Un amore complicato.. unico e speciale.

di SoleStelle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** -1. Prologo. ***
Capitolo 2: *** -2. Malinconia (pt. 1) ***
Capitolo 3: *** -3. Malinconia (pt. 2) ***
Capitolo 4: *** -4. Cambio di programma. ***
Capitolo 5: *** -5. Rivincite. ***
Capitolo 6: *** -6. Si inizia. ***
Capitolo 7: *** -7. Guai (pt 1). ***
Capitolo 8: *** -8. Guai (pt 2). ***
Capitolo 9: *** -9. Ricordi (pt 1). ***
Capitolo 10: *** -10. Ricordi (pt 2). ***
Capitolo 11: *** -11. Ricordi (pt 3). ***
Capitolo 12: *** -12. Ricordi (pt 4). ***
Capitolo 13: *** -13. Ancora una possibilità. ***
Capitolo 14: *** -14. Un altro ricordo. ***
Capitolo 15: *** -15. Piccola rivincita. ***
Capitolo 16: *** -16. Una sconfitta vittoriosa. ***
Capitolo 17: *** -17. Problemi particolari. ***
Capitolo 18: *** -18. Destino comune.. ***
Capitolo 19: *** -19. Altarini. ***
Capitolo 20: *** -20. Ritorno, temporaneo.. ***
Capitolo 21: *** -21. Chiarimenti. ***
Capitolo 22: *** -22. Difficoltà. ***
Capitolo 23: *** -23. Attimi di felicità. ***
Capitolo 24: *** -24. Vittoria. ***
Capitolo 25: *** -25. Resisti. ***
Capitolo 26: *** -26. Casa. ***
Capitolo 27: *** -27. Volere è potere. ***
Capitolo 28: *** -28. Rimpianti e rimorsi. ***
Capitolo 29: *** -29. Rivincita. ***
Capitolo 30: *** -30. Sofferenza. ***
Capitolo 31: *** -31. Decisioni importanti. ***
Capitolo 32: *** -32. Dimostrazioni. ***
Capitolo 33: *** -33. Si comincia.. ***
Capitolo 34: *** -34. Fine di tutto.. inizio di tutto. ***
Capitolo 35: *** -35. Litigio. ***
Capitolo 36: *** -36. Finalmente contenta. ***
Capitolo 37: *** -37. Ricordi.. tabù. ***
Capitolo 38: *** -38. Tatuaggio. ***
Capitolo 39: *** -39. Epilogo. ***



Capitolo 1
*** -1. Prologo. ***


Apatica. Viziata. Schizzinosa. Indolente. Antipatica. Insulsa. Scialba. Menefreghista. Intollerante. Insolente. Insofferente. Musona. Insipida. Indisponente. Insignificante..
Questi erano solo alcuni degli aggettivi che mi attribuivano i miei compagni di classe.
Il più delle volte confermati anche dai professori.
“Devi darti una regolata! Ok? Non è possibile che ogni volta che io e tuo padre andiamo ai ricevimenti ci sentiamo dire le solite cose” disse mia madre.
Ero seduta in cucina. Con i miei genitori davanti a me, esasperati.
Tenevo le braccia incrociate e fissavo il tavolo senza prestare particolare nota alle loro parole.
“I tuoi voti hanno avuto un calo pazzesco. Hai appena la sufficienza” disse mio padre. Non risposi nemmeno a questo.
“Avevi una delle medie migliori di tutto l’istituto fino all’anno scorso” aggiunse mia madre.
Mi alzai sbattendo i pugni sul tavolo.
“Non è stata una mia scelta. Ve la siete cercata voi” risposi, uscendo e andando in camera mia.
Mi chiusi la porta alle spalle e mi guardai intorno.
Niente cellulare. Niente computer. Niente televisore.
Solo libri di scuola, un letto, un armadio e una scrivania.
Guardai fuori dalla finestra e vidi la piazza.
Nemmeno quello mi rallegrava.
I miei genitori si erano trasferiti a Roma, per lavoro, da circa tre anni ma non avevano voluto nessuno con loro.
Io li avevo raggiunti sei mesi fa.
Non per mia volontà.
Da quel momento mi ero chiusa in me stessa e non facevo più nulla.
Non studiavo. Non aiutavo in casa. Non uscivo.
Me ne stavo ore e ore seduta sulla finestra a fissare il vuoto.
I primi tempi piangevo. Ora non facevo più nemmeno quello.
Non li guardai quando entrarono.
“Selene. Tra tre mesi ci sarà un altro colloquio con gli insegnanti. Esigo che mi diano notizie migliori” disse mio padre.
“Altrimenti?” chiesi. “Cosa fate? Mi avete già tolto tutto quello che avevo” aggiunsi sorpassandoli e uscendo.
Non volevo vederli e sentirli. Li odiavo.
Odiavo tutta la mia famiglia.
Mi avevano fatta andare a Roma allontanandomi dai miei amici e dalla mia scuola.
Mi avevano tolto tutto quello che potesse ricollegarmi alla mia vecchia vita.
Peccato che non mi avessero tolto anche la memoria. Per loro sarebbe stato più facile.
Mi incamminai a piedi e mi sedetti su una delle panchine del parco.
Mi strinsi le ginocchia al petto e rimasi immobile mentre la gente mi fissava.
Capelli rossi e biondi. Piercing sotto al labbro. Per tutti ero da evitare ma a me andava bene così.
Non volevo amici. Non volevo che qualcuno mi si avvicinasse.
Non volevo nemmeno andare bene a scuola.
Volevo che tutti notassero la differenza dalla me vecchia alla nuova.
Non volevo cercare di sostituire quello che avevo a Londra. Niente e nessuno ci sarebbe riuscito.
Londra...
La mia mente ci mise un attimo a tornare alla mia città. Come poteva Roma essere paragonata a Londra?
Per molti sarebbe stata meglio la capitale italiana: sole e mare.
Per me la mia città era intoccabile.
Non era stata una mia scelta doverla lasciale e speravo, con il mio comportamento, di convincere i miei genitori a farmici tornare.
Sapevo, però, che era tutto inutile.
Come potevo credere che, anche una volta rispedita a Londra, mi avrebbero lasciata libera?
Lasciai scivolare una lacrima.
Era stata proprio l’iperprotettività di tutti a cacciarmi in questo pasticcio.
Ogni volta che uscivo qualcuno mi seguiva a distanza..
Nessuno però aveva messo in conto che le cose potessero prendere una piega diversa da quella pensata da loro.
E così eccomi qui..
In una città sconosciuta. In una scuola opprimente. Con amici inesistenti.
 
 
 
 
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Note dell’Autrice:
Come sempre il primo capitolo non è altro che una piccola introduzione.
E' una storia vecchia..vecchissima..che ho trovato nel dimenticatoio.
avrebbe bisogno di qualche ritoccata, quà e là ma se mi ci mettessi, probabilmente, la riscriverei da capo quindi la posto in versione originale.

 

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Capitolo 2
*** -2. Malinconia (pt. 1) ***


“Ho sentito dire che è stata spedita qui perché era intrattabile e gli zii a cui era stata affidata non l’hanno più voluta” disse una mia compagna di classe, parlando di me.
“Io, invece ho sentito dire che sia stata beccata a letto con uno molto più grande di lei” rispose un’altra.
“Io, invece, sapevo che suo fratello non la voleva più trai piedi e l’ha mandata dai genitori” disse una terza ragazza.
Mi irrigidii.
Era da quando ero arrivata che cercavano di capire come mai mi fossi trasferita.. nessuno, però, era arrivato alla conclusione giusta fino a quel momento. Le guardai male ma non mi notarono.
“Ma ha un fratello?” chiese qualcuno.
“Non che io sappia” rispese qualcun altro.
“Anche io non credo” si intromise un altro.
Mi alzai ed usci alterata.
Non sapevano quello che era successo. Stavano solo tentando di indovinare sparando a casaccio, come sempre.
Eppure questa volta ci avevano preso.
Erano andate pericolosamente vicine alla verità.
Approfittai del fatto che ci fosse assemblea di classe per rimanere fuori.
Avrebbero discusso la meta della vacanza studio e a me non andava proprio di partecipare a quella stupida decisione.
Avremmo passato un mese in una qualche scuola superiore di qualche altra città per imparare quello che facevano loro.
Lo chiamavano stage culturale.
L’anno prima erano rimasti in Italia mentre questa volta avevano la possibilità di andare all’estero.
Molti puntavano alla Francia.
Era matematicamente sicuro che sarebbe stata scelta quella meta.
 
Rimasi fuori per tutta l’ora e quando rientrai trovai la meta scritta sulla lavagna.
Francia.
Feci una smorfia, poi mi accorsi che tutti mi fissavano di sott’occhi. Alcuni trattenendo delle risate.
Li ignorai e mi sedetti al mio posto.
Avevo staccato il banco e mi ero isolata fin dal primo giorno.
Non volevo nessuno intorno e questo mi permetteva di svolgere tutti gli esercizi delle verifiche per poi correggerli e farli risultare sbagliati senza che nessuno se ne accorgesse.
Saremmo rimasti via per tutto il mese di maggio.
Il periodo più bello di Londra.
Le piante e i fiori sarebbero già stati tutti fioriti.
I college avrebbero iniziato le propagande di iscrizione.
Molti paesini avrebbero festeggiato il proprio patrono con feste aperte a tutti.
Tutti i concerti avrebbero iniziato a tenersi all’aperto.
Per non parlare del Ponte di Maggio e del Ponte di Primavera.
Inoltre.. il 27 maggio..
Strinsi forte i pugni. Non volevo pensarci. Non dovevo pensarci.
 
Quando rientrai a casa mi ritrovai sola.
Questo succedeva sempre anche a Londra.
Mi buttai sul divano e non mangiai nulla di quello che mia madre mi aveva lasciato in tavola.
Non lo tolsi nemmeno da dov’era.
Forse avevano ragione a definirmi apatica e insolente ma non volevo cambiare.
Non in Italia.
Se volevano che tornassi a comportarmi correttamente avrebbero dovuto rimandarmi a Londra.
Poiché non sarebbe mai successo avrebbero, anche, dovuto imparare a convivere con una ragazzina scontrosa.
Avrei dovuto fare i compiti per l‘indomani ma non mi interessava.
Rimasi a poltrire sul divano. Altra cosa che a Londra non avrei mai fatto.
Quando non sapevo cosa fare andavo in palestra o in piscina ad allenarmi.
Qui non volevo nemmeno sentir parlare di sport.
Mi circondai le gambe con le braccia e sentii il contatto con il jeans.
Ridicolo.
Se mi fossi presenta così nella mia vecchia scuola mi avrebbero cacciata a calci.
Il college privato che frequentavo a Londra prevedeva regole molto rigide sull’uniforme scolastica.
Già avevano da ridire abbastanza sui miei capelli e sul mio piercing. Figurarsi se mi fossi presentata vestita normalmente.
Mi avrebbero sospesa per almeno due mesi.
Eppure quelle regole rigide mi mancavano.
Mi mancava guardarmi intorno e riconoscere la classe di una persona dalla divisa.
Mi mancava girare nei corridoi e trovare le ragazze più piccole incantate dall’audacia dei miei capelli.
Mi mancava la possibilità di avere a che fare con ragazzi dell’università senza però cambiare istituto.
Mi mancava la mensa. L’unico posto che noi del college frequentavamo insieme agli universitari.
Mi mancava la possibilità di rimanere a scuola anche dopo l’orario di chiusura per pulire e riordinare l’aula. Mi mancava la possibilità di rimanere a scuola anche dopo l’orario di chiusura per frequentare i corsi extra scolasti a cui mi ero iscritta.
Mi mancava tutto della mia città.
 
 
 
 
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Note dell’Autrice:
Come sempre dopo il primo capitolo arriva subito anche il secondo.
Cerco, sempre, di leggere i capitoli prima di posterli ed evitare degli errori grammaticali ma, ahimè, non sono infallibile e potrebbe sfuggirmi qualcosa: chiedo scusa in anticipo!
E chiedo scusa, fin da ora, per il piccolo problemino di incongruenza che ci sarà nella storia.
Sono conssapevole che i college, in Inghilterra, si frequentano dopo le superiori ma non so per quale assurdo motivo io qui li paragoni alle nostre superiori.
E' un errore che non voglio correggere per non dover riscrivere l'intera storia. Spero soprassediate.

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Capitolo 3
*** -3. Malinconia (pt. 2) ***


Era oramai aprile inoltrato e mancava poco allo stage culturale quando sentii i miei genitori parlottare tra loro.
Non erano convinti che per me fosse una buona idea partecipare.
Avvampai di rabbia.
Li avevo pregati per mesi di non mandarmici ma loro avevano categoricamente deciso che non avrei dovuto saltare lo stage per niente al mondo e ora non volevano più mandarmici.
“Non sappiamo quello che potrebbe succedere” disse mia madre.
“È un rischio mandarcela” aggiunse mio padre.
Eh no. Non potevano giocare e rigirare le carte in tavola ogni volta a loro piacimento.
Per quale motivo poi?!
Certo, una volta in Francia avrei potuto prendere facilmente un traghetto che mi riportasse a Londra ma non ero ancora maggiorenne quindi non avrei avuto possibilità di farlo.
Non facevo i salti di gioia all’idea di andare in una cittadina della Provenza in piena primavera. Io, allergica al polline e ai piumini, avrei sofferto come una matta. Ma non volevo nemmeno essere il loro giocattolo.
Avevano fatto una decisione e ne stavano pagando le conseguenze.
Avevano fatto un’altra decisione e ne avrebbero pagato le conseguenze.
Sarei andata in Francia.. controvoglia, questo si, ma non avrebbero vinto loro.. non di nuovo.
Feci qualche passo indietro e ripresi a camminare facendo più rumore.
Si zittirono all’istante e mi guardarono sorridenti quando entrai in cucina. Li ignorai.
“Avete firmato i vari permessi?” chiesi, facendo finta di nulla.
A causa della mia allergia mi servivano mille e più certificati firmati sia dal medico che dai miei genitori e mille e più permessi che autorizzavano i professori a prendere delle decisioni al mio posto se fossi stata male. Della serie: non vogliamo portare sfortuna.
Raccolsi tutti i fogli senza dargli il tempo di parlare e uscii.
Non avevo visionato nessuno dei documenti che ci erano stati forniti dalla scuola.
Avevo ascoltato solo quando avevano detto di portare poca roba, che saremmo partiti di sabato per motivi che erano stati elencati dall’istituto che ci avrebbe ospitato.
Non sapevo dove saremmo andati ma sapevo che saremmo stati ospitati nei dormitori dell’istituto, di cui non conoscevo il nome.
Non mi interessava nulla di questo stage.
Non facevo nulla per dimostrare entusiasmo.
Mi accorsi di aver perso un foglio quando lo vidi chiudendo la porta.
Tornai indietro e sentii i miei genitori parlottare nuovamente.
“Tienila d’occhio” disse mia madre.
Ancora questa storia?
“Stai attento che non faccia casini” aggiunse mio padre.
Chi hanno chiamato questa volta?
Ogni volta era la stessa storia. Eppure il guaio era capitato proprio perché mi facevano seguire in continuazione.
Non si fidavano di me e ogni volta che uscivo avevo qualcuno che mi pedinava. I primi tempi mi arrabbiamo ma a distanza di anni ci avevo fatto l’abitudine. Ero arrivata a riconosce chi mi seguiva solo sbirciando di tanto in tanto alle mie spalle. Ogni persona aveva una tattica diversa e a seconda dei ‘nascondigli’ capivo chi mi seguiva.
Alle mie amiche sembrava una situazione comica: le corse per fuggire alla sorveglianza, la disperazione sul mio volto quando mi accorgevo che stavano esagerando, le mie sfuriate quando si intromettevano, la mia rassegnazione quando, capendo che non sarei stata in grado di seminarli, li invitavo a unirsi al gruppo invece che fare tutto di nascosto.
Eppure mi mancava anche quello.
Vedere l’imbarazzo sui loro volti quando capivano di non essere stati abbastanza prudenti ed essere stati scoperti da una mocciosa.
Già.. anche quel piccolo vezzeggiativo che tanto odiavo quando ero a Londra ora mi mancava.
Sospirai.
Raccolsi il foglio e tornai indietro.
Mi chiusi la porta alle spalle e scoppiai a piangere.
Erano mesi che non versavo più nemmeno una lacrima.. eppure ora non riuscivo a trattenerle.
Mi mancavano le scompigliate ai capelli quando mi davano dell’irriverente. Mi mancavano le occhiate che lanciavo di nascosto per controllare che mi seguissero. Mi mancava il senso di sconforto quando capivo chi mi seguiva ma ancora di più mi mancava il senso di sollievo quando capivo chi mi seguiva.
Mi mancava organizzare delle uscite che non sarebbero mai avvenute solo per farmi seguire. Mi mancava l’entusiasmo nel vedere che i miei piani avevano avuto esito positivo..
Mi mancava la preoccupazione di tornare a casa senza che nessuno intuisse nulla.
Mi mancava tutto.
Volevo tornare a Londra.. volevo indietro la mia vita..
 
 
 
 
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Note dell’Autrice:
Se poteste vedere la mia facia ora crepereste dal ridere tanto sono demoralizzata.. appena un capitolo e mezzo e c'è già un salto temporale così lungo..con lo stesso titolo.. vorrei sprofondare!
Mentre per una frase incongruente di quasto capitolo: sappiate che è voluta!

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Capitolo 4
*** -4. Cambio di programma. ***


Mi sedetti al mio posto confusa.
È inutile prendere un aereo per andare in Francia solo per impiegare meno tempo.
Mi guardai intorno e notai molti miei compagni di classe sghignazzare alle mie spalle, divertiti, fissandomi.
Si può sapere cosa prende e tutti?
Mi voltai e guardai il monitor, sbuffando. Mi bloccai di colpo.
Non può essere.
Estrassi tutti i fogli dallo zaino che avevo e controllai ancora, convinta di avere le traveggole.
Eppure avevo una copia del mio programma su cui c’era scritto in grassetto 'Stage Culturale in Francia' com'era possibile?
Sfogliai tutti gli altri fogli fino ad arrivare a quelli che i professori avevano dato ai miei genitori, dove non compariva la stessa scritta.. cambiava la città.
Mi sentii mancare l’aria.
Era un incubo.
Era un sogno..
Era un incubo...
Mi ricordai della preoccupazione dei miei genitori e della loro chiamata.
Capii con chi avevano parlato ancora prima di avere il tempo di inspirare.
La rabbia montò in me e serrai i pugni.
Non avevo nulla da ridire: i miei compagni di classe mi avevano giocato davvero un bello scherzo, con i fiocchi!
Ma avrei reso loro pan per focaccia.
Non mi sarei lasciata abbattere e avrei messo a tacere i loro gridolini sommessi.
Lessi attentamente, per la prima volta, il modulo originale, che era stato consegnato ai miei genitori dai professori, e non potei fare a meno di sorridere della loro superficialità.
Avevano perso.
Anche la scelta più banale, presa per umiliarmi, era ricaduta a mio vantaggio.
Potevo vendicarmi senza fatica.
Potevo metterli zitti senza dover faticare.
Era la situazione perfetta.
E non avevo nemmeno dovuto crearla io.
Credevano di avermi fatto un torto.. invece mi avevano fatto un favore.
Tienila d’occhio. Stai attento che non faccia casini.
Mi tornarono in mente le parole precise dei miei genitori.
Sapevo a chi le avevano dette.. eppure prenderne coscienza non mi piacque.
Sarei stata seguita da lui per tutto il tempo.
Ogni mio minimo movimento sarebbe stato controllato da una distanza ravvicinata e, ci avrei scommesso, anche i miei tabulati del mio cellulare sarebbero stati sorvegliati.
Infilai la mano in tasca e sorrisi al contatto con il metallo freddo.
Per tutti il cellulare era un oggetto ovvio e averlo non era un privilegio, ma per me riavere il mio era fantastico.
Per fortuna non avevo perso nulla visto che appena prima che mi venisse sequestrato avevo avuto la furbizia di cambiare sia il codice di sblocco del telefono che il pin della sim.
Avevano cercato di immetterli loro per cancellare tutto quello che c’era dentro e che a loro non piaceva ma si erano fermati prima di bloccare tutto.
Avevo scelto codici che non mi riguardavano. Avevo scelto codici che non avrebbero mai potuto trovare. Avevo scelto codici che non riguardavano niente e nessuno.
Ma li ricordavo ancora molto bene.
Non erano date. Non erano codici standard. Non erano nomi. Non erano codici usati da altre persone.
Erano codici inventati. Erano codici complicati. Erano codici perfetti.
Rafforzai la presa sul cellulare.
Anche se erano diverse ore che mi era stato restituito non lo avevo ancora acceso.
Aspettavo di essere arrivata in aereoporto.
Credevo di andare in Francia e sapevo che da li, se avessi immesso i codici e sbloccato tutto, ci sarebbero volute ore prima che riuscissero a rintracciarmi ma, a quanto pareva, i tempi si sarebbero ridotti drasticamente e non avrebbero giocato a mio favore.. avevo a disposizione solo pochi minuti.
Poco male. Non sarebbero riusciti, comunque, ad identificare i codici e avrei sempre avuto la possibilità di riguardare le foto.
Non avrei potuto nè mandare messaggi nè chiamare ma, anche se lo avessi fatto dalla Francia, non era detto che avrei ottenuto una risposta dopo tutto quel tempo. Era, anzi, altamente improbabile.
Eppure ero felice.
Ero felice perchè sarei stata l’unica a sentirmi perfettamente a mio agio in quel mese. Sarei stata l’unica a sapere esattamente tutto alla perfezione. Sarei stata l’unica a non fare la figura della scema.
E non potevo chiedere di meglio.
 
 
 
 
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Note dell’Autrice:

Manco da tantissimo, scusatemi, ma sono sommersa di lavoro.. virtuale e non.
Due lavori, sette storie in stesura e non so più quante da leggere.
Ho cercato di correggere gli errori ma, come sempre, potrei averne persi per strada.
Mi è stato fatto notare che avendo già detto, nei capitoli precedenti, che la storia presenta un errore di fondo non invoglio il lettore ad andare avanti. Io credo che un lettore non si faccia scoraggiare dal fatto che si chiama College una scuola superiore.. soprattutto se chi legge questa storia (che ho scritto anni e anni fa) ha letto anche le altre mie storie.
Io non sono una scrittrice di professione ma mi diletto nel battere i tasti del mio computer per distrarmi. Questo vuol dire che le mie storie non saranno mai perfette come i romanzi che si trovano in libreria a cui lavorano mille persone per correggere ogni minima cosa, ma significa che in quelle che sto scrivendo ora sto mettendo tutta me stessa per far si che siano di vostro gradimento e corrette.
Quando ho scritto questa storia ero solo una bimba! Abbiate pietà di me.. sapevo, a malapena, coniugare i verbi..

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Capitolo 5
*** -5. Rivincite. ***


Mi guardai intorno orgogliosa.
E per la prima volta fui io a prendermi gioco di loro.
Eravamo arrivati già da due giorni ma, essendo partiti di sabato, quello era il primo giorno di studio.
Nelle camere che ci erano state assegnate avevamo trovato dei vesti. Vestiti che nessuno aveva messo e, ci avrei scommesso, non li avevano nemmeno guardati.
Errore gravissimo: erano le uniformi.
Il rettore stava parlando con la nostra referente scolastica mentre tutti mi davano della stupida per essermi vestita in un modo tanto ridicolo.. eppure presto sarebbero stati loro a prendersi una bella ramanzina, non io che mi pregustavo già quel momento..
“Qualcuno mi spiega cosa vi è preso?” chiese la professoressa, tornando da noi. Nessuno rispose. Nessuno capì il motivo di quel rimprovero. “Vi sono stati lasciati dei vestiti nelle camere. Dovete indossare quelli durante le lezioni” aggiunse, rossa di rabbia.
Sorrisi compiaciuta.
“Io l’ho fatto” risposi, indicando la mia uniforme.
Probabilmente non era delle migliori, dovevo ammetterlo. io che ero abituata ad avere la mia uniforme personale e fatta su misura dalla sarta dell'istituto mi ero dovuta adattare a delle taglie standerd, ma poter indossare nuovamente quei vestiti mi dava un senso di pace.
“Tu hai frequentato quest’istituto, sei vantaggiata” rispose, qualcuno alle mie spalle.
“Voi lo avete scelto. Avreste dovuto leggere l’opuscolo informativo e la guida” risposi, senza nemmeno voltarmi a guardare chi aveva parlato.
“Avete cinque minuti per tornare in camera, cambiarvi e tornare qui” ci interruppe la professoressa.
Corsero tutti via e io rimasi li. Mi guardai intorno e respirai profondamente un paio di volte.
Sono a casa..  finalmente.
Scrutai ogni angolo in cerca di un cambiamento che, fortunatamente, non trovai.
Era tutto esattamente come lo ricordavo.
Era tutto perfetto.
“Non c’è paragone” sussurrai, convinta.
Ero entusiasta di trovarmi li.
Non vedevo l’ora che arrivasse l’ora di pranzo.
Avevo appena preso una rivincita ma presto ne avrei avuta una seconda.
Li vidi tornare indietro vestiti nel modo ridicolo che tanto avevano deriso qualche minuto prima e mi voltai, pronta per incamminarmi.
Afferrai il modulo che la professoressa aveva appoggiato e lo lessi.
Avremmo avuto due ore di algebra e due di latino. Pausa pranzo. Un ora di comprensione letteraria, una di storia e una di storia dell’arte.
Non erano le mie materie preferite. Non erano le materie che volevo.
Per mettere in atto il mio piano avrei dovuto aspettare ancora.
Poco male.
Avevo, almeno, la certezza di riuscirci.
“Andiamo in classe, ci stanno aspettando” disse la professoressa.
Trattenni una risata.
Classe non era certamente il termine opportuno per identificare il luogo dove si svolgevano le lezioni.
Con classe si immagina un luogo dove una trentina di persone seguono la lezione.. non certo un padiglione dove un centinaio di persone studiano.
Mi incamminai per prima ed uscii dall’edificio.
Loro avevano visto, oltre agli alloggi degli studenti, solo l’ingresso con la portineria e l’ufficio del rettore. Avevano intravvisto la palestra sull’altro lato del piccolo parco che si vedeva dalla finestra ma non immaginavano di certo quello che li aspettava davvero.
Li guardai orgogliosa quando videro il panorama che a me tanto mancava.
Quella non era una scuola: era una reggia immersa nel verde.
Mi rivoltai e mi incamminai verso il padiglione di algebra.
Chissà che faccia avrebbero fatto quando non sarebbero stati in grado nemmeno di capire l’argomento trattato mentre io avrei svolto l’esercizio senza problemi.
Non studiavo il programma della mia scuola ma questo non significava che non studiassi affatto. Quello che facevano erano per me cose vecchie che sapevo già. Sbagliavo di proposito le verifiche ma nessuno lo sospettava. A casa, invece, studiavo il programma del mio college.
Certo: non sempre capivo tutto al primo colpo non avendo la possibilità di sentirmelo spiegare o di andare in internet a controllare ma me la cavavo egregiamente anche così.
Il metodo con cui ebbi il programma fu molto complicato invece.
Durante un’ora di assemblea scolastica ero uscita di nascosto ed ero andata nei laboratori con i computer. Avevo creato una mail nuova, visto che la mia era controllata, e avevo scritto ad una vecchia compagna di classe di mandarmi il programma.
Lei lo aveva fatto subito, gentilissima, peccato che io riuscii a metterci le mani sopra solo il mese successivo.
Sorrisi.
La mia vecchia classe mi mancava da impazzire.. loro si che erano fantastici, altro che i compagni che mi ritrovavo ora.
Ma avrei dovuto sopportarli.
Mi veniva male al sol pensiero di dover tornare via con loro e non poter rimanere.
 
 
 
 
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Note dell’Autrice:
Ecco a voi un'altro capitolo. Spero non mi siano scappati degli errori/orrori..

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Capitolo 6
*** -6. Si inizia. ***


Aprii la porta di scatto, appena alle mie spalle si alzò un coro di ‘oh’ e ‘wow’.
Beccati in fallo.
L’intero padiglione si voltò a quel suono e tutti risero della loro reazione.. me compresa.
Si zittirono subito e io proseguii, andando a prendere posto, mentre la nostra professoressa si avvicinò al docente di algebra.
Trattenni una smorfia.
Quando avremmo potuto fare delle materie utili alle mie cause?
I miei compagni di classe si sedettero e iniziarono a chiacchierare tra loro mentre i due insegnanti parlottavano.
“Silenzio! Per l’amor del cielo non siete un branco di oche starnazzanti.” disse il docente di algebra.
Sorrisi.
Io non stavo di certo parlando.
Il docente mi sorrise a sua volta, salutandomi con un cenno del capo.
Raddrizzai la schiena ancora di più, orgogliosa.
Si ricordava ancora di me.. non che questo mi sorprendesse chissà quanto: ero la sua allieva migliore!
Dopo che i due insegnanti finirono di parlare il docente di algebra fece un rapido appello della nostra classe.
Molte teste si voltarono di scatto quando sentirono il mio nome ma nessuno disse nulla: non era permesso fare nessun intervento non autorizzato durante le lezioni.
Chissà dopo quanto tempo si sarebbero fatti cacciare dall’aula i miei compagni. Loro non erano in grado di rimanere in silenzio nemmeno per dieci minuti, figurarsi un’ora intera.
 
Non ci  volle molto perché il docente di algebra minacciasse di sbatterli fuori.
Dopo nemmeno dieci minuti, infatti, avevano già cominciato a chiacchierare ininterrottamente.
“Alla lavagna!” aveva annunciato, chiamando i due di turno dopo l’ennesima ramanzina.
Sorrisi.
Nessuno della mia classe sarebbe riuscito a svolgere anche solo la prima parte di quell’esercizio.
Rimasero dieci minuti fermi e in silenzio con il pennarello in mano. Nessuno dei due osava voltarsi.
Li rispedì al posto e ne chiamò altri due.
Stessa scena.
Li chiamò tutti ma nessuno riuscì a svolgere l’esercizio.
“Credo che questo sia un esercizio troppo complesso per le loro capacità, sono solo liceali non universitari. Da noi queste cose si studiano molto più avanti.” disse la professoressa, cercando di giustificarli.
“Sono un branco di somari.” rispose il docente, imperterrito. Non ammetteva scuse.
“Non io.” dissi, alzandomi e avvicinandomi alla lavagna
Presi il pennarello e, senza dire altro, iniziai a svolgere l’esercizio.
Quando lo finii richiusi il pennarello e tornai al posto mentre il docente controllava.
Avevo gli occhi di tutta la mia classe puntati addosso, più quelli di qualcun altro.
“Molto bene signorina Jenkins.” disse il docente. “Soluzione corretta.” aggiunse.
Sorrisi.
I complimenti fatti dai miei vecchi docenti erano come musica e aria allo stesso tempo.
Portavano serenità con quelle poche sillabe e scacciavano via i pensieri negativi.
Eppure non era abbastanza.
Volevo di più.
Volevo dimostrare che ero in grado di pensare con la mia testa.
Volevo dimostrare ai miei genitori che se volevo potevo prendermi gioco di loro in ogni momento. Solo così mi avrebbero rispedito a Londra.
La paura di non essere in grado di gestirmi doveva avere la meglio sul loro temperamento autoritario.
Avevo iniziato a dimostrare di prenderli in giro sul rendimento scolastico, dovevo continuare a mostrare le mie abilità anche in tutte le altre materie. Dovevo fare in modo che i miei professori, al prossimo colloquio, dicessero ai miei genitori che non ero la ragazzina che non si applica ma ero la ragazzina che si prendeva gioco di tutti loro.
Era la mia unica ancora di salvezza.
Dovevo riuscirci.. a tutti i costi!
 
 
 
 
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Note dell’Autrice:
Rieccomi qui, con un nuovo capitolo.
Spero che vi piaccia.. io, nel frattempo, ho riletto una mia vecchia storia e ne ho aggiunta una parte, decidendo di revisionare tutta la stesura.
Prima o poi, tutti questi impegni, mi si accavalleranno e farò un casino pazzesco..

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Capitolo 7
*** -7. Guai (pt 1). ***


Dopo soli quattro giorni scolastici avevo già raggiunto tutti i miei obbiettivi.
La professoressa che ci accompagnava aveva, addirittura, spedito una mail ai miei genitori in cui li metteva al corrente del fatto che il mio scarso rendimento scolastico era una finta.
E loro mi avevano chiamato facendomi una bella ramanzina, che io non avevo ascoltato.
Avevo chiuso la chiamata appena avevano iniziato e non avevo più risposto.
Il giorno dopo, però, capii quali conseguenze aveva avuto l’ennesimo capriccio.
Avevo notato da subito che i miei movimenti erano tutti controllati. Sapevo che mi seguivano e sapevo chi era.
Almeno, però, manteneva la distanza e io ero l’unica ad essersene accorta.
Fino a quel momento.
Quel giorno, infatti, non si nascose più di tanto.
Per la verità non si nascose per niente.
Appena uscii da scuola vidi la sua imponente figura che mi aspettava. Mi afferrò per il braccio e mi accompagnò ‘dolcemente’ negli alloggi.
Nessuno aveva obbiettato contro di lui.. nemmeno la docente, nonostante non sapesse chi fosse stato ad aver ‘aggredito’ un’alunna sotto la sua custodia.
La paura di affrontarlo era troppa.
Io, invece, aspettai di essere nella mia stanza e di essermi chiusa la porta alle spalle prima di liberarmi dalla sua presa in malo modo.
“Lasciami andare.” sbottai, allontanandolo.
“Selene, non farmi arrabbiare..” mi minacciò.
Era più alto di me, di molto. Il mio metro e sessanta contro il suo metro e novantasette.
Era più grosso di me, di molto. I miei quarantotto chili contro i suoi novantatré di muscoli.
Eppure non avevo paura.
“Avanti. Arrabbiati.” risposi, sfidandolo.
Si avvicinò a me, col respiro marcato. Mi sovrastava e dovetti alzare la testa per poterlo guardare in faccia. Aveva il collo chinato per guardarmi e, se solo fossi stata più alta, i nostri visi si sarebbero sfiorati.
“Piantala di fare la bambina viziata!” mi sgrido.
Appoggiai le mani sul suo petto e lo spinsi con tutta la forza che avevo.
Non indietreggiò di molto ma tornai alla carica, senza paura.
“Non pensare di farmi paura Sel.” dissi. “Vattene!” aggiunsi.
“E invece resto.” rispose, sedendosi sul mio letto.
“Non prendermi per il culo Selwyn. So che devi andare ad allenarti.” controbattei.
Non avrebbe vinto. Non contro di me. Non questa volta.
“Posso saltare. D’altronde non ti si può perdere di vista nemmeno due minuti che combini qualche guaio.” controbatté. Respirai a fondo.
Se non se ne va lui, me ne vado io.
Presi alcune cose dallo zaino e le cacciai in un borsone poi lo presi e uscii.
Inutile dire che mi seguì.
Sorrisi.
Non aveva pensato ad un piccolo particolare: non lo avrebbero fatto entrare dove stavo andando.
“Sel fermati.” ordinò. Lo ignorai e corsi via.
Mi seguì senza sforzo e mi raggiunse.
Entrai nell’atrio del complesso sportivo e mostrai la mia tessera.
Una cosa che amavo di quel posto: la tessera aveva validità triennale e io l’avevo rinnovata poco prima di essere spedita in Italia.
“Signorina Jenkins, buonasera.” disse la segretaria, allungandomi una chiave che presi sorridendo, sorpassandola.
“Grazie” dissi, in un sussurro.
“Signor Jenkins, buonasera anche a lei.” disse. Mi sentii morire.
Aveva fatto la tessera anche lui.
Lui che quel posto lo aveva sempre odiato.
Svoltai l’angolo e mi fermai dietro il muro.
Gli spogliatoi degli uomini erano dal lato opposto a quello delle donne. Avevo ancora una possibilità.
Sbirciai fino a quando non lo vidi chiudersi una porta alle spalle e corsi via, puntando sul fatto che mi conoscesse e si stesse cambiando, sapendo già in che reparto andare.
“Arrivederci.” dissi, consegnando le chiavi alla segretaria.
Le prese e mi guardò smarrita ma non fiatò.
Non aspettai che rispondesse e corsi via.
Era un incubo.
Non mi sarei liberata mai di lui.
Presi il cellulare e lo spensi. Solo così non mi avrebbe rintracciata.
Corsi il più lontano possibile e mi fermai solo quando fui sicura che non mi stesse seguendo.
Ero lontana dai dormitori e non avevo intenzione di andarci, ma non avevo molti altri posti in cui andare.
Mi avrebbe rintracciata ovunque. Senza contare che sarei dovuta rientrare per la cena.
Ero nei guai.. grossi guai.
 
 
 
 
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Note dell’Autrice:
Eccoci qui, con un nuovo capitolo.
Qualcuno ha notato come si sono chiamati a vicenda?

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Capitolo 8
*** -8. Guai (pt 2). ***


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Manco da una valanga di tempo, scusatemi.
Mille e più impegni mi hanno lasciato pochissimo spazio per me e, erroneamente, di conseguenza per voi.
Mi farò perdonare, in questi giorni, promesso!
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Rimasi in giro per tutto il resto del pomeriggio, poi tornai nel comprensorio facendo in modo di arrivare per la cena e non un secondo prima.
Quando arrivai, però, non gli scappai.
Era li che mi aspettava, indiavolato.
Mi sedetti al tavolo della mia classe e cercai di ignorarlo, ma non me lo rese possibile.
“Fossi in te riaccenderei il cellulare. La tua bravata non è piaciuta a nessuno.” disse, alle mie spalle. Contrassi, istintivamente, i muscoli.
Li aveva chiamati, dovevo aspettarmelo.
“E scommetto che hai mobilitato mezza Londra per rintracciarmi.” sibilai, acida. “Dove pensavi che fossi?” chiesi, velenosa. Non rispose e mi voltai a guardarlo. “Cosa gli hai detto?” chiesi, arrabbiata.
“Non sono fatti tuoi.” rispose.
“Certo, d’altronde a me non interessa. Gli hai solo spaccato il naso con un pugno!” sbottai, arrabbiata e scattando in piedi.
“Sel, ho detto che non sono affari tuoi.” rispose, arrabbiato.
“Sel.. io non sono affar tuo!” dissi, ferma. “Non voglio che mi giri intorno. Non voglio vederti. Non voglio che mi parli o sentir parlare di te. Tu hai chiuso una porta e io ci ho messo un catenaccio.” dissi.
“Io non ho chiuso nessuna porta. L’ho fatto per il tuo bene e lo sai.” rispose.
“Stronzate.” sbottai, sedendomi di nuovo.
Tutta la mia classe ci fissava ma me ne fregai altamente.
“Selene sei mia sorella, come puoi pensare che faccia qualcosa per farti del male?” sbotto.
Molti occhi si sgranarono.. effettivamente a vederci non sembrava avessimo una parte di DNA in comune, ma a me non dispiaceva affatto.
“Ho smesso di considerarti un fratello da molto.” risposi, senza nemmeno voltarmi. “I fratelli non si comportano così.” aggiunsi, in un sussurro.
“Tutti invidiavano il nostro rapporto, perché vuoi rovinarlo?” chiese, brusco.
“Non sono stata io a rovinarlo.” sbottai, alzandomi ancora. “Sei stato tu a spedirmi in Italia!”.
“L’ho fatto per proteggerti!” urlò.
Stronzate.. un mare di stronzate.
Improvvisamente mi era passato l’appetito. Uscii dalla mensa e andai ai dormitori.
Mi seguì ma gli chiusi la porta in faccia. Mi chiusi nella mia stanza e iniziai a tirare pugni al cuscino.
Anche quel gesto semplice, invece che sfogarmi, mi fece arrabbiare ancora di più.
Mi fece ricordare quello che avevo perso ad essere stata spedita in Italia e le lacrime iniziarono a sgorgare.
Cercai di bloccarle.
Non valeva la pena piangere per mio fratello. Non lo meritava..
Ma sapevo che le lacrime non avrebbero cessato. Non era per lui che piangevo.
Non ero io ad aver chiuso la porta in faccia all’altro.
Non ero io quella che aveva sgretolato il mondo dell’altro.
Non ero io l’egoista.
Non ero io quella che doveva farsi perdonare.
Ero io quella che non lo avrebbe mai perdonato.
Aveva rovinato tutto il mio mondo, aveva infranto tutti i miei sogni e aveva spezzato il mio cuore.
Chiusi gli occhi e in un attimo tornai indietro nel tempo.
Prima che tutto si sgretolasse.
Prima che i guai iniziassero..




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Note dell’Autrice:
Questo è il capitolo che aspetta di essere postato da mesi..
Siate clementi..

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Capitolo 9
*** -9. Ricordi (pt 1). ***


Lo guardai e sorrisi, consapevole che nonostante il taglio che gli sanguinava sul sopracciglio destro era fantastico.
“Complimenti, un’altra vittoria!” dissi, guardandolo. per poi voltarmi verso mio fratello e fargli una linguaccia in risposta alla sua occhiataccia.
“Dovresti essere arrabbiata, mi ha appena battuto.” mi disse.
“Sel, sono solo obbiettiva..” dissi “È il tuo migliore amico e mi complimento con lui. In più credo che, ogni tanto, una bella lezione non ti faccia male.” aggiunsi, avvicinandomi a lui.
Scoppiarono tutti e due a ridere, forti del fatto che avevo ragione, e io mi unii a loro.
“Sel, aiutami a tirare via i guantoni, prima che mi venga voglia di riprenderti a pugni.” disse Ricky, scherzando con mio fratello.
Li guardai entrambi. Erano due boxeur ed erano entrambi molto più grossi di me, eppure mi sentivo a mio agio con loro. Ero cresciuta con mio fratello e i suoi amici e sapevo che, nonostante la stazza e la passione per la boxe, erano persone fantastiche.
Aiutai io Richard a togliersi i guantoni, dopo che Sel lo mandò a quel paese, poi tornai da mio fratello per controllare i danni.
“Il tuo orgoglio ti permette di farti dare un’occhiata dalla tua minuta sorellina?” dissi, prendendolo in giro. Mi prese in braccio e mi abbracciò, vendicandosi ampliamente.
Feci una smorfia. Avevo appena messo quella maglia e ora sarebbe puzzata di sudore.
“Sto bene, tranquilla, ci vuole ben altro per mettermi k.o.” disse, comunque allegro.
Guardai Ricky dubbiosa poi lo indicai, convinta nel continuare a prendere in giro mio fratello.
“Strano, ero convinta che lui lo avesse appena fatto.” infierii.
Ricky rise mentre mio fratello mi diede un pizzicotto, un pò troppo forte. Mugugnai in protesta.
“Non distruggere la nostra mascotte Sel..” lo rimproverò Ricky, dopo aver sentito il mio lamento.
“Va a farti una doccia che a mia sorella ci penso io.” rispose lui, lanciandogli dietro la sua roba.
Nonostante l’incontro erano perfettamente a loro agio, uno nella sconfitta e l'altro nella vittoria.
Non che ci fosse da stupirsi, facevano boxe da cinque anni e mio fratello era il secondo migliore dell’istituto.. secondo appunto a Richard.
Vedevo la stessa scena ripetersi da sempre ed ero tranquilla, sapevo che quello non avrebbe minato la loro amicizia.
Tornai seria e controllai i danni di mio fratello.
Oltre a qualche livido che si stava iniziando a formare e ad un taglio sul labbro non c’erano grossi problemi.
Gli andai dietro, sospirando, e iniziai a massaggiarli le spalle.
Grazie agli allenamenti avevano tutti dei muscoli durissimi ma io riuscivo comunque a farli sciogliere, era il mio piccolo motivo di vanto.
Gli scoccai un bacio sulla guancia, senza preavviso, e lui sorrise. Ripresi a massaggiargli le spalle e lo fissai, chiedendomi come avrei fatto senza di lui. Non mi diedi risposta.
Selwyn era per me l’unico punto di riferimento, i nostri genitori erano sempre via per lavoro e tornavano a casa solo per Natale. Non ci facevano mancare nulla, questo era vero, ma vivevo sola con lui e questo non era certo il modo migliore di creare una famiglia che si rispetta e si ama.
Il lato positivo era che non dovevamo preoccuparci delle bollette e di tutte le altre spese, potevamo toglierci tutti gli sfizi del mondo senza problemi. Lui aveva scelto il suo attuale college perché era l’istituto con la squadra di boxe migliore del paese mentre io avevo fatto l’iscrizione a quell’istituto per i suoi corsi e nessuno di noi due si preoccupava della retta altissima.
Il lato negativo era che eravamo solo noi due ma, per quanto potessi essere contenta di averlo al mio fianco, la sua presenza non sopperiva completamente alla mancanza di quella dei nostri genitori. Per quanto non fossimo mai stati da soli e la presenza dei suoi amici fosse fissa, anche nei miei pedinamenti, avevo momenti in cui mi sentivo sola.
Il fatto che i nostri genitori avessero detto a mio fratello di proteggermi e controllarmi era per me un incubo. Sapevo che ogni volta che uscivo mi seguiva o mi faceva seguire quindi, tecnicamente, non ero sola.. eppure mancava qualcosa.
Per me quello era l’ultimo anno prima del college e anche solo andare a mangiare un gelato con gli amici mi era impossibile senza una scorta di boxeur alle calcagna.
Ma avevo iniziato a farci l’abitudine, e iniziavo anche a sentire sempre meno la mancanza dei miei genitori.
Avevo imparato a conoscere e ad apprezzare ogni membro della squadra e, in più, potevo sempre vantarmi della loro presenza.
Per mia fortuna, nonostante lo sport che praticavano, o forse proprio grazie a quello, erano tutti bellissimi e tutte le ragazze li fissavano. Così a me bastava sparire dalla loro vista per qualche secondo per far scattare in loro il meccanismo di difesa nei miei confronti e nei loro. Erano tutti perfettamente consapevoli che se mi fosse successo qualcosa sotto la loro custodia mio fratello li avrebbe fatti secchi.
Mi ridestai dai pensieri quando Ricky uscì dal bagno con l’accappatoio addosso, così abbandonai le spalle di mio fratello che si alzò e prese il posto dell’amico nella doccia.
Presi uno dei miei libri dallo zaino e diedi un’occhiata ai compiti, anche se li avevo già svolti tutti, decisi di ripassare.
Mi sedetti con le gambe incrociate e lasciai che la morbidezza del divano mi desse conforto mentre Richard si rivestiva.
Sentii dei rumori fuori dalla porta appena aprii il capitolo e sorrisi entusiasta.
Eric era il terzo migliore della squadra, ma vincere un incontro in così poco tempo era un record a cui nemmeno Ricky si era mai avvicinato. Erano passati appena cinque minuti dall’inizio e lui era già di ritorno, era fantastico!
Guardai la porta pronta a fargli i complimenti ma quando venne aperta mi sentii mancare il respiro.
Richard scattò verso il suo allenatore e io mi fiondai dietro di lui. Mi intrufolai, scansandolo, e toccai la ferita di Eric, sorretto dall’allenatore.
“Cos’è successo?” chiese Ricky.
“Il suo avversario stava incassando un colpo dietro l’altro quando un fan, per aiutarlo, ha lanciato una bottiglia sul ring. L’ha colpito in pieno.” disse Marcus.
Mi spostai, scansata da Ricky, e lascai che lui e Marcus lo adagiassero sul divanetto mentre lo staff medico si prendeva cura di lui.
Questi erano i momenti in cui odiavo il loro sport.
Quando vincevano ero contenta, ma quando qualcuno di loro si faceva male crollavo
.

 
 
 
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Note dell’Autrice:

Vorrei chiarire una cosa: se pubblico la storia senza modificarla non significa che io me ne freghi.
Ho spiegato che è una storia vecchia, recuperata dal dimenticatoio (e non perchè l'avevo accantonata ma perchè dopo aver cambiato due pc credevo di averla perduta.) con un errore di base.
Mi è stato fatto notare che partire annunciandolo non invoglia il lettore a continuare la storia ma vorrei anche far presente che definire il College come la nostra Scuola Superiore non credo che sia un errore così catastrofico. Ero una ragazzina inesperta quando, ancora a mano, mi appuntavo tutte le idee (metodo che ammetto di usare ancora) su fogli sparsi ovunque (ora, però, sono più ordinata e ho un quadernino appositamente custodito) e sognavo ad occhi aperti di vivere in un mondo perfetto. Ma il mondo non è perfetto e più me ne rendevo conto più speravo che quello di Selene lo fosse.. ma non sempre si ottiene tutto quello che si vuole.
Mi è stato fatto notare che la storia non ottiene riscontri, vorrei rispondere facendo presente che voi non potete vedere il numero di visite ottenute, nè potete entrare nel mio account e controllare i messaggi di posta (eh già.. le recensioni, se sono corte, finiscono li dentro.
Mi hanno chiesto di modificare il titolo, aggiungendo un punto di sospensione. Io ne ho sempre usati due (seppur contro le regole grammaticali) per pura comodità.. e continuerò ad usarne due.
Non vi sta bene? Pazienza, me ne farò una ragione: il mondo non è perfetto, io non sono perfetta. Voi lo siete? Meglio per voi perchè io non sono una scrittrice di professione e, per quanto io mi impegni a dare il meglio, ci sarà sempre qualcosa di sbagliato che mi sarà sfuggito.
Leggo libri, comprati in libreria e pagati anche un sacco di soldi (per quanto spesi bene), che contengono degli errori. Quante persone leggono un libro prima che sia pubblicato? Quanti controlli ha un libro prima di essere stampato da editori importanti? Eppure anche loro sbagliano, perchè a noi non è conscesso?

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Capitolo 10
*** -10. Ricordi (pt 2). ***


Vidi mio fratello chinarsi alla mia altezza e mi riscossi. Mi ero eclissata appena Richard mi aveva allontanata, con una spinta, per assistere Eric. Non era stato il gesto di Richard a spaventarmi, nè ero rimasta turbata dal fatto che mio fratello, appena uscito dalla doccia, si fosse precipitato dall’amico e non da me. Mi spaventava il fatto che potesse capitare anche a lui qualcosa del genere, non potevo sopportare quell’idea.
“Eric starà bene, tranquilla.. ora, però, torniamo a casa.” disse, alzandosi e porgendomi la mano. La afferrai e lasciai che mi aiutasse ad alzarmi, poi mi guardai intorno e notai che eravamo soli. Gli altri erano andati già tutti via.

Lasciai che mi abbracciasse e lo segui a casa, stravolta. Almeno, però, quella giornata era finalmente finita.

Venni riscossa dal rumore di pugni sulla porta.
“Sel, aprimi.” disse mio fratello, calmo.
Mi alzai e mi avvicinai alla porta, afferrai la chiave e diedi un’altra mandata poi mi ributtai sul letto. Mi rannicchiai e afferrai il cuscino, sprofondando con il viso.
Un altro ricordo affiorò con quel gesto..

Tenni premuto il cuscino sul viso, con tutta la forza che avevo, per soffocare il rumore e non svegliare nessuno.
Sentii bussare alla porta e trattenni il fiato, peggiorando solo la situazione.
Eppure ero sicura di aver fatto il meno rumore possibile, com’era possibile che qualcuno mi avesse sentita e si fosse svegliato?
Tornai a tossire.
“Tutto bene?” chiese Ricky, entrando. Mi alzai e mi sedetti, mentre lui si avvicinò, poi negai con il viso.
Proprio non riuscivo a smettere di tossire.
“Credo che mi stia tornando l’infiammazione.” ammisi, tra uno spasmo e l’altro.
Quella sera erano rimasti tutti gli amici di mio fratello a dormire a casa nostra e avevano deciso di fare un tuffo in piscina dopo cena. Io mi ero seduta a bordo piscina, attenta a non bagnarmi: avevo da poco avuto un’infiammazione ai bronchi, che si era poi irradiata ai polmoni, che mi aveva tenuta sveglia tutte le notti a tossire e volevo evitare che tornasse all’attacco.
Eppure a qualcuno non andava bene e decise di prendermi in braccio di peso e buttarmi in acqua.
Avevo odiato Lucas, lo ricordo bene, e appena emersa avevo inveito contro di lui, che aveva, però, riso energicamente.
Ed ora eccomi qui, a distanza di qualche ora, con ancora la tosse.
Richard si chinò alla mia altezza e appoggiò una mano sulla mia fronte, facendomi mugugnare contrariata.
“Sei accaldata ma non sta tornando anche la febbre.” disse, rialzandosi e sparendo nel mio bagno. Quando ne riuscì, tornando da me, poco dopo aveva un asciugamano bagnato in mano e me lo appoggiò un pò sulla gola, un pò su petto e un pò sulla schiena.
Era bollente e, in teoria, avrebbe dovuto aiutarmi a liberare le vie respiratorie.
“Non funzionerà.” dissi.
“Aiuterà, almeno, l’antibiotico ad agire più velocemente.” rispose, andando verso la porta.
 “Grazie.” dissi, prendendo la scatola delle medicine che mi porse quando tornò.
Se fossi stata a casa da sola l’avrei presa io, ma il bagno in cui tenevamo la cassetta medica era quello degli ospiti. Era, così, accessibile sia a me che a mio fratello senza dover irrompere nella stanza dell’altro, peccato, però, che la stanza degli ospiti quella sera fosse occupata da Eric e Lucas e non avessi voluto svegliarli.
“Prendi una pastiglia e riposati.” rispose Ricky, uscendo.
Annuii e presi la bottiglietta di acqua che tenevo sul comodino. Misi la pastiglia di antibiotico, appena recuperata, in bocca e bevvi un sorso per aiutarmi a ingoiarla.

Dopo qualche minuto la tosse iniziò a diminuire e dopo qualche ora mi addormentai, finalmente, tranquilla.

Presi il cuscino e lo scagliai contro la porta.
Odiavo mio fratello per quello che mi aveva fatto..
Mi aveva tolto l’unica cosa davvero importante per me.

“Io esco.” dissi, correndo come una furia giù dalle scale.
Mi fermai in sala e mi misi la giacca.
“Non se ne parla Sel.” disse mio fratello.
Sapevo che avevano in programma un’uscita di gruppo e sapevo che sarebbero andati tutti insieme in discoteca.
Li guardai uno per uno e sorrisi.
“Non fatemi diventare zia!” dissi, prendendoli in giro poi mi voltai verso mio fratello e feci la faccia più dolce possibile. “Ti prego, ti prego, ti prego..” dissi. “Ci sarà tutta la mia classe.” aggiunsi.
Era da poco iniziato il nuovo anno scolastico e io ero al primo anno di college.
Eravamo ai primi di ottobre e mio fratello sapeva che se rifiutavo un invito ora me lo avrebbero rinfacciato, escludendomi da tutte le future uscite, per il resto degli anni del college. Guardò Jane e lei si alzò in piedi arrabbiata.
“No amore, non rimandiamo l’uscita.” rispose lei. Sel si girò verso i suoi amici e li guardò uno per uno mortificato.. solo lui e Lucas erano fidanzati, quindi Eric, Richard o Bernard potevano seguirmi.
“Scordatelo!” risposero, in coro. Sel li guardò male, uno per uno.
“O voi, o io.” rispose.
“Ok, la seguo io.” disse Ricky, sospirando esasperato. Lui era quello di cui Sel si fidava di più e sapeva che se avesse scelto mio fratello sarebbe comunque toccato a lui. Il fatto che Ricky fosse l’unico a batterlo sul ring contava molto in queste scelte.
Sorrisi e mi voltai uscendo, seguita da tutti.
Aspettai che mio fratello e gli altri si dividessero nelle macchine e li salutai, poi mi voltai verso Richard e mi incamminai, seguita da lui.
Londra per me aveva un solo difetto: niente spiagge.
Se fossi stata nella nostra casa al mare, a Brighton, avrei saltato la cena e sarei andata a fare una bella passeggiata sulla spiaggia dove avrei camminato scalza sulla sabbia, guardando le stelle..

Ma eravamo a Londra e dovevo accontentarmi, quindi sarei andata alla cena.



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Note dell’Autrice:
Altro capitolo andato.
Mentre posto ne sto aprofittando per rileggere la storia e devo dire che all'epoca avevo proprio una fervida immaginazione.. 

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Capitolo 11
*** -11. Ricordi (pt 3). ***


Mi ricossi dai miei pensieri appena sentii il cellulare di mio fratello squillare.
Aveva sempre avuto l’abitudine di personalizzare le suoneria per ogni persona e non mi ci volle molto per capire chi lo stava chiamando.
Fissai la porta, in silenzio, e ascoltai quello che disse mio fratello.
“Non è un tuo problema, stanne fuori!” urlò, di punto in bianco. Sentii la rabbia montare in me e aprii la porta.
“Sei uno stronzo.” dissi, mollandogli uno schiaffo in pieno viso.
Tornai in camera e richiusi a chiave la porta.
Come poteva trattare così uno dei suoi migliori amici?
Come poteva trattare così sua sorella?
Era senza cuore.
Mi guardai intorno e osservai ogni minimo oggetto: avevo bisogno di distrarmi.
La scrivania in compensato scuro. La lampada da studio, bianca, appoggiata sopra. Il regolamento d’istituto incollato sotto al vetro, appoggiato sulla scrivania. L’armadio affianco alla finestra. La finestra con la tenda bianca e i fiori verdi. Il letto a penisola. Il copriletto bianco con gli stessi fiori della tenda disegnati sopra, ma blu.
Blu..
Quel blu che mi era tanto famigliare.
Fissai i fiori e mi sembrò di vedere i suoi occhi.. 

Mi sedetti su una panchina del parco e fissai i miei piedi.
“La serata al pub quanto durerà?” chiesi.
“Fino a domani mattina minimo, avevano programmi lunghi.” rispose, appoggiandosi al lampione davanti alla panchina.
Era distante ma pochi metri non erano eccessivi. Alzai il viso e lo fissai.
Le braccia incrociate mettevano in risalto i muscoli delle braccia. La polo blu era perfettamente in tinta con i suoi occhi e i denti bianchi risaltavano il suo sorriso.
Mi morsi leggermente le labbra poi mi alzai e gli andai incontro. Lo vidi guardarsi intorno, vigile, ma me ne fregai.
Lo abbracciai e mi aggrappai alla sua maglietta mentre lui cercò di allontanarmi.
Appoggiai la fronte al suo petto e rafforzai la presa.
“Niente uscita.” sussurrai.
Le sue mani smisero di fare pressione sulle mie spalle. Rimase immobile.
“Cosa?” chiese.
“Era una balla.” confessai, spostando le mani dietro la sua schiena. Alzai la parte alta del viso, rimanendo con il mento e la bocca appoggiata al suo petto, e lo fissai.
Mi guardava quasi male.. però era sorridente.
“Stai migliorando, un tempo quando mentivi ce ne accorgevamo subito.” rispose, guardandomi.
“Non era poi così grossa come bugia.” risposi, sorridendo.
Il fatto che vivessi sola con mio fratello contribuiva a questi miei abbracci improvvisi. Spesso mi capitava di abbracciare anche Selwyn in cerca di conforto.
Lo fissai.
Mi sentivo minuscola quando stavo con lui.
Era il più alto di tutti gli amici di mio fratello.
Con i suoi due metri secchi superava persino Selwyn.. ma era più magro. Novanta chilogrammi di muscoli, però, non erano da sottovalutare. Ma ammetto che stava diminuendo con gli allenamenti.. me ne ero accorta.. invece di cercare di potenziarsi cercava di non aumentare..
E un po’ mi sentivo in colpa..
Un paio di mesi prima eravamo tutti in salotto a guardare un incontro.. o meglio: loro guardavano l’incontro in tele; io leggevo un libro. Erano tutti entusiasti e a me fuggì una frase che tutti odiarono. Dissi che per me quelli in tele non erano veri incontri. Gli steroidi aumentavano esageratamente la massa muscolare e rendevano finto tutto, senza contare il fatto che troppi muscoli, a parere mio, erano osceni. Mio fratello mi rispose che loro non sarebbero arrivati a quei livelli perché il loro sport era leggermente diverso e che avevano già raggiunto tutti il massimo ma risposi che per me la situazione non cambiava..
Ripensai a Eric.. lui era il più basso di tutti loro e per me il suo fisico era sproporzionato: troppi muscoli per una statura così piccola, ma questo non era un problema.. Eric non mi interessava di certo!
“Cosa vorresti fare, quindi?” chiese, accarezzandomi la schiena. Feci spallucce mentre negai con il viso, senza paura di macchiargli la maglia di rossetto..
Non ero mai stata amante del trucco e prima uscivo sempre struccata.. prima, appunto.
Durante il mio ultimo compleanno ero indecisa su cosa mettere e cosa abbinarci così scesi in salotto con solo l’accappatoio e due vestiti nelle mani che mostrai.
Cinque boxeur universitari non erano certamente le persone più adatte a cui una ragazza del secondo anno poteva chiedere un consiglio di moda, ma non avevo scelta.
Avevano scelto tutti un vestito blu e si erano sbizzarriti sulle indicazioni del trucco.
Lui aveva optato per un trucco scuro sugli occhi e labbra naturali ma io, per non dare nell’occhio, usai un trucco leggero sugli occhi e misi un rossetto rosso, come mi aveva consigliato mio fratello.
Dalla volta dopo, però, quando uscivo usavo sempre la combinazione suggerita da lui, anche per gli eventi a cui di solito partecipavo senza trucco.
Questo make-up però era perfetto.
Io portavo gli occhiali e di certo non era un problema stare attenta a non rovinare il trucco sugli occhi, le labbra neutre invece erano un vantaggio per queste occasioni..




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Note dell’Autrice:
Aiuto, è passata una vita da quando ho postato l'ultimo capitolo (e sono entrata, in generale, su EFP).. così tanto che mi ero anche dimenticata di avere iniziato a postare questa storia. Vediamo se riesco a recuperare un pò di tempo e postare alcuni capitoli?!

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Capitolo 12
*** -12. Ricordi (pt 4). ***


Spostai le braccia dalla sua schiena al suo collo e lasciai che mi sollevasse alla sua altezza poi lo baciai.
Quando mi rimise giù lo guardai sorridente ma notai che era serio. Lo guardai dubbiosa e lui sospirò.
“Se ci scopre tuo fratello uccide prima me e poi te.” disse.
“Sei un boxeur, sono sicura che saprai difenderti.” risposi, scherzando.
Avevo cercato di spezzare la tensione che si creava ogni volta che si parlava di questo ma non c’ero riuscita.
Mi imbronciai e mi morsi le labbra nervosamente.
“Sai che odio quando lo fai.” disse. Mi bloccai subito. Me lo ripeteva sempre: quando sono nervosa mi mordo le labbra fino a farle sanguinare e lui non lo sopporta.. soprattutto da quando, qualche mese prima, avevo fatto il piercing. Finivo sempre con il prenderci contro.
“Domani esci con Shanna, vero?” chiesi. Annuì e io sospirai.
Shanna era una ragazza che aveva frequentato il college con loro e che sapeva del nostro piccolo segreto.
L’anno prima ci aveva scoperto e aveva promesso di non dire nulla a patto che lui l’avesse portata al ballo di fine anno.
Accettai subito, anche se lui era contrario. Tanto io non sarei potuta andare con lui, cosa gli costava portare lei?
Eppure non bastò questa scusa per non farci litigare.
Lui non credeva che lei si sarebbe fermata con quel ‘ricatto’ ma, fortunatamente, si sbagliava.
Non aveva più chiesto nulla e aveva giurato di mantenere il segreto. Quando, poi, ero stata io a chiedergli di uscire con lui per evitare che mio fratello si insospettisse si era prestata volentieri al gioco e da li era diventata la nostra copertura ufficiale.
Per mio fratello e gli altri lei era la sua ragazza..
E questo mi faceva una rabbia pazzesca.
Ecco perché mi dava fastidio l’uscita dell’indomani.
Fossero stati solo loro sapevo che sarebbero stati insieme qualche minuto. Giusto il tempo di fare qualche foto che lei avrebbe mostrato a mio fratello per coprirci e poi lui sarebbe venuto da me, che sarei stata in biblioteca.
Ma l’uscita di domani era con tutti quindi avrebbe dovuto fare con lei ben di più.
Certo, evitava sempre di baciarla ma non poteva evitare di abbracciarla e accarezzarla, non doveva dare nell’occhio.
E io non lo sopportavo.
Spesso cercavo di mancare a quegli eventi ma l’indomani non sarei potuta mancare, era il compleanno di mio fratello e non ci avrei fatto una bella figura.
“Posso sempre dire che ci siamo lasciati.” disse. Negai con il viso.
“Ci rimarrebbe male e non voglio che si rovini il compleanno.” risposi.
“Invento una litigata allora.” propose. Negai nuovamente.
“Se c’è già stata ci rimarrebbe male e se invece la simulate e Shanna va via mio fratello ti farebbe correre da lei, e vi seguirebbe.. lo sai.” risposi. Sospirò.
“Mi dispiace.” disse.
Scossi di nuovo la testa, incapace di rispondere.
Odiavo dover tenere nascosta la nostra relazione, ma sapevo perfettamente che mio fratello non l’avrebbe presa molto bene.
 
Deglutii, cercando di riprendere a respirare normalmente ma era tutto inutile.
L’avevo perso, l’avevo perso per colpa di mio fratello!
Non potevo sopportare quell’idea.
 
Guardai i tabelloni e sorrisi.
Avevo appena concluso il secondo anno di college e avevo ottenuto il massimo dei voti in tutte le materie. Non potevo chiedere di meglio.
“La solita secchiona!” disse mio fratello, appena mi buttai sul divano accanto a lui.
“Guarda che se studi così tanto non ti si avvicinerà nessun ragazzo.” disse Bernard, prendendomi in giro. Mio fratello sbiancò.
“Sel.. continua pure a studiare.” disse, guardandomi. “Forse non hai capito che nessun ragazzo deve avvicinarsi a lei.” aggiunse, guardando Ned.
Scoppiai a ridere. Di certo non poteva aspettarsi una risposta diversa, eppure la mia risata non era spensierata e tranquilla come sembrava.
Vidi Ricky appoggiarsi, dolorante, una mano sulle costole dopo aver ricevuto una pacca da Lucas che voleva farlo scalare sul divano.
“Ti fa ancora male il tatuaggio?” chiesi.
“Fino a quando non mi ci prende contro l’uomo delle caverne no.” rispose, tranquillo.
Mi voltai, tranquilla e vidi mio fratello guardarmi male, malissimo.
“Sel, vieni di la un secondo che mi dai una mano.” disse. Annuii e lo seguii. Appena arrivammo in cucina chiuse la porta alle nostre spalle e si voltò, brusco, verso di me.
“Cosa c’è?” chiesi, dubbiosa.
“Tu non partecipi ad un nostro allenamento da tre mesi.” disse. Annuii, dubbiosa. “E noi non abbiamo delle gare da due mesi.” aggiunse. Annuii, ancora dubbiosa. “Ricky ha fatto il tatuaggio meno di un mese fa, come facevi a saperlo?” chiese, cattivo. Lo guardai allucinata.
“Me lo hai detto tu.” risposi. “Sei tornato a casa una sera dicendo che eri riuscito a batterlo in un allenamento. Hai anche detto che negli spogliatoi hai scoperto che gli avevi colpito il tatuaggio appena fatto e che l’euforia ti era passata all’istante..” aggiunsi, tranquilla.
“Non mi ricordo di averlo detto.” rispose.
“Se è per questo non ricordi nemmeno quello che ho cucinato ieri sera.” risposi.
Si tranquillizzò e tornò in sala dopo aver preso delle birre.
Presi dei salatini e lo seguii in silenzio poi mi risedetti e rimasi in silenzio per il resto della serata..
 
 
 
 
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Note dell’Autrice:
Secondo capitolo di oggi. E una domanda mi sorge spontanea: ma quanto era piccolo quando scrivevo queste scemenze? 🙈 

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Capitolo 13
*** -13. Ancora una possibilità. ***


Soffocai un singhiozzo con le mie ginocchia, e cercai di riprendere fiato.
Come poteva essere tutto svanito?!
Bernard, Richard, Lucas, Eric.
Tutti erano spariti dalla mia vita in un secondo.
Per un capriccio di mio fratello il mio cellulare venne sequestrato, le mie cose impacchettate e io segregata in casa senza nessun contatto con altre persone. Il giorno dopo, poi, mi ritrovai già in volo verso l’Italia.
Come poteva essere successo in così poco tempo che il mio mondo si fosse sgretolato?!
Avevo sbagliato a tenerlo nascosto, lo ammetto.. ma tanto non sarebbe cambiato nulla. Se lo avessi detto a mio fratello sarei solo stata cacciata prima.
Riaccesi il cellulare senza sapere bene cosa fare. Dovevo, però, fare qualcosa.
Rigirai il telefono tra le mani con lo sguardo fisso nel vuoto poi, improvvisamente ed istintivamente, lo gettai in terra. Mi fiondai al pc e lo accesi.
Contai ogni singolo secondo e quando riuscii ad aprire la pagina di google ripresi a respirare.
Non mi ero nemmeno accorta di trattenere il fiato eppure vedere il motore di ricerca operativo mi fece sperare in bene.
Scollegai immediatamente internet e collegai il wi.fi dell’istituto.
Se il preside non ha cambiato password sono a cavallo!
Digitai le lettere sperando che fossero giuste e quando si riaprì la schermata di google quasi feci i salti di gioia.
Tramite quell’indirizzo ip non mi avrebbero rintracciata.. pochi secondi, mi bastavano pochi secondi.
Digitai immediatamente l’indirizzo dell’università di mio fratello e, appena si aprì la pagina, mi collegai con il suo account.
Inserii nome e password e mi collegai alla bacheca degli incontri.
Se ero fortunata in settimana ce ne sarebbe stato uno.
Mi bloccai di colpo.
La fortuna non era dalla mia parte..
L’incontro era iniziato già da dieci minuti.
Avevo, però, un’altra possibilità. Presi il minimo indispensabile dall’interno della borsa e mi misi la felpa.
Ero ancora in tuta ma, per un attimo, aprendo la porta, sperai che fosse un vantaggio.
La richiusi e corsi via mente mio fratello mi seguiva.
Chiusi la cerniera di ogni tasca dopo averci messo dentro le chiavi e il cellulare in modalità off-line, e aumentai il passo.
Quando arrivai davanti alla porta di Clelia bussai, ignorando mio fratello. Mi liberai dalla sua stretta e appena la porta si aprì appena la spalancai fiondandomici dentro e richiudendomela alle spalle.
“Devi aiutarmi.” sussurrai, mentre mi fissava stralunata.
Annuì, terrorizzata e io alzai a tutto volume la sua radio mentre indicai la finestra.
“Cosa vuoi fare?” chiese, piano.
“Raggiungerlo.” risposi. “Devi farmi uscire dalle scale antincendio.” aggiunsi.
Corse alla finestra e inserì il codice di sblocco allarme.
Iniziavo a odiare il sistema di sicurezza dell’istituto.
Impediva a chiunque di avvicinarsi ma era una gran seccatura quando si aveva fetta.
Appena sentii il piccolo ‘bip’ mi precipitai. Clelia aveva già aperto e io mi sedetti sul davanzale in un secondo. Mi alzai voltandomi e afferrai la scala che passava di li.
“Fai attenzione.” disse, preoccupata. Annui  e iniziai a scendere.
“Grazie.” sussurrai.
Quando saltai giù, finite le scale, iniziai a correre.
Avevo sempre odiato gli allenamenti che mio fratello mi costringeva a seguire ma questo mi semplificava le cose ora.
Dovevo fare il più in fretta possibile ma, grazie alla corsa mattutina impostami da Sel, non mi preoccupavo del tragitto. Ero leggermente fuori forma ma non ero di certo incapace di correre su lunghe distanze, dovevo solo tirare fuori i trucchetti che mi avrebbero aiutata a raggiungere la mia meta.
 
Arrivai a destinazione dopo quasi un’ora.
L’incontro era finito da una decina di minuti e stavano uscendo tutti.
Mi fermai di botto, con l’affanno, appena notai il vincitore uscire, elogiato dall’allenatore, ed ebbi un tuffo al cuore.
Mi chinai di scatto, nascondendomi dietro ad una macchina, appena vidi il coach Marcus voltarsi.
“Possiamo parlarne un’altra volta?” chiese lui, interrompendolo. “Vorrei andare a casa e farmi una doccia decente.” aggiunse.
“Ma come, hai già fatto la doccia e ti ho anche organizzato una festa.” brontolò l’altro..
Mi sporsi con il viso, stando attenta a non farmi vedere e lo guardai.. mi stava fissando.
“Dopo vi raggiungo.” rispose.
Tornai a nascondermi e feci il giro della macchina appena Marcus si allontanò.
Lui non si mosse.
Aspettò che il suo allenatore fosse lontano poi tornò all’interno della palestra.
Lo seguii all’istante, senza aspettare, e quando gli fui davanti ero madida di sudore e senza fiato.
Le gambe mi tremavano, per la stanchezza e per l’emozione, e dovetti appoggiare la mano al muro per raggiungere la stabilità necessaria a non ruzzolare in terra.
Mi portai, anche, una mano al petto, cercando di riprendere fiato e lo fissai.
Era sconvolto.
 
 
 
 
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Note dell’Autrice:

Lo ripeto: per quanto io stia "revisionado" la storia non la modificherò. Correggerò, prima di postarla, solo gli errori grammaticali e nient'altro.. ma fidatevi: di strafalcioni ne ho trovati parecchi per capitolo.

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Capitolo 14
*** -14. Un altro ricordo. ***


Mi bloccai di colpo, come potevo dargli torto.. dopo tutto questo tempo.
Dopo che si era rifatto una vita, con un’altra ragazza, come potevo presentarmi davanti a lui.
“Scusami..” dissi, voltandomi.
“Selene.” mi chiamò, piano.
Dovevo andarmene prima di fare altri guai.
Mossi appena due passi quando mi afferrò il polso e mi tirò indietro in malo modo.
Era diventato più forte in quell’anno e mi fece perdere l’equilibrio.
Mi prese al volo, prima che cadessi, e rimase immobile.
“Non dovevo venire qui, mi dispiace.” sussurrai, beandomi di quel contatto.
Al contrario di quello che credevo non mi lasciò, rafforzò la presa di poco, attento a non farmi male.
“Sei qui però.” disse. Annuii. “Tuo fratello?” chiese. Negai.
“Mi sta aspettando davanti alla stanza di tua sorella, mi ha vista entrarci ma non uscirne dalla scala antincendio.” risposi, pronta a subire la predica.
Non disse nulla.
Mi liberai, mi voltai e lo fissai. Ci rimasi di sale.
Portai una mano sulla sua tempia e premetti appena. Si ritrasse.
“Mi fai male.” disse, lamentandosi. Lo fulminai.
“Non hai usato la conchiglia.” sbottai.
Che lui non usasse il casco di protezione durante gli allenamenti mi faceva imbestialire ma potevo sopportarlo, alla fine erano ‘incontri’ amichevoli, ma che non lo usasse durante un combattimento no.
“Veramente l’ho usata.” rispose. “Avevo il casco e l’ho tolto a fine incontro.” aggiunse. Ritrassi la mano.
Non era la prima volta che si facevano male a incontro finito. Anche Eric aveva iniziato a usare perennemente il casco dopo il suo incidente.
Mi morsi il labbro e lui sospirò. Mollai subito la presa.
“Scusami.” dissi. Ma era troppo tardi, avevo già tirato il piercing.
Cacciai indietro il dolore e mi spostai, lontano dai vetri.
Mi seguì.
“Tuo fratello non ci metterà molto a raggiungerci una volta scoperto dove sei.” disse. Lo fissai.
“Non ti tratterrò molto, anzi, ci metterò solo qualche secondo.” dissi. “Volevo solo chiederti scusa.” aggiunsi.
“Scusa per cosa?” chiese.
“Per tutto.. per essere sparita di punto in bianco, per il pugno di mio fratello, per il suo odio.. Scusami, per tutto.” risposi, pronta ad andarmene. Mi allontanai dal muro a cui mi ero appoggiata ma mi bloccò la strada.
“Tutto qui?” chiese, cattivo. “Un anno senza farti sentire e l’unica cosa che ho in cambio sono poche semplici parole? Credo di meritare una spiegazione un po' più approfondita.” Sbottò, ammutolendomi.
“Non te l’ha detto.” sibilai, acida, pensando a mio fratello.
“Detto cosa?” chiese.
Mi ributtai contro il muro e sputai fuori tutto il veleno che avevo dentro da quando, undici mesi prima, ero stata allontanata dall’Inghilterra.
Gli raccontai che dopo che mio fratello attaccò lui mi spedì in Italia dai miei genitori.
Gli raccontai che mi erano stati tolti tutti i mezzi per mettermi in contatto con la mia vecchia vita e gli dissi tutto quello che provavo per le persone che dovevano rappresentare la mia famiglia, ma che odiavo.
Gli raccontai del mio piccolo metodo di ribellione e guardai attentamente ogni smorfia che fece il suo viso.
Ci misi un’ora intera prima di smettere di parlare ma lui non mi interruppe mai.
Dopo il mio sfogo lo vidi alzarsi incredulo, togliendosi la maglia, e andare al sacco, a cui sferrò un pugno.
“Tutto bene?” chiesi, in un sussurro. Non rispose e io abbassai il viso.
Guardai il pavimento sotto ai suoi piedi poi risalii fino alla sua schiena.
Di botto si voltò e sferrò un altro pugno, più potente del precedente. Avevo i suoi fianchi davanti a me e non potei non notare il tatuaggio.
Mi eclissai in un altro ricordo.
 
Quando tutti andarono via rimase solo Richard.
“Sicuro che non sia un problema?” chiese Sel.
Lui negò con il viso e mio fratello sorrise.
Quella sera doveva uscire con Jane e, ovviamente, io non sarei potuta restare da sola.
“Tutto bene?” chiese Ricky, una volta soli.
Guardai la macchina di mio fratello allontanarsi poi negai con il viso.
“L’ho fatta grossa.” dissi, guardandolo. Mi guardò dubbioso. “Mio fratello ci uccide.” aggiunsi.
“Ok, mi dici cos’è successo?” chiese, sedendosi e prendendomi in braccio.
“Il tuo tatuaggio.” dissi. Rimase in silenzio, pensieroso, qualche secondo poi si bloccò di colpo quando capì che io non avrei dovuto saperne l’esistenza.
“Cosa gli hai detto?” chiese.
“Che me lo aveva raccontato lui.” risposi. “Gli ho detto quello che mi hai raccontato tu degli allenamenti.” risposi.
Ero stata brava a far credere a mio fratello che mi avesse raccontato lui degli allenamenti ma non mi illudevo di averla scampata. Ricky aveva fatto il tatuaggio il giorno prima dell’anniversario di mio fratello e Jane e, se solo Sel ne avesse parlato con lei, avrebbe capito che io non lo avevo proprio visto il giorno dopo, quello degli allenamenti.
Mi liberai dalla sua presa e mi alzai per andare in bagno, avevo bisogno di sciacquarmi il viso con dell’acqua ghiacciata.
 
Quando il suo cellulare squillò, accanto a me, mi riscossi. Abbassai il viso sullo schermo e vidi le poche parole che gli aveva spedito sua sorella per messaggio.
“Sel sta arrivando, devo andare.” dissi, alzandomi e correndo via.

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Capitolo 15
*** -15. Piccola rivincita. ***


Quando bussai alla finestra della camera di Clelia lei era già li ad aspettarmi.
Mi fece entrare, terrorizzata.
“Dov’è mio fratello?” chiese.
“Sta bene, tranquilla.” risposi.
“Non mi hai risposto.” controbatté.
“Non lo so dov'è, ma stai tranquilla.” dissi.
“Certo, tuo fratello lo vuole morto.” sbottò.
“Clelia, se solo Selwyn si avvicina a Ricky sarà mio fratello a rimetterci le penne. Non ho mai visto tuo fratello così arrabbiato.” affermai.
Volle sapere cos’era successo e le spiegai quello che avevo raccontato anche a Richard.
“Tu sai che qui nessuno sapeva che fine avessi fatto? Pensavamo tutti fossi rimasta qui ma ben protetta.” disse.
Mi bloccai di colpo.
“Nessuno sapeva che ero in Italia?” chiesi. Negò con il visò e io avvampai.
“Dove vai?” chiese, quando uscii dalla sua camera.
“A casa tua.” risposi, schivando i miei attuali compagni di classe che erano rimasti ad aspettarmi. “A prendere a calci mio fratello!” aggiunsi. Mi seguirono tutti e quando lo raggiunsi, Sel, era esattamente dove mi aspettavo.
 

*Ricky*
 

“Dov’è mia sorella?” chiese, entrando come una furia in casa mia.
“Fuori di qui.” risposi, brusco. Si bloccò quando vide Iris davanti a me.
“Dovevo immaginarlo.” rispose lei, tirandomi uno schiaffo che non mi scalfì minimamente.
Lei uscì a passo svelto e io fissai quello che un tempo era stato il mio migliore amico.
“Selwyn sparisci.” lo minacciai. Non obbedì.
Mi alzai minaccioso e mi avvicinai a lui sovrastandolo.
“Non trovo Selene.” disse, sconfitto. Era convinto che fosse con me, e non aveva tutti i torti visto che pochi minuti prima era stata davvero con me. Sorrisi bastardo.
“Provato a controllare i voli per l’Italia?” sibilai cattivo. Mi guardò impietrito.
“L’hai vista.” ringhiò, scagliandosi contro di me. Evitai il colpo e ne sferrai uno in risposta.
Indietreggiò dopo che lo ebbi colpito e lo fissai.
Cercò di colpirmi ancora ma anche questa volta non ci riuscì, anche se non fui io a schivare il colpo.
“Non osare toccarlo!” disse Selene, entrando come una furia.
In quello lei e suo fratello erano identici: carattere irrazionale e irascibile.
Selwyn si voltò e la vide avvicinarsi.
“Dov’eri?” chiese, minaccioso.
“Non sono affari tuoi.” rispose lei. In poco tempo entrarono altri ragazzi e mia sorella.
“Sbatti fuori di casa tutti.” dissi a Clelia, che obbedì.
 “Tu torni a casa, subito!” sbottò Sel, guardandola.
“E a quale casa ti riferisci?” chiese mia sorella, cattiva.
Selene era sempre stata la migliore amica di mia sorella e oltre a Shanna lei era l’unica a sapere di noi.
“Già a quale casa ti riferisci?” rincarò Selene. “Perché qui nessuno sapeva che ero stata spedita in Italia come fossi un pacco postale.” aggiunse. “Tutti credevano che me ne stessi chiusa in casa a Londra e che li ignorassi.”.
“Quante volte, venendola a trovare, mi hai risposto che non voleva vedermi?” chiese mia sorella. “Ho pensato di aver sbagliato io qualcosa!” gli urlò contro, piangendo.
Vedere mia sorella in lacrime mi pece perdere anche l’ultima piccola briciola di razionalità che mi era rimasta e mi girai verso Selwyn, pronto ad attaccarlo.
Mi precedettero però.
Vidi Selene avvicinarsi e tirargli uno schiaffo in pieno viso, così forte da lasciargli il segno delle cinque dita sul viso.
Ritrasse la mano stringendola nell’altra e capii che lo aveva colpito nel posto sbagliato, facendosi mele a sua volta.
“Permetti?” le chiesi, ironicamente, sorpassandola. Non aspettai una risposta ma colpii suo fratello all’istante, in pieno viso.
Sentii il suo naso scricchiolare sotto le mie nocche e ritrassi la mano.
“Sangue..” sussurrò, disgustata mia sorella, voltandosi dall’altro lato. La ignorai ma mi voltai verso Selene.
“Eppure ti abbiamo detto mille volte che se non colpisci i punti giusti rischi di farti male anche te.” la rimproverai.
Almeno, però, stava utilizzando la tecnica che le avevamo insegnato per non far peggiorare la situazione.
“Fammi un favore.” disse, piano. “Tiragliene un altro.” aggiunse, in preda al dolore.
Non me lo feci ripetere due volte.
Questa volta colpii lo zigomo.
 
 
 
 
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Note dell’Autrice:
Questo capitolo è abbastanza discutibile, lo ammetto 😱  

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Capitolo 16
*** -16. Una sconfitta vittoriosa. ***


*Selene*
 

Quando mio fratello si raddrizzò, dopo il secondo pugno di Ricky, aveva il naso spaccato e lo zigomo impregnato di sangue.
Nell’istante in cui lo vidi così mi sentii come svuotata: non stava soffrendo come avevo sofferto io ma aveva avuto la sua lezione.
Mollai la presa sulla mia mano, che improvvisamente aveva smesso di farmi male, e lo guardai.
“Perché dobbiamo farci questo?” chiesi. “Perché hai iniziato questa stupida guerra?” aggiunsi.
In quel momento mi mancava mio fratello.. Il fratello dolce e protettivo che avevo avuto prima che scoprisse di me e Ricky.
Sel si pulì lo zigomo, alla bene e meglio, con la maglia e poi la appallottolò sul naso.
Clelia era sparita dalla stanza appena la vista del sangue le era diventata insostenibile, Ricky non dava segni di volerlo aiutare e a me si spezzò un altro pezzo di cuore.
“Io non ho iniziato nessuna guerra.” rispose Sel, guardandomi. “Ti ho solo protetta.” aggiunse fermo.
“Protetta da cosa?” chiesi, affranta. “Non avevo nulla di cui preoccuparmi.” aggiunsi.
“Ti proteggevo da lui.” aggiunse, indicando Richard. “Non è la persona adatta per te, insomma, guardalo.” aggiunse, indicandolo.
Non mi voltai per obbedire, non avevo bisogno di farlo. Conoscevo a memoria ogni singolo centimetro del suo corpo, non dovevo guardarlo per vederlo.
“E da cosa volevi proteggermi di preciso?” chiesi, cattiva. “Ma stai molto attento alla risposta che mi dai perché tu hai sempre detto che ti trovavi bene con i tuoi amici perché erano come te!” aggiunsi. “ Ricordati che ogni cosa che tu dici di Richard io potrei dirla di te.” conclusi.
“Non puoi non vedere che è un violento.” disse.
“Per il fatto che è un boxeur come mio fratello?” chiesi. “O per essersi difeso adesso dopo che tu l’hai aggredito?” aggiunsi.
Mio fratello si bloccò.
“È più grande di te.” cambiò discorso.
“Se è per questo allora non dovevi fare in modo che passassi così tanto tempo con lui, chissà perché e come l’ho conosciuto.” risposi, acida.
“È passato di ragazza in ragazza!” sbotto Sel.
“Senti chi parla!” rispondemmo in coro io e Ricky.
Ci guardò male e contrasse i muscoli, innervosito.
“Ti avrebbe fatta soffrire.” mi disse.
“Per ora l’unica persona che mi ha fatta soffrire sei tu, che mi hai allontanata da tutto e tutti.” sussurrai.
Si pietrificò.
Sapevo che non pensava di aver fatto così tanti danni.
Sapevo che mi voleva bene.
Sapevo che quella sarebbe stata la frase che lo avrebbe fatto collare, tuttavia non la dissi per farlo sentire in colpa. La dissi liberandomi di quel peso che avevo sullo stomaco da quando avevo scoperto quello che aveva fatto.
Lo guardai con gli occhi pieni di lacrime e scappai su per le scale.
Mi chiusi nella camera di Richard e mi feci scivolare con la schiena attaccata alla porta fino a ritrovarmi seduta, con le gambe al petto e le mani sul viso a soffocare i singhiozzi.
Erano mesi che non piangevo. Dopo il mio arrivo in Italia avevo prosciugato in poco tempo la riserva di lacrime e nemmeno mettendomici di impegno riuscivo a far scendere la più piccola goccia. Eppure da quando ero tornata a Londra il fiume in piena sembrava essere tornato.
Sbattei un pugno sul pavimento, arrabbiata. Volevo odiare mio fratello per quello che mi aveva fatto.. lo volevo con tutta me stessa.
Eppure odiavo me stessa per il solo fatto di cercare di odiarlo.
Rimasi immobile per secondi interminabile, che si trasformarono in minuti ancora più lunghi, fino a quando sentii il campanello suonare.
Mi guardai intorno e notai l’arredamento completamente diverso da come lo ricordavo, trasalii.
Non solo aveva tolto completamente tutte le foto ma aveva cambiato anche i mobili.
Mi alzai e uscii da quella camera a me estranea.
Tornai in sala e trovai la mia classe intenta a guardarsi intorno.
“Dove sono?” chiesi, sospirando a Clelia.
“Nella dépendance della piscina.” rispose, fissandomi impaurita.
Uscii dalla grande porta a vetri, che collegava la sala al giardino, e mi avviai verso la dépendance.
Bussai ma entrai senza aspettare una risposta. Mai sottovalutare l’effetto sorpresa.
Li trovai appoggiati ai muri dei due lati opposti della piccola stanza, con le braccia conserte e un’espressione infuocata sul viso.
“Credo che sia arrivato il momento di chiarire una cosa.” dissi, guardando mio fratello. “Sono stata io, lui non c’entra.” aggiunsi, prendendomi completamente le colpe, come se io e Ricky avessimo fatto qualcosa di sbagliato. Non credevo di dovere delle spiegazioni a nessuno ma non avrei permesso a mio fratello di incolpare ulteriormente Ricky.
“Non ci credo.” sbuffò Sel.
“Non mi interessa. Io l’ho sedotto.. ero ubriaca e non connettevo. Ho insistito e lui, ubriaco quanto me, ha ceduto.” affermai.
“Non gli devi delle spiegazioni.” intervenne Richard, consapevole della balla appena raccontata.
“Lo so.” risposi, senza guardarlo.
Nessuno dei due si era mai ubriacato, tantomeno in presenza dell’altro avevamo mai alzato il gomito. Io per prima: nessuno si sarebbe sognato di dare da bere ad una minorenne.
“Sel..” cercò di dire mio fratello. Lo bloccai subito.
“Mi hai trattata come se fossi un vecchio oggetto in disuso. Mi hai spedita via come un vestito dismesso e mi hai mandata in un paese lontano solo per dimostrare a te stesso di aver fatto la cosa giusta.” accusai mio fratello. “Ma guardami ora.” aggiunsi, slacciando la zip della felpa e togliendomela. “Credi ancora di aver fatto la cosa giusta?” conclusi, lasciandomi guardare.

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Capitolo 17
*** -17. Problemi particolari. ***


Ero sempre stata magra ma non avevo mai avuto problemi di salute, avevo sempre fatto molto sport e quello mi aveva sempre aiutata a smaltire tutto quello che ingerivo, in più, nostro padre in quello era molto categorico: esami due volte all’anno.
Ogni problema di salute non doveva nemmeno avvicinarsi ai suoi figli.
Per Selwyn era una cosa del tutto normale, lui faceva già le analisi ogni sei mesi per la boxe mentre per me era una condizione imposta alla quale non mi sarei mai ribellata.. non sapendo i problemi di salute di mia madre, ex ballerina di danza classica, che aveva ceduto a piccoli peccati di gola e aveva eliminato le calorie in eccesso nel modo sbagliato.
I problemi alimentari nella mia famiglia erano un tasto dolente e io, ora, ero troppo magra. Avevo perso peso drasticamente da quando, mesi prima, ero arrivata nella casa dei miei genitori a Roma. Il mio stomaco si era chiuso e con il passare del tempo il mio fisico si era rimpicciolito, consumando quel poco che poteva consumare.
Se fossi salita sulla bilancia il mio peso non avrebbe mostrato un calo eccessivo, ma quei sette chili persi in undici mesi, su un corpo già minuto come il mio, erano molto visibili.
Mio fratello mi guardò malissimo. Sapevo che stava fissando i miei fianchi dove, anche con i chili in più, sporgevano le ossa del bacino. Quelle ossa che ora erano incredibilmente in vista, tanto da fare quasi impressione anche a me stessa.
Cercò di rimproverarmi ma appena vidi nel suo sguardo quello che stava per dire esplosi.
“Non sono come nostra madre.” sbottai, ancora prima che potesse aprire la bocca.
Non volevo essere paragonata a lei perché i suoi problemi erano dovuti dall’ossessione di rimanere in perfetta forma volendo, però, mangiare di tutto e di più. Lei era stata la causa dei suoi stessi problemi e lo aveva fatto in modo consapevole. Io, invece, non avevo fame.. e anche quel semplice fattore non era per colpa mia.
Adoravo i manicaretti che la cuoca, italiana, della casa in cui abitavo a Londra mi cucinava e li mangiavo senza preoccuparmi delle conseguenze.. questo però quando ero, appunto, a Londra. Ora che ero a Roma gli stessi manicaretti mi facevano chiudere lo stomaco in una morsa e allontanavo il piatto senza nemmeno toccarlo.
La cuoca le aveva provate tutte, dai piatti italiani a quelli inglesi: lasagne, cannelloni, pizza, shepherd's pie, sunday roast e trifle. Aveva provato a prepararmi anche delle semplici insalate o dei semplici piatti di pasta in bianco ma il risultato non cambiava. Spiluccavo qualche boccone, poi allontanavo il piatto nauseata. Una volta, addirittura, avevo mangiato mezzo boccone di filetto alla Wellington, per poi arenarmi. quella era stata la volta in cui la cuoca aveva capito che non c’era niente da fare. Io che non mangiavo il mio piatto preferito era veramente qualcosa che non si era mai visto.
Motivo in più per non essere paragonata a nostra madre.
“Ecco perché papà è così preoccupato.” sussurrò, credendo che non lo sentissi.
“Papà si preoccuperebbe anche se vedesse te bere del Jack Daniel’s.” risposi, riferendomi al bicchiere che aveva in mano. “Sei un’atleta e non dovresti bere.” lo rimproverai. Mi ignorò e svuotò il resto tutto d’un sorso.
“Poi ti chiedi da chi abbia preso. Con un esempio come il tuo non poteva di certo diventar meno testona!” disse Ricky. Mi sentii leggermente offesa per il suo insulto però non mi scomposi.
“Sappi che questo non cambia nulla.” dissi, voltandomi verso la porta. “Potrai anche preoccuparti del mio peso ma io continuerò ad odiarti.” aggiunsi, uscendo.
Avevo mentito a mio fratello. Lo avevo fatto di proposito e non avevo avuto il coraggio di guardarlo in viso mentre lo facevo, eppure ero contenta di averlo fatto.
Si meritava di soffrire come lui aveva fatto soffrire me.
Rimasi con le spalle appoggiate alla porta ad ascoltare i loro discorsi. Insulti, imprecazioni, sbuffi, ringhi.
Dalla sottile porta sentivo tutto.
Mio fratello insultarlo.
Richard difendersi.
Mio fratello incolparlo.
Richard controbattere, prendendosi le colpe al posto mio.
Mio fratello insultarmi.
Ricky difendermi animatamente.
Mi staccai dalla porta quando sentii qualcuno sbatterci contro.
Si stavano picchiando ancora.
Trattenni il fiato per non far scoprire loro che ero ancora li.
Speravo solo che Ricky non avrebbe riportato nessun segno. Non me lo sarei mai perdonata.
Aveva una sola cicatrice quando lo avevo conosciuto.. una strisciolina sulla clavicola. Lato sinistro. Era lunga circa cinque centimetri, partiva dall’attaccatura del collo e scendeva in una diagonale di quarantacinque gradi perfetta, puntando all’esterno. Era spessa non più di due millimetri e risaliva ad uno dei primi incontri fatti, quando ancora si divertiva a prendere a pungi le persone fuori da un ring.
Ora, però, i segni erano aumentati incredibilmente.
Una cicatrice sul sopracciglio destro, una sulla spalla destra e una, la più grossa, sul polso sinistro. Quella era quella che più di tutte non sopportavo, ma che, al tempo stesso, amavo. Si stagliava sul suo polso, quasi fosse un braccialetto, e lo segnava in tutta la lunghezza sottostante, attraversandolo da parte a parte. Era spessa mezzo centimetro con i segni dei punti che si stagliavano prepotenti.
Anche quella se l’era fatta durante un incontro non autorizzato. L’incontro che aveva segnato la nostra storia.
Sorrisi amaramente perdendomi in quella serata.

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Capitolo 18
*** -18. Destino comune.. ***


“Martin, io vado a casa.” dissi. Eravamo rimasti solo noi due di tutta la nostra classe a quella festa e io non mi stavo più divertendo.
Quella sera avevo avuto una libera uscita. Nessuno mi seguiva e mi ero sentita libera per tutta la serata però, ora, non essendoci più i miei amici non aveva senso rimanere li.
“Cos’è.. corri sotto la sottana di tuo fratello anche questa sera?” chiese, ironico, complice l’alcool.
Non volevo tornare a casa per non trasgredire alle regole, non avevo un orario di rientro prestabilito per quella sera. Volevo tornare a casa perché stavo iniziando ad annoiarmi.
“Non corro sotto alla sottana di nessuno.” risposi, cinica. “Semplicemente non mi resta nulla da fare qui.” aggiunsi, guardandomi intorno.
Avevo visto Elisabeth in giro e se c’era lei allora c’era anche Richard, quella non lo mollava un solo secondo.
Li trovai appoggiati al bancone, improvvisato, del bar, sempre improvvisato. Mi avvicinai e appena mi videro la prima mi squadrò disgustata e il secondo mi guardò dubbioso.
“Non scatta il coprifuoco oggi?” chiese lei, ironica. La ignorai e guardai Ricky.
“Potresti avvisare mio fratello che sto andando a casa?” chiesi, guardandolo. “Il mio cellulare si è scaricato e non vorrei incappare in sorprese strane.” aggiunsi, alludendo al fatto che Selwyn sarebbe rimasto a casa con Jane. Annuii e io lo ringraziai, poi mi allontanai mentre lui chiamava mio fratello.
Era stata una serata tranquilla e la festa si era rivelata più monotona del previsto.. motivo per cui tutta la mia classe se l’era filata.
Respirai un paio di volte l’aria fresca e mi dissi che sarei potuta andare a piedi invece di chiamare un taxi. Almeno mio fratello avrebbe avuto più tempo per rendere la casa nuovamente presentabile.
Scelsi, però. la strada più corta, anche se meno illuminata.. non avevo certo intenzione di impiegarci un’ora solo per tornare a casa.
Camminai tranquilla senza curarmi di guardarmi alle spalle ma ero molto attenta e non sentivo nessun passo dietro di me.
Non mi preoccupai, però, degli incroci.
Presi paura quando, svoltando, mi ritrovai Martin ad un palmo dal naso.
Cercai di cambiare strada e tornare indietro ma mi afferrò per il polso e mi spinse, violentemente, contro il muro.
Litigammo per un po’ poi riuscii a liberarmi. Scattai indietro e mi arrampicai sulla scala antincendio di un palazzo.
Mi pietrificai quando, a pochi metri dalla porta d’emergenza, sentii degli altri passi oltre a quelli di Martin.
Sentii i passi avvicinarsi ma non mi mossi.. erano vicini a me, troppo.. ed io ero, letteralmente, terrorizzata.
Martin mi finì addosso e quel contatto mi fece riscuotere.
Ascoltando meglio capii che i passi non provenivano dalle mie spalle e capii di poter tornare indietro.
Prima che Martin potesse riprendere l’equilibrio io ero già pronta a tornare sui miei passi. Mi riacciuffò in un secondo e nel divincolarmi gli feci perdere l’equilibrio. Cadde e mi afferrò la gamba, facendomi perdere, a mia volta, l’equilibrio.
Inciampai e cercai di aggrapparmi alla ringhiera ma la mancai.
Mi afferrarono per un polso e sentii una fitta di dolore incredibile.
Alle mie spalle imprecarono tirandomi indietro e mi calmai appena la mia schiena sbattè contro il suo petto.
“Non ti muovere e non guardare.” disse, categorico. Annuii e mi strinsi forte il polso sinistro.
Sentii i rumori di una rissa alle mie spalle ma non mi voltai a guardare. Lo feci solo quando, dal riflesso del vetro, vidi che Richard non usava il braccio sinistro.
Lui che era mancino usava la destra. Mi voltai di colpo e lo vidi mettere al tappeto Martin con un colpo secco in pieno viso. Si afferrò il polso sinistro con la mano destra e si voltò verso di me..
 
Solo in un secondo momento seppi che si era strappato il legamento, fino a romperlo, afferrandomi al volo.
Lo scoprii dopo qualche ora quando, una volta riportata a casa (e fatto un resoconto dettagliato a mio fratello che andò su tutte le furie e rimpianse di non aver massacrato lui Martin) mi feci portare da Selwyn in ospedale.
Non ero amante delle medicine e se era possibile evitavo volentieri di prenderle. Così come non andavo mai dal medico. Quindi appena dissi a Sel che non riuscivo più a tenere il braccio in nessun modo e volevo andare a farlo vedere non ci pensò due secondi a portarmi in ospedale.
Ospedale dove trovammo anche Richard.
Risultato finale?
Ci eravamo procurati lo stesso strappo, e quindi ci eravamo rotti lo stesso legamento, e avremmo dovuto fare entrambi la stessa operazione.
Ecco perché, nonostante odiassi la cicatrice di Ricky, la amavo: era identica alla mia.
Chiusi gli occhi, spaventata, quando sentii un colpo forte sulla porta.
Ti prego fa che sia Sel e non Ricky..
Riaprii gli occhi e mi voltai. Mi incamminai verso la casa e rientrai.
“Devo tornare.” dissi, guardando Clelia. “Fa in modo che non si ammazzino.” aggiunsi, uscendo senza salutarla.
Mi seguì tutta la mia classe e fui invasa da una voglia incredibile di prendere a pugni anche loro.

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Capitolo 19
*** -19. Altarini. ***


Giugno..
Eravamo già arrivati a giugno.
Il viaggio studio era già un ricordo lontano.. e buio, eppure se mi avessero proposto di tornare a Londra non ci avrei pensato due secondi a rispondere di si.
Varcai il portone della scuola e mi diressi verso i tabelloni.
Sorrisi.
Sei, secco, in tutte le materie.
“Sei.” disse mio padre, alla mie spalle. Mi voltai verso di lui.
“Se vuoi dei voti più alti sai cosa devi fare.” risposi, irriverente.
Stavano cedendo, lo sapevo.
Avevo tirato la corda fino alla fine e, ad una settimana dalla fine della scuola, avevo rischiato di essere rimandata in tutte le materie, poi mi ero fatta interrogare su tutto il programma l’ultima ora di ogni lezione e avevo preso il massimo dei voti in tutte le materie.
Sapevo che così facendo mi avrebbero dato la sufficienza e così era stato.
I miei genitori erano terrorizzati.
Li avevo sentiti dire che era troppo rischioso tenermi in Italia se a risentirne erano i miei voti e il mio peso.
Mia mamma sosteneva che sarebbe stato meglio rimandarmi a Londra mentre mio padre affermava che dovevo restare lontana da Richard.
Quando tornai a casa dopo aver visto i tabelloni ero sola, così mi chiusi nella mansarda a cercare un vecchio diario di mia madre, sapevo che c’era e sapevo dove cercarlo perché lo avevo già visto.
Lo avevo trovato appena arrivata in Italia e lo avevo letto scoprendo cose che mai avrei immaginato di mio padre. Appena lo trovai corsi a fare le fotocopie delle pagine che mi interessavano.
Mia madre in quelle pagine descriveva mio padre come un donnaiolo egoista che ci provava con lei solo perché era un po’ bruttina e mirava a prenderla in giro.
In altre pagine raccontava di come lui l’aveva, effettivamente, presa in giro ed era uscito con lei solo per vincere una scommessa con un amico che diceva che non avrebbe mai osato portarla al ballo di fine anno e farsi vedere in giro con lei.
Alcune pagine raccontavano lo strazio di mia madre che si eclissò completamente. Raccontavano l’odio per il proprio aspetto fisico che, nonostante la bravura innata, la faceva rimanere dietro le quinte ad ogni saggio di danza e le aveva fatto perdere l’uomo che amava.. perché mia madre si era realmente innamorata di mio padre, mentre lui la prendeva in giro.
Sparsi in tutta la casa quelle pagine e mi appurai che si leggesse bene di tutti i sacrifici fatti da mia madre per cambiare aspetto fisico, perdendo dieci chili e si sottoponendosi ad ogni cura possibile per eliminare tutte le sue imperfezioni.. il tutto senza chirurgia plastica. Tante creme, tanti massaggi drenanti, tante sedute da dermatologi vari e così via.. fino a diventare perfetta.
Mi appurai che si leggesse dei tre anni di sacrifici fatti da mia madre solo per essere come desiderava mio padre, l’uomo che l’aveva derisa e usata.
Poi in camera loro sparsi sul letto le pagine che raccontavano l’incontro degli ex alunni, cinque anni dopo il ballo che aveva distrutto mia madre.
Lei era già diventata prima ballerina e quando entrò nessuno capì chi fosse, i sacrifici ne avevano rimodellato le sembianze tanto da renderla irriconoscibile. L’unica cosa artefatta in lei era la tinta dei capelli che di certi non aiutava la memoria.
Mio padre fu il primo ad avvicinarsi a lei e presentarsi, rimanendoci di sale quando lei lo salutò. Mio padre la riconobbe dal timbro di voce e non crebbe ai suoi occhi, era incredulo, a bocca aperta, intento a fissarla.
Due anni dopo erano sposati e mia madre era incinta di mio fratello.
Presi un evidenziatore e sottolineai le ultime frasi che mia madre aveva scritto in quel diario.
Mai avrei pensato che un ragazzo così stronzo potesse rivelarsi un uomo tanto dolce.
Amo Steven e lui ama me..
Nonostante si divertisse un mondo a deridermi ora so che non mi abbandonerà mai.
Chiusi l’evidenziatore dopo averle rilette ed uscii di casa. Corsi via incrociando le dita.
Dovevano cedere..
Se non avrebbero ceduto nemmeno con questo non avrebbero più ceduto.
Mi sedetti su una panchina e aspettai paziente per ore.. immobile, in silenzio, terrorizzata e speranzosa.
Quando la sveglia che avevo impostato sul cellulare suonò mi ridestai.
Erano passate cinque ore ed era ora di cena. I miei genitori avevano avuto più di quattro ore di tempo per raccattare tutti i fogli e leggerli.
Tornai a casa a passo lento e svogliato.
Improvvisamente mi sentii priva di forze e credetti di crollare da un momento all’altro.
Eppure fino ad un secondo prima quella del diario non mi era sembrata una cretinata come lo sembrava ora!
È stata una follia, perché l’ho fatto?
Feci un paio di respiri profondi, consapevole che oramai fosse troppo tardi per tornare indietro, poi infilai la chiave nella toppa e rientrai in casa.
Casa.. per così dire, per me Roma non era casa ma solo il posto in cui dormivo e mangiavo, nulla di più.
Li trovai seduti sul divano, entrambi, che mi fissavano con sguardo indecifrabile.
Mi stavano aspettando e mi fecero segno di sedermi. Obbedii e loro iniziarono a fare un sacco di domande alle quali non fui in grado di rispondere se non con piccoli morsi alle labbra e smorfie dubbiose.
Ad ogni domanda ci provavo, provavo con tutta me stessa a dare la risposta ma rimanevo perennemente ancorata al passato. Il presente era incognito e mi torturai le mani ad ogni risposta mancata mentre loro mi fissavano sempre più arrabbiati.
“Alla luce di questo..” disse mio padre “Come possiamo fidarci di lui? Non sai nemmeno rispondere a queste semplici domande.” aggiunse. Lo guardai male.. malissimo.
Ogni domanda che mi era stata fatta era su Richard.. tutte domande personali sulle quali non avrei esitato a rispondere solo quattordici mesi prima.
“Come posso sapere le risposte a queste domande se voi mi tenete lontana da lui!” urlai. “Volete sapere se ci tiene a me, se si vede con altre persone ma siete proprio voi che mi impedite di scoprirlo.” aggiunsi.
“Non urlare con noi!” sbottò mia madre. La guardai male.
“Vuoi la risposta a queste domande? Chiedi a papà cosa faceva durante i cinque anni che tu hai passato a diventare quella che lui voleva, chiedili in quei cinque anni come e con quante si è divertito mentre tu ti facevi in quattro per averlo e forse saprai quello che sta facendo ora Ricky.” sibilai, cattiva.
Mi alzai e me ne andai in camera mia senza cenare, mi era passato anche quel poco di appetito che avevo.

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Capitolo 20
*** -20. Ritorno, temporaneo.. ***


Cinque giorni dopo la mia bravata del diario atterrai a Londra.
Il litigio con i miei genitori aveva avuto un piccolo vantaggio: avevano capito che io avevo ragione ad accusarli e avevano deciso di darmi settantadue ore di tempo per trovare una risposta alle loro domande, dopodiché sarei dovuta tornare in Italia.. con delle risposte che mi terrorizzava sapere.
Inspirai a fondo e mi torturai le mani in preda al panico mentre mi diressi verso l’albergo in cui sarei stata per i successivi tre giorni, mio fratello era all’oscuro di quel breve ritorno e non potevo di certo rischiare che mi vedesse. Motivo per cui i miei genitori avevano prenotato due stanze al The Three Horseshoes Inn, un alberghino nella città di Durham, lontanissima da Londra.
Già, due stanze.. non sarei stata sola.
Quando arrivai feci il check-in e mi precipitai in quella che era la mia camera, prendendo il mio nuovo telefono, con nuova sim, e accendendolo.
I numeri che avevo in rubrica erano pochi ma erano quelli che avevo trasferito per l’occasione.
Speravo che, una volta tornata a casa, avrei potuto riprendere la mia vecchia sim.
- Sono arrivata. – scrissi, inviando il messaggio ai miei genitori e a Ricky.
Ricky aveva saputo da me di quel piccolo viaggio. Avevo avuto il permesso di chiamarlo per proporgli quel piccolo incontro e lui aveva accettato. In teoria avrebbe già dovuto essere li, se c’ero arrivata io da Roma figurarsi lui da Londra.
- Solo tre giorni. - fu la risposta dei miei genitori.
- Anche io. - scrisse Ricky.
Presi un respiro profondo e gli inviai il numero della mia camera.
Quel chiarimento non serviva tanto ai miei genitori: se le cose sarebbero andate male avrei mentito e loro mi avrebbero rimandata in Inghilterra senza problemi.
Quel chiarimento serviva a me: se le cose che mi avrebbe detto non sarebbero state quelle che volevo sentirmi dire non aveva senso tornare a vivere a Londra.
Ebbi a malapena il tempo di rinfrescarmi il viso che sentii bussare alla porta.
I miei genitori avevano imposto che i nostri incontri avvenissero in luoghi aperti al pubblico e infatti il mio cellulare squillò subito, ancora prima che potessi aprire.
- Niente camera, ricordi? Fuori di li subito! Non farci pentire di questi tre giorni. - messaggio chiaro e dritto al punto.
Aprii la porta e lo feci entrare mentre digitai un nuovo messaggio veloce.
- Mi rinfresco due secondi e poi ci troviamo nella hall - inviai.
Presi il cellulare di Ricky appena lo estrasse per leggere il messaggio che era appena arrivato e ne scrissi uno in risposta, senza nemmeno chiedere il permesso.
- Aspetto giù allora. – inviai subito e glielo ripassai.
“Controllo dei tabulati con duplice sim” dissi, rispondendo alla domanda che non aveva posto. Ogni cosa detta nelle chiamate loro l’avrebbero sentita e ogni messaggio scritto loro lo avrebbero letto.. tutto in diretta.
Ero convinta che si aspettava che mi controllassero ma anche che non credeva sarebbero arrivati a tanto..
 “Non ti invidio.” rispose, agitato.
Mi sedetti sul letto e lo guardai.
“Dove hai lasciato Iris?” chiesi, sentendo una fitta la petto ne nominare la sua ragazza.
“Non so dove sia e non mi interessa.” rispose, scrollando le spalle e sedendosi affianco a me.
“Quanti problemi ti ha creato la mia scorsa visita?” chiesi, sfilandomi i sandali e appoggiando i piedi sul letto.
“Non hai creato problemi.” rispose, più tranquillo. Appoggiai il viso sulle ginocchia e mi circondai le gambe con le braccia.
“Chissà perché non ci credo.” risposi.
Conoscevo troppo bene mio fratello e abbastanza Iris da sapere che non gli avevano reso vita facile.
“Nessun problema, davvero.” disse, guardandomi.
Non lo aveva ancora fatto e appena il suo sguardo si posò su di me mi sciolsi.
Mi era sempre capitato.
I suoi occhi blu erano qualcosa che nemmeno il mare o il cielo erano in grado di comparare.
Ma non era il momento di perdere la lucidità.
“Ho bisogni di farti alcune domande.” dissi, distogliendo lo sguardo. Avevo bisogno di rimanere lucida se volevo uscirne indenne e non avevo intenzione di sprecare il tempo che avevo a mia disposizione per fargli quelle domande nell’arco di tre giorni per non farlo sembrare un interrogatorio.
Avevo delle domande prestabilite da fargli ma non volevo girarci intorno così, appena annuì io sputai fuori la prima senza nemmeno guardarlo e quando mi rispose partii con la seconda.
Poi la terza, la quarta, la quinta, la sesta, la settima, l’ottava, la nona, la decima…
 
La trentaquattresima..
 
La cinquantesima..
 
La settantanovesima..
 
La novantanovesima e la centesima.

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Capitolo 21
*** -21. Chiarimenti. ***


“Mi stai prendendo in giro?” chiese, arrabbiato.
Negai con il viso, mentre chiusi gli occhi a causa dell’urlo.
Erano passate due ore dalla prima domanda e gli avevo appena posto l’ultima.
“Non sto scherzando.” risposi, sussurrando.
Alcune domande erano assurde, altre ridicole e alcune imbarazzanti, ne ero consapevole, ma le ultime due erano le uniche che mi interessavano davvero.
Alla precedente non aveva risposto e ora si rifiutava di rispondere all’ultima.
“A me sembra di si.” rispose.
“Se avessi avuto voglia di scherzare non avrei scelto te per questi tre giorni ma tua sorella.” risposi.
“Ma pretendi delle rispose a delle domande assurde.” sbottò. Mi pietrificai all’istante.
Ecco la risposta alle mie domande.
Non aveva risposto apertamente ma definire quelle ultime due domande assurde era una risposta più che eloquente e io dovetti ricacciare indietro le lacrime per non mostrarmi debole.
“Credo che tu abbia appena risposto.” dissi, senza riuscire a nascondere la delusione.
“Non mi riferivo alle ultime due domande.” disse. “Ma sarei curioso di sentire la tua risposta a tutto quello che mi hai chiesto.” aggiunse, acido.
Lo accontentai.
Ripetei ogni singola domanda che gli avevo fatto e gli risposi, nonostante le voglia di scappare, ma era il minimo che potessi fare, ne ero consapevole.
Mi fermai dopo aver risposto alla novantottesima domanda.
“La risposta alla penultima domanda non dipende da me mentre per l’ultima ho già dimostrato che è un si. E non sarei qui se così non fosse.” dissi, senza guardarlo.
Era un si nonostante il tempo passato lontani e, ne ero dolorosamente consapevole, sarebbe stato un si anche che lui avesse negato.
“Perché, secondo te sarei venuto qui a sottopormi a questo ridicolo test se così non fosse?” sbottò. “Avrei spaccato il naso a tuo fratello altrimenti? O avrei, forse, accettato di venire qui ad incontrarti, passando tre giorni con te?” aggiunse, alterato. “Comincio a pensare che l’aria di Roma ti abbia fatto male.” concluse, acido.
“Roma ha un’aria fantastica. È l’unica cosa che non mi manca di Londra.” dissi, pur sapendo che lui lo sapeva già. C’era stato con mio fratello per il viaggio del diploma, avevano passato due mesi nella casa dei nostri genitori a Roma.
“Lo so.” rispose, più tranquillo. “Quello che non so è il perché di queste domande?” chiese.
“Ho bisogno di risposte.” dissi.
“Non le ultime due.” disse. Scrollai le spalle.
“Lo vogliono sapere i miei genitori.” risposi. “Le ultime due sono domande che ho aggiunto io, a loro concessione.” confessai, guardandolo in viso.
“Che fossero domande tue solo le ultime si capiva.” rispose.
“Non riesco a lasciarmi alle spalle nulla.” confessai. “Non riesco a dimenticare tutto e tutti. Non voglio dimenticare le cose che sono successe e non riesco a perdonare mio fratello, non riesco a non chiedermi cosa sarebbe successo se non mi avesse spedita in Italia, né riesco a non pensare a quello che ho perso.. con una sola mossa mi ha privato di tutto.” aggiunsi, affranta.
“Non era contento nemmeno lui.” disse. Lo guardai malissimo.
“Osi difenderlo?” chiesi, cattiva. “Dopo che ci ha divisi tu lo difendi?” ero infuriata.
“Non lo difendo, ho ancora degli occhi ben funzionanti da poterti vedere e vedo molto bene l’effetto che questa sua azione ha prodotto su di te. Non lo sto discolpando perché non eravamo tenuti a dirgli nulla ma è pur sempre tuo fratello e vorrei che cercaste di chiarire.” disse. “Il che non significa sia tu a dover chiedere scusa o che facciate pace. Vorrei solo che cercaste di parlare.” aggiunse.
Mi lasciai cadere completamente sul letto e mi girai a pancia in giù. Feci sprofondare il viso e soffocai un mugugno contrariato.
“No.” biascicai. Vederlo era l’ultima cosa che volevo e non lo avrei di certo fatto.
“Non ora, ma dovrai farlo prima o poi.” rispose, tranquillo.
Mai!
Appoggiò una mano sulla mia schiena per richiamare la mia attenzione e io voltai il viso in sua direzione, guardandolo.
“Ci proverò.” capitolai.
“Brava.” disse, sorridendo.
“Mmh, mmh.” mugugnai, senza smettere di guardarlo.
Sorrisi come un’ebete, di rimando, con la consapevolezza che bastava una sua parola per farmi tremare le gambe.
Trattenne il mio sguardo qualche secondo poi si accorse che stavo tremando e sorrise nuovamente.
Spostò la mano e si alzò, porgendomela, serio.
Ci rimasi leggermente male, non capendo quel suo cambio di umore improvviso.
“Andiamo a mangiare qualcosa?” chiese.
“Se proprio dobbiamo.” risposi, rendendomi conto di avere più fame del previsto.
Afferrai la sua mano e la usai come appoggio per alzarmi poi usci seguendolo.
“Cosa vuoi mangiare?” chiese.
Feci spallucce.
“Non ho preferenze.” dissi, tranquilla.
Non avevo mai avuto preferenze sul mangiare, c’erano cibi che mangiavo più volentieri di altri ma solo se preparati in un determinato modo e quindi mi adattavo sempre a tutto.
Ma non ero nemmeno stupida e sapevo che voleva far scegliere a me per poter avere la possibilità di dire, quando avrei lasciato quello che avevo nel piatto, che avevo scelto io il posto e quindi non potevo non mangiare.
“Sicura di non voler nulla in particolare?” chiese.
“Mi andrebbe, in realtà, una bella bistecca.” mentii, sorridente, dopo aver scelto quello che piaceva a lui.
Erano mesi che non sorridevo con gusto e dovevo a lui questo cambio di umore, la sua sola presenza fungeva per me da calmante.

 

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Capitolo 22
*** -22. Difficoltà. ***


“Mi sento piena come un uovo.” dissi, buttando la mia borsetta sul letto.
Avevo mangiato a quantità industriali per le abitudini del mio stomaco, eppure ero riuscita a finire solo una bistecca, lasciando a metà il contorno. Non avevo mangiato pane e avevo bevuto solo acqua.
“Ci sono parecchi modi per digerire dopo un pranzo abbondante, non che il tuo lo sia stato” disse, fissandomi indeciso se sorridere o rimproverarmi.
“Una bella scazzottata.” dissi, conoscendolo.
“Esatto, puoi prendere di mira una persona vera o un sacco ma l’effetto non cambia molto. È un metodo molto efficace.” disse, più sul sorriso. “Si potrebbe fare anche una bella corsetta sulla spiaggia, o si potrebbe fare una bella nuotata.” aggiunse.
“Non fosse altro per l’acqua gelata, se non lo avessi notato non siamo nel Tirreno.” risposi.
Se solo quell’argomento lo avessimo affrontato un anno e mezzo prima mi avrebbe proposto cose completamente diverse. Mugugnai in risposta, ero dolorosamente fuori allenamento, l’ultima volta che avevo corso era stato a Londra, mesi prima, per raggiungerlo e non lo faceva da tempo. Quando ero tornata nei dormitori era stata malissimo e mi ero portata dietro i postumi anche al mio rientro in Italia.
“Bisogna trovare un altro metodo allora.” rispose, ricevendo tutta la mia attenzione. Mi si azzerò la salivazione e deglutii a fatica, annuendo.
“Sono d’accordo.” dissi, in difficoltà.
La sua vicinanza era, ora, terribilmente difficile da sopportare. Soprattutto se mi guardava in quel modo.
Chiusi gli occhi, cercando di placare i miei pensieri.. senza esito, vederlo seduto sul letto era una tentazione difficile da ignorare.
Mi alzai ed andai in bagno, lasciai la porta aperta aprii il rubinetto dell’acqua fredda mettendo le mani a coppa sotto. Quando fu abbastanza fresca ne presi un po’ che mi buttai sul viso e sul collo, poi ripetei l’operazione un paio di volte e mi girai quasi soddisfatta del effetto calmante. Afferrai l’asciugamano e mi asciugai tornando in camera e gettando l’asciugamano sulla scrivania mentre lo fissavo.
Forse è meglio se rimango qui.. magari senza guardarlo.
Mi appoggiai al muro, continuando a fissarlo, contro ogni buon proposito, e notai che mi seguiva con lo sguardo, senza perdersi nemmeno una piccola mossa.
Devo calmarmi..
Respira, forza..
“Tutto bene?” chiese. Annuii, incerta.
“Si.” risposi, titubante. Mi guardò dubbioso.
Se non riuscivo a convincere me come potevo sperare di convincere lui?
“Sicura?” chiese, ancora.
“No.” ammisi, pentendomene subito. Di certo non avrei potuto dirgli cosa c’era che non andava. “Ma è già passato.” mentii.
Una piccola bugia a fin di bene era ancora ammessa.. no?!
“Sai che sei una pessima bugiarda, vero? Lo sei sempre stata.” rispose, prendendomi in giro.
Non ci feci caso, non era il caso di soffermarsi su ogni sua piccola frase o azione.
“Passerà.” ammisi. “Non è nulla.” aggiunsi. “Te l’ho detto: ho mangiato troppo.” conclusi.
“Non hai finito una portata e affermi di aver mangiato troppo?” mi rimproverò.
“Per i miei attuali standard, si.” bofonchiai.
Non era certo il mio obbiettivo primario parlare del mio calo di peso o del cambiamento delle mie abitudini alimentari durante il mio soggiorno in Italia.
“Sei l’unica persona che conosco che, andando nella patria del buon cibo, invece che ingrassare dimagrisce a vista d’occhio e smette di mangiare.” mi prese in giro.
Feci spallucce. Erano cose che capitavamo, non a tutti ma capitavano!
Non sarebbe successo nulla se solo mio fratello non si fosse intromesso.
“Prima che mi venga voglia di andare da Selwyn e urlargli contro tutto quello che penso di lui ti conviene farmi pensare ad altro.” risposi, tra i denti, arrabbiata.
“Si potrebbe tornare a parlare dei metodi migliori per digerire.” propose, facendomi pentire della mia richiesta di soccorso.
Avvampai con la consapevolezza che fosse meglio cambiare nuovamente discorso. Eppure annuii.
“Si.” sussurrai, assecondando quella follia.
“Abbiamo menzionato la corsa, la boxe e il nuoto, cosa manca?” chiese, sfidandomi.
“Palestra.” biascicai, senza raccogliere la provocazione.
“Calcio.” controbatté.
“Pallavolo.” azzardai, con la consapevolezza di non poter cedere.
“E tutti gli altri sport vari..” aggiunse. “Ma dovrà pur esserci un metodo più bello per tenersi in forma, no?” concluse.
Annuii, prendendo una grande boccata d’aria.
Mi stava provocando e sapeva che stava funzionando, ma io non potevo permettermelo.. non se volevo uscire incolume da quei tre giorni.
“Una seduta di mezz’ora in una sauna.” osai, pentendomene immediatamente.
“Sauna? Mmh, si, si potrebbe fare, ma mettici un po’ più di fantasia.” mi provocò, avvicinandosi. Mi si piazzò di fronte e mi guardò dall’alto in basso. “Sono sicurissimo che tu stessa abbia usato tutti questi metodi di persona, e anche altri.” sussurro, vicinissimo al mio viso.
Cedetti..
Cedetti miseramente..

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Capitolo 23
*** -23. Attimi di felicità. ***


Ero felice, ero felice come lo ero stata fino ad un anno e mezzo prima, ero felice come avevo desiderato negli ultimi mesi.
Eppure avevo paura, avevo paura perché sapevo che non sarebbe durata.
Non potevo permettermi il lusso di cedere alle sue provocazioni o non sarei sopravvissuta al rientro in Italia.. eppure ero capitolata. Avevo sbagliato in pieno.
Come avrei fatto a tornare a Roma?
Rafforzai la presa, usando tutta la forza che avevo.
“Cosa c’è che non va?” chiese, senza muoversi.
“Non voglio tornare in Italia.” ammisi.
“Hai ancora due giorni, non ci pensare.” disse.
Due giorni, era vero, ma finiti quei due giorni cosa sarebbe successo?
“Ma dovrò tornarci.” risposi, affranta e terrorizzata.
“Non ci pensare.” ripeté, leggermente più duro e io annuii, capendo che anche lui non voleva pensarci.
Inspirai una boccata d’aria, sentendo il suo profumo, riprendendo a fargli delle leggere carezze sulla schiena, dimostrando una calma che in realtà non avevo affatto e lui riprese a fare la stessa cosa.
“Se ci vedessero i miei genitori in questo momento credo che avrebbero un attacco di cuore all’istante.” affermai, calma. “Era proprio quello che non volevano succedesse, mi avevano proibito di stare in una stanza con te senza altre persone.” aggiunsi.
“Sapevano che sarebbe successo, era da mettere in preventivo.” rispose.
“Certo, vai da mio padre a esporre questa teoria come attenuante.” proposi.
“No, grazie, passo volentieri. Ci tengo alla vita, e vorrei riaverti a Londra.” disse.
Già non credo che andando da mio padre, dicendogli che sei stato a letto, ancora, con sua figlia le cose possano migliorare..
Sospirai.
Ecco quello che mi aveva fatta innamorare di lui.. sapeva esporsi, accettava i suoi sentimenti e non era egoista come Selwyn. Ricky non era in grado di pensare solo a se stesso, eclissandomi, come faceva mio fratello con Jane.
Selwyn, che razza di nome..
Persino quello era ridicolo!
Sospirai.. no, non era ridicolo. Prima che mi tirasse questo tiro mancino mi era sempre piaciuto il nome di mio fratello.
“Maledizione.” imprecai, staccandomi da lui e portandomi le mani sul viso.
“Cosa succede?” chiese, apprensivo.
“Anche in un momento così mi viene in mente Sel, non è possibile.” sbottai, infuriata.
Di tutti i momenti questo era quello meno indicato, eppure eccolo li. Il suo viso appariva e spariva nei miei pensieri come se volesse prendersi, nuovamente, gioco di me.
“Dovrei sentirmi offeso per quest’affermazione..” affermò, tranquillo. “E se non ti conoscessi o non sapessi cos’è successo certamente mi offenderei a morte.” aggiunse.
“Non infierire, ti prego.” risposi, triste.
Selwyn era riuscito a rovinare anche questo momento.
Giuro che questa me la paga.. Insieme a tutte le altre!
Imprecai ancora un paio di volte contro di lui poi mi ricordai di chi avevo al mio fianco.
Mi rivoltai verso di lui e lo vidi trattenere le risate.
“Uno spettacolo a dir poco singolare.” affermò. “Due sfaccettature molto diverse di una stessa Selene, eppure mi ricordavo che il tuo carattere fosse più mite.”
“Mite un cavolo!” affermai, infuriata. “Pensa a Clelia in un momento come questo e vediamo poi come reagisci.” aggiunsi. “Anzi, pensa che potrebbe fare in questo momento quello che noi stavamo facendo poco fa.” conclusi, facendogli andare la sua stessa saliva di traverso.
“Spero proprio di no visto che dovrebbe avere una gara tra qualche ora, spero, piuttosto, che si stia concentrando e che tenga il divertimento per dopo la vittoria.” rispose, tranquillo.
Inutile.. il rapporto che lui aveva con sua sorella era su un’altra frequenza. Era impossibile capirli, non era geloso per niente, avrebbe potuto beccare sua sorella a letto con uno che sarebbe intervenuto per chiedere se avevano tutte le protezioni e una volta sentita una risposta affermativa sarebbe andato via pregandoli di tornare a divertirsi come se lui non fosse mai passato.
Se mio fratello mi avesse anche solo visto baciare un ragazzo avrebbe ammazzato il ragazzo in questione e segregato in casa me.
Quindi, in un certo senso, ero anche fortunata che Richard fosse ancora vivo e io ancora intera, e viceversa.
“Sai che la mancanza di gelosia in un rapporto significa menefreghismo totale?” lo accusai.
“Io e mia sorella non abbiamo nessun rapporto. Le voglio bene ma lei ha la sua vita, non vedo perché privare lei del divertimento che io posso avere.” rispose. “Non sono geloso è vero ma non significa che se uno le rompe io non gli spacchi la faccia.. o che se uno la fa soffrire poi si ritroverà ancora i gioielli di famiglia.” aggiunse, trattenendosi dall’essere volgare, vecchia abitudine che aveva preso quando ero piccolina quando anche solo un ‘cretino’ era vietato. Crescendo aveva imparato che non ero poi così innocente come mio fratello credeva e che una banale parolaccia non mi avrebbe mandata giù di testa ma aveva sempre cercato di mantenere un linguaggio pulito per non rischiare di tradirsi in presenza di mio fratello.
Il lupo perde il pelo ma non il vizio..
Sbuffai.
“Rimane il fatto che quel cretino di Selwyn riesce sempre a rovinare tutto.” dissi. “Anche un momento come questo.” aggiunsi.
“A questo si può rimediare.” rispose. “Basta ricominciare da capo.” propose, sorridendo.

 

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Capitolo 24
*** -24. Vittoria. ***


“Hai vinto.” disse mia madre, esasperata.
Mi bloccai di colpo. Ero tornata dai tre giorni in Inghilterra da una settimana ed era esattamente una settimana che continuavo a torturare i miei genitori.
Volevo tornare a Londra. Dovevo tornare a Londra.
Avevano promesso che ci avrebbero pensato e io mi ero piegata a tutto quello che avevano voluto, fino a quando avevano rifiutato.
Ero andata su tutte le furie e li avevo minacciati di farmi bocciare a scuola, ma non avevano ceduto. Avevo, allora, deciso di cambiare scuola e andare in un istituto professionale, poco conosciuto, dove mi sarei presentata a lezione solo una volta a settimana: il venerdì. Visto che non prevedeva una frequenza nel giorno di sabato il venerdì era il giorno migliore per presentarsi: spezzavo le assenze in modo da non necessitare di un certificato medico al mio rientro, in più mi consentiva di non passare l’anno per le troppe assenze. E a questo non potevano porre rimedio.
Li avevo resi partecipi del mio piano solo a trasferimento ultimato e, davanti all’ennesima minaccia, avevano capitolato. Avevano finalmente ceduto.
Sarei tornata a Londra, avrei riottenuto il mio cellulare, avrei frequentato la mia vecchia scuola d avrei ripreso le mie amicizie.
“Ma..” intervenne mio padre. “Niente Richard.” mi minacciò.
Lo guardai malissimo.
Aveva ottenuto le risposte che voleva. Aveva ottenuto risposte migliori di quelle che lui stesso potesse dare.
Nonostante tutto, però, non era soddisfatto.
Annuii., assecondando quella loro richiesta.
“Ma niente Selwyn!” controbattei. “Fate sloggiare gli inquilini dall’appartamento dei nonni e ci vado io.” aggiunsi.
“Non se ne parla, hai bisogno di essere monitorata.” rispose mia madre.
“E sappiamo tutti che Sel c’è riuscito perfettamente.” dissi. “Forse avete ragione, meglio stare sotto il suo tetto. È sempre troppo occupato a pensare a se stesso per badare a me.” conclusi, mentendo.
“Domattina chiamerò gli inquilini e riferirò loro che ci serve l’appartamento.” rispose, sfinito, mio padre.
Ho vinto.
Mi voltai e mi incamminai lentamente verso la mia stanza.
Avevo vinto, avevo finalmente vinto, ero riuscita a spuntarla.
Chiusi piano la porta alle mie spalle e sorrisi, estasiata, mentre trattenni un urlo di gioia consapevole che non potevo mostrarmi eccessivamente allegra o avrebbero ritrattato le condizioni.
Dovevo mostrarmi calma e tranquilla, quasi indifferente. Potevo farcela.
Rimasi immobile per l’intera mattinata poi accesi il computer, tornato da una settimana, intenzionata ad accelerare i tempi.
Aprii la mia mail per spedirne una al mio vecchio college, pronta a compilare la domanda di ammissione che avrei allegato, e notai che avevo un messaggio da leggere.
Era di mio padre, precisamente del suo ufficio.
Titubante lo aprii.
Ora mi dicono che hanno cambiato idea, ora rinegoziano le condizioni e mi mandano in casa coi nonni. Ora mi spediscono nel collegio femminile che ha frequentato la nonna.
Bloccai i miei pensieri e tirai un sospiro di sollievo quando lessi le poche parole che c’erano scritte.
Aveva già compilato lui l’iscrizione e mi informava che ero stata ammessa.
C’era allegato il file dell’istituto in cui mi informavano che avevano bisogno delle mie misure per la nuova uniforme e mi comunicavano quale stanza mi fosse stata assegnata.
Risposi immediatamente.
Il primo anno le uniformi erano verdi, dal secondo al quarto erano blu mentre l’ultimo erano rosse.
Serviva per aiutare le matricole, in verde, ad identificare i loro tutor, in rosso, all’interno del programma educativo base. Era l’unico college ad affidare le matricole alle mani dei senior per favorirne l’integrazione e questo metodo, così poco convenzionale, aveva fatto si che io potessi avvicinarmi a Ricky senza destare sospetti.
Anche se all’epoca c’era veramente poco di cui sospettare..

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Capitolo 25
*** -25. Resisti. ***


Una volta avuta la conferma definita del mio ritorno a Londra iniziai i preparativi.
In mano avevo un biglietto aereo, a mio nome, di sola andata e l’iscrizione al mio college quindi non potevano più tirarsi indietro. Non mi diedi nemmeno più la pena di mascherare il mio entusiasmo e per tutta la settimana gongolai tra uno scatolone e un altro. Un lavoro pesantissimo si trasformava, per me, in un lavoro bellissimo se solo pensavo che farlo mi avrebbe riportata a casa.
Casa..
Finalmente potevo pronunciare quella piccola parolina senza una smorfia ad accompagnarla.
Iniziai a sorridere per nulla, mi bastava un piccolo oggetto bizzarro e mi ritrovavo a sorridere, nonostante avessi avuto sott’occhio il medesimo oggetto per tutto il tempo e non aveva scaturito in me nessuna emozione.
Ero una macchinetta. Impacchettavo le mie cose così velocemente che era quasi incredibile, eppure era così. Presi l’ultimo scatolone e lo portai nel garage. Lo posai affianco a tutti gli altri e ci attaccai sopra le ultime sei etichette rimaste. Una per ogni lato, come anche negli altri.
E anche questo è pronto per essere spedito.
Tornai in casa e sentii i miei genitori bisbigliare.
“Ripetimi perché la rimandiamo in Inghilterra?” chiese mio padre, brusco.
“Perché è meglio così, guardala com’è allegra Steven.. quant’è che non vedevi tua figlia così felice?” rispose mia madre.
“Margaret lui sarà li.” imprecò mio padre.
“Tua figlia non è stupida e abbiamo già fatto in modo che lui non si possa avvicinare, lo sai. Selwyn la terrà d’occhio a distanza.” rispose mia madre.
Ebbi in cedimento, mio fratello mi avrebbe monitorata di nascosto.
Mai.
Non avrei mai permesso a mio fratello di rovinarmi ancora.
Feci finta di nulla e tornai in camera mia, stando attenta a farmi sentire mentre ‘rientravo’ in casa.
Tieni duro Selene, ancora poche settimane poi torni a Londra..
Respirai profondamente e mi ripetei la medesima frase fino allo sfinimento.
Dovevo resistere, dovevo resistere ancora. Avevo resistito più di un anno, qualche settimana ancora non avrebbero fatto molta differenza.
Eppure ero arrivata al limite
Come avrei fatto a resistere ancora quattordici giorni? Quattordici giorni. Trecentotrenta ore. Diciannovemilaottocento minuti. Un milione e centottant’otto secondi mi dividevano dal mio arrivo a Londra.
Come avrei potuto resistere per tutto quel tempo ancora?!
Devi farcela Selene.
Presi un respiro profondo e recuperai un piccolo quadernino nuovo da quello che sarebbe stato il mio bagaglio a mano. Avevo tutte le intenzioni di distrarmi e scrivere qualcosa sarebbe stata la soluzione migliore.
Recuperai una matita e feci vagare la mano a vuoto sul foglio, in attesa dell’ispirazione.
Pensa Sell, pensa a qualcosa di positivo a qualcosa di bello.
Continuai a far vagare la mano e sentii i miei movimenti farsi più precisi.
Guardai il foglio e lessi l’unica parola scritta.
Ricky.
Respirai profondamente e guardai i ghirigori che avevo scarabocchiato affianco al suo nome.
Roselline. Cuori. Palloncini. Sorrisi.
Sorrisi istintivamente, il solo nome era una ventata d’aria fresca.
Ripresi a disegnare per aggiustare quella prima pagina e quando fui soddisfatta iniziai a colorare tutto.
Quando finii, dopo parecchie ore, presi della lacca e la spruzzai, a distanza, sul foglio, per fissare i colori.
Quel quaderno, nato per sfogo, sarebbe diventata presto una vera e propria confessione.
Magari non gliel’avrei mai consegnato, o magari sarebbe stata la prima cosa che avrei fatto, ma avevo bisogno di mettere nero su bianco tutto quello che mi passava per la testa.
Presi il cellulare, in attesa che la lacca si asciugasse, e iniziai a fare una lista di tutti i motivi che mi facevano stare bene con lui e me lo facevano amare.
A fine serata chiusi la lista. Centoventi motivi..
Centoventi  piccole confessioni che iniziai a scrivere nella mia piccola grafia paffuta e incomprensibile, quella stessa grafia che lui capiva al volo nonostante anche io, alcune volte, non distinguessi le lettere.
Ancora qualche giorno Sel, resisti ancora qualche giorno.
Presi forza e continuai a scrivere fino a quando non sentii il polso in fiamme. Mi fermai, soddisfatta, con il proposito di continuare il giorno seguente, e nascosi il quaderno, l’ultima cosa che mi serviva era che i miei genitori trovassero quel quaderno impedendomi di tornare da lui.

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Capitolo 26
*** -26. Casa. ***


Mi guardai intorno terrorizzata.
E se il mio piano fallisse miseramente?
Ero appena atterrata a Londra e stavo già infrangendo tutte le regole impostami.
Presi il mio bagaglio a mano e aguzzai la vista nella speranza di vedere un viso noto, i miei genitori avevano avvisato Selwyn del mio arrivo e mi sarebbe dovuto venire a prendere ma io lo avevo informato di un piccolo guasto aereo, inesistente, che aveva fatto ritardare il volo di qualche ora. Sapevo che aveva allenamento a quell’ora e che non avrebbe mai ottenuto il permesso di saltarlo per recuperare la sorella.
Avevo avvisato che sarei tornata in autobus, approfittando del fatto che le mie cose fossero già tutte sistemate e io avessi con me solo una piccola borsa e un mini trolley e lui aveva ceduto miseramente.
Iniziai a percorrere il corridoio per raggiungere il piazzale esterno e subito notai una persona venirmi incontro.
Ecco, ora ho ufficialmente infranto le regole!
Gli andai incontro e lasciai che mi prendesse il piccolo bagaglio mentre, apprensiva, guardai intorno a me.
“Non c’è.” disse, tranquillo. Lo guardai dubbiosa. “Sono passato davanti alla palestra e la sua macchina era già li.” aggiunse, sorridendomi. Tirai un sospiro di sollievo.
Avevo sperato che il mio finto ritardo lo facesse andare ad allenarsi prima ma non avrei mai sperato in un risultato così positivo.
Lo seguii alla sua macchina e mi ci precipitai dentro appena l’aprì, inspirandone tutto il profumo che aleggiava nell’abitacolo. Distesi tutti i muscoli, rilassandomi, ero al sicuro, ero nell’unico posto in cui volevo stare.. più o meno, ero con l’unica persona con cui volevo stare, decisamente.
“Tua sorella come sta?” chiesi.
“Clelia sta benissimo, ha vinto tutte le gare fino ad ora ma credo che la prossima sarà la più dura.” disse, in una smorfia.
Mi sarebbe mancata.
Mi rattristai al sol pensiero che lei, essendo un anno più grande di me, non sarebbe più stata nel mio college con me, aveva scelto di non proseguire nemmeno l’università in quella sede, altro motivo che mi rattristava. Avesse mantenuto la stessa sede avrei, almeno, potuta vederla nella mensa interna.
“Con quanto è uscita?” chiesi, curiosa.
“Domanda di riserva?” chiese e io lo guardai mettere in moto, dubbiosa.
Clelia era un asso nello studio, proprio come lui.
“Cosa significa questa risposta?” chiesi.
“Ha perso parecchi punti per delle assenze accumulate nell’ultimo trimestre.” disse.
L’ultimo trimestre era iniziato dopo il mio rientro in Italia ma durante la mia ultima visita Ricky non mi aveva accennato nulla.
“Che assenze?” chiesi.
“Visite mediche.” specificò. Quasi mi strozzai con la mia stessa saliva.
“Richard, cos’ha tua sorella?” chiesi, con un filo di voce.
“Sta benissimo, tranquilla.” rispose. “È una cosa piuttosto bella, per un certo punto di vista.” aggiunse.
“Ricky, parla!” ordinai. Negò con il viso.
“Me lo ha categoricamente vietato ma scoprirai presto questa piccola notizia tra poco, verrà a trovarti appena finito l’allenamento.” rispose, calmo.
Lo maledissi mentalmente. Quel silenzio mi fece balzare mille e più cose in testa.
Fratture, malattie lievi, malattie gravi, virus stagionali.. e, in un angolo remoto della mia testa la paura si impossessò di me pensando a qualcosa che per lei sarebbe stata bella, come Ricky aveva annunciato, ma terribile per me.
No, non è di certo questo.. non può essere. Pensa Selene, pensa. Cos’altro potrebbe tenerla lontano dai pattini e renderla felice al tempo stesso?
Mi sforzai di pensare a qualcosa di valido ma mi persi nei miei pensieri fino a quando sentii la mano di Ricky sulla mia gamba.
Mi voltai a guardarlo e lo vidi fissarmi dubbioso.
“Dimmi.” dissi.
“L’ho fatto ma non hai risposto.” rispose, prendendomi in giro e rimettendo la mano sul volante.
“Ero distratta, scusa.” ammisi, sperando che ripetesse quello che aveva detto.
“Parcheggio davanti o dietro?” chiese, soddisfacendomi.
“Meglio dietro, ti faccio mettere la macchina in garage.” risposi, accorgendomi che eravamo quasi arrivati.
Lo guardai guidare per l’ultimo chilometro ed entrare nel viottolo che conduceva al piccolo appartamento dei miei nonni. Mi chinai e recuperai il telecomando. Aprii prima il cancello e poi il garage mentre lui si infilò dentro.
Aspettammo che si richiudesse il portone poi scendemmo, scaricai la borsa mentre lui prese il trolley.
Casa.
Ero finalmente a casa..

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Capitolo 27
*** -27. Volere è potere. ***


Mi precipitai in casa, passando dalla porta interna, e lasciai la borsa nell’ingresso.
“Non vuoi mettere via la roba?” chiese, appoggiando il trolley accanto alla borsa. Negai con il viso.
“Credo che due piccole borse possano attendere.” dissi, tranquilla mentre mi voltai a guardarlo. Sorrisi notando il suo sguardo sofferente, lo avevo torturato per tutto il viaggio con piccoli gesti innocenti e involontari, calcolati al millimetro. Anche il mio abbigliamento era studiato per farlo impazzire.
Incrociai le braccia al petto, in un gesto innocente, e lo vidi deglutire vistosamente.
Anche questo era calcolato.
Volevo portarlo allo sfinimento, volevo farlo cedere in modo totale, e ci stavo riuscendo in pieno.
“Cosa vuoi fare?” chiese, cercando di distrarsi.
“Credo di non potertelo dire.” risposi, in modo seducente.
Si schiarì la gola e si fece aria con la maglietta.
“Sbaglio o c’è caldo?” chiese, retorico. Mi appoggiai alla scrivania antica con un fianco e incrociai le gambe.
“Non proprio.” risposi, giocando con il piercing al labbro.
Trattenni il fiato, consapevole che mi sarei presto fatta male, ma un pizzico di dolore era un piccolo prezzo da pagare per raggiungere il mio obbiettivo.
Mi bastò tirare leggermente di più il piercing all’interno che subito sentii uno strappo. Lo mollai subito e il sapore del sangue mi invase la bocca, facendomi fare una faccia disgustata.
“Ti sei fatta male?” chiese. Annuii ma potevo benissimo non farlo visto che nel momento in cui mi aveva fissato il labbro era già scattato verso di me.
Mi prese il viso tra le mani e me lo sollevò, iniziando a tamponare col suo dito il piccolo rivolo di sangue mentre mi fissava male.
“Brucia.” risposi, chiudendo gli occhi in una smorfia di dolore. Non avevo messo in conto che il sudore, salino, della sua pelle avrebbe creato un fuoco sul mio taglio.
“Così, la prossima volta, impari a non giocarci!” rispose, severo. Mi girò e mi spinse leggermente verso il bagno, dove mi seguì. Mi sedetti sul bordo del ripiano e lui si lavò le mani. Una volta asciugate, estrasse, dal ripiano che gli indicai, un batuffolo di cotone e del disinfettante. Mi tirai via il piercing e lo buttai nel piccolo tappo che mi porgeva, dove aveva già messo il disinfettante, e aspettai che mi picchiettasse il cotone imbevuto sotto il labbro. Cercai di scansarmi ma mi bloccò il viso.
“Brucia!” strillai, allontanandogli la mano.
Di tutti e tre i disinfettanti che c’erano era riuscito a prendere l’unico che bruciava.. lo aveva fatto, certamente, di proposito, ne ero certa.
“Chi bella vuole apparir..” rispose, lasciando in sospeso la frase.
“Vale per la ceretta, per le pinzette sulle sopracciglia, se vogliamo anche per il momento in cui fai un tatuaggio o un piercing, ma non vale quando disinfetti qualcosa.” risposi, imbronciata.
“Vero, ma forse la prossima volta ti ricorderai che odio quando ti strappi il piercing ed eviterai di farlo.” rispose, riprendendo a tamponare il piccolo buco sotto al labbro.
“Antipatico!” protestai, contrariata.
Mugugnai per il dolore un paio di volte poi si arrese e prese un altro batuffolo e lo bagnò con un altro disinfettante. Riprese a tamponare ma questa volta non mi sentii come se mi appoggiasse una brace ardente sul viso, così aspettai, pazientemente, che finisse di disinfettarmi e lasciai che mi rinfilasse il piccolo semicerchio di metallo intorno al labbro e sorrisi, soddisfatta.
Era in mia balia. Allungai le mani e le appoggiai sul suo viso, tirandolo verso di me.
Un solo secondo dopo era già con la testa chinata e le labbra appoggiate sulle mie, inspirai il suo profumo soddisfatta. Il suo dopobarba firmato, mischiato al muschio del doccia schiuma, al deodorante e al profumo.
Un mix che su di lui era perfetto.
Gli bloccai i fianchi con le mie gambe e serrai le mie braccia intorno al suo collo poi scesi a baciarlo sul mento e sul pomo d’Adamo. Risalii e mi affiancai all’orecchio e lasciai un bacio, umido, appena sotto al lobo, spostandomi poi più giù, sul collo fino alla clavicola. Scostai leggermente il colletto della maglia e soffiai un bacio sulla cicatrice.. quello era il suo punto debole, era sempre capitolato a quel gesto, poi tornai, velocemente, sulle labbra per evitare che protestasse.
Cosa che non cercò di fare minimamente.
Mi afferrò, anzi, per le cosce e mi sollevò, facendo passere un suo braccio sotto di me, per tenermi seduta, e portando l’altro sulla mia schiena mentre camminava a passo spedito verso la camera, dandomi dei piccoli morsetti sul labbro.
“Lo avevi calcolato.” disse, leggermente polemico.
“Non fingerti contrariato.” ribattei, cercando di addolcirlo mentre annuivo, confermando le mie colpe.
“Mai!” rispose, sereno mentre mi appoggiava sul letto.

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Capitolo 28
*** -28. Rimpianti e rimorsi. ***


Mi rigirai nel letto arrabbiata, era scappato via e io ero sola.
Mi strinsi nella sua maglia, che avevo categoricamente rifiutato di restituirgli, e borbottai tra me e me frasi senza senso fino a quando sentii suonare il campanello e corsi giù, senza cambiare nulla nel mio aspetto.
Aprii la porta e feci entrare Clelia.
Ricky mi aveva detto che stava arrivando.
Mi guardò dubbiosa poi chiuse gli occhi.
“Non voglio nemmeno sapere quello che hai fatto con mio fratello. Né voglio immaginarlo.. quindi, per favore vestiti.” borbottò, fingendosi contrariata.
L’unica contrariata, però, ero io. La fissavo a bocca aperta. Incredula.
L’unica cosa che mi rifiutavo di prendere in considerazione era accaduta, c’era stata una sola cosa a cui avevo pensato e, categoricamente, smentito nella mia testa, un solo pensiero che ogni volta che mi balenava in mente rimandavo lontano.
Eppure era davanti a me, ora non potevo più prendermi in giro, non avevo più scusanti per negare a me stessa la realtà.
“Nulla che tu stessa non abbia già sperimentato.” risposi, atona.
“Sapevo che avresti reagito così.” rispose, senza nemmeno guardarmi, togliendosi la giacca e chiudendo la porta al mio posto. “Mio fratello è andato ad allenarsi?” chiese, cercando di cambiare discorso.
“Già, e spero che lo faccia contro di Eric!” sibilai, cercando di non farmi sentire.
“Selene.” rispose, dolce. “Ti voglio bene e lo sai, non capisco, però, perché questo tuo odio verso il mio ragazzo.” aggiunse.
“Tanto per cominciare ti ha appena impedito di partecipare alle selezioni!” risposi, stizzita.
“Non è stato un’incidente Sel, è stata una cosa che abbiamo cercato.” rispose, cercando di farmi ragionare, inutilmente.
“Quindi ti ha fatto direttamente il lavaggio del cervello, ti ha lasciata buttare al vento dodici anni di sacrifici e duri allenamenti per non rimandare un solo anno!” sbottai.
Ma chi volevo prendere in giro, anche se fosse successo a dodici mesi di distanza mi avrebbe dato fastidio ugualmente. Mi avrebbe dato fastidio anche se fosse successo quando lei sarebbe tornata a casa con una medaglia d’oro, mi dava fastidio perché Eric rappresentava tutto quello che io non potevo avere.
Non avrei mai cambiato Ricky con lui, Eric non valeva nemmeno la metà, ma lui le garantiva una stabilità che io non avevo con Ricky. Le aveva garantito un rapporto alla luce del sole.
“Sel, non ci pensare.” disse, dolce sapendo perfettamente dove la mia mente era andata a viaggiare.
“Non è semplice.” ammisi, leggermente invidiosa. Ero consapevole che non fosse colpa sua o di Eric, ero consapevole che non era nemmeno una scelta di Ricky, eppure la fitta nel petto non diminuiva.
 “Senti come scalcia.” disse, prendendo una mia mano e portandosela sul ventre. “Sente che sei triste, prima era bello tranquillo.” aggiunse e io feci una smorfia.
“Maschio no.” implorai.
“Troppo tardi.” replicò, ridendo, guadagnandosi una mia occhiataccia.
Avrebbe potuto rabbonirmi di parecchio se solo fosse stata femmina, eravamo circondati di uomini, non ne serviva un altro a dar loro manforte.
“E da quando ci sarà un boxeur in più al mondo?” chiesi, acida
“Nascerà ad agosto, come la zia.” rispose, scompigliandomi i capelli. “Ma non credo che farà box, né Eric né Ricky sono propensi ad insegnarli ad assestare un solo pugno. Hanno addirittura bandito tutte le parole che rievochino la box davanti al bambino.”
“Non pensare che valga come regalo di compleanno perché non mi fa affatto piacere.” risposi, facendole capire che non aveva depistato il discorso.
“Non capisco come faccia quel testone di mio fratello ad andare d’accordo con una testona come te. Dovreste scornarvi ogni due secondi.” disse, sbuffando.
“Siamo pari visto che io non riesco a capire come possa una persona che si allena da dieci anni per partecipare alle olimpiadi rinunciare di punto in bianco.”
“Ho rinunciato ad una medaglia, proprio come hai fatto tu.” rispose.
“Non è proprio la stessa cosa.” ribattei. “Se ben ricordi io mollai per colpa di un incidente non per mia volontà. Mi ruppi un legamento, ricordi?”
“Come posso dimenticarlo? Mio fratello e la mia migliore amica si ruppero lo stesso legamento, lo stesso giorno, nello stesso incidente!” controbatté. “Grazie a quell’incidente tu mollasti nuoto e lui dovette sospendere per un anno gli allenamenti, perdendo il titolo di campione.” aggiunse.
“Lo riconquistò l’anno successivo, sai meglio di me che appena rientrò sul ring lo fece per vincere, e non ha mai più perso una sola gara da allora.”
“Mentre tu te ne resti in panchina.” disse.
“Non iniziare nemmeno.” risposi. “Non ho più il fisico e lo sai, non riuscirei più a fare quello che facevo prima.”
“Ma come fai a dirlo se non ci provi nemmeno?” sbottò.
“Perché ci ho provato!” risposi, sovrastandola. Si bloccò di colpo. “E il mio polso non regge più.” aggiunsi. “Non so come abbia fatto Ricky a rimettersi in sesto al massimo ma a me la riabilitazione non è servita.” conclusi, amaramente.
Quel piccolo fattore era l’unica cosa che odiavo di quell’incidente.

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Capitolo 29
*** -29. Rivincita. ***


“Non me lo avevi mai detto.” disse.
Eravamo dalla porta e lei stava andando a casa sua, erano passate due ore da quando era arrivata e avevamo parlato di tutto.
“Cosa?” chiesi, consapevole che non si riferisse al nostro ultimo discorso.
“Che avevi riprovato a tuffarti.” rispose, triste.
“Non è una cosa rilevante.” risposi. “Mi sono allenata per una settimana ma, ogni giorno, dopo un paio di tuffi il polso mi cedeva e ho rinunciato. Che senso avrebbe avuto affliggere anche te?” aggiunsi, amara.
“Sarei stata con te.” controbatté.
“No, non avresti potuto. Eri in ritiro e non avrei mai anteposto un mio capriccio ai tuoi allenamenti.” risposi.
Mi abbracciò e mi scoccò un bacio sulla guancia.
“La solita testona che non vuole mai disturbare.” sussurrò, al mio orecchiò.
Non ebbi nemmeno il tempo di rispondere che era già fuori dalla porta, scossi energicamente la testa e mi accorsi di sorridere come una scema.
Nell’arco di un paio di ore avevo visto due persone a cui non avrei mai rinunciato, una più di tutte. Già mi mancava..
Mugugnai contrariata.
Come potevo essere completamente e totalmente dipendente dalla sua presenza?
Eppure era così, erano appena centocinquanta minuti che non lo vedevo e già mi mancava l’aria. Inspirai affondo il profumo della sua maglietta e decisi di mandargli un messaggio.
Presi il mio cellulare e lo spensi. Sostituii la sim con quella nuova per poi riaccenderlo, trovando subito un messaggio di Ricky.
Corto ma sostanziale.
- Allenamento finito. Sta passando tuo fratello. -
Controllai immediatamente l’ora in cui me lo aveva inviato e sbiancai.
Sarebbe arrivato a momenti.
Corsi in camera, rimontando la mia vecchia sim sul telefono, e buttai la maglia sotto al materasso. La incastrai bene tra la rete, per non farla cadere sul pavimento e diedi una sistemata veloce al letto: avrei sempre potuto dire di aver fatto un pisolino. Recuperai al volo un cambio completo e mi fiondai in doccia.
Tre minuti dopo ero già avvolta nell’accappatoio, intenta a chiudere i capelli nell’asciugamano, quando suonò il citofono, tolsi l’accappatoio e mi vestii scendendo. Mi presi due secondi per recuperare il fiato e aprii la porta.
Sorrise mentre io lo ignorai. Entrò come se lo avessi invitato e si guardò intorno.
“Controlli ogni singolo centimetro in modo da poter riferire scrupolosamente ogni dettaglio?” lo sfidai.
Un anno, sarei stata obbligata a subire quella tortura ancora per un lungo anno poi sarei stata maggiorenne.
“Non puoi capire.” rispose.
“Capisco molto bene, invece, che papà sia terrorizzato all’idea che qualcuno tratti me nello stesso modo in cui lui ha trattato nostra madre.” risposi.
“Non insistere.” ordinò. Mi misi buona e lo guardai, pronta a sferrargli il colpo successivo mentre lui continuava a guardarsi intorno, offrendomi uno slancio su un piatto d’argento.
“Ne deduco che non è venuto ad allenarsi, forse pensava che mi avresti portata con te.” mentii.
“Si è allenato, ma questo cosa c’entra?” chiese, dubbioso.
“Era in palestra con te ma pensi che potesse essere anche qui?” risposi, deridendolo.
Ci rimase malissimo, capendo che lo avevo appena messo all’angolo con la semplice evidenza.
“Mi chiedo perché non mi sia capitata una sorella come Clelia.” rispose, cercando di deridermi a sua volta. Mi offrì un altro slancio.
“Chiamalo e proponigli uno scambio.” controbattei, ammutolendolo.
“Non so perché ma ho come l’impressione che mi stai fregando.” disse, dopo alcuni secondi di silenzio, passati a fissarmi.
“Era con te, ma potrei averlo aspettato in macchina o negli spogliatoi magari.” risposi, canzonatoria.
“Sei sempre stata impertinente ma Roma ti ha peggiorata!” mi insultò.
“Sicuro sia colpa di Roma e non di un fratello stronzo?” risposi, venendo bellamente ignorata. Lo guardai riprendere a girare per tutta casa in cerca di un dettaglio, anche il più piccolo, che non trovò.
“Ora devo scappare.” disse. “Stasera devo andare a cena con i genitori di Jane.” aggiunse, pensieroso.
Bingo, la cena con i suoceri non è da te.
“Allora ciao.” risposi, contenendo la felicità. Era il momento della mia rivincita, anche se non sapevo sotto che forma sarebbe arrivata mi aveva appena dato conferma della mia vittoria.

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Capitolo 30
*** -30. Sofferenza. ***


“Non ci credo.” trillai, abbracciandolo. Avevo visto giusto. “Lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo!”
Il motivo della faccia tirata di Selwyn, la cena con i genitori di lei.. avevo fatto centro in tutto e per tutto: era la mia rivincita.
Ero salva, dopo una notizia del genere i miei genitori non si sarebbero più preoccupati di me ma avrebbero preso di mira lui.
“Credo che lei non lo voglia tenere.” contrastò la mia felicità, con una smorfia.
Mi bloccai di colpo, in un attimo solo non mi importava più non essere monitorata di continuo, ero sempre stata contraria e mai avrei perdonato un gesto simile a mio fratello.
“Non Jane.” protestai.
“Soprattutto Jane.” rispose.
“Perché?” biascicai.
“Pensa che sia troppo presto.” rispose.
“Se non lo vuoi non lo cerchi nemmeno, di metodi per non restare incinta ce ne sono a bizzeffe, devi solo sapere cosa vuoi.” dissi, sicura. “Quindi o mio fratello le ha mentito o lei lo voleva quanto lui,” aggiunsi.
“lei non lo voleva ma tuo fratello non è stupido fino a questo punto Selene!” disse. Non risposi, lo guardai solamente, a braccia incrociate. “Ok, si. Ci ho pensato anch’io, lo ammetto. Probabilmente è così!” aggiunse, buttandosi sul divano.
“Sicuramente è così.” risposi, appoggiandomi a lui che sbuffò.
“Non posso credere che lo faccia solo per ripicca, parliamo di un figlio non un naso rotto!” sbottò.
“Sto pensando un mucchio di brutte cose di cui domani mi pentirò quindi non sentirti in colpa a dargli del cretino, perché non saresti affatto orgoglioso di me se sapessi quello che c’è nella mia testa ora.” sussurrai.
Ero consapevole che i miei pensieri non fossero belli, né opportuni e che avrei dovuto essere felice di diventare zia, eppure sapevo che non c’erano le basi per far crescere un bambino con due genitori così.
Non volevo, ipocritamente, che lei interrompesse la gravidanza ma mi auguravo, tuttavia, che non riuscisse a portarla a termine, o a farne le spese sarebbe stato solo il bambino.
Mio fratello non amava Jane e lei non amava Selwyn, erano solamente incapaci di dirsi la verità a vicenda quindi facevano a gara a chi tradiva maggiormente l'altro, poi si davano dei periodi di tregua per poi ricominciare. Nei periodi di tregua era vietato vedere altre persone e più che altro erano periodi di prova.
“Non sono certo peggiori di quelle a cui ho pensato io.” rispose.
Ne dubito.
Sospirai guardandolo. Voltai il viso e mi guardai intorno sofferente.
Tutti facevano delle cretinate enormi ma venivano lodati, io che facevo la cosa più giusta del mondo venivo presa di punta e punita.
Non è giusto, non è assolutamente giusto.
Ero arrabbiata, ero invidiosa, ero gelosa, ero affranta, ma più di tutto ero delusa.
Strinsi i pugni per evitare di scoppiare a piangere e mi voltai per andare in cucina.
“Vuoi qualcosa?” chiesi. Negò e io presi una bottiglietta di acqua dal frigo, ne bevvi un sorso poi tornai di la, rigirandola tra le mani.
“Cosa succede?” chiese, ancora prima che arrivassi in sala da lui.
“Nulla.” mentii. Si voltò nel momento stesso in cui entrai e mi fissò per qualche secondo.
Non riuscii a mantenere il controllo, gli andai incontro e mi aggrappai, letteralmente, al suo collo.
“Sel..” mi chiamò, in un sussurro, serrando le sue braccia intorno a me.
“Non ce la faccio.” sussurrai. “Non ce la faccio.” ribadii.
Non ce la faccio, non questa volta, non di nuovo.
Sospirò, avendo capito a cosa mi riferissi, e rafforzò la presa intorno alle mie spalle.
“Dobbiamo aspettare.” disse, supplicandomi.
“Non ce la faccio.” risposi.
“Sel, meno di un anno, manca meno di un anno, puoi farcela.” rispose.
“E se fosse il contrario?” sbottai, allontanandolo improvvisamente. “Se fossi io a presentarmi in giro con uno diverso al giorno, facendo credere al mondo intero di portarmelo a letto? Se fossi tu a dover guardare? Se fossi tu a sentir dire alla gente che sulla mia lista c’è un nome nuovo?” continuai, arrabbiata.
“Sel.” sussurrò, prendendomi il braccio.
“Non mi toccare.” risposi, liberandomi dalla sua presa in malo modo.
“Selene.” disse mentre mi riafferrò il braccio.
“Non mi toccare.” ribadii, liberandomi nuovamente.
“Devi fidarti di me.” disse.
“Io mi fido di te!” risposi, fissandolo. “Ma non sono di pietra.” aggiunsi, evitando il suo sguardo.
“Ti renderanno la vita impossibile.” controbatté.
“Lo fanno già.” risposi.
“Ti farà male.” sussurrò, sconsolato.
“Fa già male.” ribattei. “Fa male ora!” conclusi, quasi urlando.
Rimase mezz’ora fermo a convincermi che sarebbe stato meglio aspettare il mio compleanno e io, come una stupida, mi feci convincere.
Capitolai quando mi disse che non potevo chiedergli di espormi, disse che avrei potuto chiedergli di salire su tutti i ring del mondo ma che non potevo chiedergli di portarmi con lui perché non mi avrebbe mai fatto correre quel rischio e io cedetti. Cedetti controvoglia ma lo assecondai con un misero cenno di assenso.

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Capitolo 31
*** -31. Decisioni importanti. ***


Mi afferrò, tirandomi verso di se, e mi abbracciò. Lo lasciai fare.
“Pensaci.” disse. “Se ne sarai sicura, al cento percento, lo faremo, ma se hai anche solo un dubbio no. Non ti metterò mai nei casini per nulla.” aggiunse.
“Noi non siamo ‘nulla’ Ricky.” risposi, ricambiando l’abbraccio.
Era la sera del mio compleanno, erano finalmente diciotto.
Per molti la maggiore età è solamente sinonimo di patente ma per me era la libertà vera e propria, da questo preciso giorno nessuno aveva più diritti su di me, nessuno avrebbe più potuto minacciarmi di mandarmi via da Ricky.
“Lo faccio per te.” disse.
“Sono sicura.” risposi. “Di te, di me, di noi, sono sicura al centodieci percento.” aggiunsi.
Non avrei ceduto, non questa volta.. non ancora.
“Ok.” si arrese. “Hai vinto tu, lo faremo.” aggiunse. “Ma non sono d’accordo, l’unica che ci rimetterà sei tu e non mi piace.” aggiunse.
“Non ho paura.” risposi. “Non se sei con me.” confermai, soddisfatta.
E poi non ci avrei rimesso, non se lui era il premio.
Avevo vinto, avevo, finalmente, vinto. Avevo vissuto anni nell’ombra, avevo vissuto per anni nascondendo la nostra relazione poi, quando eravamo stati scoperti ero stata allontanata come se fossi una criminale della peggior specie, o un malato infettivo. Avevo vissuto per anni nel terrore di perderlo per poi vedere le mie paure materializzarsi nel giro di pochi istanti, avevo vissuto per mesi lontana da lui.. mesi terribili. Avevo vissuto attimi di puro terrore, quando ero ritornata a Londra per incontrarlo, dopo il casino successo nel viaggio studio, avevo vissuto attimi di paura folle nell’attendere che lui si riavvicinasse a me.
Non avevo intenzione di gettare tutto all’aria, non volevo vivere ancora nel buio la nostra storia, non volevo vivere nel dolore di sentire parlare gli altri delle sue presunte conquiste amorose.
Volevo viverlo al massimo, volevo vivere la nostra storia alla luce del giorno, volevo poter dire al mondo intero che, nonostante i tentativi di allontanarci, noi eravamo ancora insieme, più uniti che mai.
“Ok, facciamolo.” disse, allentando la presa e scoccandomi un bacio sulla frante. “Verrò con te.” aggiunse.
Sorrisi entusiasta e corsi in sala a prendere la borsetta, poi mi aggrappai al suo braccio.
“Ti amo.” dissi. Sospirò e mi strinse a se.
“Non allontanarti da me nemmeno per un secondo, ricordati che ci sarà tuo fratello e non voglio che ti succeda nulla.” disse, senza rispondere.
“Tranquillo.” risposi.
“Mi stai chiedendo di portarti in guerra.” disse, abbracciandomi. “Avrei preferito che mi avessi chiesto di andarci da solo.” aggiunse.
“Ricky, non voglio che nessuno guardi o tocchi quel che è mio.” dissi. “Non voglio condividerti con nessuna, nemmeno per finzione, non ancora.” aggiunsi.
“Lo so, ma ho il terrore che Sel si vendicherà su di me con te, ancora.” disse. “Se attacca me so difendermi, ma se mi toglie te il mio mondo crolla.” rispose.
“Non può rispedirmi in Italia, non ancora. E anche se ci provasse i miei genitori hanno già sperimentato quanto io possa essere stronza quando mi impunto, non rischierebbero mai così tanto, non ancora.” dissi. “E sai che per quanto riguarda gli attacchi fisici so difendermi molto bene anche da sola. Sono stata a stretto contatto con dei boxeur professionisti.” aggiunsi, scherzando.
“Se solo osa toccarti gli spezzo tutte le ossa, una a una, tutte le duecentosei, dalle più piccole alle più grandi.” rispose, categorico.
“Stai tranquillo.” sussurrai, cercando di convincerlo. Ma come facevo a convincere lui se nemmeno io ero convinta del risultato? Sapevo perfettamente che mio fratello sarebbe andato su tutte le furie, ci avrei scommesso la mano, anzi tutto il corpo!
Eppure dovevo mostrarmi tranquilla e fiduciosa, dovevo farlo per Richard.
Presi un respiro profondo e chiusi la porta dietro di noi.
Ero pronta.
Sarei entrata nella fossa dei leoni ma ne sarei uscita vittoriosa, ne ero certa.. quasi.
Dovevo farcela.

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Capitolo 32
*** -32. Dimostrazioni. ***


Mi fermai a prendere un’ultima boccata d’aria, in cerca dell’ultima briciola di coraggio.
Sono pronta.
Mi voltai e trovai Ricky intento a fissarmi dubbioso.
“Andiamo?” chiesi.
“No.” rispose. Mi bloccai di colpo, il sorriso mi svanì dalle labbra e il sangue mi defluì in parti del corpo a cui non ero in grado di arrivare per attingervi.
“Perché?” biascicai.
“Perché non sei pronta, hai paura e lo vedo.” rispose.
“È normale che io abbia paura!” sbottai. “Ma questo non significa che non me la senta.” aggiunsi.
Era un coniglio, cercava di dare la colpa a me quando l’unico a tirarsi indietro era lui.
E pensare che questa dovrebbe essere una bella serata, davvero un bel compleanno!
“Selene tu non te la senti.” rispose.
Mi ammutolii, questo era ingiusto, estremamente ingiusto.
Io ero pronta, io ero sicura.
Avevo paura, certo, ma non mi sarei mai tirata indietro.
Quello che si tirava indietro era lui, e provava a far ricadere la colpa su di me.
“Non è vero.” sussurrai, lasciandomi sfuggire una lacrima.
Sussurrai così piano che non riuscì nemmeno a sentirmi. Avvicinò la mano al mio volto per spazzare via la lacrima ma mi allontanai.
Mi aveva ferita, con poche semplici parole era riuscito a farmi più male di un vero attacco fisico.
“Non fare così.” disse, piano.
“Così come?” ringhiai. “Come se il ragazzo che amo non mi avesse appena pugnalata?” aggiunsi.
“Non ti ho pugnalata, non farmi passare per quello cattivo, si vede benissimo che non sei pronta.” rispose, calmo.
“Io sono pronta!” urlai. “Ma evidentemente ho sopravvalutato i tuoi sentimenti per me.” aggiunsi, piano. Mi voltai per entrare da sola, dopotutto mi stavano aspettando, ma mi afferrò per il braccio bloccandomi. Mi girò quasi con cattiveria e quando lo guardai vidi uno sguardo di ghiaccio.
“Non osare mai più dubitarne.” disse, cattivo mentre strinse di più il mio polso.
“Mi fai male.” risposi, cercando di liberarmi. Feci una smorfia quando sentii le ossa schioccare e lui allentò immediatamente la presa, come riscosso da quel rumore.
“Scusa.” disse, massaggiandomi il polso mentre mi tirò, piano, il polso per farmi avvicinare di più a lui e mi abbracciò, baciandomi la testa. “Non volevo farti male.” sussurrò, dandomi un altro bacio.
Alzai il viso e lo guardai. Lo sguardo di ghiaccio era sparito per far posto a quello di cui mi ero follemente innamorata, forse non proprio lo stesso.. questo era leggermente più preoccupato.
Mi alzai in punta di piedi e gli strinsi forte il collo, aggrappandomi a lui.
“Non andartene.” lo pregai.
“Sel, devo.” disse. “Verrò con te solo quando sarai pronta, e ora non lo sei.” aggiunse, cercando di liberarsi mentre io rafforzai la presa.
“Sono pronta.” dissi, sicura.
Ed era vero.
Volevo entrare in quella stanza con lui al mio fianco, volevo entrare in quella stanza a testa alta, volevo entrare in quella stanza dimostrando al mondo intero che lui era mio, volevo entrare in quella stanza dimostrando al mondo intero che io ero sua, volevo entrare in quella stanza dimostrando a mio fratello che noi eravamo ancora insieme, nonostante i suoi sforzi, ma soprattutto volevo entrare in quella stanza con la consapevolezza di non dovermi più nascondere.
“Andiamo.” disse. “Ma solo se ne sei sicura, fino a quando non siamo dentro puoi sempre cambiare idea.” aggiunse.
Gli afferrai la mano che mi tendeva e mossi il primo passo, respirando a fondo. Che io avessi paura era innegabile, quello che però Ricky non capiva era che non avevo paura di mostrarmi con lui, avevo paura della reazione di mio fratello perché, ne ero certa, avrebbe scatenato un putiferio.
“Andiamo.” confermai, tirandomelo dietro.

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Capitolo 33
*** -33. Si comincia.. ***


Silenzio.
Nel momento un cui entrai con Ricky alle mie spalle il chiacchiericcio si spense e tutti si zittirono.
Rabbia.
Lo sguardo che mio fratello mi riservò era di fuoco, se solo avesse potuto strangolarmi seduta stante lo avrebbe fatto.
Odio.
Lo sguardo che mio fratello riservò a Ricky era inequivocabile: gliel’avrebbe fatta pagare.
Presi un respiro profondo e deviai il mio percorso verso Clelia.
Incoraggiamento.
Il suo sorriso parlava da solo. Nonostante il pancione enorme non aveva voluto perdersi l’occasione di starmi vicina e sostenermi.
Mi bloccai quando la vidi negare con la testa in mia direzione. Un po’ mi indispettii, non voleva che andassi da lei per fuggire a mio fratello, però sapevo che aveva ragione. Avrei dovuto affrontarlo.
Mi rivoltai, facendo finta di nulla, e mi avviai verso il piccolo buffet. Non avevo fame, ma ero consapevole che andare in guerra senza provviste mi avrebbe fatta perdere.
“Cosa significa?” chiese, cattivo.
Mi bloccai di colpo, ero convinta di avere Ricky alle mie spalle, invece mi ritrovai mio fratello.
“Cosa significa cosa?” chiesi, mantenendo la calma.
“Non fare finta di nulla.” rispose, arrabbiato. “Lo sai perfettamente.”.
“Selwyn, ho voglia di festeggiare, non di litigare con te.” risposi, calma.
“Ci avresti dovuto pensare prima di portarti quello dietro.” sbottò.
“Quello ha un nome!” ribattei, acida e arrabbiata.
“Quello non dovrebbe starti vicino!” sbottò.
“Ne ha più diritto di te.” risposi, sicura.
Mi guardai intorno, alla ricerca di Ricky e lo trovai a qualche metro da me, attento a quello che succedeva.
Sorrisi in sua direzione e venni premiata quando ricambiò, questo, però, mi fece abbassare la guardia e mi ritrovai Selwyn ad un palmo dal naso, il mio braccio intrappolato nella sua morsa di ferro.
Non ebbi nemmeno il tempo di cercare di liberarmi che Ricky era già intervenuto. Aveva afferrato il braccio di mio fratello, liberandomi, e mi aveva spostata dietro di se.
“Non osare toccarla.” disse, piano.
“Non metterti in mezzo!” rispose Selwyn, avvicinandosi.
Afferrai Ricky per la camicia e strinsi forte la stoffa, tirandolo leggermente indietro. Non volevo rovinarmi il compleanno con una loro rissa e Ricky lo sapeva bene, dividerli non rientrava nei piani della serata. Lo mollò, voltandosi versi di me e spingendomi, piano, per allontanarmi mentre mi seguiva, vigile e protettivo. Seguii la direzione indicatami fino a quando mi ritrovai Clelia davanti.
“Direi che è andata bene.” disse, ironica, facendomi sbuffare in protesta.
“Benissimo!” le rispose Ricky, per poi voltarsi verso di me. “Come stai?” chiese.
“Sto bene, tranquillo.” risposi, serena.
Non mi importava litigare con mio fratello, sapevo che sarebbe successo, ero contenta che non si fosse azzuffato con Ricky. Volevo godermi la serata del mio compleanno e, fosse stato per me, non avrei nemmeno invitato Sel, ma non ero stata io l’organizzatrice quindi mi dovevo tenere quel che c’era.
“Non capisco perché sia dovuto venire.” disse Clelia.
“Quando lo capisci rendi partecipe anche me?” chiesi, ironica mentre prendevo la piccola coppa di prosecco che mi porgeva Ricky e ne bevvi un sorso. Quasi lo sputai, disgustata, non era prosecco, era champagne.
“Sei sempre la solita.” disse Ricky, ridendo.
Gli riporsi la coppa e afferrai il bicchiere che mi porgeva Clelia.
“Mojito?” chiesi.
“No, Hugò” rispose, sorridendomi. Lo bevvi, contenta.
“Questo è buono!” dissi, verso Ricky che mi fece la linguaccia in risposta.
“Sei l’unica persona al mondo che preferisce del banale prosecco a dello champagne pregiato.” disse Clelia, ridendo.
“Non è vero.” risposi, calma. “Anche tu berresti volentieri un Hugò al posto dello champagne.” aggiunsi.
“Già, ma non posso bere comunque nessuno dei due.” rispose, guardandosi il pancione.
Per la prima volta la vidi triste di quella condizione fisica, non potei che scoppiare a ridere di gusto e approfittai della distrazione di Ricky, intento a parlare con Eric, per far bere una bella sorsata anche a lei.. d’altronde un singolo brindisi in nove mesi non avrebbe fatto danni.
Mi rivoltai, facendo finta di nulla, e la vidi, con la coda dell’occhio, guardarmi sorridente e bere una piccola sorsata della sua coppa di succo, per coprire il sapore del prosecco.
“Perché vi guardate così voi due?” chiese Eric, fissandoci.
Lo guardai con aria innocente, d’altronde non guardavo Clelia proprio per non essere scoperta.
“Così come?” chiesi, fingendo ingenuità e guardando Ricky, dubbiosa.
“Come se aveste appena fatto qualcosa che noi non dovremmo sapere.” rispose, guardandomi male.
Feci la faccia più innocente possibile e scrollai le spalle.
“Non so a cosa ti riferisca, stavamo solo parlando.. cose da donne.” risposi, senza tradirmi.

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Capitolo 34
*** -34. Fine di tutto.. inizio di tutto. ***


Che mal di testa..
“Ti inizia a dar fastidio la musica?” chiese, comparendo alle mie spalle.
“Comincio a sentirmi la testa martellare.” ammisi, lasciando che mi abbracciasse. Mi appoggiai con la schiena al suo petto e mi godetti il momento, era tutto perfetto.
Mi diede un leggero bacio dietro all’orecchio, provocandomi i brividi, e ne diede un altro sul collo, per poi scendere sulla spalla e risalire.
Avevo la pelle d’oca.
Rafforzai la presa sulle sue braccia e si fermò, iniziando a dondolare. Mi lasciai trasportare dai suoi movimenti e in poco mi ritrovai a ballare con lui sotto il cielo stellato.
Sorrisi, incantata, e lasciai che mi abbracciasse a fine canzone. Mi lasciai girare, contenta di poter appoggiare di nuovo la schiena al suo petto quando mi attirò a se.
“Come va?” chiese, riferendosi al mal di testa.
“Meglio.” risposi, grata.
“Pronta per domani?” chiese, rigido.
“Fifone.” dissi, ridendo e annuendo in conferma. “Hai tanti tatuaggi e nessuno ti ha fatto male, ma ti preoccupi se a farlo sono io.” aggiunsi, prendendolo in giro.
“Io non ho il terrore degli aghi.” mi prese in giro.
Feci una smorfia, quello era vero. Ogni volta che dovevo fare le analisi mi sentivo morire, ma questa volta era diverso, erano mille e più aghi che mi sarebbero entrati nella pelle ma non avevo paura.
Ero contenta, ero entusiasta, ro emozionata ed ero impaziente.
Anche se.. ero ancora indecisa su cosa tatuarmi.
Feci una smorfia.
“Uffi!” piagnucolai.
“Cosa c’è?” chiese, quasiridendo.
“Non so quale dei due fare.” dissi.
Presi il mio cellulare e guardai le foto.
Dopo aver parlato con il suo tatuatore di fiducia e avergli spiegato dove volevo il tatuaggio e cosa volevo rappresentasse lui mi aveva proposto varie versioni, cinque per la precisione. E ora, dopo aver scartato solo tre disegni, ero indecisa sugli ultimi due.
“Io non sceglierò per te.” disse, anticipando la mia domanda.
Erano due giorni che lo torturavo chiedendogli quale gli piacesse di più, erano due giorni che mi torturava dicendomi che non aveva intenzione di immischiarsi. Eppure lui era coinvolto in prima persona!
“Ok, allora a sorte.” dissi, creando un nuovo album con solo quelle due foto e iniziando a sfogliarle velocemente.
Chiusi gli occhi e continuai a farle scorrere senza guardare per poi fermarmi di botto e riaprire gli occhi. Feci, involontariamente, una smorfia impercettibile quando le foto smisero di alternarsi e ne comparve una fissa sullo schermo.
“Secondo me dovresti fare l’altro.” disse, senza guardare il telefono.
“Non volevi rimanerne fuori?” lo canzonai.
“Infatti non so quale sia uscito dei due e non lo voglio sapere.” disse. “Ma ti conosco e ho visto la tua faccia, non ne eri contenta quindi, pur non essendone certa, preferisci l’altro.” aggiunse.
Sospirai. Aveva ragione, preferivo l’altro, e lo avevo appena capito.
Quando era uscito il disegno mi ero sentita mancare l’aria, non perché tatuarmi il suo nome per intero fosse un problema, il problema era quel cuore vicino. Il tatuaggio, di per se, era bellissimo e, se non avessi avuto un'idea ben precisa di quello che volevo, mi avrebbe mandata in estasi, ma quello non era quello che volevo rappresentasse.
Eliminai la foto e decisi di optare per l’altro.
“Hai ragione.” dissi. “Preferisco l’altro.” aggiunsi.
Lo preferivo di gran lunga perché rappresentava quello che avevo ora che ero, finalmente, maggiorenne. Lo preferivo perché rappresentava me, da sempre, in sua presenza. Rappresentava come mi sentivo ad averlo al mio fianco e come mi sarei sentita da ora con l’aggiunta della libertà.
“Torniamo dentro?” chiese, quando chiusi la piccola borsetta con il cellulare dentro.
“Si.” risposi, mentre mi porse la mano e io l’afferrai, contenta.
“Eccovi.” disse Selwyn, sbucando dal nulla.
“Cosa vuoi?” chiesi, senza lasciare la mano di Ricky.
“Parlarti.” rispose.
“Non mi farai cambiare idea.” dissi.
“Né puoi fare nulla.” aggiunse Ricky.
“Senti, è mia sorella e per ancora qualche minuto sarà sotto la mia custodia.” sbotto.
“Veramente no.” rispose Ricky. “Sta per diventare maggiorenne proprio…” si interruppe, per una pausa, guardando l’orologio. “... ora.” concluse.
Guardai il mio orologio e sorrisi.
“È ufficialmente il mio compleanno.” affermai, entusiasta.
Fine della prigionia, fine dei controlli, fine dei ricatti, fine di tutto.
Ero libera!

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Capitolo 35
*** -35. Litigio. ***


Scartai tutti i regali, contenta, e ringraziai tutti mentre Ricky li portava nella sua macchina.
Stetti attenta a non avvicinarmi a mio fratello ma seppi che aveva già contattato i nostri genitori perché avevo già dovuto respingere cinque loro chiamate.
Ovviamente sapevo che non chiamavano per farmi gli auguri perché prima mi era arrivato un messaggio al quale non avevo risposto.
“Ricky qui, Ricky li, Ricky così, Ricky colì.” disse mio fratello. “Ma non mi sembra di aver visto un suo regalo in giro.”.
“Come sei venale.” dissi, in una smorfia. “Comunque, se proprio ti interessa, il suo regalo arriverà tra qualche ora. Se vuoi venire con noi al Diamond Jacks sei il benvenuto.” aggiunsi.
Sbiancò.
“Stai scherzando?” chiese. Negai fortemente.
“Mai stata più seria.” ammisi.
“Non ci credo, hai paura di un prelievo figuriamoci di un tatuaggio.” sbottò.
Cosa non si fa per amore?
“Ne riparliamo domani.” dissi, andandomene.
Ricky mi aspettava alla porta e fui felice di poter tornare a casa con lui senza paura di dovermi nascondere.
Non era la prima volta che si fermava a dormire a casa ma, tutte le altre volte, era sempre dovuto entrare come un ladro.
Per la prima volta avrebbe parcheggiato davanti a casa, senza aver paura di una sceneggiata.
“Tu sai che il fatto che tu sia ufficialmente maggiorenne non cambierà la sceneggiata di Selwyn?!” disse, parcheggiando.
“Si, ma se solo minaccia di chiamare la polizia, come ha sempre minacciato di fare, non dovrò cedere per paura che succeda qualcosa a te.” risposi, sorridente.
“Vero.” disse.
Selwyn avrebbe fatto una sceneggiata a prescindere dalla mia età.
I miei diciott’anni significavano semplicemente non dover più aver paura delle conseguenze che Ricky avrebbe dovuto affrontare.
Ero, finalmente, maggiorenne, ero, finalmente, contenta.
Lo lasciai aprire la porta di casa e lo seguii dentro, chiudendomi immediatamente la porta alle spalle.
Essere contenta non significava essere cieca e avevo visto, chiaramente, la macchina di mio fratello seguirci. Diedi, immediatamente, le mandate e mi ci appoggiai con la schiena contro.
“Secondo te, quanto tempo abbiamo prima che minacci di sfondare la porta?” chiesi.
Si voltò verso di me con aria interrogativa e fece spallucce.
Era buffissimo, grande e grosso com’era ridursi a fare gesti e facce simili.
“Poco.” disse. “Molto poco.” aggiunse.
Sospirai, rassegnata. Aveva ragione, ne ero consapevole ed ero consapevole che probabilmente aveva già mobilitato mezza Londra per trovare una soluzione.
“Mi scoppia la testa.” dissi, stringendo gli occhi.
Sentii le sue mani sulle mie tempie e mi rilassai sotto il suo tocco.
Era alto due metri, pesava novanta chili, era un boxeur professionista.. tutti motivi per cui ci si sarebbe aspettati la delicatezza di un elefante in un negozio di cristalli, invece il suo tocco assomigliava a quello di una farfalla. Leggero e, quasi, impercettibile.
Sorrisi.
“Perché sorridi?” chiese.
“Perché più penso a te più mi convinco di aver scelto il tatuaggio perfetto.” dissi.
“Non dire altro.” mi ammonì e io mi zittii all’istante.
Sapevo che era restio ad entrambi i tatuaggi che volevo farmi ma io ne ero convinta, non mi sarei mai tirata indietro e se non sarebbe stato un suo regalo poco importava, lo avrei fatto comunque!
“Non rinuncio.” dissi, seria. Non accennai a nient’altro, consapevole che non gli avrebbe fatto piacere ma lo sentii sospirare, poi sentii le sue mani bloccarsi e smettere mi massaggiarmi. Aprii gli occhi.
“Tra tutti i tatuaggi che potevi scegliere proprio uno di quei due?” chiese. Mi sentii offesa e fui tentata di sbatterlo fuori casa.
“Si, e non cambierò idea.” risposi, convinta.
“Ti prego, qualsiasi altra cosa ma non uno di quei tatuaggi.” disse, quasi disperato.
“Non vuoi regalarmelo tu? Non importa, ma non rinuncio a quel tatuaggio.” risposi, ferma.
Si allontanò e salì al piano superiore, lo seguii e lo vidi entrare in camera. Lo vidi buttarsi sul letto e tirare un paio di pugni all’aria, aspettai che riabbassasse le braccia poi mi avvicinai piano.
Perché non voleva nessuno dei due tatuaggi? Perché era così restio a farmi fare quel tatuaggio?
Lo guardai delusa.
Una mezza idea stavo iniziando a farmela.
Quella consapevolezza mi uccideva e una lacrima mi sfuggì, scattò seduto, afferrandomi per i fianchi e avvicinandomi, poi asciugò la lacrima.
“Non credo che sia giusto e lo sai.” disse, dandomi un bacio per tranquillizzarmi. “Ma non è per quello a cui stai pensando.” aggiunse.
“E allora dimmi perché?” protestai, cercando di allontanarlo ma rafforzò la presa e mi tenne stretta.
“Che tu ti tatui il mio nome o la mia iniziale con la mia data di nascita ti tatuerai comunque una parte di me.” disse. “E se mai dovesse finire arriverà il giorno in cui odierai quel tatuaggio.” aggiunse.
“È già finita Ricky, eppure l’abbiamo superata.” sbottai. “E se tu pensi che possa succedere ancora significa che in questa storia non ci credi fino in fondo.” aggiunsi, infuriata e sfinita.

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Capitolo 36
*** -36. Finalmente contenta. ***


Nell’istante stesso in cui finii la frase si alzò, arrabbiato, facendomi, inevitabilmente, sbilanciare. Mi afferrò, prima che potessi cadere, e mi fissò, rosso di rabbia.
“Non osare dubitarne mai più.” mi redarguì.
Deglutii, annuendo. Era la seconda volta, in poche ore, che lo accusavo della stessa cosa. Ed era la seconda volta che lui reagiva in quel modo, inaspettato.
“Va bene.” sussurrai, non del tutto convinta mentre lo vidi sospirare e risedersi sul letto, prendendosi la testa tra le mani.
“Scusa.” sussurrò.
“Mi dici cosa succede?” chiesi, piano. “È tutto oggi che sei strano, quasi scontroso.” aggiunsi, sedendomi sul letto trascinandomi dietro di lui per poterlo abbracciare. Mi appoggiai completamente, con il petto alla sua schiena, e aspettai una risposta che non arrivò. “Ricky, se non ne parliamo la situazione non si risolverà.” aggiunsi, interrompendo il silenzio.
“Non potresti risolverla comunque.” disse, dopo un po’. La mia mano si bloccò a metà percorso, le piccole carezze che gli stavo facendo sul braccio persero importanza davanti a quella confessione.
“Ok.” dissi, piano. Mi scostai da lui e presi il pigiama dal cassetto, andai in bagno, mi lavai, mi svestii e mi rivestii, tornando in camera dopo dieci minuti e ritrovandolo nella stessa posizione.
“Non c’entri tu.” disse, calmo. Lo guardai, sedendomi sul letto e lui sospirò. “Sono preoccupato per mia sorella, ma non c’entri tu.” aggiunse.
Quasi risi, libera dal peso che avevo sullo stomaco da giorni e tornai ad abbracciarlo, appoggiai il mento alla sua spalla, tirandolo maggiormente verso di me. La sua schiena scolpita era appoggiata al mio petto, senza peso.
Sua sorella., è in pena per Clelia, non ce l'ha con me.
Erano giorni che era scostante e irascibile con me, certe volte quasi violento, e io ero terrorizzata per quel comportamento inusuale per lui. Pensavo e ripensavo a quello che avevo fatto, in cerca di un'azione sbagliata, senza trovare nulla. Eppure, mi dicevo, doveva esserci un motivo se ad ogni minima parola detta scattava in malo modo verso di me. Solo in quella stessa serata erano state due le volte in cui si era trattenuto dal farmi male, anche se involontariamente ed ora avevo finalmente capito: era preoccupato per la sorella, non era arrabbiato con me. Scoppiai a ridere di gusto, ricevendo una sua occhiataccia in risposta.
“Amore, è il primo figlio è nomale che sia in ritardo. Sono i secondi che solitamente nascono in anticipo.” dissi, cercando di calmarlo. “Tuo fratello Thomas è nato due settimane dopo il termine, mio fratello addirittura tre, lascia respirare Clelia.” aggiunsi, quasi rimproverandolo.
Sbuffò, buttandosi di lato e trascinandomi con lui, mi mossi appena per mettermi più comoda e pensai a sua sorella.
“Thomas non verrà.” disse, continuando lo sfogo, riferendosi a suo fratello.
Quel fratello che io avevo visto solo una decina di volte in vita mia e che non era mai stato presente né per Richard né per Clelia. Thomas era tre anni più grande di Richard ma era sempre stato un bambino vivace, troppo vivace, tanto da esasperare i genitori fino a costringerli a mandarlo in collegio. Successivamente gli avevano fatto fare il servizio militare per cercare di piegarlo dove il collegio non era riuscito e ora era un comandante perfetto, si leggeva di lui su molte riviste.
Alla fine i genitori di Ricky erano riusciti ad ottenere il loro obbiettivo: ottenere un figlio perfetto, ma avevano perso un membro della famiglia.
Erano dieci anni che non tornava a casa, chiamava una o due volte al mese, non di più. Era mancato a tutte le date importanti e non sarebbe venuto nemmeno questa volta, non sarebbe venuto a sostenere sua sorella, non ci sarebbe stato per Clelia, che era perfettamente fuori termine, di ben otto giorni.
Ma oramai ci eravamo abituati tutti alla sua assenza, spesso e volentieri io stessa tendevo a dimenticare che il mio ragazzo avesse un fratello maggiore.
Sospirai, ignorando la sua sofferenza per Clelia. Erano settimane che si lamentava ma l’aveva voluta lei.. eppure non vedevo l’ora che partorisse per poter viziare il futuro boxeur, perché per quanto Eric e Ricky ammettevano il contrario avrebbero insegnato a quel bambino a tirare pugni prima ancora che Clelia gli insegnasse a camminare!
“Sai nulla di Jane?” chiese, riportandomi alla realtà.
“No, e non mi interessa.” ammisi.
“È un maschio.” disse. Gongolai mentalmente per circa due secondi.
“Non mi interessa.” risposi, tornando seria.
“Rimarrà comunque tuo nipote.” disse e io feci spallucce.
“Un nipotino da viziare ce l’avrò comunque.” dissi, sorridente. “E, mi dispiace confessartelo, amore, ma avrei viziato quel bimbo a prescindere dalla tua presenza.” aggiunsi, ridendo.
“Ricordo perfettamente tutte le volte in cui mia sorella mi ha sfrattato dalla dépendance perchè dovevate starci voi due.” disse, ridendo a sua volta.
Lo strinsi più forte e mi appoggiai a lui, guardandolo.
“Ammetto che un pochino ci speravo.” ammisi.
“Non essere cattiva.” mi ammonì.
“Conosci mio fratello e sai anche tu che è molto meglio così, immagina quello che sarebbe in grado di fare a una femmina.” aggiunsi, ovvia.
“Non ho bisogno di immaginare nulla, mi basta pensare a tutto quello che hai passato tu.” disse, chinandosi a baciarmi. “Buon compleanno.” disse, staccandosi.
Aggrottai le sopracciglia e lo vidi indicarmi, con la testa, il comodino. Mi voltai e guardai la sveglia e risi, baciandolo a mia volta.
Diciotto anni prima, esattamente a quell'ora, in una stanza d'ospedale, mia mamma aveva ufficialmente finito di spingere e strillare per ascoltare i miei di strilli.
“Grazie.” sussurrai, contenta.
Finalmente contenta.

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Capitolo 37
*** -37. Ricordi.. tabù. ***


Il giorno dopo mi svegliai prestissimo.
Magari proprio prestissimo no, erano le nove di mattina, ma ero pur sempre andata a letto alle cinque passate!
Mi vestii con una semplice canotta e un pantaloncino, mi misi un paio di sandali ma presi con me un paio di infradito, consapevole che sarebbero stata l’unica scarpa adatta per dopo.
“Sono pronta.” annunciai, saltandogli sulla schiena.
Mi prese al volo, senza sforzo, e girò il viso per baciarmi. Rimasi accovacciata alla sua schiena fino a quando non arrivò alla porta, poi mi feci mettere giù, recuperai la borsa e ci buttai dentro entrambi i nostri cellulari, presi le chiavi e uscii, seguita da lui, contenta.
Mi guardai intorno vigile, ma non vidi nessuno.
“Passiamo prima dalla banca?” chiese. Negai con il viso.
“No, prima abbiamo appuntamento dall’avocato, ha detto che andremo con lui in banca.” risposi, dubbiosa.
Erano giorni che mi chiedevo come mai mi avesse fissato un appuntamento per quella giornata.
Salimmo sulla sua macchinina e lasciai che guidasse fino allo studio.
“Hai pensato al perché vuole vederti?” chiese.
“Si, ma non saprei proprio cosa pensare.” ammisi.
“Beh, ora lo scopriremo.” disse, scendendo dalla macchina. Lo seguii e annuii. “Io ti aspetto fuori.” aggiunse, avviandosi. Annuii nuovamente.
  

Uscii dall’ufficio ammutolita, avevo firmato carte su carte e il polso mi lanciava fitte lancinanti ma non era quello il motivo della mia espressione.
L’avvocato mi seguì e salutò Ricky, poi si incamminò e lo seguii, seguita da Ricky.
Per tutto il tragitto Ricky mi chiese cosa fosse successo ma non ottenne mai risposta, ero in un mondo tutto mio, intenta a richiudere, a fatica, il vaso di pandora appena aperto.
Una volta in banca firmai una seconda valanga di carte e ascoltai quello che mi dissero, ma era come se lo dicessero dietro ad un vetro e io fossi immersa, contemporaneamente, in una piscina piena di acqua.
Annuivo, quando mi guardavano, ma non capivo nulla, era come se la mia mente fosse altrove.
Avevo cercato di cancellare quel ricordo per anni, e ora tornava a galla prepotente.
Mi alzai e uscii quando capii che avevamo finito, raggiunsi Ricky, cercando di sorridere e lasciai che salutasse tutti.
“Andiamo?” chiesi, con un filo di voce quando fummo fuori dalla banca.
“Cosa succede?” chiese, quando né l’avvocato né il direttore della banca potevano sentirci.
Negai con il viso.
“Non voglio parlarne..” sussurrai, mentre salii in macchina.
“Vuoi tornare a casa?” chiese ma io negai con il viso.
Avevo bisogno di quel tatuaggio come dell’aria, ora più che mai. Avevo bisogno di quel tatuaggio come di un’ancora di salvezza, o non sarei riemersa da quel ricordo.
“Il tatuaggio.” biascicai.
“Possiamo rimandare se non te la senti.” disse.
“No, voglio farlo.” dissi, sicura.
Non mi sarei tirata indietro per nulla al mondo, non avrei rinunciato, nonostante tutto non avrei rinunciato a quel tatuaggio.
Inspirai a fondo e chiusi gli occhi, ripensando a quello che era successo pochi minuti prima. Avevo chiuso quel capitolo della mia vita anni prima, avevo messo un doppio lucchetto a quella porta, nella speranza di non doverla riaprire e avevo allontanato ogni ricordo per non dover soffrire mai più. Invece eccomi seduta a piangere.
Ricky accostò l’auto e si fermò.
“Amore, mi dici cosa succede?” chiese, asciugandomi le lacrime.
“Lollo e Lilli.” sussurrai, tra i singhiozzi.
Erano bastati quei due nomi sussurrati a far rompere una diga.
Il pianto leggero divenne a dirotto, tanto da obbligare Ricky a slacciarmi la cintura di sicurezza per agevolarmi il respiro. Vedendo che gli spasmi non migliorarono, però, scese dall’auto e corse dal mio lato, facendo scendere anche me. Mi ritrovai appoggiata alla macchina, stretta nel suo abbraccio.
“Va tutto bene.” sussurrò, cullandomi. “Devi solo respirare.” aggiunse, baciandomi la testa.
Annuii, mettendo in pratica la tecnica di respirazione che avevo imparato accompagnando Clelia al corso preparto.
Ci vollero dieci minuti abbondanti ma riuscii a calmarmi quel tanto che bastava da permettermi di respirare e smettere di piangere.
“Possiamo andare.” dissi.
“Sicura?” chiese. Annuii, risalendo in macchina.
Mi imitò e ripartì, tenendomi d’occhio.

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Capitolo 38
*** -38. Tatuaggio. ***


Ispirai a fondo e trattenni il fiato quando sentii il ronzio della macchinetta.
Vidi il tatuatore guardarmi e annuii, incerta.
Volevo quel tatuaggio ma avevo una paura folle, avevo il terrore degli aghi.
E avevo scelto uno dei posti più dolorosi per un tatuaggio.. ero spacciata!
Il tatuatore si avvicinò alla mia gamba e io mi irrigidii di colpo.
Ricky allungò immediatamente la mano per afferrare la mia.
Appena l’ago toccò la mia pelle mugolai contrariata e strinsi la sua mano più forte.
Pensa al tatuaggio.
Me lo figurai sul mio collo del piede.
Potevo farcela, dovevo farcela.
 
 
Gli mollai la mano, rossa in viso, e respirai a fondo.
“Guardati allo specchio.” disse Jack, il tatuatore.
Mi alzai, sorretta da Ricky, e andai allo specchio, guardai il tatuaggio, estasiata.
“È bellissimo, perfetto.” dissi, continuando a guardare il tatuaggio.
Venni distratta dal sorriso riflesso nello specchio.
Guardai il riflesso di Ricky e lo trovai intento ad ammirare il mio tatuaggio.
“È stupendo.” disse, quasi commosso.
Alla fine avevo deciso di modificare il tatuaggio tagliandone un pezzo.
Fortunatamente non era stato necessario creare un nuovo disegno, il pezzo che avevo deciso di tagliare era affiancato al disegno di per se e non attaccato quindi non ci furono problemi a eliminare la data.
“Lo so.” ammisi.
Mi abbracciò, baciandomi il collo, e si allontanò, andando alla cassa.
Mi chinai e sfiorai il tatuaggio da sopra la pellicola. Mi ero immaginata quel tatuaggio per giorni ma mai, nella mia mente, era venuto così bene.
Ne ero innamorata.
Tornai a sedermi e aspettai che Jack tornasse da me, mi aveva messo un piccolo strato di pellicola per proteggere la crema ma aveva detto di volerne mettere ancora, creando una fascia che non facesse volare via la protezione.
Quando ebbe finito scesi piano e mi avviai verso Ricky.
Ero entusiasta!
Niente avrebbe potuto fermarmi in quel momento, uscii, seguendo Ricky, e ci avviammo alla macchina.
Ogni passo, però, era una tortura.
“Ti avevo detto di non farlo sul piede.” disse, chinandosi a prendermi in braccio.
Lo lasciai fare e gli feci la linguaccia.
“È l’unica parte del mio corpo che mi piace.” sbuffai.
Fare quel tatuaggio in qualsiasi altra parte sarebbe stato un vero e proprio insulto! Tanto valeva non farlo proprio, eppure, per quanto mi facesse male, non riuscivo proprio a dispiacermene.
Lo avevo fatto, era li e ci sarebbe rimasto per sempre.
Lasciai che mi appoggiasse sul sedile poi tirai su il piede e sfiorai il disegno con le dita.
Venni attraversata da una fitta di dolore ma non ci badai, lo guardai salire in macchina e mettere in moto mentre sorrideva. Sorrisi di rimando.
“A cosa stai pensando?” chiese.
“Lo sai già.” risposi. “Sono sempre più convinta di aver scelto il tatuaggio giusto.” ammisi, tornando a fissare il mio piede.
“Ora che l’hai fatto posso dire che lo adoro?” disse, ridendo mentre prese la mia mano e la intrecciò alla sua portandole sul cambio.
“Ma se facevi tante storie perché non volevi che mi tatuassi il tuo nome.” dissi, fissandolo sbigottita.
“Infatti non hai tatuato il mio nome.” rispose.
“No, solo la tua iniziale.” lo presi in giro.
Scoppiammo a ridere entrambi.
“Mi ha mandato un messaggio mia sorella.” disse, calmandosi.
“Quale dramma è in corso oggi?” chiesi, esasperata, se entro ventiquattro ore non avesse partorito le avrebbero indotto il parto, e Clelia era terrorizzata!
“Non ho capito nulla, ma dobbiamo andare da lei.” rispose.
Sbuffai e mugugnai contrariata, di mettermi a pulire il suo macello non ne avevo proprio voglia, né ne avevo le forze.

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Capitolo 39
*** -39. Epilogo. ***


Presi Vajolet per mano e la tirai dietro di me, quasi in malo modo.
“Ciao.” dissi, guardandolo.
“Le stavo, solo, dando una caramella.” disse.
“Da te preferisco che non prenda nulla.” risposi, acida.
“Zia.” mi chiamò, aggrappandosi alla mia gamba, intimidita.
Le poggiai una mano sulla testolina e continuai a guardarlo.
“Zia..” disse, disgustato. “Mio figlio dovrebbe chiamarti così, non lei.” aggiunse.
“Non lo voglio vedere.” dissi. “Non iniziare nemmeno.” aggiunsi.
Come se non avessi nemmeno parlato girò il passeggino e mi mostrò il bimbo che dormiva dentro.
“Lui è tuo nipote, non lei.” sussurrò, cattivo.
Mi chinai e presi in braccio Vajolet.
“Hai finito?” chiesi. “Ricky ci sta aspettando.” aggiunsi.
Senza ottenere risposta mi voltai e mi incamminai.
“Ci sta seguendo.” disse, nascondendo la testa nell’incavo del mio collo.
“Tranquilla apetta, ci pensa lo zio ora.” dissi, raggiungendo Richard.
“Eccovi.” disse, vedendoci. Si bloccò, però, quando vide Selwyn ad un passo da noi.
“Tutto ok.” dissi, per farlo calmare. Poi mi chinai e misi giù Vajolet. “Fai vedere alla mamma come ti ha truccata la zia.” aggiunsi, voltandola verso Clelia.
“Wow, ora sei proprio una vara apetta” disse, fingendosi sorpresa.
“Si..” disse, contenta. “Zio, visto come sono bella?” disse, andandogli incontro.
Ricky si chinò e la prese in braccio, senza nemmeno guardarla, era iperprotettivo verso la nipote e non avrebbe mai permesso a mio fratello di avvicinarcisi.
Non avrebbe permesso a nessuno di avvicinarsi alla sua principessina.
Erano tre anni che lo vedevo ingelosirsi, arrabbiarsi, coccolarla, viziarla e proteggerla come un padre.
Più lo guardavo più mi convincevo che un padre non avrebbe mai amato un figlio come uno zio, pugile, ama la propria nipotina!
Non potevo chiedere di meglio, assolutamente.
Guardai la bambina e pensai al giorno del parto, quando Eric uscì e ci guardò perplesso dicendo che i medici avevano sbagliato qualcosa, ci eravamo spaventati da morire e lui aveva detto, semplicemente, che era un papà contentissimo ma che avremmo avuto una bella sorpresa di li ad un paio di minuti quando sarebbe uscito con un fagotto pulito in braccio. Ci eravamo tranquillizzati ma eravamo, ugualmente, in ansia. Lo avevamo visto tornare dentro e uscirne dopo qualche minuto con un fagottino rosa in braccio. Aveva detto che era nata una femminuccia e io avevo trillato di felicità, rubandogliela dalle braccia. Avevamo dovuto ricomprare tutto e riorganizzare tutto ma eravamo riusciti a risistemare le cose prima che Clelia e la bambina uscissero dall’ospedale, e ora eccoci qui, con l’apetta in questione.
Vidi mio fratello Selwyn tornare indietro, sconfitto, e mi appoggiai alla schiena di Ricky, abbracciandolo.
Feci un respiro profondo e mi eclissai.
La nostra non era iniziata come una relazione semplice. Segreti, litigi, menzogne e separazioni.
Avevamo dovuto affrontare di tutto, eppure eravamo sopravvissuti a ogni cosa. Avevamo superato insieme tutti gli ostacoli e avevamo reso il nostro rapporto quasi perfetto, ero consapevole che la perfezione non esistesse ma ero, anche, consapevole che avere quello che avevamo noi era raro.
Non avevamo tutto, mio fratello non rinunciava a volerci separare e i miei genitori erano sempre sulla difensiva, ma iniziavano ad apprezzarlo e ad abituarsi all’idea che lui faceva parte della mia vita.
Potevo solo sperare, lottare per il nostro legame e continuare a viverlo, insieme a Ricky.. insieme a quella persona che, insieme a me, aveva preso un amore complicato e lo aveva reso unico e speciale.
 
 
 
 
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Note dell’Autrice:
Questo è l'ultimo capitolo e l'errore di fondo, oramai lo avrete capito (oltre ad un linguaggio e ad una tramacprettamente adolescenziali) è che il college non corrisponde alla nostra scuola superiore. Spero, comunque, che perdoniate questa svista di una ragazzina delle medie... perchè all'epoca di questa stesura ero veramente piccola.
Soprattutto se si considera la mia attuale età e un figlio in arrivo 
 


 

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