L'ultimo dei Draghi

di ElaineAnneMarley
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ponente, oggi – La delegazione da Levante ***
Capitolo 2: *** Nota ***
Capitolo 3: *** Ponente, 6 anni e 28 giorni fa – L'ultimo esame ***
Capitolo 4: *** Ponente, 6 anni e 27 giorni fa – L'incontro ***
Capitolo 5: *** Ponente, 6 anni e 27 giorni fa – Il levantino ***
Capitolo 6: *** Ponente, 6 anni e 27 giorni fa – Insolitamente sbadata ***
Capitolo 7: *** Ponente, 6 anni e 26 giorni fa – Risveglio movimentato ***
Capitolo 8: *** Ponente, 6 anni e 26 giorni fa – La promessa ***
Capitolo 9: *** Ponente, 6 anni e 26 giorni fa – La festa ***
Capitolo 10: *** Ponente, 6 anni e 19 giorni fa – L'appuntamento ***
Capitolo 11: *** Ponente, 6 anni e 17 giorni fa – Nel villaggio ***
Capitolo 12: *** Ponente, 6 anni fa – Passeggiata sulla spiaggia ***
Capitolo 13: *** Ponente, 5 anni e 363 giorni fa – Occhi d'ambra ***
Capitolo 14: *** Ponente, 5 anni e 362 giorni fa – Le regole del gioco ***
Capitolo 15: *** Ponente, 5 anni e 362 giorni fa – La decisione ***
Capitolo 16: *** Ponente, 5 anni e 362 giorni fa – La partenza ***
Capitolo 17: *** Ponente, 5 anni e 361 giorni fa – Ultima giornata in città ***
Capitolo 18: *** Ponente, 5 anni e 361 giorni fa – La stazione delle diligenze ***
Capitolo 19: *** Ponente, 5 anni e 361 giorni fa – La Setta degli Audaci ***
Capitolo 20: *** Ponente, 5 anni e 358 giorni fa – In viaggio ***
Capitolo 21: *** Ponente, 5 anni e 358 giorni fa – Il deserto polveroso ***
Capitolo 22: *** Ponente, 5 anni e 358 giorni fa – In cerca di un lavoro ***
Capitolo 23: *** Ponente, 5 anni e 351 giorni fa – Gli scavatori del deserto ***
Capitolo 24: *** Ponente, 5 anni e 339 giorni fa – Navigazione sul canale ***
Capitolo 25: *** Ponente, 5 anni e 334 giorni fa – Il porto delle mongolfiere ***
Capitolo 26: *** Ponente, 5 anni e 333 giorni fa – I viaggiatori attorno al fuoco ***
Capitolo 27: *** Ponente, 5 anni e 331 giorni fa – La catena montuosa tra Ponente e Levante ***
Capitolo 28: *** Levante, 6 anni e 55 giorni fa – Il primo ricordo ***
Capitolo 29: *** Levante, 6 anni e 55 giorni fa – La comunità dei Draghi ***
Capitolo 30: *** Levante, 6 anni e 48 giorni fa – Ultimi insegnamenti e confessioni ***
Capitolo 31: *** Levante, 5 anni e 330 giorni fa – Passaggio a Levante ***
Capitolo 32: *** Levante, 5 anni e 329 giorni fa – Gli ultimi due Ascendenti ***
Capitolo 33: *** Levante, 5 anni e 329 giorni fa – Il villaggio ai piedi del monte Ariun ***
Capitolo 34: *** Levante, 5 anni e 329 giorni fa – Danza e riflessioni sotto le stelle ***
Capitolo 35: *** Levante, 5 anni e 280 giorni fa – La prima amica a Levante ***
Capitolo 36: *** Levante, 5 anni e 279 giorni fa - Fiori medicinali arancio ***
Capitolo 37: *** Levante, 5 anni e 279 giorni fa – Un dono inatteso ***
Capitolo 38: *** Ponente, 5 anni e 279 giorni fa – Un racconto dal passato ***
Capitolo 39: *** Ponente, 5 anni e 237 giorni fa - Il censimento trentennale ***
Capitolo 40: *** Levante, 5 anni e 237 giorni fa - Un interrogatorio insistente ***
Capitolo 41: *** Levante, 5 anni e 217 giorni fa - Trattamenti medicinali per l'anima ***
Capitolo 42: *** Levante, 5 anni e 212 giorni fa - L'arrivo della carovana del mercante ***



Capitolo 1
*** Ponente, oggi – La delegazione da Levante ***


CAPITOLO 1

PONENTE, OGGI – La delegazione da Levante


“Non credo di poter resistere un altro anno al gelo. Sono già cinque anni, uno più freddo dell’altro” sospirò Agata sistemandosi l’acconciatura per la seconda volta nel giro di mezz'ora. Come al solito indossava tre strati di vestiti, di cui due di lana, più una sciarpa di pelliccia. Non a caso il suo soprannome in ufficio era ‘Sciarpa Boss’, non è facile trovare qualcuno che indossi una sciarpa 365 giorni l’anno.
“Sono già sei anni che vivi qui?” rispose la sua stagista mentre si ritoccava il trucco.
“Sì, cinque anni il mese scorso” rispose Agata, anche se non era a quello che si riferiva.
“Ogni tanto non ti viene voglia di tornare a Levante? Lì fa sempre caldo, no?” domandò ancora la stagista.
“No, non vedo nessuna possibilità” rispose ancora Agata, anche se la risposta più accurata sarebbe stata un’altra.
“Hai capelli bellissimi ma ingestibili…” commentò la ragazzina “Non è più facile legarli e basta?”. Agata sospirò, al colloquio non si era accorta che fosse così ciarliera, se no avrebbe scelto l’altro candidato.
“Ti ho mandato due giorni fa un documento da leggere, con le usanze dei popoli di Levante. Nella pagina sull’abbigliamento diceva espressamente di evitare i capelli raccolti, perché la coda è considerata un’acconciatura non adatta a un incontro formale. Hai studiato i profili dei clienti che stiamo per incontrare?” Agata sapeva essere severa al punto giusto, se necessario. D’altra parte non è da tutti diventare team leader a soli venticinque anni.
La stagista arrossì fino alla radice dei capelli, capelli lisci come spaghetti, decisamente più ‘gestibili’ della criniera di ricci di Agata. Le due uscirono dal bagno del ristorante e tornarono nella sala allestita per la cena di lavoro. Agata fece un altro giro per verificare che tutto fosse a posto, fece rimuovere un centrotavola di fiori gialli, che ricordavano un po’ troppo i fiori che a Levante si usa porre sulle tombe, e ne spiegò la ragione alla stagista, che nel frattempo aveva recuperando il colorito e la parlantina usuali.
Un po’ alla volta iniziarono ad arrivare i clienti, accompagnati da qualche collega della sede locale. Solo due persone in più del previsto, non era andata poi così male visto che quando si organizzano incontri con gente di Levante ognuno si sente libero di allargare l’invito a chi reputa più opportuno.
La cena andò avanti senza grossi problemi. Nonostante cercasse ogni occasione possibile per parlare la lingua di Levante, Agata non aveva molte occasioni per esercitarsi con dei madrelingua. Amava sentire le parole rotolarle sulla lingua, le vibrazioni, le lettere dure, l’altalenarsi dei suoni tonali.
“Parla con un accento della zona montuosa, è molto raro sentirlo parlare a uno straniero” le disse a un certo punto il commensale di fronte. “È la zona del nostro continente con meno abitanti”.
“Lo so bene” sorrise forzatamente Agata, “Ho vissuto lì un anno” precisò.
“Ah, dove esattamente?” chiese l’altro.
“Nel capoluogo” rispose la donna, anche se non era vero.
Finita la cena, Agata mandò la stagista e il resto del suo team a casa e accompagnò la delegazione in un tour notturno della città. La cittadina faceva la sua bella figura di notte, le casette dai tetti spioventi, gli imponenti campanili, il castelletto illuminato in cima alla collina.
“E’ vero che non avete mai visto una guerra qui?” chiese uno dei levantini che aveva bevuto un po’ troppa birra.
“Nel continente di Ponente non ci sono mai state guerre” confermò Agata, anche se lei una guerra l’aveva vista eccome, e molto da vicino. Esclamazioni di stupore si alzarono da più parti.
Ogni tanto Agata si fermava per contare che fossero tutti e puntualmente doveva aspettare i due clienti imbucati, che passeggiavano in coda tenendosi a una decina di metri di distanza. A un certo punto la ragazza ebbe l’impressione che lo facessero di proposito, per non far sentire agli altri la loro conversazione.

Dopo poco più di un’ora raggiunsero l’albergo. Agata consegnò l’agenda del giorno dopo a ciascuno dei diciotto membri della delegazione e si inchinò per diciotto volte per augurar loro la buona notte. Era quasi fuori dall’hotel quando si sentì chiamare. Un brivido le salì lungo la spina dorsale, erano sei anni che non sentiva pronunciare il suo nome con quell’accento. Si voltò di scatto e si ritrovò di fronte i due levantini che si erano aggiunti all’ultimo alla visita. Agata si rese conto che non aveva scambiato con loro nessuna parola, o meglio aveva intimato loro più volte di non rimanere indietro, ma i due si erano limitati a inchinarsi per scusarsi. Era stata la stagista a riceverli al ristorante e a raccogliere i loro nomi, la ragazzina non aveva abbastanza esperienza per riconoscere l’accento o eventuali nomi tipici delle montagne di Levante. Cosa ci facevano due persone della zona montuosa con una delegazione proveniente dalla zona marittima? I levantini delle montagne non viaggiano, è risaputo.
Agata spalancò i grossi occhi neri. C’era una miriade di particolari da cui avrebbe dovuto cogliere la provenienza dei due, come le erano potuti sfuggire tutti? L’uomo più alto aveva una barba un po’ troppo incolta per la moda delle zone di mare e i gioielli che indossava avevano tre colori ricorrenti: blu, rosso e oro. Colori che nella zona montuosa sono ovunque. Sui vestiti, sulle costruzioni, sulla bandiera. Blu, rosso e oro. L’altro indossava una giacca di pelle di camoscio e aveva la fronte più chiara nel punto solitamente riparato dal sole per via del copricapo tradizionale. Per non parlare del modo di alzare le spalle in continuazione mentre parlava e la gestualità tipica dei levantini di montagna.
“Veniamo a nome della Fondazione Scientifica Internazionale” tossì quello che pareva essere il capo. “C’è stato un problema con il soggetto di ricerca. Non riusciamo più a controllarlo, è diventato troppo forte”.
“E troppo feroce” precisò l’altro.
Entrambi sembravano agitati e spiavano con attenzione la reazione della ragazza. Agata sentiva il cuore batterle all’impazzata, così forte da coprire le voci dei due. Un misto di rabbia e disperazione stava salendo dentro di lei.
“C’è stato un incidente” riprese il primo dopo la lunga pausa di silenzio. “Durante l’ultima notte di luna nuova è… è riuscito a uscire dalla zona di contenimento… e….”.
Agata capì subito cosa era successo e le emozioni che aveva trattenuto fino a quel momento esplosero.
“HA UCCISO DELLE PERSONE?” non si rese neanche conto che stava gridando.
“Ha attaccato un villaggio nella zona…” riprese l’altro con una voce sempre più sottile.
“HA UCCISO DELLE PERSONE?” gridò ancora Agata.
“Purtroppo circa metà degli abitanti del villaggio non sono sopravvissuti” sussurrò uno dei due.
Agata non si era mai sentita così in vita sua, improvvisamente il buco che si era aperto nel suo cuore cinque anni prima si fece così grande da lacerare ogni angolo del suo corpo. Le gambe le cedettero, gli occhi le si riempirono di lacrime, le orecchie iniziarono a fischiarle fortissimo e i polmoni rimasero in apnea per un istante infinito. Tutto prese a girare intorno a lei.
Aveva sterminato centinaia di persone. La sua paura più grande si era avverata. E lei non era lì con lui, non aveva mantenuto la promessa.
“Che villaggio?” chiese terrorizzata dalla possibile risposta. Se almeno non fosse stato quel villaggio, ma qualsiasi altro villaggio, magari un giorno molto lontano avrebbe potuto perdonare se stesso.
“Il villaggio ai piedi del monte Ariun” e l’uomo più basso si avvicinò, forse per aiutarla a rialzarsi.
Era quel villaggio, il villaggio vicino al quale era cresciuto. Il villaggio che da bambino visitava una volta al mese con sua madre. Il villaggio dove l’aveva portata la sua prima sera a Levante.
“QUESTO SANGUE E’ SULLE VOSTRE MANI!” urlò Agata incrociando le mani sul petto e stringendo i pugni così forte che le unghie le penetrarono la carne, “SE NON CI AVESTE DIVISO NON SAREBBE MAI SUCCESSO!”. E poi le lacrime iniziarono a scendere, tutte le lacrime che aveva trattenuto negli ultimi sei anni. Inginocchiata nella hall dell’albergo, il contenuto della borsa rovesciato a terra, gli occhi dei due levantini e di tutte le altre persone nella sala puntati addosso. Agata pianse e pianse.
Qualcuno provò ad avvicinarsi per capire cosa fosse accaduto, ma la ragazza non vedeva né sentiva nulla attorno a sé. A cinque anni e migliaia di chilometri di distanza i suoi sentimenti non erano cambiati e i ricordi erano più vividi che mai. Senza prendere fiato Agata pianse e pianse per ore.


*NdA*
Come probabilmente gran parte degli autori di EFP ho molti romanzi a metà letteralmente in un cassetto, ma ho deciso di cominciare da zero. E scrivere qualcosa esclusivamente per i lettori che gironzolano per il world wide web. So che di fantasy c’è poco in questo primo capitolo… ma abbiate pazienza! Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, vale sia per i commenti positivi che per quelli negativi, soprattutto se dopo la lettura del primo capitolo decidete di non continuare.
Buon proseguimento!
Elaine

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Capitolo 2
*** Nota ***


*Nota dell'autrice*

Se volete leggere direttamete la versione revisionata della storia, la trovate a questo link.
Elaine



©Copyright Copertina Emma-Blues

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Capitolo 3
*** Ponente, 6 anni e 28 giorni fa – L'ultimo esame ***


CAPITOLO 2

PONENTE, 6 ANNI E 28 GIORNI FA – L'ultimo esame

 

Che meraviglia è l’ultimo esame della sessione estiva. Dopo un anno di settimane tutte uguali, divise tra lezioni, lavori di gruppo e ore di studio in biblioteca. Altalenate da festività in cui in teoria si potrebbe staccare, ma che in realtà fanno  comodo per anticiparsi parte del programma di studio. Due mesi di vacanza da potersi godere appieno, se si è tra i primi del proprio corso e non ci si è lasciati nessun esame a settembre. Ci sono alcuni studenti che riescono a finire tutti gli esami dell’anno entro la sessione estiva e possono godersi appieno l’estate. Agata era uno di questi.
Da quando era bambina eccelleva in tutte le materie, tranne che in educazione fisica. Alle elementari i suoi temi venivano letti a voce alta dalle maestre e alle superiori gli insegnanti lodavano come le sue traduzioni dal ponentese antico fossero così sofisticate da sembrare opera di uno studente universitario. E all’università alla fine del terzo anno era avanti di metà degli esami del quarto.
Nonostante eccellesse in tutto, tranne appunto lo sport, sulla scelta universitaria Agata non aveva avuto alcun dubbio. Fin da quando era ragazzina si immaginava mediatore culturale, si vedeva attraversare le montagne che dividevano i due continenti, il suo, ovvero il continente di Ponente, e il contenente di Levante, per conciliare usi e costumi e facilitare il dialogo tra due mondi tanto differenti. E così tutta la sua vita era stata una lenta preparazione a quel momento. Perché per Agata tutto doveva far parte di un piano prestabilito.

La ragazza consegnò la prova d’esame a uno dei professori associati e uscì dall’aula. Si fermò a comprare una bottiglietta di succo di mela e attraversò, per l’ultima volta quell’anno, la soglia d’ingresso all’università.
Tirava un forte vento, come spesso accade nelle città costiere. Agata amava tutto del vento, l’odore, come le tirava la pelle e le gonfiava i vestiti, persino il fatto che le scompigliasse i capelli. Non che i suoi capelli avessero bisogno di un altro motivo per essere in disordine. Indossava un paio di jeans scuri, una cintura di pelle e una camicetta gialla. Aveva quasi raggiunto il limite del parco del campus universitario quando fu raggiunta da due suoi compagni di corso.
“Come è andata?” chiese loro.
“Come vuoi che sia andata?” rispose la ragazza dalle guance piene. Holly Dee era alta quanto Agata e le due avevano una corporatura molto simile, però la faccia della prima era estremamente cicciotta. Era come se qualcuno avesse preso la testa di una persona e l’avesse messa sul corpo di un’altra. Agata trovava le guanciotte dell’amica adorabili, ma d’altra parte aveva l’abitudine di vedere carine tutte le sue amiche.
“Un disastro. Da rifare a settembre” completò il ragazzo dalle spalle larghe. Gregor aveva il fisico da nuotatore, anche se non sapeva neanche nuotare. Il suo sport di punta era il duello a cavallo, con qualsiasi tipo di arma. Il duello a cavallo era una disciplina poco diffusa a Ponente, uno sport di nicchia importato da Levante e praticato da una cerchia ristretta di filo-levantini che erano affascinati dagli usi dell’altro continente. Gregor era uno di quelli e il suo sogno più grande era partecipare al torneo internazionale nella capitale di Levante, nell’arena più grande al mondo che per venti giorni all’anno accoglieva quattrocentomila spettatori.
Agata e Holly Dee erano andate a vedere un allenamento una volta, era stato divertente, ma la disciplina veniva praticata in modo molto meno aggressivo che nella sua terra di origine. A Levante diversi squadroni si affrontavano utilizzando armi di vario tipo, e per complicare ulteriormente il gioco, nell’arena venivano gradualmente introdotte bestie feroci, tipicamente orsi o lupi. Ogni anno in media venti persone perdevano la vita o rimanevano ferite gravemente. Circa tre anni prima c’era stato un grosso scandalo perché nell’ultimo round era apparso nell’arena un felino a due teste, una bestia creduta estinta. Il pubblico era andato in giubilo, la gente urlava in piedi sugli spalti, molti erano scesi fino alla grata che li separava dal campo per osservare più da vicino. La bestia si era rivelata però più pericolosa di quanto gli organizzatori dei giochi avessero previsto e dopo aver sterminato tutti i duellanti rimasti l’animale si era scagliato contro la grata ferendo molti spettatori.
In fondo Agata si riteneva fortunata a essere nata a Ponente, per quanto fosse affascinata dalla terra al di là delle montagne, sapeva che era un mondo imprevedibile.
Holly Dee e Gregor erano due dei migliori amici di Agata. Holly Dee da dieci anni e Gregor da tre. Nonostante fossero completamente diversi da Agata, simili tra loro, andavano molto d’accordo con la studente modello che tra una serata a ballare e un buon libro preferiva leggere il capitolo dopo. Forse perché riuscivano a vedere al di là dei modi distaccati, bastava prendere un po’ di confidenza e Agata si dimostrava più alla mano e di compagnia di gran parte dei membri del Comitato Eventi dell’università. E Holly Dee poteva parlare per esperienza visto che era nel Comitato Eventi.
“È arrivato il momento di rispettare la promessa Ags…” Gregor le fece l’occhiolino.
“Che promessa?” intervenne Holly Dee.
“Una cosa tra noi…” un altro occhiolino in direzione di Agata.
“Sì sì” tagliò corto Agata prendendo l’amica sotto braccio e incamminandosi verso la stazione. Non aveva la minima intenzione di discutere la questione ‘primo appuntamento’ davanti a Holly Dee. Sapeva di non potersi più tirare indietro e a dire il vero non aveva neanche intenzione di farlo. Gregor non le faceva sentire le farfalle nello stomaco, ma le piaceva abbastanza. E per una persona come lei, che non usciva con un ragazzo dai tempi del liceo e che era convinta che cose come le farfalle nello stomaco o un colpo di fulmine non fossero sensazioni che fanno per tutti, beh quello che provava per Gregor era abbastanza per fare un tentativo. Ovviamente voleva parlarne con Holly Dee e con le altre ragazze, ma in un altro contesto.
Gregor lasciò le due amiche davanti all’ingresso del dormitorio femminile e si incamminò verso casa. Prima di andare strizzò per la terza volta l’occhio ad Agata e la ragazza sorrise forzatamente.
Holly Dee le chiese come aveva risposto ad alcune domande del test. Quali sono i quattro fiumi principali di Levante, gliene mancava uno. Chi è il governatore della zona stepposa, si ricordava esattamente l’immagine stampata sul libro, ma il nome le sfuggiva. Questi nomi di Levante sono impronunciabili. Agata rispondeva alle domande dell’amica sapendo che nel giro di qualche ora l'altra si sarebbe dimenticata di nuovo le risposte.
Entrarono nella camerata e solo un’altra delle ragazze era lì, seduta al tavolone sotto la finestra. Ripassava per qualche esame. Agata si accorse che aveva lasciato alcuni dei suoi libri lì sopra, quello di ‘Geografia di Levante’, l’esame di quel giorno, e il libro di ‘Lingua e dialetti di Levante’. Uno dei corsi del quarto anno per cui aveva già cominciato a studiare, perché la lingua era una materia piuttosto ostica. Come a Ponente, a Levante c’era una sola lingua, ma ogni zona aveva una sfumatura diversa. Accenti diversi, modi diversi di chiamare la stessa cosa e in alcuni casi persino regole grammaticali diverse; piccole cose come l’uso delle preposizioni, che però ne rendevano lo studio per niente banale.
Agata aveva imparato a dire qualche frase, ma non vedeva l’ora di iniziare le lezioni con un professore proveniente da Levante. Finalmente avrebbe avuto l’occasione di conoscere di persona un levantino!
Holly Dee si arrampicò sul suo letto, uno di quelli soppalcati, e si stese. Stava ancora parlando dell’esame e di come l’amico di Gregor, quello riccio, avesse provato a usare dei bigliettini.
“Non lo nomini un po’ troppo stesso, questo amico di Gregor?” sorrise Agata, ma se fosse stata più attenta si sarebbe accorta che ogni volta che Holly Dee nominava l’amico di Gregor, nominava anche Gregor.
 
 
*NdA*
Un caloroso benvenuto ai lettori che sono approdati qui dopo aver letto ‘Con te o con nessun altro’, la short story romantica dedicata a Holly Dee e Gregor. Spero che ‘L’ultimo dei Draghi’ vi piaccia altrettanto.
Nei prossimi capitoli si scoprirà qualcosa di come va avanti la storia di Acca Di e Greg, ma se nel frattempo siete curiosi di sapere come ha vissuto Greg alcuni dei momenti salienti di 'Con te o con nessun altro', ho deciso di pubblicare degli spezzoni sul mio nuovo gruppo Facebook 'Fantasy tra Ponente e Levante'. Lo trovate QUI.
A presto!
Elaine

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Capitolo 4
*** Ponente, 6 anni e 27 giorni fa – L'incontro ***


CAPITOLO 3

PONENTE, 6 ANNI E 27 GIORNI FA – L'incontro
 
 

 

Agata fu svegliata dall’odore pungente del caffè. Era senza dubbio l’aroma del caffè dell’isola Termale. Dopo tre anni in dormitorio aveva imparato a riconoscere quale delle sue compagne di camerata stava preparando la colazione a seconda degli odori. Caffè dell’isola Termale, Giuditta. Ciambelle alla banana, Astrid. Frittata di vongole, profumo di casa, Holly Dee. E così via.
Quella mattina Giudy era già in piedi e mangiucchiava sfogliando nervosamente un quaderno. Dal suo letto, accostato alla parete opposta, Agata aveva una visuale perfetta del tavolone. L’area della sala sotto la finestra era l’area comune. Si sedette e come ogni mattina lo sguardo le cadde sulla mappa di Levante che aveva appeso alla parete di fronte, subito sotto un altro poster con il confronto tra le linee storiche dei due continenti. La timeline di Ponente era una linea retta dalla preistoria all’epoca moderna, intervallata da una manciata di date significative. Quella di Levante invece si articolava in rami e sottorami, un albero che non accennava a ridimensionarsi.
Il rituale appena sveglia era sempre lo stesso, si avvicinò alla parete, chiuse gli occhi, girò un po’ di volte su se stessa e posò l’indice sul muro. Aprì gli occhi per vedere che parte del poster aveva toccato. Era una data piuttosto recente sulla linea di Levante, ‘Nascita FSI’. Mentre si lavava e si vestiva Agata ripassò a mente tutto ciò che ricordava di quell’evento. La Fondazione Scientifica Internazionale era nata circa 65 anni prima, fondata da uno dei più grandi scienziati del secolo scorso di cui si conosceva solo lo pseudonimo A-8Z8, e aveva l’ambizione di investigare qualsiasi fenomeno relativo alle leggi naturali che regolano il mondo. La FSI aveva fatto scoperte che avevano cambiato il corso della storia, come la prova dell’esistenza dell’energia vitale. La sede principale era nella capitale di Levante, mentre a Ponente c’era un gruppo di solo duemila persone dedicato a molteplici progetti di ricerca, quasi tutti, per ovvie ragioni, segretissimi.
Quando Agata si sedette al tavolone gran parte delle ragazze era già in piedi, alcune stavano facendo colazione, altre finivano di prepararsi. Era veramente facile capire chi avesse già finito gli esami e chi ancora no.
“Qualcuno deve passare in segreteria a consegnare il progetto per gli extra-crediti?” domandò Agata sorseggiando il caffè. “Holly Dee?” aggiunse cercando con lo sguardo la sua migliore amica. La maggior parte si limitò a fissarla con uno sguardo eloquente. Extra-che?
“Holly è andata a correre con Saba” rispose una delle ragazze dal fondo della sala.

Agata si decise a uscire che era già mattina inoltrata. Il sole era caldo e accecante, d’altra parte era il primo giorno d’estate. La ragazza entrò nel parco dell’università e passeggiò un po’ all’ombra degli alberi prima di dirigersi verso la segreteria. Proprio sul sentiero che congiungeva la mensa alla segreteria Agata si imbatté in un corteo. Un serpente di studenti camminava lentamente e dalla sua posizione la ragazza non riusciva a sentire gli slogan provenienti dalla testa della coda. Mentre si faceva largo tra i manifestanti per superare cercò di leggere alcuni dei cartelli. ‘FSI: furbastra setta internazionale’. ‘FSI trasparente o via dal continente!’. ‘Niente sperimentazioni umane? FSI dacci le prove!’.
Era una manifestazione contro la FSI, già per la seconda volta quella mattina la Fondazione Scientifica Internazionale si insinuava tra i suoi pensieri. Non aveva un’opinione molto definita a riguardo… Le scoperte scientifiche mandano avanti il progresso, non se ne può fare a meno. E l’accusa di fare sperimentazioni sugli esseri umani non era stata mai comprovata. Se avesse dovuto decidere con chi schierarsi, così su due piedi, avrebbe probabilmente preso le parti dell’organizzazione che aveva scoperto come curare ben ventinove malattie e non di una banda di studenti chiassosi che aveva scelto proprio l’ultimo giorno della sessione d’esami per protestare.
Consegnò in segreteria il proprio progetto, più quello che aveva preparato a nome di Holly Dee. Non le pesava minimamente aiutare l’amica a guadagnare qualche extra-credito visto che di solito ciò le dava l'occasione di approfondire un argomento in più. Holly Dee riusciva a sdebitarsi in mille modi. Era così che la loro amicizia funzionava, fin da quando erano bambine. Ed era perfetta così.
Lasciato il campus universitario Agata decise di fare un giro in centro. Voleva comprare un vestito da indossare al primo appuntamento con Gregor e fu dispiaciuta che Holly Dee non fosse lì a consigliarla.
Più di una volta nel corso della giornata ebbe l’impressione di essere seguita. Non le era mai successo prima. Era come se qualcuno la osservasse da dietro ogni angolo. Gironzolò un po’ a vuoto e finì per comprare uno spiedino di calamari ricoperto di salsa verde, porzione doppia, sul lungomare.
Si sedette sulla staccionata che separava la strada pedonale dal bagnasciuga, lo sguardo puntato su un peschereccio in lontananza. Suo padre e sua madre erano probabilmente a bordo di un’imbarcazione simile proprio in quel momento. Non li sentiva da giorni.
Fu in quel momento che si accorse che qualcuno le si era avvicinato. Si voltò e incontrò lo sguardo smarrito di un ragazzo dai tratti esotici. Aveva la pelle olivastra e gli occhi a mandorla dei popoli di Levante. Gli occhi. Occhi di un colore simile non esistono, neanche a Levante. Sono di un blu intenso con scaglie ambrate e sembrano racchiudere la storia del mondo. Il ragazzo indossava un vestito tipico della zona montuosa di Levante, una camicia di seta blu con decorazioni dorate, una casacca smanicata di pelle di camoscio, pantaloni di pelle e la vita fasciata da uno scialle giallo oro.
Era la prima volta che Agata vedeva un levantino dal vivo e per la sorpresa scivolò giù dalla staccionata. Il ragazzo la sorresse afferrandola per le spalle e lei gli rovesciò una quantità imbarazzante di salsa verde sui vestiti.
“Ti sei fatta male?” chiese lui.
Agata si sorprese del fatto che dopo qualche settimana di studio già capisse il levantese. A pensarci bene era più sensato che fosse lui a parlare in ponentese e non lei a capire una lingua di cui conosceva a malapena una ventina di parole.
“Parli il ponentese?” chiese seguendo il filo dei propri pensieri.
“No” rispose lui. “Mi dispiace di averti graffiato, non l’ho fatto apposta”.
Agata guardò distrattamente il punto dove lui l’aveva afferrata per evitare che cadesse. Aveva dei graffi superficiali su entrambe le braccia, ma non se ne curò perché stava ancora processando il ‘no, non parlo ponentese’. Era dunque veramente lei a capire il levantese? Alzo lo sguardo e fissò perplessa il ragazzo di Levante.
“Ti ho trovata” disse lui lasciando andare un sospiro di sollievo, “Appena in tempo”.  

 

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Capitolo 5
*** Ponente, 6 anni e 27 giorni fa – Il levantino ***


CAPITOLO 4

PONENTE, 6 ANNI E 27 GIORNI FA – Il levantino


“Mi dispiace di averti graffiato” ripeté lui.
“Mi dispiace di averti rovinato i vestiti” rispose lei, ripromettendosi di smettere di ordinare doppia porzione di salsa verde su qualsiasi cosa.
Il ragazzo sembrò accorgersi solo in quel momento che camicia, casacca e pantaloni erano completamente macchiati. Agata stava ancora cercando di capire in che lingua stessero parlando, o almeno lei era certa di parlare ponentese, ma non era in grado di dire con certezza che lingua stesse parlando il levantino. Eppure lo capiva perfettamente.
“Il mio nome è Tseren e vengo da molto lontano” si presentò lui accompagnando la frase con un inchino.
“Dalla zona montuosa di Levante…” completò Agata.
“Come lo sai?” chiese Tseren sorpreso spalancando gli occhi cobalto.
“Dai vestiti…” e lo sguardo le cadde di nuovo sul disastro che aveva combinato con la salsa.
“Riesci a capire da dove arrivano le persone dai vestiti?” il ragazzo sembrava colpito.
“Ti accompagno a sciacquarli” e senza ammettere replica la ragazza si diresse verso il chiosco dove aveva comprato gli spiedini di calamari e chiese al proprietario di usare il bagno di servizio. L’uomo sembrò impietosito dalla condizione degli abiti di Tseren e li fece entrare.
“Non è un problema… sul serio…” continuava a ripetere il levantino mentre Agata gli passava un fazzoletto di carta dopo l’altro.
Quando furono di nuovo all’aperto la ragazza sorrise imbarazzata. Non le capitava tutti i giorni di conoscere qualcuno di Levante, voleva approfittarne per fare due chiacchiere.
“Vivi qui o sei di passaggio?” domandò.
“Sono arrivato stanotte, dopo quasi un mese di viaggio” rispose Tseren. Quasi un mese, troppo poco per aver circumnavigato. Forse aveva preso un velivolo per oltrepassare la catena montuosa e poi aveva proseguito con mezzi di fortuna. “Attraversare a piedi le montagne è stato un incubo” precisò lui.
“Attraversare a piedi?!” esclamò Agata. “È impossibile attraversare le montagne a piedi, non esistono sentieri percorribili!”. Aveva dato l’esame di ‘Geografia di Levante’ il giorno prima ed era certa che gli unici due modi per passare da un continente all’altro fossero volare sopra le montagne o navigare lungo la costa. Tseren rimase un attimo in silenzio, come se fosse stato colto sul fatto.
“Io conosco un modo…” tagliò corto.
Agata era sempre più perplessa e le tornò alla mente che ancora non era sicura di che lingua stessero usando per comunicare. Quella conversazione stava diventando sempre più surreale e pensò che fosse arrivato il momento di tornare a casa. Aprì bocca per congedarsi, ma il ragazzo si era avvicinato allo stand del cibo.
“Mi compreresti qualcosa da mangiare? Non mangio da due giorni…” e si voltò a guardarla titubante.
Agata era sempre più allibita, ma stranamente non riusciva ad andarsene. Forse si sentiva in colpa per avergli rovinato i vestiti, o forse voleva andare a fondo della questione ‘attraversamento delle montagne a piedi’.
“Cosa vuoi ragazzo?” chiese l’uomo dietro la griglia, “Spiedini o sacchetto di pesci fritti? Che tipo di salsa?”
“Cosa mi sta dicendo?” e Tseren fece cenno ad Agata di avvicinarsi.
“Mi stai prendendo in giro? Se capisci me, capisci lui…” sbottò la ragazza, che cominciava a sentirsi presa in giro.
“Ti assicuro che non è così” rispose lui tranquillamente.
“Allora avete deciso? C’è altra gente che aspetta di essere servita!” intimò loro il proprietario del chiosco.
“Cosa preferisci? Questo o quello?” disse Agata spazientita.
“Tutti e due” rispose lui come se fosse scontato che Agata gli comprasse da mangiare. E la ragazza, suo malgrado, si ritrovò a comprargli una porzione di spiedini e una di pesci fritti per non essere sgridata di nuovo dal proprietario del baracchino.
“Grazie davvero!” esclamò Tseren addentando il primo pescetto, “stavo morendo di fame… finchè ero in campagna sono riuscito a mangiare regolarmente, ma da quando sono entrato in questa città, non so come fare senza soldi…”
“Sei completamente senza soldi?” la ragazza cominciava a essere preoccupata, forse lo strano ragazzo era un mendicante e l’aveva puntata.
“Sì, ho solo qualche moneta di Levante, ma qui non hanno alcun valore” sospirò lui.
“E come hai fatto in campagna?” Agata avrebbe voluto alzarsi e andarsene, ma le domande le uscivano una dopo l’altra. Non era mai stata così incuriosita da un’altra persona in vita sua.
“Principalmente cacciando. Poi in qualche villaggio ho trovato delle persone che mi hanno offerto da mangiare. Bastava che facessi qualche gesto…” e mentre parlava il levantino mimò l’azione di portarsi una posata alla bocca. “Qui però non ha funzionato. Non appena capiscono che non ho soldi mi cacciano via malamente…”
Agata continuava a guardarlo sbigottita. Il bello era che raccontava tutte quelle stranezze come se fosse la cosa più normale del mondo.
“Cacciando cosa?” e cacciando come, soprattutto, visto che è illegale introdurre delle armi da Levante a Ponente.
“Un po’ di tutto, principalmente animali di piccola taglia. Alcuni non li avevo mai visti prima, non ci sono dalle mie parti. Ce n’è uno che mi piace particolarmente… è grande più o meno così, orecchie lunghe, baffi e salta…” il levantino aveva spazzolato gran parte del cibo e stava mimando allegramente quello che descriveva a parole.
“Coniglio” sussurrò Agata, immaginandosi il ragazzo di Levante che cacciava e mangiava conigli senza neanche sapere cosa fossero. “Si sta facendo tardi… è ora di andare…” aggiunse, finalmente decisa a concludere quella conversazione senza senso.
  “Andiamo dove?” domando lui addentando l’ultimo calamaro.  


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Capitolo 6
*** Ponente, 6 anni e 27 giorni fa – Insolitamente sbadata ***


CAPITOLO 5

PONENTE, 6 ANNI E 27 GIORNI FA – Insolitamente sbadata


Agata scoppiò a ridere, una di quelle risate che non si spengono facilmente. Tseren la guardò senza capire il motivo di quell’ilarità improvvisa.
“IO vado a casa” precisò la ragazza, “TU puoi andare dove vuoi”.
“IO voglio venire con te” rispose lui con una sincerità spiazzante.
Agata e Tseren si guardarono a lungo negli occhi, lei si sentiva persa in quello sguardo che aveva qualcosa di imperscrutabile. Il sole aveva cominciato a scendere nell’acqua e la luce del crepuscolo rendeva quegli occhi ancora più inconsueti. Le schegge d’ambra nell’iride blu si accendevano come pietre preziose.
“Io… io non voglio” disse infine lei in un sussurro. Cominciò a indietreggiare perché se gli fosse rimasta così vicino e avesse continuato a mantenere il contatto visivo, temeva che si sarebbe lasciata convincere. Era come se ci fosse qualcosa che la tenesse legata al levantino, era in parte dispiaciuta che dovessero separarsi, ma al tempo stesso cominciava a essere un po’ spaventata. Era pur sempre uno sconosciuto, un ragazzo di un’altra terra di cui sapeva poco o niente a parte quello che aveva letto nei libri. Un ragazzo che per di più raccontava storie inverosimili.
Tseren sembrò intravedere la paura che comparve per un attimo sul volto di Agata. “Non avevo alcuna intenzione di spaventarti. Mi dispiace. Vai pure”.
Lei non se lo fece ripetere due volte, si voltò e a passo veloce si allontanò. Mentre schizzava tra i vicoli, sentiva il cuore batterle all’impazzata. Forse era lo spavento, forse era il fatto che stava quasi correndo. A tempo record raggiunse il dormitorio dell’università. Quando entrò trafelata nella sua abitazione, le compagne di camerata stavano già cenando.
“Aghi?” Holly Dee le fece cenno di sedersi a tavola, “Non dovevi fare shopping?” aggiunse accennando al fatto che non aveva nessun sacchetto in mano. Ovviamente aveva lasciato la busta con il vestito nuovo chissà dove. Si era separata da Tseren così in fretta che non aveva controllato di aver preso tutto.
“Ho comprato delle cose, ma le ho perse…” rispose Agata sedendosi a tavola con le altre.
“Da quando in qua perdi le cose?” esclamò Anika, “Dove andremo a finire se anche tu diventi distratta!”.
Agata si servì un piatto di spezzatino in brodo e aspettò che la conversazione riprendesse da dove si era interrotta. Stavano parlando della festa di fine anno, tanto per cambiare. Non partecipava molto alle discussioni quando parlavano di eventi o di ragazzi, quindi nessuno si stupì che quella sera fosse più silenziosa del solito. Decise di andare a dormire presto, erano solo le dieci e si infilò sotto le coperte per riflettere in tutta tranquillità su cosa le era successo quel pomeriggio. Alcune delle ragazze erano uscite, altre sedevano al tavolone e giocavano a carte a lume di candela.
Chi era il misterioso ragazzo con cui aveva trascorso il pomeriggio? Un levantino della zona montuosa, che per qualche motivo non voleva dire la verità su come aveva attraversato le montagne. Senza un soldo, che per un mese aveva elemosinato da mangiare o cacciato animali. Lei non avrebbe neanche saputo da dove cominciare se avesse dovuto cacciare un coniglio.
Si tirò su e cercò sotto il letto uno dei libri che aveva comprato per approfondire l’esame di ‘Geografia di Levante’. Il titolo era ‘Luoghi dove la civiltà moderna non è ancora arrivata’, non le piaceva il titolo arrogante, né il tono dell’autore che descriveva tutto ciò che non rispecchiava il modo di vivere tipico delle grandi città come arretrato. Nonostante ciò, aveva deciso di leggerlo perché era uno dei pochi libri mai pubblicati che descrivesse in dettaglio lo stile di vita in alcune zone rurali di Ponente e Levante. Una di questa era la regione montuosa intorno al monte Ariun, un territorio isolato e impervio abitato da una popolazione che adottava uno stile di vita nomade.
Sfogliò le pagine dedicate ai levantini delle montagne e si soffermò sulle fotografie. Le foto erano sbiadite, ma gli uomini indossavano un costume tradizionale molto simile agli abiti di Tseren. Agata era quasi certa che l'enigmatico levantino venisse proprio da lì, non solo per la somiglianza di vestiario, ma soprattutto per i modi. Il ragazzo sembrava come frastornato da tutto ciò che aveva intorno, inoltre non padroneggiava le principali convenzioni sociali, che valgono tanto a Levante quanto a Ponente. La ragazza rilesse quelle pagine con attenzione: un mondo fatto di paesaggi aridi chiazzati da oasi lussureggianti, montagne appuntite e pendii scoscesi. La gente abitava in tende circolari e allevava una specie di cervide color avana. Si soffermò sul capitolo che descriveva il ruolo degli sciamani, figure a metà strada tra curatori e santoni.
“Aghi, ma ancora studi? Guarda che gli esami sono finiti!” era stata Saba a parlare. Agata si stupì che fosse in casa, ma poi vide che era avvolta in uno scialle, forse non stava bene. Saba era la compagna di camerata con cui andava meno d’accordo. Figlia di uno dei mercanti più influenti della zona costiera di Ponente, era sveglia abbastanza da passare gli esami studiando il minimo indispensabile e passava il tempo a spendere i soldi dei genitori e organizzare festini con i ragazzi più ricchi della scuola. Lei e Holly Dee andavano piuttosto d’accordo perché erano entrambe nel Comitato Eventi, quindi Agata era costretta a frequentarla, di tanto in tanto. Saba starnutì sonoramente e si alzò per prendere un fazzoletto. La cascata di capelli corvini, ordinati e luminosi come sempre, le scivolò lungo le spalle e passando davanti al letto di Agata la ragazza le mandò un bacio “Scherzo Aghi, ci piaci così”. Agata non aveva la forza di controbattere in modo pungente quella sera.
“Buona notte, ragazze” e chiuso il libro si infilò nuovamente sotto le coperte. Le immagini di quel pomeriggio le scorrevano davanti agli occhi in modo martellante. Proprio nel momento in cui stava per addormentarsi, il momento esatto in cui stava per perdere il contatto con la propria coscienza, le tornò in mente una delle prime cose che Tseren le aveva detto. ‘Ti ho trovata’, sì, era certa avesse detto proprio così. ‘Ti ho trovata’ e poi qualcos’altro. Ma cosa? E il sonno sopraggiunse.


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Capitolo 7
*** Ponente, 6 anni e 26 giorni fa – Risveglio movimentato ***


CAPITOLO 6  

PONENTE, 6 ANNI E 26 GIORNI FA – Risveglio movimentato

 

Il giorno dopo Agata fu svegliata dal tono eccitato delle sue amiche. Le bastò un attimo per capirne il motivo. Era il giorno del ballo di fine anno, l’ultimo evento prima dell’inizio delle vacanze. Holly Dee, Saba e il Comitato avevano lavorato settimane per preparare la ‘festa universitaria più grandiosa mai organizzata’, come la descriveva in continuazione Saba. Avevano ottenuto l’approvazione per utilizzare il parco dell’università, che sarebbe stato allestito come se fosse la mappa del mondo in scala ridotta. L’area a ovest, dove si trovavano la mensa e la segreteria, sarebbe stata ovviamente Ponente e l’ala a est, dove c’erano gli edifici dei comitati e i campi sportivi, Levante. L’edificio principale dell’università era proprio al centro del parco e avrebbe rappresentato la catena montuosa. Avevano concordato di tenere aperta una sola porta per permettere il passaggio da un continente fittizio all’altro. Non avevano avuto molto tempo per preparare tutto, fino alla mattina del giorno precedente la sede universitaria era stata bloccata per gli esami della sessione, quindi il Comitato Eventi aveva avuto a disposizione solo un giorno e mezzo per completare i preparativi.
“Non ci posso credere…” stava dicendo Saba in quel momento, “Sapevo che non sarei dovuta assentarmi ieri, manco qualche ora e si creano una marea di casini…”. La ragazza si stava infilando un paio di scarpe di tela. “Ma mi sentivo m-a-l-i-s-s-i-m-o, non potevo rischiare di stare male per la festa”.
“Saba, mi dispiace. Se le sculture di ghiaccio non sono arrivate con la spedizione di ieri, è impossibile che arrivino in tempo…” Holly Dee sembrava mortificata, ma d’altra parte non poteva di certo essere colpa sua se c’era stato un problema con la spedizione. Holly Dee era responsabile della musica, non dell’allestimento. Erano settimane che stava dietro a decine di gruppi musicali, per far sì che nessuna parte del parco fosse meno animata delle altre. Agata sgattaiolò in bagno prima che la risucchiassero in quei discorsi.
“Cosa hai fatto lì?” Astrid era in piedi accanto a lei, di fronte allo specchio che ricopriva interamente una delle pareti. Agata si era appena tolta la maglietta del pigiama e l’amica aveva notato i graffi sulle braccia. Erano cinque per braccio, proprio in corrispondenza di dove Tseren l’aveva afferrata.
In quel momento sentirono bussare energicamente alla porta. “Ragazze siete presentabili? TUTTE FUORI PER FAVORE!” era la voce della sovraintendente del loro quartiere. Agata si rinfilò il pigiama e Astrid fece lo stesso. Quando le due uscirono all’aperto il resto delle ragazze era già fuori.
“E questo di chi è?” la sovraintendente indicò un ragazzo che si stava alzando in piedi. Aveva i capelli pieni d’erba, come se avesse dormito sul prato. Agata riconobbe Tseren e si lasciò sfuggire un verso, che fortunatamente nessuno notò.
“Ragazze, vi ho chiesto più volte di non portare i vostri ragazzi nel dormitorio di notte! Di giorno non ci sono problemi, ma di notte è vietato, lo sapete!” e la sovraintendente cominciò con la solita ramanzina. “E tu, in che stato eri per essere crollato sul prato, conciato così poi!”.
Tseren aveva visto Agata e alzò le spalle nella sua direzione con uno sguardo eloquente. Chiaramente non stava capendo una parola. Senza aspettare che la donna finisse, si avvicinò al gruppo di ragazze e tese un sacchetto ad Agata. “Ieri ti sei dimenticata questo” sorrise con fare canzonatorio.
“Che lingua parla? Cosa dice?” il coro si era alzato da tutti i lati.
“Dice che Agata ieri ha dimenticato la sua busta. Amico tuo, Aghi?” intervenne Saba, sapeva un po’ di levantese per via del lavoro dei genitori. Durante l’infanzia aveva trascorso mediamente dieci settimane all’anno nell’altro continente.
“Non proprio…” rispose Agata prendendo il sacchetto con il vestito nuovo, senza distogliere lo sguardo da Tseren. Le ragazze continuavano a bisbigliare tra di loro. Guarda che occhi. È un levantino, vero? Ha i vestiti tutti sporchi. Certo che ha degli occhi mozzafiato. Chissà Aghi come lo conosce…
“Dicono che hai degli occhi molto belli” intervenne di nuovo Saba in levantese. “Vuoi darti una ripulita? Sicuramente in otto riusciamo a mettere insieme un cambio di vestiti per un ragazzo…” rise facendo ondeggiare i capelli come faceva ogni volta che flirtava con qualcuno. Ormai le altre erano abituate al suo modo di fare.
Tseren non sembrava molto interessato a quello che aveva da dire Saba, ma il cambio di vestiti era una proposta allettante. “Grazie, avrei proprio bisogno di lavarmi…” rispose. “Posso?” aggiunse rivolto ad Agata.
E in quel momento Agata ebbe la conferma di ciò che la assillava dal giorno prima, riusciva a capire solo Tseren quando parlava in levantese, non aveva compreso una sola parola di quello che aveva detto Saba.
“Cosa…” domandò perplessa, lui sembrò capire al volo quale fosse il problema.
“Posso entrare a sistemarmi?” e accennò ai vestiti sporchi di salsa verde.
“Certo…” rispose confusa, il sacchetto dei vestiti stretto in mano.
“Capisci il levantese Aghi?” le sussurrò Holly Dee.
“Non proprio” rispose Agata mentre guardava Saba trascinare Tseren nella camerata.
“Passi questa volta perché è un tuo amico Agata, sei l’unica che non ha mai dato problemi in tre anni, quindi ti meriti una carta lasciapassare. Ma è la prima e ultima volta che chiudo un occhio” disse la sovraintendente.
Le ragazze erano tutte indaffarate a frugare tra la propria roba per trovare dei vestiti a Tseren. Alcune portarono abiti particolarmente larghi, che non indossavano da tempo, altre indumenti di fidanzati presenti e passati. Fu Saba a scegliere gli abiti ‘più adatti’ e Tseren spari dietro alla tenda che conduceva alle docce. Agata era rimasta in disparte e aveva osservato la scena con un misto di choc e fastidio.
“Non hai niente da raccontarci Aghi? Dove l’hai trovato?” chiese Anika sghignazzando. ‘È lui che ha trovato me’ pensò Agata.
“Sul lungomare… l’ho conosciuto sul lungomare e gli ho versato la salsa degli spiedini addosso…” spiegò lei, non aveva la minima voglia di entrare nei dettagli. Avrebbe voluto raccontare tutto a Holly Dee, ma non voleva che anche le altre, soprattutto Saba e Anika, sentissero.
Tseren uscì poco dopo, indossava una camicia con bottoni di sughero e dei pantaloni di tessuto lavorato. Uno stile molto diverso dal suo, ma non sembrava a disagio. Si sedette al tavolone e senza fare complimenti addentò un pezzo di formaggio. Agata andò in bagno per togliersi il pigiama e trovò i vestiti di lui a terra. Erano ancora incrostati di salsa verde e presa dai rimorsi inizio a lavarli con cura. Dopo essere uscita a stenderli nel cortile, si sedette accanto a lui. Solo Saba era rimasta lì, le altre avevano perso interesse una volta capito che non c’era modo di comunicare con l’esotico levantino.
“Ti ringrazio per i vestiti, non c’era bisogno… li avrei lavati io…” le disse Tseren tra un boccone e l’altro.
“Li ho sporcati io, ci mancherebbe” rispose Agata, “Sei riuscito a farti offrire di nuovo da mangiare” commentò ancora. Lui ridacchiò soddisfatto.
“Non ho ben capito come fai a comunicare con Agata…” intervenne in levantese Saba. Lui si voltò, sembrava stupito che l’altra ragazza fosse ancora lì.
“Agata” ripetè, “Agata, è così che ti chiami quindi”. Lei realizzò che effettivamente il giorno prima non si era neanche presentata.
“Cosa fai a Ponente?” incalzò Saba. “Conosci qualcuno?”
“Sono venuto a cercare un persona” spiegò lui, “Ho una cosa importante da dire a questa persona, ma non mi va di parlarne” tagliò corto. Agata lo fissava incuriosita. E per ennesima volta le parole ‘ti ho trovata’ le tornarono in mente. Che Tseren stesse cercando lei? Scacciò quel pensiero ridicolo.
“Se sei qui anche stasera, c’è una festa g-r-a-n-d-i-o-s-a, ovviamente sei invitato a venire. Con Agata…” aggiunse Saba. Aveva capito che per qualche strano motivo il levantino era interessato più ad Agata che a lei. Non succedeva spesso che i ragazzi la ignorassero così.
“D’accordo” disse lui. “Mi ha invitato a questa festa dove vai stasera” ripetè verso Agata, visto che Saba non si curava di tradurre.
“In ogni caso, un paio di braccia in più ci fanno comodo per preparare. Aghi, ti ricordo che hai promesso di aiutare anche tu. Vi aspetto al punto di raccolta quando avete finito di fare colazione!” era tornata a parlare ponentese e dopo aver dato una pacca sulle spalle a entrambi lasciò la camerata. Agata e Tseren rimasero finalmente soli. 


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Capitolo 8
*** Ponente, 6 anni e 26 giorni fa – La promessa ***


CAPITOLO 7
 
PONENTE, 6 ANNI E 26 GIORNI FA – La promessa

 

“Hai capito parlavo di te, vero?” Tseren aveva un modo di dire le cose che la disorientava. Non vi girava intorno, ma arrivava dritto al punto senza preoccuparsi troppo della reazione che le sue parole suscitavano.
“Siamo parenti?” se ne uscì Agata, così su due piedi. Le era venuto in mente in quel momento, perché era la spiegazione più razionale. La ragazza cercava sempre di razionalizzare le cose, ma in quel contesto le sue doti deduttive erano allo sbaraglio.
Lui rise di gusto. “No, neanche lontanamente”.
“Come ci capiamo parlando due lingue diverse?” avrebbe dovuto chiedergli perché la stava cercando, ma le domande le uscivano in modo disordinato, senza che avesse il pieno controllo di se stessa, una cosa che non le accadeva mai.
“Perché siamo legati” disse lui bevendo tutto d’un fiato il bicchiere di succo di cocco speziato che aveva di fronte.
“Basta risposte evasive” sbottò lei. Tseren la guardò pensieroso, gli occhi blu cercavano di scavarle dentro e Agata fu costretta a distogliere lo sguardo.
“A un certo punto dovrò per forza raccontarti tutto, lo so. Ma non riesco ancora a fidarmi, ho bisogno di più tempo. Dammi tempo fino alla prossima luna nuova” chiese serio.
Che razza di modo era di parlare? Forse a Levante si usava fare riferimento alle fasi della luna per scandire il tempo. Posò lo sguardo sul calendario che Kanzi aveva appeso alla scala che portava al suo letto soppalcato. Kanzi era al terzo anno di ‘Astronomia’. Quel giorno era esattamente il primo giorno di luna nuova, quindi con la prossima luna nuova Tseren intendeva tra un mese. Ancora un mese intero prima di sapere qual era il legame cui il misterioso levantino alludeva. Tra un mese non sarebbe neanche stata più lì, aveva in programma di partire per il villaggio di pescatori da cui proveniva nel giro di una settimana.
“Quindi rimarrai qui con me tutto il mese?” chiese perplessa.
Lui si lasciò sfuggire un ghigno. “Diciamo un po’ più a lungo di un mese…”.
Finito di mangiare i due si incamminarono verso l’università. Tseren non era un chiacchierone, alla maggior parte delle domande di Agata o rispondeva in modo sfuggente o in modo singolarmente schietto, non conosceva vie di mezzo. Aveva anche lui molte domande, ma riguardavano principalmente le cose che notava in giro, sembrava non aver mai visto un mezzo di trasporto meccanico o persino del cibo in scatola. Agata si chiese se avesse vissuto isolato dalla civiltà tutta la vita.
Appena raggiunsero il punto di raccolta per l’allestimento della festa, Saba li mise subito al lavoro. Chiese a Tseren di aiutare a costruire il palco principale nel continente fittizio di Ponente, proprio li davanti, e ad Agata di aiutare a decorare la riproduzione delle casette a punta, tipiche della zona stepposa di Levante, dall’altra parte del parco.
“Quanto ti allontani?” le chiese Tseren afferrandola per un braccio. Agata controllò di riflesso se aveva lasciato dei graffi, ma questa volta il ragazzo era stato più delicato.
“È solo dall’altra parte del parco, saranno un settecento metri…” intervenne Saba alzando gli occhi al cielo.
“Vengo con te” e lasciando ai piedi di Saba la cassetta degli attrezzi che aveva appena ricevuto, si avvicinò ad Agata. La ragazza alzò le spalle in direzione della compagnia di camerata, ne capiva quanto lei di quell’attaccamento un po’ morboso.
I due raggiunsero l’area che Saba aveva indicato loro e si misero al lavoro. Agata impugnò un pennello e comincio a decorare le casette a punta di rosso, conosceva bene le decorazioni tipiche perché il corso di ‘Arti decorative di Levante’ era uno di quelli del quarto anno che si era anticipata. Anche Tseren era d’aiuto, si dimostrò molto utile arrampicandosi sulle costruzioni per appendere le stravaganti maschere di giada tradizionali. Era sorprendentemente agile, Agata non se ne intendeva di sport, ma era certa che quell’agilità fosse fuori dal comune.
“Sono cresciuto scalando pareti di roccia…” spiegò a un ragazzo che si era avvicinato per fargli i complimenti in levantese. Molti erano incuriositi dal levantino e si avvicinavano a lui o ad Agata per chiedere spiegazioni, i programmi di scambio tra università di Ponente e di Levante erano stati interrotti da quindici anni, cosa ci faceva lì? Lui si limitava a rispondere che era venuto a trovare Agata e lei aggiungeva che era un amico di famiglia.
La ragazza si ritrovava spesso a osservare Tseren, più lo aveva intorno più le sembrava naturale, come se lo conoscesse da sempre. Scacciò i pensieri e prese in mano una delle maschere di giada, era chiaramente originale. Saba aveva chiesto ai genitori mercanti di mandare alcune merci tipiche, chissà qual era il valore dell’oggetto che teneva in mano, forse più di quello che guadagnava la sua famiglia in un anno. Quello era strano dell’università, ragazzi provenienti dai più disparati strati sociali ‘costretti’ a trascorrere un sacco di tempo con persone dagli stili di vita opposti. Con l’occasione di diventare amici o di coltivare un razzismo sociale che era antico come il mondo. Pensò a Gregor, alla sua casa piena di oggetti preziosi, a come il ragazzo avesse sempre dato per scontato che l’amicizia va oltre qualsiasi considerazione sul livello sociale. L’idea di uscire con Gregor le sembrava più strana del solito quel giorno, infondo erano amici da tre anni. Lo sguardo le cadde nuovamente su Tseren.
Una ragazza del Comitato Eventi venne a dir loro che era stato allestito un pranzo e tutti gli studenti lasciarono cadere all’unisono gli attrezzi che avevano in mano. Saba aveva pensato persino al pranzo, aveva molti tratti del carattere che non piacevano ad Agata, ma indubbiamente le sue doti organizzative erano da lodare. Agata si avvicinò al tavolo di carne cruda e prese una bistecca da portare alla griglia. Tseren la imitò, ma prima che lei potesse fermarlo aveva portato la carne alla bocca addentandone un angolo.
“Ma cosa?!” esclamò afferrandogli impulsivamente il polso.
Lui deglutì tranquillamente e ricambiò lo sguardo altrettanto confuso.
“Mangi la carne cruda?” chiese lei lasciandogli andare il polso. Lui sembrò realizzare qual era il problema e posò la bistecca sul piatto.
“Ero sovrappensiero” rispose poco convinto, un'altra bugia.
Agata guardò la carne che aveva addentato e masticato con facilità, lei non sarebbe di certo riuscita a staccarne una parte a morsi, per via della consistenza. Lui invece l’aveva fatto con naturalezza e non aveva battuto ciglio al sapore. Gli avrebbe dato un mese, solo un mese, e poi avrebbe chiesto spiegazioni per ogni dettaglio, ogni storia inverosimile, ogni bugia. 


*NdA*
Stiamo cominciando a entrare nel vivo della storia, pochi capitoli ci separano dal momento in cui Agata finalmente scoprirà il segreto di Tseren e qual è la natura del misterioso legame tra loro.
Dalle visualizzazioni vedo che un po' di persone stanno andando avanti a leggere 'L'ultimo dei Draghi'. Sono veramente contenta e mi farebbe piacere sapere qualcosa di voi e ovviamente cosa pensate del romanzo. Se non avete voglia di lasciare una recensione, mandatemi pure un messaggio in posta privata!
Comunicazione di servizio: finora ho pubblicato un po' a singhiozzo, ma cercherò di essere più regolare. L'idea è aggiungere un capitolo il martedì, uno il giovedì e uno la domenica.
A presto!
Elaine

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Capitolo 9
*** Ponente, 6 anni e 26 giorni fa – La festa ***


CAPITOLO 8 
 
PONENTE, 6 ANNI E 26 GIORNI FA - La festa

 

Per la festa Tseren indossò i suoi vestiti, erano perfetti per il tema. Lui e Agata sembravano aver scelto costumi abbinati. La ragazza in realtà aveva dedicato molto poco tempo alla scelta dell’abito, si era limitata a riciclare quello di due anni prima, aggiungendo una collana proveniente dalla zona stepposa di Levante, regalo di compleanno da parte di Gregor.
Le altre ragazze del dormitorio avevano invece messo considerevole impegno nell’ideazione del costume. I meglio riusciti erano quelli di Giuditta, la più ‘stilosa’ del gruppo e di Saba. La prima indossava il costume tradizionale della sua isola natia. Era un abito bianco fatto di una gonna a falde, lunga fino al ginocchio, e il bustino con le maniche gonfie che si apriva lasciando intravedere un corpetto blu elettrico che metteva in evidenza il decolté. Blu elettrico era anche una cinta impreziosita da perline che richiamava l’acconciatura. Infine un nastro scendeva dai capelli intrecciandosi con una collana lunga fino alla vita. Il vestito di Saba invece, era tipico della zona paludosa di Levante. Aveva degli stivali scuri di un materiale impermeabile, pantaloni attillati che le mettevano in evidenza il corpo sportivo, una camicetta leggera di colori sgargianti, piena di trasparenze, e il tocco di classe: un copricapo largo con piume talmente lunghe che le scendevano tra i capelli mori.
Quando il gruppo arrivò alla festa era già tardi e il parco era pieno di gente. Camminarono tra le zone dei continenti per avere una visione d’insieme dell’allestimento.
“Complimenti, Holly. È venuto tutto benissimo” esclamò Agata rivolta alla migliore amica. L’altra sorrise compiaciuta. “Anche se mancano le sculture di ghiaccio!” aggiunse scimmiottando Saba. Le due risero.
“Non ti si allontana proprio eh…” le disse Holly Dee accennando a Tseren. Agata annuì, in realtà la presenza del levantino non le dava per niente fastidio, aveva persino preso l’abitudine a guardarsi intorno per essere sicura che fosse nei paragi.
“Ags! Acca Di!” Gregor si avvicinò alle due amiche, mettendo una mano sulla spalla di ciascuna. Aveva scelto un costume di Ponente, un completo blu scuro con decorazioni argento e un mantello appesantito da spuntoni di cristallo, che era in realtà un cimelio di famiglia. Quelli erano i momenti in cui le ragazze si ricordavano che Gregor veniva da una delle famiglie più benestanti della città.
Holly Dee stava raccontando di come due ore prima avevano rischiato di perdere una delle band più famose, perché il solista del gruppo aveva avuto il presentimento che ‘sarebbe stato meglio non partecipare’. All’improvviso Gregor cominciò a tossicchiare nervosamente.
“Hai bisogno di qualcosa? È un po’ che ci giri attorno…” si era rivolto a Tseren. Effettivamente il levantino era rimasto lì vicino tutto il tempo, continuando a camminare loro intorno. Ad Agata non era minimamente venuto in mente di presentarlo.
“Non ti capisce” fu Holly Dee a rispondere “È una specie di stalker di Aghi…” precisò.
“Non direi stalker… È una persona che ho conosciuto per caso…” la corresse l’altra.
“Parlate di me?” ovviamente Tseren riusciva a capire solo una parte della conversazione, quella portata avanti da Agata. “Attraversare due continenti per trovarti non lo chiamerei proprio caso!” sbottò avvicinandosi. La ragazza arrossì, forse era la sua schiettezza, forse quegli occhi eccezionali.
“Ti sta dando fastidio, Ags?” e Gregor si frappose tra lui e l’amica. Un lampo di rabbia passò nello sguardo del levantino e con uno scatto aggirò Gregor e passò dall’altro lato, alle spalle di Agata, ancora più vicino. I due quasi si toccavano e fu la ragazza a distanziarsi imbarazzata.
“Basta Greg, è un amico…” bè, non proprio, ma non aveva altro modo di interrompere quel diverbio.
L’altro fu costretto ad accettare la presenza di Tseren per il resto della serata. Sembrava molto infastidito dal fatto che lui e Agata avessero quella linea di comunicazione inaccessibile agli altri. Gli sembrava più intimo di quanto fosse in realtà.
 
I quattro erano seduti a terra sotto al palco principale, quando furono raggiunti dal gruppetto di Saba.
“È questo il ragazzo di cui vi ho parlato… Tseren” e si sedette tra lui e Agata. Lui non sembrò gradire la mossa. Saba cominciò a parlare in levantese e Agata si sentì completamente persa. Che bisogno aveva di toccarlo in continuazione?
Holly Dee notò il fastidio dell’amica, se non l’avesse conosciuta meglio di se stessa, avrebbe pensato che era gelosa di Tseren. Notò anche che Gregor guardava intensamente Agata, che anche lui avesse colto qualcosa? Gregor era probabilmente geloso di Agata. Holly Dee sospirò e si chiese se a sua volta c’era qualcuno che in quel momento osservava anche lei, geloso dei sentimenti per Gregor, che per un attimo avevano fatto capolino sul suo volto.
Saba si stufò presto della freddezza del levantino e se ne andò stizzita, il corteo di amici al seguito. Gregor e Holly Dee avevano ripreso a scherzare, commentavano tutto quello che aveva combinato Saba agli altri membri del Comitato Eventi e Agata interveniva il più spesso possibile per far sì che anche Tseren potesse parzialmente seguire la conversazione. Il levantino sembrava apprezzare lo sforzo di lei, ma non dimostrava di essere interessato. Era come se guardasse gli amici di Agata e tutto ciò che aveva intorno con sufficienza, con l’aria di chi ha pensieri ben più seri per la testa.
Poco lontano, due ragazzi mingherlini stavano trasportano una cassa di birra verso il tavolo più vicino, facendola ondeggiare pericolosamente.
“La fanno cadere sicuro” sentenziò Holly Dee.
Tseren era schizzato in piedi e aveva raggiunto i due. Con una facilità al limite dell’inverosimile afferrò da solo la casa che stavano portando con fatica in due, e si avviò verso il tavolo. Si fermò un attimo e guardò in direzione di Agata. Non c’era bisogno di dire nulla, la ragazza capì subito il motivo e si alzò in piedi.
“Che fai?” chiese Gregor allibito.
“Lo accompagno” rispose lei come se fosse la cosa più naturale del mondo.
“Stai scherzando? Il tavolo è laggiù! Ha paura di perdersi?” sbottò il ragazzo. Ma Agata si limitò a corrugare la fronte, era sicura che quel comportamento di Tseren aveva un spiegazione, doveva solo essere paziente un altro po’ e a breve tutto le sarebbe stato chiaro. Si distese la gonna che si era arricciata stando seduta a terra e a passo svelto raggiunse il levantino.

 
*NdA*
Un caloroso benvenuto ai lettori che sono approdati qui dopo aver letto ‘Con te o con nessun altro’, la short story romantica dedicata a Holly Dee e Gregor. Spero che ‘L’ultimo dei Draghi’ vi piaccia altrettanto. Se vi va, lasciate un commento per dirmi cosa ne pensate! :)
A presto!
Elaine

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Capitolo 10
*** Ponente, 6 anni e 19 giorni fa – L'appuntamento ***


CAPITOLO 9 
 
PONENTE, 6 ANNI E 19 GIORNI FA - L'appuntamento

 
I preparativi durarono più del previsto. Agata non aveva troppe cose da riportare a casa, eppure le tante piccole faccende che si era prefissata di completare prima di partire la tennero impegnata tutta la settimana. Per di più il fatto di avere Tseren costantemente tra i piedi la rallentava. Lui era silenzioso e anzi cercava di esserle d’aiuto, ma la sua sola presenza distraeva Agata. La ragazza lo aveva sempre attorno, tranne la notte. Un giorno gli chiese dove dormiva e lui rispose con una delle sue affermazioni senza senso a cui la ragazza aveva smesso di obiettare. Almeno per il momento.
“Sul tetto, proprio qui sopra” era stata la risposta. Quella notte Agata era stata tentata di andare a controllare, ma voleva evitare di dare nell’occhio, così si limitò a rigirarsi nel letto per ore, immaginando Tseren appollaiato sul tetto.
Poi dopo una settimana esatta, il ragazzo sparì. Le chiese prima quando aveva in programma di partire perché sarebbe venuto anche lui e poi da un giorno a un altro si volatilizzò.
Agata era rimasta l’unica ancora nella camerata, per la prima volta da quando erano bambine, lei e Holly Dee non avrebbero trascorso tutte le vacanze insieme. Holly Dee aveva deciso di passare due settimane al mare da Giuditta, invito cui Agata aveva dovuto rifiutare perché non poteva permetterselo economicamente. Holly Dee era stata tentata di non andare, ma Agata aveva insistito spiegandole che se avesse scelto di lavorare, invece che usare il tempo libero per anticiparsi alcuni degli esami dell’anno successivo, avrebbe avuto anche lei abbastanza soldi messi da parte. Era stata una sua decisione e non era giusto che Holly Dee rinunciasse alle vacanze per quello.
Prima di salutarsi, Agata disse all’amica che Gregor l’aveva invitata a uscire. Non sapeva che reazione aspettarsi, ma l’altra si era limitata a guardarla a lungo in silenzio. “Non penso che Gregor sia la persona giusta per te…” aveva detto infine.
Quando dopo tre giorni, Agata ebbe il sospetto che Tseren non sarebbe tornato, fu colta da un miscuglio di sensazioni contrastanti. Era sollevata e al tempo stesso sperava di vederlo spuntare da un momento all’altro sulla porta. Era come se un po’ le mancasse, è possibile avere nostalgia di una persona dopo solo una settimana che la si conosce?
 
Era una giornata assolata. Agata aprì la cassapanca in cui teneva i vestiti, tirò fuori quello che aveva comprato per l’appuntamento con Gregor e lo rimise a posto perché le faceva pensare a Tseren. Greg aveva visto tutti i suoi vestiti quindi uno valeva l’altro. Se Giudy fosse stata lì, le avrebbe chiesto un consiglio, l’amica spendeva ore a prepararsi ogni giorno e il risultato era sempre d’effetto.
Si erano dati appuntamento in centro. Agata arrivò in anticipo e lui in ritardo, niente di nuovo. Non lo vedeva dalla sera della festa e le sembrava già abbronzato. Indossava una camicia aperta, di cotone leggero, pantaloni stretti e dei sandali di sughero. La ragazza si sentiva piuttosto in imbarazzo, nonostante si conoscessero da anni, raramente si erano trovati da soli. Holly Dee era sempre con loro e solitamente erano lei e Greg a mandare avanti la conversazione.
Presero un frullato di frutta fresca e si incamminarono sul lungomare, il tempo sembrava scorrere talmente piano che Agata cominciò a pensare a cosa potessero fare di utile per far fruttare l’ultima giornata in città.
“Dove hai lasciato il tuo stalker?” le chiese a un certo punto Gregor a bruciapelo.
“È sparito…” rispose lei immersa nei propri pensieri. Proprio in quel momento raggiunsero lo spiazzo dove, circa una settimana prima, aveva incontrato Tseren. “Ci siamo conosciuti proprio lì…” e la ragazza indicò la staccionata. Si passò sovrappensiero una mano sul braccio, poteva ancora sentire in rilievo i graffi che lui le aveva lasciato, anche se stavano sparendo.
Agata si avvicinò alla staccionata e si appoggiò dondolandosi in avanti. Gregor le posò una mano sulla spalla e lei si voltò scura in volta, sperava quasi di trovarsi Tseren alle spalle, come la prima volta che l’aveva visto. Possibile che se ne fosse andato per sempre? Aveva tante di quelle domande.
“Ti va di passare da ‘Seconda Mano’?” chiese Agata, “Volevo prendere dei libri prima di partire…”
Quando rientrò al dormitorio Agata aveva con sé due cose in più rispetto a qualche ora prima. Un sacchetto pieno di libri su Levante e la certezza che lei e Greg non sarebbero mai stati niente di più che buoni amici. Holly Dee ci aveva visto giusto.
Pensò a come sarebbe stato rivedere Gregor dopo le vacanze, probabilmente avrebbero fatto entrambi finta di niente, riprendendo il loro rapporto da dove si era interrotto una settimana prima, come se quel appuntamento impacciato non avesse mai avuto luogo.
“Allora si parte domani?” stava aprendo la porta della camerata quando sentì una voce familiare. Si guardò intorno cercando Tseren, il cuore che le martellava nel petto. Era tornato.
“Sono quassù”.
La ragazza alzò lo sguardo e lo vide fare capolino da sopra il tetto. Istintivamente si guardò attorno, ma non c’era in giro nessuno. Quasi tutte le costruzioni di quel quartiere del dormitorio erano già vuote.
“Cosa fai lì?” sibilò facendogli cenno di scendere.
“Mi piace stare in alto, mi sento più a mio agio” spiegò lui rimanendo lassù.
“Pensavo te ne fossi andato per sempre” si lasciò sfuggire lei, con la voce che le vacillava.
“Agata, non posso lasciarti, ancora non l’hai capito?” rispose lui mentre il sole calava alle sue spalle.

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Capitolo 11
*** Ponente, 6 anni e 17 giorni fa – Nel villaggio ***


CAPITOLO 10

PONENTE, 6 ANNI E 17 GIORNI FA – Nel villaggio

 
Quando giunsero al villaggio di pescatori dove Agata era nata e aveva vissuto fino a tre anni prima, era già buio pesto, le uniche luci, a parte quelle che filtravano dalle finestre socchiuse, erano quelle che brillavano nel cielo. Il primo quarto di luna aveva cominciato a ingrassare, come ogni mese.
La ragazza si fermò davanti alla più malconcia delle catapecchie. Da molto tempo aveva smesso di essere imbarazzata per la sua condizione, e in ogni caso aveva il sentore che Tseren non avrebbe giudicato né commiserato la povertà della sua famiglia.
Aprì piano l’uscio ed entrò. La stanza era illuminata da un piccolo fuoco, intorno al quale sedevano due vecchie. In un angolo, un bambino di circa sette anni dormiva placidamente, avvolto in una coperta composta da pezzi di tessuti diversi cuciti insieme. Accanto al fuoco una pila traballante di piatti indicava che un numero ben maggiore di persone aveva cenato lì dentro. Tseren notò una porticina chiusa nella parete di fronte, dietro la quale si sentiva russare.
Le due vecchie erano molto diverse tra loro, una aveva una corporatura robusta e indossava un abito molto semplice coperto di macchie, l’altra, più gracile, aveva un aspetto stravagante. L’acconciatura ricordava quella tipica delle spose nei matrimoni della zona stepposa di Levante, un insieme di trecce intrecciate tra loro. Anche gli abiti erano bizzarri, per non parlare dello scialle, sui cui erano appuntate un numero considerevole di minute cianfrusaglie, spillette, ciondoli, pergamene, persino delle piantine.
Quest’ultima, nonostante l’età, era scattata in piedi non appena aveva visto i due ragazzi entrare.
“Agata, sei tu?” disse il donnone.
La vecchia magra invece si era avvicinata alla porta e prima che Agata potesse dire qualcosa, aveva preso la mano della ragazzina e con l’altra cercava di raggiungere il viso di Tseren. Il levantino si scostò prima che la donna potesse toccarlo.
“Zia ti presento Tseren, il mio amico di Levante” spiegò la ragazza, sorreggendo la vecchia zia. “Ciao, nonna” aggiunse rivolta all’altra signora.
Quella che aveva chiamato zia sembrava su di giri, continuava a guardare Tseren con occhi avidi. Agata la condusse vicino al fuoco e fece cenno al ragazzo di avvicinarsi.
“E questo chi sarebbe?” la nonna non sembrava altrettanto impressionata. “Perché ha la pelle scura e questi occhi strani?”.
“Non essere maleducata, non vedi che abbiamo un ospite che arriva dall’altra parte del mondo? Tesoro, parla ponentese?” intervenne la zia dando un colpetto all’altra vecchia.
“No, zia. Ma capisce un poco…” mentì la ragazza.
L’altra donna si era alzata e aveva cominciato a preparare dei giacigli sbuffando. “E adesso chi la regge? Parlerà per giorni di questa visita…”. Agata si era alzata per aiutare la nonna.
“Tseren, mia zia è molto commossa perché ha sempre sognato di conoscere qualcuno di Levante” spiegò la ragazza, srotolando delle stole di paglia rinforzata. Il ragazzo non aveva detto ancora nulla, ma quando si rese conto che uno dei giacigli era per lui, intervenne.
“Posso dormire all’aperto...” disse.
“Cosa dice?!” sbottò la nonna.
“Che per lui non è un problema dormire all’aperto…” tradusse Agata.
“Ma ci mancherebbe!” esclamò la zia. “Siamo talmente tanti in questa topaia che uno in più non fa alcuna differenza!".
Tseren si arrese e non appena il suo letto fu pronto, si andò a stendere.
Agata rimase un po’ a chiacchierare sottovoce con la nonna e la zia, raccontò loro di come le piacesse l’università e di tutte le cose che dopo tre anni ancora la colpivano della città. La nonna non era particolarmente curiosa, mentre la zia voleva sapere ogni singolo dettaglio, come se attraverso i racconti di Agata potesse vivere anche lei quella vita fatta di studi esotici e agiatezze.
 
Il giorno dopo Tseren fu svegliato dal vocione del padre di Agata, aprì gli occhi e vide che la nonna era già in piedi e stava preparando da mangiare per la famiglia. Fuori era ancora buio e poco dopo la porticina si aprì lasciando uscire i genitori di Agata e un bimbetto di forse tre anni. La ragazza era stata svegliata anche lei da quella frenesia mattutina e si era alzata per abbracciare la madre. La donna ricambiò l’abbraccio e le chiese chi fosse il giovane che dormiva in casa loro. Agata spiegò che alcuni studenti erano stati selezionati per ospitare dei ragazzi in scambio da Levante e i genitori parvero convinti dalla spiegazione.
Tseren si inchinò leggermente per salutari, come era costume a Levante.
“Di tante case, certo avrebbero potuto trovargli una sistemazione più confortevole…” si limitò a commentare il padre.
Una volta che i due pescatori furono usciti, gli altri, tranne la nonna, ripresero a dormire. Dal suo giaciglio, accanto a quello del fratellino, Agata poteva vedere Tseren steso a pancia in su. Chissà cosa avrebbero detto i suoi genitori se avessero saputo la verità, che il levantino non era uno studente, ma un perfetto sconosciuto che Agata aveva incontrato poco più di una settimana prima. Forse la zia avrebbe comunque acconsentito a ospitarlo, ma non il resto della famiglia. Eppure il suo intuito le diceva che poteva fidarsi di Tseren.
 
Una volta in piedi, Agata aiutò a pulire la casa, accompagnò i fratelli a scuola e trascorse l’intera giornata in giro, per salutare un gran numero di persone del villaggio. A quanto pareva non era molto comune che i ragazzi frequentassero l’università e così lei e Holly Dee erano piuttosto famose. Tseren la accompagnò in giro aiutandola con le faccende, ma dopo un giorno era già annoiato.
“Posso andare a pescare con i tuoi genitori, da domani?” le chiese quella sera. Agata ripensò alla questione della caccia ai conigli, probabilmente il levantino se ne intendeva anche di pesca.
“Bè, certo” rispose. Trascorsero il resto della serata a parlare con la zia, che aveva un sacco di quesiti sul tipo di vita che Tseren aveva vissuto a Levante. Quando non voleva rispondere a una domanda, lui faceva finta di non capire Agata e lei gli reggeva il gioco.

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Capitolo 12
*** Ponente, 6 anni fa – Passeggiata sulla spiaggia ***


CAPITOLO 11

PONENTE, 6 ANNI FA – Passeggiata sulla spiaggia

 
Nonostante potesse comunicare poco o niente con i genitori di Agata, Tseren li accompagnava quotidianamente a pescare. Il padre ne era entusiasta visto che con il suo aiuto avevano preso più pesci in due settimane che nell’intero mese precedente. Il levantino aveva imparato qualche parola ed era in grado di trascorrere una quantità anormale di tempo sottacqua. Riusciva a indirizzare i banchi di pesci nelle reti e ogni tanto emergeva con qualche esemplare pregiato, che vendevano lautamente al mercato.
Agata invece, trascorreva le giornate aiutando i genitori di Holly Dee nel negozio. Era come una seconda famiglia per lei, ma la madre dell’amica insistette per darle qualche soldo. Nonostante fosse molto al di sotto del salario minimo, la ragazza ne approfittò per mettere da parte qualcosa. Sapeva già che avrebbe speso tutto alla sagra annuale del villaggio, che iniziava proprio quel giorno. La festa durava una settimana ed erano gli unici sette giorni l’anno in cui il paese si fermava per divertirsi. I pescatori avvolgevano le reti, i negozi chiudevano i battenti e tutti gli abitanti del villaggio aiutavano a preparare cibo e animare i festeggiamenti. Le giornate erano altalenate da tornei e giochi all’aperto, mentre le notti erano un brulicare di concerti e falò in spiaggia.
 
Quella sera i pescatori rientrarono dal mare prima del solito e indossarono gli abiti della festa, casacche colorate e zoccoli di madreperla. La nonna e la zia avevano preparato un vestito anche per Tseren. C’era qualcosa di comico in un levantino vestito con gli abiti tradizionali del villaggio. La voce della sua permanenza si era diffusa, ma dal momento che il ragazzo aveva trascorso gran parte delle giornate a bordo del peschereccio, molti non l’avevano ancora visto di persona.
Agata cercava di tradurre i benvenuti che giungevano da ogni lato. Fingeva di ripetere le frasi lentamente, parafrasando con parole più semplici, ma più di una persona trovò singolare il fatto che il ragazzo riuscisse a comunicare solo con lei.
“Ti va di fare una passeggiata?” chiese improvvisamente la ragazza, stanca di essere al centro dell’attenzione. Voleva lasciare la piazza chiassosa e fare due passi in riva al mare.
“Ti sto portando a vedere un posto davvero speciale…” disse dopo un po’ che i due camminavano fianco a fianco, l’acqua fino alle caviglie. Dopo circa venti minuti raggiunsero una spiaggia deserta, gli occhi si erano abituati all’oscurità quindi Agata riuscì a fermarsi prima di inciampare su quello che sembrava un grosso masso.
“Tartarughe!” esclamò Tseren, “La spiaggia è piena di tartarughe!”
La ragazza si stupì che il levantino riuscisse a vedere le centinaia di testuggini sulla spiaggia, per quanto i suoi occhi si fossero adattati all’oscurità lei non riusciva a vedere oltre un paio di metri. Decise di passar sopra l’ennesima stranezza di Tseren e risalì la spiaggia fermandosi vicino a un’altra tartaruga.
“Sta deponendo le uova!” esclamò emozionata, fin da bambina trovava la deposizione un evento speciale, considerato il fatto che le tartarughe giganti erano quasi estinte nel continente di Ponente. Erano animali grandi quasi due metri, i gusci coriacei incrostati di alghe e conchiglie. Le sembrava un privilegio poter assistere a un momento tanto intimo.
“Vivono quasi trecento anni… sai?” gli disse.
Tseren osservava divertito il via vai di testuggini, alcune che risalivano la spiaggia ancora cariche di uova, altre che scivolavano leggere verso il mare.
“Molti rettili vivono a lungo” rispose lui sfoggiando uno dei suoi sorrisi enigmatici. “Vieni tocca a me farti vedere una cosa!” e la condusse in acqua, la guidava perché la ragazza andava a tentoni. “Le vedi?” disse indicando in direzione delle onde.
Agata vide due tartarughe che si stavano allontanando, nuotavano rilassate verso il mare aperto. Perlomeno fino a quel momento, perché non appena Tseren aveva pronunciato quelle parole, le due testuggini avevano fatto marcia indietro e avevano preso ad avvicinarsi.
Quando furono a una manciata di centimetri da loro, Tseren sollevò Agata da suolo e la fece salire un piede su un guscio un piede sull’altro. Lei lasciò andare un gridolino.
“Ho un pessimo equilibrio!” esclamò spaventata.
“Fidati!” rispose lui e si allontanò di qualche passo. Le due tartarughe continuavano a guardare nella sua direzione e molto lentamente presero ad andargli incontro. Si muovevano in perfetta sincronia, tanto che ad Agata sembrava di essere in piedi su un solo animale. Com’era possibile? Guardò in direzione di Tseren ed ebbe l’impressione che le schegge ambrate nei suoi occhi rilucessero. Nonostante la delicatezza degli animali, Agata aveva veramente un pessimo equilibrio e all’improvviso scivolò all’indietro. Si era aspettata di cadere sulla sabbia bagnata e invece con uno scatto rapido Tseren la prese al volo. I due rimasero un attimo in silenzio, Agata sentiva le braccia solide di lui sorreggerla, per la prima volta da quando si erano conosciuti, erano così vicini. Si accorse che il corpo del levantino era molto caldo, il calore andava aumentando dalle mani, alle braccia, fino al torace. Impulsivamente la ragazza posò le mani sul petto di lui e senti che la fonte di quel calore era da qualche parte lì dentro.
“Possibile che debba sempre prenderti al volo, sei veramente goffa…” disse lui, come se il fatto che Agata gli avesse messo entrambe le mani sul petto fosse una cosa da nulla.
Sembrava una di quelle scene da quadro. Notte. Una spiaggia piena di tartarughe. Un ragazzo di Levante che tiene in braccio una ragazza vestita a festa. Lei gli appoggia teneramente le mani sul petto. Agata scacciò quell’immagine e fece capire a Tseren che voleva scendere.
Il cuore palpitava sempre più velocemente e la ragazza cominciò a chiacchierare per mascherare l’imbarazzo. Si sedettero sulla sabbia, urtati di tanto in tanto da qualche tartaruga distratta, e Agata raccontò al levantino la storia di sua zia. La vecchia zia, sorella di sua nonna, era stata sposata con un mercante proveniente dalla città. Lui era finito nel paese di pescatori per sbaglio e si era invaghito della donna più bella del villaggio. Lei era una ragazza curiosa, che amava fantasticare di posti lontani, e aveva visto nel misterioso straniero la possibilità di cambiare vita. Lui le raccontava dei posti esotici dove commerciava e di come il mondo al di là delle montagne nascondesse avventure dietro a ogni angolo. Si sposarono dopo poco più di una settimana, ma quando il mercante decise che era arrivato il momento di ripartire, forse realizzò che non poteva riportare a casa una moglie figlia di pescatori e così la abbandonò. Partì una notte tempestosa e non fece più ritorno.
La ragazza ebbe la possibilità di risposarsi alcuni anni dopo, uno dei giovani del paese era disposto a perdonarle quell’atto sconsiderato, ma dopo aver immaginato una vita completamente diversa, la ragazza non se la sentì di accettare la proposta di un pescatore. Gli anni passavano e la donna continuava a vivere nei ricordi, riportando le storie che il mercante le aveva raccontato come se le avesse vissute in prima persona. Nessuno le dava corda, finché a sua sorella non nacque una nipotina che era più sveglia del resto dei bambini del villaggio messi assieme. La piccola aveva il suo stesso spirito, ascoltava a bocca aperta e diceva che un giorno avrebbe visto quelle meraviglie con i propri occhi.
“È per via di mia zia che ho sempre desiderato studiare e diventare una mediatrice culturale…” concluse Agata. “Voglio vedere il mondo e conoscere persone che sono cresciute in culture completamente diverse… proprio come te…”.
Tseren sembrava pensieroso. “Sono sicuro che avrai l’occasione di visitare Levante” rispose.
“Ti ricordi che tra due giorni hai promesso di raccontarmi perché sei venuto a cercarmi, vero?” chiese la ragazza.
“Domani notte” precisò lui, gli occhi puntati sull’ultimo quarto di luna in cielo.
 
*NdA*
Ciao a tutti,
mi è stato fatto notare che era piuttosto difficile seguire la pubblicazione dei capitoli con i titoli così com’erano (solo luogo e data), così ho aggiunto anche un titolo vero e proprio. Spero aiuti a tenere traccia di quando pubblico un nuovo capitolo. In generale l’idea è quella di continuare a pubblicare il martedì, il giovedì e la domenica, nel tardo pomeriggio.
Come al solito se avete voglia lasciatemi un commento, è sempre motivante per uno scrittore alle prime armi ricevere il parere dei lettori! :)
A presto,
Elaine

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Capitolo 13
*** Ponente, 5 anni e 363 giorni fa – Occhi d'ambra ***


CAPITOLO 12

PONENTE, 5 ANNI E 363 GIORNI FA – Occhi d’ambra

 
Tseren vinse ogni torneo cui partecipò, che si trattasse di lancio della rete o di arrampicata a testa in giù, era chiaramente più veloce, più agile e più forte di chiunque altro. Poi verso metà giornata ricominciò a seguire Agata come un’ombra, era sempre a qualche metro di distanza e non la perdeva di vista. La ragazza riusciva a pensare solo al fatto che quella sera finalmente avrebbe saputo tutto, come mai si capivano parlando lingue diverse, come aveva fatto ad attraversare le montagne a piedi, come riusciva a mangiare carne cruda, come mai il suo corpo aveva una temperatura tanto al di sopra del normale.
Durante la cena Agata toccò a malapena il cibo, anche Tseren non sembrava per niente rilassato. Di tanto in tanto lanciava occhiate nervose in cielo e si spazientiva ogni volta che qualcuno cercava di allontanarlo da Agata.
Verso la fine della serata, quando ormai solo qualche coppia instancabile ancora si dimenava in pista, Tseren propose ad Agata di fare una passeggiata. Camminarono sulla riva, raggiunsero la spiaggia delle testuggini, poi invece di proseguire sulla battigia, il levantino si diresse verso gli alberi che si affacciavano timidamente sul lido. La ragazza lo seguì mentre si inoltrava nella boscaglia.
“Dove stiamo andando?” domandò dopo circa dieci minuti che camminavano tra gli arbusti.
“In un posto isolato, dove sono sicuro non passi nessuno…” rispose lui, scostando un ramo. Come al solito si girava in continuazione per controllare che Agata fosse abbastanza vicina. Raggiunsero una radura, dove un temporale doveva aver abbattuto un albero massiccio, che a sua volta aveva fatto cadere le piante circostanti.
Agata pensò che era sola in mezzo al bosco, ad almeno 3 chilometri dal villaggio, con un perfetto sconosciuto, un ragazzo di Levante che aveva conosciuto appena un mese prima e che, come dicevano Holly Dee e Gregor, l’aveva ‘stalkerata’ da allora. Non era da lei agire così impulsivamente, ma se da un lato l’atto di portarlo con sé al paese era stato oggettivamente sconsiderato, ora dopo tre settimane che avevano dormito sotto lo stesso tetto, mangiato dallo stesso paiolo e che lo aveva visto trascinare quotidianamente la rete piena di pesci che sfamava la sua famiglia, sentiva che aveva abbastanza ragioni per fidarsi, anche se fin dall’inizio il suo intuito non l’aveva mai fatta sentire in pericolo.
“Sono due mesi che penso a come dirti… quello che devo dirti… e sono giunto alla conclusione che alcune cose… beh si capiscono meglio vedendole con i propri occhi…” il ragazzo si dondolava da un piede all’altro, era estremamente agitato, più di Agata. “Ti dispiacerebbe voltarti?” aggiunse.
“Voltarmi, perché?” rispose la ragazza, puntando la luce fioca della lanterna verso Tseren, era una notte senza luna, talmente buia che a malapena riusciva a vedere la sagoma del levantino.
“Ti fidi di me?” i suoi occhi sembravano implorarla, così Agata accettò di dargli le spalle.
“Cosa stai facendo?” chiese perplessa.
“Non voglio rovinare i vestiti che mi hanno cucito tua nonna e tua zia…” un’altra delle sue risposte senza senso. “Dammi solo un momento…”.
Agata rimase in silenzio, la lanterna poggiata a terra, lo sguardo che vagava nell’oscurità, aveva il presentimento che qualcosa di incredibilmente fuori dal comune stesse per accadere.
“Tseren?” silenzio.
“Tseren, posso girarmi?” uno scricchiolio.
Poteva sentire il mare in lontananza, e le chiome degli alberi agitate dal vento. Un altro scricchiolio. Agata si voltò e prese in mano la lanterna. La prima cosa che vide furono gli abiti del ragazzo, ammonticchiati al suolo. Si accostò, il cuore le martellava nel petto.
“Tseren?” le sembrò di vedere qualcosa muoversi dietro i tronchi degli alberi che si erano schiantati a terra. Tendendo il braccio che stringeva il lume, si avvicinò ancora.
E lo vide.
Il corpo era coperto di scaglie, talmente grande da occupare quasi interamente la radura, ma al tempo stesso snello. Quattro zampe possenti, artigliate. La coda si agitava adagio sfiorando le cime degli alberi, la parte finale palmata, come un ventaglio. Due ali minute, quasi sproporzionate rispetto al resto del corpo, che si aprivano e chiudevano come per sgranchirsi. Il muso affilato e due occhi ambra che luccicavano come l’oro. Era troppo buio per capire di che colore fosse il corpo, ma quegli occhi sfavillavano più della lanterna che Agata fece cadere incautamente a terra. La luce si spense e la ragazza rimase avvolta dall’oscurità. Vedeva solo quegli occhi dorati che la fissavano intensamente, avevano un non so che di umano, ma al tempo stesso erano lo specchio delle profondità di una creatura antica come il mondo.
Si guardarono a lungo, la creatura e la ragazza. Lui tese il collo verso di lei e lei indietreggiò. Sembrò ferito dal gesto e indietreggiò a sua volta. Agata poteva leggere le emozioni di Tseren come in un libro aperto, era come se comunicassero su in altro livello, che non aveva niente in comune con il modo umano di entrare in contatto l’uno con l’altro.
Agata rimase indecisa sul da farsi, ma dal momento che, pur non sapendo perché, era certa che Tseren non le avrebbe fatto del male, si fece coraggio e prese ad avvicinarsi. La creatura rimase immobile, aspettando che fosse la ragazza a decidere qual era la distanza cui si sentiva a proprio agio.
Lei si fermò a mezzo metro e accostò la mano al muso di lui. Fu il turno della creatura prendere tempo, indecisa su come rispondere a quel gesto di fiducia. Molto lentamente appoggiò il muso alla mano aperta.
Gli occhi di Agata si erano gradualmente abituati all’oscurità e a quella distanza poteva vedere i denti aguzzi che contornavano le fauci, le quali di tanto in tanto si aprivano per farlo respirare. Un brivido le salì lungo la spina dorsale e le tornò in mente con quanta facilità Tseren aveva masticato la carne cruda. Si fece forza per non ritirare la mano, non voleva ferirlo di nuovo. Il corpo della creatura era caldo, ma il calore affiorava dall’interno, mentre la superficie era come liscia e fredda come le facce di un diamante. Era una sensazione antitetica, Agata ebbe l’impressione di toccare la superficie di un lago ghiacciato sotto il quale bolliva lava.
La creatura avvicinò il capo alla spalla destra di lei e la spinse delicatamente. Si fermò per vedere se Agata avesse compreso e ripeté il gesto una seconda volta.
“Vuoi che mi giri” capì infine lei.
Poco dopo Agata sentì la mano, tornata umana, di Tseren sfiorarle la schiena e si voltò a guardare il levantino. Non l’aveva mai visto così disarmato, gli occhi cobalto la fissavano carichi d’ansia. In attesa di una parola, un gesto, qualsiasi cosa che potesse svelare cosa stesse passando in quel momento per la mente della ragazza.
“I draghi esistono per davvero?” sussurrò infine lei, disorientata da quello cui aveva appena assistito.
“Il drago. Sono rimasto solo io.” precisò lui, sollevato dal fatto che finalmente il suo segreto non fosse più segreto.

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Capitolo 14
*** Ponente, 5 anni e 362 giorni fa – Le regole del gioco ***


CAPITOLO 13

PONENTE, 5 ANNI E 362 GIORNI FA – Le regole del gioco


Come la notte prima, i due ragazzi si sedettero sulla spiaggia delle tartarughe. C’era meno traffico della sera precedente perché gran parte delle testuggini aveva già deposto le uova.
“Voglio sapere tutto” sussurrò Agata, poteva ancora sentire sul palmo della mano la sensazione che aveva provato toccano la pelle del drago.
“Lo so…” sorrise lui e incominciò a raccontare. “I Draghi sono una razza per metà umana originaria di Levante…” esordì. “Viviamo nascosti da secoli, rintanati nella zona montuosa perché è quasi completamente disabitata…”
“L’area del monte Ariun…” intervenne Agata.
“Esatto, ci hai riflettuto un bel po’ immagino! Un Drago nasce un genitore della stessa razza e un genitore umano. Due Draghi infatti non possono avere figli…” riprese il levantino. Agata pendeva dalle sue labbra.
“Una settimana al mese, la settimana di luna nuova, abbiamo la possibilità di mutare nella forma… beh la forma che hai appena visto. Ora, se siamo nelle vicinanze della persona che comunemente chiamiamo ‘Ascendente’, abbiamo il pieno controllo di noi stessi e siamo in grado di decidere se mutare o meno. E nella forma di Drago, siamo… diciamo coscienti…”
“Sono il tuo Ascendente?” la ragazza si era voltata di scatto a bocca aperta, cercando di fare un po’ di chiarezza in quella storia incredibile. Tseren annuì alzando le spalle, uno dei gesti tipici dei levantini delle montagne.
“Fino al periodo della maturità, che per noi è tra i venti e i venticinque anni, l’Ascendente è il genitore Drago, nel mio caso mia madre. Negli anni di transizione, gradualmente il genitore smette di avere questa influenza ed è il periodo in cui dobbiamo assolutamente trovare il nostro vero Ascendente…” continuò Tseren.
“Quanti anni hai?” erano insieme da un mese e non glielo aveva ancora chiesto, forse abituata alla sua reazione evasiva tutte le volte che provava a fare una domanda personale.
“Venti” avevano la stessa età.
“Sei venuto a cercarmi perché tua madre stava cominciando a perdere la capacità di Ascendente?” un po’ alla volta la ragazza stava mettendo insieme i tasselli, le piaceva dedurre le cose da tanti piccoli indizi.
“Non proprio…” Tseren si fece scuro in volto. “Circa due mesi fa, poco dopo la settimana di luna nuova… mi madre è venuta a mancare…”.
“Mi dispiace” la ragazza fissava intensamente il levantino. La perdita di un genitore è di per sè un evento devastante, ma se in più si tratta non solo della persona che è in grado di proteggerti da una parte di te stesso che non puoi controllare, ma anche dell’unico altro membro esistente della tua razza… ad Agata si strinse il cuore pensando a cosa doveva aver provato Tseren. Il ragazzo le raccontò come si era messo immediatamente in viaggio per trovare il suo vero Ascendente, per trovare lei.
“Come hai fatto a sapere dov’ero?” domandò la ragazza.
“Non avevo la minima idea di dove fossi… mi sono lasciato guidare dall’istinto… c’è un legame speciale tra di noi, te ne sarai accorta… è come se avessi una bussola interna che mi ha guidato fino alla tua città. Avevo paura di non arrivare in tempo, prima della luna nuova. Ti ho trovata proprio l’ultimo giorno, se fossi arrivato solo la mattina dopo sarebbe stato un disastro…”.
“Non avresti potuto fare a meno di trasformarti in drago…” completò Agata.
“Sì, una settimana intera sotto forma di drago senza poter controllare le mie azioni… la natura di drago non è proprio… pacifica…” Tseren stava giocando con una tartaruga che si era avvicinata. Ogni tanto guardava nervosamente in direzione di Agata per spiare le sue reazioni. Vedeva perfettamente al buio e la ragazza aveva un’aria confusa, ma non sembrava spaventata. Fin da quando era bambino il suo terrore più grande era che il suo Ascendente avesse paura di lui e lui fosse costretto a trascorrere la vita nelle vicinanze, senza mai farsi vedere. Eppure nel momento in cui Agata aveva appoggiato la mano sul suo muso, così vicino alle fauci, il fardello che si portava dentro da sempre si era volatilizzato. A volte succede proprio così, basta un attimo fatto di un gesto o di una parola per superare la nostra paura più grande.
“Ti è mai successo? Di trasformarti senza volerlo?”
Lui scosse il capo. “Mia madre è sempre stata molto prudente… è una cosa che spero non accada mai…” rispose pensieroso, picchiettando sul guscio della testuggine. Agata rimase in silenzio per riordinare le idee.
“A parte il fatto che riesci a trovarmi seguendo il tuo istinto… E che possiamo comunicare parlando lingue diverse… cosa intendi per legame speciale?” la ragazza teneva lo sguardo fisso a terra, leggermente imbarazzata nell’usare quelle parole per descrive il loro rapporto.
“L’Ascendente di un Drago vive più a lungo di un essere umano” rispose lui, finalmente contento di descrivere uno dei pochi vantaggi di quel ruolo arcano.
“Quanto più a lungo? Trecento anni come le tartarughe giganti?” scherzò lei, il primo sorriso da quando avevano lasciato il villaggio.
Lui alzò la mano avvicinandole il palmo aperto al viso, era talmente buio che non era sicuro lei riuscisse a vedere granché. “Circa cinquecento” disse.
“CINQUECENTO?!” gridò Agata scattando in piedi.

 
*NdA*
La scelta di scrivere la parola drago a volte con l’iniziale maiuscola, a volte minuscola, è voluta. Quando uso Drago, faccio riferimento alla razza, mentre ricorro a drago per indicare la forma di drago dei Draghi, ovvero la trasformazione possibile solo durante la settimana di luna nuova.
A presto,
Elaine

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Capitolo 15
*** Ponente, 5 anni e 362 giorni fa – La decisione ***


CAPITOLO 14

PONENTE, 5 ANNI E 362 GIORNI FA – La decisione


“Sì, ma solo finché è con il Drago!” e sfoggiò uno dei suoi sorrisi canzonatori, sembrava molto più rilassato. La ragazza crollò di nuovo sulla sabbia. Si era alzato un vento freddo, ma stando vicino a Tseren non se ne era accorta. Anche senza sfiorarlo poteva percepire il calore, era come essere seduta accanto al focolare. E questo le fece venire in mente la domanda successiva.
“Sei in grado di… ehm… sputare fuoco?” chiese, pentendosi subito della domanda.
Lui spalancò gli occhi blu. Non riusciva a seguire il filo logico dei pensieri di Agata, chissà quanto si era tormentata rimuginando su tutte le stranezze che aveva notato. Nelle settimane che le era stato intorno, aveva constatato che era estremamente curiosa e le piaceva costruire teorie sulle cose più disparate. Per esempio, perché la famiglia tal dei tali non aveva aspettato l’estate per traslocare oppure cosa stava portando le tartarughe giganti all’estinzione?
“Non ancora… Alcune caratteristiche si acquisiscono con la maturità…” si era ripromesso di rispondere a tutte le domande, ma non era molto a proprio agio. Era cresciuto isolato e non amava parlare di sé, ma sapeva che raccontare tutto, in completa trasparenza, era un passo fondamentale per solidificare con la fiducia il rapporto con il proprio Ascendente. Era una delle cose su cui sua madre aveva insistito particolarmente nel preparlo, dal momento che conosceva il carattere un po’ spigoloso del figlio.
“Tipo?” lo incalzò lei.
“Beh… le mie ali non sono ancora abbastanza grandi per permettermi di volare…” rispose lui alzando le spalle.
“Non hai poteri strani, tipo leggere nel pensiero o diventare invisibile, vero?” dopo avergli chiesto se sputava fuoco, l’argomento ‘superpoteri’ non le sembrava tanto inverosimile.
“Tipicamente gli animali mi girano alla larga, soprattutto durante la settimana di luna nuova… a parte i rettili ovviamente…” e per enfatizzare il concetto si guardò attorno. Immediatamente alcune tartarughe cominciarono a camminare, con la flemma che le contraddistingueva, nella loro direzione. Poco dopo si trovarono completamente accerchiati. Agata ridacchiò perché una testuggine le stava solleticando i piedi, un’altra le appoggiò la testolina in grembo.
“Conta come potere strano?” sogghignò lui.
Per un po’ smisero di parlare della natura di Tseren e scherzarono su quali sarebbero stati dei superpoteri veramente vantaggiosi. Finalmente, da quando si erano conosciuti, Agata era a proprio agio con in levantino. Fino a quel momento, il fatto di non sapere cosa nascondesse era stata una barriera tra loro. Ora invece, anche se il suo segreto era piuttosto spaventoso, aveva finalmente capito molte cose del comportamento di lui e riusciva a razionalizzare. Il fatto di avere una spiegazione, per quanto surreale, le dava sicurezza. Mai e poi mai la ragazza avrebbe immaginato di trovarsi al centro di un’avventura più straordinaria di quelle su cui aveva fantasticato con la zia. Tutti i suoi progetti, tra cui il sogno di visitare Levante, venivano ridimensionati da quella novità che avrebbe cambiato la sua vita per sempre. Era l’Ascendente di questo ragazzo Drago e nel bene e nel male sarebbe stata legata a lui per sempre, o perlomeno per i prossimi cinquecento anni.
“Come mai sei l’ultimo Drago rimasto?” domandò ancora Agata. Tseren lasciò andare un sospiro profondo, carico di tristezza, e cominciò a raccontare.
La razza dei Draghi si era evoluta a Levante milioni di anni fa, insieme agli uomini. La popolazione era cresciuta molto lentamente perché al contrario degli uomini, un Drago può avere un solo figlio, che nasce tipicamente molto avanti nella vita, con il risultato che non tutti hanno l’occasione di procreare prima di morire. Un Drago non muore facilmente, ha la pelle più dura degli uomini, quasi impenetrabile, e ha i riflessi più sviluppati. Nonostante ciò non è immune alla morte prematura, sia che venga causata da un incidente o da una malattia.
Gli uomini si erano moltiplicati molto più velocemente nei millenni e la razza dei Draghi aveva deciso che per sopravvivere era saggio rimanere isolati e nascosti. I contatti con gli uomini erano necessari per preservare la stirpe, ma erano tenuti al minimo indispensabile, con il risultato che l’esistenza dei Draghi divenne un mito. Si stabilirono nell’area più remota del continente, una zona montuosa che si estendeva attorno a una delle montagne più crudeli del massiccio, di quelle che non lasciano sopravvivere chi osa avventurarsi lungo i suoi sentieri impervi, fatti di burroni dietro ogni curva, piante velenose e pericolosi animali. Era il posto perfetto, perché solo i più incoscienti tra gli uomini avevano il coraggio di esplorarlo, e con il passare del tempo i temerari divennero sempre meno. I Draghi vivevano sul monte Ariun e si allontanavano da lì una sola volta nella vita, per trovare il proprio Ascendente.
Qualora un Drago rimanesse senza Ascendente, il genitore Drago riusciva tipicamente a riprendere il ruolo; nel caso questo non fosse possibile, nella settimana di luna nuova la creatura veniva internata e gli altri trascorrevano una grande quantità di tempo nella forma di drago per arginarla e limitare il rischio che succedesse qualcosa. I Draghi erano tipicamente molto protettivi nei confronti dei propri Ascendenti e dal momento che un Drago e un Ascendente sono sempre di sesso opposto, molti mettevano su famiglia insieme.
Agata arrossì marcatamente durante questa parte del racconto e sperò che Tseren non se ne fosse accorto.
Di tanto in tanto le persone sbagliate scoprivano la loro esistenza e questo risultava in vere e proprie persecuzioni. Una specie oggettivamente più forte costituisce una minaccia, ma gli uomini avevano dalla loro parte i grandi numeri e gradualmente i Draghi divennero sempre meno, finché, circa vent’anni prima, ne rimasero solo due, una madre e il suo neonato. La donna Drago aveva avuto l’ispirazione di lasciare l’insediamento, stabilendosi in una tana in una zona ancora più remota, e aveva così salvato se stessa e il suo bambino.
“A quale distanza devi stare da me, nei giorni di luna nuova, per essere sicuro di non trasformarti?” domandò Agata.
“Non lo so con precisione… è diverso per ogni Drago. Nel caso di mia madre e il suo Ascendente era circa seicento metri…”. Meno di un chilometro. La ragazza si spiegò come mai al ballo di fine anno, Tseren le era stato tanto appiccicato. Se si fosse involontariamente trasformato in drago in un luogo pieno di gente, sarebbe stata un’ecatombe.
I colori dell’alba stavano rischiarando il cielo, prima ancora che il sole facesse capolino all’orizzonte, sprizzi di arancione e rosa avevano cominciato a scacciare le tenebre, come per fare spazio all’arrivo del nuovo giorno. Avevano parlato tutta la notte, ma Agata non si sentiva per niente stanca.
“Devo dirti ancora una cosa importante…” Tseren si fece di nuovo serio. “Vivere in un posto come questo o come la città, è un incubo per me. Ogni volta che arriva la settimana di luna nuova sono costantemente inquieto, perché se dovessi perderti o peggio se dovesse succederti qualcosa… c’è il rischio che tramutato in drago, senza avere il controllo, sterminerei tutti i tuoi cari… C’è un motivo se i Draghi hanno sempre vissuto isolati dalla civiltà degli uomini…” il ragazzo la guardava intensamente. Ora che il sole si stava accendendo, Agata poteva vedere con chiarezza l’espressione sul volto del levantino. Gli occhi cobalto schizzati d’ambra erano pieni della disperazione di un ragazzo appena ventenne segnato da un destino già scritto. Sapere di avere dentro di sé una parte feroce che se fuori controllo potrebbe distruggere tutto ciò a cui tieni, la tua umanità, era un fardello che ad Agata sembrava troppo grande per una persona sola. Era contenta che i Draghi potessero condividerlo con qualcun altro, con il proprio Ascendente.
“Vuoi tornare a Levante, non è vero? Vuoi tornare a casa…” disse la ragazza, sapendo esattamente cosa ciò sottintendeva, non c’era bisogno di esplicitarlo.
Tseren la guardava, gli occhi pieni di speranza e al tempo stesso angoscia. A seconda della risposta di Agata uno dei due sentimenti avrebbe scacciato l’altro.
“Va bene” disse lei infine, e fu meno difficile del previsto. Era come se la risposta fosse già nel suo cuore.

*NdA*
Ciao a tutti, spero che questi ultimi tre capitoli vi siano piaciuti! Oggi ho un sondaggio per voi... la prossima settimana vi dirò qual è la mia risposta... :)

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Capitolo 16
*** Ponente, 5 anni e 362 giorni fa – La partenza ***


CAPITOLO 15

PONENTE, 5 ANNI E 362 GIORNI FA – La partenza

 
Il bagaglio di Tseren consisteva unicamente in un cambio di vestiti, per l’esattezza l’abito che avevano cucito per lui la nonna e la zia di Agata. La ragazza aveva invece preparato due cambi, il suo libro preferito su Levante, una grammatica completa di levantese, una mappa dettagliata di Ponente, tutti i suoi risparmi e la collana ponentina che le aveva regalato Gregor, l’oggetto più prezioso che possedeva. Tseren aveva riempito il resto della sua sacca da viaggio, omaggio dei genitori di Holly Dee, con del cibo in scatola.
Era stato molto semplice per Agata convincere i genitori a farla partire, aveva mentito dicendo che era previsto dallo scambio scolastico che passasse un po’ di tempo a Levante, nel villaggio di Tseren, e che il viaggio sarebbe stato pagato dall’università. Spiegò che avevano ricevuto la conferma che lo scambio era stato approvato solo il giorno prima, per questo non aveva dato loro più preavviso. Visto che Agata era sempre stata una ragazza seria e sincera, il padre e la madre non avevano alcun motivo di dubitare della veridicità di quella storia, tanto più che avevano già accettato da tempo il fatto che la figlia maggiore fosse destinata a una vita ben diversa dall’unica che conoscevano loro, fatta di albe sul mare, reti da pesca e a malapena la capacità di scrivere il proprio nome.
Nonostante non avesse chiuso occhio, Agata si sentiva estremamente vigile, forse per via dell’adrenalina in circolo. Nel corso della mattinata rifletté a lungo su tutto ciò che le aveva detto Tseren e sulla sua decisione impulsiva di partire con lui. Fin da quando era bambina, Agata soppesava i pro e i contro di qualsiasi cosa, mai si era fidata solo dell’istinto o solo della mente, doveva esserci un buon equilibrio tra le due prospettive per giungere alla scelta giusta. Da quando aveva conosciuto Tseren era stato un continuo di azioni sconsiderate e decisioni prese su due piedi. Da un lato questo la preoccupava, perché sentiva che il suo carattere stava mutando, dall’altro non le sembrava di aver fatto scelte sbagliate, quindi perché non continuare a fidarsi dell’istinto?
Ad aggiungersi a queste considerazioni, c’era come una forza di gravità che Tseren esercitava su di lei, era innegabile che ci fosse un legame tra loro e la ragazza sentiva la necessità di coltivarlo, anche se questo significata sconvolgere completamente i piani che aveva delineato con pazienza negli ultimi otto anni.
Il levantino le stava sempre attorno ed era un misto di nervosismo, per paura di perderla di vista, ed euforia, perché non vedeva l’ora di tornare a casa e perché la paura più grande della sua vita era svanita. Non solo aveva trovato la sua Ascendente in tempo, ma lei aveva accettato con apparente tranquillità il suo segreto ed era disposta a seguirlo e a proteggere la sua natura di drago per il resto della vita.
Quando fu il momento di salutare la famiglia, Agata parve realizzare per un attimo le implicazioni della sua partenza e gli occhi le si annebbiarono. Chissà per quanto tempo non li avrebbe rivisti. Scacciò il pensiero e strinse a sé i due fratellini, intimando loro di fare i bravi. Abbracciò a lungo sua madre. La nonna continuava a scuotere il capo con aria di disapprovazione, non riusciva a comprendere perché volesse allontanarsi tanto dai propri cari solo per vedere un posto diverso. La zia, invece, si sciolse in un pianto fatto di orgoglio per il coraggio della nipote e amarezza per non poter compiere lei stessa tale viaggio.

I due ragazzi, il Drago e la sua Ascendente, si incamminarono per andare a prendere la corriera che li avrebbe riportati in città, la stazione principale era uno snodo importante dei trasporti per altre zone di Ponente, e il loro viaggio sarebbe iniziato da lì. Presero un sentiero che attraversava i campi coltivati, lei camminava poco davanti a Tseren, perché lui non le dava mai le spalle nella settimana di luna nuova. Il levantino voleva lasciarle un momento di privacy perché durante l’addio aveva colto la tempesta di emozioni che agitava la ragazza.
“Sai che non è l’ultima volta che li vedi, vero?” disse dopo un po’ che procedevano in silenzio. “Ti prometto che torneremo a visitarli di tanto in tanto…”. Agata si voltò a fissarlo.
“Vedi quel capannone laggiù?” chiese indicando una costruzione di legno che sembrava abbandonata. “Non viene usato da anni… ed è grande abbastanza…”.
Tseren corrugò la fronte senza capire.
“Mi piacerebbe vederti di nuovo trasformato in drago, ti sto seguendo dall’altra parte del mondo e non so neanche bene come sei fatto…” il tono di lei non ammetteva repliche e Tseren, per quanto non amasse mutare in drago in pieno giorno, sapeva che la loro relazione era ancora in uno stadio in cui una discussione non avrebbe portato a nulla di buono. C’è una fase, in ogni rapporto, in cui si ha il primo litigio, e il mostrare la parte peggiore di se stessi per poi superarlo insieme, è fondamentale per cementificare il legame e portarlo al livello successivo. Lui ed Agata non erano minimamente pronti per una cosa simile e così il levantino decise di accettare la richiesta.
Entrarono nel capannone, una costruzione fatta di travi di legno e un tetto di paglia pieno di buchi. I due fecero un giro di ricognizione per controllare che non ci fosse nessuno, anche se nella settimana di luna nuova i sensi di drago di Tseren erano potenziati e il levantino avrebbe sentito l’odore di un essere umano a centinaia di metri di distanza. Agata si rese conto che c’erano ancora molte cose che non sapeva di lui e che la confessione sulla spiaggia aveva solo aperto uno spiraglio sulla quantità di stranezze che caratterizzavano la razza dei Draghi. Tseren le mostrò le mani, un momento erano normali il momento dopo le unghie avevano lasciato il posto a degli artigli.
“È così che ti ho graffiato quando ci siamo conosciuti, ero talmente agitato che ho inavvertitamente fatto uscire gli artigli…” spiegò lui. Agata si rassegnò al fatto che probabilmente avrebbe scoperto gradualmente gli elementi distintivi dei Draghi, per Tseren erano tante piccole cose con cui aveva convissuto tutta la vita e non gli venivano in mente tutte insieme.
“Devo chiederti di girarti di nuovo…” spiegò lui, “Devo togliermi i vestiti per trasformarmi…”. Agata si voltò di scatto imbarazzata. Attese in silenzio guardandosi la punta dei piedi, finché con la coda dell’occhio non vide qualcosa scivolarle vicino. La prima cosa che notò fu il colore, alzò il capo per osservare con attenzione il drago blu. Era un blu profondo, cobalto scuro, che ricordava il colore degli occhi di Tseren nella forma umana. Aveva sette arti, ovvero quattro zampe, due ali e la coda. Le zampe posteriori erano più grandi di quelle anteriori, le quali erano lunghe abbastanza da permettergli di camminare su quattro zampe. La coda finiva con un ventaglio artigliato, simile alla parte superiore della testa. Gli occhi erano grandi, la forma a mandorla larga, color ambra dorata. Le narici piccole, quasi invisibili, e le fauci adornate da due file parallele di denti aguzzi. Come aveva già osservato la notte precedente, Agata notò che il corpo era snello e le ali sproporzionate. Ora ne sapeva il motivo, Tseren non aveva raggiunto la maturità e il suo corpo di drago doveva cambiare ancora.
Si avvicinò per toccarlo, poteva sentire al tatto le scaglie, non erano ruvide, bensì lisce e smussate. Lo accarezzò lungo il collo, le piaceva sentire il calore sotto la superficie. Lui non sembrava molto contento di essere toccato, ma rimase pazientemente immobile. Agata gli camminò attorno un paio di volte immaginando come doveva essere letale una creatura simile fuori controllo. Persino le ali in alcuni punti avevano dei grossi artigli affilati. Nonostante i tratti feroci, il drago aveva un qualcosa di maestoso. Gli occhi inoltre erano chiaramente quelli di un essere cosciente, non di un animale, e questo le trasmetteva un senso di calma.
Una cosa che non aveva notato la notte prima, forse per via del rumore del mare, era il verso del drago. Quando apriva la bocca per respirare emetteva un suono simile al bruire di un orso, come un ringhio soffocato, ma in sottosfondo si sentiva un crepitio. Era lo scricchiolare che l’aveva fatta voltare la sera prima e che aveva attribuito a rami calpestati.
 
Quando arrivarono in città era già tardi, Agata pensò che avrebbero potuto trascorrere la notte nel dormitorio, il posto letto era a disposizione anche durante la pausa estiva. Il dormitorio era in realtà come un paesino, fatto di quartieri di costruzioni a un solo piano. L'interno era uguale per tutte ed era costituito da due aree, una grossa sala che faceva da camera da letto e al tempo stesso da sala comune, e una parte più piccola che ospitava docce e bagni.
Agata era convinta che la loro camerata fosse vuota da settimane, rimase perciò a bocca aperta quando una volta dentro vide Holly Dee, in pigiama e con i capelli grano raccolti in una crocchia disordinata, seduta al tavolone. Si era dimenticata che l’amica era rientrata proprio quel giorno dalla vacanza e aveva programmato di trascorrere una notte in città prima di ripartire per il villaggio di pescatori.

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Capitolo 17
*** Ponente, 5 anni e 361 giorni fa – Ultima giornata in città ***


CAPITOLO 16

PONENTE, 5 ANNI E 361 GIORNI FA – Ultima giornata in città


Agata e Holly Dee parlarono a lungo, Tseren, steso sul tetto, poteva sentire la discussione, ma ne capiva solo metà. Agata raccontò all’amica di come aveva portato il levantino al villaggio e di come avevano vissuto insieme quasi tre settimane. Quando le disse che aveva deciso di partire con lui per Levante, Holly Dee fece cadere il cucchiaio che aveva tenuto a mezz’aria fino a quel momento. Ovviamente Agata non poteva riverarle tutta la verità, il fatto che Tseren fosse un Drago e che era sua responsabilità, in quanto Ascendente, proteggere quel segreto e aiutarlo a tenere a bada il suo lato feroce. Holly Dee trasse l’unica conclusione sensata, ovvero che l’amica avesse perso la testa per Tseren. Tra tutte le compagne, Agata era l’unica che mai e poi mai avrebbe immaginato prendere una decisione tanto impulsiva poiché invaghita di un ragazzo, eppure la sua amica di sempre stava cercando di giustificare come mai avesse deciso di mollare l’università per seguire un perfetto sconosciuto. A Holly Dee sembrava di parlare con una persona completamente diversa.
“Non è uno sconosciuto, dopo tutto il tempo che abbiamo passato insieme, sento di conoscerlo abbastanza bene…” la interruppe Agata.
“Tutto il tempo? Ma è trascorso appena un mese!” sbottò Holly Dee. “Poi dimmi una cosa… se non mi avessi incontrata qui per caso, saresti partita senza salutarmi? Avresti mollato l’università e la tua vita senza dirmi una parola?!”
Agata abbassò lo sguardo. “Ti ho scritto una lettera… sulla corriera…” e per dimostrare che stava dicendo la verità, tirò fuori dei fogli arrotolati dalla sacca da viaggio.
Holly Dee aveva gli occhi di fuori. “Poi cos’è tutta questa fretta? Non puoi prendere un po’ di tempo per pensarci bene?”.
Agata strinse le mani della sua migliore amica.
“Holly, tu mi conosci. Sai che non faccio mai cose a caso, capisco che non riesci a fidarti di Tseren… ma ti prego, non puoi fidarti di me? Ho mai preso decisioni avventate?” gli occhi le si riempirono di lacrime, aveva bisogno che qualcuno le confermasse che non stava facendo un grandissimo errore, aveva bisogno che Holly Dee le desse forza. L’altra la fissò in silenzio, come faceva quando stava per dare un verdetto. Raramente aveva visto la sua migliore amica in preda a un'emozione così travolgente, Agata sembrava avere sempre il controllo di sè. ll fatto di vederla tanto scossa la commosse a sua volta e Holly Dee cercò di capire meglio le ragioni che spingevano Agata a comportarsi in modo inspiegabile.
“Ti piace così tanto?” chiese infine.
Agata fece un balzò sulla sedia, poi si ricordò che Tseren non poteva capire Holly Dee e soppesò le parole della risposta, in modo che non fosse chiaro di cosa stessero parlando.
“Non lo so. Non mi sono mai sentita così… non posso stare lontanta…” ed era la verità, non aveva ancora valutato consciamente cosa provava per Tseren. Holly Dee sospirò.
“Prometti di mantenere i contatti, di farci sapere se stai bene. D’accordo?” disse.
La conversazione fu interrotta da Tseren che si affacciò dalla finestra aperta.
“Sta cominciando a piovere… è un problema se dormo dentro?” chiese ad Agata. Lei si voltò a tradurre ad Holly Dee. L’altra storse la bocca, ma accettò e osservò cupa il levantino scegliere il letto più vicino a quello di Agata.
 
Il giorno dopo, Holly Dee convinse l’amica che non poteva partire senza dirlo Gregor. Agata aveva ovviamente voglia di salutare uno dei suoi più cari amici, ma al tempo stesso era ancora imbarazzata per la questione dell’appuntamento e aveva paura che lui provasse a impedirle di partire. Ed era proprio quella la speranza di Holly Dee.
“Va bene, ma voglio dirglielo io… nel modo giusto…” negoziò Agata e l’altra accettò. Separarsi da Tseren era fuori discussione e così il ragazzo le accompagnò, prima a consegnare il modulo di interruzione temporanea degli studi universitari e poi a casa di Gregor.
L’amico fu sorpreso nel vederle arrivare senza preavviso. Stava uscendo per andare ad allenarsi, ma cambiò idea intuendo che c’era qualche novità importante nell’aria. Non fu per niente contento di rivedere Tseren, per quanto avesse un atteggiamento meno di sfida nei suoi confronti, il levantino continuava a non piacergli.
Come aveva previsto Agata, Greg si comportava come se l’appuntamento non avesse mai avuto luogo. Holly Dee ebbe l’impressione che alla fine i due non fossero neanche usciti insieme e in ogni caso, dopo tutta la questione del trasferimento a Levante con Tseren, non aveva il minimo dubbio che ad Agata Greg non piacesse in quei termini. Si chiedeva però come avrebbe reagito Gregor e sperò con tutta se stessa che anche il ragazzo avesse preso consapevolezza del fatto che tra lui ed Agata non sarebbe mai potuto esserci più che un'amicizia.
Il ragazzo chiese ai domestici di preparare la tavola all’aperto e allestì un pranzo abbondante, principalmente a base di pesce, crostini ripieni e frutta fresca.
“Visto che mi avete fatto saltare l’allenamento, magari il tuo stalker può essere utile a qualcosa…” disse Gregor mostrando loro due spade di legno e lanciandone una a Tseren, pur sapendo che il levantino non aveva capito una parola. Cogliere il Drago di sorpresa era pressoché impossibile e Tseren afferrò la spada al volo, voltandosi verso Agata per capire cosa stesse accadendo.
“Va impugnata al contrario…” sorrise lei comprensiva, “Greg vuole fare due tiri di scherma con te… è solo un gioco quindi mi raccomando fate piano…”.
Tseren osservò come l’altro teneva la spada e imitò la sua posizione. Alla festa nel villaggio, aveva capito che questi ponentini amavano particolarmente sfidarsi nei modi più disparati, quindi si prestò all’ennesimo gioco.
Gregor cominciò ad attaccarlo ripetutamente, ma Tseren, pur non avendo la minima idea di quale fosse lo stile corretto, schivava con facilità ogni affondo. Dopo un po’ intuì che lo scopo del gioco era disarmare l’avversario e con un colpo deciso all’impugnatura fece saltare in aria la spada di Gregor.
“Sei sicuro che non hai mai duellato?” esclamò Greg, passandosi una mano sulla fronte sudata. Tseren lo osservava tranquillo e gli fece cenno di raccogliere la sua spada per provare di nuovo.
Agata e Holly Dee commentarono come per i ragazzi fosse facile legare sfidandosi a un qualsiasi sport. Agata pensò che in fondo i due avevano qualcosa di profondo in comune, avevano entrambi perso da poco la madre, Gregor da poco meno di un anno e Tseren da poco più di un mese.
Una volta finito di mangiare, Agata si decise a dire a Gregor che aveva intenzione di trasferirsi a Levante per un po’, sorprendentemente lui non la prese troppo male. Pensò che si trattasse di una decisione affrettata, ma sapeva quanto l’amica desiderasse ardentemente visitare il continente al di là delle montagne e non si stupì del fatto che avesse colto al volo la prima occasione per farlo. Dopo quella giornata trascorsa insieme, Tseren gli sembrava più strano che mai, ma non una cattiva persona. Non riusciva a capire cosa ci fosse tra i due, ma era evidente che il rapporto si era voluto molto dall’ultima volta che li aveva visti insieme. Lui, a sua volta, aveva utilizzato quel tempo per fare chiarezza sui propri sentimenti, l’appuntamento con Agata aveva evidenziato come i due a malapena riuscivano a portare avanti una conversazione senza Holly Dee e l’evidenza che non fosse particolarmente geloso del fatto che lei stesse per partire con un altro, fu la conferma definitiva che la cotta per l’amica era superata.
 
Holly Dee e Gregor accompagnarono Agata e Tseren alla stazione della diligenze. Greg aveva fatto all’amica un altro regalo, una cartina di Levante con gli elementi principali in rilievo, era un po’ ingombrante, ma utilissima per orientarsi soprattutto di notte.
All’ingresso della stazione, Agata si voltò un’ultima volta per salutare i due amici, fermi dall’altro lato della strada. E per la prima volta se ne accorse. Si stupì del fatto che non l’avesse mai notato, i suoi migliori amici erano perfetti l’uno per l’altra, tanto che non sarebbe riuscita a immaginarli con nessun altro. Sperò con tutto il cuore che al più presto se ne rendessero conto anche loro.


*NdA*
Ciao a tutti,
scrivere fin qui mi è sembrato un po’ come preparare la scena per uno spettacolo. È stato un costruire, capitolo dopo capitolo, la base per poter finalmente cominciare a raccontare la storia. E ora ci siamo!
Ho usato questo capitolo per ‘strizzare l’occhio’ ai lettori a cui è piaciuto lo spin-off ‘Con te o con nessun altro’ (link qui), ci avrete sicuramente fatto caso. Ci saranno altri riferimenti ad Acca Dì e Greg, nel corso della storia, ma per ora tocca separarci per un po’ da questi personaggi.
Colgo l’occasione per dirvi come ho risposto al sondaggio lanciato la settimana scorsa… ebbene ho votato per la prima scelta, preferirei essere un drago, anzi un Drago. :)
A presto!
Elaine

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Capitolo 18
*** Ponente, 5 anni e 361 giorni fa – La stazione delle diligenze ***


CAPITOLO 17 
 
PONENTE, 5 ANNI E 361 GIORNI FA – La stazione delle diligenze

 

Agata era stata solo un’altra volta alla stazione centrale delle diligenze, quando il primo anno di università aveva partecipato a una gita didattica nell’entroterra. Da lì partivano una quantità smisurata di diligenze private e l’obiettivo era trovarne una che andasse nella loro direzione.
La ragazza fu immediatamente colpita dalla quantità di persone in abiti formali, doveva esserci un qualche convegno in città. Si rivolse al primo conducente che incrociarono per chiedere spiegazioni.
“Sono tutti della FSI, hanno l’incontro annuale a Levante tra qualche giorno… è un delirio…” rispose lui in modo sbrigativo.
Molte persone avevano notato l’aspetto esotico di Tseren e lo indicavano curiose.
“Ragazzo, come mai hai questi occhi particolari? Da dove vieni?” era un vecchio scienziato, lo si intuiva chiaramente dalla coccarda con il simbolo della Fondazione Scientifica Internazionale appuntata al petto. Conteneva un motto in levantese, che tradotto significava ‘la prossima scoperta scientifica al primo posto’, racchiuso dai contorni dei due continenti; una linea magenta li attraversava esattamente in corrispondenza della catena montuosa, interrompendosi al centro per far spazio alla frase, come a voler rappresentare che quelle montagne non dovevano costituire un ostacolo per la FSI.
Gli occhi di Tseren erano troppo insoliti e Agata non si sentiva a proprio agio in mezzo a tutti quelli studiosi. Da un angolo remoto della sua mente emerse il ricordo allarmante delle voci che giravano sulla Fondazione Scientifica Internazionale, molti giornalisti sostenevano infatti di avere fonti all’interno pronte a testimoniare centinaia di esperimenti su esseri umani. Agata rabbrividì e biasciando un ‘abbiamo fretta’ trascinò via Tseren. Lo condusse all’interno del bazar della stazione, un’accozzaglia di negozi di vario tipo, ai piani superiori quelli di lusso, ai piani inferiori quelli economici e di seconda mano.
“Cosa succede?” chiese il levantino, frastornato da tutti quei colori, rumori e odori.
“Dobbiamo nascondere i tuoi occhi, queste sono persone che conoscono il mondo meglio delle loro tasche… e i tuoi occhi decisamente non sono di questo mondo…” spiegò lei entrando in un negozio che esponeva in vetrina un cumulo di occhiali di svariate forme e tinte. Agata ne prese un paio e senza dare a Tseren il tempo di obiettare glieli pose sul naso. La scelta non fu per niente facile, la ragazza cercava il paio perfetto, che mascherasse il colore degli occhi, ma al tempo stesso non risultasse sospetto. Voleva evitare che la gente pensasse che Tseren avesse qualcosa da nascondere.
Dopo circa un quarto d’ora Agata annuì soddisfatta. Tseren era terribilmente agitato perché mentre scendevano al piano inferiore, c’era stato un momento in cui aveva perso di vista la sua Ascendente. Era stata una frazione di secondo, ma uno dei momenti più terrificanti della sua vita. Trasformarsi in drago in un luogo pubblico, brulicante di gente, sarebbe stato una strage certa.
Agata pagò gli occhiali e lui scosse il capo quando lei gli chiese se voleva guardarsi allo specchio. Quello che voleva era uscire da lì e al più presto. Non appena furono fuori dal negozio afferrò la mano della ragazza, lei si voltò a guardarlo sorpresa, ma sembrò capire immediatamente quale fosse il problema e così strinse la presa guidando il levantino tra la folla.
Continuarono a tenersi per mano anche all’esterno, perché c’era altrettanta confusione. Agata guardò soddisfatta l’aspetto di Tseren, aveva scelto delle lenti blu scure, in modo che il colore dell’iride sembrasse un riflesso causato dagli occhiali. Avevano una forma tondeggiante e gli stavano particolarmente bene, quindi poteva passare per una scelta di stile.
La ragazza aveva studiato con attenzione la mappa di Ponente e aveva soppesato a lungo le varie opzioni, l’idea migliore le sembrava dirigersi verso uno dei centri nevralgici principali, il più a est possibile, da lì avrebbero cercato un passaggio per le montagne. Non aveva tantissimi soldi, però non vedeva altre soluzioni per il momento. Qualora fossero rimasti al verde, avrebbero potuto prendere una nave, di certo il tempo aveva tutto un altro valore da quando aveva scoperto di avere cinquecento anni davanti a sé.
Tseren era talmente spaesato che non aveva modo di partecipare alle decisioni sul tragitto. Sarebbe stato in grado di ripercorrere al contrario il percorso fatto per arrivare, ma in più di un punto era riuscito a proseguire solo grazie alle sue capacità fuori dal normale, non era sicuro che con Agata sarebbe stato possibile.
 
Dopo aver chiesto informazioni a una dozzina di conducenti, i due trovarono finalmente una diligenza diretta a est con dei posti ancora disponibili. Gli altri viaggiatori erano due scienziati della FSI, un uomo e una donna, i quali squadrano dall'alto in basso la strana coppia di ragazzi con cui avrebbero dovuto condividere il mezzo di trasporto per qualche giorno.
Tseren si arrampicò sulla diligenza e prese posto accanto al finestrino, senza proferire parola. Aveva lasciato la mano di Agata con la stessa facilità con cui l’aveva stretta. Per quanto non avesse la minima idea di cosa fosse la FSI e non era in grado di valutare se costituisse un rischio viaggiare con loro, era stato educato ad avere il minimo contatto possibile con gli esseri umani, soprattutto quelli curiosi. E quei due davano l’impressione di essere piuttosto impiccioni.
“Siamo lontani parenti… sto andando a trovare la parte della famiglia che vive a Levante, no lui non parla ponentese…” stava spiegando Agata.
“Voi invece dove andate?” chiese la ragazza, aveva imparato che il modo migliore per interrompere un interrogatorio era controbattere con una raffica di domande della stessa portata. Sono più le persone che amano parlare di se stesse che quelle interessate ad ascoltare, e la sua speranza era proprio che i due fossero abbastanza narcisisti da abboccare. Quando la diligenza partì la donna stava ancora raccontando come fosse un grande privilegio essere invitati all’incontro annuale della FSI nella capitale di Levante. Solo il dieci percento degli impiegati di Ponente riceveva la convocazione.
Stavano per attraversare il cancello di uscita dalla stazione, incolonnati dietro a un serpente di diligenze, quando qualcuno bussò vigorosamente alla portiera.
“Avete ancora un posto?” esclamò un vocione con un accento marcato. Ricevette evidentemente conferma dal conducente perché la porta si aprì subito dopo. Il levantino robusto posò un piede sul primo gradino, facendo quasi inclinare il mezzo. Era un uomo sulla cinquantina, folti baffi grigi e gli occhi a mandorla miopi che si strinsero in una fessura per valutare se i compagni di viaggio erano di suo gradimento.
“A quanto pare è impossibile evitare di prendere una diligenza con gentaglia della FSI oggi!” sbottò rude. “Almeno in questa ce ne sono solo un paio!” e salì a bordo.
I due scienziati rimasero allibiti dal commento schietto e maleducato, ma si strinsero per far posto al nuovo passeggero. Lui scelse però di sedersi accanto ad Agata, che scivolò più vicina a Tseren.
“Voglio vederle in faccia queste due canaglie!” disse lui, sempre in ponentese. Parlava correttamente, ma aveva una cadenza che rendeva difficile comprenderlo.
“Le abbiamo fatto qualcosa di particolare?” disse acidamente la donna. Aveva i capelli raccolti in due trecce sottili, gli occhi a palla e le labbra carnose. Sembrava una quarantenne ma Agata ebbe l’impressione che portasse male la propria età. Lo scienziato al suo fianco grugnì, come per ricalcare l’affermazione della collega. Era completamente pelato, ma una barbetta castana gli colorava il volto. Aveva parlato poco o niente fino a quel momento, in quanto la donna aveva cicalato ininterrottamente da quando si erano seduti, ma i pochi commenti che aveva fatto erano stati più acuti del chiacchiericcio della compagna.
“Dici a parte cercare di rovinare il mondo?! Lo sanno tutti che siete in combutta con la Setta degli Audaci!” rispose secco il levantino mentre la diligenza si metteva in moto.


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Capitolo 19
*** Ponente, 5 anni e 361 giorni fa – La Setta degli Audaci ***


CAPITOLO 18 

PONENTE, 5 ANNI E 360 GIORNI FA –
La Setta degli Audaci

 

Fu all’inizio di quel viaggio improvvisato che Tseren sentì nominare per la prima volta la Setta degli Audaci. Per quanto capisse solo qualche parola di ponentese, il fatto che il passeggero di Levante parlasse con una cadenza familiare e intercalasse il racconto con espressioni nella propria lingua, facilitava molto l’esercizio di comprensione. Ad aggiungersi a ciò, Agata non si faceva problemi a inserirsi nella conversazione, la curiosità che la caratterizzava la portava a non perdere occasione per imparare qualcosa di nuovo e approfondire un argomento che le interessava. La politica di Levante sembrava essere uno di questi. Lui sapeva poco o niente della storia dei due continenti, se non quello che gli aveva insegnato sua madre, ma si rese conto che erano informazioni piuttosto obsolete rispetto a quello che stava accadendo nella sua parte del mondo.
La diligenza a propulsione meccanica sobbalzava per le vie della città, gradualmente lasciarono il centro e le case si fecero sporadiche. Tseren guardava fuori dal finestrino il paesaggio bluastro e per quanto capisse l’importanza di mascherare il suo sguardo atipico, in un paio di occasioni ebbe la tentazione di togliersi gli occhiali, stufo di vedere lo scenario in quel colore fittizio.
“Ma quale collaborazione selettiva sui progetti!” esclamò il grosso levantino, “La Setta investe talmente tanti soldi nella FSI che controlla ogni singola ricerca, ma che dico… ogni singola idea che passa per la mente di ogni singolo membro della FSI!”.
Lo scienziato pelato si era fatto rosso in viso.
“Queste sono accuse del tutto infondate! Voci messe in giro dal governo centrale di Levante per riprendere il controllo del continente!” gracchiava la donna torturandosi le trecce.
“Ma se non esiste neanche un governo unico a Levante! Lo sanno tutti che le varie zone fanno quello che vogliono! È solo un gruppo di bambocci pieni di soldi che scimmiotta un regime politico!” finalmente l’altro scienziato aveva deciso di dire la sua.
“E la Setta degli Audaci potrebbe governare meglio il continente?” Agata si era inserita candidamente nella conversazione per spingere i due scienziati a rivelare il loro vero punto di vista, continuavano a ripetere che la FSI non era controllata dalla Setta degli Audaci, ma le sembravano più simpatizzanti che neutrali.
“Ragazzina, ma sai di cosa parli? Questo è un gruppo di persone che si tortura a vicenda per entrare a far parte della cricca!” rispose il levantino furioso.
“In quasi tutte le società esistono dei riti di passaggio…” si inalberò la donna, “Come si fa a giudicare senza conoscere!”
L’omone batté con talmente tanta forza il piede che la diligenza ondeggiò violentemente.
“Senza conoscere?! Senza conoscere dici?! Siete voi qui a Ponente, comodi nelle vostre città sonnolente, che parlate a vanvera senza sapere le mostruosità che si nascondono dietro a queste due organizzazioni. Questa minoranza di persone che sta pianificando come governare il mondo secondo i propri interessi! Senza farsi problemi a schiacciare chi non accetta il loro punto di vista!” l’uomo accompagnava con talmente tanto impeto le parole, che più di una volta Tseren dovette scansare la testa di Agata per evitarle una gomitata da parte del vicino.
“Sembra parlare per esperienza personale… Ha avuto a che fare personalmente con la Setta?” chiese la ragazza. Per la prima volta da quando era entrato, l’uomo si voltò a guardare con attenzione gli altri due compagni di viaggio. La ragazza che faceva un sacco di domande e il suo amico silenzioso che indossava occhiali da sole nell’abitacolo buio.
“Sei una ragazzetta sveglia…” commentò l’altro, “Non mi piace raccontare questa storia, ma se siete diretti a Levante… meglio che qualcuno vi riveli la verità su cosa sta succedendo di là…”.
Tseren si fece attento, aveva capito che l’uomo stava per raccontare una storia interessante. La studiosa della FSI alzò in modo teatrale gli occhi al cielo.
“Una sera di circa tre anni fa, rientravo dal lavoro. Tardi come al solito, probabilmente leccandomi i baffi pensando ai manicaretti di mia moglie. Sono quasi arrivato sulla soglia e vedo mio figlio, pressappoco della vostra età, con dei ragazzi che non avevo ma visto prima. Vestiti di colori sgargianti e che si atteggiavano da adulti. Non chiedetemi come si fa a riconoscere a distanza un ragazzo che si atteggia da adulto… certe cose di capiscono e basta! Ho avuto da subito un brutto presentimento!” e per ricalcare il concetto ripeté l’ultima frase in levantese. 
Nessuno degli altri passeggeri fiatava, aspettavano che proseguisse con la storia.
“A quei tempi dedicavo poca attenzione a mio figlio e quella scena mi passò di mente il momento stesso che mi sedetti a tavola. Nelle settimane successive mia moglie si lagnava in continuazione del fatto che nostro figlio tornasse a casa solo per dormire, e talvolta neanche per quello. Mi disse che aveva un nuovo giro di amici, gente politicizzata che non le piaceva. Diedi poco peso alle lamentele, dando la colpa di quel comportamento a uno scoppio di adolescenza tardiva. Finché una mattina non vengo svegliato dalle urla di mia moglie, la trovo in camera del ragazzo che lo strattona ripetutamente per un braccio. A quanto pare quel poco di buono vuole andare via di casa, la sera prima si è unito alla Setta degli Audaci ed è disposto ad andare ovunque lo mandino. Perlomeno questo è quello che dice a parole, ma più che deciso sembra un vegetale, è in uno stato catatonico!” l’uomo si fermò per prendere fiato, era chiaro che rivivere quei ricordi gli causava ancora molto dolore. Gli altri attesero in rispettoso silenzio. Il levantino disse qualche parola rabbiosa in levantese e riprese il racconto.
“Ha lo sguardo vuoto, come un guscio senz’anima. Continua a ripetere che la decisione è presa, non ha intenzione di cambiare idea. Continua a usare tutti quei verbi forti, ‘volere’, ‘decidere’… ma non si sposano per niente con la figura fiacca che ho di fronte. Ha gli occhi scavati da occhiaie viola, è di una magrezza malata, non me lo ricordavo così magro… Tuttora non so fino in fondo cosa gli abbiano fatto fare per dimostrare che era pronto a entrare nella Setta, ma quella mattina è stata l’ultima volta che ho visto mio figlio e vi assicuro che non era se stesso, era come svuotato… niente volontà, niente emozioni… girano delle voci…” l’uomo s’interruppe per passarsi un fazzoletto sul volto, l’agitazione lo aveva fatto sudare considerevolmente.
“Che voci?” domandò Agata rabbrividendo.
“Per entrare nella Setta degli Audaci, bisogna provare la propria determinazione compiendo ‘l’atto audace per eccellenza’, come lo definiscono loro, ma che più che audace è un abominio... devono dimostrare di non dare alcun peso alla vita umana…” l’uomo si fermò di nuovo per far sì che le parole si depositassero sul cuore degli ascoltatori. “Che sia prendendo un’altra vita o rischiando di perdere la propria… gira voce che trovino modi sempre più crudeli per far sì che ogni rito di ingresso nella Setta sia unico…” concluse in un fil di voce.
Agata trovò quell’informazione raccapricciante e sperò ardentemente che fosse solo una diceria.
“Ho perso mio figlio e subito dopo mia moglie si è chiusa in un istituto di recupero della salute mentale, perché aveva paura che il dolore la facesse uscire fuori di testa… e adesso ditemi, questa è la gente che volete governi Levante?” e l’uomo si lasciò andare in una lunga serie di espressioni in levantese che solo Tseren capì. Erano cariche di senso di colpa e solitudine. Il ragazzo Drago posò lo sguardo sulla sua Ascendente, sperava che una volta raggiunto il monte Ariun sarebbero stati abbastanza isolati da non avere mai a che fare con la Setta degli Audiaci, la FSI e la pazzia degli uomini. L’ultima cosa che voleva era mettere Agata in pericolo.


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Capitolo 20
*** Ponente, 5 anni e 358 giorni fa – In viaggio ***


CAPITOLO 6  

CAPITOLO 19 – PONENTE, 5 ANNI E 358 GIORNI FA– In viaggio

 
Dopo il racconto, i passeggeri erano rimasti ore in silenzio, ciascuno assorto nei propri pensieri. Il levantino teneva i pugni stretti e lo sguardo fisso ostinatamente sulla tappezzeria, non riusciva neanche a guardare nella direzione dei due studiosi della FSI. Ripensare alla perdita del figlio aveva aperto una voragine buia nella sua mente e ora i ricordi si intrecciavano con gli atti disperati che aveva compiuto per ricostruire la sua famiglia. La donna della FSI aveva aperto un libro e non alzava gli occhi, non girava una pagina da talmente tanto tempo che chiaramente il volume era solo uno scudo per isolarsi. L’altro scienziato guardava fuori da finestrino, picchiettando nervosamente sul vetro, non era rimasto particolarmente sconvolto dalla storia e Agata si chiese se sapesse sulla Setta più di quanto non volesse far credere. I pensieri di Tseren erano imperscrutabili come a solito, gli occhi nascosti dietro alle lenti blu non tradivano alcuna emozione. Una volta superata la settimana di luna nuova, il ragazzo diveniva più distaccato, l'Ascendente se ne era accorta perché nei giorni in cui rischiava di trasformarsi involontariamente in drago cercava spesso il contatto fisico. Agata si chiese se Tseren la vedesse unicamente come un mezzo per raggiungere un fine e si domandò quanto tempo ci sarebbe voluto per costruire un vero rapporto, dal momento che avevano entrambi una personalità chiusa.
 
Il levantino era sceso, carico di rabbia, alla prima fermata che avevano incontrato, bofonchiando che dividere una diligenza con gente della FSI era intollerabile…
Finalmente gli studiosi si sentirono liberi di riprendere a chiacchierare, non facevano caso alla presenza degli altri due passeggeri. Probabilmente non vedevano il motivo di essere discreti davanti a due ragazzini.
“Sono assolutamente tutte dicerie… le persone della Setta con cui ho a che fare sono persone normali…” stava dicendo la donna. L’uomo si sistemò il panciotto e grugnì.
“È ovvio che debbano verificare in qualche modo se una persona ha le carte per entrare nell’organizzazione… ma tortura e omicidi… stiamo parlando di migliaia di persone… è impossibile che siano tutti criminali…” rispose lui.
Ogni sei ore si fermavano per fare una pausa e Agata coglieva l’occasione per raccontare a Tseren cosa si erano detti gli altri due. Tseren fece un sacco di domande sulla storia condivisa dall’uomo di Levante.
“Non posso credere che ci siano persone che volutamente accettino di uccidere qualcuno per entrare in un gruppo… e altre che lottano tutti i mesi per evitare di diventare assassini solo perché è nella natura della  loro razza… della mia razza” rifletté Tseren, la voce piena di amarezza.
 
“Si può sapere di cosa parlate fitto fitto tutte le volte che ci fermiamo?” chiese la scienziata della FSI, “Pensavo che il tuo amico non conoscesse il ponentese…” aggiunse con fare investigativo.
“Lezioni di lingua” rispose la ragazza, si era preparata a quella domanda. “Io gli insegno un po’ di ponentese e lui mi insegna qualche parola di levantese”.
“Oh è una lingua così ostica… piena di suoni impronunciabili e tutti quei toni! Non mi ricordo, quanti ne hanno?”.
“Cinque” rispose Agata, era piuttosto difficile coglierla impreparata. “E ad aumentare la difficoltà la costruzione grammaticale della frase è al contrario rispetto al ponentese…”. La donna annuì e le fece cenno di risalire sulla diligenza.
“Non capisco perché non si toglie mai quegli occhiali da sole, neanche quando dorme…” e fissò Tseren di sottecchi. Agata ovviamente era pronta anche a quella domanda.
“Lo so!” esclamò fingendosi esasperata. “Glielo ho detto anche io! È ridicolo, neanche fosse un bambino! A quanto pare va di moda nel suo villaggio e si sente molto affascinante… guardi non mi ci faccia pensare… ogni volta che lo guardo glieli vorrei strappare dal naso!” la ragazza cercò di marcare il commento sprezzante e sperò di non aver esagerato. L’altra scosse il capo in segno di comprensione e lasciò cadere l’argomento.
Erano necessari due giorni per raggiungere la città dove avevano concordato di arrivare. Il viaggio fu abbastanza noioso perché Agata e Tseren non potevano parlare liberamente, spesso i due scienziati discutevano di lavoro, ma erano argomenti troppo complessi da seguire e così la ragazza ebbe tempo per studiacchiare levantese e riflettere sulla sua decisione impulsiva. Gradualmente cominciava a realizzare che aveva lasciato tutto ciò che conosceva, la sua famiglia, i suoi amici e la vita in cui aveva trovato un equilibrio perfetto, per seguire un perfetto sconosciuto dall’altra parte del mondo. Un ragazzo che la guardava in modo completamente diverso a seconda della forma che la luna aveva nel cielo. Sentiva che era sua responsabilità stare accanto al Drago, ma al tempo stesso era arrabbiata perché non aveva veramente una scelta. Ovviamente non voleva avere l’onere, anche parziale, di un eventuale incidente che sarebbe potuto costare la vita a centnaia di persone, quindi la decisione di trasferirsi in un luogo isolato era razionalmente la più sensata. A livello emotivo cominciava a rendersi conto del conto del grosso sacrificio che stava compiendo e si chiese se sarebbe mai stata felice.
 
Il paesaggio stava cambiando gradualmente, avevano lasciato la zona costiera, che era una mescolanza disordinata di villaggi di pescatori e riserve naturali per turisti, e si erano addentrati nell’entroterra. Agata amava il panorama collinare, era l’unica altra parte di Ponente che aveva visitato e ripensò alla gita effettuata il primo anno di università. Lei e Holly Dee erano un’esclamazione di stupore dopo l’altra, scacciò il ricordo perché pensare alla sua migliore amica, che non avrebbe rivisto per chissà quanto tempo, la rattristava. Osservò Tseren che già dormiva, il sedile disteso nella posizione notturna. Aveva notato che il ragazzo non aveva un sonno pacifico, lo sentiva spesso parlare nel sonno, ma erano frasi sconclusionate. La ragazza sospettava che i suoi incubi avessero a che fare con la paura di trasformarsi involontariamente in drago o con la morte della madre e la disperazione di essere rimasto l’ultimo della sua razza. Una notte il levantino sembrava più agitato del solito e la ragazza posò la mano su quella di lui, dal momento che si erano tenuti a lungo per mano, nel bazar della stazione delle diligenze, si disse che non era un gesto troppo intimo. Tseren sembrò percepire il contatto e si tranquillizzò, Agata dal canto suo non riusciva a chiudere occhio in quella posizione, essendo una persona molto riservata non era abituata al contatto fisico, e per quanto sapesse che il rapporto tra lei e il Drago era di una natura più unica che rara, si faceva sempre più chiaro nel suo cuore che lo vedeva anche come un ragazzo da cui era attratta. Lasciò andare la mano di lui e si voltò dall’altra parte imbarazzata.
 
Arrivarono a destinazione all’imbianchire, erano ancora molto lontani dalle montagne, ma Agata non aveva abbastanza soldi per proseguire in diligenza o per prendere un velivolo da quella distanza. L’idea era spostarsi a piedi attraverso la zona desertica, dove aveva sentito fosse facilissimo trovare lavori temporanei ben pagati, dal momento che pochissime persone erano disposte a vivere lì. Una volta messi da parte altri soldi, avrebbero raggiunto le montagne e scelto il mezzo più economico per attraversarle. Tseren era stato molto chiaro riguardo alla volontà di volare sul massiccio a bordo di un mezzo di fortuna solo durante la settimana di luna nuova. Questo perché qualora avessero avuto un incidente lui avrebbe potuto assumere la forma di drago e proteggere Agata durante la caduta, a quanto pare la sua corazza era praticamente indistruttibile. La ragazza sapeva che i viaggi aerei erano effettivamente molto rischiosi, quindi accettò di aspettare un mese intero prima di attraversare per Levante. Ora che sapeva che avrebbe trascorso gran parte della propria vita nell’altro continente, non le dispiaceva rimanere un po’ più a lungo in quello dove era cresciuta.


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Capitolo 21
*** Ponente, 5 anni e 358 giorni fa – Il deserto polveroso ***


CAPITOLO 20

PONENTE, 5 ANNI E 358 GIORNI FA – Il deserto polveroso


La prima cosa che fece Tseren appena sceso dalla diligenza fu togliersi le lenti colorate. Era un'oasi di periferia e non c’erano occhi indiscreti. I due scienziati della FSI erano smontati poco prima, in un centro trafficato, ma Agata aveva chiesto al conducente di lasciarli più avanti. I due ragazzi si guardarono attorno, erano nella piazza principale del paese, uno spiazzo contornato da casette di pietra. Si separarono perché Tseren voleva sgranchirsi le gambe e Agata capire come proseguire il tragitto. Il ragazzo Drago era contento che avessero interrotto il viaggio in diligenza; indossare costantemente gli occhiali colorati, trascorrere lunghe ore in un cubicolo e il chiacchiericcio in ponentese della scienziata lo avevano portato al limite dell’esasperazione. Agata lo vide sparire tra gli alberi e iniziò a gironzolare per il villaggio. Non c’era nessuno in giro e così si appoggiò a una parete per ripararsi dal sole.
“Su con la vita… cos’è quello sguardo serio?” disse una voce da vecchio.
Agata si voltò a guardare l’uomo che aveva parlato. Era un signore distinto, di un’anzianità robusta, gli occhi acquosi e abiti puliti. Aveva l’accento della zona desertica di Ponente, era la prima volta che la ragazza lo sentiva perché le persone che vivevano in quella regione erano pochissime e viaggiavano raramente.
“Sei una ragazza così giovane, cos’è che ti preoccupa?” la incalzò l’uomo.
Ci sono quei momenti nella vita in cui si sente il bisogno di aprirsi con un’altra persona e il fatto che sia uno sconosciuto rende tutto più facile. Le giornate chiusa nella diligenza, a rimuginare sul fatto che aveva rinunciato alla vita che conosceva da sempre, avevano gettato Agata in un circolo vizioso di pensieri negativi.
“Le è mai successo di prendere impulsivamente una decisione importantissima?” chiese la ragazza a bruciapelo. Il vecchio la guardò soppesando le risposte possibili.
“Alcune volte quella che ci sembra impulsività è il risultato di considerazioni maturate a lungo a livello inconscio...” esordì il vecchio. “Alcune volte siamo in grado di prendere rapidamente delle decisioni, non tanto perché stiamo agendo impulsivamente… ma perché facciamo affidamento sull’esperienza accumulata nel corso della vita… senti di aver fatto una scelta sbagliata?”
La ragazza scosse il capo.
“No… razionalmente so che è la decisione giusta e che se avessi scelto diversamente mi sentirei peggio… ma forse avrei dovuto essere meno frettolosa… non ho avuto neanche il tempo di salutare per bene le persone importanti della mia vita…” la ragazza sentì gli occhi inumidirsi e cercò di trattenere le lacrime, non voleva piangere di fronte a un estraneo.
“Probabilmente hai agito così di fretta perché avevi paura di perdere la motivazione? O forse c’è un’altra ragione? Da come parli mi sembri una ragazza riflessiva… magari non sai fino in fondo cosa ha mosso le tue azioni, ma sono sicuro che c’è una spiegazione…” disse lui con fare comprensivo.
Agata sorrise riconoscente, pensò che l’uomo sarebbe stato un ottimo psicologo se fosse vissuto in una grande città invece che in una delle zone più sperdute del continente. Aveva proprio bisogno di qualche parola di conforto e il ponentino aveva un tono rassicurante che le trasmise un senso di pace.
Si sedette a terra, il caldo cominciava a farle girare la testa. Il vecchio aveva ragione, uno dei motivi che l’aveva spinta a partire nel giro di poco più di un giorno, era la paura di cambiare idea, temeva che stare insieme ai fratellini o ascoltare le lamentele di Holly Dee l’avrebbe fatta vacillare. Un altro motivo era legato al fatto che la storia di Tseren l’aveva resa inquieta, per quanto improbabile c’era il rischio che le accadesse qualcosa e voleva il Drago il più lontano possibile dalle persone che amava, anche se questo significava separarsi da loro in quattro e quattr’otto. Appoggiò il capo sulle ginocchia piegate e per la prima volta da quando era partita esplose in singhiozzi.
 
Tseren vagabondò tra gli alberi, che presto si fecero radi aprendosi su una distesa di rocce e polvere. E così questo era il deserto polveroso di Ponente, Agata gli aveva mostrato la sua estensione sulla mappa. Raccolse qualche bacca e si arrampicò su una delle cime più alte, in tutte le direzioni una nuvola di polvere nascondeva l’orizzonte; faceva eccezione il mucchio di case che popolava l’oasi. Rifletté su come era stato diverso il viaggio d’andata, la corsa contro il tempo, l’impossibilità di comunicare con le persone, solo ora si rendeva conto dell’impresa che aveva compiuto. Agata aveva accettato di seguirlo dall’altra parte delle montagne ed era sicuro che avrebbero trovato presto un equilibrio, sapeva dai racconti di sua madre che il rapporto tra un Drago e il proprio Ascendente ha un modo speciale di evolversi e che tutto sarebbe avvenuto in modo naturale. Già si sentiva più a proprio agio rispetto al mese prima, non amava non poter partecipare alle decisioni, ma al tempo stesso riconosceva che Agata aveva le idee chiare in merito a molte cose. E dopo giorni e giorni di scelte azzardate e salti nel vuoto era felice di potersi finalmente rilassare, lasciando che qualcun altro si occupasse di organizzare il viaggio di ritorno. Agata si sarebbe adattata benissimo a Levante, doveva solo aiutarla a inserirsi nella comunità del villaggio ai piedi del monte Ariun, sapeva che per gli uomini era di fondamentale importanza far parte di un gruppo. Dopo essersi goduto per un po’ la vista dall’alto decise di tornare dalla sua Ascendente, la trovò con facilità, seduta a terra che scribacchiava sul suolo con un bastoncino.
Si era appena incamminato nella sua direzione che fu fermato da una voce calda. Una donna di mezza età lo guardava sorridente, disse qualcosa in ponentese. Il ragazzo scosse il capo alzando le spalle, sperava che la donna capisse che non avevano modo di comunicare. Lei gli fece cenno di entrare in una delle case e lui accettò piegando il capo per attraversare la soglia. Era una stanza buia, ma i suoi occhi di Drago non ebbero difficoltà a vedere cosa succedeva all’interno. Una bimbetta giocava seduta su un tappeto, i capelli impolverati e la voce trillante. Tseren non riusciva a capire se fossero frasi di senso compiuto o suoni senza senso, ma la risata cristallina era talmente contagiosa che si ritrovò a sorridere. Una montagna di panni era adagiata sul tavolo e la donna che lo aveva invitato a entrare sparì lì dietro. Poco dopo riemerse stringendo in mano due grossi bicchieri colmi di un liquido rosato e li allungò nella sua direzione. Il ragazzo si era abituato a ricevere viveri dagli sconosciuti, era successo molto spesso nel corso del suo viaggio da Levante a Ponente e così non si sorprese di quel gesto ospitale.
La donna fece cenno col capo alla finestra aperta e Tseren vide che Agata era esattamente sulla visuale che si aveva dalla stanza. Probabilmente la ponentina aveva notato che la ragazza era rimasta seduta lì davanti a lungo e voleva mandarle una bibita rinfrescante. Tseren ringraziò in ponentese, ‘grazie’ era una delle poche parole che conosceva, e uscì all’aperto.
 
Agata fu felice di mandare giù qualcosa di fresco. Andò subito a ringraziare la donna che abitava lì di fronte e l’altra le strinse affettuosamente la mano, in quel momento la ragazza ebbe la certezza che l’avesse vista piangere. Chiese qualche provvista in cambio dei pochi soldi che le rimanevano, ma la ponentina non volle accettare il denaro. Spiegò loro che esisteva una via che congiungeva il villaggio con un’oasi più grande, dove era facile trovare lavoro.
“Come facciamo a orientarci?” chiese la ragazza.
“Basta seguire il letto del fiume a partire da laggiù, nonostante in questa stagione è solo un filo d'acqua è abbastanza visibile e facile da seguire…” spiegò l’altra. “Sono necessarie circa un paio d’ore per raggiungere l’altra oasi…”.
I due ragazzi ringraziarono ancora e si incamminarono nel deserto, un panno bagnato sulla bocca per evitare di respirare il pulviscolo.


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Capitolo 22
*** Ponente, 5 anni e 358 giorni fa – In cerca di un lavoro ***


CAPITOLO 21
 
PONENTE, 5 ANNI E 358 GIORNI FA – In cerca di un lavoro

 

Il deserto polveroso era una lingua arida che attraversava l’entroterra di Ponente. Lungo l’unico fiume erano sorte oasi di medio piccole dimensioni. Tre erano grandi abbastanza da veder riconosciuta la loro esistenza sulle mappe, le altre quarantuno contavano in media dalle cinque alle quindici case e non avevano granché da raccontare di se stesse al resto del mondo.
Dopo poco più di due ore di cammino, Agata e Tseren videro in lontananza una macchia verde, proprio nel punto in cui il fiumiciattolo si ingrossava. La ragazza sapeva che la gente di quella zona si dedicava principalmente a due attività, il trasporto di persone e merci da un’oasi all’altra e l’estrazione di fossili. Il deserto di Ponente era la parte del continente in cui si presupponeva fosse nata la civiltà, perlomeno questa era la teoria più diffusa, comprovata da ritrovamenti archeologici di vario tipo. C’erano talmente tanti fossili, sepolti a circa otto metri di profondità, che negli ultimi anni si era creata una vera e propria domanda di mercato. I ricchi, tanto di Ponente quanto di Levante, erano disposti a pagare profumatamente per un reperto risalente agli albori della razza umana. Le oasi non si erano lasciate sfuggire l’occasione di agguantare uno stile di vita migliore. Da quando era esplosa la ‘corsa ai fossili’, la gente poteva permettersi di spostarsi con mezzi di trasporto trainati da animali invece che a piedi, e sulle tavole erano comparsi cibi pregiati come i chicchi di riso viola ripieni di linfa o i polipetti a più teste. Cose che per le altre zone di Ponente erano all’ordine del giorno.
Il risultato era però che il deserto si era riempito di buche. Non appena veniva individuato un luogo promettente, si cominciava a scavare fosse grandi abbastanza da permettere la discesa di una o due persone. Questo era uno dei motivi per cui la polvere, da sempre un tratto caratteristico del deserto, era divenuta onnipresente.
 
Agata e Tseren raggiunsero l’oasi che il sole era ancora alto nel cielo e cominciarono subito a cercare lavoro.
“Mi stai dicendo che devo scegliere tra cavalcare degli animali per portare pacchi in giro per il deserto oppure trascorrere la giornata sottoterra alla ricerca di pietre?” chiese Tseren perplesso. Agata annuì.
“C’è un motivo se nessuno vuole lavorare da queste parti…” precisò la ragazza.
Tseren si dondolava da un piede all’altro.
“La prima possibilità è fuori discussione… gli animali mi stanno alla larga e non ho intenzione di cavalcare un’altra creatura, visto che a mia volta detesto l’idea che un essere umano cavalchi la mia forma di drago…” gli occhi blu si accesero di fastidio al solo pensiero.
Agata si ricordò che Tseren gli aveva detto che amava stare in alto, infatti approfittava di qualsiasi occasione per arrampicarsi su qualche tetto o albero. Anche l’attività di scavatore, lontano dal cielo, doveva sembrargli una tortura.
Ora che il Drago aveva condiviso con lei il suo disprezzo per il fatto che gli uomini usassero con tanta leggerezza le altre creature come mezzi di trasporto, si sentiva piuttosto a disagio a scegliere il lavoro di fattorino del deserto. Anche se l’idea di calarsi a parecchi metri di profondità nel suolo era alquanto angosciante.
 
“Ho finito proprio oggi di scavare una buca grande abbastanza per due persone della vostra taglia… il salario è quanto offro agli altri scavatori che lavorano per me, più un bonus se superate una certa quantità di ritrovamenti a settimana… vi interessa?” disse loro un ponentino sovrappeso allungando un contratto. Agata sbirciò le cifre che l’uomo aveva scarabocchiato sulla bozza del documento. Cercava di non far cadere l’occhio sulla pancia pelosa che trasbordava da sotto la maglietta di tela, era uno spettacolo raccapricciante. Il piccolo impresario era a capo di un gruppo di scavatori e si era avvicinato non appena aveva capito che i due nuovi arrivati erano alla ricerca di un lavoro.
“Il contratto si rinnova di due settimane in due settimane. La maggior parte dei lavoratori non resiste troppi giorni di fila…” ridacchiò, anche se c’era poco da ridere.
Due settimane era un intervallo di tempo perfetto e con i guadagni sarebbero riusciti ad assicurarsi un biglietto per volare sulle montagne. Agata aveva sentito dire che gli stipendi per il lavoro di scavatore del deserto erano da capogiro, ma quando aveva visto quelle cifre con i propri occhi, era a malapena riuscita a trattenere un’esclamazione di stupore. Il salario di una settimana di lavoro equivaleva a quanto i suoi genitori accumulavano in tre mesi di pesca.
 
Trovarono un posto letto presso la locanda più grande dell’oasi, occupata unicamente da scavatori. Dal momento che la maggior parte erano uomini, le poche ragazze ospiti dormivano nella stanza della figlia adolescente dei proprietari, il locale più spazioso del pianoterra. La ragazzina era vivace e saccente, abituata alla compagnia rude degli scavatori aveva imparato a controbattere ai loro scherzi. Agata pensò che il suo modo di fare le ricordava Saba, una delle compagne di dormitorio, ma al contrario di quest’ultima Prima, questo era il suo nome, amava studiare. Lei e Agata legarono fin da subito proprio per questo motivo.
Le coppie che volevano dormire insieme si sistemavano in tende di paglia nello spiazzo dietro la casa. Non appena si fece buio il cortile si illuminò, le luci filtravano attraversò le pareti delle tende, in contrasto con l’oscurità fitta del deserto. Nonostante il fiume scorresse proprio lì vicino, non si sentiva lo scrosciare tipico dell’acqua, forse perché la portata era debole forse perché il deserto polveroso aveva un modo misterioso di ovattare i rumori.
 
La comunità degli scavatori del deserto era talmente variegata, che Tseren quasi passava inosservato. Nessun domanda curiosa sul suo sguardo inusuale, c’erano altri levantini dagli occhi a mandorla e per quanto nessuno li avesse di quel colore, era probabilmente considerato solo un altro tratto esotico.
Così come aveva imparato la terminologia tecnica per pescare, Tseren cominciò fin da subito ad afferrare alcuni dei termini propri del lavoro da scavatore. Mentre Agata era una mente teorica, che amava imparare le regole e usarle per decodificare la realtà, Tseren viveva nel presente fatto di azioni e reazioni, era uno di quelli spiriti attrezzati con le caratteristiche per sopravvivere in qualsiasi contesto. Agata lo osservava interagire amichevolmente con gli altri scavatori e pensò che se proprio doveva passare il resto della sua vita con una persona, era contenta che fosse una persona tanto interessante. 

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Capitolo 23
*** Ponente, 5 anni e 351 giorni fa – Gli scavatori del deserto ***


CAPITOLO 22

PONENTE, 5 ANNI E 351 GIORNI FA – Gli scavatori del deserto

 

La prima giornata di lavoro era stata traumatica per entrambi. Si erano calati con una corda in una buca del diametro di neanche un metro e mezzo. La roccia era friabile e gli scavatori utilizzavano un picchetto e un pennello di pelo ruvido per frantumare delicatamente la roccia e pulire i fossili. I detriti andavano raccolti in un pesante secchio di legno che una volta pieno svuotavano in superficie. La cavità era illuminata da una lampada a olio appesa alla corda. L’aria era rarefatta e di un’umidità gelida, ma Agata, al contrario degli altri scavatori, indossava solo una maglia smanicata, perché lavorare vicino a Tseren era come stare accanto a una stufa. Le prime due ore erano state alquanto imbarazzanti per la ragazza, per via della prossimità. In quello spazio angusto era impossibile non sfiorarsi. Agata sobbalzava ogni volta che lui la urtava, ma al tempo stesso era lei a cercare il contatto se passavano troppo tempo senza toccarsi. Dopo un po’ i due decisero che la posizione più comoda per lavorare era schiena contro schiena. Agata poteva sentire le scapole di lui alzarsi e abbassarsi a ogni respiro. Quelle scapole da cui, la settimana di luna nuova, spuntavano un paio di ali artigliate.
Dopo solo una giornata, Agata si era abituata al ritmo di lui. E nonostante il tipo di lavoro fosse disumano, la ragazza fremeva per quelle ore di intimità forzata con il levantino.
Tseren si sobbarcava le attività più faticose, era lui a fare su e giù per issare il secchio pieno di scarti o perforare con forza le rocce più dure. Quando trovavano un fossile, Agata si occupava di rimuoverlo delicatamente e pulirlo. Lo riponeva poi con cura in un sacchetto che teneva appeso alla vita e che il capo passava a ritirare due volte al giorno, durante la pausa di metà giornata e a fine turno.
Era loro permesso interrompere il lavoro per pranzare. I due ragazzi si sedevano sul bordo della buca e divoravano le focacce di frumento e le strisce di carne essiccata che ricevevano quotidianamente dalla proprietaria della locanda dove alloggiavano. Per quanto amasse trascorrere quei pochi minuti in superficie, dopo le lunghe ore sottoterra, Agata era diventata presto intollerante a tutta quella polvere. Se la sentiva in bocca quando masticava, negli occhi dall’istante in cui gli apriva ogni mattina, tra i capelli e sui polpastrelli delle dita costantemente. Non sopportava inoltre non potersi lavare quando voleva, ma solo durante il suo turno ogni due giorni. Non c’era molta acqua disponibile nell’oasi e nonostante gli scavatori avessero il diritto a sciacquarsi più frequentemente degli altri, Agata detestava dover andare a letto completamente coperta di polvere un giorno sì e uno no.
 
Un giorno che la ragazza sembrava più esasperata del solito, Tseren decise di mostrarle il suo posto preferito. Il Drago aveva trovato un punto sul fiume dove alcuni alberi malnutriti si alzavano timidamente verso il cielo. Tseren prese ad arrampicarsi su quello più alto e si volto per tendere la mano ad Agata. Lei lo guardò titubante.
“Non-non sono molto agile…” balbettò.
“Lo so” ghignò lui, “ma io lo sono per due…” e allungò la mano insistentemente.
La ragazza strinse la presa e salì ramo dopo ramo ripercorrendo i passi di lui. Un paio di volte rischiò di scivolare, ma Tseren la teneva saldamente. La fece sedere a cavalcioni su uno dei rami più robusti, mentre lui salì fino in cima. Era una giornata senza vento e la polvere non raggiungeva quell’altezza. Agata respirò a pieni polmoni, per la prima volta da quando erano arrivati. Inspirò ed espirò finché non fu sazia di quell’aria pulita. Tseren la lasciò respirare in tutta tranquillità e si pentì di non averla portata lì prima; per quanto la ragazza non si lamentasse spesso, quello stile di vita era piuttosto faticoso persino per lui, che aveva una forza fisica di molto superiore.
 
Il momento della giornata che Agata preferiva era la sera. Il deserto polveroso di Ponente era probabilmente l’area più multietnica dei due continenti. La voce dei sostanziosi guadagni derivanti dalla ‘corsa ai fossili’ si era diffusa e aveva richiamato levantini e ponentini dallo spirito imprenditoriale o dall’appetito vorace per soldi veloci. Il risultato era un calderone di culture e personalità variegate. Un contesto di questo tipo era perfetto per le aspirazioni di mediatrice culturale di Agata, che cercava di chiacchierare con più persone possibili. In quei giorni scoprì una serie di cose interessanti sulla Setta degli Audaci e si rese conto di come la versione dei fatti che giungeva tramite i canali ufficiali tra Ponente e Levante era ben lontana dalla realtà. Il governo di Levante non aveva mai avuto veramente il controllo del continente, ma negli ultimi anni si era fatto ancora più debole e in alcune zone aveva perso qualsiasi tipo di influenza. La zona costiera era stabilmente sotto il dominio della Setta, mentre la zona paludosa risentiva fortemente della presenza massiccia di cantieri della Setta, così venivano chiamate le sedi, e l’opinione generale era che presto le mire sulle altre zone di Levante sarebbero venute allo scoperto.
La maggior parte dei levantini con cui Agata ebbe l’occasione di scambiare due chiacchiere non aveva un parere positivo sulla Setta degli Audaci, la ragazza percepiva come un sottofondo di paura. Nessuno voleva ammettere di essere spaventato da quello che accadeva dietro le porte chiuse dei cantieri, ma il sentimento emergeva di tanto in tanto dietro ai pareri politici e le considerazioni razionali.
Altrettanto confusi erano i pareri sulla Fondazione Scientifica Internazionale, Agata si stupì del fatto che nonostante la FSI fosse nata e cresciuta a Levante, la gente dell’altro continente sapesse così poco a riguardo. Era come un’isola avvolta in una nebbia di oscurantismo e la ragazza si ritrovò a pensare che le masse di Levante fossero volutamente mantenute nell’ignoranza.
 
Più di uno scavatore ronzava intorno ad Agata, non c’erano molte donne alla locanda e la ragazza, con il suo modo di fare distaccato ma al tempo stesso socievole, e una freschezza data da una femminilità non costruita, riscuoteva un certo successo tra le file dei lavoratori. Così come era accaduto alla festa di fine anno, Tseren non sembrava amare il fatto che altri uomini prendessero confidenza con Agata, ma la ragazza non era sicura si trattasse di gelosia. Le sembrava più un meccanismo di difesa dovuto al fatto che il Drago non voleva che qualcuno si inserisse nel legame con la propria Ascendente.
“Ma non è un po’ troppo protettivo? Pensavo foste parenti…” disse una sera Cirino, uno degli scavatori con cui Agata trascorreva più tempo.
“Sì, siamo lontani parenti” confermò la ragazza.
“Eppure c’è come una vibrazione tra voi due!” Prima era entrata nella conversazione con non curanza. “Sei sicura Aghi? Quindi sono libera di provarci con Tseren? Non ho mai visto un ragazzo così attraente… saranno quegli occhi blu… avete notato che è come se avesse degli schizzi ambrati? È da togliere il fiato…” e la ragazzina chiuse con uno scatto il libro che stava leggendo e cominciò a cercare il levantino tra la folla. Senza aspettare la risposta di Agata, appena lo ebbe individuato si precipitò a raggiungerlo.
Agata si mangiucchiò un’unghia vedendola prendere Tseren sottobraccio, ma se ne pentì immediatamente sentendo il sapore acre della polvere in bocca. Cirino le porse un bicchiere d’acqua non appena cominciò a tossicchiare.
“Non so cosa intende con vibrazione…” ghignò lo scavatore, “ma sono d’accordo, c’è qualcosa che non torna…”.
Tseren si liberò subito dalla stretta di Prima, guardò nella loro direzione e incenerì con lo sguardo Cirino. Agata sospirò perché era più o meno la stessa scena che si ripeteva ogni sera da una settimana a quella parte. Ringraziò l’altro ragazzo per l’acqua e prese in mano il libro che Prima stava leggendo poco prima.

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Capitolo 24
*** Ponente, 5 anni e 339 giorni fa – Navigazione sul canale ***


CAPITOLO 23
 
PONENTE, 5 ANNI E 339 GIORNI FA – Navigazione sul canale

 
 
L’ultimo giorno della settimana di luna piena, Agata e Tseren lasciarono l’oasi dove avevano vissuto per due settimane. Agata aveva raccolto i nomi e le origini di una ventina di scavatori. Erano le persone con cui aveva avuto modo di chiacchierare nel corso delle serate sotto le stelle, seduti alla tavola imbandita nel patio della locanda o attorno ai falò lungo il sottile fiume del deserto. Per quanto la ragazza sapeva che probabilmente non li avrebbe mai più rivisti, le piaceva l’idea di conservare un diario di viaggio che le permettesse di mantenere vivi i ricordi. Aveva aggiunto una frase, un aneddoto, qualsiasi cosa ritenesse sufficiente a richiamare alla memoria una determinata persona.
Dal momento che Tseren non voleva essere trasportato da animali, si incamminarono nel deserto a piedi, sperando di raggiungere entro il tramonto una località di periferia, dove sarebbe stato più facile trovare una diligenza. Agata aveva fatto un paio di conti ed era giunta alla conclusione che l’unico aeromobile che potevano permettersi per attraversare le montagne era una mongolfiera. Le mongolfiere erano un mezzo di trasporto economico, ma quasi in disuso, perché particolarmente pericoloso. C’era un solo porto di mongolfiere a Ponente, molto vicino alla catena montuosa e se volevano arrivare entro la prossima luna nuova dovevano trovare il modo di raggiungere la località nel giro di una settimana.
Agata provò a sondare nuovamente il terreno con Tseren, sarebbe stato tutto più facile se il ragazzo avesse acconsentito a spostarsi con un mezzo trainato da animali.
“Non se ne parla, a meno che non siano rettili… con i rettili è diverso perché ho modo di capire se sono d’accordo o meno…” spiegò il ragazzo.
Un lampo d’ilarità attraversò lo sguardo dell’Ascendente. Si ricordò di quanto gran parte delle affermazioni di Tseren le parevano senza senso.
“Non penso sia facile trovare un carro trainato da coccodrilli!” esclamò la ragazza.
“E un’imbarcazione trainata da coccodrilli?” rispose Tseren alzando le spalle. Era serio e così la ragazza tirò fuori la cartina di Ponente. C’era un corso d’acqua di medie dimensioni che passava vicino al porto delle mongolfiere. La ragazza appoggiò il dito sulla striscia verde e seguì il suo percorso finché non raggiunse una zona a circa cinque ore di cammino dall’oasi dove erano diretti. Avrebbero potuto trascorrere la notte lì e ripartire la mattina presto.
“Certo non so se ci sono coccodrilli o serpenti in questo fiume…” rifletté la ragazza.
“Mi sono imbattuto in rettili in tutti i corsi d’acqua che ho incrociato nel viaggio d’andata… sia quelli in movimento sia questi strani fiumi fermi che attraversano i campi coltivati… secondo me vale la pena fare un tentativo…” rispose lui.
Agata intuì che con ‘fiumi fermi’, Tseren si riferiva ai canali, in cui il movimento dell’acqua era quasi impercettibile. La ragazza era convinta che la soluzione migliore fosse prendere un mezzo di terra per raggiungere il porto delle mongolfiere, ma era la prima volta che il Drago proponeva qualcosa da quando erano partiti, e pensò che le piaceva l’idea di cominciare a prendere le decisioni insieme.
 
Quando finalmente giunsero nell’oasi ai confini del deserto era già notte fonda, si accamparono nel cortile della prima locanda che incontrarono. Il proprietario indicò loro l’unica tenda rimasta e si fece subito pagare per paura che i ragazzi tagliassero la corda nel giro di qualche ora, una pratica alquanto diffusa da quelle parti. Agata si infilo nella tenda e si sdraiò sull’unica stola, era distrutta e a malapena riusciva a tenere gli occhi aperti. Dopo essersi affacciato e aver verificato che c’era spazio a malapena per una persona, il ragazzo Drago disse che avrebbe cercato un albero sui cui coricarsi. Dal momento che amava dormire appollaiato sugli alberi, Agata non si sentì troppo in colpa e cadde istantaneamente in un sonno profondo.
 
Il canale che avevano individuato sulla mappa era troppo piccolo per essere navigato. I due ragazzi decisero comunque di seguirne il corso sperando che si congiungesse a un corso dalla portata maggiore. Divisero il contenuto di una scatoletta di carne trita mista a mais verde, chiacchierando dell’esperienza di lavoro nel deserto polveroso. Tseren spiegò ad Agata che non aveva mai lavorato prima, mentre la ragazza condivise con lui come non si ricordava un periodo della propria vita in cui non avesse fatto qualche lavoretto per arrotondare i guadagni della famiglia. Aveva cominciato ad aiutare quando aveva appena sette anni.
A un certo punto Tseren afferrò un bastone e con uno scatto entrò nel canale finché l’acqua non gli raggiunse i polpacci. La ragazza lo vide armeggiare con il ramo finché un alligatore lungo appena un metro non emerse dall’acquitrino, i denti stretti in una morsa attorno al legno.
Agata indietreggiò, non amava i coccodrilli e seppure questo fosse di taglia piccola, i dentini aguzzi la intimidivano abbastanza.
“Ce ne sono altri?” chiese sperando in una risposta negativa.
“Non in questo punto…” rispose il Drago.
Ripresero il cammino e il coccodrillo nuotava nel canale al loro fianco, emergendo di tanto in tanto. Dopo qualche chilometro la compagnia si era allargata, ora erano quattro gli alligatori che li seguivano, uno dei quali lungo quasi tre metri.
Agata non poteva fare a meno di buttare in continuazione l’occhio sui compagni di viaggio, chiedendosi se c’era un numero massimo di creature che Tseren poteva controllare. Quando perse il conto del numero degli animali che li accompagnavano decise che era arrivato il momento di porre quell’interrogativo direttamente al ragazzo.
“Non credo ci sia un limite…” riflettè lui. Quel ‘credo’ non era molto rassicurante.
Il canale usci dai campi coltivati e prese a inerpicarsi in un fitto boschetto. Gradualmente perse l’aspetto di canale e divenne prima un acquitrino e poi un fiumiciattolo marrone. I coccodrilli risalivano il corso d’acqua con facilità. I piedi cominciavano a farle male, per la prima volta nella sua vita Agata rimpianse di non aver dato ascolto a Holly Dee sul tema attività fisica. L’amica aveva cercato di convincerla in tutti i modi che passare le giornate china sui libri non era sano per la loro età. Ora ne stava pagando le conseguenze, ogni singola parte del suo corpo, dai piedi ai muscoli della schiena, la supplicava di fermarsi per prendere fiato. L’idea di farsi trasportare dai coccodrilli le sembrava meno terrificante con il trascorrere delle ore.
Tseren sembrò leggerle i pensieri o forse si fermò perchè vide un grosso tronco di legno che galleggiava. Non ci fu bisogno di dire nulla, immediatamente un paio di coccodrilli spinsero delicatamente l’oggetto a riva.
La ragazza guardò perplessa il ceppo del diametro di una cinquantina di centimetri e si lasciò sfuggire un’esclamazione di stupore quando vide Tseren salire a cavalcioni. Aveva intenzione di navigare per giorni e giorni seduti su un tronco?!
“Facciamo una prova!” esclamò facendo cenno ad Agata di collocarsi dietro di lui.
“Ma come facciamo a stare in equilibrio?” domandò la ragazza anche se la preoccupazione più grande in quel momento era l’idea di stare con le gambe a mollo in un fiume pieno di coccodrilli.
Tseren le tese la mano, come era solito fare sempre più spesso.
“Fidati di me” e lo sguardo era così sicuro di sé che Agata si ritrovo seduta dietro di lui. Stringeva nervosamente la sua camicia, ma il ragazzo le prese le braccia e le cinse attorno al proprio busto. Agata sentì il cuore balzarle in gola e quasi non si rese conto che si erano distaccati dalla riva. Si aspettava che il ceppo si ribaltasse, e trattenne il respiro per non bere l’acqua torbida. Quello che accadde invece, fu che percepì qualcosa premerle sulle gambe tenendola in equilibrio.
Guardò atterrita le sagome degli alligatori che di tanto in tanto emergevano in superficie e si strinse con forza le braccia attorno a Tseren. Sentì il ragazzo ridere di gusto, cosa che non avveniva tanto spesso. In un’altra occasione avrebbe apprezzato il fatto che Tseren si stesse divertendo, ma in quel momento riusciva solo a stringerlo più energicamente, combattendo l’impulso di tirare le gambe fuori dall’acqua per allontanarle dai denti affilati dei rettili.
“Devi spiegarmi come fai ad avere più paura di questi coccodrilli che di me quando sono un drago!” disse in tono canzonatorio, ma non fece nulla per allentare la presa di lei.
 

*NdA*
Cari lettori & scrittori,
come avrete notato ho avuto un po’ di problemi a pubblicare in tempo. Il capitolo 23 uscirà martedì 17 Maggio, perché ho troppe cose che bollono in pentola nei prossimi giorni. Se avete voglia, mentre Tseren e Agata sono in viaggio verso il porto delle mongolfiere, mi farebbe sapere cosa ne pensate del romanzo. Chi è il vostro personaggio preferito? Qual è la parte che preferite? Cosa vorreste vedere approfondito? Preferite che pubblichi capitoli brevi tre volte a settimana o capitoli un po’ più lunghi magari due volte alla settimana?
A presto!
Elaine

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Capitolo 25
*** Ponente, 5 anni e 334 giorni fa – Il porto delle mongolfiere ***


CAPITOLO 24
 
PONENTE, 5 ANNI E 334 GIORNI FA – Il porto delle mongolfiere

 
 
La navigazione a bordo di mezzi di fortuna trainati da rettili si alternava a lunghi tratti a piedi. Il terreno era spesso talmente accidentato che persino chiacchierare costituiva una distrazione pericolosa. Si erano allontanati a tal punto dai sentieri battuti che sarebbe stato impossibile incrociare una diligenza. Man mano che si avvicinavano alla settimana di luna nuova, i sensi di drago di Tseren si facevano più acuti, sentiva meglio gli odori, udiva i suoni in lontananza e vedeva chiaramente di notte. Per quanto le rivolgesse a malapena la parola, Agata poteva percepire l’attenzione costante del ragazzo nei suoi confronti. Ogni volta che la sentiva starnutire la avvolgeva nella sua casacca, le faceva da scudo se si imbattevano in animali che non conosceva e presto Agata perse il conto delle volte che il Drago le aveva preso la mano per sorreggerla o aveva dormito al suo fianco per riscaldarla. Le temperature scendevano man mano che si avvicinavano alle montagne e la ragazza non aveva l’abbigliamento adatto. A peggiorare la situazione, i vestiti rimanevano umidi dopo le ore a mollo nell’acqua torbida del fiume che stavano cercando di risalire.
Il Drago non solo non sembrava imbarazzato dai quei momenti di intimità, ma dava l'impressione di non essere minimamente interessato al fatto che Agata fosse una ragazza. Questo la feriva, ma al tempo stesso lo spirito di sopravvivenza era talmente totalizzante che presto l’Ascendente mise a tacere la vocina che gironzolava tra i vicoli del suo cervello e decise che avrebbe affrontato in un altro momento i sentimenti che timidamente si facevano strada nel suo cuore, scatenando nel resto del corpo tutta una serie di reazioni a lei sconosciute. Arrossiva frequentemente, non trovava le parole per esprimersi con chiarezza e un vortice si apriva da qualche parte tra i polmoni e lo stomaco tutte le volte che lui le era troppo vicino.
Per quanto il sonno di Tseren fosse spesso inquieto, con il passare dei giorni, Agata ebbe l'impressione che gli incubi si erano fatti meno frequenti. Come aveva sperimentato la prima volta nella diligenza, il sonno del ragazzo Drago si calmava quando Agata gli era accanto.

Era il secondo giorno di luna nuova e un pallido e sottile spicchio di luna appariva saltuariamente dietro la foschia. Da alcune ore Agata era entrata in uno stato di trance in cui tutte le energie erano volte a combattere la stanchezza, tanto che non si accorse che da alcune ore camminavano lungo un sentiero che li aveva condotti ai limiti dalla foresta. Il fiumiciattolo si inerpicava lì vicino, da qualche parte dietro a degli arbusti colmi di bacche blu. Erano abbastanza vicini da sentire lo scroscio familiare dell’acqua che si faceva strada tra le rocce.
Nonostante avesse studiato a fondo la geografia di Ponente, Agata si trovò impreparata di fronte allo spettacolo maestoso delle montagne. Già da quella distanza riusciva a vedere i picchi più alti sparire dietro a corpose nuvole rosa. La ragazza teneva lo sguardo fisso sulla catena montuosa e fu colta alla sprovvista quando sentì qualcosa passarle sopra la testa. Alzò gli occhi al cielo e fu accecata dalla luce che brillava in pancia a una mongolfiera di medie dimensioni. La cesta ospitava quattro passeggeri e ondeggiava marcatamente, il pilota stava armeggiando freneticamente con dei sacchetti appesi al bordo.
“Vuoi attraversare le montagne su una di quelle?!” domandò Tseren esterrefatto, quel mezzo dalla forma buffa gli ispirava poca fiducia. Dove erano le ali? Come si può volare senza ali?
“Che meraviglia…” sussurrò Agata, lo sguardo fisso davanti a sé. La strada si era arrampicata su una collina e una volta in cima il panorama si era aperto su una valle immensa. C’erano mongolfiere ovunque, in partenza, in arrivo, legate a terra con spesse funi o adagiate al suolo. Ce ne erano di piccole e di grandi, alcune viaggiavano individualmente altre in flottiglia legate l’una all’altra in un complesso sistema di funi intrecciate. Erano un’esplosione di colori e Agata si sentì come ricaricata da quella vista mozzafiato. Anche Tseren era rimasto a bocca aperta, anche se come al solito sembrava più frastornato che rapito.
I ragazzi furono superati da un buon numero di carri e diligenze, ma nessuno si offrì di portarli fino al porto, forse ispiravano poca fiducia per via degli abiti incrostati di fango o forse era vero quello che si diceva dei ponentini delle montagne. La gentilezza gratuita non faceva parte del loro modo di vedere la vita.
Agata si era aspettata di essere sottoposta a un qualche controllo all’ingresso del porto delle mongolfiere, ma una volta raggiunte le cabine che incorniciavano l’entrata, vide che avevano l’aria di essere abbandonate da molto tempo. In una delle due un grasso gatto spelacchiato allattava una miriade di cuccioli.
Quello era davvero il passaggio da Ponente a Levante dove conveniva attraversare se avevi qualcosa da nascondere. I sensi di Drago di Tseren, più accesi che mai, visto che la settimana di luna nuova era già iniziata, lo misero in guardia nei confronti di parecchi individui dall’aria sospetta. Il porto delle mongolfiere di Ponente era il ritrovo di criminali che volevano oltrepassare le montagne inosservati, mercanti che trafficavano oggetti che era illegale trasportare da un continente all’altro e gente che, come Agata e Tseren, non aveva abbastanza soldi per attraversare a bordo di un velivolo più robusto o abbastanza tempo per circumnavigare.
Così come avevano fatto alla stazione delle diligenze, i due ragazzi cominciarono a informarsi su quale fosse era il prezzo medio di un biglietto.
“Non abbiamo abbastanza soldi…” sussurrò Agata proprio mentre Tseren le prendeva la mano per paura di perderla di vista.
“Magari avete qualcosa da vendere… o da impegnare… nell’angolo più a est c’è un piccolo mercato dove è possibile ricevere qualche soldo in cambio di praticamente qualsiasi cosa…” una donna che girava per il porto vendendo frutta secca aveva sentito il commento della ragazza e si era sentita chiamata a intervenire.
La ragazza fece mente locale, c’erano due cose di cui non avevano più bisogno, la cartina di Ponente e la collana che le aveva regalato Gregor. L’idea di separarsi dalla collana le dispiaceva molto, ma non vedeva altra soluzione.
Si incamminarono verso la zona che aveva indicato loro la donna, ma non avevano fatto neanche dieci metri che Tseren si fermò di colpo, tirò Agata verso di sé e afferrò il braccio di un levantino che si era avvicinato un po’ troppo ai loro bagagli.
L’uomo lasciò andare un urlo di dolore perché gli artigli del Drago gli si erano conficcati nella carne. Tseren ritrasse la mano e si frappose al ladro e alla sua Ascendente.
“Che razza di arma è questa?” l’uomo guardava le ferite sul braccio. Non sembrava essere un tipo violento, solo disonesto. Il Drago cercò di intimidirlo avanzando verso di lui e l’altro indietreggiò confuso.
“Andiamo Tseren…” disse Agata stringendogli la mano, non voleva attrarre sguardi indiscreti. Il ragazzo continuò a guardare ferocemente il borseggiatore finché questi non si fu dileguato tra la folla.
Non fu l’unico tentativo, il porto era un covo di ladruncoli che approfittavano della calca per derubare le persone che avevano l’aria di trasportare tutti i propri avere. Tseren riusciva con facilità a sventare i tentavi di furto, sia quelli maldestri che quelli più ingegnosi, non solo nei loro confronti, ma anche diretti ad altri malcapitati.
Con non poca fatica raggiunsero finalmente il mercato e Agata si avvicinò a una delle bancarelle che prendevano gioielli, aveva una chiara idea di quanto valeva la collana, ma date le circostanze dovette accettare di venderla ad appena un terzo del suo valore. Il negoziante sembrò quasi impietosito e oltre ai soldi le diede in omaggio un anello che cambiava colore a seconda della pressione atmosferica.
“Se state cercando qualcuno che vi faccia un buon prezzo per i biglietti, puntate sui piloti levantini, hanno voglia di tornarsene a casa al più presto e sono ben disposti a fare qualche sconto…” aggiunse il mercante.
I due seguirono quel consiglio e avvicinarono un pilota di Levante. Lui li squadrò dubbioso, sul suo volto si poteva leggere la curiosità. Non era comune incontrare due ragazzi così giovani, uno di Ponente e uno di Levante, talmente disperati da voler attraversare le montagne in una mongolfiera. Le mongolfiere erano un mezzo di trasporto per chi non aveva altra scelta.
“Dove volete arrivare?” chiese loro in levantese.
“Nelle vicinanze del monte Ariun” rispose Tseren deciso.
“È una zona piuttosto pericolosa, dovrò tenerne conto nel prezzo del biglietto…” disse il pilota con fare pensieroso.
“Questo è tutto ciò che abbiamo…” lo incalzò Tseren sollevando il portamonete. Gli occhi del pilota si riempirono di cupidigia al suono delle monete.
“Tseren non so… questa mongolfiera mi sembra un po’ piccola…” intervenne la ragazza, sperava che fingendosi in disaccordo avrebbero spinto il pilota ad accettare più in fretta. Dopo circa dieci minuti che discutevano, la strategia sembrò finalmente funzionare e il conducente si convinse.
“Si parte domani all’alba, potete accamparvi qui…” disse accennando a un falò attorno al quale sedevano un gruppo alquanto stravagante di persone.

*NdA*
Cari lettori & scrittori,
sto avendo un po' di problemi a scrivere e pubblicare con regolarità, e temo sarà così ancora per un mesetto. Farò del mio meglio per mantenere le scadenze, ma i prossimi capitoli potrebbero uscire con un po' in ritardo.
A presto!
Elaine

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Capitolo 26
*** Ponente, 5 anni e 333 giorni fa – I viaggiatori attorno al fuoco ***


CAPITOLO 25
 
PONENTE, 5 ANNI E 333 GIORNI FA – I viaggiatori attorno al fuoco

 
 
Agata osservò curiosa la strana combriccola. C’era una coppia di levantini, la donna indossava l’ingombrante copricapo tipico della zona paludosa, la testa era avvolta in una fascia scura da cui partivano una quantità esagerata di piume colorate. Di certo non l’abbigliamento adatto per un viaggio in mongolfiera. Eppure andare in giro senza copricapo, se si era di un ceto elevato, era considerato di cattivo gusto. Anche il compagno mostrava con orgoglio i segni della sua condizione nobile, la parte superiore degli stivali, che arrivavano quasi all’inguine, era costellata di pietre preziose. Un secondo uomo, vestito anche lui con gli abiti caratteristici delle paludi di Levante sedeva a un paio di metri di distanza, le mani rivolte verso il fuoco e gli occhi che scrutavano alle spalle della coppia. Agata immaginò che fosse un compagno di viaggio dei due, forse una guardia del corpo, non era verosimile che due nobili viaggiassero senza accompagnatore. Un’altra donna sedeva dalla parte opposta del cerchio. Era piccola e rotonda, il corpo avvolto in un mantello pesante, la carnagione scura e un fagottino stretto al petto. Sembrava estremamente nervosa e spostava gli occhi da una persona all’altra, come per fiutare chi dei compagni di falò potesse costituire un pericolo. Agata si rese conto che stava facendo la stessa identica cosa. C’erano tre ponentini dall’aria rude, uno dei tre aveva sputato tra le fiamme senza curarsi delle altre persone riunite attorno al fuoco. Il trio era serrato in una fitta conversazione, da quella distanza Agata poteva cogliere solo qualche parola, poiché uno dei tre aveva un vocione difficile da soffocare. L’accento dell’entroterra era contaminato dalla cadenza della costa e da qualche parola dialettale delle montagne, spia del fatto che gli uomini avevano vissuto un po’ dappertutto. La ragazza intuì che parlavano di un qualche affare andato male per colpa di un arbusto con le radici in cielo e i rami in terra’, un modo di dire delle montagne usato per descrivere le persone che non hanno la minima di idea di come si sta al mondo. C’erano altri due viaggiatori, uno steso a terra che dormiva e un ragazzo di Levante di non più di vent’anni, vestito con abiti ampi e colorati, seduto su una borsa colma all’inverosimile.
 
Anche Tseren squadrò uno a uno gli individui raccolti attorno al falò. Ebbe l’impressione che tutti avessero qualcosa da nascondere, come loro due d’altra parte. La coppia di Levante aveva l’aria di non andare molto d’accordo, la donna continuava a lamentarsi con il compagno, prima aveva male alla schiena, poi aveva fame, poi voleva dormire, poi non voleva dormire davanti a estranei, non aveva intenzione di viaggiare a meno che il tempo non fosse migliorato, voleva tornare a casa il prima possibile, era preoccupata per i figli… Il compagno rispondeva alla metà di quelle lagnanze e faceva cadere nel vuoto l’altra metà, forse consapevole del fatto che il brontolio della donna era fine a se stesso. L’uomo che viaggiava con loro aveva il fisico muscoloso e gli occhi veloci, indizi del fatto che probabilmente era un guerriero. Lo confermava il bozzo sul lato sinistro della casacca, su cui teneva adagiata una mano. Tseren si chiese quale tipo di arma avesse quella forma. Il ragazzo Drago osservò con curiosità la donna rannicchiata vicino al fuoco e i suoi sensi di drago percepirono un leggero movimento del fagotto che teneva in grembo, doveva trattarsi di un animale o di un neonato. Un piagnucolio umano confermò la seconda ipotesi. La levantina prese a dondolare il bambino per farlo addormentare di nuovo, non c’era alcuna tenerezza in quel gesto. I tre ceffi di Ponente erano chiaramente dei delinquenti, Tseren non comprendeva una sola parola della discussione, ma era certo che si trattasse di persone da cui stare alla larga. C’era poi l’uomo che dormiva a terra, per riuscire ad appisolarsi in un posto come quello doveva avere con sé niente di valore oppure essere molto molto stanco.  Infine gli occhi blu di Tseren si posarono sull’ultimo membro del circolo. Era un levantino dall’aria concitata, si alzava, camminava intorno alla propria borsa, armeggiava con i bagagli, si sedeva per qualche istante per poi scattare subito dopo in piedi.
 
Agata e Tseren si sedettero tra la donna con il bambino e il ragazzo dal vestiario multicolore, cercando di non dare troppo nell’occhio. Mancavano poche ore all’alba e provare a dormire era fuori discussione. Gli occhi di drago di Tseren vedevano chiaramente i lineamenti degli altri viaggiatori, dandogli un elemento di vantaggio nel giudicare la situazione. Agata guardava di sottecchi la levantina che viaggiava sola con un neonato, da quella posizione notò che il bambino aveva i tratti di Ponente. La donna percepì il suo sguardo curioso e avvolse meglio il piccolo nel mantello, come per nasconderlo.  Che relazione intercorreva tra i due? Perché la donna aveva deciso di sottoporre un neonato a un tipo di viaggio che era impegnativo anche per un adulto?
Non fecero in tempo ad accomodarsi vicino al focolare che il ragazzo si avvicinò, trascinando la sua pesante borsa più vicino.
“Cosa vi porta ad attraversare le montagne in mongolfiera?” domandò a bruciapelo. “Piacere il mio nome è Modeo!” aggiunse sia in levantese che in ponentese allungando la mano.
“Agata…” rispose la ragazza ricambiando il saluto.
Tseren si limitò a guardare duramente Modeo, non si presentò né strinse la mano tesa, ma diede un leggero colpetto con la spalla ad Agata, facendole cenno di scalare più verso la donna al suo fianco.
Il giovane levantino prese il gesto come una qualche manifestazione di gelosia e si allontanò un po’ per lasciare a Tseren e Agata il proprio spazio.
“Come mai avete deciso di attraversare in mongolfiera…” parlava in levantese rivolto a Tseren, per evitare di indisporlo di nuovo.
“Soldi” rispose secco l’altro. “E tu?” lo incalzò.
“Anche” un sorriso finto.
Ora che era così vicino Agata poteva vedere il suo sguardo, c’era qualcosa di buio negli occhi del ragazzo. Per quanto questi si sforzasse di sembrare gioviale e spensierato, c’era come uno strato sepolto di negatività dietro ogni occhiata.
“Due ragazzi così giovani che viaggiano verso Levante… Siete una coppia?” e aggiunse una serie di parole in ponentese. Coppia? Amici? Parenti?
“Lontani parenti” risposero in coro Tseren e Agata, ognuno nella propria lingua. Ormai era una bugia che avevano raccontato talmente tante volte che suonava più che convincente.
“Di che parte di Levante sei?” di nuovo rivolto a Tseren. “Hai fratelli o sorelle?” aggiunse.
Fratello e sorella erano delle parole che Agata aveva già imparato in levantese, pensò che era una domanda alquanto peculiare. Perché chiedere a una persona appena conosciuto se ha fratelli o sorelle?
Tseren sembrò condividere il punto di vista di Agata, infatti non si curò di rispondere alla domanda.
Il ragazzo loquace parve capire che sommergerli di interrogativi non era la strategia giusta e cominciò a raccontare qualcosa di sé. Era originario di una piccola città di Levante, uno di quei posti dove tipicamente la gente nasce e muore, mai e poi mai si sarebbe aspettato di avere l’occasione di vedere il mondo. Qualche anno prima aveva avuto la fortuna di incontrare delle persone con un punto di vista aperto e fresco, giovani come lui che volevano fare qualcosa che lasciasse un segno. L’istinto l’aveva portato a stringere con loro un legame più stretto di quello che aveva con la propria famiglia. Tanto che il gruppo era diventato la sua vera famiglia.
Più andava avanti a parlare, più il sesto senso di Tseren si faceva vigile. Il Drago non si fidava delle persone pronte a raccontare della propria vita a chiunque, non era il suo modo di rapportarsi con il prossimo. Era convinto che nessuno si apre con tanta facilità e le persone che danno l’impressione di farlo hanno un secondo fine o il bisogno di dipingere la versione che vogliono creare di sé, non la verità.
Agata capiva poco del racconto, si aggrappava alle poche parole di levantese che conosceva e le metteva insieme agli indizi in ponentese che il ragazzo gettava di tanto in tanto, per includerla nella conversazione. Le sembrava una storia di decisioni esistenziali, qualcosa che sentiva a lei vicino. Al tempo stesso, il fatto di non comprendere granché di quello che il ragazzo diceva la portò a osservare con più attenzione il linguaggio non verbale. Le vennero in aiuto le nozioni studiate nel corso Psicologia. Il levantino aveva una postura esageratamente aperta, era inclinato verso di loro e accompagnava le parole con gesti ampi e sorrisi meccanici. Lo sguardo tradiva però una spigliatezza costruita, quasi allenata. Non riusciva a sostenere le occhiate dirette di Agata e Tseren molto a lungo e spostava gli occhi dall’uno all’altra freneticamente, come se non fosse veramente interessato alle persone che aveva davanti. Ero uno sguardo pieno di fumo che nascondeva uno spirito negativo. Agata era arrivata a questa conclusione ragionando e mettendo insieme i tasselli, Tseren lo percepiva e basta.
 
Dopo quasi un’ora il ragazzo si alzò e salutando fin troppo caldamente si spostò a un altro falò. Forse era indispettito dal fatto che gli altri due non avevano voluto sbilanciarsi o erano sembrati poco curiosi nei suoi confronti. Agata lo vide sedersi da un’altra parte, nell’oscurità, mentre Tseren vide tutti i dettagli. Come aveva scelto un fuoco attorno a cui erano raccolte solo persone giovani e come aveva immediatamente attaccato bottone con due adolescenti.
Il ragazzo Drago riportò sottovoce ad Agata cosa aveva raccontato il levantino e l’Ascendente rimase a lungo assorta, c’era qualcosa che voleva prepotentemente emergere tra i suoi ricordi ma non trovava la giusta via.
L’alba arrivò improvvisa, un momento il cielo era pesto, il momento dopo si era rischiarato, pennellate pastello schizzavano le montagne.
“Pronti per partire?” il loro pilota sembrava riposato.
I due ragazzi non se lo fecero ripetere due volte e lo seguirono fino alla mongolfiera, che con la luce del giorno sembrava ancora più malandata. Tseren saltò agilmente nella cesta, senza neanche usare la scaletta che il conducente aveva preparato per loro. Il Drago aiutò Agata a liberarsi della sacca zaino e a salire a bordo.
Il primo scossone del cesto ebbe l’effetto di rimescolare i pensieri della mente di Agata e quello che aveva faticosamente cercato di ricordare nelle ore precedenti emerse in tutta la sua ovvietà. Ragazzi vestiti di abiti colorati, che si atteggiano da adulti, manipolati proprio nell’età della crescita, pronti ad abbandonare la propria famiglia, convinti di poter cambiare il mondo seguendo le idee di qualcun altro...
Avevano incontrato un membro della Setta degli Audaci.

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Capitolo 27
*** Ponente, 5 anni e 331 giorni fa – La catena montuosa tra Ponente e Levante ***


CAPITOLO 26

PONENTE, 5 ANNI E 331 GIORNI FA – La catena montuosa tra Ponente e Levante

 
Il pilota aveva mollato le spesse cime che legavano la mongolfiera al suolo. Agata si era sporta per guardare il porto diventare sempre più piccolo, fino a sembrare come un foglio increspato punteggiato di segni colorati. Era la prima volta che volava e la sensazione istantanea che provò fu un'improvvisa pace interiore. I dubbi che l'avevano torturata per giorni furono avviluppati dalle nuvole fino a divenire un ricordo lontano, lontano come era la terra in quel momento. Non appena raggiunsero una certa altitudine, il conducente porse loro delle coperte di pelle di orso dei ghiacci, uno dei tessuti più caldi dei due continenti.
Tseren fece un cenno col capo, come a dire che non ne aveva bisogno. Era la prima volta che Agata posava lo sguardo sul ragazzo Drago da quando erano partiti, a tal punto era stata rapita dal panorama. Tseren era felice, l'aria era chiaramente il suo elemento. Sembrava voler saltare nel vuoto da un momento all'altro, tanto che il pilota lo osservava di sottecchi preoccupato. Il vento gli spettinava i capelli scuri, dandogli un aspetto ancora più selvatico.
Al tramonto l'uomo riempì la cesta di cuscini gonfiabili. Dal momento che non c'era abbastanza spazio per sdraiarsi, la notte dormivano seduti in mezzo alle borse e ai cuscini. Ad Agata sembrava una sistemazione di gran lungo più comoda della terra fredda su cui avevano riposato nel corso del viaggio lungo il fiume. Tseren non aveva ovviamente bisogno della sua coperta, l'Ascendente poteva quindi utilizzarle entrambe e non soffrì mai il freddo, nonostante le temperature toccassero picchi ben al di sotto dello zero.
Erano in volo da tre giorni pieni, le giornate trascorrevano lente e silenziose. Il frastuono delle voci del cielo e gli stridii causati dalla mongolfiera rendevano faticosa la comunicazione. Il pilota aveva preventivato altre quindici ore di volo per arrivare a destinazione. Nei momenti in cui le nuvole si diradavano, i ragazzi potevano osservare le cime innevate puntellate di qualche albero scuro.
“Non posso credere che le hai attraversate a piedi...” sussurrò Agata nell'orecchio di Tseren, una volta che erano affacciati fianco a fianco.
Il ragazzo rimase un attimo assorto, forse rivivendo i momenti più ardui di quell'avventura.
“Diciamo che ero motivato dalla disperazione... dovevo trovarti in tempo lo sai…” rispose lui, con un sorriso triste.
 
Nel cuore della terza notte, Agata fu svegliata da un rombo che parve durare secondi interminabili. Quasi contemporaneamente una secchiata d’acqua gelida la bagnò dalla testa ai piedi. La ragazza aprì gli occhi spaesata, cercando di ricordare dove fosse. Prima che potesse mettere insieme gli elementi che la guidassero alla risposta, una raffica violenta fece ondeggiare la cesta della mongolfiera e la ragazza rotolò contro le gambe del pilota che cadde imprecando.
Tseren le fu subito accanto e la aiutò a legarsi a una delle imbracature d’emergenza, che servivano appunto a legare l’equipaggio alla mongolfiera in caso di maltempo. Tseren aveva già indossato la propria e con prontezza la legò a quella della sua Ascendente.
La pioggia continuava a picchiarli impetuosa ed era talmente fitta che la ragazza aveva l’impressione di annegare. Ogniqualvolta apriva la bocca per respirare era costretta a sputare fuori l’acqua che vi entrava senza pietà.
Tseren non temeva per la propria vita, ma per quella dell’Ascendente. Aveva vissuto situazioni ben più rischiose di quella e sapeva che il suo colpo di Drago era fatto per resistere alla forza bruta della natura. Al contrario di quello delicato della ragazza da cui dipendeva il corso che avrebbe preso il resto della sua vita. Da un lato un’esistenza centenaria tranquilla, il suo segreto protetto tra i pendii del monte Ariun; dall’altro una vita solitaria con l’impossibilità di contenere la sua natura di drago, la sua metà incontrollabile assetata di distruzione. Il ragazzo strinse Agata a sé e appoggiò il capo di lei sul proprio petto.
Agata stringeva con forza le corde di cui era composta l’imbracatura di Tseren, anche in quel momento in cui rischiava di morire, il suo cervello continuava a macinare senza sosta. Tenersi stretta a lui invece che alla cesta non era razionalmente la scelta giusta. Era chiaro che la decisione più sicura era evitare a tutti i costi di venire catapultati fuori dall’abitacolo, eppure l’istinto la portava a non staccarsi dal Drago. Per nulla al mondo poteva separarsi da Tseren.
Il lampo successivo illuminò il cielo e i due ragazzi si accorsero che avevano perso quota. Erano pericolosamente vicini alle montagne e la pioggia si era trasformata in nevischio.
“Dobbiamo tornare indietro!” il vento spinse la voce del conducente fino alle orecchie di drago di Tseren.
“NO!” gridò lui in riposta “Non possiamo tornare indietro!”
“Non abbiamo scelta, proseguendo in quella direzione rischiamo di finire direttamente nel vortice della tempesta, dove si frangono i fronti!”.
Tseren sapeva che non potevano permettersi di tornare indietro, mancavano solo due giorni alla fine della settimana di luna nuova e non poteva rischiare di affrontare la traversata senza il vantaggio di potersi trasformare in drago. In caso di pericolo non sarebbe stato in grado di proteggere la sua Ascendente.
“Ho detto di no!” gridò ancora. “NO!” ripeté in ponentese.
“La decisione è mia, sono io che guido questa mongolfiera” e il pilota prese a trafficare con gli strumenti che servivano a governare la mongolfiera.
“Facci scendere qui!” gridò Tseren mentre l’ennesimo scossone fece volare i cuscini gonfiabili fuori dal cesto.
“Ma sei impazzito? Vuoi che vi faccia scendere nel bel mezzo della catena montuosa? Non so neanche dove siamo, potremmo aver già varcato il confine con Levante!”
Tseren si avvicinò minaccioso alla postazione di comando della mongolfiera, trascinando Agata con sé. La ragazza si chiese se avesse capito bene, il ragazzo aveva per caso chiesto di essere lasciato lì? Nel mezzo del nulla?
“HO DETTO DI FARCI SCENDERE QUI!” e tirati fuori gli artigli, il Drago prese ad armeggiare con i comandi. La mongolfiera ondeggiò violentemente, fuori controllo.
“TU SEI MATTO!” gridò il pilota. “Vuoi morire qui?! E va bene! Ma non ho la minima intenzione di accompagnarti nell’aldilà”.
L’uomo riprese la guida della mongolfiera e la fece discendere verso un pendio innevato.
“Vuoi scendere? E allora scendi!” continuava a gridare, ormai fuori controllo. Con rabbia afferrò le borse dei due ragazzi e le scaravento fuori bordo.
Agata non riusciva a seguire la conversazione per via delle urla del vento e poiché i due parlavano in levantese. Era certa che Tseren avesse chiesto di scendere e la reazione furiosa del conducente le fece intuire che dopo essersi opposto, l’uomo aveva infine accettato di condannarli a quella che ai suoi occhi doveva sembrare una morte certa. Non poteva sapere che Tseren era già sopravvissuto ai pericoli di quelle montagne.  
Nel momento in cui la mongolfiera scese di nuovo verso la distesa innevata, Tseren usò con prontezza i suoi artigli per tagliare le corde che li legavano alla cesta e salì in piedi sul bordo.
L’ultima cosa che vide Agata, prima di cadere nel vuoto, fu la faccia atterrita del pilota. Quella vicenda l’avrebbe probabilmente perseguitato per sempre.
La ragazza non era riuscita a stimare l’altezza da cui si erano tuffati, doveva essere almeno una decina di metri. Si strinse ancora di più a Tseren e chiuse gli occhi. Stranamente non aveva paura, sapeva che il ragazzo Drago l’avrebbe protetta.
L’impatto fu attutito dal corpo di Tseren. Il ragazzo non ebbe problemi ad atterrare su un ginocchio, nonostante la violenza del vento e il nevischio che pungeva loro la pelle.
Agata si sentiva congelare, era completamente bagnata e il freddo le faceva gelare i vestiti addosso. Tseren li liberò delle corde e recuperò una delle due borse, la ragazza sperò che fosse la sua, sarebbe stato un peccato aver perso la mappa di Levante. Fortunatamente una delle coperte di pelle di orso era caduta con loro e il ragazzo la avvolse attorno ad Agata, la cosa non parve cambiare la situazione. La ragazza batteva i denti in modo incontrollato e aveva le labbra e le mani viola. Si infilò anche lui nella coperta e prese la sua Ascendente sulle spalle. Agata si avvinghiò con gambe e braccia a lui, attratta dal calore che bruciava nel suo petto.
Dopo un tratto che parve interminabile i due ragazzi si trovarono di fronte a un muro di neve alto un paio di metri e spesso almeno cinque. Il ragazzo Drago posò delicatamente Agata a terra e cominciò a scavare freneticamente nella neve.
Agata lottava per rimanere sveglia, non aveva mai sentito tanto freddo in vita sua. Pensò alla sua famiglia, i fratellini che si rotolavano sulla sabbia, i genitori che scendevano dalla barca con le reti piene di pesci, gli occhi colmi di stanchezza mista a serenità, le zuppe calde che preparava sua nonna, le ore trascorse con la zia a ripetere quello che aveva imparato a lezione. Pensò alle sue compagne di dormitorio, Holly Dee, la persona che la conosceva meglio al mondo, Giuditta e i suoi vestiti sempre perfetti, Kanzi che prendeva la matita da dietro l’orecchio per appuntarsi chissà cosa, le freddure di Anika…
Tseren le era di nuovo accanto.
“Non chiudere gli occhi, Agata, non chiudere gli occhi…” le ripeteva. Chiudere gli occhi era proprio quello che desiderava di più in quel momento. Il ragazzo la trascinò nella neve fin dentro la buca che aveva scavato nel muro di ghiaccio. Aveva creato un abitacolo nella neve, stretto quanto la fossa in cui avevano cercato fossili per una settimana. Portò dentro anche la borsa e freneticamente prese a rovistare all’interno finché non trovò i vestiti di ricambio della ragazza. Infondo era stati fortunati a recuperare proprio quella borsa.
Aiutò Agata a liberarsi dei vestiti bagnati e indossare quelli rimasti più asciutti all’interno del bagaglio. Era buio pesto per Agata, mentre gli occhi di Tseren potevano vedere come se fosse giorno. Era il cuore della settimana di luna nuova, la luna era sparita dal cielo e i suoi sensi di drago erano all’apice delle loro potenzialità.
Una volta che fu avvolta nei vestiti asciutti, la ragazza tastò nell’oscurità per trovare Tseren e si strinse a lui, bramosa del calore che il suo corpo emanava. Lui si fece attanagliare in quell’abbraccio disperato e continuò a ripeterle che doveva rimanere sveglia.
“Mi piace la tua voce, hai una voce profonda ma al tempo stesso squillante…” rispose Agata, incapace di distinguere i pensieri dalle parole.
“Mia madre dice…” si fermò. “Mia madre diceva che la mia voce è un misto della sua voce squillante e di quella profonda di mio padre. Mia madre aveva una di quelle risate argentine che mette il buon umore solo a sentirle…”.
“Mi piacerebbe sapere qualcosa di tua madre… raccontami di lei…” disse Agata, sicura che come ogni volta che chiedeva del suo passato, il ragazzo avrebbe cambiato discorso.
E invece quella volta Tseren cominciò a raccontare.
 

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Capitolo 28
*** Levante, 6 anni e 55 giorni fa – Il primo ricordo ***


CAPITOLO 27

LEVANTE, 6 ANNI E 52 GIORNI FA – Il primo ricordo

 
Lo sciamano eremita risaliva il pendio del monte Ariun. Intuiva che il sole era appena tramontato perché le montagne si erano tinte di rosso. Il tipo di pietra di quella zona reagiva così alla fine del giorno. Indossava una lunga casacca chiara e i pantaloni infilati in largi stivali di pelle scamosciata. Stringeva in mano un ramo su cui faceva perno nei tratti più ripidi. Non c’erano sentieri battuti in quell’area, solo pietre e qualche pianta dalle radici abbastanza robuste da rimanere aggrappata al suolo. Ogni passo che faceva scivolava un po’ indietro, con il risultato che la scalata era estremamente faticosa. L’uomo percorreva quella via due volte al mese e avrebbe potuto proseguire a occhi chiusi. Aveva la barba incolta, castana con qualche chiazza grigia che incominciava a tradire l’età. Gli anni passavano, anche se lo sciamano sembrava ben più giovane di quanto lo fosse in realtà.
Il cielo era una tavolozza armoniosa e l’uomo accelerò il passo perché voleva raggiungere la casa prima che sopraggiungesse la notte. Sapeva che avrebbe trovato una tazza di zuppa calda, uno stufato di capriolo tigrato e una torta di marmellata fresca. Non gli interessava che fosse lo stesso cibo di ogni mese, il solo fatto che lei lo avesse preparato con le proprie mani faceva sì che quel pasto lo saziasse completamente.
Avrebbe voluto trascorrere più di una settimana al mese con la donna e suo figlio, ma lei aveva messo fin da subito in chiaro che non voleva confondere il ragazzo e desiderava che lo sciamano avesse l’opportunità di costruirsi una propria vita nel villaggio. L’uomo una propria vita se l’era costruita, era il guaritore più esperto della valle e talvolta veniva consultato persino per risolvere dispute relative a supposte fatture da parte di vicini invidiosi. Aveva una fama, una tenda confortevole e il piatto sempre pieno. Non aveva però trovato una donna con cui mettere su famiglia, a dire il vero non l’aveva proprio cercata. Con gli anni, il fatto che avesse scelto il celibato e sparisse frequentemente tra le montagne, gli era valso il titolo di eremita.
Eppure c’era stato un momento della sua vita in cui era certo che avrebbe messo su famiglia con lei. Mentre scarpinava su per il pendio, i ricordi richiamarono come in una catena quelli più vecchi, finché lo sciamano eremita non si soffermò sul più antico di tutti, il giorno in cui l’aveva conosciuta. Considerava quel momento il primo ricordo della sua vera vita, i sedici anni precedenti erano solo un insieme di giornate tutte uguali, seduto a un banco sgangherato della scuola o rinchiuso nella bottega di famiglia.
 
Il ragazzino odiava lavorare in bottega, detestava l’aria pesante, l’odore di colla e i continui rimproveri di suo padre. Rilegare libri era un lavoro di precisione e la testa vagante del sedicenne non riusciva a rimanere concentrata per più di qualche minuto. Il risultato era che oltre a prendersi uno scappellotto sulla nuca dopo l’altro, doveva ricominciare la stessa rilegatura decine di volte. Ogni scusa era buona per sfuggire a quell’attività tediosa. Accogliere i clienti, ritirare le consegne del postino, svuotare i secchi colmi di materiali da buttare. Alcune volte beveva una quantità spropositata di acqua solo per poter andare in continuazione al bagno. Ogni volta che riusciva a uscire all’aperto ne approfittava per godersi il clima sempre mite della zona collinare di Levante.
Fu in una di quelle fughe temporanee che fu sorpreso nel trovare tre ospiti in giardino. Erano due uomini dal fisico prestante, di cui non riusciva a determinare l’età, e una ragazza giovanissima. Ovviamente non riusciva a distogliere lo sguardo dalla fanciulla. La prima cosa che lo colpì di lei furono gli occhi, aveva degli occhi inusuali, verdi ma striati di un rosso violaceo. Tutte le persone che conosceva avevano gli occhi scuri, non aveva idea che esistessero individui con uno sguardo simile. Forse erano stranieri provenienti da Ponente, il continente al di là delle montagne di cui aveva sentito tanto parlare.
La ragazza aveva lunghi capelli scuri e abiti colorati di rosso, blu e oro. Stringeva in mano una mantellina di pelliccia, un vestiario poco adatto al clima temperato di quella zona. Il giovane continuava a guardarla con curiosità, ammirava ogni singolo dettaglio della sua figura ed espressione sul suo volto, tanto da dimenticarsi delle due persone che erano con lei.
Dopo un po’ che si fissavano in silenzio, la ragazza si avvicinò e accennò un inchino per presentarsi.
“Il mio nome è Bayarmaa, ma puoi chiamarmi Baya” disse e il ragazzo pensò che non aveva mai sentito una voce più bella, era argentina e carica di eccitazione. Non riuscì a riconoscere l’accento, ma sapeva che parlavano la stessa lingua, il levantese, scartò quindi la possibilità che la comitiva arrivasse da Ponente.
“E il tuo nome?” aggiunse lei sorridendo timidamente, visto che il ragazzo non aveva dato segni di volersi presentare.
“X..Xoán” balbettò lui.
“È un piacere conoscerti ragazzo, finalmente” uno dei due uomini aveva appoggiato una mano sulla spalla di Baya.
“Ha una faccia sveglia…” commentò l’altro.
Fu solo allora che Xoán si accorse che anche gli altri due stranieri avevano degli occhi fuori dall’ordinario, simili a quelli della ragazza. Proprio in quel momento suo padre emerse dalla soglia carico di volumi.
“Non hai sentito che ti stavo chiamando?! Scansafatiche che non…!” si fermò quando si accorse che non erano soli.
“Clienti? Da dove arrivano?” chiese pulendosi nervosamente le mani sul grembiule.
“Si!” intervenne immediatamente il figlio, mentire gli venne istintivo “Sono interessati a vedere che tipo di rilegature facciamo…”.
“Arriviamo da molto lontano, un paese tra le montagne. Abbiamo sentito dire che siete un professionista…” completò l’uomo che poco prima aveva osservato come Xoán sembrasse un ragazzo intelligente.
Il rilegatore gonfiò il petto orgoglioso e senza fare altre domande invitò i due uomini a visitare la sua bottega.
Baya rimase ferma dov’era e Xoán fece altrettanto, c’era come una forza che lo attraeva a lei. Il solo pensiero di allontanarsi lo rattristava.
“E così qui è dove sei cresciuto… è molto diverso da dove sono cresciuta io…” commentò la fanciulla.
“Mi piacerebbe vedere dove sei cresciuta… un giorno…” le parole gli sfuggirono di bocca e abbassò lo sguardo imbarazzato.
“Sono certa che ci sarà l’occasione…” e gli occhi della ragazza delle montagne si fecero pensierosi ma sicuri. E Xoán si perse di nuovo in quello sguardo verde illuminato di riflessi violacei.

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Capitolo 29
*** Levante, 6 anni e 55 giorni fa – La comunità dei Draghi ***


CAPITOLO 28

LEVANTE, 6 ANNI E 52 GIORNI FA – La comunità dei Draghi

 
I due levantini delle montagne avevano convinto il padre di Xoán che il ragazzo avrebbe potuto intraprendere l’attività di rilegatore nel loro villaggio, a quanto pare non era facile trovare un artigiano esperto da quelle parti e la domanda di volumi era in crescita. L’uomo rimase scettico finché non si accordarono su una cifra di denaro che il figlio avrebbe spedito alla bottega ogni tre mesi. Evitò accuratamente di menzionare il fatto che il giovane era negato per l’attività di famiglia.
Xoán, prima ancora di capire come mai Baya, suo padre e suo zio, volevano a tutti i costi portarlo con loro, aveva già deciso che un cambiamento di vita era proprio quello di cui aveva bisogno. Per lo meno questo era ciò che si ripeteva, la realtà era che l’idea di separarsi dalla ragazzina lo atterriva. Più tempo trascorreva con lei, più il loro rapporto si faceva stretto, quasi codipendente. Era come se Xoán riuscisse a essere se stesso solo quando le era accanto. La cosa strana era che il padre e lo zio non sembravano né stupiti né infastiditi da quell’attaccamento improvviso tra i due.
 
Una notte senza luna, Baya lo portò tra i campi d’orzo. Si sdraiarono a guardare le stelle e il ragazzo sentiva le piante solleticargli i polpacci e gli insetti notturni passeggiargli sulle sue braccia. Lei sembrava particolarmente pensierosa.
“C’è un motivo se stiamo insistendo tanto perché tu venga con noi…” esordì la ragazza nella sua voce melodiosa, “È per colpa mia… sei l’unico che può aiutarmi ad avere una vita normale…”.
Xoán capì poco di quel discorso che narrava di una razza antica che viveva nascosta tra i monti e comprese ancora meno della descrizione della forma arcana che Baya e i suoi parenti assumevano una settimana al mese. Fu sorpreso nel vedere la fanciulla allontanarsi, finché non rimase visibile solo la sagoma. Non era sicuro di cosa stesse accadendo… si stava forse togliendo i vestiti?! Si alzò in piedi confuso e indietreggiò quando vide che laddove prima poteva scorgere la figura snella e familiare di Baya c’era ora una massa informe, molto più grande, che si muoveva lentamente nella sua direzione.
Quella fu la prima delle molte volte che quella settimana Xoán vide Baya trasformata in drago. Lei era estremamente timida quando assumeva quelle sembianze e ci volle un po’ di tempo perché si facesse avvicinare. Xoán era fiero che di tante persone al mondo, fosse toccata proprio a lui la fortuna di essere l’Ascendente di una creatura tanto meravigliosa.
 
Passarono i primi cinque anni e Xoán non era diventato un rilegatore, ma parte integrante della comunità di Draghi che viveva nascosta sul monte Ariun. Il gruppo contava una trentina di Draghi adulti più i loro Ascendenti. C’erano anche una decina di bambini e ragazzini che non avevano ancora raggiunto la maggior età, il periodo di transizione era tra i venti e i venticinque anni. Baya era una di questi. Nonostante avesse appena diciassette anni, il padre aveva deciso di non perdere tempo e anticipare la ricerca del suo Ascendente, convinto che fosse più facile sradicare una persona dalla propria terra in età adolescenziale.
La rendita principale della comunità derivava dal commercio di pelli che i Draghi vendevano nei villaggi vicini. Le montagne erano piene di bestie dal pelo pregiato che gli uomini non erano in grado di cacciare. Xoán, così come gli altri Ascendenti, si occupava di coltivare le relazioni con i trafficanti cui vendevano le pellicce. Questo limitava i contatti dei Draghi con gli esseri umani, mantenendo la loro esistenza nascosta. C’erano in realtà alcune persone che erano a conoscenza del loro segreto e ogni tanto visitavano il villaggio celato tra i monti. Tra questi, Xoán aveva imparato a riconoscere i cavalli dal pelo lungo di un ricco mercante del capoluogo della zona montuosa, che tre volte l’anno veniva a trovare il padre o lo zio di Baya. Portava con sé il figlio della loro età. Tumur, questo era il nome del giovane, conosceva la ragazza Drago fin da quando erano bambini e si presentava sempre con doni esotici per lei e le altre donne della famiglia.
Dal momento che i Draghi non potevano avere fratelli o sorelle, si riferivano con i termini zio, cugino o nipote ai membri della comunità con cui avevano un legame molto stretto. Baya era particolarmente affezionata a una bambina di nome Garmaa, la piccola aveva perso la madre umana appena nata e dal momento che suo padre e il padre di Baya erano come fratelli, era cresciuta in casa loro.
 
Passarono altri dieci anni e Xoán e Baya divennero inseparabili. Quasi tutti i Draghi del villaggio avevano messo su famiglia con i propri Ascendenti e il giovane dava per scontato che sarebbe stato lo stesso per lui e la ragazza Drago di cui era innamorato da sempre. Negli ultimi mesi il loro rapporto si era fatto più intimo ed era solo una questione di tempo, l’inevitabile avrebbe fatto il suo corso.
Nel momento in cui Baya aveva raggiunto la maturità, il tempo aveva come rallentato il passo per lei e il suo Ascendente, e nonostante gli anni passassero i due non erano invecchiati di una virgola. Non era il caso di Tumur, l’età aveva cominciato a lasciare qualche segno sul suo volto, tanto che Xoán quasi non lo riconobbe quando lo vide alla cerimonia di passaggio all’età adulta di Garmaa.
Xoán si ricordava tutti i dettagli di quella giornata. Il villaggio addobbato a festa, le occhiate nervose di Garmaa al suo neo-Ascendente, i cavalli degli invitati umani che nitrivano spaventati perché legati troppo vicino al gruppo di Draghi, l’odore della carne sulla brace, il modo in cui Baya si era intrecciata i capelli. Dopo sessanta lune nuove si sentiva a casa tra quei recinti di rocce, conosceva la forma di drago di tutte le persone lì riunite e sapeva esattamente qual era il suo posto nel villaggio. Quella degli Ascendenti era una comunità nella comunità e il ragazzo si fidava ciecamente di ciascuno di loro. Le persone di cui diffidava erano gli ospiti seduti come sempre al tavolo più imbandito, a conoscenza di un segreto più grande di loro di cui non facevano veramente parte, un segreto che potevano rivelare al mondo in qualsiasi momento.
La giornata era trascorsa come ogni altra celebrazione di quel tipo e sarebbe stato tutto perfetto se, rientrato nella sua piccola tenda, Xoán non avesse trovato Baya, rannicchiata a terra e in preda a una convulsione di singhiozzi. Il giovane si era precipitato al suo fianco e lei gli aveva messo il capo in grembo continuando a piangere disperata. Si era aggrappata alla sciarpa di pelliccia avvolta attorno al collo del suo Ascendente e con fatica era riuscita ad articolare una sola frase di senso compiuto: il giorno dopo sarebbe andata in sposa a Tumur, per consolidare una volta per tutte la loro alleanza con gli uomini.
 
Lo sciamano eremita si sorprese del fatto che Tseren non gli fosse andato incontro come ogni mese. Il ragazzo trascorreva molto tempo solo e i momenti in compagnia dell’Ascendente di sua madre erano quelli che preferiva. Xoán scalò l’ultima parte della salita e si incamminò verso la tenda dove Baya e suo figlio si trasferivano nella settimana di luna nuova. Il resto del tempo abitavano in una grotta scavata nella roccia, a cinque ore di cammino da lì. Per quanto nessuno avesse dato loro la caccia negli ultimi venti anni, la donna Drago preferiva vivere in un posto per gli uomini irraggiungibile. Faceva eccezione la settimana del mese in cui aveva la necessità di stare il più vicino possibile al proprio Ascendente.
L’uomo si affacciò nella tenda chiamando Tseren a gran voce, ma si trovò di fronte una scena cui era completamente impreparato. Baya era sdraiata su un letto di foglie medicinali, pallida, tremante e madida di sudore. Tseren, altrettanto cereo, le teneva il capo sollevato, chiaramente incapace di gestire quello che gli stava accadendo sotto gli occhi. Non vide né sentì entrare Xoán, nonostante i suoi sensi di drago fossero all’apice.
Lo sciamano si catapultò a fianco di Baya, le osservò gli occhi annacquati e il liquido scuro che, insieme al sangue, fuoriusciva dalla ferita sulla spalla.
“È stato un incidente… eravamo a caccia… ci siamo separati come al solito… è stata ferita da un puma… ma non capisco… non è la prima volta… perché la ferita non si rimargina… è colpa mia… perché ci siamo separati…” Tseren era un flusso di frasi sconnesse, stringeva disperato la mano della madre e guardava Xoán, gli occhi carichi di speranza. Ora che il miglior guaritore della vallata era lì, si sarebbe sistemato tutto.
“Tseren, portami altre foglie come questa” gli disse lo sciamano con fare autoritario e l’altro ubbidì, sollevato dal fatto che qualcun altro avesse preso in mano la situazione.
Lo sciamano guardò il ragazzo che considerava come un figlio uscire dalla tenda e si sentì profondamente egoista. Egoista perché l’aveva mandato via pur sapendo che le foglie medicinali non sarebbero servite a nulla. Egoista perché voleva rimanere solo con la donna che amava derubando Tseren degli ultimi momenti che aveva con la madre.
Lo sguardo di Baya si fece lucidò e si illuminò di gioia riconoscendo il proprio Ascendente.
“Devi tenermi in vita per una settimana Xoán, devi tenermi in vita per una settimana” ripetè più volte.
Lo sciamano sapeva esattamente cosa passava per la mente di lei, si conoscevano talmente a fondo da non aver bisogno di parole per comunicare. Baya stava pensando a Tseren.
“Va bene” le accarezzò dolcemente il volto e le stampò un lungo bacio sulla fronte. Lei spalancò gli occhi verdi, spaesata da quel gesto improvviso d’intimità, estraneo al modo in cui i due avevano vissuto gli ultimi vent’anni del loro rapporto.

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Capitolo 30
*** Levante, 6 anni e 48 giorni fa – Ultimi insegnamenti e confessioni ***


CAPITOLO 29

LEVANTE, 6 ANNI E 46 GIORNI FA – Ultimi insegnamenti e confessioni

 
I giorni che seguirono Xoán e Tseren si alternarono al capezzale di Baya. Con tutta la delicatezza di cui era capace, lo sciamano aveva spiegato al ragazzo che la madre non si sarebbe ripresa. La ferita era stata contaminata dal veleno dell’unica pianta letale delle montagne. Forse la donna ne aveva inavvertitamente sfiorato le radici, o forse gli artigli del puma che l’aveva graffiata erano intrisi di veleno. Xoán non riusciva a capacitarsi di come un evento tanto banale potesse portargli via la donna che amava, ben prima delle cinquemila cinquecento lune nuove che avrebbero dovuto trascorrere insieme.
Baya ogni tanto tornava lucida e coglieva l’occasione per parlare a lungo con Tseren, cercando di racchiudere in quelle ultime ore tutti gli insegnamenti che aveva nel cuore. Con Xoán invece, aveva voglia di ripercorrere la via dei ricordi. L’uomo si commuoveva spesso rivivendo i momenti salienti del loro rapporto visti dagli occhi di lei.
Quando Tseren non era nella tenda, la donna Drago era molto più affettuosa con l’Ascendente, gli passava con naturalezza la mano tra la barba incolta e rendeva palese un sentimento che non aveva niente a che fare con l’affetto fraterno cui Xoán era abituato.
 
Tseren era in uno stato confusionale, sospeso tra la consapevolezza che la madre si stesse spegnendo e la speranza che uno di quegli impiastri che lo sciamano applicava in continuazione sulla ferita avesse un effetto miracoloso. Con il passare dei giorni, alla paura di perdere la madre e rimanere solo era subentrato un terrore nuovo e infinitamente più grande. Cosa sarebbe successo se la donna fosse venuta a mancare prima della fine della settimana di luna nuova? Il desiderio di trascorrere ogni momento al suo capezzale era lacerato da un istinto opposto, quello di allontanarsi il più possibile dalle uniche due persone che amava. Qualora la madre si fosse spenta in quei giorni, Tseren sapeva di non poter controllare la trasformazione in drago e temeva che avrebbe attaccato l’unica altra persona al mondo che considerava famiglia, l’Ascendente Xoán.
Una mattina presto quel pensiero gli attraversò fulmineo il volto e Baya lo lesse con facilità.
“Non ho la minima intenzione di andarmene prima di domani…” disse con dolcezza.
“Se non è questo mese, è il prossimo…” la voce di Tseren era del tutto inespressiva.
“Non c’è niente di più naturale per un Drago che rintracciare il proprio Ascendente. Sei il giovane Drago più ingegnoso che ho conosciuto nel corso di questa breve vita… non ho alcun dubbio che la troverai in tempo…” continuò la donna stringendo la mano del figlio.
“Stalle più vicino che puoi, cerca di conoscerla e di capirla… e quando arriverà il momento parlale a cuore aperto, sii sincero e rispondi a tutte le sue domande. Vedrai che la decisione sarà già nel suo cuore… non c’è niente di più speciale del legame tra un Drago e il proprio Ascendente…” riprese Baya lanciando uno sguardo a Xoán, addormentato lì vicino.
“E se non volesse trasferirsi qui? E se mi rendessi conto di non sopportarla? Come posso trascorrere il resto della mia vita con una persona che non ho scelto?” Tseren sembrò come risvegliarsi e rovesciò addosso alla madre moribonda tutte le domande che lo torturavano, nonostante gliele avesse poste già innumerevoli volte.
“Non ho mai sentito di un Drago e un Ascendente che non si sopportano, la natura li mette insieme perché sono compatibili, più che compatibili si completano a vicenda!” esclamò lei in un filo di voce. “Non è scritto da nessuna parte che tu debba vivere sul monte Ariun. So che Xoán è qui e ovviamente non c’è niente di più rassicurante per me dell'idea che in futuro vi prendiate cura l’uno dell’altro… ma abbiamo sempre abitato qui perché in queste montagne sono nata e cresciuta, esistono tanti altri posti a Levante dove…” fu scossa da un fremito e Tseren vide il senno lasciare nuovamente il suo sguardo. La donna prese a tremare e Tseren svegliò lo sciamano affinché preparasse un altro impacco di erbe medicinali.
 
Tseren era uscito a raccogliere dell’acqua e Xoán decise di approfittarne per confidare a Baya quello che si teneva dentro da tempo. Lei era stesa con gli occhi chiusi, il respiro irregolare la faceva andare in apnea frequentemente e la donna apriva gli occhi di soprassalto, per riaddormentarsi quasi istantaneamente.
“Non mi sento di biasimarti per esserti unita in nozze a Tumur… l’hai fatto per il bene della tua razza e il fatto che non sia servito a nulla non è colpa tua né di tuo padre… Dal rapporto con Tumur, per quanto breve, è nato Tseren. Tseren è come un figlio per me, lo sai… Non riesco a immaginare la nostra vita senza di lui…” gli occhi dello sciamano si riempirono di affetto pensando al ragazzo Drago che aveva visto crescere. “Non capisco perché una volta che siete rimasti soli non abbiamo ripreso il nostro rapporto da dove si era interrotto.. avremmo potuto essere una famiglia…”
“Pensavo che non mi avessi perdonata… pensavo che non ti fidassi più di me e non volessi avere niente a che fare con Tseren… all’inizio non riuscivi neanche ad avvicinarti…” Baya fissava Xoán, inaspettatamente si era fatta vigile. Lo sciamano eremita balzò sulla sedia, non si aspettava che la donna fosse cosciente. Lei riprese a parlare, ma talmente sottovoce che l’uomo dovette accostare l’orecchio alle sue labbra per sentire.
“Il tempo passava e non me la sono sentita di inclinare l’equilibrio che avevamo costruito… se potessi tornare indietro Xoán… se potessi tornare indietro accetterei la tua proposta di fuggire insieme, senza alcun dubbio… ma ero giovane e spaventata…” lacrime opache rigarono il volto del Drago.
“Lo so, Baya, lo so” lo sciamano non voleva rattristarla, il passato non poteva essere cambiato e il futuro era stato loro negato. Rimaneva loro solo il presente e voleva che lei ricordasse i momenti felici che avevano trascorso insieme, non quelli peggiori. “Ero giovane anche io e mi sono sentito tradito dalla tua famiglia, odiavo Tumur e forse per un periodo molto breve ho odiato anche Tseren… ma mi è bastato stargli un po’ accanto per vedere quanto assomigli a te. Non ha niente, niente del padre” sospirò e si avvicinò di nuovo a Baya per sentire la sua risposta.
Fu così che li trovò Tseren quando rientrò nella tenda. Lei priva di forze, aggrappata alla casacca di Xoán e lui piegato verso di lei per ascoltare cosa stesse dicendo, gli occhi carichi di dolore. Il ragazzo si sedette a terra vicino alla madre e appoggio il capo sul letto rialzato su cui l’avevano adagiata. Con la mano libera Baya accarezzò il capo del figlio, lo accarezzò a lungo finché il ragazzo non si addormentò. Teneva lo sguardo fisso sul proprio Ascendente e richiamò alla mente la sensazione che aveva provato la prima volta che lo aveva portato in volo nella notte. Riconobbe l’adorazione che non aveva mai abbondato gli occhi di lui, fin da quando l’aveva guardata per la prima volta, e sperò che il suo volto sfatto trasmettesse lo stesso sentimento. Aveva soppresso l'amore talmente a lungo, che temeva di non essere più capace di palesarlo. Era certa che Tseren e Xoán si sarebbero presi cura l’uno dell’altro e il suo ultimo pensiero fu per l’Ascendente del figlio, una ragazza che non conosceva, ma che sperava aiutasse i due a trovare al più presto un nuovo equilibrio.
 
La mattina dopo Tseren fu svegliato dal tocco freddo della madre, la mano era rimasta appoggiata sul suo capo, ma non aveva niente di familiare. La mano di un Drago non è mai fredda. Il ragazzo rimase pietrificato, incapace di scostarsi. Fu Xoán a prendere delicatamente le dita di Baya e liberare Tseren da quella morsa. Il ragazzo scattò in piedi e senza neanche posare lo sguardo sul corpo della madre corse fuori dalla tenda. Lo sciamano eremita invece continuò a guardare dolcemente Baya, come aveva fatto per tutta la notte. I due si erano fissati fino all’ultimo istante e nel momento in cui era arrivato il nuovo giorno la donna era spirata. Aveva resistito fino alla fine per salvare Tseren da se stesso e Xoán pensò che non avrebbe potuto donargli un gesto d’amore più grande. 
 
*NdA*
Cari lettori & scrittori, il prossimo capitolo de "L'ultimo dei Draghi" uscirà tra due settimane. Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate del cambiamento di tono degli ultimi capitoli.
A presto,
Elaine

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Capitolo 31
*** Levante, 5 anni e 330 giorni fa – Passaggio a Levante ***


CAPITOLO 30

LEVANTE, 5 ANNI E 330 GIORNI FA – Passaggio a Levante


Agata aveva ascoltato il racconto di Tseren in silenzio. Era la prima volta che il ragazzo Drago si apriva con lei e aveva paura che se fosse intervenuta, quel momento di intimità si sarebbe interrotto con la stessa facilità con cui era sbocciato. Non appena sua madre era morta, Tseren si era catapultato fuori dalla tenda ed era partito alla ricerca della propria Ascendente, senza aspettare la sepoltura o salutare Xoán. Nel corso del viaggio, non aveva versato una lacrima, né ripensato agli ultimi istanti con la madre, ma ora che avevano quasi raggiunto il monte Ariun i ricordi stavano riaffiorando con violenza e il giovane levantino non aveva idea di come avrebbe reagito una volta a casa.
Agata sapeva che il lutto è qualcosa che ognuno affronta in modo diverso e il fatto che Tseren non avesse avuto l’opportunità di seppellire la madre le faceva pensare che il ragazzo non avesse ancora accettato fino in fondo quella separazione improvvisa.
Le ore trascorse tra le braccia di Tseren l’avevano riscaldata e si sentiva meglio, tanto da essere imbarazzata dal fatto che erano rimasti abbracciati così a lungo. Cercò di allentare la presa, ma questa volta fu lui a tenerla stretta a sé.
Non appena la luce del sole filtrò dall’apertura, Tseren si affacciò per verificare se aveva smesso di nevicare. Senza saperlo, la notte precedente i due avevano attraversato il confine tra Ponente e Levante. Tseren non aveva idea di dove fossero, ma conosceva il profilo di picchi innevati che si stagliava all’orizzonte, il più alto tra i quali era il monte Ariun.
 
Mentre si facevano strada nella neve fresca, Agata continuava a pensare al racconto di Tseren. Sapeva che il Drago aveva vissuto isolato tutta la vita, ma ora finalmente riusciva a immaginarsi qualche particolare. Le battute di caccia nella selva montuosa, le preziose ore trascorse a parlare con l’unica figura paterna che conosceva, l’Ascendente di sua madre, le brevi interazioni con gli esseri umani nel villaggio e la solitudine tra le montagne, una solitudine esistenziale. Avrebbe voluto capire meglio cosa era accaduto al resto della comunità di Draghi, da chi erano stati traditi e perché, ma aveva l’impressione che Tseren sapesse poco o niente di quei tragici avvenimenti.
 
L’animo di Tseren era in tumulto, l’ambiente familiare lo aveva gettato in un vortice di ricordi che non seguivano alcun filo logico, un attimo pensava alla ricetta preferita di sua madre che non avrebbe mai più assaggiato, l’attimo dopo rivedeva lo sguardo carico di preoccupazione di Agata, quello dopo ancora moriva dalla voglia di arrampicarsi giù per il precipizio che nascondeva la grotta che chiamava casa. Non riusciva a capacitarsi del fatto che aprirsi con Agata gli fosse venuto tanto naturale. Non amava parlare di sé, tanto che non lo faceva quasi mai, neanche in passato con le uniche due persone di cui si fidava, sua madre e Xoán. Probabilmente era questa una delle implicazioni del legame speciale tra un Drago e il proprio Ascendente. Quando lo aveva descritto ad Agata, cinque settimane addietro, aveva ripetuto le parole sentite tante volte dalla madre e da Xoán, cercando di convincere non solo la ragazza, ma anche se stesso. Aveva vissuto ogni richiesta di lei come qualcosa da cui non poteva tirarsi indietro, per non minare il rapporto che doveva instaurarsi al più presto affinché lei non lo abbandonasse. Aveva accettato persino le pretese più fastidiose, come trasformarsi in drago in pieno giorno, non perché lo volesse, ma perché lo considerava un male necessario. Perlomeno all’inizio.
La notte prima aveva deciso di aprirsi con quella ragazzina curiosa e che voleva avere sempre tutto sotto controllo, e nel farlo si era sentito per la prima volta contento che lei facesse parte della sua vita. Per quanto non riuscisse a smettere di tremare per il freddo, nel buio della buca di ghiaccio, Agata aveva ascoltato con attenzione tutto il racconto e Tseren aveva percepito le sue reazioni nei più lievi movimenti. Aveva sentito il suo cuore accelerare e decelerare, le spalle alzarsi a ogni sospiro, i denti stringersi intorno alle labbra per trattenere le lacrime, tanto che a un certo punto aveva sentito il bisogno di guardarla negli occhi. Lei ovviamente non se ne era accorta, perché era buio pesto, ma Tseren l’aveva osservata a lungo, leggendo in lei una preoccupazione sincera frammista a un altro sentimento cui non era in grado di dare un nome.
 
Dopo quasi tre ore di cammino, i due ragazzi si trovarono di fronte a un burrone largo quasi una decina di metri. Tseren si avvicinò al ciglio e con i suoi occhi di Drago guardò dai due lati, in cerca di un punto dove sarebbe stato meno difficoltoso attraversare. Scosse il capo e incrociò le braccia per pensare, camminava intorno ad Agata e la ragazzina si chiese se stesse decidendo se proseguire verso destra o verso sinistra.
“Non vedo altre soluzioni… non credo ci siano persone in giro per questi sentieri… ne sentirei l’odore…” rifletté il ragazzo a voce alta. “Nella mia forma di Drago è solo un salto… devo solo stare attento a non farti cadere…” aggiunse facendole cenno di voltarsi.
Agata rimase impietrita, le aveva detto chiaramente che non si sarebbe mai fatto cavalcare da un essere umano. “Sei sicuro che non sia un problema…” disse titubante.
Tseren penso che la ragazza avesse paura e cercò di rassicurarla, quando capì che si stava riferendo alla discussione che avevano avuto qualche giorno prima rimase sorpreso. A quanto pare l’idea di trasportare Agata non gli dava alcun fastidio, attribuì la colpa al fatto che lei fosse la sua Ascendente ed erano in una situazione d’ermergenza. Era il penultimo giorno di luna nuova e il ragazzo Drago non voleva mettere ulteriormente in pericolo la ragazza.
Agata fissava la distesa bianca e soffice davanti a sé, sentiva Tseren armeggiare con lo zaino, probabilmente stava riponendo i vestiti. Poco dopo riconobbe lo scricchiolio familiare, lo aveva sentito solo due volte, ma le sembrava di conoscerlo da sempre. Guardò il grosso drago blu che affondava nella neve fresca e si avvicinò. Gli occhi ambra le dissero di salire e la ragazza si arrampicò su una delle zampe anteriori, cadde nella neve un paio di volte perché il grosso zaino la sbilanciava. Tseren aspettò pazientemente finché Agata non si sistemò cavalcioni della base del collo ricoperto di scaglie. La ragazza pensava sarebbe stato difficile rimanere in equilibrio, invece con le gambe poteva stringere la presa e distendendosi riusciva quasi a cingere quasi interamente il collo del drago con le braccia. Tseren aveva una figura imponente, ma snella, proprio come la sua forma umana.
Il drago si mosse e Agata non riuscì a trattenere una risatina. Le piaceva essere trasportata in quel modo, la cosa che prediligeva era il calore che emanava dal corpo di Tseren. La forma di drago del ragazzo era come una fornace che riscaldava senza bruciare. Il levantino si allontanò dal burrone per prendere la rincorsa e partì. Non sembrava correre velocissimo, i suoi arti non erano fatti per correre ma per volare e arrampicarsi, ma la ragazza percepiva la potenza che si accumulava per il salto. Arrivati sul bordo la spinta fu talmente violenta che Agata ebbe paura di cadere, ancora una volta temette che lo zaino la sbilanciasse all’indietro. Rimasero a mezz’aria per una frazione di secondo e il drago atterrò sul ciglio opposto e Agata si guardò alle spalle, la grossa coda artigliata si agitava in aria, nascondendo parzialmente la visuale sul burrone.
Agata era convinta che Tseren volesse trascorrere il minor tempo possibile in quella forma e fu sorpresa quando il drago riprese a camminare. Si tolse di dosso la coperta di pelle di orso perché sentiva caldo e guardò la fila di alberi innevati in lontananza. Dovettero attraversare un secondo burrone, questa volta meno profondo. Durante il salto Agata ebbe meno paura e si accorse persino che c’era corso d’acqua ghiacciato in fondo al precipizio. Fu dispiaciuta quando capì che Tseren voleva prendere di nuovo la sua forma umana, dopo lunghi giorni di viaggio accidentato le piaceva essere trasportata in quel modo, al caldo. Il drago aveva ruotato il capo e aveva emesso un fischio roco, alzando leggermente una delle zampe anteriori per facilitare la discesa dell’Ascendente. Agata lanciò a terra lo zaino e si calò a terra cautamente. Non appena mise i piedi a terra Tseren le poggiò delicatamente il muso sulla spalla e la fece voltare per trasformarsi.
 
Al crepuscolo si fermarono per mangiare qualcosa, erano vicini e Tseren spiegò che non aveva problemi a proseguire al buio perché avevano raggiunto uno dei sentieri che conosceva a memoria. Si sedettero in una radura che si apriva come un balconcino sul pendio. Aprirono una scatoletta di pesce in salsa verde e dei biscotti di pane e frutta secca.
“È sempre così freddo in questa zona?” domandò Agata mentre con un biscotto ripuliva il fondo della scatoletta dalla salsa verde.
“A questa altitudine sì, ma ai piedi del monte Ariun il clima è secco e arido per un terzo dell’anno…” rispose il ragazzo che non amava particolarmente mangiare pesce. Aveva trovato un roditore di piccole dimensioni e lo stava abbrustolendo sul fuoco, perché sapeva che ad Agata faceva impressione vederlo mangiare carne cruda. Le scintille del fuoco facevano brillare le scaglie ambrate nei suoi occhi.
“Ora so perché i tuoi occhi sono così” disse all’improvviso Agata. “Le schegge dorate sono gli occhi di drago nascosti dietro agli occhi di uomo. Che meraviglia”.
Tseren sorrise imbarazzato, il sorriso si estese sul volto partendo dagli occhi, e le scaglie ambrate si riempirono della luce di quel tramonto di fine estate.

*NdA*
Cari lettori & scrittori,
quasi non riesco a credere che sono arrivata al trentesimo capitolo. Quando ho cominciato a scrivere questo romanzo, non avevo mai fatto leggere a degli sconosciuti le mie storie e non avevo idea di come avrei vissuto questa esperienza. Ho scoperto che immaginare dei lettori che aspettano l'uscita del capito successivo mi da la carica per continuare a scrivere.
Se per caso siete interessati a disegnare la copertina per 'L'ultimo dei Draghi', contattatemi in posta privata.
Elaine

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Capitolo 32
*** Levante, 5 anni e 329 giorni fa – Gli ultimi due Ascendenti ***


CAPITOLO 31

LEVANTE, 5 ANNI E 329 GIORNI FA – Gli ultimi due Ascendenti


L’oscurità aveva avvolto ogni cosa e Agata proseguiva attaccata allo zaino che Tseren portava in spalla, per non perdersi. Quell’ultimo tratto le parve infinito, per via della stanchezza e del fatto che i suoni che udiva nel buio le erano estranei. Gli uccelli notturni avevano un richiamo diverso rispetto ai loro cugini di Ponente. Persino l’ululare del vento che si faceva strada fra gli alberi aveva qualcosa di differente.
«Ci siamo» disse infine il ragazzo Drago. Erano usciti dal bosco e raggiunto una terrazza ampia e ventilata. L'Ascendente riusciva finalmente a intravedere qualcosa grazie al bagliore delle stelle. Rimase incantata dallo spettacolo della volta celeste, non aveva mai visto tanti astri tutti insieme.
Davanti a loro c’era una costruzione circolare di piccole dimensioni. Tseren si lasciò sfuggire un sospiro profondo facendosi strada all’interno. Agata si chiese per l’ennesima volta cosa avrebbe provato il levantino a rivedere il luogo dove si era spenta sua mamma, non lo conosceva ancora abbastanza bene da poter prevedere le sue reazioni.
D’impulso il ragazzo posò lo sguardo sul punto dove aveva visto per l’ultima volta la madre. Dove ricordava il giaciglio rialzato che lui e Xoán avevano preparato, c’era ora un tavolo di legno chiaro coperto da un ampio centrotavola, su cui era posato un vaso di pietra pieno di fiori aromatici. Tseren non aveva mai visto né il tavolo, né il centrotavola, né il vaso. Continuò a guardarsi intorno sorpreso. C’erano due giacigli accostati al perimetro della tenda, non troppo vicini. Su uno dei due era posata una coperta di lana grezza. L’armadio delle stoviglie era stato spostato vicino al tavolo. Quello degli abiti era aperto e la metà della madre era stata svuotata. Tseren immaginò che gli abiti di lei fossero riposti nella piccola cesta posata a terra. In realtà gran parte degli averi dei due Draghi non era lì, ma nella grotta dove vivevano tre quarti del mese. La tenda era una abitazione provvisoria, che usavano condividere con Xoán la settimana di luna nuova. Era stato chiaramente Xoán a cambiare l’arredamento e Tseren ebbe un moto d’affetto per l’Ascendente di sua madre. Sarebbe stato molto più difficile affrontare il ritorno, se l’uomo avesse lasciato tutto come l’ultimo momento che avevano condiviso lì insieme.
Non c’erano lampade in giro e il Drago guidò Agata verso uno dei giacigli.
«Io preferisco dormire all’aperto stanotte» le disse in un sussurro. Appena fu uscito Agata si avvolse nella coperta e cadde in un sonno profondo.
 
Quando la ragazza Ascendente aprì gli occhi la mattina dopo, ebbe un attimo di spaesamento. Le ci volle qualche secondo per ricordare dov’era. Il materiale con cui era fatta la tenda lasciava filtrare un po’ di luce e Agata fu finalmente in grado di guardarsi intorno. Era un ambiente essenziale, ma pulito. Le piaceva particolarmente il tavolo, aveva una forma irregolare, al di sotto del piano c’erano delle decorazioni che ricordavano degli artigli e le tre gambe di forme e dimensioni diverse sembravano racchiudere ciascuna una storia. Il colore chiaro illuminava l’ambiente.
La ragazza piegò la coperta e sollevò il tessuto pesante che chiudeva l’ingresso. Era una pelle scamosciata soffice e riuscì a fissarla a un gancio che sembrava essere lì apposta. Si accorse che c’erano due altre aperture nella tenda, come delle finestre rettangolari, che si aprivano con lo stesso principio. La pelle poteva essere arrotolata e fissata a un gancio. Quanto tutte le aperture furono libere la tenda si riempi della luce mattutina. Agata uscì all’aperto cercando Tseren, il ragazzo Drago era a qualche metro di distanza e stava accatastando della legna. Era a torso nudo e non aveva bisogno di attrezzi per frantumare il legno. Era l’ultimo giorno di luna nuova e il Drago era in grado far uscir a piacimento gli artigli. Si asciugò il sudore dalla fronte e fece un cenno ad Agata.
«Sono passato alla grotta per prendere alcune delle mie cose e del denaro per fare qualche compera…» e indicò una cesta piena di vestiti e oggetti di vario tipo. «Per il momento conviene vivere qui, una volta che ti sarai ambientata nel villaggio, puoi trasferirti da Xoán per gran parte del mese e io potrò tornare a casa…» continuò con noncuranza.
Agata dovette distogliere lo sguardo per evitare che lui leggesse la delusione nei suoi occhi. Erano appena arrivati e già voleva liberarsi di lei. Era proprio come all’inizio, non appena aveva potuto era sparito per giorni ed era tornato solo quando necessario. Sperava che il loro rapporto si fosse evoluto negli ultimi due mesi e invece il ragazzo Drago dava l’idea di non essersi affezionato minimamente. Voleva mantenere la propria indipendenza e vedeva Agata solo come un mezzo, l’Ascendente da cui non poteva allontanarsi sette giorni al mese. La ragazza era profondamente ferita ed evitò di incrociare lo sguardo del Drago per il resto della mattina. Tseren parve non accorgersene.
Quando fu ora di pranzo, presero un po’ di denaro e si incamminarono giù per il pendio. Tseren era premuroso come al solito, conoscendo la goffaggine di Agata, la sosteneva ogni volta che notava un passo incerto. La ragazza continuava a pensare alla conversazione che avevano avuto la mattina e ogni gentilezza di lui la indispettiva. Non era veramente preoccupato per lei, voleva solo evitare che succedesse qualcosa all’unica cosa che gli impediva di perdere il controllo e diventare una macchina della morte.
Agata si era trasferita dall’altra parte del mondo per lui e nel corso del viaggio si era gradualmente convinta che si sarebbe instaurato un legame speciale con quel ragazzo un po’ scontroso, ma profondamente tormentato e infondo bisognoso di compagnia. Ora invece si prospettava una vita completamente diversa, sola in un nuovo villaggio, tra persone di cui non conosceva neanche la lingua. Per un attimo sentì le lacrime bagnarle le ciglia, ma le scacciò indietro orgogliosa. Se la sarebbe cavata comunque, se la cavava sempre.
 
Finalmente raggiunsero la base del monte e la ragazza si accorse della differenza di temperatura. Ai piedi del monte Ariun era estate. Vedevano in lontananza il paese e sul sentiero incrociarono un paio di persone che parvero riconoscere Tseren. Lo salutarono senza troppo coinvolgimento e presero a confabulare tra loro. Agata immaginò che stessero parlando della madre di lui, perché riuscì a cogliere qualche parola. Il Drago fece finta di niente e tirò avanti. Una volta arrivati all’ingresso del villaggio, annunciato da un grosso portale in pietra lavorato e dipinto di rosso, oro e blu, invece di entrare Tseren si incamminò lungo il perimetro. Esattamente all’estremo opposto c’era una casa più curata delle altre. Era una tenda spaziosa recintata. All’interno del cortile scorrazzavano galline alte quasi un metro e degli animali che Agata non aveva mai visto, ma che potevano essere parenti delle capre di Ponente. Molto più piccole delle galline.
Chinato nell’orto c’era un uomo. Aveva le spalle robuste e un abbigliamento simile a quello che aveva Tseren quando si erano conosciuti. Stava mugugnando una melodia malinconica e non parve sentire i nuovi arrivati attraversare il cancelletto di legno.
«Xoán?» lo chiamò Tseren.
L’uomo si voltò di scatto, con un’agilità sorprendente per la sua stazza. Era un bell’uomo, aveva lineamenti marcati, la barba brizzolata e due occhi scuri a mandorla. Dimostrava non più di quarant’anni.
Non disse nulla ma si avvicinò a grandi passi a Tseren e lo attanagliò in un abbraccio. Il ragazzo sembrò sorpreso, ma ricambiò il gesto dandogli qualche pacca sulle spalle.
«Non sai quanto sono stato in pensiero ragazzo, perché ci hai messo così tanto a tornare?!» e mollata la presa lo guardò a lungo con affetto.
Tseren si lasciò andare in un sorriso ampio e Agata pensò che lo vedeva sorridere per la prima volta in quel modo, non era uno dei soliti sorrisi canzonatori o un po’ imbarazzati. Era un sorriso che partiva dall’anima ed era costruito su una confidenza a cui Agata non poteva lontanamente aspirare per il momento.
«E tu fatti dare un’occhiata…» lo sciamano si voltò verso Agata e la afferrò per le spalle. «Ha uno sguardo intelligente e buono… Ora capisco perché ci hai messo tanto, mai mi sarei immaginato che ti fosse capitata un’Ascendente di Ponente. Come ti chiami?» chiese. Aveva un timbro profondo, che ispirava fiducia.
«Agata non parla…» esordì Tseren, ma fu interrotto dalla voce decisa di lei.
«Il mio nome è Agata. Non parlo ancora bene il levantese» disse lei con un ottimo accento. Tseren spalancò gli occhi blu, non si era accorto che il levantese della ragazza fosse migliorato tanto.
«Sono sicuro che imparerai in fretta, il villaggio non ha mai visto qualcuno di Ponente, diverrai presto la nuova attrazione…» ridacchiò Xoán. Era al settimo cielo, Tseren stava bene ed era finalmente a casa.
Lo sciamano eremita li invitò a entrare per pranzare insieme e Tseren non se lo fece ripetere due volte.
«Grazie per aver riarredato la nostra tenda…» disse il ragazzo Drago sedendosi a terra con le gambe incrociate. Agata lo imitò accomodandosi anche lei in quell’area dell’abitazione piena di cuscini.
«Il tavolo è molto bello» commentò la ragazza per fare conversazione. Capiva ovviamente tutto quello che diceva Tseren e aveva imparato a mettere insieme qualche frase semplice.
«Sono contento ti piaccia. L’ho costruito io, c’è voluto più di un mese…» sorrise Xoán portando una pentola in rame colma di un cereale scuro. Lo bagnò con un liquido bianco, forse latte e aggiunse dei germogli gialli. Agata prese il cucchiaio di legno e assaggiò per la prima volta la zuppa aspra della zona montuosa di Levante.
 

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Capitolo 33
*** Levante, 5 anni e 329 giorni fa – Il villaggio ai piedi del monte Ariun ***


CAPITOLO 32

LEVANTE, 5 ANNI E 329 GIORNI FA – Il villaggio ai piedi del monte Ariun


Agata fu immediatamente frastornata dall’anima dinamica del villaggio. C’era un gran chiasso, tutti parlavano a voce esageratamente alta e una quantità spropositata di animali gironzolava tra le case. Non cani o muli come nel suo paese, ma galline giganti, capre chiazzate, felini dalle zampe tozze e ratti che si tenevano in piedi su due arti. Non c’era niente di familiare, niente. L’impressione era quella di essere stata sballottata dentro uno dei suoi libri di testo preferiti. Il suo cervello riconosceva gran parte di ciò che vedeva, Agata sapeva infatti che nella zona montuosa di Levante le persone vivevano in villaggi costituiti di tende rotonde di pelle scamosciata, sapeva che non c’era una separazione definita tra gli spazi e gli animali erano liberi di scorazzare persino all’interno delle abitazioni, e sapeva che i vestiti erano prevalentemente oro, rosso e blu. Eppure vedere quello spettacolo con i propri occhi era completamente diverso. Un po’ come quando qualcuno ci parla a lungo di un’altra persona e nel momento in cui la vediamo per la prima volta, ci rendiamo conto che l’immagine che abbiamo costruito nella nostra mente c’entra poco o niente con la realtà. Quello che Agata non sapeva era che le tende avevano tutte dimensioni diverse, alcune erano recintate altre ammassate le une sulle altre. Gli animali erano ovunque, ma le persone sembravano non vederli, tanto che non si facevano problemi a scansarli con i piedi o schiacciarli incautamente con le sedioline di legno che si portavano dietro. Sicuramente i colori blu, rosso e oro ricorrevano ovunque, ma non vide due vestiti uguali, soprattutto le donne usavano le cinte a fascia per differenziarsi le une dalle altre.
«Ora capisco come ti sei sentito nella mia città…» disse rivolta a Tseren.
«Adesso aggiungi la paura di trasformarti in una creatura di 200 tonnellate che può distruggere qualsiasi cosa» rispose lui in un sussurro.
Ancora non riusciva a guardarlo negli occhi e Xoán parve accorgersi che c’era una qualche incomprensione nell’aria.
«Tseren perché non vai a comprare un po’ di legumi al mercato, io presento Agata in giro…» disse lo sciamano. Il ragazzo Drago rispose alzando le spalle e in un battito di ciglia era sparito tra la folla.
Agata si lasciò sfuggire un sospiro. Non faceva alcuna fatica a lasciarla sola, nonostante fosse per lei il primo giorno in una terra straniera. L’Ascendente si forzò a non pensarci e trovò il modo di distrarsi osservando un gruppo di anziani che discutevano animatamente. Non ci aveva fatto caso prima, ma in giro c’erano prevalentemente vecchi e bambini, dove erano gli adulti?
«Devi sentirti persa, so cosa si prova…» disse Xoán, indicandole di voltare a destra dietro una piccola costruzione di pietra. Era una struttura ricoperta di fiori e piccoli oggetti intagliati, probabilmente artefatti votivi. Agata fece intuire che non aveva capito e l’altro ripeté la frase più lentamente. Ancora nulla. La ragazza sembrava frustrata, sapeva che non sarebbe stato facile imparare il levantese, ma l’idea di essere irritata con l’unica persona con cui in quel momento poteva comunicare la faceva sentire ancora più sola. Di nuovo Xoán parve leggere nello sguardo abbattuto di Agata qual era il problema e per distrarla cominciò a insegnarle qualche parola. La ragazza era talmente concentrata che non si era accorta della folla di persone che aveva cominciato a seguirli. C’erano bambini vivaci coperti di terra incrostata, ragazzine che camminavano tenendosi per mano come a formare una catena, anziani curiosi con le loro sedioline di legno. Xoán fu costretto a fermarsi e voltandosi presentò a gran voce Agata.
«Questa è Agata, mia nipote da Ponente!» esclamò più volte. Da parente di Tseren era diventata parente di Xoán. D’altra parte il fatto che una ragazza della sua età viaggiasse da sola a Levante sarebbe risultato troppo sospetto. L’affetto che la comunità aveva nei confronti dello sciamano si riversò immediatamente su quella ragazzina spaurita che non gli assomigliava minimamente ma che lui considerava di famiglia. Gli abitanti del villaggio rispettavano talmente tanto il guaritore che non ebbero alcun dubbio, normalmente sarebbero stati piuttosto cauti nell’accogliere uno straniero. Il popolo della montagna di Levante era noto per la sua riservatezza, ma Xoán era amato da tutti poichè nel corso degli anni aveva curato almeno un membro di ogni famiglia.
Agata perse il conto degli inchini che dovette fare per presentarsi. Fu sommersa da una miriade di espressioni di benvenuto e per quanto facesse di tutto per ricordarsi qualche nome presto perse la speranza.
«Hai solo bisogno di tempo» le disse Xoán scandendo bene le parole. Fu sorpresa della sensibilità di quell’uomo che conosceva appena, ma che più di una volta le aveva come letto nel pensiero. Xoán era forse la persona con cui aveva più in comune al mondo, era stato anche lui sradicato da tutto ciò che conosceva il giorno che aveva scoperto di essere l’Ascendente di un Drago. Forse per quello intuiva di cosa Agata avesse bisogno. Se solo Tseren avesse manifestato appena una briciola della stessa intelligenza emotiva!
Dopo aver girato più volte per il villaggio e acquistato una mescolanza di cose che servivano a Xoán per preparare impacchi medicinale o ad Agata per adattarsi nella sua nuova vita, si fermarono ad assaggiare un’altra delle specialità di Levante, il succo di pianta grassa. Subito dopo incrociarono Tseren, anche il ragazzo Drago aveva le mani piene di ceste e sacchi.
 
« Xoán ci ha invitato alla festa del villaggio, stasera» le spiegò Tseren mentre risalivano la montagna. Lo sciamano avrebbe voluto accompagnarli, ma proprio mentre si stavano incamminando era arrivato in groppa a un cavallo nano un bambino di circa dieci anni. Proveniva da un paese vicino ed era stato mandato a chiamare lo sciamano per curare un neonato che stava male dalla notte prima.
Non appena furono abbastanza lontani, Tseren tolse di mano ad Agata tutto ciò che stava trasportando.
«Ce la faccio…» protestò lei.
«Lo sai che per me non fa alcuna differenza» rispose lui impilando le ceste.
«Incredibile che proprio oggi ci sia la festa del villaggio…» commentò l’Ascendente. Tseren rise sonoramente.
«C’è almeno una festa a settimana, ogni scusa è buona per banchettare e fare baldoria…» le spiegò.
«Ma dove erano tutti gli adulti?» chiese ancora Agata.
«A lavoro nei campi, al pascolo con le mandrie, in giro per gli altri villaggi a scambiare merci…» rispose il ragazzo. Avrebbe potuto pensarci da sola, in fondo era così anche nel suo villaggio. Nell’ultimo periodo quasi non si riconosceva, agiva d’impulso, non riusciva a trovare la spiegazione più logica a un problema e si lasciava turbare dal comportamento di un’altra persona. Dopo vent’anni in cui nessuno era riuscito a intaccare la sua corazza fatta di razionalità e indipendenza, Tseren le aveva fatto mettere in discussione tutto e il bello era che non pareva neanche accorgersene. Agata sopirò di nuovo, questa nuova versione di sé la impensieriva.
 

*NdA*
Ciao a tutti,
finalmente sono riuscita a pubblicare. Ho lanciato questa settimana 'L'ultimo dei Draghi' anche su Wattpad e la promozione mi sta portando via un sacco di tempo. Nonostante ciò sto andando avanti a scrivere perchè se non lo faccio ho letteralmente nostalgia dei miei personaggi. Il mio profilo Wattpad è QUI.
A presto!
Elaine

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Capitolo 34
*** Levante, 5 anni e 329 giorni fa – Danza e riflessioni sotto le stelle ***


CAPITOLO 33

LEVANTE, 5 ANNI E 329 GIORNI FA – Danza e riflessioni sotto le stelle


Agata indossò i vestiti nuovi che le aveva regalato Xoán. Ricordavano il costume che aveva scelto al primo ballo di fine anno. Le sembrava un’altra vita. Era la serata in cui si era quasi ubriacata per sbaglio e Holly Dee aveva baciato il loro compagno di classe batterista. Le sembrava veramente un’altra vita.
Quando arrivarono al villaggio, il sole era già tramontato. La maggior parte delle tende aveva un piccolo focolare acceso davanti all’ingresso e questo permetteva alla gente di spostarsi nell’oscurità. Agata e Tseren seguirono il flusso che raccoglieva le persone in attesa sulla soglia delle abitazioni. Nonostante tutti sapessero dove andare, preferivano effettuare il breve tragitto in compagnia.
Raggiunsero un’area allestita con un grande falò, poco fuori la recinzione esterna. Quella mattina Agata aveva notato in lontananza la costruzione, una pila di legna in mezzo a quel nulla arido. Tutti erano ammassati attorno al fuoco, l’unica fonte di luce.
La gente si passava di mano in mano delle ceste piene di semi grandi quanto un’unghia. Agata imitò il suo vicino e dopo averne afferrati una manciata passò la cesta a Tseren. Si portò alla bocca quel cibo sconosciuto. I semi erano croccanti e avevano un retrogusto amaro. Stava ancora sgranocchiando quando le arrivò tra le mani anche una ciotola colma di un liquido denso, si bagnò le labbra e allontanò immediatamente la bevanda alcolica. Non le sembrava una scelta saggia bere la prima sera in un posto nuovo.
La gente continuava a radunarsi, ma a parte far circolare le ceste piene di cibo esotico e le scodelle traboccanti delle bevande più disparate non c’era molto altro da fare.
Tseren si accorse immediatamente che Xoán non era ancora rientrato. Il ragazzo Drago temeva che senza di lui non si sarebbe sentiti a proprio agio tra gli abitanti del villaggio. E invece in molti avevano preso in simpatia Agata, la ragazza dava l’impressione di conoscere già tutti. Alcuni si erano avvicinati per salutarla calorosamente. Lei si limitava a sorridere e a inchinarsi e presto venne monopolizzata da una ragazza alta con i capelli rasati. Non era comune per una donna della zona montuosa di Levante portare i capelli così corti. La giovane sembrava voler fare le veci di Xoán, presentandola alle poche persone che ancora non la conoscevano e controllando che la ponentina avesse sempre qualcosa da mangiare, semi, steli d’erba, frutti spinosi. Nessuno pareva interessato a Tseren. Non vedevano di buon occhio il ragazzo dagli occhi strani che viveva in cima al monte, ma accettavano di averlo intorno perché sapevano che in qualche modo era anche lui imparentato con Xoán. Lo sciamano aveva avuto una relazione di cui non parlava con la madre del ragazzo, questa era perlomeno la voce che si girava. Forse inconsciamente gli abitanti del villaggio percepivano che Tseren non era uno di loro oppure l’avevano preso in antipatia perché lui e la madre non avevano mai fatto alcuno sforzo per integrarsi. La donna che era venuta a mancare due mesi prima, era infatti molto chiusa e non partecipava alla vita del villaggio, se non per vendere le pelli degli animali che lei e suo figlio cacciavano.
 
Finalmente arrivò il gruppo musicale e la festa vera e propria ebbe inizio. Agata si avvicinò al gruppo di persone che suonava. Erano in quattro. Cantavano in due, a squarciagola, e le voci, una maschile e una femminile, si amalgamavano alla perfezione. Bastava però allontanarsi di qualche passo per non udire più il canto ma solo gli strumenti. Il più anziano dei musicisti suonava contemporaneamente un aerofono dalla forma trapezoidale e uno xilofono dalle note acute. L’altra donna completava l’orchestra con una specie di arpa composta da quattro strumenti cordofoni tenuti insieme in un telaio enorme a forma di mandorla. La ragazza di Ponente non aveva mai visto uno strumento tanto suggestivo, rimase incantata a osservare la musicista che a passi di danza leggeri sfiorava alternativamente le corde di una o dell’altra chitarra. Perse la cognizione del tempo e non si accorse del levantino che le si era avvicinato. Sembrava più giovane di lei, ma aveva occhi adulti. Le disse qualcosa in levantese e lei non capì, invece che ripetere il ragazzino la prese delicatamente per un polso e la condusse con passo sicuro vicino al falò. Si ballava a gruppi di quattro, in alcuni momenti tutti insieme, in altri a coppie, in altri da soli. Agata riconobbe la ragazza dai capelli rasati che l’aveva presentata in giro. Sapeva di essere negata per il ballo, ma le sembrava scortese rifiutare e così provò a imitare goffamente le mosse degli altri tre. La quarta persona del suo gruppetto era una ragazzina dagli occhi sgranati e una parlantina incessante. Nonostante il frastuono, questa continuava a chiacchierare con gli altri due e Agata ne approfittò per guardarsi intorno. Dov’era finito Tseren? Lo vide in disparte che la osservava. Come al solito sembrava infastidito dal fatto che altre persone le stessero così vicine, ma non dava alcun cenno di volersi avvicinare. Agata mandò giù la stizza e si finse esageratamente contenta di ballare con lo strano gruppetto.
«La tua Ascendente sembra divertirsi…»
Tseren si voltò verso Xoán e parve rassicurato nel vedere finalmente un volto amico.
«Si sta comportando come se fosse a proprio agio, ma non è così. Non le piace ballare, non le piace che gli sconosciuti la tocchino e ha nostalgia di casa…» Tseren rispose senza neanche un filo di incertezza.
Xoán non riuscì a trattenere un sorriso, i due ragazzi gli erano sembrati distanti, ma chiaramente avevano già cominciato a conoscersi.
«Perché non vai a farle compagnia allora?» gli disse lo sciamano alzando le spalle. Tseren non rispose, ma abbassò lo sguardo pensieroso.
Fu Agata ad avvicinarsi quando vide che Xoán era tornato.
«Come sta il bambino?» domandò rivolta a Tseren. Il Drago ripeté la frase in levantese e tradusse anche la risposta dello sciamano. «Deve continuare la cura per un mese per riprendere le forze».
Presto Xoán si allontanò per salutare delle persone e lasciò i due ragazzi da soli.
«Non ti da fastidio che socializzi con la gente del villaggio? Ti comportavi in modo completamente diverso quando eravamo a Ponente…» Agata temeva che non le sarebbe piaciuta la risposta, ma le parole le sfuggirono prima che potesse ripensarci.
«Beh avevo paura che qualcuno potesse convincerti a rimanere lì, amici, la famiglia, un amante… qui invece è dove vivremo il resto della nostra vita, spero che tu possa trovare presto delle persone a cui legarti…» rispose lui. Come al solito era schietto e trasparente, forse anche troppo. Agata si morse il labbro per evitare che gli occhi le si appannassero.
«E tu? Tu non hai intenzione di legarti ad altre persone?» gli chiese.
«Ho te e Xoán, non ho bisogno di nessun altro» rispose lui, chiaramente non era la prima volta che rifletteva sul futuro.
«Non vuoi una famiglia? Un figlio?» intervenne Xoán che si era riavvicinato.
Tseren si lasciò sfuggire un sorriso sprezzante, come se la sola idea fosse ridicola.
«Perché no?» chiese Agata che riusciva a seguire le frasi semplici di Xoán.
«Perché dovrei condannare un altro Drago a questa vita di solitudine e tormenti?» era la prima volta che esplicitava quei sentimenti. Non ne aveva mai parlato neanche con la madre.
«Mi dispiace che la vedi così ragazzo, ma sei giovane e nel corso della vita si cambia spesso idea» e spostò lo sguardo su Agata, come se stesse parlando a entrambi.
«Non su questo» rispose secco Tseren. «I tuoi nuovi amici vogliono ballare ancora con te…» si rivolse ad Agata e senza aggiungere altro si allontanò nel buio del deserto.
 

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Capitolo 35
*** Levante, 5 anni e 280 giorni fa – La prima amica a Levante ***


CAPITOLO 34

LEVANTE, 5 ANNI E 280 GIORNI FA – La prima amica a Levante


Nel corso delle settimane successive, Agata cominciò ad ambientarsi. Aveva imparato abbastanza espressioni in levantese da poter comunicare con la gente del villaggio e con l’aiuto di Xoán si stava integrando velocemente.
Tseren aveva provato a convincerla a specializzarsi nella conciatura delle pelli, l’attività che era stata un tempo della madre, ma la ragazza di Ponente odiava l’odore del pellame fresco di scuoiatura e le lunghe ore da sola in cima al monte. Trovava molto più piacevole accompagnare Xoán di casa in casa. Mentre lui curava i suoi pazienti, la ragazza distraeva il resto della famiglia, soprattutto i bambini, dalla sofferenza del malato. In questo modo l’Ascendente si sentiva utile e al tempo stesso riusciva a saziare la propria sete di conoscenza.
Quando non erano al capezzale di un infermo, giravano per la campagna alla ricerca di erbe medicinali. Xoán era rispettato da tutti e aveva molti amici nel villaggio, ma non sembrava essere legato a qualcuno in particolare. Agata si era fatta l’idea che lo sciamano avesse volutamente tenuto a una certa distanza gli altri essere umani, probabilmente per proteggere il segreto di Tseren e sua madre.
Lo sciamano amava parlare di Baya. Nel corso delle lunghe passeggiate tra le bizzarre piante che si arrampicavano sul monte, l’uomo si era gradualmente aperto con la curiosa ragazza di Ponente, la prima persona con cui poteva finalmente condividere cosa avesse significato per lui essere l’Ascendente di un Drago. Agata era particolarmente interessata agli aneddoti che ruotavano intorno a uno Tseren bambino che ne combinava di tutti i colori. Rise fino alle lacrime sentendo il racconto di quando il Draghetto aveva provato a convincere la madre che poteva comunicare non solo con i rettili, ma anche con gli altri animali del bosco. L’intero regno animale era a quanto pare d’accordo nell’appoggiare il suo progetto di esplorare il mondo. Dopo aver ascoltato pazientemente le ragioni del castoro, degli uccelli variopinti e degli scarabei a tre occhi, Baya aveva dovuto liberare le povere bestiole impaurite e spiegare a Tseren che se voleva fare una cosa doveva essere in grado di convincerla da solo, senza inventarsi bugie e spaventare a morte qualunque animale selvatico gli capitasse tra gli artigli.
 
I momenti della vita comunitaria che Agata preferiva erano però i festeggiamenti. Il Drago aveva colto nel segno, nel villaggio ogni occasione era buona per celebrare qualcosa, un matrimonio, il primo dentino di un neonato, la pace tra due famiglie rivali. Nel corso di questi eventi, l’Ascendente aveva l’occasione di chiacchierare con la gente e comprendere meglio la cultura della zona montuosa di Levante, alimentando la sua passione per la mediazione culturale.
In quei momenti quasi si dimenticava che era a migliaia di chilometri di distanza da casa e riusciva quasi a passare sopra l’atteggiamento distaccato di Tseren. Nelle ultime settimane il rapporto tra i due era peggiorato. Lui la spingeva a trascorrere più tempo possibile nel villaggio, lei ne era ferita e rincasava ogni sera un po’ più tardi. E Tseren, a sua volta, rendeva di giorno in giorno il suo muro di solitudine un po’ più alto.
 
**********
 
Una sera Agata sedeva a cavalcioni della recinzione esterna. Khenebish, la ragazza dai capelli a spazzola con cui aveva fatto amicizia la prima sera, le stava intrecciando la chioma di ricci indisciplinati. Era una delle persone che più le piaceva e aveva scoperto finalmente come mai la levantina si fosse fatta in quattro per farla sentire a casa fin da subito.
Qualche mese prima, lavorando nelle stalle, era caduta da una scala e si era ferita gravemente alla testa. Xhoán era stato giorno e notte al suo fianco, per tre lunghe settimane, medicando il taglio e aiutandola a superare il trauma. L’incidente aveva portato via la sua capigliatura folta e i suoi ricordi relativi agli ultimi cinque anni. Kheni, questo era il nomignolo con cui gli altri si riferivano a lei, aveva deciso di non sposarsi più con il ragazzo cui era promessa, ma che non riconosceva e con cui non voleva avere niente a che fare. Aveva litigato con la sua famiglia e ora stava cercando di rimettere insieme i pezzi della propria vita. Solo lo sciamano eremita sembrava capire il dramma di trovarsi improvvisamente in un corpo cinque anni più vecchio e aveva fatto di tutto per aiutare Kheni a guarire, anche dopo che la sua ferita alla testa si era rimarginata da un pezzo. La gratitudine della ragazza amnesica nei confronti di Xhoán si era riversata impetuosamente sulla ponentina.
 
Agata riconobbe Tseren in lontananza, il ragazzo Drago camminava lentamente sotto il peso delle pellicce, come al solito la luce del crepuscolo faceva rilucere i suoi occhi di Drago. L’Ascendente saltò giù dalla staccionata, in soli due mesi le sembrava di essere diventata molto più atletica, probabilmente i suoi muscoli erano stati temprati dalle lunghe camminate e dalla scalata giornaliera per tornare alla tenda.
«Agata» le disse Kheni dondolandosi avanti e indietro sull’asse di legno, un modo di fare che aveva involontariamente assimilato dalla nuova amica. «Non riesco a capire qual è il rapporto tra te e… e quel ragazzo» aggiunse.
La ponentina realizzò che l’altra non conosceva neanche il nome del Drago. Le loro vite si erano incrociate per anni e nonostante ciò Kheni non si era mai curata di imparare il suo nome, e questo valeva per ogni singolo abitante del villaggio. Quel pensiero la rattristò profondamente.
«Ha perso da poco la madre e siccome Xhoán era molto affezionato a lei, mi ha chiesto di occuparmi di lui» da quando conosceva Tseren era diventata particolarmente brava a inventarsi frottole su due piedi.
«Xhoán non si affeziona a nessuno…» controbatté Kheni sicura.
«Allora sarà il suo senso di responsabilità…» disse Agata sperando che l’altra stavolta si convincesse.
«Può essere» concluse la levantina cambiando espressione nel momento in cui Tseren le raggiunse. Agata non capiva il motivo di quell’ostilità nell’aria, i due neanche si conoscevano.
«Tseren, questa è Kheni…» disse l’Ascendente. Entrambi furono colti alla sprovvista, non si aspettavano che la ragazza li introducesse. Si inchinarono dubbiosi. Kheni decise che voleva dare un’occasione di riscatto al misterioso ragazzo che era cresciuto solo in cima alla montagna.
«Vi va di cenare a casa mia?» domandò la giovane spiando la reazione di Tseren.
Agata fece lo stesso, ma il Drago scosse la testa senza preoccuparsi di risultare maleducato. Non sapeva neanche cosa fossero le norme comportamentali e in quel momento aveva solo una preoccupazione, stare il più possibile vicino ad Agata. Nel giro di poche ore sarebbero entrati nella settimana di luna nuova.
L’Ascendente sospirò, quanto le sarebbe piaciuto che il ragazzo Drago si rendesse conto che non c’era niente di male a convivere con gli uomini. Non riusciva a capire quale fosse il pericolo che Tseren temeva, in fondo bastava che stessero più attenti a non perdersi di vista nelle notti senza luna. 

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Capitolo 36
*** Levante, 5 anni e 279 giorni fa - Fiori medicinali arancio ***


CAPITOLO 35

LEVANTE, 5 ANNI E 279 GIORNI FA – Fiori medicinali arancio


Quella mattina c’era odore di pioggia nell’aria. Agata si era alzata presto e aveva preparato la colazione. L’alimentazione non era molto varia da quelle parti, ma almeno il cibo era saporito. Riscaldò l’acqua e la versò in due ciotole ripiene di un cereale verdognolo che si gonfiava a dismisura a contatto con le molecole H2O. Aveva un sapore dolciastro e riempiva a sufficienza lo stomaco. 
Tseren si stiracchiò sul giaciglio fatto di paglia e lana. La ragazza di Ponente amava interagire con lui la mattina presto, aveva gli occhi di un bambino e accettava qualsiasi cosa Agata gli proponesse, troppo rintronato per controbattere. Si era accorta che il sonno di Tseren era diventato molto più tranquillo, gli incubi ormai arrivavano al massimo due volte la settimana.
«Xoán mi ha chiesto un favore…» esordì Agata, mentre il levantino masticava assonnato la poltiglia. «Ha bisogno di alcune erbe medicinali che crescono da queste parti e mi ha chiesto se posso raccoglierle io e portargliele nel pomeriggio…». 
Tseren mugugnò in segno di risposta.
«Sai per evitare che salga fin quassù appositamente…» continuò la ragazza. «Ti va di accompagnarmi?».
Tseren esibì il solito ghigno canzonatorio. «Come se avessi scelta!».
Nei giorni di luna nuova, il Drago interrompeva la caccia, perché non poteva di certo portarsi dietro Agata. Andare al villaggio non era qualcosa che faceva con piacere, quindi colse al volo la proposta di passeggiare nel bosco.
Finito di mangiare, si incamminarono giù per il pendio. Agata sembrava avere un’idea chiara di dove andare. Lungo la strada si fermò a cogliere qualche fiore arancione, si trattava di piante molto delicate dallo stelo sottile e boccioli che si aprivano in cima, facendo intravedere un groviglio di stami blu.
«Sono queste le piante che ti ha detto di raccogliere Xoán? Guarda che non hanno nessuna proprietà curativa…» disse il ragazzo, accarezzando l’erba alta.
«Sì… sono sicura, vuole proprio queste…» rispose l’Ascendente decisa.
Tseren era cresciuto tra quelle oasi e nonostante non fosse uno sciamano aveva familiarità con le piante della sua terra. I fiori che Agata stringeva in mano avevano rallegrato la grotta dove era cresciuto per vent’anni perché erano i preferiti di sua madre, la quale non li aveva però mai utilizzati per preparare sostanze curative.
«Mi sembra veramente strano… secondo me hai capito male…» sbottò il levantino.
«Ne parliamo stasera, non vedo il motivo di discutere con me, sto solo seguendo un’indicazione di Xoán …» tagliò corto Agata.
Ultimamente quello era il loro modo di terminare le conversazioni ed entrambi si chiusero in un silenzio bellicoso.
Le braccia di Agata erano colme dei fiori profumati e Tseren stava valutando se seppellire l’ascia e aiutarla, quando raggiunsero un’oasi particolarmente bella. Era un concentrato di vita su una delle numerose terrazze che la montagna formava scendendo verso il suolo. Le foglie erano più verdi, gli animali più vivaci e un tappeto d’erba aveva ricoperto i sassi chiari striati di rosso tipici di quel tratto di discesa. Agata si incamminò decisa tra gli alberi e Tseren rimase incantato ad osservare quell’angolo di natura meraviglioso, possibile che in vent’anni non si fosse mai accorto dell’esistenza di u

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Capitolo 37
*** Levante, 5 anni e 279 giorni fa – Un dono inatteso ***


CAPITOLO 36

LEVANTE, 5 ANNI E 279 GIORNI FA – Un dono inatteso

 
«Ti va di vedere la grotta dove sono cresciuto?» le domandò Tseren a bruciapelo. Erano appena rientrati e una pioggia leggera aveva bagnato i ceppi della legna, tanto che i due ragazzi si erano dovuti affrettare a portare tutto all’interno della tenda.
Quelle erano le condizioni meteorologiche che Agata detestava con tutta se stessa, la pioggia sottile le faceva esplodere la capigliatura e le penetrava fin dentro le ossa.
«Veramente?» gli occhi pieni di gioia.
Tseren annuì timidamente, spiazzato da quella reazione.
Si incamminarono in salita, per la prima volta da quando si erano insediati Agata ripercorreva il tragitto fatto due mesi prima, l’ultimo tratto del viaggio da Ponente a Levante. Quella notte era talmente esausta che non aveva notato nulla.
Man mano che risalivano il pendio le piante si facevano sempre più rare, quello che rimaneva era un terreno arido coperto di pallidi sassi spigolosi. Agata finalmente riuscì a vedere la cima delle altre montagne e rimase sbalordita da quel paesaggio che sembrava di un altro mondo. Montagne aguzze si stagliavano sullo sfondo bianco. Per via della pioggia, quel giorno nuvole fumose avvolgevano le vette rendendo l’ambiente ancora più suggestivo.
Dopo quasi un’ora raggiunsero un burrone. Era un precipizio che scendeva a picco per centinaia di metri. Visto il suo scarso senso dell’equilibrio Agata non ebbe il coraggio di sporgersi.
«Siamo arrivati, la grotta è scavata nella roccia» disse Tseren cercando di sovrastare il sibilìo del vento.
L’Ascendente si guardò intorno perplessa. Non vedeva nessuna grotta scavata nella roccia.
«Intendi… laggiù?!” esclamò seguendo lo sguardo del Drago.
«Non avere paura, siamo nella settimana di luna nuova e se anche dovessi cadere…» esordì lui.
«C’è il rischio di cadere?!» lo interruppe ancora Agata allarmata.
«Ma no… era per dire…» e intanto aveva cominciato a slegare la fascia blu che portava legata in vita. Non sembrava far caso alla paura che era apparsa negli occhi della ponentina.
Lei chiuse gli occhi per regolarizzare il respiro. Come al solito la sua mente le diceva una cosa, il suo istinto un’altra. Ormai era abituata a quella dicotomia di sensazioni che precedeva ogni decisione.
Stava ancora valutando cosa fare che Tseren la cinse con la fascia.
«Tanto per essere doppiamente sicuri…» si voltò e fece passare la cinta anche intorno al proprio corpo. Nel giro di un attimo Agata si trovò legata a lui. Appoggiò il capo alla sua schiena e avvolse cautamente le braccia attorno al busto di lui. Il cuore iniziò ad affrettare il passo e la ragazza si ritrovò a pensare che prima o poi avrebbe dovuto affrontare i sentimenti che provava per Tseren. Ma non in quel momento. In quel momento riusciva solo a pensare che di lì a poco…
Tseren iniziò la discesa. Per il ragazzo il peso di Agata era trascurabile, aveva percorso la parete di roccia con oggetti ben più pesanti. Per la ragazza invece furono cinque minuti spaventosi. Per quanto fosse legata e stringesse con tutta la sua forza Tseren, la percezione dei piedi a penzoloni nel vuoto e il non potersi aggrappare a nulla era terrificante. Nonostante ciò era sicura che Tseren l’avrebbe portata sana e salva nella grotta.
«Agata non respiro… e smetti di agitarti, se no ci mettiamo ancora più tempo» la sgridò lui. Più facile a dirsi che a farsi. L’Ascendente cercò di ubbidire, ma Tseren non notò alcuna differenza.
Dopo quello che sembrò ad Agata un tempo interminabile, giunsero finalmente in corrispondenza di una grossa apertura e Tseren si dondolò dentro.
La caverna era illuminata solo dal chiarore naturale e nonostante quel giorno il cielo fosse coperto, entrava sufficiente luce.
Era più grande della tenda dove vivevano al momento, forse tre volte tanto. Al centro dell’ambiente c’erano un tappeto di pelliccia e un tavolino di pietra molto basso.
I letti erano accostati ai due lati opposti. Non erano giacigli in paglia e lana, come quelli su cui Agata si era abituata a dormire, ma brande di metallo un po’ arrugginito coperte da materassi sottili. Ovviamente non c’era nessuna trapunta, i Draghi non avevano bisogno di coperte per riscaldarsi.
«Sento il suo odore ovunque» fu la prima cosa che Tseren disse. Agata sospirò addolorata.
In una rientranza della grotta c’era quella che sembrava una cucina, con una credenza in legno e un piano in pietra. Dal momento che i Draghi potevano consumare il cibo crudo e vedevano al buio, non c’era niente che assomigliasse a un focolare.
In un altro angolo Agata riconobbe la postazione di lavoro di Baya, dove la donna aveva probabilmente trascorso ore interminabili a cucire le pelli.
«Quello è il tuo letto?» chiese l’Ascendente avvicinandosi. Il suo sguardo curiosò tra gli oggetti sul comodino del ragazzo. C’erano manufatti intagliati in legno, un paio di gioielli e un libro. Fu stupita di vedere un libro, Tseren non aveva mostrato alcuna curiosità nei confronti dei volumi con i quali Agata aveva cominciato a riempire la loro tenda. Lo prese in mano e intuì subito che si trattava di un testo didattico. Era molto semplice, pieno di immagini e sillabe.
«Tseren, sai leggere?» chiese mostrando il libro aperto.
«Sto imparando» rispose lui, «Mia madre ha cercato di insegnarmelo per anni, ma non ne ho mai avuto veramente bisogno…»
Agata amava leggere più di ogni altra cosa e mai e poi mai avrebbe immaginato di condividere il resto della vita con a una persona che lo considerava una cosa inutile.
«Se hai voglia posso insegnarti io, non appena avrò imparato meglio il levantese…» propose speranzosa. Tseren alzò le spalle poco convinto.
«Posso dare un’occhiata in giro o ti dà fastidio?» domandò Agata.
Il volto di lui si aprì in un ghigno. Era certo che Agata non si sarebbe accontentata di una visita veloce, era una delle caratteristiche della ponentina che lo divertiva, voleva vedere tutto e capire tutto.
«Fai pure» ridacchiò.
Agata aprì la credenza, completamente vuota. Probabilmente Tseren aveva pulito tutto. Anche l’angolo di lavoro era stato riordinato. C’erano degli avanzi di pelle ammonticchiati, forse Baya pianificava di usarli per qualcosa che ora non avrebbe mai visto la luce.
Sul comodino di lei c’erano soprattutto gioielli e una lista con appuntate alcune cose in una calligrafia scoppiettante. Le lettere erano di dimensioni differenti e talvolta la stessa parola era scritta in maniera diversa.
Agata aprì la cassapanca, ma non se la sentì di frugare tra le cose di Baya. Tseren lesse quel pensiero sul volto della ragazza e si avvicinò.
«Guarda pure, potrebbe esserci qualcosa che ti piace e…» proprio in quel momento si ricordò di una delle cose che gli aveva detto sua madre durante le ultime ore di calvario. Fino a quella mattina aveva chiuso il cuore a quei ricordi dolorosi e se ne era completamente dimenticato.
Agata lo osservò tirare fuori tutti gli abiti della madre e rovistare in fondo alla cassa. La visita della tomba era stato veramente un evento catartico per il Drago, fino a qualche ora prima il suo sguardo si incupiva al solo sentir nominare Baya e ora era pronto ad accettare che Agata indossasse le sue cose. Per quanto la ragazza fosse felice di quel cambiamento non aveva la minima intenzione di utilizzare gli oggetti della defunta, non per il momento per lo meno. Forse in qualche centinaia di anni, quando entrambi avessero completamene superato quel lutto.
Mentre Tseren continuava a scavare tra gli indumenti, la ponentina prese in mano un bracciale fatto di un materiale pesante con incastonate grosse pietre viola. 
«Eccola!» Tseren tirò fuori una piccola cesta di paglia scura. «Credo che questa sia per te!» aggiunse posandola sul letto di Baya. Agata lo guardò perplessa.
«Mi ero completamente dimenticato, ma uno degli ultimi giorni… uno degli ultimi giorni, mia madre mi ha detto che stava cominciando a preparare delle cose per il tuo arrivo!»
Prima ancora di aprire la cesta, gli occhi le si annacquarono. Attraverso i racconti di Xhoán le sembrava quasi di conoscere la coraggiosa donna Drago che aveva seguito il presentimento che suo figlio fosse in pericolo, anche se ciò significava tagliare i ponti con il proprio popolo. Quella giovane donna sempre solare dotata di una saggezza fuori dal comune le aveva lasciato un regalo. Commossa aprì la cesta e cominciò a osservare uno a uno gli oggetti.

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Capitolo 38
*** Ponente, 5 anni e 279 giorni fa – Un racconto dal passato ***


CAPITOLO 37
 
LEVANTE, 5 ANNI E 279 GIORNI FA (III) – Un racconto dal passato

 

All’interno della cesta c’era una collana di pietre viola dalla forma irregolare, era esageratamente pesante e dava l’idea di essere preziosa. Agata tirò fuori degli abiti, erano tipici di quella zona, ma parevano più eleganti rispetto a quelli solitamente indossati dalle donne del villaggio. Baya aveva cucito quegli indumenti pensando a lei, la ragazza si commosse accarezzando le rifiniture rosse e dorate che decoravano la camicia blu. Dopo aver sentito i racconti di Xhoán, le sembrava quasi di conoscere quella donna coraggiosa che aveva seguito il presentimento di fuggire per proteggere suo figlio, anche se questo significava non rivedere mai più la propria famiglia. Anche senza conoscerla provava un affetto smisurato per la persona che aveva messo al mondo Tseren e che l’aveva cresciuto. Era sicuramente un ragazzo un po’ stravagante e spesso taciturno, ma non avrebbe cambiato una virgola della sua personalità.
«Dovrai farteli aggiustare dalla tua amica del villaggio, sei più magrolina di come ti ha immaginato mia madre!» commentò il Drago.
«Credo che Baya, ehm tua madre, l’abbia fatto volutamente. È più facile stringere un vestito che allargarlo» Agata si chiese come mai Baya avesse preparato quell’abito prima del suo arrivo invece che aspettare. Forse aveva avuto un presentimento? O forse era un modo per prepararsi all’incontro con l’Ascendente del figlio, il nuovo membro della loro famiglia. Passò la mano sulla pelle morbida della gonna e se la avvicinò alla vita, peccato non ci fosse uno specchio.
L’ultimo oggetto nella cesta era un spilla d’oro rosso a forma di drago. Era grande quanto il suo dito mignolo e leggermente ossidata.
«Questa la conosco! Apparteneva a mia nonna!» intervenne Tseren. «Che era l’Ascendente di mio nonno!» precisò prendendo in mano la spilla. «Di certo non puoi andarci in giro, però è un bel ricordo».
«Posso indossarla dentro casa» replicò Agata guardando contenta quell’oggetto che l’aveva raggiunta dal passato.
 
**********
Quando Xhoán sopraggiunse per la cena si accorse subito che un cambiamento era nell’aria. I due sembravano essersi finalmente riappacificati. Notò la spilla appuntata sulla casacca di Agata e raccontò loro che l’oggetto era uno dei regali di nozze che la nonna di Tseren aveva ricevuto dal marito Drago.
«Com’erano i nonni di Tseren, li hai conosciuti?» chiese Agata nel suo levantese traballante.
Lo sciamano incominciò a raccontare degli anni trascorsi nel villaggio dei Draghi. Il padre di Baya era un uomo autoritario e poco incline a gesti d’affetto e il destino aveva scelto per lui un’Ascendente altrettanto altezzosa e distaccata. Manik era l’unica figlia di una delle famiglie nobili della capitale. Era stato impossibile separarla dai genitori, tanto che il nonno di Tseren era uno dei pochi Draghi ad aver trascorso una buona parte della propria vita lontano dal monte Ariun. I due si erano sposati e avevano aspettato che i genitori di lei fossero anziani e confusi prima di trasferirsi. La separazione dalla famiglia e dalla grande città era stata traumatica per la donna raffinata che si era quasi convinta di poter sovvertire le regole dei Draghi. Taishir, questo era il nome del padre di Baya, aveva in poco tempo acquisito un ruolo di rispetto nella comunità ed era stato uno di quelli a favore dell’apertura nei confronti degli uomini. Una decisione che si era rivelata fatale per l’intera razza. Dopo anni trascorsi nella capitale di Levante, l’uomo si sentiva a proprio agio tra i mercanti che di tanto in tanto capitavano nel villaggio e non aveva visto i pericoli di quell’apertura nei confronti di persone che pensavano solo ad arricchirsi. Manik intanto continuava a comportarsi come la ragazza viziata che era e tenne il muso per mesi, detestava ogni cosa delle montagne e dei parenti Draghi. Continuava a vestirsi con la moda della capitale e l’unico oggetto che aveva aggiunto al suo guardaroba era proprio la spilla a forma di Drago. Come a precisare che non rinnegava il suo ruolo di Ascendente, non capiva però perché dovesse espletarlo proprio in quell’angolo del continente.
L’arrivo di Baya nella loro vita riportò l’armonia, la donna concentrò tutte le sue attenzioni sulla piccola e la educò come se un giorno Baya avesse dovuto fare il suo ingresso nella società della capitale. Le aveva insegnato a leggere e a scrivere, a suonare un gran numero di strumenti e le impediva di partecipare alle uscite di caccia con gli altri Draghetti. Baya era considerata la principessina del villaggio. Finchè non fu grande abbastanza da prendere da sola le proprie decisioni.
Il racconto di Xhoán divagò e l’uomo prese a descrivere le caratteristiche più disparate su quell’epoca felice della sua vita. Una delle cose di cui aveva avuto più nostalgia negli ultimi vent’anni era poter parlare con altre persone come lui, altri Ascendenti. Quando era giunto per la prima volta nel villaggio la cosa che l’aveva colpito maggiormente era stata la varietà di culture che convivevano tra quelle buffe tende. C’erano levantini provenienti da tutte le zone del continente e persino dei ponentini. Xhoán aveva sentito parlare del continente al di là delle montagne, ma mai e poi mai si sarebbe immaginato di trovarsi a faccia con degli abitanti di Ponente.
Agata ascoltava incantata quelle storie di un tempo lontano, amava lasciarsi cullare dalla voce profonda di Xhoán. Tseren conosceva già il racconto della vita dei suoi nonni, l’aveva sentito più volte sia da sua madre che dallo sciamano. Sapeva che l’uomo covava un po’ di rancore nei confronti di Manik perché la madre di Baya non l’aveva mai accettato fino in fondo. La sola idea che la preziosa figliola potesse mettere su famiglia con un ragazzetto tanto semplice la atterriva.
«Mia mamma diceva sempre che se mia nonna si fosse trasferita nel villaggio da giovane sarebbe stato completamente diverso. Dopo essere cresciuta in un ambiente tanto diverso non poteva non sentirne nostalgia» aggiunse il levantino.
«Tua madre amava profondamente la sua famiglia ed è riuscita a perdonar loro tutto quello che è successo, cosa di cui io ancora non sono capace. È sempre stata una persona migliore di me…» rispose lo sciamano pensieroso e la ponentina ebbe per l’ennesima impressione che il sentimento che leggeva negli occhi dell’uomo non aveva niente a che vedere con l’affetto fraterno.
«Perdonare cosa?» chiese sentendosi indiscreta.
Anche Tseren moriva dalla voglia di sapere quanti più dettagli possibili sull’evento che aveva causato il genocidio dei Draghi, sia Xhoán che sua madre gli avevano raccontato il minimo indispensabile.
«È una storia per un’altra sera» tagliò corto lo sciamano eremita. 
 
*NdA*
Ciao a tutti,
mi rendo conto che questi ultimi capitoli possono risultare un po' grezzi. Sto effettuando una revisione del romanzo (a partire dall'inizio) ed ero indecisa se interrompere le pubblicazioni su Efp per un po' o se continuare a pubblicare anche se i capitoli vanno rivisti. Ho deciso per questa seconda opzione, spero vi faccia piacere. :)
A presto!
Elaine

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Capitolo 39
*** Ponente, 5 anni e 237 giorni fa - Il censimento trentennale ***


CAPITOLO 38 
 
Levante, 5 anni e 237 giorni fa - Il censimento trentennale


Le settimane passavano veloci, nel villaggio ai piedi del monte Ariun. Un poco alla volta, Tseren si era lasciato convincere a trascorrere del tempo con gli amici di Agata. C'era Kheni, la giovane con i capelli a spazzola che dimostrava meno anni di quelli che aveva. E Oyun, il ragazzino dagli occhi inquisitori che parlava poco ma con saggezza. La piccola Narantuya chiudeva il trio, una bambina che non la smetteva mai di chiacchierare, grazie alla quale Agata aveva imparato lo slang del villaggio.
Erano un gruppetto un po' isolato rispetto ai coetanei e, forse anche per quel motivo, Tseren si sentiva ogni giorno un po' più a proprio agio con loro.
Talvolta erano invitati a cena a casa dei pazienti di Xhoán, in quelle occasioni il Drago si limitava a sedersi in disparte e mangiava in silenzio. Lo sciamano non era convinto che socializzare con gli uomini fosse una scelta saggia, il ricordo delle preoccupazioni di Baya era infatti ancora fin troppo vivo, la donna non avrebbe mai voluto che suo figlio si integrasse con gli abitanti del villaggio. L'uomo aveva però notato come Tseren fosse più allegro e lo attribuiva al fatto che, per la prima volta nella sua vita, aveva degli amici. O forse era semplicemente l'effetto della compagnia della ragazza di Ponente, che con il suo carattere deciso, ma al tempo stesso dolce, lo aiutava a trovare il proprio posto nel mondo.

**********

Un pomeriggio tiepido, Xhoán era piegato nell'orto. Aveva da poco deciso di coltivare alcune piante medicinali e non aveva ancora capito come mai pochissime proliferassero, mentre la maggior parte si rifiutava tenacemente di mettere radici nel suo cortile. Era talmente concentrato che non si accorse del visitatore che aveva oltrepassato il cancelletto che separava la sua tenda dal viavai sul sentiero. L'uomo si schiarì la voce più volte, finché non fu costretto a battere il fascicolo arrotolato in mano sulla schiena dello sciamano, nel tentativo di attirare la sua attenzione.
«È lei Xhoán, lo sciamano eremita, vero?» disse il forestiero scandendo lentamente le parole, forse per sovrastare il frastuono che gli animali domestici avevano scatenato al suo ingresso.
L'altro lo osservava cupo, infastidito dal modo brusco in cui era stato distolto dalle sue preoccupazioni. Chi era quel funzionario maleducato che aveva attraversato l'ingresso senza essere invitato? Nella società in cui viveva ormai da decenni, era infatti considerata una grave offesa entrare nella proprietà di un estraneo senza essere stati prima invitati. Xhoán ormai aveva fatto sue tutte le convenzioni della gente del villaggio e non riuscì a trattenere un moto di stizza nei confronti del nuovo venuto.
Che fosse un funzionario, lo si capiva dall'uniforme. Da bambino, lo sciamano aveva avuto spesso a che fare con gli impiegati dell'Amministrazione di Levante. Si presentavano frequentemente nella bottega di suo padre per commissionare dei volumi o per riscuotere la Tassa Unica, ovvero il tributo al Governo Centrale che era dovuto da chi faceva un mestiere più remunerativo della media.
La divisa celeste del funzionario era rovinata, in alcuni punti persino scucita, e l'uomo aveva l'aria affaticata di chi è in viaggio da troppo tempo.
«Le ho chiesto se è lei Xhoán, lo sciamano eremita» ripeté il visitatore con il suo accento lagnoso della grande città.
L'Ascendente annuì perplesso, cosa ci faceva un funzionario del Governo Centrale alla periferia del continente? L'altro posò a terra la sacca da viaggio e srotolò il documento con cui aveva colpito Xhoán.
«Sono qui per il Censimento Trentennale, sicuramente ne avrà sentito parlare. Ogni trent'anni, il Governo raccoglie le informazioni sugli abitanti delle zone di Levante. Lei non risulta in nessuna statistica precedente di questo villaggio, dal suo nome deduco che è originario della zona peninsulare, giusto?» non lo guardava neanche in faccia, ma aveva preso a scartabellare nervosamente tra i suoi fogli.
Xhoán sospirò, fino a venti anni prima aveva vissuto nascosto nel villaggio dei Draghi, per forza non c'era traccia di lui da nessuna parte.
«Vivo qui da poco più di vent'anni, sono stato gran parte della mia vita in viaggio, e non ricordo di essere mai stato intervistato per un censimento» rispose lo sciamano soppesando le parole.
«E ha scelto questo posto sperduto per mettere radici? Una scelta singolare! Non è neanche sposato mi pare di capire, cosa l'ha spinta a stabilirsi proprio qui? Dove ha vissuto precedentemente?»
Lo sguardo di Xhoán cadde sulle piantine che si rifiutavano di crescere nel suo orto. Ripercorse con la mente le tappe del viaggio che aveva compiuto un quasi un secolo prima con Baya, suo padre e suo zio, e citò i nomi delle città che aveva attraversato.
«Ha colto nel segno» continuò lo sciamano, «All'inizio sono rimasto qui per una donna, ma poi, con il tempo, il monte Ariun è diventato la mia casa. Questo angolo sperduto di mondo evidentemente è il posto giusto per me» concluse sperando di liberarsi al più presto di quel ficcanaso.
«Una donna? Si riferisce forse alla madre del ragazzo che vive in cima al monte?» chiese l'altro lasciando da parte il fascicolo e concentrandosi finalmente sul suo interlocutore.
Gli occhi di Xhoán si riempirono per una frazione di secondo di terrore, ma lo sciamano fu bravo a simulare tranquillità.
«Vedo che sa già tutto di tutti» rispose per prendere tempo e pensare a come evitare che il funzionario incontrasse Tseren e Agata.
«Anche il ragazzo e sua madre non compaiono in nessuno dei registri, cosa ancora più strana, nessuno nel villaggio mi ha saputo dire il nome della donna defunta, ma lei lo conosce, non è vero?» indagò ancora l'uomo in uniforme.
«Certo, il suo nome era Bayarmaa e il motivo per cui la conosco bene è che è stata uno dei miei pazienti più difficili: aveva una paura anormale nei confronti del prossimo e questo l'ha spinta a vivere isolata tutta la vita. Non sono purtroppo riuscito a convincerla a trasferirsi nel villaggio, ma nel momento in cui ha avuto un bambino l'ho tenuta ancora di più sotto controllo, aveva chiaramente problemi di testa» parlare così di Baya, l'amore della sua vita, gli faceva male, ma non vedeva altra soluzione. Solo facendola passare per una pazza sperava di riuscire a proteggere Tseren.
«Il bambino è suo?» domandò il funzionario in modo indelicato.
«No» rispose Xhoán gelido, «Non ho idea di chi sia il padre».
«E il ragazzo non vuole trasferirsi nel villaggio, mi sembra di capire?» quel burocrate pignolo non dava l'idea di voler passare sopra al fatto che Tseren non fosse registrato.
«Purtroppo la madre gli ha trasmesso le sue paure, ma il ragazzo ha un'altra indole, sono sicuro che a breve riuscirò a convincerlo a unirsi alla comunità».
Quell'interrogatorio era una tortura, ma lo sciamano era determinato a fare di tutto per evitare che l'altro chiedesse di incontrare il Drago e l'Ascendente.
«Chi è la ponentina?» domandò l'uomo e sembrava che finalmente avesse raggiunto la domanda che lo assillava. L'altro rimase a lungo in silenzio.
«Non lo so. Ho detto agli abitanti del villaggio che è una mia parente per non agitarli, ma la verità è che non ho la minima idea di chi sia» aveva valutato varie possibilità, ma quella era la scelta migliore. Qualora l'uomo avesse insistito per incontrare Agata, non poteva rischiare che smascherasse subito una bugia, altrimenti avrebbe messo in dubbio anche le altre sue risposte.
«È un comportamento veramente incosciente da parte sua. Non posso impedirle di fare il mestiere di sciamano, ma non penso che lei ne sia degno» disse l'altro con cattiveria mascherata da preoccupazione. Xhoán incassò il colpo, ma non rispose.
«Voglio incontrare i due ragazzi. Subito» aggiunse il funzionario schiaffando i rotoli di carta nella sua sacca da viaggio. 

*NdA*
Ciao a tutti,
come vi ho anticipato in una delle note che ogni tanto lascio a fine capitolo, da circa tre mesi sto pubblicando e promuovendo “L’ultimo dei Draghi” su Wattpad. Wattpad è una giungla in confronto al lido tranquillo che è per me Efp.
Nell'ultimo periodo il mio romanzo ha scalato la classifica Fantasy. Molto è dovuto all’impegno che ci ho messo, non è facile rendere visibile la propria storia tra le centinaia di FanFiction. Spero però che in parte questo piccolo successo sia dovuto anche al fatto che la mia storia ha del potenziale. Le prime conferme che “L’ultimo dei Draghi” potesse piacere le ho avute proprio da voi, i miei lettori silenti di Efp, che leggono appena aggiorno e che talvolta mi lasciano delle recensioni bellissime. Innanzitutto grazie, grazie per avermi fatto scoprire che scrivere per gli altri mi piace più che scrivere per me stessa.
Devo dire che io per prima sono sempre stata una lettrice silente, ho curiosato per anni su blog e forum senza lasciare uno straccio di commento. Eppure questi ultimi mesi, per forza di cose, sono stata costretta a mettermi in gioco e a interagire con i miei lettori, perché è così che Wattpad funziona. E ho scoperto che non solo mi diverte, ma dà l’opportunità di conoscere persone interessantissime e con cui ho tanto in comune.
Vi state chiedendo dove voglio arrivare con questo messaggio interminabile?
Ebbene, per motivi di tempo, non riesco a stare dietro sia a Wattpad che a Efp, il problema principale sono le revisioni. Rileggo spesso la mia storia per migliorarla e farlo in parallelo su due piattaforme è diventato ingestibile.
Ho deciso di puntare su Wattpad per due motivi, perché credo che la mia storia abbia più possibilità di essere notata e perché mi piace questo scambio diretto che ho con i lettori. Dal momento che però devo molto a Efp e sono molto affezionata a questa comunità, non ho intenzione di sparire del tutto. Ora vi spiego cosa ho in mente.
Pubblicherò due nuovi capitoli a settimana su Wattpad. Su Efp invece sceglierò un giorno verso la fine del mese, credo l’ultima domenica, per caricare i nuovi capitoli tutti insieme. Se non riuscite ad aspettare e volete leggere in contemporanea basta avere un account Wattpad, inutile dire che se passate a dirmi cosa pensate dei nuovi capitoli sarei contentissima. Qualora abbiate qualche motivo “ideologico” per stare alla larga da Wattpad, spero che non vi dimentichiate di Agata e Tseren anche se purtroppo d’ora in poi dovrete seguire la storia più a rilento. :(
Detto ciò vi lascio il link al mio profilo Wattpad, il mio nick è ElaineAnneMarley.
Vi segnalo che su Wattpad ho già pubbicato il capitolo successivo a questo. Giusto per invogliarvi a fare un giretto… :)
A presto,
Elaine
PS Un’ultima info. Se vi piace rileggere, date un’occhiata ai capitoli 2 e 17. Sono quelli che hanno subito più modifiche in fase di revisione.

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Capitolo 40
*** Levante, 5 anni e 237 giorni fa - Un interrogatorio insistente ***


CAPITOLO 39 
 
Levante, 5 anni e 237 giorni fa - Un interrogatorio insistente


Il funzionario ansimava marcatamente, non si sarebbe mai aspettato che "in cima al monte" significasse veramente che dovessero risalire il pendio quasi fino alla vetta. In più di un'occasione fu tentato di abbandonare la sacca da viaggio e riprenderla al ritorno, ma temeva che qualche animale selvatico curiosasse tra le sue cose.
Una volta raggiunta la tenda dove vivevano il Drago e la sua Ascendente, Xhoán li chiamò a gran voce, facendo intendere che non era solo. I due ragazzi uscirono all'aperto, dall'interno si poteva sentire il crepitio del fuoco, probabilmente avevano appena cominciato a cucinare la cena. Tseren assunse immediatamente uno sguardo ostile, mentre Agata prese a studiare ogni particolare del nuovo arrivato.
«Questo è Tseren, il figlio della donna mentalmente disturbata di cui le ho parlato, e lei è la sua amica straniera Agata, non so come si siano conosciuti e perché lei abbia deciso di trasferirsi qui» Xhoán cerco di aggiornare i due ragazzi su quello che aveva condiviso con il forestiero fino a quel momento e temette per un attimo che Tseren non capisse. Un'ombra aveva attraversato fulminea lo sguardo del Drago.
«Non credo sia una buona idea parlare in questo modo di Baya davanti a suo figlio» intervenne immediatamente Agata afferrando il polso di Tseren. «Ci stavamo per mettere a tavola, volete unirvi?»
Il funzionario parve sorpreso nel sentir parlare una ponentina con l'accento della zona montuosa di Levante, aveva solo una lieve cadenza ponentese in sottofondo, quasi impercettibile. «Grazie per l'invito, ma no» rispose il funzionario e ripeté quanto aveva spiegato a Xhoán poco prima. Agata ascoltò attentamente le informazioni sul Censimento Trentennale mentre cercava di pensare a una scusa convincente. Una ragazza così giovane, sola a Levante, e per di più nascosta tra le montagne, sicuramente l'impiegato del Governo non si sarebbe accontentato di una spiegazione vaga.
«Posso chiederle cosa ci fa in questo posto sperduto? Da dove arriva esattamente e da quanto tempo è nel nostro continente?» la incalzò l'uomo con aria inquisitoria. «Credo di dover partire dall'inizio» esordì l'Ascendente, mentre nella sua mente i pensieri si incastravano rapidamente alla perfezione come i pezzi di un puzzle, «Mi faccio chiamare Agata, ma il mio vero nome è un altro» fece un un'altra pausa e cerco di assumere un'espressione sincera.
«Mi chiamo Isaba e i miei genitori sono dei mercanti di Ponente. Ero in viaggio da alcuni mesi con la mia famiglia, precisamente nel capoluogo della zona montuosa» e la ragazza incominciò a descrivere con talmente tanta precisione il commercio della sua presunta famiglia e la villa in cui vivevano nel corso delle frequenti trasferte a Levante, che il funzionario fu costretto a interrompere quel fiume in piena perché non riusciva a prendere appunti.
Nell'istante in cui l'uomo si distrasse per cercare uno dei suoi fascicoli, Agata scambiò uno sguardo allarmato con Xhoán e Tseren. Era abbastanza convincente? Stava attingendo a tutti i racconti di Isaba, finalmente le ore obbligata a sorbirsi le sue chiacchiere vanesie le tornavano utili. Il Drago e lo sciamano la fissavano ammirati.
«E cosa ci fa qui? È forse scappata di casa?» indagò il funzionario.
Agata scoppiò in una risata forzata. «Non sono una bambina, sono grande abbastanza per prendere le mie decisioni. Un uomo della sua esperienza dovrebbe sapere che la maggiore età si raggiunge a sedici anni a Ponente. Secondo lei perché vivo qui? A me pare ovvio» rispose con un sorriso ambiguo.
«Perché?» chiese l'uomo. Pendevano tutti e tre dalle sue labbra.
«Secondo lei perché un uomo e una donna vivono insieme isolati? Siamo una coppia, non è evidente?» concluse lei prendendo la mano di Tseren. Il Drago la guardò per un attimo confuso, ma parve realizzare subito che Agata sapeva cosa stava facendo e strinse la presa attirandola a sé, come a voler confermare quelle parole.
Xhoán, fiero della prontezza di Agata, decise che fosse arrivato il momento di introdursi nella conversazione per sostenere la storia della ragazza, voleva evitare che l'interrogatorio si spostasse su Tseren. Il giovane aveva appena incominciato a relazionarsi con gli uomini e lo sciamano temeva che se fosse intervenuto nella conversazione, sarebbe risultato poco credibile.
«I due ragazzi sono chiaramente un po' strambi, ma non stanno facendo niente di male. Sono entrambi adulti e sono sicuro che presto si convinceranno a trasferirsi nel villaggio» intervenne l'uomo.
«Vivere così isolati è estremamente pericoloso» rincalzò il funzionario.
«Ma certo, Tseren sta cercando di rispettare la memoria della madre, ma è nei piani trasferirsi a valle... Prima o poi...» sorrise Agata stringendo più forte la mano del Drago.
«E lei non ha niente da dire?» l'uomo fissava insistentemente Tseren.
«Isaba ha spiegato tutto alla perfezione, non c'è niente da aggiungere» rispose il ragazzo Drago mettendo il braccio attorno alle spalle di Agata, per rimarcare fisicamente, una seconda volta, il rapporto che lei aveva descritto a parole.
Il funzionario continuò a scribacchiare per un po' nei suoi fascicoli e poi finalmente decise che aveva raccolto abbastanza dettagli. Chiese a Xhoán di riaccompagnarlo al villaggio, ma l'altro si limitò a indicare il sentiero da cui erano arrivati.
«Pensavo di fermarmi a cena dai due giovani per assicurarmi che vada tutto bene, credo che sia il comportamento adatto a un bravo sciamano» rispose l'uomo passandosi la mano tra la barba incolta.
Il funzionario capì che stava pagando le conseguenze del commento malevolo fatto qualche ora prima e, ostentando indifferenza, si incamminò da solo.
Agata, Tseren e Xhoán rimasero a lungo in silenzio, seduti attorno al tavolo. Quando il Drago confermò che l'impiegato del Governo si era allontanato a sufficienza ripresero a parlare.
«Mia cara ragazza, tu sei un genietto. Non so come ti sia venuta tanto rapidamente in mente un balla così precisa, ma sembrava stessi veramente descrivendo la tua vita» disse lo sciamano.
Agata sorrise amareggiata, una vita fatta di viaggi, soggiorni in ville lussuose e capricci, non aveva niente a che vedere con come era cresciuta. Aveva ripescato tutte le storie di Isa e le aveva condite con qualche aneddoto raccontato da Greg.
«Per favore, non voglio mai più chiamarti Isaba però!» rise Tseren ricordando la petulante compagna di dormitorio di Agata.
La risata stracciò l'alone di tensione che ancora regnava nell'aria. Per la prima volta in vent'anni, Xhoán aveva temuto che il segreto di Tseren venisse allo scoperto. Se il funzionario si fosse insospettito avrebbe potuto aprire un'inchiesta. E invece le bugie di Agata l'avevano rintronato abbastanza e alla fine era sembrato convinto da quell'epopea amorosa che aveva strappato una ponentina viziata alla sua vita agiata, facendola stabilire in uno dei luoghi più remoti del mondo, a fianco del figlio di una donna mentalmente disturbata.
I tre incominciarono a scherzare mentre si servivano nei piatti lo stufato, ripercorsero i momenti in cui avevano temuto che il funzionario smascherasse le fandonie di Agata dall'espressione esterrefatta del Drago.
La ragazza osservò compiaciuta come il giovane levantino fosse molto più allegro quando l'Ascendente della madre era con loro. I due avevano chiaramente un rapporto speciale ed erano simili in tante piccole cose. Xhoán era l'unica figura maschile che aveva avuto accanto crescendo, e forse per questo Tseren aveva un modo di parlare e di gesticolare molto simile a quello dello sciamano. Succede spesso che due persone tanto a contatto finiscano per assomigliarsi. Alla ragazza tornò in mente una delle sue amiche del villaggio che aveva perso entrambi i genitori da neonata, risucchiati dal mare un giorno che non sarebbero dovuti uscire con il peschereccio. La piccola era stata accolta da un'altra famiglia e crescendo non si sarebbe detto che non fosse figlia naturale della coppia che l'aveva adottata.
Chissà che fine aveva fatto il padre di Tseren, aveva chiesto notizie sia al ragazzo Drago che allo sciamano. Entrambi si incupivano ogni volta che l'argomento veniva fuori, anche se per motivi diversi. Tseren soffriva del fatto che la madre non avesse mai amato parlare di Tumur e Xhoán covava un rancore talmente grande nei confronti del giovane mercante, che sembrava trasformarsi momentaneamente in un'altra persona al solo sentirlo nominare.
Forse fu l'euforia per aver scampato il pericolo, ma quella si rivelò una delle serate migliori da quando Agata si era trasferita a Levante. La cena improvvisata nella penombra e le risate dei due levantini fecero sentire la ragazza, per la prima volta, parte di una nuova famiglia.

*NdA*
Ciao a tutti,
vi ricordo che la pubblicazione su efp procede a rilento, se siete curiosi di leggere i capitoli successivi li trovati qui.
Elaine

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Capitolo 41
*** Levante, 5 anni e 217 giorni fa - Trattamenti medicinali per l'anima ***


CAPITOLO 40 
 
Levante, 5 anni e 237 giorni fa - Trattamenti medicinali per l'anima


C'era un buon numero di cose che Agata amava della sua nuova vita a Levante. Era cresciuta aggiustando reti da pesca, impiego che aveva messo da parte una volta iniziata l'università, e ora, dopo anni in compagnia dei libri, aveva riscoperto l'effetto benefico delle attività manuali. Le giornate concentrata nella preparazione di trattamenti medicinali, seduta a terra a pestare semi o nel cortile a bollire petali, la facevano sentire viva. Ora che non aveva più un piano da seguire e perfezionare, stava imparando a vivere nel presente, invece che nel futuro, e questo le dava tante piccole soddisfazioni. Era come se l'ossessione per i traguardi che aveva l'abitudine di porsi da sola, l'avesse resa tesa per anni e ora finalmente poteva rilassarsi. Non c'era nessun nuovo obiettivo da raggiungere, c'era solo l'aria a tratti fredda a tratti calda, il calpestio degli zoccoli degli animali sul terreno, i gesti gratuiti d'ospitalità degli abitanti del villaggio e le ore seduta nell'angolo paradisiaco di natura dove era sepolta Baya.
Senza neanche accorgersene, Agata stava cambiando. Le emozioni sempre più spesso avevano la meglio sui pensieri e, molto gradualmente, la sua attenzione si stava spostando da se stessa agli altri. Fin da bambina la sua interiorità era sempre stata al centro, mentre tutto il resto era un contorno marginale. La compagnia degli altri era piacevole, certo, ma non quanto i momenti trascorsi a nutrire la propria mente e a progettare il futuro. Ora che le scelte sul futuro le erano state negate, la ragazza stava imparando a utilizzare la sua capacità di individuare la soluzione migliore a un problema per aiutare gli altri. Xhoán era un ottimo maestro, lo sciamano era un esempio vivente di cosa significasse sacrificare se stesso per il prossimo, lo faceva in continuazione per curare i suoi pazienti e aveva persino messo da parte per decenni il suo amore per Baya, probabilmente convinto che fosse quello il desiderio di lei. Che Xhoán avesse amato Baya, era per Agata ormai una certezza. Lo leggeva nei suoi occhi ogni volta che la nominava, o dal modo in cui lui poggiava i fiori sulla sua tomba, con una delicatezza tale che sembrava la stesse accarezzando.

E poi c'era Tseren.

Agata amava che fosse lui la prima persona che vedeva appena sveglia, quando i primi raggi del sole filtravano dagli spiragli della tenda. Amava scorgerlo in lontananza, quando tornava carico di carcasse dalla caccia, ma le lasciava lontane perché sapeva che la ragazza provava repulsione per l'odore della morte. Amava sentire le risate spontanee che esplodevano quando il ragazzo Drago scherzava con Xhoán e amava i piccoli gesti di apertura nei confronti di Kheni e degli altri amici del villaggio.
Durante i momenti sdraiata accanto alla tomba di Baya, spesso Agata rifletteva su cosa provasse per Tseren. Aveva da tempo intuito che il legame di Ascendente non aveva niente a che fare con il fatto che pensasse costantemente a lui quando non erano insieme, che avrebbe voluto sapere cosa gli passasse per la mente in ogni istante e che fremeva ogni volta che per qualche motivo si sfioravano. Era chiaramente attratta da lui. Di più, si stava innamorando. Con tutta la lentezza con cui si innamora una persona razionale, i cui sentimenti sono solidi e duraturi proprio perché basati non solo su emozioni, ma anche su ragioni. Aveva l'impressione che anche Tseren si stesse affezionando a lei, ma non le era chiaro se il ragazzo riuscisse a separare l'Agata Ascendente dall'Agata ragazza.
Ogni tanto Xhoán la sorprendeva a osservare il Drago e se ne usciva con qualche frase enigmatica. "Sii paziente, avete centinaia di anni davanti, ma non aspettare troppo", oppure "Il ragazzo conosce solo ciò che gli abbiamo insegnato io e la madre, non ha visto altro" o anche "Cerca di diventare la sua migliore amica, non avrà bisogno di nessun altro nella vita, se non di te". Agata si limitava a sorridere imbarazzata, ma faceva tesoro di quel poco che capiva dei consigli dello sciamano.
Adesso che Tseren accettava di visitare frequentemente il villaggio e trascorrere un po' di tempo con gli amici di Agata, Kheni, Oyun e Nara avevano smesso di guardarlo con occhi carichi di sospetto. La piccola Nara lo aveva persino preso in simpatia e non si lasciava più intimidire dalle sue risposte brusche. Oyun, che era il più sveglio tra i tre, percepiva che il giovane dagli occhi blu avesse qualcosa da nascondere, ma si era stufato presto del fatto che le sue domande cadessero sempre nel vuoto. Agata gli piaceva, Xhoán era una delle sue figure di riferimento nel villaggio, e se quei due si fidavano ciecamente di Tseren, poteva riuscirci anche lui. Aveva inoltre trovato in lui un perfetto compagno di arrampicate ed era ben disposto a sorvolare sulle sue stranezze, pur di avere qualcuno con cui esplorare finalmente i dintorni.
Durante la settimana di luna nuova, Tseren e Agata si rintanavano nella grotta, lontani dal villaggio e dalla civiltà umana. Il ragazzo poteva così assumere la forma di drago quando ne aveva voglia, senza temere di essere visto da occhi indiscreti. L'Ascendente non aveva più paura della discesa lungo la parete rocciosa, ma preferiva che il ragazzo la trasportasse trasformato in drago, perché, aggrappata al suo collo squamoso, si sentiva più al sicuro. Il tragitto durava inoltre molto di meno. Tseren la faceva entrare nella grotta, poi risaliva a prendere i vestiti e riscendeva in forma umana. Per lui arrampicarsi era come camminare.
Per non insospettire la gente del villaggio, si erano inventati una scusa, una delle menzogne vaghe, ma precise al punto giusto, che Agata era tanto brava a fabbricare. Avevano convinto gli altri che Tseren aveva una prozia malata che visitavano una volta al mese, e che era necessaria più o meno una settimana per andare e tornare. Nessuno pareva notare che i due ragazzi sparivano sempre la stessa settimana, quella di luna nuova.
In quei sette giorni il Drago e l'Ascendente non vedevano altre persone, neanche Xhoán, e ad Agata sembrava che fossero proprio quelli i momenti in cui il loro rapporto facesse passi da gigante.

*NdA*
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Elaine

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Capitolo 42
*** Levante, 5 anni e 212 giorni fa - L'arrivo della carovana del mercante ***


CAPITOLO 41 
 
Levante, 5 anni e 212 giorni fa - L'arrivo della carovana del mercante


Tseren era stato un bambino socievole al quale era stata negata la possibilità di avere amici. Quando era appena un Draghetto, Baya e Xhoán lo sorprendevano spesso a giocare con gli animali del bosco, gli unici esseri viventi con cui aveva il permesso di interagire. Peccato che gran parte delle bestiole lo temessero a tal punto da non poter ricambiare l'affetto genuino del piccolo.
 
Con il passare degli anni, il ragazzino si era rassegnato a quella che vedeva come una condanna. Per uno come lui, non c'era alcuna speranza di poter vivere in mezzo alle altre persone e doveva accontentarsi di passare il tempo con la madre e con l'Ascendente di lei. L'inizio dell'adolescenza era stato uno dei periodi più cupi. Spesso scendeva al villaggio e spiava di nascosto i suoi coetanei, ragazzi umani che organizzavano spedizioni tra le montagne, avventure cui non avrebbe mai potuto prendere parte.
 
Come meccanismo di difesa il bambino socievole si era trasformato in un ragazzo solitario e di poche parole. Con il passare degli anni, quello che un tempo lo avrebbe fatto soffrire, era diventato semplicemente la quotidianità. Nessuno avrebbe mai potuto esplorare gli abissi della sua solitudine, neanche la madre, che aveva vissuto in un'epoca in cui i Draghi scorazzavano tra le montagne. Per quanto fossero rimasti in due, la verità era che Tseren considerava la sua razza già estinta. Non aveva mai pensato di avere la responsabilità di mandare avanti la specie, non vedeva il motivo di condannare qualcun altro a quella vita incompleta. Sarebbe stato lui l'ultimo Drago, fino alla fine.
 
L'idea di non andare d'accordo con la propria Ascendente l'aveva torturato a lungo, non aveva mai avuto la possibilità di interagire con qualcuno della sua età, non sapeva neanche da dove cominciare per instaurare un rapporto. E legare con lei era di fondamentale importanza, per fare in modo che non lo abbandonasse mai.
 
Quando aveva incontrato Agata per la prima volta, gli era sembrata una persona con le idee fin troppo chiare su qualsiasi cosa, sapeva sempre dove andare e quale fosse la cosa giusta da dire. Non era la ragazza indecisa che aveva sperato di avere come Ascendente, ma uno spirito determinato che difficilmente cambiava opinione. Aveva quindi messo in conto di dover trascorrere molto tempo a Ponente, prima di convincerla a trasferirsi nei pressi del monte Ariun. E invece lei lo aveva sorpreso con una decisione repentina e apparentemente senza ripensamenti.
 
Nell'ultimo periodo aveva smesso di vederla come l'unica cosa che lo proteggeva dal suo lato feroce e passare il tempo insieme era molto più piacevole rispetto all'inizio. Era interessante sentire i suoi racconti, e dal momento che la ragazza sapeva tutto di tutto, si divertiva a chiederle spiegazioni sugli argomenti più disparati. Per esempio perché l'arcobaleno apparisse solo dopo un temporale oppure perché ci fossero così tanti modi di dire sui levantini della costa. Agata aveva sempre una risposta e le sue spiegazioni lo trasportavano in giro per il mondo. Certo, preferiva le uscite di caccia con Xhoán rispetto alle chiacchierate con Agata, però quando era con lei si sentiva sereno. Persino i suoi incubi erano diminuiti. Dietro quella corazza di nozioni e opinioni, stava scoprendo una ragazza che si faceva in quattro per aiutare e che spesso era maldestra a relazionarsi con gli altri quasi quanto lui.
 
L'amicizia con i giovani del villaggio era un altro degli aspetti che aveva reso la sua vita più piena, si divertiva a scalare le pareti di roccia con Oyun, per la prima volta in compagnia, e provava tenerezza per i tentativi maldestri di Nara di seguirli. Era inoltre rasserenato dal fatto che Agata si fosse affezionata tanto a Kheni, continuava a nominare spesso la sua amica d'infanzia Holly Dee, ma sembrava sempre meno gravata dalla nostalgia.
 
Inoltre Xhoán e Agata andavano molto d'accordo, la ragazza si era appassionata al mestiere dello sciamano e con il passare degli anni sarebbe potuta diventare lei stessa una guaritrice di tutto rispetto.
 
**********
 
Una sera d'autunno i ragazzi erano seduti sulla staccionata che separava il villaggio dal deserto montuoso. Agata si dondolava come suo solito e Tseren la teneva d'occhio, pronto a sorreggerla qualora fosse scivolata, assecondando quello che ormai era diventato un riflesso incondizionato. Osservava di sottecchi anche Nara, che penzolava invece a testa in giù, quella bambina era davvero spericolata!
 
Oyun era seduto a terra a gambe incrociate e stava mostrando a Kheni l'appezzamento di terreno dove i genitori avevano intenzione di aprire un nuovo allevamento, tutto su una mappa scarabocchiata al suolo.
 
Xhoán li trovò così, mentre rientrava da uno dei suoi giri di più giorni per i villaggi vicini. Era stanco e affamato e così decise di invitarli a cena sperando che qualcuno si occupasse di preparare da mangiare. Aveva solo voglia di sdraiarsi tra i cuscini e scambiare due chiacchiere sul più e sul meno.
 
Li aveva appena convinti che udì un nitrito. Un brivido familiare gli percorse fulmineo la spina dorsale. I cavalli non erano comuni da quelle parti, quindi si voltò sorpreso.
 
Gli occhi dei cinque ragazzi erano già puntati da un po' sulla carovana che era spuntata da dietro l'angolo meridionale del villaggio, quello che era considerato la via principale d'accesso.
 
Come era buona educazione, il mezzo si fermò a una quindicina di metri di distanza dal centro abitato. Un uomo vestito riccamente scese dalla prima carrozza e si avviò a passi lenti verso il gruppetto.
 
Xhoán osservava con crescente preoccupazione il vecchio, ma era ancora troppo lontano per mettere a fuoco i lineamenti. Aveva riconosciuto però quegli orribili cavalli dal pelo lungo, le bestie gli avevano immediatamete riportato alla mente alcuni tra i momenti peggiori della sua vita.
 
Nonostante il tragitto alquanto breve, vista l'età, l'uomo strascicò i piedi con fatica fin lì. Lo sciamano guardò gli occhi piccoli e duri, i lunghi capelli bianchi che scendevano dal capo spelacchiato e le sopracciglia ispide. Non voleva credere ai propri occhi e così studiò l'abbigliamento del vecchio, sperando che il suo sospetto venisse smentito. E invece lo stemma che adornava la spilla usata per chiudere il mantello fu la conferma tanto temuta.
 
«Riconoscerei quegli occhi ovunque, Tseren» disse l'uomo con la voce che gli tremava. Ignorò volutamente Xhoán. L'unica che degnò di uno sguardo fu Agata, si era accorto infatti come Tseren si fosse avvicinato a lei, come a volerle fare da scudo.
 
Lo sciamano pensava che non avrebbe mai avuto la sfortuna di incontrare di nuovo uno degli uomini che odiava di più al mondo e invece eccolo lì, quel vecchio decrepito, ma con l'aspetto arrogante come al solito. Chiaramente era venuto per portare via Tseren, Xhoán non aveva il minimo dubbio a riguardo. Non si sarebbe altrimenti presentato con quel corteo di persone, soldati e altri nobili che erano rimasti alla dovuta distanza. Il mercante si era portato dietro più testimoni possibili.
 
Lo sciamano sarebbe voluto tornare indietro nel tempo, si pentiva di non aver seguito le regole di Baya, come si era potuto lasciar convincere a portare Tseren tra gli uomini? Aveva messo la sua esistenza sotto gli occhi di tutti e ora ne avrebbero pagato le conseguenze.
 
«Chi siete?» chiese Kheni sorpresa.
 
L'anziano mercante sospirò.
«Il mio nome è Thuluun» si fermò, aspettandosi che bastasse quella presentazione per essere riconosciuto. Visto che Tseren continuava a sembrare confuso, si decise a completare la frase, «Tumur era mio figlio, sono tuo nonno paterno, ragazzo».
 
Il Drago si voltò a guardare Xhoán in cerca di conferma e lo sguardo colmo d'odio dello sciamano fu una risposta sufficiente.
 
*NdA*
Ciao a tutti,
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Con l'occasione vi faccio tanti auguri di un sereno Natale! Godetevi il meritato riposo, l'affetto delle persone care e i banchetti natalizi!
Elaine

Mia Immagine
(*) L'immagine non è mia, l'ho trovata su Google.

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