto a lui e riprese, «Sai bene che la storia con lei è sempre andata
benissimo: mai una litigata seria, lo screzio più grave che abbiamo affrontato
è se andare in vacanza al mare o in montagna, perché io detesto cordialmente le
altitudini e lei detesta l’aria salmastra. Ci piacciono in linea di massima le
stesse cose, io mi trovo bene con i suoi amici, lei con i miei… le sei sempre
stato simpatico anche te, pensa. Sono cinque anni che sto con lei Juna e mi
sembra ieri che ci siamo messi insieme… quando la guardo penso ancora che sia
bellissima, parlare con lei è ancora un piacere per me e l’amo da morire…»
Per un attimo si chiese se ci fosse un trucco per riuscire a mettere in
piazza così naturalmente i propri sentimenti. A lui non sarebbe mai riuscito un
discorso del genere.
«… ma…?»
Justin scosse le spalle, «Eravamo anche d’accordo che avremmo iniziato
a parlare di matrimonio dopo la mia laurea… adesso invece, da quasi sei mesi a
questa parte, si sta parlando di fissare una data entro la fine dell’anno
prossimo.»
«Da quello che mi sembra di capire è sua madre che ne parla.»
«Fosse stato per quella donna io e Diana ci saremmo sposati dopo tre
giorni che si stava insieme! Adesso però Diana le va dietro. La differenza è
tutta qui. Non capisco cosa le sia preso, è sempre stata abbastanza
indipendente da quella iena di sua madre, di punto in bianco pende dalle sue
labbra! Sto iniziando improvvisamente a sentirmi in trappola. Non la capisco
più.»
«Immagino tu non ne abbia parlato con Diana.»
«E’ quasi una settimana che la evito.»
Si sistemò meglio contro i cuscini, «E’ con lei che ne devi parlare
Justin. So che è esattamente quello che non volevi sentirmi dire, ma non hai
altre vie d’uscita. E’ evidente che ami Diana e che lei ama te… rispondi senza
pensare: quando sua madre non c’è ci sono problemi?»
«No» rispose istantaneamente… per poi bloccarsi di colpo. «Oh Cristo.
Non ci avevo pensato.»
«Allora devi portarla lontano da sua madre e parlarle con il cuore in
mano. Da quello che ho sentito fino ad ora non hai problemi ad esternare i tuoi
sentimenti. Spiegale cosa senti, come ti senti e cosa credi che ti faccia
sentire così. Già che ci sei, chiedile se per caso la cara mammina ha iniziato
a fare discorsi del tipo che cinque anni insieme sono tanti, che ci stai
mettendo un po’ troppo a prendere la laurea…»
«Troppo??? Sarò laureato entro i ventisei anni!! Mi sto facendo
un…!»
«Non devi dirlo a me. Diana è sempre stata gelosa di te, no? Sua madre
potrebbe far leva su questo punto debole della figlia per cercare di… anticipare
la sua sistemazione» disse l’ultima frase disegnando immaginarie virgolette
con le dita in aria. «Parliamoci chiaro Justin, ok? Ho sempre pensato e sempre
penserò che la madre di Diana sia un’arrampicatrice.»
«Diana la presentarono a te per primo.»
«Ecco, ci siamo capiti. Che poi quella ragazza abbia avuto più sale
nella zucca di tutta la sua famiglia messa insieme e abbia scelto te, questo è
un altro paio di maniche. Resta comunque il fatto che sua madre ha ottenuto ciò
che voleva: sei un McGregory anche tu.»
«Ho sempre saputo che da parte di quella donna c’era dell’interesse
tutt’altro che materno. Non me ne è mai importato più di tanto perché io sto
con Diana e Diana ha sempre ragionato con la sua testa… fino ad ora, almeno.»
«E’ arrivato il momento di parlare con la tua fidanzata, soli» ripeté.
«Lascia i tuoi fuori da questa storia, magari spiegagli che se restano fuori
loro sarà più facile per te tener fuori anche i genitori di Diana. Questo è un
qualcosa che riguarda solo te e lei. Resta sottointeso che potrai contare su di
me.»
«Potremmo andarcene questo fine settimana, che ne dici?»
«Potresti chiamarla oggi stesso e proporle un paio di giorni solo tu e
lei da qualche parte… potresti anche mettere da parte la tua avversione per le
altitudini e andare allo chalet.»
Justin scattò in piedi. «Sei un genio cugino! Non ti dico niente di
nuovo, ma lo sei davvero!»
Era già con un piede fuori dalla stanza quando rificcò la testa dentro,
«Ah, dimenticavo: ho fatto un salto in ufficio stamani ed è un delirio: tuo
padre ti arriverà qui con una pila di fascicoli… ho pensato di avvisarti.»
«Grazie Justin.»
«No… grazie a te.»
Rimase di nuovo solo e gli venne in mente George.
La decisione fu immediata.
Al terzo squillo rispose Maureen, la moglie.
«Ciao Maureen, sono Juna.»
«Juna! Benedetto ragazzo! Come stai?»
«La febbre è un po’ calata.»
«Ci hai fatto stare molto in pena sai? Quando ti sei preso tutta questa
intelligenza avresti dovuto fare anche una scorta di buon senso!»
Sorrise, «Starò più attento adesso, te lo prometto.»
«Ti passo George… fatti sentire più spesso, è una vita che non ti
vedo.»
«Verrò presto a trovarti, promesso.»
La voce di George lo raggiunse, «Sei davvero quel Juna? Posso
sperare che tu stia meglio?»
«Ho ancora la febbre, ma stamani era solo a trentasette e mezzo.»
«La tua sola fortuna è che sono troppo vecchio per prenderti a
sculacciate, ma te le meriteresti tutte. Ho parlato con i tuoi.»
«Lo so, mi hanno avvisato.»
«Tuo padre o tua madre?»
«Nessuno dei due… ho i miei informatori.»
«Ah già, c’era anche Drake.»
«Non è stato neanche lui, e stai certo che questa me la paga.»
«Il tuo migliore amico si è preso una bella paura stavolta, non
infierire.»
«E’ da quando sono nato che infierisco su di lui, ormai è collaudato.
Ci sei andato leggero come un masso di una tonnellata eh?»
«Mi hai chiamato per bacchettarmi?» chiese incredulo «Stai
scherzando vero?»
«So riconoscere quando sbaglio George e ho fatto una stronzata. Non
credevo di arrivare a tanto, avevo solo mal di testa.»
«Io te la stacco, quella testa. Devo dunque arrivare alla conclusione
di aver sprecato fiato per dieci anni?»
«Ti chiamo proprio per quello. Hai da fare diciamo… domani?»
«Verrei nel pomeriggio se per te va bene.»
Ovviamente non si era fatto ripetere l’invito due volte…
«Benissimo. Arriva pure quando vuoi… e calcola che resti a cena.»
«Ah… da quando non fai qualche sano esercizio mentale?»
«Sono disposto a recuperare il tempo perso.»
«Non hai neanche il coraggio di dirmelo, andiamo bene.»
«Comunque ho delle novità e un regalo per te… sai, per farmi
perdonare.»
«Adesso sono davvero preoccupato.»
Non riuscì a trattenersi dal ridere, «Allora ti aspetto.»
«A domani Juna.»
Riattaccò soddisfatto.
Suo padre resistette fino a dopo cena.
Quando sentì il suo tipico bussare veloce e nervoso non riuscì a
trattenere un sorriso.
«Avanti papà.»
«Non voglio sapere come facevi a sapere che sono io» mise in chiaro
infilando la testa dentro… ovviamente i fascicoli erano sotto il braccio ancora
nascosto alla sua vista dalla porta.
«Allora non te lo dirò.»
«Disturbo?»
«No, affatto. Entra pure.»
Entrò portandosi al seguito una ventina di fascicoli.
Alla sua occhiata assunse un’espressione colpevole, «Lo so, è tutto il
giorno che anche tua madre mi dice che non dovrei farlo… sembrano tante, ma
sono veloci. La maggior parte sono clienti tuoi che non vogliono neanche
parlare con me, roba da pazzi. Voglio sapere cosa ne pensi di come abbiamo
mandato avanti le cose in tua assenza.»
«Se qualcosa non mi andasse bene cosa succede?»
Connor McGregory sistemò i fascicoli nella poltroncina accanto al letto
guardandolo con un misto di affetto, esasperazione e divertimento tipico di un
padre che si accorge quando un figlio lo sta prendendo allegramente in giro
essendosi accorto che le sue intenzioni iniziali sono ben lungi dall’essere
quelle espresse. «Cerca di rimetterti in piedi alla svelta pargolo perché
stiamo uscendo pazzi in ufficio, sto veramente iniziando a chiedermi come
dannazione hai fatto fino ad ora a sbrigare tutto da solo.»
«C’è chi è convinto che sia un genio» gli ricordò.
Prese posto vicino a lui, esattamente dove si era sistemato anche
Justin.
Brutto segno?
«Come ti senti?»
«Non sopporto più questa febbre papà.»
«Non ti ho mai visto fermo per così tanto tempo, non credere che non
immagini che stai per dare in escandescenza. Sono contento che tu abbia
invitato il professor Cowley, la mamma me lo ha detto. Anche i nonni sono
curiosi di conoscerlo.»
«Tu cosa aspettavi a dirmi che avevi parlato con lui?»
«Di essere abbastanza calmo. Hai un altro alleato oltre Drake vero?
Proprio ora che il tuo migliore amico si è preso una tale paura da cominciare a
pensare che a volte neanche tu sei infallibile.»
«Jennifer pensava che me lo aveste già detto… ha un’ingenuità
sconcertante per la sua età.»
«Non riesci a farmi sentire in colpa.»
«Non ci provo neanche. La mia era una semplice constatazione.»
Suo padre osservò per qualche secondo il copriletto, poi sospirò, «Ok,
nessuno dei due ci sa fare con i giri di parole, arriviamo subito al punto. Ho
fatto una bella chiacchierata con tua madre… ultimamente mi piomba in ufficio
ad intervalli regolari. Juna, sono anni che io e te non parliamo di qualcosa
che non riguarda la compagnia, ma ho sempre dato per scontato che se ci fosse
stato qualche problema tu sapessi che io ero lì pronto ad aiutarti.»
«Io so che posso contare su di te, che discorsi fai?»
«Mi sto improvvisamente rendendo conto che ho dato troppe cose per
scontate con te. Sei poco più che un adolescente, dannazione, e da quando eri
un bambino hai sulle spalle delle responsabilità che io stesso ho evitato fino
a quando mi è stato possibile. Sono sempre stato talmente orgoglioso di te da
non pensare neanche per un istante che forse le cose non stavano andando come
tu volevi. Cosa c’è che non va Juna? Perché qualcosa c’è, ormai non posso più
menare il can per l’aia. Quando sei crollato per la febbre ho sperato
che quella fosse la spiegazione al tuo comportamento, ma c’è qualcosa di più
profondo e non posso più aspettare di cercare di capirci qualcosa da solo.»
Rimase sicuramente in silenzio più del dovuto, ma non era pronto a
rispondere a domande del genere… specie da suo padre.
«Forse… forse è vero che ho sbagliato a gettarmi nella compagnia così.
Non fraintendere, mi piace quello che faccio, altrimenti non lo farei. Mi piace
lavorare gomito a gomito con te e non cambierei tutto questo per niente al
mondo. Sto prendendo in considerazione l’ipotesi di rimettermi a studiare,
papà.»
L’espressione di suo padre diventò il ritratto della sorpresa. «Hai già
qualcosa di preciso in mente?»
«Sto vagliando quattro possibilità… cioè, sto decidendo in quale ordine
prenderle.»
«Addirittura quattro… stiamo parlando di lauree immagino. Ok, spara.»
«Psicologia, medicina, giurisprudenza e arte.»
«Beh, non puoi portarne avanti più di una insieme? Voglio dire, quando
studiavi economia e commercio ti lamentavi perché ti toccava stare sempre
sulle stesse cose… avevi anche il coraggio di annoiarti.»
«Allora non credi che sia follia.»
«Follia? Stai scherzando vero? Juna, adesso hai l’età
ragionevole per andare all’università. Follia è stato farti andare
all’università a sette anni e metterti l’azienda sulle spalle ad undici. Ho
sbagliato tutto e me ne rendo conto solo ora.» Scosse la testa, «Se avessi
avuto un briciolo di buon senso ti avrei permesso di fare una vita normale… hai
un dono immenso Juna e io l’ho trasformato nella tua maledizione.»
«Non mi hai mai costretto a fare qualcosa che non volessi fare.»
«Ah no? A undici anni morivi forse dalla voglia di accollarti le
responsabilità che ti ho rovesciato addosso? Tua madre me lo ha sempre detto:
oltre al senso dell’umorismo hai ripreso anche un’altra chicca da me. Il senso
del dovere. Cosa pensi che mi abbia spinto ad accettare il ruolo di presidente
quando i rapporti con mio padre erano pressoché zero? Lo scettro del patriarca
è passato a tuo nonno anche se aveva due cugini maschi più grandi perché era il
figlio del primogenito, io sono il primogenito dopo di lui e tu sei mio figlio.
Cristo Juna, assomigli a tuo nonno più di quanto lontanamente immagini. Nella
storia della famiglia questa è la prima volta che padre e figlio prendono il
controllo della compagnia con il patriarca ancora in vita e sai perché? Per la
prima volta tre generazioni lavorano contemporaneamente all’interno della
società. Intendiamoci: sono felice per mio padre e orgoglioso di te… ma per
assecondare questa situazione eccezionale è stato sacrificato qualcosa: la tua
infanzia e la tua adolescenza.»
«Papà…»
«Sei un bellissimo ragazzo, hai senso dell’umorismo, fascino,
intelligenza, hai ripreso pienamente le doti che fanno di tua madre la donna
eccezionale che è, unite ad un qualcosa di così unicamente tuo da
renderti più che speciale. Sei in grado di comunicare con chiunque e
conquistare chiunque… e hai una sola persona che consideri amica. E perché te
lo sei ritrovato fra i piedi ancora prima di cominciare a camminare. Anche mio
padre si è dato da fare per assecondare questa cosa, lo avrei strangolato
quando ha detto di tenere da parte la poltrona della vice presidenza per
Drake.»
Un senso di allarme lo portò a guardare la porta. C’era qualcuno in
corridoio, al di là della porta chiusa.
Afferrò un braccio a suo padre che si bloccò.
Senza emettere un suono gli disse cosa pensava che stesse succedendo.
Suo padre si voltò verso la porta poi tornò a guardarlo perplesso.
Si stava forse chiedendo come facesse ad esserne così sicuro?
In quel momento bussarono e l’espressione di suo padre si fece a dir
poco sbalordita.
«Avanti.»
Entrarono i suoi nonni.
«Disturbiamo?» chiese Mansur.
Come aveva fatto suo figlio ad accorgersi della presenza dei nonni in
corridoio con la porta chiusa?
Stavano parlando, non aveva sentito nessun rumore.
Osservò la porta di nuovo chiusa cercando di rendersi conto se avesse
potuto vederli muoversi da eventuali fessure appena sopra il pavimento, ma come
tutte le porte in quella casa non lasciava spazio neanche alla luce.
«Connor?»
Si riscosse, «Sì papà?»
«Ti abbiamo interrotto?»
«No, non preoccupatevi. Stavo giusto arrivando a spiegare a Juna la
nostra idea. Vuoi prima aggiornare i tuoi nonni su quello che hai intenzione di
fare?»
Juna lo stava guardando con un’espressione indecifrabile.
Era suo figlio, quella creatura. Cosa sapeva di lui?
Juna intanto aveva iniziato a informare i nonni di voler ricominciare a
studiare.
Mansur respirò profondamente, «Beh, allora l’idea che abbiamo avuto ti
sarà davvero utile.»
«Vale a dire?» chiese Juna.
«Per un po’ tornerò a occuparmi della compagnia» rispose Patrick.
«Quando avrai voglia di staccare un po’ o… beh, dovrai dare un esame o una
tesi. Quello che è certo è che non ti occuperai più di tutto da solo. Non solo,
da adesso quando ci starai tu, Drake inizierà a starti accanto per imparare a
tener testa a qualsiasi situazione.»
«Che ne dici?» chiese Mansur.
«Per me va bene.»
Suo figlio riuscì di nuovo a sorprenderlo. Non si aspettava una così
placida resa. Probabilmente quel ragazzo non aspettava altro.
«… E se tu papà stessi pensando che non aspettassi altro, sappi che
sbagli. Il fatto è che so riconoscere un mio limite quando ci inciampo sopra.»
Chiuse un attimo gli occhi. «Ricevuto forte e chiaro.»
Juna si abbandonò contro il cuscino.
«Sei stanco?» chiese suo padre.
«No nonno… non ne posso più di stare a letto. Sto per dare in
escandescenza, per usare un’espressione di papà.»
«Magari ti alzi e ceni con noi stasera» disse cauto Mansur.
La verità è che si erano presi tutti una paura pazzesca.
Suo padre fu ancora più cauto, «Sentiamo Larry?»
Juna sbuffò, «Larry non mi farà mai alzare adesso nonno: stamani per la
prima volta dopo un mese la febbre è vicina ai trentasette.»
«Ti vedo più magro… non avevi le guance così incavate prima» disse Mansur.
«Dovresti prenderti una bella vacanza appena ti rimetti in piedi. Potresti
andare qualche settimana ai Tropici, al caldo.»
La risposta passò come un lampo negli occhi di suo figlio prima di
essere moderatamente espressa dalla bocca, «Non mi va di andare al mare… e poi
mamma mi ha passato geneticamente l’abbronzatura eterna.»
Avrebbe riso alla battuta se non fosse stata la conferma ai suoi
timori: Juna non si sarebbe allontanato da Boston fino a quando non avesse
risolto cosa lo tormentava.
Cos’era per Dio?
«Abbiamo già ottenuto che si riposi e si svaghi, non chiediamogli la
Luna tutta insieme» commentò.
Lo vide sorridere per la prima volta da quando era entrato in quella
stanza. «Non vai a fare la relazione della spedizione alla mamma?» chiese poi.
«Probabilmente sta arrivando anche lei.»
Stavolta lo vide sghignazzare allegramente.
«A proposito, ti salutano le tue zie e le tue cugine» disse Mansur.
«Gli zii no?»
Non riuscì a trattenere una risata, suo figlio era davvero
irresistibile!
«Da quando hai iniziato a parlare tendi a prendermi alla lettera,
nipote!» esclamò Mansur «Ogni genero che ho è un tutt’uno con la figlia che ha
sposato!»
«Cosa aspetti a tornare al comando della tribù?»
Mansur sorrise appena, «Non vedi l’ora di togliertene almeno uno di
torno, vero?»
«Figurati. Non far finta di non capire, sai cosa voglio dire: fino a
quando stai qui equivale a dire che sto ancora male, che tu e la nonna non ve
la sentite di allontanarvi. Non aiuti le tue figlie e le tue nipoti così.»
«Quando vieni a trovarmi? E bada bene, intendo un soggiorno di almeno
due settimane. Specie Soraya e Afef sentono molto la tua mancanza. Mi hanno
detto di avvisarti che stasera ti telefoneranno in conferenza, fatti trovare.»
Fra le nipoti erano loro due le predilette. Soraya aveva due anni in
più di Juna, Afef solo uno.
«Verrò presto nonno, di più non posso prometterti.»
Mansur annuì con la testa, «Io e tua nonna abbiamo già deciso di
partire dopo aver conosciuto il professor Cowley. Massimo fra due o tre giorni
comunque.»
«Non ho mai visto quest’uomo» disse improvvisamente suo padre. «Mi
sembra incredibile.»
A chi lo diceva.
«Non preoccuparti nonno» disse Juna. «Non è mai troppo tardi.»
Sperò ardentemente che suo figlio avesse ragione.
Improvvisamente lo vide girarsi verso la porta e tempo una decina di
secondi qualcuno bussò.
«Avanti mamma» disse Juna.
Manaar entrò nella stanza a rallentatore. «Come facevi a sapere che ero
io?» chiese sbalordita chiudendosi la porta alle spalle.
«Tuo marito ti conosce a memoria.»
Certo.
E come faceva suo figlio a sentire avvicinarsi le persone ancora prima
di vederle?
Questo non glielo avevano certo insegnato loro.
La cosa che più la preoccupava adesso era che Juna stesse dimagrendo a
vista d’occhio.
Appena usciti dalla stanza, lei lo pensò per l’ennesima volta, suo
padre lo disse a voce moderata. «Non sarebbe il caso di farlo mangiare come Dio
comanda adesso? Mio nipote si sta consumando a vista d’occhio.»
Patrick sospirò, «Voglio sentire Larry. Finalmente la febbre è scesa… è
un mese che quel ragazzo è inchiodato a letto. Che ne dici Connor?»
Suo marito rispose con un mugolio.
Era lontano anni luce da quel corridoio.
Gli toccò un braccio, «Amore?»
L’uomo che aveva giurato di amare fino alla morte la guardò… e si rese
conto che era preoccupato. Preoccupato e perplesso.
«Manaar… è possibile che nostro figlio abbia la vista a raggi X?»
La domanda la fece rimanere a bocca aperta.
«Connor, sei impazzito?» chiese Patrick.
Connor li fece allontanare dalla porta. «Andiamo nello studio, vi devo
parlare.»
Lo seguirono tutti senza emettere un suono.
Come al solito suo marito cercò la sua mano e ne intrecciò le dita. Fu
un contatto che le diede conforto.
Appena entrati nello studio, Connor prese posto in una poltrona e la
fece sedere sulle sue gambe.
Suo padre e suo suocero presero posto nel divano davanti a loro.
«Che ti frulla per la testa?» chiese suo padre a suo marito.
«Non chiedetemi come sia possibile, ma Juna sente arrivare le persone
ancora prima di vederle. E’ successo con me, sapeva chi fossi ancora prima che
entrassi. L’ho visto succedere quando siete arrivati voi due… stavo parlando e
mi ha fermato trenta secondi prima che voi bussaste alla porta ed è successo
ancora con Manaar: si è girato verso la porta quando ad occhio e croce lei ha
imboccato il corridoio.»
Rimasero in silenzio per qualche secondo, poi Patrick respirò
profondamente. «Maddie è almeno un mese che mi dice che Juna sembra vivere…» si
bloccò cercando le parole.
«… con il colpo in canna?» concluse Connor.
Non riuscì a trattenere un sussulto. La stretta di suo marito si
intensificò e una leggera carezza scivolò sul suo fianco.
«Qualcosa preoccupa a morte quel ragazzo, siamo d’accordo» disse suo
padre. «Potrebbe essere particolarmente sensibile a causa di questo?»
Altro silenzio.
«Hai avuto modo di parlarci?» chiese con un filo di voce.
«Nostro figlio vuole rimettersi a studiare Manaar» disse Connor. «Ha in
mente quattro lauree e conoscendolo le sosterrà tutte. Mi ha rassicurato che è
sempre stato cosciente che se avesse avuto bisogno di qualcosa io ero lì pronto
ad aiutarlo. Mi ha detto che gli piace lavorare con me e non cambierebbe questo
per niente al mondo. Mi ha detto esattamente quello che avevo bisogno di
sentirmi dire, ma non ha detto una parola su come si sente e su cosa lo
preoccupa. Abbiamo messo al mondo una cassaforte, amore mio.»
Sobbalzò sentendolo dire ad alta voce.
Connor serrò di nuovo la stretta. «Quello che mi fa andare in bestia è
che me ne accorgo solo adesso. Prendi i suoi numeri di telefono: sono protetti
da un codice e Drake sa quel codice. Io so solo che mio figlio ha un
solo amico su questo pianeta e questo ragazzo ha spento il cellulare di mio
figlio dopo aver preso il numero che ci serviva. So che è uscito con delle
ragazze, ma non so un singolo nome. Lui e Drake spariscono per interi fine
settimana e nessuno di noi ha la più pallida idea di cosa facciano. Mio padre
ha scoperto per puro caso che conosce un generale dell’F.B.I. e questo generale
non si è fatto ripetere l’invito la seconda volta quando mio figlio lo ha
chiamato.»
«Volevano mettersi in contatto con Jeremy già da prima Connor» disse
Patrick, «hanno preso la palla al balzo.»
«Questa è la spiegazione che ci ha dato Juna, ma cerchiamo di essere
obiettivi! Arrivare ad un governatore attraverso un ragazzo di diciotto anni?»
ribatté suo marito «Mio figlio ha diciannove anni per eccesso papà. Qui
si sta parlando dei servizi segreti degli Stati Uniti. Jeremy, che è il
governatore del Massachusetts, deve restare fuori da questa storia e vanno a
parlarne con un ragazzo che in questo paese non è ancora maggiorenne? Juna
lavora nella compagnia perché lo abbiamo reso legalmente maggiorenne, ma lo si
diventa a ventuno anni da queste parti!»
Seguì un altro silenzio, pesante come un macigno, poi fu suo padre a
prendere la parola, «Cosa stai cercando di dirci Connor?»
Suo marito scosse la testa, «Non lo so neanche io Mansur. Sto cercando
di mettere insieme mio figlio come un puzzle… e ho trovato una quantità di
pezzi che ci sono e non dovrebbero esserci e altri, che ho sempre dato per
scontati, che improvvisamente non collimano più. Non ci sto capendo più niente.
So solo che in questi giorni mi sto facendo spesso una domanda che non avrei
mai pensato di dovermi porre.»
Sentì le lacrime riempirle gli occhi e terminò il discorso di suo
marito in un sussurrò «Chi è mio figlio?»
L’espressione di suo padre e Mansur si fece a dir poco allibita.
Manaar dunque percepiva la situazione nella sua stessa maniera. Per la
prima volta maledì questa cosa.
Le fece nascondere il viso contro il suo collo e sua moglie cominciò a
piangere silenziosamente.
«Forse state prendendo la cosa per il verso sbagliato…» cominciò suo
padre cauto.
«E’ un periodo molto teso per voi, lo capisco» disse Mansur, «da che
ricordo Juna non è mai stato così male da quando è al mondo, è chiaro che siete
scossi… ma da qui a pensare di non conoscere affatto vostro figlio, ce ne
corre.»
«Mansur, non è questo il punto. Mi hai ascoltato fino ad ora? Mio
figlio riuscirebbe a convincere il suo prossimo che la Terra è rettangolare,
riesce sempre a trovare una spiegazione razionale a tutto… ma non c’è una
spiegazione che regga al fatto che non ho idea di cosa faccia o dove vada mio
figlio quando esce da questa casa… o peggio ancora da quell’ufficio. Per quanto
fossi una testa matta alla sua età e la mia libertà non andava toccata i miei
genitori sapevano dove ero e con chi quando partivo per più di ventiquattro
ore.»
Manaar si allontanò dal suo collo, «Non riesco a non pensare che la
situazione mi sta sfuggendo di mano, se non è già fuori controllo. E’ mio
figlio dannazione. Papà, tu sapevi sempre con chi ero, cosa facevo e
dove mi trovassi… il primo viaggio lontano da te è stata la mia luna di miele!»
Mansur si arrese subito davanti a quell’evidenza.
In un altro contesto la cosa lo avrebbe fatto ridere.
Suo padre sembrava assorto in qualche pensiero troppo grande per
qualsiasi cervello.
«Papà?» lo chiamò.
Suo padre lo guardò per qualche secondo, poi scosse la testa, «Per me è
stato uno shock lo scoprire che razza di controllo ha su se stesso. Anche
Jennifer, la sera che andammo da loro e Juna spiegò a Jeremy come stavano le
cose, ebbe una reazione quasi di paura nei confronti di mio nipote.»
«Ha calma e sangue freddo» disse Mansur, «uniti ad un’intelligenza
superiore alla media, fascino e carisma. Sarà che mi sono perso qualcosa, ma
perché improvvisamente ciò che era un vanto vi preoccupa? Fino a prova
contraria se fino ad ora è riuscito a fare ciò che ha fatto è anche per
questo.»
«Forse ha un po’ troppo sangue freddo per la sua età» ipotizzò suo
padre.
«Oh andiamo Patrick!» riprese Mansur «A quattro anni discuteva con noi
di finanza, a dodici ti faceva uscire dai gangheri con ragionamenti che non
riuscivi a smontare… senza mai alzare la voce. Juna non ha mai avuto
atteggiamenti consoni all’età anagrafica. Mettendomi nei panni di Connor e di
mia figlia posso capire che il rendersi conto che il proprio figlio bambino o
adolescente non lo è mai stato sia una bella mazzata, ma come possiamo
pretendere adesso di stabilire cosa è normale per lui o no?»
Ragionevole.
Suo padre dovette pensare la stessa cosa perché non replicò.
Replicò sua moglie.
«Papà, se il tuo ragionamento è giusto sono doppiamente preoccupata per
mio figlio, perché se è vero che la sua intelligenza lo ha sempre portato ad
essere mentalmente oltre la sua età anagrafica, non posso non chiedermi cosa
può preoccuparlo così.»
Toccò a Mansur non replicare.
Bussarono alla porta e sua madre fece capolino. «Ah, siete qui. Volete
scendere? Fra poco si mangia.»
La seguirono.
Entrati in sala, suo fratello Paul fu il primo a rivolgergli la parola,
«Come sta Juna?»
«Meglio, la febbre è finalmente scesa sotto i trentotto.»
«Fa colazione con noi domani mattina?» chiese Justin.
Manaar sorrise al nipote, «Non sai già più cosa inventarti per far
uscire fette di torta dalla cucina?»
Rimase spiazzato, Justin sorrise birichino, «Zia, cerco di mettermi nei
panni di mio cugino e credo sia arrivato il momento di essergli solidale.»
«Porti da mangiare di nascosto a Juna?» chiese allibita Lennie.
«Ho cominciato giusto stamani, ma zia Manaar ha un radar incorporato,
non ci sono altre spiegazioni.»
«Forse hai più sale in zucca di tutti noi messi insieme» commentò Mansur.
«Mio nipote sta dimagrendo a vista d’occhio.»
«Telefonerò a Larry fra qualche minuto papà e gli chiederò cosa fare,
ok?»
Mansur diede il suo assenso alla figlia con un semplice gesto della testa.
Michael entrò nella stanza, sorrise al mondo intero e si diresse deciso
verso la sorella, impegnata a studiare in silenzio un foglio… così in silenzio
che lui si accorse della sua presenza solo quando la vide seguendo con lo
sguardo il fratellino di lei.
«Jen, che fai?» chiese sdraiandole si praticamente addosso.
«Oh, lascia perdere Micky… ho fatto l’errore di imbarcarmi con Juna in
un discorso sui tests d’intelligenza stamani. Per premiarmi mi ha dato da
risolvere un problema di informazione minima, l’ha definito lui… ho
tempo fino a domani l’altro mattina e ancora non sono approdata a niente.»
In meno di due minuti erano tutti intorno a lei.
Lui non aveva mai fatto domande del genere a Juna.
In breve la ragazza spiegò loro cosa le aveva detto suo figlio.
Lennie lesse per la terza volta il foglio, «Questo è un test di
intelligenza?» chiese affascinata.
«Credo che mio nipote abbia voglia di scherzare» disse Paul. «Com’è
possibile scoprire il sacco fra i quattro con un solo gettone?»
«Eppure Juna mi ha assicurato che è tutto qui quello che mi serve. Mi
sta ossessionando un discorso che mi ha fatto e cioè che il concetto di
intelligenza è visto in maniera distorta, come a dire che se un problema è
sottoposto a un genio è per forza un qualcosa di complicato. In realtà è l’ovvio
che in quanto tale sfugge alla stragrande maggioranza della gente. So già che
mi mangerò le mani quando mi darà la soluzione.» Si rivolse a Manaar, «Ho già
voglia di ucciderlo.»
Manaar le sorrise, «Allora ti faccio le mie congratulazioni per la tua
promozione prima che tu finisca in galera per omicidio.»
Jennifer rispose al sorriso, «Grazie… se al momento buono mi ricorderò
che è merito di tuo figlio forse lo lascio vivere.»
«Complimenti davvero, la media dell’otto è di tutto rispetto» disse Mansur.
«Che progetti hai dopo il diploma?»
«Vorrei laurearmi in arte… ma non so ancora di preciso. E’ presto per
pensarci. Al momento comunque vorrei solo risolvere questo problema.»
«Dopo cena ci piazziamo in gazebo e cercheremo di arrivare a capo di
questa cosa» disse Paul.
Il suo sguardo incontrò quello di sua moglie e le lesse negli occhi
cosa stesse pensando: loro dovevano risolvere il problema di capire cosa
preoccupava così loro figlio e arrivare a capo di quel mistero che era loro
figlio stesso.
Capitolo 14 *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 14 ***
Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 14
Non
E’ Mai Troppo Tardi
14
Suo padre, sua madre e i nonni al completo sembravano molto
nervosi all’idea di conoscere George.
Conoscendoli, specie i suoi due nonni, non credeva proprio che fosse
nervosismo dettato da una possibile soggezione nei confronti di George in
quanto genio, quindi c’era una sola possibilità: erano nervosi perché si
rendevano conto che quell’uomo era stata ed era tuttora una presenza
fondamentale nella sua vita e loro se n’erano accorti solo allora.
Probabilmente per suo padre e sua madre c’era anche la consapevolezza
che con George avevano iniziato un discorso che avrebbero dovuto intraprendere
dieci anni prima.
Era, in generale, il risultato del fatto che improvvisamente era
entrato a far parte della famiglia.
Era arrivato ad una conclusione sconcertante: non aveva mai avuto
problemi a nascondere quella che lui credeva essere una doppia vita per il
semplice fatto che non era doppia.
Lo era diventata quando lui si era trovato scaraventato nella realtà di una
famiglia che prestava attenzione alle sue abitudini ed erano cominciati subito
i guai.
Forse se il fatto dell’agguato, di Michael, dello stare male, fosse
successo quando ancora la sua famiglia si restringeva a suo padre e sua madre,
avrebbe parato i colpi come al solito… ma adesso la situazione era cambiata.
Lui era cambiato. Ancora forse non aveva capito come e fino a che
punto, ma…
Howard entrò nel salone seguito da George… il quale, ormai ne era
certo, aveva fatto un patto con il Diavolo! Era un uomo che si avvicinava all’ottantina
e dimostrava sessant’anni nei momenti peggiori!
Saltò giù dal divano dove lo avevano costretto e gli andò incontro per
abbracciarlo.
George lo abbracciò con il solito affetto di sempre e alla fine gli
scompigliò i capelli, «Ciao testa matta, ti trovo bene.»
«Da ieri non ho la febbre.»
«L’ha a trentasette» lo corresse automaticamente sua madre arrivandogli
vicino e rimettendogli sulle spalle lo scialle che aveva fatto volare via.
«La signora McGregory, vero?» chiese George «La voce al telefono non le
rende giustizia.»
Sua madre sorrise e gli tese una mano, «Finalmente la vedo di persona.
Benvenuto in questa casa professor Cowley.»
«Mi chiami George, la prego: potrei essere suo padre, ma non me lo
faccia pesare così tanto.»
Tutta la stanza scoppiò a ridere. Non faceva fatica a credere che
George fosse stato un professore adorato dagli alunni.
Sua madre aveva spianato la strada, in meno di due minuti George
conobbe l’intera stanza… e anche il suo geniale cervello cadde nella trappola
preferita di sua madre.
Quando Jennifer gli tese la mano non la lasciò andare e si rivolse a
lui, «La febbre alta ti ha impedito di aggiornarmi su una novità così
importante o devo pensare che mi hai coscientemente tenuto all’oscuro?»
Jennifer doveva essersi immunizzata perché non solo non diventò viola,
ma fu lei stessa a spiegare come stavano le cose… scherzandoci sopra, per di
più!
«Non sono fidanzata con questo bel tipo, sono ospite con la mia
famiglia del nonno di Juna, ma ciò non comporta fidanzamento… me ne sono assicurata
prima di entrare in questa casa!»
George rise di cuore, «Anche spiritosa oltre che bella! Peccato, per un
attimo ho pensato di averne sistemato almeno uno! Anche mio figlio è allergico
a certi discorsi e ha quasi trent’anni… ormai io e mia moglie stiamo perdendo
la speranza di avere un nipotino in tempo utile per viziarlo a dovere.»
«Io non ho alcuna intenzione di mollare invece» fu il commento di sua
madre, espresso a voce moderata ma non per questo meno pericoloso di una
minaccia in piena regola.
Era ora di cambiare argomento!
«Senti un po’ George, quando ti decidi ad invecchiare?» chiese tirando
fuori uno dei loro batti becchi preferiti.
Solo che stavolta George aveva una sorpresa in serbo.
«Gli anni passano Juna. Tu cresci, io è già un po’ che ho cominciato ad
invecchiare. Ho una novità: un paio di mesi fa ho avuto un leggero attacco di
cuore. Mi ha accompagnato mio figlio qui e mi verrà a riprendere… il dottore mi
ha tassativamente vietato di guidare, di alzare pesi di qualsiasi genere, di
fumare la mia adorata pipa e mangiare grassi. Mia moglie ha perso dieci anni di
vita e mio figlio, che Dio mi aiuti, si è trasformato nella più perfetta delle
chiocce.»
Sentì il sangue confluirgli ai piedi.
Rimase senza parole ad osservarlo per qualche secondo mentre il
discorso trovava la giusta collocazione nel suo cervello. Dopo di che contò
fino a dieci per dargli la possibilità di dirgli che era uno scherzo.
«Leggero come un masso di una tonnellata, vero George?» chiese
con una calma gelida che era ben lungi dal provare quando realizzò che George
non stava scherzando «E cosa dannazione aspettavi a dirmelo?»
George sospirò, «Non è mai capitato che non ti facessi sentire per così
tanto tempo ragazzo, sei un incosciente ma hai anche un sano istinto di
conservazione che alla fine ti ha sempre spinto a cercarmi per i nostri
esercizi. Questa volta non è stato così e ho intuito che fosse successo
qualcosa che richiedeva tutta la tua attenzione. Se avessi alzato il telefono
saresti piombato a casa mia ancora prima che la cornetta ritoccasse la
forcella. Ti conosco: sei una testa matta ragazzo.»
«E se ti conosce…» fu il commento a mezza voce di Justin.
George gli sorrise, poi tornò a guardare lui, «Sei furibondo con me
adesso, te lo leggo negli occhi Juna, ma devi credermi: sono stato realmente in
pericolo neanche venti minuti e mia moglie e mio figlio hanno buttato fuori il
resto del mondo dalle nostre vite per due settimane. Quando è arrivato il
momento si avvisare qualcuno di cosa era successo… beh, c’era solo da dire che
ero ancora vivo, ma tu questo lo sapevi già.»
«Come sta adesso?» chiese suo padre.
«Ho adottato uno stile di vita da chierichetto e ritmi da pensionato.
Tutta salute.»
«Juna, torna sul divano adesso» disse sua nonna Charmaine con la calma
che l’aveva fatta sopravvivere ad oltre cinquant’anni di matrimonio con Mansur Alifahaar.
«Non scordare che fino a pochi giorni fa avevi la febbre a trentanove.»
«Dubito che tu mi permetterai di scordarmene, nonna» ribatté tornando
sotto il plaid.
Tutti si sederono e George prese posto nella poltrona davanti a lui.
Melissa e Michael si sedettero all’altezza del suo stomaco al limite
del divano.
«Allora Juna, mi hai parlato di novità e di un regalo per il
sottoscritto» esordì George.
«Regalo?» si alzò un coro di voci.
«Quando sei uscito a comprarlo?!» esplose poi sua nonna Madeline.
Sua madre lo guardava con occhi sbarrati, «Non puoi averlo fatto
davvero…»
«Non ho messo il naso fuori di casa, volete calmarvi tutti quanti per
favore?» Si rivolse a George, «Come se non fossero coscienti di aver
organizzato veri e propri turni di guardia! Andiamo per ordine, ok? Prima la
novità. Mi rimetto a studiare.»
George lo guardò in silenzio per qualche secondo, poi dovette stabilire
che non stava scherzando e alzò gli occhi al Cielo, «Allora esisti veramente.
Grazie» disse con un sorriso.
Tutta la stanza scoppiò a ridere.
«Mio figlio non mi ha mai detto che lei faceva pressioni perché lui
tornasse a studiare» disse suo padre.
George sospirò, «Ho l’impressione che Juna non le abbia detto molte
cose signor McGregory.»
Il solito schiacciasassi…
«Connor. E ha dannatamente ragione. A questo proposito, vorrei che lei
conoscesse il professor McIntyre. E’ il medico di famiglia e ha fatto nascere Juna.»
«Ma papà…»
«Molto volentieri Connor.»
«Far conoscere lui e Larry?» ripeté Juna «Perché non mi spari
direttamente un colpo in testa?»
Connor guardò il figlio accigliato, «Abbiamo visto i risultati
lasciandoti carta bianca sulla tua salute Juna. Quando avrai imparato a badare
a te stesso ne riparleremo, ma prima di allora non ti permetterò più di fare di
testa tua.»
Juna sbuffò e guardò il soffitto.
A guardarlo con attenzione era vero: Juna doveva aver perso peso. Le
guance erano più incavate di quando lo aveva rivisto a casa sua.
«Cosa hai in mente?» riprese George.
«Psicologia, medicina, arte e giurisprudenza.»
«Lo sapevo» fu il commento di Justin.
«Oh smettila» ribatté Juna, «sarai tu il legale ufficiale, lo sai.
Lascerò giurisprudenza per ultima.» Sorrise all’indirizzo del cugino, «E non
farò neanche il praticantato.»
«Sei un cuore d’oro Juna.» Sorrise anche lui, «Il lato positivo è che
risparmierò un sacco sui testi giuridici, avendo te a portata di mano!»
Juna fu il primo a scoppiare a ridere.
Paul scompigliò i capelli al suo secondogenito.
«Hai già messo in moto Drake, immagino» disse il professor Cowley.
«Mi ha già sommerso di depliant delle università di tutta Boston.
Pensavo di iniziare con psicologia e medicina.»
Il professor Cowley annuì «Se avrai bisogno di aiuto, sai dove
trovarmi» fu il suo commento.
«Professore» disse Melissa, «Juna deve fare esercizi anche quando
studia?»
«Che tipo di esercizi sono?» rincarò suo fratello.
«Andiamo per ordine, prima le femminucce» disse il professore. «Sarebbe
meglio se Juna non smettesse di fare esercizi anche se studia. Gli esercizi che
fa con me sono molto simili a dei tests di intelligenza, qualsiasi materia si
metta a studiare non sarà mai la stessa cosa. Vedete, il cervello di Juna
funziona in maniera molto diversa rispetto al vostro: riesce ad immagazzinare
informazioni ad una velocità anche quaranta o cinquanta volte superiore. Questo
purtroppo può creare dei problemi. Se Juna non avesse imparato a gestire e
controllare in qualche modo questa velocità sarebbe potuto impazzire diverso
tempo fa.»
«Cooossaaa??» esplose Melissa. Si gettò addosso al cugino mentre
nella stanza tutti si mettevano una mano sugli occhi. «E’ vero Juna?? E se
succede io che faccio??»
Juna la tirò di nuovo a sedere e le spostò i capelli dal viso, «Hai
ascoltato cosa ha detto George? Ho imparato a controllarlo. Non ci sono
pericoli. Vero?» si rivolse al professore.
«Vero» si limitò a rispondere l’uomo guardando con un misto di
preoccupazione e sbigottimento la bambina.
Melissa non aveva distolto lo sguardo dal cugino. «Me lo giuri? Sai che
non posso stare senza di te.»
Juna alzò la mano destra chiusa a pugno con l’indice e il medio alzati
e uniti, «Parola di lupetto.»
«In cosa consistono esattamente questi esercizi?» chiese Patrick dopo
qualche secondo di silenzio.
Il professor Cowley rivolse verso di lui la propria attenzione e… «Ci
sono esercizi di memoria visiva, uditiva, memorizzazione immediata,
concentrazione, tests di logica, di associazione, di selezione, problemi
d’informazione minima, media e massima…»
La sua attenzione fu improvvisamente catalizzata da un gemito.
Appena si rese conto da chi proveniva non riuscì a trattenersi dal
ridere: Jennifer aveva già le mani nei capelli.
«Sai solo tu cosa ci sia da ridere» disse Justin amareggiato, «tu non
ci hai fatto le due stanotte a cercare di capire cosa farne di quell’unico,
maledetto gettone…»
«Sei riuscita a coinvolgere anche lui?» chiese guardando la testa della
ragazza che non accennava a rialzarsi.
«Gli unici che non ci hanno passato la serata e buona parte della
nottata sopra sono stati Melissa e Michael» lo informò Georgie.
«Non mi dire che le hai sottoposto il problema dei sacchi di lingotti
d’oro…» disse George sbalordito. «Ragazzo, è un problema d’informazione minima,
uno dei più difficili» continuò evidentemente incapace di credere a tanta
crudeltà da parte sua.
«Ne esistono di facili professore?» chiese suo zio Ryan con una sana
ironia nella voce.
«Juna, stavolta ti ammazzo» decise Justin.
Melissa si voltò verso di lui come se l’avesse morsa, «Dovrai prima
uccidere me!»
Stavolta sua zia Elisabeth non resse, «Sta scherzando Melissa!»
esplose «E poi Juna è perfettamente in grado di badare a se stesso, tu faresti
meglio a pensare a cosa ti ha detto la dottoressa Horgan!»
Melissa guardò sua madre con occhi sbarrati, la sentì diventare un
pezzo di marmo, non disse niente, si limitò ad imbronciarsi e cercare la sua
mano per stringerla forte.
Prese un appunto mentale: cosa aveva esattamente detto la dottoressa
Horgan a Melissa? Aveva il vago sospetto che avesse a che fare con lui…
La voce di Jennifer si levò bassa e sconsolata a spezzare la nuova
tensione. «Mi hai dato fino a domani per trovare la soluzione, ma se ci penso
sopra altri trenta secondi mi va in fumo il cervello. Mi arrendo Juna.»
«Juna, dalle la soluzione» disse George. «Non capisco cosa può averti
fatto per meritarsi una cosa del genere.»
«Me lo ha chiesto George.» Si rivolse a Melissa, «Tesoro,
ricordi le costruzioni di plastica colorata che hai in camera? Me le porteresti
per favore?»
Melissa saltò giù dal divano come una cavalletta e sparì fuori dalla
porta.
Riprese, «Avete tutti chiaro il problema? Jennie, hai ancora il
foglio?»
«Ha dormito con me» fu la risposta mentre lo tirava fuori dalla tasca
dei jeans.
Jeans molto carini fra l’altro.
«Juna, non ti senti l’ultimo dei vermi?» chiese Justin con una nota di
sadismo nella voce.
«No» mentì spudoratamente. «Se l’è cercata. E tu a darle retta più di
lei.»
«Su questo hai ragione: non ci si deve imbarcare in discorsi del genere
con te… l’ho imparato a caro prezzo.»
«Adesso mi dirai che non mi parlerai più.»
«Lo farei se ti facessi un dispetto, ma non ti darò mai una
soddisfazione del genere.»
La risata gli salì direttamente dal cuore, «Sei splendida Flalagan, non
ti azzardare a cambiare!»
Il campanellino cominciò a suonare all’istante.
Era impazzito?
Jennifer era già diventata color fragola, sua madre per contro partita
era sbiancata… e non era la sola.
Cosa-dannazione-sto-facendo?
Fu Justin a correre in suo aiuto.
Prese il foglietto dalle mani di Jennifer e lo aprì, «Allora,
ricapitolando!» iniziò, per poi riassumere la situazione nella stanza dei
lingotti d’oro.
Melissa tornò trascinandosi dietro l’intero sacco. Lo portò davanti a
lui e riprese il suo posto.
Cominciò a tirare fuori i pezzi di plastica colorati che gli servivano
e quando ne ebbe la quantità necessaria accantonò il sacco. Li appoggiò sul
tavolino di cristallo davanti a lui.
Automaticamente suo nonno Mansur si alzò per avvicinargli il tavolino.
«Grazie nonno. Allora, parlo a Jennifer ma mi rivolgo a tutti. Usa
l’immaginazione e pensa che ogni pezzo di plastica sia un lingotto. Ne hai
tolti uno verde dal sacco numero uno, due gialli dal sacco numero due, tre
rossi dal sacco numero tre e quattro blu dal sacco numero quattro. Quanti
lingotti hai in totale sulla bilancia?»
«Dieci» rispose cauta.
«Se i lingotti falsi fossero quelli del primo sacco avresti un peso
complessivo di dieci libbre meno un’oncia, se fossero quelli del sacco numero
due, dieci libbre meno due once… e via discorrendo.»
Non riuscì a staccare gli occhi da quelli di Juna.
Dio che incredibile idiota era stata.
«Non ci posso credere…» commentò Patrick da qualche parte della stanza.
Si abbandonò contro la poltrona e le venne davvero voglia di uccidere
quel ragazzo.
Lo sguardo le cadde su Justin che aveva le mani nei capelli, poi tornò
su Juna. «L’ovvio. Dannazione Juna, ora capisco. Non ho neanche preso in
considerazione l’ipotesi di aprire i sacchi.»
Juna le sorrise. Un sorriso che non aveva niente di scherzoso,
altezzoso o Dio solo sa cos’altro. Era semplicemente un sorriso dolcissimo.
«Non lo avevi dimenticato, ne ero certo. Ci saresti arrivata Jennie, hai
sbagliato ad arrenderti.»
«Come ho fatto a non pensare a una cosa simile?! Era così logico!»
esclamò Justin.
«E’ un curioso processo della mente umana che porta a scartare
automaticamente le soluzioni troppo semplici per problemi che sembrano
complicati» gli rispose George. «In genere viene definito complicarsi la
vita.»
Tutta la stanza scoppiò a ridere.
«Dio quanto ha ragione!» esclamò suo padre con le lacrime agli occhi.
«Ciò che porta la gente comune a definire Juna un genio è soprattutto
la sua capacità di semplificare, capacità che lo rende potenzialmente in
grado di arrivare a capo di qualsiasi situazione. Tutte le volte che Juna si
trova davanti un problema o una difficoltà… lo smonta. Lo riduce ai
minimi termini e quindi la soluzione di solito arriva automaticamente.»
Mansur stava annuendo, «Come a dire che quando il complicato diventa
semplice, la strada più breve per la soluzione diventa fosforescente.»
Il professor Cowley annuì nella sua direzione. «Ovviamente, la
differenza sostanziale è che una persona in genere ci può impiegare giorni,
settimane, anche mesi… Juna impiega secondi, minuti o ore, a seconda.»
«Scusate se vi interrompo» disse Madeline, «ma in cucina aspettano
istruzioni per la cena. Professore, cosa preferisce?»
Il professor Cowley si inchinò leggermente, «Non dovete assolutamente
porvi problemi riguardo a questo signora. Fate come se io non ci fossi, ve lo
chiedo come favore.»
«Adora la pasta al forno, le patatine fritte e il pollo» disse serafico
Juna. «George, non ti permetterò di perdere quest’occasione: Majorie, la moglie
di Howard, è una cuoca da cinque stelle e come se non bastasse è affiancata da
Susan. Per una volta puoi fare uno strappo alla regola, no?»
Madeline sorrise sollevata, «Grazie Juna.»
Mentre la donna usciva dalla stanza il professor Cowley guardava Juna
con un sorriso rassegnato, «Sei vergognosamente dispettoso, lo sai?»
Juna sorrise, «Ognuno ha i suoi lati positivi.»
Sembrò ripensare a qualcosa e lo vide cercare con lo sguardo qualcosa,
o qualcuno.
Trovò ciò che stava cercando quando inquadrò Justin. «Ah cugino, prima
che mi dimentichi ancora: l’unica cosa che abbiamo sempre avuto in comune è la
passione per gli scacchi… mi permetterai di infliggerti la più cocente
sconfitta della tua vita questo fine settimana?»
«Per prima cosa, cugino, non sta scritto da nessuna parte che tu debba
battermi!» lo rimbeccò allegro Justin «Possiamo fare la prossima settimana? Ho
già fissato con Diana, ce ne andiamo alla baita. Parto venerdì e torno
domenica… forse anche lunedì. Il nonno mi ha già dato le chiavi.»
«Hai messo in conto di fare un po’ di spesa nipote?» chiese Connor
«Sono mesi che non ci va nessuno.»
«Tranquillo zio. Tutto organizzato.»
«Non mi hai detto nulla» disse sbalordita Lennie, «cos’è questa
novità?»
Justin guardò di sottecchi Juna. Se fosse stata leggermente spostata
verso destra o verso sinistra le sarebbe sfuggito… anzi, con tutta probabilità
era stata l’unica nella stanza a cogliere quel movimento.
Le venne il sospetto che i due cugini stessero architettando qualcosa.
«Oh zia» sbuffò Juna, «sarebbe ora che si staccasse un po’ dalle tue
sottane… lui che può farlo…» aggiunse a mezza voce… e neanche tanto mezza.
La reazione di Manaar fu istantanea, «Cosa ti impedisce di seguire il
suo esempio, di grazia?»
«Il fatto di non avere meritevoli sottane di riserva, mamy» fu la
lapidaria risposta del ragazzo.
Manaar alzò gli occhi al cielo, «Certo hai una notevole faccia tosta,
figlio mio! Devo ricordarti che neanche un mese fa parlavi al telefono con
Drake a proposito di…?»
«Mamma, non ho detto di non avere sottane a portata di mano, ho
detto di non averne di meritevoli» puntualizzò il ragazzo con una faccia
da schiaffi che definirla da manuale non rendeva l’idea della perfezione
con la quale era esibita.
Si trovò a sorridere.
«Questa poi le batte tutte» commentò Connor. «E sentiamo, cosa deve
avere una sottana per essere meritevole?»
«Papà, tu sei l’ultimo che può polemizzare, ok?» ribatté Juna con un
sorriso da delinquente «E’ evidente che io non ho ancora trovato la Manaar Alifahaar
della mia vita.»
Manaar era a bocca aperta, «Sei barricato dietro questo alibi da
anni Juna!» protestò.
«Colpa mia se sei una mammina davanti alla quale nessuna donna al mondo
regge il confronto? Credi che sia facile per me adeguarmi ai tuoi standard?»
Un brivido le percorse la spina dorsale.
Quando parlava con sua madre, dietro a quel tono scanzonato affiorava
una dolcezza, una tenerezza, un amore che non potevano essere celati del tutto…
per quanto Juna si impegnasse a mascherarli con l’ironia e il fascino.
Qualcosa nel profondo le dava la convinzione che questo fosse uno dei
lati più veri di quel ragazzo.
Manaar, inutile dirlo, aveva già abbassato le armi. «Sei veramente
intollerabile figlio mio» disse come si può intonare una ninna nanna.
Connor stava scotendo la testa rassegnato, «Vorrei avere fra le mani
chi ha detto la prima volta che hai ripreso il meglio di me.»
«Nostro padre sostiene addirittura che abbia preso il meglio dei
McGregory, pensa» fu il commento di Paul.
Tutti ridacchiarono.
«Bene» riprese Connor, «farete questi esercizi prima di cena?»
«Io sono pronto a cominciare anche adesso» disse il professor Cowley.
«Ma il regalo?» chiese deluso suo fratello.
«Voglio vederlo anche io!» esclamò Melissa.
Il professor Cowley si toccò il mento, «Mi era completamente passato di
mente, sto perdendo colpi. Allora ragazzo, il mio regalo?»
«Appena mi permettono di ricominciare a vivere, io e te faremo una
visitina all’Omega, così mi potrai presentare agli altri membri.»
Il professor Cowley spalancò la bocca per la sorpresa, «Cosa?»
Praticamente fu un soffio, capì cosa aveva detto dal muoversi delle
labbra più che dal sentirlo.
Seguirono venti secondi di silenzio più assoluto durante i quali
Connor, Manaar, Patrick e Mansur si scambiarono occhiate e mute domande.
«Stai facendo sul serio Juna?» chiese il professor Cowley appena ebbe
di nuovo fiato a sufficienza.
«Certo… sono ancora in tempo per essere il membro più giovane?»
Ci vollero altri quindici secondi prima che il professor Cowley
riuscisse a sollevare una mano per portarsela alla bocca… ancora spalancata per
la sorpresa. «Guarda che ti prendo in parola Juna: appena puoi rimettere il
naso fuori di casa sarà la prima cosa che faremo.»
«Affare fatto.»
«Cos’è l’Omega?» chiese con cautela Justin dopo l’ennesimo silenzio che
seguì.
Il professor Cowley sembrò riscuotersi e concentrò la propria
attenzione su di lui.
In poche parole spiegò cosa fosse l’Omega, aggiungendo che aveva sempre
sognato che Juna ne entrasse a far parte, «Sono anni che aspetto questo
momento» concluse ancora sotto shock. «Juna è come un figlio per me e questa è
la più grande soddisfazione che potesse darmi. Cosa ti ha fatto cambiare idea?»
«Il capire che non mi costa nulla e ti rende felice.»
La semplicità di quella risposta le tolse il respiro e non poté fare a
meno di notare che anche Manaar ebbe un lieve sussulto.
Il professore sprofondò sulla poltrona e respirò profondamente,
«Accetto con immenso piacere questo regalo Juna. Grazie.» Sorrise, «Da quando
sanno che esisti mi hanno chiesto spesso di te sai? Non sono stato l’unico a
rimanere di sasso davanti ai risultati dell’ultimo test… non ti nascondo che
non vedo l’ora che tu sostenga il prossimo.»
Juna dette una leggera scrollatina di spalle, «Ormai non manca molto.
E’ fissato per gli inizi del prossimo anno se non sbaglio.»
Ebbe la netta sensazione che Juna non fosse molto contento di questo.
Dopo un’altra piacevole ora a parlare con gli altri finalmente salirono
in camera sua.
«Devo essere sincero Juna: non riesco a capire perché ostenti un
atteggiamento che non è assolutamente tuo. Non puoi andare contro te stesso
ragazzo, e tu hai un cuore grande come una casa.»
Aprì la porta della sua stanza e si fece da parte per farlo passare,
«Mi faresti un favore grande come una casa se non spargessi la voce, la mia
fama di squalo della finanza ne uscirebbe a pezzi. Cosa ti ha fatto arrivare a
questa conclusione?»
«La certezza è arrivata con la risposta che mi hai dato quando ti ho
chiesto cosa ti ha fatto cambiare idea circa l’Omega.»
«Probabilmente ci sarei arrivato prima se mi fossi fermato a pensare»
ammise accendendo la luce alla scrivania.
«Ragazzo, cosa ti è successo?»
Fortuna volle che dovette voltargli le spalle per prendere l’altra
sedia, «Mi alzo oggi dopo quasi un mese bloccato a letto.»
«Non far finta di non capire. Sei cambiato Juna e purtroppo non è
soltanto perché finalmente qualcuna è riuscita ad arrivare al tuo cuore.»
«E’ troppo sperare che quel femminile sia buttato lì per caso vero? Fra
me e Jennifer non c’è niente.»
«Non ho nominato Jennifer.»
«E’ l’unica single a disposizione.»
«Ti sei già informato riguardo potenziali concorrenti eh?»
Ci voleva impegno per fregare George Cowley… ma lui, lo aveva già
appurato, era in grado di farlo.
«Viviamo sotto lo stesso tetto da settimane George, è la figlia del
migliore amico di mio nonno: se fosse fidanzata non mi sarebbe sfuggito neanche
fossi il più distratto del Sistema Solare… e sappiamo bene che non lo sono.»
«Fantastico. Te lo concedo. Ho capito però che non è solo per questo.
Allora: cosa è successo?» tornò implacabile al punto di partenza.
«Cambieranno molte cose nella mia vita. Ho già dovuto prendere un paio
di decisioni piuttosto drastiche» cominciò cauto.
Non sapeva esattamente cosa dirgli, ma se c’era al mondo una persona
con la quale poteva parlare, questo era George. «Il punto è che ci sono un
sacco di cose che non sai su di me» proseguì evitando di guardarlo in faccia.
Era un bel problema essere l’equivalente di un libro aperto per chi ti
stava davanti…
«Qualcosa mi dice che non c’entra niente il fatto che ti rimetti a
studiare, Jennifer e l’Omega. Questi sono solo gli effetti… la causa è ben
altro.»
Appunto.
«Non posso parlartene per ora.»
«Che Dio mi aiuti Juna, temo di sapere già di cosa si tratta.»
Un sorriso gli piegò le labbra, «No George, credo che neanche tutta la
tua immaginazione potrebbe portarti sulla giusta strada.»
George lo guardò dritto negli occhi e disse soltanto, «Anch’io ho
lavorato per i servizi segreti ragazzo.»
Rimase senza fiato.
Gli dovette leggere in faccia cosa pensava perché lo vide chiudere gli
occhi e mormorare qualcosa di molto simile ad una bestemmia. «Juna, dimmi che
non è vero. Sei appena un adolescente.»
«Quando hai lavorato per loro?» chiese ancora incredulo.
«Avevo appena trent’anni anni quando mi hanno contattato e sono rimasto
attivo per quattordici anni. Di tanto in tanto ancora tornano alla carica,
quelle sanguisughe. Da quanto lavori per loro?»
«Quasi cinque anni.»
George spalancò gli occhi, «Sono impazziti? Eri un ragazzino!
Maledizione, sapevo che sarei dovuto essere più vigile! Già i risultati del
test che hai fatto a dodici anni erano sbalorditivi, figurarsi se si lasciavano
scappare un cervello come il tuo!»
«Drake è con me.»
George sbuffò, «Figurati! Cosa hanno trovato per lui? Ti porta gli
stampati dei satelliti?»
«Siamo sempre andati in missione insieme.»
Il silenzio si protrasse per qualche secondo.
«Juna… ti hanno chiesto di decifrare dei codici vero?» chiese poi
George.
Scosse la testa in segno negativo.
Lo vide appoggiarsi al ripiano della scrivania, la testa sorretta da
una mano.
In un angolo della sua mente George aveva già capito tutto, ce lo aveva
scritto in faccia, ma tutto il resto del suo cervello si ostinava a ignorarlo.
«Juna, parla chiaro per favore.»
Rimase indeciso per qualche secondo, «George, non posso… probabilmente
ho già sbagliato per il semplice fatto che te ne ho parlato. Sei il primo che
lo sa e sarai anche l’ultimo, perché i miei genitori resteranno all’oscuro di
questo lato della mia vita. Io e Drake abbiamo già deciso di mollare tutto…
anche se non sarà così immediato.»
«Juna, cosa ti hanno chiesto di fare?»
Seguirono altri secondi di silenzio.
Davvero aveva pensato di iniziare un discorso del genere con George e
poterlo lasciare a metà?
«Siamo stati addestrati.»
«A fare cosa?»
«Attaccare e difenderci.»
George si coprì gli occhi con una mano ed emise un verso che fu un
gemito. «Dio svegliami che sto sognando. Ti hanno insegnato ad ammazzare la gente. Ti hanno trasformato in un
killer.»
Ok, il danno ormai era fatto.
«In breve le cose sono andate così…» cominciò.
Pensava di essere pronto a tutto, ma questo andava oltre le sue umane
concezioni.
Juna aveva appena quindici anni quando gli avevano messo una pistola in
mano.
Era stato tutto inutile. Erano riusciti ad arrivare anche a lui.
«In nome di Dio, perché non si sono limitati a sfruttare il tuo
cervello?»
«E’ esattamente quello che hanno fatto, solo in maniera diversa da
quella che tu immaginavi.»
Il bel viso di Juna era rilassato, vi era una luce nei suoi occhi che
faticò a riconoscere: più di una volta gli occhi di quel ragazzo gli avevano
dato un assaggio di cosa potesse essere l’infinito vuoto dell’Universo… in quel
momento brillavano di una luce serena.
In quel momento dimostrava tutti i suoi diciannove anni scarsi.
«Non ne hai parlato con nessuno Juna, ne sei certo?»
Al suo cenno affermativo chiuse un attimo gli occhi.
Quel ragazzo si era appena tolto di dosso il più grosso peso della sua
vita. «Non hanno pensato a… ad un appoggio psicologico? Ragazzo, mi rifiuto di
pensare che abbiano messo in mano una pistola a te e a Drake e vi abbiamo
aperto la porta che da sul mondo.»
«Siamo stati sotto addestramento per un mese. Ci hanno insegnato l’auto
controllo, l’arte di sopravvivere e ad aspettarci sempre il peggio. Il resto lo
abbiamo imparato… sul campo.»
«Non farai nomi vero?»
«No George, ci tengo a te.»
«Perché non siete in grado di sganciarvi subito? Vi fanno storie?»
Juna respirò profondamente, «Se fosse per quello sia io che Drake
sapremmo come cavarcela. Purtroppo è ben altro quello che ci impedisce di
ritirarci adesso…»
Iniziò la seconda parte della saga dell’assurdo.
Aveva letteralmente le mani nei capelli alla fine.
«Quel bambino sa che siete agenti?» chiese.
Juna asserì con la testa. «Mi ha riconosciuto subito e ha riconosciuto
anche Drake. Ecco perché non posso mollare adesso. Sarà la nostra ultima
missione George, ma dobbiamo portarla a termine. Fino in fondo.»
«Intendi sterminare gli Estrada?»
«Vedi altre vie d’uscita?»
Per quanto ci riflettesse, no, non ne vedeva altre.
«Juna, sai che se scoprissero la vostra identità i primi ad andarci di
mezzo sarebbero i membri delle vostre famiglie, vero?»
«Ho fiducia nei miei superiori George. Mi hanno dato prova di essere
dalla mia parte. Se devo essere sincero non mi preoccupa che quei delinquenti
scoprano chi siano Darkness e Falcon, mi preoccupa il fatto che rischio di
trovarmi a tu per tu con loro quando decideranno di attaccare ancora i Flalagan
e non avrò altra scelta se non smascherarmi per proteggerli.»
«Dio che casino ragazzo.»
Juna scoppiò a ridere, «Ha il sapore della saggezza detto da te!»
Rimase a fissarlo per qualche istante, ancora incredulo. «Ancora non mi
capacito. Siete dei ragazzi e vi hanno trasformato in degli assassini.»
«Beh… ognuno trova la via che gli è più congeniale. Chi nasce portato
per l’arte diventerà un pittore, chi per le pubbliche relazioni un politico.
Sono propenso a credere che abbiano individuato delle caratteristiche, in me e
in Drake, che neanche noi sapevamo di avere. Forse siamo più cattivi di quanto
puoi immaginare.»
«Lo pensi davvero? No Juna. Per favore, non convincere te stesso di
essere malvagio o roba del genere. Ognuno di noi nasce con inibizioni
comportamentali ben precise: un bambino, da sempre, sa che non deve rubare la
caramella o mentire alla mamma o strangolare il gatto. La gente cattiva,
veramente cattiva, è l’eccezione alla regola o la razza umana si sarebbe
estinta prima dei dinosauri. La gente veramente cattiva nasce cattiva,
non ha bisogno di addestramenti. L’addestramento di cui mi hai parlato ha
sistematicamente abbattuto queste inibizioni naturali, in te e in Drake,
rendendo l’atto di uccidere un altro essere umano qualcosa di perfettamente
lecito, se non automatico… specie se ne va della vostra vita. I tuoi superiori
si sono evidentemente accorti di averti addestrato anche troppo bene, perché
alla fine non hanno avuto il minimo dubbio che tu li avresti uccisi sospettando
un tradimento. Perché non l’hai fatto?»
«Cosa?»
«Perché non li hai ammazzati quella notte?»
«Non avevo prove che fosse davvero uno di loro la talpa, il nome che ci
aveva dato il tirapiedi di Estrada non lo avevo mai sentito prima.»
«Quindi uccidere per te non è poi così automatico.»
La bocca di Juna si piegò in un mezzo sorriso, «Hai capito che ho
ammazzato una decina di persone nel giro di due ore?»
«Quello era l’ordine che avevi ricevuto. E comunque non avevi altra scelta
in quel momento: o loro o te. Quando però la scelta l’hai avuta, non hai
ucciso.»
L’espressione di Juna gli disse che non aveva minimamente preso in
considerazione quel punto di vista.
Non era il caso di insistere nell’argomento, era già un immenso passo avanti
che quel ragazzo gli avesse parlato di quella situazione.
«Non trovo altro da dirti se non che puoi contare su di me. Per
qualsiasi cosa. Anche nascondere i tuoi in caso di pericolo. Ho ancora qualche
aggancio che potrebbe far sparire la tua famiglia dalla faccia della Terra se
ce ne fosse bisogno.»
Juna annuì con un sorriso, «Lo so George e ti ringrazio. Allora, dove
li hai nascosti i ciclostilati?» continuò come se non gli avesse appena
raccontato la storia più assurda della sua vita.
Sharon la chiamò poco prima delle sei e parlarono per qualche minuto
del più e del meno… poi chissà come iniziarono a parlare di Juna.
«Sono quasi due ore che è in camera sua con il professor Cowley a fare
esercizi. Come va con Drake?»
«Direi bene… mi sono convinta che sta aspettando che abbia superato il tornado
esami per sottopormi all’uragano Drake… che carino vero?»
Sorrise, «Ti sento tranquilla.»
«Lo sono. Non ci capisco più niente, ero convinta di avere crisi di
panico, non dormire la notte, smettere di mangiare… invece niente.»
«Le crisi di panico inizieranno nelle quarantotto ore prima
dell’inizio.»
«Oh grazie Flalagan, non so cosa farei senza di te!»
Rise di gusto, «Oh smettila, andrà tutto bene, lo sai!»
«Certo certo… senti un po’, che facciamo per il tuo compleanno?»
«Niente Shasha… ho intenzione di chiedere ai miei di ignorarlo.»
«Cos’è questa novità?»
«Abbiamo già abbastanza a cui pensare. Non mi va proprio di
festeggiare.»
«Il regalo lo vuoi?» chiese dopo qualche secondo di silenzio.
«Ti devi solo provare a non farmelo!»
«L’ho già comprato! Manca meno di una settimana Jennie! Sai che però in
fondo è vero? Siamo sempre uscite a mangiare una pizza, ma adesso… non ti senti
in prigione così?»
La domanda la sorprese, «No… come ti è venuta in mente una cosa simile?»
«Uscivamo sempre, pensavo che…»
«Shasha, sono troppo preoccupata per questa storia. Se riprendessero
Micky impazzirei, se prendessero mia madre so che non ne uscirebbe viva…»
«Se prendessero te impazzirei io, quindi a conti fatti, è meglio così,
hai ragione.»
Sorrise mentre un’ondata di tenerezza la sommerse, «Ti voglio bene
Sharon. Senza di te non sarei sopravvissuta al rapimento di Micky.»
«Tu e Micky siete i fratelli che i miei non hanno messo al mondo
Jennie. Uscirei pazza senza di voi.»
In quei momenti si sentiva circondata e al sicuro, si cullò per qualche
secondo in quella sensazione, poi riprese, «Ah, prima che mi dimentichi: non
parlare al tuo ragazzo del mio compleanno. Nei miei piani Juna non deve saperlo
e Drake è geneticamente incapace di nascondergli qualcosa.»
«Primo: Drake non è il mio ragazzo, non ancora almeno! Secondo:
ciò non toglie che hai ragione! Non gli dirò niente.»
«Parlando di Juna… hai bisogno di aiuto per il ripasso?»
«Cosa c’entra Juna con…? No, non dirmelo.»
«E’ stato Micky, senza saperlo, ad aprirmi la strada e Juna ha detto di
essere dispostissimo a darti una mano.»
«Sarebbe fantastico. Con Drake non riesco a concentrarmi.»
«Chissà perché…»
«Piantala.»
Ridacchiò divertita e Sharon la ignorò. «Quando posso chiamare per
fissare con lui senza rompere?»
«Glielo chiedo stasera e ti so dire.»
«Perfetto. Come sta quel ragazzo?»
«Ho l’impressione che stia dimagrendo a vista d’occhio.»
«Quella febbre avrebbe stroncato chiunque. Menomale ha una costituzione
forte. Anche Drake non riesce a pensare ad altro.»
Corrugò la fronte, qualcosa nel discorso di Sharon le era suonato
stonato… capì cosa fosse con un sussulto.
«Che significa anche?» chiese perplessa.
Sharon rimase qualche secondo in silenzio, poi le sembrò di vederla,
mentre dava una leggera scrollatina di spalle, «Mi sono incredibilmente
affezionata a Juna, ecco la verità. Non ti so spiegare cosa sia… mi verrebbe da
dire che gli voglio bene, ma non è neanche questo esattamente. Drake lo ha
capito quasi subito e sai cosa mi ha detto? Di non lottare contro questa cosa
perché lui è il primo a sapere che Juna è irresistibile.»
«Ma sei innamorata di Drake?» chiese mentre un senso di panico le
attanagliava il petto.
Sharon non poteva innamorarsi di Juna!
«Sono pazza di quel ragazzo e lo sai perfettamente! Oh accidenti,
sapevo che non mi sarei saputa spiegare! Mi conosci: non sono il tipo che si
lascia trasportare… ma per Juna provo qualcosa che… che non so spiegare a
parole. Forse perché è il migliore amico di Drake… e anche per il fatto che tu
sei innamorata di lui, chissà.»
«Io non sono innamorata di Juna!» esplose.
Si rese conto di aver alzato la voce e pregò dentro di sé che in casa
fossero diventati tutti sordi.
«Sì, lo sei» ribatté calma e tranquilla Sharon. «Se non lo fossi non
saresti entrata nel panico alla semplice prospettiva che potessi provare
qualcosa per lui.»
«Era una trappola vero? E io ci sono caduta.»
«No, ti ho detto la verità. Forse stando un po’ più con lui riuscirò a
capire perché quel ragazzo mi fa sentire così.»
«Così come?»
«Protetta. Sicura. Completa. Cristo, le parole non servono a niente.
Drake mi toglie il respiro, quello che provo per lui è attrazione, forse amore.
Juna mi fa l’effetto contrario… da qualche giorno se voglio calmare i nervi
devo pensare a quel ragazzo.»
«Forse comincio a capire.»
«Certo, per te è l’esatto contrario vero? Parli con Drake guardandolo
in faccia, dritto negli occhi e quando scherzi con lui sei tranquilla… come Juna
si staglia all’orizzonte diventi una corda di violino.»
«Juna mi… mi fa paura.»
«Macché paura! E’ quello che provi per lui che ti fa paura Jennie, non
lui. Drake ti ha chiamata occhioni belli una volta e la tua reazione è
stata di menarlo scherzosamente, quando Juna ti guarda diventi viola.»
Le tornò in mente cosa le era piombato addosso solo poche ore prima,
quando Juna le aveva detto che era splendida. Al solo pensiero sentiva
le guance diventare incandescenti.
«Sai perché non vuoi che Juna sappia del tuo compleanno?»
La voce di Sharon la riscosse. «Perché?» chiese.
«Perché se Juna si avvicinasse a te anche solo per darti un bacio sulla
guancia, tu entreresti in orbita. Probabilmente anche un semplice buon
compleanno con un suo sorriso ti farebbe perdere il sonno per una
settimana.»
«Adesso non esagerare.»
«Jennifer, tu sei cotta di Juna da almeno cinque anni. Non ne hai mai
parlato, ma mi è bastato vederti con lui cinque minuti. L’unica cosa che ti ha
salvata fino ad ora è stata la lontananza da lui… ma avevi undici anni quando
gli hai consegnato il tuo cuoricino.»
«Oh per favore…»
«E allora diglielo.»
«Patrick e Madeline organizzerebbero una festa, non ci sarebbe verso di
fermarli.»
«Digli chiaramente che non hai voglia di festeggiare. Sono certa che
capiranno, hanno vissuto in diretta l’inferno che hai passato per il rapimento
di Micky.»
Rimase un attimo in silenzio. «Ci penserò.»
«Immagino.»
«Davvero.»
«Certo.»
«Oh, accidenti.»
Odiò con tutto il cuore la risatina di Sharon.
«Direi che possa bastare ragazzo» disse George quando la sua media di
risposta scese di nuovo sotto i dieci secondi.
Si abbandonò contro la sedia stropicciandosi con calma gli occhi.
Quegli esercizi potevano anche essere stati studiati per far sì che lui
e il suo geniale cervello non impazzissero, ma sembravano fatti apposta per
fargli venire il mal di testa.
«Ti è venuto mal di testa perché era un lasso di tempo vergognosamente
lungo che non facevi un po’ di sana ginnastica mentale.»
«La cosa non mi consola neanche un po’.»
«Sono soddisfatto del tuo tempo di ripresa però. Aggiungendo che fino a
un mese fa avevi la febbre oltre i quaranta sono davvero soddisfatto.»
«Non hai risposto alla mia domanda.»
«Quale?»
«Se sono ancora in tempo per essere il membro più giovane dell’Omega.»
George sorrise, «Sì, sei ancora in tempo con un margine di due anni.»
«Accidenti, chi è il detentore del record attualmente?»
«Io.»
«Ma dai.»
«Giuro. E credimi quando ti dico che non vedo l’ora di mollarti almeno
questo scettro ragazzo. Essere il presidente è già abbastanza rognoso.»
«Cosa si fa di solito?»
«Due o tre volte l’anno una riunione fra di noi, a volte le nostre
discussioni durano ore intere senza venire a capo di nulla. Uno spasso. Poi
siamo spesso chiamati a fare conferenze, in base alle nostre personali
inclinazioni. Le prime volte verrò con te ovviamente: non ti sbarazzerai di me
così facilmente. Immagino che con il fatto che già lavori da anni nella finanza
probabilmente ti chiederanno di scrivere relazioni su vari argomenti per gli
studenti di economia e commercio e di presentare queste relazioni nelle
università. Conoscendoti finirai con il divertirti: finalmente entrerai in
contatto con ragazzi della tua età.»
«Immagino che faranno i salti di gioia quando vedranno salire in
cattedra un loro coetaneo. Quando andavo all’università ero odiato a morte dai
compagni di corso.»
«Beh, probabilmente perché avevi la stessa età del fratellino
rompiscatole. Mi hai mai sentito affermare che essere ciò che siamo sia facile?
Chi non ci teme ci odia. Chi ci rispetta è solo perché immagina che possiamo
essergli utili e in pratica mira allo sfruttamento… e comunque c’è una vena di
invidia che non si esaurisce mai.»
«Beh, tocca ad ognuno di noi costruirsi la propria corazza.»
George lo guardò, riconoscendo le proprie parole. «Chi è il genio che
te lo ha detto?»
Scoppiarono a ridere.
In quel momento un lieve bussare precedette sua madre, «La cena è quasi
pronta.»
«Scendiamo subito mamma.»
«Avete finito?»
«Cinque minuti fa» rispose George.
«Com’è andata?»
«Juna era piuttosto arrugginito, ma c’è voluto meno olio del previsto
per rimetterlo in moto.»
«Ha un debole per i motori, se non te ne fossi accorta.»
Sua madre sorrise deliziata. «Mio figlio è una fuori serie, me lo
dicono tutti.»
Fu George a sorridere.
La cena si svolse tranquillamente, captò solo vaghi segnali da parte di
Jennifer… sembrava che stesse pensando a qualcosa che non riusciva a
convincerla.
George diceva sempre “è come cercare di far entrare un quadrato
dentro a un cerchio grande la metà” e probabilmente la ragazza era alle
prese con qualcosa del genere.
Si accorse due volte di essere oggetto della sua attenzione e divenne
rossa entrambe le volte.
Jennifer.
Se ne erano accorti tutti all’infuori di lui.
Certo, aveva chiuso quella che più si avvicinava ad una relazione un
mese prima, ma…
«Juna?»
«Dimmi Jennie.»
«Sharon mi ha chiesto quando può telefonarti per fissare.»
«Possiamo chiamarla dopo cena, che ne dici? Si vedeva con Drake?»
«Non credo. Comunque va bene dopo cena.»
«Drake si è fidanzato?» chiese George sbalordito.
La sua voce e quella di Jennifer si sovrapposero perfettamente.
«Non ancora professore.»
«Non esattamente George.»
Un coro di risate si levò all’istante.
«Almeno si trovano d’accordo!» commentò suo zio Ryan.
«Cosa significa non esattamente?» chiese sua madre sorpresa «Due
persone o stanno insieme o non ci stanno.»
Guardò Jennifer e la ragazza, dopo avergli reso l’occhiata, disse
semplicemente, «Sharon per prima cosa deve sostenere e superare l’esame. Drake
lo ha capito e… beh, fanno coppia fissa, mettiamola così.»
«Tu non hai sentito niente, intesi mamma? Scordati che stiamo parlando
del pargolo di Jessica» aggiunse per solidarietà verso l’amico.
Sua madre lo guardò di traverso, poi sospirò, cosa che per lei
equivaleva ad una resa.
«Jennie, volevo chiederti cosa vuoi fare per il tuo compleanno» disse
improvvisamente sua nonna Madeline. «Ne parlavo oggi con tua madre, manca meno
di una settimana.»
Jennifer ebbe un sussulto.
«E’ vero!» esplose Michael «Oh Jennie, mi stavo per dimenticare!»
aggiunse poi con un tale sconforto che avrebbe scosso un pilastro di ferro.
Nel frattempo la ragazza aveva abbassato lo sguardo sulla tavola e
rimase in silenzio per qualche secondo prima di mormorare, «Vorrei che lo
ignoraste. Non penso sia il caso di festeggiare.»
Jeremy divenne il ritratto della sorpresa, «Non è il caso di festeggiare?»
ripeté «Principessa, trovo che ci sia un sacco di cose da festeggiare. In
primis la tua promozione!»
«E poi il fatto che sono qui con voi!» continuò Michael gelando
l’intera stanza.
George sfoggiò la reazione che ci si aspetta da uno che non sa niente
dei retroscena e guardò il bambino perplesso, il problema ovviamente era che
sapeva bene il significato di quella frase e detta da un bambino di quattro
anni era sconvolgente.
Il silenzio che ne seguì fu interrotto da suo nonno Patrick, «Propongo
di accantonare l’argomento fino al dopo cena.»
Jeremy si abbandonò contro lo schienale e Sarah fu veloce a prendergli
una mano sotto il tavolo.
Jennifer non rialzò lo sguardo dalla tavola fino al dolce, quando
Michael scese dalla sedia per andarle in collo.
Cominciarono a parlottare a bassa voce.
Si sentì tirare una manica del maglione e abbassò lo sguardo su
Melissa, la quale tese le braccia verso di lui. Con una sola mossa la tirò
sulle sue gambe. «Come stai?» chiese la piccina.
«Bene.»
«Sei stanco?»
«Un po’.»
«Ti fa male la testa?»
Sorrise «No. Stai tranquilla.»
«E’ per questo??» esplose all’improvviso la voce di Michael.
«Jen, che c’è?»
«Niente cucciolo.»
«Shasha che ne pensa che non vuoi festeggiare il compleanno?»
«E’ d’accordo con me.»
«Non capisco.»
«Non c’è niente da capire. Quest’anno preferisco così.»
«Non posso neanche venire a dormire con te la sera del tuo compleanno?»
Si sentì stringere il cuore, «Ma certo che puoi.»
«Perché sei così triste?»
«Non sono triste Micky.»
«Perché sei così?»
Un sorriso le curvò le labbra contro il suo volere, «Piccolo Flalagan,
sai essere tremendo quando vuoi.»
«Grande Flalagan, mi hai sempre detto che non si dicono le bugie.»
Michael non sarebbe più tornato il bambino che prendeva per oro colato
tutto quello che gli veniva detto. Aveva imparato a caro prezzo come si vive
lontani dalla bambagia domestica.
«Non è ancora finita fratellino. Siamo ancora in pericolo. Non riesco a
non pensarci.»
Michael sgranò gli occhi, «E’ per questo??» esplose alzando la
voce.
Rimase talmente scioccata dal repentino cambiamento che non reagì.
Si guardò intorno e si rese conto che li stavano guardando tutti.
«Micky, chiedi subito scusa: non si alza la voce» disse sua madre con
calma.
Michael non staccò gli occhi da lei, «Scusa» disse semplicemente.
«Michael, non a me, alla…» sua madre fu fermata a metà frase…
probabilmente da suo padre.
Sentì una mano sulla sua spalla e alzò lo sguardo per incontrare gli
occhi di Juna. «Io e te abbiamo una telefonata da fare» disse.
Ed era un tono che non ammetteva repliche di
sorta.
______________________________________________
NOTE:
giunigiu95: ok, lo riconosco… non ho messo Drake in una
situazione facile… ma ad ognuno i suoi problemi, ti pare?
Zarah: visto? La soluzione è arrivata subito! Non mi perdonerei mai se non
dormissi per colpa mia! XD
Grazie a chi mi ha aggiunto di recente fra i preferiti *inchino*.
Capitolo 15 *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 15 ***
0015
Non
E’ Mai Troppo Tardi
15
Arrivarono in silenzio in camera sua.
Juna chiuse la porta alle loro spalle e respirò profondamente,
«Ok Jennifer, spara.»
«Non ne faccio una giusta.»
«Così sei un po’ vaga.»
Sorrise senza poterselo impedire. «Ora va meglio» aggiunse il
ragazzo con un tono che le spedì un brivido lungo la schiena.
Osservò con profondo interesse la coperta del letto. «Credo di
aver fatto una cretinata, sai?»
«Davvero? E quale?»
«Sai perché non voglio festeggiare il mio compleanno?»
«Penso di immaginarlo.»
«L’ho detto a Micky.»
Le mani di Juna si posarono sulle sue spalle e la guidò fino
al letto per farla sedere sulla sponda. Prese posto accanto a lei. «Per quanto
può valere la mia opinione, non hai fatto una cretinata.»
«Davvero lo pensi?»
«Michael è molto confuso in questo momento, parlandogli chiaro
almeno una volta, hai evitato ulteriore confusione, ti pare?»
Avrebbe voluto che il suo compleanno passasse in sordina anche
per non farlo sapere a quel ragazzo… e adesso si ritrovava a parlarne a tu per
tu proprio con lui…
«Mi ricordavo che il tuo compleanno cascasse in questo mese,
non ricordavo il giorno preciso però. Avevo in programma di chiederlo ai tuoi.»
Alzò lo sguardo troppo sorpresa per parlare.
Juna sorrise, «Ho un’ottima memoria Flalagan. Tu non ti
ricordi il mio?»
«Il quattro dicembre ma…» subito dopo si sarebbe presa a
calci.
C’era cascata.
«Sì, direi con tutte le scarpe.»
«La vuoi smettere?»
«Di fare cosa?»
«Di leggermi nel pensiero, accidenti a te.»
Stavolta Juna rise. «Non ho bisogno di leggerti nel pensiero,
ciò che ti si legge in faccia è più che sufficiente!»
Tentò di salvare il salvabile, «Me lo ricordo perché fra te e
Sharon ci corre pochissimo.»
«Buono a sapersi. Neanche Drake avrà scuse allora.»
Ok, non ci aveva creduto. Come bugiarda faceva davvero pietà.
«Componi il numero di Sharon» disse passandole il cordless.
«Non vuoi farlo tu?»
«A parte il fatto che non conosco il suo numero, non è detto
che risponda lei, meglio se i suoi sentono una voce familiare.»
Lo compose e con sorpresa sentì la voce di Aaron. «Ciao Aaron,
sono Jennie.»
«Ciao bambina. Sorpresa di sentirmi di nuovo a casa eh?»
Non si poteva nascondere niente a quell’uomo. «Sharon non mi
ha detto che eri tornato.»
«Che mia figlia stia facendo l’abitudine alla mia presenza?»
«Chissà. Di sicuro parte della sua tranquillità è dovuta anche
a questo, sai quanto ti adora.»
«Sentimento ampiamente ricambiato. Vuoi parlare con lei,
immagino.»
«Se me la passi mi fai un favore.»
Lo sentì ridere, «Salutami i tuoi e abbraccia Micky.»
«E tu salutami Connie.»
La cornetta passò a Sharon. «Ciao Jen, come va?»
«Ti ricordi i bei discorsi sul mio compleanno?»
Juna si distese sul letto portandosi le mani sul viso, realizzò
che lo fece per trattenersi dal ridere.
«Jennie?» la voce di Sharon era perplessa.
«Scusami, mi sono distratta. Madeline mi ha smascherato prima
del dessert.»
«Perfetto. E ora?»
«Resto dell’idea che non voglio festeggiare. Purtroppo mio
padre non è d’accordo con me.»
«C’era da immaginarselo, ti pare? Juna che dice?»
«Niente. Juna è qui, te lo passo così fissate.»
«Ah, ok, grazie.»
La voce di Sharon era rassegnata, «Ciao Juna, come stai?»
«Molto meglio Sharon, grazie. Tu?»
«Ne parlavo con Jen anche oggi: mi faccio quasi paura da
quanto sono calma.»
«Di solito il panico prende un paio di giorni prima.»
Sentì il letto sussultare e si rese conto che Jennifer si era
sdraiata accanto a lui, affondando il viso contro la coperta.
Stava ridendo.
«Fate proprio una bella coppia, tu e quella infame» fu il
commento di Sharon dall’altra parte del filo.
«Non ti ho detto niente di nuovo eh?»
«Che sta facendo Jennie?»
«Sta ridendo.»
«La strangoli da parte mia appena hai un attimo di tempo?»
«Vedrò che posso fare, ma non approfittare del gentiluomo che
è in me.»
Sharon ridacchiò, «Sei il degno amico di Drake.»
«Lo prendo come un complimento. Lo devi sentire stasera?»
«Di solito ci sentiamo dopo le dieci.»
«Perfetto, digli che lo aspetto domani dopo pranzo. Devo
parlargli.»
«Riferirò alla lettera. Allora, dimmi: quando posso averti un
po’ tutto per me?»
Sorrise.
Sharon era l’incarnazione della sorella che aveva sempre
immaginato, anche come senso dell’umorismo si trovavano. «Tranne domani
pomeriggio, quando vuoi.»
«Domani l’altro? Arriverei verso le quattro, se non è troppo
presto.»
«Anche prima se vuoi. Che ne dici delle tre? Ci sarà anche il
tempo di fare due chiacchiere.»
«Fantastico: alle tre dopo domani allora. Grazie Juna.»
«E di cosa? Sarà un bell’allenamento, considerato che ho
deciso di rimettermi a studiare.»
«Già, Drake me lo ha detto. Non sai che sollievo è stato per
lui. Ci hai fatto prendere un accidente da restarci. Non ti ci provare mai più,
intesi?»
«Agli ordini signora.»
Seguì un profondo sospiro rassegnato, «Dio, se sei il degno
amico di Drake.»
Ridacchiò, «Ti ripasso Jennie.»
Rese la cornetta alla ragazza e le fece segno che l’avrebbe
aspettata giù, poi uscì dalla stanza.
Michael era di vedetta.
Non poteva neanche dire di esserne sorpreso.
«Possiamo parlare?» chiese il bambino.
Lo condusse in camera con sé e chiuse la porta. Michael prese
posto sul suo letto, arrampicandocisi con una velocità incredibile, e restò con
lo sguardo basso.
«Tua sorella mi ha riferito cosa ti ha detto» cominciò per
facilitarlo.
«E’ così spaventata… non possiamo dirle che con te siamo al
sicuro?»
Eccoci al dunque. Doveva succedere prima o poi.
«Michael, non so se sarai in grado di capire, ma tua sorella
sarà al sicuro fino a quando non saprà niente di me e Drake.»
Michael si morse il labbro inferiore, «Ti ho fatto un
giuramento e so che non si scherza con i giuramenti… però il compleanno di
Jennie è sempre stato il mio giorno preferito in tutto l’anno, non è giusto
che…»
«Troveremo il modo di festeggiarlo.»
Michael sorrise subito rincuorato. «Adesso devo scendere… o
penseranno che sono caduto nel bagno.»
Si avvicinò per prenderlo in collo e lo alzò di peso, «Andiamo
allora.»
«Quando viene Shasha?»
«Domani l’altro, alle tre.»
Uscendo dalla stanza si scontrarono quasi con Jennifer.
«Ciao sorellina» disse Michael sorridendo raggiante.
Jennifer lo guardò per qualche secondo, sorpresa, poi guardò
lui e sorrise appena. «Juna ti ha detto che Shasha viene domani l’altro?»
chiese poi.
«Sì.»
Senza pensare cinse le spalle di Jennifer con il braccio
libero, bloccando Michael contro il fianco opposto.
Sentì il sussulto della ragazza e il suo lieve irrigidimento,
ma fu un attimo, subito dopo sentì la leggera carezza sulla sua mano.
Lo tradusse prontamente come un ringraziamento: la ragazza non si
aspettava di veder sorridere così il fratello dopo quello che gli aveva
confidato.
Cosa sarebbe successo se fosse venuta a conoscenza del perché
era così facile per lui tranquillizzare quel bambino?
Ricordava perfettamente lo sguardo sconvolto della ragazza al
pensiero che potessero esistere al mondo persone come lui e Drake.
Dei killers a sangue freddo.
C’erano diverse cose di cui doveva parlare l’indomani con
Drake.
Alzò lo sguardo verso la scalinata neanche lei sapeva il
perché… e fu uno shock in piena regola veder scendere suo figlio abbracciato a
Jennifer e con Michael in braccio.
Era un quadretto perfetto. Diciamo pure uno dei suoi sogni
diventato improvvisamente realtà.
«Che mi venisse un colpo» mormorò suo marito.
«Facciamo a metà Connor» ribatté Jeremy con lo stesso tono.
«Zia, te lo chiedo come favore personale: smettila di
guardarli come se stessero volando» disse Justin.
Poteva anche farlo, ma sentiva perfettamente che l’intero
ingresso si era congelato a osservarli.
Incrociò lo sguardo di sua madre e di sua suocera.
Juna si rendeva conto di cosa stava facendo? Era la prima
volta da quando respirava che lo vedeva abbracciato ad una ragazza.
Fu Madeline a prendere la parola, «Juna, quando Sharon sarà
dei nostri?» chiese con un tono che la stupì per quanto suonava normale.
«Domani l’altro nonna» rispose suo figlio distogliendo
l’attenzione da Jennifer. «Domani pomeriggio verrà Drake… ma non sono sicuro
che si fermerà a cena. Ti saprò dire.» Si guardò intorno, «Dov’è finito
George?»
«In salone con tuo nonno Mansur» rispose sua madre.
Michael, avvinghiato al collo di suo figlio, imitò Juna «Dove
è Lissa?» chiese «Dobbiamo finire un disegno.»
Juna lo rimise a terra ma per far questo dovette lasciar
andare Jennifer.
Fu come se l’avessero svegliata da un esperimento ipnotico.
Michael partì spedito verso il salone. Si voltò all’improvviso,
«Mi hai fatto una promessa, vero Juna?»
Suo figlio rimase in silenzio qualche secondo, poi guardò
Jennifer, «Tuo fratello mi ha fregato e tu sei l’unica che può aiutarmi.»
Michael sorrise soddisfatto e sparì oltre la soglia del
salone.
«Cosa gli hai promesso?» chiese Jennifer rassegnata.
Però la ragazza aveva l’atteggiamento giusto.
«Che in qualche modo avremmo festeggiato il tuo compleanno.»
Jennifer chiuse un attimo gli occhi, respirò profondamente, «Juna…»
«Jennie, onestamente: pensi che abbia una bacchetta magica per
riuscire a calmare tuo fratello in pochi minuti? Ti propongo un compromesso.
Nonna, spalanca le orecchie.»
«Sentiamo» disse la ragazza.
«Faremo un semplice rinfresco» sottolineò il concetto
guardando sua nonna «il pomeriggio del tuo compleanno. Solo noi, Sharon… e
Drake di riflesso. Magari anche i genitori di Sharon, anche se Drake potrebbe
uccidermi per molto meno.»
Jennifer sorrise cercando evidentemente di impedirselo con
tutte le sue forze. «Sei impossibile Juna.»
Sapeva riconoscere una resa davanti a suo figlio… e quella era
una da manuale.
«Ti ho già detto che fa parte del mio charme?»
Jennifer lo colpì scherzosamente ad una spalla, «Va bene, hai
vinto McGregory. Ma preparerà Susan il rinfresco, così sarò sicura che non sarà
qualcosa di folle, intesi?» per conferma guardò anche Madeline.
Sua suocera capitolò a malincuore, «D’accordo Jennifer.»
Patrick rise di cuore, «Che squadra! Hanno avuto ragione di
mia moglie, io sono sessant’anni che ci provo senza successo!»
Madeline rivolse un’occhiataccia al consorte, ma tempo un
secondo e sorrideva anche lei.
«Nonna, che ne dici, me lo merito un caffè?» chiese suo figlio
con uno dei suoi sorrisi irresistibili.
Suo marito l’abbracciò, «Andiamo in salone anche noi?»
Gli cinse la vita appoggiandosi a lui, «Ti seguo.»
Cominciava a pensare che la richiesta di Juna di non cercare
di metterlo con Jennifer fosse solo uno specchietto per le allodole. Uno modo
per sollevare Jennifer da un’ulteriore pressione, in un momento a dir poco
difficile per la ragazza.
Suo figlio aveva già deciso di arrivare a lei attraverso vie
tutte sue.
Il giorno dopo Drake arrivò puntuale come al solito, vale a
dire almeno mezz’ora più tardi rispetto a quando doveva.
Salutò Jennifer con un bacio sulla guancia, Michael e Melissa
facendoli frullare a turno in aria e il resto della stanza con un radioso salve!…
poi toccò a lui. «Ti sembra normale che debba parlare di te anche con Sharon?»
«In maniera direttamente proporzionale al fatto che per
fissare con te abbia dovuto usare lei come tramite: considerato che nelle
ultime settimane alzi il telefono solo per lei, è il minimo.»
«Il solito antipatico. Ciao Howard! E’ caffè l’odore che
sento?»
Howard sorrise e gli porse la tazza, «Già pronto. Ben
arrivato.»
«Grazie, se non ci fossi tu in questa casa…»
Prese posto come al solito accanto a lui e bevve il caffè
conversando del più e del meno con suo padre e i suoi nonni.
Nonno Mansur, anche dietro richiesta di Jennifer, aveva deciso di
rimandare ulteriormente la partenza per partecipare al rinfresco.
Per l’ennesima volta si chiese se dopo avergli detto di Jawad, Drake
sarebbe ancora stato disposto a considerarlo un amico.
Era ancora un mistero come avesse potuto tenerglielo nascosto per tutto
quel tempo.
«Mac, andiamo in camera tua?» chiese Drake all’improvviso.
«Sì, certo.»
Restarono in silenzio fino a quando furono dentro la stanza. «Juna, hai
uno sguardo che non mi piace per niente» esordì Drake.
«E’ per questo che mi hai chiamato Mac?»
Al silenzio dell’amico si rese conto che se doveva essere sincero,
doveva esserlo da subito e fino in fondo.
Sospirò, «Sono convinto che sto per giocarmi la tua amicizia, Drake.»
Lo vide davvero sorpreso. «Cosa accidente stai dicendo? Mi credi
idiota? So che Sharon viene qui domani, ma per Dio non crederai davvero che
possa pensare…»
Toccò a lui essere preso in contropiede, «Sharon non c’entra. Non ci
manca altro che tu possa pensare che potrei provarci con lei. Non hai capito
niente in una vita che ci conosciamo?»
Drake si mise all’istante sulla difensiva. «Juna, cosa è successo?»
«La cosa meno scioccante che devo dirti oggi è che ho parlato a George
della nostra doppia vita.»
«Cosa hai fatto???»
«Siediti.» Mentre Drake ubbidiva senza staccargli gli occhi di dosso,
gli raccontò cosa si erano detti lui e George.
Drake si mise una mano sulla bocca, ancora aperta, respirò
profondamente a occhi chiusi, poi cominciò a parlare lentamente. «Ok. Quindi
deduco che questa cosa degli Estrada ti preoccupa davvero. Voglio dire: hai
tirato in ballo una…» contò quante persone sapevano di loro e gli vide assumere
un’espressione rassegnata realizzando quante fossero, esclusi loro stessi
«quarta persona, do per scontato che fosse davvero necessario… anche se
poi è praticamente un collega. Che altro c’è?»
«Prima di lasciarmi a casa dopo aver riaccompagnato te, Matthew mi ha
confessato di condurre a sua volta una doppia vita: sotto il nome di Aaron ha
un’esistenza al di fuori dei servizi segreti. Mi ha fatto memorizzare un numero
di cellulare da usare in casi disperati e, considerato che mi ha avvertito che
potrebbe non rispondere direttamente lui, credo abbia anche una famiglia da
qualche parte.»
«Fantastico: non sei l’unico veramente preoccupato per la storia degli
Estrada. Capisco perché lo ha fatto memorizzare a te: deve averlo deciso su due
piedi per cercare di recuperare la nostra fiducia e solo tu hai la capacità di
memorizzare qualcosa solo guardandola.»
«Esatto, ma voglio che lo sappia anche tu Drake. Non sta scritto da
nessuna parte che se…» si bloccò e decise di essere realista, «che quando
le cose precipiteranno, io e te saremo insieme.»
Drake sospirò, «Anche questo è giusto. Come pensi di fare?»
«Ho delle barrette di cioccolato. Lo scriverai con una di quelle sulla
mano, quando penserai di averlo imparato, lo laverai via. Dovrai impararlo
prima di uscire da questa stanza.»
«Hai promesso a Matthew di non scriverlo da nessuna parte?» Al suo
cenno affermativo sorrise, «Non per niente sei un genio. Dammi quel
cioccolato.»
Glielo dettò e Drake lo osservò per qualche secondo. «Almeno non è
difficile.» Tornò a guardare lui, «Continua, ogni tanto mi rinfrescherò la
memoria mentre parli.»
«Hai già avvertito Matthew che molliamo?»
«Sì. Ho avuto l’impressione che se lo aspettasse. Non lo sento da
quando gli ho riferito cosa abbiamo deciso.»
«Hai ben presente che per niente al mondo Jennifer o Sharon o i nostri
familiari dovranno mai sapere di questa nostra parentesi esistenziale?»
Drake lo fissò per qualche secondo, poi annuì, semplicemente.
Cominciava la parte peggiore.
«Ok… allora possiamo passare alla parte peggiore.»
Drake spalancò gli occhi, «C’è di peggio?»
«Se qualcuno ti dicesse che c’è qualcosa di me che non sai, gli
crederesti?»
«No.»
«Neanche se fossi io, quel
qualcuno?»
Drake chiuse un attimo gli occhi, poi sorrise appena, «Non mi arrabbio
se ti sei messo con Jennifer e non mi hai avvisato entro i cinque secondi successivi.
Capisco che potevi essere impegnato.»
In qualsiasi altro momento avrebbe apprezzato la gentilezza.
«No Drake, sto parlando di qualcosa che riguarda la mia nascita.»
Drake non staccò gli occhi dai suoi, sprofondò nella poltrona… poi
riuscì davvero a meravigliarlo. «Qualche fratello o sorella nell’armadio?»
Aprì bocca senza esito per due volte prima di articolare in qualche
modo «Come fai a…?»
Il suo migliore amico chiuse di nuovo gli occhi, «Sei il degno figlio
di tua madre, lasciatelo dire. E’ stata una sua frase mentre parlavamo con
George al telefono, il giorno in cui ti sei sentito male, a mettermi sulla
giusta strada. Ha detto, letteralmente, che tu eri l’unico figlio che le era
rimasto. Essendo tua madre, tendo a prenderla alla lettera almeno quanto
prendo te quindi, considerato che da quando sei al mondo ho visto tua madre
praticamente tutti i giorni e non ho mai notato pancioni sospetti, poteva
significare solo una cosa: che prima di te ce n’erano stati altri. Cosa sai
esattamente?»
«In realtà, Drake, c’è stato un altro figlio nello stesso momento…» Gli
raccontò di come aveva scoperto per caso della breve esistenza del gemello
omozigote. «Quando ne ho avuto l’occasione ho fatto addirittura una ricerca
anche dal computer di Richard, ma di Jawad non c’è traccia» concluse.
«Non puoi chiederlo ai tuoi, non puoi chiederlo al professor McIntyre,
anche se proprio lui ha sicuramente tutte le risposte che cerchi…»
«Non posso chiederlo a nessuno, senza scatenare un casino… e comunque
sono propenso a credere che nessuno sappia della sua esistenza. Neanche i miei
nonni o le sorelle di mia madre. Drake, è possibile che i miei genitori abbiano
nascosto l’esistenza di Jawad a tutti quanti?»
«Mia madre non ha mai neanche lontanamente accennato ad una cosa del
genere. La prima volta che mi è giunto qualcosa all’orecchio è stato quando a
tua madre, sconvolta e fuori di sé dalla preoccupazione, è sfuggita quella frase.
Ti avrei solo fatto vedere l’espressione di tuo padre. Se è possibile? Se non
avessi sentito tua madre dire quella frase ti avrei detto di no, ma dopo quella
frase e l’espressione di tuo padre penso che sia addirittura sicuro, anche se
non mi so spiegare il perché.»
«Siamo in due.»
«Hanno falsificato il tuo certificato di nascita… per inciso il
professor McIntyre lo ha fatto. Connor e Manaar hanno taciuto alle rispettive
famiglie la morte di un nipote. Hanno cancellato l’esistenza di loro figlio.
Non riesco a pensare ad un solo motivo che possa giustificare tutto questo… ma
conoscendo i tuoi, questo motivo c’è di sicuro.»
«Se hanno deciso di agire così c’è una valida ragione, non ho dubbi
riguardo a questo. Larry non avrebbe mai falsificato un documento senza un
motivo più che valido, anche se a chiederglielo fosse stato mio padre.»
Drake annuì, «Sono d’accordo.»
Si guardarono in silenzio.
Restava sempre quella domanda: perché?
«E se chiedessi a Cip e Ciop di indagare?» chiese lentamente Drake
«In fondo è anche questo il loro lavoro, no?»
«Hanno già abbastanza da fare adesso» rispose dopo qualche secondo di
silenzio Juna.
Aveva dell’incredibile. Che razza di peso si era portato dietro quel
ragazzo per quindici anni.
«Ma tu vuoi sapere la verità?»
Com’era possibile che Manaar avesse nascosto una cosa del genere alla
sua famiglia?
E a sua madre? Manaar aveva saputo del suo arrivo anche prima di suo
padre: era andata con l’amica dal ginecologo!
Non riusciva a trovare una spiegazione.
«C’è un solo modo per sapere la verità Drake: dovrei chiederla a mio
padre e mia madre.»
La sua logica spietata non perdonava neanche se stesso.
«Mi inchino davanti alla tua logica. Sai che dovrei staccarti la testa
vero?»
«Mi aspettavo molto di peggio Drake, te l’ho detto.»
In altre parole, perdere la sua amicizia era una prospettiva peggiore
del perdere la testa. Juna aveva un modo tutto suo per dirgli che gli voleva
bene.
Si sforzò di ignorare il piacere che quella realtà puntualmente gli
dava. «Come accidenti non ti è venuto in mente di parlarmene prima?»
Juna gli rispose con una diplomatica scrollata di spalle.
«Apprezzo la diplomazia» lo informò, «ma non la considero una risposta
soddisfacente.»
Lo vide sorridere, poi lanciò la bomba, «Cosa è cambiato Drake? Tu
l’hai capito?»
Sprofondò di nuovo sulla sua poltrona preferita e prese tempo, «E’ come
se mi fossi svegliato da un lungo sonno» ammise. «Se ti dovessi dire cosa esattamente
è cambiato, non ne ho idea. Prendi Sharon. Effettivamente l’ho conosciuta quasi
due mesi fa, a quella festa che tu hai elegantemente sabotato per la presenza
di Marianne. Mi ha colpito subito, ma sono riuscito a metterla in disparte fino
al giorno in cui l’ho rivista a casa tua ed è stato quel giorno che mi sono
reso conto che non l’avevo dimenticata. Ero troppo preso da quello che ci
aspettava quando Cip e Ciop ci contattavano. Abbiamo preso l’F.B.I. come una
specie di cilindro magico, amico mio.»
Juna stava annuendo, «Ti dirò di più: ho realizzato che la doppia vita
che credevo di avere non è mai effettivamente esistita. A livello familiare la
mia vita era zero, esclusi i miei genitori, ovviamente.»
«Ci ho pensato… ma come ti spieghi la mia vita?»
«Come ho iniziato a perdere colpi, per simpatia mi sei venuto dietro.»
Non riuscì a trattenersi dal ridere, «Mac, sei encomiabile!»
«Oh, lo so… non immaginerai mai cosa sono riuscito a fare oggi.»
«Sono tutto orecchi.»
«A parte l’essermi scavato la fossa da solo perché mi sono fatto vedere
abbracciato con Jennifer, ti ho praticamente organizzato un incontro con i
genitori di Sharon.»
Era troppo sperare di aver capito male.
«Per quanto riguarda Jennifer, ti risparmierò i commenti… per quanto
riguarda la seconda parte: come saresti riuscito in questo capolavoro?» chiese
cercando di mantenere la calma.
«Jennifer finisce gli anni fra una settimana. Organizzeremo un
rinfresco nel pomeriggio e Sharon e i suoi genitori sono invitati.»
«Ah, e tu sei stato così gentile da riservare un invito anche a me.»
«Mmmmhhhhhh, non esattamente. Direi che ci ha pensato Jennifer.»
«Sì, certo, e quest’anno nevicherà ad agosto all’Equatore…»
Stavolta il suo migliore amico rise di gusto.
«Beh, in fondo Sharon già conosce mia madre» aggiunse giusto per farlo
smettere.
E infatti Juna smise di ridere, «Cosa? Quando è successo??»
Ovviamente era troppo intelligente per chiedergli, alla luce delle sue
ultime confessioni, perché non me lo hai detto prima?
Era dura la vita accanto a un genio.
«Posso affermare che la mia vita si divide in due parti: prima e dopo
che tu svenissi disteso in terra.»
«Piantala Drake, dimmi com’è successo.»
Ridacchiò, «Ci è inciampata sopra la notte che ti sei sentito male: io
ho fatto la veglia a te, mia madre si è occupata della tua e Sharon ha fatto da
balia a Jennie. Eravamo tutti sotto lo stesso tetto, era inevitabile che
succedesse. E’ stato anche quando ci siamo baciati la prima volta, a dirla
tutta.»
Juna sorrise, «Mia nonna ti uccide se immagina una cosa del genere
sotto il suo tetto.»
«Chi le andrà a dire una cosa del genere?»
«Non certo io, ci tengo a te.»
«Allora siamo a posto. Oltre a me e Sharon lo sai solo tu… beh, e
Jennifer. A proposito: come hai fatto a farti beccare abbracciato a Jennifer?»
Juna lo gratificò di un’ennesima scrollatina di spalle, «Sto perdendo
colpi» gli ricordò.
«E’ successo qualcosa di cui devi rendermi partecipe?»
Juna scosse la testa. Ci avrebbe giurato.
Decise di cambiare tattica. «E’ successo qualcosa di cui dovresti
rendermi partecipe?»
Stavolta rise, «Sono ancora in alto mare con quella ragazza. Come
accidenti pensi che possa fare adesso che abita sotto il mio stesso tetto? E
comunque anche tu stai prendendo tempo con Sharon.»
Era vero. «Te lo concedo.»
«Com’è il numero di cellulare di Aaron?»
Lo disse automaticamente.
L’espressione di Juna si fece sorpresa e ironica insieme, «Complimenti
vivissimi Drake. Vai a lavarti le mani adesso.»
Controllò il numero, «L’ho detto giusto? A volte riesco ancora a
meravigliare anche me stesso.»
«Quindi se ho ben capito ti ho portato qui per studiare» disse suo padre mettendo in folle la macchina davanti al
cancello.
«Esatto. Studiando con Juna, non solo Jen ha recuperato quattro
materie, fra cui la sua bestia nera, ma è passata con la media dell’otto.»
Suo padre annuì distrattamente.
Proprio adesso che era incredibilmente a casa, era lei che ci stava
poco.
«Mi dispiace stare fuori casa proprio ora che ci sei tu papà, ma Juna
ha un effetto calmante su di me… e con quest’esame rischio veramente un esaurimento.»
«Oh, non preoccuparti Shasha. Passando l’esame con una media alta farai
contento anche me. Su, vai adesso. Ti passo a prendere alle sette e mezzo,
fatti trovare qui.»
Annuì, gli stampò un sonoro bacio sulla guancia e uscì dalla macchina.
Suonò il campanello al cancello e si aprì la piccola porta laterale.
Ad attenderla appena superata la soglia c’era Venusia.
Era come se ogni cane si fosse scelto l’umano che gli andava più a
genio: Dragar era innamorato di Micky, Cocoon aveva adottato Jennie, Lizar era
l’ombra di Juna, Indios quella di Drake… e Venusia aveva cominciato a seguirla
ovunque quando era all’interno della proprietà McGregory.
Accarezzò la testa della cagna mormorandole paroline dolci e percorse
con lei al fianco tutto il viale.
Sul portone ad attenderla c’era Howard.
«Buon pomeriggio Howard.»
«Ben arrivata signorina.»
Venusia si bloccò appena lei salì il primo gradino.
Nessuno dei cani osava superare quei gradini. Non solo erano esemplari
stupendi, ma anche divinamente addestrati.
I McGregory tendevano a circondarsi del meglio.
Jennifer apparve appena ebbe lasciato il giacchetto ad Howard.
«Eccoti qua!» esclamò felice saltandole al collo.
«Ah, salve fanciulle!» esclamò la voce di Justin alla loro sinistra.
«Ciao Just, vai da Diane?» chiese Jennifer.
«Abbastanza prevedibile eh?» fu la risposta del ragazzo.
Era incredibile che fosse imparentato stretto con Juna.
Tutti in famiglia avevano ripreso i colori del patriarca, tranne Juna
che era la fotocopia al maschile della madre.
Justin aveva aperto la porta, quando si bloccò e fece dietro front, «Ah
accidenti…» si avviò verso le scale. «Già che mi sono scordato mezzo mondo in
camera vi chiamo Juna?» chiese.
Jennifer sorrise, «Grazie Justin.» La prese per mano, «L’aspettiamo in
sala» la informò.
Incrociarono gli zii e il padre di Juna e si fermarono a salutarli.
Connor appariva molto stanco.
Juna le raggiunse alle spalle mentre salutavano i tre uomini.
«Papà?» chiamò.
«Dimmi.»
«Tutto a posto?»
Connor annuì, «Sì, non preoccuparti.»
Gli fece fare tre passi, poi… «A cena parlerò al nonno di riportare il
lavoro qui. Mi sono stufato di vedervi fare le due di notte. Chiaro papà?»
Anche gli zii di Juna si voltarono verso di lui, poi guardarono il
fratello maggiore che non aveva staccato gli occhi dal figlio. «Tua madre mi
stacca la testa.»
«La mamma capirà. A furia di fare da chioccia a me sta perdendo di
vista te. Le ricorderò che siamo importanti tutti e due. Andate a riposarvi,
dopo cena per un paio d’ore ci occuperemo degli arretrati.»
Connor si arrese con un cenno della testa. «D’accordo.»
Rimasti soli Juna si concentrò su di loro, «Buon pomeriggio fanciulle,
scusate se vi ho messo in secondo piano.»
«Non preoccuparti» gli disse.
«Tuo padre ha l’aria distrutta» aggiunse Jennifer, «hai fatto bene ad
importi in quel modo.»
Juna annuì, «Non devo raccontarti quanto comincio a sentirmi in gabbia
qui dentro, vero? E’ come se il mondo intero avesse iniziato ad entrare e
uscire da questa casa… l’unico immobile sono io.»
Annuì comprensiva.
«Io vado a farvi un caffè se vi va. Poi vi lascio soli per studiare in
pace.»
«Se lo prendi con noi ne possiamo parlare» disse Juna.
Jennifer annuì.
«Ottimo. Avverti Howard e raggiungici, ok?»
Jennifer girò su se stessa e tornò verso l’ingresso.
«Mi sento come una bomba senza sicura» esordì.
«Mi dovrò improvvisare artificiere?»
Rise, «Forse tu e Drake state troppo tempo insieme!»
Juna sorrise, «Togli quel forse.»
Arrivati in sala Juna le fece segno di sedersi sul divano, lui occupò
una delle poltrone.
«Allora, Jennie mi ha detto le materie che porterai all’esame.»
«Sono una pazza vero?»
Juna scosse le spalle, «Immagino tu abbia scelto i mali minori. I libri
sono dentro lo zaino?» Al suo cenno affermativo aggiunse, «Dammi quelli di
storia e arte per favore.»
«Inglese non ti serve?»
«Sono già laureato in inglese, non avrò problemi. Con storia mi devo
rinfrescare le idee e arte… beh, devo vedere di cosa si tratta.»
Mi sta dicendo che leggerà i libri mentre prendevano
il caffè per poi…?
Juna prese il libro di arte e lo aprì. «Tutto?» chiese.
«Solo le pagine segnate con una stella.»
Annuì e cominciò a leggere.
Dopo qualche minuto tornò Jennifer che si bloccò sulla porta perplessa
per poi prendere posto accanto a lei.
Si avvicinò a lei, «Sta veramente facendo quello che penso che stia
facendo?» chiese in un bisbiglio.
Se era abitudine di quel ragazzo imparare a memoria i libri per poi
aiutare a ripassare, Jennifer avrebbe capito perché c’era già passata.
E infatti…
«Imparerà in pochi minuti quello che tu hai imparato in nove mesi»
rispose in un bisbiglio.
«Fra Drake e Jennie ti dovrebbe essere arrivata la notizia che voglio
prendere la laurea in arte… sto sondando il terreno» disse Juna… che ovviamente
le aveva sentite, accidenti a lui.
«Ah sì? Allora posso dirti anche questo: se la lasci per ultima la
prendi insieme a Jennie perché se non cambia idea vuole laurearsi in arte.»
Jennifer le scaricò una gomitata nelle costole.
La ignorò insieme al dolore e vide Juna sorridere senza staccare gli
occhi dal libro. «Ho già promesso a Just di prendere per ultima giurisprudenza…
questa possiamo risparmiarla alla grande Flalagan.»
Rimase sbalordita sentendolo usare un gioco di parole proprio di
Jennifer e suo fratello. Michael era il
piccolo Flalagan.
A giudicare dall’espressione anche Jennifer era stata presa in
contropiede.
Juna non era un ragazzo, era un radar.
Doveva concludere che fosse più facile nascondere la Terra dietro un
ago piuttosto che qualcosa a quel tipo.
Il silenzio della stanza fu interrotto dall’entrata di Howard con un
vassoio.
Jennifer scattò in piedi per aiutarlo e fu ringraziata con un sorriso.
Furono serviti in maniera perfetta, alla fine, dopo essersi schiarito
la voce, Howard si rivolse a Juna. «Signorino, le occorre qualcosa?»
«Sono a posto così, grazie Howard.»
L’uomo non si mosse.
Juna sospirò e alzò gli occhi dal libro, «Sei peggio di mia madre, lo
sai?»
Howard fece un veloce inchino, «Le porto subito le vitamine.»
«E tu sei peggio di un bambino» disse Jennifer quando Howard sparì
dalla stanza.
Juna incassò il commento con una scrollatina di spalle e un sorrisetto
da delinquente.
Jennifer alzò gli occhi al cielo. «Bisogna stargli dietro come a un
bebè per queste vitamine» le spiegò poi. «Il medico gli ha tolto tutti gli
antibiotici e deve prendere solo quelle pasticche… e praticamente va rincorso!»
«Sto cominciando a pensare che ti diverti, Jennifer» fu il commento di Juna.
Jennifer lo guardò malissimo e Juna sorrise senza alzare gli occhi dal
libro.
Eppure doveva arrivare a capo di quel ragazzo. In un modo o nell’altro.
Nel successivo quarto d’ora tornò Howard, Juna prese le vitamine,
bevvero il caffè e Juna chiuse i libri.
«Ok, possiamo cominciare» disse.
Sharon guardò Juna come se fosse pericolosamente fosforescente.
Effettivamente fino a quando non lo si vedeva all’opera non ci si
rendeva conto di quanto fosse incredibile.
Rimise tutte le tazzine nel vassoio e si alzò. «Bene, io vi lascio.»
«Micky?» chiese Sharon.
«Sta facendo un sonnellino con Lissa. Magari stiamo un po’ tutti
insieme prima che tu vada via, ci trovate al gazebo. Buono studio.»
Juna e Sharon ringraziarono in coro.
Uscì dalla sala e si scontrò con Anne, «Oh signorina, non doveva
disturbarsi» disse prendendole il vassoio.
«Nessun disturbo Anne. Juna resterà in sala per un po’ con Sharon, io
vado a leggere al gazebo. Per favore, se mi cercassero i miei li avverte che
sono lì?»
Anne annuì e si ritirò con un inchino.
Salì in camera a prendere il libro che le aveva prestato Georgie.
Cominciarono da storia.
Nel giro di mezz’ora la situazione fu chiara: Sharon aveva davvero
bisogno solo di un ripasso, perché le cose le sapeva.
Cercò di intavolare una discussione, come la ragazza gli aveva detto
che si sarebbe svolta l’interrogazione dell’esame, e Sharon aveva ben chiari i
collegamenti e la cronologia dei fatti.
La lasciò discorrere sugli argomenti che aveva scelto lei, poi passò a
farle domande specifiche.
«Juna, come dannazione fai a ricordarti tutto?» gli chiese
all’improvviso «Hai letto il libro di storia in meno di dieci minuti!»
«Ho una memoria eidetica. Ciò che vedo mi si imprime nella memoria, che
sia un’immagine o delle parole. A parte questo, ho già studiato storia e me la
ricordo. Ho dato un’occhiata al libro per rinfrescarmi un po’ le idee.»
«Quali lauree vuoi prendere oltre ad arte?»
«Medicina, psicologia e giurisprudenza.»
La vide annuire, «Andiamo a segnarci insieme a psicologia?» propose
all’improvviso.
«Vuoi fare la psicologa?»
Annuì, «Sono già abbastanza brava a capire le persone… e poi mi
affascina. Mi piacerebbe diventare una profiler, magari in forza all’F.B.I.. Tu perché vuoi
prenderla?»
«Mi affascina. Di natura sono curioso come un gatto e poi… beh, credo
che possa tornarmi utile con il lavoro che faccio. Capire le persone non è
facile.»
Sharon annuì di nuovo. «Juna… ricordami che devo parlarti di Drake.»
Qualcosa gli disse che se avesse fatto domande in quel momento avrebbero
potuto dire addio al ripasso, quindi si limitò ad annuire.
Passarono ad arte e si spostò accanto a Sharon per seguire i commenti
alle fotografie del libro.
Dopo quattro o cinque opere che scelse lui a caso, decisero di fare una
pausa.
Erano già passate quasi tre ore.
«Direi che abbiamo fatto un bel passo avanti» disse.
«Da sola ci avrei messo una settimana a fare quello che ho fatto con te
in un pomeriggio» ammise Sharon. «Sono passate tre ore e mi sembra mezz’ora.»
«Metti via i libri allora. Magari torni un’altra volta e cominciamo da
inglese. Mi sento di rassicurarti però: le cose le sai. Non farti prendere dal
panico.»
Sharon annuì. «Ok. Mio padre passa a prendermi alle sette e mezzo» lo
informò. «Mi aspetta al cancello.»
Seguì un breve silenzio.
«Volevi parlarmi di Drake» le dette l’input.
Sharon annuì di nuovo. «Ieri sera si è accorto di qualcosa che lo ha praticamente
sconvolto e non capisco come mai.»
«Cioè?»
«I miei occhi. A volte, per esempio quando sto al Sole senza occhiali
scuri o una forte luce mi colpisce gli occhi, compaiono dei riflessi più
chiari. Ho gli occhi neri di norma, ma a volte capita che compaiono queste… non
so come definirle. Ieri Drake se n’è accorto e… accidenti, l’ho visto cambiare
colore.»
Ci mise qualche secondo a capire.
«Riflessi chiari tipo i miei?»
Sharon si voltò di scatto verso di lui. «Li hai anche tu?»
Annuì, «Perenni.»
Sharon si avvicinò a lui e lo guardò per qualche secondo negli occhi.
«Sì, molto simili direi. Da lontano non si notano molto sai? Secondo te cosa è
preso a Drake?»
Ci volle tutto il suo impegno per mantenere un’espressione neutra.
A Drake era preso un colpo, ecco cosa.
Immaginava senza problemi l’associazione di idee che aveva fatto Drake,
specie con la scoperta così ravvicinata alla loro ultima chiacchierata.
Era una vita che il suo migliore amico gli diceva che in quasi
ventun’anni di vita non aveva riscontrato quei riflessi dorati-argentei in
nessun altro elemento in natura.
Poteva essere follia, ma per come si era evoluta la situazione fino a
quel momento non c’era da azzardarsi a ignorare ipotesi solo perché
potenzialmente assurde.
Il suo omozigote aveva avuto i suoi stessi occhi, riflessi inclusi?
Jennifer gli aveva detto che fra Sharon e lui ci correva pochissimo.
Pochi giorni o poche ore? Jawad era sopravvissuto meno di ventiquattro
ore.
I suoi occhi erano serviti per…?
«Juna?»
Si riscosse.
Sharon lo stava guardando preoccupata.
«Scusami… stavo cercando di immaginare cosa è preso a Drake.»
Improvvisa McGregory.
«Non credo di doverti dire che Drake ha un certo debole per gli occhi
neri vero?»
Sharon sorrise. «No, direi che è evidente.»
«Beh, una delle cose che mi ha sempre detto è che i miei occhi su una
donna sarebbero stati la perfezione per lui. Non si aspettava di trovarne
neanche di simili.»
Sharon spalancò gli occhi in un’espressione sbalordita, poi scoppiò a
ridere «E’ più pazzo di quanto immaginassi! Mi ha fatto prendere un accidente!
Perché non me lo ha detto subito??»
Scosse le spalle. «Ti sconsiglio di cominciare la tua carriera di
psicologa proprio con lui.» Alle risatine di Sharon decise di togliersi una
pulce dall’orecchio, «Quando sei nata?»
«Il cinque dicembre.»
«Mi pare di capire che io e te siamo coetanei.»
Sharon annuì.
Appunto.
«Tu?»
«Sono più vecchio di te di un giorno.»
Sharon spalancò gli occhi piacevolmente sorpresa, «Non ci credo!
Quest’anno lo festeggeremo insieme, che dici?»
Annuì, «Drake e Jennifer potrebbero non reggere a due feste in due
giorni. Specie Drake comincia ad avere una certa età sai? Che ne dici di andare
a svegliare i bambini?»
Sharon rise, «Ti seguo!»
Squillò il cellulare.
Falcon.
L’ultima volta che lo aveva sentito gli aveva dato una delle peggiori
notizie della sua carriera.
«Pronto?»
«Ciao Matt.»
Anche questa volta il tono di voce non prometteva niente di buono.
«Cosa è successo?»
«Devo chiederti un fuori programma. Non lo farei se non è importante,
specie alla luce di quanto ti ho detto l’ultima volta.»
«Tu e Darkness potrete sempre contare su di me. Dimmi tutto.»
«Ho bisogno di sapere vita, morte e miracoli di una ragazza. Si chiama
Sharon Castlemain.»
Sentì il terreno sparirgli da sotto i piedi.
Sentì chiaramente il colore fluirgli dal viso… per fortuna non erano in
video chiamata.
«Ah. Motivi personali?»
«Se ho ragione i motivi riguardano più Ju… pardon: Darkness, che me.
Matt, non posso dirti niente. Devi credermi sulla parola: è importante.»
«Cosa ti interessa sapere di preciso?»
«Beh… se per esempio ha avuto un trapianto di occhi.»
Se non si fosse trovato nei panni del comandate Matthew Farlan, quello
sarebbe stato il momento adatto per farsi prendere dal panico.
«Capisco la tua reticenza» disse Falcon al suo silenzio.
Mai abbastanza ragazzo mio.
«Vedrò quello che posso fare. Se l’esito delle ricerche fosse
positivo?»
Falcon diede una risatina nervosa, «Sarebbe la prova più lampante che
il mondo è un granello di sabbia nell’Universo.»
Sapeva tutto. In qualche modo era saltato fuori il fatto dell’omozigote
di Darkness.
Era evidente.
Maledizione, con quei due ragazzi sotto lo stesso tetto, cosa si
aspettava?
«Matt, voglio essere sincero con te, ok?» riprese al suo silenzio
«Questa ragazza si avvia a diventare la donna della mia vita… usciamo insieme
al momento e sto aspettando che questa storia sia sistemata per chiederle di
mettersi con me, ma c’è un particolare che devo avere chiaro e da solo non
arriverei a niente.»
I panni del comandante Farlan gli scivolarono via di dosso in un
battito di ciglia per lasciare libero papà Aaron, «Le vuoi bene?»
«E’ stato un autentico colpo di fulmine vecchio mio. E’ anche per lei
che scarico te e Richard.»
Non riuscì a trattenere un sorriso. «Confortante. Deve essere proprio
una ragazza speciale.»
«Oh sì, lo è. Mai avrei pensato di perdere la testa per una brava
ragazza. Mi fai sapere qualcosa appena lo sai?»
«D’accordo. Come sta Darkness?»
«Meglio. Accidenti a lui mi ha fatto perdere dieci anni di vita!»
«Salutamelo quando lo senti.»
«Stasera stessa. Devo dirgli di aver sguinzagliato il miglior segugio
dell’F.B.I..»
Riattaccò con un sorriso… anche se non c’era niente di cui essere
allegri.
Juna lo batté sul tempo.
Gli squillò praticamente il cellulare fra le mani.
«Ciao, stavo per chiamarti» esordì imboccando le scale con la precisa
intenzione di barricarsi in camera.
«Lo so» fu la risposta del suo migliore amico. «Sharon mi ha parlato
della tua reazione davanti ai riflessi dei suoi occhi.»
«Non c’è verso di farne una pulita eh?»
Si chiuse la porta di camera sua alle spalle.
«Per la cronaca: hai avuto la reazione che hai avuto perché i miei
occhi su una donna sarebbero la perfezione per te e avevi ormai perso le
speranze di trovarne anche solo di simili.»
Rimase basito.
«Juna, riesci ancora a stupirmi almeno una volta al mese.»
«E’ il tuo modo di dirmi che sono un fantastico racconta balle?
Comunque, credo di essere arrivato alla tua stessa conclusione Drake. E’
fantascienza, ma non ne trovo altre.»
«Lo immaginavo. Senti Juna, ho chiesto a Matt di indagare su Sharon.»
Silenzio, poi… «Cosa hai fatto?»
«Non potevo chiedergli di indagare su
di te, giusto? In questo modo, se abbiamo inquadrato bene la situazione,
arriveremo comunque a qualcosa, ti pare?»
Il silenzio di Juna disse più di cento parole.
Silenzio assenzio.
«A parte questo com’è andata oggi?» riprese.
«Credo che la tua fidanzata si diplomerà con il massimo dei voti.»
Sorrise senza volerlo. «Sei insopportabile.»
«E’ andata via saranno dieci minuti, neanche. Suo padre la aspettava al
cancello.»
Qualcosa nel tono di Juna lo mise in allerta. «C’è qualcosa che
dovresti dirmi?»
«Sta diventando la tua domanda preferita. Quante varianti pensi di
rifilarmi della stessa solfa?»
«Juna…!»
«Maledizione Drake, non lo so. Aspettiamo di sapere qualcosa da Matt.»
«Juna…!!»
«Ok, d’accordo» si arrese. «Oggi è la giornata dell’assurdo. Appena ho
capito cosa ti era passato per la testa, il mio cervello ha continuato a
viaggiare per i fatti suoi…»
«… e quando questo avviene si va sempre a finire nei casini. A quali
conclusioni sei arrivato?»
Non doveva fare certe domande a Juna, perché erano occasioni d’oro per
sganciare bombe nucleari.
Puntualmente ne partì una. «Fra me e Sharon ci corrono ventiquattr’ore
scarse, lo sapevi già?»
Gli venne da ridere, «Sono circondato da sagittari…»
«Una cosa che apprezzo di te è il tuo inossidabile senso
dell’umorismo.»
Inutile prendersi in giro, fra lui e Juna non occorrevano giri di
parole. «Ho capito dove vuoi andare a parare. Jawad sarebbe morto in tempo
utile per dare gli occhi a Sharon. Resta un particolare che non riesco ad
accettare come semplice coincidenza: Sharon è la migliore amica di Jennifer.»
«Io questo l’ho accettato invece, perché c’è una coincidenza
molto più preoccupante… che tu ancora rifiuti di prendere in considerazione, a
quanto pare.»
«Vale a dire?»
«Il padre di Sharon. E’ rimasto l’unica incognita della situazione.
Oggi sarebbe potuto venire a prenderla all’ingresso, farsi vedere, invece l’ha
aspettata al cancello. Sai che non posso ancora uscire di casa vero?»
Un vero e proprio concerto di campanellini d’allarme cominciò a
suonargli in testa, «Dillo a parole tue, Mac.»
«Aaron Castlemain. Aaron è anche il nome che mi ha dato Matthew
per la sua seconda vita.»
Rimase a bocca aperta. «Stai scherzando vero?» chiese.
Si buttò sul letto.
«Ha praticamente ammesso di avere una famiglia, Drake» riprese Juna. «Ricordi
che ne abbiamo parlato? Dietro sua diretta ammissione inoltre mi teneva
d’occhio da un bel po’, prima di propormi di entrare sotto i suoi comandi.
Altra cosa: ha scomodato Richard, che è più alto in gerarchia, per andare da
Jeremy. Lui non deve figurare. Non potrebbe essere perché Jeremy, Michael,
Jennie e Sarah lo conoscono già come il padre di Sharon?»
Ecco, lo aveva detto.
«Quindi io avrei appena chiesto a Matthew di indagare su sua figlia… a
dirla tutta gli avrei appena detto che sua figlia è la potenziale donna della
mia vita e che è stato un colpo di fulmine.»
Juna emise un leggero fischio, «Complimenti amico mio. Ascolta questa
adesso: se veramente gli occhi di Jawad sono serviti per un trapianto su
Sharon, Matthew ha sempre saputo dell’esistenza del mio omozigote… e
probabilmente sa anche come sono andate le cose. Appena posso uscire di casa,
io e te andiamo da Matthew… sempre che fra tre giorni non mi arrivi a casa
sotto l’identità di Aaron Castlemain.»
Si passò una mano sulla fronte. «D’accordo» si arrese. «Mac, ti voglio
bene, ma sto cominciando ad odiare la tua indiscutibile logica.»
«Drake, se mi sono sbagliato, andiamo a festeggiare.»
Mentre ascoltava sua figlia parlare in termini a dir poco entusiasti di
Juna, non poteva che biasimare se stesso perché aveva sempre saputo che sarebbe
andata a finire così.
«Abbiamo già deciso di festeggiare il compleanno insieme! E’ nato un
giorno prima di me papà, ci pensi? Ah papà, a proposito di compleanno… resti
per tutta la settimana vero?»
«Perché?»
«Fanno una festicciola per il compleanno di Jennie… fra tre giorni se
non ricordo male, ma ti saprò dire meglio, e siamo tutti invitati. Dimmi che ci
verrai, ti prego. Così conoscerai anche Drake in un terreno neutro. Sai che ci
tengo a sapere la tua opinione.»
E va bene, se doveva finire, sarebbe finita con un botto.
Diciamo la prova del nove per coloro che sarebbero sempre rimasti i
suoi agenti migliori: come avrebbero reagito quei due vedendolo nei panni del
padre di Sharon?
«D’accordo.»
Sua figlia gli saltò al collo incurante del fatto che stesse guidando,
«Ah, ti adoro!»
«Almeno conoscerò questi due ragazzi eccezionali.»
«Gli potrai chiedere tutto quello che vuoi sapere, li avvertirò che sei
una spia del governo mancata!»
Sorrise per non mettersi a piangere.
Ultimamente Larry passava per caso a Villa McGregory a scadenze
regolari.
«Già che ci sono ti faccio una visitina di controllo.»
… E quello era diventato un intercalare.
Salirono in camera, seguiti da suo padre e sua madre e, dopo la visitina,
Larry annuì soddisfatto.
«Bene. Molto bene. Sono orgoglioso di te Juna. So quanto ti è costato,
ma sei guarito. Da ora cadono tutti i divieti. Domani mattina fatti una bella
colazione nel gazebo.»
Sua madre quasi cascò in terra dal sollievo: suo padre la riprese al
volo.
«Larry, ha perso un sacco di peso» prese la parola suo padre
controllando con un occhio l’equilibrio della consorte.
«Vi do il permesso di viziarlo con una dieta ipercalorica» concesse
Larry. «Ma bada bene ragazzo, non abusare della guarigione.»
«Niente lavoro» tradusse prontamente sua madre.
«Mamma, toglitelo dalla testa» mise in chiaro. «Intanto stasera starò
un paio d’ore con papà nello studio, era già deciso. Eviterò di stare tutto il
giorno in ufficio, ma le stanze comunicanti sono state create per questo e
cominceremo ad usarle. Sono veramente stufo di non far niente.»
Sua madre lo fulminò con lo sguardo, ma si arrese.
«Andiamo a dare la bella notizia agli altri?» propose suo padre.
Inutile dire che la famiglia accolse la notizia con un coro da stadio.
Per non parlare di Melissa e Michael.
Ma quello che gli fece più piacere furono gli occhioni lucidi di
Jennifer, ovviamente.
Bastò un’ora e mezzo, a suo figlio, per rimettere in corsa l’arretrato
di quasi due mesi.
Anche Paul e Ryan lo guardavano a bocca aperta mentre, senza aprire un
singolo fascicolo e dopo aver letto una sola volta i resoconti di Wall Street
dell’ultimo mese, tirava le fila di situazioni finanziarie che gli avevano
tolto il sonno per settimane intere.
Suo padre e Mansur invece avevano gli occhi lucidi… se l’orgoglio fosse
stato lucente, li avrebbero visti a occhio nudo dal centro di Andromeda.
«Beh, direi che ci siamo» disse alla fine Juna. «Papà, che ne dici?»
«Mi aspettavo molti più danni. Per fortuna non ci sono state perdite
oltre i massimali contrattuali.»
Juna annuì. «La borsa ha aspettato la mia bronco-polmonite per mettersi
a fluttuare.»
«Nipote, se non ti avessi visto, probabilmente non ci avrei creduto»
disse Paul.
«Domani mattina portiamo il lavoro in ufficio perfettamente aggiornato,
mi sembra un sogno» aggiunse Ryan.
Suo figlio si stiracchiò sulla poltrona, «Aaahhh… mi è mancato tutto
questo.» Si rilassò contro la morbida pelle della poltrona, «Nonno, che ne dici
di mettere in moto queste tre stanze?»
Suo padre si trovò preso alla sprovvista. «Pensi che…?» lanciò
un’occhiata anche a lui.
«O qui o quel testone di mio figlio è capace di tornare in ufficio… e
allora sì, sua madre diventerà una furia.»
«Beh… allora non avrete più bisogno di me» disse Paul.
«Zio, non credere di cavartela così a buon mercato» disse Juna. «Tu e
lo zio Ryan comincerete a specializzarvi, in modo da togliere un po’ di lavoro
a me e a mio padre.»
«In queste stanze c’è posto per tutti» asserì suo padre. «E’ arrivato
il momento di coinvolgere l’intera famiglia.»
Suo figlio annuì, «Ho intenzione di cominciare a istruire anche Justin»
li informò. «Quando entrerà da Warren deve avere già le idee chiare sulla
compagnia.» Si rivolse al nonno, «Io, Drake e Justin dobbiamo cominciare a
muoverci compatti.»
Suo padre annuiva, «Più che giusto.»
«Già che siamo in argomento…» prese la parola Mansur, «cominciate anche
a prendere in considerazione l’ipotesi della fusione.»
Calò il silenzio più assoluto.
«Di quale fusione stai parlando, Mansur?» chiese suo padre.
«Delle due compagnie sotto l’unico erede. Patrick, non credo di doverti
dire che comincio ad essere vecchio anche io. Passo tutto a Juna, poi lui
deciderà cosa fare.»
Se Manaar non ne sapeva ancora niente, aveva appena trovato un ottimo
argomento di conversazione per il dopo cena!
«Nonno, non se ne parla per almeno altri dieci anni» disse Juna.
«No, ascoltami. I tuoi zii non sono minimamente interessati alla
compagnia, ognuno di loro ha successo nel proprio campo. Il fatto che tu sia
stato così male mi ha ulteriormente frenato fino ad ora, ma sono vecchio Juna e
da qualche tempo ricevo troppe telefonate da rinomati squali della finanza. Non
vogliono la compagnia, ma i miei clienti e i miei clienti sono l’eredità che
voglio lasciare a te. La fusione sarà il paravento per la cessazione
dell’attività. Cedo a mio nipote il portafoglio clienti. Il ricavato della
compagnia verrà diviso in parti uguali fra le mie figlie.»
Suo padre respirò profondamente, «Nel qual caso la compagnia cambierà
nome.»
Lo guardarono tutti sbalorditi.
«In che senso papà?» chiese Paul.
«Per esempio McGregory-Alifahaar Investments. Comunque un nome che
rispecchi chi ne sarà a capo e Juna ha due cognomi.»
Rimase a bocca aperta.
Questo, più di qualsiasi altra cosa, dimostrava quanto realmente suo
padre avesse sotterrato l’ultra ventennale ascia di guerra.
Anche Mansur era bocca aperta, «Grazie Patrick. E’ il più bel regalo
che puoi farmi.»
Suo figlio si mise comodo sulla poltrona, «Scusate…»
Quando ebbe l’attenzione generale, riprese. «Avete preso in
considerazione l’ipotesi che la fusione fra due delle più importanti compagnie
del settore getterà nel caos il settore? Senza contare che l’antitrust potrebbe
avere da ridire riguardo ad una simile concentrazione di potere.»
Suo padre e suo suocero si guardarono, poi guardarono il nipote «A
questo ci penseranno i nostri avvocati e voi sarete in grado di far fronte a qualsiasi
caos» disse poi suo padre.
Mansur scosse le spalle «Mettiamola così Juna: lascia perdere la
fusione, io chiudo semplicemente i battenti. I miei clienti mi chiederanno
sicuramente di indirizzarli verso una persona capace che goda della mia
illimitata fiducia e io ho solo te.»
Suo padre allargò le braccia, «Problema risolto.»
«Mia moglie vi spara, a tutti e due» non riuscì più a trattenersi.
«Mia figlia doveva pensarci prima di sposare il primogenito di una
dinastia e mettere al mondo un genio che poi è l’unico nipote maschio che ho»
disse Mansur con un sorriso.
Era una battuta di vecchia data.
Suo suocero aveva in mente questa soluzione da quando Juna respirava.
«Tesi interessante» commentò dopo un breve silenzio suo figlio, poi si
rivolse a lui «quanto pensi ci metterà la mamma a smontarla?»
«Ci metterà molto meno a smontare me»
ribatté.
«Oh, smettila Connor» disse Mansur. «Mia figlia respira per te dal
momento in cui ti ha visto!»
La semplice verità di quell’affermazione fece sorridere suo padre,
«Questo non le ha mai impedito di incazzarsi quando lo ha ritenuto necessario»
fece poi notare al suocero.
«Anche se innamorata, mia figlia resta una Alifahaar di prima
categoria» fu la blanda presa di realtà di suo nonno.
«Se sei davvero deciso dovremo informare gli altri e far partire gli
avvocati» disse suo nonno Patrick.
«Patrick, è una decisione che ho preso diciannove anni fa. Le mie
figlie, senza esclusioni, lo sanno molto bene.»
«Mansur, potresti comunque continuare ad occuparti dei tuoi clienti»
disse improvvisamente suo padre. «Sai che devo dirti sempre quello che penso e
non mi sembri proprio pronto per la pensione. La compagnia diventerà il tuo
paravento contro gli squali.»
«Io avrò l’esperienza che avete tu e il nonno quando avrò sessant’anni»
prese lui la parola. «Senza contare che per i tuoi clienti sarebbe meglio un
passaggio graduale, ti pare? Non puoi mollarli di punto in bianco dicendo signori
vi presento il mio erede. Tieni sempre di conto che il mondo tende a
vedermi come un ragazzo di diciannove anni scarsi.»
Suo nonno soppesò l’argomentazione con una smorfia, poi annuì, «Ok, te
lo concedo: è ragionevole.»
Non riuscì a trattenere una smorfietta, «Troppo buono.»
______________________________________________
NOTE:
giunigiu95: stupire è una delle mie specialità… per quanto
riguarda Juna & Jennie… chissà… non posso dare anticipazioni… XD Ho le idee
chiare su come andrà a finire!
Zarah: hai ragione… e ti parla una patita dei gialli, li seguo tutti, da
Colombo alla Fletcher (che mio fratello butterebbe giù a fucilate, dice che
porta troppa sfiga!), senza contare le varie sigle (CSI, NCIS). Sai che non ho
mai giocato a Cluedo? o.O
Capitolo 16 *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 16 ***
on E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 16
Non
E’ Mai Troppo Tardi
16
Sua madre era elettrica.
«Sono così felice, non vedo l’ora che arrivino!»
Conoscere i genitori di Sharon era un qualcosa che
aveva acquisito importanza man mano che il tempo passava.
Fra meno di un’ora sarebbe cominciato ufficialmente
il rinfresco per il compleanno di Jennifer… e il fatto che fosse il compleanno
di Jennifer era forse l’unica cosa che superava in importanza quell’incontro.
Lui si sentiva ad un passo da un baratro senza
fine… o alla soglia di una luce eterna.
Drake probabilmente stava improvvisando riti e
preghiere per non trovarsi davanti Matthew.
Qualcosa gli diceva che sarebbe finita esattamente
così.
Aveva provato in tutti i modi a smontare il
proprio ragionamento… e non aveva trovato neanche una leggera crepa.
Incontrò lo sguardo critico di sua madre, «Non
penserai di scendere così, vero?» gli disse.
Si diede un’occhiata, «Non mi sembra di aver
scordato qualcosa.»
Sua madre incrociò le braccia al seno, «Vuoi farmi
la cortesia…?» cominciò.
«Mamma…»
«… di andare oltre il tuo accostamento preferito
almeno per un rinfresco, per quanto informale
sia?» concluse.
«Sai come si vestirà Jennie?»
Erano giorni che cercava di arrivare a capo di
quella cosa, ma la ragazza aveva issato un vero e proprio fortino a difesa di
quel vestito.
«Non cambiare discorso.»
«Per farmi un’idea di cosa indossare…»
«Fila in camera tua a cambiarti. Adesso.»
Ubbidì ridacchiando.
Optò comunque per qualcosa di informale anche se
elegante.
Bussarono.
«Avanti.»
«Ciao compare» lo salutò Drake entrando.
«Ciao, come stai?»
«Ragionevolmente nervoso.»
Anche Drake aveva optato per il classico. «Tu?»
aggiunse.
Scosse le spalle dandosi un’ultima occhiata allo
specchio.
Casual, informale ma elegante. Mamma sarebbe stata
contenta.
«Bene. Direi» rispose. «Non sono riuscito a capire
come si veste Jennie per l’occasione.»
Il sorriso di Drake lo bloccò. Essenzialmente
perché aveva cercato di nasconderlo.
«Drake, devi dirmi qualcosa?» gli chiese
guardandolo dallo specchio.
Drake scosse le spalle. «Sì, ma non posso.»
Si voltò verso di lui, «Tu lo sai.»
«Juna, c’è chi è pronto ad uccidermi se mi scappa
una parola!»
«La tua non-fidanzata?» gli chiese ironico.
«No, la tua
non-fidanzata» fu la risposta.
Sbuffò alzando gli occhi al cielo.
Bussarono di nuovo.
«Avanti!»
Alison fece capolino, «Juna, scusa se…»
«Non disturbi, entra dai.»
Aveva dovuto far fronte ad un piccolo imprevisto
ed Alison lo aveva raggiunto al volo.
Alison scosse la testa rassegnata, «Fra poco
Stephen è qui.»
«Ma resti al rinfresco con lui?»
«Ho già parlato con Jennie… non è proprio
possibile.»
«Se va bene a lei…»
Apparve la testa di Justin, «Ragazzi, sono
arrivati i Castlemain al completo. Direi che la festa ha inizio.»
«Scendiamo subito» disse Drake.
Justin annuì e sparì com’era apparso.
«Ma i tuoi?» chiese rivolto all’amico.
«Arriveranno nel giro di mezz’ora» fu la risposta…
piuttosto rassegnata.
Molto cavallerescamente mandò avanti Alison e
Drake gli si affiancò.
Arrivarono all’inizio dell’ultima scalinata e l’allegro
chiacchierare li accolse festoso.
Scannerizzò l’ingresso e… appena la schiena di
Matthew, perché era lui, inutile
cercare di girarci intorno, entrò nel suo campo visivo… come un flash si
ricordò improvvisamente che Alison aveva sentito la sua voce al telefono.
E si era presentato proprio con il nome di Aaron.
Maledizione.
Quasi sicuramente la ragazza non avrebbe fatto una
piega davanti agli altri, ma una volta soli avrebbe potuto chiedergli perché non conosceva qualcuno con cui aveva
parlato al telefono… senza fra l’altro preoccuparsi di chiederle di cosa si
trattava.
Stramaledizione.
Cercò una soluzione… e la trovò in meno di cinque
gradini.
Improvvisazione, era la parola
chiave.
«Fammi capire, Aaron… fai Castlemain di cognome?»
esordì.
Drake accanto a lui non fece una piega.
Sua madre, proprio davanti a Matthew e accanto a
suo padre, sussultò.
Matthew si voltò lentamente e sorrise. «Mi
chiedevo se mi avresti riconosciuto.»
«Vi conoscete?» chiese suo padre sbalordito.
Alison, due o tre gradini avanti a lui, si voltò
verso di lui e sorrise, «Ho riconosciuto la voce. E’ il signor Aaron che ti ha
chiamato in ufficio.»
Ci avrei giurato
ragazza mia, so quanto sei efficiente.
Una delle cose che rendevano Alison una segretaria
come poche altre al mondo era la sua capacità di abbinare immediatamente la
faccia, la voce e l’eventuale carica ad una persona, in qualsiasi ordine
venisse a conoscenza dei vari pezzi del puzzle: in un angolo della sua mente
aveva “registrato” la voce di Matthew e l’aveva associata al nome di Aaron,
attendendo che altre informazioni si aggiungessero al quadro… chiarendolo,
possibilmente.
«Ci siamo visti due o tre volte. Di solito ci
sentiamo al cellulare… quando si decide ad accenderlo» disse Matthew
assecondando immediatamente la situazione… e rendendo improvvisamente logica la
presenza del proprio numero nella memoria del suo cellulare.
Richard glielo aveva sempre detto: era stato
addestrato dal migliore.
Alison rise divertita, «Ricordo che quel giorno
anche Drake lo cercò in ufficio… solito motivo» asserì.
Drake tirò fuori dal cilindro magico la sua
migliore faccia da poker. «Buongiorno signor Castlemain, mi chiamo Drake Tyler.
Sono il migliore amico di Juna… ma credo che mi abbia sentito nominare anche
per altri… motivi.»
Matthew spostò su di lui uno sguardo… compiaciuto.
«Effettivamente, sì.»
Sharon era a bocca aperta accanto al padre. «Ma
scusa… hai detto che non lo conoscevi.»
Matthew si rivolse alla figlia. «Juna non sapeva
il mio cognome. Se gli avessi detto di essere la figlia di quell’Aaron che lo ha tenuto intere notti al cellulare con la storia
dei titoli Boddtlard avrebbe capito subito chi ero!! Io ho voluto tendergli…
un’imboscata» ammise candidamente. «Se ti avessi detto di conoscerlo glielo
avresti detto subito ed è così raro sorprenderlo che ho voluto provarci. Ho
avuto la conferma che è impossibile
coglierlo impreparato» aggiunse tornando a guardarlo… e stavolta la nota di
compiacimento nella voce era evidente.
Fantastico, in una botta sola lo aveva informato
di aver creato un punto d’inizio in comune (ricordava la fluttuazione da urlo
di quei titoli qualche anno prima) e gli aveva anche detto che lo aveva fatto a
bella posta a piombargli in casa in quella maniera!
«E’ vero» disse compiaciuto suo nonno Mansur. «Mio
nipote non è uno che si lascia sorprendere.»
Anche suo nonno Patrick annuiva compiaciuto.
«Farò un favore a tua moglie e a tua figlia e
passerò sopra l’imboscata» lo avvisò raggiungendolo. «Ma non ci prendere
l’abitudine.»
Arrivati uno davanti all’altro si abbracciarono.
«D’accordo» concesse magnanimo. Gli cinse le
spalle, «Vogliate scusarmi un attimo, devo chiedere alcune informazioni a Juna
su un certo ragazzo.»
«Papà!!» esplose Sharon sconvolta.
Una donna accanto a Sharon scoppiò a ridere,
«Tesoro, prima potresti almeno finire le presentazioni…» gli fece notare.
Era ben altro il motivo per cui era necessario che
almeno loro due riuscissero a parlare da soli.
Matthew sospirò. «Non te lo scordare» gli disse
poi.
Appunto.
«Tranquillo.»
Finalmente aveva le risposte che cercava da
quindici anni a portata di mano.
Drake seguiva la scena in bilico fra il rassegnato
(come futuro ragazzo ufficiale di Sharon), il divertito (come pseudo ex agente
dell’F.B.I. sotto gli ordini di quell’uomo) e l’incredulo (come suo amico).
Furono presentati a Corinne Castlemain, Connie per
gli amici, la moglie di Matthew.
«Jennie, non indovinerai mai!!» esplose Sharon
all’improvviso.
Jennifer fece la sua apparizione dentro un vestito
di chiffon azzurro molto, ma molto
carino, correlato da scarpe decolté dello stesso colore che ad occhio la
portavano all’altezza del suo mento.
I capelli, per fortuna, erano sciolti.
Guardò l’amica, poi lui… «Cos’ha combinato Juna?»
chiese direttamente.
Scoppiarono tutti a ridere, lui incluso.
«Lui e mio padre si conoscono!! Juna ha
l’attenuante di non sapere tutto, ma mio padre me lo ha coscienziosamente nascosto!!!»
Jennifer lo guardò sbalordita e fu Matthew a
spiegarle la situazione.
Suo padre si voltò improvvisamente verso di lui,
«Pensa, prima che ti sentissi male pensavo che i titoli Boddtlard mi avessero
fatto passare uno dei peggiori momenti della mia vita.» Poi si rivolse a
Matthew, «Ora che ci penso non ho neanche riportato a Juna i suoi auguri di
pronta guarigione… forse se lo avessi fatto mio figlio avrebbe iniziato a porsi
domande.»
Matthew sorrise, cingendo le spalle alla moglie,
«Sarò molto franco con lei adesso: mia figlia è rimasta a dormire in questa
casa perché sapevo che c’era Juna.»
Connie gli diede una gomitata, «E io lo avevo
intuito…» sembrò ricordargli.
Matthew alzò gli occhi al cielo, «Ero tranquillo:
la sua propensione per le bionde è ampiamente risaputa e riconosciuta»
aggiunse. «Vai a pensare che ha un amico…»
«Papà!!!»
Scoppiarono tutti a ridere… anche Jennifer.
Sharon era troppo occupata a scendere a patti con
la nuova scoperta. «Ma è roba da pazzi!!» esplose «Juna, ti diffido dal parlare di Drake a mio padre!»
Connie le accarezzò la testa, «Sai che comunque
tuo padre troverebbe…»
Sharon sbuffò, «Già… dimenticavo di dirvi che è
una spia del governo mancata!!»
Lui e Drake si guardarono… non poterono proprio
evitarlo, poi fu Drake il primo a piegarsi in due dalle risate.
«Prevedo solo guai nel mio futuro!!» esclamò
«Comunque Shasha, dubito che tuo padre troverà qualcuno che gli parlerà meglio
del sottoscritto!» aggiunse.
Lo seguirono tutti nella risata.
Anche Matthew.
Se fossero stati ancora ai suoi ordini, si
sarebbero meritati una promozione su due piedi… anche di un paio di gradi tutti
insieme.
Darkness poi era stato a dir poco geniale.
Niente di nuovo sotto il Sole, ma quel ragazzo
sembrava superare costantemente se stesso.
Aveva inquadrato il problema, lo aveva analizzato
e aveva trovato la soluzione nel giro di quattro o cinque gradini.
Fermo restando che non pensava di trovarla lì, lui
si era completamente scordato che la segretaria aveva sentito la sua voce,
maledizione!!
Comunque la situazione non avrebbe potuto mettersi
meglio.
Sembrava che lui, Darkness e Falcon potessero
parlare tranquillamente perché solo loro tre capivano cosa effettivamente
veniva detto.
Purtroppo per aggiornare Darkness sulle ultime
novità e le conseguenti conclusioni che aveva tratto, doveva parlarci da solo e
quel ragazzo lo aveva capito.
Rivolse la sua attenzione a Jennifer,
«Festeggiata, dove metto questo prima di rischiare di riportarmelo a casa?»
chiese facendo ondeggiare il pacchetto che conteneva il regalo suo e di Connie.
Sharon agiva separatamente quando si trattava
della sua migliore amica. Quella volta in particolare anche Falcon partecipava
al regalo in tandem.
Sua moglie aveva gli occhi alzati al cielo fra le
risatine, «Capacissimo di farlo…» convenne.
«Ci penso io ai regali!!» si fece avanti Michael
«Sono al gazebo, li apre tutti insieme!»
Lo consegnò al bambino, «Ciao Michy» lo salutò con
affetto.
«Ciao Aaron, sono contentissimo di rivederti»
rispose Michael accettando di essere issato in collo.
«Come stai?»
«Bene! Tu?»
«Bene!»
Michael salutò la notizia con una squillante
risata.
Su una cosa Richard aveva ragione: era
impensabile, vedendolo, associare quel bambino a cosa aveva passato.
E sapeva che il merito di quella ripresa era
esclusivo di Darkness e Falcon.
«Volete seguirmi? Il rinfresco è nel gazebo» disse
la madre di Darkness… che fra l’altro poteva essere davvero scambiata per la
sorella: si assomigliavano in maniera impressionante.
«Sai Aaron, è uno dei posti preferiti di Jennie e
Juna!» lo informò Michael.
«Deve essere bello» disse sua moglie.
Michael le annuì con convinzione.
«Fra poco dovrebbero arrivare anche Jessica e
Brian Tyler» disse il padre di Darkness. «I genitori di Drake» aggiunse a mo’
di post scriptum.
Connie lo fissò titubante.
Questa poi.
Falcon faceva davvero sul serio allora.
D’altra parte, dubitava che quel ragazzo avrebbe
potuto essere più onesto quando gli aveva chiesto di indagare su sua figlia.
«Se se lo stesse chiedendo, signor Castlemain»
disse calmo e tranquillo Falcon, «l’idea è stata di Juna.»
«Veramente è colpa di Jennie» ribatté
l’interessato.
«Juna!» esplose la madre di quel ragazzo.
«E’ vero! Io l’ho solo proposto! La festa è di Jennie e lei ha dato il consenso, vero
Jennie?» chiese poi.
La ragazza in questione lo stava fissando
pensierosa. «Sai cosa mi ha convinta, Juna?»
«Cosa?»
«Hai anche detto che Drake avrebbe potuto
ucciderti per molto meno.»
Falcon si piegò in due dalle risate, seguito a
ruota da sua figlia.
In breve stavano tutti ridendo.
Tranne Darkness che fissava Jennifer fra il
perplesso e il pensieroso. «Ok, ti rendo atto che ci hai provato con stile» le
concesse magnanimo. «E dire che pensavo fosse per il mio fascino
irresistibile…» aggiunse poi a mezza voce… e neanche tanto mezza.
Anche Jennifer cedette e scoppiò a ridere.
Sua figlia le aveva detto che Darkness piaceva a
Jennifer. Aveva un po’ mitigato i toni. Quella luce che le illuminava lo
sguardo quando lo posava su di lui aveva un nome ben preciso.
Al gazebo, quando ci arrivarono, trovò il resto
della famiglia di Darkness.
Erano un bel po’, dannazione.
Quando fosse successo il patatrac c’erano un bel
po’ di persone da mettere al sicuro… ed era troppo realista per poter solo pensare di mandare avanti Richard.
Sarebbero saltate coperture come tappi di
champagne la notte dell’ultimo dell’anno!!!
Accantonò i funesti pensieri per concentrare la
sua attenzione sulle presentazioni.
Registrò appena l’arrivo di Stephen e la successiva
partenza di Alison con il fidanzato.
Dannazione. Dannazione.
E dannazione.
Era veramente Matthew.
Si era innamorato della figlia di Matthew.
E se Juna non fosse stato il genio che era,
sarebbe successo subito un disastro.
Per fortuna si era ricordato di Alison… e Matthew
lo aveva assecondato.
Lì per lì non aveva capito cosa stesse facendo
Juna… ma si fidava ciecamente di lui, e a ragione.
Il lato positivo era che finalmente il suo
migliore amico aveva le risposte che cercava da una vita a portata di mano.
I suoi genitori spaccarono il secondo, ovviamente…
ancora restava un mistero da chi avesse ripreso lui. Stavolta però Juna non lo
sottolineò con il suo solito stile.
Il vestito di Jennifer aveva fatto il suo effetto.
Fatte le presentazioni, e consegnato il regalo che
sua madre aveva comprato per Jennifer, Michael e Melissa non ressero più e
Jennifer fu costretta ad aprire i regali.
Per primo aprì quello di Sharon, con lui
incorporato: una maglietta e un paio di jeans che riscossero molto successo.
Sua madre, con suo padre incorporato, aveva optato
per uno scialle multiuso con colori adatti ad una bionda… probabilmente lo
aveva comprato come se dovesse usarlo lei!
Matthew e consorte avevano regalato un completo
orecchini, bracciale e collana.
Il regalo dei genitori, Jennifer lo stava già
indossando: il vestito. E Juna non lo avrebbe perdonato facilmente.
Michael e Melissa le avevano regalato tutta una
serie di disegni… uno dei quali la ritraeva con Juna, ovviamente. Abbracciati, altrettanto ovviamente.
Tutti, chi più chi meno, aveva optato per
abbigliamento o gioiellini vari.
All’apertura del regalo di Diana e Justin, Juna
sbuffò, «Ma secondo te lo sta facendo apposta?» bisbigliò.
«Di lasciare il tuo per ultimo? Cosa le hai
regalato?» chiese con lo stesso tono.
Il suo migliore amico lo fulminò con lo sguardo,
«Ti aspetti veramente che te lo dica dopo che hai ammesso che già sapevi del
vestito e non mi hai detto niente?»
Appunto.
«Che state confabulando voi due?» chiese sua
madre.
Salvandolo.
«Niente» risposero in un coro intonatissimo.
«Ahi…» fu il commento di suo padre.
«Concordo…» gli dette mano Connor.
Finalmente Jennifer prese in mano il pacchetto…
l’unico rimasto, salvandoli entrambi.
Lo scosse appena vicino all’orecchio.
«Non esplode» la rassicurò Juna.
Mordendosi il labbro inferiore per non mettersi a
ridere come tutti gli altri lo aprì e tirò fuori una specie di valigetta
trasparente.
Spalancò gli occhi per la sorpresa.
«Oh Juna… ma sono bellissimi…» disse senza fiato.
Da quella distanza non riusciva a capire cosa
contenesse.
Sharon si affiancò all’amica e spalancò occhi e
bocca, «Dove li hai trovati??» esplose.
Jennifer aprì la valigetta e tirò fuori una… pinza
per capelli? Varie pinze di varie grandezze, seguite da fermagli vari e tutto
quello che poteva venirti in mente per i capelli.
Trasparenti con disegni blu scuro.
Michael saltellava, «Lo sapevo che ti sarebbe
piaciuto!!!» esclamò.
«Juna sa sempre cosa regalare ad una ragazza» sentenziò
Melissa.
«Oh grazie…» fu il commento del suo migliore
amico.
Manaar guardava rassegnata il cielo.
«Rose!» esclamò Sharon «Sono rose blu su sfondo
trasparente!»
Jennifer li fissava ancora sbalordita. «Non ho mai
visto niente del genere…» mormorò.
Sarah si avvicinò alla figlia e prese la pinza più
grande. «Accidenti, sono splendidi. Sembrerà che siano solo le rose a
trattenerti i capelli.»
Sharon volò verso Juna, fermandosi a meno di
cinque centimetri da lui «Mi porti dove li hai comprati vero?» chiese.
Juna si voltò verso di lui, «E’ suonata retorica
solo alle mie orecchie?» s’informò.
«Sono molto contento di non essere nei tuoi panni»
gli rese noto.
«Perché, credi veramente che ti lasci a casa?»
ribatté Juna.
Sharon batté le mani, «Mi ci porta!! Papà, dovrai
darmi la paghetta in anticipo!!»
«Includetemi nel programma» disse Georgie
studiando i fermagli.
Justin scoppiò a ridere, «Juna, ti sei appena tuffato
in un mare di guai!»
«Grazie Juna, sono bellissimi» disse Jennifer
ancora sbalordita.
«Mh, basta che non li usi troppo spesso.»
«Perché non dovrebbe?» chiese Jeremy sorpreso.
«Preferisco quando ha i capelli sciolti» fu la
risposta di Juna.
«E cosa glieli hai regalati a fare?» s’informò
altrettanto sorpreso e un po’ incuriosito Patrick.
«E’ sempre alla caccia di pinze e affini.»
Un coro di risate salutò la logica di ferro del
suo migliore amico!
Anche Jennifer scoppiò a ridere. «E’ vero!! Ma
questi non li perderò mai, te lo giuro!!» esclamò.
«E quando potrebbe usarli?» chiese Madeline
interessata.
«Beh, quando studia, quando mangia… quando è a
scuola.»
E lui non l’aveva sott’occhio… un genio.
«Allora ragazze» prese la parola Georgie,
«ricordiamoci di metterci d’accordo su quando prenderlo e portarlo con noi.»
«Verrei volentieri anche io» disse timidamente
Diana… prendendo per la prima volta la parola da quando era cominciata la festa.
«Sei la benvenuta cognatina: più siamo e più
possibilità abbiamo di aver ragione di lui» sentenziò Georgie.
Juna alzò gli occhi al cielo, «Drake, Just…
tenetevi liberi. E dovrò mobilitare anche Gary.»
«Amore, andiamo a fare shopping?» chiese Justin
rivolto alla fidanzata.
Diana annuì felice.
Justin sorrise soddisfatto.
«E’ l’unico felice alla prospettiva» prese atto
della realtà.
«E’ l’unico fidanzato»
gli fece notare Juna.
«Cosa stai cercando di insinuare?» chiese Manaar.
«Io non sto
cercando di insinuare niente, mamma, io sto
dicendo che…»
Ritenne più saggio chiudere la bocca a Juna.
Altre risate.
Juna si liberò dalla sua presa divertito, «Sei già
più là che qua» lo avvisò.
Alzò gli occhi al cielo… e ritenne di nuovo più
saggio non ribattere.
Sua figlia non aveva esagerato descrivendole quei
due.
E neanche i relativi genitori.
Era felice che alla fine Aaron avesse abbattuto le
sue reticenze e l’avesse convinta a partecipare a quel rinfresco.
Sharon in quel momento era felice da risplendere.
Era così felice per la sua bambina.
Drake era davvero un bel ragazzo, spigliato e con
senso dell’umorismo.
Il suo sguardo fu di nuovo attirato da Juna.
Era strano che suo marito non le avesse mai
parlato di lui… era molto raro che Aaron istaurasse rapporti che sfociavano
negli abbracci, e il gesto verso quel ragazzo era stato spontaneo e naturale.
«Ne gradisce uno?»
La voce di Manaar la riscosse, abbassò lo sguardo
su un vassoio di bignè.
Ne prese uno e le sorrise, «La ringrazio.»
Manaar, che aveva passato a Juna tutto quello che
una madre poteva trasmettere ad un figlio maschio, rispose al sorriso.
«Signor McGregory…» cominciò suo marito
rivolgendosi al padre di Juna.
L’interessato rise, «Mi chiami Connor, per favore.
In questa casa le potrebbero rispondere in sei altrimenti!»
Suo marito asserì, «Allora io sono Aaron, intesi?»
«Intesi!»
«So che forse non è il momento migliore, e mi
scuso con Jennie, ma è la prima occasione che mi capita a tiro: qual è stata la
causa del malore di Juna?»
Rimase troppo stupita.
«Perché lo chiedi a lui?» chiese Sharon
sbalordita.
«Perché voglio sapere la verità… e Juna tende a
glissare o minimizzare su certi argomenti. Specie se lo riguardano. Sta sempre bene.»
Manaar stava fissando il figlio, «E se ti
conosce…»
«Ecco perché andate così d’accordo» commentò lei.
«Riservatezza è una delle vostre
parole preferite.»
Juna stava fissando Aaron fra il rassegnato e il…
non sapeva neanche lei cosa.
Connor spiegò la causa del crollo fisico del
figlio nel silenzio più assoluto.
«… ovviamente ha ripreso a fare quegli esercizi»
concluse Connor. «Purtroppo per il bene della compagnia non ho potuto oppormi
quando, una volta perfettamente guarito, ha deciso di tornare a lavorare… ma è
ben lontano dai ritmi folli che aveva fino a qualche mese fa.»
«Quanto è il tuo punteggio?» chiese incuriosita.
«Duecentosessanta» rispose Juna.
Rimase a bocca aperta, «Cosa? Stai scherzando?»
Il ragazzo scosse la testa.
«Oh Gesù… neanche riesco ad immaginarlo!» ammise.
«Mamma, pensavi che stessi scherzando quando ti ho
detto che nel giro di venti minuti ha ripassato tutto il programma di storia,
di inglese e di arte per aiutarmi?» chiese Sharon «Ci vedremo ancora una volta
prima del mio esame, ma per scrupolo.»
«Quanto prevedi di media per mia figlia?» chiese
suo marito rivolto al ragazzo.
Juna ci pensò qualche secondo, «Dipende dal
nervosismo. Direi dall’otto al nove.»
Sharon lo abbracciò di slancio, «Ti promuovo a
portafortuna!!» esclamò.
Juna scoppiò a ridere rendendole l’abbraccio. «Non
hai bisogno di fortuna! Vedi di non farti prendere dal panico!»
Rimase senza parole per la seconda volta nel giro
di un’ora.
Lanciò un’occhiata a Drake che stava sorridendo.
Jennifer seguiva la scena con un sorriso.
Quindi era naturale che sua figlia abbracciasse
quel ragazzo?
Ma che stava succedendo? Solo il padre batteva
Sharon in quanto a riservatezza dei propri sentimenti.
Non riusciva a crederci.
Doveva pensare che Juna fosse molto più attento a
lei di quanto supponesse?
Quel regalo le aveva fatto un piacere che l’aveva
sorpresa.
Sharon abbracciò Juna, «Ti promuovo a
portafortuna!!» esclamò.
Juna rise rendendole l’abbraccio, «Non hai bisogno
di fortuna! Vedi di non farti prendere dal panico!»
Rimase a fissarlo imbambolata.
Dio, era… bellissimo in quel momento. Sembrava
stesse risplendendo di luce propria.
Sorrise.
Senza neanche sapere il perché.
«Allora principessa, contenta dei regali?» le
chiese suo padre cingendole le spalle.
Distolse l’attenzione da Juna.
«Sì, sono bellissimi. Grazie infinite a tutti» disse
rivolgendosi agli invitati.
Le rispose un coro.
Michael le tirò il vestito e automaticamente lo
prese in collo.
«Sei felice?» le chiese il suo fratellino.
«Sì. Moltissimo.»
«Passiamo al piatto forte del rinfresco?» propose
Madeline.
La domanda la colse di sorpresa, «Quale piatto
forte?» chiese perplessa.
Patrick rise divertito, «Tu e mio nipote siete
riusciti ad arginare mia moglie… ma Maddy ha sempre una risorsa in più!»
«Oh Pat, per favore!» disse Madeline «Che
compleanno sarebbe stato senza la torta?»
«Torta??» esplose Juna «Ricordo male o avevamo
deciso che…?» cominciò.
Madeline sorrise, «Ho cambiato idea.»
«Nonna, parola mia…» riprese Juna.
Madeline agitò una mano, «Juna, sii obiettivo per
favore!»
Charmaine affiancò immediatamente la… beh,
chiaramente la complice, «Lo sai che
tu e Jennie avete gli stessi gusti in fatto di dolci?» lo informò serafica.
Juna si voltò verso di lei, «Millefoglie alla
crema con le fragole?» chiese.
Rimase a bocca aperta, «Ma stai scherzando?»
chiese di rimando.
Lo vide alzare gli occhi al cielo, «Flalagan, io e
te dobbiamo rivedere le basi della nostra coalizione: non può obiettivamente
reggere se poi abbiamo gli stessi punti deboli!»
Esplosero tutti in una fragorosa risata… mentre
Howard, Susan e Anne stavano arrivando con un millefoglie di tre piani.
«Il mio punto vita…» gemette Georgie.
«Amore… fai qualcosa…» supplicò Diana.
«Portarti via o legarti: non vedo altre vie
d’uscita. Cosa preferisci?» chiese Justin.
Sharon le si affiancò, «Amica mia, prevedo momenti
drammatici.»
«Per prima cosa le candeline!» esclamò Madeline
tutta contenta.
«Posso aiutarti a spegnerle?» chiese Michael.
«Certo Michy.»
«Ci aiuterà anche a finire la torta, vero Michy?»
chiese Juna improvvisamente vicinissimo.
«Anche io!!» esclamò Melissa.
Sorrise. «Beh, come si dice… se non puoi combattere
il tuo nemico, unisciti a lui» commentò.
«Ecco il modo giusto di affrontare la cosa!»
approvò Patrick.
«Insomma nonno» disse Juna. «Sei stato proprio tu
a insegnare a mio padre, e poi lui a me, che se non puoi vincere il tuo nemico
lo devi confondere.»
«Vero!!» esclamarono Paul e Ryan.
Patrick si tappò scherzosamente la bocca con una
mano.
Aaron a quel punto stava piangendo da come rideva.
«E immagino tu abbia sempre applicato tale regola a meraviglia!» esclamò.
Juna lo guardò scherzosamente di traverso, «Aaron,
se questo è tutto l’aiuto che mi darai…» scosse la testa e lo seguì nella
risata.
«Dai Jennie» disse Drake con le lacrime agli
occhi, «fuoco alle polveri!»
Il rinfresco era stato un successo, su tutta la
linea.
Erano rientrati in casa quando il Sole era
tramontato e mentre guardava i vari ospiti sistemati nel salotto a parlare in
gruppetti non poteva che congratularsi con sua moglie: sapeva quanto ci fosse
in gioco e aveva superato se stessa.
I genitori di Sharon si erano trovati subito a proprio
agio, a prescindere dal fatto che Juna già conoscesse quell’uomo, e anche il
loro incontro con quelli di Drake era andato a gonfie vele.
Mansur gli si affiancò. «Allora Pat, che ne
pensi?»
«Stavo giusto congratulandomi mentalmente con la
mia dolce metà.»
Lo vide annuire, «Fra me e te, quando pensi che si
decideranno quei due?»
I suoi occhi cercarono e trovarono Juna e Jennifer.
Insieme ai suoi nipoti, a Michael, a Drake, a
Sharon e a Diana formavano il gruppetto più bello e rumoroso che avesse mai visto.
«Credo che mia moglie e tua figlia abbiano visto
giusto: nostro nipote è troppo leale per fare un passo verso di lei sotto
questo tetto.»
Mansur accolse la notizia con un mugolio. «Anche
troppo per essere vero» ammise. «A volte mi chiedo se mio nipote ha un vero
difetto.»
«E’ testardo come un mulo» gli fece notare in un
impeto di onestà.
Mansur mugolò di nuovo, «Ho detto vero difetto» sottolineò.
Scoppiò a ridere, «E mia moglie accusa me di essere poco obiettivo nei
confronti di quel ragazzo!!»
«Non ti lamenteresti se sentissi cosa dice la mia
al sottoscritto…»
«Cosa state confabulando voi due?» chiese Manaar
avvicinandosi.
Mansur prese la figlia e l’abbracciò, «Stavamo
dicendo che oggi non sarebbe potuta andare meglio. Concordi?»
Manaar annuì rispondendo all’abbraccio del padre.
Sua moglie si alzò in quel momento, «Mi chiedevo
se Jessica, Brian e i signori Castlemain ci farebbero il favore di rimanere a
cena» esordì.
Jessica e Corinne stavano parlottando allegramente
con le sue nuore mentre Aaron e Brian erano occupati in un fitto dialogo con i
suoi figli, a quelle parole si voltarono fissando sbalorditi sua moglie.
«Beh…» cominciò Corinne guardando il marito.
«A me va benissimo» disse Aaron, «sto ancora
cercando il momento in cui avere Juna tutto per me.»
«Papà!» lo rimproverò Sharon… con un sorriso
immenso.
Quella ragazza adorava il padre, in maniera
direttamente proporzionale a quanto Aaron Castlemain stravedeva per lei.
In momenti come quello gli rimbombava in testa uno
scambio di idee che aveva avuto con Mansur quando quest’ultimo aveva finalmente
ceduto Manaar in sposa a Connor.
Alla sua osservazione che poteva stare tranquillo
perché la figlia non sarebbe potuta cascare meglio, Mansur lo aveva fulminato
con lo sguardo ribattendo che lui non poteva capire: aveva avuto la fortuna di
avere solo figli maschi.
Aveva aggiunto che era lui a perdere una figlia
mentre luiacquisiva una nuora che valeva oro quanto pesava… e che in ultima
analisi era suo figlio che non
sarebbe potuto cascare meglio.
Adorava ognuno dei suoi figli, ma spesso Madeline
gli aveva detto che gli sarebbe piaciuta tanto una femminuccia da coccolare e
viziare.
Si stava sfogando in questo senso con le nuore e con
le nipoti.
«Aaron, che ne dici di una passeggiata nel parco?
Così libero i cani.»
Si voltò verso il nipote.
Juna era già in piedi.
Segno che aveva appena fatto una domanda retorica.
Aaron non si fece ripetere l’invito due volte.
«Perfetto» stabilì sua moglie. «Brian, Jessica… vi
includo automaticamente» li informò poi.
Juna ed Aaron uscirono dalla sala.
Sharon si voltò verso sua madre, «Ma era proprio
necessario?» chiese.
Corinne guardò la figlia con affetto, «Sai com’è
fatto tuo padre.»
«E poi te l’ho detto Shasha» disse Drake, «meglio
Juna che chiunque altro.»
«Questo è inderogabilmente vero» ammise Jessica.
Brian stava scuotendo la testa, «Io non ho sentito
niente.»
Appena furono ragionevolmente lontani da orecchie
umane, Matthew sospirò. «Te lo dico per puro spirito di cronaca: se fossi
ancora sotto i miei ordini ti saresti meritato una promozione d’oro su due
piedi. Complimenti ragazzo, davvero.»
«Mh, meno di quanto pensi, Matt. Io ho capito
giorni fa che oggi mi sarei trovato davanti te.»
All’occhiata sbalordita del comandante gli spiegò
per filo e per segno cosa era successo.
Matthew alla fine scuoteva la testa, «Mi ostino a
dimenticare che tu ragioni ben al di sopra della media. Ovviamente hai avvisato
anche Drake.»
«Ohlalà… siamo passati ai nomi di battesimo?»
Matthew lo guardò di traverso. «Molto spiritoso.
Penso ancora a te e a Drake come a Darkness e Falcon, è più forte di me. Credo
di non aver ancora superato il trauma delle vostre dimissioni.»
«Fermo restando che penso sia ben altro il trauma che non hai ancora superato…»
Matthew lo gratificò di un’altra occhiataccia, «sappiamo perfettamente che fino
a quando ci sarà un solo Estrada su questo pianeta io e Drake non possiamo
smettere di essere Darkness e Falcon.»
Matthew annuì con un sospiro, «Credimi: non mi è
minimamente di conforto.»
«Lo so.»
Seguì un breve silenzio.
«Pensi che dovremmo essere noi a fare il primo
passo?» riprese.
«Dare la caccia agli Estrada?» tradusse Matthew.
«Sono convinto che loro ci stiano dando la caccia.
Non possono arrendersi solo perché abbiamo ucciso Carlos: perderebbero di
credibilità con le altre famiglie, ti pare?» Matthew annuì con un mugolio
«Credo che Diego abbia preso il comando.»
«Fonti attendibili me lo hanno confermato. Sembra
che abbiano cambiato qualche base, ma non hanno rinunciato a Boston.»
«Hanno rinunciato ai Flalagan?»
Matthew prese qualche secondo per rispondere, «Per
quanto possa valere… sì. Sembra proprio di sì. Tengo d’occhio questa villa da
quando Jeremy ci ha messo piede e non ho notato assolutamente nulla. Cosa che
mi da molto da pensare.»
«Si sono concentrati su un altro bersaglio.»
«Esatto. E temo di sapere quale sia. Vogliono voi
due.»
Si trovò ad annuire.
«Tu e Drake siete armati?»
«Diciamo che all’occorrenza sapremo difenderci.»
Matthew annuì.
«Cosa sai di mio fratello?»
Lo vide sussultare. «Ero convinto che tu non sapessi
niente» ammise.
«L’ho scoperto a quattro anni e Drake lo ha saputo
pochi giorni fa. Correggimi se sbaglio: tu hai saputo della mia esistenza
quando Sharon ha avuto bisogno del trapianto. Probabilmente hai continuato a
monitorare i miei genitori quando hai scoperto le origini del donatore.»
«Tutto esatto.»
«Tu sai perché i miei hanno nascosto l’esistenza
di Jawad?»
Matthew rimase in silenzio.
Arrivarono alla gabbia e l’abbaiare dei cani
riempì l’aria.
«So adesso il suo nome» ammise Matthew.
Aprì la gabbia e i cani si riversarono fuori
facendogli le feste.
«Sai il significato del mio nome?»
«So solo che è arabo. Ha un significato preciso?»
Annuì. «Junayd Kamil. Giovane Guerriero e
Completo, Perfetto. Mio fratello invece si chiamava Jawad Tareq. Che Da' A
Piene Mani e il nome di una stella.»
«Ragazzo… non credo che dovrei essere io a
dirtelo.»
«Credi che dovrei chiederlo ai miei? Matt, chi
altro può dirmelo, senza che scoppi un nuovo sessantotto?»
Matthew accarezzò la testa di Dragar e chiuse gli
occhi.
«Per sopravvivere, hai ucciso tuo fratello.»
«Cosa?»
chiese Darkness.
Annuì. «Ho parlato con il medico che ha
partecipato all’operazione con il professor McIntyre per separarti dal tuo
gemello. Eravate uniti dalla testa al torace… ma tuo fratello era semplicemente
un… un sacchetto dove erano rimasti i
pezzi che non sono serviti a te per sopravvivere. Nei nove mesi di gestazione
hai inglobato il cervello, il cuore e un polmone di tuo fratello. Una volta al
mondo sei stato tu a tenerlo in vita e sei quasi morto per farlo: vi hanno
separato per salvare almeno te. Gli occhi di Jawad sono stati la salvezza di
Sharon e, egoisticamente, non ho voluto sapere altro a riguardo. Mi dispiace.
Appena ho scoperto l’identità dei tuoi li ho tenuti d’occhio e… ho seguito il tuo
sviluppo passo passo. Ecco come sono arrivato a te.»
«E…?» chiese semplicemente Darkness.
Maledizione.
«Matt, non è finita, vero? Te lo leggo in faccia»
chiese al suo silenzio.
«Mi sto chiedendo se non sto facendo il peggior errore
della mia vita a parlartene» ammise. «Voglio dire, dobbiamo tornare là dentro e
cenare tranquillamente con i…»
«Sei stato tu ad addestrarmi, Matthew. Pensi che
non possa reggere a tanto? Mettiamola così: pensa che stai sollevando i miei
dal farlo. Secondo te per chi è più facile affrontare l’argomento?»
Tanto per cambiare, aveva ragione.
«Ok. I tuoi non potevano neanche lontanamente
immaginarlo, ma tutti gli specialisti che ti hanno visitato, erano in contatto
con me. Quando ho saputo che i tuoi
genitori facevano firmare una dichiarazione di segretezza prima di far
visionare le tue lastre, ho capito che era finito il tempo delle buone maniere
e… beh, gli specialisti erano anche al servizio dell’F.B.I.. Ciò che sto per
dirti è il particolare che spiega sia la tua incredibile intelligenza che i
tuoi devastanti mal di testa… ma voglio una promessa da te.»
«Quale promessa?»
«Hai ragione: sono stato io ad addestrati e so che
sei a prova di bomba, fisicamente e psicologicamente. Ma questo, esula dall’addestramento, ragazzo. Esula anche dal mio
lavoro e dalle mie mansioni. Se fosse un qualcosa di troppo… troppo, per te, me lo dirai e accetterai
di parlare con uno psicologo di mia fiducia.»
Darkness rimase… frastornato a guardarlo.
«Matthew, mi hai detto che ho cominciato la mia esistenza uccidendo mio fratello, cosa può esserci di peggio?»
«Promettimelo» insistette. «Non potrò darti tutte
le spiegazioni che meriti a riguardo, dovrò prima fare le ricerche che ho
evitato fino ad ora.»
«D’accordo. Te lo prometto» si arrese.
Respirò profondamente, «Dentro il tuo cranio ci
sono due cervelli. Il tuo e quello di tuo fratello. E’ già un miracolo che tu
sia sopravvissuto, ma che ti rivelassi anche un genio… non credo sia stata
inventata una parola adatta al caso se non miracolo.»
Darkness era una maschera. «Continua» disse poi.
«Sei stato ad un passo dalla morte per i primi
quattro anni della tua vita. Poi hanno scoperto la tua intelligenza. Ed è
proprio lo studiare che ti ha salvato: ha assestato la tua massa celebrale. Non
è molto scientifica come spiegazione, ma è l’unica che posso darti adesso. Quando
ho avuto i risultati del tuo primo test non riuscivo a credere ai miei occhi.
Non hai eguali su questo pianeta, ragazzo.»
I cani si erano sparpagliati intorno a loro, ma
sentiva ancora l’allegro abbaiare. Solo uno di loro era rimasto ben attaccato
alle gambe del ragazzo.
Darkness rimase in silenzio per un po’.
«Mi credi se ti dico che posso reggerla?» chiese
poi «Finalmente capisco tutto.»
«Cosa esattamente?»
«Perché mio padre ha scatenato l’inferno quando si
è trattato di farmi fare il primo test… non sapendo esattamente di cosa si
trattasse, temeva che saltasse fuori questo fatto. Con mia madre ha deciso di
tenere nascosta la perdita di un altro nipote, proprio per mano del nipote
sopravvissuto… le famiglie erano in guerra, all’epoca, e non potevano sapere
cosa sarebbe successo.»
Non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo.
Sì, Darkness poteva reggere. I segni erano chiari.
«Per qualsiasi cosa, Juna… io ci sono. E ci sarò
sempre.»
«Lo so Matt. Lo so, stai tranquillo. Adesso dovrò
affrontare una delle controindicazioni peggiori.»
«Cioè?»
«Dire tutto a Drake.»
«E ai tuoi?»
«Ad oggi non so se affronterò mai il discorso con loro» ammise. «Per me
l’importante era sapere. Onestamente,
non mi interessa che tu faccia altre ricerche in proposito: so tutto quello che
mi occorre adesso. Mia madre e mio padre vivono tranquilli perché pensano che
io non sappia nulla… e mai lo saprò. Lasciamoli vivere tranquilli» sembrò
decidere in quel momento. «Grazie Matt.»
«Di niente ragazzo. Ho un debito immenso con i tuoi… e per ripagarli ho trasformato te in un
killer. Sono ben lungi dal saldo.»
«Torniamo indietro?» propose.
«Certo.»
Si avviò.
«Ah Aaron…»
Si voltò verso di lui perplesso… perché lo chiamava…?
«Per quanto riguarda tua figlia…
penso che Drake ti abbia già detto tutto quello che un padre debba sapere
quando ti ha chiesto quel favore. E
non penso di doverti dire qualcosa su di lui che già non sai.»
Sorrise senza poterselo impedire, «Penso
anche io.»
Quando dopo quasi tre quarti d’ora Juna e Matthew tornarono, era sul
punto di andarli a cercare con una qualsiasi scusa.
«Accidenti» disse Connor, «gli hai raccontato l’intera vita di Drake?»
«Non ci scherzerei» disse suo padre, «la conosce bene.»
Gli sorrise, «Ah ah ah.»
C’era una sola spiegazione: Juna aveva chiesto a Matthew del fratello
omozigote.
Cercò lo sguardo del suo migliore amico e lo agganciò senza problemi.
«Tranquillo» gli disse Juna, «la tua reputazione è intatta.»
«Grazie.»
Juna gli fece l’occhiolino.
Sentì le sue ossa sciogliersi.
La tensione svanire come nebbia al Sole.
Allora era andato tutto bene. La spiegazione del perché l’esistenza di
quella creatura era stata tenuta nascosta era più semplice del previsto.
Forse Manaar e Connor aspettavano solo la maggiore età di Juna per
raccontargli tutto.
Sorrise.
Poteva aspettare di parlare con calma con Juna.
«La cena è pronta per essere servita» disse Howard.
Si alzarono tutti e automaticamente cinse le spalle di Sharon, che
rispose all’abbraccio.
«Ah, ma allora è ufficiale!» esclamò Jennifer.
«Cosa?» chiese senza capire.
«Mica si è accorto che la sta abbracciando…» commentò Connor divertito.
«Macché abbracciando» gli
andò in aiuto Juna, «è inciampato e si è appoggiato a lei che lo ha sorretto,
vero?»
Lui e Sharon si guardarono, mollarono la presa e…
«Quando si dice amicizia…» commentò Justin.
Sharon si voltò verso Jennifer. «Già…»
Jennifer le rispose con un ghignetto. «Ricordati che è il mio
compleanno!»
«… e che la scambiano per la mia fidanzata senza bisogno che ci
abbracciamo» aggiunse Juna.
Jennifer divenne color fragola.
Sharon fu la prima a scoppiare a ridere, seguita da tutta la stanza.
______________________________________________
NOTE:
Forse il fatto che posti alle 2.00 di notte la dice già tutta!!!
Per prima cosa: nihal13, ho
risposto alla tua mail ma il msg mi è tornato indietro dopo 2 gg per un errore. Grazie della mail, mi ha fatto piacere
sapere che senti la mancanza dei post!! Ho provato a rimandarti un’altra mail
all’indirizzo che forse è quello giusto, spero tu l’abbia ricevuta.
Zarah: ehm, no. Non sbagli… *un sorriso diabolico le piega le labbra*
giunigiu95: ti ho tolto qualche curiosità? ;) Grazie
dell’appoggio!
Comunicato stampa: mi trovo in un punto della storia in cui scorrazzo
allegramente con un carro armato su delle uova fresche… ciò che scrivo deve
tornare con quello che ho già pubblicato (lo capite il dramma?) e con quello
che devo ancora scrivere (lo capite
il dramma??).
I tempi forse saranno un po’ più lunghi del solito perché devo
riannodare dei fili che devono reggere
alla fine della storia! XD
Vi chiedo scusa già da ora e faccio appello alla pazienza che so
alberga in tutti voi…!
Grazie a chi mi ha aggiunto fra i preferiti *inchino*
Capitolo 17 *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 17 ***
Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 17
Non
E’ Mai Troppo Tardi
17
«Ah fantastico!» disse Manaar contenta «Anche Sharon passerà
con una buona media allora!»
Le annuì, «Ho riattaccato con lei poco fa. L’hanno chiamata
per ultima, ecco perché ha fatto così tardi… inoltre l’hanno tenuta più di
un’ora, ma non ne ha sbagliata una!»
Juna, sprofondato in una poltrona, sorrideva soddisfatto.
«Perfetto. L’hanno tenuta così tanto per essere sicuri che meritasse il massimo
dei voti.»
Si trovò a sorridergli, «Tanto per cambiare hai ragione…»
Sentirono il suono del campanello e Patrick si voltò verso la
moglie, «Cara, aspettiamo qualcuno?»
Madeline era perplessa, «Veramente no.»
«Andrà ad aprire Howard e ci dirà chi è» disse Paul.
Improvvisamente si sentì un baccano infernale dall’ingresso.
«Ma signori!» la voce di Howard era un paio di ottave sopra la
norma.
Fecero il loro ingresso… o per meglio dire, irruzione in salotto due uomini
chiaramente ispanici.
Michael scattò in piedi, «Voi!» esplose.
Quello che sembrava il più giovane guardò sorpreso suo fratello,
«Ciao Migũelito» lo salutò.
L’altro sorrise a mezza bocca, disse qualcosa in spagnolo. Poi
passò improvvisamente all’americano, «Chi di voi è Connor?»
Connor si alzò in piedi, accigliato e perplesso. «Sono io, chi
vi ha autorizzato a fare irruzione in casa mia?»
In un attimo i due gli furono addosso, «Maledetto» disse
quello più giovane. «Ti abbiamo trovato!»
«Connor!» esplose Manaar vedendo il marito preso d’assalto.
«L’F.B.I. è veramente organizzata» disse l’altro, «se me lo
avessero detto non ci avrei mai creduto. Chi sei, Darkness o Falcon?»
«Ma siete impazziti?» chiese Connor confuso.
«Adesso ti ucciderò come tu hai ucciso mio fratello» riprese
quello più giovane.
«Ma non è lui!» esplose suo fratello «I guerrieri che mi hanno
salvato non sono qui!»
Avevano scambiato Connor per un killer dell’F.B.I.? Ma com’era
possibile?
Nel preciso momento in cui realizzò questo, quello che
sembrava il più grande dei due disse qualcosa in spagnolo al più giovane che si
mosse verso suo fratello… e Juna scattò.
Successe tutto in un attimo.
Disarmò e stordì l’uomo più giovane, in un lampo fu accanto
all’altro, lo prese alla gola sollevandolo da terra, coprì la distanza che lo
separava dal muro più vicino con due falcate tenendo sempre l’uomo sollevato da
terra, e lo fece sbattere violentemente contro la parete.
Per la sorpresa l’uomo lasciò cadere… la pistola?
Oh Dio, aveva una pistola in mano!
«Juna!» esplose Connor.
La voce di Juna suonò come un gelido sibilo, in spagnolo.
«Juna» disse suo fratello, «lui è Diego, il fratello…»
«Lo so Micky» rispose Juna senza staccarsi dall’uomo che
teneva ancora per la gola.
L’uomo stava guardando Juna con occhi sgranati. «La tua voce…»
disse in americano «tu hai ucciso mio fratello.»
La stanza sembrò fermarsi.
«… tu… tu sei un ragazzo… come puoi essere…?» stava ancora
balbettando l’uomo.
Juna gli disse ancora qualcosa in spagnolo… capì solo Estrada
di tutta la frase, poi lo stordì.
Cadde poco distante dall’altro uomo privo di sensi.
Estrada? Perché il nome
le suonava familiare?
Juna si mosse velocemente.
«Cosa facciamo adesso?» chiese suo fratello.
Juna neanche rispose. Prese il cellulare e fece partire una
chiamata. «Prendi tua madre e portarla qui con te. Ho Migũel e Diego
Estrada in salotto e non sono venuti a prendere un tea» disse a chi rispose. Rimase
un attimo in silenzio, poi sospirò, «A questo punto temo di immaginarlo. Se la
sono presa con mio padre comunque, non si aspettavano un ragazzo.» Altra pausa
«Appunto. Vieni subito qui. E portati un’arma. Io esco a controllare che non ci
sia nessun altro con loro. Troverai la zona libera.»
Riattaccò.
Non riusciva a staccare gli occhi da Juna.
«Juna… cosa sta succedendo?» chiese Manaar con una calma
impressionante.
«Cosa vogliono questi uomini da noi?» rincarò Connor «Perché
ce l’avevano con me? Dove hai imparato a stendere la gente così?!»
«Estrada??» esplose all’improvviso suo padre… e allora
le tornò in mente il contesto in cui aveva sentito quel nome la prima volta.
Sentì il sangue gelarlesi nelle vene.
«Oh mio Dio Juna….» disse Patrick in un soffio «sei tu
l’agente che stanno cercando.»
Nel silenzio che seguì Juna rimase immobile, poi sorrise
appena, «Complimenti nonno, ottima deduzione.»
Suo fratello si catapultò verso di lui e gli abbracciò una
gamba, «E’ finita vero? Adesso li ucciderai e non ci faranno più del male!»
Nel silenzio che seguì Juna scompigliò i capelli di suo
fratello e sospirò, «Niente è mai così facile e lineare Micky» disse.
Riprese il cellulare e fece partire una seconda chiamata.
«Vieni a casa mia. Subito.» Pausa «Esatto. Non c’è più niente da nascondere
qui. I fratelli Estrada sono privi di sensi nel salotto di casa mia.» Pausa un
po’ più lunga «Macché! Questi idioti hanno preso mio padre per l’agente. Ho già
avvisato Drake che sta arrivando con sua madre. Preparati a nascondere almeno
una ventina di persone. Ti aspetto. Ah Lewing… vedi tu chi avvisare.»
Riattaccò.
«Lewing?» mormorò Patrick «Oh mioDio… Juna, è il tuo superiore? Ecco perché ti ha
incontrato subito.»
Manaar era terrea. «Juna…» bisbigliò
«Oh Santo Dio…» disse Jeremy «tu sei uno dei guerrieri
che… sei tu che hai riportato a casa Michael.»
Juna fissò suo padre per una manciata di secondi poi sembrò
rassegnarsi all’inevitabile e annuì, «Il mio nome in codice è Darkness. Justin,
trovami delle corde» disse poi rivolto al cugino. «Meglio ancora: del nastro
isolante. Prova in cucina o chiedi direttamente ad Howard. Sbrigati per favore,
non voglio che riprendano i sensi con le mani libere: il fattore sorpresa
funziona una volta sola.»
Justin guardava il cugino come se non lo avesse mai visto
prima, ma all’ordine ricevuto, seguito per di più da una spiegazione più che
convincente, si alzò senza discutere e uscì dalla stanza.
Tornò il silenzio.
Juna era uno dei killers.
Il pensiero le fece quasi esplodere il cervello.
«Come hai potuto?»
La voce di Jennifer fu appena un sussurro.
«Juna, dannazione… una spiegazione ce la devi» disse suo
marito.
«Cinque anni fa sono stato avvicinato da un comandante
dell’F.B.I.» cominciò pacatamente suo figlio. «il generale Lewing è il capo
dell’intera sezione, il mio diretto superiore è l’uomo appena sotto di lui. Non
ero lì per Michael, il mio compito era uccidere Carlos Estrada. Sospettavamo
già un tradimento dalla missione precedente e abbiamo agito con ore di
anticipo. Non ci aspettavano così presto: non hanno spostato Michael e la
sorveglianza era inesistente.»
«Hai detto che mio
padre rischiava di essere ucciso» disse Jennifer bianca come un lenzuolo.
«Tuo padre rischia ancora di essere ucciso, Jennifer.
Come te, tuo fratello e tua madre. E adesso anche la mia famiglia è sulla
vostra stessa barca perché quando gli uomini di Estrada non li vedranno tornare
faranno due più due e capiranno di aver preso di mira la casa giusta.» Fece un
passo verso la ragazza, «Guardami in faccia e dimmi che pensi veramente che
sarei stato capace di uccidere tuo padre.»
Non riuscì a trattenere un singulto.
Suo figlio era un killer dei servizi segreti.
Jennifer sgranò gli occhi. «Non… non lo so.»
«Jennie…» mormorò Michael, «ma stai scherzando? Juna non farebbe
mai male a papà.»
Jeremy si avvicinò a suo figlio e lo abbracciò, «Tant’è vero
che mi hai avvisato del pericolo che correvo senza mezzi termini. Grazie.
Grazie per aver riportato a casa Michael. Capisco perfettamente cosa ti ha
spinto a parlarmi in quella maniera quando ci siamo rivisti a casa mia: era
l’unico modo per mettere al sicuro me e la mia famiglia salvaguardando anche te
stesso. Sapevi perfettamente che Michael avrebbe smesso di cercare i suoi
guerrieri vedendoti… Dio come sono stato cieco.»
Rientrò Justin, «Juna, l’ho trovato.»
Seguito da Howard. «Signorino, le occorre qualcos’altro?»
Juna serrò la stretta intorno a Jeremy, «Vorrei dirti che è
stato un piacere, ma capirai che non è il caso» disse, poi si sciolse dall’abbraccio
e annuì a Howard.
Semplicemente.
«Justin, legali» riprese. «Stringi e non aver paura di fargli
male. Howard… hai presente camera mia?»
Il vecchio maggiordomo annuì, «Credo di sapere cosa le serve…
volevo solo la conferma di poter andare io a prenderla.»
Juna rimase a fissare l’uomo per qualche secondo, poi sorrise
«Adesso mi dici quando lo hai capito.»
«Non mi sono mai permesso di controllarla signorino, ma da
quando è nato il mio primo impegno è servirla e proteggerla. Da qualche mese le
cose sono andate a peggiorare. Lei era molto preoccupato… non ha mai tenuto
tutte quelle armi in casa. E’ stato un autentico sollievo quando l’ho vista
tornare la domenica mattina del fine settimana che i suoi hanno passato dai
parenti della signora Lennie… non ho dormito quella notte e all’alba ero di
nuovo qui.»
Suo figlio sorrise appena, «Ho notato che non sei stato
affatto contento quando ho chiesto che venisse dato il fine settimana libero a
tutti. E’ stato allora che abbiamo realizzato che qualcuno ci dava la caccia e
non potevo pensare ad altro che a me stesso e a Drake, lo capisci?»
Al gesto affermativo di Howard, lo vide chinarsi e raccogliere
le armi degli Estrada.
«Juna, cosa stai facendo?» chiese suo marito.
«Vado a controllare che siano venuti qui soli papà» rispose
calmo suo figlio. «Non aprite la porta di casa per niente al mondo, intesi? Io
ho le chiavi. Non chiamate la polizia. Restate tutti qui dentro.»
«Ma vai da solo?» chiese Justin.
«Così dovrò badare solo a me stesso, Just.»
«E’ una follia Juna, potrebbe esserci un esercito là fuori»
disse Jeremy.
«Conosco questa proprietà come le mie tasche Jeremy e sono
stato addestrato anche per questo. Quando Drake arriverà qui ci sarà sua madre
con lui… avrà sicuramente più problemi di me ad affrontarli.»
«Drake era con te quella notte?» chiese suo marito.
«Io e Drake siamo sempre andati in missione insieme, papà. E’
Drake che ha portato fisicamente Michael fuori da quella villa scavalcando il
muro.»
Suo figlio uccideva le persone e Drake era suo complice.
Suo figlio uscì dalla stanza.
Il silenzio si fece perfetto.
«Papà» disse Justin, «aiutami per favore. Voglio essere sicuro
che non possano liberarsi.»
Si mossero tutti e tre i fratelli.
«Connor…» cominciò Patrick.
«Papà, non farmi domande» lo bloccò suo marito. «Manaar,
parlami.»
Deglutì. Aprì bocca ma non uscì un suono.
Suo marito la guardò, «Tutti i pezzi che non tornavano o non
dovevano esserci hanno trovato il loro posto. Adesso mi spiego molte cose.»
«Anche io» riuscì finalmente a sillabare in un sussurro.
«Siamo nei guai adesso» disse Michael. «Mi sa che dobbiamo
andare via di qui.»
Jeremy prese in collo il figlioletto, «Perché non mi hai detto
niente? Tu hai riconosciuto subito Juna.»
«Quando l’ho visto a casa nostra sono rimasto troppo sorpreso
papà… poi tu la mattina dopo mi hai detto che non avevi trovato i guerrieri…
allora ho capito che dovevo parlare con Juna prima. E infatti Juna mi ha detto
di non dirlo a nessuno… neanche a Jennie anche se era molto spaventata
all’idea che potessero riprendermi. Io sapevo che non mi avrebbero ripreso e
che anche voi eravate al sicuro… ho provato a dirvelo tante volte.»
Sarah chiuse gli occhi, «Adesso si spiega tutto. Il tuo
attaccamento a Juna e a Drake, il fatto che Juna riuscisse a calmarti con una
sola occhiata… Dio che stupida sono stata.»
«Tu, Sarah?» non riuscì a trattenersi «Cosa vogliamo dire di
me? Sono sua madre maledizione!»
«Manaar, non colpevolizzarti» disse Madeline. «Siamo in tanti
in questa casa e nessuno di noi ha mai lontanamente immaginato una cosa del
genere.»
«Non ho mai prestato attenzione a mio nipote» ammise Paul. «Da
questo lato mio figlio era molto più vigile di me.»
«Non è servito a molto, papà» ribatté Justin. «Se penso a
quanto abbiamo parlato ultimamente… e io gli ho rovesciato addosso anche i miei
problemi.»
Seguì un silenzio
pesante come un macigno.
«Ecco come riesce a sentire le persone avvicinarsi» riprese
suo marito mentre teneva le mani ferme a uno di quegli uomini per legarle.
«Ecco spiegata la sua forza fisica. Lo hanno addestrato Dio solo sa per fare cosa. Maledizione,
hanno trasformato mio figlio in un killer.»
Suo suocero prese fiato, «D’accordo. Ascoltatemi per favore.
Adesso la cosa più importante è uscire da questa situazione illesi. Juna in
prima persona. E’ a lui che stanno dando la caccia e in questo momento
ognuno di noi è un pericolo per quel ragazzo perché sono pronto a scommettere
che Juna rischierebbe la vita per salvare uno qualsiasi di noi.»
Suo marito guardò il padre, poi guardò lei. «Certo» disse
amaramente. «Ho aspettato diciotto anni a parlare con mio figlio, che senso ha
avere fretta adesso?»
Altro silenzio.
«Ma Juna dove è andato?» chiese improvvisamente Melissa.
«A controllare che fuori non ci siano altri come loro» rispose
Michael.
«Quindi girerà intorno alla villa?» chiese Ryan «Non riesco a
credere che lo abbiamo lasciato andare da solo.»
Jeremy sospirò, «Ormai mi sembra chiaro che Juna sa quello che
fa. La cosa più intelligente da fare adesso è assecondarlo. Abbiamo donne e
bambini qui, Ryan.»
«Maledizione!» esplose suo marito «Questi sono animali! Se mio
figlio non fosse intervenuto mi avrebbero ammazzato senza pensarci due volte!»
«Connor, perché hanno pensato che fossi tu il killer?»
chiese improvvisamente Lennie «Hanno chiesto direttamente di te. Anche mio
marito e Ryan potevano essere…»
In quel momento rientrò suo figlio.
«Non hanno imparato la lezione di Carlos» annunciò alla
stanza. «Sono solo loro due.»
«Si sentivano sicuri» disse Michael. «Come quando hanno
preparato la trappola per te e Drake.»
Un cellulare cominciò a suonare. Vide suo figlio prendere il
proprio e dare un’occhiata al display.
Tornò verso la porta e si sporse fuori, «Anne?» chiamò «Apri
la porta per favore, è Drake!»
«Avevi dato ordine ai domestici di non aprire?» chiese Paul.
«Sì zio, e Drake deve averlo immaginato: non mi chiama sul
cellulare di solito, ma suona il campanello.» Sbuffò infastidito, «Che altro
può succedere adesso?» sembrò chiedere a se stesso.
Entrarono Drake e Jessica.
Con una sola occhiata Drake inquadrò la scena e si diresse
verso gli uomini a terra. «Sono solo loro due?» chiese.
«Sì» rispose semplicemente suo figlio.
«Essere idioti deve essere una specie di malattia contagiosa,
dalle loro parti. A noi comunque ci fa comodo.»
«Devono aver fatto conto sul fattore sorpresa» disse suo
figlio, «sono piombati qui come tornadi.»
«In quanto a sorprese non abbiamo eguali, amico mio» fu
il commento di Drake. «L’ultima me l’hai fatta giusto ieri l’altro. Li hai
stesi proprio bene.»
«Sei armato?»
«Sì.»
Jessica stava osservando meravigliata i due uomini a terra, a
quelle parole sussultò e fissò il figlio. «Cosa? Che state dicendo?»
Drake chiuse gli occhi mentre si inginocchiava accanto ai due,
«Mamma… c’è una cosa che io e Juna non vi abbiamo detto. Cinque anni fa siamo
stati arruolati dall’F.B.I..»
Jessica rimase immobile. Poi guardò lei. «Ho… ho capito bene?»
chiese.
«Indiscutibilmente la colpa è mia» disse suo figlio. «Mi
tengono d’occhio da quando sono nato, praticamente… e Drake non mi ha voluto
lasciare solo.»
«Ehi compare, cinquanta e cinquanta, ricordi?» disse Drake
mentre controllava le mani al primo uomo cascato a terra sotto i colpi di suo
figlio «Migũel e Diego Estrada. Bel colpo. Cip e Ciop faranno i salti di
gioia. Ciao Michael.»
«Ciao Drake» rispose automaticamente il bambino.
«Drake, Lewing sta arrivando» disse suo figlio.
«Hai telefonato a Matt?» chiese Drake.
«Ci pensa Richard.»
Apparve Howard con… con delle pistole e dei pugnali in mano.
«Howard, cos’è questa roba?» chiese Madeline con un filo di
voce.
«Le mie scorte personali nonna» rispose Juna. «Come sei
messo?» chiese a Drake.
«Ho una pistola carica e un caricatore di riserva.»
«Diego dice di aver riconosciuto la mia voce» riprese suo
figlio. «C’erano dei microfoni o chissà cos’altro. Sapevo che avrei dovuto fare
un controllo, maledizione.»
Drake finì di controllare i due uomini senza dire una parola,
poi si alzò e fissò Juna, «Non fa differenza. Ci danno la caccia, ricordi?
Abbiamo già deciso di eliminarli. Ci siamo giocati la nostra copertura in
famiglia, amico mio, ma se ci pensi bene era il minimo…» scosse le spalle,
«aspettiamo Richard, ok?»
Juna annuì.
Si avvicinò a Howard che gli passò prontamente tutto quello
che aveva in mano.
«Signorino… sono cariche?» chiese l’anziano maggiordomo
preoccupato.
«Sì Howard, ma il colpo in canna lo metto adesso. Fino a
quando non si toglie la sicura, comunque, sono solo pezzi di ferro.»
Vide suo figlio, diciannove anni scarsi, maneggiare pistole e
pugnali come se avesse fra le mani un giocattolo.
Passò qualcosa a Drake che la fece sparire dietro la schiena.
Si scambiarono una rapida occhiata.
«Sharon sa di questa cosa?» chiese Jennifer… con una calma terrificante.
«No» rispose semplicemente Drake. «Le ho accennato che
dovevamo parlare ma… beh, volevo che fosse tutto finito. Io e Juna siamo già
fuori dall’F.B.I.. Abbiamo rassegnato le dimissioni il giorno in cui lui si è
sentito male. Questa è la nostra ultima missione Jennie… e capirai da sola che
dobbiamo portarla a termine: non possiamo passare il resto della nostra vita a
guardarci le spalle dagli Estrada.»
«Cosa maledizione state dicendo??» esplose Jessica spaventata
«Drake, esigo una spiegazione!»
«Jessie, non è il momento.»
«Non è il momento? Manaar, ti rendi conto di cosa ci
stanno dicendo questi due??»
«Sì. Che da cinque anni sono killers dell’F.B.I.. Che io e te,
come madri, sono almeno cinque anni che…»
«Mamma…» cominciò Juna.
«Juna, non credere per un solo istante di passarla liscia. Io
e te dobbiamo parlare. Parecchio. Io non so con che cervello ti sei imbarcato
in una cosa simile a quindici anni… trascinandoti dietro Drake, per di più,
ma…»
«Manaar, non mi ha trascinato da nessuna parte» disse Drake,
fedele come un corvo.
«E tu piantala di difenderlo sempre!!» esplose esasperata
Jessica.
Drake con due passi fu davanti alla madre e la prese per le
spalle, «Smettere di difendere Juna?? E’ la cosa che mi hai insegnato
meglio!» ribatté alzando a sua volta la voce.
«Non cercare giustificazioni!»
«Non cerco giustificazioni perché non ne ho bisogno mamma! In
questi cinque anni, che tu ci creda o no…!»
Suonò il campanello.
Drake mollò la madre e la mano che saettò vuota dietro la
schiena riapparve completa di pistola. Ecco cosa gli aveva passato Juna.
«Aspetti qualcun altro oltre Richard?» chiese a Juna.
Suo figlio scosse la testa, «Obiettivamente? No.»
Drake annuì e uscì dalla stanza.
Si erano detti molto più di quello che era uscito loro di
bocca, come sempre.
Mai avrebbe immaginato le basi su cui si basava quel legame
indissolubile, quella loro complicità totale.
Jessica stava piangendo «Oh mio Dio, come la spiego questa a
Brian?»
Suo marito si passò una mano fra i capelli. «I problemi adesso
sono altri Jessie.»
Stava finendo il mondo.
Non c’erano altre spiegazioni.
L’unica persona che sembrava vivere sempre nello stesso mondo
in cui si era svegliato era suo fratello.
Sua madre aveva ragione. Adesso capiva il suo attaccamento a Juna.
Michael aveva riconosciuto subito in lui uno dei killer che lo aveva riportato
a casa.
Dio quanto era stata cieca. Se si fosse fermata a pensare…
«Micky…» la voce di Melissa era debole debole.
«Lissa, c’è una cosa che non ti ho detto» disse suo fratello.
«Ho fatto un giuramento a Juna e Drake capisci? Ti ho raccontato dei due
guerrieri che mi hanno riportato a casa, ricordi? Sono loro. Quando papà ha
deciso di venire qui ho capito che era tutto a posto. Quando Juna si è sentito
male ero spaventato anche per questo. Non hai idea di quanti uomini lavorano
per questi due e quanto siano cattivi. La situazione è molto grave e noi due dobbiamo dare retta a Juna, ok?»
Melissa socchiuse gli occhi, poi semplicemente annuì.
Drake rientrò nella stanza con un uomo in divisa che riconobbe
subito essere il generale che era venuto a casa sua dopo la ricomparsa di
Michael.
Anche lui fece una panoramica del salotto, poi si rivolse a Juna.
«Stai bene?»
Juna annuì.
«Ho capito come sono arrivati a te. L’ho capito solo ieri e
sto ancora cercando di capire come dannazione ci sono riusciti.»
«Anche io. Ma non parliamone adesso.»
«Quindi sei convinto che io e Matthew non c’entriamo niente.»
«Assolutamente Richard… e da parecchio tempo.»
L’uomo sembrò rilassarsi. «D’accordo. Sta arrivando un
pullman. Porto via i Flalagan, la tua famiglia e quella di Falcon.»
«Mio padre è in Danimarca, Richard» disse Drake.
La madre di Drake sussultò, «Oh Dio, Brian…»
«Tuo padre è già al sicuro Falcon e sta rientrando a Boston
con dei miei uomini fidati. Appena ho sentito Darkness, sono arrivato subito a
lui. Dopo la scoperta di ieri l’intera sezione era in allarme rosso. Lo farò
arrivare sano e salvo dove ho intenzione di portare tua madre entro stasera.
Hai la mia parola.»
«E la mia ragazza?»
Sharon!
«Ci pensa Matthew.»
«Chi è Matthew?» chiese.
«Una persona di cui ci si può fidare» le rispose Juna. «Lui è
il generale Richard Lewing» riprese rivolgendosi alla sua famiglia. «Richard,
immagino tu riconosca mio nonno e la famiglia Flalagan…» in breve fece le
presentazioni, poi… «Howard, organizza le cose per chiudere Villa McGregory fra
massimo mezz’ora» Howard con un cenno della testa uscì dalla stanza. «Richard,
una decina dei tuoi uomini resteranno qui intorno. Prenderanno gli uomini di
Estrada che verranno a controllare dov’è finito.»
Il generale annuì, «Ho già chiamato tutti i disponibili…
quello che non so è a che punto sono» prese il cellulare e uscì dalla stanza.
Prese anche lei il proprio cellulare.
«Jennie, non usare il tuo cellulare per chiamare Sharon.
Prendi il mio: è schermato. Dille di non avvicinarsi a casa mia e di dar retta
a suo padre» disse Juna.
Dopo un attimo di esitazione si avvicinò a Juna e prese il
cellulare che le tendeva. Compose il numero e fece partire la chiamata e Sharon
rispose dopo cinque squilli. «Pronto Juna? Ti stavo…»
«Shasha, sono io.»
«Jen? Ma è il numero di…»
«… di Juna. Senti…»
«Ti richiamo io. Sto parlando con mio padre.»
Fu l’istinto a farle uscire di bocca… «Devo solo dirti di non
avvicinarti a casa di Juna e di dar retta a tuo padre. Non usare il mio
numero.»
Sharon rimase in silenzio, «Cosa sta succedendo Jen?» chiese
angosciata.
«Non posso parlartene al telefono. Ho appena saputo delle cose
incredibili e se sono disposta a fidarmi ancora di Juna lo puoi fare anche tu.»
«Jennie… ho paura.»
«Ho paura anche io… ma affrontiamo un cataclisma alla volta,
ok?»
Sharon respirò profondamente, «Ok. Ci sentiamo dopo. Usa il
numero di cellulare di mio padre.»
«Aspetta, non ce l’ho.»
Ci fu un attimo di silenzio mentre Sharon ascoltava il padre,
«Mio padre dice che Juna ne ha addirittura due. A dopo.»
Rimase con il cellulare in mano, troppo stupita per fare
qualsiasi cosa che non fosse rimanere a bocca aperta.
Chiuse il cellulare lentamente.
«Allora?» chiese Juna.
«Hai due numeri di
cellulare del padre di Sharon?»
Drake alzò gli occhi al cielo, «Tombola…»
In quel momento squillò il cellulare di Drake.
«Scommettiamo chi è?» continuò il ragazzo «E’ lei» informò Juna
dopo aver dato un’occhiata al display. Poi prese la chiamata, «Ciao amore.»
Eccolo, il Drake che aveva conosciuto.
«No Shasha. Purtroppo non posso affrontare la cosa al
telefono. Non con te.» Nella pausa per ascoltare cosa diceva Sharon lanciò
un’occhiata a Juna. «Certo, è qui, te lo passo.» Altra pausa, «Lo so.» Altra
pausa «Significa che lo so. Ti
ricordi che quando abbiamo stabilito che appena archiviavi l’esame di maturità
diventavi automaticamente la mia ragazza ti ho detto che c’erano delle cose di
cui avremmo parlato? Ecco, siamo inciampati sopra una di esse.» Chiuse gli
occhi, «Tuo padre ti ha detto la verità.» Altra pausa «Quando ti spiegherò
tutto capirai. O almeno me lo auguro.» Altra pausa «D’accordo. Sta’ tranquilla
tesoro. Ti passo Juna.»
Juna prese il cellulare. «Ciao, dimmi.»
«Non solo mio padre è un agente dell’F.B.I. e tu e Drake
lavorate per lui… ma forse ho capito anche perché per te provo qualcosa che non
ho mai saputo spiegare.»
Sorrise, «Io l’ho capito guardandoti negli occhi.»
«Ecco, lo sai allora. Juna, mio padre mi ha detto che siete in
pericolo adesso. Io e te dobbiamo parlare, e parlare seriamente, quindi vedi di
non farmi scherzi. Ti scongiuro: stai attento.»
«Non preoccuparti.»
«Tu e mio padre ragionate con lo stesso cervello, come
dannazione faccio a non preoccuparmi? Ti passo mio padre.»
«Ok.»
«Darkness?»
«Ciao, come devo chiamarti?»
«Matthew. Quando questa storia sarà finita, Aaron… perché a
quel punto sarai il migliore amico del fidanzato di mia figlia… fra le altre
cose.»
Non riuscì a trattenere un sorriso, se non altro prima della
bomba era riuscito ad aggiornare Drake su cosa aveva saputo da Matthew riguardo
il suo gemello e… la situazione della sua scatola cranica. «D’accordo. Dimmi.»
«Sei forse l’unica persona al mondo che mi ha nascosto
qualcosa. Richard mi ha detto che sai da ieri che hanno violato il suo computer,
vero? Hanno trovato traccia della ricerca che hai fatto su Jawad e sono
risaliti ai McGregory. E’ ufficiale: abbiamo ancora una talpa fra di noi.»
«Sì, e una di quelle che hanno accesso alle passwords.»
«Archiviati gli Estrada, io dovrò chiedere l’ultimo favore a
te e a Falcon.»
«Lo avevo immaginato. Sappi comunque che se la sono ripresa
con mio padre.»
«Abbastanza ovvio se ci pensi: hai solo diciannove anni
ragazzo mio.»
«Li ho disarmati facendo leva sul fattore sorpresa, infatti.»
«Dimmi solo sì o no: sei ancora dell’idea di non parlare ai
tuoi di quello che ci siamo detti alla festa?»
«Direi di no. Dovrò dare delle spiegazioni, ti pare? Ascoltami
adesso: Diego Estrada ha riconosciuto la mia voce, effettivamente ho avuto una
scambio di idee con Carlos prima di ucciderlo. La villa era tenuta sotto
controllo?»
«All’interno vuoi
dire? Maledizione, non lo so. Troverò quella registrazione e la farò sparire.
Dove sono gli Estrada?»
«Distesi sul pavimento del salotto di casa mia ancora privi di
sensi.»
«Ci sei andato leggero eh ragazzo?»
«Ho fatto un notevole sforzo di volontà per non rompergli
l’osso del collo, Matt» lo informò in un impeto di sincerità.
«Ti avrei capito e coperto come al solito, sappilo.»
«Ho pensato che potessero esserci più utili da vivi… per ora.»
«Hai pensato bene. Hai Richard a portata di voce?»
«Certo. Te lo passo.»
«Ci vediamo fra poco.»
«Vieni qui?» chiese sorpreso.
«Mia figlia e mia moglie seguiranno la tua famiglia.»
«Allora saranno in una botte di ferro. A fra poco.»
Mentre passava il cellulare a Richard, Drake lo stava
guardando sorpreso, «Ho capito bene?»
Annuì.
Con la coda dell’occhio vide un movimento di Migũel e
capì che almeno uno degli Estrada si stava riprendendo.
«Che è successo?» chiese in spagnolo «Diego!» esplose come
vide il fratello a terra «Madre di Dio, Diego, rispondimi… perché sono legato?»
«Per evitare che tu faccia altre cazzate, tipo quella di
essermi venuto a cercare» rispose in spagnolo.
Migũel si girò di scatto verso di lui cadendo quasi di
schiena. Lo fissò sbalordito per qualche secondo, poi… «Tu? Sei un ragazzo,
com’è possibile che tu sia uno di loro?»
Drake gli si affiancò, «Non mi presenti?»
«Lui è Falcon, per la cronaca.»
Migũel li fissò sbalordito. «Mi state prendendo in giro»
disse passando all’americano. «Non è possibile che voi due siate Darkness e
Falcon.»
In quel momento Diego si mosse. «Che cazzo…?» cominciò in
spagnolo.
Con uno scatto si tirò a sedere e si guardò intorno, sembrò
trovare quello che stava cercando quando vide il fratello, «Migũel, stai
bene?»
Migũel annuì senza staccare gli occhi da loro.
Diego seguì la traiettoria e li vide. «Maledetto bastardo…»
«Salve Diego Estrada» lo salutò in spagnolo. «Lui è Falcon e
tu sei nei guai» lo informò con il migliore dei suoi sorrisi.
«Come possono essere questi due?» chiese Migũel al
fratello in spagnolo «Li vedi? Avranno sì e no vent’anni.»
«Non posso sbagliarmi: la voce di Darkness è la stessa del
nastro. E’ stato lui a uccidere Carlos.»
«Già che siamo in argomento: quale nastro?» chiese.
Diego sputò in terra.
Assunse l’espressione più rassegnata del suo repertorio e si
avvicinò a Migũel. Con il calcio della pistola lo colpì in piena faccia.
Fare molto male senza lasciare segni.
Con un ruggito Diego fece per alzarsi ma con una spinta lo
fece schiantare contro il muro.
Sentì un gemito alle sue spalle.
Riconobbe senza problemi sua madre.
«Signore, siete pregate di lasciare la stanza se pensate di
non reggere a tanto» disse senza voltarsi. «Non userò certo il guanto di
velluto con gli stronzi che hanno rapito Michy e puntato una pistola contro mio
padre.»
«Lascia stare mio fratello!» esplose Diego.
«Facciamo un patto Diego» ribatté in spagnolo. «Io non vi
smonto pezzo per pezzo, cominciando proprio da tuo fratello, e tu inizi a
collaborare. Non ho tempo da perdere. Moltiplica per mille tutto quello che
pensi di essere capace di fare per salvare tuo fratello e non arriverai neanche
ad un decimo di quello che posso fare io per la mia famiglia. Io e Falcon non
ci siamo guadagnati la fama con cui ci conosci anche tu con le buone maniere.»
Per fortuna nessuno dei suoi capiva lo spagnolo…
«Abbiamo avuto il nastro dal nostro aggancio» si arrese
direttamente Migũel dopo qualche secondo di silenzio.
«Sicuramente non da Flyer. Chi è questo boy scout?»
«Non sappiamo il nome» disse Diego.
«E ti aspetti che ti creda?» Gli lesse in faccia cosa aveva
intenzione di fare e lo prevenne «Risputa in terra e faccio veramente male a
tuo fratello. Hai la mia parola.»
La sua calma gelida dovette convincerlo perché ingoiò senza
profferire parola.
«Non preoccuparti per me Diego» disse Migũel.
Sorrise appena, «Facciamo i coraggiosi Migũel.
Effettivamente non credo tu abbia intaccato la scorta per rapire un bambino di
quattro anni, vero?»
Migũel si morse il labbro inferiore.
«Lui non era d’accordo» disse Diego. «Il bambino ne è
testimone: Migũel è sempre stato gentile con lui. L’idea del rapimento è
stata di Carlos. In realtà voleva prendere…»
«… la figlia. Lo so. Doppiamente vigliacco. E’ anche per
questo che gli ho sparato molto volentieri. Non hai ascoltato attentamente il
nastro, Estrada.»
«Carlos ha fatto partire il congegno appena si è reso conto
che c’era qualcosa che non andava» disse rabbioso Diego, «comincia con la voce
di Ernando che ti supplica di non…!»
Si bloccò come rendendosi conto di essersi tradito. Non c’era
nessun aggancio dopo Flyer?
Perché non era pronto a crederci?
Come avevano fatto ad entrare nel computer di Richard?
Aprì bocca per formulare la domanda in spagnolo, ma…
«Volevate prendere la mia sorellina???» esplose la voce
di Michael.
Diego e Migũel si voltarono sorpresi verso di lui.
Michael era accanto a lui, pugni chiusi lungo i fianchi e le
lacrime agli occhi. «Spero che vi uccida!» esplose gridando e lanciandosi
contro Diego a pugni alzati «Siete cattivi e non meritate di vivere! Spero che
vi uccida!!» continuò a gridare colpendo Diego Estrada al torace con tutta la
forza che aveva.
Jeremy apparve accanto a lui e prese il figlio in braccio
staccandolo da Estrada, «Ssssshhh Micky. Non dire queste cose.»
«Per lei sarebbe servita davvero la visita che hai fatto fare
a me!» continuò a gridare il bambino, gli occhi gonfi di lacrime.
Jeremy chiuse gli occhi.
Michael aveva le idee molto chiare.
«Tesoro?» la voce di Jennifer suonò incredibilmente dolce.
Michael si gettò addosso a lei piangendo, «Oh Jennie…!»
«Ssshhhh… basta, è finita. Juna non permetterà che succeda. Me
lo hai detto anche tu, ricordi? Adesso so che hai ragione. Calmati.»
Con un’occhiata a lui portò il fratello fuori dalla stanza.
«Io non ho idea di come possiate solo pensare di commettere azioni del genere e continuare a guardarvi
ogni mattina allo specchio» disse calmo Jeremy, «ma farò tutto quanto è in mio
potere per far sì che voi due non vediate più la luce del Sole se non a
scacchi.»
Detto questo prese Sarah per un braccio e seguì i figli.
Suonarono alla porta.
«Blocca Howard» disse rivolto a Drake. «Pensaci tu.»
Drake annuì e corse fuori dalla stanza.
Rientrò dopo pochi secondi con Matthew e un altro uomo.
Anche se non lo avesse già saputo da Matthew, lo avrebbe
capito dall’espressione del suo migliore amico: c’era anche Sharon
nell’ingresso… probabilmente era rimasta con Jennifer.
«Signor…» cominciò suo padre sorpreso.
«Comandante Matthew Farlan, signor McGregory. Sono il diretto
superiore di suo figlio.»
La sorpresa di suo padre si fece quasi comica.
«Noi dobbiamo parlare» riprese Matthew, «prometto a lei e a
sua moglie di darvi tutte le spiegazioni che meritate… che sono tante.» Si
rivolse a lui e a Drake «Adesso però dobbiamo pensare a mettere al sicuro i
civili. Lui è il superiore di Richard, ragazzi, uno dei gran capi di cui vi ho
parlato. Gerard, loro sono Darkness e Falcon.»
L’uomo, del quale era chiaro che avrebbero solo saputo che si
chiamava Gerard, li stava guardando a bocca aperta, «Stai scherzando Matt? Sono…
sono due ragazzi.»
«Questa l’ho già sentita oggi» non riuscì a trattenersi.
«Gerard, fai velocemente amicizia con l’idea per favore, sono
anni che mi tartassi per incontrarli: eccoli qui» disse Richard. «Darkness è
l’agente che ha imparato a memoria quella lista» aggiunse… e lui non riuscì a
trattenere un sorriso sentendo la chiara nota di orgoglio nella sua voce.
Mentre Gerard lo stava ancora fissando con occhi sgranati, Richard
riprese, «E’ arrivato il pullman?»
«Ce… certo… oh Dio, sono due ragazzi…»
«Gerard? C’è anche il governatore con la sua famiglia.»
Gerard spostò lentamente l’attenzione su Richard, «Sei riuscito
a sorprendermi Richard. D’accordo. Li porto dove stabilito?»
Richard scosse la testa, «A loro ci penso io. Ti spiego per
strada cosa faremo. Darkness e Falcon… anche voi conoscete il luogo.»
Lui e Drake annuirono. Richard gli aveva detto dove portava le
loro famiglie senza dire un luogo o un indirizzo precisi.
Gran bella cosa, la mamma.
«Scusate… e mio
figlio?» chiese sua madre.
«Signora, Darkness e Falcon devono portare a termine questa
missione. Ancora non posso considerarli dei civili» rispose Matthew.
«E cosa sarebbero?» chiese Jessica.
«Erano agenti sotto copertura. Adesso sono agenti ai
miei ordini.»
«Drake…»
La voce di Sharon arrivò dalla porta.
Drake fu un fulmine: le si parò davanti e la spinse fuori
dalla stanza.
Suo padre fissava Matthew come se non trovasse una logica alla
sua esistenza, «Non siamo i soli a cui deve spiegazioni.»
Matthew rimase a
guardarlo in silenzio per qualche secondo, poi annuì. «Ho già cominciato a
darle, mi creda. Bene signori» riprese poi. «Seguite il generale Lewing. Vi
dirà cosa fare una volta lontani da qui. Gerard, stavolta la sezione va
smontata pezzo per pezzo, te ne rendi conto?»
L’uomo gli annuì
senza staccare gli occhi da lui. «Quanti anni hai?» gli chiese.
«Diciotto e mezzo.»
Gerard chiuse un
attimo gli occhi, «Come sei riuscito a memorizzare tutti quei nomi?»
«Ho un I.Q. largamente
al di sopra della media che mi permette di memorizzare qualsiasi cosa
semplicemente guardandola.»
«Una specie di…
memoria visiva?»
«Eidetica, per
l’esattezza. Riesco a leggere più di ventimila parole al minuto memorizzandole
automaticamente.»
Gerard sorrise
appena, «Sbalorditivo. I nostri migliori agenti non hanno vent’anni» disse come
prendendo atto della realtà. Si rivolse a Matthew, «Complimenti Matt. Davvero.
Una mossa azzardata ma geniale.»
Matthew annuì
appena. «Muoviamoci adesso.»
Suo nonno si staccò dal gruppo e si avvicinò a lui. «Juna…»
cominciò.
«Non preoccuparti nonno. So badare a me stesso.»
«Sei sicuro che non ti occorra aiuto?» chiese Justin «Resto
qui con te.»
«No Just. Preferisco saperti lontano da qui. Pensa a loro.»
Drake tornò nella stanza, «Il pullman è pronto.»
La sua famiglia uscì in modo ordinato dalla stanza lanciando
occhiate a lui.
Sua madre non fece un passo verso di lui, segno più che
evidente di quanto fosse sotto shock.
«I miei uomini li troveranno» disse Diego alle sue spalle.
Non riuscì a trattenere un sorriso e si voltò verso di lui,
«Ne dubito: saremo noi a trovare prima loro… e tu ricordi bene cosa è successo
l’ultima volta che li ho trovati, vero? Ho la sana abitudine di non lasciare
testimoni. Ancora non hai idea di quanto possa essere persuasivo, Estrada.»
Il sorriso svanì dalla faccia di Diego Estrada.
Cominciarono a salire sul pullman in silenzio.
Paul, Lennie, Georgie, Justin… sua madre era a metà della
scaletta quando… «Ma i nostri domestici?» chiese improvvisamente suo padre «Non
sono in pericolo rimanendo qui?»
«Quanti sono?» chiese il generale Lewing.
«Eccoli, stanno arrivando» disse Elisabeth aprendo bocca per
la prima volta da quando erano entrati in casa i due Estrada.
Howard aveva un’espressione contrita, «Il signorino mi ha
ordinato di seguirvi» spiegò come scusandosi.
«Juna adesso deve pensare solo a proteggere se stesso» disse
sua madre.
«Darkness e Falcon sono in gamba. Sono usciti illesi da
situazioni ben peggiori di questa» disse Lewing.
«Mio figlio si chiama Drake, generale» disse Jessica.
Lewing la guardò per qualche secondo, poi sorrise appena,
«Appunto signora, l’agente si chiama Falcon.»
Jessica rimase senza parole, salì sul pullman davanti a sua
moglie senza aggiungere altro.
Si spostò per far passare Sharon e sua madre… la stessa donna
che aveva allegramente chiacchierato con loro in quel momento non osava alzare
lo sguardo da terra, «Salite, prego.»
«Grazie Connor» disse Sharon… fra l’altro saldamente ancorata
ad una mano di Jennifer.
L’altra mano di Jennifer teneva Michael… e Melissa era
attaccata a Michael.
«Ma Juna è al sicuro?» chiese sua nipote «Cosa facciamo se…?»
«Li ho visti in azione Lissa» disse Michael, «Juna sa quello
che fa. Ci ha detto di seguire il generale e noi seguiremo il generale.»
Tutti gli sguardi si puntarono sul bambino.
Santo Dio. Che calma e tranquillità.
Suo figlio avrebbe potuto dirgli di gettarsi dalla cima di un
grattacielo senza paracadute e Michael avrebbe eseguito alla lettera.
«Va bene» disse Melissa e salì sul pullman dietro Michael.
Jeremy gli passò davanti e i loro sguardi si incontrarono.
Scosse la testa, «Non riesco a crederci, Connor.»
«A chi lo dici.»
«Signor McGregory…» lo chiamò Howard. Quando ebbe la sua
attenzione, riprese, «Il signorino mi ha anche detto di portare con noi i cani.
Tutti. Li sta andando a prendere e li…»
In quel momento apparve suo figlio, seguito dai cani.
«Papà, portatevi dietro anche loro» disse.
Non riuscì a evitare di fissarlo. Eppure sembrava sempre lo
stesso.
I cani salirono sul pullman uno ad uno. Solo Lizar rimase
accanto a Juna.
Suo figlio si chinò sulla cagna e le parlò dolcemente per
qualche secondo, poi la prese per il collare e la indirizzò verso la scaletta.
Lizar lo guardò supplichevole. Guaì appena.
«Lizar, ho detto sali» ordinò perentorio suo figlio.
Sentì abbaiare. Era Dragar, in cima alla scaletta, che
richiamava all’ordine la propria compagna.
Lizar salì le scalette come un condannato a morte si avvia al
patibolo.
Forse la cagna percepiva il pericolo in cui stava lasciando il
padroncino?
«Juna, almeno Lizar tienila con te» disse ancora prima di
pensarla.
«Ma papà…»
«Almeno lei» ripeté.
Suo figlio lo guardò per qualche secondo, poi si arrese.
«Lizar, vieni qui» disse.
La cagna gli fu praticamente in collo, in un battito di
ciglia.
Dragar con molta calma scese la scaletta.
Il generale Lewing seguiva la scena con interesse. «Ragazzo,
ho l’impressione che avrai due pseudo damigelle» disse.
«E’ più facile dividere la Terra in due, piuttosto che
separare loro» commentò suo figlio. «D’accordo delinquenti, rimanete entrambi
con me.»
Dovette salire sul pullman, non sapeva cosa dire a suo figlio.
Il generale Lewing scambiò poche battute con suo figlio, poi
salì anche lui.
«Richard, papà?» chiese la voce di Sharon.
«Rimane qui con Darkness e Falcon» rispose il generale. «E’ il
loro diretto superiore, Sharon e ha delle responsabilità.»
Presero posto… e non poté non notare che sua moglie era molto
vicina alla madre di Sharon.
Jennifer e Sharon erano sedute vicine e ognuna di loro aveva
in collo uno dei bambini.
Melissa aveva scelto Jennifer.
Lui prese posto vicino a suo fratello Paul.
«Connor, tutto ok?» chiesePaul.
«Richiedimelo quando sarà tutto finito»… e soprattutto se
alla fine di questa maledetta storia rivedrò mio figlio vivo, aggiunse
mentalmente… e al solo pensiero si sentì morire.
Stava lasciando suo
figlio, armato, contro dei trafficanti di droga.
Maledizione, adesso era tutto chiaro.
«Ecco cosa preoccupava Juna» disse la voce di suo padre.
Si era seduto dall’altro lato dello stretto corridoio.
Annuì passandosi una mano sugli occhi. «Come ho potuto non
accorgermi di qualcosa?» chiese neanche lui sapeva a chi «Cinque anni.
Cinque! Ecco cosa facevano nei fine settimana, maledizione! E noi ci
preoccupavamo di possibili nuore!!»
«Ti sei accorto di qualcosa Connor» disse Paul, «ma come
potevi immaginare una cosa simile?»
Calò il silenzio… e improvvisamente sentì i singhiozzi di sua
moglie.
Oh
maledizione…
Scattò in piedi e la trovò in fondo al pullman con la madre di
Sharon.
La signora Castlemain le stava tenendo una mano.
«Tesoro…» cominciò.
«Si sieda signor McGregory, la prego» disse la signora
Castlemain. «E’ da tanto tempo che volevo conoscervi. Mi dispiace affrontare il
discorso così, ma mio marito si è raccomandato di farlo subito e il più
possibile lontano dagli altri.»
«Manaar, ti occorre qualcosa?» chiese Lennie alle sue spalle.
«No Lennie, ti ringrazio» mormorò sua moglie. «Per favore,
assicurati che non si avvicini nessuno. Io e Connor dobbiamo parlare con la
signora Castlemain.»
«Di cosa si tratta?» chiese prendendo posto accanto a sua
moglie e abbassando la voce.
«Connor… amore, Connie mi ha spiegato come ha fatto suo marito
a… a sapere dell’esistenza di Juna.»
«Avrei preferito sapere quello che mio marito mi ha confessato
solo oggi prima di incontrarvi la prima volta, signor McGregory…»
«Eravamo rimasti d’accordo che mi chiamo Connor.»
Corinne sorrise sollevata, «Connor. Io e mio marito abbiamo un
debito enorme nei vostri confronti. Le giuro che non sapevo che suo figlio
fosse agli ordini di mio marito…» Prese fiato, «Aaron si è deciso a parlarci di
questa situazione… nel suo insieme, solo oggi… dopo la telefonata di Richard.»
Lanciò un’occhiata alla figlia che non si era mossa dal posto accanto a
Jennifer. «Sharon è nata il giorno dopo rispetto a vostro… ai vostri figli.»
Sentì chiaramente il colore fluire dal suo viso. Aprì bocca
senza esito perché il respiro era compresso nei polmoni e non voleva saperne di
uscire.
Corinne annuì, «Mio marito mi ha finalmente parlato
dell’esistenza del gemello omozigote di Juna… Jawad. Dico finalmente
perché è da quando è nata mia figlia che mi pongo domande sull’identità del
neonato che adesso so essere Jawad. Vedete… mia figlia è nata con una
gravissima malformazione alla retina e gli occhi di vostro figlio sono stati
subito disponibili e compatibili. Gli occhi di Sharon sono stati trapiantati da
Jawad. All’epoca non ci dissero niente riguardo il donatore… ma mio marito è
testardo e alla fine è riuscito a risalire a voi… di seguito ha saputo
dell’esistenza di Juna e delle sue incredibili potenzialità. Mi ha raccomandato
di parlarvene subito perché, a quanto ho capito, la nascita e la morte di Jawad
sono state tenute nascoste. Adesso anche Sharon sa del trapianto… e della
doppia vita del padre.»
«Per favore, chiami sua figlia» disse Manaar.
Sharon rispose subito e si avvicinò.
La guardò attentamente.
Era incredibile.
Manaar le tese le mani, «Vieni qui tesoro» disse.
Sharon si acquattò davanti a lei prendendole le mani. Abbassò
lo sguardo, «Mi dispiace immensamente» disse. «Mio padre è sempre stato… non mi
sono mai posta domande su di lui e non gliene ho mai fatte. Io e mamma non
sappiamo dare una spiegazione a tutto questo. Mi dispiace.»
Manaar le fece alzare il viso e la guardò. «Fatti guardare. E’
un regalo immenso. Pensavo che di Jawad non fosse rimasta traccia se non nei
miei ricordi e in quelli di mio marito.»
Sharon cambiò espressione… e arrivò l’ennesima mazzata.
«Ma Juna sa di suo fratello.»
Fu suo marito a esplodere, «Cosa??»
Sharon sussultò, ma non si mosse.
Guardò prima Connor,
poi di nuovo lei. «So per certo che Juna sa del trapianto perché anche poco fa
al telefono… aspettate, cominciamo da capo, d’accordo? Ho conosciuto Juna
tramite Jennie. Per Drake ho perso la testa diversi anni fa e so cosa significa
amare un ragazzo… quindi quando mi sono trovata davanti Juna ho cominciato a
non capirci più niente. Juna mi fa sentire al sicuro, protetta… ha un effetto
calmante. Mi sono resa conto di volergli bene praticamente la seconda volta che
l’ho visto… e anche Drake l’ha capito, assecondandomi e spronandomi a non
combattere contro questa cosa. Quando Juna si è sentito male sono andata nel
pallone. Da lì ho cominciato a capire: sono figlia unica e in Jennifer e
Michael ho trovato una sorella e un fratellino… ma Juna…» si fermò. «Posso
affermare con assoluta certezza che Juna è a conoscenza dell’esistenza di Jawad
perché anche poco fa al telefono, quando gli ho detto che forse avevo capito il
perché sentivo questo attaccamento verso di lui mi ha risposto…»
Fu lì che capì, «Io l’ho capito guardandoti negli occhi»
ripeté.
«Esatto» asserì
Sharon. «Ho gli occhi uguali identici a vostro figlio, adesso lo so. Anche gli
stessi riflessi. E’ stato addirittura Drake ad accorgersene per primo… per
questo sono sicura che anche Drake sa tutto, o almeno quello che sa anche Juna.»
Strinse forte la mano a suo marito, «Dio, Connor… ecco perché
Drake non ha avuto reazioni quando mi è scappata quella frase durante la
telefonata al professor Cowley! Come avrà fatto a saperlo?»
Non riuscì a trattenersi, «Glielo avrà detto il suo
superiore.»
Sharon scosse la testa, «No. Connor, lo escludo. Ho sentito
mio padre parlare al telefono con Richard e poi con Juna. Ha ammesso che Juna è
forse l’unica persona al mondo che sia riuscito a nascondergli qualcosa. Gli
Estrada sono arrivati a voi perché Juna ha fatto una ricerca dal computer di Richard
su suo fratello… quattro anni e mezzo fa e gli Estrada sono riusciti ad entrare
nel computer e a trovare quella ricerca. Mio padre e Richard erano convinti
che non sapesse niente. Né lui né di riflesso Drake. Invece lo sanno entrambi.»
La vide mordersi il labbro inferiore, «Perché Juna non doveva sapere del
fratello?»
«Perché per sopravvivere, Juna ha ucciso Jawad» rispose
Connie.
«Si intende di parti gemellari?» chiese Connor dopo un breve
silenzio… e riconobbe nella sua voce una traccia di quell’ironia che l’aveva
fatta innamorare.
«Sono laureata in medicina, anche se poi non ho mai praticato
per fare la mamma» rispose Connie. «Posso immaginare com’è andata. Quanti
organi avevano in comune?»
Si sentì improvvisamente più leggera. Che sollievo poterne
parlare.
«Jawad è nato senza massa celebrale, senza cuore e con un solo
polmone. Non aveva scampo. Juna in seguito è quasi morto per tenere in vita
anche il gemello, ma durante la gravidanza lo ha praticamente fagocitato per
sopravvivere.»
«Ecco spiegata l’incredibile attività celebrale di Juna: ha
due cervelli dentro la scatola cranica» disse Connie.
La fissò sbalordita. Detto così sembrava una cosa naturale.
Lei ancora non ci dormiva la notte.
Quella donna le rese l’occhiata. «Mio marito vi ha seguito
passo passo nell’odissea. Non ci vuole molto a capire che è molto affezionato a
Juna. Ha una copia di tutta la sua documentazione medica, lastre incluse e me
le ha fatte vedere. Quando mi ha detto che nella testa di quel ragazzo c’erano
due cervelli non capivo. Non c’è proprio lo spazio… fisico in un cranio per due cervelli e la testa di Juna non è più
grande della media. Poi ho capito: le dimensioni del cervello di Jawad non sono
variate, quindi i cervelli sono due…
ma il volume è a malapena un quarto in più del normale. In caso contrario, cioè
se il cervello di Jawad avesse avuto uno sviluppo normale, Juna non avrebbe
avuto scampo: gli sarebbe esploso il cranio o sarebbe fuoriuscita massa
celebrale da ogni possibile uscita.»
Fu Connor ad annuire, «Inutile dire che Juna non ha mai visto
una sua lastra, vero? Fino ai quattro anni il cranio sembrava sempre troppo
piccolo per quello che doveva contenere… è stato un inferno. Neanche i medici
riuscivano a spiegarsi come potesse essere avvenuta una cosa simile: i due
cervelli si sono praticamente inglobati. Quando ha cominciato a studiare per
prendere la prima laurea è stato come se… non lo so: la massa celebrale si assestasse
nello spazio che aveva a disposizione. Quando mesi fa sono tornati alla carica
quei mal di testa mi sono sentito perduto e quando mio figlio mi ha annunciato
che ricominciava a studiare mi sono sentito rinascere.» Si mise una mano sugli
occhi, «E adesso scopro che è un killer dell’F.B.I..»
«Amore… forse dovremmo cominciare a spiegare qualcosa anche
agli altri.»
Suo marito la guardò.
Resse il suo sguardo, «Non ha senso tenerlo ancora nascosto.
L’unica persona che volevo non lo sapesse ne è a conoscenza. Dovremo parlare
con Juna anche di questo. Non… non ho
più totalmente ragione in questa situazione. Lo capisco adesso. Io ho nascosto
a mio figlio la seppur breve esistenza del fratello e anche mio figlio aveva un
segreto.»
Connor cambiò espressione, «Hai già accettato l’idea della
doppia vita di nostro figlio?»
«Tu no? Amore, fammi la domanda giusta. Continui a ripeterti
che è un killer. Nostro figlio ha ucciso delle persone. Siamo disposti a
perdonargli questo? Io sì. Connor, perdonerei qualsiasi cosa a mio
figlio. Che sia giusto o sbagliato, francamente me ne infischio. In ultima
analisi, so per certo che Juna ci ha perdonato di aver cercato di tenergli
nascosta l’esistenza di Jawad. Non ho idea di quando o come lo abbia scoperto…
ma è da quando respira che ci adora incondizionatamente.»
Connor rimase in
silenzio qualche secondo, poi si alzò. «Vieni con me. Signora Castlemain…
Connie, la ringrazio per la sincerità. Sharon… ho idea che continueremo a
vederci spesso. Capisco solo adesso che fra te e Juna si è creato un legame
particolare… è come se vi foste riconosciuti. E come se non bastasse sei la
ragazza di Drake.»
Sharon sorrise, «Sono anche la migliore amica di Jennie» gli
ricordò.
Oh Dio, Jennifer.
Juna si era forse giocato l’amore di quella ragazza?
Decise di affrontare un cataclisma alla volta.
Seguì suo marito.
Il silenzio che seguì la spiegazione-confessione di Manaar e
Connor fu totale.
Sentiva solo il rumore del motore.
Sharon era tornata a sedersi vicino a lei.
Madeline piangeva a dirotto.
«Io e Manaar ci siamo intestarditi a dare quel nome a nostro
figlio proprio perché… beh, se lo merita tutto» stava dicendo Connor. «Jawad
invece significa Che Da' A Piene Mani… perché non si è tenuto niente per sé.»
Scosse le spalle, «Questo è quanto.»
«Perché non me lo hai detto subito?» chiese Patrick «Connor,
cosa hai in quella testa?»
«Non lo abbiamo detto a nessuno per non farlo sapere a Juna»
rispose Connor, saldamente ancorato alla moglie. «E comunque, papà, alla
nascita di Juna la situazione in famiglia non era la migliore per confidenze
del genere. Larry da parte sua si è impegnato a mantenere il segreto. Adesso
sappiamo che Juna è a conoscenza dell’esistenza di Jawad… quindi, tanto vale.»
«Inoltre» aggiunse Manaar, «sappiamo come il comandante Farlan
sia arrivato a Juna: sua figlia, Sharon, ha subito un trapianto di occhi
praticamente appena nata… gli occhi di Jawad.»
Non riuscì a trattenersi dal voltarsi di scatto verso Sharon e
non fu l’unica.
«Non mi hai detto niente!» le uscì di bocca prima di pensarlo.
«L’ho saputo due ore fa… e ho capito tante cose» disse Sharon.
«Drake è stato il primo ad accorgersene e ha avuto una reazione che mi ha
lasciata sbalordita… e io sono andata a chiedere spiegazioni proprio a Juna.
Adesso capisco che Juna ha tirato subito le somme dell’intera situazione…
probabilmente ha capito allora che mio padre era il suo superiore… ma
ovviamente mi ha dato una spiegazione fittizia.»
«Ha dell’incredibile» disse Lennie.
«Ti rendi conto di quanto sei andata vicina a capire?» chiese
improvvisamente Manaar.
Lennie si voltò verso la cognata, «Cosa vuoi dire?»
«Capisco adesso cosa non mi convinse di Juna, quando tu
dicesti che la tua teoria sul comportamento di Melissa con Michael non reggeva
più… andando alla cieca hai colpito perfettamente il bersaglio.»
Lennie chiuse gli occhi, «Ho dato il mio personale contributo
alla preoccupazione di mio nipote. Deve aver capito che se addirittura io, che
non mi sono mai interessata a lui, sono arrivata ad avere un pensiero del
genere…»
Paul abbracciò la moglie.
«Dio che peso enorme si è portato dietro per tutti questi
anni» disse Ryan. «Non avrei mai immaginato niente di anche lontanamente simile
a tutto questo. Ha sempre avuto un comportamento così… così… controllato.»
Come un flash le tornò in mente quello che le aveva detto Juna
nel gazebo, parlando di quanto fosse difficile fingere.
Adesso sapeva.
Adesso era certa che fosse quello il vero Juna.
Lo squillo di un cellulare li fece sussultare tutti.
«Dimmi» rispose il generale Lewing. Seguì una lunga pausa,
poi… «Come al solito quel ragazzo ha ragione. Lo faccio subito.» Riattaccò e si
rivolse a Manaar. «Signora McGregory, ho bisogno del numero di suo padre… prima
di avvisare i miei uomini a Los Angeles.»
Manaar chiuse un attimo gli occhi, «Mi dia il suo cellulare
generale. Mio padre non crederà mai ad una cosa del genere se non la sente
dalla mia voce.»
In mezz’ora c’era praticamente un esercito dietro Villa McGregory.
Aveva chiuso tutto, in quel momento la villa sembrava
disabitata. Lo era, a dirla tutta.
Diego e Migũel Estrada erano stati rinchiusi in un
furgoncino blindato.
C’era qualcosa che non funzionava. Quei due erano troppo
tranquilli.
«Signori» prese la parola Matthew. «Ho il piacere di
presentarvi Darkness e Falcon. Molti di voi li conoscono già di fama. La
situazione è questa…» e passò a riassumere cosa lo aveva portato a radunarli
tutti lì. «Quindi, quando parlano Darkness e Falcon è come se parlassi io.»
Li stavano guardando in silenzio. Nessuno mosse un muscolo.
Improvvisamente uno degli uomini si staccò dal gruppo e si
diresse verso di loro.
«Avrei preferito incontrarvi in un altro contesto perché sono
anni che desidero conoscervi. Io sono uno degli agenti che all’epoca figuravano
in quella lista. Senza di voi sarei morto. Desideravo ringraziarvi di persona
ragazzi e finalmente ho l’opportunità di farlo. Mi togliete una curiosità? Chi
di voi si è imparato a memoria quelle pagine di nomi?»
Alzò la mano.
«Come ci sei riuscito? Come dannazione ci sei riuscito?»
«Ho un quoziente intellettivo superiore alla media» rispose.
«Mi basta guardare una pagina perché mi si imprima nella memoria.»
Gli tese la mano, «Grazie Darkness.»
Accettò la mano che gli veniva tesa.
Fu come un fischio di partenza, si avvicinarono altri agenti.
Uno di loro lo stava ancora guardando sbalordito, «Tutto mi
sarei aspettato tranne che ventenni. Salve ragazzi, piacere di conoscervi.»
Anche Drake era circondato.
«Gli infallibili due sono appena pronti per andare
all’università!» esclamò un altro «Chi lo avrebbe mai immaginato!»
«Bene» riprese Matthew riguadagnandosi all’istante
l’attenzione generale. Sciorinò un elenco di una decina di nomi, «… rimarranno
qui, a guardia della villa. Vi dico solo questo: è casa di Darkness. Siete
autorizzati a uccidere, signori. Gli uomini di Estrada non devono entrare qua
dentro, chiaro? Se riuscite a catturarne qualcuno vivo, avvisatemi.»
Rispose un coro affermativo.
«Gli altri, inclusi Falcon, Darkness e il sottoscritto,
torneranno alla base.»
Gli tornò in mente una cosa importante, «Matt?» Il comandante
si voltò verso di lui, «E’ plausibile pensare che a capo di spedizioni come
queste ci possano essere il braccio destro di Diego o quello che era il braccio
destro di Carlos. Se prendessero loro vivi, sarebbe meglio.»
Drake schioccò le dita, «Aspetta, ho in macchina il fascicolo
che mi ha dato Richard. Ci sono delle foto.»
Partì al recupero del fascicolo.
Matthew sorrideva, «Dio li fa e poi li accoppia.»
Drake tornò con un fascicolo giallo ocra. Tirò fuori delle
foto e le passò agli agenti, spiegando chi fossero quegli uomini. «Se vi
occorrono posso lasciarvele» concluse. «Io ho già memorizzato questi visi.»
Gli uomini che sarebbero rimasti lì si passavano le foto
osservandole in silenzio.
Uno di loro annuì, «Se ce le lasci è meglio. Potrebbero
passare ore prima che si avventurino qui, avremo modo di memorizzarli anche
noi.»
«Darkness, i cani?» chiese Matthew.
«Vengono con me.»
«D’accordo. Signori, muoviamoci.»
______________________________________________
NOTE:
Ho cominciato la demolizione delle certezze. ;D
giunigiu95: grazie per i complimenti!!! Sei un’overdose di fiducia
ragazza mia!!
Sono cappottata giù dalla sedia leggendo il training autogeno che hai
fatto per iscritto: “o mio deo,respiro,respiro!!!!!”… mi hai sdraiata!!!! In
questo capitolo spiego un po’ meglio vero? D’altra parte anche Matthew-Aaron è
solo un comandante dell’F.B.I.… ci voleva un medico per la spiegazione!
Capitolo 18 *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 18 ***
Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 18
Non
E’ Mai Troppo Tardi
18
Arrivarono ad una villetta su due piani.
Sua sorella si era trinciata dietro il silenzio delle grandi
occasioni. Per non parlare dell’aria sconvolta del resto della famiglia.
Maledizione.
Suo padre sembrava addirittura sotto shock… solo lo zio Connor
e la zia Manaar lo battevano.
Juna era il sopravvissuto di un parto gemellare omozigote.
Juna era un killer dell’F.B.I..
Da quando aveva quindici anni, per di più.
Drake era stato arruolato insieme all’amico di sempre.
Cos’altro poteva andare male?
Scesero tutti dal pullman e il generale Lewing li guidò
all’entrata.
Aspettò di essere in salotto, per parlare. «Generale, posso
farle una domanda?»
«Non ti posso garantire una risposta.»
«Spiegarmi con che testa avete assoldato mio cugino e Drake
non dovrebbe intaccare qualche segreto di stato. Avevano quindici e diciassette
anni.»
Il generale respirò profondamente. «Tuo cugino aveva solo
quindici anni, ma ancora oggi ciò che è in grado di fare lui non può farlo
nessun altro. Falcon è da sempre parte integrante della vita di Darkness… è
l’unica persona che può stargli accanto e anticipare le sue mosse. Abbiamo
pensato di affiancare a Darkness agenti più adulti… ma è stato chiaro fin da
subito che chiedere ad un uomo, per quanto ben addestrato, di mettere la
propria vita nelle mani di un quindicenne sarebbe stata follia. Con il tempo
Darkness e Falcon si sono rivelati un team perfetto. Non è stata una scelta
facile, te lo garantisco. Matthew e il sottoscritto hanno perso parecchio sonno…
specie Matt, perché Darkness è l’essenza stessa della salvezza di sua figlia.
Quando ci siamo resi conto che erano in pericolo abbiamo fatto di tutto per
proteggerli… ma quei due hanno i loro segreti. Ero convinto, e lo era anche
Matt, che Darkness fosse all’oscuro della seppur breve esistenza del fratello
omozigote. Non ho minimamente pensato di controllare il mio computer perché
quando tuo cugino lo ha usato si è servito della mia password… ma è attraverso
la ricerca che Darkness ha fatto quattro anni fa riguardo suo fratello che sono
risaliti ai McGregory.»
«Pensando, ovviamente, che fosse stato un adulto a fare la
ricerca» disse suo zio Connor, «e a quel punto hanno tirato le somme e hanno
pensato a me.»
Il generale rivolse la propria attenzione a lui, «Esatto. Non
ho bisogno di sapere come sono andate le cose per immaginare che Darkness è
scattato nel momento in cui lei si è trovato in pericolo, signor
McGregory.» Tornò a guardare lui, «Però, voglio che tu abbia chiara una cosa
ragazzo, e con te anche la tua famiglia: tuo cugino non è cattivo. Quando
la gente sente la parola killer,
immagina subito una persona crudele e senza scrupoli. Quei due ragazzi non sono
così. Abbiamo dovuto addestrarli per renderli le macchine da guerra che sono
diventati. Quando hanno scoperto di essere stati tradirti, la cosa più naturale
da fare era mandare al diavolo la missione affidatagli e uccidere me e Matt:
gli unici due a conoscenza delle loro vere identità. Non lo hanno fatto. Hanno
portato a termine la missione, hanno preso il bambino e lo hanno riportato a
casa, hanno avvisato Matt come era nei piani e sono venuti qui ad affrontarci.
Non solo. Tuo cugino si è reso subito conto che anche io e Matt potevamo essere
in pericolo e ci ha avvisato. Sono i migliori agenti che ho mai avuto ai miei
ordini perché uccidere non è la prima soluzione che trovano. Sanno
improvvisare, hanno sangue freddo, lucidità e intelligenza… e credo che tu ti
renda conto da solo di quanto sono insospettabili. Le loro missioni non
sono sempre state finalizzate ad uccidere delle persone. Centinaia di agenti sotto copertura devono loro la vita… e in
ultima analisi anche io e Matt.» Lanciò un’occhiata alla porta, «Dimmi Ron.»
Si voltò verso l’entrata e vide cinque uomini.
«Generale» salutò il più alto. «Abbiamo passato la zona al
setaccio prima del vostro arrivo. Libera. Posso chiedere il motivo di questa
chiamata di massa?»
Lewing annuì. «Parlavo anche di te, Ron. Sono saltate le
coperture di Darkness e Falcon. Gli Estrada li hanno trovati.»
«Oh Cristo» disse un altro. «Come stanno?»
«Bene. Darkness li ha disarmati e immobilizzati. Loro sono i
familiari.»
Ron si guardò intorno. Li salutò con un cenno della testa,
poi… «Sono il responsabile della sicurezza. So che vi sentirete un po’ come in
galera, ma Darkness e Falcon hanno già abbastanza a cui pensare, almeno voi non
sarete una preoccupazione per loro. Vi consiglio di mettervi comodi.»
Sua zia Manaar piombò su una poltrona e suo zio le fu accanto
in un attimo. «Tesoro…?»
«Sto bene Connor. Non preoccuparti.»
Sua madre le si avvicinò, «Manaar, ho bisogno di tenermi
occupata e credo di poter immaginare che in questo momento ne hai bisogno anche
più di me. Che ne dici di controllare se vanno rifatti i letti?»
«Passare la notte qui?» chiese sua nonna «Oh Dio, non abbiamo
niente con noi.»
«Vi faremo avere vestiti e tutto il necessario signora» disse
Lewing. «Questa villetta è stata studiata per essere un rifugio sicuro… e di
emergenza, se necessario. Dov’è finito Gerard?» sembrò chiedere a se stesso.
«E’ al telefono fuori dall’ingresso» rispose Ron.
«Ah, grazie.»
Zia Manaar si era alzata, «Ti seguo più che volentieri
Lennie.»
«Vengo anche io con voi» disse zia Elisabeth.
«Mamma, posso venire con te?» chiese Melissa.
«Abbiamo le manine piccole, però sono sempre quattro in più»
aggiunse Michael.
Scoppiarono tutti a ridere, agenti inclusi.
Sarah prese in collo il figlio più piccolo e stava ancora
sorridendo, «Piccolo mio, sei un dono del Cielo. Sai cosa facciamo? Andiamo ad
aiutarle anche io e te.»
Sua sorella,
Jennifer e Sharon sembrarono improvvisamente attratte l’una dall’altra come il
ferro con la calamita. «Andiamo anche noi?» chiese poi sua sorella.
Sua nonna ebbe la
parola finale, «Avanti, noi donne ci occuperemo che in questa casa tutto fili
liscio. Howard, tu e gli altri domestici metterete in funzione la cucina.»
L’uscita delle donne
fu seguita da un silenzio perfetto.
«Non smettono mai di
sorprendermi» commentò Paul.
Connor era rimasto a
fissare la porta.
Quella era veramente
una giornata da segnare sul calendario. Aveva scoperto che uno dei suoi nipoti,
nella fattispecie l’erede designato, era un killer dei servizi segreti, che il
giorno che era nato aveva perso un altro nipote… e che la famiglia era più
unita e compatta di quanto avesse mai osato immaginare.
Nessuno si era
azzardato a fare recriminazioni.
A prescindere dallo
shock dello scoprire che Juna era un killer dei servizi segreti, nessuno aveva
polemizzato sulla scelta del ragazzo, che pure aveva messo in pericolo tutti
loro.
Ryan si avvicinò al
fratello maggiore, «Connor… per favore, cerca di rilassarti. Sei un blocco di
granito. Posso fare qualcosa per te?»
Connor guardò il
fratello, ci mise qualche secondo a rispondere, «Come ho fatto ad essere così
irresponsabile? Come ho fatto a non rendermi conto di tutto quello che stava
covando mio figlio? Con che coraggio adesso lo affronto chiedendogli
spiegazioni? Manaar ha ragione: Juna ha sbagliato, ma siamo stati io e lei a
iniziare questa specie di… di congiura del silenzio.»
«Connor, perché ci
avete taciuto la morte di Jawad?» si decise a prendere la parola.
Il suo primogenito
lo guardò, sembrava improvvisamente sfinito, «Perché comunque la rigiri, Juna
ha ucciso il fratello. I bambini sono nati uniti dalla testa fino al torace…
durante la gravidanza Juna ha praticamente fagocitato Jawad. Ha incamerato il
cervello, il cuore e un polmone. Non mi meraviglierei se durante gli
addestramenti mio figlio avesse dimostrato anche una resistenza fisica fuori
dal comune perché il suo cuore e il polmone sinistro sono più grandi della
media. Una volta al mondo è quasi morto per tenere in vita anche il fratello,
ma per superare i nove mesi di gestazione…» scosse le spalle. «Li abbiamo fatti
separare per salvarne almeno uno e Juna ce l’ha fatta. La sua incredibile
intelligenza ha una sola spiegazione: nel suo cranio ci sono due
cervelli, che invece di fare a botte l’uno con l’altro si sono fusi… Dio solo
sa come. Larry stesso ci disse che questa cosa avrebbe potuto trasformarlo in
un ritardato mentale… non era assolutamente naturale, capite? Già quando
cominciò a parlare speditamente mi è sembrato un miracolo, immaginate quando,
ad appena quattro anni, l’ho sentito analizzare l’andamento della borsa! Alla
fine, contro ogni aspettativa, è venuto fuori addirittura un genio.»
Non riuscì a
trattenere un sorriso. Era stato uno dei giorni più belli della sua vita.
Mentre aspettavano
che la cena fosse servita, Juna si era arrampicato in collo a Connor,
sprofondato nella poltrona, e si era messo buono buono a guardare il giornale
insieme al padre.
All’improvviso era
uscito con un Papà, visto che fluttuazione stanno subendo i titoli della
Desfat? Hanno perso ancora il 1,4%. Se continuano così fra una settimana o ci
sarà un tonfo che lo sentiranno da Plutone o qualche nuovo miliardario!
Connor aveva
addirittura risposto Sì pargolo, lo avevo notato. E’ proprio per questo
dilemma che ancora non ho deciso se vendere o… prima di realizzare che il
commento veniva da una creatura di quattro anni ancora da finire che neanche
avrebbe dovuto saper leggere!
Io non venderei
ancora. Aspetta due o tre giorni papà…
e si era lanciato in un’accurata analisi finanziaria!!
Connor aveva seguito
il discorso bianco come un lenzuolo, talmente scioccato da non aver il fiato per
interrompere il figlioletto.
Lui, superata la
sorpresa, aveva avuto la certezza di aver trovato l’erede.
Si riscosse e Connor
lo stava fissando.
«Scusami Connor»
disse, «stavo ripensando a quando Juna ci ha illustrato per la prima volta la
finanza secondo il suo punto di vista.»
Anche suo figlio
sorrise appena, poi tornò serio, «Papà, cerca di capire: io e Manaar abbiamo
deciso che Juna non avrebbe mai saputo tutto questo. Fossimo stata una famiglia
forse avremmo potuto parlarvene, ma in quel momento eravamo io e lei contro il
resto del mondo. Neanche Mansur o Charmaine o le sorelle di Manaar sanno
niente. Neanche Jessie.»
Paul si coprì gli
occhi con un gemito, «Dio, Connor.»
«Non avrei mai
immaginato una cosa simile» disse Ryan. «Connor… non so che dire.»
Connor sorrise al
fratello minore, «Io e Manaar abbiamo superato la morte di Jawad… l’esistenza
stessa di Juna ci ha aiutato. Nei primi anni Manaar aveva delle crisi… ma sono
passate.»
«Crisi di che
tipo?» chiese Paul.
«Quando la vedevate
con gli occhi arrossati non era perché soffriva per la situazione in casa»
rispose Connor. «Paul, posso dirti che da quando l’ho conosciuta tutto è
passato in secondo piano. Da quando è nato mio figlio, tutte le nostre energie
sono state spese per renderlo felice. Quando ho cominciato a rendermi conto di
quale… miracolo fosse Juna ho cercato di fare del mio meglio per
assecondarlo. Ho scoperto, non tanto tempo fa, che ho finito con l’usarlo
inconsciamente per cercare di riavvicinarmi a mio padre.»
Si sentì come
risucchiare. «Oh Connor…» mormorò.
Dio che stupido era
stato!
«Fino ai quattro
anni Juna è sempre stato ad un passo dalla morte: la massa celebrale era troppo
grande per il cranio che doveva contenerla» riprese Connor. «Ogni mattina
quando lo vedevo scendere a fare colazione era un piccolo miracolo.»
«Ecco perché hai
fatto tutte quelle storie per il primo test di intelligenza» disse Paul,
«temevi che sarebbe saltato fuori che nella testa di Juna…» si bloccò non
riuscendo ad andare avanti.
Due cervelli. Non
riusciva neanche a pensarci.
Connor annuì, «In
questi anni di calma mi sono quasi scordato che…» si bloccò per una frazione di
secondo, poi riprese, «Il giorno che si è sentito male, quando ebbe quello
scatto rispondendo a nostro padre e l’ho visto prendersi la testa fra le mani e
piegarsi su se stesso ho pensato che fosse finita. Improvvisamente mi è
tornato in mente che mio figlio ha una bomba senza sicura dentro il cranio.
Vederlo stare così male mi ha gettato nel panico. Ho accettato che andasse
all’università quando sarebbe dovuto andare all’asilo per un solo motivo:
studiare gli faceva bene. I risultati degli encefalogrammi migliorarono
istantaneamente. Tutt’ora non vedo l’ora che ricominci… quei mal di testa sono
il costante campanello d’allarme che mi ricorda cosa c’è dentro la sua testa.
Ho accettato che a undici anni diventasse il vice presidente della McGregor
Investments nella speranza che tu» guardò direttamente lui «lo
accettassi per quello che è: un nipote fuori dal comune che appartiene anche ad
un tuo rivale. Quando ho capito cosa hai cercato di fare mi ha frenato una sola
cosa dallo strangolarti, papà: mio figlio e mia moglie ti hanno perdonato.»
Rimase a fissarlo
per qualche secondo. «Juna mi ha perdonato perché sua madre lo ha fatto.
Connor… sono stato stupido ed egoista. Non… non…»
Rimasero in
silenzio.
All’improvviso la
voce di Justin arrivò dalla porta, «A qualcuno va un caffè?» chiese.
«Se riesci ad
organizzarlo in questa casa, io lo prendo volentieri, nipote» rispose Connor.
«Beh, ci sarà una
cucina anche qui, trovo Howard ed è fatta» ribatté Justin uscendo. «Lo porto
per tutti.»
Solo in quel momento
si accorse che il generale Lewing e gli agenti li avevano lasciati soli.
«Che facciamo
adesso?» chiese Ryan dopo che suo figlio sparì alla conquista di un caffè.
«Aspettiamo» rispose
Connor. «Su una cosa Drake ha irrimediabilmente ragione: questa è una
situazione che devono concludere. Non possiamo passare il resto della nostra
vita a guardarci le spalle da questi delinquenti.»
Si trovò ad annuire,
«Ce la faranno, vedrai» disse. «Juna saprà risolvere anche questa.»
Suo padre gli dette
man forte, «Tuo fratello ha ragione. Dobbiamo avere fiducia in quei ragazzi.»
Connor ebbe un moto
di stizza, «Ho lasciato mio figlio con una pistola in mano!» esplose «Ho sempre
avuto una fiducia illimitata in lui…
ed ecco i risultati!»
«Connor, non fare
così, ti prego» disse Ryan.
In quel momento
rientrò il generale Lewing.
«Signori… conoscete
per caso il professor George Cowley?»
«Mio figlio lo
conosc…» cominciò Connor, poi si bloccò. «Non mi verrà a dire che anche lui…!!»
esplose.
Lewing scosse la
testa, «No. Non più, almeno. Tant’è vero che è intenzionato a prendermi a calci
in culo. Scusate l’estrema franchezza.»
«Lavora per i
servizi segreti anche lui?» non riuscì a trattenersi.
«Per un certo periodo
lo ha fatto… parecchi anni fa. Decodificava, essenzialmente.»
«Ma siamo
circondati!» esclamò suo padre.
«Scusate un attimo…
come ha saputo di questa storia?» chiese Connor.
«Darkness lo ha
avvisato, aggiungendo questa volta il mio nome alla vicenda, lui ha ritrovato
il mio numero di telefono e…» mosse una mano in senso rotatorio come a dire il
resto viene da sé.
«Era ai suoi ordini
anche il professore?» chiese Ryan sempre più sbalordito… e ci credeva.
«Per un certo
periodo. Conosce bene questo posto… credo arriverà a momenti.»
«Generale?» lo
richiamò Connor mentre stava per uscire.
«Mi dica.»
«Qual è il programma
che mio figlio deve seguire?»
Lewing rimase ad
osservarlo per qualche secondo, poi respirò profondamente, «Scovare gli uomini
degli Estrada ed eliminarli tutti.»
Esattamente quello
che temeva.
Era una situazione
allucinante.
«Micky… sei sicuro
che Juna torna?» chiese improvvisamente Melissa.
Le si contorse lo
stomaco.
«Sì» rispose
semplicemente il bambino.
«Sei stato bravo a
mantenere il segreto» commentò Lennie.
Michael annuì, «Juna
e Drake immaginavano che le cose sarebbero andate così se lo aveste saputo.»
«Vale a dire?»
chiese Jennifer.
«Tu avresti solo
pensato che Juna ha ucciso delle persone, tanto per dirne una» rispose il
bambino con la calma e la tranquillità che lo accompagnavano da quando suo
figlio aveva attaccato al muro uno degli Estrada.
Jennifer rimase in
silenzio.
Faceva fatica a
ricordarsi che Michael aveva quattro anni.
«Almeno Sharon sta
aspettando che Drake le spieghi. Tu lo hai già condannato» riprese Michael. «Se
io sono vivo è perché Juna ha ucciso Carlos… e non avevo capito quanto è stato
pericoloso per lui entrare da solo nella villa per lasciare Drake con me. Tu
neanche immagini quanto era cattivo quell’uomo Jennie. Ringrazio Dio che
abbiano preso me.»
Fu la goccia che
fece traboccare il vaso: Jennifer, che fino a quel momento aveva mantenuto un
comportamento controllato e pacato, cominciò a singhiozzare. «Non dire queste
cose Michael!» esplose.
Sarah era a bocca
aperta a guardare i figli.
«Gli vuoi bene, vero
Jennie?» chiese Michael.
«Maledizione, l’ho
lasciato con una pistola in mano!» fu la risposta di Jennifer «Lo stanno
cercando perché vogliono ucciderlo!»
Fu Sharon ad alzare
gli occhi al soffitto, «Micky, tua sorella si è innamorata di Juna a undici
anni» disse. «Adesso però abbiamo altro a cui pensare.»
Era la conferma di
quello che già sapeva, ma non riuscì a trattenere le lacrime.
Oh Juna, cos’hai
combinato…
Madeline
l’abbraccio, «Su Manaar. Piangere adesso non serve a niente. Dobbiamo essere
forti. Pensiamo ad uscirne tutti di un pezzo, poi ci sarà il tempo di lasciarsi
andare.»
Sharon ebbe un
improvviso gesto di stizza, «Lasciarsi andare?? Aspetti che metta le
mani su mio padre! Mentre gli parlavo di Drake e Juna lui sapeva perfettamente
chi fossero!!»
«Ha ammesso che altrimenti
non ti avrebbe mai permesso di dormire a casa nostra» disse sua suocera. «A tuo
padre non interessa quanto siano ricchi e potenti i McGregory. Lui sapeva di
lasciarti con Juna.»
«Adesso acquista un
significato tutto nuovo l’ammissione del signor Castlemain di aver organizzato
un’imboscata per cercare di prendere di sorpresa Juna… e non c’è riuscito. Come
Juna lo ha visto ha… improvvisato» disse Lennie… e riconobbe una nota di
ammirazione nella sua voce.
Suo figlio sapeva
fingere alla perfezione.
«A quel punto Juna
aveva già capito tutto» ribatté Sharon, «ne sono sicura… e ovviamente ha
avvisato anche Drake. Sapevano perfettamente che si sarebbero trovati davanti
il loro superiore.» Si batté una mano contro la fronte, «Dio che stupida! Tutti
questi anni… e mia madre sapeva della
sua doppia vita! Sapeva del trapianto
di occhi! Ho quasi diciannove anni maledizione, perché non mi hanno detto
niente?! Io e Juna ci saremmo potuti conoscere tanti anni fa!» La voce le si
incrinò «Cosa staranno facendo adesso?»
Ecco, era quello che
non le dava pace, povera piccina.
Razionalmente
parlando, lei aveva in ballo il figlio e un ragazzo che considerava come tale…
quella ragazza si trovava a dover scendere a patti con un padre ed un neo
fidanzato che non erano quello che aveva creduto, l’idea di vederci perché
un’altra creatura era morta in tempo utile per donarle gli occhi… e l’esistenza
di un’altra creatura direttamente connessa al trapianto, al neo fidanzato e al
padre!
«Forse… potremmo
chiamarli» disse Elisabeth. «Juna e Drake hanno il cellulare dietro.»
«Potrebbe essere
pericoloso» disse Sarah dopo qualche secondo di silenzio. «Devono avere la
mente sgombra.»
«Sarah ha ragione»
disse Madeline. «Avanti, facciamo quello per cui siamo venute qui.»
«Dannazione, non
capisco neanche la metà di quello che dicono» imprecò Matthew. «Darkness dovrà
dettarmi la traduzione dell’interrogatorio. Spero la stia tenendo a mente.»
«Per le tue
scartoffie, Matt?» chiese.
«Molto spiritoso
Falcon.»
Lui e quell’uomo si
sarebbero visti spesso in futuro… se Sharon avesse accettato un compromesso
grosso come una montagna.
«Dobbiamo riuscire a
trovare i loro uomini» riprese Matthew. «Ancora non si è visto nessuno a casa
di Darkness.»
In quel preciso
istante Juna mollò un sonoro manrovescio a Diego Estrada.
Gli stava proprio
simpatico, quell’uomo!
Gli disse qualcosa
rabbiosamente.
In parte capiva il
perché: quegli animali avevano in mente di rapire Jennifer… il perché era
chiaro, e Juna si era legato questa cosa al dito.
Non per la prima
volta vide la facciata di spavalderia di Diego incrinarsi.
Oh sì, quel ragazzo
incazzato faceva paura… era un killer dell’F.B.I. con una fama di tutto
rispetto che sapeva di avere carta bianca. Le vite di quei due erano nelle sue
mani.
«E’ uscito vivo da
quella villa perché capiva quello che dicevano» disse. «Capendo lo spagnolo gli
impedisce di dialogare liberamente fra di loro e mettersi d’accordo su cosa
dire.»
Matthew annuì, «E’
un punto a nostro favore non indifferente» ammise. «Sta’ certo che questi due
tutto si aspettavano tranne di essere catturati da un diciannovenne: non hanno
preparato versioni di emergenza. Falcon… volevo chiederti una cosa.»
«Dimmi.»
«Riguarda cosa ti ha
detto Darkness qualche giorno fa.»
Sentì lo stomaco
contrarsi.
E dire che si era
convinto che la cosa di Jawad si fosse risolta in maniera indolore. «Cosa vuoi
sapere?»
«Come l’hai presa?»
Si voltò a guardarlo
sbalordito, «Come l’ho presa io??»
Matthew stava
annuendo, «E’ una bella batosta psicologica ragazzo. Non si tratta solo di un
qualcosa che si è… risolto con la
morte di Jawad, ma anche di una situazione che Darkness si porterà dietro per
tutta la vita. Voglio sapere come l’hai presa.»
Sorrise appena, tornando
a guardare il suo migliore amico «Sono cresciuto al fianco di Juna, Matt… quando io imparavo a fare le divisioni a due cifre, lui già parlava cinque lingue. Il
mio concetto di normalità è
estremamente elastico. Se lo ha accettato lui, va bene anche a me.»
Improvvisamente Juna
si voltò verso il falso specchio, sapeva che loro due erano lì. «Avete
controllato la villa dove ho ucciso Carlos?» chiese in americano… con un tono
che riconobbe senza problemi: stava ragionando fra sé e sé riguardo il
nascondiglio degli uomini di Estrada da quando aveva steso quei due… in quel
momento aveva tirato le somme.
Nella frazione di
secondo in cui Matthew spalancò la bocca sbalordito, nella stanza dall’altra
parte dello specchio successe il finimondo.
Diego balzò in piedi
lanciandosi verso Juna… che lo evitò senza il minimo sforzo vedendo il suo
riflesso nello specchio, facendogli poi lo sgambetto. Avendo ancora le manette,
finì subito disteso in terra.
Migũel seguì il
fratello nella manovra… ma finì in terra anche lui.
In quel momento
capì: Juna aveva tirato le somme giuste.
Avevano trovato il
covo degli uomini degli Estrada.
«Matt, maledizione,
come è possibile che siano tornati proprio lì?»
«Non lo so Falcon.
Ero convinto che quella maledetta villa fosse ancora sotto controllo» fu la
risposta del suo diretto superiore.
Quando le donne
tornarono al piano di sotto trovarono anche il professor Cowley… che aveva
appena cominciato ad inveire contro Lewing.
«Quando Juna mi ha
parlato di questa storia avrei dovuto immaginare che c’eri tu dietro!»
«George…»
«George un
accidente! Sei a capo della sezione più allucinante dei servizi segreti Richard,
lasciatelo dire! Come ti è passato per la mente di… di… sono due ragazzi maledizione!!»
«Buonasera
professore» disse Manaar.
«Buonasera signora
McGregory» rispose automaticamente il professore… e riprese da dove aveva
interrotto. «Ti rendi conto di quello che hai fatto? Perché accidente non ti
sei limitato a sfruttare le capacità intellettuali di quel ragazzo come hai
fatto con me? Fra l’altro se non te ne fossi accorto Juna è anche più dotato
del sottoscritto! Dovevi proprio mettergli una pistola in mano??»
«Professore…»
cominciò suo fratello Connor, «chi l’ha accompagnata qui?»
Si ricordò solo in
quel momento che quell’uomo aveva problemi di cuore. Seri problemi di cuore. E
in quel momento era parecchio agitato.
«Sono venuto da
solo!» rispose lui «Come potevo chiedere a mio figlio di portarmi in un posto
che non esiste??»
Il professor Cowley
era davvero fuori di sé.
«Se non ricordo male
lei non deve guidare» continuò infatti testardo suo fratello. «Professore, devo
già preoccuparmi per mio figlio!»
«E continui a farlo
Connor, perché io non rientro nella categoria preoccupazioni adesso. Resto qui con voi» li informò poi. «Ho già
sistemato tutto con mio figlio e mia moglie.»
«Cosa hai detto?»
chiese il generale.
«La verità: sono
tornato attivo e sono venuto qui per prenderti a calci! Richard, se succede
qualcosa a quel ragazzo mi prenderò la tua testa, e prendimi alla lettera, sono stato chiaro?»
Lewing annuì. Semplicemente.
«Dammi tutte le
cartine, i tracciati… qualsiasi cosa pensi che stia studiando anche Juna in
questo momento. Trova il modo di mettermi in contatto con lui.»
Lewing uscì dalla
stanza senza aggiungere altro.
«Lei sapeva che Juna
lavorava per l’F.B.I.?» chiese suo padre.
«Juna me lo ha
confessato il giorno che sono entrato in casa McGregory» rispose il professore.
«La pressione gli stava diventando intollerabile. Non solo era preoccupato per
se stesso e per Drake, e chi conosce il legame che unisce quei due ragazzi sa
che solo questo è un peso di tutto rispetto, ma anche per voi… e ovviamente per
Michael e Jennifer. Buonasera signorina» aggiunse rivolto alla ragazza in
questione.
«Buonasera
professore» rispose Jennifer.
«E’ come se si fosse
svegliato un bel giorno e si fosse trovato all’inferno. E’ stato uno shock per
lui, anche se il suo autocontrollo lo ha immediatamente trasformato in un
semplice problema da risolvere. Per Juna è stato un gioco da ragazzi
conformarsi agli standard dell’F.B.I. e di seguito ha assecondato gli ordini
che gli venivano dati senza il minimo sforzo. So cosa si prova maledizione,
anche io mi sono reso conto solo dopo cinque anni che le informazioni che
codificavo valevano la vita di centinaia di esseri umani! Improvvisamente si è
reso conto che potevano pagarne le conseguenze le persone alle quali tiene di
più. Se n’è accorto quando ha realizzato che Drake era in pericolo e lui non poteva
farci niente, ha spalancato definitivamente gli occhi quando il pericolo si è
esteso a suo padre, sua madre e… beh, a lei» concluse indicando Jennifer con un
gesto della testa. «Se davvero quei delinquenti avevano in mente di rapire lei,
non ci vuole un genio per capire il perché… e state sicuri che Juna agirà di
conseguenza.»
«E’ per questo che
mio figlio si è sentito così male?» chiese Manaar.
Cowley scosse le
spalle, «Onestamente, credo che il crollo fisico sia da attribuire al fatto che
ha smesso di esercitarsi mentalmente. Cosa lo ha fatto davvero crollare,
signora, ce lo può dire solo Juna.»
«Forse ha scoperto
il fatto di Jawad» disse Lennie.
Cowley guardò sua
cognata in maniera strana… per l’ennesima volta fu raccontata la storia di suo
nipote.
Sentì tirare i
pantaloni e abbassò lo sguardo. Sua figlia alzò le braccia verso di lui.
Segno che voleva
essere presa in collo, «Papà, io e Micky possiamo dormire insieme stanotte?»
chiese.
Lanciò un’occhiata a
sua moglie che gli fece segno affermativo, «Se Michael se la sente di rischiare
va bene. Scalci come un puledrino, lo sa?»
Sua figlia rise.
Finalmente. «Adesso lo sa di sicuro papà!»
«Anche io, Jennie e
Sharon dormiremo nella stessa stanza» disse sua nipote.
«Abbiamo pensato di
organizzare le cose per dormire tutti nello stesso piano» disse Lennie.
«Avete fatto bene»
sancì la cosa suo padre.
«Due cervelli??»
esplose Cowley «Ma state scherzando?»
«No professore»
disse suo fratello Connor. «Ma la signora Castlemain le potrà spiegare molto
meglio.»
Ascoltarono la
spiegazione che diede quella donna.
Il professore scosse
la testa, «Ora capisco. Effettivamente i risultati dei test d’intelligenza di Juna
non hanno precedenti. E pensare che mi ero convinto che quel ragazzo non avesse
più segreti dopo che l’ho sentito ammette di lavorare per L’F.B.I..»
«Professore, cosa
pensa di fare adesso?» chiese Manaar.
«Cercherò di aiutare
Juna» rispose Cowley. «Manderanno sicuramente lui in avanscoperta perché ha già
affrontato una volta questi criminali e ne è uscito vivo. Devo sapere in che
tipo di ambiente si muoverà, in modo da potergli dare indicazioni utili. Come
stratega non me la cavo male. Se potessi lo raggiungerei fisicamente, ma non ho
più trent’anni.»
Lewing tornò nella
stanza con le braccia piene di fogli… e l’auricolare del cellulare
nell’orecchio. «Che mi venisse un colpo. Matt, ti giuro che stento ancora a
crederci.» Pausa «Sì, ho tutto qui ancora, lo sto portando a Cowley. … Eh,
perché. Perché conosce Darkness e ha intenzione di staccarci la testa, vecchio mio.»
Altra pausa, «Dannazione, lo pensavo anche io. Non so che dirti.» Altra pausa,
«D’accordo. Ci sentiamo dopo. Ok George» riprese, «buone notizie. Darkness è
riuscito ad estorcere a Diego Estrada il nascondiglio dei suoi uomini. Queste
sono le cartine della villa e del parco.»
«Che significa estorcere?»
chiese suo padre… addirittura Paul scosse la testa davanti a quella domanda.
«Dalle mie parti, ottenere
con le cattive determinate informazioni che la fonte non ha alcuna intenzione
di dare» rispose Lewing. «Neanche Matt riesce ancora a capire come Darkness
sia arrivato a… quel ragazzo è incredibile.»
Nel frattempo il
professore aveva raggiunto il generale al tavolo. «Lo so. Che tu sappia quindi Juna
conosce il posto.»
Lewing annuì, «E’ la
villa dove ha ucciso Carlos Estrada e ritrovato il bambino. Conosce già la
cartina a memoria. Immagino che gli Estrada abbiano pensato che un fulmine non
cade mai due volte nello stesso punto.» Fece una smorfia, «Devo capire come sia
possibile che abbiano tolto la sorveglianza, maledizione. L’ordine non è
partito da me.»
«Mettimi in contatto
con Juna» ripeté il professore.
«Usa il mio
cellulare, puoi chiamare direttamente il numero del ragazzo: ha un cellulare
schermato.»
«Richard, non mi
sono spiegato: un contatto continuo.
Anche quando è dentro la villa. Togliti dalla testa che lo lasci solo.»
«Non sarà solo: c’è
sempre Falcon con lui. George, quei due funzionano perfettamente, credimi. Sono
usciti illesi da situazioni ben peggiori di questa.»
Non era la prima
volta che quel militare pronunciava quella frase. Avrebbe voluto sapere quali
potessero essere, quelle situazioni, ma Manaar e suo fratello erano già
abbastanza sotto stress in quel momento.
Il professore
respirò profondamente, poi prese il cellulare che il generale gli stava
tendendo. «Immagino abbiate bisogno di sentire la sua voce» disse rivolto a Manaar
e a suo fratello. «Metterò il cellulare in viva voce, ma vi prego di non
interferire con la comunicazione. Qualsiasi cosa Juna dica. Non è vostro
figlio che parlerà, ma un killer dei servizi segreti. E’ importante che voi
abbiate ben chiara questa differenza.»
Si trovarono tutti
ad annuire.
«Melissa, Michael,
lo stesso vale per voi due» aggiunse il professore. «La cosa più logica sarebbe
farvi uscire dalla stanza, non sono decisamente cose da bambini, queste… ma so
quanto siete legati a Juna e ormai non c’è più niente da nascondere, quindi vi
propongo un onesto compromesso: restate qui, ma acqua in bocca, intesi?»
Al cenno affermativo
dei bambini fece partire la chiamata.
«Dimmi Richard»
disse la voce di suo nipote al secondo squillo.
«Sono io ragazzo.»
Breve silenzio.
«George? Questa sì che è una sorpresa. Giusto per la cronaca: come hai convinto
tuo figlio a portarti in un posto che non esiste?»
«Ci sono venuto da solo.
Come stai?»
Altro silenzio, poi…
«Maledizione George, devo già preoccuparmi per mezzo mondo…»
«Io non rientro in
questa metà di mondo ragazzo. Dimmi come stai.»
«Bene» si arrese Juna.
«Incazzato nero ma sto bene.»
«Drake?»
«E’ qui con me… e
sta tale e quale a me.»
«Me lo immaginavo.»
«Hai visto i miei?
Come stanno?»
«Ragionevolmente
sotto shock, direi. Non preoccuparti per loro, sono al sicuro. Sapevi che
sarebbe successo, vero?»
«Sì… e lo sai. Non
ho mai pensato che forse ci avrebbero trovato, ma quando. Ero
pronto ad affrontarli, ma che se la siano ripresa con mio padre mi manda fuori
dai gangheri. A quanto pare c’è tutta una serie di risvolti e controindicazioni
che il mio geniale cervello non ha preso minimamente in considerazione. Mio
padre non si sarebbe mai dovuto trovare a tu per tu con una pistola,
maledizione.»
Connor abbracciò Manaar
e si scambiarono un’occhiata. Se era vero che quello che stava parlando era
solo il killer dei servizi segreti, anche lui voleva loro molto bene.
«Neanche noi siamo
infallibili, Juna. Ci deve essere una spiegazione. Riesci ad immaginarla?»
riprese Cowley.
Suo nipote rimase in
silenzio per qualche secondo, poi… «Sono sempre più convinto che accanto a Richard
o Matthew ci sia ancora qualcuno dalla parte degli Estrada» alla frase il
generale sembrò attraversato da una scossa, guardò il cellulare come se potesse
morderlo. «Qualcuno che li ha guidati fino al computer di Richard e che ha loro
permesso di riprendere possesso di quella dannata villa come proprietari rientrati
da una vacanza alle Maldive. A parte questo, sai George, mi sa che c’è qualcosa
che ancora non sai di me. Sono stato concepito in duplice copia.»
Suo fratello e Manaar
distolsero lo sguardo dal cellulare come se fosse improvvisamente una vista
intollerabile.
«… sono risaliti ai
McGregory seguendo le tracce di una ricerca che feci quattro anni fa su mio
fratello… e hanno pensato che l’artefice di questo capolavoro fosse mio padre»
concluse nel frattempo suo nipote.
«Ah. Me lo
spiegherai meglio quando torni, ok?»
«Amico mio, mettiti
in fila: quando torno avrò da dare tante di quelle spiegazioni che
probabilmente salterò il test di intelligenza se voglio dormire!»
Tutti dovettero
mordersi le labbra per non ridere… il senso dell’umorismo di suo nipote era sempre
lo stesso.
«Cos’altro ti fa
pensare che ci sia ancora una spia?» riprese il professore sorridendo.
«Diego Estrada non
me la racconta giusta. Non ho altro tempo da perdere con lui, ma la talpa che
abbiamo fatto fuori non… non era importante. Non voglio vantarmi o roba
del genere, ma Richard e Matthew non sono esattamente signori nessuno
all’interno dell’F.B.I. ed entrambi tengono moltissimo sia a me che a Drake…
per essere arrivati a noi, ci deve essere qualche pezzo da novanta nel mezzo.»
Lewing fissò sbalordito
un punto davanti a sé.
«… e poi questa cosa
della villa» stava dicendo suo nipote. «Hai mai sentito di una sorveglianza di
questo genere che viene tolta da qualcuno leggermente meno importante di Dio?»
Cowley era
accigliato. «Il tuo ragionamento non fa una piega ragazzo. Segui il tuo
istinto. Da che ti conosco non ha mai sbagliato. Posso avvisare Lewing di
questa cosa?»
«Sicuro. Ho già
avvertito Matthew.»
«Sono contento di
sapere che ti fidi di loro.»
«Sono piuttosto chioccia
con i miei superiori…» ammise rassegnato suo nipote.
«Quindi gli
perdoneresti qualsiasi cosa.»
Juna rimase un
attimo in silenzio, poi… «Beh, complimenti per la diplomazia nella scelta del
verbo. Perdonare? L’unica cosa che sarebbe costata la vita ad uno di loro sono
stato proprio io ad impedire che la facessero.»
«Cosa, se non sono
indiscreto?»
«Uccidere il padre
di Jennifer.»
Cowley sbiancò. La
stanza sembrò traballare. «Cosa?»
Jeremy era sorpreso,
Jennifer sembrava sul punto di svenire.
«Jeremy stava per
mettere in moto una macchina che gli sarebbe scoppiata fra le mani George. Mi
fido dei miei superiori perché erano disposti a tutto pur di proteggere me e Drake.»
Seguì un silenzio
pesante come un macigno. «Per curiosità ragazzo: come tendi spiegarla a
Jennifer, questa?»
«Beh, ammesso e non
concesso che Jennifer sia disposta ad ascoltare spiegazioni dal sottoscritto,
credo che al momento buono troverò le parole. Non mi sono mai mancate, ci
mancherebbe solo che non le trovassi con lei, ti pare?»
Jennifer si portò
una mano sulla bocca mentre le lacrime cominciarono a rigarle le guance.
«Ok. Parliamo di
cosa ti aspetta. Che stai facendo adesso?»
«Sto ripassando la
cartina di una villa.»
«Lo immaginavo. Ho
la stessa cartina sotto gli occhi. Ti occorre qualcosa?»
Ancora silenzio, poi…
«Sei tornato attivo George?»
«Il tempo utile per
sapere te e Drake definitivamente fuori da questo casino. Raccontami questa
villa Juna e cerchiamo i punti ciechi e scoperti.»
«Aspetta. Metto in
viva voce il cellulare, così ti sente anche Drake.»
Breve silenzio, poi
la voce di Drake, «Ciao George.»
«Ciao ragazzo. Vi
apprestate ad una scampagnata, se ho capito bene.»
«E’ una scampagnata
che abbiamo già fatto una volta e ti garantisco che non tengo minimamente al
bis. Purtroppo non abbiamo scelta. Allora, cerchiamo di uscirne vivi anche
stavolta, ok?»
Nella mezz’ora
successiva le voci di Juna e Drake dialogarono con il professore. Ripassarono
l’intera cartina della villa analizzando i punti pericolosi che i due ragazzi
avrebbero attraversato per arrivare dove dovevano.
Era incredibile
quanti punti ciechi e scoperti ci potessero essere in una singola villa e suo
nipote e Drake avrebbero dovuto passarli praticamente tutti.
«Gli uomini saranno
dislocati a casaccio» disse improvvisamente suo nipote. «Stavolta non li
troverò disarmati e neanche avrò una vaga idea di quanti sono.»
«Beh, guarda il lato
positivo: questa volta non ci aspettano e abbiamo i cani anche noi» disse
Drake. «E so che sono addestrati divinamente.»
«Verrà Lizar con me»
decise Juna.
«Bisognerebbe sapere
se quei due avevano intenzione di portarci vivi alla villa o ucciderci appena
trovati» riprese Drake.
Manaar e Jessica si
scambiarono un’occhiata che da sola valeva un’ora di grida e pianti.
«Devo essere obbiettivo?
Per come si sono avventati contro mio padre, non credo saremmo arrivati alla
villa» disse suo nipote.
«Juna, hai
intenzione di entrare solo?» chiese Cowley.
«Sì» disse suo
nipote.
«Se lo può scordare»
disse Drake.
Perfettamente
sincronizzati.
«Drake,
maledizione…» riprese Juna.
«Scor-da-te-lo»
sillabò Drake. «Ho già fatto una volta una cazzata del genere e solo per un
mostruoso colpo di fortuna non ci hai rimesso la vita, per fortuna hai gli
occhi anche sulla nuca. O tutti e due o nessuno.»
Manaar si mise le
mani nei capelli mordendosi il labbro inferiore quasi a sangue. Suo fratello
abbracciò la moglie.
Juna e Drake non
sapevano che li stessero ascoltando, quindi erano totalmente onesti circa la
situazione.
Juna aveva ammesso a
chiare lettere di sapere dell’esistenza del fratello omozigote e di aver
rischiato la vita almeno due volte negli ultimi mesi.
Sua figlia era
stranamente calma.
«Rammenti che siamo
pari?» stava dicendo Juna «Per poco la volta prima prendevano te.»
«Appunto, quindi
ripartiamo da zero. Dragar verrà con me. Saremo in contatto con i soliti
auricolari» ribatté Drake. «Mac, sono pronto a darti battaglia su questo. Tu
non entri in quella villa senza di me. Chiaro?»
«Drake, pensi mi
stia divertendo?» chiese suo nipote con un tono di voce indescrivibile.
Talmente calmo che la diceva lunga su quanto fosse incazzato.
«Conosco il tuo
concetto di divertimento amico mio, resta il fatto che non ci vai da solo»
rispose Drake con lo stesso preciso tono.
Il silenzio
dall’altra parte si poteva improvvisamente tagliare.
Se li poteva immaginare
benissimo, uno davanti all’altro, fermi nelle loro posizioni.
Anche Cowley
appariva adesso teso e preoccupato.
Lewing aveva
un’espressione da non commentare.
Da che erano nati
non li aveva mai visti l’uno contro l’altro, solo in quel momento realizzò
che sia suo nipote che Drake erano personalità forti e predominanti e che tutto
il bene che si volevano, quando ne andava dell’incolumità dell’altro, non li
fermava da scontri anche duri e violenti… anzi.
Manaar e Jessica
erano ad un passo dalla fusione per quanto erano vicine.
«Sei testardo come
un mulo, accidenti a te» disse suo nipote.
«Non mi arrabbio
perché detto da te è un complimento» ribatté Drake. «La morale della favola,
George, è che entriamo tutti e due!» concluse.
«Ok, almeno questo è
un punto fermo» disse Cowley con un sorriso. «Quindi sarete in contatto via
auricolari.»
«Esatto» riprese
Drake. «Indosseremo le stesse tute di quando abbiamo trovato Michael. Sono di
un tessuto speciale, non si sente neanche la voce se parliamo con il passamontagna
abbassato.»
«D’accordo.
Ripassate la cartina alla luce di quanto abbiamo detto fino ad ora… e in bocca
al lupo ragazzi.»
«Crepi» risposero in
coro i due ragazzi.
«Ciao George, ci
vediamo presto» aggiunse Juna prima di interrompere la comunicazione.
Cowley chiuse il
cellulare che aveva in mano con un sospiro.
Manaar e Jessica
scoppiarono a piangere.
Jennifer si piegò su
se stessa come se un peso immenso le fosse piombato addosso.
L’entrata di Brian
fu seguita da un silenzio attonito… eppure Lewing lo aveva detto chiaramente:
sarebbe arrivato sano e salvo entro la serata.
Jessica si catapultò
verso di lui gettandogli le braccia al collo ancora piangendo.
Brian l’abbracciò
quasi sollevandola da terra… poi cercò lui. «Connor, cosa dannazione sta
succedendo? Mi hanno praticamente portato via di peso dall’albergo per portarmi
qui. Ho pensato ad un sequestro.»
Nessuno aprì bocca
mentre spiegava all’amico di sempre cosa avessero combinato i loro rispettivi
eredi.
«Ti hanno portato
via di lì per la tua sicurezza e anche per quella dei ragazzi: sarebbero potuti
arrivare a uno di noi per ricattarli» concluse.
Brian si passò una
mano sul viso. Aveva cambiato colore. «Quindi erano uomini dell’F.B.I. quelli
che mi hanno gentilmente scortato fino all’aeroporto. Se è un incubo è arrivato
il momento di svegliarmi.»
«Brian, Drake teneva
una pistola in casa!» disse Jessica «Lui e Juna hanno una dimestichezza paurosa
con le armi! Come è potuto succedere?»
«Come è potuto
succedere?» ripeté Brian «Non lo so tesoro. Onestamente non credo di aver fatto
errori che mio padre non abbia già fatto prima di me. Drake non ci ha mai dato
problemi… e il saperlo con Juna era la cosa che mi tranquillizzava di più.»
«Lo stesso vale per
noi» ammise Manaar. «Ed è questo che per cinque anni gli ha dato via
libera. Li sapevamo insieme e non facevamo domande.» La vide passarsi le mani
fra i capelli, «Juna non mi ha mai detto bugie. Lo capisco adesso. Quando ci
siamo sentiti al telefono, nel week end che abbiamo passato dai parenti di
Lennie, mi disse che stava lavorando e che aveva coinvolto anche Drake.
Che sarebbero rimasti a casa quella sera e sarebbero usciti l’indomani. Mi ha
detto inderogabilmente la verità, ma io ho sentito quello che volevo ascoltare.»
Jessica lanciò
un’occhiata a sua moglie che le annuì, «Certo, deve saperlo anche lui adesso.»
Fu Jessica a
ripetere al marito la storia di Jawad.
Brian a quel punto
aveva gli occhi fuori dalle orbite.
Rimase a fissare lui
e Manaar senza parole, poi con una calma impressionante… «Chi ha operato Juna?»
chiese.
«L’equipe del professor
McIntyre» ripeté Jessica.
«No, voglio dire
l’operazione per coprire i segni della separazione. Erano attaccati dalla testa
al torace e non ho mai notato neanche l’ombra di un segno sul corpo di Juna… e
ho quella creatura sotto il naso da sempre. Non posso sbagliarmi, con la pelle
dorata che ha le cicatrici sarebbero state bianche e quindi visibilissime anche
ad un profano.»
«Siamo stati
fortunati Brian. Larry e la sua equipe hanno fatto un autentico capolavoro: non è
rimasto nessun segno su Juna» rispose. «Se ce ne fosse stato bisogno, e ti
prego di credermi sulla parola, non ci sarebbe stato altro chirurgo estetico su
questo pianeta al quale avrei affidato mio figlio.»
«Dove sono ora quei
due delinquenti?» riprese Brian dopo un breve silenzio.
«A caccia degli
uomini ai comandi degli Estrada» rispose sempre lui.
«Non possiamo
raggiungerli in nessun modo?»
«Hanno entrambi il
cellulare dietro…» cominciò Jessica e raccontò al marito la telefonata
conclusasi pochi minuti prima.
Quando un cellulare
cominciò a squillare, tutti sussultarono.
Brian prese il
proprio e lesse nel display. «Non ci credo.» Prese la chiamata. «Dove sei?»
chiese. Pausa. «Cosa significa che…?» Altra pausa «Aspetta, ti metto in viva
voce.»
«Immagino tu sia con
la mamma adesso» disse la voce di Drake.
«Drake!» esclamò
Jessica appoggiando una mano sul cellulare del marito come se stesse
accarezzando i capelli del figlio.
«Ciao mamma. Ho poco
tempo» riprese dopo un profondo sospiro, «volevo solo dirvi… che parleremo. So
di averla fatta grossa e vi darò tutte le spiegazioni che meritate… ammesso e
non concesso che esistano spiegazioni valide. Devo essere onesto papà? Al
momento non me ne viene in mente neanche una. E’ successo e basta.»
Jessica piangeva a
dirotto. «Tesoro, ti prego stai attento…»
«Drake, voglio
staccartela di persona quella testa, tienila di conto» disse Brian. Lanciò
un’occhiata a lui e a Manaar, «Dov’è quell’altro delinquente?»
«Con Matt, a
dettargli l’interrogatorio con gli Estrada nella nostra lingua. Stiamo bene.
Papà… vedi una ragazza mora da codeste parti?»
Sharon si avvicinò
al cellulare, «Ce l’hai con me, Tyler?» chiese cercando di mantenere un tono
tranquillo.
Aveva i lucciconi
agli occhi.
«Al momento sei
l’unica ragazza mora nella mia vita Shasha, ce l’ho proprio con te. Come stai?»
«Infuriata e
preoccupata.»
«Spero infuriata con
tuo padre e preoccupata per me.»
Tutti risero.
«Accidenti a te,
aspetta che ti metta le mani addosso Drake!» esclamò Sharon con un sorriso
sulle labbra.
«Se le cose vanno
come spero avrai quest’occasione prima di quanto immagini. Appena Juna può,
farà uno squillo anche lui. Non preoccupatevi, ok? Ci sentiamo presto.»
Gli rispose un coro.
Brian riattaccò
scotendo la testa, «E’ sempre il solito. Da una parte è rassicurante.»
Il professor Cowley
annuì, «L’ho detto anche prima del suo arrivo, signor Tyler. Dovete
assolutamente tirare una netta linea di demarcazione fra Juna e Drake e Darkness
e Falcon. I killers non hanno niente a che fare con i vostri figli. Juna e
Drake resteranno sempre i ragazzi allegri, ironici, fuori di testa e in grado
di far perdere la pazienza ad un sasso che avete cresciuto con sani principi.»
«Deve conoscerli
bene, signor…?» disse Brian.
Realizzò che Brian
non conosceva Cowley.
Furono fatte le presentazioni
e fu Cowley a spiegare la sua presenza in quella stanza.
Brian annuì,
semplicemente. Sembrava aver raggiunto anche lui lo stadio del tanto ormai…
Nel silenzio che
seguì la spiegazione del professor Cowley, Connor accarezzò la nuca a Manaar, uno
dei tanti gesti d’affetto che aveva d’abitudine verso la moglie. «Stai
tranquilla. Ho sentito Drake padrone della situazione… e da quello che hanno
detto quando non sapevano di essere ascoltati anche da noi, hanno la situazione
sotto controllo.»
Manaar corrugò la
fronte, «E’ la prima volta che non li sento d’accordo su qualcosa. Temono l’uno
per l’altro, Connor. Sono perfettamente coscienti di essere in pericolo e
ognuno vuole evitare all’altro di esporsi.»
Lanciò un’occhiata a
suo fratello. Michael era seduto accanto a Melissa. Sembrava che i due bambini
stessero ascoltando con molta attenzione.
Non riusciva a
togliersi dalla mente la voce di Juna.
Che stupida, stupida
e cieca era stata. Aveva scambiato per freddezza l’atto di Juna per salvare
suo padre.
«Drake non
permetterà mai a Juna di correre dei rischi» disse il padre di Drake. «Da
quando respira quel ragazzo è il giocattolo preferito di mio figlio, vale a
dire che può smontarlo solo lui.»
Sharon sorrise,
«Esattamente le stesse parole che mi ha detto anche Drake. Ricordi Jennie?»
Le annuì.
«Ci pensavo anche io
Manaar» disse Ryan. «Li ho sempre visti così perfettamente coalizzati che è
stato quasi uno shock sentirli l’uno contro l’altro per qualcosa.»
«In ultima analisi è
questo che li ha sempre salvati» prese la parola il generale Lewing,
«ognuno di loro tiene all’altro più che a se stesso. A differenza vostra a me è
capitato di vederli discutere… sempre ironicamente, intendiamoci. Anche quando
pensavo che mi avrebbero ucciso non hanno mai perso quel modo di fare che li
rende…» sembrò non trovare le parole. «Il legame che esiste fra quei due
ragazzi li rende più unici che rari. Non so come farò a rimpiazzarli.»
«Si rende conto di
quello che sta dicendo?» chiese il padre di Drake «Mio figlio avrebbe potuto ucciderla?»
Lewing annuì. «Sì
signor Tyler, e per come si erano messe le cose, lui e Darkness avrebbero avuto
tutte le ragioni. Il tradimento, per due agenti come loro, è la cosa peggiore
che un superiore possa fare… va ad intaccare quella cieca fiducia che sta alla
base del rapporto fra chi da ordini e chi li deve eseguire senza discutere.
L’unica volta che quei ragazzi hanno fatto di testa loro hanno salvato la vita
a Michael, a me e a Matthew. Se avessi avuto dei dubbi riguardo le loro
capacità, la notte in cui hanno ritrovato Michael me li avrebbero tolti definitivamente.»
«Quindi anche mio
marito ha rischiato di fare la tua stessa fine» disse improvvisamente Connie.
Lewing rimase a
fissare per qualche secondo la donna, poi guardò Sharon. «Sì» disse alla fine.
«Visto che non ne stiamo parlando, posso dirti anche questo Connie: è vero
quello che ha detto Juna, e cioè che anche il governatore Flalagan ha rischiato
grosso. Quando ha cominciato a fare domande su di loro ero pronto a qualsiasi
cosa per farlo smettere. E’ stato proprio Darkness a salvarlo mettendosi in
mezzo e avvertendolo a chiare lettere di quello che stava rischiando.»
Sharon fissava il
generale come se non lo avesse mai visto prima. «Richard, stai parlando del mio
ragazzo e del ragazzo che…»
«No Sharon» la
interruppe secco il generale. «Hai sentito cosa ha detto George? Imparati
quella litania come l’Ave Maria, se davvero sei innamorata di Drake come
dai ad intendere. Io sto parlando di Darkness e Falcon. Il tuo
ragazzo e il suo migliore amico sono un’altra cosa.»
Fissava il generale
senza riuscire a parlare e il generale se ne accorse, «Hai davvero pensato che
quel ragazzo avrebbe ucciso un uomo che conosce da sempre?» le chiese «Quando
parlammo di questa situazione Darkness mi mise davanti al fatto compiuto:
avrebbe parlato con il governatore e io non dovevo muovere un dito. Nell’ottica
della situazione io e Matt avevamo già combinato abbastanza casini, visto che
non eravamo stati capaci di proteggerli. E ce l’abbiamo messa tutta, credimi»
con un gesto della testa indicò la porta, «Gerard stesso, che è anche sopra di
me come mansione, non aveva la minima idea di chi fossero i migliori agenti
della sezione: li ha visti oggi. Darkness non ha mai voluto conoscere i grandi
capi e Falcon lo ha assecondato.»
Si voltò un attimo
verso la porta per vedere tale Gerard annuire.
«Quindi, Darkness ha
deciso che ci avrebbe pensato lui» riprese Richard. «Prese come scusa che
glielo aveva chiesto il nonno, ma per me è stato chiaro che voleva mettere al
sicuro il governatore e gli ho dato carta bianca. Gli ha fatto da scudo. Sapeva
che parlando chiaro a tuo padre e facendosi vedere da tuo fratello avrebbe
ottenuto quello che voleva: il bambino avrebbe smesso di fare pressioni perché
aveva ritrovato… i suoi guerrieri e il governatore non sarebbe stato tentato di
continuare a indagare per i fatti suoi.»
Jeremy scosse la
testa, «Io lo sapevo» disse, «Dio mio, io lo sapevo. Juna si è esposto in prima
persona per proteggere me e la mia famiglia.»
«Tesoro, accetti che
quest’uomo aveva in progetto di ucciderti?» chiese Sarah additando il generale
Lewing.
Jeremy annuì, «Sì
Sarah. Si parla di una situazione… di livello superiore. Non so
spiegarmi in altra maniera. I servizi segreti ragionano ad un livello superiore. Il
generale aveva me su un piatto e due suoi agenti nell’altro. Le sue priorità
sono limpide.»
Calò il silenzio.
«Generale» disse Manaar,
«credo di avere il diritto di sapere cosa ha rischiato mio figlio.»
Lewing rimase a
fissarla per qualche secondo, respirò profondamente. «D’accordo. Resta chiaro
signori che questa conversazione non sta avendo luogo. Nella più semplicistica
delle ipotesi, gli uomini di Estrada li avrebbero massacrati. Una talpa
all’interno della sezione li ha venduti a Carlos Estrada. Li stavano aspettando.»
«Che fine ha fatto
questa talpa?» chiese Connor.
«E’ saltata in aria
con la propria macchina il lunedì mattina stesso.»
«Sono stati…?»
cominciò Jessica… e si fermò.
Lewing scosse la
testa, «No. Io diedi l’ordine e Matt lo eseguì. E con immenso piacere,
lasciatemelo dire.»
«Richard!» esplose Connie.
«Matt è sempre stato
molto legato a Darkness… non credo di doverti spiegare il motivo. Lo scoprire
che proprio il suo braccio destro aveva messo per ben due volte in pericolo
quel ragazzo gli ha tolto ogni scrupolo. E’ stato quel giorno che Matt ha dato
a Darkness il numero di cellulare di Aaron.»
«Scusami… chi è
Aaron?» chiese Gerard.
«Te lo spiego dopo»
rispose Lewing. «Ha ricambiato la fiducia di quel ragazzo nell’unico modo
possibile: mettendo a sua volta la propria vita nelle sue mani» riprese poi. «Personalmente
posso dirti che sono abituato a dare ordini agli agenti sotto di me, ma quei
due ragazzi sono speciali… quando mi sono reso conto di cosa stava succedendo…»
si bloccò. «Dannazione Connie. Juna e Drake non sono mai stati due qualunque
per me e Matt e questo deve bastarti.»
Li aveva chiamati
per nome.
Tutti dovettero
rendersi conto di cosa quel particolare implicava, perché stavano guardando
Lewing come se lo vedessero per la prima volta.
«Grazie della
sincerità, generale» disse Manaar.
Dio, come aveva
potuto pensare che Juna…?
Aveva bisogno di
sentire di nuovo la sua voce. Aveva bisogno di sentirlo ridere.
Si era innamorata di
lui a undici anni.
Fu un pensiero che
le dette le vertigini.
Sì. Adesso riusciva
ad ammetterlo. Si era innamorata di un ragazzo che dava un’altra dimensione al
concetto di luci e ombre.
Si chinò su se
stessa e si portò una mano sugli occhi. Era innamorata di Juna.
Lo aveva perso nel
momento in cui lo aveva creduto capace di uccidere suo padre?
«Jennifer!» esclamò
suo padre.
Con un sussulto
tornò a sedere a schiena diritta. «Papà, mi hai fatto prendere un accidente!»
«Stai bene tesoro?»
chiese sua madre.
Le annuì.
«Richard, fammi
capire un attimo» stava dicendo Connie sottovoce a pochi passi da lei. «Se quel
Gerard non sa di… Aaron, mi spieghi cosa ci rappresentiamo io e Sharon qui?»
«Tuo marito vi ha
incluso nel pacchetto come strette conoscenze dei Flalagan e Sharon è comunque
la ragazza di Falcon. Nessuno, tranne
me, Darkness e Falcon sa della doppia vita di Matt» fu la risposta del generale
Lewing.
Lo squillo del suo
cellulare attirò la sua attenzione e smise di ascoltare.
Lo cercò nella tasca
dei jeans e lesse sul display.
Quelle lettere le
ballarono per qualche istante davanti agli occhi. Juna.
«Jennie, chi è?»
chiese Madeline.
«Juna. E’ Juna»
rispose la sua voce.
Allungò il cellulare
verso Manaar… che scosse la testa. «No tesoro, ha chiamato te. Rispondi, ti
prego.»
Prese la chiamata.
«Pronto?»
«A giudicare dalla
voce sei passata dallo shock al coma.»
Era la sua voce. Era
lui.
«Dove sei?»
«Fammi una domanda
più facile Flalagan.»
«Juna ti prego…»
«Dovrei dirti una
bugia, Jen, lo preferisci?»
Si arrese, «No. Stai
bene?»
«Mh, direi di sì. Tu
come stai?»
«Stiamo tirando a
sorte i numeri per prenderti a botte appena questa situazione sarà risolta.
Sono la quarta dopo tuo padre, tua madre e il professor Cowley.»
Juna scoppiò a
ridere. Un suono che le fece salire le lacrime agli occhi. «E’ confortante
sapere che il senso dell’umorismo non ti ha abbandonata!»
«Aspetta» aggiunse
con voce un po’ più malferma, «ti metto in viva voce.»
«Ok.»
Appena lo fece la
voce di Juna risuonò come se lo avesse avuto seduto accanto, «Non credo sia il
caso di cominciare con un buonasera, vero?»
«Come stai tesoro?»
chiese Manaar che nel frattempo era volata a sedere accanto a lei.
«Sto bene mamma. Stiamo
bene. Voi come vi siete organizzati?»
«Bene» rispose
Michael. «Abbiamo rifatto i letti anche io e Lissa.»
«E come? Saltandoci
sopra?»
Tutti risero alla
battuta.
In quel momento le
fu finalmente chiaro che Juna sarebbe rimasto sempre ben separato dal killer a
sangue freddo.
«Juna, quando
torni?» chiese Melissa.
«Presto pulcino. E’
arrivato il momento di farsi passare gli incubi e affrontare la realtà di tutti
i giorni, lo capisci, vero?»
La bambina rimase in
silenzio per qualche secondo, poi… «Sì. E’ proprio arrivato il momento. Ho
imparato anche a nuotare, ricordi?» aggiunse con un sorriso.
Juna rise di nuovo,
«Quando torno ricordami di darti un bacione!»
«Juna…» Sharon si
era accucciata vicino al cellulare.
«Dimmi Shasha.»
«Sta’ attento a
Drake e… a Matt.»
Anche Juna rimase in
silenzio un attimo, mentre lei fissava l’amica sorpresa. «Per Matt non
preoccuparti. Io e Drake siamo ancora d’accordo su qualcosa, ci siamo
intestarditi e seguirà l’azione da fuori… per quanto riguarda il tuo ragazzo
invece, sto prendendo in seria considerazione l’ipotesi di legarlo e
imbavagliarlo.»
«Qualunque cosa
voglia fare Drake non credo sia contro di te» disse Manaar, «quindi fammi il
favore di assecondarlo.»
«Oh, finalmente!»
disse la voce di Drake «La voce della saggezza! Manaar, mi serviresti qui per
far ragionare quel testone di tuo figlio!»
Melissa in un lampo
le fu in collo, «Drake! Per favore, stai attento a Juna!»
«Tranquilla
puffetta: è in una botte di ferro.»
«Credo che adesso
spengeremo i cellulari» disse Juna. «Mamma?»
«Dimmi.»
«Non ti sbarazzerai
di me così facilmente, quindi non farmi diventare pazzo papà, intesi?»
Manaar ricominciò a
piangere in silenzio «Intesi» rispose in un sussurro.
«Juna…» fu appena un
soffio ma il ragazzo la sentì.
«Dimmi Flalagan.»
«Quando tornerai
sarò così felice che probabilmente non ti prenderò a botte.»
Juna rimase in
silenzio la frazione di un secondo, poi indovinò il sorriso che gli piegò le
labbra e la sua voce suonò dolce come non l’aveva mai sentita prima, «Adesso sì
che ho un buon motivo per risolvere questa situazione il più velocemente
possibile. E’ un richiamo irresistibile. Contaci.»
La comunicazione fu
interrotta.
Non riuscì più a
frenare le lacrime e i singhiozzi.
Juna chiuse la
comunicazione con un’espressione che non gli aveva mai visto prima.
Oh, finalmente se
n’era accorto!
«Bene bene…
cominceremo ad organizzare uscite a quattro» disse.
«Forse anche sei o
otto… scordi Justin e Georgie con relativi partners?» ribatté il suo migliore amico.
In meno di mezz’ora
furono pronti e tornarono nella stanza dove si trovava Matthew.
Non si misero ancora
i passamontagna.
«Ah ragazzi, ecco vi
qua» disse vedendoli. «Ho preparato le vostre armi.»
Presero le pistole e
le misero nelle fondine.
«Funziona tutto?»
riprese Matthew.
«Non dovrebbe?»
ribatté Juna.
Matthew sorrise
divertito. «Overdose di ottimismo o cosa, Darkness?»
«Oggi dovrà andare
tutto bene Matt, non abbiamo altra scelta.»
«Andrà tutto bene… o
mi conviene non tornare a casa.» Si schiarì la voce, «Nella villa non entrerete
da soli stavolta e anche nel parco sarete coperti da tre uomini ciascuno.»
«Vengono anche i
cani» lo informò Juna.
«D’accordo.»
«Chi sono gli uomini
in questione?» chiese per la cronaca.
«Erano tutti nella
lista. Stanno arrivando.»
«Matt, mi togli una
curiosità?» riprese Juna.
«Dimmi.»
«Perché tua figlia
dovrebbe chiamarti Matt?»
Un leggero sorriso
piegò le labbra dell’uomo. «Fino a ieri sera eravate solo in quattro a sapere
della mia doppia vita: tu, Falcon, Richard e mia moglie. Mia figlia ha sentito
parlare diverse persone oggi e… beh, è estremamente sveglia la mia bambina.»
Rimasero in
silenzio.
Ne approfittò per
ripassare ancora una volta la disposizione delle stanze in quella dannata
villa.
Il rumore della
porta che si apriva lo distolse da quei pensieri.
Entrarono sei
uomini, ad occhio età media quarant’anni.
«Comandante»
salutarono in coro.
«Ben arrivati. Spero
mi scuserete per questa chiamata così improvvisa… ma so che ognuno di voi ha
una questione aperta e ho pensato di darvi l’occasione per chiuderla.»
I sei uomini si
guardarono, poi fu uno solo a parlare, «Posso chiedere a cosa si riferisce?»
«Ricordate quando la
lista dei nomi fu rubata?»
Un altro sbuffò,
«Sì, lo seppi quattro ore troppo tardi, se non fosse stato per Darkness
e Falcon sarei morto.»
L’uomo accanto a lui
lo guardò sbalordito, «Eri anche tu sotto copertura in quel periodo?» chiese.
«Lo eravate tutti e
sei» riprese la parola Matthew. «Vi presento Darkness e Falcon.»
Silenzio.
«Cosa?» chiese il
primo che aveva parlato «Questi due ragazzi sono…?»
«Adesso sono loro ad
essere nei guai, così ho pensato…» disse Matthew.
I sei uomini si
mossero in bloccò. Lui e Juna si trovarono circondati.
Sorrisi, pacche
sulle spalle e strette di mano: sembravano aver completamente scordato che
erano davanti ad un loro superiore.
«Chi se lo sarebbe
mai immaginato!» esclamò quello che lo aveva saputo quattro ore troppo tardi
«Sono Madoc! Ragazzi, sono felicissimo di incontrarvi! Non avete idea di quanto
vi devo!»
«Eri in Afghanistan all’epoca» disse Juna.
«Devi essere tu
quello che imparò la lista a memoria!» ribatté allora Madoc «Chi sei dei due?»
«Darkness, lui è
Falcon.»
Si presentarono
anche gli altri: oltre a Madoc si trovavano davanti Looser, Gothic, Flame, Hell
e Ice.
Juna sembrava capire
perfettamente… e tanto gli bastava.
«Cosa è successo
ragazzi?» chiese Hell «Come possiamo aiutarvi?»
Fu Matthew a
riassumere la situazione.
«Quei figli di
puttana!» esplose Ice «Sarà un piacere coprirvi!»
«Sono tiratori
scelti, fra le altre cose» li informò Matthew. «Darkness ha già catturato i due
Estrada fratelli di Carlos» riprese poi. «Quella villa pullula di uomini ai
loro ordini. Non deve rimanerne vivo uno, intesi? La priorità è arginare il più
possibile la fuga della notizia. Potete spegnere i cellulari: ho fatto portare
in loco un dispositivo di disturbo per le onde radio. Sono già isolati e non lo
sanno.»
«Ma vi sono venuti a
cercare?» chiese Looser.
«A casa mia» rispose
Juna.
«I tuoi non sapevano
nulla, immagino» disse Gothic.
Al gesto negativo di
Juna, «Figli di puttana» sottolineò il concetto Ice. «Le vostre famiglie sono
al sicuro?»
Fu lui a rispondere,
«Sì.»
«Ragazzi, siete in
una botte di ferro» disse Flame.
Sperò che avesse
ragione.
______________________________________________
NOTE:
giunigiu95: ma dai, hai la ff sul comodino??? Bellissimo! XD
Sono onorata, davvero!
Non so se affronterò il matrimonio fra J&J (ormai siamo in
confidenza…), forse…
Per quanto riguarda le reazioni dei familiari, mi sono immaginata uno
shock composto del tipo ”lo vedo e non riesco a crederci, ne riparliamo appena
sono sicuro/a che non ti hanno ammazzato”.
Come avrei portato avanti altrimenti la storia? Neanche la mia immaginazione
mi ha suggerito alternative… o.O
Le armi che Juna ha in camera… beh… Howard è un maggiordomo che lavora
in quella casa da 40 anni… obiettivamente pensi che esistano nascondigli che
lui già non conosce?
Zarah: Ci ho pensato un bel po’. Ho cominciato a scrivere la scena fra Juna
e Drake quando Juna gli doveva dire cosa aveva saputo, ma mi sono resa conto
che avrei solo ripetuto cose che avevo già fatto dire ad altri personaggi.
Come anche che Drake e Sharon si sono messi insieme… mi sono chiesta:
devo scrivere una scena apposta? Non è chiaro ormai?
Quindi ho deciso di affrontare subito la scena dell’irruzione e far
emergere gli ultimi avvenimenti (il fatto del pc di Lewing, che Juna e Drake
avevano parlato etc) man mano che la situazione progrediva.
Jennifer… beh, Jennifer… immaginala in uno stato di shock in un
contesto in cui tutto è più importante e urgente dello shock… dici che la sua
reazione è troppo calma? Questo cap. ti ha un po’ chiarito le idee? XD
Capitolo 19 *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 19 ***
Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 19
Non
E’ Mai Troppo Tardi
19
L’arrivo degli Alifahaar,
poco prima delle dieci, aggiunse l’ennesimo tassello ad una giornata che
nessuno avrebbe mai più scordato.
Il flemmatico commento di sua madre fu Non credo riusciremo
a dormire tutti in un solo piano.
Al che Howard e gli altri domestici erano andati a rifare
altri letti.
Erano al completo.
La prima ora la passarono a spiegare ai nuovi arrivati la
situazione… e Mansur la prese meglio del previsto.
«Dov’è adesso?» chiese.
«Con il suo superiore, è tutto quello che sappiano per certo»
rispose Manaar.
«Questa volta lo batto in terra» decise Afef, la cugina con il
carattere più simile a suo figlio. «Mio cugino è impazzito o cosa?»
«All’inizio abbiamo avuto tutti questa reazione» disse
Georgie.
«E poi?» chiese Soraya.
«E poi ci siamo messi qui ad aspettare» rispose suo padre. «Mansur,
sono pronto a scommettere che lo strano comportamento di Juna dell’ultimo
periodo sia da attribuire soprattutto a questa situazione. Non ha mai agito con
leggerezza.»
Le sorelle di sua moglie si erano strette intorno alla sorella
più piccola e stavano parlando a bassa voce.
E ancora non sapevano tutto.
Come se lo avesse sentito, sua moglie lo guardò. Lesse
perfettamente la domanda nei suoi occhi.
«Tanto vale tesoro» le rispose a voce. «Abbiamo tutto il tempo
che vogliamo. Non credo qualcuno di noi abbia sonno.»
«C’è dell’altro?» chiese Mansur.
«Avete cenato?» chiese Lennie «Vi va qualcosa?»
Ci fu un coro di cortese rifiuto.
Ovviamente toccò a lui e a sua moglie raccontare di nuovo la
storia di Jawad… e decise sul momento di spiegare anche la situazione celebrale
di suo figlio e il fatto che gli occhi di Jawad in quel momento li stessero
guardando.
Sharon fu presentata.
Le nipoti e le sorelle cambiarono colore… in particolare Loraia
e Abigail non potevano evidentemente credere che la sorella avesse loro
nascosto un fatto del genere. I mariti rimasero senza parole.
Charmaine si mise a piangere.
Mansur… Mansur rimase a fissarli con occhi sgranati. «Cosa
avete in quelle teste?» chiese poi con un filo di voce «Vi rendete conto di
cosa mi state dicendo?»
«Papà…» cominciò Manaar.
«Non provare a mitigare i toni Manaar» la bloccò.
«Mansur, ascolta bene quello che ti dico. Gli unici a saperlo
eravamo io, Manaar e Larry, che li ha fatti nascere e poi li ha divisi. Meno di
quattro ore fa ho avuto la conferma che Juna è venuto a conoscenza
dell’esistenza di Jawad… non chiedermi come, perché è un qualcosa che dovremo
affrontare con nostro figlio da soli e con calma» lo prevenne. «Non abbiamo detto
niente perché le famiglie erano in guerra, addirittura io ero in guerra con mio
padre. O lo dicevamo a tutti o a nessuno e abbiamo scelto la seconda
essenzialmente per tenerlo nascosto a Juna.»
«Avete pensato che io o Patrick avremmo potuto usare la morte
di Jawad come arma l’uno contro l’altro?» chiese suo suocero come se volesse
essere sicuro di aver capito bene.
«Sia tu che mio padre quando perdete la calma perdete anche il
controllo di cosa dite» riconobbe. «Vuoi metterla su questo piano? Accomodati.
La nostra scelta all’epoca fu dettata dal solo desiderio di tenere nascosto a Juna
che per vivere aveva condannato a morte il suo gemello.»
Loraia, la maggiore delle figlie di Mansur scosse la testa,
«Credo di aver capito, ma Connor, spero capirai a tua volta che è un po’ troppo
da digerire tutto insieme.»
Gordon, il marito di Loraia scosse la testa, «Tesoro, immagina
quanto deve essere difficile per loro che si sono trovati anche questi
delinquenti in salotto. Hanno minacciato Connor con una pistola, lo hai capito
questo?»
Con la coda dell’occhio notò come Afef e Soraya avessero
avvicinato Jennifer, Sharon e Georgie, prontamente seguite da Harrania, Moira e
Nassian, le più piccole.
«Dovremo alzare e di parecchio il nostro livello di
sopportazione Loraia» stava dicendo sua moglie. «Tu più di chiunque altro
dovresti sapere che le mie scelte sono sempre state dettate dalla volontà di
evitare guai e dispiaceri. Stamani quando mi sono alzata tutto pensavo fuorché
di scoprire che mio figlio lavora per i servizi segreti, ma questa è la realtà
e adesso devo comportarmi di conseguenza.»
Chiaramente le cugine di Juna erano interessate a Sharon per
il trapianto di occhi.
Vedendole, lo stampo era chiaramente lo stesso di Juna, erano
cinque bellezze esotiche in diversi stadi di crescita.
Furono fatte le presentazioni da Georgie che le conosceva già
e scoprì che Afef, Harrania e Moira, esattamente in quest’ordine, erano figlie
della primogenita di Mansur, Soraya e Nassian della mezzana che rispondeva al
nome di Abigail… quindi Manaar era la più piccola.
Fu Afef, chiaramente il capo del gruppetto, a prendere la
parola. «Sharon, non so neanche se dirti che è un piacere conoscerti. Credo lo
sarà sicuramente perché sei anche la ragazza di Drake e io vedo da sempre Drake
come un tutt’uno con mio cugino… credo di essere un po’ scombussolata adesso.»
Sharon le sorrise debolmente, «Benvenuta nel club Afef.»
Alla battuta anche le altre le sorrisero.
«Ah, forse c’è un’altra cosa che dovreste sapere» disse
Georgie, «Jennifer si avvia a diventare la fidanzata di Juna.»
In men che non si dica si trovò al centro dell’attenzione.
Incenerì Georgie con un’occhiata.
Nassian, ad occhio la baby del gruppo, le si avvicinò e
affondò una manina fra i suoi capelli, «Sei bella.»
Le accarezzò una guancia, «Grazie piccina.»
«Io sono Michael, suo fratello!»
«Loro sono le altre cugine di Juna» disse Melissa al suo
eterno complice.
«Sono belle come lui» fu il commento di suo fratello.
Afef sorrise, «Ringrazio a nome di tutte.»
«Immagino che voi comunque abbiate le idee un po’ più chiare
di quando vi siete trovate immischiate in questa storia» disse Soraya. «Per
favore, diteci qualcosa di più.»
Con la coda dell’occhio vide che anche Justin si era
avvicinato.
«Ciao Justin» lo salutò Afef.
«Ciao Afef… ragazze» salutò le altre.
Fu Sharon a prendersi la bega di spiegare i particolari della
storia. Incluso che fosse la figlia di colui che aveva reclutato Juna e Drake.
Le cugine di Juna stavano in silenzio ad ascoltare.
Molto presto si rese conto che l’intera stanza si era fermata
ad ascoltare Sharon.
«Ho perso la testa per Drake molti anni fa» concluse, «e
questa è una delle due incredibili coincidenze di tutta la faccenda, perché mio
padre ha sempre saputo cosa facesse Juna e non a caso si è occupato del
rapimento di Michael. La seconda è che Juna e Drake abbiano trovato Michael in
quella villa. Tutto il resto è venuto da solo.»
«Per quello che mi riguarda fai già parte della famiglia»
disse Mansur, «hai gli occhi di mio nipote Jawad e sei la ragazza del migliore amico
di Juna… conosco Drake abbastanza da poter affermare che è un ragazzo capace di
profondi sentimenti, basta considerare quello che lo lega a mio nipote, da che
ho memoria sei la prima che mi viene presentata come la sua ragazza.»
«Nonno, sembra che Jennifer sia la fidanzata di Juna» disse
Nassian.
Aprì bocca per precisare, ma…
«Lo avevo già intuito pulcino» disse Mansur, «probabilmente
nel frattempo se ne sono accorti anche questi due. Come hai preso la doppia
vita di mio nipote?»
Decise di essere totalmente onesta, «Ho pensato subito il
peggio Mansur e adesso me ne vergogno. Non so se Juna riuscirà a perdonarmi per
averlo creduto capace di poter… far del male a mio padre quando invece si è
esposto in prima persona per mettere al sicuro sia lui che noi.»
«Jennie, mio figlio è cosciente di essere una cassaforte»
disse Manaar. «Hai creduto subito il peggio perché lui non ti ha dato motivo
per credere il contrario. Juna è molto riservato circa i suoi sentimenti… forse
solo Drake sa cosa gli passa veramente per la testa.»
«Ha rischiato la vita per permettere a Drake di portare mio
fratello fuori da quella villa, una persona capace di un simile gesto non
uccide le persone a cuor leggero. Dio mio lo capisco solo ora. Niente è mai
bianco o nero e anche uccidere qualcuno può essere un atto mirato a fare del
bene.»
«Ed è l’ovvio che in quanto tale sfugge alla stragrande
maggioranza di noi» ripeté Justin.
Chiuse gli occhi perché le veniva da piangere.
«E’ una delle grandi verità di mio figlio, questa» disse
Connor.
«Signori, scusate…»
Tutti si voltarono verso la porta.
C’erano Howard e il generale Lewing. A parlare era stato
Howard che terminò, «Tutte le stanze sono pronte.»
«Grazie Howard» disse Madeline. «Ti spiace fare un po’ di tea
e un po’ di caffè?»
Con un inchino Howard sparì.
«Generale, abbiamo notizie?» chiese Ryan.
«Non molte di più di quelle che già sappiamo. Darkness ha
capito veramente dove si trovano gli uomini degli Estrada, stanno preparando
un’imboscata.»
«Lei è l’uomo che ha messo in mano una pistola a mio nipote,
se ho capito bene» disse Mansur.
«Sono il generale Richard Lewing, signor Alifahaar, il capo
della sezione.»
Fu Charmaine a scattare, «Come ha potuto?!» esplose «Mio
nipote era un ragazzino!»
Il generale la fissò per qualche secondo, poi, con calma,
disse ad alta voce un’altra grande verità. «Signora, suo nipote non è mai stato
neanche bambino, figuriamoci ragazzino. Io ho conosciuto un
quindicenne con un cervello che surclassava il mio, una maturità impressionante
e un senso dell’umorismo senza eguali. Lui e Falcon sono stati addestrati con
metodo e attenzione, io e il loro superiore non gli abbiamo semplicemente messo
una pistola in mano aprendogli poi le porte che danno sul mondo.»
Charmaine rimase a guardarlo mordendosi il labbro inferiore,
poi gli voltò le spalle senza aggiungere altro.
Il generale sospirò pesantemente, «Vi consiglio di andare a
letto e riposare. Restare svegli tutta la notte non servirà a niente.»
«Ma pensa che l’imboscata…» cominciò Manaar.
«Darkness e Falcon vogliono chiudere questa storia il prima
possibile, ma non agiranno se non saranno più che sicuri di essere pronti a
farlo. Io e Matt abbiamo spiegato le nostre forze al completo. Quei due ragazzi
adesso sono a capo della squadra più preparata della sezione.»
Squillò un cellulare e Afef prese il proprio. Appena lesse il
display aprì lo sportellino e prese la chiamata. «Dove sei??» chiese «Nel senso
che non sono la prima a chiedertelo?» continuò «Mah, chiamalo istinto, ma sappi
che ho davanti la tua fidanzata.» Si rivolse a lei, «Ti saluta.» Poi riprese a
parlare con Juna, perché a quel punto era chiaro che fosse lui. «Io e te
dobbiamo parlare sai? Cosa mi combini?»
Nassian si attaccò al braccio della cugina maggiore, «Ti prego
Afef, voglio parlarci!» esclamò.
Afef la guardò per qualche secondo, poi… «Ti metto in viva
voce Juna.»
Appena lo fece la voce di Juna riempì la stanza. «Ehi
ragazzine come va?»
«Se ci fossi tu sarebbe meglio» rispose Nassian. «Dove sei?
Quando arrivi?»
Juna rimase in silenzio qualche secondo, forse chiedendosi se
le cugine più piccole sapessero come stavano le cose.
«Sappiamo già tutto Juna» disse Soraya, «ricordami di darti
tante botte.»
«Cugina, mettiti in fila. Almeno i primi quattro turni sono
presi.»
«Quando arrivi?» tornò all’attacco Moira.
«Presto tesoro» rispose Juna. «Non posso essere più preciso di
così.»
Mansur disse improvvisamente qualcosa in una lingua che le
suonò completamente estranea… poi si ricordò che Juna sapeva anche l’arabo per
far contento suo nonno.
Infatti Juna rispose.
Ci fu un veloce scambio fra nonno e nipote. Alla fine Mansur
sospirò rassegnato e disse un’ultima cosa in arabo.
«Ragazzo, chi vi appoggerà?» chiese improvvisamente il
professor Cowley.
«Tiratori scelti» rispose Juna. «Saremo in otto. George, fammi
un favore: non preoccuparti, ok? Ti sei portato dietro le tue medicine?»
«Parliamo di te, vuoi?»
Juna respirò profondamente, «Jennie, mi stai ascoltando?»
Non riuscì a trattenere un sussulto, «Sono qui.»
«Trovami Lewing per favore e portalo nella stanza.»
Lewing quasi scattò sugli attenti, «Sono qui Darkness.»
«Fammi il favore: costringi quell’uomo a dirti i medicinali
che deve prendere… se sei riuscito a dargli ordini e a farti ubbidire,
riuscirai anche a estorcergli quei nomi, trovali e faglieli prendere. Appena ci
sei riuscito, chiama Matt che mi avverte.»
Le vennero le lacrime agli occhi. Juna stava rischiando la
vita e ancora pensava a quella degli altri.
Lewing sorrideva… soddisfatto. «Ci penso io.»
Il professor Cowley seguiva la scena a bocca aperta, «Dai tu gli
ordini adesso?» chiese poi.
«Io e Richard abbiamo sempre avuto un rapporto alla pari» fu
la spiegazione di Juna. «George, che ne dici di collaborare, almeno per
stanotte?»
Il professore si morse il labbro inferiore, vide chiaramente
un luccichio nei suoi occhi, «Accidenti a te ragazzo. Va bene. Mi impegno a
collaborare. Tu vedi di tornare alla svelta.»
«Ecco visto?» disse Moira «Lo pensano tutti! Juna, quando
torni?»
«Moira, torno presto» rispose il ragazzo. «Voi adesso andate a
nanna che è tardissimo.»
«Mi svegli tu domani mattina?» chiese improvvisamente Melissa.
«Sicuro, vi butterò tutte giù dal letto» rispose senza
esitazioni, «promesso. Adesso, a nanna!»
Sentirono distintamente la voce di Drake dire qualcosa in
sottofondo.
«Devo andare adesso. A domani.»
La comunicazione si interruppe.
Il silenzio più totale calò nella stanza.
«George?» disse semplicemente il generale Lewing.
«Smettila per favore, dove pensi di trovare le medicine
adesso?» ribatté Cowley.
«Tu intanto dimmi i nomi, ho delle riserve che neanche ti
immagini.»
«Serve la prescrizione medica.»
«L’F.B.I. dispone anche di medici. Avanti George, quel ragazzo
non avrà la mente sgombra fino a quando non saprà che hai preso le tue
medicine.»
Il professore si arrese e sciorinò un elenco di quattro o
cinque nomi.
Il generale Lewing uscì dalla stanza facendo partire una
telefonata dal cellulare.
«Lei non ha preso neanche una medicina oggi» disse Connor. «E
ha il coraggio di dare dell’incosciente a mio figlio? Se si sentisse male qui,
mi spiega come potremmo portarla in ospedale?»
Il professore respirò profondamente, «Connor, capisco che ha
bisogno di qualcosa di tangibile e a portata di mano su cui cristallizzare la
sua preoccupazione… ma in questo momento io non corro nessun pericolo. Non sto
facendo sforzi di alcun genere, non ho fumato, ho mangiato regolarmente e
niente che sia fuori dalla mia dieta. Se per un giorno non prendo quelle
dannate medicine non morirò.»
Disse l’ultima frase con un tono che gli fece venire i
brividi.
Non era lui che rischiava di morire in quel momento.
Gli occhi di sua figlia si riempirono immediatamente di
lacrime.
Juna, cosa
avevi in testa quando hai accettato di diventare un killer?
Connor aveva intuito qualcosa. Era riuscito a percepire
qualcosa nel figlio di fuori dall’ordinario, e né lui né Patrick gli avevano
dato retta, ma…
Si stropicciò gli occhi con una mano.
«Nonno, stai bene?» chiese Nassian.
Risollevò la testa, «Sì piccola, non preoccuparti. Adesso tu,
le tue sorelle e le tue cugine prendete un bel tea caldo e poi andate a letto,
intesi?»
«Perché Moira, Harrania e Nassian non dormono con me e Micky?»
chiese Melissa.
«Afef e Soraya potrebbero dormire con me, Jennie e Sharon»
continuò Georgie. «La camera dei bambini è davanti alla nostra.»
Istintivamente le sue nipoti lo guardano, cinque sguardi una
sola supplica, per poi ricordarsi che c’erano anche i loro rispettivi padri
nella stanza.
Sia Gordon che Trevor, dopo una rapida occhiata alle mogli,
annuirono alla rispettiva prole.
Afef e Soraya erano più preoccupate di quanto dessero a
vedere. Conosceva bene le sue nipoti e il profondo legame che le univa
all’unico cugino.
Le tre più piccole non avevano capito esattamente cosa
rischiava Juna, erano troppo tranquille, avevano chiaro solo che non era lì con
loro e sarebbe dovuto esserci. Afef e Soraya invece avevano capito che c’era il
rischio di non rivederlo più.
Il solo pensiero gli tolse il fiato.
Sentì le gambe cedergli.
«Mansur, tesoro!» esplose sua moglie sorreggendolo.
«Papà!» le sue tre figlie gli furono vicine in un attimo.
«Sto bene. Non preoccupatevi.»
«Siediti Mansur» disse Connor, «è stata una giornata pesante.
Ci prendiamo anche noi un bel tea e poi andiamo a letto.»
«Nonno… lo vedi che non stai bene?» chiese Nassian issandosi
in collo a lui appena toccò la poltrona.
«Sono solo stanco pulcino. Anche voi due, non fate quel
musetto» si rivolse a Moira e Harrania.
«Se Juna fosse qui andrebbe tutto bene» disse Harrania con una
mano davanti alla bocca.
Quello lo avevano intuito.
«Ha detto che ci sveglia domani mattina» disse Melissa, quasi
sfidando chicchessia a dire il contrario.
Quella bambina aveva capito, invece.
Lo sguardo di Michael poi, faceva chiaramente capire che lui
aveva molto chiara la situazione. Quel bambino aveva sempre saputo la verità ed
era stato incredibilmente bravo nel tenersela per sé.
Juna aveva gestito magnificamente anche una situazione
difficile come quella.
«Jennifer, quando vi siete fidanzati, tu e Juna?» chiese per
cambiare discorso.
«Ancora non si sono fidanzati papà» rispose Manaar. «E’ un
discorso complicato.»
«Beh, semplice non
lo è mai stato» disse la madre di Connor.
Sua moglie era perplessa, «Ma allora?»
«Alla fine di questa storia Juna e Jennie dovranno parlare»
spiegò sua figlia.
Arrivarono Howard e altre cameriere con caraffe e tazze e in
pochi minuti tutti avevano in mano una tazza fumante.
La mani di Afef tremavano da non tenere la tazza. Soraya fu un
fulmine ad afferrare anche quella della cugina.
Moira guardò perplessa la sorella più grande. «Mi è scivolata»
fu la spiegazione di Afef.
Nassian, da sempre la più vigile e attenta anche se la più
piccola, aggrottò la fronte, «Neanche tu stai bene cugina» disse.
«Abbiamo bisogno di dormire» disse Soraya alla sorellina, «è
stato un lungo viaggio assolutamente fuori programma.»
Come al solito le più piccole presero per oro colato le
affermazioni delle due più grandi.
In quel momento Jennifer incrociò lo sguardo del padre,
rimasero a fissarsi per qualche secondo, poi si alzò, «Su Micky, ti metto a
letto.»
«Posso venire anche io?» chiese Melissa.
«Sicuro pulcino» disse Sharon, «ti aiuto io, se tua madre non
ha niente in contrario.»
Elizabeth diede il suo assenso con un cenno della testa.
Anche Afef e Soraya capirono: i grandi volevano stare un po’
senza i piccoli.
«Sorellina uno e sorellina due» disse Afef usando un modo
giocoso di rivolgersi a Moira e Harrania, «su, a nanna.»
Nassian prese la mano di Soraya senza bisogno di una parola e
il gruppetto, completo di Georgie, lasciò la stanza augurando la buonanotte.
Justin andò a sedersi sul bracciolo della poltrona occupata dalla
madre.
«Non chiuderanno occhio» predisse Loraia, «Afef è troppo in
pena per Juna.»
«Tesoro, nessuno di noi dormirà» disse Gordon. «Moira,
Harrania e Nassian sono più piccole, forse non capiscono a pieno quello che sta
succedendo, ma la sola assenza di Juna le ha messe in agitazione.»
«Melissa è stranamente calma» disse Ryan.
«E’ la calma di Michael che la mantiene calma a sua volta»
disse Sarah.
Entrò il generale Lewing. «Tieni George» disse tendendogli una
manciata di confezioni, «prendile subito così posso fare quella telefonata.»
Nessun perse tempo a meravigliarsi.
Erano già tutti e otto dentro. Dieci con i cani.
Lizar e Dragar si
erano soffermati su Madoc, Looser, Gothic, Flame, Hell e Ice in modo da non
riconoscerli come pericoli, non potevano basarsi sul loro odore perché
indossavano le stesse tute che avevano salvato loro la prima volta che erano
entrati in quel parco.
«Darkness, qui Eternity» la voce di Matthew dall’auricolare
era nitida e bassa.
Avevano scoperto anche il suo nome in codice quel giorno!
«Qui Darkness.»
L’attrezzatura della prima incursione in quella villa era
stata ampliata e perfezionata. Adesso ognuno di loro era in contatto con gli
altri sette e poteva ascoltare anche Matthew.
«Il bambino ha preso le medicine.»
Gli venne da sorridere, in parte per la battuta, in parte per
il sollievo. «Ricevuto. Grazie»
«Falcon, qui Madoc. Ne hai due dritti davanti a te, circa
cinquanta metri. Ci posso pensare io, senza problemi. Mantieniti alla destra
della fila di alberi.»
«Qui Falcon. Ricevuto Madoc. Occupatene tu.»
Madoc, Looser,
Gothic, Flame, Hell e Ice avevano occhiali ad infrarossi con potenti binocoli
incorporati. Riconoscevano i bersagli dal calore del corpo.
Le tute li proteggevano anche termicamente trattenendo il
calore del corpo all’interno, cosicché apparivano completamente bianchi, vale a
dire come corpi freddi, agli occhi dei tiratori mentre gli altri apparivano di
diverse tonalità dal giallo al rosso intenso.
Si trovavano a meno
di venti metri dietro di loro e lui e Drake, in quel momento, distanziavano
l’uno dall’altro trecentocinquanta metri, praticamente erano ai due estremi
della villa.
Quella situazione
implicava una fiducia illimitata negli uomini che avevano alle spalle.
«Darkness, qui Flame. Ne hai tre a poco
più di cinquanta metri, con altrettanti cani. Attendo istruzioni.»
Si fermò.
«Ah merda» fu il commento di Drake.
La decisione fu immediata, «Flame, qui Darkness. Riesci a
colpire i tre uomini?»
«Affermativo.»
«Ai cani ci pensiamo io e Lizar, arriveranno comunque per
primi. Potresti confonderti e colpire lei.»
«Ricevuto.»
In quel momento i cani cominciarono ad abbaiare. «Darkness, vi
hanno sentito!» esplose Matthew sbalordito.
«No, hanno sentito Lizar» ribatté Drake.
«Trenta metri, dieci gradi a sud» disse Flame con voce atona.
«Ho colpito l’uomo rimasto indietro. Gli altri due non si sono accorti di
niente. Venti metri. Dovresti vederli Darkness. Colpito il secondo uomo.»
Lizar scattò e in un attimo gli altri cani furono loro addosso,
ebbero un attimo di sbandamento vedendo lui in quanto non lo sentivano. Fu
questo che gli permise di uccidere il primo cane.
«Terzo uomo a terra. Darkness ha ucciso un cane, gli altri due
stanno lottando con il nostro. Darkness ha ucciso il secondo cane. Il nostro ha
sgozzato il terzo vero?» chiese alla fine.
Sorrise, «Qui Darkness. Affermativo. Procediamo.»
Per i successivi quaranta minuti sia lui che Drake si
trovarono in situazioni analoghe e tutte le volte i tiratori alle loro spalle
evitarono loro il contatto diretto con gli uomini. Dragar e Lizar pensarono
egregiamente ai loro simili.
Arrivarono al portone.
«Qui Darkness. Obbiettivo raggiunto.»
«Darkness, qui Gothic. Arriviamo.»
Se li trovò tutti e tre accanto in meno di cinque minuti.
«Qui Falcon, sono al generatore.»
«Falcon, qui Eternity. Non limitarti a staccarlo. Manomettilo
in qualche modo. Anche se riuscissero ad arrivarci non devono riallacciare la
luce. Il buio sarà la vostra migliore copertura.»
Gothic gli passò un paio di occhiali uguali a quelli che
avevano loro.
Li prese e li indossò. Istantaneamente gli altri divennero
chiare sagome bianche.
«Falcon, Madoc, Looser, Ice,
qui Eternity. Da
dove potete entrare da codesta parte?»
«Qui Looser… avete voglia di cocci?»
«Qui Hell, amico, voglio sperare che tu ti sia portato dietro
un po’ di diamanti!»
«Ovvio che sì.»
«Qui Ice. Ottimo, vedo una vetrata perfetta!»
«Qui Madoc. Non sarebbe meglio lasciare i nostri cani fuori
adesso?»
«Darkness, qui Eternity. Che ne pensi?»
Ci pensò meno di un secondo, «Qui Darkness. Lizar resterà
davanti al portone nascosta dalla vegetazione. Impedirà loro di fuggire se
arrivassero all’uscita. Falcon, avvicina un auricolare all’orecchio di Dragar,
gli darò istruzioni.»
«Darkness, qui Falcon. Dragar ti ascolta.»
Diede istruzioni al cane. «Ti aspetto qui cucciolo, corri!»
concluse.
«Che mi venisse un colpo» disse la voce esterrefatta di Ice.
«Ti ha capito perfettamente! E’ già partito!»
«Qui Eternity. Silenzio radio fino a quando Darkness non ha
istruito i cani. Looser, nel frattempo apri il varco per entrare dalla tua
parte. Gothic, salvo cambi recenti la serratura del portone è quella che ti ho
detto. Organizzati per forzarla in meno di trenta secondi.»
Lui, Looser e Gothic risposero affermativamente.
In pochi minuti Dragar li raggiunse. Lui e Lizar si
scambiarono tenere effusioni per qualche secondo, poi guardarono lui.
A gesti spiegò a Gothic cosa doveva fare e lo vide togliersi
un auricolare e restare in attesa.
Prese i suoi e li mise alle orecchie dei cani, uno per cane.
Gli parlò attraverso quelli ascoltando eventuali interventi da quello di
Gothic.
Lizar, inutile dirlo, non fu molto entusiasta della cosa.
Dovette ripeterle tre volte di rimanere lì, alla fine Dragar diede un ringhio
basso e sordo. Lizar si arrese e abbassò il muso.
Si rimise i propri auricolari e Gothic riprese il suo.
«Qui Darkness. Procediamo.»
«Qui Falcon. Al mio via stacco la luce. A quel punto,
entriamo.»
«Qui Eternity. Appena dentro voglio un rapporto.»
Tutti risposero affermativamente.
Drake cominciò un final countdown partendo da tre, poi diede
loro il via.
Passarono dal buco fatto da Looser.
Si trovarono in un corridoio.
I capi dei due gruppi erano lui e Juna, quindi i rapporti
toccavano a loro. «Eternity, qui Falcon. Siamo entrati in un corridoio. Nessuna
presenza umana. Nessun rumore.»
«Falcon, qui Eternity. Avanzate. Cercate di raggiungere gli
altri.»
Certo. Se non c’era nessuno lì, erano tutti dalla parte
dell’entrata principale. Maledizione.
«Qui Darkness. Siamo dentro. Ingresso principale. Non è
cambiato niente da come lo ricordo. Alcuni uomini stanno vagando alla cieca.
Cercano candele. Non sembrano agitati o in guardia per l’improvvisa mancanza di
corrente, credo che non sospettino niente. Non ci hanno ancora visto. Gothic,
Hell, Flame, mano alle armi da taglio. Meno rumore possibile. Cominciamo da
questi.»
Le voci degli altri tre si unirono in un unico ricevuto.
«Maledizione ragazzi» disse Looser, «noi siamo completamente
tagliati fuori.»
Metodicamente uccisero tutti quelli che vagavano per
l’ingresso principale. Una decina.
Alla fine si trovarono al centro.
«Darkness, qui Flame. Ragazzo, sei l’unico che capisce la loro
lingua. Dovrai essere le orecchie di tutti.»
«Qui Darkness. Ricevuto Flame. Falcon, mi ricevi?»
«Qui Falcon. Stiamo arrivando. Sono sempre della stessa idea
riguardo queste dannate ville. Correggimi se sbaglio: arrivato alla fine del
corridoio devo girare a destra per avvicinarmi a te, vero?»
Sorrise, «Affermativo.»
«Qui Eternity. Aspettateli. Non vi avventurate in quattro al
piano superiore.»
«Qui Gothic. Non ci sarà bisogno di avventurarsi da nessuna
parte: stanno arrivando.»
Si voltò verso le scale e altri dieci o addirittura quindici
sagome colorate stavano scendendo a tentoni le scale.
«Qui Hell… Darkness, che stanno dicendo?»
«Stanno smadonnando Hell. Non immaginano neanche lontanamente
che li abbiamo scovati.»
«Qui Gothic. Non ci vedono perché siamo vestiti di nero. Li
cogliamo di sorpresa man mano che arrivano in fondo alla scala?»
«Qui Flame. Non userei ancora le armi da fuoco qui dentro. Non
sappiamo quanti sono e gli spari potrebbero farli convergere qui in blocco.»
«Qui Eternity. Sono d’accordo.»
«Qui Looser. Vi vedo ragazzi, vi abbiamo raggiunto. Siamo
sulla vostra sinistra.»
«Qui Ice. Lasciamoli arrivare in fondo alle scale, a quel
punto si separeranno e sarà più facile ucciderli.»
Drake, perché non poteva che essere lui, gli toccò un braccio.
«Qui Falcon» disse poi confermandogli la teoria. «Ben ritrovati signori.»
«Qui Flame. Ho appena visto il mio primo bersaglio, vogliate
scusarmi.»
Una sagoma bianca si separò dal gruppo e avanzò contro una
sagoma rossastra.
Fu sufficiente un unico movimento perché la seconda cadesse a
terra.
Non ci fu bisogno di ulteriori accordi perché ognuno di loro
sapesse cosa fare.
Le sembrava fosse già passato un secolo, invece le lancette
fosforescenti del suo orologio si erano mosse solo di mezz’ora.
Era appena l’una e mezzo.
Sapeva che anche Sharon, sdraiata accanto a lei, era ancora
sveglia… poteva immaginare che lo fossero ancora tutte.
Dalla stanza dei bambini non proveniva nessun rumore… Melissa
e suo fratello si erano rannicchiati in un unico letto singolo mentre Moira,
Harrania e Nassian si erano sistemate nel letto matrimoniale.
Anche loro si erano disposte praticamente in quella maniera:
lei, Sharon e Georgie occupavano il letto matrimoniale, Afef e Soraya i due
letti singoli.
Si girò di schiena e Georgie si girò di fianco verso di lei.
«Cerca di rilassarti Jennie» bisbigliò.
«Non ci riesco.»
«Dannazione, non sono mai stata più sveglia in vita mia» disse
Sharon.
«Tanto vale accendere una luce?» propose Afef.
La piccola luce accanto a Georgie si accese.
Si alzarono tutte a sedere.
«E’ una battaglia persa in partenza» ammise Soraya. «Non
riuscirò mai a dormire sapendo Juna…» non terminò la frase, ma non ce n’era
bisogno.
Quando aveva interrotto la chiamata Drake lo stava chiamando…
e non ci voleva fantasia per capire il perché.
Lentamente la porta si aprì e la prima testolina che entrò fu
quella di Michael.
«Scusate… ma non riusciamo a dormire. Possiamo stare qui con
voi?»
«Entrate» disse semplicemente Afef.
La tribù al di sotto dei dieci anni fece il suo ingresso.
Melissa e Michael puntarono il letto matrimoniale, Moira,
Harrania e Nassian raggiunsero le rispettive sorelle.
«Afef, cosa c’è che non va? Non è solo che Juna non c’è,
vero?» chiese Nassian.
Era la più piccola ma, a parte che insieme ad Afef era quella
che assomigliava più a Juna, era evidente che fosse molto attenta e sensibile.
«E’ un discorso complicato bambine» disse Afef.
Moira si era seduta fra le gambe della sorella più grande e
improvvisamente sospirò, «Non riesco a dormire. Ho capito che c’è qualcosa che
non va ma non capisco cosa e questo non mi aiuta Afef.»
«Juna e Drake devono sistemare una faccenda» disse suo fratello.
«Juna ha detto che torna domani e torna domani» aggiunse
Melissa. Si rivolse a lei, «Vero Jennie?»
Le annuì.
«Juna sa quello che fa» aggiunse Georgie.
La vide agitarsi.
«Che c’è?» le chiese.
«Avrei preferito che Just fosse qui con noi…»
«Ma io lo sapevo sorellina.»
Si voltarono tutti verso la porta e Justin era sulla soglia.
L’unico cambiamento all’abbigliamento, era che si era arrotolato le maniche
della camicia.
Georgie saltò giù dal letto e lo raggiunse saltandogli al
collo.
«Dormono di là?» chiese Sharon.
«Macché» rispose Justin guidando la sorella verso il letto.
Georgie si rimise a sedere e Justin si sistemò accanto a lei.
«Resti qui con noi vero?» chiese Melissa raggiungendolo a
gattoni.
Justin la spettinò con un gesto della mano, «Tranquilla
puffetta.» Si passò le mani sul viso, «Ah che nottata fanciulle.»
«Posso farvi una domanda?» disse improvvisamente Afef.
«Secondo me ce l’ha con noi due» disse Justin rivolto alla
sorella. «Spara» aggiunse poi.
«Non ho mai capito se veramente eravate contro Juna come avete
sempre dato ad intendere.»
Justin sorrise appena, «Non lo capivo io, mi sarei
meravigliato se tu avessi avuto le idee più chiare. La verità Afef è che ho
pensato ad assecondare mio padre. Ho sempre voluto bene a Juna e da parte sua Juna
stava solo proteggendo sua madre. Non ha mai perso tempo a odiarci e la…
facilità con cui abbiamo archiviato una vita di scontri credo sia la
prova più lampante di questo.»
Georgie annuiva.
I due fratelli erano molto uniti.
Un leggero bussare li fece voltare tutti verso la porta.
Manaar fece capolino, poi si ritrasse, «Sono tutti qui» disse
a qualcuno.
Entrò nella stanza.
«Lo zio Connor?» chiese Afef.
«E’ in salotto con tutti gli altri.»
«Passeremo una nottata in bianco» prese atto della realtà
Justin, «non varrebbe stare tutti insieme?»
Manaar annuì al nipote, «Sono venuta qui per avere la conferma
dell’ovvio. Howard è già in cucina a fare il tea e il caffè.»
Si alzarono e si rimisero le scarpe.
Melissa alzò le braccia verso sua zia e Manaar la prese in collo,
«Su, scendiamo.»
Michael la prese per mano. «Jennie?»
«Dimmi.»
«Mamma e papà si arrabbieranno che sono ancora sveglio?»
«Non preoccuparti piccolo mio.»
Nel giro di un’ora e mezzo la villa venne dichiarata sicura.
Looser e Hell andarono a ricollegare la luce e Matthew arrivò
nel giro di quindici minuti.
Avevano ucciso quasi cinquanta uomini e quindici cani.
L’esercito che si aspettava di trovare la prima volta che era
stato lì.
Lizar e Dragar entrarono nella stanza e gli corsero incontro.
«Non toglietevi il passamontagna» disse Matthew appena entrò.
«Potrebbero arrivare altri agenti adesso. Controllateli tutti e ditemi se ci
sono gli uomini di fiducia.»
Lui e Drake controllarono i cadaveri.
Mancavano sia Pablo che Anton.
«No, non ci sono» disse Drake.
Matthew aveva ancora chiaramente gli auricolari.
Lo vide scuotere la testa, «Non sono tutti qui e non sono
andati a casa di Darkness… dove maledizione sono questi figli di puttana?»
«Quanti uomini avevi preventivato?» gli chiese.
«Più o meno ci siamo… ma mancano gli uomini di fiducia. Non
capisco.»
«Comandante?» chiamò Looser dalla soglia.
«Cosa?»
«Sta succedendo una cosa piuttosto strana. I cellulari degli
uomini di Estrada hanno cominciato a squillare tutti. Ne ho presi un paio: stanno ricevendo la lista di chiamate
perse… o per meglio dire dei numeri che hanno provato a contattarli mentre
erano irraggiungibili.»
«Hai fatto spegnere il dispositivo di disturbo?» chiese Drake.
«Sì. Non c’è più nessuno da avvisare. Segnate tutti i numeri e
portatemi la lista» ordinò poi a Looser. «Il primo cellulare che squilla da
adesso portatelo a Darkness, conoscendo lo spagnolo può azzardarsi a
rispondere.»
«Agli ordini.»
«Con un po’ di fortuna c’è anche il numero della talpa» disse
poi rivolto a loro. «E’ evidente che hanno cercato disperatamente di avvisarli
del nostro arrivo. Tanto lo prendo prima o poi, quel figlio di puttana.»
Sorrise, «Sei un genio.»
«Beh, detto da te è un complimento. Resta il quesito: dove
dannazione sono gli uomini di fiducia?»
«Sai cosa pensavo riguardo Pablo e Anton? Se vuoi il numero
della talpa, devi arrivare ai loro cellulari. Diego e Migũel sono nel
furgone?»
Matthew annuì.
«Hanno i cellulari?»
«Glieli ho requisiti» rispose tirando fuori dalla tasca
interna due cellulari.
Li accesero, uno a testa lui e Drake, ma le uniche chiamate
delle quali ricevettero il rapporto di non risposta furono quelle di Pablo e
Anton.
Drake lo guardò perplesso, «E’ normale che i capi vengano
contattati solo dai bracci destri?» chiese scettico «Voglio dire… una talpa
importante come quella che abbiamo in ballo noi dovrebbe avere accesso ai capi,
no?»
Matthew li stava ascoltando in silenzio, a quell’osservazione
scosse la testa «Falcon, ancora ho da trovare una logica in questa situazione.»
Gli tornarono improvvisamente in mente le cartine che aveva
visto la prima volta, dopo aver ucciso Carlos, e si diresse verso la porta.
«Venite con me, ho un’idea.»
Drake e Matthew lo seguirono.
I cani lo avrebbero fatto anche se gli avesse ordinato il
contrario.
«Cosa ti è tornato in mente?» chiese Drake.
«Vidi delle cartine dopo aver ucciso Carlos. Forse sono ancora
qui.»
Il cellulare di Matthew squillò. «Pronto? … Ah sì, dimmi. …
Cosa? … Maledizione! Quanti?» Restò in silenzio per qualche secondo, «Diramate
le foto che vi ha lasciato Falcon. Trovateli, dannazione.» Riattaccò. «Sono
andati a casa tua Darkness. Ovviamente hanno appena passato il cancello, ma non
li hanno presi tutti. Quattro sono scappati.»
«Anton, Pablo e…?» chiese Drake.
«Ci sono loro due, mi basta e mi avanza! Dammi i numeri di
questi due, li faccio cercare con il G.P.S.!»
«Torneranno qui?» chiese.
«Sono riusciti a scappare da casa tua meno di dieci minuti fa»
disse Matthew come soppesando l’ipotesi. «Forse…» rimase in silenzio qualche
secondo. «Qui Eternity. A tutti gli agenti. Fate sparire le nostre tracce fuori
dalla villa. Ci sono ancora quattro uomini degli Estrada a piede libero e
potrebbero tornare qui. Ripeto…»
Smise di ascoltare.
Era plausibile che avessero altre basi a Boston, ma avevano
scelto di nuovo quella villa. Forse avevano pensato che il fulmine non cade mai
due volte nello stesso punto?
Arrivarono alla stanza dove aveva ucciso Carlos e tutto era
rimasto come lo ricordava. Incluso il tavolo con i fogli sopra.
Li sparpagliò cercando qualcosa che attirasse la sua
attenzione.
La trovò.
Su una cartina, nel lato in alto a destra, c’era scritto
“mamma”.
Fu sufficiente vedere in piantina che il garage era collegato
all’ingresso e che al secondo piano a destra c’era il bagno.
«Sanno della villa Matt» disse. «Avverti Richard e andiamo
là.»
Anche Ron, il capo della sicurezza, prese il caffè con loro.
«Quanti uomini ha ai suoi comandi?» chiese Mansur.
«Stanotte, dieci» rispose l’uomo.
«Conosce mio nipote?»
Ron guardò Lewing. «E’ Darkness» lo informò.
«Di fama. Non l’ho mai incontrato.»
«Cosa sa di lui?»
«Che insieme a Falcon è il migliore agente della sezione. E
che devo a lui la vita.»
«Ha tempo per spiegarmi questa storia?» chiese Connor.
Altra occhiata a Lewing che asserì.
«La lista con i nomi e i nomi in codice degli agenti in
incognito fu rubata. Venticinque pagine di vite umane, inclusa la mia, dentro un
microchip di appena un centimetro per un centimetro e mezzo, spesso due
millimetri. Darkness e Falcon furono incaricati di recuperarlo. Il traditore
aveva sabotato malamente la fonte originale quindi quel chip era l’unica copia
della lista esistente. Riuscirono a trovarlo. Quando la persona che voleva
venderla a… definiamoli individui poco raccomandabili, si trovò in
trappola inserì il microchip in un portatile predisposto all’autodistruzione.»
Lewing prese la parola, «Il punto è questo: se quella lista fosse
finita in mani sbagliate centinaia di agenti sarebbero stati carne morta, ma
anche se fosse andata persa gli agenti sarebbero morti perché nessuno avrebbe
più potuto tirarli fuori dalle false identità sotto le quali agivano in quel
momento.»
Ron annuiva, «Io so che Falcon uccise il traditore e Darkness
rimase accanto a quel portatile predisposto ad esplodere e si imparò a memoria
quei nomi con relativi nomi in codice. Poi li dettò nuovamente al generale
Lewing. Se io sono qui a parlare con voi, adesso, è merito di quei due.»
«E’ per questo che lei è qui a proteggere noi adesso?» chiese
Patrick.
«Il generale mi ha dato un ordine e io lo sto eseguendo. Non
posso nascondere che il sapere che sto facendo qualcosa per Darkness mi faccia
piacere. Ho un debito verso suo nipote che non riuscirò mai a saldare
completamente. Con il senno di poi posso dirle che nessun altro avrebbe potuto
fare quello che ha fatto lui: impararsi a memoria venticinque pagine di nomi e
relativi nomi in codice leggendole una sola volta… però posso anche dirle che
non conosco molti uomini che avrebbero avuto il coraggio di restare davanti a
quel portatile senza curarsi di poter saltare in aria con lui.»
Il cellulare di Lewing cominciò a squillare.
«Matt, dimmi.» Rimase in silenzio ad ascoltare. La bocca si
aprì per la sorpresa e sbiancò. «Che cosa?» soffiò.
Manaar balzò in piedi, «Oh Dio, Juna!» esclamò.
Lewing la guardò un attimo, poi… «Matt, passami il ragazzo. …
Darkness, come sai che…?» Altro silenzio «Maledizione!» esplose poi «Flyer ha
consegnato a quegli stronzi…!» Altro silenzio, poi si rivolse a Ron «Chiama i
tuoi. Avvertili che almeno quattro uomini degli Estrada sanno di questa villa e
potrebbero arrivare qui. Venti minuti fa erano ancora in città. Siamo in stato
di allarme.»
Ron rimase a fissare il generale a bocca aperta per qualche
secondo, poi prese il walkie-talkie e trasmise alla lettera. Risposero uno dopo
l’altro una decina di uomini.
«D’accordo. Avverto Ron» stava intanto dicendo Lewing. «Siete
ancora in tuta? … Otto oltre Matthew, ok.» Riattaccò. «Signori, ho una notizia
buona e una cattiva. Quella buona è che Darkness e Falcon sono illesi, quella
cattiva è che potremmo avere visite indesiderate. Salite al piano superiore. Ron, attiva l’allarme alle porte e
alle finestre, non a quella di ingresso principale. Darkness, Falcon e il
comandante Farlan stanno arrivando qui con dei rinforzi. Farlan lo conosci, gli
altri indossano tute nere.»
Ron riprese il walkie-talkie e spiegò la seconda parte ai suoi
uomini.
«Che succede?» chiese Gerard dalla soglia.
«Hanno la cartina di questa villa, Gerard. E’ probabile che almeno
quattro uomini degli Estrada stiano arrivando qui.»
L’espressione di Gerard si trasformò, «Che cosa? Come fai a saperlo?»
«Indovina! Darkness ha trovato la cartina alla villa degli
Estrada!» rispose Lewing, stavolta fuori di sé «Che sta succedendo? Come hanno
fatto ad avere quella cartina??» esplose.
«Chi sono questi uomini?» chiese Michael.
«Almeno un paio li conosci piccolo» rispose Lewing. «Pablo
Scontria e…»
«… Anton» terminò il bambino. «I bracci destri di Carlos e
Diego.»
Lewing annuì. «Signori, per favore, salite al piano superiore.
Scegliete una stanza e non muovetevi di lì.»
Nessuno fiatò e tutti eseguirono.
«Gerard, a questo punto chiamo rinforzi. Attingendo dalle mie
liste personali, se non ti spiace» stava dicendo il generale Lewing mentre
uscivano dalla stanza.
«Richard, ragiona: potrebbero non arrivare in tempo o arrivare
nel corso di una sparatoria» disse Gerard. «Stiamo aspettando agenti in tuta…
quelle nere, giusto?, difficilmente riconoscibili e due di questi sono
praticamente sconosciuti a tutti.»
«Ron, tu resta qui per favore» disse Lewing. «Gerard… e va
bene… forse hai rag…»
E non sentirono altro.
Alla guida andarono lui e Drake.
Matthew salì accanto a lui, Dragar e Lizar usarono Gothic,
Hell e Looser come cuscini.
«Fa’ conto di avere un lampeggiante sulla macchina. Queste
targhe sono state trasmesse alle forze dell’ordine. Nessuno ci fermerà.»
Partì e Drake gli si accodò con gli altri in macchina.
Scoprì che gli auricolari e i microfoni funzionavano anche da
una macchina all’altra.
«Qui Eternity. Io, Gothic,
Flame, Falcon e Darkness entreremo nella villa, gli altri si affiancheranno
agli agenti già presenti e rastrelleranno i dintorni.»
«Qui Falcon. Vecchio mio, forse io e Darkness non dovremmo
entrare sai?»
«Non mi toglierai di dosso i bambini se entro» disse lui. «Ci
sono anche le mie cugine al completo. Io resto fuori, dammi retta.»
Matthew annuì. «Ok, Ice, entrerai al posto di Darkness.»
«Qui Ice. Ricevuto.»
«Eternity…» disse Drake.
«Tu entri Falcon» disse perentorio Matthew. «Ti conoscono e
non ti salteranno addosso… non tutti almeno» aggiunse poi rassegnato.
Risero divertiti.
Arrivarono alla villa in meno di un’ora e ad attenderli c’era
un uomo.
«Lui è Ron» disse Matthew scendendo, «il capo della
sicurezza.»
«Comandante, menomale siete arrivati. Sono già qui. Hanno
ferito uno dei miei. Li abbiamo spinti nel parco dietro la villa,
allontanandoli.»
Automaticamente tutti e otto si misero in posizione di difesa.
La decisione di Matthew fu la sola possibile, «Darkness e
Falcon dentro, gli altri fuori. Usate gli infrarossi, trovateli e uccideteli.»
Sharon balzò in piedi, «Papà!» esplose lanciandosi verso la
porta.
Seguita dalla madre.
«Come stanno le mie donne?» chiese Aaron con un sorriso
«Fatemi spostare dalla soglia che non sono solo…»
Apparvero due figure in nero, alte e slanciate.
Fu suo fratello a dare l’allarme, «Juna! Drake!» e si lanciò
verso di loro.
Il primo ad alzare il passamontagna fu Drake che si trovò fra
le braccia della madre e poi del padre.
La figura che per esclusione doveva essere Juna fece qualche
passo dentro la stanza con Michael attaccato alla gamba e si alzò il
passamontagna.
Era veramente lui, non era cambiato. Chissà cosa si aspettava…
Manaar gli fu al collo in un battito di ciglia, fu preso
letteralmente d’assalto dalle cugine al completo.
Quando riuscì a staccarsi da loro abbracciò il padre, poi i
nonni.
«State tutti bene?» chiese.
Abbracciò anche il professor Cowley e Justin.
Lei non riusciva a muoversi.
«Adesso sto bene» disse Justin. «Sei tutto d’un pezzo?»
«Perfettamente illeso cugino.»
Sentirono chiaramente degli spari e Juna e Drake si
guardarono.
Come per magia nelle loro mani apparvero delle pistole.
«Matt, Richard, rimanete qui con loro» disse Juna.
«Cosa pensi di fare?» chiese Connor al figlio.
«Vado a chiudere questa storia una volta per tutte papà»
rispose Juna.
Lui e Drake riabbassarono i passamontagna e uscirono dalla
stanza.
Aaron premette qualcosa contro l’orecchio e… «Qui Eternity.
Stanno arrivando anche Darkness e Falcon. Quegli uomini non devono avvicinarsi
alla villa, intesi?»
«Chiudi la comunicazione Matthew» disse improvvisamente una
voce.
Tempo due secondi e il padre di Sharon si trovò una pistola
puntata alla tempia.
«Papà!» gridò Sharon ancoraabbracciata a lui, sbiancando.
«Non dire più una parola davanti a quel microfono. Toglitelo.»
Lewing sgranò gli occhi. «Gerard…» soffiò.
Aaron eseguì l’ordine con la mano libera. Con l’altra
allontanò lentamente ma inesorabilmente la figlia da sé.
«Posa la pistola a terra Richard o al tuo amico salterà la
testa.»
«Gerard…» ripeté Lewing… stavolta sembrava quasi severo.
«Ecco chi ha agganciato Colin» disse Aaron. «Maledizione. Era
un uomo troppo metodico e dedito alla carriera per agire da solo. Si credeva
protetto da te.»
«I tuoi sono molto svegli Matt. Come hanno capito che gli
Estrada erano tornati proprio alla villa? Come siete arrivati in tempo utile
per ucciderli?» Lanciò un’occhiata alla porta, «Ah, ragazzi, parlavo giusto di
voi. Abbassate le armi e posatele a terra. Toglietevi il passamontagna.
Lentamente.»
Juna e Drake erano tornati indietro.
Ubbidirono anche loro.
«Stavo appunto dicendo al vostro superiore quanto mi avete
meravigliato. Da bravi, lentamente avvicinatevi a Matt.»
«Sei tu che hai ordinato di togliere la sorveglianza» disse
Lewing con il tono di chi capisce tutto all’improvviso.
«Eri sempre tu che controllavi Flyer» disse Drake mentre si
portava lentamente accanto ad Aaron. «E hai dato a quegli uomini la cartina di
questa villa. Probabilmente Flyer non aveva neanche l’autorità per arrivare a
quel pezzo di carta» aggiunse rivolto a Juna.
«Toglietevi quei microfoni di dosso.»
«Troppo tardi Gerard. Gli altri hanno saputo che sei tu il
traditore appena ti ho visto con la pistola puntata verso Farlan» disse Juna.
Gerard spostò l’arma verso Juna e le si gelò il sangue nelle
vene. Aprì bocca ma non le uscì un suono.
«No!» esplose Manaar.
«Ferma mamma!» ordinò Juna senza muovere un muscolo «Avanti
Gerard» riprese con il tono della mamma paziente che spiega l’ovvio al
figlioletto ritardato. «Capisco che non ti aspettavi che capissi dove trovare i
tirapiedi di Estrada, tant’è vero che la cartina di questa villa era in bella
mostra sul tavolo, ma hai già fatto un errore di valutazione, sforzati di usare
il cervello adesso: se spari a me almeno altri tre in questa sola stanza ti
salteranno alla gola. Non hai scampo.»
«Sei la mia spina nel fianco da cinque anni Darkness. Sei
riuscito puntualmente a mandare a monte tutto quello che organizzavo. Hai
raggiunto l’apoteosi con quella lista, è stato allora che ho deciso che dovevi
morire. Quando Richard me l’ha riportata pari pari non volevo crederci.»
«Gerard, per Dio…» mormorò Lewing incredulo.
Gerard ebbe una risata amara, «Ti ho sguinzagliato dietro gli
Estrada promettendogli mari e monti per bocca di Flyer e sei riuscito non solo
a uscire vivo da due imboscate, ma ad uccidere Carlos e riprendere il
figlioletto del governatore in un solo colpo. Ho cominciato a fare pressioni su
Richard per conoscerti, ma sia Richard che Matthew si sono comportati come le
più perfette delle chiocce.»
«E un bel giorno scopri che gli Estrada mi hanno trovato e ti
ritrovi nel salotto di casa mia» concluse Juna. «Che effetto fa scoprire di
aver cercato di uccidere due ragazzi?»
L’uomo serrò appena gli occhi. «Non provarci neanche. Con me i
sensi di colpa non attaccano. Tu sei ben lungi dall’essere un ragazzo, sei un killer dell’F.B.I. che non ci penserebbe due
volte ad uccidermi se ne avesse la possibilità.»
«Su questo ci puoi scommettere quello che hai di più caro» fu
il commento di Juna.
Un lieve sorriso piegò le labbra di Gerard. «Complimenti
ragazzo. Veramente, non scherzo. Richard ha ragione: un elemento come te non lo
ritroveremmo neanche a crearlo appositamente. E’ un vero peccato che tu agisca
contro di me.»
«Gerard, non fare idiozie, è un ragazzo che non ha diciannove
anni» disse calmo il padre di Sharon. «Senza contare che…»
Oh Dio, voleva uccidere Juna…
«E’ un po’ tardi per pensarci Matthew. Non so dove sei andato
a trovarlo, ma…»
«Se spari a mio figlio saranno ben più di tre le persone che
ti salteranno alla gola» disse improvvisamente la voce di Connor.
«Puoi giurarci zio» rincarò Justin.
«State tranquilli che arrivo io per primo» sibilò Drake.
«Senza contare che i ragazzi hanno ancora gli auricolari
davanti alla bocca» disse serafico il professor Cowley, «gli altri agenti sanno
cosa sta succedendo.»
Aaron sospirò, «Esattamente quello che volevo fargli notare
io, George…»
«Gerard, detesto sottolineare l’ovvio» riprese la parola Juna
dopo il breve silenzio che seguì, «ma stai parlando da uomo morto, te ne rendi
conto, vero? Non hai possibilità di uscire vivo da qui.»
Anche davanti ad una pistola il sangue freddo non lo
abbandonava. La sua calma aveva effetto anche su chi gli stava intorno.
«Potrei anche sparare a tuo padre o a tua madre… o alla tua
fidanzata… ho un’ampia scelta in questa stanza» fu la risposta di quell’uomo.
«A quel punto sarei io a non avere più motivi che mi tengono
qui fermo a farti da bersaglio» gli fece notare a sua volta Juna. «Hai le idee
chiare almeno su un punto: mi basta una sola possibilità e ti mostrerò quanto
funzionano bene gli addestramenti dell’F.B.I..»
«Ti credi immune alle pallottole ragazzo? O pensi di essere
più veloce?»
«So solo che a differenza di te qui sotto c’è un giubbotto
antiproiettile» rispose battendosi con un dito sul torace. «In altre parole,
Gerard, ti auguro di essere un ottimo tiratore, il classico “one shot one
killed”, perché o mi prendi in testa alla prima o sarò io ad ucciderti. Se ti
fosse sfuggito: sono stato addestrato dal migliore» concluse con un cenno della
testa verso Aaron.
Gerard cambiò espressione.
Il padre di Sharon sorrise, «Sono proprio in gamba, i miei
ragazzi» commentò orgoglioso.
Drake sorrise improvvisamente, «Vi annuncio che gli uomini
degli Estrada sono stati uccisi e Scontria è stato preso vivo. Qua fuori ti
stanno aspettando altri sei agenti Gerard… ed erano tutti in quella lista,
pensa.»
Fu evidente che l’uomo realizzò di essere davvero in trappola,
digrignò i denti e strinse la pistola, «Verrai all’inferno con me!» sibilò.
Fu un attimo, ma le sembrò di assistere ad un film al
rallentatore.
Juna spintonò Drake che, preso alla sprovvista, finì addosso
ad Aaron e caddero a terra entrambi.
Sentì partire il colpo come se arrivasse da un altro pianeta.
Percepì appena l’altro movimento di Juna per quanto fu veloce.
Gerard cadde a terra con un piccolo pugnale che gli usciva
dalla fronte.
Juna tornò nella posizione di prima, raccolse l’arma che aveva
messo a terra e, con calma, disse, «Signori, qui Darkness. La missione può
dirsi conclusa.» Si rivolse ad Aaron, «Scommetto che non hai neanche più
bisogno di chiedermi quell’ultimo favore.»
Aaron, ancora seduto per terra, sorrise, «No ragazzo mio: me
lo hai appena fatto. La sezione è tornata sicura.»
Girò sui tacchi e sparì dalla loro visuale.
Rimasero tutti immobili a guardare il corpo dell’uomo a terra
e la porta vuota… tranne Drake che si rialzò come se fosse a molla e corse
dietro all’amico.
Manaar era a bocca aperta, «Ha sparato a mio figlio» disse con
un filo di voce.
Sentì le gambe che stavano per cederle. Suo padre la sorresse.
«Jennie!»
«Ha sparato a Juna…» ripeté con una voce che non riconobbe
come propria.
«Mi sento di rassicurarvi» disse Aaron rialzandosi aiutato da
Sharon e Connie, «da come è andato via incazzato, non lo ha colpito.»
«Juna…»
«Cosa?»
Drake lo fermò, «Maledizione, ti ha preso??»
«No.»
Lo toccò come a volersi rassicurare che fosse davvero lì davanti
a lui. «Drake, non mi ha colpito. Tu stai bene?»
«Mi hai spinto fuori tiro e per di più sono caduto su Matt,
sicuro che sto bene! Accidenti a te! Sei sicuro che non ti ha…?»
«Drake, se mi avesse colpito lo avrei sentito, tu che dici? Ha
mirato alla testa, come volevo, è bastato chinarmi spintonando te.»
«Qui Hell. Ragazzi, state bene?»
Lui e Drake risposero in coro, «Sì.»
Aveva ammazzato un uomo davanti alla sua famiglia… peggio
ancora: davanti a Jennifer.
«Non avevi altra scelta» disse Drake leggendogli come al
solito nel pensiero.
«Pensi che questa spiegazione sarà sufficiente per la mia
famiglia?»
«Il problema non è la
tua famiglia, se ho capito cosa ti passa per la testa adesso.»
Imboccarono le scale e cominciarono a scendere.
«Qui Ice. Darkness, se ho capito bene hai ucciso chi ha
cercato di vendere la lista davanti alla tua famiglia.»
«Ottimo riassunto Ice. Aggiungici che è lo stesso che ci ha
venduto agli Estrada.» Si rivolse a Drake, «Maledizione, ecco perché Diego era
così tranquillo: ha riconosciuto subito Gerard e ha visto la mia famiglia
andare via con lui!!»
Drake sorrise a mezza bocca, «Potevamo andare in pensione
aspettando che la talpa contattasse i capi» disse.
Capì a cosa alludeva l’amico. «Già, il tuo ragionamento non
faceva una piega, peccato che li sapeva già nelle mani dell’F.B.I.. Ecco perché
ha contattato Pablo e Anton… e loro due sono stati gli unici a contattare
Diego e Migũel.»
Drake aggrottò le ciglia, «Matt, mi senti?»
«Forte e chiaro.»
«Hai deciso di lasciare mezzo esercito a casa di Juna senza
dire niente a nessuno?»
«Alla lettera» fu la risposta di Matthew.
Alla fine della festa era stata solo la vigliaccheria di
Gerard a salvare le loro famiglie, perché gliele avevano praticamente
consegnate su un vassoio d’argento.
«Qui Gothic. Ho sentito uno sparo. Ci sono feriti?»
«No. Solo il traditore morto» rispose automaticamente.
«Qui Looser. Allora hai appena portato a termine una missione
da manuale ragazzo.»
«Dove siete?»
«Qui Hell. Nell’ingresso. Ti ho appena visto imboccare la rampa
di scale.»
Per quando arrivarono a loro si erano tutti tolti il
passamontagna.
Scontria era legato e bendato ai piedi del divano.
«Il comandante?» chiese Madoc.
«Sto arrivando ragazzi» disse Matthew dagli auricolari.
Insieme a Matthew arrivarono anche tutti gli altri.
Le sue cugine più piccole gli corsero incontro. «Stai bene??»
chiese Nassian «Ti ha sparato! Non ti ha preso vero??»
Si chinò per abbracciarle, «Sto bene. Non mi ha neanche
sfiorato.»
Melissa nascose il viso contro il suo collo, «Quando ha sparato
ho avuto tanta paura…»
«E’ tutto finito.»
«Oh sì, è tutto finito finalmente» gli fece eco Michael.
Alzò lo sguardo verso gli altri e Afef, Soraya e Georgie lo
stavano guardando… come in attesa.
Appena si separò dalle cugine più piccole partirono loro.
Con la differenza che loro cominciarono anche a piangere.
«C’è solo da sperare che le più piccole non seguano il vostro
esempio, ragazze…» commentò.
«Maledizione, non hai il
giubbotto antiproiettile!» esplose Afef… in arabo, toccandogli il torace.
«L’importante è che quello stronzo ci abbia creduto» rispose
nella stessa lingua.
«Ti ha sparato lo stesso, mi sembra!»
«Sapevo dove avrebbe mirato.»
«E’ per questo che gli hai detto di avere il giubbotto? Per…
per limitare l’area??» chiese suo nonno Mansur… sempre in arabo.
«Beh, ha funzionato.»
«Non capisco neanche l’arabo» disse Matthew, «ma ho capito
cosa hai fatto. Hai rischiato grosso ragazzo mio, ma hai concluso una missione
da manuale senza feriti civili.» Si rivolse ad un uomo, «Ron, come sta il
nostro ferito?»
«Bene comandante, lo hanno preso di striscio.» Abbassò un
attimo lo sguardo, «E’ stato davvero lui a rubare la lista?»
Matthew annuì, «Lo ha ammesso. E’ stato sempre lui a vendere
Darkness e Falcon agli Estrada. Flyer era solo una pedina nelle sue mani.»
Ron scosse la testa. «Ecco perché era così agitato… ha fatto
un sacco di telefonate… e si è lamentato di non prendere la linea.»
Matthew sorrise amaramente, «Non poteva immaginare che avrei
dato ordine di isolare la villa degli Estrada con un dispositivo di disturbo
per le onde radio. Ha avvisato persone come Scontria che erano alla caccia di
Darkness e Falcon lontani dalla villa… ma né lui né gli altri uomini di Estrada
hanno fatto in tempo ad avvisare qualcuno all’interno della villa.»
Richard era semplicemente sconvolto, non doveva essere facile
per lui accettare che il suo superiore fosse il responsabile di tutto.
«Perché non ha reagito in qualche modo mentre era qui?» chiese
improvvisamente «Poteva prendere in ostaggio chiunque di loro per barattarlo
con uno dei ragazzi.»
Scosse la testa, «Era un vigliacco. Ha aspettato di non avere
altra scelta per dare mano alle armi. Ci deve essere sempre stato qualcuno
armato nella stanza con lui.»
«E’ vero» disse Ron. «Anche quando è riuscito a convincere il
generale Lewing a non chiamare rinforzi… il generale mi ha detto di restare
lì.»
Matthew si voltò verso Richard, «Vecchio mio, il tuo istinto è
ancora all’altezza dei vecchi tempi.»
«Un accidente!» esplose Lewing «Mi sono portato dietro il
pericolo peggiore, te ne rendi conto? Era lui la talpa!!! Nei piani iniziali io
sarei dovuto rimanere con te e i ragazzi e lasciare solo lui con i civili, te
lo sei scordato?»
«Perché ciò non è avvenuto?» s’informò Drake.
«Perché tu e Darkness siete mie dirette responsabilità e mi
sono sentito in dovere di seguire le vostre famiglie per…!»
«… proteggerle?» terminò lui «Beh, ci sei riuscito. Gerard ti
conosceva bene, Richard… e non si è azzardato a fare una mossa con te presente.
Si è deciso in preda alla disperazione… ma era troppo tardi.»
«E io che cominciavo a pensare di presentarvi davvero» disse
rivolto a lui. «Buon Dio Darkness, menomale non ne hai mai voluto sapere: ti
avrebbe ucciso alla prima occasione. E probabilmente avrebbe ucciso anche me
inventando poi chissà che cosa.»
Gli appoggiò una mano sulla spalla, «Ascoltami, le uniche
autorità che ho sempre riconosciuto siete tu e Matt. Ho deciso di avere fiducia
in voi e non mi sono sbagliato. Respira profondamente: è finita.»
«Che ne facciamo di lui e i due Estrada?» chiese Drake.
«Di loro ce ne occupiamo io e Richard» rispose Matthew. «E’
già tutto predisposto. Non preoccupatevi.»
Sentiva i singhiozzi di sua madre, ma sapeva che c’era suo
padre accanto a lei.
Registrò un movimento alla sua destra. Jennifer.
Con i lacrimoni che le scendevano sulle guance.
Anche in quel momento i suoi occhi avevano un’espressione
spaventata… ma capì la sostanziale differenza dalla prima volta: questa volta
non era spaventata da lui, ma per lui.
Si tolse un guanto e le asciugò le lacrime con un gesto della
mano, «Tanto per non smentirsi mai, vero Flalagan?» chiese.
Jennifer gli gettò le braccia al collo e si strinse a lui
cominciando a singhiozzare.
Rispose all’abbraccio sollevandola da terra e la cullò.
______________________________________________
NOTE:
giunigiu95: continuo a viziarti… Ci sono abbastanza morti per le
tue aspettative? XD
eilinn:No… la talpa non era
Lewing… sorpresa? Grazie per aver commentato.
Zarah: mi hai delineata come un ragnetto infaticabile, per fortuna quegli
animaletti non mi stanno poi così antipatici.
Capitolo 20 *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 20 ***
Non E’ Mai Troppo Tardi - Capitolo 20
Non
E’ Mai Troppo Tardi
20
Nel giro di due settimane la voce della missione segreta era
arrivata alla Casa Bianca, essenzialmente perché aveva portato all’arresto
degli Estrada, e anche il Presidente degli Stati Uniti aveva voluto conoscerli.
Ufficialmente, la situazione era stata gestita dall’F.B.I., da
tempo sulle tracce degli Estrada.
Matthew, che dopo quell’ultima tortura sarebbe definitivamente
diventato Aaron, li aveva accompagnati in quanto loro superiore.
Durante l’incontro si erano annoiati a morte.
Anche il Presidente le aveva provate tutte per convincerli a
restare nell’F.B.I..
Cortesemente ma con la testardaggine per cui erano famosi,
erano rimasti fermi nelle loro posizioni: Darkness e Falcon erano già andati in
pensione.
Richard aveva insistito perché tenessero i cellulari che aveva
dato loro. Un piccolo ricordo.
Beh, ovviamente il giorno che avessero deciso di comprarne di
nuovi, avrebbero dovuto consegnarli a Matthew per lo… smaltimento.
Diego Estrada, Migũel Estrada e Pablo Scontria erano
stati processati per direttissima a New York e condannati a morte, fino
all’esecuzione sarebbero stati tenuti in isolamento.
Era stato dato il colpo di grazia alla famiglia Estrada e al
traffico di droga ad essa collegato: il padre di Diego e Migũel, che non
era riuscito a muovere un dito vista la velocità dello svolgersi della situazione,
non aveva retto al colpo della notizia della condanna dei figli.
Matthew aveva promesso loro che avrebbe protetto il loro anonimato
con tutti i mezzi e lo stava facendo: il Presidente stesso aveva dovuto impegnarsi
a non dire mai ad anima viva di averli visti in faccia.
Atterrarono a Boston nel tardo pomeriggio e si separarono
all’aeroporto.
Sharon era venuta a prendere il padre e il fidanzato, ad
attendere lui c’era suo padre.
Con Sharon era già d’accordo che si sarebbero ritagliati una
giornata tutta per loro… probabilmente ad intervalli regolari, e sarebbero
andati a segnarsi a psicologia, fra le altre cose.
Il fatto del trapianto di occhi era stato solo l’ennesima
conferma: lui e Sharon si erano subito riconosciuti. Alla fine aveva trovato
una sorellina.
E Drake aveva pensato bene di innamorarsi di lei.
La vita era strana.
«Allora, com’è andata?» chiese suo padre dopo aver detto a
Kyle di partire.
«Farò il vice presidente della compagnia a tempo pieno papà… o
per meglio dire, fra una laurea e l’altra.»
Nel frattempo i suoi nonni avevano dato il via alla fusione e
nonno Mansur avrebbe lavorato “in differita” con loro.
«Credo che vedremo spesso Sharon, suo padre e sua madre.»
«Credo anche io. Si chiama Aaron, papà, rammenti?»
«Lo chiamerete così anche tu e Drake?»
«Sicuro. Adesso facciamo parte della sua vita privata.»
Suo padre annuì voltandosi a guardare fuori dal finestrino.
La settimana prima suo nonno e l’intera tribù Alifahaar era
tornata a Los Angeles, due giorni prima la famiglia Flalagan era tornata a
casa.
Villa McGregory gli sembrava stranamente vuota… e se voleva
essere onesto almeno con se stesso, era la mancanza di una sola persona a
dargli quell’improvvisa sensazione.
«Hai da fare domani?» chiese improvvisamente suo padre.
«Ho un impegno con il presidente della compagnia nella quale
lavoro e la sua gentile consorte, credo.»
Suo padre sorrise, «Credi bene. Andiamo nell’appartamento che
ci ha regalato tuo nonno. Potremo parlare tranquillamente.»
«Ok.»
Ancora non riusciva
a capire se i suoi avessero superato lo shock di vederlo uccidere una persona a
sangue freddo.
Probabilmente il
fatto che questa persona gli avesse sparato era stato preso come una grossa
attenuante.
«Juna…»
«Dimmi.»
«Una cosa devo saperla subito. Non ci dormo la notte. Quando
hai saputo di Jawad?»
«Avevo appena quattro anni… e me lo avete detto proprio tu e
mamma. Quel giorno la mamma ebbe una crisi e pianse tutto il pomeriggio. Tu,
quando tornasti dall’ufficio, la raggiungesti in camera. Ero nascosto sotto il
letto e ascoltai tutto.»
Suo padre rimase immobile per qualche secondo, immaginava cosa
stesse pensando: questo implicava che, all’epoca, suo figlio di quattro anni
non fosse stato visto per un intero pomeriggio e nessuno si era posto il
problema di sapere che fine avesse fatto. Alla fine scosse la testa, «Non ci
hai mai odiato per questo?»
«No. Ho dato per scontato che se volevate nascondermi una cosa
del genere ci doveva essere una spiegazione valida.»
«E non hai mai avuto voglia di chiedercela?»
«C’era qualcuno al quale potevo fare domande senza che voi lo
sapeste? Papà, andiamo. Gli unici che sapevano la verità eravate tu, mamma e
Larry. Informandomi sui parti
gemellari omozigoti mi sono fatto da solo un’idea di quello che è successo. Ho
ucciso mio fratello per sopravvivere, vero?»
L’espressione di suo padre si contrasse. «Larry ha usato
subito un solo verbo per spiegarci cosa era successo: fagocitare. Praticamente lo hai fagocitato, Juna. L’organismo di
tua madre trattava gli embrioni come corpi estranei e… beh, cercava di
eliminarli. Quando questo processo ha avuto inizio con te e Jawad, non solo tu
hai avuto una resistenza incredibile, ma hai iniziato a usare Jawad come… come
una fabbrica di ricambi. E’ stato… i medici lo hanno definito un processo di sopravvivenza. Non
sarebbe mai stato possibile se non aveste avuto lo stesso DNA. Il tuo cuore era
troppo debole e ti sei attaccato a quello di tuo fratello, inglobandolo. Avevi
carenza di ossigeno al cervello e hai inglobato la massa celebrale di Jawad.
Però posso dirti questo: senza di te neanche Jawad sarebbe sopravvissuto per
più di due mesi. Per assurdo, sei stato proprio tu a tenere in vita anche lui,
da subito. E’ stato come se prendendo parti di lui gli trasmettessi la tua
forza e la tua determinazione di vivere. Quando siete venuti al mondo eravate
attaccati dalla testa al torace, ma Jawad era praticamente…» si fermò.
«… un sacchetto dove erano rimasti solo i pezzi che non mi
erano serviti a sopravvivere?» gli andò incontro ringraziando Matthew per la licenza poetica.
Suo padre annuì, deglutendo. «Quando vi hanno separato Jawad è
morto all’istante. Per trenta lunghissimi secondi anche il tuo cuore ha smesso
di battere. Larry ci ha detto che è stato il tempo durante il quale tu hai deciso
se vivere o meno senza tuo fratello. Ho ancora i brividi quando ci penso. Per
trenta secondi vi abbiamo persi entrambi. Per i primi mesi di vita, Larry ci ha
raccomandato di non lasciarti dormire da solo, di darti un orsacchiotto. Non ho
mai permesso che ti facessero foto con quell’orsacchiotto Juna… lo attiravi a
te come se cercassi di fonderti con lui. Testa e torace. Tua madre per la
disperazione più di una volta te l’ha strappato dalle mani e quando finalmente,
a quasi un anno di vita, hai smesso di cercarlo… beh, ricordi di aver mai avuto
bambolotti, pupazzi o affini in vita tua?»
Scosse la testa, «No. Se devo essere sincero papà, neanche mi
piacciono.»
«Tua madre ha distrutto sistematicamente tutti quelli che ti
hanno regalato. Solo verso i due anni, due anni e mezzo ha smesso di sobbalzare
tutte le volte che la abbracciavi e appoggiavi la testolina contro la sua.»
«Adesso capisco cosa è quel senso di… vuoto che ho sempre percepito.
Neanche Drake è riuscito a colmarlo del tutto.»
«Purtroppo ciò che hai perso con Jawad nessun altro essere
vivente potrà restituirtelo.»
Seguì un breve silenzio.
«Che mi dici del fatto di avere due cervelli?» riprese.
«Come ti senti riguardo a questo?» chiese di rimando suo
padre.
«Beh, c’è gente pronta a considerarmi una specie di mostro
solo perché sono molto intelligente. Francamente non mi interessa papà. Sono
quello che sono. Nel bene e nel male. Chi mi vuole mi prende così.»
«Sono felice di sentirti parlare così.»
«Adesso mi sento un po’ in colpa sai? Il mal di testa era
diventato una specie di diversivo per me… non sapevo a cosa lo collegavate tu e
mamma.»
«E quando lo hai avuto davvero sei stato zitto.»
«Beh, in qualche modo dovevo bilanciare no?»
Suo padre scoppiò a ridere, «Sei tutto quello che puoi essere,
figlio mio!»
Seguì suo padre nella risata.
«Che posso dirti?» riprese poi più rilassato «Larry ci avvertì
che questa cosa avrebbe potuto farti diventare un ritardato mentale» disse
tornando serio, «immagina la reazione di tua madre, se puoi. Giurò che si
sarebbe fatta sterilizzare.»
«Cosa?»
Suo padre annuì. «Arrivò a pensare che fosse destino che non
dovesse diventare madre perché non ne era capace. Pensai che fosse uscita di
cervello, Juna.»
Tornò a guardare fuori dal finestrino. «Parlò con qualcuno?»
«Con la dottoressa Horgan.»
«Ah, è la psicologa ufficiale dei McGregory allora.»
«Qualcosa del genere. Questa fase passò nel preciso istante in
cui tu cominciasti a chiamarla mamma. Era chiaro come la luce del Sole
che eri sveglio e vivace, attento e curioso come un gatto. Hai cominciato a
parlare speditamente prima dei due anni. Forse questa cosa avrebbe dovuto
mettermi sull’avviso. Larry ci rimase di sasso quando, mentre tua madre ti
cambiava, dicesti mamma è troppo stretto così. Scandendolo. Larry si
voltò verso di me e mi chiese sbalordito quando avevi iniziato a parlare. Cominciasti
di botto. Neanche ricordo quale è stata la prima frase che hai detto. Ero così
felice di sentirti parlare senza problemi che non mi soffermai sul fatto che
avevi diciotto mesi di vita.» Sospirò, «Ne parleremo meglio domani con la
mamma. Ti faremo vedere anche gli esami e le radiografie.»
Arrivarono a casa.
La situazione era cambiata radicalmente dopo la nottata
passata alla villa.
Melissa era andata a giocare a casa di una compagna di classe.
Sembrava essersi improvvisamente resa conto che il cugino non poteva pensare
esclusivamente a lei perché il mondo era pieno di potenziali pericoli anche per
la persona che lei credeva indistruttibile.
Vedergli sparare addosso le aveva cambiato la vita.
Beh, non l’aveva cambiata solo a lei, a dirla tutta.
Era convinto che Jennifer, passata l’ondata emozionale che
l’aveva portata a saltargli al collo, non lo avrebbe più guardato in faccia.
Invece, già da quando si erano svegliati dopo un sonno di quasi ventiquattro
ore, era iniziato un discorso tutto nuovo.
Un discorso che avrebbero ripreso quando lei
sarebbe uscita da casa sua, testuali parole della ragazza, dette per di più
guardandolo dritto negli occhi.
Il discorso era di per sé abbastanza chiaro, ma aveva imparato
a non dare niente per scontato quando si trattava di Jennifer Flalagan.
Il suo aspetto da bambolina nascondeva più decisione e
testardaggine di quanto avesse immaginato, il modo stesso in cui aveva
affrontato la situazione lo aveva meravigliato… ma gli piaceva anche per
quello.
«Juna, tesoro, ti va un po’ di tea?» chiese sua madre dopo
averlo abbracciato e affogato di baci.
Lei probabilmente ci avrebbe messo qualche anno a cancellare
l’immagine di suo figlio usato come bersaglio mobile.
«Sì mamma, grazie. Salgo in camera a posare la roba e a cambiarmi.»
Arrivato in camera, prese il cellulare e fece partire la
chiamata.
Jennifer rispose al secondo squillo. «Ciao, sei già a casa?»
«Sono arrivato adesso. Come stai?»
«Bene. Tu? Com’è il Presidente visto da vicino?»
«Tremendamente noioso.»
Rise, «La stessa cosa che pensa mio padre! Quindi sei
tremendamente annoiato?»
«Esatto. Che fai di bello?»
«Shasha e Drake sono passati a trovarmi.»
«Allora ti rendo alla compagnia.»
«Juna…»
«Cosa?»
Pausa. «Ti saluta Micky.»
Sorrise, Michael era con Melissa da questa compagna di classe!
Quindi anche Jennifer stava prendendo tempo per tenerlo al
telefono!
Era lecito pensare che volesse riprendere il discorso!
«Risalutalo. Senti, pensavo una cosa…»
Silenzio, poi… «Cosa?»
«Io e te abbiamo un discorso a metà se non ricordo male.»
Altro silenzio, «Sì.»
Decisamente un’affermazione.
«Ok, domani non posso, possiamo vederci domani l’altro? Passo
a prenderti quando vuoi.»
«Dove vuoi andare?»
«Ti ricordi lo chalet delle rose?»
Altro silenzio, smise anche di respirare per la frazione di un
secondo. Probabilmente non pensava che lui ricordasse come lo aveva battezzato
lei.
La verità era che aveva memorizzato tutto di lei, fin da quella
vacanza passata insieme… ma aveva capito di amarla solo quando si era trovato
davanti la possibilità di perderla.
«Sì, lo ricordo. E’ una vita che non ci vado.»
«Siamo in due. Pensavo di venire a prenderti in mattinata e
passare la giornata lì. Che ne dici?»
«Ok. Vieni in macchina?»
Non riuscì a evitare di sorridere, «Veramente se il tempo lo
permette pensavo di venire in moto. La moto risparmia silenzi imbarazzanti ed
evita il traffico.»
«Hai sempre dei pensieri così carini…»
«Tutto puoi dire di me tranne che non sono pieno di
attenzioni» concordò. «Allora siamo d’accordo? Domani l’altro mattina… diciamo
alle nove e mezzo a casa tua?»
«Ok, preparo qualcosa da portare via così non dobbiamo stare a
fare la spesa arrivati allo chalet.»
«Ok. Penso io al casco per te. Ci vediamo dopo domani.»
«A dopo domani.»
Riattaccò e si cambiò… senza scordarsi del piccolo regalo per
Howard.
Tornò in salotto che Howard aveva appena finito di preparare
le tazze. «Buonasera signorino, bentornato.»
«Buonasera Howard.» Gli porse il foglietto «Questo è per te.»
Il maggiordomo posò la teiera e prese il biglietto. Lo aprì e
rimase a bocca aperta. «Oh signorino! … Ma non doveva preoccuparsi di…! Oh
grazie!»
Uscì dalla sala senza inchinarsi!!
Suo nonno lo guardò stralunato, «Cosa gli hai dato?»
«Un autografo del Presidente con dedica personalizzata.»
Tutti scoppiarono a ridere.
Visto che doveva lanciare una bomba, tanto valeva lanciarla
subito. «Nonno, mi servono le chiavi dello chalet.»
«Per quando?» chiese subito sua madre.
«Domani l’altro mamma. Domani sono già impegnato con i miei
genitori.»
Sua madre sorrise appena, «Posso sapere con chi ci vai?»
«Vuoi darmi veramente ad intendere che non lo sai?»
«Vorrei che tu lo dicessi a chiare note.»
Bella forza.
«Con Jennifer.»
Suo nonno spalancò la bocca sbalordito, poi scattò in piedi,
«Te le porto subito!»
«Hai un appuntamento con Jennifer?» chiese sua nonna come a
voler essere sicura di aver capito bene.
Stava per chiudersi un cappio al collo…
«Credo si possa definire così.»
Chiuso.
«Ehm, cugino, credo che l’ultima volta ci sono stato io» disse
Justin, «mi sembra un secolo fa. Occorrerà fare la spesa.»
«Jennifer ha detto che ci pensa lei. Porteremo qualcosa di già
pronto.»
«Cioè non rimanete lì per la notte» tradusse Georgie.
«Ottima deduzione cugina.» Si voltò verso suo zio Paul, «Tu
hai qualche domanda, deduzione o aggiunta da fare?»
Suo zio scosse la testa, «No. Sono semplicemente senza parole
nipote.»
«Mi impegno a far sì che mia madre non sappia niente fino a
tuo ordine» disse Diana.
Non sapeva cosa Justin avesse detto alla fidanzata, ma Diana
non aveva fatto un commento.
«E’ la ragazza che era con noi al compleanno di Diana, vero?»
chiese Gary alla fidanzata.
Georgie annuì sorridendo deliziata.
«Nel frattempo le è passata un po’ di paura» disse rivolto al
fidanzato della cugina vedendolo perplesso.
«Ah ecco» fu il commento di Gary.
Risero.
«Lo diciamo a Melissa?» chiese Justin.
«Appena ci sarà qualcosa da dire, Just.»
Suo cugino lo guardò con un’espressione che tradusse senza
problemi con un io lo sapevo, che decise di ignorare.
«Hai voluto chiudere la storia con l’F.B.I. prima, vero?»
chiese sua nonna.
Sì, poteva dare per scontato che tutti fossero stati informati
della cosa, o sua nonna non avrebbe mai affrontato così il discorso.
«L’F.B.I. è una signora che non tollera concorrenti» ammise.
«A parte questo era troppo pericoloso nonna. Non ero sicuro di uscirne vivo.»
Sua madre distolse lo sguardo puntandolo fuori dal finestrone.
«Ne sei fuori adesso, vero?» chiese suo zio.
«Sì zio, io e Drake siamo tornati ad essere semplici civili.»
«Così, finalmente, potrete cominciare a vivere come due
ragazzi della vostra età» disse suo nonno rientrando nella stanza.
Gli passò le chiavi e tornò a sedere.
Giocherellò un po’ con le chiavi, poi sorrise, «Già, e non
vedo l’ora nonno.»
.:§:.~.:§:.~.:§:.~.:§:.~.:§:.~.:§:.~.:§:.
L’aria nell’appartamento,
che poi era un attico di quasi duecento metri quadri a conferma che le mezze
misure avevano completamente mancato suo nonno Mansur, era fresca e frizzante.
Tutto avrebbe detto tranne che quelle stanze fossero abitate
sì e no per un mese l’anno: i suoi genitori praticamente organizzavano una Luna
di Miele all’anno, lontano da tutti.
«Anne e Gwen vengono a pulire e aerare una volta alla
settimana» disse suo padre. «Sapendo che oggi saremmo venuti lo hanno fatto
ieri.»
Annuì.
«Da quanto non vieni qui?» chiese sua madre.
«Una vita mamma. Non me lo ricordavo così… colorato. Non si
direbbe che è abitato un mese l’anno.»
Seguì un breve silenzio che lo fece voltare verso i suoi
genitori.
«Quando le cose hanno cominciato a precipitare io e tuo padre
lo abbiamo sistemato in tempo record per poterlo abitare da un momento
all’altro» ammise sua madre.
«Eravamo a questo punto?»
Sua madre annuì, «Mi ero stancata di vedere te e tuo padre in
perenne assetto di guerra. Quando esplodesti prima del fine settimana»
lo disse con un tono che gli fece capire che per sua madre era diventato
l’inizio di una nuova era «ero pronta a fare le valige. E tuo padre lo sapeva.»
Scosse le spalle, «Anche Patrick ha riconosciuto di essersi fatto prendere la
mano.»
Quello che conta è che siamo una famiglia, io, te
e papà.
Ecco cosa aveva voluto dire.
«Davvero vuoi darmi ad intendere che non hai mai preso in
considerazione l’ipotesi di andartene da villa McGregory?» chiese suo padre.
Scosse la spalle, «Non ho mai finto di ignorarli papà,
per me era davvero come se non esistessero. Era il loro comportamento verso la
mamma che mi faceva andare in bestia, ma erano fuori dalla mia vita.»
«Vi va un bel caffè?» propose sua madre.
«Poi ci mettiamo comodi in poltrona» asserì suo padre. «Nel
frattempo, vado a prendere la documentazione medica.»
Si voltò verso suo padre, «La tenete qui?» chiese meravigliato.
Suo padre annuì. «Abbiamo provato a tenerla alla villa, ma non
eravamo per niente tranquilli. Portarla qui è stato come metterla in
cassaforte.»
Seguì sua madre in cucina.
«Come stai?» gli chiese cominciando a tirare giù le tazze «E
che mi risponda mio figlio, intesi?»
«L’agente è andato definitivamente in pensione mamma. Posso
risponderti solo io adesso. Sto bene. Mi sento più leggero di una tonnellata.
Ancora non riesco a credere che si sia risolto tutto così bene.»
La vide mordersi il labbro inferiore, «Come è successo, me lo
spieghi, per favore? Per quanto mi sforzi non riesco ad immaginare come tu
possa esserti imbarcato in una cosa del genere.»
Respirò profondamente, «Onestamente mamma? All’inizio era un gioco. Io e Drake riuscivamo senza il
minimo sforzo a superare le prove e gli addestramenti. Quando Richard o Matthew
ci contattavano era come se iniziasse un nuovo gioco. Ci siamo resi conto di
aver preso l’F.B.I. come una specie di cilindro magico… alla fine il cilindro
ci è scoppiato fra le mani. Per fortuna senza morti o feriti gravi.»
«Quanti… quanti anni avevi quando hai ucciso la prima volta?»
Ok, se voleva chiudere quella storia, doveva essere sincero.
Fino alla fine.
«Quindici e mezzo.»
«Chi?»
«Un killer a pagamento che lavorava per la parte sbagliata.»
Posò il barattolo del caffè sul ripiano e si voltò verso di
lui. «Hai tolto la vita a delle persone Juna. Di questo sei cosciente?»
«Manaar…» disse la voce di suo padre alle sue spalle.
«Siediti papà. Mamma, ho ucciso delle persone. Una proprio
davanti ai tuoi occhi» le ricordò. «Non sono in cerca di giustificazioni o
attenuanti, ti spiegherò semplicemente il mio punto di vista e come ho vissuto
questa situazione, ok? Erano persone che se non avessi ucciso io ci avrebbe
pensato qualcun altro a farlo; erano persone che, per soldi, non si ponevano il
problema di uccidere donne o bambini… e anche peggio. Io non sono così. Non lo
sono mai stato. Uccidere non è mai
stata la prima soluzione tanto per semplificare la situazione. Quando ho ucciso
Carlos Estrada, oltre ad ubbidire ad un ordine ben preciso, ho agito con la
consapevolezza di togliere dalla faccia della Terra un essere che non aveva
scrupoli. Nei loro piani originali volevano rapire Jennifer, riesci ad
immaginare il perché? Li ho sentiti con queste orecchie. Ho ucciso quella gente
e lo rifarei. Senza pensarci due volte. Se questo fa di me una persona cattiva,
allora sono orgoglioso di esserlo.»
Sua madre abbassò un attimo lo sguardo.
Quando lo rialzò su di lui, aveva un’espressione seria. «Ho detto
a tuo padre, e lo ripeto anche a te, che sono disposta a perdonarti qualsiasi
cosa. Ti ho visto uccidere una persona, è vero… ma quell’uomo ti ha sparato, dannazione. Voleva
ucciderti a sua volta. Non sei cattivo
Juna e non lo dico solo perché sono tua madre. So come ti ho cresciuto e so che
hai imparato bene ciò che ti ho insegnato. Il primo istinto è stato di cancellare
questa cosa dell’F.B.I. e far finta che non sia mai avvenuta… ma non posso fare
come lo struzzo, non se ci sei di mezzo tu che sei mio figlio. Voglio capire.
Ne ho parlato anche con Jessica, ovviamente, e tu e Drake siete cambiati come
il giorno e la notte da quando siamo tornati da quella villa. Era una
situazione che vi pesava addosso, avete una coscienza e questa coscienza è
sveglia e vigile. Chi uccide meccanicamente non ha coscienza.»
«Juna, cerca di metterti nei nostri panni» intervenne suo
padre. «A caldo la nostra unica preoccupazione era la tua sicurezza… che tu ne
uscissi vivo. Adesso non possiamo fare a meno di porci domande.»
«E’ naturale papà. Non sto biasimandovi per questo. E’ vero.
La situazione ha cominciato ad andarmi davvero stretta.»
«Quando?» chiese sua madre.
Ci mise qualche secondo ad ammetterlo anche con se stesso
«Quando ho visto l’espressione di Jennifer al pensiero che potessero esistere
persone come me.»
«Definiscimi persone come te» chiese suo padre.
«Killers a sangue freddo. Papà… ero un killer. Inutile girarci
intorno. Mi davano ordini e io li eseguivo. Matthew non mi ha mai dato limiti. Mi
forniva sempre informazioni di tutti i generi, ma il concetto base era la missione deve riuscire. Era a mia discrezione
il come. Ho fatto anche del bene…
anche prima del ritrovamento di Michael, ma…»
Sua madre annuì, «La lista degli agenti in incognito. Lewing
ce ne ha parlato.»
Ah fantastico… quindi anche Jennifer lo sapeva.
«Fra le altre cose» asserì.
Al silenzio dei suoi riprese, «Ho iniziato ad avere problemi a
nascondere quello che provavo. Ci sono state altre situazioni molto… pesanti, credetemi sulla parola perché non
c’è bisogno che sappiate i particolari, ma la mamma non mi è mai piombata in
ufficio a caccia di spiegazioni. In ultimo mi sono sentito male… e non sono
abituato a stare male. Anche Drake se l’è vista veramente brutta. Ha telefonato
a Matt per informarlo delle nostre dimissioni il giorno stesso che sono
svenuto.»
«Ecco perché non mi hai voluto con te quella notte» disse sua
madre. «Temevi ti uscissero di bocca le parole sbagliate.»
«Ah mamma, quello sarebbe stato il minimo. Ancora non riesco a
perdonarmi per aver messo le mani addosso a papà. Se avessi fatto del male a
te…»
«No Juna, non sentirti in colpa per questo» lo interruppe suo
padre, «non eri in te. Coscientemente non ti sogneresti mai di fare una cosa
simile. Coscientemente mi hai protetto a costo della tua vita. Mi sono trovato
nel posto sbagliato al momento sbagliato… e comunque meglio io che tua madre,
su questo siamo d’accordo. Stavi malissimo ma eri sempre un agente addestrato…
ti ha calmato la voce di Drake.»
Sua madre stava annuendo, «Certo. L’unica persona della quale sapevi
di poterti fidare in caso di pericolo. Probabilmente non avevi neanche
coscienza che ci fossimo noi nella stanza.» La vide scuotere la testa, «Quanto
sono stata cieca.»
«No mamma. Non cieca. Ragionevole.
E una mamma ragionevole non può neanche immaginare il proprio figlio nei panni
di un killer… specie se il figlio in questione ha appena diciannove anni.»
«Questa cosa di sentire le persone e…» cominciò suo padre,
«cioè, lo stare sempre in guardia… ti resterà per tutta la vita?»
«Non lo so papà. L’addestramento a cui mi hanno sottoposto non
ha solo rafforzato il mio lato fisico, ma anche quello mentale e psicologico.
Ci sono lati di questa storia che mi porterò dietro per tutta la vita.»
«L’uso delle armi?»
«Papà, non è una levetta on-off che posso azionare a
piacimento. Ciò che ho imparato sull’autodifesa, sull’attacco e sull’uso delle
armi non lo scorderò. Semplicemente… non mi servirà più.»
Sua madre si voltò verso il piano cucina e con pochi gesti
preparò le tazze. «Su, andiamo in salotto» disse porgendo loro le tazze
fumanti.
Suo padre sorrise appena, «Ti daremo delle nuove basi per
quando comincerai a studiare per la laurea in medicina.»
A Paul cadde il giornale dalle mani mentre lo piegava.
Rimase a fissare per qualche secondo il mucchio di fogli ai
suoi piedi, poi si chinò a raccattarli.
«Tesoro, cosa c’è?» chiese Lennie.
«Lennie, sopportami»
rispose avvilito suo figlio. «Fino a quando non vedrò rientrare Connor, Manaar
e Juna con il sorriso sulle labbra…» si interruppe.
Lennie si avvicinò
al marito e gli accarezzò una guancia, «Non scusarti. Il senso di colpa ti sta
mangiando vivo da quando abbiamo capito l’enormità di questa cosa. Forse hai
ragione: se la famiglia non fosse stata in guerra, Juna non avrebbe avuto una
tale ampiezza di manovra e di seguito non sarebbe stato avvicinato dai servizi
segreti, ma pensarci adesso non serve a niente.»
«Paul, santo cielo,
tua moglie ha ragione» disse sua moglie.
Paul scosse la
testa, «Nei panni di Connor non so se avrei avuto un perdono così facile, mamma.
L’ho lasciato da solo contro tutti… e alla fine a pagarne le conseguenze è
stato mio nipote. Non riesco a non pensarci.»
«Paul, l’unico da
biasimare sono io» si decise ad entrare nel discorso.
«No papà. Sono
sposato, ho due figli maggiorenni… ho un cervello qui dentro» si toccò una
tempia, «e l’ho tenuto in naftalina per quasi trent’anni. Addirittura Ryan ci
ha bacchettato mesi fa, ricordi? Non sapeva più come giustificarci agli
occhi di sua figlia. Sono cose che non posso accantonare solo perché ho un
nipote genio pienamente responsabile delle sue scelte! Mi sono ripromesso di
parlare a quattr’occhi con Connor e non lo farò per sentirmi rassicurare. Ho
delle colpe, e sono tante.»
Con la coda
dell’occhio vide Justin fermo sulla porta.
Guardava il padre
sbalordito.
«Papà?»
Paul si voltò verso
il figlio. «Dimmi Just.»
«Mi hai detto di
voler essere presente a un mio esame.»
«E non ho cambiato
idea nel frattempo, mi sai dire una data?»
«Fra venti giorni.»
«Ottimo. Lennie,
vieni anche tu?»
«Sicuro.»
Justin alzò
scherzosamente gli occhi al soffitto, «Gli esami da passare saranno come minimo
due!»
Era incredibile come
fossero cambiate le cose da quando erano tornati da quella villetta.
Stentava a
riconoscere la propria famiglia.
Se pensava che
sarebbe potuta essere così dall’inizio…
Sorrise fra sé… non
era mai troppo tardi.
.:§:.~.:§:.~.:§:.~.:§:.~.:§:.~.:§:.~.:§:.
Michael si catapultò
alla porta appena sentì il rumore della moto.
Sua madre scosse la testa divertita ma non commentò.
Prese lo zaino e se lo mise in spalla. «Ci vediamo stasera mamma.»
Uscì e il suo fratellino era seduto sul serbatoio della moto, intento a
parlare con Juna, che si era tolto il casco.
Ne aveva un secondo al braccio.
«Buongiorno Flalagan» la salutò.
«Buongiorno.»
«Jennie, Juna ha detto che mi farà fare un giro quando sarò più
grande!» la informò Michael felice.
Juna le tese il casco che si era sfilato dal braccio. «Vediamo se ho
davvero occhio: provalo.»
Lo prese e se lo mise. «E’ strettissimo» mugolò riuscendo appena a
muovere la bocca per quanto il casco le stringeva la faccia.
Juna le fece segno di avvicinarsi muovendo due dita.
Quando gli fu vicino il ragazzo cercò di toglierle il casco tirandolo
verso l’alto tenendolo all’altezza della nuca.
Non ci riuscì, ovviamente.
«Va benissimo così» la informò. «Un casco non deve essere comodo, se è largo un possibile impatto
potrebbe fartelo volare via, e sarebbe inutile metterlo.»
Fu lui ad agganciarlo sotto la sua gola e le fece segno di salire
dietro di lui. Nel frattempo prese Michael e lo riposò a terra.
«Quando la riporti a casa?» chiese suo fratello… spiazzandola
completamente.
Juna esplose in una fragorosa risata, «Ah, ecco perché Jeremy e Sarah
non ci sono: sei tu che ti occupi della sicurezza di Jennie!!»
Il suo fratellino sorrise, «Lo so che con te è al sicuro…»
«Te la riporto per cena» sembrò promettere Juna. Si voltò appena verso
di lei, «Appoggia i piedi sopra quelle alette, sono lì per questo.»
«Ah, grazie.»
«E andate piano» disse Michael.
«Mh. Altro?» s’informò Juna divertito.
«Mia sorella non è mai andata in moto.»
«Questo lo aveva già intuito» disse Juna. «Ma non preoccuparti: ci
penso io ad ovviare a questo problema.»
Suo fratello annuì «Ok, allora io vado! A stasera!»
Partì spedito verso la porta e se la chiuse alle spalle.
Juna si rimise il casco… lo sentiva ridacchiare.
Non le diceva niente riguardo la postura, dove doveva tenersi per
mantenersi in equilibrio e cose simili?
Gli diede una leggera pacca sulla spalla e Juna si voltò appena,
sollevando la visiera.
«Cosa?»
«Dove devo tenermi per…?»
«E’ evidente Jennie: a me.»
«Davvero?» chiese dopo un attimo di vuoto totale.
«In realtà ci sono altre due opzioni: tenere le mani sopra il serbatoio
o tenere le due maniglie che sono alle tue spalle. Il problema, tesoro, è che
tu non sai andare in moto. Se ti reggi a me sentirai meglio i movimenti e
capirai come assecondarli. Fra qualche mese potrai azzardarti a comportarti
come una consumata centaura.»
Non riuscì ad evitare di sorridere, anche se cercò di impedirselo con
tutte le sue forze. «Ragionevole» concesse.
«Oh grazie. Si parte?»
Annuì.
Il viaggio fu tranquillo, anche perché Juna mantenne una velocità stabile
e per niente sostenuta.
Finì con il divertirsi.
Era bello quando la moto si piegava per eseguire una curva… capì anche
cosa aveva voluto dire Juna: essendo abbracciata a lui sentiva un attimo prima
che direzione seguire per assecondare l’assetto della moto.
Quando si fermarono davanti allo chalet si meravigliò che fossero già
arrivati.
E un po’ le dispiacque anche.
Appena mise piede in terra sentì un leggero indolenzimento… come se le
gambe si fossero addormentate. Si fermò perplessa.
«Le prime volte capita: non sei abituata» disse Juna seguendola e
togliendosi il casco.
Se lo tolse… ed ebbe l’impressione di liberarsi di una morsa.
Aprì la bocca e la richiuse per un paio di volte e mosse la mascella in
tutte le direzioni possibili.
Le arrivò la risatina di Juna.
«E’ veramente stretto» si giustificò.
«Andremo a comprarne uno per te… ma dovrai avere ben chiaro il concetto
iniziale» l’avvisò.
«Non deve essere comodo?»
«Esatto.»
Lo seguì verso la porta e si guardò intorno.
«E’ esattamente come me lo ricordavo» disse.
Il roseto che lo circondava era al massimo dello splendore.
Il profumo era quasi stordente.
«Sono dieci anni che non ci metto piede» ammise Juna aprendo la porta.
Entrarono e… beh, sembrava tutto fuorché disabitato per la maggior
parte dell’anno.
«Avverti i tuoi che siamo arrivati» disse Juna togliendosi il
giubbotto.
Annuì e compose l’sms.
Anche Juna ne compose uno… e come arrivò la risposta scoppiò a ridere.
«Cosa c’è?» chiese curiosa.
Juna girò il display verso di lei.
Vale la stessa regola dell’attico: Anne
e Gwen hanno fatto un bel lavoro?
«Che significa?» chiese perplessa.
«Che Anne e Gwen, ieri, sono state qui a mettere a posto ed aerare»
rispose Juna divertito. «Mi ostino a sottovalutare mio nonno e mia nonna.»
Rispose anche suo padre. Buona
giornata bambina mia, saluta Juna.
«Ti saluta mio padre.»
Juna le sorrise, ma non commentò.
«Hai sete?» chiese invece.
«Sì. Ho portato anche…»
«Se conosco Anne come penso di conoscerla…» cominciò sparendo dentro
una stanza.
Lo seguì di riflesso. «Juna?»
Si trovò in cucina e Juna stava curiosando dentro il frigorifero.
«Acqua, aranciata o coca cola?» chiese soddisfatto.
«Hanno fatto la spesa?» chiese incredula.
«Lo stretto indispensabile per farci trovare qualcosa di fresco
all’arrivo» rispose Juna. «Allora, che preferisci?»
«Aranciata, grazie.»
Lo vide muoversi sicuro e a proprio agio.
Era sempre così sicuro di sé.
«Potresti toglierti lo zaino dalle spalle e il giubbotto» le disse.
Gli annuì ed eseguì tornando nell’ingresso.
Quando si voltò se lo trovò davanti con il bicchiere pronto.
Lo accettò. «Grazie.»
«Veramente sono io che devo ringraziare te.»
Bevve per prendere tempo.
«Quel bicchiere non durerà in eterno» le fece notare.
Lo staccò dalle labbra ormai vuoto e sospirò, «Lo so.»
Juna le lo tolse dalle mani con dolcezza e lo appoggiò vicino al suo
sul tavolino lì vicino.
«Cominciamo da un punto fermo?» propose.
«Quale?»
La domanda più stupida da quando aveva cominciato a parlare.
Juna neanche le rispose a parole: le cinse la vita e la baciò.
Si trovò avvinghiata a lui senza neanche averlo deciso.
Era tutta la vita che aspettava quel momento.
Jennifer si rilassò all’istante.
Abbracciandolo.
Come inizio era promettente.
Quando si separò da lei, si trovò a guardare in due oceani acquamarina.
«Hai un’idea della paura che mi hai fatto prendere?» mormorò
guardandolo.
Distolse un attimo lo sguardo. «No…» ammise «so solo che è stata
talmente devastante che dopo mi sei saltata al collo.»
La vide sorridere, «Riesci a sdrammatizzare qualsiasi cosa… è un tuo
lato che apprezzo. Il fatto stesso che tu abbia distolto lo sguardo mi dice che
ti rendi conto di quello che mi hai fatto passare.»
«Sei proprio sicura di voler fare arte?»
«Perché?»
«Niente, va benissimo così.»
Non le avrebbe certo detto che era già ben avviata come psicologa.
Jennifer appoggiò la fronte contro il suo torace, «A volte credo di
averti capito, altre mi sembra di vederti per la prima volta.»
L’abbracciò.
«Un esempio della prima parte?» chiese posando le labbra sulla sommità
della sua testa.
«Posso darti un solo esempio per tutta la frase: al gazebo. Quando mi
facesti quel discorsino su quanto era difficile fingere. Ricordo che pensai mi
sta dicendo che lui è abituato a mentire e fingere? Non riuscivo a credere
alle mie stesse orecchie. Con il senno di poi… maledizione, praticamente mi hai
detto tutto quel giorno.»
«Già» ammise ricordando l’episodio. «E’ cominciato tutto quando ci
siamo rivisti a casa tua. Fino ad allora lavorare per l’F.B.I. era una specie
di gioco.»
«Devo chiederti scusa» mormorò Jennifer. «Ho scambiato per freddezza…»
Scosse la testa, «In quel momento ero
freddo Jennie» ammise. «Dovevo esserlo.»
«Hai protetto mio padre facendogli da scudo. Ti sei esposto per farti
riconoscere da Michael. Hai rischiato grosso Juna. Mio fratello ha solo quattro
anni… avrebbe potuto mandare all’aria tutto. Quando ripenso a questi ultimi
mesi mi… mi sembra incredibile. Era tutto sotto il mio naso e io non ho visto
niente. Ho capito tante cose due settimane fa… la più importante è che sei un
ragazzo profondamente buono. E’ vero: hai ucciso delle persone… ma erano
persone cattive. Quando hai avuto la
possibilità, e anche motivazioni, per uccidere il generale o Aaron non lo hai
fatto e hai messo in secondo piano la tua vita più di una volta per proteggere
altre persone. Ascoltavo Lewing parlare e non riuscivo a crederci… dai una
nuova dimensione al concetto di luci ed
ombre Juna… ma mi sono innamorata di te a undici anni e ho avuto il
coraggio di ammetterlo solo due settimane fa… non sono disposta a perderti.»
Sorrise. «Beh, io l’ho ammesso solo con me stesso praticamente ieri.»
Jennifer alzò lo sguardo fino al suo. «Cosa?» chiese in soffio.
«Che ti amo.»
Wow, non avrebbe mai creduto che sarebbe stato così facile se qualcuno
glielo avesse detto!!!
Gli occhi di Jennifer si riempirono di lacrime. «Davvero?» chiese.
«Davvero. Dovrei essere io a chiederti se davvero sei innamorata di me, ragazza mia.»
«La risposta sarebbe sì.»
La baciò di nuovo.
«Che ne dici di fare una passeggiata? Continuiamo a parlare fuori» le
propose.
Jennifer annuì con un sorriso.
Uscirono abbracciati.
La giornata era splendida e faceva caldo, anche se tirava un piacevole
venticello.
«Sei cambiato molto» riprese Jennifer. «La tua espressione è cambiata.»
«Se fossi meno realista ti chiederei cosa intendi… ma so perfettamente
a cosa ti riferisci. Ero convinto che nella mia vita tutto fosse al posto
giusto. Avevo indossato una maschera che era diventata l’unica faccia che
riconoscevo come mia. Poi improvvisamente tutto ha cominciato a crollare… a
starmi stretto. L’F.B.I., il lavoro, la situazione familiare… è cominciato
pochi giorni prima di rivederti a casa tua: sono sbottato così malamente con
mio zio Paul e il nonno che i miei si sono visti di fare le valigie e lasciare
Villa McGregory. Poi la certezza di essere stati traditi… il sapere Drake in
pericolo è stata una mazzata… non riuscivo ad accettare di non poter far
niente. Di seguito la missione, il ritrovamento di Michy… tu che hai incrinato
seriamente la mia convinzione che stavo facendo la cosa giusta…»
Jennifer serrò la stretta intorno alla sua vita, «La stavi facendo,
Juna. I fatti parlano chiaro. Ero io che vedevo il mondo in bianco e nero. Ho
tirato tante conclusioni affrettate.»
Le rese il gesto stringendole le spalle per attirarla a sé. «Non sono
mai stato così male in vita mia. Ho lasciato andare tutto alla deriva e alla
fine è stato il mio organismo a richiamarmi all’ordine. Proprio quando almeno un
lato della situazione stava andando a posto: il rapporto con i miei familiari.»
Jennifer annuì, «Adesso riesco a vedere il tuo comportamento nella
giusta ottica. Eri tu il primo a non capire cosa stava succedendo. Sì, era
chiaro che il crollo fosse dovuto alla mancanza degli esercizi… ma il contesto in
generale ti confondeva. Perché proprio in quel momento? Avevi già troppo a cui
star dietro. Dio, se ripenso all’espressione terrorizzata di mio fratello
quando seppe che stavi male. Come ha fatto di tutto per far arrivare Drake il
prima possibile.»
Si trovò ad annuire. «Sapendo tutto la situazione è chiara. Adesso. E’
come se il mio cervello avesse messo in standby il mio cuore. Quando il cuore
ha ricominciato a funzionare di botto ha mandato in tilt il cervello.»
Sentì la risatina di Jennifer e si voltò a guardarla.
«Meglio tardi che mai» fu il suo commento. «Riuscirai ad orchestrarli
Juna, è questione di pratica.»
«Sto cominciando a pensare che per essere felici non è mai troppo
tardi, Flalagan.»
Jennifer inchiodò abbracciandolo e nascondendo il viso contro il suo
torace.
«Avrò per sempre davanti agli occhi la scena di quell’uomo che ti spara
Juna» mormorò. «Non riuscirò mai a spiegarti a parole cosa ho provato. Paura è solo una parola. Avrei preferito
che sparasse a me.»
Le rese l’abbraccio accarezzandole dolcemente la schiena, «Non dirlo
neanche per scherzo. Ho smesso di respirare quando Gerard ha ventilato
l’ipotesi di sparare ai miei o a te. Se c’è stato un momento in cui ho
rischiato di perdere il controllo è stato quello. Non ti troverai mai più in
una situazione del genere Jennie, te lo prometto.»
La sentì annuire.
Sorrise, «Vuoi diventare la mia ragazza?»
La sentì fremere.
Serrò la stretta e… «Sì» rispose. «Sei ufficialmente mio, McGregory.»
Stavolta scoppiò a ridere. «Molto bene Jennifer Flalagan. Ti sei appena
tuffata in un mare di guai!»
La ragazza lo seguì nella risata e dopo essersi scambiati un bacio,
ripresero a passeggiare.
La mattinata passò in un lampo.
Mangiarono allegramente parlando del più e del meno… più che altro del
terzo grado che li attendeva a casa.
Juna era un’altra persona. A vederlo in quel momento stentava a
collegarlo al ragazzo che aveva rivisto nel salotto di casa sua.
«Jen… volevo chiederti una cosa» cominciò improvvisamente mentre lei
stava rimettendo a posto i piatti.
«Cosa?»
«Che ne pensi del fatto che ho due cervelli?»
Si voltò verso di lui. «Che è un miracolo che tu sia vivo. E che sono
grata a chiunque abbia il merito di aver permesso che tu sopravvivessi. Il
Professor McIntyre, la sua equipe… sono grata anche a Jawad perché si è
sacrificato per permetterti di vivere. Ci ho pensato molto e sono giunta ad una
conclusione: eravate due embrioni
Juna, tu non hai ucciso tuo fratello, nel senso in cui tutti lo hanno tradotto
e inteso. Se fosse successo il contrario Jawad avrebbe ucciso te. E’ sopravvissuto il più forte ed eri tu il più forte.»
«E’ una teoria interessante.»
«Non è una teoria: ne ho
parlato con Connie e anche lei mi ha detto che il verbo uccidere è semplificativo in questo caso. In primo luogo se non
aveste avuto lo stesso DNA sareste morti entrambi, in secondo luogo…» si bloccò
notando come Juna la stava guadando. «Perché mi guardi così?»
«Sto guardando la mia ragazza» fu la risposta. Sorrise appena, «Non hai
più paura di me. E’ confortante.»
«Juna… non ho mai avuto paura di
te. Ora mi è chiaro. Avevo paura di cosa provavo per te.»
Lo vide alzarsi con un sorriso, «Ti sei appena meritata un caffè» la
informò.
Le passò accanto e le stampò un bacio in bocca.
«Hai il tempo di inviare un sms a Shasha per informarla.»
Effettivamente la sua migliore amica avrebbe potuto ucciderla.
«Tu non avverti Drake?» gli chiese.
«Ci penserà Sharon» predisse Juna rassegnato. «Drake avvertirà sua
madre e Jessy avvertirà mia madre… e così lo sapranno tutti.»
«Questo è il piano?» chiese cominciando a digitare l’sms.
«Questo è ciò che succederà»
la corresse.
«Non riesco ad immaginare cosa dirà mio padre.»
Inviò l’sms.
«Tuo padre è più il tipo di meglio
tardi che mai. Un po’ come il mio.»
«Ah, e tua madre?»
«Era ora!!»
Scoppiò a ridere quasi cappottando giù dalla sedia e Juna la seguì.
Era felice.
Da quel momento cominciava una nuova vita.
Per tutti.
Il suono del cellulare di Juna attirò la loro attenzione.
Juna aprì lo sportellino e lesse l’sms. La guardò divertito, «Che ti
avevo detto?» chiese girando il display verso di lei.
Era di Drake.
Mando l’sms anche a Juna, mamma… tanto
per fargli sapere che le cose stanno andando esattamente come ha previsto: lui
e Jennie si sono messi insieme. Non è mai troppo tardi nella vita. Brindate.
Noi lo stiamo facendo.
Rise.
Le basi però erano sempre le stesse!!!!
______________________________________________
NOTE:
Credo di aver frantumato ogni precedente record per quanto riguarda il
ritardo di pubblicazione… e se pensate che è la prima che aggiorno dallo scorso
mese… sono ben lungi dalla mia peggiore prestazione!!!
Posso fare di peggio ladies & gentlemen… e lo farò!!!! *si lucida
orgogliosa le unghie contro il maglione*
Sono stata a Francoforte a vedere un concerto… sì, avete letto bene:
più di 1.000 km all’andata e più di 1.000 al ritorno per un concerto!
Ogni tanto una follia ci vuole nella vita!
La cosa ha richiesto settimane di preparativi e una settimana di coma
dopo il ritorno…
Sapete qual è il problema? Adoro scrivere di notte… sono capace di
tirare fino alle 5 la mattina a scrivere e visto che lavoro, è difficile che
abbia la possibilità di farlo. *piange*
Arrivando alla ff… notato che non ho messo completa? Sì, vero? Ho in mente una specie di epilogo. Un’occhiata
al futuro.
Essenzialmente per farmi perdonare da giunigiu che questa volta ho veramente fatto soffrire! Mi ha
scritto in crisi di astinenza una settimana fa! Scusa piccolina!
Zarah: adoro i dischi incantati! XD Grazie!
giunigiu95: mi sono già fatta perdonare vero? Non ti prometto il matrimonio perché non ho idea di come
si svolgerà l’epilogo, ma… vedremo…
Hai veramente cercato di memorizzare tutti i parenti?? Io sono andata
avanti con uno schema vicino… ;D
eilinn: non ho bypassato niente, visto? XD Neanche io mi aspettavo che
finisse tutto così… va sempre a finire come meno me lo aspetto anche io che la
scrivo, pensa te. Come scrittrice ho un controllo che rasenta lo zero sui
personaggi.
Volevo ringraziare chi mi ha aggiunto ai preferiti e, per l’ennesima
volta, chi legge senza commentare, perché gli accessi sono ben superiori alle
persone che usualmente commentano… non ho capito: aspettate la fine per
esprimervi?
Capitolo 21 *** Non E’ Mai Troppo Tardi - Epilogo ***
Non E’ Mai Troppo Tardi - Epilogo
Non
E’ Mai Troppo Tardi
Epilogo
Nove
anni dopo
Non bastava che Drake e Sharon si sposassero.
Lui e la sua illustre fidanzata erano i testimoni.
Quindi si sarebbe dovuto sorbire l’intero iter,
senza esclusioni… visto che si sarebbe trovato sull’altare anche lui.
No, tanto per rendere l’idea.
Sistemò il papillon e si squadrò con occhio
critico… anche vagamente feroce.
Era perfettamente a disagio, quindi doveva andare
bene.
Il completo nero, la camicia bianca… quella con il
colletto ad ali a rondine, che piaceva tanto a sua madre e a Jennifer… avrebbe
aggiunto la cosa alla lista di quelle che Drake gli avrebbe ripagato, con gli
interessi.
Aveva deciso di sposarsi e aveva trascinato
sull’altare anche lui.
Era semplicemente il colmo.
Bussarono ed entrò Melissa, già dentro l’abito da
damigella. «A che punto s…? Wow! Drake sfigurerà!»
Sorrise divertito, «Dov’è il tuo complice?»
chiese.
«Arriva con la tua fidanzata!» rispose con ovvietà
da tredicenne.
Michael si era prestato ad essere… il damigello.
Il che significava che quell’altare sarebbe stato
piuttosto… affollato.
«Non credo tu possa fare di più» gli fece notare
la sua cuginetta adorata.
«Direi di no Lissa, più a disagio di così solo in
camicia di forza.»
Scoppiò a ridere «Dai, non fare così! Guarda come
hanno conciato me!»
«Cugina, se la memoria non mi inganna sei stata
proprio tu a scegliere quell’abito e ad imporre di seguito la versione maschile
a Michael…»
«Ho scelto il male minore!!!» si difese lei.
Alzò gli occhi al cielo: una McGregory D.O.C., anche
lei.
«Dai scendiamo.»
Arrivarono al salone che c’erano già tutti.
Sua madre lo squadrò con occhio anche più critico
del proprio e annuì soddisfatta.
«Juna, ti sei ricordato gli anelli, vero?» chiese
suo nonno.
«Certo.»
«E dove sono?» chiese sua nonna.
«Nella tasca interna della giacca» rispose.
«Siamo sicuri?» insistette sua nonna.
«Ce li ho messi meno di cinque minuti fa nonna, ma
si può sapere cosa avete tutti quanti?»
Sua nonna fu bloccata, per fortuna, dall’entrata
della famiglia Flalagan.
Jennifer puntò diritta su di lui e lo abbracciò,
«Sarei dovuta restare con te» lo informò abbracciandolo. «Non ho chiuso occhio
stanotte.»
Sorrise rendendole l’abbraccio, «Rimedieremo
stasera, tranquilla» le mormorò con una carezza sulla schiena.
Alla fine aveva indossato il vestito nero lungo e
aveva lasciato i capelli sciolti.
«Grazie.»
«Non sto dicendo che dormirai…» bisbigliò fra i
suoi capelli.
Jennifer sussultò appena e si scostò da lui
guardandolo sbalordita, poi scoppiò a ridere. «Sei impossibile!»
Le posò un bacio sulla bocca, «Lo so. Sei nervosa
per una firmetta?»
«Sono nervosa per tutto quello che potrebbe andare
storto oggi.»
«Se nessuno dei due interessati ci ripensa, andrà
tutto liscio come l’olio.»
«Non dirlo neanche per scherzo!!» esclamò la
ragazza picchiandolo su un braccio.
L’occhio gli cadde su Michael.
Stava leticando silenziosamente con il papillon.
«Serve aiuto, Michy?» chiese.
«Questo arnese mi sta strozzando.»
«Michael, se la pianti di tirarlo…» gli fece
presente Jeremy.
«Papà, è uno strumento di tortura! Quando posso
toglierlo?»
«Stasera a casa» rispose Sarah.
«Appena terminata la cerimonia in chiesa» rispose
in contemporanea lui.
Si alzò un coro «Juna!!!»
Praticamente tutte le donne presenti, tranne la
sua per fortuna che stava ridendo.
Justin sbuffò, «Sono con te, cugino» lo informò.
«Anche io, figlio mio» disse suo padre.
«Ottimo, speriamo che Shasha e Drake si sbrighino
a sposarsi» disse Michael rincuorato.
Arrivarono anche Gary e Diana.
«Andiamo?» propose sua madre.
Si divisero nelle limousines e con lui e Jennie, neanche a dirlo, andarono Melissa e
Michael.
Jennifer si appoggiò a lui, la testa sulla sua
spalla.
«Come stai?» le chiese carezzandole con un dito la
mano intrecciata alla sua.
«Adesso bene.»
Annuì.
«Quando vi decidete voi due?» chiese Melissa.
«Ti lascio troppo tempo con la nonna e tua zia»
stabilì immediatamente.
Jennifer era perplessa, «Di che state parlando?»
«Quando vi sposate?» ripeté più diretta Melissa.
La sua famiglia era specializzata nel rompere le
uova nel paniere.
Jennifer la guardò. «Non sai che tuo cugino non è
credente?»
«Neanche Drake lo è» fece presente Michael.
«Basta che non vi sfugga di bocca davanti al
prete» sottolineò lui. «Per quell’uomo io e Drake siamo chierichetti in diretto
contatto con Dio.»
«Dopo la fatica che ha fatto a seguire tutto il
corso di preparazione…» aggiunse Jennifer, «ragazzi, mi raccomando.»
Melissa e Michael annuirono.
Drake si era piegato al desiderio di Sharon…
essenzialmente perché Sharon aveva sempre sognato il matrimonio in abito bianco
e quando aveva saputo che Drake non era credente, cosa che era avvenuta sette
anni prima, il suo unico commento era stato che allora poteva andare bene anche
la semplice convivenza.
Drake aveva ceduto su tutta la linea.
Ne avevano parlato fra di loro e la nuova visione
d’insieme di Drake era stata un fulmine a ciel sereno: era un passo che faceva
per far felice Sharon e sistemare sua madre e la madre di Sharon.
Amava Sharon con o senza un giuramento supremo e Sharon
lo sapeva, tanto bastava: tutto il resto era contorno.
Non credeva e continuava a non credere, ma per
Sharon, questo e altro.
Contorto nella teoria, ma funzionava nella
pratica.
Il bello della situazione era che Jennifer non
avesse mai affrontato il discorso… direttamente, era come se l’aver appreso del
suo ateismo lo avesse chiuso ancora prima di cominciarlo.
Sembrava semplicemente non concepire il matrimonio
al di fuori di una chiesa.
Si trovò a sorridere.
Lui era un genio… uno che sapeva trovare una
soluzione a qualsiasi problema.
Nel caso specifico era stato sufficiente una
piccola… deviazione.
Avrebbe funzionato e alla grande: sarebbero stati
sposati a tutti gli effetti senza preti e chiese.
Jennifer avrebbe potuto vestirsi del colore che
preferiva.
La cerimonia era durata circa un’ora ed era andato
tutto bene.
Anche il pranzo stava procedendo bene.
Mancava il dolce.
Juna e Drake non riuscivano a stare troppo
distanti, ormai era appurato: sembravano una calamita e il ferro, quindi si
erano trovati seduti relativamente vicini ai novelli sposi anche nella
disposizione dei posti.
Juna si era disfatto immediatamente della giacca,
del papillon e dei gemelli ai polsi, seguito all’istante dai suoi parenti più
prossimi e suo fratello, quindi la camicia si apriva morbidamente sul torace e
i polsi cadevano sui bracci seguendo i movimenti proprio come piaceva a lei.
Il problema era che non fossero nel salotto di
casa sua o dei McGregory o nell’attico che spesso usavano quando volevano
starsene da soli: erano ad un pranzo di nozze con oltre centocinquanta
invitati.
Aveva già registrato un numero che preferiva non
definire di donne che se lo stavano mangiando con gli occhi… ma erano veramente
tutte parenti di Sharon o Drake?? Da dove saltavano fuori?
«Te lo sei sognato.»
La voce di Sharon attirò la sua attenzione.
Juna stava fissando la sposa.
«Hai preso la mira» disse con il tono di voce che
di solito usava per sottolineare l’ovvio… e non per la prima volta.
«Vaneggi» ribatté Sharon.
Drake fissava entrambi divertito.
Con gli anni era diventata un’espressione tipica:
Juna e Sharon battibeccavano proprio come fratello e sorella.
A dirla tutta anche il prete li aveva scambiati
per fratelli, all’inizio.
«Per poco l’hai centrata in fronte, Sharon» disse
Juna paziente. «Ti hanno ripresa, sai? Non puoi raccontare favole: ho la prova
video.»
Sharon sembrò rifletterci.
«Ti dirò di più: ti sei voltata per accertarti che
fosse al centro del mirino» aggiunse portandosi i capelli indietro con la mano
in un gesto che adorava.
In quegli anni aveva parlato più volte di tagliarsi
i capelli, anche dietro pressione di Manaar, Madeline e Charmaine che ritenevano
dovesse abbandonare il look da ventenne,
come lo definivano loro, per passare ad uno più sobrio… ma lo aveva sempre
fermato.
Le piacevano così come erano e alla fine aveva
trovato un ottimo deterrente: nel caso se li fosse tagliati lui, lei avrebbe
fatto lo stesso.
Juna, alla notizia, l’aveva guardata fra
l’esasperato e il divertito e aveva ceduto.
Avevano ceduto anche Manaar, Madeline e Charmaine!!
I momenti che passava con lui a parlare giocando
con i suoi capelli erano secondi solo a quelli che passavano a letto al buio a
parlare dopo aver fatto l’amore.
Si rendeva conto che c’erano momenti in cui lo
guardava come in trance… ma non poteva farne a meno.
Lo amava alla follia.
Juna nascondeva un universo meraviglioso del quale
lei era entrata a far parte e che stava ancora scoprendo ogni giorno che
passava con lui.
«Non le ho fatto male» obiettò Sharon.
«Ti sembra un’attenuante?» chiese Juna
incuriosito.
«Jennie, fermali» disse Drake scoppiando a ridere.
«Ma di cosa stanno parlando?» chiese.
«Del bouquet che adesso hai tu!» rispose Drake con
le lacrime agli occhi.
Ricollegò tutte le frasi e scoppiò a ridere.
«Shasha adora quel bouquet amore, voleva essere
sicura che non sia allontanasse troppo da lei!»
«Ma stai scherzando?» chiese scandalizzata
Madeline «Tu hai preso il bouquet e la tradizione vuole che entro un anno anche
tu e Juna vi sposiate!»
Si voltò verso Juna che stava fissando la nonna
con una delle sue occhiate criptiche.
«Te lo ha chiesto lei?» chiese indicandola
rivolgendosi a Sharon.
Altro scoppio di risate.
Si appoggiò a lui abbracciandolo, «Non mi aspetto
una proposta di matrimonio da quest’uomo… solo che mi resti accanto per il
resto della sua vita.»
Juna la guardò e le passò un braccio intorno alla
vita sollevandola di peso e portandola comodamente a sedere sulle sue gambe,
«Sei una che si accontenta di poco, Flalagan.»
«Vero? Me lo dicono tutti.»
Lo vide sorridere divertito, «La mia vita sarebbe
di una noia mortale senza di te… e poi non mi conviene ricominciare tutto da
capo con un’altra.»
Annuì totalmente d‘accordo, «Dove la trovi
un’altra che ti sopporta?»
«Vedo che ci capiamo.»
Si guardarono per qualche secondo poi scoppiarono
a ridere.
Quando quei due partivano a punzecchiarsi si
fermava il mondo.
Sua moglie lo prese per
mano intrecciando le dita.
Si voltò verso di lei.
«Signora Tyler…» esordì.
«Sì?»
«Hai veramente preso la mira con quel bouquet?» le
chiese a voce bassa.
Sharon lo fissò imbronciata, «Cominci anche tu
adesso? Ok, ammetto che ho controllato
dove fosse Jennie… ma in realtà volevo centrare Juna…»
La guardò sbalordito, «Cosa volevi fare??» le chiese.
Sharon annuì seria, «Ma Jennie gli sta sempre
appiccicata, maledizione: per poco ho preso lei in testa!! Miravo al torace di Juna!!»
Cercò di soffocare una risatina ma non riuscì a
trattenersi: scoppiò a ridere.
«Fate ridere anche noi?» chiese Aaron incuriosito.
Il suo beneamato suocero… anche questa era tutta
da ridere.
«Questi sono segreti fra marito e moglie…» disse
cercando di riprendersi.
Aveva sposato un autentico fenomeno!!
«Giusto… ho appena ammesso una verità tremenda»
gli andò dietro Sharon.
«Quale?» chiese Juna distogliendo l’attenzione
dalla sua fidanzata.
«Che faccio, glielo dico?» gli chiese Sharon.
«Cioè mi riguarda?» s’informò Juna.
«Sei un genio amico mio.»
Juna lo gratificò di un sorriso che era una
smorfia. «Allora?» chiese rivolto a Sharon.
«Ho sbagliato mira.»
«Come sarebbe a di…?» cominciò perplesso il suo
migliore amico.
Poi capì, come sempre.
Guardò Jennifer e scoppiò a ridere, «Volevi lanciarlo a me???» esplose con le
lacrime agli occhi da come rideva.
Jennifer fissava l’amica sbalordita, poi scoppiò a
ridere anche lei.
Michael, nel frattempo, stava riprendendo tutto
con la telecamera coadiuvato da Melissa che sbirciava con lui lo schermo
dell’apparecchio per controllare la ripresa.
«Shasha, se tu e questo qui andate così d’accordo,
una spiegazione ci deve essere!» fu il commento di Juna che ancora rideva.
«E ti pareva!» si lamentò «Che c’entro io adesso?»
«Chi è riuscito a trascinarmi sull’altare quando
ha deciso di sposarsi?» fu la retorica domanda del suo migliore amico.
«Io» ammise rassegnato. «Siamo proprio fatti l’uno
per l’altra» aggiunse rivolto a sua
moglie.
«Vice presidente?» lo chiamò Connor.
«Sì?» rispose in automatico.
Già da cinque anni, per di più.
«I camerieri stanno aspettando il vostro via per l’ingresso
della torta.»
«Almeno quella non devono lanciarla…» fu il
commento di Juna che scatenò altre risate.
Era stata durissima, ma era riuscito a deviare
Jennifer all’attico.
Drake e Sharon sarebbero partiti quella notte
stessa per la Luna di Miele e si prospettavano tre settimane senza di loro.
Jennifer lo seguì in camera liberandosi della
borsetta, degli orecchini, collane e armamenti vari.
Era ora di cominciare… a rendere partecipe
Jennifer dei suoi piani.
«Ti va qualcosa da bere?» le chiese.
«Mh, quello che prendi tu.»
«Ti aspetto in sala.»
Lo raggiunse un secondo dopo che aveva fatto
scivolare l’anello dentro il bicchiere di Coca Cola light.
Sorrise pensando che lui e Jennifer non erano
proprio tagliati per la classicità. Forse lo spumante era meglio…
Era stata una giornata impegnativa.
Aveva intuito la perplessità di sua nonna per
quanto riguardava gli anelli.
Non sfuggiva niente a quella donna: lo aveva visto
imboscare l’anello per Jennifer e aveva pensato chissà che cosa… probabilmente
che pensava di boicottare il matrimonio di Drake!!
Ci teneva alla sua vita!!
Passò il bicchiere a Jennifer che lo prese e gli
cinse la vita appoggiandosi a lui.
«Sono sopravvissuta anche a questo, ci pensi?»
Le rese il gesto e le posò un bacio fra i capelli,
«Alla grande direi.»
La vide bere… ma non inclinò abbastanza il
bicchiere.
Facilità era un concetto
totalmente astratto se di mezzo c’era Jennifer Flalagan.
Neanche il favore di trovare subito l’anello gli
concedeva…
«Vuoi farti la doccia prima di andare a letto?»
gli chiese.
«Tu la farai?»
Gli posò addosso uno dei suoi sguardi migliori,
«Facciamo a chi arriva prima?» propose.
Rise. «Ti amo, lo sai vero?» le chiese con una
tenera carezza sulla guancia.
La vide annuire felice… «Anche io. Alla follia.»
«Finiamo la Coca Cola e… andiamo a letto?»
«Ah, quindi abbiamo stabilito che la doccia la
facciamo domani mattina.»
Sorrise mentre lei alzò il bicchiere per finire il
contenuto.
La vide sussultare e smettere di bere.
Lo guardò improvvisamente confusa.
Rimase per qualche secondo indecisa, poi lentamente
infilò un dito fino al fondo di liquido scuro rimasto e tirò fuori l’anello.
Aveva chiesto a Sharon di stare attenta se
Jennifer mostrava interesse verso un anello e quando era andata a ritirare le fedi con
l’amica, Jennifer aveva visto quell’anello e le era evidentemente piaciuto…
Effettivamente rispecchiava il gusto semplice ed
elegante che da sempre contraddistingueva la sua fidanzata: era una semplice
fascia d’oro bianco e giallo con un brillante di taglio classico.
Sharon gli aveva immediatamente inviato un mms con
la foto dell’anello per avvisarlo e lo aveva comprato quel giorno stesso.
Quasi un mese prima ormai.
«Juna…» mormorò sbalordita.
«Ti piace?»
Lo fissò con occhi sgranati. «Ma è bellissimo…» La
vide sgranarli ancora di più mentre lo guardava da vicino «Ma…! Ma è l’anello
che…! Oh Juna!!!!»
Posò il bicchiere e gli saltò al collo. «Juna l’ho
visto quando…»
«Lo so… avevo chiesto a Shasha di stare in
campana…»
«Grazie amore…!!!»
«Jennie…»
Lo strinse con tutta la forza che aveva, «Dimmi…»
«Vuoi sposarmi?»
La sentì sussultare e trattenere il respiro.
Si scostò da lui e lo fissò.
«Juna… non… non c’è bisogno…» cominciò confusa.
«… che te lo chieda perché la risposta è
ovviamente sì?»
Gli occhi le si riempirono di lacrime, «Non c’è
bisogno che tu me lo chieda perché non è… importante. Non voglio che tu ti
senta in qualche modo costr…»
«Flalagan, guardami, stai parlando con me, ok? Credi che sia possibile costringermi a fare qualcosa?»
Le prese l’anello dalla mano e lo fece scivolare
intorno al suo dito.
«Veramente vuoi sposarti?» chiese Jennifer con una
vocina flebile.
«Mah, se con
te ne possiamo parlare.»
Lo fissò inebetita per qualche secondo, poi… poi
si mise veramente a piangere e gli saltò di nuovo al collo.
«Anche domani!!» esplose «Juna ti amo da morire!!»
La tenne sollevata da terra per un po’ lasciandola
piangere, poi… «Avrei un piano… vuoi sentirlo?»
«Certo… che ne dici se andiamo a letto?»
Sorrise. Jennifer adorava parlare al buio, fra le
sue braccia.
Parlavano sempre dopo aver fatto l’amore… era una
delle tante cose che gli mancavano quando Jennifer rimaneva a dormire a casa
sua.
Si trovarono sdraiati nella penombra.
«Juna… voglio essere sicura che non stai…»
cominciò.
«Lasciami finire e vedrai che ho trovato la
soluzione migliore.»
«Come al solito…» fu il commento della sua
fidanzata con una carezza sul suo viso. «Ti ascolto.»
«Non ci sposeremo in chiesa. Ci sposeremo con rito
civile, nel gazebo.»
Silenzio. Aveva smesso di nuovo di respirare.
«Juna, è meraviglioso…»
«Aspetta… sarà tuo padre a sposarci.»
Jennifer ricominciò a piangere e affondò il viso
contro il suo collo.
«Avrei pensato ad una cosa solo per pochi intimi»
continuò a bassa voce accarezzandole i capelli. «Poi lasceremo alle nonne e
alle mamme carta bianca per una festa più… mondana… ma dopo la Luna di Miele,
ben inteso. Dove ti piacerebbe andare?»
«Con te anche in capo al mondo. Dove vuoi.»
«Eh no, non funziona così bella mia: questa
responsabilità ce la spartiamo al cinquanta per cento. Dove vuoi andare?
Parigi? Qualche isola paradisiaca, così puoi stare in bikini…»
«Parigi è una bella idea… mi piacerebbe anche
Vienna.»
«Niente bikini? Peccato.»
Scoppiò a ridere e lo baciò, «Andremo in qualche
isola paradisiaca questa estate, ok?»
«E indosserai il bikini?» insistette.
«Se trovi un posto appropriato… potrei anche decidere
di stare senza.»
Rimase un attimo spiazzato.
Jennifer era una delle poche persone al mondo in
grado di stupirlo.
«Guarda che ti prendo in parola Flalagan… sai che
non c’è qualcosa che io non possa trovare.»
«Certo che lo so… adesso dormiamo?» chiese
improvvisamente innocente.
Scoppiò a ridere, «Stamani ti ho detto che non
avresti dormito!»
«Ah già, è vero…»
«Ma ti lascerò riposare abbastanza da affrontare
le nostre famiglie e dargli la notizia!!» la tranquillizzò bloccandola sotto di
sé.
Jennifer lo baciò.
Jennifer era radiosa quella mattina.
Strano, avrebbe detto che con la partenza di
Sharon e Drake sarebbe stata un po’ triste.
Senza contare che quei due si fossero presentati
lì prestissimo rispetto a quello che si aspettava: quando Juna e Jennie
andavano all’attico, di solito non si vedevano prima di cena.
Suo figlio beveva il caffè in silenzio.
Improvvisamente squillò il campanello e suo marito
rimase con la tazza a mezz’aria, «Aspettiamo qualcuno?» chiese a tutti e a
nessuno.
Un brivido le percorse la schiena… un déjà-vu
improvviso.
«Sì» rispose Juna, spezzando la sensazione e
riportandola al presente, «Jeremy, Sarah e Michael. Anne, per favore, porta
altre sedie» chiese alla donna che stava ritirando i piatti.
Jeremy, Sarah e Michael fecero il loro ingresso.
«Buongiorno!» esordì Michael.
«Buongiorno» rispose Patrick perplesso. «Juna,
posso sapere cosa stai organizzando?»
«Nonno, sono almeno nove anni che non riesco più
ad organizzare qualcosa da solo…» fece presente suo figlio.
Jennifer ridacchiò divertita appoggiandosi a lui.
Che stava succedendo?
Quando furono tutti seduti, fu Juna a prendere la
parola. «Scusate un attimo…»
Prese il cellulare e fece partire una telefonata.
«Ciao nonno, hai la nonna a portata di mano? … Ok, metti in viva voce, ho qui
tutti i McGregory e i Flalagan. … Ok.»
Mise a sua volta in viva voce e appoggiò il
cellulare sul tavolo.
«Io e Jennie abbiamo una notizia da darvi» riprese.
«Vi avviso fin d’ora che abbiamo già deciso e non sono in discussione i
particolari. Giusto amore?» chiese rivolto a Jennifer.
«Giusto» asserì la ragazza appoggiata a lui.
L’amore con cui quella donna riusciva a guardare
suo figlio la meravigliava sempre.
«Io e Jennie ci sposiamo.»
«Eh?» chiese Melissa.
«Cosa?» le fece eco Michael.
Sapeva di essere a bocca aperta… come anche tutti
i presenti.
Madeline stava già piangendo.
«Juna, giurami che non state scherzando…» disse la
voce di sua madre dal cellulare… stava piangendo anche lei.
«Abbiamo deciso per il rito civile, non religioso»
riprese Jennifer. «Si svolgerà nel gazebo, solo pochi intimi, e… papà, vorremmo
che presenziassi tu.»
Jeremy stava fissando i due sbalordito.
A quell’ultima frase, le lacrime gli scesero sulle
guance. «Non potete farmi regalo più bello» mormorò.
«Pensa, mi consegnerai tua figlia e poi ci
sposerai» disse suo figlio, «quando si dice fiducia…!»
Scoppiarono tutti a ridere.
«Non potevate darmi notizia più bella» disse suo
padre. «Avete deciso qualcosa per la Luna di Miele?»
«Abbiamo qualche idea» ammise Jennifer.
«Appena avete deciso tutto datemi tutti i dati,
sarà il mio regalo» disse suo padre. «Voglio almeno tre destinazioni!» li
avvisò.
Jennifer guardò Juna, evidentemente presa in
contropiede, e suo figlio le sorrise, «D’accordo nonno, ti facciamo sapere
tutto appena abbiamo deciso, ma sappi che Parigi e Vienna sono il pole
position.»
«Scusate…» disse Madeline con il poco fiato che
aveva ritrovato «definitemi pochi intimi…»
Juna e Jennie si guardarono, la classica
espressione Io lo sapevo, poi… «La
cerimonia nel gazebo sarà qualcosa di intimo
nonna» disse Juna. «Le famiglie, Drake e Sharon, rispettive famiglie, George,
Gary, Diana… lo stretto indispensabile. Io e Jennie ci teniamo molto. Quando
torneremo dalla Luna di Miele faremo una festa come piace a te e a nonna
Charmaine… vi diamo carta bianca per quella, vero Jen?»
Jennifer annuiva.
«Direi che è un equo compromesso» riconobbe sua
madre.
«Cosa ti aspettavi da nostro nipote?» chiese suo
padre retorico.
«Per quando deve essere tutto pronto?» riprese Madeline.
«Beh… pensavamo di sposarci nel giorno del nostro
nono anniversario insieme…» rispose Jennifer.
Madeline scattò in piedi, «Cooossaaa?? Benedetti ragazzi, mancano solo otto mesi!!!!»
«Nonna, non costringermi ad azioni contenitive!»
esclamò Juna «Per come vogliamo che vadano le cose otto mesi sono più che
sufficienti!»
«Senti, ti sposerai una sola volta Juna!» esclamò
Madeline.
«Lo spero bene…» fu il commento di Jennifer… che
li fece scoppiare tutti a ridere.
«Bambina mia, sai cosa intendeva dire Maddy!»
esclamò sua madre «Sarà intima quanto volete, ma per addobbi, decorazioni,
fiori e…»
«… aiuto…» fu l’unico commento di suo figlio.
Completamente ignorato.
«… e il vestito piccina mia?» stava infatti
dicendo sua madre «Come ti vestirai? Lo hai già deciso?»
Jennifer guardò sua madre «Indosserò il vestito da
sposa di mia madre, se lei mi darà il permesso di farlo.»
Sarah non resse oltre: si portò una mano sulla
bocca e scoppiò a piangere. «Ma certo che puoi farlo!» esclamò fra i
singhiozzi.
Melissa e Michael li stavano ancora fissando a
bocca aperta.
Fu in quel momento che Juna le lanciò un’occhiata,
«Mamma, ci sei?» chiese.
Annuì.
Quello riuscì a farlo.
«Cosa aspetti a piangere? Sto cominciando a
preoccuparmi» la informò suo figlio con il suo solito unico, inimitabile stile.
Aprì bocca ma non le uscì un suono.
Le venne da ridere, in realtà.
Suo figlio si sposava.
«Manaar?» la chiamò Connor… anche lui preoccupato
«E’ sotto shock» concluse rassegnato.
«Dovevi vedere me quando me lo ha chiesto» disse
Jennifer. «E quando mi ha dato questo.»
L’attenzione fu catalizzata dall’anello che aveva
alla mano.
Semplice e bellissimo.
«Ma è stupendo!» esclamò Georgie.
«Per la cronaca» disse suo figlio, «la mia fede la
voglio esattamente così, ma senza brillante solo la fascia.»
«Questa
sarà la mia fede!» esclamò Jennifer portandosi la mano sul cuore come a volerla
proteggere «E la tua te la compro io!» aggiunse.
Juna le diede un buffetto sul naso.
Suo figlio si sposava.
«Cioè… porterete gli anelli già da ora?» chiese
Paul confuso.
«Sì zio» rispose semplicemente Juna.
Suo figlio si sposava.
«Signori, questo è uno dei più bei giorni della
mia vita» disse suo padre. «Credo che vi raggiungeremo presto, non lascerò che
il matrimonio di mio nipote si organizzi senza di me, sappiatelo!» Lo sentì
ridere, «Non vedo l’ora di dirlo alle mie nipoti! Convocherò un’assemblea straordinaria
degli Alifahaar!! Comincio subito a radunarli! Ci sentiamo dopo!»
Riattaccò fra un coro di saluti.
Jennifer abbracciò Juna, «Ancora Drake e Sharon
non ci hanno risposto…» disse.
«Gli avete mandato un sms?» chiese Justin
sconvolto.
«Sicuro» rispose suo figlio. «Per niente al mondo
vorrei interrompere qualcosa… sono in
Luna di Miele, rammenti Just? Mi telefonerà quando…»
In quel preciso momento il cellulare di Juna
squillò.
«Stai attenta eh?» disse rivolto a Jennifer.
Lo prese, lesse il display e rise, «E’ lui!» Lo
mise in viva voce «Dimmi tutto!» esordì.
«Dimmi
tutto???» ruggì Drake «Faccio in tempo a lasciare Boston per la prima volta
nella storia della nostra vita senza di te e tu chiedi a Jennie di sposarti!??
Ma non potevi aspettare altre tre settimane già che c’eri??»
Scoppiarono tutti a ridere.
Suo figlio si
sposava.
Finalmente le lacrime le scesero sulle guance.
«Oh, finalmente lo hai realizzato…» le mormorò suo
marito nell’orecchio.
Lo guardò.
«Juna si sposa…» mormorò.
Suo marito sorrise e annuì.
Ormai non ci pensava neanche più.
Roba da pazzi.
Era proprio vero: non era mai troppo tardi nella
vita.
«Senti Drake, se ne parla fra otto mesi, goditi la Luna di Miele, ok?»
stava dicendo suo figlio «Ah, e ringrazia ancora Shasha per il bouquet, almeno
quello è un problema risolto in partenza…»
______________________________________________
NOTE:
The End!
E’ la prima ff originale che concludo! *si
commuove*
Grazie per avermi seguita, per aver letto,
commentato, sopportato.