Ten things I know about you

di M4RT1
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #1 - Nonostante tutto, Teddy è più ansiosa di Henry ***
Capitolo 2: *** #2 - Di notte, Teddy ha il sonno molto agitato ***
Capitolo 3: *** #3 - Henry non ha mai fame dopo gli interventi, ma Teddy lo costringe a mangiare ***
Capitolo 4: *** #4 - Henry vorrebbe un cane, Teddy un gatto ***
Capitolo 5: *** #5 - Quando litigano, a volte Teddy parla senza pensare... ***
Capitolo 6: *** #6 - ...mentre Henry straparla se è sotto morfina ***
Capitolo 7: *** #7 - Quando ha la febbre, Teddy tende a innervosirsi facilmente ***
Capitolo 8: *** #8 - Il giovedì sera è la loro Serata Telefilm ***
Capitolo 9: *** #9 - A entrambi piacerebbe avere dei figli ***
Capitolo 10: *** #10 - Quando si è ritrovata sola, Teddy non è rientrata a casa per tre giorni ***



Capitolo 1
*** #1 - Nonostante tutto, Teddy è più ansiosa di Henry ***


Ten things I know about you

#1 - Nonostante tutto, Teddy è più ansiosa di Henry

Fluff | Slice of Life | 479 words




"Va tutto bene, Henry. Respira. Sta' tranquillo."

Henry avrebbe dato qualsiasi cosa per poter assistere a uno dei suoi stessi interventi. Per uscire dal suo corpo addormentato e sedersi in galleria a guardare sua moglie urlare ordini con la foga che metteva in certi litigi, oppure muoversi avanti e indietro per tutta la sala fino a essere mandata via, magari da Cristina Yang.

Ovviamente non l'avrebbe fatto con cattiveria. Sarebbe stata solo una piccola vendetta per tutte le volte che Teddy aveva proiettato su di lui la sua ansia e lui, da bravo marito e paziente, non le aveva fatto notare che il fatto che lei avesse paura e fosse agitata non volesse dire che anche lui si sentisse necessariamente così.

Come quel giorno, ad esempio. 

"Va tutto bene, Teddy."

Glielo aveva ripetuto almeno dieci volte - va tutto bene, è tutto okay, sono tranquillo - ma lei continuava a fare avanti e indietro dalla sua stanza al corridoio, in attesa che qualcuno facesse capolino per recuperare Henry e portarlo in sala operatoria. 
Dove, per inciso, anche lei sarebbe stata presente - almeno fino a quando qualcuno non avesse deciso diversamente. Non che lui l'avrebbe mai cacciata, se fosse stato un chirurgo: probabilmente avrebbe trovato i deliri di sua moglie perfino divertenti, se non avvenissero sempre in momenti in cui era troppo impegnato a non preoccuparsi per trovare allegro il fatto che Teddy gli stesse nuovamente ascoltando il cuore.

Ad ogni modo, lui la lasciò fare come sempre. Dopotutto, il profumo che portava quel giorno era buono e i capelli gli facevano il solletico sul collo. E poi c'erano le sue mani, così leggere, e lo stetoscopio non era nemmeno così gelido. 

"Sei tachicardico. Forse non dovresti operarti."

"Sei davvero una moglie ansiosa. E forse sei tu a non dover operare."

Teddy sorrise forzatamente. Era davvero una moglie ansiosa, più di qualunque altra persona avesse mai incontrato. Il ché era strano, considerando quanto fosse brava e sexy e sicura di sé quando indossava guanti e camice. 

"A che pensi?"

In quel momento però, seduta sul bordo del letto, non sembrava per niente brava e sicura di sé. Era solo spaventata. E Henry, per l'ennesima volta, sentì lo stomaco chiudersi al pensiero di essere la causa di quell'espressione spaurita e degli sforzi che sua moglie faceva per sorridergli. E si disse che, anche se aveva le vene piene di calmanti e si sentiva gli occhi pesanti per i medicinali pre-anestesia, aveva il compito di tranquillizzarla. O almeno di provarci. Così ghignò.

"Penso ai tuoi occhi" le disse. "Sono belli anche quando sei preoccupata."

Teddy si aprì nel primo vero sorriso della giornata. "E tu sei cretino anche sotto sedativi" ribatté, accarezzandogli i capelli. "Rilassati, adesso. Stiamo per andare."

Mentre chiudeva gli occhi, respirando profondamente per l'ennesimo controllo della sua moglie-dottoressa apprensiva, Henry si disse che non avrebbe potuto chiedere nulla di meglio che lei.


 

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Capitolo 2
*** #2 - Di notte, Teddy ha il sonno molto agitato ***


Ten things I know about you

#2 - Di notte, Teddy ha il sonno molto agitato

Fluff | What if? | 632 words




Henry non aveva mai amato studiare. Non che fosse uno di quei ragazzi perennemente indietro sul programma, anzi, era abbastanza intelligente da recuperare in un pomeriggio le lezioni di un'intera settimana. Dodici anni di stop, però, insieme a un lavoro che gli occupava parte della giornata e una moglie che si prendeva il resto del tempo, l'avevano reso ancor più refrattario al solo pensiero di dover trascorrere ore su libri di testo spessi quanto dizionari.

Quando Teddy si ritirò a casa, quella sera, si aspettava comunque di trovarlo intento a studiare. Sveglio, quanto meno, magari impegnato a sottolineare svogliatamente un paio di pagine con una mano mentre, con l'altra, pescava le noccioline da un sacchetto del supermercato. 

Invece Henry dormiva. Se ne stava mezzo sdraiato sul divano, la camicia abbottonata fino al collo e un libro di patologia aperto sul petto. La bocca semiaperta, gli occhi chiusi, un braccio che penzolava giù dal divano, respirava piano - era una delle cose che Teddy apprezzava di lui, il sonno silenzioso, anche se certe volte il non sentire neppure un rumore provenire dal suo lato del letto la preoccupava. 

"Buonasera" sussurrò lei con un mezzo sorriso, avanzando verso il divano. Henry non dette segno di averla sentita. Continuò a respirare, tranquillo, la testa leggermente piegata all'indietro su un cuscino grigio e il libro che faceva su e giù seguendo i movimenti del suo petto. "Studiamo intensamente, vedo."

Anche quella battuta restò senza risposta. Teddy non pensò minimamente di svegliare il marito. Anzi, le sarebbe piaciuto davvero tanto se fosse stato lui a trovarla addormentata e, magari, a portarla in braccio fino al letto. Ma come sempre era Henry quello che cedeva per primo e così, anche quella sera, Teddy si limitò a sfilargli il libro dalle mani e riporlo sul tavolino, attenta a non perdere il segno; dopodiché cercò una delle coperte che tenevano per gli ospiti e gliela stese addosso, sicura che neppure il solletico della stoffa sul collo l'avrebbe svegliato.

Alla fine si fermò a guardarlo e, per un secondo, la tentazione di sdraiarsi accanto a lui e restare a dormire lì al suo fianco fu forte abbastanza a convincerla a sedersi, almeno. Così si accomodò accanto a lui e si concesse un lungo sbadiglio. Stava per sdraiarsi quando la voce del marito la fece sobbalzare.

"Non anche qui" borbottò, aprendo un occhio. Sembrava contrariato.

"Cosa non qui?" domandò Teddy. Lui ghignò.

"Hai idea di come sia difficile dormire con te?" le chiese, puntellandosi sui gomiti. "Dormire nonostante i calci, i discorsi ispirati che fai nel sonno, i gomiti che sulle costole?"

Teddy aveva sempre avuto il sonno agitato. Da quando era tornata dalla guerra, poi, tra incubi e ricordi le cose erano perfino peggiorate. Ad ogni modo, era perfettamente consapevole dei suoi movimenti da come ritrovava la sua parte del letto al mattino.

"E con te, allora?" rilanciò, pur sapendo di non aver niente a suo favore. Dal basso, il marito alzò un sopracciglio.

"Io non mi agito" ribatté, sicuro.

Teddy sbuffò. "Che ne sai, se dormi?" 

Ormai Henry era perfettamente sveglio. Seduto sul divano, la camicia spiegazzata e i capelli arruffati sulla nuca, la fissava scettico. "Nessuno si è mai lamentato di me" le rispose, sbadigliando. "Sono stato ricoverato molte volte, sai, e nemmeno uno dei miei compagni di stanza ha protestato. E comunque, tu non l'hai fatto" aggiunse con un sorrisino.

"Okay, lo ammetto!" esclamò Teddy. "Dormire con te è come dormire da sola. Posso lamentarmi di questo, almeno?" 

Henry era semplicemente troppo stanco per controbattere, perciò annuì. Reprimendo un altro sbadiglio, si mise in piedi. "Che ne dici di continuare questa discussione a letto?" propose, prendendola per mano. 

"D'accordo" rispose lei, alzandosi a sua volta.

Anche quella notte Henry fu costretto a dormire in bilico sul ciglio del materasso mentre, accanto a lui, Teddy si agitava come se stesse lottando.



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Capitolo 3
*** #3 - Henry non ha mai fame dopo gli interventi, ma Teddy lo costringe a mangiare ***


Ten things I know about you

#3 - Henry non ha mai fame dopo gli interventi, ma Teddy lo costringe a mangiare

Fluff | Slice of Life | 591 words



Henry non aveva fame. Non ce l'aveva mai, dopo gli interventi, e generalmente non era un problema per nessuno. Semplicemente, si limitava a informare l'infermiera addetta a portare i pasti che lui non avrebbe mangiato e lei saltava la sua camera.
Da quando Teddy era entrata nella sua vita, però, la situazione era mutata radicalmente. Per prima cosa, di quella simpatica infermiera sulla sessantina di nome Lucy non aveva più avuto notizie da quando sua moglie sfruttava le pause (tutte le pause che aveva) per far capatine improvvisate nella stanza del marito e portargli il pranzo. Il che rendeva difficile informare qualcuno di non averne voglia, escludendo l'ipotesi in cui irrompeva in sala operatoria nel bel mezzo di un intervento a cuore aperto per informare il primo operatore di non voler pranzare. E poi c'era il problema dell'ansia, perché per Teddy il fatto che saltasse anche un solo pasto era sintomo che qualcosa era andato storto nell'ultimo intervento. 

"Ma fai così con tutti i tuoi pazienti?" le aveva domandato Henry un giorno in cui la moglie aveva trovato il vassoio ancora pieno e non ne era stata contenta. 

"Solo con quelli che amo" gli aveva risposto lei. E poi lo aveva costretto a mangiare almeno il panino. 

Quel giorno, però, il suo intervento si era prolungato più del dovuto e il marito era riuscito a mandar via l'infermiera con la cena prima che Teddy irrompesse nella camera. Così, quando la donna si era finalmente liberata, era ormai mezzanotte e le possibilità di trovare ancora in giro una cena erano così scarse che si era arresa quasi subito. Per dieci minuti, almeno.

"Sicuro di non voler mangiare niente?"

"Ho lo stomaco chiuso."

Erano vicini, entrambi sdraiati. Henry se ne stava tranquillo, Teddy continuava a muoversi in cerca di una posizione che impedisse al tubicino della flebo di impigliarsi nei suoi capelli.

"Dai, dimmi qualcosa che ti va. Qualsiasi cosa sia, vado a prendertela" insisté. Era davvero fastidiosa quando insisteva, rifletté Henry non riuscendo a evitare di sorridere mentre per l'ennesima volta la donna si srotolava delicatamente la plastica dal bracciale.

"Davvero, Teddy, non ho fame" rispose, la bocca impastata. "E comunque se vuoi un po' di morfina anche tu, basta dirlo" aggiunse con un mezzo sorriso. Teddy scosse la testa.

"Non ho intenzione di perdere la mia dignità facendo commenti inopportuni" osservò. "Potrei dire cose compromettenti."

Henry si voltò verso di lei. "Tipo?" domandò, curioso. Lei sorrise. 

"Non lo saprai mai, temo" sussurrò, dandogli una gomitata. Henry sobbalzò, ma lei sembrò non farci caso. "A meno che non mi dici cosa vuoi per cena" aggiunse con tono cospiratorio. 

Henry avrebbe volentieri roteato gli occhi, se solo non avesse avuto mal di testa. Invece, si limitò a respirare profondamente e, dopo un momento di silenzio in cui Teddy lo guardò con trepidazione, scosse le spalle. "Allora non lo saprò mai" si rassegnò, ignorando il verso di esasperazione di Teddy.

"Ci sarà qualcosa di cui hai voglia!" gridò lei, scattando a sedere. "Deve esserci!"

Henry sospirò. Conosceva bene Teddy ed era sicuro che, finché non avesse risposto alla sua domanda in modo soddisfacente, la donna avrebbe continuato a stargli con il fiato sul collo. Così, dopo qualche altro minuto di silenzio, rispose:

"Pancakes."

Teddy sgranò gli occhi.

"E' quasi mezzanotte, Henry, dove vuoi che-" si interruppe, comprendendo all'improvviso il piano del marito. Era ovvio che non credeva avrebbe trovato dei pancakes in piena notte ed era per quello che, tra tante pietanze, aveva scelto proprio le frittelle. Così annuì con convinzione: "Okay, vado a cercare dei pancakes."

Mezz'ora dopo, si ritirava nella stanza con dei pancakes presi chissà dove. Peccato che Henry dormisse profondamente.



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Capitolo 4
*** #4 - Henry vorrebbe un cane, Teddy un gatto ***


Ten things I know about you

#4 - Henry vorrebbe un cane, Teddy un gatto
Fluff | Slice of Life | 862words



Il giorno in cui Henry Burton portò a casa un cucciolo di cane fu anche quello in cui più andò vicino alla morte. E dire che aveva subito ottantadue interventi.

Era una sera qualunque di una giornata qualsiasi. Henry aveva lavorato e, alla fine del turno, stava rientrando a casa quando aveva visto qualcosa che bloccava la carreggiata. Era un cucciolo, un cucciolo tanto piccolo da stargli in una mano. Se ne stava lì, al centro della strada, spaurito e inzuppato, le orecchie beige basse e gli occhioni tristi - o almeno, fu così che lo descrisse a un'adirata Teddy di ritorno da un intervento durato sei ore e mezza. 

"Questo non significa che dobbiamo tenerlo noi!" aveva sbottato la donna in tutta risposta. 

"Andiamo, non ti fa nemmeno un po' di tenerezza?" aveva ribattuto Henry. Se ne stava seduto sul divano, in pigiama e pantofole, e teneva il cucciolo in grembo. Lo accarezzava distrattamente con una mano. Teddy continuava a scuotere la testa.

"Possiamo portarlo in canile" propose dopo un po'. "Lì starebbe bene."

Henry sgranò gli occhi. "Mi hai sposato!" esclamò. "Mi hai sposato perché ti facevo pena! E non puoi sacrificare mezzo metro di soggiorno per lui?"

Teddy roteò gli occhi, sbuffando. "Era una faccenda del tutto diversa" si difese, voltandosi verso il corridoio come se la faccenda fosse chiusa. Ma il fatto che Henry si alzò di scatto lasciando il cagnolino al suo posto e correndole dietro denotò che il caso fosse ancora aperto.

"Non era diversa" le disse, seguendola in bagno. "Okay, vedila così: io ero il cagnolino. Volevano portarmi al canile e darmi un braccialetto elettronico e, invece, tu hai preferito tenermi in casa" provò a spiegarle, ma tutto ciò che ottenne fu un'occhiata scettica.

"Ti stai paragonando a un cane" osservò solo la moglie. "A un cane potenzialmente infetto, pieno di germi che tra l'altro potrebbero attaccare le tue precarie difese immunitarie e fare pipì sul tappeto" disse, gelida. Si voltò per chiudergli la porta in faccia, ma lui continuò.

"E' solo un cucciolo!" si lamentò, bloccando la porta con un piede. "Un piccolo, indifeso-"

"Se proprio dobbiamo affrontare l'argomento animali, allora sappi che io voglio un gatto" lo interruppe Teddy all'improvviso, facendo capolino dal bagno. Si era sciolta i capelli e, alla luce chiara del neon, sembrava ancora più stanca.

"Un gatto?" ripeté Henry. "Non mi piacciono i gatti!"

"E a me non piacciono i cani!"

Teddy Altman era una persona cocciuta. Per quanto ne sapesse Henry, aveva vietato a Cristina Yang l'accesso in sala operatoria per settimane, oltre ad aver fatto una carriera davvero sbalorditiva per una ragazza alle prime armi, al fronte. Eppure, si ricordò compiaciuto mentre ritornava all'attacco, lui poteva giocarsi una carta che lei non aveva.

"Teddy" chiamò dopo qualche attimo di silenzio.

La moglie aprì nuovamente la porta, sbuffando. "Dimmi."

Henry imbastì la sua miglior smorfia sofferente. "Non mi sento molto bene" si lamentò. "Credo sia meglio se vada a sdraiarmi."

Teddy non si faceva ingannare facilmente, ma quando il marito si lamentava era capace di credere a qualsiasi cosa, così annuì. "Certo, va' pure, io arrivo subito" disse infatti, nascondendo un certo nervosismo.

"Non credo verrai" ribatté a quel punto Henry. "Sai, c'è Felix accanto a me. Peccato doverlo abbandonare, probabilmente è la mia unica occasione di avere un animale."

Avrebbe continuato con la questione del moribondo per almeno altri dieci minuti se solo Teddy non l'avesse stoppato con un'occhiataccia e un verso sdegnato. "Felix?"

Henry annuì vigorosamente. "Sì, Felix. Come Felix Hernandez, il Laciatore dei Seattle Mariners" le spiegò. "Ho pensato che potremmo comprargli un collare con i colori della squadra, e magari anche la ciotola."

In piedi sullo stipite della porta, in reggiseno e pantaloni rosa, Teddy sembrava così poco minacciosa che nemmeno il suo miglior repertorio di espressioni feroci riuscì a fermare Henry e dissuaderlo dal raccontarle l'intera stagione di baseball o i motivi per cui era certo che il loro cane dovesse chiamarsi come un lanciatore. Fu solo quando ebbe finito di parlare e si fu fermato per riprendere fiato che Teddy riuscì a proferir parola.

"Se proprio dovessimo tenerlo, cosa che per inciso non accadrà, allora deciderei io il nome" stabilì, perentoria. Henry sembrò sorridere.

"Okay, come vuoi chiamarlo?" chiese, curioso. La moglie ci pensò per qualche secondo.

"Clamp" decise alla fine.

"Clamp?" ripeté Henry. "Come...?"

"Come quello strumento chirurgico senza il quale probabilmente tu non saresti qui a costringermi a ospitare un cane" gli spiegò Teddy.

Henry soppesò l'idea. Era chiaro che il pensiero di avere una bestiolina che gli ricordava costantemente l'ospedale non lo allettava particolarmente e che, tuttavia, se accettando di chiamare così il cucciolo l'avesse spuntata allora l'avrebbe fatto.

"Clamp" ripeté. Teddy annuì. "Però non lo diresti con la stessa voce che usi in sala, vero?" si assicurò il marito. 

La donna rise. "Che voce uso in sala?" chiese, a metà tra il curioso e l'offeso.

"Una voce fredda" rispose lui. "Una voce da grande chirurgo che voi umani non potete nemmeno comprendere" aggiunse, imitando il tono freddo e autoritario della moglie. Lei alzò gli occhi al cielo.

"Non userò quella voce, d'accordo" acconsentì. "Ora posso andare in bagno, per favore?"

Henry annuì. "Vado a vedere come sta Clamp!" esclamò, allegro come un bambino.

Due settimane e molti disastri dopo, Clamp fu affidato a una giovane coppia di vicini.



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Capitolo 5
*** #5 - Quando litigano, a volte Teddy parla senza pensare... ***


Ten things I know about you

#5- Quando litigano, a volte Teddy parla senza pensare...

Introspettivo | What if? | 1212 words




"Andiamo! Mi hai sposato, Teddy! Mi hai dato la possibilità di avere una vita vera!"

"Lo so, Henry, credimi. Me ne sto pentendo amaramente."

Qualcosa si mosse, in fondo agli occhi dell'uomo. In piedi accanto al tavolo, impegnato nel secondo litigio sull'argomento scuola di medicina, sembrò irrigidirsi per un momento prima che tutto di lui crollasse: lo sguardo gli si abbassò sul pavimento, le braccia smisero di muoversi e le mani di gesticolare. Fu come assistere alla più grande delusione della sua vita. Avrebbe voluto ribattere, ma tutto ciò che riuscì a fare fu aprire e chiudere bocca un paio di volte per poi voltarsi e marciare a passo pesante verso il corridoio.

Teddy per tutto il tempo era rimasta immobile, terrorizzata. In quel momento, però, si mosse freneticamente per raggiungerlo.

"Andiamo, Henry!" gli gridò dietro. "Sai che non intendevo questo."

Henry non si voltò neppure per risponderle. "Oh, certo. Non intendevi questo" ripeté solo, continuando a camminare verso la camera da letto.

Teddy si fermò, indecisa sul da farsi. Lo guardò sbattere la porta della stanza e sparirci dentro, tanto furioso quando dispiaciuto. Immobile, lo sguardo ancora fisso sull'uscio serrato, la donna si chiese perché avesse usato quelle parole, quel tono, quella scusa: c'erano mille modi per litigare. Tutte le coppie litigano, pensò. Eppure, si disse mentre muoveva qualche passo incerto verso suo marito, nessuno rinfaccia all'altro di avergli salvato la vita.

Di fronte alla porta, si fermò di nuovo. "Henry" chiamò, la voce acuta. Non ricevendo risposta, la socchiuse e vi guardò dentro: l'uomo era seduto sul bordo del letto, lo sguardo puntato fuori dalla finestra. Era di spalle, perciò non poteva vedergli la faccia, ma sentiva il respiro forzatamente tranquillo e riusciva a notare i muscoli irrigiditi.

"Teddy, per favore" cominciò, ma lei lo interruppe.

"Ho detto una cosa orribile" si scusò. "Una cosa- ascoltami, Henry. Io non rimpiango di averti sposato, capito? Sposarti è stata una delle cose migliori che abbia mai fatto e lo sarebbe stata comunque, anche senza matrimonio di convenienza" disse. Per la prima volta, si rese conto che lo pensava davvero. Che probabilmente, seppure gli eventi avessero condotto ad altro, seppure Henry avesse avuto una sua assicurazione, lei l'avrebbe comunque scelto. "Io ti amo, okay? E il fatto che all'inizio è partito tutto dal salvarti la vita, beh, questo non cambia nulla. Non più."

Henry lasciò che parlasse senza interromperla. Attese la fine del suo discorso in silenzio, lo sguardo sempre fisso sul paesaggio al di fuori della finestra, e solo quando la donna si fermò lui le rispose.

"Tu non capisci" disse. 

Teddy sospirò. "Cosa non capisco?"

"Tu credi che sia facile, per me. Che sia stato facile accettare una cosa del genere" spiegò. "Ma ti sbagli. Non è che un giorno una sconosciuta ti si avvicina e ti propone di accettare la sua assicurazione così. E non è che tu accetti senza sentirti in debito per sempre" aggiunse. 

"Tu non devi sentirti-" lo interruppe Teddy, ma lui la fermò.

"Poi abbiamo fatto amicizia. E poi è venuto il resto" le raccontò. "Ed è stato allora che ho pensato che forse non dovevo sentirmi perennemente in debito con te, perché ormai avevo la mia assicurazione e tu mi amavi."

Lei annuì, anche se lui non poteva vederla. 

"Ma se tu, Teddy" riprese. "Se tu vieni a dirmi una cosa del genere..." Si interruppe per un momento, incerto sulle parole da usare. "Tu credi che io ti sia debitore. Ed è vero, d'accordo? E' verissimo e io non smetterò un giorno di pensarlo. Ma non posso sprecare la mia vita per sentirmi solo il tipo che ti ha rubato dei soldi. Voglio fare in modo che tutto questo abbia un senso, che il fatto che io sia vivo non significhi solo più operazioni e qualche compleanno ancora da festeggiare."

Si fermò di nuovo e, questa volta, non riprese a parlare. Teddy era stata zitta per tutto il tempo. In quel momento si fece avanti fino a raggiungerlo e, sempre senza proferir parola, gli si sedette accanto. Lui continuava a non guardarla e sembrava ancora più teso di prima, come se la sola presenza della donna lo innervosisse. Così lei si decise a parlare.

"Ma tu non sei inutile" sussurrò. "Tu sei una persona intelligente, brillante, simpatica" elencò. "E sei mio marito."

Henry sospirò. "Continui a non capire" sbottò, alzandosi. Fece il giro della stanza a passo pesante e si fermò accanto alla porta. "Io adoro essere tuo marito e so di essere intelligente, okay? E' solo che vorrei anche essere una persona normale!"

Fu il turno di Teddy di controbattere. "Le persone normali non cominciano medicina a trentacinque anni, Henry" gli disse, il tono alterato.

"Le persone normali non sono costrette a passare i loro vent'anni in ospedale, sai? E se vogliono fare medicina a diciannove anni, nessuno dice loro che è troppo impegnativo per la loro salute" aggiunse, glaciale. "Sai che per giocare a baseball ho quasi litigato a morte con mio padre? Non voglio passare anche questi anni a precludermi cose solo perché qualcuno ritiene che sia giusto così" terminò, uscendo di nuovo. Teddy lo sentì percorrere il corridoio.

"Nessuno ti sta impedendo di fare quello che vuoi!" gli gridò dietro, senza alzarsi. "Voglio solo discuterne!" aggiunse, rimettendosi in piedi. Henry non le rispose, così si concesse un momento per sé, gli occhi chiusi, la mente impegnata a riflettere. Cosa avrebbe fatto al posto di suo marito? Come avrebbe reagito se lui le avesse detto - nemmeno chiesto, detto - che il fatto che lei fosse un chirurgo lo annoiasse perché le portava via troppo tempo? Di certo sarebbe stata una reazione pessima e, si ritrovò a pensare, avrebbe avuto ragione. Ma lei faceva quel mestiere da un decennio, mentre Henry, beh, lui avrebbe potuto scegliere qualunque cosa. Non c'era ragione di imbarcarsi in un percorso tanto complesso. Anche se era il primo vero progetto di cui avesse mai parlato. Si era sempre detta che fosse una conseguenza dell'avere una malattia del genere: non pensava a un futuro lotano per non pensare che probabilmente non ci sarebbe stato, in quel futuro. Eppure, in quel momento, si disse che forse l'unica ragione per cui non aveva mai mostrato interesse per qualcosa era che nulla lo prendeva davvero. 

Si stava comportando da egoista, quindi? Stava impedendo a Henry di realizzare qualcosa di bello? Chi era lei per decidere della sua vita? 

Se voleva studiare medicina, frequentare le lezioni e fare esami, allora doveva poterlo fare. E doveva avere il suo appoggio.

Quando entrò in cucina, Henry era seduto con la testa appoggiata ai palmi delle mani.

"Teddy" borbottò. Fece per aggiungere qualcosa, ma poi stette zitto. 

La moglie avanzò fino a raggiungerlo alle spalle, quindi si chinò. Poggiò il mento sulla sua spalla. "I corsi di medicina sono impegnativi" disse, pacata.

Lui aprì bocca per controbattere, ma lei lo interruppe. "E tu hai un lavoro che ti occupa quattro ore al giorno. Dovrai studiare di sera, e io non potrò aiutarti sempre. Ti scriverò gli appunti, quando avrò tempo, ma per il resto dovrai cavartela da solo, capito?"

Henry si voltò a guardarla. "Stai dicendo che non chiederai il divorzio solo perché tuo marito ha deciso di tornare ventenne?" domandò.

"Sto dicendo che ho valutato le cose e ho capito che vederti ripetere a memoria le basi azotate sarebbe più divertente di un lungo processo in tribunale per istigazione al suicidio" lo corresse lei con un sorriso. "E poi pensa se diventassi specializzando al Seattle Grace! Potrei usarti da schiavetto. Perfino Cristina Yang potrebbe! Sarebbe divertente, non credi?"

Il giorno dopo andarono insieme ad acquistare i libri.

 

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Capitolo 6
*** #6 - ...mentre Henry straparla se è sotto morfina ***


Ten things I know about you

#6- ... mentre Henry straparla se è sotto morfina

Missing Moments | Slice of Life | 704 words




Henry non conosceva bene Owen Hunt. Non quanto avrebbe voluto, comunque, considerando quanto fosse schivo e silenzioso il migliore amico di Teddy. Eppure era sempre stato sicuro che un giorno sarebbero diventati ottimi amici - non immaginava, però, il modo in cui quel rapporto sarebbe nato.

"Il dottor Warren non ha ritenuto opportuna un'altra anestesia generale, così abbiamo optato per una locale."

La voce di Owen era tranquilla, eppure rimbombava nel silenzio ovattato della stanza. L'uomo se ne stava in piedi, le braccia incrociate e lo sguardo fisso in un punto appena oltre la spalla della sua migliore amica. Era guardingo, come se si aspettasse una reazione avversa e, in effetti, questa non tardò ad arrivare.

"Anestesia locale?" ripeté Teddy, la voce acuta. 

Owen annuì di nuovo. Dal letto su cui era sdraiato, Henry poteva quasi scorgere la stilla di sudore che gli colava dietro la schiena mentre, preso dal panico, cercava una risposta che non infrangesse del tutto la calma precaria già incrinata sul volto dell'amica. Il suo balbettio sulla procedura eseguita, tuttavia, fallì miseramente il tentativo nel momento in cui le sopracciglia di Teddy presero a salire.

Henry aveva sempre trovato comico il modo in cui sua moglie fosse capace di esternare i suoi sentimenti in quel modo. Ed era brava, probabilmente perché trascorreva metà della sua giornata con una mascherina che gli copriva naso e bocca e aveva dovuto trovare un modo alternativo di comunicare. 

Ad ogni modo, quell'alzata di sopracciglia era decisamente una di quelle arrabbiate, tanto che Henry decise di intervenire a favore del medico.

"Non ho sentito niente" lo difese, parlando a voce un po' troppo alta. I due litiganti si immobilizzarono, come ricordandosi solo allora della sua presenza e Teddy, con la sua straordinaria abilità nel cambiare espressione all'improvviso, lo guardò con tranquillità.

"Certo, tesoro" gli sussurrò, sempre sorridendo. "Eri anestetizzato" spiegò. "Tuttavia, come il dottor Hunt ben sa, ci sono rischi molto più levati nel compiere determinate procedure con un paziente sveglio."

Era tornata a parlare con l'amico, nonostante continuasse a guardare il marito. Hunt se ne stava alle spalle di lei, ciondoloni, in attesa della fine della predica. Sembrava uno specializzando beccato a dormire invece che al suo posto al pronto soccorso. Henry provava quasi pietà per lui. Così intervenne di nuovo.

"Sto bene!" esclamò. "Sto molto, molto bene. Guarda!"

Lo sguardo della moglie sembrava gridare che era solo per la morfina che stava bene. Molta morfina, a giudicare dal fatto che non provava neppure un leggero fastidio là dove avrebbe dovuto sentire un dolore acuto. Tanta morfina al punto da fargli credere che seppure Teddy, presa da una furia omicida, avesse deciso di procedere con una toracotomia proprio lì, senza nemmeno l'anestesia locale, lui avrebbe potuto sopportarla senza battere ciglio.

"Sei sotto sedativi, Henry" rispose comunque la donna, ignara di quanto il suo sguardo dicesse già tutto. "Non sei lucido, e comunque la morfina ti impedisce di provare dolore."

Owen alzò gli occhi al cielo. "La morfina e il dolore sono costanti di tutti gli interventi" osservò, avanzando. "E Henry sta bene" aggiunse.

Henry annuì con vigore. "Andiamo, Teddy, è stato divertente!" esclamò, gesticolando animatamente."E Owen è bravissimo, quando ha un paziente sveglio. Mi ha parlato tutto il tempo mentre fermava l'emorragia, sai, mi ha raccontato un sacco di cose su di te!"

Dietro la donna, Owen sgranò gli occhi e scosse vigorosamente il capo, ma ormai il danno era fatto: Teddy stava avanzando verso un Henry praticamente strafatto e, con il suo solito sorriso finto, annuiva.

"Davvero?" chiese, fingendo entusiasmo. "Tipo cosa?"

"Tipo che una volta sei caduta nel fango durante un'esercitazione e il vostro capo ti ha costretto a startene tutta sporca per tutto il giorno" cantò Henry
placidamente. "E un'altra volta hai perso a una gara di-" solo poco prima della fine della frase si rese conto che probabilmente non avrebbe dovuto dire nulla, così ammutolì all'improvviso.

"Una gara di?" lo incitò Teddy, ma lui scosse il capo.

"Non avrei dovuto dirti niente" sussurrò, indeciso su chi tra i due sarebbe stato peggio contraddire. "E poi sono sotto morfina, non sono affidabile" aggiunse. "E comunque lo sai, quando sono sotto morfina straparlo- hai notato quante volte ho detto 'sotto morfina'? Ecco, l'ho detto di nuovo!"

Fu tutto vano. Dieci minuti dopo, Teddy e Owen si allontanavano dalla stanza litigando.


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Capitolo 7
*** #7 - Quando ha la febbre, Teddy tende a innervosirsi facilmente ***


Ten things I know about you

#7- Quando ha la febbre, Teddy tende a innervosirsi facilmente

Fluff| Slice of Life | 1136 words




Teddy Altman si considerava un'esperta della medicina. Tra specializzazione, servizio militare e ospedali, poteva vantarsi (seppur a malincuore) di essere entrata a contatto con una serie quantomeno vasta di problemi di ogni tipo. Principalmente cardiaci, certo, ma non di meno era in grado di identificare quasi ogni genere di disturbo e di prestare le dovute cure a chi lo accusava. Proprio per quello, per la sua straordinaria abilità nel distinguere una banale influenza da un caso grave di polmonite, quella mattina aveva scelto di andare al lavoro nonostante qualche linea di febbre.

Non aveva considerato tuttavia la sua inesperienza in un campo ben diverso dalla medicina, sebbene altrettanto importante. E la sua palese incompetenza nel gestire relazioni amorose con persone diverse dai medici la portò a un errore che pagò  quella sera stessa, di ritorno dal lavoro.

Erano quasi le otto. La dottoressa aveva finito prima e, nonostante si sentisse abbastanza bene da offrirsi di dare un'occhiata ai pazienti del postoperatorio, Owen Hunt aveva insistito nel mandarla a casa e piazzare uno Specializzando al suo posto. Così, di buon ora, aveva tirato fuori le chiavi dalla borsa e aveva aperto la porta, pronta a godersi una serata di relax a letto con un bel libro. La scena che le si era parata davanti, tuttavia, era stata ben diversa da quella che si era figurata.

Per prima cosa, le luci del soggiorno erano accese. Era strano, considerando che Henry tendeva a starsene in cucina quando era solo in casa, ma la mente di Teddy non avrebbe neppure notato quel particolare se non fosse stato solo un contorno a ciò che davvero le risultò preoccupante: Henry.

"Come ti senti?"

Henry non le era mai sembrato una persona ansiosa. Era esuberante, allegro, disgustosamente ottimista anche al risveglio da un intervento che gli aveva tolto un rene e parte del pancreas, e forse un po' chiassoso. Quando era di cattivo umore tendeva a rabbuiarsi e starsene in silenzio per qualche ora mentre, se era preoccupato, poteva trascorrere anche una giornata intera a fare domande che calmassero la sua ansia. Ma mai l'aveva visto con quell'espressione.

Per prima cosa, era pallido. Non pallido come quando si sentiva male, piuttosto sembrava reduce da uno spavento. Se ne stava immobile al centro della stanza, in piedi, le mani infilate nelle tasche della felpa e gli occhi che si spostavano da Teddy al pavimento come se temesse che la donna svenisse da un momento all'altro. E poi c'era stata quella domanda detta con un tono a metà tra l'acuto e il finto allegro.

Teddy inarcò un sopracciglio, camminando lentamente verso l'uomo. "Sto bene" rispose, pacata. "Ho finito presto, oggi" aggiunse, tanto per cambiare argomento. Henry annuì.

"Hai la febbre" disse usando il tono che Teddy riservava alle brutte notizie. Non sarebbe stato un buon medico. 

"Trentasette gradi e otto, per la precisione" confermò Teddy. "Ma mi sento bene" continuò, tranquilla. Se il problema era la sua influenza, non aveva senso continuare a parlarne. "Tu come ti senti?" aggiunse, sorridendo.

Henry alzò le spalle, liquidando la domanda con un cenno del capo. Quando Teddy fece per dirigersi in camera da letto, però, scattò e le andò dietro a velocità preoccupante. 

"Ho pensato che potresti metterti a letto" le disse, seguendola fino all'armadio.

"Davvero?" rispose Teddy, lo sguardo che vagava all'interno del mobile alla ricerca di qualcosa di comodo. "Senza cena?"

"Ho pensato che potrei portartela io" continuò lui, la schiena appoggiata all'anta. Aveva recuperato una certa parlantina, ma sembrava nervoso. 

"Gentile da parte tua" esclamò Teddy, sorridendo. Scelse una felpa ormai scolorita e si sfilò velocemente il maglione. "Ma sto bene, davvero."

Henry non parve felice. Imbastì una smorfia contrariata e respirò profondamente, poi ricominciò a parlare. "Sì, lo so, ma hai la febbre. Potrebbe essere qualunque cosa, giusto? Anche io certe volte ho la febbre, e non è mai niente di buono" le spiegò velocemente, seguendola in corridoio.

Erano arrivati al bagno quando Teddy si voltò, sospirando.

"Henry, tu hai una malattia genetica che permette al tuo corpo di produrre tumori" spiegò, paziente. "Il che vuol dire che la febbre, in soggetti come te, ha almeno il trenta per cento di possibilità di essere sintomo di qualcosa di grave."

Henry si irrigidì. "Lo so" rispose solo. 

Teddy annuì, incoraggiante. Sapeva che non gli piaceva parlare della sua malattia e non poteva biasimarlo, ma proseguì. "La febbre può indicare un'infezione, una massa, un problema di genere ancora diverso. Ma nel mio caso, posso assicurarti che è solo influenza" concluse, seria. 

Fece per entrare in bagno, ma l'uomo non accennava a muoversi, così sorrise. "Hai intenzione di seguirmi anche qui dentro?" domandò, sforzandosi di suonare allegra. Se c'era una cosa che la febbre le portava era il cattivo umore, e non voleva sfogarsi su Henry. Dopotutto, era solo preoccupato per lei.

"No, ti aspetto in cucina" rispose lui, serio. 

Teddy scelse di fare un bagno. Generalmente optava per una doccia veloce, ma quella sera aveva bisogno di un po' di pace. E poi non voleva litigare con Henry e quella sera c'erano tutti i presupposti per farlo, quindi sperò che starsene tranquilla nell'acqua la aiutasse a sbollire un po' di nervosismo prima di affrontarlo. 

Quando uscì dal bagno, in effetti, si sentiva quasi calma. Scalza, percorrendo il corridoio, respirò profondamente prima di parlare.

"Henry" chiamò, dirigendosi in cucina. Sentiva freddo e aveva solo voglia di rintanarsi sotto le coperte, ma chiarire con lui le premeva più di terminare il romanzo iniziato quasi quattro anni prima e mai terminato per mancanza di tempo. "Scusa per prima, sono stata-"

Era arrivata in cucina. Si aspettava di trovare l'uomo seduto a tavola, magari con quell'aria cupa che non sapeva mai come far andar via, invece lui sorrideva. Ma non fu quello a sorprendere Teddy. Sul tavolo, davanti a lei, c'era una specie di torta. Non una torta vera, di pasticceria, piuttosto una di quelle che si cuociono con il preparato comprato al supermarket e l'agggiunta di due uova e un bicchiere di latte.

"Avevo fatto questa" le disse Henry, avvicinandosi a lei. "Sai, so di essere servante e logorroico. E so che hai solo l'influenza, ma non volevo che ti arrabbiassi. Volevo solo" si fermò un istante, come a cercare le parole. "Prendermi cura di te. Come fai tu con me. Lo fai spesso, considerando che ho una malattia genetica che permette al mio corpo di creare tumori, come tu mi hai gentilmente ricordato" rise appena. "Io non posso prendermi cura di te, in genere. Ma adesso sì. Quindi ti siedi qui e mangi questa splendida torta."

Teddy Altman poteva considerarsi un'esperta in medicina. Nella sua carriera aveva incontrato ogni tipo di paziente e ogni tipo di malattia, eppure c'erano cose di cui era totalmente all'oscuro. Cose che nessun medico, per quanto bravo, avrebbe potuto insegnarle. Una di quelle era quanto facesse bene stare con qualcuno quando ci si sente male. Quella sera, fu Henry Burton a insegnarglielo.



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Capitolo 8
*** #8 - Il giovedì sera è la loro Serata Telefilm ***


Ten things I know about you

#8 - Il giovedì sera è la loro Serata Telefilm
Fluff | Slice of Life | 689 words




Quando Teddy tornò a casa, quella sera, l'odore dei popcorn era forte al punto da raggiungerla già per le scale. Sorridendo, pregustandosi la serata telefilm che Henry aveva stabilito improrogabilmente per il giovedì, frugò nella borsa alla ricerca delle chiavi e aprì la porta con un allegro "buonasera!" che raggiunse il marito, in cucina.

"Ehi, ciao!" ricambiò lui. "Hai fatto presto!"

Era impegnato a salare i popcorn. Teddy gli si avvicinò di spalle e gli cinse la vita con le braccia, la testa appoggiata alla sua schiena.

"E' una dimostrazione d'affetto o mi stai controllando il respiro?" scherzò lui, troppo concentrato per voltarsi. La donna rise.

"Entrambi" confessò. "E basta con il sale" aggiunse, togliendo delicatamente la saliera dalle mani del marito. "Fa male, sai?"

Henry rise. "Non credo che sarà il sale a farmi male" osservò, mescolando i popcorn in una ciotola. "Semmai, farà male a te. Ho sentito che è uno dei fattori che causa la cellulite, o sbaglio?"

Teddy emise un verso stridulo, a metà tra l'offeso e il sorpreso, ma non commentò. Invece, tolse delicatamente anche la zuppiera dalle mani dell'uomo e la poggiò sul tavolo, voltandosi a baciarlo.

"Pronto a scoprire come finisce tra Joel e Kriss?" gli domandò sussurrando. Lui annuì. "Vado a lavarmi le mani e sono pronta."

Henry era troppo spaventato per confessarglielo. Così, in silenzio, osservò Teddy saltellare - letteralmente - fino al bagno e sparirci dentro per poi uscirne con addosso una delle sue felpe e i capelli sciolti. Lui la aspettava sul divano, rubado di tanto in tanto un popcorn dalla zuppiera e sgranocchiandolo con il minor rumore possibile per evitare che lei se ne accorgesse. 

"Smettila di mangiare" lo apostrofò comunque Teddy, prima ancora di metter piede in soggiorno. Lui imbastì l'aria offesa.

"Non sto mangiando" mentì, ingoiando in un colpo un'intera manciata di mais. Teddy prese posto accanto a lui, le gambe piegate e il mento sulle ginocchia. 

"Okay, possiamo cominciare" sentenziò, prendendo il telecomando. Il logo della casa di produzione riempì lo schermo. "Non sei curioso?" domandò lei, entusiasta.

Henry avrebbe voluto esserlo. Avrebbe davvero, davvero voluto sentirsi minimamente eccitato quanto la moglie. Ma il punto era che Teddy Altman probabilmente non accendeva un computer da giorni e comunque, nei casi in cui lo aveva fatto, sicuramente erano state ragioni di lavoro a spingerla a collegarsi a internet. Non aveva alcuna idea di cose come lo streaming, insomma. Henry invece spediva pacchi. Smontava dal lavoro alle due in punto, tornava a casa e tutto quello che aveva da fare era riordinare il caos che avevano lasciato quel mattino ed eventualmente organizzarsi per uscire con i pochi colleghi che gli rivolgevano la parola al di fuori dall'orario di lavoro.

Così spesso il pomeriggio lo trascorreva al computer e, di mercoledì, era molto difficile non cedere alla tentazione. E di fatti il giorno precedente aveva ceduto.

"Henry."

E Teddy sembrava averlo capito.

"Sì?"

Aveva poggiato i piedi per terra, pronta a scattare in piedi. Lo fissava. Aveva dei popcorn in pugno e sembrava più propensa a tirarglieli addosso che a mangiarli. E poi c'era la questione delle sopracciglia e dell'altezza che avevano raggiunto.

"Hai visto già questo episodio?" domandò solo, il tono neutrale.

Henry scosse piano la testa. "No" mormorò velocemente.

"Sicuro? Perché sai, sono abbastanza brava a capire se una persona mente" insinuò la moglie, avvicinandosi pericolosamente. "Ho i miei modi per estorcere la verità."

Henry annuì, mettendo in pausa la puntata. "Tipo?" domandò, sfidandola.
Lei gli tirò la manciata di popcorn addosso.

"Non funziona!" la canzonò lui, raccogliendoli e mettendoseli in bocca. "E potrei perfino dirti chi è il colpevole della morte di Angel, potrei-" ma non riuscì a terminare la frase che un cuscino gli soffocò le parole, costringendolo a sdraiarsi. "Okay" cercò di balbettare, alzando le mani in segno di resa. 

"Giuri di non dire nulla?" lo minacciò Teddy, continuando a premere. Lui annuì. "Okay, allora" acconsentì la donna, liberandolo. Henry riemerse tossendo.

"Potevi uccidermi" si lamentò, riprendendo fiato. Aveva i capelli spiegazzati, il volto arrossato dove il cuscino gli aveva schiacciato la guancia. Teddy sorrise.

"L'unica cosa a rischiare di ucciderti, qui, è il sale che hai messo qui dentro" rispose indicando il fondo della ciotola. 

Henry non riuscì ad anticiparle nulla nemmeno quella sera.

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Capitolo 9
*** #9 - A entrambi piacerebbe avere dei figli ***


Ten things I know about you

#9 - A entrambi piacerebbe avere dei figli

Fluff | Introspettivo | 760 words




Voleva solo distrarsi. Era stata una giornata no per entrambi, così arrivata a casa Teddy aveva solo voglia di sentire la risata del marito che la aspettava sul divano e di controbattere alle sue battutine idiote. Invece, per qualche strana associazione di idee, si erano ritrovato immersi in un silenzio gelido.

Henry aveva lo sguardo basso, fisso sul tappeto, pensieroso. L'aveva spostato quando la conversazione aveva cominciato a degenerare e non era più riuscito ad alzarlo, come se il pensiero di guardarla negli occhi lo mettesse a disagio. Teddy, d'altra parte, sentiva il cuore batterle forte e aveva l'impressione che qualcosa si fosse rotto. 

"Henry" mormorò dopo un po'. Allungò la mano fino a toccare la sua, ma lui la ritrasse.

"Non lo vorresti" disse solo. 

Teddy sospirò, provando di nuovo a stringergli la mano. Il marito aveva i muscoli irrigiditi dalla tensione, ma questa volta accettò che le dita di lei vi si chiudessero attorno. Erano calde e lisce.

"Chi ti ha detto che non lo vorrei?" domandò la donna per la terza volta. 

Henry sospirò con forzata calma.

"Lo so e basta" rispose. 

Non era la prima volta che litigavano. L'avevano già fatto per la scuola di medicina, due volte, e poi c'era stata la questione del cucciolo di cane e i turni al lavoro e un mucchio di altre stupidaggini in cui, a turno, avevano avuto ragione e torto senza che la loro vita cambiasse per quello. Questa volta era diverso, però.

"Non puoi saperlo."

Erano entrambi sul punto di rottura. Come sul ciglio di un burrone, un solo passo falso li avrebbe fatti precipitare entrambi. Così si muovevano cauti, attenti. 

Solo che Henry sapeva di aver ragione. Lo sapeva dall'inizio, da quando avevano cominciato quella stupida convrsaione sui nomi e poi erano passati ai figli e il primo pensiero che gli era venuto in mente era stato che Teddy non era così stupida, non avrebbe voluto figli da lui - figli con il cinquanta percento di possibilità di essere malati. E lui era assolutamente d'accordo. Per quanto l'idea di avere dei bambini, un giorno, gli fosse sempre piaciuta; per quanto sarebbe stato fantastico portare suo figlio alle partite di baseball della loro squadra preferita, e poi andare alle sue, di partite, e magari essere il coach della loro squadra; per quanto il solo pensiero che un giorno avrebbe dovuto fare un discorsetto da padre al primo ragazzo di sua figlia lo divertisse. Per quanto avere una famiglia gli avesse sempre fatto gola, era sempre stato consapevole che non avrebbe mai potuto averne una sua.

"Non sei abbastanza forte."

E adesso aveva fatto quel passo. Aveva lasciato che Teddy cadesse nel precipizio, glielo leggeva negli occhi.

"Chi te l'ha detto?" Rimangialo subito.

"Tu non hai visto i miei genitori. Non li hai mai visti, quando dovevano aspettarmi dopo un intervento." Sto cercando di proteggerti. 

"Ho visto te." Passo metà della mia vita ad aspettare che tu esca dalle sale operatorie.

"Non è la stessa cosa. Non è come stare male. E' veder stare male una persona che ami e che dovresti proteggere." Non sarei abbastanza forte nemmeno io. 

"Io ti amo."

"Anche io." Finiamola qui, per favore.

"Sarebbe bello, avere dei figli."

Henry si alzò di scatto. Si voltò verso Teddy, per la prima volta, e la guardò negli occhi. Sembrava allucinato, sembrava arrabbiato, ma in definitiva sapevano entrambi che era solo tanto deluso dal fatto che sua moglie, che tra l'altro era un medico, non riuscisse ad accettare la situazione. Il che in un certo senso era come non accettare lui.

"Sarebbe bello" ripeté lei. Era come un disco rotto.

Henry scosse la testa. "Sarebbe bellissimo" confermò. "Davvero, io amerei avere dei figli. Con te" aggiunse, precipitoso. "E' solo che non possiamo. Non ti piacerebbe, Teddy" spiegò con calma. Era tornato a sedersi e le stringevaa forte le mani. "Riesci a malapena a sopportare il fatto che io passi un terzo della mia vita in ospedale, pensa come sarebbe con i tuoi figli. E pensa a loro. Che vita farebbero?"

Teddy annuì piano. "Ma non è sicuro che loro avrebbero la tua-" si interruppe.

"No" confermò Henry. "Ma potrebbero. Ed è una possibilità alta, o sbaglio?"

La donna si asciugò stizzita una lacrima che premeva per uscirle. La odiava, odiava quella malattia che minacciava di portarle via il marito e che le aveva già portato via la possiilità di avere una famiglia. Ma più di tutto odiava litigare  con Henry, che invece era lì vivo e avrebbe dovuto godersi il tempo in cui era a casa al posto che all'ospedale. Così poggiò la testa contro la spalla del marito.

"Fa schifo" disse solo, chiudendo gli occhi. Lui la strinse.

"Lo so."



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Capitolo 10
*** #10 - Quando si è ritrovata sola, Teddy non è rientrata a casa per tre giorni ***


Ten things I know about you

#10 - Quando si è ritrovata sola,Teddy non è rientrata a casa per tre giorni

Angst | Missing Moments | 410 words
 



Questo capitolo è dedicato a FloxWeasley,
che per tutto il tempo mi ha accompagnato con le sue bellissime recensioni.


Le luci sono spente, quando entri. Il bagliore arancione dei lampioni trapela a stento attraverso le tapparelle chiuse, gioca con luci e ombre grottesche sul pavimento scuro. Avanzi, in silenzio. Posi le chiavi sul mobile all'ingresso e ti guardi intorno: sa tutto di solitudine, di abbandono, nonostante tu sia stata via solo due giorni.

{"Sei tornata, finalmente! Avevo preparato la cena due ore fa!"}

La cucina è vuota. Il fornello è lavato, lucido, i piatti sono puliti dentro la lavastoviglie aperta. Su una delle sedie c'è una giacca verde abbandonata a se stessa, poggiata lì in attesa di essere messa in ordine.

{"Hai fame, Teddy?"}

Il divano è leggermente ammaccato al centro, come se qualcuno ci avesse passato su molto tempo, ultimamente. Ci sono due cuscini ammassati da un lato, il terzo è per terra. Ti chini a raccoglierlo, lo rimetti al suo posto. Ecco, ora è davvero tutto in ordine: il soggiorno sembra nuovo, perfetto, spettrale nella luce scura della notte.

Ti fermi per un secondo, in piedi al centro della stanza. 

{"Vieni a letto, tesoro?"}

Ti fermi, le mani che ti corrono tra i capelli, spazzolandoli via dalla fronte. Le gambe dritte, immobili, di piombo. Ti fermi, ad occhi chiusi.

{"Allora, come è andata la giornata?"}

Ti dici che c'è qualcosa che non va. Da chirurgo, sei abituata a notare ogni piccolo particolare. E sei certa che qualcosa non sia dove dovrebbe - un dettaglio, forse, qualcosa di tanto futile da passare inosservato a chiunque tranne che a te.

Così continui a guardarti intorno, immobile, mentre il nero cede il passo al grigio e la notte diventa alba. E tu sei sempre lì, ferma, le mani tra i capelli e gli occhi chiusi. E cerchi di capire dove sia il problema - perché c'è un problema, dev'esserci - e ti domandi se non sia tu, a essere diversa.

E poi, proprio mentre il primo camion sfreccia rumorosamente già dalla tua finestra, ti rendi conto che effettivamente qualcosa c'era: il silenzio. Era lui a dare quell'alone alla casa, quella sensazione di ordine e tristezza, di chiuso, di abbandonato. Il silenzio reclama a gran voce il posto che una volta era stato suo.

{"Perché non parli mai, Teddy?"
"Perché tu parli per entrambi. Soprattutto sotto morfina."}

Il silenzio si è fatto spazio prepotentemente tra i piatti pronti per essere riordinati e il suo cuscino preferito. Il silenzio ha portato via tutto ciò che rendeva quell'appartamento vostro. Silenzio sarà tutto ciò che troverai tornando a casa. 


 

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