Lo specchio rotto

di Lady Five
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 ***
Capitolo 3: *** Cap. 3 ***



Capitolo 1
*** Cap. 1 ***


Racconto ispirato ai romanzi di Giorgio Scerbanenco dedicati a Duca Lamberti.
Ho volutamente tralasciato di spiegare alcuni particolari, per non fare spoiler, nel caso qualcuno decidesse di leggerli, ma sono disponibilissima a fornire in privato tutte le delucidazioni richieste.

 

 

Il piccolo motoscafo fendeva lentamente le acque scure del lago, lasciando dietro di sé una piccola scia. Intorno c'era un buio pesto. Soltanto la piccola luce anteriore dell'imbarcazione illuminava, per un breve tratto, l'acqua color del piombo.
Era anche maledettamente freddo e umido, per essere ottobre. Duca Lamberti si rialzò il bavero del soprabito, troppo leggero, con una smorfia di disappunto. Di fronte a lui, Mascaranti si accese una sigaretta e, senza parlare, ne porse una anche a lui.
La telefonata di Carrua era arrivata poche ore prima. Come la volta precedente1, un incarico non ufficiale. Un favore personale, più che altro. Nientemeno che al prefetto, così gli aveva urlato l'ispettore... Ma, del resto, Carrua urlava sempre. Si infuriava soprattutto quando sbagliavano l'accento del suo cognome, e lo chiamavano Carrùa, invece di Càrrua.
Duca aveva fatto solo qualche domanda, poi aveva accettato. Non che uno nella sua posizione avesse molta scelta, ormai, considerò amaramente l'ex medico. Così, Mascaranti era passato a prenderlo con una delle sgangherate macchine in dotazione alla questura di Milano e insieme si erano diretti alla località lacustre dove li attendevano il piccolo motoscafo e il suo taciturno conducente.
A un certo punto, una pallida luna fece capolino attraverso le nubi e si poté cominciare a scorgere la sagoma allungata dell'isola. La traversata per fortuna stava per concludersi. I due passeggeri rimasero colpiti dalla mancanza di luci e suoni. Sembrava un luogo disabitato, oltre che inquietante. L'imbarcazione la aggirò su un lato ed entrò in una piccola darsena, accostandosi a un breve molo di cemento. I tre occupanti scesero.
“Per di qua” disse laconico il barcaiolo, precedendoli.
Dal porticciolo partiva una stradina acciottolata, chiusa da un alto muro di pietra su un lato e dalle scure acque del lago sull'altro, appena nascoste da un parapetto. Qualche raro lampione rompeva l'oscurità con la sua fioca luce. Dopo un tratto, il viottolo cominciava a inerpicarsi, lasciando il lago sempre più in basso, nascosto dalla vegetazione. Camminarono per un bel tratto in salita, poi varcarono un pesante cancello di ferro battuto e si addentrarono in un giardino, fino a giungere in vista della villa. Duca e Mascaranti tirarono un sospiro di sollievo. Camminando si erano scaldati, ma la passeggiata forzata li aveva un po' provati.
L'edificio, da quel poco che si riusciva a distinguere, appariva come una massiccia struttura quadrangolare, che dominava l'isola con la sua mole severa. Con le due torri laterali e i profili merlati, era più simile a un castello o una fortezza, che a un'abitazione. Solo poche finestre erano illuminate. L'impressione d'insieme era di un posto ben poco ameno.
I tre uomini salirono la scalinata di pietra, fino a un pesante portone. Il barcaiolo alzò uno dei battenti e bussò. Nei pochi istanti che trascorsero prima che qualcuno venisse ad aprire, Mascaranti pregustò il tepore che lo avrebbe accolto e soprattutto si augurò che venisse loro offerta una cena decente, visto che non avevano avuto il tempo di mettere qualcosa sotto i denti, prima di partire da Milano. Duca invece si guardava intorno. Il poliziotto sapeva che stava prendendo mentalmente appunti.
Venne ad aprire un uomo in un impeccabile abito scuro. Un maggiordomo, o qualcosa del genere.
“Buonasera, signori. Prego, seguitemi, il conte vi sta aspettando” disse con una curiosa voce nasale.
Il barcaiolo invece si dileguò nelle tenebre, silenzioso come sempre, senza che loro potessero avere il tempo di salutarlo, come si conviene tra persone educate.
Il maggiordomo fece l'atto di prendere i loro soprabiti, ma entrambi rifiutarono gentilmente. Dopotutto, lì dentro non faceva poi così caldo. Lo seguirono attraverso un corridoio lungo, stretto e piuttosto buio, fino a una porta, sotto la quale filtrava - finalmente - una lama di luce.
Il maggiordomo bussò discretamente e aprì.
“Signor conte, i signori che stava attendendo sono arrivati.”
“Grazie, Pietro, falli entrare e portaci il tè, per favore.”
Il domestico assentì, si fece da parte per lasciare entrare i due ospiti e si allontanò.
Sprofondato in una poltrona, il conte Carlo Alberto Varrega2 indicò con la mano il divano di fronte a lui.
“Prego, accomodatevi” disse con una voce che voleva essere gentile, ma suonò stranamente poco gradevole.
Il salotto in cui si trovavano era scuro e austero, ma il caminetto acceso diffondeva un piacevole tepore. Duca e Mascaranti si lasciarono cadere sul sofà con un moto di sollievo. Poco dopo entrò il maggiordomo portando un vassoio. Versò il tè nelle tazze e lasciò tutto l'occorrente sul tavolinetto basso posto tra la poltrona e il divano, prima di sparire di nuovo senza fare il minimo rumore. Era un orario piuttosto bizzarro per bere tè, i due avrebbero certo preferito qualcosa di più forte, ma non commentarono.
Il conte non parlava, sembrava piuttosto che stesse studiando i due uomini seduti davanti a lui, mentre rimescolava nella tazza il liquido fumante. Era un ometto sulla sessantina, magro e grigio di capelli, vestito di scuro, con un'espressione dura e diffidente dipinta sul volto. Nell'insieme, a entrambi ispirò subito un'istintiva antipatia.
“Quindi voi sareste amici del prefetto di Milano?” chiese dopo un po'.
“Non proprio - lo corresse Duca - Il nostro superiore, il dottor Carrua, ha ricevuto una telefonata diciamo... non ufficiale da parte del prefetto... ed eccoci qua.”
Duca sperò con tutto il cuore che il conte non sapesse, e non capisse, che lui non era un vero poliziotto. Non che gli importasse cosa avrebbe potuto pensare di lui, ma non aveva nessuna voglia di raccontargli la sua storia.
“Ci dica esattamente che cosa è successo, signor conte” disse nel modo più cortese che gli riuscì.
Mascaranti tirò fuori dalla tasca del giubbotto il suo inseparabile taccuino e una penna.
I due conoscevano per sommi capi la vicenda, naturalmente, ma volevano che fosse il diretto interessato a enunciare i fatti.
“Come saprete, mia moglie è scomparsa.”
“Quando?”
“Stasera. La domestica è andata verso le diciotto e trenta a portarle le medicine, come al solito, e lei non c'era più, né in camera sua né da nessun'altra parte della villa.”
“E quando è stata vista l'ultima volta?”
“Alle sedici e trenta, per il tè.”
Duca considerò che Carrua lo aveva chiamato poco dopo le sette di sera. In quel breve lasso di tempo il conte aveva telefonato al prefetto e il prefetto aveva contattato l'ispettore... Perché tanta fretta? Perché quell'uomo aveva chiesto l'intervento non ufficiale di due poliziotti milanesi, invece di rivolgersi alle autorità del posto? Carrua era stato molto vago in proposito. Aveva detto che il nobiluomo non amava gli scandali e, prima di coinvolgere i suoi compaesani, aveva preferito rivolgersi a degli estranei per fare svolgere delle indagini preliminari.
Duca e Mascaranti si scambiarono una rapida occhiata.
“Quindi, sua moglie era scomparsa da massimo due ore e lei ha chiamato subito il prefetto... non è stato forse un po' troppo... precipitoso? Intendo dire, non può essere che la signora avesse voglia di fare un giro in paese, magari è andata a trovare un'amica e non si è resa conto del tempo che passava?”
“No, è impossibile che sia andata così - lo interruppe secco il conte - Mia moglie non si allontana mai, tanto meno da sola. In più, l'unico mezzo per lasciare l'isola è l'imbarcazione con cui siete arrivati voi, e non si è mai mossa dalla darsena prima di venirvi a prendere. Ma evidentemente non sapete tutto. Venite, vi mostro la sua stanza.”
Il conte si alzò faticosamente dalla poltrona e condusse i due uomini, sempre più perplessi, lungo una serie di corridoi e scale che salivano e poi scendevano, e che il vecchio percorreva con una certa fatica, fino alla camera della moglie, situata in una delle torri d'angolo.
La stanza era in perfetto ordine: il letto era rifatto con cura, i libri allineati sugli scaffali di noce, nessuna impronta sulle poltrone o sui cuscini. Si faticava a pensare che lì fino a poche ore prima fosse vissuta una persona. Mascaranti si guardava intorno con occhi indagatori, da sbirro consumato qual era. Duca cercava invece di capire le ragioni di tanta reticenza. Perché era chiaro che il conte stava occultando qualche particolare. Perché, poi, avevano camere separate? Era soltanto un vezzo da nobili?
“Lei permette che diamo un'occhiata... più approfondita, vero?” chiese.
“Sì, certo, vi ho chiamati per questo.”
I due cominciarono a rovistare in giro, ad aprire cassetti e armadi... alla ricerca di qualunque dettaglio fuori posto. Ma non trovarono nulla.
Mascaranti prese un portafotografie dalla scrivania e la mostrò a Duca.
“Questa è sua moglie, suppongo.”
“Sì, esatto. La tenga pure, se può servirvi per le indagini.”
Molto più giovane del marito, commentò Duca tra sé, togliendo la foto dalla cornice e mettendosela in tasca, ... e infinitamente più graziosa.
La scoperta più inattesa, però, la fece Mascaranti.
Scostando un pesante tendaggio, che nascondeva una rientranza nel muro, si lasciò sfuggire un'esclamazione di sorpresa.
Nell'angolo c'era una sedia a rotelle.
Ecco il dettaglio che mancava!
I due uomini rivolsero al conte uno sguardo interrogativo. Negli occhi del conte brillava invece una strana luce, che aveva un che di maligna soddisfazione.
“Ora capite perché mia moglie non può andare da nessuna parte da sola e di sua iniziativa. E in generale preferisce restare qui e non ama ricevere nessuno.”
“Deduco, quindi, che non si tratta semplicemente di una gamba rotta - commentò Duca - Posso chiederle la causa dell'infermità della contessa?”
“Oh, un brutto incidente, tanto tempo fa.”
Era oltremodo doloroso collegare il viso giovane e gentile della contessa con la brutale realtà di quella sedia a rotelle. Questo comunque cambiava di parecchio il quadro della situazione.
Duca aprì la finestra e l'aria fredda e umida della sera lo investì. La stanza era nella torre, ma si trovava al pianterreno, e la finestra dava direttamente sul lago. Nel buio biancheggiavano alcune rocce, su cui si infrangevano, con un suono cupo e monotono, le acque scure.
Una persona disabile non se ne sarebbe mai potuta andare via da lì, soprattutto in una sera come quella. A meno che...
Duca richiuse le finestra e fissò gravemente il conte.
“Stando così le cose, non ci sono molte alternative per spiegare la scomparsa di sua moglie. Suicidio o... omicidio.”
“O rapimento” disse prontamente il conte.
“Veramente, se fossi un delinquente, troverei molto più semplice rapire lei dal suo salotto che una donna inferma da questa stanza a picco sul lago. Comunque, anche questa è una possibilità e la valuteremo. In tal caso, di solito si aspetta che i rapitori si facciano vivi. Lei ha qualche sospetto? C'è qualcuno che avrebbe potuto trarre vantaggio dalla scomparsa o dalla morte di sua moglie? Qualche parente, per esempio... o qualcuno della servitù.”
“No, non mi viene in mente nessuno. Non abbiamo figli. La mia unica erede è mia moglie e, alla sua morte, degli enti di beneficenza. Proprio non ne ho idea.”
Ci fu qualche istante di silenzio.
“Dovremo interrogare tutti gli altri occupanti della villa...” disse Duca.
“Sì, certo, ma domani - disse il conte quasi cordialmente - Ora sarete stanchi e affamati. Vi farò accompagnare nelle vostre stanze, dove vi verrà servita la cena. Buonanotte.”
Il conte uscì dalla stanza e scomparve nel buio corridoio, lasciando i due un po' interdetti. Come, tutta questa fretta per farli andare lì e ora rimandava ogni cosa a domani? Non che fossero dispiaciuti. In effetti, era buio e non sarebbe stato possibile esaminare i dintorni della villa fino al giorno dopo... Avrebbero dovuto, però, almeno fare qualche domanda alla servitù, quando il caso era ancora “fresco”. L'indomani avrebbe potuto essere troppo tardi, come i bravi poliziotti ben sanno.
Appena scomparso il conte, sulla soglia si materializzò quasi magicamente Pietro, che li pregò di seguirlo fino alle stanze loro assegnate. Né Duca né Mascaranti avevano messo in conto di trascorrere lì la notte. Ma entrambi erano abituati agli imprevisti e ad adattarsi anche alla situazioni più disagiate. Mascaranti aveva alle spalle anni di duro lavoro da sbirro, fatti anche di notti passate all'addiaccio o in scomode macchine, e Duca in carcere ne aveva viste di tutti i colori, quindi...
Attraversarono un'ala della villa che non avevano ancora visto, gelida e tetra come tutto il resto. Anche le due camere destinate a loro non erano diverse, anche se qualcuno si era sforzato di renderle accoglienti. Su ogni letto era appoggiato un pigiama ancora avvolto nella confezione e in bagno c'era tutto l'occorrente per la toilette. La domestica lasciò a ciascuno un vassoio con la cena.
Duca sentì bussare alla porta.
“Dottore, le spiace se ceniamo qui da lei? Non mi va di mangiare di là da solo. Questo posto mette i i brividi...”
“No, certo che no. Glielo avrei chiesto io stesso, mi ha preceduto.”
Si sedettero al piccolo tavolo e per un po' mangiarono in silenzio.
“Che cosa ne pensa? - chiese Duca appoggiando il tovagliolo - L'avrà uccisa lui?”
“Non lo so, ma non credo. Sì, la contessa è molto più giovane di lui e, dalla foto, sembra anche una bella donna... Quindi in effetti il movente potrebbe essere la gelosia. Ma nello stesso tempo mi sembra assurdo essere gelosi di una inferma che vive segregata su un'isola senza praticamente mai uscire né vedere nessuno, a parte i domestici e il suo bisbetico marito. Poi ci ha fatto chiamare lui... mentre avrebbe potuto liberarsi di lei in qualunque altro modo.”
“Forse ci ha fatto chiamare per salvare le apparenze. Il personale di servizio avrebbe potuto sospettare qualcosa. Comunque, forse la contessa non era poi così sola...”
“Che intende dire?”
“Forse qualcuno veniva a trovarla dal lago. Domani controlleremo meglio, ma la sua stanza sembra accessibilissima per uno che arrivi con una barca.”
“Quindi lei pensa che il conte abbia sorpreso i due amanti, li abbia fatti fuori e buttati nel lago con una pietra al collo?”
“Lo so, è un po' troppo romanzesca come ricostruzione. Il conte è vecchio, non avrebbe potuto fare tutto questo da solo... e tra la scomparsa della contessa e l'allarme sono trascorse soltanto due ore, troppo poco per compiere un duplice delitto e far sparire ogni traccia.”
“L'altra ipotesi è il suicidio” continuò Mascaranti, chiedendo con lo sguardo a Duca il permesso di accendersi una sigaretta. L'altro assentì e porse la mano per farsene dare una.
“E, francamente proseguì il poliziotto - se fossi stato io nella sua situazione, mi creda, mi sarei già ammazzato da un pezzo! Resta da capire come. Buttandosi nel lago? Impresa non facile, per una persona paralizzata.”
“Chiederemo alla donna che si è accorta della scomparsa come ha trovato la stanza, se la finestra era aperta o chiusa. C'è una terza possibilità, ma ci devo ancora riflettere bene.”
“Cioè?”
“La fuga.”

 

 

 

 

1In “Venere privata” (1966), il primo dei quattro romanzi che hanno Duca Lamberti come protagonista.

2Una contessa Cecilia Varrega di Camogli è citata nel romanzo “Malombra” (1881) di Antonio Fogazzaro.

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Capitolo 2
*** Cap. 2 ***


La notte trascorse senza novità.
Nessuno aveva telefonato o mandato messaggi per chiedere un riscatto. Ma Duca e Mascaranti non si stupirono affatto. L'ipotesi del rapimento non li aveva mai convinti.
La stessa domestica della sera prima portò loro la colazione e li avvertì che il conte non si sentiva molto bene e sarebbe rimasto nella sua stanza. La scomparsa della moglie lo aveva molto provato.
“Ma mi ha incaricato di dirvi che avete carta bianca, potete perquisire dove volete, e anche noi del personale siamo a vostra completa disposizione.”
“Bene... Quanti vivono in questa casa, a parte i conti?” approfittò subito Duca.
“Oh, non siamo in molti. C'è Pietro Giussani, il maggiordomo, Anna Bernasconi, la cuoca, Renzo Magni, il giardiniere, che vi ha accompagnato qui con la barca, e io.”
“Grazie, più tardi verremo a parlare con tutti voi. Lei come si chiama, signorina?”
“Gilda Ambrosioni.”
“E lei che si è accorta della scomparsa della contessa?”
“Sì.”
“A più tardi, Gilda.”
I due poliziotti iniziarono subito le vere indagini. Per prima cosa, rivoltarono come un guanto la stanza della contessa e il piccolo bagno attiguo, ma senza trovare nulla di significativo.
“Questa stanza sembra disabitata da anni - commentò Mascaranti - Non c'è una radio, un televisore, un telefono... Che cosa faceva una persona chiusa qua dentro tutto il giorno?”
“Forse non stava sempre qui. Magari qui veniva solo a dormire.”
“Ma il conte ha detto che sua moglie non si muoveva quasi mai dalla sua stanza” obiettò il poliziotto.
Duca aprì la finestra. La giornata era grigia e il lago sembrava una lastra di piombo senza vita. Si chiese quanto fosse profonda l'acqua in quel punto. Cercò di immaginarsi la scena del suicidio: la contessa che si spingeva con la sedia a rotelle fino alla finestra - presumibilmente chiusa, vista la stagione, quindi avrebbe dovuto aprirla lei stessa - poi scavalcare faticosamente il davanzale, trascinarsi sulle rocce fino all'acqua... Ma più ci pensava, più gli sembrava improbabile che una persona con quegli evidenti impedimenti fisici potesse fare tutto questo. In realtà, non sapevano nemmeno quale fosse il grado di invalidità della contessa, se riguardasse soltanto le gambe o anche altro... si erano dimenticati di chiederlo. Forse erano troppo coinvolti in quella vicenda, inspiegabilmente, e non avevano la necessaria lucidità.
Stava per richiudere la finestra, quando un fugace luccichio in basso attirò la sua attenzione. Guardò meglio. Sotto, incastrato tra le rocce, qualcosa brillava. Scavalcò subito il davanzale e raccolse il piccolo oggetto: uno specchio da borsetta, rotto. Alcune schegge acuminate erano rimaste a terra. Lo rigirò tra le dita. Era pulito e non ancora ossidato dagli agenti atmosferici. Non doveva essere lì da molto. Lo mostrò a Mascaranti, che non sembrò però particolarmente colpito.
“Potrebbe essere caduto chissà quando...”
“No, secondo me è lì da poco tempo. E poi, come fa a trovarsi tra le rocce? Come ha potuto perderlo in quel punto una persona che non può muoversi?”
Duca avvolse lo specchio in un fazzoletto e se lo mise nella tasca del soprabito, sempre più convinto che la chiave del mistero fosse in quella stanza, anzi, fosse proprio quella finestra.
Decisero di perlustrare i dintorni della villa. L'isola, alla luce del giorno, aveva un aspetto meno lugubre, ma non aveva perso del tutto la sua atmosfera tetra. Oltre alla villa e ai suoi annessi, non vi erano altre costruzioni, né vi era traccia, apparentemente, di altri abitanti. Il giardino, dalle aiuole ben curate, era cinto su un lato da una balaustra di pietra, oltre la quale si stendeva la distesa lattiginosa del lago. Ripercorsero la strada che avevano fatto la sera precedente, fino alla darsena, dove era ancora ormeggiato il piccolo motoscafo che li aveva condotti fin lì. Poi si inoltrarono nella vegetazione che copriva gran parte della superficie, scoprendo numerosi altri approdi naturali, piccole insenature, scalette dai gradini tappezzati di alghe, che si perdevano nell'acqua. Ma non trovarono nulla che li potesse mettere sulla buona strada, nessun indizio di quanto potesse essere capitato alla contessa.
Tornarono verso la villa e incontrarono il barcaiolo-giardiniere, intento a strappare delle erbacce. Lo interrogarono a lungo sulla contessa, sulle sue abitudini, sui suoi rapporti con il marito e con gli altri occupanti della villa... L'uomo rispose gentilmente a tutte le domande, ma non fu di alcun aiuto. Descrisse la contessa come una donna molto dolce e gentile con tutti, intelligente e sensibile, amante dei libri e della musica. Però non aveva molti rapporti con il mondo esterno, da quando le era capitato quel brutto incidente che le aveva tolto l'uso delle gambe.
“Quando è successo esattamente? E come è successo?”
“Circa due anni fa. Ma nssuno sa esattamente che cosa sia successo... Da allora ho visto piuttosto raramente la signora. La persona che aveva contatti quotidiani con lei è la Gilda.”
“Sa dove possiamo trovarla?”
“A quest'ora starà dando una mano in cucina. Vi accompagno.”

Gilda fu molto disponibile. Ripeté quello che aveva già riferito loro il conte.
“Si ricorda se la finestra della camera della signora fosse aperto o chiusa?” le chiese Duca.
“Era aperta... e questo mi ha stupito appena entrata, perché ormai fuori era buio e freddo.”
“E la sedia a rotelle? Dove era posizionata quando è entrata?”
“Era sotto la finestra. Ma la contessa non c'era! - disse la ragazza visibilmente commossa - Oh, ispettore, che cosa può essere successo?”
“Siamo qua per cercare di scoprirlo, signorina. Ancora una domanda: ha per caso notato se ci fosse qualcosa fuori posto nella stanza, o se mancasse qualcosa dagli armadi o dai cassetti?”
“No, era tutto in ordine. E mi pare che non mancasse nulla...”
“Va bene, grazie, Gilda. Se le venisse in mente qualcos'altro, anche un particolare apparentemente insignificante, ce lo faccia sapere.”
“Certo, ispettore, stia tranquillo.”
Dopo Gilda, fu la volta della cuoca, una donna di mezza età, non molto loquace, e del maggiordomo, con cui non avevano ancora avuto modo di parlare a quattr'occhi. Ma anche da loro non venne alcuna illuminazione. La contessa sembrava benvoluta da tutti alla villa. Da quasi tutti, almeno... pensò Duca. Non era del tutto sicuro che lo fosse altrettanto anche dal marito. Bisognerà fare due chiacchiere anche con lui, prima o poi, si ripromise.
Duca e Mascaranti pranzarono da soli in una piccola sala da pranzo al pianterreno, serviti da Gilda, poi uscirono di nuovo in giardino a fumare.
Duca infilò la mano in tasca e si ricordò del piccolo specchio rotto. Lo tirò fuori e si mise a fissarlo, come se da lì potesse provenire la soluzione dell'enigma.
“Ricapitolando - disse dopo un po' - nessuno qui sembrerebbe interessato a fare del male alla contessa. Non abbiamo trovato nulla che possa far pensare a un omicidio o a un suicidio.”
“Sì, ma non abbiamo nemmeno prove del contrario. La finestra era aperta, quindi potrebbe averla aperta la contessa stessa per buttarsi di sotto, con la forza della disperazione...”
Duca mostrò ancora lo specchio a Mascaranti.
“Una persona che si suicida non si porta dietro uno specchio. È vero, avrebbe potuto averlo perso tempo fa, ma forse in quel caso l'avrebbe fatto recuperare... Lo so, è debole come indizio, ma al momento è tutto ciò che abbiamo.”
“Qual è allora la sua ipotesi, dottore?”
“Che potrebbe invece essere scappata, naturalmente con l'aiuto di qualcuno. Anche se all'apparenza dalla sua stanza non manca nulla, una fuggitiva qualcosa si porta dietro, no? Magari, nello scavalcare il davanzale, che sarà stato sicuramente complicato per una nelle sue condizioni, lo specchietto potrebbe essere scivolato via dalla borsa...”
Mascaranti annuì poco convinto.
“Ma la cameriera ha detto che non mancava nulla...” obiettò.
“Lo so, ma non sono così sicuro che abbia davvero controllato. Ha trovato la stanza in ordine e quindi, secondo me, non ha pensato di rovistare negli armadi. Oppure, la borsa potrebbe essere stata portata dal complice, proprio per non destare sospetti... Comunque, oggi pomeriggio voglio andare in paese - continuò Duca - Spero che lì siano un po' più pettegoli degli abitanti di quest'isola. Possibile che nessuno sappia niente di questo maledetto incidente? Lei continui qui a... non so nemmeno io a fare che cosa. Sembriamo finiti in un vicolo cieco.”
Ma Duca sapeva che Mascaranti era un vecchio segugio e avrebbe continuato le indagini seguendo il suo fiuto infallibile. Lui poco dopo raggiunse il barcaiolo e gli chiese di riaccompagnarlo sulla terraferma.

Era ormai buio quando la piccola imbarcazione attraccò di nuovo nella darsena dell'isola. Duca raggiunse velocemente Mascaranti in camera sua.
“Ha qualche novità?” gli chiese.
“Io no. E lei?”
“Io ho scoperto un paio di cose molto interessanti. Non so ancora come collegarle alla scomparsa della contessa, ma comunque dimostrano che qui tutti, soprattutto il conte, hanno occultato la verità.”
Il poliziotto lo fissò con curiosità.
“Il conte Varrega ha un figlio!”
“Ah! Aveva detto di non averne!”
“Infatti. Non è ovviamente figlio dell'attuale moglie, ma della precedente, morta una decina d'anni fa. Dovrebbe avere circa trent'anni.”
“E che fine ha fatto?”
“È un medico e vive da un'altra parte, anche se nessuno sa dove - nel pronunciare la parola medico la voce gli si incrinò appena - Non mette piede da queste parti di circa due anni. Pare non fosse mai andato molto d'accordo con il conte, soprattutto dopo la morte della madre, finché un bel giorno se n'è andato e non ha più fatto ritorno.”
Duca fece una pausa. Lui e il figlio del conte erano più o meno coetanei. Si chiese se si fossero mai incrociati in qualche aula universitaria... sempre che anche lui avesse studiato a Milano.
“Non le dice niente la fuga del giovane Varrega?”
“A parte che ha fatto benissimo... non saprei.”
“Magari è solo una coincidenza, ma lui se n'è andato più o meno nello stesso periodo in cui la contessa ha avuto l'incidente che l'ha resa invalida.”
“Già... ma che cosa significa?”
“Non lo so, magari nulla. E poi c'è la questione dell'incidente. Qui sono stati tutti molto evasivi su questo punto. E in paese nessuno sembra saperne nulla. Quelli con cui ho parlato hanno detto di aver visto la contessa perfettamente sana il giorno del suo matrimonio, dopodiché basta, non è più tornata. Almeno lì, nessuno l'ha più incontrata. Anche il conte ci andava di rado, ma lei non si è più vista.”
I due tacquero un istante, cercando ognuno di immaginare come potesse essere stata la vita di una donna giovane, bella e intelligente segregata in un posto da cui loro stessi non vedevano l'ora di scappare dopo nemmeno 24 ore.
“Ora - proseguì Duca - che incidente può aver avuto una donna che non si è più mossa da qui? Io purtroppo ho pensato subito a un incidente stradale e non ho sentito il bisogno di approfondire la cosa... ma qui non ci sono macchine. Può essere successo qualcosa con la barca? Mi pare difficile. È caduta da qualche parte? Magari... per colpa di qualcuno? Ormai è tardi. Ma domani dobbiamo assolutamente parlare con il conte, e questa volta non ho intenzione di usare tanti riguardi, prefetto o non prefetto.”

La mattina seguente, di buon'ora, Duca chiese di essere ricevuto dal conte.
Mezz'ora dopo, il maggiordomo li introdusse nel medesimo salottino in cui si erano incontrati la prima volta. Il conte era sprofondato nella stessa poltrona. Ma questa volta non era solo. In un angolo era seduto un altro uomo, abbastanza anziano, che beveva qualcosa.
“Signor conte - attaccò subito Duca, duro - credo che lei ci debba qualche spiegazione. Dobbiamo parlare... in privato” aggiunse lanciando un'occhiata eloquente verso l'uomo sconosciuto.
“Non ce n'è bisogno. Siete qui in veste non ufficiale, no? Dite pure.”
“Come preferisce. Perché non ci ha parlato di suo figlio?”
Varrega ebbe un leggero sussulto.
“Perché avrei dovuto? - chiese con voce rauca - Mio figlio se n'è andato due anni fa e non è più tornato. Non so più nulla di lui. Per me è come se fosse morto.”
“Perché se n'è andato e ha interrotto ogni rapporto con lei?”
“Oh - il conte fece un gesto vago con la mano - divergenze di opinione, incompatibilità di carattere... conflitti generazionali, come si dice oggi.”
“Sua moglie aveva già avuto l'incidente, quando suo figlio se n'è andato?”
“Sì, ma... che cosa c'entra?”
“Suo figlio potrebbe essere interessato alla morte della contessa... magari per questioni di eredità.”
“No, quando ha abbandonato l'isola l'ho diseredato.”
Ma che bella famiglia!
“Ci parli dell'incidente... Com'è successo? In che...”
“Basta così! Non vi permetto di usare questo tono in casa mia! Qualunque cosa sia successa allora, adesso non ha più importanza, perché mia moglie è morta!”
I due rimasero pietrificati.
“Come? Perché dice questo?”
Il conte indicò lo sconosciuto. I due lo osservarono con più attenzione. Portava stivali di gomma alti fino al ginocchio e sembrava piuttosto a disagio in quella stanza tetra. Continuava a rigirarsi tra le mani il cappello di tela impermeabile. Pensarono a un pescatore del posto.
“Questo signore proprio poco fa mi ha portato questa.”
Mostrò loro una sciarpa leggera, color avorio, con dei ricami. Era però sporca, umida e stropicciata.
“Era di mia moglie, questo è lo stemma della mia famiglia. Vuole dire a questi signori dove l'ha trovata, per favore?”
“L'ho trovata stamattina sulla spiaggia di fronte all'isola. Sicuramente è stata la corrente a portarla fin lì. Povera contessa!”

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Capitolo 3
*** Cap. 3 ***


Duca Lamberti sentì montargli dentro un furore sordo, che lui stesso non sapeva spiegarsi. La rapidità con cui il Varrega era giunto alle conclusioni lo irritava profondamente.
“Un momento, signori! Questo non prova proprio nulla! Quella sciarpa potrebbe essersi trovata lì per mille altri motivi!”
“Sono sicuro che mia moglie indossasse quella sciarpa la sera in cui scomparve. A questo punto mi sembra evidente che si sia suicidata...”
“Non è affatto così evidente - incalzò Duca - Innanzitutto, per la difficoltà del gesto per una persona con la sua invalidità. Poi, solitamente i suicidi lasciano scritto qualcosa...”
In realtà, né lui né Mascaranti avevano ancora scartato quell'ipotesi. Ma gli sembrava assurdo che un uomo si rassegnasse così alla morte della moglie, senza altra prova che una sciarpa ributtata dal lago su una spiaggia.
Il conte si strinse nelle magre spalle.
“Lei ha qualche altra idea plausibile?”
Duca ignorò la domanda.
“Prima di dichiarare la morte di una persona bisogna almeno tentare di recuperare il corpo... solo così si può averne la certezza, e soprattutto verificare se si sia trattato di suicidio, omicidio o incidente.”
“Impossibile - intervenne il vecchio pescatore - Questo lago non ha mai restituito nulla. È troppo profondo e pieno di gorghi e correnti.”
“Farò fare tutte le ricerche del caso - promise il conte - Intanto, vi sollevo dall'incarico. Vi ringrazio per quanto avete fatto e farò presente al prefetto il vostro lodevole impegno. Renzo vi riaccompagnerà sulla terraferma.”
Duca tentò di protestare.
“Ma non abbiamo risolto il caso! Siamo esattamente allo stesso punto di quando siamo arrivati! Non so se se ne rende conto...”
Varrega si sollevò faticosamente dalla poltrona.
“Per quanto mi riguarda, il caso è risolto. Purtroppo. Credete che mi faccia piacere accettare questa conclusione? Mia moglie era giovane e bella, come avrete visto, e non si era mai rassegnata alla disgrazia che le era capitata, non accettava il fatto che non ci fosse nulla da fare. Credetemi, il suicidio è l'unica spiegazione logica. Comunque, ora la mano passa alla polizia locale, che è già stata avvertita. ”
Lamberti frustrato mise la mano in tasca, dove ancora si trovava lo specchietto. Restò per un attimo indeciso se parlare o meno al conte dell'ipotesi della fuga della donna.
Poi risolse per il no. Se lei aveva scelto di scappare da quell'uomo, non voleva in alcun modo tradirla. Non era molto ortodosso, ma non poté, o non volle, farlo.
Il conte lì congedò con una fredda stretta di mano. Non riuscirono nemmeno a porgergli le condoglianze... perché per loro, malgrado tutto, la contessa non era morta.
Si ritrovarono poco dopo sul piccolo motoscafo, diretto verso la terraferma. Il barcaiolo, come al solito, non disse una parola fino all'arrivo.
Soltanto dopo che i due furono scesi sul piccolo molo del paese, l'uomo parlò.
“So che pensate che la contessa possa essere stata uccisa. Ma vi assicuro che non è così. Tutti la adoravano, compreso il conte, e nessuno, nessuno al mondo può averle fatto del male.”
“Quindi anche lei propende per l'ipotesi del suicidio?” chiese Mascaranti.
Renzo parve esitare un istante.
“Sì, temo non ci sia altra spiegazione. Il conte può avervi dato l'impressione di essere un uomo freddo e insensibile, ma è il suo modo di reagire al dolore. Io lo conosco da anni, non manifesta mai apertamente i suoi sentimenti, tanto meno con gli estranei... Ora vi saluto, devo proprio andare.”
L'uomo strinse loro le mani e si allontanò con l'imbarcazione.
Mascaranti fece per dirigersi verso il parcheggio dove avevano lasciato l'auto al loro arrivo, ma Duca non si mosse. Fissava il lago.
“Fermiamoci ancora per un giorno.”
“Ma il conte ci ha praticamente cacciato...”
“Ci ha cacciato da casa sua, ma non può impedirci di restare in paese. Voglio vederci chiaro. Andrò a dare un'occhiata a quella spiaggia... Ma se lei deve rientrare in servizio, faccia pure. Io tornerò con il treno.”
“Carrua mi ha dato tre giorni di licenza per seguire questa storia... quindi posso restare anch'io. Anche se lo ritengo inutile.”
Prenotarono due stanze in un modesto albergo ai margini del paese, per non dare troppo nell'occhio, e nel pomeriggio si fecero indicare la spiaggia di fronte all'isola, detta, scoprirono, dei Sette Gorghi. Un nome che era tutto un programma. Già spiaggia era esagerato. Era una lingua di fanghiglia e sassi, incassata in una piccola insenatura, tra rocce scure e taglienti. Il posto, spiegarono alcuni pescatori che stavano sistemando le loro barche, era chiamato così per via dei numerosi gorghi che si creavano in quel punto del lago, per un malefico gioco di correnti, scogli e grotte sommersi. Duca e Mascaranti chiesero in prestito una di quelle barche e fecero un sopralluogo nelle acque antistanti la baia, che erano però troppo scure e profonde per scorgere qualcosa.
A cena, sconsolati, non poterono che constatare la loro impotenza.
“Temo che dovremo arrenderci - disse Duca - Una forte corrente è in grado di trascinare un corpo non troppo pesante. Ma il cadavere potrebbe essere anche rimasto incastrato sul fondo, tra le rocce. Se il luogo è come lo descrivono, sarà molto arduo recuperarlo. Possono farlo solo dei sommozzatori, e con un bel po' di fortuna. Quel pescatore poi ha detto che il lago non ha mai restituito nessuno...”
“Già, davvero inquietante.”
“Non abbiamo nessun indizio, e nemmeno dei sospetti, che la contessa sia stata uccisa, mentre tutte le circostanze sembrano sostenere la tesi del suicidio. In ogni caso, non è più affare nostro, ma della polizia locale. Quindi, domani ce ne andiamo.”
Ma Duca non si sentiva in pace con la coscienza. Gli sembrava di aver deposto le armi troppo presto, di non aver fatto tutto il possibile per scoprire la sorte della giovane e sfortunata contessa. Purtroppo quella non era un'indagine ufficiale e questo limitava molto i loro movimenti.

Il mattino dopo, però, capirono dai discorsi della gente che la notizia della probabile morte della contessa si era ormai diffusa in tutto il paese. Vennero anche a sapere che nella tarda mattinata si sarebbe svolta una piccola cerimonia presso la spiaggia dei Sette Gorghi, come era uso da quelle parti per chi moriva nel lago.
Duca strinse i pugni.
“È così che la fa cercare, quel vecchio maledetto!”
“Magari lo hanno già fatto ieri, prima che noi andassimo a quella spiaggia... o forse lo faranno dopo...” disse Mascaranti con scarsa convinzione.
Decisero di partecipare anche loro, confusi tra la folla che si accalcava sul piccolo lembo di terra, spinta dalla devozione verso la giovane donna, o forse soltanto da curiosità un po' morbosa.
Videro il conte Varrega, al centro della baia, sul suo motoscafo parato a lutto, e accanto, su un'altra barca, un sacerdote con due chierichetti, che tenevano in mano dei ceri accesi. Il prete asperse la superficie plumbea con l'acqua benedetta e il conte gettò nel lago tre corone di fiori bianchi. Molti partecipanti, dalla riva, a loro volta buttarono fiori e rami di pino, prima di andarsene mestamente. Anche Duca aveva comprato un mazzo di rose bianche, ma si avvicinò all'acqua solo quando vide allontanarsi l'imbarcazione del conte.
Mascaranti si era guardato intorno per tutta la durata del triste rito, alla ricerca... non sapeva nemmeno lui bene di che cosa. Forse di qualche faccia sospetta. Si dice che l'assassino torni sempre sul luogo del delitto...
Subito dopo, i due si rimisero in macchina e tornarono a Milano. Riferirono brevemente a Carrua l'esito della vicenda. Il loro superiore fece una telefonata informale al collega che avrebbe dovuto occuparsi delle indagini, il quale riferì che, dai loro sopralluoghi, non era emerso nulla che facesse pensare a un delitto. Il corpo.... sì, i sommozzatori lo avevano cercato per un po'... ma anche lui ripeté quanto avevano detto tutti: quel lago inghiottiva chiunque e qualunque cosa, senza pietà.
Per un po' Duca comprò il giornale con la cronaca di quella provincia, sperando, ogni volta, di trovare una notizia, una qualunque, buona o cattiva che fosse. Ma non accadde mai.
Carrua si era accorto del suo turbamento e, urlando come suo solito, gli ricordò che la sua priorità ora era mettere insieme i cocci della sua vita e occuparsi di sua sorella e sua nipote, quindi che la piantasse di perdersi dietro a questioni ormai senza più senso.
Così un giorno Duca chiuse lo specchio rotto in un cassetto e cercò di non pensare più al dolce viso della contessa sepolto per sempre in quella gelida bara di acqua e roccia.

Trascorsero due mesi, durante i quali Mascaranti continuò a inseguire ladri e assassini, e Duca ricevette da Carrua altri incarichi investigativi non ufficiali, in attesa di essere riammesso all'ordine dei medici. Anche se non era più tanto sicuro che fosse quello che voleva. Trascorreva sempre più tempo in questura, dove Carrua gli aveva perfino assegnato un minuscolo ufficio. E gli piaceva stare lì, accidenti se gli piaceva. Suo padre, eroico agente dedito al suo lavoro, si era letteralmente tolto il pane di bocca per farlo studiare, perché potesse avere una vita meno dura della sua. Ma il sangue non è acqua, e lui probabilmente non era tagliato per fare il dottore, ma il poliziotto, come suo padre.
In una nebbiosa mattina milanese, gli recapitarono una busta, con un francobollo brasiliano. Incuriosito, la aprì subito. Non era firmata, ma Duca trasalì, quando si rese conto di che cosa si trattasse. La lesse tutto d'un fiato, non credendo ai propri occhi.


 

Gentile dottor Lamberti,
ho esitato molto prima di scriverle questa lettera, ma alcune circostanze mi hanno convinto che glielo dovevo.
Sono Edoardo Varrega, il figlio di quel conte Varrega che avete avuto modo di conoscere in circostanze tragiche.
Mio padre e io non siamo mai andati molto d'accordo. Lui, come vi sarete accorti, è un tipo molto chiuso e solitario, non ama la gente e la confusione. Non è una cattiva persona, ma è assolutamente incapace di esprimere i suoi sentimenti. Finché mia madre era in vita, in qualche modo riuscivo a sopportarlo. Ma dopo la sua morte i conflitti sono esplosi. Mio padre mi ha permesso di frequentare l'università e laurearmi in medicina, ma non voleva che esercitassi la professione, perché riteneva che fosse incompatibile con il nostro titolo e il nostro rango. Retaggi di un'epoca ormai finita, ma lui non riusciva ad accettarlo.
Quando si è risposato, circa tre anni fa, io ero contento. Ludovica era giovane, ma soprattutto era una donna solare e gentile. Speravo che lo avrebbe cambiato, lo avrebbe spinto a uscire dal suo isolamento. Ma non è andata così. Anzi, è avvenuto il contrario. Mio padre pretese che la sua nuova moglie diventasse come lui, praticamente la segregò sull'isola, impedendole perfino di ricevere i suoi vecchi amici e di andare in paese. Negli ultimi tempi, prima della disgrazia, non le faceva nemmeno arrivare la posta. Credo lo facesse per gelosia, forse aveva paura che prima o poi lei, così bella e affascinante, lo lasciasse. Un vero incubo per lei.
Poi accadde l' “incidente”. Che non fu affatto un incidente. La versione ufficiale che mio padre dava a tutti era che fosse caduta malamente dalle scale. La verità è che una mattina Ludovica si svegliò e non riuscì ad alzarsi né tanto meno a camminare. Vi chiederete come sia possibile. Si tratta di un forma di paralisi di origine psicosomatica3, che può colpire soggetti fragili e sottoposti a stress emotivi molto forti. Era chiaramente il caso di Ludovica, a mio parere (ero già laureato), e io lo dissi a mio padre. Ma lui non voleva ammettere che, di fatto, fosse colpa sua. Lei avrebbe avuto bisogno di analisi e di cure adeguate in un ospedale specializzato, ma mio padre si rifiutò di farla ricoverare e perfino di chiamare un medico. Così Ludovica non sarebbe guarita mai più. Una sera litigai furiosamente con lui. Fu allora che me ne andai di casa. Mi trasferii a Milano, dove avevo studiato, e cominciai a lavorare in ospedale, come avevo sempre sognato. Ma non potevo abbandonare quella povera ragazza. Dovevo fare qualcosa. Le ho provate tutte: ho scritto a mio padre, ho inviato sull'isola dei colleghi, ma lui non volle nemmeno riceverli. È stato tutto inutile.
Intanto avevo trovato il modo di comunicare con Ludovica. Non volevo che si sentisse abbandonata.
Renzo, il giardiniere, le si era sinceramente affezionato e non è stato difficile convincerlo a portarle i miei messaggi, che io facevo arrivare a una casella postale in paese. Ed è stato lui ad aiutarmi a organizzare la sua fuga.


A quella parola Duca sobbalzò sulla sedia. Dunque lui e Mascaranti avevano ragione: la contessa era viva! Ed era riuscita a scappare da quella prigione infernale!
In preda a un'incontenibile, e anche inspiegabile (lui in fondo la contessa non la conosceva nemmeno), felicità, riprese avidamente la lettura.

 

Renzo era l'unico che guidasse il motoscafo e faceva le ronde di controllo intorno all'isola. Così la sera stabilita mi condusse sotto la finestra della stanza di Ludovica, che ci aspettava, insieme riuscimmo a portarla via di lì. Fu sempre lui a lasciare la sua sciarpa presso la spiaggia dei Sette Gorghi, in modo che tutti la credessero annegata. Sapevamo che non avrebbero cercato il corpo a lungo, perché è inutile: da quelle acque non si torna più.
So che è stata una macabra messinscena, ma purtroppo era l'unica soluzione. Ludovica è stata ricoverata in una clinica in Svizzera e sono lieto di comunicarle che ha riacquistato l'uso delle gambe. È ancora un po' debole, dopo due anni passati praticamente immobile, ma si sta riprendendo in fretta. Ora abbiamo lasciato l'Europa, non abbiamo ancora ben deciso dove ci trasferiremo definitivamente, ma ci rifaremo una vita. Insieme. Perché in questi mesi abbiamo anche scoperto di amarci.
Si chiederà perché abbiamo deciso di rivelarle ogni cosa. Renzo ci ha parlato di lei e del suo collega... di quanto vi foste presi a cuore la sorte di Ludovica. Abbiamo ritenuto giusto tranquillizzarvi. Sappiamo che non ci tradirete.
Vi auguriamo ogni bene.
Edoardo e Ludovica


 

Duca lesse e rilesse quelle parole. Sapeva che avrebbe dovuto dirlo a Carrua, in modo che lui avvisasse i colleghi del paese dove era avvenuto il fatto. Avrebbero dovuto informare anche il conte. Che non l'avrebbe presa bene, ovviamente. E poi? Che cosa sarebbe successo? Li avrebbero fatti cercare dall'Interpol? Con quale accusa?
Duca chiamò Mascaranti e gli mostrò la lettera. Anche il navigato poliziotto rimase stupito, ma anche contento, per quella storia che sembrava uscita da un romanzo d'appendice.
“Lei che cosa farebbe di questa lettera?” gli chiese Duca.
L'altro rispose senza esitazione.
“La brucerei.”
“Bene... è quello che pensavo di fare anch'io.”
Duca Lamberti si mise in fogli in tasca. A casa, al riparo da occhi indiscreti, li avrebbe distrutti. Per tutti gli altri, il segreto della contessa Varrega sarebbe rimasto sepolto per sempre nel lago.

 

 

Note dell'autrice

Scerbanenco è estremamente preciso, oltre che nel dare nomi e cognomi a tutti i suoi personaggi, anche nelle sue ambientazioni, che sono sempre luoghi reali e riconoscibili.
Qui io ho dovuto essere per forza più vaga: il lago a cui ci si riferisce potrebbe essere quello di Como, sia per la vicinanza con Milano sia per le atmosfere un po' cupe (non me ne vogliano gli abitanti di quei posti, che sono in realtà bellissimi!), sicuramente influenzate dal romanzo “Malombra” di Antonio Fogazzaro, letto in gioventù. Il problema è che in questo lago non ci sono isole private o grandi come quella descritta. A queste caratteristiche corrisponde invece l'isola Garda, sul lago di Garda, appunto, che però è molto più lontano da Milano ed è diverso da quello descritto.
In più, questa storia si ispira a un fatto realmente accaduto sull'isola Garda il 24 novembre 1924, di cui mi aveva parlato mia nonna tanto tempo fa: la principessa Anna Maria Borghese de' Ferrari, proprietaria dell'isola, uscì per una passeggiata e non fece più ritorno. Sempre mia nonna (ma questo nelle scarne cronache che ho trovato in rete non è riportato) mi raccontò che l'unica traccia trovata fu un mazzo di fiori su una scaletta di pietra che digradava nel lago. Naturalmente si suppose che fosse finita in acqua, ma, poiché il suo corpo non venne mai recuperato, non si seppe mai che cosa fosse successo: suicidio, disgrazia o omicidio? Oppure fuga, come la nostra contessa?

 

I personaggi di Duca Lamberti, Mascaranti e Luigi Carrua non appartengono alla sottoscritta, ma al loro legittimo autore, il compianto Giorgio Scerbanenco.

 

 

 

 

3Questa forma di paralisi colpì, anni fa, un mio giovane parente (fortunatamente solo per un breve periodo).

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