Cassandra e Alexander- La statua della Libertà

di Bellatrixdulac
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I Cassandra ***
Capitolo 2: *** Capitolo II Alexander ***
Capitolo 3: *** Capitolo III Cassandra ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV Alexander ***
Capitolo 5: *** Capitolo V Cassandra ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI Alexander ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII Cassandra ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII Alexander ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX Cassandra ***
Capitolo 10: *** Capitolo X Alexander ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI Cassandra ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII Alexander ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII Cassandra ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV Alexander ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV Cassandra ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI Alexander ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII Cassandra ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII Alexander ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX Cassandra ***
Capitolo 20: *** Capitolo XX Alexander ***
Capitolo 21: *** Capitolo XXI Cassandra ***
Capitolo 22: *** Capitolo XXII Alexander ***
Capitolo 23: *** Capitolo XXIII Cassandra ***
Capitolo 24: *** Capitolo XXIV Alexander ***
Capitolo 25: *** Capitolo XXV Cassandra ***
Capitolo 26: *** Capitolo XXVI Alexander ***
Capitolo 27: *** Capitolo XXVII Cassandra ***
Capitolo 28: *** Capitolo XXVIII Alexander ***
Capitolo 29: *** Capitolo XXIX Cassandra ***
Capitolo 30: *** Capitolo XXX Alexander ***
Capitolo 31: *** Capitolo XXXI Cassandra ***
Capitolo 32: *** Capitolo XXXII Alexander ***
Capitolo 33: *** Capitolo XXXIII Cassandra ***
Capitolo 34: *** Capitolo XXXIV Alexander ***
Capitolo 35: *** Capitolo XXXV Cassandra ***
Capitolo 36: *** Capitolo XXXVI Alexander ***
Capitolo 37: *** Capitolo XXXVII Cassandra ***
Capitolo 38: *** Capitolo XXXVIII Alexander ***
Capitolo 39: *** Capitolo XXXIX Cassandra ***
Capitolo 40: *** Capitolo XL Alexander ***
Capitolo 41: *** Capitolo XLI Cassandra ***
Capitolo 42: *** Capitolo XLII Alexander ***
Capitolo 43: *** Capitolo XLIII Cassandra ***
Capitolo 44: *** Capitolo XLIV Alexander ***
Capitolo 45: *** Capitolo XLV Cassandra ***
Capitolo 46: *** Capitolo XLVI Alexander ***
Capitolo 47: *** Capitolo XLVII Cassandra ***
Capitolo 48: *** Capitolo XLVIII Alexander ***
Capitolo 49: *** Capitolo XLIX Cassandra ***
Capitolo 50: *** Capitolo L Alexander ***
Capitolo 51: *** Capitolo LI Cassandra ***
Capitolo 52: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo I Cassandra ***


Cassandra si stese sul lettino vicino alla piscina.
Chiuse gli occhi ascoltando il rilassante rumore delle onde, le risate dei bambini che si tuffavano dai trampolini, i richiami dei gabbiani.
Era felice che i suoi avessero accettato.
Di norma non le facevano fare viaggi, vacanze o molto altro.
In realtà l’ unica che viaggiava era sua madre, per motivi di lavoro.
Ma quello era il premio più bello che le avessero mai dato: una crociera. Sulla Est Cost.
Aveva portato a termine un meraviglioso anno scolastico. Era brava a scuola, una delle migliori del suo istituto.
Era ancora alle medie, ma era sicura sulla strada da intraprendere: medicina.
Aveva un talento naturale per discipline del genere e in più entrambi i suoi genitori erano nel settore, era cresciuta letteralmente tra le siringhe e le garze.
In più quell’ anno aveva vinto tre premi letterari, un record nella scuola per una ragazza del primo anno.
L’ insegnate di Inglese la riteneva un genio, forse perché non è da tutti essere dislessici ed essere considerati i migliori scrittori della loro età.
Ma la scuola non era la sua vera passione, anche se i genitori ritenevano che la cosa che più amava al mondo non fosse un mestiere sicuro da intraprendere.
In ogni caso non voleva preoccuparsi in quel momento. Voleva solo rilassarsi, e avrebbe aspettato che sua madre iniziasse il turno per sgattaiolare nella zona sport dove si sarebbe allenata.
Doveva solo aspettare un’ ora e certamente non nel posto peggiore dove godersi una vacanza.
Se avesse potuto avrebbe passato la vita su quel lettino da quanto era rilassante.
-Cassandra! Cassandra!- era la voce di suo padre.
La ragazza sprofondò ancora di più nel lettino sperando che, calandosi il cappello sul volto, sarebbe passata inosservata.
Chiunque ma non suo padre. Sperava che sarebbe andato a dare una mano a sua madre, ma a quando pareva aveva scelto di darle il tormento.
-Eccoti, ti ho trovata- annunciò alzando il cappello.
Addio mattinata nella zona sport. Poteva immaginarlo.
-Stavo dormendo…- biasciò.
-Scusa, ma tua madre vuole fare delle foto ricordo per la nostra crociera tutti insieme…forza- le prese il braccio e la sollevò dal lettino, premendole il cappello in testa.
Cassandra aggiustò il copricapo e guardò torva il padre.
Era un uomo sui trentacinque anni dai capelli neri e gli occhi marroni.
Faceva l’infermiere all’ospedale dove, fino a qualche anno prima, lavorava sua madre.
Cassandra non gli assomigliava per niente.
Aveva gli occhi marroni chiari di una strana sfumatura che finiva spesso per sembrare dello stesso colore dei capelli: biondo dorato.
Alla fine fu costretta a seguire l’uomo.
-Ti stai annoiando?- chiese –Voglio dire, avevo suggerito alla mamma di iscriverti ad un centro ricreativo per ragazzi, ma lei ha detto che probabilmente non avresti gradito….-
-No!- mugolò Cassandra –lo sai quanti anni ho?-
Aveva dodici anni, ma a settembre, dopo due mesi, ne avrebbe compiuti tredici.
-Va bene, va bene. Ma non si è mai troppo grandi per ruba bandiera…-
Cassandra emise un suono abbastanza simile ad un ringhio –Dove stiamo andando?- aggiunse.
-Natalie dice che il salone da pranzo principale è meraviglioso, vuole fare delle foto lì. Ah, tra venti minuti passeremo d’avanti alla Statua della Libertà, dovremo fare degli scatti con il monumento come sfondo-
Finalmente una buona notizia.
Cassandra adorava la Statua della Libertà, il suo sogno era visitarla.
-Bene- disse, sforzandosi di sorridere.
Cassandra capì presto che sgattaiolare fino alla zona sport non sarebbe stato facile. Vagarono per un gran numero di corridoi e ponti, dove suo padre si perse un paio di volte prima di giungere a destinazione.
Entrati videro la madre che parlava con un ragazzo bruno per dargli informazioni.
La mamma, Natalie Williams, lavorava sulle navi da crociera come medico di bordo, ragion per cui conosceva abbastanza bene la nave.
Natalie assomigliava molto alla figlia. Stessi occhi, stessi capelli e anche stesso carattere.
-Eccovi! Lo sapevo che dovevo venire io, tu ti saresti perso…- li salutò.
-Non è vero! Non mi sono perso…tanto-
-Comunque muoviamoci, voglio fare le foto a New York-
Natalie chiese ad un cameriere di scattare quelle che a Cassandra parvero un centinaio di foto, una volta finito le facevano male le guance a furia di sorridere.
-Credo che dovremo salire sul ponte ora…-disse la ragazza.
Grazie alla guida della madre riuscirono a raggiungere la piscina in poco tempo.
Cassandra rimase impressionata dalle dimensioni della statua e pensò che fosse molto più bella dal vivo che sui libri.
Fecero qualche migliaio di foto anche lì e, finalmente, sua madre la liberò.
Lei tornò di corsa alla piscina e aspettò seduta sul lettino fino a quando non vide i genitori passarle d’ avanti per andare all’ infermeria.
Ottimo.
Si alzò nuovamente e si diresse in coperta, seguendo le indicazioni appese alle pareti.
Quella nave era peggio di un labirinto, ma alla fine raggiunse la destinazione con successo.
La sua più grande passione: il tiro con l’arco.
Lo aveva scoperto a sette anni, in una giornata sportiva a scuola. Aveva chiesto più volte ai genitori di mandarla a imparare, ma loro dicevano che era troppo pericoloso.
Cosa poteva succederle, che si infilzasse da sola con una freccia?
Lei era brava, un talento naturale.
A volte pensava che i due si divertissero a precluderle le strade che più amava.
Il tiro con l’ arco? Pericoloso.
Diventare un scrittrice? Non era una carriera sicura.
Lei amava scrivere quasi quanto amava il tiro con l’ arco, ma i suoi non ne erano entusiasti.
Certo, fino a quando si trattava di vincere premi letterari andava bene, ma non accettavano che diventasse la sua professione.
Tutte le volte che ne parlava, se pur come materia scolastica, loro storcevano il naso e dicevano “certo, se fossero storie…ma tu vuoi scrivere poesie. A scuola può funzionare, ma nessuno legge le poesie nel mondo reale…”.
Sembrava che odiassero la poesia e l’arco a prescindere.
Fortunatamente la medicina era anche la loro passione e a Cassandra non dispiaceva.
Aveva imparato il nome di tutte le parti del corpo a sei anni, ma non parti del corpo come piede, mano…lei sapeva la collocazione di ogni arteria, il nome di ogni osso, la funzione di ogni organo…
Chiese un arco e una faretra e prenotò un poligono.
Dopo dieci minuti annunciarono che era il suo turno.
Nessuno le aveva insegnato a tirare, era una cosa che il suo corpo sapeva fare e basta.
La postura, la respirazione, l’ clinazione delle braccia.
Lanciò due frecce e fece due centri perfetti.
Incoccò la terza.
Chiuse gli occhi e fece due respiri profondi.
Immaginò di avere di fronte a sé il mostro e lo colpì in bocca.
Aprì gli occhi e vide che anche la terza freccia si era conficcata accanto alle prime due.
Il mostro…
Era orribile.
Bianco, dalla pelle lattiginosa e pallida, come se fosse sempre vissuto nelle profondità marine.
Aveva qualche centinaio di occhi scuri e luccicanti, e migliaia di tentacoli, alcuni più grandi, altri sottili come capelli.
Era alto due volte la Statua della Libertà e grande cinque o sei volte la Principessa Andromeda II.
Cassandra rabbrividì, non era un nome di buon auspicio.
La prima nave di quella compagnia con quel nome, oltretutto, era scomparsa per mesi con tutti i passeggeri e l’equipaggio per essere trovata dopo qualche anno affondata sul fondale marino.
E poi il mostro che Cassandra sognava quasi tutte le notti aveva tutto l’aspetto di essere un Kraken.
La vera principessa Andromeda, a quanto ne sapeva Cassandra, era stata offerta in sacrificio ad un mostro simile.
Si disse che erano solo sogni e che non ci poteva essere niente di vero in essi.
Erano solo immagini che il suo cervello metteva insieme mentre dormiva, cose del tutto inventate e senza alcun fondamento logico e scientifico.
Incoccò un’altra freccia e iniziò a lanciarle a ripetizione ad occhi chiusi.
Un’ altro mostro marino che moriva.
Sua madre che si rifiutava di mandarla ad un corso di tiro con l’arco.
Suo padre che non le voleva spiegare perché portava il cognome di sua madre.
Già, lei si chiamava Cassandra Williams, ma suo padre era Tobias Smith.
Da quando era piccola che le dicevano che quello della madre era più originale, e le avevano dato quello.
Sciocchezze.
Un’ altra freccia andò a segno con un urlo, sgretolandone un’altra.
Era arrabbiata con i suoi genitori e con i loro segreti.
Cosa ci trovavano realmente di male nell’ arco e nella poesia?
Perché bugie sul suo cognome?
Ed era spaventata dai suoi sogni.
Gettò a terra l’arco.
Se neanche quello riusciva a calmarla era veramente fuori di sé.
Probabilmente era passato mezzogiorno, ma i suoi non sarebbero venuti a mangiare con lei.
Natalie stava lavorando, ma suo padre?
L’unica cosa che a loro importava era il loro lavoro, non certo di lei.
Aveva visto sulla cartina che McDonalds’ aveva aperto una zona ristoro sulla nave, sarebbe andata lì.
Entrò e si sedette da sola.
Poco più avanti c’era il ragazzino castano che aveva chiesto informazioni alla madre, poteva avere la sua età.
Lui stava mangiando con un uomo moro e una donna mora.
Non si assomigliavano molto ed era certa che l’uomo non era il padre, invece la donna poteva essere parente del ragazzo, la madre forse, da come si guardavano.
Sentì un formicolio alla testa e, per qualche morivo, quelle persone le riportarono alla mente il Kraken.
Smise di guardare i tre e si concentrò sulle patatine.
Ormai erano fredde.
Le gettò nella pattumiera e se ne andò.
Le parve che l’uomo la stesse guardando, cosa che la fece correre fuori dal ristorante.
L’uomo le dava i brividi.
Arrivò, dopo vari tentativi, alla sua cabina e si stese sul letto. Afferrò il quaderno e la matita e provò a comporre dei versi.
Mentre scriveva si trovò a pensare al mostro, ai genitori, all’uomo moro.
Lanciò il quaderno a terra.
Il cuore le batteva a mille.
Cosa aveva scritto?
Non aveva senso, eppure lo aveva scritto lei.
Si avvicinò cautamente e lo raccolse.
La pagina era piena di frasi lasciate a metà, scritte con la sua calligrafia illeggibile e parole cancellate perché scritte male a causa della sua dislessia.
Ma in fondo alla pagine c’erano due versi scritti con chiarezza, anche se evidentemente frutto della sua mano.
L’ ultimo figlio della morte bisognerà allora trovare
Colui che il Caos nel mondo è destinato a riportare
 
Non era nel suo stile e non aveva pensato a questi versi prima d’allora, ma sapeva una cosa: la spaventavano.
Ebbe la tentazione di strappare la pagina e gettarla in mare per non doverla più vedere, ma qualcosa le disse che era più saggio tenerla.
Strappò la parte finale del foglio, lo piegò e lo infilò in tasca.
Voleva tornare al poligono, non era troppo distante dalla cabina.
Era appena arrivata alla porta quando la nave si capovolse.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo II Alexander ***


Alexander sorrise all’uomo e si alzò.
Era chiaro che aveva qualcosa di strano come era chiaro che voleva parlare in privato con sua madre.
Lo aveva visto vagare per la nave alcune volte e lo aveva sempre evitato, ma l’uomo sembrava volerlo seguire.
Alla fine quella dottoressa lo aveva aiutato ed era andato a nascondersi nella zona bambini, dove era abbastanza certo che l’uomo moro non lo avrebbe cercato.
Era uscito e aveva raggiunto la madre all’appuntamento al McDonalds’ ma, sfortunatamente, anche l’altro aveva trovato sua madre.
Da come la donna aveva invitato Alexander a sedersi aveva capito che doveva essere successo qualcosa di grave.
Per prima cosa Alex si era chiesto se l’uomo non fosse un poliziotto che era venuto ad avvertirli della morte di qualcuno o di un furto o di qualche altro problema, ma poi aveva capito che non era affatto un poliziotto.
Aveva meno di trent’anni, ventisei o ventisette anni, era vestito completamente di nero e si rigirava continuamente un anello a forma di teschio tra le mani che continuava a far entrare e uscire dalle tasche del giubbotto da aviatore.
All’inizio Alexander aveva pensato che forse anche l’uomo doveva essere iperattivo, ma poi capì che era solo nervoso.
Ma quello che convinse Alexander che quell’uomo fosse pazzo era una spada di meno di un metro che portava appesa al fianco.
Si guardò attorno ma notò che nessuno era agitato dall’ arma, quindi decise che la stava immaginando.
Evidentemente nel tempo che Alexander aveva passato nascosto tra le palline di gomma lui e la mamma avevano parlato e quello che si erano detti non doveva essere stato rassicurante.
-Io mi chiamo…-cercò di presentarsi l’uomo ad Alexander, ma la madre lo interruppe.
-Lui è James Black-
“Cognome adatto” pensò Alexander.
James guardò la madre come se la volesse smentire, ma poi continuò –Sono venuto qui per parlarti di un…-
guardò la madre, che fece cenno al signor Black di continuare –di un campo estivo-
Alexander lanciò un’occhiata alla spada che James portava alla cintura –Che genere di campo?-
-Non sei costretto ad andare, credimi- disse rassicurante la madre.
-Ma sarebbe preferibile. Te lo raccomando- si intromise James.
La donna lo fulminò con lo sguardò.
-Che genere di campo?- insistette Alexander.
Capì che James aveva bisogno di dire qualcosa ad Alexander, ma la madre non voleva.
-Che genere di campo ti spedirebbe su una nave da crociera per reclutare un solo ragazzo?- chiese Alexander.
-è complicato, Alexander…- provò a dire James.
Guardò la faccia di sua madre.
Era spaventata?
Alex capiva che James non era rassicurante e che spaventava anche lui, ma cosa mai poteva averle detto per terrorizzarla?
Invece quell’uomo non gli piaceva affatto.
-Senti, non mi interessa. Se non mi vuoi dire chiaramente cosa succede e perché mi cerchi non voglio neanche ascoltarti-non aveva alzato la voce, lo aveva detto come un dato di fatto, ed era vero.
Ma non del tutto…
Lui voleva ascoltarlo.
Voleva sapere chi era suo padre, perché vedeva cose strane che altri non vedevano.
Voleva sapere perché quelle “persone” lo trovavano e gli parlavano.
Persone morte, persone morte che tenevano lontani i mostri.
Persone e mostri che sua madre non vedeva.
James lo guardò con interesse, come per valutare se valesse la pena mettersi nei guai per lui, poi si voltò verso la madre –Hai vinto, Alexander Johnson non verrà al Campo Mezzosangue-
Ma la sua attenzione venne catturata da qualcuno due o tre tavoli più avanti, che andava a gettare delle patatine.
-E neanche…-disse sua madre.
James concentrò nuovamente l’attenzione sulla donna –Neanche nell’altro posto-
-Ottimo. Ora andiamo, devo andare in piscina-
Alexander non capiva perché sua madre volesse così disperatamente andare in piscina, ma sospettava che fosse più una fuga da James.
Si erano già allontanati, quando Alexander sentì la voce di James che lo chiamava, si voltò ma, sorprendentemente, James era scomparso.
Disse alla madre che non aveva voglia di andare in piscina e andò a prendere una bibita.
Si specchiò nel tavolino lucente.
Era magro e alto e aveva i capelli marrone chiaro, del colore del caramello non troppo lunghi ma spettinati.
Si soffermò sugli occhi e, con un brivido, si accorse che erano uguali a quelli di James.
Pozzi neri.
Anche la sua pelle era simile a quella di James, anche se quella del’ uomo sembrava quella di un fantasma.
-Alexander-
Era la voce di James, anche questa si voltò ma dietro di lui non c’era nessuno.
Poi colse un movimento in un corridoio buio che portava ai bagni.
Non sapeva perché lo stesse facendo ma si alzò e andò nella direzione in cui aveva visto i movimenti.
Le lampade al neon attaccate al soffitto erano per metà rotte quindi nel corridoio regnava la penombra.
Gli sembrò di vedere altri movimenti in fondo al corridoio e decise di seguire le ombre oltre la porta del bagno.
Entrò, ma non c’era nessuno.
Stava per andarsene quando si sentì afferrare alle spalle.
Si voltò velocemente cercando qualcosa da afferrare per difendersi, ma non trovò niente sottomano.
Sobbalzò vedendo il volto di James alle proprie spalle.
-Che ci fai qui, James…-
Non certo la cosa più intelligente da dire ma la prima che gli fosse venuta in mente.
-Non mi chiamo James Black, sono Nico di Angelo-
-Nico di Angelo? Perché non mi hai detto subito il tuo vero nome?- chiese Alexander allontanandosi.
Sarebbe voluto andare verso la porta ma tra lui e l’uscita si trovava Nico.
-Tua madre non voleva che tu potessi ricercarmi se fossi stato interessato…-
-Sei mio padre?-
Ma appena ebbe formulato la domanda si accorse della sua stupidità.
Quell’uomo aveva tredici o quattordici anni più di lui, il che rendeva la cosa difficile.
-No-rispose squadrandolo come a voler fare un test del DNA con lo sguardo –Senti, lo so che non ti fidi di me, ma…-
Nico cadde a terra.
Sembrava più pallido di quando lo aveva incontrato con sua madre, e già in quel momento sembrava malato.
-Stai…stai bene?- domandò titubante Alexander.
Non si avvicinò per aiutarlo, poteva essere una trappola.
-No, ho lottato un po’… e l’ultimo viaggio nell’ ombra per trovarti… non è importante. Tu devi venire al Campo. È di vitale importanza per te e per tutti…-
-Quale campo?-
Nico sospirò e cercò di rimettersi in piedi, ma alla fine decise de appoggiarsi alla porta da seduto.
-Hai presente gli dei greci? L’ Olimpo? E’ tutti reale-
Alexander non lo interruppe.
Se fosse stato un ragazzo normale, cresciuto come tutti lontano da mostri e fantasmi che lo proteggevano, gli avrebbe dato del pazzo e sarebbe scappato.
Ma lui non era un ragazzo normale.
-Ti credo-
Anche lo stesso Nico parve sorpreso dalle reazione –Ottimo, perché non ero in grado di darti una dimostrazione dei miei poteri. Tu sei un semidio e tutti i semidei, o mezzosangue, vengono cercati dai mostri per essere uccisi-
-E dai fantasmi- tirò a indovinare Alexander.
Nico lo guardò con un interesse particolare –Di solito no, ma be’…non so che dirti. Comunque al Campo Mezzosangue ti addestreranno e ti proteggeranno. Troverai degli amici, persone come te. Immagino che tu sia dislessico e iperattivo-
-si…come…-
-Anche io sono un mezzosangue-
-Figlio di…?-
-Credimi, non ti piacerebbe saperlo-
Alexander pensò ad alcune divinità per cui non provava molta simpatia e decise che era meglio non indagare oltre –E io? Chi è mio padre?-
Nico stava per rispondere, ma si fermò.
-Padre dici? Hai ristretto il campo. Sinceramente non lo so-
-Stai mentendo- disse Alexander.
Era chiaro che Nico sapesse chi era il padre di Alexander.
-No, e comunque per avere una sicurezza schiacciante il tuo genitore ti deve riconoscere-
Lo disse come se fosse una cosa impossibile che accadesse.
-Non succede spesso, vero? Potrei stare tutta la vita ad aspettare un segno-
-Un tempo era così-lo rassicurò Nico mettendosi in piedi. Sembrava più stabile – Le cose sono cambiate. È tuo diritto essere riconosciuto entro i tredici anni. Se non sbaglio, tra una settimana-
Alexander annuì. Come faceva Nico a conoscere la sua data di nascita? E più importante: perché mai a Nico sarebbe dovuto importare di lui?
-Dove si trova il campo?-
-A Long Island. Il centro del potere degli dei si trova qui a New York: l’ Olimpo è sull’ Empire State Building- rispose Nico come se la risposta fosse ovvia.
Ma non era ovvio.
Era già abbastanza strano che gli dei esistessero ancora, ma che tutto il mondo greco si fosse spostato in America…
-Capisco che per te può essere difficile, ma devi capire che è essenziale che tu mi segua- aggiunse Nico guardandolo negli occhi.
-Certo, verrò- promise Alexander.
Nico sorrise.
Alexander pensava che l’altro non fosse capace di fare un vero sorriso, e in effetti anche l’ultimo era una specie di sorriso malinconico come se si sentisse in colpa di quello che stava per fare, cosa che non rassicurò affatto Alexander.
-Posso portarti al Campo dopo la crociera, non c’è fretta- disse Nico.
-Grazie…veramente. Tu rimarrai sulla nave per tutto il tempo?-
Nico annuì e si guardò le spalle come a voler scrutare oltre la porta e il corridoio buio tutta la nave –C’ è un’ altra cosa che devo fare, oltretutto. E comunque ora devo riposarmi, i miei poteri mi stancano parecchio-
Nico gli fece cenno di seguirlo.
Erano appena arrivati fuori dalle tenebre che Alexander sentì il pavimento sollevarsi e la testa sbattere contro la parete.
   

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Capitolo 3
*** Capitolo III Cassandra ***


 Cassandra rotolò sul letto e finì distesa sulla parete alla quale era appoggiato.
La nave si era piegata facendo diventare le mura il pavimento e viceversa.
Cassandra pensò ad uno tsunami, ma era assurdo.
Forse avevano preso uno scoglio, ma se fosse stato così la nave sarebbe affondata, non si sarebbe capovolta.
C’era un’altra possibilità, ma…
No, non poteva essere.
I mostri marini non esistevano e soprattutto non esistevano quelli creati dal suo cervello mentre dormiva.
Il pezzo di carta nella sua tasca si fece più pesante e una sensazione di gelo si insinuò dentro di lei.
Cosa aveva a che fare il naufragio con la sua poesia?
Aveva imparato a fidarsi del suo istinto, ma ora il suo istinto stava dicendo cose troppo assurde.
Doveva trovare i suoi genitori… e poi?
Lei sapeva nuotare discretamente bene, anche se lo sport dove se la cavava meglio era il basket, ma di certo se fossero rimasti imprigionati nella nave non sarebbe servito a niente.
Dovevano prendere una scialuppa, ma con la nave per metà affondata metà delle scialuppe erano inutilizzabili.
E poi c’ era un altro problema da considerare: come si sarebbe mossa per la nave ribaltata?
Era già abbastanza difficile muoversi per la nave posizionata nella maniera corretta e di certo sui pavimenti non si aprivano delle porte, si sarebbe dovuta buttare nelle sale o arrampicarsi.
Riuscì a raggiugere la porta saldando sul tavolino e il comò ammassati sul letto.
I suoi riflessi le suggerivano dove mettere il piede e quando saltare, ma appena riuscì ad aggrapparsi allo stipite della porta sentì la nave che veniva scossa.
La visuale si capovolse ancora e lei finì stesa a terra.
Come era possibile che la nave cambiasse posizione da sola?
Forse se un mostro gigantesco l’aveva afferrata….
No, non poteva permettersi di pensarla così.
Corse fuori dalla sua cabina e cercò una cartina della nave.
I suoi dovevano essere in infermeria, soprattutto in un momento del genere.
Svoltò un paio di corridoi e riconobbe quello che portava al poligono.
A cosa le sarebbe servito un arco e una faretra contro un maremoto?
Il suo istinto l’aveva consigliata bene fino a quel momento, e se non fosse stato un maremoto…
Il poligono era completamente sottosopra.
Pistole e scatole di munizioni ostruivano l’ingresso e Cassandra fu costretta a spingerle via dall’entrata per avanzare.
Corse alla zona riservata al tiro con l’arco ma non trovò nulla.
Saltò il muretto entrando nella zona delle arti marziali e trovò l’arco e diverse frecce sparse per terra.
Si guadò attorno nel tentativo di individuare un faretra ma in quel caos era inutile provarci.
Esaminò sotto il tavolo dell’angolo bar, che si era spostato al centro della stanza, e trovò altre sei o sette frecce e uno zaino dove mise i dardi.
Infilò lo zaino in maniera tale da riuscire a trovare le frecce e strinse l’arco nella mano destra.
Era troppo grande per lei, ma era sicura che il suo talento innato l’avrebbe aiutata.
Individuò l’uscita che portava sul ponte esterno, sul lato di dritta.
Da lì sarebbe stato più facile trovare l’infermeria.
Passò accanto alla zona riservata al tennis.
C’erano palloni, attrezzature e oggetti vari sparsi per tutta l’area, tanto che dovette saltare delle reti da pallavolo arrotolate che ingombravano il corridoio trai due campi da tennis.
Passando accanto al campo da squash sentì qualcosa battere sul vetro.
Incoccò una freccia e si voltò di scatto.
Una donna, probabilmente un’istruttrice, era rimasta bloccata sotto degli scatoloni pieni di pattini, probabilmente entrati dalla porta.
Cassandra doveva trovare i suoi genitori, ma non poteva neanche lasciare quella donna a terra.
Corse alla porta in vetro del campo da squash, che era stata bloccata da un tavolo da ping pong rotolato di traverso.
Cercò di spostarlo, ma era troppo pesante.
La nave continuava a ondeggiare, come se qualcosa la stesse colpendo sul lato di sinistra.
Stava perdendo tempo, ma non voleva abbandonarla.
Tornò sui suoi passi e decise di rompere il vetro.
Colpì il vetro con la punta dell’arco due o tre volte prima che si crepasse e a quel punto lo finì con un calcio.
Il vetro andò in frantumi e Cassandra saltò nel campo e liberò la donna dalle scatole.
-Come ti senti?-chiese Cassandra.
-La gamba, penso di essermela rotta…-
Cassandra imprecò in una lingua che non conosceva.
O meglio, di certo non era inglese, ma aveva capito quello che aveva detto…
La dislessia le aveva giocato sempre brutti scersi e forse lo stress la stava peggiorando, si disse.
Cassandra non era troppo alta, ma aveva sviluppato molta forza nella braccia tirando con l’arco, cosa che le permise di sollevare la donna.
Avrebbe portato la donna alle scialuppe di salvataggio e poi sarebbe tornata a cercare i genitori.
Il lato di dritta era tutto bagnato per essere stato immerso in mare quando la nave era stata capovolta.
La Principessa Andromeda II venne scossa da un altro scossone e, a causa del pavimento bagnato, Cassandra e la donna per poco non finirono in mare.
La ragazza riuscì ad aggrapparsi al parapetto e a mantenere dentro l’istruttrice.
Corse scivolando e cercando di non farsi portare via dagli scossoni per diversi metri, quando vide un gruppo di persone che cercavano di far scendere una scialuppa.
Evidentemente le cinghie e le corde erano state danneggiate dall’impatto con l’acqua.
Fece cenno ad un uomo di prendere la donna e poi decise di correre sul lato di sinistra per trovare i genitori.
Non riuscì a fare più di cento metri che, due passi davanti a Cassandra, cadde la cosa più orribile che la ragazza avesse mai visto.
Un gigantesco tentacolo bianco pallido e molliccio colpì il terreno di fronte a lei, frantumando la copertura in legno del ponte.
Aveva un diametro di un metro e proveniva dall’altra parte della nave.
Il cuore di Cassandra si fermò.
Non era possibile, doveva essere un sogno.
Chiuse gli occhi e scosse la testa due o tre volte per convincersi che quella cosa non fosse reale.
Poi il tentacolo si staccò dal ponte, facendo ondeggiare la nave.
Cassandra andò a sbattere contro la parete del corpo principale della nave.
Strinse l’arco nella mano per darsi coraggio e riprese a correre.
Appena svoltò vicino alla piscina si sentì svenire per la sorpresa e la paura.
Aveva superato il corpo della nave ed era finita sul ponte principale, dove poteva vedere cosa succeda sul lato di sinistra.
Il gigantesco Kraken dei sui sogni si stagliava sulla Principessa Andromeda II e la colpiva con i suoi tentacoli.
Alcuni tentacoli più piccoli colpivano delle persone, ma evidentemente nessuno si accorgeva della presenza del mostro.
Si stropicciò gli occhi, credendo di avere le allucinazioni.
Come era possibile che nessuno si accorgesse di quel mostro gigantesco?
Incoccò una freccia e la spedì nell’ orrenda bocca del Kraken diversi metri sopra di lei.
Non la vide andare a segno, anche se sapeva che doveva essere entrata nelle sue fauci, ma il mostro non parve nemmeno accorgersi del suo dardo, neanche un piccolo fastidio.
Il Kraken alzò uno dei suoi due tentacoli principali, grande quanto una ciminiera.
Quando il tentacolo impattò lo scafo, distruggendo la plancia, la nave affondò di alcuni metri nell’oceano, per poi rialzarsi, facendo finire tutti a terra.
Fu in quel momento che Cassandra vide la cosa più strana della sua vita.
 Angolo autrice
Per prima cosa grazie di cuore a chi ha letto e a chi ha commentato o lo farà nel futuro!
Oltre ai ringraziamenti ci tenevo a dirvi che questa storia è stata scritta un paio di anni fa (o almeno la sua trama) e che a quei tempi non avevo neppure letto Il Sangue dell’ Olimpo o solo parte della Casa di Ade. Mentre correggo la storia cerco di riportarla il più vicino possibile alla trama ideata da Rick per la fine del libro ma alcune cose non possono essere modificate: per esempio la morte dei personaggi o l’assenza di Will Solace ( :’( ). Ad ogni modo non temete spoiler sull’ ultimo libro perché, a quanto avete capito, non ci saranno. Spero che continuiate a leggere con lo stesso interesse di prima e grazie ancora per il supporto che mi avete mostrato e che spero continuerete a mostrarmi!

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Capitolo 4
*** Capitolo IV Alexander ***


Quando Alexander riaprì gli occhi la nave era tornata al suo solito assetto.
Sentiva lo scafo scosso da continui urti.
Cercando di non cadere si rimise in piedi.
Sentì qualcuno che lo sorreggeva.
-Nico!- disse sorpreso.
Nonostante fosse stato l’uomo a salvargli, probabilmente, la vita durante quella scossa, Alexander sperava che Nico fosse scomparso, che fosse solo un sogno, anche se molto sinistro.
Non gli piaceva molto quell’uomo, era evidente che gli stesse nascondendo dei segreti, oltre al fatto che il sua aspetto non infondeva fiducia.
Il mezzosangue non sembrava aver trovato molto tempo per riposare visto come era pallido, ma almeno quel naufragio lo aveva aiutato, di certo ora tutti i passeggeri portavano i capelli spettinati come Nico.
-Quanto ho dormito?-chiese Alexander.
-Una decina di minuti- rispose l’ uomo.
Sembrava sollevato che Alexander fosse ancora vivo, o almeno non fingeva del tutto.
-Tu resta qui, siamo sotto attacco- aggiunse.
-Sotto attacco? Saremo finiti su uno scoglio- rise Alexander.
Appena lo disse sentì un colpo sullo scafo e venne sbalzato contro il muro.
Nico riuscì a reggersi ad un tavolino fissato a terra –Uno scoglio dici? Credi che uno scoglio possa fare questo? È un Kraken, un mostro marino-
Alexander non aveva la forza di obbiettare.
Sembrava logico, almeno ad uno come Alexander.
-Non è che sei figlio di Poseidone, vero? Sarebbe d’aiuto-rise Alexander.
Nico scosse la testa –Mi spiace, ma credo che capirai presto chi è mio padre, e ora scusami, vado a uccidere un mostro-
Nico lasciò il tavolino e estrasse la sua spada scura, scivolando dietro il bancone.
Quando Alexander andò a controllare come stava, l’uomo era scomparso –Ma come…-
Incredulo decise di uscire dal ristorante.
Lo spettacolo che Alexander si trovò d’avanti era raccapricciante.
Sul lato di sinistra si stava arrampicando un gigantesco polpo bianco, grosso cinque volte la Principessa Andromeda II, bianco e lattiginoso.
Cercò Nico con lo sguardo, ma non era sul ponte.
Gli altri passeggeri non sembravano accorgersi del mostro ma cercavano lo stesso di fuggire dalla nave.
Sentì una ragazza urlare.
Le stranezze di quel giorno erano veramente tante e quindi non si sorprese nel vedere una ragazza della sua età armata di arco contro un Kraken, quello che lo sorprese era la cosa che la ragazza stava indicando.
Nico appariva e scompariva nelle ombre create dal Kraken.
Alexander si chiese come avrebbe fatto Nico a reggere per tanto tempo, visto che era già allo stremo delle forze, ma si disse che era di certo la persona giusta per batterlo.
La persona giusta tra quelli che vedevano il mostro, almeno.
Alexander corse verso la ragazza armata di arco.
-Il tuo arco funziona contro il mostro?- chiese.
Lei lo squadrò –Ti ho già visto…hai chiesto informazioni a mia madre-
Lui annuì, aveva chiesto informazioni a tanta gente per sfuggire a Nico quella mattina.
-Lo vedi anche tu?- chiese la ragazza meravigliata, come accorgendosi solo in quel momento che anche Alexander poteva vedere il Kraken.
-Si. Sai perché ci attacca?-
La ragazza scosse la testa e scagliò una freccia contro un tentacolo vicino, che andò a conficcarsi nel pavimento sottostante –Cavolo, le frecce non funzionano, per rispondere alla tua domanda. E no, non so perché ci attacca. Conosci quel pazzo?- chiese facendo un cenno della testa verso Nico.
-Diciamo…sei una semidea?- chiese stupidamente Alexander.
-Una semidea!- esclamò lei ridendo – I miei sono umani normali, credimi. Ma cosa vuole fare il tuo amico?-
Alexander scrutò meglio il Kraken.
C’era una persona sulla testa del mostro e probabilmente Nico puntava a lui.
-Guarda lassù!- esclamò –Sei capace di uccidere quell’uomo?-
-Quale… oh mio Dio! Che ci fa quell’ uomo lassù…credo di si-la ragazza incoccò una freccia e la scagliò.
Alexander perse di vista il dardo, ma vide l’uomo indietreggiare, come se fosse stato colpito.
-Sei grande! Come ti chiami?- chiese Alexander.
-Cassandra Williams, tu?-
-Alexander Johnson-
Alex guardò l’uomo cadere in ginocchio e…rialzarsi.
Era sopravvissuto ad una freccia in pieno petto, come se non fosse stato scalfito dalla punta d’acciaio della freccia.
-Ma io l’avevo colpito!- protestò Cassandra –Io devo andare a cercare i miei genitori, sono dottori. Spero di rivederti, Alexander-
-Lo spero anche io- sorrise il ragazzo e Cassandra scomparve.
Il Kraken si era fermato quando l’uomo era stato colpito, come se fosse lui a comandare il Kraken.
Nico era quasi arrivato in cima, un po’ correndo e un po’ tele trasportandosi  sui tentacoli.
O l’uomo non si era accorto di lui, o pensava che Nico non fosse una minaccia.
Arrivato a pochi metri dalla testa un tentacolo per poco colpì Nico, che si appiattì a terra e scomparve.
Per un attimo Alexander temette che fosse caduto in mare, ma poi si accorse che il Kraken stava impazzendo, si muoveva come se stesse andando a fuoco, il che lo rendeva forse più pericoloso.
Alzando gli occhi sull’ uomo alla guida del Kraken Alexander comprese il perché.
Nico stava duellando con l’uomo sulla testa del mostro.
Il guerriero moro era certamente più svantaggiato.
Combatteva come se non avesse più energie, trascinando i piedi, e anche quando lo colpiva l’altro non pareva ferirsi o sentire dolore.
Alla fine Nico afferrò l’uomo e si gettò di sotto.
Alexander urlò, ma vide i due comparire sul ponte, qualche decina di metri da lui.
Ora vedeva meglio il ragazzo alla guida del mostro.
Aveva la stessa età di Nico, forse qualche anno di più.
Aveva i capelli scuri e gli occhi verde mare.
-Nico, perché lo stai facendo? Sai che la profezia si riferisce a lui, sai che ti lasceremo in pace e non uccideremo neanche Hazel. Perché continui?-
Nico era steso a terra, ansimante.
Evidentemente portare due persone era la cosa più faticosa che avesse mai fatto perché non riuscì neanche a rimettersi in piedi.
-Perché non è giusto, Percy. Tu stesso sei stato risparmiato. Dovresti mostrare pietà-
Alexander rimase sorpreso che la voce di Nico fosse tanto chiara.
-Vuoi morire? E allora muori insieme a questi mortali. Se invece volessi salvare la vita di tutta questa brava gente dimmi dove trovare il ragazzo. Fai la scelta giusta, Nico- disse Percy con finta partecipazione.
Nico scosse la testa.
-E allora morte sia- sorrise raggiante Percy.
Alzò una mano e il Kraken lo sollevò.
Cosa stava cercando Percy?
Per cosa era disposto a sacrificare tutte quelle vite?
Appena l’uomo fu fuori portata d’orecchio Nico lo chiamò.
-Alexander. Trova una ragazza di nome Cassandra Williams, è una mezzosangue. Vi verranno a prendere, voi gettatevi in acqua-
-Tu che farai, Nico?-
L’uomo guardò il Kraken –Lo terrò occupato. Se qualcuno te lo chiede, al Campo, tu sei figlio di Demetra o una divinità minore, d’ accordo? Sei stato riconosciuto da piccolo, o…fatti aiutare da Talia Grace. Fidati solo di lei-
-Non capisco, Nico che vuoi fare?-
-Trova Cassandra e poi parla con Talia, capito? Dopo che Talia ti ha spiegato come devi comportarti sparisci, vai al Campo Giove da Hazel Lavesque, inventatevi qualcosa- per un attimo osservò il ragazzo con quella che pareva tristezza –Avrei voluto conoscerti meglio. Addio, Alexander-
Prima che il ragazzo potesse protestare o chiedere qualunque cosa Nico, incredibilmente, si alzò e si gettò dietro un muro, scomparendo nell’ ombra.
Evidentemente il piano di Nico era quello di dargli del tempo, perché non cercò di riportare Percy sul ponte della nave ma lottò contro di lui sulla testa del Kraken.
Doveva salvare Cassandra e fare quello che gli aveva detto Nico.
Il fatto che si stesse sacrificando per lui lo aveva in qualche modo convinto a fidarsi.
Doveva trovare sua madre o fare in modo che chiunque lo venisse a soccorrere la trovasse.
E doveva fare in modo che salvassero Nico di Angelo.

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Capitolo 5
*** Capitolo V Cassandra ***


Cassandra schizzò per i ponti della nave.
L’ infermeria non era molto lontana, ma la confusione rendeva difficile muoversi.
Riuscì a raggiungere il posto che cercava e vide suo padre.
-Papà, dobbiamo andarcene, vieni-gridò.
Lui la guardò e chiamò la moglie.
Cassandra pensava che sarebbe stato più difficile convincerli a seguirla.
-Tesoro! - l’abbracciò la madre.
-Non perdiamo tempo, venite- Cassandra fece per andarsene ma sentì che i due non la seguivano.
-Ma che fate!-gridò fuori di sé – Non potete rimanere qui, un mostro gigante ci sta attaccando!-
Si pentì subito di averlo detto: con l’arco a tracolla e delle frecce nello zaino aveva un aspetto folle, e l’ ultima affermazione non migliorava di certo la sensazione che la sua salute mentale non fosse compromessa.
Incredibilmente i suoi genitori non la guardarono come una pazza –Ti credo- disse la madre –ma non lo dire a voce alta, gli altri mortali non sanno niente di questa cose…-
-Mortali? Ma cosa dici?-
Anche se era lei quella che sembrava la Cassandra pazza dei miti greci ora la madre pareva molto più svalvolata di lei.
Aveva un tono calmo, come se parlasse delle articolazioni delle mani.
-Papà, di qualcosa! Aiutami a portarla via!-
-Tesoro, credimi, vorrei poterti aiutare, ma il nostro posto è qui, e poi io e tua madre non ti potemmo mai aiutare…-
-Smettetela!- gridò Cassandra spaventata.
Voleva solo che loro due la seguissero e che lasciassero quella stupida, folle nave.
Aveva le lacrime agli occhi per la paura, la rabbia e la frustrazione.
Il padre si avvicinò e le appoggiò una mano sulla spalla –Tuo padre ci aveva avvisati….-
-Cosa stai dicendo? Sei tu mio padre!-
Cassandra non capiva perché si stessero comportando così.
-No, tuo padre è un dio dell’antica Grecia, non c’ è un modo dolce per dirlo e noi non abbiamo tempo-
La notizia non turbò Cassandra: non era vera, in fondo.
Gli dei non esistevano, lei non poteva essere una semidea…come aveva detto quel ragazzo sul ponte.
-Tuo padre- continuò l’uomo –ci aveva detto che saremo morti in mare facendo il nostro dovere e che la nostra morte sarebbe stata causata da una scelta di un figlio di Ade, ma tu non devi morire con noi-
-Ma che dici, c’è tempo per arrivare alla scialuppe!- ora Cassandra piangeva.
-Il fato non si può cambiare- intervenne sua madre.
-Addio, sei stata come una figlia per me- l’abbraccio il padre.
Anche la madre la strinse –Ora scappa, raggiungi il Campo Mezzosangue-
Lei si voltò, spaventata e confusa.
Uscì barcollando dall’infermeria.
Sentì qualcosa venirle addosso e scaraventarla a terra.
All’ iniziò pensò che fosse un tentacolo del mostro, ma poi si accorse che era una persona.
-Cassandra, giusto?-
Le ci vollero alcuni secondi per metterlo a fuoco.
Era l’amico del pazzo che si era arrampicato sul Kraken.
Lei annuì –Il tuo amico ha fermato il mostro?-
Le scosse si erano affievolite.
L’ espressione del ragazzo divenne funebre –No, ma lo sta rallentando. Dobbiamo buttarci in acqua, questa nave verrà distrutta-
-Come…distrutta…io…-farfugliò Cassandra.
-Hai bisogno di tempo per cercare i tuoi genitori?-chiese Alexander.
-No…-
Poi un’immagine invase gli occhi di Cassandra: era la madre di Alexander su uno dei tavolini dell’ infermeria.
Aveva smesso di respirare quando lei era entrata.
-…e neanche tu-completò.
-Che vuoi di…oh-l’ espressione di Alexander si fece indecifrabile.
-Dobbiamo andare- lo spronò Cassandra.
Lui annuì.
Dovevano raggiungere la parte inferiore della nave e buttarsi dal lato di dritta per non schiantarsi contro l’ acqua o non farsi catturare dal Kraken.
Appena giunti al ponte principale, accanto alla piscina, intravidero lo scontro tra Nico, almeno questo era il nome che Alexander le aveva riferito, e il ragazzo sul Kraken che, a quanto pare, si chiamava Percy.
Nico era stato ferito ad una gamba e non aveva una bella cera.
All’ improvviso alzò la spada e qualcosa afferrò Percy per le spalle.
Nico colpì il petto del ragazzo ripetutamente, ma sembrava che colpisse acciaio, la lama rimbalzava sul suo corpo col solo risultato di stracciare la maglietta arancione che portava.
Nico cadde a terra e Percy venne liberato dalla stretta invisibile.
-Fantasmi…-mormorò Alexander.
-Cosa stai dicendo?-chiese Cassandra, ma il ragazzo era sbiancato più di Nico.
Cassandra era sicura che Nico fosse un combattente straordinario e non capiva da dove prendesse tanta energia.
Nessuno avrebbe potuto battere un ragazzo che comanda un Kraken, e neanche Nico in quelle condizioni, ma gli teneva testa.
Sgattaiolava nelle ombre per tele trasportarsi o evocava quelli che Cassandra aveva capito essere fantasmi per tenere Percy immobile.
Scesero gettandosi oltre i parapetti e, fortunatamente, nessuno dei due si fece male.
Prima che Nico e Percy scomparissero oltre il lato di dritta i due semidei si fermarono a osservare lo svolgersi del combattimento.
Nico era steso a terra e Percy gli puntava la spada alla gola.
Nico si lanciò in avanti e afferrò l’avversario per il bacino, gettandosi nel vuoto.
A Cassandra scappò un grido, mentre Alexander si sporse oltre il parapetto incredulo.
Percy incontrò l’acqua di schiena, impatto che avrebbe ucciso chiunque, mentre Nico si aprì la strada con il corpo di Percy, anche se neanche lui ne sarebbe uscito indenne.
Il Kraken si fermò.
Per un attimo Cassandra sperò che Nico avesse ucciso Percy, ma qualcosa le diceva che uno che sa comandare i mostri marini non muore per l’ impatto con l’acqua, cosa che non si poteva dire per Nico.
Alexander era rimasto a bocca aperta a guardare il punto in cui i due erano caduti in acqua.
Cassandra odiava l’idea di farlo spostare, Nico poteva essere suo amico, ma era stato proprio lui a dire che dovevano tuffarsi in acqua.
Cassandra non ne capiva il motivo, visto che probabilmente quel Percy aveva potere sull’acqua.
Scosse Alexander senza dire una parola.
Aveva perso sua madre e Nico in meno di un’ora, capiva come si doveva sentire.
Cassandra cercò di rinchiudere il ricordo dei suoi genitori in un angolo della testa, doveva andare avanti e aiutare Alexander.
L’acqua era parecchio in basso rispetto a loro, e Cassandra era sicura che si sarebbe rotta diverse ossa.
-Gambe tese e braccia piegate così, pronto?- chiese Cassandra.
Alexander annuì titubante.
Da quando Nico e Percy si erano buttati in mare il Kraken aveva smesso di colpire la nave.
-Tu lo sei?- gridò Alexander.
-Assolutamente no!- urlò Cassandra.
All’ improvviso sentì una scossa lungo la nave.
Alexander si buttò in acqua come aveva ordinato Cassandra.
La ragazza si gettò, voltandosi.
Fece appena in tempo a entrare in acqua quando un’onda subacquea la sbalzò di diversi metri in avanti.
Si voltò e vide le fiamme ardere sopra la nave, che si era spezzata e ora cadeva in due tronconi nell’oceano.
Il blu dell’oceano si fece più intenso fino a diventare nero.
Solo nero.
 
Angolo Autrice
Cosa sarà successo a Nico? Come prenderà Cassandra la morte dei suoi genitori? E Alexander la morte della madre? Qualcuno sarà riuscito a salvare le persone che erano sulla nave? Se sì, chi e come?
In ogni caso ho ricreato questo spazio per ringraziare tutti coloro che stanno leggendo la mia storia, sia tutti quelli che posso vedere dalle visualizzazioni sia chi non è iscritto a EFP, coloro che hanno iniziato e seguire la mia storia e tutti coloro che vorranno farlo in futuro J.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI Alexander ***


Alexander aprì gli occhi in una casa.
Si trovava in un letto comodo e confortevole.
La testa gli faceva male in maniera costante, come se fosse stato colpito alla testa da un pezzo di ferro sparato a gran velocità…lui era stato colpito da un pezzo di metallo sparato a gran velocità.
La Principessa Andromeda II era scoppiata e lui, in acqua, era stato colpito da un pezzo dello scafo, o almeno così credeva.
Sentì un’ondata di nausea.
Sua madre era morta, quello strano uomo era morto per salvargli la vita, insieme a centinaia di altre persone.
La testa gli girò in maniera ancora più forte per la rabbia.
Doveva trovare quel Percy e ucciderlo con le proprie mani.
E doveva trovare anche quella Cassandra Williams.
Cercò di mettersi a sedere.
Accanto a lui c’era un altro letto, ma erano separati da una tendina.
Lui scostò piano la plastica e vide la ragazza stesa e addormentata, sperando che fosse solo addormentata.
Richiuse la tendina e decise di lasciarla dormire.
Si guardò attorno. La sala sembrava deserta se non fosse stato per i due ragazzi e… Alexander saltò sul letto.
Seduto in un angolo c’era un surfista californiano, solo che non aveva due occhi, ma un centinaio sparsi per tutto il corpo.
Aprì e chiuse gli occhi per controllare che non avesse le allucinazioni, ma quelle non sparirono.
Finalmente qualcuno si decise ad entrare nella stanza.
Una ragazza dai capelli neri e gli occhi blu elettrico avanzava velocemente verso di lui.
Aveva un cerchietto argentato in testa e un arco a tracolla.
Dietro di lei avanzava una ragazza della stessa età di Nico di Angelo.
Aveva i capelli ricci e scuri che le ricadevano fuori dall’ elmo da cavaliere.
-Grazie ad Artemide!- esclamò la prima – Ti sei svegliato!-
L’ altra sembrava meno entusiasta del suo risveglio.
Si mordicchiava la guancia e fissava tutto come se non fosse realmente interessata a niente di quello che era in quella stanza.
-Si…Artemide…-mormorò confuso Alexander –Dove mi trovo?-
-Ti trovi al Campo Mezzosangue- annunciò la ragazza più piccola.
A quel nome il ragazzo si irrigidì. Era il posto dove lo voleva mandare Nico e anche quello dove sua madre non voleva assolutamente che andasse.
Considerato che erano morti entrambi nessuna delle due scelte era chiaramente sicura.
-Devo…sto cercando Talia Grace- disse Alexander.
La ragazza con il cerchietto in testa si fece seria –Sono io- si passò una mano sulla faccia, stancamente.
-Tu sei Alexander Johnson?- chiese speranzosa l’altra donna.
Lui annuì.
Lei si avvicinò di colpo ad Alexander, come se ogni dettaglio del suo viso fosse la cosa più importante al mondo –Dov’è Nico? Nico di Angelo-
Il cuore di Alexander si fermò –Lo conoscevate?-
-Era mio fratello- rispose soffocando un singhiozzo, evidentemente aveva capito il significato del tempo passato.
-Ci ha fatto guadagnare il tempo di scappare dal Kraken e da una tale…-
-shh- lo ammonì Talia-Lo sappiamo chi ti ha attaccato e non sarebbe saggio ripetere ora il suo nome- Talia scostò l’altra da Alexander e la guardò in faccia –Riguardo a Nico, è scampato a cose peggiori, è un ragazzo che sa cavarsela…- ma dal tono con cui lo diceva si capiva che non ci credeva neanche lei.
La ragazza vestita da cavaliere fece un profondo respiro per scacciare le lacrime e si rivolse ad Alexander –Io sono Hazel Lavesque, credo che…Nico…ti abbia fatto il mio nome, sono sua sorella-
A quella parola la gola di Alexander si strinse e le lacrime gli salirono in faccia.
Riusciva solo in quel momento a realizzare la portata di quello che era successo. Sua madre, la sua unica famiglia era morta, e con lei migliaia di altre persone lasciando altre migliaia di persone come lui e Hazel: soli.
-Se mi volete scusare, devo andare a gestire i Romani, credo che potrebbero agitarsi un po’…- Hazel prese un respiro e si allontanò.
-Vieni, facciamo due passi anche noi…-
Talia lo portò a fare un giro per il campo facendo vedere le case, i luoghi d’ addestramento, la mensa, il lago… fino a quando non lo condusse in un luogo abbastanza lontano dal resto del Campo.
Un enorme pino si ergeva su quelli che Talia diceva essere i confini, con quello che pareva essere il Vello d’ Oro su uno dei rami più bassi e un drago che gli faceva la guardia.
-Questo è il mio albero- disse la ragazza in tono divertito, anche se dai suoi occhi si capiva che non era un ricordo divertente.
-Il tuo albero? Lo hai piantato tu?-
-Questa ero io. Ventisei anni fa…-
-Ventisei anni fà? Tu hai più di ventisei anni!- esclamò Alexander.
-Molti di più. Sono una Cacciatrice di Artemide, il capo in realtà, e questo vuol dire che sono immortale, sempre che non muoia in battaglia… comunque ventisei anni fà venni qui con due miei amici e per permettere loro di entrare al Campo sono morta. Mio padre mi ha trasformata in un albero, ma poi Percy mi ha riportata in vita con il Vello d’ Oro, parecchi anni fa…-
-Bella storia, ma cosa c’ entra con me?- per quanto volesse sembrare distaccato Alexander era rimasto colpito da quella storia e da quella ragazza, perché aveva la faccia di una che, da quando era morta per salvare i suoi amici, non aveva più smesso di lottare per il bene.
-Uno dei due ragazzi che era venuto con me è morto, ma prima di morire ha riportato in vita il Titano Crono, scatenando la più grande guerra degli ultimi duemila anni. Alla fine ha fatto la scelta giusta, ma ci ha tradito. Non lo potrei mai dimenticare…-
Alexander rabbrividì. Cosa mai poteva aver spinto un ragazzo a riportare sulla terra quello che lui credeva essere il male stesso, da come lo aveva studiato a scuola? Ma riusciva a comprendere quel suo amico.
Da quando era entrato in quel mondo aveva visto solo morte e ingiustizie, non sarebbe stato difficile per uno come Crono trovare qualcosa su cui fare leva.
-E l’altro amico?- domandò lui.
-Si tratta una ragazza, Annabeth Chase. È ancora al Campo, ed era lei il succo della nostra storia.
Ha sempre condannato Luke per quello che ha fatto, ma ora sta facendo esattamente lo stesso…-
-Sta facendo tornare Crono!-
-No, no… ma sta collaborando con Percy…-
Talia lo guardò con il suo sguardo più serio e addolorato –Molte…molte delle persone che erano su quella nave sono morte, il Kraken ha distrutto molte scialuppe dopo aver affondato la Principessa Andromeda II…-
Alexander fu investito da un getto di rabbia.
Voleva uccidere quel Percy Jackson, sentiva che era giusto farlo.
-E come ci avete salvati? Quel Percy sembrava aver un certo controllo sull’ acqua- chiese, cercando di mantenere il controllo.
-Certo, è il figlio di Poseidone. Il fatto è che non è il solo- disse sorridendo –e il nostro è più potente. Vi ha portati in dietro lui-
-Visto che hai sollevato l’ argomento, sai chi è mio padre? Nico ha detto che avrei dovuto nascondere la sua identità, ma visto che non ne ho idea non c’ è molto da nascondere…-
-Si, invece. Ogni Mezzosangue ha poteri diversi, caratteristici del proprio genitore divino, devi fare attenzione a non usarli-
-Perché? Chi è mio padre?- chiese Alexander quasi esasperato.
Talia si voltò verso il Campo, dove un gruppo di ragazzi vestiti da legionari romani guidati da Hazel si stipavano in una casa rossa.
-Non sarebbe saggio, se Nico ha ritenuto opportuno non dirtelo…-
-Nico lo sapeva! Lo immaginavo…-
-Tuo padre è il motivo per cui quella nave è stata affondata. Tu sei il motivo per cui quella nave è stata affondata. Ci sarebbe una profezia per cui qualcuno, Percy crede che sia tu, potrebbe far tornare qualcosa di peggio perfino di Crono, ecco perché ti voleva morto-
Alexander si appoggiò all’ albero –Non lo posso biasimare…- disse con un filo di voce.
-Sciocchezze. Ascolta, non è detto che sia tu, e se anche fosse? Non si può uccidere la gente per cose che potrebbero fare, è sbagliato. Percy lo dovrebbe sapere meglio di chiunque altro, anche lui ha provato una cosa simile-
-Di chi mi posso fidare, allora?-
-Di me, di Hazel, di Nico…- da come lo disse si capiva che lo diceva solo per dovere, ormai doveva fare a meno dell’aiuto di uno dei pochi alleati che avevano – e di altri che conoscerai nella tua casa…-
-Hai detto che si viene assegnati alle case a seconda del genitore divino che si ha. Se io non “ho” un genitore divino dove vado?-
-Bella domanda. Fino a qualche anno fa gli indeterminati andavano nella casa 11, ma oggi che tutti devono essere riconosciuti entro tredici anni… non lo so. Comunque tu sei ufficialmente riconosciuto, no? Chi vorresti che fosse tuo padre?-
-Chi hai detto che è il padre di Percy?-
-Poseidone-
-Non lui-
-Non lui- convenne Talia.
-Chi è il tuo?- chiese Alexander.
-Il mio è Zeus, ma ho un solo fratello. Ti consiglio una casa dove non daresti nell’ occhio e dove ci siano molte persone-
-Chi era il padre di Nico e Hazel?-
Talia fu scossa da un brivido –Ade. Ma non lo fare, per un sacco di ragioni… per prima cosa loro hanno dei poteri specifici, non ti scambierebbero mai per uno di loro. E secondo…-ma la ragazza si fermò, come se avesse detto troppo.
-Ok. Tu cosa mi consigli?-
Talia passò in rassegna le case –Casa 11. Non hanno dei veri poteri e sono parecchi, e poi ai vecchi tempi quelli come te finivano là-
-Ma se il problema è mio padre non potrei andare nella casa di una dea? Mi nasconderei meglio così-
Talia alzò gli occhi al cielo mormorando nomi, come ripercorrendo tutte le dee che conosceva –Casa 11. Nico ti ha detto di fidarti di me, no?-
-Ma se…chi è il dio della casa 11?-
-Ermes-
-Ok, ma se Ermes venisse a scoprire che mi sono infiltrato nella sua casa?-
- è per questo che ti mando lì. Diciamo che le possibilità che ti incenerisca sono solo l’ ottanta per cento-
-Incoraggiante-
-Se ti avessi mandato nella 6 sarebbero state il centodieci- sorrise Talia –Non succederà niente, tranquillo-
-E ora che faccio? Mi presento là dentro e dico “diciamo che sono vostro fratello, ma voi non domandate perché non vengo riconosciuto”…- un brivido corse sulla schiena di Alexander –E se mio padre mi riconoscesse nel frattempo?-
-Non credo che lo farebbe. La profezia ti indica perché sei suo figlio, fino a quando lui non ti riconosce neanche Percy ti può fare niente, almeno in maniera ufficiale… ma Percy non sapeva che eri tu. Non devi preoccuparti-
-Ma io faccio il compleanno tra una settimana…-
Prima che potesse finire la frase una bambina sui nove anni corse su per la collina, arrivò con il fiatone –Talia…tu e…il nuovo…rapporto…casa grande…-
-Cosa sta dicendo?- disse Alexander.
-Che ci sono guai in arrivo. Lei è Johanna Abbot. Ti presento la tua salvatrice, figlia di Poseidone-
Per poco Alxander non scivolò dall’ albero al quale era appoggiato.
-Ma lei ha solo nove anni…-
-Dieci-lo corresse Johanna appena ritrovò il fiato –è stato un piacere salvarti, comunque- aggiunse portando la mano d’ avanti a se.
Alexander la strinse –Grazie infinite…sei stata grande…- disse ancora scosso che una bambina fosse stata più forte di Percy, il ragazzo che guidava il Kraken.
-A proposito- disse Alexander seguendo il filo dei propri pensieri – Chi ha mandato Percy a uccidermi? Non credo che chiunque si possa procurare un Kraken…-
Talia si rabbuiò –Devi capire che non tutti gli dei sono a tuo favore. Percy è potente, ma è solo una pedina.
Colui che ti vuole morto è ancora più temibile. Zeus e Poseidone ti vogliono morto e…- si interruppe titubante se aggiungere o meno qualcosa – diciamo che è solo grazie a suo figlio se non hai anche Ade contro-
-Ma non tutti i semidei sono come i loro genitori- si affrettò ad aggiungere Johanna –per esempio me e Talia, e suo fratello Jason…-
-Grazie. Johanna non credo che potrei mai sdebitarmi-
-Invece potresti…- guardò Talia e si morse il labbro – Casa Grande, Talia. Non farli aspettare-
La ragazza annuì e condusse Alexander verso il campo.
-Andiamo dal direttore del campo, si è fatto mettere lì solo per controllare i nuovi arrivati e i loro genitori- disse con una smorfia.
-Chi…-
-Lo vedrai. Fai parlare me. Ricorda quello che ha detto Nico. E stai tranquillo-
Arrivarono alla casa grande.
L’ aquila, il simbolo del padre di Talia, sovrastava l’ edificio minacciosa, come per ricordargli che non era al sicuro.
Talia bussò e fece cenno ad Alexander di precederlo.
-Benvenuto- disse una voce da dentro.
Con una stretta allo stomaco Alexander si rese conto di averla già sentita.
D’ avanti a lui, sorridente, c’era Percy Jackson.
 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII Cassandra ***


La ragazza si era svegliata quando due donne erano entrate come delle furie nella stanza.
Alexander le aveva seguite fuori.
Cassandra era rimasta qualche secondo stesa nel letto a ripensare alle ultime cose che le erano successe.
Il naufragio, la scoperta di essere una semidea, la morte dei suoi genitori, la profezia…
Si era alzata dopo una decina di minuti e aveva scostato la tenda.
Seduto sul letto accanto c’era un uomo sui diciotto anni.
Era biondo, portava dei vestiti alla moda, degli occhiali da sole firmati e giocava con le cuffie del suo iPod.
Dando un rapido sguardo a tutte le firme che vedeva addosso all’uomo si rese conto che lui portava più soldi sui suoi vestiti di quanto suo padre e sua madre ne guadagnavo in un anno intero.
Aveva un sorriso arrogante e spavaldo, ma al tempo stesso sembrava preoccupato.
-Ti sei svegliata!- disse l’ uomo con un largo sorriso.
-Mi spiace, io…- Cassandra fece per tornare al suo letto, ma l’altro la fermò – no…no io non sono ferito. Stavo aspettando te-
-Aspettavi me? Perché?-
-Perché è mio dovere spiegarti come vanno le cose qui, siediti-
Le fece cenno di sedersi sull’altro capo del letto.
Cassandra, anche se riluttante, lo fece.
-Innanzitutto vorrei che mi spiegassi questa storia che sono una semidea-
-è semplice- rise l’uomo –tua madre è mortale e tuo padre è un dio…-
-Si, fin qui ci ero arrivata, ma io avevo due genitori. Mio padre mi ha detto che non lo era veramente, ma stava scherzando…-
L’ uomo si fece scuro in volto –Tu sei stata più fortunata degli altri. Tu, almeno, un padre lo hai avuto, e credo che il tuo vero genitore divino non avrebbe il diritto di rimpiazzarlo-
-Concordo-
L’ altro sorrise debolmente – è una tua scelta, penso che tuo padre capirebbe-
-Sembra che tu ne sappia abbastanza- fece notare Cassandra.
-Sono qui da più tempo di te- si strinse nelle spalle l’ uomo.
-Chi è? Mio padre, intendo- aggiunse la ragazza.
-è lui che ti deve riconoscere. Non avere fretta, comunque-
-Non ne ho, tanto ho capito come vanno le cose. Mio padre potrebbe riconoscermi quando avrò la tua età, o dopo… credo che a lui non importi niente di me. Pensi la stessa cosa anche tu del tuo? O scusa! Non so neanche il tuo nome e ti chiedo una cosa del genere!-
-Non preoccuparti. Io sono figlio di Zeus- lo disse come se fosse ovvio e che non avrebbe dovuto metterla in soggezione. Fece una pausa, come per cercare di ricordare il proprio nome –Il mio nome è Jason Grace, comunque- il suo sorriso si fece incerto, come per controllare nella memoria di non aver fatto un errore – riguardo a mio padre… ci sono stati alti e bassi, no? Penso anche tu con il tuo, in fondo-
-Con il mio vero padre. Quel dio che sostiene di esserlo è solo un illuso. Ma che sciocca, sostiene, lui non sostiene un bel niente, non gli importa se io accetto questa situazione o no. Essere strappata dal proprio mondo, dalla propria famiglia…-
Cassandra si ricordò le parole del padre prima di morire, che il suo vero genitore divino sapeva che sarebbero morti.
-Lui lo sapeva e non ha fatto niente!- esclamò Cassandra alzandosi – Lo sapeva! Non solo non si è fatto vedere in tutti questi anni, ma ha anche fatto morire la mia famiglia!-
Le lacrime uscirono senza che lei potesse fermarle, ma non era tristezza.
Era rabbia. Sentiva l’odio verso quel dio, chiunque fosse, insinuarsi nel suo petto fino a farle fare male il cuore, le costole, lo stomaco…
Tutto si stava sciogliendo come se l’odio fosse stato un acido.
Jason la guardava come se la capisse, o come se fosse colpa sua, in ogni caso la sua tristezza la calmò.
Si rimise a sedere.
-In ogni caso ora hai una nuova famiglia, e non parlo di tua padre. Qui avrai dei fratelli, dei cugini, degli amici-
-Fantastico- lo disse senza espressione perché i sentimenti erano contrastanti.
Non voleva vedere persone che avessero a che fare con suo padre e non voleva rimpiazzare la propria famiglia.
D’ altro canto sapeva che trovare nuovi amici le avrebbe fatto bene, potevano avere storie simili e tirarsi su a vicenda.
-Lascia perdere tuo padre per un attimo…-
-Lui non è mio padre…- sottolineò Cassandra.
-No- approvò Jason – Ci sono altre cose di cui devo parlarti, però-
Cassandra annuì e si rimise a sedere.
Jason riprese il sorriso spavaldo –Per prima cosa devi sapere che qui sei al sicuro.
Normalmente i mostri cercano voi mezzosangue ma qui, al Campo Mezzosangue, nessuno ti farà del male-
-Ma nessuno mi ha mai attaccata, fino a oggi…-
-Ieri- precisò Jason –credo…credo che sia stato tuo padre…cioè il tuo genitore divino…a proteggerti.
Comunque qui sei al sicuro.
I mezzosangue sono divisi in Case, quando scoprirai chi è il tuo genitore divino ti assegneranno una casa. Credo che sarà presto, ora che sei arrivata al Campo.
Qui comanda un certo Percy Jackson-
A quel nome Cassandra si irrigidì.
-Fai finta di non averlo sentito prima di oggi, per il tuo bene- disse deciso Jason, poi decise che era opportuno aggiungere qualcosa –Solitamente chi lo ha già sentito non lo ha fatto in belle circostanze, da qualche anno… è figlio di Poseidone, prende ordini da lui. Non me lo farei nemico-
-Più di quanto già non lo sia- commentò depressa Cassandra.
Jason sorrise –Non fare così. Troverai degli amici-
Sorridendo e cercando di tirarla su di morale Jason le spiegò tutto quello che c’era da sapere a proposito di essere un mezzosangue.
La rassicurò dicendo che non era sola.
-E poi, tutto sommato, credo di averlo già trovato, un amico-
Jason fece una smorfia come se gli avessero appena detto che gli era morto il gatto –Credo di no. Non un amico, ma un alleato si-
-Amici? Alleati? Ma di cosa stai parlando?- chiese la ragazza confusa.
Jason si alzò ed estrasse dalle tasche le chiavi di una macchina.
Poteva essere una Ferrari o una Maserati, una macchina che valeva più della casa di Cassandra, insomma.
-Non credo di rimanere al Campo, in realtà, ma ti sei fatta un alleato potente oggi. Molto più potente di qualsiasi mezzosangue che tu possa incontrare al campo-
-Umile- sbottò Cassandra –pensavo fossi un tipo a posto-
-Alla prossima. Devo andare, prima che qualcuno mi veda qui-
-Ti veda qui? Oh mio Dio un ricercato!- esclamò Cassandra.
Il ragazzo le sorrise e saltò fuori dalla finestra.
Cassandra corse a vedere dove era finito, ma Jason era scomparso.
Si ributtò a sedere sul letto dove era seduto Jason.
Dopo pochi minuti entrò un uomo biondo, occhi azzurri. Una cicatrice bianca spiccava sopra al labbro.
-Cassandra Williams, presumo- disse l’uomo stringendole la mano.
Lei annuì.
L’ altro aveva circa l’età di Nico, qualche anno di più.
-Dove mi trovo?-chiese Cassandra.
-Al campo Mezzosangue- disse l’uomo sbalordito –Non lo sai? Hazel si doveva occupare di tutto, ma dopo quello che è successo a suo fratello…-
-Aspetta- lo bloccò Cassandra –è venuto qualcuno a spiegarmi tutto, si, ma era così strano che ho pensato fosse uno scherzo, è fuggito dalla finestra…-
-Ti ha detto il suo nome? Segni particolari?- chiese l’ uomo ansioso.
-Io, si… si chiamava Jason. Jason Grace, mi pare-
L’ uomo imprecò. Con sua grande sorpresa Cassandra comprese che si trattava di greco antico e che lei lo aveva tradotto.
-Io sono Jason Grace-

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII Alexander ***


 -Facciamo due passi, Alexander- sorrise Percy.
-Talia mi ha fatto fare il giro…- si affrettò a dire Alexander.
-Ci credo, ma mi piace parlare con i giovani Mezzosangue in prima persona- sorrise Percy.
Quel ragazzo sorrideva troppo. Il problema era che non sembravano sorrisi falsi, di circostanza.
Sembrava solo un ragazzo come tanti gentile e disponibile, felice di fare due chiacchere con lui.
Un tono talmente diverso da quello che aveva usato con Nico che ad Alexander si accapponò la pelle.
Lui, Percy e Talia si incamminarono verso il lago.
-Talia, non c’è bisogno che ci segua. Credo che le Cacciatrici abbiano bisogno di te-disse Percy.
Talia si esibì nel sorriso più falso e tirato che Alexander avesse mai visto e si allontanò.
-è un tale marasma al Campo di questi tempi- spiegò Percy. Aveva un tono stanco, di chi lavora notte e giorno –Le Cacciatrici sono venute a farci visita per ordine della Divina Artemide. Sai, i Romani sono venuti al Campo. Non sappiamo dove ospitarli. Abbiamo optato per la casa di Ares, visto che sono così devoti alla guerra, per fortuna sono un piccolo manipolo. Artemide vuole tenere la situazione sotto controllo, e anche loro-
Alexander non si fidava abbastanza per fare domande a Percy, ma il suo tono pareva così naturale, e poi aveva bisogno di risposte…
-Romani? Gli dei non sono gli stessi per greci e Romani?-
Percy spiegò velocemente la differenza –Pochi anni fa c’è stata un piccola emergenza. Subito dopo i Titani è stata la volta dei Giganti e di Gea. Abbiamo avuto bisogno d’aiuto e loro ce lo hanno fornito. Sembrava incredibile che potessimo cooperare, ma ci siamo riusciti. Ovviamente gli dei non si fidano ancora di questa situazione-
-Allora non vorrei tenerti impegnato inutilmente- disse Alexander, sperando di poter fuggire.
-Figurati, un po’ di stacco mi farebbe bene. Ma parliamo di te- disse con un sorriso enorme – Talia mi ha raccontato del tuo arrivo. Ha detto che ti trovavi con tua madre su una barca vicina alla Principessa Andromeda II e che siete affondati per via del mostro. Mia sorella ha avvertito la vostra presenza. Lei è più brava di me in queste cose e poi io ero occupato con il Campo…-
Alexander strinse i pugni e ispirò per controllarsi.
Come sapeva fingere bene! Alexander non sarebbe mai riuscito a parlare i quel modo con una persona che aveva tentato di uccidere.
-Talia mi ha anche detto che, per quanto ne sa lei, non sei stato riconosciuto. Vero?-
Alexander annuì –Già. In realtà è stato un periodo difficile per me, sai, non ne vorrei parlare troppo…-
Sulla faccia di Percy passò un ombra che svanì subito. Anche la sua maschera perfetta, allora, poteva essere crepata dalla rabbia.
-Non c’ è problema e non abbatterti. Tuo padre lo farà presto, presumo… il tuo compleanno è tra una settimana, no?-
-Si. Ma chi potrebbe costringerlo a farlo? È un dio- Alexander sperò di mascherare l’apprensione con l’ amarezza.
Certo, c’era anche un pizzico di curiosità.
Chi era suo padre? Perché nessuno glielo voleva dire?
Ma su tutto prevaleva l’ansia.
-Quando battemmo i Titani, dopo che io ebbi sconfitto Crono, facemmo giurare a tutti gli dei di riconoscere i loro figli entro il tredicesimo anno d’età, sullo Stige. Un giuramento che non si può infrangere se non si vuole avere una punizione terribile-
-Bella notizia- esclamò, forse con troppa poca convinzione.
-Bene, fino a quando questo non succederà potrai stare nella casa 11-
La casa che aveva nominato anche Talia.
Cosa doveva dire? Che era figlio di Ermes? Che era stato riconosciuto?
Non voleva fare casini, e poi era quello che Talia aveva suggerito, finire nella casa 11.
Decise di non dire niente e parlare con la ragazza dopo.
-Adesso vai dai tuoi compagni, con la speranza che lo restino per poco…-
--
Alexander era seduto sul suo letto.
C’erano una trentina di brande. Erano tutte occupate e qualcuno dormiva a terra. Emily aveva detto che erano Romani figli di Mercurio che non volevano stare ammassati nella casa 5, ma che alla fine si erano trovati a dormire per terra lo stesso.
Emily era una ragazza di colore sui quindici anni. Aveva la faccia furba e, a quanto aveva capito Alexander, si divertiva un mondo a fare scherzi alla gente, cosa che, sempre a quanto aveva capito Alexander, era piuttosto comune nella casa 11.
Maledisse Talia per averlo mandato in quel posto.
Emily Spencer sembrava il capo, o Capo Casa anziano, come si era definita. Non era proprio la più gande, ma era al Campo da più tempo dei suoi fratelli.
-Ed ecco qui. Tre maglie del Campo M, come avevi chiesto. E asciugamani per il bagno- disse la ragazza gettando tutto sul suo letto.
-Quanto viene?- chiese lui.
La ragazza lo studiò un attimo per capire se stesse scherzando, inizialmente optò per questa opzione e si mise a ridere, poi, vedendo la sua faccia stranita lo guardò meravigliata.
-è gratis, e anche se non lo fosse stato…lasciamo perdere. Una settimana da noi e capirai come sopravvivere in qualunque circostanza. Comunque, benvenuto nella casa 11- disse, stringendogli la mano.
-Grazie-
Emily si allontanò, lasciandolo solo a mettere a posto quei pochi indumenti che lei gli aveva “rimediato”.
-Alexander- chiamò qualcuno dalla porta.
Talia. Grazie al Cielo.
Lui uscì dalla casa la seguì sul retro.
-Allora, ho detto a Percy che eri stato riconosciuto mentre venivi qui ed eri privo di sensi-
-Non da Ermes, vero?- chiese il ragazzo speranzoso.
-Che problema c’è? Eravamo d’accordo- disse Talia.
Lui annuì vago.
-Comunque lui ha detto che fino a quando non ne avrà le prove sarai indeterminato. Starai comunque qui, ma questo vuol dire che tutti ti terranno d’occhio per sapere chi è tuo padre-
-Anche io lo vorrei sapere- disse Alexander, ora arrabbiato.
-Nico doveva decidere quando dirtelo. Ora che lui è…scomparso… aspettiamo il tuo tredicesimo compleanno e vediamo come va. Nel frattempo evita di mostrare i tuoi poteri-
-Se tu mi dicessi quali sono!- esclamò Alexander.
Talia sospirò –Non sapere chi è tuo padre ti può solo aiutare, fidati-
Alexander scrollò le spalle.
-Ti sei fatto degli amici, intanto? - chiese Talia.
-No…e non penso di riuscire a dormire in quel posto di criminali! Per loro rubare è normale, quanto ci penserebbero a…-
-Sono figli del dio dei ladri, non degli assassini- disse Talia alzando gli occhi al cielo – tu devi fidarti di loro. Loro sono brave persone. Non ti tradirebbero mai. Mai.-
Dal modo in cui lo disse sembrava che non stesse parlando dei suoi compagni di stanza, ma Alexander annuì poco convinto.
-Nient’ altro di cui parlare, credo. Ah, si. Se le cose si dovessero mettere male Hazel ha detto che sarebbe disposta a portarti al Campo Giove, quello dei Romani-
-Lei è Romana? Come fa ed essere sorella di Nico?-
-Figlia di Plutone. Solo, quando stai attorno a lei, non raccogliere…cose. Bene. Se hai bisogno di qualsiasi cosa chiedi a me o a lei, ci sarebbero anche mio fratello e quella piantagrane della sua ragazza, ma… non gli ho visti in giro. Sono Jason Grace e Piper McLean, se ti servisse. Ok, a dopo-
Talia si allontanò velocemente, lasciando Alexander da solo con un flacone di sapone che Emily Spencer aveva rubato per lui.

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Capitolo 9
*** Capitolo IX Cassandra ***


Una donna della stessa età di Jason, quello vero, entrò come un razzo prima che chiunque dei due potesse aggiungere qualunque cosa.
Era indiana per metà, indiana d’ America, ed era la donna più bella che Cassandra avesse mai visto, nonostante facesse di tutto per nasconderlo.
Aveva dei jeans scoloriti e una brutta T-shirt con dei motivi a fiori, i capelli tagliati male e delle treccine intrecciate con delle piume.
-Piper, c’è un intruso qui, dobbiamo…-
-No, calmi- disse la donna.
Anche se Cassandra era tutto meno che calma ebbe la tentazione di mettersi a sedere e fare yoga.
Era la voce di quella donna, in qualche modo, a esercitare un potere fortissimo su di lei.
-C’è stato un visitatore…inatteso. È andato da Rechel. È tutto a posto-
-Un visitatore?-chiese Jason sbigottito.
-Era Apollo. Ha detto che si scusa per la visita improvvisa, ma doveva fare due chiacchere con una ragazza-
Gli occhi dei due si posarono su Cassandra.
Il suo cervello, anche se lentamente, iniziò a collegare i puntini.
Arco, medicina, poesia, Apollo…
-Cavoli- mormorò, facendosi ricadere sulla sedia.
Aveva proprio l’impressione che “Jason Grace” fosse stato Apollo, e che Apollo fosse “suo padre”.
Una parte di lei voleva sprofondare per quello che aveva detto a proposito del proprio genitore divino con quello che credeva essere un normale ragazzo, mentre un’altra fu sollevata di averlo detto.
Non voleva mentire a suo padre, chiunque esso fosse, voleva dirgli quello che provava. Così era stato più facile.
Un’altra parte di lei, quasi assente in realtà, si vergognava di quello che aveva detto ad Apollo. Lui si era mostrato così comprensivo e anche un po’ triste quando parlava della sua rabbia verso di lui, in pratica, di come lo odiava. Ma non era giuso dispiacersi per lui. Lui l’aveva abbandonata. Aveva lasciato morire i suoi genitori. Non meritava né il suo perdono né la sua compassione.
Piper si avvicinò alla sedia e allungò una mano verso di lei.
-Cassandra Williams, figlia di Apollo. Vieni, ti faccio vedere la tua casa-
--
La casa 7 era rivestita di oro, o almeno così sembrava.
Brillava per tutto il giorno, come disse Piper, mentre la notte risplendeva la casa argentata di fronte ad essa, che ora era occupata dalla Cacciatrici di Artemide.
-Giusto, devo avvertirti che cercheranno di reclutarti. Tu pensaci bene, non si torna indietro dalle Cacciatrici-
Lei annuì.
Non voleva comunque fare delle scelte, non in quel momento. Erano successe così tante cose a sconvolgere la sua vita su cui non aveva il controllo che di certo non voleva fare qualcosa anche lei.
Ripensò alla nave che si inclinava, i mobili che cadevano. Solo in quel momento ricordò la pagina che aveva in tasca.
Prese il foglio e diede una sbirciata. Le parole si leggevano un po’ male, ma comunque la poesia si poteva decifrare.
Un pensiero le fece accapponare la pelle. Se Apollo era il dio della profezia, allora…
Accantonò quell’ idea e ripose il foglio in tasca.
Piper le stava spiegando la disposizione delle case e la storia che aveva portato alla creazione di quelle che       
Sembravano le sbarrette di un omega.
Cassandra si chiese se poteva fidarsi di quella donna e dirle della profezia, chiederle spiegazioni.
Apollo le aveva detto che stava succedendo qualcosa di pericoloso e spaventoso, che Percy Jackson ne era coinvolto. Le aveva detto che non si poteva fidare di tutti al Campo per condividere quello che aveva visto sulla Principessa Andromeda II  e Cassandra si disse che forse non era saggio neanche parlare di quella profezia, tanto più che suonava veramente brutta.
Più che cercava di toglierla dalla testa, più che riusciva solo a pensarci di più.
Ripensò alla parte sul figlio della morte, ma quella frase riuscì solo a riportarle alla mente suo padre  e qualcosa che aveva detto prima di morire, che la sua morte sarebbe stata causata da una scelta di un figlio di Ade.
Si voltò verso la casa 13 e interruppe Piper che parlava delle docce –Chi abita lì?-
-Nessuno. Cioè, un certo Nico di Angelo, ma raramente, e poi pare che sia disperso in una missione, al momento-
“Disperso, certo” pensò Cassandra.
-Non ha fratelli o cose del genere?-
-Si, c’è una ragazza di nome Hazel Lavesque, ma non abita qui, lei è Romana-
Apollo le aveva spiegato questa cosa, anche se lei non era riuscita a capirci molto.
-Tu sei romana o greca? Ho visto che il tuo ragazzo aveva il simbolo di Roma sul braccio- chiese Cassandra.
-Come fai a sapere che simbolo è?- chiese l’ altra strabiliata.
-SPQR, Senatus Popolusque Romanus. Sarò anche figlia di Apollo, ma non sono una testa vuota come lui-
Piper sorrise –Allora sarai felice di non essere figlia di Afrodite se non vuoi essere considerata una testa di legno. Comunque sono greca, ho conosciuto Jason quando i campi si sono incontrati. Abbiamo combattuto insieme alcune battaglie, salvando Era dalla prigionia di un Gigante. La nostra “cara” Era sapeva che avrebbe rischiato la pelle e quindi ha scambiato Jason e Percy cancellano loro la memoria, l’unico modo per convincere qualcuno ad aiutarla, credo. Alla fine siamo riusciti a farcela, abbiamo creato armonia tra i nostri due campi. È stato per lo più merito di Era, visto che mettendo Jason nel nostro campo lo ha fatto legare a noi. Io, lui e un nostro amico, Leo Valdez, abbiamo salvato Era e siamo diventati amici, Percy, Hazel e un’ altro ragazzo, Frank Zhang, hanno liberato la Morte in Alaska-
-La Morte?- rabbrividì Cassandra.
-Già- annuì Piper –Thanatos. È stato un azzardo. Un gigante, riportato in vita con l’aiuto di Hazel settanta anni prima, lo aveva rapito-
-Settanta anni prima!- esclamò Cassandra –Fate anche viaggi nel tempo?-
Piper sorrise –No, certo che no. Hazel è uscita dagli inferi dopo che Thanatos è stato rapito. L’ha riportata indietro Nico di Angelo-
-Immagino che non si potesse fare in realtà- commentò Cassandra.
Piper si strinse nelle spalle – Nico fa quello che vuole, più o meno. Sono sicura che tornerà, come ha sempre fatto. Una volta è riuscito a trovare le Porte della Morte e ci ha aiutato a chiuderle, lui è…fantastico. È il Mezzosangue più potente che abbia mai incontrato, ma tu lo sai, no? Sulla nave hai visto di cosa era capace…-
-Nave!- Cassandra era confusa. Come faceva lei a saperlo?
-Non preoccuparti, io sto dalla tua parte. Non dire a nessuno quello che hai visto ieri. Niente di quello che hai visto – aggiunse, lanciando un’occhiata al foglio che stringeva –Non ti fidare di Rechel per chiederle una cosa del genere. Voglio dire, non che sia contro di te, ma Percy la sorveglia, vuole la una nuova profezia, non si lascerebbe scappare anche te se scoprisse che sei una veggente-
-E i tuoi amici? Quelli che hai nominato prima? Di loro mi posso fidare per la storia della nave e delle profezie?-
-Tranne Percy e la sua ragazza di tutti e Sette, che in realtà fanno 5, ma va be’…-  Piper sorrise raggiante – se non hai altre domande di natura storica, e visto che io sono una dei Sette sono la massima esperta, ti faccio vedere la tua casa. E non preoccuparti-
Cassandra sentì svanire tutta l’ansia con le ultime parole della donna. Sospettava che nella sua voce ci fosse qualche sorta di potere, ma era contenta di essere contenta. Assurdo.
--
Quando Cassandra entrò nella casa sette vide lo spettacolo più bello della sua vita.
Le pareti erano ricoperte d’oro, o almeno così sembrava. Sui lati vi erano spaziose finestre che facevano entrare la luce in ogni angolo facendo risplendere i mobili che probabilmente, anzi sicuramente, erano d’ oro o rivestiti con esso.
Anche se tutto nella casa riluceva alla luce del sole e sembrasse una sala del trono francese, non dava l’idea di essere pacchiana.
Tutti i letti, i comodini e le librerie erano disposti in maniera tale da non appesantire il locale e quindi la casa trasmetteva solo calore e felicità e non oppressione.
Sulle pareti erano disposti mensole e librerie cariche di libri. Cassandra ne esaminò alcuni e vide che erano raccolte di poesie di tutti gli stili e di tutti i tempi.
Sopra alcuni letti erano appesi degli archi o delle frecce decorati in maniera bellissima e provenienti da qualsiasi parte del mondo.
Piper alzò una mano per chiamare un ragazzo e salutò Cassandra.
-Ciao, tu devi essere Cassandra- disse il ragazzo. Aveva circa diciotto anni e somigliava in maniera impressionante ad Apollo, se non fosse stato per il vestiario più modesto.
Portava solo una maglietta arancione del campo, un paio di shorts logori e una collana con sei perle.
Lei gli strinse la mano –Io sono William Carter. Insegno poesia, primo soccorso e aiuto nell’addestramento con l’arco, oltre ad essere Capo casa. Ti ho già assegnato un letto e ti ho fatto avere dei vestiti di ricambio. Una ragazza si sta occupando dell’altra roba che ha detto ti potrebbe servire come sapone, asciugamani, cavolate di questo genere- fece un cenno con la mano come se l’igiene fosse stata una cosa di qui avrebbe fatto a meno.
In effetti non era curato, non sporco si intende, però aveva i capelli lunghi e con il taglio non fatto molto bene, ma nonostante lo stile trasandato era bellissimo, sembrava un figlio d’ Afrodite.
La portò al suo letto e le fece vedere il bagno –Credo che sia tutto, no? Tra due ore ci sarà la cena, fatti vedere al tavolo 7, non possiamo mangiare al tavolo degli altri…- disse con un pizzico di rimpianto.
Cassandra notò un anello infilato nella collana con le perle.
Sembrava l’anello di una ragazza. Cassandra capì con una punta di invidia che stava parlando della sua ragazza, che probabilmente apparteneva ad un’altra casa.
-Allora grazie, ci vediamo dopo- disse con una punta di astio.
Lui sorrise e si allontanò.
Cassandra si gettò sul proprio letto e tolse dalla tasca il foglio di quaderno.
Come era assurdo. Tutta la sua vita era finita a picco nell’ oceano e a lei le rimaneva solo quel pezzo di carta, primo e ultimo dono di quel fantoccio di suo “padre”.
 
Angolo Autrice
Come ho detto qualche capitolo prima al momento della stesura del libro non avevo ancora letto alcuni volumi della seconda serie quindi mi scuserete se avevo completamente dimenticato il personaggio di Will Solace con cui William Carter condivide aspetto e nome. Avrei preferito modificare almeno il nome del personaggio quando mi sono accorta del caso di omonimia ma ormai ci ero troppo affezionata T.T.
Comunque grazie per aver letto la mia storia fino a qui e buon proseguimento di lettura (?).
 

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Capitolo 10
*** Capitolo X Alexander ***


Alexander si trovava circondato da tutte quelle facce che non conosceva.
Intravide Talia al tavolo delle cacciatrici, ma lei non lo curò di uno sguardo. Johanna Abbot, la sorella di Percy lo salutò e si incamminò verso di lui per parargli, ma il fratello la richiamò e la fece sedere al tavolo tre, dove la bambina passò la serata a guardare il suo piatto corrucciata.
Dopo una giornata intera, pochi tavoli dal suo, vide la ragazza che Nico gli aveva chiesto di salvare, Cassandra.
Avrebbe voluto andare al suo tavolo per parlare, ma intuì che non poteva cenare al tavolo degli altri semidei.
Alexander si sedette in un angolo del tavolo e mangiò velocemente tutto il pollo, prima che uno dei suoi “fratelli” lo potesse derubare.
-Indeterminato!- lo chiamò Emily Spencer, la ragazza che gli aveva “ procurato” la roba che gli serviva per la sera.
-Non sono…io…fratelli…- farfugliò Alexander. Talia aveva detto di non dare nell’ occhio, di mischiarsi con loro, ma se rimaneva noto come “Indeterminato” non ci sarebbe mai riuscito.
La ragazza sbuffò e lo prese per un braccio –Andiamo a bruciare delle offerte agli dei, prendi qualcosa dal tuo piatto-
Alexander afferrò un pezzo di pane mezzo mangiato e corse dietro alla ragazza verso il fuoco.
I ragazzi d’avanti a lui bruciarono gustosi petti di pollo e frutta dall’aspetto invitante pronunciando il nome del proprio genitore divino o facendo una preghiera silenziosa.
Il formaggio di Emily sfrigolò e scomparve nel falò e la ragazza si allontanò dopo aver ringraziato il padre.
Alexander gettò il pane.
“Grazie papà…chiunque tu sia per quello che non hai fatto…cioè non avermi riconosciuto…lascia perdere” sospirò.
Avrebbe dovuto ringraziare anche Ermes, padre degli abitanti della casa 11, ma si sarebbe sentito un ipocrita a farlo.
Non si sentiva accettato nella casa 11, si sentiva furori posto e spaventato dai fratelli.
“Loro non sono tuoi fratelli, Alexander” si ripeté.
Si riunirono intorno al falò ad arrostire marshmallow e a cantare canzoni da campeggio.
Alexander si sentì un po’ più vicino agli altri, ma durò poco, forse neanche il tempo di una canzone.
--
Lui era tornato nella casa prima dei fratelli. Aveva sperato che Talia, vedendolo andare da solo, decidesse di seguirlo e parlargli, ma probabilmente le regole delle Cacciatrici glielo impedivano, o forse quella che lui considerava la sua unica amica in realtà vedeva lui come un compito da svolgere e magari già risolto.
Si sedette di malumore sul bordo del letto a riflettere.
Avrebbe chiesto volentieri ad Hazel Lavesque, che aveva capito essere pretore ( la più alta carica del Campo Giove) assieme al fidanzato Frank, che però era rimasto al Campo, se poteva portarlo via con lei e sottrarlo al controllo di Percy, ma non ne aveva il coraggio, dopo che aveva capito che il fratello era morto per salvarlo.
Dopo qualche minuto anche il resto della casa era tornata, prima che lui si potesse mettere il pigiama, quindi dovette aspettare tutto il giro per avere il turno in bagno.
Emily era la penultima, prima di lui, e stava aspettando saltellando fuori dalla porta, chiamando la ragazza che lo stava occupando.
Alexander si sentì rivoltare lo stomaco al solo pensiero di dover usare il bagno dopo quella trentina di persone.
Ovviamente gli ospiti erano stati fatti cambiare per primi, cosa che demoralizzò ancora di più Alexander: era già abbastanza rivoltante doverci entrare dopo i suoi ordinati fratelli greci, ma i romani erano ancora peggio.
Alexander premette la faccia sul cuscino, cercando di isolarsi da tutto quel rumore.
Più della metà dei suoi fratelli erano seduti nel centro della sala a cantare come di fronte al fuoco e a farsi degli scherzi, a ridere, o a raccontarsi storie.
Gli altri mettevano a posto la propria roba. “O controllano cosa gli anno rubato oggi” pensò acido Alexander, mentre si univano ai canti o alle risa di tanto in tanto, o gettando un urlo diretto a qualcun altro dall’ altra parte della casa. Alexander era convinto che, se avesse controllato, tutti stava ridendo o minimo sorridendo intorno a lui, cosa che trovava molto irritante.
Alzò la testa, ma un cuscino volante lo colpì sulla nuca.
Qualcuno corse a riprenderselo, scusandosi ridendo con Alexander, ma la cosa prese subito una brutta piega.
Prima che Alexander potesse ripararsi sotto il proprio letto una pioggia di cuscini si riversò in ogni angolo della casa.
Alexander era abbastanza sicuro che gli abitanti delle case circostanze fossero abituati a tutto quel fracasso, perché nessuno venne a protestare.
Alexander era ancora nascosto sotto il materasso quando tutti si fermarono.
Un brivido gli percorse la schiena, e si chiese se fosse saggio uscire dal nascondiglio.
Rotolò quel tanto che bastava  per vedere il centro della sala e il suo cuore si fermò.
Non aveva mai visto quell’uomo, ma qualcosa gli suggeriva che erano guai: nessuno poteva zittire la casa 11 al completo.
Con il cuore in gola si mise in piedi, mossa sbagliata. Tutti in torno a lui si erano inginocchiati, Romani compresi, anche se con un’espressione abbastanza irritata.
Si chinò velocemente, cercando di nascondersi dietro al proprio letto, pensando che era stato abbastanza fortunato ad averne uno.
-Alzatevi- gli invitò l’uomo, come se fosse una cosa di scarsa importanza.
Tutti lo fecero, tutti tranne Alexander.
La sua mente cominciava a capire chi fosse, praticamente la persona che meno voleva vedere dopo Percy o suo padre, almeno in quel momento.
Gli lanciò un’occhiata da dietro al letto.
Era vestito come un maratoneta e aveva un’inquietante somiglianza con i semidei greci, e anche un po’ con quelli romani.
Emily si avvicinò dalla porta del bagno.
Portava i pantaloni del pigiama e la maglietta del Campo, come se si fosse cambiata solo a metà.
-Padre- esordì la ragazza. Il cuore di Alexander fece una capriola appurando che i suoi dubbi erano fondati e si fece ancora più piccolo dietro il materasso –emh…-continuò la ragazza, evidentemente maledicendo mentalmente l’ ultimo idiota capogruppo che si era fatto uccidere in chissà quale missione salva-mondo mettendola nella situazione di parlare con un dio con i pantaloni del pigiama –Non che non siamo felici di vederti il fatto è che…ecco…non si vedono molti dei al Campo, e alcuni meno di altri…-dal tono di Emily si leggeva una punta di risentimento, che riuscì quasi subito a soffocare –Stamane è venuto Apollo, e ora tu…credo che tutti ci stiamo chiedendo se è successo qualcosa di allarmante-
“Eccome” pensò Alexander, ma immaginò che un commento come quello non sarebbe stato in linea con il suo “basso profilo”.
-No, niente di cui preoccuparsi, credo che entrambi siamo venuti qui solo per delle visite di piacere ai nostri figli- rispose il dio.
Alexander sentì una risata di scherno alzarsi dalla parte riservata ai romani, ma nessuno ci fece caso.
-oh-commentò Emily, che evidentemente era rimasta senza parole o che magari non riteneva necessario sprecarne altre.
-In realtà volevo parlare con uno di voi in particolare. Alexander Johnson- aggiunse.
Alexander pensò seriamente di alzarsi e scappare dalla porta, che era abbastanza vicina, o meglio di non alzarsi proprio, ma qualcosa gli diceva che era meglio non fare lo stupido. Talia aveva calcolato che le probabilità di non essere fulminati da Ermes erano circa il 20%, non aveva mica detto 100%.
Con le gambe molli si alzò da dietro al letto e avanzò verso il centro della casa.
-Ma è un Indeterminato- disse qualcuno, senza cercare di mascherare il commento in maniera garbata.
Alexander non lo poteva biasimare. Oltre ad essere spaventato a morte di essere scoperto (cosa che era certamente già accaduta) si sentiva anche in colpa ad essere stato chiamato al posto loro, da quello che aveva sentito molti di loro avevano visto il padre una volta sola in vita loro, o anche mai, e dovevano trovare parecchio ingiusto che un indeterminato li rubasse l’unica possibilità di parlargli verosimilmente per anni.
“Un indeterminato che li odia, per giunta, anche se loro non lo sanno” precisò Alexander.
-Sciocchezze- disse Ermes –pensavo che il capo delle Cacciatrici, Talia Grace, avesse provveduto a sistemare la questione. Alexander ha diritto a rimanere finché lo desidera, da ora questa è casa sua-
Al ragazzo non sfuggì la sottigliezza. Aveva detto che poteva rimanere, non che era stato riconosciuto.
Il dio salutò i suoi figli, che riposero con diversi gradi di entusiasmo e lo condusse fuori, sul retro, dove lo aveva portato anche Talia.
-pad…-tentò Alexander, ma l’altro lo fermò.
-Lo so che non appartieni alla casa 11. In realtà sono qui per portarti un messaggio da parte di tuo padre-
Alexander non riuscì a trattenersi –Chi è mio padre?-
Il dio lo squadrò un istante, come per decidere se era il caso o meno di punirlo per la sua sfrontatezza – Non posso dirlo- concluse.
Alexander stava ancora cercando di capire se Ermes lo odiava oppure no, ma alla fine optò per il no.
Nonostante lo guardasse come se fosse tentato di fulminarlo seduta stante non aveva rivelato il suo segreto ai suoi compagni di casa e gli aveva addirittura permesso di rimanervi, annunciando praticamente d’ avanti a trenta persone che lo aveva riconosciuto per non dare a Percy la possibilità di smentire Talia, anche se Alexander iniziò a rivalutare le parole che aveva usato d’ avanti ai figli. Non aveva detto chiaro e tondo che era loro fratello, anche perché sarebbe stata una bugia, cosa che “ovviamente” non avrebbe mai detto, o almeno era quello che Alexander aveva pensato all’inizio, ma ripensandoci aveva capito che non aveva mai annunciato di essere suo padre, ma solo che gli dava il diritto di dormire nella casa 11 e che doveva essere stata Talia a riferirlo, così, se mai le cose si fossero messe male, lui avrebbe potuto sempre dire che Talia aveva interpretato male gli ordini e lui non aveva mai riconosciuto un semidio figlio di un’ altra divinità.
-Dice che dovrai farti assegnare una missione da Rachel Dare e che poi dovrai seguire gli aiuti di un vecchio amico… messaggio consegnato, addio- disse Ermes.
-Aspetti- Alexander si morse il labbro, pentito di quello che aveva appena fatto.
Il cellulare del dio squillò, mentre Alexander rifletteva su quello che voleva dire.
-Non ho tutto il giorno- si lamentò l’altro indicando il telefono.
-Certo, volevo solo ringraziarla per aver portato il messaggio da mio padre e per avermi fatto rimanere nella sua casa. Non so ancora come, ma mi ha salvato la vita, immagino-
Alexander lo disse tutto ad un fiato, anche se alcune di quelle parole gli costarono molta fatica.
-Portare messaggi è il mio lavoro- disse Ermes, guardandolo freddamente, un secondo dopo era scomparso.
Alexander non capì cosa volesse dire, ma di certo non stava esprimendo molta felicità per averlo fatto rimanere nella casa 11.
Ripensò alle sue deduzioni in merito a Talia e sentì una fitta al cuore. Quella ragazza era stata la prima ad aiutarlo dopo Nico e lui l’aveva messa in pericolo così. Era stato stupido e si sentiva in colpa.
Rimase seduto fuori a pensare, riflettendo anche sugli dei. Alexander non poteva credere che Ermes avesse fatto tutta quella strada solo per portare un messaggio a lui, e che non avesse trovato il tempo di scambiare più di due frasi con i suoi poco civili ospiti, che non avesse trovato il tempo di farsi vivo qualche volta con loro, nelle loro vite. No, a quest’ ultima cosa riusciva a crederci. Neanche suo padre si era mai fatto vivo, ma almeno aveva trovato una scusa convincente.
Tornò piano verso la sua casa, ma qualcosa lo distrasse.
 
Angolo Autrice
Scusate per la lunga assenza, purtroppo avevo perso la storia ;-; Spero che i miei vecchi lettori ricomincino a leggerla e di trovarne di nuovi!
 

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Capitolo 11
*** Capitolo XI Cassandra ***


Cassandra stava iniziando a godersi la compagnia dei fratelli.
L’ avevano accolta nella loro casa come se fosse sempre stata una di loro. Prima di andare a cena aveva avuto modo di parlare un po’ con William della storia del campo e poi, insieme ad altri tre o quattro fratelli, era stata portata in armeria per farle prendere un arco.
Avevano provato di tutto, ma il suo fisico minuto e poco potente le impediva di maneggiare la maggior parte degli archi.
I fratelli le avevano promesso che avrebbero trovato qualcosa e Cassandra non dubitava del fatto che almeno ci avrebbero provato, visto che avevano passato metà del pomeriggio a rovistare tra vecchi archi e a scansare ragnatele come se armare quella piccola semidea fosse la cosa più importante del mondo.
Come premio di consolazione le avevano trovato una faretra.
Non sembrava una tipica arma da figli di Apollo, frequentemente ricoperte d’ oro.
Era abbastanza semplice. Vi erano raffigurati un sole e una luna. In quel momento il sole brillava come se il disco fosse fatto di oro liquido e incandescente e Cassandra presumeva che probabilmente la notte avrebbe brillato la luna. Il resto della faretra era un mescolarsi di oro e argento, come il simbolo orientale fatto col nero e il bianco.
Uno dei suoi fratelli le disse che era una riproduzione di un dono che Artemide aveva fatto ad Apollo, ma Cassandra lo prese solo perché era bello, non tanto per il significato.
Tornati nella casa parlarono con alcuni fratelli delle tecniche di tiro, discorso che continuò anche al tavolo.
Cassandra era felice di poter spaziare in tutti i campi che l’appassionavano, visto che a casa non poteva esprimersi liberamente.
Il pensiero dei suoi genitori le provocò una fitta di dolore e di rabbia verso Apollo. La sola idea che tutte quello persone fossero figlie dello stesso dio che aveva lasciato morire il suo vero padre e sua madre le faceva venire voglia di alzarsi e correre ad un altro tavolo.
“Apollo è anche tuo padre” si disse “ e poi non è colpa loro come non è colpa tua. Nessuno lo ha scelto come padre…”
Il resto della serata fu abbastanza piacevole, si stava divertendo e avevano iniziato a comporre poesie sul cibo insieme ad altre due ragazze e William quando una figlia di Ermes si alzò dal proprio tavolino per baciarlo.
Un’ondata di rabbia la travolse. La ragazza aveva la pelle color cioccolato e i capelli scuri e William la chiamò Emily.
Non capiva perché la odiasse tanto, visto che probabilmente si conoscevano da una vita e lei non gli aveva neanche detto che gli piaceva. E lui non le piaceva.
Cassandra capì che l’anello che William portava alla collana dove essere suo.
Emily non tornò al suo tavolo finché Percy non la minacciò di espulsione. Cassandra aveva l’impressione che
Percy non la spaventasse affatto, cosa che le fece conquistare un po’ di stima nonostante fosse la fidanzata
di William. “Non ci devono essere molte cose che la spaventino, in fondo” pensò Cassandra vedendo la sua
faccia determinata.
Ormai il suo umore era rovinato, comunque, e non riuscì a godersi nemmeno il falò. Andò a letto insieme al
primo gruppo della sua casa che tornava alla casa 7, ma non avendo un pigiama da mettersi si fece prestare
una maglietta del campo da un ragazzo e dei pantaloncini da un’altra sorella.
Anche quando la casa si riempì della dozzina di ragazzi che l’abitavano l’ ambiente non divenne troppo
rumoroso. Alcuni dei ragazzi più piccoli si riunirono con William è un’altra ragazza più grande che gli stavano
facendo notare i loro errori nelle esercitazioni nel giorno.
Cassandra perse uno dei libri di poesia e lo aprì. Non aveva letto neanche una pagina che una ragazza si gettò
sulla branda extra lusso laminata in oro accanto alla sua facendola trasalire.
La ragazza avrebbe voluto tanto urlarle di fare più attenzione, ma poi si accorse che stava piangendo.
Aveva la stessa età di Cassandra, portava i capelli biondi legati in una treccia e aveva gli occhi color nocciola
pieni di lacrime.
Cassandra abbassò il libro e si chinò verso la ragazza –Cosa è successo?-
L’ aveva vista due o tre volte quel giorno e pensava di ricordare il suo nome come Jane Stone, forse.
Da come l’aveva descritta William era l’arciere più brava del Campo, anche se non era trai più grandi del
gruppo.
La ragazza si asciugò le lacrime – Niente…ho saputo…-represse un singhiozzo.
Non aveva voglia di consolare quella ragazza: aveva perso entrambi i genitori, era stata catapultata in un
mondo a lei estraneo e aveva scoperto che il suo vero padre era un esaltato e menefreghista. Cosa poteva essere capitato di peggio a quella ragazza?
-Non volevo infastidirti- disse Cassandra con aria scocciata, rimettendosi a leggere il proprio libro.
-no…scusa. Non volevo essere sgarbata- disse l’ altra, con voce rotta –è che mia madre è morta qualche giorno fa e ho saputo che nostro padre è stato al campo, avrei voluto… parlargli. Volevo sapere almeno qualcosa sul mio futuro-
Cassandra iniziò a capirla –Anche mia madre è morta. Ieri. Ti capisco-
La ragazza si asciugò le lacrime –Scusa, come vedo non sono l’unica ad avere il diritto di lamentarmi, e poi di solito non piango, è una cosa nuova anche per me-
-Scusarti per una cosa del genere? Anche io ho la mia dose di rabbia verso “papà”-
-Rabbia verso Apollo?- disse l’ altra incredula –No, ci sono rimasta solo un po’ male, non dopo quello che sta succedendo…-
-Cosa…sta succedendo?- chiese Cassandra. Aveva a che fare con il naufragio della nave? Aveva a che fare con lei?
-Io…- Jane si guardò attorno con circospezione –faccio dei sogni… sul futuro…- la sua espressione divenne spaventata.
-Credi che stia per scoppiare una guerra?-
Jane annuì.
-Credo che ora sia tempo di dormire, comunque- disse Cassandra rimettendosi stesa sul proprio letto.
L’ altra le augurò la buona notte e dopo poco tutte le luci si spensero.
Cassandra non ci aveva fatto caso, ma la luce sembrava irradiarsi direttamente dalle pareti della casa.
Non era passato troppo tempo che sentì dei rumori provenire dal falò.
Aspettò qualche minuto e sentì altri passi.
Si guardò attorno, ma nessuno sembrava insospettito.
Decise di alzarsi.
Faceva molto caldo, quindi poteva benissimo uscire con solo i pantaloncini e la maglietta.
Arrivò al falò ma non vide nessuno. Forse era solo la sua immaginazione, ma decise di fare comunque un giro per controllare che non ci fossero intrusi.
In teoria il Campo era protetto da attacchi esterni, ma aveva sentito di ragazzi del campo che evocavano mostri all’ interno del perimetro.
Svoltò dietro la casa 3 ma qualcuno l’afferrò per le spalle e la portò verso l’albero sulla Collina Mezzosangue.
Chi poteva essere?
Percy, visto che era dietro casa sua?
Stava per prendere a pugni l’uomo che l’ aveva afferrata quando lui la lasciò.
-Apollo!- esclamò lei sconvolta.
Nella penombra poteva assomigliare a William, ma era chiaro che fosseil dio. Chi altri avrebbe portato i rey-ban di notte?
Il sorriso spavaldo del padre fece infuriare Cassandra –Perché mi hai portata qui?-
-è il posto dove devi stare- disse lui evasivo.
-Devi parlarmi di qualcosa in particolare?-
-No, volevo darti questo- cercò nella tasca qualcosa e alla fine estrasse una catenina d’ oro con un pendente.
Cassandra avrebbe voluto strangolarlo.
-Non li riconosci?- sorrise Apollo.
-Si- ringhio Cassandra con rabbia strappandogli la catena di mano.
La collana era di suo padre. Non ci aveva mai portato nessun ciondolo, mentre il pendente era di sua madre. Era solo un pezzo di legno di pino trattato in maniera tale che non si rovinasse, era un ricordo d’ infanzia.
-Prego, Cassandra- disse ironico Apollo.
La ragazza iniziò a respirare più velocemente del solito, stringendo la mano attorno alla catenina fino a premere le unghie nel palmo.
-Grazie…-sibilò.
-Ho fatto qualche modifica, vedi puoi trasformare la collana e il ciondolo in un arco, se vuoi. Ho saputo che non hai trovato un’arma che ti piacesse-
La ragazza si concentrò sul gioiello e quello si trasformò in un arco.
La corda sembrava fatta d’ oro, come se fosse la catena stessa ad esserlo diventata, mentre l’arco era in legno. Era troppo semplice per essere un’arma fatta dal dio del sole, ma Cassandra notò subito che era fatta per lei, della misura e del peso giusti.
-Grazie- disse in tono più convinto.
Nonostante fosse semplice era una delle armi più belle che avesse visto, e poi quella collana era l’unico ricordo dei suoi genitori che avesse.
-Ero sicuro che ti sarebbe piaciuta- Apollo controllò l’orologio d’ oro, probabilmente Rolex –credo che abbiamo ancora qualche minuto-
-Lo sai, vero, che in quella casa laggiù ci sono molte persone che avrebbero voluto vederti e che ne sarebbero state contente?- aggiunse.
-Immagino di si, chi non sarebbe stato contento di vedermi?- sorrise Apollo
Cassandra respirò profondamente per mantenere la calma.
-Ma a te devo dire una cosa importante- disse serio –i tuoi fratelli saranno capaci di trovare la loro strada da soli, o con l’aiuto dei loro amici, tu no-
-Quanta fiducia!-
-Non è mancanza di fiducia, è conoscenza. Una dea ama dire che la conoscenza è l’arma migliore, io credo che abbia ragione-
Cassandra sospettava che Apollo avesse confuso conoscenza con preveggenza, ma non lo fece notare.
-Devi partire per una missione. Capirai da sola il momento. Porta con te quanti amici vuoi, ma devono essere persone di cui ti puoi fidare, perché nella tue mani terrai il destino del mondo. Non avrai bisogno di una profezia, parte già la tieni nella tua tasca, il resto credo che saprai vederlo da sola. Gli ultimi due versi, solo tu potrai scoprire quali sono-
-Questa cosa è oscura anche per essere una profezia- osservò Cassandra.
-In tutti noi c’è della notte, Cassandra, ma devi ricordare che brilla sempre un po’ di sole-
La ragazza rifletté qualche istante –Già, sempre tu, sei sempre tu il centro del discorso. Perché è a questo che servono gli dei, a ricordarti che c’è sempre qualcuno migliore di te-
-Gli dei servono a ricordarti che c’è sempre qualcuno su cui puoi contare-
-Contare- Cassandra rise con amarezza – Dove eri quando mia madre e mio padre sono morti? Dove eri quando la nave è affondata e migliaia di persone sono morte? Dove eri quando i miei fratelli morivano? Quando soffrivano?-
Le lacrime uscirono senza controllo dai suoi occhi, ma lei non le fermò. Non erano lacrime di tristezza o di frustrazione, erano lacrime di rabbia, era odio, e sperava che, se mai gliene fosse importato qualcosa di lei, più quelle lacrime le bruciavano sulle guance, più bruciassero anche dentro di lui.
-Capisco che tu ora non riesci a comprendere, ma spero che tu lo faccia presto. Ricorda quello che ti ho detto, tu più di tutti potresti brillare luminosa, ma la luce non brilla senza tenebre e tutto ha un prezzo-
Osservò ancora l’orologio –Credo che non sia un addio, ma non si può mai dire, quindi ti saluto, Cassandra Williams. So che, da ora in poi, potrai fare luce da sola-
Il dio scomparve, lasciandola sola con l’albero e il drago addormentato.
Cassandra fece tornare l’arco ad essere una collana e se la mise.
Strinse la faretra che aveva preso in automatico dal comodino prima di uscire dalla casa 7.
Ripensando a tutte le cose senza senso che aveva detto Apollo quella sera solo una le sembrava chiara.
Dentro di noi ci sono luce e tenebra, ma Cassandra dubitava che la luce potesse vincere sempre.
Ora sapeva perché aveva preso quella faretra, perché era una cosa che lei aveva sempre pensato, e magari ora, vedendo il sole e la luna sulla faretra, avrebbe potuto pensare che, comunque, si poteva sempre lottare per non far prevalere il buio.
Era quasi decisa a tornare indietro quando sentì delle grida.
Corse oltre le barrire del campo, arco in mano.
Vide due ragazzi che correvano, inseguiti da tre mostri che Cassandra non riconobbe.
Uccise un mostro con freccia -Correte! Correte-
Uno era basso e sembrava che zoppicasse, mentre l’altro era più alto di Cassandra.
Uccise un altro mostro che si dissolse.
Il ragazzo basso e zoppicante cadde a terra e i due vennero raggiunti dal terzo mostro.
I due scambiarono qualche battuta, ma alla fine quello più piccolo si alzò e corse verso Cassandra, mentre l’altro rimaneva a combattere da solo contro un mostro.
Cassandra corse verso di lui, ignorando il bambino che zoppicava verso il drago.
Cassandra non fece in tempo ad arrivare che il ragazzo estrasse una spada, schivò un attacco del mostro, saltandogli sulla testa e conficcando la propria arma nel cervello del mostro.
L’ ombra si disfece e lui cadde a terra con un tonfo e un lamento strozzato.
Cassandra corse verso il ragazzo, sentendo il bambino che tornava in dietro verso di loro.
Il ragazzo era biondo e pallido, Cassandra si accorse che era ferito.
Il bambino chiamava il nome di Luke. A  Cassandra pareva di averlo già sentito, ma era un nome abbastanza comune.
La spada di Luke brillava, quindi la prese per farsi un po’ di luce.
-Cosa gli è successo?-piagnucolò il bambino sedendosi accanto a lei.
-Niente di…- Cassandra avrebbe voluto dire “grave”, ma vedendo il bambino le parole gli morirono in bocca.
Era sui dieci anni, aveva i capelli scuri e la carnagione chiara.
-Tu…sei…- farfugliò.
Il bambino si asciugò una lacrima –Io sono Nico di Angelo. Hai visto mia sorella Bianca?-

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Capitolo 12
*** Capitolo XII Alexander ***


Alexander corse alla collina dove Talia lo aveva portato il giorno prima.
Sentì il rumore di una battaglia e rimpianse di non aver con sé delle armi.
Vide tre ragazzi poco fuori la linea di confine e si precipitò ad aiutarli.
Per prima cosa vide il ragazzo steso a terra, poco illuminato dalla propria spada. Era biondo e sembrava ferito, e aveva una cicatrice che gli percorreva la faccia dall’ occhio fino a sotto la bocca.
La ragazza era Cassandra. Avrebbe voluto passare qualche minuto da solo con lei per parlarle, ma non era il momento.
Fu il terzo bambino a spaventarlo a morte, e non solo per l’aria sinistra che aveva.
-Nico? Sei Nico di Angelo?-
Il bambino annuì –Dov’è mia sorella? Bianca!-urlò.
Lanciò un’occhiata alla ragazza. Il ragazzo con la cicatrice sembrava messo male, ma trai due era lei la figlia di Apollo, era più indicata per aiutarlo.
-Vieni, andiamo-disse Alexander sorreggendo Nico, che aveva una caviglia rotta –La troverai al Campo, credo-
Non sapeva se sua sorella fosse lì o meno, non aveva conosciuto tutti, anche se aveva dei seri dubbi al riguardo.
L’unica che aveva detto di essere sua sorella era Hazel, nessuna Bianca aveva voluto parlare con lui.
-Intendi Hazel, no?- chiese speranzoso.
-Bianca, voglio Bianca- insistette Nico. Al fianco portava una spada nera, forse troppo lunga per lui, ma non la impugnava. In mano stringeva una statuetta.
-Va bene, troviamo Bianca- lo rassicurò Alexander.
Alcune persone, ancora in pigiama o mezzi vestiti, erano uscite dalle loro case per vedere da dove proveniva il trambusto.
Alcuni oltrepassarono Alexander di corsa e raggiunsero Cassandra e l’altro ragazzo.
-Che succede?- era la voce di Percy Jackson.
Alexander tremò. Un po’ per la rabbia un po’ per la paura: l’ultima volta che aveva visto Nico e Percy insieme, il figlio di Poseidone aveva cercato di ucciderlo, cosa avrebbe fatto ora? Avrebbe terminato il lavoro?
Anche Percy sbiancò vedendo il bambino –Portalo nella sua casa, sbrigati- sibilò l’uomo ad Alexander.
La sua casa? Ma certo, la casa 13.
Aiutando il bambino a non zoppicare lo accompagnò fino a una casa nera come gli occhi di Nico con dei bracieri verdi che brillavano all’ ingresso.
Alexander aprì le pesanti porte scure e lo mise a sedere su uno dei letti con le coperte viola.
Quel posto gli dava i brividi, proprio come gli dava i brividi Nico. Non c’era da stupirsi se Hazel, pur essendo sua sorella, aveva voluto dormire nella casa 5.
Un’altra ragazza bussò alla porta ed entrò.
Doveva essere della casa di Apollo. Si era infilata la parte superiore dell’armatura ma aveva tenuto i pantaloni del pigiama.
Si inginocchiò d’avanti a Nico –Ciao, io sono Jane. Tu ti chiami?-
Dall’ espressione sul viso di Jane si capiva che sapeva chi aveva di fronte, ma non faceva trasparire la paura.
-Sono Nico. Dov’è Bianca?- il bambino cominciò a piangere.
Jane si voltò a guardare Alexander che scandì “la sorella”. Jane annuì.
-Senti Nico, ti va di prendere un po’ di questa?- sollevò una barretta di ambrosia –Aiuta per la caviglia. Ti fa male?-
Lui annuì, piangendo.
Jane gli diedi un pezzo abbastanza piccolo della tavoletta, che lui mandò giù in un morso.
Il sapore dell’ambrosia, Alexander non capì perché, lo fece piangere ancora di più.
-Mentre io guardo la tua caviglia, Alexander va a cercare tua sorella, ok?-
Alexander corse fuori dalla casa 13 con sollievo.
Hazel, se era ancora dove dormiva, era nella casa 5.
Quando entrò nella casa dei figli di Ares trovò una baraonda completa, peggiore di quella che aveva trovato nella casa 11.
Hazel Lavesque era in piedi su un tavolo e urlava.
Più di metà dei ragazzi erano vestiti con armature da legionari e cercavano di gridare più forte di lei.
-Silenzio!- urlò la donna e qualche armatura fece cadere i proprietari in avanti, verso di lei –Ora vado a vedere cosa sta succedendo, in mancanza di ordini diretti voi rimanete qui. E non fate fracasso!-
I Romani esplosero in un’altra serie di lamentele, di cui Alexander riuscì a capire solo la metà.
Finalmente il Pretore si accorse che Alexander cercava di attirare la sua attenzione saltellando e agitando le braccia.
-Torno subito- gridò, anche se Alexander era convinto che meno della metà di suoi compagni l’avesse sentita e che pochi volessero seguire i suoi ordini.
Hazel saltò giù dal tavolo e raggiunse sgomitando Alexander.
-Niente in confronto alla casa 11- commentò Alexander accompagnandola all’ uscita.
Hazel sorrise stancamente, doveva essere stressante comandare i Romani –Mi dispiace per Frank, che ha quasi tutta la legione da comandare da solo, ma in realtà… lui è figlio di Marte, i Romani lo rispettando. I figli di Plutone portano sfortuna, sono stata stupida a diventare voler diventare Pretore-
-Io credo che tu sia bravissima- la rassicurò Alexander evitando il falò.
-Grazie, ma cosa è tutto questo trambusto? Parlano di morti che tornano in vita e di un attacco al Campo…-
-Lo vedrai, ma preparati…-
Erano arrivati alla casa 13.
Hazel aprì i battenti con un brivido e per poco non svenne quando vide chi era seduto sul letto accanto alla porta.
-N…Nico?- farfugliò la ragazza.
Doveva essere spaventoso vedere il fratello tornare dal regno dei morti “per uno normale” pensò Alexander “ma Nico…”, comunque vederlo anche più giovane di vent’ anni doveva essere terrorizzante.
Il bambino la squadrò un secondo prima di urlare – Bianca! Lei non è Bianca!-
Hazel sembrò ferita dal fatto che non l’avesse riconosciuta.
-Nico, lei è tua sorella…- cercò di spiegare in tono diplomatico Jane.
Nico smise di piangere –Veramente?-
Alexander ringraziò che avesse smesso di gridare “Bianca”.
-Si…non ti ricordi di me? Sei venuto a prendermi negli Inferi e poi…- provò a spiegare Hazel, ma il suo discorso venne interrotto da Percy Jackson.
Aveva la faccia di uno che aveva visto un fantasma, “o due” rifletté Alexander, ma anche di uno che sta studiando una cava da laboratorio, non un bambino.
-Chi ti ha riportato indietro? - chiese bruscamente, senza salutare.
-Chi? Indietro da dove?- chiese confuso Nico.
-Dagli Inferi- disse seccato Percy –Tu eri morto e ora non le sei più, è troppo anche per te, Nico…- ma Percy si bloccò, capendo che non stavano parlando da soli. Evidentemente pensò che cacciare Hazel, Alexander e Jane sarebbe avrebbe suscitato dei sospetti, quindi li fece rimanere.
Hazel si mise a sedere accanto al fratello e cercò di prenderlo per mano, ma lui la ritirò di scatto.
Lei ispirò profondamente per controllarsi dal piangere o dal picchiarlo, Alexander non avrebbe saputo dirlo.
-Posso parlargli io?- chiese infine.
Percy fece un verso simile a quello di Hazel, anche se era chiaro che l’unica cosa da cui lui si dovesse trattenere fosse picchiare qualcuno, ma alla fine annui.
-Nico, tu ti trovavi su una nave affondata. Nessuno ti ha visto per due giorni, tutti pensavamo che fossi morto…
Nico si prese la testa tra le mani  e mormorò – Nave…Kraken…Per…- alzò lo sguardo su Percy Jackson, ma fu abbastanza furbo da non dire il suo nome.
Alexander trattenne il fiato per scoprire se il suo nome, invece, gli sarebbe scappato. Non lo fece.
Nico riprese il controllo –Io non capisco, ho dei ricordi confusi. Ricordo di essere stato salvato dalla scuola con Bianca, da Percy e i suoi amici, ma ricordo anche di essere caduto in acqua. Non riuscivo a respirare, soffocavo, e poi… poi mi trovavo in un campo. Nessuno mi vedeva. Ho sentito una voce, io l’ho seguita e sono uscito dal campo. Ero fuori con Luke, poi i mostri ci hanno attaccati. Io mi sono fatto male alla caviglia e lui si è ferito al fianco. Eravamo in un parco, enorme, in mezzo alla città…-
-Central Park?- chiese Percy.
Nico annuì –Credo di si. Abbiamo camminato fino a qui, poi lui e la sua amica ci hanno salvati…- Nico si guardò attorno, come se si fosse ricordato di una cosa importantissima – Luke è vivo? Non è morto per colpa mia, vero?-
Hazel guardò Percy –Ero da lui prima, credo che sopravvivrà, ma non ti affezionare troppo a lui, potresti essere deluso-
Inizialmente Alexander pensò che parlasse per esperienza personale, ma poi vide uno strano luccichio nel suo sguardo, come se il pensiero lo divertisse.
-Ora tutti fuori, credo Nico abbia bisogno di dormire e… di schiarirsi le idee- lo disse come avrebbe detto “confessare un omicidio” il che era vero, sia perché era stato assassinato, sia perché confessarlo lo avrebbe fatto uccidere.
Alexander era arrivato alla porta quando gli vennero in mente le parole di suo padre “poi dovrai seguire gli aiuti di un vecchio amico” Alexander si chiedeva se non fosse Nico, il vecchio amico, ma prima che potesse  chiedergli qualsiasi cosa le porte si richiusero dietro di lui.
 

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII Cassandra ***


Alexander si allontanò con Nico di Angelo, lasciando Cassandra sola con il ragazzo moribondo.
Lei era brava in medicina, certo, ma non così tanto e non poteva certo fare miracoli se non aveva a disposizione niente.
Controllò nelle tasche e trovò qualche pezzo di ambrosia.
Sollevò la testa di Luke, così le pareva lo avesse chiamato Nico, e gli fece ingoiare tutto.
Alla luce della luna il suo pallore sembrava ancora più innaturale e la cicatrice bianca sembrava brillare in modo spettrale.
Alzò il giacchetto del ragazzo e rimase senza fiato. Una macchia scura si allargava sulla maglia per quasi tutto il torace. Doveva aver perso veramente molto sangue, Cassandra capì perché aveva tanto freddo da portare un giacchetto.
Il ragazzo mosse gli occhi e aprì la bocca –Anna…Annabeth-
-Io non sono Annabeth- disse Cassandra, ma era sicura che Luke non la potesse sentire.
Finalmente arrivò qualcuno.
William e un ragazzo della casa di Ares sollevarono il ragazzo e lo portarono nella Casa Grande, esattamente dove si era svegliata lei solo quella mattina.
Cassandra decise di seguirli.
William iniziò a tamponargli la ferita e a somministrare nettare e ambrosia fino a quando la sua temperatura non tornò normale e iniziò anche a bruciare.
Le avevano detto che se prese in dosi eccessive quelle cure avrebbero incenerito i mezzosangue, ma sospettava che Luke fosse troppo freddo per prendere fuoco.
Dopo qualche minuto nella stanza entrò Percy.
-è veramente…- ma il commento non fu mai finito –Luke Castellan…-
Gli altri due si allontanarono dal corpo con un salto, e anche Cassandra fu scossa da un brivido.
Non era solo il fatto che fosse morto da tredici anni o avesse più di diciotto anni quando era deceduto.
Le avevano raccontato quella storia, di come aveva tradito Percy l’estate che “ l’ eroe” era arrivato al Campo, come aveva fatto di tutto per distruggere il campo per quattro anni, avesse convinto altri mezzosangue a tradirli, di come avesse fatto tornare Crono, solo per vendicarsi di chissà quale torto, e di come, finalmente, Percy Jackson, eroicamente, si fosse lanciato in un duello mortale con un nemico molto più abile di lui solo per difendere i suoi amici feriti dal terribile Crono, da solo sul monte Olimpo e di come fosse riuscito a ucciderlo.
A Cassandra quella storia aveva fatto storcere il naso. Suo padre aveva ragione: tutti siamo sia buoni che cattivi, è impossibile essere eroici come avevano descritto Percy e totalmente malvagi come avevano dipinto Luke e, vedendo quel ragazzo ferito che, nonostante stesse morendo dissanguato, si era lanciato contro un mostro per salvare il suo compagno, i suoi dubbi non facevano altro che aumentare.
-Oh miei dei!- esclamò il ragazzo di Ares afferrando una scatola di garze e brandendola come arma, come se un ragazzo moribondo e disarmato da solo potesse affrontare quattro persone.
-Credi che per oggi si possa svegliare?- domandò Percy a Cassandra.
La ragazza divenne rossa come un peperone. Lei non se ne intendeva affatto, doveva chiedere a William.
Fortunatamente il ragazzo rispose per lei – No, credo che prima di domani non sarà in grado di parlare-
-Allora allestite dei turni di guardia di fronte all’ infermeria- ordinò secco Percy al ragazzo di Ares.
-Posso rimanere qui con lui?- chiese Cassandra a William quando Percy se ne fu andato.
William annuì –Deve rimanere qualcuno che gli dia l’ambrosia, se tu hai il coraggio di rimanere da sola con lui…- lanciò un’occhiata di disgusto a Luke –Se si sveglia, o si muove… fuori ci sono quelli di Ares. A domani-
Detto questo uscì.
Cassandra era scombussolata dal fatto che William si fosse preoccupato per lei, ma non troppo da non provare un po’ di dispiacere per Luke.
Lei lo aveva visto solo come un ragazzo coraggioso e pronto a sacrificarsi per un compagno, non aveva motivi per dubitare di lui.
Si sedette su una sedia accanto a Luke e rimase in silenzio per qualche ora, dandogli ambrosia e nettare ogni tanto, a seconda di quello che il suo istinto gli diceva.
Si disse che era assurdo che la vita di una persona fosse affidata all’ istinto di una novellina solo per quello che aveva fatto in un’altra vita.
Ogni tanto Luke mormorava il nome di Annabeth, intervallato da quello di Talia. A quanto si ricordava Annabeth era una sua amica che lui, incredibile ma vero, aveva tradito e cercato di uccidere, ora era la ragazza di Percy.
Cassandra iniziava a dubitare che avesse cercato di ucciderla con tutto se stesso fino a quando non era morto, visto che ora ripeteva di continuo il suo nome.
Cassandra appoggiò la testa accanto alla spalla di Luke e si addormentò.
--
Qualcosa si mosse accanto a lei.
La pecca di avere un arco? Che non lo puoi usare da vicino e che ci metti troppo a incoccare una freccia.
La pecca di avere una collana che si trasforma in un arco? Che ci metti il doppio a incoccare una freccia.
Fortunatamente aprì gli occhi prima di essere pronta a uccidere qualcuno.
Luke stava cercando di mettersi a sedere, ma il dolore al fianco gli impediva qualsiasi movimento.
-ssh- disse Cassandra.
Il ragazzo sussultò –Annabeth?- chiese.
-No, mi chiamo Cassandra Williams, figlia di Apollo- aggiunse con grumo di rabbia che le risaliva nel petto.
Luke sembrava aver recuperato un po’ di colore, o forse era luce dorata dell’alba che gli conferiva un aspetto migliore.
-Tu eri la ragazza delle frecce?- domandò Luke con un filo di voce.
Cassandra annuì.
Sapeva che doveva chiamare qualcuno, che se Luke si svegliava doveva avvertire, ma non ce la fece.
Quel ragazzo era troppo debole per reggere un interrogatorio, soprattutto uno di Percy.
Cassandra gli porse un po’ di ambrosia, che Luke mangiò.
-Che sapore ha?- chiese il ragazzo –l’ ambrosia-
-Non lo so, non l’ho mai assaggiata. Dovresti dirmelo tu, ne hai fatto un abuso questa notte-
Luke ci pensò su –Biscotti al cioccolato. Non bruciati, quando non erano ancora bruciati-
Cassandra non capì che cosa intendesse ma ne prese una briciola e la mangiò –Sa di sciroppo alla fragola, quello che mio padre mi dava quando avevo la febbre-
-Tuo padre?- chiese Luke.
-Il marito di mia madre- precisò Cassandra –Fino a due giorni fa pensavo che fosse lui mio padre e invece…-
Cassandra decise di lasciar perdere il discorso. Non voleva sfogarsi su Luke, di certo il ragazzo ne aveva passate di peggio dopo essere morto una volta e sfiorato il decesso un’altra.
-Sai dov’è Annabeth?-chiese.
-So a malapena chi sia questa Annabeth- disse Cassandra –Sono nuova del Campo-
-Capisco- disse Luke un po’ deluso –Le volevo parlare, ma penso di poterlo fare dopo, no?-
Cassandra aveva i suoi dubbi, ma disse ugualmente che ne era certa.
-Sai, era l’unica cosa che ricordavo quando ero nei Campi degli Asfodeli- spiegò Luke.
-Campi degli Asfodeli!- esclamò Cassandra meravigliata. Dopo tutto quello che le avevano raccontato pensava che fosse finito almeno nei Campi nella Pena, se non nel Tartaro, ma decise di non commentare a riguardo.
Evidentemente Luke pensò che lei non conoscesse la vita dopo la morte greca, visto che era una novellina, quindi decise di spiegarglielo –I buoni vanno ai Campi Elisi, tipo il paradiso dei mortali, quelli che non hanno fatto né bene né male vanno dove sono andato io, i cattivi ai Campi della Pena. Se finisci all’ Elisio puoi rinascere tre volte e se ti meriti l’ Elisio tre volte ti guadagni l’ Isola dei Beati. I giudici mi avevano assegnato i Campi Elisi, avevo fatto un azzardo a presentarmi al giudizio, ma io ho sempre preteso troppo da me stesso-
Luke rimase stordito dalla sua battuta, come se cercasse di afferrare un ricordo che gli sfuggiva, quindi non si accorse della faccia stupita di Cassandra alle parole “ Campi Elisi”.
-Comunque- riprese il ragazzo –ho deciso di dividere la colpa. Molti dei mezzosangue che avevo convinto a unirsi a Crono erano stati assegnati ai Campi della Pena e…-
Luke si alzò di scatto, pallido e spaventato –Aspetta. Cosa sto dicendo? Crono? Io…ero arrabbiato perché non avrebbero fatto uscire altri dal Campo nessun altro…perché…- si toccò la cicatrice –Che senso ha ripetere le imprese fatte da atri? Che senso ha?-
Luke sembrava sul punto di piangere –Poi mi sono ucciso…il coltello di Annabeth…- si portò la mano sulle costole, come per controllare che ci fosse ancora tutta le pelle –Ma non ha senso. Io ero seduto sul mio letto, non ero sull’ Olimpo. Che ci facevo lì?-
Cassandra non sapevo che rispondere, non conosceva la sua storia salvo per quello che gli avevano raccontato al Campo, e secondo tutti Luke non si era ucciso, era stato Percy a batterlo in un eroico duello.
Dovevano essere dei ricordi falsi.
“Luke non si meritava neanche l’Elisio per loro” si disse.
-Io ti aspetto fuori- disse in fine.
Luke le afferrò la mano, sembrava spaventato –Tornerai, vero?-
Cassandra cercò di mantenere la calma ma annuì.
Barcollò fuori dall’ infermeria e avvertì i figli di Ares all’ ingresso e decise di andare alla casa di Apollo per riposare.
--
Si svegliò solo quando suonò la cena.
Aveva veramente troppa fame per costringersi a farlo, ma andò velocemente in bagno e si lavò.
Quando arrivò la cena era iniziata da pochi minuti.
Si sedette accanto a Jane Stone –Dove sei stata tutto il giorno e tutta la notte?- chiese.
Avrebbe voluto raccontarle del discorso con Apollo, della notte passata con il nemico numero uno del Campo, ma alla fine scosse le spalle –Mi devo ancora abituare a questo posto, non sono abituata a dormire con altre persone-
Jane addentò una fetta di pizza –Domani vieni alla lezione di tiro…anche se dovresti concentrarti anche sulla spada. Ti devi allenare se vuoi una missione-
Già, la missione. Apollo le aveva fatto un sacco di discorsi sulla sua missione, sul fatto che lei avrebbe trovato il momento giusto e fatto la profezia, senza contare quella storia che lei poteva brillare luminosa.
Che voleva dire?
In ogni caso non aveva importanza, non aveva alcuna intenzione di eseguire gli ordini di Apollo.
Istintivamente si portò la mano alla tasca per controllare i messaggi, per capire solo troppo tardi che non aveva il cellulare –Ma come fate a tenervi in contatto con gli amici mortali?- sbuffò.
Jane rise –Amici mortali? Non puoi neanche uscire di qui, in pratica! Io ho avuto una sola missione di mezza giornata e, sai, mia madre non poteva ospitarmi…- il suo sorriso si spense.
Cassandra sentì un’ondata di rabbia verso suo padre e dovette stringere il tavolino per controllarsi.
Nonostante l’odio si ricordò quello che le aveva detto, che i suoi fratelli potevano autogestirsi, mentre lei doveva essere guidata, che lei non avrebbe trovato la sua strada da sola.
-Comunque- disse Jane prendendo un respiro profondo – Casa Grande a parte, c’ è una sola ragazza che ha il telefono e il pc-
-La ragazza di Percy- tirò a indovinare Cassandra.
Jane scossa la testa –Cioè, si, ma al momento non è al campo, e comunque per lei usarli è pericoloso quanto per noi. No, mi riferivo a una ragazza della casa 4-
Cassandra passò in rassegna gli dei –Demetra?- rise –L’unica ad avere accesso al pc è una figlia di Demetra?-
-Ed è anche brava- precisò Jane –Prima di venire qui si è allenata molto a violare reti governative e cose del genere, in fatti credo che siano andati a ripescarla in carcere. I primi tempi che era qui, dicono, la tenevano agli “arresti domiciliari” nella sua casa per farle scontare la pena del mondo mortale-
Cassandra allungò il collo per sbirciare nella loro direzione, ma vide solo ragazze normali con fiori intrecciati nei capelli o ragazzi che si fiondavano sul cibo.
-Ma non hai detto che è pericoloso per noi mezzosangue usare dispositivi elettronici, anche dentro al Campo?- chiese mettendosi a sedere composta.
-Lei è speciale. Dono di Era, dicono. Non so per quale servigio speciale- si strinse nelle spalle Jane.
Prima che Cassandra potesse rispondere sentì Percy sbraitare qualcosa e William si mise a sedere accanto a Jane, dopo essere fuggito dal tavolo di Ermes.
Lo stomaco di Cassandra fece una capriola. Era veramente bello, aveva il viso perfetto ed era simpatico.
“e fidanzato” disse una voce.
“stai zitta” rispose un’ altra.
-Bel lavoro con il tizio, ieri sera- si congratulò William.
-Gli ho dato solo un po’ di ambrosia- minimizzò Cassandra.
-Anche per quello, c’è voluto coraggio- disse William facendo il cenno di togliersi il cappello, cosa che fece infuriare Cassandra. Perché nessuno giudicava Luke per quello che aveva fatto la sera precedente? Lui non si ricordava molto della sua vecchia vita, o almeno Cassandra pensava che nessuno potesse fingere così bene.
Comunque non poteva rimanere arrabbiata con William.
-Intendevo-continuò il ragazzo –per le frecce. Sei stata grande, e senza un giorno di addestramento!-
-Credo che qualcuno mi toglierà il posto di insegnante di tiro- scherzò Jane.
-Comunque- disse Cassandra a disagio –come stanno Luke e Nico?-
Non li vedeva da nessuna parte.
William incominciò a mettersi il cibo nel piatto mentre parlava –Il bambino non vuole venire a mangiare con noi. Sostiene che sua sorella non sia morta e che non sia neanche il pretore Lavesque. Non so che dire di lui, non sembra solo amnesia, sembra che lui non abbia vissuto più di tredici della sua vita. O meglio, a volte ricorda delle cose, ha come degli attacchi.
Lo stesso posso dire di Luke. Se non fosse stato per l’altro ragazzo non ci avrei mai creduto, ma Nico era uno di cui ci si poteva fidare…- guardò il tavolo vuoto della casa 13.
I ragazzi si alzarono e bruciarono delle offerte ai loro genitori.
Cassandra lanciò un pezzo di pane meno mangiucchiato senza dedicarlo a nessuno in particolare.
Avrebbe voluto avere qualcuno con cui parlare, ma non sapeva chi.
Il ragazzo della nave, Alexander? Jane o William? O Luke?
Nessuno. Era sola.
Con molta amarezza tornò alla casa 7. Il giorno seguente avrebbe dovuto allenarsi molto.

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV Alexander ***


La mattina seguente Alexander si alzò presto.
Seguì tutti i corsi ai quali Emily lo portò. Avrebbe voluto riposarsi, ma la ragazza gli fece fare degli allenamenti massacranti.
Dalla sera prima, quando aveva parlato con Ermes, aveva pensato al fatto di dover intraprendere un’impresa.
Non era abbastanza allenato, tanto meno tatticamente pronto a lottare contro dei mostri.
C’era anche un’altra cosa che lo preoccupava, anche se non lo voleva ammettere. Se mai avesse scoperto i poteri ereditati dal padre avrebbe avuto bisogno di qualcuno che gli spiegasse come controllarli, sempre che i suoi poteri non lo facessero anche scoprire e ammazzare, ma a questo non ci voleva pensare.
Mentre si riposavano chiese a Emily se aveva avuto notizie sul conto dei due nuovi arrivati.
-William ha curato Luke Castellan, ora lo tengono sotto chiave. Percy lo ha interrogato e sembra avere un’amnesia simile a quella di Nico. Non so che altro dirti- sorrise Emily –comunque vorrei provare anche io quello che hanno fatto loro, è la chiava per l’eterna giovinezza!-
Alexander rabbrividì. Il fatto che fossero ringiovaniti era molto inquietante, se mai qualcosa avesse potuto rendere più inquietante Nico di Angelo.
All’improvviso Emily e Alexander sentirono delle urla provenire da dietro la casa 11, d’avanti alla quale stavano riposando.
-Andrew!- sbottò Alexander.
Emily storse la bocca con disapprovazione e lo trascinò dentro.
Alexander si buttò sotto al letto, sperando che non diventasse un’abitudine.
Andrew era lo stesso ragazzo che la sera prima lo aveva chiamato “l’ Indeterminato”.
Era tutta la mattina che lo tormentava. Emily assicurò che non era colpa sua, che Andrew faceva così con tutti.
-Emily!- la salutò il ragazzo appena entrato.
Alexander non lo poteva vedere, ma sapeva che faccia aveva.
Aveva i capelli neri premuti sulla testa, gli occhi scuri e la carnagione pallida. Era alto e magro, con un sorriso sempre stampato in faccia.
Non sarebbe stato sgradevole d’ aspetto se non fosse stato per quel ghigno malefico sulla faccia.
Per certi versi assomigliava al ragazzo di Emily, solo che William era molto più bello.
Emily era seduta sul proprio letto, Alexander poteva vederne le gambe, ma non sapeva cosa stesse facendo.
-Andrew- rispose lei con finto entusiasmo.
-Sai dove posso trovare l’ Indeterminato?- ghignò il ragazzo.
-Penso…penso che stia scalando- suggerì Emily.
-Sempre gentilissima- disse l’altro correndo fuori.
Alexander tirò un sospiro di sollievo e rotolò fuori.
-Grazie- mormorò.
Emily si strinse nelle spalle –Figurati, tu non sei un Indeterminato. Sei uno di noi- sorrise incoraggiante.
Alexander si sentì in colpa. Non poteva fingere con chi lo considerava un fratello, in qualche modo sembrava sbagliato.
Emily arrossì e farfuglio –Cioè…non che abbia niente contro persone di altre casa e se…insomma…se anche non sapessi chi fosse tuo padre non sarebbe colpa tua, no?-
-Avevo capito. Meno male che siamo fratelli, comunque-sorrise Alexander.
Emily si rabbuiò –Un bene?-disse dubbiosa- Credo che avrei preferito di gran lunga essere in qualsiasi altra casa, o essere mortale…-
-Non ti piace la casa 11?-disse meravigliato Alexander sedendosi accanto alla ragazza.
-no…non è questo. Mia madre…penso di non averla mai conosciuta, in realtà. Sono cresciuta in un orfanotrofio. Ogni tanto qualcuno mi adottava, ma, sai, il mio carattere calmo e dolce…- scherzò.
Decisamente Alexander non l’avrebbe definita né calma né dolce, ma era rattristato dal fatto che questo potesse essere un problema per le famiglie affidatarie.
-In pratica sono passata da un istituto ad un altro. Mia madre, quando ero piccola, mi dicevano che ero morta, anche se non era così. Quando sono cresciuta mi hanno confessato che mi aveva lasciato d’ avanti alla porta dell’orfanotrofio quando avevo poche settimane. Mi aveva abbandonata- si strinse nelle spalle –io speravo in mio padre. Tutte le sere mi addormentavo sapendo che mio padre sarebbe venuto a prendermi la mattina dopo dicendo che mia madre mi aveva abbandonata senza il suo permesso e che mi aveva cercata per cinque, sei, sette, otto, nove, dieci anni… poi basta. Ho smesso di sperare.
Tre anni fa sono scappata. Quando sono stata riconosciuta avevo undici anni. Ero felice, perché speravo che a mio padre importasse qualcosa. “Riconosciuta con due anni di anticipo!” pensavo entusiasta- disse agitando le mani come fingendo di aver vinto una corsa. Abbassò le braccia, con il viso scuro –ieri sera è stata la seconda volta che ho parlato con lui. Io…io non penso di essere arrabbiata con Ermes per la sua mancanza. Non penso di essere delusa da lui. Come puoi essere delusa da qualcuno in cui non riponi più fiducia?- chiese amaramente.
Alexander ancora riponeva fiducia in suo padre. Si diceva che lo stava solo proteggendo. Stava mentendo a se stesso? Sperava di no. Ormai, della sua famiglia, gli era rimasto solo il padre e forse dei fratelli.
Emily prese un respiro profondo e si alzò –Ma, in fondo, dovrei solo ringraziare i miei genitori, no? È grazie a loro che sono come sono e non potrei immaginare di essere niente di meglio-
Quel pensiero scaldò un po’ il cuore di Alexander. E comunque aveva ragione. Alexander credeva che avrebbe dovuto faticare per trovare qualcuno migliore di lei.
--
Gli allenamenti continuarono stressanti tutto il giorno e anche per il resto della settimana.
Avrebbe voluto vedere Nico, ma sembrava barricato nella casa 13, intenzionato a non vedere nessuno.
Un pomeriggio se ne stava steso sul letto, sperando che Andrew non lo trovasse quando Emily irruppe nella casa 11 con una ragazza alla calcagna.
Aveva i capelli biondi e gli occhi grigi. Se Alexander non si sbagliava era il capogruppo della casa di Atena. Emily li chiamava i “Secchioni” e Alexander non poteva darle torto.
Alexander cercò di mettersi in piedi sulle gambe doloranti.
-Sono Cindy McReese.- disse la figlia di Atena allungando una mano.
Alexander la strinse e si presentò. La ragazza aveva 17 ed era brava nella strategia militare.
-Stasera ci sarà Caccia alla Bandiera. Visto che tu fai parte della mia squadra devi avere un’ arma che ti vada bene-
Alexander annuì e la seguì, lanciando un’occhiata ad Emily sperando che li seguisse.
Cindy lo metteva in soggezione, come i suoi fratelli, con quella loro aria di superiorità di chi capisce sempre tutto per primo e di conosce ogni cosa.
Fortunatamente Emily si accodò.
-Mia madre è la dea della strategia militare- disse Cindy –posso trovare l’ arma adatta per chiunque-
Arrivarono a un vecchio capannone.
Alexander provò spade, frecce, pugnali, ma non sembrava eccellente in niente.
Cindy iniziava a guardarlo come se volesse dire “bello, io posso trovare le armi giuste per ognuno ma tu mi stai mettendo seriamente alla prova”
-Se fossi un Indeterminato direi che tuo padre non è Ares- gli bisbigliò Emily all’ orecchio.
-Ah ah-rise ironico Alexander.
Alla fine Cindy gli fece provare un pugnale. Sembrava abbastanza bilanciato, ma non era per lui.
La figlia di Atena se ne andò, lasciandoli soli.
I due decisero di mettersi a sedere e riposarsi un po’.
Ovviamente Alexander si sedette su qualcosa di duro e scomodo che gli fece vedere le stelle.
Appena la sua vista si schiarì prese in mano il pezzo di metallo sul quale si era seduto.
Era completamente nero e freddo, ma Alexander sentiva che dentro di esso scorreva dell’energia.
-Cos’è?- chiese.
Aveva le dimensioni di un tubetto di colla.
-Si tratta di una lancia- spiegò Emily –ferro dello Stigie. L’ha portata qui Nico di Angelo, ma non ci ha mai combattuto-
Alexander la strinse e improvvisamente il pezzo di metallo si allungò da entrambi i lati.
La parte che stava stringendo era rimasto un cilindro di ferro scuro e lucido, ma dai due lati si era venuta a formare una lancia con due punte alta quasi quanto Alexander.
Emily per poco non cadde dalla pila di armi su cui sedeva.
-Wow- esclamò Alexander voltandosi, e quasi non tagliò il collo a Emily.
-Falla tornare come era prima!- strillò l’ altra.
Alexandr non lo fece.
La fece roteare sopra la testa e con un solo movimento fluido tagliò in due un manichino.
Girandosi di scatto trapassò uno scudo senza troppo sforzo. Quella lancia sembrava un proseguimento del suo braccio.
-Basta!- esclamò Emily, anche se sembrava impressionata più che spaventata.
Alexander si concentrò e la lancia tornò ad essere un tubetto di colla freddissimo.
-Credo che tu sia portato per quella- ammise Emily –comunque tieni anche il coltello, ti potrebbe essere utile negli spazi ristretti-
Alexander sorrise mettendosi il pezzo di ferro in tasca.
-Vieni, andiamo a fare pratica-

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Capitolo 15
*** Capitolo XV Cassandra ***


Per tutta la settimana Cassandra si allenò senza sosta. Scoprì di essere brava anche con la spada, ma il suo elemento rimaneva l’arco.
Jane l’aiutava a migliorare, ma sembrava che non ce ne fosse quasi bisogno.
Ogni tanto andava trovare Luke. Lo tenevano ancora rinchiuso nell’ infermeria.
Sembrava non ricevere troppi visitatori, neanche Nico, il ragazzo che era venuto con lui, che se ne stava tutto il giorno rinchiuso nella sua casa scura, da solo.
Luke continuava a sostenere di non ricordare niente oltre ai suoi diciotto anni e a qualcosa sui Campi degli Asfodeli. Cassandra iniziava a dubitare della sua onestà, ma aveva proprio bisogno di credere che fosse buono.
La sera della Caccia alla Bandiera si mise a sedere accanto a Jane, come al solito, e, come tutte le sere, William si unì a loro dopo due o tre urla di Percy.
-Non capisco proprio perché si arrabbi così tanto- commentò Cassandra –Che male c’è se ti siedi al suo tavolo?- si stupì di se stessa, seguendo il suo cuore avrebbe dovuto semplicemente sconsigliare al ragazzo di infrangere le regole per Emily.
-è proibito- si strinse nelle spalle Jane.
Cassandra gongolò. Non era proibito stare a sedere con lei, quindi.
-Aspetta- disse, fermando i suoi pensieri –Ma voi non siete…cugini?-
-Si, e allora?- disse William a bocca piena –Conta solo il lato mortale della famiglia. L’ unica cosa che si evita è mettersi tra fratelli. Il resto è…come dicono i figli di Afrodite? “Terreno di caccia”-
Guardò William che cercava di far tornare in bocca un pezzo di prosciutto fuggitivo.
Era suo fratello. Non poteva amarlo, anche se dal primo giorno aveva avuto una cotta per lui.
Guardò i suoi occhi azzurri, i suoi capelli biondi…
Scosse la testa per togliersi quell’ immagine dagli occhi. Non era Luke, gli assomigliava solo un pochino.
-Allora siete pronti per la Caccia alla Bandiera?- chiese, per cambiare discorso.
-Siamo noi contro i Romani e le Cacciatrici- spiegò Jane –Sai, per maggioranza numerica…-
William si piegò fino a bisbigliarle all’ orecchio –E poi, le Cacciatrici sono più brave anche di noi e i Romani messi insieme…non abbiamo mai vinto contro di loro-
Cassandra guardò il tavolo accanto al loro.
In effetti la mettevano un po’ in soggezione, era come se irradiassero potere.
Finirono di cenare e bruciarono le offerte per i genitori.
Jane e William la costrinsero a prendere un bel pezzo di dolce invece di una foglia di lattuga.
Dopo cena tutti i Greci si raccolsero sulla sponda del fiume.
Avevano una bandiera blu con il simbolo dei greci, un edificio in marmo bianco simile al Partenone.
Gli altri avevano una bandiera rossa con un arco e un lupo. Cassandra si chiedeva come avrebbero fatto gli avversari a collaborare.
Sembrava che i capi fossero Thalia Grace e una donna dai capelli neri raccolti in una treccia. Reyna, ex-pretore dei Romani e ora centurione della prima coorte.
-Doveva essere il pretore Lavesque a comandare i Romani, ma dopo quello che è successo a Nico…- disse Jane.
Cassandra si guardò attorno. Non vedeva né Nico né Luke. Sapeva che il suo amico non sarebbe potuto venire, ma sperava che almeno Nico di Angelo scegliesse di venire per tirarsi un po’ su.
Cindy assegnò a tutti dei ruoli e spiegò le strategie.
Cassandra e Jane, le due migliori arciere del gruppo, furono messe su una collina sopra la bandiera, fornite di frecce con la punta arrotondata.
Vide Alexander che veniva messo in un gruppo sul fiume, assieme a William e Emily.
Lei e Jane scalarono la collinetta e si misero ad aspettare.
In realtà non successe niente di troppo entusiasmante per molti minuti e così lei e Jane ebbero tempo di parlare.
-Quindi…-disse Jane giocando con una freccia- quell’arco è un dono di Apollo-
Cassandra arrossì. Si vergognava a dire che non era contenta sapendo che Jane avrebbe dato qualsiasi cosa per parlargli. Comunque Jane sapeva che odiava Apollo, non aveva senso mentire.
-Già…non ho capito quello che mi ha detto l’altra sera però…mi ha detto che sarei dovuta partire per una missione ma che il momento giusto avrei dovuto intuirlo da sola…e poi qualcosa sul fatto che avrei brillato. Non lo sopporto, non può semplicemente dire cosa devo fare e basta? -
Jane sembrò pensierosa –è un po’ che faccio degli incubi… qualcosa usciva dalla Statua della Libertà…non sembrava una buona cosa, però. Era qualcosa di scuro come la notte, solo più profondo…-
Cassandra aveva bisogno solo di rassicurazioni, non di altri problemi.
-Senti, ti devo dire una cosa…- Cassandra le raccontò tutto. L’ attacco della Principessa Andromeda II, quello che le avevano detto i suoi genitori e Apollo. Trascurò solo l’incontro con Luke.
Jane aspettò qualche secondo prima di replicare –Non vorrei fartelo notare, ma credo che la colpa della morte dei tuoi genitori non sia tutta di Apollo-
-Cosa intendi dire?-
-Tuo padre ha detto che sarebbe stata una scelta di un figlio di Ade. Non ci avevi pensato? -
Cassandra si accigliò. Possibile che fosse stato Nico? Anche se fosse stato così non poteva prendersela con lui. Aveva lottato ed era morto per salvare delle vite, comunque ci aveva provato.
-Comunque non ti biasimo per aver incolpato Apollo, anche io me la sono presa con lui il giorno che mi hanno detto che mia madre era morta- disse Jane stringendosi nelle spalle –Mi chiedevo perché non avesse fatto niente per impedirlo, poi ho capito che dovevo solo scaricare la rabbia su qualcuno…-
-Deve essere stato difficile per te- disse Cassandra. La capiva, anche lei era nella sua situazione.
Jane sorrise tristemente –Pochi anni fa ho perso anche mia sorella, lei... lei era mortale. Un giorno era con un gruppo di amici. Con lei c’era anche una semidea, la ragazza di Demetra che può collegarsi a internet. I mostri hanno attaccato e… insomma Sarah ha detto che lei ha fatto di tutto per difendere i suoi amici mortali, scoprendo per la prima volta i suoi poteri, ma non è bastato. Dicono che sia per questo che ha ricevuto un dono da Era, per il suo coraggio. Comunque poi l’hanno messa in carcere, non so per cosa, dicono hackeraggio. Io avrei voluto che la condannassero a morte, o che i mostri la trovassero, in fondo era colpa sua se mia sorella, insomma… comunque poi ho capito che non serviva a nulla. Riversare il tuo odio sugli altri consuma solo te stesso-
Cassandra ripensò all’ ultima volta che aveva parlato con Apollo, di come avrebbe voluto che le sue lacrime lo ferissero.
Forse Jane aveva ragione, forse l’odio di Cassandra faceva più male a lei che al padre, ma non poteva farne a meno. Era colpa sua. Non poteva dimenticarlo.
-Strano che non sia successo ancora niente- si stiracchiò Cassandra.
Jane annuì distrattamente.
 Proprio in quel momento un Romano sfrecciò verso la loro bandiera. Possibile che non si fosse accorto che era una trappola? A Cassandra era parso fin troppo palese quando Cindy lo aveva proposto.
La freccia di Jane andò a segno colpendolo sul collo, sotto l’ elmo.
Il ragazzo cadde a terra e scomparve.
-Ma cosa…- disse Cassandra alzandosi.
Una freccia fischiò nella loro direzione, conficcandosi in un albero ad un centimetro dalla testa di Jane.
Era d’argento, le cacciatrici.
L’ amica si mise un dito sulla bocca per far capire a Cassandra di non muoversi.
Jane rispose al fuoco e un paio di frecce la mancarono di poco.
Jane mimò il simbolo della vittoria con le dita. Vittoria? No, era un numero. Dovevano essere due cacciatrici.
Jane fece alcuni gesti veloci per spiegare il piano a Cassandra, che si alzò e corse nella direzione indicata dall’amica più velocemente possibile.
Correndo colpì la prima cacciatrice, che si aspettava un solo nemico, mentre Jane colpiva l’altra.
Una freccia corse nella direzione di Jane, colpendola, a giudicare dal grido che emise.
Un’ altra colpì il punto dove Cassandra si trovava un attimo prima.
La ragazza si fermò e sparò tre frecce, colpendo due cacciatrici nascoste nella boscaglia.
Bel piano il loro, creare un’esca magica per vedere quanti arcieri erano nascosti e tenere un’altra arciera nelle retrovie pronta ad attaccare i nemici. Ma lei e Jane erano state più furbe.
Mentre correva verso Jane per vedere come stava, Cassandra sentì delle urla.
 

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI Alexander ***


Alexander, Emily e il suo ragazzo William sventarono due o tre imboscate. Erano quasi tutti novellini Romani, veramente poco pericolosi. Era come se cercassero di conservare i migliori per gli ultimi assalti.
Il loro doveva essere un posto importante, visto che per vincere i nemici dovevano oltrepassare il fiume con la bandiera in mano.
All’ improvviso sentirono le urla di alcuni greci che chiedevano rinforzi.
-Andiamo io e William- disse Emily –Tu resta di guardia-
Alexander annuì, anche se non era troppo fiducioso del piano. Se avessero attaccato, Alexander da solo non se la sarebbe cavata troppo bene.
Strinse il pezzo di ferro che teneva in tasca e lo trasformò in una lancia, mettendosi in posizione.
I due erano spariti da poco dalla vista di Alexander quando il ragazzo sentì le loro grida nel bosco insieme a quelle dei Greci, ma…
Alexander non sentiva quelle dei Romani o delle Cacciatrici. Sembrava che i ragazzi che Emily e William erano andati a salvare ora li stessero attaccando.
Raccolse lo scudo e corse verso il punto dove i due erano scomparsi, ma sentì qualcosa muoversi dietro di lui e un’esplosione di lucine colorate a seguito di un colpo dietro alla testa, solo dopo arrivò il dolore.
Riuscì, boccheggiando, a rimettersi in piedi. La testa gli faceva male sulla nuca e l’elmo ancora vibrava, stordendolo.
Barcollò, riprendendo in mano le armi, e cercò di mettere a fuoco il nemico che ridacchiava.
Lentamente apparve un ragazzo alto e magro con un sorriso strafottente dipinto in faccia.
-Andrew- mormorò a fatica Alexander, cercando di raccogliere i pensieri.
-l’Indeterminato- gongolò l’altro.
Alexander sentiva indistintamente i rumori di battaglia alle proprie spalle, ma, anche volendo, non sarebbe riuscito a fare niente per aiutare Emily e William, considerato che con Andrew stavano altri quattro Romani.
-Vedo che hai tradito i Greci- constatò Alexander.
- Si tratta solo di uno stupido gioco e poi voglio solo una piccola vendetta- si strinse nelle spalle Andrew.
Prima che Alexander potesse replicare il ragazzo si lanciò in avanti con la sua spada, ferendo Alexander sotto il braccio. Il ragazzo parò goffamente due attacchi con lo scudo, ma si accorse presto di non poter maneggiare la sua lancia con una mano sola. Doveva scegliere se attaccare o difendersi.
Lasciò cadere lo scudo e schivò l’affondo successivo di Andrew.
Ora, almeno, aveva il vantaggio di poterlo tenere a distanza, cosa che servì comunque a poco.
I quattro Romani circondarono Alexander, che faceva roteare la propria lancia in cerchio, cercando di pensare a un modo per uscire da quella situazione.
Uno dei Romani cercò di avventarsi su di lui con il gladio, ma Alexander scartò di lato e lo fece cadere a terra passando l’asta della lancia sulle sue caviglie.
Avrebbe voluto finirlo facendo roteare l’asta di metallo sui suoi denti, sfruttando le lava fornita dal perno centrale della lancia, ma uno dei Romani parò il colpo, permettendo al compagno di tornare alla sua posizione, zoppicando.
Nonostante gli sforzi di Alexander, il cerchio iniziava a stringersi. Inoltre Alexander aveva un altro problema.
Talia gli aveva raccomandato di non mostrar i suoi poteri, cosa difficile dal momento che non sapeva quali fossero, e proprio per questo non poteva lasciarsi andare.
Arrivarono altri due Romani dalla boscaglia e due figli di Ermes. Finalmente Alexander capì il piano di Andrew.
Aveva usato i fratelli come esca che, invece, avevano attaccato insieme ad un altro gruppo di Romani i suoi amici, lasciandolo solo e stordito.
Piano fantastico, pensò Alexander, anche se l’averlo capito non lo aiutava certo a tirare fuori le gambe da quella situazione.
Il cerchio si era stretto tanto che era quasi a portata dei gladi, ormai, quando improvvisamente sentì un forte odore di fiori nell’ aria.
La brezza notturna sembrò fermarsi e farsi pesante, come se si attaccasse alla pelle.
Alexander non sapeva quale fragranza fosse, ma sentiva la necessità di lasciar cadere le armi e mettersi a dormire.
Nonostante tutto si costrinse a tenere gli occhi aperti e a cercare di combattere i Romani.
Se i Romani avevano una qualità, purtroppo, quella era la disciplina. Anche se su di loro quel profumo aveva lo stesso affetto neanche uno di loro aveva smesso di avanzare, anche se più lentamente e incespicando un po’.
Improvvisamente uno di loro venne trascinato urlando nella boscaglia, apparentemente agguantato da un…ramo?
Anche i Romani fermarono la loro avanzata, ma, nonostante fossero all’erta, un altro venne inghiottito dagli alberi.
-Ma cosa sta succe…- ma prima che Andrew finisse la frase qualcosa lo colpì alla testa, facendolo cadere pesantemente a terra. Non era stato un ramo, ma il pomolo di una spada.
Una ragazza di sedici anni, della casa di Demetra, abbatté altri due Romani prima che gli altri si riscuotessero e iniziassero a combattere.
Aveva i capelli marrone scuro e gli occhi verdi come un prato primaverile. Alexander ricordava vagamente il suo nome, forse Sarah.
Anche Alexander rinforzò la stretta sulla sua lancia e iniziò a combattere, ma altri Romani affluivano dal fiume o dalla foresta, presto entrambi i Greci si ritrovarono disarmati.
Due Romani tenevano la figlia di Demetra mentre altri aiutavano Andrew a rialzarsi.
Presto i Romani intorno a loro erano circa sette, più tre Greci. Non erano certo in superiorità numerica.
Nonostante tutto Sarah continuava a dimenarsi, cercando di riprendere la spada.
Andrew si rialzò, riprendendo la sua arma, e si avvicinò pieno di rabbia alla ragazza.
Alzò la spada e calò il pomolo sul viso di Sarah più forte che poté.
Sarah rovesciò gli occhi e sarebbe caduta a terra come un salame se i due Romani non l’avessero sostenuta.
Andrew tornò trionfante verso Alexander –Non sarebbe stato più facile farsi picchiare prima, Indeterminato? Così non avrei dovuto coinvolgere quella smidollata della nostra capo casa, o quello scemo del suo fidanzato, e la ragazza di Demetra. Comunque, ora è arrivato anche il tuo turno- sibilò l’ultima frase.
Alexander cercò di scappare, ma due paia di mani afferrarono le sue braccia, mettendolo in ginocchio a terra.
Andrew caricò un calciò che andò a finire proprio sullo sterno del ragazzo. Anche con l’armatura il colpo gli tolse il respiro.
Quando scivolò a terra arrivò un altro calciò sul fianco, dove non aveva l’armatura. Alexander mugolò di dolore. Se avesse urlato sarebbero arrivati degli aiuti? E se fossero arrivati, sarebbero stati sufficienti?
Decise di non urlare, di non dare soddisfazione a Andrew.
Un calcio sullo zigomo spense per un attimo il suo cervello, ma evidentemente Andrew sapeva dove colpire per non fargli perdere i sensi. Vide il corpo senza sensi di Sarah poco più in là.
La rabbia iniziò a prendere il comando di Alexander. Qualcosa risalì dentro di lui e parallelamente dalla terra.
Forse era solo una sua impressione, ma il suolo iniziò a tremare. Accanto alla sua faccia il terreno si gonfiò come una bolla, come se qualcosa stesse per uscire dalla roccia.
Forse avrebbe fatto uscire i suoi veri poteri, ma fortunatamente qualcuno arrivò in suo soccorso.
Una donna irruppe nella battaglia, stordendo tre Romani in un colpo solo. Ne disarmò altri due con un rapido movimento del gladio.
Il mantello con i colori dei Centurioni Romani volava dietro di lei.
Era Reyna, il capo dei Romani durante quella partita.
-Fermi!- urlò la donna. I due Romani che lo sovrastavano si allontanarono da lui.
Reyna si chinò su Sarah e le diede un po’ di ambrosia.
Anche Alexander ne ingurgitò un po’. Immediatamente il dolore sotto l’occhio scomparve e anche quello alla cassa toracica, anche se sapeva che era solo una cosa temporanea.
Reyna gli diede una mano ad alzarsi –Grazie- farfugliò Alexander.
-Figurati, questo non è lo spirito Romano- disse la donna in tono duro.
-Sei stata comunque ammirevole, non molti l’avrebbero fatto-
Reyna fece una smorfia che poteva essere interpretata come un sorriso –Prendi la tua amica e portala in infermeria-
Detto questo scomparve, insieme ai Romani che lo avevano pestato.
I tre figli di Ermes restarono fermi ai loro posti, come indecisi se combattere o no, ma proprio in quel momento dal bosco uscirono urlando William ed Emily, che si misero spalla a spalla con lui.
Anche Sarah si rimise a fatica in piedi, puntando la spada contro Andrew.
I tre indietreggiarono e si dileguarono nel bosco.
-Grazie dell’aiuto, eh- disse Alexander ironico ai due fidanzati.
-Ci hanno teso un agguato!- protestò Emily.
-Guardate là- disse William agli altri tre.
Alexander era un ancora un po’ stordito, ma riuscì a mettere a fuoco un puntino rosso che si muoveva verso di loro.
No, non era un puntino, era una bandiera. La bandiera dei Romani, per la precisione.
E il puntino non si muoveva da solo, Johanna Abbot stringeva la bandiera nemica.
-è ancora un po’ distante dal fiume- osservò Emily.
-Io posso fare qualcosa con le piante- disse Sarah, e come per dimostrarlo un albero si piegò verso una cacciatrice, bloccandola.
-E anche io posso fare qualcosa, non sarò certo Jane, ma…- disse William mentre una freccia volava oltre la testa di Emily e si conficcandosi ai piedi di un Romano che, impaurito, venne catturato da un ramo di Sarah.
-Che aspettiamo?- corse in avanti Alexander.
Lui ed Emily fermarono alcuni Romani che stavano correndo verso Johanna.
Lavoravano perfettamente come squadra, aiutati da William e Sarah, stendendo Romani e Cacciatrici e coprendosi le spalle gli uni con gli altri.
In quel momento il cuore di Alexander sprofondò.
Sentì Sarah emettere un urlo disperato, contro niente in particolare, almeno apparentemente.
Cassandra William corse fuori dal bosco, urlando –Reyna ha preso la bandiera, sta arrivando-
-Me ne ero accorta!- strillò Sarah. Evidentemente l’avevano avvertita gli alberi o qualcosa del genere.
Emily continuava a fare da guardia del corpo di Johanna insieme a Alexander, mentre gli altri si preparavano a fronteggiare i Romani che si riversarono fuori dalla boscaglia.
Magari Alexander non era un iperattivo con i fiocchi, ma quel poco lo aiutava a seguire le due battaglie contemporaneamente.
Per qualche minuto i suoi amici riuscirono a mantenere i Romani sotto controllo, ma quando arrivò Reyna furono spazzati via.
Peccato che anche Johanna fosse quasi arrivata al confine. E il confine era il fiume.
Solo alzando una mano fece riversare metà del fiume sui Romani e le Cacciatrici d’avanti a lei, spazzando via chiunque, compresa Reyna, ma anche i tre Greci che il fronteggiarono.
Alexander capì quello che stava per accadere.
Afferrò Emily per il fianco e si arrampicò su un albero. Un secondo dopo un’ondata gli investì. Ad Alexander parve che l’ acqua potesse essergli entrata fin sotto la pelle, e, un secondo prima che mollasse la presa, un ramo strinse la vita di Emily e si attorcigliò sul suo braccio.
Quando l’ acqua si ritirò i Romani e le Cacciatrici iniziarono a fare l’ appello dei dispersi, che non furono molti.
Il ramo li lasciò cadere dolcemente a terra.
Quando Alexander si voltò vide i due figli di Apollo legati tra le radici di alcuni alberi che tossivano ferocemente contro Sarah e Johanna, la quale non aveva pensato al fatto che loro non respirassero sott’ acqua.
Sarah si lasciò cadere dalla chioma di una albero, scusandosi con i ragazzi.
I sei Greci si raggrupparono intorno alla bandiera.
-Sei stata grade, Johanna!- si congratulò William senza molto entusiasmo, cercando di togliere l’ acqua da un’ orecchio.
-Dove hai lasciato Jane?- chiese Sarah.
-Si è fatta male ad una caviglia ed è tornata indietro, con un po’ di nettare starà benone-
-Alexander! Alexander!- Nico correva verso di loro.
-Nico?- chiese meravigliato Alexander.
Hazel lo raggiunse a fatica –Rachel... vedere…te…- ansimò.
-Rachel ha una profezia da darti!- esclamò entusiasta Nico.
Un brivido corse sulla schiena di Alexander.
Aveva a che fare con suo padre? Peggio. Se avesse avuto a che fare con suo padre e Percy lo avesse scoperto?
Ancora peggio, Alexander rammentò che il giorno successivo sarebbe stato il suo compleanno. Magari lo aveva riconosciuto.
-Abbiamo vinto, comunque- accennò un sorriso, come se la notizia non lo avesse sconvolto.
“Game over” pensò nella sua testa.
 

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Capitolo 17
*** Capitolo XVII Cassandra ***


Cassandra non riuscì a vedere Alexander per il resto della serata.
Tutti i Greci rimasero in piedi fino a tarda notte per festeggiare la loro prima vittoria contro le Cacciatrici. Ovviamente loro dicevano che era tutta colpa dei Romani, cosa che forse era vera, se si dava ascolto alle voci che buona parte di loro si erano alleati con alcuni Greci solo per fare degli scherzi a dei ragazzi del Campo Mezzosangue.
Jane si unì a loro entusiasta, dopo essersi imbottita di nettare  e ambrosia quasi fino a bruciare.
Reyna non si vide, come la maggior parte dei Romani e delle Cacciatrici. Solo verso le dieci si fece viva Hazel Lavesque, che accompagnava il fratello Nico con aria scocciata, mentre lui saltellava da un tavolo all’ altro per assaggiare tutto.
Un brivido corse dietro la schiena di Cassandra ricordando Nico da adulto. Certo, ora non era raccapricciante come allora, ma aveva comunque il suo lato inquietante, essendo tornato dal regno dei morti.
Ripensò con rammarico a Luke. Non andava a trovarlo da un po’ di tempo ed era l’unica che lo facesse.
Lasciò che il pensiero svanisse dalla sua mente.
Alcuni Greci la issarono sopra le loro teste e la portarono in trionfo verso Johanna, Emily, William e una seccata Sarah.
Tutti i ragazzi che avevano contribuito alla vittoria erano lì, tranne Alexander.
La ragazza si domandò cosa stesse facendo dall’ Oracolo, infatti neanche Rachel Dare si era presentata.
Percy arrivò prendendo tutto il merito della vittoria come stratega, cosa che, se mai fosse stata una strategia a farli vincere, sarebbe stato merito della capo casa di Atena, Cindy.
Andarono tutti a dormire quasi all’ alba. Cassandra salutò Jane e William che tornavano alla casa 7 e si diresse in infermeria.
Ormai aveva perso la notte di sonno, no?
-Ciao- esordì, entrando nella stanza.
Luke allungò la testa verso di lei. Stava appoggiato alla finestra e Cassandra non poté far a meno di notare quanto fosse carino quando era assorto nei propri pensieri.
Scosse la testa e si appoggiò alla finestra accanto a lui , appoggiandosi suoi gomiti.
-Avete vinto, eh?- disse sorridendo.
-Tutto merito mio, in realtà…- disse scherzando Cassandra, raccontando quello che era successo.
-Siete stati comunque molto bravi, in diciotto anni non ho mai visto il campo vincere contro le Cacciatrici. Sembra che tutto vada in modo sbagliato, comunque. La vostra vittoria, i Romani…- disse scuotendo la testa.
Lui non aveva ancora digerito la questione Greco-Romana. A quanto aveva capito Cassandra per lui erano già troppi dodici dei olimpici.
In effetti neanche Cassandra l’aveva compresa bene, ma se gli dicevano che era greca tanto le bastava.
-Pensavo che fossi partita per una missione- aggiunse Luke –Sai, non venivi da un bel po’…-
-Scusa- si affrettò a dire Cassandra –l’ addestramento, tutto queste cose nuove… e poi, partita senza salutarti?- aggiunse ridendo.
-No, non credo lo faresti- concordò Luke.
Si voltò verso di lui e anche lui la guardò in faccia. Lei era abbastanza bassa e lui alto, quindi c’ era molto dislivello tra loro.
-Ti prometto che se mai dovessi lasciare il campo ti porterò con me- promise
Lui sorrise amaro –Non promettere cose che non puoi mantenere-
-Non scherzo, e io mantengo sempre le promesse- disse decisa.
Non avrebbe abbandonato Luke da solo al Campo. Non lo avrebbe fatto comunque: promessa o no.
-E comunque non sei in partenza, giusto?- sorrise.
-Non potrei affrontare una missione con questo livello di preparazione…-
“E poi Apollo mi ha promesso un segno…”
Rimasero lì a parlare fino a quando le palpebre di Cassandra vollero rimanere aperte, poi lei andò a letto, ancora le parole che aveva pronunciato Luke nella tesa. La sua voce la cullò nel sonno.
 
Angolo Autrice
Grazie mille a tutti coloro che hanno deciso di leggere la mia storia fino a questo punto! Vi ricordo sempre che un parere su quello che leggete è molto apprezzato e, probabilmente, chi di voi scrive storie su efp sa quando faccia piacere sapere che qualcuno ha letto tutti i vostri capitoli interessandosi talmente tanto da voler condividere con voi il proprio pensiero.
Ad ogni modo grazie ancora a tutti i lettori, anche se non commentate voglio bene a tutti voi!
Visto che questo capitolo è oggettivamente corto, che non aggiornavo da due giorni e che sono felice di non avere compiti oggi, ho deciso di aggiornare due capitoli.
Spero che continuerete tutti a divertirvi con Alexander e Cassandra anche nei prossimi aggiornamenti ;).
 

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Capitolo 18
*** Capitolo XVIII Alexander ***


Alexander si incamminò dietro ai due fratelli.
Hazel spiegò che Rachel era andata a trovare Nico quando aveva avuto la sensazione che doveva vedere Alexander.
Alexander non voleva sapere niente, era solo terrorizzato dal sapere quello che Rachel gli avrebbe detto.
-Vedo che stai meglio- constatò verso Nico per cambiare argomento.
Il ragazzo si incupì leggermente e smise di saltellare – A volte ricordo…qualcosa. Tipo una nave e Percy e io che affogo…- fece un sorriso forzato –Anche il momento in cui ho conosciuto Hazel. Ma sembra che qualsiasi cosa sia accaduta dopo che ho scoperto di essere un Mezzosangue sia sfocata, non riesco a mettere insieme i pezzi-
Prese una statuetta e se la rigirò tra le mani.
-Cosa è?- chiese Alexander.
-Questa?- Nico sollevò la statua. Alexander annuì.
-è la statua di un gioco di carte, Mitomagia- sorrise –L’ultimo regalo di Bianca…- aggiunse rattristandosi.
-Mitomagia?- disse Alexander per cambiare discorso.
Nico esibì il sorriso più raggiante che Alexander avesse mai visto e si lanciò in una dettagliata descrizione del sistema di gioco.
Alexander riuscì a distrarsi dalla paura che aveva di Rachel, il che fu un bene. Anche Nico sembrava rianimarsi parlando di quel vecchio gioco, descrivendo i poteri speciali di ogni carta, indicando i vantaggi e gli svantaggi di ogni mossa come se fosse una cosa scientifica.
Hazel non poté far a meno di sorridere vedendo Nico comportarsi così, e Alexander la capiva.
Se Nico era sempre stato come lo aveva visto Alexander in versione adulta da quando Hazel lo conosceva, era chiaro che non poteva essere triste della trasformazione del fratello.
Alexander pensò a come doveva essere averne uno, avere una famiglia qualsiasi.
Certo, aveva i ragazzi della casa 11 e suo padre, ma i primi non erano veramente suoi fratelli e il secondo…be’, non sapeva neanche chi fosse.
Alla fine giunsero alla casa 13.
Alexander aveva sperato che Rachel li avesse aspettati da un’altra parte, ma era rimasta dove i due l’ avevano lasciata.
Alexander sentì un brivido entrando in quella casa. Come faceva Nico a viverci? Cioè, il Nico attuale, almeno.
-Alexander Johnson- esclamò l’ Oracolo –ho…una cosa per te-
La donna gli porse un ciondolo. Raffigurava un sole, simbolo di Apollo.
-Grazie- disse Alexander, cercando di mascherare la delusione.
Era deluso che non fosse niente di importante e..si, be’, deluso perché non aveva a che fare con suo padre.
Ma anche arrabbiato. Perché Rachel lo aveva fatto venire fin là per un ciondolo?
Anche Hazel si stava chiedendo la stessa cosa, perché lo precedette –Un ciondolo? Tutto qui?-
Rachel guardò Alexander negli occhi –Tutti ammiriamo la luce del sole, ringraziamo il cielo per il suo calore…raramente ci ricordiamo che il miracolo più grande è all’interno -
-Non sopporto la gente quando parla di cose senza senso- disse Nico irritato.
Evidentemente il ragazzino non aveva capito, ma Alexander sì. E anche Hazel, perché fece cenno a Nico di tacere –Mi spiace per quello che tuo padre ti ha detto, ma Percy non ti darà mai una missione. Rivolgiti ai Romani, per questo-
-Grazie Rachel- disse Alexander. Non aveva altro da dire, anche se “grazie” non era abbastanza.
Poteva essere la fine di quell’ incubo. Certo, anche l’inizio di un altro, ma almeno sarebbe stato un incubo di cui avrebbe capito le regole e i giocatori.
-E guarda il lato positivo- disse Rachel, come se gli leggesse la mente –in missione non dovrai sopportare i tuoi amati fratelli-
--
Alexander passò la mattina successiva a pensare ai suoi compagni di squadra.
Una sarebbe stato Hazel. Si era gettata nella missione senza pensarci, dicendo che era stato solo il suo istinto.
Alexander non sapeva niente di lei, e lei niente di lui, ma sentiva di potersi fidare.
Secondo il piano lei si sarebbe assegnata la missione da sola, essendo Pretore, e avrebbe risolto la spinosa questione della profezia.
Ufficialmente Rachel non ne aveva fatta nessuna per nessuno di loro due, ma Hazel disse che si sarebbe arrangiata con l’augure del Campo Giove.
-è un uomo con cui si può ragionare da un po’ di tempo a questa parte- aveva detto con un risolino, come se il ricordo delle urla del misterioso uomo fosse molto divertente.
Bene, almeno Hazel gli aveva risolto un problema.
Sarebbero partiti quella notte, Alexander doveva solo scegliere il terzo componente della missione, visto che, anche se solo ufficiosamente, ma il capo era lui.
Aveva pensato di portare Emily, ma pensava che sarebbe stato troppo pericolosa come missione.
Cioè, non che sapesse cosa contenesse il medaglione di Rachel, ma sentiva che non sarebbe stata una passeggiata.
Chi altri poteva portare? Nico? No, quel ragazzino era così diverso dall’uomo che aveva incontrato sulla nave…
Emily l’aveva già esclusa. William? Dubitava che quel ragazzo sarebbe venuto con lui, era il capo della sua Casa e aveva diverse cose di cui occuparsi, non lo avrebbe seguito se non sapeva neanche dove stava andando.
La sorella di Percy, Johanna? Sarebbe stata una grande rivalsa su quello stupido figlio di Poseidone, oltre che un valido membro per una spedizione, ma anche una cosa stupidissima.
E poi doveva considerare la sua età, aveva la stessa età di Nico di Angelo, almeno quella apparente.
Continuò a rigirarsi la collana tra le dita, aspettando chissà cosa, forse un segno da suo padre.
Proprio in quel momento qualcuno entrò nella casa 11. Sai che novità, con tutto il via vai degli ospiti Romani o dei suoi legittimi abitanti che venivano per fare quello che sapevano fare meglio: essere irritanti.
E stupidi. Alexander non voleva restringere il suo vocabolario a proposito dei suoi ospiti.
Comunque alzò gli occhi.
-Alexander- lo salutò lei.
-Sarah- disse lui stupito.
Lei avanzò elegante e sicura di sé, un po’ come l’aveva vista la sera prima, fino al letto di Emily, di fronte a quello di Alexander.
-Cosa ti ha detto l’ Oracolo ieri sera?- chiese, arrivando dritta al punto.
-Niente di particolare…mi voleva solo regalare una collana- in effetti non aveva mentito, e questo lo faceva stare un po’ meglio. Dopo quello che Sarah aveva fatto per lui a sera prima, non se la sentiva di mentirle.
-Nel remoto caso in cui stessi per partire per una missione sappi che io sarei la scelta giusta. Primo: so procurare del cibo, se si è vegetariani, almeno. Secondo: so combattere abbastanza bene, anche fuori dal bosco, se te lo stessi chiedendo. Terzo: credo che i doni che Era mi ha dato siano utili.-
-Partiamo stasera. Io, te e il pretore Lavesque. Pronta?-
Non sapeva perché avesse accettato il suo aiuto, ma credeva di aver fatto la scelta giusta.
Solo una cosa continuava a preoccuparlo, suo padre gli aveva raccomandato di seguire le indicazioni di un vecchio amico. A chi si riferiva?
Non era il caso di starci troppo a riflettere, tanto entro quella sera doveva essere riconosciuto e avrebbe potuto parlare a quattr’occhi con lui. O almeno così sperava.
La ragazza fece un sorriso sprezzante – Lo sapevo. Vado ad avvertire Hazel-
Alexander mugolò qualcosa in segno di assenso.
Avrebbe voluto aprire il medaglione e vedere cosa lo aspettava, ma pensava che fosse giusto aprirlo con i suoi compagni di squadra.
--
La sera, a cena, cercò di passare tutto il tempo possibile con Emily.
Ora che doveva lasciare quella ragazza che era la stata la sua guida per tutto il tempo che era stato al Campo, sentiva una strana sensazione di vuoto al petto.
Era solo quello? Una guida? No, era stato più di questo. Un’ amica. Lei gli aveva raccontato la sua vita dopo quanto che si conoscevano? Un giorno? Era grande, la persona migliore che avrebbe mai potuto conoscere, aveva pensato quel giorno.
Ma era stata anche più di un’amica o di una guida. Più di una sorella. Era stata quella che aveva creduto alle sue menzogne, quella che si era fidata e, nonostante tutto, nonostante i dubbi che erano venuti a tutti, non aveva fatto domande. Lo aveva accolto nella sua Casa e trattato come un pari.
Si appoggiò allo schienale con la pancia stragonfia.
Nonostante il fatto che Hazel si sarebbe preoccupata di portare i soldi per compare il cibo, Alexander dubitava che avrebbero mangiato molto di più delle verdurine di Sarah, e questo pensiero lo aveva costretto a massacrare praticamente due polli interi, molti maiali sotto diverse forme, mucche e molta altra carne di cui non conosceva la provenienza.
A parte la carne e Emily, non erano troppe le cose che gli sarebbero dispiaciute abbandonare.
Di sicuro non molti dei mezzosangue del campo, non Percy, non i Romani o le Cacciatrici.
Pensava che, una volta arrivato il momento, sarebbe stato dilaniato dal dover abbandonare l’irritante caos della casa 11, la loro stupida felicità e allegria, i loro “scherzi” che non facevano ridere nessuno tranne quegli ottusi dei loro fratelli.
Ma no, non lo dilaniava. Era felice di lasciarsi i sacchi a pelo dei figli di Mercurio alle spalle, la paura di essere derubato giorno e notte. Le battaglie di cuscini. Ma quanti anni avevano, sei?
Una cosa era certa, era sollevato dal pensiero che, una volta finita la missione, avrebbe avuto più di tredici anni e una casa propria. Oppure un posto al Campo Giove, con Hazel.
Emily lo chiamò per le offerte.
Alexander afferrò un petto di pollo (strano che ci fosse carne nel suo piatto) e le trotterellò dietro, cercando di far rimanere tutto quello che aveva mangiato nello stomaco.
Il momento più difficile per la lotta tra lui e il suo stomaco fu quando gettò la carne nel falò.
Con un brivido pregò il padre di non gradire talmente tanto da riconoscerlo là, circondato dai Greci e sotto la vista di Percy. Di aspettare fino a quando sarebbe stato solo con Hazel e Sarah, se non ne poteva farne a meno.
Suo padre mantenne il silenzio. Alexander era uno dei pochi mezzosangue che era grato al proprio genitore divino per questo.
Prima che tutti si sistemassero davanti al falò per le canzoni da campeggio, Alexander prese da parte Emily.
-Grazie, per tutto quello che hai fatto da me in questa settimana- disse serio, forse troppo per uno che sta solo ringraziando una guida o anche per uno che sta pe partire per un’ impresa.
-Che dici, Alex?- disse lei, accendo un sorriso non troppo convinto.
-Niente, solo che ti sono grato per come ti sei comportata nei mie confronti. Hai creduto alle mie parole senza una prova, ti sei comportata come se sapessi che fossimo fratelli-
-Talia Grace garantiva per te, e poi anche nostro padre lo ha ammesso davanti a tutti. E poi, francamente, i fratelli te li puoi anche scegliere, no? Anche se tu fossi veramente un indeterminato saresti mio fratello molto più Andrew. Comunque io non ho problemi con quelli di altre case e, se ci fossero, neanche con gli indeterminati. Quindi, messo in chiaro questo, cosa ti prende?-
Alexander l’abbracciò. Era la prima volta che toccava Emily, se non si contano tutti i pugni e i calci che lei gli aveva dato in addestramento, e questo gli fece scorrere una strana scossa per la colonna vertebrale.
La lasciò andare subito –Niente, te l’ho già detto-
Lei lo guardò preoccupata e lo volle far sedere accanto a lei al falò.
Fu difficile dileguarsi alla fine del falò, ma il momento venne fornito quando Percy volle dividere William ed Emily a tutti i costi.
Lei continuava a baciare il suo fidanzato, staccandosi solo per fare dei sorrisi compiaciuti a Percy, cosa che distolse completamente l’attenzione della ragazza da Alexander.
Corse nella casa 11 a prendere lo zaino che aveva preparo la mattina e sgattaiolò via, nel bosco fuori dal confine, come i tre avevano premeditato.
Alexander era sicuro che tutta questa segretezza avrebbe richiesto più di una spiegazione sbrigativa verso le due, e lui sarebbe stato più che felice di fornirgliela se mai ne avesse avuta una.
-Eccoci- disse la voce di Hazel da dietro un albero.
-Avete preso tutto?- chiese il ragazzo.
-Si, e ora ci aspettiamo una spiegazione- disse Sarah, arrivando dritta al punto come al solito
-Io, vorrei…-
Proprio in quel momento la terra iniziò a tremare.
-Stanno attaccando il Campo?- ipotizzò Hazel, estraendo la spatha.
-Forse un terremoto?- disse Sarah prendendo la sua spada.
-No- disse Alexander, in tono tranquillo.
Non sapeva perché, ma sentiva che era lui a far tramare tutto, come aveva fatto la sera prima.
La terra iniziò a gonfiarsi come se fosse un liquido che bolle. All’ improvviso le bolle esplosero, facendo fuoriuscire delle mani scheletriche.
Hazel e Sarah iniziarono ad urlare e cercarono di far fuori li scheletri che uscivano pian piano dalla terra.
Alexander se ne stava semplicemente fermo a non fare niente, paralizzato dall’ energia che sentiva risalire dalla terra per tutto il suo corpo, fino alla testa, che riempiva le orecchie del ragazzo di grida raccapriccianti. Ma non lo spaventavano. Si sentiva forte. Si sentiva invincibile e immortale, in quel momento.
Le due ragazze continuavano a tagliare scheletri, che si ricomponevano.
Alexander cercò di fare un passo, ma l’energia che gli scorreva dentro sembrava averlo attaccato al suolo, come se fosse una scossa elettrica.
Alla fine Sarah e Hazel si fermarono, ansanti.
Gli scheletri, una quindicina, erano ormai usciti indisturbati dalla terra.
Si voltarono tutti verso Alexander. Lui non voleva scappare, sentiva che quell’energia gli avrebbe dato la forza di fare qualunque cosa, comunque, anche se avesse voluto, quella stessa forza misteriosa lo teneva attaccato al suolo.
Gli scheletri avanzarono verso di lui qualche passo e poi si bloccarono.
Improvvisamente si piegarono tutti, inginocchiandosi.
Rimasero fermi in ginocchio qualche secondo, poi la terra li assorbì.
Alexander venne liberato dall’ energia che lo teneva bloccato a terra. Le sue ginocchia divennero molli e cadde a terra.
Tutta l’energia e l’esaltazione che quella scossa gli avevano dato erano scomparse, lasciandolo solo spaventato per quello che aveva visto.
E con una consapevolezza.
Si ritrovò a pensare a Nico e al perché avesse scelto di morire per salvargli la vita.
Sentì qualcuno muoversi e andare ad aiutarlo.
Hazel lo trascinò fino a un albero e si inginocchiò accanto a lui.
Sarah stava in piedi dietro di loro, non aveva una faccia sconvolta, spaventata o disgustata da Alexander, era solo stanca per il combattimento con gli scheletri.
-Hazel, io non lo sapevo, giuro…-balbettò Alexander.
La donna cercò di soffocare un singhiozzo e lo abbracciò –Sono felice di avere un altro fratello-
 

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Capitolo 19
*** Capitolo XIX Cassandra ***


Cassandra si svegliò giusto in tempo per la cena.
Cercò di godersi l’aria di festa che ancora aleggiava sul campo per la loro vittoria. L’ unica nota negativa di questa felicità era la faccia compiaciuta di Percy Jackson.
Quella sera al falò cercò di godersi la compagnia di William e Jane, senza pensare al suo rancore.
Verso suo padre Apollo, verso Jackson, verso il figlio di Ade che aveva lasciato che i suoi genitori venissero uccisi, e verso tutte le cose che stavano andando storte nella sua vita.
Soprattutto cercò di smettere di far comparire una cicatrice sul bellissimo volto di William. Come avrebbe voluto che Luke fosse lì con loro. Perché poi? Non era un criminale, almeno per lei, e le dispiaceva che un innocente fosse tenuto in prigione mentre loro si divertivano, tutto qui. No? Certo, che altro?
Andò tutto liscio fino a quando William non si alzò e andò a baciare Emily.
La rabbia montò dentro ogni fibra di Cassandra.
Dovette stringersi la maglia così forte che se ne accorse anche Jane, la quale le diede una gomitata guardandola con sguardi interrogativo.
-Mal di stomaco- si affrettò a dire la ragazza.
Jane si voltò con aria poco convinta. Almeno una cosa buona quel bacio l’aveva: l’ espressione di pura rabbia disegnata sulla faccia quasi sempre cordiale e gentile di Jackson.
Alla fine della serata andarono tutti a dormire.
Cassandra chiuse gli occhi cercando di capire la rabbia che aveva provato quella sera al falò.
--
La mattina dopo venne svegliata da delle voci allarmate.
Si vestì in fretta e andò a cercare Jane.
-Che è successo?- chiese all’ amica cercando di sistemarsi i capelli.
Alcuni erano raggruppati attorno alla casa 11 o alla 4, ma la maggior parte si era raccolta in semicerchio attorno a Reyna, il secondo ufficiale della spedizione Romana.
-Silenzio!- gridò la donna, facendo ammutolire tutti, sia Romani che Greci –il Pretore Lavesque non è scomparsa- iniziò a spiegare –è partita per una regolare missione assegnatale dall’augure del nostro Campo, il centurione Ottaviano-
-Ma perché non ha detto niente?- urlò un Romano, probabilmente un figlio di Venere con cui Cassandra non aveva mai parlato.
-Perché era una missione urgente. Ha portato con sé dei Greci solo perché la missione li riguardava da vicino. Comunque non si può mettere in discussione l’operato di Pretore- decretò Reyna.
-Fino alle prossime elezioni, almeno…- mormorarono alcuni.
-Chi è scomparso?- chiese Cassandra a Jane. Per un attimo temette che fosse Luke, ma poi si disse che la sua paura era immotivata sotto troppi aspetti.
-Hazel Lavesque, come avrai notato- ripose Jane – e poi…l’ amico della fidanzata di William. Quel Alexander con cui sei arrivata e con cui hai lottato durante la Caccia alla Bandiera- non c’era bisogno che specificasse, si ricordava fin troppo bene chi era il ragazzo con cui era partita dalla Principessa Andromeda II .
-William sta cercando di tirare un po’ su Emily- continuò Jane –ha detto che aveva notato che era strano, ieri sera, quel ragazzo dico. Con loro è partita anche Sarah Davies, della casa di Demetra. Credo tu abbia conosciuto anche lei l’altra notte. E poi è scomparsa un’altra persona, ma Reyna non vuole dire chi è-
-Tu sa chi è. Vero?- chiese Cassandra, interpretando l’espressione dell’ amica.
Lei si guardò intorno, sospettosa –Non lo so. Le missioni si fanno in tre, giusto? Non ha senso che sia scappato un quarto componente della missione. Sempre che faccia parte della missione- disse allusiva.
-Tu credi che si partito per ostacolarli?- chiese Cassandra – Hai visto Jackson questa mattina?-
Jane sorrise come se avesse capito cosa intendeva la ragazza –Si, l’ ho visto. Sinceramente non capisco perché qualcuno voglia uccidere quei tre. Certo, Hazel è un Pretore di Roma, ma sembra che ormai non ci siano più elementi che vogliano fare colpi di stato o cose simili. Inoltre lei è buona come capo, non ha nemici trai mezzosangue. Sarah, ha delle capacità che altri della sua casa non hanno, anzi è più forte di tutti loro messi assieme, e può fare cose proibite a tutti i semidei, come se a volte fosse più mortale che semidivina, ma anche uccidendola non vedo come qualcuno possa acquisire le sue caratteristiche. Il terzo… Alexander è strano. Molti mettono in dubbio il fatto che sia figlio di Ermes. Molti mettono anche in dubbio la storia del ritrovamento che ha dato Talia Grace, alcuni credono che il naufragio della Principessa Andromeda II sia stata causata da uno di voi due…- Cassandra si sentì gelare –Lui in particolare. Però sono voci. Non ha senso ucciderlo per un naufragio, poi- fece una mezza risata –non vedo come un figlio di Ermes possa trovare i poteri necessari ad affondare una nave, a meno che non rubi il timone…in definitiva non so chi sia il quarto fuggitivo-
La sua espressione divenne dura –Hai visto Nico di Angelo di recente?-
-In giro, come tutti!- sbottò Cassandra.
-Non stare troppo con lui- disse in fine Jane.
-Non crederai alle storie sul fatto che è un figlio di Ade e che va evitato per questo?- aggrottò la fronte Cassandra.
-Non è per quello- rispose Jane con stizza –è per via di…un sogno. Fai come ti dico, Cassandra-
La ragazza afferrò un braccio dell’amica e la trascinò via dalla folla, nello spazio tra la casa 7 e la casa 5, controllando che non ci fossero figli di Ares nelle vicinanze.
-Cosa hai sognato?- sibilò Cassandra.
-Niente- disse Jane spaventata –ok…-prese un respiro profondo –è da un po’ di tempo che faccio questo sogno… la Statua della Libertà, a Liberty Island. Qualcosa di oscuro esce da lì, come…come se un fronte temporalesco stesse scaturendo dalla torcia. Solo che non è un vero fronte temporalesco, sembrano più nuvole di oscurità pura-
-Lo so- disse Cassandra conciliante –me lo avevi già raccontato. È pe questo che pensi che stia per scoppiare una guerra-
-Ma oggi ho sognato qualcosa di diverso…-disse lei allarmata –tu e quel Nico di Angelo stavate correndo verso la Statua della Liberta-
-Correndo? Ma se è su Liberty Island?- fece notare Cassandra.
-Infatti…-annuì lugubre Jane –gran parte dell’acqua era stata prosciugata. Io…-si passò una mano sulla faccia –vorrei solo che qualcuno ci spiegasse quello che sta succedendo. Non puoi dirmi che la scomparsa di Hazel Lavesque e di altre tre persone sia una casualità, no?- esclamò –Vorrei solo che Apollo si facesse sentire…-
-Se aspetti un segno dagli dei e in particolare da quel dio puoi aspettare anche tutta la vita- commentò Cassandra acida –credo che comunque il tuo sogno abbia qualcosa a che fare con tutto il resto. Il naufragio della Principessa Andromeda II a opera di Percy, la profezia che ho scritto prima che affondassimo, la scomparsa di Hazel, il ritorno in vita di Luke e Nico…- Cassandra si fermò.
Non era solo l’aver pronunciato il nome di Luke che le aveva dato una stretta allo stomaco, ma si era appena ricordata di una cosa che le aveva detto Apollo –Che ne dici di un’ impresa?- disse con un sorriso.
--
Il padre le aveva detto che avrebbe avuto un segno, ma Cassandra non era certa che fosse proprio quello che stavano aspettando.
Le aveva detto anche che sarebbero dovuti partire di nascosto, ma senza qualcuno a coprirli, sarebbe stata dura.
Poi era arrivato il momento di chiedersi chi sarebbe partito con loro. Loro, perché Jane non era in discussione.
Se Cassandra avesse trovato la risposta ai suoi dubbi in quell’ impresa lo avrebbe fatto anche l’amica.
Cassandra avrebbe tanto voluto portarsi qualcuno in grado di combattere anche per loro. Certo, nel tiro con l’arco erano brave, potevano curarsi e componevano delle ottime poesie, ma tutto questo come sarebbe stato utile se si fossero trovate a combattere contro decine di mostri? Se ne avessero dovuto affrontare uno in uno spazio ristretto?
Per questo sarebbe stato preferibile portare qualcuno con molta esperienza o grandi poteri.
Questo restringeva il campo a due persone : Johanna Abbot e William.
Jane diceva che non era una buona idea portare il ragazzo, perché di rado le missioni venivano fatte da soli componenti di una casa, ma diceva anche che non potevano portare la ragazza perché sarebbe stato difficile portarla via da sotto il naso di Percy.
Altro problema: come sarebbero usciti dal Campo ora che erano fuggiti da sotto il naso di Percy quattro persone?
Potevano solo confidare in un aiuto divino, diceva Jane, cosa che Cassandra traduceva in “arrangiamoci, ragazzi”.
Ora che aveva sentito i sogni stravaganti dell’ amica e stava incominciando a mettere insieme i puntini non riusciva a biasimare più Apollo come prima per tante cose.
Ma cosa cambiava, in fondo, se non si era fatto sentire nelle ultime settimane con i figli? Non era quello il punto.
Aveva lasciato morire i suoi genitori. Aveva abbandonato ragazzi come Jane a cui serviva il suo aiuto.
Sinceramente, come faceva Apollo a pensare che quella ragazza avrebbe potuto “trovare la sua strada da sola”?
Smise di pensare al padre di Jane. Aveva cosa più importanti su cui riflettere e che meritavano di più la sua attenzione.
Apollo le aveva detto che sarebbe stata lei a creare la profezia, un po’ come ne aveva già creati alcuni versi sulla nave.
Sperava solo che le sarebbe riuscito altrettanto semplice.
-Allora? Hai pensato al terzo amico?- chiese Jane sedendosi accanto a lei.
Il sole stava per tramontare e Cassandra si era seduta sotto l’albero di Thalia per osservarlo.
Le era sempre piaciuto il tramonto, forse perché inconsciamente sapeva che quel deficiente di suo padre si stava togliendo dai piedi.
Cassandra scosse la testa -Io porterei William in ogni caso, Apollo mi ha detto di scegliere persone di cui mi fido-
Jane storse la bocca –Sei tu il capo-
-No, io sono solo quella che fa la profezia, se venisse William gli lascerei volentieri questo casino!- esclamò Cassandra prendendosi la testa tra le mani.
-Va bene- disse Jane in tono conciliante –ma ci deve pur essere qualcun di cui ti fidi, no? Qualcuno che vorresti portare-
Un peso cadde nel petto di Cassandra –Si-
-Andiamo a chiedergli se vuole venire- propose Jane alzandosi a allungando una mano verso l’ amica.
-Diciamo che dovremo aiutarlo a evadere-

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Capitolo 20
*** Capitolo XX Alexander ***


Dopo mezz’ ora erano in viaggio.
Alexander non voleva stare troppo vicino al campo, sospettava che, anche se Reyna garantiva che i Romani non gli avrebbero cercati, Percy sarebbe subito partito all’ attacco.
Alexander suggerì di mettere più strada possibile tra loro e Percy, quindi non poterono fermarsi né aprire il medaglione, né ricevere le spiegazioni che le altre due volevano da Alexander.
Mentre camminavano in direzione New York Alexander ripensò a tutte le persone che avrebbe voluto vedere ora.
Emily, ovviamente. Nico di Angelo, che, con un brivido, si accorse essere suo fratello.
E suo padre. Ora che tutta questa storia del riconoscimento era finita poteva farsi vedere, no?
Non doveva prendersela. Tanti mezzosangue non avevano visto i loro genitori dopo anni che erano stati riconosciuti e lui si aspettava una chiacchierata dopo un’ ora? Si rendeva conto di quanto fosse assurdo.
Arrivarono alla strada e chiamarono un taxi.
Era sorprendentemente facile la vita con un telefono o una connessione internet, grazie a Sarah.
Il Taxi li lasciò vicino alla stazione. Alexander si accorse di non aver portato soldi e tanto meno dracme.
Pagò Hazel.
Quando si misero a sedere ad un tavolino per fare colazione (visto che ormai era quasi l’ alba) Alexander cercò di fare un’ inventario di quello che aveva dimenticato.
Con sua grande sorpresa, quando aprì lo zaino, era tutto perfetto.
Sulla busta con l’ambrosia (che aveva dimenticato) c’ era un biglietto
 
Amico, ma sei sicuro di essere della nostra casa?
 Potevi anche dirci dove andavi, così ci avresti preso una cartolina.
I tuoi affezionati fratelli della casa 11.
 
Alexander era stupito di vedere che almeno gli avevano fatto lo zaino con un po’ di ordine.
Comunque non poteva non essere un po’ commosso da quello che avevano fatto per lui nonostante non fosse veramente della loro casa e gli odiasse.
-Ok. Adesso credo che sia tempo per le risposte- annunciò Alexander.
Prese un bel respiro e tolse il medaglione a forma di sole dalla tasca.
-Come credete che vada aperto?- chiese rigirandoselo tra le dita.
Se lo passarono a turno cercando di trovare segni di cardini o degli appigli per alzare il coperchio, ma non ne trovarono.
-Siete sicuri di quello che ha detto Rachel?- disse scettica Sarah.
-Certo- rispose acida Hazel –lo dobbiamo aprire. Era chiaramente quello che l’Oracolo intendeva-
-Posso aiutarvi?- disse una voce alle spalle di Alexander.
Hazel alzò gli occhi e per poco non cadde dalla sedia.
Sarah guardò l’uomo e sembrò leggermente turbata, una grande espressione per una come Sarah.
Alexander decise di voltarsi.
C’era un uomo dai capelli neri e la pelle pallida, con lo sguardo da folle.
Ed erano proprio gli occhi che fecero gli fecero saltare il cuore in gola.
Erano identici a quelli di Nico di Angelo. E ai suoi.
-Padre?- disse meravigliato.
Non c’era bisogno che rispondesse, l’ espressione di Hazel era chiara.
L’ uomo sorrise –Mi posso sedere?-
Sarah gli passò una sedia in maniera molto rigida.
Ade allungò la mano in direzione di Hazel e si fece dare il medaglione.
Semplicemente schiacciò il coperchio che si alzò da solo, estraendo una pergamena delle dimensioni di quelle che venivano legate alle zampe dei piccioni viaggiatori.
Alexander si diede dello sciocco per non averci pensato.
-La leggiamo?- chiese titubante Hazel.
-No, leggetela dopo- disse Ade –questa è sempre un’ impresa. Non sono venuto qui per parlare di questo-
Alexander si domandava cosa ci fosse di più importante della loro impresa, ma tenne la bocca chiusa.
-E allora di cosa? Non vedo cosa ci sia di più importante- commentò acidamente Sarah.
Ade la fulminò con lo sguardo –Sarah Davies, figlia di Demetra- disse con disprezzo.
La ragazza non rispose, ma sostenne lo sguardo del dio.
-Di cosa?- disse Hazel con tono entusiasta.
-Del perché, in questa impresa, se è questo che vi interessa, avrete tutti gli dei contro-
-Tutti!- si lasciò sfuggire Alexander in un soffio.
-Non tutti, in realtà. Io sono dalla vostra parte e anche Demetra lo è. Certo, questa guerra sta riuscendo a fare cose impensabili, per esempio far alleare Poseidone e Atena come amici di vecchia data. Saranno loro due quelli da cui vi dovrete guardare di più.
Alcuni hanno deciso di rimanere neutrali, memori di quello che hanno votato nei confronti di Pery Jackson e Thalia Grace, come Efesto, Ermes o Afrodite. Altri vi appoggiano, come Apollo o Demetra-
-Votato?- chiese Alexander.
-Si, quando è stata fatta la Grande Profezia, prima della Profezia dei Sette, gli dei dell’ Olimpo hanno messo ai voti la morte di Percy e Thalia, perché avrebbero potuto distruggere il mondo- spiegò Hazel –hanno vinto i no, per fortuna-
-Capisco, e cosa c’entra con me? Voglio dire, anche Nico ha detto di ricordarsi di questa votazione a Percy, credo- chiese Alexander.
-Perché è stata fatta una profezia su di te. Anche se sono solo due versi, molti credono che basti questa parte della profezia per ucciderti. I versi recitano: L’ ultimo figlio della morte bisognerà allora trovare
Colui che il Caos nel mondo è destinato a riportare. Sembra chiaro che sia tu, visto che non hai fratelli minori-
Alexander si dovette tenere al bordo del tavolo. Lui avrebbe distrutto il mondo? Non poteva certo biasimare gli dei che lo volevano uccidere.
Quando parlò la bocca era asciutta, e fece fatica a formulare la frase –Perché…perché allora non sono già stato ucciso? Mi sembra corretto-
-Non sempre le profezie dicono quello che sembra, ed è già successo che il protagonista della profezia non fosse lo stesso mezzosangue che veniva indicato, come con Percy Jackson-
-Percy Jackson era l’eroe della profezia- disse Hazel.
Ade scosse la testa –Percy Jackson non era più importante di molti altri mezzosangue. È stato Luke Castellan a uccidere Crono, alla fine-
Nonostante le orecchie gli pulsassero per la profezia di prima, fu colpito da quella rivelazione.
Luke Castellan era stato dipinto come male, quasi peggio di Crono. Come era possibile che lo avesse ucciso lui?
E se Percy stava mentendo su questo, su quante altre cose lo stava facendo?
-Ma non è questo il punto- riprese Ade – questa profezia non è completa. Vuol dire che senza i versi precedenti e successivi non si può fare un’ interpretazione corretta. Sarebbe sbagliato uccidervi prima di avere un quadro completo-
-Prima che voi abbiate avuto un quadro completo io avrei potuto aver distrutto il mondo- fece notare Alexander.
Ade non rispose. In effetti nessuno poteva sapere se quello che aveva detto Ade fosse la verità o no, e comunque era chiaro a tutti che sarebbe potuta finire così. Che senso aveva sottolinearlo?
-Ma non è tutto, solo una ragazza della casa di Apollo può terminare la profezia. Una ragazza che, purtroppo, è destinata a partire per una missione importante quasi quanto la vostra- aggiunse il dio.
-Quale ragazza? E perché la nostra missione sarebbe importate?- domandò Hazel.
-La vostra missione, appena aprirete la pergamena, scoprirete essere destinata a fermare Gea, di nuovo. Ed è strettamente legata con la missione di Cassandra, la ragazza che Nico ha salvato con te dalla nave. Solo lei è in grado di terminare quella profezia-
Alexander ripensò a quando Nico gli aveva chiesto di salvare quella ragazza. Era perché erano gli unici due mezzosangue a bordo? O era solo per la profezia?
-Gli dei, comunque, difficilmente vi attaccheranno per primi personalmente, considerando che siete in un’ impresa- disse Ade –Però manderanno i loro Mezzosangue a uccidervi. Hanno sviluppato una tecnica per cui i mezzosangue sono legati a dei mostri. Usando i loro poteri si richiamano i mostri dal Tartaro e loro li possono comandare, ma questo ha un prezzo. Se si batte il mezzosangue si sconfigge anche il mostro-
Alexander capì perché Nico si era battuto con Percy, allora. Voleva distruggere il mostro marino uccidendo il mezzosangue. Aveva senso, se Nico non fosse stato tanto debole in quel momento.
-Grazie- disse Hazel –credo che queste informazioni siano più di quanto avremo bisogno-
-Certo, ma vi avrei portato anche un regalo- disse Ade –credo che Alexander abbia ignorato il mio messaggio. Esattamente quale di loro due era tua amica prima che arrivassi al campo?-
-Non ignorato- si difese Alexander –pensavo che lo avrei trovato dopo essere partito-
-Hazel!- urlò la voce di un bambino dall’ altra parte della strada.
Alexander saltò in piedi, guardando sconcertato il padre –Lui…lo faresti venire in missione…Gea-
Nico di Angelo attraversò la strada saltellando.
Sarah alzò gli occhi al cielo –Tre figli di Ade. Puzzeremo come una fogna-
-Grazie- commentò Alexander.
-Avrete anche tre dei mezzosangue più potenti in circolazione- commentò Ade.
-Lui…anche lui ha potere suoi morti?- chiese tristemente Hazel.
Ade annuì –Alexander, non credo che tu possa mai essere forte quanto Nico, però si. Avete li stessi poteri-
Sarah fece un verso esasperato.
-Hazel! Alexander!- squittì Nico eccitato.
-Non credo che sia saggio portarlo con noi- disse Alexander cercando di mantenere la calma.
-Credimi, la sua missione non ha a che fare con la vostra, non del tutto almeno- disse Ade.
Nico corse verso di loro e si mise a sedere sull’ ultima sedia, con le gambe troppo corte per toccare terra.
Guardò in faccia tutti i presenti, fino a quando non arrivò al dio.
La sua faccia prima fu stupita, poi turbata, poi emozionata.
Cercò freneticamente qualcosa in tasca, fino a quando non trovò la sua statuetta.
I suoi occhi sfrecciavano dalle sue mani alla faccia del dio e ogni volta la sua bocca si apri sempre di più. –no…-disse infine.
Hazel fissò con rabbia quell’ oggetto per un attimo, poi si sforzò di sorridere –Nico, lui è tuo padre. Ade-
Nico allungò una mano e aspettò che il dio la stringesse, cosa che era troppo meravigliato per fare.
Alexander si domandò se anche Ade si stesse chiedendo, in fondo, se era stata una buona idea fargli lasciare il Campo.
Nico ritirò la mano, continuando a guardare la statuetta di Mitomagia e il padre, ancora stupito.
Il dio si alzò, guardò tutti tranne Sarah –Mi ha fatto piacere vedervi tutti qui-
Un brivido gelido corse sulla schiena di Alexander. Il tono era chiaro : “la prossima volta che ci vedremo sarà negli Inferi”, ma cercò di fare comunque un sorriso.
Il dio scomparve dietro ad un camion. Alexander si domandò se realmente avrebbero rivisto il padre appena dopo la missione o se avrebbero avuto almeno degli aiuti prima di morire.
Prese un respiro profondo –Questa profezia Hazel?-

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Capitolo 21
*** Capitolo XXI Cassandra ***


Non si può dire che Jane fosse stata contenta di questa scelta.
Evidentemente era una di quelle che pensava che Luke fosse cattivo. Ma non lo conosceva.
E comunque seguì l’ amica.
Come avrebbero fatto a farlo evadere?
Non erano certo esperte in cose del genere, ma Cassandra lo aveva promesso. Aveva promesso che lo avrebbe portato via dal campo se lo avesse lasciato.
-Andate da qualche parte?- le due ragazza balzarono all’ indietro.
Erano dietro la casa di Apollo, poco dopo il tramonto.
-William! Ci hai fatto prendere un colpo- sbottò Jane.
-E non partite neppure da sole. Per chi è il terzo zaino?- chiese lui.
-Nessuno- si affrettò a dire Cassandra.
Lui lo prese da terra e lo aprì.
-è di una ragazza?- chiese lui.
Jane scosse la testa.
-lo avete fatto voi- costatò William.
-Si…-ammise Cassandra.
-Non voglio sapere per chi è, se volete rimedio un po’ al macello che avete fatto. Non è una ragazza! Non gli servono tutti quei saponi!-esclamò William.
-Grazie-disse Cassandra –ha qualche anno più di te-
-Torno subito- sorrise il ragazzo.
-Che facciamo? Confessiamo?-disse Jane.
-è nostro amico, ci possiamo fidare- decretò Cassandra.
Al ritorno del ragazzo gli spiegarono la situazione.
-Anche io ho la vostra stessa esperienza in quanto a fughe, ma… credo di conoscere la ragazza che fa per voi-
William le portò sul retro della casa 11 e disse loro di aspettare lì.
Dopo pochi minuti era di ritorno con la sua ragazza.
-Non lo so- disse Emily Spencer –per farlo fuggire credo di riuscire a farlo fuggire, ma siete sicure? Voglio dire, non che ci possano scoprire, ma appena uscite dal campo potrebbe uccidervi, o usarvi come sacrificio a Crono o chissà cos’altro…-
-Mi fido di Luke- disse Cassandra decisa.
Emily allargò le braccia –La vita è la vostra. Pronte?-
Le due ragazze e William dovevano andare fuori dal campo.
Il ragazzo, seguendo gli ordini di Emily, distraeva le guardie che Percy aveva fatto mettere quella mattina dopo la fuga di quelle quattro persone.
Riuscirono ad arrivare alla strada e rimasero ad aspettare Emily e Luke.
-Sei sicuro che non vuoi venire?-chiese Jane al fratello.
-Si. A quanto pare i ragazzi della casa 11 si stanno preparando per qualcosa di grosso da quando Alexander è fuggito. Sembra che sarà una missione estremamente importante. Vorrei restare e scoprire quello che hanno in mente, e stare vicino a Emily, naturalmente-
-Hai qualche suggerimento da dare? Sei il nostro capo casa, dopo tutto- sorrise Jane.
-è la vostra prima missione ed è molto complicata. Dovrete muovervi alla cieca, non avendo una profezia chiara fin dall’ inizio.
Ricordatevi solo che non ci sono missioni impossibili e che c’è sempre un modo per uscirne. E di tenere le orecchie aperte su ogni suggerimento e… Cassandra. Ogni aiuto è ben accetto, anche se è Apollo a fornirlo, d’accordo?-
Cassandra annui, più per farlo contento che per altro.
-William- bisbigliò qualcuno tra le frasche.
-Qui- rispose lui.
Emily e Luke uscirono dalla boscaglia.
Il ragazzo aveva solo una spada che William aveva messo nella sua borsa, ma dopo averlo visto all’ opera, Cassandra non dubitava che potesse essere letale anche con una forchetta.
Jane abbracciò William –Ci faremo sentire con un messaggio iride- promise.
-D’accordo- disse lui, stringendo anche Cassandra.
-Andiamo- disse la ragazza, una volta che Luke le ebbe raggiunte.
-Andiamo- dissero loro due.
--
Luke poteva guidare?
In effetti aveva diciotto anni, certo che poteva. Ma non aveva una patente. E non avevano una macchina.
-Io garantisco che ci riesco- disse lui –e per la macchina…-
Poco lontano dal campo (circa un’ora a piedi, a dire il vero) c’ era un bar o un benzinaio, qualcosa del genere.
Luke si infilò in una macchina abbandonata e si mise a giocare con i fili sotto al cruscotto.
La macchina si accese con un rombo –Wow. C’è anche il pieno!- esclamò Luke.
Cassandra si mise dietro con gli zaini e l’ amica prese posto d’avanti.
-Credi che abbia l’ assicurazione, almeno?- domandò Jane.
Luke sorrise tra sé e sé e partì sgommando.
Cassandra passò tutta la notte cercando di fare una profezia, ma non ci riuscì.
Stringeva in mano la penna e cercava l’ ispirazione per scrivere una poesia sul suo vecchio quaderno, come aveva fatto il giorno del naufragio.
Jane dormiva, dicendo che voleva fare qualche sogno premonitore.
Alla fine anche le palpebre di Cassandra divennero pesanti.
--
Si trovava nello stretto di mare tra New York e Liberty Island, anche se era secco.
Credeva che aldilà dell’ isola probabilmente ci fosse ancora l’ oceano, ma non riusciva a vederlo.
Dalla torcia della Statua della Libertà fuoriusciva il buio. Letteralmente.
Erano come nuvole scure, solo che erano più scure della notte stessa.
Cassandra correva verso l’ Isola.
Si arrampicò sullo strapiombo che l’ acqua aveva lasciato intorno all’ isola.
Il sogno si spostò.
Erano nella corona della statua, dove i turisti possono passeggiare.
D’ avanti a lei c’ era un uomo. Aveva circa l’ età di Percy, forse due o tre anni meno.
Era ispanico e lavorava attorno ad un meccanismo posto tra lei e lui.
Fischiettava e tamburellava con le dita qualcosa come se stesse mandando un messaggio al telegrafo.
Ma il messaggio non aveva senso. O si? Lei conosceva il linguaggio Morse.
Ti voglio bene.
-Ti voglio bene- ripeté la ragazza a voce alta.
L’ uomo alzò gli occhi su di lei.
La sua espressione assorta e naturale vacillò.
-Già…lo stavo dicendo…- disse.
Aggrottò le sopracciglia e si rimise a lavorare.
Incominciò a battere un altro ritmo.
Caos. Distruggi statua. Gea.
---
Cassandra si svegliò completamente sudata. D’ avanti a lei anche Jane urlò e aprì gli occhi.
-Quanto ho dormito?-chiese Cassandra a Luke.
-Una ventina di minuti. È l’ alba- disse lui.
Jane la guardò –Caos. Distruggi statua. Gea-
Cassandra annuì.
Luke si voltò a guardarle.
Un grosso errore. La macchina si capovolse.

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Capitolo 22
*** Capitolo XXII Alexander ***


I quattro si strinsero attorno a Hazel, che aveva preso la profezia.
-Vuoi aprirla tu?- chiese lei ad Alexander.
-Sei tu il capo- rispose lui cercando di limitare il tremito delle mani.
Lei annuì.
Tolse lo spago che teneva la pergamene chiusa e lentamente distese il foglio.
Lesse ad alta voce :
 
“Quando la terra la Libertà minaccerà
Tre eroi il vulcano accoglierà.
Uno la missione tradirà
e non stupitevi quando la mortale perirà”
 
-La “Libertà”?- chiese Sarah. Era sbiancata, soprattutto dopo gli ultimi versi.
-“Tradirà” ?- le fece eco Hazel, guardandola freddamente.
-State calme- disse Alexander –evidentemente non si riferisce direttamente a noi, no? Grazie a Nico siamo quattro-
-Ade ha detto che la sua missione non è strettamente legata alla nostra, forse siamo solo noi i tre e uno di noi tradirà- ribatté Hazel.
-E perché non potresti essere tu?- sibilò Sarah –In fondo tu ti sei offerta così velocemente per questa missione, senza sapere a cosa andavi incontro e rischiando il tuo posto da pretore, per chi? Per un ragazzo che non conoscevi nemmeno? Non sapevi che era suo fratello. Ti sei pentita di aver accettato un’ impresa suicida ora?-
Hazel la guardò sbigottita –Ma come osi!- esclamò –Io l’ho fatto perché Nico aveva scelto di morire per salvarlo! Doveva essere importante. Io sto cercando di aiutarvi!- gridò.
-Calmatevi- disse tranquillamente Alexander –preoccupiamoci di problemi che possiamo risolvere  e domande a cui possiamo dare risposta. Primo: chi è la terra?-
-Gea-disse Hazel senza pensare –ancora lei…-mormorò.
-Ma non può essersi risvegliata tanto in fretta, voglio dire, non avrebbe dovuto dormire per altri tremila anni dopo che voi Sette l’ avete battuta?-
Hazel si strinse nelle spalle –Non lo so-
-E il vulcano?- chiese Nico –Quale vulcano?-
-Ce ne sono tanti, soprattutto considerando che la nostra impresa potrebbe sposarsi dall’ America, come l’ultima volta che si è dovuto sconfiggere Gea. - sottolineò Sarah.
-Possiamo chiedere aiuto ad un mio amico su questo- disse Hazel.
-Non mi piace come hai detto “amico”- sorrise Alexander.
--
Girovagarono per mezza New York prima di trovare la fontana giusta. Era una di quelle fontanelle per bere o lavarsi i piedi, forse, solo che era mezzo distrutta. Comunque era in un vicolo, dove nessuno gli avrebbe disturbati.
Hazel prese una torcia e la piazzò dietro la fontana, creando un buon raggio di luce, puoi tappò la bocca della fontanella per far uscire un piccolo fiotto a grande velocità.
-Cosa…cosa sarebbe questo messaggio-iride?- chiese Alexander.
-Tu crei un arcobaleno e la dea Iride porta il tuo messaggio al destinatario. Solo che lo puoi vedere e ci puoi parlare- rispose Hazel.
-Non efficacie quanto una telefonata o una e-mail, ma ha il suo perché- commentò Sarah.
Hazel gettò una dracma nell’ arcobaleno e disse –Ottaviano, Campo Giove-
-Chi è questo Ottaviano?- chiese Nico.
-è il mio amico Augure- ridacchiò lei.
Nell’ arcobaleno apparve l’ immagine di una città Romana, con terme, il senato e tutto quello che avevano a Roma.
- è bella!-commentò Alexander.
-è casa- lo corresse Hazel.
L’ immagine entrò in un tempio forato sul tetto.
Un uomo poco più grande di Hazel stava squartando un orsetto di peluche.
-Ottaviano- disse la donna.
L’ uomo saltò all’ indietro, brandendo un coltello verso di loro.
-Hazel Lavesque… come osi mandarmi un messaggio!- sbraitò.
-Calmo, Ottaviano, sono sempre il tuo Pretore- rispose lei con voce condiscendente.
Lui abbassò il coltello sorridendo compiaciuto –Ancora per poco. Molti non hanno gradito la tua fuga dal Campo dei Greci e alle prossime elezioni…-
Hazel strinse i pugni fino a farsi sbiancare le nocche –Stai attento Ottaviano, dopo le ostilità che hai fomentato contro i Greci nella guerra contro i Giganti è stato solo merito mio e di Frank se Reyna non ti ha fatto fuori e, detto sinceramente, non avrebbe fatto male, se solo avessimo avuto un’ altro augure…
Ma, quello che voglio dire, è che tu mi dovresti portare più rispetto. Mi devi la vita. Letteralmente
-Si, ed è per questo che ho accettato di prendere parte a questa pagliacciata della profezia organizzata da Reyna- sbuffò l’ augure –Che ti serve?-
-Che ti serve, signora. Comunque avrei bisogni di uno dei tuoi auguri- disse Hazel.
-Be’, buon compleanno- ridacchiò ancora Ottaviano.
-Non fare lo sciocco- sorrise ironica lei –ho una profezia fatta da un vero oracolo, vorrei sapere dove mi ha indicato di andare. Dovrebbe essere qualcosa a proposito di un vulcano-
-Aspetta un attimo- disse l’ augure.
Si allontanò dallo schermo-arcobaleno per ritornare dopo pochi secondi. In mano stringeva una giraffa di peluche e nell’ altra un coltello.
Alzò le braccia e squartò la povera giraffa.
Nico brontolò qualcosa inorridito, ma nessuno ci fece caso.
Una volta aperta l’imbottitura del pupazzo Ottaviano la studiò, rigirando le piume morbide tra le mani.
-Ma ci vede veramente qualcosa nei giocattoli?- bisbigliò Alexander all’ orecchio di Hazel.
Lei annuì –Certo, come augure non è male, il problema è il suo carattere-
Ottaviano tornò verso di loro –Niente su alcun vulcano- annunciò.
-E allora? - disse Hazel facendo cenno di continuare –Non puoi essere stato un quarto d’ ora a fissare “niente”-
-No, infatti- disse lui – Ho visto una città. Penso che sarà una bella deviazione-
-Sbrigati, Ottaviano. Non abbiamo tutto il giorno!- sbottò Hazel.
-Chicago. Ho riconosciuto l’ Hancock- disse Ottaviano.
-Come hai fatto?-esclamò meravigliato Alexander.
Ottaviano lo fulminò con lo sguardo –Ci sono stato, forse? Comunque non dovete andare là. Dovete recarvi al lago. È tutto?-
-No, posso parlare con Frank?- chiese Hazel. Alexander vide che in mano stringeva una foto, anche se era piegata e non poteva vedere chi vi era raffigurato.
-Per quanto la cosa mi addolori non è a Nuova Roma al momento- disse l’altro con un’ espressione neutra –è partito per una missione datatagli, secondo lui, da suo padre Marte in persona-
-E tra quanto dovrebbe tornare?-chiese la donna.
-Ha detto che sarebbe stata una cosa veloce, come lanciare una freccia. Ad ogni buon conto dovrei avvertirti che ha preso il tuo cavallo, Arion. Finita questa gradevole chiacchierata?-
-Si, grazie Ottaviano- sorrise Hazel.
-Grazie Ottaviano-le fece il verso lui passando una mano sull’ arcobaleno.
-Quindi ci resta solo da prendere un treno- minimizzò lui.
 Hazel annuì -Andiamo a distruggere Gea una volta per tutte-

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Capitolo 23
*** Capitolo XXIII Cassandra ***


 
La macchina fece un mezzo giro in volo, atterrando sul tettuccio.
Il primo pensiero di Cassandra fu che non sarebbero mai riusciti a trovare una macchina nelle stesse  buone condizioni e abbandonata, il secondo che Jane non aveva la cintura allacciata.
A Cassandra sembrò di essere stata messa in una campana gigante mentre veniva suonata, tanto si sentiva frastornata.
Si slacciò la cintura e ricadde pesantemente sul tettuccio, che ora era il pavimento. Tirò fuori anche gli zaini che aveva accanto e fece una rapida ispezione per controllare che niente fosse rotto o che ogni parte del corpo fosse ancora al proprio posto. Sembrava di sì.
Fermati così vicini dal Campo? Era deprimente.
Cercò di mettersi in piedi. Era una sua impressione o tutto stava tremando?
-Jane! Luke!-chiamò.
La voce soffocata del ragazzo arrivò alle sue orecchie, proveniente dal posto di guida.
Cassandra barcollò nella sua direzione e lo estrasse dalla lamiere –Tutto a posto?- chiese.
Luke annuì, ma si reggeva una gamba.
-Fammi vedere- disse Cassandra.
-No, vai a prendere Jane. Credo di essere riuscito a tenerla con un braccio, ma non aveva le cinture di sicurezza-
-lo so- rispose l’altra trascinandosi verso lo sportello dietro al quale doveva essere seduta la ragazza.
-Jane. Jane rispondi- la chiamò Cassandra.
Il parabrezza era completamente accartocciato, cosa che le impediva di vedere dentro.
Si mise in posizione completamente eretta e il sangue le si fermò.
Una decina di metro più avanti un gigantesco tronco era piantato a terra e sparsi intorno c’erano pezzi di lamiera e schegge di vetro dei loro finestrini.
Sul cofano della macchina, proprio d’avanti a Jane, c’era un cratere lasciato dal tronco comparso dal nulla nel mezzo alla strada.
Si stese accanto al buco provocato nella portiera del lato passeggiero dallo scoppio del finestrino e sbirciò dentro.
L’amica era caduta in modo scomposto sul tettuccio. Cassandra tese l’orecchio per sentire il rumore dei suoi respiri, ma nelle sue orecchie pulsava solo il battito del suo cuore.
-Ti tiro fuori da lì, non preoccuparti- disse Cassandra, più a sé stessa che all’amica.
Al suo fianco comparse anche Luke.
Quando le loro mani si incontrarono sulla portiera lei sentì che la sua temperatura era più elevata nel normale.
-Luke! Devi andarci piano con l’ambrosia- lo sgridò lei.
-Che c’è? A me piacciono i biscotti al cioccolato-
Tirarono con forza e la portiera venne divelta.
Cautamente estrassero Jane da dentro i rottami. E se si fosse rotta la spina dorsale? Sarebbe rimasta paralizzata o l’ambrosia avrebbe guarito anche quello?
Luke le fece trangugiare una tazza di nettare prima di accorgersi di quello di cui Cassandra si era già accorta.
Il ragazzo fece cadere il contenitore reprimendo un urlo. Orrore? Rabbia? Frustrazione? Paura?
Un pezzo di metallo simile ad una freccia spuntava dal petto della ragazza di poco sotto alla clavicola.
Un liquido verde colava dalla freccia.
-Possiamo salvarla, no? Possiamo darle del nettare e l’ambrosia e…- Cassandra si assicurò che respirasse ancora –Non è morta!-
Luke guardava la freccia come se cercasse di ricordare qualcosa del suo passato.
-No, non possiamo- disse infine –Quello è del veleno di una particolare specie di scorpione. Percy non si può curare nemmeno con l’acqua del fiume. Questo lo ucciderà di sicuro. Ci sono poche cure, lui potrebbe avere quella ma…-
Sembrava che Luke stesse riflettendo su qualcosa del passato, come se fosse andato in trance.
Fortunatamente i sensi di Cassandra erano all’erta e riuscì a gettare Luke di lato prima che un masso lo colpisse in pieno.
Lui mugolò quando rotolò sulla gamba dolorante, ma non urlò.
Dal bosco uscì un ciclope altro tre metri.
-Perché?- gridò Cassandra.
Era talmente ingiusto! Non potevano affrontare una battaglia in quelle condizioni e dovevano trovare il modo di curare Jane. Non avevano tempo per un ciclope.
-Tu prendi Jane e scappa in quella direzione, sempre dritto, così riuscirò a trovarvi- disse Luke.
-Ma tu…-iniziò a protestare lei.
Lui addentò altra ambrosia e per un attimo brillò di rosso. Cassandra sentiva il calore che l’amico emanava anche da mezzo metro di distanza.
-Luke- esclamò esasperata.
-Non preoccuparti- disse lui alzandosi in piedi. Saltellò sulla gamba acciaccata senza fare neanche una smorfia di dolore.
-E adesso corri- la sollecitò Luke afferrando la spada e lanciandosi verso il ciclope.
Non poteva abbandonarlo. Non poteva.
Ma allora cosa poteva fare?
Poteva solo correre e salvare Jane. O almeno cercare di allungarle la vita.
Cassandra era bassa e magra mentre Jane era di corporatura normale e aveva un anno più di lei, come poteva sperare Luke che riuscisse anche solo a sollevarla da terra?
Eppure ci doveva riuscire e ci riuscì.
Inciampò per diversi metri. Le braccia le bruciavano e le gambe sembravano non essere in grado di reggere neanche il peso della stessa Cassandra, ma si costrinse a continuare.
Andò a vanti per un tempo indefinito. Non sapeva neanche se stava andando verso New York, verso l’entro terra o verso il mare, però sapeva che non doveva essere troppo distante dalla città.
In lontananza vide una strada e poco a destra rispetto alla sua posizione un parcheggio e un edificio.
La vista le si annebbiò e cadde a terra.
Tutto divenne scuro.
 
Si svegliò in un locale chiuso.
Alzò la testa. Era in un negozio di articoli per il giardino o qualcosa del genere, perché tutto attorno a lei c’erano statue decorative.
Era l’edificio che aveva visto vicino alla strada?
Nella stanza con lei c’era solo Jane. Era pallida e dormiva. Qualcuno le aveva tolto la freccia dal petto, ma sul collo le vene iniziavano ed essere più scure, come se il veleno fosse ancora in circolo.
Si guardò attorno per vedere Luke, ma non lo vide.
Si lasciò sfuggire un gemito. Uno dei suoi compagni era morto o rapito dai ciclopi o ferito a morte.
L’altra era avvelenata e Cassandra non sapeva né che veleno fosse né, tanto meno, la cura che avrebbe potuto salvarla. Forse Luke la conosceva, stava per dirgliela prima, ma se ne era andato, forse per sempre.
All’improvviso una donna entrò nella stanza.
-Ti sei svegliata, finalmente- disse la nuova arrivata.
Aveva un accento esotico e la testa coperta da un turbante.
-Quanto ho dormito?- avrebbe voluto fare molte domande ma riuscì a formulare solo quella.
Fuori era buio.
-Siete arrivate solo stamani- disse la donna.
-Come sta la mia amica?-chiese Cassandra.
-Il veleno che le è stato iniettato non ha cure. Mi spiace- il suo tono sembrava veramente afflitto –Vuoi mangiare qualcosa?-
Cassandra scosse la testa. Che domanda era? Certo che non voleva mangiare nulla!
-C’era un ragazzo con noi. Lo hai visto per caso?- chiese Cassandra con voce tremante.
-Ragazzi? No, nessun ragazzo- disse la donna.
Cassandra si lasciò sfuggire un altro gemito.
Luke era morto? Ferito e impossibilitato a seguirle? O alla fine era bruciato per eccesso di ambrosia?
Lui avrebbe detto che gli piacevano tanto i biscotti al cioccolato.
No, Luke era un tipo in gamba, non poteva farsi uccidere.
-Senti, io ho fatto tutto il possibile per la tua amica, ma vorrei qualcosa in cambio- disse la donna.
Certo, doveva essere stato un gran disturbo occuparsi di loro tutto il giorno, Cassandra non la poteva certo biasimare.
-I soldi sono nello zaino- indicò vagamente Cassandra.
-No, no, volevo più una fotografia- rispose la donna.
-Va bene- annuì Cassandra mestamente.
Seguì la donna fuori, dove statue di decine di persone occupavano tutto lo spazio disponibile.
-Tu sarai la mia prima opera da anni, cara- sibilò la donna.
Qualcosa scattò nella testa di Cassandra. Opera? Si può definire “opera” una foto. Sibilò? E poi, quale era il nome della donna.
Comunque la sua ospite la fece accomodare nel giardino, su una panchina.
-Riusciresti a fare un sorriso?-
Cassandra brontolò ma ci provò.
-Sorridi, cara- disse la donna, iniziando a togliersi il turbante.
-E la fotocamera?-chiese Cassandra allarmata, anche se la donna non diede segno di averla sentita –Aspetta! Qual’ è il tuo nome?-
Mise mano alla collana, che notò con piacere essere ancora al proprio posto, ma la faretra era scomparsa. Non avrebbe potuto comunque tirare con l’ arco.
E poi perché avrebbe dovuto? Cosa la stava allarmando veramente?
Si costrinse a sedere e sorridere, ma il suo cuore batteva a mille.
La donna aveva quasi sbendato completamente gli occhi quando qualcosa cadde dal cielo.
Cioè, non dal cielo, dal tetto dell’ edificio, trapassando il petto della sua ospite.
-Luke!- urlò Cassandra correndo ad abbracciarlo, ma lui si scansò.
-Ma cosa stavi facendo?- gridò arrabbiato –Lo sai chi è questa donna? Lo sai?-
-Io…Luke…pensavo che tu…e Jane…-balbettò Cassandra.
-Non mi interessa! Questa donna è Medusa. Stavi per farti pietrificare come una sciocca!- disse Luke arrabbiato.
Il terrore per un attimo afferrò Cassandra. Era veramente andata così vicina alla morte, di nuovo?
Poi la rabbia –Ero sola Luke!- gridò più forte di quando avesse mai gridato in vita sua –Ero sola! Avevo paura per Jane, che sta morendo senza una cura, avevo paura per te che non ti eri fatto vivo! Avevo paura per la missione che era fallita, per il fatto che, anche se fosse tornato tutto a posto, non sarei riuscita comunque a fare una profezia e a portarla a termine. E tu te la prendi con me? Sei ingiusto!- gli gridò mettendosi in punta di piedi per arrivargli più vicino alla faccia.
Improvvisamente lui la strinse forte, mormorando di scusarlo.
Lei non rispose subito all’ abbraccio, ma alla fine si lasciò andare e iniziò a piangere.
Stettero così alcuni minuti, fino a quando la gola di Cassandra non bruciò per i singhiozzi.
Luke la lasciò andare –Ok, ora occupiamoci di Jane-
-Occupiamoci di Jane- annuì Cassandra asciugandosi una lacrima.
 

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Capitolo 24
*** Capitolo XXIV Alexander ***


Raggiungere Chicago non si dimostrò facile come Alexander aveva pensato. Spesero un giorno e una notte per raggiungere Philadelphia e tornare indietro.
Hazel, in quanto pretore e responsabile di una missione ufficiale Romana, poteva disporre dell’ aiuto dei veterani Romani fuori dal Campo Giove.
Il caso voleva che a Philadelphia vivesse un veterano esperto di automobili che fornì loro una macchina modificata che poteva fare anche trecento chilometri all’ora.
Alexander pensò che era abbastanza inutile, visto che non avrebbero mai trovato una strada così deserta viaggiando di giorno, ma la lasciò fare.
Dall’ incontro con suo padre si sentiva più sollevato pensando che almeno aveva qualcuno ad aiutarlo, se non in quella missione, nella lotta contro gli dei che lo volevano fare fuori.
Avrebbe voluto ringraziare Nico per quello che era successo sulla Principessa Andromeda II, ma Hazel lo aveva sconsigliato.
La donna sosteneva che Nico ricordasse solo parte degli avvenimenti e che ricordargli la propria morte lo avrebbe solo agitato. Alexander pensò che avesse ragione.
Comunque, dall’incontro con Ade, non tutti erano stati più felici.
Sarah continuava a comportarsi come se avesse una condanna a morte sulla testa, diventando scontrosa e polemica. Più del solito, almeno.
La seconda notte da quando erano partiti Alexander ebbe il privilegio di farci un turno di guardia insieme.
Si erano addentrati di poco in Pennsylvania e si erano fermati sul ciglio della strada per dormire.
Hazel si era sistemata in un sacco a pelo fuori dalla macchina, mentre Nico, che era basso abbastanza, dormiva steso sui sedili posteriori.
-Allora, cosa ti preoccupa?- chiese Alexander alla compagna, una volta che gli altri due si erano addormentati.
-In che senso?- chiese lei, strappando qualche filo d’erba da terra e iniziando a giocarci.
-Da quando abbiamo letto la profezia sei…strana. Sembri preoccupata-
-Uno ci tradirà!-esclamò lei alzando un po’ la voce, voltandosi per controllare che non avesse svegliato i compagni.
Strappò altra erba e ricominciò a torturarla con più decisione.
-Pensavo che i figli di Demetra amassero la natura- commentò Alexander, facendo un cenno della testa verso le mani della ragazza.
Lei fece cadere all’ istante l’erba –Già…si, sono solo un po’ nervosa-
-Lo vedo. Ti va di fare due chicchere?- chiese lui, stendendosi a guardare le stelle –Tipo, raccontarmi della tua vita prima del campo. Di loro due so molto, sono praticamente personaggi storici dopo la storia di Gea, ma di te non so niente-
La ragazza si stese accanto a lui –Prima tu raccontami la tua-
-Non c’è molto da raccontare –Alexander si fece sfuggire un sorriso – Sono di origini inglesi- disse, mimando di bere il tè da una tazzina –ma mia madre si è trasferita qui da piccola. Non ero povero, ma neanche ricco. Diciamo che la mia vita è stata abbastanza noiosa fino a quando non sono arrivato al Campo. Non c’è molto da dire. Quando ero piccolo vedevo dei mostri aggirarsi vicino a casa mia, ma mia madre mi diceva di non fare lo stupido. I mostri non esistevano. Io me ne sono convinto e facevo finta che fosse la mia immaginazione. Poi la nave è affondata. Nico mi ha trascinato in questo mondo e ora sono solo un ragazzino di origini inglesi che fa finta di essere un eroe greco dopo che per tredici anni ha rifiutato che questo mondo esistesse. Credo di aver detto tutto.
-Credo che ora tocchi a me- disse Sarah –Già da quando ero piccola sapevo dell’ esistenza dei Mezzosangue e degli dei. Diciamo che i miei poteri non erano così…spiccati, ecco. Sembrava che fossi una mortale, nonostante conoscessi una delle mie sorelle e sapessi che io stessa ero una mezzosangue. Ero anche brava con i computer, anche se in realtà non avrei potuto usarli, ma non me ne importava. Ero amica della sorella di una ragazza del campo, Steffi Stone, la sorella di Jane, figlia di Apollo. Un giorno ci hanno attaccato e io ho sconfitto i mostri. Ma gli altri sono morti. Tutti. Da quel momento Era mi ha concesso il privilegio di poter usare la tecnologia, per ricordarmi sempre la mia parte mortale. Per ricordarmi che io sono più mortale che divina…come tutti noi, no?- aggiunse –Ovviamente ho usato questo dono per entrare nei siti più protetti dello stato, e alla fine mi hanno ripescata in un riformatorio, anche se sembrava molto più un carcere… ecco tutto-
-In fondo mi hanno detto che hai combattuto in maniera esemplare contro quei mostri, mi hanno detto che per questo hai ricevuto la benedizione di Era- commentò Alexander.
Sarah si strinse nelle spalle –Sono morti tutti, in fondo. Che senso ha parlare di come ho combattuto? -
Alexander faticava a credere che dei mostri fossero riusciti ad uccidere gli amici di quella ragazza. Era una delle combattenti migliori che avesse incontrato.
-Perché odi i figli di Ade?- chiese.
-Non vi odio-tagliò corto Sarah.
-Si, invece. Pensa a come hai reagito quando hai scoperto che Nico sarebbe venuto con noi. E sembrava che odiassi anche nostro padre-
-Non è un problema che ho con voi in particolare…sono tutti gli dei e i semidei-
-Ma anche tu sei una semidea e tua madre è una dea, credo- ridacchiò Alexander.
-Lascia perdere-sbottò Sarah –Pensavo che tu potessi capire dopo aver scoperto che più di metà degli dei ti vogliono morto e che i loro figli gli stanno aiutando-
-Sì!-sbottò Alexander –Cioè, no! Ci sono dei che mi vogliono aiutare, come tua madre, o mezzosangue cha hanno rischiato molto per farlo, come Nico, Thalia, Hazel, TU! Non puoi giudicarli tutti insieme! E poi, cosa ti avranno mai fatto!-
Sarah lo guardò con rabbia –Non riesci proprio a capire, vero?- scosse la testa –Comunque il nostro turno è finito, sveglio Hazel-
-Brava, fai come ti pare. Non svegliare Nico, continuo io- borbottò Alexander.
-Bravo, fai come ti pare. Comunque credo che grazie alle tue grida si siano già svegliati-
-E sarebbe colpa mia?- scattò Alexander –Tu dici cose senza senso!-
-Calmi!- disse una voce dietro di loro. Era calma e suadente –Non vorremo mica svegliare gli altri sul serio-
Alexander fece scattare la lancia e Sarah estrasse la spada.
La fioca luce della spada della ragazza illuminava la faccia della donna.
Aveva la stessa età di Percy, ma le somiglianze finivano qui. Il suo sguardo era freddo e calcolatore, nonostante gli occhi grigi ricordassero una tempesta in arrivo. I capelli biondi ricadevano mossi sulle spalle.
-Chi sei?-chiese Alexander.
-Lei è Annabeth Chase, la ragazza di Percy- disse Sarah.
La donna annuì compiaciuta estraendo un pugnale – Figlia di Atena, per la precisione. Sentite, non ho niente contro di voi e tanto meno contro di te, Sarah-disse guadandola con disgusto –Ma non posso proprio lasciar andare Alexander. Se ora ti fai uccidere in silenzio lascio andare la tua amica, sempre che non opponga resistenza, e gli altri due. Se uno di loro tre dovesse attaccarmi, be’…non fate gli sciocchi, d’ accordo?-
-E perché dovresti risparmiarli? Voglio dire, come mi posso fidare?- chiese Alexander.
-Alexander!- esclamò Sarah –ma che dici?-
-Vorresti che mi facessi uccidere senza garanzie?- sbottò lui.
-Non vorrei che ti facessi uccidere punto!- disse lei sconvolta, alzò la spada e fece un passo avanti.
-Ok, Sarah, vuoi fare la sciocca… e riguardo ai tuoi amici, sarebbe illogico ucciderli. Sarebbero uno spreco, perdite inutili- rispose Annabeth.
Alexander non riusciva a credere alle proprie orecchie. Loro, o Hazel o Nico, non erano “perdite”. Erano persone. E lo avrebbe fatto capire a quella donna.
Doveva pensare velocemente ad un piano. Forse loro due insieme sarebbero riusciti a batterla? Sarah era forte in battaglia ed erano al limitare di una foresta, e lui…lui poteva cercare di fare almeno una delle cose che aveva visto fare a Nico. E se si fossero visti persi avrebbero sempre potuto chiamare Hazel. Era un Pretore, doveva essere brava, no?
Sarah, prima di consultarsi con lui, attaccò.
Annabeth riuscì per poco a pararla. Scartò all’ indietro e fece la cosa più stupida che Alexander avesse mai visto fare a qualcuno: si nascose nei boschi.
Anche senza vederla sentì Sarah sorridere.
-Non fare la sciocca, cara…- disse imitando Annabeth, poi alzò le mani e Alexander sentì qualcosa nella foresta muoversi.
-Uccisa?-chiese il ragazzo.
Sarah aggrottò la fronte e ripeté il gesto.
-Ma cosa….- alzò le braccia due o tre volte e poi sempre più freneticamente.
-Che problema c’è?- chiese Alexander.
-Non lo so…è…scomparsa, ecco- disse l’ altra titubante.
Proveniente dal celo sentirono un richiamo agghiacciante. Sembrava un grido a metà tra il pianto di un bambino e il grido di dolore di una gatto.
-Cos’è?-chiese Alexander.
-Non ho mai sentito un suono simile- rispose l’ altra.
Qualcosa cadde in picchiata su di loro. Alexander si gettò a terra e rotolò di lato. Guardò alle sue spalle per individuare Sarah e con sollievo vide che aveva fatto altrettanto.
Qualunque cosa fosse planata su di loro aveva riacquistato quota ed era scomparsa.
-Che facciamo?- chiese Alexander terrorizzato.
-Prendiamo la macchina e partiamo a trecento chilometri all’ora- rispose l’ altra correndo verso il campo base.
-Sempre che quella cosa vada alla velocità di un mostro normale…-borbottò Alexander.
Hazel e Nico se erano svegliati e si guardavano in torno cercando di capire da dove provenissero quei versi agghiaccianti.
-Accendi la macchina, ti spiego tutto dopo- gridò Alexander alla sorella, saltando dentro.
In meno di trenta secondi stavano già sfrecciando via.
Alexander alzò la testa per guardare le stelle…le stelle?
Alexander imprecò in greco antico –Una decapottabile!-
-Cosa ci sta dando la caccia?- chiese Hazel.
-Annabeth Chase, in groppa ad una gigantesca cosa che fa richiami orribili- sintetizzò Alexander.
Sentirono un altro di quei richiami.
-è una delle civette di Atena- spiegò Hazel lanciando occhiate furtive dietro la propria spalla –Una di loro deve essere morta qualche anno fa… credo che sia legata ad Annabeth come lo era quel mostro marino a Percy. Dovremo cercare di uccidere Annabeth- disse l’ultima frase con un nodo in gola, ma aveva ragione. Non c’erano altri modi.
Oppure si? pensò Alexander In fondo Annabeth ha ragione. Io distruggerò il mondo, che senso ha combattere? È giusto che muoia. Ma scossa la testa. No, doveva trovare un modo. Un modo per ingannare quella profezia.
-Come pensiamo di fare?- chiese Alexander.
-Io posso distrarre la civetta- disse Nico.
-No, Nico, tu resti sulla macchina o corri velocemente lontano dalla battaglia- rispose fermamente Hazel.
-Abbiamo la stessa età!- esclamò Nico -E poi io sono potente più di voi! È come se io avessi trecento punti, Sarah ne avrebbe duecentocinquanta, Alexander…-
-Abbiamo capito- lo interruppe Hazel.
-No aspetta, come è che io avrei meno punti di Sarah?- protestò Alexander.
-Non è questo il punto- disse Hazel –Tu ne dimostri dieci e i tuoi poteri sono tornati indietro a…-
-Perché io so usare una spada?- chiese ironica Sarah, interrompendo la romana –E me la cavo bene anche con i poteri di Demetra, mentre tu…qual è stata l’ ultima volta che hai richiamato almeno un criceto dal mondo dei morti?-
-Non è vero che i miei poteri sono tornati a quando avevo dieci anni!- esclamò stizzito Nico, ignorando Alexander e Sarah.
-Nico, veramente…- iniziò Hazel, ma sia lei sia la risposta di Alexander vennero interrotte da una brusca sterzata della donna.
Alexander guardò dietro alla macchina e vide un fantasma che rientrava nell’ asfalto.
-Questo è stato Nico, è il migliore dei tre, ammettetelo…- commentò Sarah
-Appunto! Lo dice anche Sarah!- disse l’ altro.
-Anche io lo potrei fare, e poi il solo fatto di essere figlio di un dio più importante mi farebbero guadagnare minimo cinquanta punti su Sarah…-
-Demetra è una dea importante- disse l’altra piccata –e cinquanta punti non ti basterebbero!-
-Nico, però portati dietro anche Sarah, quel mostro mi sembra pericoloso…-disse Hazel.
-Appunto! Dovrebbe portarsi il migliore, e appurato che io ho più punti di lei…-si intromise Alexander.
-Basta! Io sono il pretore e io decido! Io con Alexander e Sarah con Nico. E, tra parentesi fratellino, lo sai che io avrei più punti di tutti e tre?-
-Non è vero!- esclamarono all’unisono Alexander e Nico.
Qualcosa atterò d’avanti alla macchina, bloccando la strada.
-Questo non è uno dei fantasmi di Nico, vero?- chiese Sarah.
-Se qualcuno vuole prendersi la civetta è ancora in tempo- disse Nico.
-Pronti?- chiese Hazel. Alexander notò che stava stringendo ancora una foto in mano, ma decise che non era il momento di chiedere.
-Andiamo- dissero gli altri tre all’unisono.
 
Angolo Autrice
Allora, scrivo questo messaggio per avvertire che durante tutta la prossima settimana non mi sarà possibile aggiornare o tornare su Efp perciò aggiornerò due capitoli al giorno da oggi fino a lunedì, così chi (se c’è qualcuno) legge giornalmente la mia storia non si scorderà dell’esistenza di Cassandra fino al mio ritorno in Italia (si, vado a Londra!!!). Per questo non potrò neppure rispondere ad eventuali recensioni *prega intensamente per un miracolo sperando che qualcuno recensisca* da martedì fino al prossimo fine settimana.
Per ora grazie per il supporto di tutti coloro che stanno leggendo, anche se silenziosamente. Vi voglio bene veramente!
 

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Capitolo 25
*** Capitolo XXV Cassandra ***


Luke si chinò a raccogliere il sangue di Medusa.
-Cos’è?- chiese Cassandra.
-Una fialetta proviene dal fianco destro, l’altra dal fianco sinistro. Uno è un veleno micidiale, l’ altro…l’ unica cosa che può salvare Jane- rispose Luke.
-Quindi… come facciamo a riconoscerlo?- chiese Cassandra.
-Questo è il problema. Non c’è modo di riconoscere una fialetta dall’altra, in teoria- disse l’altro.
-In teoria?-
-Qualcuno ci potrebbe riuscire. Qualcuno come…un indovino-
-No, no- Cassandra scosse la testa con energia –Mi spiace, ma io non sceglierò quale fialetta dare alla mia amica. E se poi è un veleno? E se l’ammazzo?-
-Sarebbe morta comunque- sorrise tristemente Luke. Le posò una mano sulla spalla –Ascolta, io credo che tu ce la possa fare. Io credo in te-
-Mi spiace, ma ti dovrò deludere. Questa non è una storia: non basta dire “io credo in te” per far avverare qualcosa- rispose Cassandra spostando la spalla per far ricadere la mano.
Luke prese un respiro –Hai paura, va bene. Se potessi farlo lo farei io, giuro, ma… io andrei alla cieca. Non ho il potere di vedere il futuro. Invece tu avresti una possibilità di salvarla, di fare la scelta giusta-
Di fare la scelta giusta. Era più del fatto di scegliere una semplice fialetta, era scegliere di voltare le spalle agli amici o no, e da come lo disse, Cassandra intuì che Luke aveva una personale esperienza in merito.
-E la tua memoria? Non vorresti riacquistarla?- chiese per guadagnare tempo e calmarsi un po’.
-La mia memoria?- rise Luke –Ricordo più di quanto sia necessario, non preoccuparti. Non è successo nulla negli ultimi quattro anni della mia vita che desideri ricordare, tranne… lascia perdere. Sicuramente non sarebbe un bel ricordo. E come potrebbe essere andata a finire bene? Mi odiava- disse tra sé e sé.
-Chi?- chiese Cassandra.
-Nessuno. Cioè, una mia amica. Tutto qui, credo-
Dalla sua espressione Cassandra capì che non era opportuno fare altre domande. E non solo per lui, anche per lei. Non era solo un amica, gli si leggeva in faccia.
Annabeth. Doveva essere lei. Era la prima persona di cui aveva chiesto quando si era svegliato.
Gli strappò bruscamente le fialette di mano –andiamo dentro-
Si misero a sedere accanto a Jane –Proviamo con un po’ di ambrosia- propose Cassandra.
-Dovresti capire meglio di me che la sua unica speranza è quel sangue- disse Luke.
Si, lo capiva. Ma lei non voleva prendersi delle responsabilità sulla vita degli altri, lei credeva che ognuno fosse capace di determinare il proprio destino con le proprie scelte, e invece? Invece aveva la prova d’avanti agli occhi che non era così. Certo, forse la colpa del suo stato si poteva attribuire alla scelta di partire per la missione, ma come avrebbe potuto prevedere che sarebbe stata colpita da una freccia? Come avrebbe potuto prevedere che sarebbe stata avvelenata? Come avrebbe potuto prevedere che la peggiore indovina della storia avrebbe dovuto salvarle la vita?
-Luke, i ciclopi tirano con l’arco e controllano i veleni?- chiese all’ improvviso.
-No- disse lui sovrappensiero –Per questo ho cercato per ore il mezzosangue che deve averli aiutati, ma non ho trovato nessuno-
Cassandra annuì. Non era quello l’importante ora.
Prese in mano le due fialette e le studiò.
-Cosa dovrei fare?-chiese la ragazza.
-Non lo so- si strinse nelle spalle Luke –non sono il figlio di Apollo-
Cassandra lo fulminò con lo sguardo. Non solo perché aveva girato il coltello nella piaga, ma anche perché le aveva dato un’idea. Un’ idea che non le piaceva affatto.
Si sforzò di chiudere gli occhi e di tenere il rancore e la rabbia in un angolo del suo cervello. Da lei dipendeva anche la vita di Jane, non poteva lasciarla morire senza provare di tutto.
Rammentò le parole di William la sera che erano partiti, che avrebbero dovuto accettare l’aiuto di chiunque, anche se era Apollo ad offrirlo.
Ma Apollo non lo stava proprio “offrendo”, ovviamente non gli era passato neanche per la testa di aiutare Jane e guarirla, visto che era il dio della medicina, o di rendere il compito di Jane più semplice spontaneamente.
Per un attimo la ragazza si chiese se Luke avrebbe potuto pregare Apollo per lei, ma poi si rese conto che Luke aveva già abbastanza problemi con le sue di preghiere.
Apollo… Cassandra era consapevole che un “padre” o almeno un “papà” sarebbero stati più indicati, ma non riusciva ancora a pensarlo come suo padre. Suo padre era morto su quella nave da crociera. Per colpa di Apollo.
Cassandra deglutì e riprese Apollo, avrei veramente bisogno del tuo aiuto. Mia sorella , tua figlia, tra parentesi, starebbe morendo e tu potresti aiutarmi in quando dio delle profezia
Silenzio. Non era successo niente. Magari non era stato l’approccio giusto?
Chiuse più forte gli occhi e riprese Ti prego, sono veramente disperata. Non so che altro fare, sei la mia ultima speranza. Ti prego
Strinse le due fialette, ma non le trasmettevano niente. Niente, ma niente non era certo quello che provava lei al momento.
Aprì gli occhi e guardò la faccia pallida e sudata di Jane. E non riuscì più a trattenere la rabbia.
-Lo sai che lei credeva in te, vero? Che ha aspettato in vano un tuo segno quando è morta la sorella, quando è morta la madre, e tu? E tu resti zitto ancora? Questo glielo devi! Non puoi lasciarla morire, non puoi farle anche questo! - gridò rivolta il soffitto – Lei riponeva le sue speranze in te! Lei cercava delle scuse per le tue assenze solo perché tu non ti eri mai preoccupato neanche di fare questo!- sputò fuori anche l’ ultima parola –Apollo!- strillò, lanciando un porta tovaglioli contro il lampadario.
-Cassandra, non serve a niente gridare contro gli dei- disse Luke con tono di uno che si era rassegnato da tempo a questo silenzio –e tanto meno lanciarli soprammobili-
-E cosa dovrei fare? Da sola non ce la faccio, capisci? Non è giusto! Non è giusto così!- le lacrime iniziarono di nuovo a colarle sulla faccia.
Improvvisamente sentì uno strano formicolio sulla nuca.
Si guardò alle spalle e vide il sole scomparire dietro all’orizzonte. Ormai era buio, ma l’ultimo raggio del sole investì la sua mano destra, scaldando la fialetta.
Cassandra fece uscire l’ultima lacrima –Grazie-
Stappò la fialetta e la fece bere a Jane. Inizialmente non accadde nulla. La ragazza continuava a tremare e la sua pelle continuava ad essere pallida come il latte.
Cassandra appoggiò una mano sulla fronte della sorella e si accorse che la sua temperatura stava scendendo, fino a raggiungere quella della sua mano.
Il pallore iniziò a scomparire e Cassandra riuscì anche a sentire il suo respiro farsi più regolare.
-ha funzionato- mormorò Luke tirando un sospiro di sollievo.
--
Quella sera il primo turno di guardia toccava a Luke, ma Cassandra era ancora troppa agitata per la “discussione” con Apollo per dormire. Sentiva ancora la rabbia ribollirle nelle vene e non solo per il suo ritardo ad aiutare Jane. Era colpevole di come stavano andando le vite delle due ragazze.
-senti, per come hai urlato prima con tuo padre…- disse Luke.
-Apollo-lo corresse lei –io non lo definisco mai in quella maniera-
-Apollo-concordò il ragazzo. Non sembrava che lo facesse con aria condiscendente, come se assecondasse i capricci di una bambina, ma era come se capisse come ci si sentiva ad essere quella bambina che fa i capricci –anche io ho passato momenti come il tuo, momenti in cui pensavo che mio padre e gli altri dei mi avessero abbandonato-
-E come ti hanno fatto capire che non era così?-
-Non lo hanno fatto- sospirò Luke –Il punto è che sono stato costretto a trovare forza in qualche altra cosa-
Con un brivido Cassandra pensò alle storie che raccontavano su di lui al campo. In che cosa? In Crono?
-Nei miei amici-continuò lui, come leggendole nel pensiero –Quando avevo nove anni e sono scappato di casa pensavo di non avere più niente. Né dei genitori, né degli amici e neanche degli alleati. Ero solo, spaventato e senza speranza. In quel momento ho incontrato Thalia Grace e dopo Annabeth. Non so cosa abbia fatto dopo i miei 18 anni, ma so che fino a quel momento l’unica cosa che ha curato la mia rabbia erano loro-
-Già…grazie- disse Cassandra poco convinta. Come avrebbero fatto a salvare Jane senza l’aiuto di Apollo?
Luke non poteva aiutarla e basta. Era semplice.
-Cassandra, nel caso non lo avessi capito, stavo dicendo che sono tuo amico e che su di me potrai sempre contare- sorrise Luke.
Cassandra sorrise. Gli era veramente grata per quello che stava dicendo.
-So cosa pensi- disse Luke mentre il sorriso gli si spegneva in faccia –che alla fine ho voltato le spalle alle mie vecchie amiche, che alla fine mi sono unito a Crono e ho cercato di uccidere un’altra persona che mi vedeva come un amico, Percy, fino a quando lui, eroicamente, non mi ha ucciso-
-No, non è quello che penso- disse fermamente Cassandra.
-Vorrei dirlo anche io, il fatto è che…mi sono unito a Crono e l’ho fatto tornare, mi hanno visto tutti durante l’ ultima battaglia…chi mi dice che Percy ha mentito sulla mia morte? Io ho solo delle sensazioni a riguardo. Nessuno mi dice che meritavo realmente l’Elisio-
-Io giudico per quello che ho visto- rispose Cassandra –Io ho visto un ragazzo ferito che si lanciava su un mostro grande cinque o sei volte lui per salvare un amico. Che lo ha rifatto quando dovevamo fuggire dalla macchina. E…-disse queste parole senza la minima esitazione –so che vorrei questo ragazzo al mio fianco più di decine di dei-
 

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Capitolo 26
*** Capitolo XXVI Alexander ***


I quattro scesero dalla macchina.
La civetta, alla luce dei fari, si vedeva chiaramente. Era alta tre metri circa e l’apertura alare era quattro o cinque volte Alexander. L’ intero piumaggio brillava di una tenue luce argentea e gli occhi luccicavano come se fosse un essere intelligente.
-Dov’è Annabeth?-chiese Hazel.
La figlia di Atena non si vedeva da nessuna parte.
-Vado a cercarla- disse Alexander, correndo nella direzione da cui erano venuti.
-No! Non dividiamoci!- gridò il Pretore, ma Alexander non l’ ascoltava. Voleva trovare quella maledetta mezzosangue e ucciderla con le proprie mani. Lei avrebbe voluto uccidere lui? Uccidere i suoi fratelli? E si, anche quell’ irritante figlia di Demetra? Bene, si sarebbe pentita di aver cercato di farlo.
Dopo essersi lasciato la macchina alle spalle di una decina di metri si tuffò nella boscaglia.
-Alexander!- gridava la donna dietro di lui, ma il ragazzo non si fermò ad aspettarla.
Lui sentiva che stava andando nella direzione giusta, ma faceva bene a farlo da solo?
Sentì qualcosa sfiorargli la guancia e si bloccò, tuffandosi all’indietro. Fece bene, perché un altro coltello volò dove si trovava un secondo prima.
-Sei venuto da solo, vedo- disse compiaciuta Annabeth –Anche se sembra che la mia civetta sia stata trattenuta-
-Come stanno i miei amici?- chiese Alexander. Che domanda sciocca, cosa importava alla figlia di Atena di dirgli come stavano i suoi amici se lo stava per uccidere?
-Tuo fratello e Sarah, la ragazza che comanda le piante, se la cavano bene, per ora, ma la mia civetta gli ucciderà a breve. Non temere, non sarai solo negli Inferi-
Avrebbe potuto fronteggiarla? Avrebbe potuto vincere in duello con la sua lancia? Ne dubitava.
Considerò anche l’alternativa: restare fermo lì a farsi uccidere. Così Annabeth avrebbe richiamato il mostro? Avrebbe risparmiato almeno Nico e Sarah? Forse anche Hazel, se avesse fatto in fretta a ucciderlo e la donna non si fosse sbrigata troppo a raggiungerli. Tutto sommato non si era comportato male in vita, no? Sarebbe stato mandato ai Campi Elisi, probabilmente. Probabilmente suo padre lo avrebbe aiutato.
Ma no. Arrendersi non era nella sua natura. Non poteva lasciare che quella donna lo uccidesse così facilmente, se non per sopravvivere (aveva capito che era impossibile) almeno per dimostrare agli dei che avevano torto. Uno: che non potevano disporre delle loro vite come credevano più opportuno. Due: che avevano sbagliato a giudicarlo: lui non voleva distruggere il mondo, portare il caos, ma farsi uccidere ora da Annabeth sarebbe stata un’ammissione. Se non gli rimaneva più la vita, cosa gli rimaneva oltre la verità?
Sfilò dalla tasca il piccolo cilindro di metallo e lo fece diventare una lancia.
-Hai deciso veramente di lottare?- rise la figlia di Atena –D’accordo-
Sguainò il suo pugnale di bronzo celeste e corse verso di lui.
Lui provò a far roteare la lancia in maniera tale da colpirla al fianco con l’asta, ma lei la schivò e lanciò un affondo.
Alexander riuscì a far intercettare la lama dall’asta della lancia, vicino alla mano, ma il coltello schizzò verso l’alto e tracciò un lungo solco sul suo braccio, dall’ incavo del gomito fino alla spalla. Anche se era superficiale bruciava molto.
Annabeth non rimase a contemplare il proprio lavoro, come fece Alexander, ma partì nuovamente all’ attacco.
Il ragazzo riuscì a tirarsi indietro, inciampando su una radice. Per un attimo si biasimò per non aver portato Sarah con sé, o per non avere i suoi poteri.
L’urto gli aveva tolto l’aria dai polmoni e aveva sbattuto la testa. Tastò il terreno vicino al fianco destro dove pensava fosse la sua lancia, ma non trovò niente.
Che morte assurda! Annabeth sorrise trionfante e si avvicinò lentamente verso di lui, dando un calcio alla lancia mentre si avvicinava, trasformandola in un cilindro di ferro dello Stige.
Con calma si accovacciò accanto alla sua testa. Alexander vedeva tre paia di occhi grigi, anche se era sicuro che una sola Annabeth fosse più che suficente per dargli la nausea.
-Mi spiace, credimi. Fosse per me mi trasferirei sull’ Olimpo e lascerei queste stupide questioni ad altri semidei, ma mia madre voleva qualche favore da me prima di farmi trasferire da lei. Pronto a morire? Ultime parole?- chiese con un sorriso sinistro-
-Spero che ti spediscano ai Campi della Pena- gridò la voce di una donna.
Prima che Alexander potesse capire da dove venisse la voce una spatha fischiò poco sopra la testa di Annabeth. Sarebbe stato un colpo perfetto se la donna non si fosse abbassata all’ ultimo secondo.
Alexander rotolò di lato e iniziò a cercare la propria arma mentre il dolore alla testa scompariva e il numero degli alberi si riduceva esponenzialmente.
Afferrò il ferro freddo e si lanciò contro Annabeth mentre il cilindro si allungò in una lancia.
Hazel riusciva a fronteggiare discretamente la figlia di Atena, se Alexander avesse dovuto giudicare lo scontro lo avrebbe fatto finire alla pari. Ma ora loro erano in superiorità numerica.
Annabeth si abbassò per evitare il colpo di Alexander e contemporaneamente allungò il braccio armato, riuscendo a tracciare un arco rosso sopra la caviglia di Hazel.
Lo donna urlò e indietreggiò. Annabeth si rigirò il pugnale nella mano prendendolo per lama e lo lanciò contro Hazel, ancora stordita per la ferita alla caviglia. Fortunatamente la figlia di Plutone scartò di lato, ma la piccola lama le affondò nella spalla sinistra. Alexander pregò con tutto se stesso che non fosse avvelenato.
Hazel Fece cadere la spada lasciandosi sfuggire un secondo urlo.
Annabeth si mosse troppo velocemente per Alexander. Afferrò la lancia del ragazzo appena dietro la lama che lui le puntava contro e la tirò prima che lui si potesse rendere conto di quello che succedeva.
Lei la fece roteare all’ altezza delle ginocchia facendolo finire ancora a terra.
Sentì la punta della propria lancia premere sulla gola.
-Ferma!-ordinò Annabeth.
Alexander sentì il rumore dei passi di Hazel bloccarsi.
-La spada e il coltello…giù- disse perentoria Annabeth. Alexander percepì due tonfi a terra, alcuni metri lontani da lui. Forse Hazel sarebbe riuscita a colpire Annabeth con il suo stesso coltello, ma se la donna avesse ucciso Alexander appena Hazel avesse tirato l’arma? E se l’avesse colpita in un punto non mortale e allora lo avesse fatto fuori? E se invece la donna non avesse avuto una buona mira?
Evidentemente Hazel non volle rischiare, evidentemente voleva trovare un altro modo per salvarlo.
-Sono clemente-annunciò Annabeth –I vostri amici stanno perdendo. Stanno per essere uccisi-
Alexander vide Nico che veniva stretto tra le zampe dell’uccello e fatto ricadere da decine di metro d’ altezza, salvato solo dalle piante di Sarah.
La ragazza sembrava ridotta male, non in grado di reggere uno scontro diretto contro la civetta di Annabeth, tre solchi paralleli le correvano lungo tutta la schiena.
La scena scomparve in un lampo.
-Per…perché ce lo dici?- dal suo tono di voce, anche Hazel aveva visto quelle scene.
-Perché potrei richiamare la civetta se tu te ne andassi ora lasciando qui le tue armi- rispose l’ altra –ah, e il ragazzo, ovvio-
-Non lo farei mai- sibilò Hazel.
Perché no? Ad Alexander sembrava più che ragionevole, più di quanto potessero aspettarsi.
E poi sarebbe stato così male se fosse morto? Se la profezia avesse avuto ragione…
-Hazel, io… insomma la mia vita contro quella di tre persone? Io ti dico di farlo- disse Alexander con un groppo in gola.
-Alexander…- singhiozzò Hazel.
-Torna dagli altri, salva Sarah e tuo fratello…- disse Alexander cercando di far rimanere le lacrime negli occhi. Non voleva piangere prima di morire.
-Anche tu lo sei!- gridò Hazel –e sei mio amico! E sei mio compagno in questa missione! Se uno di noi deve morire moriremo tutti insieme combattendo. Anche gli altri ti direbbero così-
Lo avevano fatto. Sarah lo aveva detto chiaro e tondo poco prima e quello che aveva fatto Nico sulla nave…diciamo che gli aveva fatto capire che non lo avrebbe mai fatto uccidere. Se da Percy o Annabeth non contava.
Pr questo Alexander non voleva lasciare la scelta a loro.
Annabeth sospirò –Pretore Lavesque…-
Alexander sentì qualcosa fischiare in direzione di Annabeth e un decimo di secondo dopo il tonfo di qualcosa delle dimensioni e del peso del suo coltello cadere a terra lontano, dietro di lei.
Sentì la lancia alleviare la pressione sul proprio collo, ma non era un buon segno. Si stava solo preparando a dare il colpo di grazia…
Poi Annabeth urlò. Era impossibile che l’avesse attaccata Hazel, visto che non l’ aveva sentita muoversi.
Rotolò velocemente di lato e si alzò.
Riuscì a malapena a soffocare un grido.
Una decina di scheletri avevano fatto irruzione nella radura.
-Sono tuoi?-chiese Hazel. Alexander scosse la tesata –Nico?-
Erano degli scheletri vestiti da soldati.
Alexander sentiva in qualche modo che Nico non era morto, ma allo stesso modo sentiva che quei fantasmi non era mai stati negli Inferi, che non erano pienamente sotto il suo controllo.
-Non credete che mi arrenderò qui- sibilò Annabeth.
-Ne saremo delusi- sorrise Hazel.
Annabeth colpì due o tre di quegli scheletri, inutilmente, un po’ come quando Sarah e Hazel cercavano di fare fuori quelli di quando lui era stato riconosciuto.
Annebeth sibilò qualche insulto e poi scomparve nel bosco.
Ora avevano un altro problema, perché quegli scheletri guardavo loro come se potessero essere il loro prossimo pasto.
-Fermi!-ordinò la voce di una donna fuori dal loro campo visivo.
Alexander scorse qualcosa che luccicava nella bosco e si avvicinava velocemente. Delle scintille? Sulla punta di una lancia?
Una donna entrò finalmente nella radura. Era alta e aveva i capelli scuri.
-Tu!- disse Hazel tirando un sospiro di sollievo –Aspetta!- esclamò afferrando la spada –è una buona notizia?-
-erto che lo è- disse l’altra con un sorriso di superiorità- se non lo fosse stata sareste già morti-
-Scusate…tu sei?-chiese Alexander.
-Clarisse LaRue, figlia di Ares-
 
Angolo Autrice
Ragazzi siamo circa a metà storia! Un grazie di cuore a chi ha resistito fino a qui! Un abbraccio a tutti voi!

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Capitolo 27
*** Capitolo XXVII Cassandra ***


Cassandra andò a dormire, cosa di cui si pentì.
Si trovava alla sua vecchia casa a San Diego. Suo padre, il suo vero padre, quello mortale, era seduto di fronte a lei, in salotto.
-Papà…-disse Cassandra soffocando un singhiozzo. Allora era vivo. Allora la nave non era veramente affondata!
No, quello era solo un sogno.
Suo padre sorrise, senza dire una parola, e le porse un foglio strappato di un quaderno.
Cassandra infilò d’istinto la mano nella tasca, per controllare se il foglio bagnato e mezzo strappato che aveva salvato dalla nave fosse ancora lì, ma non trovò nulla.
Cassandra allora allungò una mano e strinse la carta. Dentro c’erano i successivi versi della profezia, ne era certa.
Decise di non dire altro per non mettersi a piangere.
Si chiese se non fosse stato Apollo a farle avere quel sogno. Se fosse stato così, doveva esserne era grata.
Piegò la carta e la sistemò nella tasca del giacchetto.
All’ improvviso scomparve tutto, Tobias Smith, il loro salotto e San Diego.
Si trovava in una stanza completamente in metallo verde, come se fosse ossidato.
Da alcune finestre riusciva a vedere il cielo. Era come quello dei sogni suoi e di Jane. Scuro, pieno di nuvole innaturali.
Cassandra avvertì che stava stringendo la mano di qualcuno. Non riuscì a voltarsi. Qualcosa percorse il suo braccio come una scossa elettrica di eccezionale potenza, attaccando le loro dita.
Sentì una voce maschile alla sua sinistra urlare. Poteva essere la voce di una bambino.
Cassandra percepì il calore uscire dal suo corpo. Poi vide la luce.
Vedere non era il termine esatto.
Sembrava che lei fosse diventata una lampada umana. Tutto brillava, compresi i suoi occhi, lo sentiva.
Il ragazzo alla sua sinistra urlò più forte e altra energia entrò in circolo nel corpo di Cassandra, che si costrinse a rimanere in piedi. Ora ogni singola cellula del suo corpo bruciava. Letteralmente.
-Cassandra!-
I suoi occhi si aprirono di scatto. Stava urlando, come il ragazzo al suo fianco.
Stringeva la mano sinistra tra quelle di Luke.
-Luke- ansimò la ragazza, cercando di mettersi dritta.
Fuori c’era il sole, doveva essere qualche ora dopo l’alba.
-Che è successo? Hai fatto brutti sogni?- chiese il ragazzo preoccupato.
-Diciamo- disse lei – che so come ti senti tutte le volte che ti imbottisci di ambrosia-
-In che senso?- disse lui divertito.
-Ti spiego dopo, come sta Jane?- domandò Cassandra.
-Bene!- squillò la voce della ragazza alle sue spalle.
Cassandra si voltò. Jane stava facendo il caffè con qualcosa trovato nel bar di Medusa –Ti va?- chiese indicando la moka.
Cassandra schizzò in piedi e corse ad abbracciare la sorella –Sono contenta di rivederti-
Jane si liberò con delicatezza dall’ abbraccio –Luke mi ha raccontato cosa avete fatto per me…grazie. E, Luke, sono dispiaciuta di aver dubitato di te, forse…forse quello che Percy dice sul tuo conto non è vero. Forse andava bene per il vecchio te. Comunque per me conta quello che hai fatto per salvarmi la vita. Voglio dire, sei stato un eroe!- esclamò.
Luke si strinse nella spalle –So combattere. Diciamo, che ho fatto solo quello che mi riesce meglio nel migliore dei modi-
-Comunque grazie-ripeté Jane –e devo ringraziare anche te, Cassandra. Se non fosse stato per quella cura…-
-Non è merito mio- la interruppe Cassandra- è stata un’ idea di Luke, ancora…-sorrise.
-Intendo riconoscere il veleno dalla medicina, sei stata grande!- Jane riempì tre tazze di caffè.
-Se Luke ti ha raccontato tutto, allora…-
-Comunque sei stata coraggiosa a tirare i porta tovaglioli a nostro padre- fece notare Jane –è stato un rischio-
Cassandra prese una tazza di caffè e si sedette con gli altri ad un tavolino.
-Comunque abbiamo cose più importanti di cui parlare- disse Luke.
-A me piace essere descritta come un’eroina!- scherzò Cassandra.
Gli altri due risero. Era bello. Era bello stare lì seduta a bere caffè e ridere con i suoi amici. Come una qualsiasi ragazza americana. Come una mortale.
Non potevano semplicemente lasciarsi tutto alle spalle? Lasciare che fossero altri a terminare questa missione?
No, non potevano. Cassandra sapeva che era così.
E allora perché voleva tanto che fosse diverso? Perché voleva tanto stringere ancora la mano di Luke e chiedergli di non cercare più di proteggerle, di non rischiare più la vita.
Perché voleva dire a Jane di tornare al campo e restare lì, senza preoccuparsi più della missione?
Lei era una normale adolescente di San Diego, ecco perché. Lei non era un’eroina. Lei era la figlia di Tobias Smith, non di Apollo.
-Comunque, dovreste ancora ragguagliarmi sui vostri sogni. Sapete, qui qualcuno non vede il futuro tutte le volte che chiude gli occhi!- rise Luke.
-Ragguagliarmi-sottolineò Jane –hai studiato un vocabolario mentre era avvelenata?-
-ah-ah- commentò Luke.
-allora- iniziò a raccontare Cassandra –nel primo sogno correvo verso Liberty Island, lo stretto era prosciugato. Poi entravo nella Statua, credo, e c’era un uomo che lavorava ad un macchinario. Ha picchiettato quelle tre parole che abbiamo detto prima dell’ incidente. Caos, distruggi statua, Gea-
-Picchiettato?- chiese Luke.
-Conosco il linguaggio Morse- spiegò Cassandra.
-Più o meno per me era lo stesso- si intromise Jane –ho visto te, Cassandra, mentre correvi verso la Statua nello stesso paesaggio. Mare prosciugato, nuvole scure… poi eravamo dentro. Tu hai decifrato il primo messaggio “Ti Voglio Bene”, allora l’uomo ha detto quelle parole che tu hai tradotto ad alta voce-
-Chiaro-disse Luke –Mi sembra che sia una cosa importante se l’ avete sognata entrambe-
Cassandra annuì –Questa notte, però…ho fatto dei sogni peggiori-
-Peggiori in che senso?-chiese Jane –Insomma, ti abbiamo sentita urlare-
Cassandra prese un bel respiro –Nella prima parte ero nella mia vecchia casa a San Diego, con mio padre. Cioè, non Apollo, il mio padre mortale. Mi ha dato un foglio…cioè il mio foglio, quello con la profezia. Credo…credo che ci fosse scritta la seconda parte-
-Credi? Non lo hai letto?- chiese Jane addentando un cornetto.
-No…-ammise Cassandra, maledicendosi per la stupidità.
Cercò nella tasca dei pantaloni dove di norma teneva il foglio, ma era scomparso –Ragazzi…la profezia è sparita-
-Sparita!-esclamò Luke sputando del caffè.
Cassandra saltò in piedi e corse al giacchetto. Durante il sogno aveva messo il foglio di quaderno là dentro…forse. La sua mano toccò della carta che scricchiolò sotto le dita –Non ci credo…-mormorò.
Come aveva fatto ad arrivare lì? Era solo un sogno…
-Ragazzi, avevate spostato voi la profezia?- chiese Cassandra prendendola dalla giacca.
-No!-risposero indignati gli altri due.
Cassandra deglutì per calmarsi. Forse quello che il sogno le voleva dire era ancora scritto lì…
Tornò a sedersi e spiegò il foglio.
I bordi erano pieni delle sue scritte incerte e scarabocchiate, per la gran parte trasformate in macchie d’ inchiostro dal bagno dopo il naufragio.
Nel centro del foglio c’erano i versi che aveva scritto quasi dieci giorni prima, ma sopra…
-Guardate…-disse imbambolata.
-è la tua scrittura- osservò Luke.
Cassandra annuì –Ma io non ho mai scritto questi versi-
-Sembrano i versi direttamente precedenti a quelli che ci avevi già riferito- disse Jane –non hai lasciato spazio tra i primi e i secondi-
-La figlia del Sole in missione verrà mandata
 incontrerà la dea della terra innevata
 L’ ultimo figlio della morte bisognerà allora trovare.
Colui che il Caos nel mondo è destinato a riportare- lesse Cassandra –secondo voi sono i primi versi della profezia?-
-Può darsi, è logica detta così- disse Luke.
-La dea della terra innevata?- ripeté Jane –secondo te chi è, Luke?-
-Come credi che riesca a sapere sempre tutto?- sorrise l’ altro –La domanda è: incontrare nel senso di “parlare” o “vedere”, o incontrare nel senso di “affrontare”-
-Spero nel senso di “parlare” e magari di “dare dei suggerimenti”- sbuffò Cassandra –Per esempio, chi è questo figlio della morte?-
-Io ne conosco solo due- disse Jane –Hazel Lavesuqe e Nico di Angelo-
Sentendo quel nome Cassandra ebbe un brivido. Cercò di togliersi l’idea dalla mente, ma non ci riusciva.
Jane le aveva fatto notare che la morte dei suoi genitori non era solo colpa di Apollo, che l’aveva predetta senza cercare di impedirla, ma che era anche colpa di un figlio di Ade, come le aveva detto suo padre.
Possibile che questi due fossero la stessa persona? Se fosse stato così, che male ci sarebbe stato se Cassandra si fosse concessa una piccola vendetta? In fondo il Caos che avrebbe riportato nel mondo sembrava una brutta cosa…
-Ultimo?-chiese –in che senso?-
-Credo che voglia dire l minore- Jane represse una risata –sinceramente non so chi sia più grande trai due. Risalgano a prima della Seconda Guerra Mondiale-
-Veramente?-chiese sbigottita Cassandra.
-Non sapevi che Hazel era morta?- chiese Luke.
-Credevo in tempi più recenti, come…-
Te. Era ovvio, non c’era bisogno di specificare.
Il sorriso di Luke si spense e iniziò a giocherellare con il proprio caffè, ma si capiva che non aveva più tanta voglia di finirlo.
Cassandra si sentì lo stomaco stretto e le lacrime che le risalivano in gola. Non voleva che Luke stesse male per un suo commento. Come aveva potuto essere così sciocca?
-Comunque- disse Jane cercando di rompere la tensione –Passiamo alle cose chiare. La figlia del Sole sei tu. La missione in questione è chiaramente questa, altrimenti perché farti avere queste visioni proprio oggi? Dobbiamo solo aspettare questa dea della terra innevata e poi decidere il da farsi, magari dopo alcuni suggerimenti proprio della dea in questione…-
-E per quanto riguarda il figlio della morte? Nico o Hazel che sia non possiamo ucciderlo a sangue freddo- fece notare Cassandra.
-No che non possiamo- concordò Luke –e comunque la profezia dice “cercare” non “uccidere” o “punire”-
Dice anche che riporterà il Caos nel mondo pensò Cassandra certo che dovremo fare qualcosa ma non lo disse.
Stettero qualche minuto in silenzio –Hai detto che questa era la prima parte del sogno, qual è la seconda?-chiese Jane.
Cassandra aprì la bocca per parlare, ma se ne pentì –Lasciate perdere- provò a fare un sorriso, con risultati poco positivi, ne era sicura.
Sentiva ancora il corpo bruciare e le urla del ragazzo. Non voleva parlarne.
Luke posò il suo caffè e allungò una mano verso quella di Cassandra. Quel contatto fu più scombussolante di quello con il ragazzo nel sogno, ma Cassandra cercò di non darlo a vedere.
-Non sei sola, Cassandra. Siamo come una famiglia, ti prometto che da ora in poi ci sarà sempre qualcuno pronto ad affrontare qualunque cosa con te. Non come l’altro giorno…-
-Ha ragione lui –concordò Jane in tono greve –Dicci quello che hai sognato-
Cassandra prese un altro respiro profondo e cominciò a narrare –Mi trovavo in una stanza di metallo ossidato, fuori c’erano quelle strane nuvole dei nostri sogni. Accanto a me c’era un ragazzo, ma non so chi fosse.
Lui ha iniziato ad urlare e ho sentito la sua energia scorrermi nella mano sinistra, nella quale stavo stringendo la sua.
Poi ho incominciato a…-
Cassandra si interruppe, ricordando quello che le aveva detto Apollo l’ultima volta che si erano visti.
Tu più di tutti potresti brillare luminosa, ma la luce non brilla senza tenebre e tutto ha un prezzo.
Apollo poteva avere molti difetti, ma non l’avrebbe mai mandata in contro alla sua morte. Ok, poteva non fare niente per impedirlo, ma addirittura affidarle la missione che l’avrebbe uccisa? Nonostante tutto l’odio che provava per lui non riusciva a crederci.
Il sogno doveva essere qualcosa di figurato.
-…brillare. Letteralmente-
Non avrebbe volto dirlo, ma doveva liberarsi da questo peso.
-Letteralmente?- Jane aggrottò la fronte.
-Infatti- Cassandra si passò la mano libera sul volto –doveva essere una specie di messaggio o qualcosa del genere…-
-Sei sicura che sia tutto qui?- chiese Luke Sembri troppo preoccupata per essere stato solo un sogno da interpretare-
-Certo…certo sto bene. È solo che quel sogno mi ha spaventata tanto, non c’è altro, giuro-
Cassandra dovette premere un ginocchio contro l’altro, perché le gambe avevano iniziato a tremarle.
e tutto ha un prezzo sentì dire nella sua testa alla voce di Apollo.
Cassandra si ritrovò a pregare che quel prezzo non fosse la sua vita, ma sospettava che, se fosse stato così, pregare Apollo non sarebbe servito a molto.

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Capitolo 28
*** Capitolo XXVIII Alexander ***


Clarisse aveva accompagnato tutti e quattro ad un hotel.
Alcuni dei suoi zombie avevano fatto fuori la civetta di Annabeth, o almeno l’avevano scacciata, salvando Nico e Sarah, che se la stavano passando anche peggio di lui e Hazel.
-Come ci hai trovati?-aveva chiesto Hazel alla donna, mentre erano in macchina.
-La domanda non è come- aveva risposto l’ altra –ma perché. Sono stata mandata contro di voi da Ares, ma probabilmente voi sapete già il motivo-
Loro avevano annuito –Quindi perché non ci hai uccisi?- aveva chiesto Alexander.
-Ho una coscienza, dopo tutto- aveva risposto Clarisse –Hazel è sempre mia cognata, no?-
-Hai notizie di Frank?-
-Mio fratello? Lui sta bene, ha fatto una missione ma è tornato nel giro di un giorno, aveva preso Arion, sai…-
-E Matt?- aveva insistito Hazel.
-Bene anche lui, comunque ora c’è Frank con lui. Non ti fidi di mio fratello?-
-Certo, ma non mi piace stare così a lungo lontana dal campo…- aveva borbottato Hazel, stringendo in mano una foto piegata.
Arrivati in hotel Clarisse li aveva salutati dopo aver scambiato quattro parole con Hazel.
Avevano preso due camere, ma Sarah e Hazel erano andate in quella dei ragazzi per fare il punto della situazione.
-Se chiamassi il mio cavallo, ora che Frank non lo usa più, potremo arrivare a Chicago nel giro di un giorno- propose Hazel.
-Tutti e quattro in groppa?- obbiettò Alexander.
-Nico è piccolo, tu hai solo tredici anni e Sarah è magra... comunque potrei ordinare a Ottaviano di montare una biga, così staremo più comodi-
-Ottima idea- approvò Sarah –Se non vi dispiace io vado a letto-
Alexander si voltò verso Nico per suggerirgli di fare altrettanto, ma lui già dormiva.
-Avrà anche quasi cento anni, ma si comporta come un bambino di dieci- rise.
Anche le altre due fecero altrettanto.
-Comunque- disse tornando serio –Devo ringraziarvi per come avete preso le mie difese stanotte. Siete state entrambe grandi, dico sul serio…-
-Non ci pensare- disse Sarah –potrai sdebitarti la prossima volta che dovremo affrontare quella strega-
-Credi che tornerà?- chiese Alexander.
-Gli dei sono contro di te, Alex…-disse rammaricata Hazel –Clarisse mi ha detto che anche Frank è stato mandato in missione per conto di Marte, però credo che alla fine abbia scelto di tornare indietro, se è già al campo…- lo disse più come una speranza che come una convinzione, stringendo ancora quella foto.
-Non è il momento di pensarci- disse Sarah congedandosi –ti lascio la chiave qui-
La ragazza si alzò e uscì dalla stanza, chiudendosi delicatamente la porta alle spalle.
-Chi è Matt?-chiese Alexander.
-Matt?- disse Hazel confusa –oh, già, l’ha nominato con Clarisse-
Stese la foto sulle ginocchia. L’ aveva stropicciata così tanto che ormai sulla carta c’erano dei solchi che non riusciva più a togliere.
La foto raffigurava tre persone. Una era Hazel. La foto non doveva essere troppo vecchia, perché non era cambiata per niente. Il secondo era un uomo alto e grosso, di origini orientali. Doveva essere Frank.
Il terzo era un bambino. Poteva avere due o tre anni. Somigliava molto alla madre, tranne che per gli occhi, che erano quelli dell’uomo.
-Questo sarebbe mio nipote?- chiese Alexander sorridendo.
-Si, un giorno te lo farò vedere, quando questa storia sarà finita e avremo dimostrato che non vuoi distruggere il mondo-
Alexander le fu grato per la piena fiducia che gli stava dando.
-Nico stravedeva per Matt, ora non so nemmeno se lo ricorda- disse sospirando.
-Ci scommetto- commentò Alexander –sembra un bambino adorabile. Hai veramente una bella famiglia-
-Ora anche tu fai parte della famiglia- sorrise incoraggiante Hazel.
Si stese sul letto di Alexander –Non sopporto stare lontana dal campo così tanto. Nuova Roma è un posto sicuro e Frank solitamente non si allontana… spero che stia bene. Comunque se gli fosse successo qualcosa Ottaviano me lo avrebbe detto, no?-
-Stai tranquilla- la rassicurò Alexander –Non c’è bisogno che ti torturi così, sono sicuro che sei una madre fantastica-
-Lo credi d’avvero?-
-Certo, basta vedere come ti comporti con Nico-
Hazel riprese la foto in mano e ricominciò a guardarla –Tornerò presto-
--
Il giorno seguente arrivarono al lago Michigan entro mezzogiorno. Ora Alexander doveva ammettere che quella macchina era stata un buon acquisto.
-E ora che si fa?- chiese Alexander –Voglio dire, non è che possiamo immergerci nel lago e vedere che succede-
Hazel rimase un po’ assorta nei suoi pensieri –Ottaviano ha parlato del Honcock, forse è meglio incominciare da lì-
Raggiunsero a fatica il grande palazzo di vetro e acciaio seguendo la linea del lago e si fermarono all’ ingresso.
-Potremo provare ad entrare- suggerì Sarah.
-è mezzogiorno passato!-protestò Nico –Là dietro ci sono dei bar, vi prego-
Nico aveva imparato così bene l’arte del bambino che fa i capricci che alla fine tutti furono convinti che stava per morire di fame, cosa che alla fine non era assolutamente vera.
-hai detto che stavi per svenire!-brontolò Hazel.
-Se non ho voglia di finire il panino non lo finisco!- esclamò Nico, incrociando le braccia.
-finiscilo!-sibilò Hazel.
-Non sei mia madre e io non sono un bambino!- disse Nico, come se la cosa avesse messo fine alla discussione.
-Ci hai fatto venire qui comportandoti da poppante- sottolineò Hazel –e ora dici che non sei un bambino!-
-Basta, basta- li interruppe Alexander soffocando un sorriso –Nico, un altro morso così Hazel è contenta?-
-Alexander…-sbuffò il fratello facendo gli occhi dolci.
-E smettetela voi tre!- si intromise Sarah spazientita, afferrò il panino di Nico e fece canestro nel cestino più vicino –Contenti, ora?-
Hazel la guardò truce.
Sarah alzò gli occhi al cielo – Oh mamma mia! Vogliamo anche metterlo a letto prima delle nove già che ci siamo? Se un mostro dovesse attaccarci alle dieci dovremo invitarlo a ripassare la mattina seguente perché Nico deve dormire?-
-No, ma…- iniziò Hazel.
-Hazel, ha ventisette anni!-esclamò Sarah –Non è più il tuo fratellino di dieci!-
-Ma li dimostra!- sbottò Hazel.
-I bambini non sono fatti per le imprese, allora. Avresti dovuto rimandarlo al Campo quando eravamo a New York!-
-Nessuno ha chiesto il tuo parere- gli occhi di Hazel si erano ridotti a due fessure d’odio –Non sei sua sorella, non lo conosci neanche-
-Hazel, Sarah ha ragione però…- Alexander deglutì, pentendosi di essersi schierato –se lo trattiamo così Nico sarà sempre e solo un peso, non un aiuto. Nico ha ventisette anni, è più che responsabile di se stesso e se non avesse avuto il coraggio di seguirci ci avrebbe chiesto di riaccompagnarlo a New York giorni fa. Ti devi fidare di lui-
Hazel aprì la bocca e la richiuse, poi fece un respiro profondo –Benissimo- annunciò sbattendo il tovagliolo che stringeva in mano sul tavolo –Se volete scusarmi io vado a fare un giro. Sono più che sicura che voi tre possiate riuscire a cavarvela da soli-
Fece per alzarsi, ma qualcosa la bloccò.
-Aspetta Pretore Lavesque- disse la voce di una donna –se non siete troppo pieni vorrei prendere un tè con voi-
 
Alexander sobbalzò e si voltò di scatto.
Dietro di lui c’era un donna bellissima, anche se non riusciva a vederne chiaramente i lineamenti.
Guardò gli altri. Nico era perplesso quanto lui, ma Sarah e Hazel si alzarono con rispetto, cosa che Alexander imitò.
-Per quelli di voi che non mi conoscessero io sono Afrodite, dea dell’amore e della bellezza- disse la donna avvicinandosi.
Hazel prese una sedia da un tavolo vicino mentre la dea ordinava tè e biscotti.
-A cosa dobbiamo questa visita?- chiese educatamente Hazel.
-Oh cara, dammi un attimo!- rise in maniera frivola la dea, che si voltò verso Alexander –Che bel ragazzo e che storia affascinante!-
-Veramente la mia vita è stata abbastanza noiosa fino a…- provò a spiegare Alexander, ma Afrodite lo scavalcò, facendo un gesto di noncuranza con la mano –Sciocchezze. Io parlavo della cosa più importante per tutti voi: l’amore. Quanto ci sarà da divertirsi- rise ancora.
Alexander deglutì –Certo, grazie…-
Cercò di concentrarsi sul volto della dea per capire quali fossero i suoi lineamenti, ma sembrava che cambiassero in continuazione. Per un istante vide qualcosa che somigliava al volto di Emily, mentre per qualche secondo vide che gli occhi della dea erano diventati verdi come l’erba e i capelli marroni come la terra. Alexander scosse la tesa e pensò di star diventando pazzo.
-Ora passiamo a un argomento altrettanto piacevole- Afrodite sorrise affabile, mordendo delicatamente un biscottino –La vostra missione-
-La ringraziamo molto per qualsiasi informazione lei stia per darci e…- iniziò Hazel.
-Io non sto per darvi nessuna informazione- rise divertita Afrodite e Alexander fu tentato di ridere con lei, almeno prima che l’informazione fosse pienamente assorbita –Non ancora almeno- aggiunse la dea.
-In…in che senso?- chiese Nico, aggrottando la fronte.
Il ragazzo non sembrava affatto colpita dall’ aura della dea, in effetti ne sembrava quasi irritato. Alexander non capiva come facesse ad esserlo, Afrodite era così bella, così simpatica, così…insomma era il massimo.
Sarah se stava in silenzio in un angolo, tenendo gli occhi bassi.
Se quando avevano parlato con Ade sembrava volerlo sfidare ora con Afrodite sembrava…spaventata? Ma da cosa?
Ogni tanto lanciava un’occhiata alle dea, come se aspettasse un colpo di scure.
Hazel invece stava semplicemente a bocca aperta, almeno dopo l’ultima frase della dea.
-Avete capito bene- insistette Afrodite –prima porterete a termine un compito per me e solo dopo avrete le informazioni che vi servono-
-Che compito? Finire i biscottini e bere tutto il tè?- chiese Nico, ancora più scuro in viso.
-No, no- scosse la testa la dea come se Nico avesse fatto un commento serio –Dovrete provare la vostra lealtà all’amore-
Nico per poco non sputò il biscottino che stava provando a mangiare e la guardò ad occhi sbarrati.
-No, non temere Nico, questa volta dovrete provare la lealtà verso l’amore servendo l’ amore di altri- lo rassicurò Afrodite.
Nico sembrò tranquillizzarsi, comunque non cercò di addentare altri biscotti.
-In che senso?- chiese Alexander intontito. La voce della dea era veramente bella, perché gli altri la interrompevano?
-Dovrete aiutare un fantasma ad andare negli Inferi e farlo ricongiungere con la sua amata- sospirò Afrodite –che bella storia che erano!-
-Tutto qui?- sorrise fiduciosa Hazel, guardando Nico e Alexander. Il ragazzo capì cosa la sorella stava pensando: gli Inferi erano il loro elemento. E Nico avrebbe potuto semplicemente ordinare al fantasma di scomparire dal mondo dei vivi. Facile.
-Andiamo subito, allora- scattò in piedi Alexander, ansioso di svolgere il compito che Afrodite aveva assegnato loro.
La dea fece un sorriso di incoraggiamento e scomparve.
Nico scattò in piedi, rianimato –Chi vuole andare a caccia di fantasmi?-

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Capitolo 29
*** Capitolo XXIX Cassandra ***


Aspettarono ciondolando nel locale fino a mezzogiorno.
Non avevano idea di cosa fare, sia per continuare la missione sia per passare il tempo.
Cassandra aveva trovato dei pennarelli e aveva imbrattato alcune statue del negozio, pentendosi solo quando si ricordò che quelle statue erano state persone.
Jane era sul retro ad allenarsi nel tiro con l’arco, cosa superflua visto che faceva sempre centro perfetto.
Luke aveva provato a fare qualche tiro, solo per decidere che era più bravo con la spada.
Cassandra aveva sempre odiato la luce delle ore più calde della giornata, specialmente in estate. Rendevano tutto triste e monotono.
Decise che fare una dormitina non le avrebbe fatto male.
Ovviamente le “dormitine” dei semidei non erano semplici sonnellini ristoratori, la maggior parte delle volte non avevano niente di rilassante.
--
Quattro semidei erano seduti ad un tavolo fuori da un caffè, dietro di loro un altissimo palazzo in vetro e acciaio.
Uno era il suo compagno di naufragio, Alexander. Altre due erano le due semidee scomparse con lui dal Campo Mezzosangue.
Il quarto era presumibilmente quello che era fuggito e la cui identità non era stata resa nota. Nico di Angelo.
Anche nel sogno Cassandra tirò un sospiro di sollievo nel vedere che il fuggitivo non era nessuno di pericoloso.
Quello che stava osservando poteva essere il presente, perché era più o meno la stessa ora. Cosa abbastanza comune per i semidei ma non per i figli di Apollo. Perché i suoi sogni le mostravano il presente e non il futuro? Cosa c’era di così importante da vedere lì?
La scena cambiò e vide i quattro mezzosangue in un bosco.
Era un bosco come tanti, ma in lontananza sentiva un rombo gigantesco, come un’ immensa cascata.
Dopo pochi istanti il suono si fermò, per ricominciare solo dopo.
I quattro sembravano discutere su qualcosa di grave, litigando tra loro.
--
Cassandra venne fatta cadere dal suo letto improvvisato.
Luke la trascinò per un braccio dietro al bancone.
-Dov’è Jane?- chiese Cassandra.
Luke sguainò la spada e le lanciò la faretra con la luna e il sole, che lei mise a tracolla.
-La dea della terra innevata?- chiese Cassandra, sempre più preoccupata.
-Un Minotauro- rispose l’ altro lapidario, lanciandosi da dietro il bancone.
Cassandra si alzò con l’arco pronto e una freccia incoccata e vide un dardo di Jane volare nella direzione in cui stava correndo Luke.
Dall’ altra parte della sala ristoro c’era un gigantesco uomo-toro.
Alcune delle frecce di Jane, che lanciava da dietro la porta del bagno alle spalle di Cassandra, erano conficcate nel’ armatura leggera che il mostro portava.
Anche se una lo avesse colpito, Cassandra aveva dei seri dubbi che sarebbe bastata a ridurlo in polvere.
Luke cercò di colpirlo alla gamba, ma venne gettato di lato dal braccio del Minotauro. Improvvisò una capriola e si nascose dietro ad un tavolo rovesciato, con la spada alzata e ansimante.
Tre frecce di Cassandra colpirono il Minotauro, senza effetto.
Il mostro caricò il tavolo dove si era nascosto Luke, che fece appena in tempo a fare un salto di lato e schivare le tonnellate di mostro e armature che lo avrebbero schiacciato contro il muro.
Il Minotauro iniziò ad agitare la testa, cercando di liberare le corna dal tavolo in cui si erano conficcate.
Alla fine lo sbriciolò contro la parete, disseminando schegge di legno in tutta la stanza.
Jane fece cadere l’arco e partì all’ attacco con il pugnale e Cassandra la imitò: nonostante la loro bravura sembrava che la sua pelle fosse veramente troppo resistente al bronzo celeste.
Luke rotolò tra le gambe del Minotauro e tentò un affondo da dietro, ma fu costretto ad indietreggiare quando il mostro si voltò facendo roteare una delle due asce che stringeva in mano.
Cassandra e Jane invece furono quasi tagliate in due dall’ altra e decisero di adottare la stessa tecnica di Luke: nascondersi dietro ai tavoli.
Ancora una volta il Minotauro caricò un tavolo, quello di Jane, ma lei non fu abbastanza rapida nello spostarsi e venne colpita solo dal bordo del tavolino.
Riuscì a rotolare goffamente di lato tenendosi il fianco, stordita, ma aveva perso il pugnale.
A quel punto l’attenzione del Minotauro fu tutta per Luke che, prima che il Minotauro caricasse ancora, corse dietro al tavolo di Cassandra, facendo trovare al Minotauro solo del legno.
Mentre il mostro cercava di togliere le corna dei resto del tavolo, Luke e Cassandra presero del tempo per pensare.
-Ho notato che la sua tecnica preferita è caricare frontalmente- ironizzò Cassandra.
-In effetti è così. Non ne ho mai affrontato uno ma le basi…- il suo volto si illuminò in direzione di Jane, che si era nascosta dietro all’ angolo di un corridoio.
-Cosa c’è li?- chiese, come a voler essere sicuro di qualcosa.
-La cella frigorifera…- rispose incerta Cassandra. Voleva congelarlo? Non aveva senso.
-La cella frigo, Jane!- urlò il ragazzo.
-Ok!- sentirono rispondere la voce di Jane.
-Che volete fare?- chiese Cassandra.
-Tu copri Jane, io vado nella cella- annunciò Luke.
Mentre il ragazzo correva verso Jane, Cassandra decise che era meglio coprirlo, qualsiasi cosa volesse fare, e corse d’avanti al Minotauro.
Un secondo dopo si ritrovò a maledire la propria stupidità. Era una figlia di Apollo, aveva arco e frecce, e la cosa migliore che le era venuta in mente per infastidire il Minotauro era sventolargli le braccia sotto al muso? Idiota.
Si appiattì al suolo per evitare la sua scure e poi si fece da parte, correndo nel parcheggio, sentendo che l’attenzione del mostro veniva attirata da una sedia che gli si fracassava sulla schiena e Jane che urlava.
Si fermò e guardò la scena.
Jane lo attirò nel corridoio, sfruttando la tecnica del nemico di caricare frontalmente chiunque attirasse la sua attenzione. Aspettava che estraesse le corna dei tavoli, banconi o mura che lei gli aveva fatto caricare e lo riempiva ancora di frecce o sedie, quando la sua attenzione scemava, fino a condurlo nel corridoio dove era scomparso Luke.
Cassandra li seguì, stando attenta a non rovinare il lavoro di Jane attirando accidentalmente l’attenzione del Minotauro su di sé. Represse un’ondata di rabbia pensando a quanto fosse stata inutile. Era un’eroina, non poteva nascondersi dietro agli angoli mentre i suoi amici combattevano!
-Jane, lascialo a me!- gridò Luke.
La ragazza fece incastrare il Minotauro in un muro e scomparve in un corridoio laterale.
Nel frattempo Luke aveva iniziato a lanciare scatole contro il mostro, sperando di farlo arrabbiare molto prima che riuscisse a liberarsi.
Alla fine il piano funzionò e Luke riuscì a malapena a scansarsi prima che il Minotauro irrompesse nella cella frigo.
Luke corse fuori e con l’aiuto di Cassandra, la quale era riuscita a malapena a riscuotersi dalla paura che Luke rimanesse bloccato nella cella frigo o incornato da mostro, richiuse la pesante porta della cella.
Dal piccolo vetro videro il mostro tornare indietro e sbattere contro la porta.
Appena ai lati delle costole di Cassandra si formarono due piccole sporgenze nel duro metallo.
-Reggerà?- chiese la ragazza.
-Non per molto, penso sia saggio scappare- rispose l’ altro.
Cassandra concordò in pieno. Corsero nella sala ristoro dove trovarono Jane che aveva appena finito di sistemare gli zaini e raccogliere le proprie frecce, visto che la sua faretra non reintegrava magicamente le perdite.
Lanciò i rispettivi zaini agli amici e corse dietro di loro nel parcheggio. Sentirono il Minotauro scontrarsi contro la porta ancora una volta, e Cassandra pregò tutti gli dei che conoscevano che quella reggesse, almeno finché loro non si fossero allontanati a sufficienza, ma…come?
Guardò la faccia di Luke e iniziò a scuotere la testa –Non pensarci nemmeno!- esclamò.
-Guarda che modelli antichi!-protestò lui –Potrebbero risalire benissimo a tredici anni fa! Queste macchine sono di quelle statue, non le rubiamo a nessuno che possa ancora usarle-
Alla fine Cassandra dovette cedere. Diciamo che era stata aiutata dall’ ennesimo impatto nella porta della cella.
Luke aveva trovato alcune chiavi in uno dei cassetti del bancone, anche se Cassandra pensava che non gli servissero veramente.
Montarono in una macchina targata Francia che doveva essere stata vecchia anche tredici anni prima e partirono più veloce che poterono.
Luke garantì che il serbatoio era per metà pieno e Cassandra si ritrovò a domandarsi come avrebbe fatto Luke a rubare da un distributore. Quel ragazzo stava trasmettendo loro veramente delle brutte abitudini, pensò divertita.
-Quando lo rifacciamo?- sorrise Jane.
-Siete stati grandi- commentò, più acidamente di quanto volesse, Cassandra.
-Anche tu. Come lo hai distratto quando Luke è andato nelle cella! Sei stata coraggiosissima!- esclamò la sorella.
-Vorrai dire folle- Cassandra si lasciò sfuggire un sorriso –Comunque credo di sapere quale figlio di Ade dobbiamo cercare-
 

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Capitolo 30
*** Capitolo XXX Alexander ***


Fortunatamente Afrodite aveva avuto pietà delle loro finanze e aveva lascito sotto il bicchiere del thè abbastanza soldi per pagare quello che avevano mangiato e anche una sostanziosa mancia.
-Dove dovremo andare, comunque?- chiese Sarah, che sembrava aver ripreso colore da quando la dea dell’amore li aveva lasciati.
-Credo al lago, era quella l’ indicazione di Ottaviano…- osservò Alexander.
-Ma il lago Michigan è veramente grande…- fece notare Nico.
-Sotterranei del Hooncock- disse Hazel leggendo un biglietto che era stato lascito trai dollari –Seguite il simbolo dell’Amore-
La donna lasciò il biglietto nelle mani del fratello e si incamminò nella direzione opposta a quella del palazzo, con aria di indifferenza.
-Che fai?-esclamò Sarah.
-Immagino che voi sapientoni sappiate come si gestiscano le situazioni meglio di me. Nico, fa quello che ti pare, tanto credo che non ti serva un sorella…- replicò la donna in tono ferito.
Sarah sbuffò esasperata.
-Noi abbiamo bisogno di te, Hazel- disse Alexander –Credo che la missione non possa andare avanti senza di te. Credo che Nico abbia bisogno di te, quanto ne ho bisogno io. Siamo un famiglia, Hazel. L’ unica famiglia che io e Nico abbiamo-
Lei lo guardò freddamente meditando su cosa dire –Credo invece che la missione possa andare benissimo avanti senza di me. “Uno la missione tradirà”. Io vi sto lasciando, credo che questo sia il miglior tradimento di cui possiate disporre-
-Non fare così, quella profezia non vuol dire niente- ribatté Alexander.
-è una profezia, il destino- rispose Hazel.
-Io non credo nel destino- disse fermamente Alexander.
-Allora ti sbagli-
-Hazel- intervenne Sarah –Lo sappiamo che… insomma, tra me e te non scorre buon sangue-
Hazel annuì, evidentemente era un buon punto d’ accordo.
-Ma non credi- proseguì l’altra –che forse Alexander abbia ragione? Voi siete una famiglia- indicò i due ragazzi.
-Anche tu. Tu sei….-Alexander si spremette le meningi riflettendo sul loro legame di parentela –cugina. Sei nostra cugina-
Sarah gli sorrise grata, forse un po’ troppo grata solo per averle ricordato una cosa tanto ovvia, come se non fosse una cosa scontata.
-E allora? Mi hanno fatto capire che possono farcela anche senza di me- rispose l’altra, acida.
-Nessuno mette in discussione il tuo comando- intervenne Nico.
-Non è questo il problema- rispose decisa Hazel.
-Invece è proprio questo il problema!- esclamò il fratello. Alexander fece un passo indietro. Per un attimo nel volto di Nico rivide l’uomo di trent’ anni che lo aveva salvato dalla nave, con la stessa aura di morte attorno.
-Tu hai paura!- Nico si sforzava di non urlare – Hai paura di scoprire come il tuo mondo stia crollando. Prima pensavi che le persone dipendessero da te. I Romani, visto che eri il loro pretore, ma Ottaviano non ha accennato a problemi portati dalla tua assenza. Come io dipendessi da te, visto che non avevo altri-
-Non essere assurdo- disse Hazel con la faccia di chi sta per rigurgitare dell’acido. Nico aveva colto nel segno.
-Nemmeno Frank ti ha contattata- rincarò il bambino.
-Basta!- strillò Hazel –Cavatevela da soli, se pensate che io sia così talmente mentalmente instabile da farmi spaventare da due richieste d’ aiuto mancate e dall’ arrivo di un nuovo fratello!-
Detto questo sbatté anche i soldi sul tavolo e si allontanò a grandi passi verso il centro città.
-Quindi dovremo cavarcela senza il nostro Pretore!- esclamò Sarah facendo seguire l’ affermazione da una serie di maledizioni in greco.
-Allora voi siete con me?- chiese Alexander.
Gli altri annuirono.
--
Alexander si ritrovò a pensare ad Emily, a come il suo sorriso e la sua battuta sempre pronta lo facessero sentire a casa, anche in quel covo di mostri che casa sua lo era solo legalmente (e anche su questo aveva dei seri dubbi). Si ritrovò a pensare anche all’appartamento nel quale viveva con sua madre e a quello in Inghilterra dove avrebbe dovuto passare quelle maledette vacanze, invece che andare su quella nave.
Ripensò anche ai compagni di cabina, gli scoccianti e sempre dannatamente allegri figli di Ermes. Almeno una nota positiva quel posto l’aveva : per ora era abito solo da due figli di Ade e una di Demetra che, per quanto irritante, almeno non sempre felice come i suoi vecchi compagni.
Sperò che in quel momento non avesse la stessa faccia di Nico, visti i suoi pensieri.
Non era stato difficile trovare quel tunnel: le colombe brillavano come insegne al neon, e in teoria non si sarebbe dovuto sentire troppo in trappola sotto terra, l’elemento di suo padre. Ma questa era tutta teoria.
In un primo momento era stato bello sentire le pareti di roccia sopra alla testa, la sensazione di umidità sulla faccia. Sarah non sembrava altrettanto felice e continuava a imprecare contro quella “inutile dea dell’ amore”. L’ effetto più strano lo aveva fatto su Nico. In pochi minuti era tornato pallido come quando lo aveva conosciuto e anche i suoi abiti sembravano più scuri, se possibile. Di certo la spada di ferro dello Stigie non sembrava più troppo ridicola.
Ma proprio quando iniziava a pensare che le cosa avessero preso finalmente la piega giusta, aveva iniziato a sentire qualcosa di strano sopra di loro, come…acqua.
Dovevano essere sotto al lago Michigan. L’acqua, soprattutto quando quella era sopra alla sua testa, non gli piaceva affatto.
Malediceva la sorella per averli abbandonati proprio ora che il suo potere sarebbe stato quello più utile, malediceva quella “stupida della dell’amore” per non averli avvertiti. Due cose che gli altri sembravano condividere molto.
E c’era dell’altro. Sentiva in quel tunnel come degli spiriti, ma sapeva che non erano sotto il suo controllo.
Ogni tanto guardava Nico per averne conferma, ma sulla sua faccia leggeva solo paura. Cosa poteva spaventare Nico sottoterra ora che era al massimo dei suoi poteri? Quali spiriti potevano farlo? Per ora lo aveva spaventato solo l’idea di dover compiere un’impresa per la dea dell’amore in generale. Sfortunatamente Alexander sentiva qualcosa del genere, che quegli spiriti erano pieni d’ amore, ma che quell’ amore non era positivo. Si era trasformato in qualcosa di simile all’odio. Il rancore. Quei fantasmi forse non avrebbero eseguito gli ordini di Nico, figuriamoci i suoi.
Iniziò a perdere la nozione del tempo in quel labirinto, seguendo la schiena di Sarah, la quale cercava di individuare le colombe alla tenue luce della spada.
Alexander strinse l’elsa del pugnale con una mano e si assicurò di avere ancora in tasca la lancia di ferro dello Stigie, anche se in quello spazio ristretto sarebbe stato difficile usarla.
Sarah sobbalzò e per poco non trafisse Alexander con la spada mentre si voltava.
-Che c’è?- chiese il ragazzo, anche se era una domanda superflua. Lo aveva sentito anche lui.
-Nico…- balbettò la figlia di Demetra.
-Mostrati!- disse il ragazzo con la voce impastata –Mostrati!- ripeté con più sicurezza.
Non accadde nulla.
-Proviamo ad andare avanti- suggerì Alexander.
Gli altri annuirono e continuarono, anche se la tensione non faceva altro che crescere.
Sentirono la stessa presenza altre due o tre volte. Era più forte delle altre e la sua aura spaventava Alexander.
Il ragazzo cercò di concentrarsi sulla terra attorno a lui, inutilmente.
-Non puoi provare a far apparire un passaggio diretto per la superficie?- chiese Sarah a voce bassa. Faceva respiri rapidi, come se fosse completamente nel panico.
-No- scosse la testa Alexander –è una prerogativa dei figli di Plutone credo. Solo…- lasciò la frase incompleta. Solo Hazel poteva, ovviamente.
-Grazie per quello che hai detto prima, che siamo…cugini- aggiunse l’altra.
Alexander si strinse nella spalle –Purtroppo- sorrise.
Anche lei sorrise, ma più tristemente.
-Senti, io non riesco a capire il tuo comportamento- sbottò Alexander –Che problema hai con gli dei?-
-Non capisco- rispose lei, ma dal suo sguardo si capiva che aveva capito.
-Prima sembra che odi Ade e tutti i suoi figli…-
-Non è vero! Te l’ho già detto!-
-…e questo lo posso capire. Credo che tu ed io non possiamo fare a meno di odiarci, come i figli di Poseidone e Atena- Alexander si sforzò di sorridere anche se sentiva il peso del Lago Michigan sopra la testa –ma Afrodite? Tua madre ha proprio problemi con tutti!-
-Mia madre non avev…- Sarah scosse la testa –lascia perdere. Non è mia madre il problema, o si, non è questo il punto-
-E qual’ è?- esclamò lui esasperato. Studiò la sua faccia, il suo atteggiamento remissivo con la dea, come se avesse qualcosa da nascondere…
-Non volevi che divulgasse un tuo segreto- dedusse Alexander.
Lei sbiancò di più, anche se non sembrava possibile –Co…no! Nessun segreto-
-Invece si- continuò Alexander. Ripensò alla faccia della dea in continuo mutamento –Colui che ami. Non volevi che dicesse il nome di colui che ami-
-Colui che amo- Sarah aggrottò la fronte –Mi hai beccata…- disse, anche se sembrava sollevata.
Alexander scosse la testa e raggiunse Nico, che nel frattempo gli aveva superati.
-Ma che avete tutti contro la dea dell’amore!- sbottò.
Nico fece un salto all’ indietro, guardandolo storto.
-Come non detto…- sospirò –comunque, perché ci siamo fermati?-
-Non vedo più colombe, credo che dovremo tornare indietro- rispose l’altro.
Ad Alexander si accapponò la pelle sentendo la voce di Nico. Sembrava essere cambiato nel tempo trascorso nei sotterranei, e certamente lui non voleva fare lo stesso.
Si chinò verso di lui –Stai iniziando a ricordare la tua vecchia vita?- bisbigliò.
Nico annuì –Ricordavo sempre qualcosa, ma ora…- scosse la testa –ma non è un problema. Sono più potente-
Alexander annuì. Non era sicuro che non fosse un problema, ma non voleva dire a Nico che non aveva ragione, non era di questo che aveva bisogno.
-Torniamo indietro?- chiese Alexander.
-Ragazzi?- li chiamò Sarah.
Loro tornarono a vedere.
La ragazza aveva trovato una nicchia. Alexander ci era passato davanti ma non ci aveva fatto caso. “Nicchia” non era la parola giusta.
Ci potevano stare quattro persone spalla a spalla ed era profonda due metri. Sulla parete più lunga c’era una colomba dipinta.
-Credo che questo sia il posto- disse la ragazza.
Alexander e Sarah si voltarono verso Nico.
-Oh, andiamo!- Sbuffò la figlia di Demetra –è il tuo grande momento, zombie!- aggiunse. Evidentemente aveva riacquistato un po’ della sua irritante energia.
Nico e Alexander si guardarono e ridacchiarono –L’ irritante figlia di Demetra-
-Cosa? Irritante? Io?-
-No- la rassicurò Alexander –Sei così adorabile-
Sarah sbuffò ancora, ma non rispose.
-Io, il re degli spettri, ti ordino di mostrarti!- disse Nico con voce chiara e ferma.
Gli altri due deglutirono e sentirono un brivido risalire le loro schiene.
Nico si guardò attorno –Ora!-aggiunse. Tutto il terreno sembrò vibrare, come se le parole fossero riuscite a rimbombate fino dentro le mura. Alexander pregò che la terra non si spaccasse e i tunnel non si allagassero con l’acqua del Lago Michigan.
Una forma luccicò nella nicchia.
Era un uomo sui trent’anni. Aveva la pelle ambrata, gli occhi e i capelli scuri. Sembrava turco più che greco, anche se le sue vesti erano caratteristiche di quelle parti.
-Chi mi ha richiamato?- chiese lo spirito.
Alexander rimase stupito. Quel fantasma non era spaventoso come aveva fatto credere loro di essere per tutto il tempo, al massimo era…triste.
Anche Sarah si fece sfuggire un gemito. L’ unico che non sembrava impressionato dagli occhi tristi dello spettro era Nico. Ovvio.
-Io- annunciò – volevo sapere come potevi essermi utile-
-Per favore- aggiunse Alexander.
Nico lo fulminò con lo sguardo, poi si voltò verso il fantasma.
-Io non servo i figli di Ade- rispose l’altro, anche se nel modo in cui parlava non sembrava un’offesa o una mancanza di rispetto –solo l’ amore-
Afrodite li aveva avvertiti. Dovevano provare la loro lealtà all’ amore…qualunque cosa volesse dire.
-Senti, amico. Noi abbiamo bisogno che tu metta una buono parola con Afrodite…- iniziò Alexander.
-Io non servo i figli di Ade, non potete darmi ordini- ripeté il fantasma.
-Così non andiamo da nessuna parte…- sbuffò Alexander. Ripensò alle parole della dea –Hai bisogno di una mano in amore?- intuì.
-Ad ogni modo non credo che voi potreste darmela-disse il fantasma.
-Cosa ti serve?- ripeté Alexander.
-Voglio un oggetto appartenuto alla mia amata- rispose lo spettro.
Alexander sbuffò. Doveva essere morto secoli prima!
-Senti, veramente, dobbiamo andarcene e…- disse il ragazzo.
-Rifiutate di darmi una mano?- lo spettro luccicò più forte e nella sua mano comparve una spada. Era una spada fantasma ma Alexander aveva il sospetto che lo potesse benissimo tagliare in due.
-Fermo! Ti ordino di stare fermo!- disse Nico ancora con quel tono autoritario.
-Non puoi darmi ordini, figlio di Ade…- il fantasma luccicò arrabbiato. Sembrava che Nico non facesse altro che farlo infuriare di più.
-Possiamo almeno sapere chi sei?- chiese Sarah, acida.
-Sono Paride di Troia- rispose l’altro, calmandosi.
-Questo tizio si chiama come te e ha anche la tua simpatia…- commentò Sarah rivolta ad Alexander.
-Quello della mela?- chiese invece Alexander, ignorando il commento della ragazza.
-Quello della guerra…- Alexander chiuse la bocca a Sarah. IL ragazzo sospettava che ricordare a quel fantasma la causa della guerra non lo avrebbe aiutato. O almeno non avrebbe aiutato loro.
In effetti neanche la mossa di Alexander era stata magistrale.
-La dea Afrodite mi aveva promesse l’amore di Elena. Ma lei mi è stata portata via- il fantasma sembrava sul punto di scoppiare da quanto brillava forte.
-E ora tu vuoi qualcosa di suo- meditò Alexander –così potrai “passare oltre”-
-Con qualcosa di suo potrei trovare pace negli inferi. Voglio il suo pugnale, Specchio- rispose Paride con più calma.
Alexander guardò Sarah e scosse la testa. Anche se Alexander non stava fingendo di vomitare come l’amica su una cosa Sarah aveva ragione: un tipo del genere lo poteva reggere solo Afrodite. Comunque, a quando pareva Nico non sopportava così tanto i tizzi innamorati.
-Ora basta. Ti ordino di andare negli Inferi e lasciare il mondo dei mortali!- urlò il ragazzo.
Il fantasma divenne più alto e sguainò la spada, che calò sulla testa di Nico.
Fortunatamente il ragazzo aveva i riflessi pronti e la intercettò con la propria spada. Il ferro dello Stigie brillò e riuscì a respingere l’attacco.
-Proprio non capisci, re deli spettri- rise Paride –gli spiriti che dimorano in questo luogo sono quelli che sono morti per amore e con il cuore spezzato. Qua solo il potere di Afrodite conta, non la morte!-
Alexander si guardò attorno e vide la pareti luccicare. No, non erano le pareti. Orde di spettri innamorati si stavano riversando nei corridoi, circondandoli.
Uno cercò di colpire Sarah. Lei provò a deviare la spada fantasma con la propria, ma quella passò attraverso il bronzo celeste come se non fosse solido. Meno male la ragazza aveva i riflessi pronti e schivò l’affondo.
-Solo il ferro dello Stigie può fermare le loro lame- l’avvertì Nico.
-Sei stato tempestivo- ghignò Sarah.
Alexander spinse la ragazza tra sé e il fratello ed estrasse la lancia. Praticamente la poteva usare solo per lanciare affondi, di certo non sarebbe riuscito a farla roteare, ma per parare andava bene.
-Ferma l’attacco, è un ordine!- gridò Nico.
-Basta!- urlò Paride. La sua spada partì velocissima e colpì la spalla di Nico. Il ragazzo strinse i denti ma non urlò –Ti piegherai a me, spettro!-
-L’arroganza non è tollerata- scosse la testa Paride –Fantasmi, uccidete i mezzosangue-
 
Angolo Autrice
Lo so, probabilmente Paride è uno dei personaggi più conosciuti della mitologia e averlo messo qui non è certo una cosa originale, ma quando scrissi questa fanfiction studiavo mitologia a scuola e Paride mi piaceva molto. Ad ogni modo Sarah dice che Alexander e Paride condividono lo stesso nome perché Paride si chiamava “Paride Alessandro”, ed è proprio da lui che ho predo il nome la prima volta. Per questo motivo Cassandra doveva chiamarsi Helen o Elena nella prima versione, ma poi ho visto il nome Cassandra e mi è sembrato molto più appropriato per una veggente.

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Capitolo 31
*** Capitolo XXXI Cassandra ***


-Nico di Angelo- meditò Jane –la profezia però diceva l’ultimo. Il minore-
-è rinato- si strinse nelle spalle Cassandra –ora è più piccolo della sorella-
-Tu che ne pensi, Luke?- chiese Jane.
Il ragazzo era rimasto silenzioso durante tutto il tempo in cui Cassandra aveva raccontato i propri sogni.
-Secondo me dovremo tornare indietro- disse infine.
-Non puoi essere serio!- esclamò Cassandra –è la nostra missione. È il mio compito-
-è troppo strano- disse l’altro evasivo.
-Cosa?- domandò Jane.
-Tutto- Luke scosse la testa–Prima Percy cerca di uccidere Alexander e te su quella nave. Nico muore e torna in vita. Torna in vita con me, che ora mi trovo dalla parte opposta, dalla parte di quelli che lo vogliano uccidere. E poi perché Reyna non ha voluto dire che Nico era scomparso?-
-Forse le è stato ordinato di non dirlo- Jane liquidò la domanda con gesto della mano.
-Da chi? Da un dio?- disse Luke –E chi ha assegnato a voi l’ impresa? Un dio. A me la cosa puzza e non voglio essere più una loro pedina-
Stettero qualche secondo in silenzio –Però noi non abbiamo mai parlato di uccidere- disse Cassandra –Non voglio uccidere Nico, io…-
-Cassandra- Jane scosse la testa addolorata –ti capiamo se lo vuoi uccidere, veramente-
Ma di cosa stava parlando? Oh, già, della storia della nave…
Cassandra aveva già pensato a questa cosa. Gli unici responsabili della morte dei suoi genitori erano Apollo e Percy. Non voleva portare rancore ad altre persone, però… se Apollo non voleva che si vendicasse su Nico perché farle dire anche quella parte della profezia? Lo doveva prendere come un segno? Doveva uccidere quel ragazzo? Cercò di non pensarci.
-Hai detto che tu e Nico siete tornati in vita insieme- disse cauta –ma chi vi ha permesso di farlo?-
Luke si accigliò –Lo sai, non ricordo bene quello che è successo dopo i miei diciotto anni e…-
-Luke, non svicolare-
-Ok, ok. Non lo so. Ho sempre pensato di essermi trovato nel posto giusto al momento giusto. Sai, Nico è figlio di Ade, può aver trovato un modo per uscire o essere stato liberato. Ma ora che io mi ritrovo a dargli la caccia penso che non sia stata tutta fortuna-
-Sentite- disse Jane prendendo un respiro profondo –credo che dovremo trovarlo, parlarci e poi vedere cosa succede. Comunque non sappiamo dove sia di preciso. O meglio, dove sarà fino a quando non arriviamo a Chicago. E poi dobbiamo ancora preoccuparci della dea della terra innevata, no? Un problema per volta. Prima la dea, poi trovarlo e poi vedere come salvare il mondo-
Cassandra annuì scettica –Già, dobbiamo ancora trasformarci in assassini a sangue freddo-
Nessuno rispose.
Lei e Jane erano alla loro prima missione, non avevano ucciso neanche cinque mostri in due, probabilmente.
Per Luke la questione era diversa. Forse fino ai diciotto anni aveva ucciso molti mostri, sicuramente, ma persone? Forse si ricordava dei semidei che aveva ucciso durante la guerra. Ma forse era cambiato. Forse.
Ma Nico era una caso particolare per loro. Quello che era successo sulla Principessa Andromeda II, in un caso o nell’ altro, aveva creato un legame tra Cassandra e Nico, che fosse desiderio di vendetta o riconoscenza ancora non lo sapeva, ed era stato il compagno di Luke quando erano tornati in vita. Avevano affrontato dei mostri insieme e Luke aveva rischiato la vita per salvarlo.
Ma aveva ragione Jane: una cosa per volta.
-Dove siamo diretti?- chiese.
-Verso nord, credo che entro sera potremo arrivare a Boston se proseguiamo a questa velocità- rispose Luke, felice di aver cambiato argomento.
-Guardate laggiù- disse Jane.
Nella direzione in cui stavano andando si profilavano delle nuvole che davano a Cassandra una sensazione di pesantezza e morbidezza insieme.
Luke sorrise –Cassandra, non credo che a San Diego tu abbia visto nevicare molte volte-
Cassandra scosse la testa. Sarebbe stata una bella esperienza se non fosse stata per la profezia e la dea della terra innevata.
-Suppongo che sarà divertente- disse sforzandosi di fare un sorriso.
Jane aggrottò la fronte –Io vengo dal Montana, quindi non posso definirmi un’esperta, ma non credo che in piena estate ci possano essere nevicate del genere a Boston-
Luke si strinse nelle spalle.
-Mi sbaglio o tu vieni dal Connecticut?- chiese Cassandra, esigendo informazioni meteo.
-Lascia perdere- tagliò corto lui.
-Ma sei cresciuto qui, dovresti sapere il meteo di queste parti- insistette Cassandra, non che le importasse più del meteo. Voleva sapere qualcosa della vita di Luke.
-Potremo fare una sosta in Connecticut, invece- propose Jane –è più vicino e dopo tutto non abbiamo bisogno di andare a nord-
-No!- gridò Luke.
Le due ragazze sobbalzarono. L’ espressione di Luke sembrava arrabbiata e spaventata insieme.
-Sarà meglio fare una pausa- disse Cassandra preoccupata.
Si fermarono in un distributore di benzina sul confine con il Connecticut. Jane andò a fare provviste di cibo deperibile e indispensabile come le bibite fresche o cioccolata, mentre Cassandra e Luke rimasero all’auto e fecero rifornimento di carburante.
-Inquina molto quest’auto- notò Cassandra.
Luke annuì distrattamente, poi si voltò arrabbiato verso Cassandra –Perché te la prendi con me?- aveva un tono ferito.
-Con te? Non capisco…-
-Quella storia del Connecticut-spiegò Luke –lo hai detto solo per punirmi di non so neanche io cosa?-
-No!- esclamò Cassandra –Al dire il vero non sapevo nemmeno che tu odiassi provenire da qui fino a dieci minuti fa!-
-E allora perché?-
-Perché vorrei sapere qualcosa di più su di te. Insomma, è da quindici giorni che ci conosciamo e non so nulla sul tuo conto tranne che sei coraggioso e bravo con la spada-
-Credimi, non c’è altro che valga la pena sapere- disse lui tristemente.
Cassandra ringhiò esasperata –Ti vuoi aprire o no! Non credo che ci sia qualcosa che mi possa far cambiare idea su di te!-
Si pentì subito di averlo detto. Insomma era vero, lo considerava una brava persona, ma detta così…
Luke sorrise amaramente –Forse a te, e neanche a Jane, ma io non voglio passare un secondo di più in questo stato. Ci sono dei brutti ricordi legati a questo posto, ricordi che…non sapevo neanche di avere-
Si guardò attorno, come aspettando che un ricordo lo assalisse con una spada.
Cassandra gli mise una mano sulla spalla –Qualunque cosa tu possa ricordare o possa pensare di te stesso, sappi che io ci sarò sempre per te. Siamo come una famiglia-
Luke, a sorpresa, l’abbracciò.
-Questo per cos’è?- chiese lei soffocata tra le sue braccia.
Non lo poteva vedere, ma sentì Luke scuotere la testa –Avevo solo voglia di farlo-
Dopo qualche minuto la lasciò andare –Mi sbaglio o Jane ci sta mettendo un po’ troppo per prendere solo qualche bibita?-
-Ci sarà fila- rispose Cassandra ostentando tranquillità, ma ora che lui lo aveva detto si era accorta che era troppo tempo.
Luke estrasse la spada e sospirò, avviandosi verso il negozio –Odio il Connecticut-
Angolo autrice
Domanda molto rapida: secondo voi dovrei mettere dei titoli ai capitoli? Sinceramente io li ho pensati senza, però magari potrebbero rendere la storia più interessante.

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Capitolo 32
*** Capitolo XXXII Alexander ***


Alexander avrebbe voluto potersi voltare liberamente e trafiggere il fratello con la propria lancia, peccato che il tunnel fosse troppo stretto. Solo per questo motivo non lo fece.
Perché aveva scelto proprio questo momento per ricordare di essere “il dominatore dei fantasmi” o qualunque altro titolo avesse detto di avere?
Ovviamente gli spettri innamorati erano molti più di loro. Alexander cercava di pensare ad un modo per uscirne.
Farsi strada fino alla superficie di Chicago era fuori discussione, riuscivano a malapena a difendersi, figuriamoci farsi strada fino all’ Hancoock.
Iniziò a pensare che fosse un inganno di quell’ augure romano, Ottaviano, che voleva ucciderli. O forse era stata Hazel. Gli aveva traditi? Sapeva che quella era una sfida che non potevano vincere e infatti se ne era andata?
No, non voleva pensarla così. Nessuno aveva tradito nessuno.
Ad ogni modo come potevano uscire? Potevano provare a creare un tunnel, forse lui o Nico ci potevano riuscire… ma no, Hazel era stata chiara. Solo la parte romana della famiglia aveva questo potere. Ovviamente la parte della famiglia che ora era a fare shopping per Chicago… no, neanche questo aiutava.
Specchio…aveva sentito parlare di quel pugnale. Certo! Era della donna al Campo, quella che faceva parte dei Sette, Piper. Ma anche sapendolo come potevano contattarla in quel momento? E anche se l’avessero trovata e se ne fosse voluta separare, come lo avrebbero fatto arrivare?
Niente, erano ad un punto morto.
Nico, a volte, provava a dare ordini, col solo risultato di farli arrabbiare di più. Alexander era sempre più invogliato ad ucciderlo, almeno avrebbe fatto silenzio.
Evidentemente i fantasmi volevano la stessa cosa. Improvvisamente Alexander sentì un grido proveniente dal fratello.
Era stato disarmato. Alex si voltò ad osservarlo, ma anche la sua arma gli venne strappata di mano.
Un fantasma appoggiò la propria lama evanescente contro la sua gola, mentre Paride si avvicinava a Nico.
-E ora muori, “re degli spettri”- alzò la spada per calarla sul collo di Nico, che, almeno questa volta, ebbe la decenza di stare zitto per non dimezzare i suoi due secondi di vita  che gli rimanevano.
Alexander chiuse gli occhi, aspettandosi che una lama fantasma lo trapassasse nello stesso momento, ma non accadde.
Sentì la terra tremare leggermente.
-Ma che…-iniziò a domandare Sarah.
Prima che la ragazza potesse finire la frase uno squarcio si aprì sotto le loro gambe.
Alexander si sentì risucchiato verso il basso. Mentre iniziava chiedersi dopo quanto si sarebbe spiaccicato al suolo il baratro iniziò a inclinarsi dolcemente, portandoli in piano rotolando e quindi riempiendo le loro braccia e gambe con graffi e sassolini piantati nella pelle, ma almeno senza farne tre frittate di mezzosangue.
-Chi è stato?- domandò Sarah saltando in piedi e sguainando la spada.
-Calma, Sarah- disse una voce nel buio.
La voce era familiare, peccato per lei.
Alexander estrasse il pugnale di bronzo celeste e lo puntò contro la loro salvatrice che venne illuminata dalla tenue luce della spada.
Nico si lanciò in avanti con l’intenzione di colpirla, ma lei lo evitò.
-Hazel- sibilò Sarah.
-Sono felice anche io di rivedervi. E prego per avervi salvato la vita- disse l’altra.
-Noi non siamo felici di vederti!- esclamò Alexander –Non ora almeno! Potevi arrivare prima!-
-Cosa vi stava per uccidere?- chiese Hazel, ignorandolo.
Alexander, anche se riluttante, le spiegò la questione.
-E quindi avete bisogno di Katoptris- commentò Hazel.
-Abbiamo – precisò Nico –Hai intenzione di abbandonarci ancora?-
-Ovvio che no- assicurò Hazel –Mi vorrei scusare per come mi sono comportata-
-Scusare!- esclamò Sarah –Sei stata infantile!-
-Infantile io?- rise Hazel –Senti chi parla…-
-Basta!- disse Alexander –Le discussioni le rimandiamo a dopo. Ora pensiamo a come far arrivare Paride nel regno dei morti-
-Io ho la soluzione- rispose Hazel –Il tuo pugnale, Alex-
-Ma il mio pugnale non è Specchio!- protestò lui.
Hazel sbuffò e ne estrasse uno dalla sua cintura. Era un normale pugnale di oro imperiale.
-Elena aveva un pugnale romano?- chiese Alexander scettico.
-No, seguitemi- rispose laconica Hazel.
Gli altri si fecero guidare da Hazel nei tunnel, che probabilmente stava creando lo stesso Pretore.
-Siamo già passati da qui!- esclamò Sarah, riconoscendo una colomba.
-Vi sto riportando da Paride- rispose Hazel.
-Sei matta?- protestò Nico –Quello ci ucciderà. E poi ha le uniche due armi in ferro dello Stigie che possediamo-
-E non le vuoi riprendere?- sorrise Hazel –Fidatevi-
-Ce ne hai dato motivo, soprattutto- sbuffò Sarah.
-Ascoltate- disse Hazel esasperata –Abbiamo bisogno dell’aiuto di Venere. Se per averlo dobbiamo mandare Paride nell’aldilà, lo faremo-
-Ancora non ho capito come intendi fare- si intromise Alexander –vuoi rifilargli il tuo pugnale d’ oro imperiale. Non credi che si accorgerà dello scambio?-
-No- rispose lapidaria Hazel. Alexander scosse la testa e si arrese. Non sarebbero riusciti a cavare un ragno dal buco con Hazel.
-Voglio ingannarlo con la foschia- rispose Hazel dopo qualche secondo.
-Cosa!- esclamò sdegnato Alexander. Non sapeva come Hazel avrebbe fatto a piegare la foschia al proprio volere ma il solo pensiero lo irritava.
-Utilizzare la foschia per convincerlo che quello è Specchio- spiegò Hazel, evidentemente mal interpretando l’esclamazione di Alexander.
-No, no. Questo l’ho capito- Alexander si fermò e gli altri tre lo imitarono –ma tu lo vuoi ingannare! Quel fantasma è solo innamorato, vuole solo qualcosa della sua fidanzata, e tu vuoi prenderti gioco di lui-
-Vedi alternative?- chiese semplicemente Hazel.
-No, ma…-
-Non è un gesto malvagio- disse Hazel in tono più dolce –Paride starà meglio negli Inferi che nei sotterranei di Chicago. E poi gli farò vedere solo quello che lui vuole vedere. Lo renderà felice avere il pugnale di Elena, non mi sembra di fare qualcosa di sbagliato!-
Messa così Hazel aveva ragione. Lo stavano aiutando, non ingannando. E poi, avevano bisogno di Afrodite per la missione…
-Ma non lo farò se siete contrari o avete delle idee migliori- assicurò Hazel.
-Per me va bene- disse Sarah come se fosse scontato. Certo, Sarah non sembrava tipo da scrupoli di questo genere.
-Anche per me- assicurò Alexander a malincuore. Hazel aveva ragione, ma Alexander ci vedeva comunque qualcosa di sbagliato.
-Anche io sono d’accordo- ammise Nico. Nonostante non volesse darlo a vedere era contento di riavere la sorella e avrebbe accettato qualsiasi suo piano.
Il cuore di Alexander sprofondò osservando Nico. Nonostante fosse tornata Hazel la sua pelle non aveva ripreso colore e le ombre del tunnel sembravano protendersi verso di lui.
Alexander si voltò per assicurarsi che l’oscurità non stesse cercando di abbracciare pure lui. Fortunatamente no.
Ripresero a camminare.
Dopo pochi minuti Alexander vide in lontananza la nicchia dove era apparso il fantasma di Paride, ma tutti gli altri spettri erano scomparsi.
Si avvicinarono lentamente, accorgendosi che il fantasma del principe di Troia era ancora lì.
-Paride- lo salutò Hazel.
Il fantasma fremette accorgendosi di Nico, che lo guardava con aria spavalda come se lo volesse sfidare. Hazel riportò l’attenzione su di sé.
-Abbiamo un dono per te. Qualcosa appartenuto alla principessa Elena-
Gli occhi di Paride luccicarono ancora, questa volta di gioia –Dov’è? Lo voglio vedere-
Hazel prese il suo pugnale d’ oro e lo porse a Paride.
Prima che chiunque potesse dire qualcosa Hazel schioccò le dita e anche Alexander, nonostante l’illusione non fosse destinata a lui, intravide la figura di un pugnale di bronzo celeste dalla lama lucida come uno specchio.
Almeno Alexander si era spiegato il perché di quel nome. O forse il nome derivava dall’ uso che Elena ne faceva, conoscendo le leggende. Non era il momento di riflettere su questo.
-Grazie, Hazel Lavesuqe- disse il fantasma, riuscendo incredibilmente a stringere l’elsa d’oro nella mano evanescente –Adesso posso finalmente lasciare il mondo dei vivi-
Strinse ancora una volta il pugnale, con la felicità dipinta sul volto. Per la prima volta Alexander riusciva a capire il potere di Afrodite. L’amore di Paride era stato più forte della morte e neanche Nico era riuscito a batterlo. Solo il pensiero di poter stringere in mano il pugnale di Elena, più della vedetta o di qualunque altra cosa, avevano tenuto Paride ancorato al mondo mortale. L’ amore era veramente la forza più forte di cui potevano disporre.
Il fantasma luccicò e scomparve, lasciando cadere il pugnale d’ oro a terra.
Hazel si chinò a raccoglierlo e porse anche la spada a Nico e il cilindro di ferro dello Stigie ad Alexander.
-Ora torniamo su- ordinò Sarah –Ho avuto abbastanza sotterranei per una vita intera-

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Capitolo 33
*** Capitolo XXXIII Cassandra ***


Cassandra seguì preoccupata Luke.
Cosa ci poteva essere là dentro? Il Minotauro, ancora?
Avvicinandosi iniziarono a sentire il fracasso, come se all’interno del locale ci fosse un uragano in piena regola.
La ragazza incoccò una freccia e si affrettò dietro a Luke, che avanzava con la spada alzata.
Luke sfondò la porta e si fiondò dentro, mentre Cassandra si riparò dietro lo stipite puntando l’arco verso l’interno.
La scena che si trovò d’avanti poteva essere la stessa lasciata da un terremoto o da una bomba. Gli scaffali giacevano per la maggior parte a terra e la merce era sparsa per il pavimento.
Cassandra vedeva due paia piedi sporgere da dietro al bancone. Se avesse dovuto indovinare avrebbe detto che un paio appartenevano al cassiere e l’altro era di un mortale che era stato colpito da qualcosa alla testa e che Jane aveva riparato dietro alla cassa.
Nell’aria volavano oggetti di ogni tipo: merce caduta dagli scaffali, pezzi di arredamento e anche il registratore di cassa, che scagliava per il locale monete ad alta velocità.
Ma la cosa più strana erano i mostri. A volte erano cavalli, che si impennavano e lanciavano fulmini tutte le volte che gli zoccoli toccavano terra, a volte erano ragazzi fatti di fumo, o nuvole.
Nella stanza potevano essercene sei o sette e tutti stavano attaccando Jane.
La ragazza poteva non essere portata per il combattimento ravvicinato, preferendo il tiro con l’arco, ma di certo non se la stava cavando male. Mentre scappava, saltando da uno scafale caduto all’altro, sembrava essere stata cancellata ogni traccia della timidezza che la caratterizzava ed essersi trasformata in una vera guerriera. Cassandra sperava che quella sicurezza fosse un fattore ereditario e non da parte di madre.
Ogni volta che Jane trafiggeva uno di quei ragazzi o cavalli loro si trasformavano in nuvole temporalesche simili a quelle che avevano visto arrivando all’area di servizio, per poi riprendere forma dopo uno o due minuti e lanciarsi ancora all’ attacco.
Luke si lanciò nella mischia schivando un pacchetto di patatine volanti e trafiggendo un mostro di vento che stava per colpire Jane.
Cassandra scagliò tre o quattro frecce, ma sembrava tutto inutile.
Una sedia volante la costrinse ad abbassarsi, mentre una gamba in metallo le si ficcava nella spalla.
Lasciò andare l’arco e rotolò di lato urlando di dolore.
La spalla bruciava e sentiva che l’ematoma le stava già gonfiando la scapola, ma si costrinse ad alzarsi.
Non voleva sembrare inutile come quando Luke e Jane avevano battuto il Minotauro, voleva fare parte dell’azione. E…si, in un modo e per un motivo che non capiva, voleva dimostrare a Luke che valeva qualcosa, che era una grande combattente quanto i suoi compagni, che non era solo un peso.
Comunque, qualunque sforzo facessero, sembrava che i mostri di vento non volessero morire come ogni altro mostro.
Luke uscì trascinando una donna, che, da come era vestita, sembrava la cassiera.
-Come li battiamo?- chiese Cassandra all’amico, aiutandolo a portare la donna lontano dal locale.
-Sono ventii , spiriti della tempesta- spiegò Luke –Li ho incontrati una volta con Thalia e…li ha battuti lei- ammise a denti stretti.
-Come ha fatto?-lo incalzò Cassandra.
-Questi sono spiriti della tempesta, Cassandra- scosse la testa Luke –Sono sotto il controllo di un dio del vento, a volte. Molti, a quando dicono, sono stati liberati durante la battaglia contro Tifone e ancora non sono stati catturati tutti, ma…-
-Ma tu non pensi che siano quelli che si definiscono spiriti liberi- immaginò Cassandra.
Luke scosse la testa –Li ha mandati qualcuno per noi-
-Chi?- chiese Cassandra.
-Forse lo stesso dio che ha creato la tempesta di neve sopra Boston?- chiese retorico Luke.
Cassandra si voltò verso nord. Il fronte temporalesco si era trasformato in una tormenta, cosa che si vedeva anche a molti chilometri di distanza, e si avvicinava troppo velocemente per essere una perturbazione naturale. Naturale per quanto possa essere una tempesta di neve in piena estate.
-Comunque, Talia come li ha battuti?- chiese ancora Cassandra.
Luke sbiancò ancora di più –Lei è figlia Zeus, il dio del cielo. Lei aveva una specie di potere sui ventii…-
-Quindi che tecnica ci rimane?-
Luke guardò la macchina. La fuga.
Ma potevano scappare più veloci del vento? Forse più di un toro, ma non più di quegli spiriti.
Dovevano trovare un altro modo.
-Vado a prendere l’altro cliente, tu copri Jane, poi penseremo al da farsi- ordinò Luke.
Cassandra raccolse il proprio arco mentre tornava con Luke verso l’ingresso.
-Per quello che hai detto prima…- disse la ragazza –neanche io voglio essere una pedina degli dei. È meno di un mese che sono una semidea e sono stanca di essere trattata…così!- indicò la tormenta alle loro spalle –Non voglio che Apollo mi usi come un burattino in questa missione, che una stupida profezia costringa me o uno di voi due a uccidere Nico solo perché è figlio di Ade. Non voglio fare parte dei loro piani credendo di non esserlo-
-Sono d’accordo, ma…- Luke sembrò indeciso su cosa dire –che scelta abbiamo? O questo o una rivolta, e io sono stanco di cercare di vendicarmi. È a questo che servono gli dei, dopo tutto. A ricordarti che c’è sempre qualcuno migliore di te, anche se è migliore sono nelle guerre-
Cassandra fu colpita dalla scelta di parole. Erano le stesse che lei aveva usato con Apollo. Lui le aveva risposto che gli dei dovevano ricordarti che c’è sempre qualcuno su cui contare, ma in quel momento Cassandra non vedeva un esercito di dei in vista.
Che scelta avevano? O questo o una rivolta. Luke non poteva avere ragione, ci doveva essere qualcosa in più. Loro dovevano essere qualcosa in più. Non servi o assassini. Doveva esserci una via di mezzo.
-Coprici-disse Luke rassegnato, entrando a tirare fuori il secondo mortale.
Cassandra fece una serie di centri perfetti, mentre Jane cercava di distrarre l’attenzione dei ventii da Luke.
Quando anche il secondo mortale fu nascosto sul retro del negozio Jane uscì, chiudendo la porta e le finestre e cercando di coprirle con quello che trovavano.
E adesso scappare. Ancora.
Luke e Jane erano quasi arrivati alla macchina quando Cassandra si fermò. Non voleva scappare ancora.
Non potevano. Non potevano darla vinta a qual dio che gli aveva scagliato contro i ventii.
Quella era la via di mezzo. Cercare di combattere per se stessi e per gli altri cercando di cambiare le cose pezzo per pezzo, senza distruggere l’ Olimpo.
Non potevano scappare dai problemi e dalle ingiustizie, voltarsi dall’ altra parte. Dovevano affrontare quei ventii, batterli e affrontare il dio che gli aveva attaccati, se si fosse fatto vivo.
Non assassini o schiavi. Solo liberi.
-Sbrigati, Cassandra!- gridò Jane.
-No- rispose lei con voce ferma.
Dietro di lei, dall’altra parte della pompa di benzina, sentì una delle assi alle finestre gemere sotto la forza dei venti all’ interno.
-Cassandra- esclamò Luke stupito.
-Non scappiamo. Dimostriamo a quegli dei che non siamo una loro proprietà- rispose lei asciutta.
Luke tolse la mano dalla maniglia, facendola ricadere lungo il fianco.
-No, no- scosse la testa Jane.
-Ha ragione lei. Non possiamo aggredire i semidei solo perché agiscono per l’Olimpo ed è sbagliato anche cercare di distruggere questo per rabbia, portare il mondo sull’ orlo della distruzione solo per rancore, per quanto fondato- Luke digrignò i denti. Sembrava che stesse cercando di convincere se stesso, ma alla fine sguainò la spada –Ma questo è diverso. Dimostriamo loro che non siamo una loro proprietà-
-Non come assassini…- aggiunse Cassandra.
-Ma neanche come schiavi- sottolineò Luke.
Guardarono Jane. La sua mano era rimasta a metà tra lo sportello e la faretra.
Alla fine le sue dita strinsero una freccia che incoccò –Dimostriamo loro che siamo liberi-

Angolo autrice
Da domani inizia la mia vacanza in Inghilterra, quindi non mi vedrete fino a sabato :'(.Spero di ritrovare tutti al mio ritorno! Ps. Probabilmente manterró l'abitudine del doppio aggiornamento anche se non prevedo lunghe assenze, ma fatemi sapere cosa ne pensate!

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Capitolo 34
*** Capitolo XXXIV Alexander ***


Risalirono tutti e quattro assieme seguendo la guida di Hazel.
Nico le trotterellava dietro, ma nonostante questo non sembrava più il ragazzino che avevano conosciuto al suo ritorno con Luke.
Con la scusa dell’umidità e del freddo aveva tirato fuori dallo zaino un giacchetto da aviatore scuro e aveva preso a rigirarsi tra le dita una anello con un teschio come quello che Alexander aveva visto sulla Principessa Andromeda II.
Anche i capi che indossava dalla mattina sembravano in un certo modo più scuri e la stessa carnagione era cambiata, diventando più pallida.
Alexander continuava a guardarsi le mani, ma fortunatamente le trovava dello stesso colore pallido ma naturale.
Sarah stava riprendendo a respirare in maniera normale mano a mano che si avvicinavano alla superficie e faceva crescere dei fiorellini al suo passaggio, segno del suo buon umore. Ovviamente la sua faccia continuava a essere una maschera di arroganza, ma Alexander era contento di sapere che stava bene. Troppo contento solo per quella irritante figlia di Demetra.
Non pensarci troppo si disse è una tua amica, è naturale che tu sia contento per lei.
Cercò di immaginare Emily Spencer nella casa 11, che probabilmente in quel momento stava dirigendo una battaglia di carta igienica in piena regola, come solo quei patetici figli di Ermes sapevano fare, ma per qualche motivo la sua faccia sorridente non gli tolse dalla testa i fiorellini di Sarah.
Iniziò a sentire il ronzio di un generatore elettrico, come quello che si trovava accanto all’ entrata dei sotterranei sotto l’ Honcoock.
-Eccoci fuori!- esclamò Hazel balzando sul pavimento e offrendo una mano a Nico per farlo uscire.
Appena uscito lui ritirò la propria con uno scatto, infilandola in tasca come se volesse proteggerla dal rischio di essere sfiorata di nuovo.
Hazel lo guardò tristemente, come se fosse una cosa a cui era abituata.
Sarah strinse il braccio di Alexander con tutte le sue forze e si tirò su così velocemente che sembrava che Annabeth la stesse rincorrendo nel tunnel.
-Ora andiamo a cercare la dea Afrodite- propose Hazel –dobbiamo sempre riscuotere il nostro premio-
Si sedettero al tavolino e ordinarono pasticcini e tè.
Alexander si accorse che erano le otto di sera e probabilmente il suo stomaco avrebbe gradito molto di più una pizza o un hot dog.
Fortunatamente la dea delle soap opera, come l’aveva ribattezzata Sarah, non si fece attendere.
-Divina Venere-Hazel scattò in piedi.
Alexander decise di non guardare la dea in faccia, questa volta, imitando il comportamento di Sarah e fingendo rispetto.
-Quanto mi piaceva la loro storia!- esclamò sognante la dea, mettendosi a sedere.
Alexander digrignò i denti. Poteva avvertirli che stavano per finire in un’imboscata, cosa le sarebbe costato? Ma quando alzò lo sguardo sulla faccia della dea tutta la rabbia era evaporata. Dovette costringersi a chiudere la bocca e abbassare gli occhi.
L’ amore era una forza potente, lo aveva capito parlando con Paride. Forse dovevano darle più fiducia.
-Abbiamo fatto quello che ci aveva chiesto- fece notare Nico –Ora potrebbe darci un aiuto-
-Quanta fretta!- rise Afrodite –Prima vorrei un vostro parere sulla storia-
Considerato il silenzio sbigottito dei semidei fu lei a parlare –Sono stata una fan della loro storia d’amore dall’ inizio-sospirò –Quel ragazzo mi ha assegnato il titolo di più bella, non che non lo meritassi, comunque era simpatico fin dal principio! E poi, la guerra scaturita solo dal loro amore…-disse sognante –siete stati bravi con quel coltello. Foschia- aggiunse ammirata.
-Ma non è stato giusto- Alexander lo disse senza riuscire a trattenersi. Non lo era stato, lo avevano ingannato e giocato con il suo cuore, anche se era stato necessario. Come poteva quella dea esserne addirittura contenta?
-L’amore non è giusto- rispose Nico, come se ripetesse qualcosa che gli era stato insegnato.
-Ha ragione Nico di Angelo –disse Afrodite –L’amore crea sofferenza, a volte più della morte. Credo che voi possiate saperlo più di altri-
Alexander si diede un rapido sguardo attorno. Per lui, Nico ed Hazel la morte non doveva essere un problema. Almeno non dovevano temerla, come non dovevano temere i sotterranei.
Nico era quasi spaventato da Afrodite come non lo aveva visto per nessun’altra cosa.
Hazel era sempre pronta a scattare ad ogni parola della dea, e Alexander non pensava che fosse solo rispetto per una divinità. Aveva paura di perdere Frank? Anche se la conosceva da poco Alexander era certo che la donna non fosse troppo sicura della sua famiglia perfetta.
Sarah se ne stava quasi rannicchiata in un angolo, e sembrava quasi aver trovato il coraggio di pregare dei in cui non credeva per la paura che Afrodite rivelasse il suo oscuro segreto.
E lui? Lui non osava nemmeno guardare Afrodite in faccia.
-Il nostro aiuto- disse alla fine con voce incerta.
La dea sbuffò –Non siete inclini alle chiacchere, vero? Bene-
Con un sospiro estrasse uno specchietto dal borsa e un rossetto. Ad Alexander il trucco pareva perfetto, ma la dea dell’amore non era dello stesso avviso.
-Andate al parco di Yellowstone. Sapete dov’è?-
I quattro annuirono. Anche se non ci era mai stato Alexander non pensava che sarebbe stato tanto difficile trovare il parco nazionale più importante del mondo.
Sarah sembrava agghiacciata ma osò parlare –Intende dire ora? Subito?-
-No cara- rise la dea –Potete riposarvi, mangiare, fare quello che volete prima, ma non aspettate troppo per andarci. Credo che entro domani andrebbe bene-
Sarah deglutì a vuoto due o tre volte e poi annuì, abbassando ancora la testa.
-Se non volte fare due chiacchere io me ne vado- disse Afrodite riponendo i trucchi.
Hazel scattò in piedi, mentre Nico, Sarah e Alexander la salutavano rispettosamente con la testa bassa.
Quando se ne fu andata Sarah prese la parola –Ragazzi, io non voglio venire a Yellowstone-
-Perché?- chiese Alexander –è fantastico, ho letto diversi articoli su…-
-Non siamo in gita scolastica, Alex-lo rimbeccò Hazel –se Sarah ha paura non possiamo biasimarla. La profezia parla di Gea e se Afrodite ci manda là vuol dire che quel posto è collegato con la profezia-
Sarah le diede un sorriso incerto.
Alexander tirò un sospiro di sollievo –Se è tutto qui il tradimento che dobbiamo aspettarci credo che vada bene, ottimo direi-
-Ragazzi, ora siamo in tre, nella missione- fece notare Nico –questo vuol dire che il vulcano è vicino…-
Alexander non era più così felice –E se uno ci ha “traditi” vuol anche dire che anche la mortale morirà presto-
-Ma chi è questa mortale?- chiese Hazel –Voglio dire, nessuno di noi ha una persona mortale a cui tiene. Siamo orfani, non abbiamo contatti con il mondo esterno, almeno io e Nico…- guardò gli altri due.
-Mia madre è morta, non ho sorelle o fidanzate, e se è per questo anche pochi amici maschi…-garantì Alexander.
Tutti e tre fissarono Sarah, che li guardava completamente pallida e sudata.
-Per gli dei, Sarah!- gridò Hazel –Quando avevi intenzione di metterci al corrente?-
Il cervello di Alexander correva veloce. Perché Sarah aveva tenuto quel segreto fino a quel momento? Perché non aveva riferito loro dell’esistenza di quella mortale? La tenevano prigioniere o ricattavano Sarah in qualche modo? Forse grazie a quella prigioniera avrebbero costretto Sarah a tradirli? Forse si dovevano aspettare un altro tradimento? Aveva qualcosa a che fare con la paura che Sarah mostrava mentre parlava con Afrodite o con la rabbia verso gli dei e i semidei?
-Io…non potevo…Era…- farfugliò Sarah.
-Giunone? Che c’entra Giunone adesso?- la incalzò Hazel.
-Smettila!- sbottò Alexander rivolto alla sorella –Non vedi che è preoccupata? Se ha tenuto questo segreto tanto a lungo deve esserne spaventata e così non ci aiuti!-
Hazel, incredibilmente, annuì –Hai ragione, scusa-
-Ragazzi, io non sono stata sincera con voi, non completamente…- disse scoppiando a piangere –Quel giorno quando i mostri ci hanno attaccati, me, Steffi Stone e i nostri amici mortali, sono morti tutti tranne…-
-Tranne te. Lo sappiamo- la incoraggiò Alexander stringendole una mano –e per questo Era ti ha fatto dei doni…-
Sarah scosse la testa –Steffi, lei non è morta, lei…io…-
-Ho capito- la interruppe Alexander, capendo quanto potesse essere difficile confidarsi –Ora Gea ha preso la tua amica, che credevi morta, e ti ricatta. Capisco perché questa profezia ti spaventi tanto, ma non temere, salveremo la tua amica-
Sarah si asciugò una lacrima. Era strano vederla così, a piangere, lei che era la più sicura del gruppo, quella sempre arrogante e sprezzante, quella che era scesa dal cielo per difenderlo da tanti Romani.
Aprì la bocca come per protestare –Hai ragione, verrò con voi. È il mio dovere, mi sono proposta per questa missione e ucciderò Gea e le farò pagare tutto quello che ha fatto-
-Brava!- esclamò Hazel, stringendole l’ altra mano – e salveremo Steffi Stone, non preoccuparti-
Guardarono Nico, che non aveva detto una parola. Il ragazzo fece un sorriso agghiacciante che nelle intenzioni doveva essere rassicurante –Certo. Abbiamo Nico di Angelo con noi, no? Come potremo mai fallire?-
 
Angolo Autrice
Eccomi finalmente di ritorno dalle vacanze! Nonostante tutto quello che dovrò recuperare a scuola cercherò di mantenere un ritmo regolare di aggiornamento, sempre nelle speranza che la storia continui a piacervi. Probabilmente non siete tanti, ma apprezzo infinitamente tutti coloro che hanno scelto di divertirsi un po’ a seguire la mia storia!
Ps: Ho deciso di aggiornare due capitoli al giorno perché 1) Non vedo l’ora di iniziare ad aggiungere il seguito, 2) leggendo capitoli così corti aggiornati una volta al giorno perderei il filo e l’interesse anche io che la storia l’ho scritta 3) Mi sembra particolarmente noioso dover aspettare due giorni per leggere come continua la storia di Cassandra o di Alexander. Detto questo, se secondo voi il doppio aggiornamento è una cattiva idea basta dirlo! Ascolterò qualunque genere di suggerimento, non solo legato alla storia ma anche agli aggiornamenti!
 

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Capitolo 35
*** Capitolo XXXV Cassandra ***


I tre ragazzi alzarono le armi e si prepararono all’attacco dei ventii. Attacco che non avvenne.
Sembrava che l’uragano che si era scatenato nel negozio si fosse fermato, esattamente come gli spiriti del vento.
-Cosa succede?- chiese Jane.
-Non muovetevi, potrebbe essere una trappola- le avvertì Luke.
Probabilmente aveva ragione e Cassandra non osò fare un passo.
Improvvisamente sentì qualcosa di freddo sulla punta del naso. Alzò la mano e sentì una gocciolina d’ acqua ghiacciata bagnarle la punta del dito.
-Neve!- esclamò meravigliata Jane, tendendo il palmo della mano sinistra verso il cielo.
-Così sembra- disse Luke abbassando la spada.
Neve… anche solo la neve in pieno Agosto non avrebbe dovuto far abbassare loro la guardia, non c’era certo bisogno di ricordare la profezia.
-La dea della terra innevata! State attenti- gli spronò Cassandra.
Mentre parlava un soffio di intensa aria fredda li colpì alle spalle, facendoli correre al riparo dietro l’auto.
-Credo che non sia troppo pacifica!- gridò Cassandra per far sentire la propria foce sopra l’urlo del vento.
La neve iniziò a cadere mista a pioggia, bagnandoli presto completamente. Jane e Cassandra tremavano in maniera incontrollata, mentre Luke sembrava semplicemente morto, tanto stava fermo.
Cassandra riuscì a fatica ad aprire la portiera della macchina e prendere dei giubbini leggeri che avevano portato per ogni evenienza.
I capi in più sembravano aver fatto un buon effetto su Jane e aver ridotto i tremori di Cassandra, ma Luke continuava ad avere le labbra viola.
-Proviamo a fare del fuoco- propose Cassandra raccogliendo da terra giornali e riviste che erano volate via dal locale.
L’unica fonte di fuoco era un cavo scoperto quando la guaina protettiva si era rotta durante l’attacco dei ventii. Cassandra suppose che non fosse troppo sicura, visto che era a due passi dalla pompa di benzina, ma comunque nessuno avrebbe lasciato il riparo della macchina per trovare il modo di trasformare quelle scintille in fuoco.
Jane cercò sotto la macchina e trovò un accendino, ma appena erano riusciti a far prendere la carta e le dita di Luke riuscivano di nuovo a muoversi, un vento freddo spense il fuoco spargendo i giornali per il parcheggio e una voce femminile riecheggiò nell’ aria –Niente fuoco, cari mezzosangue-
Un turbinio di neve fece apparire una donna proprio di fronte a loro.
Aveva i capelli neri e gli occhi marroni, simili a chicchi di caffè congelati. Sulla testa portava un cerchietto d’ argento.
-Chi sei?- chiese sfrontatamente Luke, anche se non sembrava troppo minaccioso scosso convulsamente dai brividi.
-Non mi sorprende che non mi conosciate. Il mio nome non era conosciuto nemmeno al tempo dei greci, anche se a quanto potete sperimentare il mio potere è molto forte. Io sono Chione, dea della neve-
-La…dea…della…neve- commentò Luke con le parole interrotte dal movimento involontario del suo corpo –Non mi sorprende-
Chione sorrise gelida –Credo che sarà un piacere eliminarvi-
Eliminarli? No, non era nei loro piani essere eliminati. Cassandra doveva prendere tempo mentre rifletteva –Ti hanno descritta come la dea della terra innevata. Perché?- era una domanda stupida, ma era un tantino congelata per riuscire a riflettere chiaramente.
La dea rise –Forse, per questo?- alzò una mano e un vortice di neve investì la loro macchina, portandoli venti metri lontani dal parcheggio. Cassandra riuscì a evitare di essere colpita in pieno dal getto gelido carico di neve, con l’unico risultato di essere colpita a mezz’aria da uno più potente che la fece sbattere contro una delle colonne che reggevano la copertura della pompa di benzina, a cinque metri massimo dalla dea della neve.
-O forse perché la terra che ospita me e il reame del vento del Nord è il Canada, una bellissima terra costantemente innevata- aggiunse Chione. Ora che ci faceva caso Cassandra notava che la dea parlava con un accento francese.
-Potremo sapere perché Gea ci vuole morti?- chiese Cassandra, cercando di allontanarsi dal minaccioso cavo scoperto e dalla pompa di benzina che era verosimilmente sul punto di esplodere.
I suoi amici erano a venti-venticinque metri dalla tettoia che ospitava la figlia d’ Apollo e la dea della neve e non sembrava avessero le energie per alzarsi e arrivare in suo soccorso.
Doveva riflettere velocemente. Cosa batteva la neve? Il fuoco. Ma Chione aveva dimostrato di riuscire a spegnere facilmente le fiamme che i tre potevano creare.
-Gea crede che tre moscerini come voi possano fermare il risveglio della sua arma finale- Chione rise con noncuranza –credo che abbia preso un abbaglio, ma sono comunque felice di uccidere tre semidei-
Sorrise con arroganza e si preparò a lanciare l’attacco finale che avrebbe trasformato Cassandra in un ghiacciolo umano.
-Arma?- chiese fingendo interesse –Un’arma più forte di te?-
Chione rise –Non attacca. Hai un ultimo desiderio prima di morire?-
Cassandra si morse un labbro. Veramente avrebbe voluto fare molte cose prima di morire, ma ora, vedendo la mano fredda e candida della dea della neve tesa verso di lei, non avrebbe saputo scegliere quale, nemmeno avendone una reale possibilità.
Avrebbe voluto abbracciare Jane e dirle che le sarebbe mancata la casa 7 al Campo Mezzosangue, William e gli altri fratelli.
Avrebbe voluto, anche se in un momento di più lucidità non lo avrebbe mai ammesso, dire ad Apollo che gli era grata di quel poco aiuto che le aveva fornito, e che forse avrebbe potuto provare ad odiarlo un po’ meno.
Avrebbe voluto colpire Percy Jackson direttamente al cuore con una delle sue frecce e punirlo per la morte dei suoi genitori, per tutto quello che aveva fatto provare a lei e ai suoi amici per chissà quale motivo, per la morte di tutte quelle persone sulla Principessa Andromeda II.
Avrebbe voluto finire la scuola e prendere la patente come una comune mortale.
Più di ogni casa avrebbe voluto stringere la mano di Luke, morire guardandolo negli occhi, magari sentendo la sua voce che le diceva che sarebbe andato tutto bene anche se entrambi sapevano che mentiva. No, avrebbe voluto stringere la sua mano e scappare da tutto questo, avere una vita felice, averla con Luke…
Ma mentre pensava a tutte queste cose capì che non era finita, che poteva ancora farlo, e se quel folle piano che aveva pensato non sarebbe riuscito, poco male, avrebbe salvato i suoi amici e sarebbe morta libera. Avrebbe perso la vita dimostrando agli dei di non essere una loro pedina, o almeno ci avrebbe provato. Almeno sarebbe morta provandoci.
Saltò di lato ed evitò il raggio congelante di Chione.
-Io sono nata e cresciuta a San Diego, e lo sai cosa succede alla neve in California?- gridò la semidea –Si scioglie!-
Incoccò una freccia più velocemente di quanto le consentissero le mani intirizzite, il tempo concessale dalla stupore della dea.
Vide il cavo scoperto a pochi metri da lei, la pompa piena di liquido infiammabile pericolosamente vicina.
La punta di bronzo celeste colpì la pompa e per un terribile istante non accadde nulla.
Poi un liquido scuro iniziò a colare dal foro, quasi a rallentatore.
Chione urlò di frustrazione, ma reagì troppo tardi. I vapori della benzina si infiammarono e il fuoco entrò dentro alla cisterna del carburante.
Cassandra strinse al petto l’arco un attimo prima che l’ondata di fuoco la sollevasse da terra.
 
Angolo Autrice
Lo so, citazione di Leo. Il fatto è che, non potendo mettere il mio amore, per il momento, mi sono accontentata delle sue frasi.
 

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Capitolo 36
*** Capitolo XXXVI Alexander ***


Come avrebbero fatto ad arrivare al parco di Yellowstone entro il giorno successo? Si erano fermati tutta la notte in un albergo per riposarsi.
Sarah si era chiusa nella camera delle ragazze e Hazel stava decidendo se rimanere a dormire con i fratelli oppure no.
Nico aveva fatto comparire dal nulla una cintura fatta di teschietti che, Alexander ne era sicuro, gli avrebbero procurato un bel po’ di incubi quella notte, ammesso che sarebbe mai riuscito a dormire.
Decise di fare un salto in bagno per mandare un messaggio Iride a Emily.
Dopo non pochi sforzi riuscì a produrre un arcobaleno e lanciò una dracma pronunciando il nome dell’amica.
La scena non era chiara, ma sembrava che la ragazza fosse in un bosco. Alle sue spalle c’erano alcuni componenti della casa di Ermes, che (miracolo!) avevano una faccia seria.
-Emily!- disse Alexander per portare l’attenzione della ragazza su di sé.
-Alex!- sorrise lei, felice di vederlo –Che ci fa qui il tuo ologramma?-
-Volevo vedere come stavi, ma…quello non è il Campo Mezzosangue-
-No, siamo….in missione- disse vagamente –Non posso dirti altro, mi spiace-
-In missione con chi?-
-Con i ragazzi della casa- rispose Emily, ma la sua espressione divenne triste –Credo che qualcuno ci abbia ingannati. Ermes ci ha detto di venire qui e di tenere la foresta libera dai nemici, ma non siamo abbastanza. E per di più sarebbero dovuti arrivare degli eroi che ci avrebbero spiegato il significato della nostra missione, ma nessuno si è fatto vivo-
-E perché qualcuno avrebbe dovuto ingannarvi?- chiese incredulo Alexander –Insomma, è stato Ermes ad assegnarvi la missione, sarebbe stato difficile ingannare un dio!-
L’ espressione di Emily divenne ancora più buia –Appunto- commentò asciutta.
Alexander sbuffò –Ma dove sei? Nord o Sud degli USA?-
-Nord, ora ti devo lasciare. Stanno arrivando dei ciclopi. Giuro, un’altra notte e faccio tornare tutti al Campo se qualcuno non si sbriga a dirmi cosa sta succedendo!-
Passò una mano sull’ arcobaleno senza aspettare una risposata.
Alexander tornò in camera, dove Hazel parlava da sola –Potrei provare a mandare un messaggio a Frank. Gli dico di mettere la biga d’ oro dietro ad Arion e arriviamo a Yellowstone in un’ora massimo-
-Con chi parli?- chiese Alexander, sedendosi pesantemente sul letto.
-Con me- rispose la voce di Nico. Alexander sobbalzò e guardò nella direzione da cui proveniva la voce. Il ragazzo se ne stava abbarbicato sul comò, nascosto all’ombra dell’angolo della stanza e delle tende.
-Comunque aspettiamo fino a domani mattina- continuò Nico –Dobbiamo riposare-
Saltò dal comò. Ad Alexander parve che le ombre dove erano nascosto si tendessero con lui, come se gli fossero attaccate alla schiena, ma fu solo un attimo.
-Va bene- convenne Hazel –Io provo ad andare in camera mia, nel caso…-
-Nel caso Sarah volesse rimanere da sola io dormo sul divano e tu sul letto- assicurò Alexander.
-Mi spiace Alexander, ma per te ho altri piani- disse Nico in tono agghiacciante.
Hazel gli fece un sorriso partecipe e uscì augurando la buona notte.
-Pia…piani?- farfugliò Alexander.
-Alzati dal letto e vieni- rispose Nico.
Alexander lo raggiunse titubante al centro della stanza.
-Credo che sia ora che tu impari a utilizzare i tuoi poteri- disse Nico.
-Ora? Non puoi insegnarmelo al Campo?- protestò Alexander mentre guardava scoraggiato l’orologio.
-Dobbiamo affrontare molti nemici per arrivare a Yellowstone e il tuo aiuto mi farebbe comodo- rispose Nico con voce funebre.
-D’accordo- capitolò Alexander. Non si chiese come facesse a sapere dei nemici a Yellowstone e se fosse veramente lui a pensare che si dovesse allenare e non qualche fantasma, ma decise di seguire gli ordini.
Nico alzò un braccio e richiamò uno spettro.
Non che Alexander avesse mai temuto i fantasmi, gli piacevano anche i film horror, e quando era piccolo ne vedeva sempre molti intorno a casa sua, ma affrontarne uno era diverso. Come faceva Nico a mantenere la calma circondato da fantasmi?
-Ordinagli di camminare o sedersi. Qualcosa di semplice- ordinò Nico.
Ma Alexander si fece prendere dal panico –Siediti! Siediti! Ok, cammina. Cammina, ti prego! No, non verso di me, torna in dietro. No! Lontano! Siediti! Fermo! Seduto, bello. Ahhhh!- il fantasma lo stava per toccare e Alexander corse sul letto impugnando una lampada.
Nico lo indicò e il fantasma scomparve.
-Che coraggio, fratello- disse in tono piatto Nico, anche se Alexander fosse abbastanza sicuro che fosse una battuta.
-L’addestramento per oggi è finito- aggiunse.
Nico si rimise a sedere nelle ombre e, un secondo dopo, era scomparso.
Alexander lo aspettò in vano per mezz’ora, poi decise di mettersi a dormire.
Trai tre fratelli Nico era veramente quello più utile. Da quando erano scesi nei sotterranei aveva acquistato più sicurezza anche se era diventato più…oscuro.
Anche Hazel era brava. Poteva creare passaggi segreti e se la cavava con la spatha. Più che cavarsela era bravissima. Ed era Pretore, questo voleva dire che aveva altre qualità.
Ma lui? Alexander era solo una nullità. Carente con la spada, praticamente una minaccia per se stesso con qualsiasi altro tipo di arma. Sapeva brandire una lancia. Di certo non sarebbe riuscito a battere neanche un nemico forte la metà di quelli che avrebbero sconfitto i suoi fratelli.
Quella notte i suoi incubi erano popolati da fantasmi che lo volevano uccidere e pompe di benzina che esplodevano. Pompe di benzina? Ok, aveva avuto dei problemi a fare carburante quando aveva imparato ad usare il motorino, ma addirittura farci degli incubi sopra! E poi c’era la collana di Nico che lo voleva strangolare e le ombre che lo catturavano e lo uccidevano o che gli rimanevano attaccate alla schiena e lo facevano diventare invisibile e nessuno si accorgeva più di lui.
Si svegliò presto, felice che gli incubi fossero finiti. Sul letto di Nico dormiva Sarah, mentre sul divano Hazel, ma del ragazzino inquietante nessuna traccia.
Doveva vernine a capo. Svegliò la sorella –Sai dov’è finito Nico?-
Hazel si stropicciò gli occhi –Nico…stanotte non c’era-
-Già…- Alexander si chiese perché le due fossero venute a dormire da lui. Avevano preso la cosa come una gita scolastica?
Sentirono un rumore e guardarono la porta. Dal bagno uscì Nico, anche se Alexander era sicuro che avesse solo sfruttato le ombre della stanza per fare uno di quei suoi viaggi raccapriccianti.
-Dove sei stato?- chiese Hazel.
-Negli Inferi- rispose lui come se fosse una cosa normale.
Ma Alexander non trovava assolutamente normale che un bambino di dieci anni andasse negli Inferi con tutti quei fantasmi –Di notte?- riuscì solo a chiedere meravigliato.
-Tanto là sotto è sempre buio- rispose lui con noncuranza.
Alexander scosse la testa e si voltò.
-Anche i fantasmi non hanno idea del perché tu non riesca ad usare i tuoi poteri- aggiunse Nico.
Anche Sarah si svegliò –Che succede?- chiese brusca.
-Ah si?- rispose Alexander irritato –Mai chiesto il loro parere-
Nico lo guardò con superiorità –Anche nostro padre ha detto che ho dei poteri maggiori dei tuoi. Immagino che sia per quello. Poco male, io, Hazel e Sarah sappiamo combattere e abbiamo dei poteri forti, possiamo cavarcela lo stesso-
Ormai Alexander aveva capito che Nico non aveva più intenzione di prendere in giro la gente, fare battute o fare qualunque cosa facesse un normale bambino di dieci anni, aveva solo esposto un fatto, ma Alexander si arrabbiò comunque.
Prese la lancia e la fece allungare fino alle sue reali dimensioni, avvicinandosi a Nico, afferrandolo per un braccio –Chi ti credi di essere? Sei diventato troppo arrogante per i miei gusti-
-Lascia quel braccio-scandì Nico guardandolo minaccioso negli occhi.
Alexander strinse la presa.
Alexander non riuscì nemmeno a capire cosa lo avesse colpito e si ritrovò sbattuto contro il muro dall’altra parte della stanza. Vide indistintamente qualcosa luccicare nella stanza e scomparire.
-Non sopporto essere toccato- disse semplicemente Nico.
Hazel lo guardava con gli occhi sgranati, mentre Sarah lo fissava disgustata.
Alexander era solamente senza parole.
Nico si voltò e uscì sbattendosi la porta alle spalle.
-Io…- Alexander non sapeva cosa dire.
-Noi partiamo, ci raggiungerà con i viaggi nell’ ombra- decise Hazel.
Sarah, per una che stava andando a salvare un’amica, sembrava abbastanza lenta nel prepararsi.
Ci mise circa venti minuti in bagno, torturando Alexander che aspettava dietro alla porta.
-Cosa gli è preso?- chiese ad Hazel.
-Lui ti voleva solo aiutare. Da…da quando lo conosco lui risolve la maggior parte dei suoi problemi chiedendo ai fantasmi- rispose l’altra.
-E non gli piace essere toccato. È sinistro e non ama i contatti fisici, tutto quello che devo sapere su mio fratello!-sbottò Alexander.
Hazel scosse la testa –No, lui ha avuto una vita difficile. Ha perso la sorella, la sua vera sorella, pochi anni prima che mi conoscesse. È stato in quel momento che ha iniziato a frequentare gli Inferi. Devi capirlo se si comporta così, ha persi tutta la sua famiglia. E in più suo padre è…-
-Smettila- la bloccò Alexander –abbiamo lo stesso padre ma non ci comportiamo così. Mia madre è morta ed era l’unico componente della mia famiglia, so come ci si sente a perdere qualcuno. E per te è lo stesso.
Solo che lui è stato più debole di noi-
-Cosa intendi?-
-Io non lascerei mai che le ombre mi si attaccassero alla maglietta- disse semplicemente Alexander.
-Sei ingiusto- ribatté Hazel –Tu non sai cosa ha passato per tanti anni. Escluso dal suo tempo, solo, a vagare senza casa e senza famiglia-
-Se l’è trovata una casa, alla fine- rispose Alexander –negli Inferi, però. A quanto mi risulta esiste una casa 13 al Campo Mezzosangue!- sbottò.
Hazel preso un respiro profondo e scosse la testa – Quando gli altri scopriranno che non sei figlio di Mercurio nessuno ti guarderà più allo stesso modo al Campo Mezzosangue, e tu potrai ritenerti fortunato. Per Nico è stata ancora più dura-
Alexander non rispose. La maniglia del bagno scattò e lui si infilò dentro, quasi spingendo Sarah di lato.
Cosa lo irritava tanto del comportamento di Nico?
Una risposta l’aveva, però non gli piaceva. Non voleva diventare come lui. Voleva essere accettato e non temuto, avere degli amici, avere dei poteri.
Avere dei poteri normali, almeno. Era per questo che non riusciva a controllare i morti. Lui non voleva farlo.
A lui piacevano il sole e il vento sulla faccia, no? Eppure quando era sceso nei sotterranei di Chicago…
No, non ci doveva pensare. Se per rimanere se stesso doveva rinunciare ai suoi poteri lo avrebbe fatto.
Furono pronti verso mezzogiorno, o almeno quella era l’ora fino alla quale aspettarono il ritorno di Nico. Aspettarono in vano.
-Peggio per lui- disse infine Alexander –Fischia al tuo cavallo e fallo venire-
Hazel era titubante al pensiero di lasciare Nico indietro, ma alla fine lo fece. Fischiò e comparve il suo cavallo. Era splendido. Aveva il corpo color caramello e la criniera marrone.
Hazel gli allungò una o due pepite che raccolse da terra e il cavallo le mangiò con gusto.
-Bella biga!- esclamò Sarah.
-L’abbiamo presa alle amazzoni- spiegò Hazel.
-Amazzoni, esistano…- chiese Alexander.
-Veramente? Amico, tu sei un semidio, non sei già abbastanza incredibile?- chiese Sarah con la sua solita aria di superiorità.
Lui e Sarah montarono sulla biga mentre Hazel saltava sul cavallo.
-Tenetevi forte!- esclamò la donna. Si guardò attorno due o tre volte, come per assicurarsi che non ci fossero mortali in vista.
Alexander sapeva che non stava cercando i mortali, c’era la foschia per loro. Controllava se c’era Nico nei paraggi. Alexander ebbe una stretta al cuore. Lo avrebbero abbandonato lì? Lui sapeva fare i viaggi nell’ ombra, ma ci avrebbe messo comunque un po’ a trovarli.
Stava per dire ad Hazel di aspettare che Arion partì al galoppo, costringendolo ad aggrapparsi con tutte le sue forse alla biga.
Sarah sembra felice di quel viaggio a tutta velocità, tanto che dopo pochi minuti si mise in piedi, rischiando di cadere due o tre volte.
-Vieni, Alex-lo chiamò.
Vieni? Era tutta matta. Con fatica si mise in ginocchio e alla fine in piedi.
Il paesaggio scorreva velocissimo attorno a loro, tanto veloce che case, strade, alberi e mortali erano solo macchie indistinte.
Sarah gli prese la mano.
-Che fai?- chiese Alexander.
La ragazza sorrise –Pensavo che, insomma, questo fosse il posto giusto per parlare-
-Parlare di cosa?-
Sarah alzò gli occhi al cielo –Come hai notato nella faccia di Afrodite vedi il volto della persona che ami, e….-
Alexander aprì la bocca per chiederle come fosse la dea con la faccia di un maschio, ma la lasciò parlare –Io ho visto la tua- disse semplicemente.
Alexander si morse il labbro.
Anche Alexander aveva visto la faccia di Sarah. Ma anche quella di Emily. Chi amava delle due?
Pensò alla sua vecchia compagna di casa. Ora che era stato riconosciuto potevano mettersi insieme senza problemi, visto che non erano fratelli.
Pensò al sorriso di Emily, a come fosse bello su di lei e irritante sui suoi fratelli.
Si sporse verso Sarah e la baciò. La sua bocca sapeva di decine di cose diverse. Aveva come il sapore di tutte le piante buone e profumate che Alexander avesse mai incontrato. Sperò che lui non sapesse di cadavere in putrefazione.
Sarah gli sorrise –Anche tu hai visto me-
-Solo te-
L’abbracciò e si misero a sedere nella biga.
Emily era più di un amica, per Alexander era una vera sorella. Una sorella, non una fidanzata.
-Penso che la cena del ringraziamento sarà un vero incubo- rise Alexander.
Anche Sarah sorrise, ma sembrava triste.
-Che c’è? Ti preoccupa quello che dirà tua madre o quelli della tua casa?- chiese Alexander.
Sarah scosse la testa –Vedi, non sono stata completamente sincera con voi. Mia madre…-
La biga si fermò di colpo e i due semidei furono costretti a stringersi forte al carro per non cadere.
-Eccoci arrivati alla resa dei conti- disse una voce alle loro spalle.
Era la voce di Annabeth Chase.

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Capitolo 37
*** Capitolo XXXVII Cassandra ***


Cassandra sentì il calore lambirle la faccia, scottarle le mani.
Sentì la terra allontanarsi dai suoi piedi.
Indistintamente si accorse anche delle urla di Chione. L’unico suono chiaro che udiva era il rombo delle fiamme, i pezzi di metallo che ricadevano da ogni parte.
Non aveva più freddo, di questo era sicura.
Si ritrovò stesa a terra. Le orecchie le fischiavano ed era sicura che il mondo stesse girando, ma…
Non era morta. Era troppo vicina alla pompa per non essere uccisa dall’esplosione.
Perché era ancora viva?
Si toccò la nuca e la trovò bagnata ma, incredibilmente, non era sangue. Era acqua. L’acqua lasciata dallo sciogliersi della neve di Chione.
Il mondo girava e le orecchie le fischiavano, ma riusciva a sentire dei rumori in lontananza, come ovattati.
Vide due ombre su di lei. Erano due facce?
Non lo seppe mai, perché tutto si trasformò in buio.
--
Sarà uno dei tre che con lui viaggerà, loro capiranno.
Una voce le ripeteva questa frase all’ orecchio. Poi recitò tutta profezia.
La figlia del Sole in missione verrà mandata
incontrerà la dea della terra innevata.
L’ ultimo figlio della morte bisognerà allora trovare.
Colui che il Caos nel mondo è destinato a riportare
sarà uno dei tre che con lui viaggerà, loro capiranno.
Ma di chi era quella voce? Sembrava…la voce di Luke? No, era la voce di Jane. Oppure era la voce di suo padre? Era più probabile che fosse quella di sua madre.
Quella strana voce continuava a ripetere quei tre versi.
Svegliati.
--
Cassandra aprì gli occhi di scatto. Intorno a lei c’era tutta la confusione lasciata dai venti all’ interno della stazione di servizio.
Si osservò a fatica le mani. Non erano bruciate. Come avevano fatto i suoi amici a curarla?
I suoi amici… dove erano Jane e Luke?
Provò a mettersi a sedere, impresa che le costò parecchia energia e diversi tentativi.
-Cassandra!- esclamò qualcuno.
La ragazza impiegò qualche secondo per mettere a fuoco la figura che si avvicinava. Era Jane.
-Come hai fatto a curarmi?- chiese Cassandra con difficoltà. Aveva la gola secca e dolorante –Per quanto ho dormito?-
Aveva anche fame.
-Due giorni. Tra due ore sarà l’alba del “giorno dopo dopo domani”. Chiaro?- rispose l’altra.
Non era chiaro ma Cassandra annuì.
-Per quanto riguarda il curarti…- disse con il sorriso che le si spegneva sulle labbra –Non l’ho fatto-
In quel momento entrò nella stanza Luke –Nessuno intorno al distributore-annunciò –e Jane…- ma qualunque cosa volesse dire a Jane non sembrava avere più importanza.
Corse verso Cassandra e la strinse forte –Non farlo mai più- l’ avvertì.
-Farmi esplodere?- rise la ragazza con voce roca –Non è più nella lista dei desideri-
Jane si avvicinò con un bicchiere d’acqua e qualcosa da mangiare.
-Probabilmente il mio cervello non ha ancora messo insieme tutti i pezzi- disse Cassandra addentando un panino con ferocia –Ma credevo che trovarmi a due metri dall’ epicentro di un’esplosione mi avrebbe procurato la morte-
Luke e Jane si guardarono –Ce lo siamo chiesto anche noi- rispose il ragazzo –ma l’ importante è che tu sia qui, no?-
Cassandra annuì. L’ importante era avere quel cosciotto di pollo, ma anche essere lì andava bene.
Una forte luce improvvisa riempì la stanza, facendo passare i semidei in assetto da battaglia.
A pochi metri da loro era comparso un uomo vestito in una qualche specie di uniforme militare che Cassandra non conosceva.
Portava gli occhiali da sole anche al buio, e dietro le lenti scure i suoi occhi fiammeggiavano. Be’ letteralmente. Sembrava che ci fosse in corso un test nucleare nelle sue orbite.
Probabilmente era un dio. E probabilmente Cassandra aveva capito di quale dio si trattasse.
-Ares- commentò Luke.
Cassandra sperava che il dio della guerra non fosse particolarmente permaloso o che Luke tenesse la bocca chiusa. O meglio ancora entrambe.
-Divino Ares- si affrettarono ad aggiungere le due figlie d’ Apollo.
-Non sono venuto qui per scambiare due chiacchere- le informò il dio. C’era qualcosa nel tono di Ares che faceva infuriare Cassandra, rabbia che cresceva mentre il dio si avvicinava.
-E per cosa, allora?- sibilò Luke.
Cassandra si morse il labbro –Divino Ares, ovviamente siamo onorati della sua visita-
-Il fuggitivo- commento il dio della guerra guardando Luke –Molti dei sarebbero felici se ti riportassi al Campo Mezzosangue, o meglio ancora, se ti riportassi da dove vieni. Campi della Pena o Asfodeli? Dove eri finito alla fine?-
Luke digrignò i denti –Elisi. Ero stato mandato ai Campi Elisi-
-Fosse per me ci torneresti subito- ghignò Ares –Peccato che quella sciocca di Atena non voglia. Per me le profezie sono cose inutili ma lei e Apollo hanno convinto Zeus a risparmiarti. Immagino che c’entri qualcosa anche tuo padre, non che la cosa mi interessi. Dovrebbero passare a meno chiacchere e più azione- aggiunse giocando con un coltello.
Luke rise spavaldo –Se mio padre è coinvolto mi piacerebbe sapere quale orrenda morte hanno previsto per me le Parche, questa volta-
-Mi piacevi di più quando avevi più spina dorsale. Eri molto più incline ai fatti che alla parole- sorrise come ricordando qualcosa di molto divertente, che da quel poco che Cassandra sapeva di Ares doveva essere qualcosa tipo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale –Peccato che poi mi hai fatto fare la figura dello sciocco- disse dipingendo sul volto un ghigno assetato di sangue –credimi, se non fosse stato per quella sciocca di Atena saresti di nuovo negli Inferi…-
Cassandra serrò la mascella per non colpirlo. Si sentiva così tanto arrabbiata. Forse perché quel tipo le ricordava Apollo, o Percy…
Aspetta, Ares non era affatto simile a Percy o ad Apollo. Doveva essere uno dei poteri del dio della guerra, la sua aura ti faceva arrabbiare. Doveva ricordarselo.
-è venuto per dirci qualcosa di importante, non è vero?- chiese Jane. Anche lei sembrava aver capito il potere di Ares, perché si stava mordendo a sangue l’interno della guancia, nonostante il suo tono fosse abbastanza rispettoso.
Ma cosa ci trovava di divertente il dio della guerra in persone che cercavano di colpirlo? Cassandra lo avrebbe accontento se era questo che voleva. Gli avrebbe dato un bel pugno sulla faccia e…
No. Doveva rimanere calma.
-Certo- convenne Ares –sono venuto per farmi riconoscere i sacrifici dovuti-
Sacrifici dovuti? Quel tizio era venuto a provocarli e voleva anche dei sacrifici!
Comunque era meglio lasciar parlare Jane. Cassandra non era mai stata particolarmente incline alla calma.
-Sacrifici… saremo onorati di fare dei sacrifici per lei. Se possiamo ci piacerebbe saperne il motivo- rispose Jane.
-Tanto per cominciare ho annullato gli ordini hai miei figli- rispose il dio.
-Quali ordini?- chiese brusco Luke. Cassandra avrebbe tanto voluto strangolare anche lui se non stava zitto.
-Quelli di uccidervi!- esclamò Ares –Ovviamente voi avete a che fare con quel figlio di Ade…dovevate morire. Alla fine mi sono lasciato convincere da mia figlia e ho annullato gli ordini. Vorrei dire che mi dispiace per la freccia di Frank, ma penso che abbia fatto un ottimo lavoro- disse orgoglioso.
-La freccia?- scattò Cassandra. Quella freccia? Quella con il veleno degli scorpioni? Quella che aveva quasi ucciso Jane?
-Non credevate d’avvero che i ciclopi scagliassero frecce?- rise Ares.
Anche Jane iniziava quasi a perdere il suo autocontrollo. Ora Cassandra era più che furente. E non credeva che avesse del tutto a che fare con l’aura del dio.
Comunque aveva abbastanza lucidità per fulminare Luke con lo sguardo e impedirgli di parlare.
-Va bene- disse Jane prendendo un profondo respiro –grazie. Altro per cui dobbiamo ringraziarla?-
Ares rifletté un momento. Non c’era altro? Dovevano ringraziarlo solo per una freccia avvelenata? Al massimo Cassandra avrebbe bruciato un po’ di spazzatura puzzolente.
-In effetti si!- esclamò in fine, facendoli sobbalzare –Prima mi vorrei congratulare con Cassandra per il suo coraggio-
Coraggio? Cassandra rimase di stucco –Co…cosa?-
-Per la pompa di benzina- spiegò Ares entusiasta –sei stata grande! Hai fatto fare un bel botto a quella dea traditrice! E che coraggio… farsi esplodere per salvare i propri amici! Queste sono le qualità che ammiro. Dovere e sacrificio- annuì soddisfatto.
Cassandra non era sicura che, se Ares ammirava il suo operato, avesse fatto la cosa giusta. Ma no, l’aveva fatta. Proprio come diceva Ares, era stata coraggiosa e altruista, in barba l’umiltà!
-Grazie- disse fieramente.
-è per questo- continuò il dio –che ho deciso di darti la mia benedizione. La benedizione di Ares ti rende temporaneamente invulnerabile, ma te la devi guadagnare in battaglia. Come hai fatto tu. È merito mio se quella pompa non ti ha polverizzata-
Cassandra avrebbe voluto ringraziare ma le parole proprio non le uscivano. Se aveva il potere di farlo perché non aveva reso invulnerabili tutti i semidei che erano morti nelle ultime guerre contro i Titani per difendere il suo trono? Perché non l’aveva usata su Nico quando era morto sulla Principessa Andromeda II? Perché non la usa per risolvere le guerre tra mortali?
Non voleva ringraziare una persona del genere.
Non è il momento per l’orgoglio, Cassandra si disse e poi ti ha salvato la vita.
-Grazie, Ares- riuscì a far uscire, alla fine.
-A me piace molto la carne nelle offerte- suggerì Ares.
-Lo terremo presente- annuì Jane.
-Anche se, sempre se non lo avesse notato, abbiamo a mala pena il cibo per noi stessi. E non molta carne- commentò acidamente Luke.
-Un modo lo troverete. Rubalo se vuoi, sei figlio del dio dei ladri- rise Ares.
Cassandra ebbe il sospetto che Ares dicesse anche tutto quello che avrebbe potuto far infuriare i suoi interlocutori.
-Vita nuova, metodi nuovi- si sforzò di sorridere Luke.
-Come volete. Manzo, mi piace il manzo- il dio della guerra si strinse nelle spalle- Attenti alle offerte, nessuna verdurina, eh?- sorrise con la sua aria arrogante e iniziò a luccicare.
I tre mezzosangue si voltarono e si coprirono gli occhi.
-Qualcuno ha del manzo?- chiese Jane.
-Mortadella- rispose acido Luke.
-Credo che gli andrà bene lo stesso- si strinse nelle spalle Cassandra.
Luke andò a prendere qualcosa per fare un fuoco.
-Questa notte ho fatto un sogno- disse Jane. Sembrava pallida.
-Premonitore?- chiese Cassandra. Come figlie di Apollo era piuttosto frequente.
Jane scosse la testa –Lo trovo improbabile. Ho visto mia sorella, ma mia sorella è…-
-Morta- completò Luke –Più o meno come il qui presente e grazie per il tatto-
Jane sorrise imbarazzata –Giusto. Si trovava in un bosco. Cioè, non in un bosco, era al parco nazionale di Yellowstone. Con lei c’erano tre mezzosangue-
-Aspetta!- la bloccò Cassandra –Anche io ho sognato una cosa simile. Che rumore fa il gayser di Yellowstone? Tipo un rombo poi silenzio poi di nuovo rombo?-
Jane annuì –Nel mio sogno c’erano Nico di Angelo, il Pretore, Alexander e Sarah Davies-
Jane sbiancò –Anche nel mio. Tutti tranne Sarah-
Luke accese il fuoco –Allora credo che dovremo andare là. Bisognerà trovare Nico di Angelo. E poi…- sembrava indeciso su cosa dire –sistemare il problema. Qualunque cosa voglia dire-
Problema? La profezia… cosa doveva dire lei sulla profezia? C’era qualcosa…
-Ho fatto un sogno- disse Cassandra –Ho l’ultimo verso della profezia-
I due compagni si voltarono interessati -La figlia del Sole in missione verrà mandata/ incontrerà la dea della terra innevata./ L’ ultimo figlio della morte bisognerà allora trovare./Colui che il Caos nel mondo è destinato a riportare/ sarà uno dei tre che con lui viaggerà, loro capiranno- recitò Cassandra.
-Quindi non è Nico!- esclamò Luke.
-No, è uno dei suoi compagni. O il figlio di Ermes…cioè Alexander- rispose Cassandra.
Luke la guardò interrogativo –La profezia parla di tre persone, Cassandra. Mio fratello, Hazel e…? La sorella di Jane o Sarah Davies?-
-Non lo so!- sbottò Cassandra.
-Possiamo solo arrivare lì e vedere chi sta viaggiando con Nico- si strinse nelle spalle Luke.
Perché Cassandra era così delusa? Avrebbe voluto che fosse Nico. Perché? Non lo voleva uccidere, non si voleva vendicare per la sua scelta sulla nave o…o si?
Si, lo avrebbe voluto. Sarebbe stata anche la cosa giusta da fare, in fondo. Ucciderlo per salvare il mondo.
Ucciderlo per vendicare le centinaia di persone che avevano perso la vita sulla Principessa Andromeda II.
Comunque ora non era più un problema. Non era lui. Se ne doveva fare una ragione.
Apollo e Jackson. Solo loro i colpevoli della morte dei miei genitori. Solo loro cercò di convincersi.
-E c’è di più- disse Jane.
-Cosa?-chiese scontrosamente Cassandra.
-Che bisogna arrivarci entro stasera. Lo sento- rispose Jane.
Cassandra imprecò in greco. Entro quella sera? Ma neanche alla velocità della luce…
Luke gettò la mortadella nel fuoco e disse il nome del dio della guerra.
-Ragazze è un viaggio diretto verso occidente. “Dove cala il sole”. Non aggiungo altro- disse Luke.
-Credevo che non gradissi l’aiuto degli dei- disse acida Cassandra.
Dopo venti minuti sarebbe stata l’alba e suo padre sarebbe ricomparso, irritante, in America.
Luke si strinse nelle spalle –Tutti dobbiamo scendere a compromessi. E aiuto è diverso da ordini-
Cassandra sospirò –Invoca tu l’aiuto di “papà”- disse lanciando i resti del panino a Jane.
Tanto aveva perso la fame.

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Capitolo 38
*** Capitolo XXXVIII Alexander ***


Alexander fece scattare la propria lancia fino alla lunghezza normale.
Come avrebbero battuto la figlia della dea della saggezza questa volta? Di certo non potevano contare sull’ aiuto di Clarisse.
-Dove siamo?- chiese ad Hazel mentre la donna li raggiungeva alla biga.
-South Dakota- rispose Annabeth con un mezzo sorriso –Spero che vi piaccia. Sarà la vostra tomba-
-La tua- rispose Sarah, alzandosi in piedi sguainando la spada.
Alexander provò ad imitarla ma il suolo vorticò attorno a lui. Dannata velocità di Arion.
Annabeth rise con superiorità –Tu vorresti uccidere me?-
-Certo- rispose Sarah, ma il suo tono era più incerto.
-Mortali- Annabeth sputò fuori quella parola come se fosse il più grande degli insulti.
Ma cosa andava dicendo? Sarah era figlia della dea dell’agricoltura. Tutte quelle cose che faceva con le radici, no? I mortali non le potevano fare. E poi viveva al campo.
-Mi sa che hai preso un abbaglio- replicò Alexander.
La risata della figlia di Atena risuonò alta e squillante –Non glielo hai detto?-
-Detto cosa?- chiese Hazel mettendosi tra i suoi amici e la donna.
Come avrebbero fatto a batterla? Senza Nico e senza Clarisse? Almeno non c’era la…
Prima che Alexander potesse finire di formulare il pensiero, in lontananza, si levò il grido agghiacciante della civetta di Atena.
Hazel esclamò qualcosa in latino che ad Alexander non sembrò un complimento né alla civetta né alla padrona.
-Non è il momento per le chiacchere-disse Sarah in tono di sfida.
-Su questo ha ragione la mortale- ghignò Annabeth.
Non fu tanto il “mortale” che lo fece infuriare, lui pensava di esserlo fino a venti giorni prima, ma come lo disse, per la seconda volta, e a quella che sperava essere la sua fidanzata.
Alexander avrebbe trafitto Annabath con la sua lancia (ci avrebbe provato almeno) se qualcosa non lo avesse bloccato sul posto.
Guardò i piedi e notò che un paio di solide radici lo tenevano ancorato a terra.
Avrebbe voluto urlare a Sarah di liberarlo, ma fece appena in tempo ad abbassarsi per evitare il colpo di pugnale che Annabeth aveva indirizzato ad Hazel e che la sorella aveva prontamente schivato.
La donna scomparve sottoterra, provocando una risata nella figlia d’ Atena –Ma quanto coraggio!-
Sarah si lanciò contro la donna con la spada sguainata.
Alexander notò che le radici ai suoi piedi erano state rimosse. Ottimo.
Fece roteare una volta la lancia e si lanciò all’ attacco.
-Alex, abbiamo un piano, ma tu mi dovresti coprire…- sussurrò Sarah.
-Ci provo- rispose Alexander.
Ma Sarah non riuscì ad allontanarsi. Annabeth riusciva a respingere tutti i loro colpi e a provare qualche affondo. Sarah era brava, ma era chiaro che stava cercando di coprire anche Alexander, che nelle tecniche di combattimento era abbastanza carente.
Nelle tecniche di combattimento? Era carente in tutto. Non poteva usare i suoi poteri. Non riusciva a battere neanche un mezzosangue o un mostro. Il comando della missione, anche se in realtà era suo, era stato affidato tutto ad Hazel. A dire la verità Alexander non capiva nemmeno il significato di quella missione. Era partito allo sbaraglio, seguendo gli ordini del padre, ma non sapendo nemmeno cosa avrebbe dovuto affrontare nella missione. E aveva trascinato altre due persone in quel macello.
All’ennesimo colpo indirizzato a lui che veniva parato da Sarah sentì la rabbia esplodergli nel petto.
Doveva dare un po’ di tempo a Sarah? Lo avrebbe fatto, a qualsiasi costo.
Intercettò la lama di Annabeth sopra la propria testa e lo ricacciò indietro con un urlo.
Lasciò uscire tutta la rabbia e la frustrazione e, improvvisamente, il terreno iniziò a ribollire come durante la Caccia alla Bandiera.
-Allontanati e… fai quello che devi fare- disse Alexander.
Sarh annuì e si nascose dietro alla biga.
Cosa avevano in mente lei ed Hazel?
Alexander doveva solo tenere occupata Annabeth fino a quando non gli avessero detto di smettere.
Anche così era un compito arduo. I fantasmi non furono veloci ad uscire dal terreno, cosa che procurò ad Alexander diversi tagli, anche se poco profondi.
Ad ogni colpo subito, comunque, la sua rabbia non faceva che aumentare, incrementando solo il suo potere.
Alla fine quattro o cinque fantasmi erano apparsi dalla terra.
Erano lenti, e Alexander non aveva la minima idea di come controllarli, ma riuscivano a difenderlo.
Alexander sentiva l’energia crescere, un misto di rabbia ed esaltazione per i suoi poteri, che lo rendevano più veloce e più abile a controllare i fantasmi.
-Spostati, Alex- ordinò Sarah.
Spostarsi? No. L’avrebbe battuta lui. Ce la poteva fare. Avrebbe potuto infilare la sua lancia nello stomaco di Annabeth.
Fece fermare i fantasmi e corse contro Annabeth, la lancia sollevata, pronto a colpirla.
Proprio in quel momento il terreno sotto i loro piedi cedette.
La buca era abbastanza profonda, circa cinque metri. Cosa che non avrebbe potuto uccidere dei mezzosangue se fossero caduti nella maniera corretta.
Il problema era quello che c’ era sul fondo. Una serie di pali appuntiti di legno.
La trappola era stata creata da Hazel e Sarah per Annabeth, e ora sarebbe morto anche lui e tutto per colpa della sua stupidità.
Sentì un gridò arrabbiato di Sarah dalla superficie e i pali scomparvero.
Alexander rotolò appena toccata terra, anche se urtò il ginocchio destro a terra. Non doveva essere né rotto né slogato, ma il dolore lo riportò alla realtà.
Improvvisamente si sentì svuotato di tutte le energie. Il combattimento e l’uso dei suoi poteri lo avevano stancato molto, anche se quella strana sensazione di invincibilità lo aveva fatto sentire potente e pieno di energie per tutto lo scontro. Ora aveva sonno, avrebbe solo voluto dormire…
Cercò di rimettersi in piedi, ma le gambe non volevano rispondere. Voleva solo appoggiarsi alla parete e dormire un po’, che male c’era?
Sapeva che era bloccato in una buca con una mezzosangue sanguinaria che lo voleva uccidere, che era indifeso e che probabilmente le sue amiche lo avrebbero lasciato morire come punizione, ma non poteva reagire.
Sentì qualcosa che lo risucchiava verso il basso e un grido agghiacciate sopra la sua testa.
Doveva essere arrivata la civetta di Atena.
Alexander, comunque, si trovava in una buca delle dimensioni di una bara, completamente a buio.
Doveva ringraziare solo il fatto di essere figlio di Ade per non essersi ancora fatto prendere dal panico.
Doveva…doveva fare qualcosa. Dopo vari tentativi riuscì a raggiungere lo zaino. Bevve un po’ di nettare e sgranocchiò dell’ambrosia.
Si sentì subito meglio e la sua mente era molto più lucida. Come poteva uscire da lì?
Forse, se avesse chiamato aiuto…
Non ce ne fu bisogno. La terra sopra di lui si aprì. La buca era profonda solo due metri, altezza che poteva benissimo battere ora che era imbottito di ambrosia e nettare.
Saltò su e vide la cosa più terribile della sua vita.
Sarah cercava di tenere a bada la civetta con la spada e con le piante, ma l’enorme massa del mostro batteva qualunque pianta la ragazza mettesse sul suo cammino e minacciava di schiacciarla o di spazzarla via con le ali.
Ad Hazel non andava meglio. Lei e Annabeth erano entrambe abili combattenti, ma Hazel si era stancata troppo usando i propri poteri. Evidentemente aveva sprecato tutte le energie per la trappola e non aveva messo in conto un fratello pazzo. Giusto, Alexander le aveva fatto perdere altre energie per farsi salvare.
-Alex, aiuta Sarah, io me la cavo!- ordinò il Pretore.
-Ma Hazel…-provò a protestare Alexander, anche se in quel momento Sarah veniva colpita in pieno dall’ ala della civetta.
Alexander corse a controllare le condizioni della ragazza. Fortunatamente Sarah si rimise in piedi spingendolo di lato –Ma cosa credevi di fare?- urlò.
-Scusa…io…pensavo di batterla…-
-Scusa? non mi sembra che le tue scuse ci faranno vincere, ora!- ringhiò l’ altra.
Sarah si voltò e ricominciò a combattere.
Dieci minuti prima lo aveva baciato e ora…lo trattava così?
Ci mise qualche secondo ad accorgersi della battaglia e a posizionarsi al fianco di Sarah.
Alexander non aveva più intenzione di richiamare i fantasmi o utilizzare uno qualunque dei suoi poteri. Non voleva rischiare un collasso durante la battaglia.
Non che fosse comunque molto utile, ovviamente. Sarah continuava a combattere anche per lui, cosa che gli fece sperare che non fosse del tutto arrabbiata.
Alex sentì Hazel gridare.
I due ragazzi si fermarono per vedere cosa fosse accaduto, e videro il coltello di Annabeth puntato alla gola della donna.
-No!- gridò Alexander, cercando di correre verso le due. Pessima mossa. Non il correre verso Hazel, ma l’essersi dimenticato della civetta.
Il suo becco appuntito lo colpì, anche se di striscio, al fianco, facendolo cadere a terra in preda al dolore.
Sentiva Annabeth ridere, se per lui o per Hazel non lo sapeva, mentre la civetta stava per dare il colpo di grazia.
Colpo che non arrivò. Quando la testa del mostro era a meno di mezzo metro dal suo petto qualcosa colpì il suo cranio, stordendola.
Quella cosa venne colpita dalla testa della civetta mentre il mostro si dimenava, provocando un tonfo sordo sull’erba.
Sarah non emise nessun altro rumore.
Hazel e Alexander stavano per morire, se Sarah non lo fosse già stata sarebbe stata finita a breve.
Alexander chiuse gli occhi e aspettò il colpo di grazia.
Ma la civetta gridò di dolore, e anche Annabeth.
Alexander riaprì gli occhi.
Una ventina di fantasmi si accalcavano sul mostro, colpendolo con tutte le armi che avevano a disposizione.
Nico stava in piedi tra Hazel e Annabeth, con la spada di ferro dello Stigie sollevata e l’espressione più truce che Alexander gli avesse mai visto dipinta sul volto.
Alexander provò ad alzarsi, ma Nico lo fermò con un cenno della mano –A lei ci penso io, tu sei ferito. Occupati di Sarah-
Non c’era nulla di eroico nella sua voce o di solenne. Aveva lo stesso tono piatto che usava sempre, ma non per questo sembrava meno minaccioso.
Alexander annuì e cercò di avanzare verso Sarah, ma il dolore al fianco gli faceva vedere le stelle. Non osò prendere altra ambrosia.
La ragazza era riversa su un fianco e aveva gli occhi chiusi. Non era più pallida del solito e, ad un primo esame, non sembrava ferita. Aveva solo un piccola taglio sopra all’ occhio, dove la testa aveva colpito il terreno.
Alexander le sollevò la testa e le fece mangiare la sua ultima dose di ambrosia.
Aspettò qualche secondo, ma alla fine Sarah aprì gli occhi. Sorrise debolmente.
Anche Alexander sorrise, troppo felice per trattenersi –Non fai più la spavalda ora, eh?-
-Io non faccio la spavalda, conosco solo le mie possibilità- rispose Sarah con cove fioca –Sto tanto male?-
Alexander scosse la testa –Niente che non si possa guarire con l’ambrosia-
-Senti, io…mi dispiace di averti urlato contro, e di non essere stata sincera e…-
-shh- disse Alexander –Perché dici tutte queste cose?-
Sarah sbatté più volte le palpebre per nascondere le lacrime, ma non ci riuscì –Se muoio, io…-
-Ma tu non morirai, Sarah- Alexander scosse la testa – Io non ne ho più, ma Nico avrà di sicuro dell’ ambrosia…-
-Alex- disse Sarah con voce rotta dal pianto –io devo morire. Sono io la mortale della profezia…-
-Hai preso una botta alla testa, cerca di non parlare- replicò Alexander. Ma così la cosa aveva un senso. Il suo comportamento dopo che avevano letto la profezia, come se fosse condannata a morte, il suo non voler andare a Yellowstone, che, ora che Alexander ci pensava, non era altro che un enorme vulcano, quello che aveva detto Annabath… –Qui non morirà nessuno fino a quando io non dirò che va bene. Capito?-
Sarah sorrise –Alexander, hai capito che non c’è alcuna speranza, vero? La profezia…-
Prima che lei potesse finire la frase Alexander si sporse in avanti e la baciò –E tu hai capito che me ne frego delle profezie, vero?- nessuna profezia avrebbe ucciso Sarah, nessuna profezia lo avrebbe costretto a distruggere il mondo, nessuna profezia avrebbe fatto tradire chiunque in quella missione. Non fino a quando ci fosse stato lui a impedirlo.
Sarah lo abbracciò e così fece Alexander, poi si voltò a guardare quello che stava facendo Nico.
Non era un grande combattente, non all’altezza delle due ragazze delle missione, ma di certo era uno dei migliori che Alexander avesse mai visto. Era veloce e aveva una buona tecnica, anche se non era potente.
E poi aveva i fantasmi. E li sapeva comandare meglio di Alexander.
La civetta si disintegrò in un turbine di polvere gialla, lasciando la sua padrona sola e in schiacciante minoranza numerica.
Nico le scivolò alla spelle e le trafisse una gamba, facendola cedere in ginocchio.
Lei si voltò cercando di colpirlo allo stomaco, ma lui intercettò la lama del suo pugnale e la fece volare via nella buca di Hazel.
Si avvicinò vittorioso alla donna –Nessuno cerca di uccidere i miei amici- disse. Il suo tono non era quello di una considerazione, ma era minaccioso e arrabbiato.
Le puntò la spada sotto alla gola, pronto a colpire, ma all’ultimo momento si fermò.
Alzò una mano e due fantasmi comparirono al fianco di Annabeth –Non mi uccidi?- rise la donna –Sei un vigliacco?-
-Io non credo che la pietà sia una forma di codardia- intervenne Hazel, sorridendo al fratello –Secondo me è la cosa che divide la gente come noi dalla gente come te-
-Portatela sull’ Olimpo e assicuratevi che non incontri sua madre o Poseidone. Potatela da Apollo- ordinò Nico.
I fantasmi annuirono e scomparvero nella terra con la prigioniera.
I due figli di Ade si avvicinarono ad Alexander e Sarah.
-E ora- disse Sarah con un sospiro –credo che sia ora delle spiegazioni-
-E del’ ambrosia- gemette Nico –ho un sonno che muoio-

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Capitolo 39
*** Capitolo XXXIX Cassandra ***


Quando arrivò l’alba i tre si fecero trovare pronti nel parcheggio poco lontano dalla macerie della pompa di benzina.
-Credi che sua sorella sia ancora viva?- chiese Cassandra a Luke.
-Io sono la prova…vivente- disse con una risatina –che i morti possono tornare in vita-
Cassandra si strinse nelle spalle.
-Che c’è?- chiese Luke stringendole la mano.
Lei sobbalzò a quel contatto ma fu contenta che ci fosse lui con lei –L’ultima volta che ho incontrato Apollo ha detto che probabilmente sarebbe stato un addio e…-
-Gli dei raramente considerano i loro figli, non dovresti prenderla come una cosa personale- la interruppe lui.
-Ma io non voglio rivederlo. La sento una cosa sbagliata. Chiamala preveggenza, ma sento che succederà qualcosa di brutto- rispose lei.
Luke sospirò –Potrei dirti che non credo che tuo padre ti porterebbe in un qualche posto che potrebbe metterti in pericolo o che lo farebbe con tua sorella, ma so quanto suonerei ipocrita-
-No, non credo che Apollo lo farebbe, anche se… non penso che sia una cosa che riguarda solo me-
-Me?- sorrise Luke.
-Ma quanto sei egocentrico- rise Cassandra dandogli una piccola spinta.
-Intendi che potrebbe avere a che fare con il ragazzo che distruggerà il mondo?- chiese Luke.
-Non lo so…non so nemmeno cosa faremo una volta che lo avremo trovato- rispose Cassandra –Se fosse Hazel o la sorella di Jane le potrei anche lasciare in vita, ma se fosse Alexander- scosse la testa con enfasi –è un criminale, conoscendo te-
-Lungi da me voler difendere la categoria!- rise Luke –Ma i miei fratelli sono brava persone!-
Il sorriso di Cassandra si spense e si sedette sul marciapiede. Jane era dall’ altra parte del parcheggio a sistemare le proprie cose, controllare gli zaini, assicurandosi di fare una buona impressione su Apollo.
-Io non voglio uccidere nessuno-scosse la testa, per far scomparire le lacrime – e non voglio che muoia nessuno di voi, ma voglio anche salvare il mondo. Sono così arrabbiata con quello sciocco di Apollo per avermi dato questa missione!-
Luke le prese la faccia tra la mani –Qualunque cosa non la dovrai affrontare da sola. Io ti seguirei anche volessi attaccare l’Olimpo o andare nel Tartaro-
-Perché sei mio amico, lo so- sorrise Cassandra.
Luke scosse la testa –Per questo-
Senza preavviso la baciò. Cassandra rimase imbambolata per qualche secondo prima di rispondere al bacio.
-Ora è sicuro che non partiamo con Apollo- sorrise Cassandra.
-Ragazzi, non vorrei disturbare, ma il sole sta per sorgere- Jane sorrideva in lontananza.
-Certo, arriviamo- disse Luke prendendo la mano di Cassandra.
-Lo sapevo- sussurrò Jane all’ orecchio di Cassandra –In realtà pensavo che vi sareste baciati qualcosa tipo la prima sera…-
-Jane!- esclamò Cassandra. Ma non si sarebbe potuta arrabbiare neanche vedendo la faccia di Apollo in quel momento. Continuava a stringere la mano di Luke come se il ragazzo potesse scomparire. Lui se ne accorse e le passò un braccio attorno alle spalle.
La luce dell’alba abbagliò improvvisamente i tre comparendo da dietro il negozio.
Cassandra dovette distogliere lo sguardo per non accecarsi, e dovette sbattere due o tre volte gli occhi nel tentativo di far scomparire le macchioline nere da d’ avanti a gli occhi, cosa che fu inutile.
Sentì il rumore di una macchina sull’asfalto.
Avvertì Luke irrigidirsi e Jene tirare un sospiro di sollievo.
Apollo.
Rialzò lo sguardo e vide un macchina sportiva che, come aveva immaginato vedendone le chiavi, costava più di casa sua.
Un uomo sui diciotto anni saltò giù dalla macchina senza aprire lo sportello.
Ora che li vedeva insieme Cassandra si accorgeva della somiglianza tra Luke e Apollo, anche se Apollo sorrideva molto più di Luke.
-Padre!- esclamò Jane.
-Jane Stone- la salutò Apollo con un sorriso così brillante che fece tornare i puntini neri d’ avanti agli occhi di Cassandra –Devo dire che ti sei comportata veramente bene con il Minotauro, ci potrei scrivere sopra un Haiku…-
-Grazie, padre- rispose Jane seria.
-Papà va benissimo- sorrise Apollo.
Cassandra lo aveva sottovalutato? Da quando erano partiti non aveva mai visto Jane così felice. Magari non era la persona terribile che Cassandra aveva immaginato.
Le bastò ripensare ai suoi genitori che il pensiero scomparve.
-Cassandra e…Luke Castellan- salutò Apollo, molto meno felice.
I due non risposero subito, poi Luke disse una cosa che per poco non fece svenire Cassandra –Vorrei ringraziarla per quello che ha fatto per me sull’Olimpo. Ho saputo che ha convinto gli altri dei affinché mi risparmiassero-
Apollo si strinse nelle spalle –Non è ancora chiaro come tu e Nico di Angelo siate tornati in vita, ma ho visto il ruolo che ricoprirai, o almeno credo, e sono convinto che non ci deluderai nemmeno questa volta-
-Nemmeno questa volta?- chiese Luke.
-Alla fine hai fatto la scelta giusta- spiegò Apollo –Certo, non sei stato un esempio da seguire negli ultimi anni della tua vita, ma alla fine hai distrutto il re dei Titani. So che le voci che girano non sono queste, ma…-
-Lo sapevo che Percy mentiva!- esclamò Jane –Sapevo che eri stato un eroe! Cioè non proprio dal primo momento, ma…-
-Ho capito, Jane- assicurò Luke. Sembrava molto sollevato.
Apollo guardava con aria truce Cassandra. Si aspettava un saluto? Un abbraccio magari? O si aspettava un “Ciao papà, che felicità vederti!”. Se lo poteva scordare.
Ma non stava guardando Cassandra…guardava il braccio di Luke attorno alle sue spalle.
Non si era fatto vivo per tredici anni e ora voleva mettere bocca nella sua storia con Luke? Figuriamoci!
-Dovremo essere a Yellowstone prima di notte, quindi diamoci una mossa- tagliò corto Cassandra
-Sono felice anche io di vederti, Cassandra- disse Apollo in tono piccato.
-Solo tu, probabilmente- rispose lei avanzando verso il carro del sole.
Apollo sospirò –Come credi che possiamo entrarci in quattro? Ci sono solo due posti-
-Non lo so, facci qualcosa- rispose Cassandra acidamente.
Apollo premette un pulsante sulle chiavi e la macchina si trasformò in un bellissimo suv grande quattro volte la macchina dei genitori di Cassandra.
La ragazza strinse i pugni e aprì lo sportello posteriore.
-Jane, ti dispiace metterti dietro?-chiese Apollo alla ragazza che aveva appena raggiunto lo sportello del passeggero.
Jane sembrava così felice di poter montare sul carro del sole che sarebbe montata volentieri anche nel portabagagli.
Cassandra stava già salendo di dietro quando Apollo le chiese di mettersi d’avanti.
è solo un viaggio in macchina. Che ti costa? si disse.
Ingoiò tutte le risposte taglienti che le erano venute in mente e salì al posto del passeggero.
Si assicurò di vedere Luke nello specchietto. Luke, quel traditore? Aveva sempre detto di odiare gli dei e poi, tra tutti, andava a ringraziare suo padre?
Appena partirono Cassandra intuì che il viaggio non sarebbe stato breve. Sarebbero arrivati a Yellowstone solo al tramonto.
Cassandra era convinta che Apollo avrebbe potuto lasciarli là all’ alba, ma per qualche motivo non lo voleva fare.
Il dio passò buona parte del viaggio parlando con Jane dei suoi allenamenti con il tiro con l’arco o aiutandola a comporre poesie.
Vedendolo così sembrava il più normale dei padri che accompagnava le figlie e un amico a scuola. Se la macchina non fosse stato il carro del sole e i discorsi non avessero avuto come argomento principale l’uccisione di mostri.
Ma lei non era una persona normale. E nemmeno suo padre, doveva ricordarselo. Il suo vero padre era morto a causa sua.
Verso metà pomeriggio Luke stava già dormendo e anche Jane aveva smesso di parlare e aveva appoggiato la testa alla spalla di Luke dormendo come una bambina di cinque anni.
Con chiunque altro Cassandra sarebbe stata gelosa di Luke, ma Jane le strappò un sorriso.
-Cosa intendi fare?- chiese Apollo.
-Perché non ci lasci a Yellowstone e basta? Lo so che potevamo essere lì già ore fa-
-Lo so. Sapevo anche che i tuoi amici avevano bisogno di riposo. Mentre tu eri svenuta loro non hanno dormito. Questo pensi che li avrebbe favoriti in battaglia?- rispose Apollo –e non ti stavo chiedendo cosa intendi fare in questo momento-
-Lo so- rispose acidamente Cassandra –Credo che me lo debba dire tu visto che sei stato tu a metterci in questa situazione-
-Se la scelta fosse toccata a me o se avessi potuto dirti cosa fare lo avrei già fatto, no?-
-In effetti penso che avresti ucciso Nico a sangue freddo, si. E ora che sai che non è lui tutti e tre i suoi compagni. Quindi non mi spiego perché tu non lo abbia già fatto- sorrise amaramente Cassandra.
-Perché c’è un ultimo verso della profezia. Nemmeno io so quale sia, solo tu lo puoi scoprire- rispose Apollo.
-Lo hai già detto- commentò asciutta Cassandra.
-Mi spiace- capitolò Apollo.
-Per cosa?- rise ironica Cassandra –Me ne hai fatte così tante che non so da cosa cominciare! Non apparire per tredici anni? Farmi avere una famiglia e farmela portare via nonostante tu l’avessi previsto? Per avermi mandata in questa missione e avermi messo sulle spalle il peso di salvare il mondo? Per avermi messo sulle spalle il peso di uccidere il fratello di Luke? La sorella di Jane o il pretore o la figlia di Demetra? Ti dispiace per Jane e per averla lasciata sola così allungo? O ti dispiace così in generale per me e tutti gli abitanti della casa 7 che hanno la sfortuna di essere tuoi figli?-
Si accorse appena dopo averlo detto di essere andata troppo oltre. Ora Apollo avrebbe avuto tutto il diritto di fermare la macchina, farla scendere e non farsi più vedere.
Ma Apollo scosse la testa –Il tuo futuro Cassandra, credo che tu abbia avuto una visione sul tuo futuro. Mi spiace per quello che ti capiterà. Se te lo domanderai quando succederà, si, lo sapevo già quando ti ho dato la missione. Credimi, mi spiace, però sapevo che tu, tra tutti gli sfortunati abitanti della casa 7, quelli che hanno la sfortuna di essere miei figli, tu sei quella che sarebbe stata più capace di fare i sacrifici che vanno fatti-
Cassandra non aveva più parole. Avrebbe voluto urlare che non se ne faceva niente delle sue scuse, ma, non sapeva perché, non usciva nulla dalla sua bocca.
Sembrava che le parole fossero bloccate dalla lacrime che le intasavano la gola. Ma non piangeva per quello che le aveva detto Apollo. Almeno, non per quello che le aveva detto sul suo futuro. Piangeva perché, se Cassandra avesse dovuto sacrificare se stessa per salvare il mondo,  sapeva che ad Apollo gliene importava. E forse ne era commossa.
Ma non riusciva a dirlo. Lei lo odiava, lo odiava nel profondo del cuore, e anche se quello che aveva detto l’aveva colpita, nulla avrebbe potuto cambiarlo.
-Apollo, io…non credo che potrei mai capire. E tanto meno perdonare- disse Cassandra ringoiando le lacrime e guardando dritta d fronte a se.
-Capisco, veramente- annuì Apollo –Solo…vale anche per te. Puoi chiamarmi papà se ti va, anche padre andrebbe bene-
-Non credo che mi verrebbe mai naturale- commentò Cassandra.
Apollo annuì e non replicò.
-E comunque si- aggiunse dopo qualche minuto –mi dispiace anche un po’ in generale per tutti i miei figli. Anche se tu non ci potrai mai credere non mi è piaciuto vederne morire così tanti in tremila anni-
Cassandra scosse la testa e si rimangiò il commento, forse perché Apollo sembrava triste veramente, forse perché sembrava ferito da quella frase che aveva detto lei prima, forse perché non le sembrava saggio litigare con un dio che le stava dando una mano.
Comunque pensava che, se avesse voluto, avrebbe potuto benissimo salvare tutti i semidei che voleva, senza dire un semplice “mi dispiace”.
E comunque si immaginava cosa le avrebbe risposto. Che lui non poteva intromettersi nella vita dei mortali e cose del genere. Sciocchezze.
Rimasero in silenzio fino al tardo pomeriggio, quando Cassandra decise di svegliare i suoi amici.
-Dove siamo?- chiese Jane ancora con gli occhi chiusi.
-Quasi a Yellowstone- rispose Apollo sorridente.
Luke si accorse che Jane gli aveva sbavato su una spalla e si mise a strofinare la maglietta –Dove scendiamo? Siamo in un Parco Nazionale, non possiamo bruciare tutti gli alberi con il carro del sole, giusto?- chiese armandosi di salvietta.
-Faccio io- si offrì Jane.
-Vi faccio scendere in un’aria poco lontana dall’ entrata del parco, credo che ci siano degli amici ad aspettarvi- rispose Apollo.
Cassandra si irrigidì. Il gruppo di Alexander? –Amici tipo?-
-Lo vedrete- rispose laconico Apollo sorridendo allo specchietto retrovisore.
Riuscirono ad atterrare senza bruciare nemmeno un albero e pochissima erba, Cassandra ne fu veramente stupita.
Scesero e Apollo li rifornì di ambrosia e qualche dollaro mortale.
-Ora devo andare, il sole non sorgerà da solo- li salutò Apollo.
Jane saltellava indecisa sui piedi e alla fine si avvicinò al padre e lo abbracciò.
Apollo non ne sembrò stupito e l’abbracciò a sua volta, dicendole quanto fosse fiero di lei.
Quando Jane lo lasciò con lacrime agli occhi il dio si voltò verso Cassandra e Luke –Buona fortuna. Non credo che da voi avrò un abbraccio-
Cassandra scosse la testa –Credo proprio di no-
Luke cercò di sorridere –Non credo ancora di essere arrivato a questo punto, ma vorrei ringraziarla per quello che ha fatto per noi e per me in particolare-
-Ancora con questa storia?- rise Apollo –Ho fatto solo quello che ritenevo giusto. E ora devo proprio andare. E Cassandra, ricorda quello che ti ho detto, gli dei servono a ricordarti che c’è sempre qualcuno su cui contare. Se mai ti volessi rivolgere a me puoi anche chiamarmi papà-
-Lo terrò presente, divino Apollo-
Il dio fece un ultimo sorriso a Jane e trasformò la macchina in una decappottabile.
Ci saltò su e volò di nuovo via.
I tre si voltarono verso la foresta.
Cassandra inalò il profumo degli alberi.
-Finalmente a Yellowstone-

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Capitolo 40
*** Capitolo XL Alexander ***


I quattro semidei iniziarono a medicarsi le ferite e a mangiare un po’ d’ambrosia.
Sapevano di non poter rimanere troppo così in campo aperto e per di più indeboliti da uno scontro, ma avevano bisogno di riposare.
Lui era quello messo peggio, con la beccata della civetta infernale, ma non era un taglio profondo e non perdeva troppo sangue.
Sarah aveva ricevuto un colpo alla testa, ma anche se ancora diceva che gli rimbombava tutto quando parlavano non stava troppo male.
Hazel era solo stanca, cosa che, ora che era scomparso l’effetto dell’ambrosia, era anche Alexander.
Nico era l’unico a non essere stato segnato dal combattimento e se ne stava seduto in un angolo del cocchio a lucidare la spada. Ovviamente nell’angolo più buio.
Hazel era seduta d’avanti alle gambe di Arion e ogni tanto gli passava delle pepite, mentre Alexander e Sarah se ne stavano spalla contro spalla con le mani intrecciate.
Hazel li guardava palesemente soddisfatta, ridacchiando ogni tanto quando lanciava un’occhiata alle loro dita.
-Comunque, credo che sia il momento di dirvi tutta verità- esordì Sarah.
-Intendi del perché Annabeth ti ha chiamata mortale?- chiese Hazel –A me non interessa. Tu sei Sarah Davies, la nostra compagna di viaggio, non c’è altro da sapere-
Sarah sorrise riconoscente ad Hazel –Ma sento di doverlo dire- prese un profondo respiro –Allora. Qualche anno fa un gruppi di mortali, tra cui Steffi Stone, la sorella di Jane della casa d’ Apollo, erano insieme ad una semidea, Sarah Davies. Lei sapeva di essere figlia di Demetra, ma non voleva andare al campo. Voleva conservare la sua vita da mortale, i suoi amici… purtroppo raccontò il suo segreto alla persona sbagliata. Steffi era la sua migliore amica. Però era gelosa dei suoi poteri. Era gelosa della sorella che aveva abilità simili a quelle dell’amica. Avrebbe voluto anche lei essere una semidea, vedere oltre la foschia, non essere una semplice mortale.
Quel giorno nacque una lite. Steffi voleva che Sarah la portasse al Campo Mezzosangue, che le insegasse a comandare le piante come faceva lei, a vedere oltre la foschia, a leggere il greco… Sarah rispose che aveva fatto una sciocchezza a dirle dei suoi poteri. Che lei non avrebbe fatto niente di tutto quello che Steffi chiedeva, che voleva solo vivere da mortale.
Steffi perse la testa e cercò di colpirla, Sarah dovette usare i propri poteri per difendersi e… dei mostri gli trovarono.
Uccisero alcuni dei suoi amici mortali e rimasero solo Steffi e Sarah. Sarah la incolpò per quello che era successo. Disse che era solo una sciocca mortale e si girò per andarsene. Steffi gridò che se non rimaneva e le insegna a difendersi dai mostri l’avrebbe ammazzata. Sarah disse di fare quello che voleva, che non voleva più avere niente a che fare con lei. Steffi la prese in parola. Raccolse la prima cosa che le era capitata a tiro, un sasso, e la colpì fino a quando non morì-
Alexander la guardava sbalordito. Quindi Sarah Davies non era Sarah Davies.
-A quel punto- continuò la ragazza deglutendo –Si presentò Era, la Regina degli dei. Disse che aveva fatto una cosa orribile e che doveva essere punita. Decise di trasferire l’anima di Steffi nel…nel corpo di Sarah.
Io sono Steffi Stone-
Nessuno parlò. Neanche Nico riuscì a commentare.
Alexander le aveva lasciato la mano quando aveva parlato dell’omicidio e se ne era accorto solo ora.
Guardò la mano di Sarah che aveva lasciato, le sue dita strette a pugno come se si volesse impedire di piangere.
Alexander avrebbe voluto dire qualcosa, ma non sapeva cosa dire.
Il silenzio si fece pesante, quasi tangibile.
Hazel guardava a terra con uno sguardo duro e indecifrabile, mentre Nico aveva gli occhi vitrei puntati sulla spada.
Sarah si alzò senza dire una parola e si incamminò verso la biga e prese il suo zaino.
Tornò accanto ad Alexander ma rimase in piedi –Affinché lo sappiate- disse con voce rotta dal piatto –la punizione di Era ha funzionato. All’ inizio pensai che fosse meraviglioso. Avere i poteri di Sarah e poter fare quello che facevo da mortale, quello che amavo di più. Poi ho capito che non era così. Non potevo tornare dalla mia famiglia perché mi credevano morta. Non potevo andare da quella di Sarah, perché non era Sarah.
Sono finita in carcere diverse volte. Non c’è giorno in cui non mi sia pentita di quello che ho fatto. Oggi scambierei anche la mia vita per quella di Sarah, però Era ha detto che me ne augurava una lunga. Una lunga e triste vita. Non avrei nemmeno potuto dirlo a voi, in realtà. Non posso andare a parlare con mia sorella nonostante la veda tutti i giorni al campo. E, per quello che vale, sono realmente pentita. E vi chiedo scusa per avere imposto la presenza di un’assassina come me a delle persone come voi. Io…- si asciugò una lacrima e si voltò camminando nella direzione dalla quale era venuta.
Alexander la sentiva singhiozzare e le lacrime iniziarono ad uscire silenziose anche dai suoi occhi.
Non poteva crederci. Sarah era un’assassina. Sarah non era nemmeno Sarah… Steffi o quello che era.
Lui l’aveva baciata e non sapeva nemmeno chi fosse in realtà.
-Sarah…o…Steffi- disse Hazel. Aveva una faccia arrabbiata ma anche triste –Dove stai andando?-
Sarah si fermò e si voltò verso di loro soffocando un singhiozzo –Credo al Campo…non lo so-
-Torna qui e siediti- ordinò Hazel.
Lei tornò a sedersi vicino a Alexander, ma a due passi di distanza.
Alexander avrebbe voluto essere ferito, sentirsi tradito, arrabbiato per quello che lei non gli aveva detto…
E lo era, arrabbiato. Perché era voluta andare con loro anche conoscendo la profezia? Perché alla fine gli aveva seguiti verso Yellowstone? Perché era stata tanto stupida?
Avrebbe voluto abbracciarla ancora e dirle che andava tutto bene. Che, infondo, lei era sempre la sua Sarah.
Ma non poteva. Come poteva dirle che andava tutto bene quando sarebbe morta una volta arrivata a Yellowstone? Come poteva dire che andava tutto bene quando era così lampante che non c’era una sola cosa che stava andando per il verso giusto?
Le lacrime continuavano a scendere sulle sue guance e lui non aveva alcuna intenzione di fermarle. Voleva piangere. A cosa sarebbe servito fare finta di niente?
-Credo di parlare a nome mio e di Nico quando dico che il vero problema, ora, è assicurarci che nessuno ci tradisca. La priorità è fare in modo di scoprire se sei tu la mortale della profezia e cercare di non farti morire-
Sarah fissava il terreno scossa dal pianto. Era strano vederla così. Lei che era sempre stata arrogante, invincibile.
-Sono d’ accordo- disse Nico, che sembrava non essere stato toccato più del solito dalla storia. Aveva lo stesso tono distante e inquietante di sempre.
Nessuno guardò Alexander, ma era chiaro che si aspettavano una sua risposta.
-Sarah- disse. Si stupì del suo tono. Non era furente, triste. Era piatto. Più piatto di quello di Nico. Non si sarebbe nemmeno detto che stava piangendo –Io sono arrabbiato con te. Come hai potuto farmi una cosa del genere? Perché non sei tornata al Campo prima? Perché non sei tornata quando ci hai raccontato quella bugia su Steffi Stone?-
–Perché era il mio dovere venire. E non si può battere una profezia: se dovevo morire sarei morta lo stesso- rispose senza guardarlo.
-Lo sai che non credo nelle profezie- rispose lui.
-Ma non siete arrabbiati per quello che ho detto? Quello che ho detto sul mio passato?- chiese meravigliata.
-Il passato è il passato…- rispose Hazel con la faccia seria e distaccata - Hai detto che sei pentita e, nonostante tutte le bugie che hai detto fino ad oggi, credo che fossi sincera. Quindi, che significato ha punirti per il tuo passato? Non si può sfare quello che è fatto-
-Tutti abbiamo fatto cose di cui non andiamo fieri- disse Nico –Noi non siamo nessuno per giudicarti-
-Alex…- lo chiamò Sarah –se tu non vuoi che io resti me ne vado. Se, se pensi che sia cambiato qualcosa io…-
Lui si passò una mano sul volto –Certo che è cambiato!- esplose Alexander –Non ti posso dire che è tutto come prima! Non lo è! La cosa importante non è che io non pensi a quello che hai detto, che non mi senta tradito o che non ti ami più! E lo sai perché? Perché tu morirai tra poco. È la verità e non possiamo negarlo. Quindi che senso ha dire cosa penso io? Nessuno. Tu non mi hai lasciato molto spazio per pensare qualcosa-
-Non lo so neanche io cosa pensare! So solo che ho perso mia madre. Avevo trovato te e ora anche tu…-
-Alexander, sai benissimo che non le permetteremo di morire- rispose Hazel –Almeno io non lo farò. Siamo una famiglia, che lei sia figlia di Demetra o meno- strinse in mano la sua fotografia –e io non permetterò a nessuno di questa missione o da qualsiasi altra parte di morire-
-A costo di andare a riprenderla negli Inferi- aggiunse Nico.
Alexander avrebbe voluto solo abbracciare Sarah. Ma non poteva. Non poteva stare con lei sapendo che era solo una cosa temporanea.
Ma, in fondo, non poteva stare nemmeno senza di lei.
Tese una mano a Sarah che lei afferrò subito –Io penso che tu sia l’ unica cosa di cui ho mai avuto bisogno-
Lei scattò in avanti e lo abbracciò –Grazie-
-Grazie a te- rispose lui stringendola ancora più forte.
Hazel li avvertì che sarebbero dovuti partire.
Alexander e Sarah si alzarono continuando a stare abbracciati. Lui non l’avrebbe mai lasciata andare. Mai.
Montarono sulla biga e ci si rannicchiarono dentro rimanendo insieme.
Nico montò su Arion con Hazel. Probabilmente perché lei voleva parlare con il fratello o perché Hazel voleva lasciare ai due il tempo di parlare.
-Come ti devo chiamare, comunque?- chiese Alexander.
-A me va bene Sarah. Steffi è da…-
-Va bene. Sarah-
Non dissero altro. Rimasero abbracciati fino a quando non si addormentarono.
                                --
Hazel li svegliò delicatamente.
-Siamo già arrivati?- chiese Sarah.
La dormita aveva fatto scomparire ogni traccia di pianto o di insicurezza dalla sua faccia. Era di nuovo solo la guerriera arrogante che combatteva da sola contro quindici romani. E Alexander era entusiasta di questo.
-Si- rispose la voce di Nico, che doveva essere in qualche ombra dietro alla biga.
-Alexander!- gridò una voce alle loro spalle.
-Emily?- chiese lui incredulo.
La ragazza comparve dal bosco –Alexander!- esclamò ancora lei sbalordita –Sei tu? Tra tutti gli eroi che potevano arrivare doveva essere proprio il figlio di Ermes che non riesce nemmeno a farsi lo zaino?-
Alexander era felicissimo di rivederla. Avrebbe voluto correre ad abbracciarla, ma non era sicuro di come l’avrebbe presa Sarah.
Sarah gli lanciò un’occhiata del tipo “non la saluti?”. Certo. Sarah non era il tipo più romanico della terra, gli eventi di quel pomeriggio erano stati solo un caso.
Corse verso Emily e l’abbracciò –Ma che ci fai qui?-
-Che ci fai tu!- rispose lei –Io sono stato mandato qui da papà…-
-A questo proposito, Emily, credo che dovrei aggiornarti su un paio di cose…-
-Aspetta, prima presentami gli altri, no?- sorrise lei. Quel sorriso da criminale che lo aveva fatto sempre sorridere.
-Li conosci. Il pretore Lavesque, Sarah Davies e Nico di Angelo…-
-Allora era lui l’ altro fuggitivo!- esclamò Emily –Dopo che siete scappati voi quattro e poi gli altri tre…non sai come è stato difficile farci partire!-
-Gli altri tre?- chiese Nico avvicinandosi –Chi?-
-Il prigioniero, Luke Castellan, insieme Cassandra e Jane della casa di Apollo. Ovviamente con il mio aiuto- rispose Emily.
Ovvio. Chi altri avrebbe fatto fuggire qualcuno da una prigione?
-Jane Stone?- chiese Sarah fingendo disinteresse.
-è partita per ordine del padre, a quando pare…-confermò Emily.
Hazel ordinò a Arion di tornare al Campo Giove dopo aver scaricato le loro cose.
Era quasi il tramonto.
-Ma venite- disse Emily –Abbiamo un campo sicuro-
I tre iniziarono a seguirla.
-Cosa mi volevi dire su Ermes?- chiese Emily.
-Volevo dirti che…ecco non siamo fratelli. Sono figlio di Ade-
Alexander si sarebbe aspettato almeno una faccia stupita. Un “non lo avrei mai detto” tanto per farlo contento, ma Emily si mise a ridere.
-chissà perché ne avevo il sospetto! Ma figlio di Ade…con rispetto, ma non lo avrei mai detto. Comunque non avevi le caratteristiche per sopravvivere da noi. Eri troppo, ecco…pignolo sul “questo è mio e questo è tuo”- sorrise Emily.
-sul furto?- chiarì Alexander.
-pignolo, ecco- si strinse nelle spalle Emily.
Alexander le diede tutti i dettagli della loro missione, sorvolando su cose del tipo “ Hazel ci ha piantati in asso quando si andava nei sotterranei” o “e io e Nico ci siamo litigati solo perché l’ho toccato” o, meglio “Sarah non è Sarah”.
Emily non aveva niente di interessante da dire, invece. Avevano passato gli ultimi tre giorni a uccidere mostri per loro.
Il campo era pieno di persone della casa di Ermes che ovviamente Alexander conosceva. Ovviamente quello era il campo di guerra più disorganizzato e confusionario che Alexander avesse mai visto. Non che Ne avesse visti molti, ma di certo quello avrebbe battuto tutti i record. E poi c’erano i mezzosangue…come facevano ad avere la forza di sorridere tutto il tempo e di farsi gli scherzi se avevano passato tutto il giorno a uccidere mostri? L’unica faccia estranea alla casa, a parte i figli di Ade e Sarah, era William Carter, il fidanzato di Emily.
A differenza di Alexander lui sembrava gradire il clima “allegro”, come lo definivano loro, del campo.
Solo lui e Nico sembravano lanciare occhiate ostili ai ragazzi attorno a loro. Hazel e Sarah sembravano divertirsi.
-Non ci provare- disse Alexander al fratello vedendolo prepararsi per un viaggio nell’ombra–Non credo che la tua visita agli Inferi sia così urgente-
-Ci sono già- disse depresso lanciandosi un’occhiata oscura attorno.
Nonostante tutto riuscirono a  farli sistemare e gli offrirono dei letti comodi di cui avrebbero potuto usufruire dopo cena.
Il che era a breve, visto che era il tramonto.
Ma, poco prima che si mettessero a tavola e Alexander potesse mettere finalmente sotto i denti qualcosa, il campo iniziò ad agitarsi.
-Cosa è successo?- chiese Alexander a Sarah che correva verso i tre figli di Ade.
-Mia sorella…cioè Jane, Cassandra Williams e Luke sono qui-
 

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Capitolo 41
*** Capitolo XLI Cassandra ***


Cassandra e i suoi compagni si incamminarono verso il bosco chiedendosi come avrebbero trovato i quattro semidei che cercavano.
Furono loro a trovare Cassandra.
Mezza casa di Ermes li accolse poco dopo che Apollo li ebbe lasciati. Sembrava fossero là per una sorta di missione assegnata da loro padre in persona.
Non sembravano sicuri di come trattare Luke. Poi decisero di fregarsene di quale fosse il suo status al Campo Mezzosangue. Quello era un mondo a parte. Quello era il mondo della casa 11 e Luke, per quanto odiasse l’idea, ne faceva parte.
Diedero a tutti e tre un letto su cui riposare, borbottando che tra poco non avrebbero avuto più posto dove dormire nemmeno loro stessi.
-E allora?- esclamò una voce familiare –Questa è la casa 11! Siamo la casa più ospitale. E poi ai tempi di Luke si dormiva ne sacchi a pelo, possiamo riprendere le vecchie abitudini!-
-Emily- la salutarono Jane e Cassandra –Alla fine ti hanno beccata per la storia di Luke?-
Emily rise di gusto –Quello sciocco di Percy non capirebbe se li rubassi il piatto da sotto il naso! Certo che no!-
-E poi è stata coperta dal migliore- commentò un’altra voce alle loro spalle.
-William! Ci sei anche tu?- sorrise Jane correndo ad abbracciarlo.
Cassandra si unì all’abbraccio di gruppo. Loro tre. Come ai cari vecchi tempi della casa 7.
-Sono felice che questa pazza della mia ragazza non abbia deciso di imprigionarti- commentò William stringendo la mano a Luke.
-Anche io- sorrise il ragazzo.
Cassandra lo conosceva da poco, ma sospettava di conoscerlo abbastanza bene e sapeva che era la verità.
Si sentiva a casa propria in quella baraonda. In realtà lo era. Quella era la casa 11.
-Ciao, Cassandra-
La ragazza si voltò e per poco non le prese un colpo.
-Alexander Johnson!- ora che ci pensava bene non avevano mai fatto un vero discorso da quando erano sulla barca. In pratica, non lo avevano mai fatto.
-E il pretore Lavesque. Be’ Hazel per voi greci- le fece l’occhiolino la donna.
-Lei è Sarah- disse Alexnder indicando la ragazza che gli stava accanto –E da qualche parte ci dovrebbe essere Nico…-
-Nico? Siete qui tutti e quattro?- chiese Cassandra forse con troppo vigore, perché Alexander fece un salto indietro.
-Si…perché non avremo dovuto?-
-C’è anche mia sorella con voi?- chiese Jane.
Cassandra avrebbe voluto tirarle un pugno in faccia. Voleva parlare della missione  e dei loro sogni d’avanti a tutta la casa 11?
Fu Sarah a rispondere –Se non ti dispiace vorrei parlartene dopo in privato-
-Anche subito, se vuoi- rispose Jane interessata.
-Vuoi che venga con te?- chiese Alexander. Sarah scosse la testa e si allontanò con Jane.
-Quando arriverà mio fratello vi faremo parlare anche con lui e…-
-Tuo fratello?- esclamò Cassandra facendo fare un’ altro salto ad Alexander –Credo che dovremo parlarne con Jane quando torna, questo complica le cose, se anche tu sei figlio di Ade…-
-Credo che dovremo andare subito a parlare- disse Emily Spencer, per la prima volta seria.
-Come scusa?-chiese Cassandra, convinta di non aver capito.
-Non prendo ordini da nessuno a scatola completamente chiusa, tanto meno se quel qualcuno è mio padre. Seguitemi- rispose Emily.
Cassandra, Luke, Alexander e Hazel si riunirono in una tenda con Emily.
Dopo poco William arrivò con Nico di Angelo. Cassandra fu stupita di quanto fosse cambiato in così poco tempo. Sembrava una versione più piccola e ancora più dark di quello sulla nave.
Dietro di loro entrarono anche Sarah e Jane, che sembrava sconvolta come se avesse visto un fantasma.
-Che è successo?- le chiese Cassandra.
-Te lo spiego dopo- rispose Jane sedendosi accanto alla sorella.
-Mi è stato detto che c’è una profezia che riguarda voi, ma non mi hanno detto con chiarezza cosa vuole dire. Ora, non so a quale delle due missioni interessi, ma qua sotto si sta svegliando Gea stessa. Non riusciamo ad arrivare al centro del parco perché i mostri ce lo impediscono, ma sappiamo che è lì-
La loro missione non era quella di sconfiggere Gea, doveva essere quella di Hazel.
Gli altri quattro annuirono –è per noi. Dobbiamo trovare il modo di arrivare là, e…fermarla- disse Hazel.
-E voi? Qual è lo scopo della vostra missione?- chiese Emily a Cassandra.
Doveva dirlo? Non vedeva altra scelta. E poi di William e Emily ci si poteva fidare.
Raccontò della profezia e poi espose il problema –Chi è il ragazzo della profezia? Nico o Alexander?-
-Sono io- disse il secondo –Abbiamo incontrato mio padre e…insomma, volendo farla breve, state cercando qualcuno tra i miei compagni-
-Ma la profezia dice chiaramente che voi avreste capito!- sbottò Cassandra.
-Sei sicura che la tua profezia sia completa? Se mancasse un verso magari sarebbe per quello- fece notare Hazel.
-Si. Manca un verso, l’ultimo. Nemmeno gli dei lo conoscono- rispose Cassandra dandosi una pacca sulla fronte. Lo aveva detto Apollo sul carro del sole.
-E che vorreste fare alla persona che indicheremo?- chiese Nico –Ucciderlo? Imprigionarlo? Non possiamo lasciarlo libero. E direi lo stesso anche se sapessi per certo che si tratta di me-
-Non lo so- rispose Cassandra. Ed era vero. Non ne avevano idea. Forse, nell’ultimo verso…
Guardò Nico negli occhi. Allora non aveva paura di morire? Forse era per quel suo disprezzo della morte che aveva condannato tante persone a morire sulla nave?
Non ci doveva pensare.
-Allora possiamo andare a mangiare e vedere cosa succede dopo…-propose Emily.
Qualcuno entrò nella tenda.
Luke schizzò in piedi a prende la spada. Si alzarono anche Emily e Alexander in maniera non esattamente amichevole, ma almeno non presero le armi.
Cassandra guardò Jane, che era perplessa quanto lei.
William, Sarah e Hazel si alzarono per ultimi chinando la testa –Divino Ermes-
Anche Jane e Cassandra si alzarono, con le idee un po’ più chiare.
-Che ci fai qui?- sibilò Luke.
-Abbassa la spada- dissero insieme Cassandra e il dio.
-Che ci fa lui qui?- scandì Luke guardando la sorella.
-è lui che ci ha assegnato la missione- spiegò Emily –Credo che sia dovuta una sua visita- aggiunse in tono polemico.
-Abbassa la spada, Luke- ripeté Ermes.
Luke gettò la spada a terra si rimise a sedere accanto a Cassandra.
-Sediamoci tutti- propose Ermes.
-A cosa dobbiamo la sua visita?- chiese Alexander. Da come parlava, Cassandra immaginò che i due avessero dei trascorsi e che non fossero brillanti.
-Volevo parlare con tutti voi e, ovviamente, consegnare un messaggio- rispose il dio.
-Incredibile come nessuno volesse mai contattare me quando ero invita- ghignò Luke. Guardando il suo volto amareggiato Cassandra immaginò come doveva essere quando era posseduto dal re dei titani.
Il messaggero degli dei continuò come se Luke non avesse aperto bocca –Prima di tutto il messaggio. Apollo mi ha detto di riferire a Cassandra Williams che non deve disperare e che la profezia le sarà chiara a breve-
-La ringrazio- disse Cassandra tirando un sospiro di sollievo.
-Emily, le cose si sono complicate- continuò Ermes.
-Complicate?- chiese la semidea.
-Gli dei sanno che ospiti qui Alexander Johnson e hanno deciso di attaccare il campo-
Emily imprecò in greco –Non bastavano i mostri, anche gli dei!-
Ermes annuì –Lo so. A questo punto gli ordino sono cambiati, dovete tornare al Campo. Non posso rischiare tutta la casa-
Cassandra sentì la risata soffocata di Luke.
-Prenderemo questa decisione tutti insieme- rispose la capo casa –in fondo Alexander ha una missione importante, non possiamo rischiare che i mostri di Gea o l’esercito degli dei lo uccida prima che abbia fermato il risveglio della Terra-
Ermes annuì –Sono d’accordo, ma non possiamo costringere i tuoi fratelli a rimanere qui e morire per Alexander-
-Certo- convenne Emily –Questa sera faremo una riunione. Comunque abbiamo sette persone in più, no?-
-No- Ermes stroncò le sue speranze – Cassandra, Jane e…Luke devono partire domani mattina con il membro della missione di Alexander che Cassandra indicherà-
-Indicherò?- chiese la ragazza –Come? Non ne ho idea-
-Apollo mi ha assicurata che la profezia ti sarebbe stata chiara a breve- rispose il dio –Entro domani credo-
Cassandra immaginò che avrebbe dovuto discuterne con i membri della loro missione appena il verso le fosse stato chiaro.
-Dove dovremo andare?- chiese Jane.
Ermes scosse la testa –Non lo so. Ma posso garantirvi il mio aiuto se avrete bisogno di uno spostamento rapido. Basterà un’offerta e vi porterò dove volete-
-Grazie- rispose Jane.
-Altro da dire?- chiese Emily sbrigativa.
Il dio si alzò –No. Mi spiace per la questione degli dei, ma non c’è stato modo per me e gli altri di far ragionare il Consiglio-
-Gli altri?- chiese Alexander.
-Apollo e Afrodite erano con me. E anche Ade, anche se non gli era concesso votare- riassunse Ermes.
-E Ares?- chiese Cassandra.
-Ares si è astenuto. Dopo la faccenda del figlio romano…-
-Figlio romano?- esclamò Hazel allarmata –è successo qualcosa a Frank?-
-Solo una missione, credo che dovrai chiarire con il Pretore- tagliò corto Ermes.
-Allora te ne vai e ci lasci combattere da soli contro l’esercito della maggior parte degli dei e dei mostri di Gea- disse Emily. Non era una domanda, era un’affermazione. Non riponeva troppa fiducia nel padre e sembrava rassegnata a non farlo.
-Credimi, la cosa non mi fa piacere. Comunque voi non siete costretti a rimanere e, in ogni caso, io non potrei interferire…-
-Risparmiatelo- lo interruppe Luke con un sorriso amaro –Vattene e basta-
-Posso parlare con te in privato?- chiese il dio con una calma sorprendete.
-A me non dispiace andarmene, usciamo- ordinò Emily.
Tutti si alzarono e incominciarono ad uscire –Nessuno vi ha detto di andare- disse Luke guardando negli occhi il padre.
-Luke…- cercò di farlo ragionare Cassandra –ascolta quello che ha da dire-
-Lo faccio solo per lei- sibilò guardando Ermes.
Il dio annuì e gli altri uscirono, tutti tranne Cassandra, visto che Luke non le aveva lasciato la mano.
I tre si rimisero a sedere. Cassandra avrebbe voluto lasciarli parlare da soli, ma sapeva che Luke non avrebbe gradito.
-Credo che tu sappia perché ti odio. Non c’è bisogno di spiegazioni- esordì Luke.
-Pensavo che tu avessi capito, per come eri…-
-Morto?- esclamò Luke –Veramente gentile da parte tu abbandonarmi al mio destino. Non hai risposto una volta alle mie preghiere! Ti sei fatto vedere solo in un’ occasione! Una!-
Ermes non si scompose –Io conoscevo il tuo destino, sapevo che alla fine avresti fatto la scelta giusta-
-Lo sapevi? Contava più il destino del mondo della mia felicità? Della mia vita?- gridò Luke.
Si. Cassandra pensava di si, e non aveva problemi a credere che un dio potesse pensarla allo stesso modo. Ma non avrebbe mai creduto che Ermes avesse il coraggio di ammetterlo.
-Non è stato facile ma ho dovuto prendere una decisione- spiegò il dio – e non potevo cercare di cambiare il futuro, avrei solo peggiorato le cose-
-Ci avresti potuto provare- sibilò Luke –Potevi provare a farmi credere che contassi qualcosa. Invece mi hai abbandonato da piccolo, mi hai abbandonato da grande, mi hai lasciato morire e mi hai abbandonato anche in questa vita! Hai abbandonato sia me che mia madre!-
-Questo non avresti dovuto dirlo- rispose il Ermes. Sembrava arrabbiato –Puoi parlare per te stesso ma non per tua madre. Sei tu che sei fuggito di casa a nove anni sapendo che, in fondo, tua madre ti voleva bene, sei tu che, nonostante nel vostro viaggio siate andati in Connecticut non sei andato a casa tua. Ti sei mai chiesto come stava?-
Luke rimase a bocca aperta. Era stato colto in fallo. Scosse la testa –No e non voglio saperlo. A che servirebbe? Tanto ci sei tu che ti prendi cura di tutti!- aggiunse ironico, ma guardò comunque il padre in attesa di una risposta. Si mordeva un labbro come se fosse stato preoccupato e nei suoi occhi si leggeva l’ansia.
-è morta- disse solamente con la voce addolorata.
Luke abbassò lo sguardo –Mi…-scosse la testa –Perché me lo stai dicendo? Che gusto ci provi a vedermi soffrire? Ti diverte?- alzò la testa verso il padre con gli occhi pieni di lacrime –Ti diverti? Ti diverti!-
A Cassandra parve che Ermes stesse ingoiando le lacrime –Come puoi dire tu una cosa del genere? Certo che non mi diverto. Starti lontano, lasciarti morire, è stata la cosa più difficile che abbia mai dovuto fare-
Luke sbatté gli occhi e delle lacrime gli bagnarono la faccia –Io…hai ragione. Hai ragione su tutto. Non…non ti posso biasimare per quello che hai fatto. Il mondo, l’ Olimpo…io non conto nulla. La mia vita non è mai importata più di tutto questo-
-Non è vero. Conti per me, d’avvero- rispose Ermes.
Luke fu scosse dai singhiozzi. Cassandra gli lasciò la mano e andò verso l’uscita della tenda.
Quando si voltò Ermes era seduto al suo posto, accanto a Luke.
Il semidio si voltò e abbracciò il padre.
Cassandra si asciugò una lacrima e uscì dalla tenda.
 

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Capitolo 42
*** Capitolo XLII Alexander ***


Alexander e gli altri quattro semidei si unirono ai figli di Ermes per la cena. Il ragazzo toccò a mala pena il cibo, con lo stomaco chiuso.
Erano a Yellowstone, uno dei più grandi vulcani degli Stati Uniti. In quella riunione aveva capito solo una cosa: uno della loro missione se ne sarebbe andato. Li avrebbe traditi, in pratica.
Tutte i versi della profezia si stavano avverando. Tranne il primo. La Terra la Libertà minaccerà. La Libertà? Certo, ogni essere vivente era minacciato da Gea, compresa la loro libertà, ma Alexander era convinto che ci fosse qualcosa di più.
Temeva il giorno successivo, quando avrebbero messo piedi dentro i confini del parco nazionale.
Tre eroi il vulcano accoglierà. Tre di loro. Alexander e due dei suo amici. Il terzo sarebbe stato consegnato a Cassandra e…ucciso? Imprigionato? Guardò i fratelli, strinse la mano di Sarah.
Lui non credeva alle profezie, ma quella sembrava voler fare di tutto per avverarsi e rovinargli la vita.
Anche se avessero fermato Gea, cosa improbabile, uno sarebbe stato lasciato al proprio destino e alla volontà dell’Olimpo.
Probabilmente Sarah sarebbe morta. Probabilmente anche Alexander e chiunque lo avesse seguito lo sarebbe stato, visto che loro era un’impresa impossibile
-Alexander, mangia- ordinò Hazel.
In realtà nessuno dei quattro aveva toccato cibo. Alexander era preoccupato per la profezia, come lo erano tutti.
Hazel guardava la foto di Frank e di Matt. Cosa aveva fatto suo marito di così grave o pericoloso da influenzare la votazione di un dio?
Nico, come al solito da quando era tornato il vecchio Nico, aveva mangiato appena un acino d’uva.
Sarah sembrava ancora turbata dalla discussione con Jane Stone o da quello che era successo il pomeriggio o dalla sua condanna a morte. Chi poteva dirlo con Sarah?
Anche quelli che mangiavano poco più in là sembravano voler risparmiare le scorte alimentari.
Emily e William avevano addentato appena un po’ di pane.
Jane non aveva nemmeno preso un piatto fino a quando non era arrivata Cassandra. Luke non si era ancora fatto vivo e non si capiva se le due aspettavano lui per mangiare o se semplicemente non avevano intenzione di sporcare i piatti.
Quando arrivò anche Luke gli altri figli di Ermes avevano già finito metà pasto e lanciato il resto a terra in una battaglia di cibo senza quartiere.
Emily si alzò e, faticosamente, attirò l’attenzione di tutti. Visto che non era comunque riuscita ad attirare l’ attenzione di tutti Hazel strillò qualcosa in latino e alcuni ragazzi vestiti in armatura da legionario si zittirono.
Dovevano essere i figli di Mercurio che Alexander aveva visto nella sua permanenza alla casa 11.
-Oggi abbiamo ricevuto la visita di Ermes in persona e con lui anche brutte notizie- esordì Emily.
Un brusio si alzò dai tavoli –Lo so! Sembra difficile immaginare una situazione peggiore, ma è così. Come vedete abbiamo degli ospiti. Tutti conoscete Alexander, che è stato nostro ospite per un bel po’. Lui, con tre dei suoi compagni, deve entrare a Yellowstone e fermare la rinascita di Gea. Noi dovremo aiutarlo e…non è tutto. Gli dei hanno deciso di attaccarci solo perché lo ospitiamo. Secondo una profezia lui dovrebbe distruggere il mondo, ma gli dei si sbagliano. Cassandra Williams ha predetto un altro verso e la profezia non si riferisce a lui. Ma la cosa non cambia. Gli dei attaccheranno e ci ritroveremo schiacciati tra due fronti. Possiamo andarcene però, non vi posso costringere a rimanere. O possiamo rimanere qui a difendere nostro fratello-
Alexander decise che era finito il momento delle menzogne. Se i ragazzi della casa 11, irritanti, irresponsabili e casinisti, avessero deciso di rimanere lì per lui dovevano sapere chi era in realtà.
Non gli dovevano niente, non erano fratelli e li aveva ingannati per giorni. Ecco tutto. Dovevano saperlo.
Il figlio di Ade si alzò –No. Io non sono vostro fratello, sono figlio di Ade. Per difendermi dall’ira degli dei ho usufruito della vostra ospitalità. Non dovete sentirvi in dovere di rimanere qui ad aiutarmi perché sono vostro fratello, noi non abbiamo alcun legame-
Alexander si aspettava di essere bersagliato con del cibo, di essere insultato, aggredito. Che i ragazzi della casa 11 avessero una reazione alla casa 11. Ma nessuno fiatò.
Uno dei suoi ex fratelli, Andrew, si alzò –Con tutto il rispetto, Alexander, ma chi se frega? Tu sei nostro fratello se decidiamo che tu lo sei. Tuo padre non sarà Ermes, ma tu sei uno di noi. Non è importante la famiglia in cui nasci, ma quella in cui scegli di crescere. Se vuoi, e parlo a nome di tutti, puoi crescere nella casa 11-
E poi, proprio da quelle persone da cui meno Alexander si sarebbe aspettato un gesto del genere, tutti i figli di Ermes presero le loro armi e le alzarono al celo.
-Noi siamo con te- assicurò Andrew sguainando la propria spada.
Emily alzò la lancia al cielo sorridente –Allora è deciso, la casa 11 combatterà contro l’Olimpo oggi!-
-Per la casa 11!- gridarono i figli di Ermes con le lame levate verso la luce delle luna –Per la casa 11!-
Anche Alexander fece tornare la lancia alla sua dimensione normale e levò una delle punte al cielo –Per la casa 11-
Dall’ altra parte del tavolo anche Luke Castellan si unì urlando al coro, seguito da Cassandra Williams e Jane Stone.
Al suo fianco sentì Sarah urlare la frase insieme ai figli di Ermes. Anche Hazel si alzò sulla panca con la spatha alzata sopra la testa, sorridente. Perfino Nico alzò la propria lama facendole catturare la luce della luna.
-Per la casa 11!-
--
Finita la cena Emily andò sorridendo ad abbracciarlo – Se tornerai al Campo avrai un letto assicurato alla casa 11, o un sacco a pelo… sempre che i fantasmi della casa 13 non ti spaventino più-
-Ah ah- rise ironico Alexander –Veramente, quello che avete detto oggi è stato…-
-Ehy- lo interruppe lei –Questa è un’ingiustizia. Non solo tu non meriteresti di morire neppure se fossi veramente il distruttore del mondo, ma non lo sei neppure. E poi la storia di fermare Gea ha fatto il suo effetto…-
-Quella cosa di combattere contro l’Olimpo? Non ti è sembrata un tantino esagerata?- chiese Alexander.
-gli dei non hanno sempre ragione- lo rassicurò Emily –Inoltre è quello che faremo, in fondo, no? Combatteremo il loro esercito-
Alexander annuì. Non bastava la profezia? Ora doveva sentirsi responsabile anche di quelli che lo avevano accolto come un fratello.
Quella sera rimase con loro a organizzare tutto. Per una volta, la prima volta da quando gli aveva conosciuti, si sentiva a casa nella loro baraonda. Riuscì ad apprezzare la loro voglia di scherzare e la loro innata allegria anche in un momento del genere. La loro necessità di sorridere anche di fronte alle avversità più grandi. Quell’allegria che nemmeno le minacce di Gea e dell’Olimpo uniti contro di loro li poteva togliere. Riuscì a capire le loro battute e ridere veramente felice. Capì cosa li spingeva ad essere così. Loro erano un gruppo. Una famiglia. Una casa. Erano più che fratelli, erano una cosa sola. E Gea e l’Olimpo avevano fatto un errore solo: cercare di attaccare una parte di loro.
La loro confusione si trasformò in una macchina da guerra che nemmeno i figli di Ares o di Atena insieme avrebbero potuto uguagliare.
Emily si fece aiutare da Luke a preparare tutto, e lui era di certo preparato. Sembrava aver guidato diversi assalti ed essere esperto di guerre in generale, preparazione che non poteva essere arrivata solo dalla Caccia alla Bandiera.
Cassandra andò a dormire presto, nel tentativo di far arrivare qualche visione, ma Alexander volle parlarci.
-Non abbiamo mai parlato da quando siamo “caduti” dalla nave- esordì lui.
La ragazza si strinse nella spalle. Era assurdo come i suoi occhi e i suoi capelli potessero avere lo stesso colore. Quello dell’oro o direttamente quello del sole –Non ne abbiamo mai avuto realmente l’ occasione-
-Peccato, credo che saremo potuti essere amici- esclamò lui.
La ragazza sorrise –Non siamo ancora morti, d’accordo? E non morirà nessuno fino a quando io non lo prevedrò, quindi…-
-Fai in modo di essere creduta quando prevedrai la mia ascesa al comanda del campo- rise Alexander.
-Contaci- sorrise Cassandra.
-Senti, per la nave…- disse serio Alexander –Credo che sia stata tutta colpa mia. Percy voleva uccidere me
-Figurati, io amo stare su una barca che affonda. Altrimenti perché sarei qui?-
-Giusto- convenne Alexander –Ti volevo solo chiedere scusa per i tuoi genitori…-
Cassandra scosse la testa –Anche tu hai perso tua madre, no? In fondo non è stata colpa tua, non hai scelto nulla, non hai fatto nulla per meritare quella punizione da parte di Poseidone. Se la colpa è di qualcuno è di…di Percy, di suo padre, di mio padre…ma è inutile continuare a dare la colpa, no? Possiamo solo andare avanti e fare in modo che chi è morto per noi o a causa nostra no lo abbia fatto in vano-
Alexander annuì. Aveva perfettamente ragione. Cos’ altro poteva contare? Cos’ altro potevano fare?
-Allora ti auguro la buona notte e profezie d’ oro- sorrise Alexander.
-Anche a te- rispose l’ altra andando a dormire.
Alexander rimase lì ancora un po’ ma non sapeva che fare. Il suo aiuto non era richiesto da nessuna parte, Sarah era assorta in una conversazione con la sorella.
Hazel organizzava i romani. Alexander era perfettamente sicuro che tutto quello che stava facendo potesse essere rimandato alla mattina seguente, ma… chi poteva dire se ci sarebbe stata una mattina seguente? Poteva essere lei il compagno della profezia. Alexander capiva perché si era buttata a capofitto nel lavoro. Per non pensare al fatto che dopo poche ore avrebbe potuto scoprire che era lei quella che Cassandra cercava, che lo era Nico o che lo era Alexander. Per non pensare a quello che era successo a Frank. Per cercare di non tirare fuori quella fotografia ogni minuto.
Nico non si faceva vedere. Di sicuro finita la cena si era buttato in qualche ombra ed era scomparso negli Inferi.
-Che fai?-chiese una voce fuori campo dalla cima di un albero.
-Nico, che ci fai lassù?- sussultò Alexander.
Ad Alexander sembrò che si stringesse nelle spalle –Mi dispiace per essermi arrabbiato con te. Però questo è quello che sono. Una volta, un amico, disse che era solo quello che ero e che dovevo accettarlo. L’ho fatto e dovresti farlo anche tu-
-Cosa, essere figlio di Ade?- chiese Alexander –Vivere nell’ombra o sulla cima di un albero?-
Nico annuì –O meglio, no. Io ho scelto di essere così. Non è proprio come se avessi avuto scelta, ma…era la cosa più facile da fare. Nascondersi dietro ai morti, dietro la morte in generale. Ma tu puoi essere più come Hazel-
-Puoi scendere?- chiese Alexander.
Sentì un tonfo quasi impercettibile e vide una macchia un po’ più nera al suo fianco, con solo una striscia brillante che doveva essere la sua cintura.
-Credo che tu non sia solo morte. Hai risparmiato Annabeth. E sei venuto a salvarci. Hai detto che lo avevi fatto per noi. Che non volevi che lei ci uccidesse- disse Alexander.
-No che non lo voglio- concordò Nico.
-E se tu sei il fratello che viene in nostro soccorso e che risparmia Annabeth io voglio essere come te. Voglio essere come te, come Hazel e come me stesso. Lo so che non ami essere toccato, quindi non mi infilzare ora-
Si chinò e lo abbracciò. Sentì Nico irrigidirsi per due o tre secondi. Alla fine alzò le braccia e gliele strinse attorno alle spalle in maniera rigida per abbassarle meccanicamente dopo mezzo secondo.
Era già troppo per lui.
Alexander si alzò e gli sorrise. Nella penombra intravide anche Nico sorridere e pensò che fosse un vero sorriso.
-Io vado a dormire- si congedò Alexander.
Non sentì la risposta di Nico, visto che si era già smaterializzato nell’ ombra.
 

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Capitolo 43
*** Capitolo XLIII Cassandra ***


Il discorso con Alexander le ronzava ancora nelle orecchie quando Cassandra si buttò a letto.
Aveva passato una giornata a dormire il giorno prima ma era comunque esausta. Chiuse gli occhi e i sogni l’aggredirono, come promesso.
--
Stava ancora correndo verso la Liberty Island nel canale prosciugato. Sopra di lei il cielo era ancora ricoperto dalle nuvole di densa oscurità, ma questa volta riusciva a sentire anche altro.
Dal mare di fronte a lei, dall’ altra parte della statua, provenivano rumori di battaglia e risacca del mare.
Anche alle sue spalle, sulla costa, sembrava essere in corso un combattimento.
Si ritrovò nella stanza di metallo ossidato. Anche questa volta c’era l’uomo ispanico e uno strano macchinario li divideva.
Lavorava come un automa, con gli occhi velati che non guardavano neppure le mani in movimento.
-Chi sei?- chiese Cassandra. Nessuna risposta.
-Lavori per Gea?- di nuovo nessuna reazione.
La ragazza si avvicinò alla macchina e iniziò a picchiettare sul metallo come se mandasse un messaggio al telegrafo. “Chi sei?”.
L’ uomo non alzò lo sguardo su di lei, ma iniziò a battere un messaggio morse con la chiave inglese. Cassandra non avrebbe saputo dire se lo stesse facendo consapevolmente o meno.
“Mi chiamo Leo Valdez”.
“Lavori per Gea, Leo?”.
“Io non sto lavorando per la donna di terra. Sono a Ogigia”
Cassandra rimase stupita. Ogigia era l’isola doveva viveva…lo sapeva, aveva bisogno solo di un attimo…
“Cos’è Ogigia?” si arrese.
-Calipso…- sussurrò Leo –Ho quasi finito, Calipso-
Giusto. Calipso, Ulisse, eccetera.
“Cosa ti sta facendo fare Calipso? Cosa costruisci?”
“Calipso non vuole che lo dica”
“Perché lo stai facendo?”
“Perché lo vuole Calipso”
Cassandra avrebbe voluto chiedere di più, ma qualcosa la strappò dalla stanza ossidata.
Mentre Leo scompariva le sembrò di sentire la sua voce mormorare un verso di una profezia - a meno che le Tenebre e il Sole insieme non brilleranno-
Si trovava in una stanza simile. Era ossidata e si poteva vedere il cielo oscurato.
C’era qualcuno che le teneva la mano alla sua sinistra. Il ragazzo urlò e lei si sentì bruciare. Vide il suo corpo brillare con gli occhi che andavano a fuoco.
Sentì la pelle formicolare e si accorse di essere al Campo Mezzosangue. Doveva essere di fronte alla casa 7.
Si voltò per entrare e vide che l’uscio era uguale a quello della sua vecchia casa a San Diego.
-Cassandra Williams- la voce era profonda e sembrava provenire dalla terra stessa. Era la voce di una donna.
Sull’ aiuola comparve il volto di una donna addormentata. I suoi tratti erano definiti dai fiori, i sassi e l’erba, ma non era una faccia vera.
-Lasciami stare!- gridò la ragazza. La donna addormentata doveva essere Gea. La donna di terra del sogno di Leo.
Si voltò per scappare, ma dalla terra di fronte al falò comparvero due persone. Questa volta erano persone vere, non come Gea. Avevano dei vestiti di stoffa, della pelle, dei capelli, si muovevano e respiravano. E lei li conosceva.
-Che ci fate qui?- chiese Cassandra.
-loro sono solo delle mie pedine, ragazza- disse la voce di Gea. Il suo volto comparve sulle colline alle spalle dei due ragazzi.
-potrebbero morire entrambi- la voce di Gea uscì dalla bocca del ragazzo a sinistra. Luke Castellan.
-o potrebbe morire solo lui- disse la voce di Gea da Nico di Angelo.
-tue pedine?- Cassandra fece un sorriso incerto –loro ti stanno combattendo. Non ti serviranno mai-
-lo ha ammesso anche quello sciocco di Apollo. Nemmeno gli dei sanno come sono tornati in vita- spiegò Nico.
-li ho riportati io. Loro non hanno libertà di scelta. Sono mie pedine- disse Luke.
-Perché lo avresti fatto? Apollo ha detto anche che hanno risparmiato Luke perché poteva essere utile a loro-
-Si sbaglia- disse Luke –Perché lui è stato riportato in vita solo per servire me, Cassandra-
-Ho pensato che Nico di Angelo mi sarebbe stato utile, ma non lo è stato. Ha rifiutato la mia protezione solo qualche note fa e così ha fatto Luke Castellan. Non posso permettere che due pedine a cui io ho ridato la vita rimangano impunite, ma ti offro una scelta. Puoi salvare Luke e uccidere l’altro- disse Nico –solo un omicidio. E cosa è poi, se non giustizia? Lui ha lasciato morire i tuoi genitori, ha lasciato morire tante persone su quella nave solo per salvare Alexander. È giustizia questa? Sarebbe giustizia la tua vendetta-
Cassandra annuì –Giusta osservazione, ma ti è sfuggito un punto, donna di terra. Credo che tu sia arrivata troppo tardi e io credo di aver capito perché vuoi Nico morto. Forse è veramente sfuggito al tuo controllo, ma so quale ruolo ricoprirà nella tua sconfitta. Perché dovrei ucciderlo ora se tra poco ci salverà tutti?-
-Perché altrimenti io ucciderei il tuo amico Luke- rispose Gea con la bocca del ragazzo.
Cassandra si morse un labbro. Gea aveva fatto bene le sue strategie –Se non puoi uccidere Nico allora non hai alcun potere neppure su Luke-
-vuoi veramente rischiare, Cassandra? Uccidi Nico. Se lo merita e salverai il tuo ragazzo. Cosa c’è di più facile?- disse Nico.
-Allora proprio non capisci- Cassandra cercò di sembrare sicura e fare una risata –Se io uccido Nico l’Olimpo verrebbe sconfitto con lui e tu vinceresti. Anche in questo caso Luke morirebbe e con lui 6 miliardi di persone. Mi spiace Gea, ripassa quando avrai un accordo più conveniente da proporre. Non ho tempo da sprecare con te, devo andare a salvare il mondo-
-Vuoi veramente fare questa scelta, Cassandra? Vuoi avere sulla coscienza l’omicidio di Luke?- dissero i due in coro.
No. Non voleva. La sua ragione le diceva di rifiutare. Qualunque accordo di Gea era un trappola, e poi aveva ragione. Se avesse ucciso Nico il mondo sarebbe stato distrutto e Luke morto in ogni caso, ma…
Se avesse interpretato male la profezia? Se i suoi sogni non volevano dire veramente quello che volevano dire? Se Nico non fosse stato così fondamentale? E poi le sue erano solo ipotesi. La profezia diceva che gli unici che potevano sapere veramente chi era quello indicato dalla profezia di Cassandra era la squadra di Alexander. Sarebbe stata arrogante a pensare il contrario, e Nico, in fondo, se lo meritava. Cassandra dubitava di poter uccidere Percy o di farla scontare ad Apollo e Poseidone, ma Nico… Nico era a portata di mano. Lui avrebbe pagato per la morte dei suoi genitori. Qualcuno doveva farlo e lui non era più innocente di altri. E poi, che speranza avevano di vincere? Magari se si fosse alleata con Gea avrebbe avuto il suo perdono. Magari lo avrebbe avuto anche per Luke e Jane. E doveva solo punire il responsabile della morte dei suoi genitori. Della morte di un sacco di persone, che male c’era, in fondo? Luke era innocente, lui no. Non poteva permettere che Luke morisse a causa sua. Aveva ragione Gea: non poteva rischiare, non voleva rischiare.
-Gea credo che opterò per la via della ragione. Ti rispedirò in quel buco sabbioso da cui venuta- esclamò.
Tirò fuori l’arco e colpì sia Nico che Luke.
Il sogno si sfece con la risata di trionfo di Gea che le risuonava nelle orecchie.
--
Rimase stesa nel letto a ripensare ai suoi sogni, alle profezie, alle parole di Apollo…
No, decisamente non avrebbe potuto perdonarlo questa volta. Come si era permesso di giocare così con la sua vita? Lo sapeva, aveva detto che lo sapeva….bene, avrebbe assaggiato il bronzo celeste delle sue frecce.
E non si riferiva alla storia di Gea.
Aveva capito il senso del suo sogno, quello della stanza ossidata. Aveva detto che gli dispiaceva? Ipocrita.
Le aveva detto che avrebbe brillato. Be’, si era dimenticato di riferire il letteralmente.
Le aveva anche detto che la luce non può brillare senza oscurità…che poi era quello che diceva la profezia.
Ora aveva capito che chi sarebbe venuto con lei non avrebbe distrutto il mondo, ma lo avrebbe salvato.
A meno che le Tenebre e il Sole insieme non brilleranno.
Sperava di non aver preso un abbaglio. Abbaglio. Ma quante risate si doveva star facendo Apollo in quel momento!
Scese dal letto. Era sicura di quello che stava facendo. E se si fosse sbagliata? Tanto sarebbe morta comunque.
--
Avevano riunito ancora il consiglio della sera precedente. Non che fossero passate troppe ore, saranno mancate due ore all’ alba.
Cassandra raccontò dei suoi sogni e della profezia, senza aggiungere commenti personali. Anche se bruciava raccontare del sogno di Gea lo narrò parola per parola convinta che magari poteva essere utile a qualcuno di loro.
-Quindi tu hai scelto di non uccidere Nico al posto mio?- chiese Luke commosso.
-Non essere sciocco- rispose Cassandra ostentando sicurezza –Non ci si può fidare di Gea e poi non era giusto-
Nico non si prese nemmeno il disturbo di scusarsi o di dire che gli dispiaceva per i suoi genitori, se ne stava seduto in un angolo buio a osservare la tenda. Sembrava che non ascoltasse nemmeno.
-Allora la notte in cui te ne sei andato, il giorno prima dell’ incontro con Annabeth, eri andato da Gea- esclamò Sarah.
Nico si strinse nelle spalle.
-Avevi detto che eri andato negli Inferi! Ci hai mentito- urlò Alexander.
Nico rispose continuando a guardare la tenda, senza scomporsi –Gea mi ha trovato mentre vagavo per l’America, non l’ho cercata io ed era la prima volta che mi parlava. Dopo sono andato negli Inferi. Dovevo riflettere- disse con voce mortalmente calma e senza alcuna espressione.
-E tu?- chiese Cassandra –Quante volte hai parlato con Gea?-
Luke la guardò con sguardo implorante –Lei mi ha riportato in vita solo per farmi uccidere te, ma io non l’ho fatto. Poi Gea ha detto che l’avrei servita comunque, che ti avrebbe ricattata grazie a me e che mi potevo considerare morto-
Cassandra deglutì a fatica. Ma Luke non aveva il minimo tatto? Non aveva capito quanto le era costato rifiutare la proposta di Gea non essendo sicura della sua sopravvivenza?
-Ma io sono stato egoista- ammise Luke –Sarei potuto andare via e lasciarti con Jane ma sono rimasto. Perché non sono mai riuscito a fare dei sacrifici, ho sempre anteposto me stesso al bene del mondo-
Cassandra avrebbe voluto biasimarlo, ma ero troppo felice della scelta che aveva fatto di rimanere al suo fianco per mettersi a litigare. Quindi si limitò a stringergli la mano.
-Non è questo il problema adesso- li interruppe Hazel –Dicci il verso della profezia-
Cassandra si schiarì la gola - La figlia del Sole in missione verrà mandata/ incontrerà la dea della terra innevata./ L’ ultimo figlio della morte bisognerà allora trovare./Colui che il Caos nel mondo è destinato a riportare/ sarà uno dei tre che con lui viaggerà, loro capiranno/ a meno che le Tenebre e il Sole insieme non brilleranno- recitò.
Hazel, Sarah e Alexander si guardarono. Cassandra percepì i loro cervelli a lavoro.
Alexander, arrivato al risultato per primo, fece una faccia fortemente contrariata.
Sarah, subito dopo sussultò sbiancando, ma cercò di mantenere la sua aria di superiorità.
Hazel alzò gli occhi al cielo.
Tutti e tre si voltarono verso Nico.
Lui annuì –Tenebre, mi sembra giusto che sia io –annunciò senza scomporsi. Il suo tono non era quello di qualcuno che faceva una battuta e probabilmente non l’aveva fatta. Nico non sembrava possedere un grande senso dell’umorismo.
Non si alzò nemmeno dal suo angolo e sembrava che la cosa non lo avesse toccato minimamente.
Cassandra guardò la mano di Luke che stringeva forte la sua, osservò Alexander e Hazel guardare sbigottiti il fratello e all’ improvviso tutta la sua sicurezza vacillò. Non poteva farlo. Non poteva dire a quelle persone quello che stava per accadere. Non ci voleva credere nemmeno lei stessa.
Ma Alexander la precedette –Non è giusto! Non puoi costringere Nico a seguirti. Non puoi far abbandonare ad un membro della mia impresa questa missione!- urlò scattando in piedi.
-Ma… cosa dici?- chiese lei sorpresa.
-Che nessuno di noi ti seguirà! Vero Hazel? Di qualcosa tu…- guardò la sorella come un animale in trappola, ferito e spaventato, che cerca aiuto, ma che sarebbe stato anche capace di farsi strada fuori dalla gabbia lottando se questo aiuto non fosse arrivato, anche a costo di rimetterci qualcosa.
Hazel ispirò profondamente e scosse la testa –Alexander, io…-
-Avevi detto che la priorità, la tua priorità, era salvarla! Non possiamo permettere a Nico di andarsene. Avevi detto che faceva parte della famiglia e che nessuno della tua famiglia sarebbe mai morto- gridò Alexander.
Hazel si passò una mano sulla faccia –Mi dispiace, ma non posso farci niente. Se è questo che va fatto è quello che faremo. Non possiamo anteporre la vita di una…-
-Di una cosa? Di una tua amica, Hazel! Non conta niente?-
-Una sola persona- concluse lei. Il suo respiro accelerò e in un attimo si trovava anche lei ad urlare –Credi che mi faccia piacere, Alex? Ma non possiamo rischiare così tanto! Hai sentito cosa ha detto Cassandra? Ha detto che moriranno un sacco di persone se Nico non la seguisse. Quante amiche e fidanzate credi che morirebbero, eh? Credi che lei sia più importante solo perché e nostra amica?-
-Alexander- scosse la testa Sarah –lascia perdere. Ha ragione-
Alexander si voltò boccheggiando verso la ragazza e poi si rivolse arrabbiato a Cassandra –Me la pagherai. Me la pagherai, contaci-
Cassandra avrebbe dovuto essere spaventata e non da quello che aveva detto Alexander, ma da quello che stava per dirle lei. E lo era, eri così spaventata che iniziò a ridere –Allora sbrigati a farmi fuori, credo che una volta che sarò partita non mi rimarrà troppo tempo-
Che effetto le fece dire quelle parole? Nessuno. Era come dire una previsione del tempo.
Il silenzio calò pesantemente sulla tenda.
I mezzosangue che erano partiti per l’impresa si guardarono e capirono. Erano partiti in sette ma nella migliore delle ipotesi sarebbe tornati in quattro.
-Cosa intendi, Cassandra?- chiese William –Intendi, morire?-
-E cos’altro dovrei intendere?- sorrise amaramente Cassandra. Cercò di calmarsi e iniziò a raccontare –Durante il mio sogno brucio, brillo. Esattamente come dice la profezia e come ha detto Apollo-
-E come faresti?-chiese Emily.
-Credo che sia un qualche dote da figlia di Apollo. È per questo che ha scelto me, non perché so fare dei sacrifici. Però, per qualche motivo, ho bisogno di Nico. Credo…che morirà anche lui-
-Poteva andare chiunque di noi- le fece notare William –Io o Jane…tu eri appena arrivata. Non è giusto!-
Cassandra si strinse nelle spalle –Magari voi non avete questo potere o Apollo ha semplicemente scelto quello più adatto a questo tipo di missione- face una pausa –Quello che avrebbe preferito sacrificare-
-Bene, quado partiamo?- chiese Nico.
-Aspetta, come fate a sapere che è proprio Nico?- chiese Luke. Sapeva cosa pensava. Se Cassandra fosse morta sarebbe dovuta morire facendo veramente qualcosa di utile. Non c’è una seconda possibilità quando sacrifichi la tua vita per qualcosa.
-Tanto per incominciare sapevamo che qualcuno di noi se ne sarebbe dovuto andare- disse Hazel –e avevamo già incominciato a pensarci. Nico è stato quello di noi che è stato più manovrato, è stato riportato in vita e poi costretto a venire in missione con noi. Doveva essere importante. Poi quella frase sulle tenebre… se il Sole si riferiva a tuo padre anche Tenebre si doveva riferire al nostro genitore divino. Sarah viene dalla casa 4, quindi doveva essere riferito a Demetra, be’…doveva essere uno di noi tre. Io non ho gli stessi poteri dei miei fratelli, loro possono viaggiare nelle ombre e comandare gli spiriti e… insomma, tutte quelle cose. Alexander, in realtà, non vuole usare i suoi poteri, quindi è come se non li avesse. Quello più adatto al termine è, be’, Nico-
-E poi me lo sentivo che sarei morto. Un cosa del genere non può rimanere nascosta a me- commentò il ragazzo.
-Dove andrete ora?- chiese Sarah.
-Alla Statua della Libertà. Lo dice anche la vostra profezia: quando la Terra la Libertà minaccerà. Dobbiamo recarci a Liberty Island. E poi le stanze ossidate… la Statua è stata costruita in rame che si è ossidato. La stanza che vedo è quella nella corona della donna- spiegò Cassandra.
-Cosa sta costruendo Leo secondo voi?- chiese Jane –Io credo che abbia a che fare con l’ Oscurità-
-Non il Caos- la corresse Cassandra –sta liberando il Caos in America-
-Non ci credo- scosse la testa Hazel –Leo non potrebbe mai…lui odia la donna di terra. Ha ucciso sua madre. E Calipso…aveva già rifiutato l’aiuto di Gea, non penso che si sia piegata a lei ora-
–Lo ha messo sotto allucinazione. Gli sta facendo credere di essere a Ogigia- ipotizzò Cassandra.
Hazel non sembrava convinta ma annuì.
-Allora credo che dovremo metterci in marcia- annunciò Cassandra –se Gea sta liberando il Caos a New York…- rabbrividì.
Si alzarono tutti. Quella sarebbe stata una lunga giornata per ognuno di loro.
--
Aspettarono Nico all’entrata del Campo.
Jane aveva salutato Sarah Davies come se si conoscessero da tempo, cosa che a Cassandra non sembrata, ma non aveva voglia di chiederlo.
Lei e Luke avevano parlato a lungo, cercando di evitare le loro morti future e concentrandosi su quelle passate. Luke aveva deciso di vuotare il sacco e raccontarle tutto quello che ricordava della sua precedente vita.
Quando aveva esaurito la storia erano semplicemente seduti tra gli alberi l’uno accanto all’ altra.
Non aveva senso parlare di quello che sarebbe accaduto e di quello che avrebbero fatto dopo la guerra contro Gea. Non ci sarebbe stato un dopo.
Cassandra si sentiva come quando aveva visto la morte in faccia quando Chione l’aveva quasi congelata.
Aveva salutato William e Emily. Sembrava quasi che non sarebbe stato un addio, ma lo era. Non c’erano molte cose che sarebbero potute andare per il verso giusto questa volta.
Era riuscita a mala pena ad abbracciare Jane e dirle che era stata la migliore sorella che avesse mai avuto. In pratica era stata l’unica, ma non faceva troppa differenza. Non sarebbe riuscita a trovarne una migliore.
Aveva deciso di dire addio a tutti lì a Yellowstone, dopo avrebbero potuto non avere tempo.
Quando Chione aveva cercato di ucciderla aveva pensato a tante cose che avrebbe voluto fare. Finire la scuola, pubblicare poesie…di certo non sarebbe mai riuscita a farlo.
Allora aveva pensato di chiedere scusa ad Apollo, ma non se la sentiva. Ora come ora sarebbero state delle scuse date solo perché stava per morire. Era meglio non dire niente che essere ipocrita.
Non riuscì più a stare a sedere accanto a Luke. Anche la sua presenza le sembrava opprimente ora. La faceva sentire una traditrice. Dopo poche ore non avrebbe più potuto abbracciarlo, quindi che significato aveva farlo ora? Meglio tagliare il ponte ore e farla finita.
Si alzò e tornò verso il campo della casa 11 per prendere qualcosa da bruciare come offerta e farsi portare a New York da Ermes.
-Vado io a fare l’offerta- propose Luke –Credo di essere indietro di qualcosa tipo tredici anni…tredici più ventitré per la verità-
Si alzò e corse alla tenda delle scorte per prendere qualcosa.
Cassandra avrebbe voluto fare qualcosa, ma non le rimaneva che stare là seduta a pensare alla propria morte.
A che serviva pensarci? Non poteva rimandarla e non poteva evitarla.
D’altra parte non aveva nemmeno paura, come non c’è l’aveva avuta Nico la sera prima.
Questo era solo quello che andava fatto. Sembrava solo qualcosa da spuntare dalla propria lista delle cose da fare.
Sentì Jane che la chiamava. Andò dove il resto del gruppo aveva acceso il fuoco e bruciato l’offerta.
Nico sembrava completamente disinteressato alla faccenda. Se ne stava in disparte senza parlare con nessuno.
Cassandra era un po’ dispiaciuta per lui. Quello che stava per fare era colpa sua, lei aveva predetto la sua morte. Sperava solo che Alexander non fosse troppo arrabbiato con lui per la morte della ragazza di cui palavano la sera prima e per cui Alexander aveva litigato con i fratelli. Se lo guardava bene, sotto i teschi, la lama che catturava la luce e le ombre che si curvavano su di lui, c’era un bambino di dieci anni che lei stava accompagnando a morire. Sembrava così impassibile di fronte alla morte che Cassandra si chiese se riuscisse a capire fino in fondo il significato di quella parola, avendo passato la maggior parte della sua vita a varcare il confine degli Inferi.
In ogni caso le sarebbe dispiaciuto se Nico se ne fosse andato dal parco senza che suo fratello lo avesse perdonato.
In ogni caso non si fecero vedere né lui né Sarah. Nemmeno Hazel, sorprendentemente, si era fatta viva.
-Siamo tutti pronti?- chiese Luke ai compagni.
Le due ragazze annuirono, Nico non fece niente, cosa che doveva essere un assenso, o almeno Luke lo interpretò così.
Lanciò un pesce polposo e grasso nel fuoco –Non avevi già fatto le offerte?- chiese Cassandra.
Luke si strinse nelle spalle –Vorremo andare al Campo Mezzosangue, per favore-
Aspettarono qualche secondo ma non successe niente. Luke fece due colpi di tosse –Padre? il Campo-
-Forse sta cercando di farci capire che non dobbiamo andare là- fece notare Jane.      
Cassandra voleva dire qualcosa tipo “o forse si è rimangiato la parola” ma tenne la bocca chiusa.
-Prova con New York, alla Statua- propose Cassandra.
-Allora a Liberty Island- sospirò Luke –Ma se ti potessi chiedere un altro favore, potresti fare in modo che Cassandra e Nico non debbano…-
La preghiera di Luke venne zittita da un vortice di colori.
Cassandra barcollò e cadde a terra, seguita da due suoi dei compagni –State tutti e due bene?- chiese Cassandra.
I due emisero versi di assenso.
-Mai fatti viaggi nell’ombra? Sono simili- disse una voce alle loro spalle. Nico di Angelo era in piedi e non dava segni di nausea.
-Dove andiamo?- chiese Cassandra.
Ermes non li aveva lasciati proprio sulla testa della statua. Erano nel mezzo a New York.
-Di qua- disse Luke –ma credo che ci sia una battaglia in corso più avanti-
-Come fai a saperlo?- domandò Jane.
-Le strade sono il mio territorio- si strinse nelle spalle lui.
Giusto. Il ragazzo le porse una mano ma lei si alzò da sola.
Lui la guardò rattristato –Non c’è niente di male ad accettare una mano, a volte. Non rendermi le cose più difficili-
-Te le sto solo rendendo più facili- Cassandra scosse la testa allontanandosi.
In quel momento un fulmine colpì il cemento a qualche isolato di distanza, vicino alla costa.
-Zeus?- chiese Jane.
-Gli dei sono impegnati a Yellowstone-le fece notare Nico –Direi Jason o Talia-
-Speriamo che siano con noi- commentò Cassandra.
Proprio in quel momento un forte rombo si alzò dalla statua della libertà.
Loro non la potevano vedere, ma sapevano che era proveniva da là. Una densa nuvola scura iniziò ad alzarsi dal punto dove si doveva trovare Liberty Island.
-Valdez ci è riuscito- esclamò Jane –Ha iniziato a liberare il Caos-
Si mossero, correndo verso la statua, ma sapendo nel loro cuore non c’era niente a loro favore. Né gli dei, né il tempo, né le profezie. Cassandra aveva già abbandonato le speranze nella fortuna tempo prima.
 

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Capitolo 44
*** Capitolo XLIV Alexander ***


Alexander uscì dalla tenda, furioso.
Quella traditrice di Hazel, poi! Aveva promesso…aveva promesso….l’avrebbe pagata.
Sarah cercò di fermarlo, ma lui non voleva vedere nemmeno lei. Come si era potuta arrendere così facilmente? Come aveva potuto!
Niente lo avrebbe mai fatto vacillare nella sua missione. Almeno lo pensava.
Mentre correva nella foresta sentiva le ombre degli alberi cercare di raggiungerlo. Doveva permetterlo? Permettere a quelle ombre di afferrarlo? Si sarebbe abbandonato all’ oscurità.
Di certo non sarebbe più riuscito a vivere nelle luce. Non se la luce era la parte di quelli che volevano condannare Sarah a morte e mettere in pericolo suo fratello.
Gridò e lo ombre si ritirarono. Buona parte degli alberi attorno a lui morirono all’ istante e anche l’erba.
Ma cosa stava facendo? Si stava aggirando per un bosco a uccidere gli alberi di un parco nazionale.
Le mani gli tremavano di rabbia e di paura. Strinse i pungi e cercò di contenere il tremore.
Cercò di snebbiarsi i pensieri. Doveva tornare al campo e chiedere scusa.
Lui non credeva alle profezie. Che senso aveva arrabbiarsi per l’abbandono di Nico? Sarah non sarebbe comunque morta. Lui e Hazel lo avrebbero impedito. Hazel aveva ragione. Dovevano lasciare andare Nico. Hazel era stata sincera quando aveva detto che le dispiaceva, non avrebbe dovuto prendersela con lei. O con Cassandra. Non era colpa di nessuno. Tranne che di Gea. Doveva prendersela con lei.
Tornò indietro ma quando raggiunse la tenda erano tutti scomparsi.
Andò dove li avevano sistemati ma non trovò neanche una delle persone che cercava.
Sarebbe andato al ruscello che aveva visto e si sarebbe rilassato. Si sarebbe calmato e poi li avrebbe cercati.
-Cosa dici?- era la voce di Hazel. Alexander si nascose dietro ad un albero e rimase ad origliare.
Stava mandando un messaggio iride vicino al fiume.
Le rispose la voce di un uomo, Frank –Me lo aveva ordinato Marte, io sono…-
-Tu sei un pretore di Roma come prima cosa!- esclamò lei – Sei mio marito come seconda e solo dopo sei figlio di Marte! Non avresti dovuto accettare la sua missione-
-E cosa avrei dovuto fare? Rifiutare e basta?- chiese lui.
-Non metterti a scagliare frecce avvelenate contro ragazze innocenti- rispose lei decisa.
-Hazel, io…-
-Non voglio scuse- rispose lei –ne parleremo quando ritornerò-
-Quello che ho fatto…-
-Silenzio- disse lei freddamente.
-Ti amo- disse l’altro mestamente.
Lei distrusse l’arcobaleno con rabbia e non rispose al saluto.
La donna si voltò con gli occhi pieni di lacrime e vide Alexander –Che ci fai qui? Mi pedinavi?- chiese acida.
-No…volevo solo…-
-Lascia perdere. Non ho tempo per le tue bizze o per quello sciocco di Frank…- guardò quello che stringeva in mano e lo lanciò a terra con rabbia.
-Hazel, io vorrei scusarmi per come ho perso il controllo nella tenda, avevi ragione tu…-
-Alexander, stai zitto e basta- rispose lei amaramente –Ho appena litigato con mio marito, lui e quelli della legione sono nei casini con gli dei e non voglio che ti ci mette anche tu!-
Lo spinse di lato e tornò verso il campo.
Alexander fece qualche passo e raccolse l’oggetto che il pretore aveva fatto cadere.
La foto che raffigurava lei, Matt e Frank era stropicciata e una piega tra le testa della donna e del marito si era strappata per quante volte lei l’aveva aperta e ripiegata. Un angolo era strappato e parte era bagnata e sporcata dal fango in cui Hazel l’aveva lasciata cadere.
Alexander la ripulì e l’infilò in tasca.
Guardò l’orologio. Dopo quindici minuti Nico se sarebbe andato.
Cercò di mantenere la calma quando il suo cervello aggiunse ad “andato” il “per sempre”.
Dove poteva trovarlo? Di sicuro era andato negli Inferi. Negli Inferi? Ci sarebbe finito dopo un giorno comunque, non si poteva godere la sua vita?
Risalì un po’ il ruscello fino a quando non arrivò a una specie di piccola cascata o rapida, insomma.
Si sedette sulla riva del fiume e si mise a guardare la foto di Hazel.
-Non la restituisci?- chiese una voce da qualche punto sopra di lui.
-Nico! Pensavo che fossi…-
Qualcosa cadde accanto a lui, con un tonfo leggero, come aveva fatto la sera prima.
-Negli Inferi? Non oggi- rispose l’altro.
In mano stringeva anche lui qualcosa, ma non riusciva a vedere cosa.
-Che stavi facendo?- chiese Alexander.
-Riflettevo sulla mia vecchia vita, pensavo a mia sorella…-
Sua sorella? Si ricordava il nome di Bianca di Angelo dalla sera che Nico era arrivato al Campo. Doveva essere morta durante la prima guerra contro i Titani di Percy.
Il ragazzo si sedette accanto ad Alexander.
-Ti sarebbe piaciuta. Era molto più simile a te e ad Hazel che a me…credo che fosse un bene, a dire il vero- aggiunse Nico.
-Te l’ho già detto. Credo che tu sia una delle persone migliori che abbia mai conosciuto, e quello che stai facendo, morire…-
-La morte non mi spaventa- Nico fece un sorrise agghiacciante –credo di aver passato più tempo con i morti che con i vivi. Ed è questo a spaventarmi-
Alexander non sapeva cosa rispondere e lasciò che fosse Nico a continuare –Sono stato un fantasma per la maggior parte della mia vita, fuori dal tempo o lontano dal Campo. Ho solo tredici anni e non sono riuscito a fare niente di buono. La mia vita è stata solo morte-
-La tua vita nel nostro mondo non si deve misurare solo in giorni, ma anche nelle vite delle persone che hai incontrato. Hai salvato il Campo e l’Olimpo più di una volta. Hai salvato me, Hazel e Sarah. Ora stai per…salvare il mondo-
Nico guardava freddamente il fiume che scorreva –Ma nessuno conoscerà il mio nome. Nessuno saprà che sono mai esistito. Nessuno ha mai tenuto a me-
-Io ho tenuto a te. E Hazel, e Sarah. Bianca ti voleva bene. E avrai avuto degli amici, no?-
-Jason Grace. È stata la cosa più vicina ad un amico che abbia mai avuto- annuì Nico.
Rimase a fissare il fiume. Ora sembrava veramente uno dei suoi fantasmi, non era più agghiacciante, sinistro, era solo triste.
-Tieni- disse Nico dopo qualche minuto. Appoggiò sulla mano del fratello una statuina, la stessa statuina che stringeva in mano quando era arrivato al Campo –Questa statuetta mi è stata regalata da Bianca, dopo che, sai…- Nico prese un profondo respiro. Era strano sentire come Nico non riuscisse a dire la parola morta –è stato Percy ha portarmela. È stato l’ultimo regalo di Bianca e non mi sembra giusto portarmelo dietro quando sto andando a morire- questa volta disse la parola senza la minima esitazione, come se la sua vita non contasse niente –Anche se non l’ hai mai conosciuta e hai conosciuto me per così poco tempo potresti portartela dietro? Conservarla?-
-Certo- disse Alexander senza la minima esitazione –e, Nico…ti ho conosciuto quel tanto che basta per apprezzarti-
Nico sorrise, un vero sorriso che gli scopriva i tenti bianchi e che gli faceva illuminare gli occhi, anche se durò meno di un momento.
Si alzò risucchiando la propria ombra –Non venire a salutarmi e neanche Hazel. Non mi piacciono gli addii, soprattutto quando so che sono definitivi-
Alexander annuì –Come vuoi-
Nico fece un cenno di saluto con la tesata e scomparve sotto l’ombra di un albero.
Alexander rimase a fissare la statuetta di Nico e la foto di Hazel. Nonostante avesse due fratelli non si era mai sentito così solo.
--
-Pronti?- chiese la voce squillante di Emily. Era armata fino ai denti con armi di ogni tipo. Bronzo celeste e oro imperiale.
-Voi entrerete nel confine del parco e noi terremo fuori i mostri e… insomma, qualunque cosa i nostri amati zii abbiano deciso di mandarci- intervenne William.
Sarah, Hazel e Alexander stavano a qualche passo dal confine, aspettando il momento di partire.
-Come farete? Devono essere veramente molti- chiese Sarah.
-Abbiamo preparato un sacco di trappole e siamo abbastanza organizzati…- rispose Emily in un finto tono piccato.
-Anche se non sembra- sorrise Alexander.
Emily sorrise con tristezza –State attenti e tornate tutti fuori, capito?-
Alexander guardò Sarah, pensò a Nico. Loro erano stati attenti, ma certe cose non le puoi semplicemente evitare, per quanto tu possa cercare di opporti alle profezie e fingere di non credere nel fato.
Comunque annuì –Faremo del nostro meglio-
Emily rimase assorta nei propri pensieri qualche secondo –Accidenti!- esclamò, facendo fare un salto all’ indietro a tutti –Come ho fatto a dimenticarlo? Vicino al centro del parco dei mostri hanno fatto una specie di avamposto… quei pochi che ci sono scappati, ovviamente…comunque per raggiungere la vostra meta dovrete trovare il modo di farlo saltare in aria-
-Suggerimenti?- chiese Sarah.
-In effetti il loro quartier generale è stato fatto intorno al deposito di carburante del parco. Una cisterna dove tengono la benzina e tutto quello che può servire per far muovere le macchine… potete far saltare quello- rispose William.
-Non è che avete qualche figlio di Efesto sotto mano?- chiese Alexander depresso.
Emily scosse la testa affranta –No, ma potete usare il computer della casetta di legno accanto. Uno dei miei fratelli ha fatto un’ incursione per prendere le loro armi e ha scoperto che si poteva far esplodere aggeggiando con le valvole da quel punto di controllo. Spero vi possa essere utile-
Hazel annuì –Ogni più piccola informazione ci può essere utile. La cosa più importante è studiare il campo di battaglia…- l’espressione della donna si fece indecifrabile e non aggiunse nulla.
-Ottimo, allora- sorrise Emily con la sua solita energia –Andate, uccidete Gea e tornate. Semplice, no?-
-Come riordinare la casa 11, più o meno- commentò William, facendo ridere la maggior parte dei presenti.
-Alexander, a proposito di casa 11- disse Emily improvvisamente seria –Ricorda che ti ho detto che avrai sempre un posto nella casa 11, anche ora che…- la ragazza non terminò la frase, ma Alexander capì cosa intendeva. Ora che nella casa 13 sarebbe dovuto vivere da solo.
-Grazie Emily, me lo ricorderò-
-Ora andiamo- disse sbrigativa Sarah –Non credo proprio che Gea aspetti i nostri comodi per risvegliarsi-
I tre si voltarono  verso il parco trattenendo il respiro e insieme fecero il primo passo verso la fine di Gea.

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Capitolo 45
*** Capitolo XLV Cassandra ***


I quattro presero a correre verso la battaglia guidati da Luke.
-Giù!- gridò una voce vagamente familiare. Cassandra si schiacciò a terra, seguita dagli altri e sentì come uno sciame d’api ronzarle sopra la testa.
Rotolò e guardò nella direzione da dove aveva sentito provenire la voce. Una mezza dozzina di ragazze vestite d’argento stavano caricando i propri archi, guidati da Talia Grace.
Cassandra lanciò una rapida occhiata a quello a cui stavano mirando. Una schiera di dieci mostri a sei braccia stavano avanzando sopra ai cadaveri di altrettanti compagni che si stavano sbriciolando. La seconda ondata di frecce si dimostrò più che sufficiente a uccidere i mostri rimanenti.
Talia avanzò verso di loro con lo sguardo fisso in un punto alle spalle di Cassandra –Tu! Che ci fai tu qui? Volevi farli uccidere tutti?-
-Io…veramente…-balbettò Cassandra prima di accorgersi che la cacciatrice non stava parlando con lei, ma con qualcuno alle sue spalle. Luke.
-Talia, che piacere anche per me scoprire che non sei morta!- disse ironico Luke.
La ragazza inspirò profondamente per mantenere il controllo –Sei finito per sbaglio contro un’orda di figli della terra?-
-Per sbaglio…no, direi di no- rise l’ altro –Ti stavo cercando-
-E il modo più veloce per trovarmi è ovviamente quello di farsi caricare da un’orda di mostri- convenne Talia.
-Non è il momento per pensare a certe scemenze- disse Luke liquidando il suo commento con cenno della mano –Dobbiamo trovare tuo fratello-
-Jason- rise Thalia –Aspetta e spera, allora-
-In che senso?- chiese Cassandra.
-Nel senso che lui deve “rimanere con i suoi fratelli romani” e i suoi “fratelli romani” non hanno intensione di alzare il loro romano fondo schiena dalle gradinate delle terme- aggiunse qualcosa in Greco che suonava esattamente come un insulto ai loro “romani fondoschiena”.
-Perché non vengono?- chiese Cassandra.
-Per colpa del pretore Zhang- ringhiò Thalia –Se Ares ha deciso di essere più ragionevole, Marte ha visto questa cosa che nemmeno uno dei suoi figli romani sia convolto nel salvataggio del mondo come un affronto, e ovviamente il pretore Zhang non andrebbe mai contro a papino-
Luke interruppe lo sfogo di Talia prima che arrivasse ad insultare “papino” –In che senso?-
Talia lanciò un’altra occhiata velenosa a Luke e iniziò a spiegare –Alcuni dei credono che questa missione sia collegata a quella di Alexander Johnson e quindi hanno dato l’ordine di non venire a Liberty Island. Il Campo, ovviamente, era guidato da Percy e ha fatto esattamente quello che Poseidone gli ha detto. Rimanere al Campo, insabbiare tutto…ma qualcuno ha detto basta. La coppia più improbabile ha preso il comando del campo –Talia soffocò una risata –Clarisse e Piper McLean. Hanno cacciato Percy dal campo e hanno preso il comando. Hanno portato il Campo qui per ordine di Apollo. In realtà è stato onsiglio più che ordine, diciamo… ovviamente gli altri dei non era d’accordo, perfino la divina Artemide-
-E voi siete qui perché…- chiese Jane.
-Perché siamo venute lo stesso. Artemide alla fine ci ha dato il suo permesso- rispose Talia –circa due secondi prima che arrivaste voi, per l’esattezza-
-Poteva prenderla peggio- commentò Luke.
Thalia sorrise –Comunque Marte non era dello stesso avviso e ha proibito alle Legione di venire in nostro aiuto e Zhang…-
-Ovviamente non gli ha disobbedito, certo- completò Luke.
-Perché cercavate Jason, comunque?- chiese Thalia.
-Avevamo bisogno di un espresso per la Statua- rispose Luke.
Talia sorrise –Ma qualcuno ha già provveduto-
-Veramente?- chiese Jane stupita.
Talia annuì spazientita –Certo, non scherzo su certe cose. Seguitemi-
Gridò alla sua seconda di prendere il comando e fece cenno ai quattro mezzosangue di seguirla.
Cassandra rimase indietro con Jane e lasciò che Luke parlasse da solo con Talia.
Da solo ma non così lontana da non sentirli.
-Io sono felice di rivederti- disse irritata Thalia, come in risposta ad un commento di Luke.
-D’avvero? Non sembra- rispose l’ altro acido.
Talia lo guardò risentita –Tu non capisci vero? Perché sono entrata nelle Cacciatrici…-
-Per non essere la ragazza della profezia. Anche se, devi ammetterlo, la mia proposta era allettante-
La Cacciatrice lo fulminò con lo sguardo –Smettila. È per questo. È perché non riuscivo a dirti di no, ma tu mi avevi voltato le spalle…-
-Continuo a non capire- rispose l’altro confuso. Invece Cassandra aveva capito e sentì un’onda di gelosia attraversarla.
-Luke…-la voce di Thalia si fece quasi un sussurro –Io…io ti… amavo-
-Amavi? Allora non mi ami più, che problema c’è?- Cassandra si chiese se Luke stesse scherzando e in tal caso che gusto ci provava a scherzare in quel modo.
-Che problema c’è?- esclamò lei quasi urlando –Mi chiedi che problema c’è? Forse Zoe aveva ragione…-
-In ogni caso- disse Luke serio –io sono fidanzato e tu sei una Cacciatrice, sarebbe una storia impossibile…-
-E dovremo sopravvivere comunque a questa battaglia, non credo che sarebbe saggio fare alcun progetto ora…- rispose amareggiata Thalia.
Cassandra si allontanò un po’ per smettere di origliare. Si vergognava un po’ di quello che aveva fatto, ma doveva sapere quello che Talia e Luke si dicevano, poteva essere importante per la missione…
-Qual’ è il piano?- chiese Jane.
-Il piano, per cosa? Luke ha detto che sarebbe impossibile….- non poteva vedersi, ma era sicura di essere arrossita. Ovviamente Jane parlava del raggiungere la Statua e fermare Valdez.
Nico la precedette –A quanto ho capito il piano di Luke era quello di trovare Jason e farci volare fino là…-
Jane fece un salto. Anche Cassandra si era dimenticata di Nico, era facile dimenticarsi di quel ragazzo!
-Comunque Thalia ha detto che qualcun’ altro ha pensato ad aprirci la strada per la Statua della Libertà, credo che sfrutteremo quel passaggio- osservò Nico.
-Questo lo immaginavo- commentò Jane mentre cercava di far tornare i battiti del cuore normali – Intendo dopo, come fermiamo Leo Valdez?-
Cassandra non ci aveva pensato in ogni particolare, ma ne aveva un’idea. Ripensò ai suoi sogni mentre stringeva la mano di un misterioso ragazzo. Ora capiva che si trattava di Nico. Doveva prendere fuoco, in un modo o nell’ altro.
-Non lo so, credo che lo scopriremo quando saremo là- rispose Cassandra. Ripensò alla luce che usciva dal suo corpo, alle urla di Nico, al calore intenso che sentiva –Ma credo che tu e Luke non dovreste venire. Nessuno dovrebbe venire- aggiunse.
-Cosa dici? Noi dobbiamo finire questa impresa con te- rispose Jane perentoria –Siamo partiti insieme e insieme finiremo-
Cassandra scosse la testa –Rimanete qui e aiutate Talia a uccidere i mostri, sarebbe utile non essere attaccati dai ciclopi mentre fermiamo Valdez-
-Datevi un mossa!- gridò Thalia un’ isolato più avanti.
-Certo signora- borbottò Jane.
--
Sulla costa i mostri erano molti di più. Le Cacciatrici e quelli del Campo combattevano senza sosta per uccidere un infinto numero di mostri, di razze che nemmeno Cassandra conosceva.
Appena arrivati sulla costa Talia imprecò in tutte le lingue che conosceva fissando la piatta distesa di acqua scura che rifletteva il cielo nero come pece.
-Che è successo?- chiese Luke infilandosi un’ armatura leggera che qualcuno del Campo gli aveva procurato.
-Il passaggio si trovava qui! Dannazione!- esclamò ancora.
-Il passaggio? Thalia, spiegati meglio- disse Luke conciliante.
-Johanna Abbott avrebbe dovuto creare un canale prosciugando lo stretto, ma è scomparsa- ringhiò la Cacciatrice.
Cassandra si guardò attorno alla ricerca della bambina, quando vide un getto d’acqua poche centinaia di metri alla propria destra. Un’onda gigantesca colpì la costa e si riversò per le strade, affogando qualsiasi cosa ci fosse nel raggio di cinque isolati.
Johanna comparve d’avanti a loro tra gli spruzzi.
-Cosa stavi facendo? –chiese Talia sibilando.
-Ci sono un sacco di mostri, per tua informazione più di quelli che il tuo piccolo esercito riuscirebbe a combattere- rispose la figlia di Poseidone –Sto facendo il mio lavoro, combattere!-
-Va bene, ve bene-disse sbrigativa Talia –Ora fai questo canale e lasciaci passare-
Johanna annuì e alzò una mano. L’acqua si divise attorno alla statua e defluì dietro Liberty Island lasciando il passaggio tra Manhattan e l’isola asciutto.
Cassandra poteva vedere vari tipi di rifiuti incastrati tra gli scogli e anche il relitto di una piccola imbarcazione.
Il cuore le si fermò quando si ricordò che, a meno di cinque chilometri da lei, sul fondale dell’oceano, c’era il relitto della Principessa Andromeda II e i cadaveri dei suoi genitori.
-Grazie Johanna- sorrise Jane, lanciandosi sulla scogliera e cominciando a scendere.
-Ferma- disse Cassandra –Avevo detto che andavamo solo io e Nico. Tu e Luke rimanete qui-
-Neanche per idea- si intromise il ragazzo.
 -E invece si- ribatté Cassandra –chiedi a loro due, non vi farebbero comodo altri combattenti?- chiese rivolta a Talia.
La Cacciatrice annuì.
-E poi non vedo cosa possiate fare se venite con noi- disse Nico in tono lugubre –Non servite-
-Grazie!- esclamò Luke –Tu trovi sempre le parole giuste, eh?-
-Rimanete qui, vi prego!- disse Cassandra.
-Tu ci credi più al sicuro qui che con te?- chiese Jane scettica.
Cassandra annuì con vigore e guardò Luke implorante.
-Cassandra- la sua voce era costernata –noi sappiamo cosa state andando a fare e credi che ti lasceremo andare in contro a questa cosa da sola?-
Cassandra si morse il labbro –Prendetelo come un ultimo desiderio, va bene?-
Luke aprì la bocca per ribattere, ma Jane lo fermò –Luke, lascia perdere… se vuole così…- guardò la sorella con gli occhi pieni di lacrime e l’abbracciò.
-Gli adii li abbiamo già fatti a Yellowstone- commentò Cassandra mentre soffocava nell’abbraccio di Jane.
Luke la guardava come un cucciolo ferito che viene abbandonato in autostrada.
Cassandra lanciò le proprie braccia attorno al suo collo –Ti amo- gli sussurrò all’ orecchio.
-Anch’io- rispose l’altro.
-Allora, non ti fermare. Promettimi che troverai un’altra e che…-
-Shh. Tornerai. Troverò il modo di farti tornare, vedrai-
Cassandra ricacciò indietro le lacrime e si allontanò.
-Andiamo allora- disse Nico asciutto.
Cassandra si guardò attorno. Possibile che nessuno volesse salutare Nico? Che a nessuno interessasse della sua morte?
Scesero piano scalando al contrario la scogliera.
Talia li raggiunse un attimo dopo.
Non aveva nemmeno messo piede a terra che sentirono un grido di Johanna e videro un gigantesco muro d’ acqua tornare verso la costa.
Cassandra emise un verso strozzato d’orrore, ma l’acqua defluì ancora d’all’ altra parte della statua.
Johanna apparve accanto a loro, magicamente –Cosa è successo?- chiese Thalia.
-Mio fratello…Percy…il mostro marino…- balbettò la ragazza.
Cassandra si sentì gelare il sangue quando sentì un grido. Non era una persona, ma era un animale. Un mostro, per l’esattezza. E quel verso lo aveva sentito meno di un mesa prima, sulla nave, poco prima di affondare.
-Dannazione!- esclamò Thalia.
La Cacciatrice guardò Johanna che scosse la testa -Non posso affrontare mio fratello e tenere a bada i mostri, mi spiace…-
In quell’ istate videro un gigantesco tentacolo bianco pallido e lattiginoso avvolgersi intorno ai fianchi della statua.
-Che facciamo?- chiese Cassandra.
-Non lo so- ammise Talia passandosi una mano sul volto.
-Potrei provare a fare entrambe le cose, però…-cominciò Johanna.
Talia la interruppe –Ci stanno già schiacciando con il tuo aiuto, senza di te verremo spazzati via…-
-Ma non posso nemmeno lasciare che Percy uccida Cassandra e Nico, altrimenti la nostra missione…- fece notare Johanna.
-Lo so!- esclamò Talia –Lo so! Lasciami riflettere…- il suo volto si illuminò di una luce folle –Verremo spazzati via senza di te, è vero. Ma Cacciatrici e Semidei Greci insieme non sono un osso facile da spezzare! Potremo dare a loro il tempo necessario per fermare Leo e il ritorno del Caos, mentre tu trattieni Percy…-
-Ma stai parlando di una battaglia suicida, Talia!- esclamò indignata Cassandra.
Sentirono qualcuno atterrare agilmente alle loro spalle. Cassandra si voltò.
Era Piper McLean, coperta di polvere di mostro e sangue, per la maggior parte suo.
-Stai bene?- chiese Talia.
La ragazza scosse la testa –Non è importante ora. Ora dobbiamo decidere come affrontare quello- disse indicando il mostro marino che si avvolgeva sulla Statua della Libertà.
Cassandra ebbe l’impulso di correre contro al Kraken e affrontarlo a mani nude.
Talia, invece, spiegò il suo piano –Ovviamente dovevo parlarne prima con te, non posso utilizzare le truppe dei Greci in questa maniera…-
-Non sono truppe, Talia, sono persone- Piper scosse la testa –Però hai ragione, è l’unico modo possibile-
-Piper!- esclamò Cassandra.
-A quanto ho capito anche la tua è una missione suicida, quindi che problema c’è?-chiese a Cassandra.
-è diverso!- esclamò lei –Io ho scelto della mia vita, non di quella di altre centinaia di persone!-
Talia si fece passare una mano trai capelli, stancamente –E allora cosa suggerisci? Se non fermiamo Leo tutte queste persone morirebbero comunque. Almeno salveremo il mondo dei mortali-
Cassandra aprì la bocca, ma non sapeva cosa ribattere. Talia aveva ragione, ma era comunque ingiusto. Sbagliato. Ci doveva essere un altro modo e Cassandra sentiva che era là, da qualche parte nella sua testa, ma come un muro nel suo cervello le impediva di raggiungerlo.
-Piper! Talia!- gridò una voce dalla cima della scogliera.
Non aveva mai visto quella donna, ma capì subito chi era. Clarisse.
-Che è successo ancora?- chiese Talia abbattuta.
Anche dal fondo del mare Cassandra vide Clarisse sogghignare –I figli di Marte sono arrivati. Il Pretore Zhang con la Dodicesima Legione al completo!-

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Capitolo 46
*** Capitolo XLVI Alexander ***


I tre eroi si addentrarono nella foresta. All’inizio non c’era alcun mostro e alcun rumore.
Evidentemente i figli di Ermes avevano fatto veramente un buon lavoro. Strano.
Poi iniziarono a sentire un rumore lontano, alle loro spalle, ma non così in lontananza da non capire cosa fosse.
Rumore di battaglia. Con un’ondata di rabbia Alexander si chiese se i ragazzi della casa di Ermes stessero combattendo contro i mostri o contro gli dei.
Hazel manteneva il silenzio, mentre Sarah camminava in retroguardia stando attenta ai mostri, che non arrivavano.
Alla fine sentirono dei rumori. Erano suoni di tutti i tipi, sia versi di animali che parole, evidentemente pronunciate da esseri non umani.
Si fermarono dietro ad un albero e osservarono. A circa cento metri da loro vi era un vasto accampamento di mostri attorno a una cisterna di alluminio o di qualche altro metallo alta alcuni metri e di forma cilindrica, adagiata sul lato lungo. Accanto alla cisterna vi era una casa in legno, una di quelle classiche casette che si vedono nei film sui parchi nazionali.
-Che si fa?- chiese Alexander.
Sarah guardava assorta il folto numero dei nemici, molte decine, forse anche duecento –Secondo voi sono
tutte le forze di Gea nel parco?-
-Così ha detto Emily- rispose asciutta Hazel. Guardava la capanna con la faccia di una che stava per fare qualcosa di incredibilmente coraggioso o di incredibilmente stupido. O forse entrambe.
-E perché non ci annusano?- chiese Sarah.
-Perché ci sto nascondendo con la foschia, ma non durerà molto- rispose l’ altra.
-Non per ripetermi, ma come si fa ad oltrepassarli? Secondo Emily dobbiamo arrivare al cuore del Parco e dobbiamo passare da lì per arrivarci- ripeté Alexander.
-Ci ha già risposto Emily ha questa domanda, no?- disse Hazel, sempre con quella espressione folle negli occhi e sempre osservando attentamente la capanna –Usiamo il computer che c’è la dentro e facciamo esplodere la cisterna-
-Come facciamo ad entrare?- chiese Alexander –Chiunque ci provi sarà in schiacciante inferiorità numerica, oltre al fatto che…-
Oltre la fatto che verrà polverizzato dall’esplosione pensò Alexander, ma non lo disse.
-Cavoli- esclamò Sarah per lui –Chi azionerà la cisterna non avrà tempo per mettersi in salvo, è troppo…-
-Vicina, lo so- commentò Hazel, cercando meccanicamente qualcosa in tasca che non riuscì a trovare.
-Ma qualcuno ci deve provare- disse rassegnato Alexander.
-No- lo contraddisse Hazel secca –Io ci devo provare-
-Non se parla nemmeno!- esclamò Alexander.
Si sentiva arrabbiato, anzi, furioso. Perché dovevano fare quella scelta? Chi aveva dato il diritto a Gea di esigere una delle loro vite? Alexander non voleva perdere né la sorella né Sarah, non proprio ora che si erano messi insieme. Rimaneva una sola possibilità, ma non voleva morire…
-Alex…-la donna si voltò verso di lui. Il suo tono era comprensivo, quasi condiscendente. La sua mano scivolò via dalla tasca per ricadere come morta lungo il suo fianco –Sono io il Pretore, io la responsabile ufficiale dell’impresa. Devi lasciarmelo fare-
-Ma Hazel, tu hai Frank e Matt e Nico e…- la gola di Alexander si strinse per le lacrime –Io vi ho coinvolte in questa missione, devo farlo io, per favore…- una goccia calda gli scese sulla guancia.
Sentì le mani fredde di Hazel prendere una delle sue –Hai presente quando vi ho abbandonati sotto Chicago?- chiese la donna. Non stava piangendo e nel suo tono non c’era niente che lasciasse trasparire tristezza, né paura. Solo calma. Una calma mortale.
-Non c’è bisogno di rivangare…-disse Alexander.
-Ascoltami-lo interruppe lei –Avete detto che avevo paura di perdere il mio potere. Il mio potere sulla legione, la mia egemonia nel cuore di Nico…-
-Scusaci- disse Sarah, la sua armatura di arroganza crepata da una punta di rammarico –Non volevamo…-
-Avevate ragione. Quasi, almeno- continuò Hazel –Avevo paura di perdere Frank, Matt, Nico, i miei amici nella legione, perfino Sarah, e te, che sei comunque mio fratello. Avevo paura che qualcuno di voi morisse, ero…terrorizzata all’idea che potesse succedere qualcosa di brutto a chiunque di voi. Per favore, quasi di sicuro ho già…ho già perso Nico- disse con un tremito nella voce –Non voglio perdere anche te. Non posso-
-Ma tuo figlio, Frank...- provò debolmente Alexander.
-Dovrai andare a salutarli da parte mia, Alex- disse la donna. Anche se il suo tono non tradiva alcuna emozione una lacrima solitaria cadde sulla sua guancia. La mano destra corse alla tasca, come in automatico, ma non trovò niente.
Alexander capì cosa cercava e infilò la mano nella tasca dei propri pantaloni. Trovò la statuetta di Nico e accanto, ripiegata e strappata, la foto di Hazel.
La estrasse con cura e la porse alla sorella, che soffocò un singhiozzo.
La prese con mani tremanti e l’aprì con cura, come se si potesse strappare da un secondo all’altro –Grazie… tu devi andare a dire a Frank che mi dispiace- disse, quasi soffocata dalla lacrime –Che mi dispiace per come mi sono comportata. Lo amavo…lo amo e lo amerò sempre, ovunque vada dopo la morte. E devi dire a Matt… di a Matt che la mamma gli voleva bene-
Strinse la foto contro il petto, come se potesse veramente stringere i due a sé e portarseli dietro mentre andava incontro alla morte, chiudendo gli occhi.
Pianse qualche lacrima silenziosa che si trasmise anche ad Alexander.
Il ragazzo non poté resistere e l’abbracciò. Sentì la sorella sussurrargli all’ orecchio –Avevo promesso che sarei tornata, ma non posso più… avevi detto che ero una buona madre, non lo pensi più?-
Alexander fece fatica a rispondere, scosso com’era dalle lacrime –Credo che tu sia la donna più coraggiosa che abbia mai conosciuto e che Frank e Matt devono essere orgogliosi di te. Che io e Nico siamo fieri di essere tuoi fratelli e Matt sarà fiero di essere tuo figlio-
Hazel lo strinse ancora qualche secondo e poi lo lasciò andare, asciugandosi le lacrime.
Abbracciò Sarah, con la quale aveva sempre litigato e con la quale ora stava piangendo come se non avessero fatto altro nelle loro vite che quello, stare insieme, unite.
Si rivolse ancora ad Alexander –Tienila tu, dalla a Frank se vuoi…- gli porse la foto.
Alexander la strinse senza guardare, sapeva che vederli insieme, felici, gli avrebbe fatto troppo male.
Hazel si alzò e iniziò ad aggirare gli alberi.
Alexander la fissava come in trance, incapace di emettere alcun suono, tanto meno respirare.
Sarah gli prese la foto dalle meni e la guardò. Alexander si costrinse a fare altrettanto.
I loro volti sorridenti, gli occhi di Matt, uguali a quelli del padre, i capelli di Hazel che luccicavano al sole, la loro serenità, le loro braccia destre alzate come a salutare il fotografo, come a salutare chi stava guardando la foto, come a dire addio, come a dire addio ad Alexander…
-Ferma- ordinò Sarah, lasciando la foto.
Hazel si voltò, aveva fatto solo pochi passi.
-Vado io- disse Sarah risoluta.
-Il tuo posto è con Alexander- disse Hazel.
-E il tuo è con Frank Zhang- Sarah scosse la testa e si alzò in piedi, seguita da Alexander –Tu hai un sacco di persone che ti vogliono bene, che dipendono da te, io…-
-Hai me- disse Alexander.
Sarah sorrise. Lo stesso sorriso rassegnato e triste, ma allo stesso tempo felice, di quando le aveva detto che anche lei faceva parte della loro famiglia –No Alexander, ho solo te. Ho solo te e non posso permettermi di farti soffrire così, facendo andare tua sorella in contro alla morte sapendo che potrei fare qualcosa per impedirlo. Sapendo che dovrei farlo. Dopo tutto io sto ancora vivendo una vita che preso in prestito, è arrivata l’ora di restituirla-
Alexander le strinse la mano. Riusciva solo a pensare che non voleva perderla, che non riusciva nemmeno a immaginare di andare avanti senza di lei.
-Sarah io non posso…-
-Lo farai- disse Sarah anticipandolo. Gli prese il volto tra le mani e lo avvicinò al proprio –Lo fari. Andai avanti, continuerai con la tua vita. So che puoi farcela, Alex. Puoi farlo per me-
Alexander mise le proprie mani su quelle della ragazza –Non senza di te, no-
Sarah abbassò di poco la testa e lo baciò –Ti prego-
Alex strinse le proprie mani sulle sue –Che posso fare per te?-
-Fai la tua vita- sorrise debolmente lei –sposati, vivi. Ma non dimenticarmi. Ricordami come quell’ irritante figlia di Demetra che ti ha salvato dai romani, che si è offerta per questa missione come una stupida, che aveva paura dei tunnel sotto Chicago. Ricordati di Sarah Davies, lo fari?-
Alexander annuì –Fino alla fine dei giorni-
Sarah annuì e si allontanò da lui. Raccolse la foto che il ragazzo aveva lasciato cadere e la porse a Hazel –Torna da loro, Hazel-
La donna strinse la foto reprimendo le lacrime.
Sarah prese un respiro profondo e si asciugò le lacrime.
Vide le due che si scambiavano delle battute, ma non riuscì a sentire quali. Tutti i suoni del mondo gli giungevano ovattati, come se fosse immerso nell’acqua.
Sarah rifece la strada che aveva già percorso Hazel e si voltò solo per fare un sorriso ad Alexander. Nonostante avesse il viso sporco di terra e rigato di lacrime, le occhiaie date dal lungo viaggio e dallo stress degli ultimi giorni e un pallore dato dalla paura ben dissimulata, non gli era mai sembrata più bella.
Il suo sorriso era radioso, come se non ci fosse niente di brutto per cui piangere ma solo cose belle per cui ridere. Si voltò e scomparve dietro agli alberi.
Hazel si avvicinò mormorando qualcosa, ma Alexander non riusciva ancora a sentirla, vedeva solo la faccia di Sarah che si apriva in un grande sorriso.
Immaginò quante volte avrebbe potuto sorridere così, se non fosse morta in questa missione. Immaginò la loro vita al Campo, come sarebbero stati abbracciati di fronte al falò a cantare a squarciagola, come lei avrebbe potuto insegnarli a tirare con la spada, visto che lui era proprio negato.
Si immaginò come si sarebbero potuti baciare d’avanti al laghetto delle canoe e come lei sarebbe potuta venire al suo tavolo solo per far arrabbiare Percy.
Come sarebbero potuti andare al Campo Giove insieme, con Nico e Hazel, e come avrebbero potuto fare una nuova foto. Tutta la loro famiglia riunita, che salutavano al fotografo e sorridevano sotto il sole di San Francisco.
Ma non avrebbero più potuto farlo. Perché Nico era morto, Sarah era morta.
Ed era tutta colpa di Gea. Solo di Gea.
E Gea si sarebbe pentita di essersi messa sulla sua strada.
 

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Capitolo 47
*** Capitolo XLVII Cassandra ***


Cassandra impiegò qualche secondo a capire cosa Clarisse stesse dicendo. Il Pretore Zhang? Ma voleva dire che…
-Finalmente!- sbottò Talia.
-Johanna, tu vai ad occuparti di tuo fratello- disse con un brivido, osservando i tentacoli bianchi che si avvolgevano attorno alla Statua della Libertà.
La bambina annuì e scomparve nel muro d’acqua che delineava il loro corridoio per arrivare alla statua.
-Io cerco Jason- annunciò Talia –Appena lo trovo gli dico di venire da voi. Sarà sicuramente più veloce che camminare, e non abbiamo un secondo da perdere-
Un secondo dopo un rombo gigantesco fece vibrare il terreno e illuminò al negativo tutta la costa.
-Jason!- esclamarono insieme Piper e Talia.
-Non deve essere lontano- commentò Clarisse.
-Allora noi andiamo e…buona fortuna- disse Talia.
Cassandra annuì –Credo che ne avremo bisogno-
-Io non credo alla fortuna- disse stancamente Nico –ma solo alle nostre abilità-
-Allora credo che riponiamo le nostre speranze nelle persone giuste- sorrise Talia.
Nico non sorrise, ovviamente, ma chinò la testa in segno di riconoscenza.
-Io vi accompagno- disse Piper.
Thalia si arrampicò di nuovo sulla scogliera e partì all’attacco dei mostri insieme a Clarisse.
Gli altri tre, invece, iniziarono a correre nel terreno asciutto fino a Liberty Island.
Vedendo solo Nico al suo fianco, con Piper alle proprie spalle, sembrava proprio la scena del suo sogno.
Le nubi nere continuavano ad addensarsi sempre di più. Guardando verso il cielo Cassandra si sentì risucchiare dalle vertigini. Era come guardare un pozzo senza fondo, anzi il nulla, solo che invece di essere sotto i tuoi piedi era sopra di lei. Le sembrava di caderci dentro, ma la cosa era impossibile, vista che era sopra la sua testa. Avere la sensazione, quindi, di star correndo sul cielo, invece che sulla terra, aumentò il senso di vertigini e si costrinse a tenere gli occhi ben piantati a terra.
Non del tutto a terra, per distrarsi osservò il combattimento tra Percy e Johanna.
Talia aveva ragione quando diceva che la bambina era molto più brava in acqua del fratello, anche se il fratello era dotato di mostro gigante più alto della statua della Libertà.
Più di una volta dei giganteschi tsunami, che finivano sempre per infrangersi su una specie di barriera invisibile sulla statua della libertà, si scontravano con la testa del mostro gigante trascinando Percy nella corrente e facendo arrestare il mostro in preda alla confusione.
Cassandra non riusciva a vedere la bambina, ma era sicura che fosse nascosta da qualche parte sotto il pelo dell’acqua per evitare di incontrare Percy in un duello con la spada. Ora che ci pensava Cassandra aveva visto solo un piccolo pugnale assicurato alla vita di Johanna. Evidentemente non pensava che il combattimento corpo a corpo fosse la sua specialità.
Percy venne fatto schiantare ancora una volta in mare, con un urlo di esultanza di Piper.
Cassandra sperò che fosse finita, che il mostro si ritirasse in mare a causa della morte di Percy, o che avrebbe fatto quello che avrebbe dovuto fare in questa occasione, ma invece staccò uno dei suoi grandi tentacoli dal collo della Statua e lo proiettò in mare, veloce come un lampo, nonostante le dimensioni, e ne uscì con Percy in perfetto equilibrio su una delle ventose.
Un altro tentacolo, a cui Cassandra non aveva prestato attenzione visto che ve ne erano un altro centinaio, uscì dal mare tenendo stretta Johanna.
Piper si fermò con un grido. Cassandra prese l’arco e incoccò una freccia. Doveva provare e colpire Percy, anche se l’ultima volta non aveva funzionato.
-Ferma- disse Nico–Percy si è bagnato nelle acque dello Stigie, è invulnerabile ovunque tranne che in un punto-
-Come fai a saperlo?- chiese la ragazza.
Nico esitò –Perché lo accompagnai io…di nuovo-
Cassandra si voltò a guardarlo. Aveva lo sguardo di uno che aveva attraversato il Tartaro e, nonostante tutti gli orrori che aveva visto laggiù, ora aveva di fronte il suo incubo più grande.
Il ché poteva anche essere vero, visto che, secondo le storie che le avevano raccontato, lui era stato il primo mortale ad attraversare il Tartaro. E l’unico a farlo da solo e senza aiuti.
-Dove? Dove è il suo punto debole? Lo posso colpire da qui- gridò Cassandra. Era vero, poteva farcela, ma Nico non rispose –Nico! Quell’uomo vuole distruggere il mondo! A me interessa della vostra amicizia quanto interessa a lui, cioè nulla!-
Nico sembrava reprimere le lacrime, ma fu solo un secondo –Non posso dirtelo. Non potrei dirtelo nemmeno se lo sapessi-
-E chi lo sa?- chiese Cassandra –Piper, anche tu facevi parte dei sette-
-Mi spiace, ma l’unica era Annabeth e non credo che avremo grandi aiuti da lei- rispose la figlia di Afrodite.
Cassandra si voltò verso il mostro. Il tentacolo con Johanna si stava avvicinando a Percy sempre di più, per quanto la bambina cercava di liberarsi.
Cassandra non pensava che Percy l’avrebbe uccisa. Era la sua unica sorella ed era una bambina. Ma quello era Percy. Forse un tempo avrebbe sacrificato il mondo per un amico, ma non era più quel mezzosangue.
Johanna!
-Sua sorella potrebbe saperlo!- esclamò Cassandra.
Piper annuì –Fino a qualche mese fa erano molto legati, ma… ma non ce la vedo a tradire il fratello così-
-E poi- aggiunse Nico –è a venti metri da terra e noi non sappiamo volare-
-Non voi – sottolineò una voce alle loro spalle –ma io si-
I tre si girarono. Un uomo dai lineamenti orientali e della stessa età di Percy stringeva un arco in mano.
-Frank Zhang- disse sbrigativa Piper indicando l’uomo –lei è Cassandra e lui…lui sarebbe Nico. Come noti porta bene i suoi anni-
Frak sorrise –Lo vedo-
-Perché sei venuto?- chiese Nico.
-Perché Clarisse ha detto che avevate bisogno d’aiuto- spiegò lui.
-Non intendo qui- precisò Nico indicando il terreno sotto i propri piedi – ma qui- disse indicando New York –pensavo che gli dei Romani ve lo avessero proibito-
Frank si fece scuro in volto –è così, in fatti. Me ne sono preso la piena responsabilità, ma le Cacciatrici hanno contattato Jason con una disperata richiesta d’aiuto e… io sono per prima cosa Pretore di Roma, solo dopo alcune posizioni viene il Figlio di Marte, e Roma non poteva rimanere a guardare il Campo Mezzosangue essere distrutto e il Caos tornare sulla terra. Era mia responsabilità prendere questa decisione, a prescindere dagli ordini o dalla conseguenze-
-Siamo felici di vederti, Frank- assicurò Piper mettendogli una mano sul braccio.
-Allora vado a fare un salvataggio- disse lui.
Un secondo dopo era un’aquila, una gigantesca aquila imperiale.
-Però- commentò ammirata Cassandra mentre Frank si alzava in volo.
Piper lanciò uno sguardo alla città e Cassandra si unì a lei.
Una decina di aquile simili a quella in cui Frank si era trasformato volteggiavano sulla città, calando ogni tanto per uccidere qualche mostro. Anche da quella distanza si poteva vedere la formazione compatta dei legionari che schiacciava i mostri sulla costa, con le spalle al mare e il crepaccio creato da Johanna.
-Jason…dove sei…Jason…- mormorava Piper.
-Arriverà- la rassicurò Nico –Conoscendo Jason sta facendo piazza pulita in questo momento-
Come per confermare quello che aveva detto un fulmine si abbatté trai palazzi –Vedi- aggiunse Nico.
Cassandra non voleva far notare che poteva essere anche Talia, visto che Piper annuì e sembrò confortata.
Fece una domanda per farla distrarre –Ma non rischiamo di uccidere i mortali?-
Piper sorrise –Tu non sai quanto possiamo essere persuasivi noi mezzosangue. Abbiamo fatto andare via tutti con la lingua ammaliatrice mia e di qualche fratello e con il grande aiuto della foschia della casa di Ecate. Le ragazze figlie della dea della magia hanno fatto un grande lavoro, hanno anche messo degli incantesimi sul perimetro per impedire ai mortali di tornare dentro-
-Grandi- commentò Cassandra, anche se non capiva se era stato facile o difficile, essendo la sua prima battaglia –Perché i Romani sono così tanti?- chiese –Sono molti più di noi-
Piper si rabbuiò –Solitamente i Mezzosangue greci non hanno la…possibilità di fare figli. Quelli che raggiungano l’età adulta vengono fatti uscire dal Campo e si arrangiano nel mondo mortale…almeno fino all’avvento di Percy. Invece al Campo Giove ci sono anche i discendenti degli dei, nipoti, bisnipoti… e poi ci sono i veterani. Gli adulti. A quanto parte sono venuti proprio tutti, solo così possono essere così tanti-
Cassandra si voltò di nuovo verso il mostro marino appena in tempo per vedere l’aquila- Frank che passava agilmente sotto un tentacolo lanciato contro di lui, virava per schivarne un altro proiettato contro la sua ala destra e atterrava dietro a Johanna, beccando il tentacolo del mostro. Fortunatamente non era uno dei tentacoli più grossi e cedette subito la presa, lasciando la ragazza in caduta verso l’acqua, dove Frank planò e la raccolse sopra alla propria schiena.
Si adagiarono alcuni metri poco distanti dalla Statua, troppo lontani affinché Cassandra e gli altri potessero sentirli.
Piper iniziò a correre verso di loro e Nico e Cassandra la seguirono.
I due parlottavano tra loro. Frank stava gridando qualcosa alla bambina indicando Percy e il mostro e poi New York. Lei sembrava piangere e scuoteva con foga la testa.
Evidentemente Frank le stava chiedendo il punto debole del fratello e lei non voleva tradire Percy. Cassandra la capiva e le dispiaceva per lei, ma a volte andavano fatte delle cose per un bene superiore.
Alla fine la ragazza annuì in lacrime e si voltò verso l’acqua, dove scomparve. Pochi secondi dopo il mare stava di nuovo dando battaglia al Kraken.
Arrivarono a pena in tempo per parlare con Frank –Sai dove devi colpirlo?- chiese Piper.
L’uomo annuì, un po’ bianco in viso. Cassandra pensò che dovevano essere amici, Piper, Frank e Percy, e che non doveva essere piacevole quello che stavano per fare. Ma che altre possibilità avevano?
-No!- gridò Nico –Percy è nostro amico, voi non potete…non potete…-
Era la prima volta che Cassandra gli vedeva manifestare così apertamente i propri sentimenti e la cosa le fece un po’ paura. Il terreno iniziò a creparsi sotto i piedi del bambino e lui stesso divenne ancora più spaventoso.
-Nico, sai cosa direbbe Hazel, no?- disse Piper con dolcezza –Calmati. Calmati-
Ogni volta che Piper diceva quella parola Cassandra si sentiva sempre più rilassata, tanto che si fece scivolare l’arco dalla mano, cosa che la riportò alla realtà.
Frank deglutì a fatica e si trasformò in un’aquila, spiccando il volo.
Nico gridò e dalle crepe nel terreno spuntarono dei fantasmi che afferrarono l’aquila e che la rispingevano verso terra.
-Nico- disse una voce dietro di loro. Era una voce calma e controllata, che ispirava fiducia. E vagamente familiare.
Un uomo biondo, dagli occhi azzurri, si avvicinò al bambino, sussurrandogli qualcosa all’ orecchio.
Jason si allontanò e sorrise incoraggiante a Nico, il quale annuì, asciugandosi le uniche lacrime che, probabilmente, avesse mai versato da quando era diventato il Nico inquietante che tutti conoscevano.
Le uniche che avesse mai versato in pubblico, almeno.
I fantasmi tornarono nella terra che si richiuse e Frank poté spiccare il volo.
-Talia ha detto che avevate bisogno di me- spiegò Jason, passando un braccio attorno al collo di Piper, la quale gli strinse la mano.
Cassandra si fece avanti –Dobbiamo raggiungere la corona della statua, non abbiamo tempo per le scale-
Jason annuì –Chi è il primo?-
Nico si fece avanti, tenendo la testa girata verso New York –Va bene- disse Jason –facciamo due chiacchere-
Prese per la vita il bambino, che sobbalzò per il contatto fisico, e spiccò il volo.
Nel frattempo Cassandra era concentrata sul mostro e Percy.
Frank l’Aquila aveva raggiunto il punto desiderato e si era trasformato in essere umano, sorretto dall’ acqua di Johanna e scoccò una freccia diretta verso la schiena di Percy. Era un colpo ottimo, degno di un figlio di Apollo, ma non arrivò mai a destinazione. Percy fece alzare un tentacolo al mostro e il dardo si conficcò nella sua carne bianchiccia e umida.
Il figlio di Poseidone si voltò verso Frank, che si era già trasformato in un pesce e si era buttato in acqua, lasciando arco e frecce indietro, visto che erano inutili.
Evidentemente come pesce poteva comunicare con Johanna che lo aiutò, perché l’ennesima onda colpì Percy che cadde dalla testa del mostro.
Percy ricomparve su un tentacolo del mostro, ma, stupidamente, non si accorse della cosa luccicante che si dimenava dietro di lui come…come un pesce fuori dall’ acqua.
Il pesce tornò in un attimo ad essere una persona. Cassandra vide Percy voltarsi con il trionfo dipinto in faccia, e un tentacolo del Kraken avvolse Frank. Percy fece tre passi e si trovò a pochi centimetri dall’ ex-amico. Estrasse una penna dalla tasca che si trasformò subito in una spada e la conficcò fino all’elsa nello stomaco di Frank.
Piper urlò e anche Cassandra emise un verso di disgusto e rabbia.
Frank si portò la mano allo stomaco mentre Percy si voltava e sorrideva trionfante alle ragazze sbigottite sul fondale prosciugato.
In quel momento Frank estrasse la mano dall’armatura, dallo stomaco, con qualcosa di luccicante stretto in mano, luccicante come oro…
Percy non riuscì nemmeno a finire di sorridere che la lama di Frank trapassò l’armatura e affondò nella sua schiena.
Il suo sorriso si spense e cadde in avanti, in acqua.
Il mostro iniziò a impazzire, sventolando i tentacoli ovunque e lanciando Frank contro la statua, per poi farlo cadere in mare.
Lentamente i tentacoli protesi verso il cielo si trasformarono in finissima polvere di mostro, mentre il resto del mostro era diventato una fanghiglia nel mare di New York.
Quando Cassandra si voltò verso Piper vide che la ragazza era scomparsa e al suo posto c’era solo Jason Grace che guardava tristemente il mare.
-Eravate…eravate amici?- chiese all’ uomo.
Lui scosse la testa –Non credo che abbia importanza, ormai. Tu no?-
Cassandra si strinse nelle spalle e si fece abbracciare da Jason. Sentì la terra allontanarsi e chiuse gli occhi.
Lei pensava che contasse, invece. Contava come e perché morivi, non solo il quando, e contava come vivevi.
Frank aveva fatto una morte eroica, era stato un vero eroe.
Nessuno lo avrebbe dimenticato mai, come nessuno avrebbe mai dimenticato Percy Jackson e tutto quello che aveva fatto per il mondo quando era in vita.

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Capitolo 48
*** Capitolo XLVIII Alexander ***


Alexander sentì a malapena l’esplosione. Hazel tornò indietro, dicendo qualcosa che lui non capì. Evidentemente gli aveva detto di rimanere là e quello che stava andando a fare.
Non sarebbe riuscito a muoversi nemmeno volendo. Poche ore prima, prima di incontrare Cassandra, avrebbe giurato di non poter rimanere fermo a guardare del muschio con gli occhi pieni di lacrime, senza nemmeno riuscire a piangere, mentre un suo amico moriva. In particolare se questo amico era Sarah.
Ma ora non poteva fare altro. Se Hazel era andata a controllare che Sarah fosse ancora viva Alexander non sarebbe mai riuscito a seguirla.
Pochi secondi prima avrebbe dato qualsiasi cosa pur di vedere ancora i suoi occhi verdi come i prati in primavera, la sua faccia sicura di sé, forse un po’ arrogante. Ma ora non sarebbe mai riuscito a vedere quegli occhi spalancati, ma che non riuscivano più a restituire i suoi sguardi, quella faccia rigata di sangue e polvere.
Comunque Hazel non ci mise troppo. Forse aveva impiegato solo due secondi o forse minuti, tanto Alexander non riusciva a tenere il corso del tempo.
“Uno la missione tradirà
e non stupitevi quando la mortale perirà”
Era per questo? Sarah lo aveva fatto per questo? Pensava di non aver possibilità di salvarsi da questa missione, invece Hazel no, Hazel ne poteva uscire.
Alla fine la stessa presenza della profezia l’aveva fatta avverare, quindi. Se Sarah non avesse mai conosciuto quei versi si sarebbe salvata.
Era un pensiero amaro che gli faceva salire la bile fino alla bocca, ma non poteva toglierselo dalla testa.
Finalmente Hazel riuscì a rompere il suo muro invisibile e farsi sentire –Dobbiamo andare, Alex-
Alexander aprì la bocca per chiedere cosa fosse andata a controllare, ma non ci riuscì. Non voleva saperlo.
Anzi, non voleva conoscere la risposata. Fino a quando non lo sentiva poteva essere vero che Sarah fosse ancora viva, non poteva chiedere.
In risposta, quindi, annuì e si fece guidare da Hazel poco discosti dalla casetta, senza guardarne i resti.
Chiuse gli occhi e si impose di non piangere, di non pensarci. Di non pensare a nulla.
Ma era impossibile. Il suo cervello aveva bisogno di qualcosa da analizzare, vista la sua iperattività. E aveva bisogno di qualcosa che non fosse il viso di Sarah o la statuetta di Nico nella tasca dei pantaloni.
Non l’aveva mai vista, ma si costrinse a pensare a Gea, a immaginarsi il suo volto.
Non riusciva mai a costruirsene una figura intera o cosante, solo una cosa non cambiava mai: il suo ghigno.
La pensava come una donna vecchia, vecchia come la Terra stessa e che doveva anche irradiare forza, ma allo stesso tempo disprezzo e odio. Doveva essere terrificante e odiosa allo steso tempo.
Si costrinse a immaginare la sua lancia sguainata trapassarle lo stomaco, proprio sotto lo sterno, senza alcuna difficoltà. Il suo sangue che gli colava sulle mani e che gli macchiava i vestiti. No, probabilmente aveva l’icore dorato degli immortali. Qualunque cosa fosse voleva riempirci tutto il parco nazionale, affogarci i mostri degli dei nel suo sangue.
Andò quasi a sbattere contro Hazel, non accorgendosi che si era fermata.
D’avanti a loro si apriva una radura enorme, grande tre o quattro volte un campo da calcio. Qua e là si vedevano buche lasciate da alberi sventrati o ceppi divelti a metà.
Evidentemente quella zona non era così quando il Parco era sotto il controllo dello Stato, ma era stata trasformata da Gea.
La radura aveva una forma circolare. La terra si alzava in una lieve collinetta mano a mano che arrivava al centro, e l’erba diventava sempre più bruciata e morta, come se qualcosa, al centro dello spiazzo, avesse raccolto l’energia vitale delle piante partendo dal centro.
E al centro della collinetta c’era una persona. Questa dava le spalle ai due Mezzosangue e loro non potevano vederla in viso. Dalla statura si poteva dedurre che fosse una donna, dai capelli scuri raccolti in una treccia che le ricadeva d’avanti alla spalla. Era in tenuta da combattimento romana, con un mantello rosso che normalmente portavano i Centurioni, ma Alexander non poteva esserne sicuro.
Contro ogni regola del buon senso Alexander estrasse la lancia e la fece tornare alla sua lunghezza originaria. Di certo, nonostante quello che avesse immaginato, lui, uno dei peggiori nel combattimento corpo a corpo, non poteva sperare di battere Gea in un duello, ma doveva avere un’arma tra le mani, con la quale ci avrebbe almeno provato.
-è quella Gea?- chiese con rabbia.
Hazel sussultò al tono del fratello –Noi la chiamavamo la Donna di Terra perché, be’…era di terra. Vestiti, capelli… quella sembra un Centurione Romano-
-Non può essere Terra, la versione Romana di Gea? Non potrebbe essere vestita da ufficiale, avrebbe senso- commentò sibilando Alexander.
-Ma quella donna…- mormorò Hazel strizzando gli occhi. Hazel non aveva una cattiva vista ma, per quello che aveva scoperta mentre viaggiavano insieme, Alexander sapeva che quello con la vista acuta era Nico –Non so, credo di conoscerla. Ma non posso esserne sicura da così lontano-
-Cosa sta facendo?- chiese Alexander.
In effetti Gea, Terra, o chiunque fosse quella donna, era semplicemente seduta al suolo, o meglio, era inginocchiata, seduta sui talloni, con le mani che appoggiavano le palme a terra, come se volesse assorbirne l’energia.
-Non lo so- ammise Hazel –ma il suo comportamento mi pare strano -
Alexander non sapeva cosa dire. Quella che aveva affrontato Gea era Hazel, non lui.
Avrebbe tanto voluto che con lui ci fosse Nico, che con i suoi fantasmi avrebbe potuto fronteggiare anche Gea, ne era sicuro, o almeno avrebbe creato un diversivo o avrebbe mandato un morto in avanscoperta.
Una fitta di nostalgia per il fratello lo colse senza preavviso, quasi costringendolo a piangere, riportando alla mente anche Sarah, che per qualche minuto era riuscito ad accantonare.
Non ora, non ora pensava.
Ricordò Nico quando era andato a salvargli la vita sulla nave, come lo aveva evitato per una mattina intera. Come lo aveva chiuso nel bagno e come aveva spiegato che era un Semidio, come aveva combattuto contro Percy, nonostante non riuscisse nemmeno a mettersi in piedi. Come non aveva voluto consegnargli Alexander, nonostante farlo volesse dire salvare tutta la nave e nonostante Percy gli avesse promesso la salvezza per lui e per Hazel. E solo perché, nonostante non lo conoscesse nemmeno, gli voleva bene. Si vergognò per come lo aveva lasciato andare alla Statua senza nemmeno andare a salutarlo. Perché se la prima volta che era morto non avrebbe potuto fare nulla per aiutarlo quella volta avrebbe potuto, avrebbe potuto trovare un modo, cercare una soluzione alternativa, o almeno fargli capire che non moriva da solo. Si vergognò per come si era sentito quando lo aveva rivisto, la notte che era arrivato con Luke.
Non era felice, era solo shockato. Si ricordò di quando gli aveva dato la statuetta prima di scomparire nell’ ombra.
Si sentì anche arrabbiato con il padre, almeno un po’. In fondo era stato lui a fargli lasciare il Campo e farlo unire alla missione, nonostante fosse solo un bambino di dieci anni.
Perché era il solo modo per salvare il mondo, la profezia. Era l’unica scelta, una cosa predestinata gli disse una vocina nella testa.
Ma Alexander non aveva mai creduto nel fato o nel destino, mai riposto la fiducia nelle profezie. Non credeva alle scelte obbligate o quelle predestinate. Era tutto un modo per scappare dalle responsabilità, secondo lui. C’era sempre una seconda scelta, un altro modo. Magari una scelta meno facile, ma una scelta giusta.
Niente accadeva solo perché lo voleva il destino e nemmeno le Parche potevano interferire nelle loro vite, se loro non lo volevano.
E se non aveva avuto il coraggio o la forza o la determinazione per salvare Sarah dalla profezia o Nico dalla sua missione avrebbe avuto il coraggio e la forza e la determinazione per fare quella scelta folle in quel momento, di fronte a Gea. Magari non era quella facile e magari non era neppure quella giusta, tanto per cambiare.
Ma sarebbe stata sua.
Lui non credeva nelle battaglie già perse in partenza e, anche se era impossibile che un mezzosangue alla prime armi potesse battere una dea più antica anche degli dei dell’Olimpo, non era impossibile che lui, Alexander Johnson, ci riuscisse.
Nulla è impossibile fino a quando noi non scegliamo che lo è
Prese un respiro profondo e strinse la lancia.
Il metallo freddo gli diede come una scossa su per il braccio e capì, solo in quel momento, che le sue gambe si erano già mosse.
Stava correndo come un folle verso Gea. Come un folle, si, ma era un folle libero.
Sentì Hazel che lo seguiva, senza urlare o protestare, senza dirgli che stava sbagliando. Comunque non si sarebbe fatto fermare, non ora, non ora che si trovava a meno di cento metri dalla dea.
Sentì un sapore metallico in bocca e si accorse che si era morso il labbro fino a farlo sanguinare. Cercò la ferita con la lingua e poi portò il labbro ancora trai denti, stringendo forte e riempiendo tutta la bocca, dalla parte esterna delle lebbra, fino alla gola, con un fiotto di sangue.
Passò la lingua sui dento posteriori e vi trovò ancora quel sapore.
Ormai andava avanti solo grazie all’adrenalina, senza neppure respirare.
Solo quando arrivò a meno di due metri dalla dea sentì la faccia sbattere contro qualcosa di duro, per accorgersi dopo che era il suolo.
Cercò di tirare la gamba destra per rimettersi in piedi solo per scoprire che era affondata nella terra e che questa lo teneva come una morsa d’acciaio.
Sentì al suo fianco Hazel tirare anche lei la gamba per estrarla dal terreno, senza alcun risultato.
Alzò lo sguardo su Gea.
La dea era in piedi e si stava voltando, lentamente e con grazia.
Alexander rimase senza parole. Se si era immaginato di trovare una vecchia si sbagliava.
La donna che si trovava d’avanti non poteva avere più di trentacinque anni, anche se a prima vista Alexander gliene avrebbe dati almeno cinque meno. I capelli neri le ricadevano fino al gomito, legati in una treccia, proprio come avevano visto da lontano.
Gli occhi scuri erano posati su di lui in un’espressione calma e controllata, di chi non può essere spaventato da niente e nessuno, come una dea.
Un sorriso compiaciuto le increspò lievemente la pelle olivastra delle guance.
Alexander conosceva quella donna, gli aveva salvato la vita meno di un mese prima.
Era il Centurione Reyna.
 

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Capitolo 49
*** Capitolo XLIX Cassandra ***


La stanza in cui vennero lasciati da Jason era esattamente quella del sogno di Cassandra, solo che ora che ci arrivava da sveglia riusciva ad accorgersi di cose di cui non si era accorta prima.
Il soffitto era molto basso tanto che se Cassandra fosse stata alta, cosa che non era assolutamente, sarebbe quasi riuscita a sfiorarlo con la punta delle dita, accanto alla finestra.
Il soffitto sembrava increspato, come se ci fossero delle onde marine scolpite, invece di capelli. Il resto era identico a come lo aveva ricordato: le finestre che mostravano le ombre addensarsi nel cielo, le pareti di rame ossidato e un macchinario nel centro della stanza, con un uomo che ci lavorava attorno. Leo Valdez.
Piper cercava di farlo parlare, ma lui continuava ad affaccendarsi sulla macchina come se non la sentisse e non la vedesse.
Nico se ne stava in disparte in un angolo e ogni tanto, da quando erano entrati, lanciava delle occhiate a Jason che passavano da odio puro a sguardi di un ragazzo in cerca di protezione.
L’altro, dal canto suo, sembrava totalmente rapito dalla vista di Leo in mezzo alla stanza, come se gli avessero tirato un pugno in pieno stomaco. Barcollò addirittura all’indietro e si dovette appoggiare ad una delle finestre per non cadere –Leo e Gea…la madre…non Leo…- farfugliava.
-Credo che sia sotto un incantesimo- disse Cassandra in tono pratico, avvicinandosi al centro della stanza.
Piper sussultò quando la sentì arrivare. Aveva gli occhi pieni di lacrime mente parlava con l’amico –Non funziona- disse guardando la ragazza –Nemmeno la lingua ammaliatrice…non funziona nulla-
-Spostati- disse Cassandra all’ atra, gentilmente.
Cassandra si mise accanto a Leo e lo costrinse a guardarla –Ti voglio bene- scandì, ma non successe nulla.
-Cosa fai?- chiese Jason, non del tutto ripreso dallo shock.
Cassandra arretrò sorpresa –Nel mio sogno continuava a dire questa frase, pensavo avesse un significato-
-Dire?- sottolineò Piper –Non mi sembra in grado di parlare-
-No- precisò Cassandra –La batteva con il linguaggio Morse-
La donna si illuminò –Ma certo! La madre gli aveva insegnato il linguaggio Morse e quella frase, ti voglio bene, era una di quelle che lei gli batteva sempre- sembrò pentita di averlo detto, come se fosse stato un segreto.
Comunque Cassandra non sapeva cosa farci, ora che lo sapeva.
-Sta dicendo qualcosa?- chiese Jason.
Cassandra si voltò verso Leo, che in effetti stava muovendo la bocca, ma non emetteva alcun suono.
Nico lesse il labiale – Dice “Calipso”. È quella ninfa che è stata costretta a vivere a Ogigia per l’eternità. Cerca di costringere gli uomini a rimanere là con lei…-
-Ti sbagli, Nico- disse Jason –Calipso ha incontrato sia Percy che Leo e li ha fatti andare via, anche se Leo non mi ha mai voluto dire cose lo avesse sconvolto tanto dell’ incontro con lei-
-Lui crede di essere a Ogigia- disse Cassandra, osservando il volto assorto di Leo –Lui è innamorato di Calipso, crede di farlo per lei…-
Il suo cervello ripercorse il sogno al contrario e afferrò un chiodo che Leo aveva lascito a terra, iniziando a battere tre parole sul metallo della parete. Ti voglio bene.
Leo alzò la testa, vagamente stupito, ma ancora non sembrava riuscire ad accorgersi di loro.
-Ora Piper, riportalo da noi con la tua…lingua ammaliante-
-Ammaliatrice- la corresse la donna avvicinandosi all’amico –Leo, siamo qui. Sei sotto un incantesimo. Se torni qui ci potrai aiutare, potrai riavere la tua vita. Potremo trovare un modo per farti tornare veramente da Calipso. Leo, svegliati- cassandra percepì tutto il potere che Piper aveva messo nell’ultima parola.
Leo trasalì, ispirando profondamente, come un uomo affogato che fa rientrare l’aria nei polmoni –Pip?- chiese stralunato, cadendo a terra.
Jason e Piper gli furono subito sopra, aiutando a rimettersi in piedi.
Leo aveva ancora lo sguardo un po’ perso, ma era abbastanza presente da parlare –Dove siamo?- disse fissandosi intorno –E chi sono loro?- chiese indicando Cassandra  e Nico –No, aspetta, lui lo conoscevo…- per poco non cadde ancora, ma Jason e Piper lo sorressero.
Fu la donna a parlare –Lei è Cassandra Williams, e lui è Nico di Angelo. È di nuovo un bambino, lo so, è uno shock. Siamo nella Statua della Libertà e…-
Leo sembrò accendersi –No!- esclamò –Alla fine ci è riuscita!-
-Riuscita?- chiese Jason.
Leo prese un respiro profondo e iniziò a raccontare –Gea mi ha rapito quasi un mese fa e mi ha portato qui, chiedendomi di fare un macchinario abbastanza potente da riportare il Caos sulla terra-
Vedendo le loro facce interrogative sentì il bisogno di aggiungere qualcosa –L’ intera Statua non è che una specie di antenna per richiamare creature mitologiche. Uno dei francesi che ha contribuito a realizzarla, Eiffel, era un mio fratello. Non a caso tutta la statua, come la torre di Parigi, sono state costruite con tecniche all’avanguardia anche per il tempo. Vedete, il modo in cui sono stati saldati…-
-Leo, arriva al punto- lo richiamò Jason, evidentemente abituato alle divagazioni di genere tecnico di Leo.
-Si, scusa- sorrise l’altro –è stata messa qui per richiamare mostri, per lo più. Gli dei l’hanno disattivata, e l’hanno lasciata come monito a tutti i Mezzosangue che si sarebbero mai voluti alleare con Gea, che sarebbero stati battuti. Gea, però, ha avuto bisogno solo di un meccanico, per quanto brillante e geniale e, riconosciamolo, simpatico e divertente, come me per riattivarla-
Leo era capace di sorridere anche nelle occasioni più serie, a quanto pareva. Cassandra lo ammirava per questo e sentì subito simpatia per l’uomo.
-E questo meccanico brillante, geniale, simpatico e divertente stava aiutando Gea perché, esattamente?- puntualizzò Jason.
Il sorriso di Leo si spense –Mi ha fatto un incantesimo, io…sono stato stupido. Le ho fatto scoprire l’unica cosa che volevo veramente e le ho offerto il mio aiuto su un piatto d’argento-
-Quello che volevi veramente?- chiese Piper –Tu mormoravi il nome di Calipso, la ninfa…-
Leo trasalì –Ve…veramente?- sospirò –Bene. Da quando Chione mi ha scagliato sulla sua isola ho sempre desiderato tornare da lei perché…perché…mi sono innamorato-
Piper sorrise incoraggiante, mettendogli una mano sulla spalla –Ho cercato di aggiustare un astrolabio appartenuto ad Ulisse, ma niente. E così Gea mi ha fatto tornare lì, da lei… e io ho fatto tutto quello che Calipso mi chiedeva. Anche se non era Calipso, era Gea- disse con odio.
-Come possiamo far tornare indietro il processo?- chiese Cassandra.
-Non possiamo- disse Leo, anche se il suo viso diceva tutt’altro –In realtà si, ma tre persone moriranno, minimo-
Cassandra strinse il pugno per non tremare. Sentirsi sbattere la sua morte in faccia così non le face piacere. E poi…tre morti? Non dovevano essere solo lei e Nico?
-Lo so- rispose solamente –Dicci solo come-
Leo iniziò a spiegare, leggermente colpito dalla fermezza dalla ragazza –Uno deve andare al piede della statua e distruggere la macchina, per evitare che altra essenza esca da dove arriva quella cosa, altri due dovranno usare questa- disse indicando la macchina sulla quale lavorava –per distruggere quello che è già uscito. Anche solo questa parte di Caos potrebbe distruggere il mondo e comunque, con quello che è già arrivato nel mondo dei mortali, Caos potrebbe riuscire a richiamare tutta la sua essenza qui-
-Va bene, come?- chiese Cassandra.
Leo sorrise senza troppo divertimento –Mi sembra di difficile che chiunque di noi ci riesca, amici. Quando il suo costruttore ha finito la statua, nel suo cuore, ha messo un meccanismo che può far riassorbire alla statua tutto quello che ha fatto uscire. Questo compito lo aveva affidato a due Mezzosangue suoi amici. Uno era figlio di Ade e l’altro di Apollo, quindi solo due loro fratelli possono, e solo se hanno determinati poteri- lo sguardo di Leo cadde sulla faretra di Cassandra –Luce e oscurità insieme. Come la natura umana, dove nessuna prevale sull’ altra, ma insieme arrivano ad uno scopo comune. Uno positivo- Leo sorrise –ma sono solo un meccanico, non un filosofo-
Cassandra osservò la propria faretea. Il discorso di Leo era simile a quello che le aveva fatto suo padre sull’ oggetto, quando lo aveva visto. “La luce non brilla senza oscurità” aveva detto. Si riferiva ovviamente al fatto che avrebbe dovuto portare Nico con sé, ma non era solo quello. Che tutto il bene che avrebbero fatto non ci sarebbe stato senza il male al quale dovevano porre rimedio e che il bene, proprio come il male, erano nella natura stessa del mondo, degli dei e degli uomini. Nessuno ci poteva fare niente, solo accettarlo e far sì che le tenebre non vincessero mai sulla luce.
-Quindi, chi andrà a chiudere di sotto?- chiese per cambiare discorso.
La faccia di Leo si fece più scura –Perché funzioni il tutto va chiuso dopo l’esplosione. Quindi, chiunque vada là sotto…-
-Morirà- completò Piper per lui.
Leo annuì –Ma senza un figlio d’ Apollo…-
-Io sono figlia d’ Apollo- disse Cassandra. Si accorse che, per la prima volta, aveva detto quella frase senza odio e senza vergogna, forse con un po’ d’ orgoglio –Io e Nico siamo qui per questo-
Leo li guardò addolorato –Bene. Jason, porta Piper lontana dall’esplosione…-
-No Leo, ci vado io- protestò il figlio di Giove.
-Non essere sciocco- sorrise Leo. Aveva di nuovo il sorriso che lo faceva somigliare ad un elfo ispanico e gli donava più della faccia triste –Io so come far funzionare questa macchia, amico. Tu spari fulmini e io faccio il meccanico, non confondiamo i mestieri-
-Leo…-incominciò Piper con la faccia di una che concentra tutto il suo potere nelle parole che sta per pronunciare.
-Non ci provare, Miss Mondo- la fermò Leo alzando una mano –Tu torni indietro con Superman-
-Perché, Leo? Non vuoi tornare da Calipso?- chiese Piper, sapendo che era colpo basso.
Leo sorrise all’amica –Tutto questo è successo solo perché mi sono innamorato di Calipso, forse, per quanto la ami, non merito di tornare da lei, forse…-
-Non dirlo nemmeno per scherzo- lo rimproverò Jason –Tu meriti di rivedere Calipso, quella vera-
-Forse no. Tutto questo è colpa mia. Se uno deve rimanere quello devo essere io, capisci? Non potrei tornare a Ogigia facendo finta di non aver lasciato un amico a morire per lasciarmelo fare. E voi siete miei amici, ragazzi- rispose Leo.
-Leo…-ora il tono di Piper era disperato e non cercava di usare la sua lingua ammaliatrice.
-Me lo fai un favore?- chiese Leo alla ragazza. Anche se cercava di sorridere le sue mani si erano fermate e dalla sua voce traspariva la tristezza –Trova il modo di dire a Calipso…dille che volevo tornare. Che non le ho mai mentito. E se non sono riuscito a farlo è proprio perché l’amavo-
Piper annuì lievemente –Ci proverò con tutta me stessa-
Jason sorrise –Leo, sei il ragazzo più irritante che abbia mai conosciuto-
-Ci sei arrivato alla fine- disse Leo con finta soddisfazione –Mi ci impegno veramente, grazie di averlo riconosciuto-
-Jason- disse Nico –Puoi fare un favore a me?-
-Se è per Percy…-
-No, non è per Percy- assicurò l’ altro –Se incontri mio fratello e mia sorella, di loro che io starò bene dove sono. Che ci sono delle persone che hanno più bisogno di me del loro aiuto, che la morte non…non mi spaventa. Che li voglio bene e che sono orgoglioso anche io di essere stato loro fratello. E se ne hanno bisogno, ricorda loro che non devono abbandonarsi al rancore. È importante, sembra che si un nostro grave difetto e questa volta nessun Di Angelo sarà là per dissuaderli-
Jason annuì –Cassandra?- chiese con gli occhi colmi di tristezza.
-Luke. Che se…se avessi dovuto scegliere tra me e lui avrei scelto sempre lui, ma lui non deve farlo. Digli di trovare altro per cui vivere. E Jane. Ricorda a Jane che lei è mia sorella, e che non potrei mai fallire avendo lei come esempio-
Jason sorrise ai tre e strinse Piper prima che potesse urlare e scalciare e la portò via.
Leo esibì un sorriso da orecchio a orecchio, estraendo una scatola di mentine dalla cintura degli attrezzi –Che c’è? Morire mi mette fame-

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Capitolo 50
*** Capitolo L Alexander ***


Lo shock fece cadere l’arma dalla mano di Alexander.
Reyna? Non ci aveva parlato molte volte, ma quando lo aveva salvato durante Caccia alla Bandiera aveva dimostrato la sua integrità e il suo senso di giustizia.
Reyna era una persona che irradiava giustizia. Anche forza, e potere anche, ma soprattutto giustizia.
Ma quello che stava facendo non era affatto giusto, era tutto il contrario di quello che, a di fuori di ogni ragionevole dubbio, si potesse definire giusto o corretto.
Ma c’era qualcosa che non andava nel suo sguardo. Proprio nel momento in cui si voltò, sempre con il disprezzo dipinto in volto, i suoi occhi luccicarono e divennero d’oro.
Un sorriso di pacata soddisfazione si dipinse sul volto del Centurione.
-Tu!- gridò Hazel –Proprio tu! Io riponevo tutta la mia fiducia nella tua lealtà. Non me lo sarei mai aspettato-
-Hazel Lavesque, cara- disse Reyna. La sua voce era profonda, come se venisse dal cuore stesso della terra, calma e lenta, come se avesse tutto il tempo dell’universo. Quella voce fece rabbrividire Hazel –Non mi riconosci? Ti ricordi di me? Io mi ricordo bene di tua madre…-
-Zitta!- gridò il Pretore.
-Ma come, così sgarbata? Pensavo che ci fossimo divertite, tu, io e tua madre- rispose l’altra.
-Hazel, che succede? Come fa Reyna a conoscere tua madre, tu sei vissuto un sacco di anni prima di…-chiese Alexander.
-Io non sono Reyna- lo corresse la donna –Io sono Gea. Reyna è solo una gentilissima ospite-
Alexander si ricordò delle storie su Crono e Luke. Ma Luke aveva dovuto fare una cosa orribile, gli era stato detto, per ospitare l’anima di Crono, anche se non capiva come un bagno potesse essere tanto orribile.
-Reyna non si è mai immersa nel fiume Stigie- fece notare lui –Come può ospitarti nel suo corpo?-
Gea rise. Una risata lenta e calma, che faceva innervosire Alexander –Mi sorprende che, tra tutte le cose, tu mi voglia chiedere proprio questa, Alexander Johnson. Non vuoi sapere perché la vostra amica vi ha traditi così, per esempio? O quanto tempo rimane prima che io ritorni? O se tuo fratello, Nico di Angelo, sia stato già spazzato via dalle mie truppe? In ogni caso, no. Reyna non si è immersa nel fiume Stigie. Lei ha usato su di me una magia simile a quella che altri mezzosangue usano sui mostri per riportarli velocemente dal Tartaro. Dovresti conoscerla, piccolo eroe- sorrise malevola la dea. Certo che la ricorda: doveva essere la magia che aveva utilizzato Percy per richiamare il Kraken e distruggere la nave da crociera dove si trovava con sua madre. Come poteva dimenticare?
–Vedo con piacere che rammenti- osservò Gea –Solo che, quella sciocca, non ha capito che nessuno può avere il controllo su di me. Io sono Gea, non ho un mostro qualunque. Proprio questo incantesimo la tiene in vita, anche se in altri casi la mia presenza dentro di lei l’avrebbe consumata.
Ovviamente non che mi debba preoccupare che un corpo mortale come il suo venga ucciso da mezzosangue come voi, visto che ci sono io a difenderla fino a quando la mia metamorfosi non sarà definitiva-
-Definitiva?- chiese Alexander.
-Già. Ho voluto seguire le orme di mio figlio Crono. Userò un insulso semidio per rinascere, sfruttando la sua forza vitale-
-Lo sai vero- Alexander si costrinse a sorridere –che Crono è stato battuto miseramente da quell’ insulso semidio?-
Alexander ripensò al giorno precedente al campo dei figli di Ermes e a come aveva scoperto la verità su Luke Castellan che Percy voleva insabbiare. Gea sottovalutava i mezzosangue e i legami che li univano: quelli che avevano unito Luke alle sue amiche e quelli che avevano unito Alexander ad Hazel, Nico e Sarah.
Gea agitò una mano come per scacciare una mosca fastidiosa –Ma io non sono Crono. Il mio piano funzionerà. La ragazza si mantiene in vita con la mia forza vitale e io con la sua. È perfetto, visto che io proteggo lei-
Alexander aveva bisogno di tempo per pensare, anche se di tempo, ammesso che non li uccidesse nella forma di Reyna, non ne avevano proprio.
-E le altre domande? Perché Reyna ci ha traditi? Quanto tempo ci rimane? E Nico?-
Gea parve soddisfatta –Per la seconda domanda: credo meno di dieci minuti. Poi il suo corpo esploderà quando io rivelerò la mia vera essenza e voi verrete polverizzati con lei. Credo che sia una morte dignitosa, uccisi da Gea in persona. Se la cosa vi fa stare meglio, quella sarà la vostra morte. Avete ancora dieci minuti di vita-
Dieci minuti di tempo per batterti pensò Alexander.
-Per la terza domanda, la più interessante- continuò Gea –Credo che tutti i tuoi amichetti siano caduti perfettamente nella trappola che ho ordito. Si sono concentrati tutti su Caos, senza pensare alla vera minaccia: me. Non che avessero scelta, è ovvio. Caos era un diversivo con i fiocchi, uno di quelli che, se non avessero funzionato come diversivo, sarebbero stati l’arma perfetta. Comunque Nico credo che stia saltando in aria proprio adesso. Sono stati bravi, e coraggiosi, ma quando i semidei si accorgeranno che tutte lo loro forze e sacrifici sono stati sprecati non faranno più in tempo a fermarmi. E gli dei con loro. Nessuno potrà uccidermi e impedirmi di distruggere l’Olimpo-
Alexander strinse i pugni e si impedì di urlare contro la dea. Come poteva sorridere così parlando della morte di suo fratello? Come si permetteva?
-Mi spiace deluderti- disse lui, mantenendo un sorriso spavaldo che non si sarebbe adattato a lui nemmeno in circostanze normali –Gli dei sono venuti con noi. Stanno uccidendo i tuoi mostri. Tra poco saranno qui-
Un’ombra vacillò sulla faccia di Gea –Menti, semidio. Gli dei sono contro di te. Quella profezia gli ha ingannati molto bene. Se non ti stanno ostacolando non ti stanno neppure aiutando-
Alexander digrignò i denti ma non rispose.
La calma trionfante tornò sul volto della dea –Bene, come immaginavo. Ma non vi preme più una risposta alla vostra domanda? Io amo la lealtà e desidero raccontare a qualcuno quella di Reyna, per quanto breve possa essere la vita di queste persone alle quali la racconto. La lealtà, come quella tua e di tua madre, Hazel- rivolse alla donna un sorriso gelido.
Il viso di Hazel, rigato dalle lacrime da quando avevano nominato Nico, era stravolto dalla rabbia, e cercava di tirare la gamba fuori dalla roccia con tutte le sue forze.
-Comunque, il nostro Centurione- proseguì Gea –si è piegata alla mia richiesta di servirmi con il suo corpo. Le avevo promesso che se lo avesse fatto avrei risparmiato il suo patetico campo di semidei Romani. Sfortunatamente si è trovata a trattare con me e non con Terra, lei magari avrebbe tenuto fede a quella promessa-
La cosa alla quale Reyna teneva di più, allora, era il Campo Giove? Al campo della casa 11, la sera prima, aveva sentito al vera storia della sconfitta di Crono. Di come l’amore avesse riportato indietro Luke. Potevano fare qualcosa del genere per Reyna?
Guardò Hazel e vide, dalla sua espressione, che lei aveva capito.
-E Reyna non si è pentita di aver tradito Jason?- chiese il Pretore – Jason? Lei lo amava tantissimo, come ha potuto. Come hai potuto, Reyna?-            
Gea sbatté le palpebre confusa, ma recuperò subito il suo autocontrollo. Quel sorriso con cui avrebbe potuto distruggere il mondo e nemmeno quello glielo avrebbe fatto perdere –Lei ci ha pensato. Credo che si sia resa conto troppo tardi che alla fine lo avrei ucciso lo stesso, ma ormai il rituale era partito. Le avevo giurato di risparmiarlo, ma non lo farò come non lo faro con il…Campo Giove-
La sua voce si era incrinata a quelle ultime parole, come se Reyna, dall’interno, si rifiutasse di pronunciarle. Quelle parole che, più di ogni altra cosa, cozzavano con la natura della donna.
Per la prima volta, con una fitta quasi dolorosa di gioia, Alexander vide un’espressione di autentico stupore sulla faccia di Gea, come stupita dalla sua stessa esitazione.
-Così lo ammetti? Ucciderai Jason- rincarò Hazel.
-Certo che lo farò- disse Gea, come se fosse ovvio. La sua mano destra ebbe uno spasmo, ma Gea non parve accorgersene.
-E cosa accadrà a Percy. Percy Jackson?- chiese Hazel.
Reyna amava anche Percy? Cioè, non che Alexander trovasse niente di terribile nell’amore in sé, ma Percy. Lui era orribile. Aveva venduto tutto per guadagnarsi le grazie del padre, non assomigliava per niente a Reyna che, anche tradendoli, aveva voluto proteggere le persone che più amava.
Ma Percy non doveva essere stato sempre così, si ricordò Alexander.
-Percy è già morto- disse Gea con mal celata soddisfazione. Questa volta Alexander non poté concordare con il tremito involontario della voce di Reyna. Quell’uomo aveva ucciso sua madre, Nico e altre migliaia di persone per gloria personale, non meritava niente di meglio.
-Ma non ti rendi conto delle cose orribili che Gea ha commesso?- esclamò Hazel –Reyna, non te ne accorgi? Jason, Percy, i tuoi amici della legione. La tua legione, Reyna. Tu sei il vero Pretore, non io. Tu sei il loro capo, la loro guida. Tu sei amata dalla Dodicesima Legione e tu ami loro. La tua gente. REAGISCI, REYNA!- gridò la donna.
-Silenzio!- il tono di Gea doveva essere fermo, me le uscì quasi un rantolo. La sua voce era più umana e meno profonda…come quella di Reyna. Quando parlò di nuovo le parole sembravano uscire ancora dalla terra stessa –Silenzio, semidea. Non riuscirai a piegarmi con giochetti del genere, non la grande Gea. Non posso essere battuta da sentimenti insulsi come l’amore. Tu dovresti saperlo. L’amore non ha avuto granché affetto su tua madre. Una figlia maledetta- sibilò –Non era così?-
Alexander non aveva voglia di sapere a cosa Gea si riferisse e Hazel non aveva voglia di indugiare sul discorso, a quanto pareva.
-Non credo che mia madre sia molto attinente alla distruzione dell’umanità intera- rispose Hazel con voce, incredibilmente, ferma –Con la morte di persone che Reyna conosceva- Hazel iniziò a snocciolare nomi, alcuni che Alexander conosceva, altri no –Jason, Percy, Frank, Ottaviano, Dakota, Bobby, Piper, Leo, Annabeth…tutti i suoi amici. Ripensa, Reyna, ripensa a quando abbiamo salvato il campo dall’attacco di Polibote. Ripensa a come brillava l’aquila d’oro della Dodicesima Legione. Ripensa alle passeggiate con Auroum e Argentum per le strade di Nuova Roma. Ripensa al dormitorio della prima coorte, ai volti dei tuoi compagni. Ripensa allo scintillio del piccolo Tevere, alla magia dei ludi i guerra. Alle cene, le nostre bellissime cene alla mensa e alla felicità che vi aleggiava…ripensa al tuo mantello viola da Pretore. Il Pretore Reyna. Quello che sei. Niente ti potrebbe togliere questo Reyna, nessuna magia di Gea. Tu puoi battere Gea. REYNA!-
-No!- gridò la dea, il volto stravolto dalla rabbia e da altro…dalla paura? Il terreno stesso vibrò mentre pronunciava quella parola –No! No!- fece una pausa, raddrizzò la schiena e rasserenò il volto –No- disse con voce mortalmente calma, ma non quella di Gea…la voce umana di Reyna –No, non mi piegherò a te, Gea-
Estrasse il coltello dalla cintura e Alexander capì a rallentatore cosa stava per fare. La sua forza vitale era legata a quella di Gea, quindi, se moriva… nessuno poteva uccidere Reyna, perché Gea stessa la difendeva, ma non poteva difenderla dalla sua stessa mano. Reyna avrebbe ucciso Gea, ma avrebbe ucciso anche se stessa. Perché le guerre dovevano finire sempre così? Perché i buoni dovevano sempre sacrificarsi per uccidere i cattivi?
Il coltello affondò nella tunica bianca nello stomaco di Reyna, macchiandola di rosso scuro, simile a quello del suo mantello da Centurione.
Gli occhi di Reyna brillarono e Alexander fu costretto a chiudere i propri. Sentì un onda d’aria spazzargli il volto, forte come una bomba nucleare, che gli screpolava le labbra.
Quando aprì gli occhi Reyna giaceva scompostamente in una pozza scura, il coltello gettato di lato.
Gli occhi erano scuri, scuri come una volta.
Tentò di mettersi in piedi e scoprì che la terra non imprigionava più la sua gamba. Lui e Hazel corsero da Reyna. Respirava ancora, anche se a fatica.
-Scu…scusate- tossì la donna.
-Scusate?- ripeté Hazel –Sei stata coraggiosissima. Un vero Pretore-
Reyna sorrise con amarezza e un rivolo di sangue le scese sulla guancia –Io non sono un Pretore. Non lo merito-
Hazel le strinse la mano –Più di chiunque altro-
-Credi che l’ambrosia…-iniziò Alexander.
Reyna scosse la testa –Non servirebbe. Pensate che…che sia servito? Che abbia aiutato?-
Hazel annuì con forza –Sei stata fondamentale. Hai salvato il Campo Giove-
Magari non era del tutto vero, magari molti erano morti lo stesso, proprio per colpa di Reyna, ma non aveva senso dirglielo, in quel momento. Sarebbe stato crudele.
-Saluta Nuova Roma da parte mia- disse Reyna, quasi con un sussurro.
Hazel le strinse ancor di più la mano –Lo farò, signora-
Con il sorriso dipinto sul volto Reyna espirò e non ispirò più.
Hazel si alzò e trafficò nello zaino, tornando con un mantello viola, il suo mantello da Pretore.
Con l’aiuto di Alexander tolse a Reyna quello rosso e le misero quello da Pretore come un drappo funebre, anche se le lasciava scoperti i piedi.
-Il drappo giusto per Reyna figlia di Bellona, degno Pretore di Roma- mormorò Hazel.
 
Angolo Autrice
E con questo si conclude la storia di Alexander. Visto che siamo a due capitoli dal termine oggi aggiornerò una volta sola. Cosa dire? Grazie per aver seguito le avventure di Alex fino a qui…non temete, comparirà di nuovo nell’epilogo. Quindi a domani per la conclusione della storia di Cassandra e aspettate il giorno seguente per la fine assoluta.
Non so, a me mette tristezza essere arrivata così vicina a dover dichiarare questa storia “conclusa”, e spero di aver fatto emozionare un po’ anche voi durante i 25 capitoli (credo? La matematica non è il mio forte) di Alexander! Alex vi saluta e vi ringrazia!
 

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Capitolo 51
*** Capitolo LI Cassandra ***


Leo le aveva spiegato tutto per filo e per segno.
Lei aveva annuito costantemente per dimostrare che lo stava seguendo, anche se si perdeva troppo in divagazioni tecniche, mentre Nico si limitava a stare seduto a gambe incrociate nell’angolo più buio della stanza e annuire quando veniva interpellato, la maggior parte delle volte dovevano attirare la sua attenzione due volte.
-Cosa stai facendo?-aveva chiesto irritato Leo, alla fine.
-Raccolgo tutta la mia energia. I morti hanno detto che mi sarebbe servita- aveva risposto laconico lui.
Leo si era voltato con un brivido e aveva ripreso a spiegare.
In effetti teneva gli occhi chiusi e le mani appoggiate sulle ginocchia piegate, come se stesse meditando, e il suo volto era diventato ancora più pallido. Verso la fine del discorso con Leo le ombre attorno di lui sembravano essersi fatte più scure anche delle nuvole create con l’ essenza di Caos, solo che in qualche modo sembravano più rassicuranti, per quanto potessero essere rassicuranti delle ombre. Il terreno sotto di lui aveva preso a ribollire qua e là, e lui aveva assicurato che non ne sarebbe uscito niente, vista la loro distanza da terra, facendo rabbrividire sia Cassandra che Leo, questa volta.
Quando Nico si era alzato per unirsi a loro sembrava che le ombre lo seguissero come dei girasoli seguono il sole in cielo, almeno più del solito, e che una specie di aura viola o nera lo contornasse come se irradiasse luce scura.
Non sembrava, però, più spaventoso o più triste, solo più potente. Una forza che faceva vibrare le ossa di Cassandra tutte le volte che Nico face un movimento, per quanto minimo.
Di sicuro, se avesse incontrato un nemico faccia a faccia, quel potere sarebbe stato più spaventoso di una schiera di morti.
Leo li salutò con grandi sorrisi, come se stesse andando ad una festa, invece che alla sua morte, e Cassandra non poté non sentirsi trascinata nel buon umore dell’uomo, sorridendo a sua volta.
Aveva conosciuto, per quanto brevemente, tutti i membri della spedizione dei sette, e di certo Leo doveva essere quello che teneva alto l’umore della squadra, una specie di colla indispensabile per tenere insieme la barca, e non solo come meccanico.
Nico fece un sorriso raccapricciante, mormorando qualcosa di molto sgradevole sui fantasmi.
Nemmeno questo fece perdere il sorriso a Leo. Se ne andò fischiettando dalla stanza, ma, probabilmente, solo Cassandra si rese conto che non stava fischiettando una canzoncina, ma una frase nel linguaggio Morse. Ti voglio bene. Ovviamente.
Nico infilò una ricetrasmittente nell’orecchio e Cassandra fece lo stesso. Le aveva costruite Leo mentre parlava con lei, muovendo incessantemente le mani, ad una rapidità eccezionale, e senza nemmeno guardarle, come se fossero capaci di andare in automatico come quelle di una macchina.
-Leo ha detto che quando avremo dovuto azionare la macchina e invertire il processo ci avrebbe avvertiti- le ricordò Nico.
-Lo so- disse seccamente Cassandra. Si sentiva tesa come una corda di violino, ora che Leo non le sorrideva più d’avanti e non la distraeva con le sue battute, ma non era paura.
Si sentiva agitata come quando doveva fare un concorso di poesia, preoccupata che potesse sbagliare e perdere e deludere quelli che credevano in lei. Solo che questa volta non era un concorso di poesia. E quelli che credevano in lei non erano solo i suoi genitori, ma centinaia, anzi 6 miliardi di persone, anche se non lo sapevano, e deluderli avrebbe causato la loro morte.
A pensare alle facce dei suoi genitori le venne una stretta allo stomaco. Loro le avevano sempre insegnato tutto della medicina e lei aveva sempre imparato, sempre voluto conoscere, sempre stata decisa a diventare medico, e non solo perché vi era portata, e ora sapeva il perché. Lei aveva sempre visto le loro facce felici quando rientravano dai turni di notte o dagli straordinari in ospedale, felici di aver aiutato delle persone, di aver salvato delle vite. E anche lei si voleva sentire così. Voleva tornare a casa, da grande, sapendo di aver fatto del bene, di aver aiutato più gente possibile, senza tralasciare nessuno. Quello era il suo sogno.
E ora non avrebbe più potuto farlo. Diventare medico sarebbe stato sempre solo il sogno di una tredicenne morta, niente di più. Come essere una scrittrice, finire gli studi, far vincere la squadra di basket.
Ma sapeva che, se non nella realizzazione, era riuscita a realizzare il suo sogno negli scopi: aiutare la gente, salvare delle vite, nessuno escluso.
Forse era questo pensiero ad aiutarla, a non averla ancora fatta cadere nel panico.
-Ti aiuto a concentrare i tuoi poteri- si offrì Nico –così sarà…-
-Più veloce- concluse lei.
Nico si strinse nelle spalle –Volevo dire meno doloroso, ma anche più veloce. E comunque è solo un’idea, non ti posso garantire che renderà il passaggio più facile-
-Proviamo. Comunque foglio fare qualcosa, sono iperattiva, dopo tutto- disse lei, sedendosi a terra come aveva fatto Nico.
-Chiudi gli occhi- disse lui e lei lo fece –Pensa ai volti delle persone che ami o che hai amato- continuò il ragazzo.
Non fu difficile, quei volti già aleggiavano ai bordi della sua mente, e lei fece solo cadere le difese per farli entrare.
Luke. Il suo volto non era segnato da alcuna cicatrice, era quello di un bambino circa dell’età di Nico, forse sui nove anni. Quando le sorrise vide che gli mancavano dei denti. I suoi occhi erano talmente luminosi di felicità che per poco non le venne da sorridere anche a lei. Accanto a Luke bambino comparve Jane, felice come era stata quando avevano incontrato Apollo alla stazione di rifornimento. Rideva, e aveva una risata alta e cristallina. Lei e Luke si guardarono e poi le offrirono una mano.
Ormai era cosciente solo in un angolo della testa della voce di Nico che le diceva di prendere le loro mani. Lei lo fece e i due la sollevarono da terra.
Al fianco di Luke comparve sua madre. Era un ricordo sfuocato, della sua infanzia, quando l’avevano portata a fare una gita in campagna e aveva scoperto per la prima volta di essere dislessica e di essere anche una poetessa. Sua madre era vestita esattamente come quel giorno, ma molto più giovane, proprio come Luke.
La donna prese la mano di Luke mentre, al fianco di Jane, compariva suo padre.
I suoi amici stavano iniziando a disegnare un cerchio tenendosi per mano, ma sembrava che di fronte a lei ci fossero ancora dei posti vuoti.
La voce di Nico, in lontananza, le diceva di rilassarsi, di far sì che fosse il suo cuore a creare le immagini successive, e così fece.
Anche nel sogno chiuse gli occhi, e quando gli riaprì erano apparsi due ragazzi.
Uno lo riconobbe subito, era William Carter. Con una fitta di nostalgia Cassandra ricordò quando era arrivata al campo e lui l’aveva accolta nella casa 7, le cene che avevano fatto insieme con Jane, gli allenamenti al tiro con l’arco.
Il secondo ragazzo era inaspettato e si concentrò qualche secondo per vedere bene la sua faccia.
Aprì gli occhi di scatto e si alzò in piedi, allontanandosi da Nico.
-Che è successo?- chiese lui vagamente preoccupato.
-Niente, ho visto un volto indesiderato. Nemmeno il mio cuore sa a chi vuole bene- rispose l’altra vaga.
-Quante persone hai visto? Più sono e più potere raccogli- spiegò Nico.
-Sei- rispose secca Cassandra.
Nico sembrò stupito –In così poco tempo?-
Lei annuì –Tu quanti? Ci hai messo un bel po’-
Il volto di Nico si fece ancora più scuro –Cinque-
Lo stomaco di Cassandra si strinse –E uno, in realtà non contava neppure- aggiunse Nico.
-Perché morto?- chiese la ragazza –Anche io…-
-Perché non mi voleva bene, in realtà- Nico si strinse nelle spalle.
Nico si mise a sedere con la schiena appoggiata a al macchinario e Cassandra lo seguì.
-Credo che dovresti aprire un po’ di più il tuo cuore, credo che tu abbia paura che se lo fai, poi potresti uscirne ferito- azzardò Cassandra.
Nico rise senza allegria –Hazel, Bianca di Angelo, Alexander, Jason, cioè il mio unico amico. L’ultima persona che ho visto mi aveva convinto ad aprire il mio cuore, ma mi ha ferito veramente-
-Oh, mi spiace- commentò Cassandra. Veramente le dispiaceva, perché non doveva essere stato facile per Nico innamorarsi di una ragazza, e doveva essere stato terribile sentirsi abbandonato da lei.
-Vorrei dire che è acqua passata, ma non lo è. Ha tentato di uccidermi anche poco fa- aggiunse Nico.
Un conto era essere stati abbandonati o lasciati, un conto era se questa ragazza aveva cercato di ucciderlo.
Cassandra non credeva che un tradimento del genere potesse essere mai perdonato, eppure Nico l’aveva messa tra le persone alle quali voleva bene.
-Forse, se tu ti fossi lasciato andare di più, magari avresti scoperto che altri ti volevano bene, che avevi degli amici- disse Cassandra.
Un ghigno si dipinse sul volto di Nico –Degli amici? Qualcuno dei sette, per esempio? Hai visto a Piper e Leo, alla fine, quanto gliene è importato della mia morte. Frank mi sopportava…mi sopporta solo perché sono il fratello di sua moglie. Annabeth e Percy… hai visto come è finita. Percy e Annabeth si sono rivoltati contro di noi e alla fine ho assistito alla morte di uno, senza fare niente per salvarlo, e l’altra l’ho sconfitta con le mie stesse mani. Quindi, quali amici potrei avere? Nessuno mi vuole bene d’avvero, a mala pena chi c’è costretto. Anche Bianca mi aveva abbandonato, più volte-
Nico si alzò –E poi a che serve dire se avrei potuto avere più amici? Ormai siamo morti, non credo che farò troppe conoscenze negli Inferi-
Cassandra si alzò con lui, stringendogli la mano destra con la propria sinistra, proprio come nel sogno.
-Concentrati su quelli che ti hanno voluto bene, ora- disse Cassandra, ma Nico non rispose.
-Pronti?- disse la voce metallica di Leo nelle loro orecchie.
Loro mormorarono il loro assenso.
-Bene, allora in posizione, ragazzi. Nico…a me è importato della tua morte, ma non avevamo altra scelta-
-Ci stavi ascoltando?- chiese Cassandra indignata.
-Certo… a cosa pensavate che servissero le trasmittenti?- rispose Leo con la sua voce squillante di Leo.
-Ovvio- ammise Cassandra –comunque noi siamo pronti…-
-Allora aprite le valvole- ordinò Leo.
Nico si volò verso il macchinario ed eseguì le istruzioni che Leo aveva dato a Cassandra mentre lui meditava.
Come aveva fatto a seguire la loro conversazione?
-Fatto- dichiarò Nico.
-E allora…fate quello che dovete fare- disse Leo con un tono di voce spento.
-Leo…anche a me dispiace per te- disse Nico.
Cassandra sentì ridere l’uomo nell’ orecchio –Ci vediamo dall’altra parte, eh? Tutti nei campi Elisi. Ciao ragazzi, il Mondo di Leo chiude le trasmissioni-
Cassandra strinse forte la mano di Nico e sentì la sua energia entrarle nel braccio, proprio come nel sogno.
Chiuse gli occhi e sentì Nico gridare. Probabilmente anche lei stava urlando e brillando.
Sentì un’altra onda di energia e un altro grido di Nico. Sentiva tutte le cellule del proprio corpo bruciare più del fuoco…più come il sole.
Anche dalle palpebre chiuse vedeva la luce che stava emanando, e anche dal velo rosso di pelle sentiva che poteva accecarla.
Si sentiva sola, anche stringendo la mano di Nico, come se non ci fosse più alcun mondo attorno a lei. Si sentiva come se la luce e il calore le stessero sciogliendo i ricordi.
Si sentiva sola e triste.
Per un attimo pensò ad Apollo. Una volta lei aveva detto che gli dei servivono per ricordarti che c’è sempre qualcuno migliore di te, lui le aveva risposto che dovevano ricordarti che c’era sempre qualcuno su cui contare.
Ma come poteva aiutarla ora, anche volendo?
-Padre…- non sapeva se lo stesse pensando, mormorando o urlando. Era la prima volta che lo chiamava così, comunque.
Apollo comparve di fronte a lei. Forse era solo la sua immaginazione, sicuramente, ma sembrava reale.
La sua faccia era esattamente come quella che aveva visto poco prima, al fianco del suo vero padre.
-Aiuto…aiuto…-mormorò lei. Non voleva più stare in quel buio illuminato, voleva tornare ad essere se stessa, a ricordare il mondo.
Apollo le sorrise e le porse un mano –Vuoi venire con me?-
All’improvviso la mano di Nico era scomparsa, insieme al bruciore, al dolore e alla luce accecante anche attraverso le palpebre.
Ora a illuminare il buio ci pensava Apollo, e Cassandra non brillava più.
La ragazza annuì e afferrò la mano del padre.
Insieme si incamminarono nelle tenebre, ma Cassandra era felice, per la prima volta, di essere insieme a lui.           
Angolo Autrice
Qui si conclude la storia per come l’avevo immaginata e progettata. Chiaramente ci sarebbe stato un ultimo capitolo di Alexander dove si spiegava cosa era successo al Campo dopo la morte di Cassandra, ma più o meno qua si concludeva. Siccome, quando l’ho scritta, ero veramente innamorata del mondo di Percy Jackson e di questa storia (e lo sono ancora) non me ne volevo staccare e quindi ho scritto un epilogo alternativo che mi avrebbe aiutato a costruire il continuo. Chiaramente, questa storia è praticamente autoconclusiva, però mi piacerebbe molto vedervi di nuovo per la prossima!
Spero che il finale della storia di Cassandra vi sia piaciuto e…be’, fate un salto anche domani per leggere la conclusione definitiva!
 

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Capitolo 52
*** Epilogo ***


Alexander si trovava nella sala del trono sull’ Olimpo. Erano passati alcuni giorni da quando avevano visto Reyna uccidersi, il tempo necessario affinché tutti potessero curarsi e fare ritorno al Campo Mezzosangue.
Erano tornati tutti lì, anche i Romani e le Cacciatrici, per essere più vicini all’ Olimpo e facilitare tutte le operazioni necessarie.
Non tutti pensò Alexander con amarezza. Quelli che erano rimasti, almeno.
Aveva scoperto che, oltre a quelli di cui già sapeva il fato, erano morte altre persone che conosceva, o che avrebbe dovuto conoscere.
Uno di loro era il marito di Hazel, Frank. La donna era rimasta un’ora a piangere sulla foto della sua famiglia, mentre Alexander l’abbracciava e piangeva con lei. Quel giorno aveva conosciuto anche Matt. Aveva quattro anni e guardarlo mentre giocava con un pezzo di legno lo aveva fatto ridere e piangere allo stesso momento.
Poi era morto William Carter. Era passato alla casa 11 per vedere come stava Emily, ma lei aveva risposto che non voleva vedere nessuno. Alla fine lo aveva fatto entrare e le aveva detto che era morto sotto l’attacco dei mostri di Gea. Loro non sarebbero mai riusciti a sconfiggerli tutti, soprattutto non combattendo contro le armate degli dei allo stesso momento. Quando si erano visti persi avevano visto l’esercito dell’Olimpo scagliarsi contro i mostri. Solo dopo avevano notato Ares, Afrodite e Ermes sul campo di battaglia. Emily aveva detto di non essere mai stata tanto felice di vedere suo padre. Solo in seguito avevano scoperto che i tre erano venuti senza il consenso del Consiglio, ma ormai la battaglia era vinta.
Peccato che William fosse già morto e a lei non importava niente del loro successo.
Cassandra e Nico, già ne era a conoscenza. Tutte le volte che pensava che Nico e Sarah erano morti cercava di cacciare quel pensiero dalla testa, pensando che fosse l’unico modo di sopportare il dolore, non come faceva Hazel, che se ne stava nella casa 13 a piangere tutto il giorno. Alexander si occupava di Matt, anche se era evidente che non piaceva ai bambini.
Proprio perché non voleva pensare a quello che era successo alla Statua della Libertà, fu difficile ascoltare la storia di quello che era successo da Jason Grace, e scoprire che anche Leo era morto in quell’occasione.
E le ultime parole di Nico. Lui e Luke erano rimasti seduti nella stanza a riflettere per quasi un’ora sui messaggi di Cassandra e Nico, poi l’altro si era alzando borbottando un “Mi dispiace per Nico” e se ne era andato. Non si era più visto in giro per il campo, come nemmeno Jane Stone.
Alexander aveva pensato di andarle a parlare, visto che era la sorella di Sarah, ma decise che non avrebbe sopportato quella discussione, quindi lasciò perdere.
Poi era morto Percy. Non poteva dire che gli dispiacesse, ma non ne era nemmeno contento.
Parlando con Reyna aveva capito che non era sempre stato malvagio, che una volta era un eroe, il più grande degli eroi. Forse quello che aveva fatto negli ultimi giorni di vita non doveva far dimenticare quello che aveva fatto per salvare il mondo.
Dopo una settimana dal loro ritorno a New York vennero convocati nella sala del trono.
Alexander si trovava in disparte, con Hazel. Insieme a loro c’erano Jason e Piper, Luke, Jane e Emily.
Alexander non aveva mai visto la maggior parte degli dei, ma capire chi fossero era facile, visto che i loro troni corrispondevano alla collocazione delle prime dodici casa del Campo Mezzosangue.
C’era anche suo padre, seduto in disparte come lui e Hazel. Evidentemente era stato invitato ma non faceva parte del consiglio.
La prima a parlare fu Afrodite –Piper, tu ti sei dimostrata valorosa nella battaglia che avete combattuto a New York e, come tutti i tuoi amici, potrete avere qualcosa, come dono. Cosa desideri?-
Sarah. Nico. Lui poteva scegliere Sarah, tanto Nico lo avrebbe voluto Hazel. Frank! Hazel aveva perso Frank.
Guardò la sorella disperato e si ricordò del messaggio di Nico. Altri avevano bisogno del loro aiuto.
Voleva che riportassero indietro Frank e Sarah e lo abbandonassero negli Inferi? Come poteva chiedere una cosa del genere?
Certo, voleva sollevarli dalla scelta, un gesto nobile…
La risposta di Piper lo riscosse –Io vorrei che il mio amico Leo Valdez fosse riportato indietro da regno dei morti- disse guardando la madre e poi Ade.
-Mi spiace, ma non possiamo soddisfare la tua richiesta. I morti restano morti- rispose Zeus.
Una sensazione orribile attanagliò lo stomaco di Alexander. Era rancore, desiderio di vendetta verso quegli dei che non volevano restituirgli suo fratello e Sarah. D’altra parte Nico aveva previsto anche quello, aveva chiesto a Jason di metterlo in guardia dalla vendetta. Però era ingiusto che lui, un figlio di Ade, dovesse sopportare la morte dei suoi cari senza poter fare nulla a riguardo.
-Ma nessuno di noi vorrebbe riavere qualcosa di diverso che le persone che sono morte e che ci stavano care!- protestò Luke.
-Luke- lo richiamò Ermes.
-Allora non voglio niente!- scattò Luke, avanzando verso la porta.
Alexander si sentì gelare il sangue. Per un comportamento del genere si poteva essere fulminati? Alexander credeva proprio di sì.
-Fermati, Luke Castellan- Alexander fu sorpreso di sentire chi stava parlando. Ade
–Il regno dei morti è mio e solo io posso dare il permesso alle anime di uscirne. Né Zeus né tuo padre. E io do questo permesso solo in casi eccezionali-
-Questo è un caso eccezionale!- sbottò Luke, con un altro brivido di Alexander. Aveva le suole di gomma e sarebbe sopravvissuto? O con le suole di gomma ti incenerivi solo più in fretta, non se lo ricordava mai.
-Per questo, solo questa volta credo di poter esaudire i vostri desideri- rispose Ade.
-Allora io voglio Leo!- esclamò Piper, anzi urlò Piper.
-Emily- disse Ermes –Anche tu ti sei comportata molto bene nella battaglia a Yellowstone, anche tu meriti un premio-
-William Carter- scandì la ragazza, guardando meravigliata prima Ade e poi il padre. conoscendola, pensava che quello fosse uno scherzo, ma gli dei non erano la casa 11.
-Io…-iniziò Luke.
-Aspetta il tuo turno- lo fulminò Hazel.
-Tu sei romana! Non dovresti nemmeno essere qui!- esclamò l’altro.
-Jason?- chiese Zeus- Anche tu ti sei distinto nella battaglia combattuta a New York-
-Reyna- disse lui con un filo di voce.
-Reyna si è schierata con Gea- gli fece notare il padre –non credi che altri potrebbero meritare il tuo desiderio?-
-Lei lo ha fatto per i Romani e per Jason- spiegò Alexander, pentendosi subito di aver parlato.
-E si è pentita- sottolineò Luke con tanta foga che sembrava stessero parlando di lui.
-Concesso- tagliò corto Ade.
Alexander si guardò attorno e decise di parlare –Noi potremo parlarne un secondo?-
-Certo- disse Ade, anche se gli altri dei stavano per rispondere diversamente.
Tutte le loro conoscenze e le persone a cui tenevano, ora, si intrecciavano. Dovevano rifletterci con calma per soddisfare tutti al meglio.
Luke e Jane si avvicinarono.
-Voi chi volete riavere? Onestamente- chiese Alexander.
-Tu?- chiese Luke sulla difensiva.
-Sarah e Nico. E Hazel vuole suo marito e nostro fratello- sospirò Alexander –ma Jane potrebbe chiedere di riavere Sarah, così io riavrei Nico e lei Frank, e tu…-
-E io Cassandra annuì- Luke.
-Cosa c’è che non va?- chiese Jane all’amico –Perché tu vuoi riavere Cassandra- sottolineò lei allarmata.
Luke si passò una mano sul volto –Certo che lo voglio! Ma ci sarebbe anche un’altra persona…-
Nico gli aveva detto di non riportarlo indietro. E Sarah aveva detto di andare avanti, ricordarla per sempre ma andare avanti. Ma non poteva. Non poteva andare avanti senza uno dei due, sapendo che avrebbe potuto farli tornare in vita, per Luke, che ero poco più di uno sconosciuto.
Proprio in quel momento le porte della sala del trono si aprirono, sorprendendo perfino gli dei.
-Non avevamo dato il permesso per lui, Ade- sibilò Era.
Alexander si voltò e il suo cuore perse un colpo. Un uomo sui ventisette anni si stagliava contro la luce che proveniva da fuori, rendendolo poco più di un’ombra indistinta, ma ad Alexander non servì che i suoi occhi si adattassero alla luce per riconoscerlo, anche se aveva passato con lui pochi minuti.
Era magro e abbastanza alto, anche se non troppo. I capelli neri contrastavano con la pelle chiara. Gli occhi dell’uomo e quelli di Alexander si incontrarono. Occhi perfettamente uguali.
Lui avanzò a passi decisi nella stanza, per inchinarsi vicino al focolare centrale, facendo tintinnare i teschi contro la spada di ferro dello Stigie.
-Regina Era- mormorò Nico rialzandosi. Questa era una novità : Nico aveva il senso dell’umorismo
Dietro di lui entrò un’ altra persona, Talia Grece.
Hazel lasciò il gruppo e corse in lacrima verso il fratello, che quasi non cadde sul braciere.
Il cuore di Alexander sembrava battere all’impazzata. Nico era vivo!
Certo, non era il Nico di dieci anni che ricordava, con cui aveva passato quella settimana, ma era pur sempre suo fratello, quello che era morto per salvargli la vita.
Senza accorgersene anche lui stava abbracciando i fratelli bagnando di lacrime la maglia nera di Nico.
Cercò qualcosa in tasca e gliela porse –Credo che ora possa conservarla anche tu-
Nico strinse nella mano la statuetta di Bianca. Per un attimo Alexander credette quasi che anche Nico potesse esprimere un desiderio e che potesse richiamare Bianca dagli Inferi. Sarebbero stati veramente felici, allora. Lui e Sarah insieme. Nico e Bianca di nuovo riuniti dopo tutti quegli anni. Hazel e Frank con Matt. Si potevano comportare tutti come una vera famiglia.
Ma se Nico non era riuscito a riportare indietro la sorella dopo tutto questo tempo forse un motivo cera. E non era nemmeno sicuro che Nico potesse restare, che il Consiglio glielo permettesse.
-Come hai fatto a sfuggire al regno di tuo padre?- chiese Era, visibilmente contrariata.
-Sfuggire?- sorrise sinistramente Nico infilando in tasca la statuina –Io mi sono guadagnato l’uscita-
-Guadagnato?- chiese Era senza capire.
-Non credo che sia questo il momento di discuterne- intervenne Ade –Mio figlio ha tutti i diritti di rimanere qui-
-è morto due volte. La prima volta è stato riportato nel regno dei vivi da Gea in persona…- cominciò Era.
Luke sbuffò platealmente interrompendola. Bene, ora Alexander iniziava ad avere seria paura per lui –Proprio per questo dovrebbe lasciarlo in pace! Essere morto due volte non è già abbastanza brutto? Ci si deve mettere anche lei?-
-Non osare, piccolo mezzosangue- sibilò Era –Ora che ci penso anche tu sei morto e sei tornato in vita solo per servire Gea. Dovremo uccidere anche te-
Luke sbuffò, come se a minacciarlo fosse uno scarafaggio insignificante. E forse era proprio questo che lui pensava fossero gli dei: scarafaggi insignificanti, che perdevano tempo a combattersi tra loro perdendo di vista le guerre che avrebbero dovuto combattere insieme. Forse anche degli scarafaggi ingiusti che non avevano a cuore la felicità di nessuno, nemmeno dei loro figli. Magari era anche quello che pensava Alexander, ma quello non era il modo di cambiare le cose. E tanto meno lo era distruggere l’Olimpo pietra per pietra.
-Nessuno rispedirà negli Inferi Luke- disse Ermes, stupendo Alexander quanto l’interessato –e nemmeno Nico- si affrettò ad aggiungere.
-Non meritano di stare qui. Gea potrebbe volerli usare per altri scopi, in futuro. È pericoloso e non saggio- decretò Atena.
-Se mi permetti di contraddirti, sorellina-intervenne Apollo, beccandosi un’occhiata di puro odio da parte della dea –Credo che dovresti lasciare in pace questi poveri mezzosangue e occuparti delle tue figlie. Magari questa cosa potrebbe essere a tuo vantaggio-
-è per questo che ho chiamato Talia- spiegò quella che doveva essere Artemide –magari potresti anche gradire il dono che ti verrà fatto, Atena-
La dea della saggezza sbuffò, ma non aggiunse niente.
-Chi vota per lasciare in vita questi Mezzosangue?- chiese la dea della caccia, alzando la mano.
Seguirono il suo esempio Ares (per motivi ad Alexander sconosciuti), Apollo, Efesto, Afrodite e Ermes. Riluttante anche Atena si unì a loro, portando la maggioranza numerica.
-Ottimo- commentò Apollo riappoggiandosi allo schienale d’oro e infilando gli auricolari.
-Passiamo alle richieste dei rimanenti mezzosangue, allora- disse Afrodite con un sorriso enorme. Amore, ovvio.
-Io rivoglio Sarah- disse Alexander –Cioè…la mia Sarah. Steffi Stone- precisò.
-Ovvio, caro- sorrise Afrodite –e chi altro? Lo avevo detto che sareste stati una storia interessante-
Alexander strinse un pugno per mantenere la calma e si sforzò di sorridere –Certo, credo che lei si sbagli raramente-
Afrodite gli scoccò un sorriso più dolce del miele, che rischiava di far venire il diabete ad Alexander solo a guardarlo.
Non che gli importasse troppo: avrebbe riavuto Sarah, avrebbe sopportato tutti i sorrisi di Afrodite per questo.
-Io…ovviamente chiedo di riavere Frank- mormorò Hazel guardando Nico come per controllare che fosse reale.
-Ottima scelta- commentò Ares –è stato il miglior combattente di New York-
Alexander ne dubitava, in fondo era morto, no? Un grande combattente non sarebbe finito così. Ma anche Reyna era morta, ed era stata molto coraggiosa.
-Se Steffi…Sarah la richiami tu…- disse Jane guardando Alexander –io voglio mia sorella, Cassandra-
Apollo alzò i pollici per farle capire che approvava. Ma non stava ascoltando la musica?
-Luke, credo che stia a te- lo incoraggiò Talia.
Il ragazzo si morse il labbro nervosamente –Io vorrei riavere mia madre. Credo di…credo di doverglielo-
Ermes sorrise felice della scelta di Luke che si rilassò.
Tutti guardarono Talia, che si voltò tesa verso Luke –è successa una cosa che…-
-Glielo dico io- si intromise Nico –vi stavate chiedendo cosa ci facessi qui? Non sono fuggito da solo. È stata Annabeth a liberarmi- un’espressione di puro orrore si dipinse sul volto di Luke –ha fatto uno scambio di anime. Si è pentita di quello che ha fatto e ha deciso, visto che io le avevo risparmiato la vita, di sacrificarla per farmi tornare qui. È stata una cosa da Annabeth, altruista-
Luke guardò sconvolto Nico e poi Talia –Dovevi dirmelo, Talia- sibilò.
La ragazza parve ferita dalle sue parole, molto più che dal tono. Era come…gelosa?.
-Voglio fare di più- disse fissandolo –è stato previsto un premio anche per me, come capo delle Cacciatrici. Annabeth Chase. Io chiedo di riavere la mia amica-
Luke l’abbracciò –Mi sei mancata in questi trent’anni, Talia-
Lei sorrise un po’ imbarazzata, come Cacciatrice Alexander non credeva che avrebbe potuto abbracciare un ragazzo –Tredici anni li hai passati nel Campo degli Asfodeli, non credo che ti ricordassi di me, là-
-Certo che me lo ricordavo. Tu e Annabeth siete più che sorelle per me, non potrei mai dimenticarvi-
-Se è tutto sistemato potete congedarvi, troverete tutti al Campo Mezzosangue- spiegò Era, irritata.
I Mezzosangue si inchinarono e corsero letteralmente fuori dalla porta.
Alexander uscì per ultimo, poco dopo Piper.
La figlia di Afrodite si fermò di scatto, anche se Alexander non capì perché. Una donna pallida dai capelli scuri e gli occhi color caffè sbarrava la strada ai due.
-Piper, che bello rivederti- sorrise freddamente la donna, o più probabilmente la dea.
-Chione- Piper chinò il capo con finta devozione –La signora della neve. A cosa devo questo onore?-
-Sento del sarcasmo? Se credi che questa sia una visita come le precedenti ti sbagli- gli occhi di Chione luccicarono come chicchi di caffè ghiacciato –è per Leo Valdez-
Piper fece un salto indietro –Cosa vuole da Leo? Cos’altro gli vuole fare?-
-Niente. Niente di male, almeno. E poi non vedo come la mia ultima visita sia stata spiacevole per lui, visto che gli ho fatto conoscere il vero amore-
La dea alzò la mano e un turbine di neve e vento si concentrò sul suo braccio. Quando la neve scomparve sulla sua mano vi era uno strumento di legno che Piper prese con riluttanza.
-Questo strumento è l’astrolabio che il tuo amico Leo aveva perso, per tornare ad Ogigia, così potrà dire lui stesso a Calipso che voleva tornare. Anzi, tornerà- spiegò la dea.
-E dov’è la fregatura?- chiese Piper.
-Nessuna, visto che Calipso sta aspettando lui per lasciare Ogigia. Può abbandonare la sua prigione, adesso, ma vuole rimanere là per far sì che Leo la possa trovare- disse Chione.
-Può giurare che Leo e Calipso potranno lasciare insieme Ogigia e che questo strumento condurrà Leo direttamente là?-
-Lo giuro sullo Stigie- disse Chione alzando una mano pallida come la neve.
Piper sembrò rilassarsi –Perché lo sta facendo?-
-Perché gli ho provocato molte sofferenze e mi spiace. Mi spiace perché io mi sono alleata di nuovo con Gea e ho capito il mio errore. Voglio rimediare dando al tuo amico un po’ della felicità che merita di avere, anche solo per il fatto di avermi sempre combattuta-
Gli occhi di Chione scintillavano, ma questa volta il ghiaccio che sembrava racchiudere i chicchi di caffè sembrava essersi un po’ sciolto. Era…onesta? Commossa? Dispiaciuta? Di certo se mentiva stava mentendo bene.
-Allora la ringrazio con tutto il mio cuore per quello che sta facendo. Credo che le brucerò qualche offerta- disse Piper.
-No, niente fiamme. Butta qualcosa nella neve, il prossimo inverno- chiese Chione.
-Si…ovvio- farfugliò Piper.
-Piper, Alexander, che fate?- gridò Jason, già arrivato all’ascensore.
Alexander si voltò per indicare Chione, ma lei era già scomparsa in una nuvola di neve.
--
-Tra quanto ha detto che arriva?- chiede Piper impaziente.
-Due minuti- risponde Jason per l’ennesima volta.
Sento la porta aprirsi e Luke entra scuotendosi la neve dalla testa. Io mi alzo e vado a baciarlo.
Il ragazzo appoggia un scatola sul tavolino e si siede sul divano accanto a me.
Nico ci ha invitati tutti per Natale. Ora stiamo aspettando solo Leo.
-Ma io non vedo l’ora di conoscerla!- sbotta Piper.
-Conoscere chi?- domanda Luke.
-Calipso, ovviamente!- esclama Piper.
Leo era partito alla fine dell’estate e non era ancora tornato. Calipso e lui avevano deciso di prendersi una vacanza e venire per Natale. Leo voleva farle conoscere il mondo, prima di riportarla nel mondo degli dei e dei semidei.
Piper sbuffa e prende la scatola che Luke ha lasciato sul tavolo. Biscotti al cioccolato. Luke è fortunato a non avere intolleranze alla cioccolata o ai biscotti, perché per me ne mangia troppi.
Piper ne sgranocchia uno e poi apre la finestra e lo getta nella neve.
-Che fai?- esclama Nico, allungandosi per prendere la scatola di biscotti.
-Un’offerta alla dea della neve…lei non gradisce il fuoco- spiega Piper.
-Capisco- risponde l’altro, addentando un biscotto, offrendo poi la scatola al nipote.
-No- si intromette Hazel prima che il figlio possa arrivare ai biscotti –Si rovina l’appetito-
-Hazel…-la rimprovera Frank, passando due biscotti a Matt e prendendone uno per sé.
-Anche a me!- esclama Alexander, rubando la scatola e prendendo cinque biscotti tutti per sé.
-Ingrasserai se mangi così e a quel punto non avrai nessuna speranza di battermi- commenta seccamente Sarah strappandoglieli di mano e dividendoli tra sé e Jane Stone.
La porta si apre ancora, ma non entra Leo. Sono Annabeth e Talia.
-Lo sapevo che sareste venute!- esclama trionfante Luke, facendomi sobbalzare.
Annabeth si avvicina e lo abbraccia, mentre Talia rimane sulla porta –I mostri non si fermano nemmeno per Natale, divertitevi senza di me. Qualcuno deve lavorare-
Luke le fa la linguaccia, lei sorride ed esce.
-Quanto manca?-chiede ancora Piper.
-Un minuto in meno di prima!- sbotta Jason.
-Assomigli a tua madre quando fai così, Miss Mondo- dice una voce entrando nella stanza.
-Leo!- esclama Piper correndo ad abbracciarlo.
Dietro di lui entra una bella ragazza della sua età, dai capelli color caramello che gli ricadono in una treccia.
-Lei è Calipso- spiega Leo, indicandola.
Tutti ci alziamo stupiti.
-è così…normale- commenta Luke.
-Ti ringrazio- sorride lei raggiante.
-Ma non eri immortale e avevi tredici anni?- chiese Annabeth confusa.
-Sono una ninfa, posso cambiare aspetto- spiega Calipso –e per l’ immortalità…-guarda sorridendo Leo, che risponde la sorriso –Ci penseremo quando sarò vecchio e starò per morire- completa lui.
Nico fa spazio sui divani per far sedere Leo e Calipso.
Io mi appoggio sulla spalla di Luke e fisso il caminetto acceso che brucia riempiendo la stanza di liquida luce dorata.
Ripenso a quello che è successo a Liberty Island. Ora la Statua della Libertà non esiste più. I mortali se lo sono spiegato con un attacco terroristico, credo. O esplosione di una nave nei paraggi.
Incontro lo sguardo di Nico e vedo nei suoi occhi che anche lui sta pensando alla stessa cosa.
Proprio in quel momento Matt gli si arrampica sulla schiena e lui si mette a ridere e rido anche io.
Ci sarà sempre qualcuno che cercherà di distruggere la pace e i mostri sono immortali, a differenza nostra.
Per quando Gea, Crono, i Titani o i Giganti tentino di rovesciare l’Olimpo, però, una cosa mi rincuora: ci sarà sempre una nuova generazione che prenderà il nostro posto in questa guerra. E vinceremo sempre.
 
 
Angolo Autrice
Prima cosa grazie a tutti per essere arrivati fino all’ultimo capitolo! Questa storia ha significato molto per me quando l’ho scritta. Sembra strano dirlo, ma è stata un po’ come una casa accogliente per me nel periodo in cui ho creato Cassandra e Alexander e sono felice di aver diviso questo luogo accogliente anche con voi. Mi riempirebbe di gioia sapere che questa storia ha regalato un attimo di distrazione, un sorriso o anche una lacrima a qualcuno di voi!
Mi dispiace per essere stata così debole da fare questo epilogo felice, vi posso assicurare che l’idea originale terminava con la morte di Cassandra. Di fatti questo era un finale alternativo che ho scritto per far leggere la storia a mia sorella e che ho messo qua su efp perché ( liberi di prendere la prossima affermazione come una minaccia) partendo da questo finale ho scritto un continuo. Ho tutte le intenzioni di mettere su efp anche quello, sempre che ci sia almeno una persona interessata a leggerlo.
Il pensiero finale di Cassandra è un pensiero che metto alla fine di ogni fanfic “nuova generazione” che scrivo, anche se non le ho pubblicate, e mi pare che sia un po’ il significato stesso di questo tipo di fanfiction.
Penso di aver detto tutto quello che volevo, quindi termino con un ultimo grande ringraziamento, vi aspetto con la prossima fanfiction, se volete J.
 

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