My Demons

di ILeNiA2813
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


                                                                             Capitolo 1.
-Allora me la racconti la tua storia?-
-Non c'è molto da raccontare Zoe, e poi non mi va, fa male.-
-Proprio perchè fa male ne dovresti parlare.- mi incita.
-Beh, in...-
-Ti prego Rye- mi supplica picchiettando una mano sul ginocchio.
-E va bene.-

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-Complimenti signorina Irtach.- mi disse il professore mentre mi avvicinavo alla cattedra per recupare la verfica, un suo sorriso bastò per confermare le mie presunte teorie sul voto.
-Oh Rye la secchiona.- sentì.
-Non sono secchiona- risposi pacatamente - siete voi che non studiate un tubo.- conclusi voltandomi.
-Hai sentito Philiph? Oggi l'Irtach è scontrosa.- mi prese in giro.
-Non sono affari tuoi se sono scontrosa o meno, ti consiglio di aprire la bocca solo quando vieni interpellato, e non per far prendere aria ai polmoni.- mi voltai questa volta, non badando alle solite risate dei due.
Suonò la campanella e l'entrata della preside ci fece alzare tutti in sintonia.
-Bene ragazzi,grazie,accomodatevi.- fece un gesto elegante con le mani -vi volevo solo infomare che tra due giorni arriverà un nuovo ragazzo in qyesta classe.-
-è carino?.-  donandò Ivy attorcigliandosi una ciocca di capelli castani tra le sue dita perfettamente curate.
-Questo non lo signorina Johan.- le lanciò un'occhiata poco amichevole e riprese a parlare -con questo avviso vi lascio andare, siete liberi per oggi.- e al suonò della campanella si dileguò.
Misi il mio zaino a quadri nelle spalle ed uscì dall'aula, seguendo la massa di alunni di ogni età uscire dalla porta principale. Quando varcai la soglia un senso di malinconia mi invase le pareti del mio petto facendomi fermare. Tutti i miei compagni avevano qualcuno che gli aspettava fuori dal cancello consumato della scuola.
Io ero ritenuta la solita ragazzina "sfigata"che veniva buttata alle grinfie della vita, come un giocattolo.

Mi guardai intorno e quando finalmente vidi che non c'era più nessuno, mi incamminai.
Il mio passo era incerto, come sempre. Il solito sguardo basso che fissava le solite vans nere consumate dal tempo, la testa china e le braccia distese lungo il busto, quasi morte. Parevano zattere all'arrembaggio.

Un dolore alla fronte mi fece perdere l'equilibrio, cadendo nella terra ricoperta da foglie secche di ogni colore. Mi portai una mano sopra gli occhi per avere una visuale maggiore.
-Akira.- disse la ragazza porgendo una mano, la guardai confusa e lei mi sorrise -Mi chiamo Akira.- si presentò, io afferrai la sua mano e mi rimisi in piedi.
-Rye.- mi presentai io.
-Piacere.- sorrise di nuovo.
-Piacere.- ripetei io, girandomi  per riprendere il mio cammino.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Mi sedetti sulle scale della scuola in attesa della campanella che sarebbe suonata a momenti. -Rye.- mi girai ritrovandomi la ragazza incontrata ieri. Aveva dei capelli neri legati in una coda di cavallo alta e gli occhi erano dello stesso colore. -Akira.- la salutai, con un cenno del capo. -Raccontami un po' di te.- Posò il suo zaino azzurro ai lati dei suoi piedi, prima di sedersi vicino a me. -Non ho molto da raccontare.- -Non importa.-sorrise. Raddrizzai la schiena e prsi un bel respiro profondo, poi sospirai, e iniziai. -Mi chiamo Rye Irtach, sono della 3b. Non mi piace parlare di me perchè fino ad ora nessuno mi ha mai capito. Provengo da una famiglia complicata. Mio padre mi ha abbandonata quando ero piccola ma non gli do la colpa. Invece con mia madre è una continua guerra. Lei crede mi stia insegnando bene ma non credo che portare un uomo diverso ogni fine settimana sia un esempio, ma ci sono abituata. Ogni giorno ho timore di aprire bocca davanti a lei per paura di dire la cosa sbagliata, o essere presa a schiaffi, così senza motivo. Lei è fatta in questo modo.- Conclusi alzandomi sentendo il suono della campanella. La lasciai lì con un cipiglio delicato sulla fronte. Misi lo zaino nelle spalle ed uscii dalla classe, immischiandomi nei corpi sudati di alunni che dopo cinque ore prendevano vita uscendo quasi correndo dal cancello blu sbiadito della scuola. -Rye.- -Akira.- sospirai. Credevo che dopo la storia se ne sarebbe andata come hanno fatto in tanti, lasciandomi sola dentro quattro mura a controllare i miei demoni. -Mi dispiace, non volevo essere invadente.- -Non importa, mi stupisce solo il fatto che tu sia ancora qui.- La sua bocca formò una "o" poco femminile ed io la salutai varcando il cancello consumato dal tempo. -Tu.- mi girai ritrovandomi un ragazzo dai capelli biondi, probabilmente sui diciotto anni. Aveva un orecchino argentato appeso nell'angolo sinistro delle sue labbra carnose. -Tu sarai la mia nuova pedina.- Mi lasciò un'altra occhiata prima di andarsene, con un andamento ondulato e frastagliato. -No, non di nuovo.- Boccheggiai aumentando il passo. L'asfalto era ricoperto da foglie multicolore cadute da alberi senza vita. *Flashback* -Finirai per farti del male.- mi guardò mia madre. Ero convinta del fatto che Jonny non mi avrebbe fatto mai del male. Glielo dissi. -Rye, cosa ne vuoi sapere tu dell'amore, hai solo quattordici anni. Sei solo una ragazzina a cui è stato attribuito un sentimento che non sa nemmeno come usarlo.- urlò mia madre. -Intanto so molte più cose di te.- sbraitai guardandola negli occhi che intanto si erano iniettati di sangue. -Tu non sai niente Rye, informati prima di parlare a vanvera. O mi stai dando della bugiarda?- Si avvicinò pericolosamente. Mi irrigidì. Mi faceva paura. Lei era un mostro. -No.- sospirai, trattenendo il respiro. -Bene, ti avrei ammazzato di botte altrimenti. Tu sei solo uno sbaglio e non vedo l'ora di vederti a pezzi quando il tuo bel fidanzatino ti spezzerà il cuore. Meriti solo il triplo del dolore che ho subito io.- e se ne andò sbattendo la porta,lasciandomi un'altra volta sola, contro il mondo, contro i miei demoni. *Fine flashback* -Alla fine aveva ragione però.- ammisi sussurrando camminando sul tappetto di foglie morte che si erano installate sul mio cammino. Emettevano uno scricchiolio, come se soffrissero a stare sull'asfalto, a contatto con le intemperie. Lei era in bilico nel mio cuore. Nè amore, nè odio. Poggiai lo zaino vicino all'attaccapanni una volta tornata a casa. -Sono tornata.- urlai per farmi sentire. -Rye.- gridò, ed io mi affacciai alla porta del piccolo stanzino che si era ricavata che una volta era appartenuto alla cabina armadio di papà. -Preparati il pranzo, io non muoverò nemmeno un dito per te.- Ero così simile a lei che non riuscivo nemmeno a capacitarmene. Avevamo gli stessi capelli marroni lunghi, lisci. Gli stessi occhi celesti, e lo stesso fisico magro. Di carattere invece ero simile a mio padre. Corsi in camera mia chiudendo la porta. -Perchè sei ancora qui? Perchè non te ne vai?- mi suggerì l'inconscio. -Perchè ormai mi sono abituata a vivere nel dolore.- Sussurrai sdraiandomi nel letto, fissando un punto indistinto del soffitto di casa. -Tu sarai la mia nuova pedina.- ricordai. Lui era un'altro mistero che desideravo non scoprire. Mi faceva paura. Aveva sussurrato quelle parole come se fosse abituato, con quella felpa grigia che gli contornava il corpo visibilmente magro. ------------ -Akira, scusami per ieri.- -Oh, non preoccupparti, è tutto apposto.- -Non ho amici.- dissi sussurrando sperando di non essere sentita. -Siamo in due. Comunque io sono della 3c, al secondo piano.- -Grazie.- -Non ringraziarmi.- sorrise. Ci scambiammo il numero di telefono e poi la salutai dirigendomi nella mia classe. Lanciai un urlo quando sentì una mano tirarmi il braccio. Lui mi coprii la bocca e quell'urlo a contatto con il suo arto fuoriscì solo come uno sbuffo. -Zitta.- mi ammonì. -Stasera, vieni sotto il ponte, alle 18.00.- -Perchè?- -Perchè l'ho deciso io.- Mi spintonò. -Lasciami.- -Stasera, sotto il ponte, puntuale.- ripetè.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


-Chi era quello?- mi chiese Akira, una volta uscita dalla classe. -Un ragazzo, mi ha detto di andare sotto il ponte alle 18.00 stasera.- -Così di punto in bianco?- biascicò alzando un sopracciglio. -Cosa c'è di male?- ma poi mi ricordai il modo rude con cui si era presentato e rimasi zitta. Lui mi faceva paura. -Rye, stai attenta, nell'istituto pare sia arrivato un ragazzo della 5b un pò manesco e aggressivo.- -Non ti preoccupare.- la rassicurai. -Sta attenta...- ripetè di nuovo. ------ Avevo paura ad incontrarlo. Prima nessuno mi degnava mai uno sguardo, alle medie dovevo sempre nascondere i miei sentimenti perchè tanto, come ogni volta, non venivo capita o semplicemente preferivano prendermi in giro. Rabbrividii quando in lontananza vidi il ponte. Quello era un luogo proibito, spento. Se non ci fossero state le piante ad incorniciarlo per farlo apparire più angelico sarebbe potuto apparire quasi demoniaco. Toccai con una mano il ponte. Era viscido e quel punto puzzava particolarmente. -Sei venuta.- La sua voce apparve più tagliente sotto al ponte. -Sì.- risposi flebilmente. -Mossa corretta.- Lui preferiva stare all'oscuro, dove i deboli raggi del sole non filtravano e con un gesto della mano gli domandai un leggero "vieni alla luce". -No ragazzina.- rispose. -Come ti chiami?- -Questo non ha importanza.- rispose secco prima di afferrarmi un braccio portandomi nell'oscurità del ponte. Lo guardai negli occhi. Erano azzurri. Un azzurro più scuro del mio. -Quanti anni hai?- chiese stringendo più forte il mio braccio. -Sedici.- Giurai di averlo visto sorridere anche se uno dei suoi sorrisi era capace di spegnerti in pochi secondi. Strinse ancora di più il mio braccio e cercai di nascondere una smorfia di dolore, senza però successo. -Ma che vuoi?- chiesi. -Te, semplice.- Mi schiaffeggiai mentalmente maledicendomi per essere andata in quel posto osceno. "Scappa" mi suggerì l'incoscio ma le mie gambe sembravano disconnesse dal cervello e rimasi ferma, congelata come un'icerberg. -Sei vergine?- chiese, sobbalzai a quella domanda. -Sì.- ammisi nascondendo la faccia con l'altra mano. -Con te mi divertirò un sacco.- proferì. Scambiò le posizioni e mi ritrovai con la schiena attaccata a quella del ponte. Era freddo e potevo sentire il gelo farsi strada nella mia pelle calda andando a congelare gli arti e le ossa. I suoi occhi brillarono di una luce malvagia che al momento non volli scoprire. -Ascoltami bene.- iniziò -da questo momento tu appartieni a me. Dovrai assecondarmi e tu dovrai rimanere zitta.- emise un soffio. Provai a muovere le gambe, ma lui si era posizionato tra di esse e impediva ogni mio movimento o tentativo di fuga. -Tu non scappi.- lo guardai. -Se scappi ti uccidi.- mi ammonì. La situazione che si era creata stava iniziando a sfuggirmi di mano e potevo sentire la paura salire fino alla gola, chiudendo i passaggi necessari per la respirazione. -Lasciami.- urlai, iniziando a muovere le gambe freneticamente. -No.- -Mi stai facendo male, idiota.- sputai a denti stretti, pentendomene subito dopo un suo sguardo assassino. Mi tirò una ciocca di capelli. -Non ti è permesso chiamarmi in questo modo.- sbraitò forzando la presa sul mio corpo che tremò. -Capito?- Iniziai a piangere nonostante odiassi questa caratteristica. Avevo sempre visto le persone che piangevano deboli, stupide e forse anche un po' inutili. Ma lui era così misterioso e io così congelata che in quel momento mi sembrò la cosa più giusta da fare. -Non piangere.- biascicò -è una cosa che non sopporto.- si giustificò Rimasi zitta soffocando i singhiozzi lenti del pianto. -Parla.- -Non ho niente da dirti.- mentii. Tutte le parole che volevo dire si fermarono in gola bruciando nello stomaco. Mi lasciò andare il polso e d'istinto lo portai sull'orlo della maglietta per strofinarlo. -Guardami.-mormorò e alzai lo sguardo incastrando i miei occhi nei suoi. -Sarai la mia bambola personale.- parlò. -mi sembri molto adatta per questo piccolo gioco.- Deglutii. -Sono costretta?- chiesi con un filo di voce. -Sì.- -Perchè?- -Perchè lo dico io.- -Voglio andarmene.- -Hai appena iniziato.- sussurrò lui. --------- -Rye, allora?- chiese Akira al telefono. Non so nemmeno io il motivo per il quale la chiamai quel giorno. Forse volevo compagnia o semplicemente desideravo qualcuno con cui parlarne tranquillamemte senza nascondermi. Gli raccontai tutto. -Asher Schmidt.- parlò -Rye, è pericoloso. Alcuni dicono che picchi le ragazze, altri dicono che prima le fa innamorare poi le abbandoni, o semplicememte le usi per i suoi scopi personali. Mandò una ragazza all'ospedale l'anno scorso. - Deglutii. -Ma tu come fai a sapere queste cose?- -Beh.- riprese lei - mia cugina è stata una sua vittima.- -E come sta adesso?- -Si trova al manicomio, sotto osservazione. Non so come lei si innamorò di lui fino alla follia. Lei non diede ascolto a chi le diceva che doveva allontanarsi e continuò per la sua strada così quando lui le fece del male, lei impazzì.- Il dolore nella sua voce era palpabile. -Lui ti sfida.- continuò lei - guarda quanto una persona è capace di resistere.- Emise un gemito strozzato e afferrai più saldamente il telefono. -Si sa come ha iniziato a fare tutto questo?- Chiesi con un nodo alla gola. -Nessuno lo sa di preciso.- Non risposi. - Molti dicono che iniziò a fare tutto questo dopo che vide il fratello ammazzare i suoi genitori e poi suicidarsi davanti ai suoi occhi.- Avrei voluto vomitare. Era troppo per me. -Ha subito un trauma.- -Sì che però anzichè affrontare lo rigetta nelle ragazze..- Dalla mia gola non passava più niente, si era seccata lasciandomi un gusto amaro nella bocca. Assorbivo quelle parole come una spugna senza però la forza necessaria per strizzarsi. -Rye..- mi chiamò, debole. -Sì?.- -Non lasciarti manovrare da lui.. non voglio rivedere quel dolore negli occhi.-

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


-Rye.- sentii una mano sulla spalla e mi girai ritrovandomi Akira nella mia visuale, mi guardava impaurita. -Ti ha detto di andare anche oggi al ponte?- mi chiese, la sua voce fremeva un poco e nei suoi occhi neri come la pece lessi la preoccupazione. Annuiii. -Non farti abbindolare per favore. Ho già visto il dolore che ha causato ad altre persone, non voglio vedere altre distruzioni.- L'abbracciai. Non ero una persona che amavo gli abbracci, ma quel giorno avevo capito che persone come Akira è meglio tenerseli stretti. Quel genere di persona che se ti dovessero abbandonare lascerebbero un vuoto troppo ampio. -Non ti preoccupare.- la rassicurai, lei si rilassò visibilmente. -Tua cugina può ricevere visite?- -Certo. Potremo andarla a trovare uno di questi giorni.- Rispose lei già intuendo la mia idea. Annuii. -Con te non ha mai avuto questo genere di interesse?- -No, ma lui è pericoloso. Se vede che una persona tende a stare troppo con la sua vittima la fa cadere ai suoi piedi.- mi guardò -So cosa stai pensando e non ti lascerò combattere da sola.- Sentii un fremito dentro il mio cuore. Le sorrisi. Avevo capito che una persona come lei andava protetta, anche a costo della tua vita, mettendola al primo posto. Prima di tutto. -Comunque io abito qua.- Le sue labbra si sistarono in una "o" e mi salutò. Quando entrai in casa, buttai lo zaino nel solito punto e incamminandomi in cucina vidi il tavolo pronto. Fu per me una grande sorpresa. Mia mamma non faceva mai queste cose e mi chiesi chi fosse l'artefice di questa gradita sorpresa. Dovevo andare al ponte subito dopo, ma mi presi un paio di secondi per assaporarmi il pranzo. La porta si aprì rivelando mia madre. -John!- gridò. Un uomo sulla quarantina entrò in casa, posizionandosi affianco a mia madre. -Ti avevo detto di buttarli gli avanzi anzichè darli a lei!- sbraitò. -Chantal, è pur sempre tua figlia, non puoi permettere che muoia di fame.- -Invece sì.- rispose lei aspramente. Riposi il piatto nel lavabo lavandolo delicatamente prima di inserirlo nell'acqua insaponata e quando loro sparirono nella camera di mia madre io uscii dalla casa dirigendomi un'altra volta verso il luogo proibito. L'aria di fine novembre era fredda. Il cielo invece era grigio. Di quel colore strano, portatore di malinconia. Trovai subito il grigio tra i miei colori preferiti, era un colore chiuso, non aveva un significato proprio, come me. Io non avevo un significato proprio. Presi un bel respiro profondo prima di toccare la solita parte viscida del ponte. -è lei la ragazza?- Chiese una voce diversa. -Sì, è lei. Tu, vieni qui.- Mi avvicinai. Quella volta invece lui si era posizionato dove i deboli raggi del sole filtravano a malapena. Aveva portato con se un'altro ragazzo della stessa età. Il ragazzo al suo fianco aveva i capelli neri, era magro. I suoi occhi invece, erano dello stesso colore del cielo. Grigi. -Sono Josh.- si presentò porgendo una mano che io con riluttanza afferrai. Fu un contatto molto breve e subito dopo lui si mise al fianco di Ash, inserendo una mano dentro la tasca dei suoi pantaloni neri per poi farla riapparire subito dopo con una bustina bianca. Sorrisero entrambi. Successivamente quest'ultimo prese l'aspiratore, un piccolo tubicino di plastica che sparì per metà nella narice di Josh. Ash aprì la bustina e la passò all'altro ragazzo che aspirò una buona dose. Restai lì a guardare con il gelo nelle ossa. Facevano uso di eroina, quel tipo di droga che crea subito dipendenza facendoti diventare uno zombie. -Allora ragazzina, dovrai stare con me un'anno.- -Un'anno?- ripetei io. -Sì un'anno.- Rabbrividii e distolsi lo sguardo. Ash mi spinse, facendo aderire la mia schiena al ponte. -Dove abiti?- -N°92...- balbettai io. -Perfetto.- -Non venire a casa, mia madre non riuscirebbe ad accettarlo.- -E chi ha detto che devo andare a casa tua? Verrò solo a controllare che tu faccia la brava ragazzina. E se non lo farai, diventerò cattivo.- Il suo piercing argentato si muoveva leggero nelle sue labbra. -Parla.- -Cosa devo dirti.- -Che farai tutto ciò che ti dirò di fare. - Avevo paura ma non lo diedi a vedere, forse l'avrebbe smessa. -Via Ebla n°31. Domani ti voglio lì, puntuale.- Mi strinse un polso. -Capito.- ----------.. -Non andarci.- mi supplicò Akira al telefono. -Sono costretta.- -Ti ucciderà.- -Lo so.- -Diventerai uno zombie come mia cugina. E non voglio.- -Devo, lo faccio per il tuo bene. è da quando sono bambina che combatto. Un peso in più non farà differenza no?.- -Ma..- -No, sono costretta.- -Solo sta attenta, okay?- -Okay.-

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5 -Chi era quello mamma?-chiesi. Questa era la domanda che ponevo ogni settimana quando mia mamma decideva di portare un uomo diverso a casa. -E a te che te ne frega?-mi rispose come sempre. Avrei dovuto smetterla di porre quelle domande, perchè tanto mi avrebbe dato sempre questa risposta. -Tu piuttosto- mi richiamò -stai uscendo un po' troppo spesso- mi guardò -hai percaso conosciuto qualcuno?- -Sì- dichiarai. Il suo sguardo divenne più scuro, non voleva che conoscessi qualcuno, nemmeno un'amica. Voleva che rimanessi sola, chiusa in casa guardando lei che si rinchiudeva in camera con qualche cliente. -Ti ho detto mille volte che devi restare sola- -Mamma, non puoi obbligarmi a stare a casa quando non lo desidero, non sono più una bambina- non rispose. Me ne andai pur sapendo di avere il suo sguardo fisso nel mio corpo. Appena raggiunsi la mia camera chiudendo bene la porta, trovai un messaggio che lessi. -Ehi Rye, le infermiere hanno detto che possiamo essere al manicomio verso le 18.00, per te va bene?- risposi velocemente digitando un 'certo' e mi preparai, sarei prima dovuta andare a casa di Ash. ù Avevo paura. Mi stavano accadendo troppe cose insieme per assorbirle una dopo l'altra, io che avevo passato anni da sola, senza nessuno, a lottare contro me stessa evitando di esplodere. Ero come in una prigione. Casa scuola, scuola casa ed ero troppo debole per lottare, per reagire, per parlare, per scappare. Due anni mi ricordo che provai a scappare ma mi scoprì, quel giorno i suoi schiaffi fecero male più del solito, era come se ad ogni colpo io sprofondassi, ad ogni segno o livido lasciato sulla mia pelle io mi sgretolassi. Ne avrei dovuto parlare con qualcuno da subito, lo so, ma non lo feci. Non volevo finire in una casa famiglia, lì si sta male in più delle volte. Quando presi la strada per la via di Ash, essa mi stupii molto esteticamente. C'era un prato, me lo ricordo benissimo, che in estate veniva popolato da famiglie e ragazzi di ogni età. Mi incamminai verso il n°32, cercai il suo nome e suonai al citofono. Aspettai un po' prima di sentire il 'clack' sinistro della porta, portandomi il peso del mio corpo da una parte all'altra delle gambe per reprimere l'ansia. Quando arrivai alla porta laccata di bianco bussai e lui aprì subito guardandomi come un predatore. -Benvenuta all'inferno- mi derise mentre entrai nella casa ispezionandola punto per punto, era ordinata e i muri erano dipinti di bianco mentre una parte di blu, che sembrò nero. -Perchè mi hai invitata a casa tua?- chiesi. -Non è un'invito- precisò subito lui portandosi una mano nei capelli dorati. -Perchè sono qui?- chiesi un'altra volta riformulando la domanda, lui non rispose il che mi fece sospirare e mi sedetti in una poltrona nera come il divano. Vicino c'era un tavolino con una foto della sua famiglia probabilmente e la guardai. Il padre era giovane aveva lo stesso colore di capelli di Ash ma gli occhi erano di un marrone vivo, invece la mamma era mora e aveva degli occhi azzurri che sulla foto risaltarono molto facendola apparire meravigliosa sotto il mio sguardo attento. -Non devi guardare- si accorse subito lui togliendomi l'immagine dalla mia vista, in quel momento mi accorsi di aver trovato il suo punto debole. -Non devi toccare niente ragazzina, devi restare ferma, come una bambola- ebbi solo la forza di guardarlo negli occhi, le parole che decisi di dire si bloccarono nella gola facendola bruciare. -Imparerò a farti parlare- mi tirò un polso - o forse urlare- rise lievemente -ti dovrai saper controllare Rye- disse marcando la 'r' del mio nome. I suoi occhi si velarono di una pozza di malizia e alzai lo sguardo. Restammo a fissarci, occhi azzurri contro altri occhi azzurri. Mi strinse più a se, la sua mano che si era installata nei fianchi si alzò trasportandosi lungo tutta la schiena fino ad arrivare alla base dei miei capelli che tirò con forza. -Lasciami- urlai, portando le mani nel suo petto, lui rise di gusto mentre nei miei occhi si iniziarono a formarono lacrime indesiderate. -Ti ho detto di lasciarmi- sputai più forte riuscendo a staccarlo dal mio corpo -sei solo un meschino sai? Te la prendi con le ragazze perchè non hai le palle per uscire dal dolore da solo. Lasciami soltanto dire che anche io sto male ma non me la prendo con l'altro sesso!- -Tu non sei nessuno per dirmi cosa debba fare o no!- fece un passo avvicinandosi ed io mi allontanai d'istinto. -Che fai ti allontani?Potresti pentirtene- mi guardò lanciandomi un'occhiata assassina -però domani ti voglio qui alla stessa ora- Quando uscii da quella casa mi resi conto che avrei dovuto ascoltare la mia amica quando mi disse che era pericoloso, ma in un certo senso io lo stavo facendo per lei, mi sentivo un'egoista è vero, ma era la verità. -Ti proteggerò anche a costo di tirare fuori il peggio di me, anche a costo di urlare, soffrire. Ti proteggerò io Akira- proferii camminando veloce per tornare a casa. Aprii la porta delicatamente e quando entrai trovai mia madre e lo stesso uomo del pranzo parlare animatamente. Uno sguardo scuro di mia madre mi fece capire subito e sgattaiolai nella mia camera. Il telefono iniziò a produrre dei suoni fastidiosi per l'udito quindi lo presi tra le mie mani e risposi alla chiamata di Akira. -Pronto?- rispose insicura lei. -Akira dove sei, stai bene?- -Sì sto bene e sono a casa, ti volevo solo dire che la visita al manicomio è per domani- mi ricordò, gli dissi che prima sarei dovuta andare a casa di Ash lei mi capì prima di dirmi che saremmo andate di mattina. -Comunque, cosa è successo a casa di costui?- non risposi, non ne volevo parlarne. -Rye?Cosa è successo?- sapevo benissimo che continuare a stare zitta non avrebbe risolto niente, ma non riuscii a parlare. -Rye!- urlò lei distraendomi dai miei pensieri. -Niente, non è successo niente- mentii. -Bugiarda- non finì di parlare perchè le chiusi il telefono nella faccia. Non volevo parlarne con nessuno, nessuno avrebbe dovuto sapere della mia situazione, dovevo essere la protagonista solo io, io che continuavo a giocare con i miei demoni.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Quel giorno dovevamo andare al manicomio e Akira mi scrisse la sua via. Preparai il necessario per quella piccola escursione e scesi le scale. -Dove stai andando?- Chiese mia madre, sbucando dal suo ufficio. La guardai. Le poche volte che mi chiedeva il motivo delle mie uscite era per seguirmi. -Vado a casa di una mia amica.- dissi semplicemente. -Ancora?- -Sì.- lei mi guardò, i suoi occhi da piccola avevano sempre il potere di intirmormi ma crescendo questo fatto non accadde più. Mi ricordo quando ero piccola che un suo sguardo bastava per farmi zittire mentre ora no. Aprii la porta, incamminandomi verso la via che mi aveva detto Akira, quest'ultimo era più silenzioso rispetto a quello dove stava Ash, il suo silenzio perfetto veniva rotto soltanto dal passaggio delle macchine. Vidi Akira aspettarmi insieme ad un'altra ragazza dai capelli neri come lei, piccola e magra. -Io sono Amy.- si presentò lei sorridendo, il suo sorriso era bello, era uno di quei sorrisi contagiosi. -Il manicomio si trova da quella parte.- disse Akira puntando con un dito una strada tortuosa. - Io non sono sicura di voler incontrare Ashley.- ammise Amy. -Perchè urlerà il nome di Ash?- -E poi non voglio rivedere il suo dolore negli occhi.- -Anche tu sai di Ash?- intervenni io. -Certo, qui tutti sanno di lui.- mi morsi il labbro. Ero l'unica ancora all'oscuro e mi diede fastidio. Mi immaginai Ashley uguale ad Amy e Akira, con i capelli neri come l'ebano e gli occhi dello stesso colore, con la differenza che i suoi li avrei visti velati dal dolore. -Siamo quasi arrivate.- Disse Akira, la sua ansia si poteva toccare con mano. Sua sorella invece reprimeva l'emozione che sentiva giocando con il bottone del suo giubbotto blu scuro. Emisi uno sbuffo quando in lontanza vidi il manicomio, faceva paura, alla nostra vista appariva come una casa abbandonata. Quando entrammo nel cancello consumato dal tempo, questo emise un gemito di dolore prima di lasciarci passare. Mi stupii nel trovare il giardino curato. Akira fu la prima ad arrivare al portone in legno scuro e bussare prima che arrivassimo noi due che c'eravamo prese del tempo per contemplare il giardino fiorito. -Desiderate?- Ci venne ad aprire una vecchina, aveva i capelli grigi ritirati in uno chignon casalingo e la sua voce era rauca. -Ashley Dikens.- sbuffò Akira. La vecchina annuì prima di lasciarci passare all'interno della casa e procedere verso l'andito consigliato. Quest'ultimo riservava solo poche finestre al suo passaggio, a causa della polvere però non facevano entrare molta luce. La sua camera era la n°43, lo ricordo benissimo perchè bussai io alla sua porta dipinta di bianco. -Andate via!- si sentì una voce ovattata al suo interno. -Ashley siamo le tue cugine e abbiamo portato anche un'amica.- si giustificò Akira battendo dolcemente le sue nocche bianche alla porta che crearono un contrasto invisibile. Lei aprì fidandosi e ci lasciò entrare, alla fine era come l'avevo immaginata io, i capelli neri molto lunghi che le ricadevano a ciuffi sugli occhi spenti da qualche anno. -Che volete?- Domandò abbassando la voce, quasi come se avesse paura. -Ti volevamo chiedere di Asher Schmidt.- propose Amy e a quelle parole lei fece un balzo indietro, si prese la testa all'indietro finendo contro il muro dove poi ci scivolò piano. -No, lui è un mostro. Ti mangerà l'interno fino a renderti debole, ti userà per i suoi scopi più estremi e poi ti abbandonerà come ha fatto con me e con altre ragazze, non commettere lo sbaglio di innamorarti di lui come ho fatto io, scappa finchè sei in tempo!- disse soltanto prima di circondare le sue ginocchia con le braccia esili e andare avanti e indietro. -Lo sai che non succederà mai.- mentii solo per rassicurarla, purtroppo non si poteva scegliere di chi innamorarsi. Lei accenò un sorriso ma poi sembrò cadere in un mondo suo, dove esisteva solo la parola "Ash" pronunciata mille volte dalle sue labbra sottili. -Dobbiamo andare via.- confermò Amy riacquistando l'uso della parola. ---- Mi meravigliai io stessa della forza con il quale anche quel giorno salii le scale per riandare a casa del biondo. Mi ero convinta che stessi diventando pazza. Solo i pazzi potranno continuare ad andare da altri pazzi. Mi ero promessa che sarei rimasta ferma come una bambola, infondo era quello che voleva lui e l'avrei accontentato. -Ciao.- mi salutò con voce ferma quando entrai nella sua abitazione. -Ciao.- ricambiai la cordialità. -Come mai non sei venuta a scuola?- -Non sono affari tuoi.- -Mi nascondi qualcosa, ragazzina?- -No.- sbuffai cercando di far finire la conversazione in quel momento. Mi guardò concentrando il suo sguardo sul mio corpo. La sua pelle era stata illiuminata dalla luce delle finestre poste a tratti nel salotto che rendevano l'ambiente luminoso con la poca luminosità di quel mese freddo. I suoi occhi alla luce prendevano le sfumature di bianco e diventavano meravigliosi alla vista delle persone anche se in verità dietro si nascondeva un mostro. Mi distrasse dai miei pensieri prendendomi per un polso costringendomi ad avvicinarmi a lui. -Seconda lezione, non farmi mai arrabbiare.- strofinò il suo piercing argentato nel lobo freddo del mio orecchio provocandomi un brividio che si espanse in tutta la colonna vertebrale. In quel momento lui si avvicinò di più allontanando la distanza che mi ero imposa di mantenere. -Terza lezione, rispondere a ogni cosa che ti dico.- fece sorridere solo un lato della bocca facendomi rabbrividire. La sua mano prese contatto con la mia guancia sinistra che iniziò a pizzicare per il suo gesto ed io mi affrettai per portare una mano nel punto interessato. Si staccò da me con un gesto veloce e con la stessa velocità mi spinse facendomi cadere nel divano, a peso morto. Mi maledii, solo in quel momento mi resi conto delle mie idee strane, non avrei fatto la bambola, lì era un discorso di vita o di morte. O lottavi mettendo dentro anche la vita o diventavi un oggetto inanimato, come uno scarto da poter usare sempre incontrollabilmente. Si sedettee vicino a me, inserì la mano dentro la tasca dei suoi jeans scuri e mostrò una sigaretta avvicinandosi affinchè potessi aspirare il suo fumo, mi allontanai. -Senti, non sono un oggetto, non sono venuta qua per aspirare il tuo fumo gratis.- sbottai soffocando la tosse che minacciava di uscire liberandosi dai miei polmoni. Lui mi guardò calmo. -E tu hai bisogno di un'altra lezione.- disse solo.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7 Dopo la giornata che avevo trascorso ieri non volevo più tornare a casa di Ash. Ricordai la sua quarta lezione, in cui mi aveva detto di fare come voleva lui perchè altrimenti sarebbe diventato il mio incubo peggiore. Però, avrei comunque continuato ad andarci, non volevo che mi prendesse le persone che a me stavano care come Ashley e Akira. Quel giorno a scuola arrivò un nuovo studente, si chiamava Simon Denver. Gli dissero di posizionarsi vicino a me e nonostante le mie pretese per rimanere da sola, lo fece lo stesso. Volevo rimanere da sola, senza nessuno, come sempre, pensavo che Simone fosse un poco di buono ma mi sbagliai. Avevo il vizio di guardare le persone e aprire la bocca prima di conoscerle a fondo. -Rye- mi girai appena sentii la voce di Akira rimbombarmi nelle orecchie appena uscii dalla classe,, -ho scoperto altre cose su Ash.- Era chiaro il fatto che stesse cercando di leggere la mia espressione. -Dimmi.- dissi soltanto, ero pronta a tutto. -Ti ricordi quando ti dissi che aveva mandato una ragazza all'ospedale?- -Certo.- -Quella ragazza dopo pochi giorni morì, l'aveva picchiata fino a renderla in fin di vita e lei già debole fisicamente e incapace di reagire, finì in ospedale dove i dottori cercarono di fare di tutto per curarla ma la ragazza non mostrò mai alcun segno di miglioramento e dopo pochi giorni morì.- un brivido percorse la mia schiena, lentamente. Avrebbe fatto così anche con me? -Oddio.- risposi incapace di dire altro. -I genitori successivamente lo cercarono da tutte le parti, ma non lo trovarono mai.- -Non può contimuare così Akira, prima o poi lo scopriranno.- -Oh Rye- mi guardò compassionevole - il fatto è che lui è bravo a mentire, a nascondersi e a fare la vittima.- -Ma...- -Te lo ripeterò fino alla fine dei miei giorni, scappa, va via da lui, una sola mossa sbagliata e potresti finire così anche tu.- non risposi, non riuscivo a crederci nemmeno io infondo. Vedevo il mondo ancora con gli occhi di una bambina, che pensava che tutti gli umani fossero buoni, invece ne rimasi delusa quando seppi che non era così. Ash era cattivo, di quel malanno che ti disarma, ti rende schiavo e ti fa sentire male. Mi promisi di combattere fino alla fine. Combattere per difendere loro, per non finire a stare male sul serio. -Io combatterò.- promisi, mettendo una mano nel ginocchio di Akira. -Ma...- -Non voglio che ci passiate voi, finalmente ho trovato delle persone per cui vale veramente la pena lottare e tra queste ci sei anche tu Akira. Se sarà necessario ti proteggerò anche a costo della mia stessa vita, darei in pasto anche la mia anima.- lei mi abbracciò ritrovandosi a sorridere tra le mie braccia. -Ti voglio bene anche io, Rye.- disse appena si staccò dal suo abbraccio iniziando a prendere la strada per il piano nella quale si trovava la sua classe, io sorrisi e andai per la mia strada. Quando arrivai in classe in anticipo, Simon era già accomodato nel suo possto accanto al mio. -Ciao.- mi salutò cordialmente abozzando un sorriso. -Ciao.- era carino infondo, aveva dei capelli neri come la pece che gli contornavano il viso con la pelle chiara e scendevano a ciuffi sui suoi occhi verdi. Quello che prima era un duo formato solo da due ragazze che pensavano a proteggersi a vicenda, diventò un trio con l'aggiunta di Simon nel quale si integrò subito tra di noi. Varcai la porta lasciata aperta da Ash. Una volta a casa mi ero preparata il discorso da fare per lui ma quando lo vidi questo svanì, mi diventò la gola secca e le parole mi si bloccarono nella gola rendendola più arida, ma ci provai lo stesso. -Ash.-provai sperando che mi prestasse attenzione. -Cosa vuoi?- -Ho scoperto molte cose su dite ultimamente.- -Tipo?- -Tipo il fatto che hai mandato in ospedale una ragazza, tipo che ne hai distrutto tante con la sola forza dei sentimenti, ma non ti vergogni?- posai le mie mani ai lati dei miei fianchi per cercare di mostrare una posa più dura. -Questi non sono affari tuoi.- -Invece sì visto che in questa merda ci sono infilata pure io.- -Lo sai che adesso non puoi più tornare indietro, vero?- -Mi fai schifo. Guarda che le donne non sono dei giocattoli, meritano rispetto perchè sono esseri umani come lo siete voi.- -Rispetto?- mi lanciò un'occhiata furente -non porto rispetto nemmeno per me stesso, figurati se mi interessa di voi.- -Sai che ci sono altri modi per combattere il dolore vero? Perchè per forza lo devi rigettare sugli altri?- -Tu non sei nessuno per dirmi cosa devo fare, Rye. Dovresti abbassare il tono di voce, mi stai dando fastidio.- cercò di sviare il discorso. -No, non lo abbasso il tono di voce perchè almeno adesso hai trovato qualcuno che le cose te le dice in faccia. Sai una cosa? Sei solo un meschino senza palle, perchè solo chi le possiede ha il coraggio di capire tutto il male che sta procurando. Lasciami dire che la perdita di un genitore fa male, specialmente se sono entrambi, ma ci sono altri modi per curare il cuore! Anche io sto soffrendo, eppure non sono come te. Cresci per favore.- sbraitai portando le mani nei miei capelli marroni. -Non mi interessa avere notizie sulla tua vita di merda!- cercò di controribattere. -Grazie per avermelo detto.- -Stai zitta, non riesco più a sopportarti!- le sue mani andarono ad afferare i lembi della sua maglietta, prendendola in un pugno per creare delle pieghe profonde. -Non sto zitta.- -Come sei brava adesso che cerci di fare la dura. Per caso è stata la tua amichetta a raccontarti di me?- -No.- lui rise, fece una mossa furtiva e mi attaccò al muro. -Dimmi chi te l'ha detto, allora!- -Non te lo dirò mai.- mi tirò una ciocca dei capelli, la stessa che mi finiva sugli occhi da anni. -Ora ho una voglia tremenda di prenderti a schiaffi.- deglutii, sentendo anche l'altra guancia bruciare. -La smetti?- -Se no?- mi sfidò ma io non risposi. -Bene, hai capito che devi tenere la bocca chiusa.- mi afferrò facendomi aderire al suo petto, successivamente inserì una mano dentro la mia maglietta grigia e rabbrividii quando lo sentii risalire fino al reggiseno, mise due dita sotto il mio mento e mi obbligò a guardarlo negli occhi che erano velati da cattiveria e malizia. Mi lanciò a mo' di sacco sul divano e si mise sopra di me togliendomi con forza la maglietta. -Dovrai stare zitta ora, chiaro?- -Sì.- sussurrai, tutta la mia forza che avevo tenuto prima svanì completamente lasciandomi solo la debolezza di non saper più combattere. Inserì anche l'altro mano nella maglietta, raggiunse come l'altra il reggiseno e lo tolsero quasi delicatamente prima di metterle a coppa su entrambe le zone. -Cosa stai facendo?- mi si mozzò il fiato in gola appena sentii tirarmi il seno sinistro. -Quello che avrei dovuto fare appena ti ho messo gli occhi addosso.- *** Spazio autrice: Hey! è la prima volta che scrivo uno spazio autrice su questo sito visto che la storia su WattPad è già completata. Comunque, desideravo solo dirvi che questo racconto sarà principalmente concentrato su atti di violenza e scene di sesso leggermente dettagliare per cui se vi da fastidio semplicemente saltate il punto. Volevo anche ringraziare una ragazza che non sta qua ma su Wattpad che si chiama @fefelina99 per chi dovesse avere l'applicazione faccia un salto nel suo profilo! è lei che praticamente mi ha sempre sostenuto durante lo sviluppo della storia e mi ha dato la forza per continuare. Va bene, ho finito. Bye bye.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8. -Il mio primo orgasmo?- ripetei, incerta. Lui annuì semplicemente e la sua mano, prima intrufolata sicura nella maglietta, andò a posizionarsi a coppa nel reggiseno, successivamente alzò anche quest'ultimo e avvolse completamente il mio seno nelle sue mani, troppo grandi. Mi tirò leggermente a se facendomi inarcare la schiena più del dovuto, poi mi guardò come per chiedere il consenso prima di levarmi la maglietta, buttandola a terra come se fosse uno straccio. -Ash.- provai. Lui però mi ignorò, continuando nel suo lavoro, e con una sola mano mi slacciò il reggiseno, facendoli fare la stessa fine della maglietta buttata precedentemente. Quando strinse le mani più forte attorno al mio senom lanciai un gridolino, che però venne ricoperto subito da una sua mano, preferendo continuare con una sola. -Zitta.- ordinò, iniziando a pizzicare piano il capezzolo. Iniziai a dimenarmi. Più che altro perchè non riuscivo a concepire il fatto che tutto quella novità mi stesse piacendo. -Stai ferma, maledizione.- urlò, a denti stretti, prima di posizionarsi meglio sopra di me in modo che potessi stare ferma come voleva lui. Eravamo faccia a faccia, riuscivo a vedere nitidamente come i suoi occhi erano diventati più lucidi, nascondendo malizia e sospirai prima di sentire la sua bocca attorno al mio capezzolo farsi sempre più presente. Stava iniziando a mancarmi l'aria e provai a portare una mano sopra la sua spalla cercando di spostarlo, ma lui era più forte di me e non lo spostai nemmeno di un millimetro mentre lui continuava come sempre il suo assalto che stava diventando sempre più asfissiante. Erano emozioni nuove per me, non mi ero mai spinta fino a quel punto e avevo un po' di paura. Sentivo come stesse cercando di spronarmi ad assecondarlo, ma non ci riuscivo, ero troppo presa dalle vibrazioni che stavo iniziando a sentire nel mio corpo. Lui capì e diventò più asfissiante, facendo roteare la lingua attorno al mio capezzolo, senza fermarsi. -Ash.- provai ancora, mettendo una mano nei suoi capelli biondi. Aveva liberato la mia bocca per poter svolgere meglio il suo lavoro, ma io ero al limite. Lui prese una ciocca scura dei miei capelli e iniziò ad attorcigliarli attorno alle dita, passandoli anche nella parte esposta del mio corpo. Una scossa più ampia arrivò come un fuoco d'artificio per me, mi fece irrigidire le gambe e urlare un -Ash- che però usciì solo sottoforma di un sussurro. -Brava.- si complimentò, alzandosi come se niente fosse. Avevo avuto il mio primo orgasmo, era stato il primo momento importante per me. Aspettai un paio di secondi prima di alzarmi, poi mi misi a sedere raccogliendo gli indumenti che aveva buttato nel pavimento e rimettendoli, spolverandoli un po' prima. -Farai sempre così?- chiesi. -Così come?- chiese anche lui, sfidandomi. Ora stava a me formulare bene la risposta. -Così come se fossi solo un giocattolo usa e getta.- -Non dovresti nemmeno chiederlo, sai già la risposta.- mi guardò, assotigliando di poco lo sguardo. Così mi alzai, dirigendomi verso la porta. -Domani voglio ritrovarti di nuovo qui.- subilò, aprendo la porta e chiudendola solo dopo che varcai la soglia. Appena uscii dalla casa e iniziai a scendere i primi scalini, ero davvero incerta su come comportarmi. Non sapevo bene se essere felice o essere solo stupita. Poi la consapevolezza di una possibile reazione di un mio sorriso appena accennato per mia madre arrivò come un fulmine e rimasi seria. Non volevo domande, volevo stare tranquilla. Era una cosa che non sopportavo. Mi promisi che non ne avrei parlato nemmeno con Akira. Varcai la soglia di casa e trovai mia madre accomodata nel divano insieme a John. -Rye.- mi salutò lui, cordiale. -Non salutarla John, non merita la cordialità.- -Ma...- non finì la frase, tanto non avrebbe potuto fare niente. -No, niente ma. Non vedo l'ora che diventi maggiorenne, così non avrò più la consapevolezza di avere un problema da affrontare.- -Mamma e se invece restassi anche dopo compiuti i diciotto anni?- sputai, stufa. -Cosa hai detto?- lei si alzò, arrivando vicino a me con grandi passi. -Non lo ripeto.- presi coraggio. Lei fece ancora un passo verso di me, arrivando a sfiorare il mio petto, e con quella vicinanza riuscivo a vedere tutta la rabbia che coltiva e provava verso di me. Non ricordo molto di quel giorno, le immagini mi appaiono ancora sfocate, ma so che mi picchiò come mai aveva fatto nella sua vita. Fu John a farla smettere, arrivando verso di lei e prendendola per i fianchi. Io scappai nella mia camera e chiusi la porta con un tonfo mentre sentivo le parole severe di mia mamma dire -ti odio-. Quel momento di violenza mi aveva fatto tornare alla mente quando credevo che scappare di casa fosse la cosa giusta da fare, quando credevo che sarei stata meglio sotto qualche ponte, al freddo senza niente a disposizione. Feci una smorfia di disgusto all'idea e presi il telefono, preferendo non continuare a dar vita a quei pensieri. Ad Akira, venne la brillante idea di formare un gruppo, io, lei, sua sorella e Simon e io non mi tirai indietro affatto. A loro raccontai solo una parte di quello successo, avevo evitato la parte dell'orgasmo per non creare scaramanzia. -Rye, lasciami solo che io ti dica una cosa.- scrisse velocemente Simon -Lui non mi fa paura, so affrontarlo. Inoltre odio i meschini, e lui appartiene a quella categoria.- -No Simo, tu non lo conosci come lo conosco io.- digitai velocemente io. -Non mi interessa.- oppose resistenza lui. -No. O combatto io da sola, cercando di far fuoriuscire la vera me, o non combatte nessuno.- -Le ragazze sono preziose- scrisse-Sei solo un mostro se riesci a spezzare il loro cuore. Le ragazze sono importanti per noi, sono coloro che ci completano, che ci rendono orgogliosi, che ci rendono felici quando danno alla luce un bambino che abbiamo contribuito a creare anche a noi, che ci fanno abozzare un sorriso quando lo fanno anche loro, che ci fanno provare sensazioni che nella vita poche volte riusciremo a provare. L'umanità non avrebbe nessun significato senza di loro. Ed io odio le persone come Ash, che le usano, sgretolandole.- lessi quel messaggio forse dieci volte, cercando di memorizzarlo. Era davvero bellissimo. Sentii dei passi dietro la porta e mi alzai veloce, scoprendo la presenza di John. -Dobbiamo parlare.- disse lui, io scrollai le spalle facendolo accomodare nel mio letto. -Dunque Rye, so cosa pensa tua madre nei tuoi confronti e non lo trovo giusto. Voglio aiutarti.- -Grazie, ma posso cavarmela anche da sola, è ormai da sempre che sono abituata a questa situazione.- -Non è questo il punto, Rye.- sussurrò -Io ti voglio aiutare a ricreare una vita, quando ti ha picchiato così, come se fosse un'abitudine, io mi sono sentito in colpa. Come può una donna picchiare in quel modo una figlia, sangue del suo sangue? Io in questi giorni cercherò di starti accanto più del dovuto. Per qualsiasi problema, dubbio, stato d'animo, chiedi pure a me, okay?- -Okay.-

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9. Mi stupii molto il comportamento di John, non me lo sarei mai aspettato. Credevo fosse come mia madre o come tutti gli altri uomini che si divertiva a portare dentro casa, che se ne fregava di me, mentre invece a John importava veramente di me e per questo motivo lo avrei ringraziato al meglio. In fondo se lo meritava. Una volta tornata sola nella mia stanza, mi arrivò un messaggio da Simon. Mi chiese se per il giorno dopo ero libera, e gli risposi che sarei dovuta andare da Ash. Mi dispiacque molto, più che altro perchè avevo capito che preferivo stare con Simon che con il mio carnefice. Un po' ero felice, in poco tempo avevo trovato delle persone per cui valeva veramente la pena combattere. A distrarmi dai miei pensieri fu mia madre, che entrò nella mia stanza di scatto, facendomi sobbalzare. -Muoviti, devi scendere se vuoi mangiare.- sospirai. Scesi le scale accompagnata da mia madre, sentivo le sue scarpe picchiare contro il marmo delle scale. Era inquietante. Una volta entrata in cucina, mi stupii di come avevano allestito bene il tavolo. La tovaglia argentata scendeva delicata tra le gambe del tavolo rotondo posto al centro della stanza e i piatti erano messi in modo ordinato, cosa che mi fece sorridere. La cena durò poco e io non parlai, preferendo restare ad ascoltare i discorsi tra i due adulti seduti davanti a me e quando finii mi rifugiai subito nella mia camera. Meno tempo passavo con lei, meno rischiavo di impazzire. --- Avevo scelto, insieme ai miei amici quel giorno, di andare a scuola insieme. Era ancora strano per me tutto quello, non ero ancora abituata a quella novità e probabilmente non mi sarei mai abituata. Varcare il cancello blu sbiadito della scuola in compagnia di due persone splendide di fianco a me fu bellissimo. Quando entrammo nell'istituto, le strade si divisero. Akira si cimentò a salire le scale per andare al piano superiore ed entrare nella sua classe mentre io continuai a camminare con Simon. -Simon.- lo chiamai. -Sì Rye?- -Mi piacciono le parole che hai usato per descrivere le ragazze.- Lui sorrise facendo apparire le fossette e quel momento fece sorridere anche me. Il suo sorriso era davvero bellissimo. -Sono contenta di averti conosciuto Simon.- ammisi sincera. I suoi occhi brillarono di felicità e si girò verso di me completamente, portando una completa attenzione verso la mia figura. -Anche io sono molto contento di averti conosciuta,Rye.- e dicendo questo, fece ricomparire le fossette nelle sue guancie leggermente colorate di rosa. ---- -Chi è quello?- mi chiese Ash non appena varcai la soglia della sua casa. -Un'amico, non puoi scegliere anche chi devo frequentare o no.- -Oh certo che posso farlo, invece. Sei di mia proprietà ricordi?- -E quindi? Siamo solo amici, Ash. Come lo siamo io e te.- -Noi non siamo amici.- rispose immediatamente lui, andando sulla difensiva. -Qualunque cosa questo sia, siamo amici.- rimarcai. -Non ti deve toccare però, capito? Odio condividere le cose.- Mi stavo arrabbiando. -Io non sono una cosa.- -Invece sì.- sibilò e io roteai gli occhi, infastidita. Senza avere il mio consenso si avvicinò a me e mi mise a sedere nel divano nero che torreggiava sulla casa. -Sei venuta qui per un motivo Rye, non per parlare di lui.- -Potresti anche usare il suo nome Ash, non è una malattia grave.- lui in tutta risposta si portò un dito alle labbra ed emise uno sbuffò, che mi arrivò sul viso, caldo. -Odio quando devo combattere per farti rimanere zitta.- ammise, prima di sedersi anche lui nel divano accanto a me. Sbuffai. -E io odio quando ti comporti così.- -Hai mai baciato qualcuno Rye?- mi ignorò. -In prima media.- le mie guancie si colorarono di rosa, facendo trasparire tutta la mia inespierenza sul campo. -Chi?- domandò, mettendo una mano sotto il mio mento. Mi tornarono alla mente quei ricordi, i ricordi di un bacio dato il giorno prima del mio undicesimo compleanno ad un ragazzino che al momento non preferii ricordare. Quel giorno mi diedero della sfigata. -Un ragazzino.- risposo dopo un'eternità. -Com'è stato baciarlo?- volle sapere di più lui. Era un'interrogatorio a cui avrei anche evitato di fare. Non mi piaceva ricordare quel momento, non mi piaceva ricordare Gianluca, mi portava alla mente ricordi a cui io non volevo più dare importanza. -Non me lo ricordo.- cercai di evadere io. -Questo invece voglio che te lo ricordi.- disse solo, prima di poggiare le sue labbra nelle mie. Il suo piercing argentato mi lasciava un gusto di metallo in bocca, era ammaliante. Lui picchiettò leggermente la parte superiore del mio labbro, prima di far scontrare la lingua con la mia, ancora inesperta. Il silenzio della casa era rotto soltanto dallo schiocco delle nostre labbra che continuavano a cercarsi, senza sosta. Mi stava piacendo ancora, e odiavo con tutta me stessa questa cosa. Poi ci stacammo come se non fosse successo poi niente di importante, riprendendo fiato. -Com'è stato?- chiese, con un sorriso. -Carino.- ammisi. -Più del tuo primo bacio?- domandò ancora, ed io annuii. Poi lui si alzò, andando ad aprire la porta della sua casa per farmi andare via. Quando uscii controllai l'orario. Le 18:06. Mandai un messaggio a Simon e gli chiesi se aveva qualcosa da fare e se ci potevamo vedere, lui rispose di no così scegliemmo un posto per incontrarci e mi avviai verso quella direzione. Quell'uscita doveva rimanere segreta, se Ash sarebbe venuto a saperlo, avrebbe fatto del male a me e a lui. E non volevo, assolutamente. Mi accomodai nella panchina ed aspettai. -Rye.- sentii, prima di vedere un sorriso bellissimo

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10. -Hey.- lo salutai io, prima di alzarmi velocemente ed abbracciarlo. Era buio, il sole era già tramontato e in quell'oscurità bellissima riuscivo a vedere i suoi occhi verdi splendere come delle stelle. -Dove vuoi andare?- mi chiese lui prima di mettersi a ridere, rendendosi conto di essere una frana negli appuntamenti. Io gli presi la mano e velocemente ci stendemmo nei giardini, l'erba era fresca, piacevole per la mia schiena piena di graffi. -Guarda.- sussurrò, indicando le prime stelle che iniziavano ad apparire nel cielo sereno. -è fantastico.- ammisi. Poi lui si alzò, prendendomi per un braccio, e iniziare a ballare felice. Risi. Quindi era così che ci sentiva ad avere degli amici. Risi più forte quando anche lui si mise a ridere, la sua risata era cristallina, contaggiosa. -Domani andiamo a scuola insieme?- chiesi sorridendo. -Certo.- fu la sua risposta, passando una mano nei miei capelli castani. Poi la consapevolezza di dover andare via, si fece sentire troppo marcata per essere capace di ignorlarla. Glielo dissi, lui annuì, poi mi attirò in un'abbraccio più forte rispetto a quello di prima e mi lasciò andare. Quando potei constatare di essere abbastanza lontana, scrollai le spalle quando sentii solo il rumore delle mie scarpe picchiare sulla terra. Faceva freddo, e le mie guancie si erano colorate di un rosa più intenso, facendomi ritrovare ad essere di nuovo umana e non un demone. Restai a fissare la porta della mia casa un paio di secondi prima di prendere coraggio ed entrare a passi svelti. Tratennii il respiro, volevo solo sapere se all'interno della casa si riuscivano a sentire dei rumori, ma tutto taceva, e un senso di libertà si fece spazio dentro al mio cuore. Quando, con un sorriso leggero stampato sulle labbra, trovai un post-it attaccato al tavolo, mi accomodai. -Ho preparato questa merenda per te, spero che sia di tuo gradimento.- lessi, ed aprii il piccolo coperchio del vassoio preparato da John, mettendomi a mangiare. Dopo tutto sapevo anche che se mia madre sarebbe venuta a sapere di questo fatto, l'avrebbe buttato fuori di casa senza troppe cerimonie. E non volevo. Mi piaceva John, non volevo che andasse via. Appena finii, misi il piatto nella vaschetta del lavabo e salii le scale per tornare nella mia amatissima camera. Presi il telefono, e trascinai il dito sullo schermo, rendendomi conto di avere un messaggio da parte di Ash. -Domani voglio portarti ad una festa. Ti verrà a prendere Josh.- lessi. -Perciò non devo venire a casa tua?- chiesi, e quasi ne fui contenta. -No, ma sappi che la lezione del giorno dopo sarà doppia.- sospirai. Come hanno fatto tutte le altre ad innamorarsi di una persona così? Non ebbi il coraggio di rispondere, dal momento che in quella situazione ci sarei finita anche io. --- -Secondo me John è una brava persona.- sbuffò Simon, quando gli raccontai del post-it del giorno prima. -Ho paura che mia mamma lo sbatta fuori di casa.- -Non lo farà, ne sono più che sicuro. Sarà pure stronza ma, se fossi al suo posto, non mi lascerei scappare un uomo così.- -Sì ma hanno già litigato parecchie volte a causa mia, la prossima potrebbe essere quella decisiva.- lui portò un braccio attorno alle mie spalle. -Andrà tutto bene.- sussurrò, e davvero, avrei dato di tutto per credere a quelle parole. -Grazie.- mormorai. -Basta ringraziarmi.- sorrise lui. Il suo sorriso mi fece dimenticare quei brutti pensieri. Era la prima cosa che mi aveva fin da subito colpito di lui. ---- -Quindi, oggi hai la giornata libera.- affermò Akira, quando lo venne a sapere anche lei. -Non proprio, mi ha invitato ad una festa. Mi verrà a prendere Josh, credo sia un suo amico.- -è mio cugino.- le labbra di Simon si serrarono in una linea dura. -è come Ash?- domandò Akira, riferendosi a Simon questa volta. -No- ci rassicurò - lavora con Ash solo per avere un po' di droga.- Mi venne in mente quando conobbi Josh al ponte. Aveva tirato subito fuori una bustina bianca di droga e l'aveva passata ad Ash, che l'aveva aspirata. -Ho visto che ha passato la droga ad Ash quando al ponte, ho fatto la sua conoscenza.- -Il tipo di droga che prendono è molto potente, crea subito dipendenza.- -L'eroina- affermai -ti rende uno zombie.- Conoscevo ogni tipo di droga, dal momento che mia madre fin da quando io ero molto piccola, ne faceva uso. -Già, e mio cugino ne fa un uso quotidiano. Ti prego sta attenta.- mi avvisò. ---- Una volta tornata a casa, ebbi la forza di preparmi subito. Feci una doccia veloce, misi delle calaze velate di una tonalità scura, un vestito nero e delle scarpe che ci abinassero. Poi, aspettai fuori dalla porta. Josh non tardò ad arrivare. -Ciao.- lo salutai, iniziando ad incamminarmi affiancata a lui. -La discoteca è qui vicino.- arrivò subito al punto lui. La sua voce era roca e mi mise i brividi. -Perchè avete deciso di portare anche me?- -Lo saprai solo una volta che ti troverai lì.- Tutta quella curiosità mi stava uccidendo piano piano e non vedevo l'ora di arrivare. Quando arrivammo, la scritta "Sound" mi fece strizzare leggermente gli occhi, e quando entrai l'aria viziata di quel posto mischiato a qualche bevanda alcolica, mi fece asciugare la gola. Tra la folla riuscii a scorgere i capelli biondi di Ash, era seduto da solo in attesa delle nostre comparse e appena ci vide, si sbracciò affinchè noi scegliessimo di raggiungerlo. -Perchè mi hai portato qua?- urlai io per farmi sentire, la musica era troppo alta. -Voglio che tu abbia la tua prima esperienza con l'alcol.- disse e prima che io potessi anche solo provare a dire qualcosa di sbagliato, mi tirò per poterlo seguire. Il ragazzo al bancone aveva i capelli marroni e ci sorrise quando arrivammo a destinazione. -Desiderate?- la sua voce era sottile, feci fatica a sentirlo. -Un angelo azzurro per me e per lei.- rispose Ash. Mi porse il bicchiere che arrivò freddo nelle mie mani inesperte, e lo portai alle labbra, assaggiando piano la bevanda altamemte alcolica. Il liquido era amaro, scivolò in fretta nella mia gola arrivando nel mio stomaco con un tonfo. Quando finii il mio cocktail, iniziai a capire veramente poco di quello che mi arrivava alle orecchie, rese sensibili per la giornata. Ash mi prese per un polso e mi trasportò nella pista con nonchalance. Ricordo di aver visto persone di ogni tipo, a quelle che ballavano impazzite, a quelle che invece preferiva muoversi piano, cercando di non urtare le persone al loro fianco. Io e lui eravamo un po' un mix. -Ho voglia di levarti questo bellissimo vestito nero che hai addosso, signorina.- disse, prima di poggiare le sue labbra nel mio collo che io spostai, preferendo allontanarmi completamente dalla sua figura. Ero appena arrivata e volevo andare via

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11. -Per il momento?- chiesi. -Sì ragazzina.- in quel momento mi strinse di più a se', iniziando a ballare tra le note di "Firestone" e io dal canto mio, iniziai a muovere i fianchi. -Metti più energia a muovere quei bellissimi fianchi che ti ritrovi Rye.- urlò, per farsi sentire a causa della musica troppo alta. A quel punto lo assecondai, iniziai quindi a muovere i fianchi più velocemente e sedecentemente, i suoi occhi si contornarono di malizia e si avvicinò di più a me, quasi da sentire la mancaza di ossigeno, e mi fece girare in modo che potessi aderire con la schiena al suo petto. Capii che era la sua erezione a premermi nella mia carne troppo giovane. -Adesso muoviti con più calma, altrimenti potrei scoparti qui, sotto gli occhi di tutti.- un sorriso involontario mi apparì nelle labbra sentendo quelle parole. La musica che il dj mise subito dopo di Firestone, era più calma e questo, per quanto ci tenessi, mi fece calmare un pochino. -Resta con me.- mi sussurrò nell'orecchio, stringendomi tra le sue braccia quasi come se fossi solo di sua proprietà. -Ash, io..- iniziai confusa. Non era in lui mentre diceva quelle parole ed io lo sapevo, ecco perchè non ne volevo approfittare. Mi voleva comandare più di quanto già non facesse, voleva che diventassi sua quella notte stessa, ed io non accettai. -No.- risposi, sicura di me. -Sei così ingenua, ragazzina.- sorrise. -Non sono ingenua- asserì -Non mi voglio semplicemente approfittare di te, ora che sei ubriaco specialmente.- lui emise un grugnito di disapprovazione, così io mi staccai da lui e iniziai ad incamminarmi tra la folla. Il mio andamento ondulato non mi permetteva di camminare bene e sbattevo in continuazione tra le persone che mi lanciavano occhiate truci. Quando urtai un ragazzo con un drink in mano, questo mi maledì, urlandomi un "Guarda dove vai, stupida!" ma io lo ignorai, semplicemente. Mi veniva spontaneo, l'alcol faceva uscire fuori la vera me, quella rispettosa, quella che cercavo di far uscire anche senza essere ubriaca. Dopo aver sgranchito un po' le gambe, ritornai al posto dov'ero stata prima. Josh era al posto di prima, non si era alzato neanche un minuto, continuando a tenere il tempo della musica con il piede che batteva sotto al tavolo. -Dov'è Ash?- domandai. Da quando mi ero allontanata non lo avevo più visto, ed il solo fatto di rimanere da sola in un posto che conoscevo a malapena, mi faceva paura. -Si starà sicuramente scopando qualche ragazza, lui è così dovresti saperlo. Quando ne vede una carina, la fa cadere sotto il suo controllo e poi la porta in bagno, specialmente quando è ubriaco, che questo lavoro gli esce meglio. Così, come se fosse una cosa da botta e via.- mormorò. Non aveva nemmeno tutti i torti. -Potresti accompagnarmi fuori?- mi chiese, alzandomi improvvisamente. In quel momento, mi bastò guardarlo attentamente per capire quanto avesse bisogno della droga. Stava tremando, era diventanto pallido, stava male. Io annuii, incapace di parlare, e lo accompagnai all'uscita dove appena varcata, questo fece strisciare la schiena al muro, sedendosi poi a terra. Sentii un senso di nausea appena uscii, dovuta forse al fatto all'aria pulita della notte. -Ho bisogno di droga.- disse solo, e a quel punto iniziò a tremare più di prima. Faceva davvero impressione, mi dicevo continuamente di raggiungerlo, abbracciarlo, dirgli che poi sarebbe tutto passato, ma lui aveva bisogno di droga, non del mio supporto. -Per favore, vai a recapitare qualche bustina di eroina da qualcuno, cazzo.- urlò. Ma io restai immobile. Le mie gambe sembravano completamente disconnesse dal cervello, che cercava invano di farle muovere, per aiutare Josh che soffriva. Poi, si risvegliarono e corsi di nuovo all'interno della discoteca dove mi feci spazio tra la folla per cercare di intravedere la chioma bionda di Ash. -Ash.- gli misi una mano nella spalla quando lo trovai al bancone dei drink. -Che vuoi?- -Il tuo amico Josh ha bisogno di un po' di droga.- lo supplicai. -A me non importa. Io l'avevo avvertito dei rischi che avrebbe corso abusandone, ma lui non mi ha dato retta e adesso ne paga le conseguenze.- disse pacatamente, prima di sparire nuovamente tra la folla e non tornare più nel mio campo visivo. Ritornai da Josh, e sentii una scossa al cuore quando lo vidi con la testa china, combattendo contro se stesso per cercare di reggere l'attesa. Stava peggio di prima. -Josh, non agitarti per favore, te la compro io la roba che ti serve per stare meglio.- lui non rispose e sospirai prima di entrare di nuovo nel locale. Anche la mia nausea sembrava voler sparire ma anzi, mi aumentò ancora di più quando l'odore di alcolici forti mi arrivò alle narici, facendomi mettere una mano nel muro per cercare di riprendere il controllo del mio corpo. Mi ero promessa di aiutare di Josh, io non ero un'egoista, quindi con solo questo pensiero per la testa mi avventurai nei bagni. -Ehi tu.- urlai. Un ragazzo forse sui ventanni si girò. -Hai un po' di eroina da prestarmi? Si tratta di un emergenza, il mio amico fuori dal locale è entrato nella rota.- spiegai veloce. -Ammettilo che serve a te.- ammiccò lui. Stava iniziando ad irritarmi, e presa da un po' di coraggio mi feci più vicina a lui, strappandogli l'eroina che aveva preso tra le mani. Con la mia promessa tra le mani tornai fuori, e mi avvicinai a Josh che quando vide il suo bisogno me lo strappò dalle mani, aprendo la bustina e prendendo l'inalatore che custodiva gelosamente nella tasca dei suoi jeans. -Dovresti smetterla con questa roba, sai?- biascicai. -Per avere una realtà peggiore di quella che vedo quando sono fatto? Grazie per la preoccupazione, ma no.- mormorò lui, infilandosi l'inalatore nella narice sinistra e aspirando buona parte della sostanza stupefacente, successivamente riappoggiò la schiena al muro, rilassandosi visibilmente. La mia nausea si fece sentire ancora più forte di prima, facendomi accovacciare in un lampione della luce e buttare la testa in avanti. -Voglio tornare a casa.- sussurrai. Avevo male alla testa, e la nausea sembrava non voler sparire dal mio corpo. Mi sedetti a terra e poggiai la testa contro il lampione che mi aveva accolta prima. -Josh..- lo richiamai -Per favore, portami a casa.- e lui capì subito ed entrò dentro il locale per portare con se' anche Ash. In un modo o nell'altro volevo dimenticare quella serata. Volevo cancellare quel ricordo dalla mia mente, risvegliandomi con un'amnesia. Scossi la testa. Quello che era successo era davvero troppo per me, stavo passando all'avere tutto in pochi attimi, non che la cosa mi piacesse, ma avevano preso una strada che a me non piaceva. Ero contenta di aver trovato un'amica come Akira, che mi sosteneva in ogni occasione, e Simon. Ma ero sicura del fatto che tutta quella faccenda di Ash e Josh non avrebbe portato a nessuna conclusione certa, se non rischiare di perdere il mio cuore che era già debole di suo. A distrarmi dai miei pensieri furono proprio Josh e Ash, che mi misero le mani nelle spalle per aiutarmi ad alzarmi e portarmi in macchina, per tornare a casa. Ash appena si accomodò e partimmo, emise un grugnito e si addormentò. Il viaggio procedette in silenzio. Ash di tanto in tanto bisbigliava qualcosa di incomprensibile. Lo fissai, ed era davvero bello. Sembrava un'angelo e non un demone. I capelli biondi erano spettinati e cadevano a ciuffi nella sua fronte, e il piercieng argentato all'angolo della sua bocca rosea, sembrava solo un dettaglio perfettamente curato nel suo viso. Josh invece, teneva il volante saldamente, e nonostante non potesse guidare sotto l'effetto di sostanze stupefacenti, sembrava abbastanza concentrato nella strada. Quando tornai a casa, aprii la porta delicatamente per non farmi sentire da mia madre, ma appena la stanza venne illuminata dalla lampadina del soggiorno, il mi cuore si fermò per un paio di secondi. -Oh guarda, ti stavo aspettando, sai?- disse mia madre, alzandosi, torreggiando su di me.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12. -Mamma.- dissi, piano. Mi aveva aspettato tutta la sera. Quel giorno, non bastarono le parole di John per placarla. Lei non aveva creduto alle sue parole ed io mi ero fidata di nuovo, credendo di poter scappare almeno una volta. Quel giorno avrei voluto sparire, un po' come fanno i demoni, e poi riapparire. -Ti avevo detto di restare da sola, voglio che resti da sola. Non voglio nessuno che ostruisca la tua vita- sputò-Meriti davvero il triplo del dolore che ho patito io per anni. Io ti odio, sei solo uno sbaglio che mi ha consumato la vita! Perchè adesso è solo colpa se mi ritrovo in questa situazione, solo colpa tua!- urlò. Avrei dovuto urlare, forse anche paingere, ma non dissi niente come al solito. Più che altro avevo paura della sua reazione, probabilmente avrebbe sbraitato ancora di più ed io davvero ero esausta. Poi, si avvicinò lenta, afferrandomi una ciocca di capelli castani che avevo ereditato da lei, e me li tirò facendomi ancora più male. -Perchè tu meriti di morire.- sbraitò, ad un centimetro dal mio viso che a quell'affermazione diventò pallido. Mai nessuno nella vita mi aveva lanciato una maledizione del genere, ma lei sì. Lei che era mia madre. Ma in fondo, lei non era una madre, era un mostro. I figli non si dovrebbero trattare così, ma anzi, loro sono coloro che ti completano, che ti rendono orgogliosa, che ti fanno sorridere con poco. Ma evidentemente questo era un concetto che per lei aveva poco significato, se non nullo. Tirò ancora una volta i miei capelli, scostandomi il viso da un lato per rendere visibile la mia guancia prima di colpirla. Poi, mi spinse facendomi cadere ai suoi piedi. Mi faceva paura, era uscita fuori di testa e l'unica parola che fuoriusciva dalla sua bocca laccata di rossa era -Ti odio.- ripetuta forse tre,quattro volte di seguito senza mai fermarsi. I miei occhi si scaldarono, li sentii pizzicare e delle lacrime iniziarono a rigarmi le guancie. -Basta, ti prego.- singhiozzai, ma lei continuò nella sua impresa. Riuscii a ritrovare la forza necessaria per alzarmi, e guardarla negli occhi. Quell'azzurro uguale al mio parevano bianchi, causati dalla forza dei sentimenti che ofuscavano la sua ragione. -I genitori dovrebbero rimanere per sempre nel nostro cuore, non è vero?- feci una pausa, aspettando una sua reazione che però non arrivò -Ma tu, no, resterai sempre in bilico, sospesa tra odio e amore.- e con queste parole, la guardai andare via, sbattendo la porta della sua camera. Una volta che tornai anche io nella mia stanza, mi guardai allo speccho curiosa di vedere il mio corpo ridotto in poltiglia e solo dopo un piccolo sguardo, la nausea passata poco prima si fece sentire più marcata di prima. Mi sedetti nel letto e presi il telefono, aprendo la casella dei messaggi e inserendo il numero di John nel destinatario. -Ho bisogno del tuo aiuto.- scrissi, velocemente. La cosa che mi fece felice per un paio di secondi fu il fatto che la sua risposta non tardò ad arrivare come invece mi ero aspettata. -Cosa succede, Rye?- domandò, forse aveva già intuito tutto e così gli raccontai tutto nei minimi dettagli. Lui si sentì in colpa, continuava a ripetersi che non se ne sarebbe dovuto andare nemmeno quando la mamma gli aveva urlato contro di andarsene e lasciarla sola. *** Il giorno dopo appena aprii gli occhi, non feci nemmeno in tempo ad alzarmi dal letto che subito corsi in bagno per espellere quello che avevo ingurgitato la sera prima. E appena finii, aprii la porta della mia camera e scesi le scale per arrivare al salone, dove provenivano delle urla. Mi appostai al muro e cercai di ascoltare la conversazione tra John e mia madre. -Facendo così ti farai solo odiare da tua figlia.- urlò John, puntandole un dito contro. -è quello che desidero infatti. Io voglio il suo odio.- -Anche con te si comportavano così?- -Lei merita solo il triplo del dolore che ho patito io per anni, quindi sì John!- -Ha solo sedici anni Chantal, è ancora una bambina!- -Sinceramente non mi interessa!- -Allora non meriti nemmeno di essere chiamata madre, a questo punto!- a quelle parole, mi feci più piccola per riuscire a vedere i loro visi. Mia madre era rossa in viso, e John si teneva le mani sui capelli, in procinto di una crisi isterica. -Allora tu non meriti nemmeno di restare in questa casa.- digrignò i denti lei, indicando con un dito la porta. -Certo, tu sei brava solo a chiudere le porte in faccia. Mi dispiace, ma io resto qui.- si impuntò lui. Avevo sentito abbastanza e poteva bastare così, quindi salii nuovamente le scale e mi rintanai nella mia camera. Presi il telefono e mandai un messaggio a Simon, che mi rispose subito. -Simon, ho bisogno della tua compagnia. Puoi raggiungermi?- scrissi velocemente, cercando di non piangere. -Certo, ti raggiungo subito al solito posto.- rispose, e come una molla scattai in piedi, raggiungendo il bagno per darmi una ripulita. La pelle martoriata sotto il getto dell'acqua calda fece più male, e questo mi fece socchiudere gli occhi. Una volta che finii, mi vestii rapidamente e poi uscii dalla porta del retro, che fece costruire mio padre per comodità, e mi incamminai dalla mia salvezza. Il vento freddo si divertiva a muovere i rami degli alberi morti, e questo mi fece sorridere un poco. Vidi in lontanza la figura di Simon, seduto in un tappeto di foglie cadute troppo presto, con la schiena appoggiata al tronco dell'albero. -Ehi.- mi salutò. Io in tutta risposta, presi posto vicino a lui. Lui mi guardò attentamente, e serrò le labbra in una linea dura quando vide i segni lasciati da mia madre, che nonostante gli avessi coperti con un fondotinta scuro, si riuscivano ad intravedere lo stesso. -è stata lei, vero?- domandò, prendendomi il viso delicatamente per studiare la mia reazione. Io annuii. -Perchè continui a stare con quella donna?- domandò, ma io non dissi niente. Lui mi attirò a se', accarezzandomi i capelli con fare protettivo prima di abbracciarmi. Gli volevo bene. *** Quando rientrai a casa, i due parevano essersi calmati e sedevano sul divano occupati a guardare un programma alla tv. Il viso di John si illuminò quando mi vide,e questo mi fece portare un dito alle labbra intimandogli di stare zitto per non creare di nuovo incomprensioni tra me e mia madre, che pareva completamente rapita dalla televisione. Poi, salii in camera. Appena presi il telefono, mi ritrovai un messaggio da parte di Ash. -Ragazzina,vieni da me stasera.- lessi. La consapevolezza di voler passare meno tempo nella mia casa mi fece scrivere un -Sì- stirato. Perlomeno quella sera sarei stata bene, o almeno così speravo. Ormai era una continua lotta, sembrava che tutti volessero vedere fino a dove mi sarei spinta per continuare ad andare avanti. Quando Ash aprii la porta, i suoi occhi si scurirono e mise una mano sotto al mio mento per avere una maggiore visuale dell'opera creata da mia madre. -Quella donna è un mostro.- sussurrò, dimostrando per la prima volta di avere un cuore. -Lo so, ma ormai ci sono abituata.- sospirai, facendomi strada nella sua casa. -Perchè non ti ribelli? Perchè non fai niente?- mi chiese, guardandomi quasi con un filo di compassione nei suoi occhi troppo scuri. -Perchè è mia madre.- dissi senza pensare. Non volevo dare una risposta a questa domanda, non c'era una risposta apparente. Lui sembrò capire e spense lì il discorso, preferendo concentrarsi sulla mia figura come sua abitudine. Scosse la testa un'attimo poi andò nell'altra stanza e la musica prese vita all'interno di quella casa bellissima. Mi strinse a se', facendomi dimenticare per un momento il resto del mondo, e mi prese la mano portandomi al centro del salone. -Balla con me.- mi sussurrò all'orecchio, ed io annuii completamente rapita dalla sua voce roca. Iniziammo a ballare lenti, come il ritmo della musica che fuorisciva dalla cassa della radio che lui aveva acceso. Mise le mani nelle mie guancie, e strofinò un pollice cercando invano di far sparire quei lividi. -Non ti deve più toccare.- disse, ma quelle parole volarono in cielo come aereoplanini di carta. Quel giorno era apparso così dolce, che quella visione di un Ash preoccupato rimase stampato come una fotocopia nella mia mente. Lui concluse il passo di danza, si fermò, e tracciò con un dito il contorno delle mie labbra, mentre io preferii avvicinarmi e far combaciare le nostre labbra. Aveva un gusto salato, reso ancora più forte dal retrogusto di metallo che il suo piercing argentato mi lasciava nella bocca. Portai una mano nei suoi capelli biondi, che riuscirono a farmi calmare un poco, mentre lui preferì portare una mano a sorreggere la mia schiena, e l'altra dove i nostri visi si toccavano. Poi ci staccammo, e lui mi fissò con uno sguardo divertito prima di portarmi nell'altra stanza, per farmi stendere nel divano della sua bellissima casa. I nostri occhi si trovarono per un paio di secondi, poi, fui io a baciarlo di nuovo.

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