Spring words

di Strega_Mogana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Note: Terza storia della serie “Le quattro stagioni”
Prima storia legata all'autunno: Autumn Lovers
Seconda storia legata all’inverno:Winter battle



1.

Il vento sulla torre era dolce, solleticava la pelle del mago come una sciarpa di seta.
Una sciarpa rigorosamente nera, ovviamente.
La primavera era sbocciata quasi all’improvviso: solo la settimana prima la brina era ancora ghiacciata. La mattina, quando usciva per la consueta passeggiata, si fermava ad una finestra a fissare i luccicanti fili d’erba nel totale silenzio dei corridoi del castello.
Gli piaceva la tranquillità che regnava poco prima dell’alba: era quasi surreale. In un istante la vita scolastica avrebbe preso il sopravvento su quella calma e tutto avrebbe ripreso a girare nella sua ordinaria direzione.
Era un tipo mattiniero, lo era sempre stato. Da piccolo era l’unico modo che aveva per sgusciare fuori di casa prima di diventare la valvola di sfogo di suo padre. A scuola usava quel tempo per studiare, per isolarsi da tutto e, soprattutto, per dimenticare Lily e i suoi baci non tanto nascosti con James. Da professore era solo un modo come tanti per perdersi nei ricordi e nel tormento di quello che aveva perduto per colpa delle sue azioni; oppure per pensare senza distrazioni su come salvare vite senza farsi scoprire, o per trovare il coraggio di uccidere senza perdere la propria anima.
Quello era un interrogativo al quale, ancora in quel momento, non aveva trovato del tutto una soluzione.
A volte era solo un modo per non pensare a nulla, annullare se stesso per non vedere cos’era diventato con gli anni.
Durante l’inverno provava le stesse sensazioni. Il mondo si acquietava sotto il manto di neve. Tutto diventava più silenzioso, più calmo e non c’erano rumori molesti a tormentarlo.
La sua stessa vita, in fondo, era un lungo, silenzioso inverno. Solo i tormenti erano identici stagione dopo stagione.
Ma ora la primavera era sbocciata, la rugiada congelata sui fili d’erba si era trasformata in grosse gocce di acqua che brillavano sotto i primi raggi dell’alba; presto la natura sarebbe diventata rumorosa e accecante con i suoi colori.
Proprio come gli studenti di quel castello.
Non aveva mai amato la primavera, l’aveva sempre considerata uno spreco di colori, odori e suoni.
Le ragazze passavano il tempo a pensare a cose frivole e i ragazzi correvano dietro alle gonne che, magicamente, diventavano più corte man a mano che l’estate avanzava.
Per Minerva era sempre un lungo periodo di punizioni e continui rimproveri sul perché le divise non andavano modificate con la magia.
Eppure qualcosa era cambiato in lui.
Che gli piacesse o meno era un cambiamento che tutti avevano notato.
In piedi sulla torre che anni prima aveva creduto essere l’ultima tappa della sua vita tormentata, fissava la natura che si stava risvegliando dal lungo sonno invernale. E anche lui si stava risvegliando da un lungo, lunghissimo, letargo.
Era un letargo dell’anima e del cuore.
Si sentiva più vivo, più felice, forse anche più luminoso e chiassoso.
Era un cambiamento piacevole, un cambiamento che portava un calore sconosciuto nel suo cuore.
Sapeva cos’era l’amore. Gli aveva straziato il cuore per anni, ma non sapeva cosa fosse l’amore ricambiato.
La felicità di un tocco dolce e delicato, l’emozione per ogni bacio e per ogni sguardo rubato in una stanza affollata.
Per la prima volta capiva la stupida sensazione di farfalle nello stomaco.
Il mago sospirò assaporando l’aria frizzante della primavera.
Stava sulla torre nel centro esatto, non osava andare vicino al parapetto.
Era un uomo cambiato, ma il suo passato esisteva, non poteva evitarlo e non voleva ignorarlo. E ogni volta che saliva su quella torre, la più alta, la più spaventosa di tutte, non poteva evitare di rivedere Albus vicino a quello stesso parapetto. Pallido e debole, che lo supplicava di ucciderlo.
Non poteva avvicinarsi di più altrimenti avrebbe rivisto quello stesso corpo sul terreno, in una posizione innaturale, con lo sguardo velato dalla morte, fisso sul cielo illuminato dal Marchio Nero.
Si massaggiò la radice del naso trattenendo l’ennesimo sospiro. I suoi ricordi più oscuri riaffioravano proprio nei momenti in cui credeva di aver trovato un po’ di pace e serenità. O, perlomeno, un equilibrio tra luce e ombra. Ma, forse, non poteva esserci troppa felicità nella sua vita.
Forse la sua esistenza era destinata ad essere un lungo e silenzioso inverno.
In quel momento sentì la porta aprirsi. Si voltò in tempo per vedere Hermione fare capolino oltre la soglia.
Si era vestita senza fretta, ma gli occhi erano ancora gonfi di sonno e i capelli erano cespugliosi come se non avesse avuto tempo di pettinarli.
Non glielo aveva mai detto, ma gli piacevano anche così cespugliosi. Indomabili proprio come lei.
- E’ presto. – le disse mentre si avvicinava – Potresti dormire ancora un po’.
- Mi sono svegliata e non ti ho trovato. – spiegò la strega fermandosi proprio accanto a lui – Perché sei qui?
- Mi piace camminare di mattina presto per il castello. Lo trovo straordinariamente rilassante e mi aiuta a riflettere. Scusami, solitamente rientro quando ancora dormi, oggi devo essermi attardato più del solito.
- Conosco le tue passeggiate, Severus. – disse lei tranquillamente – A volte non sei silenzioso come credi e io ho il sonno leggero. Ma non capisco perché sei qui, su questa torre.
- Mi aiuta a riflettere. – rispose l’uomo tornado ad osservare il panorama attorno a lui – Qui tutto mi sembra più chiaro. Tutto è bianco o nero. Ho vissuto una vita intera circondato dalle sfumature, mi hanno aiutato a sopravvivere quando il mondo stava cadendo a pezzi. Quando io stavo andando in pezzi. A volte ho solo bisogno di un posto che mi aiuti a distinguere cosa è giusto da cosa è sbagliato.
- Non hai risposto alla mia domanda, Severus. – insistette lei – Perché sei qui?
- Dovevo pensare.
- A cosa?
- A noi.

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Capitolo 2
*** 2. ***


2.

Hermione si limitò a fissarlo per un po’. Il sole ormai era quasi del tutto sorto all’orizzonte, i raggi ambrati tingevano il Platano Picchiatore con le sue nuove gemme pronte a fiorire nelle prossime settimane.
Gli piaceva quella pianta, così misteriosa, così combattiva, così ferita nella sua vita.
Silente gli diceva spesso che si somigliavano. Però lui non rifioriva ogni primavera, lui restava spoglio, spigoloso e combattivo per tutto l’anno.
Fino a quando non era arrivata lei.
Si voltò a fissarla esaminando il suo profilo, forse non perfetto, ma decisamente attraente.
Hermione stava guardando l’alba, nei suoi occhi brillava la luce del giorno nascente, si stava torturando l’interno della guancia, segno che stava rimuginando sulle sue parole.
Non voleva farla soffrire, ma non era bravo con le parole.
Non con quelle gentili, almeno.
Tornò a guardare il parco, una delle piccole finestre della casa di Hagrid si illuminò.
- Sai, - continuò lui – solitamente non mi piace la primavera. Ho sempre pensato che l’inverno fosse più affine al mio carattere e al mio modo di vivere: freddo, pungente e che può far male. Solitario e silenzioso. Tu, invece, tu sei come la primavera. Vivace e piena di vita. Porti calore e sei frizzante come le prime brezze. A volte mi chiedo se il mio gelo non ti faccia sfiorire come una piccola margherita sotto la neve. Ho paura di farti del male.
La strega sospirò passandosi una mano tra i ricci ribelli.
- Mi stai lasciando, Severus?
Il mago si voltò a guardala, Hermione non lo fissava, continuava a fissare un punto imprecisato del parco mordicchiandosi l'interno della guancia.
Immaginò una vita senza di lei, una vita grigia e solitaria. Pensò di tornare nel suo infinito, gelido inverno dell'anima e non riuscì più ad immaginare quella vita.
Non riusciva più ad immaginare una vita senza di lei, senza il suo sorriso, senza il suo colore.
Una vita non più chiassosa e carica di colori.
- Cosa? No! - dichiarò lui con enfasi stupito dalla domanda della sua donna – Cosa ti ha fatto credere che volessi lasciarti?
- A volte non so mai cosa aspettarmi da te. Non so se sei felice, se quello che abbiamo ti basta o se vuoi di più. Non so nulla, Severus. Mi limito a vivere ogni giorno la nostra storia, ma a volte penso che quando la scuola sarà finita tu andrai per la tua strada e mi lascerai indietro e… ho paura.
La costrinse con una delicata carezza a voltare il viso verso di lui, aveva le guance rosse e gli occhi lucidi di lacrime trattenute.
Le sorrise dolcemente, come faceva solo con lei.
- Sei l'ossigeno che respiro ogni giorno, Hermione. Mi hai ridato calore e donato una luce che credevo spenta in me. Quello che sto cercando di dirti, in modo goffo a quanto sembra, è che ti amo.
Il silenzio calò tra di loro come una pesante coperta, lei lo guardò per un lunghissimo istante carico di silenziosi significati.
- Non... - iniziò a dire titubante – non me l'avevi mai detto.
Severus, come unica risposta, allargò il sorriso. Era un sorriso che nasceva dal cuore e dalla sua anima ormai rinata sotto i raggi caldi della primavera che aveva il volto e il nome della donna che aveva di fronte.
Credeva di conoscere bene Hermione, a volte riusciva ad indovinare cosa pensasse o come avrebbe risposto, ma erano rari momenti. Spesso lei lo stupiva, mostrando nuove sfaccettature del suo carattere complesso fino a quel momento celate.
Era anche per questo che l'amava, era sempre bello scoprire qualcosa di nuovo su di lei e poi questa insicurezza rendeva ogni giorno una nuova sfida. Era certo che anche dopo dieci anni di vita insieme Hermione l'avrebbe sempre stupido in qualche modo.
Fu anche per questo che si ritrovò impreparato quando lei iniziò a prenderlo a pugni sul petto.
Piccoli colpi, decisamente non dolorosi, ma non si aspettava quel genere di reazione della sua donna.
Una donna di solito non è felice quando riceve una dichiarazione d'amore?
Lui questo non lo sapeva, era la prima volta che diceva quelle parole.
Che le diceva ad alta voce almeno, con davanti la donna che amava. Per anni quelle due semplici parole erano state sussurrate in una stanza vuota e buia, o mormorate con dolore e rimpianto ad una fotografia che sbiadiva con il tempo.
- Tu. - gridò Hermione continuando a picchiarlo, ogni parola era scandita da un pugno che rimbalzava sul suo petto – Mi. Hai. Spaventato. A. Morte!
Il buon senso gli disse che non era il caso di mettersi a ridere di fronte a quella inaspettata reazione, si limitò ad afferrale le mani bloccando il suo debole pestaggio.
Hermione cercò di divincolarsi, ma la sua presa era più forte, lo fissò con uno sguardo di fuoco, le lacrime prima trattenute erano scomparse.
- Ti amo. – le ripeté abbracciandola.
La strega rimase rigida nel suo abbraccio, con il volto contro il suo petto e le mani ancora strette in due pugni.
Severus ridacchiò stringendola forte, felice di sentirla vicino al suo cuore, felice di amarla così com’era.
Felice e basta.
- Ti amo. – disse di nuovo.
Scoprì che, una volta pronunciate quelle parole con felicità e non più con dolore e sensi di colpa, gli era impossibile frenare l’impulso di dirglielo ancora… e ancora… e ancora.
La sentì rilassarsi un poco nel suo abbraccio e la strinse ancora un po’.
- Sono ancora arrabbiata con te. – mormorò Hermione con la faccia premuta contro la sua casacca nera.
Non riuscì più a trattenersi e scoppiò a ridere.
- No, non è vero.
Hermione sollevò il viso per guardalo. La finta espressone di rabbia non riusciva a celare il sorriso sulle sue labbra.
- Sì, invece. – insistette, ormai del tutto rilassata.
Il mago smise di ridere e si chinò per darle un bacio.
- Allora, - alitò sulle sue labbra – farò di tutto per farmi perdonare.

FINE

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