The Dark Side of Slytherins

di ThestralDawn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - POV Severus Piton ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - POV Clara Guant ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - POV Albus Severus Potter ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - POV Adrien Piton ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - POV Severus Piton ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - POV Clara Guant ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - POV Adrien Piton ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - POV Albus Severus Potter ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - POV Severus Piton ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - POV Clara Guant ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 - POV Severus Piton ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 - POV Adrien Piton ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 - POV Albus Severus Potter ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 - POV Clara Guant ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 - POV Adrien Piton ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 - POV Albus Severus Potter ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 - POV Severus Piton ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 - POV Clara Guant ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 - POV Albus Severus Potter ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 - POV Adrien Piton ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 - POV Severus Piton ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 - POV Clara Guant ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 - POV Albus Severus Potter ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 - POV Albus Severus Potter ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 - POV Adrien Piton ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 - POV Severus Piton ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 - POV Clara Guant ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 - POV Albus Severus Potter ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 - POV Adrien Piton ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 - POV Severus Piton ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 - POV Adrien Piton ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 - POV Clara Guant ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 - POV Severus Piton ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 - POV Clara Guant ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 - POV Severus Piton ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 - POV Adrien Piton ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - POV Severus Piton ***


Buonsalve a tutti! Questa storia è stata scritta a due mani, con la collaborazione di nextplayer, autore dei POV di Albus.

Ogni capitolo avrà un punto di vista differente, alternando i quattro protagonisti: Severus Piton, Clara Guant, Albus Severus Potter e Adrien Piton.
Buona Lettura.

Un altro anno sta per cominciare e non senza imprevisti. Odio gli imprevisti, sono una perdita di tempo e il più delle volte portano scompiglio.
Ieri l’altro ho ricevuto una lettera che mi informava dell’arrivo, questa sera stessa, di una nuova studentessa proveniente da Durmstrang. Dalle parole del vice direttore della scuola, “Rostov”, l’intenzione di accogliere la giovane risultava un’imposizione più che una richiesta. Dannato me che con gli anni mi sono lasciato andare alle concessioni, mi sono ammorbidito. Dannato me e dannata mia moglie, Grifondoro impertinente.

Percorro l’ultimo tratto del corridoio che conduce al mio studio, allo studio del preside di Hogwarts. Nella stanza sono già accomodati i miei due ospiti: Rostov seduto rigidamente davanti alla mia scrivania e una giovane ragazza dallo sguardo serio e dall’aspetto decisamente troppo maturo rispetto agli anni che ha, in piedi accanto a lui. Mi è stato detto di inserirla al quarto anno nonostante la sua istruzione, sono certo m’imporrebbe di assegnarla agli studi del quinto, con un accesso diretto per conseguire i G.U.F.O.

Saluto cordialmente il vice preside e tendo la mano alla nuova studentessa. Mi guarda con sospetto, per poi ricambiare energicamente la stretta.
“Preside. Le presento Clara Guant.” C’è un fremito nella sua voce. Lo sento. Credo l’abbia notato anche la ragazza. Lascio velocemente la mano di quest’ultima, senza soffermarmi a osservarla negli occhi, come userei fare con qualsiasi nuovo studente della mia scuola.

No, questa volta i miei occhi si soffermano prima verso il ritratto appeso al muro, non lontano dalla mia scrivania. Silente sta dormendo, non sembra aver sentito. Volto poi lo sguardo verso il vice preside; qualcosa non mi è chiaro, qualcosa nel cognome della giovane accanto a me non mi rassicura. Rostov sembra aver intuito il mio turbamento, porgendomi così una lettera del defunto tutore della giovane, come intuisco dalle prime righe.
Le volontà del vecchio sono chiare: la signorina non ha scelta se non quella di continuare la sua istruzione in Inghilterra e di poter accedere al suo patrimonio solo raggiunto il diciassettesimo anno d’età. Quello che sembra essere un testamento non fornisce ulteriori informazioni, né sui parenti ancora in vita della giovane, che risiedono in Inghilterra e giustificherebbero la sua presenza qua, né tanto meno un accenno del suo passato.
Le condizioni imposte non mi sono sufficienti ma al momento non posso fare altro che acconsentire alla presenza della giovane nella mia scuola.
“Molto bene. Sono sicuro signorina.. Guant, che sia già venuta a conoscenza della suddivisione di Hogwarts in quattro case.” Con passi veloci prendo il cappello parlante; non c’è tempo da perdere. “Si sieda su questo sgabello. Non sarà necessario dire nulla, il cappello la smisterà dove crede opportuno.”

Quattro secondi. Senza pronunciare altre parole oltre il nome della casa, il cappello parlante aveva impiegato esattamente quattro secondi per smistare la ragazza a Serpeverde. Né io né Rostov eravamo stupiti dall’assegnazione, il passato di quel cognome non poteva essere dimenticato facilmente.
“Le faccio le mie congratulazioni signorina. Ora fa ufficialmente parte della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, in qualità di studentessa Serpeverde. Si ricordi che le azioni positive che compirà le faranno ottenere punti, mentre quelle negative perderli alla sua intera casa. Sono convinto che si troverà bene; i suoi compagni di casa la aiuteranno volentieri a sistemarsi e a conoscere il castello. Noi Serpeverde possiamo sembrare persone incomprese ma non tema, la casata la aiuterà a innalzarsi verso la via della grandezza.”

Finisco in tempo perché i professori della scuola facciano irruzione nel mio studio. Gli studenti stanno per scendere dal treno e prima gremiscano la sala grande eccitati, voglio presentare ad alcuni docenti la nuova studentessa. Se avessi saputo il cognome prima, non mi sarei mai permesso un errore così ingenuo.
Alla mia richiesta avevano risposto solo quattro docenti, gli altri erano evidentemente in ritardo o ad accogliere gli studenti. “Non perdiamo tempo con i convenevoli signori. Arriverò subito al sodo.” Mi volto verso la giovane che osserva i quattro uomini davanti a lei con malcelato disinteresse. “Vi presento una nuova studentessa, smistata Serpeverde. Clara Guant.”
Per ora, non m’interessa sapere la reazione dei miei colleghi. Ho molta fretta di recarmi in sala grande. “Questi sono i direttori delle quattro case. Avrà modo di conoscerli già da domani nel corso delle lezioni. Al momento, le presento il suo capo casa, il professor Rayland, nonché insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure.” Noram mi sembra alquanto soddisfatto di avere un nuovo membro nella sua casa, o semplicemente brama l’idea di conoscere una discendente di Salazar Serpeverde.

“Il tempo a nostra disposizione è finito. Signorina, la prego di seguire il suo capo casa che la condurrà in sala grande per il banchetto iniziale. Rostov.” Attendo l’uscita dalla stanza della Guant, non voglio che senta nulla di cui non è stata messa a conoscenza.
Mi basta uno sguardo per capire che nemmeno il vice preside è informato del suo passato. “Piton, non ho potuto fare altro. Ti fornirò i suoi rendimenti scolastici ma non ho altre informazioni su quella ragazza. È orfana, non si ricorda nulla della sua infanzia ma ha un enorme potere magico dentro di sé.”
La frustrazione mi pervade tutto il corpo, odio gli imprevisti e odio non essere a conoscenza delle cose. L’anno non sembra voler incominciare nel migliore dei modi ma mi sono trovato davanti a situazioni peggiori.
Congedo il vice preside e mi dirigo in sala grande; se tutto va bene arriverò per accogliere gli studenti del primo anno.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - POV Clara Guant ***


Le parole a mia disposizione non sono sufficienti per descrivere lo splendore di quella che il preside di Hogwarts ha chiamato Sala Grande. Se non fosse per il vociare dei ragazzi e delle ragazze che la affollano, potrei rimanere al suo interno per diverso tempo.
Sotto un cielo stellato, illuminato da infinite candele, quattro lunghe tavolate, addobbate a festa e apparecchiate a lustro, riempiono l’intera sala, circondate da pareti ricolme di quadri in movimento. Una melodia proveniente dal fondo, invitante e seducente, mi da il benvenuto e mi accoglie in quella che sarà la mia casa per i prossimi anni.

Le parole del professore accanto a me distolgono parzialmente la mia attenzione da quello splendore che invade il mio piccolo cuore forse ormai non più capace di provare così forti sensazioni. Sotto indicazione dell’uomo, percorro per intero la tavola della mia casata, per poi sedermi in mezzo ad un gruppo di studenti del quarto anno.
Rimango seduta immobile a fissare ciò che mi sta intorno; nessuno sembra curarsi quanto me della bellezza prodotta da tutta quella luce che si riflette sulle pareti, sulle colonne lucide, sui piatti e le posate d’oro. Tutto risplende di pulito, tutto brilla e allieta l’animo di pensieri felici; l’atmosfera mi rende leggera, mi sento bene, mi sento protetta e a casa.

Apro improvvisamente gli occhi, non mi ero accorta di averli chiusi. Qualcuno intorno mi sta fissando; sarò sembrata una pazza, la stramba nuova studentessa arrivata da chissà dove.
“Stai bene?” Volto la testa. La ragazza al mio fianco mi guarda imbarazzata. Devo essere rimasta in stato catatonico per troppo tempo. Le rivolgo un sorriso di circostanza.
“Sì, ho un leggero mal di testa. C’è troppa luce in questa sala.” Mento. Mi guarda stupita, non sembra capire le mie parole. “Sono nuova, arrivata poco fa.”

Ora ho l’attenzione di un discreto numero di ragazzi; sembrano tutti interessati a conoscermi, in quanto nuovo acquisto Serpeverde. C’è chi mi domanda perché mi sono trasferita in Inghilterra e vorrei rispondere che non lo so, che non sono padrona della mia vita; come ho fatto a lasciare i miei amici in Russia, se conosco incantesimi in lingua russa, se è vero che a Durmstrang insegnano la magia oscura per poi usarla contro gli studenti. Non so se prenderli sul serio o aspettare che qualcuno esca da sotto il tavolo per dire che è tutto uno scherzo. In questo momento mi sento un fenomeno da baraccone.

All’improvviso, come se qualcuno avesse udito le mie suppliche, vaste quantità di pietanze riempiono le tavolate e tutte le attenzioni nei miei confronti svaniscono per lasciare lo spazio alle bocche affamate e a stomaci brontolanti.
Resto affascinata da tutto questo cibo, sento di non meritarmelo. Qualcosa mi ferma, qualcosa mi blocca. Sento una sensazione fastidiosa, qualcuno mi sta osservando. Mi volto di scatto verso sinistra. Un ragazzo dagli occhi color verde e dai capelli castani mi sta guardando. Distoglie velocemente lo sguardo, sembra affannato. Si ricompone subito, riprende il controllo del suo volto, che in pochi secondi torna impassibile. È seduto al mio tavolo ma non sembra avere la mia età; sembra più piccolo, nonostante si atteggi per fingersi più grande.

“Mangia. Prima che si freddi. Qui è gratis.” Difronte a me, un ragazzo mi riporta al presente, riporta la mia attenzione al cibo che ho nel piatto. Continuo a sentire una costrizione sul petto, che mi impedisce di toccare alcuna delle prelibatezze sul tavolo. A Durmstrang era differente: nessuna sala accogliente, nessuna luce splendente a illuminarla, poche pietanze stese su un piatto di sofferenza. Solo chi eccelleva, chi si dimostrava all’altezza dei compiti assegnati poteva permettersi un pasto completo e quello non era il mio caso. Nonostante i miei sforzi, nessuno è mai stato generoso nei miei confronti, nessuno mi ha dato aiuto, teso una mano. La vita non è stata giusta con me, come se portassi sfortuna, come se il mio passato non mi permettesse di essere felice. Lentamente prendo la forchetta e infilzo una coscia di pollo, la assaporo e mi rilasso. Nessuno mi aggredisce, nessuno si preoccupa per quello che sto facendo.

Il banchetto finisce e per me è il momento di lasciare quella sala così ben congegnata per farti sentire a casa. Seguo i ragazzi della mia casata; mi conducono nei sotterranei del castello, dove si trovano gli alloggi dei Serpeverde.
Tutto sembra disposto per rappresentare la tana di un essere prezioso; gli stemmi di color verde e grigio, le arcate ottocentesche, pizzi e merletti di rinomata decorazione. Sono finita nel rifugio del predatore ma non mi sento in gabbia, sono piuttosto un’alleata cui è permesso essere brava, scaltra, fiera di me stessa e potente. Sento di essere tra i miei simili, tra persone che la pensano come me. È una sensazione che non ho mai provato e mi fa sentire bene ma dura un istante, il tempo di un respiro.

Mi trovo nella mia stanza ora. Sono sola, accovacciata in un angolo. Gli occhi neri del preside fanno capolino nella mia mente ma non voglio ricordare. Non ha avuto il coraggio di guardarmi in viso, al mio cognome si è scostato.
Estraggo la mia bacchetta, unica fedele servitrice nel corso degli anni. Hanno avuto l’ardire di togliermela, dicevano che non ne ero degna. Alzo la manica sinistra della giacca che indosso; è inzuppata di sangue. Le escoriazioni sul braccio si sono infiammate e riaperte, c’è troppo sangue ora, per terra, su di me, sulle mie mani.
Le guardo, troppo a lungo forse. Faccio ribrezzo a me stessa. Tento qualche incantesimo per la medicazione ma non funzionano. Sono stanca; non ricordo più com’è la sala grande, non ricordo più la melodia dolce all’ingresso, non ricordo più il sapore del cibo mangiato. Chiudo gli occhi, le forze mi stanno lasciando e mi accascio a terra addormentata.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - POV Albus Severus Potter ***


Scendo dal treno inspirando a pieni polmoni l’aria fredda. Il viaggio in treno verso Hogwarts mi sembra ogni anno più lungo e sopporto a stento tutte quelle ore seduto a fare niente. Rimango qualche secondo fermo sulla banchina del binario, a contemplare la massa di studenti che stanno andando verso il castello. Mi unisco al flusso e mi lascio trasportare dalla folla, ripetendo gli stessi gesti degli ultimi tre anni: raggiungo la sala comune dopo essermi informato sulla parola d’ordine, sistemo velocemente i vestiti perfettamente piegati dal baule all’armadio e mi preparo velocemente prima di entrare nella Sala Grande.
 
Non è cambiato nulla. Riconosco varie facce ma non mi fermo a parlare con nessuno. Che senso avrebbe? Non li rivedrò a lezione, io sono andato avanti. Io dimostrerò a mio padre che sono il migliore. Io…mi sento un po’ perso, e non è esattamente la posizione di partenza migliore per essere perfetti. Prendo posto quasi alla fine della sala, vicino al tavolo dei professori. Durante la cerimonia dello Smistamento vedo i nuovi alunni mentre si dirigono incerti verso il Cappello Parlante, i loro sguardi impauriti, il sollievo sui loro visi quando vengono assegnati a una delle Case. Non posso fare a meno di confrontare quelle espressioni felici con la mia in quell’occasione. Se mi fossi visto allo specchio in quel momento, avrei visto prima di tutto la paura, mentre il disgusto mi risaliva dallo stomaco alla gola simile alla bile. “Serpeverde!” aveva risuonato forte in tutta la Sala. Non mi ero mosso finché una mano mi si era posata sulla spalla, spingendomi gentilmente in direzione del tavolo più a sinistra. Serpeverde. Serpeverde? A quanto pare. Cosa c’era di sbagliato in me? O meglio, cosa c’è ancora adesso di sbagliato dentro di me? Non lo capisco.
 
Riemergo dai miei pensieri a cerimonia conclusa. Persino il preside ha già fatto il suo discorso inaugurale e io mi sono perso tutto. Conoscendo personalmente Severus mi stupisco sempre del suo cambiamento dal privato alla carica che ricopre. Quest’anno evidentemente ho preferito soffermarmi masochisticamente sugli interrogativi che mi tormentano, sempre gli stessi.
 
Da quando sono tornato a Hogwarts non ho ancora detto una sola parola. Mi schiarisco la gola come se dovessi iniziare a parlare e alzo lo sguardo in cerca di qualcuno con cui scambiare i soliti convenevoli, discorsi senza senso che magari mi faranno sentire meno solo. Per un po’, finché non mi ricordo che quest’anno ho cambiato le carte in gioco e che adesso ne devo sopportare le conseguenze.
 
Riconosco tutti quelli accanto a me tranne una ragazza circondata da tante attenzioni. Deve essere nuova, a giudicare da come tutte le ragazze si stanno informando su ogni dettaglio della sua vita, ma sicuramente non è del primo anno. Potrebbe avere la mia età, forse qualcosa di più. Capto frammenti delle domande che le fanno e nemmeno una sillaba delle sue risposte. Parla a voce troppo bassa per poterla sentire, ma non mi avvicino di più. La prima cosa che mi colpisce di lei sono gli occhi, castani, bellissimi. Poi arriva. Qualcosa dentro di me si è rotto. Sento una fitta al cuore e allora so con certezza che sto per vedere qualcosa. La ragazza. Il suo braccio.. sta sanguinando! I vestiti si macchiano velocemente, un fiotto le sgorga dalla manica e si allarga su tutto il tavolo. Nessuno dice niente?! Perché nessuno dice niente?! Sto per alzarmi in piedi e correre via. Non è una di quelle persone a cui mi avvicinerei per aiutarla, quel sangue è sofferenza allo stato puro, devo allontanarmi da tutto questo..
 
NO. Non c’è sangue, da nessuna parte. Lei sta bene. Io? Meno. Non è la prima volta che succede ma ogni volta non c’è niente che mi prepari a capire che cosa sto per vedere. Di certo non vedo mai arcobaleni né unicorni. La sua manica è intatta, nessuno ha visto niente, era tutto nella mia testa. Un brivido mi percorre partendo dal basso e m’irrigidisco involontariamente. Guardo il mio piatto, troppo scosso per poter dare un’occhiata di nuovo a quella ragazza. La carne nel mio piatto mi nausea. Distolgo lo sguardo e non posso fare a meno di incrociare i suoi occhi. Mi sta fissando anche lei o anche questo non è reale? Poi capisco. I suoi occhi. I suoi occhi sono cosi belli perché non sono semplicemente marroni. C’è una qualche sfumatura rossastra, simile ad una fiamma o.. o ad una pozza di sangue che invade la mia mente e questa notte invaderà i miei incubi e.. e BASTA, Albus, cresci una buona volta.
 
Inspiro, espiro. Sono di nuovo padrone di me stesso. Per tutta la durata della cena evito accuratamente qualsiasi sguardo nella sua direzione. Aspetto con impazienza il momento in cui potrò ritornare nella mia camera, al sicuro tra cose che conosco, cose che controllo. Quegli occhi possono appartenere solo ad una persona che non si può controllare. Non so da dove nasca questa consapevolezza ma ne ho la certezza come se la conoscessi da sempre. So che devo starle lontano.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - POV Adrien Piton ***


Eccoci al capitolo n.4! Ringrazio tutti coloro che fino ad ora hanno letto la storia, inserita nelle seguite, nelle preferite e nelle ricordate. Per me e nextplayer è una soddisfazione immensa essere arrivati fin qua e saremmo lieti di ricevere recensioni o semplici commenti alla storia.
Grazie ancora a tutti e Buona Lettura!


Le possibilità di sperimentare, di apprendere attraverso esercitazioni non mancano a Hogwarts, eppure c’è ancora chi al quinto anno non è capace di realizzare una pozione soporifera. È deludente e se riguardasse me, persino imbarazzante; poiché stiamo parlando di Corvonero so tutto io, la questione viene risolta con “la prossima volta andrà meglio”.

Esco dall’aula di pozioni e mi dirigo verso la biblioteca; non ho tempo per essere infastidito dal professor Berger che fa finta di non notare il risultato eccellente delle mie pozioni, assegnando piuttosto punti a inetti Corvonero che si limitano a rispondere alle sue semplici domande. Ho altro a cui pensare.

È l’ora di pranzo e nei corridoi della scuola si sono riversati gli studenti dopo la fine delle lezioni. Sono costretto a spingere da parte qualcuno del primo anno, mi sbarrano il passaggio, dimenandosi e correndo in ogni direzioni come colti da un attacco epilettico. Io non ero così alla loro età, ero tranquillo e soprattutto avevo rispetto per gli studenti più grandi. Questi, invece, sembrano proprio voler istigare alla violenza.

Qualcuno mi tira per la manica della giacca; ho già intuito chi è. “Vai a pranzo e.. lasciami stare.” Non fermo il passo, non mi volto nemmeno. Dall’inizio della scuola, Eileen non fa che assillarmi con stupidi e noiosi interrogativi sulla scuola, sul castello, sulle lezioni e sugli insegnanti. Io non ero così alla sua età, ero tranquillo e soprattutto non assillavo mio padre per intere giornate.

La fortuna di avere per padre un preside, piuttosto colto in verità, è di poter accedere alle basi degli insegnamenti già da infante. In aggiunta, se il suddetto padre ti insegna a coltivare le piante magiche, i nomi delle erbe e ti fa imparare gli ingredienti delle pozioni come se si dovesse recitare una poesia, il gioco è risolto. La formazione di un bambino già istruito all’età di sei anni è andata a buon fine.

La sfortuna di avere per padre un preside, invece, è di essere controllato a vista e di dover mantenere una media alta nella gran parte dei corsi, a meno di non voler ricevere lezioni private di approfondimento. Il primo anno lo consideravo una necessità, non mi sentivo capace di fare niente, il secondo un sollievo nella marea di informazioni, al terzo un fastidioso avvoltoio che non ti permette di spiccare il volo senza staccarti prima un arto e al quarto ho provato un’infinita vergogna nei confronti dell’intera scuola.

Considerando come sta procedendo il mio percorso scolastico ora, ritengo di poter tenere mio padre a distanza ancora per molto tempo, onde inconvenienti causati da Potter. Quello spostato è riuscito a entrare nelle grazie di mio padre dal momento in cui è nato. Non solo ultimamente, come sospetto, riceve lezioni private da lui ma gli è stato permesso di saltare un anno, passare dal secondo al quarto come se nulla fosse. Qualcosa nel mio petto si agita; porto una mano alla bacchetta nella manica sinistra. Mi assicuro di averla con me e continuo la strada verso la biblioteca. Devo calmarmi o rischio di schiantare qualcuno.

Mia madre continua a inviarmi lettere supplicanti: si augura che io sia più buono con Eileen, che la aiuti ad ambientarsi. Per me è ovviamente impossibile. Non solo cerco di starle alla larga ma mi distacco il più possibile da tutto ciò che concerne il mio cognome. Se i primi due anni di scuola mi ero ritenuto fortunato da appartenere alla famiglia Piton, ora tento di prenderne le distanze; un padre che pretende TROPPO, una sorella TROPPO saccente e una madre con comportamenti TROPPO affettuosi. Non faccio nemmeno riferimento al mio fratellastro, potrei avere accidentali colpi di bacchetta al solo sentir pronunciare il nome.

Le porte della biblioteca sono spalancate ma non sembrano esserci studenti masochisti che all’ora di pranzo preferiscono rifugiarsi lì rinunciando a un banchetto in Sala Grande. La sezione che mi interessa è vicina all’entrata: proprietà magiche dei rettili. Avevo involontariamente trasfigurato il ramarro del professor Peterson in un orribile serpente a sonagli, o almeno così la pensa lui, uno scozzese più interessato alla squadra di Quiddich dei Grifondoro che all’insegnamento. A mio parere, quell’inutile animale ora è diventato un magnifico esempio di bellezza ma evidentemente le mie spiegazioni non sono servite a nulla; ora sono costretto a ri-trasfigurare l’animale nelle sue sembianze originali, salvo che io non voglia finire dal preside e che Salazar me ne scampi, se rimetto piedi nello studio di mio padre potrei non rispondere più di me stesso. Non condivido più le sue scelte, o forse non l’ho mai fatto, a partire dal suo matrimonio con una seccante Grifondoro.

Guardo fuori dalla finestra accanto a me, spira un vento forte; un falco si innalza in volo dalla foresta. Vorrei poter essere come lui, libero di andare dove vuole, libero da legami, da imposizioni, libero da un passato all’insegna del talento dei suoi genitori, sconosciuto agli occhi dei più, con la possibilità di vivere la vita che vuole, una vita in solitaria.

Sorpasso vari tavoli, diretto al mio posto infondo alla biblioteca accanto alla finestra, in una zona in penombra, dove so che nessuno si reca mai. Ho diversi amici tra gli studenti della mia casa, anche se ammetto di preferire il termine conoscenti; frequentiamo le stesse lezioni, non ci diamo fastidio a vicenda e i problemi personali rimangono tali. Condividiamo la stessa aria, ecco tutto e semplicemente sto bene così. Se riescono a conviverci loro, mi domando perché non sia la stessa cosa per il resto del mondo magico.

Mia sorella non finisce mai di mostrarmi vari articoli riguardanti la mia vita. Sembra che i giornalisti non si siano ancora rassegnati alla mia nascita, come se il salvatore del mondo magico Severus Piton non possa essersi ricostruito una vita dopo la guerra. Più aumentano gli articoli più il mio disinteressa per il passato della mia famiglia diminuisce. Paradossalmente vengo a conoscenza di fatti di cui né mio padre né sua moglie mi parlerebbero mai, come ad esempio: “Scandalo a scuola: Severus Piton, ex mangiamorte e Hermione Jean Granger, sua ex studentessa aspettano un bambino. Com’è possibile? Filtro d’amore? Maledizione senza perdono? Per scoprirlo, comprate il prossimo numero.”  Quando mia sorella aveva scoperto l’articolo si era messa a piangere, io tuttalpiù avevo alzato le spalle e mi ero seduto in salotto a leggere un libro. Sapevo che i miei genitori si amavano, quello che non sapevo era il come si erano incontrati, come fossero sopravvissuti alla guerra, perché mio padre era passato dalla parte dell’Oscuro. Oramai non aveva più importanza, il mio passato con loro non mi importava più, il mio futuro senza di loro era tutta un’altra storia.

Mi fermo di colpo, qualcuno è seduto al mio tavolo, qualcuno occupa il mio posto. Come attesto dalla divisa è una Serpeverde ma non l’ho mai vista; deve essere sicuramente degli anni precedenti al mio. Dannazione. Faccio un respiro profondo. Chiudo gli occhi, li riapro e mi accingo a cruciarla con lo sguardo. Che frustrazione!

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - POV Severus Piton ***


Niente sta andando come avevo previsto. La scuola è cominciata da due settimane e non sono ancora riuscito ad occuparmi del caso Guant, cercando informazioni al ministero. La ragazza non sembra dare problemi ma sarà meglio convocarla per sapere cosa ne pensa lei.

Essere preside mi limita, non posso permettermi perdite di tempo; ci sono le cariche da assegnare, i corsi da scegliere, i programmi da redigere, ci sono da mantenere rapporti civili con il ministero, firmare carte e inviare lettere. Per non parlare delle visite alle famiglie babbane; la parte peggiore. Delle volte delego l’incarico a qualche altro insegnante ma quando sono costretto a recarmi di persona è sempre una fastidiosa perdita di tempo. Genitori che davanti all’evidenza di avere un figlio con poteri magici continuano a negare la possibilità della cosa; alcuni arrivano persino a scomunicare i propri figli. Non pensavo che il mondo babbano potesse cadere così in basso. Deludente, davvero deludente.

All’inizio del mio mandato, non mi dispiaceva essere preside: non dovevo più sforzarmi di insegnare qualcosa a teste di legno chiamate studenti. Con il tempo però la mia carica non mi permette più di vivere in pace tra le mie pozioni e i miei familiari e se questo è il risultato, preferisco farne a meno. Non sono sopravvissuto al morso di Nagini per fare da balia ai futuri maghi del mondo magico.

Non avevo previsto di rimanere in vita; ero consapevole che Voldemort avrebbe tentato in qualche modo di uccidermi e io ero pronto ad andarmene. Il mio lavoro era finito, non avrei potuto fornire altro aiuto al mondo, sennonché qualcuno ha ritenuto di non aver chiuso ancora i conti con me e ora mi trovo seduto sulla sedia del preside, che non mi sento appartenere, con una moglie che non merito e due figli che non sono in grado.. Perché diamine Eileen mi sta fissando con quello sguardo supplichevole?

Mi riscuoto dai miei pensieri e con indifferenza volto la testa verso il resto della tavolata dei professori ma nessuno sembra averci fatto caso. Eileen sta fissando proprio me. Alzo le sopracciglia, sperando di trasmetterle tutto il mio senso di dubbio verso il suo comportamento. Non voglio parlare con lei, non ho ancora bevuto il mio caffè e sono già stufo della giornata. Acuisce il broncio sul suo viso, assumendo la stessa espressione della madre quando è arrabbiata. Mi rassegno, se non le do retta riceverò anch’io una lettera da Hermione come capita spesso ad Adrien. Ora capisco perché lui non ne possa più di questa vita.
Aspetto che lei esca dalla Sala Grande, poi la seguo. Si siede sulle scalinate dell’ingresso e io sono costretto a chinarmi per ascoltarla. Non sembra aver pianto e me ne rincuoro; non sono in grado di gestirlo, quello è compito della madre.

“Adrien non vuole ascoltarmi, la mamma è presa dal lavoro, Elija è troppo lontano e tu non ci sei mai. Io vorrei parlare con qualcuno ma non c’è nessuno che mi da retta. Mi sento sola in questo castello e nessuno sembra capirmi”. Rimango basito.
“Credi di essere l’unica in questa situazione? Tutti si sono trovati nelle tue stesse condizioni. Guarda gli altri studenti. Tu hai la fortuna di avere un padre e un fratello qua ma tutti coloro che provengono da lontano, che non hanno nessuno a cui scrivere, che hanno appena scoperto di essere una strega o un mago.. Mettiti nei loro panni. Ciò di cui ti lamenti non è nemmeno paragonabile a tanti altri problemi”.

Mi congratulo con me stesso: sono riuscito a mantenere un tono di voce pacato, nonostante Eileen si stesse lamentando di problemi assurdi. Il mio momento di gloria dura poco, due lacrime fanno capolino sul volto di mia figlia. Sono inorridito, nemmeno fronteggiare il Signore Oscuro è stato così difficile; ora temo solo che possa andare a riferire alla madre l’accaduto.

Mi schiarisco la gola. “Ascoltami. Se il cappello parlante ti ha smistata a Corvonero vorrà dire che hai delle enormi potenzialità. Cosa che io non ho mai messo in dubbio”. La guardo negli occhi sperando di farle capire che sono sincero. “Sfruttale. Il castello è enorme, ha tanti misteri e scommetto che tu non l’hai nemmeno visitato a fondo. Ti piace leggere, eppure non ti ho ancora mai visto in biblioteca persa tra gli scaffali o a prendere un libro; ai suoi tempi tua madre ci passava le giornate, dimenticandosi addirittura di mangiare”.
“Ma papà, questo non va bene. Per essere in forma e seguire le lezioni al meglio bisogna fare minimo tre pasti al giorno, senza contare le merende e gli spuntini da Hagrid”. Accenno un sorriso.
“Esatto. Come puoi intuire, non voglio che tu faccia come quell’asociale di tua madre ma un giro nella sezione delle creature fantastiche non te lo impedisce nessuno”.
Ho centrato il bersaglio. Eileen ama gli animali, in particolare quelli del nostro mondo. La prima volta che Potter le aveva mostrato Fierobecco lei era quasi svenuta dalla meraviglia. Imbarazzante, molto imbarazzante.

Sono ancora chinato davanti a lei, quando le sue sottile braccia mi si stringono in collo. Mi alzo in piedi portandomi con se il suo corpicino, ricambiando l’abbraccio. Le mie ginocchia fanno uno strano rumore, non sono più abituate a fare certi sforzi. Mi guardo in giro, non c’è nessuno. Rimaniamo così per un po’; ammetto che sia una bella sensazione, mi fa sentire tranquillo, come se nulla potesse andare storto.

Ritorno in sala grande solo per vedere gli studenti lasciare le tavolate e dirigersi a lezione; sarò costretto a chiedere ad un elfo di farmi avere del caffè caldo nel mio studio. Intercetto lo sguardo di Adrien; sembra preso da una fitta conversazione con Peterson. Perché mai mio figlio dovrebbe rivolgersi a lui, direttore dei Grifondoro? Faccio pochi passi nella loro direzione ma Adrien mi nota, si congeda dal professore ed esce a passo spedito dalla Sala Grande. Non mi guarda, non mi accenna un saluto, mi volta le spalle e se ne va. Adrien non è mai stato come sua sorella, forse l’esatto opposto, eppure qualcosa non mi quadra. I suoi voti non dovrebbero farmi dubitare di nulla ma c’è qualcosa nel suo sguardo, qualcosa che avevo anch’io alla sua età. “Piton, posso parlarti?” Indosso la maschera del preside socievole e mi volto verso l’uomo che mi ha disturbato, Berger. Questa giornata non vuole saperne di cominciare bene e ora mi ritrovo nel mio studio, senza il caffè tra le mani e con l’insegnante di pozioni che non ha intenzione di darmi retta.

“C’è qualcosa che non mi convince Severus. In quella ragazza si annida un potere oscuro che noi..”.
“Sono Piton per te, Berger. Se non vado errato anche tu nascondi qualcosa di oscuro, che si anima la notte fonda, eppure ti tengo ancora in questa scuola, a badare a degli studenti”.  Abbassa il capo, sembra vergognarsi.
“Sono in grado di controllarmi e le notti le passo chiuso nei miei alloggi”.
“Com’è giusto che sia, perché quando verrò a sapere che non ti trovavi nelle tue stanze anche solo per una sera, puoi dire addio a questo lavoro e alle mie referenze”. A quanto vedo, l’uomo ha ancora da ridire.
“Senti Piton. Ho fatto delle ricerche ma su quella Guant non si trovano..”.
“Encomiabile. Ti sei messo a fare ricerche nonostante nessuno te lo avesse chiesto. Nel mentre hai preparato e tenuto le tue lezioni, corretto i compiti. Sbalorditivo. Al prossimo consiglio chiederò di aumentarti il salario. Se non c’è altro, puoi andare”. La porta del mio studio viene sbattuta e io distendo il mio viso, dopo aver mantenuto per troppo tempo una finta gaia espressione.

Ero stato rassicurato da Hermione che quell’uomo era la miglior scelta per la carica di pozioni. Non nego la sua bravura nell’ambito, curare i casi infettivi al San Mungo deve avergli giovato nella pratica ma per quello che riguarda il suo carattere, assomiglia più ad un Tassorosso alla ricerca di cospirazioni nascoste dietro ogni angolo. Non ho ricevuto lamentele sul suo conto, nessuno studente è stato aggredito, nessun professore ha notato comportamenti aggressivi, quindi non posso sbatterlo fuori, eppure non voglio che s’intrometta in affari che non gli riguardano. Informazioni sulla Guant non devono finire nelle mani sbagliate, né raggiungere orecchie indiscrete.
Con tutto il lavoro che ho da fare, non riuscirò presto ad occuparmi della faccenda; al momento, mi limiterò a convocarla nel mio studio. “Severus, tu non ti accorgi di avere già un piede sul campo”. Ci mancava solo il vecchio ora.
“Albus perdonami ma non ho tempo per gli indovinelli”. Mi dirigo verso il pensatoio, forse mi è sfuggito qualcosa.
“Scrivi ad Elija in Russia, sarà felice di darti una mano”. Poso lo sguardo sul ritratto dell’ex-preside, infondo non era affatto una cattiva idea.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - POV Clara Guant ***


Buonsalve a tutti! Io e nextplayer ringraziamo tutti i lettori silenziosi che fino ad ora ci hanno seguito. Nonostante siamo solo agli inizi, ci piacerebbe sapere cosa ne pensate, se la trama vi attira, se i personaggi sono convincenti e se avete suggerimenti o consigli in merito. Sebbene Clara sia appena arrivata ad Hogwarts avrà a breve un grande impatto sulla vita degli altri personaggi.
Sperando di sentirvi presto, vi auguriamo Buona Lettura!


 

“Aruspici: popolazioni etrusche che studiavano le viscere degli animali sacrificati per vedere gli esiti positivi o negativi di un avvenimento. In Grecia si faceva ricorso all’oracolo di Delfi..” Sono stanca, quello che sto studiando non mi serve a niente. Da quando in una scuola si studia una materia come Divinazione? Non ero nemmeno a conoscenza di vere e proprie teorie in merito. A Durmstrang non si perdeva tempo con queste materie teoriche, non c’era spazio per la possibilità di profezie antiche di secoli, sfere di cristallo e foglie di thè che prefiggono il futuro. L’intero corso sembra una presa in giro allo studio più complesso di Antiche Rune e Aritmanzia, nonché un’enorme perdita di tempo; la stessa insegnante non è presa sul serio.

Chiudo il libro davanti a me e lo accantono a lato, insieme alle pergamene di appunti presi a lezione. Sono stanca di concentrarmi su ipotesi, voglio fare pratica, voglio studiare incantesimi. Come una bambina con un nuovo giocattolo comincio a sfogliare il libro che ho appena preso da uno scaffale. L’entusiasmo iniziale lascia spazio alla delusione: queste informazioni le conosco già. Com’è possibile che in questa scuola siano così indietro con i programmi? Di questo passo, non imparerò nulla di nuovo fino al prossimo anno. Chiudo anche questo testo e lo getto a lato del tavolo, con un tonfo che rimbomba in tutta l’area circostante. Appoggio i gomiti sul tavolo e mi prendo la testa. Sono esausta, mi sembra di non dormire da mesi. Se i primi giorni mi sentivo bene, circondata da miei pari e non sembravo averne abbastanza, ora la scuola mi sembra un posto troppo affollato. L’unico luogo in cui mi sento a mio agio è la biblioteca e in particolare questo tavolo su cui sono seduta: un posto isolato dagli altri tavoli, situato in fondo, accanto ad una finestra. Non c’è molta luce in questa zona ma a me va bene così; vivendo a Durmstrang non ero abituata a luoghi illuminati.

Mi stropiccio gli occhi e sbadiglio. Un rumore improvviso mi riscuote dal mio tepore. Davanti a me un ragazzo ha appena sbattuto un libro sul tavolo dove sto “studiando”. Ha lo sguardo offeso, come se la mia sola presenza gli stesse dando fastidio. Rimane in piedi a fissarmi finché, non ricevendo risposte da parte mia, si siede difronte a me. Mi lancia un ultimo sguardo infastidito e comincia a scrivere su una pergamena. Non capisco cosa sta scrivendo ma dall’intensità che ci mette sembra importante. Lo guardo. Non so se mi sta prendendo in giro o se voleva semplicemente attirare la mia attenzione. Rimane in silenzio, preso nello scrivere.

Continuo a fissarlo, non posso farne a meno; il suo viso, il suo modo di porsi, mi rammentano qualcuno. Piego leggermente la testa di lato, di rado non mi ricordo un viso, questo ragazzo mi sembra di conoscerlo già. “Non sopporto essere fissato”. Interrompe il mio pensare, a quanto pare non è muto.
“Davvero? A me sembra il contrario. Hai sbattuto il libro sul tavolo e ti sei seduto con fare melodrammatico. Sembri proprio in cerca di attenzione”. Alza lentamente il viso verso di me, distogliendo finalmente lo sguardo dalla pergamena. I suoi occhi nocciola sono due fessure, non sembra essergli piaciuto quello che gli ho detto.
“Razza di insolente. Se mi sono comportato così era per farti capire che non sei la benvenuta in questo tavolo”. Ora non so cosa dire, credo di essermi persa qualcosa. Apro la bocca ma non riesco a pronunciare parola. Deve aver notato la mia perplessità perché senza distogliere l’attenzione da me, alza un braccio, indicandomi un punto sotto la finestra. C’è una targhetta, l’avevo già notata prima. C’è scritto Jeremia Caramel. Continuo a non capire. Ora sembra lui a essere perplesso; sbuffa, sembro continuare a infastidirlo.
“Nome mio, tavolo mio. Devo farti un disegnino o pensi di aver capito?”

In che razza di scuola sono capitata? Professori incompetenti, programmi arretrati, studio di divinazione e ora ci mancavano solo i tavoli assegnati agli studenti. Sono stanca, ora più di prima; non ho le forze per intavolare una conversazione su quanto poco sia etico assegnare i tavoli o sul fatto che io sia nuova e impossibilitata a sapere dell’assegnazione. Raduno la mia roba, mi alzo e lascio il tavolo. Non mi scuso né tanto meno lo saluto. È un Serpeverde; un buon comportamento m’imporrebbe di salutarlo o minimo presentarmi e chiedergli scusa ma il suo modo di porsi nei miei confronti mi ha irritato. Esco dalla biblioteca senza voltarmi, senza salutarlo.

Percorro i corridoi che mi portano ai sotterranei; sono qui da due settimane e non riesco ad ambientarmi, tutto sembra fatto per farti sentire bene, a casa, eppure io non riesco ad abituarmici. Non so cosa significhi casa e non so se è questo il tipo di posto in cui voglio vivere. Non ho conosciuto molte persone ma quelle poche che dopo l’iniziale presentazione mi rivolgono la parola sembrano tranquille, forse troppo. A Durmstrang, la maggior parte dei ragazzi si comportavano come quel prepotente in biblioteca: o facevi ciò che volevano loro o potevi dire addio alla tua libertà. Per me non era un problema, sembravano tutti consapevoli di qualcosa che io non conoscevo. Difficilmente qualcuno s’intrometteva tra me e il mio percorso di studio, come se ci fosse qualcuno a proteggermi, qualcuno che dall’alto mi aveva marchiato e resa intoccabile. Quei pochi che tentavano di affrontarmi finivano male; io mi so difendere anche se il più delle volte c’era sempre la presenza del direttore della scuola che mi difendeva, sbucando dal nulla, come fossi un oggetto prezioso che non deve essere scalfito. Qua a Hogwarts è diverso, posso permettermi di intavolare una discussione o un duello che nessuno si preoccupa di difendermi, anzi in casi gravi si finisce persino in infermeria.

Mi blocco, fermo il mio passo e spalanco gli occhi. Sono davanti all’infermeria e solo ora mi sovviene alla mente: ho dimenticato un libro in biblioteca. L’avevo appoggiato da parte, separato dai testi scolastici. Chiudo gli occhi; espiro, inspiro. Li riapro, non mi sono calmata affatto. Non sono preoccupata tanto per quel testo, infondo qualsiasi studente può interessarsi a ferite prenatali: cause e rimedi. Un professore avrebbe potuto benissimo chiedere due rotoli di pergamena su quell’argomento. Il problema è che nel testo ho inserito una lista a me necessaria. Stringo i pugni; se quel ragazzo è intelligente si limiterà a mettere a posto il libro nella sezione apposita oppure lo lascerà lì, con la consapevolezza che qualcuno lo farà al suo posto. Non sono dell’umore di tronare in quel posto, ma ho bisogno della lista. Non voglio che qualcuno se ne appropri o semplicemente la stracci, ho impiegato un anno per cercare le possibili cause alle mie escoriazioni e non sono disposta a vederle andare in fumo per colpa di qualcuno che non sa farsi i fatti suoi. Prendo un altro respiro, mi volto e ripercorro la strada per la biblioteca. Sono stata una stupida.

Riesco a percorrere un solo corridoio. Una ragazzina più piccola di me, corvonero come noto dalla divisa, mi ferma.
“Sei tu Clara, Clara Guant?” La sua voce è titubante; non ho idea di come faccia a conoscermi. Faccio un cenno d’assenso con la testa. Mi sorride e mi porge una busta, per poi dileguarsi prima che io possa chiederle da parte di chi sia.

Il preside vuole vedermi nel suo studio, ora. Mi mancava solo questa tortura, la giornata era iniziata male e non sembrava voler migliorare.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - POV Adrien Piton ***


Eccoci al Settimo capitolo! Come potrete notare, i punti di vista non saranno sempre alternati secondo uno schema rigido ma funzionali allo svolgimento della storia. 
Che ne pensate di questo nuovo personaggio? Un fantomatico ragazzo di nome Adrien nonchè figlio di Piton, che ne dite? 
Attendiamo vostri commenti. Buona Lettura!



Mi domando se il cappello parlante stia perdendo qualche colpo, negli ultimi anni sembra smistare a Serpeverde solo incompetenti e studenti che non hanno un minimo di spina dorsale, a partire dalla ragazza che ha appena lasciato la biblioteca. Avrei potuto lasciarla in pace se solo non si fosse messa a fissarmi, come volendo qualcosa da me; era Serpeverde ma dal suo comportamento non l’avrei mai detto, magari Tassorosso, in grado solo di abbassare la testa pur sapendo di non essere colpevoli e andandosene con la coda tra le gambe, sicuri che in un dibattito o duello perderebbero. Perdenti in partenza. Sbuffo. Questa scuola sembra cadere sempre più in basso.

Mi rimetto a scrivere il compito di babbanologia, vergognoso ma necessario. Davvero non so cosa potrebbe esserci di peggio. Mi fermo un attimo e ripenso alla ragazza davanti a me. Possibile che non mi abbia riconosciuto? Certamente non penso di assomigliare cosi tanto a mio padre da essere riconosciuto al primo sguardo ma non credo nemmeno di avere un viso da associare al nome Jeremia. Scuoto la testa, sto facendo dei pensieri inutili, quando invece potrei finire questo rotolo di pergamena e liberarmi dall’impiccio di quest’inutile materia. Mi rimetto a scrivere ma ho perso il filo del discorso, non so più cosa volevo dire.
“Maledizione!” Spingo la pergamena lontano da me ma accidentalmente questa urta la china che cade interamente sul rotolo di carta e il libro da cui prendevo spunto. “Merda!” Salvo il salvabile: il libro non sembra essersi macchiato più di tanto eccetto la copertina ma non è un problema; la pergamena è da buttare e riscrivere, completamente illeggibile. Evoco uno straccio, se Madama Pince mi vede mentre maneggio dell’acqua posso dire addio alla scuola e a qualsiasi futuro io mi sia prefissato. È una vecchia pazza ma non le sfugge niente. Tolgo l’inchiostro sul mio lato del tavolo per poi passarlo anche sulla parte rimanente; se devo ritornarci è meglio tenerlo pulito.

Solo ora mi accorgo che sul tavolo c’è un libro che non mi appartiene, che non ho portato io qui. Dev’essere della ragazza insolente. Leggo la copertina Ferite prenatali: cause e rimedi. Non l’ho mai sentito e non mi è mai servito. Sbuffo, non mi va di rimetterlo a posto, men che meno portarlo a quella tizia. Poteva tranquillamente venirselo a riprendere se le serviva davvero, perciò poiché questo non è successo, sono certo che metterlo in una sezione sbagliata non le causerà alcun fastidio. Mi affaccio al primo scaffale disponibile, sorrido amabilmente e lo inserisco in una sezione a caso. Sono fiero di me, anche oggi non ho compiuto un’azione meritevole. Faccio per ritornare al mio tavolo ma qualcosa per terra attira la mia attenzione, un foglio ripiegato, che prima non c’era. Mi guardo in giro, per poi posare gli occhi sul libro che ho appena messo via. Dev’essere senz’altro caduto da lì. Raccolgo il foglio, lo apro e leggo.

È una lista, ci sono dei nomi di pozioni o ungenti, simboli arcaici, segni algoritmici, indicazioni di fasi lunari; sono complessi, alcuni non li ho mai sentiti nominare. Diversi elementi sono cancellati ma comunque leggibili. Mi guardo di nuovo intorno, non c’è nessuno, nessuno interessato a quella lista. Sono quasi certo che appartenga alla ragazza che ho incontrato prima, anche se non mi sembra così intelligente da poter interessarsi a questioni così complesse. Non comprendo diverse parole su questo foglio ma voglio sapere cosa significano, a cosa corrispondono.

Senza rendermi conto sono finito nella sezione Pozioni. Uno degli elementi di questa lista Fix Etfacturam mi sembra un unguento o qualcosa di simile eppure un presentimento mi dice di cercare tra le pozioni. Il mio corpo sembra muoversi da solo verso la sezione Pozioni Nordiche. Di sfuggita noto un libro che non dovrebbe trovarsi qui, come se qualcuno avesse avuto la mia stessa idea di non mettere i libri nel loro scaffale di appartenenza. Lo prendo in mano, una pagina ha un lembo piegato. Leggo ciò che c’è scritto, ora quella lista ha il mio pieno interesse.
“Ma che diavolo..?”.
 
Sorpasso l’infermeria e mi dirigo verso i dormitori. Ho saltato la lezione di divinazione, non credo che quell’incompetente della Cooman farà troppi problemi.
Stringo il foglio che tengo nella tasca destra, ho raccolto sufficienti informazioni per capire che quella moretta ha un serio problema con il sangue, una ferita, un’escoriazione magari o un’infezione che non è in grado di curare. Non lo so ancora di preciso però la faccenda è seria, se va avanti così, nel giro di alcuni mesi la Gazzetta del Profeta non pubblicherà più articoli sul mio conto ma su una misteriosa morte a Hogwarts.

Entro in Sala Comune, un profumo di pulito mi invade le narici. Cerco con gli occhi la fonte di quell’odore fastidioso e scorgo il professor Rayland, vestito di tutto punto come suo solito, seduto in poltrona accanto al camino acceso. Sta parlando con qualcuno ma la persona difronte a lui mi da le spalle e non riesco a vederla; sicuramente uno studente deve aver trasgredito le regole, non mi spiego altri motivi per cui il Professore dovrebbe introdursi in Sala Comune, cosa che accade raramente. Di solito convoca gli studenti nel suo studio, probabilmente la questione è grave. Poco mi interessa, se una matricola è stata così stupida da intavolare un combattimento e poi farsi scoprire non si merita altro che una punizione, gli servirà di lezione per la prossima volta. Deve imparare le basi prima di tutto: mai farsi vedere, perché se nessuno ti vede, beh allora non è mai successo.

“Ehi Adrien, cos’hai combinato ora?” Mi volto verso Derrik, mio compagno di banco in.. praticamente ogni corso.
“Cosa vuoi dire?” Non sopporto non sapere le cose.
“Be, se Rayland è qui per parlare con Potter, devi esserci sicuramente di mezzo tu. Hai chiesto al paparino di toglierlo di mezzo? Non è da te”. Aggrotto la fronte. Rayland sta parlando con Potter? Scosto di lato il mio amico per vedere in faccia quell’inetto di Potter, allora anche lui commette errori.

Sono lontano dalla conversazione, però il tono delle loro voci è chiaro: il direttore Serpeverde non lo sta affatto riprendendo. Sembra spiegargli qualcosa in merito ad un testo, un testo che Potter tiene in mano e sta avidamente sfogliando, con un’espressione estasiata. Ma che diamine sta succedendo? Cerco di avvicinarmi alle due poltrone ma Derrik blocca il mio cammino mettendomi una mano sulla spalla.
“Lascia perdere, stavo solo scherzando”. Mi scosto dalla sua presa, voglio sapere cosa c’è di tanto emozionante in quel libro. Rayland volta la testa e mi nota. Sembra a disagio. Si congeda velocemente da Potter e lascia la Sala Comune, dopo aver salutato me e Derrik con un cenno del capo. Rivolgo la mia attenzione al posto accanto alla poltrona vuota lasciata da Direttore.

Potter si alza lentamente  e senza far caso a nessuno si dirige verso i dormitori. Rilasso le spalle, al momento sono costretto a rimanere all’asciutto di informazioni, non mi abbasso a parlare con quell’inetto. Qualcosa però attira la mia attenzione, il libro che tiene in mano, il libro che tiene in mano l’ho già visto, moltissime volte, sul comodino di mio padre nella sua stanza da letto.
“Il libro del Principe. No”. Sussurro. Sono sconvolto, non capisco come sia possibile. Faccio un passo indietro. Quel testo è prezioso, interessante, ricolmo di incantesimi e pozioni che nessuno ha mai osato creare. Quel testo è di mio padre, quel teso è mio, di diritto!

Stringo i pugni, non permetterò che un insulso nano come lui si appropri delle mie cose.
“TU, FERMATI ORA! Dammi quel libro! Ora ti sei messo a rubare? Non ti basta essere figlio del prescelto, ora vuoi anche prenderti le cose di mio padre?” Mi avvicino a lui ma Derrik mi ferma, appoggiandomi una mano sul petto. Lo guardo con odio, non so se schiantare prima lui o il nano.
“Informati prima di aprire la bocca a vanvera, Adrien. È stato tuo padre a donarmi questo testo; forse ha intuito chi era il più degno. Trai tu le conclusioni”.

Qualcosa si agita nel mio petto: rabbia, ira, frustrazione repressa. Mi libero dalla stretta e sfodero la bacchetta. Gli farò rimpiangere ciò che ha detto.
“Stupeficium!” Un’intensa luce rossa scaturisce dalla mia bacchetta ma non è sufficiente, quell’abominio riesce a difendersi.
“Troppa paura per attaccare, sgorbio? Pensavo che tuo padre ti avesse insegnato qualcosa.. Ah no, è vero. Tuo padre non istruirebbe mai un Serpeverde”. Si agita, diverse espressioni si alternano sul suo viso. Le parole sembrano ferirlo più degli attacchi, basta sapere dove colpire ma a me non bastano. La mia bacchetta freme, sono pronto per l’attacco.
“Che cosa sta succedendo qua? Piton, Potter, mettete via quelle bacchette”. Mi volto lentamente verso Gualtier, prefetto Serpeverde.
“Se non ti dispiace, preferirei continuare invece”.
“Io non sono della stessa opinione”. Potter osa aprire bocca e dannazione, ora faccio crollare queste quattro mura che lo circondano.
“Tu non hai voce in capitolo. Stai zitto e fermo!” Non sembra aver inteso le mie parole perché si volta e riprende la strada per i dormitori. Piccolo ingrato.
“Bombar..”

Dolore, sento un forte dolore alla testa. Qualcuno mi ha spinto a terra, vedo solo nero e sento un persistente odore di moquette. Ho la guancia a stretto contatto con il pavimento; il mio corpo sta ancora fremendo per l’insolenza di Potter, voglio fargli male. Un istinto primordiale risale dal mio petto e raggiunge il cuore; voglio sferrare un pugno, non importa a chi, ora voglio solo un combattimento. Ringhio, devo sembrare un ossesso in questo momento. Cerco di divincolarmi dal peso che mi attanagli a terra.
“Stai fermo Piton, ora ti porto dal preside. Lì potrai dimenarti quanto vuoi”.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - POV Albus Severus Potter ***


Eccoci con un nuovo capitolo!
Chiedo venia per il ritardo con cui pubblico ma causa altri impegni sono sempre stata occupata. 
Questa volta ci concentriamo su Albus Severus e i suoi problemi interiori. Buona Lettura!



Mi dirigo velocemente in camera, trattenendomi dall’urlare per la frustrazione. Il volume che mi ha appena consegnato il Professor Rayland finisce nel primo cassetto della scrivania, raggiungendo tutti gli altri libri di quest’anno, ancora praticamente intatti. Guardo la mia camera, uno spazio asettico dove tutto deve occupare un posto preciso. Di solito l’ordine fuori mi permette di essere più in ordine anche dentro ma questa volta non è sufficiente. Anzi, il contrasto con la rabbia che sento dentro mi spinge ad uscire di li.
 
Istintivamente penso al campo da Quidditch, al vento tra i capelli, a quanto mi sento libero quando sono a cavallo del mio manico di scopa, superiore a tutti i problemi per una volta. No, non posso. Il campo è frequentabile solo durante gli allenamenti e non posso certo far convocare il resto della squadra solo perché ho bisogno di sfogarmi. Indosso velocemente  un doppiopetto nero e la sciarpa della casata, grigia e verde. Esco nel cortile di fronte all’aula di Incantesimi. Magari non posso volare ma anche camminare non suona male.
 
Giro l’angolo in direzione della Foresta Proibita e finalmente capisco cosa voglio fare: la torre della Guferia si staglia in lontananza, la cima svetta tra le chiome degli alberi. Li mi aspetta il mio gufo, Dobby. Da come me ne parla mio padre, Dobby è stato un elfo domestico coraggioso, pronto a sacrificarsi per una buona causa. Non ho mai sopportato i grandi ideali né le favolette. Dal mio punto di vista, ho dato al mio gufo il nome di un elfo domestico perché mi aspetto che sia docile e che consegni tutte le lettere come voglio io, senza fare storie. Prima di andare in Guferia ritorno in camera, prendo penna, carta e calamaio e comincio a scrivere:
 
Ciao papà,
qui tutto bene, l’anno scolastico è iniziato senza grandi novità. Ho iniziato il quarto anno e faccio più difficoltà a seguire le lezioni..
 
Cancello subito l’ultima frase. Di certo non ammetterò mai di fronte a lui che sono in difficoltà. Ci riprovo.
 
“..senza grandi novità, pensa che Adrien Piton è il solito imbecille (magari quando ci vediamo ti spiegherò meglio perché), io sono il solito idiota che lo sta ancora a sentire e Hogwarts è la solita scuola dove si insegnano le solite cose idiote. In una settimana non ho ancora avuto modo di fare nuove conoscenze tra i compagni di quest’anno ma ho intravisto una ragazza che mi sembra interessante.”
 
Interessante deve essere l’eufemismo del secolo. Ripenso a quegli occhi marroni con qualche bagliore rossastro, ripenso al suo sguardo e al suo braccio, ripenso a quello che ho visto e a quello che non avrei mai voluto vedere. Molto più che interessante, ma ai genitori non si può dire granchè.
 
Spero che stiate tutti bene. Vi aggiornerò presto, intanto aspetto una vostra risposta.
Albus
 
La rileggo. È sconnessa, non ha senso e non dico niente di quello che mi passa per la testa. Insomma, le solite lettere che scrivo ai miei genitori. Almeno mi sono messo l’animo in pace, non è tutta colpa mia. Non ho deciso da un giorno all’altro di smettere di comunicare, è solo che ho capito che mio padre non può capirmi. Il sospetto è nato quando due anni fa gli ho detto che mi sentivo a disagio quando c’era parecchia gente che mi fermava per strada , tutti con la stessa faccia curiosa, pronti ad invadere il mio spazio con la solita domanda “Ma sei il figlio minore dei Potter? Di Harry Potter?”.
 
Il famoso Harry Potter mi ha abbracciato, dicendomi che sa perfettamente come mi sento perché era difficile anche per lui ricevere attenzioni indesiderate quando aveva la mia età e continui sguardi alla sua cicatrice come se fossero di fronte ad un fenomeno da baraccone. Ho ricambiato il suo abbraccio sentendo freddo dentro. Non è la stessa cosa, non può paragonare le due situazioni. Lui veniva e viene riconosciuto come il grande eroe che ha salvato il mondo da Voldemort. Stupendo, davvero, non me ne lamento ma io vengo riconosciuto solo perché solo “figlio di..”. Non esisto in modo autonomo. Non ho fatto niente per essere degno di essere riconosciuto al di fuori dei vincoli familiari. Albus Severus non ha valore di per sé, non ancora. Preso solo per quello che sono, non valgo niente.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - POV Severus Piton ***


Silente si è addormentato, o almeno così pare; dopo essere intervenuto nella conversazione con la Guant, senza che nessuno gli avesse chiesto un parere. Ora gli conviene non farsi sentire per un po’, il tempo di sbollire la mia ira nei suoi confronti. Sistemo alcune scartoffie sulla mia scrivania, sento di non aver concluso nulla con la giovane. Mi affaccio alla finestra, tira un forte vento e nessuno studente sembra aver messo piede nel parco oggi. Fosse per me, mi addentrerei nella foresta proibita pur di lasciare il mio studio anche solo per un’ora, per non affrontare colloqui con studenti che evidentemente preferirebbero far altro che essere spediti nel mio studio per qualche punizione.

Ripenso alla Guant, c’è qualcosa in lei che non mi spiego; Berger ha ragione ma è fondamentale, per tutti, che non s’interessi alla questione.

FLASHBACK 
Un lieve bussare alla porta interrompe il rimuginare dei miei pensieri.
“Avanti”. Ha fatto in fretta ad arrivare e lo apprezzo, non gradisco le persone che ritardano. Fa il suo ingresso nel mio studio la nuova Serpeverde; non sembra preoccupata ma nemmeno sicura di se. È disinteressata, come la prima volta che l’ho conosciuta, indifferente a ciò che aveva intorno.
“Prego, si sieda. Sono sicuro di non aver interrotto nessun suo programma”. Come mi aspettavo, non ricevo risposta né cenni, infondo ciò che le ho detto è una constatazione. Rimango in piedi e mi appoggio alla scrivania, esattamente davanti a lei. La sovrasto interamente eppure non è intimorita, anzi, più il tempo passa più sembra infastidita dall’essere lì.

“I suoi rendimenti scolastici sono perfetti, nessun professore si è lamentato di alcuna carenza. Sono consapevole degli insegnamenti pressanti messi in atto a Durmstrang e da lei, non mi aspettavo altrimenti”. L’espressione sul suo volto cambia, ora è scettica, ha intuito di non trovarsi qui per i suoi voti.
“Come si trova nella scuola?” Aspetta qualche secondo prima di rispondere, sembra voler calibrare le parole.
“Bene. I corsi non sono difficili e i compagni socievoli. Ora mi può dire che cosa vuole sapere realmente?” Resto in silenzio, la ragazza non vuole essere presa in giro. “Sa qualcosa su di me? Sa perché mi trovo qua?”.. e non vuole nemmeno perdere tempo. Apro la bocca per rispondere che No, il mio interesse su di lei è puramente accademico ma il vecchio appeso al muro anticipa le mie mosse.
“Che cosa sai del tuo cognome, o che cosa ti ricordi del tuo passato?”

Vecchio insolente petulante, perché deve sempre intromettersi anche quando non gli è richiesto? Gli lancio uno sguardo truce, per poi rivolgere la mia attenzione alla Guant. Noto che non ha mai smesso di fissarmi, infastidita, come se non gradisse l’intervento di Silente. Non credo lo conosca e sono convinto non si siano mai incontrati in passato.
“Essendo orfana, non so chi siano i miei genitori, né tanto meno da dove io abbia ereditato il mio cognome. Non ho ricordi del mio passato, il mio tutore non me ne ha mai parlato”. Ha gli occhi puntati su di me, come se fosse importante, come se cercasse di farmi capire che è la verità. Non ho ancora sufficienti informazioni per crederle, non posso permettermi errori di giudizio; ho imparato a non fidarmi e non ho intenzione di farlo ora.
“È tutto, vai ora”. Si alza velocemente e lascia lo studio. Quando la porta si chiude mi fiondo su Silente, deve capire che io sono il preside e lui, per quanto una volta contasse qualcosa, ora è solo un ornamento della stanza.

FINE FLASHBACK

Mi massaggio le tempie, di questo passo non scoprirò mai nulla di importante. Un intenso bussare alla porta mi riscuote dai miei pensieri; non aspettavo visite e di segnare le future date per le uscite a Hogsmade non se ne parla: se da quella porta entra Peterson, giuro che quest’anno Grifondoro subirà la mia ira. Le due persone che varcano la porta invece, mi lasciano stupito. Di rado non so cosa accade nella mia scuola ma in questo momento sono perplesso, non so cosa si successo.

“Gualtier”. Punto gli occhi sul ragazzo posto dietro al prefetto Serpeverde. Perché mio figlio ha un occhio nero?
“Buonasera Preside. Ho appena sorpreso Potter e Piton in quello che sembrava un duello tra..”
“Sembrava? Lo era o no?” Quel buono a nulla si mette a balbettare ora; mi piace riuscire ancora a incutere paura nei miei studenti ma non sopporto vedere l’inettitudine dei Serpeverde. Per Salazar, Rayland! La prossima volta, nomina prefetto un ragazzo che non teme persino un’alzata di voce. Sospiro.
“Hai detto che Potter ha partecipato al duello. Perché non è qui?”
“Ve-Vede Preside, Potter non ha colpa. È stato Pi-Piton ad.. ad attaccare”. Aggrotto la fronte.
“Vattene, Gualtier. Sistemerò da solo la faccenda con il signor Piton.. E sarò io a decidere di chi è la colpa”.

Lascia il mio studio il più in fretta che può, era sicuramente sotto pressione. Crede di aver fatto un gesto meritevole, peccato che io non abbia voglia di parlare con mio figlio. Rivolgo l’attenzione a quest’ultimo, che dal canto suo sta fissando lo scaffale ricolmo di libri. Mi siedo sulla scrivania e sospiro; conoscendolo, non mi dirà niente. “Quindi?”
“Quindi cosa?”
“Sei stato portato qua per un motivo. Hai intenzione di spiegarmi?” Non ci vuole un genio per capirlo. Adrien non ha mai sopportato Albus, eppure sono rare le volte in cui i due si sono scontrati con le bacchette, di solito si limitano ad insultarsi verbalmente. Che cosa ha spinto Adrien ad attaccarlo, adesso?
“È davvero necessario? Sai già cos’è successo. Duello, occhio nero”. Si indica l’occhio, sarebbe meglio se andasse in infermeria ma è finito il tempo in cui avevo qualche speranza di farmi ascoltare da lui. Sospiro.
“Perché?” Stringe i pugni e in due falcate raggiunge la mia scrivania, su cui sbatte e si appoggia con le mani.
“Dovresti saperlo. Hai dato a quell’inetto un testo mio di diritto”. Lo guardo con sufficienza, sembra davvero arrabbiato.
“Tuo di diritto? Non mi ricordo di avertelo mai detto e inoltre, pensavo fossi bravo abbastanza da poterne fare a meno. Le informazioni su quel libro te le ho già insegnate quando eri più piccolo, non vedo perciò la necessità per cui avrei dovuto darlo a te”. Credo di averlo fatto arrabbiare, ha gli occhi spalancati, la vena sulla tempia pulsa incessante, tracce di un duello non portato a termine nell’aria. Adrien vuole sfogarsi e io sono qua per questo, peccato io debba parlare con mio figlio solo attraverso sfuriate.
“Io lo desidero da anni! Già quando ne avevo dodici te l’ho chiesto e ti mi avevi risposto che ci avresti pensato”. Sembra aver placato la sua ira, sembra voler fare un dialogo civile.
“E ci ho pensato. Ho ritenuto opportuno consegnarlo ad Albus”.
“E perché non ritieni opportuno dargli direttamente i M.A.G.O, tanto un anno glielo hai già fatto saltare, perché non passare subito al passo successivo! Facciamolo diventare capo scuola, capitano della squadra di Quidditch e adottiamolo come quarto figlio, che ne pensi?!” Mi alzo di scatto. Adrien si era messo ad urlare, furioso come poche volte l’ho visto. Non mi interessa, sangue del mio sangue o no, non gli permetterò di mancarmi di rispetto.
“Modera il tono ragazzo. Sono sempre il preside della scuola e tu sei sempre uno studente”.
“Ma sei prima MIO PADRE  dannazione!” Rimane immobile in mezzo alla stanza, ancora ansimando per le parole dette prima. Ha uno sguardo distrutto ma non sembra dispiaciuto per quello che ha fatto in precedenza. Immagino di doverlo rassicurare, calmarlo, proporre una soluzione ma io non sono un buon padre, non ha avuto esempi su cui fare affidamento. La persona che parla ora è il preside e non il padre di cui il figlio ha bisogno.

“Hai fatto un gesto stupido e avventato, non degno di uno studente del quinto anno. Totalmente immaturo, abbastanza deludente da parte tua”. Spalanca gli occhi come se stesse male, l’ho colpito nell’animo. Gli ho appena dato prova che non può fidarsi di me. Sono stato avventato. Faccio un passo avanti, voglio spiegarmi. In silenzio, con i pugni stretti e l’espressione disgustata, Adrien lascia il mio studio. Non gradisco che le persone si congedino se prima non glielo permetto io ma in questo caso, niente fermerà mio figlio dall’allontanarsi il più possibile da me.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 - POV Clara Guant ***


Sbatto con forza la porta della mia stanza; è probabile che il rimbombo si sia sentito nell’intero dormitorio ma al momento non m’interessa. La domanda di quel vecchio appeso al muro mi sta dando molto fastidio, sono sicura che lui sappia qualcosa su di me ma non ha intenzione di dirmi nulla.
Mi siedo sul letto, la conversazione non è andata come speravo e qui due mi hanno persino fatto venire il mal di testa. Il braccio ha iniziato a farmi male, qualche goccia di sangue ha macchiato la felpa. Vado in bagno, riempio la vasca d’acqua ed evoco del ghiaccio. V’immergo il braccio, un brivido mi percorre tutta la schiena per lasciare spazio all’effetto di sollievo dell’acqua ghiacciata sull’escoriazione. Chiudo gli occhi qualche istante, giusto il tempo per addormentarmi; quando li riapro, mi rendo conto di aver passato più di un’ora lì dentro. Guardo l’interno della vasca, il ghiaccio si è sciolto e l’acqua ha un colore rossastro. Prendo delle bende, fascio la zona dolorante e indosso una felpa pulita. Mi sento leggermente meglio. Il tempo di ricordare cos’è successo prima e ricado in uno stato d’impazienza. Finché non avrò la certezza che il preside ha informazioni su di me, non mi calmerò. Devo stare allerta, se lui sa qualcosa è probabile che altri sappiano.

Mi volto di scatto, qualcuno ha appena bussato alla mia porta. Mi avvicino con cautela, appoggiando un orecchio per sentire qualche rumore ma niente, dall’altra parte non si muove nessuno. Faccio un respiro profondo per poi aprire velocemente la porta. Fanno capolino nella mia stanza tre ragazze del mio anno, facente parte di quel piccolo gruppo di persone a cui interesso.
“Perché ci hai messo tanto ad aprire?”
“Sono invecchiata di un anno là fuori”
“Si muore di freddo qua dentro”. La porta viene chiusa, i caloriferi accesi e quattro tazze di thè caldo appaiono improvvisamente sulla mia scrivania.
“Nora, Tania, Ester. Come mai qua?”
“Anche noi siamo felici di vederti, Clara”
“È così che ci si comporta? È da alcuni giorni che ti si vede pochissimo in giro”
“Prendi una tazza di thè e siediti qui con noi”. Odio il loro modo di alternarsi, sembrano tre sorelle gemelle mal assortite, che programmano le frasi da dire in anticipo. Ora hanno anche monopolizzato la mia stanza e non se ne andranno tanto facilmente. Devo calibrare bene le mie parole se voglio mantenere un certo riserbo; a quanto ho capito, ciò che vengono a sapere fa il giro di tutta la scuola in meno di mezza giornata.

Prendo una tazza di thè e mi siedo sulla sedia accanto alla scrivania. Ne bevo un sorso, anche per nascondere il sorriso che ho in faccia: queste tre ragazze mi fanno ridere, cosa che avviene di rado. Sono sedute sul mio letto, gambe accavallate, portamento regale ma alla fin fine si comportano come carcerati. Imprecano, sono pettegole e ogni scusa è buona per tirare su rissa. In fondo, non sono poi così male.
“Clara, tu cosa ne pensi?” Mi ero persa, da quanto hanno ricominciato a parlare?
“Hai intenzione di ascoltarci una buona volta o dobbiamo pietrificarti?”
“Questa notizia è favolosa, le ragazze della scuola non aspettano altro”
“Apri le orecchie ma ricordati di non dirlo a nessuno, la notizia non è ancora stata confermata”. L’idea di sapere qualcosa che non si deve sapere non è un mio interesse; conoscendo le tre ragazze inoltre, ciò che mi stanno per dire deve essere totalmente inutile.
“Hanno indetto un ballo”
“Per festeggiare Halloween”
“Agli inizi di Novembre”. Ecco, come avevo immaginato, una notizia priva di utilità.

Devo avere qualcosa in faccia, perché tutte e tre mi stanno guardando come se mi fosse spuntata una seconda testa.
“Beh? Cos’è quella faccia?”
“Non sei elettrizzata?”
“Ci sarà un ballo: vestiti eleganti, ragazzi che ti corteggiano, possibilità di insultare quelle stupide di Grifondoro”. Bene, mi devo concentrare. Devo fare una faccia stupita. Forza Clara, ci puoi riuscire!
“Ora qual è il problema?”
“Ti senti male?”
“Il thè ti è andato di traverso?” Evidentemente non ci sono riuscita, la mia espressione deve sembrare un incrocio tra lo schifato e il dolorante. Non m’interessa niente del ballo, non m’interessa niente di apparire bella e non voglio insultare qualcuno solo perché è di un’altra casa. Sto per aprire bocca ma quello che ho da dire viene accantonato per far spazio a cose per loro più importanti. Si mettono a discutere sul colore del vestito che indosseranno, sui ragazzi da cui vorrebbero essere invitate e.. su quanto sia ordinata la mia stanza. Vorrei mandarle via ma non voglio sembrare indiscreta. Si prospetta per me una lunga serata tediosa di nullafacenza.


Ho lasciato le tre babe davanti al camino della Sala Comune, dopo un (secondo loro) necessario spostamento di location, causa: poca visibilità dei ragazzi Serpeverde. Io mi sono messa in un angolo a leggere quello che sembra un testo di storia babbana, a mio parere abbastanza noioso ma tutto è preferibile all’essere tartassata di domande da quelle tre.
“Guant!” Il mio tentativo di non essere notata è appena fallito. Toby Larsson si sta avvicinando a me e sembra avere un’espressione estasiata in volto, come se avesse trovato la fonte dell’immortalità.
“È tutto il giorno che ti cerco. A lezione non sono riuscito a parlarti. Dove diamine eri finita?”
“Non devo dare spiegazioni a nessuno, men che meno a te”. Mi guarda sorpreso, forse non credeva che gli rispondessi.
“Non volevo farmi i fatti tuoi. Vieni con me dai, devo portarti in un posto”
“Sto bene qua, grazie”.
“Non te ne pentirai..”.

E non me ne pento affatto. Toby mi ha condotto in una stanza sotterranea rispetto all’intero castello. È raggiungibile attraverso alcuni cunicoli ma solo pochi ragazzi Serpeverde vi possono accedere. A quanto detto da lui, soltanto i più meritevoli, che si guadagnano la stima del custode segreto della stanza possono permettersi l’ingresso. Nel mio caso, gli eccellenti risultati e la dote negli incantesimi non verbali, anche se non so come queste informazioni siano arrivate fino a uno studente dell’ultimo anno.

Ciò che mi appare all’ingresso della stanza mi lascia stupefatta, come la prima volta che mi sono trovata davanti alla Sala Grande. Una stanza circolare, grande la metà della nostra Sala Comune mi si apre davanti agli occhi; le pareti che la circondano sono di vetro e permettono di ammirare le profondità del Lago Nero. È uno spettacolo magnifico, la sola vista mi alleggerisce il petto. Al momento non ci sono molti ragazzi e il suono di creature leggendarie e dell’acqua rimbombano nell’intera stanza. Lungo tutte le pareti sono disposti dei divanetti, color verde smeraldo; un bancone non troppo ingombrante è situato al centro della stanza , rifornito di leccornie, bevande, giornali e diversi giochi da tavolo del mondo magico. Nulla è lasciato al caso.
Una mano di Larsson appoggiata sulla mia schiena mi spinge delicatamente in avanti, permettendomi di vedere la stanza nella sua interezza e magnificenza. Mi indica poi un ragazzo seduto a leggere; questo mi fa un cenno con il capo ed io intuisco che è stato lui a volermi lì, a permettermi di essere qui. Vengo lasciata sola e tutto quello che riesco a fare è sedermi e ammirare ciò che mi circonda.

Senza accorgermene, mi ritrovo con un calice in mano e una ragazza di fronte che mi osserva. Mi sorride e mi siede accanto, rimanendo in silenzio, come volendomi accogliere nella stanza senza dover davvero dire qualcosa. La osservo, è più grande di me, sicuramente dell’ultimo anno. Ha una corporatura robusta, sospetto faccia parte della squadra di Quidditch.
“Zafira Zabini. Benvenuta tra coloro che contano”. Continuo a guardarla: il suo aspetto, la sua voce, il suo essere adulta mi rassicura. Vorrei essere come lei, sicura si sé.
“Clara. Io mi chiamo Clara G..”
“Guant. Certo, so chi sei”. Ora mia guarda negli occhi. Mi sento nuda davanti a lei, decifrata, priva di barriere. Tutt’un tratto quella stanza mi sembra troppo piccola e troppo in profondità: mi sento in gabbia. Ci guardiamo per un tempo indefinito e penso che quegli occhi azzurri abbiano scoperto tutto di me, in realtà quel poco che c’è da sapere. Distoglie lo sguardo, sembra disinteressata, come se si fosse aspettata di più da me; io continuo a fissarla, non posso fare a meno di confrontarmi con lei. Riuscirò mai ad assomigliarle, ad avere il suo portamento? Sono alta ma non avrò mai il suo fisico, né la sua chioma bionda e il suo seno prosperoso, rimarrò sempre mora, con degli zigomi troppo marcati, le labbra piccole e un fisico asciutto. Mi sento inferiore, drasticamente inferiore.
“Dovresti farmi visita durante le vacanze. I miei genitori sarebbero entusiasti di incontrare una come te”. Spalanco gli occhi. Che cosa ha detto? Estasiati.. Una come me? Le sue parole m rimbombano nella testa, non capisco. Zafira nota il mio sconcerto e sembra agitarsi, cambia posizione, incrocia le gambe e si schiarisce la voce. Mi sorride di circostanza.
“Lascia perdere quello che ho detto, goditi la serata”. Perché quel repentino cambio di decisione? Io.. voglio andarmene, mi sento mancare l’aria qua sotto.
Mi alzo velocemente e mi dirigo verso l’uscita; urto qualcuno, mi volto per chiedere scusa e due occhi color nocciola mi si parano davanti, due occhi che ho già visto: il ragazzo della biblioteca! Non l’avevo visto entrare; è vestito male, ha la divisa stropicciata ed è privo di cravatta. Ha una bottiglia semivuota in mano, sembra già alticcio. Non mi insulta né apre bocca, semplicemente sbarra gli occhi e mi fissa. Non riesco a dirgli niente, non riesco a scusarmi, riprendo solo la strada verso l’uscita e accelero il passo.
Mi ritrovo in Sala Comune con il fiatone, non c’è nessuno in giro ma non voglio rinchiudermi nella mia stanza. No, devo andare in biblioteca e riprendermi la lista, l’unica cosa che in questo momento mi fa sentire sicura, sicura di me. Sto correndo per i corridoi, non voglio farmi vedere ma al tempo stesso sono agitata e l’unico modo per sfogarmi è correre. Ansimo, sono davanti alle porte della biblioteca, pregusto il momento in cui metterò mano a quel pezzo di carta.

Un soffio d’aria, impercettibile, mi solletica il collo, un fruscio alle mie spalle mi irrigidisce sul posto. Un odore intenso di vecchio, putrido, odore di sangue marcio raggiunge le mie narici. Estraggo la bacchetta e mi volto di scatto. Difronte a me, con un aspetto lugubre, mi sovrasta il professore di pozioni. Ha gli occhi spalancati e un sorriso inquietante sul volto; le sue mani attirano la mia attenzione: sono strette l’una all’altra, stanno fremendo come se si stessero trattenendo dal compiere qualche gesto. Sono pallide come non le ho mai viste, ricoperte di vene e con le unghie smisurate, protese in avanti, affilate.
“Non si avvicini”. Ho imparato abbastanza a Durmstrang da poter identificare ciò che ho davanti, il problema è che non ne ho mai affrontato uno: un vampiro. Il mio cuore pulsa incessante, le vene sul mio braccio fremono e questo non va bene. Sono in pericolo, se non faccio qualcosa mi ritroverò dissanguata nel giro di pochi secondi. Più velocemente di quanto mi aspettassi, l’essere afferra il mio braccio, stringendo senza tregua. Provo un dolore atroce ma rimango immobile a fissarlo, non devo mostrare il mio tormento. Posa gli occhi iniettati di sangue sul braccio, ha ricominciato a sanguinare e i suoi occhi ora sono estasiati ma pur sempre ricolmi di orrore. Velocemente come mi ha afferrato, lascia la presa, portandosi la mano insanguinata al volto, prima annusando poi assaporando il mio sangue. Tremo, qualcosa ora nella sua espressione mi fa capire che è pronto per uccidermi.

“Guant! Vattene. Subito!”
Non riesco a muovermi, mentre l’essere accanto a me non sembra aver percepito alcun suono. Faccio un passo indietro e subito delle possenti mani mi afferrano per le spalle, spingendomi lontano, lungo il corridoio. È il professor Peterson. Sta dando le spalle al mostro e non sembra preoccuparsi che di me.
“Vai nei tuoi dormitori e non far parola con nessuno di quello che hai visto!” Deglutisco, mi volto verso il corridoio e inizio a correre il più veloce che posso; sento distintamente un grido sofferente, seguito da uno schianto. Questa scuola non è poi così sicura come vogliono far credere.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 - POV Severus Piton ***


Non sopporto i balli che si tengono ad Hogwarts. Accetto mal volentieri di organizzarli e soffro nel parteciparvi. Essere Preside di Hogwarts ha i suoi svantaggi e aprire le danze ad un ballo o cerimonia è uno di questi. Il mio io interiore si sta indignando per la mancanza di volontà nel rifiutarmi di compiere questa enorme e inutile parata. Solo Eileen sembra estasiata dall’idea di vedermi avvinghiato a sua madre mentre compiamo qualche passo di danza per rispettare una tradizione a cui mi sono opposto strenuamente per tutti i miei anni in qualità di Preside. Deprimente.

Pensandoci bene, non passo del tempo solo con mia moglie da diverso tempo; io sono sempre reperibile ma quella cocciuta non si prende una pausa dal lavoro nemmeno se sta male. L’ultima volta che le ho parlato è stato solo per farmi spiegare il suo, secondo lei, ingegnoso piano per scoprire qualcosa sul passato della Guant. Che mente ristretta. Potter mi è venuto in mente nel momento in cui ho udito il cognome della ragazza, l’associazione era palese. Usare il ballo come scusa per invitarlo e raccogliere indizi però è rivoltante, non gradisco vedere Potter gironzolare per la scuola come faceva un tempo, è sufficiente il maggiore dei suoi figli per quello.

Qualcosa andrà storto, ho un presentimento e.. due braccia avvolgenti mi si stringono al collo , un profumo di ciliegio e vecchi libri invade le mie narici.
“Si parla del diavolo..”

Mi lascia immediatamente e con le braccia incrociate mi si pone davanti, in tutto il suo splendore. Imprimo nella mente ogni dettaglio del suo volto, del suo corpo e delle sue curve. Ogni giorno da quando mi hanno restituito la mia vita penso che possa essere l’ultimo, perché non me lo merito, perché non mi merito questa donna davanti a me che ora mi guarda con espressione corrucciata.
“Se ti disturbo me ne posso anche andare. Credevo di farti un piacere”.

Sospiro, mi alzo dalla sedia del Preside e la raggiungo. Nonostante sia diventata donna, continuo a superarla in altezza, ma l’espressione che ora assume non è più quella di una studentessa infastidita dal Professore che le mette un voto troppo basso. Non è intimorita e nemmeno sfacciata. No, lei è sicura di sé, delle scelte che ha fatto. Consapevole. Le appoggio una mano sul volto; la sua guancia cerca il calore del mio palmo. La bacio delicatamente; sa di menta e zucchero, troppo dolce, come il suo carattere ma si sposa bene con l’amaro del mio animo.
“MOLTO piacere, Signora Piton”.

Mi sorride e penso che niente potrebbe andare storto, si lascia abbracciare e si strige al mio petto. È una sensazione piacevole nel mezzo di avvenimenti frustranti.
“Ti ricordi del piano?”
“Ho attuato piani meglio congegnati, secondo te non sono capace di indirizzare Potter verso la ragazza giusta?”
Si stacca da me per guardarmi, l’ho tenuta stretta troppo poco.
“Sai, l’età avanza”.

Sollevo un sopracciglio. Mi ha appena dato del vecchio? Molto velocemente mi avvicino a lei e la carico in spalla, non accetto simili insulti.
“Severus! Severus che cosa fai?! Mettimi subito giù!”
“Ti faccio vedere io chi è il vecchio!”
Mi dirigo nella mia stanza da letto chiudendomi la porta alle spalle. Dopo questa notte, vedremo se avrà ancora voglia di definirmi vecchio.

*

Il corridoio è lungo e desolato. È notte e il castello è immerso nel silenzio. Mi accorgo di essere scalzo, le mie mani sono fredde e la mia bocca ha uno strano sapore. Per terra c’è del liquido, qualche tubatura deve essersi rotta. Continuo a camminare.
Mi sento gonfio, privo di forze, come se al banchetto mi fossi abbuffato. Questo corridoio sembra non finire mai. Sorpasso qualcosa, una persona ma è distesa a terra. È accovacciata e per poco non la vedevo.
Mi avvicino per capire chi è: Adrien, il suo volto è pallido, gli occhi sono spalancati e la gola è recisa. È immerso in una pozza di sangue. Sono paralizzato, ma non ho paura, non provo rimorso, ho solo sete, molta sete. Quel sangue è allettante.
Un rumore non lontano mi fa voltare, un altro corpo è disteso per terra. Mi avvicino: Eileen; stessa cosa, gola recisa, sangue ovunque. Mi guardo intorno, l’intero corridoio è disseminato di corpi, l’intero corridoio è immerso nel sangue. Ansimo, qualcosa mi dice che sono stato io, io ho ucciso queste persone. Ma.. io chi sono?
“Tu sei me”.

Mi volto di scatto e sussulto. Davanti a me ci sono io, Severus Piton, ma non sono in me, sono diverso. Sono un assassino, sono un mostro. Le mie mani, volto, vestiti sono ricoperti di sangue, il sangue dei miei figli, delle mie vittime.

No!

“Severus, cosa c’è?”
Sono seduto sul letto, accanto a me Hermione, distesa e ancora assonnata. Sto sudando e ansimando, devo aver fatto un incubo.
Mi rammento del sangue, tanto sangue. Le parole di Peterson mi tornano alla mente: Berger era stato trovato a vagare per i corridoi durante la notte, nella sua condizione peggiore. Mi passo una mano sul volto, ancora mi domando perché non l’abbia espulso dalla scuola. Nessuno è al sicuro con un mostro simile.
“Mettiti a dormire”.

Ancora con la voce impastata dal sonno, Hermione si gira verso di me e mi trascina disteso con lei. La guardo dormire, non voglio che le succeda niente, né a lei né ai miei figli.
“Severus smettila di pensare. Ti sento, ti conosco. La scuola è al sicuro, i tuoi figli stanno bene e io ti amo. Dormi.”
Rassicurante, detto da una donna che dorme ancora con il pigiama a stelle e fiori.
Sospiro. Chiudo gli occhi, sono sicuro che non mi riaddormenterò facilmente, nonostante il respiro di Hermone sia lenitivo, cullante.

*

Mi sistemo la cravatta. Questo colore verde scuro è gradevole ma non darò ad Hermione la soddisfazione di ammettere che ha fatto un buon acquisto.
Il ballo sta per iniziare e la mia voglia di parteciparvi si è ridotta drasticamente. Se ieri ero disposto ora preferirei passare la serata chiuso nel mio studio ad ascoltare gli inutili aneddoti di Silente.
“Severus sbrigati o faremo tardi.”
Hermone è entrata nella mia stanza già agghindata alla perfezione, è probabile che tenga più lei a questo ballo che tutti gli studenti della scuola.
“Ti sta bene la cravatta”
“Lo so”
“Beh, non mi dici niente tu? Non ti piace il mio vestito?”
Oh certo. Lo spacco laterale mette in risalto le gambe, le spalle sono scoperte ma il decolté prosperoso è ben coperto da occhi indiscreti. La sua pelle nivea si sposa perfettamente con il color pesca dell’intero vestito, mentre i suoi capelli, stranamente lisci, le ricadono dolcemente sulle spalle. È perfetta.
“Ovviamente, ma ti preferisco senza”.

La bacio e lascio la stanza. Il Preside non può di certo farsi attendere.
 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 - POV Adrien Piton ***


Odio i balli, soprattutto quelli che tenuti a Hogwarts, odio vestirmi bene per una simile manfrina e quel che odio di più è prendervi parte. Essere uno studente al quinto anno con eccellenti voti, nonché figlio del preside, ha i suoi svantaggi ed essere presente quando tuo padre apre le danze è uno di questi.
L’unica persona felice di vedere i propri genitori che ballano è Eileen, forse ancora troppo ingenua per capire che non è affatto divertente essere fissati da tutti mentre la coppia prediletta del mondo magico volteggia per la sala. Tutti gli sguardi sono puntati su di te, tutti sono consapevoli di avere sotto i loro occhi il frutto dell’amore di quella coppia ignara.
Vorrei appartenere a un’altra famiglia, vorrei essere un nessuno agli occhi di tutti. Per mio padre lo sono già, un ragazzino troppo ingenuo e stupido che compie azioni avventate. Bene. Un punto a mio favore, ore devo raggiungere lo stesso risultato con mia madre e finalmente sarò libero da vincoli.

La Sala Grande è stata addobbata al meglio, drappi e fronzoli, arancioni e neri, ricoprono i muri; per aria aleggiano zucche volenti, mentre un grosso lampadario fluttua sul soffitto, in centro alla sala. Le tavolate sono state spostate verso l’esterno e ricolme di cibo e bevande, saziano la maggior parte degli studenti. Sembra esserci l’intera scuola, vestita a lustro per l’occasione.
Mi affianco al gruppo dei Serpeverde, poco interessati al cibo e intenti a squadrare un gruppo di Grifondoro che fanno baldoria, non lontano da loro. Come mi fanno ribrezzo, scarsamente intelligenti e sempre pronti a causare danni.
“Guarda un po’ dov’è andato Potter”. Seguo la direzione del cenno che Zabini mi rivolge, in fono alla sala dove mia madre sta parlando con Ginny Weasley. Vicino a loro c’è anche mio padre, con Eileen e Harry Potter. Il prescelto è venuto a farci visita, quindi.
“Non sia mai che il grande Harry Potter perda un’occasione per dare sfoggio di se stesso”. Mentre io e lei ci scambiamo un sorriso sornione, veniamo raggiunti dal compagno di quest’ultima, nonché mio più fidato amico Ezra Rosier.
“Per la festa di questa sera nella nostra sala è tutto sistemato. Rayland mi ha assicurato che non ci saranno problemi di alcun tipo. Possiamo andarcene quando vogliamo”. Conclude lasciandosi baciare da Zafira. Non mi ricordo il momento esatto in cui i due ragazzi che ho accanto si sono messi assieme eppure non riesco a immaginare l’uno senza l’altro. Giocatrice professionista di Quiddich, con un contratto assicurato nelle Holyhead Harpies lei e caposcuola modello nonché miglior studente che Hogwarts abbia da parecchi anni lui. Spesso il suo nome compare nei discorsi di mio padre, quando a casa non trova altri modi per screditarmi. In questo momento, essere superiore a lui o quanto meno al suo livello è l’ultimo dei miei problemi.

Ritorno con lo sguardo puntato su Potter, ora intento a parlare con quell’inetto del figlio, piccolo verme. Per colpa sua sono finito dal preside senza nemmeno degnarsi di sfoderare la bacchetta. Codardo.
In un attimo di lucidità, mi rendo conto che le luci si stanno abbassando, mentre gli studenti si posizionano ai lati della sala, lasciando lo spazio centrale vuoto. Si aprono le danze.
“Vado a prendere da bere, volete qualcosa?”
“Per me no”. 
“Del punch, grazie Adrien”.
L’idea di rimanere fermo lì mentre la sala piomba nel silenzio, un violino arpeggia qualche melodia deprimente e i miei genitori che si muovono a ritmo, mi rivolta. Riempio due bicchieri e mi volto per andarmene; cerco di farmi spazio tra ragazze agghindate come caramelle e ragazzi stretti nei loro abiti da cerimonia, dai colori più disparati. Evidentemente nessuno più gradisce il nero simile all’asfalto che comunemente s’indossa durante certe occasioni e che mi caratterizza per la maggior parte dell’anno. Troppo tardi mi accorgo di essere finito in un vicolo cieco, circondato da troppe ragazze immobili che fingono di non sentire le mie richieste di passare. Non mi resta che attendere la fine di questo strazio; è difficile non guardare il centro della sala, mia madre e vestita dannatamente bene, ogni anno indossa quell’abito che le calza a pennello e le permette di mettere in risalto le sue curve, il tempo non sembra passare per lei. Per quanto mostri di essere una brava ballerina però, ha accanto un maestro. Mio padre si muove egregiamente: non ama ballare né mettersi in mostra eppure con la moglie al suo fianco, si trasforma. Lo fa per lei, so che ogni sua azione è fatta in suo nome, non sarebbe nemmeno qua se non fosse per quella donna.

La sensazione di essere osservato mi fa voltare lo sguardo intorno a me, giusto il tempo di vedere avvicinarsi tre ragazze Grifondoro.
Il ballo è finito, i ragazzi iniziano a sparpagliarsi, nell’aria ancora l’eco di un applauso. Non mi è concesso che un passo prima di essere bloccato dalla presa di una delle tre arpie.
“Guarda chi c’è.. Piton! Che ne dici di un ballo?” Che orrore!
“Preferire auto-schiantarmi”.
“Non fare lo schizzinoso, non hai nessuna dama con cui ballare e sono sicura che mai nessuna si avvicinerà a te per proportelo”. Faccio un respiro profondo. Quando tento di risponderle vengo preceduto da una delle tre.
“Forse il figlio del preside non è capace di ballare. Figuriamoci se lui è all’altezza del padre. Devi essere una perenne delusione per lui, non è vero: prima perde un duello con Potter e poi si fa trovare impreparato ad un ballo”.
“Perché non prendi da Albus invece? Guardalo.Lui si che sa come si balla”.
“Sicuro che non sia figlio di tuo padre?” Tutte e tre si voltano verso l’inetto, intento a ballare con una ragazza, stranamente non inorridita da lui. La nausea è alle porte; sfodero la bacchetta, forse riuscirò almeno a zittire i loro risolini in un colpo solo.

“Eccoti qua! Ma dove eri finito? Ci hai messo una vita per prendere da bere”.
La proprietaria della voce mi sfila di mano uno dei due calici e lo scola in un sorso, prendendomi poi a braccetto e trascinandomi via, lasciando basite quelle tre oche. Mi lascio trasportare dalla ragazza che ora, afferrandomi la mano, mi da le spalle, decisa a non fermare il suo passo.
La sua voce mi ricorda qualcuno; dalla schiena scoperta non riesco a capire chi sia. Ha i capelli mossi e mori, un vestito rosso porpora le fascia i fianchi e le mette in risalto il fondoschiena, un bel fondoschiena. D’altronde, qualche serpe non lo noterebbe.
Quando mi lascia la mano, mi rendo conto di aver raggiunto Ezra e Zafira ed è esattamente con quest’ultima che si mette a parlare la mia salvatrice.
“Ti eri perso Adrien? Credevamo te ne fossi andato”. Resto in silenzio, le mie facoltà intellettive non hanno ancora ripreso a funzionare, devo capire che diamine è successo pochi secondi fa.
“Clara illuminami. Dove hai ripescato il nostro caro Adrien?”
Clara. La ragazza che mi ha appena tirato fuori da quella situazione si chiama.. Dannazione, ora mi ricordo dove l’ho già vista. È la ragazza della biblioteca, la proprietaria della lista!
“Alcune ragazze gli stavano dando a noia, era meglio portarlo via prima che combinasse qualche danno”.
“Non ho bisogno della balia”. Le parole fuoriesco senza che io ci debba pensare troppo su e finalmente riesco a ricompormi. Ammetto che avermi allontanato da quelle tre sia stato un bene, non vorrei mai ritornare nello studio di mio padre per sentirlo dire un’altra volta che gesto stupido che avevo fatto ma di ringraziarla apertamente non se ne parlava.
“È stato un piacere aiutarti Adrien, non c’è di che”.  Scandisce bene il mio nome, fino a pochi istanti fa mi conosceva come Jeremia dopotutto. Chissà se le da fastidio. Scaccio questo pensiero dalla testa e mi concentro sul liquido che ho nel calice per pochi secondi prima di berlo in un sorso.
“Qualcuno ha capito perché Potter Senior è qui stasera?” Ezra sembra rivolgere la domanda a tutti ma fissa il suo sguardo su di me, come se mi potesse importare qualcosa. Alzo le spalle, non voglio parlare di quel bifolco.
“Qual è dei tanti il Signor Potter?” Ma dove ha vissuto negli ultimi anni questa ragazza?
“È l’uomo accanto al preside, quello con gli occhiali”. Un’espressione poco interessata le si palesa sul viso.
“Lo credevo più alto”.
“Già, non sembra esattamente il prototipo del salvatore del mondo magico”.
“Salvatore, tzè!” Ezra e le sue uscite serpeverdi in grado di rispecchiare l’idea di molti.
Non ci sono giustificazioni, la mia casa non lo avrebbe mai riconosciuto come “eroe”.

Zafira sembra interessata a sapere com’è possibile che Clara non conosca la storia di Potter, quale sia il suo aspetto o semplicemente che volto abbia.
Cerco di ascoltare la sua risposta ma la mia attenzione ricade sul suo volto. Di bell’aspetto anche se ad un’occhiata più attenta noto i segni di una fatica mal celata, nonostante l’età. La sua corporatura esile ma robusta è messa in risalto da un vestito sorprendentemente in tinta con gli occhi. Due rubini che potrebbero diventare la mia ossessione, rossi opachi, ricolmi di paura, forza, passione e potere. Quale segreto si cela dietro quei diamanti? Il mio sguardo cade sulle sue braccia; le maniche del vestito non mi permettono di guardare cosa c’è sotto ma l’associazione con la lista ritrovata è immediata. Le ferite, le escoriazioni, le cure mediche. La vedo sorridere e non riesco ad immaginarmela capace di tanto ma è meglio non fidarsi, ogni persona nasconde un segreto e il suo è in mio possesso. Sento l’innaturale esigenza di avvicinarmi e dirglielo, voglio che sappia e voglio sapere perché.
“Adrien. Tuo padre ci sta fissando. Credo voglia qualcosa”.

Ezra mi riporta al presente, indicandomi la posizione precisa di mio padre. Sussulto. Insieme a lui c’è ancora Potter, il loro atteggiamento mi pare ovvio, parlano e guardano nella mia direzione, è chiaro che lui mi desidera lì.
Mai decisione più sbagliata. Non ho intenzione di andare da loro, né tanto meno di parlare con il padre dello sgorbio. Dovrei scusarmi? Nemmeno nelle più remote delle possibilità. Mio padre ha causato il danno perciò spetta a lui rimediare.
I secondi passano senza che io abbia deciso di far nulla, mentre loro sembrano intenzionati a raggiungere il mio gruppo: Merlino perché mi stai infliggendo questo dolore?
“Andiamocene”. Senza ripetermi, in un gesto istintivo prendo la mano di Clara e seguito da Ezra e Zafira lasciamo la sala. Nessuno fa caso a noi, eccetto alcuni Serpeverde che seguono il nostro esempio. Sento gli occhi di mio padre puntati su di me, sta disapprovando mentre mia madre si starà sicuramente chiedendo perché non sono andato a salutarla. Non mi fermo, non rallento il passo, Clara non domanda e mi segue in silenzio, credo abbia intuito dove stiamo andando.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 - POV Albus Severus Potter ***


Tra dieci minuti inaugureranno le danze. Tra dieci minuti io sarò in compagnia di una ragazza di cui ricordo a malapena il nome e tra dieci minuti rivedrò i miei genitori.

Arrivo in Sala Grande prima della mia partner. La sala è riccamente decorata, candele ovunque sospese a mezz’aria, una pista da ballo nera luccica da tanto è stata lucidata e il colore arancione su tutte le pareti e le sedie, sotto forma di nastri, fiocchi e altri festoni. Un po’ caotico per i miei gusti ma almeno non è pacchiano.
Una smorfia mi sfugge quando la vedo. Ecco, il vestito che indossa Silvia, quello sì che è pacchiano: verde chiaro con una gonna ampia che si allarga in una serie di veli color carta da zucchero mentre in vita un nastro verde scuro la fascia stretta. Spero che non riesca a respirare. Le porgo la mano e sorrido.
“Bel vestito”.
Lei mi surclassa con un sorrisone e mi trascina ai margini della pista. Lascio che mi torturi con quattro balli prima di raggiungere il limite della sopportazione. La conduco a prendere posto ai lati della pista e passo più di un’ora a sentirla parlare, io mi limito a rispondere a monosillabi guardando in giro. Ho evitato accuratamente mio padre fino ad adesso ma non posso ignorarlo per tutta la serata.
“.. e quindi non pensavo che la gita ad Hogsmeade sarebbe stata annullata, capisco le sue priorità ma questo è eccessivo e..”
“Vuoi scusarmi? Devo andare a salutare i miei genitori”. Vedo chiaramente come si illumina.
“No, da solo. Vai a.. parlare con qualcun altro, divertiti, non lo so. Sappi comunque che mi sembra di averti dedicato abbastanza attenzioni per stasera”. Il suo sorriso si spegne rapidamente. Mi rendo conto che ci sono modi migliori per allontanare qualcuno ma non sono mai stato un campione di sensibilità. Al contrario di mia madre, che sa sempre cosa dire per far sentire tutti a proprio agio. Così quando mi avvicino a loro lei mi sorride e basta, evidentemente si rende conto che essere abbracciato davanti a tutti sarebbe un po’ imbarazzante. Mio padre.. beh, a volte penso semplicemente che non ci arrivi. Mi da qualche pacca sulle spalle prima di abbracciarmi a lungo.
“Come stai? Poco fa ho visto James e stavo solo aspettando il momento giusto per salutare anche te”.
Ma certo, se hai già salutato il tuo primogenito prediletto finito a Grifondoro perché dovresti scomodarti a cercare anche a me? Evito di rispondere alla sua domanda scrollando le spalle.
“Voi piuttosto, come state? Non vedo tanti altri genitori qua, siete gli ospiti d’onore o qualcosa del genere?-
“Ahah no, niente del genere. Siamo stati convocati da Severus per una questione riguardo a una studentessa. Conosci Clara Gaunt? È del tuo anno ed è anche Serpeverde, potreste avere qualche lezione in comune”.
Annuisco prima di rendermi conto che potrei aver fatto qualcosa di molto stupido.
“Davvero? Cosa sai di lei?”
Dalla voce, mia madre sembra parecchio preoccupata, il che ovviamente rende la cosa ancora più interessante. Non sono sicuro di voler parlare della visione.
Quando ero un bambino ho fatto il grande errore di dire tutto quello che vedevo e che sentivo, pensavo fosse normale avere visioni di un secondo o due, sentire voci che non conosco e pensieri non miei ma a quanto pare no, non è normale. I dottori al San Mungo non hanno trovato niente di sbagliato. Non sono sotto qualche maledizione, non sono stato Confuso, James ha giurato più volte di non avermi fatto bere nessuna Pozione strana. Sono sano, voci e visioni a parte. E se fossi intelligente oltre che sano non starei per raccontare quello che ho visto con Clara.
“In effetti ho avuto una delle mie visioni la prima sera che l’ho vista a cena, il suo primo giorno in a Hogwarts”.
“Quindi? Cosa hai visto? Dai, racconta, potrebbe essere importante”. Per una volta in vita mia ho catturato la sua attenzione.
Cerco di essere il più sintetico possibile e alla fine del mio riassunto li vedo turbati, entrambi. È strano vedere mio padre confuso, quasi.. spaventato da quello che ho detto? Il suo tono si fa molto più autorevole.
“Grazie per avermelo detto, non so ancora come interpretare quello che hai visto ma è senza dubbio un passo in avanti. Ora, però, devo chiederti di dimenticare quello che hai visto, evita di pensarci troppo. Non voglio farti perdere tutta la serata, torna pure dalla tua dama e goditi la festa”.
“Ma certo! Adesso che non servo più posso anche ritornare al mio ruolo di insignificante piccolo..” Vengo interrotto giusto in tempo per rendermi conto che stavo quasi urlando. Si avvicina a me e mi mette una mano sulla spalla.
“Ehi, non volevo dire questo. Pensavo che volessi divertiti senza stare troppo tempo qua con noi. E su quello che hai visto so che questi episodi ti turbano e so che ci pensi per settimane dopo che ti succedono. Voglio solo che tu li dimentichi per poter andare oltre”.
Evito accuratamente di guardare mia mamma e mi concentro su mio padre.
“Dimenticare? Come cambiare canale? Peccato che io non sia una fottuta radio che può sintonizzarsi su quello che voglio per il tuo divertimento”.
Mi allontano velocemente da loro, evito di sentire una risposta ed evito i loro sguardi, specialmente quello ferito di mamma.

Ripensando a quello che ho detto mi viene persino da sorridere.
Conosco le radio perché ho letto un sacco di cose sugli oggetti babbani. Quando avevo sette o forse otto anni mio padre mi raccontava un sacco di cose su tutto quello che usano i babbani per sostituire la magia. Molto, troppo tempo fa, quando non era ancora diventato il capo degli Auror al Ministero ed aveva ancora tempo per noi. Appena esco dalla Sala Grande mi metto a correre in direzione del dormitorio, non posso mettermi a piangere di fronte ad altri, non posso mettermi a piangere e basta. Sono grande per starci ancora male.
Mormoro la parola d’ordine e il passaggio si apre subito; la mia camera è l’ultima del lungo corridoio con la visuale sul lago. Sento voci e risate dalle altre stanze e sono quasi giunto a destinazione quando urto quella che mi appare solo come una macchia rossa indistinta per le lacrime che mi stanno annebbiando la vista. Merda!
Mi volto per scusarmi e mi rendo conto che mi sono appena scontrato con Clara. Quel che è peggio è che non è sola. Alzo lo sguardo e incrocio gli occhi nocciola dell’ultima persona al mondo che vorrei vedere in questo momento.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 - POV Clara Guant ***


“Ti stavi annoiando tanto da dover correre via, Adrien?” Mi rivolge uno sguardo truce per poi lasciarmi la mano e dirigersi verso il bancone per prendersi da bere. Si è fiondato nella sala sotterranea; anche questa è semi addobbata a festa, qualcuno aveva già intuito che per chiudere in bellezza la serata, alcuni serpeverde si sarebbero rifugiati qui.
Mi siedo accanto al ragazzo di cui solo fa ho scoperto il vero nome: Adrien Piton, primogenito del preside. I lineamenti mi tornano alla mente e la somiglianza ora è evidente, stessa fisionomia del volto, stesse espressioni. Ha una bottiglia di whisky incendiario tra le mani ma nessun bicchiere, sembra destinato a volersi ubriacare. Me la offre ed io accetto, evoca un bicchiere e lo riempie. Brindiamo.
“Piacere, Adrien Piton”.
“Clara Guant”. Resto a fissarlo per vedere la sua reazione ma sorprendentemente non c’è né alcuna. Bene un sorso di whisky e guarda dritto davanti a se, pensieroso. Non è interessato al mio cognome, ha altri problemi a cui pensare.
“Cos’è successo in Sala Grande?” Risponde senza voltarsi a guardarmi.
“Mio padre mi ha infastidito”.
“Non vai d’accordo con lui?” Beve un altro sorso, la bottiglia sembra quasi finita, ha bevuto in fretta. “
Mi da ordini. Crede di sapere quello che è giusto per me. Voleva che io parlassi con Potter ma a me non interessa. Non m’interessa parlarci né ora né mai”. Finisce di bere e si va a prendere un’altra bottiglia, per poi tornare e riempire prima il mio bicchiere e poi continuare a scolarsela da solo. Non ha intenzione di ricordarsi questa serata.
“Perché non glielo dici?”
“è il consiglio migliore che mi sai dare? Considerando che non ho bisogno del tuo parere, credi che io non ci abbia già pensato?”
“Ehi! Non serve che mi rispondi in questo modo!” Fa la faccia imbronciata.
“è l’alcool che parla”.
“Poche scuse, modera il tono”.
“Senti, non ti ho chiesto io di venire a parlare con me, non ti ho chiesto io di pararmi il culo con quelle tre sgualdrine, quindi se non ti va bene quello che dico puoi anche andartene”.
Rimango seduta dove sono, se non avesse voluto parlare con me non mi avrebbe mai menzionato il problema con il padre.
“Non voglio darti consigli, la vita è tua e puoi fare quello che credi giusto. Sto solo cercando di capire.. Hai la possibilità di parlare con tuo padre, persino con tua madre e ti ostini a vivere come se non ci fossero, come se non dovessero far parte della tua vita”. Mi lancia uno sguardo dubbioso, per poi ricominciare a bere.
“Si vede che tu, a differenza mia, hai un buon rapporto con i tuoi genitori”.
“Io.. sono orfana”. Non mi sento offesa, non sono dispiaciuta dalle sue parole, sento solo un vuoto dentro, dirla ad alta voce non è mai stato così difficile. Appoggio per terra il bicchiere e mi stringo le mani, credo di non voler sentire cos’altro ha da dire.
“è per questo che ti tagli? Perché ti senti sola?” Spalanco gli occhi, il cuore comincia a battere veloce; un foglio mi si para davanti agli occhi. La mia lista. L’avevo cercata in biblioteca per giorni interi ma non l’ho mai più trovata, ora capisco perché. Piton deve averla presa il primo giorno che ci siamo incontrati, quando avevo dimenticato il libro sul tavolo. Con una mano tremante me la riprendo; è esattamente come l’avevo lasciato, ogni elemento è al suo posto, cancellati e non.
“Cosa sai di questa lista?” Sento il suo sguardo su di me ma non ho il coraggio di guardarlo. Si schiarisce la gola, l’alcool sta facendo effetto, quando parla ha la voce impastata.
“Il primo elemento l’ho trovato facilmente. È una pomata prodotta da un incantesimo piuttosto complesso; non si trova in natura e può essere creata solo durante la prima luna dell’anno. Il secondo elemento è una pozione, si usa in Scandinavia ma è antica, quasi impossibile da riprodurre. Veniva usata dagli uomini dei villaggi, costretti a trascorrere mesi tra i ghiacci alla ricerca di cibo, procurandosi dei congelamenti su estese parti del corpo. Il terzo elemento..”
“Smettila”. Sbuffa.
“Me l’hai chiesto tu e se fossi in te, andrei immediatamente al San Mungo, reparto casi disperati. Se hai realmente una ferita simile, mi chiedo come tu possa essere ancora qui a parlarne”. Sto tremando. L’idea che qualcuno conosca il mio segreto mi fa rabbrividire. Ho paura, paura che possa usare queste informazioni contro di me, paura che possa dirlo al padre e farmi buttare fuori dalla scuola, paura che mi possa smascherare e farmi rinchiudere in manicomio. Io non sono pazza, non sono sbagliata, non mi faccio del male, non c’è niente di sbagliato in me.

“Adrien!” qualcuno grida non lontano d me ma non ne capisco il motivo. Sono ancora agitata per quello che il ragazzo mi ha mostrato e prima di capire ciò che sta per succedere, ormai il danno è fatto. In questo istante, Adrien si trova ancora accanto a me ma disteso per terra.
“Ma non hai visto in che condizioni era?” Un ragazzo con i capelli rossi cerca di aiutarlo ad alzarsi, perché a quanto pare Adrien è troppo ubriaco da reggersi in piedi. Quando tenta di alzarsi le gambe non gli reggono. Una risata fuoriesce dalla mia bocca, per poi dilagarsi nell’intera stanza. Il ragazzo che lo sta aiutando, Derrik se ho capito bene il nome, mi lancia uno sguardo truce.
“Perché non ti rendi utile invece che stare lì a ridertela? Accompagnalo nella sua stanza e se ti è possibile, non farlo crollare a terra un’altra volta”. Mi riscuoto e gli passo un braccio intorno alla vita; Piton non è affatto pesante, nonostante la corporatura robusta. Mi chiedo se mangi o si limiti a bere alcool dalla mattina alla sera.

La strada per arrivare alla sua stanza non è stata difficile, Adrien si è riscosso in fretta e ora cammina da solo appoggiandosi a ogni oggetto che trova. Non mi parla, è probabile che voglia aspettare di arrivare nella sua stanza per rimettere tutto. Non lo vedo stabile, perciò decido di tenerlo per un braccio e sorreggerlo. Non dice nulla, non apre bocca, sta semplicemente in silenzio respirando affannosamente.

Lo guardo arrancare quando senza accorgermi, la mia spalla si scontra contro qualcosa. Mi volto per chiedere scusa ma la persona che mi si para davanti non mi è gradita. Albus Potter, studente del mio anno. Qualcosa sembra averlo sconvolto, ha le lacrime agli occhi; in questo istante sembra più piccolo, come un bambino che ha ricevuto uno schiaffo dalla madre.
Nota la presenza di Adrien al mio fianco e si riscuote subito, si erge bene sulla schiena e si pulisce il volto con la manica del vestito. Sento Adrien scostarsi da me e appoggiarsi al muro, come dimostrando di essere in grado di reggersi in piedi da solo. Non vuole farsi vedere debole.
“Già finita la festa Potter?”. Quest’ultimo deglutisce ma non se ne va. È indeciso, sembra voler dire qualcosa ma non ad Adrien bensì a me.
Mi ricordo di lui il primo giorno che sono arrivata a scuola, mi stava guardando nello stesso modo in cui mi osserva ora, perplesso e sconvolto. L’ho notato fare la stessa cosa durante le lezioni, molto fastidioso a dire la verità. In questo momento sento l’istinto di schiantarlo ma rimango calma e insieme ad Adrien decido di andarmene. Quando ci voltiamo, Adrien non si lascia andare a un ultimo commento.
“Vattene di qua, Potter. Vattene a casa”. Il tono non è aggressivo, Adrien risulta tuttalpiù rassegnato. Non c’è l’intenzione di aggredirlo.
“Sei talmente ubriaco che non riconosci le stanze dei Serpeverde, Adrien? Io sono già a casa”. La risposta fa bloccare Adrien sul posto e staccandosi definitivamente da me, muove qualche passo verso Potter. Si schiarisce la gola e lo guarda negli occhi.
“Ascoltami bene, piccolo stupido. Questo non è il tuo posto. Serpeverde non è la tua casa tanto quanto tu non potresti appartenere nemmeno ai grifoni. Entrambe le case avrebbero voluto ripudiarti e invece eccoti qua. Vuoi sapere perché? È stato tuo padre. Per disperazione ha accettato qualsiasi scelta del cappello pur di tenerti fuori dalla sua vita e dal resto della sua famiglia”. Prende un respiro e continua a parlare, sempre con lo sguardo ben puntato su Potter. “Non ti sei mai chiesto perché sei finito in Serpeverde, mentre la tua intera famiglia è a grifondoro? Non sei un Potter, tua madre si è scopata un altro uomo e sei nato tu, un abominio. Potter ti ha tenuto per disperazione. Persino James è migliore di te, lui è il figlio che tutti vorrebbero, lui è il degno successore di tuo padre. Tu non meriti di stare qua, non meriti di rimanere a Hogwarts. Porti disonore alla tua famiglia, non sei degno dei nomi che porti. Vattene!”

Resto in silenzio. Adrien ha urlato e spinto Potter, che ora giace per terra sconvolto. Quelle parole lo hanno ferito, qualcosa in lui si è rotto. Piton non è più in grado di reggersi in piedi, riesco ad afferrarlo prima che anche lui finisca disteso sul pavimento.
“Andiamocene”.  Non faccio in tempo a voltarmi verso la stanza di Adrien che scorgo un bagliore con la coda dell’occhio, proveniente dal ragazzo accovacciato a terra. Faccio scudo con il mio corpo in difesa di Adrien, ora incapace anche solo di pensare a come poter reagire. Potter ha estratto la bacchetta e vuole attaccarci, senza dare il tempo né a me, né a Piton di sfoderare le nostre. Questo mi fa arrabbiare, molto arrabbiare. Come osa attaccarci! Stendo una mano per proteggere entrambi dall’incantesimo e in quell’istante una luce rossa scarlatta si espande nell’intero corridoio; quando apro gli occhi, io e Adrien stiamo bene, mentre Potter si trova infondo alle scale. Non è stordito, lo vedo strisciare via come un codardo. Poso gli occhi sulla ma mano sinistra ma non vi è nulla, non capisco cosa possa essere successo. Adrien è accovacciato a terra, senza sensi; lo prendo per la vita e lo isso dal pavimento, per poi mettermi a camminare, cercando di raggiungere finalmente la sua stanza.
 

N.d.a. 
Buonsalve! Mi scuso in anticipo per il ritardo con cui ho pubblicato questo capitolo ma mi sono accorta solo ora che il sito non l'aveva caricato precedentemente, una settimana fa quando l'avevo postato. Problemi di server a quanto pare. 
Ciancio alle bande! Cosa ne pensate? Adrien ha scoperto diverse cose sul passato di Clara e secondo voi quale sarà la sua prossima mossa? Da serpeverde qual'è andrà a spifferare il suo segreto o se lo terrà per sè?
Clara d'altro canto è preoccupata, ma si farà prendere dalla rabbia o accetterà qualunche reazione di Adrien?
Concludendo con Albus.. Da che parte state? TeamAlbus o TeamAdrien? Fatemelo sapere in una recensione!
Grazie a tutti per continuare a leggere,
A presto.
ThestralDawn e nextplayer

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 - POV Adrien Piton ***


Mi sveglio all’improvviso, la testa mi fa male, sembra che qualcuno mi stia infliggendo una cruciatus. Sono disteso nel letto, le coperte tirate fino al collo; non mi ricordo come sono arrivato qua, non mi ricordo nemmeno cosa sia successo ieri sera in verità.

Provo ad alzarmi ma il massimo che riesco a fare è mettermi seduto. Mi prendo la testa, persino il rumore del materasso, che si piega sotto il mio peso, mi perfora i timpani.

Sento un rumore non lontano da me e alzo la testa di scatto.
Rimango a bocca aperta. Accanto al mio letto, accovacciata su una poltrona che solo a guardarsi pare scomoda, c’è Clara. Sta dormendo, anche se dal suo volto traspare angoscia, sta avendo un incubo. Indossa la mia giacca e sotto, noto che non si è cambiata da ieri sera, risplende ancora il suo vestito rosso porpora. Non è fastidiosa quando dorme, sembra calma, non pericolosa.

Provo a pensare come entrambi siamo arrivati qua ma l’ultimo mio ricordo è il volto di Potter, disteso a terra, sofferente per un motivo a me estraneo. Credo di avergli rivolto parole colme di cattiveria, anche se questo è quello che lui crede, per me, ogni parola pronunciata in suo nome o nei suoi confronti è la pura e semplice verità. Dopo di questo però, ho un vuoto, non so la reazione di Potter, non so nemmeno se io abbia raggiunto la stanza con le mie forze o per mano di Clara.

Di nuovo, provo a mettermi in piedi. Il pavimento è gelido e sento freddo ovunque. Mi avvolgo in una coperta e tento di issarmi; la testa comincia a girare e riesco appena ad appoggiarmi alla sedia vicino alla mia scrivania prima di cadere a terra.

Il tonfo sveglia Clara; la vedo guardarsi intorno spaesata per poi posare gli occhi su di me. Lentamente si alza e mi aiuta ad alzarmi dal pavimento; vorrei ringraziarla ma tutto quello che riesco a dire è:
“Bagno”.
Il senso di nausea mi giunge dritto dallo stomaco, se non corro in bagno rischio di rigettare quel poco che mi è rimasto in corpo, nel bel mezzo della mia stanza, davanti a Clara. Lei, d’altronde, non sembra preoccuparsene, si accovaccia accanto e mi assiste finché non mi riprendo. Mi porge un asciugamano con cui mi asciugo il volto, la testa sta per esplodermi. La guardo negli occhi per qualche secondo, non ride di me, non sembra sconcertata da quello che ha visto, come se assistere un ragazzo in dopo sbronza fosse una routine. O forse le faccio semplicemente pena.
Mi disgusto da solo.

“Grazie”.
Lo dico e non me ne pento, sono stranamente tranquillo all’idea che qualcuno sia nella mia stanza e mi stia aiutando in questo momento, nel mio stato. Usciamo dal bagno, ora non so più cosa dire e sono più che convinto che lei voglia andarsene.
“Non hai dormito molto questa notte, vero?” Mi guarda e nella sua espressione non traspare nulla.
“Non ti preoccupare, l’importante è che tu stia meglio”.
“Andrai a dire in giro che la scorsa notte ero ubriaco?”
“Perché dovrei?” è stupita, non si aspettava una domanda simile. Alzo le spalle.
“Sei una delle poche persone che non ride di me, del mio comportamento, che non ha intenzione di andare a dire a mio padre quello che ho fatto”. Rimane in silenzio; c’è qualcosa di strano in questa ragazza, non riesco a leggerla come normalmente faccio con le altre persone, non riesco a capire quello che prova.
“Non lo farò”. È sincera, non c’è traccia di scherno in quello che dice.

Fa per togliersi la giacca ma la fermo.
“Tienila, me la ridarai a pranzo. Le voci girano velocemente e una ragazza che esce dal dormitorio maschile vestita ancora da cerimonia.. è uno scoop troppo bello per asciarselo sfuggire”.
“Grazie”. Fa un sorriso e a dispetto della situazione, penso sia la cosa più bella che mi sia capitata negli ultimi giorni.
Ancora con la coperta addosso, le apro la porta; la mia attenzione capita per caso sul suo braccio e in un lampo di lucidità, mi torna alla mente la nostra conversazione di ieri sera. Le prendo un gomito e vedo chiaramente la sua espressione trasformarsi, quasi impaurita ma io, non ho alcuna intenzione di farle del male.
“Non dirò nulla della lista, non è una faccenda che mi riguarda e non voglio causarti problemi. Solo.. Fai attenzione”. Annuisce e senza aprire bocca, lascia la stanza. Guardo il corridoio, non c’è anima viva sveglia a quest’ora. È presto e probabilmente molti ragazzi sono ancora addormentati o in stati peggiori dei miei.
Doccia. Ho un estremo bisogno di lavarmi, ho un odore disgustoso addosso, il caffè dovrà attendere ancora qualche minuto.

Pochi studenti sono riusciti a svegliarsi questa mattina e nessuno di questi è un Serpeverde. In Sala Grande ci sono solo studenti del primo anno, andati a letto presto vedendo come sono fresche le loro facce.
Tzè. Verrà anche per loro il giorno in cui faranno tardi al ballo e si sveglieranno la mattina con i postumi di una sbronza.
Bevo un sorso di caffè e mandò giù una fialetta di pozione medicante, “presa in prestito”, dalle scorte di mio padre. Avrei certamente potuto crearne una io ma la voglia mi è svanita nel momento in cui ho letto la lista degli ingredienti. Non rischio la mia vita addentrandomi nella foresta proibita solo per una maledettissima rapa. Quel compito lo lascio a mio padre.

Sbadiglio. È domenica mattina, in sala grande non c’è nessuno con cui parlare, di professori neanche l’ombra, di studiare non se ne parla. Andrò in biblioteca.
Sono finito involontariamente nel reparto delle medicazioni; la lista di Clara non mi esce dalla testa. Prendo qualche libro ed esco dal castello, il lago sarà un buon posto dove riflettere. Peccato che qualcuno ci abbia già pensato al mio posto.

“Clara!” si volta stupita, come colta sul fatto. Si alza dal giaciglio accanto all’albero, mi fissa per qualche istante e poi, sistemandosi le maniche della giacca che indossa se ne va.
“Ehi! Non volevo disturbarti. Anzi, stavo giusto pensando a te”.
“Ah. E.. per quale motivo?”
“Siediti”.
“Sto bene qua”.
“Fai come vuoi”.
Mi siedo poco distante da dove si era sistemata lei prima; apro il libro che ho preso in biblioteca e comincio a leggere qualche riga. Sorrido quando mi riscopro a sapere già quelle informazioni.
“Qua si dice che per curare un’infezione, di qualsiasi genere, bisognerebbe conoscerne le cause”. Non la guardo e faccio finta di continuare a leggere.
“Tentare rimedi, anche drastici, senza uno studio approfondito della ferita, può portare a intossicazioni, malattie veneree, contagi, perdita del..”
Non riesco a terminare che il libro mi viene strappato di mano e prima che io possa fare qualcosa, Clara comincia a leggere.
“La Felix Felicis è una pozione estremamente complessa, da preparare.. ingredienti.. fortuna liquida”. Abbassa gli occhi su di me, scettica, infastidita. Ancor prima che io possa ridere, mi ritrovo con un bernoccolo sulla fronte, Clara mi ha bellamente lanciato il libro in faccia.
“Se vuoi sapere qualcosa, ti basta chiedere. Stupido!”
“Ehi, io non ti ho offeso”.
“Mi hai appena preso in giro. Credi che non sia un’offesa? Mi credi tanto stupida?”
Ora dovrei rispondere che No, non la ritengo una stupida, che No, non volevo offenderla ma solo aiutarla in qualche modo ma rimango zitto e il mio silenzio viene recepito nel modo sbagliato. Lei mi guarda, scuote la testa e se ne va. Decido di alzarmi e raggiungerla prima che si allontani troppo.
“Non volevo insultarti”.
Quando si ferma all’improvviso quasi le finisco addosso. “Cosa vuoi?”
“Aiutarti”.
“Perché?”
“Ti devo un favore. Ieri sera mi hai evidentemente accompagnato nella mia stanza ed io, non lascio le cose a metà”. Mi osserva negli occhi, è titubante, non sa se può fidarsi o no. Infondo, perché dovrebbe: sono pur sempre un serpeverde e noi serpi vogliamo sempre qualcosa in cambio. Io stesso non mi fiderei, eppure lei cede, abbassa lo sguardo e torna in riva al lago, prendendo posto dove mi ero seduto io. Passano diversi minuti in cui nessuno dei due apre bocca, lei non sembra pronta per cominciare. Non la voglio costringere a parlare ma ormai sono troppo vicino alla verità per tornare indietro. Devo sapere.
Tira fuori la lista e me la passa, le do una rapida occhiata ma conosco a memoria ogni singolo elemento.

“Io.. non lo so se posso fidarmi di te Adrien ma il peso che mi tengo dentro è difficile da portare da sola. Devo condividere questa cosa con qualcuno, devo sapere che c’è qualcuno di cui mi possa fidare”. Rimango in silenzio, non credo affatto di essere la persona giusta.
“Mi terrò per me quello che mi dirai”.
Incrocia le braccia e si porta le gambe al petto, sembra totalmente indifesa in questo momento.
“Sono orfana e non so chi siano i miei genitori. Fino all’anno scorso ho frequentato Durmstrang, seguendo le volontà del mio tutore, morto alcuni mesi fa. Non ho ricordi del mio passato e non ho memoria di come mi sono procurata queste escoriazioni”. Alza la manica destra e quello che vedo mi fa rabbrividire.
L’intero braccio è lacerato, come se fosse passato più volte sotto una grattugia dopo la guarigione. Quel poco di pelle rimasta sembra stonare in tutto quel rosso; le vene pulsano, l’odore di sangue è forte. Senza pensare alle conseguenze, allungo una mano per toccare quel lembo di pelle. Chi o cosa le ha provocato uno scempio simile? Scorro il dito lungo il braccio, dal polso fino al gomito, l’escoriazione sembra in via di guarigione, nessun taglio è aperto eppure lei sembra in attesa della prossima volta in cui ricapiterà.
La osservo di sfuggita e vedo che ha gli occhi fissi sulla mia mano, sconvolta.
“Ti ho fatto male?” Ingenuamente, non mi sono reso conto di aver toccato una ferita che le provoca dolore.
“No.. No, non ho sentito nulla”. Mi lascia fare ancora per qualche secondo, per poi ritirare il braccio e fissarlo intensamente.
“è strano. Reagisce male ogni volta che qualcuno si avvicina. Una ferita si apre, il sangue incomincia a pervadermi il braccio e il dolore è insopportabile. Ma con te non è successo!”
“Come si rigenera?”
“Non lo fa mai del tutto. Metto il braccio sotto l’acqua e aspetto che l’emorragia si blocchi, bendo il braccio e aspetto”.
“Aspetti cosa?”
“Il dolore, che mi passi.. Rimane a lungo, come se mi volesse avvisare di qualche cosa, come se fosse un promemoria per qualcosa che ho fatto. Lui c’è sempre, non mi lascia mai”.
“Perché non provi a farti visitare al San Mungo? Lì ti aiuterebbero a curarti. Conosco una donna che..” Una lacrima riga il suo volto ma velocemente com’è arrivata, Clara la asciuga con la manica del vestito.
“Ferite come queste non si posso curare, il mio tutore me l’ha spiegato quando ero piccola. Lui mi disse che qualcosa di oscuro l’aveva provocata e soltanto una magia altrettanto potente l’avrebbe curata”.
“è per questo che tenti rimedi che sfiorano l’impossibile? Sei alla ricerca di una soluzione fuori dal comune?” Annuisce.
“Se andassi al San Mungo, potrebbero identificarmi come pericolosa e mi chiuderebbero in una stanza apposita o addirittura ad Azkaban”.
“Ti aiuto io. Farò delle ricerche nel reparto proibito. Mio padre ha tenuto qualche libro, ne sono certo”.
“Non devi metterti nei guai per colpa mia”.
Sorrido. “Se nessuno ti scopre, beh allora non è mai successo”.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 - POV Albus Severus Potter ***


Non capisco perché il Professor Rayland mi abbia dato questo libro, finchè non lo apro e un mondo magico si spalanca ai miei piedi. Non è un semplice libro di Pozioni, è una fonte inesauribile di note scritte a margine e simboli disegnati con inchiostro nero. Non ho idea di cosa siano ma mi lascio affascinare dalla quantità di informazioni.

Provo a leggere il testo originale e vedo che il proprietario precedente ha apportato diverse correzioni, soprattutto nella preparazione di alcuni filtri. Sfoglio le prime pagine e scopro che deve essere almeno di terza mano. Ci sono due scritture differenti ed entrambe mi sembrano familiari. Mi soffermo sulle parole “Testato e funzionante” a metà libro. È sicuramente la cosa meno interessante che ho letto finora ma so per certo che è la scrittura di mio padre. Era suo? Ne dubito, quando ci racconta di Hogwarts dice sempre che era un totale incapace a Pozioni. No, il resto delle scritte deve appartenere ad un’altra persona e anche questa seconda scrittura mi è familiare. Dove l’ho già vista?

Perso a fare ipotesi non mi accorgo che il libro si è richiuso. Lo riapro subito e solo adesso mi accorgo che sul frontespizio compare la dicitura “Questo libro è di proprietà del Principe Mezzosangue”. Allora di sicuro non è di Rayland, lui non fa che vantarsi della purezza del suo sangue, di quante generazioni di soli maghi lo abbiano preceduto e di come sarà ben attento a fare in modo che tale purezza venga preservata anche dopo di lui nella sua famiglia.
No, deve essere di qualcun altro, qualcuno la cui scrittura mi ricorda qualcosa.. possibile che l’abbia già vista da qualche parte?
L’intuizione mi arriva cosi palese che non capisco come non ci abbia pensato prima. È stato Severus a incaricare il professore di darmi questo libro, deve essere appartenuto a lui.

Sollevato ora che ne conosco la provenienza, ricomincio a leggere quello che ha scritto il “Principe”. Nella pagina subito dopo trovo un biglietto, con le sole parole “Fanne buon uso”. Conciso ed efficace. Si, deve esser stato senz’altro del Preside.
Nelle pagine successive non ci sono solo correzioni, ci sono incantesimi che non conosco, considerazioni sulle fasi lunari, sigle di nomi che non mi dicono niente e disegni di erbe che non ho mai visto nei libri di Erbologia. Ci sono delle pagine mancanti, si vede chiaramente che sono state strappate ma c’è già cosi tanto materiale che per adesso non mi sembra una cosa su cui soffermarsi. Mi armo di penna  e calamaio e riparto dalla prima pagina, voglio studiarlo e voglio farlo bene.
 
Passo ore su quel testo. Non mi accorgo nemmeno che non sono andato a cena. Il brusio di prima dovevano essere gli studenti che si dirigevano in Sala Grande e che ora stanno ritornando nelle loro camere. Io rimango incollato alla sedia, tra tutti i libri che ho letto nessuno mi ha mai affascinato come questo. La notte passa rapida nello stesso modo: leggo, prendo qualche appunto, prendo nota dei punti poco chiari e penso a cosa consultare in biblioteca. Guardo più volte l’orologio e ogni volta penso “ancora un paio di pagine e poi vado a dormire”. Stavolta dico sul serio, ancora due pagine e basta..
 
Alzo di scatto la testa dalla scrivania. Mi sono addormentato? Non posso arrivare tardi alle lezioni!
Mi alzo cosi velocemente che la sedia finisce per terra e io con lei. In un secondo sono di nuovo in piedi e il secondo dopo sono accanto alla borsa a cercare di capire che libri mi servono. Un momento.. è domenica! Che razza di stupido, non ci sono lezioni oggi.
 
Preso coscienza della mia idiozia finisco di prepararmi molto più lentamente. Metto in ordine le carte di ieri e poi esco dalla camera portando con me solo la bacchetta e il libro. Mi mancano una decina di pagine per finirlo.
Passeggio a lungo nel giardino della scuola vicino al campo da Quidditch prima di trovare un posto abbastanza appartato. Ai piedi di un enorme salice riprendo il libro e mi ritrovo a leggere le parole “Angui Mentum” seguite subito dopo da “vincere facile”. Questo si che è interessante. Vincere cosa? Mi guardo in giro per assicurarmi di essere solo e punto la bacchetta contro una foglia.
“Anguimentum!”. Niente. Forse devo scandire meglio.
“Angui Mentum!” Niente. Ci riprovo più e più volte con movimenti diversi del polso, ci provo ancora e ancora senza successo. All’ennesimo tentativo la foglia si riempie d’acqua.. Ah, devo aver pronunciato male le parole e aver fatto un Aguamenti. Forse non sono io che sbaglio, forse è il soggetto ad essere sbagliato. In fondo una foglia non può dirmi se le cambia qualcosa il fatto di diventare bersaglio dei miei tentativi. Per vincere più facilmente.. e a chi non piacerebbe? Vincere un duello forse? Mi serve una persona su cui sperimentarlo.
Lo penso davvero per un momento prima di capire che non è il caso, sono curioso ma non fino a questo punto. Non ho idea di cosa potrebbe succedere. Pensando ad un’alternativa uno scoiattolo scende dall’albero e mi guarda con due occhietti curiosi. Beh, l’hai voluto tu..
 “Angui mentum!”

Quello che succede subito dopo è brutale e affascinante al tempo stesso. L’animaletto si getta a terra in preda a quello che sembra un dolore atroce, con le zampe che graffiano il pelo in cerca di sollievo. Deve fargli male la testa, ma non capisco bene l’effetto. Mi avvicino di più a lui, sentendolo squittire in preda agli spasmi. Interessante ma come funziona esattamente?
Interrompo l’incantesimo e lo lascio rotolarsi nell’erba per qualche secondo prima di ripetere l’incantesimo e guardarlo di nuovo contorcersi. Sono così concentrato sullo scoiattolo che non mi rendo conto che qualcuno si è avvicinato a me.
 
“Al! Smettila immediatamente!!”
James mi colpisce la mano facendomi cadere la bacchetta.
 “Tu sei.. sei.. tu hai qualche serio problema mentale! Ma non vedi come lo facevi soffrire?”
“È uno scoiattolo! Uno stupido animale, mi serviva per provare un incantesimo, tutto qua”.
La faccia di James sembra ancora più sconvolta. E adesso cosa ho detto di male?
“Ti serviva? Ma ti senti quando parli? Ci credo che non sei uno di noi, solo un Serpeverde potrebbe torturare un animaletto indifeso e dire tranquillamente che “Gli serviva”!”
 
Questo è davvero un colpo basso. James non fa altro che ricordarmi come lui è stato smistato a Grifondoro e io no. Si preoccupa della vita di uno stupido scoiattolo e non dei sentimenti di suo fratello. Invece che ribattere recupero velocemente la bacchetta e gliela punto contro. Ha il tempo per estrarre la sua ma non riesce a puntarmela contro. È chiaro che posso dettare le mie regole.
 
“Ora tu sparisci e non racconti a nessuno quello che ho fatto, chiaro? E se vengo a sapere che lo racconti a qualcuno aspetterò le vacanze di Natale quando dormiremo nella stessa stanza per farti lo stesso identico incantesimo”.
 
Non aspetto una risposta, mi incammino dalla parte opposta rispetto al castello. Non mi serve sapere come sta reagendo James, può essere uno schifo di fratello ma almeno ha un minimo di dignità. Non mi colpirà alle spalle. Cammino per almeno venti minuti buoni arrivando a costeggiare il lago prima di fermarmi e capire quello che ho appena fatto. Ho minacciato James, ho torturato un animale e.. mi è piaciuto? Possibile. Perché per vincere sono disposto a far soffrire e perché in fondo a tutti piace sentirsi potenti.
 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 - POV Severus Piton ***


“Mio figlio era dove?!”
“Reparto proibito, sezione quattro. Stando a quello che mi ha detto il dipinto del giullare, non ha nemmeno preso precauzioni per non farsi vedere”.

Chiudo gli occhi e inspiro, quel dannato ragazzo non finirà la scuola con tutte le ossa al loro posto quest’anno. Come gli è venuto in mente di gironzolare di notte per la biblioteca e per di più, nel reparto proibito? Era ovvio che qualcuno lo vedesse, lo credevo più scaltro. A meno che..
“Severus”.
“Fai silenzio, Albus. L’ho capito anch’io, Adrien voleva essere scoperto”.
Esco dal mio studio e mi dirigo in biblioteca, gli studenti a lezione mi permettono di vagare indisturbato per i corridoi deserti.
Il reparto proibito è intatto, il lucchetto della porta è ancora ben sigillato e non vi trovo nessun libro fuori posto. Adrien ha fatto un bel lavoro, non ha lasciato indizi.. ma allora perché scomodarsi a farsi vedere? Avrebbe potuto semplicemente incantarsi e non essere scoperto. Qualcosa non mi convince.

Esco da lì e mi dirigo verso l’aula di divinazione, forse riuscirò a interrogarlo prima che finisca la lezione.
Quando faccio il mio ingresso, tutti gli occhi sono puntati nella mia direzione; il brusio che fino a quel momento si udiva dall’esterno ora non c’è più. Vago con lo sguardo per la stanza e prima che la Cooman si lasci andare all’ennesima delle sue previsioni di morte precoce, chiamo mio figlio.
“Piton. Fuori, ORA”. So per certo di dargli fastidio, sono sicuro di fargli un torto enorme chiamandolo nel bel mezzo di una lezione ma se ha intenzione di giocare con me, io farò altrettanto.

Non fermo il passo mentre esco, voglio allontanarmi il più possibile da qualsiasi aula, di certo non mi trovo qua per dare spettacolo.
Raggiunti i bagni al terzo piano, mi fermo e lo fronteggio.
“Perché ti trovavi in biblioteca la notte scorsa?”
Un sorrisetto compiaciuto spicca sul suo viso, qualcosa continua a non quadrare.
“La notte scorsa dici? Non mi ricordo. Vedi, nell’ultimo periodo sono andato diverse volte in biblioteca, come tutti gli studenti, per studiare”.
“Poche chiacchere. Sei stato visto aggirarti nel cuore della notte per il reparto proibito. Quindi ora dimmi.. Cosa ci facevi lì?”
Un’alzata di spalle non fa che irritare il mio già precario umore.
“Sonnambulismo suppongo. Qualche giorno fa mi sono ritrovato nelle cucine a mangiare. Ci puoi credere?”
“Non prenderti giochi di me!”
“Non mi permetterei mai”.
“Smettila con questo tono insolente e rispondi alla mia domanda”.
Si schiarisce la gola e si passa una mano sul mento, pensieroso.
“Ah ecco, ora ricordo. Cercavo un libro abbastanza grande da mettere sotto la mia scrivania. Ha una gamba rotta e perciò..”
Sfodero la bacchetta e lo zittisco in un solo istante. Questa sua presunzione e sfacciataggine non la accetto. Da nessuno.
“Vattene, prima che io decida di spedirti in infermeria senza giustificato motivo”.
Sono infuriato, questo ragazzo non imparerà mai nulla se continua a comportarsi come un imbecille. Lo vedo camminare lentamente in direzione delle scale, non ha intenzione di tornare a lezione tanto presto; prima che sparisca dalla mia visuale, mi viene un’idea.
“Adrien!”
In poche falcate lo raggiungo e osservo infastidito il suo sguardo disinteressato.
“Non scomodarti a fare le valigie. Questo Natale lo passerai da solo, qua al castello. Forse in questo modo potrai riflettere sul tuo comportamento e su quanto poco sia costruttivo”.
Quando lo supero per ritornare al mio studio, posso percepire chiaramente la sua occhiata infastidita ma sono certo che non si metterà a urlarmi contro nel bel mezzo del corridoio. No, Adrien evita il più possibile di farsi vedere insieme a me e mettersi a discutere così alla mercé di tutti è l’ultima delle sue volontà.

Non so cosa gli stia passando per la testa, gironzolare di notte per il castello, aggredire Potter, lasciare la festa in Sala Grande senza rivolgere nemmeno uno sguardo alla madre e rendersi ridicolo  girando per la sala comune ubriaco, sono gesti stupidi, incoscienti, tipici di un ragazzo più giovane, più incompreso. Non è da lui comportarsi così; se si aspetta di attirare la mia attenzione, sta fallendo grossolanamente, se invece vuole farmi arrabbiare, allora il suo piano ha avuto successo. Finché non intaccherà la sua carriera scolastica, lo lascerò fare ma per Salazar, nel momento in cui un singolo voto della sua media si abbasserà, Adrien farà bene ad andare a nascondersi nella foresta proibita prima che io riesca a trovarlo.



*


 
L’anno sta passando troppo in fretta ed io non ho ancora ottenuto risultati con la Guant. Ormai non me ne preoccupo, i suoi voti sono eccellenti, nessun professore si lamenta di lei, non da problemi, quindi al momento decido di non preoccuparmene.
Ho notato che trascorre diverso tempo con Adrien e la cosa non mi piace. Per niente. Nonostante sia una ragazza tranquilla, c’è qualcosa in lei che mi lascia dubbioso; parlano frequentemente durante i pasti e a quanto mi hanno riferito, anche al di fuori, nella sotterranea al Lago Nero.
A novembre, la Guant ha fatto il suo ingresso tra coloro che contano e mi auguro vivamente che nessuno degli studenti più grandi, le abbia accennato al passato legato al suo cognome; seduto al tavolo degli insegnanti, posso chiaramente notare come abbia fatto velocemente amicizia con la Zabini e Portier. Non posso negare che siano i migliori Serpeverde che la scuola vede da diverso tempo eppure le loro famiglie non rappresentano il meglio che il mondo magico abbia da offrire, entrambe si sono schierate con l’Oscuro durante la guerra ed entrambe non ne sono stranamente uscite sconfitte. Tuttavia, imporre alla giovane chi frequentare darebbe troppo nell’occhio, perciò è meglio lasciarla fare, almeno per il momento e vedere cosa comporterà questa vicinanza in futuro.

Distratto da questi pensieri, non mi accorgo del gufo che, svelto com’è arrivato, lasciandomi una lettera sul mio piatto vuoto, se n’è andato. Dalla scrittura sottile e aggraziata riconosco il mittente senza doverlo leggere, mentre le parole scritte mi fanno facilmente intendere che Hermione non è per nulla di buon umore.

“Tu ora m spieghi perché Mio figlio non trascorrerà con me le vacanze di Natale!”
“L’ho messo in punizione”.
Mi guarda stranita, come se le avessi appena confessato di avere un amante, cosa che effettivamente non ho. Mi occuperebbe troppo tempo e no, non ho nemmeno quello per vedere mia moglie come vorrei.
“A Natale, Severus? Non lo vedo mai e me ne privi la presenza anche durante le vacanze?”
Sbuffa e qualche ciocca di capelli, che per la fretta le sono ricaduti in viso, le svolazzano indietro; incrocia le braccia al petto e cammina per il mio studio.
In questo istante, rivedo la ragazzina che tanti anni fa percorreva i corridoi della scuola, sempre di fretta, sempre fin troppo ansiosa, arrabbiata per un voto inferiore alla sua media, la stessa ragazzina che non riusciva a praticare gli incantesimi più difficili e che alla fine, ha contribuito a sconfiggere l’oscuro, a rimettere in sesto la scuola e ad aprire uno spiraglio nel mio ormai lacerato cuore.

“Ha sbagliato. Si è comportato come un bambino che fa i capricci e dovevo punirlo in qualche modo”.
Si ferma in mezzo allo studio, guardandomi storto. Ha capito immediatamente che sto mentendo. “Adrien non fa i capricci da diversi anni. Se ha agito in un modo ci dev’essere una ragione e scommetto che è la stessa che ti ha portato a farlo restare qua”.
Adoro quando mette in moto così velocemente quel brillante cervellino che si ritrova e in breve tempo mi smaschera, infondo non posso negare di averla sposata anche per la sua arguzia. In un mare di maghi riprovevoli come Potter  e Weasley, Hermione emerge con la sua incredibile dote deduttiva e una spiccata intelligenza.
Alzo le spalle imitando in modo infantile il comportamento di mio figlio.
“Sputa il rospo!”
Sbuffo infastidito, deve sempre essere a conoscenza di ogni cosa.
“Adrien non vuole tornare a casa per le vacanze e il suo comportamento lo dimostra. Sta cercando di fare ogni cosa in suo possesso per far si che qualcuno lo metta in punizione. Ed io l’ho accontentato”.
Spalanca gli occhi.
“E’ peggiorato anche nei voti?”
Tzè. Lei e la sua carriera scolastica.. Non potrei essere più d’accordo.
“No, è sufficientemente intelligente da sapere che non può permettersi di non eccellere a scuola. Riesci immaginare da chi ha preso?”
“Anche tu eri uno studente modello”.
“Ovviamente”.
Abbassa le spalle e sospira, senza smettere di lanciarmi sguardi truci.
“Bene. Se lui vuole rimanere qua per le vacanze può essere solo colpa tua, ha litigato con te e con te deve chiarire”.
Mi punta un dito contro e, come poche volte mi è capitato, inizio a temere le conseguenze delle sue parole.
“Passerai anche tu le vacanze qua e lo terrai sott’occhio”.
“Non credo di aver inteso, forse ti serve qualche minuto per ricomporre il tuo epitaffio”.
“Mi hai sentito bene Severus Tobias Piton. A Natale rimarrai qua e cercherai di risolvere. Sono certa che avrai tempo per riflettere sul da farsi”.
Si volta velocemente e, dandomi le spalle, entra nel camino sparendo in fretta tra le fiamme.
“GRANGER!”.
 






N.d.A.
Eccoci con un nuovo capitolo e questa volta dal punto di vista di Severus.
Diciamo che lui si sta dando da fare per capire cosa sta passando per la testa del figlio e chissà, forse per una volta ci ha visto giusto. Certo assegnargli una punizione così pesante potrebbe essere una tattica geniale, peccato debba fare i conti anche con la sua dolce metà. Povero Piton, pensava di aver risolto la faccenda Adrien e invece non aveva calcolato Hermione.

Ora la domanda è.. Perché Adrien dovrebbe voler rimanere ad Hogwarts per le vacanze di Natale? Se la cosa vi incuriosisce, vi aspettiamo al prossimo capitolo ma per il momento fateci sapere cosa ne pensate, ipotesi, dubbi, chiarimenti, critiche sono sempre ben accette, perciò fatevi sotto!

Per il momento vi ringraziamo della lettura e ci sentiamo al prossimo capitolo,
ThestralDawn e nextplayer

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 - POV Clara Guant ***


Uova strapazzate, succo di zucca, pane tostato. Il mio stomaco brontola dalla fame, eppure un senso di nausea mi pervade tutta, salendo dallo stomaco e raggiungendo la gola. Il solo pensiero di mangiare mi disgusta; non assumo cibo da due giorni ma questa constatazione non mi preoccupa, non ci riesco, la testa mi fa male e il naso chiuso a causa del raffreddore non fa che diminuire drasticamente la probabilità di mangiare alcunché. Mentre fuori nevica e i ragazzi passano le giornate nel parco o facendo acquisti per Hogsmade, io vago febbricitante per la scuola, coperta fino al naso da pesanti indumenti, sentendomi ogni minuto che passa, uno straccio umano.
Le vacanze di Natale si stanno avvicinando e mai come quest’anno provo un infinito senso di contentezza nei confronti di questa festività; sono felice di poterla passare qua, insieme ai ragazzi della mia casata, insieme alle persone che ho conosciuto quest’anno e che senza ammetterlo apertamente, li considero ormai la mia famiglia, quella famiglia che non ho mai avuto, quella famiglia che ho tanto agognato e che in questo momento Hogwarts mi ha offerto. Mi sono ricreduta su questo posto, non è poi così male, eccetto se soffri d’influenza. Adrien mi ha rifornito di fialette da prendere dopo ogni pasto, peccato io non mangi a sufficienza e il dubbio su quando prenderle mi assilla da giorni.

Mi sforzo di bere del succo di zucca, è tutto quello che il mio stomaco sembra permettermi, lo stretto necessario per prendere la pozione.
“Cibo, Clara. Con le pozioni che ti ho dato, devi mangiare cibo solido, no liquidi”.
Lo guardo disperata, non riesco a fare ciò che mi ha detto, il mio corpo in subbuglio mi chiede pietà. Lo osservo mentre si siede accanto a me, intento a versarsi del caffè per fare colazione; Adrien sembra stare bene, proprio lui che la scorsa settimana versava nelle mie stesse condizioni, influenzato.
“E’ colpa tua, mi hai passato tu l’influenza”.
“Non so di cosa stai parlando, io sto benissimo”.
“Parli così adesso ma la scorsa settimana eri circondato da fazzoletti, possibili portatori di batteri e tiravi su il naso ogni secondo”.
“Ed io ti ripeto, a me non pare proprio. Piuttosto, la scorsa settimana, quando secondo te stavo male, sono andato avanti con le ricerche e credo di aver trovato una soluzione..”
“Davvero?”
“..al dolore. Nulla sulle cause”.
L'attimo di contentezza scivola via dal mio corpo come acqua sulla pelle, la mia espressione estasiata lentamente si spegne lasciando spazio alla delusione e lui se ne accorge immediatamente. Scorgo un’ombra di dispiacere passare sul suo volto. Sono una stupida, dopotutto Adrien è l’unico che fino ad ora si è preoccupato di me, della mia condizione.

Gli prendo una mano e gliela stringo, cercando di infondergli tutta la mia gratitudine.
“Va bene lo stesso. E’ più di quanto mi aspettassi”.
L’amarezza che sta provando è palese quanto la mia poca voglia di mangiare, il suo sguardo fisso sulla mia mano però mi trasmette uno strano senso di tranquillità. “No, il dolore non è niente a confronto con le emorragie continue. Cercherò più a fondo”.
Distoglie lo sguardo da me e si alza, raccogliendo le poche robe che ha portato con sé.
“Vado a lezione, prima che Berger possa trovare un’altra scusa per darmi una punizione”.
“Adrien!”
Nonostante la mia voce riecheggi nell’intera Sala Grande e attiri l’attenzione di diversi studenti, non riesco a fermare il ragazzo che m’interessa ma lo vedo andarsene senza lasciarmi anche solo spiegare il perché della mia reazione.
Solo quando ormai è fuori dalla sala, mi accorgo del foglio lasciato sul suo posto vuoto. Dagli ingredienti trascritti sopra, intuisco che la pozione è un ricostituente, “riduce il dolore” riconosco la sua sottile calligrafia da queste poche parole in cima alla pergamena. Deve aver impiegato del tempo per trovare una simile soluzione al mio problema ed io cosa ho fatto? Io.. non l’ho nemmeno ringraziato. Devo averlo ferito ma non era mia intenzione, è stato lui a convincermi che avrei avuto qualche possibilità di trovare una soluzione al mio male e non appena ho scorto anche solo una minima speranza, l’ho rigettata come se non valesse abbastanza, come se lui potesse realmente fare di più. Sono una persona avida e cattiva, mi sento un mostro.
Quando esco dalla Sala Grande per andare a lezione, sento distintamente gli sguardi di qualche studente, perforarmi la schiena. Spero che il professore di trasfigurazione sia di buon umore oggi, non potrei sopportare alcun rimprovero o lezione noiosa in questo momento.

*

“Tè caldo. Bevi”.
Adrien si posiziona difronte a me, una tazza fumante tra le mani, prima di sedersi al mio fianco e contemplare le mie mani che stringono quella fonte di calore infondermi nuova linfa vitale. Pochi studenti ancora svegli occupano le poltrone della stanza sotto il Lago Nero, alcuni intenti a scrivere su pergamene gli ultimi compiti assegnati per domani, altri semplicemente sfogliano svogliati i libri, nessuno ha intenzione di far baldoria questa sera.
“Grazie”.
Un silenzio per nulla imbarazzato cala tra noi, nessuno dei due ha voglia di intavolare una discussione su quanto successo questa mattina. La tensione palpabile che ci aveva colto ha lasciato spazio alla stanchezza della giornata, dovuta alle ricerche che non portano a nessun risultato, allo studio di materie che in questo momento sembrano far parte di un’altra dimensione. So che per lui quest’anno è importante, i Gufo che dovrà sostenere sono più vicini di quanto pensa, il programma non è leggero però non l’ho mai considerato realmente in difficoltà; tra i serpeverde girano delle voci sul suo conto, su quanto, al di là del suo comportamento fuori dalla classe, sia in realtà uno studente modello, vedo come passa diverso tempo chino sui libri, sia in biblioteca sia in sala comune. Vorrei aiutarlo, restituirgli il favore che lui sta facendo a me ma temo di non fargli un piacere, ho paura che possa sentirsi inferiore quando in verità, lui non lo è affatto.

“Passerò le vacanze di Natale qua, al castello”.
Diversi pensieri mi sfiorano la mente, un dubbio richiede di essere risolto.
“Perché? Non vuoi passare del tempo con la tua famiglia?”
Un sorriso di scherno increspa le sue labbra.
“No. Non voglio passare il tempo con mio padre che evidentemente non mi sopporta, con mia sorella che mi assilla e mia madre che mi crede ancora un bambino da proteggere. Le scriverò un biglietto di auguri o magari le invierò un mazzo di fiori”.
“E’ la prima volta che passi il Natale qua, non è vero?”
“Già, ma l’idea non mi dispiace”.
“Potremmo provare l’unguento”.
La domanda mi sorge spontanea, l’idea che ci sia anche lui mentre testo una nuova pozione mi rassicura, non voglio stare sola, non so quello che potrebbe accadere. “Hai intenzione di provarlo, quindi?”
“Certo, infondo non può andar peggio di così”.
Sorride e non c’è traccia di presunzione sul suo viso.
“Credi che mi farà stare meglio?”
“Ne sono quasi certo. Devi solo prepararla e vedrai che ci saranno ottimi risultati”.
“Sei sicuro di te”.
“Ovviamente”.
Quando scoppiamo a ridere, nulla sembra intaccare questo momento, la stanchezza sembra essersi volatilizzata nel nulla, i problemi sembrano non esserci più.


*


“Dannazione!”
Il silenzio della Sala Comune viene interrotto dal grido di Adrien, che infastidito da qualcosa, fa capolino nella stanza, seguito da alcuni ragazzi del suo anno: una lezione dev’essere appena finita e non per il verso giusto. Lo osservo mentre si dirige verso le scale per i dormitori, alcune porte vengono sbattute, facendo tremare le vetrate, per poi ripiombare in un istante nel silenzio.
“Emm.. Forse è meglio se li parlargli tu”.
Solo quando mi rivolge la parola, mi accorgo della presenza di Derrik che, senza aver fatto il minimo rumore, si era avvicinato indisturbato.
Quando vede la perplessità sul mio volto, risponde alla mia domanda silenziosa.
“Beh, ha appena scoperto che suo padre, il preside, passerà le vacanze di Natale al castello”.

Dannazione! Non andava bene, non andava bene per niente, avrebbe sicuramente tenuto sott’occhi Adrien e forse il suo scopo è proprio quello.
Busso lievemente alla porta della camera ma nessuno mi risponde.
“Adrien se vuoi parlare, sono qui”.
Ancora nessuna risposta. Decido di andarmene, meglio lasciarlo sbollire in pace, quando io stessa mi trovavo in questa situazione, tutto ciò che volevo era starmene chiusa in un luogo buoi, da sola, a riflettere. Peccato Adrien non rifletta mai sufficientemente a lungo da calibrare le azioni in base all’accaduto, arrivando a comportarsi male, sfoderando la bacchetta e intavolando un duello. A pensarci bene, forse è proprio ciò di qui ha bisogno.

“Al fuoco!” Non devo aspettare molto prima di vedere la porta di Adrien aprirsi e scorgere il ragazzo vestito ancora di tutto punto con la divisa scolastica. Quando si guarda in giro spaesato, non notando nessun incendio, decido di agire.
“Stupeficium!”
L’incantesimo dritto al suo petto viene prontamente schivato.
“Ma che ti prende?”
“Incarceramus!”
“Protego!”
Non sembra sconvolto, arrabbiato piuttosto.
“Levicorpus!”
“No! Expelliarmus!”
Mi proteggo dall’attacco e indietreggio; nonostante il corridoio non sia il posto migliore per duellare, ora Adrien sembra ben disposto a continuare.
Prima che io possa anche solo pensare a un ulteriore incantesimo, mi sorprende prendendomi il polso e cominciando a correre, dirigendosi fuori dai nostri dormitori. Corre per un tempo che non riesco a calcolare, per giungere infine in una zona del castello che difficilmente frequento, una parete scarna il centro delle sue attenzioni. Mi lancia uno sguardo divertito prima di concentrarsi sulla parete. Pochi secondi e una porta s’intravede nel muro, quasi apparisse solo per estrema necessità. “Scommetto che questa ti è nuova”. Il mio sguardo stupito segue la figura di Adrien che sporgendo un braccio apre la porta e mi fa cennò di entrare. Lo stupore che mi coglie non appena faccio il mio ingresso lo fa sorridere, non avevo mai visto nulla di simile, non pensavo la magia arrivasse a livelli simili. Sembra che la stanza ci voglia far combattere, lo spazio a nostra disposizione è immenso, diverse colonne dietro cui nascondersi e manichini con cui allenarsi.
Non ho nemmeno il tempo di osservarla a fondo che Adrien si allontana da me e comincia a correre, facendo perdere in breve le sue tracce. Quando la sua voce riecheggia per la stanza, un lampo di luce rossa mi raggiunge alle spalle. Mi difendo e ne cerco la fonte. Mentre un silenzio surreale m circonda, scorgo con la coda dell’occhio un piede nascosto dietro una colonna.
“Syrte!”
Adrien è costretto a lasciare il suo nascondiglio, prima che il terreno sotto di lui lo inghiotta senza remore.
“Tutto qui quello che sai fare Clara?”
Un sorriso malefico affiora alle labbra. No, non perderò questo duello, non mi limiterò negli incantesimi solo perché ci conosciamo. Combatto per aiutarlo a sfogarsi ma non c’è scritto da nessuna parte che io debba lasciarlo vincere.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 - POV Albus Severus Potter ***


Natale. Ecco arrivata un’altra festività senza scopo. Davvero mi chiedo quale sia il divertimento ad aspettare tutta la notte un grosso, grasso e vecchio uomo che s’intrufola in casa tua, e per cosa poi? Regali, regali palesemente fatti apparire con un semplice colpo di bacchetta. È ridicolo. Se dovessi elencare un aspetto positivo di questa festa, potrei accennare alle luci che puntualmente i mei genitori appendono all’esterno della casa, un senso calore, calma apparente tutt’al più mi pervade tutto al solo vederle. Quella stessa calma che provo, mentre circondato da banchi di neve che ricoprono i campi inglesi, siedo da solo in uno scompartimento del treno. Direzione King’s Cross.
Alla stazione ci aspetta la famiglia al completo. Noto subito che il pancione di mamma è aumentato di volume, sembra che abbia ingoiato una Pluffa! La futura Lily o il futuro Sirius deve stare comodo.
 
Il primo giorno di vacanze passa in modo perfettamente tranquillo, almeno per me: rimango chiuso in camera mia e finisco di leggere il libro del Principe. La cosa più degna di nota è una sorta di.. poesia? È difficile da dire, scritta in modo molto più ordinato e raffinato del resto degli appunti. Evidentemente Severus deve aver fatto molta più attenzione a questa parte che per tutto il resto del libro. L’inizio sembra quasi un indovinello:
 
Non è dato sapere
Come fronteggiare chi non si può vedere
Ma in caso d’incontro diretto
Parlare la lingua porta al rispetto
”.
 
Segue qualche riga bianca e poi l’incantesimo “Sostratu Glossa”. Le poche righe rimaste sulla pagina sono molto meno criptiche, si parla di Salazar Serpeverde, di come tra tutti i fondatori di Hogwarts sia stato il più misterioso e forse il più potente, nonostante l’incapacità di collaborare in un progetto comune che prevedeva il lavoro alla pari di tutti. Si parla di cimeli di famiglia tramandati da una generazione all’altra e di posti accessibili solo ai veri, pochi eletti Serpreverde, qualsiasi cosa voglia dire. Sono subito tentato di provare l’incantesimo ma ricordo fin troppo bene la faccia di James e la fine dello scoiattolo. No, aspetterò di ritornare a Hogwarts, solo dieci giorni..

*
 
Due giorni, due estenuanti giorni. Sono passati APPENA due giorni.. la curiosità mi sta facendo venire il mal di stomaco. Sento di essere completamente affascinato da quell’incantesimo e non ho nemmeno idea di che cosa faccia. Tutto quello che so è che DEVO provarlo. Non m’importa contro chi o contro cosa ma devo capire a cosa serva. Devo tornare a Hogwarts, non m’interessa se le vacanze non sono finite, anticiperò il ritorno di una settimana e tutto sarà risolto..

Pensando a come dirlo ai miei nel modo più delicato ed elusivo possibile mi stendo sul letto, chiudendo un attimo gli occhi. Mi risveglia un bussare leggero alla porta. Devo aver dormito un po’, fuori dalla finestra noto che si sono aggiunti un paio di cm di neve a tutta quella che ce n’era già prima.
“Albus?”.
Va bene, mia madre può entrare. Lei può perfino chiamarmi Albus senza che mi senta a disagio, senza che mi venga l’impulso di dire che Al è più che sufficiente. Le apro la porta e il suo sorriso timido si allarga sempre di più, fino a diventare una vera e propria risata.
“Ti sei addormentato vero? Guarda che capelli!”.
Me li sistema come meglio può ma sembra più una scusa per darmi una carezza che un vero tentativo di farmi stare a posto i vari ciuffi che vanno in ogni direzione. Sappiamo entrambi che comunque li mettiamo non staranno mai in ordine. Si siede sul mio letto sbuffando.
“Se solo la camera di James fosse ordinata la metà della tua!”.
Non so bene come rispondere, quindi non dico niente. Mi limito a stringermi nelle spalle e aspettare che continui lei il discorso; dalla sua aria vagamente afflitta capisco che deve farmi una qualche ramanzina, o qualcosa del genere.
“Al.. tuo padre ed io abbiamo parlato di te ieri sera, ed entrambi siamo un po’ preoccupati”.
Le chiedo perché, non mi viene in mente nulla di meglio da dire.
“Beh, sei sempre stato piuttosto introverso ma sembra che tu ti stia isolando e non so se è perché lo vuoi tu o per qualche altro motivo. Abbiamo fatto o detto qualcosa che ti ha fatto star male?”.
Se fosse stato mio padre a farmi questa domanda, gli avrei urlato contro un elenco infinito di cose che fa e che dice che mi hanno e mi feriscono tuttora ma non è questo il caso e non voglio che si preoccupi per me. Non mi piace vedere mia madre preoccupata in generale, e soprattutto non adesso che aspetta un bambino. Con il tono più convincente possibile cerco di rassicurarla, incolpo l’aver saltato un anno, i Professori che mi danno un sacco di compiti, gli allenamenti di Quidditch e tutto quello a cui riesco a pensare che possa giustificarmi. Quando finisco sono sorpreso dal tono allegro che ho mantenuto. Lei sembra pensarla diversamente però. Senza dire niente si alza e prima di uscire dalla camera si volta di nuovo verso di me.
“Noi siamo sempre pronti ad ascoltarti. Magari adesso non vuoi parlarne o farci sapere i veri motivi, ma sappi che io sarò sempre qui per te.”
 
A cena comunico la mia decisione di tornare a Hogwarts. Mamma mi guarda con tristezza ma non si oppone, mio padre mi chiede perché ed io ripeto tutto quello che ho elencato questo pomeriggio: le lezioni, i compiti, le cose da studiare, il quidditch. A ogni punto dell’elenco mi sento sempre più un verme pensando di ripetere le stesse patetiche scuse ma la cosa si trascina avanti meno del previsto.
Papà liquida la cosa con un’alzata di spalle, aggiungendo che sono abbastanza responsabile da sapere come comportarmi e che se voglio davvero andarmene di certo non me lo impediranno.
James commenta il tutto con una delle sue solite battute su quanto sia un secchione. Per il resto della serata cerco di restare con loro e di interessarmi davvero alla conversazione. È una fatica immensa, l’idea di ritornare in camera e starmene per i fatti miei mi sembra sempre più allettante man mano che la conversazione, monopolizzata da James, passa dal Quidditch a Hogsmeade, fino ad arrivare al suo sport preferito: prendermi in giro.
Domani.. domani sarò di nuovo a Hogwarts, e per un bel po’, potrò di nuovo far finta di non far parte di questa famiglia.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 - POV Adrien Piton ***


Duellare con Clara è una liberazione. Posso permettermi di scagliare qualsiasi incantesimo che lei non si tira indietro. È una ragazza e come mi è stato insegnato, si è più gentili con l’altro sesso eppure con lei è differente. Non teme nulla, attacca e si difende come se si trattasse di vita o morte, non si lamenta degli incantesimi che le lancio e non sembra mai stancarsi. Anche adesso che ci troviamo nella stanza delle necessità da quasi tre ore, in lei non vedo traccia di stanchezza mentre io, nascosto dietro ad un muro che ormai cade a pezzi, cerco il più possibile di rimanere immobile per non farmi notare e riprendere tutta quell’aria che già da mezz’ora mi è mancata.
“Ti arrendi, perdente?”
La sua voce rimbomba nell’intera sala e non riesco a capire da quale direzione provenga. Come un felino durante la caccia, riesce a nascondere le sue tracce con astuzia, a Durmstrang dev’essere stata tra le studentesse migliori del suo corso.
“Perché, sei stanca?”
“Bombarda!”
Mi scosto velocemente dal mio giaciglio, prima di vederlo distruggersi definitivamente. Vago con lo sguardo per la sala e Clara mi appare chiara non lontano da me, sta correndo nella mia direzione, lo sguardo preoccupato. Decido immediatamente di sfruttare l’occasione e puntarle addosso la bacchetta.
“Aguamenti!”
Un getto d’acqua ghiacciata la sovrasta in pochi secondi e la vedo scivolare a terra, arrivare distesa proprio davanti ai miei piedi e trascinarmi accanto a lei sul pavimento. Una rapida occhiata è sufficiente per farci ridere a cuore aperto, il momento dello scontro è finito, lasciando spazio alla stanchezza.
Prevenendo un’influenza che nessuno dei due vuole riavere, la stanza delle necessità ci offre degli asciugamani caldi e vestiti asciutti, the caldo e dolciumi per rifocillarci.
“Ho vinto!”
Le passo un asciugamano con cui si tampona i capelli, la divisa zuppa le fascia il corpo mettendo in risalto il fisico robusto, quasi fatico a distogliere lo sguardo quando rimanendo in camicia intravedo il reggiseno stretto sul torace. Quando noto un sorrisetto spuntarle sulle labbra, distolgo lo sguardo; spero vivamente che non se ne sia accorta, non è da me soffermarmi troppo su cose del genere anche se ultimamente Clara mi da troppo a cui pensare.
“Sleale e tipico da te. Ed io che mi stavo avvicinando per assicurarmi che stessi bene”.
“Questo non cambia nulla.. Ho vinto io comunque”.
“Vuoi che lo ammetta, non è vero?”
“Esattamente”.
Mi sorride e con gesti molto, troppo lenti si avvicina al tavolo sopra il quale la stanza delle necessità ha fatto comparire due brocche d’acqua. Si versa un bicchiere e beve un sorso, nulla di così eclatante se non fosse per quel sorrisetto sulle sue labbra da cui non riesco a distaccarmi. Prima che me ne renda conto, Clara si è avvicinata fin troppo a me e ancora fradicia dalla testa ai piedi, mi è difficile capire quale sia il suo intento. Questioni di secondi, e mi ritrovo a sputacchiare acqua: mi ha versato l’intero bicchiere in faccia, senza remore, senza troppi preamboli, così come fossimo in piena estate. Serpeverde dentro, insomma.
“Hai vinto”.
Nemmeno il tempo di risponderle a tono che la vedo lasciare la stanza, lasciandomi da solo mentre le pareti intorno a me cominciano a mutare..
“Guant!”


*


Hogsmade sotto Natale, le luci, gli addobbi, i cori natalizi, la gente felice. Tutto molto deprimente. Se c’è una cosa che non sopporto è assistere ai convenevoli di maghi e streghe che, vagando per le stradine del paese, camminano con un’aria spensierata sul volto, si salutano tra loro come fossero grandi amici, ti stringono le mani per augurarti buone feste. Saranno realmente buone quando non incontrerò più scocciatori come voi, vorrei rispondergli ma la vicinanza di Clara mi blocca nel mio intento. Lei avvolta nel suo giubbotto pesante, sorridente come una bambina davanti ad un giocattolo mentre osserva il villaggio illuminato, con i locali decorati a festa, la neve che imbianca ogni superficie e se questa per me è un inconveniente, nonostante il freddo, per lei è la gioia dell’inverno. Lei e le sue dannate palle di neve che non finiscono mai, non posso permettermi di abbassare la guardia nemmeno un secondo che mi sento qualcosa di congelato intrufolarsi sotto i vestiti pesanti e congelarmi la schiena.

È la vigilia di Natale e Clara ha avuto la pessima idea di recarsi al villaggio per uscire dal castello e bere qualcosa che non fosse succo di zucca. La mia risposta di rifugiarci nella stanza sotto il Lago è stata categoricamente scartata, dato il semplice motivo per cui non ci sarebbe stato nessuno con cui festeggiare. Il lato positivo è che qua fuori non rischio di scontrarmi con mio padre, scambiarsi dei finti auguri sarebbe stato alquanto fastidioso e imbarazzante per entrambi, ne sono certo. Il lato negativo è che l’idea di fare un giro per Hogsmade è stata accolta da altri ragazzi serpeverde e adesso mi trovo circondato da un gruppo di persone interessate a parlare solo delle scopate che si faranno a capodanno, di chi tenteranno di portarsi a letto questa notte e nella stanza di chi sono finiti nella serata di Halloween. Davvero si riduce a questo l’interesse maschile? Sono i momenti come questo che mi fanno mancare la presenza di Ezra al mio fianco, lui sì che sa come ci si comporta, un serpeverde che ancora apprezza le buone maniere.

Guardo il gruppo di ragazze non lontano da me; sembrano prese da una conversazione molto più interessante dell’argomento di questo branco di maniaci. Accelero il passo, prendo Clara per un gomito e colgo l’occasione quando afferma di voler fermarsi in un locale.
“Noi ci fermiamo qua. Ci vediamo più tardi”.
“Veniamo anche noi!”
In pochi secondi, I tre manici di scopa si riempie di ragazzi serpeverde  e le mie speranze di andarmene in fretta diminuiscono drasticamente.
“Dico sul serio. Sei quest’anno i miei non mi comprano un manico di scopa nuovo, esco di casa e..”
“Le speranze di farsi la Cruz sono basse, perché non tenti con la Taylor? Lei sembra..”
“Nuova Zelanda. Sì, mi hanno assicurato che il prossimo ano andrò lì con loro anche se..”
“Io mi scoperei le tre donzelle del quarto anno, com’è che si chiamano?”

Voglio morire. Un colloquio con mio padre sarebbe stato meno devastante. Sto per alzarmi dalla sedia quando ascoltando per caso una conversazione al mio tavolo, un commento da parte di un ragazzo mi trattiene.
“.. Durmstrang, a quanto mi hanno detto. Immaginate come dev’essere a letto una che è stata istruita la, capace di tenerti sveglio tutta la notte. Dev’essere una bella cavalcata quella Guant, non mi dispiacerebbe darle prova della mia forza, magari a Capodanno me la scopo..”
Stringo i pugni, sbarro gli occhi, un’ira irrazionale m’invade il petto fino a raggiungere le mani. Senza attendere un secondo in più mi getto sul ragazzo che ha aperto bocca fino a quel momento, sferrandogli un pugno e facendolo scivolare a terra. Non gli do il tempo di capire cosa sia successo che lo afferro per la maglia, continuandogli a infliggere diversi ganci destri.
Sento qualcuno che mi solleva dalle spalle e mi trascina via. Delle scuse sono poste all’oste, mentre poco gentilmente vengo sbattuto fuori dal locale.
“Ma cosa ti prende?”
Clara. Lei mi ha trascinato fuori?
“Io.. Io ho..”
Attende una risposta a braccia spalancate ma ora non ne voglio parlare. Non con lei perlomeno. Le do le spalle e con le nocche che mi fanno male mi dirigo verso il castello.
“Fermati, stupido! Perché.. diavolo.. non ti.. spieghi?”
M’insegue e tenta di fermarmi; mi prende per il braccio, poi per le spalle, finché non dandole retta, si para davanti a me e mi spintona.
“Lasciami in pace. Io torno al castello, tu rimani pure a divertirti
La sorpasso e me ne vado il più in fretta che posso. Sento i suoi passi dietro di me ma prima che mi raggiunga l’ennesima volta, mi volto per indicarle il locale.
“Non sei costretta a seguirmi. Te l’ho detto già una volta: io non ho bisogno della balia!”
Rimane immobile a fissarmi senza dire nulla. Le do di nuovo le spalle e prosegue verso il castello. Questa volta lei non mi segue.

I giardini sono deserti, la Sala Grande già imbandita per il cenone, in sala comune solo pochi studenti degli ultimi anni che si scambiano i regali.
Per i dormitori silenziosi rimbomba il suono della mia porta sbattuta, il letto che cigola sotto il mio peso di ricorda di essere solo, circondato dal nulla; le parole di quel deficiente di Samuel mi rimbombano in mente.
Mi prendo la testa tra le mani, non mi preoccupo affatto per mio padre, non lo verrà mai a sapere. Quel bifolco non ammetterà mai davanti al preside di essere stato preso a pugni senza essere riuscito a difendersi. D’altro canto, avevo tutte le ragioni per farlo: avrebbe potuto riferirsi a chiunque, qualsiasi ragazza serpeverde e non ma il solo pensiero che uno di loro si avvicini a Clara, mi disgusta. Non voglio che nessuno la tocchi, non permetto che si parli di lei in quel modo. Lei è.. è.. Ma lei cos’è per me? Cosa.. Cosa provo per lei?

Mi distendo sul letto e fisso il soffitto. Qualcosa m’irrita la schiena; infilo una mano e ne tiro fuori un pacchetto, ben incartato, con un biglietto sul retro.
 
Con la speranza che io ti sia sempre accanto, anche nei momenti difficili. Clara
 
Scarto il pacchetto: è un medaglione o almeno, quel che ne rimane. Gli manca una parte, il davanti suppongo perché quello che tengo tra le mani è il retro. Sul metallo c’è incisa una S, l’iniziale Sepreverde. È un oggetto delicato, non troppo grande per i miei gusti. Lo stringo tra le mani, qualcosa mi dice che ho fatto un enorme errore a trattarla male, mi sono comportato a mio solito modo, senza pensarci.
Sono un perfetto idiota.





N.d.A. Colgo l'occasione per augurare a tutti Buon Natale! Mi raacomando, abbuffatevi tanto, divertitievi ma soprattutto leggete, non dimenticatevelo mai.
Capitolo incentrato sul Natale ma, beh non sempre le cose vanno per il verso giusto. Adrien sta passando un periodo un pò difficile, Natale per lui sarà decisamente un girono che ricorderà a vita, rivelazioni all'orizzonte. 
Vi lascio alla lettura e come al solito, Grazie infinite per aver letto e recensito.
ThestralDawn 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 - POV Severus Piton ***


Un ciondolo. Eileen mi ha regalato un ciondolo. Che oggetto bizzarro; è piccolo, tondo e probabilmente magico.
Lo appoggio sulla mia scrivania e lo osservo; è d’oro, finemente decorato e una scritta sul retro incisa da poco: Amor di figlia per sempre avrai. La collana è sottile e per nulla appariscente; mi sbottono la camicia e la indosso. Il contatto della mia pelle con il metallo freddo mi fa rabbrividire per qualche istante. Sistemo il ciondolo in modo da nasconderlo da occhi indiscreti e richiudo il colletto. C’è anche un biglietto, riconosco la calligrafia di mia figlia.
 
Buon Natale Papà! Mi dispiace che tu non possa passare le vacanze con noi; in Australia il tempo è bellissimo, io e la mamma siamo sempre in spiaggia. I nonni mi hanno detto di salutarti, anche loro avrebbero voluto vederti, sia te sia Adrien.
Ieri abbiamo mangiato tantissimo, la mamma ha cucinato il pasticcio di carne, quello che a te piace tanto. Ti sei perso il meglio, dico davvero. In paese si è tenuta una festa, io e la mamma ci siamo divertite tantissimo. Ho trovato questo ciondolo in una bottega magica, tra decine di oggetti meravigliosi. Il proprietario mi ha detto che ha proprietà magiche: se gli dai un colpetto con la bacchetta, scoprirai di cosa sto parlando. Spero ti piaccia.
Ieri ho ricevuto anche il tuo regalo e lo adoro! Sono così felice di avere un animale tutto per me. Ho deciso che lo chiamerò Pisolo, la mamma mi ha detto che è un personaggio di una favola babbana ed è sempre stanco, proprio come il mio corvo. Sempre assonnato.
Spero che il mio regalo ti arrivi in tempo e ricordati di sfamare Pisolo, non vorrei si affaticasse troppo. Ora devo andare a preparare la valigia, per Capodanno torniamo a Londra e tu verrai a trovarci, vero Papà?
Passa dei bei giorni, Tua Eileen.
 
Un sorriso m’increspa le labbra mentre rileggo per l’ennesima volta la lettera, il pollice scorre lieve sulle parole Tua Eileen.
Poso gli occhi sul corvo appisolato sulla mia scrivania, il negoziante mi aveva assicurato che fosse un animale sufficientemente produttivo e ora scopro che è uno scansafatiche. Tzè, stupidi corvacci.

Il ciondolo attira nuovamente la mia attenzione; Eileen ha detto che è magico, come sospettavo. Mi punto la bacchetta al collo “Homnuim Revelio”. Un fascio di luce argentea fuoriesce dal ciondolo e prende una forma inizialmente poco chiara ai miei occhi. Pochi secondi e capisco di stare osservando una fotografia: siamo io ed Eileen, quando era ancora piccola, forse un anno, i capelli corti e sparati in ogni direzione. Le sue braccia che mi cingevano il collo, il capo appoggiato sulla spalla in procinto di addormentarsi.

Metto via la bacchetta e l’immagine svanisce, l’ho osservata a sufficienza per essermela impressa nella memoria. Mi appoggio allo schienale della poltrona e mi godo quest’attimo di pace, lasciando che il ricordo di quel giorno mi pervada anima e corpo. Sentimenti che raramente posso permettermi di rivivere mi rilassano i muscoli, una sensazione di tranquillità che sono certo non durerà a lungo.

Esco dal mio studio ingombro di pacchi regalo che non ho intenzione di scartare. Amici che si credono tali, personalità di spicco del mondo magico, a mala pena conoscenti, mi hanno spedito regali senza che nessuno glielo chiedesse. Che frustrazione. Da questo punto di vista, preferivo la condizione di professore emarginato che viveva in solitudine. Ho affidato a un elfo l’incarico di rispondere, garbatamente ma non troppo, a ogni singolo mittente. Se Hermione lo viene a sapere, non passerò qua solo le vacanze di Natale ma i prossimi cinque anni.

Ripenso a lei mentre vago senza meta per i corridoi della scuola, molti studenti sono tornati a casa e quei pochi rimasti sono rinchiusi nelle proprie sale comuni. Ieri il banchetto non ha di certo deluso le aspettative, gli elfi si sono impegnati al massimo delle loro capacità per far trovare a ogni studente il suo piatto preferito.

Non ho potuto fare a meno di osservare Adrien, insolitamente distante dalla Guant, mangiare senza troppo entusiasmo quella palese copia del pasticcio di sua madre. Sarebbe potuto crescere in età ma le vecchie abitudini sono dure a morire. Avrei gradito incontrarlo per i corridoi, una semplice stretta di mano come augurio sarebbe stato sufficiente ma sono convinto che sia ancora su tutte le furie per avergli “rovinato” le vacanze obbligandolo a stare qua, al castello.

“Buongiorno Signore”.
Mi volto di scatto, un elfo petulante si è appena smaterializzato dietro di me, come se gli fosse permesso.
“Winky! Quante volte te lo devo ripetere?! Palesati davanti a me e non dietro. Cosa vuoi?”
“Chiedo perdono, Signore. Winky non disturba Signore se non è importante”.
“Quindi?”
“La Signora Piton si trova all’entrata del castello, Signore e vuole vederla. Subito, Signore”.
Faccio un respiro profondo e mi trattengo dall’urlargli contro, cercando di imporre nella mia testa il concetto che “non è colpa dell’elfo”.
Espiro.
“Riferisci alla Granger che se mi vuole vedere, deve muovere le gambe e farsi trovare davanti alla Sala Grande tra due minuti”.
La vedo titubare, probabilmente nemmeno Hermione è stata gentile con lei e quella che doveva essere una semplice richiesta, a Winky sarà sicuramente parsa come un’imposizione.
“Signore?”
“Muoviti!”
Mi paso una mano sul volto frustrato, io volevo solo passare una giornata tranquilla.

Mi dirigo verso la Sala Grande, sicuro che lei si farà attendere più del dovuto. E così infatti fa, precisamente con sette minuti di ritardo; la mia pazienza ha un limite e Hermione riesce sempre a superarlo.

“Severus! Ti ho chiesto di chiesto di raggiungermi ai cancelli”.
“Ed io ti ho risposto di venire qua, dove tu mi hai imposto di stare, da solo, in questi infiniti giorni natalizi”.
Corruccia lo sguardo, si sente in colpa e questo è esattamente il mio intento, con lei so sempre dove colpire per farla pentire delle sue scelte.
“Te lo sei meritato”.
“Mi sono meritato un Natale lontano da Eileen?”
Abbassa il capo e guarda per terra. Che infantile.
“Hai risolto con Adrien?”
Ed eccola tornare alla carica, pronta per vendicarsi. Lo sa che non c’è stato nessun chiarimento, lo sa perché Adrien non le ha scritto per augurarle buone vacanze, lo sa perché lui non ha risposto per ringraziarla del regalo e lo sa, perché se così fosse, ora Adrien sarebbe tornato a casa, pentito.
“Non si fa avvicinare”.
“Non è un animale Severus, non lo devi trattare come una preda succulenta che dev’essere cacciata. È tuo figlio, il tuo ragazzo e ha solo bisogno di qualcuno che lo ascolti”.
"Ha bisogno di spazio. Ha bisogno di stare solo. Quando sarà pronto, verrà lui da me”.
Assottiglia gli occhi e mi guarda scettica.
“No. Che gli piaccia o no, lui ora parlerà con noi”.
“Noi? Vorrai dire te”.
“Poche storie o anche il Capodanno lo passerai qua”.
Ricattatrice che non è altro, insolente Grifondoro, con chi crede di parlare e da quando in qua io mi sono abbassato a seguire i suoi ordini?
Scuoto la testa, non ho intenzione di giocare alla caccia al topo con lei e chissà in quale assordo luogo si trova Adrien ora, potrebbe essere ovunque. Le do le spalle e mi avvio verso i dormitori Serpeverde, forse riuscirò almeno a semplificare la faccenda. Hermione mi segue senza obiettare, sa che si trova nel mio territorio e che le regole le impongo io.
“Dimmok!” Appoggiato a una finestra, non lontano dall’ingresso alla Sala Comune, c’è quell’energumeno che Adrien si ostina a tenersi come compagno di banco; con quei capelli rossi ho sempre sospettato facesse parte del clan Weasley ma fino ad ora nessuno lo ha mai riconosciuto.

Mi guarda preoccupato, si siede comporto, si sistema i vestiti e mi sorride, deglutendo più volte.
“Dimmi Dimmok. Dove si trova mio figlio? E bada a non mentirmi”.
Si schiarisce la gola e si guarda attorno, nonostante io mantenga lo sguardo fisso su di lui, non sembra farci caso, anzi è più propenso ad attendere l’arrivo di qualcuno che badare a me, qualcuno immagino conoscere.
“Preside, Signora Piton. Adrien dice? Non lo vedo da qualche ora. Mi ha detto di dover andare a Hogsmade per comprare delle cose ma non è ancora tornato”. Mi volto verso Hermione e alzo le spalle, è il mio girono fortunato.
“Mamma?”

Le mie speranze vaniscono nel momento esatto in qui sento quella voce, la voce di mio figlio.
Dimmok ci lascia soli ed io volto il capo in direzione del ragazzo che ci ha appena raggiunti. Hermione lo abbraccia con calore ma lui non ricambia, rimane impassibile con lo sguardo fisso su di me, accusatorio. Alzo un sopracciglio, mi sta attribuendo una colpa che non merito, l’ennesima.
“Adrien, tesoro, come stai? Sei.. Dimagrito molto. Mangi?”
“Che cosa ci fai qua? Eileen mi ha scritto che sareste dovute rimanere dai nonni ancora per qualche giorno”.
Hermione gli sorride, peccato che quell’affetto non sia ricambiato. C’è dell’odio negli occhi di Adrien, ancora incatenati ai miei, un odio che avevo anch’io verso mio padre. Un senso di disgusto partito dal profondo mi raggiunge la bocca dello stomaco, non sarei mai voluto essere di tale esempio per lui.
“Siamo tornate questa mattina. Tua sorella è andata a far visita a una sua amica mentre io.. beh sono venuta a riprendere tuo padre”.
Conclude il discorso voltandosi verso di me, forse non tutto il male viene per nuocere.
“Perfetto. Buon fine anno allora”.
Si incammina verso i dormitori; Hermione mi lancia uno strano sguardo ma non intuisco dove voglia andare a parare. Ha incontrato Adrien, si è assicurata della sua salute, cosa vuole ancora?
“Adrien aspetta. Non mi vuoi dire niente?”
Si blocca sul posto ma non si volta, i pugni stretti segno di fastidio.
“Cosa dovrei dirti?”
Hermione sospira, non sa più come affrontarlo.
“Adrien ora che sono qui, perché non andiamo a Hogsmade e ci beviamo una cioccolata calda assieme?”
Parole al vento le sue, Adrien non la sta ascoltando. Sembra una conversazione tra sconosciuti. Come siamo arrivati a questo?
“Hai già chiarito la tua presenza qua. Perché non prendi lui e insieme non ve ne andate a festeggiare da qualche parte? Possibilmente lontano da qua”.
“Adrien!”
Io e Hermione gridiamo all’unisono; accetto la sua presunzione nei suoi confronti ma non gli permetto di mancare di rispetto a sua madre. 
“Che cosa volete da me? Siete venuta qua per dirmi che passerete il Capodanno insieme, come un’allegra famiglia felice? Buon per voi, io non ho intenzione di aggregarmi, non sento la necessità di passare del tempo con voi, qua ho tutto ciò di cui ho bisogno”.

Non mi serve guardare Hermione per capire come si sente, che cosa sta pensando e provando, perché è esattamente come mi sento io al momento.
Adrien mi sta deludendo; odiare me è accettabile, provare del risentimento verso sua madre invece, è meschino. Non gli ha causato alcun danno, non gli ha dato altro che affetto, non vedo il motivo di provare tali sentimenti. Sarei tentato di leggere nella sua mente per scoprire cosa stia passando ma forse mi basta rivangare nel mio passato per scoprire stralci di vita che ci accomunano. Vorrei non fosse così simile a me, ogni gesto mi rammenta me da giovane e tutti gli errori vengono a galla. Vorrei aiutarlo, nel modo opposto in cui mio padre si è comportato con me, preoccupandosi, curandosene ogni giorno di più.
“Permettimi di aiutarmi”.
È un sussurro ma dall’espressione che assume, intuisco che Adrien mi ha sentito. Qualcosa in lui sembra cedere, un sospiro, le braccia distese lungo i fianchi, la testa reclinata in avanti, colpevole.
“Vuoi aiutarmi? Stammi alla larga”.
Non percepisco più l’odio nelle sue parole, né tremore ma nemmeno risolutezza; non è un’imposizione, non sembra poi così certo delle sue parole.
Un ultimo sguardo nelle nostre direzioni per poi lasciarli lì, io pensieroso e Hermione a disagio. Ama suo figlio più di ogni altra cosa al mondo e sentirlo parlare in quel modo, l’ha lasciata turbata. Mi avvicino a lei e le prendo una mano ma prima che io possa aprir bocca lei mi anticipa.
“Portami a casa, Severus”.








 
N.d.A.
Buonsalve e Buon Anno a tutti, cari Lettori! 
Quest'anno per noi è stato molto importante, abbiamo incominciato a pubblicare i capitoli della nostra ff e da ora in avanti la vicenda si farà sempre più complessa e carica di emozioni. 
Colgo l'occasione per ringraziare tutti coloro che hanno lasciato una recensione, senza dimenticare i Lettori silenziosi che continuano a leggere la storia. 
Mi auguro che quest'anno possa essere proficuo come lo è stato per noi e ribadisco i miei auguri per un felice Anno Nuovo.
Sperando di sentirvi presto, Grazie di cuore a tutti.
ThestralDawn e nextplayer

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 - POV Clara Guant ***


Il preside ha lasciato la scuola e la notizia si è diffusa nel giro di pochi secondi. I pochi studenti serpeverde rimasti sono entusiasti della notizia, sapere che Piton è fuori dalle mura del castello per la notte di Capodanno è un’enorme soddisfazione che porterà molti ragazzi a ritrovarsi nelle situazioni più assurde, molte ragazze si permetteranno vestiti spinti e l’alcool scorrerà a fiumi nella Sala Comune. Si prospetta un ultimo dell’anno con i fiocchi.

Il pensiero che per quel giorno io e Adrien non avremo chiarito, mi rattrista. Non ci sono molte persone con cui vorrei passare l’ultimo giorno dell’anno, ma una di queste è sicuramente lui che, nonostante il suo recente comportamento, ha reso più accogliente la mia permanenza a Hogwarts. Non so cos’abbia scatenato in lui un gesto avventato come quello di prendere a pugni un ragazzo del suo stesso anno e mi piacerebbe davvero sapere da lui, che cosa è accaduto.
Lo vedo in Sala Comune, lo osservo durante i pasti, mentre cammina per i corridoi e nei dormitori eppure non sembra volermi parlare, come se non avesse più niente a che vedere con me ed io non capisco. Mi piace parlare con lui e anche se non è di molte parole, trovo che Adrien sia una bella persona e non parlo dell’aspetto, né per ciò che dice, ma semplicemente per quello che è. Il desiderio di tornare in buoni rapporti con lui supera le mie capacità di comprensione, non so che cosa mi ha fatto, non so se provo qualcosa per lui, forse perché è stato l’unico ad aiutarmi, so solo che il desiderio di riaverlo vicino a me è più forte di qualsiasi felicità.

Gli ho fatto un regalo per Natale, non so se l’ha scartato o semplicemente gettato, spero solo che abbia il coraggio di guardarmi in faccia quando vorrà parlarmi di che cosa gli è successo. Siedo sul letto, abbracciata al cuscino fisso i regali che non ho ancora scartato.
Sono passati alcuni giorni da Natale ma niente è andato come speravo, neanche quest’anno. Il pranzo era ottimo ma l’aria che aleggiava in Sala Grande era carica di parole non dette, sguardi fugaci tra i pochi studenti. Nessuno sembrava realmente felice di trovarsi lì. La neve ha costretto tutti a rimanere segregati nel castello, troppo freddo e troppo vento non permettevano di andare da nessuna parte; ci si può permettere un vagabondare senza meta per i corridoi, nessuno ha intenzione di studiare ovviamente, il castello sembra caduto in letargo.

Mi dirigo svogliatamente verso i bagni del terzo piano; il giorno della vigilia Adrien mi ha consegnato una fialetta con l’unguento per il mio braccio. Il dolore in questi giorni è aumentato, una ferita si è aperta il giorno di Natale e ho ancora bisogno di placare l’emorragia. Non sono sicura del funzionamento di questa soluzione, però non ho altro modo di saperlo se non testandola.

Mi siedo sotto i lavandini; mi sono procurata un secchio d’acqua e delle bende pulite per proteggere la pelle lacera, quelle che indossa da stamattina sono ormai zuppe di sangue. Mentre le tolgo, tento di trattenere un grido di dolore, la poca pelle che si era rigenerata è rimasta attaccata alle bende e nulla di ciò che faccio vale per lasciarla sul mio corpo. L’escoriazione riprende a sanguinare, il braccio comincia ad assumere un colore violaceo e un freddo costante mi pervade il corpo. Passo diverse volte un panno bagnato lungo tutta l’apertura della ferita ma non sembra servire a molto; solo quando immergo l’intero braccio nell’acqua, un senso di sollievo si estende lungo tutta la spina dorsale. Quando asciugo la zona macellata del mio braccio, il sangue cessa di fuoriuscire per qualche minuto e decido, svelta, di applicare l’unguento.
Passo il fluido su tutta la zona “morta” e il fresco della sostanza m’invade le membra come mai una pozione era riuscita a fare prima. Quando appuro che la ferita non da segno di riaprirsi deciso di passare al bendaggio ma nemmeno in questa fase provo alcun dolore. Quando mi alzo in piedi, sono particolarmente soddisfatta di me, il dolore è svanito, forse non durerà per molto tempo, ma al momento è tutto ciò di cui ho bisogno, Adrien aveva ragione, quest’unguento mi sarà molto utile.
Guardo il mio riflesso allo specchio, la pelle diafana si contrappone al nero dei miei vestiti, anche se la pozione ha fermato il sangue mi sento comunque priva di energie. Sento le braccia pesanti, un macigno invisibile mi opprime il petto, gli occhi faticano a restare aperti dalla stanchezza improvvisa. Pochi passi verso il lavandino e una fitta lancinante mi perfora il braccio. È veloce e inaspettata, perdo un battito, il cuore incomincia a pulsarmi velocemente.
Una seconda fitta mi fa rannicchiare a terra, tento di reprimere un grido di dolore, chiudo gli occhi e mi sento male. Ho le gambe e le braccia paralizzate, sento a poco a poco mancarmi l’aria. Qualcosa non sta andando come speravo, il braccio mi sembra bucato da milioni di aghi, sento il sangue fuoriuscire copiosamente ma non sono in gradi di muovermi per poterlo fermare. Mi agito distesa per terra come colpita da una cruciatus, urto il secchio colmo d’acqua che si unisce al sangue che si propaga per terra dalla mia ferita. Sono impotente, schiacciata a terra dal dolore che mi opprime, non riesco a gridare, non posso chiamare qualcuno, posso solo attendere che tutto questo male faccia il suo corso.

Le forze mi stanno definitivamente abbandonando, poso lo sguardo sul mio braccio, qualcosa di nero ora ha invaso la mia visuale. Sembra chiedermi aiuto, sembra voler uscire dalla ferita. Non so se quello che vedo è reale o frutto degli spasmi ma qualcosa di enorme e nero sta prendendo vita sul mio braccio: è un teschio, dalla cui bocca esce un serpente come una lunga lingua. Il mio cuore batte all’impazzata e penso possa uscirmi dal petto all’istante. I miei occhi sono ancora incatenati alla vista del serpente, un istinto che non ho mai provato mi rassicura, non mi accadrà nulla di male finché lui è con me.

“Clara!”
Conosco questa voce, ma non voglio aiuto ora, non voglio che nessuno mi veda in queste condizioni. Non posso fare nulla per difendermi. Due braccia mi sollevano da terra, facendomi distendere sulla schiena. Il viso familiare mi si para davanti agli occhi: pallido, capelli neri, occhi nocciola. Adrien.
“Clara per Merlino, rispondimi. Cosa ti è successo?”
Non ci riesco, non ho le forze di dirgli che sono felice che lui sia qui, accanto a me ora. L’ennesima fitta mi pervade il braccio ma questa volta è più forte, questa volta raggiunge veloce anche la testa. Grido, un urlo liberatorio, prima che i miei occhi comincino a chiudersi. Non voglio morire, non voglio morire così.
“Clara, resta con me. Rimani sveglia. Resta sveglia dannazione!”
Mi chiedi troppo, davvero troppo. Mi sento pesante, incredibilmente affaticata, non sento altro che dolore sul mio corpo, la testa ormai bollente potrebbe esplodermi da un istante all’altro.
Una strana nenia mi giunge ovattata all’orecchio, non capisco se sia Adrien pronunciarla, so solo che all’improvviso non sono più immersa in una pozza di sangue, i miei vestiti ancora umidi ma percepisco il marmo asciutto sotto di me. La punta di una bacchetta mi solletica il braccio martoriato e un’altra fitta di dolore fa breccia nel mio petto. Non sono più in grado di tenere gli occhi aperti, né restare sveglia; il mio corpo mi abbandona e l’ultima cosa che riesco a sentire è il mio nome, pronunciato da Adrien.


 
*


 
Spalanco gli occhi, ma un fascio di luce mi costringe a chiuderli immediatamente.
Quando lentamente li riapro, ho ancora il fiato corto, il cuore pulsa velocemente e un senso di agitazione mi fa muovere nel letto nel quale sono distesa. Intorno a me non c’è molta luce, guardo il soffitto, le pareti e ciò che mi circonda. Un sospiro di sollievo fuoriesce dalle mie labbra, Adrien non mi ha portato in infermeria per fortuna; Madama Fly non avrebbe esitato a convocare il preside in quel caso.

Pian piano riconosco le tende alle finestre, riconosco persino le lenzuola che mi coprono, la scrivania e la poltrona: sono nella stanza di Adrien. Come se l’avessi chiamato a gran voce, lo vedo uscire dal bagno, indossando ancora i vestiti macchiati del mio sangue; le maniche tirate su e una ciotola tra le mani, sta mischiando qualcosa ma non riconosco gli ingredienti.
La testa incomincia a girarmi quando tento di mettermi a sedere ma le mani di Adrien, appoggiate sulle mie spalle, mi rimettono delicatamente distesa nel letto.
“Non ti alzare, sei ancora debole”.
Deglutisco e prontamente lui mi aiuta a bere un sorso d’acqua. Lo osservo mentre si assicura delle condizioni della mia ferita; è fasciata, le bende sono intatte, nuove, deve averle sostituite da poco.
“Che cosa..?”
“Sei svenuta. Ti ho rimpolpato il sangue e portata qua. Non credo volevi andare in infermeria, perciò ti dovrai accontentare dei miei servigi”.
Sembra infastidito, come se gli avessi chiesto io di farmi da balia, come se si sentisse costretto.
“Adrien..”
“Perché diamine hai provato l’unguento senza di me? Se io non fossi arrivato in tempo, saresti morta, dissanguata, dopo atroci sofferenze! Che cosa ti è saltato in testa?”
Non riesco a rispondergli a tono come vorrei.
“Tu non mi parli più, perché sarei dovuta venire a disturbarti?”
Mi guarda arrabbiato e pentito, sa di essere dalla parte del torto.
“Dovevi solo chiedere”.
Appoggio la schiena al cuscino, issandomi con le forze che lentamente riesco a riacquistare.
“Io te l’ho chiesto. Ti ho chiesto che cosa ti fosse preso il giorno della vigilia e tu non mi hai dato spiegazioni”.
“Non intendevo quello. Tu dovevi venire ad avvisarmi, nel momento esatto in cui hai avuto la brillante idea di testare quella fiala”.
“Sei stato tu a dirmi che avrebbe funzionato”.
“Mi sbagliavo”.
“Allora anche tu sbagli”.
Distoglie lo sguardo da me e concentra la sua attenzione al miscuglio nella ciotola.
“Che cosa è successo il giorno della vigilia?”
La sua espressione frustrata mi dice tutto, non ne vuole parlare, non ora, o forse mai.
“Senti, se vuoi restare qua, va bene ma devi stare in silenzio e riposare, altrimenti puoi anche andartene”.
“Mi aiuti ad alzarmi?”
La mia domanda lo coglie alla sprovvista, apre la bocca come per dire qualcosa ma poi la richiude restando in silenzio.
Scuote la testa e si alza dalla poltrona, con un braccio mi circonda la vita e facendo interamente peso su se stesso mi solleva dal letto. Non molla la presa finché non do segno di reggermi da sola sulle gambe.
“Bagno”.
Mi lascia per aprire la porta per poi appoggiarsi con le braccia incrociate sullo stipite.
“Posso restare da sola?”
“No”.
Lo guardo perplessa, sbuffa e socchiude la porta. Sono certa che è in attesa di qualche rumore, ma riesco a compiere tutto il necessario senza aver bisogni di lui.
Solo quando esco dal bagno e guardandomi allo specchio, mi rendo conto di indossare una camicia troppo larga per  essere mia. Mi sento stranamente nuda solo con questo indumento e vago con lo sguardo per la stanza alla ricerca dei miei vestiti. Anche Adrien si rende conto della situazione e imbarazzato distoglie lo sguardo da me, porgendomi velocemente i miei indumenti.
“Non ho avuto tempo per prenderti dei vestiti nuovi, perciò.. quella è mia”.
“Va bene lo stesso”.
Mi richiudo in bagno, cambiandomi e sentendomi molto più a mio agio ora. Vorrei vedere i risultati di ieri sul mio braccio ma non credo che Adrien mi permetterà di togliermi le bende, proprio ora che l’emorragia sembra essersi placata.

Quando esco dal bagno, lo ringrazio per tutto quello che ha fatto ma ovviamente non mi dà ascolto, continuando ostinatamente a prestare attenzione al miscuglio nella ciotola. Prima di chiudere la porta della sua stanza e dirigermi verso il mio dormitorio, sento la sua voce che mi chiama.
“Ci vediamo questa sera, al cenone.”
“Cenone?”
“E’ Capodanno. Questa sera, in Sala Grande, ci saranno i festeggiamenti”.
Faccio un cenno con la testa e pensierosa m’incammino per i dormitori deserti. Ho perso la cognizione del tempo; Adrien non mi ha detto per quanto ho dormito, ma sapendo ora che oggi è l’ultimo dell’anno, devo essere rimasta incosciente per tre giorni.

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 - POV Albus Severus Potter ***


Sono ritornato a Hogwarts per questo? Per avere più domande che risposte e non concludere niente? Sono tornato per stare solo, ecco perché. E adesso che sperimento la totale solitudine qui in Sala Grande non sono più tanto sicuro che sia quello che voglio veramente.
In questo momento i miei genitori staranno facendo qualche incantesimo per creare dei giochi di fuoco nell’aria, mentre James starà a guardare, ritornando più bambino di quello che già è. Magari mamma si augurerà che la piccola Lily si mantenga al caldo e tornerà in cucina a prepararsi una tisana. Non ricorre mai alla magia per piccole cose come questa, e io mi sono sempre messo accanto a lei in quei momenti. Piccoli gesti che danno la sensazione di famiglia, di appartenere a qualcosa, un qualcosa che ti vuole bene. Ora, invece, posso solo guardare accanto a me gli altri studenti che non hanno una famiglia da cui tornare o che come me preferiscono starle lontano. Un anno nuovo è alle porte e mi piacerebbe avere qualcuno con cui condividere questo passaggio.
Come se mi avesse letto nel pensiero, Robert si avvicina a me sorridendo. L’ho visto ridere un sacco di volte agli allenamenti di Quidditch e molte volte anche stasera, quando parlava con altri Serpeverde dell’ultimo anno. Ora il suo sorriso è tutto per me, ed è bellissimo.
Mi riporta alla realtà il ricordo del bacio che ha dato a Beatrix al ballo di Halloween. Non può succedere niente, è fuori dalla mia portata e in ogni caso non sono così idiota da espormi se non ho la certezza di essere ricambiato. So calcolare i rischi.

“Ehi Al, perché tutto solo? Pensavo che rimanessi dai tuoi per le vacanze”
“Ho cambiato idea dopo Natale, sono qui da un paio di giorni. Tu?”
Aspetta qualche secondo prima di rispondermi, come se stesse scegliendo le parole più adatte.
“Non sopporto le riunioni di famiglia, specialmente quando sono presenti tutti e sette i miei fratelli. Un po’ affollato, non so se mi spiego..”
“Ah sì”.

Idiota! Sono un idiota, davvero non mi viene niente di meglio che un misero ah si? Penso freneticamente a cosa dire, non voglio che se ne vada, ma lui mi anticipa.
“Anche qui è un po’ troppo affollato. Perché non torniamo in Sala Comune?”

Eh? Aspetto che mi dica che è tutto uno scherzo, mi aspetto di scoprire che sta parlando con qualcuno dietro di me ma no, sembra sincero. Mi alzo e lo seguo fin nei sotterranei con il cuore che rischia di esplodermi nel petto. Quante volte mi sono immaginato questo momento? In pratica tutte le volte che lo vedo cambiarsi negli spogliatoi. E almeno a me stesso lo posso ammettere: non mi è mai piaciuto nessun altro come mi piace lui.
Resta in silenzio per tutto il tragitto e quando scopriamo che la Sala Comune è vuota mi sembra di leggere sollievo nei suoi occhi. Mi prende la mano e mi conduce verso la mia camera. Fa bene, in questo momento penso di aver scordato persino il mio nome, sicuramente anche raggiungere camera mia richiederebbe più neuroni di quelli che ho a disposizione in questo momento. Se prima mi fossi sforzato di dire qualcosa magari sarei anche riuscito a pronunciare qualche sillaba, adesso no. Il mio cervello ha dato forfait nel momento in cui mi ha toccato. Non posso credere che stia succedendo davvero. E probabilmente è così, adesso semplicemente m’illustrerà qualche schema di Quidditch per la prossima partita o qualcosa di simile. Entrati in camera chiude la porta.
Devono essere schemi di gioco davvero molto segreti.

“Al.. Perché quella faccia? Non dirmi che hai paura di me”
Vorrei dirgli che no, non ho paura di lui, ho paura di me stesso, ho il terrore di lasciarmi andare e scoprire che è stato tutto un malinteso, ho paura di avere frainteso. A conti fatti non sono così sicuro di saper calcolare i rischi.
“Robert, io..”
Già eravamo vicini, adesso che ho detto il suo nome lo siamo molto di più. Mi spinge ad indietreggiare finché non mi ritrovo con la schiena contro il muro. Appoggia un dito sulle mie labbra, e mi zittisco all’istante.
“Siamo sinceri, non ti ho certo portato qui per parlare”

Mi bacia. Non riesco a ricambiare, non riesco a pensare a niente. Robert mi sta baciando. Io gli piaccio, IO gli piaccio, LUI mi sta baciando.
Continua a baciarmi mentre appoggia le mani sui miei fianchi e a quel punto ricambio i suoi baci. Perché sono stufo di fare il bravo bambino, perché lui mi piace, perché non so più nemmeno cosa significhi “calcolare i rischi”. E poi è stato lui a fare il primo passo, se si è esposto così perché non posso fare altrettanto? Non ho mai baciato. Lui sì. È evidente, ha molta più esperienza.
Lo lascio fare, lascio che mi allenti la cravatta e mi sbottoni il colletto della camicia, lascio che una sua mano vada , a infrangere la mia intimità. Non posso nascondergli di volerlo, non adesso che sta sondando quel punto. Sento le sue dita anche attraverso la stoffa dei pantaloni e mi sfugge un gemito. Tutto questo è stupendamente irreale. Talmente irreale che dopo un altro bacio mi prende per la cravatta e mi getta a terra. Un attimo dopo è sopra di me, con un ginocchio sul mio petto. Faccio fatica a respirare. Riesce a immobilizzarmi i polsi sopra la testa con una facilità disarmante. Non capisco a che gioco stia giocando finché non vedo il sorriso sul suo volto. E capisco di esser stato preso in giro fin dall’inizio.

“Abbiamo scommesso, sai? Non ci credevo, avevo detto agli altri che ci avrei provato con te solo per dimostrargli che non sei il frocio che si dice in giro. E invece”.
Basterebbero le sue parole per farmi star male, ma evidentemente a lui non basta.
Continua a premere con il ginocchio, respirare diventa sempre più difficile, specialmente adesso che sto anche lottando per non scoppiare a piangere.
“T-ti prego. Io non-non..”
“Cosa? Tu non cosa? Credevi davvero che io fossi come te? Sei patetico”.
Finisce così come è iniziato, all’improvviso. Si scosta da me come se si fosse scottato, come se fossi portatore di qualche malattia altamente contagiosa.
Fissando il soffitto lo sento uscire, sbattere la porta e ridere con tutta la cattiveria di cui è capace.
Rimasto solo, piango.
 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 - POV Albus Severus Potter ***


“Sei patetico.” Spalanco gli occhi mentre la Sua voce rimbomba nelle mie orecchie. Quella stessa voce che mi ha perseguitato per tutta la notte, tormentandomi in un sonno travagliato. Ora sono sveglio e non posso fare a meno di ripensarci, ancora e ancora. Sorrido, disgustato da me stesso, mentre una lacrima sopraggiunge a rigarmi il volto; infondo ha ragione, sono patetico.

Scosso da un’impazienza che non riconosco, mi alzo da letto, mentre il corpo, pervaso dalla rabbia che sento crescere in petto, richiede attenzioni, necessita una valvola di sfogo adeguata. So di non poter andare da Robert, so di non poter nemmeno entrare in Sala Grande, senza ricevere gli sguardi di chiunque, la voce si sarà sparsa velocemente; per mia sfortuna però, non posso neanche lasciare la scuola. Stringo i pugni e distendo il collo, un’idea allettante si palesa davanti agli occhi: se non posso andarmene io, sarà il mondo esterno a venire da me.

Non perdo tempo a cambiarmi, esco dalla stanza incurante dei vestiti che indosso, nessuna farà caso alla divisa stropicciata, nessuno farà caso a me, nessuno mi noterà. Non ricordo molto di ieri sera, dopo che Robert s’è né andato, devo essermi semplicemente tolto la cravatta ed essermi rannicchiato sotto le coperte, colto da un pianto senza fine, finendo per addormentarmi. L’ennesimo sorriso disgustato si affaccia nella mia mente; ha ragione, sono patetico. Cerco di ignorare la tristezza che questa conferma mi provoca, devo arrabbiarmi, devo esserlo se voglio agire di conseguenza. Stanza delle Necessità. Il mio diversivo si trova lì.

Cammino impaziente avanti e indietro l’ingresso; pensando intensamente a un luogo adatto dove provare l’incantesimo del Principe, sento crescere la rabbia dentro di me, non pensavo fosse una richiesta così difficile, eppure sembra che questa maledettissima stanza non sia capace di esaudire la mia richiesta. Perché non appare nessuna porta? “Perché sei patetico.” Cammino più velocemente, penso più intensamente. Nulla, non accade nulla. Minuti sufficienti per farmi arrendere davanti all’evidenza: non sono degno di entrare. Faccio per andarmene quando finalmente la stanza inizia a comparire. Mi guardo nervosamente attorno, accertandomi ancora una volta di essere completamente solo, ed entro.

Quello che mi si palesa davanti, non era esattamente quello che mi aspettavo, non è per niente ciò di cui ho bisogno. Un soffitto troppo alto mi opprime contro il pavimento, ricordandomi quanto io sia solo un piccolo essere racchiuso tra queste immense mura; due file di colonne a sorreggerlo creano un corridoio al centro della sala. Colonne di marmo, fredde al tatto. Mi perdo a contarle, una parte di me spera m’indichino il motivo per cui mi trovo qui, a vagare per una sala troppo grande, troppo buia, troppo regale.

Sfioro l’ultima colonna con le dita. Solo ora mi rendo conto di aver percorso l’intera sala trattenendo il respiro. Attorno a me nulla sembra in disordine, giacché non vi è nulla in questo posto. Sto per urlare dalla frustrazione quando un fruscio alle mie spalle m fa voltare di scatto. Appeso alla parete c’è un quadro o perlomeno la cornice che deve aver contenuto un quadro, tempo fa.

Mi avvicino lentamente, nella vana speranza che qualcosa o qualcuno si manifesti alla mia vista ma l’interno della cornice resta immobile, vuoto, solo il duro marmo a riempirlo.

Estraggo la bacchetta dalla camicia, un fremito mi percorre la schiena, raggiungendo l’impugnatura della bacchetta. Agisco in fretta, quasi sentissi un richiamo provenire dalla cornice.
“Sostratu Glossa”.
Una luce improvvisa scaturisce dalla bacchetta e senza rendermene conto, vengo spinto lontano, per atterrare ai piedi della colonna. Il rumore del mio respiro affannato riecheggia nella sala ma oltre a quello, niente più. Nessun segno dalla cornice, né un’incrinatura, né spostamento. Che sia protetta da un incantesimo oscuro? Ma cosa ne voglio sapere io, sono venuto qua per cercare delle risposte e non per farmi sorgere ancora più dubbi. Questa stanza si prende gioco di me. Percorro qualche passo verso il centro, le braccia all’aria e la testa china all’indietro.
“Che cosa c’è, non sono abbastanza per te? Non mi puoi aiutare perché non sono Harry stramaledetto Potter? Dannatissima, inutile, stupida stanza!”
Quasi mi storco la caviglia mentre prendo a calci una colonna, in un vano tentativo di infliggergli dolore. Come se potesse..
Patetico”
“IO NON SONO PATETICO”

Urlo con tutto il fiato che ho in corpo. Il dolore per quella parola mi esplode nel petto, scintille fuoriescono dalla mia bacchetta.
Non sono qui per parlare con un misero ragazzino incapace di controllarsi.”
Mi blocco all’improvviso, quelle parole le ho sentite, non sono nella mia testa. Raggiungo titubante la cornice, ora il proprietario del quadro è in bella vista davanti a me. “Chi.. Chi sei?”
Boccheggio. Sono..
“Patetico, hai perfettamente ragione. Le tue conoscenze sono così limitate che non sei neanche capace di riconoscere il fondatore di questa scuola? Non meriti di stare qui.”
“Io.. io.. Tu sei Salazar Serpeverde?”
“è una domanda sciocca a cui non ho intenzione di rispondere. Mi stai solo facendo perdere tempo.”
“Aspetta!”

Penso velocemente a una domanda che possa trattenerlo ma la sua sola presenza mi lascia sconcertato, non riesco a concentrarmi.
Perchè sei qui?”
“Sei stato tu a evocarmi, si suppone che già tu sappia il perché.”
“Io non lo so.”
“Non constatare l’ovvio. A cosa mi potresti servire tu, patetico ragazzino.”
“Non sono patetico!”
“Portami l’erede o non tornare affatto.”
“Erede?”
“Il mio degno discendente. E ora Vattene!”
“No, aspetta. Io ti ho evocato ed io voglio delle risposte!”
“Come osi! Come puoi pretendere delle risposte, tu che non sei nessuno al mio cospetto!”
“Sei un quadro..”
“NON.. Rivolgerti a me in quel modo. Potrai anche essere un serpeverde, ma niente di questo ti rende degno di appartenere alla mia nobile casa.”

Queste le sue ultime parole prima di andarsene, veloce com’è arrivato, lascia il posto alla cornice vuota, mentre nella mia testa si susseguono una serie di domande a cui difficilmente troverò risposta. Esiste un erede di serpeverde ancora in vita? Si trova qua a Hogwarts? Perché nessuno lo sa, perché nessuno ne ha mai parlato? Cosa potrebbe fare, quali sono i suoi poteri..
“VOGLIO DELLE RISPOSTE!”
Sbatto i pugni contro il muro, Salazar però non dà alcun segno di voler tornare.
“Non sono degno.”
IO l’ho evocato, IO su tutti sono riuscito dove altri hanno fallito e per cosa? Ricevere un ordine in cambio? No, non mi piegherò all’ennesima volontà altrui. Troverò l’erede e sarà lui a sottostare alle mie regole!

“Infame mostriciattolo!”
Mi volto di scatto, la bacchetta puntata nella direzione della voce. Adrien Piton a pochi passi da me, mi osserva disgustato.
“Ho sempre sostenuto che ci fosse del marcio nella famiglia Potter. Ora ne ho avuto conferma.”
“Vattene!”
Non ricevo riposta, né altre frecciatine, non si muove affatto in realtà. Piton resta immobile alcuni secondi prima di indietreggiare. Ora chi è che ha paura? Lo osservo mentre scuote la testa, gli occhi spalancati puntati su di me.
“Ti aggrappi a tutto pur di non restare nell’ombra ma ora Potter, sei diventato realmente un patetico mostro.”
Le parole rimbombano per l’intera sala prima che la porta d’ingresso venga chiusa con un sonoro tonfo. Qualcosa mi dice che Piton ha visto troppo e forse, nel profondo, sono certo che gli dia anche fastidio, in fondo quale serpe non vorrebbe trovarsi faccia a faccia con il grande Salazar Serpeverde. “E poi sarei io il patetico.”

Lancio un’ultima occhiata alla cornice alle mie spalle, nulla è cambiato, Salazar non è ricomparso. Nascondo la bacchetta ed esco dalla stanza; nemmeno il tempo di voltarmi che le porte sono già scomparse alla vista.


*


La mia stanza è buia, fuori la luna risplende placida, le stelle brillano senza timore ma qualcosa mi tiene sveglio. Lo stupore per ciò che è successo oggi non mi abbandona, non mi sento stanco, non una briciola del mio corpo ha bisogno di riposo. Sento di poter fare tutto.
Mi aggiro per il castello incurante che qualcuno possa vedermi; mi soffermo troppo a lungo su ogni quadro nella speranza di rivedere, anche solo per un istante, il volto di Salazar.
Raggiungo la guferia senza accorgermene e prima di tornare sui miei passi, decido di scrivere una lettera a mio padre. È importante che pensi che stia andando tutto bene, niente deve fargli credere che a scuola ci siano dei problemi.

Finisco in fretta, poche frasi, come al solito, sono più che sufficienti. Mi avvicino a Dobby e per poco non ricevo una beccata, quasi non mi riconoscesse. “Patetico.” rido tra me e me per poi abbandonare la guferia e tornare nella mia stanza. Ci penserò domani.



 

Buonsalve!
Io e nextplayer chiediamo perdono per il ritardo con cui pubblichiamo questo capitolo ma abbiamo avuto un sacco di impegni. Ora siam qua e non vi libererete di noi molto facilmente.

Riprendiamo la storia esattamente da dove l'abbiamo lasciata nel capitolo precedente. Albus è appena stato maltrattato da Robert e deve riabilitarsi, pensare ad altro, sfogarsi in qualche modo. Il problema Principe è una costante e ovviamente quale modo migliore per evadere se non rifugiarsi nella stanza delle necessità?
Cosa accade quindi? Nuovo dilemma, c'è un erede. Fateci sapere cosa ne pensate, chi credete che sia e qualsiasi congettura o opinione è sempre ben accetta.

Speando non abbiate perso interesse, ma vogliate ancora dirci la vostra
ci sentiamo al prossimo capitolo e Grazie per la lettura!

ThestralDawn e nextplayer

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 - POV Adrien Piton ***


Quel lurido inetto è tornato al castello per Capodanno e non so che cosa potrebbe esserci di peggio. Tra i miei genitori che non mi lasciano in pace, Clara che compie azioni avventate e Potter che decide di mettere in atto incantesimi di magia oscura, non so se la mia vita avrà un attimo di tregua.
Credo di aver sistemato il problema dei miei ancor prima che si ponesse, nessuno dei due voleva veramente riavermi a casa, perciò ho semplificato la questione limitando i danni e rimanendo qua.
La faccenda di Potter è complessa invece, quel disagio umano si è messo a parlare serpentese e il problema è più grande di quello che si possa pensare. Non so come ci sia riuscito, ma sono più che sicuro che non l’ha sempre saputo fare. Un precisino come lui non si permetterebbe mai di trasgredire le regole fino a questo punto, deve aver scoperto qualcosa, qualcosa di cui non solo lui è a conoscenza. Potrebbe persino aver trovato o letto delle formule nel libro del Principe e averle applicate senza curarsi delle conseguenze. Per il momento sarà meglio tenere mio padre all'oscuro dell’accaduto nella Stanza delle Necessità, sarà lui stesso ad accorgersi di quello che è successo, a lui non sfugge nulla.
Sorrido tra me e me, l’idea di vedere finalmente punito Potter mi rallegra, non tutto il male viene per nuocere.

“A cosa stai pensando?”
Clara interrompe i miei pensieri. Sono seduto in Sala Grande, attendendo il suo arrivo. Si siede accanto a me, sorridendomi incuriosita; meglio non informarla di ciò che ho visto, non è il momento giusto, ha sicuramente altro a cui pensare anziché stare dietro alle mie congetture. Ha acquistato colorito da questa mattina, la vedo più serena nonostante quello che ha passato dovrebbe farla tenere segregata a letto per altro tempo. Dal mio canto, non mi sono imposto con lei e ora le sto accanto, rilassato dalla sua presenza al mio fianco. Vederla distesa a terra, riversa in uno stato pietoso, non ha fatto che acuire quel che provo per lei. Non so cosa sia ma sono sicuro di non volerla più vedere in quelle condizioni.
"Come ti senti?”
“Non hai risposto alla mia domanda!”
Mi guarda corrucciata e penso che niente valga più della sua espressione ora. Divertita, vorrei poterla vedere sempre così.
“Sto bene, grazie a te.”
È tranquilla, sembra una ragazza normale in questo istante, senza un passato oscuro alle spalle, con una vita spensierata e priva di dolori.
“Mi hai chiamato. Il tuo medaglione mi ha portato da te.”
Intuisco immediatamente dalla sua espressione che non ha idea a che cosa io mi riferisca.
“Me l’hai regalato per quello.. non è vero?”
“No. Voglio dire.. Io.. Non sapevo avesse qualche potere magico”.
Ora sono io a essere perplesso. Tiro fuori il medaglione dalla tasca della giacca e lo osservo.
“Stavo andando in biblioteca quando, senza che io facessi nulla, ha incominciato a vibrare, per poi indicarmi la strada verso i bagni. Sembrava come posseduto da un’aura potentissima. Senza quest’ oggettino, non sarei mai arrivato in tempo per salvarti”.
La osservo mentre ascolta il mio discorso senza fare una piega, senza nemmeno interrompermi. Fissa il medaglione che mi ha regalato e lentamente estrae una collanina nascosta sotto la maglia. Attaccato al ciondolo c’è un medaglione.. La parte mancante del mio! Mentre Clara resta in silenzio, assorta in chissà quali pensieri, lo prendo tra le mani e riunisco le due parti. Estraggo la bacchetta per sigillarle e renderlo unico ma una mano di Clara anticipa la mia mossa. Sorridendomi, mi fa cenno di non procedere con l’incantesimo.
“Non farlo. Questa parte è tua, te l’ho donata io. Se quello che dici è vero, se veramente il medaglione ti ha portato da me, non credi sia meglio tenerli separati? Se mai ci troveremo in difficoltà, non importa quello che accadrà, saremo in grado di ritrovarci”.
Mi tengo la mia parte ementre gli restituisco la sua sento di avere qualcosa di prezioso tra le mani, sento di essermi assunto un peso enorme, la vita di Clara, la sua salute ora dipende anche da me.
“Come l’hai avuto?”
Clara continua a guardare intensamente la sua metà, non mi sembra ancora convinta di quello che le ho detto.
“Il mio tutore, quando ero piccola. Avevo appena compiuto nove anni e lui mi disse che questo oggetto era prezioso, che apparteneva ai miei genitori e che non avrei mai dovuto separarmene”.
Sembra dispiaciuta, si guarda le mani, non riesco a capire cosa le stia passando per la testa ma temo che non sia nulla di positivo. È alla ricerca di un passato che difficilmente riaffiorerà alla sua mente.
“Ti ho regalato questo medaglione perché apparteneva alla mia famiglia e tu sei.. quello che più si avvicina a una famiglia per me”.
I suoi occhi mi scrutano speranzosi ma mi coglie totalmente impreparato, non so cosa dire. Io una famiglia l’ho già e preferirei non farne parte, perché ora dovrei appartenere a un’altra?
“..Grazie?”
Si mette a ridere e due lacrime le rigano il volto, andando in contrasto con degli splendidi occhi sorridenti.

Nessuno fa caso a noi, nessuno nota gli sguardi che le lancio, cercando di non farmi notare e non riuscendoci scoppiamo entrambi a ridere. Non dubito che visti da fuori potremmo sembrare davvero strani ma al momento, la cosa non potrebbe interessarmi di meno.
La Sala Grande è gremita di studenti, il cenone di fine anno dura poco, la musica è alta ma nessuno sembra intenzionato a ballare, quasi fossero tutti desiderosi di vedere lo spettacolo di fuochi nel parco del Castello per poi rifugiarsi nelle proprie sale comune per continuare la festa.

La mezzanotte non si fa attendere a lungo e come se qualcuno l’avesse chiamata, i rimbombi dell’orologio risuonano nel parco. Siamo tutti con il naso all’insù nell’attesa che qualcuno dia il via allo spettacolo. Ci sono dei brindisi, ragazzi che bevono, ragazzi che si stringono le mani, si abbracciano e in tutta quella confusione, perdo di vista Clara. Vago con lo sguardo tra la gente ma della sua chioma mora nemmeno l’ombra; mi sposto alla sua ricerca, spintona qualcuno e la chiamo a gran voce ma in mezzo a quella bolgia festosa la mia voce si confonde.
Pochi secondi senza trovarla e sono già incazzato nero, mi dovrà seriamente spiegare perché è sparita nel nulla così all’improvviso; decido di non cercarla più e mi dirigo a pugni stretti verso l’ingresso. Dannazione! Non sopporto le persone che svaniscono nel nulla, si perdono, non mi piace fingere di aver dimenticato, specialmente quelle cose che mi cambiano, quelle persone che ti entrano dentro.
Assorto nei miei pensieri nemmeno mi accorgo di scontrarmi prepotentemente contro una persona ma non ho neanche il tempo di insultarla che le sue braccia mi si aggrappano al collo e mi abbracciano. “Buon anno, Adrien!” Rimango immobile, ancora con pensieri fastidiosi per la testa. Mi stacco da Clara e le lancio uno sguardo infastidito.
“Dove diamine eri finita?”
“Il braccio mi faceva male, quindi sono andata a controllare che fosse tutto a posto”.
Mi sento un’idiota, completo imbecille. Perché quando mi arrabbio penso sempre al peggio e ora l’unica cosa che vorrei fare è prendere a calci la mia intera vita. “Andiamo a prendere da bere. In Sala Grande stanno tutti festeggiando”.
Ancora rattristata per la mia reazione, mi prende la mano ed io, semplicemente, mi lascio trasportare dovunque lei voglia, se in questo momento mi chiedesse di gettarmi dalla torre di Astronomia, penso che non mi opporrei più di tanto.

*

Non so di preciso quanto alcool io abbia in corpo, l’unica cosa che so è che non voglio che questa serata si concluda tanto presto. Non c’è nessuno che ci disturba e questo ci lascia spaziare da argomenti assurdi come i nargilli a quelli più impegnati, come il perché mio padre e mia madre hanno litigato per le vacanze. Non trovo una singola ragione per cui dovrei chiudermi nel mio dormitorio, nonostante siano le tre passate e di studenti in Sala Grande ne sono rimasti davvero pochi.
Noto con dispiacere che quel ammasso di muscoli di Conrad è ancora in piedi, per quanto l’alcool che ha in corpo glielo permetta e con due bottiglie di whiskey incendiario tra le mani. È da più di un’ora che ci osserva, persino Clara l’ha notato, anche se fa finta di non dimostrarlo. Quando per mia sfortuna decide di strisciare nella nostra direzione, prima che io possa estrarre la bacchetta, una ragazzina di Tassorosso gli blocca la strada, sussurrandogli qualcosa all’orecchio. Lancia una breve occhiata a Clara per poi concentrare la sua attenzione sulla Tassorosso, prenderla in spalla e allontanarsi cantando frasi sconnesse da ubriaco.
“Credi che non sappia difendermi? Mi sembra di averti battuto più di una volta a duello”.
Non le do ascolto, non le devo alcuna spiegazione.
“Conrad è un pallone gonfiato, per di più ubriaco. Non sarebbe riuscito nemmeno ad avvicinarsi”.
Sbadiglia, si alza e riempie i calici di entrambi.
“Alla tua cavalleria”.
Un gruppo di ragazzi non lontano da noi, gridano e fischiano al nostro brindisi, senza un reale interesse, con l’unico scopo di festeggiare e brindare.
“Al tuo renderti ridicola”.
Mi guarda arrabbiata ma come se non bastasse, insiste nel riempire i bicchieri e continuare a brindare.
“Alle tue sconfitte nella stanza delle necessità”.
“Al tuo ingigantire le cose”.
“Al tuo essere serpeverde”.
“Ma questo è un complimento!”
Credo di aver urlato, devo essere alticcio, non controllo più la mia testa. Clara scoppia a ridere e senza rendercene conto finiamo per bagnare con le bottiglie di champagne che teniamo in mano due ragazze Corvonero, prefetti, venute ad avvisarci che dovevamo dirigerci immediatamente nei nostri dormitori, il coprifuoco era passato da diverso tempo. Le due ci gridano contro, sfoderano le bacchette ma io sono troppo incosciente per ricordarmi dove ho messo la mia, figuriamoci instaurare un duello.
Prima che possa obiettare, Clara mi prende la mano e mi trascina correndo fuori dalla sala, lasciando dietro di noi i due prefetti arrabbiati. Preso dalla foga, senza capire bene dove stiamo andando, aumento il passo e quella che all’inizio era una semplice spintonata, si trasforma in una corsa. Vedo in lontananza l’ingresso dei dormitori ma prima di poterli raggiungere, vengo tirato per la manica del vestito. Mi ritrovo dietro una colonna, in un angolo buio, dove se anche fossimo in pieno giorno, la luce non mi sfiorerebbe.

Senza averlo atteso, senza averci pensato e senza che io mi renda conto della situazione, Clara mi bacia.
Non lo so quanto tempo passi, non so nemmeno se questo sia un sogno ad occhi aperti o uno scherzo provocato dall’alcool, l’unica cosa che mi sento di fare al momento è avvicinarmi a lei, assaporando quelle labbra al sapore di whiskey. Si stacca da me dopo poco ma sono io il primo ad aprire gli occhi, mentre lei resta difronte a me con gli occhi serrati, il viso piegato di lato. Quando lentamente li apre, un sorriso increspa le sue labbra, sembra stanca e assonnata ma non posso lasciarla andare, non ora. Siamo ancora dannatamente vicini, sento il suo profumo, vedo i suoi occhi appannati dalla stanchezza, le sue labbra gonfie per il bacio. Labbra molto invitanti. Non riesco a parlare, deglutisco e chiudo gli occhi.
“è colpa dell’alcool?”
Non sento nulla, solo silenzio. Apro gli occhi, lei ancora difronte a me; mi osserva, sono più alto di lei ma non sembra preoccuparsene. Mi guarda bene, con cura, andando alla ricerca di ogni difetto. Continuando a sorridere, appoggia la fronte sulla mia spalla e una mano sul mio petto; la cingo in vita e nonostante non ci sia musica, ci muoviamo lentamente, piccoli passi, è tutto quello che ci possiamo permettere al momento. Alza il capo e mi porge un bacio sulla guancia.
“Buonanotte Adrien”.
La osservo rapito allontanarsi, mentre l’angolo in cui mi lascia si fa sempre più buio, fino a restare solo, solo con i miei pensieri che mi scorrono forsennati in testa.

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 - POV Severus Piton ***


Gli studenti si accalcano all’ingresso del castello, non hanno un’espressione gaia sui loro volti, molti di loro avrebbero preferito rimanere a casa ancora per un po’ di tempo.
Provo la medesima sensazione, ritornare a Londra, restare a casa mia, insieme ad Hermione, passare del tempo con lei ed Eileen è stato stranamente rilassante. La faccenda Adrien non è stata toccata ma sono sicuro che mia moglie non abbia smesso di pensarci nemmeno per un secondo. L’ho notato dai suoi sguardi, dal suo restare immobile a fissare qualsiasi oggetto le potesse ricordare lui. Sono arrivato qua solo pochi minuti e non ho avuto il tempo di vederlo, non che l’idea mi attiri particolarmente. Non ho intenzione di cercarlo, anche se si è comportato male con la madre, non sarò di certo io il primo a farsi avanti.

Guardo gli studenti entrare nel castello e dirigersi verso i rispettivi dormitori; non appena mi vedono, tacciono, ritornando ad assumere un’espressione imbronciata. Alcuni studenti degli ultimi anni mi salutano cordialmente mentre le matricole accelerano il passo o prendono la strada più lunga, aggirandomi come fossi un untore di peste.

Attendo finché non vedo entrare Eileen; mi sorride e prosegue con alcune compagne verso le stanze Corvonero.
Come lei, decido di andarmene anch’io, seguendo il flusso degli studenti. Noto i professori che consegnano i nuovi programmi ai ragazzi, per mia fortuna nessuno mi chiama, nessun docente richiede di parlare con me. È già deprimente ricominciare a star dietro  a questi bamboccioni, dover mettersi a discutere di qualche noiosa pratica burocratica con dei professori frustrati sarebbe il culmine ed io non ne sento il bisogno al momento, o forse non lo sentirò mai.

Mi dirigo verso il mio studio, devo assolutamente essere informato degli avvenimenti che sono accaduti mentre ero via; posso già immaginare l’espressione di fermento di Silente, desideroso di raccontarmi le assurdità che ha scoperto. Sbuffo e scaccio questo pensiero, anche quando era in vita si dilettava nello spettegolare sull’intero castello.

“Piton!”
Serro gli occhi e prendo un lungo respiro, non si può sperare più in nulla di questi tempi. Mi volto lentamente, trovandomi così a pochi passi da Berger, quel fastidioso di Berger che evidentemente sta passando la mattina a fare nulla. Ha qualcosa di differente, il suo aspetto non sembra mai stato così pessimo, la sua voce è atona, sembra quasi arrabbiato. Devo ricordarmi di fare una selezione più serrata per l’assegnazione della carica di professore: se mai qualcuno del Ministero dovesse vedere gli individui cui ho assegnato il compito di insegnare qualcosa, mi ritroverei fuori dal castello in poco tempo.
“Berger. Se sei venuto a lamentarti della Guant, sappi che non m’interessa”.
Non mostra segni di stupore o fastidio, sembra tuttalpiù indifferente.
“No, ti stavo cercando perché devo farti una proposta”.
“Tu che mi proponi qualcosa? Non sei nella posizione di poterlo fare”.
“Ho già parlato con gli altri professori e sono tutti d’accordo con me”.
Ma chi si crede di essere?
“Berger. Credi che m’importi qualcosa di te o pensi davvero di essere anche solo minimamente superiore a me? Credi che io non sappia già a che cosa ti stai riferendo?” Di nuovo, non sembra preoccuparsi delle mie risposte, c’è interesse nella sua espressione e un velo di speranza.
“Rayland mi ha informato durante le vacanze. Hai proposto di istituire un duello, per permettere agli studenti di esercitarsi in un combattimento corpo a corpo”.
Gli occhi spalancati e il sorriso a denti stretti mi dimostrano di aver colto nel segno. È estasiato.
“Sono sicuro che non te ne pentirai”.
“Non credo di aver capito. Quando, in questo futile scambio di parole tra noi, ho detto di essere d’accordo?”
“Perché dovresti rifiutare?”
Purtroppo non posso dargli torto, ho sempre incoraggiato questi modi di imparare, attraverso la pratica più cruda ma non lo ammetterò di certo davanti a lui.
“Parliamone nel tuo studio, riusciremo a trovare sicuramente..”
“Ci penserò. Fattelo bastare”.
Prima che posa cominciare uno sproloquio su quanto sia giusto permettere agli studenti di esercitarsi, gli do le spalle e me ne vado. Non ho intenzione di cominciare l’anno insultando un professore, per quanto potrebbe essere decisamente liberatorio.


“Ragguagliami Albus. Esponimi i fatti, dimmi tutto quello che è accaduto in mia assenza e bada di tenere per te le inutili scorribande del Barone Sanguinario, ne ho fin sopra la testa delle sue intrusioni nei dormitori femminili”.
Raggiungo la mia poltrona dietro la scrivania, mi siedo e controllo le lettere giunte durante la mia assenza; Ministero, genitori babbani, richieste di partecipare a noiosi convegni, di nuovo Ministero.. persino i racconti di Silente riescono a interessarmi di più.
Mi fermo a osservare queste scartoffie, c’è qualcosa di strano. Troppo silenzio. Silente non ha ancora aperto bocca.
Alzo la testa di scatto e il mio sguardo finisce immediatamente al suo dipinto: Silente non parla perché non c’è. Vado verso la parete dei ritratti, manca solo Albus e non sono sicuro del perché. Raramente si allontana dalla sua cornice quando sa che desidero essere informato di ciò che è successo. Riflettendo, Albus non lascia mai la sua cornice. Lo chiamo invano, attirando l’attenzione degli altri presidi.
“Dov’è?”
Phineas Nigellus scuote la testa.
“Pochi giorni fa, una luce bianca intensa è fuoriuscita dal suo quadro. Quando gli abbiamo chiesto spiegazioni, lui non c’era più”.
Sono perplesso come poche volte accade.
“è successo qualcosa nel castello, non è vero?”
Il vecchio preside Serpeverde mi guarda preoccupato, mentre tra gli altri aleggia un silenzio carico di inquietudine.
“Qualcuno mi dica che cosa è successo!”
Dippet sembra scuotersi ma quando si rivolge a me, non sembra convinto delle sue stesse parole.
“Preside, lei sa che cosa comporta la mancanza di uno di noi vero?”
Mi guardo frettolosamente attorno, non voglio ascoltarlo, non voglio nemmeno pensare a quella possibilità.
“In pochi sono a conoscenza dell’incantesimo per evocare un nuovo quadro”.
“SILENZIO! Non voglio sentire una singola parola uscire dalla vostra bocca finché uno di voi non mi porterà delle notizie su quello che è accaduto. Cercate ovunque, se c’è davvero un nuovo membro in questo castello, io esigo sapere chi è!”

Cammino per lo studio, rifletto su ogni possibile causa. I proprietari dei quadri vanno e vengono ma mai si è aggiunto qualcuno di nuovo. L’assenza di Silente è grave e perché questa cosa sia possibile, dev’essere stato riportato in “vita” una figura non così comune.
Sbuffo e mi passo una mano sul viso; guardo tra la mia biblioteca personale e mi passa rapido per la mente un incantesimo che mai avrei voluto utilizzare e che avevo creato per puro sfogo, quando ero ancora perseguitato dai malandrini e la mia strada, in questa vita, non mi era chiara. La mia memoria m’inganna, non rammento di aver scritto la formula sul mio libro di pozioni, ricordo vagamente un pallido tentativo di imitazione di un incantesimo già esistente e fin troppo complesso per un ragazzino di tredici anni.
“Winky!”
“Il padrone ha chiamato?”
“Scrivi una lettera e indirizzala a Harry Potter. Digli di farsi trovare domani mattina nel mio studio. Digli che riguarda suo figlio. Vai!”
Con un sonoro pop l’elfa lascia il mio studio, mentre io resto a fissare la cornice scarna del vecchio petulante preside che s’intrometteva sempre nelle mie faccende.

“Specialis Revelio”. Sferzo l’area intorno al quadro e ciò che ottengo in cambio mi lascia basito. La bacchetta vibra nella mia mano mentre vengo sobbalzato di qualche passo indietro. Il risultato dell’incantesimo è evidente, il nuovo proprietario della cornice non ha intenzione di mostrarsi, né permettere che s’identifichi la sua natura.
Stringo forte la bacchetta tra le mani. Siamo nella Mia scuola e non permetto a nessuno di beffarsi di me, per di più qualcuno o qualcosa che non conosco, che è entrato senza chiedere il permesso.
Non posso essere certo d'incolpare Albus Potter finché non l’avrò interrogato però i sospetti su di lui sono stati immediati, è l’unico studente con in mano quell’incantesimo, l’unica persona nell’intero castello così incosciente da tentare una simile impresa.

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 - POV Clara Guant ***


Le lezioni sono iniziate troppo presto, l’idea di poter rimanere ancora qualche giorno senza fare nulla è forte, peccato ora il castello sia gremito di studenti e il caos regna sovrano. Sono tutti eccitati, intenti nel raccontarsi come hanno passato le feste, i regali che hanno ricevuto, le persone incontrate e conosciute. Persino il primo giorno di lezione nessuno è davvero giù di umore, solo noi pochi ragazzi rimasti al castello durante il periodo invernale.

Cammino per i corridoi e nonostante mi sia svegliata presto, scorgo già diversi ragazzini dei primi anni in piedi, vestiti bene nelle loro divise pulite e profumate, freschi per incominciare il secondo semestre.

Un discreto numero di persone sono raggruppate davanti alla bacheca, all’entrata della Sala Grande. Alcuni hanno un’espressione estasiata, altri, i più piccoli, sbuffano, si arrabbiano, sento persino qualche imprecazione.
Cerco di farmi spazio tra la gente che si accalca, ma decido di lasciar perdere quando mi rendo conto di non riuscire a spostare nessuno.
“Interessante, non è vero? Io l’ho saputo ieri”.
Mi volto verso Zafira, non la vedo dall’inizio delle vacanze; ho ricevuto un suo regalo per Natale e ammetto di essere rimasta palesemente stupita dal gesto. L’anello di Salazar. Un’imitazione certo, una perfetta imitazione del cimelio più importante della nostra casata.
“Grazie del regalo!”
Le avevo già inviato una lettera di ringraziamento ma adesso che si trova davanti a me, non posso fare a meno di ringraziarla nuovamente. È stato uno di quei gesti che difficilmente mi sono capitati nel corso della mia adolescenza.
“Non devi ringraziarmi. Spero ti faccia sentire.. a casa”.
Noto una certa titubanza nelle sue parole ma non ho il tempo di investigare perché l’attenzione di entrambe viene catturata da due ragazzi che stanno per azzuffarsi. Una lista, a quanto cerco di capire, dev’essere il problema.
“Il Preside ha indetto un duello tra case, il prossimo mese. Possono parteciparvi solo gli studenti che frequentano gli ultimi quattro anni, ma evidentemente qualcuno vuole barare”.
Lasciamo la disputa dei due alle spalle, sembra aver contagiato altri ragazzi ed io non ho intenzione di farmi coinvolgere da un branco di pomposi Grifondoro.

“Hai intenzione di partecipare?”
“Al duello? No, non m’interessa e inoltre ho i Mago quest’anno, non voglio perdere tempo con futili dimostrazioni”.
Sorrido, non sembra essere della stessa opinione quando durante le partite di Quidditch deve dimostrare la sua superiorità contro un’altra squadra.
“Tu, piuttosto, vuoi provarci?”
“Provare a fare cosa?”
Non mi accorgo di aver raggiunto la tavolata serpeverde finché una voce familiare non mi riporta al presente. Mi volto verso Ezra che sta mangiando una fetta di toast abbrustolito; vago velocemente con lo sguardo su ogni studente intento a fare colazione ma di Lui nemmeno l’ombra.
“Cercavi me?”
Adrien mi sorprende da dietro, stringendomi in vita. Un gesto che dura un istante, lo so che non vuole farsi notare, non si vuole mettere in mostra eppure dura toppo poco, il mio stesso corpo sente bisogno di un altro contatto.

Ci sediamo per fare colazione, non sembra aver dormito molto durante la notte, immagino che rivedere il padre non debba piacergli molto, da come mi ha raccontato, non si sono lasciati bene.
“Allora Clara, spiegami perché muoio dalla voglia di sapere. Cosa dovresti provare a fare?”
Ezra interrompe i miei pensieri e distoglie la mia attenzione da Adrien, che al pari del ragazzo dell’ultimo anno, ora mi osserva incuriosito. Troppa attenzione nei miei confronti mi fa dimenticare totalmente di che cosa stavamo parlando ma per fortuna Zafira mi precede.
“Ho chiesto a Clara se parteciperà al duello tra case ma non ha ancora avuto modo di rispondermi”.
“Una delle poche iniziative decenti che mio padre abbia mai proposto, mi stupisco di lui”.
Adrien risponde sinceramente ma come Ezra, sembra attendere la mia di risposta.
“Adrien mi ha detto che duelli molto bene, ci sarebbe d’aiuto in casi come questo. Verranno selezionati solo tre studenti tra ragazzi e ragazze ma se la cosa ti preoccupa, io farò parte della giuria e potrei mettere una buona parola a patto che tu duelli bene come Adrien ha ammesso”.
Osservo Ezra stupita, perché fare una simile proposta? Non mi conosce, non sa come duello e non può fidarsi solo sulla base delle parole di un suo amico.
Mi volto verso Adrien, intento a bere il suo caffè e ignorare la nostra conversazione.
“Tu che cosa fai?”
“Colazione”.
“Idiota. Parteciperai?”
“No. Essere figlio del preside ha i suoi svantaggi e se serpeverde vincesse, data la mia presenza, tutti penserebbero che il preside è intervenuto a favore del figlio”. Dall’espressione non mi sembra dispiaciuto eppure c’è qualcosa nel tono di voce, qualcosa che mi fa credere che vorrebbe partecipare, anche solo per dimostrare al padre che riesce a cavarsela anche senza il suo aiuto. Gli passo una mano tra i capelli, sperando di alleviarli la tensione che lo attanaglia. Chiude gli occhi e mi lascia fare, spingendo il capo verso la mia mano. È cambiato dalla notte di Capodanno, almeno per quello che posso notare quando è con me; è calmo, non attacca più uno studente solo perché di un’altra casa, o perché gli intralcia la strada. Non passa più le serate chiuso sotto il Lago a bere cercando di dimenticare quello che ha passato durante il giorno, non sembra poi così incosciente come il padre lo descrive.
Parlando del diavolo.. Scorgo il Preside fare il suo ingresso nella Sala Grande, prendendo poi posto sulla sedia che gli spetta. Scosto la mano dal capo di Adrien e il suo sguardo passa velocemente da me, al tavolo dei professori. Sbuffa, infondo è colpa sua se non posso mostrare gesti affettuosi nei suoi confronti, è stato lui stesso a dirmi che, per il momento, non vuole che il padre s’impicci delle sue questioni, in particolare della sua vita privata.
“Piccioncini, è ora di andare a lezione, che ne dite?”
Entrambi fulminiamo Ezra con una sola occhiata, prima di vederlo alzare le mani in segno di resa, prendere per mano Zafira e lasciarci soli al tavolo. Immancabile un occhiolino che ci lancia prima di scomparire del tutto e quasi fatico a tenere a freno Adrien, intenzionato a estrarre la bacchetta.. ed io che lo vedevo più tranquillo. “Smettila. Vuole solo provocarti”.
“Che simpatico energumeno”.
Dà un ultimo sorso al suo caffè e si alza anche lui.
“Vuoi partecipare al duello?”
“No, non mi interessa”.
Mi guarda stupito, come se si aspettasse un’altra risposta.
“Fai male, daresti una bella lezione ai Grifoni”.
“Adrien non mi interessa, io non ho problemi con nessuno di loro”.
“Siamo Serpeverde, è nella nostra natura opporci a loro”.
Scuoto la testa, non gli farò mai cambiare idea su questo.
Senza che me ne accorga, mi ritrovo il suo volto a poca distanza dal mio e il mio primo pensiero è guardare in direzione della tavola dei professori. Piton non ci presta attenzione. Accosta lentamente la bocca al mio orecchio, agognavo questo contatto da stamattina.
“Hai visto? Ti preoccupi anche tu di lui”.
Mi allontano il più possibile per guardarlo in volto, l’ha fatto apposta. Mi sorride sornione e si rimette dritto in piedi; sono i momenti come questi che vorrei tirargli uno schiaffo ma.. forse posso fare di meglio.
“Ci vediamo stasera, o forse domani, o magari no. Vediamo, devo chiedere a Conrad se mi dà ripetizioni di trasfigurazione, forse sarò impegnata nei prossimi giorni”. Mi alzo e gli do le spalle, per poi uscire dalla Sala Grande senza curarmene. A lui piace giocare, quindi perché non stare alle sue regole.


*


Come gli è passato per la mente a Peterson di fare un compito a sorpresa il primo giorno del nuovo semestre, ancora non me lo spiego. Fisso la pergamena sulla quale ho appena scritto l’ultima risposta alle domande che, secondo lui, non ci avrebbero messo in difficoltà.
Osservando bene l’intera classe, non concordo affatto con le sue parole; siamo in pochi studenti ad aver raggiunto almeno il terzo quesito, la parte restante o ha gettato la spugna alla frase “compito a sorpresa” o è finita per scrivere tutto ciò che gli passasse per la testa. Vorrei consegnare ma l’idea che il professore mi faccia restare seduta al mio posto, senza poter fare nulla, mi trattiene con il capo chino sul compito, intenta a leggere per l’ennesima volta le frasi a vuoto.

Senza bussare, senza nemmeno annunciarsi, il preside fa il suo ingresso nella stanza. Con un’aria più cupa del solito, intercetta lo sguardo del professore.
“Peterson. Mi rincresce interrompere quella che ha tutta l’aria di essere un compito a sorpresa ma devo informare il signor Potter di raggiungere il mio studio, non appena la lezione sarà finita ovviamente”.
Tutti gli occhi sono puntati su Potter ora, intento a scrutare dubbioso il preside.
“Mi assicurerò personalmente che lo faccia, preside.”
“Quello che volevo sentire”.
Con un cenno a Peterson, veloce com’è arrivato, chiude la porta dietro si sé, lasciando l’intera classe incuriosita da questa faccenda. Dal suo canto, il diretto interessato non si preoccupa affatto degli sguardi e come se nulla fosse accaduto, continua a scrivere sulla pergamena, forse l’unico ancora davvero interessato al compito.
Chissà perché Piton lo vuole vedere, da quello che ho saputo su di lui, è uno studente modello e nonostante sia un serpeverde, non ha mai creato problemi. Eccelle nella maggior parte dei corsi, è presente a tutte le lezioni, interviene e svolge ogni compito, gioca a Quiddich anche se non fa realmente parte della squadra, non frequenta molta gente e non l’ho mai visto eccedere con l’alcool. Non vedo il motivo di convocarlo; devo parlarne con Adrien, sperando che non gli passi per la testa di seguirlo e insultarlo come suo solito.

La lezione finisce e finalmente sono libera di lasciare la stanza ormai diventata un covo di bisbigli e occhiatacce a Potter.
Fuori dall’aula di difesa, intercetto lo sguardo di Adrien, preso in una conversazione impegnata con una ragazzina, sua sorella come apprendo da qualche parola. Dalla sua espressione non mi sembra molto d’accordo con quello che lei sta dicendo; scuotendo la testa mi nota e la liquida Eileen con un gesto della mano, come se la questione non gli riguardasse. La osservo lasciarci soli, un’aria triste in volto, per poi rivolgermi ad Adrien con fare accusatorio.
“La smetti di comportarti come un bambino e la accontenti per una volta?”
Sbuffa mentre si passa le mani sul viso per poi incrociare le braccia e fissare il pavimento.
“Mi stavi cercando?”
Mi appoggio al muro accanto a lui, evitando così di essere spintonata dagli studenti che si affrettano per andare a lezione.
“Tuo padre ha convocato Potter nel suo studio, ora”.
L’iniziale stupore lascia immediato spazio alla soddisfazione, il suo volto è pervaso da una contentezza che raramente intravedo.
“Finalmente! Pregusto questo momento da settimane”.
“Non vedevi l’ora che Potter venisse convocato per.. cosa esattamente?”
Adrien mi ha omesso di dire qualcosa e la sua reazione alla mia domanda, non fa che confermare la mia ipotesi. Un sonoro “Oh” esce dalle sue labbra prima di prendermi il polso e strascinarmi in un corridoio deserto.
“Mi sono dimenticato di informarti. Ti chiedo scusa ma avevo altro cui pensare”.
Mi sorride imbarazzato e penso che questa sia l’immagine esatta con cui vorrei si concludesse l’intera giornata. Apro la bocca, vorrei dirglielo, vorrei abbracciarlo e farlo ridere, vorrei contraccambiare e dirgli che anche io sono e sto bene con lui ma Adrien si impone di continuare a parlare e il tutto passa velocemente in secondo piano.
“Come ti ricorderai, durante le vacanze Potter è tornato al Castello qualche giorno prima di Capodanno. Pensavo avesse semplicemente litigato con suo padre, infondo chi vorrebbe un figlio come lui..”.
Interrompe il suo discorso, chiedendomi se c’è qualcosa che non vada. A quanto pare la mia espressione non è sufficiente per fargli capire che deve smetterla perciò, poco elegantemente, lo spintono facendogli quasi perdere l’equilibrio.
“Smettila di insultarlo”.
“è insito nella mia natura. Ormai sono giunto alla conclusione di essere stato portato in vita solo per questo”.
Lo spingo una seconda volta, finché sorridendo non alza le mani in segno di arresa e prosegue il suo discorso.
“Stavo dicendo.. è tornato qua per Capodanno e non si è limitato a trascorrere le giornate a leggere o studiare.. No! Quel figlio di un Potter ha avuto la brillante idea di praticare un incantesimo che gli permettesse di evocare Salazar Serpeverde”.
Ma cosa diamine..
“Ma com’è possibile? Non capisco, credevo che nessuno potesse interagire con i fondatori delle quattro case”.
Alla mia domanda, Adrien sembra estasiato.
“Esatto! A meno che tu non sia in possesso di una specifica e del tutto introvabile formula. Ciò che mi fa interessare a questa faccenda, sapendo che porterà mio padre su tutte le furie nei confronti di Potter, sta nel fatto che l’inetto ha avuto l’ardire di compiere tutto ciò, parlando in serpentese”.
Sbatto le palpebre per alcuni istanti, cercando di tradurre le sensazioni che scorrono in lui; non so se lo emozioni di più la futura arrabbiatura del padre verso Potter o il fatto che Potter abbia parlato un’altra lingua. Sta di fatto che non riesco a seguirlo, non riesco a capire dove sta il problema.
“Non è una cosa poi così grave.. Anche io parlo in serpentese e se me l’avessi detto prima, non mi sarei fatta problemi a.."
“Tu.. cosa?”

Quello che accade poi, mi lascia senza parole. Adrien mi lascia il braccio che fino a quel momento sembrava l’unica ancora a tenerlo a freno data l’euforia della rivelazione. Mentre si allontana di qualche passo da me, scorgo diverse espressioni sul suo volto: sconcerto, preoccupazione, persino una punta di orrore.
“Qualche problema?”
Apre la bocca ma nessuno suono vi fuoriesce, sembra ancora troppo scosso per riuscire a parlare. Alzo le spalle, non credo che il mio bilinguismo sia raro nella comunità magica.
“Mi viene naturale, lo parlo da che ne ho memoria”.
Le mie speranze di aver chiarito il problema svaniscono non appena vedo Adrien assottigliare gli occhi e guardarsi intorno, con il timore che qualcuno ci veda, che qualcuno possa aver sentito quello che ho detto. Deglutisce più volte e senza accorgersene, si concentra a fissare il mio braccio.
“Clara non è comune parlare con i serpenti, nemmeno nel mondo magico. Salazar Serpeverde parlava con i serpenti e in nessun libro o manuale che puoi leggere, troverai un modo per impararlo a fare. È sbagliato.. Almeno così mi è sempre stato detto”.
Distratta mi passo una mano tra i capelli; in un mondo in cui c’è la magia, in un mondo in cui le persone evocano incantesimi, si trasformano in animali, o peggio esseri come vampiri e lupi mannari, parlare con i serpenti è considerato “sbagliato”. Cedo alla fatica mentale che sto facendo per cercare di capire dove sia il problema in quello che mi ha detto Adrien, un peso opprimente nel petto mi trascina per terra, ancora appoggiata al muro, la testa reclinata indietro, lo sguardo perso lontano.
“Il preside di Durmstrang mi aveva detto di non preoccuparmi, di non essere l’unica a poterlo fare, che era una cosa naturale. Ho sempre saputo che ci fosse qualcosa di sbagliato in me ma almeno questa dote non era nella lista delle mie disgrazie ereditate dalla nascita”.
Non riesco a vedere la reazione sul volto di Adrien, percepisco solo un movimento brusco e in pochi instanti mi ritrovo il suo volto a pochi centimetri dal mio.
“Non dire queste cose, non davanti a me. Non pensare più a quello che ti ho detto, le mie sono state parole dette d’istinto. Non c’è niente che non vada in te”.
Fisso le sue mani aggrappate alle mie ginocchia, sta cercando di rassicurarmi ma lo sento, sento la sua preoccupazione nei miei confronti.
Mi scosto lentamente dal suo tocco, non voglio stare qui, con lui, sapendo quello che sono, quello che sono sempre stata, sapendo di potergli causare dolore. Perché non posso avere una vita normale, perché tutto deve sempre finire male, perché per Merlino non posso avvicinarmi a qualcuno senza rischiare ferirlo? Adrien mi prende la mano prima che io riesca a dargli le spalle e andarmene, trascinandomi via da questi pensieri malsani.
“Non conta quello che sei, ma le azioni che compi. Quelle e solo quelle dimostrano che persona sei veramente”.
“E a chi importa quello che faccio?”
“A me. A me importi..”.
Lo osservo per qualche istante, il suo volto ora sorridente mi pervade il corpo, ma non dura molto, un getto di acqua fredda mi rigetta nel baratro delle mie angosce. “Devo andare a lezione”.
Mi lascia la mano, non mi ferma, non mi chiama, sa che non sono in grado ora di intavolare una conversazione senza implodere. Adrien m capisce, noi ci capiamo.


Affronto l’ultima lezione senza una reale motivazione, sarei potuta tranquillamente tornarmene nei miei dormitori e non farmi vedere né sentire per il resto della giornata ma le mie gambe hanno reagito da sole, contro la mia volontà, ascolto Rayland spronare la classe. Lui e i suoi modi di insegnare, così diversi dagli altri professori, così sapienti e incisivi nei confronti degli studenti.
Promuove il duello indetto tra le case come se si trattasse della sua candidatura a preside, non vuole vedere nessuno studente impreparato nel corso dei combattimenti. Passa l’intera lezione a spiegare lo svolgimento dei duelli, come ci si comporta, cosa lui si aspetta da noi, quali potrebbero essere i campi di battaglia e le restrizioni imposte agli studenti. Apprendo le strane regole senza difficoltà, a Hogwarts i duelli sono molto più complessi di Durmstrang, troppe imposizioni, procedimenti da seguire prima del duello, ci sono persino i saluti iniziali. Perché complicarsi la vita in questo modo e non lasciare semplicemente che due studenti duellino come più gli piace?
Sbuffo e scuoto la testa mentre scrivo sulla pergamena gli incantesimi vietati; per quanto questa lezione possa essere utile per alcuni, scorgo altri come me che, non intenzionati a prendere parte alle selezioni per il duello, non si premurano di annotare le informazioni di Rayland. Dal mio canto, non devo dimostrare niente a nessuno, non ho intenzione di mettermi in mostra più di quanto lo faccia già.
Prima di lasciarci andare, il professore ci informa che le selezioni prenderanno piede nelle diverse sale comuni e lui si assicurerà personalmente che niente di pericoloso possa accadere durante queste prime prove. Insiste sulla partecipazione di tutti, ma le sue ultime parole nemmeno le sento, esco da quella stanza diventata troppo opprimente e fastidiosa. Spedita, mi dirigo verso i miei dormitori, sento il bisogno di una doccia ghiacciata, appoggiare la testa al cuscino e lasciarmi andare finché la mia testa non si è svuotata di tutto.

“Guant, un penny per i tuoi pensieri?”
Fermo il passo, in lontananza posso vedere distintamente l’ingresso dei sotterranei, basterebbero solo pochi passi.. Berger si accosta a me ed io non me ne accorgo in tempo. Tento di scostarmi prima che possa avvicinarsi troppo ma prima di formulare anche solo una frase per potermene andare, mi afferra il braccio. È nella sua forma umana ma nulla nella sua espressione mi rassicura che non possa trasformarsi da un momento all’altro.
“Mi lasci”.
Inclina la testa di lato e chiude gli occhi, la presa sul mio braccio sempre più ferrea.
“Guant dev’esserci stato un malinteso, perché non cominciamo l’anno partendo con il piede giusto?”
“Nessun malinteso. Lei ha tentato di assalirmi”.
Scuote il capo, mostrando un sorriso finto.
“Guant, Guant.. che cosa devo fare con te? Devi capirmi, ti trovavi fuori dai dormitori, nel cuore della notte. Saresti stata una preda abbordabile per chiunque”.
Il braccio incomincia a farmi male, posso percepire le sue unghie perforarmi la pelle.
“Quale professore sano di mente attaccherebbe un suo studente?”
“Oh sono sicuro di non essere la prima persona che ti ha attaccato mentre eri indifesa. Forse.. Quando eri piccola e i tuoi genitori intenti a difenderti, non hai fatto nulla per proteggerti? Dimmi Guant, che cosa hai fatto allora?”
Non capisco le sue parole, non so dove voglia andare a parare, non so nemmeno come faccia a conoscere dei dettagli del mio passato di cui neanche io ho memoria. Se conosce i miei genitori, forse potrebbe darmi qualche informazione su..
“Di che cosa sta parlando?”
Sorride e la sua espressione mi riporta alla notte in cui mi ha attaccata.
“Lascia che ti mostri”.

Senza aspettarmelo, con gli occhi inchiodati ai miei, Berger entra nella mia testa, leggendomi dentro come fossi un libro aperto.
Comincia a scavare nei miei ricordi, rivivendo ciò che è accaduto dal mio arrivo al castello. La figura di Adrien svanisce velocemente per lasciare spazio a immagini vaghe e indistinte. Non è interessato a questo, no. Scava ancora, entra in profondità, riportando alla mia mente ricordi che nemmeno credevo di avere.
Una stanza buia, un uomo e una donna, una bambina tra le loro braccia. Il nome Clara riecheggia nella mia testa.
Aggressivo, frenetico, Berger invade la mia testa come se il tempo a sua disposizione fosse esaurito. Sento la mia testa esplodere, il braccio brucia sotto i vestiti, lo sento zuppo di sangue che scivola via dal mio corpo, una rabbia incontrollata mi pervade senza poterla controllare.
Di nuovo la stanza buia, questa volta riconosco un lettino, dei giocatoli. La bambina sta piangendo, indifesa e tutta la sua paura mi sconvolge, lacrime mi rigano il viso. Io sono quella bambina ora. Mio padre mi da le spalle e mi difende, scagliando maledizioni contro un uomo incappucciato. Il nero del suo vestito si confonde con la stanza, le sue parole sovrastate dal mio pianto. Ho tanta paura. Non resisto, non riesco più a trattenermi. Non so chi tra le due, la bambina o io, gridiamo, arrabbiate, frustrate per quello che ci viene fatto, per il dolore che stiamo provando. Un’aura luminosa si sprigiona dal nostro petto, la stanza da letto si riempie di luce ed entrambi viene scaraventati fuori dalla mia testa, lontano da quei ricordi che mi fanno paura.

Sono distesa per terra, le forze ormai mi stanno abbandonando. Scorgo Berger disteso non lontano da me, privo di sensi, il mio medaglione nella sua mano  vibra incessante. Sento il rumore di passi, si stanno avvicinando, una voce grida il mio nome, almeno credo. È tutto ciò che sento prima di appoggiare la testa a terra e svenire.

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 - POV Albus Severus Potter ***


Essere convocati dal Preside e non avere la minima idea del perché, non mi fa stare per niente tranquillo. Raggiungo quanto prima l’ufficio di Severus, so benissimo che non è il tipo di persona a cui piace aspettare. Busso e sento subito la sua voce che mi invita ad entrare. Appena varcata la soglia vedo che non è solo. Perché mio padre è qua? Con un’aria davvero arrabbiata, oltretutto.

“Credevo di averti dato il mio libro per scopi scolastici”.
Piton non si perde certo in convenevoli.
Mi guarda dall’alto in basso e se da una parte l’espressione è livida, nei suoi occhi percepisco anche qualcos’altro, una sorta di espressione vagamente divertita.
“Io non.. non capisco, non ho fatto nulla di male, signore”.
Guardo entrambi aspettandomi un’accusa più specifica. Sono convinto di non aver fatto nulla di male ma qualche dubbio si insinua dentro di me. So bene che quello che è giusto dal mio punto di vista per altri può essere totalmente sbagliato. Mio padre è rigido e mi allunga un foglio di pergamena rimanendo il più distante possibile da me, distendendo il braccio al massimo delle sue capacità. Riserverei un gesto del genere solo se una persona mi facesse davvero schifo e non posso fare a meno di notare che il suo comportamento mi trasmette in parti uguali disgusto e rabbia.
“Questa lettera è tua, vero?”
È più un’affermazione che una domanda. La prendo in mano. Riconosco la mia scrittura e la data combacia, quel giorno gli ho scritto una lettera. Era lo stesso giorno in cui mi sono avventurato nella stanza delle Necessità, lo stesso giorno in cui.. Ma certo! Adrian deve aver detto qualche bugia sul mio conto e ora ne pago le conseguenze. Apro la bocca per iniziare a spiegare che quel giorno non è successo assolutamente niente di anormale quando è di nuovo papà a prendere la parola.
“Sai che lingua è questa?”
Per quanto anche a me risulti strano, sono costretto a scuotere la testa. La scrittura è mia ma non so che razza di lingua sia. Non riesco a capire nemmeno una parola. Guardo Severus cercando un aiuto e per fortuna interviene.
“È Serpentese, Potter”.
Entrambi ci voltiamo verso di lui e mio padre si intromette.
“Lo so anch’io Severus, volevo solo spiegare ad Albus che..”
“Non stavo parlando con te. Ma mi rincresce vedere che il tuo egocentrismo non è affatto diminuito da quando hai lasciato Hogwarts”.
Mi scappa una risatina senza riuscire a trattenermi. Vengo fulminato con lo sguardo da tutti e due e allora cerco di mascherare la risata con un colpo di tosse.
“Mi dispiace ma non credo di aver capito come possa esserci riuscito, io non conosco il Seprentese”.
“C’è solo un modo in cui puoi averlo imparato, ed è a pagina 394 del libro che ti ho affidato. Forse Fanne buon uso è un’indicazione troppo generica, ma ti ritenevo decisamente più intelligente di tuo padre e mi aspettavo che ti comportassi di conseguenza”.
Mio padre sbuffa pesantemente quando si sente messo in mezzo e mi chiede di che libro stiamo parlando. Ingenuamente rispondo subito che si tratta di un libro di Pozioni di proprietà del Principe Mezzosangue. A quelle parole capisco di aver detto qualcosa di veramente importante. Mio padre inizia ad urlare in direzione di Severus “COME HAI POTUTO DARE UN LIBRO DEL GENERE A MIO FIGLIO?”

La risposta del Preside non si fa attendere, ed è tagliente.
“Potter, anche se non sei più uno studente non ti permetto di alzare la voce con me”.
“È ancora un bambino!”
 
Un bambino. Per lui sono un bambino. E come tale mi trattano entrambi, visto che nessuno fa caso a me. Sono troppo impegnati a litigare fra di loro, a fare commenti ironici sui passati l’uno dell’altro, dimenticandosi del fatto che sono nella loro stessa stanza. Potrebbero andare avanti all’infinito e guardando l’orologio scopro di aver perso mezz’ora in un modo così inutile e stupido che non posso fare a meno di interromperli.
“Sto saltando una lezione per sentirvi litigare?”
Piton si volta e mi rivolge uno sguardo gelido. Improvvisamente mi sento davvero un bambino, molto più piccolo in confronto a Severus, e molto meno sicuro di me.
“Insolente come il padre”.
“Io non sono come mio padre, signore. Altrimenti non mi avresti dato quel libro”.
Non finisco nemmeno di parlare che mio padre si avvicina a me di un paio di passi. Non so chi temere di più dei due. Con il preside mi sento a disagio perché so che devo rispondere a lui per tutto quello che succede a scuola, con mio padre sento talmente tanta rabbia repressa che ho paura di scoppiare e fare qualcosa di cui poi mi potrei pentire. Non migliora la situazione quando aggiunge
“Proprio perché non sei come me o come tuo fratello non sapresti gestirne il contenuto”.
“Solo perché non sono un Grifondoro, vorresti dire?”
 
Se lo odio così tanto, perché do ancora peso alle sue parole? Perché quando dice una cosa del genere la rabbia svanisce e sento solo una tristezza enorme? Non sono io quello sbagliato, non sono io quello che deve accettare il fatto che magari posso essere diverso da lui senza che me ne venga fatta una colpa. Lo guardo e penso che abbia finalmente capito quanto male mi sta facendo. Non sa cosa rispondere. Dopo qualche secondo di silenzio si sente solo la voce di Severus, intrisa di sarcasmo.
“Mi piacerebbe continuare questa riunione di famiglia, ma ci sono questioni più urgenti”.
Mio padre sembra essersi reso conto che non è venuto qui per sgridarmi. Non ancora, prima deve sapere cosa ho fatto.
“Tuo figlio si è permesso di evocare un incantesimo non curandosi delle conseguenze. Ma ormai dovrei esserne abituato, vero, Potter?”
 
Ricominciano. Io sono solo il pretesto per tirare fuori vecchi rancori e accuse. Non avrei comunque voce in capitolo, quindi mi permetto di distrarmi e concentrare la mia attenzione sui quadri dei Presidi. Circondano la stanza e sono tutti impegnati a dormire. Nemmeno loro ritengono interessante assistere ad una discussione che tanto non avrà mai fine. Sul lato sinistro mi accorgo solo ora che c’è una cornice vuota. Faccio mente locale guardando velocemente gli altri volti e capisco che solo Silente manca all’appello. Quella cornice stona violentemente con il resto dell’Ufficio. La fisso fino a che i suoi contorni diventano sfocati, la fisso così intensamente che quasi non mi accorgo della fastidiosa sensazione al petto che mi pervade. Ma quando una fitta arriva al cuore capisco che è troppo tardi per provare ad opporre una qualsiasi barriera mentale. Nella cornice ora c’è il volto di Salazar Serpeverde. Accenna un sorriso che si trasforma subito in una smorfia che gli deforma l’intero viso, fino a farne perdere i lineamenti che ora si ricompongono a creare il volto di Voldemort. Un volto che si avvicina rapido. Non posso muovermi, non controllo più il mio corpo. Quando mi aspetto che mi arrivi addosso il volto cambia nuovamente e mi ritrovo faccia a faccia con Clara prima di farmi attraversare dalla sua immagine, come se uno dei due fosse un fantasma. Non so se ho urlato, non so nemmeno se mi sono mosso. Tutto quello che vedo è il buio, tutto quello che sento  è l’impatto con il pavimento freddo.
 
 
 
N.d.A.
Buonsalve!

Lettori silenziosi, abbiamo bisogno di voi.
Fateci sapere cosa ne pensate, non solo del capitolo, ma sull’intera storia. Arrivati a questo punto, c’è sufficiente carne al fuoco per poterci criticare, consigliare o semplicemente fare ipotesi sul futuro dei personaggi. Accettiamo di tutto, perciò fatevi sotto.
Sperando che il capitolo vi sia piaciuto, Io e nextplayer vi auguriamo di non essere quel tipo di lettori babbani che non si fanno mai avanti.

Attenti ai nargilli e arrivederci al prossimo capitolo.

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 - POV Adrien Piton ***


Digrigno i denti e stringo i pugni, questo corridoio non mi sembra mai stato così lungo.
Ho dovuto lasciare Clara in infermeria da sola, Madama McFlurry non mi ha permesso nemmeno di starle accanto qualche minuto.
Sbuffo, sono stato costretto a tornare a una miserabile lezione di trasfigurazione quando sarei stato sicuramente più utile in infermeria, a sorvegliare Clara, a rassicurarla che fosse tutto a posto, al suo risveglio. Spero solo che Madama McFlurry non abbia scoperto delle escoriazioni perché in quel caso, al mio ritorno in infermeria, potrei ritrovarmi davanti mio padre e l’intero copro insegnante. È la seconda volta che il medaglione mi conduce da Clara, la seconda volta che mi ha permesso di aiutarla; non sarò mai abbastanza in debito con lei per avermelo donato.

Spalanco le porte dell’infermeria, è ora di cena ma gli occupanti dei tre letti sembrano aver altro cui pensare.
“Signor Piton! Non è l’ora delle visite questa”.
“Madama McFlurry me l’ha detto lei questa mattina, se lo ricorda? Torni più tardi, quando sarà riposata”.
Parlo a bassa voce, abbastanza chiaramente per farmi capire da lei e sufficientemente piano per non svegliare chi dorme.
“Mezz’ora e non un minuto di più”.
“Lei è sempre troppo gentile Madama..”
“Muoviti Piton!”

Mi volto in direzione dei letti, quello di Clara è l’ultimo sulla sinistra; accanto al suo, dev’essere stato ricoverato un altro studente, i separé sono tirati così non mi è possibile vedere di chi si tratta. Esattamente di fronte a lei c’è il professore di pozioni, quel lurido imbecille, maniaco senza dignità che non è altro.
Estraggo la bacchetta per la frustrazione nel vederlo lì “comodamente” disteso; ho un irrefrenabile istinto di svegliarlo, scaraventarlo fuori, nei giardini, al freddo; lo lascerei congelare per poi gettarlo nella foresta proibita, alla mercé delle creature che la abitano. Sono certo che mio padre stia attendendo il momento in cui si riprenderà per poterlo sbattere fuori da questa scuola una volta per tutte. Tenere un vampiro tra gli studenti, non pensavo che la vecchiaia potesse fargli certi scherzi alla sua intelligenza. Tzè.

“Adrien?”
è poco più di un sussurro, ma Clara mi ha appena chiamato ed io speravo davvero potesse essere sveglia.
Mi siedo sul materasso fronteggiando il suo viso pallido; è ancora esausta, il vassoio del cibo intatto.
“Perché non mangi?”
“Non ho fame”
“Non riprenderai mai le forze se non mangi”
“Sei venuto qua per darmi ordini?”.
Sospiro e le prendo una mano, è dannatamente fredda.
“Sono qui per assicurarmi che tu ti rimetta presto”
“C’è Madama McFlurry per questo”
“Hai almeno riposato?”
“Mi sono svegliata poco fa, quando ho sentito degli strani rumori dal letto accanto”.
Volto lo sguardo verso il separé; il mio interesse nello scoprire chi c’è dietro quelle tende è sempre più forte, ma aspetterò ancora un po’, voglio concentrarmi su Clara ora.
“Fammi spazio”.
Accenna un sorriso mentre si sposta lentamente verso il bordo del letto per lasciarmi un lato libero, non è molto per entrambi, ma questo mi permette di starle il più vicino possibile. Le passo un braccio intorno alle spalle, il suo capo chino sulla mia spalla; non so quanto tempo ho ancora a mia disposizione ma ora non vorrei essere in nessun altro posto se non qua, disteso con Clara tra le mie braccia.
“Ti ha fatto del male?”
“è entrato nella mia testa, mi ha mostrato delle cose. Quando andava più a fondo sì. Mi ha fatto male”
Serro la presa sul suo corpo stremato, la fiamma di rabbia divampa nel mio petto.
“è un mostro, avrebbe potuto fare di peggio se non fosse..”
“Sapevi che è un vampiro?”
Si scosta leggermente per guardarmi meglio in viso.
“Sì. Mio padre me l’ha detto al terzo anno, non voleva che io gli creassi problemi. Se fosse stato per me, l’avrei detto all’intera scuola, ma mi aveva assicurato che non avrebbe creato problemi. Evidentemente si sbagliava e non è la prima volta”.
Scruto il letto difronte a noi, l’uomo disteso dorme profondamente, sembra quasi innocuo, peccato che nessuno sappia il suo segreto.
“Gli è stata tolta la bacchetta. Tuo padre poi si è assicurato personalmente di lanciare un incantesimo lungo tutta la sua postazione. Non può muoversi di lì”.
Le sue parole mi scivolano addosso, non mi rassicurano affatto ma al momento non posso fare nulla senza creare scompiglio nell’intera infermeria; se Madama McFlurry mi scopre mentre lo maledico, non mi permetterà più di mettere piede qua dentro.
“Il braccio mi fa male”.
Concentro l’attenzione su Clara e senza volerlo faccio trasparire insicurezza dal mio sguardo.
“Madama McFlurry ti ha.. visitato?”
“Sì. Le ho detto che le bende sono per una ferita precedente all’aggressione, non era necessario fare dei controlli”.
Si sistema meglio tra le mie braccia, chiude gli occhi e si rilassa. Dovrei cercare di farlo anch’io, ma la sola vicinanza con quel mostro mi lascia turbato.
“Quanto puoi rimanere?”
Guardo i suoi occhi lucidi dalla stanchezza, le guance arrossate dal caldo, una visione celestiale nonostante quello che ha passato.
“Poco”.
Le poso una mano sulla guancia e l’accarezzo gentilmente.
“Si risolverà tutto, lo prometto”.
La rassicuro prima di chinare il capo su di lei e baciarla. Vorrei trasmetterle anche solo un briciolo di sicurezza con quello che ho appena detto; ci stringiamo in un abbraccio, lei alla ricerca di un porto sicuro, io con più perplessità e dubbi che certezze, non riuscirò mai a darle ciò di cui ha bisogno. Le passo una mano tra i capelli e approfondisco il bacio.
“Piton! Ti avevo dato mezz’ora per far visita ad un malato, non per pomiciare nella mia infermeria!”
Scendo velocemente dal letto di Clara prima di notare una lacrima rigarle il volto. Ho fatto qualcosa di sbagliato, mi sono forse spinto troppo oltre?
Decido di lasciarla riposare, avremo modo di parlare quando sarà dimessa da questa prigione.
Mi muovo lentamente verso l’uscita, osservando Madama McFlurry scostare le tende del letto accanto e quello che riesco ad ascoltare, mi lascia piacevolmente stupito. “Prendi questo sciroppo, signor Potter e dopo rimettiti a dormire”.
Le tende vengono nuovamente tirate, celando alla mia vista l’occupante del letto e l’intera infermeria cade nel silenzio.

Non sento le parole di Clara mentre mi avvicino al separé che mi separar dalla persona distesa dall’altra parte, il mio unico interesse è scoprire chi della famiglia Potter si trova costretto in infermeria.
Pregustando il momento, come un bambino davanti ad un giocattolo a sua disposizione, molto lentamente stringo tra le mani un lembo del tessuto per poi tirare velocemente la tenda, rivelando chi c’è dietro, per mia immensa gioia e curiosità. Deve essere il mio giorno fortunato!
“Potter!”
Gli sorrido vittorioso; avercelo davanti, disteso in un letto d’infermeria con la testa bendata, è un’ occasione che non voglio lasciarmi sfuggire tanto facilmente. Non sembra troppo malato, in realtà sta meglio di Clara da quello che vedo. Ha mangiato tutto ciò che c’era nel vassoio, gli occhi vispi dimostrano quanto sia sveglio e scommetto altrettanta attenzione per quello che è successo fino ad ora.
“Che cosa vuoi?”
Non sopporto questa sua aria saccente, questo suo modo di innalzarsi sopra tutti, come se fosse l’unico a poter guardare noi sudici maghi dall’alto in basso. Persino ora, riverso in un letto dell’infermeria, non perde la sfrontatezza che lo segue da quando è stato ammasso nella scuola; non so con che coraggio ancora si faccia vedere in giro dopo che Robert l’ha diffamato per tutta la scuola. Fossi stato in lui, mi sarei segregato in camera per il resto del semestre.
“Nessuna visita per te? Nessun ammiratore segreto?”
L’espressione che assume sul volto è impagabile, nemmeno un’infante sarebbe in grado di arrossire tanto. Piccolo ingenuo, credeva davvero di poter nascondere la sua omosessualità?
“Da quando in qua t’interessi a me? E se anche fosse, sappi che non sei il mio tipo”.
Mi serve qualche secondo per metabolizzare le parole di Potter.. Ha davvero appena considerato l’ipotesi che io possa essere interessato a lui, in quel senso? Sento lo stomaco contorcersi, provo ribrezzo solo per il pensiero che mi ha sfiorato la mente. Quale persona sana di mente s’interesserebbe mai a lui, persino da un punto di vista sessuale? Solo conoscendo il suo carattere, le persone si allontanano; non ha amici, figuriamoci trovare un compagno.
“Quindi quello che si dice è vero”.
Voglio che lo ammetta, voglio che me lo dica in faccia. Oltre ad essere petulante, fastidioso, seriamente instabile, alla lista di difetti si aggiunge anche gay. Cinquanta punti a Serpeverde!
“Cosa.. Cosa si di.. dice di me?”
Sono basito, non ci posso credere, è davvero così stupido da non capire? Eppure mio padre gli ha permesso di saltare un intero anno data la sua innata intelligenza.
Mi avvicino alla sponda del letto, mentre lui si raggomitola leggermente contro l’altro lato. Una mano gelata si stringe sulla mia. Quando mi volto, vedo Clara seduta sul bordo del letto, il braccio teso per raggiungermi, i piedi a terra appoggiati al pavimento ghiacciato.
“Rimettiti sotto le coperte o prenderai un accidente”.
Rivolgo nuovamente la mia attenzione a Potter, ancora perplesso dalle informazioni che ho su di lui.
“Oh sai, si dicono molte cose su di te”.
Un sospiro di sollievo fuoriesce dalle sue labbra mentre abbassa lo sguardo sulle lenzuola, l’interesse nei miei confronti perso definitivamente. Crede che io non sappia nulla. Una smorfia m’incrina le labbra, mi passo una mano sul mento optando le parole giuste con cui posso finalmente schiacciarlo a terra.
“.. La cosa più interessante sai qual è? Quando Robert, davanti a tutta la sala comune, ci ha spiegato nei dettagli come sei miseramente caduto ai suoi piedi, supplicandolo di continuare, di non fermarsi”.
Scandisco le ultime parole, il mio cuore freme, la bocca spalancata in un sorriso trionfante. Peccato che lui non stia guardando me, no. Il suo sguardo è piantato su quello di Clara, implorante di farmi smettere. Codardo!
Mi sposto velocemente, ponendomi tra lui e Clara, dandole le spalle e ostruendole la vista di Potter. Batto le mani, chiudo gli occhi e faccio un respiro profondo.
“Quindi.. ora dimmi Potter. Per quanto lo trovi riluttante al pari di te, hai intenzione di sedurre qualche altro membro della giuria nel vano tentativo di corromperlo?” “Adrien!”
Clara mi strattone verso di lei, la sua stretta ancora sulla mia mano, so che lei non approva questo comportamento, ma è lei quella giusta di cuore, non io. Non è nella mia natura, mi diverto troppo in quello che faccio, quindi perché fermarmi?
“Lasciami in pace”.
Se crede anche solo minimamente di farmi provare qualche sorta di pena o un vago rimorso con quell’aria da offeso, finto imbronciato, devastato fino all’osso, si sbaglia di grosso. Una finta espressione accigliata e una risata di petto, ecco quello che si merita.
“è solo l’inizio sgorbio!”
Cerco di trasmettergli tutta la mia determinazione nel voler andare avanti con questo gioco, ho ancora molte frecce al mio arco e sono sicuro che anche solo una di queste lo colpirà esattamente dove voglio io, nel profondo del suo ego, al cuore di qualsiasi Potter.

Quando Clara mi stringe il braccio, quasi vorrei dirle di lasciarmi in pace, che la faccenda non la riguarda. Peccato non sia Clara questa volta a frenarmi.
Il volto corrucciato di Madama McFlurry a pochi passi dal mio, priva di bacchetta, consapevole che le basta poco per trascinarmi fuori dai suoi locali, senza la mia minima opposizione.
Scocco una rapida occhiata a Clara che con la mano alzata mi saluta, un’espressione ancora infastidita sul volto, non mi sono nemmeno preoccupato di salutarla come si deve.
Prima che le porte si chiudano dietro di me però, riesco a togliermi ancora una soddisfazione.
“Non parteciperai mai al duello feccia! Robert non ti permetterà mai di far ritorno nella squadra di quiddich. Non dimostrerai mai niente a nessuno!”
Grido in modo che mi senta bene, urlo anche quando ormai le porte sono chiude e l’eco delle mie parole rimbomba nel corridoio. Non posso gustarmi l’ennesima faccia sconvolta di Potter in questo istante, ma so di averlo incrinato, rotto, so di aver lacerato la sua autostima.

Sorrido entusiasta del mio lavoro, questa faccenda mi ha permesso di dimenticare per qualche minuto quel mostro di Berger. Dopotutto, Potter è risultato utile in qualche cosa.

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 - POV Severus Piton ***


Ho espiato le mie colpe a sufficienza! Sono stato morso da un serpente, ho combattuto affinché il prescelto rimanesse in vita, ho fatto la spia esponendomi ogni giorno per gran parte del mio tempo, sono quasi morto, ho subito un intervento doloroso e mi sono persino unito in matrimonio con una grifondoro, quindi perché ora il destino continua a prendersi gioco di me? Perché ogni giorno continuano ad accadere situazioni potenzialmente pericolose?

Sbuffo, sembra che io non mi possa permettere neanche un anno tranquillo, dove non succede nulla, dove gli studenti si limitano a studiare, dove la mia famiglia non si caccia nei guai, dove un professore non tenta di aggredire una studentessa, la stessa ragazza il cui passato è segnato fin dall’infanzia. Dannazione!

Sbatto frustrato le mani sulla scrivania, ancora non sono venuto a capo della causa che ha portato alla mancanza di Silente; la scelta di invitare Potter qua, a parlare con il figlio, è stata pessima, la peggior decisione che io abbia mai preso. Non solo non sono riuscito a capire che incantesimo abbia evocato Albus, ma il ragazzo ha avuto anche la brillante idea di svenire nel mio studio, probabilmente sovrastato dalle domande e dal peso che si sta portando addosso. Incosciente, degno figlio di suo padre. Speravo davvero di salvarne almeno uno in famiglia. È difficile da ammettere ma in questa circostanza, ho bisogno di Silente e dei suoi consigli.

Mi passo incurante le mani sul volto, sono stanco e questa situazione non mi permette di dormire, l’idea che quel mostro di Berger abbia attaccato una mia studentessa mi fa ribollire dalla rabbia. Sarebbe potuto capitare a chiunque ed è solo colpa mia, l’ennesima che mi viene attribuita. Per mia fortuna, ci sono abituato, sono ormai destinato ad assumermi la responsabilità degli errori altrui.

Il patronus di Madama McFlurry m’informa del risveglio del pozionista e non esito a farlo venire qua, davanti a me, in modo che io possa avercelo difronte un’ultima volta prima di schiantarlo direttamente fuori da questa scuola. Respiro profondamente, è necessario che io mantenga il controllo, quel mostro mi deve servire intatto e cosciente per rispondere alle mie domande; sono dell’opinione che la Guant sia stata solo che fortunata, era predestinata fin dall’inizio a cadere tra le grinfie di Berger, ora devo solo capirne il perché. Avrei dovuto avere maggiore riguardo nei suoi confronti, farla sorvegliare, magari metterle una spia al seguito, almeno così non le sarebbe accaduto nulla di tutto ciò.

Non riesco a fare a meno di domandarmi cosa Berger possa volere da lei; non si tratta solo del sangue, ci sono moltissimi studenti provenienti da altrettante famiglie purosangue di antico lignaggio, sicuramente molto più abbordabili di lei. Ci dev’essere dell’altro. Quando l’ho rinvenuto in corridoio, non c’era traccia della sua trasformazione e ciò può voler dire che ha attaccato la Guant nelle sue piene facoltà mentali, per quanto qualcuno posa credere che le abbia. Per non parlare di Adrien.. ci mancava solo lui e la sua reazione contro il professore. Se non lo avessi spedito a lezione, avrebbe senza dubbia aggredito l’uomo steso a terra, ma per quanto quella stessa voglia abbia pervaso anche me, non potevo certo permettergli una scenata in corridoio. Continua a sfuggirmi la sua reazione. Almeno che..
No. Non può essere, me ne sarei accorto se mio figlio.. Adrien sorride, accanto a lui la Guant gli cinge il braccio, il loro ingresso in Sala Grande, il tavolo condiviso in biblioteca, i pasti consumati sempre assieme..
Le immagini di mio figlio, un’espressione felice sul volto, mi scorrono davanti agli occhi e mi do mentalmente dello stupido, non mi ero reso conto di nulla se non adesso, davanti all’evidenza dei fatti. Tutto rimanda a lei, Clara Guant, a questa ragazza che sembra aver migliorato l’esistenza di Adrien.
“Non posso permetterlo. Non..”
“La porta, Preside”.
Phinneas interrompe il flusso dei miei pensieri. Sfodero la bacchetta e la porta viene spalancata velocemente, dimostrando la presenza di Adenophulus Berger. La tunica è stropicciata, gli occhi spenti, due occhiaie che concorrono con le mie; il volto turbato e Merlino solo sa quanto gli conviene esserlo perché quando avrò finito con lui, non avrà neanche la forza di pensare di poterlo essere.

“Siediti”.
La porta si chiude con un tonfo dietro di lui, mentre sussulta, avvicinandosi lentamente alla sedia nel centro della stanza. Lo sguardo vaga furtivo in ogni direzione, come se si aspettasse l’arrivo degli Auror da un istante all’altro. Oh no, per lui ho riservato il meglio, non ci sarà bisogno di avvisare il ministero, non ancora.
Si siede, il coraggio di guardarmi negli occhi scomparso giorni fa. Sudicio codardo.
“C’è qualcosa di sbagliato.. qualcosa..”
“Non ti ho detto di parlare”.
Apre la bocca ma non dice nulla. Boccheggia, non sembra stabile.
“Ti chiarisco la situazione Berger. Hai aggredito una studentessa, la medesima che ti avevo detto di lasciare in pace”.
Resta in silenzio, ma finalmente i suoi occhi incrociano i miei e quello che scorgo non mi piace. Le pupille sono dilatate, le labbra secche e livide. È in procinto di trasformarsi.
Rapido sono su di lui, la bacchetta puntata al collo, rendendogli ogni movimento impossibile. Perché diavolo mi osserva sorridente? Imprimo più forte la bacchetta nella carne, a quale gioco malato sta giocando?
“Ho sempre dubitato della tua sanità mentale, ora ne ho la conferma”.
La sua risata riecheggia tetra nella stanza.
“Non dovevi tenerla chiusa qua. No, no caro preside. Grosso errore”.
Continua a ridere, incurante del fatto che posso procurargli una ferita mortale in qualsiasi istante.
“Finirai ad Azkaban, ma non senza avermi dato una spiegazione Berger”.
E come se gli avessi annunciato la morte, volta il capo nella mia direzione, alzando le mani in segno di resa, senza più nessuna traccia di divertimento sul volto. La sua espressione è cambiata fin troppo velocemente, non riesce a controllare la trasformazione, il suo alter ego sta prendendo possesso di quel corpo e lui non sembra neanche rendersene conto.
“Az..Azkaban, Severus? Perché.. perchè mi vuoi punire in questo modo? Io.. Ho solo ascoltato ciò che stava dicendo, non capisco”.
Ma di che diamine sta farneticando? Un istante prima ride forsennato come solo un pazzo si comporterebbe e il secondo dopo assume la più incosciente delle espressioni. È riuscito a cavarsela con questo trucchetto per tutta la vita? Lo fisso intensamente, prima di gettare uno sguardo al ritratto di Silente, inconsapevole per un istante della sua inutilità.
“Non ho intenzione di stare a questo tuo squilibrato gioco. Ora dimmi, perché hai aggredito la Guant?”
Spaesato scuote la testa.
“Io.. Io non capisco. Ho solo ascoltato quello che Potter diceva in infermeria. Non so di cosa..”
“ORA BASTA!”
Schianto l’uomo contro il muro, la mia pazienza ha raggiunto il limite. Se non vuole dirmi la verità, lo scoprirò a modo mio. Con la bacchetta che freme tra le mie mani, mi avvicino a lui, steso a terra, tirandolo per il colletto della tunica. Quando scorgo l’ennesimo sorriso sul suo volto, gli occhi spalancati nella mia direzione, i canini prominenti, lo faccio ricadere nel angolo dove l’avevo spedito.
“Sta per accadere Severus, e tu non puoi farci proprio niente. Fermare me non ti servirà”.
Canticchia fuori di sé, nonostante la situazione mi appaia chiara, la sua pazzia è ormai definitiva, perché quello che appare più sconvolto dei due, sembro io? Non ho nemmeno il tempo di pronunciare una maledizione che ecco ricomparire la stessa innocenza nei suoi occhi lucidi.
“Severus non mi fare del male, ti prego!”
Piagnucola come un infante, mi sta facendo impazzire. Qualche istante mentre abbassa la guardia mi è sufficiente per stringerli il collo, bloccargli il respiro e fargli ingoiare una fiala di Veritaserum. Ora parlerà, che lo voglia o meno.

Mi ricompongo, sistemando la tunica e allontanandomi da lui, braccia conserte, spalle girate in attesa di sentire le sue ragioni.
“Dimmi. Perché hai attaccato la Guant”.
Quando non sento alcun suono fuoriuscire dalla sua bocca, mi volto cercando di capire perché la pozione non stia facendo effetto. Quello che vedo mi lascia sconvolto: Berger si contorce sul pavimento, mani alla gola nel vano tentativo di fermare le parole. È uno spettacolo agghiacciante che non credevo di poter rivivere al di fuori delle linee del Oscuro Signore, eppure una forza che facilmente riconosco mi tiene inchiodato dove sono, voglioso di sapere fin dove quel mostro possa spingersi. 
“Profezia. Potter”.
Nel mare di singulti e sussulti riesco a percepire solo questo, prima di issarsi contro la parete e sussurrare una cantilena per me priva di senso.
Non c’è dato sapere quando accadrà, ma in nuova luce e potente aura il discendente comparirà. Portatore di luce pura, tenuto all’oscuro verrà, finché i seguaci dell’oscuro sveleranno la sua natura e mai più sul mondo il sole risplenderà” .
Ricominciando a contorcersi, si strappa le vesti, si graffia il volto e lacera il petto, costringendomi a immobilizzarlo. Non gli concedo il privilegio di farsi del male, quel compito spetta a me.
“Incarceramus”.
Funi spesse lo inchiodano a terra, incapace di muoversi e farsi del male; lo osservo qualche istante prima di schiantarlo un’ultima volta contro la parete, alcuni libri cadono dalle mensole, un mormorio si alza dai quadri appesi. Non ho intenzione di giustificare il mio operato, quell’essere non si merita un briciolo in più della mia misericordia. Gli prendo i ricordi nella speranza di fare chiarezza nel marasma di parole pronunciate, avvisando poi il ministero dell’accaduto.
Nel giro di poco tempo, tre Auror si presentano nel mio studio, prendendo in custodia l’uomo e ponendomi qualche breve domanda, prima di smaterializzarsi in direzione del San Mungo.

*

Vago pensieroso per lo studio, una voce petulante nella mia testa mi ricorda di assomigliare a Silente più di quanto vorrei. Mi siedo, rifletto senza giungere a una conclusione, purtroppo la forza di gravità non sembra dalla mia parte in questa giornata infernale, perciò decido di alzarmi e continuare il mio cammino pensieroso.
Le parole di Berger, o di qualsiasi essere si fosse impossessato di lui, continuano a non avere senso per me. Mi sono immerso nei suoi ricordi, più volte senza trarne nulla di comprensibile. Fa riferimento a qualcosa che sta per accadere, qualcosa di oscuro, si lamenta di aver solo ascoltato delle frasi in infermeria, che abbia avuto un incubo forse? Sbuffo mentre la mia attenzione viene attirata dalle fiale sulla scrivania. Perché il Veritaserum non ha fatto effetto?
Ripenso all’infermeria; Madama McFlurry mi aveva avvisato immediatamente del risveglio di Berger, perciò è impossibile che abbia ascoltato qualcosa, giacché la Guant è stata dimessa quella mattina stessa. Qualcosa mi sta sfuggendo ma più ci penso, meno riesco a fare chiarezza. Profezia.. Potter..

“ALBUS!” 
è stato Potter a pronunciare quelle parole, perché non ci ho pensato prima? Anche lui si trova in infermeria, in questa preciso istante. Mi sono concentrato sulla Guant perché è lei la diretta discendente di..
Mi volto a osservare il ritratto scarno di Silente. Possibile che avesse previsto anche questo? Potter è ovviamente collegato alla mancanza del vecchio preside e allo stesso tempo alla presenza di un nuovo ritratto. A questo punto, non dubito che sia stato lui stesso a ripetere le parole che il nuovo inquilino di questa scuola gli ha riferito, incurante della loro portata.
Se Berger non ha vaneggiato perciò, la stoia sta per ripetersi, Potter è il discendente tenuto all’oscuro che getterà il mondo magico nel caos.

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 - POV Adrien Piton ***


“Dovevi proprio trattarlo in quel modo, non è vero?”
Sono fuori dall’infermeria, Clara accanto a me, appena dimessa e tutto ciò che gli viene in mente è.. Potter?
“Hai parlato con lui?”
“Ci sarebbero problemi?”
Mi guarda sospettosa. Abbassarsi al livello di parlare con quell’inetto o anche solo rivolgergli la parola non è un argomento che voglio affrontare ora, ma devo riconsiderare l’idea di farle un discorsetto a riguardo. Deve stare alla larga da lui e dalla sua intera famiglia, i Potter non sono graditi tra le file dei Serpeverde ed è bene che Clara lo tenga a menti.

Le prendo la mano e mi dirigo spedito verso la nostra Sala Comune, dobbiamo sbrigarci se non vogliamo perdere la proclamazione.
“Sai, tuo padre è stato a fargli visita questa mattina”.
Continuo a camminare disinteressato, sperando internamente che l’abbia costretto in punizione fino alla fine dell’anno.
“Gli ha detto che, per la sua sicurezza, è meglio se non partecipa al duello contro..”
“Per la sua cosa?”
“Sicurezza, Adrien. Forse sa qualcosa che tu non sai”.
Sbuffo frustrato, ecco che mio padre ancora non ha capito nulla.
“Sarà venuto a sapere quello che è accaduto con Robert e ora lo vuole tenere fuori da qualsiasi possibile pericolo”.
Tzè, ennesima delusione. “Da come stava parlando, mi sembrava più preoccupato che per una semplice cotta adolescenziale”
“Semplice, Clara? Potter è minacciato dall’intera squadra di Quidditch, senza contare il fatto che è visto male da tutti i Serpeverde”.
Scuote la testa e mugugna qualcosa che faccio fatica a capire, ma non m’importa, non m’interessano i problemi dello sgorbio, Clara è uscita dall’infermeria e questo è ciò che conta ora.

“Berger è stato mandato al San Mungo”.
La stretta nella mia mano s’intensifica e prima che le possa chiedere spiegazioni, Clara chiarisce i miei dubbi.
“Avrei voluto parlargli, fargli delle domande sul mio passato, perché è entrato nella mia testa”. Arrivati nei sotterranei, la cingo in vita prima di fare il nostro ingresso nella Sala Comune, percepisco chiaramente il suo morale a terra.
“Non devi più fronteggiare o parlare con quell’essere per nessun motivo. Come fai a sapere che quello che ti ha mostrato non erano solo bugie? I vampiri hanno molti modi per soggiogare le loro vittime e penetrare la mente delle persone è sicuramente uno di questi”. Mi sorride e un lampo di spensieratezza le attraversa gli occhi. “Entriamo dai, forse siamo in tempo per l’annuncio dei finalisti”.

Facciamo il nostro ingresso nella Sala Comune dei Serpeverde, stipata di studenti, per la maggior parte degli ultimi anni. Ezra mi fa un cenno di saluto e alla vista di Clara al mio fianco, scoppia in un applauso che contagia anche i ragazzi che gli stanno attorno.
“Eccola qua, finalmente. La ragazza che ha sbattuto fuori Berger. Ti siamo tutti debitori ovviamente”.
Osservo Clara accogliere il complimento con un sorriso sarcastico; sono sicuro che voglia specificare che non è colpa sua, che non è da lei far cacciare un insegnante ma le parole le muoiono in gola non appena tre studenti dell’ultimo anno prendono la parola attirando l’intera attenzione su di loro. Il silenzio cala improvvisamente nella stanza, mentre Robert si prepara ad annunciare i tre finalisti.
“Come volevasi dimostrare, i Tassi non sono stati all’altezza delle aspettative e ovviamente, non abbiamo avuto difficoltà a batterli e passare il turno!”
I cori d’incitamento vengono prontamente placati da un’alzata di mano da parte di Ezra.
“Ora ci aspetta una sfida più dura, ma non per questo impossibile. Stiamo parlando dei Grifondoro dopotutto”.
Mi unisco al coro di ragazzi che gridano frasi di disprezzo mentre Clara mi osserva scuotendo la testa.
“I Corvonero erano una preda facile, ma adesso dovranno sfidare noi e non ho intenzione di concedergli la vittoria tanto facilmente. Per questo, per annunciare i tre finalisti, cedo la parola al nostro direttore, Rayland. Un applauso!”
Questa volta nessuno si contiene e le grida di apprezzamento verso l’uomo fanno difficoltà a diminuire.

“Mie adorate serpi, sono fiero di voi. Avete sconfitto i Tassorosso senza troppi giri di bacchetta, andando dritti al sodo”.
Rayland prende un respiro profondo, scorrendo lo sguardo per l’intera stanza, cercando di dimostrare a ognuno di noi la sua sincerità.
“Quest’ultima sfida non sarà semplice, i Grifondoro sceglieranno tre studenti preparati, esperti, coraggiosi”.
Loro e la bontà d’animo non richiesta, tzè.
“..ma noi non ci faremo trovare impreparati. Non gli lasceremo il tempo per decidere come agire, non li lasceremo attaccarci, prenderci in contro piede, saremo spietati e privi di moralità. Mi sono spiegato?”
Un sonoro si, signore risuona nell’intera Sala Comune, riuscendo nello scopo di incitare tutta la casa.
“E ora, i tre studenti che ci porteranno alla vittoria”. Non c’è traccia di preoccupazione, né ansia sui nostri volti, tutti sappiamo già quali saranno i candidati, i tre studenti più preparati.
“Octavio Vector!”
Il ragazzo dell’ultimo anno aveva fatto un lavoro eccellente con i Tassi, riuscendo a eliminare i primi due sfidanti senza nemmeno affaticarsi, pietrificando uno e schiantando l’altro. Era scontato che venisse scelto anche per la finale.
“Non c’è bisogno che v’indichi il secondo, non è vero?”
Raggiungo velocemente Dimmok, intento a mascherare la sua presenza. Gli sorrido trionfante prima di stringergli la mano e invitarlo a salire sul palco insieme a Rayland. Per lui il duello era stato più semplice del previsto: gli era stato sufficiente alzare una così alta cortina di fumo verso l’indifesa tassorosso, per oscurarle la vista. Pochi istanti dopo era stata la stessa ragazza a dichiarare forfè per il timore di essere schiantata in malo modo. Ora manca solo l’ultimo duellante.
“Molto bene, ultimo studente che chiuderà il trio. Vi assicuro che questa persona è particolarmente dotata. Come ho avuto modo di osservare durante le lezioni, è in grado di difendersi e attaccare in modo sublime. Sono sicuro che non ci deluderà. Un applauso per.. Clara Guant”.
Rayland individua immediatamente la figura a pochi passi da me, mentre noto chiaramente lo spaesamento sul suo viso. Clara si guarda intorno, la speranza di aver frainteso le parole del professore si affievolisce man mano che gli studenti le sorridono compiaciuti. Sapevo che Ezra l’avrebbe inserita nel duello, so quanto tenga in considerazione le mie parole e gli elogi di Clara lo devono aver intrigato abbastanza da candidarla come terza scelta.
“Gaunt, c’è qualcosa che vorresti dire?”.
Nessuno si aspettava l’uscita del suo nome, persino Rayland aveva inizialmente titubato sulla scelta di Ezra eppure eccolo qua a spronare Clara a farsi avanti, mentre lei, all’opposto, sembra essere l’ultima persona a voler partecipare. Mi lancia uno sguardo corrucciato, non vuole prendere parte al duello, non vuole sfidare nessuno, né tanto meno mettersi in mostra.
“Ci sono molte cose che vorrei dire”.
Sussurra in modo che solo io possa sentire, prima di voltarsi verso Rayland e sorridergli falsamente contenta.
“Se è quello che desidera, accetto di partecipare”
“Non avevo dubbi. Bene, annunciati i duellanti, vi lascio ai festeggiamenti, godetevi la meritata vittoria mie serpi. Per tutti gli altri, ci vediamo a lezione”.
Raduna le sue cose prima di lasciare la Sala Comune, mentre vari ragazzi cominciano a congratularsi con i duellanti. Ezra ci raggiunge, il sorriso smagliante scompare dal suo viso alla vista di Clara, diretta verso di lui, sguardo truce, dito puntato contro.
“Cosa ti è saltato in mente? Non mi sembra di averti mai detto di voler partecipare al duello. Non ho fatto nemmeno le selezioni!” Nessuno sembra accorgersi della sfuriata, Ezra ed io unici spettatori di una ragazza fin troppo infuriata.
“Calmati. Non avevamo bisogno di vederti sfoderare la bacchetta. Adrien ci ha parlato molto di te, di come duelli, di come reagisci quando ti senti in difficoltà.. Sei dotata, non si può negare e spero davvero tu non ci deluda sul campo”.
Clara mi afferra il braccio senza lasciarmi allontanare, mentre osservo le mie speranze di svignarmela inosservato andare miseramente in fumo. Il suo sguardo è una lastra di ghiaccio, solo a guardarla negli occhi potrebbe pietrificarmi; la sua stretta si fa più opprimente mentre rivolge un’ultima occhiata a Ezra e un sorrisetto sadico le increspa le labbra.
“Io non mi sono mai trovata in difficoltà contro di lui, semmai è stato Adrien a soccombere a ogni duello senza dignità”.
Senza possibilità di replica, la osservo mentre ci da le spalle per dirigersi verso i dormitori, troppo arrabbiata per sentire le mie ragioni, io troppo orgoglioso per giustificarmi.
“Stai zitto, non fiatare”.
Mi allontano da Ezra, troppo tardi per la mia già bassa autostima, mentre una risata fragorosa risuona alle mie spalle ed io decido di lasciare la stanza nella vana speranza di trovare sollievo lontano da quel frastuono.


*


Cammino velocemente per i corridoi, devo trovare un modo per scrollarmi di dosso il fastidio che mi porto dietro; Clara e il brutto vizio di reagire male, come se le avessi fatto un torto, come se le avessi imposto di duellare quando in realtà avrebbe potuto rifiutare senza troppe cerimonie. Credevo di aver fatto la scelta giusta proponendo a Ezra di selezionarla, ma lei invece deve farmelo pesare comportandosi come una bambina dispettosa. E io non so gestire i bambini, a stento sopporto mia sorella, figuriamoci una ragazza che fa i capricci. Sbuffo frustrato, perché non c’è nessuno fuori dalla Sala Comune con cui posso prendermela?

Di sfuggita scorgo un gruppo di Corvonero seduti all’ingresso del castello, libri tra le mani, intenti a ripassare qualche lezione. Come dev’essere eccitante, trascorrere il pomeriggio sui testi, come se ne valesse la pena, come se non fossero già abbastanza intelligenti per farne a meno. Mi appoggio ad una colonna nella speranza di attirare la loro attenzione, fingendo curiosità per il loro discorso.
“Sconfitti da un branco di pomposi Grifondoro. Ditemi che anche voi lo ritenete imbarazzante quanto me”.
Riesco a stento ad interessarli, solo un ragazzo dei cinque mi rivolge uno sguardo infastidito. Incrocio le mani dietro la schiena e pregustando lentamente l’impugnatura della mia bacchetta, mi avvicino a loro incurante del loro disinteresse.
“Oh no, che sbadato. Non siete demoralizzati per la sconfitta. No, siete solo scarsi, infondo persino il vostro direttore è stato sconfitto da una studentessa”.
Spero non riflettano troppo sul da farsi e per una volta almeno uno tra loro sia capace di prendere in mano la situazione e decida di attaccarmi.
“Non vogliamo problemi, Piton”.
Mi dispiace per loro, ma io si.
“Problemi? Voi? Chi ha mai sentito parlare dei Corvonero come attacca brighe, alla ricerca di risse o.. vincitori di duelli?”.
Un sorriso mi sorge spontaneo mentre osservo una ragazza alzarsi, segno di aver accusato in malo modo le mie parole.
“Vi fate difendere da una ragazza?”
Trionfante, mi rivolgo hai quattro ragazzi rimasti chini sui libri, portando a termine il mio obiettivo. Ora ho la loro completa attenzione, cinque studenti contro un solo me, sarebbe deludente se fossero dell’ultimo anno, sconfiggerli darebbe solo prova delle scarse capacità istruttive in questa scuola.
“Ti vorrei ricordare che anche tu ti sei fatto difendere da una ragazza. Eri talmente ubriaco da portare disonore a Salazar stesso”.
Le loro espressioni sono cera, immobili restano impassibili all’affermazione della ragazza. Non c’è scherno sui loro volti, non si stanno prendendo gioco di me, nonostante sia chiaro che quanto stanno dicendo è al di là della mia comprensione.
“Farneticare è una qualità di tutti voi o lo imparate col tempo?”
“Non sia mai che Piton ammetta le proprie debolezze, Stefany”
“Forse la sua ragazza non gli ha detto niente perché si vergogna di lui”
“Magari segretamente gli fa credere di essere persino bravo a letto”.
“Sudici corvacci, con chi credete di..”
“Piton!”
Velocemente come l’ho estratta, nascondo la bacchetta dentro la manica, voltandomi verso mio padre senza prestargli reale attenzione, ma mantenendo il contatto con i ragazzi ormai a pochi passi da me.
“Permetti due parole? ORA”.
Vorrei urlargli che no, non lo seguirò nel suo studio, non lascerò la questione in sospeso, questi cinque meritano di capire a chi devono portare rispetto.
“Sempre qualcuno a difenderti, vero?”

Non mi è permesso rispondere alla ragazza, percepisco lo sguardo di mio padre pervadermi il corpo e una sensazione di costrizione trascinarmi via dagli scalini d’ingresso e seguirlo senza fare domande. Senza accorgermene mi ritrovo sulla Torre di Astronomia, forse lo studio è diventato troppo banale per lui? Il vento gelido scuote ad entrambi i capelli, non mi piace questo posto, memore delle storie che lui mi raccontava da piccolo ho imparato a stargli lontano, difficilmente persino da solo mi addentrerei in questa zona del castello.
“Che c’è?” Tento di chiudere velocemente questa parentesi, non voglio un’altra ramanzina, non voglio niente da lui.
“In che rapporti sei con la Guant?”
Con lo sguardo perso ad osservare il panorama, non mi presta la minima attenzione, fingendo che la domanda appena fattami sia di poco conto. Non credo abbia intuito qualcosa, io e Clara siamo stati attenti, potrà anche aver visto scambiarci qualche battuta, ma nulla di tutto ciò lo può aver indotto a credere che tra me e lei ci sia effettivamente qualcosa.
“Chi?”
Finalmente si volta verso di me, alquanto infastidito.
“Non te lo chiederò una seconda volta”
“Non lo fare”.
Incrocia le braccia e mi osserva, se crede anche solo di incutermi ansia, gli conviene cambiare tattica. Mi appoggio al parapetto trovandomi esattamente difronte a lui, azzardandomi ad incrociare a mia volta le braccia in segno di sfida.
“Qual è il problema?”
Sono io a parlare per primo, voglio sapere cosa sa, voglio sapere cosa gli fa supporre che io abbia una relazione con Clara, voglio sapere quali sono le sue intenzioni nei miei confronti.
“Provi qualcosa per quella ragazza?”.
Io e lui non abbiamo mai parlato di certi argomenti e ovviamente non ho intenzione di iniziare ora.
“Se anche fosse?”
“Non sai nulla di lei. Non conosci il suo passato, non sai perché è stata trasferita qua”.
Stringo i pugni, mi sta facendo la paternale. Non s’interessa a me per la maggior parte dell’anno, ma se frequento persone che non lo aggradano, deve mettermi in guardia.
“è tutto quello che volevi dirmi?”
Dopo un tempo infinito in cui entrambi rimaniamo in silenzio, scuote la testa e muove qualche passo verso di me, squadrandomi dall’alto della sua statura. Solo ora mi rendo conto della posizione in cui mi trovo: sono braccato. Difronte ho mio padre, dietro il vuoto. Cosa può esserci di peggio? Fisso lo sguardo su un punto indefinito, mi sta giudicando e ciò mi fa sentire inferiore. Pochi istanti dopo percepisco un suo sospiro e la sua schiena fa capolino appoggiata al parapetto accanto alla mia. “Parteciperai al duello contro i Grifondoro?”
Se è realmente interessato o vuole fare semplicemente conversazione, mi è difficile dirlo, quello che so, è che la risposta a questa domanda lui la conosce già.
“Se ti ricordi, e io so che non te lo sei dimenticato, sei stato proprio tu a dirmi, due anni fa, di evitare certe competizioni, certe gare..”
“Te l’ho consigliato, mai imposto”.
È serio?
“Cosa?”
“Adrien, non hai mai dato retta a quello che ti dicevo, pensavo valesse lo stesso anche due anni fa”.
“Non ho partecipato alle selezioni di Quidditch perché tu mi avevi detto che le persone si sarebbero fatte delle strane idee riguardo la mia presenza nella squadra!”
Mi guarda scettico, tutto ciò ha dell’incredibile.
“Adrien.. a te nemmeno piace il Quidditch”
“Questi sono dettagli!”
Restiamo in silenzio per qualche istante prima che una risata sommessa da parte di mio padre contagi anche me. Non mi ricordo l’ultima volta che è successo, non mi stupirei se non riuscissi a ricordare un singolo ricordo felice con lui negli ultimi anni; non sono mai riuscito a comportarmi bene nei suoi confronti, non credo di aver mai raggiunto il livello di figlio prediletto e per mia fortuna è arrivata Eileen per quello. Sembriamo una coppia normale ora, padre e figlio che discutono di questioni banali, come se non avessimo un macigno che ci separa, come se dall’alto di questa torre ci fosse concesso di guardare giù a quei piccoli aspetti del nostro passato e calpestarli come se non fossero mai esistiti.




N.d.A. Non ho scuse per il ritardo con cui pubblico. Io, ThestralDawn, mi assumo ogni responsabilità, sperando di accontentarvi con un capitolo più lungo del solito. 
Fateci sapere cosa ne pensate di Adrien e del suo comportamento, se la reazione di Clara vi sembra giusta e Piton versione padre premuroso.

Ancora mi scuso e non dimenticate di recensire, ogni commento è sempre ben accetto.

Grazie per la lettura,
ThestralDawn e nextplayer
 

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 - POV Clara Guant ***


Se mi trovo in questa situazione è solo a causa di Adrien, lui ha convinto Ezra a farmi duellare e anche se lo negherà fino alla fine dei suoi giorni, per un motivo a me incomprensibile, mi vuole vedere duellare. Mi ha sfidato più volte nella stanza delle necessità, ma evidentemente per lui non è stato sufficiente.
Con me ti sei trattenuta, voglio vedere come reagisci davanti ad un estraneo.
Mi porto dietro le sue parole come un macigno, sa che non voglio attirare attenzioni su di me e sa perfettamente che non sono la tipica serpeverde interessata a dar sfoggio dei miei poteri.
Incrocio le braccia al petto e mi appoggio alla parete accanto alla porta d’ingresso dell’aula di difesa, gentilmente concessa dal nostro direttore in preparazione del duello. Osservo in silenzio Derrik e Octavius parlare animatamente di qualcosa fin troppo lontano dai miei interessi, quidditch e grifondoro nella stessa frase mi fanno alzare gli occhi al cielo. È mai possibile che questi ragazzi non sappiano pensare ad altro che alla loro casa rivale?
 
“Ragazzi, buonasera. Grazie per avermi raggiunto qua con così poco preavviso. Ahimè però, ho cattive notizie. Il preside non è stato clemente quanto speravo e non mi ha messo al corrente di nulla”.
“Di che parli?”.
Valder, studente dell’ultimo anno, nonché terzo giudice che ha approvato la mia candidatura, sospira mentre lancia a tutti e tre uno sguardo frustrato. Estorcere informazioni al Preside non dev’essere stato facile e dalle sue poche parole, dubito sia riuscito a ottenere anche solo un briciolo di indicazione in merito al duello futuro.
“Intendo, Dimmok, che non solo non sappiamo chi sono i tre finalisti per i grifondoro, ma non sappiamo nemmeno quali saranno i tre campi di battaglia sui quali vi scontrerete”.
Rivolgo la mia attenzione a Octavius, il più infastidito da questa notizia. Comincia a camminare per la stanza, volano degli improperi, ma il silenzio cala velocemente con una semplice occhiata di Valder. Dimmok rimane più pacato, qualche sbuffo e imprecazione con il preside, ma niente di tutto ciò sembra davvero preoccuparlo.
Rimango basita da entrambe le reazioni, non capisco il loro stupore.
“è un duello per mettere alla prova gli studenti, dove sarebbe la sfida se ci dicessero contro chi e dove dovremmo duellare? Nella vita reale non te la danno quest’opportunità”.
Valder alza lo sguardo dai fogli che tiene tra le mani, guardandomi con supponenza, mentre gli altri due ragazzi mi lanciano un’occhiata perplessa.
“Sei sicura di esser stata smistata a serpeverde?”
“Zitto Dimmok”.
Valder si avvicina, nulla trapela dal suo viso ora; con una mano si appoggia alla parete accanto a me, il suo viso pochi passi dal mio.
“Ti chiarisco le idee, Guant. Noi non duelliamo per il gusto di farlo, noi non combattiamo sprecando tempo ed energie contro altri studenti indegni della nostra casa, per il piacere di farlo. Noi partecipiamo con l’unico scopo di vincere. Vinci per noi Guant e noi otterremo qualcosa in cambio”.
“Cosa otteniamo?”
La domanda mi sorge spontanea e non riesco a fare a meno di chiedere, voglio sapere cosa bramano questi pomposi ragazzi. Per quanto il suo discorso sia stato convincente, non riesco a identificarmi nelle sue parole, il mio scopo non è mai stato questo.
“Punti casa. Un’infinità di punti casa, abbastanza da fare a meno di quelli che abbiamo guadagnato fino ad ora e che il tuo caro fidanzato e i suoi amichetti quotidianamente si prodigano a far perdere. La coppa delle case sarebbe nostra senza troppi problemi”
“Ehi!”
Dimmok, sentitosi tirare in causa in quanto amico di Adrien, tenta senza speranze di interrompere Valder che, staccatosi da me, ora rivolge l’attenzione agli altri due ragazzi. “Volete ascoltarmi ora, oppure vogliamo perdere altro tempo discutendo su quanto tempo sprechiate al posto di studiare per gli esami?”
Sia Dimmok che Octavius lo guardano inferociti, ma nessuno dei due ha il coraggio di aprire bocca e senza attendere oltre, Valder si accomoda su una sedia, in modo da essere ben visto e ascoltato da tutti.
 
“Contro i corvonero hanno schierato tre ragazze, ognuna delle quali ha un ruolo all’interno della squadra di quidditch. È probabile quindi che per il duello finale, optino per tre studenti e se sono prevedibili anche solo la metà di quello che sospetto, anche questa volta manderanno in campo tre giocatori”.
Dimmok annuisce convinto mentre Octavius sembra riflettere sul da farsi.
“Lo faranno sicuramente. I loro giocatori sono quasi tutti studenti degli ultimi anni, conoscono molti incantesimi, sono addestrati fisicamente. Non per niente facciamo spesso fatica a vincere contro di loro, sono preparati per resistere; tenteranno di sfiancarci perciò la soluzione è l’attacco immediato, diretto”.
“Sono d’accordo con Octavius. Andate sul sicuro, agite con incantesimi di cui vi fidate, se vi sentite sicuri e l’occasione è quella giusta, non esitate a perder tempo e attaccateli”. Annuisco all’occhiata di Valder, non penso si fidi ciecamente di me, probabilmente crederà che non sia dedita anima e cuore alla causa, ma infondo non ho chiesto io di partecipare. Impormi ora delle condizioni, non vedo come possa migliorare la situazione. So duellare e non sarà di certo un ragazzo presuntuoso a dirmi come adeguare il mio modo di combattere per riuscire a vincere dei maledettissimi punti.
“Non ho assistito al duello contro i tassorosso, quindi.. Cosa intendevi quando hai detto che non sappiamo quale sarà il campo dove duelleremo?”
“Secondo te cosa significa? Non mi sembra troppo diff-”
“Octavius se invece di aprire la bocca per far passare aria, la usassi per cose utili ci faresti perdere meno tempo”.
“Perché l’avete presa? Non sa nulla su come funziona un duello, neanche vorrebbe partecipare secondo me!”
“Chiudi quella bocca e ascoltami. Non m’interessa quello che pensi o non pensi, perché sono solo cazzate. Concentrati sulla sfida, il tuo unico interesse da ora al duello dovrà essere questo. E ora stai zitto e ascolta una volta tanto”.
Valder lo zittisce senza batter ciglio, il suo tono di voce resta impassibile, come se fosse costretto a fronteggiare certi comportamenti dalla mattina alla sera.
“Guant non mi ripeterò. È semplice: per ogni sfida, il luogo del duello cambia. La Sala Grande sarà allestita per lo scontro e il preside lancerà personalmente l’incantesimo per permetterci di duellare. Ora, nella sfida precedente il terreno era piuttosto banale. Un prato, una fitta boscaglia e la riva di un lago. Stavolta però, possiamo solo formulare delle ipotesi”.
La spiegazione di Valder mi lascia indifferente. A Durmstrang i professori ci tenevano costantemente in esercizio con duelli simili, dove ogni imprevisto era possibile e probabile. “L’interno di una grotta?”
“Certo, Dimmok. Piton va matto per i luoghi bui”.
“Potrebbe essere qualsiasi cosa”.
“Constatare l’ovvio non è d’aiuto, Octavius”.
“Non sei tu che dovrai duellare senza la minima idea sul dove e contro chi!”
“Puoi benissimo ritirarti, a questo punto le tue lamentele stanno cominciando a darmi sui nervi”.
Si mette in mezzo anche Dimmok e nel giro di pochi istanti, i tre intavolano una discussione di cui non ho nessuna intenzione di farne parte.
Lascio la stanza quando le grida diventano alquanto fastidiose; quello che dovevo sapere mi è stato detto e non ho assolutamente voglia di perdere tempo con dei ragazzi che misurano la bravura in base alla purezza dell’albero genealogico.
 
 
I dormitori sono tranquilli, il fine settimana è ormai alle porte, molti ragazzi sono fuori dal castello o chiusi nelle proprie stanze ed io vorrei solo seguirli per rilassarmi prima del duello di domani.
L’ansia non è mai stata una sensazione che mi ha accompagnata nel corso della mia permanenza a Durmstrang, in Russia mi hanno insegnato a gestire diverse situazioni e non vedo come un semplice duello tra studenti possa anche solo minimamente preoccupare qualcuno.
“Stavi pensando a me?”
Perché Adrien riesce sempre a trovarmi, mentre quando sono io a cercarlo, l’impresa è a dir poco impossibile?
“No, al duello”.
Mi passa un braccio sulle spalle e mi attira a sé, incurante del fatto che io sia ancora fermamente arrabbiata con lui.
“Non ti facevo una tipa ansiosa”
“Infatti non lo sono. Lasciami stare, voglio solo riposare qualche ora prima del duello”.
“Clara non puoi tenermi il broncio per sempre!”
“Stai a vedere”.
Mi scosto dalla sua stretta e accellero il passo raggiungendo la porta della mia stanza, portandomi dietro Adrien che ovviamente non vuole lasciare la questione in sospeso.
“Ehi! Mi vuoi spiegare qual è il problema? È solo un duello”.
Quando sento la sua stretta sul braccio, mi volto velocemente e senza che se lo aspetti, comincio a spintonarlo.
“Non voglio dare spettacolo e tu lo sai! Non voglio dare un pretesto alla gente per parlare di me. Non voglio essere ferita più di quanto non lo sia già!”.
Lo spingo lontano da me un’ultima volta, imprimendo troppa forza, facendogli perdere l’equilibrio e cadere a terra.
Mi è sufficiente la sua espressione per capire di aver commesso un errore; si alza lentamente, gli occhi celati dai capelli mettono in risalto la sua bocca, digrigna, percepisco chiaramente la mandibola contorcersi, le labbra serrarsi in una linea sottile. Stringe i pugni e quando finalmente scorgo i suoi occhi, un macigno sembra colpirmi al petto. La spensieratezza che fino a pochi istanti prima li aveva caratterizzati, ha lasciato spazio alla frustrazione; il cuore mi rimbomba nel petto e entrambi sembrano appena usciti da una zuffa.
“Hai così poca fiducia in me da credere che possa anche solo minimamente succederti qualcosa?”
Sussurra sperando di non lasciar trasparire alcuna emozione ma quello che prova è ormai evidente. Ho acceso la miccia e dato fuoco all’intera casa, ora devo subirne le conseguenze e restarne bruciata.
“Non ci sarai tu su quel palco a duellare”.
Gli do le spalle un’ultima volta prima di aprire la porta della stanza ed entrare.
“Cosa vuoi sentirmi dire, Clara? Dimmelo. Vuoi che ti dica che ho sbagliato, che non ho riflettuto prima di spifferare ad Ezra dei nostri duelli, di dirgli quanto fossi brava a duellare?” “No, Adrien. Volevo soltanto che tu fossi venuto a parlarne con me. Avrei solo voluto sapere le tue intenzioni, prima che tutto questo mi venisse imposto, per l’ennesima volta”.
Una lacrima gli riga il viso e per quanto vorrei lasciarmi trasportare dalla rabbia e prenderlo a pugni, la parte di me che ormai non può fare a meno di lui, mi spinge ad avvicinarmi, uscire dalle quattro sicure pareti della mia stanza e prendergli il viso tra le mani. Non mi guarda negli occhi, troppo fiero per mostrarsi debole, anche di fronte alla realtà dei fatti, Adrien non rinnegherà mai la sua indole cocciuta da serpeverde.
“Non voglio che tu cambi per me, non devi comportarti in modo diverso solo per accontentarmi. Non dirò che sei meno valoroso solo perché hai pianto davanti a me. Di questo puoi starne certo, non ti mentirò, né cercherò qualcosa di diverso in te. Non devi assomigliare ad Ezra solo perché si crede un puro serpeverde, Robert perché è grande e grosso o tantomeno Dimmok perché è abile negli incantesimi. Se potessi scegliere, non cambierei nulla di te, ma io non sono nessuno per importi qualcosa quindi..”
“Tu sei tutto, Clara. Tutto, per me”.
 
 
 
*
 
 
 
Mi sveglio di soprassalto, l’incubo avuto in infermeria non smette di perseguitarmi e le notti continuano ad essere difficili da superare. Sono ricordi del mio passato, di questo sono certa, un passato che Berger molto “gentilmente ” mi ha riportato alla mente. Sogno i miei genitori, o perlomeno quelli che credo esserlo. Qualcosa però mi sfugge, sono ricordi che non riuscirò a comprendere da sola, ho bisogno che qualcuno mi dica come agire, come riuscire a ricordare tutto, la verità una volta per tutte.
 
Sospiro e tento di alzarmi dal letto, nonostante la stretta ferrea di Adrien che mi stringe a sé e il calore emanato dal suo corpo siano una piacevole consolazione al mio brusco risveglio. Volto la testa nella sua direzione, un lieve respiro sembra cullarlo da ieri sera, quando troppo agitato si è addormentato in pochi istanti sul mio letto, rendendomi impossibile svegliarlo. Gli occhi chiusi, i capelli sparsi sul suo viso, l’espressione rilassata lo rendono quasi innocente ad un occhio inesperto.
Lentamente mi allontano dalla sua stretta e cercando di fare il minimo rumore possibile, comincio a prepararmi per il duello. Se non mi sbrigo, farò tardi e ricevere altre occhiatacce da Valder o Octavius non è esattamente quello che vorrei come prima cosa la mattina.
 
Adrien è ancora nel mondo dei sogni quando chiudo la porta della mia stanza e mi dirigo in Sala Grande. Questa è già allestita per la sfida: ai lati sono state posizionate le tribune, mentre al centro spicca per la sua lunghezza il palco rialzato. Immagino che non appena noi sfidanti vi saliremo sopra, questo assumerà l’aspetto del luogo prescelto per la sfida dal preside.
Alcuni studenti, i più piccoli, sono già sistemati sulle tribune, ma la maggior parte deve ancora arrivare. Per quanto un duello tra case non attiri l’interesse di molti, questa sfida capita durante il weekend e piuttosto che trascorrere la mattina sui libri, sono certa che molti studenti preferiscano passarla qua e distrarsi.
Incontro Dimmok a metà strada, diretto anche lui verso la postazione delle serpi; dal suo viso non traspare altro se non la stanchezza. Ieri deve aver festeggiato un po’ troppo e ora subisce le conseguenze di una notte trascorsa a fare baldoria.
“Sbaglio o ieri sera non ho visto Adrien nei paraggi?”
“È andato a letto presto”
“Spero non ti abbia fatto stancare troppo”
“Non so di cosa stai parlando e sinceramente, fatti gli affari tuoi”.
Lo spingo con la spalla e entrambi ci lasciamo andare ad una risata liberatoria.
“Finalmente vi siete degnati di presentarvi”
“Valder è sabato mattina, abbiamo il permesso di essere in ritardo”
“L’unica cosa che vi è permessa al momento è di salire su quel dannato palco e sfoderare i vostri migliori incantesimi”.
Valder chiama a gran voce Octavius, perso a parlare con Rayland di non si sa cosa, mentre io e Dimmok ci guardiamo ridendo. Ogni tanto Valder avrebbe bisogno di un calcio dritto nei..
“Guant, mi stai ascoltando?”
“Certo”.
Mi sforzo di ascoltare il ragazzo al meglio delle mie capacità, ma la sua faccia, la sua voce, iniziano a darmi sui nervi.
“Allora.. Per primo, salirà sul campo Vector, farà del suo meglio per eliminare il primo sfidante e tenterà con il secondo. Se resisti, ben venga, altrimenti passa la mano a Dimmok. Guant tu sarai l’ultima; non ti assicuro che parteciperai, la scorsa volta non è stato necessario un terzo duellante”.
C’è la possibilità che io non combatta. Vorrei gridare dalla gioia, abbracciare Valder e dirgli che sarei grata se questo accadesse. Insomma, sembra che qualcuno abbia ascoltate le mie speranze.
“Ragazzi si comincia!”
Robert ci avvisa e questo mi distrae per qualche istante dal duello, mentre la mia attenzione si posa ora sulla Sala Grande. Ora è interamente gremita, ci sono moltissimi studenti, scorgo Ezra a pochi passi da me, Zafira sugli spalti insieme ad altri serpeverde, ma di Adrien nemmeno l’ombra. Che non si sia ancora svegliato?
 
“Benvenuti a tutti. È un piacere vedere così tanti studenti svegli e pimpanti, pronti a fare il tifo per i nostri duellanti di Serpeverde e Grifondoro. Sono qua in vece del preside che purtroppo ha avuto un impegno inderogabile, ma farà del suo meglio per esserci alla premiazione della casa vincitrice. La sua assenza non sarà un pretesto per agire in modo sconsiderato, pretendo un comportamento degno di studenti maturi oggi”.
Rayland fissa il suo sguardo nella direzione dei grifoni, per poi rivolgersi a noi e ammiccare con fare d’intesa.
Un sorrisetto mi sorge spontaneo sulle labbra, quando la mia attenzione viene catturata da due occhi color ambra e un’espressione assonnata. Adrien mi sorride, piegando la testa in direzione di Rayland, facendomi capire che persino dalle tribune hanno intuito il suo riferimento.
 
“Detto ciò, veniamo alle regole: è fuori discussione l’uccisione dell’avversario, nonché qualsiasi maledizione che possa provocargli nel breve e lungo periodo la morte. Sono concessi tutti gli incantesimi insegnati all’interno di questa scuola, mentre è vietato l’uso di pozioni.
Per ritirarsi sarà sufficiente evocare delle scintille rosse con la propria bacchetta, o semplicemente dare il cambio al proprio compagno; una volta fatto, non sarà più possibile tornare in sfida.
Ultima precisazione prima di dare spazio al duello: a seguito degli incantesimi scagliati per errore contro le tribune nel corso delle semifinali, il preside ha innalzato una barriera difensiva lungo tutto il palco. Nessun duellante può uscire finché non dichiara forfè, nessuno studente può intervenire salendo sul palco”.
Il silenzio cala su tutta la Sala mentre Rayland si volta per fronteggiare lo sguardo degli studenti seduti, nessuno fiata a conclusione delle regole, nessuno chiede delucidazioni. Noi serpi siamo pronti per sfidarci, ora spetta ai grifondoro mostrarsi per quello che sono.
“Molto bene. A questo punto, che vinca il migliore”.
 
Il nome di Octavius riecheggia per tutta la Sala Grande quando, posizionandosi al centro del palco, attende euforico lo sfidante dell’altra casata. Si volta verso gli studenti che applaudono per lui e alza un braccio in segno di ringraziamento. Stessa manfrina per il grifondoro, intento ora a raggiungere Octavius per fronteggiarlo.
Steven Baston, quinto anno, portiere della squadra di quidditch, eccessivamente alto e fin troppo robusto per la sua età.
 
L’inchino non lascia spazio a parole superflue, non ci sono strette di mano o sorrisi sprezzanti, i due sfidanti hanno appena il tempo di darsi le spalle che il luogo dell’incontro si trasforma.
Una nebbia fitta invade il palco, mentre si fa persistente il suono dell’acqua infrangersi contro la barriera. Folate di vento lasciano intravedere scogli, onde troppo alte scagliarsi in ogni dove e in un istante, diventa chiaro a tutti qual è il luogo della sfida: faraglioni scozzesi.
Passano pochi secondi di silenzio, il tempo di capire come sfruttare ciò che hanno a disposizione e i due duellanti danno inizio allo scontro.
 
L’acqua che li sommerge fino alle caviglie non sembra disturbarli, entrambi riescono a muoversi agilmente senza fatica; un aguamenti potenziato viene scagliato nella direzione di Octavius, ma il drago d’acqua creato lo manca di qualche metro, superandolo e rendendo per il momento inefficace l’incantesimo. Non intuendo la tattica di Baston, Octavius sfrutta la momentanea assenza di vento e tenta invano di perforare il grifondoro con degli aculei, ricevendo in cambio un’occhiata da Peterson. L’idea era buona, peccato Octavius non si sia accorto del drago alle sue spalle, che preso vita dall'acqua, ora lo scaglia senza indugio contro la sabbia, lasciandolo in balia delle onde che lo sommergono. Zuppo, disteso sulla sabbia, ansimante, la serpe tenta di divincolarsi dalla stretta ferrea del drago, mentre Baston si avvicina, uno sguardo trionfante sul viso, la bacchetta stretta tra le mani, l’incantesimo per chiudere il duello ormai sulle sue labbra.
Guardo Octavius voltarsi un’ultima volta verso la nostra direzione, prima di sguainare uno dei suoi migliori sorrisi sarcastici, appoggiare i palmi a terra e sussurrare delle frasi.
Non mi è immediatamente chiaro il suo intento, finché con la vicinanza di Baston, e il tono delle sue parole più comprensibile, capisco la prossima mossa di Octavius. Quello che fino a qualche istante fa era un bisbiglio, ora viene gridato a gran voce, lasciando pietrificato il grifondoro.
DominusTerra!”
L’acqua intorno a loro comincia a tremare, le onde si fanno più alte, le spaccature nel terreno sotto di loro provocano una voragine nell'esatto punto in cui si trova Baston, facendolo scivolare e cadere in acqua lui stesso, prima che un’onda alta e controllata dall’incantesimo di Octavius lo trascini in profondità per alcuni metri.
Sorrido e applaudo alla vista di Octavius che si prende tutto il tempo per rialzarsi e sistemarsi la divisa impregnata d’acqua prima di agitare la bacchetta e far emergere Baston dall’acqua, privo di sensi.
 
Veloce com’è cominciato, il duello si conclude con la vittoria dei serpeverde.
“Da che mi ricordo, nessun duello è mai stato così breve”.
Dimmok fischia all’inchino di Octavius verso la tribuna dei grifoni, non accorgendosi del nuovo sfidante che immediatamente sostituisce il suo predecessore.
L’ovazione per il vincitore ancora rimbomba per la Sala Grande quando il palco si trasforma per la seconda volta.
Emmanuel Johnson, battitore, fisico asciutto, spalle ampie, perfettamente bilanciato, stringe la mano a Octavius ed entrambi vengono avvolti dalla nebbia.
Il campo di battaglia cambia aspetto, portando i due ragazzi sulla cima di una montagna; per nulla scossi dall’alta quota, né da gelo causato dalla neve che li circonda, né tantomeno dalle raffiche di vento che fendono i loro corpi, i due si posizionano per duellare.
 
La tattica del grifondoro mi è chiara fin da subito: per quanto possa sembrare ridicolo usare il fuoco date le condizioni in cui si trovano, quello che ha in mente risulterà efficace se Octavius non se ne renderà conto in tempo.
Essendo bagnato fradicio dal duello precedente, l’intento è sicuramente quello di far sudare il necessario la serpe per gettarlo poi in mezzo al ghiaccio, provocandogli un abbassamento di pressione improvviso e mettendolo fuori gioco all’istante. Le spire di fuoco circondando Octavius a sufficienza per farlo inginocchiare a terra e permettere a Johnson di agire.
Quello che avevo predetto avviene fin troppo velocemente; Octavius accusa un colpo di tosse, distraendosi il minimo e lasciando spazio di manovra al grifone per far cedere le fauci di fuoco e colpire lo sfidante nel bel mezzo delle costole con un expelliarmus.
L’impatto di Octavius con la barriera è immediato, mentre dalle tribune s’innalza un boato non tanto per la vittoria di Johnson ma per lo spettacolo che gli sfidanti stanno dando.
 
Il tempo sufficiente per vedere alcuni ragazzi prendersi cura di Octavius , che scorgo le spalle rigide di Derrik, dirigersi verso il palco. Pugni serrati, bacchetta in mano, s’inoltra nella nebbia che invade l’intero campo.
Non riesco a capire se sia più infastidito dal modo in cui Octavius si sia lasciato sconfiggere o dalla sfrontatezza del grifondoro, ma so per certo che se si lascerà trasportare da questi pensieri, il duello non sarà affatto facile per lui.
 
Per lo stupore di chiunque, la nebbia non dà segno di volersi diradare, rendendo chiara la possibilità per i due sfidanti di trovarsi già sul luogo dello scontro e di non attendere oltre per duellare.
Nessuno è in grado di vedere quello che sta accadendo sul palco, nonostante s’intravedano delle luci illuminare l’intera foschia, chiaro segno dello scontro in atto e di incantesimi scagliati. La platea comincia a dare segni di cedimento, tutti sono curiosi di sapere cosa sta accadendo tra i due e questa condizione di nebbia perenne non soddisfa nessuno.
Mi volto in direzione di Adrien che mi lancia un'occhiata preoccupata, ma tutto ciò che posso fare al momento è alzare le spalle e attendere inerte l’arrivo di Dimmok. Non dubito delle sue doti da duellante, ha dimostrato di sapersi adattare a diverse condizioni ed è abile nel mimetizzarsi, perciò non vedo come..
 
Vengo interrotta nei miei ragionamenti da qualche studente che alzatosi in piedi sulle tribune, tenta di scorgere da un’altra posizione, cosa stia accadendo. Anche Adrien segue il ragionamento dei ragazzi serpeverde, ma a differenza degli altri, sembra notare qualcosa che a tutti pare sfuggire. Vedo come rivolge la sua attenzione nei miei confronti e mi indica un punto imprecisato del palco; nonostante provi a seguire la sua indicazione, nulla appare ai miei occhi per diversi minuti, finché dalla foschia appare un'ombra indistinta diretta verso la mia direzione.
Mi avvicino lentamente al palco, mentre dietro di me Valder e Robert già applaudono sicuri di vedere Dimmok scendere dal campo di lì a breve.
Quando anche l’ultima traccia di foschia si dirada, lasciando chiaramente intravedere il corpo di Dimmok, quello che si presenta ai nostri occhi, non è affatto come lo avevamo atteso. Johnson trascina per il colletto della divisa l’amico di Adrien, una lieve ferita alla tempia che lo ha chiaramente stordito e causato la perdita dell’incontro.
“Debolucci se non riuscite neanche a fronteggiare un po’ di foschia”.
Johnson lascia andare il corpo di Dimmok a pochi passi da me, fuori dal palco, con il chiaro intento di aver la vittoria in pugno; con un braccio, trattengo Ezra per la divisa prima che salga sul palco e faccia rimpiangere ad Emmanuel di essere così compiaciuto, mentre con l’altra mi assicuro delle condizioni fisiche di Dimmok. Respira senza difficoltà, ma la ferita sulla fronte deve essere medicata.
“Clara sali sul palco, ci penso io a Dimmok”.
Ezra si riprende in fretta, e con l’aiuto di Valder, trascinano il ragazzo lontano dal duello. “Guant!”
Sto per salire sul palco quando Valder, un braccio sulle spalle di Dimmok, si volta verso di me, scandendo al meglio le sue parole.
“Non siamo conosciuti per essere leali, né tantomeno proviamo pena per i nostri nemici. Ricorda però.. Tra i serpeverde c’è fiducia, ci proteggiamo le spalle a vicenda e soprattutto restituiamo i torti subiti”.
Lo osservo mentre lascia Dimmok nelle mani amorevoli di Madama McFlurry, prima di rivolgere la mia attenzione sulle tribune e cercare Adrien con lo sguardo. Lui mi sorride e annuisce. Lo prendo come il consenso definitivo che mi serviva per imporre la mia presenza in questo duello, nella speranza di concluderlo in fretta e prendermi la vendetta per i miei compagni.
Non devo dimostrare le mie doti a nessuno, ma questa scuola mi ha insegnato che al di là delle singole capacità, c’è qualcosa di più importante per cui vale la pena lottare. Le persone che mi circondano, ragazzi e ragazze della mia casa che mi hanno accolto indipendentemente dal mio passato e che mi difenderanno sempre.
 
Faccio un respiro profondo, schiarisco la mente da qualsiasi pensiero negativo, sono totalmente cosciente di me e delle mie capacità, la mia attenzione ora va solo al ragazzo che sta salendo sul palco.
La maggior parte dei ragazzi presenti in Sala Grande comincia ad applaudire, fischia a grida si spargono per le tribune, eccitati per la futura esibizione del nuovo duellante. Gira su se stesso per salutare chiunque stia tifando per lui, alza le braccia al cielo e batte le mani, dando il tempo alle persone che prontamente lo seguono creando un’ovazione degna del suo nome.
James Sirius Potter, in tutta la sua perfetta figura da cercatore, mi sorride affabile.
Lo squadro per qualche istante prima di fargli un cenno con il capo e attendere la natura del luogo in cui è previsto il nostro scontro.
Non mi inchinerò per nessuno, che sia un grifondoro presuntuoso o un mago rispettabile, nemmeno sotto tortura.
 
Chiudo gli occhi e attendo, una piacevole brezza calda mi pervade il collo; nella vana speranza di ritrovarmi in un’oasi sperduta, li riapro e resto spiazzata dalla situazione.
Sono circondata dalla sabbia calda del deserto, raffiche di vento misto a sabbia mi impediscono parzialmente la visuale, il sole puntato addosso disegna ombre diagonali ai nostri piedi e mi accalora in un istante. Evoco una bolla refrigerante intorno al mio corpo e mi preparo per duellare.
 
Potter è piuttosto agile, si disillude in fretta e mi lascia sola sul campo, non considerando il fatto che le sue orme sulla sabbia sarebbero visibili anche ad un cieco.
Incarceramus!”
Evoco delle catene che non vanno a segno, ma lo scopo di fargli intuire che so dove si nasconde, danno il loro frutto. Toglie l’incanto su di sé e ritorniamo allo stato di partenza. “Non mi piace duellare contro una ragazza”.
Ho sentito cosa si dice su di lui per la scuola, degno successore del padre, cercatore modello, studente raccomandato, sempre circondato da ragazze. Se non lo conoscessi, direi quasi che è appartiene ai serpeverde, peccato il solo pensiero faccia rabbrividire lui e l’intera casata di Salazar. Un Potter tra le nostre fila basta e avanza.
Aveva ragione Adrien, è nella natura di un serpeverde opporsi ad un grifondoro.
 
Non ho voglia di perdere altro tempo con lui, non mi interessa nemmeno sapere quali sono i suoi punti deboli, desidero solo che questo duello finisca, che lui paghi per la sconfitta di Dimmok e si tolga quel sorrisetto da sbruffone una volta per tutte.
 
Con uno scatto, si sposta lateralmente e erge attorno a lui un muro di pietra, incominciando scagliarmi contro enormi cumuli di sabbia. Proteggermi risulta più facile del previsto e prima che se ne renda conto, evoco a me la sabbia e lo rinchiudo dentro quelle quattro muro dietro cui ha tentato di difendersi. Dirigo l’enorme sfera fatta di granelli di sabbia lungo il campo, raggiungendo le tribune dei grifoni e lasciandola schiantarsi contro la barriera.
Nonostante il boato dei serpeverde, Potter si rialza in un istante, la gamba sinistra dolorante a causa dell’impatto con il terreno.
Decido di puntare su quella per vincere il duello e tralasciando il suo sguardo furioso, penso velocemente ad un piano.
Exulcero!”
Mi getto di lato, non ho mai sentito un incantesimo simile e quando mi volto per vederne il risultato, la sabbia dove mi trovavo si è tramutata in cenere. Potter corre verso di me, pochi passi ancora e mi potrebbe raggiungere.
Impediamenta!”
Il grifondoro non ci casca e con uno stupeficium distrugge il muro invisibile senza troppe cerimonie.
Approfitto di questo attimo di distrazione per evocare un serpente. Sento delle voci provenire dalle tribune non lontane da me, ma per mia fortuna Potter non si accorge di nulla. Dico alla serpe di nascondersi sotto la sabbia e dirigersi verso il mio avversario, prima che senza rendermene conto vengo fatta levitare in aria, per poi cadere in malo modo a causa della rottura dell’incanto.
La gamba sinistra di Potter è stretta tra le fauci del serpente, mentre lui è costretto a terra dal dolore.
“Che c’è Potter, paura di una serpe?”
Incendio!”
Lingue di fuoco inceneriscono l’animale, provocando bruciature lungo tutta la gamba di Potter; le sue grida riecheggiano per tutta la Sala, ora ammutolita dallo spettacolo. Si inginocchia a terra, ma anziché lamentarsi ancora o chiedere aiuto, mi guarda infuriato. Ruota la bacchetta verso di me e con un incantesimo non verbale mi fa sobbalzare contro la barriera.
La schiena mi duole ma il non è questo di cui devo preoccuparmi ora, il braccio ha attutito il mio peso nella caduta e ora percepisco chiaramente il sangue della ferita sgorgare senza sosta. La manica della maglia ormai intonsa mi lacera la pelle, il contatto con la ferita è fuoco sulla pelle.
Vedo con la coda dell’occhio Adrien alzarsi dalle tribune e cercare il mio contatto, quando lo guardo a mia volta però, la preoccupazione sul suo viso, mi rialzo e tento di tranquillizzarlo. Mi fa segno di chiudere qua la partita, prima che la situazione mi sfugga di mano o io perda i sensi, mi sono esposta fin troppo con Potter. Ora tutti si sono accorti che sto sanguinando e l’unico modo per farli pensare ad altro è dargli un buon motivo per distrarsi.
Evoco delle bende ad avvolgermi il braccio e serrando i denti per non urlare, mi avvicino a Potter, ancora inginocchiato nel disperato tentativo di cicatrizzare le bruciature sulla gamba. Ingenuo.
 
“Guant! Combatti, sporca serpeverde!”
Non credevo avesse ancora abbastanza fiato per emettere alcun suono, ma non c’è problema, rimedierò all’istante.
Stringo tra le mani la bacchetta, il vento caldo comincia a spirare forte verso di lui, costringendolo disteso a terra, funi di sabbia a premere sulla ferita, impedendogli ogni movimento o respiro. Con un gesto della mano sferzo l’aria e impongo al suo corpo di innalzarsi davanti a me. Il suo volto ormai pallido, chiaro segnale della mancanza di ossigeno, mi fa capire che Potter è al limite della sopportazione.
Libero il suo viso dall’impedimento e lo guardo negli occhi.
“Ti arrendi?”
Piega ferocemente la testa di lato. Non impareranno mai.
 
Mi siedo sulla sabbia, il suo corpo in balia delle mie funi, la bacchetta a terra a pochi metri da me; non so quanto ci vorrà, ma a questo punto, non mi resta che attendere la sua disfatta in silenzio. I serpevedre hanno incominciato ad applaudire, ormai sulle tribune hanno capito chi si aggiudicherà la vittoria, ora spetta solo a Potter porre fine a questo strazio.
 
“Ti renderò la scelta più facile”.
La sabbia gli sigilla la bocca e il naso, facendolo dimenare per qualche secondo.
Quando scorgo Peterson alzarsi in piedi, lo libero e tra i suoi ansimi, due parole che attendevo da tempo, riecheggiano per la Sala.
“Mi arrendo”.
“Ottimo!”
Lo lascio cadere rovinosamente a terra, incurante della sua ferita alla gamba per poi voltarmi verso le tribune dei serpeverde e piegarmi in un inchino, ringraziandoli per gli applausi.
 
Il deserto scompare, la sabbia svanisce e io mi ritrovo sul bordo del palco; ora la Sala Grande ha ripreso le sue sembianze normali, la barriera è caduta e posso andarmene prima che qualcuno mi porti in infermeria per accertarsi della ferita al braccio.
“CLARA!”
 
Pochi istanti per capire chi mi stia chiamando e due braccia mi trascinano giù, distesa sul palco, mentre un lampo di luce rossa mi colpisce alla spalla sinistra.
Ansimo, sbatto le palpebre più volte, il nero lascia spazio alla luce, la testa ovattata mi impedisce di concentrarmi. Il braccio ha ripreso a farmi male più del previsto, un singulto di dolore fuoriesce dalle mie labbra, imprecazioni di dolore che non riesco a trattenere. Mi prendo la testa tra le mani, una rabbia incontrollata mi pervade il corpo e mi spinge a rialzarmi per fronteggiare la persona che mi ha aggredita.
Alcuni serpeverde sono saliti sul palco, bacchette sfoderate al mio fianco. Mi faccio largo tra di loro senza curarmi delle grida di Adrien che mi chiama a sé. In due falcate raggiungo Potter, alzatosi in piedi alla bene e meglio, bacchetta nella mia direzione. Figlio di..
 
Un’energia che non credevo di avere scaturisce dalla mia bacchetta, facendo indietreggiare chiunque mi stia accanto, il palco è tornato ad essere un campo di battaglia alla fine.
Sento il cuore battere all’impazzata, come volesse uscire dal mio petto, scintille fuoriescono dalla bacchetta, l’ira nei confronti di questo sudicio essere mi terrorizza e aggrada allo stesso tempo. Non so cosa mi prende, ma decido di lasciarmi andare e tutto la rabbia di questi giorni prende il sopravvento del mio corpo.
“Come osi attaccare me?!”
Sferzo l’aria circostante e lo sbatto a terra, raggiungendolo in un istante senza concedergli il tempo di capire cosa gli accadrà. Agisco senza controllo, una mano lo afferra al collo bloccandogli il respiro, l’altra con in pugno la bacchetta, puntata alla sua tempia.
 
Occhi castani incontrano i miei, lacrime affiorano sul viso del ragazzo, spasmi irregolari gli pervadono il corpo. Nulla di tutto ciò mi concerne, lontano anni luce da me anche solo uno spiraglio di pietà, imprimo più forza nella stretta sul suo collo e sancisco la sua condanna.
“Crucio!”






 

N.d.A. 

Buonsalve Cari Lettori/Lettrici.
Capitolo un pò più lungo del solito,ma spero ne sia valsa la pena.
Ovviamente sentitevi liberi di farci sapere che ne pensate lasciando una recensione alla storia, se il comportamento di Clara vi ha stupito e cosa credete accadrà da qui in avanti.
Anche Adrien ha avuto modo di confrontarsi con la ragazza, ma per sapere se la relazione tra i due proseguirà in un modo o nell'altro, non vi resta che rimanere concentrati sulla storia. Ci sono ancora molte cose che dovranno accadere e noi vi raccomandiamo di non perdervi un solo capitolo.

Restate allerta, il prossimo capitolo verrà pubblicato a breve.

Fino ad allora, Buona Lettura!
ThestralDawn e nextplayer

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 - POV Severus Piton ***


Rientrare al San Mungo dopo diversi anni dal mio ricovero mi fa chiaramente percepire ancora un effetto strano; nulla è cambiato, riconosco persino alcune delle infermiere che mi hanno assistito durante la degenza. Sembra che il tempo non sia passato, gli stessi stanzoni ameni, camici verdi che al solo guardarli mi si rivolta lo stomaco, l’odore di unguento che trasuda da ogni parete.
 
Cammino spedito per i corridoi; le medimaghe mi osservano con riverenza, alcuni pazienti m’indicano con un dito, altri mi apostrofano con uno sguardo sbalordito. Se prima della guerra, sui loro volti era palese l’espressione d’odio e disprezzo, ora manifestano senza discussione gratitudine e rispetto: ho istruito metà delle persone che si trovano in questa struttura dopotutto.
 
Mi dirigo al quarto piano, reparto Lesioni da Incantesimo, lo stesso piano che mi aveva ospitato per più di qualche mese. Scorgo Hermione in lontananza, il suo camice bianco, tipico dei babbani, spicca sugli altri. Lei e quell’ostinata esigenza di dimostrare le sue radici nonché studi in un college esterno al mondo magico.
Mi rivolge un’occhiata infastidita, ma nonostante la fretta, palese sul mio viso, conclude con tutta calma la conversazione con una medimaga di turno. Quando finalmente decide di rivolgermi l’attenzione, pare quasi scocciata della mia presenza sul Suo luogo di lavoro. Come se io accettassi di buon grado le sue mensili visite a scuola.
 
“Ora tu mi spieghi perché Berger, mio caro amici nonché tuo professore di pozioni, è stato ricoverato d’urgenza qua!”
“Anche io sono felice di vederti, Cara”.
“Non sono in vena, Severus. Quell’uomo era sotto Imperio quando l’abbiamo medicato, abbiamo impiegato diverse ore per farlo rinsavire. Farneticava in continuazione di qualche profezia, una ragazza e..”
“Dove si trova?”
“Stanza 394, ma Severus ora è debole, gli serve..”
Velocemente mi smaterializzo, lasciandola al suo lavoro. Non sia mai che qualcuno dica che il marito privi la dott. Granger delle sue amorevoli cure verso i pazienti.
Entro nella stanza non considerando affatto gli orari di visita, non ho tempo da perdere dietro ai comodi dell’ospedale; la camera è in penombra, Berger sveglio fissa un punto imprecisato sul muro accanto a lui. Quando si accorge di me, faticosamente si sistema in una posizione più consona alla mia presenza e mi osserva titubante.
“La stavo aspettando”.
“Ma davvero? Di tutte le persone a te care, tu attendevi proprio me?”
“Per quello che è accaduto nel suo studio”
“Ovviamente”.
La fatica nei movimenti traspare chiaramente anche nel suo modo di parlare, stralci di parole rimangono espressi solo nella sua mente e prima che possa formulare una frase, passano diversi secondi di silenzio alquanto fastidioso. Si prende la testa tra le mani, non mi stupisco delle lacrime che senza sosta gli rigano il volto.
“Non volevo fare del male a nessuno. Qualcosa di grande.. Qualcosa più forte di me, mi ha spinto ad agire in quel modo, contro la ragazza”.
Mi rivolge uno sguardo carico di speranza, crede davvero che sia io a poterlo discolpare dalle sue azioni?
“Tu mi credi, vero Severus?”
Mi affaccio alla finestra, la visuale del bosco è gradevole, nonostante la realtà fatta di mattoni diroccati e lastre di ferro dovrebbe colpirmi come un pugno allo stomaco.
Non posso negare che la maledizione lo abbia spinto a gesti “inconsueti” per un professore, ma la sua natura da vampiro mi obbliga a considerare anche gli altri fattori. Ciò che mi interessa ora, è capire quanto di quello che ha detto nel mio studio sia vero.
“Prima che tu venissi schiantato, hai formulato delle frasi, parole alle mie orecchie, prive di senso. Te ne rammenti?”
Il suo riflesso nel vetro spicca di là del verde chiarore delle fronde degli alberi.
“No io.. Io non ricordo”.
“Rifletti, per la miseria. Data la tua doppia natura, non dovresti avere difficoltà a scavare nei tuoi ricordi e identificare ciò che ti ho chiesto”.
“Sono stanco, Pit-”
“TU sei stanco? Io mi ritrovo con un professore che aggredisce una studentessa, beghe legali con il Ministero, un’intera scuola da mandare avanti e TU pretendi di essere stanco?”
Mi ero ripromesso di non perdere le staffe, ma con quest’uomo che mi fa perdere tempo, sto fallendo miseramente. Devo cercare di non agitarlo troppo, o potrebbe chiudersi a riccio e non pronunciare più parola. Salazar solo sa quanto mi trovo in difficoltà a trattare con i bambini!
 
“Qual è il tuo ultimo ricordo?”
Deglutisce e fissa il muro, percepisco chiaramente la sua mente lavorare alla ricerca di un preciso ricordo. Potrei porre fine a tutto questo semplicemente usando la legimanzia, ma temo come possa reagire il suo alter ego. Avere a che fare con un vampiro, anche se non nel pieno delle sue capacità, è l’ultima cosa cui aspiro in questo stramaledetto sabato mattina.
“Potter, in infermeria. Sta dormendo, parla nel sonno, un incubo credo. C’è anche la Guant.. Si, anche lei parla nel sonno. Sembrava intonassero una cantilena, ma non riconosco la lingua, non ricordo le parole”.
“Quelle di Potter?”
Scuote la testa, apre la bocca per poi richiudere senza risposta. Pare bloccato, come se d’un tratto gli mancasse il respiro.
“No, lei no. Non.. Non la porterai via con te. Non si unirà mai a.. Lui”.
“Tutto qua?”
Mi guarda sconvolto, peccato non riesca a gestire le sue emozioni, è davvero fastidioso.
“Credo abbia pronunciato una.. Filastrocca, una poesia. Non lo so, non so cosa fosse”.
“Le parole esatte!”
“Severus, io..”
“ORA!”
“Non.. Non ci è dato sapere quando accadrà, ma.. Ma in nuova luce e potente aura la discendente comparirà. Portatrice di un’energia pura, tenuta all’oscuro verrà, finché coloro che non temono la morte, sveleranno la sua natura e mai più sul mondo il sole risplenderà”.
 
Tace ora, lasciandomi riflettere su quanto detto, la testa pesante cerca di elaborare le informazioni; le parole appena pronunciate fanno chiaramente riferimento a una profezia, la stessa che ha vaneggiato nel mio studio, questa volta con più chiarezza a quanto pare. L’eccezione mi lascia sgradevolmente agitato: l’uomo si è riferito al femminile, una discendente, una ragazza come suppongo.
 
Poche falcate mi separano dall’uscita e senza badare alle implorazioni di Berger, lo lascio solo seduto sul letto, il corpo debole ancora scosso dai suoi stessi ricordi.
Quando chiudo la porta dietro di me, un piccolo ma fastidioso particolare mi balza agli occhi, Hermione accanto alla porta, braccia conserte, sguardo preoccupato rivolto a terra, chiaro segno che ha ascoltato l’intera conversazione.
“Perché sei qua?”
Mi allontano da lei senza un reale interesse nella sua risposta , devo raggiungere Hogwarts al più presto e non posso badare anche alle sue lamentele.
“È vero? Quello che ha detto Berger è vero?”
“Vaneggiamenti di un uomo disturbato”.
“Severus, fermati!”
Le lancio uno sguardo furente, perché questa donna deve sempre impicciarsi di fatti che non la riguardano?
“Nessuno ti ha dato il permesso di ascoltare quella conversazione!”
“Sono la dottoressa a capo dell’intero reparto ed è mio compito assicurarmi delle condizioni dei miei pazienti”.
“Dialogo datore-dipendente. Nulla che ti riguardasse”
“Potevano essere informazioni utili al caso, sapere com’è stato colpito dall’Imperius mi sarebbe di enorme aiuto”
“Non lo ricorda, e appurato ciò, qua abbiamo finito”
“Certo, la sua memoria è ancora labile, ma si è ricordato dell’altro, non è forse vero?”
“Nulla che a te risulti anche solo lontanamente utile”.
“Non saranno funzionali per la sua guarigione, ma sono comunque importanti, Severus! Vuoi negare che abbiamo appena assistito a una profezia? Ha fatto riferimento a una discendente, ed è palese che questa sia la Guant. Ho sempre sospettato che ci fosse qualcosa di oscuro in lei nonostante l’apparente tranquillità della giovane. Possiede un potere che se manifesto in una situazione di pericolo, potrebbe mettere a rischio chiunque le stia attorno ed io non lascerò che l’incolumità dei miei figli venga messa a rischio perché tu non hai preso provvedimenti”.
Sono su di lei nell’istante in cui fa riferimento alla Guant, non sopporto che qualcuno mi venga a dire come gestire la Mia scuola, tantomeno se la predica viene da una saccente ficcanaso grifondoro, moglie o no.
“E sentiamo, cosa credi di fare Granger? Entrare in Sala Grande facendo valere la tua presenza da eroina del mondo magico, stordire la giovane e rinchiuderla da qualche parte, dando retta alle farneticazioni di un uomo che non si ricorda nemmeno il suo nome?”
Come previsto, non solo rimane piacevolmente perplessa, ma riesce a contenersi evitando di lanciarmi addosso ulteriori diffamazioni. Scuote la testa e tutto ciò cui riesco a pensare è la distanza che voglio mettere tra lei e me.
“Come pensavo”.
Prendo il suo silenzio come una vittoria e dandole le spalle mi avvio all’uscita del San Mungo.
Peccato lei sia una donna testarda e non mi vengono concessi che tre passi, prima di essere richiamato.
“È arrivata questa per te, mentre eri con Berger. La calligrafia è di Elija, ma non ho voluto aprirla”.
“Pensavo avessi perso la capacità di tenere mani e orecchie fuori dalle cose che non ti riguardano”.
Le strappo la lettera dalle mani, l’interesse palese sul suo viso mi costringe in un sospiro, ora non ho davvero tempo di badare anche a lui, eppure una strana sensazione mi spinge ad aprire la lettera e sistemarmi accanto a Hermione, nel chiaro intento di permettere anche a lei di leggerla.
 
Caro padre,
Ti chiedo perdono per il ritardo con cui rispondo alla tua lettera, le ricerche hanno impiegato più tempo del previsto.
Quando mi hai posto di fronte la questione, le mie aspettative non erano delle migliori; qua in Russia, maghi e streghe sono molto riservati e difficilmente si confidano con informazioni potenzialmente dannose per la loro incolumità. Nonostante ciò, ho vissuto abbastanza per conoscere delle persone che mi hanno aiutato in quello che, spero, possa esserti utile.
Al Ministero, nessuno sembra essere a conoscenza della giovane, anche se in alcune prescrizioni, che non dirò come ho ottenuto, altrimenti non saresti più fiero di me, si fa riferimento a una famiglia Guant, composta da padre, madre e una bambina. Questi, ripudiata la magia, avevano deciso di vivere tra i babbani, per far perdere le loro tracce diversi anni fa, lasciandosi alle spalle una casa, sigillata dalla polizia locale a causa di un presunto omicidio al suo interno.
 
Alla scuola di Durmstrang, un mio caro confidente nonché professore, mi ha informato che la ragazza in questione, è stata trovata davanti alle porte della scuola, sanguinante, senza nessun biglietto, né ricordo del suo passato. Il preside non ha voluto confermare l’accaduto, sospetto sia a conoscenza dell’intera faccenda e preferisca tacere.
 
Ho deciso, perciò, di recarmi personalmente nella casa dove sospetto la giovane abbia vissuto parte della sua infanzia, ma ho scoperto troppo tardi che l’avevano abbattuta. Estrapolando alcuni ricordi dagli abitanti del luogo, ho scoperto ciò che forse potrebbe esserti realmente utile.
La notte in cui la famiglia è scomparsa, all’interno della casa sono state viste diverse figure agitarsi, correre, gridare. Il pianto di un infante, chiaramente alternato a bagliori improvvisi che hanno illuminato l’intero vicinato e stordito ogni singolo babbano nei paraggi. Intensificando la lettura della mente su alcuni babbani, ho scoperto che un uomo ha tentato invano di scagliare una maledizione all’interno di quella casa, una cantilena assordante e oscura venne pronunciata più e più volte nel corso della notte, rilasciando un’intensa luce rosso sangue.
 
Non so cosa voglia dire tutto ciò, ma mi auguro che queste informazioni ti possano essere utili, e fare chiarezza in merito al passato della giovane. Non posso dire con precisione quale maledizione sia stata scagliata quella fatidica notte, ma se quello che ho visto ha anche solo uno spiraglio di realtà, quella bambina ha subito una tortura al di là del dolore fisico, un potente maleficio si è abbattuto su di lei.
 
Ti scrivo infine queste ultime righe, nella speranza che la giovane sia a tutti gli effetti sotto il tuo pieno controllo. Non permettere che la signorina Guant si esponga troppo perché se davvero stiamo parlando della stessa bambina di cui ora conosco fin troppo, il potere racchiuso in lei tenterà prima o poi di impadronirsi di quel guscio che lo contiene e l’oscurità si abbatterà su di lei e chi le starà attorno.
 
Nella speranza di sentirci presto,
Elija
 
Concludo indifferente della reazione della donna al mio fianco. Lascio che stringa la lettera tra le sue mani e senza avvisarla, mi smaterializzo sulla Torre di Astronomia. Percorro i corridoi diretto in Sala Grande, non rendendomi conto di essermi messo a correre. Mi lascio trasportare dal silenzio del castello, fuori le nubi preannunciano un temporale, quasi a rappresentare la situazione che sto vivendo al momento. Quando spalanco le porte della Sala, ormai è troppo tardi: la Guant sta cruciando uno studente, le sue urla riecheggiano ovunque, mi perforano le ossa, nella testa si fa strada l’ipotesi di un’altra morte sulla coscienza.
 
Senza dar retta alle voci degli studenti che mi circondano, facendomi largo tra la folla di ragazzi che tentano di andarsene, inchiodando lo sguardo alla giovane sul palco, sfodero la bacchetta. Un lampo di luce verde si propaga per l’intera Sala Grande e in pochi istanti, tutto tace, le candele si spengono, il silenzio cala sulle tribune e nella mia testa, mentre tutto diventa nero alla vista e la parvenza di un tuono da inizio al temporale.
 

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Capitolo 34
*** Capitolo 34 - POV Clara Guant ***


Stringimi. Stringimi forte, perché ho freddo. Sento freddo e non c’è nessuno accanto a me. Mi hai lasciato qua da sola, le lenzuola hanno perso il tuo profumo, i cuscini che mi circondano non possono sostituire le tue braccia solide, unico riparo in questa notte buia e gelida.
Un bagliore improvviso mi illumina il volto; sono indifesa, lacrime bollenti mi rigano il viso, mentre il calore della tua pelle sul mio esile corpicino mi riscuote dal tremore.
Stringimi, stringimi papà e non lasciarmi più andare. Non vedi come sono felice con te, non provi anche tu questa sensazione di pace ora che mi hai trovato, ora che il dolore è passato, ora che siamo solo io e te.
Respiro affannata, l’odore di colonia mi pizzica le narici ma non ci bado, tutto ciò che voglio è stare qua, accanto a te, protetta, amata.
Il suo cuore batte lentamente e assecondandolo chiudo gli occhi e mi abbandono alla stanchezza, perché lui ora è accanto a me e niente potrà accadere, e il suo sorriso mi tranquillizza, le sua parole mi cullano, il suo respiro mi trascina lontano, nel mondo dei sogni, tra colori sgargianti e pensieri felici.
Stringimi, continua a stringermi papà perché con te posso respirare, perché tu mi fai ridere, perché grazie a te posso vivere e avremo tempo, avremo tutto il tempo del mondo, solo io e te.
Le tue mani ruvide mi accarezzano il viso, ma io non ci penso, ormai sto per addormentarmi. Restami accanto ancora per poco, qualche secondo, il calore del tuo petto ancora impresso sulla mia guancia. Sarò mai capace di andare avanti senza di te, sarò mai disposta ad allontanarmi e lasciarti vivere senza di me, avrò mai il coraggio di non cercarti ogni volta che starò male?
Non so spiegarti cosa provo, lo riuscirò a dimostrare in giorno, ti farò vedere che ne valgo la pena, che mettermi al mondo è stata una vittoria, sarai fiero di me, tanto quanto io di te, di averti come padre, di avermi cresciuto, voluto bene.
 
Ma ora perché ti affanni, perché ti agiti, ci sono io al tuo fianco e non permetterò che ti succeda qualcosa.
Le tue grida mi straziano, i tuoi movimenti lesti ti portano lontano, ma io sono qui, tu dove vai?
L’oscurità prende possesso di ciò che mi circonda e ritorno a sentire freddo. La tua voce mi rimbomba nel petto, le grida della mamma mi tolgono il fiato. Questa sensazione di odio che sento mi fa male, rivoglio il calore di poco fa, rivoglio le parole dolci sussurrate all’orecchio.
La porta sbattuta con violenza a pochi passi da me, non conosco questa nuova figura, un cacciatore intento a scrutare un pezzo di carne succulenta, sono una preda facile.
Piango, urlo, strepito, non voglio averlo vicino, non voglio il suo sguardo osceno su di me. Grido più forte, ma nessuno in mio soccorso.
Stringimi. Stringimi più forte papà perché non so quando potrò rivederti, stringimi perché sento che è arrivata la mia fine.
 
E in pochi istanti sei davanti a me, mi difendi come se non ti restasse altro per cui vivere.
Bagliori luminosi vengono scagliati per tutta la stanza. Non mi sento bene, non ti sento bene papà, il battito prima accelerato, ora è svanito. Il tuo calore è scomparso dalla stanza, la tua presenza lontana dalla mia vista.
Dove sei, papà?
 
La sensazione di vuoto mi colpisce senza attesa, la rabbia si espande dal mio cuore, le mani tremano, le mie membra scosse mi agitano senza controllo.
Cosa hai fatto a mio padre?
Tu, infame uomo senza volto, immerso nel nero più profondo, perché continui a guardarmi, perché resti immobile difronte a me?
 
Il gelo mi pervade quando un tocco brusco mi inchioda dove sono, distesa nel mio lettino, tra le lenzuola che mio padre si era premurato di tirare, tra i cuscini che dovevano farmi sentire a mio agio, tra i ricordi di una vita che non ho avuto il tempo di assaporare.
Perché ridi ora? Il tuo sguardo mi preoccupa e urlo più forte, scalcio, mi dispero, nessuno verrà a salvarmi.
Non ho più pretese, né speranze, per questa mia miserabile esistenza, troppo breve per poterla giudicare. Prenderò ciò che resta, sono pronta, fai di me quel che vuoi.
 
Una nenia risuona tra le pareti della stanza, parole aggressive, lontane, distanti da quel melodioso canto che papà intonava ogni sera. Le unghie premono sulle mie tempie come fauci affamate, il respiro affannato mi costringe a chiudere gli occhi, pervasa da una paura al di là della mia comprensione, incapace di sopportarla oltre. Il mio corpicino premuto sul il materasso, la rabbia preme contro il petto, non ho fatto nulla per meritarmelo, perché mi fai del male?
 
Ogni parola è carica di magia, ogni sillaba pronunciata risveglia qualcosa in me, mi brucia nel petto, l’energia racchiusa richiede attenzioni, un mostro sopito bussa alle porte della mia coscienza e si impadronisce di quel che resta. Non voglio questo potere, non voglio questo dolore, non sono nata per questa responsabilità.
Fitte lancinanti si insinuano sotto pelle, vado a fuoco ma nessuno sembra voler sedare le fiamme; la testa mi pulsa, il cuore vuole uscire dal petto, sento il sangue ribollire nelle vene e mentre urla indistinte intorno a me aumentano la tensione, un unico pensiero riecheggia nella mia testa: muoio.
“Clara!”
“Pa.. Pa”.


 
*


 
“PAPÀ!”
Spalanco gli occhi, cerco di riacquistare coscienza di me, di capire dove mi trovo, mentre la vista ancora offuscata mi stordisce e la sensazione di solitudine si fa più pesante. Mi rialzo dalla poltrona su cui evidentemente mi sono addormentata, il ricordo dell’incubo appena avuto ancora davanti ai miei occhi. Un sobbalzo sotto ai piedi mi riscuote dai miei pensieri e troppo tardi intuisco di non essere più a scuola, nella mia stanza, ma in una cabina, su un treno che corre spedito lontano da tutto ciò che fino a poco fa rappresentava la mia vita. Perché sono qua, dove mi stanno portando?
Provo ad alzarmi, ma la testa pesante mi inchioda su questa seduta ora non più così comoda, tento di parlare ma nessun suono fuoriesce dalle mie labbra, non so cosa fare, non so come comportarmi. Fisso lo sguardo sulle mie mani, tremo e non è per il freddo, le bende al braccio sono asciutte, nulla sembra accaduto, finché il ricordo del duello si affaccia alla mia memoria e il respiro si fa pesante. Mi prendo la testa tra le mani, come ho potuto, come ho potuto cedere alla rabbia e lasciarmi trasportare da sentimenti così lontani da me? Ho usato una maledizione contro un ragazzo, ma non avrei dovuto, io non volevo..
 
La porta della cabina si apre di scatto, una figura avvolta in un pesante cappotto lungo mi scruta dall’alto. Non l’ho mai visto, eppure qualcosa mi dice che lui mi conosce meglio di quanto lo faccia io. Chiude la porta dietro di se, non lasciandomi vedere cosa c’è oltre, non chiedendomi di uscire e andarmene. Si accomoda di fronte a me, accavalla le gambe e mi osserva senza proferire parola, consapevole della mia ignoranza su dove mi trovi, su chi lui sia e dove mi sta portando.
Costretto nel suo loden, mi giudica con supponenza, l’espressione passiva non sembra combaciare con l’aura di energia che emana da ogni poro. Sa di essere in vantaggio, di avere il coltello dalla parte del manico, di non doversi esporre perché lui sa, sa tutto quello che io vorrei sapere ma che difficilmente avrò il coraggio di chiedere. È affascinante e la cosa mi turba, provo una disturbante attrazione nel modo in cui mi scruta, i ricci neri gli ricadono con dannata precisione sulla fronte, ma non sembrano disturbarlo, anzi. È consapevole della sua presenza, sa che con una sola parola potrebbe piegare alla sua volontà più di un mago e strega. Conosco solo una persona con queste qualità, ma ora sarà lontana diversi km da me, forse è stato proprio lui a mandarmi via..

“Non è del tutto corretto. Non è stato mio padre a volerti qua, su questo treno. La mia presenza, piuttosto, quella è stata consigliata da lui.”
La sua voce è appena un sussurro, quasi non volesse nemmeno sforzarsi di surclassare il rumore del treno che sferraglia sui binari. Mi ha appena letto nella mente e tutto ciò cui riesco a pensare è il suono lieve della sua voce, devo essere impazzita ed è per questo che mi trovo qua, mi sta portato in un manicomio, o ad Azkaban.
“Non essere così pessimista, il Ministero non manda gli studenti ad Azkaban solo perché hanno avuto un.. eccesso di magia”.
“Smettila.”
“Ho solo chiarito alcune questioni che mi sembrava importante precisare.”
“Se ti preoccupa fare chiarezza allora potresti dirmi perché sono su un treno, diretto dove solo tu sai, senza lasciarmi uno straccio di scelta in tutta questa faccenda”.
Un sorrisetto increspa le sue labbra, cerca di controllarlo ma è più forte di lui, le mie parole lo fanno ridere. Volta la testa verso il finestrino e osserva fuori per qualche istante prima di sospirare e rivolgersi di nuovo verso di me.
“Hai dato un’occhiata intorno a te?”
“Perché? Per sapere che sono in un vagone del treno mi era sufficiente il rumore.”
Resta in silenzio, continuando a guardarmi con un’aria di chi sa di aver ragione. Sbuffando mi volto per osservare meglio ciò che mi circonda. Gli alberi fuori dal finestrino si alternano velocemente, la neve imbianca la maggior parte della prateria in lontananza, terreni sconfinati sembrano non avere niente a che fare con la presenza dell’uomo. Una steppa così differente dalle verdi contee scozzesi.. Oh Merlino, ti prego non farmi questo!
“Vedo che sei arrivata a darti una risposta anche senza di me.”
“No.. No, per favore. Non farlo. Non rimandarmi là, ti prego. Farò ciò che vuoi, ogni cosa, ma non portarmi in quel posto.”
“Mi dispiace Miss, così mi è stato ordinato. Farò in modo di trovarti una buona sistemazione, e se ne sentirai la necessità, potrai contattarmi e ti aiuterò.”
“Cosa dovrei fare? Non ho intenzione di tornare in quel posto maledetto, la mia scuola è Hogwarts ora, i miei amici sono là, la mia vita è là. Non posso tornare..”
“Per quanto io sia consapevole del dolore che provi, tutto passerà nel giro di qualche settimana. Hai un duro lavoro che ti attende a San Pietroburgo e il Ministero si è premurato di concederti questa opportunità.”
“Non volevo fargli del male.”
“Lo so Miss, ma non tutti la pensano come te, specialmente coloro che sono vicino alla famiglia del ragazzo che hai aggredito.”
“Sta bene?”
“Si, escludendo il fatto che chiamarsi Potter è già di per sé una condanna, James si riprenderà.”
Sorrido mentre una lacrima amara mi riga il volto, non volevo scatenare tanta energia, non volevo che intorno a me si provasse tanto dolore. Non me lo merito e non lo voglio. “Assomigli a..”
“Avremo tempo per conversazioni più spensierate.”
Si alza elegantemente e mi porge un fazzoletto, due iniziali cucite accuratamente sul bordo mi fanno deglutire sonoramente.
“Sono Clara, per quel che vale.”
“Molto piacere, Clara. Io mi chiamo Elija.”
 
Esce dalla cabina e mi lascia nuovamente sola. Elija Piton, non sai quanto assomigli ai membri della tua famiglia.
Il ricordo di Adrien mi provoca un brivido lungo la schiena, il suo sorriso durante il duello, il suo calore a farmi compagnia durante la notte, la sua noncuranza nei modi e il suo atteggiamento prepotente ma protettivo verso i suoi cari. Non avrei mai voluto allontanarmi da lui, senza salutarlo, senza dirgli una parola, non mi è stato concesso nemmeno questo, ma pagheranno. Arriverà il momento in cui farò ritorno, chiarirò questa faccenda una volta per tutte, farò chiarezza sul mio passato e per Salazar, niente mi fermerà dal tornare a riprendermi la vita che non mi è stata concessa.
 

 

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Capitolo 35
*** Capitolo 35 - POV Severus Piton ***


Getto il giornale nel camino e impreco miseramente. Stupida donna, so che è stata lei ad informare la Skeeter riguardo alla Guant; avrei dovuto agire nel preciso istante in cui l’ho scoperta ad origliare la conversazione, invece di illudere me stesso nella speranza di trovare ancora una traccia di senno della donna che ho sposato.
Le mie mani fremono, la bacchetta preme contro il mio petto, racchiusa in uno strato sottile di tessuto, chiede di essere sfoderata. Non troverò pace finché tutta questa faccenda non sarà risolta, il castello e gli studenti al sicuro, anche se ora il raggiungimento di questa speranza sembra solo un sogno lontano.
Come si è permessa di agire senza il mio permesso? Dannazione! Ora l’intero mondo magico è venuto a conoscenza della Guant, e l’unica soluzione è quella di allontanarla dalla scuola. Non mi sarei spinto a tanto, ma al momento sembra l’unica azione possibile.
Braccia conserte, cammino infastidito per lo studio; avrei potuto usare la legimanzia su di lei, venire a conoscenza del suo passato, informazioni persino a lei sconosciute e invece mi ritrovo con una ragazza priva di coscienza, un professore eccessivamente precipitoso con un ematoma in testa e una scuola intera interessata solo a parlare dell’accaduto. Anche se non lo ammetterò mai, invidio Silente, lui e la sua formidabile dote di restare imperturbabile davanti ad ogni situazione potenzialmente critica.
 
Sbuffo, le immagini dell’accaduto ancora impresse nella mia mente: il mio incantesimo scagliato in tempo per intercettare la maledizione di Peterson, andando a fondersi per sprigionare un’energia intensa, tale da far crollare a terra tutti coloro che stavano assistendo al duello.
Cosa diamine gli è saltato in testa a quel mago? Un Avada Kedavra contro una studentessa.. Se sono riuscito io a trattenermi davanti all’incapacità di Paciock, non vedo come una quisquilia tra studenti possa portare a un gesto simile. Testardi Grifondoro! Sono stato costretto a portare via la Guant, incosciente, un rapimento sarebbe stato meno furtivo. Era questione di giorni, prima che il potere che custodiva senza averne coscienza, prendesse il controllo e si scatenasse, mi auguravo solo che non accadesse in una situazione simile. Ovviamente le mie speranze sono state nuovamente mal riposte.
 
Lascio lo studio e mi dirigo nelle mie stanze private. Nessuno cercherà la giovane qui, a nessuno sarà permesso di accedervi. L’intervento di Madam McFlurry è stato inutile, le ferite inferte alla ragazza si sono stranamente rigenerate da sole e lei non è in grado di dirmi come sia possibile. Al San Mungo sarebbero sufficienti pochi incantesimi per arrivare alla soluzione, ma lungi da me portare la Guant in quel posto, dove verrebbe trattata in tutt’altro modo in cui ci si aspetterebbe da un ospedale. Senza tenere conto dei giornalisti, la Gazzetta del Profeta ha ricevuto sufficienti notizie per l’intero anno e di certo non sarò io a fornirgli ulteriori novità in merito ai miei studenti.
No. Per la giovane, ho un’altra idea.
 
La osservo dormire, supina, le coperte la avvolgono dalla testa ai piedi. Quando l’ho trascinata via dalla Sala Grande, era gelida, pallida, come se le avessero estrapolato fino all’ultima goccia di sangue; il battito fin troppo lento mi ha fatto dubitare che fosse del tutto viva e nonostante ora mi sarebbe sufficiente un movimento del polso per eliminarla, non posso permettere che alla ragazza le accada altro. Ha già sofferto a sufficienza, è il momento che scopra da sola quale sia il suo passato e quale dovrà essere il suo destino. Il ministero mi ha imposto il suo allontanamento e io non ho intenzione di disubbidire, ma il tutto verrà gestito alle mie condizioni. Nonostante Potter Sn. intendesse sbarazzarsi della giovane in tutt’altra maniera, Shakebolt è stato più clemente a riguardo, rimandarla in Russia è il compromesso di cui avevo bisogno. Digrigno i denti, se penso alle accuse che ha mosso San Potter a favore della morte della ragazza, un senso di nausea mi pervade il corpo: ho davvero rischiato la vita affinché quel ragazzo crescesse e potesse vivere, per diventare alla fine un Auror senza cervello? L’influenza dei Weasley gli deve aver annebbiato la mente al punto da non aver lasciato traccia alcuna del buon senso della madre. Perché continuo ad illudermi di un possibile miglioramento, io non me lo spiego.
Impormi di “sbarazzarmene”, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Come si permette di darmi ordini, parlarmi in quel modo, come fossi un suo sottoposto, come se gli bastasse schioccare le dita e esigere che tutti stiano alle sue condizioni. Oh no, sono finiti i tempi in cui era di fondamentale importanza proteggerlo, ora che il signorino non è più in pericolo, non è più nessuno, non ho alcuna obbligazioni nei suoi confronti.
Scuoto la testa, crede ancora che io sia in grado di un gesto tanto efferato? Non è nei miei piani aggiungere alla lista una vita e non sentirmi in colpa; non posso più permettermi di assumermi quel peso, non ne sono più capace, né tantomeno ne ho voglia. Ho giurato a me stesso che dopo Silente, non ce ne sarebbero stati altri e anche se l’incidente in Russia mi ha fatto leggermente deviare da questa imposizione, non ho intenzione di ripetere l’esperienza.
Circondo la stanza di protezioni, prima di dirigermi verso la Torre di Astronomia e affrontare il “problema Granger”.
 
Mi smaterializzo immediatamente al quarto piano dell’ospedale, sotto gli occhi di alcune medimaghe indispettite nei miei confronti; nonostante la loro reticenza a rivolgermi la parola, riesco a estrapolare le informazioni che mi servono e non sono in nessun modo ciò di cui avevo bisogno. Mia moglie non è a lavoro perché questa mattina non si sentiva bene.
Inspiro l’odore putrido che traspira da ogni muro prima di avviarmi lungo il corridoio, verso l’uscita del San Mungo. Difficilmente quella donna salta un giorno di lavoro e se lo fa, per nessun motivo le sue ragioni riguardano lo stato di salute.
 
Mi volto appena per farmi apparire davanti alla porta di casa mia, ma non mi è concesso il tempo di aprirla che voci persistenti mi fanno intuire la presenza di qualcuno di indesiderato all’interno. Qualcuno sta piangendo, non la proprietaria di casa come intuisco, la voce stridula di mia suocera che cerca invano di placare l’isterismo rimbomba per l’intero ingresso.
Senza annunciarmi, entro in casa, trovandomi difronte un salotto eccessivamente gremito e una scena che avrei preferito evitare di assistere. La signora Potter, e il suo pancione sproporzionato, seduta sul divano, le mani sul viso a reprimere le lacrime che copiose sembrano non aver fine, stretta nell’abbraccio della Granger, che tenta invano di rassicurarla. La signora Granger, accomodata poco elegantemente sulla Mia poltrona, una mano a cingere il ginocchio della futura madre, urla rivolta al marito di lasciar perdere thè e biscotti, insistendo piuttosto che si chiuda in una stanza vuota della casa a leggere il giornale in silenzio. Non v’è dubbio da chi Hermione abbia preso la cocciutaggine e il carattere di leader sconsiderata. Tale madre, tale..
“Severus, bene arrivato.”
Non mi accorgo del quinto individuo nella stanza, finché questi non mi si pone davanti e quasi rabbrividisco. Per Salazar, cosa ci fa Weasley in casa mia?
Fisso esterrefatto la mano tesa del rosso, la situazione mi sta sfuggendo, perché mai Lui dovrebbe accogliermi in casa Mia?
“Granger. Due parole, in cucina.”
Sorpasso pel di carota senza guardarlo in faccia, senza prestare attenzione a nessuno dei presenti. Ciò che mi preme ora è chiarire questa faccenda con la Granger e andarmene al più presto.
“Severus, non vedi che Ginny sta male?”
Arresto il passo, la maniglia della porta si incrina leggermente sotto la mia pressione. Se non mi trattengo, rischio di rovinarla, mettere a ferro e fuoco l’intera casa, invece devo calmarmi; con lo sguardo fisso dentro la cucina, non presto attenzione alle sue parole, non mi volto verso quei quattro ospiti che ora tacciono e mi puntano gli occhi addosso, come se avessi appena annunciato il ritorno del Signore Oscuro.
“Muoviti, Granger.”
 
Chiudo la porta alle mie spalle e mi appoggio al ripiano dei fornelli, concentrando l’attenzione su una lettera appesa al frigo. Riconosco immediatamente la scrittura di Eileen e riesco a carpire qualche parola, duello, crucio, ragazza serpeverde, prima che la porta della cucina venga aperta nuovamente e faccia il suo ingresso mia moglie, braccia conserte nel chiaro intento di voler farmi capire il suo fastidio. Peccato che tra i due, quello che sia più frustrato dall’intera situazione, sia il sottoscritto.
“Non dovresti essere a scuola?”
“Non dovresti essere a lavoro?”
“Ho preso un giorno libero.”
“Siamo in due.”
“Dopo quello che è accaduto, non dovresti prenderti certe libertà.”
“E dimmi, so-tutto-io, cos’è accaduto precisamente?”
Mi lancia uno sguardo perplesso, se per l’offesa che le ho appena rivolto o la domanda posta, questo non lo so dire.
“Eileen mi ha scritto parlandomi del duello e di come la Guant abbia usato una maledizione senza perdono su James.”
“Tutto qua?”
“Scusami? Ti sembra poco? Una cruciatus, Severus! Da quando una studentessa del quarto anno è in grado di usare un incantesimo oscuro?”
“Anche se così fosse, la questione sarebbe dovuta rimanere all’interno delle mura del castello.”
“Non so di cosa..”
Colta sul fatto, balbetta. Credeva davvero che non me ne sarei accorto, che non avrei intuito il suo gioco. Mi crede così stolto? Dovrei ricordargli chi ha sposato, io non sono Weasley, capace di cadere in ogni sua trappola.
“Quando, dentro quella tua geniale testolina, ti è passata per la mente la balorda idea di informare un giornale della presenza nella scuola di una discendente di Salazar?”
Resta immobile mentre il mio fiato corto ormai a pochi passi da lei non sembra intimorirla come avrei sperato.
“Il mondo deve sapere.”
“Tu e i tuoi propositi nei confronti del mondo. Perché non rifletti prima di agire in modo sconsiderato? Una volta eri coscienziosa, ora sembri solo una donna con spropositate manie di grandezza!”
 
Entrambi abbiamo alzato il tono di voce, ma nessuno dei due sembra interessarsene.
“Ci ho riflettuto e sono arrivata alla conclusione che i ragazzi della scuola devono sapere, devono essere a conoscenza di chi gli cammina accanto nei corridoi, devono essere difesi da quel potere!”
“Passiamo dal mondo magico, alla Mia scuola. Granger, ammettilo. Tu temi che una cosa simile possa capitare anche ad uno dei tuoi figli e per questo motivo hai diffuso la storia. Sei semplicemente un’egoista.”
 
Il rumore sordo di uno schiaffo risuona nell’intera cucina, mentre il silenzio viene rotto solo dai singhiozzi della Granger, la mano ancora in aria, un dito accusatore ora puntato sul mio petto. Parla e non la voglio ascoltare, non mi interessa sentire le sue scuse fasulle, le sue motivazioni ad un gesto tanto stupido che non mi sarei aspettato da lei, un colpo basso che fa passare lo schiaffo appena ricevuto come una carezza.
“Non ti preoccupi per i nostri figli? Non li vorresti al sicuro? Ho fatto ciò che ritenevo giusto, anche Harry era d’accordo con me..”
Un ghigno mi sorge spontaneo sulle labbra, il prescelto resterà sempre tra di noi, ha avuto da ridire sulla nostra unione, ora ha voce in capitolo sulla sicurezza dei miei figli e dell’intera scuola.
“..credi che Ginny non mi avrebbe avvisato? Stiamo parlando di Suo figlio, James! So cosa comporta una cruciatus, l’ho vissuto e ne porto i segni.”
Povero piccolo grifondoro, spalleggiato dall’intera scuola. Mi domando se la Granger, al pari dell’intera banda, conosca le reali motivazioni dietro quel gesto. Cosa penserebbe l’intero mondo magico se venisse a sapere che il primogenito di San Potter ha agito come un codardo? Potrebbero finalmente considerare la vicinanza con Weasley una causa.
“..all’ospedale non parlano d’altro, ci sono numerosi genitori che lavorano lì e ricevo in continuazione sguardi preoccupati, molti mi chiedono informazioni e io non so come rassicurarli. Questa faccenda ha scosso molti, alcuni mi hanno accusato di parteggiare per i serpeverde.”
Non temere, sciocca. Nessuna serpe vorrebbe essere associata al tuo imbarazzante coraggio e fastidioso senso del dovere. Il problema è detto che risolto, se ti preoccupa dover rispondere delle mie azioni, è giunto il momento di mettere in chiaro la nostra posizione, non vedo perché indugiare oltre. Il gesto di poco fa vale più di mille parole.
“..devi mandarla via dalla scuola. Portala lontano. Elija ti ha avvisato che..”
“NON.. Dirmi cosa devo fare! Non spetta a te decidere, non ti è più concessa questa possibilità!”
Urlo e respiro affannato, non rendendomi conto di aver trattenuto il respiro. Mi allontano da lei, la sua vicinanza mi irrita, una scarica di adrenalina mi pervade la mano, diretta ad impugnare la bacchetta sotto la veste.
“E allora cosa vorresti fare? Mandarla al San Mungo? Portarla ad Azkaban? No.. No, tu hai altri progetti, non è vero? Tu vorresti che la Guant rimanesse al castello, la vuoi accanto perché sei interessato a scoprire cosa c’è dietro, brami di sapere il potere oscuro che si cela dietro alla profezia.”
Muove qualche passo nella mia direzione, cercando l’attenzione che non ho intenzione di concederle.
“Perché? Dopo tutto questo tempo, ancora ti interessa..”
“Se conosco il suo passato, se riesco a capire quale peso si porta appresso, a differenza tua, Io sarei in grado di limitare i danni. Evitare che accada come l’ultima volta.”
“Non potevi evitarlo, non avresti potuto fare niente..”
Scaccio con un gesto la sua mano a pochi centimetri dal mio viso. Questa donna ha bisogno di rivedere le sue posizioni.
“Davvero? Allora, per l’ennesima volta, siamo in disaccordo. Ora che l’informazione è trapelata, le mie speranze sono scese drasticamente e tutto grazie a te.”
Lo sguardo mesto sul suo viso mi lascia il sapore di vittoria tra le labbra, se solo avessi agito prima che i miei sentimenti avessero la meglio sulla mente, ora non mi troverei qua a discutere con lei, tutta questa faccenda non sarebbe mai stata affrontata.
“Quando la smetterai di assumerti ogni responsabilità?”
“Finché ci saranno persone come te a causare danni, creare scompiglio, non ti lamentare se ci sono uomini come me disposti a risolverli.”
 
La mia delusione è arrivata al limite, non voglio stare in sua presenza, non le concederò di vaneggiare altre inutili scuse; mi prenderò una rivincita in questo mare di accuse e la lascerò intrattenersi con gli ospiti non graditi, questo le dovrebbe ancora riuscire.
“La vicinanza con Weasley non ti fa bene, Granger.”
“È la prima volta che lo vedo, non si fa sentire da..”
“NON. MENTIRE. A. ME. Lo so. Lo so che si fa vivo spesso durante i pranzi dai tuoi cari Potter. Eileen non tiene informata solo te.”
Scorro lo sguardo sull’intera cucina, cercando di cogliere più particolari possibili, andando alla ricerca di ricordi felici che la mia memoria non vuole rimembrare. Litigi e silenzi, tutto ciò che mi sovviene e mi trascina a lasciare velocemente quelle quattro mura che non percepisco più mie.
 
Attraverso il salotto, incurante degli sguardi, consapevole che la discussione sia stata ascoltata senza il minimo pudore. La cosa non mi dispiace affatto, anzi mi auguro che Weasley l’abbia percepito come un invito, non troppo delicato, ad eclissarsi dalla vita di mia moglie una volta per tutte.
 
Respiro a pieni polmoni l’aria gelida fuori dalla casa, smorzando appena la tensione che porto addosso. Mi concedo pochi passi, prima di imboccare un vicolo buio e con qualche fatica smaterializzarmi ai cancelli di Hogwarts; un dolore acuto preme contro le tempie, sono esausto, ho bisogno di abbandonarmi alla riflessione e farmi scivolare questa cocente frustrazione che mi attanaglia al petto.
Un sonoro schiocco, mi inchioda sul posto, mentre rivolgo la mia attenzione agli alberi della foresta, una figura fa capolino al mio fianco. Non lo attendevo così presto, ma a questo punto, è meglio così.
“Padre.”
“Non ti aspettavo prima di domattina.”
“Data la situazione, ho creduto opportuno raggiungerti il prima possibile.”
“Hai creduto bene.”
Mi avvicino a lui, la sua mano gelida ricambia con energia la stretta. È cambiato dall’ultima volta in cui ci ha degnato della sua presenza, le occhiaie non solcano più gli occhi, il volto rilassato non permette di individuare alcun sentimento, è cresciuto, dimostrando più anni del dovuto e io non credo di conoscerlo affatto.
Con un cenno, lo invito a seguirmi dentro il castello; questa faccenda si chiuderà oggi, che il ministero lo voglia o meno.
 
“Devo supporre che gli articoli di giornale dicano il vero?”
“Quando mai lo fanno?”
Sbuffo e con gesto scaccio via pensieri fastidiosi.
“In parte. Non ho potuto fare nulla per impedirlo.”
“Chi è la talpa? Uno studente o..”
Accellero il passo, ma lui non sembra curarsene, standomi accanto per l’intero tragitto verso il mio studio. Non mi aspettavo di tirare fuori l’argomento, ma dato che l’ha domandato lui..
“Tua madre.”
Percepisco la sua espressione senza la minima occhiata. È sorpreso, ma non a sufficienza da stupirsi del gesto, sa di cosa è capace quella donna quando si impone qualcosa.
“Un gesto avventato da parte sua.”
“Infatti.”
“Vorrei farle visita.”
“Non oggi, Elija. Ho un altro compito da affidarti.”
“Come vuoi tu.”
Fermo il passo davanti alla Sala Grande, la sua espressione infastidita mi rammenta quella di sua madre, quando ottiene il minimo risultato con il massimo sforzo. Frustrato. Come lo siamo tutti, al momento.
“Sono certo di essere stato chiaro nella lettera. Quando ti ho scritto di raggiungermi, non era affatto per una visita di piacere.”
“Non lo è mai.”
Chiudo gli occhi e inspiro, perché deve complicare anche lui la situazione?
“Non mi attribuire colpe che non ho. Non ti ho imposto io di vivere da eremita in Ungheria e andare a lavorare in Russia, non ti ho mai vietato di venire a far visita a tua madre e trascorrere le vacanze qua.”
Lo sguardo distante mi rammenta la sua infanzia, un bambino solitario e autodidatta, sempre alla ricerca della mia approvazione, così lontano dal dolore che si porta appresso dalla sua nascita, inconsapevole della brutalità che la sua esistenza racchiude.
Non mi accusa di niente, non lo ha mai fatto, sfogo l’ira nei confronti di sua madre e lui l’accoglie tacendo, assecondando il mio stato d’animo.
“Cosa vuoi che faccia con la ragazza?”
“Si trova nelle mie stanze private. Prendila, smaterializzati alla stazione e sali sul primo treno diretto a San Pietroburgo.”
 
Non attende ulteriori indicazioni, mi volge le spalle e si incammina a passo spedito verso il mio studio.
Conosce fin troppo bene questo luogo, nonostante non abbia mai frequentato la scuola, si destreggia bene all’interno delle mura.
“Elija.”
Devo attendere qualche istante prima che mi conceda di vederlo in volto un’ultima volta, la postura rigida, chiaro sintomo di tensione.
Stupendo me stesso, ammetto di essere fiero dei suoi progressi, risultati ottenuti indipendente dalla mia influenza, doti acquisite al di là delle aspettative. Il sangue non pregiudica chi sei e chi diventerai, dopotutto.
“Porta a termine questo compito e considera il tuo debito pagato.”
Inclina il capo, un cenno d’assenso è tutto ciò che si permette, lasciandomi solo nell’atrio deserto, le luci del tramonto ad illuminare le tavolate imbandite per l’imminente cena. Gli studenti stanno per riversarsi nei corridoi, le lezioni ormai concluse preannunciano l’inizio di una settimana che non ho dubbi si prospetta infernale. Potter si trova ancora all’interno del castello, lo percepisco, sento il suo fiato pesante sul collo e anche se la mia posizione mi imporrebbe di far visita al figlio “malato”, decido di chiudermi nei sotterranei, tra le pareti umide e i vapori dei calderoni che mi hanno protetto per metà della mia vita. 

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Capitolo 36
*** Capitolo 36 - POV Adrien Piton ***


Un dolore lancinante alla schiena mi riscuote all’improvviso. C’è troppa luce intorno a me, faccio fatica ad aprire gli occhi; un fischio sordo mi perfora i timpani, stordito cado sui cuscini che mi hanno accolto nella nottata appena trascorsa.
Il brusio che mi circonda mi fa capire di non essere nella mia stanza, ma disteso da qualche parte nella Sala Comune dei Serpeverde. Intravedo bottiglie vuote, abiti stracciati sparsi ovunque, il disastro della festa per la vittoria del duello è palese su ogni angolo della Sala.
 
Mi rialzo lentamente, la testa pulsa incessante, i raggi del sole mi irritano al volto e il marmo duro e gelido del pavimento ha ridotto a pezzi il mio corpo. Non mi ricordo cosa sia successo la notte scorsa, ma immagino di essermi ubriacato per poi concludere la serata qua, privo di coscienza. Perché diamine qualcuno non mi ha portato nella mia stanza? Tento di ricordare i ragazzi con cui ho trascorso la serata, qualcuno del mio anno è ancora disteso addormentato non lontano da me, ma nessuna traccia di Dimmok o Ezra.
 
Mi ricompongo meglio che posso, infilo la camicia nei pantaloni e raccolgo le scarpe spaiate in mezzo alla Sala; raggiunta la mia stanza, mi chiudo in bagno, sperando nel potere miracoloso di un bagno caldo di rimettermi in sesto al più presto. Lascio che l’acqua mi pervada il corpo, mi sento sporco, lurido, un peso mi opprime il petto, oltre alla sbornia fastidiosa che non ne vuole sapere di lasciarmi andare.
 
Clara, Clara, Clara. Dal duello non faccio che pensare a lei e a quello che è successo. Ha rischiato la vita per colpa di Peterson, ora potrebbe non esserci più, se non fosse intervenuto mio padre; il bagliore verde ancora impresso nella mia mente, lo rivedo non appena chiudo gli occhi. Tutto è accaduto troppo velocemente e se adesso non sono qui a crogiolarmi nel dolore per la sua perdita, lo devo solo a mio padre.
Mi metto addosso qualcosa di pulito, prima di dirigermi in Sala Grande, nella speranza di trovare ancora del caffè caldo, nonostante l’orario del pranzo sia finito già da un po’.
 
 
Non ci sono molti ragazzi per i corridoi, molti devono essere già a lezione, ma sospetto che nessuno di questi sia una serpe. Il fine settimana appena trascorso ha visto una Sala Comune gremita di ragazzi eccitati per vittoria e sicuramente troppo ubriachi per considerare anche solo l’ipotesi di svegliarsi presto per andare a lezione. Quello che è accaduto al duello, non sembra aver preoccupato noi serpeverde, per molti non è successo nulla di sbagliato, nel corso del duello. I serpeverde aspirano alla vittoria e che questa sia ottenuta onestamente o meno, non è importante, ciò che conta ora è che Clara abbia sconfitto il pupillo James Potter, mettendo fine al duello e facendo vincere la casa. Se il tutto si è concluso con una maledizione poco importa, questo è un problema suo.
 
Mi premo una mano sulle tempie, il mal di testa continua ad assillarmi, non riesco nemmeno a ragionare decentemente.
Scorgo qualche studente in Sala Grande, troppo stanco per andare a lezione o troppo cosciente per restare a letto. Diversi occhi si puntano su di me, la voce del mio rapporto con Clara si è sparsa velocemente, si staranno chiedendo con che coraggio ho intrapreso una relazione con una ragazza capace di un gesto simile, la “squilibrata” come riesco a percepire tra i sussurri mentre cammino diretto alla mia tavolata. I grifondoro mi scrutano con odio, mentre altri ragazzi mi fissano stupiti: sono tra i pochi studenti serpeverde che ha avuto l’ardire di farsi vedere in giro. Chissà che faccia faranno quando qualcuno li informerà che lo stesso preside della scuola è serpeverde..
 
Sorrido tra me e me, mentre senza accorgermene vengo avvicinato da un ragazzo corvonero, pugni sul tavolo in un chiaro segno di voler attirare la mia attenzione. Intorno a noi cala il silenzio, o forse la mia testa mi ha abbandonato del tutto e non sento più alcun rumore.
“Con che coraggio ti fai vedere in giro?”
“Lo stesso che trovi tu ogni mattina per farti vedere per i corridoi con quella faccia ebete che ti ritrovi.”
Rispondo noncurante, l’attenzione sulla bevanda che vorrei bere in santa pace.
“Tornatene nel buco da cui sei uscito!”
“Stanne certo. Appena mi lascerai bere questo caffè, ci tornerò sicuramente. Sai, vedere la tua faccia appena sveglio non è piacevole, quindi anche se ti dispiace, lasciami solo, prima che io sia costretto a rigettare quel poco che sto bevendo.”
“Rimangiati le parole, verme che non sei..”
L’apparizione di Ezra al mio fianco, blocca l’insulto sul nascere; nonostante anche Ezra sia un serpeverde, nessuno è così stupido da inimicarsi un caposcuola, tanto che il corvonero indietreggia lentamente e ritorna alla sua tavolata, lasciando intendere che la questione si è chiusa qua.
 
“Cos’è successo ieri sera?” Ezra si siede difronte a me, la testa tra le mani chiaro sintomo di come io non sia l’unico ad aver trascorso la notte attaccato ad una bottiglia.
“Non ricordo. Credo fossimo tutti troppo ubriachi per capirci qualcosa.”
“Che ne è stato di Clara?”
Ed ecco la domanda che mi ronza in testa dal momento in cui ho aperto gli occhi, finalmente qualcuno si è degnato di formularla a voce alta. Credevo che a nessuno interessasse, invece Ezra è il primo a non deludermi.
“Perché?”
Mi lancia uno sguardo stupito, sembra realmente preoccupato.
“Come sarebbe a dire Perché? Ti sei già scordato quello che è accaduto al duello? Un attimo prima, i serpeverde hanno vinto il duello e due istanti dopo veniamo additati come studenti senza principi morali.”
“Non è sempre stato così? Insomma, cos’è che ti dà fastidio, non essere visto come un vincitore?”
“Non interpretare le mie parole a tuo piacimento, non sono nelle condizioni per starti dietro durante i tuoi giochi psicologici. Quello che mi interessa sapere è come sta Clara, da quando tuo padre l’ha presa in custodia, nessuno sa più niente.”
“E così dev’essere. Quando mio padre vuole nascondere qualcosa, tutti gli altri si devono mettere l’anima in pace, sapendo che non avranno mai informazioni da lui.”
“Quindi neanche tu sai dove si trova?”
“Non sarei qua se lo sapessi.”
“Credi che la espellerà?”
Fisso la tazza ormai disinteressato dal liquido che freddo mi disgusta al solo odore. Il pensiero di Clara fuori dalla scuola mi colpisce come uno stupeficium in pieno petto, ora a mente lucida, spremo le meningi, lascio che la mia mente lavori faticosamente per realizzare ciò che Ezra mi ha appena chiesto. Mio padre sarebbe capace di..
La gazzetta del profeta compare davanti ai miei occhi, mentre Zafira si siede accanto ad Ezra e mi invita a leggere la pagina da lei aperta. Il titolo è eloquente: Cruciatus ad Hogwarts. L’oscurità sta per fare ritorno.
Leggo freneticamente l’articolo che ha come protagonista Clara, l’intento è quello di denigrarla e assicurarsi il suo immediato allontanamento dalla scuola. Si parla di una profezia, una discendente a cui è indirizzata; si parla di un nuovo potere oscuro che piomberà inevitabilmente sul mondo magico. Viene richiesto un intervento tempestivo del Ministero nei confronti della ragazza.
Chi diamine si è permesso di pubblicare un articolo simile?
 
Con il sangue che mi ribolle nelle vene, mi alzo in fretta e sotto lo sguardo perplesso dei miei due amici, esco correndo dalla Sala Grande. Percorro i corridoi del castello senza meta, non so cosa fare, non so come agire, ma rimanere qua dentro non mi aiuterà a riflettere.
La Stanza delle Necessità mi si palesa davanti non appena formulo l’ipotesi di cercare un luogo dove nascondermi, quasi avesse percepito i miei pensieri. Entro senza timore, memore dei pomeriggi trascorsi a duellare con Clara, restando basito di fronte a ciò che mi si palesa. Una stanza vuota, spoglia di qualsiasi agio, oggetto, servizio comune ad ogni altra stanza del castello; mi rannicchio in un angolo lasciandomi cullare dal silenzio che regna sovrano. Non c’è nulla che possa distrarmi, né una finestra da cui guardare il cielo, né un’insignificante crepa sul muro che possa far affiorare alla mente alcun ricordo. Eppure si fa prepotente strada il suo volto, i suoi lineamenti, le curve soavi che si incrinano al più lieve disturbo; il suo muoversi lesta durante i duelli a cui, difficile ammetterlo, perdevo sempre. Mi ritorna in mente il ballo di Halloween, la sua capacità di tirarmi fuori da ogni situazione potenzialmente disastrosa.. e poi ancora, la vigilia di Natale ad Hogsmade, la notte di Capodanno, il nostro bacio e tutti quelli a venire. Mi stringo ancor più su me stesso, sento l’esigenza di vederla, assicurarmi che stia bene, che non ci siano ripercussioni. Vorrei poterle dire che andrà tutto bene, che ha compiuto un gesto avventato, ma che la situazione si risolverà, che può accadere di perdere il controllo, che Potter la pagherà per essere un codardo e che lei non riceverà punizioni. Copro il volto con le mani e senza rendermene conto, mi abbandono alle pulsazioni costanti contro le tempie e perdo i sensi.

 
*

 
“CLARA!”
Quando riapro gli occhi, la stanza è rimasta esattamente come l’ho lasciata. Vuota.
Mi alzo di scatto, devo parlare con mio padre prima che sia troppo tardi, la presenza di Clara percepita troppo distante. Una sensazione di vuoto si impadronisce di me, un brivido mi corre lungo la schiena, è accaduto qualcosa, qualcosa che non mi piacerà affatto.
Lancio uno sguardo alle mie spalle prima di lasciare definitivamente la stanza, ringraziando la presenza silenziosa che mi ha concesso quell’attimo di tranquillità.
 
Cammino e in poco mi ritrovo a correre per i corridoi, il Suo studio non mi è mai sembrato così irraggiungibile. I gargoyle mi lasciano passare senza impormi la parola d’ordine, peccato che al mio arrivo, la stanza sia vuota, nessuna traccia di mio padre; i presidi dormono placidamente nei loro quadri, mentre la cornice di Silente risulta stranamente vuota.
Mi guardo in giro nella speranza di trovare un segno che mi possa ricondurre a Clara, ma niente sembra attirare la mia attenzione, tutto è fastidiosamente in ordine. Eccetto per un particolare, un oggetto che mio padre difficilmente permette ad estranei di avvicinarsi: il pensatoio. In mezzo a fiale, libri antichi, lettere stracciate nel camino, una strana attrazione mi conduce verso di lui, quasi mi stesse chiamando, supplicasse di guardargli dentro, e come spinto da un potere più grande di me, mi immergo nei ricordi che so per certo essere di mio padre, sperando in cuor mio che mi mostrino dove si trovi Clara.
 
Vengo catapultato nello stesso posto in cui mi trovavo qualche istante fa, forse mi sono illuso di poter accedere ai suoi ricordi e ora invece sono stato semplicemente respinto fuori. Non percepisco nulla, finché qualcosa accanto a me comincia a prendere forma e presto mi ritrovo accanto a Clara, seduta sulla sedia opposta alla scrivania del preside, mentre lui accomodato sulla sua poltrona, legge una lettera in fastidioso silenzio. Mi avvicino a lui per vedere cosa c’è scritto: il mittente è il tutore di Clara, richiede a mio padre di accettarla nella scuola, di permetterle un'istruzione ad Hogwarts e niente di più.
Non mi è dato il tempo di ragionare che, velocemente com’è comparso, il ricordo si dissolve, ricomponendosi nella medesima stanza, questa volta con mio padre prostrato a terra, le mani a stringere il bavero della giacca di Berger. La sua espressione mi fa rabbrividire, poche volte ho assistito all’ira dell’uomo che mi ha cresciuto e se posso, preferirei evitarla come una lezione di divinazione. Berger non migliora la situazione, il suo comportamento mi fa capire di aver perso il senno, impazzito pronuncia parole a vanvera prima di essere schiantato contro una parete dello studio.
I corpi si offuscano, lo studio svanisce e un nuovo ricordo mi compare davanti. Io e mio padre sulla Torre di Astronomia, parliamo prima di scoppiare a ridere. I ricordi continuano ad alternarsi, io e Clara che parliamo, ridiamo, scherziamo, camminiamo per i giardini di Hogwarts. Le visioni sono fugaci, improvvise, attimi rubati a cui non aveva il diritto di assistere. Le nostre figure vengono gradualmente sostituite da altri due ragazzini, un serpeverde, come intuisco dai colori delle sciarpe e una grifondoro. Ridono, si spintonano, anche loro in sintonia al pari di me e Clara. Camminano l’uno affianco all’altra, sorridono, studiano assieme, si divertono e io continuo a non capire. Perché mio padre dovrebbe..
“Sev, sbrigati o faremo tardi.”
 
Trattengo il respiro, non riesco a muovere un muscolo, la scoperta appena fatta mi sconvolge.
 Mi impongo di agire, qualche passo nella sua direzione mi è sufficiente per confermare i miei sospetti: quello che sto osservando è un ricordo di mio padre, quando era giovane e frequentava ancora Hogwarts. Non riconosco la ragazzina con cui trascorre il tempo, ma è chiaro che tra i due ci sia stato del tenero, ai loro tempi, lo vedo negli occhi di mio padre, ho lo stesso sguardo quando guardo Clara.
 
I ricordi iniziano a scorrere in fretta: un litigio, delle grida, suppliche, il nome di Potter urlato con insistenza. Quello che suppongo essere il padre dell’eroe del mondo magico punta la bacchetta contro il mio e vorrei intervenire ma so che quello che ho davanti sono solo memorie di un passato ormai dimenticato. Un nome riecheggia intorno a me e sovrasta ogni azione che sta per accadere. Lily.
La ragazza corre via, le lacrime agli occhi ormai rigano miseramente il suo viso senza che lei possa fare qualcosa per placarle.
Il ricordo cambia improvvisamente e vengo trascinato in un vortice nebuloso, apparendo poi accanto ad una figura ammantata di nero, spedita lungo i corridoi del San Mungo. Mio padre incontra Berger, ascolto quella che i giornali hanno riportato come “profezia”, mia madre li spia da fuori la stanza, mio padre che la insulta.
Intorno a me tutto sfuma, sono circondato dal nulla e credo sia arrivato il momento di uscire da questi ricordi. Contro ogni mia previsione, però, mi ritrovo ancora una volta nello studio del preside, mio padre seduto sulla sua poltrona, la testa reclinata in avanti, il volto coperto dai capelli, le braccia a penzoloni, bacchetta alla mano, una bottiglia di whiskey ormai finita sul tavolo. Il respiro mozzato davanti alla scena che mi si presenta davanti, il suo stato desolato non è nulla in confronto alla strana aura che aleggia sopra la scrivania, un volto non del tutto omogeneo fluttua pericolosamente vicino alla figura dell’uomo. La visione è sfocata, non identifico immediatamente chi sia la persona evocata, eppure in quella massa nebulosa, spiccano chiaramente due occhi verdi incorniciati da un ammasso di ricci castani. L’incantesimo evocato è complesso, Zafira aveva tentato di spiegarmelo qualche anno fa e io avevo compreso il risultato ma non il funzionamento. Un prior incantem non è magia adatta a tutti, Adrien. Lo devi volere, devi desiderare di estrapolare da te la tua più intensa e recondita brama. Ti trovi in uno stato confusionario tale da non vedere più la realtà chiaramente, ti abbandoni ai ricordi e lasci che il tuo cuore si apra “letteralmente” davanti ai tuoi occhi.
Se ho capito anche solo metà delle sue parole, ora non voglio affatto sapere cosa significhi per lui quella visione. Mio padre e Lily Potter erano..
 
Vengo risucchiato in un vortice d’aria, prima di essere cacciato con violenza fuori dai ricordi, lontano dal pensatoio, in mezzo allo studio. Fuori gli ultimi strascichi del tramonto lasciano spazio ad un cielo stellato, devo aver perso la cognizione del tempo, non so per quanto io sia rimasto intrappolato là dentro, percepisco solo una strana sensazione allo stomaco, una breccia nel petto mi lascia il sapore amaro di chi ha guardato ciò che mio padre ha di più privato.
“Ti sei divertito?”
 
Ed è proprio lui che mi fissa da un angolo della stanza, l’espressione seria. È arrabbiato, ho osato troppo questa volta. Dev’essere stato lui a tirarmi fuori dal pensatoio, la bacchetta ancora stretta nella mano mi spinge ad alzarmi dal pavimento su cui sono disteso, preoccupato di una possibile sua sfuriata. Non avrei dovuto impicciarmi dei fatti suoi, ma io stavo solo cercando Clara!
 
“Dov’è Clara?”
Con quel poco coraggio che mi è rimasto, provo a cogliere l’unica opportunità che mi è rimasta per ottenere informazioni su di lei. Se non ci provo, me ne pentirò per sempre.
 
Resta immobile, l’espressione indecifrabile, lo sguardo puntato su ogni mio movimento.
“Ha lasciato la scuola.”
Un suo insulto, uno schiaffo, l’espulsione, mi avrebbero fatto meno male.
“Cos.. Cosa stai dicendo?”
Il cuore mi batte forsennato nel petto. Quello che dice è vero o si sta solo prendendo gioco di me, una ripicca per essermi introdotto nel suo studio?
“Sei diventato sordo, tutt’un tratto? La signorina Guant non fa più parte di questa scuola.”
“Per.. Perché?”
Distoglie lo sguardo e si avvia verso la scrivania, aggirandomi come se provasse disgusto nei miei confronti. I suoi spostamenti sono calibrati, la sua voce profonda, d’un tratto assume un tono mellifluo.
“Ha sentito l’esigenza di tornare in Russia e io non potevo dargliene torto. Restando nella scuola, avrebbe solo peggiorato la situazione.”
Perdo l’equilibrio e cado a terra, la mente offuscata, il respiro affannato, lacrime fanno capolino ai lati degli occhi. A lui non importa, mi lancia un’occhiata sprezzante prima di rivolgere l’attenzione verso le pergamene sulla sua scrivania e incominciare a scartarle.
Clara, la mia Clara ha abbandonato la scuola, ha lasciato l’Inghilterra, senza avvisare, senza dirmi nulla, senza neanche uno straccio di avvisaglia delle sue intenzioni. No, non è possibile, non può essere svanita nel nulla, mi avrebbe avvertito, mi avrebbe fatto capire che se ne voleva andare, che la scuola non era più un luogo sicuro, un posto in cui lei non si sentiva più amata. Qualcosa glielo deve aver impedito.. O qualcuno.
 
Volto il capo in direzione dell’uomo che ora mi dà le spalle; non mi ha aggredito, non mi ha nemmeno cacciato dal suo studio, nonostante fossi stato sorpreso a ficcare il naso nei suoi affari. Si sente in colpa, ecco perché non reagisce!
“Non mentirmi! Clara non sarebbe mai partita senza informarmi. TU.. Tu l’hai mandata via, Tu l’hai portata via da me!”
Mi viene concesso appena il tempo di finire le accuse che la sua figura è su di me, sovrastandomi, le mani strette attorno al bavero della camicia mi issano da terra senza difficoltà alcuna. Peccato sia finito il tempo in cui poteva incutermi paura, pensavo lo avesse capito a questo punto.
“Ti sei introdotto nel Mio studio, hai vagato noncurante tra i ricordi del Mio pensatoio e ora Tu mi accusi e pretendi delle spiegazioni?”
Sembriamo due tori infervoriti che si scrutano ad un palmo l’uno dall’altro, aspettando solo l’alzata della bandiera rossa per poter aggredirci a vicenda, lui ancora con la bacchetta sfoderata, io con la cattiveria e le parole offensive che la mia mente scossa può partorire. Non è un duello ad armi pari, ma nessuno dei due ci fa caso, troppo egoisti per cedere, troppo vanitosi per ammettere di aver sbagliato. Questa volta non mi farò intimidire, questa volta sarà lui a cadere ai miei piedi, e i suoi ricordi a farmi da scudo.
“Solo perché tu hai perso il grande amore della tua vita, ora vuoi allontanarmi dal mio?”
Lentamente la spada trafigge il collo del toro, mentre questo geme per il dolore e il suo carnefice gioie per la vittoria, osservando la disfatta dell’animale che soffocato dal dolore cade a terra, deputando la sua sconfitta.
 
Le iridi in cui mi rispecchio, ora hanno perso il loro barlume di lucidità, nulla lega più l’uomo che ho davanti al mondo terreno. Qualcosa si è spezzato, ma non sarò certo io a raccogliere i pezzi.
Indietreggio quando le sue braccia ricadono ai lati del corpo, non sembra accorgersi del mio spostamento, perso nei suoi pensieri, nei suoi ricordi, negli incubi che gli ho risvegliato.
Non mi pento di ciò che ho detto, non sono io quello che ha compiuto tutte le azioni sbagliate e per cosa poi? Proteggere se stesso dal passato.
Mantengo lo sguardo fisso sull’uomo inerme, in piedi nel mezzo della stanza, mentre apro la porta dello studio per andarmene il più in fretta possibile.
“Non incolparmi per quello che non ho fatto, né accusarmi riguardo a fatti del mio passato che non conosci.”
 
Resto fermo pochi secondi prima di sbattere con violenza la porta e correre verso i dormitori. L’amara sconfitta tra le labbra, l’ebbrezza del vincitore che ha sconfitto la preda, ormai scemata del tutto, lascia spazio ad un peso opprimente contro il petto e io non riesco a spiegarmelo. Mi passo una mano sul viso, asciugandomi le lacrime da troppo trattenute: sono distrutto per l’abbandono di Clara o mi strazio per aver causato dolore a mio padre?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

N.d.a.
Buonsalve!
 
Innanzitutto vorremmo ringraziare TUTTI i lettori che sono arrivati fino alla fine di questa storia e rassicurarvi del fatto che questo è solo l’inizio della nostra avventura.
Come è stato detto nel primo capitolo, questa è la prima parte di una storia molto più grande e complessa. Le vicende di Adrien, Albus, Clara e del nostro amato Piton non sono nemmeno lontanamente vicine alla conclusione, molto altro sta per accadere.
I ragazzi dovranno affrontare una crescita, sia fisica che mentale, optare per un cambiamento nel bene o nel male, farsi trascinare dalle emozioni o restare razionali davanti alla sconfitta. Continuate a leggere la nostra storia e scoprirete che non tutto è destinato a rimanere tale come lo avete conosciuto fino ad ora.
Come sempre, ci sarà Piton a ricucire le ferite, portare alla luce altri aspetti del suo passato che ora bussano alle porte di Hogwarts e manifestano le conseguenze di gesti avventati.
Se in tutto questo riuscirà a trovare spazio per riallacciare i rapporti con la famiglia, questo lo lasciamo scoprire a voi.
 
Fateci sapere cosa ne pensate di questo primo capitolo della vicenda, ora che tutti i personaggi sono stati finalmente introdotti. Dateci un vostro parere sulla trama, se continua ad intrigarvi tanto quanto lo è stato per noi realizzarla sotto ogni punto di vista.
Lasciati un commento su quanto sperate o credete posa accadere da qui in avanti, siamo come sempre aperti ad ogni critica costruttiva, perciò sbizzarritevi.
 
Ringraziamo di nuovo tutti i lettori silenziosi e chi ha speso un attimo del suo tempo per farci sapere cosa ne pensa. È sempre una gioia leggerei vostri commenti, sapere che la nostra storia è apprezzata, capace di rallegrarvi la giornata e speriamo di continuare a farlo fino alla fine.
 
Grazie per essere arrivati fin qui.
ThestralDawn e nextplayer

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