Don't threaten me (with a good time)

di Himawari__
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Up your sleeve (Steve Rogers/Tony Stark) ***
Capitolo 2: *** Candid Camera? (Steve Rogers/Tony Stark) ***
Capitolo 3: *** Accade durante un venerdì sera (Steve Rogers/Tony Stark) ***



Capitolo 1
*** Up your sleeve (Steve Rogers/Tony Stark) ***


per il prompt: Soulmates!AU

Up your sleeve


Quando Tony vede apparire sotto al nome di Pepper, cancellato da una x veramente antiestetica, un secondo nome, per poco non scivola nella doccia dallo shock.

È notte fonda, non si sente particolarmente sobrio, e la bottiglia di cognac mezza vuota giace abbandonata sull'asse del gabinetto, in una pantomima triste e stupida dei peggiori film di serie Z. Cercare lo shampoo è un'impresa particolarmente ardua quando la vista è annebbiata e la coordinazione corpo-mente è pari a zero, ma con un po' d'impegno e fortuna riesce ad afferrare il flacone profumato senza rovesciarne il contenuto a terra.

È in quel momento, quando ha il braccio proteso mentre cerca di capire se ha fra le mani lo shampoo o chissà quale altri schifezza, che lo nota: la seconda possibilità che il destino gli ha sfortunatamente concesso ha un nome e – sicuramente è un'allucinazione, anche se non ricorda di aver assunto droghe – perfino un volto.

Dopotutto, chi non conosce Steve Rogers?

Si passa una mano sul polso, sfrega energicamente coi polpastrelli, poi, quando il suo cervello registra che no, la scritta non andrà via tanto facilmente, si accascia a terra e versa tutto il flacone su quel nome impossibile, urlando e sfregando e graffiando fino a far sanguinare la pelle bianca del braccio.

Quando si risveglia è l'alba, ed è ancora nudo, seduto all'interno del vano doccia; dove ha raschiato con le unghie e i denti si sono formate delle crosticine, ma il nome Steve Rogers rimane lì, odioso e impossibile nella sua ineluttabilità.

Il destino, che da anni si fa beffe di lui, ha pensato bene di punirlo un'altra volta, dandogli come secondo nome una persona morta da tanti, troppi anni.

È un orribile scherzo? 

Deglutisce e si rialza, barcollando, appoggiandosi alla porta scorrevole in vetro.

Cerca di convincersi che basterà aspettare.

Steve Rogers è morto, dannazione, e anche nella ridicola eventualità in cui possa tornare magicamente in vita (ah!), non accetterebbe mai condividere il resto della sua vita con un uomo miserabile come lui.

Chi la penserebbe diversamente?

Il tempo passerà, e il suo nome verrà cancellato da una brutta croce, come quello di Pepper. Avrà un altro tentativo – l'ultimo, pensa con lo stomaco stretto in una morsa dolorosa –, dovrà sopportare un ultimo rifiuto, ma poi le sue pene finiranno, si spera, una volta per tutte.

Quando esce dalla doccia, prima ancora di cercare un asciugamano, corre incespicando verso la bottiglia di cognac. La afferra con forza, un'ancora di salvezza in un tumulto indescrivibile di emozioni, lancia un ultimo sguardo al nome tatuato sulla pelle e ne svuota il contenuto in un unico, lungo sorso.

 

 

Il trauma maggiore, paradossalmente, non è stato risvegliarsi in un mondo nuovo, con persone nuove e tecnologia nuova e tutto nuovo.

No.

L'orrore e lo stupore sono sopraggiunti nel cuore notte, quando tutto tace tranne il pensiero costante, rumoroso e doloroso verso una vita che è vicina e lontanissima al tempo stesso; chiuso nella privacy della sua stanza d'albergo, per la prima volta da quando si è svegliato ha avuto modo e tempo di scostarsi la manica dal polso e rivelare il nome della sua anima gemella.

Aveva temuto che la firma di Peggy Carter, scritta con quei caratteri così minuziosi che aveva imparato a memoria, sarebbe stata cancellata dal tempo e dalle esperienze; il pensiero lo aveva tormentato per tutto il giorno, anche mentre cercava un modo per riportare alla normalità gli Avengers, anche mentre guardava per la prima volta l'America del futuro, constatandone tanto la bellezza quanto la corruzione.

Trovare il suo nome cancellato da una lunga x gli procura un senso di smarrimento doloroso, quindi, ma non inaspettato.

Ciò che lo stupisce è che il fato non ha perso tempo con lui, e il nome di un'altra persona – un uomo, oltretutto – è scritto sotto il suo, in caratteri quasi illeggibili. Steve porta il polso sotto la lampada del comodino e aguzza la vista, e sente il cuore quasi scoppiargli dalla gioia quando finalmente riesce a capire di chi si tratta.

Tony Slark… Stark?

La consapevolezza di non essere solo lo colpisce come un treno in corsa. In quel mondo orribile e meraviglioso esiste qualcuno che lo sta aspettando a fiato sospeso, qualcuno di speciale, fatto per lui, da amare e adorare e a cui dedicare tutto se stesso.

La sua anima gemella.

È una sensazione meravigliosa e spaventosa al tempo stesso, perché fino a pochi minuti – anni? - prima non avrebbe mai pensato che un uomo potesse venir abbinato proprio a lui, fra tutti… ma è una decisione del destino, e per quanto i suoi piani siano astrusi e incomprensibili il più delle volte, Steve non è proprio tipo da discuterli senza prima analizzarli un poco.

Per la prima volta da quando si è risvegliato, si sente in pace con se stesso, seppur percorso da uno strano senso di vertigini e anticipazione. Quando va a dormire, istintivamente si porta il braccio accanto al viso e stringe il polso a sé, accarezzando i contorni di entrambi i nomi col pollice.

Peggy gli manca terribilmente, e come potrebbe non essere così? Sa che dovrebbe cercarla, scusarsi – di cosa, razionalmente non lo sa, ma sente il dovere di non lasciare nulla in sospeso – ma prima deve cercare Tony, chiunque egli sia, e rassicurarlo che c'è, è vivo, e non lo abbandonerà mai.

Ha commesso quest'errore una volta – non ha intenzione di rifarlo.

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Capitolo 2
*** Candid Camera? (Steve Rogers/Tony Stark) ***


per il prompt : prostitute/client!AU
 

Candid Camera?

« Così – » Tony guarda il cliente davanti a sé una, due, tre volte, il sopracciglio inarcato in quella che spera sia la sua migliore espressione supponente e incredula al tempo stesso « ti hanno pagato quattro ore con me. »

« Sì, » Lo sguardo di Steve saetta ora su di lui ora sul pavimento, in quella che ha tutta l'aria di essere una battaglia personale estremamente sofferta. Tony gli riderebbe in faccia, se 1) non stesse lavorando, e aveva una certa etica professionale, lui e 2) la situazione non fosse così assurda da risultare quasi surreale.

« Ma tu non vuoi far sesso. » Scandisce quindi lentamente, come se stesse parlando a un bambino con deficit cognitivi. Lo sguardo di Steve si posa – finalmente – su di lui, e l'uomo arrossisce furiosamente.

« E-esatto. »

E, per par condicio, inizia a tormentarsi quelle grosse, ampie, callose mani, che Tony non sta mica ammirando da quando è entrato nella stanza, figurarsi.

Etica professionale è la parola d'ordine, in questi casi.

« Cos'è, uno scherzo? » Esclama Tony, vagamente offeso, perché, siamo seri, chi è che non vorrebbe fare sesso con lui? Sa di essere uno stronzo insensibile, ma compensa egregiamente con un bel faccino e un corpo di tutto rispetto, e nessuno, né al lavoro né fuori, ha mai avuto il coraggio di smentirlo. Inizia a camminare su e giù per la sontuosa camera da letto, disegnando coi passi cerchi immaginari su e giù per la stanza. Il parquet sotto i suoi piedi, lucido e pulito come non mai, riflette la sua immagine un po' più deformata, ma con un piccolo sforzo riesce a disegnare con la mente le linee immaginarie del completo scuro che sta indossando.

Alzato lo sguardo da terra, si passa le mani fra i capelli scuri, esasperato. « Dove sono le telecamere di Candid Camera?! »

Steve sembra profondamente allarmato. « Sì. Cioé, no. Mi hanno voluto fare questo… regalo di compleanno. I miei amici. Ecco. » Gli spiega, incespicando sulle sue stesse parole, come se neanche lui ci credesse – e perfino Tony faceva fatica a farlo, in tutta sincerità.

« Ma tu non vuoi il mio culo. » È la lapidaria ed ermetica affermazione di Tony. I casi sono due: o Steve è eterosessuale, e lui è parte di un elaborato, stupidissimo scherzo dal valore di duemila dollari, oppure il ragazzo davanti a sé è veramente candido e ingenuo come appare.

« No. Cioé, che lo voglio, cioé – » Steve si alza in piedi, confuso ed esasperato quasi quanto lui. È la prima volta che Tony lo vede diritto in piedi, e un po' gli dispiace che, per una volta che gli capita un cliente esteticamente piacevole (“altro che esteticamente piacevole, Tony, vorresti chinarti e prenderglielo in bocca qui e ora, e vedere se arrossisce così tanto anche quando viene”, gli mormora una vocina maligna nella testa), questo sia anche un po' matto. « Mi piaci. Sono serio. Sei un bell'uomo, nulla da dire, anzi, ma questo… » gesticola davanti a sé, un po' verso di lui, un po' verso le lenzuola di seta scure; Tony vorrebbe prestare attenzione al discorso con tutte le sue forze, ma quelle braccia sono veramente grosse e muscolose, sembra quasi che il cardigan brutto le contenga a malapena, e si ritrova a seguirle con gli occhi e la mente. « non sono io. Non è da me. »

Tony lo trova quasi tenero nella sua imbranata timidezza, tanto che, involontariamente, ammorbidisce un po' il tono di voce. « Quindi? Temo di essermi fermato al punto in cui non ti interessa scopare. »

« Quindi… non so? » Steve si gratta il collo, visibilmente a disagio « potremo… parlare? »

« Parlare? Per quattro ore? »

« Sì. Sempre che ti vada, ovvio, » aggiunge velocemente « ci conosciamo, e poi vediamo come va da qui in poi. Credo. »

« Per quattro ore. Tu sei pazzo, o scemo, o entrambe le cose, a questo punto neanche m'interessa più. Io me ne vado. »

Tony mette la mano sulla maniglia e fa per aprire, quando Steve con un gesto fulmineo posa la mano sulla sua e la stringe. « No, per favore, » Tony si volta di scatto, e lo sguardo di Steve, profondamente sincero, lo colpisce ancora una volta. Prima non lo aveva notato, nel turbine della sorpresa e della voglia di succhiarglielo, ma ha degli occhi bellissimi, di un azzurro chiaro e limpido, e dolci, e profondamente sinceri, perfino. Questa volta, è lui che si ritrova ad arrossire. « Non andartene. Ho sentito qualcosa quando ti ho conosciuto… non guardarmi così, sembra banale e stupido, e so di essere un disastro, ma voglio davvero conoscerti meglio. »

Alla fine, Tony, a dispetto di ogni sua previsione, resta per parlare. Trascorre la notte lì, in quella camera d'albergo lussuosa, a discorrere ore e ore con Steve di tutto e di niente. Scopre che Steve ha 22 anni, e ha chiesto un periodo di congedo dall'esercito per prestare assistenza a sua mamma, gravemente malata; è figlio unico, nel tempo libero ama disegnare con la china e correre al parco, e quando parla dei sogni e delle speranze del loro Paese una luce viva e brillante illumina il suo sguardo gentile, e la sua voce si anima in un modo che stupisce Tony in più di un modo.

Quando si accorgono che le quattro ore sono scadute da un bel pezzo, ormai è quasi l'alba, e entrambi hanno la gola secca e la mente stanca.

Tony, con la testa appoggiata sulla pancia snella di Steve, decreta con voce assonnata che si fermerà a dormire un paio d'ore con lui, e Steve annuisce energicamente, come se non aspettasse altro.

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Capitolo 3
*** Accade durante un venerdì sera (Steve Rogers/Tony Stark) ***


prompt : parents meeting when they take their kids to school!AU
 

Accade durante un venerdì sera


Steve si accorge dell'uomo in giacca e cravatta la prima volta che, nella nuova scuola che frequenta Wade, va al colloquio coi professori. Come potrebbe non farlo, dopotutto? Entrambi sono gli unici padri presenti, e i restanti genitori, tutte madri più o meno apprensive, guardano entrambi gli adulti come se fossero due tagli di bistecca particolarmente pregiati.

L'uomo in giacca e cravatta sembra ignorare con non accorgersi degli sguardi, intento com'è a lavorare sul suo tablet mentre aspetta il suo turno; Steve, al contrario, sentendosi visibilmente a disagio, si siede su una delle sedie disponibili, di quelle formato bimbo che cigolano pericolosamente sotto il suo peso, e prende Wade in braccio per utilizzarlo un po' egoisticamente come scudo umano contro tutte quelle sgradite attenzioni. Il bambino si dimena e scalcia, urlando a piena voce tutto il suo disappunto, troppo abituato a fare quello che vuole per dargli retta subito, ma quando Steve gli porge di malagrazia il suo fumetto preferito, tace immediatamente e inizia a leggere in silenzio.

Li scambiano spesso per padre e figlio naturale, entrambi biondissimi e con gli occhi chiari, ma la realtà è ben diversa dalle apparenze. Vivono assieme da un paio di mesi, e solo recentemente, dopo momenti particolarmente difficili, Steve sta trovando un punto d'incontro con Wade, anche se pensa che la strada verso la reciproca comprensione sia lunga e veramente tortuosa. Conosce il passato burrascoso del bambino, costellato di violenza domestica e urla, e vorrebbe insegnargli che gridare e picchiare non sono gli unici modi per farsi ascoltare, ma non è sicuro di poter riuscire nel suo intento. Ci sono momenti durante i quali lo sente sulla sua stessa lunghezza d'onda, in cui Wade ascolta i suoi rimproveri e sembra capirli, quando riescono addirittura a comunicare più o meno civilmente, ma la maggior parte del tempo è un continuo scontrarsi, con Wade che urla e rovescia sedie e picchia ora il muro ora la scrivania (ma mai, mai ha provato a farlo con il suo papà adottivo), e a volte Steve sente di non avere la forza per reggere i ritmi estenuanti a cui viene sottoposto quotidianamente. Ha dovuto cambiare turni perché nessuna babysitter vuole ritornare dopo la prima volta che trascorre qualche ora con lui, e i mormorii dei vicini su quanto suo figlio sia “difficile” e “viziato” certo non contribuiscono ad aumentare la sua fiducia in se stesso come genitore. Può già immaginare cosa gli diranno gli insegnanti dopo quell'ennesimo colloquio: “suo figlio è intelligente ma non si applica” “dobbiamo allontanarlo spesso perché è d'ostacolo agli altri bambini” “ha pensato di prendergli un insegnante di sostegno, signor Rogers?”. È in quei momenti che vorrebbe urlare con tutto se stesso che Wade è un bambino intelligentissimo e brillante, che è un appassionato di storia contemporanea proprio come lui, che ama cucire e curare il piccolo giardino dietro casa loro, che non ha bisogno di nessun insegnante di sostegno, e che allontanarlo dalla classe ogni volta è diseducativo, ma che potere può avere davanti al comportamento così manifestamente difficile di suo figlio?

Nessuno, ecco.

È assorto nei suoi pensieri quando l'uomo in giacca e cravatta si avvicina a loro e, esibendo il suo sorriso più smagliante, si presenta dal nulla. « Tony, molto piacere. » gli dice, come se l'avesse notato soltanto in quel momento. Steve, che vorrebbe insegnargli molto sull'educazione, si ritrova a mordersi la lingua e stringergli la mano con poco interesse, e presentarsi a sua volta.

Tony sta per aggiungere qualcosa, quando l'insegnante chiama il suo cognome. Solo in quel momento Steve si accorge che, appeso ai suoi pantaloni come se ne dipendesse il destino del mondo, un bambino minuto continua a guardare ora il padre ora il fumetto in mano a Wade. È di costituzione minuta, dai capelli castani e lo sguardo intelligente, ed è con molta fatica e un po' di persuasione che Tony riesce a convincerlo ad allontanarsi dalla sua gamba per prenderlo per mano.

Non hanno modo di scambiarsi altri convenevoli, e Steve ne sarebbe contento, se Tony, prima di andarsene, non infilasse fra le pagine del fumetto di suo figlio un biglietto da visita plastificato.

« Due papà soli contro il mondo. Chiamami, stasera, se hai voglia di parlare. » dice a bassa voce, prima di entrare nell'aula con il figlio a seguito.

 

*

 

Non avrebbe accettato di rivedere Tony l'indomani se la serata non fosse stata così disastrosa. Dopo un capriccio particolarmente frustrante, si è quasi ritrovato a tirare uno schiaffo a Wade; ha intravisto il terrore nei suoi occhi chiari, e gli è bastato questo a fargli abbassare il braccio. Si sente il peggiore dei mostri quando prende il bambino da terra e lo stringe a sé; lo sente tremare come una foglia sotto al suo tocco, e ci vogliono tutta la pazienza e la dolcezza di questo mondo per tranquillizzarlo e farsi perdonare per quella reazione esagerata.

È quasi mezzanotte quando mette Wade a letto e chiama Tony in fretta e furia, ma l'uomo gli risponde con una voce attiva e vispa, come se non stesse aspettando altro. Non sa cosa lo abbia spinto a farlo, se il desiderio di confrontarsi con un altro padre e sentirsi un po' meno inetto, o forse perché lo sguardo di Tony quella mattina gli aveva trasmesso più di quanto non sia riuscito a dire con le parole.

Dopo aver accompagnato l'indomani Wade a scuola, Steve fa colazione con Tony in un piccolo locale poco distante. Tony indossa un completo blu scuro scuro e gli occhiali da sole sul capo, e Steve si sente quasi a disagio con solo un paio di jeans e una felpa del mercato addosso. Da quando ha preso con sé Wade, curare il proprio abbigliamento è diventata l'ultima delle sue priorità, ma gli occhi celesti del suo nuovo amico brillano lo stesso di gioia sotto la tiepida luce primaverile, senza celare né malizia né giudizio, e il suo sorriso è così bello e luminoso che risveglia in lui dei sentimenti che credeva sepolti da tanto, troppo tempo.

Una volta dentro, Steve ordina uova strapazzate e caffelatte, mentre Tony, ridendo e flirtando con la cameriera, un cornetto con un'abbondante tazza di caffè freddo.

Quando rimangono da soli con la loro consumazione, è Tony a prendere per primo la parola. « Così, è un bel tipo, tuo figlio. Molto vivace. »

« Non– » cosa? “Non è un mostro?” “Non è come sembra?” Si schiarisce la gola, giocherellando con la tazza fra le mani. « È complicato. »

Tony sorseggia il caffè con espressione assorta. « Essere genitori lo è sempre. Essere genitori single – credimi – lo è ancora di più. »

Steve sorride sulla tazza di caffelatte. « Oh, come ti capisco. » Commenta, e sente il suo sorriso distendersi ulteriormente, perché allora aveva ragione, Tony può capirlo.

Tony sembra sorpreso quanto lui. « Anche tu…? » inizia, dubbioso ma con una nota di speranza nella voce calda.

« Ho adottato Wade sei mesi e… » riflette un attimo, fa due conti, poi continua « venti giorni fa. Una sera i suoi vicini hanno chiamato in centrale – sono un poliziotto – e quando sono arrivato con la pattuglia… » non vuole ricordare ad alta voce quei dettagli, fin troppo nauseanti e dolorosi « quando l'ho visto, ho sentito qualcosa, come un legame, e con qualche spintarella qua e là dopo una settimana ho firmato le carte dell'adozione. È assurdo e inspiegabile, ma… »

Tony sorride, ma più a se stesso che a Steve. « Ti capisco, invece. Quando ho visto Peter per la prima volta ho provato la stessa cosa. » Commenta, la voce improvvisamente più bassa, in un tono dolce e particolarmente intimo al tempo stesso. La gioia nei suoi occhi la vede riflessa anche nei propri, quando Wade gli porta un bel voto da scuola o gli disegna uno dei suoi scarabocchi da appendere al frigorifero, e si trova a sorridere a sua volta.

« Quindi anche tu hai…? »

« Adottato? No. Peter è figlio mio. Sua madre mi ha tenuto all'oscuro della sua esistenza fino a un paio di anni fa, quando mi sono trovato lei, il suo notaio e il bambino con una valigia sulla porta di casa. Doveva trasferirsi in Alaska per ricerche sul campo, e, almeno apparentemente, voleva che Peter vivesse un'infanzia più tranquilla. Secondo me se n'è sbattuta le palle e basta. » Aggiunge, acido.

« È dura. » Commenta, esitante. La realtà è che, semplicemente, la dichiarazione di Tony lo ha lasciato senza parole.

« Lo sarà sempre. Lo è ancora oggi, almeno per noi, ma piano piano si va avanti. Assieme. » Tony alza lo sguardo di nuovo e fissa un punto indefinito fuori dalla finestra. « Tutti i bambini hanno bisogno di cure e attenzioni, alcuni sono semplicemente più bisognosi di altri. Non lasciare che ti dicano che hai un figlio strano, o diverso, perché solo tu e il tuo bimbo conoscete la vostra storia e il vostro percorso assieme, e nessuno si deve permettere di giudicarvi. »

Steve, per la prima volta, guarda davvero Tony, e sotto la patina fatta di aspetto curato e sorrisi ironici scorge un uomo sensibile, profondamente affezionato a suo figlio, un padre sincero ed equilibrato.

In quel momento, pensa di essersi un po' innamorato di lui.

 

*

 

Dopo un paio di mesi, Tony e Peter diventano una presenza fissa in casa di Steve. Tony si rivela un pessimo cuoco ma un eccezionale intrattenitore, e sono più le ore trascorse dai bambini ad ascoltare le allucinanti storie dietro le sue invenzioni piuttosto che quelle davanti alla televisione. Facendosi compagnia l'un l'altro, Peter acquista un po' più di sicurezza e Wade si fa, lentamente ma in modo inevitabile, più tranquillo ed equilibrato.

Le cene del venerdì sera diventano una piacevole abitudine: si ordina pizza tutti assieme, e la si mangia davanti a qualche gioco da tavolo particolare e coloratissimo. Puntualmente la partita viene rovinata da qualcosa, che siano i litigi fra Wade e Peter o la mano di Tony che “accidentalmente” viene scoperta a rubare soldi dalle casse del Monopoly, ma le risate sono tante e Steve pensa che neanche quando frequentava Sharon stava così bene con qualcuno.

Qualcosa fra Steve e Wade migliora – non sono che piccoli passi, giorno dopo giorno, ma sono lì, visibili agli occhi di tutti. Wade incomincia ad ascoltarlo un po' di più e a urlare di meno, trova in Tony un punto di forza e in Peter un modello comportamentale da cui prendere spunto, e quando per la prima volta, dopo un litigio, lo chiama papà Steve quasi si mette a piangere dalla gioia.

Col passare del tempo, s'instaura una sorta di abitudine: Tony e Peter sono sempre più spesso a casa sua, e quando Peter chiede ad alta voce quando « torneremo a trovare Wade e papi Steve? », Steve capisce di essere incredibilmente, orribilmente, meravigliosamente fregato.

Tony sbianca visibilmente e si appoggia con la schiena al muro (il movimento è impercettibile, ma c'è), Wade scoppia in una risata fragorosa e Steve, che è sempre stato più un uomo d'azione che di parola, si avvicina a Tony e gli da un bacio sulla guancia.

« Andarsene? Perché non vi fermate per la notte, tu e papà? »

Wade e Peter festeggiano ballando in cerchio, e Tony, visibilmente scosso, guarda Steve con gli occhi ancora spalancati. « Quindi tu… io… noi…? » mormora, ancora appoggiato alla parete.

« Sì. Direi di sì. » risponde Steve con un sorriso.

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