Speakeasy

di Mikirise
(/viewuser.php?uid=384674)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Lo spettacolo delle undici ***
Capitolo 3: *** Capitolo Due: Il viaggio della scarpa (Atto I) ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


 



A volte le storie tornano… (chiedo scusa a chi già la seguiva e se l'è vista strappare via. Mi farò perdonare. Giuro.)


 
 

Prologue

 
 

Forse il tutto era dovuto al troppo Uomini e Donne, o alle telenovelas in tv, che il papà non voleva che lei vedesse, perché troppo da adulti.
Forse era colpa del fatto che aveva studiato a casa e che ogni persona che incontrava pensava fosse così affascinante, diversa da lei, da sentirsi innamorata.

Forse era dovuto al fatto che lei, di grandi amori, non ne aveva mai avuti poi così tanti. Anzi, era forse da considerare una novellina nelle relazioni amorose e dei ragazzi.

Forse era per questo che Calypso era finita per essere la ragazza di Frank Zhang. Che poi, lui era un ragazzo diverso per davvero, da tutti quelli che aveva incontrato.

Sempre dolce. Sempre gentile. Sempre disponibile. Sempre leggermente imbarazzato. Sempre adorabile.

Vederlo la faceva sorridere. Parlargli la faceva sorridere. Accarezzargli le guance con quella che le sembrava essere una mano troppo piccola la faceva sorridere.

E forse con Frank Zhang Calypso poteva essere felice.

Probabilmente lo sarebbe stata. Se non avesse letto tutti quegli stupidi romanzi d'amore. Se non avesse pianto in tutti i film romantici. Se non avesse maturato quelle considerazioni secondo le quali l'amore è una scintilla.

L'amore è una scintilla che ti accende nel bel mezzo della notte. Un aprire gli occhi improvviso che ti fa sentire sensazioni forti, vere, coinvolgenti e strazianti. L'amore era, nella sua testa, non la pacifica convivenza che aveva con Frank, sempre uguale a se stessa, senza ritmo, senza pepe. L'amore e l'Innamorarsi dovevano essere uno scoppio. E con Frank non c'era stato nessun bum!, solo un aww.

E probabilmente un aww poteva essere anche offensivo per un ragazzo. Ma lo aveva preferito a quello strano vuoto che suonava come uno zzz, nella sua testa.

Con la testa inclinata, appoggiata sulla spalla di Frank, lei guardava distratta la televisione, che trasmetteva l'ennesima commedia romantica. Nessuno dei due stava rivolgendo la sua attenzione realmente alla televisione, presi dai loro pensieri e i loro viaggi mentali.

Calypso voleva seriamente che la storia con Frank funzionasse. Non voleva seriamente ferirlo. Non voleva vederlo stare male a causa sua. Per questo continuava a voler credere a quello che stavano cercando di costruire. E probabilmente così faceva anche Frank.

Accomodandosi meglio, contro la spalla del ragazzo, sotto la coperta che condividevano, a causa del freddo glaciale, le uscì una frase che non pensava le potesse uscire dalle labbra: "Oggi mi è arrivata una lettera."

Calypso era una delle poche persone a detestare le email. Amava la carta intestata, la cura delle lettere stampate e la sorpresa di dover uscire fino in giardino per ottenere un qualcosa che reputava talmente personale da non lasciare che neanche suo padre guardasse cosa le arrivava.
C'era un'anima antica che risiedeva nel suo corpo. O forse, sempre quella strana istruzione, che le aveva impartito il padre, la rendeva diffidente dai nuovi marchingegni, che reputava senz'anima.

"Una tua amica di penna?" Frank soppresse il suo naturale sorriso, tanto dolce e tanto vero. Calypso pensò che voleva assolutamente far funzionare le cose tra loro. Se non per lei, per lui. Cosa aveva potuto fare di male un ragazzo come Frank per meritarsi che Calypso lo trattasse come lei era stata trattata?

"Una lettera del bar" spiegò lei, alzando il mento e poggiandolo sul petto del ragazzo. "Una mappa segreta per un luogo nascosto." La ragazza sorrise al pensiero di qualcosa che le era sembrato tanto eccitante e appoggiò la mano chiusa sul petto di lui, che sbatteva le palpebre confuso. "Potremmo andare a cercarlo. Oggi. Domani non hai scuola, no?"

Frank si mordicchiò le labbra, alzando lo sguardo verso destra. "Potremmo" disse, infine, riportando i suoi occhi in quelli scuri di lei, impreziositi da un luccichio vivace. "Ma oggi?"

"Oggi è il domani di ieri" sorrise Calypso, iniziando a togliersi di dosso le coperte e saltellando verso le sue scarpe aperte, anche in pieno inverno.

Frank sospirò. Era sabato. Stava per calare il sole. Lui non era un tipo da feste di notte. Avere una ragazza sembrava essere più impegnativo di quanto credesse. Non voleva deludere le aspettative della sua ragazza.

Però. Era un pensiero che molte volte lo faceva sentire un cattivo ragazzo.

Percy gli aveva spiegato che il valore di un uomo si misurava nel modo in cui questo tratta la sua ragazza. Perché la sua ragazza dovrebbe essere la cosa -passate il termine- più importante nella sua vita.

Frank non cercava di rendere felice Calypso per vedere il suo sorriso -ecco, quello: bianco, brillante, bello-, ma per determinare il suo valore. E forse quello non era amore, ma era il sentimento più vicino a quello che lui avesse mai provato.

"Mi fai mettere la giacca?"

La ragazza rise leggermente, portandosi una mano davanti alla bocca, con fare elegante. "Non vorrei mai che ti ammalassi" disse, alzandosi in punta di piedi e alzando il mento, nel tentativo di arrivare alla guancia rosa di lui. "Oggi andiamo a giocare ai pirati."

Frank sorrise.

Poteva non essere amore, per entrambi, ma, almeno, si volevano bene.

 
 
 
 
 
 
 

🌸🍂🍀
 
 
 
 
 
 
 
"Avvicinati di nuovo a Hazel e ti spezzo le gambe."

Leo fece svolazzare la mano in segno di non curanza, mentre Nico alzava il pugno al cielo e ringhiava quasi rabbiosamente.

La verità era che nessuno dava molta retta a quel che diceva quel moro da, più o meno, quando era arrossito la prima volta davanti a un mago un po' troppo carino. Aveva perso la sua aura da cattivo ragazzo-barra-fantasma, che pensava potesse tenere tutti lontani da lui. Quindi Leo gli sorrise, mandandogli un bacio da lontano e salutandolo con la mano, appoggiato al bancone, proprio davanti ad una Hazel che alzava gli occhi al cielo.

"Smetterai mai d'infastidire mio fratello?"

"Quando smetterà di essere così dannatamente divertente." Leo sorrise mentre afferrava un bicchiere di Coca-cola con la stessa grazia di un motociclista e le guance da criceto. "E poi, chi dice che sto flirtando con te per finta?"

"Io." Hazel prese lo straccio per pulire il bancone, come una brava barista avrebbe dovuto fare in ogni sitcom americana. "Quando ti ho detto che qui non c'è trippa per gatti."

Come non ce n'era per nessuno. Ma non perché Hazel fosse una suora, chiusa davanti alla possibilità d'amare. Era perché Hazel aveva un'idea d'amore troppo alta, per così dire. Aspettava le farfalle nello stomaco, le mani sudate, la confusione negli occhi. Aspettava un sentimento così forte da non farla respirare. E nessuno glielo aveva fatto provare, a dirla tutta. Per questo, non per altro, non riusciva a voler accettare le avance di nessuno.

Leo alzò le spalle, con un sorriso anche troppo spensierato per essere di una persona che veniva rifiutato, implicitamente, per l'ennesima volta. "Sono un latin-lover nato. Abuelo dovrebbe essere fiero di me" ridacchiò, sorseggiando la sua bibita gassata.

"Ma tu non dovresti star lavorando alle luci di scena?"

"Silena e Rachel mi hanno buttato fuori da qualsiasi cosa riguardasse il palcoscenico. Stanno provando." Leo roteò sulla sedia tonda, il bicchiere in mano e lo sguardo alto. Si fermò giusto per ripiantare i gomiti sul bancone e guardare gli occhi dorati di Hazel, che lo studiavano attentamente. "Non voglio rivedere Silena in reggiseno. È mia cognata, non so se capisci."

Leo sospriò, mordicchiandosi le labbra e abbassando lo sguardo. Prese a giocare con le mani, neanche stesse costruendo qualcosa, attento a non far cadere il bicchiere di vetro.

"Non pensi sia ora che superi questa tua vecchia cotta?" Hazel era brava a leggere i sentimenti degli altri. Non era altrettanto brava a capire quando è il momento giusto di parlarne oppure no. Ma non aveva mai dato fastidio a nessuno parlarle dei suoi problemi in qualsiasi momento in cui lei li tirasse fuori. "Dico: ormai sono mesi che ti ha rifiutato."

"Chi? Silena? Dèi. Sarebbe incesto, Hazel! Non si fa!"

La ragazza alzò gli occhi verso il soffitto e sbatté i piedi sul pavimento di legno. "Parlo di Chione, idiota."

"Ah, beh, lei." Leo alzò di nuovo le spalle, questa volta con molta meno energia di prima. "Tipa focosa, eh? Che ti devo dire? Nessuno mantiene il confronto con Leo Valdez. Finirò zitello con tanti gattini robot. Uno lo voglio assolutamente chiamare Festus."

Hazel sollevò un lato delle labbra, in un sorriso amaro, mentre prendeva a pulire il bancone con quel vecchio straccio che Dakota le aveva lasciato. "Non te lo posso permettere" mormorò alla fine, con lo sguardo basso. "Se non troviamo nessuno dopo i trent'anni, prometto solennemente che sarò io a chiederti la mano, Leo Valdez."

Il ragazzo scoppiò a ridere, tamburellando sul piano ligneo con le sue dita, sempre troppo vivaci per rimanere ferme. "Neanche il gusto di chiedere la mano alla mia moglie di riserva ho!"

"Oh, così vuoi troppo, però!"

Hazel sorrise. Leo ridacchiò.

Magari tra loro non sarebbe mai stato amore, ma, almeno, si volevano bene.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Lo spettacolo delle undici ***


Capitolo Uno


Lo spettacolo delle Undici



Le luci erano basse. Poi si spensero. Nel locale un piccolo brusio si alzò e alcune persone alzarono gli occhi, chiedendo ingenuamente: “È andata via la luce?”

Rachel chiuse gli occhi e respirò due volte, profondamente. Sentì Octavian contare a bassa voce. Le indicava il numero con le dita, tenendo il suo auricolare nell'orecchio.

Le luci si alzeranno tra tre, due, uno.

Leo accese una luce bianca, puntandola su Rachel, che splendette. Un ricciolo rosso perfettamente posizionato sulla mascella, i capelli rossi domati in onde leggere, il vestito nero le cadeva fino alle caviglie. E tutti gli occhi erano puntati su di lei. E su Kayla al piano, certo.

Il sorriso sui suoi occhi nacque falso ma vero e le labbra, rigorosamente ricoperte di rosso, si arricciarono prima di riprendere fiato e cantare.

Octavian le aveva detto che avrebbe sbagliato tre, quattro, cinque note, forse tutte insieme. Ma non importava. Doveva chiudere gli occhi e cantare. Doveva arrivare alle persone. Solo lei avrebbe potuto farlo. Quello era una specie di complimento, per un ragazzo come Octavian. Lei lo sapeva. Lei lo conosceva.

Rachel sorrise, socchiudendo gli occhi e portandolo dietro le quinte. Il biondo fece cenno a Kayla d'iniziare a suonare. Puntò i suoi occhi su quelli verdi della rossa. Si guardarono. Lei sembrò sorridere. Lui fece cenno d'iniziare.

La rossa sorrise tra sé prima di prendere in mano il microfono, dallo stile molto vintage -com'era lei, con i suoi vestiti, i suoi capelli e il suo trucco- e iniziare a cantare.

Si va in scena.



💥💥💥



Va bene. Quale sarebbe stato il suo problema?

Hazel servì il vino ad un cliente, poggiando il bicchiere di cristallo sulla superficie lignea, poco illuminata. Sorrise appena, per poi tornare a guardare alla sua destra, cercando di decodificare il ragazzo seduto su un tavolino poco lontano.

Doveva avere qualche problema. Altrimenti non capiva perché aveva attirato la sua attenzione. Perché aveva sentito una leggera scarica elettrica, quando era entrato. Aveva sentito la scossa, che, in tutta la sua vita, aveva sentito solo una volta: la scintilla. E ci aveva messo anni per trovare un modo per allontanare la persona che le aveva mandato la scossa elettrica: lui non voleva abbandonare la loro piccola città vicino New Orleans per seguire i loro sogni ed abbassarsi a lavori umili per iniziare una vita da zero.

Lei avrebbe potuto accontentarsi. Dirsi che tutto quello che aveva con Sammy era abbastanza per lei. Anzi. Forse quello che aveva con Sammy era la cosa più incredibile che lei avrebbe mai avuto in tutta la vita. Eppure lo aveva allontanato senza sbattere ciglio. E ancora si ricordava gli occhi scuri di lui sbattere velocemente, come quando sentiva la necessità di piangere, ma avrebbe fatto una battuta per mascherare la lacerazione causata da lei. “Pensavo che” aveva detto con un sorriso. “Pensavo che tu saresti potuta essere la mia Ellie e io il tuo Carl. Siamo già cresciuti insieme. Volevo che ci sposassimo. Poi saremmo invecchiati insieme, sognando di partire per il Sud America. Se avresti avuto pazienza, io ti avrei portato dove vuoi. In Italia. Hai sempre voluto andare in Italia. Ti avrei portato. Legando mille palloncini sulla nostra casa e trovandomi un bambino boy-scout. Ma a te, Up, non è mai piaciuto, vero?” Nessun cucchiaio di miele ad addolcire la pillola. Gli aveva spezzato il cuore.

Se doveva essere sincera aveva cercato di allontanarlo per anni. L'Amore era qualcosa che lei meritava?

La se stessa di sedici anni non lo pensava. La se stessa di diciotto ne era quasi certa: non avrebbe sprecato il suo tempo con un ragazzo imperfetto per lei. Non avrebbe passato del tempo con un ragazzo perfetto per lei, solo per poi spezzargli il cuore.

Il Vero Amore è qualcosa di raro. E di complicato. Come l'animo umano. E lei lo voleva, ma non poteva accettarlo.

Quindi la domanda era: quale sarebbe stato il suo problema?

“Rachel ha una voce incredibile, vero?” La sua voce era uscita senza il permesso del suo cervello. Mannaggia. Posò l'ultimo bicchiere di vino davanti al cliente, appoggiando il vassoio, sul quale aveva trasportato bicchieri di ogni tipo, davanti al petto. Sbatté gli occhi dorati, nel modo in cui Silena le aveva detto che faceva quando era imbarazzata o nervosa. E così sembrava più ingenua e dolce. E impacciata.

Il ragazzone alzò il suo sguardo su di lei, con un sorriso imbarazzato. “Lei si chiama Rachel?”

Hazel si accigliò leggeremente. Forse il suo problema sarebbe stato quello: attratto da Rachel l'Artista, invece che da Hazel l'Insipida Barista. Annuì. “Ma se pensi di volerle lasciare rose alla fine dello spettacolo, devi sapere che Octavian le brucerà prima che lei le possa vedere.” Bugia. Octavian avrebbe soltanto borbottato qualcosa, per poi iniziare a bere con Will, ma non c'era bisogno che il ragazzo lo sapesse.

Lui rise. “No, non penso di mandarle fiori. Diciamo che non è il mio tipo.”

Oh, perfetto. “E quale sarebbe il tuo tipo?” Fermati Hazel, qui qualcuno sta diventando troppo socievole!

“Beh…” Abbassò lo sguardo, con le labbra piegate in una smorfia leggera. “Non credo di necessitare un tipo di ragazza…”

“Sei gay?”

“No…”

“Allora…?”

Spara il tuo problema, così posso tornarmene a lavorare senza pensare mai più a te.

“Ho una ragazza.”

“Oh.”

Oh. Beh, se ha una ragazza, tanto vale lasciar perdere…

“E perché hai una ragazza non hai bisogno di un tipo ideale di ragazza?” Ma cosa cavolo…? Stava veramente continuando questa storia? Si guardò intorno. “E dove sarebbe questa fantomatica ragazza?”

“Bagno?”

“E lo chiedi a me?” rise lei. Vide Leo farle strani segni, dall'alto del suo studio di luci. Che fai? Ti faccio tanto schifo da voler trovare qualcuno prima dei trent'anni? Stupido. Fu velocemente distratto da qualcosa vicino a lui. Prese a maneggiare fili, facendo scomparire i suoi ricci sotto quegli strani aggeggi, che Hazel non aveva mai capito come usare. “È un peccato, però” riprese a parlare, con un sorriso gentile. “Non lo sa che lasciare un ragazzo come te da solo, è come lasciare un topo accanto a un serpente?”

“Come?”

“Un mio amico…” Si fermò, mordendosi le labbra. Oh, no, Hazel, giocatelo in tutto e per tutto. “Il mio ragazzo, che viene dal Texas, mi ha praticamente fatto il lavaggio del cervello con queste metafore. Ormai anch'io parlo come una texana fatta e finita.” Si portò una mano davanti alla bocca e rise leggermente.

Le spalle del ragazzo si rilassarono, anche se la smorfia sulle sue labbra, sembrava essere diventato leggermente malinconico. “Quindi vieni dagli Stati Uniti?”

“New Orleans. Lì vicino.”

“Io sono canadese.”

“Davvero? Non avrei mai…”

“Con origini cinesi…”

Hazel sorrise. Si grattò i ricci ribelli e pensò che quel giochetto non l'avrebbe portata a nulla di buono. Per lo meno, era riuscita a tenersi lontana da quel ragazzone, con i capelli cortissimi e gli occhi ingenui e profondi. “Hazel.”

“Come?”

“Mi chiamo Hazel.”

“Frank. È un piacere Hazel.”

No. No. Per Hazel non era un piacere conoscerlo. No. No.

Eppure non smetteva di sorridere.





💥💥💥


E le luci si spensero di nuovo. I capelli rossi di Rachel smisero di brillare per i riflessi. I suoi occhi si chiusero e si aggrappò con forza al microfono, per poi girare la testa e non far sentire il suo fiato corto al pubblico.

Kayla si alzò e fece un leggero inchino, prima di andarsene.

Rachel rimase nel buio, sul palco, guardando davanti a sé.

Leo aveva lasciato il posto alle luci a suo fratello, correndo via, dietro consiglio di Annabeth, che lo aveva avvertito di una lampadina rotta, forse, o di una fuoriuscita di acqua nei bagni, o dell'arrivo degli alieni. Ogni teoria poteva essere buona, agli occhi di Rachel, in quel momento.

Gli applausi erano finiti. E Rachel continuava a stare in mezzo al palco. Si era dimenticata dove si trovava.

Una mano la trascinò dietro le quinte con fare piuttosto aggressivo e lei rischiò d'inciampare un paio di volte sull'orlo del suo vestito.

“Si può sapere che stai facendo?” Octavian gridava sussurrando. Lo faceva quasi sempre quando si trattava di lei. Agli altri li sgridava e basta. Girò la testa, per comunicare con quel suo strano auricolare tutto-fare. “Sì, riprendi la musica. No, Silena. Oh, ti prego! Non credo che Drew… un'altra volta e la licenzio. Certo che posso! Ne parlerò con Dakota e… no!” Sbuffò. Si tolse l'auricolare dall'orecchio e si rivolse di nuovo a Rachel. “Si può sapere qual è il tuo problema?”

“Ho visto un amore prendere forma davanti a me. Volevi veramente che me lo perdessi?” Anche lei gridava sempre sussurrando. Lui alzò gli occhi verso il soffitto. Lei ridacchiò. Lui le fece cenno di andarsi a cambiare. Lei non si mosse.

“Siamo seri?”

Rachel alzò le spalle. Octavian sospirò. Lei sorrise di nuovo.

“Mi dovrebbero pagare di più” borbottò lui, girandosi di spalle ed andandosene via.



💥💥💥



Calypso alzò gli occhi da terra solo per trovarsi davanti un ragazzo con un pantalone jeans macchiato di olio sul lavandino, intento a mugugnare da solo, nel buio della stanza, con una lampadina in bocca che gli impediva la corretta pronuncia di molte parole.

“Canti Leo Baldezz tzevono pe aggiuztae 'na lapadia?” si chiedeva, con aria imbronciata. “Stao pianndo Asel. Cabbolo.”

“Ci metterà molto ad accendere quella lampadina?” Calypso si scoprì non molto paziente, visto che odiava rimanere in luoghi chiusi e bui, da sola, o, anche, con perfetti sconosciuti. “Mi devo lavare le mani. E non avete operai femmine da mandare nel bagno delle femmine?”

Il ragazzo, questo Leo Baldezz, la fulminò con lo sguardo, puntandola con la torcia che portava in bocca e facendo una smorfia strana, a causa della quale lei pensò lui stesse per soffocare.

Leo si rigirò verso la lampadina, muovendo velocemente le mani. Ne liberò solo una, la sinistra, per sputarci sopra la sua torcia argentea accesa. “Uno. In questo locale non siamo sessisti. Gwen e Piper mi ucciderebbero se lo fossi. E hanno torturato con l'elettroshock Octavian per esserlo. Quindi un uomo può entrare nel bagno delle donne. Due. Oh. Oh. Vuoi per caso farlo tu il mio lavoro?”

“Voglio lavarmi le mani e andarmene e tu sei esattamente sopra il lavandino.”

“Fazzoletti bagnati-barra-profumati, mai sentiti?”

“Anche se fosse ho il pieno diritto di lavarmi le mani in un bar!”

“E io ho il diritto di dirti che questo guasto mi prenderà molto tempo. C'è un guasto all'intero sistema.”

“E questo tu lo sai da una lampadina?”

“Tu sai qualcosa di elettricità e sistemi elettrici?”

Calypso si morse le labbra, mentre Leo continuava a puntargli addosso quella stupida luce. “No” ammise, roteando gli occhi e incrociando le braccia.

“Quindi.” Il ragazzo alzò le spalle, con un sorriso vittorioso. “Io ho ragione, tu hai torto. Io sono il portatore di luce, tu di oscurità.”

“E quanto tempo ci metterai a riportare la luce, ottuso omuncolo?”

Leo sorrise, con un accenno di furbizia che Calypso non riuscì a vedere, nell'oscurità della stanza. “Probabilmente ore. Il sistema è corrotto dall'interno. Il cacciavite sarà l'eroe. Una lunga guerra tra uomo e virus prenderà luogo e tante dita si feriranno, soffriranno, cadranno.”

“Oh, miei dèi. Ti pagano per essere così?”

“Le tue mani saranno sporche, probabilmente, per sempre.”

“Salviettine bagnate, insomma. Forse le potrebbe avere Frank…”

“Le porte sono sigillate!”

“Ah-ha” cercò di congedarlo freddamente lei. “Senti. Non è stato per niente un piacere. Addio.”

Calypso non fece in tempo. Fu un attimo. Non appena aprì la porta, Leo toccò la lampadina e la luce invase l'intera stanza, sotto il sorriso enorme di lui.

“Ora che la strega malvagia dell'Ovest non c'è più, la luce può brillare in tutta la sua bellezza.” Il ragazzo, col tono falsamente grave che aveva da quando aveva iniziato a prenderla in giro, aveva il pugno alzato verso l'alto e gli occhi chiusi, quasi stesse contemplando il suo momento di gloria.

E fu il momento.

Calypso cercò di spiegare a sangue freddo quello che le era passato per la testa. Forse la frustrazione dell'essersi dovuta nascondere in bagno perché non sapeva di cosa parlare con Frank, forse la rabbia per non saper mantenere una relazione, forse il senso di prigionia di voler fare tante cose che non avrebbe potuto fare, se fosse tornata in quel momento da Frank, o forse semplicemente, quel ragazzo le risvegliava gli istinti più bassi, violenti, aggressivi ed animali.

Fatto sta che lei prese la sua ballerina dai suoi piedi e gliela tirò addosso.

Sarebbe potuta essere una perfetta giocatrice di softball, perché riuscì a colpirlo esattamente in testa e a fargli perdere l'equilibrio sul lavandino e quasi cadeva a terra.

“Ah!” Leo riprese l'equilibrio, e piroettò con una facilità mostruosa a terra. Teneva in mano la scarpetta azzurrina e sorrideva, forse quel ragazzo sorrideva sempre. “Che la Strega Cattiva voglia fare Cenerentola?”

Calypso ringhiò e sbatté la porta, andandosene via.


💥💥💥



“Hai visto? Charlie, hai visto?” Silena saltellò verso il ragazzo con leggerezza. “È finita l'Era di Chione!”

Il ragazzo spense le luci, cercando di non distogliere lo sguardo da Octavian che gli mandava indicazioni su quello che doveva fare in mancanza di Leo. “Mmhm” mormorò.

“Charlie!”

“Giuro che ti sto ascoltando.”

“Lacy mi ha detto, che Drew le ha detto, che Mitchell le ha detto, che Juniper gli ha detto, che Grover ha detto, che Tyson ha visto una ragazza uscire dal bagno delle ragazze senza una scarpa.”

“E…?”

“E in quel bagno c'era il tuo fratellino.” Silena stava gongolando muovendo i suoi capelli biondi da una spalla all'altra. “Che teneva in mano la scarpa di quella ragazza. E stava ridendo.”

“Mmhm” Charles continuava a mugugnare, mentre premeva pulsanti gialli e rossi, facendo in modo che un occhio di bue illuminasse un pezzo del palco vuoto. “Drew non dovrebbe stare lì?” Guardò Silena. “Quanto tempo fa Leo è uscito dal bagno?”

Silena guardò l'orologio che portava al polso. “Tre minuti fa. Ora sta parlando con Reyna, penso.”

Drew comparve sotto la luce, vestita di un dorato sbrilluccicante, che la faceva sembrare una piccola stella.

“La tua rete d'informazioni è più efficiente di qualsiasi social network. Sai cosa sta facendo Chris in questo preciso istante?”

La ragazza arricciò le labbra rosse, per poi sorridere dolcemente. “Sbaciucchia Clarisse. Che domanda ingenua. Sono andati in un appuntamento. Paint-ball.”

Beckendorf rise, accarezzandosi la fronte con il solo dito indice. “Dèi” esclamò. “Fai paura.”









 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo Due: Il viaggio della scarpa (Atto I) ***


 

Capitolo Due: Il viaggio della scarpa (Atto I)








Quando Malcom si sedette davanti al pianoforte e sentì le persone azzittirsi, guardandolo con la testa inclinata, si rese conto che un giorno, Kayla avrebbe preso il suo posto, avrebbe preso un respiro profondo e avrebbe smesso di accompagnare le persone, per diventare lei stessa la stella che brilla sul palco.

Si rese conto che il suo cuore non batteva forte, che le sue dita non tremavano come quando aveva toccato un pianoforte la prima volta e che quelle persone stavano aspettando che lui sfiorasse i tasti bianchi davanti a lui, che li facesse vibrare in un luogo in penombra. Ma se non tremava lui, come poteva far tremare gli altri?

Kayla metteva l'anima nella musica, lui metteva la testa. Solo che la sua testa era il suo cuore e non riusciva a mettere la testa nel pensiero di emozionare. Non in quel momento, comunque.

Mitchell comparve da dietro delle tende, mostrando i suoi capelli castani, i suoi occhi confusi. Cosa stava facendo?

Allora Malcom sorrise e gli fece cenno di avvicinarsi, sentendo Octavian alzare gli occhi al cielo e chiedersi cos'avevano di male i suoi artisti.

Quando Mitchell sorrise, le mani di Malcom tremarono.

Solo allora la musica poté liberarsi per tutta la sala.

Mentre le dita di Malcom iniziavano ad incontrare i tasti bianchi e poi neri del pianoforte, Mitchell gli sussurrò all'orecchio: "È arrivata Cenerentola." Ed il pianista non poté far a meno di scoppiare a ridere.










Calypso accavallò le gambe, accompagnandosi con un rumoroso sbuffo, che però fu coperto da una serie di note in sottofondo. Registrò distrattamente il fatto che un biondo stesse suonando -dopo aver lasciato il locale in silenzio per qualche minuto, forse.

A lei, comunque, la cosa non importava molto.

Al contrario di Frank, aveva pensato alla sua prima visita allo Speakeasy come un fallimento, più per colpa dell'imbarazzo creatorsi una volta seduti su un tavolino tra lei e Frank, un po' per quel ragazzo che aggiustava lampadine nei bagni. Dopo la ricerca del posto, dopo aver pronunciato a bassa voce la parola d'ordine, dopo il brivido iniziale di avventura -quell'avventura che si era aspettata avrebbe avvicinato lei ed il suo ragazzo- tutto si era risolto in un nuovo tentativo di Calypso di farsi accettare un luogo che, di nuovo, non le si confaceva. Come quella volta in cui aveva provato a parlare con qualcuno al parco e si era ritrovata a sbocconcellare del pane insieme a degli uccellini affamati e le persone inclinavano la testa, mentre passavano e la guardavano, perché di solito certe cose le fanno i vecchietti che si sentono soli.

Frank le aveva sorriso. A lui quel posto piaceva. Era strano, perché nella maggior parte dei posti in cui Frank si trovava, sembrava essere fuori posto, ma nessuno si metteva a fissarlo -come a chiedersi cos'avesse di sbagliato. Tutti sorridevano guardando Frank. Anche Calypso. Gli sorrise di rimando. Voleva solo riavere indietro la sua scarpa, poi avrebbe pensato a come costringersi ad innamorarsi di lui. Si chiese se quella era la storia che voleva raccontare ai suoi figli. No. Non proprio. Non esattamente questo.

“Ahi-ahi” mormorò una ragazza dalla pelle color del caramello e le mani veloci che correvano da un vino all'altro. “Cenerentola. Cosa combini?”

Calypso si girò verso di lei, inclinando la testa, accarezzando il legno del bancone con il dito indice. “Perché mi chiamate tutti Cenerentola?” E la cosa poteva anche non darle fastidio, in realtà. Può anche essere che avesse alzato gli occhi a sentirsi chiamare in quel modo, ma dopo il tecnico delle luci impacciato, la cassiera indifferente, la cameriera sorridente stava iniziando a chiedersi quale fosse il motivo di quell'etichetta. Perché a meno che tutti non sapessero già per quale motivo si trovava lì -per la sua scarpetta, cerchiamo di essere chiari, sinceramente non per altro-, invece di ridacchiare e darle soprannomi stupidi potevano anche darle ciò che era suo e lasciarla tornare a casa, a piangersi addosso della sua attuale situazione.

La verità era che con Frank le cose erano due. Ed entrambe le soluzioni la guardavano in faccia e continuavano a chiederle per quale motivo lo stesse tenendo legato a sé quando non lo amava. Perché non lo amava. Perché non lo amava?

La ragazza sorrise con gli occhi puntati in basso, come se avesse ricordato qualcosa e questo l'avesse fatta star male per quel microsecondo. Continuava ad essere bella. Forse così sembrava ancora più bella. Poteva essere un quadro, in quel momento. Un quadro impressionista? Col sottofondo di musica lenta e la gioia apparente incastonata in una sofferenza nascosta. Un quadro. Bellissimo. “Non mi piace molto la favola di Cenerentola” disse, pulendo con lo straccio il retro del bancone, non sporco, ma bagnato a causa del ghiaccio. Calypso guardava le labbra di lei muoversi. Era presa dall'estetica del momento. Dal momento. “Quale ragazza lascerebbe la sua scarpa in un palazzo senza voler tornare a riprenderla? Se devo dirtela, ho sempre pensato che Cenerentola mancasse d'inventiva, un po' di fantasia e spirito d'avventura.”

“Spirito d'avventura?”

“Sì.” Incollò i loro occhi, strizzando lo straccio nel lavandino. “Spirito d'avventura. Tornare a riprendere la scarpetta! Sai cosa vuol dire infiltrarsi in un posto? Sai quanto sarebbe stato più emozionante rincontrare il principe?” Sospirò scuotendo la testa. “Avrebbe voluto dire anche abbandonare la sua vecchia vita, probabilmente. Vivere pienamente la sua avventura. Invece da codarda è stata lì ad aspettare che qualcosa non-succedesse.”

Calypso arricciò le labbra, senza staccare gli occhi da quelli pieni di colori della barista. “Ho perso qui la mia scarpetta.”

“Allora immagino che quello seduto laggiù non sia il tuo principe” ridacchiò l'altra appoggiando entrambi i palmi delle mani sul bancone. “È il tuo amico gay?”

“La vita è più difficile di una favola.” Alzò le spalle, mosse il piede in cerchio, probabilmente vicino al legno del bancone. Però pensare a Frank come il grande e grosso amico hella-gay era stato esilarante per un attimo soltanto.

“E dire che le favole sono state create proprio per spiegare la vita!”

Calypso si morse le labbra, abbassando per un attimo lo sguardo. Forse semplicemente non pensò. “Come ti chiami, hater?”

Sorrise, l'altra. Appoggiò tutto e le sorrise. “Piper.”

“Sai dov'è la mia scarpa, Piper?”















“Se avessimo un altro inizio” Thalia si morse il labbro, guardando la sala davanti a lei e quella ragazza alzarsi dal bancone per raggiungere un ragazzone seduto in un tavolo probabilmente troppo piccolo per le sue gambe. “Se avessimo un altro inizio forse sarebbe andato tutto bene. Saremmo stati anche felici. Forse.”

Luke non sembrava ascoltarla, non la guardava neanche, non vestita bene -con dei jeans ed un maglione macchiato sulla spalla-, non truccata, non curata. Cambiava qualcosa dall'ultima volta, quando Silena l'aveva rapita per tutto il giorno perché era il suo compleanno? Perché doveva essere felice? Guardò quella ragazza castana scomparire su per le scale. “Forse” convenne.

“È tutto quello che dirai?”

“Probabilmente.”

Thalia riuscì a malapena a sopprimere un ruggito. Abbassò lo sguardo, poi lo alzò verso il pianista, Malcom, che sorrideva come un ebete ad un ragazzo mingherlino e castano. La musica dolce che permeneava la stanza la fece sospirare di esasperazione. “Probabilmente” ripeté.











“Ciao.”

“Ciao.”

“Dov'è la mia scarpa?”

La ragazza, coi gomiti all'insù e una pinzetta tra le labbra, sorrise, lasciando cadere i suoi ricci rossi sulle sue spalle e girandosi completamente verso di lei. “Cenerentola!”

Calypso alzò gli occhi al cielo. Alzò le sopracciglia.

“Non ho io la tua scarpa.” Ma continuava a ridere.

Sarebbe stata una lunga notte.











Frank e Leo s'incontrarono quella notte.

“Potremmo essere amici” disse Leo gettandosi poco elegantemente sulla sedia davanti a quella del ragazzone, che, come risposta, alzò il sopracciglio. “In attesa di una dama?” Si guardò in giro per poi fare un cenno verso Mitchell che continuava a parlare ad un concentratissimo e sorridente Malcom. “O un damo…?”

“Tu saresti…?”

“Non il tuo damo.” Scoppiò a ridere, per poi mordersi le labbra e alzare le spalle. Appoggiò il mento sulla sua mano, abbastanza naturalmente, come se stesse pensando a qualcosa di profondamente importante. “Ma sono anch'io in attesa di qualcuno. Abbiamo tante cose in comune.”

Frank assottigliò lo sguardo. “Io non ti conosco.”

“Sì, sì. Leo. Lavoro qua. Mezzo messicano. Mezzo meccanico. Mezzo schiavizzato dal proprietario del locale.” Fece una pausa, scuotendo la testa e ridacchiando tra sé, come se avesse fatto la battuta del secolo. Ed eppure l'aveva capita solo lui. “E dalla mia autoproclamata migliore amica.”

“Ah” rispose Frank, più perché non sapeva come rispondere che per altro. “Carino” borbottò, incrociando le braccia, come se volesse creare un muro tra lui e l'altro.

“Già.” Leo non sembrava preoccupato di questo dettaglio. Sembrava anzi divertito, mentre le sue mani si muovevano da una parte all'altra. “Forse è meglio dire una delle mie migliori amiche. Annabeth si crede ancora femmina e Piper è praticamente mia sorella, ma ci tengono al nome.” Alzò gli occhi al cielo. Sospirò e sorrise. Il tizio sembrava sputare parole non richieste una dopo l'altra. Era irritante. Forse un po' divertente. Ma soprattutto irritante. “Comunque mi stai simpatico.”

“Questo perché…?” Aveva qualcosa di assurdamente familiare questo Leo. Forse era il modo di porsi. O di dire cose stupide. Doveva essere quello, perché Frank adorava essere sotto l'ala protettiva di Percy, che lo intontiva tutti i giorni coi suoi stupidi monologhi sulla vita dei pesci. Forse, più semplicemente, era un masochista. Di quelli bravi.

“A pelle. Sono bravo a giudicare a pelle. Dimmi: hai un segreto?” Questa volta sembrava assolutamente serio, mentre distrattamente lanciava un occhiata ai due ragazzi sul palco. “Va bene. Deve essere perché sembri uno che ha un segreto.” Alzò le spalle. “E se non mi stessi simpatico non ti direi mai quello per cui sono stato mandato qui. Sono abbastanza esigente su certe cose.”

Frank era confuso. Nessun'altra parola poteva descrivere il suo stato d'animo. Confuso. Forse un po' irritato. Travolto? “E sarebbe?”

“Esci dalla porta sul retro. C'è una ragazza che dovresti incontrare.”

“Annabeth o Piper?”

“Cosa?”

“Hai detto che sei stato mandato qui da una delle tue migliori amiche. Chi devo incontrare? Annabeth o Piper?” Non che comunque credesse che una ragazza volesse parlare con lui in privato. Andava alle superiori, non era stupido e sapeva perfettamente che se mai una ragazza voleva parlare con lui lo avrebbe fatto apertamente, davanti a tutti. Forse nessuna ragazza aveva voluto mai parlare da sola con lui, tranne Calypso -che poi era la sua ragazza, perdio, e già era un miracolo che avesse capito che voleva essere la sua ragazza, per citare Percy. Il bue che dà del cornuto all'asino, comunque.

Leo sorrise. “Uau, sei proprio intelligente.” Okay. Questo era sarcasmo, vero? “Nessuna delle due. È una ragazza che anche tu conosci. E il tempo scorre…”

Il pensiero di Frank, quando inclinò la testa e guardò Leo spingerlo con lo sguardo a correre verso questa benedetta porta di servizio, fu che fosse stata Calypso. Non a mandare Leo. Calypso a malapena parlava con gli sconosciuti. Magari aveva mandato questa fantomatica migliore amica di Leo a cercarlo e la ragazza era troppo occupata per dirglielo e aveva mandato Leo. Brutto colpo, comunque. Quel ragazzo lo avrebbe spinto ad un suicidio intellettuale piuttosto che continuare ad ascoltarlo.

Pensò che Calyso avesse incontrato la sua scarpa e che sarebbero dovuti tornare a casa.

Peccato. Salutò suo malgrado il ragazzo, infilandosi la giacca. Non aveva neanche incontrato Hazel.

Non che avesse voluto fare qualcosa. Solo che voleva salutarla. Ecco. Sì. Giusto per un saluto.

Così preso dai suoi pensieri, non vide Leo guardare la barista, che sorrideva ed alzava su i pollici.















Hazel coprì il naso con la sua sciarpa viola, lanciando uno sguardo verso la luna piena.

La seconda luna piena del mese. La luna blu. Quante leggende esistono sulla luna e quanto sua nonna si divertiva a raccontargliele come se fossero storie della buona notte e non antiche leggende che le persone credevano reali?

Lei un po' ci credeva.

Credeva che nelle notti di luna piena potessero succedere cose incredibili. Credeva che poteva esprimere un desiderio guardando una stella cadente. Credeva che nelle notti di luna blu potessero collidere due mondi che altrimenti non si sarebbero mai incontrati.

Pensò che Leo ci stesse mettendo veramente tanto ad arrivare -non voleva andare a prendere una pizza? Voleva prenderlo un po' in giro per il fatto di Cenerentola e ridere insieme a lui. Nascose le mani nelle tasche della giacca.

Quando sentì la porta aprirsi pensava fosse proprio il texano che arrivava di tutta fretta e chiedeva scusa. Anche se non erano mai scuse vere ed era stupido.

Girandosi aveva già pronto lo sguardo da mi-sto-congelando-per-colpa-tua-spero-tu-abbia-una-buona-spiegazione. Ma la sua faccia ebbe un brusco cambiamento di piani.

“Frank?” chiese sorpresa.

Il ragazzo le sorrise, probabilmente sorpreso quanto lei. Era anche diventato rosso. Rosso rosso con qualche sfumatura di arancione. In un altro momento la cosa l'avrebbe fatta ridere.

Hazel potè sentire abbastanza chiaramente due mondi collidere.




 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3309166