Tears In Heaven

di myavengedsevenfoldxx
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** What You Need ***
Capitolo 2: *** Nothing You Can Say Can Take The Pain Away ***



Capitolo 1
*** What You Need ***


Tears In Heaven




1

What You Need

 

 

 

Libertà va cercando, ch’è si cara,
come sa chi per lei vita rifiuta



Alla fine aveva bisogno di quei soldi, erano mesi che faceva lo stesso stupido lavoro, se quello si poteva definire lavoro, ogni giorno la stessa situazione: lungo le strade, sotto i lampioni, al freddo, sotto la pioggia con un misero vestitino di pizzo per attirare sempre più persone.
Alla fine i clienti erano sempre gli stessi, ormai li conosceva e sapeva come doveva soddisfarli, a lei bastavano solo i soldi, niente di più: niente emozioni. Solo lavoro. Lavoro e basta.
Aveva bisogno di soldi. A seconda della serata  e del lavoro che le chiedevano di svolgere, veniva pagata in modo diverso e se non guadagnava abbastanza doveva prepararsi al peggio.
Nell’aria c’era sempre lo stesso odore: detersivo, alcool e sigaretta, ci era abituata, ma le faceva schifo lo stesso. Con un po’ di cipria si coprì il livido nero sulla spalla destra che si era procurata la sera prima quando era stata sbattuta violentemente dall’uomo contro il muro per i pochi soldi che era riuscita a guadagnare
-Allora? Sei pronta?- le chiese l’uomo con la felpa e la sigaretta in bocca, era appena entrato sbattendo la porta e i suoi passi risuonavano pesantemente nella stanza semivuota. Puzzava di birra e aveva il grasso che usciva dai jeans e che la maglia bianca, sporca di olio, non copriva. Aveva i capelli neri tendenti al grigio, non aveva famiglia e faceva il camionista un giorno si e uno no a seconda di come gli girava. Aveva cinquant’anni e faceva i soldi con le ragazzine che raccoglieva per strada, da una parte era una sorte di custode per quelle povere anime, gli dava un tetto sopra la testa e il cibo giusto, ma loro dovevano lavorare per lui e non erano lavori ben visti.
-arrivo- rispose la fanciulla gettando un ultima occhiata allo specchio dietro di sé, si voltò e i capelli lunghi e rossi le si mossero al suo gesto. Capelli rossi, rossi come il fuoco e lei li amava quei capelli, erano parte di lei, nonostante le battute che correvano in giro su quel particolare colore di capelli, a lei non importava, li amava e la contraddistingueva dalle altre. Quel rosso color fuoco l’aveva ereditato dalla madre, morta quando lei aveva 10 anni, si ricordava benissimo quella scena avvenuta 8 anni prima e cercava dannatamente di dimenticarla, ma era invano. Come si può dimenticare qualche cosa che è impresso nella mente, così vivo, nitido e doloroso? Chissà come sarebbe adesso la sua vita se sua madre fosse ancora viva, se lo chiedeva spesso, ma non otteneva mai una risposta certa, anzi divagava su molteplici risposte.
Alla ragazza dai capelli rossi piaceva tantissimo l’Italia e sognava spesso di fuggire in quella terra così lontana da dove abitava lei e da dove era nata, l’Italia patria del Rinascimento e così ricca di posti bellissimi da vedere … ma troppo lontana per lei.
Con sua mamma sognava di fuggire in quel posto a mille miglia da casa, imparare la lingua, innamorarsi e vivere lì per sempre … mentre suo padre non c’erano, non esisteva. Nei suoi sogni non lo immaginava mai, voleva dimenticarlo, quell’essere spregevole … aveva fatto troppi danni alla famiglia della ragazza.
La ragazza varcò la soglia dell’uscita, si diresse verso la macchina, sfiorando con i tacchi il cemento umido dal freddo che stava per investire la città.
Era ottobre e indossava quel vestitino rosso che le metteva in risalto il corpo, le piaceva parecchio e amava come gli uomini la guardavano, assetati di carne fresca, sesso.
Salì in macchina come ogni sera, lasciò l’edificio assieme all’uomo e imboccarono la strada principale; quella sera c’erano pochissime stelle e la luna era nascosta dalle nuvole. Il cielo blu, nero solcato da piccoli puntini luminosi.
Ecco anche cosa amava, amava le stelle, l’universo. Ne era sempre rimasta affascinata fin da quando era piccina, le piaceva stare distesa in giardino a fissare il cielo e le costellazioni che le avevano insegnato a scuola.
-stasera vai al pub- disse il camionista
-credevo di andare in strada-
-no-  lui fissava la strada, correva troppo, ma lei non si preoccupava, ogni tanto aveva voglia di prendere il volante, sterzare e andare giù per la scarpata che percorrevano ogni sera. Sarebbe stata una morte veloce, la macchina avrebbe spezzato il guardrail e sarebbe finita giù, giù nel bosco senza fine, si sarebbe schiantata al suolo e avrebbe preso fuoco ed infine, a causa dell’impatto, entrambi sarebbero morti, finendo una in Paradiso e uno all’inferno.
Perché la ragazza dai capelli rosso fuoco era convintissima che sarebbe finita in Paradiso, nella sua vita non aveva mai fatto niente di male, aveva subito tante di quelle cose che un uomo normale non si sarebbe mai immaginato, sarebbe finita nel regno dei Cieli, assieme alla mamma che aveva amato tanto … sarebbero tornate assieme, di nuovo. In Paradiso andavano le anime pure, salve, coloro che avevano sempre fatto del bene.
Lei era una ragazza semplice, non aveva mai fatto del male a nessuno, gli altri lo avevano fatto a lei, sia a livello fisico che mentale, a tal punto di cominciare ad odiare la sua vita, ma se Dio le aveva dato quella vita, perché non viverla? Dal peggio sarebbe solo migliorata, doveva solo aspettare … ed erano quasi 18 anni che aspettava.
-ricorda, l’80% a me e il resto a te, e fatti pagare i servizi extra- lei annuì con la testa.
E se gli avesse dato un colpo col tacco? Sarebbe svenuto o al massimo sarebbe morto, lei avrebbe potuto prendere la macchina e scappare, scappare via, magari andare in Italia.
Ma il problema era sempre lo stesso, i soldi.
Da parte ne aveva,ma non abbastanza. Così per l’ennesima volta abbandonò l’idea che le si presentava quasi ogni sera alla mente e uscì nel gelo di ottobre.
Come aveva detto l’uomo quella sera le sarebbe toccato lavorare al pub, a ballare sui pali e a farsi mettere i soldi nel reggiseno e negli slip, sempre meglio che farsi sbattere sul sedile di una macchina in mezzo al nulla.
Lavoro così umile, era stata costretta, non l’aveva fatto di sua iniziativa, se fosse stato per lei avrebbe vissuto in modo migliore, lontano dal padre, con la madre e con una vita degna di essere chiamata tale, Vita con la V maiuscola. Rimpiangeva la vita che non aveva mai avuto, aveva smesso di credere in Dio, nonostante si ripeteva costantemente che le avrebbe dato una vita migliore, basta dare tempo al tempo.
Si fece forza, sentì il clacson della macchina dietro di lei, così fece un respiro profondo ed entrò dalla porta del retro.
 

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Capitolo 2
*** Nothing You Can Say Can Take The Pain Away ***


2

Nothing You Can Say Can Take The Pain Away


 


Fissava tutti quegli uomini, non le piacevano, ma doveva farlo o stesso. Aveva bisogno di soldi.
Stava ballando mezza nuda sul palo dove poco prima si era strusciata un’altra ragazza, una certa Lara, una ragazza italiana di 25 anni che si era da poco trasferita in quella città dopo la morte dei genitori. La ragazza dai capelli rossi non ci aveva mai parlato, ma aveva origliato qualche conversazione con le altre ragazze. Aveva sentito che era nata a Roma, quella bellissima città patria di una civiltà così maestosa che ha fatto la storia.
Roma, il Colosseo così tanta storia che una giornata intera non bastava a saperla tutta, perché non poteva semplicemente scappare? Scappare e mollare tutto? Ovvio era sola, senza soldi e soprattutto sola. Sola senza nessuno, anzi qualcuno c’erano. Due persone c’erano, ma non poteva permettersi distrazioni, già faceva fatica a mantenere se stessa, figuriamoci l altre due.
Cercava di dimenticarle, o almeno una si, l’altra no dato che la doveva vedere ogni fottuto giorno e tanti di quei giorni finivano male.
Male ….
L’altra persona invece, non voleva ricordarsela, voleva dimenticarla, tanto non l’avrebbe mai rivisto … le faceva male, tanto male. Un dolore molto più profondo di quel dolore che il Bastardo del padre le provocava. Male. quel male che prende il cuore e ti fa passare le notti insonne col il volto rigato dalle lacrime e il trucco sbavato il giorno dopo.
Ogni tanto le succedeva, ma faceva finta di niente così prima di scendere a preparare la colazione si lavava il volto come se  non fosse successo niente. Una volta però non fu così …
-perché hai il volto macchiato?- chiese il padre
-sono normale- rispose
-brutta troia che cazzo pensi?- il padre si alzò dalla sedia
-non penso a niente dio cristo- e si asciugò il volto che si stava rigando di lacrime. Il padre così la picchiò per quei pensieri che lei affermò di non pensare, ma che in realtà pensava e facevano male, tanto male. Perché essere picchiati per dei ricordi?
Dei cazzo di ricordi che sono la morte alla fine ce li può portare via.

La ragazza indossava in reggiseno e degli slip di pizzo nero, della brillantina attorno al corpo e i capelli raccolti, tutti gli uomini le stavano sbavando dietro con il cazzo nei pantaloni che si stava eccitando alla vista di quel corpo da sballo della diciottenne.
-ehy bella- le fece un vecchio con un boccale di birra – vieni qua-
Lei si avvicinò sempre ballando al ritmo della musica e muovendo il seno davanti all’uomo.
-sei così bella – fu il suo commento provando a toccarla, ma lei si ritirò facendo l’occhiolino.
“guardare ma non toccare” era solito per le ballerine e tutti i clienti abituali lo sapevano, così il vecchio le allungò due dollari e lei se li infilò negli slip; faceva così con i soldi che gli uomini le davano.
Solitamente i clienti erano tutti uomini sulla cinquantina, senza moglie, camionisti oppure uomini sposati che sperava nodi scopare un po’ dato che la moglie non gliela dava più.
Guardò il locale, era pieno, non ricordava nemmeno più che giorno fosse e nemmeno l’ora, a che ora avrebbe staccato? Non se lo ricordava.
Fissò il bancone, erano quasi le due del mattino, era lì sopra da quasi tre ore ed era stanca, di solito non lavorava mai ai bar per spogliarelliste, ma andava per strada a prestare quei servizi che gli uomini volevano.
Spesso la picchiavano, ma a lei non importava.
Bastavano i soldi.

Poi dal fondo del bar vide la porta aprirsi, non prestava mai attenzione a quelle cose, ma entrarono un gruppo di quattro ragazzi, avevano circa 20 anni e lei li guardò avvicinarsi. La sua attenzione cadde su quello vestito di nero, con  la giacca aderente e i capelli castano chiaro lunghi e legati con un codino, aveva la barba corta che gli circondava il volto e lo rendeva perfetto.
Non si era mai soffermata a fissare un ragazzo così a lungo e il cuore le stava battendo forte, cosa stava succedendo?
Continuava a ballare, ma l’attenzione era continuamente rivolta al ragazzo con i capelli lunghi. Avevano preso delle birre e portate al tavolo poco lontano da lei.
Gli altri tre ragazzi avevano su per giù l’età del tipo vestito di nero, dovevano essere amici di vecchia data dato che ridevano come se si conoscessero da una vita.
Ridevano e scherzavano, ma non avevano mai guardato verso di lei.
Da una parte alla ragazza  rossa andava bene non voleva farsi vedere da loro, dall’altra voleva incontrare lo sguardo del ragazzo che aveva attirato la sua attenzione.
Lei ballava e li fissava, non osava avvicinarsi.
Non voleva nemmeno farsi vedere, stava facendo una cosa bruttissima e non voleva che gente della sua età la vedesse in quelle condizioni.
Poi il ragazzo vestito di nero si girò e i loro sguardi si incrociarono, era l’ultima cosa che la ragazza voleva.
Il suo cuore partì a mille e quasi anche ballare le risultò difficile, quello sguardo dio come era bello. Tutto attorno a lei si fermò, non riuscì più a ballare nonostante la musica andasse avanti e lei con una mano sul palo e l’altra distesa lungo il fianco.
Anche il ragazzo la stava fissando.
-ti muovi troia?- le fece un vecchio.
-non sono troia- la ragazza rispose distogliendo lo sguardo dal ragazzo e inchiodando con uno sguardo furioso l’uomo. –provi a darmi nuovamente della troia e sei morto-
L’uomo distolse lo sguardo, si avvicinò col il volto al vecchio accanto a lui e con un tono divoce relativamente basso, ma che la ragazza riuscì a sentire disse:
-troia-
-muori figlio di puttana- e gli sputò in faccia. Nessuno si poteva permettere di darle della troia, nessuno conosceva la sua storia, quindi dovevano tutti stare zitti, tutto il mondo non doveva emettere un suono, nemmeno una sillaba.
 Il pessimo umore prese il sopravvento, si rigirò e notò che il ragazzo la stava ancora fissando, così in preda al panico, alla paura, al dolore, al nervoso e alla rabbia più profonda girò i tacchi, letteralmente, e uscì dal palco.
Si preparò alle botte che avrebbe ricevuto per quel gesto, ma non le importava nulla, voleva solo andare via.


Ma non si accorse che anche il ragazzo che aveva attirato la sua attenzione si era alzato e aveva lasciato i suoi amici.
-amico dove vai?- chiese il ragazzo con la maglietta dei Ramones
-esco un attimo- rispose frettoloso accostando la sedia sotto il tavolo.
-vuoi che ti accompagni?- chiese un altro, sto qua stava sorseggiando una birra ed era già a metà con un sorso.
-no tranquillo David, ce la faccio non ho più 10 anni- e detto ciò uscì dal negozio dirigendosi verso la porta posteriore.

 

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