The Rain Song

di Riley Bee
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda Parte ***
Capitolo 3: *** Terza parte ***
Capitolo 4: *** Quarta parte ***
Capitolo 5: *** Quinta parte ***
Capitolo 6: *** Sesta Parte ***
Capitolo 7: *** Settima Parte ***
Capitolo 8: *** Ottava parte ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***


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Note dell'autore:

Salve a tutti. E' la prima fanfiction che provo a scrivere quindi siate clementi con me. E' nata principalmente perchè, dopo anni passati a rimuginare, leggere e farmi film-mentali a proposito di questi due “dorks” ho voluto prendere la penna in mano e creare una storia a proposito di come li ho sempre immaginati io. Ho sempre immaginato un Castiel un po' burbero, risalente alla quarta stagione, che mi somiglia terribilmente e un Dean testardo ma con, sotto la scorza dura, un'immensa dolcezza.

Sono una fan sfegatata del caro vecchio Rock “di una volta” (il Rock non muore mai, MATE) e sono una terribile scrittrice in quanto, sono una piccola lumaca che prova a scrivere quattro righe ma finisce per impiegarci dieci ore. I'M SORRY.

Spero apprezziate. Sbizzarritevi nelle critiche che sono sempre ben accette.
 

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The Rain Song


 

This is the springtime of my loving
the second season I am to know
You are the sunlight in my growing

so little warmth I’ve felt before.
[…]
I’ve felt the coldness of my winter
I never thought it would ever go.
I cursed the gloom that set upon us…
But I know that I love you so

 

-Led Zeppelin, The Rain Song


Prima parte:

Castiel non scrive e detesta farlo.

Sa quanto questo possa essere controproducente. Fare lo scrittore e non scrivere non sono due cose che vanno esattamente d'accordo. E' probabilmente il peggior cliente che una casa editrice possa avere. Il suo editor, Balthazar, lo odia, ma non può di certo biasimarlo.

Oltre questo, il non scrivere è abbinato ad un carattere terribilmente cupo e a tratti decadente, con disturbi mentali di vario genere, una leggera fissa per il tè delle cinque e per i libri ben scritti. Il tutto impacchettato in un corpo dalla pelle chiara, ossa scricchiolanti e capelli corvini che adorano andare in tutte le direzioni fuorché quella desiderata.

Non esce di casa da un po'. Da un bel po', ad essere sinceri. Ha convinto Balthazar di aver bisogno di spazio e tempo per scrivere. Oltre a dargli del vampiro con una leggera alzata di spalle, non si è lamentato troppo. Ma la verità è un'altra; A casa sua, le notti, sono sempre piuttosto silenziose. Sono fredde, distanti e simili a lui. Forse per questo adora la notte. Sente una certa affinità con essa, con il freddo che è sempre stato il comun denominatore caratterizzante il suo nome, quando si parlava di lui a casa o a scuola. Era circondato da una freddezza così palpabile da raggelare le ossa di chi gli parlava. Ma Castiel, nelle ultime notti, ha sentito caldo.

C'è un ragazzo. Numero nove di Tottenham Road, nella casa affianco alla propria. Il numero nove è sfitto da secoli, ovvero da quando era morto un certo signor Barnes, che ci abitava. Sul cornicione, ormai, c'era un fila di nidi di Rondine e la natura ne stava lentamente prendendo possesso.

E c'era questo ragazzo.

Castiel crede che la notte non dorma. E, a volte, nelle sue notti solitarie accoccolato tra libri e fogli, vedeva una luce accendersi e fare capolino tra le sue finestre, aggiungendosi come un intrusa tra quelle dei lampioni.

 

Tutto iniziò quella notte; la luce era accesa. Castiel si alzò pigramente e trascinò le proprie gambe fino alla finestra dalle tende bianche, lasciando che gli accarezzassero leggermente il viso. Studiò la facciata del numero nove con attenzione e scorse qualcosa. O meglio: Qualcuno.

La luce proveniva dalla finestra più vicina a quella del suo salotto. Era leggermente più in basso e aveva gli infissi di legno scuro con robuste persiane che permettevano a Castiel di vedere l'interno di una piccola cucina estremamente luminosa e calda.

Da sotto un bancone spuntarono una leggera brezza di capelli castani e due occhi grandi e verdi con una non-so-che nota di estrema dolcezza.

Si alzò lentamente da sotto il bancone tirando fuori un qualche attrezzo da cucina. Era una plastica bianca semi-trasparente con un beccuccio che la chiudeva a cono in un angolo. Le mani del ragazzo la maneggiavano con cura, si muovevano con grazia in tutto lo spazio ristretto della cucina come se fossero nate per essere usate in quel modo. Cucinava. Non riuscì a capire che cosa, ma lo faceva dannatamente bene e il suo cuore sobbalzò leggermente. Cercò di ignorarlo.

Sfornò delle mini-torte. O almeno, così decise di chiamarle lui. Avevano della crema colorata e soffice sopra ed erano circondate da della carta decorata. Non aveva la minima idea di che cosa potessero essere. Come già è stato detto, non era un tipo che usciva molto o che aveva contatti con il lontano “mondo esterno”. Torte o non torte non smise neanche un secondo di osservare.

Balenò nella sua testa il rischio di poter apparire come un pazzo stalker maniaco. D'altronde non era affacciato da quasi un'ora alla finestra ad osservare il proprio vicino di casa con il suo classico sguardo da omicidio in pigiama e pantofoline. Stava per allontanarsi ma qualcosa glielo impedì e decise di aprire la finestra. Fu allora che lo sentì. Mele. Cannella forse? Era dolce e familiare. Ricordava di canzoni lontane, di carezze e di casa. Castiel, chiudendo gli occhi, ne fu pervaso. Con il naso perso all'insù nel cercare di decifrare l'odore incontrò due occhi verde prato dritti nei suoi con una, guarda-un-pò, nota di terrore.

Merda.

Merda, merda, merda. Okay. Il casino era combinato. Non poté pensare ad altro. Continuarono a fissarsi. Forse troppo. Okay, era decisamente troppo. Indietreggiò di un passo e, senza distaccare lo sguardo, chiuse la finestra e tirò le tende con movimenti secchi e meccanici. Come pietrificato.

Fece in tempo a sentire un “Hey” sommesso in lontananza ma non riuscì a fare altro che accucciarsi sotto le lunghe tende della sala e rimanere in rigida osservazione. Pensò dopo che il piano terra forse non era il luogo migliore per mettersi in posizione fetale ad osservare sconosciuti. Chiunque può raggiungere un piano terra. Forse tutti quei film Horror con la gente che scappa al piano di sopra non hanno del tutto torto. Era un'ombra. Riusciva a vederne la sagoma attraverso le tende bianche. Fantastico.

Con la mano titubante spostò la tenda. Il ragazzo picchiettava insistentemente le dita sul vetro con lo sguardo di qualcuno che era appena stato colto in flagrante. Perchè lo sguardo preoccupato?

Si alzò dal bozzolo che era diventato e osservò due enormi occhi verdi, un viso ricoperto di farina che nascondeva uno spruzzo di lentiggini chiare e ancora quel calore e quella dolcezza.

La sua bocca mimò un “apri” e , pervaso dal calore, lo assecondò.

 

°

 

Dean fa il barista a tempo perso nella Roadhouse. Un vecchio bar di quella, ormai fatiscente, interstatale che porta a Sioux City. Ellen, la proprietaria, ogni primo venerdì del mese, si assicura di aggiungere al banchetto dei dolci la sua famosa pie di mele e Dean non aspetta che altro. Ed è alla pie che lo sta aspettando il giorno dopo che pensa mentre pulisce i tavoli del locale togliendo i pochi residui di un tranquillo e alquanto blando giovedì sera.

 

« Che stai cantando yankee? » Gli domandò Ellen, stringendo gli occhi con sguardo interrogativo.

« Mmh? Cherry pie » Disse soddisfatto.

 

Silenzio.

Lo sguardo interrogativo va stringendosi ancora di più sul suo viso.

 

« Hellen. Gli warrant! »

 

« Non ho idea di che cosa siano. Ma sono felice che tu stia già pensando alla torta di domani mentre hai ancora i piatti da lavare »

 

« Pie, Ellen, PIE. Non torta, donna. »

 

« Hai bisogno che ti ricordi ancora dei piatti ragazzino? » Indicò con un cenno del capo il lavandino incrostato e pieno di piatti dietro di lei, mentre un sorrisetto divertito prendeva piede tra le sue guance.

 

Dean sorrise « Quando sarà il momento, forse. »

 

« Era quello che immaginavo. » disse Ellen tirando un profondo, ma intenzionale, sospiro «Su allora, levati di qui. » Gli fece un segno affettuoso con la mano mentre, dandogli le spalle, si diresse verso il lavandino. Ellen sentiva lo sguardo sorpreso del ragazzo perforargli il cranio.

 

« Su, che stai aspettando? Nel caso non lo avessi ancora capito ti sto concedendo di uscire prima. Approfittane finchè puoi perchè non accadrà una seconda volta, caro mio. »

 

Dean si sbottonò il più velocemente possibile il grembiule nero che gli pizzicava il collo da ore, appallottolandolo di lato. «Ti adoro. »

 

« Si si, ora smamma. » disse indicando la porta con il pollice.

 

Ripose il grembiule, così come lo aveva in-qualche-modo-piegato, sotto il bancone, prese la pesante giacca marrone appesa dietro la porta della cucina e corse via. Uscì sul portico e indossò la giacca sistemandosi infine il colletto, tirandolo leggermente con entrambe le mani. Dalla strada arrivava un vento gelido che lo fece rabbrividire. Portò le mani in tasca e, stringendosi nelle spalle, si avviò verso la macchina.

E' l'una di notte - posso farcela - pensò. Domani è il suo unico giorno libero e avrebbe potuto permettersi di passare una nottata in bianco, del resto Sam sarebbe tornato con il camion dei traslochi solamente tra due o al massimo tre giorni, non poteva non approfittarne. Odia dover fare le cose di nascosto e forse un giorno lo dirà a Sam, forse, prima o poi. Sicuramente più poi che prima.

Spesso ripete a se stesso che avere una passione per la cucina e per i dolci non è poi cosa di cui vergognarsi ma, Dean Winchester, un ragazzo dall'aspetto duro, il fisico da falso atletico e un costante ghigno sul viso che trasuda sarcasmo da tutti i pori, non è, di certo, il tipo di persona che ti aspetteresti indossare un grembiulino a fiori mentre canticchia davanti ai fornelli qualche vecchia canzone Folk. Gli mancherebbe solo una poltroncina scricchiolante su cui lavorare sciarpe ai ferri ed eccola lì: una perfetta massaia settantenne. No, Dean non poteva permetterselo.

Quando lui e Sam abitavano ancora col padre a Kansas City, era solito, la notte quando non poteva essere visto, sgattaiolare nella vecchia e fatiscente cucina, con i pochi strumenti che era riuscito a recuperare, a cucinare. La signora Missouri, proprietaria del piccolo caffè dietro casa, aveva preso l'abitudine di comprare a buon prezzo le creazioni di Dean per venderle all'interno del suo locale come accompagnamento a caffè e cappuccini vari. Avevano stretto un piccolo patto che andava avanti da anni, ed entrambi tennero nascosto il segreto senza proferire parola ad alcuno.

Dal trasferimento in rare occasioni aveva potuto mettersi ai fornelli, tra Roadhouse e officina di Bobby il suo tempo scarseggiava sempre di più e lui non aspettava che una pausa per poter cucinare. Dall'arrivo di Sam in avanti il suo tempo sarebbe stato occupato da scatoloni e scartoffie burocratiche tra le quali non aveva assolutamente voglia di mettere il naso, ma se quello era l'unico modo per permettere a Sam una vita normale ed il ricordo di papà lontano da qui allora a Dean andava più che bene.

 

Dopo questa lunga scia di pensieri parcheggiò finalmente l'auto davanti a casa e, con un profondo sospiro, si avviò verso quel portone di legno scuro, bisognoso di una sistemata, che era l'ingresso.

Con fatica e imprecazioni di vario genere riuscì effettivamente ad aprire la porta e, con altrettanta fatica, a chiuderla dietro di se. La casa era ancora spoglia ed i pochi mobili presenti erano ricoperti da grandi teloni bianchi impolverati. Dean aveva fin'ora utilizzato solo la cucina, la camera ed il bagno che erano, probabilmente, gli unici angoli puliti della casa.

Dopo essersi tolto la giacca e averla riposta nell'armadio accese il camino con i ceppi che aveva tagliato il giorno prima da Bobby, posizionandoli ordinatamente uno sopra l'altro. Scaldatosi le mani sul fuoco e tolte le scarpe si tirò su, arrotolandole, le maniche della maglietta e si diresse verso l'adorata cucina. Prese l'unico libro presente sulla mensola, scelse la sua ricetta preferita, cupcakes alle mele e cannella, e si mise al lavoro.

Dopo mezz'oretta la base era già pronta e l'odore aveva ormai riempito tutta la casa. I suoi vestiti e le sue mani profumavano di cannella ed erano completamente ricoperti di farina. Ormai freddati si preparò quindi a decorarli. Prese la sac à poche da sotto il bancone e la riempì di crema che iniziò quindi a distribuire, formando dei piccoli fiori colorati, sull'estremità del dolce. Arrivato al quinto cupcake alzò leggermente lo sguardo nel tentativo di scostarsi un ciuffo di capelli che gli solleticava leggermente la fronte e fu allora che vide un ragazzo.

Era affacciato alla finestra dell'ordinata casa dagli infissi bianchi accanto alla sua, il tipo di casa che Dean avrebbe sicuramente definito come “ospizio per anziane gattare single” e non di certo la casa di un ragazzo sulla trentina. Si avvicinò alla finestra lentamente e notò che dalla casa non proveniva fumo e che, lo sconosciuto, se ne stava con la finestra aperta, un sottile pigiama a mezze maniche ed il naso per aria in mezzo alla, di-certo-non-calda, brezza dei primi di dicembre. - Come poteva con un gelo simile starsene lì impalato a farsi gelare il culo? - Lo osservò più attentamente e i suoi pensieri presero la direzione opposta: notò in lui l'eleganza degli intellettuali. Aveva mani sottili e pelle bianchissima che faceva contrasto con i suoi capelli neri ed i lineamenti spigolosi del naso e della mascella. Era statuario ed il suo solo aspetto dava l'idea di una persona fuori dal comune. I suoi pensieri si calmarono momentaneamente e lo stomaco di Dean fece una strana capriola. Si sfregò la nuca con entrambe le mani, borbottando tra se e se – ho bisogno di uscire più spesso. Alcol. Alcol e donne Dean - e, con sguardo ancora perso, tornò ai cupcakes. Arrivò a farne solamente altri due quando voltò di nuovo lo sguardo alla finestra mosso dalla curiosità che lo stava divorando.

Fu allora che incontrò gli occhi di lui. Merda, era stato visto. Come un coglione. Mancava solo il dannato grembiulino a fiori per completare il quadretto delle figure di merda con i nuovi vicini di casa. Della serie “Cucino cupcakes nel bel mezzo della notte mentre guardo filmetti romantici e, come se non bastasse ad intaccare la mia mascolinità, fisso sconosciuti che non trovo in-alcun-modo attraenti”. Non aveva pensato all'eventualità che, forse, lo sconosciuto che all'una di notte era sveglio tanto quanto lui ad osservare le stelle o chissà che cosa potesse vederlo. Dean era stato beccato.

Continuarono a fissarsi, a lungo. Dean sentiva l'imbarazzo riempire le sue guance ed arrivare ad arrossargli le orecchie come fottuti vulcani. I suoi occhi erano tristi, volti all'ingiù in quel modo, pieni di sorpresa e rammarico ma di un blu che Dean non aveva mai visto prima.

Fece giusto in tempo ad aprire la finestra e ad urlare un “Ehy” per vedere il ragazzo dai capelli neri chiudere velocemente la finestra con una velocità a dir poco impressionante.

Non impiegò molto ad uscire per precipitarsi nel cortile della casa affianco. Sbirciando dalla finestra trovò, sotto le soffici tende bianche del salotto, un fagottino di capelli neri e spettinati. - Okay, questo è uno strano – fu la prima cosa che gli venne in mente. Si guardò intorno: La casa era, almeno da quello che riusciva a vedere dalla finestra, un cumulo di fogli, polvere e coperte. C'erano mucchi di libri ammassati qua e là a formare tante piccole torrette e, il singolo e unico divano, era sommerso da diversi strati di coperte con sopra delle, piuttosto precarie, pile di fogli bianchi. Sembrava lo studio di un qualche scrittore pazzo che non vede mai la luce del sole più che un salotto, ma niente gli impediva di pensare che non potesse esserlo per davvero. - Ecco. Ci mancava solo il vicino di casa fuori di testa -. Ma lì fuori si gelava tanto quanto sospettava ed uscire senza una giacca e con addosso solo una maglietta dei Led Zeppelin di cotone sottile di certo non era stata una grande idea. Mentre con una mano cercò di riscaldarsi con l'altra picchiettò ripetutamente sul vetro nel tentativo di farsi aprire per poter, al più presto, dare una qualche tipo di spiegazione.

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Capitolo 2
*** Seconda Parte ***


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Seconda parte:
 

Adesso che gli aveva aperto? Poteva fingersi ubriaco. Si, era ubriaco. D'altronde era normale, per gli ubriachi, fissare la gente, no? Esatto. Non stava facendo nulla di male. Era un povero alcolizzato che, nel bel mezzo della notte, fissava il suo vicino di casa. Fare la parte dell'ubriaco era la scusa e il modo perfetto per uscire da una situazione del genere. Ma Castiel non era abituato a fingere. Anche quando scriveva non inventava storielle fasulle e poco realistiche sulla vita di persone immaginarie, ma era solito ricercare eventi e fatti e studiare i propri personaggi.

Ergo: di certo non sarebbe riuscito a fingersi ubriaco. - Accetterò la sorte, dovrei essere abituato a questo tipo di figure. - Okay, avrebbe scartato l'idea del fingersi sbronzi. Rimase dunque in silenzio, calmo, aspettando un qualche segno di vita da parte dello sconosciuto preparatore di mini torte.

 

Il ragazzo con le lentiggini era affacciato alla finestra aperta, rigido come una statua. Incrociò le braccia davanti a se e chiuse gli occhi abbassando la testa, come se stesse riordinando i suoi pensieri nella paura di dire qualche fesseria.

 

«Senti.» Prese un profondo respiro e si portò una mano sulla nuca, facendo scivolare le dita tra i corti capelli castani.

 

«Non è come pensi. Allora... Ecco... Io... non lo faccio sempre. Ogni tanto sai, capita.» Dean vide la propria mano iniziare a gesticolargli compulsivamente davanti. «No aspetta, non intendevo questo. Non è che “mi capita” di fissare la gente, intendevo che “mi capita” cucinare nel mezzo della notte ma di certo non intendevo dire che ti stessi fissando»

 

Il volto di Casiel prese uno sguardo interrogativo e la sua testa si inclinò sempre di più verso sinistra mentre Dean riprese con la sua arrampicata sui vetri. « io assolutamente non lo stavo facendo, è che per un momento ho pensato che tu lo avresti potuto pensare e quindi l'ho voluto sottolineareinsommahaicapito?» disse tutto d'un fiato.

 

«Mi stavi fissando?» fu l'unica cosa che riuscì a dire.

 

«Fanculo. Questa merda non fa per me.» disse Dean ritornando alla posizione iniziale, con le braccia incrociate.

 

«Come?»

 

Dean tirò un grosso sospiro per evitare che le orecchie gli esplodessero del tutto. «Intendevo dire che mi è capitato di vederti, per puro caso, mentre stavo cucinando. Non stavo fissando nessuno, credimi.» disse tirando fuori il sorriso più innocente che riuscì a recuperare.

 

«Io ti stavo, sinceramente, fissando.» Disse con tono tranquillo e pacato.

Castiel sapeva di non saper mentire ma soprattutto, le figure di merda, ormai erano parte del quotidiano e non ne rifuggiva più di tanto. Dean alzò un sopracciglio preso un attimo dallo stupore.

«Mi spiego meglio» disse muovendosi il ciuffo spettinato dalla fronte «Non mi aspettavo di avere vicini di casa».

 

Silenzio da entrambe le parti. Castiel riprese:

«Penso sia normale, quando si hanno nuovi vicini, esserne sorpresi se non si sapeva del loro arrivo. Fino a ieri la casa era sfitta.» Cercò nuovamente di spiegarsi.

 

«Amico, io abito qui già da due settimane» disse con un semi sorriso ed uno sbuffo divertito Dean.

«Ah.» - voglio scavare una fossa profondissima, mettere un collegamento netflix al suo intero e non uscire mai più - «Beh. Io non vi ho mai visti.» Disse cercando di mantenere un contegno dignitoso trattenendosi dal chiudergli, nuovamente, la finestra in faccia nel tentativo di fuggire dalla conversazione.

 

«Ho anche provato a suonare il campanello per presentarmi ma non rispose nessuno. Ero io a pensare che fosse la sfitta casa di un'anziana signora deceduta tutta merletti e gattini.»

 

«E' rotto.»

 

«Come?»

 

«Il campanello.» ripetè «è rotto»

 

«Come fa la gente a farsi aprire scusa?»

 

«Non si fa aprire.»

 

Si fissarono nuovamente e a lungo, finchè Dean non scoppio in una fragorosa risata.


Castiel per un momento si sentì sopraffatto dal riso. Cosa c'era di divertente? Non sapeva cosa dire e i suoi occhi iniziarono a vagare in tutte le direzioni alla ricerca di un aggancio per uscire da questa catena di figuracce colossali. «Questa, comunque, non sembra la sfitta casa di un'anziana signora deceduta tutta merletti e gattini.» Sbuffò infine.

 

Dean smise di ridere e lo guardò fisso, con gli occhi spalancati. Aveva le mani appoggiate su entrambe le ginocchia in un corta pausa prima di ricominciare a ridere più forte di prima, abbassando la testa verso il basso e portandosi le mani alla pancia che iniziava a fargli male.

 

«Tu sei strano» disse Castiel di nuovo con il suo tono monocorde e la sua costante rigidità.

 

«Oddio, ti prego. Non dire una parola di più che sennò qui tiro le cuoia» disse cercando di trattenere le risate tra una parola e l'altra. «Da quanto tempo sarebbe rotto scusa?»

 

«Qualche anno? Credo.»

 

«Amico. Mi stai dicendo che da “qualche anno” nessuno è venuto in questa casa al di fuori di te?» disse sottolineando il “qualche anno” mimando le virgolette con le dita.

 

«E' una domanda retorica? Pensavo fosse sottinteso» disse mettendosi sulla difensiva – ed eccola lì. Stavo giusto aspettando la solita solfa del “quanto sei triste Cas”-.

 

«Tu sei forte.» disse Dean, questa volta aprendosi in un grande sorriso.

 

Castiel sentì di nuovo quella fitta al cuore e per un momento, un singolo istante, si sentì stranamente bene. Come un calore nel petto che lo scioglieva dall'interno.

«Okay.» disse solo. Era immobilizzato. Solo dopo qualche secondo ricambiò con un leggero ed innocente sorriso quello di Dean.

 

«Una cosa devo chiedertela» disse rabbrividendo «non senti freddo?»

 

Castiel realizzò e si precipitò ad aprire la porta a vetri del salotto, solo pochi metri a sinistra della piccola finestra dalla quale stavano conversando come idioti. «Non ho pensato. Non credevo. Io non soffro troppo il freddo e non ho pensato.» disse aprendo la porta davanti a se.

 

«Ehi amico, è tutto okay.» disse sorridendo di nuovo. Le lentiggini si alzarono con gli zigomi delle sue guance e Castiel si ritrovò a guardarle di nuovo.

 

Volse lo sguardo cercando di pensare ad altro «Questo posto è un casino. Non ho spesso ospiti ma entra pure.» disse mentre Dean ringraziò silenziosamente e lo seguì all'interno. Anche dentro c'era freddo e la temperatura cambiava giusto quel poco da rendere il gelo sopportabile, ma comunque in grado di penetrarti leggermente le ossa. «So che non sono affari miei ma...» si interrompé per togliere una risma di fogli dal divano «Puoi sederti qui e prendi pure una coperta se hai freddo». Castiel andò un attimo ad armeggiare in cucina, dimenticandosi di quello che stava dicendo, mentre Dean prese, appoggiata su una delle tante torrette di libri, una coperta a quadri verdi e arancioni che ricordava motivi scozzesi. Se la avvolse intorno e si sentì subito meglio. Profumava di fondi di tè e di un qualche tipo di odore a lui sconosciuto. Si sedette quindi sulla parte del divano libera, quella sinistra, e si mise ad osservare.

Il divano era di stoffa marrone, scamosciata credeva Dean, ed era lungo giusto giusto per potercisi sdraiare per intero. Oltre ai fogli ed ai libri, notati da fuori, vide un morbido tappeto, blu, un piccolo scrittoio, sempre di legno scuro, sotto una finestra appartata con pc portatile, un tavolo, una volta probabilmente utilizzato per mangiare, adesso usato come comodo appoggino per libri e scartoffie varie. Le pareti erano, ovviamente, ricoperte da librerie e ,infine, notò delle tazze (tutte diverse) disseminate qua e là.

 

«Non ti ho chiesto se volessi del tè.» accorse una voce dall'altra stanza che Dean suppose essere la cucina.

 

«Si grazie, sarebbe davvero fantastico.» nonostante fosse dentro casa Dean stava letteralmente gelando. La coperta aiutava, ma il tè gli avrebbe salvato non poco la vita.

 

Castiel tornò poco dopo con due tazze fumanti. Si doveva essere anche cambiato e, dal leggero pigiama blu e grigio, era passato ad un paio di pantaloni semplici di stoffa con sopra una maglietta blu scura. «Mi sono permesso la scelta del tè. E' Earl Grey classico, per andare sul sicuro.» disse mentre sorrideva alla tazza del tè e si sedeva sul tappeto davanti al divano circondato dai suoi libri. Finalmente a Dean parve a suo agio.

 

«A perchè, ne esistono altri?»

 

Questa volta fu Castiel a ridere, leggermente. «Mi piace il tè. Ne conosco e ne ho tanti di conseguenza». E ne bevve un sorso.

 

«Dimmi la verità. Dentro di tè alberga la signora di prima: La zitella dei merletti e dei gattini che si beve allegramente il suo tè delle cinque» disse mentre, scalciate le scarpe, si mise a gambe incrociate sul divano con la coperta ancora avvolta intorno a sé ed il tè a scaldargli le mani. Dean non era il tipo tutto fronzoli e buona educazione. Se doveva mettersi comodo si sarebbe messo comodo.

 

«Ovviamente. Pensa, ogni tanto prende il sopravvento e si mette a cucinare nel bel mezzo della notte.» sottolineò in modo plateale ed ironico Castiel.

 

«Ahia ragazzino. Questo è un colpo basso.» Disse indicandolo con il dito e con lo stesso tono.

 

Entrambi risero in un'atmosfera, decisamente, più rilassata.

Castiel pensò all'ultima volta che aveva riso così. Quasi non riusciva a ricordarlo ma di certo non sapeva che, il ragazzo sconosciuto che stava bevendo tè in casa sua, stesse pensando la stessa cosa.

 

«Cosa stavi cucinando esattamente?» Chiese, ormai passate le risate, con un tono più addolcito abbandonando, ormai del tutto, la sua solita rigidità.

 

«Cupcakes mele e cannella». Disse senza troppa esitazione e Dean notò ancora la cosa strana che faceva con la testa. La inclinava pericolosamente da un lato e stringeva le proprie sopracciglia con sguardo interrogativo. Questa volta però non riuscì a rifuggire al pensiero che lo trovasse adorabile «Potremmo dire che sono come i fratelli favolosi dei muffin. Solo più buoni.»

 

«Oh. Pensavo fossero mini-torte». Disse mentre prese un altro sorso di tè.

 

Dean rise di nuovo. «Questa cosa ha fottutamente senso, in effetti»

 

«Si vede che ci sai fare. In cucina intendo.»

 

«Io amo cucinare» disse sottolineando la parola “amo” a gran voce. Chissà per quale strana ragione, con questo ragazzo, gli riusciva così facile spiegarsi senza bisogno di menzogne o sotterfugi idioti.

 

«Io amo le mele e la cannella. Ho una tisana» La teneva in un barattolo di vetro nell'apposito scaffale insieme agli altri infusi, tutti etichettati e riposti accuratamente come fossero oggetti di valore inestimabile. Quella mele e cannella era uno dei suoi tesori e la custodiva gelosamente.

 

«Qualcosa mi dice che no ne hai solo una» Disse alzando le spalle con espressione divertita «La butto lì».

 

«Non vuoi davvero saperlo» disse Castiel pacatamente.

 

Dean scoppiò di nuovo in una fragorosa risata. «Adesso ho paura.»

 

«Dovresti. Ricordati che siamo vicini di casa.»

 

Entrambi si guardarono un attimo. Questi due sconosciuti alla deriva in un mare di libri e coperte stavano lì, a conversare del più e del meno come se fosse la cosa più normale del mondo, senza neanche chiedere l'uno il nome dell'altro. Entrambi si sentirono avvolti subito da una familiarità anomala, come se si fossero sempre conosciuti e come se bere tè alle tre di notte discutendo di gattare zitelle e cucina fosse perfettamente naturale e giusto.

 

Dean appoggiò nuovamente i piedi giù e cercò, invano, un punto dove poter appoggiare la tazza di tè finito. «Appoggiala pure per terra. O dove vuoi.» Gli disse il ragazzo dai capelli neri vedendolo in difficoltà ma non curandosene più di tanto.

 

«Amico. Devi davvero dare una sistemata a questo posto.» E, titubante, appoggiò la sua tazza su una pila di libri poco più in là. «Hai letto tutta questa roba o fa parte del kit di arredamento per la casa del maniaco perfetto?»

 

«Si. Ne ho letti la maggior parte.» disse senza battere ciglio e con un movimento fluido, che sembrava assolutamente anomalo per appartenere davvero al pezzo di legno che fin'ora era sembrato, si alzò, appoggiando la tazza su una mensola vicino ad altri libri. Aveva un fisico asciutto con larghe spalle ed una struttura fisica lineare e proporzionata per essere un topo di biblioteca. Dean lo osservò ancora rimettersi a sedere e, uscito da quel momentaneo stato di trance, disse:

«Non ho chiesto il tuo nome»

 

«Castiel.»


Dean stava per dire qualcosa come – che diavolo di nome sarebbe? - o – sembra il nome di un detersivo per piatti – e altre fesserie quando Castiel si intromise tra i suoi pensieri, precedendolo «Non. Una. Parola.»

 

Soffocando un sogghigno rispose «Io mi chiamo Dean. “Castiel”» disse enfatizzando il suo nome in modo ironico.

 

«Genitori ultra cattolici. Non giudicare.» spiegò indicando con la testa una vecchia foto di famiglia appesa sull'unica parete libera della stanza. «E' il nome di un angelo.»

 

«Mi piace.»

 

Castiel non arrossisce. Di solito. Dovette sforzarsi non poco per evitare che il rossore gli tingesse le guance. Abbassò la testa volgendola alle gambe incrociate cercando di nascondere il volto. Non aveva mai sentito tanto caldo.

 

«Ma stavo per dirti che sembrava il nome di un detersivo per piatti.»

 

Castiel alzò la testa incredulo «Mi sembrava ci fosse qualcosa di strano» disse in tono sommesso.

 

Dean avrebbe voluto dire che gli piaceva il suo nome ed il modo in cui questo Castiel lo guardava. Come parlava e si muoveva. Come se tutto ciò che avesse potuto dirgli in quel momento sarebbe stato un segreto prezioso che lui avrebbe tenuto con la massima cura e delicatezza.

Ma non poteva.

 

«In realtà mi piace» Disse invece Dean passandosi nuovamente la mano tra i capelli all'attaccatura del collo «Dico sul serio».

 

In Castiel, la lotta contro le proprie guance, riprese imperterrita.

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Capitolo 3
*** Terza parte ***


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Terza parte:
 

In un momento imprecisato della notte, Dean, era tornato a casa ed era crollato sul letto dimenticandosi completamente dei cupcakes abbandonati sul bancone della cucina. Aveva aperto la porta di casa, aveva trascinato i piedi fino alla camera ed era sprofondato nel letto con un tonfo pesante, avvolgendosi alla meglio con le coperte bianche.

Non dormiva tanto bene da settimane, se non addirittura da mesi. Addormentatosi profondamente si svegliò con la luce del sole che, filtrando dalle persiane in sottili fasci di luce, colpì il suo viso assonnato. Si coprì subito il volto con le coperte sbuffando annoiato ed ebbe giusto la forza di pescare alla cieca, con il braccio che spuntava da sotto le coperte, la vecchia radio sveglia sul comodino. Erano le dieci e ventitré di mattina di venerdì 4 dicembre.

Si alzò dal letto scostando le morbide coperte e, stiracchiandosi, andò ad accendere la radio. Spostò il pomello su una frequenza da lui considerata ancora accettabile e si diresse verso il bagno aperto. Mentre si lavava i denti riuscì a sentire le ultime note di “shelter from the storm” che poi si chiuse dando invece spazio a “night moves” di Bob Seger. - Questa mattina in radio sono in vena con cantanti di nome Bob eh? -

Uscì con ancora lo spazzolino in bocca canticchiando, come poteva. Indossò un vecchio paio di blue jeans ed una camicia pesante e fu solo in quel momento che ebbe l'illuminazione divina: - I dannatissimi cupcakes. Cazzo -

Lasciò cadere lo spazzolino dalla bocca e, cercando di afferrarlo, lo ripose in bagno correndo subito giù per le scale per completare il lavoro e liberarsene prima dell'arrivo del primo camion con i mobili che doveva montare. Si era totalmente dimenticato. Quella notte, passata con Castiel, era volata via. Le loro leggere conversazioni avevano portato via dalla sua testa i problemi e le preoccupazioni del giorno dopo come se, quella notte, fosse stata per un momento fuori dallo spazio e dal tempo circostanti.


Arrivato in cucina prese quelli non finiti, li ricoprì di stagnola e li appoggiò su una mensola in alto lontano da occhi indiscreti. Si voltò così a fissare quelli che invece aveva completato e, incrociando le braccia come suo solito, gli venne un'idea. - Sono. Un. Genio. -

 

°

 

Castiel non ricorda di essersi addormentato sul divano con la copertina ed i vestiti della notte precedente ancora addosso. Dalla posizione in cui era si rigirò portando le ginocchia sotto lo stomaco ma rimanendo pur sempre ripiegato come un fagotto. Lentamente lasciò uscire la testa dalle coperte e tirò su, stirandola, la schiena in un singolo e rigido movimento lasciando che la coperta gli scivolasse giù dalle spalle e lungo i fianchi. Tirò il collo indietro e allungò le braccia in alto facendo scricchiolare tutte le ossa di dita e schiena. Quando si svegliava le sue ossa facevano gli stessi rumori che avrebbero potuto fare quelle di un anziano con i reumatismi e con una lunga storia alle spalle. Si guardò intorno spaesato e scaraventò la testa con un colpo secco sul divano alla vista del sole. Aveva lasciato le tende aperte dalla notte precedente. Con Dean. Al pensiero Castiel fece un piccolo sorriso tra se e se e si dimenticò del sole che lo infastidiva. Si alzò nuovamente, questa volta sul serio, scrollando la testa e infilandosi le pantofole blu sul tappeto. L'orologio della sala indicava le dodici e sette minuti, ergo: per gli orari di Castiel più presto del solito.

Andò in cucina a mettere su l'acqua per il tè del mattino ed aprì la porta di casa per ritirare la posta. Fu allora che i suoi occhi incapparono in un vassoio bianco, incartato con della stagnola, appoggiato davanti allo zerbino di casa sua. Castiel si avvicinò cauto irrigidendosi di colpo. Già le peggiori ipotesi presero posto nella sua mente ma, più si avvicinava, più un odore familiare gli andava a colpire il viso. Con una mano staccò dalla stagnola un post-it arancione con sopra scritto in stampatello:

 

“Aggiusta il campanello - Dean”

 

Castiel si alzò da terra e tenne per un po' il post-it tra le mani. Lo fissò a lungo. Guardò le varie curve della scrittura e il vassoio. Poi tornava con gli occhi al post-it e poi di nuovo al vassoio sotto di lui. Fu solo dopo dieci minuti che realizzò che poteva prenderlo e portarlo in casa in tutta sicurezza.

Chiuse la porta dietro di lui e, appoggiandolo sulla mensolina sotto lo specchio, scostò la stagnola per trovare le mini-torte di Dean. Il suo cuore fece un'altra capriola. Castiel tirò su lo sguardo e, solo dopo aver visto la propria immagine nello specchio, si rese conto che stava sorridendo. Quando aveva iniziato? Non se ne era accorto. Perchè tutto quel rossore in viso? Sentiva le guance bollenti e di nuovo, provò quella sensazione di calore e dolcezza nonostante il gelo della casa. Febbre. E' sicuramente una febbre, non c'è altra spiegazione.

Cercò nuovamente di lasciar perdere e fece scorrere i suoi pensieri da “Dean” (a cui non stava assolutamente pensando in quel momento) a “sarà meglio assaggiare”.

Prese in mano una di quelle torte e iniziò a ridere pacatamente, con la sua voce bassa. Portò il vassoio in cucina e ne mangiò una con il tè. Era semplicemente divina.

Non credeva potesse esserci al mondo qualcosa di tanto delizioso e che potesse stare così bene con il tè.

Non credeva che qualcuno potesse donare qualcosa del genere a lui.

Non credeva in nulla di quel vassoio.

Lo rendeva confuso e felice allo stesso tempo. Gli scaldava il cuore ma lo turbava in modo scandaloso non capire il perchè. Ed era solo un semplice vassoio di dolci, un dono tra vicini di casa. Non era poi così strano.

Diede un secondo morso. Non si ricordava neppure l'ultima volta che avesse mangiato qualcosa che non fosse take away o un qualche preparato surgelato. Adorava il messicano aperto ventiquattrore su ventiquattro in fondo alla strada. Spesso sgattaiolava ad orari improponibili a comprare da mangiare lì, quelle volte che il suo stomaco gli ricordava che aveva bisogno di nutrimento e che non poteva affidarsi completamente ad acqua calda e aria. Il suo orologio biologico era qualcosa di leggendario e gli orari dei pasti non credo sapesse neppure cosa fossero.

Ripose le restanti tortine sopra il frigorifero e si ripromise di tirarle fuori al prossimo tè. Si passo una mano sulla bocca e la lasciò appena sentì il pollice arrivare alla mandibola spigolosa. Scrollò di nuovo la testa – scrivi. E' ora di scrivere e di non pensarci troppo su – e si incamminò subito nel proprio studio/tana oscura del demonio (come la chiamava Balthazar) chiudendosi la porta alle spalle.
 

Ci fu silenzio per qualche minuto.
 

La porta si aprì di nuovo in uno scatto secco. Ne uscì Castiel che, velocemente, si precipitò correndo fuori dalla porta principale. Si fermò esattamente sul marciapiede e, con le braccia ritte sui fianchi, sbuffò in su soffiandosi via una ciocca di capelli neri dalla fronte. Fece retro front e tornò in casa chiudendo la porta lasciata aperta. Si fermò davanti allo specchio e trattenne il respiro per un poco.

 

« No »

 

Andò in bagno e ci passò una buona mezz'ora. Si fece una doccia veloce, indossò vestiti puliti e si fece la barba che era rimasta incolta da settimane. Anche il solo prendersi cura di se stessi lo stranì momentaneamente. Lì, nel bagno ristretto di casa, continuava a pensare a quando mai gliene fosse importato dell'opinione di qualcun'altro o se mai si era reso presentabile per qualcuno in generale. Tutti i manoscritti consegnati a Balthazar (una delle poche forme di vita a lui consuete) gli sono stati dati nelle peggiori condizioni fisiche esistenti. Non gli interessava davvero.

Chissà per quale ragione su quel marciapiede aveva deciso di fermarsi e tornare indietro. Di decidere di darsi una sistemata per fare una buona impressione.

Chiuse la porta del bagno e, passandosi le mani sul maglione blu con decorazioni bianche, uscì definitivamente di casa indossando il trench coat mentre scendeva gli scalini del portico bianco.

Si fermò di nuovo sul marciapiede. Sarebbe dovuto andare alla sua sinistra questa volta, Castiel non crede di averlo mai fatto in vita sua. Di solito i percorsi erano due: o voltare a destra per andare al messicano o, sempre girando a destra, attraversare un piccolo parco per raggiungere la biblioteca del quartiere (i quali commessi erano a dir poco spaventati da lui). Castiel non crede neanche di sapere cosa diavolo ci sia a sinistra di casa sua.

Oltre alla vecchia casa dove adesso abita Dean.

Lentamente svoltò a sinistra con sua grande sorpresa e percorse quel poco che separava le due case per raggiungere il portone. Suppose che il suo campanello, al contrario del proprio, funzionasse sul serio e suonò il piccolo pulsantino bianco. Sopra era incollata un'etichetta improvvisata con dello scotch con su scritto a penna “Winchester”.

Non fece in tempo a sentire il suono che sprigionava il campanello che nella sua testa si materializzò, in una grande insegna al neon (di quelle anni 70 in stile Las Vegas), la scritta: “CHE COSA GLI DICI ADESSO?”

Era venuto qua, si era sistemato per avere almeno un aspetto decente, aveva girato a sinistra e suonato il dannato campanello senza pensare a cosa avrebbe dovuto dire esattamente. Castiel sentì già i suoi piedi cercare di indietreggiare sugli scalini che portavano alla porta. Cercò di pensare velocemente che cosa dire ma totalmente invano. - Parlagli del tempo atmosferico. No, lo sanno tutti che è l'ultima cosa da scegliere. Le basi Castiel. Le basi -

Sentì l'ansia salirgli su per la spina dorsale e irrigidì di botto la schiena e le spalle. Sentiva di star per perdere la circolazione dell'intero corpo a partire dalle punte delle dita che, improvvisamente diventate più fredde del solito, iniziavano a tremare lievemente. - E'. Solo. Un. Campanello. -

La porta si aprì e quello che gli si presentò davanti fu un viso lentigginoso con un grande sorriso stampato sopra e con degli occhi verdi prato che lo guardavano allegri. Dean indossava una camicia a quadri verdi e dei larghi jeans blu e, dietro di lui, la casa era incredibilmente luminosa ed emanava un grande calore che Castiel in casa sua non crede di aver mai sentito.

Le mani smisero di tremare. La circolazione tornò alla sua normalità ma uno strano calore stava andando a crearsi nel suo petto.

 

«Ehi Cas.»

 

Silenzio.

 

«Cas? Tutto okay?» gli disse abbassando il proprio viso all'altezza dei suoi occhi.

 

Castiel si irrigidì di nuovo allo strano nomignolo e inclinò la testa da un lato. «Cas?»

 

«Si. E' il tuo nome abbreviato. Mai sentito parlare di soprannomi?» disse Dean aprendo le braccia in segno di incredulità e lasciando che un piccolo ghigno prendesse spazio tra le sue guance.

 

«Oh.» Disse abbassando lo sguardo momentaneamente, preso alla sprovvista dalla cosa ma mantenendo il suo tono distaccato e indifferente «Okay».

 

«Okay Cas.» Ripeté Dean sorridendo tra se e se. «Erano buoni?»

 

Di nuovo riprese ad inclinare la testa di lato e a stringere le sopracciglia in tono interrogativo.

«Che cosa?» Le parole gli uscirono naturali e si rese conto, solo dopo averle dette, di aver aggiunto un'altra bellissima cosa alla lista delle sue figure di merda colossali. Adesso, l'idea del buco profondo con il collegamento netflix al suo interno, non sembrava affatto una pessima idea.

«volevodiresi» disse mangiandosi mezza frase e abbandonando per un attimo il tono composto. «Si. Erano buoni.»

 

Dean fece una leggera smorfia e rise di nuovo. «Ragazzino, ti si legge davvero tutto in faccia.»

 

Tornò in Castiel la rigidità marziale di prima e, mettendo le mani a pugno, se ne portò una alla bocca tossendoci un paio di volte nel tentativo di recuperare la sua compostezza.

 

«Erano buoni. Sono venuto per ringraziarti»

 

«Ne sono felice. A proposito di questo...» Disse Dean appoggiandogli una mano sulla spalla e guardandolo attentamente. Stava per riprendere il discorso quando vide Castiel fissargli la mano come se fosse un qualche corpo estraneo che lì proprio non doveva essere e spostò il suo sguardo, che non aveva abbandonato il tono interrogativo, dalla mano, seguendo diligentemente il braccio, al suo viso.

Dean alzò entrambe le braccia in segno di resa e si scusò. Per un momento Castiel ci rimase male – perchè poi? - e, per qualche ragione a lui sconosciuta, il tocco di Dean, non gli aveva dato fastidio ma, al contrario, desiderò non avergli mai dato quello sguardo contrariato. Ogni minuto passato con Dean lo portava a fargli ricredere di tutto, da un dolce appena sfornato al semplice tocco di una mano. Cose a lui indifferenti ed estranee diventavano, con Dean, improvvisamente piacevoli ed interessanti.

 

Dean riprese. «Volevo spiegarti che questa cosa. Della cucina insomma. Non deve uscire fuori. Non so se mi spiego...»

 

«Pensi forse che io abbia dei contatti umani ai quali potrei mai dare tale informazione?» Disse tirando finalmente fuori il suo sarcasmo con un piccolo sorriso. «Seriamente. Se non vuoi non lo farò.»

 

Dean strabuzzò gli occhi e rise di nuovo. «Siamo d'accordo allora.» Ma per un momento gli sembrò che Castiel non fosse del tutto soddisfatto.

 

«Posso portartene altri. Di dolci intendo.» A quelle parole vide il ragazzo davanti a se sollevare uno sguardo che non avrebbe mai pensato potesse davvero essere della persona dagli occhi tristi della sera prima. Ma, nuovamente e a discapito di Dean, si ricompose e gli rispose pacatamente che gli avrebbe davvero fatto piacere. Non riuscì a pensare ad altro che a voler rivedere quell'espressione sul suo viso e il pensiero lo fece un attimo sobbalzare. - Pensa ad altro. Pensa. Ad. Altro. -

 

Un tono dolce lo svegliò dai suoi pensieri: «Grazie» Disse Castiel. Dean lo guardò un attimo a grandi occhi. Così lo sguardo preoccupato sul suo viso se ne andò e lasciò spazio a due occhi dolci e ad un lieve cenno del capo in risposta.

Castiel sentì nuovamente il calore pervaderlo e tra i due cadde nuovamente un silenzio imbarazzante.

 

«Non so come si aggiusta un campanello» disse infine.

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Capitolo 4
*** Quarta parte ***


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Nota dell'autore:

Buon anno prima di tutto. Come seconda cosa invece volevo ringraziare tutte le persone che mi hanno inviato recensioni perchè non hanno fatto altro che instillare in me un'incredibile voglia di scrivere e sperimentare, quindi grazie di cuore. Questo capitolo invece è un pò più corto (credo) (?) e non ne sono molto convinta, ma lo posto lo stesso (in realtà penso sia una vera merda ma dettagli). Se volete darmi altri consigli/critiche/non-ne-ho-idea sappiate che sono sempre ben accetti. 
Con il capodanno, il natale e i vari impegni familiari il mio spirito è un pò in decadimento e quindi non so cosa stia davvero venendo fuori dai miei scritti notturni. So solo che credo di star facendo diventare una fanfiction, che doveva essere introspettiva e molto seria, un'enorme e grandissima fluff piena di battute tristi e infime. 
Spero apprezziate comunque. Buon 2016. :)

-Riley



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Quarta Parte:
 


Dean era abituato agli stramboidi. Ne aveva uno in casa del resto. Ma questo aveva raggiunto livelli estremamente sopra la media persino per Sam.

Quella mattina era arrivato il primo camion dei traslochi, aveva liberato casa da possibili ingombri e stava già aiutando a trasportare i primi mobili all'interno della nuova casa quando, il capo della ditta, lo fermò per fargli firmare alcune pratiche. Erano tenute insieme da una grossa pinza nera parte di un supporto per documenti marrone e avevano un'aria davvero poco rassicurante. Si mise a passare distrattamente i vari fogli uno ad uno cercando di capirci qualcosa, ma totalmente invano. Si grattò la testa e digrignò i denti quando vide, davanti alla porta della casa affianco, una figura pallida in pigiama. Era immobile come una statua, con i capelli corvini ancora più spettinati del giorno prima e l'aria stanca di qualcuno che non aveva dormito affatto. A Dean si formò sulle labbra un minuscolo sorrisetto a vedere che cosa aveva bloccato come uno stoccafisso Cas.

Teneva in mano il piccolo post-it arancione che Dean gli aveva lasciato poco prima e lo fissava con il suo solito sguardo a metà tra il sorpreso e il confuso. Non si mosse per un bel po' di tempo intento nella lotta di “sguardi” tra lui ed il post-it estraneo quando, improvvisamente, avvicinò con un gesto stranamente naturale il piccolo fogliettino al viso a nascondere il grande sorriso che gli si stava formando in volto. Per un momento i suoi occhi vagarono nel vuoto e, lentamente, si scostò il foglio da davanti, prese il vassoietto bianco e rientrò in casa senza smettere di sorridere.

- Ripeto: stramboide. Un adorabile stramboide. -

 

« Ehi ragazzo. Sembri in trance » Disse la voce dell'umo dai grandi baffi grigi, la voce da vecchio zio e il cinturone da cowboy che gli stava porgendo la penna da ormai minuti. «Si firma o no?»

 

« Si, si. Mi scusi. Ci sono ».

 

Dean vide il signore davanti a se alzare un sopracciglio e continuare a muovergli ripetutamente la penna sotto il naso. La prese bruscamente dalle sue mani e firmò le dannate pratiche. L'uomo fece un cenno del capo e, portandosi il cappello in testa, fece segno ai propri uomini di sgomberare.

 

Tornò in casa sbuffando e con, decisamente, troppe cose per la testa. Ripose il giaccone, si tolse le vecchie scarpe e, sedendosi sul divano, guardò distrattamente i fornelli e il suo sguardo si dilatò per un istante. Si alzò di nuovo e iniziò ad aprire i vari scaffali e a frugare tra le mensole alla ricerca di una confezione di bustine da tè. Vedere il freddo e strambo Castiel aveva portato la sua mente a compiere questa associazione in una frazione di secondo. Si fermò improvvisamente con un'antina mezza aperta e la mano sul piccolo pomello nero. Perchè stava cercando del tè? Che diavolo.

Richiuse l'antina e si precipitò a prendere dal mini-frigo arancione una bottiglia di birra. La stappò attentamente e, di nuovo, cercò di distogliere i vari pensieri che rimbalzavano a destra a sinistra alla ricerca di un luogo dove avrebbe potuto comprare delle bustine da tè. - Non trasformarti in una gattara teinomane. Cristo. Cerca di mantenere questo briciolo di dignità che ti rimane - E con un pesante tonfo si abbandonò sul divano imprecando tra un sorso di birra e un altro.

 

Fu allora che sentì il campanello. Si alzò di botto e, completamente preso alla sprovvista, quasi versò mezza bottiglia di birra sul divano. Imprecò aprendo le braccia sbattendole con fare spazientito sulle proprie ginocchia. Posò la birra sul tavolino davanti al divano e si spostò verso la porta a guardare chi fosse dall'occhiello di vetro. Dean sorrise e non esitò un singolo istante per aprire la porta.

 

°

 

Come siano finito entrambi dalla imbarazzante conversazione davanti alla porta ad un Home Depot (di cui Castiel ignorava completamente l'esistenza) resta un mistero.

Dean aveva indossato la sua giacca di pelle marrone, preso un piccolo cacciavite e si era diretto a casa di Castiel nel tentativo di fargli capire qualcosa. Aveva smontato il campanello, si era assicurato che non fosse semplicemente il tasto ad essere rotto e aveva esordito con « C'è da cambiare il trasformatore » cosa che rese Castiel solamente più confuso di prima. Fissò il suo viso con la solita aria spersa inclinando la testa verso sinistra, cosa che Dean, trovò, nuovamente, adorabile. Così decise che ci avrebbe pensato lui.

Girarono, a sinistra, sul marciapiede e si avviarono.

 

E quindi eccoli in un negozio di attrezzi e forniture elettriche varie dalla alte pareti e dalle luci al neon da ospedale a dir poco accecanti. Nel negozio mamme con grossi carrelli pieni di tessuti, signori anziani con bastoni dalle testate inquietanti, bambini e chi più ne ha più ne metta slittavano da un angolo all'altro del negozio come se sapessero sempre e comunque dove andare e cosa comprare. Castiel si sentiva solo confuso. Seguiva Dean diligentemente e cercava di non lasciarsi travolgere dai vecchietti, troppo arzilli per i suoi gusti, che saettavano per il negozio come se avessero trent'anni di meno ed i pattini ai piedi.

 

Osservò Dean camminare tranquillo tra i vari scaffali, fermarsi a guardare gli oggetti riposti e, a volte quando era perso ad osservare, lo vedeva alzare lo sguardo per incrociare gli Occhi di Castiel spaesati ma che lo osservavano con interesse. Allora Dean gli sorrideva con gli occhi, alzava le spalle e continuava per la sua strada. In questi casi, quando si sentiva sperso (in pratica sempre), gli veniva l'impulso estraneo di voler afferrare la vecchia giacca marrone di Dean e di lasciarsi trascinare senza capirne davvero il motivo. Ed ogni volta lasciava perdere volgendo lo sguardo altrove sentendosi un completo idiota. Pensando solo di stare per perdere il lume della ragione.

 

In questa specie di labirinto di Cnosso si avviarono verso il reparto “elettricità” indicato da una grande insegna blu a scritte bianche. Arrivati in quello che sembrava essere il corridoio principale, Castiel venne sommerso dalla fiumana di gente. Venne colpito e fatto sballonzolare da diversi gomiti e spalle che lo spingevano e lo trascinavano via senza volerlo, facendogli completamente perdere il senso dell'orientamento. Con gli occhi cercò disperatamente una via di fuga ma la testa iniziava a girargli e l'aria sembrava essersi prosciugata dai suoi polmoni.

Allora sentì una mano nella propria.

Una mano più piccola della sua, calda, incredibilmente calda, gentile e leggermente callosa. Lo accompagnava fuori dalla folla stringendogliela piano e senza curarsi davvero troppo del gesto che, da Castiel, non credo mai essere stato contemplato. Castiel continuò ad osservare la propria mano nella sua. Le dita gelate e pallide della sua mano affusolata in quella di Dean, così calda da sciogliergli il cuore.

 

Uscirono dalla folla per mano e, senza parlarsi, si allontanarono.

 

°

 

Cosa. Diavolo. Stava. Facendo? Eppure sapeva che non avrebbe dovuto. Soprattutto con un tipo sociofobico come lui. Ma gli era venuto così naturale e semplice che non ci aveva neanche pensato troppo a lungo. Aveva agito e basta. Prendere la pallida e gelida mano di Castiel per guidarlo non gli era sembrata una cosa troppo strana. Del resto era in difficoltà e aveva lo sguardo da cucciolo sperso che non sapeva dove andare.

Il fatto che, anche dopo aver trovato il trasformatore, aver girato per l'ipermercato alla ricerca di alcuni chiodi ed essere passati alla cassa, gli stesse ancora tenendo la mano era qualcosa di completamente irrilevante.

 

Nel trascinarlo non lo aveva guardato un secondo. Teneva la propria mano nella sua e lo accompagnava lentamente in giro per i corridoi come se fosse un qualcosa di piccolo e goffo che aveva paura di poter perdere in un secondo di distrazione. Ogni tanto si fermava, faceva vedere a Castiel ciò che aveva preso in mano e gli spiegava esattamente a cosa servisse. Poi lo trascinava di nuovo e gli parlava del più e del meno continuando a camminare senza guardarlo mai negli occhi.

Nei diversi, e molto frequenti, silenzi tra loro Dean poteva vedere Castiel irrigidirsi e cercare di dire qualcosa che potesse riempire tali vuoti, allora Dean iniziava a parlare. Ogni volta che apriva bocca la mano di Castiel diventava improvvisamente meno rigida, la sua camminata diventava meno meccanica ed iniziava ad intervenire nei discorsi con brevi frasi o annuendo leggermente.

 

Castiel non era abituato a conversare. Non capiva quando iniziare a parlare, come spiegare le cose, che tono usare o tanto meno capire quando la situazione richiedeva del tatto. Inciampava nelle parole e nelle spiegazioni e si innervosiva, roteando gli occhi verso il cielo, quando non riusciva pienamente a spiegarsi. I silenzi imbarazzanti erano una delle cose con cui non era assolutamente familiare e che lo immobilizzavano in un limbo di tensione. Limbo che finiva per strabordare nella disperata ricerca di qualcosa di intelligente da dire. Dean iniziò pian piano a notarlo.

 

« Non devi per forza “parlare” » gli disse continuando a camminare.

 

Castiel gli volse uno dei suoi sguardi confusi.

 

« Se non hai niente da dire in quel momento, non dirla. Non mi dispiace il silenzio » Disse Dean senza guardarlo. Castiel sentì il sangue salirgli in volto e, per la prima volta in vita sua, uno strano senso di libertà prese il sopravvento nella sua mente. Come se parlare con questo ragazzo non fosse più un obbligo o un dovere impostogli da qualcuno, come era per lui comunicare con chiunque.

 

«... Okay » Disse infine. L'unica cosa che riuscì a pensare fu con quanta leggerezza potesse dire cose che finivano per sconvolgere la sua vita in modo così drastico, netto e veloce. Con quella semplicità assoluta. « Anche a me non dispiace il silenzio. »

 

Fecero l'ultimo corridoio in silenzio ma con nessuna tensione addosso o senso di obbligazione. Avvolti dalla solita familiarità arrivarono alla cassa quando Dean dovette lasciare andare la propria mano per prendere il portafoglio. Castiel sentì le sue dita scivolare via dalle proprie così spontaneamente com'erano arrivate. Iniziò a fissare il proprio palmo come se, dopo aver tenuto la mano di Dean tanto a lungo, non capisse più come usarla. Era diventata, per la suo temperatura media, bollente.

 

Usciti dal supermercato attraverso le porte automatiche di vetro, Castiel la stava ancora guardando incessantemente.

« Quello era contatto umano Cas. Credo lo abbiate anche voi marziani » Disse continuando a maledire se stesso per aver fatto qualcosa di tanto stupido e infantile ma, allo stesso tempo, non pentendosene affatto.

 

«Oh.» Disse solo, senza smettere di fissare la propria mano. Dean alzò intenzionalmente un sopracciglio e lo guardò con aria sarcastica nel tentativo di non lasciar trasparire quello che, sembrava essere, un crescente imbarazzo. Forse dato dal fatto di aver realizzato che, tale gesto, stava davvero andando ad intaccare la sua salute mentale.

 

« Non puoi davvero farmi credere di non aver mai dato la mano a qualcuno ragazzino ».

 

« Non pensavo fosse poi così importante farlo » .

 

Dean lo guardò incredulo « Okay. Tu hai bisogno di una mano » E si fermò un secondo.


Silenzio da entrambe le parti.

 

Castiel, quella creatura aliena dall'aspetto trasandato e dal tono monocorde, lo guardò piegando le proprie labbra in dentro nel tentativo di soffocare un risata senza davvero riuscirci. Continuò a guardare Dean e a coprirsi la bocca.

 

« Cos'ho detto di divertente? » chiese mentre la risata del ragazzo andava man mano ad aumentare tra inutili tentativi per cercare di fermarsi.

 

Castiel tossì due volte riuscendo, faticosamente, a ritornare alla compostezza di prima « Ecco.. il tuo “hai bisogno di una mano”» . Disse mimando le virgolette con le dita e riprendendo con la sua risata soffocata che gli fece bofonchiare mezza frase.

 

« Non. Ci. Credo. Ti fa ridere questa roba? » A quel punto anche Dean non riuscì a trattenere una risata alla vista di questa sottospecie di pezzo di legno che, mentre si tratteneva dal ridere per via della battuta più triste del mondo, muoveva le dita in quel modo che, assolutamente, non gli si addiceva. « Sei assurdo »

 

« Il mio umorismo è stato ripetutamente definito come infimo » Disse alzando le spalle e piegando le braccia a far volgere i palmi delle mani verso l'altro.

 

« Nah. Sai essere divertente »

 

Entrambi si scambiarono un sorriso e a Dean venne un'idea.

 

« Ti devo portare in un posto » Castiel lo guardò sospettoso con il solito cipiglio. « Fidati. Ti piacerà » Gli disse a grandi occhi. Castiel notò ancora una volta le lentiggini sul viso del ragazzo e sentì il suo cuore capovolgersi dentro il suo torace.

 

« Okay »

 

« Grande. Tra venti minuti davanti a casa mia. Dobbiamo prendere la macchina » Disse e a Castiel sembrò di vederlo saltellare mentre parlava. Più esattamente teneva le mani nelle tasche dei Jeans spostando il peso da un piede all'altro, mentre il suo tono di voce dava l'idea che stesse davvero saltando di gioia, facendo sembrare i suoi occhi più verdi e più grandi di prima.

 

« Ci vediamo lì allora » Rispose sentendo la sua stessa frase quasi estranea al palato.

Si incamminarono ed entrambi entrarono ognuno nella propria casa: Castiel completamente scombussolato dall'intero ciclo di avvenimenti, Dean impegnato testardamente ad infossare ciò che pensava dell'intera faccenda ed entrambi stranamente felici.

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Capitolo 5
*** Quinta parte ***


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Quinta parte

Castiel sarebbe dovuto uscire di casa. Di nuovo. Non credeva assolutamente di potercela fare ma, il costante pensiero di Dean, del fatto che lo avesse invitato, rendeva tale sacrificio molto ma molto più sopportabile.

Entrato in casa si appoggiò con la schiena sulla porta d'ingresso e, scivolando pian piano sempre più in basso, fissò il vuoto davanti a se incapace di formulare pensieri razionali. Lasciò scivolare, con la schiena, entrambe la gambe fino a ritrovarsi seduto, per terra e con le gambe dritte davanti a se a pensare a che diavolo stava davvero succedendo. Si portò una mano alla bocca trascinandola verso il basso a seguire la linea del proprio mento e, di nuovo, si guardò la mano con incredulità.

Aveva tenuto la mano a qualcuno e, diavolo, se adesso aveva bisogno di scrivere. Guardò distrattamente la porta del suo studio chiusa come al solito. Si alzò lentamente usando entrambe le mani appoggiandole sul pavimento di legno scuro.

Era da tanto che non gli tornava la voglia di scrivere, Balthazar sarà felice finalmente. - Balthazar? - Guardò il calendario cercando di capire che giorno fosse. Venerdì? Giovedì? Non ricordava. Ma ricordava di aver promesso a Balthazar un manoscritto completo per l'inizio del mese, cosa che non aveva assolutamente fatto. Lo stupido manoscritto di quel libro che aveva finito per odiare se ne stava riposto (più probabilmente nascosto alla vista) in mezzo ai vari libri dello studio, impolverato e lasciato allo sbando tra i Dickens e le enciclopedie.

Forse avrebbe dovuto chiamarlo. Avrebbe potuto se avesse avuto un telefono a portata di mano o, più esattamente, se si ricordasse dove lo avesse messo l'ultima volta che lo aveva usato, secoli fa. Si guardò in giro con discreta attenzione ma abbandonò le ricerche dopo pochi secondi e in tutta tranquillità. Dio solo poteva sapere dove diavolo fosse finito.

 

« Finalmente sei tornato. La prossima volta respira per l'amor del cielo, non si sente quando cammini » Una voce squillante provenne dalla cucina alla sua sinistra. Castiel lo guardò stringendo lo sguardo in un sottile – Perchè sei qui? -. Si irrigidì e sospirò copiosamente abbassando il mento ed inclinando la testa di lato.

 

« Come sei entrato? » disse portandosi indice e pollice sull'attaccatura del naso nel tentativo di calmarsi.

 

« Potrei e dico potrei avere una copia delle tue chiavi di casa. Ma ricorda che sto usando il condizionale » Castiel fu indeciso se sbatterlo fuori a calci o se ucciderlo ma non voleva sporcarsi troppo le mani e, Balthazar, poteva benissimo riuscire a sopportarlo.

 

Aveva uno scollo a V che pendeva esageratamente sulla maglietta color rosa stinto. Sopra portava un semplice blazer nero che accentuava le forme spigolose del suo busto. Teneva in mano un calice di vino che, Castiel, non sapeva di avere in casa.

 

« Perchè mi sorprendo ancora della tua follia altalenante? » disse Castiel sbuffando.

 

« Ammetti di amarmi, su. Ah, e in ogni caso: il vino e il calice li ho portati da casa. Mai che ci sia uno straccio di alcol in questo posto. » disse scherzosamente alzando il calice. Castiel riprese a sorridere ma tornò subito su un tono più serio ma dispiaciuto.

 

« Non ho il manoscritto. »

« Chissà perchè lo sospettavo. Non sono qui per costringerti ma, Cassie-boy, devi davvero iniziare a scrivere qualcosa. Il capo non mi da tregua e tu sei il nostro scrittore di punta » Disse prendendo un altro sorso dal sottile bicchiere. Castiel rimase in silenzio.

 

Balthazar lo guardò e, cercando di sdrammatizzare ma senza perdere il suo tono strafottente, disse « Comunque Jimmy Novak è un nome terribile ».

 

« Mi piace. E' migliore di Castiel Milton e i lettori se lo ricordano più facilmente »

 

Balthazar si mise a ridere. « Come vuoi Cassie» Ancora silenzio da ambo le parti.

 

« Sono solo preoccupato per te. » disse prendendo improvvisamente un tono più calmo « Sei sempre chiuso qui a respirare polvere, provando a scrivere senza riuscirci e ordinando sempre più libri da amazon prime » Sospirò guardandolo apprensivo « Non ti farà bene »

 

Castiel non rispose di nuovo e Balthazar dovette ricominciare con il sarcasmo per uscire dalla conversazione tesa che si era creata.

 

« Come non ti fa bene possedere ancora quei, a dir poco terrificanti, dischi di Celine Dion » Castiel si mise a ridere e lo guardò con occhi più addolciti e calmi di prima. « Tanto lo sai che non lo farò. Come sai che non smetterò di darti i manoscritti in ritardo ».

 

Balthazar stava per aprire bocca quando Castiel lo interrompette « Giusto poco fa. Mi è venuta voglia di scrivere » disse, sentendosi incredulo tanto quanto doveva sentirsi lui.

 

« Mi prendi in giro, vero? » Disse portando la testa all'indietro quasi infossandosela nelle spalle e alzando il palmo della mano sinistra verso l'alto.

 

« No. E adesso devo uscire. » Gli rispose guardando l'orologio appeso al muro. Gli occhi di Balthazar si spalancarono e la sua mascella cadde di colpo. « Okay. Aspetta un momento » disse gesticolando con le lunghe dita ed indicandolo spesso e volentieri con incredulità.

 

« Devo vedermi con un amico tra due minuti esatti. Quindi, per quanto la tu visita sia, diciamo gradita per non dire altro, devi davvero andare » disse spingendolo verso la porta.

 

Balthazar gli regalò uno sguardo che, si potrebbe dire, parlasse. Castiel lo guardò alzando un sopracciglio e vide il suo volto dire rimorchi-e-devi-raccontarmi-ogni-singolo-dettaglio. « Non è come credi. » Disse non volendo dare altre spiegazioni.

 

Balthazar alzò le braccia e rispose « Okay, lascerò stare per oggi dato che devi “uscire”» disse in tono plateale mimando le virgolette con le dita. Ora Castiel si ricordò chi gli aveva attaccato quel maledettissimo gesto.

Ormai fuori dalla porta Balthazar sbatté le ciglia e assunse una posa ridicola portando entrambi i pugni in basso e alzando le spalle. « Ricordati che poi sono geloso »

 

« Vai. Ora. » disse Castiel soffocando una risata. Balthazar si abbottonò il lungo cappotto e ripiegò il colletto verso l'alto a coprigli il collo. « Tu sai di amarmi » Disse mentre si incamminò per il vialetto alzando una mano in segno di saluto.

 

« Idiota » Sbuffò Castiel.

 

« Ti sento » gli rispose Balthazar già di spalle intento ad uscire dal cancello.

Ritornò in casa e salì al piano di sopra. Dato che la temperatura si stava abbassando e non sapeva quanto sarebbe stato fuori, decise di indossare una camicia sotto il precedente maglione ed una sciarpa di lana. Perchè, nonostante non soffrisse affatto il freddo, poteva comunque prendersi un malanno, cosa che voleva sicuramente evitare.

Uscito fuori allungò un braccio dentro la porta, afferrò le chiavi e la chiuse velocemente dietro di se. Si strinse nel suo over coat beige e si avviò.

 

°

 

PIE. Era venerdì. Il primo del mese oltretutto. Ed era la pie di Ellen.

Non riusciva a pensare ad altro, come non riusciva a capacitarsi di come abbia potuto dimenticarsi di qualcosa di tanto fondamentale. In più, il pensiero di poterci portare Castiel, diede a tutto un sapore più dolce.

Entrato in casa approfittò di quel lasso di tempo per chiamare Sam. Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un vecchio cellulare pieghevole e si buttò sul divano disordinatamente.

 

« Ehi, Sammy » Disse euforico e con un sorriso a 32 denti che gli occupava il viso.

 

«Ciao – uff - Dean » rispose la voce dall'altro lato del telefono, stanca e ansimante. « Scusami. Jogging ».

 

« Jogging? E' terribile Sam! Insomma, capisco che ti tiene in forma, ma a che costo? » Disse Dean mortalmente serio.

 

« E' salutare. Dovresti farlo anche tu » disse alzando gli occhi al cielo continuando ad ansimare tra una parola e l'altra.

 

« Certo. Magari poi mi metto a mangiare anche erba e radici » rispose sarcastico e con un ghigno stampato in volto.

 

« Non sei divertente »

 

« Ehi, ehi Sammy.» Chiese mettendosi seduto sul divano e alzando una mano davanti a se. « Chi pensi sia la vegetariana più sexy: Pamela Anderson, Natalie Portman o tu? »

 

« Idiota »

 

« Puttana » Disse ricominciando a sorridere.

 

« Okay, che c'è? » Chiese Sam sospirando.

 

« Cosa? »

 

« Sento il tuo sorriso imbecille da qua. Cosa c'è? »

 

« Perchè pensi sempre ci sia qualcosa? » Disse sbuffando, portando le gambe sopra lo schienale e mettendo la testa a mezz'aria tra il divano ed il pavimento.

 

« Dean. » Disse piano e con la sua classica voce da mamma-Sammy che non si addiceva davvero ad un ragazzino della sua età.

 

« Okay. Forse sono riuscito a socializzare e a farmi un amico in questo posto dimenticato da Dio. Contento? » disse cercando di non stare troppo a pensare sulla parola “amico” che era appena uscita dalle sue labbra.

 

« Dean, tu non ti fai “amici” » disse trattenendo una risatina.

 

« Dammi tregua. Davvero. E' un nostro vicino di casa e l'ho aiutato ad aggiustare il campanello. Tutto qua . Piuttosto » disse senza permettere a Sam di intervenire ulteriormente « Papà? »

 

« Come al solito non si è visto. Da quando gli hai presentato la lettera con i documenti per il cambio di residenza non si fa più molto vedere » Dalla cornetta si sentì una porta cigolante aprirsi e i pesanti passi di Sam che salivano su per le scale. « Io ho già tutto pronto. Arriverò domani con il camion di Bobby ed il resto della mia roba. Hai bisogno che ti porti qualcosa? » chiese gentilmente.

 

Ci fu un attimo di pausa.

« Hai del tè? » disse mentre si morsicava il labbro nervosamente.

 

°
 

Dean andò in bagno a lavarsi il viso e, salendo al piano di sopra, cercò velocemente una sciarpa più pesante. La temperatura si stava decisamente abbassando e, come spesso diceva a se stesso, sapeva essere un freddoloso di merda.

Ne trovò una di lana spessa e verde che Sam gli aveva regalato tempo prima. Se la portò in salotto e se la avvolse attorno al collo diligentemente. Si sistemò la pesante giacca di pelle e uscì a prendere la macchina.

Nel piccolo e ristretto vialetto di casa c'era uno spiazzo di terra chiara e leggermente sabbiosa nel quale Dean era riuscito a parcheggiare l'impala. La sua, a detta di Dean, non era un'auto qualunque. Era una Chevy Impala Sport Sedan del '67 ed era la cosa più sexy sulla quale Dean avesse mai messo gli occhi, insieme alla Pie di mele.

Ogni tanto, solitamente quando era ubriaco, Sam si divertiva a farlo parlare della sua “bambina” e lo lasciava, nel bel mezzo dei festeggiamenti, a ripetere a macchinetta un vecchio documentario che guardavano da bambini e che, ormai, conosceva a memoria a discapito delle persone che lo circondavano: “il 21 aprile del 1967 la centomilionesima automobile della General Motors lasciò la catena di montaggio nello stabilimento di Janesville. Ma tre giorni dopo..” (questo era il punto in cui Dean partiva a raccontare con tono euforico, gesticolando apertamente, quasi come se stesse presentando le gesta eroiche di sua figlia ad un pubblico entusiasta) “un'altra auto lasciò la stessa catena di montaggio. La chevrolet Impala del 1967”. La gara al “facciamolo smettere” era il passatempo numero uno a questo tipo di feste.

 

Dean aveva riposto, sotto i divanetti in pelle dell'auto nera, una scatola di cartone contenente tutte le audio cassette più varie della sua infanzia. Di certo non poteva cadere nell'abominio di inserire un triste lettore cd nella sua bambina. Dean aprì la portiera ed inserì la sua audiocassetta preferita, Led Zeppelin, Houses of the holy. Uscì di nuovo ed ascoltò il primo brano, “The song remains the same”, mentre aspettava. La osservò da vicino come un padre orgoglioso e si appoggiò ad essa con le mani nelle tasche dei jeans ed un sorriso ebete in volto.

 

Castiel arrivò alla fine del brano con il suo solito trench coat usurato ma, questa volta, indossava una camicia di jeans azzurrina sotto lo stesso maglione blu. Intorno al collo portava una sciarpa, sempre blu, scura e di lana sottile.

 

« Ciao Dean » disse avvicinandosi. Tese la testa in su ad ascoltare e iniziò a muoverla a destra e a sinistra in lunghi e lenti movimenti « Che canzone è? »

 

« The rain song. Dei Led Zeppelin » gli sorrise Dean con fare orgoglioso.

 

Castiel si fermò ad ascoltare per un po' e non proferì parola. Ascoltò attentamente le parole e a Dean sembrò in trance. Lentamente un sorriso, che per un istante a Dean parve amareggiato, si formò sul suo viso.

« E' bellissima » Tirò fuori dalla taschina interna della giacca un piccolo taccuino pieno di pagine scarabocchiate e si segnò il nome della canzone. « Conosco i Led Zeppelin ma questa non l'avevo mai sentita » Disse sorridendo come se avesse aggiunto la canzone alla lista dei suoi tesori. Le spalle improvvisamente più leggere.

 

« Possiamo ascoltare l'intero album mentre andiamo » disse Dean abbassando la testa a guardarlo. In cambio ricevette lo stesso sguardo felice di quella mattina ma questa volta non si dissolse in un istante. Il cuore di Dean si riempì di gioia.

 

Entrambi entrarono in auto quando la canzone finì. Gli occhi di Dean si soffermarono su quelli di Castiel per un istante, per poi riportarli al mangianastri sul cruscotto.

« Oh, fanculo » Disse quando premette il tasto per riavvolgere l'audiocassetta. Al rumore del nastro che si riavvolgeva Castiel parve confuso ma, appena Dean lo fece ripartire, gli sorrise apertamente e gli occhi gli si illuminarono di nuovo. In auto non parlarono e l'aria fu piena delle note di “The Rain Song” che continuava ad essere mandata a ripetizione dalla, già molto consumata, vecchia audiocassetta.

Dean non amava le canzoni lente e neanche quelle sdolcinate. The Rain Song era entrambe con un tocco di psichedelico anni 70 in più. Ma se questa canzone gli avrebbe permesso di vedere quell'espressione allora l'avrebbe ascoltata anche per sempre.

 

°

 

Castiel in auto imparò a memoria ogni singola parola. Gli piaceva. Gli ricordava la musica classica mischiata alle canzoni che suo fratello, Lucifer, ascoltava sempre nella sua fase ribelle, quando papà gli dava del piccolo furfante e lo metteva sempre in punizione.

 

Castiel potè vedere il paesaggio cambiare velocemente dal finestrino. Dalla zona erbosa della loro cittadina si passò gradualmente alle zone desertiche del Nebraska. Passando per l'interstatale, ed altri paesini minori, si fermarono in un grande spiazzo a lato della strada con qualche spoglio albero che faceva da ombra a decine di motociclette. La fila di moto, tra Harley e Indian d'epoca, continuava fino alle porte di una vecchia Roadhouse.

Era piccola e disordinata con una luminosa insegna al neon rossa e gialla che indicava “Harvelle's ROADHOUSE”, con “roadhouse” scritto in grandi lettere in stile las vegas formate da tanti bulloni luminosi, che stava esattamente al di sopra di una larga tettoia rivestita di lastre di metallo. Il posto ricordava a Castiel i vecchi saloon americani, il Whisky clandestino e il biliardo. Tutte cose di cui Castiel non sapeva assolutamente nulla ma che, in qualche modo, poteva collegare a quel posto dall'aria consumata.

Dean gli sorrise ed uscì dall'auto « Qui è dove lavoro io »

Castiel non seppe cosa rispondere al momento, ma riuscì ad immaginare perfettamente Dean in questo genere di luogo, a lavorare tra il bancone del bar ed i clienti ai tavoli. Gli calzava a pennello.

 

« Mi piace » disse sinceramente.

 

« Aspetta di vedere dentro »

 

Appena entrati Castiel notò subito il grande bancone di legno disposto a ferro di cavallo sulla destra circondato da sgabelli da bar, tutti diversi tra loro, neri o di legno. Il bancone era un classico piano bar con bottiglie e bicchieri vari con dietro una piccola finestrella che mostrava la cucina ed una porta d'accesso ad essa subito affianco.

Le pareti erano di legno, come il parquet rovere, con appese varie decorazioni tra animali impagliati, bottiglie d'epoca e targhe americane. Tutto intorno al bancone si apriva una serie di tavolinetti, più bassi, di legno scuro e consumato con sopra vari sottobicchieri verdi e neri. Probabilmente intonati ai tavoli da biliardo che stavano su un basso soppalco infondo alla stanza.

Le lampade erano basse e mandavano una luce soffusa in tutta la stanza che, andando a colpire il fumo di sigari e sigarette, tagliavano queste nubi dando al tutto il classico aspetto di un bar d'altri tempi. Al bancone stava una donna sulla cinquantina portata molto bene. Aveva la pelle chiara ma rosea ed i lineamenti del viso erano affilati a contornare dei piccoli occhi rivolti all'insù. Aveva un portamento quasi regale ma le movenze erano quelle di una mamma severa e buona allo stesso tempo. Indossava una camicia di jeans marrone aperta davanti con, sotto, una canottiera grigia. Stava al bancone a ripulire i bicchieri con un vecchio strofinaccio passandoli uno ad uno, con movimenti rapidi e svelti, senza lasciare una macchia.

Il suo sguardo si posò su Dean e sorrise allungando in modo affettuoso gli angoli della bocca e, subito dopo, guardò Castiel attentamente e con fare confuso ritornò con gli occhi su Dean che, nel frattempo, aveva appeso le loro giacche sull'appendiabiti vicino al bancone.

 

« Non mi presenti il tuo nuovo amico? » disse sorridendogli e dandogli un sonoro colpo sulla spalla con lo straccio che aveva ancora in mano.

 

« Ellen Castiel, Castiel Ellen » disse in modo annoiato.

 

« E' un piacere conoscerla » rispose con il suo classico tono monocorde e mantenendo una rigidità assoluta.

 

« Zuccherino, dammi pure del tu. Non sono ancora così vecchia » Castiel la guardò confuso entrando nel panico per un istante.

 

« Non intendevo questo. Lei è... in forma » Ellen gli rispose con un'allegra risata per poi rivolgersi a Dean.

 

« Mi piace il tuo amico. E' sempre bello avere persone ottimiste intorno, ogni tanto » sorrise a Castiel con quel fare da mamma e continuò « Cosa posso portarvi ragazzi? »

 

« Pie. » rispose diretto Dean « Due fette per me e una per lui ».

 

« Perchè perdo tempo a chiedertelo? » disse alzando gli occhi al cielo. Ripose lo strofinaccio sul bancone e andò in cucina con fare spedito « Arrivano subito ».

 

Dean prese uno sgabello e si sedette al bancone e, quando si girò, ritrovò Castiel in piedi, rigido, nello stesso identico punto dove lo aveva lasciato. Lo guardò nello stesso modo con cui si potrebbe guardare un coniglietto impaurito « Cas. Puoi sederti qua » disse indicando lo sgabello di fianco al suo.

 

Castiel guardò lo sgabello e, con un semplice “oh”, si avvicinò per sedersi.

 

« Amico, rilassati. E' solo un bar. Ed è casa » disse per rassicurarlo. « Se ti fa stare meglio: Ellen già ti adora »

« Mi adora? » chiese inclinando la testa di lato e rivolgendosi vero Dean.

 

« Ti adora » confermò inclinando la testa mentre, portandosi in avanti oltre il bancone, si servì da solo una bottiglia di birra. Castiel voleva chiedergli il motivo e di come, esattamente, Ellen possa averlo informato della cosa nei cinque minuti nei quali si sono visti, ma la donna si intromise nei suoi pensieri arrivando con i piattini subito dopo.

 

« Eccole qua » disse appoggiando i piattini davanti a loro mentre si sedeva dall'altra parte del bancone rivolgendosi verso Castiel « Devi sapere ragazzo che questo manigoldo qui » disse indicando con il pollice Dean e coprendosi un lato della bocca con l'altra mano « Ogni primo venerdì del mese, che sarebbe oggi, si presenta qui e mi finisce mezza torta da solo ».

 

« PIE » rispose Dean masticando.

 

« Pie, pie, pie. Come vuoi moccioso » disse guardandolo storto « E non si parla con la bocca piena ». Dean ingoiò subito quello che stava mangiando e gli diede un piccolo sorriso divertito in cambio.

 

« Cas assaggiala. Ti piacerà » Gli disse Dean indicando la sua fetta di torta con la forchetta. « Perchè se così non fosse dovrei ucciderti »

 

Castiel osservò il suo piattino bianco e, prendendo la forchetta, ne assaggiò un pezzetto. « E' squisita » disse guardando Ellen stupefatto e, rivolgendosi a Dean riprese « Come i tuoi...».

 

Dean sapalancò gli occhi terrorizzato e iniziò a fare dei veloci piccoli movimenti con la mano retta sotto il proprio mento. « Come i tuoi spaghetti » disse infine guardando Ellen « Erano terribili. Mai avessi accettato quell'invito a pranzo » continuò ridendo nel tentativo di nascondere il panico.

 

Ellen si mise a ridere. « Posso solo immaginare »


Dean cercò di rimanere al gioco e continuò « Non erano COSI' terribili » disse evidenziando in tono ironico l'intera frase. Castiel e Dean si passarono un'occhiata complice e iniziarono a ridere insieme a Ellen « Mi piace il tuo amico. Portalo quando vuoi ma, adesso, devo andare a servire gli ultimi tavoli » disse sorridendo e prendendo il taccuino delle ordinazioni per avviarsi ai tavoli in fondo alla sala.

 

« Visto? Ti adora » disse appoggiandosi sullo schienale dello sgabello e portandosi le mani alla pancia. « E io adoro questa maledetta Pie »

 

Tra loro tornò il silenzio. Dean non sembrava preoccuparsene troppo e, in quel momento, quando Castiel sapeva non essere attento, susurrò un piccolo grazie. Dean lo sentì di sfuggita e lo guardò addolcendo di colpo gli occhi e inclinando leggermente la testa a guardarlo.

 

« Intendo davvero » riprese. Dean lo guardò ancora.

 

« Non avevo mai mangiato una “pie” ne dei “cupcakes” e ne, tanto meno, avevo mai visto un posto del genere e conosciuto persone così accoglienti e ospitali » Continuò tutto d'un fiato. « Grazie »

 

Dean volle per un momento abbracciarlo. Voleva stringerlo a se e voleva sentirlo parlare dei suoi libri e usare il suo sarcasmo completamente fuori luogo. Voleva scoprire quante altre cose non aveva mai fatto questo esserino spettinato e fargliele provare una ad una per riuscire a vedere tutte le espressioni che normalmente non mostrava. Avrebbe voluto così tanto.

Con un semplice gesto prese la mano di Castiel, appoggiata sul bancone di legno, senza rispondere e facendo attenzione che nessuno stesse guardando in quel momento. Castiel sentì di nuovo quella mano bollente nella propria e, per una volta, si sentì a casa.

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Capitolo 6
*** Sesta Parte ***


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Sesta parte:

 

Entrambi si erano salutati pacatamente e avviati verso le rispettive case. Non si guardarono troppo. Castiel balbettò qualcosa che Dean non stette a sentire preso dall'agitazione, limitandosi soltanto ad osservare il pallido ragazzo entrare in casa e sorridergli mimando di nuovo un piccolo e sentito “grazie”. Non parlarono di cosa fosse successo e tanto meno parlarono delle loro continue strette di mano e, Dean, non volle proprio pensarci. L'unica cosa che pensò, mentre si incamminava nel polveroso vialetto di casa, fu: Come posso smettere di mettere in dubbio la mia eterosessualità? Davvero. Stava diventando un problema.

Con entrambe le mani si grattò prepotentemente i capelli castani mentre cercava di mantenere il controllo. Non avrebbe dormito sta notte, lo sapeva.

 

« Ehi tu. Si, proprio tu. Tizio dall'andatura da cowboy ». Una voce stridula proveniente dalla sua destra si intromise nei suoi pensieri. Voltando lo sguardo Dean vide, appeso alla staccionata di casa sua, un ragazzino dai capelli ramati, un ghigno strafottente in viso ed un lecca lecca rosso in una mano.

Avrà avuto all'incirca l'età di suo fratello ma la metà dell'altezza. Indossava un cappellino giallo di lana ed una sciarpa dello stesso colore portata sopra ad una giacca blu troppo larga per lui.

« Dici a me? » Disse Dean indicandosi e guardandosi intorno allo stesso tempo.

 

« Vedi qualcun altro oltre a te da queste parti? » ridacchiò scendendo dalla staccionata

 

« Senti tappetto. Non so cosa tu voglia ma questo non è davvero il momento » rispose dandogli le spalle e tornando sui propri passi.

 

« Castiel Milton, il vampiro » rispose. Dean sbuffò quello che sembrava dire – Ti prego moccioso no – e lo guardò diretto dopo aver roteato, platealmente, gli occhi al cielo.

 

« Non hai notato? tutto si collega: pelle bianca, non esce mai di giorno, scorbutico e poco incline alla luce del sole. Scommetto che non gli piace l'aglio, ma ancora non ho potuto sperimentare! » sorrise il ragazzino « Quindi quello che vorrei sapere è: come hai fatto a farlo uscire?» disse avvicinandosi a guardarlo con occhi imploranti e allo stesso tempo divertiti.

 

« GABRIEL » Una voce squillante e di vari decibel superiore alla media arrivò dalla casa alle spalle del ragazzino. « Smettila subito di tormentare i vicini con le tue stranezze e torna subito qui ».

 

Colui che sembrava rispondere al nome di Gabriel, e alla descrizione che lo accompagnava, fece un ghigno indispettito, guardò Dean e gridò un « Hasta la vista ». Si portò il lecca lecca alla bocca e corse via.

Dean sorrise sotto i baffi « Amico, se devi citare Terminator citalo bene! ». Il dispettoso ragazzo gli sorrise in lontananza. « “torno presto”» replicò imitando la voce di Schwarzenegger mentre rientrava in casa.

« Devo decisamente presentarlo a quel nerdone di mio fratello » Disse sorridendo infine.


Entrato in casa si addormentò sul divano all'alba delle cinque del pomeriggio.

 

°

 

Castiel era entrato in casa, aveva sbattuto l'over coat e la sciarpa sul divano e si era precipitato nel suo studio. Lo studio (o, come precedentemente detto, la tana del demonio) era un piccolissimo locale con una singola finestra costantemente sbarrata ed il buio che vi regnava sovrano. Era, tanto quanto il salotto, sommerso dai libri e possedeva, posta perfettamente al centro, una scrivania scura con sopra una piccola lampada, di quelle da biblioteca di vetro verde, un pc portatile e diverse pile di fogli scribacchiati.

 

Si sedette sulla scomoda sedia di legno e accese la piccola lampada. Si portò la penna sul mento e prese un foglio bianco dalla pila mettendolo diligentemente al centro della scrivania. Tirando un sospiro, iniziò a scrivere. Scrisse per quasi due ore, fermandosi solo tra un sorso di tè ed un altro. La penna continuava e continuava imperterrita a descrivere luoghi, dialoghi e fatti senza una pausa quando, improvvisamente, alle 19:15 si fermò.

 

Castiel lasciò cadere le braccia a penzoloni dietro di se ed iniziò ad osservare il soffitto. La sua mente era vuota. La sentiva come un appannato e vecchio specchio che qualcosa era andato a scalfire. Qualcosa che stava scombussolando l'ordine delle cose.

Castiel scrive di ciò che sa, mai di altro. Scrive delle cose che conosce e delle cose di cui è stato testimone, abbinandole alla sua conoscenza della letteratura, dei libri e prendendo spesso ispirazione dai suoi grandi maestri. Si armeggiava nel collegare i fatti con fluenti descrizioni di quello che vedeva. Castiel era bravo a descrivere le cose che conosceva e capiva. Ma questa cosa, questa cosa che gli cresceva sempre di più nel petto, proprio non la comprendeva. Le fitte, i rossori, l'imbarazzo e quel calore. Cos'erano? Perchè erano lì? Perchè il battito accellerava? Perchè sentiva il bisogno di avvicinarsi a questa persona quando, lui tra tutti, non aveva mai avuto bisogno di nessuno? Da quando gli aveva stretto la mano, quella stessa mattina, un rumore sordo aveva preso posto nella sua mente. Un rumore di fondo, estraneo, che cercava di prendere spazio tra polmoni e costole. Cercava posto dove non doveva esserci scuotendo e ribaltando tutto il suo ordine interiore.

Castiel lo detesta. Vorrebbe scrivere ma non riesce. Vorrebbe capire ma non gli arrivano le risposte. Continuò a pensare, roteando la penna tra le dita e pendendo sempre di più con la testa verso il basso, finchè non sentì il sangue affluirgli in volto.

Non riuscì a pensare a nulla di logicamente attendibile e, in un rigido scatto, si portò davanti alla libreria alle sue spalle. Ne tirò fuori una serie di volumi rivestiti in cuoio con delle insenature decorate che incorniciavano le parole “enciclopedia. Vol 1”. Tirò giù dallo scaffale i primi tre volumi e li appoggiò delicatamente a terra. Con un tonfo si sistemò a gambe incrociate di fianco ad essi e partì dal primo. Saltò con poco conto la parte introduttiva e partì dalla pagina di inizio. Fece scorrere con il dito i vari e piccoli titoletti tra una colonnina ed un'altra aspettandosi di trovare qualcosa che lo avrebbe portato all'illuminazione divina. Castiel sarebbe stato in grado di far passare tutti e 16 i volumi di quella dannata enciclopedia pur di trovare una soluzione al suo problema.

 

- A : sigla automobilistica dell'Austria. Aa : termine Hawaiano per indicare un tipo di lava basaltica. Aabam: indica i minerali di piombo nei libri di Alchimia – E così via. Passò i nomi di cittadine Svizzere, animali sconosciuti, principi fisici e andò avanti imperterrito senza soffermarsi troppo su ogni singolo concetto ma, piuttosto, limitandosi a leggere i titoletti per velocizzare la ricerca. Arrivato a “Ammidina” ( composto chimico organico, RC(NH2)2 ) accese il computer e, sorseggiando la terza tazza di tè, mise su “The Rain Song”. Con il dito che sempre più stancamente faceva su e giù sulle grandi e spesse pagine bianche dell'enciclopedia, Castiel canticchiò quel brano sbadatamente, ogni tanto saltando una strofa o inciampando in un verbo quando sfiorò con il dito, in quest'ordine, le parole amorale, amoralità, amorazzo, amor brujo e amore.

Si fermò un secondo. Scosse la testa ripetutamente e tornò con gli occhi sulla parola.

  1. Tensione intellettuale e affettiva

  2. Sentimento verso altri uomini

  3. Impulso dell'animo, intenso affetto verso qualcuno

  4. Attrazione romantica, profondo interesse sentimentale

 

Chiuse di colpo l'enciclopedia e, senza riporne neanche un volume, si ricompose sulla scrivania. La canzone sprigionata nell'aria dal pc era spesso smorzata da i continui e scattanti ticchettii delle dita che correvano sulla piccola tastiera del computer.

Ne aveva letto, nei suoi libri, di quello che viene comunemente definito come “amore”. Ne erano pieni. Sapeva cosa fosse ma non sapeva come funzionasse ne tanto meno come si potesse riconoscere ma internet, di certo, non stava aiutando e le risposte date dall'enciclopedia erano troppo rigide persino per uno come lui. Ora iniziava a capire i critici letterali che lo definivano “freddo, rigido e troppo distaccato dai sentimenti”. Continuò con le ricerche per altre due ore piene e, alla fine, si ritrovò sul blocco degli appunti una lista con un'altra decina di libri da leggere riguardanti l'argomento. Il salto verso Amazon prime fu veloce e istantaneo.

 

Erano ormai le undici e mezza quando Castiel si fece l'ultimo tè, mangiò una mini torta e fermò le ricerche spostandosi in salotto. La testa gli girava troppo per poter proseguire. Sdraiato sul divano con la tazza appoggiata sul proprio busto iniziò a passare con gli occhi i libri sparsi in giro alla ricerca di uno di suo gusto. Gli occhi stanchi, pigri e ormai socchiusi di Castiel si soffermavano sui vari titoli mentre la mente affibbiava o all'uno all'altro dei vaghi criteri di valutazione come “non adesso”, “già letto”, “letto dieci volte”, “neh”, “noioso”, “stupendo ma non ora”, “bah”, “ni”. Più titoli passava più il sonno si faceva sentire quando scorse, sul quinto scaffale a partire dal basso sulla sinistra, i suoi vecchi libri universitari. Infilato, piccolo, nascosto e con una copertina blu chiara tra un libro di letteratura e uno di storia Romana stava “O tell me the truth about love” (La verità, vi prego, sull'amore) di Auden. Era un libro che aveva letto anni prima, quando doveva studiare diversi autori per l'esame di letteratura inglese. Castiel non aveva mai capito le poesie di quella raccolta. O meglio, le aveva capite ma mai del tutto. Apprezzava la loro schiettezza e la bellezza degli scritti, come amava e apprezzava tutta la letteratura. Sapeva spiegarti la poesia perfettamente e nei minimi dettagli, ma c'era sempre stato quel qualcosa che gli mancava, soprattutto se si trattava di sentimenti, amore o chissà cos'altro.

Si alzò lentamente e lo sfilò dallo scaffale. Si rimise sul divano a gambe incrociate e iniziò a sfogliarlo. Su ogni pagina erano presenti i suoi appunti a matita, con spiegazioni e dati di ogni genere, che regnavano sovrani sui bordi del libro.

Sorrise e iniziò a leggere. Era quasi mezzanotte quando una poesia catturò la sua attenzione. La ricordava bene e, in quel momento, non poteva essere più esaustiva.

 

°

 

Dean si svegliò alle undici completamente indolenzito. Ammettiamolo, addormentarsi sul divano non era stata la migliore delle idee. Si stiracchiò occupando interamente il divano e spingendo, arricciandoli, i piedi sul bordo. Si portò le mani dietro la testa e, alzandosi, si incamminò in cucina.

Allungandosi verso la mensola tirò fuori i cupcakes incompleti e, riprendendo la crema decorativa che aveva riposto nel frigo, iniziò a lavorare. Aveva optato per una crema gialla alla vaniglia con sopra degli zuccherini arancioni e azzurri che gli aveva procurato, tempo prima, Missouri. Non impiegò molto a tirare fuori la sac a poche e a decorarli uno ad uno con la crema per poi spolverarci dall'alto, mettendo le dita della mano come per sbriciolarli, gli zuccherini colorati.

Guardò il vassoio soddisfatto e lo fece girare un po' con la mano sorridendo del proprio lavoro. Finito di “auto compiacersi” li spostò su un vassoio bianco e circolare per poi mettersi a ripulire gli attrezzi vari nel lavandino sotto la finestra.

Di nuovo, dalla stessa finestra della notte precedente, Dean vide Castiel. Riusciva a vedere solo la sua testolina scompigliata spuntare fuori dal divano che, ogni tanto, si inclinava a destra o a sinistra in quel suo modo buffo e confuso. O stava leggendo o stava leggendo. Nonostante lo conoscesse, da quanto? Un giorno? Meno di 24 ore? Dean era parecchio sicuro che stesse leggendo. Qualcosa glielo diceva, come per esempio il fatto che la sua casa possedesse tanti libri quanto l'intero stato dell'Alabama, così a naso.

Ridacchiò un po' alla visione e, finito di lavare le stoviglie, tornò alla finestra. Castiel era ancora lì e non si era mosso. Fu allora che Dean si ricordò del dannato campanello e del fatto che fosse convinto di averglielo aggiustato quando, l'unica cosa che aveva davvero fatto, era stata comprare il trasformatore, mollarlo in un angolo della casa e trascinare un completo estraneo in un vecchio bar nel bel mezzo dell'interstatale 29.

Mise le mani su uno degli scatoloni e tirò fuori quello che gli serviva. Era convinto che se avesse rimandato si sarebbe nuovamente dimenticato di farlo, cosa che voleva sinceramente evitare. Prese quindi il trasformatore e uscì di casa chiudendo la porta percorrendo poi i pochi metri che lo dividevano dalla casetta di Castiel. Arrivato al portico smontò il campanello e, cercando di non far rumore, sostituì il trasformatore rotto e richiuse il tutto. Si rimise gli attrezzi in tasca e si passò le mani sui pantaloni nel tentativo di scrollare la polvere, abbassando la testa ai suoi piedi. Quando la ritirò su si ritrovò davanti una grande e bianca porta con, di fianco, l'accattivante ma soprattutto funzionante, campanello. Senza pensarci troppo suonò e rimase davanti alla porta in attesa.

 

Sentì qualcuno alzarsi e dei passi vagare ripetutamente davanti alla porta, ignorandola totalmente. Dopo cinque o sei minuti la porta si aprì e ne uscì un Castiel più confuso del solito con la testa già in modalità “incliniamoci fino a spezzarci il collo”.

 

« Non ricordavo che suono avesse il campanello » disse piano.

 

« Sappi che è questo allora. E funziona » gli rispose ghignando divertito.

 

Un altro lungo silenzio.

Una folata di vento gelido lì colpì entrambi quando Castiel si guardò intorno con circospezione e disse « Ti andrebbe un tè? »

 

Dean annuì, si portò le mani in tasca ed entrarono entrambi, lontani per un po' dalla morsa del gelo che stava andando ad aumentare. Appena entrato Dean appese la giacca sull'attaccapanni vicino allo specchio e raggiunse Castiel in cucina. Gli stava dando le spalle mentre trafficava tra le antine e tirava fuori il necessario per il tè. La camicia azzurrina gli cadeva a pennello sulle larghe spalle e formava delle pieghe circolari che gli avvolgevano il busto passando dal centro della schiena, tra le due scapole, arrivando a prendere il fianco. Si spostava di qua e di là con movimenti lenti ma nervosi mettendo da un lato l'acqua per il tè e dall'altro recuperava due tazze, quando si girò e gli chiese che tè volesse.

 

« Il tè alla mela e alla cannella di cui mi parlavi lo hai? »

 

« Certamente » rispose sorridendo. Osservando il suo sguardo vide un pizzico di felicità ed euforia che tenne nascosta ai suoi occhi. Dean credette fosse per via della tisana, anzi, ne era certo.

 

Si appoggiò con la schiena sullo stipite bianco della cucina e incrociò le braccio portando le gambe, anch'esse incrociate, in avanti mentre osservava. Le mani di Castiel misero l'infuso, rossiccio e marroncino, dentro dei piccoli infusori in metallo facendone cadere un po' sul bancone della cucina. Lì trascinò via, con una mano a spingerli e con l''altra sul bordo per raccoglierli, per poi riversarli nel barattolo di vetro. Mise le gabbiette in metallo con dentro l'infuso in due tazze. Quella di Castiel, o almeno così pensò Dean, era cilindrica ma leggermente più larga sopra che sotto. Aveva degli Iris blu che ricoprivano tutta la parte bassa estendendosi verso l'alto nella ceramica bianca. L'altra, più o meno delle stesse dimensioni, era cilindrica con i bordi, sia sopra che sotto, in rilievo, mentre sopra, sempre su sfondo bianco, aveva tante foglioline autunnali che la ricoprivano interamente.

Dopo qualche minuto Castiel versò il tè dal bollitore alle tazze e, riponendolo sui fornelli, gli passò la tazza con le foglie prendendo per se quella con i fiori blu. Dean era più che sicuro che fosse la stessa tazza del giorno precedente ma non ci si soffermò troppo. Entrambi si spostarono in salotto e, come la prima sera, lui si sistemò sul divano mettendosi comodo mentre Castiel rimase sul tappeto a gambe incrociate. Entrambi si guardarono quando Dean gli chiese:

« Raccontami di ciò che stai leggendo adesso » mentre si scaldava le mani intorno alla tazza « Tanto so che stai leggendo qualcosa » continuò spostando la testa, insieme alle spalle, da un lato mentre si appoggiava sullo schienale del divano.

 

« Auden. E' una raccolta di sue poesie risalenti agli anni '30 » rispose mentre prese un altro sorso di tè. Come potesse berlo così caldo per Dean fu inconcepibile. « La poesia che da titolo all'intera raccolta si chiama “O tell me the truth about love”»

 

Dean lo guardò spostare il viso dal proprio e, senza guardarlo, prese un piccolo libretto azzurrino dietro di lui. « E' molto bello » continuò abbassando la voce.

 

« Arriverà come il cambiamento improvviso del tempo? » Lo interruppe dai suoi pensieri Dean che gli sorrise piuttosto fiero di se stesso. Poi tossì un paio di volte e iniziò a ridere « In realtà non so come vada avanti. Mi ricordo qualche strofa dal college, ma nient'altro ».

 

« Io ricordo qualcosina » disse Castiel.

 

« Rinfrescami la memoria » rispose in tono sarcastico portandosi la tazza alle labbra soffiandoci dentro un paio di volte.

 

« Auden in questa poesia pone una domanda ma non dà mai una risposta concreta. Finisce una strofa si ed una no con la richiesta “oh ditemi la verità sull'amore” ma senza trovarne una fine, dando al lettore l'impressione che potrebbe continuare all'infinito in una serie di comparazioni e domande a riguardo. Nella prima strofa inoltre dice “e quando ho chiesto cosa fosse al mio vicino / sua moglie si è seccata e ha detto / che non era il caso di fare queste domande.” andando a indicare l'amore come ovvietà o come qualcosa non esprimibile a parole o a spiegazioni, ma che comunque, per quanto ovvio, non si riesce mai a definire. Questi continui esempi parlano di un amore che non può essere ridotto ad una singola cosa ma ad una serie infinita di dati, cose e sensazioni » iniziò con gesti esplicativi delle mani e parlando in modo fluido, scorrevole e acceso come mai prima aveva fatto, passando il dito sulle strofe della poesia, quando la leggeva, spiegandone le parti.

« Qui invece dà un altro esempio significativo con le parole “I libri di storia ne parlano / solo in piccole note a fondo pagina, / ma è un argomento molto comune / a bordo delle navi da crociera / ho trovato che vi si accenna nelle / cronache dei suicidi, / e l’ho visto persino scribacchiato / sulle copertine degli orari ferroviari” indicando che lo si può trovare anche in luoghi strani, poco attraenti o dove mai ti aspetteresti di trovarlo » Castiel spiegava guardandosi intorno e sfiorando ogni tanto il volto di Dean con gli occhi ma senza mai soffermarcisi davvero.

« Forse sto esagerando » disse interrompendosi di colpo.

 

« No. No. Continua » disse Dean improvvisamente incurvato su se stesso, con le braccia appoggiate sulle ginocchia sotto di lui e con la tazza tra le mani ancora piena. Negli occhi aveva puro interesse.

 

Castiel sorrise inaspettatamente e riprese « Come vedi Auden sembra aggiungere sempre più cose alle varietà dell'amore e di come esso viene espresso. Guarda lo schema » disse avvicinandosi al divano e, piegandosi, dando le spalle a Dean « La continuità non è regolare. Le strofe seguono un'ordine di rime ABABCDCD abbinandolo alla ripetizione di “O dimmi la verità sull'amore”».

 

« Quindi rimarca l'idea del disordine che è l'amore stesso » riprese il discorso Dean,

 

« Esatto » disse girandosi e con gli angoli della bocca che andavano sempre più ad alzarsi « Dona confusione e mostra quanto può essere vario e inaspettato questo tema. Solo alla fine si chiede come l'amore potrebbe entrare nella sua vita ma, nuovamente, non si da una risposta . Perchè la verità sull'amore non è esprimibile » concluse.

 

« Meno male che ricordi “qualcosina” » disse rimarcando ancora la virgolette con le dita.

 

« Ti ho tenuto davvero troppo tempo. Scusami »

 

Dean lo guardò ancora incurvato verso di lui « Per me sei stato illuminante ». Castiel riprese ad arrossire visibilmente rifuggendo il suo sguardo quando gli prese il libretto dalle mani « Ti dispiace se la leggo per intero? » Lui in risposta annuii con la testa e Dean lesse il tutto pacatamente e con una cadenza della voce, meno roca della propria, che a Castiel sembrò più adatta alla lettura. Fin'ora la voce di Dean era piuttosto diretta e, nel parlare, le frasi e le parole erano mangiucchiate e dette con fretta e velocità. Quella poesia la lesse perfettamente.

 

« (...) Quando viene, verrà senza avvisare,
proprio mentre mi sto grattando il naso?
Busserà la mattina alla mia porta,
o là sull’autobus mi pesterà un piede?
Arriverà come il cambiamento improvviso del tempo?
Sarà cortese o spiccio il suo saluto?
Darà una svolta a tutta la mia vita?
Ditemi la verità, vi prego, sull’amore »

 

ci fu silenzio per qualche secondo.

 

« Mi piace » disse infine « Mi piace davvero. Ma sai cosa mi piace ancora di più? »

 

Castiel fece no con la testa mentre prese l'ultimo sorso di tè.

 

« Questa … cosa » disse muovendo la mano tra loro due in movimenti retti, con il palmo aperto e le dita unite. « Questo nostro.... incontrarci a quest'ora, a bere tè e a parlare di... cose.» ripeté mandando a fanculo l'intero piano per il recupero della mascolinità « Mi piace parlare con te. Anche se è solo la seconda volta ».

 

« Non puoi essere serio » disse allontanandosi di colpo.

 

« Sono mortalmente serio » Disse e, senza pensarci troppo, afferrò le gelide mani di Castiel e gentilmente lo avvicinò verso il divano. Castiel aveva le ginocchia appoggiate a terra, verso di se, il viso preoccupato e imbarazzato di un bambino ma gli occhi di qualcuno che aveva vissuto troppo. Allungò la testa verso la sua e si fermò.

Per Dean, quello era un sentimento che davvero non voleva provare o nominare.

Fu lo stesso sentimento a fermarlo. Bloccarlo dalla testa ai piedi con una mano in quella di Castiel e l'altra sulla sua spalla a toccare la camicia azzurrina. Riuscì ad aprire la bocca, come se volesse davvero dire qualcosa, ma finì solamente per fissarlo, vacuo e con la bocca mezza aperta che sembrava potesse staccarsi dal viso da un momento all'altro.

 

In quel momento per Castiel, tutte quelle ridicole canzoni e poesie dell'amore, acquisirono senso e in un attimo si sentì travolto da fiumi di lava bollente.

 

Cosa stesse facendo o cosa lo avesse spinto ad afferrargli la mano per avvicinarlo non riusciva a capirlo. Al momento non era poi troppo importante rispetto all'allarme rosso che gli girava come una trottola in testa e che continuava a ripetergli la sciocca domanda - come esco da questa situazione di merda? -. Strinse gli occhi e, chiudendo la bocca, fece un piccolo sorriso tirato. Mantenendo la calma spostò la propria mano dalla spalla di Castiel e, allungando un dito, gli diede un piccolo buffetto sulla guancia.

 

« Moccioso. Non do così facilmente complimenti, quindi fidati quando dico che sei fantastico »

 

« Non lo hai detto »

 

« Eh? »

 

« Hai detto che ti piaceva la poesia. E parlare con me. Non che sono “fantastico” » continuò.

 

« Era... insomma. Sottinteso » disse sopprimendo tutta la tensione che si era creata pochi secondi prima passandosi una mano sui capelli castani e volgendo la testa al cielo, spostandola di lato.

 

« Lo pensi davvero? »

 

Dean spostò solo lo sguardo verso di lui tenendo ancora la mano sinistra sulla propria nuca. « Devo ripeterlo? Perchè non lo farò ragazzino » rispose sbuffando e prendendo un sorso del tè che aveva abbandonato da un lato. La velocità del gesto non fece altro che farglielo andare di traverso e farlo tossire rumorosamente.

Castiel sorrise e assecondò la richiesta di Dean « Se vuoi possiamo parlare ancora » continuò in tono vago ma con il cuore che ancora andava a mille, mettendosi a gambe incrociate e senza però spostarsi dalla posizione in cui era « Cosa ne dici di Shakespeare? »

 

Dean gli sorrise con un ghigno « E andiamo ».

 

°

 

Parlarono ancora per ore, tirando fuori gli argomenti, ed i libri, più vari e distinti dai diversi e disordinati scaffali della casa-biblioteca. Ore, che a entrambi, parvero pochi secondi.

Dean aveva finito per occupare dittatorialmente il divano mentre, Castiel, vi stava appoggiato con la schiena dal pavimento. Dean illuminava lo sguardo alle varie spiegazioni, nei momenti nel quale non era impegnato a definire “una gnocca senza paragoni” Elizabeth Bennett o a discutere sulle stupide scelte di trama nella trasposizione cinematografica del signore degli anelli. Castiel scoprì così che 1) Dean VENERAVA il signore degli anelli, 2) Diventava irritabile quando gli si faceva presente di non aver visto un film, 3) Minacciava di farvelo vedere di conseguenza, 4) Non comprendeva come Castiel potesse vivere di surgelati e preparati per risotti e 5) Non sopportava i Jefferson Starship. Fu dopo aver sferrato l'ultimo insulto verso di loro che crollò addormentato sul divano, ancora vestito e con “Il Silmarillion” di Tolkien aperto sul petto.

 

Castiel lo osservò respirare lentamente sul vecchio divano, tra i libri e la polvere. Fu in quel momento che, improvvisamente, si rese conto di quel piccolo sentimento che, quella notte, aveva occupato gran parte del suo cuore. Non si sentiva diverso rispetto a ieri, o rispetto al loro primo incontro ma, la differenza, stava in una sensazione di bilanciamento, come di un improvviso riordinamento interno che era andato a formarsi subito dopo aver realizzato tutto, andando a sistemare il disordine che si era formato e, in uno schiocco di dita, ridonandogli chiarezza e lucidità.

 

Questo spiegava tutto. Tutti quei sentimenti provavano un'unica possibile soluzione. Che, questa cosa sconosciuta, strana, a tratti davvero fastidiosa e illogica, ma rasserenante e calda, doveva essere amore.

Appoggiò entrambe le braccia incrociate sul bordo del divano. Gli occhi stanchi e appisolati, che dolcemente accarezzavano la figura di Dean, presto iniziarono a vedere tutto un pochino più sfocato e, in un soffio, si chiusero. - Tutto è più chiaro adesso -

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Capitolo 7
*** Settima Parte ***


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Nota dell'autore:

Salve a tutti. Prima di tutto voglio farmi perdonare per essere così in ritardo con i capitoli. Non sono stata troppo bene e ho avuto diversi esami universitari da recuperare e zero tempo da dedicare decentemente alla scrittura. In ogni caso; spero di non essermi troppo arrugginita in questo mese e mezzo di attesa e di essere stata in grado di scrivere qualcosa di più-o-meno decente.
Spero apprezziate questo capitolo e, se ne avrete voglia, potete andare a vedere il regalino che vi ho lasciato a fondo pagina. :)
Grazie per tutto il vostro supporto e la vostra dolcezza. 

-Riley


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Settima Parte:

 

Quella mattina la quiete invernale avvolgeva l'intero salotto. Le finestre erano appannate, la polvere, ferma, svolazzava di qua e di là e accompagnava i suoni di respiri addormentati ed il ticchettio di un orologio in lontananza.

Dean, apriti lentamente gli occhi, vide per prima cosa le varie torrette di libri disseminate in giro, le pareti blu ed un batuffolo di capelli neri e spettinati chino sul divano vicino a lui. Le labbra gli si allungarono in un sorriso divertito, misto a stupore e stranezza. Facendo attenzione a non svegliarlo posò il libro che aveva ancora addosso e si alzò dal divano. Senza pensarci troppo si inginocchiò di fianco allo strano ragazzo conosciuto pochi giorni prima e, rigidamente, si appoggiò con entrambi i palmi sulle proprie ginocchia. Guardò il viso calmo di Castiel ed i suoi occhi assopiti e sentì la propria testa svuotarsi ed alleggerirsi come mai prima. Le preoccupazioni del giorno, gli impegni e i doveri, con Castiel, assumevano un valore secondario, meno pesante e più sopportabile. Sentiva che con lui avrebbe potuto parlare di ogni cosa.

Si ritrovò di nuovo a sorridere e, passando una mano tra i morbidi capelli di Castiel, sfiorò con il pollice la sua fronte, anch'essa fredda quanto le mani. Il suo comportamento fu istintivo e a dir poco fulmineo. Si alzò e, sollevando con fatica Castiel, lo fece sdraiare sul divano. Gli stese una coperta sopra e lo infagottò come un bambino assicurandosi che fosse coperto del tutto.

 

- a che cazzo stavi pensando ieri sera? - lo svegliò la voce nella sua testa – vuoi forse farti fregare di nuovo? -

 

Veloce si spostò verso la cucina, lontano da Castiel, cercando il più possibile di rifuggire dai suoi pensieri. Qualcosa, dentro di lui, lo frustrava. Stava realizzando qualcosa che avrebbe preferito non realizzare o dimenticare del tutto. Si appoggiò sul piccolo tavolo della cucina pieno di piattini di plastica e tazze di tè impilate una sopra l'altra in una strana torretta traballante di ceramica. Si passò nuovamente la mano tra i capelli nervosamente.

 

« Voglio saperlo. Che cosa cazzo stavi facendo? » disse in un sussurro velato a se stesso passandosi le dita sulle tempie.

 

La furia di Dean che stava crescendo evaporò in un istante alla vista delle due tazze del giorno prima, appoggiate in un momento imprecisato della notte sul bancone e accuratamente separate dalle altre invece abbandonate sul tavolo davanti a se.

Fa male.

 

Si mise diritto sulla sedia e sputò una risata amara, roca, distante. « Pff. Non importa » si ripetè - non era niente di niente – pensò mentre chiuse gli occhi in un sospiro sommesso – hai solo bisogno di alcool e di una buona scopata. Nient'altro -

 

Un rumore nella stanza accanto lo svegliò dai suoi pensieri. In cucina, ricoperto da un plaid rosso e blu, entrarono un paio di occhi blu stanchi, dei capelli corvini che avevano assunto una forma improbabile e delle mani bianche e affusolate che uscivano dal plaid tenendolo per i bordi.

 

« Buongiorno raggio di sole! » disse Dean sarcastico e con un tono più vivace che gradevole a sopprimere i suoi pensieri.

 

« Mmmmmmunf » gli rispose sbuffando.

 

« Tè? »

 

Castiel annuì e, senza aggiungere altro, si sedette al tavolo. Fu solo dopo svariati minuti di silenzio riempiti dal singolo suono dell'acqua messa a bollire da Dean che Castiel aprì bocca.

 

« Non sono un mattiniero. Che ore sono? » disse con la voce più roca e stanca del solito.

 

« Ho notato amico. Sembri un morto che cammina » disse ridendo guardando l'orologio « Sono le dieci »

 

Castiel strabuzzò gli occhi, si alzò di scatto dalla sedia e disse « Io vado a letto. Non è un orario umano per me » e si avviò come un razzo verso la porta della cucina.

 

Dean lo afferrò per il morbido plaid e lo guardò gentilmente « Bevi il tè con me e poi potrai andare a dormire ». Si fissarono per qualche secondo quando Castiel in silenzio si rimise a sedere avvolgendosi la coperta ancora più addosso.

 

« E non addormentarti così. Hai dormito 7 ore, tu avrai un lavoro e io ho un fratellino da andare a prendere, quindi: in piedi » disse con il tono apprensivo di chi si stava trasformando in una nonnetta dispensa consigli.

 

« Io lavoro in casa. Scrivo romanzi » disse Castiel portandosi le ginocchia davanti e avvolgendo anch'esse tra la stoffa calda « Non che mi piaccia davvero scrivere ».

 

« Fammi capire bene » disse alzando un sopracciglio « Tu fai lo scrittore ma non ti piace scrivere?»

 

« E' complicato » disse alzando gli occhi al cielo « Una volta mi piaceva. Prima che mi affibbiassero romanzetti idioti e prima che... » Castiel si fermò di colpo « Nulla »

 

« Ehi, se vuoi puoi parlarne. Mi conosci da qualche giorno e ti ho spiato dalla finestra. Potrei essere un maniaco e quando ti ricapiterebbe di poterti confidare con un maniaco?» disse muovendo la testa a destra e sinistra con tono scherzoso. Gli occhi blu di Castiel gli sorrisero e lo sfiorarono leggeri come piume.

Si sistemò sulla sedia e si tolse le ginocchia da davanti. Pensò qualche secondo a cosa dire e Dean non cercò di insistere. « Non adesso » gli disse alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso il lavandino della cucina. Lavò diligentemente le tazze e, dopo averle asciugate, preparò gli infusori e versò l'acqua calda. Passò a Dean la tazza con le foglie rosse mentre prese per se quella dai fiori blu. Si sedette, mescolò qualche volta con il cucchiaino e riprese « Potremmo dire che, quando ho iniziato questa carriera, ero giovane e piuttosto sicuro di me » disse inclinando la testa e guardando la calda tazza tra le sue mani « Ma i miei libri non vendevano. “Poco interessanti” li hanno definiti quelli che potremmo chiamare “critici” ma che erano, a mio avviso, solo una massa di intellettualoidi interessati solo a fare soldi. “Freddi, distaccati e senza sostanza” mi dissero anche » il suo tono era calmo, distaccato come al solito dalle cose che raccontava « Queste erano le critiche ai libri che io ho sempre considerato miei. Poi quando arrivarono i problemi finanziari ho dovuto accettare delle trame predefinite, classiche e banali per dei romanzetti facilmente vendibili sul mercato. Avevo guadagnato abbastanza per non dover scrivere più cose del genere e per potermi dedicare ai miei veri libri ma... » Castiel prese un sorso di tè e riprese il discorso « Si potrebbe dire che ho perso la voglia o un vero motivo per scrivere. Ho passato così tanti anni a scrivere le cose che volevano che io scrivessi, senza voglia e senza troppi sforzi di immaginazione, che ho dimenticato come si facesse. A scrivere sul serio ».

Ma quello che Castiel non volle aggiungere alla sua spiegazione, forse per orgoglio o per paura di quello che Dean avrebbe potuto pensare, fu che, in coincidenza con il suo arrivo, la voglia di scrivere gli era tornata. Quella notte aveva capito il motivo. Aveva realizzato qualcosa. Quel qualcosa che non aveva mai capito e di cui aveva paura di parlare.

« Ecco. Dean... » disse in un sussurro impercepibile di certezza e incertezza mescolate insieme. Castiel era incastrato in quello stupido e consumante pensiero che lo aveva colpito la sera precedente. - Credo di essere innamorato di te – dice sussurrandolo nella propria testa, quasi lo dice. Quelle parole lo solleticano, lì, sotto la lingua, mentre pregano di essere fatte uscire. Più lo osservava in silenzio, guardarlo, con la tazza di tè tra le mani e i suoi occhi verdi dritti nei suoi. Il suo sorriso storto e sarcastico e la costellazione di lentiggini che gli ricoprivano le guance. Più lo guardava, più gli parlava, più voleva farglielo sapere.

Ma non può. Non lo farà. E' insicuro. E' nuovo a questo mondo sospeso tra aspettative e realtà che è l'amore, non sa cosa potrebbe accadere e soprattutto non sa cosa pensi il ragazzo davanti a se. Castiel si sente come perso in un mondo sconosciuto.

 

Dean non fece domande, aspettò qualche secondo e disse, interrompendo i suoi pensieri, « Quei critici sono dei cani, ma sarebbe un'offesa ai cani. Non ho letto niente di tuo, è vero. Ma, se tu scrivi bene la metà di come ieri sera mi hai spiegato Auden, allora si. Sono dei cani » concluse.

 

Castiel non riuscì ad evitare di sorridergli e sentire l'amarezza soffocargli il cuore. Quelle parole continuare a spingerlo e a ucciderlo pian piano. Lo sguardo rallegrato si trasformò in atterrimento e autocommiserazione nascosti alla vista.

Non aggiunsero altro. Entrambi finirono il loro tè accompagnati dal rumore delle tazze di quando le appoggiavano sul tavolo, quella di Dean più rumorosa di quella di Castiel, e quello dei cucchiaini che mescolavano lo zucchero che ancora non si era sciolto del tutto. La tensione di Castiel andava ad allentarsi più osservava Dean a suo agio nella ristretta cucina e che, ad un certo punto, si mise ad intonare le note di “over the hills and far away” sorridendogli come se tutto questo fosse semplice quotidianità.

« Mellow is the man who knows what he's been missing. Many many men can't see the open road» continuava così, piano. Ogni tanto imitando il suono della chitarra mentre Castiel, man mano, si aggiungeva alla sua voce. Si dimenticò momentaneamente delle preoccupazione e gli sorrise con le guance piene di gioia e una canzone nella testa.

 

 

°

 

 

Dean era ormai tornato a casa. Aveva salutato Castiel pacatamente, fatto qualche battuta idiota per allentare la tensione che gli pesava sulle spalle come un macigno e si era avviato verso casa con le mani in tasca, il viso basso, continuando a canticchiare nella propria testa e facendo finta di nulla.

Forse per quello che stava sentendo e che avrebbe preferito rimandare a mai più, o forse più per il fatto che iniziasse a capire di non potersi più nascondere dentro una smorfia e una risata.

Ma Dean non ha tempo per queste cose. Dean non è il tipo di persona che si ferma a riflettere o a ragionare sui propri “sentimenti”. Dean non lo fa, lui scappa. Pensa ad altro, cerca di pensare ad altro e scappa da questo genere di cose andando in un bar, bevendo una pinta di birra o prendendo in giro suo fratello. Preferisce ubriacarsi, perdersi in altre mille occupazioni piuttosto di pensare a quello che è se stesso. Allora beve, lavora, si da da fare per pagare gli studi a suo fratello, fa sesso con donne sconosciute quando ha tempo e, nei momenti in cui è felice, quando finalmente riesce a dimenticarsi totalmente di quelle sensazioni eliminandole del tutto dalla propria testa, cucina. Prende una terrina, libera il bancone dagli ingombri, prende i vari ingredienti (che sa a memoria per ricetta) e cucina.

Un giorno sono dei cupcakes, un altro sono delle pie e un altro ancora sono dei biscotti, magari. In quelle frazioni di tempo libero in cui potrebbe cadere nella tentazione di pensare alle cose brutte, fastidiose che impregnano la sua mente e la sua vita e da cui è abituato a scappare, preferisce occuparle con la cucina. Più è allegro più i dolci risultano buoni. Se non era troppo allegro prima di iniziare a cucinare lo diventava dopo.

Quando era da solo a casa era solito mettere su qualche disco di musica e ballare o cantare mentre aspettava che un dolce cuocesse in forno o che un altro lievitasse. Potevi trovarlo canticchiare mentre, con la frusta, mescolava burro, zucchero e uova, o usare un cucchiaio di legno sporco di impasto come microfono improvvisato. Altre volte preferiva cucinare in silenzio e godersi la quiete che portava la casa vuota o addormentata. Lasciarsi andare ai gesti, per lui così abituali, della cucina, mentre slittava dal lavandino al bancone, o per tutta la stanza, in movimenti fluidi e rilassati.

Ma suo fratello sarebbe arrivato, doveva montare dei mobili e non aveva davvero tempo per mettersi a cucinare ma, di certo, l'arrivo di Sam lo avrebbe aiutato a mettere da parte quei sentimenti che gli andavano a soffocare il cuore.

 

« Dov'eri finito? » disse la voce del fratellino, apprensiva e irritata allo stesso tempo. Era appoggiato al furgone di Bobby parcheggiato alla bel e meglio sul ristretto marciapiede davanti a casa. Indossava una camicia da boscaiolo rossa e marroncina sotto un giaccone verdone e dei jeans chiari non troppo larghi. « Siamo arrivati da un'ora Dean. » continuò allargando le braccia verso di lui.

 

« Ehi Samantha, dov'è finita la tua ascia e l'alce che hai catturato durante la tua gita nei boschi? » rispose cercando di evitare di parlare di dove avesse passato la notte « Nessun souvenir dal campo delle giovani marmotte? ».

 

« Idiota »

 

« Puttana » rispose in un ghigno « Perchè. Sei. Sempre. Più. Alto? » gli disse avvicinandosi ad abbracciarlo mentre, entrambi, soffocarono un piccolo sorriso dopo tanto tempo che non si vedevano.

 

« Quindi... siete una coppia? » disse una voce squillante dietro di loro. Entrambi si girarono per incontrare due occhi color miele e un lecca lecca rosso brillante. Gabriel sbatté gli occhietti un paio di volte mentre continuava a fissarli divertito.

 

Dean alzò gli occhi al cielo – ancora il nanerottolo ficcanaso fan di terminator – e portò una mano sulla spalla di Sam.

 

« Sam questo è Gabriel, Gabriel questo è Sam, io vado a parlare con Bobby, okay amore? » disse sbattendo gli occhi e, dopo avergli dato una pacca sul sedere, si avviò dietro il furgone. Sam si girò e tentennò un paio di volte avanti e indietro verso di lui per poi, sospirando visibilmente, concentrarsi nuovamente su Gabriel

 

« Perchè la gente pensa sempre che siamo gay? »

 

« Mmmh. Il tuo amico fa sempre il duro » disse Gabriel togliendosi il lecca lecca di bocca « Sembra stia compensando per qualcosa » disse piano, portandosi il palmo della mano a lato della bocca e ridacchiando tra se e se. « E poi è da un po' che gira intorno al signor Milton. Ho investigato sai? »

 

Sam lo guardò alzando un sopracciglio « Signor Milton? »

 

« E' il vampiro vostro vicino di casa » continuò euforico senza smettere di sghignazzare.

 

« Me ne aveva parlato » rispose non nascondendo un'espressione incuriosita.

 

« Se non vuoi che il vostro matrimonio si rompa intervieni subito » disse in tono plateale Gabriel indicandolo con l'indice.

 

« Amico, siamo fratelli »

 

« Forse volevo una conferma. Io sono Gabriel, 18 anni, fan degli Asia e del cibo spazzatura, investigatore professionista. Tu? »

 

Sam non fece altro che alzare un sopracciglio e, con aria confusa, assecondarlo come meglio poteva con la sua classica gentilezza da gigante buono « Io sono Sam e ho 19 anni, piacere di conoscerti » disse sorridendo.

 

I due continuarono a discutere per un po' mentre, dall'altro lato del furgone Dean aiutava il vecchio Bobby, che assolutamente non voleva essere chiamato così, a trasportare le prime scatole dentro casa. Robert Steven “Bobby” Singer era un uomo di media statura e con il classico viso da zio buono con tanto di barba e baffi chiari. Portava sempre un cappellino con visiera ed un largo gilet di cotone spesso sopra le camicie che era solito usare. Tutto del suo modo di fare ricordava Clint Eastwood in “Gran Torino”. Dalla mania per le macchine d'epoca alle minacce da vecchio scorbutico rivolte ai vicini di casa. Dean gli voleva bene.

 

« Eccoci qua » disse, appoggiato l'ultimo scatolone in salotto « Sembra un bel quartiere »

 

« Si lo è » disse Dean trattenendo un sorriso e avviandosi al mini frigo nell'angolo della cucina.

 

« Accompagnando qui Sam non ho sentito ne visto tuo padre, ma non credo sappia il vostro nuovo indirizzo » continuò sfregandosi la fronte a spostare leggermente il cappellino « Ma nell'attesa di sue notizie puoi sempre venire da me a lavorare, giù in città. Riapro questo lunedì » disse afferrando la bottiglia stappata che gli passò il ragazzo. Dean fece saltare il tappo della propria con uno scatto preciso ed entrambi presero un sorso.

 

« Ci sarò senz'altro. Ho bisogno di lavorare »

 

« Immaginavo ragazzo mio. C'è sempre un posto libero per te in officina » disse sorridendogli dolcemente « Andiamo a recuperare quel gigante di tuo fratello prima che me ne vada » continuò dirigendosi verso l'uscita. Ma, appena varcata la soglia, i suoi occhi si incontrarono con un Gabriel, seduto allegramente sull'alto cofano del camion mentre, con le gambe all'aria, parlava divertito a Sam.

 

« Scendi subito da lì prima che ti spari così tanto sale da farti cagare Margarita! » sbottò di colpo Bobby avvicinandosi minacciosamente al ragazzino che, continuando a sghignazzare, saltò giù dal camion e, portando un dito retto davanti a se, rispose « Credo di aver afferrato il concetto ».

 

« Ci scommetto che lo hai afferrato » continuò tentando di calmarsi.

 

« Ah, Dean.» continuò invece spostando la propria attenzione al ragazzo appena arrivato « Ho parlato a tuo fratello delle tue “compagnie notturne”, spero non ti dispiaccia » disse ridendo il ragazzino mentre, salutava con una mano un Dean che cercava di mantenere una faccia semi sorpresa agli occhi del fratello.

 

« Gabriel qui ha finito, bye bye » disse infine correndo verso casa e lasciando due dei presenti sorpresi e uno a metà tra la voglia di ucciderlo e quella di sprofondare.

 

« Non so proprio di cosa stesse parlando » intervenne subito Dean mentre sentiva gli occhi di Bobby e Sam studiarlo approfonditamente mentre sorrideva loro nel vano tentativo di risultare innocente « Vado a montare i mobili » disse infine correndo verso casa e lasciando perdere inutili giustificazioni.

 

« Noi due ci vediamo in officina ragazzo! Intanto porto Sam a vedere la nuova scuola » gli urlò dietro Bobby lasciandolo perdere totalmente, non era il tipo da farsi gli affari altrui ma Sam, al contrario, non smise un secondo di guardarlo con la sua faccia da puttanella scaltra che non era altro. Dean la conosceva bene.

 

« Perfetto! » urlò di rimando Dean mostrandogli il pollice della mano destra alzato verso l'alto mentre saliva i gradini della veranda in una fuga mal studiata - Gabriel, moccioso. Spero ti vada di traverso qualcuna delle tue fottute caramelle -.

Chiudendosi la porta alle spalle si tolse la giacca e attaccò i pacchi dei mobili per concentrarsi su qualcosa che non gli ricordasse lo strano individuo che abitava i suoi pensieri da giorni. A quanto pare però, l'universo, aveva altri piani in testa per lui. Alla porta si sentì bussare ed il cuore di Dean fece un sussulto.

 

 

°

 

 

Dieci minuti prima il telefono di Castiel aveva suonato a vuoto (precisamente da sotto il divano) per venti minuti buoni. Quando rispose pacatamente una voce squillante gli trapanò l'orecchio come mai prima. « Abbiamo ritrovato il telefono, evviva me! » disse la vocina di Balthazar dall'altro capo della cornetta. Castiel bofonchiò qualcosa di incomprensibile prima che lui ricominciasse a parlare.

 

« Okay, prima di tutto ho una buona, ma che dico, buonissima notizia per te: ho convinto i “grandi capi” a darti carta bianca. Quel triste romanzetto dall'audience media composta da fan di 50 sfumature di grigio puoi anche buttarlo nel cesso caro mio. »

 

Castiel riusciva a percepire il diabolico ghigno di Balthazar mentre diceva tuttò ciò completamente preso da se stesso e dal suo “incredibile genio”. « E come diavolo avresti fatto a... » non fece neanche in tempo a dimostrare la propria incredulità che lo interrompette in un attimo.

 

« Ma è naturale. Sono uno squisito essere umano » altro ghigno diabolico.

 

« Okay, farò finta di nulla e ti asseconderò. E perchè lo avresti fatto? » rispose Castiel sospirando.

 

« Mi hai detto che ti è tornata la voglia di scrivere no? Bene. Scrivi quello che vuoi scrivere. Hai campo libero e totale » continuò con fare divertito Balthazar.

 

Castiel ancora non riusciva a metabolizzare la cosa. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, boccheggiando senza sapere esattamente cosa dire.

 

« Non devi ringraziarmi. Presentami quel tuo “amico” e siamo pari » Castiel riuscì a sentire perfettamente l'intonazione che sottolineava la parola “amico”.

 

« Balthazar. E' un amico »

 

« E io vengo dal convento di nostra signora del dolore perpetuo. Andiamo Cassie-boy! »

 

«... Okay » Castiel sentì un terzo ghigno malvagio rispondergli.

 

« Perfetto allora. Ora devo proprio andare ma fammi sapere i dettagli » continuò euforico.

 

« Sicuro » disse infine per poi chiudere la chiamata.

 

Lanciò il telefono sul divano e si trascinò in cucina. Mangiò una mini-torta e si abbandonò ai suoi pensieri totalmente. Osservò le ultime due tortine disposte una affianco all'altra sul vassoio bianco ormai ricoperto da piccole briciole. Pensò a quando sarebbero finite. Pensò se avrebbe avuto occasione di mangiarne altre e se lo avrebbe osservato ancora, in cucina. Pensa alle tazze riposte nel lavello da lavare e a come, poco prima, vi stesse bevendo del tè conversando con lui. Pensa alla musica cantata lentamente mentre il vapore dell'acqua calda nelle tazze si sollevava in aria tra di loro. Pensa alla sua risata e alle sue lentiggini che si sollevano leggermente quando parla e sorride. Pensa ad i raggi del sole che lo scaldano entrando dalla finestra ma che non lo riscaldano minimamente quanto il calore e la dolcezza di Dean. Il sole colpiva i suoi occhi ma non ci fece troppo caso. Inclinò leggermente la testa in avanti e spostò gli occhi di lato ad osservare il vuoto con un fievole sorriso. In quel momento, l'unica cosa che gli passò per la mente, fu quanto cazzo amasse Dean Winchester.

 

Allora si alzò, indosso l'over coat, aprì la porta di casa e percorse quei pochi metri che li separavano. Voleva scrivere e l'unica cosa che lo avrebbe portato a farlo stava dietro ad una porta scura, in una cucina calda e accogliente, con le mani sporche di farina.

 

 

°

 

 

Entrambi si guardarono in silenzio. Castiel non cercò di trovare neanche una scusa decente per giustificare la sua presenza e Dean non gliene chiese il motivo. Il nervosismo di entrambi li portò a continui e sfuggevoli sguardi. Mentre il primo spostava il proprio peso da un piede all'altro rigidamente, il secondo teneva le braccia incrociate e ogni tanto si grattava la testa compulsivamente.

 

« Entra pure. Sono appena arrivati i mobili da montare e c'è un po' di casino » disse infine Dean,

 

« Grazie » rispose il ragazzo, composto e rigido. Entrò in casa alleggerito dal peso delle convenzioni sociali e si mise ad osservare. I soffitti erano piuttosto bassi rispetto a quelli della propria casa e le pareti erano bianche e pulite, riverniciate da poco suppose Castiel. Le lampade consistevano principalmente in dei faretti sopra il bancone della cucina e altri due vicino al camino mentre, una singola lampada da tavolo, stava al centro del piccolo tavolo da pranzo dietro il divano. Sugli scatoloni impilati tra il divano e il tavolo riuscì a scorgere le immagini illustrative di una scrivania, due letti matrimoniali (le cui doghe stavano, già montate, riposte in corridoio), una libreria e delle mensole. Le altre scatole avevano soltanto delle grandi scritte a pennarello nero che indicavano “stoviglie”, “libri”, “documenti” e “abiti”. Di fianco al divano verde stava un'enorme valigia marrone con le rotelle.

 

« E' arrivato mio fratello, Sam. Il trasferimento è praticamente completato » disse sorridendogli mentre di dirigeva in cucina in silenzio. Si allungò verso il pianale su cui era appoggiata una vecchia radio e fece partire un disco abbassando leggermente il volume, spostò la sedia mettendo lo schienale davanti a se e si sedette appoggiandoci le braccia. « è da tanto che non ci vediamo » disse scherzoso il ragazzo.

 

« Sono venuto per chiederti un favore » iniziò Castiel calmo, ascoltando le note di “Sweet Home Alabama” dei Lynyrd Skynyrd « Voglio... ti andrebbe di cucinare qualcos'altro per me? »

 

Dean strabuzzò gli occhi in un semi imbarazzo senza rispondere.

 

« Ho visto che le mini.. » si interrompette « i cupcakes sono quasi finiti. Eh. Ecco. Nient'altro » disse in modo confuso e titubante.

 

Dean gli sorrise dolcemente e si alzò da una sedia, senza pensare troppo agli eventi del giorno prima o alle possibili conseguenze, come suo solito « Mi va bene se vuoi » disse infine « Ma io scelgo la musica e tu chiudi la bocca » disse indicandolo e alzando un angolo della bocca in un ghigno divertito « E tu mi darai una mano ».

 

« Affare fatto »

 

Dean prese subito ciò che gli serviva che si riassumeva in una terrina azzurra di vetro, una frusta da cucina in metallo, un leccapentole ed una bilancia bianca digitale « Dimmi un ingrediente o un gusto che ti piace e ti farò dei cupcakes di conseguenza. La base ha varie varianti e la crema colorata che vedi sopra anche » spiegò Dean « ci sono infinite possibilità di abbinamento con questo tipo di dolce » gli occhi di Castiel si illuminarono a vederlo spiegare e parlare di cucina in quel suo modo dolce che tende, normalmente, a nascondere agli altri.

Dean sentì il suo sguardo su di lui « Prima regola: non fissare il cuoco » lo rimproverò Dean – Mi distrai -. Poi gli fece segno di lavarsi le mani ed entrambi, a turno, passarono le mani nel lavandino scuro della cucina.

 

« A te piace il tè no? » disse infine Dean « Posso farteli al tè » continuò pensieroso, sfogliando un libro che aveva recuperato da uno degli scatoloni.

 

« Puoi fare un dolce al tè? » disse Castiel sorpreso.

 

« Certo che posso. Ma ragazzino, ti prego. Togliti quel dannato trenchcoat e mettiti comodo. Non riesco a guardarti » disse aprendo il palmo verso di lui con rassegnazione.

 

Castiel si tolse la giacca beige lentamente e, portandosela davanti si guardò intorno alla ricerca di un appendiabiti. Dean gli fece segno di guardare in corridoi dove trovò dei pomelli al muro. Appese così il trench e si tolse il maglione blu rimanendo con una camicia bianca candida, indossata pulita quella stessa mattina.

Ritornò così in cucina dove Dean stava leggendo, seduto su una della alte sedie del bancone, la ricetta adatta per i dolci al tè. Alzò lo sguardo per sorridere a Castiel. Nella ristretta cucina, Dean, portava una maglia grigia scura con su scritto “the doors”, teneva le gambe larghe con un piede appoggiato sotto una di esse. « Avrò bisogno di un po' di Earl Grey moccioso » gli disse sorridendo.

 

Castiel tornò poco dopo con un grosso barattolo di vetro etichettato “Earl Grey” in bella calligrafia. Dean si illuminò e appoggiò il barattolo sul tavolo dove aveva già disposto il resto degli ingredienti. La musica della radio non si era ancora fermata e il disco girava imperterrito.

 

« Per prima cosa accendi il forno a 180°C » disse Dean invano. Castiel osservò i pomelli attentamente e girò la rotella sui 180 ma senza davvero accendere il povero forno. « Cas. Devi accenderlo prima. Quella manovella alla tua sinistra »

 

« Oh » disse soltanto Castiel che con decisione accese il forno e si girò a guardare Dean soddisfatto come un bambino che aveva appena imparato qualcosa di nuovo e spalancava gli occhi con fierezza e ammirazione. Dean trattenne un sobbalzo del cuore, non disse altro e continuò con la propria ricetta. (*)

 

Dean aprì quindi il barattolo del tè e ne tirò fuori un cucchiaio pieno che ripose su un tagliere di legno piano, tagliuzzò le foglie finemente, cosa che fece perdere dieci anni di vita a Castiel per il terrore, mentre li riponeva all'interno della terrina con farina, un pizzico di sale e del lievito.

 

« Le foglie vanno sia all'interno del dolce che lasciate in infusione nel latte caldo. Ma quelle che devo lasciare nell'impasto è meglio che siano fini » gli spiegò il ragazzo mentre mostrava a Castiel il latte caldo che aveva appena scaldato e dentro il quale aveva riposto altro tè in infusione « femminuccia » lo prese in giro il ragazzo divertito. Castiel lo guardò rigidamente mentre mescolava le foglie nel latte caldo con dedicata concentrazione, ma la visione non fece altro che farlo sorridere e lo lasciò perdere, addolcendo di colpo la rigidità mal pervenuta.

 

Dean lasciò a Castiel l'arduo compito di frullare il burro con lo zucchero e le uova. Ma non fece altro che schizzarsi completamente la camicia, le mani e il volto. Castiel vide gli occhi verdi davanti a lui sorridergli divertiti come mai prima. Trattenne inizialmente il riso, tenendosi una mano davanti alla bocca nel tentativo ma, infine, scoppiò comunque in una forte e sentita risata. Castiel, vide Dean piegarsi in due dalle risate e non poté fare a meno di ridere con lui.

 

« Ho fatto un casino » disse mortificato, ma senza interrompere il riso.

 

« Oh amico, non hai fatto nulla. Non ridevo così tanto da... da una vita ormai » gli disse appoggiandogli una mano sulla spalla sinistra. In un gesto naturale e istantaneo Dean spostò la propria mano sulla guancia di Castiel dove tolse, con il pollice, parte dell'impasto con cui si era precedentemente sporcato, senza smettere di ridere. Castiel quasi smise di respirare e fu allora che, nel silenzio che aveva ovattato le sue orecchie per il panico, sentì le note di una canzone sprigionata dalla piccola radio lasciata sul bancone: “But I wish there was somethin' you would do or say to try and make me change my mind and stay, but we never did too much talking anyway

Castiel si lasciò andare, abbandonò la propria rigidità e pensò di fare un eccezione e di provare a capire cosa fosse tutto questo. Cosa pensasse Dean non lo sapeva ma, questa volta, questa singola volta, Castiel avrebbe fatto qualcosa di impulsivo e insensato. Fu la stessa canzone a suggerirgli qualcosa, alla fine “Oh, don't think twice, it's all right” - non pensarci due volte, va tutto bene -.

Castiel appoggiò la mano sulla guancia sporca di farina di Dean e ne spostò qualche granello con il pollice. Le sue dita affusolate andarono a sfiorargli l'orecchio per poi arrivare a solleticargli i corti capelli in una delicata carezza. Dean ancora rideva sotto la gelida mano di Castiel quando si voltò a guardarlo con gli occhi all'insù, le rughette agli angoli della bocca causate dalle sue risate ed una mano a pugno volta a coprirsi. Smise di ridere al tocco della mano di Castiel tra i suoi capelli e, prima che la sua mente potesse effettivamente elaborare, l'altra mano di Castiel gli afferrò dolcemente il polso e, spostandolo, appoggiò le proprie labbra sulle sue.

Castiel sentì il calore pervaderlo.

Dean rimase immobile, con quelle secche labbra appoggiate alle proprie, mentre riceveva il bacio più puro di tutta la sua vita. Era casto, semplice. Così giusto per essere un bacio ricevuto da Castiel.

Ma Dean non ce la fa.

 

« Cas... » gli disse con ancora la sua mano tra i capelli « Noi... noi non possiamo » continuò spostando lo sguardo verso il basso.

 

Castiel corrugò la fronte.

 

« Io non... » e Dean lo guardò in un modo, tra quelle frasi dette a metà, con uno sguardo spezzato tra un cercare di mostrare uno volto truce e incazzato e una preghiera sconnessa di rimorso.

 

Castiel annuì. Lo sapeva dall'inizio del resto, non c'era da stupirsi. Ma ciò non gli impedì di sentirsi freddo, dolorante e con un mattone di ghiaccio in petto che andava a logorarlo da dentro.

 

Qualcuno bussò alla porta e Castiel lasciò di colpo la presa da Dean, lo salutò con un cenno del capo ed uscì dalla porta superando l'alto ragazzo che stava per entrare.

 

- In cosa speravi? - ripeté a se stesso.
 

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Recipe:

* Ricetta Cupcakes al tè di Dean Winchester: (la mia preferita e che consiglio a tutti voi di provare)

  • 2 cucchiai di tè Earl grey sfuso (o il vostro preferito, a scelta libera) (potete anche usare una bustina ed aprirla per trarne il tè sfuso, nel caso non ne foste provviste)
  • 45 gr di latte intero
  • 150 gr di zucchero di canna
  • 150 gr di burro
  • 3 uova
  • Una bustina di vanillina o mezzo cucchiaino di estratto di vaniglia
  • 170 gr di farina 00
  • 1 cucchiaino di lievito in polvere
  • un pizzico di sale
Per prima cosa fate scaldare in un pentolino il latte e, quando sarà caldo, mettere in infusione 1 cucchiaio di foglie di tè per 4 minuti circa. Nel frattempo potete tagliare il resto delle foglie del tè in modo da renderle fini e metterle da parte. In una terrina grande frullare (o con una frusta o con una frusta elettrica) burro e zucchero fino a renderli morbidi per poi aggiungerci le uova una per volta. Aggiungete quindi il tè tagliuzzato e, subito dopo, setacciati, tutti gli ingredienti secchi (farina, lievito, vanillina) aggiungere quindi il pizzico di sale e il latte che dovrete far passare in un setaccino per eliminare le foglie bagnate. Continuate a mescolare finchè non sarà tutto amalgamato.
Cuocete in dei pirottini (riempiteli per metà circa) a 170° per 25 minuti. La crema sopra potete deciderla voi sia per gusto che per tipo. Su internet viene chiamata frosting se volete cercare una ricetta.

Buon appetito. :)

-Riley

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Capitolo 8
*** Ottava parte ***


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Note dell'autore:
 
Eccomi di nuovo qua. Dopo due mesi (??) di attesa di cui non mi perdonerò mai  sono riuscita a pubblicare un capitolo che mi ha fatto penare come mai prima. Quindi non faccio altro che scusarmi per il ritardo ma gli impegni e altre cose avvilenti e noiose mi hanno rallentato il lavoro, oltre a continui e crescenti dubbi sullo sviluppo di questa storia. E' davvero la primissima in assoluto e non so come comportarmi.
Spero appreziate anche questa mia cosina e che non abbia deluso con il mio umorismo infimo e la mia lenta scrittura. In più ammetto di non aver riletto troppo bene questo capitolo quindi, se vedete errori di qualunque genere, siete libere di scrivermi e di farmelo notare appena possibile.

ps: consiglio per tutti gli aspiranti scrittori. Scrivere di notte è bellissimo ma il tuo cervello spesso fa errori orribili. Ergo: non spaventatevi di quello che leggerete la mattina dopo, come è successo a me, e non cancellate ogni cosa mandando a puttane tutto il lavoro di una notte. <3

Spero vivamente vi piaccia. ^^

-Riley

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Ottava Parte:

 

Dean non poté che sentirsi un idiota.

Sam lo guardò atterrito dalla porta di casa, la giacca in mano ed il borsone che gli pendeva pericolosamente da una spalla « Dean, è successo qualcosa? » disse stringendo gli occhi.

 

« Assolutamente nulla. » gli rispose il fratello con voce sprezzante e tirata in un'espressione sarcastica. Dean non credeva di sentirsi troppo bene, l'aria gli mancava e qualcosa, che gli ricordava vagamente il pentimento, gli si stringeva in petto in una stretta morsa di ferro.

 

Sam rimase in silenzio. Appoggiò la borsa sul divano e chiuse la porta dietro di se con espressione atterrita quando, con quel tono comprensivo da mamma che Dean odia, chiese « Se vuoi parlarmene... sai, sei libero di farlo »

 

« Oh si Sam » riprese Dean alzando di colpo il tono della propria voce « Poi magari finiamo di cucinare questi fottutissimi affari mentre guardiamo filmetti romantici e ci facciamo le treccine a vicenda. A papà farebbe proprio piacere »

 

L'espressione di Sam divenne più dura ma si mantenne alla larga dall'alzare a sua volta il tono di voce « Dean. Papà non può più giudicarti. Non sei più costretto a seguire le sue regole e... » spiegò nel tono più calmo possibile il ragazzo nel tentativo di calmarlo « Tu sei tu. Non tuo padre ».

 

Dean non rispose. Continuò a fissarlo, in silenzio.

 

« So che ti piace cucinare. Lo sapevo e lo tenevo nascosto a papà da un po'. Se è questo il problema sentiti libero di farlo, nessuno ti giudica » disse sospirando e avvicinandosi al bancone « Papà non è più qui e non tornerà di nuovo ».

 

« Sai cosa? Va tutto benissimo. Alla grande » continuò con fare seccato e distante mentre gli eventi di pochi minuti prima gli riapparivano in testa, tormentando la sua coscienza. Spense la radio che ancora andava in uno scatto secco, evitando la conversazione che il fratello cercava di mandare avanti a tentoni.

 

« Dean. Non puoi continuare a pretendere che vada tutto bene » riprese Sam alzando le spalle e abbassando le sopracciglia in un'espressione preoccupata.

« C'entra forse il ragazzo che è uscito? » azzardò infine.

 

Allora Dean spalancò gli occhi di colpo « Non ho bisogno di parlarne. Non ho bisogno di aiuto. Non ho bisogno della tua commiserazione. Non ho bisogno di ... » urlò – non ho bisogno di provare quello che provo ora -.

Si interrompette e si lecco le labbra prima di riprendere a parlare « Faccio casino con le persone intorno a me e non ho bisogno di sentirmi una merda per questo. Fine della questione. ».

 

« Non hai bisogno o non devi? Perchè non pensi a cosa vuoi davvero piuttosto di pensare di non meritare nulla di tutto questo continuando a seguire le vecchie regole di papà? »

 

« Non ricominciare, è frustrante » continuò evitando nuovamente la domanda.

 

« E' frustrante per me quando preferisci nasconderti invece di affrontare le cose, Dean » riprese il ragazzo inarcando le sopracciglia mentre si avvicinava al bancone.

 

« E continuerò a farlo » rispose con il sorrisetto più amaro e derisorio che potesse dargli « Ora ho solo bisogno di una birra, di lavorare e di soffocare in una lista di doveri infinita, se è necessario » disse stappandosi una bottiglia di birra presa poco prima dal mini frigo.

 

« Adesso, se non ti dispiace, non parliamone più » disse infine, portandosi la bottiglia alla bocca mentre si chiudeva in camera sua lasciando Sam con un punto interrogativo in fronte.

 

°

 

Castiel tornò a casa tremante. Chiuse la porta dietro di se, osservò le proprie mani tremare e il suo respiro appesantirsi di colpo. Si spostò in salotto a fatica nel tentativo di sedersi sul divano ma cadde a terra appena appoggiati i piedi sul tappeto.

Si sdraiò a pancia in su cercando di respirare più lentamente mentre ne contava il numero. Il respiro si regolarizzò dopo poco ma, il corpo pesante di Castiel, rimase sdraiato in quella posizione senza muoversi di un centimetro. Non poté fare a meno di pensare a quanto si fosse illuso. A come, quella piccola parte di lui, si fosse illusa alla speranza che, forse, sarebbe stato ricambiato. Perchè illudersi? Perchè rischiare così tanto? I libri parlano di storie a lieto fine, di amori romantici e tormentati ma, Castiel, non aveva mai realizzato la parte dolorosa. La parte che fa male e ti lacera dentro. Le cose che aveva letto, per tutta la sua vita, su questo tipo di dolore, non si avvicinavano neanche lontanamente alla realtà dei fatti. O, più esattamente, Castiel non credeva di essere mai riuscito ad immedesimarsi in un dolore, lì descritto ma, al suo mondo, totalmente sconosciuto. Non sapeva cosa farci, con tutto questo dolore.

 

Sentì il campanello suonare un paio di volte ed il suo cuore sussultò di colpo, portando subito la sua mente a chiedere – Dean? -. Ci spera. Spera che sia tornato, a dirgli che è stato uno stupido e che forse anche lui prova qualcosa, in fondo in fondo. Ma Castiel non può che sentirsi ancora peggio per essere così disperato da doversi illudere tanto.

Non si alzò. Non si mosse minimamente ai continui squilli della porta quando, infine, decise di alzarsi a guardare almeno chi fosse. La delusione comparve sul suo volto quando vide gli occhietti vispi e rotondi di una ragazza bruna e bassina, con addosso la divisa di Amazon nera e arancio.

Aprì la porta ringraziando la ragazza ma senza riuscire a risultare allegro o per lo meno a tirar fuori un briciolo di gentilezza. Firmò il foglio, prese la scatola e salutò la ragazza in modo freddo e silenzioso come l'aveva ringraziata poco prima.

 

Chiusa la porta alle sue spalle appoggiò la grande scatola sul tappeto blu e si sdraiò nuovamente dov'era prima. Rimase così qualche ora, crede. Non ricorda esattamente. Si lasciò andare, chiuse gli occhi e cercò di eliminare la canzone della pioggia che stava prendendo piede nella sua mente come un'intrusa tra i continui tentativi di eliminare i pochi ricordi degli ultimi due giorni.

 

Si alzò solo nel bel mezzo della notte.

Aprì la scatola con un piccolo taglierino per tagliare lo scotch e guardò le copertine colorate spiccare tra il cartone scuro e spento. Orgoglio e pregiudizio, Addio alle armi, I dolori del giovane Werther. Libri da lui già letti e studiati al tempo dell'università, quando ancora le sue aspettative sul futuro erano alte e sgargianti, ma mai davvero apprezzati del tutto. Ricominciò da capo. Sollevò il primo libro e iniziò a sfogliarlo delicatamente e a leggerlo fermandosi, di volta in volta, quando una frase o una nota di rilievo catturavano la sua attenzione. Voleva capire tutto ciò che poteva capire e, forse, sperava di trovare in questo modo strano ma, agli occhi di Castiel, dannatamente idoneo un rimedio al suo dolore.

Si addormentò tra i fogli e i libri aperti. Gli occhi stanchi e scavati si lasciarono andare così, come il suo cuore si lasciò trasportare dal gelo, congelandosi.

 

°

 

Dean non smise un secondo di pensare di essere stato un idiota.

Era notte ormai, non sapeva l'ora esattamente. Non pensò di guardare l'orologio, non gli importava troppo – idiota, idiota, idiota, idiota – fu l'unico pensiero che continuò a martellargli in testa tra un “non è colpa mia del resto, è lui che ha fatto quella cosa imbarazzante” ed un “sono una persona orribile, dovrei andare a ritirarmi sulle montagne del Vietnam”.

 

« fanculo » disse dal letto. Era sdraiato a pancia in su al centro del letto dalle lenzuola ancora sfatte con un braccio abbandonato lungo un fianco e l'altro posto a coprirsi gli occhi lasciandogli la mano a penzoloni a lato della testa.

 

« Ecco perchè sei single » sospirò deridendo se stesso prima di scoppiare in un'altra risata idiota.

 

Allora si alzò e, a piedi scalzi, sgattaiolò in cucina facendo attenzione a dove appoggiava un piede o a come apriva una porta per portarsi il più silenziosamente possibile davanti allo scuro bancone dove aveva precedentemente abbandonato i poveri cupcakes. Lì osservò indeciso sul da farsi.

 

Imprecò, di nuovo, soffocando un respiro prima di imboccarsi le maniche e riprendere il lavoro. A Dean piacque l'idea di utilizzare la scusa del “ho bisogno di fare qualcosa perchè non riesco a dormire e questo è tutto ciò che ho sottomano” ma passò molto velocemente, tra una stesura di frosting e un'altra, a “che cazzo, sarebbe stato uno spreco altrimenti”.

 

Non pensò troppo a Sam e al fatto che sapesse. Non gli importò più di tanto, o forse non gli diede il peso che pensava che gli avrebbe dato se lo avesse scoperto. Ma la vocina di mamma-Sam gli tornava ogni tanto a punzecchiarli il cervello quando pensava al ragazzo che poco prima era in quella cucina insieme a lui.

 

Non seppe mai come ma, Dean, si ritrovò a lasciare un piccolo vassoio candido e pieno di “mini-torte” sotto la porta della casa accanto ma, di una cosa, sicuramente si ricorda. Sopra la stagnola lasciò un piccolo post it arancione con la scritta “Scusa” in piccoli caratteri scuri. E Dean, se questa fosse una situazione normale (cosa che non è), non chiede mai, mai, scusa.

Pensò di fregarsene. Si disse che forse, per questa volta, poteva fare un'eccezione e mettere da parte quella sua orgogliosa arroganza. Pensò che quello potesse essere il minimo.

Non si chiese altro. Non si pose domane sul da farsi ma ritornò a casa si addormentò vestito e, svegliandosi all'alba andò a lavorare di tutta fretta evitando Sam e le sue occhiate.

 

°

 

Castiel si svegliò rigido e in un lieve velo di freddezza che, pigramente, gli ricopriva il volto. Riprese a scrivere. Non fece colazione, non uscì di casa a respirare aria pulita e non si cambiò d'abito. Passò in cucina alla ricerca di una tazza nel disperato tentativo di farsi del tè. Ma le tazze o erano sporche, sparpagliate una sopra l'altra, sul tavolo della cucina e sul bancone, o erano le due, linde e pulite, della mattina prima.

Non si fece il tè e tornò a scrivere nell'angolo sporco che era ormai il suo studio.

 

Castiel ne uscì solo la sera quando, un campanello a dir poco assillante, si intromise insistentemente nello spazio personale che era andato a crearsi lì dentro, tra i fogli silenziosi e il costante battere delle dita sulla consumata tastiera del pc. Trascinò le proprie gambe contro voglia verso la porta di casa. Aprì pigramente la porta rivolgendo al presente uno sguardo affilato e scocciato allo stesso tempo.

 

« Ehilà Cassie-Boy. Sono ESTREMAMENTE sorpreso di vedere il campanello funzionare. La prenderò come il primo passo per il tuo ritorno tra i vivi...» prese subito parola la voce squillante di un euforico Balthazar. Indossava una sciarpa viola con una pesante giacca nera aperta sul davanti che lasciava trasparire una maglia grigia con sopra un enorme fenicottero rosa affiancato dalla scritta “I'm ready to flamingle”.

« Ah, sembra che tu abbia già ammiratori » disse inclinando la testa verso il vassoio che teneva eretto con una mano all'altezza delle sue spalle.

 

Castiel spalancò gli occhi insicuro sul cosa pensare e, stringendo le labbra in una linea sottile spostò lo sguardo altrove e rientrò in casa senza una parola.

 

Balthazar spostò la testa a lato con fare interrogativo mentre si riportava l'ignorato vassoio davanti a se, osservando la schiena di Castiel allontanarsi all'interno della casa.

 

« Okay? Imbaaaaaarazzante » continuò mentre fluidamente entrò in casa chiudendo la porta e appoggiando il vassoio sulla mensolina sotto lo specchio all'entrata « Sono arrivato in un momento non esattamente adatto? »

 

Non ricevette risposta se non una gelida occhiata.

 

« Lo prenderò come un si, suppongo » disse portandosi la mano destra al mento, afferrando invece con la sinistra il gomito. Il silenzio tra i due sembrò, da come già era, moltiplicarsi e appesantirsi totalmente « Ti faccio del tè » esordì infine Balthazar mentre si liberava di giacca e sciarpa.

 

« Non ci sono tazze » gli rispose in tono monocorde mentre gli occhi vitrei e stanchi continuavano a fissare il vuoto con poco interesse.

 

« Quelle due sul bancone sembrano pulite » disse affacciandosi sulla porta della cucina e girando il polso in un movimento circolare mentre tendeva l'indice nella loro direzione.

 

« Quelle no »

 

Balthazar lo guardò sospettoso senza chiedere altro in proposito « Beh, lavane delle altre? » disse indietreggiando con la testa e sorridendo sarcasticamente.

 

« Non ho tempo »

 

« Castiel. Non puoi vivere senza tè, lo so. Cos'è successo? » lo guardò con una leggera nota di preoccupazione crescente.

 

« Sto aspettando che arrivino i bicchieri di carta usa e getta che ho ordinato su amazon »

 

Balthazar aprì leggermente la bocca e corrugò le sopracciglia. Mosse le labbra cercando di dire qualcosa ma si interrompette e aprì le braccia confuso « Biccheri di carta? Di quelli rossi e tristi da festa in stile college americano? Amico, il supermercato è a due minuti a piedi da qui. E faresti comunque prima a lavarle ».

 

Castiel non si scompose minimamente e continuò a rimanere nella sua rigidità statuaria nello stesso punto dove si era fermato. Lo sguardo ancora perso.

 

Balthazar sbuffò « Vieni in cucina e siediti ». Afferrò così le varie tazze e tazzine sparse qua e la e le ordinò sul lavandino mentre, da dentro uno straripante cassetto, tirò fuori un paio di guanti di gomma rosa « Ci penso io. Sia mai che perda l'occasione di mostrarmi come la casalinga sexy che sono del resto » disse ammiccando mentre tentava di indossava i guanti in modo (per nulla) provocante.

Castiel lo guardò soffocando un lieve sorriso. Balthazar ne fu sollevato e ammorbidì affettuosamente lo sguardo. Di scatto osservò le proprie mani che rigirò un paio di volte davanti a se per poi spostare il proprio sguardo su di lui « Rosa? Tu? ».

 

« Me li hai dati tu » disse pacatamente.

 

« Oh » si fermò a riflettere « Ora capisco perchè sono rosa » si spostò verso il lavandino portando i palmi al cielo « Resto in tema almeno » disse indicandosi la maglietta. Castiel sorrise e si sedette senza aggiungere altro.

 

Rimasero in silenzio finchè Balthazar non ripose i guanti ad asciugare e si spostò a sedere davanti a lui « Pensavo stessi andando bene Cassie. Sei tornato freddo e scostante così improvvisamente che mi preoccupi ».

 

« Sto solo scrivendo » cercò di giustificarsi invano.

 

« So che non è quello. La portinaia che è in me sa che c'è qualcos'altro sotto » disse arricciando il naso e appoggiandosi con entrambi i gomiti sul tavolo.

 

Castiel sospirò vistosamente « Okay» disse con la poca convinzione che riuscì a trovare « Ti racconto. Ma prima, un tè ».

 

°

 

« IO QUELLO LO UCCIDO » La voce scocciata di Balthazar regnava sovrana tra le pareti della piccola casa mentre un Castiel preso alla sprovvista cercava, inutilmente, di calmarlo.

 

« Insomma dopo tutto il resoconto da te fatto stavo iniziando davvero a shipparvi, capisci? » disse Balthazar che continuava a gesticolare in piedi davanti a lui « Già mi ero immaginato una grandiosa storia quando mi hai raccontato del “è solo un amico” che, diciamocelo, lo aveva capito chiunque che quella storia non reggeva proprio un fico secco, ma adesso. Insomma...» parlava con tono incalzante e deciso che a Castiel ricordò vagamente quello dei professatori religiosi o politici che, con i loro megafoni e banchetti vari, cercavano di intavolare discussioni “serissime” e di “altissima importanza” nelle piazze pubbliche cittadine « IO QUELLO LO UCCIDO».

 

« Stai iniziando a ripeterti » gli disse monocorde « Ti ho detto che va bene e che devo solo continuare con il mio romanzo. Nient'altro davvero ».

 

Balthazar sbuffò incrociando le braccia « Ora capisco il post-it. Tzè, è il minimo ».

 

Gli occhi di Castiel si illuminarono di interesse e speranza « Quale post-it? »

 

« Non lo hai visto? Sul vassoio di prima » disse indicando il corridoio d'ingresso con l'indice prima di tornare con le braccia incrociate nella sua funesta lotta interna contro Dean.

 

Castiel si avviò verso la mensolina dove era riposto, per rispondere ai quesiti della sua mente confusa. Il vassoio, sempre bianco, era ricoperto di stagnola a proteggere quelli che, Castiel suppose, fossero le mini-torte del giorno prima. Incollato sulla carta stava un piccolo post-it, questa volta arancione pastello, con su scritto a piccole lettere “Scusa”. Castiel sorrise. Non sapeva cosa pensare, o cosa potesse esattamente significare per Dean ma, quel piccolo gesto, gli lasciò speranza. Una speranza che però, si portava appresso, un agglomerato di dubbi e amarezza.

 

°

 

Scuse. La testa di Dean sta diventando un cumulo intricato di scuse su scuse. Giustificazioni su giustificazioni che, una persona come Dean, di certo non sa come gestire. I suoi pensieri saltellano tra il tornare da Castiel e il reprimere tutto ciò che sente. Il mandare a fanculo tutto e tutti sta diventando un'opzione anche troppo allettante per i suoi gusti.

 

« Stai attento! Che diavolo combini si può sapere? » disse Bobby mentre si asciugava la fronte e si rimetteva a posto il berretto stinto.

 

« Non preoccuparti. La faccio funzionare per domani se mi dai cinque minuti di pausa e un maledetto caffè » disse Dean senza uscire da sotto la macchina.

 

« Ragazzo. Ti faccio prendere una pausa solo per permetterti di andare a lavarti, Dio » gli disse in risporta Bobby che con fare scontroso indicò la chiazza d'olio che ricopriva il pavimento, i vestiti di Dean compresi.

 

« Sistemo. Tutto. » disse il ragazzo alzandosi e scollando la schiena dal pavimento sudicio « mi serve solo un caffè e torno al lavoro ».

 

« Ti stai sovraccaricando idiota » gli rispose incrociando le braccia davanti al petto « vai a casa e riposati prima di combinare altri danni, sistemo io ».

 

« Bobby, ti ho detto che posso farlo da solo » continuò insistentemente Dean.

 

« E io ti ho detto di portare il culo fuori di qui mentre vai a prenderti una fottuta pausa, o preferisci essere mandato a quel paese ragazzo? » disse tutto d'un pezzo Bobby mentre gli lanciava uno straccio per ripulirsi dell'olio.

 

Dean strinse gli occhi e serrò la bocca. Si passò lo straccio un paio di volte sulle mani e, appallottolandolo da una parte, uscì.

 

Il mondo era contro di lui. Bobby non lo voleva in officina, i turni alla Roadhouse non erano i suoi e a casa c'era solo Sam con il suo sguardo da cucciolo ed un vicino di casa che non aveva assolutamente voglia di affrontare - Dio, la vita fa schifo - pensò mentre si sedeva nell'impala - devo sistemare questo casino -.

 

°

 

Da dove aveva parcheggiato l'impala la casa accanto sembrava un ostacolo insormontabile. Deglutì un paio di volte mentre giocherellava con le dita facendole passare nervosamente tra il mazzo di chiavi. Si sente uno schifo e Dean non ha davvero bisogno di sentirsi uno schifo. Le parole di Sam continuano a tormentarlo e lo sguardo di Castiel, lo sguardo che gli diede quella sera, continua a far capolino tra i suoi sensi di colpa o, più esattamente, gli regala un senso di rimorso che fa fatica a capire a ad accettare del tutto.

La luce della casa è accesa. Ancora non sa se i cupcake li ha trovati o meno. Spera di si e, contemporaneamente, spera di no e di quindi poter tornare sul portico e recuperarli prima che qualcuno li veda. Prima che Dean possa sprofondare nella completa disfatta.

- quanto puoi essere idiota - si disse - cupcakes? sotto casa? perchè poi? - si fermò e sorrise leggermente - Perchè sei idiota. Semplice - si ripetè stufo e spossato dal gelo.

 

Una voce squillante provenì improvvisamente dalla casa di Castiel. Dean scosse le spalle confuso e si avvicinò all'abitazione con passo deciso. Salì i gradini del portico e notò la mancanza del famoso vassoio che, istintivamente, fece sparire tutti i piani che Dean aveva ideato. Gli restava solo scavare una fossa profonda e buttarcisi dentro.

 

Deglutì rumorosamente mentre nella sua teste giravano le parole "fanculo fanculo fanculo fanculo fanculo". Saltellò da un piede all'altro mettendosi le mani in tasca un paio di volte finchè non si strinse nelle spalle e tornò a concentrarsi sulla minacciosa porta.

- Puoi farlo, la concludi qui e torna tutto come prima, semplice - si portò una mano alla bocca trascinandola verso il basso. Suonò alla porta.

 

I brusii provenienti da dentro si fermarono per essere seguiti da rumori forti e indistinti dei quali Dean riconobbe solo un "smettila Balthazar" e un "ho bisogno di ucciderlo".

Dean sperò vivamente che non stessero parlando di lui. Pregò che non stessero parlando di lui.

 

« Ciao Dean » disse Castiel uscendo e chiudendosi la porta alle spalle in un colpo secco, impedendogli di vedere il proprietario della seconda voce.

 

« Ho ricevuto il vassoio. Ti ringrazio vivamente » disse il ragazzo davanti a lui monocorde. Aveva il viso stanco e la barba incolta, gli occhi blu erano spenti ma ancora capaci di scambiargli uno sguardo fermo e glaciale come la prima volta « ti riporterò il vassoio appena posso ».

 

Dean non rispose ed entrambi continuarono a fissarsi in piedi l'uno davanti all'altro con il vento freddo di tempesta che rischiava di gelargli le ossa.

 

« Ti farei entrare ma..» sospirò abbandonando leggermente la sottospecie di rigor mortis in cui si trovava « okay, non dire nulla, non fissare nulla ma, soprattutto, non commentare la sua scelta di vestiario » disse infine.

 

« Okay » gli rispose Dean facendo una leggera smorfia di confusione mista a ironia.

 

Entrato notò i cupcake sulla mensolina all'entrata e, poco più avanti, appoggiato allo stipite della porta, stava un uomo sulla trentina con i capelli biondo cenere spettinati, una maglietta con un imbarazzanre fenicottero rosa acceso e con le braccia incrociate davanti al petto a coprire parte del collo del volatile. Aveva lo sguardo accigliato e delle leggere pieghe agli angoli della bocca e degli occhi che non presagivano affatto l'aria di qualcuno che era felice di vederlo.

 

« Ehy » disse Dean in tono cauto ma senza abbandonare una leggera nota di beffaggine. In ogni caso, non ricevette alcuna risposta mentre, Castiel, gli lanciò un occhiata storta alla ti-avevo-detto-di-non-proferire-parola. Dean, o meglio, la sua testaccia dura, decise di ignorare le sue occhiate e continuare imperterrito.

 

« Ho detto ehy » disse facendo un passo verso di lui.

 

« Oh, si. Lo hai fatto. Per ben due volte. Buon per te » gli rispose con un fastidioso accento inglese che non fece altro che fargli venir voglia di prenderlo a pugni su quel musetto ironico e strafottente che si ritrovava.

 

« Ragazzi. Per favore » disse Castiel senza scomporsi minimamente « Balthazar questo è Dean, Dean questo è Balthazar. Non uccidetevi a vicenda ».

 

Entrambi si scambiarono un occhiataccia quando Balthazar intervenne rapido e velenoso « La smetterò quando il signorino qui davanti accetterà se stesso, sappiamo cosa intendo, e prenderà una decisione seria su questa storia e, si, se te lo stai chiedendo, sto parlando della tua omoses...» non fece in tempo a concludere che Castiel lo spintonò via in salotto zittendolo di colpo « Cassie, sto solo dicendo la verità, quella che il tuo amico qui non sa accettare apparentemente ».

Castiel si girò verso di lui con fare stanco e, sospirando, gli parlò sottovoce « Non c'è bisogno di fare così » disse voltandosi a guardare Dean che aveva l'espressione di qualcuno che cercava di trattenersi dal prenderlo a pugni. Tornò su Balthazar e riprese « Devo parlarne con lui. Sono stato io a farmi avanti. Sistemerò la cosa ».

 

« Ma io vorrei che tu... ».

 

« No Balthazar. Devo risolvermela da me, fammi questo favore ».

 

Balthazar sbuffò e incrociò nuovamente le braccia al petto. Sospirò rumorosamente e lanciò un occhiata a Dean che sembrava dire per-questa-volta-la-passi-liscia. Tornò a rivolgersi a Castiel « Bene Cassie-boy. Accetterò solo perchè, a quanto pare, dalle ultime bozze che mi hai inviato, l'idiota lentigginoso ti fa scrivere decentemente. Però promettimi una cosa » continuò alzando l'indice al cielo « rimettiti in riga. Niente più idiozie alla bicchieri su amazon okay? ». Castiel annuì leggermente ed entrambi tornarono nell'atrio dove Dean stava, nervosamente, in attesa.

 

« Questa volta la scampi, “musa ispiratrice” » disse Balthazar facendo l'occhiolino al ragazzo che gli regalò un'occhiata tra l'incazzato e il confuso « Ma la prossima volta, se ci sarà, ti ucciderò » continuò mentre gli sorrideva a trentadue denti. Indossò la giacca e, salutato Castiel, uscì di casa lasciando i due spersi e imbarazzati.

 

Dopo minuti di gelido silenzio Dean tossì un paio di volte e , grattandosi la nuca nervosamente, mimò un “fanculo” tirato « Andiamo alla Roadhouse. Prendiamoci qualcosa ».

 

Castiel lo guardò confuso e inclinò la testa di lato « E assecondami sta volta, dai » continuò il ragazzo prendendo il trench coat dall'appendiabiti per poi passarlo allo sperso ragazzo davanti a se.

 

°

 

La Roadhouse era semi-vuota. Si sentivano in lontananza solo il rimbombo delle auto che sfrecciavano in autostrada e il suono di bicchieri e posate che venivano usati qua e la. Le note del jukebox compensavano la mancanza di dialogo tra i due ragazzi seduti al bancone.

Castiel era stanco. Si sentiva appesantito e freddo. Il caldo del locale neanche lo raggiungeva e si sentiva sempre di più ritornare al fiume di abbandono e spossatezza che era la sua vita fino alla settimana prima. Quando i mesi passavano veloci nella sua casa e i pasti erano insipidi e provenienti da economici preparati da supermercato.

L'unica differenza sono la presenza di quegli avvilenti e soffocanti dolori in petto che Castiel sente quando vede Dean ammiccare ad una cameriera e che gli ricordano, sempre, quella parte che nei libri è descritta come “il fardello dell'amare qualcuno”. Ma Castiel sa. Sa che in nessun universo Dean potrebbe mai ricambiare i suoi sentimenti ed è ormai arrivato al punto in cui, i fatti e il troppo tempo libero, lo hanno portato alla rassegnazione più totale.

 

Dean non fece altro che sorseggiare la sua birra e, ogni tanto, spostare il proprio sguardo su di lui in attenta osservazione. I suoi occhi, prima fissi sulla attraente cameriera, si puntarono accigliati su quelli di Castiel. « Quello che è fatto è fatto » disse in un sussurro il ragazzo che sembrava tirar fuori le parole a forza « Io non... » continuò umettandosi le labbra « ah, fanculo ».

 

« Non devi giustificarti. Ho capito » disse Castiel immobile, la sua birra ormai calda « Non c'è bisogno di sforzarti. Possiamo.. » disse vagando con lo sguardo verso la finestra « possiamo continuare a vederci comunque ».

 

« Ma io non intendevo ques... » non fece in tempo a rispondere che Castiel lo fermò.

 

« Nevica »

 

« Come? »

 

« Nevica » si ripetè sorridendo. Castiel abbassò il tono della voce mantenendo lo sguardo fisso verso la pallida finestra dalla quale trasparivano i grossi fiocchi di neve venire giù dal cielo « Va bene Dean. Quello che è fatto è fatto. Facciamo finta che sia stato solo un errore e niente più ».

 

Dean lo guardò con lo sguardo perso. Lo sguardo di qualcuno che ancora stava ragionando sul da farsi « Possiamo. Possiamo andare a casa tua? » disse umettandosi le labbra per poi alzarsi « Facciamoci un tè ».

 

Castiel lo guardò. Poteva sopportare un'ultima sera. L'ultima sera, un ultimo tè e poi si sarebbe portato tutta la questione “Dean” alle spalle. L'idea gli soffocava in petto e gli risucchiava via l'aria dai polomoni. Cercò di ignorarla e annuì a Dean leggermente mentre si avviavano verso l'auto.

 

°

 

La neve aveva ricoperto ormai le strade al loro arrivo. Castiel, nella piccola cucina, afferrò il manico del bollitore, con una presina azzurrina e ricoperta di piccoli limoni, per toglierlo dal fuoco. Dean, dietro di lui, lo osservava in silenzio. Versò l'acqua calda nelle due tazze, quella con le foglie arancioni per Dean e quella dai fiori blu per Castiel, e, subito dopo, si recò al mobiletto bianco degli infusi poco più in là sulla destra.

 

Entrambi si scambiarono uno sguardo e Dean, senza che gli venisse posta neppure la domanda, rispose come ripescato improvvisamente dai suoi pensieri « Mela e cannella. Penso, penso vada bene ». Il ragazzo annuì e preparò l'infuso come la prima volta che lo aveva visto farlo.

 

Si spostarono così in salotto, entrambi con appresso la loro tazza, ancora in silenzio. Castiel giurò di poter sentire le rotelle della testa di Dean continuare a girare ininterrottamente dalla Roadhouse fino a quel momento. E non poteva che farlo sentire sempre più male. Per ogni minuto che passava una parte di lui si perdeva nelle ipotesi più azzardate su quello che potesse effettivamente pensare. Più ci pensava più si sentiva colpevole. La tazza di tè era a metà quando qualcosa in lui non poté davvero più farcela.

 

Castiel, dal divano dove era seduto a gambe incrociate, iniziò a sentire un mattone in petto. Sentì un'enorme e gelida lastra di vetro come conficcata all'interno del suo corpo a comprendere e ferire i polmoni, il cuore e lo stomaco. In un rapido e rigidissimo gesto andò a toccarsi il petto con una mano mentre con l'altra teneva in una morsa gelida la sua piccola tazza di tè.

 

Si portò la mano al polso e contò i propri battiti – Aumentano -

 

« Cas... tutto bene? » Vide Dean osservarlo preoccupato, ma distante. Questa distanza, anche questa, lo uccideva scavandogli il petto pian piano. Guardò i suoi occhi verdi, ripiegati nel viso che aveva preso le linee della preoccupazione, fissi nei propri. Vide le mani di Dean stringersi intorno alla tazza che Castiel aveva ormai etichettato come sua personale, per le volte che veniva qui. Una bianca porcellana ricoperta di caldi colori autunnali. Sentì una stretta ancora più dolorosa al cuore.

 

L'aria iniziò a svanire dai suoi polmoni e non ebbe la forza, ne il coraggio, di anche solo azzardare una conversazione. Nel momento in cui iniziò a respirare affannosamente sentì la mano di Dean sfiorargli un polso e osservarlo più da vicino. La distanza era diminuita ma non davvero. Il respiro aumentava e, dal petto, sentì nascere un forte tremore che gli penetrava nelle ossa. Sentì improvvisamente la mano del ragazzo davanti a se scostargli una ciocca di capelli e toccargli la fronte.

 

« No. Sto bene. Sto bene. Devo.. devo uscire. Lasciami uscire » disse spingendogli via la mano e facendo segno di allontanarsi.

Dean non potè evitare di vedere le sue mani tremare mentre appoggiavano la tazzina sul tavolinetto nero di fianco al divano. «Cas. Non scherzare. Nevica, vuoi forse prenderti un malanno?»

 

Castiel si alzò e, buttandosi via la coperta dalle spalle, mosse un passo dietro l'altro nel tentativo di raggiungere la porta. «Non fare l'idiota. Stai avendo un attacco, non è roba su cui scherzare » Disse cercando di non alzare il tono di voce e di mantenere il tono più calmo che riuscì a trovare. Con la stessa calma gli prese una mano nel tentativo di trattenerlo. « Per favore. Ti farai del male »

 

Castiel prese le chiavi, scostò la mano di Dean ignorandolo e, con le mani tremanti, riuscì ad aprirla al terzo tentativo andando a graffiare ripetutamente la serratura. « Ho bisogno di aria. Ho solo bisogno di aria »

Dean rimase fermo, in salotto, con una frase non detta in testa ed una forte amarezza in bocca.

 

 

°

 

Castiel uscì, chiuse la porta e iniziò a camminare intorno alla casa. Non voleva allontanarsi, doveva camminare, stare bene, calmarsi e non pensare. Sentiva la neve sciogliersi sulle sue guance quando cadeva sul suo volto. Il freddo lo avvolgeva completamente e l'aria pungente gli bruciava la gola fino a fargli male. Fece respiri più profondi sentendo l'aria entrare e bruciare ancora di più sulle pareti della gola irritata. - Primo giro -

 

I calzini affondavano sempre di più nella neve ed i piedi iniziavano a fargli male. Nella sua testa si intonarono le note di quella dannata canzone e si odiò per averci pensato. Tremava ancora, ma non per il freddo. Non tremava mai per il freddo.

Osservò i palmi delle mani aperti davanti a se e non pensò che di essere nel posto giusto. Ciò che lui era prima di Dean. Quello era il suo posto, il freddo era la sua vita. Gli provocava dolore fisico, lo gelava dentro e teneva imbottigliati sentimenti e cose che lui aveva sempre reputato futili dentro di se. Gelati e bloccati in un impenetrabile struttura di ghiaccio.

Ma la fortezza che si era costruito era stata intaccata, distrutta, buttata in aria da ogni respiro, gesto, parola che Dean gli avesse pronunciato. Come grandi e continue fitte di calore che andavano a sciogliere i punti portanti dell'intera costruzione. Le dita davanti a se diventarono violacee e continuò a camminare senza fermarsi, cercando di cancellare dalla sua testa le note di quella maledetta canzone. - Secondo giro -

 

Si fermò nel giardino di casa, alzò il naso in su e osservò il cielo stellato. Nella sua testa individuò le varie costellazioni, ripeté a memoria i libri che aveva letto sull'argomento e cercò di riordinare la mente alla ricerca di dati razionalmente esistenti, eliminando dalla sua testa ogni traccia di sentimentalismo o irrazionalità. - nella nostra galassia ci sono 200 miliardi di stelle - -Le costellazioni sono 88, e sono il risultato dell'originario elenco tolemaico formato da 48 costellazioni cui si aggiunsero nei secoli le altre 40 -.

 

“Si dice che quando una persona guarda le stelle è come se volesse ritrovare la propria dimensione dispersa nell’universo.” - Dalì. 1942. Aveva ragione -

 

Era calmo. I libri lo calmavano. Il respiro si regolarizzò, la musichetta nella sua testa veniva soppressa per sempre e i suoi piedi ricominciarono a camminare. -Terzo giro -

Passo dopo passo i pensieri lo portarono a tutti quei libri nuovi ammassati nel suo studio. Tutto quello spreco di carta volto alla rappresentazione e spiegazione dell'amore umano che non gli era servito a molto. Quei libri comprati nella speranza di trovare all'interno una spiegazione per ciò che sentiva, per poi ritrovarsi davanti la risposta più ovvia e meno gradita. Sentirsi dire di essere innamorati. Era stato davvero uno spreco?

 

A rispondergli non fu uno di quei libri o di quei concetti appresi da essi ma bensì, un vero pilastro portante.

 

“L'amor che move il sole e l'altre stelle”.

 

Castiel si immobilizzò. Non pensò più a nulla.

Il motivetto della canzone di prima riprese insensatamente a prendere spazio e volume nella sua mente. La mano destra aveva piccoli spasmi e gli occhi fissavano il vuoto davanti a se. Il freddo, del quale si era dimenticato, riprese a far male.

 

Due braccia calde lo avvolsero improvvisamente da dietro. Portavano con se una coperta che avvolse entrambi, in mezzo alla neve. Le braccia lo stringevano ferme ed una fronte calda si andava ad appoggiare sulla sua spalla sinistra. « Mi farai del male. »

 

Castiel sentì la pelle bollente ed il ghiaccio sciogliersi in un battito di ciglia. Si pentì di tutto ciò che aveva pensato mentre le lacrime scendevano lungo il suo viso.

Se le asciugò velocemente e si rigirò in un movimento cauto dentro la stretta di Dean e lo abbracciò a sua volta.

« Io ho bisogno di te » sussurrò Dean ancora con il viso sprofondato nella sua spalla. « Non voglio che tu stia male »

 

Alzò la testa e lo guardò dritto negli occhi « Credo, credo sia ora che io la smetta di fare l'idiota » disse infine. Posò una mano sulla spigolosa e fredda mandibola del ragazzo davanti a se ed inclinò la testa avvicinandosi verso di lui. Gli occhi di Castiel da spenti e opachi ripresero come conoscenza appena sfiorarono quelli di Dean avvicinarsi. E si, Dean sorrise all'idea di essere riuscito a togliergli quell'espressione dal viso mentre gli accarezzava i capelli corvini all'angolo dell'orecchio. Castiel posò le braccia ad afferrargli la schiena mentre le labbra di entrambi si unirono, come due magneti che corrono l'uno verso l'altro, in un disperato tentativo di ritrovarsi.

E Dean lo bacia, e lo bacia ancora e ancora. Lo bacia come se non avesse mai intenzione di smettere. Le braccia di Castiel lo avvolgono stretto mentre i baci rallentano pian piano. Dean gli da un ultimo bacio agli angoli della bocca e uno sulla fronte calda, prima di avvolgerlo e abbracciarlo più forte.

Il ghiaccio dal suo cuore, praticamente svanito.
 

Rimasero in silenzio per un po'. Castiel aspettò che il calore sprigionato da quel bacio lo avvolgesse del tutto, strinse Dean più forte e, improvvisamente, seguendo un pensiero sfuggito dal nulla, intonò le parole di The Rain Song con la sua voce bassa e rovinata dal mal di gola.

 

« This is the springtime of my loving – the second season I am to know » Dean aprì gli occhi e ammorbidì il suo abbraccio lasciandolo continuare.

 

« You are the sunlight in my growin – so little warmth I've felt before»

 

Dean si lasciò cullare dalla canzone e, ad i primi starnuti di Castiel, lasciò la presa. Prese la coperta e la avvolse del tutto addosso a Castiel, infagottandolo. Gli prese delicatamente la mano congelata e lo trascinò all'interno.

Non smise un secondo di cantare.

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