Only Fools Fall For You

di addict_with_a_pen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


*Piccola nota inutile*
Sono tornata con una long decisamente molto ma molto long... Dunque, ho tre piccoli avvertimenti da darvi prima di cominciare:
1- La storia comprende un bel... 30 capitoli!!! quindi, se non vi va di perdere e buttare via così tanto tempo della vostra vita, lo capisco e lo rispetto; a voi la scelta.
2- Il rating, come potete vedere, non è rosso, dunque... se cercate qualcosa di un po’ più sporco, questa storia non fa per voi, dato che comprende più pensieri-cosefluffose-disagi-baci-e-carezze e dato che il rating, secondo me, poteva benissimo essere pure giallo, ma per stare tranquilli ho scelto di metterlo comunque arancio.
3- Ho finito ieri di scrivere la storia per intero e ora devo ““solo”” ricopiarla tutta al pc, ma penso comunque che tra la pubblicazione di un capitolo e quella di un altro non passeranno lustri, decenni e secoli.
Bene!
Vi auguro buona lettura e, se siete nostalgici e facilmente rattristevoli (????), preparate i fazzoletti. Buon San Valentino (anticipato) a chi tra di voi che state leggendo ha la fortuna di avere un Gerard o un Frank al proprio fianco (sono così fangirl che mi faccio schifo :’) )
Baci :*

 


 

La prima volta in cui vidi Gerard Way, avevo vent’anni.

“Eravamo andati al mare, i-io non... non pensavo che... scusate.” E per la quarta volta consecutiva si bloccò e scoppiò a piangere. Se non fosse stato per mia madre, io non avrei mai messo piede in quel luogo, ma ero stufo di vederla triste ogni volta che provava ad abbracciarmi e io mi scansavo da lei terrorizzato. Le cose erano andate più meno così: avevo dodici anni quando successe, andavo alle medie e avevo una vita tutto sommato bella, fino a quando non arrivò lui, il mio professore di ginnastica. Giravano voci sul fatto che fosse pedofilo, drogato, violento e chi più ne ha più ne metta, ma non vi avevo mai creduto, insomma, mi fidavo più di un adulto che dei racconti di adolescenti brufolosi e pieni di ormoni fino alla testa, ma a quanto pareva mi sbagliavo... No, non ha abusato di me, che schifo, ma in più occasioni aveva deciso che il salto in alto non si faceva in quel modo e mi aveva dunque riempito di botte e insulti fino allo sfinimento. Mia madre, ogni volta che ero tornato a casa pieno di lividi, non aveva fatto altro che sgridarmi e mettermi in castigo, perchè “Smettila di picchiarti coi tuoi amici Frank!” Amici... non aveva capito proprio nulla. Fatto sta che per tutti i miei anni di medie sono stato riempito di pugni e calci, così da aver sviluppato una paura tremenda soltanto nel farmi fare una carezza da qualcuno e una totale sfiducia nei confronti del genere umano, poichè, provate a mettervi nei miei panni, dopo tre anni in cui avevo provato a dire a professori, preside, madre, padre, nonni e che cazzo ne so che il mio professore mi picchiava a sangue e loro mi avevano risposto con un “Non essere ridicolo Frank!”, avevo imparato a fidarmi solo di me e dei miei occhi.
“Va tutto bene Emily, tranquilla...” Roteai gli occhi al cielo perchè non ne potevo già più di quella pagliacciata che si ostinavano a chiamare “seduta di gruppo”... Mia madre, pensando di poter mettere a posto la situazione dopo aver capito che non le avevo mentito riguardo al mio professore, aveva deciso di farmi partecipare a questi incontri in cui chiunque fosse stato strattonato un po’ più forte dal padre durante l’infanzia o semplicemente dimenticato al supermercato per due ore, veniva a raccontare la sua “esperienza traumatica”, a condividerla per poter dimenticare più in fretta... Immaginate la rottura.
“E invece tu? Come ti chiami?” Pensai si stesse riferendo a me, insomma, avevo gli occhi di tutti puntati addosso, così che mi schiarii la voce e feci questo sforzo enorme.
“Frank.” Credetti fosse finita lì, insomma, non avevo di certo voglia di condividere la mia “esperienza traumatica” con loro, oh no!
“E come mai sei qui Frank?” Ecco, perfetto.
“Onestamente non lo so nemmeno io, cioè, mi ha obbligato mia madre perchè i sensi di colpa non la fanno più dormire la notte, ma io non so perchè sono qui.” Calò un silenzio di tomba in cui gli sguardi di tutti si incollarono a me, così che mi sentii, se possibile, peggio di quando qualcuno provava a toccarmi senza il mio consenso.
“P-Potete smettere di fissarmi...?” Mormorai nascondendo il viso tra le mani e portando le gambe sulla sedia, accucciandomi come un bambino.
“Ti infastidisce essere osservato?” Mi chiese lo psicologo.
“No. Mi infastidisce stare in mezzo alla gente, non mi fido di nessuno. Il solo fatto di essere uscito di casa oggi è stato uno sforzo enorme per me, okay!? Adesso piantatela di fissarmi e andate pure avanti a parlare delle vostre stronzate, io ho di meglio da fare.” Mi alzai di scatto e mi catapultai fuori dalla porta, fuori dalla visuale di quei sedici sguardi fissi su di me e fuori dal pericolo che uno di quei sedici sguardi sarebbe potuto appartenere a qualcuno di cattivo, qualcuno che mi avrebbe fatto male.
Mi accovacciai a terra e mi abbracciai le gambe al petto come facevo quando non mi sentivo al sicuro e quando ero spaventato, per poi cominciare a piangere piano. Io ero stufo di trattare così la gente, non era stata mia intenzione quella di trattare tutti come sacchi di merda, ma oramai era l’unica cosa che sapevo fare; era così che mi relazionavo con le persone, che non mi facevo amici e che spezzavo il cuore di mia madre, ed era così che mi aveva ridotto un uomo e il periodo speso alle superiori dopo “l’incidente”, in cui non appena qualcuno mi toccava la spalla per chiamarmi io cominciavo ad urlare e piangere. Le superiori erano state forse peggio da questo punto di vista, poichè prima che si venisse a sapere che quell’uomo era pazzo e che picchiava davvero i suoi alunni, nessuno mi aveva mai creduto e tutti mi avevano preso per pazzo e mi avevano preso in giro, pensando che avessi qualche disturbo mentale o che fossi autistico. Quante volte mi avevano preso di forza e chiuso nell’armadietto e quante volte avevo pianto come un dannato pregando mia madre di uccidermi... Pazzesco come una “piccola” cosa avesse distrutto la mia vita.
“Hey, tutto bene?” Alzai il volto di scatto e subito il mio sguardo si incollò a quello di un ragazzo seduto davanti a me nella mia stessa identica posizione e con la stessa identica paura nei suoi occhi. Mi chiesi da quanto tempo fosse lì e, soprattutto, quali fossero le sue intenzioni... Non risposi, mi abbracciai meglio le gambe al petto e lo fissai da dietro le ginocchia, con gli occhi spalancati.
“Ho detto qualcosa di sbagliato?” Mi chiese visibilmente preoccupato e colpito dalla mia reazione.
“Sto bene.” Risposi, per poi alzarmi in piedi con l’intento di scappare nel bagno più vicino per piangere tutte le mie lacrime in santa pace e anche vergognarmi per come mi stessi comportando da idiota con quel ragazzo dagli occhi dolci. Insomma, c’erano scarsissime probabilità che potesse essere un pericolo, ma oramai la mia sfiducia vinceva su tutto e tutti, me compreso.
“Sicuro...?” Detto questo, mi afferrò piano il polso e il mio cuore prese ad esplodermi nel petto per la paura. Contatto fisico con uno sconosciuto, indipendentemente da quanto i suoi occhi fossero dolci, era totalmente proibito.
Urlai, che potevo fare?
“Non toccarmi! Nessuno deve toccarmi!” Tutti uscirono dalla stanza e si affrettarono a sorreggermi e quindi a toccarmi e non fui mai così vicino a una crisi di panico come in quel momento.
“Lasciatemi stare, non toccatemi!” Ma nessuno pareva sentirmi... Finalmente lo psicologo capì cosa stava succedendo, così che scansò tutti e mi si avvicinò piano, senza sfiorarmi.
“Vieni Frank, andiamo a prendere un po’ d’aria.” E lo seguii, poichè tutto era meglio che stare in mezzo a quella gente.
“Mi dispiace...” Fu l’ultima cosa che sentii, la voce dolce quanto i suoi occhi mi arrivò piano ma ben chiara all’orecchio.
“Anche a me...” Bisbigliai in modo che nessuno a parte me sentisse.
Che dire? Una giornata decisamente di merda.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


La seconda volta in cui vidi Gerard Way, stavo saltando la “seduta di gruppo”.
Mi guardai attorno circa una decina di volte prima di capire che, effettivamente, non c’era nessuno e che quindi potevo attraversare il corridoio e salire le scale. Avevo difatti pensato, una volta arrivato lì, che non me la sentivo proprio di entrare ancora in quella stanza e farmi squadrare e giudicare da quei sedici sguardi, così che decisi di saltare l’incontro, andare sul tetto dell’edificio, dove vi era questa specie di terrazza e, perchè no? fumare un pochino.
Mi convinsi ad attraversare in fretta il corridoio, cercando di fare il minimo rumore possibile, per poi arrampicarmi su per le scale e correre sul tetto. Mi spiaceva, sapevo che se mia madre lo avesse scoperto ne sarebbe rimasta profondamente rattristata, ma non potevo soltanto considerare una possibilità quella di sedermi e condividere con gli altri il mio passato, soprattutto non dopo l’episodio dell’altro giorno.
“Frankie, tesoro, non devi avere paura di quei ragazzi, sono qui per aiutarti.” Mi aveva detto dolcemente mia madre dopo essermi venuta a prendere e portato al sicuro da tutte quelle persone. Era stata la prima volta dopo settimane, o forse mesi, in cui mi ero letteralmente buttato tra le sue braccia e l’avevo stretta forte, piangendo sulla sua spalla. Avere questa profonda sfiducia nei confronti del prossimo difatti non corrispondeva a non voler avere contatti fisici in assoluto, decidevo io quando qualcuno mi faceva sentire protetto e quindi potevo abbracciarlo, e mia madre quel giorno mi era sembrata l’unica cosa positiva sulla faccia della Terra.
Nonostante le sue parole comunque, non ero riuscito a pensarla come lei e a vedere perciò del bene in quei sedici ragazzi, così che decisi di passare quell’ora sul tetto, da solo.
Arrivai in fretta in cima alle scale e, non appena aprii la porta anti-incendio e misi fuori la testa, per poco non mi venne un colpo: il ragazzo dell’altro giorno, quello con gli occhi dolci, era lì, intento a fissare le nuvole cariche di pioggia nel cielo, mentre fumava una sigaretta e si muoveva dolcemente a ritmo della canzone che stava ascoltando in quel momento. Sorrisi, nonostante fossi abbastanza infastidito dalla sua presenza, non potei non sorridere davanti al suo “balletto meraviglioso”. Forse avevo sbagliato ad avere paura di lui...
“H-Hey...” Dissi a un certo punto titubante, andandogli incontro. Non appena mi vide, strabuzzò gli occhi, si immobilizzò, si tolse le cuffie dalle orecchie e spense la sigaretta sotto la scarpa. Per me avrebbe tranquillamente potuto andare avanti a far ciò che stava facendo, soprattutto ad ondeggiare i fianchi, lo avrei apprezzato molto.
“Ti prego non gridare, n-non voglio farti nulla! Se vuoi me ne vado e ti lascio solo, basta che non urli, sennò salgono qui e vedono che ho saltato l’incontro e-e... Ti prego.” Sorrisi nuovamente, per poi sentirmi in colpa e vergognarmi della situazione. Chissà cosa aveva pensato di me l’altro giorno...
“Mi dispiace...” Dissi con lo sguardo basso, fissandomi le scarpe.
“In che senso?” Mi chiese con voce leggermente più tranquilla di prima.
“L’altro giorno, non era mia intenzione urlarti contro... Ho un problema con le persone che mi toccano senza il mio consenso diciamo, tu non c’entri nulla, quindi, ti prego, scusami.” Rimanemmo quache istante di troppo in silenzio in cui mi chiesi cosa avessi detto di sbagliato.
“Oh” disse d’un tratto “Okay, non preoccuparti.” E  calò nuovamente il silenzio.
“Pensi che io sia pazzo?” Chiesi avvicinandomi ancora un po’.
“Non giudico nessuno io, soprattutto non ora che siamo entrambi sul tetto di una specie di ospedale psichiatrico e mi hai appena visto ballare.” Risi appena, per poi tirare fuori il mio pacchetto di sigarette e offrirgliene una.
“Ho visto che l’hai spenta e non era nemmeno a metà.” Dissi provando a rivolgergli un sorrisino e guardandolo bene in faccia; ora che gli ero vicino, mi resi conto che aveva i lineamenti più dolci che avessi mai visto e che dunque era tutto meno che un pericolo. Aveva gli occhi circondati da ombretto rosso, il viso pallido e tondo e le labbra screpolate, così da automaticamente sembrare un vampiro.
“Lo devo prendere come un insulto o un complimento?” Mi chiese d’un tratto, così che capii di aver detto la mia considerazione ad alta voce. Perfetto!
“Io n-non...” Arrossii come un idiota perchè, insomma, che figura di merda! Chi mai se ne esce con un “Hey, sai che sembri un vampiro?” quando sta conoscendo una persona? Solo Frank Iero apparentemente.
“Naaah tranquillo, è il mio intento in un certo senso. E poi, i vampiri sono fantastici!” Disse per poi finalmente prendere la sigaretta che gli stavo offrendo ed accendersela.
“Cosa stavi ascoltando prima?” Chiesi per cambiare argomento e cercare di dimenticare quel momento di imbarazzo totale appena passato.
“Bowie, The Jean Genie. È fottutamente perfetta quella canzone.”
“È grave se dico che non conosco Bowie...?” Chiesi mordendomi il labbro e sentendomi un idiota.
“Cosa!? È più che grave, è una tragedia!” Arrossii nuovamente.
“Cioè, non è che non so chi sia. Heroes e Life on Mars le conosco, ma...”
“Ppppff per favore! C’è davvero qualcuno al mondo che non conosce Heroes? È come dire di non sapere di chi è Bohemian Rhapsody.” Rispose lui, voltandosi verso me e fissandomi per qualche secondo.
“Deve essere una canzone parecchio bella visto il balletto che stavi facendo.” Risposi a mia volta, cercando di mantenere un minimo di superiorità.
“Aaah, vaffanculo!” disse ridendo e arrossendo appena “Pensavo di essere solo, sei tu che ti sei intromesso.”
“Giusto, chiedo umilmente perdono... emh...”
“Oh, Gerard, mi chiamo Gerard.” Disse voltandosi nuovamente verso me e sorridendomi dolcemente, tirando appena fuori la mano destra, speranzoso in una stretta.
“Io Frank, è un piacere conoscerti.”
“Piacere? Addirittura...?” Disse sorpreso e raggiante per le mie parole.
“Certo che lo è.” E detto questo, con mia e sua enorme sorpresa, gli strinsi la mano.
“No, scusa! Non volevo!” Si precipitò a dire lui con tono terrorizzato, ma io non mollai la sua mano.
“Hey, tranquillo, va tutto bene.” Ed andava bene davvero. Rimanemmo con le mani unite per qualche istante, lui a sorridermi e io a fissare le nostre dita che, piano piano, si stavano incastrando tra di loro. Quella era la prima volta che permettevo ad uno sconosciuto di toccarmi per così tanto tempo.
“Oh merda, devo andare” disse d’un tratto guardando l’ora sul cellulare “Devo essere fuori massimo tra cinque minuti o vedranno che ero qui e che ho quindi saltato l’incontro per l’ennesima volta...” Sospirò per poi lasciare andare piano la mia mano, senza smettere di sorridermi.
“Beh, è stato un piacere conoscerti pure per me Frank, anche se non conosci Bowie” rise “Se ti capiterà mai di saltare un’altra volta l’incontro, sei il benvenuto qui.”
“Capiterà, puoi starne certo, come puoi star certo che appena tornerò a casa ascolterò quella canzone.”
“Bravissimo.” Mi disse prima di voltarsi e dirigersi vero la porta.
“Ah dimenticavo” disse girandosi nuovamente verso me “Non devi avere paura di me Frank. Sono solo un grande perdente con un debole per i fumetti e un’ossessione compulsiva per la musica. Le uniche creature a cui posso far male sono le zanzare, non te di certo. Alla prossima.” Ed entrò nell’edificio.
Rimasi da solo sulla terrazza, con un sorriso enorme in volto e un minimo di orgoglio e soddisfazione nei miei confronti per essermi comportato almeno una volta nella mia vita da persona normale.
Forse non era vero che non potevo cambiare...

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


*Piccola nota inutile*
Siccome oggi non avevo molto da fare se non dormire e riflettere sul senso della vita (e sul senso della mia prof di matematica che ha fissato la verifica nel giorno del concerto a cui devo andare T-T stronza) e siccome i primi capitoli sono abbastanza corti in confronto a quelli più avanti, ho deciso di farne uscire un altro che, nella mia opinione, non è nulla di che, ma almeno è tenero (???) boh, lasciatemi perdere -.-
Buona lettura e, come al solito, baci :*




 


La terza volta in cui vidi Gerard Way, ballammo insieme sulla terrazza.

Stavo fissando la porta anti-incendio che portava alla terrazza da oramai dieci minuti, ma ancora non avevo trovato la forza di aprirla e raggiungere Gerard. Quella era una giornata brutta, e per brutta intendo che non riuscivo a tollerare nessuno, che avrei solo voluto starmene chiuso in casa accucciato sul letto a guardare qualche telefilm stile “Modern Family” e mangiare quantità industriali di cereali. A volte mi capitava di svegliarmi e semplicemente non riuscire ad entrare nell’ottica di dover vivere, poichè, effettivamente, uno che cosa sta a fare al mondo se non vivere? Non avevo avuto la forza di dirlo a mia madre e non avevo la minima voglia di lasciare Gerard da solo sul tetto e questa fu forse l’unica ragione che mi spinse a lavarmi, vestirmi ed uscire di casa quel giorno. Okay, volevo assolutamente vedere ancora Gerard, soprattutto per dirgli che avevo ascoltato la canzone e anche altri pezzi di Bowie e che mi ero fissato con lui, ma una mia parte, quella sfiduciata, me lo stava impedendo perchè aveva deciso che quel giorno dovevo avere paura di tutto e tutti.
Colto da un attimo di coraggio preso non so dove, aprii la porta ed uscii nell’aria fredda di Gennaio, per poi chiuderla e voltarmi verso il muretto dove l’altra settimana vi avevo trovato Gerard.
“Frank! Stavo perdendo la speranza, lo sai?” Mi disse con uno dei suoi dolci sorrisi e la mia sfiducia si vergognò di se stessa in quel momento, poichè il sorriso di quel ragazzo era tutto il buono che esistesse al mondo.
“Pensavo di vederti prima, nel senso, quando hai le sedute tu?” Mi chiese inclinando la testa da un lato e fissandomi.
“Umh io... le ho il Lunedì, il Mercoledì e il Giovedì, ma solo il Mercoledì posso permettermi di saltarla, cioè, per non destare più di tanti sospetti diciamo.” Annuì deciso e mi si avvicinò un po’ di più, forse troppo...
“N-No Gerard. Stai lì, ti prego.” Dissi fissando il suolo, colmo di vergogna ed imbarazzo per la mia stupidità.
“Scusami...” disse tristemente, indietreggiando “Stai bene però, non è così? Non è successo nulla, giusto?” Chiese con tono preoccupato e io scossi la testa, non riuscendo tuttavia a guardarlo negli occhi.
“È solo una giornata-no, tranquillo.”
“Mi basta sapere questo.” Sorrise ancora, lo capii dal suo tono di voce, così che finalmente alzai il viso verso il suo e ne ebbi la conferma.
“Mi dispiace, giuro. È la seconda volta che ti parlo e già ti sto dando l’impressione peggiore che possa esistere, io non...”
“Hey, non è vero! Tranquillo, accetto la tua situazione, quindi a me va benissimo sedermi in questo angolino mentre tu ti siedi nell’altro, basta che sei qui con me e che parliamo, il resto non importa.” Detto questo si sedette a terra a gambe incrociate e io feci lo stesso, circa quattro metri più avanti, ovvero la distanza minima che potevo tollerare quel giorno.
“Beh... che mi racconti?” Chiese accendendosi una sigaretta e stringendosi meglio nel suo giubbotto.
“Oh, ho ascoltato la canzone ed è meravigliosa, hai ragione tu.”
“Ovvio che ho ragione io.” Disse con aria di superiorità a cui io risposi ridendo.
“Ma” aggiunsi alzando un dito per aria per attirare la sua attenzione “ce n’è una decisamente migliore.”
“Ah sì? E sarebbe?” Sorrisi nel vedere la sua espressione sorpresa, per poi prendere il cellulare e metterla direttamente su a basso volume. I suoi occhi si ingrandirono e un sorriso enorme prese spazio sul suo volto non appena la prima nota della canzone partì.
“Oh You Pretty Things! Non ci credo!” Detto questo, si alzò in piedi e prese a cantare teatralmente e a ballare attorno come l’altro giorno, guardando verso me, come a volermi dedicare pezzi di canzone.
Risi, che altro avrei potuto fare?
“Balla con me, dai Frank!” Mi disse facendomi segno con una mano di unirmi a lui e in quel momento misi da parte la mia sfiducia nei confronti del genere umano e presi a “ballare” a mia volta. Che scena patetica, vederla dall’esterno doveva essere davvero squallida. Nonostante le “distanze di sicurezza” che Gerard non provò mai a superare, mi divertii come non mai e desiderai perfino un po’ andare da lui e ballargli accanto, cosa che comunque non accadde.
A canzone finita, ci buttammo entrambi a terra, con il fiato corto e un sorriso enorme stampato sul viso e poi scoppiai a ridere, come non mi capitava da tempo.
“Divertito?” Mi chiese vista la mia reazione, per poi alzarsi in piedi e appoggiarsi al muretto.
“Eccome! Non avrei mai pensato di finire a ballare sul tetto di un palazzo, ma mai dire mai” risposi, ridendo ancora felice “Mi dai una mano ad alzarmi per favore?” Chiesi dopo l’ennesimo tentativo fallito nel rialzarmi da terra. Mi si avvicinò cautamente e mi tirò in piedi in un secondo e solo in quel momento mi resi conto della vicinanza sconvolgente a cui ci trovavamo. Mi allontanai di scatto, col cuore che batteva all’impazzata e la paura fin dentro le ossa. Ero veramente una causa persa...
“Mi dispiace Frank” mi disse allontanadosi a sua volta con aria pentita “Non volevo spaventarti.”
“No, spiace a me... Dimentichiamo quest’ultima parte, okay?” Dissi sorridendogli debolmente.
“Okay, perfetto.” Ci sorridemmo per qualche istante, prima che Gerard si rendesse conto che era tardi e doveva andarsene.
“Aspetta un attimo” dissi prima che se ne andasse “Grazie...”
“E di cosa? Grazie a te per essere venuto ancora, mi fa piacere stare con te.” Si diresse verso la porta ma indugiò un attimo sulla maniglia, per poi voltarsi nuovamente verso me.
“Abbraccio a distanza?” Chiese imbarazzato, aprendo le braccia e sorridendomi intimidito.
“Abbraccio a distanza...” Risposi aprendo le braccia a mia volta e sorridendo.
“A Mercoledì prossimo, ciao Frank!”
“Ciao Gerard...”
Mai in tutta la mia vita desiderai così tanto abbracciare una persona.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


*Piccola nota inutile*
Sempre perchè non ho nulla da fare, pubblico un altro capitolo, anche se dubito che domani farò lo stesso, dato che tra fisica e matematica non so più da che parte girarmi...
Spero vi continui a piacere la storia, anche se è così tanto all’inizio che mi viene da piangere al pensiero di quante ore di “ricopiaggio intensivo” al computer mi aspettano ancora -.-‘
Come sempre, baci :* :*





 

La quarta volta in cui vidi Gerard Way, mi raccontò la sua storia.

“Giuro che è successo! E poi si è messa a piangere perchè sua nonna non le ha dato l’ultimo biscotto, ti pare possibile?” Il Mercoledì successivo ero abbastanza tranquillo, così che ci sedemmo vicini, quasi spalla contro spalla, e poi cominciai a prendere in giro una ragazza nel mio gruppo che, Dio mio, aveva da condividere un “ricordo traumatico” dopo l’altro e tutti erano ridicoli e senza senso.
“Non so come fai ad andare a quelle cazzo di sedute, davvero, ti ammiro.” Disse per poi far urtare appena le nostre spalle. Risi.
“Per far felice mia madre credo... Tu le salti  tutte?” Chiesi accendendomi l’ennesima sigaretta.
“Già... Non penso che riuscirò a mettere piede lì dentro nemmeno tra anni.” Disse incurvando le spalle e rabbuiandosi.
“Perchè...? Ti hanno fatto qualcosa?” Chiesi timidamente sperando di non essere entrato troppo nel suo spazio personale.
“No, non è quello, è solo che non mi piace stare in mezzo a persone che mi ricordano continuamente cos’è che non va in me, non riesco a tollerarlo, capisci?” Sapevo esattamente cosa intendeva, condividevo il suo pensiero ma allo stesso tempo ero stracurioso di sapere “cosa non andasse” in lui. Parliamoci chiaro, l’unica cosa che non andava in Gerard, per quanto lo conoscessi al tempo, erano solo le labbra decisamente troppo screpolate e il fatto che sembrava aver dichiarato guerra alla doccia, ma per il resto era... perfetto.
“Cos’è che non va in te Gerard?” Chiesi voltandomi verso lui e il suo musetto rattristato.
“Beh, ecco... anche se può risultare strano e patetico dato che ho solo ventiquattro anni, io... io ho un problema piuttosto serio con l’alcool. Il mio gruppo è formato da alcolisti e drogati “alle prime armi” come li chiamo io, perchè il gruppo dei drogati drogati è una cosa a sè e, credimi, non vorrei essere al posto del terapista di quel gruppo.” Lo osservai ed ebbi una voglia matta di stringerlo a me, ma ancora una volta la mia parte sfiduciata non me lo consentì, così che mi limitai ad afferargli una mano e stringerla piano nella mia.
“Dovresti andare ad almeno un incontro, per provare. Sai, anch’io odio questa cosa, ma un minimo mi sta aiutando... Mi sento già un po’ più in sintonia con gli altri e penso sia un bene.” Mentii spudoratamente, per poi sentirlo stringere un po’ più forte la mia mano nella sua e cominciare ad accarezzarla piano. Sorrisi sentendo tutto meno che paura.
“Sono tutti adulti in quel gruppo Frank... Hanno tutti minimo trentacinque anni, cosa penserebbero di me? Diventerei lo zimbello, n-non voglio, so già che è penoso il fatto di essere alcolizzati alla mia età, ma non...”
“Hey, Gerard, fermo” dissi inginocchiandomi davanti a lui e portando per qualche breve istante una mano sotto il suo mento, in modo che mi vedesse bene in faccia durante il mio discorso “Come hai detto tu qualche giorno fa, qui nessuno ti giudicherà, siamo tutti sulla stessa barca, okay? Non sei lo zimbello proprio di nessuno, anzi, è meglio se provi adesso che sei giovane a fare queste sedute, sennò finirai come loro, a quarant’anni con il fegato distrutto e una vita di merda sulle spalle, e tu non vuoi questo, vero?” Scosse la testa, ancora imbronciato.
“Se non mi piace però, non ci vado più...” Disse incrociando le braccia al petto. Sorrisi, sorrisi poichè in quella posizione ricordava troppo un bambino.
“Okay, grazie.”
“Grazie? E per cosa?” Mi chiese alzando finalmente il volto e sorridendo.
“Grazie per provarci, m-mi fa piacere che tu almeno proverai...” Mormorai arrossendo, perchè ero fottutamente imbarazzante.
“Aww Frank, ti abbraccerei!” Esclamò per poi alzarsi in piedi e lasciarmi a terra, con l’imbarazzo fin dentro le ossa e una voce che mi urlava “rincoglionito!” nella testa. Perfetto.
“Sai, in verità è stata una mia idea quella di venire qui. Sono stufo di non ricordarmi più nulla di una singola serata o festa a cui partecipo, sono stufo di vedere la tristezza sul volto di mio fratello quando mi raccoglie da terra e mi aiuta a vomitare e sono stufo di ripetere gli stessi esami all’Università e non riuscire a passarli mai e poi mai. Sono stufo di me, ma allo stesso tempo non ho la forza di cambiare, non so se mi sono spiegato o...”
“Tutto chiaro, ho capito” risposi alzandomi e appoggiandomi sul muretto accanto a lui “ed è un bene che tu abbia già delle ragioni che ti spingano a voler cambiare.” Aggiunsi per poi gettare la sigaretta, oramai finita, giù dal tetto e cominciare a fissare il cielo davanti a noi. Sperai che quel cielo bianco significasse neve, poichè la adoravo, mi rendeva un po’ meno sfiduciato.
“E tu? Hai qualche ragione per voler cambiare?” Mi chiese mantenendo lo sguardo fisso al cielo.
“Poter ricominciare ad abbracciare la gente diciamo... Riuscire a relazionarmi come una persona normale.”
“Buonissime ragioni, così finalmente potrò abbracciarti pure io.” Mi disse col sorriso, per poi dirigersi verso la porta. Perchè mai avrebbe voluto abbracciarmi? Insomma, ci conoscevamo appena in fondo, perchè si stava già affezionando così...?
“Ci vediamo Frankie.” E se ne andò, lasciandomi solo coi miei pensieri e con quel “Frankie” nell’aria che mi fece sorridere come un matto.
Forse adesso anche il relazionarmi meglio con Gerard era diventata una ragione.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


La quinta volta in cui vidi Gerard Way, mi fece un ritratto.
“Hey... Tutto bene?” Chiesi appena misi il naso fuori sulla terrazza e vidi Gerard raggomitolato in un angolino, con lo sguardo fisso nel vuoto e le braccia strette attorno al busto. Non appena sentii la mia voce, distolse in fretta lo sguardo da qualunque cosa stesse fissando e, nel preciso momento in cui i suoi occhi si posarono su di me, sorrise felice e si alzò da terra.
“Frankie! Tutto bene, stavo solo pensando. Tu invece? Giornata buona?” Annuii e mi avvicinai a lui.
“Sì, oggi mi sento abbastanza positivo nei confronti del genere umano” risi “A che stavi pensando?” Ci appoggiammo al muretto a fissare il cielo come nostro solito e gli passai una sigaretta che lui accettò senza ribattere.
“Niente di importante, cose a caso. A te non capita mai?” Annuii nuovamente, per poi accendermi una sigaretta a mia volta e riprendere a fissare il cielo, bianco come settimana scorsa. Fumammo le nostre sigarette in silenzio, un silenzio tranquillo e tutto meno che imbarazzato, in cui potevo sentire il suono leggero di Gerard mentre aspirava il fumo. Era bello stare insieme a lui, col passare del tempo poi mi era capitato spesso durante la settimana di ritrovarmi a pensare a lui e a volere con tutto me stesso che già fosse Mercoledì, così che mi resi conto che un’ora a settimana era troppo poco tempo da spendere assieme, che avrei voluto vederlo più spesso, anche solo dieci minuti al giorno, dieci minuti per sapere se stesse bene, per fumare insieme e parlare di musica come piaceva a lui. Mi ero affezionato, e come non avrei potuto? Era l’unico amico che avevo al mondo...
“Tu hai tanti amici?” Chiesi appena finii la mia sigaretta.
“No, tu?”
“S-Solo uno a dire il vero... e nemmeno so se lui mi considera proprio amico...” Portò piano e delicatamente un dito sotto il mio mento, così da non spaventarmi, per poi farmi alzare lo sguardo; stava sorridendo, ma non il suo solito sorriso, questo era più dolce, più... tenero. Arrossii.
“Sono sicuro che anche lui ti considera suo amico.” Bisbigliò mantenendo il sorriso, per poi farmi una carezza velocissima e tornare a fissare il cielo. Mi risistemai accanto a lui, sorridendo a mia volta, e dopo pochi istanti lo sentii scoppiare a ridere.
“Perchè ridi?” Chiesi trattenendomi dal ridere a mia volta, poichè la risata di Gerard era ciò che di più contagioso esistesse al mondo.
“Perchè mi stavo chiedendo una cosa ed è un tantino imbarazzante.” Disse cercando di calmarsi, asciugandosi le lacrime dagli occhi ed evitando a tutti i costi il contatto visivo.
“Voglio sapere cos’è, adesso sono curioso.”
“Credimi Frank, non lo vuoi sapere...” Si ostinò lui, arrossendo appena e incuriosendomi perciò ancora di più.
“Daaaai Gerard!”
“Posso farti un ritratto?” Mi chiese alla fine, le guance totalmente rosse e un sorriso imbarazzato sulle labbra.
“Oh...” Fu la mia risposta che, parliamoci chiaro, era una risposta davvero di merda, ma quella domanda mi aveva annebbiato totalmente la mente e la capacità di pensiero. Perchè cavolo avrebbe voluto farmi un ritratto??
“L’avevo detto che è imbarazzante, adesso penserai che sono pazzo, scusami Frank, lascia perdere...”
“No, affatto, è solo che... perchè mai vuoi farmi un ritratto?” Sembrò pensarci su un po’, per poi scrollare le spalle e rispondere.
“Perchè mi piace disegnare ciò che penso sia bello.” Oh.
“Oh...”
“È un sì allora?” Mi chiese speranzoso.
“Certo, perchè no?” Sorrisi nel vedere la gioia sul suo volto, anche se, cosa c’era da essere felici? La mia faccia era parecchio brutta, che cosa ci trovava di bello in me?
“Okay, rimani lì in quella posizione. Devo fare in fretta, abbiamo mezz’ora precisa.” Da una borsa a cui non avevo fatto caso prima, tirò fuori un blocco e qualche matita e carboncino, per poi posizionarsi a terra a gambe incrociate.
“Qualcosa mi fa pensare che avevi già in mente di farmi un ritratto...” Dissi ridendo e osservandolo mentre stava cominciando a tracciare le prime linee sul foglio.
“Speravo solo che fosse una giornata buona per te... Sai, è tutta settimana che penso a questo.” Indicò il foglio così che non capii se con “questo” intendesse il disegno o la mia faccia, per poi alzare lo sguardo e cominciare a squadrarmi da capo a piedi.
“Posi quasi come una modella, lo sai Frankie?” Mi disse con tono da presa in giro, ridendo e sorridendomi come un idiota.
“Aaah fottiti!” ribattei ridendo a mia volta “E lavora piuttosto. Il tempo passa in fretta e io voglio il mio ritratto finito entro oggi.”
“Ai suoi ordini.” E calò nuovamente il silenzio. Potevo sentire il suono delicato della matita che scorreva sul foglio e potevo vedere l’espressione di Gerard illuminarsi o rabbuiarsi a seconda di come il disegno stesse venendo. Mi sentivo tremendamente bene e la cosa mi sembrò tutto meno che normale, poichè in genere odiavo la gente che mi fissava, soprattutto se mi fissava per tanto tempo, soprattutto se mi fissava così intensamente come stava facendo lui, ma in questo caso potevo provare tutto meno che imbarazzo o disagio. Forse avevo trovato davvero un amico...
“Quasi finito, promesso.” Disse dopo poco più di venti minuti, tirandosi indietro una ciocca di capelli che per tutto il tempo non aveva fatto altro che stargli davanti agli occhi.
“Eeee... ecco qui!” Girò il foglio verso me con un sorrisone enorme in volto e non potei far altro che rimanere imbambolato davanti alla sua opera. Insomma, era solo uno schizzo e io già lo trovavo meraviglioso, sebbene il soggetto non fosse poi così tanto meraviglioso...
“G-Gerard è... è bellissimo! Sei bravissimo! Perchè non mi hai detto prima che sai disegnare così bene?” Chiesi inginocchiandomi davanti a lui e prendendo il disegno in mano.
“Non ne avevo visto la necessità, tutto qui.” Disse facendo spallucce e sorridendo felice vista la mia gioia. Rimasi imbambolato ad osservare il disegno per minuti, ammirando ogni piccolo dettaglio, riga di espressione o piega dei vestiti mentre lui rimase imbambolato a fissare me... Potevo sentire il suo sguardo addosso ma, ancora una volta, non provai nè disagio nè paura.
Gee...?” Chiesi con tono curioso leggendo la firma in basso nell’angolo del disegno.
“Sì, in genere firmo così i miei disegni” disse alzandosi in piedi “Puoi chiamarmi anche tu così, solo se vuoi ovviamente...” Aggiunse intimidito.
“Okay, mi piace.” Dissi per poi alzarmi a mia volta ed allungare il braccio per ridargli il disegno, ma mi bloccò.
“Te lo regalo, è tuo.”
“Sicuro? L’hai fatto tu, io non...”
“Sei mio amico, e ho deciso di farti un regalo.” Mi disse col suo solito sorriso dolce, mentre si diresse verso la porta.
“Okay, grazie...” mi schiarii la voce ed incollai lo sguardo a terra “...Gee.”
“A Mercoledì prossimo Frankie.” Ed entrò.
Cominciò a nevicare.
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


*Piccola nota inutile*
Allora... questo capitolo è già un pochino più lungo, perchè inizia la storia “vera e propria” e devo ammettere (cosa strana che io lo faccia) che mi piace abbastanza questo pezzo, non so, è tenero :3
Gee è già totalmente cotto ma Frank... beh, Frank è un po’ lento ahahah okay, la pianto.
Buona lettura e, come sempre, baci:*



 

La sesta volta in cui vidi Gerard Way, giocammo a palle di neve.

“E salutami quel Gee, mi raccomando!”
“Mamma!” Rise, mentre io mi precipitai giù dall’auto con il viso in fiamme.
“Oooh dai Frank, sono solo felice che tu abbia trovato qualcuno, non pensar...”
“Ciao mamma.” E me ne andai verso l’edificio, con l’imbarazzo fin dentro le ossa.
Okay, tutto era cominciato Giovedì scorso, quando alla fine dell’incontro era venuta a prendermi con un sorrisone enorme in faccia.
“Buone notizie?” Le avevo chiesto confuso, notando che il sorriso non stava facendo altro che ingrandirsi.
“Da quando hai il ragazzo Frankie?” Blackout.
“Ma di che diavolo stai parlando!?”
“Ho trovato un disegno sulla tua scrivania questa mattina, un tuo ritratto, e in basso c’è scritto “Gee”. Allora... chi è questo ragazzo? È carino?” Non sapevo perchè, ma mia madre era saltata direttamente al “livello superiore” e non aveva voluto saperne di credere alla storia di “io e Gerard siamo solo amici! Mi ha fatto un ritratto perchè... beh, perchè aveva voglia, non perchè stiamo insieme!” così che per tutta la settimana dopo non aveva fatto altro che farmi domande su di lui.
Sarei morto dall’imbarazzo, poco ma sicuro.
“Le persone ritraggono solo ciò che ritengono bello Frankie, io penso che questo tuo amico non la pensi come te.” Rimasi senza parole quando me lo disse, poichè erano state esattamente le stesse identiche parole usate da Gee... Ma che cavolo! Oltretutto nè io nè lei sapevamo quale fosse la mia sessualità, nel senso, con il mio piccolo problema le uniche esperienze amorose che avevo avuto erano state un bacio con la mia ex migliore amica nella quale avevo una grande fiducia e un mese con un ragazzo che, dopo la seconda volta in cui ero scoppiato in lacrime quando la sua mano era scesa verso il basso dei miei pantaloni, si era stufato e mi aveva dato del malato di mente. Per quanto mi riguardava, il mio orientamento sessuale era la bistecca vegana di mia madre, del resto poco mi importava.
“Potresti portarlo qui qualche giorno, mi farebbe piacere conoscerlo.” E sapevo che le avrebbe fatto davvero piacere... A lei sarebbe andato bene anche se fossi tornato a casa abbracciato a un cavallo dicendole “ti presento il mio ragazzo”, poichè moriva dalla voglia di vedermi felice con chiunque volessi e ritenessi una persona che mi faceva sentire al sicuro, così da essere totalmente impazzita dopo aver scoperto il disegno e ancora di più dopo che l’avevo appeso in camera mia.
“Vi siete già baciati?” Che avevo fatto di male?
Tirai un sospiro di sollievo non appena mi chiusi la porta dell’edificio alle spalle, poichè l’intero viaggio in auto era stato l’Imbarazzo per eccellenza. Guardai l’ora e notai che ero decisamente in anticipo, ma non mi preoccupai più di tanto, insomma, da dopo Mercoledì scorso aveva nevicato un giorno sì e l’altro no, così che la città era ricoperta da un bellissimo manto di neve soffice e candida e ciò poteva solo significare che la terrazza sul tetto doveva  essere a sua volta ricolma di neve.
Meraviglia.
Salii in fretta le scale e appena misi la testa fuori sorrisi come un bambino; non avevo mai visto così tanta neve in vita mia! Cominciai a fare gridolini di gioia totalmente imbarazzanti e a saltellare in giro, prendendo la neve in mano e lanciandola ovunque. Ero imbarazzante, ma ero felice.
“Mi dispiace davvero molto disturbare, anche perchè sei dannatamente adorabile in questo momento, ma siccome ho una voglia matta di tirarti una palla di neve e non voglio farti venire un infarto, allora ti do il preavviso: Frank, ora ti tirerò una palla di neve.”
“No, aspetta, cos...” E Gerard fece la sua comparsa.
“Troppo tardi!” Mi ritrovai dunque immerso nella neve, con la guancia dove la palla mi aveva preso dolorante per il freddo.
“Sei un bastardo!” Dissi ridendo e sfregandomi il viso con la sciarpa nel tentativo di scaldarmi almeno un pochino. Si unì alla mia risata e mi si accovacciò davanti, per controllare che la mia guancia fosse ancora lì.
“Mi dispiace, non ho resistito.” Mi disse non perdendo il sorriso e rimanendo nella sua posizione; era il momento di vendicarsi.
“Ah sì? Beccati questo allora!” Detto questo, gli lanciai addosso un mucchio di neve che in pratica lo seppellì vivo, così che mi ritrovai in presenza di un mucchietto di neve ridacchiante al posto suo.
“Non ho resistito, mi dispiace!” Dissi con la vocetta da presa in giro, il che non fece altro che fare sbellicare ancora di più il pupazzo di neve coi capelli neri davanti a me.
“Non vale così! Alzati e combattiamo come si deve.” E mi alzai, per poi aspettare che Gee si togliesse tutta la neve di dosso e si sitemasse un po’. Era davvero comico adesso che lo guardavo bene, con i capelli fradici e alla cavolo, il trucco sbavato e tutto intento a scaldarsi, non potè che farmi ridere e intenerire. Pensai fosse quella la tenerezza... Nessuna persona fino a quel momento mi aveva mai destato tenerezza, ma osservare Gerard in quelle condizioni mi causò una sensazione strana che interpretai come quella. Sorrisi come un pazzo.
“Penso  di avere la neve nelle mutande, lo sai?” Detto questo mi lanciò un’altra palla addosso e fu così che cominciò la nostra “guerra senza pietà”.
“Dove pensi di scappare Frank!?” Giuro, non avevo mai riso così tanto in vita mia.
A battaglia finita, dopo aver entrambi deciso di far pace dato che eravamo fradici, ci accasciammo a terra, l’uno accannto all’altro ed esausti.
“Ho comunque vinto io... Tu sei lento.”
“Non credo proprio piccolino...” Mi si bloccò il cuore.
“P-Piccolino?”
“Beh, grande non sei di certo. Sei altro più o meno così.” Disse indicandomi una spanna con la mano e ridendo da bravo idiota che non era altro.
“Ti odio, sappilo.”
“Naaah mi adori.”
“Quella che ti adora più che altro è mia madre...” Dissi portandomi una mano sul viso in segno di sconforto.
“Ah sì? Non l’ho nemmeno mai vista, com’è possibile?”
“Diciamo che si è creata il suo piccolo romanzo rosa nel vedere il ritratto che mi hai fatto. Non è passato un giorno in cui non mi abbia chiesto “ma il tuo ragazzo come sta?”. Dio mio, mia madre è forse più pazza di me.” Dissi accennando una risata ed aspettandomi che Gee facesse lo stesso, ma non accadde.
“Oh! Emh... okay” rise istericamente “Beh, è carino in un certo senso che-che pensi questo.” Si alzò da terra e si affacciò al solito muretto, lasciandomi a terra confuso e a cercare di capire cosa quella reazione avesse significato.
“Rimane pazza, caso chiuso.” Mi alzai a mia volta per prendere posto accanto a lui e, come di routine, fumare una sigaretta assieme.
“Sai, mi chiedevo se prima o poi potessimo vederci anche al di fuori di questa terrazza... Non so, magari andare in un bar o se non ti va anche a casa mia o tua, oppure...”
“Mi piacerebbe molto.” Risposi col sorriso, avvertendo un calore delizioso espandersi nel mio corpo e arrivare fino allo stomaco. Ma che mi aveva preso??
“Va bene Frankie... Allora t-ti chiamo? Così magari ci organizziamo per Sabato che non ho lezione.” Annuii deciso, con lo sguardo basso e quel calore che non voleva saperne di darmi pace.
“Ti scrivo il-il mio numero sulla mano allora, perchè non ho un foglio adesso” rise ancora istericamente “F-Fa niente?” Perchè cavolo stava balbettando!?
“Va bene, non c’è problema. Te lo scrivo anch’io dopo.” Annuì a sua volta, per poi prendere delicatamente la mia mano nella sua e scrivere il numero, tremando come una foglia.
“Ti tremano le mani Gee...” Gli feci notare io.
“Oh... s-sì, ho un po’ freddo diciamo. In fondo ho la neve nelle mutande.” Ridemmo piano entrambi e poi gli afferrai la mano a mia volta e scrissi velocemente il mio numero.
“Wow, è illeggibile.”
“Gee vedi di accontentarti e non rompere le palle, okay?”
“Ci sentiamo” disse con una risata quando oramai era giunto il momento che se ne andasse “Ciao piccolino.” Ed entrò nell’edificio, mentre un sorriso idiota prese nuovamente spazio sul mio volto. 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


 *Piccola nota inutile*
So che il capitolo è ridicolmente corto, ma oramai la storia è suddivisa così quindi… chiedo perdono. Se stasera non esco (cosa che i miei amici ancora non hanno deciso) allora il prossimo capitolo uscirà addirittura oggi, altrimenti domani, promesso :3
Vi lascio alla lettura di questa roba cortissima. Baci :*
 
 

 
 
 
La settima volta in cui vidi Gerard Way… aveva il cuore a pezzi.
Non avevo chiuso occhio tutta notte, pensare di dover vedere Gerard, affrontare quello che avevo fatto (o più che altro non fatto) mi aveva ucciso e non c’era stato un momento da dopo Sabato in cui non mi ero sentito in colpa… Non eravamo usciti insieme, non ce l’avevo fatta, non avevo avuto il coraggio di chiamarlo e nemmeno quello di rispondere alle sue telefonate, così che Mercoledì era diventato il mio incubo.
Salii le scale che portavano alla terrazza il più lentamente possibile, col cuore che batteva all’impazzata, le mani sudate e una sensazione di oppressione terribile sulle spalle, poiché come mi sarei giustificato? Okay che era a conoscenza del mio disagio sociale e mentale, ma quella volta non avevo scuse; avevo una grande fiducia in Gerard, non totale, ma comunque grande, quindi uscire assieme non sarebbe dovuto essere un problema, ma a quanto pareva non avevo fatto i conti con la mia testa…
Quando arrivai dietro la porta mi venne perfino la nausea per l’angoscia e mi ci vollero cinque minuti buoni per trovare la forza e il coraggio di abbassare la maniglia ed uscire.
“H-Hey Gee…” Era poggiato al muretto a fissare il cielo con aria seria, mentre in una mano reggeva una sigaretta quasi giunta al termine.
“Non pensavo saresti venuto.” Disse senza distogliere lo sguardo dalle nuvole grigie nel cielo. Mi sentii un verme.
“Mi dispiace, davvero, io non… non so come giustificarmi, non so…”
“Pensavo fossimo amici Frankie…” Spense la sigaretta e si girò verso me con lo sguardo basso e fisso al suolo.
“Lo siamo, ma… non lo so okay? Non sono mai uscito con qualcuno, cioè, non proprio, ma ero spaventato a morte, non sapevo che fare… Nessuno vuole mai uscire con me, n-non ho idea di come comportarmi, mi dispiace…” Sembrò pensarci un po’ sopra, per poi sospirare, alzare lo sguardo ed incollarlo al mio. Stavolta fui io ad abbassarlo, non potevo sopportare i suoi occhi tristi.
“Che cosa ti spaventa di me…? Pensavo di essermi comportato bene, pensavo di aver fatto tutto il possibile per farti sentire a tuo agio. Cos’ho sbagliato?”
“No Gee, non c’entri nulla tu!” mi precipitai a dire appena sentite quelle parole “È-È colpa mia, non so come comportarmi con le persone, s-sto imparando adesso con te…” sospirai rassegnato “sono un disastro…” Rimanemmo per qualche istante in silenzio, lui immobile da una parte della terrazza e io nell’angolino accanto alla porta, con la testa bassa e le braccia strette attorno al busto. Stavo cominciando a sentirmi fuori posto, non protetto, ma il fatto era che stavolta era solo a causa mia.
“Potevi almeno rispondermi, parlare un po’ con me al telefono, non ti ho mai obbligato ad uscire.” Non risposi, non sapevo che dire, ero totalmente bloccato.
“Non importa…” Fece per andare verso la porta ma, colto da un attimo di coraggio, mi parai davanti ad essa e lo bloccai.
“Te ne vai di già?”
“Non mi va molto di stare fuori oggi… scusa. Ci vediamo Mercoledì prossimo…” sospirò “forse…” Mi spostai da davanti la porta e lo lasciai passare.
“Ciao piccolino…” Mi sfiorò appena la mano e se andò.
Mai come in quel momento mi sentii fuori posto.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


L’ottava volta in cui vidi Gerard Way, mi fece un regalo.
Le cose si erano più o meno aggiustate da quel Mercoledì, nel senso, risvegliatomi finalmente dalla mia stupidità, avevo trovato il coraggio di mandargli un semplice “hey Gee! :)” per messaggio, al quale lui aveva risposto con un “Frankie!!!!!!!” che mi aveva fatto sorridere come un matto. Avevamo parlato per tutta la settimana di ogni cosa e più di una notte ero andato a dormire alle tre e mezzo passate, perchè nessuno dei due voleva saperne di finire la conversazione con un “buonanotte a domani”. Un giorno mi mandò un messaggio che mi fece riflettere molto sulle parole sue e di mia madre sul fatto che le persone disegnano solo “ciò che ritengono bello”; il messaggio consisteva in un “buongiorno piccolino <3” che mi aveva bloccato il cuore e il respiro.
“Aww è così carino!” Aveva detto mia madre dopo averlo letto. Provate a capirmi, potevo avere vent’anni, ma dal punto di vista sentimentale ero fermo all’età di quattordici, così che non riuscivo proprio a trovare un’interpretazione corretta a quel cuoricino, o forse non volevo...
“Gli piaci Frankie, mi sembra ovvio.”
“Io?? Mamma, è impossibile, lui è mio amico!” Mi sorrise dolcemente, per poi farmi una carezza e spiegarmi come secondo lei andavano le cose.
“Tutti gli innamoramenti la maggior parte delle volte iniziano con un’amicizia, è più che normale, e Gerard pare proprio essere cotto di te.” Dopo un’ora di conversazione e dibattito sul fatto che “è impossibile che io possa piacere a qualcuno” ero arrivato alla conclusione che Gee era solo un ragazzo molto carino che dimostrava così il suo affetto nei miei confronti.
“non vedo l’ora di vederti domani :* Ho una piccola sorpresa x te, x farmi perdonare, spero ti piacerà... notte Frankie :))) !!!!” Okay, c’erano troppe cose che non andavano in quel messaggio: primo, perdonare?? Semmai ero io quello che avrebbe dovuto farsi perdonare, non lui di certo; secondo, perchè aveva messo tre bocche a quella faccina idiota e quattro cazzo di punti esclamativi? e terzo... per caso quella faccina simboleggiava un bacio...? Divenni rosso come un pomodoro al solo pensiero.
“Okay, notte G! :) a domani”
“<3”

Sì, avevo fatto decisamente bene ad arrossire... Oh Signore!
Il giorno dopo mi preparai in anticipo, così da essere pronto due ore prima dell’incontro. Mia madre rise e cominciò a rompere ancora le scatole sulla storia del “è cotto di te”, così che mi chiusi nel mio silenzio polemico e pregai che quelle due ore passassero in fretta. Quando finalmente mi ritrovai a salire le scale che portavano alla terrazza, mi resi conto che tutti i discorsi di preparazione e motivazione che mi ero fatto davanti allo specchio erano stati totalmente inutili, poichè il mio cuore oramai non voleva saperne di battere a un ritmo normale.
“Hey Frankie!” Era il momento.
“Ciao Gee, come va?” Chiesi andando verso lui sorridendogli.
“Benissimo, sono felice che tu mi abbia scritto...” disse con un sorriso imbarazzato “...e siccome ho riflettuto molto su Mercoledì scorso, mi sono reso conto che ho sbagliato, che...”
“No Gee, ne abbiamo parlato, è colpa m...”
“Shhht! Lasciami finire” mi bloccò lui a sua volta “La prima volta che ci siamo visti qui, ho detto che mai ti avrei giudicato e che avrei accettato senza problemi la tua condizione, ma non l’ho fatto, non mi sono comportato da persona adulta e me la sono presa come un bambino” rise “quindi mi sembra giusto chiederti scusa e... beh, a dire il vero non so neanche se può piacerti, nel senso, è un bel regalo, ma se non ti interessa allora è totalmente inutile, quindi...”
“Aah smettila, sono convinto che è bellissimo.” Dissi io sorridendo già preventivamente al solo pensiero di star per ricevere un regalo da parte sua. Quando tirò fuori dall’angolino della terrazza una chitarra acustica, per poco non stramazzai a terra.
“Stai scherzando!?” Chiesi con un sorriso enorme in viso.
“L’ho trovata a casa mia, la usava mio fratello quando aveva quattordici anni e si era fissato sul fatto che sarebbe diventato chitarrista, ma già dopo un anno aveva deciso che il basso era molto più bello e quindi era lì, tutta sola in soffitta, così ho pensato che magari ti sarebbe potuta piacere... Mi ricordo che una volta hai detto che ami le chitarre e, non lo so, se non ti piace puoi dirlo, non mi...”
“Tu sei pazzo Gerard! Come potrebbe non piacermi?? Grazie grazie grazie!” Mi catapultai verso la chitarra e la presi in mano, ancora insicuro se fosse sogno o realtà, per poi abbracciarla stretta a me e ridere come un bambino.
“Non avresti dovuto, insomma, una chitarra è un regalo importante, non puoi, non... oooh grazie!” Scoppiò a ridere davanti al mio entusiasmo e prese a fissarmi con un dolce sorriso in volto. Non potevo non farlo... Colto da un attimo di coraggio o forse pazzia, misi in fretta la chitarra nella custodia e lo abbracciai per pochi istanti, per poi staccarmi e rimanere a mia volta immobile a fissarlo.
“E io ti ringrazio per questo...” Mi sussurrò lui con aria sognante, così che arrossii come un povero idiota.
“P-Perchè l’hai fatto?” Gli chiesi fissando nuovamente la chitarra.
“Te l’ho detto, per farmi perdonare. Era lì a far la muffa in fin dei conti” disse facendo spallucce “E poi perchè... beh, perchè sei mio amico. E perchè sei carino.” Lo fissai con due occhi enormi, la bocca spalancata e le guance che oramai avevano superato ogni gradazione di rosso conosciuta all’uomo. Cosa aveva appena detto?
“Davvero p-pensi che io sia, ecco... sono davvero...”
“Carino?” Mi chiese con una risata e avvicinandosi un po’ di più.
“S-Sì...”
“Beh, onestamente ti trovo molto carino” disse facendomi alzare il viso portando un dito sotto il mio mento “Oserei dire adorabile...” Oh mio Dio. Perchè si stava avvicinando!? Se continuava così allora prima o poi le sue labbra avrebbero raggiunto le mie...
“Sì, decisamente adorabile.” Contro le mie aspettative però, si bloccò e indietreggiò per tornare al suo posto, con un sorriso sognante in volto e la testa vagamente piegata da un lato.
“Io n-non, non son... umh...” Evitai di proseguire con il mio teatrino imbarazzante, così che rimasi fermo dove mi trovavo, ad arrossire e vergognarmi per la situazione. Cosa mi stava succedendo?
“Okay, parliamo d’altro” disse d’un tratto con una risata “Sai già suonare qualche canzone?” Come risvegliato da un sogno, mi schiarii la voce ed ebbi il coraggio di finalmente alzare lo sguardo e parlare come una persona normale.
“Sì, quando avevo quindici anni ho cominciato a strimpellare la vecchia chitarra di mio padre, guardando video da YouTube e leggendo su Internet come si faceva, poi verso i diciotto ho smesso e, credimi, non ho idea del perchè.”
“Mi suoni qualcosa?” E la faccia da cucciolo con cui me lo chiese in pratica mi obbligò ad annuire e cominciare a ricordare le vecchie canzoni che avevo imparato anni fa dopo centinaia di tentativi, fino a farmi sanguinare le dita.
“Da quanto tempo che non sento questa canzone!” E così passammo il resto dell’ora a suonare, canticchiare e ricordare vecchie canzoni di quando avevo sedici anni.
Mi sentii invincibile e completo, come se tutti i problemi e il resto del mondo non fossero più una nostra preoccupazione. Mi sentii terribilmente bene.
“Sono contento che ti sia piaciuta.” Mi disse mentre mi stava riaccompagnando a casa, per fare due passi e per, finalmente, uscire assieme.
“Accetto richieste sulle prossime canzoni da imparare, sappilo.”
“Sarà fatto” disse quando raggiungemmo la porta di casa mia “A presto Frankie.” E mi diede un bacio sulla guancia.
“C-Ciao Gee...” Mi sorrise e se ne andò, canticchiando felice e saltellando appena, così da automaticamente strappare un sorriso pure a me.
Possibile che io, Frank Iero, potessi piacere a qualcuno come Gerard Way?
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


*Piccola nota inutile*
Avete presente una giornata di merda? Ecco, oggi è stata una giornata di merda in un periodo di merda e siccome non posso cambiare la mia classe magicamente e in più la mia prof ha deciso che non so scrivere, il mio umore è qualcosa di inesitente, perciò temo che mi assenterò un pochino e che sicuramente non farò più uscire un capitolo al giorno. Questo l’avevo già pronto da ieri, non l’ho riletto, quindi se ci sono errori mi scuso.
La mia scuola fa davvero cagare, grazie a Dio che il prossimo anno sarà l’ultimo, perchè sto diventando pazza qui dentro...
Scusate lo sclero e l’assenza che molto probabilmente farò, e buona lettura, anche se ora come ora, posso solo pensare che questa storia fa cagare, dato che non so scrivere, no?
La smetto, baci a tutti come sempre :* :*

 





 

La nona volta in cui vidi Gerard Way, fu nei miei sogni.

Passai la settimana seguente chiuso in casa a suonare, scrivere messaggi a Gee e parlargli assieme al telefono e ancora adesso considero quella settimana come una delle più belle della mia stupida ed inutile vita.
“Ho imparato un sacco di canzoni nuove! Non vedo l’ora di fartele sentire.” Gli dissi Martedì sera al telefono.
“E lo stesso vale per me, ma... ecco, domani non possiamo vederci e, credimi, mi dispiace un sacco, troppo.” Sentii qualcosa nel mio petto rompersi e lo stomaco farsi piccolo piccolo.
“Oh... va beh, non importa...” Ma invece mi importava, eccome se mi importava.
“Scusa Frank, ma è il compleanno del mio migliore amico e ho promesso di aiutarlo ad organizzare la festa, così dev...”
“Non devi darmi giustificazioni Gerard” risposi secco con tono piatto e inespressivo “decidi tu quello che vuoi fare.” Ero geloso, okay? Geloso di questo “migliore amico” e del fatto che mi avrebbe rubato Gerard l’unico giorno in cui potevo vederlo.
“Okay... mi dispiace, giuro.”
“Va bene.”
“Ciao Frankie, ci vediamo” sospirò nella cornetta “e sappi che ti voglio bene.” E mise giù. Per la prima volta dopo averlo conosciuto, mi accucciai nel letto e piansi per lui.
L’indomani fui quindi obbligato ad andare all’incontro, perchè di starmene da solo sulla terrazza non mi andava proprio, ma nel bel mezzo della discussione di uno dei ragazzi del gruppo, scoppiai a piangere e corsi fuori, per andarmi ad accucciare davanti alla porta anti-incendio a singhiozzare in silenzio. Lo psicologo mi trovò subito.
“Che succede Frank?”
“Io non ho nessuno a parte lui, ma non può stare sempre con me... io sono inutile.” E fui così costretto a parlargli di Gerard e dei nostri incontri segreti, in fondo era pagato per ascoltare i miei lamenti.
“Non fa bene che due ragazzi entrambi in cura qui leghino così tanto Frank... Prova a capirmi, sono felice che vi troviate bene l’un l’altro, ma non vi fa bene stare così tanto insieme.” Sentita quella stronzata, gli urlai contro di fottersi e me ne tornai a casa a piedi, in lacrime e col cuore a pezzi.
Non mi scrisse nè quel giorno, nè Giovedì, nè Venerdì e nemmeno Sabato. Ebbi paura in quei giorni, ero terrorizzato al pensiero che avesse cambiato idea, che mi odiasse o che magari avesse trovato qualcuno alla festa e che dunque si fosse dimenticato di me e del fatto che fossi “molto carino”. Non lasciai la mia stanza, la sfiducia mi stava soffocando.
Domenica pomeriggio mi arrivò un messaggio che diceva “ciao frankie” ma non risposi, sebbene la voglia fosse immensa. Un’ora dopo me ne arrivò un altro “posso chiamarti?” ma ancora una volta, non risposi.
“frank ti prego! È successo un casino, non volevo metterti da parte, ma sono finito all’ospedale e avevo il cellullare a casa. Ti prego, appena puoi chiamami... mi manchi da morire e sono spaventato...” A quel punto mi dimenticai di tutto, del perchè ce l’avessi con lui e del fatto che non si fosse fatto vivo per giorni e lo chiamai.
“Pronto?”
“Che è successo Gee?” E mi raccontò tutto, di come alla festa aveva bevuto troppo ed era finito in ospedale dove gli avevano fatto la lavanda gastrica e di come si sentisse uno schifo per esserci cascato ancora, per non essere riuscito a trattenersi e per aver distrutto un’altra volta il cuore di sua madre, suo padre, suo fratello e il mio...
“Tranquillo Gee, ora sei a casa, stai bene. È solo un brutto ricordo.”
“Mi odi, non è vero? Io ho-ho provato ad andare agli incontri di gruppo ma non funziona. Ho bisogno di bere...” Mi disse piangendo e il mio cuore si fece piccolo piccolo mentre me lo immaginai rannicchiato in un angolino con gli occhi lucidi e le lacrime sul volto.
“Non potrei mai odiarti Gee... La prossima volta che ci vediamo giuro che ti abbraccio forte da stritolarti, okay?” Rise piano e io sorrisi sentendo il suono della sua risata.
“Grazie Frank... e scusa.”
“Non scusarti idiota che non sei altro. Non è colpa tua, okay?”
“Okay...”
“Cerca di riposare. Ti chiamo domani mattina, va bene?”
“Va bene... buonanotte.”
“Notte Gee, pensa al mio abbraccio e non essere spaventato. Ti voglio bene, io ci sono per te.” Ridacchiò ancora e poi mise giù. Mi addormentai pensando a lui, con la sua immagine ben impressa nella mente e con una voglia matta di essere assieme a lui per poterlo abbracciare e dirgli che andava tutto bene. Mi addormentai cercando di ricordare la sua risata e non le lacrime.
“Frank! Sveglia!” Il mattino dopo arrivò troppo presto e di sicuro sentire le urla di mia madre non mi fece piacere. Cercai la sveglia e quando lessi 8:12 mi incazzai, insomma! Era presto, per i miei standard da ghiro era ancora notte fonda.
“Mamma non rompere...” Mugugnai nel cuscino, anche se sapevo benissimo che non mi avrebbe sentito.
“Hey Frankie...?” Ommioddio santissimo! Cosa cavolo ci faceva Gerard Way in camera mia!?
“Gee! C-Che ci fai qui??” Mi sorrise dolcemente e mi venne incontro, per poi sedersi sul bordo del letto.
“Sono venuto a trovarti” disse per poi farmi una carezza “Scusa se ti ho svegliato.”
“N-No, tranquillo” mi tirai su per cercare di dare un minimo di parvenza umana “Come stai?”
“Meglio” mi sorrise “Ora bene, decisamente bene.” Arrossii come mio solito e cercai di tenermi occupato tentando di mettere un minimo di ordine nei miei capelli incasinati.
“Fermo, faccio io” disse per poi cominciare a sistemare quel nido al posto mio “Mi sei mancato in questi giorni...” aggiunse continuando col suo lavoro “...ho pensato molto a te.” Il rossore sul mio viso non fece altro che peggiorare.
“Ah-Ah sì??” cercai di sdrammatizzare con una risata “E come mai?”
“Perchè mi piaci.” COSA!?
“Come scusa!?” Mi sorrise e mi si avvicinò, così da essere a una distanza davvero ridicola dal mio viso, dalle mie labbra...
“Mi piaci da impazzire Frank... continuo a pensare a te, pensare di baciarti, accarezzarti, toccarti...” Non ebbi tempo di ribattere, poichè le sue labbra si incollarono alle mie e allora pensare divenne l’ultimo dei miei problemi.
“Sai quante volte ho sognato questo momento?” Mi chiese mentre la sua bocca si spostò sul mio collo e lui cominciò a salirmi addosso. Ero totalmente bloccato, nel senso, non avevo mai pensato a questo momento, ma ora che stava accadendo non mi dispiaceva di certo.
“Sei dannatamente bello Frank...” Mi sussurrò all’orecchio, causandomi una serie ininterrotta di brividi, per poi tornare a baciarmi sulle labbra, a cercare di far entrare la sua lingua nella mia bocca e, non appena glielo concessi, fece scendere una mano verso il petto, la pancia, il basso ventre e...
“Mmmmh G-Gee...”
Mi svegliai di soprassalto, gemendo il nome di Gerard, sudato dalla testa ai piedi e col cuore che mi batteva a mille. Scattai seduto sul letto e cercai di fare respiri profondi e riprendere un minimo di controllo. Lessi l’ora e quando vidi che erano le quattro del mattino, capii che era stato solo un sogno, che Gerard non era davvero lì, non mi stava baciando, non mi stava toccando e non mi... Feci un verso simile a un gemito appena mossi le coperte che sfregarono contro il basso dove, beh, c’era un “piccolo problemino” da risolvere diciamo. Alzai le coperte e non appena vidi l’imbarazzante erezione che quel sogno mi aveva causato, mi buttai sul letto con le mani sul volto.
Che cosa avevo fatto?
Eppure era sembrato tutto così vero, la sensazione delle sue mani sul mio corpo e della sua bocca sulla mia non mi avrebbero dato tregua per un bel po’, così che mi rassegnai, mi abbassai pantaloni e mutande, e finalmente mi concessi un po’ di piacere.
“G-Gerard...” La situazione stava decisamente degenerando.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


La decima volta in cui vidi Gerard Way, gli chiesi di venire a casa mia.
Finalmente arrivò Mercoledì, aspettavo con impazienza quel giorno da tutta la settimana; avrei rivisto Gee, lo avrei abbracciato e chiesto come stava dopo tutti quei giorni di pene e pensieri. Certo, riguardarlo in faccia dopo quel sogno sarebbe stato un tantino imbarazzante, ma cercai di non dargli più di tanto conto. Okay, era successo, ma non era niente di illegale in fin dei conti... Ammetto che magari dopo quella notte mi era capitato di masturbarmi ancora una volta con l’immagine di Gerard impressa in mente, magari due se si conta quella volta nella doccia... Va bene, era successo tre volte, e l’ultima era stata davvero wow. Sarei bruciato all’inferno, ma oramai era successo, era successo che oltre alla classica sega avevo provato a usare un dito, o forse due, ma rientrava comunque nelle cose legali! Non è così...?
Ringraziai il cielo che quel giorno era positivo, che la mia sfiducia rientrava nei limiti sopportabili e che quindi l’abbraccio che gli avevo promesso avevo un novanta per cento di probabilità di darglielo, così che mi vestii in fretta, felice e leggero al pensiero di quel giorno meraviglioso che mi stava aspettando.
Appena arrivato prestai il massimo dell’attenzione per vedere se lo psicologo fosse in zona e, dopo essermi accertato della sua assenza, corsi verso le scale e salii alla velocità della luce, con un sorriso enorme in volto.
Eccolo.
Era poggiato al muretto con la solita sigaretta fra le dita e le cuffie nelle orecchie, intento a canticchiare una canzone e ondeggiare i fianchi come la prima volta in cui l’avevo visto. Sorrisi malizioso nel vedere il suo sedere che si muoveva a ritmo con qualunque cosa stesse ascoltando, per poi ritornare alla realtà e cominciare a riflettere sul da farsi. Mi avvicinai piano a lui, cercando a tutti i costi di non attirare la sua attenzione e soprattutto di non distrarlo dal suo balletto meraviglioso, per poi, una volta raggiunto, picchiettargli la spalla per chiamarlo. Aspettai che si girasse e, non appena la sua espressione si trasformò in un sorrisone, lo abbracciai. Strinsi fortissimo le braccia attorno al suo corpo e nascosi il viso accanto al suo collo.
Fu la prima volta in cui sentii il suo odore; profumava di dolce, qualcosa che mi ricordava l’odore di boscotti, di caffè e, nonostante non sembrasse adorare particolarmente la doccia, sapeva di pulito, come se si fosse avvolto per giorni nelle coperte appena lavate, così che non potei evitare di sorridere intenerito.
Non parlammo, non avevamo niente da dirci se non continuare a stringerci forte, mentre io strusciavo piano il naso sul suo collo e lui mi accarezzava dolcemente, continuando ad ondeggiare piano a ritmo di musica. Mi sentii come una di quelle ragazzine dei telefilm che, dopo aver fatto pace con il loro ragazzo, lo abbracciavano per minuti interminabili con una canzone lenta e strappalacrime di sottofondo. Ecco, la musica era l’unico dettaglio che mancava, ma ci pensò Gee, mettendo uno dei suoi auricolari nel mio orecchio dove “Heroes” stava andando a massimo volume.
Mi sentii protagonista di un sogno, il mio.
Rimanemmo abbracciati fino a quando non finì la canzone, così che ci staccammo l’uno dall’altro e ci guardammo in faccia, dove due sorrisi enormi avevano fatto la loro comparsa.
“Ciao Gee.” Dissi non riuscendo a togliermi quel sorriso da ebete dal viso.
“Ciao piccolino...” E mi strinse ancora. Non ebbi neanche un minimo di paura, difatti mai come in quel momento mi ero sentito al posto giusto, protetto e al sicuro.
Non facemmo molto quel giorno, se non ridere, raccontarci un po’ com’era andata la settimana e abbracciarci o prenderci per mano per pochi secondi e onestamente mi andava benissimo così.
“Se avessi portato le sigarette sarebbe stato tutto perfetto.” Disse con tono da presa in giro dopo che finimmo le sue schifosissime Marlboro.
“Stai zitto.” Risposi facendo urtare appena i nostri fianchi, per poi scoppiare a ridere.
“Mi stavo chiedendo una cosa...” dissi d’un tratto schiarendomi la voce “ti andrebbe di venire a casa mia Sabato pomeriggio? Così ti faccio sentire qualche canzone e finalmente mia madre potrà conoscerti e smettere di rompermi le palle. Solo se vuoi, cioè, non è un obbligo...” Ridacchiò.
“Certo che voglio, non c’è neanche da chiedere.” Sorrisi felice e sollevato dopo aver sentito la sua risposta, per poi appoggiare la testa sulla sua spalla e perdermi ad osservare il cielo pallido. Sorrisi ancora di più nel sentire il suo braccio stringermi piano in vita, la sua mano accarezzarmi lentamente il fianco e la sua testa poggiarsi alla mia, così che chiusi gli occhi e mi lasciai cullare dalla dolcezza infinita di quella situazione.
Capii solo allora cosa la gente intendesse con la parola “invincibile”, poichè mai come in quel momento mi ero sentito a posto, sereno, in pace, perfetto.
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


L’undicesima volta in cui vidi Gerard Way, mi disse che ero bellissimo.
Da dopo Mercoledì, persi totalmente la ragione, impazzii al pensiero di dover passare Sabato pomeriggio assieme a Gerard e perfino mia madre non ne poteva più nè di me nè delle mie scenate da checca isterica.
“Frank ricordati di respirare, mi raccomando.” Ma non avevo tempo nemmeno di fare quello.
Venerdì sera, dopo aver avuto un crollo psicologico perchè “e se si annoia? Se sbaglio a suonare una canzone? Se domani i miei capelli decidono di assumere qualche forma strana e farmi apparire ancora più brutto di quanto già non sia?”, così che mi chiusi in camera e feci una patetica telefonata a Gerard.
“Pronto?”
“Gee mi dispiace se andrà male Sabato! Io ci provo...” Ci furono alcuni istanti di silenzio e poi scoppiò a ridere di gusto. Solo in quel momento capii la stronzata da me appena detta e mi presi a pugni mentalmente.
“Oooh Frankie, ma che dici? Sono sicuro che andrà tutto benissimo, tranquillo.” Andai in iperventilazione ma, nonostante ciò, tentai comunque di sdrammatizzare la cavolata che avevo appena detto, sebbene quel pensiero mi stesse dando ben più di qualche problema da due giorni.
“Hey, devi calmarti, non sono queste le cose di cui preoccuparsi.”
“Voglio solo che sia tutto perfetto, sai, continuo ad avere questi pensieri... p-penso che tu prima o poi ti stancherai di me e mi lascerai solo e quindi voglio cercare di evitare a tutti i costi che ciò accada...”
“Non capiterà mai niente del genere piccolino, promesso.” E provai a credergli, provai a prendere sul ridere le mie paranoie e a sopravvivere durante la notte fra Venerdì e Sabato, accucciandomi nel letto abbracciato ad un cuscino pretendendo che fosse Gee.
Quando il giorno dopo arrivarono le quattro di pomeriggio, pensai di star per morire o di dover andare a farmi ricoverare in un ospedale psichiatrico e ringraziai il cielo che mia madre fosse fuori casa e non lì ad assistere ai miei discorsi motivazionali davanti allo specchio. Quando il campanello suonò, caddi giù dalle scale. Cioè, stavo scendendo ad una velocità preoccupante per raggiungere il prima possibile la porta, ma il mio piede sinistro non aveva tenuto conto dell’ultimo gradino e mi aveva fatto sfracellare al suolo. Perfetto.
“Ciao Frankie!” Mi disse con uno dei suoi soliti sorrisi luminosi che fecero automaticamente nascere un sorriso da ebete anche sul mio volto. Non mi ero mai interessato più di tanto all’aspetto fisico di Gee, nel senso, io le persone avevo sempre tentato di evitarle se possibile, ma quel giorno non potei fare a meno di pensare che Gerard fosse veramente bello, uno di quei ragazzi che a mio parere dovevano avere sfilze di ragazze e ragazzi ai piedi che morivano per un suo sguardo, ma tenni per me quel pensiero imbarazzante e lo feci entrare senza aprire bocca, troppo emozionato e terrorizzato (in senso buono) per poter soltanto dirgli “hey”. Rise.
“Non ti è passata l’angoscia a quanto pare...” disse passandosi una mano fra i capelli stranamente puliti “hai intenzione di non parlare per tutto il pomeriggio?” Era tanto grave il fatto che invece di rispondere con un “certo che no!” scossi la testa come un povero idiota? Altro che vent’anni, il mio cervello era rimasto fermo all’età di sette... Che vergogna.
Continuò a ridere, per poi prendermi piano per mano e farmi sedere sul divano, mentre lui si prese una sedia, si mise davanti a me e tirò fuori dal suo solito zaino vecchio e malandato un foglio, pennelli e colori.
“Visto che ti ci potrà volere un po’ di tempo per parlare, allora ho deciso che faccio ora quello che avevo intenzione di fare più tardi” si bloccò per legarsi i capelli “ovvero un ritratto, ma uno bello stavolta.” O Dio mio. Come avrei potuto ricominciare a parlare se si legava i capelli?? Quello stupido codino rosa non fece altro che mettere ancora più in risalto il suo nasino adorabile, le sue labbra un po’ meno screpolate del solito e i suoi occhi, con quelle ciglia ridicolmente lunghe e... Aspettate. Da quando avevo sviluppato tutti quei pensieri gayssimi per lui? Dal momento in cui cominciò a tracciare il contorno del mio viso sul foglio, un ciuffetto di capelli decise che quel codino non gli stava simpatico, così che gli ricadde sulla fronte e io non feci altro che arrossire e rimanere imbambolato a fissarlo a bocca aperta.
Forse mi piaceva davvero Gerard...
“Sbaglio o mi stai fissando?” Disse dopo un bel dieci minuti in cui lo stavo ammirando come fosse un quadro in un museo, così che mi risveglai dal mio sogno ad occhi aperti ed arrossii, ovviamente...
“S-Scusa, è che sei bello con la coda...” Pregai che il lampadario della sala mi cadesse sulla testa e ponesse dunque fine al mio inutile spreco di ossigeno, poichè mai come in quel momento mi vergognai di me stesso.
“Oh davvero? Mikey dice che sembro una bambina.” Rispose lui ridendo dolcemente, ma la mia mente rimasta bloccata su quel “Mikey” mi impedì di unirmi a ridere assieme a lui.
“Mikey?” Chiesi con tono piatto e freddo. Rise ancora di più.
“Oh sì, è mio fratello. Scusa, non ti ho mai detto il suo nome.” Come non detto, fu quello il momento più imbarazzante della mia vita, o forse ero io ad essere un grande e grosso imbarazzo vivente.
“Oh... okay.”
“Grazie comunque, apprezzo che almeno una persona sulla faccia della terra mi trovi perlomeno guardabile” disse con lo sguardo fisso sul foglio e un sorriso imbarazzato sul volto “soprattutto con la coda, perchè, parliamoci chiaro, sembro una fottuta ragazzina!” Ridemmo insieme e finalmente cominciai a riprendermi un pochino dal mio blocco mentale e a godermi il mio pomeriggio in presenza di Gee.
“Okay, forse un pochino lo sembri.”
“Vaffanculo Frank!” E continuammo a ridere.
Mi persi nell’osservarlo mentre disegnava minuziosamente ogni piccolo dettaglio del mio volto e, quando il pennello scivolava sulla linea delle labbra piuttosto che sulle palpebre, era come se lo sentissi sul mio viso, come se quel pennello stesse accarezzando me e non il foglio e questo pensiero mi provocò una serie di brividi lungo tutta la schiena. Quanto avrei voluto essere al posto di quel foglio, a godermi le carezze di Gerard e quello sguardo attento, o quel dannato ciuffetto scappato dalla coda che di tanto in tanto sfiorava il disegno.
Desiderai baciarlo.
Non avevo mai pensato e questo, cioè, lasciando perdere il sogno si intende, ma in quel momento avrei posato le mie labbra sulle sue più che volentieri. Chissà cosa si provava, che sapore avevano, se erano morbide quanto lo sembravano e chissà se avrei mai trovato il coraggio di farlo davvero... Sospirai, così che alzò lo sguardo e mi sorrise.
“Quasi finito, giuro.”
“Non preoccuparti.” Risposi continuando a fissarlo ed ammirarlo rapito. Sì, avrei decisamente dovuto provare a baciarlo.
Senza che me ne rendessi conto, concluse il disegno, con un sorriso trionfante in volto e un versetto di soddisfazione che trovai semplicemente adorabile.
“Vuoi vederlo?” Mi chiese speranzoso, alzandosi e venendo verso il divano sul quale ero seduto.
“E me lo chiedi pure?” Si sedette accanto a me e, non appena girò il foglio, per poco non morii sul colpo.
“Non può essere un disegno...” Giuro, sembrava una fotografia, era perfetto in ogni piccolo dettaglio. Sembrava che mi stessi guardando allo specchio.
“Ti piace...?” Chiese mordendosi il labbro e avvicinandosi di più a me.
“Io... n-non... Gee, è perfetto...”
“Aww grazie!” Non sapevo assolutamente che dire, qualsiasi complimento sarebbe stato totalmente limitante e sbagliato, poichè mi sembrava di avere tra le mani un’opera d’arte di qualche pittore famoso.
“Come fai?? Disegni benissimo, io non riuscirei neanche se facessi un patto col diavolo.” Rise.
“In genere non disegno così bene, cioè, se il soggetto mi piace allora viene tutto meglio...” Arrossì e fissò il pavimento, mentre il mio cuore perse un colpo.
“Quindi... cioè, vuoi dire che...”
“Che mi piaci Frankie, pensavo fosse ovvio...” rise imbarazzato per poi girarsi verso me ed incollare lo sguardo alle mia labbra “Te l’ho detto, sei carino, più che carino, anzi, più che adorabile, direi anche più che bello...” arrossì come mai l’avevo visto fare “sei bellissimo Frank...”
“Hey Frankie! Senti, volevo dirti che... oh! Guarda chi c’è.” E mia madre fece la sua comparsa.
“Ciao mamma...” Mi picchiai una mano sul viso, esasperato ed incazzato per quell’interruzione, mentre Gee rise, si alzò e le andò incontro per presentarsi.
Pensai che dunque il mio pomeriggio fosse finito lì, che non avrei baciato Gerard nè quel giorno nè mai e una tristezza indescrivibile prese spazio nel mio petto.
“Sono passata solo per dire che starò fuori la notte” la mia tristezza si mise un attimo da parte “Tua zia è caduta e si è rotta il braccio e sai com’è... Mi ha chiamata e sembrava stesse per morire, così ho deciso di stare con lei stanotte, prima che le venga una crisi e la faccia venire pure a me” risi e Gee fece lo stesso “Vero che starai bene una notte senza me?” Chiese venendomi incontro e posandomi una mano sulla guancia.
“Mamma ho vent’anni!”
“Ma sei comunque piccolino per me, lo sai.” Arrossii come un povero idiota sentendo quel nomignolo e Gee fece lo stesso, lo vidi con la coda dell’occhio.
“Ci vediamo domani mattina. Ciao ragazzi!” E se ne uscì di nuovo, portando con sè solo una borsa con dentro qualcosa da mangiare e un pigiama, poichè in fondo mia zia abitava a meno di un’ora dalla città.
Appena la porta si chiuse, rimanemmo di nuovo solo io, Gerard e quel “sei bellissimo Frank” che potevo ancora sentire aleggiare nell’aria.
“È simpatica.” Disse per poi schiarirsi la voce.
“Già, lo è...” Risposi ridendo nervosamente. Dio mio, che imbarazzo!
“Vuoi... non so, potremmo guardare un film, poi magari cenare, oppure...”
“Un film è perfetto.” Tagliai corto io, schizzando verso la mia stanza per andare a cercare un DVD e appendere il ritratto sul muro accanto all’altro disegno che mi aveva fatto quella che mi sembrava una vita fa.
“Porto anche la chitarra, va bene?” Urlai mentre oramai ero già in cima alle scale.
“Certo!” Ce la potevo fare, era tutto sotto controllo, giusto...?
Il pomeriggio passò veloce e avvolto da risate, dolcezza e piccoli gesti imbarazzati da parte di entrambi, ma il momento che preferii in assoluto, quello che niente e nessuno riuscirà mai a cancellare dalla mia mente, fu il dopo cena, quando entrambi ci accucciammo sul divano con il terzo film consecutivo di sottofondo, io con la chitarra in mano e lui con il solito sorriso (e codino), a fissarmi con aria ammirata e felice.
“Ti dispiace se...” Chiesi titubante quando il sonno e la voglia di coccole divennero insostenibili, avvicinandomi piano a lui con l’intento di posare la testa sulla sua spalla. Non mi rispose nemmeno, mi passò un braccio attorno alle spalle e mi fece accucciare accanto a lui, per poi darmi un bacino sulla testa e cominciare ad accarezzarmi piano i capelli.
Atmosfera rovinata o meno dalla visita di mia madre, mai come in quel momento mi sentii in sintonia con qualcuno, cullato dal battito del suo cuore e le sue carezze dolcissime, così che ben presto mi addormentai senza nemmeno accorgermene o pensare che forse Gee aveva una casa e avrebbe voluto tornarci.
“Buonanotte cucciolo mio...” Mi venne la pelle d’oca.
 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


La dodicesima volta in cui vidi Gerard Way... diventò il mio ragazzo.
Domenica mattina mia madre ci trovò accucciati sul divano, stretti l’un l’altro, e non ebbe cuore di svegliarci, così che aprire gli occhi e ritrovare lei intenta a fissarci con aria ammirata, fu un tantino imbarazzante.
Per tutto il giorno non fece altro che chiedermi se stessimo insieme o meno, se l’avevo baciato, se gli avevo detto che mi piaceva, ma non gli era chiaro il fatto che non avevo la minima intenzione di parlarne con lei.
“Mamma non sono discorsi da fare coi propri genitori!” Dissi esasperato, chiudendomi in camera per poi finalmente tirare un sospiro di sollievo. Okay, era arrivato il momento di fare i conti con quanto successo e mettere un pochino di ordine nella mia testa che mi stava chiedendo pietà e una tregua dal troppo pensare. Io e Gerard cosa... cioè, come fanno due persone a sapere se stanno insieme o meno? Io non sapevo se con quel “sei bellissimo Frank” e quel “buonanotte cucciolo mio” allora ci eravamo messi assieme, non sapevo proprio un bel niente di come funzionavano queste cose! Insomma, era così indispensabile baciarsi per considerarsi una coppia?
Mai come in quei giorni mi sentii sfigato e incapace di vivere, poichè c’erano bimbi di tredici anni che si “fidanzavano” e poi c’ero io, ragazzo di venti, che nemmeno capivo quale fosse la sottile e dolorosa differenza tra amicizia e... amore? Era questo che Gerard provava per me? Era questo che io provavo per lui...? Non credevo, insomma, nei film spesso ci volevano mesi o anni prima che due personaggi si dicessero “ti amo”, ma era anche vero che nei telefilm dopo una serata in discoteca i due protagonisti finivano a letto insieme, ubriachi, e il mattino dopo c’era la classica scena del “ti ho sempre amato”... Era questo dunque? Avrei dovuto andarci a letto insieme? E se non voleva? E se non volevo io??
Mi accucciai in un angolino e cominciai a tremare, tremare dalla paura di non essere capace di vivere correttamente, di non aver capito dei meccanismi semplicissimi dello stare al mondo che invece erano chiari a tutti. Cosa non andava in me? Perchè ero sempre così insicuro, tardo e stupido quando si trattava delle persone? E oltretutto, il fatto che pensassi che Gerard fosse bellissimo, allora significava che ero gay? Nel senso, amare qualcuno del proprio sesso era considerata una cosa così  sconvolgente da guadagnarsi una definizione a parte? Io non vedevo tutta questa necessità di mettere etichette, ne avevo già troppe, un’altra non mi serviva di certo. In qualunque caso, una persona gay è qualcuno che prova amore per qualcun altro, o qualcuno che pensa che la compagnia di questa persona sia importante e indispensabile per continuare a vivere sorridendo? Perchè io non amavo Gerard, quindi non ero gay... o forse sì? Piansi, non ce la feci a trattenermi, i pensieri mi avrebbero schiacciato, la paura mi avrebbe imprigionato nuovamente e la vita mi avrebbe riso in faccia come al solito.
“N-Non sono pazzo io...” Faceva ridere dirlo, anche se in quel momento stavo facendo tutto meno che ridere. Cosa si fa per vivere correttamente? Ci sono delle regole? Si possono avere? Si può smettere di pensare...?
“Frank, che succede Amore?”
“Mam-mma c’è qualcosa che non va in me...” Ma non fu una buona mossa, poichè dopo che le ebbi raccontato di tutto il casino che avevo in testa, mi diede un bacio sulla fronte e chiamò lo psicologo che venne a casa, poichè la paura non mi avrebbe mai lasciato uscire all’aria aperta e perchè erano due giorni che piangevo, non mangiavo e tremavo nell’angolo di camera mia.
Ero un disastro...
Pregai lo psicologo di non dire nulla a Gerard e lui mi promise che la sua bocca sarebbe rimasta chiusa e mi disse anche che due persone possono volersi bene anche senza continue dimostrazioni d’affetto, ma la cosa non mi aiutò molto, poichè io avrei voluto ripetere a Gerard che amavo il suo nasino, la sua arte, il suo profumo, la sua compagnia e la sua risata imbarazzata fino alla fine dei miei giorni, e se questa non era da considerarsi una dimostrazione d’affetto continua, allora mi chiesi cosa lo fosse.
“Mercoledì potrete chiarire, okay Frank? Domani non avrai più di che preoccuparti.” Disse per poi andarsene e lasciarmi un’altra volta nel mio angolino di terrore. Mi addormentai in quel punto, rannicchiato su me stesso e con gli occhi incollati dalle troppe lacrime.
Il mattino seguente mi sforzai di abbracciare mia madre, ma dopo aver sentito che stavo tremando come una foglia, allora mi disse che andava bene così, che non era necessario. Mi sentii un infame.
Con altrettanta fatica, mi sforzai di salire in macchina e andare in quel dannato posto per chiarire con Gee. Dovevo farlo, per lui e soprattutto per me. Mi sembrava che le scale si fossero duplicate e trovai i gradini magicamente più alti, così che salire fino alla terrazza divenne un’impresa impossibile. Quando finalmente fui in cima, tirai un sospiro di sollievo e, come mi era successo altre volte in passato, aspettai cinque minuti prima di finalmente trovare il coraggio di aprire la porta e trovare Gerard appoggiato al muretto, bello come non mai e con la solita sigaretta fra le labbra.
“Hey piccolino!” scoppiai a piangere “F-Frankie...? Che succede? Tutto be...”
“Gerard io non ho capito niente, okay!? Ho p-pensato per questi due giorni continuamente a Sabato e n-non ci ho capito niente! Ti piaccio?? Perchè tu mi piaci, sono quasi sicuro che sia così, e poi, se non ci siamo baciati, allora vuol dire che non stiamo insieme? E-E...”
“Frank...” Disse col sorriso, avvicinandosi piano a me, mentre io presi a tremare.
“N-No, ti prego, mi devi aiutare perchè non ci sto capendo nulla e...”
“Frankie, calmati...” Continuò quando oramai era a pochi centimetri da me.
“Gerard ti prego, dev...”
“Mi piaci, stiamo insieme, non serve baciarsi per dimostrarlo, ma, se permetti, ora lo vorrei fare... Posso o devi andare avanti a blaterare ancora?”
“Non devi scherzare con me Gee. Non voglio più stare così, non v...”
“Sshht...” E dopo questo, le sue labbra si trovarono magicamente premute contro le mie, mentre una sua mano si posò a lato del mio collo e l’altra si andò ad infilare nella tasca posteriore dei miei jeans. Smisi di tremare.
“Dimenticavo” mi sussurrò sulle labbra a bacio finito “Sono totalmente, completamente, pazzamente, incondizionatamente innamorato di te... È sufficiente come prova del fatto che tengo a te?” Disse per poi disseminarmi di piccoli baci le guance, la fronte, il naso e le labbra. Non avevo la minima idea di che dire.
“Tu stai dicendo che ora sei il mio ragazzo...?” Chiesi a bassa voce, come fosse un segreto.
“Sì Frank! E tu il mio!” Rispose lui con gioia, senza un minimo di rabbia o irritazione nella voce, per poi prendermi in braccio e baciarmi ancora una, due, tre, quattro e infinite volte.
In quel momento mi dimenticai totalmente dell’esistenza della paura e di tutte quelle volte in cui mi aveva bloccato ed impedito di vivere.
“Non piangere più Tesoro...” E allora risi.
 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


La tredicesima volta in cui vidi Gerard Way, avevo la febbre.
“Bene ragazzi” esordì lo psicologo entrando nella stanza Giovedì “ho pensato ad una cosa che credo potrebbe aiutarvi e che è anche piacevole, almeno credo proprio che per alcuni di voi lo sarà.” Detto questo, mi rivolse un sorrisino, ma non avevo la minima intenzione di star lì a capire cosa stesse tramando, poichè la mia mente era totalmente altrove, su un altro pianeta, un pianeta fatto di risate, carezze, “ti voglio bene”, baci e Gerard Way. Sorrisi.
Il giorno prima, dopo esserci baciati per praticamente tutta l’ora, mi aveva riaccompagnato a casa tenendo la mia mano stretta nella sua per tutto il tragitto, nonostante fosse sudata da far schifo per l’emozione e nonostante le persone ci stessero rivolgendo strane occhiatacce. Arrivati davanti la porta di casa, mi prese dolcemente il viso tra le mani e mi baciò nuovamente.
“Esci con me Sabato?” Mi chiese alla fine, stringendomi forte a lui e osservandomi come fossi bellissimo, sebbene sapessi alla perfezione di non esserlo minimamente.
“Va bene Gee.” Risposi con il mio classico sorriso da ebete e le guance rosse per il bacio appena concluso.
“Okay... Ciao piccolino.” Mi diede un ultimo bacio sulla guancia e se ne andò canticchiando felice e con in volto un sorriso idiota quanto il mio. Pensai di essere innamorato, pensai che fosse quello che le persone sentono quando sono innamorate ed era dannatamente bello, magico quasi.
“Frank? Hai sentito quello che ho detto?” Oh. Lo psicologo mi stava fissando, come tutti gli altri ragazzi, così che arrossii come un pomodoro, portai le gambe sulla sedia e tentai di nascondermi da tutti quelli sguardi curiosi.
“N-No, mi scusi...”
“Ho detto che la prossima volta dovete portare qui una persona a cui tenete, in cui avete piena fiducia e che vi fa star bene, qualcuno con cui andate più che d’accordo, chiunque esso sia. Va bene?” Annuii deciso, così che tutti gli sguardi si abbassarono e io riuscii a tirare un sospiro di sollievo e pensare a ciò appena detto dallo psicologo; inutile dire che il mio pensiero andò subito a Gerard e il suo sorriso infantile, com’è inutile dire che cominciai a sorridere in maniera inquietante.
Sì, forse ero davvero innamorato.
Appena tornai a casa, decisi di chiamare subito Gee per dirglielo, ma ancor prima di comporre il numero mi bloccai, perchè... cosa avrei dovuto dirgli?: “hey, senti Gee, ti piacerebbe venire ad una delle mie sedute di gruppo?”. Non avrebbe funzionato e sicuramente non avrebbe detto di sì, insomma. Chi dopo un giorno soltanto in cui sta con una persona gli chiede di immergersi completamente nei suoi disagi mentali?  Sai che divertimento... Misi giù il telefono e accantonai subito l’idea. Ero così stupido...
Passai il resto della giornata col “muso lungo” e un’espressione pensierosa in viso, poichè da quella situazione non ne sarei uscito vincitore in qualunque caso, insomma, chiedergli di venire con me equivaleva a perdere il mio ragazzo dopo tutta la fatica fatta per trovarlo, ma non portare nessuno voleva dire deludere lo psicologo, deludere mia madre, non portare a termine un compito datomi e, molto probabilmente, ritornare nel mio buco di sconforto e paura. Ero fregato.
Prendere sonno quella notte fu un’impresa più che ardua poichè, come da me previsto, la mia mente mi fece letteralmente impazzire.
“Frankie? Sveglia Tesoro...” Il mattino dopo venne a svegliarmi mia madre, poichè apparentemente la sveglia aveva deciso di prendersi una pausa. L’unica cosa positiva dell’essere mezzo pazzo era che mia madre mai mi aveva obbligato ad iscrivermi all’Università o a cercare un lavoro, così che da dopo il liceo non avevo più messo piede in un’aula o comunque in un luogo pieno zeppo di persone sconosciute. Avrei comunque dovuto far qualcosa prima o poi, nel senso, un minimo di fiducia e speranza in me ancora l’avevo, così che pensare di “guarire” stava cominciando a trasformarsi pian piano da sogno ad obbiettivo.
Appena mi misi seduto sul letto, sentii la testa esplodermi e un freddo insopportabile aggredirmi le spalle non più coperte dal piumone.
“Mamma! Portami il termometro!” E mi ributtai sul letto. Come da me previsto, il mio sistema immunitario aveva fallito un’altra volta, così che quel mattino mi svegliai con un bel trentotto e mezzo di febbre.
“Mi dispiace Frank, ma devo andare al lavoro... Ti lascio un po’ di zuppa nel frigo, okay?” Storsi il naso al pensiero della zuppa, poichè mia madre poteva cucinare tutto meno che la vellutata di zucca di cui andava così tanto fiera.
“Va bene mamma, non preoccuparti, starò bene.” Mi diede un bacio sulla fronte, per poi rimboccarmi le coperte ed uscire di casa. Era bello essere ammalati, in un certo senso mi piaceva, perchè amavo essere servito ed accontentato qualunque cosa chiedessi e, beh, amavo essere coccolato da mia madre, poichè sapevo che una volta tornata dal lavoro sarebbe venuta subito da me e mi avrebbe coccolato fino a farmi addormentare. Ero infantile, lo so, ma ognuno ha i suoi punti deboli, e il mio erano le coccole.
Presi il cellulare e, dopo essermi abituato alla luce accecante dello schermo, scrissi un messaggio del buongiorno a Gerard.
“Giorno G! :* <3” Neanche un minuto dopo, mi arrivò la sua risposta.
hey tesoro <3!! come stai?” Sorrisi mordendomi il labbro, perchè mi ci sarebbe voluto un bel po’ di tempo prima di abituarmi a quei tesoro, piccolino o cucciolo.
“Mica tanto bene... ho la febbre ): tu invece?”
“passo x vedere come stai, 20 minuti e sono lì” Risi intenerito nel leggere quel messaggio.
“G hai lezione, lascia perdere” Ma sapevo già che tutto sarebbe stato inutile, perchè quando Gerard Way si metteva in testa qualcosa, allora non c’era modo di fargli cambiare idea.
“+ importante tu :* :*”
“ahahaha okay (:” Mi arresi, che altro avrei potuto fare?
“<3”
Venti minuti dopo si presentò davvero, non un minuto prima nè uno dopo, puntuale come un orologio svizzero.
“Hey...” Disse entrando lentamente nella mia stanza e sedendosi sul bordo del letto.
“Hey.” Dissi a mia volta, per poi sollevarmi appena e poggiare la testa sulle sue gambe. Cominciò ad accarezzarmi piano i capelli e a blaterare di qualcosa come una mostra di quadri meravigliosa che a breve sarebbe stata aperta alla quale avrebbe dovuto assolutamente portarmici.
“Mi hai ascoltato?” Annuii pigramente, continuando a rimanere abbracciato alle sue gambe, cullato e coccolato dalle sue carezze. Rise.
“Hai tanta febbre?” Mi chiese portandomi una mano sulla fronte. Annuii ancora.
“E ti fa male la testa?”
“Sì...”
“Bisognerà rimediare in qualche modo.” Mi fece mettere seduto sul letto, per poi avvicinarsi al mio viso e posare per un secondo le sue labbra sulle mie, prima che io mi ritirassi.
“Gee ti ammalerai anche tu se mi baci!”
“Non me ne frega veramente nulla onestamente...” E continuò a baciarmi.
Fu un bacio diverso da quello, o meglio quelli, dell’altro giorno, più passionale, lento e romantico, così che il mal di testa e il dolore generale al corpo, vennero sostituiti dalle farfalle nello stomaco e un piacevole calore nelle guance. Potevo chiaramente sentire il suono delle nostre lingue risuonare nella stanza, intervallati da qualche piccola risata da parte di Gee, dovute molto probabilmente alle mie guance oramai in fiamme, e non per la febbre.
“Meglio?” Chiese con un sorriso beato, mentre mi accarezzava il viso. Annuii.
“Bene...” E riprese a baciarmi. Ci baciammo per quella che mi sembrò un’ora, fermandoci per qualche istante solo per sdraiarci sul letto e continuare fino a quando le nostre labbra non erano rosse e gonfie, i suoi capelli un casino per colpa delle mie mani che per tutto il tempo non avevano fatto altro che stare immerse dentro loro e la mia pancia aveva preso a brontolare per la fame.
“Mangiamo qualcosa?” Chiese con ancora quel sorriso beato in faccia, al quale al tempo non avevo fatto poi così tanto caso, non gli avevo dato l’importanza che meritava... Gee era davvero incondizionatamente innamorato di me già a quel tempo, ingenuamente felice di ogni piccola cosa purchè io fossi in qualche modo coinvolto, sia che si trattasse di stare abbracciati a guardare un film, sia di starmi a sentire mentre mi lamentavo di ogni singola cosa, sia di baciarmi per infiniti dolci minuti... Era orgoglioso di me, di poter dire a chiunque che era mio, poichè più volte mi aveva detto che non ero io ad essere suo, ma piuttosto lui ad essere mio, ero stato io ad aver rubato "il suo piccolo inutile cuore” come diceva lui, e potrà sembrare la classica stronzata da romanzo rosa, ma sentirselo dire personalmente era tutta un’altra storia, era un’emozione che mai sarò in grado di descrivere. Io non sapevo cosa provassi, ero totalmente ignorante riguardo i sentimenti che provavo per lui, per il mio ragazzo, tanto che quando mia madre mi chiedeva se ne fossi innamorato, io rispondevo sempre con “mi fa stare bene” o “con lui mi sento al sicuro”, poichè altre risposte non riuscivo proprio a trovarne. Gee era davvero innamorato, se ne sarebbe potuto accorgere chiunque, ma io... beh, io gli ero solo molto affezionato, poichè all’epoca ero troppo spaventato per potermi permettere il lusso di ritenermi innamorato di qualcuno, sebbene questo qualcuno fosse la persona più bella del mondo sotto tutti gli aspetti.
Ci alzammo dal letto mano nella mano, diretti verso la cucina, ma ancor prima di arrivare alle scale, prese a girarmi vorticosamente la testa, così che mi fermai e mi appoggiai al muro.
“Che c’è Frankie?”
“Mi fa male la testa.” Dissi con un filo di voce, poichè quando qualcosa non andava cominciavo a comportarmi come se stessi per morire, sia che avessi la tosse o un semplcie dolorino al piede. Ero insopportabile, lo riconoscevo pure io.
“Ci penso io.” Disse sorridendomi, per poi prendermi in braccio come fanno gli sposi per uscire dalla Chiesa, così che automaticamente diventai rosso e presi a pregarlo di mettermi giù, perchè “sono pesante, non è necessario, mi sento idiota”, ma non ci fu modo di farglielo capire.
“Parli decisamente troppo.” Disse con una risata, per poi stamparmi un bacio sulla fronte. Stetti in silenzio.
Arrivati in sala mi mise sul divano, per poi scoppiare a ridere.
“Devi smetterla di imbarazzarti e arrossire per ogni piccola cosa, sennò diventi troppo adorabile e io non riuscirò mai a darmi un contegno per quanto riguarda questo...” Mi diede un piccolo bacio a stampo, continuando a fissarmi con quell’espressione rapita e indovinate un po’ cosa feci io? Già, arrossii.
“Ordiniamo una pizza?” E siccome mi andava di far tutto meno che mangiare quella zuppa obrobriosa, annuii e mi accucciai meglio sul divano, attendendo solo che Gee facesse lo stesso e mi stringesse dunque tra le sue braccia. Erano bellissimi i suoi abbracci, se c’era una cosa per la quale morivo erano i suoi abbracci caldi, dolci e morbidosi, perchè al tempo aveva questa ciccetta di cui lui si lamentava di continuo ma che io trovavo semplicemente adorabile e tenera, e che rendeva i suoi abbracci la cosa più calda e coccolosa che conoscessi.
“Le pizze arrivano fra venti minuti.” Disse per poi, come da me sperato e previsto, sedersi accanto a me e stringermi a sè. Stavolta fui io a sorridere beatamente.
Il resto del giorno lo passammo dunque sul divano a guardare film come la sera in cui era rimasto a dormire a casa mia, a baciarci e sorriderci come due poveri idioti, così che la sera arrivò decisamente troppo presto.
“Sicuro di star meglio?” Mi chiese quando  era sulla porta per ritornarsene a casa, con me appiccicato addosso, intento a soffocarlo col mio abbraccio forse un po’ troppo stretto.
“Sì...” Bisbigliai nell’incavo del suo collo, con la voglia di far tutto meno che lasciarlo andare via. Strano pensare che ancora a volte mi capitava di aver “paura” di abbracciare mia madre, mentre per quanto riguardava Gee avrei potuto rimanere abbracciato a lui per sempre, senza timore o ansie.
“Ci sentiamo domani. Ciao cucciolo.” Feci un versetto di gioia pura nel sentire quel soprannome ridicolo, così che la mia voglia di lasciarlo andare via diminuì sempre più.
“Che c’è?” Mi chiese ridendo.
“Mi piace quando mi chiami così...” Sorridemmo entrambi.
Ci vollero un bel dieci minuti prima che riuscisse a scollarsi me di dosso e altri cinque prima che si convincesse ad aprire la porta, così che quando finalmente se ne andò era già buio. Mia madre tornò a casa verso le otto e mezza e la prima cosa che mi chiese dopo avermi solo guardato in faccia fu “mi hai salutato Gerard?”, dicendo che il sorriso che avevo in volto non poteva che significare quello.
Andai a letto presto, stanco per la febbre che la sera si alzava sempre un po’ di più e, come da me pensato, mia madre mi coccolò fino a farmi addormentare. Quel giorno avevo decisamente fatto il pieno di attenzioni e coccole e mai come in quel momento mi sentii normale, una persona in grado di relazionarsi correttamente con le persone a cui teneva.
Avere la febbre non era mai stato così bello.

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


La quattordicesima volta in cui vidi Gerard Way, ebbi una crisi di panico.
La febbre passò decisamente in fretta paragonata ai miei standard di una settimana, così che Lunedì riuscii a presentarmi a quella dannatissima seduta che avevo sperato di saltare con tutto me stesso.
“Bene! Vedo che tutti avete port... Oh. E tu Frank? Che è successo?”
Affondato.
La tanto temuta seduta del “portate qualcuno a cui tenete” era arrivata e io ero l’unico idiota con una sedia vuota accanto. Ognuno aveva al proprio fianco una persona, sia che si trattasse della propria madre, zio o parente, sia di un amico, amica o fidanzato... Mi sentii vuoto.
“Io n-non... non sapevo chi portare...” Mi accucciai, come mio solito, sulla sedia e provai a nascondermi meglio che potei da quelli sguardi, da quei trentuno sguardi. Qualche madre o nonna bisbigliò un “povero piccolo...” sottovoce, che comunque mi arrivarono ben chiari all’orecchio e mi fecero venire un groppo di lacrime in gola.
“Nemmeno una persona? Possibile?” Mi chiese con voce tranquilla e premurosa lo psicologo, al quale io risposi scuotendo la testa.
“Nemmeno Gerard?” Alzai lo sguardo e lo incollai al suo, non capendo dove volesse andare a parare.
“Aspettate qui un attimo, torno subito.” Si alzò e fece per dirigersi verso la porta e solo a quel punto capii che il Lunedì anche Gerard aveva la seduta, solo una stanza più in là rispetto alla mia. Mi sentii mancare.
“No!” gridai schizzando in piedi “La p-prego! Non lo vada a chiamare...”
“Perchè no Frank? Qual è il problema?” Non volevo dirlo davanti a tutte quelle persone, insomma, erano cavoli miei, ma il pericolo che lo andasse a chiamare vinse sulla vergogna.
“Non voglio che mi lasci...”
“Perchè mai dovrebbe farlo?”
“Lei che dice? Perchè sono pazzo.” Calò il silenzio e poi un’altra serie di “povero piccolo...” presero ad aleggiare nell’aria.
“Non sei pazzo Frank, hai solo bisogno di aiuto e io, noi tutti e Gerard siamo qui per dartelo.” Odiavo essere al centro dell’attenzione, essere “la diva dello spettacolo”, ma la situazione critica pareva aver deciso che quel giorno io dovessi essere il protagonista chiamato a recitare una tragedia per trentuno spettatori curiosi.
“La prego...” Ma fu inutile. Mi accucciai a terra davanti alla mia sedia e presi a tremare, fissato da tutti, mentre lo psicologo stava chiamando Gee.
Non mi era ben chiaro il perchè avessi così tanta ansia e paura che Gerard partecipasse ad uno dei miei incontri di gruppo, poichè in fondo ci eravamo conosciuti per “colpa” dei miei problemi, quindi lui sapeva perfettamente cosa non andasse in me, ma qualcosa mi dava angoscia, qualcosa mi faceva pensare che se fosse stato così tanto a contatto con i miei problemi allora sarebbe scappato via, lontano da me...
“Frankie?” Alzai il viso nascosto tra le braccia e subito incontrai lo sguardo di Gerard, seduto davanti a me con il suo solito sorriso in volto. Mi scappò una lacrima.
“Perchè piangi?” Chiese a bassa voce, asciugandomi la lacrima e fregandosene del fatto che fossimo seduti in mezzo ad un cerchio di persone che ci stavano fissando come fossimo pazzi, cosa che in fondo io ero... Non risposi, rimasi a fissarlo immobile, non riuscendo a smettere di tremare.
Esortato sia da lui che dallo psicologo, mi sedetti sulla sedia e Gee mi si sistemò a fianco, prendendo subito la mia mano nella sua. Sarebbe scappato, alla fine della seduta sarebbe andato via, mi avrebbe abbandonato, lo sentivo. In quel momento stava facendo il carino solo per non destare sospetti negli altri, ma uscito da quella stanza non mi avrebbe più guardato in faccia, era ovvio. Ritirai la mano dalla sua e mi strinsi le braccia attorno al busto, evitando il contatto visivo con chiunque, anche se probabilmente nessuno mi stava più guardando, presi com’erano ad ascoltare le risposte che stavano dando alla domanda “perchè hai portato qui questa persona?”
“Frank? Hey, va tutto bene.” Mi bisbigliò all’orecchio, ma non potei credergli. Come poteva andare tutto bene? Come sarebbe potuto andare tutto bene dopo quel giorno? Una relazione normale, una relazione stabile, una relazione in cui il problema massimo era la litigata per la troppa pigrizia da parte di uno dei due, una relazione in cui era possibile toccarsi e uscire di casa senza aver paura, ecco cosa cercavano le persone, ed ecco cosa io non avrei mai potuto dare a Gee.
“E tu Frank?” Come mio solito mi ero perso nei pensieri, così che era giunto il mio turno di rispondere a quella domanda così semplice, ma con una risposta difficile, impossibile.
“Cos’ha Gerard di speciale?” Dio, sembrava di essere all’asilo, mi rendo conto che quell’attività avrebbe dovuto aiutarci, ma il giochino del “dimmi cosa ti piace di me” era giusto un po’ passato di moda.
“Io... Io non lo so. È l’unica persona con cui parlo al di fuori di mia madre in pratica... Mi fa sentire al sicuro.”
“Cosa intendi con mi fa sentire al sicuro?” Cominciai a sentire l’angoscia montarmi addosso, appesantendomi il cuore e chiudendomi lo stomaco come suo solito, così che la voglia di correre fuori da quella stanza divenne un desiderio ossessionante.
“M-Mi sento bene quando sono con lui... Non mi ha mai preso in giro per il mio problema e-e... questa cosa è una stronzata, okay!?” Alla fine lo feci davvero, mi alzai di scatto per correre fuori dalla porta, accucciarmi a terra e piangere tutto meno che sommessamente. Ero sicuro che tutti dall’interno della stanza mi stavano sentendo, ma non me ne freagava niente. Con quell’attività di merda avevo perso Gerard ed era solo ed esclusivamente colpa loro, del gruppo, dello psicologo, di quei trentuno sguardi penetranti e dell’aiuto che tanto avevano promesso di darmi ma che alla fine si era rivoltato contro me e il mio Gee.
“Frank, Frankie, guardami. Hey, basta piangere, non è successo nulla.”
“Puoi smetterla di fingere di volermi bene ora Gee... non serve più, puoi scappare via com’è giusto che sia.” Lo sentii irrigidirsi davanti a me, lo capii da come la stretta delle sua mani sulle mie braccia cambiò, diventando più rigida e ferma.
“Di cosa stai parlando...?”
“Non volevo che tu partecipassi a questa seduta del cazzo, non volevo che vedessi quanto schifo faccio e quanto male sia messa la mia testa, perchè alla fine io non ho nulla che non va, ma la mia mente mi costringe a pensare delle cose e alla fine devo crederle, sono obbligato... Il mio problema non esiste, sono solo un povero sfigato alla ricerca di attenzioni e non ti merito. Devi andare via da me Gee, devi cercare qualcuno per cui non proverai vergogna o pena e quel qualcuno non sono io...”
“Frank smettila! Stai zitto!” Alzai lo sguardo verso il suo e vidi le sue guance rigate da lacrime, ma invece di darmi conforto e sicurezza perchè significava che teneva a me, mi fece sentire solo ancora più sfigato, stupido ed inutile. L’avevo fatto piangere... avevo fatto piangere qualcuno, io, e quel qualcuno era Gerard.
“Non dire mai più così tante stronzate, non provare mai più a parlarmi così, ad ordinarmi di andarmene da te, di impormi di pensare che tu sia pazzo, mai più Frank!” Abbassai nuovamente lo sguardo, colmo di vergogna e tristezza.
“Scusami...”
“Frankie le relazioni non devono sempre essere rose e fiori, okay? La nostra è strana, lo riconosco, ma... ma sono davvero innamorato di te” arrossì “e sto provando con tutto me stesso a farti stare bene, a farti sentire al sicuro, ma devi provarci anche tu. Devi accettare che c’è questa inutile persona che tiene a te con tutto il suo cuore, che vuole vederti sorridere più spesso e che adora vedere le tue guance rosse quando ti chiama cucciolo...” sorrisi “Non me ne vado proprio da nessuna parte, io sto qui, anche se tu mi ordinerai di andarmene io sarò sempre qui per te.” Lo abbracciai, lo strinsi talmente forte che ebbi paura di averlo soffocato, ma poi sentii le sue braccia stringersi attorno a me e le sue mani accarezzarmi la schiena, così che tutto tornò al suo posto, così che credetti a lui e alle sue parole e così che capii di essere solo un grande e grosso idiota.
Le persone cominciarono ad uscire dalla stanza, segnale che la seduta si era conclusa, e presero a guardarci, camminarci davanti diretti vero l’uscita e parlare di noi, ma non me ne fregò niente. Sarei rimasto accucciato su quel pavimento sudicio tra le sue braccia per l’eternità se ce ne fosse stata la possibilità.
“Ti voglio così tanto bene Frank... Ricordalo, okay?”
“Okay...” Bisbigliai sorridendo nell’incavo del suo collo.
 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


La quindicesima volta in cui vidi Gerard Way, conobbi la sua famiglia.
Dopo quella seduta patetica, Gee insistette per portarmi a casa lui e riempirmi di ogni genere di complimento e gentilezza durante tutto il tragitto.
“Mi stavo chiedendo...” disse quando arrivammo davanti casa “ti andrebbe di venire a casa mia domani? Così ti presento la mia famiglia e, non so, è una cosa stupida, puoi dire di no, non c’è problema, e...” Scoppiai a ridere, amavo quando si imbarazzava e cominciava a dire cose a caso, la trovavo la cosa più adorabile del mondo.
“Mi va bene Gee, tranquillo. Mi fa piacere che tu voglia presentarmi alla tua famiglia.” Mi sorrise dolcemente arrossendo appena, superando così il suo record di adorabilità.
“Ti passo a prendere... non so, alle quattro?”
“Perfetto.”
“Ciao Frankie, ci vediamo domani.” Mi baciò un’ultima dolce volte, per poi andarsene sorridendo e stringendosi nel suo giubbotto per scaldarsi un po’ di più.
Quando finalmente arrivò il momento di andare a letto, tirai un sospiro di sollievo. Amavo quel momento della giornata, amavo potermi chiudere nel mio rifugio senza dover più avere contatti col mondo almeno per quelle nove ore di pace e silenzio. Potevo pensare, ascoltare la musica con le cuffie al massimo del volume, ballare un po’ magari, ma soprattutto potevo rilassarmi ed avvolgermi nelle coperte fino alla testa, nascondermi, dopo una giornata del genere poi... Non volevo più andare agli incontri, mettere piede in quel luogo e farmi giudicare da tutti. Avrei voluto rimanere chiuso in camera mia avvolto nelle coperte per sempre, magari con Gee, avvolti insieme a baciarci, coccolarci e ascoltare musica. Non sembrava così male come idea, un bel modo di spendere la propria vita, ma purtroppo impossibile.
Mi spogliai per poi infilarmi il pigiama il più in fretta possibile, poichè in casa mia si congelava sempre in inverno e dire a mia madre che quel clima avrebbe fatto venire i brividi pure a un pinguino, risultava sempre inutile. Mi avvolsi nel mio piumone e spensi subito la luce, poichè onestamente quella sera non mi andava di far niente se non dormire e far finire quel giorno il prima possibile. Ora che ero solo, mi resi conto di quanto idiota fossi stato ad accettare così felicemente di andare a casa di Gee l’indomani, insomma, avrei dovuto conoscere tre persone estranee tutte in una volta e una di queste tre persone era suo fratello, di cui sapevo poco e niente... Non sapevo nè quanti anni avesse, nè come fosse d’aspetto, nè se fosse una persona gentile o meno, e il solo pensiero mi fece venire un nodo allo stomaco. E se era uno stronzo? Cosa avrei fatto...? Abbracciai stretto il cuscino morbido immaginando che fosse Gerard e provai a non pensare a tutte quelle paranoie inutili.
“È solo la famiglia del tuo ragazzo, non stai andando incontro alla morte!” Ma chissà per quale strana ragione, quando finalmente riuscii a chiudere occhio gli uccelli avevano già preso a cantare fuori dalla finestra.
La notte passò dunque lenta e quando mi svegliai avevo due borse enormi sotto gli occhi. Bel modo di presentarsi a qualcuno... Sembrava che mi fossi fumato tre o quattro canne da quanto i miei occhi erano rossi e le mie occhiaie accentuate, così che appena mi guardai allo specchio per poco non morii sul colpo.
“Ti vengo a prendere più tardi, okay Frank?” Mi disse mia madre prima di andare al lavoro.
“Sì, ti chiamo quando voglio andarmene...” Dissi sospirando al pensiero di dover passare almeno due ore, se non tre, in quella casa.
“Andrà tutto bene.” Detto questo mi diede un bacio sulla guancia e uscii. Avevo circa sei ore e poco più prima che Gee passasse a prendermi, così che nell’attesa feci la cosa che più amavo, in cui ero più bravo e che mai avrei smesso di fare: mi buttai sul divano in pigiama con la scatola di cereali a vedere per la millesima volta Sherlock. Sì, ero ciò che molti chiamano nerd o peggio ancora sfigato teledipendente, ma quando la tua vita fa cagare, allora non ti rimane altro che ingannare il tempo meglio che puoi, sia che si tratti di ascoltare musica, scrivere, disegnare e cantare, sia di ammazzarti di serie TV, pratica con la chitarra o lettura intensiva di libri e fumetti. Io rientravo nella seconda categoria, mentre da quanto mi aveva raccontato Gee, lui rientrava nella prima e avrei ucciso per sentirlo cantare, ma ogni volta che lo avevo pregato, lui si era giustificato dicendo che quel pomeriggio in cui era venuto a casa mia aveva canticchiato assieme a me mentre io suonavo e che quindi in effetti la sua voce l’avevo sentita. Stronzo timido... Un giorno l’avrei fatto cantare, poco ma sicuro.
Dopo aver finito di vedere l’ultima puntata della prima stagione, avevo gli occhi secchi per la troppa televisione, cereali sgretolati addosso, i capelli un casino e le occhiaie molto probabilmente ancora più accentuate di prima. Meraviglioso!
Mi catapultai in doccia sperando di poter perlomeno assumere una parvenza umana e presi a pensare nuovamente e a stressarmi all’idea di dover presentarmi a tre persone tutte in una volta.
Non ne sarei uscito vivo...
Quando uscii dalla doccia, la mia situazione occhiaie era tutto meno che migliorata, così che mi arresi ed andai in camera a cercare dei vestiti decenti per recuperare almeno un minimo di bellezza con un outfit decente. Misi un po’ di musica per impedire ai pensieri di ricominciare ad uccidermi e, neanche a farlo apposta, la prima canzone che partì con la riproduzione casuale fu quella che Gee stava ascoltando la prima volta che lo avevo visto sulla terrazza, quel pezzo di Bowie che oramai avevo imparato a memoria e che amavo alla follia perchè mi ricordava i fianchi di Gee che si muovevano seguendone il ritmo. Alzai il volume al massimo e presi a “ballare” a mia volta, cantando e lasciando che la musica mi entrasse nel corpo e mi calmasse. La scena doveva essere davvero squallida, cioè, ero orribile per le poche ore di sonno, a torso nudo con solo un’asciugamano a fiori in vita, mentre mi agitavo senza un minimo di grazia su una canzone così bella, rovinandola perciò coi miei movimenti imbarazzanti. Per fortuna che non c’era nessuno, per fortuna che ero solo, per fortuna che...
“Questa è la cosa più sexy che abbia mai visto in vita mia.”
“Gerard!” Ebbi l’impulso di spalancare la finestra e buttarmi giù. Altro che figura di merda, quella che avevo appena fatto superava di gran lunga tutte le figure di merda del mondo messe insieme. Divenni bordeaux.
“Non avrei dovuto fermarti. Eri bravissimo, lo sai...?”
“C-Che ci fai già qui??” Cercai di cambiare argomento e riacquistare un minimo di dignità, ma non appena mi resi conto di avere una cazzo di asciugamano rosa in vita, capii che tutto sarebbe stato inutile.
“Mi annoiavo a casa, così sono venuto qui prima, solo che dopo dieci minuti che ero attaccato al campanello e non mi aprivi, allora sono entrato comunque, e meno male che l’ho fatto...” Mi si avvicinò con un’espressione beata in volto e mi abbracciò stretto a lui.
“Qualcuno ti ha mai detto che sei bellissimo?”
“Gee.” Risposi secco, cercando di evitare il contatto visivo a tutti i costi.
“Che ho detto di male? È la verità!” Arrossii ancora di più e cercai di ignorare a tutti i costi quel solletichio delizioso nel basso ventre che il contatto tra la mia pelle nuda e il corpo di Gerard mi stava provocando. L’ultima cosa che mi serviva era eccitarmi, santo cielo!
Prese a baciarmi, piano e intensamente, mentre le sue mani cominciarono ad accarezzarmi piano le braccia, la schiena, i fianchi... Mi scappò un gemito, non ce la feci proprio a trattenerlo. Quando smise di baciarmi (mio grande malgrado) notai subito che le sue guance erano rossissime, i suoi occhi spalancati, la sua bocca semi aperta e la mia asciugamano aveva assunto una “forma strana”... Oh. Cazzo.
“F-Frank io...”
“Vado a cambiarmi!” Dissi con un tantino troppa enfasi, afferrando i primi vestiti che mi capitarono sotto mano e fuggendo in bagno. Appena mi chiusi la porta alle spalle, morii dall’imbarazzo. Dio mio, eccitarsi per un bacio, ma quanti anni avevo!? E il fatto era che adesso c’era solo un modo per “farmela passare” e Gerard era nell’altra stanza e dovevo fare in fretta per andare a casa sua e stavo avendo una crisi di panico e... Cazzo! Se poi si contava il fatto che ero dannatamente rumoroso quando si trattava di queste cose... Mi morsi il labbro il più forte possibile per evitare di farmi scappare uno dei miei classici gemiti da troia e cominciai. Era così dannatamente piacevole, questa volta poi più del solito, perchè era la prima volta che mi eccitavo per qualcosa che mi aveva fatto lui. Gemetti un paio di volte il suo nome, così che pensai lo avesse sicuramente sentito, ma cosa importava? In fondo era il mio ragazzo.
Quando uscii dal bagno, l’imbarazzo aleggiava ancora nell’aria e le nostre guance erano nuovamente rosse, lui solo per la vergogna, io anche per l’orgasmo.
Wow.
“A-Andiamo?” Dissi afferrando il giubbotto, cercando di non guardarlo negli occhi.
“Certo!” Si schiarì la voce e mi venne dietro in silenzio.
“Sai una cosa Frankie?” disse appena ci sedemmo in macchina “se dovesse succedere ancora, e sicuramente succederà ancora, beh... io sono il tuo ragazzo, e se questo non è un mio compito, allora di chi altro può esserlo?” Ridacchiò imbarazzato, mentre io mi sentii letteralmente bruciare dall’interno. Quel giorno avevo decisamente battuto il record di figure di merda.
“O-Okay! Certo! Va bene! Andiamo!?” Rise davanti alla mia reazione e mise in moto l’auto.
“Mi è piaciuto quando hai detto il mio nome comunque...” mi bisbigliò all’orecchio, facendomi venire i brividi “è stato dannatamente eccitante e...”
“Gerard concentrati sulla strada!” Rise nuovamente e, finalmente, chiuse la bocca.
Arrivammo a casa sua in fretta e, nonostante stessi ancora morendo di vergogna, appena sceso dall’auto afferrai la sua mano stretta nella mia.
“Andrà tutto bene Frankie. Sono simpatici, se vai oltre le apparenze si intende.”
“Quali apparenze?” Chiesi stringendo fortissimo la sua mano.
“Tranquillo...” Mi sorrise, così che un pochino mi calmai, ma solo un pochino...
“Gerard non mi avevi detto che è così tanto carino! Guarda che bel faccino... Tanto piacere Tesoro.” E la mamma di Gee mi mise ancora più in imbarazzo di quanto già non fossi.
“P-Piacere mio...” Balbettai, per poi stringere con mano tremante la sua. La ritirai in fretta e poi fu il turno del padre. Adesso capivo cosa voleva dire Gee con “vai oltre le apparenze”... Più che il padre, fu la madre a destarmi ben più di un po’ di curiosità, con il suo trucco pesante, i capelli biondo platino cotonati e le unghie rosse smaltate, anche se in verità era una donna dolcissima, la classica mamma buona e premurosa.
“Dov’è Mikey?” Chiese Gee.
“Oh, tra poco torna. Stasera ci sarà anche lui a cena se è questo che vuoi sapere, non ti preoccupare.” Rispose la signora Way, per poi sorridermi dolcemente.
“Ti fermi a cena con noi Frank?”
“I-Io non lo so... Non voglio disturbare.”
“Oooh ma figurati! Tanto con tutto quello che cucina, il cibo non manca di certo.” Mi disse Gee passandomi un braccio attorno alla vita.
“Fai poco lo spiritoso Gerard, non è colpa mia se tra te e tuo fratello mi svuotate il frigo un giorno dopo aver fatto la spesa!” Risi, mentre Gee cominciò a lamentarsi e difendere la sua posizione. Dopo poco si arrese e mi portò a vedere camera sua, ovvero un ammasso di CD, fumetti, disegni e oggetti di dubbia provenienza. Quello era un pipistrello impagliato...?
“Fa schifo, lo so, ma è la mia tana, e non ho comunque intenzione di vivere qui in eterno, anzi, sto cercando una nuova casa a dire il vero, ma la mamma non deve saperlo per adesso.” Disse sedendosi sul “letto”, se un ammasso di coperte e cuscini rosa si potevano definire come tale.
“Aww Gee! Sei tu?” Chiesi andando a prendere una foto che teneva sulla scrivania in cui vi erano due bimbi, uno più piccolo con due peli biondicci in testa che pensai fosse suo fratello e l’altro più grande, con le guanciotte tonde, un sorrisone in viso e un casco di capelli scuri in testa.
“Naah ti prego, metti giù quello schifo, non... Frank! E dai!”
“Perchè non vuoi che la veda? Sei bellissimo.” Mi sorrise imbarazzatissimo, per poi riprendere la fotografia e rimetterla al suo posto.
“Ero una palla di lardo, non che ora sia molto diversa la situazione, ma lì ero davvero obeso. Facevo schifo.”
“Non dire mai più una cosa del genere. Eri un bambino, e i bambini cicciotti sono ciò che di più bello esista al mondo” mi avvicinai a lui e gli presi il viso tra le mani “Mentre ora sei un ragazzo, un ragazzo bellissimo, sexy e bellissimo.” Rise.
“Oh davvero? Hai detto bellissimo due volte, lo sai vero?”
“Chiudi la bocca...” O più che altro gliela chiusi io, baciandolo dolcemente e delicatamente, sperando di avergli fatto entrare in quella testa marcia che si ritrovava che era bello, almeno per me era semplicemente stupendo.
“Vi prego, smettetela di risucchiarvi la faccia almeno fino a quando ci sono qui io.” Mi staccai velocemente da lui, con le guance naturalmente rosse, per poi voltarmi verso chi aveva appena parlato.
“Sai che c’è una porta e che è buona educazione bussare, non è vero Mikey?”
“Sshht! E presentami piuttosto.” Rimasi fermo e zitto a fissare quello che oramai non avevo più dubbi fosse il fratello di Gee, ovvero uno scheletrino con degli occhiali enormi, capelli biondicci molto probabilmente piastrati e poco più alto di suo fratello. Quello era tutto meno che il fratello spaventoso che mi ero immaginato di incontrare, con quello sguardo da cucciolo e le maniche del golf tirate fin sopra le mani. Sorrisi.
“Mikes, lui è Frank e Frank, questo è Mikey.” Strinsi la sua mano senza timore e sorrisi a mia volta nel vedere che mi stava rivolgendo un piccolo e timido sorriso.
“Senza che tu ti offenda, ma... sei davvero piccolo.” Mi disse con una risata a cui io risposi roteando gli occhi al cielo.
“E tu sei davvero magro.”
“Corretto.“ Ridemmo entrambi e in quel momento mi resi conto che la famiglia di Gee era davvero perfetta e che le mie paure e angosce erano state veramente stupide a senza senso.
“Ti fermi a cena?” E stavolta accettai.
Non ci fu un solo momento durante il pasto (con mia sorpresa, totalmente vegetariano) in cui mi sentii a disagio o non protetto, anzi, mi sentii a casa, mi sentii dannatamente bene e  finalmente ancora parte di una famiglia dopo anni di me, mia madre e il vuoto della mancanza di mio padre.
Quando mia madre arrivò a prendermi, ero tutto meno che felice, dato che aveva appena interrotto un importante discorso nerd che stavo tenendo con Mikey.
“Tornerai a trovarci Tesoro?” Mi chiese la signora Way con un altro dei suoi dolci sorrisi.
“Certo! Può starne certa!” E mai in vita mia fui così convinto di qualcosa da me detta.
“Andata bene?” Mi chiese Gee sulla porta di casa. Gli risposi con un bacio e un sorrisone.
“Sono felice. Ti chiamo domani, notte piccolo.”
“Notte Gee.” Tornai a casa felice come non mai.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


*Piccola nota inutile*
È da un po’ che non faccio una piccola intro, cioè, penso che a nessuno importi molto, ma mi sentivo in dovere di farne una U.U Mi sono resa conto che siamo già al capitolo 16 e che quindi la storia ha già superato la metà (meglio per voi, meno cagate da leggere ahaha...) Comunque! Vi lascio alla lettura, mentre io vado a studiare intensivamente filosofia...
Baci :*

 



 


La sedicesima volta in cui vidi Gerard Way, mi portò ad una mostra di quadri.

Il giorno dopo non vidi Gee sulla terrazza come al solito, poichè lo psicologo se l’era cantata e quindi ora mia madre aveva preso la bruttissima abitudine di accompagnarmi fin dietro la porta... Imbarazzante.
Non avevo voglia di fare un’altra stupidissima seduta, non mi andava di vedere in faccia nè tutti quei sedici poveri idioti nè soprattutto lo psicologo che mi stava rubando la mia ora di baci intensiva. In più quel giorno avremmo parlato sicuramente della seduta di Lunedì, quella in cui avevo fatto una figura da ritardato, e la cosa mi stava dando tutto meno che gioia.
“Allora ragazzi” disse lo psicologo entrando nella stanza “Qualche osservazione sull’attività dell’altro giorno? Qualcuno ha un’idea del perchè l’abbiamo fatto?” Tutti cominciarono a bisbigliare e ragionare sul “significato profondo” di quell’incontro, mentre io mi trattenni dal ridere ripensando al fatto che avesse appena chiamato attività quella grandissima cagata.
“Frank ad esempio? Hai qualche idea?” Perchè chiamava sempre me?? Oltretutto dopo quello che era successo, dopo la mia crisi da ragazzina, non vedevo davvero come avrei potuto rispondere. Feci spallucce.
“Non ne ho la più pallida idea.”
“Non hai pensato proprio a niente? Neanche al fatto che c’è qualcuno che ti vuole bene, almeno una persona sulla faccia della Terra?”
“È ovvio che tutti abbiamo qualcuno che tiene a noi, che cazzo! Chi è totalmente solo?” Oddio, l’avevo detto sul serio?
“Beh, è un successo che tu pensi ciò, visto che il problema principale di questo gruppo è il sentirsi soli, emarginati, col mondo contro e destinati a passare la vita senza nessuno al proprio fianco, non è così ragazzi?” tutti annuirono come dei poveri rimbambiti, neanche a dire che me l’aspettavo... “In questo modo vi siete resi conto che non è così, che anche voi avete e vi meritate almeno una persona, che...”
“Questo non toglie il fatto che gli altri non mi apprezzino, che al di fuori di quest’unica persona io non abbia nessuno.” Calò nuovamente il silenzio.
“Questo è vero Frank, ma devi capire che viviamo per noi stessi in prima persona, noi e nessun altro, il fatto che voi abbiate qualcuno, sia che si tratti di un solo individuo sia di trecento persone, è un aiuto in più. Vivete per voi ragazzi, le persone sono solo una decorazione, per così dire, del vostro viaggio, per renderlo più piacevole e, siccome siete qui perchè io vi aiuti a viaggiare al meglio, allora ho pensato che trovarvi un accompagantore sarebbe stato meglio. Era questo il mio intento Frank, non farvi pensare che il mondo vi ami, poichè è impossibile, ma piuttosto farvi pensare che voi potete amare il mondo.” E stavolta stetti in silenzio pure io.
Per tutta l’ora non feci altro che pensare al suo discorso, alle sue parole e la frase “viviamo per noi e nessun altro” mi diede ben più di qualche problema di interpretazione. Chi mai era così egoista da vivere solo per il proprio bene? Chi era così meschino da non aiutare nessuno che non riguardasse se stesso in prima persona? Io non sentivo proprio di vivere solo per me, ma nemmeno per gli altri, diciamo che vivevo perchè ero obbligato a farlo, perchè oramai ero al mondo e tutti sanno che vi è un solo modo per andarsene prima del previsto, un modo che mai avrei utilizzato seppure fosse una buona e valida opzione. Le persone non erano compagni di viaggio per me, erano ostacoli, ostacoli da saltare, aggirare, buttare giù, piuttosto che ostacoli troppo alti che mai avrei potuto superare o che mi avrebbero fatto cadere... Mi resi conto solo in quel momento che io vivevo troppo per gli altri, che la mia vita era tutto meno che qualcosa che mi apparteneva o che potevo gestire come volevo.
La mia vita era una corsa con ostacoli troppo alti e io non ero un atleta.
“Frank? Ti dispiacerebbe aspettare un attimo?” Mi disse lo psicologo quando finì la seduta e tutti presero ad uscire. Sbuffai, ma mi fermai comunque a sentire ciò che aveva da dirmi.
“Io e tua madre abbiamo parlato assieme e deciso che è meglio se passi a fare delle sedute individuali per il momento. Crediamo che... ecco, che tu non sia ancora pronto per questo genere di attività, non so se mi sono spiegato.”
“Oh! Quindi vuole dire che sono talmente asociale, sociopatico, scorbutico e maleducato che la mia presenza ha ferito l’animo d questi sfigati? Mi scusi, sono davvero dispiaciuto, ma non si preoccupi, non si scomodi a trovare soluzioni alle mie spalle con mia madre, perchè tanto non credo proprio che mi vedrà ancora.” Feci per andarmene, incavolato nero e ferito, quando mi afferrò per un braccio.
Non avrebbe dovuto farlo.
“Mi lasci andare!”
“Scusami Frank, mi dispiace! Non intendevo metterti in questa situazione. Io e tua madre stiamo solo... Frank!” Ma me ne andai. Ne avevo piene le palle delle persone per quel giorno.
“oggi nn sei venuto ): è successo qualcs?”
Erano due ore che mi ero chiuso in bagno a piangere e maledirmi per essermi comportato per la millesima volta come un malato di mente, quando mi arrivò quel messaggio. Mi ero totalmente scordato di Gerard, della sua esistenza, della nostra “storia”, del fatto che fosse il mio ragazzo, del fatto che avessi una persona al mio fianco che non sapevo come definire... Ostacolo? Non credevo proprio.
“scusami G... Ti spiego appena ci vediamo” Risposi dopo poco, non smettendo di piangere e tremare.
“cucciolo, è successo qualcosa?” Mi chiese nuovamente.
“sì...”
“posso portarti in un posto stasera? Sono sicuro che ti piacerà, credimi” Non avevo molta voglia di uscire quella sera, anzi, proprio zero, ma non volevo nemmeno cominciare a comportarmi da pazzo anche con lui, non se lo meritava...
“possiamo fare domani magari? Scusa...”
“nn ti va neanche se prometto di riempirti di baci? :*”
Sorrisi come un idiota nel leggere quel messaggio e nell’immaginarmi ciò da lui appena scritto.
“va bene, hai vinto ahahaha ((:”
“passo alle 8.45, a dopo <3”

Ci vollero venti minuti buoni per tranquillizzare mia madre e spiegarle che avevo gli occhi rossi solo perchè ero stanco morto, anche se parve non credermi, e ne servirono altri dieci per convincerla a farmi uscire di casa, poichè anche se avevo vent’anni il permesso dovevo prima chiederlo a lei.
“Okay, è ridicolo solo che te l’abbia chiesto. Io vado.” Dissi dopo che mi negò di uscire, prendendo la giaccia e sbattendo forte la porta dietro di me. Aspettai fuori al freddo per mezz’ora, prima che Gee arrivasse e mi trovasse seduto sul marciapiede, avvolto nel mio cappotto sotto la luce pallida di un lampione. Accostò, scese dall’auto e mi abbracciò stretto, senza dire nulla.
“Cos’è successo?” Mi chiese dopo che mi ebbe abbracciato a sufficienza, così che cominciai a raccontargli. Per tutto il viaggio non feci altro che parlare di ciò che era accaduto quel giorno, a partire dal discorso fattomi dallo psicologo, continuando con la storia del “dovresti fare delle sedute individuali” e finendo con la mia crisi esitenziale tuttora in corso e il litigio con mia madre.
“Non hai niente che non va Frankie, okay? Il tuo ostacolo sarà sempre qui per te.” Disse ridacchiando, così da automaticamente farmi sorridere ed alleggerire un po’ la mia angoscia.
“Grazie Gee.” E gli diedi un bacio sulla guancia.
Quando arrivammo a destinazione, la prima cosa che feci non fu chiedergli che posto fosse, poichè mi fiondai sulle sue labbra e gli rinfacciai il fatto che aveva promesso di riempirmi di baci.
“Stai zitto...” Mi bisbigliò sulle labbra, per poi riprendere a baciarmi e recuperare perciò il tempo perso quel giorno a causa del nostro mancato incontro sulla terrazza.
“Ci conviene andare prima che chiuda.” Disse d’un tratto guardando l’ora sul display del cellulare.
“Chiuda?” Mi sorrise e mi prese per mano, per poi portarmi all’interno di una stanza piena zeppa di quadri.
“Ti avevo detto che avrebbero aperto questa piccola mostra e che la sera sarebbe stata gratuita, ma a quanto pare quel giorno eri troppo ammalato per stare ad ascoltarmi.” Mi disse con una risata, per poi riprendere nuovamente la mia mano nella sua e cominciare a guardare il primo quadro, ovvero un campo di fiori. Ora che li guardavo bene, raffiguravano praticamente tutti dei fiori, coloratissimi e talmente belli che potevo sentirne il profumo.
“Che artista è?” Chiesi osservando un bellissimo quadro che rappresentava delle ninfee.
“Monet, sono tutte opere sue. Amo il suo modo di rappresentare la natura, i fiori, i campi, la semplicità della vita... Era un genio.” Sorrisi nel sentire il suo tono entusiasta nel parlare di quel pittore e mi persi nell’ammirare a mia volta i quadri, ad immergermi in essi. Un quadro in particolare catturò la mia attenzione, un semplicissimo ma meraviglioso mazzo di rose.
“Ti piace?” Mi chiese abbracciandomi da dietro, per poi darmi un bacino sulla guancia e appoggiare la testa sulla mia spalla. Mi appoggiai a mia volta al suo petto e gli accarezzai piano le mani posate sulla mia pancia.
“Adoro le rose... Tu no?”
“Certo, sono il simbolo per eccellenza dell’amore, come potrebbero non piacermi?” ridacchiò nel pronunciare quella frase, per poi darmi un altro bacio “Sai, se qualcuno ti regala una rosa, allora vuol dire che è davvero legato a te, che ti ama...” Bisbigliò l’ultima parola dritta nel mio orecchio, così da farmi venire i brividi e il batticuore. Aveva detto “ama”, non “innamorata”...
“Qualcosa mi fa pensare che prima o poi ne riceverò una, non è così?” Ridemmo insieme.
“Puoi scommetterci piccolino.”
Gee era senza dubbi l’ostacolo più bello che mi fosse mai capitato.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


La diciassettesima volta in cui vidi Gerard Way, andammo a cena fuori.
“Aaah Mikey! Come puoi considerare Superman migliore di Batman? È ovvio che è il contrario!”
“Sei troppo basso per poter dire la tua, zitto nanetto.” Risi solo per non ammazzarlo.
“Ti odio già Mikey Way...”
“La cosa è reciproca.” Mi scompigliò i capelli come si fa con il proprio fratellino di quattro anni per poi uscirsene dalla stanza, lasciandomi solo sul letto di Gee mentre lui era in bagno a prepararsi.
Quella sera saremmo dovuti uscire a cena assieme e la cosa era davvero straordinaria a pensarci, nel senso, io non andavo mai in luoghi così affollati come lo erano i ristoranti, allora perchè ero addirittura arrivato a chiedergli io di uscire a cena assieme?
“Quasi finito Frankie! Giuro!” Almeno non sarebbe durato molto, dato che era Domenica e il Lunedì Gee aveva lezione presto. Quando uscì dal bagno non riuscii ad impedire ad un sorrisone enorme di illuminarmi il viso: aveva tutti i capelli sistemati e pettinati, contrariamente al solito groviglio di nodi, una camicia bordeaux, jeans neri attillati e, cosa più importante, era senza trucco, il che non fece altro che mettere ancora più in risalto i suoi lineamenti dolci e il suo viso tondo.
“Faccio schifo senza trucco, lo so, però volevo provare, è solo un esperimento, se non ti piaccio allora vado a...”
“Sei bellissimo Gerard.” Dissi serio, con un sorriso ammirato nel vedere quanto meraviglioso fosse.
“D-Davvero?” Chiese arrossendo, abbassando lo sguardo e spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. A quel punto non riuscii più a trattenermi, così che mi alzai in fretta dal letto per raggiungerlo ed abbracciarlo. Gli feci alzare il viso portando un dito sotto il suo mento e gli diedi un piccolo bacio sulla punta del naso.
“Davvero.” Rise imbarazzato, con quella sua stupidissima risata che ricordava tutto meno che il suono di una risata maschile, per poi abbassare di nuovo il volto ancora rosso. Adorabile.
“Andiamo?” Chiese allontanandosi ed andando a prendere la sua giacca.
“Andiamo.” Preso da non so quale strano lampo di pazzia, gli diedi una pacca sul sedere, che quei jeans non facevano altro che mettere ancora più in risalto. Beh... diciamo che adoravo il sedere di Gerard, considerando poi quei pantaloni non riuscii proprio ad impedire che accadesse.
“Ma che fai!?” Mi chiese ridendo sempre più imbarazzato, nascondendo il viso paonazzo tra le mani. Super adorabile!
“Aww sei irresistibile.” Gli diedi un bacio sulla guancia e stetti ad aspettare che si riprendesse dall’imbarazzo, fissandolo con un sorriso inquietante.
“Ti odio Frank.” Disse avvicinandosi a me, per poi darmi un bacio che stonava completamente con l’affermazione da lui appena fatta.
“Mmmh dubito...” E ci vollero altri venti minuti di bacio intensivo prima di uscire di casa.
Arrivammo al ristorante in fretta e per tutto il viaggio non feci altro che discutere su quanto bello fosse il suo sedere.
“F-Frank basta, ti prego! Vuoi farmi morire dall’imbarazzo??” Mi supplicò con lui con un’altra risatina “molto mascolina”.
“Non suona male come piano.” E detto questo continuai con il mio discorso, o meglio, lode.
“Spero ti piaccia il posto... Ci sono venuto una volta con la mamma e Mikes quando ero piccolo e... non sembrava male.” Cercai di non ricominciare a metterlo in imbarazzo rinfacciandogli il fatto che avesse appena detto la mamma e Mikes, così che mi limitai a sorridergli ed aprire lo sportello.
“Sarà perfetto.” Mi sporsi per dargli un bacio sulla guancia ed uscii.
Sarebbe stato tutto perfetto per davvero, quella sera mi sentivo abbastanza fiducioso nei confronti del prossimo. Era la nostra serata.
“Avete prenotato?” Ci chiese un tipo alto, magro e brutto appena entrammo nel locale. Dio mio, faceva venire la pelle d’oca...
“Sì, a nome Way, per le otto e mezzo.” Controllò un attimo su un registro se ciò appena detto da Gee fosse vero, per poi “sorriderci” ed accompagnarci a un tavolo. Okay, sembrava l’amico brutto di Frankestein, pregai non fosse il nostro cameriere per il resto della serata.
“Vi porto qualcosa da bere?”
“Champagne? Dobbiamo festeggiare.” Disse più rivolto a me che a Frankestein, così che ci guardò storto e se ne andò con un “provvedo subito” davvero agghiacciante.
“Festeggiare cosa?” Chiesi mettendo su la faccia da bimbo migliore che potessi.
“Te, noi, la nostra prima uscita insieme, un sacco di cose ora che ci penso...” Mi rispose con un sorriso, elencando tutte le ragioni sulle dita della mano.
“Hai dimenticato il tuo sedere Gee.”
“Non la smetterai mai, non è vero?” Scossi la testa con determinazione, per poi dargli un piccolo bacio sulla guancia.
“Emh emh” oh... lo Champagne, giusto “Ecco a voi, signori.” Disse pronunciando con stizza la parola “signori”. Va bene che ero alto come un bambino, ma i diciotto anni li avevo superati da un pezzo, quindi ero un signore a tutti gli effetti.
“Porto i menù?”
“Certo, grazie.” Si affrettò a rispondere Gee, così che Frankestein andò a prendere i menù in tempo record.
“Grazie mille.” Dissi stavolta io, per poi ricevere un altro “sorriso” molto caldo e rincuorante da quello che oramai non avevo più dubbi fosse il nostro cameriere della serata.
“Fottutamente inquietante!” Dissi con una risata, così che Gee si unì a me dandomi retta.
“A parte lui, ti piace il posto...?” Mi chiese mordendosi il labbro e sembrando agitato.
“Sì, molto, stai tranquillo.” Cercai di rassicurarlo io, poichè il posto era davvero bello, non era una menzogna.
“Ho cercato apposta un ristorante poco affollato, tranquillo, e avevo anche scelto personalmente il tavolo, uno in un angolino dove non ci sarebbero passate attorno mille persone, però non mi hanno ascoltato, e in più stasera è più affollato del previsto. Mi dispiace, non...”
“Gee, è perfetto. Non avresti dovuto cercare apposta un luogo che si adattasse ai miei disagi. Io...io mi sarei adeguato. Vuoi davvero dire che sei venuto qui prima a parlare coi camerieri?” Annuì.
“Col gestore a dire il vero e mi aveva giurato che ci avrebbe pensato lui, ma lo stronzo non l’ha fatto...” rise nervosamente “Volevo solo che fosse tutto perfetto per te...” Sorrisi intenerito oltre ogni immaginazione dalla sua premura sconcertante e gli diedi un bacio, solo pochi secondi per fargli capire quanto gli fossi grato, quanto tenessi a lui, quanto...
“Ti amo...” COSA!?
“C-Cosa!?” Mi chiese con gli occhi enormi, le guance bordeaux quanto la sua camicia e la bocca spalancata, mentre io mi tappai la bocca con entrambe le mani. Che avevo detto!?
“F-Frank tu hai detto che... detto che...”
“Lascia perdere.” Avevo fatto un casino, sapevo che la serata era rovinata, perchè come sarei riuscito a fargli capire che non intendevo dire quello? Che non sapevo nemmeno cosa fosse l’amore? Che non lo amavo...?
“Come sarebbe a dire lasciar perdere? F-Frank, tu hai detto che mi...”
“So cos’ho detto, okay Gerard?? Lo so! Ma ho sbagliato, n-non intendevo dirlo! Ora leggi il menù e fai silenzio!” Le teste di tutti i clienti si girarono verso noi e calò il silenzio, come da me richiesto...
“Frank sei impazzito? Io-io.. non ti capisco, io...”
“Ti prego Gee, ti prego, ti prego, ti prego...” Cominciai a tremare, mi sentii totalmente senza protezione e in pericolo.
Avevo rovinato tutto ed era colpa mia.
“I signori desiderano ordinare?” Mai in tutta la mia vita fui così felice di vedere qualcuno, sebbene fosse inquietante da far paura.
“Ci dia ancora qualche minuto per piacere.” Disse Gerard, rivolgendo un agitatissimo sorriso al cameriere che, non appena sentì le sue parole, se ne andò via istantaneamente.
“Adesso dobbiamo chiarire” disse con tono serio e piatto “Cos’è successo?”
“Gerard ti prego... Le parole mi sono uscite dalla bocca senza che me ne rendessi conto, dimenticalo, ordiniamo da mangiare e...”
“Come puoi chiedermi di dimenticare...?” E la voce spezzata, gli occhi lucidi e lo sguardo triste con cui me lo chiese mi uccisero...
“Suvvia Gerard, sono solo due stupide parole, non cambia niente, non...” Ma mi interruppe nuovamente.
“Cazzo Frank! Per me non sono solo due semplici parole! Non puoi dare così poco peso a quello che dici! Capiscilo...” Mi alzai, non potevo più sopportare nè gli sguardi di tutti i clienti nuovamente fissi su di noi, nè quello trsite di Gerard, nè il pensiero di quelle due parole che mi stavano facendo impazzire, nè la sensazione di oppressione che si era impossessata di me. Avevo bisogno di aria, avevo bisogno di andare via da lì, di scappare, fuggire, scomparire... Avevo bisogno di tornare indietro nel tempo, non indietro di qualche minuto, ma direttamente a prima della mia nascita... Deludevo tutti, avevo deluso mio padre che se n’era andato via quando non ero altro che un bimbo, avevo deluso mia madre con tutti i miei problemi insensati, avevo deluso il mio psicologo con la mia personalità aperta e la mia solarità e ora avevo deluso Gerard, la persona più dolce, bella, premurosa ed amabile che esistesse sulla faccia della Terra.
“Frank non provare ad andartene, non... Frank!” Quando già ero in piedi mi afferrò deciso per un braccio, così da farmi entrare nel panico più totale, così che mi sentii in pericolo come mi capitava con gli sconosciuti, con le persone che non mi piacevano, come mi era capitato alle medie...
“Non toccarmi!” Urlai con le lacrime agli occhi, staccandomi da lui bruscamente.
Fu la prima volta in cui non concessi a Gerard di toccarmi.
Alcuni camerieri cominciarono ad avvicinarsi a noi con aria preoccupata, poichè oramai io ero in lacrime e Gerard era pietrificato dall’altra parte del tavolo, con lo sguardo basso e triste.
Era colpa mia, solo ed esclusivamente colpa mia...
“Tutto bene signori? È succ...” Chiese Frankestein con aria stizzita, ma non lo lasciai finire, poichè mi catapultai fuori dal locale alla ricerca di un po’ di tranquillità.
“Frank ti prego! Fermati, non ti voglio far niente di male, voglio solo parlarti... Non scappare da me!” Disse Gerard uscendo a sua volta e venendomi dietro, ma, sebbene una mia parte moriva dalla voglia di tornare indietro da lui, abbracciarlo, baciarlo e dirgli un’altra volta “ti amo”, l’altra mi spingeva a correre, a scappare lontanto da lui ed andare a piangere e tremare nell’angolino di camera  mia.
Sentivo Gerard continuare a chiamarmi, le persone per strada girarsi verso noi e l’angoscia aumentare sempre di più. Da cosa stavo scappando? Da chi? Gerard? E perchè mai avrei dovuto fuggire da lui? Dove stavo andando? Che cosa mi era successo??
Era colpa mia!
“Frank ti pr... Cazzo!” Il suo richiamo disperato si bloccò all’improvviso, così che feci lo stesso a mia volta, mi bloccai e mi voltai vero lui, per vedere che era a terra, accerchiato da quattro ragazzi tutto meno che amichevoli.
“Ehi stronzo! Guarda dove vai!” Disse uno dei quatto, tirandolo in piedi come fosse una bambola di pezza e prendendolo per il bavero del giubbotto.
“M-Mi dispiace, n-non vi avevo visti...”
“Certo che non ci avevi visti, l’ho notato! Stavi correndo come una fottuta ragazzina di undici anni. Da chi scappi? Qualcosa deve pur averti spaventato per essermi venuto addosso, non è così sacco di merda?”
“T-Ti prego non uccidermi...” Scoppiarono tutti e quattro a ridere, mentre io cominciai a tremare, incapace di fare qualunque cosa se non stare a fissare la scena da lontano, nascosto nel buio da bravo verme che ero.
“Oooh avete sentito ragazzi? Il frocetto è spaventato, ci ha pregati di non toccare il suo bel faccino.” Detto questo, gli tirò un pugno in piena faccia e allora io esplosi.
“Non toccarlo stronzo! Non permetterti di farlo mai più!” Si voltarono tutti verso me e il panico mi immobilizzò, facendomi rendere conto di ciò che avevo appena detto.
“Aaah adesso è tutto chiaro! Stavi correndo dietro alla tua puttanella, non è così?” chiese con un ghigno rivolgendosi a Gee “Dove stavate scappando? A scopare?” Gli tirò un altro pugno, stavolta nello stomaco.
“No!” Gridai ancora, ma non c’era nessuno per strada, nessuno che avrebbe potuto aiutarci; eravamo soli, soli in tutto il mondo e io ero bloccato, incatenato dal terrore mentre fissavo Gee, il mio Gee, accasciato a terra con le mani sulla pancia e un’espressione dolorante in volto.
Era colpa mia, mia, mia, mia, mia...
“Vuoi essere picchiato anche tu? Vieni qui, così posso vedere bene la tua faccia da frocio mentre le prendi. Vieni dove c’è più luce.”
“Frankie scappa!” Disse Gerard, per poi prendersi un altro calcio nello stomaco.
“Frankie!? Oooh ma che tesori, pure i nomignoli vi siete dati... Ragazzi, voi pensate a Frankie, mentre io mi occupo di questo qua.” La paura, o meglio panico, vinse sulla mia mente per una buona volta, così che cominciai a correre, a fuggire, lasciando il mio ragazzo solo e in difficoltà.
Era solo mia la colpa...
“Dove scappi checca!?” Ma una cosa che non sapevano era che non esisteva nessuno più veloce di me quando si trattava di dover fuggire da del pericolo, così che li seminai in un batter d’occhio, infilandomi in un vicolo buio e nascosto. Dopo che mi fui accertato del fatto che se n’erano andati, mi lasciai letteralmente cadere a terra, scivolando contro il muro e accucciandomi sull’asfalto sporco.
Era colpa mia se non ero più in quel ristorante al tavolo con il mio ragazzo, era colpa mia se adesso Gerard pensava che lo odiassi, che non mi piacesse, era colpa mia se quei quattro ragazzi lo avevano o forse stavano ancora picchiando, era colpa mia se ero scappato via da lui, a rifugiarmi il quel vicolo come un topo in un buco nel muro... Era colpa mia, semplicemente questo.
Ero io la colpa.
Corsi a casa, evitando di avere ogni genere di contatto con chiunque incontrassi, travolgendo tuttavia un paio di persone nella mia fuga disperata.
“Frank, che è successo!?” Mi chiese mia madre con l’espressione più preoccupata che avessi mai visto.
“Mamma è colpa mia!!” E ripresi a piangere.
 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


La diciottesima volta in cui vidi Gerard Way, fu all’ospedale.
“È-È stata tutta colpa mia, l’ho ferito... l’ho abbandonato. È tutta colpa mia...”
“Che colpe ti dai Frank?”
Il giorno dopo la tragedia dell’appuntamento con Gerard, mi ritrovai contro voglia dallo psicologo per la prima di quelle sedute individuali che lui e mia madre avevano stabilito che io seguissi. Non avevo chiuso occhio tutta notte, ero terrorizzato e disgustato da me stesso, da come avevo trattato l’unica persona sulla faccia della Terra che probabilmente teneva a me.
“Gli ho detto che lo amo... e poi sono fuggito. Non ci si comporta così, n-non avrei mai dovuto accettare di diventare il suo ragazzo, non... Semplicemente non avrei mai dovuto affezionarmi così tanto e permettere che lui pure si affezionasse a me... Ho sbagliato tutto, sono io la colpa...” Mi rannicchiai sulla poltrona che, per la mia piccola stazza, era praticamente enorme e cominciai a piangere piano.
“È stato un bene invece che voi due vi siate uniti così tanto, perchè lo consideri uno sbaglio?”
“Ora pensa che lo odi, l’ho fatto soffrire...”
“Avete solo avuto un litigio, per così dire, capitano a tutti Frank, anche alle coppie che stanno insieme da anni, anche...”
“Non è questo il punto!” urlai schizzando in piedi “Io lo amo, sono quasi sicuro che sia così, anche perchè l’amore è una cosa soggettiva, non c’è una definizione, non è così? Amo ogni cosa di lui e-e quando lo guardo, penso sia impossibile che sia davvero il mio ragazzo, che abbia davvero scelto di passare una parte della sua vita con me, con la merda che non sono altro! Se non è questo l’amore, io allora non so proprio cos’altro possa esserlo, perchè se mi chiedessero di dare una mia definizione a questo sentimento, i-io direi il suo nome, direi semplicemente Gerard, perchè è la prima cosa a cui penso, l’unica...” Finita la mia sfuriata, ricaddi sulla poltrona, esausto e col fiatone a causa di quelle cose che avevo appena detto, come se ammettere apertamente di essermi innamorato mi avesse risucchiato ogni forza ed energia.
“Hai ragione tu Frank, hai detto bene, l’amore è qualcosa di soggettivo e se la definizione che tu gli attribuisci è Gerard, io sono il primo a dirti che è vero, perchè penso proprio che quello che provi per lui sia ciò che tutti chiamano amore, sia questo sentimento di unione, questo legame di empatia fortissimo. Non c’è niente di cui essere spaventati, l’amore è qualcosa che prima o poi tutti provano con o senza scelta, non è uno sbaglio e soprattutto non è una colpa da addossarsi.” Disse utilizzando un tono calmo e pacato e rivolgendomi un sorriso rassicurante.
“Se lo amo, allora perchè ho paura ad ammetterlo...?”
Per il resto della seduta non fece altro che provare a rispondere a quella domanda che gli avevo posto, senza tuttavia trovarne una che mi soddisfacesse. Non ero fatto per amare, ecco l’unica risposta...
Appena uscii dalla stanza mi arrivò un messaggio da parte di un numero sconosciuto:
“frank che cavolo è successo ieri sera?????
-miks”

A detta di ciò che diceva il messaggio, capii che quel “miks” stava per “Mikey” e subito un’angoscia indescrivibile si impossessò di tutto il mio corpo.
Inviai un patetico “in che senso?” a cui stavolta mi rispose chiamandomi.
“Pronto...?”
“Come sarebbe a dire in che senso! Che cazzo è successo ieri??” Il suo tono era così preoccupato, stanco ed arrabbiato che mi fece subito capire che era successo qualcosa di serio e che quel qualcosa riguardava per forza Gerard...
“Scusami, non volevo aggredirti, solo che sono stanco di vederlo così e... e pensavo che con te sarebbe cambiato qualcosa, ma invece è tutto come sempre...”
“C-Cos’è successo a Gee...?” Sospirò e stette zitto per qualche istante, così che la mia angoscia divenne se possibile ancora di più.
“Gerard è in ospedale.” Mi ci vollero a dir tanto cinque secondi prima di schizzare fuori dall’edificio e correre alla prima fermata del bus disponibile per raggiungere l’ospedale. Non mi andava proprio di chiedere a mia madre di darmi un passaggio fino lì, perchè “sai mamma, il mio ragazzo è ricoverato perchè sono un pezzo di merda”, così che il pullman, sebbene equivaleva al contatto con decine di persone, mi sembrò la scelta più ragionevole. Per tutto il viaggio non feci altro che pensare alle parole dette da Mikey, a sentirmi in colpa per quello che era successo a Gerard... Le cose erano andate più o meno così: Gee era tornato a casa alle tre di notte dopo che la sua famiglia lo aveva cercato disperatamente in tutti i locali attorno a casa, presentandosi in lacrime ed ubriaco da far schifo, così che dopo averlo fatto vomitare più e più volte con scarsi risultati, sua madre aveva deciso di portarlo in ospedale per evitare che svenisse o, peggio ancora, che si soffocasse. Mikey aveva detto anche che per tutto il tempo in cui era stato con lui in bagno a farlo vomitare mentre sua madre e suo padre si stavano organizzando per andare in ospedale, non aveva fatto altro che ripetere la stessa frase, sussurrandola o urlandola con disperazione: “Solo i pazzi si innamorano di me! Nessuno sano di mente mi amerà mai!” e aveva ragione... poichè solo in quel momento mi resi conto di essere davvero innamorato di lui, anzi, di amarlo proprio, ma era inutile, poichè in ospedale oramai ci era comunque finito.
Era solo ed esclusivamente colpa mia.
Appena arrivai all’ospedale, la prima persona che incontrai fu Mikey seduto fuori da una stanza, con la testa poggiata tra le mani mentre sonnecchiava dopo quella nottata infernale.
“Hey...” Dissi avvicinandomi piano, cercando di evitare il contatto visivo poichè ero colmo di vergogna.
“Hey.” Mi rispose con voce triste, alzando il viso stanco e provato. Anche questa era colpa mia...
“C-Come sta?” Non mi rispose, fece solo cenno con la testa verso la stanza, così che rimasi immobile a fissare quella porta con il numero “29” stampato sopra, incapace di fare un solo movimento. Come potevo ripresentarmi dopo l’accaduto, farmi vedere e chiedergli scusa...? Non potevo, non ce l’avrei mai fatta...
La mia attenzione venne catturata da una finestrella accanto alla porta scrostata, una finestrella coperta quasi per intero da una tenda con solo un piccolo spiraglio. Mi avvicinai ed il mio cuore si bloccò nel vedere cosa, o meglio chi, c’era dentro.
“G-Gee...” Bisbigliai con la voce strozzata da un groppo di lacrime nel vederlo seduto sul letto, abbracciato a sua madre mentre non faceva altro che piangere, piangere e piangere...
“È così da quando è arrivato. Ha vomitato tutta notte, non gli hanno fatto la lavanda gastrica, ma se continua così allora saranno obbligati a farlo...” disse Mikey raggiungendomi “Frank, che cosa è successo ieri sera?” Distolsi lo sguardo da quella scena che mi stava spezzando il cuore e gli raccontai tutto, da quando eravamo arrivati al ristorante, al “ti amo”, fino allo scontro con quei quattro stronzi, e per tutto il tempo non fece altro che fissarmi ed ascoltarmi con attenzione ed interesse.
“I-Io so che mi odiate tutti ora, mi dispiace... Ferirlo era l’ultima cosa che avrei voluto fare, perdonami Mikey...” Contrariamente a ciò da me pensato, non mi insultò o picchiò, ma anzi mi rivolse un piccolo e dolce sorriso e mi abbracciò stretto. Avevo così bisogno di sentire il calore di qualcuno in quel momento...
“Naaah, non è colpa tua nanetto, è successo. Gee è un romantico senza speranze, non mi sorprende che abbia reagito così.”
“Sì ma rimane mia la colpa. Se non avessi detto quella cosa, se non me ne fossi andato via, se fossi rimasto con lui quando sono arrivati quei quattro, se...”
“Piantala con tutti questi se, oramai è successo, accettalo. Ora dobbiamo solo aspettare che stia meglio e poi potrete chiarirvi, okay?” Annuii fissando il pavimento e tirai su col naso, risultando infantile come non so cosa, per poi sobbalzare quando la porta si aprì e una massa di capelli biondo platino ne uscì fuori.
“Si è addormentato, aspettiamo che si svegli e... Oh! Ciao Frank.”
“Salve signora Way...” Mi sorrise dolcemente e mi fece una carezza, cogliendomi totalmente alla sprovvista. Nessuno aveva capito che Gerard era sdraiato su quel letto bianco e scomodo a causa mia!?
“Oooh non chiamarmi signora Way, mi fai sentire vecchia così!” mi disse ridendo piano, così che non riuscii a fare a meno di sorridere “Puoi entrare un attimo se vuoi... So che sta dormendo, ma magari può farti piacere vederlo.”
“O-Okay, va bene.” Detto questo, mi diede un bacio sulla guancia e se ne andò, prima che Mikey la seguisse.
“Noi andiamo a riposare un po’, ci vediamo Frank.” Mi abbracciò un’ultima volta per poi lasciarmi solo, solo dietro quella porta triste ed imponente. Sbirciai un’ultima volta dalla finestrella ed il mio cuore si scaldò un pochino: era raggomitolato tra le coperte, con i capelli tutti arruffati, il nasino arrossato per il pianto e le labbra leggermente aperte, mentre teneva stretto a sè un cuscino. Sembrava un angelo, pensai che essere umano più bello non esistesse.
Mi convinsi ad aprire la porta piano, cercando di evitare scricchiolii ma fallendo miseramente. Era ancora più bello nel vederlo non più da dietro il vetro ma di persona, ancora più adorabile... Mi venne automatico fargli una carezza, sfiorare i suoi capelli nodosi, la sua guanciotta morbida e calda, le sue labbra sempre e perennemente screpolate e il suo naso così ridicolmente piccolo. Presi la sedia nell’angolo della stanza e la portai vicino al letto, sedendomici sopra per poter essere sullo stesso livello del suo volto, così da ammirarlo meglio.
“Mi dispiace Gee... mi dispiace così tanto Amore.” Sorrisi nel pronunciare quel nomignolo e allo stesso tempo una lacrima mi scese sul viso; perchè non avevo il coraggio di dirglielo? Perchè non riuscivo ad ammetterlo? Perchè ieri sera non ero stato zitto dopo avergli detto “ti amo”? Perchè non avevo continuato a baciarlo? Perchè...?
Mi sporsi verso lui e gli diedi un leggerissimo bacio sulla fronte, un altro sulla guancia, poi sul naso e infine sulle labbra e quando mi staccai potei giurare di averlo visto sorridere appena.
“Spero tu potrai perdonarmi una volta sveglio...” bisbigliai sulle sue labbra “Stavolta sono io a doverti chiamare cucciolo, perchè non puoi capire quanto dolce e adorabile tu sia in questo momento. Dormi bene...” sorrisi “...cucciolo.” Unii un’ultima volta le nostre labbra, per poi uscire dalla stanza ed accucciarmi su una delle sedie fuori dalla porta per qualche istante. Dovevo farlo, una volta sveglio avrei assolutamente dovuto dirgli che lo amavo. La colpa rimaneva mia, ma avevo ancora un’ultima possibilità di mettere a posto la situazione.
Sorrisi amaramente nel ripensare al suo viso addormentato.
 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


La dicannovesima volta in cui vidi Gerard Way, mi regalò una rosa.

“Era proprio questo uno dei motivi per cui dicevo che non avreste dovuto passare così tanto tempo assieme, per evitare che accadessero episodi del genere...”
“Io non la capisco! Prima mi dice che è un bene che ci siamo affezionati, che è felice che ci troviamo bene assieme, c-che è vero che lo amo, e ora mi dice che non devo stare con lui?? Non può essere serio, mi sta prendendo per il culo!?”
La seduta successiva cominciò con una mia sfuriata su quanto in colpa mi sentissi per ciò che era accaduto a Gee, seguita da quella stronzata detta dal mio psicologo, quella considerazione senza logica e che non aveva un minimo di senso con tutte le cose dette da lui fino a quel giorno.
“Non ho detto questo Frank, io ho solo det...”
“Ah no?? Beh, a me risulta proprio il contrario.” Ero già incazzato e triste di mio, non mi serviva di certo che si aggiungesse lui con le sue stupidaggini.
“Frank, lasciami spiegare, hai frainteso le mie parole credimi. Ascoltami e...”
“Non ho frainteso proprio un bel niente io, ho capito esattamente quello che ha detto, ho...”
“Frank! Taci un secondo!” Non l’avevo mai visto così irritato... Chiusi la bocca solo per non farlo arrabbiare definitivamente e mi feci piccolo piccolo sulla poltrona, in attesa che parlasse.
“Ascolta solo quello che ho da dirti, poi potrai insultarmi quanto vuoi, ma prima senti almeno la mia spiegazione” annuii, immobile sulla poltona, non osando più aprire bocca “Allora, quello che ho detto io è che è un bene che voi due vi siate trovati, che è giusto che stiate insieme, spendiate del tempo assieme e vi diciate che vi volete bene, ma non è giusto che voi stiate così tanto tempo l’uno con l’altro in queste circostanze. Mi spiego, voi due siete tra tutti i ragazzi qui due dei più cocciuti e convinti che queste sedute facciano... cagare” sorrisi “così che sono più le volte in cui non venite o in cui non prestate attenzione ad una sola parola, rispetto a quelle in cui partecipate davvero. Frank, pensi che io non sappia quanto brutto sia uscire di casa e venire qui, a parlare della propria vita con persone che magari non ti ispirano neanche fiducia? Io non sono tuo nemico, voglio solo che partecipiate entrambi in maniera più attiva alle sedute per evitare che episodi del genere si verifichino ancora perchè, credimi, anche Gerard non se la passa molto bene, ma penso che tu lo sappia, non è così?” Annuii pensando si stesse riferendo alla dipendenza di Gee.
“S-Sì mi ha detto dei suoi problemi con l’alcool...”
“Quella è solo una piccola parte, ma non posso dirti più di questo. Posso invece chiederti se hai capito quello che intendo?” Annuii nuovamente, distratto e preso a pensare cosa intendesse con quel “è solo una piccola parte”, dato che ero convinto che oltre a quel problema, Gee stesse bene, fosse una persona normale, ma a quanto pareva mi ero sbagliato...
“Quindi mi sta dicendo che devo lasciare Gee... volevo dire! Gerard, non è vero..?” Mi sorrise come fossi suo figlio, dolcemente e in modo rassicurante, per poi scuotere la testa.
“Niente affatto Frank, voglio che voi due stiate assieme, che continuiate così, solo con l’aggiunta di un po’ più di impegno da parte di entrambi, magari anche il Mercoledì diciamo...” arrossii e distolsi lo sguardo “Me lo prometti?”
“Va bene... promesso” sospirai “Però se non funziona allora non verrò più, okay?” Si sporse verso me, porgendomi la sua mano.
“Prometto che farò sembrare queste sedute meno brutte di quanto tu temi.” Sorrisi leggermente più rincuorato e felice.
“E io prometto di non trattarla più come un sacco di merda.” Rise e mi strinse la mano.
“Andrà bene Frank, le faremo durare il meno possibile. Ti voglio cacciare via da questo posto il più in fretta che posso, vedrai che funzionerà.”
“E se saltassi un Mercoledì ogni tanto...”
“Frank.” Risi.
“Stavo scherzando. Arrivederci” mi alzai e mi diressi verso la porta ma, prima di raggiungerla, mi girai un’ultima volta verso lui “e grazie...” Mi sorrise ancora e poi uscii, pensando che forse poteva avere ragione, forse se avessi seguito quelle sedute regolarmente allora sarei riuscito a costruire relazioni normali con le persone, con Gerard e mia madre prima di tutti. Una piccola sensazione di calore mi scaldò il cuore al pensiero.
Mentre ero fuori ad aspettare che mia madre mi venisse a prendere, mi squillò il cellulare e, non appena lessi “Gee <3” sullo schermo, per poco non stramazzai a terra. Non ero psicologicamente pronto a parlargli di nuovo, ma dovevo e, in un certo senso, volevo pure. Schiacciai il verde senza pensarci su più di tanto.
“P-Pronto?” Perchè dovevo sempre balbettare come un fottuto idiota??
“Hey Frankie...! Come va?” Quella domanda avrei dovuto fargliela io piuttosto...
“Io bene, tu invece? Stai meglio...?” Mi sentii uno stupido, poichè gli stavo chiedendo se stava meglio, io, la causa di tutto quel casino. Mi sembrava paradossale.
“Più o meno...” Me lo immaginai col suo musetto triste pronunciare quelle parole e mi sentii ancora più idiota.
“Sei ancora in ospedale?”
“No no, sono a casa ormai, non sto male per quello...” Oh.
“Oh...”
“Solo che-che... ecco... Frank, tu mi odi?” Battere la testa contro il muro dell’edificio non mi sembrò mai così bello come in quel momento, non so cosa mi trattenne dal farlo a dire il vero.
“Ma che dici?? No che non ti odio Gee!”
“Okay... Allora sono troppo brutto o sfigato o patetico o che so io...?”
“Gerard, non hai niente che non va, okay? N-Non... non sei... Ti stai riferendo a quello che è successo l’altra sera, giusto?” Era ovvio che si stesse riferendo a quello, perchè cazzo l’avevo chiesto?
“S-Sì...” mi sentii ancora e ancora più idiota “cioè, solo per la storia del... per quella cosa che hai detto, il resto non è colpa tua, neanche il fatto che sono finito in ospedale, volevo chiarire questo.”
“Invece è colpa mia Gerard! Perchè dici di no? È ovvio che è colpa mia, che è...”
“Hey, Frankie, ssshtt! Frank, stai zitto... Frank!” Ma non avevo la minima intenzione di fermarmi, poichè quando iniziavo con una delle mie sfuriate autocommiserative, allora era la fine. E poi, stavolta era davvero colpa mia.
“Frank piantala!” perchè quel giorno erano tutti così irritati? Forse ero io ad essere irritante... “Non ho chiamato per ricordare cos’è successo l’altra sera, okay? È passata, e passerà anche per me. Ho chiamato perchè voglio dirti una cosa di persona, perchè volevo assicurarmi che non mi odiassi o fossi schifato da me per essere finito in ospedale, perchè mi mancavi e perchè... beh, questa è la cosa che devo dirti dal vivo...” Stetti in silenzio, non avevo idea di che dire, mi si era completamente bloccato il cervello. Non capivo perchè mi stesse trattando in quel modo, nel senso, meritavo almeno un po’ di odio per quello che era successo, perchè non riusciva a capirlo?
“Possiamo vederci oggi?” Mi chiese riportandomi alla realtà e ponendo fine alla mia ulteriore autocommiserazione interiore.
“S-Sì, perfetto. Io sarò a casa fra venti minuti circa, magari puoi passare da me, o...”
“Sono già fuori casa tua a dire il vero” rise “Ti aspetto qui.”
“Gee sei un fottuto stalker.” Dissi ridendo a mia volta.
“Sbrigati ad arrivare. A tra poco.” E mise giù.
Tutti i giorni mia madre era sempre venuta a prendermi in anticipo, ma quella volta era in ritardo, in un grande e fastidioso ritardo... Quando finalmente comparve la sua auto, schizzai dentro in un secondo.
“Ciao Frankie, tuto bene?” Mi chiese dandomi un bacio sulla guancia.
“Sì mamma, tutto perfetto. Possiamo andare?”
“Quanta fretta! Volevo dirti che ti lascio davanti casa e poi vado a trovare una mia amica. Non so a che ora torno, dato che mi dovrò pure fermare a fare un po’ di spesa” sospirò “A meno che tu non voglia una bella bistecca per cena.” Storsi il naso al solo pensiero, mentre lei rise appena.
“Perchè abbiamo il frigo sempre e solo pieno di carne??”
“Perchè a me piace” rispose semplicemente “E perchè prima o poi riuscirò a convincerti ad assaggiarla.” Storsi ancora il naso e presi a fissare fuori dal finestrino, cercando di rilassarmi, ma subito pensai a Gerard e allora tutto fu inutile.
“Vedo che hai compagnia...” disse quando arrivammo davanti casa “Divertitevi, ma... ecco, non volevo fartelo in queste circostanze il discorso, però penso che sia il momento giusto. Se dovete fare qualcosa, mi raccomando, siate prudenti e...”
“Mamma! C-Che cazzo di discorsi sono!? Ho vent’anni Dio mio, venti fottuti anni, n-non puoi venire a farmi discorsi sulle precauzioni! Insomma, non posso rimanere incinto se non ti fosse chiaro...” Ero bordeaux, imbarazzato oltre ogni limite, con l’immagine di me e Gee a letto insieme impressa in testa che non faceva altro che peggiorare tutto.
“Lo stavo solo dicendo per te, sono una mamma premurosa io.” Disse trattenendo una risata.
“S-Sì, certo. Ciao.” Scappai fuori dall’auto, pregando che l’imbarazzo passasse il più in fretta possibile, ma subito i miei occhi si posarono sulla figura di Gerard.
“Ciao Frankie...” Era lì, davanti a me, e stava bene, non era più su quel letto d’ospedale, con il viso rigato da lacrime e un’espressione triste in volto, ma stava sorridendo, mi stava osservando con quel suo sorriso luminoso e mi sentii la persona più fortunata del mondo.
Lo abbracciai fortissimo, mentre una serie di scuse confuse presero ad uscire dalla mia bocca.
“Va tutto bene piccolino, non preoccuparti” mi rassicurò lui, stringendomi a sua volta “Entriamo?” Mi scollai da lui, mio grande malgrado, ed aprii la porta.
“Dio, mia madre mi ha appena fatto il discorso dello ‘state attenti e non farti mettere incinto’ è stato terribile... Non le è chiaro che non sono più un bambino...” Cominciò a ridere passandosi una mano fra i capelli e abbassando lo sguardo: era in imbarazzo, lo avrebbe potuto capire chiunque e trovai la cosa incondizionatamente adorabile.
“Vuoi qualcosa da bere?” Chiesi dopo che etrammo in casa.
“Caffè! Ti prego, stamattina Mikey ha fatto una brodaglia che chiamarla caffè mi fa ancora ridere.” Sorrisi immaginandomi la scena.
“Certo, vado a prep...”
“No no, faccio io. Non mi fido più di nessuno, il caffè d’ora in poi me lo farò solo ed esclusivamente io.” E detto questo scappò in cucina, trovando subito caffè e caffettiera e cominciando già ad armeggiare per aprirla. Sembrava avere una calamita per la caffeina.
“Che stronzo che sei, lo sai?” mi avvicinai a lui da dietro e poggiai le mani sui suoi fianchi, per poi far aderire il mio corpo al suo “Hai così poca fiducia in me?” Gli sussurrai dritto nell’orecchio, sentendolo rabbrividire contro me. Sorrisi maliziosamente.
Inclinò la testa da una parte e capii subito cosa mi stesse chiedendo, così che presi a baciargli piano e lentamente il collo in quel punto. Presi a rabbrividre anch’io nel sentire i piccoli sospiri e suoni che si lasciò scappare, per poi dargli un morso e staccarmi.
“D-Dove pensi di andare?” Mi chiese con tono disperato, voltandosi verso me con un’espressione quasi ferita. Sorrisi come un pazzo.
“Non ti meriti nessuna ricompensa, hai ferito la mia sensibilità con la tua mancanza di fiducia nei miei confronti.” Dissi continuando a sorridere incrociando le braccia al petto.
“Quindi devo farmi perdonare...?” Mi si bloccò il respiro nel vedere il sorrisino che mi rivolse. Cosa aveva in mente?? Mi si avvicinò in fretta e prese a baciarmi piano e lentamente, con un sacco di lingua che, Dio mio, non mi aspettavo proprio. Poggiò le mani sui miei fianchi, stringendoli, mentre la sua bocca si spostò sul mio collo. Mi lasciai sfuggire un suono tutt’altro che maschile, mentre le mie mani si posarono sul suo petto.
“Posso avere la mia ricompensa ora...?” Mi sussurrò sul collo, facendomi venire la pelle d’oca.
“Mmmmh continua...” ridacchiò “Ti prego.” E riprese col suo lavoro, spostando le mani sul mio sedere e stringendolo forte. Stavolta gemetti proprio, non ce la feci a trattenermi, mentre la sua bocca ritornò sulla mia, baciandomi in una maniera tutt’altro che innocente e catturando qualcuno dei miei gemiti. Oramai eravamo l’uno pigiato contro l’altro, tra i nostri corpi non c’era più alcuna distanza, così che la sensazione del suo bacino contro il mio mi fece letteralmente impazzire. No, non poteva star succedendo ancora... Cominciò a muoversi piano, capendo cosa stava accadendo, così che nel giro di pochi minuti mi ritrovai eccitato da far pena, incapace di smettere di gemere.
“Gee... fermati. G-Gee! T-Ti prego...” Ma non mi ascoltò.
“Me la prendo da solo la ricompensa se non ti dispiace...” Detto questo, una delle sue mani si spostò dal mio sedere e andò sul davanti, cominciando a scendere verso il basso.
Entrai nel panico.
“No!” Mi staccai bruscamente, impovvisamente agitato e spaventato, e fuggii letteralmente in camera mia.
“F-Frank! Dove vai?” Non so cosa mi avesse preso, okay? Non potei evitare di entrare nel panico, era una situazione nuova e non sapevo gestire cose che non mi erano mai successe. Sì... con il mio disagio psicologico ero rimasto vergine, poichè non credo che una sega e un mezzo pompino contino come sesso onestamente, così che sentire la mano di Gerard a pochi centimetri dalle mie parti basse mi aveva terrorizzato.
Mi chiusi la porta alle spalle e mi accucciai sul letto, stringendomi le gambe al petto e pigiandomi contro il muro, cercando a tutti i costi di sentirmi al sicuro.
“Frankie...?” Entrò piano in camera, dicendo il mio nome a bassa voce, quasi in un sussurro. Non risposi, rimasi fermo con gli occhi fissi sul suo volto che, contro ogni mia aspettativa, era illuminato da un piccolo e timido sorrisino. Si sistemò sul letto a gambe incrociate davanti a me e mi diede un bacio sulla fronte, così che provai un pochino di sicurezza.
“Mi dispiace Gee... Io, ecco... mi spaventano le cose nuove diciamo, e-e non ho mai fatt...” Mi bloccò portando un dito sulle mie labbra e sorridendomi dolcemente.
“Ti chiedo solo di farmi provare...? Non ti voglio far niente di male, anzi, l’esatto contrario direi” rise “Per favore...?” Ci pensai su qualche istante, facendo viaggiare continuamente lo sguardo dal suo volto alla mia erezione e, dopo quella che mi sembrò un’eternità, mi convinsi ad aprire le gambe.
“Okay?” Mi chiese portando lentamente una mano sulla mia coscia.
“Okay...” Dissi con un sospiro.
Non facemmo niente di che, nel senso, dato che stavo fottutamente tremando, decise che toccarmi un po’ sarebbe stato più che sufficiente, così che mi si spiaccicò addosso e, mentre la sua bocca era contro il mio orecchio a sussurrare ogni genere di dolcezza possibile, la sua mano era impegnata a muoversi nelle mie mutande. Io ero senza una dignità, incapace di smettere di gemere ed impedire alle mie mani di fare un casino nei suoi capelli già abbastanza incasinati di loro.
“Di’ il mio nome...” Mi sussurrò contro il collo, così che ubbidii all’istante, gemendo il suo nome più e più volte. Sì, non era affatto male, la prossima volta avrei anche potuto pensare di farlo io a  lui o, chi lo sa, magari passare ad altro...
Finimmo poco prima che mia madre tornasse, entrambi con un sorrisone enorme in volto e le guance rosse.
“È stato così brutto?” Mi chiese mentre eravamo sulla porta di casa e se ne stava per andare.
“Cazzo no...” dissi abbracciandolo stretto “Scusami per tutto Gee.” Mi sorrise per la millesima volta, dicendomi che non gli importava nè della serata passata nè della mia crisi di poco fa, e mi disse anche un’altra cosa...
“Oh, quasi dimenticavo!” esclamò cercando qualcosa nella tasca interna delle sua giacca “Sarà orribile, è lì dentro da ore... Eccola!” E mi ritrovai una rosa rossa sgualcita tra le mani. Cosa significava...?
“G-Gee ma...” Mi baciò velocemente a stampo, prendendomi il mento in una mano.
“Ti amo.” E se ne andò, lasciandomi lì sulla porta di casa, con le mutande sporche ancora addosso, le guance rosse, una rosa in mano e mille emozioni in contrasto tra loro che non volevano saperne di darmi pace.
“Che bella rosa! Te l’ha regalata Gerard?” Mi chiese mia madre quando mi convinsi a chiudere la porta ed entrare in casa.
Piansi.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


La ventesima volta in cui vidi Gerard Way... lo lasciai.

“Frank è una cosa bella che Gerard abbia detto di amarti... Perchè piangi?” Mi chiese mia madre dopo che non avevo fatto altro che disperarmi da più di un’ora. Quella dichiarazione aveva scatenato un mare di emozioni dentro il mio piccolo cuore arrugginito, così che le lacrime furono l’unica soluzione che trovai in quel momento. Okay, forse avrei dovuto aspettarmi quella confessione, ma nonostante le mille attenzioni di Gee nei miei confronti, io ero rimasto al “sono davvero innamorato di te”, così che quel “ti amo” mi aveva totalmente spiazzato. Oltretutto, io ero stato così meschino con lui, quella sera lo avevo lasciato per strada a farsi malmenare dandomela a gambe, come potevo meritarmi il suo amore?
Come da me già pensato, ero quasi convinto di amare Gerard a mia volta, ma al suo contrario, io ero nocivo per lui e la sua vita... Amava la persona più di merda del mondo e prima o poi se ne sarebbe accorto, un giorno in cui magari mi sarei svegliato con la luna storta, impedendogli di baciarmi, toccarmi, starmi accanto... Ragionavo come un bambino davanti alle difficoltà, ero tutto meno che maturo, così che passai tre giorni di reclusione in camera mia a piangere e pensare. Okay, Gee sapeva che non stavo proprio benissimo mentalmente, ma se gli avessi raccontato che avevo pianto per tre giorni consecutivi fissando quella piccola rosa mezza appassita, allora mi avrebbe sicuramente lasciato e dato del malato di mente.
Amare è un’emozione molto forte, qualcosa che ti lega profondamente a qualcun altro, qualcosa che mi terrorizzava, e Gee aveva appena ammesso di amarmi; come!? Non ero ancora entrato nell’ottica di potermi meritare di essere amato da qualcuno, il mio mondo e il mio modo di pensare si basavano su film e telefilm e il momento del “ti amo” era sempre una scena così bella e romantica, ma io ero il personaggio di contorno, l’amico della bella protagonista, quello che rimaneva sempre e comunque fregato. Forse avrei dovuto chiedere a Gerard di pensarci su un po’ di più, di riprendersi quella rosa e andare a cercare la persona che la meritava davvero, poichè i personaggi secondari non hanno mai un lieto fine...
“piccolo, è tutto a posto?” Durante quei tre giorni in cui non mi feci vivo, Gee non fece altro che scrivermi e chiamarmi, ma io non ebbi la forza di rispondere in nessuno dei due casi. Dio mio, durante la mia preadolescenza ero stato picchiato ed insultato dal mio professore, al liceo le prese in giro e gli atti di bullismo mi avevano fatto desiderare la morte più e più volte e ora se ne usciva questo ragazzo meraviglioso dicendo di amarmi... Come!? Ero rimasto al punto in cui il mondo era un luogo orribile, abitato da gente orribile, in cui a tutti accadevano cose orribili, com’era possibile che ora tutto si era magicamente trasformato in un sogno?
Buffo, no? La gente sorride quando arriva il momento del “ti amo”, mentre io stavo piangendo ininterrottamente da troppo tempo...
“amore ti prego... mi sto preoccupando ):” Era tutto sbagliato...
Domenica pomeriggio finalmente mi convinsi a prendere in mano il cellulare e scrivergli un messaggio con mano tremante, giusto per rassicurarlo, sebbene nemmeno io fossi sicuro di nulla.
“ciao G <3” Mi rispose neanche un minuto dopo.
“heyyyy!! Tutto bene? :* :*” Ci pensai su qualche istante, arrivando alla conclusione che dovevo mentirgli, che la verità non sarebbe mai dovuta uscire dalla mia testa.
“benissimo (:”
“mmmhh sicuro?”
Che cazzo! Ti ho detto che va tutto bene, non cominciare ad insistere.
“sì” Risposi secco e stavolta la sua risposta ci mise un bel dieci minuti ad arrivare, poichè mi scrisse un poema.
“andato giovedì dallo psicologo xkè, come credo tu sappia già, ora si è fissato con queste sedute di merda e abbiamo parlato un po’ di te, un bel po’...” mi fermai un attimo, cercando di fare respiri profondi e calmarmi “mi dispiace frankie, non volevo spaventarti con la rosa, volevo solo farti capire quanto bene ti voglio <3 ma ho corso troppo forse... non sei obbligato a dirlo anke tu, mi basta che non sia triste x colpa mia, poi il resto nn è importante. Mi perdoni?? <3 <3 <3” Mi aveva sul serio chiesto di perdonarlo perchè mi aveva detto “ti amo”? Era successo davvero?? Ero una persona di merda, non esisteva nessuno peggio di me!
“p.s. Lo psic mi ha pure detto che anke tu mi ami (non dirglielo, sennò rompe x la storia del segreto professionale!!!) quindi nn importa se non sei pronto x dirmelo, so che tieni pure tu a me :*” E aveva ragione, tenevo un sacco a lui, ma i miei pensieri tenevano molto di più a farmi impazzire e, mi duoleva ammetterlo, ma tra poco mi sarei arreso...
“mercoledì ci vediamo sulla terrazza? Devo parlarti”
“K. Come ai vecchi tempi ahahaha” Sorrisi amaramente perchè temevo che i “vecchi tempi” si sarebbero presto trasformati solo in un triste ricordo.
“notte frankie :))) <3 <3” E spensi il telefono.
Cosa avrei dovuto dirgli Mercoledì?? “Hey, senti, mi fa star male il fatto che tu mi ami, posso lasciarti?” io non volevo lasciare Gee, il mio piccolo Gee, ma il dolore che tutto quell’affetto immeritato mi stava provocando era maggiore dell’amore che provavo per lui ed io ero debole, così che lottare per tenermi stretto il mio ragazzo si cominciò a trasformare in fretta in un’impresa... Mi addormentai piangendo.
Saltai la seduta del Lunedì, passando il tempo a pensare a un discorso il meno possibile patetico da fare a Gee Mercoledì, ma nessuno andava bene, insomma, tutti comprendevano almeno un ottanta per cento di spiegazione del mio disagio interiore, cosa che non volevo accadesse a tutti i costi.
Uscire di casa Mercoledì pomeriggio fu un’impresa ardua, mi sembrava di star andando incontro alla morte, poichè come da me temuto, non ero riuscito a prepararmi nessun discorso con un briciolo di senso logico. Era da così tanto che non andavo sulla terrazza, lo stomaco mi si fece piccolo piccolo quando arrivai dietro la porta e una sensazione di nostalgia nauseante mi assalì nel ripensare al primo giorno in cui, in quel luogo, io e Gerard avevamo fondato le basi del nostro incasinato rapporto.
“Ciao Frankie!” Era il momento...
Mi chiusi la porta alle spalle e, prima ancora di poterlo salutare, mi ritrovai stretto in un caldo abbraccio e con le labbra catturate dalle sue. La nostalgia che sarebbe nata da quello che stavo per fare, mi pugnalò già, ma nonostante questo, non riuscii a non ricambiare il bacio e ad abbracciarlo forte a me.
Era tutto sbagliato e la colpa, come sempre, era mia.
“Di cosa mi devi parlare?” Mi chiese con un sorriso luminoso e genuino, accarezzandomi piano il volto.
“N-Non so come dirtelo...” Balbettai abbassando lo sguardo e sentendo la gola stringersi per le lacrime che a breve sarebbero uscite.
“È-È qualcosa di brutto?” Mi chiese titubante, alzandomi il volto così che i miei occhi umidi risposero meglio delle parole.
“È colpa mia, non è vero?” Chiese nuovamente, accarezzandomi piano le labbra. Avrei voluto morire.
“G-Gee il fatto è che non sono amabile io...” Sussurrai chiudendo gli occhi, per non guardare la tristezza che stava crescendo nel suo sguardo.
“Ma che dici? Frank, che stai dicendo?” Mi staccai da lui, stringendomi forte le braccia attorno al busto e cominciando a tremare piano.
Era colpa mia...
“Io ti faccio solo male. Cosa ho fatto di buono per te? Pensaci.” Mi guardò come fossi pazzo.
“Tu non mi fai star male, l’esatto contrario piuttosto... Ti riferisci ancora all’altra sera, giusto?”
“N-Non solo quello...” Mormorai aumentando la stretta attorno al mio corpo.
“Allora a cosa Frank? Me lo vuoi dire??” Stava cominciando ad agitarsi.
“Ho paura ad ammettere che ti amo e ti faccio soffrire. Ho una crisi ogni tre secondi e ti faccio soffrire. Prima di andare a letto assieme potranno passare anni, non scherzo, e ti faccio soffrire. Quando ho le mie giornate-no divento intrattabile e ti faccio soffrire. Piango sempre e ti faccio soffrire! Gerard, s-sono solo una sofferenza per te!” Buttai fuori piangendo come una fontana e sentendo una sensazione di non sicurezza mortale impossessarsi di me.
“Frank, hey, guarda me. Vieni qui...”
“Non mi toccare!” E la sua espressione distrutta mi uccise definitivamente.
“F-Frank sono solo io... Perchè hai paura? N-Non voglio farti nulla...” Risi istericamente.
“Vedi cosa succede quando i miei pensieri diventano troppi? Pensa se in un futuro io mi svegliassi con te accanto e non ti permettessi di toccarmi per tutto il giorno, come reagiresti?”
“Aspetterei il giorno dopo per poterti soltanto abbracciare...” Altra risata.
“E se dovesse durare più di un giorno?”
“Aspetterei tutta la vita.”
“Risposta sbagliata Gee! T-Ti meriti di più, sono solo un personaggio secondario, non merito alcuna rosa, n-non ti merito.” Cominciò a piangere pure lui, passandosi una mano fra i capelli.
“Si può sapere cosa cazzo stai dicendo, eh Frank?? Che cosa stai cercando di fare? Convincermi che sei pazzo come qualche tempo fa durante quella stronzata di gruppo?? Cosa vuoi da me Frank!?” Cominciai a tremare visibilmente, sia per il pianto che per la paura.
“S-Sto cercando di lasciarti Gerard...”
Calò il silenzio.
“Come...? No, ti prego, n-non puoi essere serio... F-Frank, io ti amo, non farmi questo, non andartene, n-non...” Cominciò a balbettare frasi sconnesse in mezzo ad un fiume di lacrime, ma tutto era inutile... Avevo già preso la mia decisione.
“Lo faccio per te Gerard...”
“Per me?? Per me!?” urlò, così che fui sicuro che tutti nell’edificio l’avessero sentito “Dovrei ringraziarti quindi?? Per il mio bene, tu hai deciso che dobbiamo smettere di stare insieme, nonostante ci amiamo??” Era distrutto, l’avevo distrutto.
Era colpa mia...
“S-Sì...” Stavolta fu lui a ridere.
“Oooh ma complimenti Frank! Dimmi, pensi che i miei problemi di alcolismo scompariranno così? Che smetterò di sognare il mio suicidio come fosse una cosa bella?? Che mi addormenterò rilassato prima delle quattro di mattina!? Eh, Frank!? Non hai pensato che forse mi stavi facendo bene!?” Ero senza parole.
“I-Io non... non è vero Ger...”
“Ah no? Non è vero?? Te lo dico io qual è il problema, pensi solo a te, sei un egoista Frank, non te ne frega un cazzo degli altri, nemmeno di me! Ti ho appena detto che ti amo e tu mi lasci, per il TUO di bene, perchè non ti faccio più comodo!”
“Gerard non è vero, okay?? Non sono abituato ad essere trattato bene dalle persone, mi sta distruggendo questa relazione, non ce la faccio più...”
“Ti rendi conto di quello che hai appena detto? Ti sto distruggendo dimostrandoti affetto, una scusa un po’ del cazzo, non trovi?” Sapevo non avrebbe capito...
“T-Ti prego prova a capirmi...”
“No, sei solo un egoista, fine della discussione.”
Avevo perso...
“Sai una cosa?” dissi alzando lo sguardo colmo di nuove lacrime e sentendo la porta della terrazza cigolare, probabilmente aperta da qualcuno che era stato attirato dal teatrino “Vaffanculo.”
“Oh, ma davvero!? Vaffanculo pure tu Frank, sono contento che tu mi stia lasciando, così magari sarai finalmente felice senza più me a romperti le palle...” Si accucciò a terra contro il muro, coprendosi il volto con le mani e singhiozzando rumorosamente.
Cosa avevo fatto!?
“Vattene!”
“Ragazzi, che è successo...?” Corsi verso la porta, spostando lo psicologo e tutti gli sfigati del gruppo che, come da me temuto, provarono a bloccarmi.
“Non toccatemi!!” Ma stavolta non ci fu nessun ragazzo dai capelli neri spettinati e il sorriso storto e dolce ad aiutarmi...
Ero solo.

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


La ventunesima volta in cui vidi Gerard Way, avevo ventisei anni.
“Questo non è quello che ho chiesto! Io volevo un macchiato.”
“Oh, mi scusi. Vado a cambiarlo subito.” La sentii lamentarsi alle mie spalle mentre io ritornai al bancone, dove sapevo il mio capo mi avrebbe urlato contro.
“Iero è la terza volta questa settimana! Ce la diamo una svegliata, che dici??” Abbassai lo sguardo, colmo di vergogna e presi a fissarmi le punte delle scarpe che mai mi erano sembrate così interessanti.
Odiavo il mio lavoro, odiavo continuare a fare le stesse identiche cose per tutto il giorno, prendere gli ordini, preparare caffè, frappè o frapuccini, scrivere nomi sui bicchieri e farmi insultare, perchè nove volte su dieci i clienti erano dei pezzi di merda colossali. Non era da molto che facevo quel lavoro, circa quattro mesi o poco più, poichè avevo bisogno di soldi, più soldi possibili per andarmene di casa, perché alla mia veneranda età abitavo ancora assieme a mia madre... Mi dispiaceva lasciarla sola, nel senso, mi era stata accanto per tutto il tempo in cui ero stato intrattabile, sostenendomi, aiutandomi e non abbandonandomi mai, avrei voluto e dovuto ringraziarla in qualche modo, dimostrarle quanto fosse importante per me.
“Non succederà più...” Dissi mobilitandomi già per andare a fare un macchiato a quella Jenny che pareva abbastanza incazzata.
“Lo spero  bene.” E se ne andò. Già, odiavo decisamente molto quel lavoro, considerando poi il fatto che il posto stava a due passi dal mio vecchio “centro di assistenza e recupero”, come diceva la targhetta fuori, e posso senza dubbi dire che la nostalgia prima o poi mi avrebbe mangiato vivo. Ricordavo tutto di quel breve ma carico di avvenimenti periodo speso lì dentro a cercare di mettere un po’ d’ordine nelle mia testa e di tutti i casini che ne erano poi derivati. Mi riportava alla mente brutti ricordi quel luogo, mi ricordava di quando ero “malato” e totalmente chiuso in me stesso, mi ricordava di tutte le mie crisi, dei litigi con i miei compagni di corso e lo psicologo ma, soprattutto, mi ricordava lui, mi ricordava Ger...
“Iero muovi il culo!” Sì, avevo una vita di merda.
Portai il caffè alla ragazza ora un po’ meno arrabbiata e ritornai dietro al bancone, dove una nuova fila di lavoratori incazzati mi stava aspettando. Perfetto.
“Che fai oggi pomeriggio?” Mi chiese Ray intento a pulire il casino che aveva appena fatto rovesciando a terra un intero frappè. Ray era forse l’unico amico che avevo, senza forse, conosciuto circa tre anni fa quando ero andato a prendere lezioni di chitarra nella scuola dove lui era il “professore” migliore. Alla fine, dopo una decina di lezioni, si era rifiutato di continuare ad insegnarmi, uscendosene con un “ti interesserebbe insegnare in questo posto?”, così che ebbi la mia prima esperienza lavorativa e il mio primo migliore amico. Le cose poi si erano evolute in pomeriggi passati a parlare di videogiochi, musica e sogni irrealizzabili, fino a quando non ci convincemmo entrambi che ci serviva un altro lavoro per poter trasformare quei “sogni” in qualcosa di un po’ più realizzabile, perchè purtoppo è vero che i soldi fanno la differenza.
“Suppongo che dormirò... non ho voglia di fare un cazzo, tu?”
“Beh, credo niente pure io, dato che volevo uscire con te.” Disse con una risata rassegnata.
“Ah, mi spiace...”
“Naaah tranquillo, imparerò a suonare qualcosa di nuovo che non fa mai male.” Disse scomparendo nel retro del locale per mettere a posto gli stracci appena usati. Notai con gioia che la coda stava già diminuendo, il turno “lavoratori incazzati in astinenza da caffè” si era quasi concluso, così che ora rimanevano solo i ragazzini che saltavano scuola, gli anziani o i disoccupati. Dato che al momento non c’era alcun cliente, mi misi a pulire un po’ la macchinetta del caffè, canticchiando una canzoncina e aspettando che Ray tornasse. Sperai che quel giorno passasse in fretta, poichè anche se non stavo più così male come in passato, le giornate-no facevano ancora di tanto in tanto la loro comparsa, bloccandomi e facendomi soffocare.
“Salve, cosa desidera?” Chiesi senza neanche alzare lo sguardo, poichè oramai capivo se vi era una persona o meno senza aver bisogno di guardarla in faccia.
“Un americano...” Disse con voce tremante ed impaurita. Nel senso, faccio così paura?
“Nome?”
“Gerard...”
A quel punto fui obbligato ad alzare il volto. Dio mio, ditemi che stavo sognando... Era Gerard, quel Gerard, solo coi capelli rossi, sempre incasinati, le guance un po’ meno tonde e gli occhi non più contornati da ombretto rosso, ma era Gerard...
“Umh, io... io... sì, un attimo.” Non riuscivo a distogliere lo sguardo dal suo viso, era sei anni che non lo vedevo, sei fottuti anni, e avrei decisamente preferito se le cose fossero andate avanti così. Mi rivolse un sorriso triste e colmo di malinconia, per poi abbassare lo sguardo e attendere che io facessi il mio lavoro.
Sei anni... ed era bello come non mai.
“D-Da quanto lavori qui?” Mi chiese imbarazzato, non osando alzare il viso.
“Pochi mesi, sono nuovo in questo posto e, credimi, fa davvero cagare...” Rise, oh Signore, da quanto tempo che non sentivo il suono della sua risata! Era rimasto tutto uguale, se non fosse stato per i capelli avrei potuto giurare di trovarmi ancora in presenza del Gerard di sei anni fa. Sorrisi tristemente.
“È da un po’ che, ecco... cinque anni?” Mi chiese ancora, alzando solo per un secondo i suoi bellissimi occhi verso i miei. Sapevo benissimo che ricordava che gli anni erano sei e non cinque, l’aveva fatto solo per farmi parlare un pochino, così che l’accontentai.
“Sei anni a dire il vero...” gli porsi il suo caffè “Non ti ho più visto, nel senso, s-sei sparito dalla città?” Chiesi accennando una risata colma di imbarazzo, attendendo che pagasse e rispondesse.
“Oh, sono appena tornato a dire il vero... Sono stato all’estero, in Italia, corsi di arte, mostre e robe varie e-e sono stato via un bel po’...” Disse porgendomi una banconota da cinque dollari che afferrai con mano tremante.
“Lo dicevo che sai disegnare bene...” Sussurrai, non capendo bene se volessi mi sentisse o meno, per poi dargli il suo resto. Mi sorrise.
“Non sei cambiato di una virgola, lo sai? Certo, tralasciando i tatuaggi” mi bloccai “T-Ti stanno bene...” Aggiunse fissando le mie mani con un mezzo sorriso.
“I-Io emh... cos... no, niente. Grazie.” E mi incasinai ancora.
“Ciao Frank e grazie per il caffè.” Se ne andò, lo seguii con lo sguardo fino a quando non si chiuse la porta alle spalle e si voltò un’ultima volta per farmi un cenno di saluto veloce con la mano.
Scomparve con la stessa velocità con cui era ritornato nella mia vita, l’unico ricordo a dimostrazione del fatto che era accaduto davvero, erano quei cinque dollari che ancora tenevo stretti in mano.
“Wow, che hai visto Frankie? Stai bene?”
“Ray, ti ho mai parlato di Gerard Way?” Mi fissò incuriosito.
“No...? Cioè, non che io ricordi. Chi è?” E gli raccontai di quel freddo giorno di sei anni fa, del mio incontro con quel ragazzo dai capelli incasinati e le labbra più screpolate che avessi mai visto e di come quell’incontro mi avesse cambiato la vita.
Sei anni, sei lunghi, freddi e solitari anni...
 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


La ventiduesima volta in cui vidi Gerard Way, fu colpa di Mikey.
“E mi raccomando, studiate!” Dopo aver detto ciò, un rumore assordante di sedie che strisciavano per terra riempì la piccola stanza.
“Arrivederci!” mi disse qualcuno tra i più educati, o meglio, più estroversi “Adoro le sue lezioni, davvero.” E io adoravo quel lavoro. Se fare il barista da Starbucks era ciò che più si avvicinava alla definizione di “merda”, insegnare ai ragazzini tra gli undici e i diciassette anni le basi della chitarra era la cosa più bella in assoluto, ciò che mi faceva sentire utile, speciale ed importante. Certo, Ray dava lezioni ai professionisti, quelli che volevano migliorare, perfezionarsi, e quindi suonava dei pezzi più difficili ed importanti, ma insegnare l’ ABC a quei mostriciattoli entusiasta della mia bravura era cento volte meglio.
Riposi la mia chitarra nella custodia e cominciai a mettere un po’ a posto la stanza ed aprire la finestra per cambiare l’aria.
“Fanculo!” Una folata di vento bastarda fece volare giù dalla finestra uno dei fogli che avevo appeso al muro, uno tra i mille disegni, foto e scarabocchi che avevo appiccicato nella minuscola bacheca attaccata al muro. Avevo dovuto pregare Ray più e più volte per convincerlo a darmi il permesso di poter rendere quella stanza spoglia un po’ più mia e, dopo giorni e giorni di rottura, se ne era finalmente uscito con un “solo perchè sei mio amico” ed è stato lì che la nostra amicizia è stata “ufficializzata”.
Chiusi la finestra e mi precipitai in strada a raccogliere ciò che era appena svolazzato giù, sperando che nessuno lo avesse già buttato via. Una foto, ecco di cosa si trattava, una foto di me bimbo in spiaggia con mio nonno. Sorrisi nel rivedere quell’immagine.
Per essere già Marzo si moriva ancora di freddo, così che in pochi istanti le mie braccia nude e le mie ginocchia scoperte dai jeans strappati, si trasformarono in ghiaccioli. Schizzai dentro l’edificio e mi andai a rifugiare nella mia stanzetta, appiccicandomi immediatamente al calorifero. Sorrisi nell’osservare tutti i miei ricordi appesi alla parete, foto di me da bambino, scarabocchi raffiguranti zombie o vampiri risalenti all’epoca dell’asilo e due disegni che, in mezzo a quella confusione di immagini e colori, spiccavano in tutto il loro splendore. Non so bene cosa mi avesse spinto a portare i miei due ritratti in quella stanza, più e più volte avevo avuto la tentazione di toglierli, buttarli, bruciarli, ma non potevo; erano un ricordo, un dolce e allo stesso tempo doloroso ricordo e non si possono dimenticare i ricordi... Era passata una settimana dal mio incontro con Gerard al bar e per tutti quei giorni non avevo fatto altro che pensare a lui, nel senso, a pensare al mio passato con lui. Era stata una delle cose più dolorose rivedere il suo volto dopo tutti quegli anni, mi avrebbe dato ben più di qualche problema a prendere sonno la notte, poichè se c’è una cosa che non sono mai stato in grado di gestire sono i sensi di colpa, sia che si trattasse di aver risposto male a qualcuno o non aver fatto un favore a un tuo amico, sia di aver spezzato il cuore a una persona che ti amava e ti osservava come fossi un’opera d’arte...
“S-Scusi...? È permesso?” Fui riportato alla realtà, strappato dai miei dolorosi ricordi, da un ragazzo più o meno della mia età che era appena comparso sulla porta della stanza. Aveva un’aria dannatamente famigliare...
“Hai bisogno di qualcosa?” Mi rifiutai di dargli del lei, insomma, sarebbe stata comica la cosa.
“Sì, è tre ore che giro qui dentro alla ricerca di qualcuno, ti prego, dimmi che... No, non ci credo!” Lo fissai con aria confusa, non capendo che cosa l’avesse fermato dal suo discorso. Un sorriso idiota prese spazio sul suo viso, così che i suoi capelli ingellati e biondo tinto mi apparvero immediatamente castano chiaro e piastrati e il suo viso occupato da un enorme paio di occhiali da nerd.
“Mikey Way!” Detto questo lo abbracciai stretto, aspettando solo che mi salutasse a sua volta con un “ciao nano!” come ai vecchi tempi.
“Sempre nano a quanto vedo” che vi avevo detto? “E questi? Da quando sei ricoperto di tatuaggi?” Mi chiese con tono ed espressione ammirati nell’osservare le mie braccia variopinte.
“Ho scoperto di avere un amore incondizionato per i tatuaggi e... sono finito senza soldi e cosparso di inchiostro.” Rimase qualche altro minuto a fissarli e chiedermi cosa significassero, per poi cambiare argomento.
“Come va Frankie? È da una vita che non ci vediamo.” Sorrisi nel sentire l’entusiasmo e l’interesse nella sua domanda, per poi cominciare con un breve riassunto generale dei miei ultimi sei anni.
“Quindi ora sei barista, insegnante di chitarra, ricoperto di tatuaggi e nano?”
“Proprio così. E tu? Ancora nerd?”
“Ovviamente! Oramai è una religione.” Mi rispose ridendo e cominciando a guardarsi intorno per la stanza. Dovevo fare qualcosa, dovevo agire prima che vedesse quei due disegni, non avrei potuto sopportare una conversazione con argomento Gerard, non in quel momento.
“E tu invece che hai fatto?” Chiesi cercando di nascondere l’agitazione meglio che potei.
“Oh, sono stato all’estero, Italia, ecco... una persona mi ha chiesto di raggiungerla e-e dopo aver finito gli studi sono partito. Sono stato via quattro anni, cioe, siamo, va beh...”
“Sì Mikes ho inteso che stai parlando di Gerard, tranquillo...”
“Oh...” Già... Oh davvero.
“Te l’ha detto lui?” Annuii senza guardarlo in faccia, voltandomi verso la finestra per riaprirla e prendere un po’ d’aria che in quel momento pareva non esistere più nella stanza.
“L’ho incontrato qualche giorno fa al bar, era venuto a prendere un caffè...” spiegai chiudendo gli occhi “Pensavo te l’avesse già detto, speravo anzi, per evitare questa situazione...” Aggiunsi con una risata triste, per poi voltarmi e vederlo perso ad osservare quei due disegni con il massimo dell’attenzione.
La famiglia Way voleva la mia morte apparentemente...
“Oh! Emh... m-mi spiace” balbettò distogliendo lo sguardo dal muro “Comunque! Parlando di cose serie, c’è qualcuno qui dentro che insegna come si strimpella almeno decentemente un basso?”
“Negativo.” E l’espressione sconcertata e delusa sul suo volto mi fece scoppiare a ridere.
“Che cazzo! Cosa devo fare? Ho girato tutte le scuole della città!” Si lamentò spiaccicandosi una mano sul viso.
“A che ti servono lezioni di basso? Ricordo che eri già bravo sei anni fa, cosa te ne fai di un maestro ora?”
“Mai sentito parlare di perfezionarsi?” disse con aria altezzosa, puntandosi le mansi sui fianchi ridicolmente ossuti e sorridendomi con quella faccia da idiota che si ritrovava “Servirebbe anche a te, nanetto.”
“Aaah taci!” mi lamentai a mia volta, per poi prendere giubbotto, chitarra e chiavi di casa ed avviarmi verso la porta “Andiamo, devo chiudere.” E così uscimmo.
“Ah, senti Frank, forse ti conviene andare a casa subito...” Lo guardai come fosse pazzo.
“Scusa?”
“Da quello che mi hai raccontato e che ho visto, voglio evitarti incontri scomodi, quindi...”
“Sta venendo a prenderti Gerard, non è così?”
“Già...” Perfetto!
“Bene, n-non importa, aspetto qui con te fino a che non arriva, non è un problema.”
“Sicuro?” No, non lo ero neanche un po’... Vedere Gerard con quella sua faccia dannatamente bella era l’ultima cosa che avrei voluto fare, ma non potevo lasciare solo Mikey...
“Sicuro.” La vita faceva davvero cagare.
Non aspettammo molto comunque, poichè esattamente dieci minuti dopo l’inizio del nostro discorso su quanto il seguito di Donnie Darko facesse pena, una macchina accostò davanti a noi. Bello! Fanatstico! Meraviglioso!
Poco dopo ne uscì lui, con la testa bassa e le braccia strette attorno al corpo per scaldarsi, così che il mio stomaco raggiunse le dimensioni di una nocciolina.
“H-Hey...” azzardò lui timidamente “Vai anche tu in questa scuola?” Mi chiese torturandosi una ciocca di capelli per l’agitazione.
“Oh, no. Frankie insegna qui, anche se per me questo posto è inutile, perchè non c’è nessuno che suona il basso...” rispose Mikey al posto mio “e poi lui è nano.”
“Mikey, che cazzo c’entra questo?? Penso sia risaputo, okay?” Ridemmo tutti e tre assieme, piano e timidamente, e per un attimo mi dimenticai di essere in presenza della persona a cui avevo spezzato il cuore col mio egoismo, giusto un attimo si intende...
“Andiamo, stasera a cena dalla mamma.” Disse Gerard avviandosi già verso l’auto.
“Naaah ti prego!”
“Michael chiudi la bocca.” Sorrisi.
“Ciao Frank, ci vediamo, promesso?” Mi sussurrò, facendo attenzione che Gerard non lo sentisse.
“Certo.” Ci abbracciammo in fretta e, dopo qualche altro “insulto” riguardo la mia bassezza, entrò in auto.
“Ciao Frankie...” Questa volta però fu la voce di Gerard a dirlo.
 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


La ventitreesima volta in cui vidi Gerard Way, mi salvò dal licenziamento.
“Fossi in te, sarei rimasto a casa.”
“Tranquillo Ray, s-sto bene.” Già, anche se i brividi e la tosse dicevano l’esatto contrario...
Le cose erano andate più o meno così: il giorno prima, dopo aver reincontrato Mikey, me ne ero tornato a casa a piedi al freddo e, nell’esatto momento in cui avevo messo piede in casa, già sapevo che il giorno dopo sarei stato malato. Il mio sistema immunitario non è mai stato particolarmente efficiente, si sa oramai.
“Come vuoi tu... Sappi che se però mi passi il raffreddore, allora spaccherò in due quella piccola testa da idiota che ti ritrovi.” Risposi con uno starnuto.
Quella mattina, al contrario delle altre, il bar era abbastanza tranquillo, poichè l’influenza conclusiva dell’inverno aveva deciso di fare la sua comparsa e mietere parecchie vittime, tra cui il povero sottoscritto che a breve avrebbe tossito fuori un polmone... Perfetto.
“Un frappè al mango grazie.”
“Arriva subito” risposi prima di strarnutire per la millionesima volta “M-Mi scusi...” Il ragazzo mi guardò con schifo e stizza, ma non disse comunque nulla e gliene fui grato, dato che quel mattino ero gioviale quanto un orso bruno e avrei benissimo potuto prenderlo a parolacce. Servii un altro paio di persone, per poi decidere che peggio di così la mia giornata, ma anche direttamente vita, non poteva andare e così decisi di concedermi da solo una pausa fumo extra. Quel periodo faceva davvero pena in effetti: ero malato, facevo un lavoro che mi deprimeva, non avevo un soldo bucato in tasca per potermi permettere un’auto o un trasloco e Gerard era tornato nella mia inutile esistenza come un fantasma, per farmi pagare le mie colpe. Presi direttamente l’intero pacchetto e nemmeno mi scomodai di avvertire Ray.
Non me ne fregava un cazzo della mia vita in quel periodo.
Uscii dalla porta sul retro e mi accucciai nell’angolino coperto, così che la pioggia battente non mi infradiciasse. Già, dimenticavo di dire che quel giorno pioveva stile “diluvio universale”, così che il mio umore era sotto le suole delle scarpe. Mi sedetti sul gradino, mi accesi la sigaretta e presi a fissare la pioggia che scendeva dal cielo e bagnava la strada, cambiandone il colore e rendendola più scura, o che scivolava sugli ombrelloni sopra i tavoli attorno al locale che, nonostante il bel tempo, erano comunque occupati da alcuni pazzi: due ragazze che ridevano e scherzavano nel vedere qualcosa sul cellulare, un signore che fumava la pipa mentre leggeva il giornale, un’anziana probabilmente sola ed annoiata e un ragazzo con un blocchetto da disegno, una matita in mano e una massa confusa di capelli rossi.
Chi dice che i fantasmi non esistono?
“Iero! Dove cazzo sei finito!?” Le teste di tutti i clienti all’esterno, ma molto probabilmente anche quelli all’interno, si girarono verso il luogo di provenienza di quell’urlo, ovvero il mio capo. Schizzai in piedi, spensi la sigaretta e finii sotto la  pioggia battente, a congelare ed inzupparmi, giusto per peggiorare ancora un po’ di più le mie condizioni di salute. Mi stavano fissando tutti, tutti avrebbero assistito al licenziamento del povero sfigato fumodipendente che ero. Tutti, anche Gerard...
Quando la porta sul retro si spalancò e ne uscii il mio capo col volto rosso per la rabbia e gli occhi fuori dalle orbite, il licenziamento divenne l’ultimo dei miei problemi, poichè cominciai a temere seriamente per le mie ossa e le botte che quel pazzo pareva volermi dare.
“Hai deciso che era il momento di una pausa!? Sei troppo stanco per servire due caffè?? Per cosa ti pago, me lo vuoi dire!?”
“I-Io ero venuto a servire i clienti qui fuori, n-non...”
“Ah sì?? E chi?? Iero giuro che è finita qui, non scomodarti a tornare e...”
“Me, stava servendo me, o meglio, aiutando.” Mi si bloccò il cuore.
“Mi scusi?” Chiese il mio capo improvvisamente più calmo e umano.
“Mi sono rovesciato addosso il caffè per sbaglio e ho chiesto se qualcuno poteva venire a pulire e darmi una mano. È stato molto gentile a dire il vero, non dovrebbe proprio licenziarlo.” Disse Gerard avvicinandosi a me con, effettivamente, una macchia enorme di caffè addosso. Il capo parve pensarsi su un pochino, per poi puntarmi un dito contro, fissarmi di sottecchi e rientrare.
“N-Non avresti dovuto...” bisbigliai abbracciandomi il busto oramai fradicio “me la sono cercata io...”
“Un grazie sarebbe sufficiente, sai?” disse avvicinandosi ancora un po’ e ridacchiando “Mi sono perfino rovesciato addosso tutto il caffè per salvarti il culo, dimostrami un minimo di riconscenza.” Cosa??
“T-Tu hai rinunciato al tuo caffè per me?” Okay, penso che tutti al mondo fossero a conoscenza dell’amore sfrenato di Gerard per la caffeina, come aveva potuto sprecare il suo caffè per qualcuno? Per me...?
“Già” rise istericamente “ne valeva la pena, no? Quel tizio è pazzo, Dio mio!” Ridemmo insieme, prima che uno starnuto mi facesse sobbalzare e un altro e ancora uno e poi un’altro ancora.
“Hey, vieni qui” disse per poi portarmi sotto l’ombrellone del suo tavolo e posarmi la sua giacca sulle spalle “Ti prenderai un accidente.”
“Troppo tardi, già sono malato” risi alla mia stessa osservazione, cercando di mascherare inutilmente l’imbarazzo che la premura del suo gesto mi stava causando “Tienila, se no ti ammalerai pure tu.” Aggiunsi provando a ridargli indietro la giacca che lui rifiutò, opponendosi con tutte le sue forze.
“Tranquillo, io ho il golf, sei tu quello in mezze maniche.” Non aveva tutti i torti...
“Vero.” Risposi abbassando lo sguardo e sentendo le sue mani posarsi sulle mie spalle e rimettere la giacca al suo posto. Perchè reagivo così?? Erano passati sei anni, eravamo adulti ora! Sveglia Frank!
“Come pensi di fare con la macchia?” Fece spallucce.
“Torno a casa e mi cambio, tanto stamattina non ho molto da fare, ho tutto il tempo per sistemarmi prima che la mostra apra.”
“Che mostra?” Chiesi soffiandomi il naso e stringendomi meglio nella sua giacca. Profumava dannatamente di lui, potevo chiaramente sentire l’odore di Gerard avvolgermi e stringermi la gola per la nostalgia, poichè se c’è una cosa che mai ho imparato a gestire, sono i profumi, gli odori. Mi illusi di pensare che quella giacca in realtà fosse lui e che quel calore in realtà fosse un suo abbraccio...
“S-Sì c’è questa esposizione di neo-artisti della durata di un mese e io, beh, ne faccio parte.”
“Davvero??” Dissi con decisamente troppa enfasi.
“Già, ma sono solo stupidi quadri, n-non è niente di che e...”
“Questo lo dirò io. Quando è aperta?”
“Oh, tutti i giorni a partire dalle due di pomeriggio, tranne la domenica, ma non è necessario che tu ven...”
“Perfetto. Passerò, magari domani o forse...”
“No Frank!” gridò terrorizzato, così che mi bloccai e lo fissai “Cioè, non è necessario, davvero, sono quadri brutti, n-non perdere tempo...” Perchè reagiva così? Gerard era un artista, che gli piacesse o no, quindi era necessario che io vedessi i suoi quadri, era necessario che io andassi a quella mostra, era necessario che io... Oh. Forse era proprio quello il problema: io...
“Ah, capito, non vuoi che venga. Scusami, hai ragione...” mormorai togliendomi la sua giacca e restituendogliela “È meglio se torno al lavoro, sai, non vorrei che tutta la tua fatica per salvarmi il posto venisse sprecata. Grazie Gerard, buona giornata.” E mi incamminai verso la porta.
“N-Non sei tu Frank. Sono io che non... non sei tu il problema...” Stava mentendo, ovvio.
“Non preoccuparti, hai ragione ad essere arrabbiato con me.” Quando la mia mano già era sulla maniglia, potei giurare di averlo sentito sussurrare un “non potrei mai essere arrabbiato con te...” che mi fece scendere una lacrima sul volto, totalmente non approvata dal mio cervello. Che cosa mi stava succedendo?
Mi ci sarebbe voluto un bel po’ di tempo per liberarmi di quel fantasma...
 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


La ventiquattresima volta in cui vidi Gerard Way, mi disse che ero un’opera d’arte.
“È lui?” Mi sussurrò Ray all’orecchio, riferendosi naturalmente a Gerard, seduto in un angolino del locale.
“Già... Pare essere diventato il suo posto preferito questo.” Dissi con non so quanta amarezza nel tono di voce, poichè per essere appena rientrato dall’Italia, i nostri incontri erano stati già troppi.
“Chissà come mai...”
“Ray” lo bloccai io all’istante “ti prego.”
“Frank è solo un ex, perchè fai così? Cioè, ci sta l’imbarazzo del momento, ma il tuo modo di comportarsi è ridicolo.” Aveva ragione, lo riconoscevo, ma la figura di Gerard rannicchiato in un angolino della terrazza mentre mi gridava di andarmene era qualcosa che mai avrei potuto dimenticare. Avevo raccontato a Ray di quello che era successo tra me e Gerard, cioè, se dirgli che era un mio compagno di liceo reincontrato per caso qualche anno dopo si poteva considerare un racconto, ma pareva provare gusto nel rompermi le scatole su come mi comportassi da idiota davanti a Gerard... Non avrei mai potuto raccontargli come era davvero andata la nostra storia, mi vergognavo ad ammettere che fino a poco fa ero pazzo e avevo paura delle persone, come mi vergognavo ad ammettere che la ragione per cui avevo lasciato Gerard era il troppo affetto che aveva dimostrato nei miei confronti, come queste attenzioni mi avessero soffocato ed ucciso pian piano...
“Lascia stare...” Mi limitai a rispondere, per poi andare a pulire un tavolo che una famiglia aveva deciso di abbeverare con il loro caffè.
Se prima avevo paura delle persone, ora le odiavo proprio...
Naturalmente il tavolino era appiccicato a quello di Gerard, ma cercai di non farci più di tanto caso, in fondo bastava non attirare la sua attenzione... Inutile dire che appena arrivai sul posto, cominciai a starnutire come un povero stupido, così che la necessità di trovare un fazzoletto divenne il mio primo ed unico pensiero, e così che attirai l’attenzione di tutti.
“Tieni.” Oh no, non tu...
Accettai comunque, che potevo fare? Aspettare che il muco mi arrivasse ai piedi? Ugh...no!
Appena presi in mano il tovagliolo che mi stava porgendo, notai che c’era scritto qualcosa sopra:
“a che ora finisci/fai una pausa?”
Lo fissai come fosse pazzo: voleva uscire con me!?
“G-Gerard ma che...?” Scoppiò a ridere, così che le teste di tutti i clienti (e del capo) si voltarono verso noi.
“Rispondi e basta.” Disse tranquillo, come se mi avesse appena chiesto di portargli un altro caffè e niente di più.
“Iero...?” Chiese il mio capo, cominciando ad innervosirsi. Cazzo!
“Alle dodici, pausa pranzo di un’ora poi devo dare il cambio al mio amico.” Sussurrai alla velocità della luce, per poi sorridere al capo e prendere a pulire il tavolino, senza più rivolgere la parola a Gerard.
Non lo capivo, giuro. Dopo tutto quello che era successo, mi aveva chiesto di uscire con lui??
“Che voleva?” Ray non sapeva proprio cosa volesse dire farsi i cazzi propri...
“Niente.”
“Che palle Frank! Che amico sei se non mi racconti mai nulla?” Si lamentò sbuffando e andando a servire un cliente in coda.
“Un amico di merda...” Sussurrai pregando non mi avesse sentito, per poi tornare a pulire il casino che quella famiglia aveva combinato.
Il resto della mattina passò parecchio lentamente, intervallata da “senti un po’, ma quel tizio ha intenzione di ordinare ancora qualcosa, andare fuori dalle palle o stagnare qui senza darmi un soldo?” da parte del mio capo, incazzato dal fatto che Gerard fosse seduto lì oramai da tre ore senza aver ordinato nulla nelle ultime due ore.
“Gerard?” lo chiamai piano e timidamente dopo aver detto al capo che gli avrei parlato io “Senti... il mio capo rompe perchè non stai più ordinando niente e...”
“Puoi portarmi due caffè allora?” Risi.
“Due? Non sono troppi?”
“Beh, tecnicamente uno è per te dato che sono le dodici meno sei minuti.” Oh.
“Quindi vuoi stare qui, n-non vuoi, che so, uscire o...” Alzai lo sguardo, riavendomi dal mio blaterare idiota, per poi diventare bordeaux davanti al sorriso dolce che mi stava rivolgendo.
“Volevi uscire con me?” Non era così che funzionava? Insomma, perchè mai avrebbe dovuto chiedermi a che ora ero libero se non per uscire assieme?? Che figura di merda!
“V-Vado a prendere i caffè! Arrivo subito!” Esclamai con troppa enfasi, diventando ancora più rosso. Gerard continuò a fissarmi con quell’espressione dolce ed intenerita, così che il mio cuore esplose, fine. Avevo smesso di vivere. Fuggii verso il bancone.
“Vai Iero, tra un’ora ti rivoglio qui, okay?” Annuii, ancora totalmente rosso in volto, per poi prendere due caffè al volo e dirigermi verso il tavolo di Gerard, sebbene avessi voglia di far tutto meno che tornare da lui a fare qualche altra figura di merda.
“E-Ecco qui...” Bisbigliai posando le due tazze sul tavolo e stando in piedi come un idiota. Mi sorrise ancora.
“Siediti, non abbiamo molto tempo.” Molto tempo per cosa...?
“Umh... che, ecco... cosa devi dirmi?” Rimanemmo in silenzio qualche secondo, poi scoppiò a ridere e io mi nascosi il viso paonazzo tra le mani, ridendo a mia volta. Ero ridicolo.
“Lo fai apposta ad essere così dolce?” dopo quell’osservazione, pure lo stomaco mi disse addio, esplodendo per le troppe farfalle che avevano preso a svolazzarvi vorticosamente dentro “Volevo solo chiarire due cose, sai, vorrei che... ecco, non ci odiassimo, che avessimo un rapporto normale, come amici. Mikey non ha fatto altro che parlare di te dall’altro giorno e-e mi è venuta nostalgia Frank, una nostalgia mortale di sei anni fa... S-Se per te non è un problema, potremmo ricominciare da capo? Dai, noi due siamo fatti per andare d’accordo, non riesco proprio a vederci come due estranei, n-non so se per te è lo stesso, ecco... nel senso, in genere andiamo d’accordo, io n-non... Aaah ho rovinato tutto, è venuta fuori una dichiarazione da commedia rosa per tredicenni, non è così? Scusami...” Rise imbarazzatissimo, passandosi una mano fra i capelli.
“Tranquillo Gerard, non hai rovinato niente e anch’io vorrei tornare ad essere tuo amico, non posso sopportare di vederti in questo bar ancora senza poterti salutare da persona normale.”
“Ovvero senza arrossire?”
“Ti odio...” E ridemmo assieme.
“Ho anche un’altra richiesta a dire il vero...” Aggiunse prendendo una mia mano nella sua e bloccandomi perciò il respiro. Non aveva appena detto amici!?
“È tutta mattina che provo a ricopiare i tuoi dannati tatuaggi delle mani, ma non riesco proprio a capirci un cavolo, quindi... potresti farmeli vedere?” Altro che nostalgia, quello era un vero e proprio salto nel passato, quando si era presentato sul tetto con il suo blocco e qualche carboncino per farmi un ritratto... Sospirai rattristato.
“Non sei cambiato, eh?”
“Assolutamente no” disse passando un dito sulla ragnatela tatuata sulla mia mano “A volte mi capita di ricopiare persone a caso, che so, al parco, in un locale, sul treno, mi tiene in allenamento, ma tu sei sempre stato difficile e interessante da disegnare, ora poi sei proprio impossibile...” Ridacchiò appena, per poi prendere il blocco e cominciare a tracciare il contorno delle mie mani.
“Impossibile?” Chiesi cercando di non farmi distrarre dal pezzetto di lingua che spuntava dalle sue labbra. Aveva sempre avuto questa caratteristica del mordersi la lingua per la concentrazione mentre disegnava, e ritrovarmi davanti alla stessa identica situazione di sei anni fa, mi fece riaffondare per l’ennesima volta nei ricordi.
Dovevo smetterla, il passato era passato, dovevo lasciarmelo alle spalle...
“Sì, nel senso, le persone sono semplici in fin dei conti, ma tu sei un’opera d’arte e la cosa si fa un po’ più difficile.”
Cosa!?
“U-Un’opera d’arte...?” Alzò lo sguardo dal foglio e mi sorrise.
“Beh, con tutti questi tatuaggi sembri un dipinto Frank, non sei per niente facile da disegnare” rise “e oltretutto ho sempre trovato le tue labbra molto difficili, non so come mai.” Oh signore! Non poteva uscirsene con osservazioni del genere e mettersi a fissare la mia bocca pretendendo che io stessi immobile a non dire nulla! Mi sentii esplodere.
“Oh.”
“Oh davvero...” Bisbigliò continuando col suo lavoro.
Neanche dieci minuti dopo avergli detto che mi andava bene tornare ad essere amici, capii di aver detto una cagata colossale, poichè i ricordi che avevo di Gerard erano tutti legati a qualcosa che non c’entrava nulla con l’amicizia, ma solo con l’amore...
Non mi sarei mai liberato di quel fantasma.
“Mi stai per caso fissando?” Avrei voluto scoppiare a piangere
 

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


La venticinquesima volta in cui vidi Gerard Way, andammo al cinema insieme.
Fortunatamente che quel giorno il mio turno da Starbucks sarebbe stato corto e fortunatamente che Ray mi aveva concesso di non venire a scuola di chitarra nel pomeriggio poichè, come aveva detto lui “non ho idea di cosa ti stia succedendo, ma hai tutto meno che una bella faccia, quindi riposati, fai qualcosa per distrarti e quando sarai pronto per dirmi chi in realtà sia quel Gerard, fammi un fischio”, così che quel pomeriggio avrei finalmente avuto un po’ di tempo per entrare ancora di più nel panico per la mia situazione. Ray aveva capito, pur non conoscendo la storia vera, che il problema era Gerard, che quel mio ex in realtà mi stava causando ben più di qualche angoscia, ansia e preoccupazione, ma il problema più grande era che non ne capivo il motivo. Okay, lo avevo amato, ammetto che poco prima di lasciarlo ma anche direttamente dalla cena, io avevo amato Gerard, ma erano passati sei anni, sei anni in cui non l’avevo più visto nè sentito e ora, dopo solo un paio di incontri, mi ero ritrovato a svegliarmi di notte con fiatone e le lacrime agli occhi nel sognare un suo bacio, o una carezza, o ancora un “ti amo piccolo mio” uscire dalle sue labbra sottili e, credetemi, non avevo la più pallida idea del perchè continuassi a pensare a lui giorno e notte nonostante la nostra storia fosse tragicamente finita tempo fa a causa mia.
Non potevo parlarne con nessuno: con Ray non era possibile, Mikey ne avrebbe sicuramente parlato col diretto interessato prima o poi, mia madre aveva altro a cui pensare e io  ero “adulto” oramai, così che automaticamente la lista si riduceva a me, ai miei pensieri, alle lacrime e all’autoconvinzione che non potevo amarlo ancora, non più...
Era passata una settimana da quando avevamo parlato e mi aveva fatto un altro ennesimo ritratto.
“Penso di amare già i tuoi tatuaggi.” Aveva detto poco prima di andarsene.
“Oh, questi non sono niente! Sono ricoperto diciamo: petto, schiena, gambe, spalle, un po’ ovunque.” Avevo risposto io ridendo e alzandomi a mia volta, per poi sentirmi bruciare dal suo sguardo fisso su di me.
“L’avevo detto che sei un’opera d’arte...” aveva bisbigliato con un sorriso dolcissimo “Ci vediamo Frank.” E per tutta la settimana non avevo fatto altro che guardarmi allo specchio, cercando di vedere “l’opera d’arte in me” che Gerard aveva tanto nominato, non trovando tuttavia nulla se non un povero sfigato ricoperto di tatuaggi, con una vita che gli si stava rivoltando contro proprio appena dopo averla messa a posto.
La mattinata passò, contro ogni mia aspettativa, relativamente in fretta, così che appena finii il mio turno mi catapultai fuori dalla porta, mi accesi una sigaretta e cominciai a camminare rivolto sa il cielo dove. Non volevo tornare a casa, poco ma sicuro, ma non volevo nemmeno vagare senza meta finendo il pacchetto di sigarette e morendo per i troppi pensieri, quindi arrivai alla conclusione che un film sarebbe stato perfetto. Sì, non mi era passata la mania per il mondo del cinema, così che quando ero in un periodo particolarmente brutto o faticoso, mi chiudevo ancora in camera mia con cereali, pigiama e un mucchietto di DVD accanto. Quel giorno però optai per andare al cinema, dato che a casa non volevo starci e dato che era uscito da poco un nuovo film Marvel che, da bravo nerd, non potevo perdermi assolutamente. Contando poi che era l’ora di pranzo, sperai che non vi fosse molta gente, difatti già da fuori si poteva vedere che non c’era nemmeno un po’ di coda. Presi il biglietto, mi comprai decisamente troppi pop corn e andai a sedermi in sala, nonostante fosse presto e mancassero venti minuti all’inizio.
Pace.
Sperai che almeno per quell’ora e mezza di film i miei pensieri e sentimenti confusi mi avrebbero lasciato in pace e smesso di torturarmi, perchè il prossimo passo sarebbe stato farmi ricoverare in un ospedale psichiatrico... Già, il luogo a cui in fin dei conti appartenevo...
“Permesso...?” No. No no no! Fuga dal passato palesemente rovinata...
“G-Gerard?? Che ci fai qui?” Mi sorrise, per poi seedrsi esattamente accanto a me, nel senso che avremmo dovuto condividere un braccio della poltrona, la stessa aria, magari i pop corn e anche qualche parola. Il mondo pareva davvero odiarmi...
“È vietato andare al cinema?” Mi chiese sorridendomi e, come da me previsto, rubandomi una manciata di pop corn.
“No, n-non intendevo questo, solo che... è un orario un po’ insolito, n-non credevo di incontrati, tutto qui.” Che discorso da idiota...
“Va bene, ammetto la mia colpa!” disse alzando le mani in segno di resa “Ti ho visto fuori dal cinema e, non sapendo che fare, sono entrato anch’io. Ottima scelta di film a proposito.” Lo fissai con la bocca spalancata: mi stava pedinando quindi?
“Stalker di merda.” Dissi con una risata, per poi lanciargli addosso qualche pop corn.
“Oooh suvvia! Ti ho solo visto qui fuori, non ti stavo mica seguendo, è successo.” E mi rubò altri pop corn. Okay, il tono con cui lo disse mi diede tutto meno che fiducia... E se mi aveva davvero seguito? Quel suo sorriso mi aveva sempre ingannato, non facendomi capire se stesse scherzando o meno, così che il dubbio che mi stesse pedinando non me l’avrebbe tolto nessuno.
“Vieni spesso al cinema?” Mi chiese continuando a fregarmi i pop corn.
“No, in genere me li guardo a casa i film, in pigiama e con montagne di cibo, oggi sono venuto solo perchè tutti parlano bene di questo film e così... Ta daaan!” Tentai di metterla giù sul ridere, poichè il suo sguardo mi stava letteralmente bruciando vivo.
“Sì, è molto bello in effetti, però ne ho visti di migliori onestamente.”
“L’hai già visto?” Annuì e io lo guardai con aria confusa.
“Cosa c’è di male?” Mi chiese a sua volta imbarazzato e potei giurare di averlo visto arrossire.
“Perchè mai dovresti venire a vedere un film che già hai visto?” Parve pensarci su un pochino, cominciando a muoversi agitato sulla poltrona e arrossendo, stavolta sul serio, per poi voltarsi verso me e rispondere.
“Perchè volevo stare un po’ insieme a te...” Si spensero le luci.
“Oh cazzo.” Ma a quanto pareva quella frase non era rimasta nella mia testa, poichè Gerard rise e mi bisbigliò un “non voglio farti niente di male” dritto nell’orecchio, causandomi brividi e pelle d’oca.
Il mondo ce l’aveva davvero con me...
Più volte le nostre mani si sfiorarono nel prendere i pop corn, dato che Gerard pareva davvero gradirli ed erano più le volte in cui era intento a scavare nella scatola che quelli in cui se ne stava bello tranquillo a vedere il film.
Sembrava una scena clichè da film romantico di basso costo...
“Adesso c’è una scena bellissima...” Mi bisbigliò ancora nell’orecchio, ma stavolta invece di allontanarsi, rimase fermo a respirare nell’incavo del mio collo. Mi immobilizzai. Sentivo il suo respiro caldo scompigliarmi appena i capelli e le sue labbra a pochi millimetri dalla mia pelle, così vicine che credetti mi stesse per baciare il collo. Un riflesso totalmente involontario (perchè io NON volevo che accadesse, oh no!) mi fece inclinare la testa da un lato, così da dargli più spazio per potermi baciare, poichè il mio cervello (la parte involontaria si intende) aveva deciso di voler a tutti i costi che le sue piccole e sottili labbra si posassero sulla mia pelle e la baciassero, mordessero, succhiassero... Rise, neanche a dire che me l’aspettavo, e si allontanò, tornando a sedersi al suo posto, mentre io morii di imbarazzo. Che coglione, avrei voluto scappare fuori da quella sala e rintanarmi in casa per il resto della mia inutile vita, ma avrei solo peggiorato la mia situazione, così che rimasi fermo e in silenzio, cercando di essere il più invisibile possibile.
Poco dopo, il “clichè pop corn” raggiunse un livello intollerabile, poichè le nostre mani non presero alcun chicco di mais, dato che le nostra dita si incastrarono tra loro. Mi si bloccò il respiro quando la stretta di Gerard si fece più decisa, tirando le nostre mani fuori dal contenitore e posandole sul bracciolo. Morii quando poi prese ad accarezzarmi piano il palmo, continuando tranquillamente a vedere il film, come se non si fosse reso conto di starmi uccidendo. Presi a fissare le nostre mani unite, notando come si incastrassero alla perfezione tra loro, così che non riuscii a resistere e presi ad accarezzarlo a mia volta.
Potei giurare di averlo visto sorridere.
Il resto del film passò abbastanza tranquillamente, nel senso, le nostre mani rimasero unite, i pop corn in un angolino dimenticati e le mie guance in fiamme, però andava tutto bene, almeno stavo ancora respirando.
Quando le luci si riaccesero, subito lasciai andare la sua mano e schizzai in piedi, dirigendomi velocemente verso l’uscita, senza aspettarlo.
“Frank!?” Ma non mi voltai. Non appena misi piede fuori, le gocce di pioggia cominciarono a bagnarmi dalla testa ai piedi, ma non mi spostai; avevo bisogno di sentire qualcosa a contatto con la mia pelle rovente, qualcosa che non fossero le mani di Gerard, qualcosa di possibilmente freddo per contrastare il calore bruciante che ancora avevo addosso.
“Frankie, va tutto bene...?” Avrei voltuo piangere tutte le mie lacrime.
“S-Sì scusa, mi mancava un po’ l’aria” mentii “Bello il film comunque, avevi ragione.” Mi sorrise dolcemente, per poi aprire l’ombrello e ripararmi dalla pioggia.
“Passaggio a casa?” Avrei voluto dire di no, poichè il fatto era che... beh, Gerard non era il mio ragazzo, non più, e sebbene il mio cervello ne fosse a conoscenza, il mio cuore pareva fregarsene altamente.
“Okay.” Fottuto cuore...
Fortunatamente casa mia non distava molto dal cinema, così che quella dolce tortura dello stare appiccicato a Gerard sarebbe finita il prima possibile.
“Senti... non ho ancora avuto modo di chiedertelo, ma... come stai?” Sentita quella domanda, mi fermai di colpo, rimanendo sotto la pioggia battente.
“I-In che senso?”
“Nel senso che... ecco, con le persone, ti senti meglio?”
“Oh...” Abbassai lo sguardo, poichè non me la sentivo proprio si parlarne, specialmente non con lui, ma ancora una volta il mio cuore mi spinse a mormorare un tristissimo e patetico “sì...” di cui sapevo non si sarebbe accontentato..
“Sicuro piccolino?” Perchè non mi era concesso baciarlo?
“Sì, davvero, nel senso, mia madre mi ha spedito in un nuovo centro dove fossi tenuto sotto controllo ventiquattro ore su ventiquattro e dopo cinque mesi mi sono autoconvinto di star bene, perchè era come essere in carcere e oltre al problema con le persone stavo cadendo in depressione, così mi hanno liberato e... s-sì, sto bene, benissimo. Non si vede?” Non so bene come, ma l’ombrello cadde a terra, la pioggia prese a infradiciarci nuovamente e le braccia di Gerard si strinsero attorno a me.
Sei anni che non venivo abbracciato da lui, sei anni senza sentire il suo corpo premuto contro il mio. Mi scappò una piccola lacrima solitaria.
Non dicemmo nulla, rimanemmo abbracciati per minuti, fino a quando non mi scollai con un sorriso imbarazzato in viso e gli feci segno con la testa di continuare a camminare.
“Frankie, io ci sono se qualcosa non va... Okay?” Mi disse appena arrivammo davanti la porta di casa mia.
“Va bene, grazie Gerard...”
“Gee, chiamami Gee, ti prego.” E se ne andò, senza aggiungere altro.
Inutile dire che appena mi chiusi in camera mia, mi accasciai a terra e cominciai a piangere come una fontana. Avevo sbagliato tutto, sei anni fa avevo fatto l’errore più grande della mia vita e ora mi si stava rivoltando totalmente contro.
Ne ero convinto: amavo ancora Gerard con tutto il mio cuore, non avevo mai smesso di farlo...
 

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


La ventiseiesima volta in cui vidi Gerard Way, andai alla sua mostra.
“Perchè non me ne hai parlato prima?” Feci spallucce e mi strinsi meglio le gambe contro.
“Stavo solo cercando di ricominciare una vita da persona normale...” Mormorai accendendomi un’ennesima sigaretta. Alla fine avevo ceduto, dopo aver passato due giorni chiuso in casa dandomi per malato e dopo che Ray non ci aveva creduto, si era direttamente presentato a casa mia, obbligandomi in un certo senso a parlare, e così l’avevo fatto, mi ero liberato di tutto quello che mi stava intrappolando e facendo ritornare nel mio piccolo buco nero.
“Tu sei normale Frankie...” Mi strinse un po’ più contro sè e gliene fui davvero grato; avevo disperatamente bisogno di affetto. Non so dire da quanto tempo fossimo sul mio balcone, accucciati contro il muro a prendere freddo, ma la quantità di sigarette da me fumata diceva che era un bel po’.
“Non lo sono Ray! Non lo sarò mai... Anche se non sto più come sei anni fa, non mi sento totalmente a posto. Quello che è successo stanotte ne è una prova...” Già, stanotte...
La notte era da sempre stata un problema per me, ma mai come durante quella appena trascorsa mi ero sentito solo e bisognoso di aiuto. Dopo aver provato ad addormentarmi con insuccesso stando a fissare il soffitto per circa due ore, avevo deciso di uscire un po’ sul balcone, sia perchè la città di notte mi aveva da sempre rilassato, sia perchè sarei scoppiato a piangere a breve e, essendo la mia stanza appiccicata a quella di mia madre, sapevo che l’avrei svegliata di sicuro. Dopo un bel venti minuti di pianto platonico in cui me n’ero stato accucciato a terra con le cuffiette nelle orecchie, mi era arrivato un messaggio:
“cucciolo... perchè stai piangendo?” E mi ci erano voluti tre secondi netti per capire chi fosse il mittente... Mi ero sporto per vedere che Gerard era davanti casa, con un’espressione triste e ferita nell’osservarmi in tutto il mio squallore.
niente G. Vai a casa” Ma non mi aveva dato ascolto.
“dimmi che non sono io la causa di quelle lacrime...” E indovinate un po’ cos’avevo fatto io? Avevo pianto ancora di più e ancora più forte.
“frankie aprimi, ti prego... non posso lasciarti così, fammi aggiustare le cose”
“buonanotte G”
E dopo ciò, mi ero rifugiato in camera gattonando e mi ero avvolto nelle coperte, ripensando allo sguardo distrutto di Gerard.
“A proposito di stanotte... Come fa ad avere il tuo numero scusa? Mica lo hai cambiato poco fa?” Mi chiese Ray richiamandomi alla realtà.
“Mikey.” Risposi semplicemente, sistemando il mozzicone accanto a me insieme ad un’altra decina di essi.
“Capisco... Frank, senti, la cosa si potrebbe rendere molto più semplice se ci pensi. Siete entrambi innamorati, lui non è arrabbiato, cosa vi impedisce di stare insieme?”
“Io lo impedisco! Ray, l’ho trattato di merda, non capisco perchè non mi odi ma anzi sia così dolce e premuroso nei miei confronti...”
“Sono passati sei anni Frank, le cose cambiano, se ne sarà scordato o...”
“Perchè le cose brutte che non andrebbero scordate invece dopo un po’ se ne dimenticano tutti, mentre quelle belle no?? Perchè lo amo ancora ad esempio...?”
“Ma che discorsi sono?? Non è un bene? Non è bello che sia rimasto l’amore ma non la tristezza del litigio?” Ovviamente la risposta era sì, ma io ero Frank Iero e le cose semplici non mi erano mai piaciute.
“Forse hai ragione Ray, forse devo smetterla di stressarmi inutilmente e lasciar perdere il passato” mentii “Gli parlo appena posso, okay?” Mi sorrise, per poi darmi una pacca sulla spalla, alzarsi e rientrare in casa.
“Domani al lavoro però, okay? Mi sento parecchio solo...” Ammise con una risatina imbarazzata.
“Promesso.”
“Ciao Frankie.” Lo salutai con un cenno della mano e rimasi ancora un po’ seduto fuori a, indovinate un po’? fumare e pensare. C’erano un sacco di cose che non andavano bene e tutte rigurdavano quella notte appena trascorsa: prima cosa, che cazzo ci faceva Gee sotto casa mia alle due di notte? Secondo, perchè era così interessato di sapere come stessi e quale fosse la ragione delle mie lacrime? Terzo, perchè mi aveva chiamato cucciolo...?
Sentii la tasca vibrare, così che automaticamente capii che mi era appena arrivato un messaggio. Mi agitai preventivamente, poichè le uniche persone che mi scrivevano messaggi erano Ray, mia mamma, Mikes e...
“come stai frankie...?” ...e Gerard. Come avrei potuto lasciarmi il passato alle spalle?
Passai il resto della mattina e buona parte del pomeriggio stravaccato sul divano a vedermi tutta la trilogia del Signore degli Anelli, fino a quando non suonò il campanello e ancora una volta entrai nel panico.
“C-Chi è?” Come se  potessero sentirmi... Mia madre non poteva essere, aveva le chiavi, Ray era al lavoro, Mikey non aveva ragioni di venire a trovarmi, quindi... Ti prego, no.
“Grazie al cielo sei tu!” Mi buttai fra le braccia di Mikey non appena aprii la porta e mi ritrovai davanti quello stecchino ossigenato.
“Sono felice di vederti pure io...” Disse con una risata, ricambiando l’abbraccio.
“Che ci fai qui?”
“Sono passato dallo Starbucks in cui lavori e, non essendo tu lì, ho chiesto ad un tizio con una specie di palma in testa se sapeva cosa ti fosse successo e mi ha detto che eri a casa in malattia, quindi...”
“La palma sarebbe Ray?” Chiesi evitando di scoppiare a ridere per quel paragone idiota.
“Non lo so, sicuramente è tuo amico, ma non è importante ora” entrò in casa “Che hai Frank? Non mi pare tu sia malato.” Feci spallucce ed abbassai lo sguardo.
“Non avevo voglia di uscire di casa di casa oggi, ammetto. Ho finto di star male per questo.” Ma chissà come mai, non mi credette.
“Mmmh Gerard la pensa in un altro modo a dire il vero.” La famiglia Way mi voleva morto.
“Ti ha mandato lui, non è vero?”
“Sì e no” perfetto “Stamattina era pensieroso e gli ho chiesto di dirmi cosa non andasse e mi ha fatto intendere che c’entravi tu, nel senso, ha cominciato con una sfilza di ‘è colpa mia, sta male e l’ho lasciato solo, lo amo ancora così tanto’ e quindi...”
“Cosa!?” Gerard mi amava? Ancora?? No...
“Proprio così” disse quel bastardo con un sorrisino compiaciuto in volto “Che pensavi Frank? È da quando ti ha incontrato la prima volta su quella terrazza sei anni fa che non fa altro che parlare di te con un sorriso enorme in volto. Pensavi che avrebbe smesso di amarti così di punto in bianco? Sai quante volte mi ha parlato di te, di quello che provava e di quanto meraviglioso tu fossi? E sai quante volte in questi giorni mi ha raccontato di quanto bello tu sia, un’opera d’arte, e di quanto muoia dalla voglia di baciarti almeno un’ultima volta?”
“N-Non è vero Mikes...”
“Perchè dovrei venire a dirti una bugia? Siete adulti cacchio! Non farete più gli stessi errori di sei anni fa. È palese che anche tu provi ancora qualcosa per lui, cioè, l’altro giorno al cinema parevi parecchio disperato di farti baciare il collo...” Scoppiò a ridere e io divenni paonazzo.
“P-Perchè deve raccontarti tutto?”
“Perchè Gerard condivide solo le cose che lo rendono felice. Chiedigli di dirti perchè sta male, perchè beveva, perchè non riesce a dormire la notte e non aprirà bocca, ma chiedigli di parlare di te e allora non smetterà mai.” Mi scapparono alcune lacrime che subito mi asciugai dal viso, nonostante sapessi che Mikey le aveva già viste.
“Non ci credo, okay? Non posso credere che mi ami ancora, non lo voglio credere! Immagino ti abbia anche detto com’è finita la nostra storia, non è così?” annuì “Bene, allora saprai che non merito più che lui mi ami...”
“Si è addossato lui tutte le colpe per la fine della vostra relazione.” Mi bloccai e lo fissai come se avesse appena detto che gli asini volano; era assurdo che Gerard si fosse preso le colpe che in realtà erano solo ed esclusivamente mie.
“Ha fatto un mese a comprare un mazzo di rose rosse ogni mattina e andare sulla terrazza ad aspettarti, ma non sei più tornato. Si sentiva troppo in colpa per andare a trovarti a casa, così dopo quel mese si è arreso. Diceva che era stato lui a spingerti a lasciarlo, diceva di esserti stato troppo addosso, troppo appiccicoso e rompiscatole, ma che non aveva potuto evitarlo perchè ti amava con tutto il suo cuore. Ti è sufficiente come prova dei suoi sentimenti?”
“I-Io non...”
“Ah dimenticavo. Nei due anni in cui era in Italia e io ancora qui  a finire gli studi, mi ha chiesto di passare davanti casa tua ogni giorno per sbirciare dalla finestra e vedere come stavi, vedere se ‘il suo amore’ stava bene, ma dopo una settimana che non ti vedevo più, ho chiesto a tua madre di dirmi dove fossi e quando ho detto a Gee che eri ricoverato in un centro di assistenza o qualcosa del genere, allora è tornato qui per quei cinque mesi, facendosi assumere dall’impresa di pulizie che lavorava nel posto dove stavi per poterti tenere d’occhio ed accertarsi che ti trattassero bene, che non fossi triste... Ora è abbastanza?” Piansi, scoppiai in un pianto forte e disperato nel rendermi conto di quanto coglione fossi stato a lasciarmi scappare così l’amore della mia vita.
“Tranquillo Frankie...” disse Mikes abbracciandomi stretto e accarezzandomi la schiena “Vieni, andiamo in un posto che ti piacerà di sicuro.” Ma in quel momento avevo solo voglia di piangere, anzi, di baciare e coccolare il mio Gee e recuperare perciò il tempo perso.
“N-Non mi va di uscire Mikey...”
“Oooh chiudi il becco nanetto!” risi “Credimi, ne vale la pena.” Mi lasciai convincere solo perchè avevo questa sensazione che Gerard fosse in qualche modo coinvolto, così che mi trascinai in bagno, mi infilai un paio di jeans e raggiunsi Mikey già pronto in macchina.
“Mikes?”
“Dimmi.”
“Grazie...” Mi sorrise dolcemente, per poi mettere in moto e dirigersi verso questa meta sconosciuta.
Ci fermammo dopo circa dieci minuti di viaggio, in un parcheggio semi vuoto davanti a un edificio con un cartello a caratteri cubitali fuori che diceva “Mostra Neo-Artisti”.
Oh. Adesso era tutto chiaro.
“Ti sei mai chiesto perchè non voleva che tu vedessi i suoi quadri?” Non risposi, mi catapultai dentro alla ricerca della stanza che avesse fuori un’etichetta con stampato sopra “Gerard Way” e, appena la trovai, feci un bel respiro ed entrai.
Gli artisti ritraggono solo ciò che ritengono bello, giusto? Allora perchè la stanza era piena di miei ritratti e particolari del mio viso, delle mie mani e perfino di qualcuno dei miei tatuaggi? Perchè c’erano dipinti di mazzi di rose in ogni angolo e perchè vi erano circa una decina di disegni raffiguranti il paesaggio che, ricordavo alla perfezione, si scorgeva dalla terrazza, dalla nostra terrazza? Piansi, ma stavolta di gioia pura, coprendomi la bocca con le mani e fermandomi ad ammirare un disegno di me e lui di spalle sul tetto di quel vecchio centro, io con la testa poggiata sulla sua spalla e lui con un braccio attorno alla mia vita.
Non credevo potesse esistere un amore così grande al mondo.
“F-Frank!? Che ci fai qui??” La voce di Gerard mi risvegliò dal mio sogno ad occhi aperti, facendomi voltare verso lui e la sua espressione di puro terrore.
“Perchè stai piangendo...? S-Scusami, cazzo, avevo detto a Mikey di tenerti lontano da qui, non di...” Non era cambiato neanche di una virgola, aveva mantenuto questa sua mania dello scusarsi per ogni singola cosa, questa insicurezza estrema nei suoi confronti che lo spingeva a ritenersi sempre la colpa di ogni cosa. Risi, non potei evitare di ridere, poichè la gioia che stavo provando in quel momento non l’avrebbe potuta capire nessuno.
“Frank va tutto bene...?” Gli andai incontro e lo strinsi forte fra le mie braccia, ponendo così fine a quei sei anni di lontananza.
“Perdonami...?” Sussurrai al suo orecchio, godendomi l’abbraccio che, fortunatamente, stava ricambiando più che volentieri. Ci pensarono le lacrime, sperai di gioia, che avevano preso a scorrere a loro volta sul suo viso a rispondermi.
Dopo averlo abbracciato per il tempo che ritenevo necessario, ritornai davanti al disegno che stavo ammirando prima, stavolta però con l’aggiunta del calore di due mani posate sui miei fianchi, un corpo che aderiva perfettamente alla mia schiena e un paio di labbra posate delicatamente sul mio collo. Mi spinsi meglio contro Gerard, il nuovamente mio Gerard, continuando a fissare il quadro e a godermi la sensazione delicata delle sue labbra sul mio collo.
“Non hai mai smesso di amarmi, non è così...?” Chiesi in un bisbiglio, voltando appena la testa verso il suo viso.
“Mai.”
 

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


*Piccola nota inutile*
Scusate... questo capitolo è clichè, sdolcinato e inutile come non so cosa, vi chiedo perdono per questo mucchio di banalità che seguono -.-
La storia è quasi finita, un altro paio di capitoli di banalità e poi finisce la tortura! :D
Buona lettura, spero che sia almeno carino (????)
Baci :*

 




 

La ventisettesima volta in cui vidi Gerard Way, mi dedicò una canzone.

“Beh, non era certo così che mi aspettavo di passare il nostro appuntamento.”
“Oooh taci Gerard! Te l’ho detto, mi cambio e possiamo andare, dammi dieci minuti.” Corsi in camera mia per fare più in fretta possibile poichè, come detto da lui, non era di certo così che mi aspettavo di passare il nostro appuntamento. Cazzo, io e Gerard ad un appuntamento! Non potevo crederci.
“Davvero, non capisco perchè tu debba cambiarti, è bella quella maglietta, ti sta bene.” Disse entrando in camera a sua volta ed osservandomi divertito mentre ero intento a scavare nell’armadio alla ricerca di qualcosa di pulito e possibilmente bianco. Ecco... il problema non era la maglietta, ma il fatto che nei dieci minuti in cui lo avevo aspettato fuori casa, avevo sudato come un animale per l’agitazione che l’idea di passare un pomeriggio con lui mi aveva causato, e ora la mia “situazione-pezze” era davvero imbarazzante... L’avevo perciò obbligato a tornare a casa, così da potermi togliere quella polo fradicia e mettere il primo megliettone che mi capitava per mano. Proprio quel giorno la maglietta grigia... bravo Frank.
“Trovata!” esclamai entusiasta brandendo la maglia più larga che avessi “Vado a camb...”
“Oh no...” mi si avvicinò e mi bloccò contro la porta del bagno prima che potessi aprirla e andare a cambiarmi “Niente bagno. Spogliati qui.” Come poteva pretendere che smettessi di sudare se mi bisbigliava cose del genere all’orecchio!?
“N-No Gee, ti prego, è che...”
“Spogliati...” Eh va bene! Ero solo umano, che altro avrei potuto fare? Alzai le braccia e presi a sfilarmi la maglia, sapendo benissimo che così avrebbe visto le mie pezze da Nobel, ma fregandomene altamente.
“Capito perchè dovevi cambiarti...” Mi bisbigliò nell’incavo del collo ridendo e baciandomi piano.
“S-Scusami... Ero agitato, non volevo.” Rise ancora di più, per poi stamparmi un bacio sulla guancia.
“Non scusarti idiota. Fammi vedere piuttosto quei tatuaggi di cui mi hai parlato così tanto...” Feci un bel respiro e mi liberai del tutto da quello straccio bagnato, per poi incollare lo sguardo a terra. Wow, ero a torso nudo davanti all’uomo che amavo e stavo continuando a sudare, imbarazzato oltre ogni limite.
Che bella la vita.
“Mio Dio sei ricoperto!” E dopo questo, sentii la sua bocca incollarsi alla mia pelle, cominciando dal collo, scendendo verso il petto e fermandosi per qualche istante di troppo sulla parte appena sopra il mio capezzolo destro. Gemetti il suo nome.
“Mi sei mancato così tanto, ogni cosa di te, ogni piccolo dettaglio...” si spostò verso l’altro capezzolo “...la tua voce, la tua risata, la tua pelle sotto il mio tocco, il tuo profumo irresistibile...” fece una pausa per poi tirarsi su e guardarmi dritto negli occhi “...il sapore dei tuoi baci...” In effetti, ora che ci pensavo, non ci eravamo ancora baciati. Da dopo l’altro ieri e il nostro “giuramento d’amore eterno”, le mie labbra non si erano ancora posate sulle sue. Aspettate, quindi era sei anni che non lo baciavo!? Rimediai all’istante prendendo il suo viso tra le mie mani e facendo incontrare le nostre labbra. Le sue mani si spostarono sulla mia schiena, prendendo a muoversi su e giù e facendomi ridacchiare di tanto in tanto nel bacio per il solletico che le sue dita mi stavano causando. Era mancato così tanto pure a me, troppo...
Fu un bacio parecchio confuso ora che ci penso, poichè non feci altro che ridacchiare di gioia come un idiota e cercare di accarezzarlo il più possibile, come prova del fatto che fosse davvero lì e che non lo stessi sognando.
“Non scappare più da me, ti scongiuro.” Bisbigliò abbracciandomi strettissimo a sè, interrompendo perciò il bacio.
“Non succederà più, promesso Gee...” Affondai le dita fra i suoi capelli nodosi e presi ad accarezzargli la testa piano e lentamente, dato che avevo sempre avuto questa fissa di immeggervi le mani dentro e renderli un casino. Sorrisi nell’incavo del suo collo, intenerito nel sentire qualche sua lacrima di gioia bagnarmi la spalla.
Quando ci staccammo l’uno dall’altro e ci guardammo perciò in faccia, scoppiammo a ridere.
“Guarda cosa mi fai fare!” disse continuando a ridere e asciugandosi gli occhi umidi “Ora che ci penso, potremmo anche passarlo qui il pomeriggio, possibilmente abbracciati o magari baciandoci, è lo stesso.” Fece spallucce, sorridendomi dolcemente, così che non riuscii a trattenermi e gli diedi un altro piccolo bacio sulle labbra. Avrei potuto e voluto baciarlo per tutto il pomeriggio.
“Mi permetti di andare un attimo in bagno a lavarmi?” Era ovvio che avrebbe voluto rispondere “no”, dato che mi si era riappiccicato addosso e aveva preso a baciarmi ancora il collo con insistenza, ma alla fine fu obbligato a sciogliere l’abbraccio e lasciarmi andare. Pensai avesse un debole per il mio collo, una fissa nel baciarlo e morderlo e il pensiero mi fece venire un dolce solletichio alla pancia, perchè se lui amava farlo, io adoravo sentire la sua bocca sulla mia pelle.
Quando uscii, lo trovai seduto sul letto con in mano la mia chitarra, quella che mi aveva regalato lui quella che oramai sembrava una vita fa...
“Da quando hai imparato a suonare la chitarra?” Chiesi sedendomi accanto a lui.
“Oh, no non so suonare, cioè, solo una canzone...”
“Ah sì? Quale?” Si grattò la testa in segno di disagio e ridacchiò imbarazzato, per poi sospirare e rispondere alla mia domanda.
“È-È una cavolata, cioè, ieri stavo rovistando in un cassetto che non aprivo da anni e ho ritrovato questo...” mi allungò un foglio leggermente sgualcito dal tempo “e-e non mi ricordavo neanche di averla più onestamente. È una canzone che ho scritto per te dopo averti conosciuto, nel senso, non proprio subito, dopo un po’, e non ho mai avuto il coraggio di suonartela e cantartela... È stupida, davvero, però se non hai niente da fare, ecco, potrei provare a...”
“Vuoi scherzare Gee?? È la cosa più bella che qualcuno abbia mai fatto per me... Come potrei non volerla sentire?” Fissai il foglio tra le mie mani, cominciando a leggere qualche parola e frase e sentendo il mio cuore cominciare a battere veloce.
“N-Non lo so, è stupida e imbarazzante e...” Lo zittì con un bacio.
“E io voglio sentirla.”
“Tecnicamente anche Mikey ha contribuito, sai, con la chitarra. Abbiamo praticamente studiato assieme.”
“Hai rovinato tutto! Doveva essere una cosa romantica e ci hai ficcato dentro Mikes, non ho parole...” rise, mentre io finsi di disperarmi portandomi una mano sul viso “Come si intitola?” Chiesi sedendomi meglio sul letto, a gambe incrociate e intento a guardarlo mentre tentava di tenere in braccio la chitarra. Sorrisi, era troppo dolce, impacciato ed imbarazzato nel cercare di capire quale fosse la posizione migliore per suonare.
“T-The World is Ugly...” Bisbigliò, per poi, soddisfatto della posizione assunta, prendere in mano il plettro.
“Wow, che titolo romantico.”
“Aaaah taci! N-Non cominciare, sono già abbastanza teso di mio!” Mi sporsi per dargli un ultimo piccolo bacio sulla guancia per scusarmi, e poi lo lasciai fare.
Cominciò a suonare e il mio sorriso non fece altro che allargarsi ancora di più, poichè, così come faceva quando si concentrava per disegnare, un pezzetto della sua lingua prese a spuntare dalle sue labbra. Fu quando cominciò a cantare che il mio cervello mi disse definitivamente addio e il mio cuore si fermò, perchè... la sua voce, Dio mio, che cosa non era la sua voce. Chiuse gli occhi e per tutta la canzone non osò riaprirli, troppo concentrato ad accarezzare le corde giuste e ad impedire all’emozione di distorcere la sua voce. Dire che quella canzone era stupida, era come sostenere che io fossi alto, poichè pensare che l’avesse scritta lui per me, pensando a me, amando me, mi scaldò l’intero corpo e mi fece dimenticare tutta la sofferenza passata in quegli ultimi sei anni.
Solo alla fine della canzone mi resi conto di star piangendo come una una fontana, mentre allo stesso tempo il mio corpo era scosso da una forte risata di gioia e le mie mani stavano tremando.
“F-Frankie tutto be... Oddio!” Lo travolsi in un abbraccio-soffocamento, per poi bisbigliargli all’orecchio di mettere via la chitarra così che potessi dimostrargli quanto quella “stupida ed imbarazzante” canzone, come da lui sostenuto, mi fosse piaciuta. Il resto del nostro appuntamento lo passammo perciò accartocciati sul letto a baciarci ed accarezzarci, io a sclerare in una maniera imbarazzante per quella canzone meravigliosa e lui ad ascoltarmi col sorriso.
“Posso dirti una cosa?” Chiesi accarezzandogli piano il volto.
“Dimmi pure.”
“Ecco... L’altro giorno, prima di venire alla mostra, ho parlato con Mikey e-e mi ha raccontato un po’ cos’è successo in questi anni...” abbassai lo sguardo sentendo il cuore esplodermi nel petto “...cos’è successo in quei cinque mesi in cui mi hanno ricoverato e in quel mese dopo che... beh, dopo che ci siamo lasciati.”
“Oh...” lo sentii irrigidirsi sotto il mio tocco “Che cazzo, doveva rimanere segreta la cosa... Dimentica tutto e non pensare che io sia uno stalker maniaco, ti prego...” Sentite quelle parole risi, non ce la feci proprio a trattenermi, poichè la sua ingenuità a volte mi sorprendeva ancora, facendomi sciogliere il cuore per la dolcezza.
“Non voglio dimenticare Gee, voglio ringraziarti.”
“R-Ringraziarmi??” Risi ancora.
“Sì, ringraziarti, per essermi stato accanto in quel periodo terribile, per aver lasciato la tua nuova vita ed essere ritornato qui, a fare un lavoro da pezzente, per controllare se stessi bene... E ti ringrazio anche per aver speso un capitale in rose che non meritavo...” sorrisi “Ti ringrazio per non aver smesso di amarmi.” Si accucciò meglio accanto a me, abbracciandomi stettissimo e sorridendo come un bambino.
“Lo rifarei ancora mille volte se ce ne fosse bisogno, non c’è neanche da pensarci. Sei più importante di ogni cosa Frank, ricordalo. Non avrei mai potuto smettere di amarti.”
“Che cosa ho fatto per meritarti?” Quella domanda rimase sospesa nell’aria, mentre lui mi strinse sempre più al suo petto e mi accarezzò piano.
“Me lo chiedo anch’io Tesoro...” Sorrisi estasiato.
Anche se controvoglia, ci alzammo dopo una buona ora di coccole e risate per andare in cucina a bere qualcosa, anche se durante il tragitto ci fu un piccolo imprevisto che consisteva in me che spiaccicavo Gee contro il muro per baciarlo un’ennesima volta.
“Mi dispiace disturbare, ma... Frank, perchè non mi hai mai presentato il tuo ragazzo!?” Mia madre aveva sempre avuto quello che si definisce “tempismo perfetto”...
“Perchè non c’è bisogno che ti presenti qualcuno che già conosci.” Mi scollai da Gee, così che mia madre potesse vederlo e riconoscerlo e, dopo averlo scrutato per poco più di dieci secondi, urlò un “Gerard!!” che ci assordò e ci fece scoppiare entrambi a ridere. Per il resto del pomeriggio mia madre lo tartassò di domande, complimenti per quanto bello fosse e congratulazioni per essere tornato insieme a me.
“Visto com’è diventato bello il mio Frankie?” Gli chiese, così che automaticamente mi ritrovai ad arrossire e lamentarmi.
“Oh sì, ho visto eccome...” Mia madre non avrebbe mai capito quando era il caso di chiudere la bocca, poichè la risposta che le diede Gee unita allo sguardo che mi rivolse, mi fecero ribollire il sangue nelle vene. Contando poi il fatto che quei capelli lo rendevano dannatamente e incocepibilmente sexy...
“Ti fermi a cena Tesoro?” Chiese, ma fortunatamente Gerard rifiutò l’invito, così che tirai un sospiro di sollievo, dato che “cena + Gerard + mia madre” equivaleva a ben più di qualche domanda e situazione imbarazzante...
“Contento che ho rifiutato?” Mi chiese quando lo accompagnai sulla porta.
“Non puoi capire quanto.”
“Domani che fai?” Mi chiese accarezzandomi lentamente un fianco.
“Lavoro, poi ho promesso a mia nonna di andare a trovarla, m-mi dispiace...” Mi sorrise.
“Non preoccuparti, magari faremo qualcosa nel fine settimana, okay?” Annuii deciso, per poi far unire un’ultima volta le nostre labbra in un bacio lento e alquanto eccitante.
“Frank saluta il tuo ragazzo! È pronto!” Okay, uccidere la propria madre era contro la legge, ma la mia in casi come questi istigava proprio l’omicidio.
“Scusami...” Dissi roteando gli occhi al cielo.
“Non c’è problema” rise “Buonanotte.” E se ne andò.
Per una volta ero stato io ad aver preso il controllo della mia vita e non il contrario, per una volta mi ero concesso di essere amato ed amare a mia volta e per una volta... mi stavo concedendo di provare la cossiddetta felicità.

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


La ventottesima volta in cui vidi Gerard Way, facemmo l’amore.
“Frankie...? Piccolo, aprimi. Non siamo obbligati a far nulla, okay?” Buffo, no? Il mio ragazzo era nella stanza aldilà di quella porta, nudo e ad aspettarmi, mentre io ero chiuso in bagno a tremare e fissare la mia figura, a sua  volta nuda, nello specchio. Potevo essere guarito quanto volevo, ma il problema col mio corpo, col farmi vedere nudo da qualcun altro, era qualcosa di cui non mi sarei mai liberato, almeno non facilmente.
“Frankie...” Mi scappò una lacrima che mi asciugai all’istante, non osando alzare lo sguardo verso il mio riflesso. Non capivo quale fosse il problema, giuro, in fondo era solo un corpo, stavo tremando solo a causa di un po’ di carne, pelle, ossa e muscoli, a causa di qualcosa di cui tutti sono dotati, qualcosa che è uguale per tutti e di cui nessuno dovrebbe vergognarsi, ma la mia mente a quanto pareva non aveva capito questo semplice meccanismo della vita.
Era stato un problema anche col mio ex, tanto che dopo la terza volta che eravamo andati a letto insieme con il teatrino “dell’odio il mio corpo” prima, mi aveva minacciato di lasciarmi se fosse successo ancora; inutile dire che una settimana dopo mi aveva lasciato...
“Piccolo sei bellissimo... Qual è il problema?” Da quanto ero chiuso in bagno non mi era dato saperlo, ma era sicuramente troppo, era passato troppo tempo e stavo facendo soffrire Gerard ancora una volta. Era stato dolcissimo, mi aveva spogliato piano e delicatamente, baciando ogni singolo centimetro di pelle dopo avermi sfilato un indumento, ma quando era arrivato il turno dei boxer la mia mente aveva detto “stop!”, mi aveva detto che era troppo, che non potevo permettere che qualcuno mi vedesse nudo e che dovevo assolutamente andarmi a chiudere in bagno e autodistruggermi con i miei pensieri.
Non avevo un brutto corpo, era okay, niente di che diciamo, era solo un fottuto corpo che, nonstante io non lo apprezzassi neanche un po’, Gerard pareva amare alla follia e voler disperatamente toccare.
“Frank mi rivesto se è questo il problema, basta che torni qui da me... Ti lascio i vestiti fuori dalla porta, io m-mi giro verso il muro e non ti guardo, anzi! Vado via dalla stanza e torno dopo, okay...? Esci da lì però, ti prego...” Sentite quelle parole, mi lasciai sfuggire un singhiozzo di pianto, poichè era totalmente assurdo: io volevo fare l’amore con Gee, ma allo stesso tempo non volevo che mi vedesse, che i suoi occhi si posassero sul mio tanto odiato corpo.
“No no no Frankie, ti scongiuro, apri! Non posso star qui sapendo che stai piangendo!”
“Mi odi, n-non è vero?”
“No che non ti odio, perchè mai dovrei...?” Lo sentii sospirare e poggiarsi alla porta.
“P-Perchè non ti permetto di guardarmi...” altro singhiozzo “di toccarmi...”
“Okay, ascoltami bene. Non mi importa se non sei pronto per farlo, nel senso, mi importa molto di più che tu stia bene, che smetta di piangere e che apra questa dannata porta così che possa darti i vestiti e abbracciarti. Muoio dalla voglia di toccarti Frank, non lo nego, ma muoio anche e soprattutto dalla voglia di renderti felice e cercare di riempire e sostituire questi sei anni di merda con qualcosa di bello, con qualcosa di felice, perchè sono stufo di sofferenza e tristezza e penso che lo stesso valga per te. Te l’ho già detto una volta in passato e lo ripeto ora: aspetterò tutta la vita accanto a te prima di poterti soltanto sfiorare se necessario...”
Aprii la porta.
Mi ritrovai faccia a faccia con lui e rimanemmo qualche istante immobili a fissarci, fino a quando non feci un passo in avanti e, con mano tremante, gli sfiorai il viso.
“Non serve che tu aspetti tutta la vita...” Mi abbracciò, mi strinse fortissimo a sè, non lasciando alcuno spazio fra i nostri corpi e bisbigliandomi di continuo all’orecchio quanto bello, meraviglioso e stupendo fossi. Quando mi lasciò andare, il suo sguardo scese lentamente dalla mia faccia, verso il petto, poi la pancia e sempre più verso il basso. Un sorriso di pura beatitudine prese spazio sul suo viso.
Feci lo stesso, cominciando ad osservare per la prima volta in vita mia le forme del suo corpo, più morbide e dolci rispetto alle mie e pensai che se io ero un’opera d’arte, allora Gee non poteva che essere direttamente un intero museo.
Lo baciai, gli afferrai il viso tra le mani e lo baciai intensamente, appiccicandomi a lui e muovendomi piano contro il suo corpo, facendo ondeggiare il bacino, scontrandolo contro il suo. Inutile dire cosa successe dopo...
Mi portò sul letto, tenendo la mia mano stretta nella sua e, non appena mi fece sdraiare, si prese qualche altro momento per ammirarmi e fare apprezzamenti sul mio copro, facendolo automaticamente piacere un pochino di più pure a me. Lo facemmo lentamente, con una dolcezza tale che un po’ mi vergognai di essere stato così stupido, impaurito ed immaturo poco fa, poichè Gerard sapeva sempre come farmi star bene, come mettermi a mio agio nonostante tutto, e di questo non avrei mai smesso di essergli grato.
“Ti basta sapere che, anche se tu non ti vedi bello, per me sei perfetto?” Sorrisi di gioia pura.
Quando finimmo, cominciò con uno sproloquoio confuso e totalmente insensato che trovai semplicemente adorabile.
“Mi dispiace se ti ho forzato, se non ti sentivi pronto, se non volevi, se...”
“Ssssht” lo zittì con un bacio “Va tutto bene, è stato perfetto, okay?” Mi guardò con un’espressione dolce e soddisfatta come, mi ero accorto, faceva spesso quando parlavo o facevo qualcosa, indipendentemente da cosa fosse.
Rimanemmo quindi sotto le coperte ad accarezzarci, baciarci e coccolarci per il resto della serata, arrivando alla conclusione che quella notte l’avrei passata nel suo letto e che dunque mia madre se ne sarebbe fatta una ragione.
“Frankie?” Bisbigliò piano mentre la mia testa era poggiata sul suo petto. Mugugnai nel dolce dormiveglia che le sue coccole mi stavano causando, giusto per fargli capire che ero sveglio e in ascolto.
“Vuoi dirmi cos’è successo prima...?” Sospirai, improvvisamente più sveglio e, anche se la mia risposta era no, gli diedi una piccola e breve motivazione che in fin dei conti si meritava.
“N-Niente di che... Strascichi del mio passato, non mi accetto ancora, non totalmente almeno...” sospirai nuovamente “Magari col tempo passerà...” Aggiunsi con decisamente molta poca convinzione, poichè se a ventisei anni ancora soffrivo di pare del genere, allora vedevo dura una totale guarigione.
“Ti aiuterò a piacerti, promesso...” sorrisi rincuorato da quelle parole “Ora dormiamo però. Notte piccolo.”
“Notte Gee.” Mi sollevai un secondo per posare un bacio leggero sulle sue labbra, per poi tornare nella mia posizione comoda e calda di prima.
Dopo circa cinque minuti di silenzio in cui il dolce torpore del sonno mi stava abbracciando, sentii la voce di Gerard sussurrare tre “semplici” parole...
Ti amo Frank...” Mi si bloccò il respiro.
L’ultimo “ti amo” risaliva a tempo fa e si era concluso in una tragedia, che dovevo fare?? Insomma, pure io lo amavo, ma non ero capace di articolare quelle due brevi parole, il mio cervello pareva non averle ancora imparate, così che cominciai ad agitarmi e irrigidirmi.
“A-Anc...” Ma fortunatamente mi bloccò posandomi un dito sulle labbra, prima che potessi finire.
“Non serve che me lo dica pure tu, lo farai quando e se sarai pronto, okay Amore? Mi sentivo solo in dovere di dirtelo, tutto qui. Non preoccuparti, non mi offendo se non lo dici anche tu.” Detto questo mi diede un bacio tra i capelli e mi sistemò meglio sul suo petto, accarezzandomi piano.
“Posso almeno dirti che ti voglio tanto ma tanto bene?”
“Perfetto...” Capii dal tono della sua voce che stava sorridendo, così che feci la stessa cosa pure io.
“Buonanotte Gerard...” sussurrai nel suo collo “...ti voglio bene” E mi addormentai.
 

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


*Piccola nota inutile*
Ci credete se vi dico che ce l’ho fatta e che quindi... la storia è finita? Nel senso, i capitoli rimangono trenta come da me già detto all’inizio, ma diciamo che la storia in sè finisce qui, che il prossimo sarà solo una conclusione per far salire la nostalgia alle stelle (almeno a me) e niente di più.
Credetemi, la cosa mi sta dando parecchia tristezza, dato che qui su Word dove ho ricopiato tutto mi segna che ho riempito un bel settanta pagine e passa di cavolate, un libro in pratica...
Lasciando perdere queste cose idiote di cui a nessuno importa, vi lascio alla storia, conservando i ringraziamenti per il capitolo trenta.
Baci :*

 

 



 

La ventinovesima volta in cui vidi Gerard Way, gli regalai un mazzo di rose.

“Gee questo bagnoschiuma fa cagare, lo sai?”
“Taci Frank. Non è di certo il bagnoschiuma il motivo per cui sono qui.” Disse non muovendo le labbra da quel punto sul mio collo sul quale sembrava essersi fissato con molto interesse.
Ringraziai il cielo che in quel periodo mia madre non facesse più di tanto caso al fatto che fosse già la seconda volta che non tornavo a casa la notte, presentandomi il mattino dopo con dei capelli tutto meno che pettinati, le occhiaie fino ai piedi e un sorriso enorme in volto; difatti, dopo aver fatto l’amore per tutto il pomeriggio, ci eravamo trascinati nella vasca da bagno per lavarci ma, soprattutto, coccolarci un po’. Ho sempre amato le coccole, il farmi stringere ed accarezzare da Gee mentre mi sussurrava ogni genere di dolcezza nell’orecchio. Certo, c’era stato ancora un momento di disagio prima che i miei boxer venissero via, e uno ancora prima di entrare nella vasca da bagno, ma tutte e due le volte Gee si era messo entrambe le mani sugli occhi dicendo che non mi avrebbe guardato, sebbene sapessi che in realtà i suoi occhi erano ben fissi su di me. Lui usava la tenerezza in casi come questi e mi resi conto che forse era questa la soluzione migliore, l’unica che fino a quel momento non mi aveva fatto accartocciare in un angolino a tremare davanti a situazioni per me insostenibili.
Risi quando prese a baciare un punto sulla mia spalla che mi scatenò un’ondata di solletico indescrivibile.
“Frankie?” Mi chiese dopo aver deciso che il suo lavoro era finito, ovvero dopo avermi lasciato un segno rosso grande quanto una casa sulla pelle.
“Dimmi.” Risposi per poi portare una sua mano vicina alle mie labbra e baciarla dolcemente.
“Sei felice?”
“In che senso Gee?” Era una domanda parecchio semplice a dire il vero, ma non capivo il perchè mi avesse chiesto una cosa del genere.
“Nel senso che... sei felice ora, qui, con m-me...? Sei abbastanza sereno da voler restare con me?” Sorrisi intenerito da quella domanda, anche se contemporaneamente un’ondata di tristezza e sensi di colpa mi travolsero, poichè era colpa mia, era mia la colpa di quella domanda e di quei suoi dubbi.
Non gli risposi, mi alzai e uscii dalla vasca, avvolgendomi un’asciugamano sulle spalle per comprirmi ed asciugarmi, per poi dirigermi fuori dal bagno.
“Frank!? C-Che ho detto di male?? N-No, ti prego, non andare via, i-io... Frankie!”
“Sssht non vado da nessuna parte Gee...” sussurrai sulle sue labbra dopo essermi inginocchiato accanto a lui fuori dalla vasca “Esci e aspettami di là che, anche se tecnicamente il tuo compleanno è domani, ho un piccolo regalo per dimostrarti quanto sono felice, quanto mi rendi felice... Okay?” Mi sorrise improvvisamente più rilassato e si alzò a sua volta.
“Mi hai fatto morire di paura, cazzo!” Ridemmo insieme.
Quando stava per prendere un’altra asciugamano per coprirsi a sua volta, lo bloccai e lo avvolsi con la mia, in modo che la sua pelle bagnata entrasse in contatto con la mia già asciutta.
“Mmmh sei caldo...” sussurrò abbracciandomi a sè “Mio Dio Frank, ti amo così tanto, non riesco a trattenermi dal dirtelo...” Sorrisi di gioia pura nel sentire quelle parole e cominciai a passare le mani su tutto il suo corpo per asciugarlo, mentre decisi che stavolta era il mio turno di baciargli il collo.
“Vai ora, torno subito.” Dissi per poi dargli una pacca sul sedere e lasciarlo lì in piedi, nudo e con un’espressione che descriveva alla perfezione cosa fosse la beatitudine.
Non sapevo quanto potessero essere belle ancora, insomma, erano ore che se ne stavano chiuse in quel sacchetto, unico modo per tenergliele nascoste e non rovinargli la sorpresa meravigliosa che avevo preparato. Le presi in mano e tirai un sospiro di sollievo nel vedere che non si erano sgualcite più di tanto, per poi dirigermi di nuovo verso la stanza ed aspettare sulla porta. Sorrisi nel vedere che mi stava aspettando seduto sul letto a gambe incrociate, con un’espressione da bimbo felice e un sorrisone stampato in volto.
“Chiudi gli occhi Gee, stavolta per davvero però.” Il suo sorriso non fece altro che ingrandirsi nel vedermi sulla soglia, ma poi fece come da me richiesto, portandosi un cuscino sul volto così che ero certo non avrebbe visto nulla.
“È sufficiente così?” La sua voce mi arrivò ovattata e confusa a causa dell’ammasso di piume che si stava pigiando in faccia, così che l’adorabilità della situazione raggiunse livelli indescrivibili.
Mi avvicinai al letto senza rispondergli e senza far rumore, per poi una volta arrivatogli davanti, salire sul materasso e inginocchiarmi davanti a lui. Cominciai ad immaginarmi come avrebbe potuto reagire, se mi avrebbe abbracciato, baciato o entrambe le cose, se avrebbe pianto o riso, se avrebbe capito cosa quel gesto volesse significare o se mi avrebbe chiesto spiegazioni, così che decisi di smettere di immaginare e godermi la sua reazione dandogli finalmente la sua sorpresa.
“Apri gli occhi...” Gli bisbigliai all’orecchio, così che ubbidì all’istante. Questa reazione non l’avevo prevista... Si portò le mani sulla bocca e fece un gridolino dolcissimo di pura gioia non appena i suoi occhi, già umidi dall’emozione, si posarono su quel mazzo enorme di rose rosse che tenevo in mano.
“Non sono bravo con le parole, penso tu oramai lo abbia capito, come non sono bravo a tenermi strette le persone a cui tengo, arrivando addirittura a raggiungere l’esatto contrario di ciò da me previsto, allontanandole dalla mia vita, isolandomi, ma non questa volta...” gli asciugai una lacrima baciandola via “Penso di essermi reso conto di amarti ben prima di qualche giorno, settimana o mese fa, poichè...” feci un bel respiro profondo “Gerard, ti amo da sei anni, sì, l’ho detto e lo penso davvero, non ho paura ad ammetterlo, non più...” allungai meglio il mazzo verso lui “Anche se in ritardo, ti chiedo di perdonarmi e, se vuoi, accettare il mio amore come regalo per il tuo compleanno, come regalo per la nostra vita, insieme...” Prese il mazzo di rose tra le mani e lo posò accanto a sè, per poi, col volto rigato dalle lacrime, afferrare delicatamente il mio viso e baciarmi dolcemente per minuti.
“Buon compleanno Amore...”
Ce l’avevo fatta.

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


*“Piccola” nota inutile*
Bene... Mi sembra impossibile che già abbia pubblicato 30 capitoli, però è successo, e quindi ora mi ritrovo a dover fare i soliti ringraziamenti inutili che nessuno leggerà ahahaha.
Siete state tutte dolcissime, indipendentemente da chi ha recensito o messo fra i preferiti, perchè io vedo le visite e non mi è mai successo di raggiungere un obiettivo del genere (sì, per me è un obiettivo) dopo così poco tempo, quindi GRAZIE <3
So che la prima parte della storia è un po’ meno fanfiction e un po’ più racconto, come so che vale il contrario per dopo, ma era voluto in un certo senso, un “augurio” che faccio e lascio a voi (e anche a me stessa se Dio vuole...) per un lieto fine futuro, dato che io, essendo un grande ammasso di sogni ed illusioni, credo con tutta me stessa nel lieto fine, sempre e comunque.
Tutto questo discorso per una fanfiction, wow ahahahah questo vi fa comprendere il mio livello di maturità...
Ho finito, la concludo qui!
Grazie mille a tutte, vi voglio bene e, se volete, alla prossima :*

 

 


Quanti di voi saprebbero rispondere alla domanda “che cos’è l’amore?”.
Quanti di voi avrebbero una risposta pronta, una risposta certa, sicura e decisa? Beh, proviamo, parto io se volete, così che nel frattempo possiate pensare a qualcosa, possiate mettere un po’ di ordine fra le vostre idee confuse.
Amore... cominciamo col dargli la definizione per eccellenza, quella che anche i bambini saprebbero dare: “Amore è volersi bene”, sì, è giusto, concordo con questa definizione, ma penso che si possa comunque fare di più, voi che dite?
“Amore è avere occhi solo per una persona per tutta la vita” vero anche questo, ma cos’altro è l’amore?
Credo che ognuno di noi abbia una propria definizione impressa nel cuore, ma credo anche che il cuore non sappia interagire con il cervello, non sappia comunicargli questa definizione intima, fragile e delicata, così che nessuno di noi sa cosa in effetti sia questa emozione, sentimento, stile di vita, modo di pensare e chi più ne ha più ne metta.
Cos’è l’amore?
Beh, proverò io ora se permettete, proverà il mio cuore a parlare al posto del mio cervello...
Amore è svegliarsi improvvisamente nel cuore della notte sorridendo nel ripensare ad una situazione vissuta con una certa persona conosciuta il giorno appena passato.
Amore è parlare con il prorpio riflesso nello specchio, pretendendo di essere davanti a una certa persona e sperando di non risultare così imbranato, stupido ed incapace anche ai suoi occhi.
Amore è svegliarsi al mattino col sorriso, sebbene tu soffra di depressione diagnosticata da uno psichiatra e sebbene tu abbia tentato il suicidio così tante volte da averne perso il conto.
Amore è voler vivere, voler star bene, voler migliorare per poter risultare perfetto davanti agli occhi di una certa persona, sebbene tu non sarai mai perfetto.
Amore è stare svegli fino a notte fonda a maledirti e tremare ripensando a qualcosa che hai fatto o non hai fatto, alle occasioni che hai perso e a quelle che hai buttato via per sempre, agli errori compiuti davanti a una certa persona per colpa della tua stupidità.
Amore è sofferenza, è accartocciarti sul pavimento ad urlare e piangere, è voler morire, ma allo stesso tempo è anche voler volare, saltare e gridare di gioia; è voglia di vita.
Amore è vomitare dall’agitazione al pensiero di dover vedere una certa persona dopo averle detto qualcosa che non avresti mai voluto, è voler rimanere chiusi in casa per sempre perchè sai che non sarai mai abbastanza, non per quella persona che per te è tutto...
Amore è scoppiare a ridere senza motivo mentre sei davanti alla televisione, mentre stai mangiando, mentre stai studiando per gli esami.
Amore è cercare di memorizzare ogni piccolo dettaglio di una certa persona per, una volta a casa da solo, poter ripensare a quanta perfezione esista al mondo e a quanto venga sottovalutata.
Amore è ascoltare la stessa canzone per un giorno intero, senza essere in grado di poter sentire un altro suono che non sia quella melodia, che non sia la melodia di quella persona.
Amore è arrendersi, è capire quando fare un passo indietro, è delusione ed è cambiamento, perchè quella certa persona ha finalmente capito quanta pena tu faccia, quanto mediocre, stupido e totalmente inutile tu sia per lei.
Amore è passato, è ricordi, è ritornare sui propri passi per aiutare una certa persona, anche se oramai, non siete altro che due estranei, che due puntini minuscoli su un foglio troppo grande.
Amore è perdonare, è dire “pace”, è rendersi conto dei propri errori, delle proprie debolezze ed è dare una seconda possibilità.
Amore è coraggio, è forza, è andare avanti anche quando questa certa persona, una volta tua fonte di vita, ha preso una strada parallela ma non coincidente alla tua.
Amore è ritrovarsi, è riabbracciarsi dopo anni di distanza ed è perdersi negli occhi di una certa persona, una persona che mai ti stancherai di amare, sorreggere, aiutare, accudire, dipingere ed abbracciare durante le notti fredde d’inverno.
Amore è un paio di occhi color nocciola, un sorriso ingenuo, un corpo colorato da troppo inchiostro, delle mani che si incastrano alla perfezione con le tue, il suono di una risata.
Amore è stare a casa ad accudire tuo marito la sera del vostro quinto anniversario di matrimonio in cui dovevate andare a quel concerto del quale parlavate da così tanto tempo ma a cui tu hai rinunciato perchè questa certa persona ha un sistema immunitario che fa pena e si è presa l’influenza.

“M-Mi dispiace Gee...”
“Sssht, dormi.”
“Ti amo.”
“Ti amo anch’io Frankie...”
Amore è... Frank, semplicemente Frank.
La prima volta in cui vidi Frank Iero, eravamo due ragazzi distrutti ed incapaci di dare una definizione alla parola “amore” e, onestamente, non mi importa sapere quando sarà l’ultima volta che lo vedrò, poichè il resto della mia vita io lo passerò assieme a lui, la mia vita è l’Amore.
E per voi invece? Che cos’è per voi l’amore?

*Fine.*

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