Nuovo inizio

di AngelofDrakness
(/viewuser.php?uid=844488)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fine della battaglia ***
Capitolo 2: *** Un nuovo problema ***
Capitolo 3: *** Verità celate ***
Capitolo 4: *** È giunto il momento ***
Capitolo 5: *** La lettera d'addio ***
Capitolo 6: *** Mai arrendersi ***
Capitolo 7: *** Prima che tutto cominci ***
Capitolo 8: *** Ricordi dolorosi ***



Capitolo 1
*** Fine della battaglia ***


 CAPITOLO 1 LA FINE DELLA BATTAGLIA

L’aria fresca della sera gli pungeva gli occhi. Thor si passò una mano sui capelli biondi, arruffati dal vento. Era sulla grande terrazza esterna della Stark Tower, e da lì poteva vedere il disastro nella quale New York era sprofondata. Strade divelte, grattacieli distrutti e pericolanti, vecchie carcasse di automobili ormai inutilizzabili. I chitauri si erano già polverizzati, lasciando solo una scia di quello che avevano fatto. Thor era uscito per prendere un po’ d’aria, perché il clima di allegria dei suoi amici stava iniziando a soffocarlo. Era stremato dalla battaglia. Quella battaglia alla quale non voleva partecipare, perché c’èra anche suo fratello Loki. Quando lo aveva rivisto per poco non piangeva,  l’aveva visto lasciarsi cadere dal Bifrost. La disperazione nei suoi occhi era immensa. I giorni seguenti erano stati un vero incubo per il dio del tuono. Il palazzo gli ricordava troppo l’infanzia passata con Loki: i giardini della madre dove leggevano e giocavano; la sala delle armi dove si allenava; la sua camera e quella del fratello, condivisa per passare la notte a combattere mostri e paure di entrambi. Ma la felicità era durata solo un istante, perché nelle parole di Loki c’èra solo odio e rabbia. Gli urlava contro, lo insultava e lo guardava con evidente odio. Avevano lottato, si erano battuti eppure Thor sperava che l’altro  si fermasse, si arrendesse. Ma non era stato così. Avevano vinto loro, i Vendicatori. E il dio degli inganni aveva perso. Nonostante ciò a Thor sembrava di essere un perdente. Sì, perché aveva perso suo fratello. Tirò un pugno sulla ringhiera alla quale era appoggiato. Non gli fece male. L’aria continuava a pungergli gli occhi. All’improvviso cominciò a piangere. Poggiò i gomiti sulla ringhiera e si passo le mani tra i biondi capelli. Sentì una mano sulla spalla, ma non ci fece caso.
“Thor?” lo chiamò Steve. Provò ancora.
 “Che hai? Thor dai rispondi!” lo incitò ancora l’amico, ma in tutta risposta ricevette solo un singhiozzo. Steve allora abbracciò il dio, per fargli capire che se aveva bisogno lui c’èra. Con la testa appoggiata sulla sua sentì il respiro del dio calmarsi. Quando capì che si era completamente rilassato si staccò.
“Grazie, Steve. Sei un buon amico” Sussurrò Thor.
“Sai che non mi piace vedere la gente in difficoltà… bhè, vieni dentro?” si guardarono.
“No, ho bisogno d’aria. Come va la festa?
“Tony è completamente ubriaco, Bruce è andato a fare joga, Natasha  e Clint stanno parlando della loro vecchia vita: Budapest mi pare di aver capito. Io stavo parlando col direttore Fury e tu…” lasciò scorrere la frase, non sapendo bene come finirla. Il dio del tuono guardò la città, poi sospirò.
“Sai, c’è stato un momento oggi in cui credevo che tutto questo fosse un sogno, o un incubo. Non solo perché Midgard stava per essere attaccata, ma perché ho ritrovato Loki.” Il capitano lo guardò senza dire nulla. Thor gli spiegò la loro storia, dall’infanzia fino al suo esilio sulla Terra. Passarono un’ora a parlare. Steve fece lo stesso. Ripercorse la sua vita prima e dopo aver ricevuto il siero del supersoldato. Fino a Bucky.
“E un po’ come Loki alla fine, tutti e due sono cambiati. E sia io che te vogliamo riportarli indietro…” disse Thor. Guardarono l’orologio.  Mezzanotte passata.
“E’ notte, meglio andare a letto” Insieme entrarono dentro e lasciarono il compito di pulire tutto la mattina seguente. Trovarono un Tony ubriaco dietro al bancone della riserva di alcolici e Steve lo portò a letto, poi si salutarono. La notte la passarono cullati dai propri pensieri.
 
La mattina seguente si alzarono tutti con un gran mal di testa. Si ritrovarono tutti in cucina a fare colazione. Di Tony non c’èra traccia. “Troppo alcool”aveva detto il capitano.  Non parlarono molto durante il pasto, erano troppi i pensieri che affollavano le loro menti. “Cosa farete voi?” domandò Clint, attirando l’attenzione su di sé.
“Lavoro, lavoro e ancora lavoro” rispose prontamente Natasha. Spalmò un po’ di nutella sul pane. “E poi… chissà… forse anche un po’ di attenzione da parte di un arciere che conosco non guasterebbe” disse maliziosa passando il barattolo di Nutella a Bruce e facendo l’occhiolino a Clint, il quale arrossì.
“Io tornerò in India a curare pazienti” il dottore riempì il panino.
Steve alzò le spalle, come per dire che non aveva risposta. Guardarono poi Thor, intento a mangiare/sbafarsi il quarto panino. Li osservò uno a uno, poi sbuffando appoggiò la colazione sul piatto. “Che domande! Io torno ad Asgard, con Loki” pronunciò il suo nome con tristezza. Ma gli altri non se ne accorsero. Calò il silenzio solo a sentire quel nome. Un nome non tanto gradito.
“Avete fatto colazione senza di me!!? Siete degli ingrati!” ruggì Tony Stark entrando come uno zombie in cucina. Aveva i capelli ancora più spettinati del solito e aveva due grandi occhiaie. “Io vi accolgo in casa mia e voi…” arrivò vicino al tavolo tra le risatine trattenute dei vendicatori “mi avete finito la nutella!!??” tutti iniziarono a ridere, sotto lo sguardo arrabbiato e deluso del milionario. “Esigo sapere chi è stato!” urlò quasi ridendo anche lui. Tutti puntarono il dito su Thor, che subito alzò le mani in segno di resa facendo uno sguardo innocente. “Maledetto dio da strapazzo. Prima mi porti tuo fratello pazzo in casa e poi mi finisci la mia crema preferita” bofonchiò dirigendosi sulle scale per andare in sgabuzzino. Finirono di pulire e si sedettero tutti sul divano e sulle poltrone. “Quando partite?” chiese Bruce esitando. Il capitano gli aveva riferito quello che era successo la notte prima, ma aveva notato negli occhi di tutti la stesso dubbio.
Thor si morse il labbro:“Non so, il pomeriggio…” disse agitando le mani e guardando fuori. Non sapeva neanche lui quando partire, aveva paura della punizione che il padre avrebbe inflitto a Loki. Però era anche desideroso di tornare a casa e riabbracciare i suoi genitori e i suoi fidati guerrieri. “A proposito” lo interruppe dai pensieri Tony “Chi è cosi tanto coraggioso e intrepido da andare a controllare il pazzoide?” Giusto, se ne era dimenticato.
“Vado io. E’ comunque mio fratello alla fine” cercò di sdrammatizzare il dio. Ma nessuno fiatò. Il biondo allora usci dalla stanza, pronto per andare a fronteggiare suo fratello Loki.

La stanza dove avevano rinchiuso Loki si trovava più in basso da dove loro alloggiavano. L’ascensore si aprì su un lungo corridoio spoglio e al buio. L’unica porta era collocata alla fine della parete. Ad ogni passo che Thor faceva sentiva un nodo stringergli la gola. Cosa gli avrebbe detto? E se il moro avrebbe reagito in modo violento?  Sarebbe da lui dare di matto. Si fermò a pochi centimetri dalla porta, incerto. Non aveva maniglie, solo Jarvis, il sistema inventato da Tony, poteva aprirla a comando. Dall’altra parte non proveniva nessun suono. Prese un profondo respiro per calmare i battiti furiosi del suo cuore. “Jarvis, apri la porta. Desidero parlare con mio fratello”
“Subito, signorino” la porta emise un leggero fischio e poi si aprì. La luce investì il corridoio vuoto e il biondo poté vedere la cella. Era un vecchio ufficio per conferenze, successivamente adattato come magazzino con una toilette. Era rimasto un tavolo e una sedia. Avevano portato una brandina per dargli un posto comodo dove dormire. E lui era lì seduto, che fissava il pavimento. Gli avevano lasciato le catene ai polsi e la museruola. Loki alzò lo sguardo e rimase sorpreso di vedere Thor. Deglutì a vuoto, nascondendo la felicità per l’arrivo del fratello. Thor gli si avvicinò e per prima cosa gli tolse quella strana museruola. La odiò fin da subito. Loki si passò una mano sulla mascella intorpidita.
“A cosa devo una tua visita, figlio di Odino?” gli chiese sprezzante.  Thor lo guardò serio. Incrociò le braccia al petto mentre il fratello iniziava a gironzolare per la stanza.
“Voglio delle risposte”
“Per volere delle risposte, devi prima formulare delle domande, Thor” sibilò Loki con calma e facendo il suo solito sorriso di scherno.
“Perché rendi tutto ogni volta così difficile?
“Perché se no non sarei io” si fermò in mezzo alla stanza. Si girò e iniziò ad avvicinarsi al fratello. “Oh, ma tu vuoi sapere dov’è finito il tuo fratellino. Vuoi capire perché è diventato cattivo e ha attaccato Midgard… ecco cosa vuoi sapere” il moro si fermò. “Vedi, il tuo fratellino è morto” gli sibilò all’orecchio.
“Taci!” urlò Thor afferrandogli i polsi. Incontrò i suoi occhi verde smeraldo. Le labbra si Loki si aprirono in un sorriso beffardo.
“Sempre manesco, il principino d’oro! A quanto pare il vizio è duro a morire!” Thor esasperato lo spinse con forza contro il muro, tuttavia il sorriso non scomparve. Il biondo cercò di calmarsi. Voleva dirgliene quattro a quell’ingrato: aveva preparato un discorso con cura e concentrazione. Il primo della sua vita, a quanto pare. Ma tutto stava andando a rotoli.
“Loki…” lo guardò negli occhi:“Cosa sei diventato? Io non riesco  più a vedere il ragazzo che conoscevo. Sotto quante bugie e menzogne che hai creato si nasconde mio fratello?”
“Io non sono tuo fratello” Loki sentì un nodo alla gola. Pronunciare quelle parole gli costò una fatica immensa. Odiava dirlo ogni volta, ma doveva farsi vedere forte, sempre. Vide un lampo di tristezza e malinconia negli occhi blu e nel sorriso di Thor. Subito si tramutarono in rabbia. Il biondo si staccò e andò a prendere la museruola, appoggiata sul tavolo. Loki comprese all’ultimo quello che voleva fare il fratello. Tentò di divincolarsi ma l’altro fu più svelto e con un semplice gesto gliela agganciò.
“Partiamo oggi pomeriggio” disse con tono staccato il dio del tuono:“Spero che quando torneremo a casa avrai la punizione che meriti” La porta si chiuse di scatto lasciandolo di nuovo solo nella sua cella. Loki rimase in piedi senza fare nulla. Io sono già stato punito, fratello.

Thor raggiunse gli altri nel salone. Tony si accorse di lui e gli andò incontro. “Come è andato il colloquio famigliare?” Il biondo aprì la bocca, ma al posto della sua voce si sentì un boato immenso.


Angolo dell'autrice: 
Piccola cosa che mi frullava in testa qualche settimana fa, capitemi ;) Non avevo visto ne Thor ne gli Avengers, e allora la mia mente strana ha creato una storia bizzarra... quindi bhè, chi lo sa xD Ne vedremo delle belle! Loki avrà trovato un modo per scappare? Grazie per coloro che hanno letto. A presto, AngelofDrakness
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Un nuovo problema ***


UN NUOVO PROBLEMA

Il piano vibrò, scosso da violenti scossoni. Tony urlò a Jarvis delle misure di sicurezza. Si precipitarono sul terrazzo, nell’aria fresca della mattina. Poi le scosse finirono di colpo, lasciandoli spiazzati.
“Ohhhh, non potevate accontentarvi di distruggermi il mio nome, ora anche la torre!” urlò al cielo Tony mentre indossava l’armatura insieme ai robot.
“Chi può essere stato? Ancora alieni?” domandò con evidente odio e freddezza Clint. Thor si passò una mano tra i capelli, pensieroso. I chitauri erano spariti, non avevano altri nemici…
“Loki!” esclamò di colpo. Gli altri lo guardarono insicuri e timorosi. Tuttavia un dubbio si fece largo nella mente del dio. Come poteva suo fratello? Era legato e non attrezzato per scappare, certo poteva usare la magia, però Bruce e Tony avevano predisposto misure di sicurezza per un eventuale fuga. Loro non avevano nemici, ma il fratello…
“Loki! E’ in pericolo!” urlò di colpo precipitandosi dentro. Doveva muoversi, sentiva l’ansia che lo attanagliava sempre di più. Sentì dei passi dietro di lui e le voci di Steve e Natasha che lo incitavano a fermarsi. Presero le scale evitando con intelligenza l’ascensore. Si fermarono nel corridoio scivolando su una patina di ghiaccio. Facendo attenzione a non scivolare arrivarono davanti alla porta aperta a metà. Thor, con l’aiuto di Steve fece leva per aprirla. Questa si scardinò con facilità, permettendo agli eroi di vedere la stanza. Tutto era immerso nel ghiaccio: le pareti e il pavimento si erano cristallizzati; Spuntoni e crepe di ghiaccio si aprivano intorno a loro, creando giochi di luce da togliere il fiato. Uno squarcio enorme lasciava vedere la città ancora immersa nella quiete mattutina. Possibile che il dio degli inganni avesse scatenato un simile disastro? A Thor sussultò il cuore quando entrando nella stanza vide il corpo di suo fratello sul pavimento. Il biondo allora lo chiamò, ma non ricevette risposta. Stava per precipitarsi da lui quando una lama di ghiaccio gli venne incontro improvvisamente. Steve prontamente la parò con il suo scudo, ma il colpo li fece ruzzolare per terra. Natasha vide un uomo entrare dallo squarcio. Mirò con la sua pistola alla nuca dell’intruso, poi velocemente sparò. Il proiettile andò a conficcarsi in uno scudo di ghiaccio creato dall’uomo. Thor richiamò a sé il Mjöllnir alzandosi a sedere. Aveva capito che l’aggressore era uno Jotun, un gigante di ghiaccio, l’unico alieno in grado di creare ghiaccio, avere la pelle blu e avere un altezza impressionante. Non era venuto per volere di Loki, perché era stato abbandonato da quel popolo. Era nato troppo piccolo e gracile per essere all’altezza del suo nome. Suo padre, il re Laufey l’aveva lasciato a morire tra il ghiaccio quando era ancora in fasce. Poi Odino l’aveva trovato e impietosito l’aveva raccolto e adottato in famiglia. Ma l’amara verità aveva sconvolto sia Thor che Loki, e mentre uno se ne fregava altamente, l’altro se ne era fatto una colpa impazzendo di dolore. Lo Jotun creò altre lame di ghiaccio che partirono dal pavimento, per bloccarli. Il dio del tuono lanciò il martello, che si andò a schiantare sul ghiaccio, frantumandolo in mille pezzi. Il gigante però aveva già afferrato Loki e se la stava squagliando, tra le proteste di Thor. I tre corsero davanti all’enorme squarcio nella parete e videro lo Jotun scendere da una scala di ghiaccio lunghissima. D’improvviso la scala si frantumò e alcuni pezzi caddero nel vuoto. Un raggio laser la stava spaccando lentamente, pezzo per pezzo. Iron man stava usando i suoi poteri per fermare l’intruso. Ma ogni pezzo che lui rompeva il gigante ne creava un altro sempre continuando a scendere. Natasha sparava colpi nella vana speranza di fermarlo, facendo attenzione a non colpire il dio degli inganni. Thor allora impugnando saldamente il Mjöllnir si lanciò sul gigante. Un’esplosione di luce e ghiaccio fermò il suo intervento improvvisato, scagliandolo nel vuoto. Thor non sentì più il martello tra le mani e andò in panico. Tony lo afferrò prontamente per il busto.
“Mannaggia, quanto pesi? Richiama il tuo giocattolino, perdo potenza a tenerti, bufalo!” bofonchiò Tony. Thor però non riusciva a concentrarsi abbastanza, era troppo spaventato per il fratello. Lo vedeva inerme tra le braccia gigantesche dello Jotun. Questi, come sentendo il suo sguardo su di sé si girò e con gli occhi rossi che saettavano malvagità lo sfidò lanciandogli lame di ghiaccio. Chiamò Mjöllnir e con un gesto veloce del braccio ne cambiò la direzione, mandandolo a scontrarsi con le lame. I raggi laser del milionario frantumarono definitivamente il ghiaccio, lasciando una flebile scia cristallina nell’aria.
“Diamine Thor! Muoviti, perdo davvero potenza!” urlò il milionario per far sentire più chiaramente la voce resa metallica dalla maschera. Il dio afferrò il martello e si lanciò per la seconda volta in picchiata. Mentre vedeva i grattacieli di New York scorrergli davanti agli occhi a tutta velocità e la strada farsi sempre più vicina, lo Jotun aprì un portale e sparì. Lanciando prima un’altra occhiata assassina, resa più spaventosa dagli occhi color sangue. La mente di Thor si svuotò di ogni pensiero inutile, nulla sua caduta stava rivivendo tutti i momenti passati con Loki: l’allegria, le paure, la tristezza e il dolore della perdita… vide il suo sorriso sincero e malizioso, quello prima della sua incoronazione, sostituito da quello cattivo e forzato. Un lampo di comprensione spazzò via tutto dalla sua testa. Si fermò a pochi metri dal suolo, tra le urla di sorpresa e spavento della gente che correva dappertutto. Cadde in piedi, deciso più che mai. Oh no caro mio, tu non te ne vai con mio fratello!
“Allora, bel dio, direi che siamo ancora in guerra?” sbraitò Tony atterrando malamente vicino a lui. Il milionario era infuriato con tutti, e non solo per la distruzione parziale della sua torre, anche per il fatto di ritornare in azione. Era stufo di vedere alieni e pazzi
che credevano di poter distruggere tutto solo per il gusto di farlo. E chi pagava i danni? Guardò il biondo.
“Andiamo a riprendercelo”
 
Si ritrovarono tutti nel salone di Tony, attrezzato di computer e sistemi ipertecnologici da lui inventati. Finendo il suo secondo bicchiere di scotch, il padrone di casa aprì un enorme pannello al centro della stanza.
“Bene, facciamo il punto della situazione: un gigante di ghiaccio è venuto a prendersi Loki, per quale oscuro motivo non si sa e ora Thor” puntò il dito sull’interessato “vuoi andare a riprenderti il tuo fratellino adorato, giusto?”
“Giusto. Il problema è sapere dove è finito”
“Per questo non c’è problema” disse Bruce, entrando nel discorso sistemandosi gli occhiali sul naso “Io e Tony abbiamo messo un segnalatore di posizione nelle sue manette, quindi se si trova ancora sulla Terra possiamo intercettare il segnale e trovarlo” Il dottore aprì un pannello dove si trovavano i disegni delle manette e un sottile segnale a onde. Tutti fissarono in silenzio il computer.
“Devo vedere chi è si è permesso di rapirlo”
“Può anche essere un alleato per quanto ne sappiamo” disse Clint, incrociando le braccia e distogliendo lo sguardo dal segnale. Era ancora infuriato con il dio degli inganni per averlo stregato con la sua magia, rendendolo un suo sottoposto.
“No, non sono alleati, fidati. Sono arrabbiati neri con lui”
“Arrabbiati blu vorrai dire, Heidi” esclamò il milionario, interrompendo il loro battibecco e mostrando un immagine sgranata dello Jotun. Si vedeva poco o niente, ma la pelle blu si stagliava netta sulle pareti grigie della stanza. “Ora abbiamo a che fare con puffi giganteschi” disse ridendo mentre beveva un altro bicchiere di scotch.
“Incredibile!” esclamò sorpreso Steve. Thor gli lanciò un occhiata di rimprovero, ma l’altro non se ne curò. Bruce si attaccò al computer per rintracciare il segnale, collegandosi ad ogni parabola della città e dintorni.
“Sarà una lunga attesa…” precisò prendendo un bicchiere di limonata. I problemi, per il povero dottore non erano finiti. Meglio se evitavo i miei esperimenti sulle radiazioni, adesso sarei tranquillo e in pace da tutti. E non dovrei preoccuparmi sempre di Hulk.  Non c’èra tempo per i rimorsi.
“Jarvis fammi vedere i filmati della telecamera della cella” Tony sgomberò con un veloce gesto della mano lo schermo centrale. Sentirono la voce del computer negare l’esistenza di un filmato da quella telecamera. Corrugarono tutti la fronte. Thor aprì la bocca per parlare ma venne interrotto da Tony.
“Jarvis! Proietta i filmati della telecamera nascosta” sentirono un ronzio e si sedettero tutti dopo che il padrone di casa spense le luci. “Metti dall’inizio, grazie” Mentre il pannello caricava le riprese, Steve chiese a Natasha se stavano iniziando a vedere un film. Lei gli rispose con un gentile –vai a quel paese-. In tutta risposta il capitano iniziò a ridere. Bruce intimò il silenzio con un dito sulle labbra, come fanno i maestri per zittire i bambini piccoli nelle scuole. Sul pannello comparve finalmente la cella di Loki, con lui intento a gironzolare per la stanza. L’orologio segnava le 6 di mattina, due ore prima del loro risveglio. Loki camminava lentamente in tutta calma. Vagava con lo sguardo su tutta lo spazio, intento a coglierne ogni dettaglio. Sembrava tranquillo, non c’èrano segni di rabbia e cattiveria nei suoi occhi. Dopo un po’ si sdraiò sulla brandina e con le mani dietro la testa tentò di addormentarsi. Tolse le mani e si girò sul fianco sinistro, contro il muro. Successivamente cambiò verso. Ma il sonno sembrava non arrivare. Si mise seduto con uno scatto di rabbia, poi poggiò i gomiti sulle ginocchia e si passò una mano tra i capelli color ebano. Thor portò inconsapevolmente una mano sulla fronte. Un senso di disagio lo investì vedendo il fratello disperato. Odiava vederlo così solo e indifeso, eppure ogni volta si diceva che lui era forte e poteva cavarsela da solo. E se si sbagliava? Ora non poteva fare più nulla, solo guardare mentre il disagio aumentava. Uno scoppiò di luce verde fa saltare in aria la telecamera nell’angolo, quella dove non esistevano filmati. Tony mormorò insulti a bassa voce. Steve gli tirò una gomitata per farlo tacere. D’improvviso la stanza venne investita da una luce dorata e al posto delle mura grigie comparvero alberi in fiore e arbusti sempreverdi. Il pavimento si coprì d’erba e fiorellini. In un angolo comparve la sponda di un lago. L’acqua era cristallina e pura. Immacolata. Loki rimase seduto sulla brandina, fermo. Dal nulla comparve un bambino biondo. Doveva avere all’incirca sei anni. Era alto e portava una veste rossa, leggera e fresca, come la primavera che faceva da sfondo alla sua corsa. I capelli color oro erano lunghi e gli incorniciavano il viso paffuto. Gli occhi azzurri come l’acqua del lago erano pieni di vivacità. Il bambino si fermò e si sedette sul prato, in mezzo alla stanza. Poi arrivò correndo un altro bambino più piccolo rispetto al primo. Era vestito di verde smeraldo e i capelli neri svolazzavano nell’aria. Raggiunse il più grande e lo abbracciò senza esitazione. I vendicatori rimasero a bocca aperta. Tutti si girarono verso il dio, che annuendo, confermò il loro dubbio.
“E’ un ricordo” disse Thor. Un nostro ricordo. Un mormorio di stupore alleggiò per tutto il salone. Intanto il piccolo Thor aveva stretto a sé il fratellino e si era disteso sul prato, col viso rivolto al cielo.
“Thor?”
“Si?
“Noi saremo sempre amici? Il dio del tuono annuì.
“Staremo sempre insieme?” il moro si alzò a sedere e guardò il maggiore. Un sorriso sincero era comparso sul suo viso delicato.
“Ma certo Loki!” lo prese e se lo appoggiò sul petto “Io ti proteggerò sempre dai cattivi. Io sono forte e ti voglio tanto tanto bene” per confermare la frase gli schioccò un bacio sulla fronte. Il piccolo Loki rise e tentò di scappare ma l’altro lo fermò e iniziò a tempestarlo di baci affettuosi.
“Thor! Loki! Dove siete?” una voce di donna li chiamò. Frigga entrò. Era ancora più bella, i capelli castani le incorniciavano delicatamente il viso e il sorriso era paragonabile solo a una stella luminosa. I due bambini si precipitarono da lei per abbracciarla.
“Mamma! Mamma! Guarda cosa abbiamo preso” Loki si avvicinò e da una tasca prese un fiore viola e rosa e glielo porse.
“Grazie amori miei” Frigga baciò i suoi figli. “Dobbiamo andare, altrimenti padre si arrabbia”
“Padre si arrabbia sempre” bofonchiò Thor. Loki annuì con vigore.
“E poi dobbiamo andare in castigo, solo perché disturbiamo le sue conferenze con quei vecchietti barbosi!” il piccolo annuì di nuovo.
“Oh, tesori! Non dubitate mai del nostro amore, noi vi amiamo anche se qualche volta vi sgridiamo. Lo facciamo per il vostro bene. Su, andiamo!” Prese in braccio il moro e diede la mano al più grande. Poi la stanza ritornò grigia e vuota. Il dio degli inganni si tolse le mani dal viso portandole in avanti. La cella si trasformò nel salone della reggia di Asgard. L’ambiente era addobbato per una festa e molti nobili ballavano al ritmo dell’orchestra. Nell’aria le note delle arpe, dei violini e delle lire riempivano ogni angolo e rallegravano l’anima. Odino stava parlando agli ospiti per intrattenerli. Loki, oramai cresciuto e tredicenne si alzò dalla sedia e si allontano lentamente. Vide il fratello circondato da ragazzine altezzose che lo corteggiavano.
“Stupide oche” mormorò tra sé con uno sguardo duro. Uscì dal salone, percorse il lungo porticato e arrivò in giardino. Si sedette con la schiena contro il tronco di un albero e chiuse gli occhi, respirando l’aria fresca. La calma durò poco. Sentì dei passi sempre più vicini.
“Che vuoi Thor?” il ragazzo non aprì neanche gli occhi.
“M-ma… come… come hai fatto?” aprendo gli occhi vide lo sguardo stupito del fratello.
“C’è solo una persona che cammina strisciando i piedi, e non sono io”
“Io non trascino i piedi!” Thor si sedette vicino a lui. Loki si avvicinò piano al fratello, giusto per sentire il calore rassicurante che l’altro emanava. “Perché te ne sei andato? Non ti piace la festa?”
“Sì, è bella però…” il moro smise di guardarlo “non mi piace stare in mezzo alla gente”
“Oh, Loki! Sei il solito timidone! Dovresti sforzarti di più a stare in compagnia di altra gente e non solo con i tuoi libri!”
“Sempre meglio che avere delle oche che ti sbavano dietro”
“Cosa? Ehmm, ma no! Stavo solo parlando” Loki lo guardò con il sopracciglio alzato, nel chiaro intento a non credergli. Il maggiore intanto continuava a balbettare frasi sconnesse. Il moro gli mise un dito sulle labbra, per farlo tacere.
“Zitto ora. Ascolta” gli indicò una pianta piccola, con le foglie arancioni e dei fiori gialli. Nel silenzio del giardino sentirono un ronzio di un insetto. Poi si fece più intenso e i fiori gialli iniziarono ad aprire di più i loro petali. La pianta si illuminò di una luce rossastra, e dei piccoli puntini bianchi si librarono nel cielo. Poi la pianta ritornò quella di prima e il silenzio calò.
“Sono i semi della pianta della felicità. Li libera una volta all’anno, per permettere la semina e per produrne altri” spiegò Loki, con gli occhi brillanti per la meraviglia.
“Bellissimo” mormorò il dio del tuono. Bellissimo come te. Abbracciò il fratello. L’altro non si oppose e rimase lì con lui.
“Thor, posso dirti una cosa?” il biondo annuì e gli sorrise. “Io… mi sento diverso. Gli altri bambini non mi fanno giocare. Certo, sono grande però non ho amici se non te. Sembra che io non sia simpatico a nessuno! Io… sono solo” un singhiozzo interrompe il suo discorso. Thor prende il fratello e se lo porta in braccio.
“Ehi, non piangere Loki!” il ragazzino poggia il viso sul suo petto e le lacrime presto iniziano a bagnare la maglia. Il biondo lo stringe di più, accarezzandogli la schiena.
“Tu non sei solo, ci sono io. Ci sono madre e padre. E poi tu non sei diverso. È vero, non sei biondo come me, però sei mio fratello. Ed è questo che conta” il pianto iniziò ad affievolirsi. “Comunque sei bello anche con i capelli neri” Loki gli tirò un pugno sul petto e i due si misero a ridere. Thor gli prese delicatamente il mento e lo guardò negli occhi. Quelle gemme verde smeraldo lo lasciavano ogni volta colmo di meraviglia. Le lacrime erano scomparse.
“Loki, ricordati che tu non sei solo. Io ci sarò sempre per te. Quando avrai bisogno di aiuto io ci sarò. Te lo prometto Loki, lo giuro su tutte le stelle del firmamento che io ti proteggerò sempre e non ti abbandonerò mai! Lo giuro, Loki, lo giuro”
L’immagine svanì, facendo ricomparire la cella. Thor sentiva il cuore battere furioso nel petto. Se la ricordava vagamente quella sera, era una sera come tante per lui. Ma per Loki era diverso, si era ricordato della promessa sincera e sbrigativa che gli aveva raccontato. Lui no. Non ricordava nulla. Che pessimo fratello è diventato. Lui, il principe d’oro di Asgard non era nemmeno capace di aiutare il fratello. Sentì gli occhi pizzicarli e si passò velocemente la mano per far scomparire il prurito. Come aveva potuto dimenticare quelle parole dette dal profondo della sua anima, dette col cuore. Io ti proteggerò. Non ti abbandonerò mai. L’aveva fatto, e nel peggiore dei modi. Aveva infranto la promessa. Dagli occhi azzurri come il cielo iniziarono a spuntare le prime lacrime. Lacrime di dolore, di rimpianto, di verità. Si portò le mani tra i capelli, lasciando che il pianto gli rigasse il volto. Tony fermò il video.

“Thor” Natasha gli prese una mano e gliela strinse. Tutti si avvicinarono per confortarlo, persino Iron Man. Bruce gli prese l’altra mano. Nessuno parlò, perso nei propri pensieri. Steve al proprio amico smarrito nell’odio e nel dolore; Clint nel pensiero di andare avanti, forse con una compagna in più; Bruce capiva le emozioni del dio, così smarrito e bisognoso d’aiuto; Natasha rifletteva della nuova piega della sua vita e bhè, Tony pensava solo a bersi un altro bicchiere. Nel silenzio che seguì il pianto si affievolì, e con questo anche la tristezza del dio del tuono. Tirò su col naso e a bassa voce biascicò un "grazie" Gli altri sorrisero rassicurati. Dopo un cenno di Thor il filmato ripartì, tuttavia stavolta ognuno di loro sentiva il cuore più pesante, gravato dal pensiero che forse la battaglia che dovevano presto affrontare sarebbe stato molto più difficile. E i vendicatori si sa, non sbagliano mai.



Angolo dell'autrice:
Ecco il secondo capitolo, scusate l'attesa, ma trovare del tempo libero per scrivere è un vero disastro. E siamo in estate, figuriamoci durante il periodo scolastico T-T Comunque ecco qua i ricordi del povero Loki... che succederà? 
A presto, AngelofDrakness
Un grazie a chi legge e mille bacioni a chi recensisce(e mi rallegra la giornata :D)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Verità celate ***


VERITÀ CELATE

La cella si trasformò ancora, diventando una landa di ghiaccio. Ovunque posavi lo sguardo, vedevi solo ghiaccio, nebbia e roccia. Jötunheim. Una terra desolata, all’apparenza disabitata e abbandonata a sé stessa. Dove mai si vedeva anima viva; dove nulla cresceva agli occhi degli ignari. Gli abitanti vivevano nell’oscurità e nella segretezza, allontanandosi sempre di più dalla poca luce del sole che illuminava quella terra. Gli Jotun non avevano più viaggiato, colonizzato e mosso guerre da secoli, memori ancora della loro grande disfatta contro il padre degli dei. Abbandonati al loro destino si erano nascosti. Ma non sarebbe stato così per sempre. La figura di Loki comparve nella scena: era spaventato e si guardava intorno continuamente. Mentre avanzava a fatica nella neve, rimanendo impigliato con gli stivali, si stagliò nel cielo nebbioso un grande tempio. L’enorme facciata in stile quasi barocco era sepolta in alcuni punti dal ghiaccio, e le due torri adiacenti erano divelte e scrostate. Il dio del caos si massaggiò le braccia per scaldarsi dal freddo pungente. Aprì il portone con le mani tremanti ed entrò. Un brontolio sommesso rimbombò tra le arcate di diorite e il dio deglutì girandosi attorno. I suoi passi fendevano il silenzio irreale del tempio.
“Asgardiano, cosa vuoi?” uno Jotun comparve sulle scale. Toccava quasi il soffitto da quanto era alto. Era ornato da braccialetti e collane d’oro, simbolo che lui era il sacerdote. Si guardarono senza dire nulla.
“Cosa vuoi?” ripete con rabbia.
“I - io desidero parlare con il vostro re…”
“Tu?” lo Jotun iniziò ad avvicinarsi e Loki iniziò a indietreggiare “Vieni a portare un messaggio di guerra dal padre degli dei?”
“No. Sono venuto per conto mio. Ho delle domande da rivolgere al re” il moro si fermò di colpo, poggiando la schiena su una colonna. Il sacerdote si avvicinò. Loki tentennò, pensando di spostarsi per avere una facile via di fuga. Era la metà dell’altro e dubitava fortemente che avrebbe potuto sopraffarlo.
“E quali sarebbero le domande in questione?” il dio lo guardò spaventato dalla troppa vicinanza. Il gigante gli prese un polso.
“Suvvia, parla, non intendo farti del male. Voglio solo sapere” gli strinse con forza il polso, per accentuare il messaggio. Loki emise un gemito di dolore.
“Fermo! Lascialo parlare con me, se è quello che desidera” uno Jotun comparve nella penombra della sala, ma rimase al buio. Il prete del tempio se ne andò.
“Re Laufey, non vengo a portare guerra. Vengo…”
“Fammi queste domande, Loki” l’interessato lo guardò con gli occhi sbarrati.
“Non servono le tue domande, sai qual è la verità. Pensi che io non riesca a riconoscere mio figlio? È vero, ti ho lasciato a morire quando eri appena nato, ma vedi, un padre non dimentica i figli”
“Eppure l’hai fatto. Mi hai abbandonato”
“Eri troppo piccolo, ero sul campo di battaglia e non potevo più accudirti. Prova a capirmi, figliolo”
“Non chiamarmi così! Non meriti di dirlo, mostro!” urlò il dio con rabbia.
“Che impertinente” Laufey usci dalla penombra. Portava una corona in testa, gli occhi rossi lo guardavano impassibili. “Allora, seguendo il tuo ragionamento…” iniziò a raggiungerlo. Loki si appiattì sulla colonna, continuando a deglutire dalla rabbia. “…anche tu sei un mostro” gli sibilò con odio. Poi toccandogli la guancia fece in modo di trasformare il figlio. Il moro si staccò subito e scappò verso la porta, pronto ad uscire.
“Perché? Perché?” Laufey sorrise quando Loki abbassò il capo e si portò le mani sul volto.
“Perché tu sei fragile, Loki. Sei un fallito e sempre lo sarai. Rimpiangerai il giorno in cui Odino ti ha preso con sé, dandoti un futuro che mai si realizzerà. Io l’avevo capito subito che saresti stato uno sbagliato, un errore che dovevo evitare. Non sei nulla, mostro!” Loki fuggì via, con la risata di Laufey che gli martellava nel cervello. L’immagine svanì di colpo.
“Cristo, che padre bastardo! E io che mi lamento del mio” disse Tony, sistemandosi meglio sulla sedia. Steve lo riprese e l’altro gli mandò un bacio con la mano. D’improvviso si sentì qualcuno cominciare a piangere e singhiozzare. Si girarono verso Thor, ma lui stava guardando il video. Tutti si paralizzarono dallo stupore. Il dio degli inganni era scoppiato in un pianto di dolore durante il ricordo. Le lacrime scorrevano sul suo viso come un fiume in piena, fermandosi sulla museruola che lo rendeva muto. Si sdraiò sulla brandina affondando il viso nel cuscino, tentando di fermarsi. A sua insaputa il ricordo continuò. Di ritorno da Jötunheim si precipitò nella sua camera. Si tolse il pesante mantello pieno di neve e cadde esausto sul letto. Anche in quel momento la tristezza e lo sconforto lo assalirono e il dio pianse. I volumi della stanza iniziarono a cadere dagli scaffali, i vasi dei fiori scoppiarono e i vetri iniziarono a sbattere sotto il vento di rabbia del giovane. La stanza ritornò calma quando il moro prese in mano un foglio spiegazzato.  Thor sentì il cuore sprofondare dal dolore vedendo il disegno a matita che da piccoli avevano fatto insieme. Si erano disegnati a vicenda: lui non era molto bravo e aveva scarabocchiato una piccola figura piena di capelli neri. Loki, più dotato, aveva disegnato il fratello con il mantello rosso e l’amato Mjöllnir, con i boccoli biondi al vento e un sorrisone bonario sul volto. Nel video si sentì la voce di Jarvis rispondere alla richiesta di Thor. Quando il biondo entrò, la stanza era immersa in un illusione creata dal fratello, che celava la verità della situazione.
“No… non ci posso credere”mormorò il dio del tuono, a bocca aperta. Videro la discussione dei fratelli e le risposte velenose che si lanciavano a vicenda, stuzzicandosi ogni volta. Thor non credeva ai suoi occhi: possibile che aveva afferrato solo una copia del fratello? Eppure l’aveva sentito sulla pelle quando gli aveva preso i polsi. Non riusciva a credere che in realtà il suo fratellino era steso sulla brandina, disperato e distrutto. La porta si chiuse e l’illusione sparì, facendo comparire il vero Loki.
“Certo che potevi lasciarlo senza maschera, Thor! Almeno lo sentivamo in tempo” disse Steve.
“Come potevo saperlo!? Non sono mica andato a pensare che uno Jotun lo rapisse!” gridò di rimando con rabbia alzandosi di scatto. La sedia si rovesciò per terra. Tony si alzò allarmato. Steve rimase colpito dal tono di voce del dio, che lentamente con l’aiuto del dottore si stava calmando.
“Non intendeva questo, Thor. E lo sai. Steve voleva dirti che per comodità potevi lasciarlo senza… stai tranquillo, non siamo arrabbiati con te” Thor sentì la rabbia repressa scomparire e un senso di sollievo lo avvolse sentendo l’amico. Fece un profondo respiro, poi si scusò. Il capitano sorrise e si avvicinò, dandogli una manata sulla spalla, per confortarlo.
“Buone notizie! Ho intercettato il segnale!”avvertì Bruce allegro guardando il computer. Tutti si avvicinarono in fretta allo schermo. Le onde blu del segnalatore si muovevano a folle velocità su e giù, come il mare in tempesta. Sulla cartina apparve un puntino blu, a sud di Manhattan, poco distante da loro.
“Bene bene bene,direi che siamo vicini...” mormorò Tony sfregandosi le mani con trepidazione. Aveva voglia di indossare l’armatura e tirare raggi laser ai puffi giganti, giusto per lasciare un chiaro messaggio di avvertimento. Clint si alzò e prese dal tavolo il suo arco e se lo caricò sulle spalle. Natasha prese due pistole e molti proiettili, giusto per essere sicuri.
“Andiamo a riprenderci Loki”
“Con quale mezzo andiamo? Aereo?” nessuno rispose alla domanda di Clint.
“Prendiamo l’automobile?” domandò il miliardario, con un sorriso malizioso sul viso, pregustando già il viaggio che gli attendeva. I vendicatori lo guardarono impassibili.
“Vada per la macchina!”
 
L’automobile in questione era un gigantesco furgone rosso, nero e oro, che ospitava all’interno computer, telecamere, cimici, fucili e aggeggi vari. Il furgone era blindato sia all’esterno che all’interno, con i vetri antiproiettili e le ruote adatte ad ogni tipo di terreno. Ai lati si trovavano delle finestrelle da cui uscivano delle mitragliette. C’èra posto per tutti, due davanti, quattro dentro e uno sul tetto. Sembrava un incrocio tra un carro armato e un furgoncino dei gelati, senza il caratteristico cono luminescente sul tettuccio. Bruce si mise al volante, con Natasha al fianco che gli suggeriva le scorciatoie ad ogni incrocio. Clint si era appostato sul tetto, per vedere qualsiasi persona o oggetto gli passasse davanti. Gli altri tre erano dentro a confabulare. Steve guardava lo scudo. Sembrava tranquillo, tuttavia il tremore delle gambe lasciava trasparire la sua agitazione. Tony armeggiava con l’armatura, borbottando insulti incomprensibili. Thor fissava il martello, muto come un pesce.
“Signorino, manca l’ultimo pezzo della telecamera nascosta da vedere, attivo la televisione?” domandò Jarvis.
“No, metti l’audio”
“Tony? Cosa metti su, la tua musica?” Natasha si girò verso di loro dopo aver indicato il semaforo al dottore.
“No, finiamo il filmato. E dopo: AC/DC a manetta!” il capitano per poco non imprecò.
Una voce metallica si propagò dalle casse, era roca e smorzata, come se il volto fosse celato. “Per sdebitarti della generosità del re devi recuperare il Tesseract, che al momento si trova su un pianeta umano, Midgard. Per fare ciò avrai un esercito di chitauri che ti permetteranno di conquistare quell’insulso pianeta”
“E se io non volessi?”
“È un ordine del re dell’universo, oseresti disubbidirgli?”
“Io faccio quello che voglio” seguì un lungo silenzio.
“Non scherziamo Loki, io so quello che temi. Conosco ogni tuo pensiero, ogni tua paura e desiderio. Io sono diventato te. E so che cosa sei disposto a perdere e cosa non. Se non accetti colpiremo le tue persone più care. Inizieremo con la tua adorata madre, poi con tuo padre”
“Non riuscireste a toccare il padre degli dei, schiocchi” il dio rise. Tuttavia la risata era carica di paura e agitazione. Anche l’alieno rise con cattiveria.
“Il re dell’universo schiaccia le formiche come lui, asgardiano” il silenzio fece da padrone al discorso.
“Dopo verrà il turno di Thor, tuo fratello. Distruggeremo Asgard, riducendola a pezzetti microscopici; Infine verremo da te e allora, scopriresti che cos’è il vero dolore. Non ne hai la minima idea, Loki.” Un’altra risata rimbombò nel furgone, zittendo tutti i passeggeri.
“Fai ancora quello che vuoi? Non puoi scappare o nasconderti, ogni crepaccio, pianeta e universo non ti potranno salvare da Lui, la sua ira sarà funesta. Ti conviene accettare”
“I-Io… accetto”
“Saggia decisione, dio degli inganni”

Il filmato finì lasciando il posto a un brano degli AC/DC. Tony fermò la musica, lasciando gli altri sorpresi. Nessuno parlò. Un mulinello di emozioni vortica nell’animo di Thor: paura, sconforto,terrore, sollievo e preoccupazione. Non si era dato pace del perché Loki avesse accettato quella missione suicida, troppo grande anche per lui. L’aveva scambiato per pazzo, aveva rinunciato a capirlo in ogni modo. Ma dopo aver scoperto i motivi di quel piano era sprofondato ancora di più nella consapevolezza  di iniziare a vedere in faccia la realtà. Doveva assolutamente riprendersi il fratello, e scusarsi con lui per ogni cosa. All’improvviso Il furgone sbandò di lato, mandando all’aria i passeggeri. Mantenendosi sulle due ruote di sinistra, la Vedova Nera, ora al volante, sistemò la macchina nella giusta posizione, provocando un fracasso terribile. Bruce inveì contro la strada e informò che erano arrivati a destinazione. Scesero in fretta, un po’ ammaccati ma interi.  Si misero in fila, uno vicino all’altro; impugnarono le armi; si guardarono e si incamminarono verso il nemico.
 
Lo Jotun sentiva sulla propria pelle un brivido inatteso e famigliare, l’eccitazione per la battaglia che doveva affrontare a breve. Sentiva che erano arrivati, l’avevano trovato. Era stata una lunga attesa, troppa a suo parere. Proprio come aveva dedotto lui. Sapeva cosa sarebbe accaduto dopo: guerra e confusione. Il richiamo del sangue muoveva quel popolo primitivo. Sorrise al pensiero, pregustando già il suo trionfo. Si alzò dalla poltrona in pietra improvvisata, si stiracchiò e mandò un sottoposto a controllare il perimetro. Il suo generale aveva fatto un ottimo lavoro, era stato veloce, preciso e puntuale nello svolgere la missione assegnata. Si avvicinò al suo prigioniero, sorvegliato da due guardie fedeli. Era innocuo e legato, docile come un cagnolino viziato e presuntuoso. Il gigante sorrise compiaciuto quando questi gli gettò un’occhiata colma di odio. Che peccato, pensò: prima quegli stessi occhi verdi si erano spalancati dal terrore, e lui aveva riso di gusto sentendosi forte e invincibile. Si avvicinò e gli prese il mento, costringendolo a guardarlo direttamente. Vide la disperazione di un ragazzo impotente contro il proprio destino, tuttavia vedeva anche determinazione nell’affrontarlo. Non smise di sorride neanche un istante, pensando già a come far sparire ogni speranza che lo animava. L’ora della verità si avvicinava, e lo Jotun voleva godersi ogni momento di disperazione, come era accaduto a lui. La sua vita era stata un inferno, ora doveva ricambiare il favore. Se ne andò ridendo, lasciando ogni dubbio e preoccupazione alle spalle. E mano a mano che il tempo passava, si accorgeva di aver vinto quella battaglia. E questa volta, ne era certo, sarebbe stata una vittoria definitiva.
Quando i Vendicatori entrarono nella casa abbandonata, tutto si fermò. Il rumore del vento, il cinguettio degli uccellini, i topi, tutto si zittì. Solo i passi degli eroi e i loro respiri, lenti e regolari, fendevano la cappa di silenzio presente nell’edificio. Arrivarono in un grande salone, spoglio di arredi. Il pavimento era di pietra e in alcuni punti si vedeva il terreno; I muri erano di mattoni consunti con delle grandi finestre rotte e fatiscenti che lasciavano passare poca luce. Una volta quella casa poteva esser stata bella, ma dopo l’abbandono aveva assunto un aspetto marcio e inguardabile. Il giardino, un tempo pieno di alberi ora era devastato dai ratti in cerca di cibo. Si guardarono intorno, per nulla spaventati.
“Jotun, venite fuori” urlò il dio del tuono, fremendo di rabbia. Sperava che non avessero sbagliato, ma il segnale indicava proprio quella casa abbandonata. Il puntino blu lampeggiava vistosamente nel nero dell’immobile.  Impossibile sbagliarsi.
“Suvvia, non siate codardi, puffi” urlò Tony, incitando l’amico.
“Osi chiamarci così mortale?” una voce profonda si levò dal centro della sala, dove era stato costruito con blocchi di pietra un trono rudimentale. Occhio di falco fu l’unico a vedere al buio la sagoma scura del gigante seduto. Fece un cenno agli altri, per avvertirli. Caricò una freccia esplosiva e rimase fermo sull’attenti.
“Thor, figlio di Odino, cosa vuoi?”
“Dov’è Loki?”
“È da molto che quel traditore non si fa vedere”
Il dio ripete con rabbia la domanda impugnando più saldamente Mjöllnir. Era combattuto tra il desiderio di aspettare o di spaccare la testa a tutti. Vide alcune sagome uscire allo scoperto sotto la pallida luce del sole.
“Non lo so. Ora vattene, se non vuoi scatenare una guerra”
“Non siamo stupidi, sappiamo che è qui. Dammi Loki!” il martello si caricò di elettricità, illuminando debolmente la figura possente del dio. Il gigante si alzò dal trono ghiacciato, poi rise con cattiveria.
“Sai, è passato tanto di quel tempo da quando eri venuto da me per una stupida proposta e ora…” Iniziò ad avvicinarsi lentamente “…ripeti il tuo gesto infantile”
“Fatti vedere, Jotun”
“Come il principe desidera” Finalmente la figura imponente del gigante si stagliò sotto il sole. Alto, muscoloso, blu e fiero di sé. Come un vero re. Non aveva armi a portata di mano, solo la sua forza. La corona d’oro brillò e con essa anche lo sguardo cattivo e sanguinario. I suoi muscoli guizzarono quando apri le braccia. Thor deglutì arretrando impercettibilmente. I vendicatori rimasero spiazzati dall’aura di regalità e potenza che lui emanava. Si aspettavano un re meno tiranno.  
“Chi sei?” domandò il dio del tuono, pur conoscendo la risposta.
"Io sono Laufey, sovrano di Jötunheim”
Angolo dell'autrice (me lo dimentico sempre ops) Bene finito anche il terzo capitolo! Scusate il ritardo ma non mi andava l'internet e ho dovuto aspettare un casino T-T Un grazie a chi legge e mille baci a chi recensisce (nessuno, vabbè :'( ) A presto AngelofDrakness

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** È giunto il momento ***


È GIUNTO IL MOMENTO
 
“Cosa?! Ma…ma t-tu eri morto” borbottò confuso Thor.
“Già ucciso da mio figlio, secondo i suoi piani. Non ero io, era un mio generale” Thor lo guardò senza dire nulla. “Ringrazia solo Loki se oggi siamo qui” detto questo afferrò una figura minuta, rimasta nascosta dietro al trono, e la lanciò a suoi piedi. Il dio degli inganni rotolò per terra e lanciò un urlo di stupore, nonostante la costrizione che aveva sul viso. Gli eroi maledissero mentalmente Fury per la museruola che avevano dovuto mettergli. Loki non aveva ferite o segni di violenza, non gli avevano fatto nulla, per fortuna. Thor si lanciò subito per prenderlo, ma una punta di ghiaccio indirizzata verso la testa del fratello lo fece desistere. Gli Jotun nascosti, circa 9 o 10 vennero fuori e circondarono gli eroi, chiudendoli in una morsa.
“Non essere precipitoso, figlio di Odino” Laufey prese le catene di Loki e lo tirò verso di sé. Il ragazzo urlò, spaventato. Sentiva l’anima andare a pezzi per tutto il dolore che stava affrontando. Voleva suo fratello, voleva la sua famiglia. Loro non sono la mia famiglia, mi hanno mentito. Io sono un mostro e loro non mi amano. Gli pizzicarono gli occhi, ma lui resistette. Laufey lo prese per il collo e gli portò le mani dietro la schiena, ghiacciando le catene per tenerlo fermo. “Thor, vattene finche sei in tempo”
“Io non me ne vado senza di lui!” gli Jotun si avvicinarono e subito i vendicatori impugnarono le armi. Bruce aspettava il momento buono per arrabbiarsi, giusto per scatenare un putiferio e fare a botte. Steve portò lo scudo dinanzi a sé per proteggersi. Tony si alzò da terra creando un po’ di confusione ai giganti, del tutto ignari delle sue capacità.
“Laufey, sei ancora in tempo per evitare una guerra con Asgard” lo intimorì Thor. Il re rise con cattiveria.
“Asgard? Ma se nessuno lo ha mai voluto in città! Pensi che scateneranno una guerra dopo che avrò portato via il mostro di cui tutti parlano? Al contrario: sarò il loro salvatore” Loki guardò il fratello, sperando che dicesse qualcosa. Incrociò gli occhi azzurri e lesse sconforto. Sapeva che gli asgardiani lo odiavano, ma non fino a quel punto. No, non poteva essere lui il mostro. Non voleva crederci. Tentò di divincolarsi dalla stretta, ma Laufey lo strinse di più. Sentì la museruola cedere sotto le dita del padre mentre tentava di trovare il punto per aprirla. Questa si staccò e cadde con un suono sordo sul pavimento. Tentò di parlare ma la gola secca glielo impedì e questo lo irritò.
“Asgard non centra nulla. Se io voglio scatenare una guerra, sarà fatto. E te lo ripeto: voglio mio fratello”
“Fratello?” Laufey rise ancora. “Fratello? Pensi ancora così dopo tutto quello che ti ha fatto? Dopo aver scoperto chi è realmente?” Il dio degli inganni deglutì, sentendo un brutto presentimento farsi strada nel suo cuore. Il dio del tuono non parve ascoltarlo e caricò Mjöllnir con i fulmini, pronto all’attacco. Steve, vicino a lui, gli sussurrò di muoversi perché da li a poco avrebbero dovuto combattere.
“Ohhh, ma tu non hai visto…” il gigante strattonò il figlio in avanti, appoggiando una mano sulla sua testa mora. Sapeva cosa doveva fare per vedere i due fratelli cadere inesorabilmente in una voragine di dolore. “…cosa Loki diventa” Loki aprì gli occhi terrorizzato.
“No! No! No! Non permetterti di…” la mano muscolosa del padre lasciò il suo collo per tappargli la bocca. Il ragazzo chiuse gli occhi di scatto subito dopo aver visto lo sguardo preoccupato di Thor. Il re mormorò una formula magica sconosciuta alle orecchie dei Vendicatori, ma molto famigliare al dio del caos. Voleva scappare, voleva evitare che succedesse tutto quello. Sentì le forze mancargli quando un freddo improvviso lo colpì. Era un freddo irreale, sconosciuto e ghiacciato. Era come il ghiaccio che tempestava Jötunheim con le sue bufere, che sapeva di solitudine e morte. Gli sembrava che al posto del sangue ora scorresse neve: silenziosa,implacabile, gelida. Le mani si intorpidirono e Loki immaginò che ora fossero diventate blu come il mare. Pregava che quello fosse un incubo che stava vivendo solo lui, magari si risvegliava nel suo letto come ogni notte insonne. Non voleva che Thor lo vedesse in quello stato; Tutti ma non lui. Non lo avrebbe più guardato come un tempo, solo come un mostro assetato di sangue. Eppure sapeva che non era un incubo, a dimostrarlo c’èra la mano del gigante e il suo respiro sulla pelle. Gemette quando il ghiaccio arrivò alla testa, provocandogli una fitta di dolore da mozzargli il fiato. Non osava aprire gli occhi, non poteva… non voleva.
“Suvvia, figliolo, fai vedere i tuoi occhi verdi” Loki si dimenò, mormorando qualcosa. Laufey sapeva cosa doveva fare. Creò un pugnale di ghiaccio e lo colpì su un braccio, provocando una piccola ferita sulla pelle bluastra e pallida del dio. Il dolore si propagò fino all’anima e il dio lanciò un urlo aprendo gli occhi. L’aveva fatto. I vendicatori si erano ammutoliti di fronte al vero aspetto del dio degli inganni. Non sapevano che lui fosse un gigante di ghiaccio, Thor non ne aveva accennato nella speranza di tenerli all’oscuro. Solo ora avevano compreso l’amara verità: crescere con l’idea che i nemici più cattivi siano loro, e a distanza di tempo conoscere che proprio tu ne fai parte era terribile. Si ritrovarono a guardare il loro nemico numero uno, che neanche due giorni prima aveva minacciato tutti, sotto una luce nuova. Si era comportato come un pazzo, come dimostravano i video, e adesso osservavano un altro uomo. Chi era veramente Loki? Thor fissò gli occhi cremisi del fratello, spalancati dal dolore, si perse nella disperazione e la rabbia che leggeva dentro di essi. Lo fissò senza dire nulla. Si rese finalmente conto di quanto loro non erano fratelli. Erano due opposti, tuttavia aveva sentito Clint mormorare qualcosa su un detto. Gli opposti si attraggono. Concordò. Voleva urlargli che non gliene fregava nulla e se lo sarebbe ripreso, ma era immobile come una statua, muto. Come aveva sempre fatto, lasciando solo il fratello. Chiuse gli occhi per concentrasi.
“Perché vuoi mio fratello?” guardò il gigante senza paura. Laufey rimase sorpreso dalla domanda e dal suo comportamento, poi sorrise.
“Loki conosce ogni entrata di Asgard, la reggia e qualsiasi altra particolarità. Quindi, anche se il padre degli dei facesse chiudere ogni luogo, noi entreremo comunque. Grazie a suoi consigli” il re scaraventò il figlio per terra, sempre tenendolo per le catene.
“Non ti dirò nulla” il moro sorrise, ostentando finta sicurezza, ma la sua voce era incrinata e questo lo tradì.
“Eccome se lo farai. Sia con le buone sia con le cattive”
“Laufey stai firmando un contratto di guerra!” urlò Thor furioso.
Il gigante non lo ascoltò nemmeno “Chissà… dopo aver distrutto la città eterna potrei andare avanti con le conquiste… quanti pianeti conosci, figliolo?”  Fece un cenno agli Jotun di avanzare verso gli eroi. Il dio sorrise.
“Conosco Midgard… ci abitano delle persone niente male e che ora ti manderanno dritto al tuo paese” Dopo la frase provocatoria di Loki gli Jotun partirono alla carica e in poco tempo si creò il putiferio: raggi laser e micro - missili facevano esplodere l’edificio; Un gigante verde spaccava tutto, facendo tremare la casa con le sue urla di rabbia; Frecce esplosive e di metallo fendevano l’aria; uno scudo imbattibile  parava tutti i loro sforzi; Proiettili grossi come noci danzavano tra i nemici, insieme a pugni e calci; Fulmini e martellate varie si scagliavano nella rissa.
“Non fermerai i miei piani di gloria, figlio di Odino. Salutatevi ora, perché non vi potrete più vedere” Laufey si incamminò verso il portale che conduceva a Jötunheim , trascinando per terra il figlio che scalciava come un matto mentre chiamava il fratello. Thor colpì uno Jotun e poi corse da lui, creando una nube di fulmini per difendere i compagni. Thor corse, con tutta la voce che aveva in corpo e con tutta la forza che le proprie gambe potevano permettergli. Le grida e le urla vennero spazzati via dal richiamo d’aiuto del moro, così vivo e supplichevole. Quante volte Loki gli aveva urlato contro con le lacrime agli occhi, coprendo tutto il dolore con le bugie? E Thor da stupido aveva creduto alle parole e non alle lacrime. Come tutti gli altri. Pensava fosse forte e indipendente, ma sotto il suo comportamento capriccioso si nascondeva un’anima bisognosa d’aiuto. *Mi hai spinto nell’abisso* le sue parole gli risuonavano in testa al ricordo di quel giorno. *Io mi ricordo un’ombra* Loki si sentiva inferiore, ma perché? Stava benissimo, di cosa aveva bisogno? La verità lo colpì, come se avesse preso un pugno nello stomaco. Aveva bisogno di lui, del suo fratellone che lo proteggeva, voleva Thor. Solo adesso se ne rendeva conto e sperava che non fosse tardi per rimediare. Lanciò Mjöllnir contro il nemico. Sfortunatamente Laufey lo evitò creando un muro. Creò una patina di ghiaccio sul pavimento e Thor scivolò. Il dolore alla mascella fu lieve in confronto a quello che provava nel cuore. Non poteva perderlo, aveva bisogno di lui. Thor non esisteva se non c’èra Loki. Era la verità e non glielo aveva mai detto. Da piccoli erano inseparabili, poi crescendo lui pensava alla guerra e combatteva con Lady Sif e i tre guerrieri, deridendo il fratello perché non portato alla lotta. Loki aveva appreso la magia, un’arte meno dignitosa agli occhi del Padre degli dei. Ne era rimasto incantato il dio del tuono, ma non lo aveva mai incoraggiato o lodato. Doveva rimediare al più presto.
“Vai al tuo villaggio di funghi, grande puffo?” chiese Tony volando sopra di loro. Loki sorrise divertito dalla battuta e dal nomignolo che gli aveva affidato a Laufey. Poi si ricordò che era uno Jotun anche lui, e maledisse mentalmente il miliardario.
Thor tentò di rialzarsi in piedi, ma scivolava ad ogni sforzo che faceva, permettendo a Laufey di allontanarsi sempre di più.
“Tony! Prendilo!” Iron Man non se lo fece ripetere due volte e si lanciò in picchiata verso il nemico. Il re però era già entrato nel portale, che piano a piano si chiudeva lanciando schegge ovunque. Thor alzò il viso e incontrò gli occhi rossi di Loki, vedendo le labbra del fratello mimarsi in un “Addio, Thor”. Il biondo non riuscì a muoversi, bloccato da un senso di oppressione. Vide qualcosa comparire davanti a sé in una nuvoletta verde, il colore preferito di Loki, come la speranza. Tony era quasi arrivato a prendere il dio degli inganni quando una luce intensa investì il salone, accecando e travolgendo i presenti. Un boato squarciò i rumori della lotta, stordendo tutti come se fosse scoppiata una bomba. Ci fu un istante di smarrimento, ma dopo che piano a piano la luce tornava alla normalità i Vendicatori riuscirono a rialzarsi da terra, ritornando in sè.
“Ma che è successo?” domandò Steve scrollandosi la polvere di dosso e riprendendosi lo scudo rimasto incastrato tra due Jotun.
“Wow che luce. Speriamo che Dio in persona non sia sceso a farci la ramanzina”
“Basta Tony. Non è il momento di scherzare”
“Insomma che musi lunghi, io volevo sdrammatizzare” dopo un occhiataccia assassina da parte di Natasha il genio si zittì. L’edificio si era scoperchiato, distruggendo gran parte della muratura della casa. L’aria sapeva di muffa e polvere, mentre nel pavimento si erano formate crepe e buchi. Si girarono verso Thor, in piedi con la testa china. Si avvicinarono al dio che stranamente era rimasto zitto per tutto il tempo. Thor non riusciva a parlare, sentiva la gola secca e la lingua immobile. Gli sembrava di essere in una bolla d’aria che lo proteggeva dal resto del mondo ma che  allo stesso tempo gli impediva di muoversi e reagire. In mano stringeva una lettera sigillata, recapitata per lui dal fratello. Con l’indice della mano segui il suo nome in evidenza sulla carta bianca come la neve. Chissà forse è una coincidenza. Alzò il viso e guardò dove un attimo prima c’èra il portale nella speranza che succedesse qualcosa o che ci fosse anche un minuscolo particolare per lui. Niente. Non c’era niente, solo il senso di colpa e la solitudine che sentiva nel cuore. Strinse la lettera, come conforto per il dolore. Sapeva cosa doveva fare, se lo sentiva, ma aveva comunque paura. Richiamò a sé Mjöllnir e si girò verso i compagni. Non disse nulla perché semplicemente non aveva parole per confortarli. Si incamminò verso il furgone a testa bassa, non osando incontrare i loro occhi per paura di sprofondare ancora di più. I vendicatori lo imitarono e una volta saliti sul furgone fecero marcia indietro e tornarono alla Stark  Tower. Il viaggio fu silenzioso, solo gli AC/DC facevano compagnia ai pensieri di ognuno. Si sentì solo una voce, la più sicura tra tutti, quella che gli confortava sempre. Tuttavia nessuno rispose alla domanda insicura di Steve, che alleggiò nell’aria come il fumo di una sigaretta: trasparente e molesta. “E ora?” 

Angolo dell'autrice:
Scusatemi per il ritardo immenso :'( Pardon... ma tra l'internet e il disegno divento matta T-T Povero Loki, che cattiva che sono...
ringrazio la mia amica Anto per il tempo passato a leggere :)
al prossimo capitolo :D
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** La lettera d'addio ***


LA LETTERA D’ADDIO

“Per Thor, madre e padre”

Il dio aprì lentamente la lettera con le mani tremanti e sudate per l’attesa.

“Se state leggendo questa lettera, significa che sono nel Valhalla. Forse il posto dove avrei dovuto sempre stare. Non inizierò a scrivere frasi dolci e supplichevoli, non sono sentimentale, lo sapete. Scriverò solo la verità, quella che ho nascosto a tutti, persino a me. Padre, anche se mi ostino ogni volta dicendo che voi non lo siete, non è vero. Io vi voglio bene, ma ogni mio tentativo sembra vano, sbagliato. Tutto quello che faccio o dico a voi sembra non importarvi, nonostante il mio interesse e la voglia di dimostrarvi di essere vostro figlio. La verità è che ho fallito. Ho fallito in tutto. Nel volervi bene, nel conquistare il vostro amore e nel farvi vedere degno. Siete sempre stato il mio punto di riferimento, il mio maestro, una guida per diventare migliore e crescere come voi. Ma ora non ha più importanza, non sono più niente ai vostri occhi. Non mi hai mai voluto, sono un gigante di ghiaccio che non può provare amore. Solo odio. In fondo, i mostri provano e ricevono solo quello. Ma vi prego, perdonatemi. È l’unica cosa che vi chiedo, il mio ultimo desiderio verso di voi, padre adorato. Perdonatemi. Non sapete quanto vi voglia bene.

Il dio del fulmine si accomodò meglio sulla sedia, poggiando le gambe sul tavolo di ferro, respirando pianissimo in preda al dolore.

Madre, vi amo. Siete la persona più cara e comprensiva che io abbia mai incontrato in vita mia. Non potevo chiedere di avere un insegnante e una madre migliore, siete perfetta in ogni sfumatura sia positiva e negativa, nonostante i pochi difetti che possedete. Scoprire che non sono vostro figlio mi ha distrutto l’anima. Non riesco ancora a crederci. Perdonatemi anche voi. Vi voglio bene.

Una lacrima bagnò il bordo della lettera, senza sporcare l’inchiostro e le parole. La carta assorbì l’acqua e si piegò leggermente assumendo un colorito verde pallido.

Thor, fratello. A volte mi mancano i bei momenti della nostra infanzia: i giochi e gli scherzi alla servitù, i castighi, le cavalcate nella notte… ma quello era tutta una menzogna, una bugia. Io avevo solo te e mi hai gettato via, mi hai abbandonato da solo col mio dolore. Adesso ho capito perché non stavi più con me, Thor. Io non sono tuo fratello, non lo sono mai stato. Sono un mostro, un bambino che doveva morire tanto tempo fa, in mezzo al ghiaccio. Ti ricordi quando da piccolo avevi detto che avresti annientato tutti i mostri una volta diventato re? E che tra tutti i popoli odiavi solo i giganti di ghiaccio? Io si, me lo ricordo. Sai, anche il mio cuore è freddo, perché tu te ne sei andato. Eri l’unico che mi poteva scaldare: perché ogni dubbio e paura scivolava via come l’aria se tu mi stringevi. Ma a te che importa? Sono sempre stato troppo debole e diverso in confronto a te, così perfetto, impeccabile e buono. Io sono il male di Asgard, il principe cadetto senza onore che passa il suo tempo a progettare oscure magie, mettendo a repentaglio la vita dei reali. È questo che la gente dice. Oh, non lo sapevi? Non mi stupisco, non sai nulla del tuo popolo e pretendi di diventarne il loro re. Avessi almeno la decenza e l’onore di nostro padre. Bhè, ti voglio bene fratello. Mi manchi troppo. Ti meriti tutta la felicità del mondo insieme ai tuoi nuovi amici midgariani (li ammiro, davvero) e alla tua pallosa mortale.
Ti stimo,                                                                                                           Loki                                                                                                        

P.S: dì all’uomo di latta che mi deve un drink e alla spia che ha grande coraggio. Senza offese, la texana è pallosa.


 Thor sorrise per il commento sarcastico tipico del fratellastro. Era un sorriso tirato, stanco per ogni dolore della giornata. Il dio appoggiò la lettera sul tavolo, si alzò avvicinandosi alla finestra e guardò la città sotto di lui. Come sono stupido. Sospirò lentamente e con uno scatto della testa sbatté la fronte sul vetro, mandandolo in frantumi. Thor rimase fermo. Non aveva previsto che il vetro fosse così fragile da quelle parti. Oooopss. Tanto paga Stark. Si tolse facilmente una scheggia dalla mano e se ne andò.








-Angolo dell'autrice-
Scusatemi se sono un pò in ritardo ma ero in crisi d'ispirazione e tra l'altro non potevo usare il computer... uffa :( Comunque eccomi qui con il seguito. Forse è un pò corta, ma... mi è venuta cosi e spero che apprezziate comunque :) Nel prossimo capitolo gli avengers faranno un bel casino *si sfrega le mani e fa risata cattiva* 
Bene! alla prossima
P.S: un grazie a 
ragazzasognatricekia17pasticciodifragole per aver lasciato una piccola ma significativa recensione. E grazie a chi segue, e bla bla bla XD
Fatemi sapere <3

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Mai arrendersi ***


MAI ARRENDERSI
 
“Basta! Smettetela branco di incapaci!” nella sala calò un silenzio minaccioso quando la spia russa entrò urlando. I presenti rimasero fermi come delle statue, muti in attesa del giudizio finale. Avevano iniziato a litigare di ritorno dalla battaglia, stanchi e frustati per la sconfitta. Erano sotto pressione, come una bomba pronta ad esplodere con il timer che scandiva i minuti prima della fine. Nessuno era riuscito a disinnescarla. Così era partita una lotta di insulti e bottiglie scagliate contro il muro, che avevano solo peggiorato la situazione. Natasha era uscita per un minuto, un solo minuto, e quando era rientrata i nervi erano saltati a mille, facendola urlare di rabbia. Inspirò lentamente portandosi un dito a massaggiare il naso piccolo e femminile. I ragazzi si sedettero intorno al tavolo, un po’ agitati e impauriti. Meno male che c’èra una donna, se no sarebbe scoppiata una carneficina. Non sarebbe stato facile da spiegare a Fury.
“Calmatevi, vi prego” Natasha si sedette e poggiò le mani sul tavolo, assumendo un’aria tranquilla affinché non scoppiasse un’altra rissa Venne seguita subito dai compagni, all’inizio incerti sul da farsi. “È una situazione complicata e me ne rendo conto, ma così non siamo d’aiuto per nessuno. Dobbiamo restare uniti per il bene della squadra”. E per me stessa. Natasha sospirò. Le facce dei compagni erano indecifrabili, cosi come i pensieri disordinati nelle loro menti. Dopo alcuni minuti di silenzio, Clint sbatté un pugno sul tavolo, facendo vibrare la superficie di legno.
“Io esigo sapere perché Thor non ha detto nulla!”
Steve si animò di colpo: “Ancora con questa storia? Chi sei tu per sapere i fatti suoi?”
“Sono un vendicatore stufo marcio di farsi manipolare da Dei alieni e megalomani! Ecco chi sono!”
“Perché, noi no? Ma questo non ti da diritto di arrabbiarti con tutti”
“Poteva almeno avvisarci che era uno di loro” l’arciere abbassò la testa con uno scatto rabbioso. Si sentiva umiliato e questo lo irritava tantissimo. Provava sulla pelle una brutta sensazione di impotenza, accentuata dal precedente episodio con Loki e dalla bugia di Thor. Si sentiva come una marionetta del teatro, comandata a bacchetta attraverso i fili che lo tenevano soggiogato. Era un eroe che entrava in scena, veniva ringraziato, acclamato dalla folla ma sotto sotto trattato come uno straccio per le pulizie.
“Aspetta Clint, stai calmo. È un segreto di Loki… non poteva dirlo a noi” Natasha tentò di calmarlo. Lui di rimando, si alzò in piedi e scaravento la sedia per terra.
“Io ne sto fuori”
“Cosa?!” i presenti rimasero a fissarlo basiti.
“Io ho chiuso con questa faccenda. Arrangiatevi”
“Non… non puoi abbandonarci così!” mormorò poco convinto il capitano, valutando attentamente le alternative di ciò che sarebbe successo, nonostante non avesse abbastanza immaginazione da fantasticare cosa la spia gli avrebbe detto.
“Ohh, certo che posso” l’arciere sfoderò un mezzo sorriso di compiacimento pensando già alla sua nuova vita: viaggi senza mete precise, feste e bevute fino all’alba senza più sentire il mondo attorno a sé; Una vita libera e automa lontano da responsabilità e doveri. Ahhh Perfetto! Purtroppo il bel momento idilliaco finì per il povero Burton quando un sonoro schiaffo lo riportò alla realtà bruscamente, con il viso quasi angelico di Natasha davanti al suo.
“Adesso hai rotto Burton! Smettila di fare il bambino e comportati da uomo e assumiti i tuoi doveri. Ti ricordo che sei un vendicatore. Anche noi ci troviamo in questa situazione come te, però non facciamo simili cretinate!” la ragazza lo guardò seria e poi se ne ritornò a sedere in tutta calma, sfoderando un sorriso divertito.  Steve aggrottò le sopracciglia e sorrise. Questa poi, non l’avevo proprio immaginata! Tony verso un po’ si scotch nei bicchieri di tutti e li passò lentamente, soffermandosi su ognuno. Clint si sedette nervoso continuando a tenere una mano sulla guancia rossa, fissando il tavolo di legno con intensità.
“Bene! Ora che ci siamo chiariti...” Indicò con un cenno veloce i due assassini “…Passiamo al nostro piccolo problema: che si fa?” Tony sbatté il bicchiere sul tavolo, riversando tutto il contenuto sulla superficie e su Bruce. Il dottore si scostò subito imprecando, mentre si toglieva la giacca viola inumidita di alcool. Il miliardario si scusò mentre valutava se Hulk si potesse risvegliare per una simile sciocchezza.
“Adesso chiediamo a Thor cosa diamine fare, se lui è a conoscenza di dove abitano quei giganti ce lo dirà” sentenziò il dottore mentre usciva dalla stanza, diretto in lavanderia. Mannaggia a te, Stark. Giuro che un giorno o l’altro te la faccio pagare cara, stanne certo.
“Bruce ha ragione. Basta chiedere a Heidi”
“Mi vuoi almeno spiegare perché mi chiami cosi?” la voce possente di Thor echeggiò nella grande sala, facendo girare i vendicatori verso la grande porta dove, pigramente appoggiato allo stipite, stava il dio.
“Non credo che tu possa capire” farfugliò Tony imbarazzato.
“Aspetta, la so! È quel cartone con la bambina che vive sui monti con le capre?” esclamò Steve euforico. “Sì, sì c’è anche il nonnino!” Tutti lo guardarono con sospetto. Steve alzò le spalle, per nulla offeso.
“Capre hai detto? Loki ha quell’elmetto con le corna, è perfetto” Clint si decise a parlare, nascondendo un sorrisetto divertito.
“Stai dicendo che mio fratello è una capra?” Thor si sedette sulla poltrona in pelle, tirando un sospiro di sollievo per la morbidezza e il relax che sentì.
“Probabile” mormorò l’arciere.
“Thor cosa hai intenzione di fare?” Bruce rientrò nella stanza, serio in volto, tenendo in mano una camicia viola pressoché uguale a quella precedente.
“Cambiare abbigliamento ogni tanto no?” gli sussurrò Tony all’orecchio e beccandosi poi un pugno amichevole sulla spalla.
Il dio biondo si fece subito serio. Si grattò la barba ispida e, facendo un grande respiro, si rialzò in piedi. Calò il silenzio.
“Ho letto la lettera. Devo tornare ad Asgard per avvertire mio padre  e mia madre degli eventi. Sono quasi certo che Laufey abbia portato Loki a Jötunheim , per interrogarlo. Non vedo altre possibilità”
“Come pensi di andare?”
“Bhè, con il Tesseract” Thor fece per andarsene quando Natasha, che si era avvicinata a lui, lo bloccò prendendolo per un braccio.
“Aspetta. Prima abbiamo parlato tutti insieme e vogliamo aiutarti. Se possiamo renderci utili in qualche modo, non esiteremo un istante. Puoi fidarti, Thor”
Il biondo si morse un labbro, pensieroso. In una situazione come quella più persone lo avrebbero aiutato più la missione sarebbe riuscita al meglio. Ma poteva rischiare di catapultare i suoi nuovi amici in quella avventura? Li squadrò uno ad uno, e vide nei loro sguardi determinazione, coraggio e voglia di avventura: un mix di emozioni fortissime che avrebbero fatto impallidire anche il più temerario. D’altronde, erano con l’acqua alla gola e rischiavano di sprofondare se non iniziavano a nuotare. Che poteva fare Thor se non tirarseli dietro?
“Vi avverto che ne vedrete delle belle” Tutti esultarono felici come l’ultimo giorno di scuola… peccato che fossero in guerra. Thor sorrise bonario, pensando che tutti loro non sarebbero mai cambiati. Steve diede cinque minuti per prepararsi alla partenza, giusto per essere per pochi minuti il leader. Uscirono sulla terrazza esterna della Stark Tower, dove il teletrasporto sarebbe riuscito al meglio. Thor prese il Tesseract, collocato in un cilindro di vetro per proteggere i malcapitati dal suo malefico potere, a una estremità. Quando ogni mano fu posizionata correttamente il teletrasporto si attivò, e in un battito di ciglia, il profilo incantevole della città eterna si stagliò ai loro occhi.
“Benvenuti ad Asgard, amici”
 
 
Attraverso la finestra appannata di ghiaccio, Loki osservava la bufera che imperversava brutalmente sulla fortezza di Laufey. Il vento scorreva impetuoso, facendo ondeggiare i rami rinsecchiti degli alberi e le bandiere squarciate appese alle torri. La neve scendeva placidamente, imbiancando ogni centimetro libero senza tregua, creando una nebbia fitta e ingannatrice. Loki si trovava su una delle torri più alte, a nordest della struttura, vicino alle prigioni e agli appartamenti reali. La stanza era piccola e stretta, adatta ad una sola persona. Le mura di pietra grezza erano solide mentre il soffitto era parecchio elevato: basso per un normale gigante di ghiaccio ma non per lui. Dai blocchi di pietra fuoriuscivano, in alcuni punti, dei soffi di aria gelida provenienti dall’esterno. Loki lo sentiva appena, il freddo. Niente è  paragonabile alla mia solitudine. Appoggiò incerto la mano sul vetro e un sottile graffio rosso si disegnò sul suo palmo azzurro. Era strano per lui vedersi in quella forma, ormai poteva essersi abituato, però ogni volta se ne dimenticava, continuando a immaginarsi la pelle rosa degli Aesir… Come Thor. Sussultò al solo pensiero. Lui lo aveva visto, aveva visto il mostro che albergava in lui, il suo vero io. Si guardò il palmo: il taglietto si rigenerò subito, sparendo in un istante. Peccato che il dolore non sparisca cosi in fretta. La ferita sulla spalla che gli aveva procurato Laufey stava guarendo lentamente, ma ad ogni movimento fitte di dolore lo tormentavano, cosi come quelle sulla schiena di poche ore prima. Loki sentiva che quelle che non si sarebbero mai rimarginate erano quelle nello spirito e nel suo cuore a pezzi. Ne era certo. Troppo dolore lo stava consumando dentro, facendolo cadere in un baratro di tristezza e sconforto sempre più profondo e oscuro. Il suo pallido riflesso si stagliò nel ghiaccio e il suo viso si unì alla bufera. L’unico colore visibile in tutto quel bianco era il rosso sangue dei suoi occhi. Sentì un tonfo provenire dalle scale in fondo alla torre. Per quanto ancora avrebbe resistito? Prima Thanos, e ora Laufey. Per un attimo gli balenò in testa un unico pensiero. Non poteva semplicemente parlare, sputare fuori tutto quello che sapeva sulla sua città: i passaggi magici, le difese a palazzo e nel centro cittadino, tutti i segreti che aveva letto nei libri nella grande biblioteca, poteva rivelarli e fare in modo che Asgard bruciasse? Pensò a tutti coloro che lo avevano deriso; ai giardini reali dove trascorreva il tempo con sua madre; alla sala delle armi e al mare…                                                                        
No. Per quanto lui ammettesse all’infinito di odiare gli asgardiani non poteva condurre due mondi alla rovina. Un re giusto non va ­alla ricerca della guerra, è deciso a fronteggiarla. E lui si sentiva pronto. O quasi. Dei passi pesanti percorrevano la scala a chiocciola, fendendo il silenzio della torre, avvicinandosi sempre di più all’entrata. Loki sentiva una strana sensazione, la voglia di non mollare per nessun motivo e continuare a credere costantemente in qualcosa. O in qualcuno. Rise per la sua debolezza. Era la speranza che gli diceva che Thor, suo fratello, sarebbe venuto a prenderlo?  No, lui era un mostro. Il rumore si avvicinava sempre di più. Loki si girò di scatto verso la piccola porta, terrorizzato. Nonostante tutto sentiva che avrebbe continuato a lottare, solo per far vedere che era forte e degno come Thor. Odino sarebbe stato fiero di lui. La porta si spalancò.
Non vi dirò nulla.


Le ore successive le passò urlando. 






_Angolino piccino piccino per l'autrice_
Ehm... buonasera! Sono un pò in ritardo, pardon T-T Non sapete che faticaccia trovare le parole più belle per raccontare questa storia... comunque bene bene siamo ad un buon punto direi. Ok basta vi lascio in pace (per ora é-è)
Se avete dubbi o perplessità chiedete :) le critiche sono sempre ben accette...
Kiss xD
p.s: un grazie ad Anto e Angy <3 *sparge petali di fiori dappertutto* 
AngelofDrakness

Ah, ho spostato la storia dalla categoria <> a <
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Prima che tutto cominci ***


PRIMA CHE TUTTO COMINICI

 
                                                                            <<Padre, ora tienimi la mano, tienila vicino al cuore, puoi sentire che ti amo>> Povia. La Verità

 
 
Asgard, la città eterna, casa degli dei e capitale dei nove regni. Situata in mezzo al mare e alla natura più rigogliosa che fa da sfondo alle costruzioni delle torri e delle abitazioni. Guglie di cristallo che sfidano la gravità, veicoli che vibrano nel cielo sfrecciando nel vento primaverile. Maestosa, con la reggia d’oro del padre degli dei, cosi divina da toccare il cielo senza nuvole e il sole caldo della vita; Capitale perfetta in ogni particolare, mozzafiato in ogni altura, aggraziata come nient’altro  al mondo. Così Thor l’aveva descritta sulla Terra, soffermandosi meravigliato su ogni particolare. Sembrava esagerato quel suo racconto, troppo fantasioso, troppo… magico. Eppure, in quel preciso istante, ogni vendicatore si ricredette.

“È… è… paradisiaca!” mormorò Steve guardandosi attorno. “Sembra di essere in un sogno”
“Tu abiti qui?” domandò occhio di falco “Stai scherzando, vero?”
“Non è che abbiamo sbagliato indirizzo?”
“Siamo morti. Non c’è altra spiegazione”
Thor rise di gusto nel vedere le facce estasiate dei compagni e le loro assurde domande. E questi sarebbero gli eroi di Midgard?
“Ragazzi, ve l’ho spiegato, non c’è nessun sortilegio: questo è Asgard, Il mio regno”
Si misero in marcia verso la reggia, chiacchierando del più e del meno. Sotto i loro piedi i sentieri di terra battuta si sostituivano a strade lastricate di ciottoli e pietre lucenti via via che si avvicinavano al centro abitato. Dopo una buona mezzora, con una sosta al mercato cittadino, giunsero a palazzo. Alcune guardie riconobbero il principe e si inginocchiarono prontamente, aprendo il pesante portone. Districandosi tra lunghi corridoi arrivarono finalmente alla sala del trono. Thor stava per aprire le porte quando una voce famigliare lo bloccò.
“Thor! Figlio mio!” la figura di Frigga comparve da dietro una colonna. Non era invecchiata neanche un po’, i lunghi capelli incorniciavano il viso angelico mescolandosi al vestito nocciola che portava con grazia.
“Madre!” Il biondo si avvicinò e le fece il baciamano, da bravo gentiluomo. Frigga però lo accolse in un tenero abbraccio. Quel contatto affettuoso gli fece veramente capire di essere arrivato a casa dopo tanto tempo.
“Thor ci sei mancato. Sono contenta che tu sia tornato sano e salvo. Tuo padre ed io eravamo in pensiero per te e per tuo fratello”  Frigga si sciolse da lui e si guardò intorno. “Buongiorno, gentili midgariani” salutò con trasporto ogni vendicatore, soffermandosi su ognuno di loro. La regina si bloccò verso la fine, stupita. Thor si morse il labbro e capì che la madre cercava il secondo figlio. “Thor? Dov’è Loki?” calò un lungo silenzio, nel quale nessuno osò aprir bocca. La regina aprì la sala del trono senza dire nulla, gravata da un cupo presentimento.  I vendicatori entrarono e andarono incontro ad Odino, che, seduto sul trono, leggeva una lunga pergamena.
“Padre!” Thor si inginocchiò felice sulla grande scalinata, contento di rivedere il suo amato genitore. Gli altri lo imitarono incerti. Odino sedeva tranquillo, l’armatura d’oro dei suoi antenati brillava sotto la luce calda del sole, creando giochi di luce. Una mano grattava la lunga barba mentre l’altra poggiava sul bracciolo con il documento, in attesa.
“Thor, figlio mio. Bentornato dalla Terra. Gli esiti della battaglia sono positivi?” Odino chiuse la pergamena, guardando il figlio con aria stanca. Era molto impegnato con le mansioni del regno e la guerra con Jötunheim si stava protraendo senza esiti da quasi un anno. In più, pensare ai problemi che affliggevano i suoi due figli gli costava un grande dispendio di energie e pazienza. Soprattutto quella.
“Ehm… certo padre…”                                                                                    
“Non mi sembri molto convinto.” Guardò gli eroi “Alzatevi, gentili ospiti, se date retta a mio figlio passerete l’eternità di fronte a me” Odino sorrise alla moglie. Si alzarono e a turno si presentarono al cospetto del padre degli dei.
“Sono Anthony Stark, ma può chiamarmi Tony. Sono un genio, milionario, playboy e filantropo e nel tempo libero vesto i panni di Iron Man, una tuta robotica di mia invenzione. Vorrei sapere come costruite le vostre armi, utilizzate una tecnologia innovativa?” Thor lo zittì subito tirandogli un calcio nello stinco. Se non fosse stato per l’occhio mancante Tony avrebbe scommesso al cento per cento che Odino era Babbo Natale in persona, in pensione nell’attesa della notte del 25 dicembre.
“Piacere di conoscerla, re. Sono Steve Rogers, capitano dei Vendicatori e collaboratore dello S.H.I.E.L.D. Grazie a uno speciale siero sono diventato Capitan America e proteggerò la mia patria e i miei amici a costo della vita”
“Sono Natasha Romanoff, originaria dalla Russia. Sono una spia e un abile assassina”
“Mi chiamo Bruce Banner, il mio lavoro consiste nello studio dei raggi gamma e nelle scienze in generale. Vi consiglio di non farmi arrabbiare”
Clint Barton, agente dello S.H.I.E.L.D. e arciere infallibile, la informo che ho avuto parecchi problemi con il vostro figlio minore”
Odino li ascoltò e sembrò felice di conoscerli. Frigga gli sussurrò qualcosa e il sorriso divertito sparì dalle sue labbra.
Thor…” il figlio si mise sull’attenti “…dov’è Loki?” Il padre riformulò la stessa domanda di poco prima. Al dio le parole gli morirono in gola, come tutto il coraggio che aveva raccolto in quelle ore.
“Lo…Loki è sparito” disse alla fine, poco convinto.
“Mi stai dicendo che tuo fratello è sparito di nuovo nel nulla dopo che ti ho mandato a prenderlo?!”
“No! È andato via… lontano… non so dove… e... neanche lui lo sa… credo…” Thor iniziò a giocherellare con le dita in preda all’ansia, e questo gesto iniziò a spazientire Odino.
“Potresti essere più chiaro?”
“Ehm, si padre! Sono chiari, no sono scuri… blu! Sono blu!”
“Basta!!” Odino urlò con tutto il fiato possibile. Tutti si paralizzarono, muti come pesci. Il padre degli dei batté la sua lancia sul pavimento e la stanza vibrò. “Vuoi spiegarti in un linguaggio comprensibile o devo chiederlo ai tuoi compagni?”
Thor deglutì:“ Al termine della battaglia contro Loki e i Chitauri siamo stati di nuovo attaccati. Abbiamo scoperto che il pericolo proveniva da Jötunheim, in particolare da Laufey. Ha rapito Loki e ora vuole conquistare Asgard” disse tutto d’un fiato, biascicando le parole per evitare che si sentissero. Calò il silenzio.
“Laufey? Mi stai prendendo in giro?”
“Non mi permetterei mai padre! L’ho visto con i miei occhi e ora mio fratello è in pericolo. Dobbiamo andare a salvarlo!”
“Ne sei sicuro?” Odino lo guardò perplesso. Certo che sei proprio un fannullone. Gli aveva affidato un compito semplicissimo: recuperare il figlio minore su Midgard, e non era nemmeno riuscito a portarlo a termine. Vai, prendi, consegni. Come bere un bicchiere di idromele. Certo, Loki era praticamente un genio nell’ ingannare le persone e nello scomparire all’improvviso, ma era fatto così. Che pazienza questi figli! Prima che potesse ribattere una guardia entrò di corsa spalancando l’enorme portone di legno. Era leggermente sconvolta e sulla fronte goccioline di sudore lasciavano trapelare tutta la sua agitazione:“ Sire! Sire! Sono stati avvistati tre giganti di ghiaccio nel boschetto a nord, dobbiamo mandare una pattuglia?”
Ma che discorsi! “Sì, un manipolo di guardie dovrebbe bastare, non siate troppo ostili” Odino si alzò dal trono e raggiunse lentamente il figlio, gradino dopo gradino.
“Padre, come è possibile? Non ci sono entrate vicino al bosco…” chiese Thor.
“C’è un passaggio magico” mormorò Frigga accanto a lui “Solo i reali e i maghi esperti lo conoscono” Il dio del tuono alzò le spalle: lui di magie e portali non ne sapeva nulla.
“Loki” Troppo preso a valutare gli avvenimenti Odino non si rese conto di aver pronunciato il nome del figlio ad alta voce. Si guardarono tutti in faccia, preoccupati.
Thor si animò dal suo stato di trance, gli occhi si accesero di paura e il corpo scattò. Odino lo afferrò per un braccio, impedendogli di sgattaiolare verso l’uscita della sala. Il figlio si girò di scatto, arrabbiato. “La fretta non ti porterà da nessuna parte, Thor”
Frigga si avvicinò ai due e posò una mano sulle loro. Poi guardò i vendicatori e con un gesto sommesso del capo fece cenno di avvicinarsi. “Andare a Jötunheim senza una adeguata preparazione farà fallire i tuoi propositi fin dal principio”
“I-io devo andare a salvarlo!”
“Preparati insieme a loro, prenditi un po’ di tempo per i preparativi, figlio mio. Fai rifornimento e inventa un piano d’azione per attaccare la fortezza. Sii saggio e non avventato” Frigga sciolse i due uomini dalla stretta e avvicinò le sue mani al cuore di Thor “Tuo fratello è forte, devi fidarti di lui”
“Ascolta tua madre, Thor” Odino strinse la spalla del figlio, per rassicurarlo.
“Quando partiamo?” intervenne Tony, rompendo il silenzio che si era creato tra i reali.
“Ho bisogno di armi, pellicce e di qualche guardia…”
Frigga sorrise. “So cosa fa al caso tuo”
 
La fortezza di Laufey si trovava vicino al punto in cui Heimdall poteva aprire il varco, non era protetta da montagne e crepacci, solo un solido muro percorreva l’entrata ed era l’unica scelta per un intrusione. Lì vicino sorgeva un villaggio di pochi giganti, innocuo. C’erano poche guardie che sorvegliavano, forse perché Jötunheim non era abituata ad essere attaccata. Secondo quanto stabilito i quattro guerrieri, (Lady Sif, Fandral, Hogun e Volstagg) scelti per combattere con Thor, avrebbero attaccato all’entrata, distraendo il lato frontale e creando scompiglio. Sul retro i vendicatori avrebbero scavalcato il muro per poi combattere in silenzio per garantire l’anonimato della missione. L’obbiettivo principale era trovare il re e Loki, per questo Thor, Natasha e Steve sarebbero entrati essendo in grado di combattere silenziosamente. Bruce e Tony avrebbero sollevato il ponte per permettere l’entrata degli Asgardiani. Occhio di falco aspettava il momento della loro sorpresa finale a suon di frecce. Tutto era stato stabilito. Alle armature erano state aggiunte dei rinforzi anti freddo muniti di lana di pecora, per evitare il congelamento. Le loro armi erano dotate di incantesimi difensivi: si sentivano tutti più sicuri e pieni di energia. Si trovarono tutti da Heimdall mezz’ora dopo, ne troppo presto ne troppo tardi. Frigga e Odino chinarono il capo dando il consenso di partire. Heimdall inserì la grossa spada al centro dell’osservatorio ed il portale iniziò a girare su se stesso. I vendicatori guardarono meravigliati quel prodigio che si presentava ai loro occhi, da tempo troppo chiusi alle apparenze che la tecnologia umana poteva offrire. Prima che potessero partire Thor guardò i genitori per rassicurarli. Alzò il martello ed urlò: “Per Asgard!” un sorriso spuntò sul viso delicato della regina. Quando il portale li risucchiò, si sentì solo la voce di Odino.
“Tornate con mio figlio minore”






-Angolo dell'autrice-
Bene! Non maledicetemi o odiatemi vi prego! Lo so che è da tantissimo tempo che non aggiornò ma ero troppo impegnata... Sorry T-T Tenete i pomodori per fare la pizza che è più buona.
Fatto sta che eccomi di nuovo qui col il settimo capitolo, wow! La canzone è di Povia, e credo che la frase sia perfetta per Loki e quel testone di Odino.
Lasciate perdere i nomi colorati, erano un sfizio che volevo togliermi già da tempo. Ho finito! Ci vediamo all'ottavo capitolo!
Thor: era ora! 
Io: ma taci e va a salvare tuo fratello, pentapalmo!

Ok, scusate attimi di delirio O.o
A presto!
AngelofDrakness

P.S: le critiche e i commenti sono sempre graditi <3

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Ricordi dolorosi ***


RICORDI DOLOROSI

Erano tempi gloriosi quando la terra dei giganti di ghiaccio era fertile e produttiva, e il nuovo erede al trono stava per nascere. Era primavera quando Laufey aprì gli occhi sul mondo, nascendo in quel luogo inospitale e dimenticato dagli dei. Memorie dimenticate col tempo e con l’età, giochi persi nella fanciullezza di quel periodo che ognuno vive senza preoccupazioni. Cresciuto tra le ricchezze della famiglia reale, tra servi e banchetti che si susseguivano giorno e notte con l’obbiettivo di glorificare un re che nessuno conosceva. Era in quei momenti che Laufey si riprometteva di diventare come suo padre. Non importava più nulla: lui ne sarebbe diventato degno. Il tempo passava e il principe cresceva, e più la sua intelligenza si sviluppava con lo spirito, i problemi di cuore iniziavano a farsi sentire. L’amore era un concetto strano per Laufey: una perdita di tempo a cui si dedicavano solo le persone sciocche, ma a considerar bene anche i suoi genitori si amavano. Loro però sciocchi non erano, no no. C’èra un unico ricordo indelebile che ogni giorno ripercorreva con la memoria, per evitare che svanisse per sempre. Era un giovane uomo, colmo di avventura e azione come ogni ragazzo che si rispetti, e durante un allenamento lo vide per la prima volta, appartato in un angolo mentre faceva a pugni. Fu in quel preciso istante che il cuore di Laufey batté d’amore per la prima volta.
 
Un pugno volò nell’aria e il dio gemette.                                     
“Cosa vuoi veramente?” Loki squadrò il gigante di fronte a sé: “Credevo che il tuo obbiettivo fosse Asgard” Laufey rise, pulendosi la mano insanguinata.                                                                                        
“Hai ragione, il mio obbiettivo ora è la città eterna. Ma visto che passeremo ancora un po’ di tempo insieme, vista l’eternità che abbiamo davanti, che ne dici di raccontarmi qualcosa?”  Laufey era amareggiato: l’unica informazione che aveva ottenuto era solo un minuscolo portale che dava su un bosco inutile. I soldati che aveva mandato erano ritornati indietro subito come delle pecorelle inseguite da un cane. Che squallidi.                                 
Loki sorrise nonostante il labbro spaccato:“E cosa vuoi sapere da me?” Se il gigante sperava che prima o poi lui avrebbe parlato ne sarebbe passata di acqua sotto il Bifrost. Loki cercava di resistere finché non avesse capito quali erano le debolezze del padre per usarle come un’arma utile per sopravvivere. Tuttavia l’unico pensiero che aveva in testa (e si malediva per quello) era il fratello. La sua immagine si stagliava davanti a suoi occhi assonnati e lui non riusciva a concentrarsi abbastanza. Maledetto Thor!                                                                                                      
Laufey gli si avvicinò con un sorriso diabolico stampato sulla faccia: “Raccontami cosa vuol dire scoprire di essere il nemico, il piccolo mostro in mezzo agli dei”
Loki lo fulminò con lo sguardo: “Io sono un dio! E sono un asgardiano!” urlò con tutto il fiato che aveva in gola, marcando le parole per dare maggior enfasi e per convincersi che era vero nonostante tutto. Lui poteva solo fare affidamento sulle parole, nella speranza di farle diventare vere. Sentiva il suo cuore spaccarsi come un cubetto di ghiaccio ad ogni frecciatina che il padre gli lanciava. “Non mi pare che ti abbiano mai trattato bene, Loki. O sbaglio?”
“Cosa ne vuoi sapere, tu?”
“Ho guardato nella tua mente. So cosa provi” Loki alzò di scatto la testa e guardò il gigante con gli occhi sbarrati. “Cosa?” sussurrò flebilmente.
“Conosco ogni gesto che hai compiuto fino adesso nella tua patetica, inutile vita” Laufey si avvicinò ancora “e so di Thor”      
Loki strinse i pugni, frustrato. Il re aveva appena toccato un tasto dolente per il dio.
 
“Ti ho visto fare a pugni contro quei due” il ragazzo si avvicinò a Laufey, fermandosi davanti alla rete della stanza “Ci sai fare”    
Il giovane era più basso di lui, gli arrivava all’incirca alle spalle, portava i capelli neri corti e gli occhi rossi sfumavano lievemente sull’arancione. Sul suo corpo scorrevano spirali e linee spezzate che creavano semplici disegni sulle sue spalle e sulle braccia muscolose. Al centro del petto campeggiava una stella a otto punte.
È figlio di un artigiano! Gli artigiani erano rari a Jötunheim, perché poche erano le risorse da utilizzare come arredo o mobilio. Il principe lo guardò senza dire nulla, fissandolo con gli occhi socchiusi in cerca di risposte alle continue domande che gli ronzavano nella mente. Cosa diavolo voleva da lui?                             “Sono pochi quelli che riescono a contrattaccare dei manrovesci ben piazzati. Scusa se ho interrotto il tuo allenamento” il ragazzo fece per andarsene ma Laufey lo bloccò: Aspetta! Vieni ad allenarti anche tu, c’è posto qui”
“Non posso mi spiace. Non ho nulla da barattare con il gestore”
“Ti faccio entrare io”
“E come scusa?” il gigante gli fece un mezzo sorriso imbarazzato, non potendo più negare la sua mancanza di risparmi.
“Sono il principe, deve obbedire!” disse orgoglioso, gonfiando il petto d’orgoglio. Il ragazzo stupito, si chinò all’istante. “Mi spiace non averla riconosciuta subito, spero che mi perdoniate”.
“Alzati, odio che i miei amici si inchinino” Si erano a malapena scambiati due parole e già lo considerava un suo coetaneo. Amico… Laufey si grattò le mani, mentre sentiva che le sue gote diventavano rosse per l’imbarazzo dovuto a quella parola. Come gli era sfuggita? Proprio non lo sapeva. Il ragazzo rimase fermo, non sapendo come muoversi. Laufey si incamminò verso l’uscita e dopo pochi minuti si precipitò nell’aria gelida della città.         
“Non sei di qui vero?” gli chiese mentre entravano.                
“Vengo da molto lontano, abbiamo camminato parecchio, io e miei genitori” dal suo tono di voce, malinconico e basso, il principe capì che doveva stare zitto.                                          

“Comunque, io sono Laufey”
“Io sono Farbauti”
 
Farbauti…
 
“Non è vero!”
“Io non mento Loki, non fabbrico menzogne come te. Non ho bisogno di proteggermi o di farmi vedere, non sono un patetico approfittatore” Laufey sparì dietro un tenda, fischiettando un motivetto che Loki trovò immediatamente snervante. Tirò le catene che lo tenevano fermo nella speranza di muoverle, ma l’unico risultato che ottenne fu una fitta dolorosa ai polsi. Doveva pensare velocemente: se riusciva a stare al gioco di Laufey se la sarebbe cavata bene, qualche bugia piazzata qua e là e avrebbe vinto. Eppure, tra tutte le proposte che gli frullavano nella mente non ne trovava una abbastanza convincente. Laufey ritornò con un tirapugni di ferro inforcato nella mano destra, il solito sorrisetto diabolico stampato sulla faccia.
“Sai, ho notato che se Thor venisse a prenderti la nebbia glielo impedirebbe. Ho aggiunto anche delle guardie, non passerà mai”
“Che cosa otterresti con questo?”
Mentre guardava fuori dalla grande finestra Laufey parve pensarci attentamente, portandosi una mano a grattarsi il mento. “Odino” sussurrò, quasi parlando da solo.
Loki lo guardò senza capire: “Odino?! Cosa c’èntra?” Il padre si girò, una smorfia rabbiosa che gli turbava il viso.
 
Erano passati pochi mesi e l’amicizia tra i due ragazzi stava maturando sempre più. Farbauti era una persona dolce e allegra, in ogni situazione riusciva a vedere il lato positivo, a differenza di molti altri. A palazzo era stato accolto come un dono, una novità sotto ogni aspetto. Il re aveva acconsentito alla richiesta del figlio che, raggiunta la maggiore età, aveva bisogno di un compagno con cui vivere e governare. Grazie al lungo viaggio di Farbauti i cantastorie avevano ampliato le conoscenze, e nuovi canti risuonavano per tutta la città. Laufey adorava ascoltarlo mentre si perdeva nei ricordi, gli occhi gli brillavano come due stelle luminescenti. Non aveva più chiesto informazioni riguardo alla sua infanzia, tutta la serenità veniva spazzata via all’istante e Farbauti si rabbuiava, lasciando Laufey senza speranze. Il principe sentiva il cuore battere ogni volta che sentiva la sua risata, la sua voce risuonava come una melodia nelle sue orecchie. Laufey lo proteggeva quando andavano a caccia o a pesca, lo medicava quando si tagliava con gli attrezzi di lavoro e lo consolava. Quello che tutti e due sentivano era l’amore, ma erano troppo cocciuti per rivelarlo: anche un “ti voglio bene” sarebbe bastato. L’imbarazzo però era un ostacolo duro da superare. Così il principe si limitava a pensarlo mentre lo stringeva in un abbraccio, sognando ad occhi aperti il momento in cui l’avrebbe detto. Nessuno dei due immaginò che il momento sarebbe arrivato sulla terrazza del castello di ghiaccio, mentre l’armata di Asgard stava conquistando la loro città.
 
“È tutta colpa del padre degli dei!” Gli occhi di Laufey saettarono rabbiosi verso il dio, colmi di un odio viscerale. Loki provò un brivido improvviso al pensiero di quello che gli avrebbe fatto.    
“La mia vendetta sarà compiuta solo quando vedrò Asgard bruciare e Odino con essa. Non avrò pietà per i suoi eredi, rivendicherò il mio regno e il nostro nome e stai pur certo che farò di tutto affinché si avveri!”
Il nostro nome? Si riferisce alla sua famiglia? Mentre Laufey si avvicinava pericolosamente al suo angolo Loki tirò le catene nella speranza di spostarsi ma non ottenne risultati. Non si accorse della sua vicinanza  finché non alzò lo sguardo dalle manette. Con un movimento deciso del polso il gigante gli afferrò il collo e lo sbatté contro il muro di pietra. Preso alla sprovvista Loki gemette e boccheggiò in cerca d’aria, mentre la schiena martoriata gli lanciava tremende fitte di dolore. Il dio cercava di spostare la testa per alleviare la sofferenza ma la mano del padre non accennava a spostarsi.
“E i-io cosa centro?!” sussurrò Loki, con uno sforzo immenso.           
“Tu… tu sei solo uno sbaglio” Laufey parve calmarsi e lo mollò di scatto. Loki gemette all’impatto con il pavimento e, rialzandosi a fatica, riuscì a mettersi seduto. “Cosa vuoi? Se sei così arrabbiato con Odino perché te la prendi con me?”
“Cosa ti hanno raccontato della guerra tra Asgard e Jötunheim?”
 
Aveva visto la sua città bruciare, il suo castello, ogni casa e ogni capanna dove i suoi sudditi vivevano da generazioni. Il fuoco non aveva risparmiato niente, inghiottendo tra le fiamme tutto ciò che Laufey aveva conosciuto in tutta la sua vita. Aveva visto innocenti morire sotto le spade del nemico: quei luridi asgardiani in cerca di guerra non avevano risparmiato i bambini, uccidendo senza pietà quelle piccole anime che Laufey aveva benedetto con la sua magia. I suoi soldati avevano resistito con tenacia ma alla fine anche le porte del castello erano cedute sotto i pesanti arieti. Aveva visto morire i suoi genitori, non aveva potuto fare niente per salvarli, legato com’ era alla colonna di marmo. Ricordava gli occhi celesti dell’asgardiano mentre sfilava la spada insanguinata dai loro corpi e lo puntava. “Siete solo mostri” gli aveva detto con cattiveria e lo avrebbe ucciso se Farbauti non fosse intervenuto. Erano scappati con la coda tra le gambe. Gli unici due sopravvissuti erano loro due, il principe e il compagno che sarebbero diventati re di una città distrutta. Farbauti era riuscito a  trovare una grotta tra la neve, riparata e indiscreta. Non sapevano da quanto tempo erano lì e Laufey sentiva il desiderio di addormentarsi. La ferita al ventre gli pulsava dolorosamente, nonostante la fascia che il compagno gli aveva applicato.
“Quello che ti ho detto sulla terrazza… dimenticalo” sussurrò il principe grugnendo per il dolore.
“Cosa?” Farbauti lo guardò con gli occhi spalancati: “Non posso dimenticare! È da quando ti ho incontrato che te lo voglio dire Laufey: io ti amo. E non ti abbandonerò mai”
Laufey affondò il viso tra le braccia: “ È tutta colpa mia!”
“Laufey! Non è vero! I soldati sarebbero arrivati prima o poi”
 “E tu come lo sai?” Farbauti sbatté le palpebre, confuso. “Non potevo rimandare questa storia ancora a lungo” disse rivolto più a sé stesso. “Io e miei genitori siamo scappati perché l’esercito asgardiano incombeva sui confini. Pensavo che non sarebbero arrivati…”
“Tu! Lo sapevi e non hai detto nulla!” Laufey gli saltò addosso e lo sbatté sulla roccia, sovrastandolo con la sua mole massiccia. Iniziò a colpirlo in preda alla rabbia, accecato dal dolore. Le  parole d’aiuto del compagno gli giungevano nelle orecchie come un’eco lontano, mentre nella testa gli martellavano le urla degli innocenti. Chiuse gli occhi. Voleva morire, sparire da quel mondo crudele. Smise di lottare quando le forze gli mancarono e si accasciò vicino a Farbauti, mentre le lacrime scorrevano lentamente sulle guancie. Sentì le braccia dell’amico cingerlo in un abbraccio e dopo un po’ si calmo. “Mi dispiace io…”
“Laufey, fa lo stesso” Si girò e rimase inorridito: Farbauti aveva un occhio nero ma il sorriso che lo contrastingueva era sempre lì a scaldargli il cuore. “Mi prendo la mia piccola percentuale di colpa”
“No, tu non hai fatto nulla i-io…” come aveva potuto colpire il suo unico amico, riversando su di lui ogni responsabilità? La rabbia che lo aveva accecato prima era stata così improvvisa e violenta che al solo pensiero gli si gelava il sangue. Era davvero così brutale e violento verso gli altri?
“Non siamo stati noi” gli sussurrò Farbauti mentre stringeva la sua mano vicino al cuore. “Spostiamoci verso il bosco del Nord, avvertiamo le altre tribù e combatteremo per salvare gli innocenti”
“Combattere gli asgardiani non riporterà in vita i miei genitori”
“Aiuterà a salvare i genitori di altri bambini, Laufey” il gigante si avvicinò a lui, sfiorando assieme i loro nasi. Il principe si scostò, preoccupato e impaurito da quel gesto inaspettato. Lo guardò e vide negli occhi di Farbauti un senso di colpa immenso che riusciva a inglobare qualsiasi emozione. Laufey lo abbracciò, stringendoselo a sé per non perderlo. In quell’istante di smarrimento aveva cercato le sue labbra per dirgli che lo amava, dargli forza contro le ingiustizie del mondo. “Farbauti…” Non era pronto, Farbauti non doveva stare con lui, il principe violento. Ma lo amava ed era il suo unico parente rimasto e non se lo sarebbe lasciato sfuggire. Sentì un sollievo inaspettato, era il momento di dirglielo.  “…aiuteremo nostro figlio”
 

“Caro, qualcosa ti turba?” Frigga si avvicinò lentamente al marito, poggiando una mano sulla spalla. Da quando il figlio e i suoi amici erano partiti Odino era diventato più taciturno, non che non lo fosse mai, solo un po’ più del solito. Seduto sul trono con lo sguardo fisso nel vuoto, aveva disdetto ogni appuntamento in programma e continuava a declinare il suo aiuto. Quando stava seduto a guardare i mondi leggendo e rubando ad ogni persona i pensieri nessuno riusciva a fermarlo dalle ricerche. Se era alla ricerca del figlio minore, ne dubitava fortemente che ce l’avrebbe fatta in poco tempo. Solo quando gli diede un pizzicotto sulla spalla lui lentamente si girò verso di lei e la guardò: “Sto bene, sto bene”                                                                               
“È da un po’ che mi chiedevo quando la verità sarebbe venuta a galla”
Odino corrugò le sopracciglia: “Come scusa?”
“Non fare il finto tonto, lo sai anche tu” disse lei, iniziando a scendere i gradini della grande scalinata di marmo.
“Aspetta. Parliamone”
“Non è con me che ne dovevi parlare” i tacchi delle sue scarpe fendevano il silenzio come le lancette di un orologio, ricordando al padre degli dei che ogni passo corrispondeva al tempo perso che lui aveva dedicato alla sua famiglia in quei secoli. Nulla diceva. Non hai fatto nulla.
“Pensi che Loki ora sappia la verità?” mormorò Odino, finalmente sconfitto dall’insistenza della moglie.
“Laufey farà leva sulla vendetta per mettercelo contro. Spera solo che Thor sia in grado di fermarlo”
“Non ti fidi di Loki?” L’improvviso silenzio che seguì l’arresto dei passi della regina risuonò minaccioso nella sala. Oh oh. Lei non si degnò nemmeno di girarsi, facendo intendere che non avrebbe avuto discussioni sul quel punto. Riprese a camminare, lenta e pacata come una farfalla.
Tic Tic Tic. Odino ritornò a guardare Jötunheim, cercando l’acerrimo nemico e il figlio.
Tic Tic Tic.  Se Laufey diceva la cruda verità al figlio, c’èrano molte possibilità che escludevano soluzioni pacifiche da parte di Loki. Aggravato dalle menzogne che aveva creato nell’infanzia del ragazzo Odino doveva essere cauto o tutto sarebbe crollato come un castello di sabbia sulla spiaggia. Forse avrebbe potuto ottenere l’aiuto di Thor, se solo quella testa vuota avesse capito come la situazione si stava volgendo. L’aiuto della moglie lo aveva appena perso. Doveva solo aspettare che tutto si riaggiustasse secondo i suoi piani e come lui aveva stabilito. Avrebbe rimediato a tutto.
Tic Tic Tic. Solo, un po’ più di tempo. Tutto si sarebbe riaggiustato: la sua famiglia si sarebbe riunita, il figlio maggiore sarebbe diventato re e il minore non avrebbe causato più guai. Quanto a lui, sarebbe perfino potuto andare in pensione tranquillamente con la adorata consorte che cucinava per lui.
Solo un po’ più tempo.
Tic. Tic. Tic. 



Angolino dell'autrice:
Mi dispiace un sacco per il ritardo sull'aggiornamento T-T Ma tra scuola e disegni sono davvero indaffarata.
Ho deciso di fare Farbauti maschio dopo una lunga riflessione (Maschio o femmina, questo è il problema) Spero che non turbi troppo la vostra psiche anche perchè nel film sono tutti maschi i giganti di ghiaccio, quindi...
Laufey secondo la mitologia è la madre di Loki, nel film il padre.
Ai posteri l'ardua sentenza!
Vado!

p.s. non so stimare l'uscita del capitolo, spero il prima possibile. 
AngelodDarkness

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3197863