from the deeper sea

di naisia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: curiosità ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: le nostre strade si incrociano ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 : salvataggio ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 : Mare e terra. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: Convalescenza ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: partners ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: fell like professor Xavier ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8: Lo strano caso del banchiere ucciso a mezzanotte ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9: lo squalo nell’ombra ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10: La Sirena ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11: Aquarium ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12: Rosso, nero e blu ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13: La M sta per Moriarty ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14: castello di sabbia ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15: Ritorno a casa ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 : Io ti salverò ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17: Nuovi Incontri ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18: The game is off (prima parte) ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19: the game is off (seconda parte) ***
Capitolo 20: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: curiosità ***


Capitolo 1: curiosità


 
 
“La terraferma è un luogo insidioso e pieno di pericoli, e le creature che lo abitano, gli umani, sono perfino peggio, non devi mai avvicinarti a loro!”

Questo era ciò che suo fratello maggiore, Mycroft, gli aveva ripetuto fino alla nausea sin da quando era uscito dall’uovo e aveva continuato ogni volta che aveva provato ad avvicinarsi alla superfice.
Se avesse scoperto che ora stava nuotando rapidamente verso l’alto, dove la luce del sole penetrava più agevolmente attraverso l’acqua dell’oceano probabilmente sarebbe montato su tutte le furie.

Sherlock emerse lentamente assaporando per la prima volta nella sua lunga vita di tritone marino la sensazione del sole e dell’aria sulla pelle chiara. Si scostò i capelli fradici dagli occhi color ghiaccio e si guardò intorno incuriosito. Per prudenza era salito in superficie al largo della costa sabbiosa che circondava le spiagge della grande isola al largo della quale vivevano lui e la sua gente. Nonostante la maggior parte dei loro simili preferissero le acque calde delle zone tropicali il loro territorio era situato molto a nord, vicino alla costa del luogo che gli umani chiamavano gran Bretagna.
Le ragioni erano semplici, più cibo, soprattutto durante la migrazione dei salmoni, e un rischio di venire scoperti estremanente più basso grazie alla scarsa balneazione.

Nei secoli precedenti era stato facile per i loro simili evitare che il segreto della loro esistenza venisse alla luce, nonostante la disattenzione di alcuni individui che aveva fatto nascere numerose leggende sul loro conto, alcune davvero assurde.
Come il fatto che potessero respirare fuori dall’acqua o che avessero un canto in grado di ammaliare ogni essere vivente e che lo usassero per cibarsi di carne umana. “Mycroft è troppo apprensivo, delle creature così stupide da inventarsi delle storie tanto irrazionali non possono essere poi così pericolose” pensò con un sorriso mentre si lasciava trasportare pigramente dalla corrente, osservando la terraferma e pregustando ciò che sarebbe riuscito a vedervi.
L’idea che ci potessero essere delle creature in tutto e per tutto simili a loro dalla vita in su ma con un paio di bizzarre estremità simili a braccia al posto di una coda lo aveva sempre incuriosito. Aveva spesso provato a procurarsi un corpo integro di questi esseri per poterli studiare approfonditamente ma con la drastica diminuizione dei naufragi nell’ultimo secolo l’impresa si era rivelata più ardua del previsto.
Alla fine aveva deciso di rinunciare e occuparsi d’altro ma il pensiero di quello che avrebbe potuto apprendere su di loro continuava a tornare a stuzzicarlo periodicamente, come una lisca di pesce acuminata. Con il passare del tempo quella curiosità si era trasformata in un hobby che occupava il suo tempo quando rischiava di annoiarsi o quando qualche tedioso membro della sua razza non apprezzava le sue deduzioni. Era abbastanza usuale infatti vederlo aggirarsi con il ventre pinnato che sfiorava il fondale alla ricerca di manufatti umani, e nell’arco della sua vita aveva raccolto un discreto numero di oggetti curiosi, i più preziosi dei quali teneva sempre con se in un ciondolo intorno al sottile collo pallido.

Rimase a guardare la scogliera che cedeva il passo dopo qualche miglio ad una costa di sabbia grigiastra apparentemente disabitata per un po’, quasi indeciso. Poi, notando che all’orizzonte si avvicinavano delle nuvole scure preannuncianti una tempesta estiva, decise di darsi una mossa, prima che la superficie si facesse troppo movimentata.  Si passò una mano palmata tra i capelli scuri “niente esitazioni” si disse, prima di reimmergersi con un potente colpo della lunga coda argentea.
 
*
 
Ad alcuni chilometri di distanza, nell’entroterra inglese,nel suo ufficio Charles Magnussen osservò le onde concentriche dilatarsi dal punto in cui la creatura era scomparsa. A volte avere accesso ai satelliti spaziali poteva risultare davvero conveniente, soprattutto quando si andava alla ricerca di creature schive come le sirene.
Sollevò una tazza di caffè freddo e ne bevve un sorso, più per festeggiare la vittoria che per una sete reale. Sul suo volto si dipinse un sorriso gelido che non coinvolse gli occhi, poi premette il tasto nove del suo telefono. “Si signore?” chiese la voce neutra della sua segretaria “Contatti Jim Moriarty e gli riferisca che il pesciolino ha abboccato all’amo”.
 
*
 
“Sei davvero sicuro di voler uscire? Ho visto il meteo e diceva che nel tardo pomeriggio si sarebbe scatenata una tempesta poco lontano dalla costa” disse Mike Stamford rivolto all’uomo biondo che stava armeggiando con una piccola barca a remi.
John Watson raddrizzò la schiena e sorrise all’amico mentre spostava una grossa cima di canapa “Da quando dai credito a quello che dicono quei buffoni del meteo?”.  Poi fece un gesto ampio con la mano indicando il mare aperto sulla cui superficie rinfrangevano giocosi i raggi del sole “Avanti dai un’occhiata. Non ricordo quando è stata l’ultima volta che ho visto una giornata così limpida,e poi siamo inglesi, non morirò certo per due goccie d’acqua” rise il medico.

Mike scosse il capo dubbioso “Siamo in estate John, in questa stagione i temporali arrivano quando meno te lo aspetti e non sono esattamente ‘due goccie d’acqua’” disse sbuffando “e poi non capisco questa tua passione improvvisa per la pesca. Insomma, sei un dottore, non hai bisogno di tirare su merluzzi per vivere. Così ci porti via il lavoro” aggiunse poi con una risata. Il biondo sorrise “temo di non essere abbastanza esperto da rappresentare un pericolo per voi vecchi lupi di mare, dai dammi una mano” disse poi iniziando a spingere la barca in acqua.
I due uomini riuscirono infine a spostare sufficientemente la scialuppa perché questa galleggiasse, con un balzo agile il medico saltò oltre il bordo e si mise ai remi.
“Fa buona pesca” gli urlò il marinaio “e sta attento alle sirene” aggiunse scherzando.

John rispose con un cenno della mano, con un po’ di fortuna forse quella sera avrebbe evitato il polpettone inquietante che da settimane la signora Hudson insisteva per fargli assaggiare.


Heilà sperò che il primo capitolo non sia un completo disastro, è la mia prima storia su efp, nonchè la mia vera e propria Fanfiction. Spero di poter aggiornare presto, al massimo con scadenza settimanale anche se spero di riuscire ad essere più veloce.
I commenti e le critiche sono sempre bene accetti.
A presto

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: le nostre strade si incrociano ***


Capitolo 2 : Le nostre strade si incrociano

 
Dire che l’avesse visto non sarebbe stato del tutto corretto.
In realtà aveva più percepito la sua presenza.
Mentre nuotava velocemente verso la scogliera da cui avrebbe potuto guardare gli umani senza troppi rischi aveva sentito come se l’acqua su di lui si fosse fatta più scura. Guardando in basso aveva visto la sagoma scura di un’ombra scivolare sulle leggere dunette del fondale sabbioso. Aveva alzato lo sguardo e aveva visto un grande ovale in controluce galleggiare sulla superficie.
Si era fermato pensando che si trattasse di un animale a lui sconosciuto, ma aveva subito scartato quell’ipotesi ridicola. Sherlock ci aveva messo qualche secondo a capire che si trattava di uno di quegli  strani oggetti che gli umani usavano per attraversare l’oceano, anche se aveva sempre creduto che fossero molto più grandi. Con ogni probabilità quello doveva essere per una sola persona.

Riflettè per un po’ su cosa fosse meglio fare, era venuto in superfice per vedere gli esseri umani, e ora uno di loro era proprio lì pochi metri sopra di lui, in un punto da cui avrebbe potuto osservarlo molto da vicino. Tuttavia in mare aperto le probabilità di essere scorti erano molto più alte che fra i relativamente sicuri scogli.
Si mordicchiò il labbro inferiore, pensando a cosa fare, non era da lui essere indeciso, ma se da una parte la curiosità lo spingeva ad avvicinarsi sino al limite consentito dall’altra i continui ammonimenti di Mycroft risuonavano insistenti nel suo cervello. Pensò che un compromesso peteva essere l’ideale:  per esempio raggiungere la barca fino a poterla toccare ma rimanendo sotto di essa, in modo tale da essere invisibile al suo passeggero.

Con un paio di colpi della lunga coda si portò sotto lo scafo incrostato di molluschi e alghe. Sfiorò il legno vecchio ma solido, quasi temendo di svegliare una creatura dormiente, emozionato (anche se non lo avrebbe mai ammesso) da quel suo primo, indiretto contatto con gli umani. Poi un lieve sbrilluccichio attirò il suo sguardo. A pochi metri di distanza, quasi sulla superficie, un brazino di rispettabili dimensioni fissava incantato un punto davanti a se.
A Sherlock bastò un attimo per capire cosa stava guardando, e di conseguenza cosa stesse facendo l’umano sulla barca. Doveva essere uno di quelli che preferiva procurarsi il cibo in mare, molti effettivamente lo facevano, soprattutto in quella stagione. Il tritone sorrise, gli sarebbe bastato dare un paio di strappi alla lenza e l’umano avrebbe certamente  prestato attenzione alla sua potenziale preda. A quel punto, nuotando verso l’altro lato della barca avrebbe potuto osservarlo in tutta tranquillità mentre era di spalle e…

“SHERLOCK!”

Muovendo con irritazione la coda squamosa il tritone si volse mentre sul suo viso compariva un falso sorriso di circostanza “Mycroft…che sorpresa, bhè, come si dice?  L’oceano è piccolo.” Non provò nemmeno a giustificarsi, con suo fratello sarebbe stato inutile in fondo.
“Vieni via di lì. Adesso!” sibilò il maggiore fissandolo gelido. Sherlock emise un verso frustrato, ma ubbidì ugualmente. Appena vide il suo comando eseguito Mycroft si voltò anch’esso nuotando verso il fondo, ansioso di allontanarsi dalla barca. Il minore seguì controvoglia la larga pinna caudale grigio-argentea del fratello fino a che non ebbero raggiunto il desolato fondale sabbioso.

Qui i due tritoni si fermarono quasi in posizione verticale, squadrandosi irritati dalla reciproca presenza in quel luogo. “Che ci fai qui?” chiese Sherlock ostentando un tono annoiato nel tantativo di far perdere l’ultimo residuo di calma al maggiore. Mycroft chiuse gli occhi, mentre le sue branchie, posizionate sul costato, fluttuavano più rapidamente del solito a sottolineare il tentativo di rimanere impassibile come al solito “Potrei farti la stessa domanda” ringhiò infine.
“Passavo di qui per caso” disse Sherlock mostrando la sua espressione più innocente.
 “Ti rendi conto di cosa sarebbe potuto accadere? Quell’umano avrebbe potuto vederti! Peggio, avrebbe potuto vederti uno della nostra razza!” esplose Mycroft. Il più giovane si scostò i capelli che fluttuavano intorno al suo viso con un gesto irritato “E allora?” chiese con noncuranza.

“Alcuni di noi sono stati banditi per molto meno. Senza contare che tu non sei esattamente amato dagli altri” rispose il tritone grigio come se si stesse rivolgendo ad un cucciolo appena uscito dall’uovo. Sherlock sorrise “Benissimo, così non sarei più costretto a sottostare alle vostre ridicole leggi, e poi che vuoi che me ne importi se un umano mi vede” disse irritante. “Hai messo in pericolo tutti gli altri dannazione! Forse a te può non interessare se il nostro popolo viene scoperto dopo secoli di faticossissimo anonimato, ma ci sono circa tremila sirene e tritoni che se sapessero quello che hai fatto ti legherebbero e ti getterebbero in mezzo ad un banco di squali martello affamati!”
Notando che le sue parole non sembravano avere effetto sul fratello, Mycroft si passò una mano palmata sugli occhi “Continueremo questa discussione più tardi. Vieni adesso, è meglio tornare indietro. Sta per scatenarsi una tempesta” disse il tritone allontandosi in direzione del villaggio.
Sherlock emise un verso contrariato mentre ubbidiva, ma non senza lanciare un’ultima occhiata di rimpianto alla barca che continuava a galleggiare indifferente.
 
*
 
Con un gesto nervoso John si tirò il cappuccio della vecchia cerata gialla, ereditata da suo padre, sul capo. Grosse nubi temporalesche si erano radunate sopra di lui, e alcune goccie avevano iniziato a cadere. Tuttavia il medico non aveva ancora intenzione di tornare alla spiaggia, dopotutto non aveva preso ancora nulla e oltre alla terribile cucina della signora Hudson, temeva anche le frecciatine che avrebbe ricevuto al pub quella sera se fosse tornato a casa a mani vuote. Già li sentiva ridacchiare e chiamarlo “tre oceani Watson”

Dopo l’ennesimo sguardo preoccupato alle nuvole scure decise di concentrarsi esclusivamente sulla pesca, dopotutto l’aveva detto lui stesso, qualche goccia non l’avrebbe di certo ucciso.
 
*
 
“Dannazione Sherlock, non potevi fare più attenzione?” sbottò Mycroft esasperato dal nuotare frenetico del fratello radente alla sabbia . “Di certo non l’avrei perso se qualcuno non mi avesse trascinato per tutto il fondale marino martellandomi sul fatto che ‘bla-bla-bla gli umani sono pericolosi bla-bla-bla non devi avvicinarti a loro bla-bla-bla la sicurezza della nostra razza viene prima di tutto bla-bla sono noioso bla’” ribattè acido il tritone mentre sollevava un sasso per vedere se il suoi preziosi ciondoli umani fossero finiti lì. Alla fine si fermò, guardando nella direzione da cui erano venuti.
“Non pensarci neanche, noi adesso torniamo alla colonia” disse Mycroft avvicinandosi al fratello con un rapido colpo di coda. Sherlock gli scoccò un’occhiataccia “Non se ne parla, hai idea di quanto ci ho messo a raccoglierli? Tu vai pure avanti, appena li trovo ti raggiungo”.

Notando l’espressione marmorea del più grande il tritone dalla coda azzurra allargò le braccia in uno di quei gesti plateali che tanto amava “Mycroft nel caso non te ne fossi accorto lassù si sta scatenando il peggiore ciclone degli ultimi dieci anni. Non potrei andare verso la costa neppure se lo desiderassi, e anche se riuscissi a non sfracellarmi contro gli scogli non vedrei un umano neanche a pagarlo”.

Dopo un lungo minuto di silenzio la voce minacciosa del maggiore risuonò nelle profondità oceaniche “Hai tre ore, se non torni entro il termine stabilito giuro che mobilito tutti i tritoni e le sirene abili alle armi, e appena ti trovano ti faccio sbattere agli arresti domiciliari per il resto dei tuoi giorni. Sono stato chiaro?”
“Trasparente” rispose Sherlock prima di fare una veloce inversione a U e iniziare a perlustrare velocemente il fondale sperando che le correnti non avessero ancora seppellito i suoi ciondoli sotto la sabbia.
Mycroft lo guardò sparire nell’acqua che si faceva sempre più scura per il progressivo svanire della luce del giorno “tre ore” ripetè, prima di voltarsi e nuotare verso la colonia.


Sono riuscita ad aggiornare più in fretta del previsto, anche se non so se in futuro riuscirò a tenere questo ritmo.
Grazie a tutti coloro che mi seguono e che hanno recensito la mia storia, vi sono davvero grata.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 : salvataggio ***


Capitolo 3 : salvataggio
 
 


John socchiuse gli occhi che bruciavano a causa dell’acqua marina. Venti minuti prima, mentre stava radunando le sue cose per tornare verso la baia, una pioggia scrosciante aveva iniziato di colpo a battere contro la sua cerata. Cinque minuti dopo la lieve brezza pomeridiana si era trasformata in un gelido vento ululante e dopo una decina di minuti il mare aveva iniziato a farsi pericolosamente mosso.
Ora stava cercando in tutti i modi di non far ribaltare il guscio di noce su cui era seduto, cosa non facile visto che l’oscurità era tanto fitta che riusciva a stento a vedersi le mani. Le onde, che prima erano state solo un po’ di mare grosso perfettamente nella norma ora, sembravano divertirsi a lanciare in alto la barca e a farla ricadere sempre con più violenza.

Aveva rinunciato già da un po’ ormai a dare una rotta alla barca, dato che ormai riusciva a non essere sbalzato via solo aggrappandosi con tutte le forse al parapetto. Una nuova onda lo trascinò verso l’alto prima di farlo precipitare giù con forza. Il dottore diede un’occhiata al fondo della scialuppa. Non andava per niente bene, stava imbarcando sempre più acqua, di quel passo il natante sarebbe affondato o, più probabilmente, si sarebbe ribaltato.
Si guardò attorno nella speranza di vedere la luce del faro, ma l’unica cosa che riuscì a notare fu una gigantesca massa nera che sembrava ingigantirsi sempre di più ogni secondo che passava. Agguzzò la vista, in parte perplesso in parte terrorizzato, e dopo qualche istante un lampo illuminò la scogliera che sembrava sbucata dal nulla. John notò con orrore che la corrente lo stava trascinando verso di essa.
Le sue possibilità di sopravvivenza erano praticamente nulle a quel punto. Se la barca avesse sbattuto contro la parete rocciosa si sarebbe infranta in un milione di pezzi, e nel caso lui fosse stato tanto fortunato da sopravvivere all’impatto di certo sarebbe morto sfracellato e/o annegato.
Penso a Sarah, la ragazza con cui aveva iniziato ad uscire, a Mike, che probabilmente in quel momento lo stava aspettando al pub e a tutti gli altri.
Se doveva morire tanto valeva almeno provare a sfuggire all’ineluttabile.
E con un gesto disperato si buttò nelle acque gelide.
 
*
 
Quando le sue lunghe dita si chiusero intorno al filo sottile che tratteneva quel confuso, e per lui preziosissimo, ammasso di oggetti sgargianti Sherlock quasi rise dalla gioia. Aveva temuto di aver perso davvero il frutto di lunghi anni passati a perlustrare il fondale.
Con un gesto rapido lo infilò al collo e si diede un’occhiata intorno. La corrente doveva aver  trascinato i suoi ciondoli parecchio lontano visto che ora si trovavano quasi sotto la scogliera. Doveva sbrigarsi se voleva tornare entro l’ultimatum di Mycroft, o il fratello avrebbe senza dubbio tenuto fede alla promessa fatta. Immaginò le facce soddisfatte che quegli idioti di Donovan e Anderson avrebbero certamente fatto se fosse stato riportato alla colonia come un bambino capriccioso scappato di casa.
 Il tritone pensò con una smorfia che forse la possibilità di farsi bandire andava presa in seria considerazione se poteva significare non dover essere più sottomesso all’autorità soffocante di suo fratello.

Quell’elefante marino si dava importanza solo perché era il membro più giovane del consilio che governava il loro villaggio. Sherlock pensò con disgusto alle decine di stupide regole che aveva proposto e fatto approvare a quegli imbecilli del consiglio e che si era trovato costretto ad infrangere ripetutamente.
Anche un idiota, con le dovute precauzioni, poteva maneggiare del sodio puro senza problemi.*
Si mosse per andare verso la colonia quando un movimento frenetico  attirò il suo sguardo.A cento metri da dove si trovava lui sulla superficie si agitava una strana massa scura. Il tritone si avvicinò lentamente curioso di che animale potesse essere tanto stupido da rimanere in superficie con quel clima e non inabissarsi.
Con suo sommo sgomento vide che si trattava di un umano che tentava in tutti i modi di rimanere a galla agitando goffamente braccia e gambe.
Se avesse continuato in quel modo sarebbe di certo affogato.
“Vattene via di lì, non ti riguarda” disse la parte più fredda e razionale di lui, che come al solito assumeva le sgradevoli fattezze di Mycroft. Tuttavia non si mosse.
Qualcosa che premeva in un punto imprecisato tra il diaframma e il cuore lo teneva inchiodato in quel punto e non gli permetteva di staccare gli occhi da quella sagoma che si agitava terrorizzata tentando in tutti i modi di restare in vita.
Compassione? Ridicolo. Non aveva mai provato compassione per nessuno in vita sua.
Non poteva salvarlo, a parte la questione di essere visti da un essere umano neppure lui sarebbe mai riuscito a nuotare in superficie, dove le onde erano gigantesche.

Era un suicidio.

In quel momento un cavallone più alto degli altri si abbattè con violenza proprio sull’umano, che affondò per qualche metro nell’oceano.
Non tentò di risalire in superfice. In realtà non si muoveva, e di certo non respirava.
Prima di potersi rendere conto di ciò che stava facendo Sherlock guizzò verso quel punto, già a tre metri sotto la superficie il movimento delle onde era piùttosto forte, ma il tritone non ci badò.

Era come se il suo corpo appartenesse a qualcun altro, mentre afferrava il piccolo umano sotto le ascelle sentiva quasi un’altra volontà sconosciuta guidare i suoi movimenti.
La sua mente, di solito ingombra di pensieri ora era concentrata su un solo obbiettivo, salvare quella creatura.

Con due rapidi colpi di coda si portò in superficie.
Si sorprese che l’umano avesse resistito così a lungo, lassù c’era l’inferno. Provò ad allontanarsi dalla terraferma, ma nonostante nuotasse con tutte le forze, la corrente lo trascinava inesorabilmente verso gli scogli.

Come se non bastasse non riusciva a respirare bene visto che le sue branchie venivano continuamente esposte all’aria dalle onde che si abbassavano all’improvviso.

Aveva bisogno di inabissarsi per andare via da lì, ma farlo significava mollare il carico, e Sherlock non aveva intenzione di farlo. Non proprio adesso.

Ad un tratto un’onda più grossa delle altre si staccò dal confuso ammasso burroscoso che costituiva il mare.

Non serviva essere intelligenti come lui per calcolare la sua traiettoria.

Una forza immensa lo schiacciò dapprima verso il basso, poi lo afferrò e lo sbattè contro le rocce acuminate della scogliera. L’urto gli levò il fiato e la schiena gli esplose in un unico dolore lancinante. 

Al tritone si annebbiò la vista, poi tutto si fece più scuro e il mondo sprofondò in un confuso turbinio nero.
 
 
 
*Il sodio a contatto con l’acqua ha la sgradevole abitudine di esplodere.
 
Heilà sono tornata, effettivamente sono piuttosto avanti con i capitoli ma preferisco comunque pubblicarli con qualche giorno di distanza uno dall’altro per non rimanere completamente a secco nel caso nei prossimi giorni abbia un accumulo di impegni.
So che la sto tirando un po’ per le lunghe e che siete ansiosi di vedere il primo vero incontro tra il sirenetto e il suo principe (?!), ma vi prego di portare pazienza, vedrete che presto potrete leggere tutto.
Come sempre un grazie enorme a coloro che recensiscono e a chi ha messo la mia storia tra le preferite, a chi la segue e a chi la ricorda.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 : Mare e terra. ***


capitolo 4 : Mare e terra


   
John aprì gli occhi, senza però scorgere nulla. Aveva la vista annebbiata e sentiva la testa che gli doleva tanto da dare l’impressione che di lì a poco gli si sarebbe spaccata in due e tanti saluti.

Possibile trauma cranico di bassa gravità.

Inspirò forte, tossendo poi per la puzza di pesce marcio e salsedine che quel posto (che poi…..quel posto dove?) emanava in maniera pestileziale.
Provò a tirarsi su a sedere, e solo in quel momento si accorse che era immerso nell’acqua fino al mento. Con le giunture che gli facevano un male cane riuscì infine a mettersi in posizione seduta.

Finalmente forse sarebbe riuscito a capire dove si trovava, pensò sbattendo le palpebre incrostate di sale.

La sua bocca si aprì di muto stupore quando si accorse di essere in una caverna.

La roccia che la componeva doveva essere abbastanza friabile e grazie all’azione delle maree aveva formato decine di cavità circolari non molto profonde, simili a piscine piene di acqua di mare. La volta della grotta era alta e aveva una spaccatura che in quel momento faceva filtrare la debole luce del mattino.
Con un sospiro John si alzò in piedi sospirando sconfortato, doveva cercare l’uscita al più presto prima che l’alta marea arrivasse.
Mosse un paio di passi guardandosi attorno per orientarsi meglio quando urtò qualcosa con il piede.
Il fondo della cavità era scivoloso e così finì lungo disteso sulla pietra graffiandosi dolorosamente il palmo della mano. Imprecò a mezza voce se si rialzò a carponi e gettò un’occhiata dietro di se per vedere cosa aveva urtato.

Quando vide una pelle squamosa riflettere i deboli raggi solari, urlò e fece un balzo all’indietro, andando a finire disteso nell’acqua. In quel punto era decisamente più profonda di dove era stato disteso poco prima, quindi si rialzò tossendo e sputano acqua salata.

Non appena fu di nuovo relativamente  tranquillo seguì con lo sguardo la spira serpentina di un delicato azzurro-argento, striata orizzontalmente di un pallido turchese.

Le squame brillavano intensamente, anche se quelle fuori dall’acqua erano un po’ opache. La coda si assottigliava lentamente fino ad allargarsi nuovamente in una larga pinna azzurro-grigia dai bordi leggermente frastagliati. Il suo sguardo fece il percorso inverso, fino a che non raggiunse un punto in cui le scaglie si diradavano, lasciando spazio ad una pelle immacolata ed inequivocabilmente umana.
Gli occhi del medico guizzarono verso l’alto, raggiungendo un busto maschile nonostante la magrezza e una massa scura di capelli che fluttuavano placidamente nell’acqua.

John inspirò profondamente un paio di volte e si umettò le labbra screpolate dalla salsedine.

Doveva aver sottovalutato l’entità del trauma cranico subito.

Gli ci vollero un paio di minuti per riacquistare completamente il controllo su se stesso. Si tastò con mano tremante la testa, ma a parte qualche bernoccolo non c’era alcuna ferita evidente.

Il dottore chiuse gli occhi e scrollò la testa sperando che la visione sparisse.

Niente da fare era ancora lì.

Stava impazzendo per caso?

Quella……..si insomma……….quella cosa………non poteva essere una sirena giusto? Perché le sirene non esistevano esatto? Improvvisamente ricordò le parole di Mike e gli venne quasi da ridere.

Dopo qualche altro minuto di legittima paura si avvicinò lentamente. La creatura non si muoveva. “sarà morto?” pensò allungando una mano per toccarlo e accertarsi definitivamente se fosse reale o una fantasia.

I suoi occhi notarono qualcosa che prima era loro sfuggito, troppo presi dall’assurdità di quella situazione. L’acqua intorno al tritone era rossastra.

L’istinto del medico ebbe il sopravvento su tutto il resto e si avvicinò. La creatura  era riversa sul fianco, i capelli corti che fluttuavano intorno al viso nascondendolo, le braccia ripiegate quasi in posizione fetale.
Scostò con delicatezza il braccio dal petto della creatura e gli spostò i capelli dal viso. Fissò per qualche istante quel profilo così umano, dagli zigomi alti e pronunciati, il naso proporzionato e dritto, le labbra carnose...

Si riscosse e tastò il polso, con sollievo accertò che era ancora vivo. Lo voltò delicatamente scoprendo il dorso e vide con orrore che la schiena era coperta di tagli profondi, graffi e escoriazioni di vario genere. Quella che doveva essere stata una leggera pinna dorsale simile a quelle dei pesci scorpioni, era spezzata in più punti.
Con tutta probabilità la tempesta doveva averlo sbattuto contro gli scogli, in realtà era un miracolo che fosse ancora vivo.

In quel momento le palpebre del tritone di sollevarono di scatto e le iridi grigio-celeste incontrarono quelle del medico. Per un istante John e Sherlock si fissarono, il blu dell’oceano si incontrò con l’azzurro del ghiaccio.

Solo per un istante.

Poi il dottore venne violentemente scagliato in una piscina adiacente con un colpo di coda all’addome.

Sherlock provò a tirarsi su di scatto ma un dolore lancinante all’addome gli strappo un grido di dolore. Aveva ingenuamente sperato di esserela cavata senza danni quando aveva usato la coda per colpire l’umano e non si era sentito eccessivamente male. Era stato troppo ottimista.

Lanciò un’occhiata fulminea alle acque tumultuose della vasca naturale accanto alla sua. Con la sua tipica goffaggine l’essere umano stava provando a riemergere.
Il tritone si puntellò sui gomiti e si trascinò con le spalle contro le rocce boccheggiando per le fitte. Da una diagnosi preliminare sembrava che avesse almeno due costole rotte e qualcuna incrinata (male) ma semrava che nessuna di esse avesse perforato un polmone (relativamente bene)

L’umano si rizzò finalmente a sedere nella piscina, sputacchiando con poca grazia l’acqua salata che aveva bevuto. Istintivamente il moro alzò minacciosamente la coda, pronto nuovamente ad usarla nel caso l’altro fosse stato tanto sciocco da attaccarlo frontalmente.
Quando i loro sguardi si incrociarono nuovamente Sherlock ringhiò scoprendo i denti, non sapeva cosa fin’ora gli avevasse impedito a quella creatura di ucciderlo e/o mangiarlo ma di certo non lo avrebbe più fatto avvicinare tanto facilmente finche non avesse avuto chiare le sue intenzioni.

John si alzò a fatica in piedi, paradossalmente più tranquillo. Se il tritone stava abbastanza da scaraventarlo a cinque metri di distanza probabilmente non era in punto di morte.

Alzò le mani sperando che quel gesto potesse placarlo e iniziò a sussurrare “calma” anche se quasi certamente il tritone non conosceva la sua lingua.

Sherlock analizzò rapidamente la situazione, la scioltezza con cui si tendevano i muscoli del piccolo bipede e il suo tono di voce non impastato indicavano che doveva essere sveglio già da un po’, quindi aveva avuto un sacco di tempo per ucciderlo ma non ne aveva approfittato. Conclusione logica, l’umano non aveva intenzione di porre fine alla sua vita nell’immediato presente…..forse.

Lentamente abbassò la coda pur senza staccargli gli occhi di dosso.

John mosse un paio di passi esitanti “non voglio farti del male” disse, scandendo le parole come se stesse parlando ad un bambino un po’ stupido. Vedendo che l’altro non sembrava convinto, provò a sorridere in modo rassicurante. Poi indicò se stesso con enfasi “Io John. Venire da grande isola. Io non volere fare te male”.
Sherlock chiuse gli occhi e reclinò la testa all’indietro in modo teatrale. Davvero aveva provato curiosità per delle creature così stupide? Come sempre non potè fare a meno di dare voce ai suoi pensieri “Ho sul serio rischiato la mia vita per un essere così demente?” si chiese sospirando, mentre la sua voce profonda risuonava  per le pareti rocciose della grotta.

Sollievo, irritazione e sorpresa fecero tutte e tre contemporaneamente capolino sul volto del dottore. “Mi dispiace non sapevo che parlassi la mia lingua” disse imbarazzato sfregandosi la nuca con la mano.

Il tritone inarcò un sopracciglio “Volevi dire la mia lingua” sbottò lievemente irritato mentre provava a sistemarsi in una posizione più comoda. Abbandonò il tentativo quando altre fitte al costato gli mozzarono il fiato. John accantonò momentaneamente le discordanze linguistiche e si avvicinò lentamente “posso?” chiese chinandosi.

Sherlock lo guardò con diffidenza “non preoccuparti, sono un medico” aggiunse l’umano cercando di suonare rassicurante.

Senza distogliere le iridi azzure dal volto del dottore il tritone lasciò che si avvicinasse ulteriormente. Per un attimo gli occhi di John corsero alle dita del ferito, allungate e sottili, vagamente azzurrognole vicino alle unghie e tra esse correva una sottile membrana quasi trasparente. Il suo senso del dovere ebbe il sopravvento sulla curiosità e John si impose di concentrarsi sulle condizioni della creatura che aveva davanti.

Sherlock approfittò di quella vicinanza per studiare con attenzione l’essere davanti a lui. Se si trattava di un esemplare medio della sua razza doveva ammettere che provava un vago senso di delusione. Era basso e rispetto a lui aveva il corpo ricoperto di peli. Totalmente privo di quell’aura di fascino e mistero con cui si era sempre immaginato gli abitanti della terraferma…. così tremendamente ordinario.

Ignaro delle elucubrazioni che erano in corso nella mente davanti a lui, il dottore tastò delicatamente l’addome,qualche minuto e parecchie smorfie di dolore più tardi la diagnosi di Sherlock venne confermata “hai due costole rotte, fratture composte per fortuna, e cinque incrinate.” mormorò il biondo morderdosi il labbro inferiore con nervosismo “Devi essere finito contro la scogliera durante la tempesta, sei stato fortunato a cavartela con così pochi danni”  aggiunse.

Uno sbuffo sarcastico lo colse impreparato “Ma davvero? Chissà perché sono l’unico ad avere dei danni” disse lanciandogli un occhiataccia. John sbattè le palpebre un paio di volte “che vuoi dire?” chise perplesso. A Sherlock bastò un occhiata per rendersi conto che l’umano non ricordava assolutamente nulla della sera precendente “Niente, lascia perdere. Ora se permetti dovrei tornare indietro” non aveva intenzione di protrarsi in spiegazioni (anche perché già da solo faticava a trovare il motivo che lo aveva spinto a salvare l’umano. Se si era trattato di curiosità allora le sue speranze erano state deluse e non c’era più motivo prolungare il suo soggiorno nella scomoda grotta) il moro provò a far forza sulle braccia ma una improvvisa ondata di stanchezza lo travolse, facendolo ricadere in acqua.

Il dottore avvicinò rapidamente  la mano alla fronte pallida del tritone, scottava. “Lo immaginavo” mormorò più a se stesso che all’altro con preoccupazione evidente.
“Cosa?” chiese sgarbatamente Sherlock cercando di mascherare l’affanno che provava.

“Febbre da infezione. Non si può certo dire che quest’acqua sia pulita. Non posso più fermarla, ormai è già ad uno stadio avanzato. Se vuoi avere qualche speranza di sopravvivere non puoi uscire in mare aperto adesso.” disse John
“Non posso rimanere qui!” sbottò il moro provando nuovamente a tirarsi su, e ricandendo per l’ennesima volta con un gemito.

Per un po’ nella grotta l’unico rumore udibile fu lo sciabordio dell’acqua. Sherlock poteva quasi vedere le lente rotelle muoversi nel cervello dell’umano. Il dottore si sfregò la nuca con nervosismo poi sospirò, segno che aveva preso la sua decisione“Ho fatto un giuramento ad Ippocrate in cui promettevo di prestare soccorso ad ogni uomo che ne avesse avuto bisogno e intendo rispettarlo……anche se…..insomma, tu non sei esattamente un….lasciamo perdere” disse, stringendo la radice del naso tra le dita.
“d’accordo” aggiunse alzandosi in piedi e guardando qualche metro più sotto dove una bassa apertura nella roccia collegava la caverna con il mare esterno. Saltò sulle rocce che formavano una roccia scalinata.

“D-dove stai andando?” chiese debolmente Sherlock mentre una nube di stanchezza lo avvolgeva.
John si voltò “Tornerò presto. Fidati di me, per favore.” Poi si volse e, dopo un respiro profondo di tuffò in mare nuotando verso l’uscita.

“Fidarsi, eh?” sussurrò a se stesso.

Le parole che Mycroft gli aveva rivolto centinaia di volte riguardo gli umani gli rimbombarono confusamente nel cervello, mentre la realtà sembrava scivolargli via dalle dita come acqua.
 
*
 
“Forse dovremmo dargli qualche altra ora” disse Greg, ma il tono indeciso con cui aveva pronunciato la frase non era convincente nemmeno per lui.

“Il termine di tempo che gli avevo dato è già scaduto quattro volte Gregory. Sarebbe già qui se non gli fosse accaduto nulla” il tono distaccato con cui Mycroft aveva pronunciato quelle parole non riuscì ad ingannare il generale delle guardie. Lui e il maggiore degli Holmes si conoscevano molto bene da parecchio tempo ormai. Il fatto che Sherlock non fosse ancora tornato alla colonia preoccupava entrambi, anche se tentavano di non darlo a vedere.
Greg si voltò, dietro di lui una squadra decisamente non troppo entusiasta di andare alla ricerca dell’insopportabile giovane Holmes, era pronta a partire. Per quella missione aveva scelto i migliori uomini che aveva, compresi Donovan e Anderson.

Inizialmente quella missione era stata accolta con un coro generale di gemiti di protesta, sbuffi e scuse per non partecipare, che si era zittito all’istante non appena Mycroft aveva varcato la soglia della grande sala dove aveva radunato buona parte dei suoi sottoposti. Greg non potè fare a meno di sorridere interiormente pensando al timore quasi reverenziale che il suo compagno incuteva a chiunque (esclusi lui e suo fratello ovviamente).
“Va bene andiamo” disse alla fine Gregory dando alla squadra l’ordine di partire.
 



Chiedo perdono per il ritardo osceno ma ho passato la settimana a cercare di organizzarmi per il lavoro scomodo, non pagato e indesiderato che sarò obbligata a fare questa estate.
In compenso il capitolo è lungo quasi il doppio del solito (staccarlo a metà avrebbe interrotto un po’ la sequenza narrativa). Il povero Sherlock continua a svenire peggio di una dama con il corsetto del ‘700 ma almeno adesso i nostri due protagonisti hanno fatto conoscenza.
Giuro (se come no) che cercerò di essere più rapida negli aggiornamenti e come sempre ringrazio tutti coloro che seguono, leggono o recensiscono.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5: Convalescenza ***


Capitolo 5 : Convalescenza
 


“Sherlock piantala di stuzziacare le fasciature”.

John Watson era un uomo universalmente noto per la sua pazienza e per costanza con cui si occupava di ogni singlo paziente.

John Watson attualmente lavorava come patologo in un obitorio dove di solito, si sa, arriva di tutto. Dal drogato morto di overdose, all’intramontabile classico del morto suicida, passando per il marito fatto a pezzetti dalla moglie gelosa per essere più comodamente spedito in un pacco dotato di regolare francobollo all’amante.

John Watson aveva avuto a che fare con decine di pazienti riottosi, testardi e insopportabili.

Ma mai e poi mai nella vita avrebbe creduto di poter essere portato così facilmente all’esasperazione da una sola persona.

Quasi rimpiangeva tutta la fatica che aveva fatto per salvare la vita alla bizzarra creatura che ora lo fissava con un broncio degno di un bambino di due anni.

La grotta dove si trovava in quel momento sorgeva in uno dei punti più inagibili della scogliera. I marinai chiamavano quel posto Grendel’s scream perché il vento, quando passava attraverso le rocce, produceva un suono simile all’urlo che solo un mostro favoloso avrebbe potuto produrre.
Il medico si era spesso perso in lunghe contemplazioni di quel luogo aspro, e quasi misantropo per il modo con cui respingeva qualsiasi tipo di contatto con l’umanità, in cui le pietre scure sembravano sorgere dal mare come i denti di una creatura terribile ed antica. Solo le Giant’s Causeway, che aveva visto una volta da giovane, potevano reggere il confronto con quella rude e singolare bellezza.

Più volte era uscito nel tardo pomeriggio con la barca per osservare gli ultimi, deboli raggi del sole tingere dei colori del tramonto quella pietra austera senza però riuscire ad ingentilirla.

Peccato che quel luogo magnifico si trovasse a quindici miglia dalla cittadina dove al momento si trovava casa sua, e che della sua scialuppa non rimanesse nient’altro che un pugno di schegge ovviamente inutilizzabili per la navigazione.
Così, quando due giorni prima era uscito dalla grotta, era stato costretto a farsi due miglia a nuoto prima di riuscire ad issarsi a fatica sulla terraferma. Così, con i muscoli non allenati che protestavano, aveva raggiunto la strada e provato a fare l’autostop.

A quanto pareva però gli autisti non sembravano troppo ansiosi di prendere a bordo uno senza scarpe, con la maglia e i pantaloni stracciati e i capelli incrostati di salsedine.

Comportamento che il dottore poteva comprendere.

Ma questo non gli aveva impedito di lanciare loro decine di maledizioni e improperi.

Alla fine una utilitaria grigia dall’aria familiare aveva accostato, e un sorpreso e sollevato Mike Stamford aveva offerto un passaggio al suo amico. Per tutta la durata del viaggio John aveva dovuto subire un interrogatorio su come fosse riuscito a cavarsela durante la tempesta.
Per fortuna Mike era troppo felice di vederlo tutto intero per far caso al modo incerto e titubante con cui raccontava la sua storia. In parte la colpa era del fatto che dopo essersi buttato dalla barca ricordava ben poco di quello che era accaduto, in parte perché non poteva certo raccontare all’amico chi aveva incontrato.

Il pescatore insistette a lungo perché facesse un salto in ospedale (come paziente per una volta) ma John lo rassicurò garantendogli che tutto ciò che desiderava era riposarsi e farsi una bella doccia. Appena tornato a casa si era lavato alla valocità della luce, cambiato e aveva preso il Kit di pronto soccorso che teneva sempre per sicurezza nell’armadio. Il tutto in meno di dieci minuti.

In Afghanistan aveva spesso avuto a che fare con febbri da infezione e ogni secondo poteva fare la differenza tra la sopravvivenza e la morte.
Mentre guidava aveva telefonato all’ospedale per avvertire che per un paio di giorni non si sarebbe fatto vedere per riprendersi dall’incidente. Per fortuna aveva risposto
Molly, a cui il giorno prima aveva raccontato che sarebbe uscito per una gita in barca. La Hooper (dopo averlo tempestato di domande sulla sua salute) aveva accettato a parlare con il capo per avvertirlo.

“In ogni caso non potrà fare storie, tu non ti assenti mai per malattia” aveva aggiunto alla fine sollevata.
A quel punto si era concentrato esclusivamente sulla guida, e dopo aver ripetutamente infranto i limiti di velocità aveva parcheggiato vicino al punto dove si trovava la grotta.

Cercare una entrata dalla terraferma in quel momento era assolutamente impossibile così si era rassegnato ad avvolgere scarpe e kit in una busta di plastica e nuotare verso il punto in cui dalla scogliera si poteva accedere alla caverna. Venti fradici minuti più tardi era riemerso ansimante e si era issato sulla pietra viscida di alghe e non voleva sapere cos’altro.

Aveva trovato il tritone nella medesima posizione in cui l’aveva lasciato. Per un attimo la sua totale immobilità, mista al biancore della pelle gli avevano fatto pensare al peggio, ma un esame del polso aveva confermato che c’era battito, anche se debole.

Era stato allora che si era presentato il primo problema. Doveva spostarlo in una pozza più pulita: trascinarlo per la coda poteva essere un’idea ma aveva l’impressione che se l’altro lo avesse scoperto non gliela avrebbe fatta passare liscia.
Alla fine aveva rinunciato a trovare un compromesso accettabile e lo aveva sollevato tenendolo in braccio.

Nonostante la magrezza del corpo probabilmente il tritone pesava circa 90 chili, gran parte dei quali erano costituiti dalla coda, incredibilemente lunga, affusolata e ricca di delicatissime pinne azzurrognole dalla consistenza quasi impalpabile.

Dopo circa mezzo minuto lo aveva posato delicatamente in una vasca alla base della gradinata, dove la marea avrebbe garantito un ricambio continuo di acqua pulita. Lasciare senza aria (o in questo caso acqua) qualcuno svenuto e ferito gravemente non era esattamente una buona idea, ma respirare quell’acqua sporca doveva essere l’equivalente di essere immersi nello smog più denso.
E quello era decisamente peggio.

Aveva pulito con attenzione le ferite, per fortuna nessuna di esse era tanto profonda da aver bisogno di una saturazione, fasciato e steccato la affusolata pinna dorsale e il torace pallido in modo che le branchie non fossero coperte.
Ora veniva la parte più difficile.
Aspettare pazientemente che si risvegliasse, perché di più non poteva fare. Se avesse provato a somministrargli dei farmaci correva il rischio di avvelenarlo.

Le ore erano passate lentamente e l’unica nota positiva era che le condizioni del tritone non si erano aggravate. Aveva vagliato tutte le possibilità, ma non aveva trovato nulla di meglio se non aspettare e sperare che le capacità di guarire di quella creatura fossero superiori a quelle umane. . .molto superiori.

Alla fine, quando ormai cominciava a presagire il peggio Sherlock aveva aperto gli occhi.

E le prime parole che aveva pronunciato erano state “dov’è il mio infuso di alghe?”*

Così nel corso delle ultime 35 ore, John Watson, uomo mite, medico e ex-militare aveva provato l’impulso di strangolare il suo insolito paziente tanto quanto aveva provato ammirazione per lui. Il tritone aveva infatti dimostrato sin da subito un’intelligenza e soprattutto un intuito nettamente superiori della norma.
Era stato sbalordito di come avesse usato i pochi brandelli di informazione che aveva per ricostruire a grandi linee il mondo degli umani nella sua fantasia, e gran parte delle sue conclusioni erano esatte.

L’interesse di Sherlock per la terraferma lo aveva condotto ad ipotizzare molte cose sullo stile di vita dei loro abitanti. Anche se aveva comunque commesso dei perdonabili errori, come pensare che le forchette servissero per pettinarsi i capelli.

Ben presto le informazioni che John possedeva sul suo mondo erano state insufficenti e il medico era stato costretto dai capricci del tritone a portare nella caverna una ventina di libri che spiegavano le basi di filosofia, biologia, storia. . . ovvero tutto lo scibile che l’umanità aveva scoperto o creato negli ultimi secoli. Con aria quasi disgustata Sherlock aveva subito scartato i volumi su astronomia e religione, dimostrandosi però parecchio interessato a logica, matematica, chimica e (inaspettatamente) alla musica.

Il dottore aveva dovuto insistere parecchie volte affinchè il suo bizzarro paziente si riposasse e smettesse di leggere per più di cinque minuti di fila, ricevendo in cambio occhiate di pura sofferenza, come se al posto di cercare di evitare che peggiorasse le sue condizioni lo stesse torturando. Alla fine però neppure tutta la buona volontà del medico era stata sufficiente ad impedire al tritone di divorare i volumi a cui era interessato.
L’unica nota positiva era che Sherlock assorbiva le nozioni come una spugna e che non le dimenticava mai grazie al suo “palazzo mentale”, quindi non aveva avuto bisogno di rileggere nulla.

A ben guardare però quella era stata la condanna di John, perché allora il ferito si era messo a tormentarlo affinchè gli portasse altri libri per approfondire le nuove conoscenze, e per ottenere ciò che voleva si era affidato alla tortura psicologica.

“Mi annoio” era il ritornello più frequente che usciva dalle labbra di Sherlock, ma che di recente era stato sostituito da delle ancor più estenuanti lamentele.
Infatti c’era qualcosa di peggio del non poter leggere, ed era il dover rimanere soli in una grotta a non far nulla per ore.
“Sherlock te l’ho già detto, ho chiesto un permesso per restare a casa di due giorni. Se restassi di più i miei colleghi si allarmerebbero. E poi l’ispettore della polizia locale ha richiesto la mia presenza, sembra che ci sia stato un omicidio e hanno bisogno di un medico legale con esperienza.” disse John cercando la sua giacca a vento.
Alla parola omicidio il tritone aveva drizzato le orecchie, la colonia era piccola e il fatto più rilevante degl ultimi mesi era stato un adulterio.
Noioso.

“Potrei darti una mano” propose Sherlock quasi implorante “La mia intelligenza nettamente superiore alla media sarebbe di grande aiuto” aveva aggiunto con tale sicurezza che il dottore non era riuscito ad arrabbiarsi completamente.
“Ma certo, in fondo non ci vedo nulla di strano nel portare una creatura mitologica sulla scena di un crimine” aveva commentato sarcastico il medico, prendendo la giacca che era improvvisamente comparsa sulla pietra, poco distante dal tritone.

“Tornerò il prima possibile. Tu non danneggiare nulla, medicazioni comprese, intesi?” aveva aggiunto John indossando il giaccone blu e avviandosi verso l’angusta uscita terrestre che aveva trovato esplorando la grotta.

Sherlock aspettò che il dottore fosse uscito per tirare fuori da dietro una pietra il cellulare che aveva sfilato dalla giacca del dottore pochi secondi prima. “intesi” disse sorridendo mentre lo accendeva.
 

* lo so, lo so: è raccapricciante, ma non sapevo come sostituire il classico thè che Sherlock trangugia abitualmente. Se può farvi stare meglio c’è chi si occuperà personalmente di farmela pagare XD
 
 
Heilà sono in ritardo (tanto per cambiare) ma ormai ho capito che pubblicare un capitolo ogni tre giorni è un’impresa che va oltre le mie (misere) forze.
Capitolo un po’ di passaggio ma non posso farci niente, la trama lo richiede. Prometto che il prossimo sarà più interessante, chissà cosa farà il nostro sirenetto con il cellulare di John, un indizio è nell’episodio Scandalo a Belgravia.

A presto

Spero

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Capitolo 6
*** Capitolo 6: partners ***


Capitolo 6: partners
 


John diede un’occhiata al corpo che giaceva riverso sul pavimento della villetta.
Una donna sui quarant’anni era stata ritrovata nella sua villetta a schiera dalla suocera, giunta fin da Brigton per trovare la nuora e il figlio, che si erano appena trasferiti nella cittadina.

Purtroppo la loro convivenza non era durata a lungo.

Il dottore gettò un occhiata oltre la porta dove il signor Evans (l’irritante ispettore capo, un ibrido tra Jessica Fletcher e il tenente Colombo che scambiava il suo ficcare il naso ovunque con una grande capacità investigativa) stava trascinando il marito della vittima verso una volante.

L’uomo appariva visibilmente scosso, gli occhi arrossati dal pianto e dalla stanchezza. Svolgeva un lavoretto notturno come guardia giurata alla banca, John gli aveva rivolto un cenno del capo un paio di volte, nulla di più, ma aveva sempre pensato che fosse una brava persona.

Gli sembrava impossibile che fosse stato lui, ma sapeva che discutere con l’ispettore/ex-agente di Scotland-Yard sarebbe stato inutile, soprattutto se era certo al cento per cento della colpevolezza di un sospettato.

Scosse il capo inginocchiandosi a terra, mentre iniziava le prime considerazioni da coroner.

Jodie Davis,quarantadue anni, un metro e settantacinque di altezza, capelli di un biondo dorato, ora intrisi in parte di sangue. Era stata colpita prima poco sopra la nuca con un oggetto contundente, che però non era stato rinvenuto, e poi era stata pugnalata selvaggiamente al petto con un coltello da cucina, che ora giaceva abbandonata nel lavello della cucina.

John sospirò avvertendo un moto di rassegnata tristezza farsi strada nel petto mentre analizzava con tristezza la scena.

Jodie era nota in città per essere un tipo allegro, solare e disponibile, un po’ superficiale forse, ma di certo amava suo marito anche se avevano cinque anni di differenza, lui aveva trentasette anni, e nulla avrebbe mai portato a pensare che potessero esserci degli screzi tra loro. Neppure le malelingue erano mai riusciti ad appuntare nulla di particolarmente significativo ai due, anzi quando si erano sposati la quasi totalità della popolazione era stata felice per loro e li avevano giudicati una coppia molto affiatata.

Evans abbassò il capo dell’uomo con un gesto brusco per farlo entrare nella macchina e sbattè teatralmente la portiera. Era sicuro di aver già arrestato il colpevole, e il medico purtroppo doveva ammettere che l’omicidio aveva tutte le caratteristice di un delitto passionale.
Poco distante dalla volante la madre del ragazzo, una donna sui settant’anni che si appoggiava su un bastone da passeggio fissava con freddezza l’ispettore e i poliziotti, mentre continuava a borbottare sottovoce “state arrestando la persona sbagliata” o “mio figlio è innocente” ma senza la classica aria scombussolata delle madri quando vedevano il loro figlio arrestato.

L’ispettore stava dando istruzioni ad un suo sottoposto quando il suo cellulare squillò. Subito l’ex-yarder si portò il telefonino all’orecchio e dopo aver scambiato un paio di battute con la persona all’altro capo entrò nella casa e porse il telefono al dottore “E’ per lei signor Watson” disse irritato.

Sorpreso John si portò il cellulare all’orecchio con titubanza “..p-pronto?”.

“Finalmente, mi domandavo quanto ancora mi avrebbe tediato quell’idiota dell’ispettore.” Una voce baritonale, perfettamente riconoscibile nonostante il passaggio attraverso l’apparecchio elettronico, gli tuonò allegramente nell’orecchio.

“Sherlock ma come hai…?” iniziò a dire il dottore, poi, attraversato da un sospetto tastò le tasche della giacca, completamente vuote.

“Il mio cellulare! Tu brutto…” “Non abbiamo tempo per questo John. Forza mettimi in videochiamata così posso risolvere questo omicidio” “Scordatelo! Dovrei mettere giù adesso solo perché mi hai rubato il telefono, figurati farti partecipare ad una indagine, fino a prova contraria sei un civile!”

Dall’altro telefonino provenì una risata sbuffata “Non sono sicuro che tu possa classificarmi come civile, nel caso te lo fossi dimenticato non sono nemmeno umano”
Il medico contò mentalmente fino a dieci.

“John, c’è stato un omicidio: il mio contributo sarà decisivo per risolvere questo caso e lo sai anche tu.” lo implorò Sherlock

“Viva la modestia, comunque il principale sospettato è già sotto la custodia della polizia” ribattè il dottore pur sentendosi ipocrita a far apparire il marito di Jodie come l’assassino quando neppure lui ci credeva.


“E chi lo avrebbe arrestato? Quel buffone del tuo ispettore? Non farmi ridere, se non ha arrestato il cadavere essersi ucciso da solo si può già considerare già un miracolo. Andiamo John…” la voce di Sherlock sembrava quella di un bambino davanti ad un negozio di caramelle.
Il coroner inspirò profondamente e lanciò due brevi occhiate intorno a se.

“Hai cinque minuti, non un secondo di più” sibilò, furioso per essersi lasciato convincere così facilmente. Attivò con un gesto secco l’opzione video alla chiamata e il volto del tritone apparve sullo schermo.
Con sollievo notò che sembrava stare meglio rispetto a quando se n’era andato, anzi, in quel momento era più vitale che mai. “John secondo quello che mi hai detto ho a malapena cinque minuti quindi potrei vedere qualcosa di più interessante della tua faccia?”

Promemoria per il futuro: Strangolare Sherlock.

Girò ugualmente lo schermo permettendo al tritone di osservare la scena del crimine.

“Interessante” sussurrò prima di immergersi completamente nella scena del crimine. Mezzo minuto più tardi riemerse dalla contemplazione “il delitto è stato premeditato” disse assorto.

John rivolse nuovamente il cellulare verso di sé “che stai dicendo? Si tratta ovviamente di un omicidio passionale” “una cosa non esclude l’altra John.” rispose compiaciuto il tritone. All’ occhiata perplessa del medico Sherlock rispose con il suo solito sorrisetto di superiorità.
“per prima cosa, come hai giustamente notato tu, la prima arma, l’oggetto contundente, è stato fatto sparire dalla scena del crimine, mentre l’omicida non si è preoccupato di far sparire nello stesso modo l’altra arma del delitto, ovvero il coltello, preferendo ripulirlo a fondo e lasciarlo in bella vista. Dal modo in cui lo strumento da taglio è stato riposto, perfettamente parallelo ai canaletti di scolo del ripiano del lavandino, è evidente che l’assassino era perfettamente calmo quando lo ha ripulito e che era abbastanza abituato a cucinare perché questa fosse un’azione spontanea dettata dall’abitune.

Il sospettato del signor Evans era un cuoco provetto?”,

Domanda ovviamente retorica, ma John era troppo assorto dai ragionamenti di Sherlock per rendersene conto, quindi rispose lo stesso “non credo”mormorò pensando alle implicazioni di quella insinuazione.

“Pensi che il marito della Davis non sia l’assassino?” aggiunse curioso.
“se il tuo ispettore lo ha arrestato puoi star quasi certo che sia innocente” disse il tritone con supponenza “comunque proseguiamo. Se il nostro assassino ha agito con premeditazione allora non aveva bisogno di far sparire anche l’oggetto contundente con cui ha colpito la donna, gli sarebbe bastato pulire anche quello. Quindi si tratta probabilmente di un oggetto troppo personale per essere abbandonato sulla scena del crimine. Oltre tutto non ci sono segni di effrazione, segno che la vittima ha fatto entrare l’assalitore di sua spontanea volontà, portandoci a pensare che lo conoscesse. . . ”

Sherlock sorrise “Persona abituata a cucinare più oggetto contundente inseparabile, sommato a rapporti con la vittima uguale a?” chiese retorico al dottore.
“mai stato bravo con le equazioni” sbuffò John “Andiamo Sherlock potrebbe essere stato chiunque, una delle sue vicine per esempio, a meno che. . .”
Il medico si volse di scatto a guardare al margine della scena del crimine dove la madre del sospettato continuava a guardare in cagnesco l’ispettore Evans.
“Visto, non è poi così difficile John” disse il tritone sistemandosi meglio sulle roccie con una smorfia di dolore.

“Ma è impossibile, che movente avrebbe poi?” chiese il coroner allibito da quella possibilità “Non ne ho idea, i rapporti familiari tra voi umani sono diversi rispetto ai nostriperché non andiamo a chiederglielo?” propose noncurante Sherlock, soddisfatto di aver risolto un caso d’omicidio in soli cinque minuti.
John sospirò profondamente convinto che di li a poco avrebbe dato il via ad una reputazione come molestatore di innoque vecchiette. Si avvicinò alla anziana “e-heam mi scusi signora io. . .”
Lo sguardo gelido della donna lo ammutolì “Le serve qualcosa agente” disse con un tono che faceva apparire le steppe artiche accoglienti.

“Oh, ecco io in realtà, non sono un agente, veramente mi stavo chiedendo se lei potesse dirmi cosa faceva ieri sera all’ora dell’omicidio. . .”
Un lampo di indignazione brillò negli occhi della anziana “Ero nella mia camera di albergo,  nel mio letto a dormire, come ogni buon cristiano fa di notte” qualcosa in quella frase lasciava intendere che secondo la donna il dottore non poteva dire lo stesso di sé.

“No, ecco io. . . scusi se l’ho disturbata” fece per andarsene quando avvertì con la coda dell’occhio un sorrisetto soddisfatto fare capolino sulle labbra rugose della vecchia.

Quando però si voltò nuovamente sembrava del tutto scomparso.

John Watson non si era mai ritenuto un uomo dall’intelletto acuto, di certo non aveva la stoffa del detective, ma in quel momento c’era qualcosa dentro di lui che gli diceva di lasciar perdere le convenzioni sociali e fare qualche domanda in più alla donna.

“Conosceva bene Jodie?” a quella domanda l’anziana storse la bocca come se avesse inghittito un boccone di una medicina particolarmente amara.

“Certo che la conoscevo, quella. . . quella donna senza Dio mi ha portato via mio figlio. Anni di faticosa educazione finiti in fumo in un paio di mesi. Lo ha sedotto e lo ha attirato nelle sue grinfie, approfittando del fatto che mio figlio fosse ancora giovane e inesperto. Sapevo che avrebbe fatto una brutta fine, me lo sentivo. Bha, spero solo che ora possa finalemente rendere conto dei suoi peccati.”

John la stava ascoltando allibito quando i suoi occhi scivolarono sulle mani nodose percorse da vene in rilievo che stringevano compulsivamente il vecchio bastone da passeggio, dal manico in ottone.
“mi scusi potrei avere solo per un attimo il suo bastone?” chiese il dottore.

Subito lei si mise sulla difensiva “Vuole privare un’anziana signora del suo unico conforto?” disseil tono era ancora freddo, ma ora la voce tremava appena.

“no vuole analizzarlo per vedere se ci sono sopra ancora delle tracce di sangue” la voce di Sherlock vibrò attraverso il telefono, facendo sussultare sia la donna che il dottore, che si era completamente dimenticato che il tritone fosse ancora in linea.
L’anziana boccheggiò “come. . . come osate!?”

“Mi ascolti attentamente, se lei non si consegna alla polizia con tutta probabilità suo figlio finirà in carcere con una condanna che potrebbe andare dai vent’anni all’ergastolo. Passerà un terzo della sua vita in mezzo a uomini senza Dio che lo porteranno certamente alla perdizione. E’ questo quello che vuole?”  Sherlock, il tritone empatico come un sasso, si stava divertendo a premere i punti più sensibili della donna per costringerla a capitolare.

“I-io. . .” sussurrò l’anziana con le lacrime agli occhi “Io non volevo questo, è stata tutta colpa di quella. . .” sussurrò prima di cadere in ginocchio.
 


Ritardo infinito, tutta colpa della gita scolastica, mi scuso infinitamente, delitto terribilemente prevedibile, non odiatemi per favore.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7: fell like professor Xavier ***


Capitolo 7: fell like professor Xavier
 



“un giorno riuscirò a capire se tu sia un genio o un idiota incosciente, anzi no, lo so già: sei un idiota”.
Sherlock sbuffò platealmente “Chi ha risolto in cinque minuti il caso evitando il quasi certo carcere a quel tipo? Andiamo John non farne di tutto una tragedia, sembri mio fratello” sbottò esasperato il tritone.

Era da almeno un quarto d’ora che il dottore gli faceva la predica sul suo presunto comportamento irresponsabile, e la creatura acquatica cominciava a spazientirsi. In fondo non aveva rischiato praticamente nulla, forse un ascoltatore molto attento avrebbe notato che qualcosa nel suo accento era particolarmente insolito, ma di certo non quell’idiota dell’ispettore di John. E poi anche se a qualcuno fosse caduto l’occhio sullo schermo del cellulare durante la videochiamata non avrebbe visto nulla di particolarmente insolito se non un uomo dai tratti particolarmente affilati e poco comuni.

Ma in quel momento l’ex militare sembrava aver dimenticato tutti i suoi propositi bellicosi.

Boccheggiò per un istante poi si afferrò la radice del naso con le dita e la massaggiò lentamente nel tentativo di ritrovare la calma.

“Sherlock, tu hai un fratello?” chiese con tono eccessivamente calmo a metà tra la domanda e l’affermazione.

Il tritone inarcò un sopracciglio “Sì perché?”

“E quando pensavi di dirmelo esattamente?” chiese John sul punto di esplodere.

“Quando sarebbe diventato rilevante. In ogni caso non penso che ci sia da preoccuparsi, sono passati giorni da quando sono scomparso e nessun umano è andato a cercare la colonia, quindi avrà semplicemente dichiarato il mio decesso.” disse tranquillamente, poi sbuffò divertito “Come se fosse la prima volta”.

“Mi stai dicendo che per tutto questo tempo tu eri pienamente cosciente che ci sarebbe stato qualcuno in grado di prendersi cura di te e hai pensato che dirmelo non fosse rilevante?” ringhiò il medico scattando in piedi.

Sherlock roteò gli occhi “John ti prego, per prima cosa come avrei potuto contattarli in queste condizioni? La colonia è parecchio lontana dalla costa, sarei morto dissanguato/divorato prima di aver percorso un decimo del tragitto.”

“Avrei potuto avvisarli io” sbottò il dottore poco convinto.

Il tritone sorrise sarcastico “Certo, sono sicuro che accoglierebbero a braccia aperte un traditore che ha appena rovinato “Secoli di faticosissimo anonimato” come direbbe quel cetaceo di Mycroft”.

John sospirò tornando a sedersi “Suppongo che tu abbia ragione” disse, poi inarcò un sopracciglio “Mycroft?”.

Per tutta risporsta Sherlock storse la bocca “mio fratello”.
U
na risatina fece guadagnare al dottore un’occhiataccia “Noto che tutti voi avete dei nomi molto. . . particolari” “Forse, o forse semplicemente nostra madre ha un gusto terribile” sbuffò melodrammatico il tritone.

John scoppiò a ridere, e poco dopo, nonostante le costole gli facessero ancora un po’ male Sherlock lo imitò, e per un minuto la grotta risuonò delle loro risa.

“Vedo che stai molto meglio” sorrise infine il dottore “Quando ti ho prestato i primi soccorsi ero convinto che non ce l’avresti fatta e invece. . .” la creatura marina lo guardò con finta sufficienza “Ci vogliono più di un paio di cavalloni per stendermi, e comunque ci sarebbe una cosa che potrebbe farmi migliorare ancora più in fretta” disse rivolgendogli uno sguardo allusivo.

A John ci volle qualche secondo per capire cosa passasse nel prodigioso cervello dell’altro “Oh, no, scordatelo non se ne parla” disse scostandosi dal bordo della vasca dove si era seduto.

“Eddai John, hai visto che sono molto migliorato dopo 'quello'”.

Era vero, Sherlock aveva perso quell’aria apatica dettata dal confinamento nella grotta e di conseguenza il suo intero corpo ne aveva giovato. Le ferite, che già guarivano ad una velocità sorprendente, erano ormai vicine alla cicatrizzazione, e ormai riusciva quasi a nuotare nonostante le costole ancora in pessime condizioni.

“Scordatelo Sherlock” ripetè John “Non ho la minima intenzione di farti partecipare ad un altro caso, è non c’è niente che tu possa fare per farmi cambiare idea”

***

“Questa è una pazzia, questa è una follia*” borbottò John chinato a terra con in mano una chiave inglese.

“Questa è l’idea migliore che credo tu abbia mai avuto” rispose Sherlock guardando la scena sorridendo e battendo impazientemente la superficie dell’acqua con la coda.

Sembrava un bambino a natale davanti ad un pacco dimensioni 90x120x70 centimetri.

“forza, non c’è un secondo da perdere” disse il tritone vedendo John alzarsi in piedi e pulirsi la fronte con un fazzoletto. Accanto al dottore c’era infatti quella che una volta doveva essere stata una sedia a rotelle elettrica, ora quasi irriconoscibile, visto che la pelle del sedile era stata levata e la spugna dell’imbottitura era stata imbevuta d’acqua. Sotto erano state collocate delle bombole, una volta piene di ossigeno che erano state svuotate per essere riempite di acqua marina collegate a delle strutture semirigide in plastica che pendevano  al fianco dello schienale.

“d’accordo allora preparati a trattenere il respiro disse il dottore inginocchiandosi accanto alla vasca naturale da dove Sherlock gli tendeva le braccia.
Dopo un cenno del tritone John lo afferrò rapidamente come aveva fatto quando aveva dovuto spostarlo da una vasca all’altra ai primi tempi dell’incontro e lo posò delicatamente sulla sedia.

Subito corse ai lati e collegò i respiratori di plastica alla zona branchiale, stringendo poi le cinghie che li collegavano sul petto e sul dorso di Sherlock.
Indietreggiò di un passo, incrociando mentalmente le dita “Ci siamo, prova”.

Con titubanza il tritone espirò, inondando i contenitori di plastica di acqua marina, qualche goccia sfuggì alla tenuta sottovuoto dei respiratori, ma nel complesso la struttura resse.

John sorrise sollevato “allora come ti senti?” chiese avvicinandosi nuovamente.

Sherlock flettè il braccio con la fronte corrugata “pesante, è come se all’improvviso il mio peso fosse aumentato” disse leggermente a disagio.

“Questo è naturale, hai vissuto per tutta la vita immerso nell’acqua che ti sorreggeva, ora che sei fuori puoi sentire il tuo vero peso.” disse un po’ divertito dal fatto che il tritone fosse tanto vanitoso da prendersela per il suo peso. “Tra l’altro è come se i tuoi muscoli fossero atrofizzati, è probabile che in futuro ti stanchi anche per piccoli gesti, ma il continuo allenamento dovrebbe sopperire con il tempo” disse guardando con l’aria critica del medico le braccia magre del tritone.
Sollevò poi una sacca da cui estrasse tre coperte di lana, nel intinse un paio nell’acqua e le mise sopra la coda, attraverso lo strato della lana sarebbe quasi potuta sembrare un paio di gambe accavallate, aggiungendo poi la coperta asciutta.

Un invalido fradicio avrebbe destato sospetti soprattutto contando il clima non esattamente tropicale della regione, ripetè poi lo stesso procedimento con una spessa felpa grigia con una fantasia di rane raccapricciante che una cugina gli aveva regalato per natale e che puzzava terribilmente di regalo reciclato.

“Devo proprio?” chiese con tono lamentoso Sherlock, fissando l’indumento con esplicito disgusto.

“O così o niente” rispose con aria innocente John, porgendogli la felpa fradicia, in realtà c’erano almeno altri venti vecchi maglioni molto più dignitosi nel suo armadio che avrebbero potuto assolvere benissimo il compito di idratare la delicata pelle del tritone.

Si morse le labbra per non ridere, beccandosi un’occhiataccia da Sherlock, che indossò comunque l’indumento sportivo.
“Stai benissimo” disse il dottore con esagerata enfasi, il tritone socchiuse le palpebre “John non serve essere geniali come me per capire che stai mentendo spudoratamente.” sibilò furioso.

“Dai non te la prendere, dopotutto nessuno la vedrà, tanto indosserai sempre questo.” aggiunse aiutandolo a infilare le braccia in un pesante Milford Coat*
Il tocco finale furono dei guanti senza dita che avrebbero nascosto la parte palmata delle dita.

“D’accordo sei pronto?” chiese John mentre spingeva la sedia verso l’uscita terrestre della grotta.

“Certo che si, per chi mi hai preso?” chiese Sherlock con il suo solito tono irritante, stavolta venato però da una leggera inquietudine. Il dottore evitò di rimbeccarlo come avrebbe voluto, aveva ormai capito che questo era il modo con cui il tritone si proteggeva quando si sentiva nervoso o agitato.
Passare attraverso le roccie anguste non fu facile ma alla fine furono fuori.

Silenzio assoluto.

Intorno a loro si estendeva la placida campagna inglese, e poco lontano, oltre al furgoncino che John aveva chiesto in prestito a Mike poche ore prima, l’autostrada animata solo da qualche sporadica automobile.
Se si escludevano i conducenti delle auto e le pecore semiselvatiche loro erano le uniche anime vive nel raggio di miglia.
Eppure quel paesaggio spoglio, piatto e rustico che molti avrebbero definito desolante era riuscito ad ammutolire completamente la creatura più saccente, irritante e sputasentenze  del globo terracqueo.

Placida campagna inglese- 1 Sherlock Holmes-0

“Dai, andiamo, sono tutti impazienti di conoscerti” disse il dottore spingendo la carrozzina verso il furgone di Mike. “E’ bellissimo” sussurrò Sherlock rapito volgendo lo sguardo intorno.

John sbuffò “Non è poi questo granchè, scommetto che il tuo mondo è molto più interessante, ma forse è solo perché io ci sono abituato e poi. . .” “John grazie” lo interruppe il moro.

Il cuore del dottore mancò un battito “N-non c’è bisogno di ringraziare, ho solo fatto quello che mi sembrava giusto, tu ci tenevi tanto e. . . e. . .” disse John in imbarazzo, ma perché si metteva a ringraziarlo così su due piedi dannazione? Non aveva fatto nulla di speciale.

“Invece si, John. Io e te siamo diversi, apparteniamo a due mondi e a due specie diverse e questa avrebbe potuto essere un’attenuante, ma nemmeno da dove vengo io molti mi avrebbero aiutato. Tu invece ti sei comportato diversamente da come mio fratello ha sempre descritto gli umani. A sentire quello che dice lui avresti dovuto lasciarmi morire o peggio, vendermi per denaro o fama, invece mi hai salvato la vita e ora mi aiuti anche in questo nonostante spesso io non sia esattamente. . .accondiscendente?” provò lanciandogli un’occhiata imbarazzata.

“Diciamo piuttosto che il più delle volte sei un arrogante e presuntuoso sottuttoio” chi è che ora cerca di nascondere il proprio nervosismo dietro una maschera John?

Seguì un lungo silenzio, durante il quale raggiunsero il furgone “comunque non c’è di che” aggiunse il dottore spingendolo sulla pedana inclinata. Lo sforzo lo costrinse a chinarsi leggermente e il suo naso fu invaso dal profumo della salsedine che veniva dai capelli di Sherlock.

Era come se tutto il mare fosse stato concentrato in quelle folte ciocche brune. Quando si rese conto del pensiero scattò all’indietro, ottenendo un occhiata perplessa  da parte del tritone “ha, io. . . io . . .vado alla guida okay?” balbettò chiudendo in fretta il portellone.

Per tutto il tragitto fino alla città Sherlock e John ripassarono la storia della vita del moro che lui e il tritone avevano inventato.

Veniva da Glanstonbury (questo avrebbe spiegato l’accento leggermente cantilenante) aveva 35 anni ed era orfano di padre e di madre, morti entrambi in un incidente d’auto quando lui aveva due anni. Non aveva fratelli o sorelle, e nessun parente abbastanza vicino a cui era stato possibile affidarlo alla morte dei suoi, così era cresciuto in un istituto dove aveva studiato. Aveva poi vinto una borsa di studio che gli aveva permesso di laurearsi in antropologia (cosa neppure del tutto falsa visto che aveva divorato almeno nove tomi su Psicologia, Psicologia criminale, Antropologia fisica, Anatomia ecc ecc).
Era divenuto paraplegico in seguito ad un incidente d’auto che aveva leso le vertebre lombari e distrutto le gambe (quest’ultimo particolare era necessario affinche nessuno avesse la brillante idea di sollevare senza permesso le pesanti coperte in lana) azzerando le sue capacità motore dalla vita in giù.
Il punto più difficile era stato dare una spiegazione plausibile al motivo per cui due persone tanto diverse come loro due si fossero conosciute.
Alla fine erano ricorsi ad un classico, amici di amici che nessuno sarebbe mai andato a controllare.

Dopo venti minuti di guida alla fine John parcheggiò accanto al pub di Geoffrey, dove una dozzina di persone fingeva spudoratamente di essere li per caso e non per conoscere il brillante personaggio che aveva risolto in pochi minuti quello che ormai veniva denominato con poco senso del grottesco “The mommy case”.

John saltò giù salutando Mike e Bobby*, il suo compagno di liceo che ora era sergente sotto gli ordini del signor Evans.
Poco distante Mary e Janine parottavano tra loro con aria sospetta, e non era necessario essere Sherlock per notare il trucco un po’ più curato di una e il vestito verde quasi nuovo dell’altra.

Persino Molly che se ne stava in disparte torturandosi le mani aveva cercato di evidenziare le labbra con un filo di rossetto, cosa che faceva raramente anche per le feste.

Con l’aiuto di Mike aprì lo sportello ed entrò “C’è più gente di quanta mi aspettassi” bisbigliò in fretta girando la carrozzina.

“Nervoso?” chiese il tritone con un mezzo sorriso passandosi una mano nei capelli.

“Naa, in fondo sto solo presentando una creatura fantasy ai miei amici, dopotutto il mese scorso ho fatto conoscere loro un fauno e l’hanno trovato simpaticissimo.” sbottò il medico.

“Non agitarti John” disse “si va in scena” aggiunse scendendo dal furgone.

Vennero fatte le presentazioni, mentre Sherlock evitava di stringere la mano a tutti per non rivelare i guanti bagnati. Le signore sembravano piuttosto entusiaste e questo causò un leggero e inspiegato moto di stizza a John.

Stavano per entrare nel locale di Geoffry quando una voce alle loro spalle fece arrestare l’intera compagnia. “Dottor Watson? Ho bisogno di lei, è stato ritrovato un corpo al 23 di Craven Road e. . .”

L’ispettore Evans, nel suo solito impermeabile giallo si bloccò sul posto vedendo l’uomo che John Watson gli aveva descritto come il risolutore dell’omicidio della settimana prima. La persona che gli aveva soffiato il posto in prima pagina sui quotidiani locali.

“Il signor Holmes presumo” disse con tono neutro mentre i suoi tratti si indurivano.

Sherlock lo guardo e sorrise strafottente “In persona ispettore”.
 
 


Allego qui il link per la terribile felpa di Sherlock, scusate non ho saputo resistere
https://www.depop.com/it/bananna/felpa-pharmacy-industry-autumn-winter

*semicit deprecabile ma in questo momento sto ascoltando il remix di “THIS IS SPARTA!” (this is orribiligustimusicali time!)

* Appare cappotto selvatico, cappotto selvatico usa “I’M BACK BITCHES!”: è superefficace.

*probabilmente lo saprete già ma il mio senso dell’umorismo (404 not found) mi ha suggerito di chiamare questo simpatico Sergente Garcia, Bobby: come l’espressione dialettale che usano gli inglesi per designare i vigili urbani.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8: Lo strano caso del banchiere ucciso a mezzanotte ***


Capitolo 8: Lo strano caso del banchiere ucciso a mezzanotte
 


Erano imbottigliati nel traffico da almeno dieci minuti quando John lanciò un’occhiata alle sue spalle. Dietro di lui, oltre la grata di sicurezza, Sherlock aveva poggiato i gomiti nel punto in cui a rigor di logica avrebbero dovuto esserci le ginocchia e aveva lo sguardo fisso oltre a sé i polpastrelli pallidi, congiunti poco oltre le labbra, perso in chissà quali elucubrazioni nel suo palazzo mentale.

Il dottore osservò il profilo aristocratico del tritone, probabilmente gli avrebbe creduto se gli avesse detto che apparteneva a una qualche famiglia nobile, sempre che il loro tipo di società comprendesse una simile carica.

“perché non ci muoviamo?” chiese Sherlock senza distogliere lo sguardo da davanti a se, probabilmente stava cercando di dare un ordine a tutto ciò che aveva visto quel giorno nel suo palazzo mentale. “Ci sono troppe auto, a volte succede” rispose John scrollandosi di dosso quei pensieri.

“Noioso” fu la prevedibile sentenza del tritone prima che raddrizzasse di colpo la schiena e desse un’occhiata fuori dal finestrino. “Perché non cerchiamo un percorso alternativo?” sbuffò poi.

Il dottore alzò gli occhi al cielo “Sherlock ho già fatto fatica a convincere l’ispettore Evans a portarti con noi. Come pensi che reagirebbe se sapesse che ci siamo anche persi durante il tragitto, visto che non ho idea di dove sia la scena del crimine?” l’unica risposta che ricevette fu un lungo silenzio contrariato, così tornò a guardare il traffico.

D’un tratto la voce del moro risuonò nel furgoncino “Sembra che non piaccia molto al tuo ispettore” il tono sarebbe dovuto essere ironico, ma c’era una lieve sfumatura anomala che il dottore di mise qualche secondo per identificare: delusione.

“A lui non piace nessuno Sherlock, e tu non sei esattamente un tipo amabile” scherzò il medico, quando però non udì una risposta acida o quantomeno stizzita si volse nuovamente a guardarlo. Aveva un’aria malinconica e assente “Si lo so, dopotutto le nostre società non sono poi così diverse, i modelli comportamentali medi degli individui restano parecchio simili. Era abbastanza prevedibile che non sarei stato, come dire. . .” mormorò, quasi più a se stesso che al dottore “benvisto” concluse in modo a malapena percepibile.

John lo osservò  “non eri molto popolare neppure dal luogo da dove vieni, vero?” chiese un po’ dispiaciuto per la leggerezza con cui gli aveva parlato. Sherlock gli rivolse un sorriso storto “Brillante deduzione John, stai migliorando” rispose prima di voltarsi per guardare oltre i finestrini opachi per la polvere.

Fu in quel momento che il dottore comprese: l’altro aveva sempre sognato di recarsi sulla terraferma, provava un’attrazione illimitata verso di essa e verso i suoi abitanti e adesso stava facendo i conti con la dura realtà. Ovvero che l’idea che si era fatto di quel luogo alieno non era che una mera utopia e che la realtà era ben diversa. Gli umani, come i tritoni e le sirene erano soggetti a emozioni come rabbia, invidia e rancore ma questo Sherlock, con incredibile ingenuità, non l’aveva previsto.

Il medico non sapeva che dire, dopotutto lui stesso trovava gli atteggiamenti del tritone irritanti a volte e ora si sentiva in colpa per tutte le  volte che gli aveva risposto male (benchè spesso se lo meritasse)

Però al contrario di Evans lui non lo vedeva con ostilità, anzi lo ammirava per quella mente geniale e folle che possedeva, senza lasciare che però la legittima invidia che provava lo portasse a trattare male l’amico. Ora, mentre lo guardava cercare di proteggersi da tutti chiudendosi a riccio e sparando commenti acidi e saccenti sentiva una certa tenerezza per quell’incarnazione del “genio incompreso” vivente.

Voleva consolarlo ma se Sherlock avesse intuito che provava compassione per lui probabilmente si sarebbe chiuso ancora di più. . . o lo avrebbe preso a pinnate come
durante il loro primo incontro.

“Sherlock. . .io non penso che . . .” qualunque fosse il discorso che John stava per iniziare fu interrotto bruscamente dal rumore aggressivo di un clacson.
Il dottore si girò rapidamente e ingranò la marcia, a quanto pare il semaforo era diventato verde all’improvviso e lui non se n’era accorto. Quell’accenno di parole non dette aleggiò per un po’ sopra di loro fino a che il tritone non farfugliò qualcosa di assolutamente incomprensibile.

“Come?” chiese il medico voltandosi appena. Per tutta risposta Sherlock inarcò un sopracciglio, distogliendo appena lo sguardo dallo schermo del cellulare che doveva aver appena sfilato dalla tasca di John. “Mai aperto bocca” disse prima di rivolgere nuovamente la sua attenzione al dispositivo.

Il medico dedicò nuovamente la sua completa attenzione alla strada, perdendosi  così il lieve sorriso che aveva increspato le labbra in un tenue sorriso. Non serviva essere un genio come lui per intuire quello che il dottore avrebbe detto se non fosse stato bruscamente interrotto.

“Un Holmes che ringrazia due volte in un solo giorno” pensò Sherlock scorrendo la mappa della città per memorizzarla “Il mondo deve essere impazzito”
 
***
 
“Albert Bennet di anni 64, vedovo e senza figli è stato trovato morto nel suo appartamento alle ore 10. 45 dalla padrona di casa, nonché vicina, Kathlyn Bell di anni 57. La signora ha affermato di essersi insospettita quando uscendo per prendere il latte ha notato che l’ombrello del signor Bennet era ancora al suo posto nonostante la giornata minacciasse pioggia. Stando a quanto ha raccontato, la vittima non si è mai presa un solo giorno di malattia da 7 anni a questa parte quindi ha provato a suonare alla porta, ma senza esito. Così è entrata nell’appartamento usando le chiavi di riserva e qui ha trovato il corpo nel. . .” “va bene abbiamo capito sergente Patel” il resoconto di Bobby, l’amico di John, fu bruscamente interrotto dal signor Evans che stava osservando con diffidenza il coroner aiutare Sherlock a uscire dal furgone. Tutti i successivi tentativi del sergente Patel furono liquidati con monosillabi irritati.

Quando finalmente anche il finto antropologo si fu unito al gruppo l’ispettore si decise a parlare “Ho accordato al dottor Watson il permesso di portarla con noi perché crede che il suo parere potrebbe essere di qualche utilità ma non posso far accedere un civile ad una scena del delitto” sbottò fissando gli occhi scuri in quelli ceruli del tritone.

John chiuse gli occhi, certo che Sherlock avrebbe dato il via ad una serie di deduzioni offensive sull’ispettore. Inaspettatamente però quest’ultimo sorrise tranquillo

“Certamente” disse guadagnandosi un’occhiata sbalordita da parte del dottore “non si preoccupi” aggiunse sistemandosi meglio sulla sedia “Non potrei mai rischiare di inquinare le prove di un caso”.

Mentre parlava però urtò con il gomito il freno a mano che teneva ancorata la sedia al terreno sbloccandola. La lievissima pendenza fu sufficiente perché questa iniziasse a scivolare ma subito l’ispettore ne afferrò il bracciolo sporgendosi in avanti permettendo a Sherlock di bloccare nuovamente la carrozzina.

“Accidenti, sono davvero maldestro, mi perdoni mister Evans” ringraziò il tritone.

“Di nulla, la prossima volta stia più attento” bofonchiò scontroso l’ispettore prima di dirigersi verso la casa con grandi falcate. Dopo essersi accertato che l’amico stesse effettivamente bene e che i respiratori non si fossero spostati John lo seguì.

Non aveva ancora varcato la porta che però il suo cellulare iniziò a vibrare.

Quando però notò che sopra il display brillava il nome dell’ispettore aggrottò la fronte. Diede una rapida occhiata perplessa al signor Evans che stava esaminando la scena, non era lui a chiamare.

Accettò la chiamata “Finalmente, ce ne hai messo di tempo” la voce divertita e impaziente di Sherlock gli fece alzare gli occhi al cielo: certo, avrebbe dovuto aspettarselo.

“Avrei dovuto capire che non l’avevi sbloccata per sbaglio quella leva” ringhiò il coroner facendo attenzione che nessuno lo sentisse. Dall’altro capo provenne una mezza risata “Per essere delle persone che lavorano con la polizia tu e il tuo amico vi fate derubare un po’ troppo semplicemente sapete?” disse il tritone gongolante.

“Tu che rispondi cortesemente a qualcuno: era troppo bello per essere vero.” borbottò John infilandosi la tuta plastica per non danneggiare la scena del delitto mentre teneva bloccato il cellulare tra la spalla e l’orecchio. “Forza, non perdiamo tempo o c’è il rischio che il tuo ispettore risolva il caso prima di me” lo esortò Sherlock ironicamente.

Con un sospiro rassegnato John entrò nella stanza dove un paio di ore prima era stato ritrovato il corpo, e dove giaceva tutt’ora. Immerso completamente nella vasca da bagno piena d’acqua c’era infatti il corpo del banchiere.

Presentava tutti i sintomi dell’annegamento, compreso il “fungo schiumoso” posto tra il naso e la bocca. Inoltre il corpo pallido presentava un gonfiore innaturale nel torso, data dal progressivo aumento dei gas intestinali tipici dei cadaveri. Doveva essere morto almeno una decina di ore prima, verso la mezzanotte, uno strano orario per decidere di farsi un bagno.

Non c’era nessun segno di lotta sul corpo, ne di strangolamento, l’unica stranezza era il segno a malapena visibile di una iniezione sottocutanea sul ventre che però trovò immediatamente una spiegazione nella scatoletta di insulina e nella penna per l’iniezione appoggiate lì accanto.

All’apparenza sembrava un banale caso di annegamento, ma in quel caso la polizia non sarebbe stata chiamata. Aggrottò la fronte e si alzò da terra.

Elencò in fretta tutto quello che aveva notato a Sherlock che stranamente non lo investì con un torrente di deduzioni ma si limitò a confermare la sua tesi secondo la quale dovevano mancare per forza un paio di tasselli. Dopo qualche altro istante borbottò un “ma certo” irritato poi gli ordinò di andare a chiedere a Evans se non avessero trovato altro sulla scena del delitto prima di chiudere la comunicazione.

La perplessità di John durò solo un istante poi comprese anche lui. Era probabile che l’ispettore non gradisse affatto l’intrusione di Sherlock nelle sue indagini e che avesse portato via qualche prova importante prima dell’arrivo del coroner.

Irritato dal comportamento puerile del collaboratore  si diresse a grandi passi verso la cucina dove si trovava Evans con gli altri agenti. “Mi scusi ispettore, vorrei parlarle un attimo se non . . .” John si bloccò sul posto vedendo la scena che gli si parava davanti.

L’ispettore non aveva nascosto le prove.

Non avrebbe potuto neppure volendo.

Nella piccola cucina infatti, sulla porta opposta alla parete era stato dipinto un gigantesco cuore rosso e al suo interno era stata scritta in caratteri regolari una frase:

From Copenaghen with love . M

Evans stava parlando con i suoi uomini in quel momento e pareva non essersi accorto della presenza del coroner  “Voglio ogni possibile correlazione tra il signor Bennett e Copenaghen sulla mia scrivania tra un’ora, i possibili investimenti della banca in quell’area se aveva amici o conoscenti da quelle parti persino se la cugina di terzo grado c’è andata in vacanza quando aveva tre anni a vedere la sirenetta*” ordinò l’ispettore.

A John mancò la terra sotto i piedi.

Non poteva essere una coincidenza.

“Sherlock” gridò precipitandosi fuori dalla casa e raggiungendo lo spiazzo davanti ad essa.

Il punto dove fino a qualche minuto prima si trovava il tritone era vuoto. “Sherlock!” gridò nuovamente il dottore in preda al panico. Si volse e corse nuovamente dentro la casa “Ispettore, Sherlock è scomparso dobbiamo trovarlo” disse velocemente.

Evans gli scoccò un’occhiata irritata “già fatto” disse, e si spostò da davanti alla finestra da dove il tritone aveva tentato di affacciarsi alla chetichella dopo aver fatto il giro della casa.

Sherlock guardò l’espressione furiosa di John e sorrise innocentemente “prima mi stavi chiamando per caso?”
 
 
*mi riferisco ovviamente alla famosissima statua della sirenetta posta davanti al porto di Copenaghen
 

Eeee salve a tutti sono tornata. Lo so, lo so far sembrare che Sherlock fosse stato rapito a cinque righe dalla fine del capitolo è stata una bastardata, ma tra il computer crashato (per fortuna aveva salvato tutto su una chiavetta, quindi mi è bastato Hackerare quello di mia sorella (che in realtà usa la stessa password per tutto)) i ladri in casa (che potevano pure pigliarselo il computer a sto punto) e la seduta intensiva di mal di stomaco direi che non mi sento proprio buona (mi sto trattenendo a stento dall’andare in giro random nelle piscine riempire di tritolo la gente e/o dire loro “TI BRUCERO’ IL CUORE BWUAHAHAHAH”)……ok scusate lo sclero.

Comuuunque ricordo a tutti come sempre che i commenti sia positivi che negativi sono sempre bene accetti bye bye

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Capitolo 9
*** Capitolo 9: lo squalo nell’ombra ***


Capitolo 9: lo squalo nell’ombra
 
 

“Tutto questo è assurdo” da almeno un’ora John camminava avanti e indietro, continuando a borbottare a mezza voce i pensieri che gli frullavano incessantemente per la testa. Snocciolava senza tregua una lunga serie di teorie e supposizioni, sempre più assurde e fantasiose man mano che le prime crollavano sotto i colpi della logica. C’era sempre qualche dettaglio che non quadrava come il movente, o il modo in cui il banchiere era morto o con il messaggio scritto in rosso.

Dal canto suo invece, Sherlock era insolitamente silenzioso. Aveva raccolto la coda appoggiando la grande pinna caudale azzurro polvere e grigia sul fondale della vasca naturale, poggiato i gomiti sopra le squame lucide e congiunto le dita davanti alle labbra.

Era in quella posizione da quando erano tornati nella grotta, non aveva detto praticamente una parola da quando aveva letto la scritta e John gliene aveva rivelato le probabili implicazioni. Non era stato facile allontanarsi in fretta dalla scena del crimine: Il dottore aveva dovuto sopportare una lunga ramanzina dell’ispettore Evans. Rischio di inquinamento di prove, accesso non autorizzato ad una scena del crimine da parte di un civile eccetera eccetera eccetera. In teoria tutto quel sermone sarebbe dovuto essere per Sherlock ma il medico aveva come il sospetto che per tutto il tempo il tritone fosse rimasto nel suo “palazzo mentale” ignorando completamente tutto ciò che usciva dalla bocca dell’ispettore.

Aveva anche eluso i suoi tentativi di conversazione, e John non era praticamente riuscito a strappargli nemmeno una delle decine di ipotesi che aveva probabilmente formulato nel frattempo. Tuttavia il moro aveva insistito perche il medico gli rielencasse ogni particolare sul corpo rinvenuto, insistendo per sapere le l’iniezione era stata fatta dall’individuo stesso  o da qualcun altro. Esaurita completamente la curiosità sul cadavere aveva domandato ogni dettaglio sulla scritta rinvenuta, il tipo di carattere usato, se le lettere erano inclinate o no e il tipo di vernice che era stata utilizzata.

John si fermò un istante “Possibile che tu sia così tranquillo? C’è evidentemente qualcuno che sa di te! E quel qualcuno con tutta probabilità è un omicida” sbottò il medico allargando le braccia in uno dei gesti plateali che tanto piacevano al suo amico, girando su se stesso e dandogli le spalle.

“Non è un omicida” la voce scura di Sherlock rimbombò per tutta la caverna, insolitamente seria e cupa. Il dottore si volse di scatto “che cosa intendi con “Non è un omicida?” non dirmi che pensi che si tratti di un suicidio o di un incidente? A parte il fatto che nessuno si annegherebbe nella vasca di propria iniziativa come spieghi quel cuore rosso? E la scritta al suo interno? È evidente che qualcuno ha voluto mandarti un messaggio!” esplose John.

“Non ho detto che si è trattato di un suicidio, ovviamente non è stato un suicidio! Sto solo dicendo che l’omicidio non è stato compiuto direttamente” disse rapidamente.

“Sherlock ti decidi a parlare chiaramente? Oppure devo implorare il gran geniaccio di permettere a me, umile umano, di sapere cosa ti passa per il cervello” gridò il medico.

Per un paio di minuti nella caverna regnò il silenzio poi il dottore abbassò il capo e alzò le mani “Scusa, scusami. . . sul serio, mi dispiace. Non avrei dovuto urlarti addosso solo. . . sono preoccupato. Da qualche parte là fuori c’è un pazzo furioso che disegna cuori rossi dannatamente inquietanti per te e io. . .io sono preoccupato va bene?” borbottò stringendosi la base del naso fra il pollice e l’indice guardando a terra.

Uno sbuffo divertito gli fece alzare il volto di scatto, Sherlock stava. . .ridendo?

“D’accordo, siediti” disse il tritone con un sorriso indicandogli con un gesto della mano la sponda rocciosa vicino al punto dove aveva appoggiato la schiena.

John sorrise a sua volta e fece come gli era stato detto. Appena fu a terra tuttavia allungò una mano sper sfiorare la schiena del moro, che a quel contatto inaspettato si irrigidì.

“Sembra che le tue ferite vadano meglio, tra un paio di settimane dovresti tornare come nuovo” gettò poi un’occhiata alla pinna dorsale che spuntava lungo la colonna vertebrale. A causa della tempesta era stata irrimediabilmente rovinata e delle lunghe e affusolate sporgenze ossee ormai restava ben poco, anche se gran parte della membrana azzurra picchiettata di blu che correva tra esse era riuscito a salvarla. “Riuscirai a nuotare anche se è. . . in queste condizioni?” chiese con una nota di apprensione nella voce.

Sherlock volse la testa dall’altra parte, sembrava in imbarazzo, in realtà la sua vanità gli aveva fatto pesare il fatto di aver perso una dei suoi principali motivi di vanto (oltre ovviamente ai capelli) ma ormai ci aveva fatto la pace. Dopotutto, se era servito per conoscere John. . .

Il tritone si riscosse “Ah, in realtà non ha una vera funzione è solo. . .solo dimorfismo sessuale sai, come i pesci” borbottò il tritone. “Comunque, per quando riguarda il caso, non è stato un incidente o un suicidio. È stato un omicidio ovviamente, ma è stato il banchiere a fare tutto in realtà. Se esaminerete la scatoletta delle fiale per il diabete potreste trovare delle impronte, ma francamente ne dubito, chiunque abbia fatto questo è un professionista. Per fartela breve quello che è successo è stato che qualcuno ha sostituito una delle fiale di diabete con un paralizzante che ha agito lentamente senza che la vittima se ne accorgesse. In seguito, quando ormai l’effetto era completo il nostro assassino deve aver alzato il livello dell’acqua, uccidendolo.”

John deglutì “Dio santo” sussurrò con un filo di voce “Era. . .insomma era. . .” “Se quello che mi stai chiedendo è se fosse cosciente allora la risposta è sì temo. Non ho la certezza scientifica, dopotutto non ho potuto analizzare il sangue della nostra vittima, ma sarebbe coerente con il profilo che ho tracciato dell’assassino” sospirò, poi lasciò che un sorriso gli comparisse sulle labbra.

Il medico alzò gli occhi al cielo “Ti stai divertendo da morire vero?” chiese con rassegnazione, Sherlock lo ignorò.

“Si tratta di qualcuno di molto astuto. Non ha lasciato indizi, se non quelli che voleva che trovassimo. Non è un serial killer, ma è quasi certo che ucciderà ancora, perché vuole che mi concentri su di lui. Non è uno squilibrato, o meglio, è sano quanto può esserlo qualcuno che uccide la gente per attirare l’attenzione. Il modo freddo in cui ha progettato il crimine lo rende evidente. Anche il messaggio che ha lasciato è conforme a tutto il resto, i caratteri sono in maiuscolo, come se lo stesse urlando, ma leggermente inclinati come un biglietto romantico” a quelle parole John sussultò, mentre una crescente sensazione di fastidio lo invadeva.

“Comunque non è giovane, non molto almeno. Ha usato vernice rossa quando sarebbe stato molto più semplice usare una bomboletta spray e poi quella citazione. . . no, decisamente non è giovanissimo, ma escluderei anche che sia di mezza età, troppo perverso” aggiunse con un sorrisetto“E questo ci porta al suo mandante” aggiunse.

Il medico sgranò gli occhi “Un momento, che vuol dire “il mandante”. Significa che più di una persona sa di te?” “Ovviamente. Chiunque sia l’autore di quel macabro biglietto di sfida è un professionista dell’ambiente, abituato a fare il lavoro sporco per associazioni malavitose eccetera. Di certo non qualcuno che perde il suo tempo a cacciare le sirene. No John, il nostro vero nemico in realtà è qualcuno se possibile di ben più pericoloso, ossessionato da me e da ciò che rappresento probabilmente. Ovviamente si tratta di qualcuno con una certa disponibilità economica, il nostro omicida non è qualcuno che si muove per poco denaro.”

Sherlock sorrise “E’ uno squalo, penso che sia l’unico modo per descriverlo. Sei mai stato ad un acquario John? Uno con una vasca per gli squali, ti sei mai avvicinato al vetro? Nuotano avanti e indietro, apparentemente tranquilli ma in realtà sono solo in attesa del momento migliore per attaccare. A volte aspettano che sia qualcun altro ad attaccare per poi cibarsi dei rimasugli, non sono predatori fieri, sono subdoli e non si fanno scrupoli, gli basta ottenere ciò che vogliono*” disse tranquillamente.

“Noto che hai una certa esperienza” commentò John divertito “A volte si avvicinano alla colonia e allora dobbiamo difenderci. Non è sempre facile, mi ricordo che quando ero ragazzo e Mycroft faceva il suo periodo obbligatorio di cadetto, uno gli ha quasi staccato un braccio. Dovevi vederlo, ho quasi provato pena per lo squalo” aggiunse sghignazzando.

“Davvero? Aspetta, significa che anche tu hai fatto. . .il militare?” “Oddio no, no. Quando è arrivato il mio turno mio fratello era abbastanza influente da evitarmi quel fastidio” abbassò il capo.

“E’ sempre stato molto protettivo nei miei confronti” aggiunse con un sorriso sghembo “Ti manca?” chiese intenerito. Sherlock si riscosse “Certo che no! Ovvio che non mi manca! Come puoi pensare che quell’appiccicoso e tronfio tricheco mi manchi!” sbottò.

“In ogni caso mi sembra ovvio che quella che ci ha lanciato è una sfida. L’assassino intendo, non quello che gli ha commissionato il lavoro.” aggiunse per cambiare argomento socchiuse gli occhi color ghiaccio. “Ha intenzione di farmi uscire allo scoperto, non so perché, non ancora almeno anche se ho qualche idea” “Allora evita di occuparti di questo caso, mantieni il profilo basso per un po’” ribatté il dottore, a cui quella situazione non piaceva per niente.

“Se lo faccio altra gente morirà. No, abbiamo solo una possibilità, cioè scoprire chi c’è dietro tutto questo, solo allora potremo decidere come procedere” concluse Sherlock aggrottando la fronte.

“Quindi mettiamoci al lavoro John”.
 
***
 
“Davvero plateale” Magnussen aveva poggiato i piedi sopra la scrivania. In mano uno dei piccoli acquari singoli dove teneva rarissimi pesci tropicali da migliaia di sterline l’uno.

Il pesce disco azzurro dalle sottili screziature rosse si mosse, visibilmente a disagio, premendosi contro la parete trasparente del piccolo parallelepipedo ornato da piccole alghe e sassolini colorati.

“Voleva che attirassi la sua attenzione no?” Moriarty aveva le spalle appoggiate alla parete dell’ufficio e guardava fuori, oltre ai vetri a specchio del palazzo da cui il suo datore di lavoro controllava il suo impero mediatico.

“Dico solo che c’erano modi più. . .sofisticati per farlo non crede?” “credo che qualcuno con una dozzina di satelliti, che può ricattare mezzo MI6 e che non riesce a catturare un minuscolo pesciolino non dovrebbe dirmi come fare il mio lavoro” ghignò il consulente criminale staccandosi dalla parete.

Charles contrasse la mascella “Quella grotta ha un accesso subacqueo, non possiamo rischiare che sfugga attraverso esso, e mobilitare troppi uomini attirerebbe l’attenzione” disse freddo, mentre rimetteva l’acquario sulla scrivania e si ritornava a sedersi composto.

“Ho passato anni della mia vita a condurre questa ricerca. Anni in cui i pochi che sapevano del mio piccolo hobby mi hanno deriso credendomi un pazzo o uno sciocco. Non ho intenzione di lasciarmi scivolare dalle mani l’occasione per passare alla storia” la sua faccia era una maschera di cera.

Jim Moriarty incrociò le mani dietro alla schiena e si avvicinò lentamente alla scrivania. Poi abbassò il volto finchè fu alla stessa altezza di quello di Magnussen e sogghignò “Allora lasciami fare il mio fottuto lavoro e chiudi quella cazzo di bocca”. Lanciò un’occhiata all’acquario, e allungò una mano verso di questo.

Allungò le dita e afferrò tra l’indice e il pollice il pesce disco, lo avvicinò alla bocca e leccò la membrana squamosa che costituiva la sua pelle.

Buttò l’animaletto agonizzante sul tappeto e lo schiacciò con il tacco della scarpa “Speri solo che il nostro pesciolino abbia un sapore più soddisfacente di questo qui” aggiunse prima di uscire dalla porta dell’ufficio.
 


*liberamente tratto dalla descrizione che Sherlock fa a John di Magnussen


(Si prostra in ginocchio) mi dispiace tantissimo per il ritardo clamoroso ma ho appena iniziato una nuova serie (Orange is the new black) ed ero tipo “Devi scrivere il nuovo capitolo della fanfiction” “Fanfiction? Quale fanfiction?”
Capitolo un po’ di passaggio ma aveva voglia di far interagire un po’ i protagonisti principali in previsione del casino che accadrà fra poco.

A presto (tanto mi mancano solo ventordici puntate da 50 minuti l’una, che volete che sia?)

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Capitolo 10
*** Capitolo 10: La Sirena ***


Capitolo 10: La Sirena




“John, mi sto annoiando!” ringhiò Sherlock frustrato.

Da almeno una settimana il medico non gli permetteva di uscire dalla grotta, terrorizzato dalla possibilità che chi gli avesse inviato quella specie di “avvertimento” decidesse di fare la mossa seguente.

“Dannazione! Pensavo di essermi liberato di persone che cercano di mettermi i bastoni tra le ruote” sbottò. Dopo qualche istante, sorpreso che il biondo dottore non avesse replicato con il solito tono esasperato che riservava alle sue scenate da drama queen.

Si guardò intorno, rendendosi improvvisamente conto che John doveva essere tornato a casa, e da parecchio anche. Facendo uno sforzo ricordò vagamente che alcune ore prima il medico aveva borbottato qualcosa sul suo lavoro e sulle rate dell’affitto che non si pagano da sole, poi più nulla.

In quel momento Sherlock non gli aveva prestato attenzione, troppo immerso nelle ricerche che stava facendo sul portatile che l’altro si era rassegnato a prestargli a tempo indeterminato (in pratica glielo aveva regalato) o forse perso in qualche corridoio del suo labirintico mind palace, non ricordava.

La cosa gli diede un certo fastidio, ma al contrario di quello che si sarebbe potuto immaginare era una situazione insolita. Non era irritato con John; si accorse che per qualche strana ragione era irritato con se stesso. Non gli era mai capitato prima, se non nei rari casi in cui la sua mente brillante non si era rivelata all’altezza della situazione, una o due volte in tutto, ed era sempre stato in circostanze legate ai sentimenti.

Ricordò l’espressione accigliata di Mycroft, quando aveva portato a casa Barbarossa, un cucciolo di foca grigia* dai grandi occhi scuri ed espressivi che aveva trovato un giorno vicino al corpo della madre morta. aveva detto il più grande .

Alla fine, dopo aver minacciato ripetutamente di lasciarsi morire di fame e con l’intercessione di sua madre, aveva ottenuto di poter tenere il cucciolo.

Non era finita bene.

Barbarossa crescendo aveva iniziato a girovagare sempre più lontano dalla colonia fino a che, un giorno, era stato attaccato e ucciso da uno squalo spezzando il cuore al piccolo Sherlock.

Dopo quell’episodio, vedendo lo sguardo di commiserazione misto ad un irritante *te l’avevo detto* di Mycroft, aveva giurato di non farsi coinvolgere mai più dalle emozioni, ritenendole inutili e pericolose.

Solo in un altro caso i suoi propositi sul non provare più alcun sentimento non si erano rivelati sufficenti.

I suoi pensieri furono bruscamente interrotti da uno eccessivo rumore delle onde piuttosto insolito. La caverna era riparata dalle correnti esterne così solitamente are possibile udire sono un lento e tranquillo sciabordare.

In questo caso però Sherlock era certo che quel rumore fosse stato provocato da qualcosa. . . o da qualcuno. Si acquattò dietro le rocce della sua piscina e afferrò la pistola che John aveva insistito con il suo fare da mamma chioccia perché tenesse con sé. Avrebbe dovuto ringraziarlo più tardi. . .

Alzò leggermente la testa oltre alle viscide formazioni calcaree per spiare l’oceano sotto di se: Non vide nulla, possibile che il medico gli avesse trasmesso la sua paranoia?

Questa tesi venne però smantellata quando alle sue orecchie giunse una voce dolce e melodiosa “Ti sono mancata?”. Sherlock sospirò e abbassò la pistola, indeciso se essere contento o meno di quella inaspettata visita. “Ciao Irene” disse voltandosi a sinistra da dove la voce era venuta.

Accocolata in una delle pozze inferiori, con la corda avvolta a spirale intorno al corpo chiaro e il suo solito sguardo da predatrice c’era La Sirena*. Il moro la osservò, erano almeno cinque anni che non si vedevano, da quando era stata costretta a lasciare la colonia per evitare di essere punita per la sua condotta poco limpida. Non era cambiata quasi per nulla, a parte il fatto che ora teneva i lunghi capelli scuri raccolti in una elaborata acconciatura, da cui sfuggiva strategicamente qualche ciocca leggermente mossa.

Nulla tuttavia era paragonabile alla affusolata coda ricoperta di scaglie nere dai riflessi viola e alla pinna caudale violacea striata di carminio, che le era valsa ben più di un ammiratore.

“Quindi non sei morto” constatò dolcemente, se qualcun altro avesse pronunciato una frase così banale probabilmente Sherlock avrebbe avuto in serbo per lui una battuta acida sul suo quoziente intellettivo ma per qualche ragione ogni cosa detta da Irene Adler si rivestiva di significati sottointesi.
Il tritone fece leva sulle braccia e qualche istante più tardi scivolò nella pozza dove si trovava il secondo caso della sua vita dove non era riuscito a gestire le sue emozioni.

“Perché sei qui?” chiese infine con voce volutamente atona scostandosi qualche ciocca umida dal volto affilato. Per tutta risposta La Sirena si sporse verso di lui e gli accarezzò dolcemente una delle sue guancie spigolose “Ero preoccupata puor mon sauveur” mormorò. Il moro le prese il polso delicatamente ma con fermezza, scostandolo dal suo viso e guardandola seriamente.

“Biscay* è abbastanza lontana da tuo fratello e dal consiglio, ma sufficentemente vicina perché le notizie giungano in tempo utile” aggiunse allora lei roteando gli occhi con un sorriso. “Come hai fatto a trovarmi?” domandò teso Sherlock, possibile che lei da sola fosse riuscita dove per oltre due mesi Mycroft e duecento tritoni e sirene avevano fallito?

Irene mosse leggermente la mano, in uno dei gesti tanto eleganti che la caratterizzavano “Pura casualità, di tanto in tanto venivo qui con i miei. . . clienti. Dopo aver saputo da una delle guardie di tuo cognato che ti avevano perso da queste parti sono venuta a controllare per scrupolo di coscienza e, bhè eccoti qua” aggiunse facendo ondeggiare le palpebre come le membrane purpuredi una ballerina spagnola*.

Ripensò alle circostanze del loro incontro, avvenuto cinque anni prima: Irene aveva causato uno dei fin troppo rari eventi interessanti che avevano colpito la colonia da quando Sherlock era nato.

Era stata la responsabile di uno scandalo interno nel Consiglio, infatti con i suoi “rimproveri creativi” era riuscita a farsi dire da uno dei suoi membri dove si trovavano altre quattro colonie dei loro simili. All’interno della comunità infatti sono una ventina di sirene e tritoni in tutto erano a conoscenza dell’ubicazione di questi gruppi, questo per scongiurare il pericolo che, nel caso uno di loro fosse stato catturato vivo, rivelasse sotto tortura il luogo ove si trovavano i loro compagni.

Il consigliere incriminato se l’era cavata con una leggera punizione e un’estromissione a vita da cariche di potere, in ogni caso per il resto dei suoi giorni sarebbe stato additato e deriso dal resto della colonia, erano gli svantaggi di vivere in un gruppo poco numeroso.

Irene invece sarebbe incorsa in qualcosa di ben più grave, se non fosse stato per Sherlock che aveva deciso di aiutarla a fuggire.

Ancora oggi il tritone non aveva una idea ben precisa del perché lo aveva fatto; Si era ripetuto molte volte che era stato per il gusto del rischio, l’eccitazione dell’adrenalina che scorreva veloce nel sangue, accellerandogli i battiti cardiaci e perché alla fine di tutto, poco prima di nuotare verso Biscay, lei gli aveva rivelato le preziose informazioni sui luoghi dove si trovavano gli altri membri della loro specie.

Ma era stato anche per qualcos’altro, per una lieve stretta allo stomaco che non riusciva a spiegarsi quando lei lo guardava con i suoi occhi magnetici grigio-verde. Comunque aveva accantonato la questione quando lei se n’era andata, preferendo non riflettere su quello che avrebbe potuto scoprire se si fosse addentrato in quel terreno per lui particolarmente accidentato che erano i sentimenti.

Si riscosse quando la vide posarsi un’indice sul mento e mordicchiarsi distrattamente il labbro inferiore “Pensi che il caro Mycroft mi perdonerebbe se gli dicessi dove il suo adorato fratellino si nasconde?” chiese poi sorridendo con solo un angolo della bocca.

Sherlock le rivolse un’occhiata gelida “Pensavo che fossi in debito con me, e poi fare la spia non sarebbe contrario alla tua estetica?” chiese, pur sapendo che quella dell’altra era solamente una provocazione.

Irene lo fissò per qualche secondo senza  parlare, sempre con il solito sorriso enigmatico e un po’ sardonico da sfinge dipinto sul volto. “D’accordo mr Holmes” disse ad un tratto “Se lei mi racconta perché trascorre il suo prezioso tempo nascosto qui dentro al posto di dare la caccia ad un qualche mistero, le giuro sul mio cattivo nome che suo fratello Mycroft continuerà a brancolare nel buio ancora a lungo.”

Sherlock la osservò cercando di capire se l’altra stesse mentendo o fosse sincera, aveva scoperto a sue spese che purtroppo se c’era una creatura all’interno dell’universo femminile in grado di metterlo alle strette quella era proprio la Adler.

“Sono rimasto ferito scontrandomi con la scogliera in seguito ad una tempesta qualche settimana fa, le correnti mi hanno trascinato fin qui. Non ero in condizioni di andarmene così ho deciso di aspettare finchè non mi fossi ripreso completamente, tutto qui”. Era solo una mezza verità che ad un esame più approfondito avrebbe mostrato tutte le sue lacune, e sapeva che Irene non era tanto sciocca da farsi ingannare così facilmente ma non aveva intenzione di rivelare il suo segreto così facilmente.

La Sirena inarcò sarcasticamente un sopracciglio “Ma eri in grado di procurarti il necessario per sopravvivere a quanto pare” disse ironica.

Il moro sospirò in maniera melodrammatica “Va bene, diciamo che sono stato aiutato” “E da chi? Nessuno nella colonia andrebbe contro la volontà di tuo fratello, e poi da quello che ricordo non hai molti amici”. Sherlock reclinò il capo all’indietro “Nessuno all’interno della colonia eh?” ripetè assorto.

“Che intendi?” chiese sospettosa Irene, per qualche secondo nella caverna regnò il più completo silenzio poi finalmente la sirena comprese; infatti sbiancò di colpo “No, non può essere. . .” sussurrò con un filo di voce, cercò nel viso del suo interlocutore qualche traccia di diniego ma non ne vide, così tacque.

Dopo qualche minuto la Adler mormorò “Quello che io ho fatto cinque anni fa era grave ma questo. . . Devi essere impazzito, sai cosa ti accadrà se qualcuno lo scopre?! Neppure Mycroft con tutti i suoi potenti mezzi da maniaco del controllo potrà farti evitare le conseguenze”. Sherlock sapeva a cosa Irene alludeva: stava parlando del crimine peggiore tra la loro gente.

L’unico che prevedesse la pena di morte.

 “Non avevo altra scelta Irene. Cosa volevi che facessi? Che uccidessi l’uomo che mi ha salvato la vita? So che tutti mi considerano una fredda macchina calcolatrice ma neppure io avrei mai potuto compiere un omicidio a sangue freddo contro un innocente. Come se non bastasse ero ferito e febbricitante, quindi non avrei potuto ucciderlo neppure volendo. John mi ha curato sopportandomi nonostante il mio carattere e non ha parlato di me a nessuno, nonostante fosse nel suo interesse farlo. Non rivelerà a nessuno della nostra esistenza, posso assicurartelo.” Il tritone si interruppe sorpreso di se stesso, mai nella sua vita avrebbe pensato di lanciarsi in una filippica a favore di qualcuno

Irene lo guardò intensamente “Sei perfettamente guarito da qualsiasi ferita, anche se ho seri dubbi che si sia trattato di un incidente, perché sei ancora qui?”
Sherlock si bloccò, effettivamente nelle ultime due settimane le sue condizioni erano migliorate a sufficienza da permettergli di andarsene, eppure non l’aveva fatto, mettendo a repentaglio la sopravvivenza dell’intera colonia. Non avvertì del senso di colpa per ciò che aveva fatto, era troppo orgoglioso per un’amozione del genere, ma piuttosto provò una strana inquietudine.

“Il mondo degli umani è inaspettatamente interessante” mormorò schivo, quello e i casi con cui aveva lavorato con John, ma anche con la seconda parte non detta di quella motivazione sentiva che mancava un elemento essenziale.

Ripensò all’inizio della sua convivenza con John, ai suoi capricci e al modo diffidente con cui all’inizio si era approcciato con il biondo dottore, per poi aprirsi sempre di più. Ricordò ogni sguardo, ogni sorriso e ogni nota della risata piena e gioiosa dell’umano e sentì un inusitato calore diffondersi all’altezza del petto, da qualche parte tra lo stomaco e il cuore.

La crepa sulla lente di ingrandimento, il granello di polvere all’interno del perfetto ingranaggio che costituiva la sua mente.

La macchina che vacillava pericolosamente per far posto a qualcosa di molto più naturale e istintivo, qualcosa che nessuno dei suoi ragionamente puramente logici poteva spiegare.

Irene sospirò rassegnata “Immagino che non riuscirò a farti cambiare idea vero? Va bene, mi fido di te, e se tu ti fidi di lui, allora probabilmente non ci tradirà. Cerca solo di fare attenzione d’accordo?”

Si volse e scivolò elegantemente oltre agli scogli levegati direttamente in mare “Sarà meglio che vada, non vorrei che quella guardia con cui ho parlato avesse dei rimorsi di coscienza e corresse da tuo fratello” disse poco prima di scomparire sotto la superficie delle onde.

Sherlock sospirò, sapeva già che avrebbe passato le prossime ore cercando di risolvere il dilemma peggiore che gli fosse mai stato sottoposto quando udì nuovamente lo sciabordio delle onde.

“A proposito, hai detto che questo umano si chiama John giusto?” chiese Irene, ogni traccia di preoccupazione era scomparsa dalla sua voce, sostituita da una divertita malizia.

“Sì perché?” chiese il tritone, sorpreso tanto dall’improvviso cambiamento di umore di lei tanto quanto da quell’improvviso interesse.

La sirena sorrise mordicchiandosi un labbro “Dì a questo John da parte mia che è un umano molto fortunato” ridacchiò prima di rituffarsi nelle onde, lasciando un imbarazzato e allibito Sherlock  a dedurre le possibili implicazioni di quella frase.
 
 

*Non avevo molte alternative e lo so che le foche tendono ad essere “leggermente” ingombranti una volta cresciute, ma andiamo! Mi è stata servita su un piatto d’argento (in inglese foca si dice sea-dog). E poi l’idea di un piccolo Sherlock che stringe tra le braccia un cucciolo di foca ha causato un picco nei miei valori del colesterolo, quindi non mi ritengo responsabile delle mie azioni.

*l’ho tradotto in modo orribile, ma chiamarla La Donna era un po’ strano.

*La baia di Biscay si trova a sud della penisola di Bretagna, in Francia, non attira molti turisti quindi ho pensato che fosse l’ideale per installarci una colonia di sirene.

*Si tratta di un mollusco marino chiamato così per il modo elegante in cui nuota, vi lascio questo video giusto per farvi un’idea nel caso non l’abbiate mai vista https://www.youtube.com/watch?v=_rhX2-Q5qQ4ù


Heilà, sono tornata, miss me? (Schiva molotov volante) lo so, sono in super ritardo ma la fine della scuola/l’inizio dell’alternanza scuola-lavoro mi sta uccidendo, quei dannati negrieri della mia redazione stanno cercando di uccidere me e la mia amica! Abbiamo dovuto sfornare circa quattro articoli in quattro ore con un solo computer in due (ad un certo punto abbiamo raggiunto un livello di coordinazione tale che eravamo diventate un mostro mitologico: la stagista a due teste) sono tornata alle sette e la sola idea di sedermi davanti al pc per scrivere ancora mi dava il voltastomaco.

Va bien scusate. Tornando alle cose serie che bello finalmente ho potuto scrivere qualcosina su Irene Adler! Non so se si nota ma io adoro questo personaggio e non solo perché vorrei ricevere qualcuno dei suoi rimproveri creativi <3 . . . ma soprattutto è (dopo la signora Hudson) la principale fan della johnlock.

Cooomunque, capitolo lunghissimo un po’ per farmi perdonare un po’ perché dividerlo in due non aveva senso, Sherlock inizia a prendere coscienza del fatto che quello che prova per Jawn non è sono pura e semplice amicizia, cosa accadrà? (non chiedetemelo perché non lo so neanch’io, sono sei capitoli che vado alla cieca seguendo solo un uno straccetto di trama che non si può neppure definire un canovaccio).

Chiudo che se no le note diventano più lunghe del capitolo, alla prossima!

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Capitolo 11
*** Capitolo 11: Aquarium ***


Capitolo 11: Acquarius



Sherlock lanciò di sottecchi un'occhiata a John che, dietro di lui, spingeva con aria contrariata la sua sedia a rotelle.

Il motivo per cui desiderava osservarlo senza essere notato era presto detto: Nei tre giorni immediatamente successivi alla sua discussione con Irene Adler il tritone aveva passato gran parte del suo tempo libero, ovvero la quasi totalità del suo tempo, a documentarsi su quello strano fenomeno che accomunava la sua specie e quella umana, ovvero l'innamoramento.

Con sommo fastidio si era visto costretto a riorganizzare completamente il suo palazzo mentale, spostando in anfratti angusti e polverosi (di solito lì ci teneva le prediche di Mycroft!) informazioni che riteneva di primaria importanza.

Per far posto a cosa poi? 

Aveva sequestrato il portatile a John per documentarsi su tutto quello che c'era da sapere su quel futile argomento e tutto quello che aveva trovato erano sciocchezze sentimentali prive di qualsiasi fondamento scientifico.

Fin'ora tutto quello che era riuscito a comprendere era che l'amore non era altro che una serie di reazioni chimiche, basate principalmente sulla produzione di dopamina, feniletilamina e serotonina, atte ad aiutare un essere vivente a scegliere un partner con cui riprodursi.

In un primo momento questo lo aveva lasciato piuttosto perplesso.

Lui e John erano due maschi, e di due specie diverse per giunta! Quindi secondo logica la reazione non avrebbe dovuto manifestarsi.

Proseguendo con le sue ricerche aveva però scoperto che l'amore poteva coinvolgere anche esseri viventi dello stesso sesso. Purtroppo non aveva trovato praticamente nulla sulle relazioni interspecie (a parte alcuni video che aveva subito provveduto a cancellare dal suo palazzo mentale, anche perchè sperava che centrassero davvero poco con l'argomento).

Tuttavia John era molto simile ad un sirenide dalla vita in su*, senza contare il fatto che fosse un uomo estremamente calmo e paziente, uno dei pochi che fosse riuscito a sopportarlo per più di cinque minuti senza cercare di strangolarlo.

Spiandolo di nascosto mentre lavorava al computer si era accorto di provare un piacere quasi fisico quando il dottore si metteva a digitare sulla tastiera. Per qualche strana ragione trovava rilassante il ripetitivo ticchettio dei tasti, le pause improvvise quando John rimaneva per qualche secondo con lo sguardo perso nel vuoto in cerca di ispirazione e i suoi lievi sorrisi quando, finalmente, la trovava.

Si era anche reso conto di amare il suono della risata di John, così aperta e solare e quello della sua voce così vivida e cangiante a seconda delle intonazioni che quel piccolo umano biondo le dava.

Sherlock non capiva, ogni volta che gli sembrava di essersi avvicinato alla soluzione acquisiva un nuovo elemento che ribaltava completamente la teoria elaborata rendendola inutile.

Allo stesso tempo però, per non far insospettire il medico, stava proseguendo con le sue indagini sul caso del "banchiere ucciso a mezzanotte". John aveva infatti aperto un blog e aveva chiamato così il loro secondo caso e il suo svolgimento stava appassionando sempre più persone.

Il tritone non vedeva cosa ci fosse di interessante. Su quel fronte erano ad un punto morto da giorni, cosa che rendeva il consulente detective frustrato e ammirato al tempo stesso.

Non si sarebbe mai aspettato di incontrare un avversario di quel livello sulla terraferma. Tuttavia a Sherlock non interessava chi avesse commissionato il lavoro al misterioso "M", cosa che invece angustiava non poco John.

L'unica cosa importante al momento, oltre a risolvere la spinosa questione dei sentimenti, era incastrare chi gli aveva gettato così platealmente quel macabro guanto di sfida.

Fortunatamente un paio di ore prima, mentre era intento a lanciare occhiate di sottecchi e in contemporanea a cercare di venire a capo del "Caso M", il cellulare del dottore era squillato improvvisamente. Dopo alcuni brevi scambi di battute con quello che Sherlock aveva dedotto essere l'ispettore Evans, il medico aveva chiuso la comunicazione con un'espressione grave "M ha colpito ancora" si era limitato a dire.

L'ondata di piacere che aveva provato il tritone a quella notizia era stata fortemente smorzata dall'espressione rabbiosamente preoccupata di John. Sapeva che il dottore aveva ingenuamente sperato che il caso del banchiere fosse stata soltanto una coincidenza, e per questo esitava a mostrare il suo entusiasmo davanti alla preoccupazione di John.

In tutta la sua vita l'idea di essere di cattivo gusto non lo aveva mai fermato, anzi. Ma per qualche ragione la possibilità che se lo avesse fatto avrebbe ferito il biondo dottore  lo bloccò fastidiosamente.

Tuttavia, anche se si era impedito di esultare esplicitamente, in qualche modo il medico aveva avvertito la sua eccitazione, lo aveva fissato per qualche secondo prima di scandire un ben poco fraintendibile "Non ci pensare neanche".

Ne era seguita una feroce discussione in cui Sherlock faceva leva sul fatto che se non si fosse dedicato personalmente al caso sarebbero morte più persone, e John continuava a blaterare cose sul fatto che mettersi ad inseguire criminali psicopatici fosse pericoloso.

Alla fine il tritone era riuscito a spuntarla, soprattutto perchè John non poteva accettare l'idea che per colpa del suo egoismo a qualcuno venisse fatto del male.

Ma questo non significava assolutamente che John fosse entusiasta della cosa, anzi!

Aveva continuato a borbottare per tutto il viaggio, costantemente di umore nero come la pece e a snocciolare stratagemmi improbabili con cui Sherlock avrebbe potuto seguire il caso al sicuro nella caverna.

Per qualche ragione la preoccupazione che il medico non infastidiva il tritone, che al contrario si sentiva quasi intenerito da essa. Non gli era mai accaduto prima, sopportava a malapena quella che sua madre manifestava perennemente nei suoi confronti e quella di Mycroft gli causava reazioni al limite dell'urticaria.

Ma il disagio di John non era stato sufficente a fermarlo. La logica gli diceva chiaramente che M non lo avrebbe attaccato di certo mentre investigava su una delle sue scene del crimine, era troppo esibizionista per permettere che il tritone si perdesse una delle sue elaborate quanto macabre composizioni.

"Non sperare che ti aiuti con Evans" sbottò ad un tratto il medico, interrompendo i suoi incessanti borbottii contrariati.

Dall'ultima scena del crimine infatti a Sherlock era stato interdetto il perimetro di ogni indagine futura che L'ispettore Evans avrebbe condotto.

Il moro si limitò a sbuffare platealmente e a scuotere la folta massa di capelli scuri "probabilmente a quest'ora sarà talmente disperato che andrebbe ad elemosinare aiuto da chiunque, non sarà un problema vedrai". Il dottore inarcò un sopracciglio "Non sperarci, Evans è cocciuto e orgoglioso come pochi" disse convinto, poi gli lanciò un'occhiata divertita "Probabilmente anche più di te".

Sherlock lo guardò storto gettando all'indietro un ciuffo scuro con un rapido movimento del capo "Solo gli idioti non ammettono mai i loro errori" commentò seccamente prima di tornare a rivolgere il proprio sguardo alla casa isolata alla quale si stavano avvicinando lentamente.

Si trovava a cinque chilometri dalla cittadina, dai dossier che l'ispettore aveva passato via mail a John sembrava che ci abitasse una famiglia di quattro persone. Due coniugi, la madre della donna e il fratello del marito.

L'anziana era troppo avanzata con l'età per vivere da sola e le ristrettezze economiche le avevano impedito di assumere qualcuno che si occupasse di lei, così un paio di anni prima si era trasferita in casa della figlia e del genero.

Per quanto riguardava il fratello dell'uomo, aveva di recente perso il lavoro ed aveva divorziato poco dopo, così si era ritrovato senza casa e senza soldi, e i due coniugi avevano accettato di ospitarlo.

Una famiglia abbastanza normale.

E ora, secondo quello che aveva detto il rapporto, erano tutti morti.

Con l'ennesimo sospiro teso John fermò la sedia a rotelle poco oltre le automobili della polizia, appena più bruscamente del solito. Senza parlare proseguì da solo ed entrò nella casa lasciando il tritone in compagnia degli agenti rimasti all'esterno.

Sherlock riflettè brevemente che doveva essere davvero irritato con lui se aveva lasciato perdere il suo comportamento da mamma chioccia anche se, era pronto a scommetterci, si trattava solo di qualcosa di momentaneo.

Prima che avesse avuto il tempo di rimpiangere il suo atteggiamento iperprotettivo probabilemente i sensi di colpa avrebbero riportato il buon dottore allo stato originale.

Dovette aspettare solo pochi minuti prima che Evans uscisse dall'abitazione insieme ad un paio dei suoi uomini e a John.
Il tritone storse leggermente la bocca, ora veniva la parte peggiore.

"Mi sembrava di essere stato chiaro quando le avevo detto che non volevo più vederla su una delle mie scene del crimine, oppure non sono stato abbastanza esplicito per lei?" disse in tono pomposo l'ispettore. Sherlock avrebbe voluto ribattere che non accettava insinuazioni sulle sue capacità di comprensione da un investigatore che veniva tradito serialialmente dalla moglie e non se n'era ancora accorto.

L'unica cosa che riuscì a fargli chiudere la bocca fu l'occhiataccia che gli lanciò John dalle spalle di Evans. Qualcosa gli disse che se avesse reso vani tutti gli sforzi che avevano fatto entrambi  con il suo solito vizio di parlare troppo il dottore non gliela avrebbe fatta passare liscia.

Prese un profondo respiro "Volevo scusarmi infinitamente per quelllo che è successo l'altra volta, è stato estremamente poco professionale rischiare di inquinare la scena del crimine" *come se fosse rimasto qualcosa da inquinare dopo il massacro perpetuato ai danni delle prove da parte di quegli incompetenti della scientifica* pensò "e avrei dovuto chiedere l'autorizzazione prima di avvicinarmi però. . ." esito un istante mentre il tono si voce si faceva triste.

Alzò il capo un espressione terribilemente dispiaciuta in volto "Il fatto è che, da quando ho perso l'uso delle gambe io. . . ho sempre voluto solo essere utile in qualche modo, mi capisce? La prego di permettermi di rendermi utile e catturare quello spregevole assassino che ha commesso questi orribili delitti" disse con voce commossa e struggente.

John, alzò gli occhi al cielo, indeciso se strozzare il tritone o scoppiare a ridere.

Evans si sentiva imbarazzato e orgoglioso per aver fatto chinare il capo all'uomo che aveva davanti, con fare cerimonioso sbottò un "Per questa volta soprassiederò alla cosa, ma che non si ripeta!" prima di voltarsi e incamminarsi nuovamente verso l'abitazione.

Quando si furono allontanati di una decina di metri il dottore si avvicinò alla carrozzina di Sherlock e iniziò a spingere "Tu. . . sei davvero la peggiore faccia di bronzo che io abbia mai visto" sibilò fingendosi arrabbiato, anche se in realtà stava disperatamente cercando di non scoppiare a ridere.

"Felice che tu te ne sia finalmente reso conto John" replicò il moro, ma gran parte della sua attenzione era ormai rivolta alla porta dell'abitazione che si faceva sempre più vicina.

Entrarono con qualche difficoltà, facendo attenzione a non graffiare il legno della porta con le ruote. Dopo qualche metro si parò davanti a loro la vera e propria scena del crimine, ovvero la sala da pranzo.

In questo caso M aveva voluto mabracamente replicare una scena di vita quotidiana, la cena. Tutti i componenti del nucleo famigliare infatti erano seduti intorno ad una tavola perfettamente apparecchiata ed imbandita con cibo dall'aspetto ormai raffermo.

La cosa bizzarra che però balzava subito all'occhio erano i loro volti, o meglio, quello che vi era intorno ad essi.

Tutti e quattro avevano infatti la testa completamente circondata da una teca piena d'acqua dentro alla quale nuotavano tranquillamente dei pesci rossi.*

Sherlock potè percepire il dottore irrigidirsi a quella vista, prima di superarlo e apprestarsi a compiere il suo lavoro di coroner intorno ai quattro cadaveri.

Il moro si limitò invece a poggiare i gomiti sui braccioli della poltrona osservando con attenzione la scena. Il modus operandi era completamente diverso questa volta:

Non c'era stato nessun tentativo di mascherare la morte facendola passare per un incidente, e non vi era alcun messaggio evidente, a meno che non lo avesse scritto in un'altra stanza, cosa di cui dubitava vista l'elaborazione quasi barocca della scena del crimine. 

Non c'era nulla che assomigliasse anche solo vagamente ad un filo conduttore. La scelta delle vittime era diversa, e questo eliminava qualsiasi psicosi legata ad una tipologia di soggetto in particolare. Chiunque fosse l'assassino non soffriva di ossessioni particolari legate al suo vissuto, ed era un persona relativamente equilibrata, quanto poteva esserlo un assassino di professione almeno.

"Avete ritrovato qualche messaggio" chiese senza distogliere lo sguardo dalla macabra composizione, alla ricerca di qualsiasi elemento potesse essergli in qualche modo utile.

Evans si voltò a guardarlo "No nulla. Se vuole la mia opinione si tratta di un'altro criminale, non c'è nulla che leghi questi omicidi al caso del signor Bennet" disse con decisione prima di voltarsi a sbraitare qualche insulso ordine ai suoi uomini.

Sherlock dovette trattenere un ringhio di esasperazione. Ovvio! Perchè una tranquilla cittadina di settemila anime pullulava certamente di killer che prediligevano l'annegamento per uccidere le loro vittime!

Decise di spostare la sua attenzione su qualcosa di meno frustrante, così almeno avrebbe evitato di essere esiliato nuovamente dalle sue amate scene del crimine per oltraggio a pubblico ufficiale. "Trovato qualcosa John?" chiese, aveva già un'idea di come erano stati uccisi ma voleva esserne certo.

Il dottore si rialzò con un sospiro, aveva la mascella contratta e gli occhi che lampeggiavano di collera impotente.

John, meraviglioso John, che nonostante il suo lavoro non si era ancora rassegnato alla ferocia che accumunava le loro due specie. Sherlock scosse il capo, sorpreso e destabilizzato da quei pensieri che in qualsiasi altro caso avrebbe definito sciocchi sentimentalismi.

"Non sono stati annegati con gli acquari, come avrai già intuito. Dalle abrasioni che ho rinvenuto su polsi e caviglie penso che siano stati legati alla sedia. Per quanto riguarda l'annegamento non posso esserne certo ma sospetto che qualcuno abbia poggiato un secchio pieno d'acqua sulla sedia e poi li abbia forzati a infilarci dentro la testa. Ci sono delle leggere ma inconfondibili ecchimiosi intorno al collo, lividi a forma di dita, chiunque sia stato doveva essere molto forte" disse stancamente mentre gli altri uomini della scientifica iniziavano a rimuovere le teche degli acquari.

"Non era molto forte John, erano molto forti. E' ragionevole pensare che il colpevole questa volta sia più di uno". Davanti allo sguardo perplesso dell'altro insistette con veemenza "Pensaci, è probabile che chiunque sia stato sia entrato durante la cena, mentre tutti erano radunati in questa stanza. Li ha tenuti sotto tiro, con un'arma da fuoco quasi certamente, ma non avrebbe potuto legarli e intanto minacciarli, sarebbe stato troppo pericoloso. No, sono quasi sicuro che il nostro M in questo caso avesse due complici" disse Sherlock convinto.

John inarcò un sopracciglio "sei certo che sia stato lui?" "so che le obiezioni di Evans possano apparirti sensate, ma fidati, è lui. Quando troveremo il suo messaggio, perchè certamente lo avrà lasciato avremo finalmente la prova del nove" disse.

In quel momento uno degli agenti emise un verso di sorpresa "Ispettore, la prego venga a vedere!" disse. Era dall'altra parte della tavola e, armato di guanti, teneva in mano uno dei tovaglioli di stoffa.

Evans lo raggiunse con uno sbuffo irritato "Wilburne, ti avevo detto di non toccare niente. . ." iniziò ma le parole gli morirono in gola.

Sul cotone azzurrino vi era stata scritta in rosso una frase.

"Perchè non ve ne siete accorti prima?" sibilò minaccioso l'ispettore quasi strappando di mano il pezzo di stoffa al giovane lentigginoso. "Mi spiace signore, era nel lato interno" balbettò Wilburne sentendosi sotto accusa.

Evans spiegò il fazzoletto per leggere quello che vi era scritto, ma subito dopo si irrigidì visibilmente.

Subito lo poggiò sul tavolo e si allontanò a grandi passi per andare a confabulare a bassa voce con i suoi uomini. Sherlock si avvicinò e lanciò un'occhiata, anche se sapeva già più o meno cosa aspettarsi.

E invero mi chiedo: quando soccomberà Odisseo al canto della sua sirena? M

Al tritone si ghiacciò il sangue nelle vene. Non bisognava essere certo esperti di sentimenti per capire a cosa alludesse quel bastardo.

Come diavolo lo aveva scoperto? Persino a lui ci erano voluti giorni per rendersi conto della sua infatuazione per John.

Sussultò quando percepì la presenza del dottore sopra la sua spalla che adocchiava la frase.

Si volse a guardarlo mentre sentiva una tensione sempre più intansa crescere dentro di sè.

Un'ondata di sollievo lo travolse quando vide il medico aggrottare la fronte con fare perplesso e borbottare un "Ma cosa. . .?" a mezza voce.

"Sherlock che significa?" chiese l'uomo dopo aver riletto un paio di volte la frase. Il tritone raccolse tutta la determinazione che possedeva e disse in un soffio "Non ne ho la più pallida idea John, ma intendo scoprirlo." si complimentò con se stesso con la fermezza inaspettata con cui aveva pronunciato quelle parole.

Il dottore si rialzò scuotendo il capo "Va bene cerca di spremerti quel meraviglioso palazzo mentale che hai, io vado a vedere se Evans ha qualche ipotesi."

Un po' più semplicemente questa volta, Sherlock sbuffò un ironico "Si, certo. Come no" e tornò a fissare il pezzo di stoffa posato sul tavolo.

Per questa volta era riuscito a svicolare l'attenzione di John, ma per quanto ancora ci sarebbe riuscito? Si maledisse per essersi mostrato così intelligente davanti al biondo dottore, ora sicuramente non gli avrebbe creduto se avesse detto che non aveva nessuna tesi su quella frase.

Non poteva permettere che John capisse, soprattutto non in quel modo.
"Va bene Mr M, adesso si fa sul serio" ringhiò appoggiando il mento sulle dita intrecciate e sprofondando nel suo palazzo mentale a tutta velocità.




*inizialmente avevo pensato di scrivere che Sherlock era simile ad un umano, ma non avrebbe avuto molto senso visto che questo è quasi un POV di Sherlock, quindi era più logico che fosse lui a paragonare il dottore alla sua razza che non il contrario.
* Ispirato al video musicale dei Panic at the disco, "Lying Is the Most Fun a Girl Can Have Without Taking Her Clothes Off" (non sto scherzando la canzone si chiama DAVVERO così!)


In primis, come al solito mi scuso per il ritardo tremendo, ma questa volta ho una buona ragione. Purtroppo qualche giorno fa (sabato pomeriggio precisamente) sono stata informata dalla scuola che non sono riuscita a passare l'anno scolastico.
Non vi tedierò eccessivamente con lunghi discorsi su quanto sia ingiusta la vita ecc ecc perchè non hanno alcun senso ora come ora. 
Spero di riuscire ad aggiornare un pò più velocemente d'ora in poi.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12: Rosso, nero e blu ***


Capitolo 12: Rosso, nero e blu.


 

Eeeeeeeee *rullo di tamburi* sono tornataaaaaaaaa............*triste silenzio con sottofondo di grilli* 

Ormai dovrei smettere di scusarmi per i ritardi visto che tecnicamente sono abbastanza regolare (dovrei pubblicarne uno alla settimana e invece ce ne metto sempre due, anche se questa volta ho un'ottima motivazione *flashbaaack* la mia coscienza dice "ti ricordi che devi scrivere il capitolo dodici vero?" Io dico "ma se fa così caldo che mi sudano pure le unghie?!?" *fine flashback* visto? un'ottima motivazione.) comunque: scrivo qui e non sotto per dire semplicemente che in questo capitolo la storia si fa leggermente Angst.

Pensavo fosse giusto specificarlo visto che non ho scritto questo genere tra l'elenco, ma bisogna toccare il fondo prima di risalire no (anche se in questo caso il caro Sherlock non è neanche lontanamente vicino al punto più basso heheheheeeee)

Detto questo vi lascio alla storia *prova a fare un'uscita di scena drammatica ma fa troppo caldo e rinuncia* IO GIURO CHE MI TRASFERISCO IN NORVEGIA!




Sherlock sbattè pigramente la coda contro la superficie dell'acqua. Nonostante il movimento fosse lento e a malapena accennato nel silenzio della grotta risuonava in modo quasi assordante, rimbombando contro le pareti concave e creando una sgradevole eco.

Si sentiva così dannatamente vicino alla soluzione, e così dannatamente lontano.

Aveva analizzato talmente tante volte le scene del crimine, registrate in ogni loro più infimo dettaglio nel suo mind palace, usando le informazioni ricavate per tracciare un profilo criminale che sospettava che se avesse incrociato M per strada lo avrebbe riconosciuto.

Ed era proprio questo il problema, sapeva e al tempo stesso ignorava completamente chi fosse la mente criminale dietro quelle elaborate scene del crimine.

Aveva passato ore a cercare nel Deep Web* qualche indizio su come o dove contattarlo (dannazione come faceva a procurarsi gli impieghi?! Col passaparola? Peggio di un gruppo di casalinghe di mezza età!).

Si era perfino esposto al rischio di essere rintracciato cercando nei siti sulla caccia alle sirene (anche se in realtà gran parte di essi erano formati da gente che credeva che il governo fosse a conoscenza della loro esistenza e che in realtà non erano altro che un esperimento di complessa ingegneria genetica).

La sua frustrazione era salita a livelli tali che aveva dovuto trattenersi dallo scaraventare il portatile contro la parete di roccia, ben conscio che John non avrebbe apprezzato.

Odiava ammetterlo ma non poteva incastrare M con i pochissimi elementi che aveva a disposizione. Aveva bisogno di altre prove o di elementi in più che facessero quadrare il cerchio, ma per ottenerli avrebbe dovuto aspettare che il suo persecutore colpisse ancora, e questo voleva dire sacrificare un'altra vita umana.

Sospettava che un certo dottore di sua conoscenza non avrebbe apprezzato  quella linea di condotta, soprattutto perchè con il passare dei giorni l'umore di John si era andato sempre più incupendo. C'erano momenti in cui, con grande sorpresa di Sherlock il carattere del medico diventava persino peggio di quello del tritone. In quei casi rispondeva a malapena e quasi sempre a monosillabi, e questo atteggiamento aveva portato il consulente investigativo a chiudersi a ostrica per evitare di peggiorare le cose.

Sherlock proprio non riusciva a capire quali fossero le motivazioni dietro il drastico cambiamento dell'altro. Non aveva bagnato nessuno dei suoi preziosi tomi di anatomia e di medicina legale che ormai campeggiavano da settimane sopra una tozza stalagmite, al sicuro dall'acqua. Non aveva distrutto il portatile nè rubato cellulari altrui, quindi non riusciva proprio a capire cosa ci fosse dietro il comportamento scontroso del medico.

Come se questo non fosse bastato a deprimerlo il tempo che John passava con lui si era ridotto drasticamente, influenzato anche dal fatto che l'umano aveva iniziato ad uscire con Mary, la donna bionda che era venuta a conoscerlo il primo giorno che era arrivato in città.

"Almeno da questo lato sto risolvendo il caso" aveva pensato con amarezza, sentendo una stretta al petto divenuta dolorosamente familiare negli ultimi tempi. Ormai era praticamente certo di quello che provava per il biondo dottore ed era altrettanto certo che i suoi sentimenti non erano minimamente ricambiati.

Perchè altrimenti John gli avrebbe parlato, indulgendo inclementemente nei dettagli, le fasi del suo stupido rituale di corteggiamento che avevano portato Mary ad accettare il suo invito a cena? Non aveva potuto non provare un certo ironico orgoglio notando che era riuscito a nascondere così bene i suoi sentimenti al medico legale.

Congiunse la punta dei polpastrelli sotto il mento, mentre provava a trovare le parole giuste per spiegare John che se volevano avere qualche speranza di catturare M avrebbero dovuto aspettare fino a che gli elementi non sarebbero divenuti abbastanza.

Proprio in quel momento un fruscio familiare di stoffa sfregata contro la pietra gli risuonò nelle orecchie, divenute ancor più sensibili per il prolungato silenzio della caverna.

Con qualche difficoltà la figura del dottore fece capolino attraverso la stretta spaccatura che costituiva l'ingresso via terra per la grotta.

Sherlock aspettò in modo insolitamente paziente per lui che John fosse entrato completamente prima di rivolgliergli un disinteressato "Ci sono novità?"

Il realtà a tal proposito non nutriva troppe speranze, la pressocchè totale incapacità degli uomini che lavoravano al distretto di polizia e del loro capo, il signor Evans, era tale da fargli rimpiangere la compagnia dei suoi simili.

Il viso del medico si oscurò per un attimo prima che borbottasse sommessamente "Nessuna" mentre si levava la giacca a vento blu.

"Ovviamente" mormorò Sherlock rivolgendo nuovamente lo sguardo davanti a sè con un sospiro sconfortato.

Non che si aspettasse molto in realtà. Le possibilità che avessero notato qualcosa che a lui era sfuggito o che, ipotesi ancora più assurda, avessero trovato un sospetto erano semplicemente prossime allo zero e lui lo sapeva bene. 

Ma dopotutto la speranza era l'ultima a morire giusto?

Si stava già preparando ad una delle loro ormai solite visite cariche di silenzio e oppressione in cui lui trascorreva quasi tutto il tempo a rimuginare sul perchè John ce l'avesse con lui quando la voce del dottore risuonò, profondamente irritata "Come scusa?".

Sherlock si volse nuovamente a guardare il medico legale, il volto dell'umano era una maschera di profonda irritazione e frustrazione. Mentre la parte più razionale del cervello gli intimava di fermarsi prima di fare qualcosa di irreparabile, una sorta di desiderio di sfida si impadronì del tritone che sollevò il mento in atteggiamento di superiorità.

"Intendevo che era ovvio che non ci fossero novità. Dopotutto è impossibile che Evans e quegli incompetenti in divisa trovino qualcosa che è sfuggito a me" disse con il classico tono che più di una volta da bambino gli era costato l'odio dei suoi coetanei.

John chiuse gli occhi e inspirò lentamente cercando di mantenere la calma.

"Sherlock ti ricordi che tra quegli incompetenti in divisa ci sono anche io vero?" chiese duramente mentre serrava i pugni con forza.

"John non essere ridicolo, lo sai che non mi stavo riferendo a te" sbuffò il tritone cercando di mascherare l'inquietudine che provava dietro al solito schermo di arroganza e supponenza che lo proteggeva quando erano i sentimenti ad entrare in gioco.

"Ah si? e come posso esserne sicuro dimmi?" sbottò il medico.

Gli occhi azzurro ghiaccio di Sherlock si spalancarono "Che intendi dire?" chiese, temendo la risposta che l'altro avrebbe potuto dargli.

A volte essere geniali non era un vantaggio.

Il dottore inspirò profondamente per poi fulminarlo con lo sguardo "Sai perfettamente cosa voglio dire Sherlock. Ti ho visto risolvere in pochi secondi enigmi che per altri sarebbero irrisolvebili in ore. Sei riuscito a risolvere l'ultimo caso, quello del borseggiatore sulla moto in meno di mezz'ora e con pochissimo materiale, eppure nonostante M abbia colpito ben due volte sostieni di non sapere nulla su di lui!" disse John cominciando a camminare nervosamente avanti e indietro per la caverna.

"John non stiamo parlando di un normale ladruncolo su un motorino di quart'ordine che lascia in giro indizi come fossero carmelle. M è un professinista del settore, ma è completamente pazzo, la nostra unica speranza è che prima o poi commetta un errore e allora. . ." "Prima o poi?" esplose il medico allargando le braccia.

"Sherlock non so se l'hai notato ma sono morte delle persone! Evans potrà anche essere un incompetente ma non avrei voluto davvero essere al suo posto quando ha rivelato ai familiari delle vittime che le perso e che amavano erano morte! Come credi che si sentano sapendo che l'assassino dei loro cari è ancora a piede libero? Che la polizia non ha ancora nessun sospettato?" 

Le parole di John facevano doppiamente male, lo ferivano nel suo orgoglio e nei suoi sentimenti. La cosa peggiore e che non aveva alcun elemento con cui controbattere perchè, a distanza di due omicidi non aveva ancora idea di chi fosse il colpevole.

"E allora? Non posso farci niente John! Pensi davvero che se avessi uno straccio di pista non la seguirei? Cosa fareste se non ci fossi io? Brancolereste al buio come al solito!" sbottò il tritone chiudendosi a riccio.

"Ma certo! Come potrebbe andare aventi il mondo senza il grande Sherlock Holmes?! In ogni caso se tu non ci fossi il problema non si presenterebbe neanche visto che questo psicopatico sta puntando a te! Già, ma in fondo cosa può importarti se muore qualche stupido umano? Dopotutto siamo sacrificabili no? Siamo le pedine sulla scacchiera e ci muoviamo a seconda delle mosse che tu e quel pazzo fate!" urlò John puntando l'indice contro Sherlock.

Solo dopo aver pronunciato quelle parole si rese realmente conto di quello che aveva detto.

Un nodo gli strinse la gola mentre vedeva il tritone vacillare pericolosamente sotto l'urto delle sue parole.

Lo guardò mentre afferrava con forza il bordo di roccia della vasca naturale in cui era immerso e abbassava il capo, lasciando che ciocche di capelli umidi gli nascondessero il volto e di conseguenza la sua espressione.

"Credo che dovresti andare ora." mormorò con voce inespressiva "Ho parecchio lavoro da fare" aggiunse dandogli la schiena.

Per alcuni secondi John rimase a fissare i riflessi luminosi che le increspature dell'acqua disegnavano sulla carnagione pallida dell'altro, confondendosi con i segni più chiari delle cicatrici che erano rimaste dopo l'incidente della tempesta e le scaglie azzurrine appena visibili sotto le scapole.

"Sherlock io. . ." sussurrò tendendo la mano, che ritrasse quando non vide alcuno segno da parte del tritone.

Gli dispiaceva davvero aver detto quelle cose, che in realtà non pensava assolutamente.

Da giorni era dipessimo umore, per il clima di sospetto che si era formati in tutta la cittadina (Evans aveva provato a tenere i quotidiani locali all'oscuro della cosa ma era stato tutto perfettamente inutile in una comunità dove tutti conoscevano tutti) ma le motivazioni erano anche altre.

Da mesi tra lui e Mary si era sviluppato qualcosa che andava oltre la semplice amicizia e, un paio di settimane prima, avevano deciso di rendere ufficiale la cosa fidanzandosi.

Se tre mesi prima gli avessero detto che avrebbe finito per iniziare una relazione con quella donna così meravigliosa e solare si sarebbe messo a saltellare di gioia, ma per qualche motivo non si sentiva così felice come avrebbe dovuto.

Mary non era come le sue precedenti fiamme, era una donna dolce, sensibile e paziente, tanto da non arrabbiarsi mai per le sue frequenti visite a Sherlock, anche se di recente erano diminuite di parecchio da quando era ancora ufficialmente single.

Per questo aveva attaccato così duramente il tritone, perchè sentiva che c'era qualcosa che non andava in lui, sentiva che avrebbe dovuto essere al settimo cielo per quella relazione, che però per qualche motivo si era rivelata decisamente meno entusiasmante del previsto.

Ripensò alle parole che aveva pronunciato e solo allora si rese conto di quanto dovevano essere suonate dure e accusatorie alle orecchie del consulente investigativo.

La cosa che temeva di più era che Sherlock cogliesse tra le sue parole un invito ad andarsene. Era vero che M stava facendo tutto quello solo per braccare il tritone, ma di certo non se ne poteva fare una colpa al moro.

Peggio ancora, si era comportato da razzista (o specista in quel caso? Tecnicamente Sherlock apparteneva letteralmente ad un'altra specie) insinuando che alla creatura acquatica non importasse nulla se durante le indagini moriva qualche essere umano.

In pratica gli aveva dato del bastardo insensibile.

Proprio quando stava per iniziare a scusarsi il suo cellulare trillò, squarciando letteralmente lo strato di silenzio che si era creato nella grotta.

Con movimenti impacciati tirò fuori il cellulare dalla tasca dei Jeans, sullo schermo illuminato apparve il nome di Mary, dopo un'attesa di qualche secondo John sbloccò lo schermo accettando la chiamata.

"Pronto?. . .Sì tutto bene. . .Sì Sherlock sta bene. . .In ospedale? Proprio adesso? Ma. . . mh, si certo. . .Va bene. . .No nessun problema, arrivo subito. . .Okay. . .si ti amo anch'io. . .ciao."

Con un sospiro ripose il telefonino al suo posto e si passò una mano sulla nuca nervosamente "Scusami ma devo proprio andare Sherlock, c'è bisogno di sostituire uno dei ragazzi all?ospedale, scusami" disse profondamente a disagio.

"Non preoccuparti John, in ogni caso ho da fare" disse atono il tritone senza muoversi, continuando a fissare un punto imprecisato della parete rocciosa davanti a lui.

"Oh, okay bhè allora io. . . allora io vado ciao" disse, sbalordito da come il moro avesse fatto cadere l'argomento apparentemente senza problemi. Senza attendere risposta si voltò e fece per uscire dalla caverna quando la voce del tritone lo bloccò sul posto.

"John. . .?" mormorò appena percettibilmente l'altro, mentre il medico si fermava ad ascoltare. Sherlock prese fiato poi rimase bloccato per un istante prima di sussurrare "Non fa niente, lascia perdere" rilassando leggermente le spalle, come se si fosse tolto un grande peso di dosso.

O come se si fosse arreso.

Il dottore uscì velocemente dalla caverna, mentre una morsa allo stomaco si faceva sentire sempre più dolorosamente. Si districò in fretta dalle pareti rocciose assalito da una improvvisa claustrofobia. 

Appena raggiunto l'esterno provò a tirare un sospiro di sollievo, ma gli mancò l'aria, si sentiva soffocare, come se stesse indossando un bustino vittoriano che gli costringeva il petto impedendogli di respirare.

Scosse con forza il capo, non era quello il momento di farsi venire un immotivato attacco di panico, all'ospedale avevano bisogno di lui.

Una vocina interiore, posta da qualche parte in fondo al cervello gli disse che anche Sherlock aveva bisogno di lui probabilmente, che aveva bisogno di sentirsi dire che tutto ciò che gli aveva detto non lo pensava realmente, che era stato un terribile sbaglio e si scusava. 

Tuttavia, muovendosi come un automa, John salì in auto e l'accese, facendo poi manovra per riportarsi sulla strada principale attraverso la campagna inglese.

Sherlock era un genio, avrebbe capito da solo quelle cose, probabilmente a giudicare dal tono di voce calmo che aveva usato le aveva già comprese, dopotutto con lui le parole non erano mai state indispensabili, non con qualcuno che lo leggeva come un libro aperto.

Ma non era solo questo, il medico si rese conto che l'unica cosa che lo metteva più a disagio dell'idea di tornare indietro per scusarsi era il non farlo, ma continuò a guidare ugualmente verso la sua mente, con la convinzione nel petto che se fosse ritornato là sarebbe accaduto qualcosa di irrimediabile che avrebbe modificato il loro rapporto per sempre.

In che modo il medico non ne aveva idea.

All'interno della grotta Sherlock ascoltò la macchina allontanarsi con la morte nel cuore.

Aveva deluso John, il suo John, l'unica persona al mondo che non fosse scappato da lui a gambe levate dopo cinque minuti.

L'umano a cui aveva salvato la vita.

L'umano che gli aveva salvato la vita.

Si sentì mozzare il respiro nelle branchie e per alcuni minuti dovette concentrarsi unicamente su come espandere e comprimere la cassa toracica, per permettere all'ossigeno contenuto nell'acqua di alimentare il suo corpo.

Inspirare ed espirare.

Far entrare acqua salata attraverso gli organi respiratorii posti sul costato ed espellerla attraverso gli stessi e i condotti lacrimali.

Si sfregò il volto rabbiosamente, quasi a voler cercare di cancellare la vergogna e l'umiliazione dipinta sui suoi tratti. Un Holmes non piange, mai, per nessuna ragione al mondo, pensò rabbiosamente, mentre già si figurava suo fratello tutto gongolante che gli ripeteva per la miliardesima volta che i sentimenti non sono un vantaggio.

Erano anni che non si sentiva così, da quando alcuni suoi coetani, tra cui vi erano anche Anderson e Donovan avevano architettato quello scherzo crudele. 

Messi in ridicolo dalla sua intelligenza nettamente superiore gli avevano proposto di giocare con loro a nascondino nei pressi del Canyon sottomarino Whittard*. Gli avevano detto di contare fino a cento e poi se n'erano andati lasciandolo lì da solo a vagare alla ricerca prima dei compagni e poi della strada di casa.

Mycroft lo aveva trovato dodici ore più tardi che piangeva rannicchiato in una spaccatura della roccia, terrorizzato dalle creature marine abissali che con il sopraggiungere della notte erano risalite più vicino alla superficie in cerca di cibo.

Da allora aveva giurato a se stesso che non avrebbe mai più pianto, per nessuna ragione, soprattutto se questa era causata da altri.

Eppure adesso aveva infranto il suo giuramento, e per cosa? Per chi? 

Per uno stupido umano, identico a milioni di altri umani, senza arte ne parte, non particolarmente intelligente, nè bello e neppure affascinante.

Per John, la creatura più paziente, gentile e solare che avesse mai visto, l'unico che non avesse gridato strambo, psicopatico o pazzoide non appena l'aveva visto.

Con un brusco movimento del braccio mandò all'aria tutti i fogli e le mappe che aveva utilizzato per il caso di M mandando a rotolare gran parte di essi in acqua.

Si prese la testa fra le mani, a cosa servita tutto questo a cosa serviva lui se poi davnti al primo criminale serio non era meglio di uno di quegli incompetenti che lavoravano alla centrale di polizia?

Guardò con aria rabbiosa le carte che galleggiavano in acqua, come se custodissero un segreto di cui si divertivano a non metterlo al corrente.
Stava per colpirle nuovamente, questa volta con la coda quando si paralizzò.

Due mappe, una dell'intera regione e l'altra solamente della citta si erano sovrapposte durante la caduta e adesso, zuppe d'acqua erano diventate traslucide, perciò attraverso la carta della prima era possibile intravedere le linee dell'altra.

Le afferrò ricordando il viaggio con John verso la prima scena del crimine, quella del banchiere. All'epoca non se n'era accorto perchè a causa del traffico ci era voluto molto più tempo a raggiungere la casa del banchiere.

Sulla prima cartina erano segnate le due scene del crimine con due pallini blu mentre su quella sotto, segnata da un cerchio rosso c'era la loro grotta.
I tre segni formavano insieme un perfetto triangolo isoscele.

Sherlock afferrò la cartina della regione e trasportò su questa i due luoghi dove erano avvenuti i due delitti. Erano entrambi ad una distanza in linea retta di circa sedici chilometri dalla caverna dove si trovava.

Con un pennarello nero disegnò in fretta un semicerchio il cui centro era la grotta sulla costa, passando per i due punti dove erano avvenuti i delitti. Ricordò un trattato di matematica che aveva divorato una settimana prima, una delle basi della geometria euclidea era che per tre punti passa una e una sola circonferenza*.

Seguì la linea con lo sguardo, confrontandola con la mappa della città e alla fine trovò quello che cercava: tutte e tre le abitazioni erano piuttosto esterne al paese, inizialmente aveva attribuito questa scelta al desiderio di agire indisturbato di M ma ora capiva le sue vere intenzioni.

C'erano solo tre abitazioni lungo il perimetro del semicerchio, e due di esse erano già irrimediabilmente segnate con il pennarello blu.

Ma una era ancora lì, intonsa, leggermente sbavata dall'azione dell'acqua marina, ma semplicemente splendida agli occhi di Sherlock.

Senza indugiare oltre il tritone afferrò il cellulare e compose velocemente il numero di John, che gli rispose dopo un paio di squilli.

"Pronto Sherlock? Cosa. . ." provò a dire.

"So quale sarà la prossima mossa di M!" esclamò il moro prima di chiudere la conversazione bruscamente come l'aveva iniziata.

Sorrise come non faceva da giorni.

"Il gioco è iniziato, e questa volta per davvero" mormorò esultante.




*Il Deep Web, ovvero circa il 96% di tutto l' internet, è una rete che permette di navigare nel totale anonimato, e perciò viene utilizzata in larga parte per attività illegali o anche apertamente criminali. Vi si può accedere attraverso il browser Tor (comunque io non vi ho detto niente *fischietta con aria innocente*)

* lo so che non è vicinissimo a dove la storia è ambientata, ma era il crepaccio sottomarino più vicino alla costa Inglese quindi me lo sono fatto andar bene.

*Matematica you dirty bitch!, non mi uscirai mai più dal cervello vero?


Si lo so lo so, aveva detto che avrei parlato solo sopra il capitolo, ma sono stata creata con l'unico scopo di ammorbarvi, quindi aggiungo (prima che iniziate a lanciarmi pomodori e cavoli marci per questo capitolo) che le cose cambieranno! DAN DAN DAAAANNN!!!!! Ci avviciniamo sempre di più al finale e sono in fibrillazione perchè questa è la prima storia più lunga di cinque pagine che abbia mai scritto  e che riesco a concludere(tocca ferro che mancano ancora almeno tre capitoli!)

Detto questo me ne vado (questa volta sul serio) nella speranza di riuscire ad aggiornare al più presto (se vabbè) e ringrazio tutti quelli che seguono e recensiscono, vi sono davvero grata (anche se non rispondo mai alle recensioni perchè temo di dire boiate) quindi Auf Wiedersehen! (e, si, lo ammetto. Nonostante tre anni di tedesco sono dovuta andare su google traduttore per scriverlo correttamente)


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Capitolo 13
*** Capitolo 13: La M sta per Moriarty ***


Capitolo 13: La M sta per Moriarty

 
 
 
“Sherlock. . .” “Zitto John!” “Ma sei davvero sicuro che” “Fidati di me per favore” “D’accordo, ma se le cose non andassero come previsto?” “Guarda il lato positivo, ti sollevo dalla responsabilità di andare a fare le condoglianze di persona a mio fratello, e adesso taci per l’amor del cielo!”
 
Erano passate ormai almeno due ore da quando Sherlock aveva convinto John a nascondersi nei cespugli che circondavano la villetta, in un prato curato con rigido gusto inglese.
 
Quando aveva richiamato il dottore nella caverna aveva dovuto usare tutte le sue capacità persuasive per convincere il biondo a non correre subito dalla polizia.
 
Effettivamente se ciò che aveva scoperto Sherlock corrispondeva alla realtà questa era abbastanza inquietante. Non solo un sadico psicopatico aveva ucciso degli innocenti per attirare la sua attenzione, ma sapeva addirittura dove si trovava, e aveva giocato a quel gioco di morte come avrebbe fatto un gatto con un topo moribondo.
 
Rendersene conto aveva letteralmente fatto sbiancare il medico, mentre aveva riempito il tritone della primordiale gioia selvaggia tipica del cacciatore che finalmente trova le tracce della preda.
 
John aveva provato a dissuaderlo dall’andare di persona a cercare l’assassino, dato che probabilmente un incontro tête-à-tête con il proprio criminale pazzo/psicopatico/ossessionato personale forse non era un’idea così brillante. Aveva inoltre provato a convincerlo a rinunciare in extremis citando una frase di un libro giallo letto anni prima, di cui non ricordava il titolo “Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”
 
Per tutta risposta Sherlock lo aveva guardato scandalizzato e aveva replicato “Secondo il tuo ragionamento abbiamo già una coincidenza John, e raramente l’universo è così pigro da dar spazio alle coincidenze!”
 
Alla fine, rassegnato al fatto che il tritone non se ne sarebbe stato buono neppure se lo avesse incatenato alla grotta con un’ancora , aveva acconsentito ad accompagnarlo.
 
Così avevano fatto irruzione nel giardino dell’anziana coppia di coniugi, che, a giudicare dall’enorme numero di giocattoli nel giardino, dovevano ospitare per le vacanze estive uno o più nipoti. In quel momento John si stava chiedendo distrattamente quante leggi stesse infrangendo standosene nascosto in una pianta di ortensia come un perfetto maniaco.
 
<allora, c’è la violazione di domicilio senza dubbio, poi un altro paio di reati per la violazione della privacy, visto che li stiamo spiando attraverso la finestra, e poi. . .> i pensieri del dottore furono interrotti da un fruscio di foglie alla sua destra.
 
“Sherlock, piantala! Ci manca solo che ci scoprano perché non sei in grado di stare fermo per più di due secondi di fila!” le possibilità che l’anziana donna che stava apparecchiando la tavola per la cena li vedesse erano praticamente pari a zero, ma John non poté trattenersi dal prendersi la sua piccola vendetta per come era stato brutalmente zittito poco prima.
 
Il moro sbuffò, levandosi il vecchio deerstalker tarmato che il dottore aveva dovuto ficcargli in testa praticamente con la forza visto che “saremo anche in estate Sherlock, ma la sera fa comunque freddo!”  e scuotendo l’ammasso di capelli ricci.
 
“Dannazione ma quanto ci mette? Di questo passo mi si seccheranno le squame a furia di aspettarlo!” ringhiò il tritone torturando il cappello con le lunghe falangi delle dita.

“Hei! Fai piano, quello è il cappello di mio nonno!” lo sgridò dandogli un colpetto nervoso al braccio. Sherlock sbuffò alzando gli occhi al cielo prima di rivolgergli un sorrisetto saccente “vedo che il pessimo gusto per i vestiti è genetico” ghignò tirando un lembo dell’orribile felpa grigia con la fantasia a rane che continuava ad indossare sotto il cappotto ogni volta che usciva.

John sibilò un’imprecazione attraverso i denti provocando l’ilarità del tritone che rise sommessamente.
 
“Comunque mi sono premurato nel caso si vada per le lunghe” disse il biondo tirando fuori dallo zainetto un paio di bottiglie di acqua salata.
 

“Mh, grazie” brontolò Sherlock, sentendosi stranamente in imbarazzo.
 
Ci mancava solo la gentilezza di John a peggiorare ulteriormente la situazione, rendendolo ancora più teso di quanto già non fosse.
 
Solo che quella che il biondo dottore gli metteva addosso era una tensione quasi piacevole, che lo spingeva a voler dare il meglio di se, mentre quella causata da M aveva un retrogusto di gelido, che gli afferrava lo stomaco e non lo lasciava più.
 
Si calcò il vecchio deerstalker in testa, tirandolo per le due falde con forza, e pregando che la sua pelle non fosse così chiara da riflettere la luce lunare.
 
Oppure John avrebbe visto un paio di papaveri rossi fiorirgli sugli zigomi.
 
Volsero nuovamente lo sguardo verso la casa e rimasero in silenzio per qualche minuto. Il dottore notò con una certa sorpresa che non vi era nulla di imbarazzante in quel silenzio.
 
Non era come con Mary, in quel caso tra loro scorrevano fiumi di parole per qualsiasi questione, mentre con Sherlock sentiva di poter restarsene zitto, tanto l’altro avrebbe capito le sue intenzioni ancora prima che avesse il tempo di pensarle.
 
Era come un contatto telepatico, come se fossero un unico corpo, il tritone era la mente, veloce, versatile e imprevedibile e lui era il braccio, responsabile non solo di compiere azioni per la mente, ma di essere l’intermediario tra l’astrazione più pura e la realtà. Anzi, pensò divertito, lui era le gambe.
 
Perciò appena percepì con la coda dell’occhio un fremito da parte di Sherlock il suo corpo si contrasse istintivamente come una molla pronta a scattare.
 
“Sul tetto” sibilò il moro, e lo sguardo di John corse velocemente all’ordinato ammasso di tegole grigie, la prima cosa che notò fu il rettangolo di luce che costituiva la finestra del lucernario. Subito dopo però la sua attenzione fu attirata da una sagoma scura che si muoveva silenziosamente a schiena china.
 
“Dannazione” ringhiò il medico stringendo con foga il calcio della pistola, si erano appostati dentro quel cespuglio proprio davanti alla porta per impedire all’assassino di entrare. E invece quel bastardo entrava dal soffitto, lasciando loro due lì come degli idioti.
 
“Avremmo dovuto pensarci cazzo” aggiunse furioso con se stesso e con il criminale, cominciando ad alzarsi in piedi, ma venne trattenuto per un braccio da Sherlock. “Che stai facendo?” chiese sbalordito dal comportamento dell’altro “Non ancora, chiunque sia quell’uomo di certo non è M “ sibilò.
 
John sgranò gli occhi, decisamente confuso dalla piega che stavano prendendo gli eventi “come sarebbe a dire che non è lui? Quante tipologie di criminali conosci che si introdurrebbero in una casa mentre al suo interno vi sono ancora tutti quanti?” “Non ho detto che è un ladro, è sicuramente uno che lavora per il nostro uomo, ma non è lui.” disse con un filo di voce non accennando a muoversi.
 
“Meravigliosa deduzione, ora però muoviamoci dannazione!” soffiò John facendo nuovamente per muoversi, ma fu ancora trattenuto dal tritone. “No” disse con voce ferma Sherlock senza guardarlo, ma tenendo gli occhi color ghiaccio fissi sulla figura china a scassinare la serratura della finestra.
 
“Che significa “No”?” “Ricordi quando ho detto che M finora è sempre stato su ogni scena del crimine? Non credo che interromperà la continuity proprio ora, è un perfezionista e sono pronto a scommettere che tiene ai pochi elementi che legano i suoi crimini uno all’altro più della sua stessa vita. Verrà John, ne sono sicuro, ma dobbiamo aspettare, se entriamo ora potremmo metterlo in allarme e farlo scappare, e questa casa è l’ultima del semicerchio. Se ce lo lasciamo sfuggire di certo continuerà a uccidere, solo che questa volta non avrò elementi per prevedere dove o quando ciò accadrà.”
 
Il dottore fremette “Ma è una congettura!” “No è una deduzione!” “Stai mettendo a rischio la vita di quelle persone!” “E’ un rischio calcolato, salveremo loro e le persone che dopo di loro sarebbero colpite se interveniamo ora. Maledizione John credimi!” disse, distogliendo lo sguardo dalla sagoma dell’uomo di M e fissando le sue iridi cerulee in quelle grigio-blu del dottore.  “Almeno tu credimi” aggiunse con un tono che sarebbe potuto essere definito supplichevole se non fosse uscito dalla bocca di Sherlock Holmes, quella stessa bocca che se non ti dava dell’idiota incompetente potevi già considerarti fortunato.
 
John strinse le labbra, dalla decisione che stava per prendere potevano dipendere delle vite, delle vite umane! Neanche fosse un militare nell’esercito inglese in Afghanistan! *
 
Prese un respiro profondo “Sei certo che verrà?” “Al 95% più o meno. . .” “Quanto più o meno?” “. . . facciamo al 93,5%” “Sherlock per l’amor del. . .” “Verrà John, questo è un duello, e di certo non vorrà fare la figura del codardo a lanciare il guanto di sfida per poi non presentarsi” “Sembra quasi che tu lo conosca” a quelle parole il tritone distolse lo sguardo “Conosco la sua mentalità, perché dopotutto è molto simile alla mia” disse senza guardarlo poi aggiunse con un sorriso amaro “So a cosa stai pensando John, ma il mio cervello e il suo sono come un’arma: non è essa ad essere malvagia, non è la pistola che decide chi colpisce il suo proiettile, è chi la impugna a deciderlo.”
 
John aprì la bocca per ribattere ma subito la richiuse perché aveva l’impressione che ogni cosa che ne sarebbe uscita sarebbe sembrata quantomeno inappropriata visto che, effettivamente, il pensiero lo aveva sfiorato.
 
Nel frattempo l’uomo di M aveva forzato finalmente la serratura del lucernario e si stava calando attraverso la stretta apertura.
 
John lanciò uno sguardo alla sala da pranzo, dove, nel frattempo, si erano seduti i due anziani e i due nipotini. Nessuno dei due bambini doveva avere più di dieci anni. Strinse spasmodicamente l’impugnatura della Sig Sauer e per la prima volta in vita sua si trovò a pregare per l’arrivo di un supercriminale pluriomicida.
 
Aspettarono per quello che a John parve un tempo interminabile poi Sherlock gli batté delicatamente sulla spalla con la mano, senza dire nulla gli indicò il rettangolino di plastica grigio in alto, vicino alla grondaia. Era piccolo e al medico ci volle qualche istante per capire di cosa si trattasse, poi ricordò che Mary ne aveva uno simile accanto allo stipite della porta.
 
Era una centralina di comando per l’allarme esterno, che si sarebbe attivato nel caso qualcuno provasse a forzare la serratura del cancello, o della porta.
 
E la luce, che avrebbe dovuto essere verde data l’ora tarda, era ora inequivocabilmente rossa. Pochi secondi più tardi il rumore di uno scricchiolio di ruote sulla strada lo avvisò che una macchina si era fermata vicino al vialetto di ingresso. John provò a guardarla, ma questa aveva i fari spenti e ai suoi occhi era solo una sagoma leggermente più scura nelle tenebre.
 
“Ha la targa oscurata” soffiò Sherlock  nell’orecchio del dottore, il quale sussultò per l’improvvisa vicinanza delle labbra del moro al suo viso.
 
Provò a far finta di niente, implorando che non si fosse accorto della sua reazione (perché la speranza era l’ultima a morire giusto?) e borbottò la prima cosa che gli venne in mente “Come. . . come fai a vederla con questo buio?”. Sherlock sbuffò con il classico atteggiamento da ma-devo-sempre-spiegarti-tutto-John? E mormorò “Sono una creatura marina John, dove viviamo noi la luce è un’utopia persino in estate. Ora concentrati!” aggiunse con tono di rimprovero.
 
John rivolse nuovamente tutta la sua attenzione alla macchina nera, per qualche istante rimase tutto immobile, poi due colpi secchi rivelarono che gli uomini a bordo erano scesi. Uno rimase immobile, fuori dal cono di luce costituito dalla applique da esterno, mentre il secondo si inginocchiava per forzare la serratura del cancello.
 
M” sibilò Sherlock, teso come un cane da caccia che abbia fiutato la preda. Questa volta il medico non ebbe bisogno di chiedergli se fosse sicuro, l’eccitazione presente nella sua voce era palpabile.
 
“Passami il cellulare John, chiamiamo Evans. Finalmente quella banda di incompetenti potrà svolgere il loro lavoro” disse mentre iniziava già a digitare le cifre sul display.
 
Uno scatto però gli fece alzare velocemente la testa interrompendolo. La serratura del cancello era già saltata contro ogni previsione, e M entrò nella proprietà, scortato dal suo scagnozzo.
 
“Maledizione” sibilò “avrebbero dovuto metterci più tempo!” aggiunse, vedendoli avvicinarsi all’ingresso ed entrare senza incontrare alcuna difficoltà. Evidentemente il complice non si era limitato a mettere fuorigioco il sistema d’allarme ma aveva anche forza la serratura.
 
Quando furono entrati, lasciando aperta la porta lo sguardo di Sherlock corse agli abitanti della casa, il marito rendendosi conto dell’intrusione si era alzato in piedi ma si era subito riseduto quando l’uomo che si firmava con la lettera M gli aveva puntato tranquillamente contro la pistola, intimandogli probabilmente di sedersi visto che l’altro era praticamente ripiombato sulla sedia.
 
Dal canto suo l’assassino aveva preso una sedia e vi ci si era comodamente seduto sopra poggiando entrambi i piedi sul tavolo e prendendo una mela dalla fruttiera posta nel centro. A causa delle leggere tendine bianche il suo volto non era visibile dal punto dove si trovavano loro, ma Sherlock avrebbe potuto giurare che stesse ridendo.
 
“Non faranno in tempo” sussurrò John senza dare nessuna particolare inflessione alla voce. Non sentendo nessuna replica da parte del tritone si sentì in dovere di rettificare “La polizia. . .non riusciranno mai ad arrivare prima che li uccida” questa volta nella sua voce c’era una lieve nota di panico.
 
“M è un esibizionista e sa di avere molto tempo a disposizione, vedrai che faranno in tempo” disse con sicurezza  Sherlock, prima di ricominciare a digitare furiosamente sulla tastiera.
 
In quel momento John si alzò in piedi, cogliendo alla sprovvista il compagno di appostamento, che non riuscì ad afferrarlo in tempo. “John dove vai? Resta qui!” sussurrò arrabbiato e spaventato al tempo stesso Sherlock, mentre lo guardava nascondersi dietro il tronco di un albero più vicino alla casa, facendo attenzione a non farsi notare.
 
“Li trattengo finché non arriva la polizia. Tu rimani qui e avverti Evans” bisbigliò. Sentì il moro bisbigliare qualcosa ma non vi fece troppa attenzione. Prese un respiro profondo e con una rapida corsa fece irruzione dentro la casa, puntando la pistola verso i due criminali.
 
“Che nessuno si muova!” sbottò e dopo un’ esitazione di qualche nanosecondo mirò alla nuca del pazzo che si faceva chiamare M.
 
Questo si era bloccato a metà del gesto che stava compiendo, mangiare una mela, e rimase perfettamente immobile per qualche secondo prima che le sue labbra si schiudessero in un sorriso divertito. Reclinò il capo all’indietro fissando gli occhi grandi e neri come due pozzi di petrolio in quelli blu del dottore.
 
“Ma guarda, è arrivato il cavaliere Lancillotto senza macchia e senza paura.”  disse divertito con un tono che fece involontariamente rabbrividire John. Con un gesto fluido M si alzò dalla sedia, il biondo fu sorpreso notando che la mente criminale che aveva dato così tanto filo da torcere a Sherlock risiedesse in un corpo e in una faccia tanto banale. Era qualcuno che avrebbe potuto incontrare tutti i giorni, magari sotto forma del fidanzato di qualche amica o collega.
 
Questo alzò la mano sorridendo “Jim Moriarty, ciao” disse, e sventolò l’arto in modo esagerato “La M sta per Moriarty” aggiunse chinandosi in avanti.
 
Cominciò a passeggiare avanti e indietro per il soggiorno “Non, si muova” sillabò il dottore. Jim lo ignorò completamente e si appoggiò alla trave in ebano del caminetto, passando leziosamente un dito tra le foto incorniciate che ritraevano i membri della famiglia “Allora. . .dov’è la cara Ginevra?” chiese osservando la leggera polvere rimasta sulle sue dita.
 
“Cosa?” chiese John confuso “Ginevra, Ginevra. . . non mi deluda dottore. . .” “Non sono un dottore, sono un poliziotto” lo interruppe il medico. A quel punto la casa si riempì della risata agghiacciante del criminale “Oh Johnny Boy, non provare a fare il furbo con me” disse sedendosi al contrario sulla sedia e appoggiando le braccia allo schienale.
 
“Allora. . .dov’è la nostra amichetta? Perché non credo proprio che ti avrebbe lasciato andare qui da solo a fare il tuo lavoro di cavaliere sul cavallo bianco e con l’armatura scintillante.” Vedendo che l’altro  non rispondeva Moriarty buttò all’indietro il capo sbuffando platealmente.
 
“Okay vediamo se questo la smuove un po’” e fece un cenno con la testa.
 
Subito John avvertì la sensazione del metallo freddo contro la pelle della nuca, il bacio inconfondibile di una beretta M9. Dandosi mentalmente dell’idiota per aver dimenticato il terzo uomo nella foga di salvare la famiglia in pericolo, no decisamente non era fatto per fare il soldato.
 
Alzò le braccia lasciando cadere a terra la sua arma, che fu prontamente calciata via dall’uomo alle sue spalle. L’uomo che si faceva chiamare M la raccolse e iniziò a dondolare avanti e indietro per il salotto, puntandola ora ad un membro della famiglia, ora al dottore, ora a se stesso.
 
Jim allargò le braccia e ruotò su se stesso “Quindi. . . dove seeeeiii?” si fermò per un istante, poi, rapido come un serpente punto l’arma verso la finestra e fece fuoco.
 
John trasalì, ma quando caddero le ultime schegge di vetro si rese conto che la direzione in cui Moriarty aveva sparato coincideva con un piccolo cespuglio di azalee, piuttosto lontano da dove si trovava Sherlock.
 
“E uno, mmmhh restano due tentativi giusto?” mormorò assorto Jim riprendendo a sventolare mollemente l’arma. Di nuovo tergiversò quel qualche secondo, poi puntò l’arma verso ciò che restava della finestra. Colpì l’albero dietro cui si era nascosto John quando aveva fatto irruzione.
 
Molto più vicino al luogo dove si nascondeva il tritone questa volta “Eeee dueeeeee*” disse riprendendo quel macabro e scoordinato balletto.
 
“E tre” disse puntando a pistola verso la fronte del dottore.
 
Per qualche istante nessun rumore fu percepibile a nessuno dei presenti nella stanza poi un cigolio di ruote fin troppo familiare fu udibile in prossimità della porta e un sorrisetto sadico si fece nuovamente strada sul volto di Moriarty “Guarda guarda, la principessa che corre a salvare il suo paladino. Me la ricordavo diversa la favola”.
 
John chiuse gli occhi, in parte rassicurato e in parte sconfortato dalla presenza di Sherlock.
 
“Le favole sono per bambini Moriarty, dopotutto chi altro se non un bambino potrebbe credere in una versione della realtà dove esistono i ‘buoni’ e i ‘cattivi’?” disse il tritone con voce tranquilla.
 
“ah ma così mi deludi William Sherlock Scott Holmes” vedendo la faccia sconvolta di John emise un risolino divertito “Il mio attuale datore di lavoro ha occhi e orecchie ovunque Johnny boy” poi tornò a concentrarsi sul suo vero obbiettivo “Nella realtà ci sono i buoni e i cattivi, mr Holmes. Solo che a differenza delle favole quelli che stanno dalla parte degli angeli non vincono mai” ghigno per poi aggiungere “quelli come te Holmes”
 
“Stai sprecando fiato” la voce di John ebbe il potere di far tornare tutti alla realtà “presto la polizia sarà qui. Puoi anche ucciderci, ma probabilmente finirai comunque in prigione”. Jim sorrise con fare compassionevole "Ma la polizia non arriverà, Sherlock non l’ha chiamata” disse “Dico bene Sherlock?” aggiunse oltrepassando il dottore e chinandosi sul tritone.
 
“Perché non è nello stile del grande Sherlock Holmes chiamare la polizia, d’altronde non mi stupirei se quell’ammasso di incompetenti non fosse in grado di trovare questo indirizzo in tempo utile?” mormorò poggiandosi con le mani sui braccioli della sedia a rotelle.
 
Sherlock non rispose e si limitò a fissare negli occhi neri il suo nemico “Allora adesso che succede?” chiese tranquillamente.
 
“Il tuo amichetto è troppo melodrammatico, non ho intenzione di ucciderti, e neppure il mio attuale cliente ti vuole morto” “Cliente?” “Tu sei un consulente investigativo io un consulente criminale, che bello siamo così complementari, che ne dici dovremmo fare uno di quei test sulle coppie che si trovano sulle riviste di moda dal parrucchiere.” Mormorò con il volto a solo qualche centimetro di distanza da quello dell’altro.
 
“Oh forse no” con uno scatto rapidissimo conficcò qualcosa nel collo del tritone, che spalancò la bocca come per gridare, ma dalle sue labbra uscì solo un gemito roco.
 
“Fai bei sogni” sussurrò il criminale mentre Sherlock scivolava tra le braccia di morfeo.
 
L’ultima cosa che riuscì ad udire prima di sprofondare nel nulla fu la voce terrorizzata di John che urlava il suo nome.
 
 
 
*quasi dimenticavo, in questa AU John non è stato in Afghanistan, capirete il perché tra un paio di capitoli
*non sono una grande fan delle vocali allungate, ma in questo caso ho pensato che coincidessero con lo stile malsano e terribilmente sopra le righe di Jim Moriarty.
 
 
Eccomi! (con un lieve anticipo sui miei soliti ritardi clamorosi) che dire, pensavo di fare questo capitolo e il prossimo come uno solo, ma poi sarebbe uscito fuori un mostro di circa 15 pagine e ho preferito evitare. Per quanto riguarda la storia non accadrà quello che pensate potrebbe accadere (o forse si?!).
Ringrazio tutti coloro che mi seguono, ricordano o hanno inserito la mia storia tra le preferite e un grazie in particolare a coloro che recensiscono come CreepyDoll e Skyliria
A presto.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14: castello di sabbia ***


Capitolo 14: castello di sabbia
 


“Barbarossa, su vieni qui bello. Bravo vieni!”.

L’affusolata sagoma della foca monaca nuota con entusiasmo attraverso gli anfratti e i tortuosi passaggi che compongono il suo palazzo mentale. Raggiunge Sherlock per infilare giocosamente la testa appuntita tra il suo fianco e il suo braccio. Emette un versetto compiaciuto quando il tritone gli arruffa il pelo del collo con la punta delle dita e gratta appena dietro le minuscole orecchie, e lo fissa con gli occhi azzurri adoranti, così simili a quelli del suo padrone.*

“Ciao Barbarossa, stanno portando via anche me. Non è divertente sai?” mormora prima che tutto intorno a lui diventi scuro, di nuovo.

Effettivamente come c’è arrivato lì? L’ultima cosa che ricorda è la voce di John che grida il suo nome. Perché adesso è li? Che fine ha fatto tutto quanto? I poliziotti, i criminali John e persino quell’irritante imbecille dell’ispettore Evans, dove sono andati?

È stato tutto un sogno, frammisto a fastidiosi segmenti di incubo gentilmente offerti da Jim Moriarty? Un meraviglioso viaggio attraverso il suo palazzo mentale?

Anche John è stato solo un sogno?

Si guarda attorno, riconoscendo nell’oscurità le pareti del Canyon dove i suoi amici lo avevano abbandonato per ripicca molti anni prima. Improvvisamente una scarica di dolore gli attraversa la colonna vertebrale. Non dolore causato da emozioni, dolore fisico, profondo, viscerale, che parte dalla base del collo a destra e si ripercuote con violenza in ogni brandello di pelle, carne e squame.

Sente una risata nell’oscurità dei crepaci, si volta guardandosi attorno febbricitante.

E lo vede.

James Moriarty, incatenato ad un’ancora sul fondo dell’oceano che ridacchia di gusto, apparentemente indifferente al fatto che secondo logica dovrebbe essere già morto per annegamento.

Fu in quel momento che Sherlock si rese conto di stare ancora sognando. O meglio non sognando, se fosse un sogno avrebbe già deciso di svegliarsi, no è nel suo palazzo mentale e per qualche ragione non riesce ad uscirne.

Un’altra scarica di dolore, più crudele della prima se possibile.

A quel punto il criminale che per settimane si è firmato semplicemente con una iniziale cercando di far trapelare attraverso questa tutta la sua psicopatia scoppia esplicitamente a ridere.

“Tu!. . .Lo trovi così divertente?” ringhiò il tritone all’indirizzo del criminale, ben consapevole di star parlando solo con una proiezione mentale della sua nemesi, ma non riuscendo comunque a contenere l’odio.

“Vedere il dolore ti diverte? Oh, ma certo, tu non hai mai sentito dolore vero? Perché non provi dolore?” ansimò accartocciato su se stesso dagli spasmi.

“Il dolore si sente sempre Sherlock” biascicò Moriarty, i capelli neri che si agitavano intorno alla sua faccia dandogli un aria spettrale. Alzò gli occhi neri su di lui, fissandolo per un’istante, prima di scagliarsi arrivando fino a pochi centimetri dal suo viso, trattenuto a stento dalla catena arrugginita.

“Non ti deve fare paura!” sbraitò esibendo la sua migliore aria da psicopatico.

Una nuova scossa di malessere fece precipitare lentamente in basso Sherlock, sino a toccare il fondale sabbioso.

“Perdita, sofferenza, dolore” il viso di Jim a solo qualche centimetro dal suo “ Morte” sillabò, mentre si contorceva nel fango sabbioso “va tutto bene” aggiunse con tono che avrebbe dovuto suscitargli tranquillità, ma era esattamente l’opposto.

“Che cosa mi hai fatto?” ringhiò il tritone tra i denti. Moriarty non rispose, e iniziò a canticchiare una nenia, mentre tutto intorno a loro si faceva ancora più buio e gelido “Tira vento, e piove, Sherlock è scontento”. Il tritone ebbe un altro spasmo mentre sembrava che l’acqua convergesse su di lui, schiacciandolo. “Sto ridendo, e piangendo Sherlock sta morendo”.

In lontananza udì una voce urlare il suo nome, era familiare, ma era così distante, e aveva dimenticato a chi appartenesse. “Dai Sherlock” mormorò Moriarty “Perché non muori? Ci siamo quasi, è bello morire Sherlock, nessuno viene a seccarti. L’unico inconveniente sono quelli che restano indietro. Te li immagini, la scialba amichetta di John piangerà, Mike piangerà, tutti spremeranno almeno una lacrimuccia, e John, oh. . . John piangerà a secchiate: è lui quello che mi preoccupa di più in effetti” mormorò con aria assente fluttuandogli intorno come un fantasma.

Sorrise “Forse dovrei risparmiargli tutta questa sofferenza no? Dopotutto lui è ancora lì, con me, la fuori. Lo stai abbandonando Sherlock? John Watson è decisamente in pericolo. . .”

Un lampo di consapevolezza lo attraversò.

John! John, John John JOHN!

Rotolò su un fianco colpendo con forza la terra sotto di lui, come a voler svegliare un cuore morente.

Si trascinò fino alle pendici della roccia scura e si aggrappò ad una sporgenza con la punta delle dita, issandosi su di essa, facendo leva con la poca forza che gli rimaneva nelle braccia. Lentamente, sudando per ogni centimetro che riusciva a conquistare, risalì verso l’alto, verso la luce, lasciandosi alle spalle un Moriarty che urlava furibondo il suo nome.

Sherlock aprì gli occhi di scatto, intorno alla sua bocca vi era un respiratore artificiale, mentre un preoccupatissimo John Watson si affaccendava intorno a lui, ancora seduto sulla sedia a rotelle.

Con un grosso sforzo il tritone mise a fuoco tutto il resto. Si trovava dentro ad un’ambulanza, ferma, i portelloni posteriori erano spalancati e lasciavano intravedere alcuni paramedici che si guardavano tra loro con aria perplessa e preoccupata. Ci volle poco a capire che John doveva averli cacciati via perché non scoprissero chi (o per meglio dire cosa) fosse in realtà il ferito.

Ancora più indietro c’erano quattro volanti della polizia, su cui stavano finendo di caricare Moriarty e i suoi complici.
Sherlock non ebbe nemmeno il tempo materiale per essere perplesso della apparente facilità con cui il criminale si era fatto catturare (Sul serio? Neppure una sparatoria di convenienza?) che una voce familiare gli distrusse un timpano in un urlo di gioia.

“Sherlock!”

Gli occhi freddi del tritone scesero a incontrare quelli di John, chinatosi per controllare che i respiratori aderissero ancora alla perfezione con le sue branchie e quanta acqua fosse ancora utilizzabile nelle bombole. Il volto tirato del medico si era aperto in un sorriso di gioia. Senza indugiare oltre il biondo dottore lo abbracciò di impeto, stringendolo in una morsa da cui traspirava tutto il suo sollievo.

Solitamente se qualcun altro avesse osato fare una cosa del genere avrebbe sfoderato la sua peggiore aria da Drama Queen per poi insultare lui e i suoi antenati. Però la persona che lo stava abbracciando era John, il suo John, così ricambiò timidamente la stretta, mentre pregava che se sue guance appuntite non diventassero rosso porpora.

“Cosa, cosa è successo?” borbottò Sherlock, cercando di mascherare l’imbarazzo che gli provocava quel contatto. John si staccò da lui, mentre quel sorriso a trentadue denti non accennava a voler andarsene dalla sua faccia “È arrivata la polizia. Moriarty si è arreso subito, probabilmente ha capito che provare a barricarsi dentro la casa sarebbe stato inutile. E per fortuna aggiungerei! La ferita che ti ha inferto non era mortale ma sanguinava molto, se fossero arrivati in ritardo non so se sarebbe andato tutto bene. Alla fine l’avevi chiamato Evans allora!” disse parlando a raffica.

Sherlock alzò gli occhi al cielo ma l’ombra di un sorriso gli aleggiava sul volto “Certo che l’ho chiamato John, Moriarty si aspettava che il mio orgoglio avrebbe avuto la meglio sul buonsenso, ma non potevo mettere in pericolo te. . .Ha-em volevo dire, non potevo mettere in pericolo dei civili.” disse con la sua solita aria altezzosa, sperando che il dottore non si fosse accorto della sua gaffe.

Dannati antidolorifici.

Per fortuna John era troppo impegnato a essere entusiasta per aver finalmente fermato il criminale per prestare particolare attenzione ai soliti sproloqui del tritone. Si era infatti voltato a scrutare tra la folla di auto dalle sirene lampeggianti, dove Bobby stava finendo di recitare la miranda “Lei ha il diritto di rimanere in silenzio. Qualsiasi cosa dirà potrà. . .” eccetera eccetera.

“Finalmente questo dannato incubo è finito” mormorò, poi la voce sgradevolmente nota di Evans lo chiamò. Evidentemente lui e Sherlock avrebbero dovuto lasciare una deposizione in commissariato e altre cose inutili e noiose a cui il tritone non prestò particolare attenzione.

No, la cosa che attirò il suo sguardo fu l’espressione di Moriarty  poco prima che entrasse nella volante con le mani ammanettate dietro la schiena. Il criminale gli sorrise per poi sillabare “Ci vediamo” con le labbra e mandargli un bacio. L’espressione di Sherlock rimase impenetrabile come uno scudo di ghiaccio, ma non poté evitare che una mano corresse istintivamente alla fasciatura sulla gola.

Moriarty non era uno stupido, sapeva ( o sospettava) già prima di quella sera cosa lui fosse in realtà, e ora ne aveva avuto la prova. John aveva ragione, la ferita in se non era mortale, ma ad ucciderlo prima della emorragia sarebbe dovuto essere il soffocamento provocato dal sangue che inevitabilmente sarebbe finito nei suoi polmoni. O almeno questo era quello che sarebbe successo se lui avesse usato bocca e naso per respirare e non le branchie accuratamente nascoste sotto quella felpa orripilante.

In ogni caso ormai era un problema che non lo riguardava, non più. Moriarty era stato assicurato alla giustizia, e anche se non fosse stato accusato dei due precedenti omicidi, c’era abbastanza materiale (tentato omicidio, sequestro di persona e tutto il resto) per tenerlo dietro le sbarre per i prossimi dieci anni.

John tornò da lui, esibiva un sorriso leggero mentre si guardava alle spalle. Sherlock seguì i suoi occhi e vide in lontananza la coppia anziana che cercava di tranquillizzare i due bambini, avvolti in un paio di coperte. “Hanno detto che i genitori torneranno presto. A quanto pare non hanno intenzione di sporgere denuncia, sono brave persone, non meritavano di finire nel mirino di Moriarty solo perché abitavano nel posto sbagliato.” disse sedendosi sul pavimento dell’ambulanza.

Alzò gli occhi su di lui, sorridendo quasi con orgoglio “Erano preoccupati per te, ti considerano un eroe. Se non fosse stato per te questa sera sarebbero morti” abbassò il capo, rabbuiandosi leggermente “mi dispiace di aver dubitato di te Sherlock” aggiunse con tono sinceramente contrito.

Sherlock sbuffò una risata “Se vuoi farti perdonare allora portami via di qui, non ho intenzione di assistere ad ulteriore incompetenza da parte degli uomini di Evans.” mormorò tranquillamente, mentre una sensazione di leggerezza gli invadeva il petto.

Da allora fu un delirio senza fine.

La prima cosa che mise alla dura prova la pazienza del tritone fu un’intera, inutilissima notte spesa all’ospedale che John aveva chiesto, insistito e infine ottenuto per monitorare la sua ferita e dargli un paio di punti. Per ripicca uno Sherlock capriccioso come un bambino di quattro anni si era messo a giocare con l’attrezzatura medica e (John se n’era accorto solo troppo tardi) aveva persino rubato un bisturi perché “Non si sa mai John!”.

Appena erano spuntate le prime luci dell’alba il dottore aveva guidato distrutto fino alla grotta. Per fortuna quando il tritone era stato malato, subito dopo il loro incontro, John aveva portato dentro la caverna un vecchio materasso su cui era crollato praticamente subito. Aveva dormito per tutto il giorno, mentre il moro, dopo un paio di ore di sonno, aveva diviso la sua veglia tra fare esperimenti, leggere e soprattutto osservare il biondo che dormiva.

Il dottore si era svegliato solo alle sei e mezza, per nulla preoccupato di aver saltato un turno al Barts, era certo che la voce delle loro prodezze fosse giunta fino all’obitorio, e che nessuno si sarebbe arrabbiato se si fosse preso un giorno di riposo.

E non si sbagliava: verso le sette e un quarto, secondo l’orologio mentale del tritone, John ricevette una chiamata da Mike che lo invitò a bere una birra insieme quella sera e, stranamente, chiese di venire anche a Sherlock. Dopo il canonico pezzo da fare in auto, dove il passeggero passò tutto il tempo a lamentarsi e a implorare il medico di fare marcia indietro e fingere un incidente facendo precipitare il furgoncino giù dalla scogliera, arrivarono finalmente al pub.

Il locale parve immediatamente ad entrambi fin troppo tranquillo, le luci erano soffuse e dentro non vi era traccia di clienti. Questo almeno finché non entrarono, in quel momento un fragoroso “SORPRESA!” disintegrò i timpani di tutti e due.

A quanto pare qualche idiota (molto probabilmente Bobby) aveva avuto la brillante idea di celebrare il caso risolto dai due con una festa a sorpresa. Prima che a qualcuno dei due venisse in mente un modo su come evitare quel supplizio furono trascinati dentro.

John fu immediatamente rapito da Mary, con immensa irritazione di Sherlock, che voleva sapere nel dettaglio come erano andate le cose. Sembrava che le persone adorassero i racconti di John sui casi che risolvevano insieme, qualcuno un po’ di tempo prima gli aveva addirittura suggerito di scrivere un blog. Il tritone però era stato chiaro in proposito , avevano già un pazzo scatenato che cercava di ucciderli, non avevano bisogno di attirare l’attenzione di altri.

Per la prima mezz’ora il moro passò in rassegna ogni possibile tentativo di fuga o di diversivo che gli permettesse di tornarsene nella sua grotta, ma ogni piano prevedeva la presenza di John, che ora era chissà dove con Mary. A quel pensiero a Sherlock si contrasse la mascella, e questo non fece che renderlo ancora meno socievole per tutta la serata.

Provò a dare rispostacce a tutte le domande insulse che i presenti gli rivolgevano, in modo tale che lo lasciassero in pace ma a quanto pare era una specie di eroe, così non riuscì a staccarsi quella fastidiosa marmaglia di dosso per tutta la sera.

Le cose migliorarono leggermente solo quando qualcuno gli offrì della birra. Inizialmente il tritone fu piuttosto riluttante a provarla: aveva fatto delle ricerche su internet sui metodi ricreativi umani e aveva scoperto che ingerire discrete quantità di alcol al fine di annebbiare i sensi era tra questi, e lui preferiva che il suo cervello fosse sempre perfettamente funzionante al cento per cento. Poi però, dopo aver visto di sfuggita John e Mary avvinghiati in un angolino, si decise.

Un paio di bicchieri più tardi si ritrovò completamente ubriaco e il dottore fu costretto a riportarlo a casa, anche perché aveva iniziato a blaterare cose senza senso sull’oceano e su un’incredibile somiglianza tra l’ispettore Evans e una triglia.

Dopo il tratto di strada, caratterizzato dalla guida ondeggiante di John, che aveva alzato leggermente il gomito, erano alla fine tornati a casa.

Per qualche strano motivo, che Sherlock era quasi certo fosse da collegarsi ai distillati di CH3CH2OH arricchiti di aromi che avevano ingerito entrambi, il medico non riuscì a far passare la carrozzina attraverso la spaccatura nella roccia. Dopo un altro paio di tentativi decisero che il moro poteva tranquillamente essere portato dentro la caverna in braccio.

Così, come durante il loro primi incontro, John lo aveva sollevato tra le braccia, e, un po’ barcollante, lo aveva portato dentro la caverna.

Secondo il piano originare avrebbe dovuto depositarlo nella sua pozza preferita, quella più vicina all’entrata, ma dopo che il dottore fu inciampato nei suoi stessi piedi finirono entrambi lunghi distesi nell’acqua bassa. Rimasero lì distesi a lungo a ridere, bhè in realtà John a tossire e ridere dato che era quasi annegato.

Sherlock fu il primo a rendersi conto della posizione in cui si trovavano e si ritrasse, continuando tuttavia a ridacchiare come un adolescente.

Avevano deciso entrambi che sarebbe stato più sicuro se il medico avesse passato li la notte, così si erano ritrovati a far passare il tempo chiacchierando delle cose più stupide e giocando a indovina chi sono?.

Dopo un paio d’ore passate nell’acqua tiepida, e complici i fumi dell’alcol che ancora li circondavano, avevano iniziato a scambiarsi reciprocamente confessioni e aneddoti sulla loro vita. John aveva appena smesso di ridacchiare dell’episodio che Sherlock gli aveva raccontato, quello in cui Mycroft si era incastrato in una spelonca per colpa del suo girovita abbondante.

Si sistemò meglio contro la roccia contro cui era appoggiato, per evitare il disagio dei vestiti bagnati si era tolto il suo assurdo maglione e la camicia, rimanendo con sommo imbarazzo del moro a petto nudo.

“Sai” disse dopo un momento di pausa “ io. . . credo di non essere innamorato di Mary” mormorò piano, in modo a malapena percepibile. Tuttavia il tritone lo sentì benissimo, infatti sgranò gli occhi e volse la testa di scatto, colpito dalle implicazioni di quella rivelazione.

Aprì la bocca per parlare ma non ne uscì alcun suono, si schiarì la voce, cercando di calmare il battito cardiaco che sentiva fortissimo contro le costole, “Cosa. . .cosa intendi?”

John si sfregò la nuca visibilmente imbarazzato “Si, insomma. Quando ci siamo conosciuti penasavo davvero che lei mi piacesse, ma. . . non lo so. Dio come devo sembrarti ipocrita! Passo il tempo a rimproverarti per i modi in cui tratti le persone e io. . . io sto con una ragazza per cui non provo nulla. Oddio non proprio nulla nulla. Mary è una ragazza adorabile è gentile e sensibile . . . però. . .però non credo che sia la donna giusta per me” mormorò infine con aria afflitta.

“E sai qual è la cosa peggiore? La cosa peggiore è che non mi sento neanche in colpa, cioè non molto. Non lo so, non capisco ogni volta che provo a far chiarezza su quello che provo sento che i miei sentimenti non si sono esauriti. È come se. . . come se fossi innamorato di qualcun altro. Ma non capisco di chi, assurdo non trovi?”. A quelle parole Sherlock prese a fissare con insistenza il soffitto della caverna “totalmente illogico.” confermò sperando che la sua voce non tremasse.

“Tu sei stato mai innamorato?” chiese John, aspettandosi già una rispostaccia sull’inutilità dei sentimenti. Contro ogni aspettativa invece il moro abbassò ulteriormente il tono di voce e sussurrò “Una volta sola”.

Il medico si volse di scatto con un sorriso incredulo “Davvero? E lei com’era? Carina? Come minimo deve essere stata un genio! Oddio non riesco davvero a immaginarmi qualcuno di così speciale da attirare la tua attenzione” rise guardandolo.

Gli zigomi affilati di Sherlock si imporporarono dall’imbarazzo, con voce roca sussurrò “Non. . .era una lei”. Il dottore ebbe un attimo di smarrimento poi comprese “Oh, capisco, bhè nessun problema, effettivamente avrei dovuto aspettarmelo, e voi quindi . . . Ehm siete, siete stati insieme?” “Più o meno, ma non nel senso un cui intendi tu. Eravamo. . .eravamo amici” borbottò con un filo di voce.

“Oh, mi dispiace. Lui . . . lui non era di quella sponda?” “Cosa? No no, in realtà non lo so. Il fatto è che io, non gli ho mai detto quello che . . .quello che provavo” “ah, mi dispiace” “L’hai già detto” “Mi disp. . . scusa”.

Calò un silenzio imbarazzante, in cui Sherlock fece di tutto per evitare di guardare la porzione di caverna occupata da John. Dopo qualche minuto la voce del dottore risuonò nella grotta “Senti, non voglio fare la rubrica dei cuori solitari però, secondo me, dovresti almeno provarci. Insomma secondo me avresti qualche possibilità. Sei fantastico, intelligente e se non si cede alla tentazione di strangolarti dopo cinque minuti dopo averti conosciuto, bhè, direi che potresti avere una possibilità” disse battendogli una mano sulla spalla.

Sherlock abbassò il capo, il volto nascosto dai lunghi capelli corvini “Lo pensi davvero?” sussurrò.

“Certamente, devi solo provarci, buttati e vedrai che. . .” John non completò la frase.

Non poté completarla.

Perché le labbra carnose di Sherlock avevano intrappolato la sua bocca in un bacio.

Un bacio umido, goffo e impacciato, ma che mozzò il respiro ad entrambi. Il moro sfiorò appena il volto del dottore con la punta delle dita, rendendosi consto solo in quel momento di star tremando incontrollabilmente. Quando si rese conto di cosa stava facendo si separò di scatto, allontanandosi fino a toccare con la schiena il bordo opposto della vasca.

John lo fissava con gli occhi sbarrati, incapace di formulare anche solo un pensiero. Sotto quello sguardo Sherlock abbassò il capo, vergognandosi di quello che aveva fatto. Aveva rovinato ogni cosa, perché l’aveva fatto? Perché aveva permesso che i sentimenti annebbiassero il suo giudizio?

Mycroft aveva ragione, i sentimenti non erano un vantaggio.

“Sherlock. . .” sussurrò John con voce roca, ma non riuscì ad aggiungere altro. Il tritone sapeva il perché, John lo aveva ripetuto molte volte quando la gente aveva insinuato scherzosamente che il loro rapporto fosse più profondo di quello di partners nella lotta contro il crimine: Lui non era gay.

“John, per favore. . .va via” mormorò Sherlock senza guardarlo.

Per qualche secondo sembrò che il dottore volesse dire qualcosa, ma si limitò ad alzarsi e ad indossare il maglione e la camicia fradici lentamente. Uscì dalla caverna senza voltarsi indietro, senza aprire bocca e senza guardare il tritone.

Sherlock si rannicchiò contro la pietra, avvolgendo intorno a sé la lunga coda azzurra.

Era finita, e questa volta per sempre.
 
 
 
Saaalveeeeee.

Modalità *Mi faccio il bagno nei vostri feels* attivata.

Lo so ci ho messo un sacco, ma mi sono buttata a pesce (haha, pesce, capita? pesce! Perché Sherlock è. . . ok scusate) nella mia latente passione cinefila, in pratica mi sto vedendo tutti i 500 film più belli di sempre stilati nella lista dell’empire state building (tranquille me ne restano solo 445 circa) detto questo vi lascio alle note, e alle foto allegate sperando che me le carichi.
 
Sono andata a cercare su internet immagini di foche redhead (volevo allegarne una per dare un’idea di come mi immaginavo la versione marina di redbeard) non sperando in granché, e invece ho trovato questo cucciolo di foca albino dal manto effettivamente fulvo di  qualche tempo fa pare che sia stato abbandonato dal resto del branco. L’ho scelto anche per il colore degli occhi che sono azzurrissimi, proprio come quelli di Sherlock.


E visto che sono in vena di immagini di animaletti più o meno pucciosi beccatevi questa (in relazione a quello che ho in programma per questa storia)



Bye bye.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15: Ritorno a casa ***


Capitolo 15: Ritorno a casa
 


L’acqua scorre, e nel farlo può essere lenta e paziente, erodendo, con la calma data dalla certezza del successo, anche la pietra più dura e compatta e cullando gentilmente ciò che galleggia sulla sua superficie.

Ma l’acqua può essere anche impetuosa, violenta e feroce, distruggendo ciò che dovrebbe proteggere e non riuscendo neanche a scalfire la roccia.
Lui e Mycroft erano sempre stati così. Il fratello aveva una pazienza che avrebbe fatto impallidire una murena, ed era altrettanto pericoloso, ma lui. . .

Sherlock Holmes era inarrestabile, e rispetto al temperamento del fratello quasi impulsivo. Erano così i due fratelli Holmes, simili alla base, eppure del tutto opposti nelle ramificazioni che avevano preso con tempo le loro anime. Le due facce della stessa superficie di uno specchio d’acqua.

Persino adesso Mycroft probabilmente avrebbe saputo cosa fare. Anzi a dire la verità suo fratello probabilmente non avrebbe neppure combinato il disastro che aveva fatto lui.

Tuttavia in quel momento Sherlock non si sentiva come l’onda anomala che era di solito. Lo tsunami aveva lasciato posto alla pioggia che ora cadeva copiosa, simile all’onda anomala solo nella sua inarrestabilità.

Sollevò appena il viso rigato dalle lacrime, il cuoio capelluto gli doleva da quanto aveva stretto forte le ciocche dei ricci scuri. Se fosse stato un romantico dall’animo votato al dramma probabilmente se li sarebbe strappati i capelli, ma lui era pur sempre Sherlock Holmes persino in quel momento.

Lo sguardo cadde sulla spaccatura nella roccia che fungeva da ingresso via terra, l’ultima cosa che aveva visto di John era stata la sua schiena, proprio in quel punto. Il nodo che gli stringeva la gola si fece insopportabile, tanto da rendergli complicato anche solo deglutire. Abbassò il capo e si vide, riflesso nello specchio d’acqua limpida.
Si costrinse a guardare i suoi tratti, così particolari persino per qualcuno della sua razza. Non aveva mai riflettuto sul suo aspetto fisico, nel suo palazzo mentale non c’era spazio per sciocchezze del genere.

Ma ora, vedendosi con i tratti deformati da quello che provava , i capelli scompigliati e gli occhi arrossati, non poté fare a meno di chiedersi come aveva potuto anche solo pensare che John avrebbe potuto fare un’eccezione per lui.

Probabilmente il dottore non sarebbe stato attratto neppure se fosse stato molto più bello, ma non era solo l’aspetto fisico il problema. Il problema era lui, con il suo pessimo carattere, le sue stranezze, l’ossessione per il pericolo e. . . e tutto quello che faceva di Sherlock Holmes. . .bhè Sherlock Holmes.

Inspirò forte, concentrandosi solamente sull’acqua salata che riempiva i suoi polmoni, si lasciò scivolare finché il liquido in cui viveva non lo sommerse completamente,
azzerando il suo udito e tutti i suoi sensi. Rimase immobile per alcuni minuti focalizzando il proprio pensiero solo sul respirare, se un umano lo avesse visto (almeno dalla vita in su) avrebbe pensato di avere davanti un cadavere, pallore e viso tirato di certo non avrebbero aiutato.

Ma dopotutto era così diverso da un morto? A parte la presenza del dolore, quello era tutto ciò che riusciva a ricordargli di essere vivo e ne avrebbe fatto volentieri a meno.

Riemerse ascoltando il suono delle gocce che si infrangevano sulla superficie dello specchio dopo essere rotolate sulla sua pelle. Ancora una volta lo colpì il pensiero che fosse finita. Quella breve eppure meravigliosa parentesi della sua vita si era conclusa nel modo peggiore possibile. Tuttavia questa volta non fu un impatto violento, accetto la cosa con cupa rassegnazione.

Dopotutto come aveva potuto aspettarsi che andasse diversamente? Come poteva aver creduto che sarebbe stato accettato dagli umani quando neppure la stragrande maggioranza del suo popolo a malapena lo sopportava?

Lasciò vagare lo sguardo lungo le superfici dei tomi di anatomia e chimica, seguì il profilo del computer potatile e indugiò un solo istante nei contorni elaborati della sua sedia a rotelle, resi ancor più nitidi dalla presenza della vecchia lampada a gasolio accesa. Avrebbe dovuto lasciare tutto quanto, e non solo per ciò che era accaduto con John. In realtà lo sapeva da quando Moriarty era salito su quella volante della polizia. Doveva andarsene per la salvaguardia di tutti, specialmente per quella di John.

Elementare Holmes.

Moriarty non aveva iniziato quel macabro giochetto di sua iniziativa, era stato qualcun altro a dargli le informazioni, a dirgli come e quando e a fornirgli i mezzi. E ora che
Jim era fuori dai giochi quanto ci sarebbe voluto all’umano che gli aveva scatenato contro il consulente criminale a procurarsi una nuova pedina, o peggio, ad agire di persona?

Perché una cosa era certa. Qualcuno che credeva che la vita di altri esseri umani, di dei bambini, fosse un prezzo accettabile per raggiungere i propri scopi di certo non si sarebbe lasciato fermare da così poco.

L’unica soluzione era che il premio tanto ambito fosse reso irraggiungibile, al punto da rendere perfettamente inutile qualunque rappresaglia. Si sciolse dalla posizione raggomitolata che aveva mantenuto fino a quel momento, e, come un automa, fletté tutte le membra ben sapendo comunque che tutte le ferite della sua colluttazione contro la scogliera erano ormai guarite.

Nel farlo lo sguardo gli cadde sulla spalla destra, dove una cicatrice bianca a forma di mezzaluna faceva bella mostra di sé da quella notte. La sfiorò delicatamente, ricordando in quel momento tutte le volte che John vi si era chinato sopra per disinfettarla e controllarne lo stato di guarigione.
Dopotutto forse era stato meglio così, infrangere quel rapporto prima della sua partenza.

Forse John si sarebbe sentito sollevato nello scoprire che se n’era andato, almeno in quel modo non si sarebbe sentito costretto ad affrontare una discussione patetica e pietosa per entrambi, anche se in modi diversi.

Nuotò fino all’altra sponda, lì aveva poggiato la sua collana. Un sorriso amaro nacque sulle sue labbra al pensiero che se quella sera avesse dato ascolto a suo fratello, se avesse lasciato perdere, certamente tutto quello che aveva vissuto negli ultimi due mesi non sarebbe avvenuto.

La indossò con un gesto rapido e si mosse fino al bordo della pozza. Non si voltò, non era certo di cosa sarebbe accaduto se si fosse voltato, forse non avrebbe trovato la forza di fare ciò che doveva e non poteva permetterlo.

Facendo leva sulla sola forza delle braccia Sherlock scivolò in basso, la roccia graffiò da pelle delicata dei palmi e degli avambracci ma rimase impotente contro le dure scaglie della coda. Si ritrovò a pensare che la natura se fosse stata magnanima avrebbe rivestito anche il cuore di quei coriacei e impenetrabili ovali lucidi. Non appena si rese conto di quale sciocco pensiero la sua mente gli avesse propinato lo scacciò con l’irritazione che usava sempre da quando era nato se c’era qualcosa che lo metteva a disagio.

Come una conchiglia che si serra di scatto dopo aver percepito un pericolo, l’animo del tritone che in quelle settimane si era aperto, si richiuse nuovamente. Quei sentimenti. . .quelle sciocche crepe sul vetrino di un microscopio perfetto che impedivano di scorgere la verità non gli si addicevano, pensò con la freddezza degna di un Holmes.

Rinchiuse tutto quanto in un’ala del suo palazzo mentale, con un po’ di fortuna non avrebbe dovuto riaprirla mai più. Guardò in basso, a meno di un metro di distanza le acque schiumose dell’oceano reclamavano la loro creatura. Sherlock si allungò a sfiorarne la superficie con la punta delle dita e sentì il sale che bruciava le piccole escoriazioni, seguito subito dal freddo dell’acqua che le rendeva insensibili, come se volesse scusarsi.

“Addio John” pensò il tritone, e si lasciò cadere. Il mare si aprì e si richiuse su di lui, inghiottendolo.
 
***

John Watson aprì gli occhi: fu il peggiore errore della sua vita.
Immediatamente la tenue luce mattutina che filtrava attraverso le tendine inondò le sue pupille trapassandogli il cranio in due stilettate di dolore lancinante. Grugnì infastidito e si rigirò nel letto, tirandosi le coperte sopra la testa. A giudicare dalla posizione del letto si trovava a casa sua e non da Mary, dove si era accampato da un paio di settimane. Situazione singolare, che attribuì insieme all’emicrania all’aver bevuto eccessivamente la sera prima.

Per regola personale evitava sempre di farsi vedere dalla fidanzata di turno sbronzo, da quello che gli avevano raccontato i suoi compagni di università le volte che era accaduto era davvero uno spettacolo pietoso, e di sembrare un alcolizzato agli occhi di Mary non se ne parlava neppure.

Provò a ricostruire gli eventi della sera precedente.

Lui e Sherlock erano andati a bere qualcosa al pub dietro invito di Mike, in quella che si era poi rivelata una festa a sorpresa. Vista la presenza di Mary ne aveva approfittato per stare un po’ da solo con lei, visto che in quel periodo tra il caso di Moriarty e il lavoro era stato davvero troppo occupato. Aveva bevuto solo un paio di birre, ma aveva fatto l’errore di aiutare la sua ragazza a finire un cocktail particolarmente forte, ecco perché si era ritrovato con una sbornia da guinnes dei primati. Aveva mischiato due alcolici diversi, incrementando così gli effetti dell’alcol ingerito esponenzialmente, un errore da principiante. Da lì i poi i ricordi diventavano piuttosto confusi.

Per fortuna era sabato, così non doveva andare al lavoro, aveva tutta la mattina per provare a rimettere insieme i pezzi. Si alzò a sedere schermandosi il volto con il dorso della mano. Ricordò di aver riaccompagnato Sherlock a casa. Sempre che quella grotta potesse essere considerato un domicilio, poi cos’era accaduto? Si stiracchiò e fu sorpreso di scoprire che aveva ancora tutti i vestiti del giorno prima addosso, e che per di più questi erano umidi.

Improvvisamente i ricordi della sera prima lo investirono come un treno in corsa. La caduta nella piscina, lui e Sherlock che giocavano a quello stupido gioco dei biglietti sulla fronte, lui che parlava della sua vita sentimentale, l’altro che gli confidava le sue insicurezze, John che lo rassicurava spingendolo a provarci e poi. . .

Poi Sherlock che lo baciava.

E lui che se ne andava come un perfetto imbecille, ipocrita fino al midollo rispetto a quello che aveva detto solo cinque secondi prima, lasciando solo il suo migliore amico emotivamente instabile. In quel momento John Watson sapeva che c’era una sola cosa da fare.

Prendere una pala, scavare una buca in giardino e sotterarcisi dentro.

Schizzò fuori dal letto, o almeno ci provò, visto che inciampò nei suoi stessi piedi e cadde lungo disteso, picchiando il mento contro il pavimento duro. Doveva senza dubbio essere opera dell’universo che lo puniva per essere stato un tale imbecille.

Si rialzò, il tempo di cambiarsi e di trangugiare una fetta di pane raffermo e si catapultò fuori di casa. Andando a sbattere con violenza contro un innocente postino che un karma probabilmente eccessivamente giustizialista nei suoi confronti aveva piazzato lì proprio in quel momento.

Svariati insulti più tardi, un irritatissimo fattorino gli mise sotto il naso una ricevuta da firmare per un pacco che non aspettava. John la firmò sbrigativo, pensando che avrebbe risolto il problema del pacco consegnato all’indirizzo sbagliato più tardi. O almeno questo fu la sua idea finché non vide il pacchetto in questione.

Questo era incartato in una carta da pacchi con una bizzarra fantasia di tonni pinna gialla*, ma non fu questo ad attirare la sua attenzione. Infatti sopra la carta nera e in bella vista vi era scritta una M svolazzante, brillante come lacca per l’inchiostro indelebile con cui era stata tracciata.

Con una foga dettata dal panico che si faceva strada sotto la sua pelle come un esercito di formiche scartò l’indesiderato regalo rivelando la lucida superficie di uno smartphone. Per qualche secondo John lo osservò confuso, ma poi questo si accese con uno squillo che lo fece rabbrividire.

Lo schermo nero si illuminò e sulla sua superficie comparve il volto di Moriarty, il dottore o fisso confuso, infatti il criminale indossava una cerata gialla, un cappello da pescatore e aveva con se una canna da pesca. Sullo sfondo una serie di nuvole e di onde pop-up in cartone volevano simboleggiare che il consulente criminale fosse su una barca, come in un cartone per bambini.

Un cartone che John non aveva nessuna voglia di guardare.

Il viso di Moriarty si animò rivelando che quello non era altro che un video, probabilmente già registrato. “Ma guarda chi c’è: il buon dottore! Allora Johnny boy ti sono mancato? Sospetto di no ma non ti preoccupare, non ho intenzione di darti mai più fastidio. Ho capito i miei errori e ho intenzione di dedicarmi ad un nuovo hobby molto più salutare e innocuo di quello di consulente criminale” disse con la sua solita aria eccessivamente teatrale.

A quel punto sollevò la canna da pesca che teneva in mano e la fece oscillare debolmente “E ho intenzione di iniziare subito! Dopotutto oggi sembra un ottimo giorno per andare a pesca non trovi? Chissà se anche il nostro Sherly la pensa allo stesso modo?” finse di assumere un aria dubbiosa poi alzò l’indice verso l’alto e spalancò la bocca, come se avesse avuto un’improvvisa illuminazione “Sai che ti dico? Credo proprio che andrò a chiederglielo di persona! Ciao ciao!” e il video si interruppe.

Con un gesto di rabbia John lanciò via il telefono e corse alla macchina. Nonostante guidasse come un pazzo ad un tratto si trovò bloccato davanti ad un semaforo, mentre imprecava a mezza voce contro tutti i guidatori della terra, ruotò la testa e il suo sguardo fu attirato da un edicola di strada.
In prima pagina su ogni quotidiano locale campeggiava la faccia di Moriarty sorridente nella fototessera carceraria, e i titoli stampati in grande rivelavano che era fuggito dalla custodia cautelare solo poche ore prima.

In quel momento il panico totale si impossessò di John, che con una manovra azzardata, che rischiò di far passare a miglior vita una vecchietta determinata a campare altri cent’anni a giudicare da come gli inveì contro, salì con la macchina sul marciapiede e superò la colonna. Continuò a guidare in quel modo in una tempesta di clacson e insulti, probabilmente gli avrebbero stracciato la patente in mille pezzi ma ora non importava. L’unica cosa che contava era arrivare da Sherlock il prima possibile, e provocare una serie di fratture multiple scomposte al collo di Moriarty.

Appena fuori dal centro urbano accelerò al massimo fino a che non ebbe raggiunto la destinazione, si lanciò fuori dalla macchina ed entrò come una furia nella caverna.
“Sherlock!” urlò terrorizzato, ma Sherlock non c’era, se n’era andato ore prima ma questo John non poteva saperlo, così uscì di corsa, si rimise in macchina e guidò a folle velocità fino al porto.

Appena sceso dall’auto corse fino al casotto di Mike Stamford, fortunatamente per lui quella settimana gli toccava il turno della sorveglianza sulle barche che arrivavano e quelle che partivano. Ci vollero circa cinque minuti a scoprire che l’unica nave che la sera precedente era salpata era un grosso peschereccio privato, specializzato nella cattura di grossa fauna acquatica.

“Strano” commentò Mike “Quella è l’ora peggiore per uscire per andare a pesca”. Era ovvio che quella doveva essere la nave di Moriarty, soprattutto perché era partita circa mezz’ora dopo che lui se n’era andato. “Ma non ha senso” pensò velocemente John “Loro sapevano dove ci trovavamo. Perché aspettare così tanto per cercare di catturare Sherlock, avrebbero potuto farlo tutte le volte che mi sono allontanato per il lavoro”. Tuttavia si limitò a fare al marinaio una domanda “Mike puoi dirmi dove sono in questo momento?” il lupo di mare sorrise “Nulla di più facile” e dopo qualche clic sulla schermata principale apparve un’immagine in tempo reale del peschereccio  che navigava decisamente al largo della costa.

“Tutti gli spostamenti delle navi da pesca sono monitorati da dei satelliti. Sai da queste parti durante la migrazione annuale del salmone ci sono sempre un sacco di bracconieri che vogliono fare i furbi e tirare su un bel po’ di pesce. In quel momento le femmine sono tutte gravide e verrebbero pescate tutte se glielo lasciassimo fare, così l’anno successivo non ci sarebbero salmoni. Finché le navi restano in acque nazionali devono essere controllare via satellite. Quando però sono in acque franche possono fare tutto quello che vogliono e la nautica non può intervenire” disse con un sorriso Stamford.*

John si sentì girare la testa, ma certo! Come aveva fatto a non capirlo prima? Non potevano prendere Sherlock dalla terra ferma, per il tritone sarebbe stato fin troppo facile scappare in mare aperto se qualcuno si fosse introdotto nella grotta, e non potevano provare a prenderlo mentre si trovava in mare altrimenti avrebbero corso il rischio di essere scoperti dal governo.

Quindi Sherlock se n’era andato di sua spontanea volontà? “Effettivamente dopo il disastro che ho combinato non è difficile crederlo” pensò il biondo dottore amaramente. Però restava un problema: Come aveva fatto Moriarty a scoprire il momento esatto in cui il tritone se n’era andato. Telecamere nella grotta? No era ridicolo, Sherlock se ne sarebbe accorto, e in ogni caso questo non risolveva il problema principale, ovvero come il criminale lo avrebbe catturato una volta uscito dalla grotta. L’oceano era enorme non poteva procedere a caso.

Un orribile sospetto si fece strada nella sua mente “Mike, ho bisogno di un’informazione che potrà sembrarti strana ma fidati è importante. Hai presente i microchip che si mettono agli animali? Che tu sappia funzionano anche sott’acqua nel corpo degli animali marini?”

Il marinaio aggrottò la fronte “Bhè in realtà credo proprio di sì, li usano i ricercatori per tenere sotto controllo i branchi delle balene durante le migrazioni e cose così. Perché me lo chiedi?”

Ma John non stava neanche ascoltando, finalmente tutto aveva un senso, anche lo stiletto con cui Moriarty aveva pugnalato Sherlock. Il medico aveva notato che sulla punta vi era una leggera rientranza rettangolare ma non vi aveva fatto caso pensando si trattasse di un difetto o di una peculiarità dell’arma. Evidentemente il bastardo aveva approfittato dell’occasione per inserire il chip a Sherlock.

Ora capiva tutto quanto. Non avevano sconfitto James Moriarty, il consulente criminale si era lasciato sconfiggere solo al fine di mettere in atto il suo dannatissimo piano.

John scattò in piedi, il cervello in fermento, cercando disperatamente una soluzione. Il peschereccio di Moriarty era ancora in acque territoriali, quindi non avevano ancora preso Sherlock. Doveva raggiungerli, ma come? La sua unica imbarcazione era andata distrutta sugli scogli la sera della tempesta, e aveva seri dubbi che comunque avrebbe potuto inseguire un peschereccio supertecnologico su una vecchia barca a remi. Ma forse con una imbarcazione più veloce. . .

Si volse e si diresse a grandi passi verso Mike Stamford e afferrò con veemenza il bracciolo della sua poltrona girevole “Mike, ho bisogno di un grandissimo favore. . .”
 
***

Charles Magnussen osservò l’oceano che si stendeva immenso e selvaggio davanti a lui. Dopo tutti quegli anni passati a cercare di penetrare nei suoi recessi più oscuri, negli abissi che custodivano gelosamente un segreto che avrebbe cambiato per sempre il concetto di evoluzione umana, anzi l’intera umanità finalmente era vicino al raggiungimento del suo obbiettivo. Presto tutte le battutine sussurrate a mezza voce dai suoi colleghi, ogni insulto, ogni parola a sproposito si sarebbero trasformate in lame che avrebbero trafitto proprio coloro che le avevano incoscientemente pronunciate.  Dietro la sua figura, in piedi davanti alle immense vetrate della plancia era ancora visibile la costa, ma tra un’ora al massimo sarebbe scomparsa definitivamente, e con essa l’ultima barriera legale delle acque legali che si frapponeva tra lui e la sua preda.

“Oggi si fa la storia” mormorò più a se stesso che all’uomo che, poco dietro di lui, mollemente appoggiato alla console dei comandi concentrava la sua attenzione non sull’orizzonte ma su una mela che stava tagliuzzando svogliatamente, dopo averle dato solo un morso.

Moriarty alzò il volto, sorprendentemente inespressivo “A me basta avere i miei soldi” disse svogliatamente riportando la sua attenzione sul frutto rosso che teneva in mano. Magnussen lo guardò con aria di sufficienza e un lieve sorriso dispregiativo sul volto “È curioso sapete? Voi e io siamo incredibilmente simili, superiori a quella massa indistinta e idiota del volgo. Avevate le carte in regola per essere come me, perché avete scelto questa vita? Perché fate tutto questo? Per i soldi? Quelli come noi dovrebbero essere coloro che decidono il percorso di quel fiume che è la storia, non i pesci che vi nuotano dentro. Lo trovo un grosso spreco della vostra intelligenza” disse lentamente Charles.

Moriarty sorrise “Vedete, è proprio qui che vi sbagliate” disse poggiando la mela sulla console con un sorrisetto. “I nostri attuali ruoli sono tali proprio perché io e lei non siamo ugualmente intelligenti, o io in questo momento mi troverei al suo posto e lei al mio” disse prima di scendere verso il ponte scoperto della nave.

Charles rimase in silenzio, troppo concentrato su quello che di lì a qualche ora sarebbe accaduto per cogliere i significati sottointesi della frase del consulente criminale.

Non fece caso neppure alla mela che in seguito ad un leggero rollare della nave era caduta a terra e rotolata in un angolo. Fu così che non notò quello che Moriarty vi aveva inciso sopra, “I (morso) U”*
 
 
 

*Questa è una questione di sicurezza nazionale (scusa Mycroft) se ancora non conoscete il tunalock vi prego andatelo a cercare su internet.

*Sto assolutamente inventando di sana pianta ogni singola lettera di questo discorso per dare un senso alla trama. Non so se le legislazioni in materia siano come quelle che ho appena descritto. A mia discolpa posso solo dire che da quel che so qui sul lago di Como non si può pescare in alcune zone durante la stagione riproduttiva, quindi ho pensato che anche nel resto del mondo non fosse proprio legale.

*Ovvio riferimento alla mela di Moriarty del terzo episodio della seconda stagione (l’unico maledetto problema è che è praticamente impossibile riportare quello che Jim ci scrive sopra ne tantomeno tradurlo (credo che suonerebbe più o meno come “Io ti mangero?!?))

Saaalve, buongiorno e benvenuto queste sono le ultime volontà della sottoscritta che non aggiornava così rapidamente da mesi, letteralmente. Ci appropinquiamo con passo da faine mannare alla conclusione mentre io sto per morire tra palestra, faccende di casa, dieta un giorno si e tre no e ripetizioni di latino.

Che succederà ai nostri amati (e a volte un po’ teste di legno) beniamini? Lo scoprire tra. . .eee. . .tra. . . tra un ragionevole lasso di tempo. . .credo. . .

Adesso per par condicio, visto che ho aggiornato in quattro giorni, probabilmente non aggiornerò per un mese (scherzo) (ma anche no)

Ciaaaaaooooo.
 
P.s Lo so, lo so non centra assolutamente niente ma non potevo non allegarla: è semplicemente qualcosa di unico XD

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 : Io ti salverò ***


Capitolo 16 : Io ti salverò

 

Informazione di servizio prima di cominciare la storia vera e propria: Mi sono accorta che purtroppo al momento della pubblicazione aveva nominato il capitolo 2 e 3 allo stesso modo (ora ho corretto cambiando al 2 il titolo), probabilmente creando confusioni a coloro che stavano leggendo la storia. Visto che però sono un’imbecille ho fatto lo stesso casino con il capitolo 14 e il 15, anche se in questo caso ci ho messo molto meno ad accorgermene e a correggere, quindi non dovrebbero esserci problemi. Chiedo infinitamente perdono per questa svista, se vi risultano degli sbalzi temporali strani in prossimità di questi punti è perché forse non avete letto il capitolo 3 o il 15. Grazie per aver letto, e buona continuazione .



Non era stato facile convincere Mike a prestargli uno dei motoscafi della guardia costiera di riserva. Quelli chiusi nel magazzino che non erano mai stati utilizzati, vecchi di dieci anni ma ancora a tutti gli effetti proprietà dello stato. Per qualche sgradevole momento John aveva pensato che si sarebbe trovato costretto a minacciare l’amico con la pistola nascosa nella tasca interna del giaccone a vento, o peggio a stordirlo con il calcio di questa, in stile film d’azione americano. Tuttavia alla fine il marinaio aveva inteso l’urgenza dettata dal pericolo che si nascondeva dietro il tono del medico, e in nome della loro decennale amicizia gli aveva consegnato a malincuore le chiavi della barca. “Non un graffio” aveva sillabato prima di correre ad aprire la saracinesca del deposito portuale dove erano chiuse.

A John ci era voluto qualche lungo minuto per capire come funzionava il natante, non aveva mai navigato su nulla di così complicato in tutta la sua vita, ma alla fine il vecchio motore era partito con qualche scoppiettio sospetto e per nulla rassicurante (il biondo a quel suono pregò che non si spegnesse prima di averlo portato a destinazione). Quando stava per far partire la barca, un suono di acqua smossa lungo il fianco destro del motoscafo lo fece voltare di scatto.

Con la sua solita andatura un po’ dondolante Mike si issò su per la scaletta laterale “Ci ho pensato, immagino che sia meglio se vengo con te, non mi pare che tu abbia mai conseguito la patente nautica per mezzi a motore, no?” borbottò mettendosi al timone. Dopo un’iniziale sorpresa, il medico annuì, se il suo amico fosse venuto con lui sarebbe stato tutto molto più semplice.

Ma cosa doveva essere semplice? Fino a quel momento non aveva pensato ad un piano. Tutto quello che aveva occupato la sua mente per tutto il tempo da quando aveva visto il messaggio di Moriarty era stato un unico pensiero fisso: Doveva salvare Sherlock.

Il problema del come salvarlo però persisteva. Era il tritone quello che faceva i piani di solito, lui si limitava ad aiutarlo e ad ammirarlo per la sua mente brillante. Ma era veramente solo questo quello che in realtà faceva? Lui stesso si era accorto in almeno un paio di occasioni del modo in cui suoi complimenti facessero risplendere lo sguardo del moro come ghiaccio al sole.

E sarebbe stato da ipocriti non ammettere che quel luccichio appena accennato e subito nascosto in tutta fretta dal detective, non gli scaldava il cuore ogni volta che lo vedeva. Perché era questa la verità, ogni volta che vedeva la dura corazza di Sherlock cedere un poco lasciandogli intravedere cosa vi era nascosto dietro provava una tenerezza immensa. La verità era che aveva bisogno del suo amico tanto quanto l’altro aveva bisogno di lui in quel momento. John necessitava di Sherlock per vivere, e non sopravvivere e basta come aveva fatto sino a quel momento. Dal canto suo la mente meravigliosa, ma caotica e ,a tratti, buia e cupa, del tritone richiedeva la sua presenza per mantenere un precario ordine.

Perché, come Sherlock stesso aveva detto tempo prima, lui era il suo conduttore di luce: ciò che a volte faceva scoccare la scintilla, accendendo un frenetico via vai di neuroni che lo portavano immancabilmente alla soluzione del problema.

John si riscosse da quei pensieri, non era il momento adatto per formularli; se proprio ci teneva ne avrebbe parlato con una psicologa non appena quella storia si fosse conclusa. Ora doveva trovare un modo per avvertire il suo migliore amico del pericolo che correva oppure, opzione che lo spaventava a morte, pensare a come avrebbe fatto a tirarlo fuori dalle grinfie di Moriarty.

“Perché pensi che Sherlock si trovi su quella nave?” chiese Mike quasi urlando per sovrastare il rumore del motore e lo sciabordio assordante delle onde intorno a loro.

John si volse a guardarlo, rendendosi conto solo in quel momento che aveva il busto leggermente proteso in avanti, oltre il corrimano della prua, i muscoli delle braccia e soprattutto delle dita doloranti per essere stati troppo a lungo contratti. Abbandonò quella che sembrava a tutti gli effetti la posa di un cane da caccia e cercò di rilassarsi, anche se con scarsi risultati.

“Ecco, bhe è difficile da spiegare. . .hai letto i giornali di questa mattina?” chiese John spostandosi accanto all’amico. Mike aggrottò le sopracciglia confuso “No perché?” domandò perplesso. Il dottore non rispose ed armeggiò per qualche secondo con il cellulare prima di passarlo al pescatore “Forse faresti meglio a dare un’occhiata alle ultime news” disse.

Un lampo di comprensione, subito seguito da rabbia e preoccupazione, comparve sul viso grassoccio del timoniere “Ma come diavolo ha fatto?” sbottò. “Non lo so, e sai una cosa? Non mi interessa. So solo che stamattina, subito dopo aver letto il giornale mi sono precipitato da Sherlock e lui non c’era, non rispondeva al cellulare, niente di niente. Ieri sera abbiamo alzato entrambi il gomito ma sono assolutamente certo di averlo riaccompagnato a casa. È praticamente impossibile che se ne sia andato in giro da solo, quindi ho temuto il peggio.” spiegò velocemente il dottore senza guardare l’amico in faccia.

Non gli piaceva essere costretto a mentire a Mike, che lo stava aiutando nonostante tutti i rischi che correva andandosene in giro con lui su un motoscafo che avevano tecnicamente rubato. Per non parlare del fatto che stavano inseguendo un criminale senza scrupoli con almeno due omicidi sulla coscienza (anche se John sospettava che in realtà fossero molti di più). Però non aveva scelta, cosa poteva dirgli?! “Stiamo andando a salvare il mio migliore amico che, per inciso, in realtà è una sirenetta, da un tizio che vuole catturarlo a tutti i costi perché a quanto pare la boccia con i pesci rossi da tenere sul comodino del salotto è troppo mainstream” ? Con tutta probabilità se lo avesse fatto Mike avrebbe tranquillamente invertito la rotta, attraccato e lo avrebbe accompagnato al manicomio più vicino.

Anche se forse effettivamente non era una cattiva idea. Stavano andando contro una baleniera superattrezzata, e non era neppure certo che Moriarty fosse su quella nave, anche se i tempi combaciavano in maniera troppo perfetta per non essere perlomeno sospetti. E anche se il criminale fosse stato a bordo del sofisticato peschereccio non aveva ancora idea di come fermarlo.

Come se Mike fosse riuscito a leggergli nel pensiero gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla “In ogni caso, ammesso che Sherlock si trovi su quella dannata nave, come facciamo a tirarlo fuori da lì? Se non l’hai notato siamo in minoranza, e quelli sono attrezzati per la caccia alla balena. Ci farebbero affondare in cinque minuti, se se la prendono comoda” disse. Anche se non lo vedeva in faccia il medico non ebbe alcuna difficoltà a decifrare l’apprensione nella voce dell’amico.

Chiuse gli occhi e provò a sgombrare la mente concentrandosi; se voleva aiutare Sherlock doveva farsi venire un’idea, e in fretta. Si volse e iniziò a passeggiare su e giù lungo il ponte “pensa pensa pensa!” ringhiò sottovoce. Frustrato per la vasta e completa vacuità del suo cervello tirò un calcio alla cerata che copriva l’attrezzatura del motoscafo. Stava per riprendere a camminare avanti e indietro quando lo sguardo gli cadde sul lembo di stoffa impermeabile che si era sollevato dopo il suo colpo rabbioso. Sotto l’incerata gialla era possibile intravedere la punta inconfondibile di un paio di pinne da sommozzatore.

John si inginocchiò rapidamente, sollevando il resto della stoffa protettiva con uno scatto del braccio. Oltre alla corda, il kit del pronto soccorso e le provviste, era ben visibile oltre alla plastica protettiva una tuta da sub nera, completa di bombole per l’ossigeno. 
Il dottore sorrise prendendo tra le mani uno dei pesanti cilindri di metallo e controllando lo stato dell’aria al suo interno “Ho un’idea, ma credo che non ti piacerà” urlò.


***


Sherlock mosse pigramente la coda in un movimento oscillatorio di propulsione che normalmente avrebbe trovato terribilmente noioso, ma di cui in quel momento non gli importava particolarmente. Effettivamente sembrava che nulla fosse in grado di suscitare la sua curiosità o, perlomeno il suo astio. 

Da quando se n’era andato l’oceano non doveva aver sentito particolarmente la sua mancanza. Non era cambiato assolutamente nulla, le correnti marine scorrevano immutate, i pesci più piccoli fuggivano al suo passaggio, e la sabbia sul fondale continuava a formare quelle piccole e infinite dunette tipiche del mare aperto.

Normalmente Sherlock si sarebbe messo ad inveire contro madre natura per quella che considerava un’assoluta mancanza di fantasia, ma il suo cervello normalmente iperattivo al momento stagnava in un putrido torpore.

L’unica idea consapevole che fluttuava avanti e indietro trasportata dai sui neuroni atrofizzati era che non avrebbe mai più rivisto John.

Mai più.

E non solo perché al suo ritorno probabilmente Mycroft lo avrebbe rinchiuso da qualche parte e buttato via la chiave. Incredibilmente le possibili reazioni dei suoi simili non solo non lo preoccupavano, quello non lo avrebbero fatto neppure normalmente, ma non gli causavano il fastidio che avrebbero dovuto.

Non si sentiva triste, era diverso da quando era morto Barbarossa. Allora si era sentito inondare da un dolore che annullava tutto il resto, adesso invece si sentiva vuoto. Come se qualcuno lo avesse strappato a metà. Provò un amaro divertimento nel notare come espressioni del genere, che lui aveva sempre considerato esagerate e ridicole, fossero invece perfettamente calzanti.

La cosa peggiore era che certamente Mycroft si sarebbe accorto che c'era qualcosa che non andava, ed era altrettanto sicuro che alla fine avrebbe scoperto cosa turbava l'animo del suo fratellino. A quel punto avrebbe recuperato la chiave della sua cella, buttata in precedenza, e l'avrebbe fatta lanciare in un vulcano sottomarino, tanto per essere certo che andasse completamente distrutta.

Gli venne quasi da sorridere a quel pensiero, con tutta probabilità il consiglio avrebbe voluto sapere che cosa aveva fatto di bello negli ultimi due mesi. Pensò alle loro reazioni se avesse detto loro la verità. A quel punto neppure tutta la considerevole influenza di Mycroft sarebbe valsa a salvargli il collo. Con tutta probabilità sarebbe stato condannato alla pena capitale (morte tramite decapitazione) o nel migliore dei casi sarebbe stato bandito per sempre dalla colonia, condannato comunque a morire di fame o sbranato da qualche predatore marino.

Entrambe le opzioni (soprattutto la seconda) gli parvero piuttosto allettanti.

Non era per il fatto di aver perso John, non solo per quello almeno. Aveva avuto qualcosa che la sua gente e lui stesso fino a poco tempo prima avrebbero potuto solamente sognare. Aveva avuto il mondo, aveva sentito la consistenza dell'erba sotto le dita palmate, assaggiato cibi di cui non immaginava neppure l'esistenza, scoperto sui libri di John una cultura ricca come e più della loro. Aveva investigato su casi contorti e macabri, provato l'adrenalina della caccia e risolto enigmi che persino una società così scientificamente progredita come quella degli umani avrebbe giudicato inspiegabili.

Ed ora era tutto finito.

Aveva dovuto rinunciare a tutto questo e ora quello che lo aspettava era una serie di giorni infiniti, tutti identici l'uno all'altro. Se già considerava la sua vita insopportabilmente noiosa prima  come avrebbe potuto andare avanti facendo finta di nulla sapendo cosa c'era là fuori? Sfogò la sua frustrazione nuotando più velocemente, ormai aveva messo tra lui e la costa già un discreto numero di miglia, era certo che non mancasse molto alla colonia.

Dopo circa mezz'ora infatti una sagoma familiare fu visibile attraverso l'acqua limpida dell'oceano. Una figura dotata di una lunga e flessuosa coda dai riflessi verdeazzurri. Riconobbe una delle guardie che controllavano il perimetro della colonia per ordine del compagno di suo fratello (Gavin? Gerald?). Al vedere uno della sua specie ogni cellula del suo corpo urlò per la noia, esortandolo a fare marcia indietro, tornare nella caverna e restarci fino alla morte, sarebbe stato molto più divertente.

Stava seriamente valutando l'ipotesi quando un irrigidimento da parte della sirena di guardia lo avvisò che ormai era troppo tardi e che era stato notato. Dopo essere rimasta per qualche secondo impietrita a fissarlo fece dietrofront e si mise a nuotare velocemente verso la colonia, certamente per andare ad avvisare il suo superiore.

Sherlock ringhiò di rabbia quando pensò al fatto che avrebbe dovuto sopportare le battutine di quell'invertebrato di Anderson, ma continuò a nuotare. Ormai era troppo tardi per tornare indietro; se lo avesse fatto probabilmente quel ciccione di suo fratello avrebbe rivoltato l'intero fondale marino per ritrovarlo.

Dopo una decina di minuti vide in lontananza un gruppo di sagome che si stava avvicinando rapidamente. In testa la sentinella che lo aveva visto poco prima, subito seguita da Lestrade e da suo fratello, poco dietro venivano Donovan e Anderson, che, a giudicare dalle loro espressioni, stavano vagliando varie ipotesi sul suo improvviso ritorno. La meno stupida probabilmente era che uno squalo avesse cercato di divorarlo e lo avesse risputato subito dopo aver sentito il suo sapore.

Proprio mentre iniziava a prepararsi mentalmente alla indesiderata riconciliazione un dolore lancinante gli attraversò la colonna vertebrale, paralizzandolo. Poco dopo senti la scarica interrompersi di colpo, ma ancora i suoi muscoli si rifiutavano di muoversi, rendendo l'azione stessa del respirare una vera impresa.

"Sherlock!" la voce di Mycroft arrivò ai suoi timpani doloranti leggermente ovattata, ma fu comunque possibile percepire il suo tono terrorizzato. 

Provò a muovere la coda senza grandi risultati, stava affondando lentamente ma con costanza. Cercò di flettere le dita con un certo successo e alzò faticosamente la testa. Fu così che riuscì a vedere nonostante la lontananza l'espressione di orrore di suo fratello "Sherlock spostati!"

Poi il mondo divenne nero.

Subito dopo il tritone venne strattonato verso l'alto da una forza inarrestabile. Sherlock si accorse con orrore che ovunque intorno a lui vi era una barriera di stoffa spessa e ruvida.

Era finito in una rete!

Sentendo la sua paralisi svanire, spazzata via dall'adrenalina che gli aveva invaso il sistema circolatorio, provò a dibattersi, ma era tutto inutile, le maglie della sua prigione erano in metallo. Urlò di dolore quando sentì quasi i timpani esplodere: stava risalendo troppo velocemente e lo sbalzo di pressione reclamava il suo prezzo.

Subito dopo avvertì l'aria gelida sulla pelle e una sensazione di soffocamento gli strinse il petto in una morsa d'acciaio. Si dibatté istintivamente, espandendo e contraendo meccanicamente la cassa toracica, l'ossigeno allo stato gassoso che gli bruciava i polmoni, mentre le sue branchie fluttuavano freneticamente alla disperata ricerca di acqua.

Mentre avvertiva la sua coscienza scivolare via il suo corpo impattò contro la superficie dura dell'acqua. Afferrò la rete e stavolta riuscì a liberarsi da questa strattonandosela lontano. chiunque aveva cercato di catturarlo doveva aver miseramente fallito, pensò liberando la parte superiore del corpo, mentre i suoi polmoni doloranti riprendevano estasiati la loro funzione.

Si guardò attorno aspettandosi di vedere Mycroft correre in suo aiuto, ma tutto quello che vide fu il blu.

Non il blu infinito dell'oceano, un blu piatto, artificiale.

Si volse, ovunque intorno a lui vi era soltanto l'azzurro scuro della vernice con cui erano state dipinte le pareti della vasca rettangolare dove si trovava.

La rete dietro di lui risalì rapidamente, scomparendo oltre la superficie, mentre una nuova barriera, questa volta formata da sbarre di acciaio lucente, gli precludeva ogni possibilità di fuga.

Sentì un'ondata di panico impossessarsi di lui. Nuotò fino alla parete più vicina e cominciò a tempestarla di pugni, inutilmente. Si mosse verso l'alto e afferrò le grate della sua prigione strattonandole furiosamente. La parte più razionale di lui sapeva che era tutto completamente inutile, ma la parte più primitiva stava praticamente impazzendo dal terrore.

Urlò di rabbia rendendosi conto che era tutto inutile.

Poi si fermò. Rimase perfettamente immobile, le braccia pallide abbandonate lungo i fianchi magri, le branchie che fluttuavano affannosamente, in posizione verticale rispetto al pavimento della vasca.

Con un movimento lento e calcolato portò una delle mani palmate alla collana che ondeggiava intorno al collo niveo. Senza abbassare la testa per osservare quello che faceva tastò la corda costellata di ciondoli fino a trovare quello che cercava.

Un dente di squalo bianco, lungo circa 6 centimetri*, reso ancora più affilato dal fatto che fosse scheggiato lungo un lato, il motivo per cui lo aveva scelto per la sua collezione.

Senza indugio lo afferrò con forza e se lo premette contro la gola. Chiuse gli occhi. Detestava di cuore ogni singolo membro della sua specie, con forse una o due eccezioni, ma non avrebbe permesso che morissero o venissero catturati per colpa sua. E poi il suo orgoglio non gli avrebbe mai permesso di darla vinta al bastardo che lo aveva catturato, quindi era meglio farla finita subito.

Deglutì, allontanò leggermente la mano armata dalla gola per avere più forza nel momento del taglio. Stava per lasciar partire il colpo quando qualcosa lo interruppe.

Una voce.

Sgradevolmente nota.

"Ma come siamo teatrali Sherly!"

Sherlock aprì gli occhi di scatto e si volse verso la fonte del rumore, nella foga di prima non aveva notato che in alto, nell'angolo formato dalla congiunzione di due pareti, vi era un piccolo altoparlante nero.

Alle sue spalle udì un ronzio elettrico. Una delle pareti stava scivolando di lato, lasciando posto a una enorme lastra di vetro simile a quelle usate negli acquari.

Dietro di essa, nel suo migliore completo, Moriarty si dondolava lentamente su una sedia da ufficio, le mani appoggiate a una consolle coperta di tasti e luci che brillavano ad intermittenza. Sullo sfondo, una serie di monitor elencavano dei parametri vitali ed erano monitorati da un gruppo di uomini che ora lo fissavano come se avessero davanti un animale estremamente raro.

Cosa che effettivamente non era lontana dal vero.

A Sherlock sfuggì un sorrisetto amaro mentre si portava una mano al collo, premendo nel punto dove pochi giorni prima il suo avversario la aveva pugnalato. Ora capiva come mai la scossa elettrica fosse stata così dolorosa in quel punto.

"Ma certo, capisco. E poi sarei io quello teatrale" disse avvicinandosi leggermente alla superficie vitrea. Con un sorriso maniacale James premette il pulsante che accendeva l'interfono "Dì la verità Sherlock: Ti sono mancato?" chiese sornione.

Il tritone aprì la bocca per rispondere con uno dei suoi soliti commenti sprezzanti ma fu bruscamente interrotto.

"Splendido" esclamò una voce che non aveva mai sentito prima.

Dalle ombre uscì un uomo alto, leggermente stempiato e che indossava un abito elegante. Sherlock inarcò un sopracciglio "E lei è il cliente di Moriarty presumo" disse senza dare al suo tono di voce una particolare inflessione.

Per tutta risposta Magnussen si limitò ad osservare senza alcun pudore il suo corpo, provocando al moro un'ondata di ribrezzo. Quell'uomo era un collezionista, e lui ai suoi occhi non era nulla di più che un semplice articolo raro, che meritava di essere esposto nella teca più bella nella sua personale sala dei trofei.

"Sorprendente conoscenza del linguaggio umano, buone capacità intellettive e ottimo controllo motorio a giudicare dalla velocità con cui si è ripreso dalla scarica." poi
voltandosi verso Moriarty aggiunse "Mi congratulo con lei, è all'altezza della sua fama. Mi ha portato in perfette condizioni un ottimo esemplare" commentò come se si stesse accingendo a comprare un capo di bestiame.

"In perfette condizioni? Non per molto se posso fare qualcosa al riguardo" commentò con fare sprezzante Sherlock, afferrando nuovamente il dente. Ma proprio mentre stava per porre fine alla sua vita fu interrotto nuovamente da un suono metallico che invase i suoi timpani.

"Sono della guardia nazionale costiera, vi ordino di fermarvi immediatamente state. . . . ha-hem state infrangendo il protocollo 45-k bis del codice nautico!"

Sherlock sbattè velocemente le palpebre quando riconobbe quella voce, nonostante fosse stata storpiata dal megafono attraverso cui era amplificata, che aveva sentito già in diverse occasioni prima di allora.

Mike Stamford?!?

"Dannazione, la guardia costiera? Ma non ha senso! Che cosa ci fanno qui?" sbottò Magnussen all'indirizzo di Moriarty, che tuttavia non lo degnò neppure di uno sguardo mentre si dirigeva verso la scaletta che portava fino al ponte, seguito da un paio di guardie del corpo.

Sherlock non disse nulla anche se dentro di sè condivideva almeno in parte lo sbigottimento del suo carceriere.
Cosa diavolo stava succedendo?


***


John si issò sulla scaletta d'emergenza sul fianco della baleniera facendo forza sulle braccia. Tra i denti stringeva la pistola, provvisoriamente imbustata in un sacchetto di plastica perchè non si bagnasse divenendo completamente inutile. Dopo essere risalito per un altro paio di scalini scalciò via le pinne della muta da sub. se prima gli erano state immensamente utili per raggiungere la nave senza essere notato ora erano solamente d'intralcio.

Afferrò con forza il metallo ruvido degli scalini, non badando a come le leggere macchie di ruggine gli graffiassero i palmi e le piante dei piedi.

Risalì rapidamente. aveva l'impressione che se si fosse fermato avrebbe capito quanto il suo piano fosse idiota. 

No era più che idiota. Era completamente folle.

Stava salendo da solo su una nave certamente piena zeppa degli scagnozzi di Moriarty armati fino ai denti con addosso solo una muta da sub e con una pistola con solo un paio di caricatori come munizioni.

Doveva essere completamente impazzito.

Slacciò le bombole, lasciandole precipitare in mare con un tonfo, e strappò la plastica intorno alla sua arma con i denti. Doveva fare in fretta, Mike era sempre stato un pessimo attore e presto avrebbe finito gli argomenti con cui trattenere i bastardi che avevano catturato Sherlock.

Ricordava ancora il suo terrore quando aveva visto un paio di marinai puntare una sottospecie di cannone verso l'acqua. Aveva letteralmente smesso di respirare quando aveva visto l'argano iniziare a girare per riportare su la rete agganciata alla corda. Pregare tutte le divinità esistenti non era servito a molto, poco dopo infatti aveva visto la rete chiusa sulla sua preda, che si dibatteva disperatamente al suo interno per la mancanza di ossigeno, venire issata velocemente verso l'alto. In quel momento un'ondata di furia lo aveva pervaso; come osavano fare questo a lui? Al suo Sherlock. Probabilmente avrebbe dovuto trovare preoccupante il fatto che avesse mentalmente calcato l'aggettivo possessivo, ma al momento non gliene fregava niente: voleva soltanto ficcare Jim Moriarty dentro quella fottuta rete, buttarla in mare ancora attaccata alla sua nave del cazzo e fargli circumnavigare l'intero Regno Unito.

Quando aveva visto la rete e il suo prezioso contenuto sparire sul ponte aveva intuito che la baleniera doveva avere una vasca per il contenimento del pescato. O almeno lo sperava.

Senza attendere oltre aveva fatto le ultime raccomandazioni a Mike e si era immerso, benedicendo le due lezioni da sommozzatore che aveva fatto da giovane.

E adesso, dopo aver nuotato verso la nave cercando di finire tritato dalle eliche, avanzava a schiena china verso la grata che si trovava al centro del ponte, come in un film di quart'ordine su James Bond, pregando che l'equipaggio tenuto impegnato da Mike non smettesse di dargli la schiena proprio ora.

Si affacciò con apprensione sulle sbarre larghe due centimetri, temendo cosa avrebbe trovato sotto di esse. Sospirò di sollievo quando vide oltre la tremolante superficie dell'acqua Sherlock che nuotava freneticamente avanti e indietro. In un istante di tenera compassione pensò a come dovesse sentirsi spaventato e in trappola in quella vasca per pesci.

Poco più in basso di Sherlock Holmes poteva dirsi di tutto, tranne che fosse spaventato, si era messo ad insultare tutti i marinai, che peraltro non gli prestavano più alcuna attenzione, nella speranza di capire cosa stava succedendo là fuori.

Probabilmente avrebbe continuato a lungo a insultare uno dei tirapiedi di Moriarty, già molto vicino al prendere la pistola e a sparargli, se non avesse sentito dei colpi vibrare nell'acqua circostante, come se qualcuno stesse colpendo la sua prigione. Alzò lo sguardo e il cuore abbandonò la sua abituale posizione per balzargli in gola.

John, il suo bellissimo, meraviglioso John, perfettamente riconoscibile nonostante le grate e lo specchio increspato dell'acqua, che era venuto a salvarlo, proprio come avrebbe fatto l'eroe di uno dei romanzetti rosa che leggeva la signora Hudson, la vicina di John.

Scattò verso l'alto e afferrò le sbarre con le mani, riuscendo a far emergere almeno il viso "John! Che cosa diavolo ci fai qui?" scontato, banale, lo sapeva benissimo cosa stava facendo, ma aveva il bisogno fisico di udire la sua voce calda e rassicurante.

"Ti salvo la vita, che ne dici se rimandiamo le discussioni a più tardi?" disse mentre armeggiava con il pesante chiavistello della grata. 

"John. . ." "Sherlock dammi solo cinque minuti ok? E' più difficile di quanto pensassi" "John. . ." "Non è il momento Sherlock asp. . ." John non concluse la frase.

Il moro infatti aveva fatto passare un braccio oltre il quadrato formato delle sbarre e aveva afferrato la nuca del dottore, attirandolo a sè. Dopo un istante di esitazione aveva sussurrato ancora "John . . ." e aveva posato le labbra umide su quelle calde e asciutte del suo John Watson.

A quel gesto il medico aveva sgranato gli occhi, rimanendo perfettamente immobile. Non ricevendo alcuna risposta Sherlock si ritirò mortificato. O almeno ci provò perchè John lasciò perdere il chiavistello, il fatto che fosse fidanzato e la sua presunta eterosessualità, per prendergli il viso tra le mani e restituire con impeto il bacio. 

Si separarono qualche secondo più tardi, ora toccava al tritone fissarlo con gli occhi sgranati mentre il biondo sorrise dolcemente. "Te ne devo ancora uno, quindi sbrighiamoci" disse, sbloccando finalmente la grata e facendola scorrere il più silenziosamente possibile sui cardini.

Appena ebbe ricavato uno spiraglio sufficiente si allungò verso Sherlock, che cinse le sue spalle con un braccio, aggrappandosi al bordo della vasca con l'altro.

"Coraggio è quasi fatta" ringhiò John per lo sforzo di sollevare il compagno. Tuttavia un click alle sue spalle lo fece impietrire.

"Hai detto bene Johnny boy. E' quasi fatta" alle sue spalle un gongolante Jim Moriarty gli poggiò pigramente la canna della pistola contro la testa.

"Forza su, mollalo" nella sua voce vi era quasi rassegnazione. 

"Fa come dice John" sussurrò Sherlock, lasciando la presa sulle sue spalle. Il dottore alzò le mani e si volse lentamente, dietro di lui oltre a Jim vi erano schierati tutto l'equipaggio, armi in pugno e le peggiori intenzioni stampate in faccia.

"Sono molto molto moooooolto deluso Johnny. Insomma, mi aspettavo qualche rappresaglia, in fondo è per questo che ti ho inviato quel piccolo video" dietro di lui a quelle parole Magnussen si irrigidì per la rabbia, anche se non proferì parola"Ma davvero, tutto questo. . . E' così noioso" disse facendolo indietreggiare avanzando.

Volse lentamente il capo verso Sherlock "Te lo potevi scegliere un po' meglio il tuo cucciolo Sherly, questo qui, mh. . . mi sa che è difettoso" riprese a camminare e non si fermò finchè John non ebbe alle sue spalle il parapetto della nave.

"Sai Sherlock" riprese quasi sovrappensiero "ho sempre odiato quando i miei giocattoli si rompono, non tanto per il fatto che non li posso più usare, ma perchè sbarazzarsene è una tale fatica!" mugugnò facendo dondolare avanti e indietro l'arma. "Però si da il caso che io ti voglio un gran bene Sherlock, quindi credo che mi occuperò di questa fastidiosa incombenza per te" aggiunse puntando la pistola contro la fronte di John.

"NO!" urlò il moro stringendo convulsamente il bordo della sua prigione.

Moriarty si volse a fissarlo, sembrava indeciso "no?" chiese. Per qualche istante rimase perfettamente immobile, poi abbassò lentamente l'arma.

"Va bene Sherlock, va bene" disse voltandosi completamente "Facciamo come vuoi tu" mosse con calma qualche passo verso la vasca.

Poi senza alcun preavviso portò la pistola oltre la sua spalla e fece fuoco.

"Ops, scusami, sono così maldestro" dietro di lui John urlò e barcollò per qualche istante stringendosi la spalla da cui il sangue usciva copiosamente. Moriarty lo guardò e poggiò il piede contro il petto del medico "Sogni d'oro Johhy boy" e con una spinta lo fece precipitare fuori bordo.

L'ultima cosa che John Watson udì prima dell'impatto contro l'acqua fu Sherlock che gridava il suo nome*



*sembra tanto, ma ho letto che possono arrivare fino a 7.5 centimetri.

*Hehe, e già nel caso qualcuno se lo stesse chiedendo questo pezzo è liberamente ispirato alla scena della caduta di Sherlock, solo con i personaggi scambiati.


Note autrice: heilà, come va? scusate vorrei tanto dilungarmi come faccio di solito ma tra il capitolo oscenamente lungo, l'emicrania da maratona su Netflix, le zanzare peggio stronze degli esattori dell'equitalia e il fatto che sono le undici e mezza di sera sono leggermente provata (ma proprio poco poco).
E si, riguardo al finale se ve lo state chiedendo sono una affiliata del Moffatteismo, seguace del Signore del Dolore in persona e adoratrice dell'angst assolto.
Perciò scrivetemi tutti i peggio insulti nei commenti e auguratemi buonanotzzzzzzz ronf..... zzzzzzz......ronf........

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Capitolo 17
*** Capitolo 17: Nuovi Incontri ***


Capitolo 17: Nuovi Incontri
 


Nota introduttiva (Lo so che le adorate. . .o forse no): in questa parte del racconto Magnussen è un po’ OOC perché, dato che preferisco Moriarty come cattivo, ho abbassato un po’ gli standard di Charles per far risaltare un po’ di più il caro buon vecchio James. Insomma Jim è un pazzo omicida e tutti adorano i pazzi omicidi no?! (no?) Buona lettura J

P.s c’è un lievissimo accenno alla Sheriarty.
 


"JOOOHN!" l'urlo di Sherlock lacerò il silenzio, esattamente come poco prima aveva fatto lo sparo.

Il moro rimase immobile, fissando il punto del parapetto da dove era precipitato il dottore. Il suo palazzo mentale si sgretolò in un milione di pezzi, quasi ad impedirgli di metabolizzare quello che era appena accaduto.

Ma la sua mente, per quanto brillante, non poteva fare niente contro la realtà.

"John. . ." sussurrò nuovamente Sherlock, mentre un velo calava sui suoi occhi. Si afflosciò, ricadendo dentro la vasca, completamente svuotato da ogni sensazione.

Affondò fino a che la schiena non toccò il fondo, arrestando la sua caduta. Attorno a lui il mondo si era fatto stranamente silenzioso, una volta avrebbe apprezzato, ma ora tutto quello che sentiva era un gelo che nasceva da dentro. In un barlume di coscienza si stupì che l'acqua intorno a lui non si congelasse, tento era il freddo che si sentiva provenire dal centro del petto.

Sopra di lui la grata scorrette di nuovo, imprigionandolo nuovamente, ma non gli importava. Nulla era più importante ora che John era morto.

morto.

Morto.

MORTO!

Sherlock urlò, come se ogni cellula del suo corpo fosse stata lacerata in due. Urlò fino a che la voce non divenne soltanto un gemito roco.

Si afferrò la testa, premendo con forza i palmi contro le tempie e stringendo violentemente tra le dita i riccioli scuri, tanto da strapparne alcuni. Se fino a pochi istanti prima si era sentito desolatamente vuoto ora un tornado lo sconvolgeva fino alle fondamenta del suo essere.

Un odio rovente, inconcepibilmente intenso spazzò via il gelo che lo attanagliava, permeando ogni atomo della sua carne. Tutto quello che faceva di lui Sherlock Holmes fu cancellato per lasciare posto a quel sentimento e a tutte le sue derivazioni.

Boccheggiò incapace di fermare quel terremoto, barlumi di coscienza, di ricordi e sensazioni si mescolavano caoticamente prima di precipitare nell'oblio, lasciando spazio ad un'unica certezza.

Lo avrebbe ucciso per quello.

Lui avrebbe ucciso James Moriarty.
 
***
 

“Cos’è successo? Lei mi deve una spiegazione!” Magnussen sembrava sull’orlo di una crisi respiratoria; O almeno questa era l’impressione data dal volto arrossato dalla rabbia e dalla voce a stento trattenuta dal diventare un grido.

Moriarty lo degno appena di un’occhiata “Nulla di cui lei debba preoccuparsi, ho risolto la questione una volta per tutte” disse sedendosi sulla comoda poltrona che di solito occupava l’uomo davanti a lui.

Inutile dire che non apprezzò il gesto. Il giornalista battè con forza il palmo della mano sulla scrivania in mogano “Non è così che conduco le mie azioni. Si rende conto che aver distrutto una nave della guardia costiera attirerà inevitabilmente l’attenzione su di noi? Per non parlare del fatto che ha lasciato in vita l’uomo alla guida del motoscafo, aveva detto di essere un professionista! Se i soccorsi dovessero arrivare in tempo. . .” “I soccorsi non arriveranno in tempo” lo interruppe il criminale
scoccandogli un’occhiata infastidita.

“Lo faranno gli squali” aggiunse con un sorriso appena accennato, perso nella contemplazione di quell’immagine folle. Magnussent fece un gesto sprezzante con la mano “è estremamente raro che gli squali attacchino degli esseri umani vivi e vegeti in mare aperto. Non è come nei film.” sbottò cominciando a camminare avanti e indietro.

Jim reclinò lo schienale della poltrona guardando il soffitto come se fosse diventato improvvisamente molto interessante. “Gli squali sono attratti dall’odore del sangue no?” chiese come se stesse parlando del tempo, mentre intanto pensava al fiotto rosso che era uscito dalla spalla di Johnny-Boy quando gli aveva sparato. Ad un cenno affermativo dell’altro il suo sorriso si allargò “Allora direi che non abbiamo nulla di cui preoccuparci” disse alzandosi in piedi e scendendo nella sala della vasca.

Non vedeva l’ora di contemplare l’effetto che aveva fatto su Sherly il volo di Johnny-Boy giù dalla nave. Sarebbe stato addolorato? Furioso? Magari lo aveva già superato.
In effetti era probabile, quelli come loro non potevano curarsi della morte degli uomini comuni; quelle piccole, stupide api operose che si agitavano indaffarate, convinte di avere in mano la verità del mondo lo lasciavano indifferente. Era sorprendente che il suo bel sirenetto si fosse legato ad uno di loro, forse gli avrebbe tenuto il broncio per un po’, ma sperava che smettesse di fare i capricci al più presto.

D’altra parte però anche osservarlo mentre si disperava potuto essere divertente, era un vero peccato che si sarebbero dovuti separare così presto. Rivolse infastidito un’occhiata all’uomo che scendeva lungo le scalette in metallo dietro di lui, quel Magnussen che gli aveva commissionato il lavoro.

Quando aveva accettato lo aveva fatto esclusivamente per noia, convinto di avere a che fare con un ricco ed eccentrico mitomane. I lavori per cui gli richiedevano la sua consulenza stavano diventando così ripetitivi e banali. Jim aiutami a far sparire questo cadavere, Jim eliminami questo tizio della camera dei Lord, Jim aiutami a piazzare questa bomba, Jim Jim Jim. . .

Gli sembrava di avere a che fare con dei mocciosi, e non con dei potenti clan mafiosi o delle sette segrete cinesi. Gli pareva che da quando si era autoproclamato consulente criminale l’intero mondo della malavita del regno unito si fosse rammollita.
Vedendo uno degli uomini più potenti del regno, colui che aveva una macchina del fango tanto efficace da far tremare persino il primo ministro, venire da lui supplicandolo di aiutarlo a catturare una creatura mitologica aveva sentito i suoi neuroni riprendere la loro attività psicotica e aveva deciso di accettare, convinto che ci sarebbe stato da divertirsi.

Ma non aveva idea di quanto effettivamente quanto lavoro si sarebbe rivelato interessante. Non solo aveva scoperto che le sirene esistevano realmente, ma aveva anche incontrato Sherly, l’unico con cui valesse la pena di giocare.
Gli dispiaceva seriamente finire i giochi così in fretta, ma dopotutto quello era lavoro, e lui doveva portare a termine gli incarichi che gli venivano assegnati giusto?

O forse no.

“Non riesco ancora a crederci” sussurrò il giornalista a se stesso avvicinandosi al vetro dell’acquario. “Dopo tutti questi anni, finalmente ho ottenuto quello che cercavo” sembrava quasi in estasi mentre osservava la creatura che giaceva immobile sul pavimento della vasca.

Magnussen bussò delicatamente contro la parete trasparente,ma non ottenne nessuna risposta. Riprovò, questa volta con più decisione, ma ancora Sherlock non accennava a muoversi. L’uomo si accigliò contrariato e si volse verso i monitor che illustravano le condizioni fisiche del tritone; apparentemente era tutto perfettamente nella norma, battito cardiaco, pressione e respirazione indicavano valori normali, ma l’essere continuava a mantenere uno stato catatonico.

“Cosa succede?” chiese brusco al capo dell’équipe di biologi e naturalisti incaricati di prendersi cura della sua creatura. L’interpellato ebbe un lieve sussulto quando udì il tono duro del suo capo. Si volse e dopo aver aperto e chiuso un paio di volte la bocca riuscì a balbettare solo “e-ecco . . .io . . .noi non . . .” fece saettare velocemente lo sguardo da Moriarty a Magnussent, leccandosi le labbra secche.

“Diglielo” disse James con fare annoiato, appoggiandosi al corrimano della scaletta. Non aveva intenzione di riporre la sua attenzione a osservare una scena che sapeva già come si sarebbe svolta, si limitò a fingere di lisciarsi il completo con un gesto distratto, verificando nel frattempo che la sua semi-automatica fosse ancora nella tasca interna.

Lo scienziato osservò spaventato i due uomini, poi con voce malferma disse “È così da quando mr Moriarty, ha . . .ecco, bhè ha sparato all’intruso sulla nave”.

A quelle parole il giornalista si volse di scatto verso il consulente criminale. “Cosa?” ringhiò, avvicinandosi alla scaletta a chiocciola in metallo. “L’intruso sulla nave? Che sta dicendo James? C’era qualcun altro oltre all’uomo della guardia costiera? E come diavolo è salito sulla mia nave?” chiese furioso. Jim sbuffò “Domande, domande e domande. Prendi un po’ troppo sul serio il tuo lavoro di giornalista Charlie” disse prima di fare un cenno appena percettibile con la testa ai suoi uomini, di cui però
Magnussen non si avvide.

“Come si permette . . .” iniziò a protestare il giornalista, prima di sentire il freddo metallo di una Kel-Tec P-32 che gli premeva contro la fronte.

Senza spostare di un solo centimetro l’arma Moriarty scese con deliberata lentezza lungo la scaletta. “Oh mio caro Charlie, temo proprio che tu mi abbia irritato” disse facendo retrocedere la sua vittima “E tu sai bene a cosa accade a chi mi irrita, non è vero?”

Magnussen alzò lentamente le mani all’altezza delle spalle. Lanciò un paio di occhiate terrorizzate alle porte, ma i suoi uomini presenti nella stanza erano già uccisi silenziosamente dai ben più numerosi guardaspalle di Jim.“Che sta . . .” “Mi pareva di aver già chiarito che non amo particolarmente questo tuo continuo fare domande no? Potrai anche tenere in quella tua bella testolina a punta informazioni compromettenti su ogni uomo di potere della gran Bretagna, ma sei davvero lento” disse accarezzandolo sulla guancia con il metallo freddo della semi-automatica. Restò come un secondo in attesa prima di colpirlo con la canna della Kel-Tec in uno scatto repentino del braccio.

Il giornalista cadde riverso a terra, i piccoli occhiali dalla montatura leggera che volavano a qualche metro di distanza, tenendosi una mano premuta sul volto. Moriarty lo seguì, inginocchiandosi al suo fianco “Secondo te cosa sto facendo? A me questo sembra un ammutinamento coi fiocchi” disse prima di rialzarsi con una mezza giravolta. “Allora Sherlock? Che ne dici sono bravo a giocare al pirata?” chiese alla figura ancora distesa sul fondo della sua prigione.

Per tutta risposta il tritone si limitò ad un lieve spasmo dei muscoli, senza però muoversi. Qualsiasi fosse l’espressione sul suo viso in quel momento era nascosta dai capelli neri che fluttuavano lentamente intorno alla sua testa, formando un’aureola scura in contrasto col candore della pelle.

A quel silenzio il sorriso di Moriarty si irrigidì impercettibilmente, ma il criminale si ricompose immediatamente “Non rispondi? Non ti preoccupare, lo farai. Dopotutto da adesso in poi avremo un sacco di tempo da trascorrere insieme, e allora ti farò urlare stanne pur certo” disse, prima di tornare a voltarsi verso Magnussen. Quest’ultimo lo guardò con un misto di disgusto e terrore sul viso appuntito “Credevo che lei fosse un professionista, per chi altro lavora? Da quanto tempo fa il doppio gioco?” chiese freddamente.

Jim si limitò a sbuffare “Il doppio gioco? Credi di essere in un film di James Bond Charlie? Io faccio quello che faccio solo perché mi va, credi che siano stati i tuoi soldi a farmi accettare questo lavoro? Semplicemente mi stavo annoiando. Sono un libero professionista dopotutto, capita spesso che dopo un po’ i lavori inizino ad assomigliarsi un po’ tutti quanti.” disse prima di andarsi a sedere sul lungo tavolo ovale di acciaio posto al centro della stanza.

“Comunque è stato bello finché è durato Charles” disse soppesando la pistola con aria pensierosa “Non è colpa tua credimi, sono io che non sono il ragazzo adatto a te. Comunque sia ti giuro che questo . . .” mormorò puntando la pistola contro Magnussen che boccheggiò incapace di articolare una sola parola “Farà molto più male a te che a me” concluse poco prima di premere il grilletto.

Un’esplosione risuonò nella stanza, accolta dalle grida terrorizzate da parte dell’èquipe di scienziati e dalla indifferenza professionale degli uomini di Moriarty. Il giornalista rimase per qualche istante in bilico sulle ginocchia, accusando a malapena il colpo. Poi un grande fiore rosso sbocciò sul suo petto e l’uomo cadde a terra, e, dopo un paio di spasmi, giacque immobile. Il consulente criminale finse di asciugarsi una lacrima “Sono sempre i migliori che se ne vanno, che peccato” disse riponendo la semi-automatica all’interno della tasca del completo.

“Ma adesso ho trovato qualcuno di più interessante con cui passare il mio tempo, non è vero Sherly?” chiese in direzione della vasca, senza ottenere ancora nessuna risposta. “Sembra che il mio giocattolo nuovo stia facendo un po’ i capricci. Poco male, vuol dire che sarà più difficile da rompere.” disse alzandosi e avvicinandosi al vetro.

“Perché è questo che accadrà alla fine lo sai vero Sherl? È una costante della mia vita purtroppo, sin da bambino tutti i miei giocattoli si rompevano sempre, e con te non sarà diverso. L’unica incognita in questo caso è quando succederà. Ma non devi sentirti troppo sollevato, perché quando ti avrò rotto non ti spedirò a far compagnia al tuo amichetto Johnny, oh no, dopotutto sono pur sempre un uomo di affari.” disse spostando pigramente il peso da un piede all’altro. Il tritone continuò a fingere di ignorare ogni parola dell’uomo al di là del vetro, ma dentro di lui la rabbia ribolliva con la forza di un vulcano rimasto troppo a lungo dormiente.

Poi Moriarty riprese a parlare“Dicevo, quando accadrà organizzerò una bella asta e ti venderò al miglior offerente, conosco un sacco di persone che ti pagherebbero il tuo peso in oro pur di averti come il gioiello della loro personale collezione. Magari ti porteranno un po’ in giro raccontando di essere stati loro a catturarti, o forse ti terranno per tutto il tempo in un acquario o chissà . . .” aggiunse appoggiandosi al vetro della vasca “E’ possibile che ti insegnino a fare le capriole fuori dall’acqua e a saltare dentro un cerchio*” concluse con un sorriso.

Sherlock si costrinse a rimanere immobile e chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi sull’unica cosa importante: uccidere l’uomo al di là del vetro.

Frustrato il consulente criminale decise di giocarsi l’ultima carta a sua disposizione “Sherlock mi deludi, non vuoi proprio dire nulla? Che peccato sono sicuro che Johnny-Boy ci rimarrà molto male quando saprà che il suo eroe da romanzetto rosa non ha neanche una frase d’effetto . . .oh aspetta! Che stupido, non lo farà! Visto quanto sono stato generoso a evitargli questa delusione?”

A quelle parole Sherlock si irrigidì visibilmente. Dopo un paio di secondi si rialzò lentamente e si avvicinò al vetro della vasca, poggiando una delle  mani palmate a lato del viso di Moriarty. Con l’altra afferrò la collana che ondeggiava attorno al suo collo e la strappo con un gesto secco, stringendo nel pugno il dente di squalo con cui poco prima si era quasi suicidato.

Lentamente posò la punta sulla superficie liscia del vetro e lentamente la fece scorrere su di essa, provocando un graffio. Continuò a far scorrere la punta finché la lunghezza del suo braccio glielo permise, lasciandolo poi ricadere lungo il fianco.

Moriarty sorrise, passando l’indice lungo l’incisione fatta esattamente all’altezza del suo collo.

“Ci divertiremo un sacco Sherl”
 
***
 
 
John aprì gli occhi faticosamente, sopra di lui il cielo era tanto azzurro da far male agli occhi.

Anche se in realtà probabilmente in quel momento gli occhi erano la parte di lui che soffriva di meno. Un delicato rollare gli ricordò improvvisamente che si trovava in mezzo all’oceano e stava galleggiando alla deriva senza acqua cibo o mezzi di trasporto.

Cercò di portarsi in posizione eretta ma la spalla sinistra esplose al suo tentativo di muoverla. Voltò la testa di scatto e vide fuoriuscire un rivolo di sangue da un foro. A quella vista ricordò ogni cosa, Mike, il tentativo di salvataggio, lui che saliva sul peschereccio, Sherlock imprigionato, Moriarty, Sherlock che lo baciava. . .Sherlock. . .

Si guardò attorno, in lontananza la sagoma della nave dove era imprigionato Sherlock era ormai poco meno di una figura grigia.

Non l’avrebbe mai raggiunta a nuoto neppure in ottime condizioni fisiche.

Accanto a lui passò galleggiando una scheggia di legno verniciata di un rosso brillante. Lo stesso rosso del motoscafo della guardia costiera.

Mike!

“Mike!!” chiamò John guardandosi attorno freneticamente, dopo qualche secondo riuscì a scorgere la figura dell’amico a qualche metro di distanza.

Il dottore si afferrò la spalla cercando di tamponarla alla meno peggio con un lembo della tutta da sub, a causa dell’acqua salata bruciava come se stesse andando a fuoco. Il biondo strinse i denti pensando che almeno in quel modo si sarebbe disinfettata.

Nuotando lentamente raggiunse l’amico, non sembrava essere ferito in modo evidente, così John portò due dita alla giugulare del pescatore. Con sollievo constatò che era soltanto svenuto.

Subito dopo però si rese conto che il sollievo in quel momento era un sentimento quantomeno fuori luogo. Si trovavano a chilometri dalla costa, e lui era gravemente ferito. Guardò preoccupato la spalla, sarebbe stata una ferita grave anche in condizioni normali, ma lì, con l’acqua che impediva al sangue di coagularsi, calcolò che ci sarebbero voluti circa dieci minuti prima che l’emorragia gli facesse perdere conoscenza.

E dopo altri cinque minuti sarebbe morto.

Mentre vagliava disperato le sue inesistenti possibilità di sopravvivenza colse con la coda dell’occhio un movimento sotto di se.

C’era qualcosa che stava nuotando molto vicino a lui e a Mike. Qualcosa di molto più grosso di un merluzzo.

Alla sua destra un movimento simile attirò la sua attenzione; erano due, no tre. . .quattro.

Con un brivido ricordò che gli squali riuscivano a “fiutare” un millilitro di sangue disciolto in un metro cubo d’acqua.

Quanti decilitri poteva aver perso lui fino a quel momento?

Deglutì mentre il battito cardiaco accelerava esponenzialmente, sperò che quelle bestiacce non riuscissero a percepire anche la paura come gli animali di terra.

Improvvisamente una sagoma scura smise di muoversi in cerchio intorno a loro  e si diresse con decisione verso i due naufraghi.

John chiuse gli occhi, e pensò a Sherlock. Non gli sfuggì l’ilarità della situazione, nei suoi ultimi istanti di vita non stava pensando alla sua fidanzata come avrebbe dovuto, ma al suo migliore amico.

No, non al suo migliore amico, a Sherlock, il suo Sherlock.

Strinse i denti, preparandosi a quello che sarebbe accaduto certamente di lì a qualche secondo “Mi dispiace Sherlock” mormorò.

Non accadde nulla.

O meglio, non accadde nulla di ciò che si era aspettato, non avvertì delle fauci fameliche chiudersi intorno ad una gamba e trascinarlo sott’acqua. Tuttavia quando qualcosa di appuntito premette contro la sua gola i suoi occhi si riaprirono istintivamente.

Davanti a lui un uomo non più giovane dai capelli scuri,la pelle pallida e lo sguardo grigio e severo gli stava puntando una lancia in legno intagliato e dalla punta levigata contro la gola.

“Hai un minuto per darmi una buona ragione per non ucciderti umano” disse freddamente.

Umano?

Lo sguardo di John corse velocemente alle sue mani. Le dita erano collegate tra di loro da una membrana traslucida molto familiare per il medico.

Colpiti da un sospetto, gli occhi blu del dottore saettarono di nuovo al viso del tritone che aveva davanti. Qualcosa nella voce, dal timbro stranamente familiare, e dai ricordi delle descrizioni di Sherlock accesero la lampadina.

“Mycroft. . .? Mycroft Holmes?” boccheggiò John sorpreso.

Il maggiore dei fratelli Holmes sgranò gli occhi in modo a malapena percettibile, e quello fu l’unico segnale visibile della sua sorpresa.

Lentamente il tritone abbassò la lancia, poco dopo altre tre teste emersero dall’oceano, due uomini bianchi e una donna di colore.

“D’accordo” disse Mycroft “Te ne concedo cinque”.
 
 


*Questo brano non vuole assolutamente scoraggiare i signori lettori a visitare i parchi acquatici che organizzano spettacoli con i delfini (L’ho scritto, l’ho scritto. Ora potrebbe cortesemente levarmi  quel fucile da dietro la nuca signor sicario dello Zoomarine?)

Nuova pubblicazione imbarazzantemente sul confine del ritardo, ma i miei numerosi impegni (che consistono nello stalkerizzare i trailer di Suicide squad, Sherlock 4, Doctor strange, guardare le olimpiadi perché non ho un cifolo di meglio da far. . .ha-hem) mi hanno costretto a una pubblicazione ritardata anche questa volta. Mi scuso anche per i monologhi infiniti di Moriarty: altro che Sherlock, è lui la unica e sola drama-queen della serie, e mentre scrivevo questo capitolo ha preso possesso del mio cervello. Johnny invece è ancora vivo! (TAN TAN TAAANNN! Okay, no, sul serio non credo che possa neppure essere chiamato colpo di scena, dalla regia mi informano ch’è il plot twist più moscio di sempre. A questo punto direi di sostituire il tantantaan con wua wua wuaaaaaa) Anche se dopo l’incontro ravvicinato del terzo tipo con Mycroft non so se lui la consideri esattamente una buona notizia (secondo me avrebbe preferito gli squali).

Comunque questa volta ve lo giuro, mi mancano solo due capitoli!

A presto.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18: The game is off (prima parte) ***


Capitolo 18: The game is off (prima parte).
 
 

Whaaaaaaat? Un aggiornamento dopo solo due giorni? Ed è un capitolo di più di quattromila parole? (anche se molte di queste sono sclerate senza senso) Eh già! \^∆^/ pare proprio che l’energy drink che ho provato in palestra mentre cercavo di battere il mio record di corsa, abbia dei piacevoli (o spiacevoli, dipende dai punti di vista) effetti collaterali. In compenso, non vi preoccupate, in questo capitolo nulla di importante accade; più che altro si posizionano sulla scacchiera i pezzi per questo rendez vous della muerte. Chi vincerà? Chi perderà? E chi verrà miseramente calciorotato fuori da questa Fanfiction miserevole? Non lo scoprirete in questo capitolo (che bello posso straparlare quanto voglio e dare la colpa alla sbobba energetica) <3.
 
 

John si sfiorò la ferita con circospezione. La pallottola aveva trapassato la spalla da parte a parte, ma fortunatamente non aveva leso nessuna vena importante, o sarebbe certamente morto dissanguato. Ci era voluta molta pazienza e concentrazione per ricucirla da solo. Per fortuna Moriarty gli aveva reso inutilizzabile il braccio sinistro e lui era destrorso.
 
Ripose ordinatamente il filo e l’ago da chirurgo dentro la scatola del pronto soccorso che teneva nella grotta in caso di emergenza. Mycroft aveva fatto riportare verso la terra lui e Mike, ancora svenuto, da due dei tritoni con cui era comparso: la ragazza di colore e l’uomo dai capelli brizzolati. Dopo che avevano lasciato il pescatore su una spiaggetta isolata (dove probabilmente si sarebbe risvegliato senza ricordare come ci fosse arrivato) i due, grazie alle sue indicazioni, lo avevano accompagnato alla caverna
 
Si erano presentati come Gregory Lestrade e Sally Donovan.
 
Nonostante il primo fosse stato abbastanza cortese, al contrario della donna che lo fissava in cagnesco con una determinazione encomiabile, John non si faceva troppe illusioni sul motivo per cui erano con lui.
 
Era un sorvegliato speciale, anche se lo avevano medicato provvisoriamente permettendogli di arrivare vivo fino alla caverna, le due creature non si fidavano di lui. Era un nemico.
 
Un nemico che aveva salvato la vita ad uno di loro, anche se aveva l’impressione che Donovan non gli fosse esattamente grata di questo, ma pur sempre un nemico, e molto pericoloso.
 
Con tutta probabilità in quel momento Mycroft stava facendo del suo meglio con il consiglio degli anziani per evitargli la pena capitale.
 
Ma a John questo non importava.
 
Sapeva che avrebbe dovuto essere preoccupato per la piega improvvisa che avevano preso gli eventi, ma l’unico pensiero che occupava la sua mente in quel momento era Sherlock.
 
Sherlock che era prigioniero di quel bastardo di Moriarty, Sherlock che probabilmente credeva fosse morto, Sherlock che lo baciava. . .
 
 
A quel ricordo, il ricordo di quelle labbra bagnate e calde che si posavano leggermente dischiuse sulle sue, sentì lo stomaco fare una capriola. Lui non era gay. L’aver baciato  (perché ormai non poteva più fingere che fosse stato solo Sherlock a baciarlo, oh no, lui aveva risposto e con entusiasmo) il suo migliore amico avrebbe dovuto riempirlo di imbarazzo, ma così non era. Si sentiva solamente in colpa verso Mary: perché ciò che la sua fidanzata provava per lui, John Watson lo provava per qualcun altro.
 
Si passò la mano sana sul viso, inspirando profondamente. Lui non era gay, non gli veniva in mente nessun uomo prima del moro per cui avesse provato attrazione.
 
Decise di accantonare momentaneamente la questione, non era importante, ci avrebbe pensato dopo aver salvato Sherlock. E aver restituito il favore a Moriarty.
 
“Puoi smetterla per favore?” la voce della sirena bruna lo ridestò dai suoi pensieri. Si rese conto solo in quel momento che aveva passato tutto il tempo dondolando il piede destro e battendo il tallone ritmicamente contro la roccia dello scoglio su cui era seduto. “Scusa” disse interrompendosi immediatamente “Mi capita quando sono sovrappensiero” aggiunse con un sorriso conciliante. Davvero non capiva che motivazioni potesse avere la donna per essere così sul piede di guerra nei suoi confronti.
 
Per tutta risposta Sally sbuffò con irritazione “Non bastava lo strambo, adesso dobbiamo occuparci anche del suo animaletto da compagnia a quattro zampe” borbottò muovendosi nervosamente nell’acqua vicino all’entrata della caverna.
 
A quel commento acido John abbandonò tutti i suoi propositi di buona volontà “Per prima cosa io non sono l’animaletto di nessuno, e non chiamare Sherlock strambo!” sbottò guardandola di traverso. Donovan emise un verso sdegnato “Siete tutti così in superficie oppure il geniaccio è stato solo parecchio fortunato? Effettivamente ora che ci penso non devi essere molto normale neppure tu, lo hai sopportato per più di due mesi senza ucciderlo o mangiartelo. Cosa sei una specie di stramboide anche tu per i tuoi simili?” chiese con tono derisorio.
 
In quel momento ogni traccia di cortesia abbandonò i sentimenti che John nutriva per quella donna “Il mio nome è John Hamish Watson, sono un medico, curo le persone aiuto la polizia ad arrestare gli assassini e nel tempo libero gioco a Rugby nella squadra di paese e, no, non ho mai avuto l’impulso di mangiare Sherlock che, tanto per la cronaca, è l’essere più brillante, incredibile e fantastico che abbia mai avuto l’onore di conoscere!” sbottò il dottore, intimamente soddisfatto dall’espressione confusa e sorpresa che esibì Sally nell’udire quella filippica.
 
Alla sirena tuttavia ci vollero pochi secondi per riprendere di controllo; si accigliò e aprì la bocca per dire qualcosa, ma fu interrotta dalla mano di Gregory, che si posò tranquillamente sul braccio della donna.
 
“Penso che possa bastare Sally” disse in modo pacato ma con un tono che non ammetteva repliche. Poi si volse ad osservare l’imboccatura della grotta “Potresti andare a dare un’occhiata all’esterno, non mi sento tranquillo così vicino alla terraferma, non vorrei che qualcuno venisse a curiosare”. La donna aprì la bocca per ribattere ma scorgendo l’occhiata ammonitrice dell’altro alzò con rassegnazione le braccia, borbottando un “Come vuoi tu capo” e si immerse con un guizzo della iridescente coda verdazzurra.
 
Quando la pinna caudale scomparve oltre l’arco di roccia Greg si lasciò andare ad un sospiro “Scusala, tutti quelli della mia gente sono abituati a considerare voi umani come una minaccia, e le storie che si raccontano su di voi ai piccoli per tenerli lontani dalla costa si sono ingigantite molto negli ultimi secoli. In ogni caso Sally non è mai stata esattamente un tipo tenero, e il solo fatto che tu sia amico di Sherlock. . .bhè, direi che sei finito a pieno titolo nella sua ‘lista nera’” disse.
 
“Non ti preoccupare, ho convissuto con il minore degli Holmes negli ultimi due mesi, sono abituato a ben di peggio” rispose John con un sorriso. Gregory gli stava simpatico, probabilmente se fosse stato un umano sarebbero stati amici e avrebbero passato il venerdì sera al pub a bere e a raccontarsi come era andata la settimana. “Comunque piacere di conoscerti Gavin” aggiunse John sorridendo e calcando apposta il tono sul nome sbagliato che gli aveva detto Sherlock quando avevano parlato dei suoi amici e conoscenti.
 
Lestrade aprì la bocca in automatico per correggerlo, poi vedendo il dottore ridacchiare alzò gli occhi al cielo ed emise un gemito sconsolato “Oh, per l’amor di Nettuno! Quel piccolo. . .! Non imparerà mai il mio nome vero? Sono suo cognato dannazione!” sbottò indignato.
 
John smise immediatamente di ridere per guardarlo sorpreso “Cognato? Credevo che ci fossero solo due fratelli Holmes” obbiettò perplesso. Gregory inarcò un sopracciglio “È così infatti” disse “Io sono il compagno di Mycroft” aggiunse a mo’ di precisazione. Al dottore ci vollero alcuni secondi per registrare l’informazione, prima di limitarsi a commentare “ah. . .”.
 
Nella grotta cadde improvvisamente un silenzio imbarazzante “quindi tu e Mycroft. . .” “Già. . .” dopo qualche secondo Lestrade aggrottò la fronte “Le relazioni tra due uomini non sono ben viste tra gli umani?” chiese leggermente contrariato. Sentendosi sotto accusa John si affrettò a rispondere “No, no, no. . .è solo che. . .bhè Mycroft è. . .Mycroft” disse sperando che l’altro riuscisse a comprende cosa stava cercando far capire. Da quello che Sherlock gli aveva raccontato aveva intuito che il maggiore della coppia non doveva essere esattamente qualcuno che avresti invitato volentieri alla cena di Natale.
 
Greg sorrise comprensivo “Gli Holmes giocano a fare i freddi calcolatori senz’anima, ma sotto sotto non sono sempre così distaccati come vorrebbero far credere al resto del mondo. Basta armarsi di pazienza e costanza e dopo qualche tempo si riesce a scalfire la corazza. . .  nel caso di Myc anche una rompighiaccio può essere utile” aggiunse seriamente.
 
Qualche secondo più tardi scoppiarono a ridere entrambi, ma subito il pensiero di Sherlock prigioniero si fece strada nel cuore di John, bloccandogli la risata in gola e facendolo sentire tremendamente in colpa. Lestrade comprese al volo cosa l’altro avesse in mente e si fece serio anche lui “Sei preoccupato per Sherlock non è vero?”mormorò al medico, prima di avvicinarsi con un paio di colpi di coda allo scoglio dove era seduto l’altro.
 
Il silenzio di John fu assertivo, così Greg proseguì “Non stare troppo in pensiero. Ha le squame dure. Non conosco questo Moriarty, ma se dovessi scommettere chi tra loro due uscirà vivo da questa situazione, bhè, punterei tutto sul nostro Sherlock” disse, sperando si risollevare l’animo del biondo. Il dottore scrollò il capo, poggiando il gomito sano sul ginocchio e la fronte sul palmo della mano “Non è questo. . .Io. . . mi sono sempre preso cura di lui da quando ci siamo conosciuti e ora mi sento impotente. Dovrei essere lì con lui in questo momento, a prendere a calci quel dannato psicopatico, non qui senza far nulla” disse con voce carica di frustrazione.
 
Gregory gli posò una delle mani palmate sul ginocchio, cercando di prestare un minimo di conforto. Non osava pensare a cosa avrebbe fatto lui se ci fosse stato Mycroft al posto del fratello , e pregò che una cosa del genere non dovesse mai accadere al maggiore degli Holmes. “Ce lo riprenderemo vedrai, se pensi che sarà difficile salvarlo da Moriarty aspetta di vedere che faccia faranno gli anziani quando diremo loro di voi due” aggiunse con un sorriso complice.
 
 
A quelle parole John boccheggiò visibilmente in imbarazzo “ah, ecco noi. . . noi non siamo. . .una coppia” mormorò con filo di voce. Ma che gli prendeva? Ogni volta che qualcuno lo aveva insinuato in precedenza il suo diniego era stato sicuro e secco, ora invece si sentiva imbarazzato come una liceale. Greg inarcò le sopracciglia, sorpreso “Sul serio? Mi eravate sembrati molto. . .in sintonia, e poi è raro che qualcuno attiri l’attenzione di Sherlock, figuriamoci interessarlo al punto di salvargli la vita” disse scrollando le spalle.
 
Ma John a quelle parole si fece attento “Che intendi con salvargli la vita?” chiese perplesso, il tritone non gli aveva mai evitato la morte (anche se quel testone era stato capace di mettersi in pericolo pur di aiutarlo). Lestrade si fece serio “Scusa hai detto che vi siete incontrati subito dopo la tempesta di due mesi fa no?” “È così infatti.” “E che Sherlock era rimasto ferito gravemente dalla colluttazione contro gli scogli” il dottore annuì.
 
“John, Sherlock è uno dei migliori nuotatori della nostra colonia. Anche se è così magro è molto veloce e estremamente forte, e persino i piccoli più inesperti sanno che durante una tempesta non bisogna mai avvicinarsi ad una costa. Non sarò un Holmes, ma anch’io so fare due più due. La tua barca è andata distrutta e tu sei finito in mare no? Come credi di essere sopravvissuto?” disse Gregory semplicemente. Per lui era stato ovvio sin dal primo momento che fosse stato il cognato a salvare l’umano, l’unica incognita era perché Sherlock non lo avesse detto al medico.
 
John aprì la bocca per replicare, ma uno sciabordio lo interruppe. Poco lontano dall’entrata subacquea emerse Mycroft accompagnato da Sally, il volto scuro come la nuvola di un temporale. Prima che qualcuno potesse chiedere qualunque cosa il tritone parlò “Hanno detto che non possiamo fidarci di un essere umano, anche se si è preso cura di uno di noi senza rivelare la nostra esistenza. Vogliono che lei subisca la pena capitale” disse lapidario. “Per quello che vale” aggiunse “Mi dispiace”.
 
Il dottore rimase in silenzio per qualche istante, fissando il fratello di Sherlock con la fronte aggrottata e la mascella contratta. Greg aprì la bocca per obbiettare a quegli ordini assurdi ma John lo precedette “In cosa consiste la pena capitale?” chiese con tono fermo. Mycroft sospirò “Morte tramite decapitazione” rispose semplicemente “Ma dato che è impossibile che lei raggiunga il luogo dell’esecuzione vivo credo che il Consiglio si accontenterà del suo annegamento, dopodiché il suo corpo sarà abbandonato su una spiaggia. Sembrerà un incidente” aggiunse.
 
Il biondo trasse un profondo respiro, e chinò il capo. Dopo qualche istante di silenzio parlò, questa volta la sua voce aveva un’inflessione sorprendentemente dura “Cosa ne sarà di Sherlock?” chiese alzando la testa e fissando negli occhi il suo interlocutore. Per la prima volta dopo molti anni Mycroft non riuscì a fissare negli occhi qualcuno. “Secondo gli anziani sarebbe molto più problematico continuare a celare la nostra esistenza se attaccassimo apertamente una nave piena di umani. Sperano che Moriarty e Magnussent tengano per loro questa informazione, almeno per il momento. Per quando l’avranno rivelata al mondo noi ci saremo già allontanati da qui. Ora come ora l’unico obbiettivo del Consiglio per quanto riguarda la nostra colonia e la nostra gente è sopravvivere” disse senza mostrare alcuna emozione.
 
John annuì, contraendo le labbra e fissando la parete di roccia alla sua destra “Quindi è questo il piano” commento “Non fare niente” concluse aspramente. “John, noi. . .” “E lei è d’accordo non è vero?” lo interruppe il medico. Il maggiore degli Holmes chiuse gli occhi e rimase in silenzio, mentre una collera sorda gli montava dentro.
 
“Myc. . .” provò Lestrade, ma non c’era nulla che potesse fermare il suo compagno in quel momento. Gli occhi color acciaio di Mycroft si fissarono in quelli dalle tinte dell’oceano del medico. “Ho passato tutta la vita a cercare di proteggere mio fratello da tutto quanto. Da voi umani come dai membri più ottusi del mio popolo. Quelli come noi non trovano facilmente qualcuno in grado di comprenderli dottor Watson, e Sherlock è sempre stato incapace di scendere a compromessi con il resto del mondo. Davvero pensa di avere il diritto di giudicarmi?” chiese con furia appena celata dietro al portamento come sempre impeccabile.
 
John si sporse appena verso il tritone, non accennando ad abbassare lo sguardo “Ma questo non cambia le cose non è vero? Lascerà che un pazzo assassino faccia di lui quello che vuole perché questo sono le regole mh?” chiese amaramente ironico. “Che cos’altro potrei fare?” sibilò Mycroft.
 
Per qualche secondo nella grotta regnò un silenzio assordante, carico di una tensione che rendeva elettrica l’aria e l’acqua. Lestrade e Donovan osservavano i due avversari che sembravano sul punto di saltare uno alla gola dell’altro, osando a malapena fiatare.
 
“Potremmo andare a riprendercelo”.
 
Inaspettatamente fu Greg ad interrompere quello stallo che si era venuto a creare. Tutti gli sguardi conversero su di lui, che si strofinò la nuca imbarazzato. “Sherlock intendo” aggiunse, quasi temesse di non essere stato abbastanza chiaro. “È vero, siamo in minoranza, ma possiamo sempre contare sull’effetto sorpresa e poi cosa abbiamo da perdere? Se non lo facciamo con tutta probabilità Sherlock morirà, e John morirà in ogni caso quindi. . .”
 
Mycroft guardò il suo compagno di vita sorpreso “Gregory. . .” mormorò, senza però riuscire ad aggiungere altro. Poi si riebbe dallo stupore e si ricompose nel suo contegno ordinario “Non se ne parla. Le regole esistono per essere rispettate, e comunque non abbiamo nessuna possibilità di farcela. Non ho intenzione di assecondare un progetto destinato al fallimento certo e che porterebbe non solo alla mia estromissione dal consiglio, ma con tutta probabilità all’esilio per tutti noi.” disse freddamente.
 
“Dimentichi una cosa mr Holmes” la voce di John, vagamente divertita giunse agli altri leggermente distorta dall’eco della caverna. Il medico infatti si era alzato in piedi ed era indietreggiato di qualche passo, mettendo tra se e la riva rocciosa almeno un paio di metri. “Il fatto è che temo di avere quel minimo sindacale di istinto di conservazione che purtroppo mi impedirà di seguirvi fino al luogo della mia esecuzione” disse sedendosi su un rilievo di pietra scura a distanza di sicurezza dall’acqua.
 
Mycroft lo fissò infastidito “Non mi pare di averle concesso di rivolgersi a me in modo così colloquiale dottor Watson” ribatté. Il biondo ignorò completamente la protesta dell’altro “Quanto credi che sarebbe benefico per la tua immagine l’essersi lasciato scappare un pericoloso umano come me?” chiese sorridendo. Il maggiore dei fratelli Holmes si irrigidì mentre osservava quel piccolo uomo e si pentiva di averlo sottovalutato a tal punto.
 
 “Quello che intendo dire” Riprese John senza abbandonare l’espressione divertita “È che se vuoi che la tua parola continui a valere qualcosa presso il circolo di vecchi rimbambiti che avete come capi ti conviene ascoltare quello che ho in mente. Oh, e senza interrompermi, non amo quando la gente mi interrompe” concluse tranquillamente.
 
Lestrade dovette seriamente sforzarsi per mantenere il controllo e non scoppiare a ridere, aveva come l’impressione che il suo Myc non avrebbe gradito. Si chiese distrattamente se quell’umano fosse così prima di incontrare Sherlock o se il loro sociopatico iperattivo avesse avuto qualche effetto malefico sulla personalità del dottore.
 
“D’accordo” capitolò infine il tritone “Qual è il piano?”
 
***
 
 
Da ormai quattro ore Sherlock si trovava in stato catatonico, rifugiato nel suo Mind palace, le porte d’ingresso chiuse a doppia mandata. Nessuno doveva disturbarlo, soprattutto Moriarty con i suoi folli sproloqui, o non avrebbe mai trovato il modo.
 
Nulla fin’ora era riuscito a farlo uscire dallo stato di furiosa e gelida determinazione in cui si trovava. Jim aveva avuto quasi due esaurimenti nervosi nel tentativo di risvegliarlo. E il fatto che il suo nemico, già parecchio oltre la soglia della insanità mentale, fosse ancora meno padrone di sé giocava completamente a favore di Sherlock.
 
Moriarty in quel momento era pazzo di rabbia.
 
E le persone pazze di rabbia sono facilmente impulsive.
 
E le persone impulsive commettono errori.
 
Piccoli, minuscoli,importantissimi errori.
 
Studiava un piano e intanto indeboliva le difese del suo nemico, probabilmente John e le sue perle di saggezza popolare avrebbero definito quella situazione “prendere due piccioni con una fava”.
 
John.
 
Il suo nome era doloroso come un attizzatoio rovente premuto nella carne, il pensiero del suo sorriso come una lama, quello della sua voce una frustata.
 
Ed era ferocemente motivatorio.
 
“Sherloooock” nonostante il tritone si fosse barricato nella sua stessa mente non poteva impedire che quella voce, la voce di Moriarty, oltrepassasse le sue barriere. Quella modulazione leziosa e strascicata aveva il potere di farlo impazzire di rabbia, come un mastino in gabbia quando viene pungolato per renderlo ancora più feroce.
 
Il moro aprì gli occhi, restando però perfettamente immobile, sdraiato al centro della sua prigione d’acqua, le mani congiunte sotto il mento.
 
“So cosa stai cercando di fare” la voce di Jim si propagava nel suo spazio vitale, resa metallica dal passaggio attraverso l’interfono. “Cerchi di farmi annoiare” continuò lamentoso. “E ci stai riuscendo benissimo” ammise senza problemi. Poteva immaginarselo mentre con il volto e con i gesti imitava grottescamente una immaginaria versione contrita di sé stesso.
 
Perché, almeno di questo Sherlock era certo, il pentimento non faceva parte della natura di Jim Moriarty.
 
“Ma davvero vuoi giocartela in questo modo? Vuoi punirmi non parlandomi più? Un po’ infantile per il grande Sherlock Holmes non trovi?” chiese, stuzzicando una sua possibile reazione.
 
Ma il tritone si limitò a mantenere il suo ostinato silenzio.
 
“Va bene! Fa come vuoi!” sbottò rabbiosamente colpendo il vetro della sua prigione. Poco dopo un ronzio alla sua destra lo avvisò che la parete divisoria di metallo stava scorrendo nuovamente al suo posto, riportando la sua prigione al precedente aspetto di cinque pareti azzurre e una formata dalle sbarre massicce.
 
“Quasi dimenticavo” aggiunse la voce di Moriarty “La cena è servita”.
 
Lo sguardo azzurro di Sherlock saettò verso la figura scura che si chinava poco sopra la superficie dell’acqua e vi rovesciava dentro il contenuto di un secchio.
 
Un mucchietto di interiora di pesce fluttuò debolmente verso il basso, guadagnandosi un’occhiata disgustata.
 
Sul serio era quella la fine strategia di James? Punirlo con il cibo? Aggiunse il cattivo gusto e la scarsa fantasia alla lista di difetti della sua nemesi. L’unica fortuna era che non avrebbe dovuto sopportarlo ancora a lungo.
 
 Subito però i suoi occhi furono attratti da una figura appena comparsa accanto all’uomo che gli aveva servito il mangime. Anche attraverso l’increspatura della superficie era possibile distinguere i colori monocromatici dei giubbotti antiproiettile indossati dagli uomini di Jim.
 
Osservò il nuovo umano sbeffeggiarlo e insultarlo insieme a quello che gli aveva servito il pasto, al sicuro attraverso le sbarre, troppo strette per far passare il suo corpo.
 
Ma non abbastanza per bloccare un braccio.
 
Sherlock si tirò su di scatto e in un secondo guadagnò l’entrata della sua prigione. Veloce afferrò oltre le sbarre un coltello a scatto che uno dei due uomini portava nella tasca superiore della giubba, e dopo averlo armato lo pianto con forza nel collo dell’uomo, che lanciò un grido di dolore. Ben presto il suo urlo si trasformo in un gorgoglio per il sangue che rifluiva nella gola e lo scagnozzo cadde riverso sulla grata, spruzzando di sangue il volto del tritone.
 
Il moro fu sbalzato via bruscamente dalle sbarre, rese elettrificate da un pulsante d’emergenza schiacciato dall’altro uomo, affondando verso il basso, il corpo raggomitolato su se stesso, le braccia raccolte sotto di sé.
 
Il tutto si era svolto in una manciata di secondi, e solo la sua rapidità gli aveva permesso di colpire l’umano, che ora si stava tamponando affannosamente la gola. La ferita che Sherlock gli aveva inferto non l’avrebbe ucciso se si fosse medicato in fretta.
 
Il secondo, quello che aveva premuto il pulsante di sicurezza, sputò in direzione del tritone. “Stupido mostro” biascicò con un pesante accento slavo, prima di afferrare il compagno e aiutarlo a dirigersi verso l’infermeria.
 
Dopo qualche secondo Sherlock abbandonò la posizione raggomitolata e ammirò la piccola pistola acquatica* che aveva rubato dalla cintura dell’umano ferito, approfittando della confusione.
 
Mostro? Forse.
 
Stupido? Oh, no.
 
Ma una cosa era certa: se doveva precipitare giù all’inferno avrebbe trascinato James Moriarty con sé.
 
Ripensò al generatore di energia* che aveva visto in fondo alla sala dove si affacciava la quarta parete di vetro della sua prigione sorridendo.
 
E sarebbe stata una caduta col botto.
 
***
 
John deglutì cercando di mantenere il controllo sui suoi nervi mentre il cervello gli ripeteva che quella era una pessima, pessima idea. “Sapete, sono quasi certo che esista un modo migliore per arrivare alla nave di Moriarty” commentò mentre, giusto per sicurezza visto che non si sa mai, ricontrollava per la decima volta le cinghie che gli stringevano la cintura.
 
“Rilassati” rispose Sally finendo di affrancare l’altro capo della robusta striscia di pelle di foca “li usiamo sempre quando dobbiamo spostarci velocemente. Questi qua in particolare sono dei veri campioni, i migliori della scuderia” aggiunse, dando una pacca al fianco robusto dell’animale.
 
“Pensavo che volesse raggiungere mio fratello il più velocemente possibile dottor Watson” disse Mycroft, mentre Greg finiva di assicurargli dei legacci simili a quelli che John aveva ai fianchi intorno alle spalle.
 
“È così infatti. Ma pensavo che avrei preso in prestito un scooter d’acqua” obbiettò con tono leggermente lamentoso. Lestrade sorrise “Che magari avrebbe fatto la fine dell’altra barca, per non parlare del fatto che in quel modo ti avrebbero visto arrivare. Non preoccuparti” aggiunse indicando gli animali a cui era attaccato “Sono i più mansueti, di solito trasportano i carichi pesanti, perciò sono addestrati a seguire le coppie davanti a loro”.
 
John deglutì, grato al tritone per il tentativo di conforto perfettamente inutile.
 
“Giuro che se esco vivo da questa storia mi trasferisco nell’entroterra e non mi avvicinerò mai più neanche a una pozzanghera!” ringhiò, scivolando in acqua con una smorfia per il braccio.
 
Nonostante avesse impiegato la mezz’ora che Sally e Mycroft avevano speso per recarsi alle scuderie a requisire i loro mezzi di trasporto, per ingerire antidolorifici e migliorare la fasciatura la spalla si faceva ancora sentire e parecchio.
 
Guardò i giganteschi pesci spada* a cui era legato ondeggiare placidamente nell’acqua, oltre alle cinghie che lo legavano ad essi i due erano agganciati tra di loro. Da quello che aveva detto Sally era per evitare che nel viaggio prendessero due direzioni diverse squartando il passeggero. “Rassicurante” aveva commentato.
 
Inspirò profondamente prima di indossare il respiratore collegato alle bombole, poteva essere il suo ultimo respiro di aria pura.
 
“Pronto?” chiese Mycroft seriamente. John si concesse un secondo prima di annuire.
 
“Sherlock” pensò “Non azzardarti a morire” e premette per sicurezza un’altra volta gli occhialini.
 
Lestrade si posizionò in testa “Andiamo!” ordinò e, trainati dai pesci, i quattro si immersero.
 
 
 

*Non ho la minima idea se ci siano realmente pistole che funzionano sott’acqua (a parte i fucili per la pesca sottomarina, ma quelli hanno una minifiocina al posto dei proiettili e sono piuttosto ingombranti, non certo qualcosa che Sherlock avrebbe potuto nascondere con facilità) ma facciamo finta che esistano, per il bene di una trama che ha già da sola più buchi di un gruviera.
 
* Idem come sopra: non chiedete. (e ringraziate che in ultimo barlume di decenza ho bocciato l’idea del generatole nucleare stile vuecchio suottuomarinuo russuo di guerra friedda, da!)
 
* . . . .sapete che c’è? Credo che andrò a rileggere quello che c’era dentro quell’energy drink. . .e devo anche smetterla di guardare pirati dei caraibi (tartarughe marineeeee)
 
P.s perché i pesce spada? Perché raggiungono come niente i 97 chilometri orari, piazzandosi al secondo posto come pesci più veloci del mondo subito dopo i pesci vela, appartenenti alla stessa famiglia ma decisamente più piccoli, e qui, con uno Sherlock dalle manie suicide/omicide, il tempo inizia a stringere.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19: the game is off (seconda parte) ***


Capitolo 19: the game is off (seconda parte)

 

Il gigantesco peschereccio era immobile in mezzo alle onde del mare aperto. Il lieve rollare della sua chiglia segnalava che era stato lasciato andare momentaneamente alla deriva, ma d’altronde in quel punto l’oceano era troppo profondo perché si potesse ancorare la nave. Sulla fiancata nera e tirata a lucido era ben visibile il nome dell’imbarcazione: Appledore dipinto senza l’ombra di una sbavatura, con una vernice bianca che faceva sembrare le lettere delle ossa dalle forme curiose.

All’improvviso una mano emerse dalla superficie dell’acqua, artigliando lo scalino in metallo della scaletta di sicurezza. Una testa bionda seguì immediatamente la mano, mentre John si toglieva, non senza qualche difficoltà per colpa della ferita, la mascherina davanti al suo naso. Il medico tirò un sospiro di sollievo, per qualche minuto, mentre veniva trascinato da quelle due bestiacce, aveva temuto che l’aria rimasta nelle bombole non sarebbe bastata.

Lanciò un’occhiataccia alla coppia di figure argentee che ora ondeggiavano placidamente, rimanendo perfettamente immobili con fare innocente sotto il pelo dell’acqua.

D’ora in poi avrebbe mangiato il pesce spada con molto più gusto.

Alzò lo sguardo e ringhiò sottovoce un’imprecazione tra i denti appiattendosi contro il fianco del peschereccio. Tre degli omini di Moriarty erano appoggiato al parapetto di metallo e stavano fumano mentre parlavano ad alta voce in qualche dialetto slavo, scoppiando in fragorose risate di tanto in tanto. Vicino a emersero le teste di Greg, Mycroft e Sally. 

Il maggiore degli Holmes contrasse la mascella osservando il gruppo di marinai, poi tornò a guardare il dottore “E adesso cosa facciamo, Capitano?” chiese in tono derisorio. John lo fulminò con lo sguardo “Siete voi Holmes i geni no? Si inventi qualcosa!” sibilò, notando con irritazione che era tornato a dare a Mycroft del Lei. 
Il tritone roteò gli occhi “Buttarsi a capofitto in una situazione rischiosa senza pensare alle conseguenze; comincio a capire perché lei vada tanto a genio a Sherlock!” sbuffò. Il dottore strinse i denti cercando di impedirsi di strozzarlo, chi aveva detto che i due fratelli non si assomigliavano per nulla? Ogni volta che si trovava in presenza di uno dei due provava intensi istinti omicidi.

“Va bene ci penso io” La voce di Sally, completamente inaspettata, fece convertire tutti gli sguardi su di lei. “Siamo abbastanza vicini alla corrente e questi idioti stanno lasciando andare la nave alla deriva per qualche ragione, non dovrebbe essere difficile attirarli fino al punto X” disse mentre il suo sguardo di perdeva in lontananza, dove, attraverso la penombra si stagliavano le coste rocciose di Mull*.

John alzò lo sguardo, il cielo si era ricoperto di nuvole scure che minacciavano pioggia, rendendo quel tardo pomeriggio tanto scuro da essere quasi notturno. Dovevano sbrigarsi, presto si sarebbe scatenata una tempesta, se possibile ancora più violenta di quella che aveva fatto incontrare lui e Sherlock. Gli venne in mente una frase che aveva letto tempo fa e che ricordava ancora bene, anche se ignorava chi l’avesse scritta: Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e ad uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c'è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi era entrato.*

Quelle parole descrivevano perfettamente quello che aveva vissuto grazie a Sherlock negli ultimi mesi. Moltissimi dei dogmi della sua vita che dava per assoluti si erano completamente rovesciati, mostrandogli un'altra faccia della realtà, talmente strana da sembrare il negativo di una fotografia.

Ma non per questo deprecabile, oh no.

Il minore degli Holmes, da perfetto tornado qual'era, aveva sconvolto la sua vita, ma aveva anche ampliato i suoi orizzonti, rendendogli talmente vasti da fargli scoprire, metaforicamente parlando, che la terra non era piatta, ma tonda.

E se c'era una cosa certa, era che non avrebbe lasciato quell'essere straordinario nelle grinfie di Moriarty un istante di più dello stretto necessario per salvarlo.

Si riscosse da quel torrente di pensieri, durati in realtà a malapena una manciata di secondi.

“Va bene” disse tornado a fissare gli occhi neri della donna, che cos’hai in mente?

 
***


Sherlock si fece dondolare la pistola tra le dita della mano, in un movimento lento, ma non per questo svogliato.

Era seduto sul fondo della vasca, la schiena appoggiata alla parete opposta al vetro, ora coperto dal pannello scorrevole, mentre la sua mente versava sorprendentemente in uno stato di quiete assoluta.

Pensò con distrazione che doveva essere qualcosa che aveva a che fare con lo Shock.

Quando aveva preso la pistola all'uomo di Jim si trovava in uno stato di furia assoluta, la rabbia che totalizzava ogni suo pensiero o gesto.

Era così da quando aveva visto John volare oltre il parapetto, l'espressione di sorpresa mista a dolore sul volto. Alternava parentesi di profonda sofferenza a momenti di collera sorda, fino ad arrivare a quegli intervalli di apatia completa, da un certo punto di vista era persino sorprendente.

"Non hai mai fatto parte della categoria di quelli che provano sentimenti Sherlock, eppure eccoti qua: E' la fine dei giochi." disse sornione il suo Mycroft mentale.
Il tritone provò a scacciarlo, ma rinunciò quasi immediatamente. Che senso aveva ormai? Aveva baciato John, e John aveva baciato lui. 

E il suo cuore aveva saltato un battito. 

Per quanto gli costasse ammetterlo quella era la realtà: il cartonato della macchina senza sentimenti era caduto e lo aveva mostrato per quello che era, un ammasso pulsante di carne e sangue che sentiva, odiava e amava come chiunque altro, anzi più di chiunque altro.

Peccato che se ne fosse accorto troppo tardi, e ora per colpa sua dell'uomo che aveva amato non restava che un involucro vuoto, misera vestigia di tutto quello che John Watson era stato.

"Concentrati Sherlock. Non è il momento di lasciarsi andare a inutili sentimentalismi. Lo hai già fatto e abbiamo visto come è finita. Il tuo palazzo mentale sta crollando, la prova evidente è che fatichi a rimanere focalizzato sul tuo obbiettivo, uccidere Moriarty. Fai mente locale. Che cosa accadrà quando tu e Jim vi guarderete nuovamente in faccia?" chiese.

Aveva già calcolato ventitre possibili scenari di quello che sarebbe successo una volta che il pannello fosse nuovamente scivolato di lato, rivelandolo agli umani dietro di esso.

Solo nove di questi culminavano con la morte di Moriarty.
Tutti e ventitre invece non prevedevano la sua sopravvivenza. Non avrebbero potuto farlo neppure se lo avesse voluto, e lui di certo non lo voleva, non ora che il suo dottore era morto.

Diede un colpo rabbioso alla parete dietro di se. Adesso faceva anche la povera vedova? Che cosa credeva? Che se non fosse stato per Moriarty lui e John avrebbero trascorso il resto delle loro due vite insieme? Ridicolo! Non appartenevano neppure alla stessa specie! 

Effettivamente ora che ci pensava tutta quella faccenda vista dall'esterno assumeva le tinte di una barzelletta.

Appoggiò la testa sulle braccia incrociate, mentre a poco a poco in lui si facevano strada dei singhiozzi di dolore.

Effettivamente era una vera fortuna essere una creatura acquatica, passare la propria vita nell'oceano poteva risultare molto utile quando non desideravi che qualcuno ti vedesse piangere.

"Sherloooock" quella voce strascicata e malevolmente famigliare gli provocò una scarica di collera. Alzò il volto leggermente arrossato fissando un punto imprecisato nella parete azzurra davanti a lui. "Sherlock" ripeté Moriarty, questa volta con un inflessione delusa nel tono.

"Mi deludi" disse, sempre con la stessa voce, che lo raggiungeva leggermente distorta attraverso l'altoparlante "Qui dietro ci sono decine di dispositivi impegnati a dirmi cosa, come e quanto i tuoi meravigliosi neuroni stanno facendo, e devo ammettere di essere davvero amareggiato" aggiunse.

"Stai piangendo Sherlock" disse, questa volta in modo canzonatorio "Piangi come una adolescente che questa sera non andrà al ballo scolastico, perchè nessuno l'ha invitata. Davvero patetico" lo derise.

"E' ancora per quella storia di Johnny boy? Devi deciderti a superarlo! Sono già passate tre ore e ventisei minuti. Non saprei dirti i secondi, tendo ad eliminare i dati poco importanti, ma dopotutto lo facciamo tutti quanti no?" disse, questa volta il tritone potè percepire del disappunto nel suo tono. Cercava di mascherarlo, ma la verità era che Jim era furioso per non essere al centro dei suoi pensieri.

"E' un egomaniaco con tendenze omicide-suicide. E' ovvio che non sopporti il sentirsi messo da parte" disse con un nota di disgusto la proiezione di Mycroft nella sua mente.

Per qualche secondo regnò il silenzio completo, poi Moriarty riprese a parlare "Effettivamente però qualcosa di buono in tutta questa situazione c'è. Ti vedrò piagnucolare come un bambino. Ce l'avevo in programma sai? Pensavo che ci sarebbe voluto più tempo però. . .Oh non fa niente, tanto vale approfittarne non credi?" il ronzio del pannello scorrevole invase le orecchie di Sherlock come un balsamo.

La parete in vetro rivelò nuovamente la sala nella stiva.

Jim era seduto tavolo in acciaio e vetro nero, e faceva dondolare i piedi nel vuoto nella sua tipica, grottesca imitazione di un bambino.

Sulla sua faccia era stampata una smorfia deliziata per lo spettacolo che già si pregustava, quello di vedere Sherlock Holmes piegato, distrutto per la sua perdita, così malleabile e disponibile a quello che gli avrebbe fatto nelle prossime settimane. 
Il fastidio per come la sua preda si sia rivelata inaspettatamente fragile era compensato dal fatto che era stato lui personalmente a farlo a pezzi.

Quello che Jim Moriarty non si aspettava era di vedere il tritone impassibile, nonostante le tracce del turbamento provato fossero ancora visibili. 

E di certo quello che sorprese di più il consulente criminale fu l'oggetto nero in mano a Sherlock, puntato contro il suo petto.

L'angolo sinistro delle labbra della creatura dagli occhi di ghiaccio si increspò appena.

"Hai ragione. Dopotutto. . .perchè non approfittarne?" mormorò Sherlock armando il cane.

 
***


John si aggrappò con forza ai gradini della scaletta, se quel folle piano doveva funzionare era essenziale che lui restasse il meno visibile possibile. Strinse i denti al pensiero che se qualcuno degli uomini di Moriarty avesse sporto un po' il collo lo avrebbe certamente scorto e ogni speranza di riuscita si sarebbe dissipata come nebbia al sole.

Osservò in lontananza gli scogli di Mull che si erano fatto impercettibilmente più vicini.

Purtroppo la nave era troppo lontana dalla corrente vera e propria, e, a quella velocità sarebbero arrivati nei pressi delle secche troppo tardi, quando la marea fosse calata quel tanto che bastava da rendere evidenti le formazioni rocciose al pelo dell'acqua.

Il piano era semplice: Bisognava portare il peschereccio dentro la corrente vera e propria. Una volta lì, la nave sarebbe stata trascinata fino alla baia dell'isola, spiacevolmente nota per essere un labirinto di scogli, secche e altre formazioni rocciose affilate come rasoi. Prima che i Marinai potessero fare qualcosa per portare il peschereccio lontano da quella trappola mortale Greg e Mycroft avrebbero messo fuori uso le eliche, così che la nave sarebbe rimasta in balia del mare.

La Appledore sarebbe affondata, portando con se ogni dato raccolto su Sherlock e la sua specie, ma prima che questo accadesse John doveva tirare fuori di lì il minore degli Holmes. Era un piano quantomeno azzardato e colmo di rischi, ma come aveva fatto notare lui stesso a Mycroft ore prima, era l'unico che avevano.

John diede un'occhiata all'orologio, ormai doveva essere quasi il momento. 

Scrutò il mare in lontananza e poco dopo vide la testa della sirena affiorare dal pelo dell'acqua.

Qualche secondo più tardi la sua voce lo raggiunse, flebile ma comunque abbastanza distinguibile, mentre chiamava aiuto disperata e si sbracciava.

Anche i marinai la udirono, subito uno afferrò il binocolo che gli pendeva dal collo per osservare meglio la scena. Tutti e cinque gli uomini rimasero in silenzio per qualche istante, poi si misero a confabulare tra loro in uno strano idioma fatto di russo e di qualche parola in inglese.

John riuscì a distinguere solo qualche parola, anche se erano talmente storpiate che non avrebbe potuto giurare che non significassero tutt'altro.
Alla fine li vide scomparire dal parapetto e trasse un sospiro di sollievo, almeno il problema di essere scoperti era sparito per il momento.

Facendo forza sulle braccia doloranti si arrampicò e raggiunse con gli occhi il livello del ponte così che potesse dare un'occhiata in giro. Gli uomini di Moriarty stavano parlando con un paio di marinai inglesi.

Subito dopo sei di loro corsero verso la prua, mentre il settimo si dirigeva verso la sala macchine, probabilmente per avviare il motore.
John sorrise, mentre dentro di se esultava. Sally aveva avuto un'ottima idea quando aveva deciso di fingersi dispersa in mare.

Chiaramente la Appledore non poteva lasciarsi dietro tracce del suo passaggio, e un testimone sarebbe stato incredibilmente scomodo. In particolare se il peschereccio non avesse tratto in salvo un naufrago e questo fosse morto avrebbero finito per attirare inevitabilmente l'attenzione.

Molto più sicuro far salire a bordo il naufrago e sbarcarlo al primo porto sicuro.
Quando udì un lieve scossone di partenza il dottore si decise ad issarsi a bordo. Questa volta armò immediatamente l'arma, non si sarebbe lasciato sorprendere come nell'ultima occasione.

Corse leggero, cercando di fare il minor rumore possibile, appiattendosi contro ogni superficie che potesse offrirgli riparo.

La spalla gli bruciava terribilmente, l'acqua di mare doveva essersi infiltrata attraverso la fasciatura. Sentiva anche un generale senso di spossatezza, che ignorò con decisione. Dopo tutto il sangue che aveva perso era naturale che non fosse in forma eccellente, ma ora, a maggior ragione, doveva sbrigarsi a tirare Sherlock fuori di lì.

Si inginocchiò a terra, il fianco premuto contro una delle due centraline elettriche dietro il casotto della sala comandi. Con cautela si sporse a controllare. 
Al centro del ponte, leggermente rialzato, c'era il bordo superiore della vasca, sbarrato dalle solite grate in acciaio, e, poco distante, una scaletta portava alla stiva sottostante dove si trovava il resto della prigione di Sherlock.

Questa volta agli angoli del rettangolo vi erano quattro uomini armati di tutto punto.

Il lato positivo era che se si trovavano lì nessuno aveva notato il loro arrivo, il lato negativo e che doveva affrontare quattro mercenari russi armati fino ai denti.
Il cervello di John  si mise a lavorare freneticamente alla ricerca di una soluzione, ma si interruppe quasi subito.

Uno sparo, leggermente ovattato ma inconfondibile risuonò nella stiva sotto di lui.
Gli uomini di Moriarty, allarmati si guardarono tra di loro.
Il momento perfetto.

Ignorando l'ansia che gli mordeva lo stomaco John si gettò in corsa fuori dal suo nascondiglio e mirò al primo dei mercenari.
Era sempre stato un buon tiratore e la mira non lo tradì, due di loro caddero a terra chiedendosi cosa li avesse colpiti. Il terzo, più pronto di riflessi, puntò la semiautomatica contro di lui e fece fuoco.

Il dottore si lanciò a terra, sentendo le pallottole che fischiavano poco sopra di lui.
Con una torsione del busto si alzò sul gomito sinistro, ignorando la fitta di dolore, e sparò, colpendo il suo avversario al ginocchio. Il rumore di un una sicura levata, espose nel suo orecchio. 

I suoi riflessi potenziati dall'adrenalina lo fecero rotolare di lato mentre alla sua destra due esplosioni di schegge spuntavano sul ponte tirato a lucido.
Prima che il suo avversario avesse il tempo di fare alcun chè John puntò la sig sauer e fece fuoco, colpendolo al fianco.

Guardando il suo avversario cadere sentì un'ondata di debolezza invaderlo, mentre la spalla protestava veementemente per tutti quegli strapazzi.

Si tirò in piedi, con le gambe che tremavano come gelatina e la sensazione che fossero appena trascorsi giorni interi e non solo cinque secondi.
Un nuovo sparo espose nei suoi timpani, facendolo scattare al riparo, si accorse subito però che quel colpo era stato come il primo che aveva sentito: leggermente ovattato e proveniente dalla stiva.

C'era qualcosa di strano in quel colpo, alla fine di questo aveva udito come uno scricchiolio, come se il proiettile si fosse conficcato in una parete fatta di ceramica, ed era eccessivamente attutito, quasi come se . . .

Come se fosse stato sparato nell'acqua!

Un nuovo colpo e questa volta il rumore del vetro infranto, per qualche ragione ancora più assordante del colpo di pistola.

"Sherlock!"
 
***


Moriarty guardò l'arma con aria sorprendentemente calma, quasi apatica.

"E' così che vuoi che finisca allora? Non già con un lamento ma con il botto?*" chiese provando ad alzarsi dal tavolo, ma il suo movimento fu interrotto immediatamente dal pollice di Sherlock, che scese ad armare il cane dell'arma.

"Non funzionerà Sherl" disse restando però immobile "Quelle pistole sono di pessima fattura, è probabile che l'acqua abbia già bagnato la polvere da sparo. E tutto inutile" aggiunse, tuttavia il tritone percepì il nervosismo che traspirava dal suo tono di voce.

"Provare non costa nulla no?" chiese il tritone, e premette il grilletto.

Uno.

Il rinculo dell'arma si ripercosse nel braccio del moro, mentre il proiettile, lasciando dietro di se una scia di bolle, si andò a conficcare nel vetro, all'altezza del petto di Moriarty.

Subito la superficie si ricoprì di una ragnatela di crepe, che si allargava però con lentezza esasperante.

Il volto di Jim era invisibile dietro ai fili d'argento che si dipanavano dal centro dell'impatto, ma Sherlock era certo che lo stesse guardando negli occhi. Quella era una sfida, il consulente criminale avrebbe perso se si fosse spostato, il consulente detective se l'arma si fosse inceppata.

Ma questa volta il tritone non aveva alcuna intenzione di perdere.
Sherlock alzò anche l'altro braccio andando a sorreggere con il palmo il calcio della pistola.

Due.

Un'altro colpo andò a seguire il primo, a qualche pollice di distanza dall'altro. Questa volta le crepe si innalzarono fino al soffitto.

Dietro, nella sala della stiva, i tirapiedi di Moriarty e l'èquipe di scienziati pareva che stessero avendo una crisi isterica da quanto urlavano e correvano.

Sopra di lui, dove c'erano i quattro mercenari a sorvegliare la sua prigione, udì confusione e spari. Probabilmente stavano cercando di colpirlo, ma ormai era troppo tardi.

Fissò il punto dove era possibile intravedere il viso di Moriarty e sorrise.

Tre.

All'ultimo momento cambiò direzione del tiro e fece fuoco verso il generatore di energia.

Il la parete di vetro esplose in un milione di pezzi, mentre il proiettile la trapassava andando a conficcarsi nel suo obbiettivo. Trascinato dalla corrente, Sherlock precipitò nella sala, in una confusione di urla, imprecazioni e spari.

Le luci si spensero, e per una decina di secondi che al tritone parvero eterni la stiva rimase immersa nell'oscurità. Poco dopo le luci d'emergenza tinsero tutta la stanza di un inquietante vermiglio, permettendogli di distinguere i contorni dei mobili ribaltati e distrutti dalla furia dell'acqua.

Un dolore lancinante alle braccia e ai palmi delle mani lo avvisò che aveva delle schegge di vetro conficcate in profondità nella carne.

Cercò di issarsi sui gomiti, ma un'improvvisa mancanza d'ossigeno lo costrinse a ricadere a terra, boccheggiando.

Di tutta l'acqua della sua vasca non ne restavano che dieci miseri centimetri sul pavimento, che le sue branchie iniziarono ad inspirare con voracità, mentre il petto si alzava e abbassava freneticamente.

In un illogico istinto di sopravvivenza provò a trascinarsi via, ma immediatamente qualcosa lo bloccò sul posto.

La suola di una scarpa che premeva dolorosamente sulla sua schiena, al centro delle sue scapole, schiacciando la già martoriata pinna dorsale.

"Credevi davvero che avrebbe funzionato?" chiese Moriarty, boccheggiando e con un inflessione folle nella voce. Un colpo al ventre colse Sherlock a sorpresa, facendolo tossire e levandogli quel poco di fiato che aveva. Si sentiva debole e aveva la vista appannata, mentre un progressivo gelo gli invadeva le membra.

Da qualche parte in quel che restava del suo palazzo mentale registrò che stava morendo per mancanza di ossigeno.

"Credevi davvero che un po' d'acqua bastasse a fermarmi?" un altro colpo e subito dopo una stretta ferrea di dita che gli artigliavano un braccio girandolo supino.
Con uno sforzo immenso Sherlock aprì gli occhi, guardando verso l'alto.

Jim troneggiava su di lui, i capelli scarmigliati e l'aria da folle, mentre ogni vaga parvenza di civiltà sembrava scomparsa da lui.

Un nuovo calcio, questa volta all'altezza del petto. Il dolore fu meno intenso del primo ma non sapeva se attribuirlo ad una forza d'impatto minore o al fatto che stesse perdendo conoscenza.

La sua schiena si inarcò, mentre il suo corpo sembrava gridare per l'insufficienza di acqua nei suoi polmoni. 

Una morsa d'acciaio gli strinse il collo impietosamente, mentre veniva attirato verso l'alto, lontano dal liquido che gli era indispensabile per vivere. In un riflesso del tutto umano Moriarty stava provando inutilmente a strangolarlo, ma tirandolo fuori dall'acqua l'effetto che sortiva era lo stesso.

"Tu non puoi vincere contro di me!" urlò "Io sono più intelligente di te! IO HO VINTO E TU HAI PERSO!" urlò stringendo ancora di più la presa.

Tutto il mondo intorno a Sherlock sprofondò nell'ombra, stava morendo ma non importava. Moriarty aveva ragione: aveva perso. Ma in fondo ormai non aveva più molta importanza, nulla aveva più molta importanza.

Ora bastava lasciarsi scivolare e sarebbe tutto finito.

"Non esserne così certo bastardo!" una voce nota lo strappò all'abbraccio cullante della morte, riportandolo alla realtà.

No, non una voce, QUELLA VOCE!

"Non può essere!" ringhiò Moriarty lasciando la presa sul suo collo. Sherlock cadde a terra, dove persisteva ancora qualche centimetro del suo liquido vitale, che il suo corpo inspirò automaticamente, famelico.

"Quante volte devo ucciderti?" esplose Jim, mentre la mano correva alla tasca interna della giacca. John fu più veloce di lui e con due rapidi colpi lo fece barcollare all'indietro, spedendolo a terra con un urlo.

In due passi, il dottore fu sopra di lui, lo aveva colpito due volte alla gamba. 

Completamente dimentico del suo ruolo di medico lo afferrò per il colletto della camicia e lo colpì al volto, una, due, tre . . . alla fine perse il conto di quante volte il suo pugno si abbattè sui lineamenti del criminale. "Questo è per il banchiere! Questo e per quella famiglia! Questo è per aver tenuto in ostaggio dei bambini!" ogni frase sottolineata da un colpo rabbioso "Questo è per la spalla! E questo. . ." esitò un istante prima di scagliare il pugno più forte "questo è per Sherlock!" urlò furioso.

Vedendo Jim ormai senza sensi lo lasciò andare, con una espressione disgustata sul volto. Subito il suo pensiero corse a Sherlock, che si contorceva alla disperata ricerca d'acqua di fianco a lui. Incurante dei vetri rotti si chinò su di lui sorreggendogli la testa, scostandogli i capelli umidi dagli occhi per controllare le sue condizioni.

"Sherlock! Sherlock ti prego. . ." vedendolo boccheggiare passò rapidamente un braccio sotto la sua schiena e un altro sotto la coda, guardandosi freneticamente intorno e notando per la prima volta che la nave era pericolosamente inclinata.
Non aveva tempo per domandarsi come mai la nave fosse in quelle condizioni, così si limitò ad agire.

Scattò in piedi, ignorando il dolore alla spalla, e corse il più velocemente possibile sulle scalette. 

Fuori il mondo sembrava sprofondato di colpo nella notte, ma in realtà si trattava delle nuvole di tempesta che ormai si erano addensate a tal punto da oscurare completamente il sole. Un lampo in lontananza, subito seguito da un tuono assordante fu l'unico indizio di quello che stava per scatenarsi.

Di lì ad un secondo infatti si scatenò l'inferno, senza alcun preavviso la pioggia cominciò a cadere con violenza inaudita sul ponte della nave e su chiunque si trovasse sopra di questo.

John, accecato dall'acqua barcollò per poi scivolare a terra, rischiando di perdere la presa sul suo carico. circondò con il braccio sinistro uno Sherlock privo di sensi intorno ai fianchi e afferrò con la destra la sbarra del parapetto della nave.

Se prima l'inclinazione era stata fastidiosa ora era decisamente pericolosa, e non accennava a diminuire.

Il dottore scosse la testa, cercando intorno a lui quale potesse essere la causa per cui la Appledore stesse affondando e lo vide.

Con una morsa di gelido terrore intorno al cuore lo vide.

Sapeva che la costa est di Mull era pericolosa, non solo per gli scogli e le secche, quelle potevano essere evitate con un buon timoniere e una buona mappa.

No, il vero pericolo di quelle acque era un fenomeno raro ma assolutamente mortale per chi aveva la sventura di osservalo da vicino a bordo di una nave.

Il Vortice di Garmr.

E il suo nome, ereditato da un antico cane infernale della mitologia norrena, era assolutamente meritato.

John si tenne stretto, mentre la nave precipitava verso il centro del gorgo. Guardò Sherlock, la nave era affondata a tal punto che l'acqua arrivava al petto di entrambi ma da lui non vi era ancora nessun segno di vita.

Provò a scuoterlo "Andiamo, andiamo, andiamo Sherlock! Non mi mollare ora! Giuro che se mi hai fatto fare tutto questo casino solo per morire così io. . .io, ti prego Sherlock, ti prego!" ma dal tritone non veniva ancora nessuna risposta, nessun sussulto, nulla che lasciasse ad intendere che fosse ancora vivo.

"Lascialo andare" sussurrò la parte più fredda e logica del dottore, "lascialo e salva te stesso, ormai non c'è più nulla da fare" John digrignò i denti "No! Col cazzo. Se dobbiamo farla finita lo faremo insieme" ringhiò stringendo gli occhi.

"Ma che belle parole Johnny-Boy" sentendo quella voce il medico alzò lo sguardo.
Sopra di lui, i capelli scarmigliati dalla tempesta, gli abiti lacerati in più punti, appeso con un braccio al corrimano delle scalette che portavano alla stiva, c'era un Moriarty decisamente troppo vivo e vegeto per i suoi gusti.

"Se vuoi puoi rigirarmi la domanda di poco fa!" strillò afferrando la pistola sotto la sua giacca e puntandogliela contro.

"DASVIDANIA JOHNNY-BOY!" urlò facendo fuoco, ma il colpo non raggiunse mai il suo obbiettivo.

La Appledore si schiantò infatti contro uno degli scogli che circondavano Mull sbalzando Moriarty fuori bordo e facendolo precipitare nel gorgo con un urlo.
John chiuse gli occhi per non assistere, mentre sentiva la presa intorno al freddo metallo farsi sempre più insicura.

Lanciò un'altra volta uno sguardo a Sherlock. Erano ancora loro due contro la tempesta ma in quel caso non se la sarebbero cavata con qualche ferita alla schiena. 

"Non questa volta" ringhiò John "Questa volta non ti lascio solo" chiuse gli occhi per un momento, rafforzando la presa sul fianco freddo del tritone "Questa volta resto con te" prese un respiro profondo e lasciò andare la presa sulla sbarra in metallo.

L'acqua gelata si richiuse sopra di loro, fagocitandoli all'interno dell'oceano buio.

L'ultima cosa che John sentì prima di sprofondare nell'oscurità furono un paio di braccia che si stringevano intorno a lui, poi più nulla.
 

***


La luce del sole si infiltrò attraverso le sue palpebre, conficcandosi dolorosamente nel suo cervello come una coppia di aghi roventi.

Preso da un improvviso attacco di vittimismo John si ritrovò a pensare a quanto fosse stronzo il sole a far percorrere 149.600.000 chilometri alla sua luce solo per dargli un'emicrania record.

Vittimismo. . .sistema solare . . .SHERLOCK

Il dottore si tirò a sedere di scatto, constatando dolorosamente di aver passato probabilmente tutta la notte su quello scoglio, leggermente riparato dalla furia delle onde, ma comunque terribilmente scomodo.

Anche se non aveva un centimetro quadrato del corpo che non gli facesse male John si costrinse ad alzarsi in piedi.

Si guardò intorno freneticamente, nessuna traccia di Sherlock. . .o del suo corpo.

Scacciò immediatamente quel pensiero dalla testa.

Sherlock era vivo! Doveva essere vivo. Chi si era preso altrimenti il disturbo di salvargli la vita?

Portò le mani a coppa intorno alla bocca "Sherlock! Sherlock dove sei dannazione? Non è il momento dei tuoi scherzi cretini, vieni fuori! Ti prego vieni fuori. . .ti prego. . ." John cadde in ginocchio, costretto a constatare la verità. Sherlock non c'era e non ci sarebbe stato mai più. Singhiozzò, mentre lacrime copiose gli rigavano le guancie, senza che lui facesse nulla per asciugarsele.

Cadde a bocconi, i gomiti e gli avambracci contro la nuda pietra, la fronte che toccava la superficie fredda e dura.

"Ti prego" sussurrò "mi dispiace, mi dispiace così tanto. Giuro che non mi lamenterò più per quando userai le mie cose, giuro che ti porterò dove vorrai su quella dannata carrozzina e giuro che passerò ogni singolo giorno che mi sarà concesso di vivere adorandoti e amandoti come meriti ma ti prego. . .ti prego. . .non essere morto" implorò dolorosamente.

"Basta chiedere"

John alzò il capo di scatto. Davanti a lui, con il suo solito sorriso impertinente, nuotava uno Sherlock perfettamente sano.

"Ti sono mancato?" chiese inarcando la sopracciglia in un modo che normalmente John avrebbe definito adorabile, ma non ora. Ora si sentiva furioso e al colmo della felicità al tempo stesso, invaso da una quantità tale di emozioni che non si capacitava di come potesse non esplodere.

Con insospettabile agilità per i suoi quaranta e passa anni John Watson si slanciò in acqua, atterrando addosso a Sherlock e trascinandolo sotto la superficie dell'oceano salato, che provvide a cancellare immediatamente le sue lacrime.

Immerso nel mare il tritone appariva in tutta la sua ultraterrena bellezza, i capelli che ondeggiavano come seta intorno al volto pallido, dalle labbra rosse leggermente socchiuse. Il dottore si prese qualche istante per contemplarlo, senza preoccuparsi del sale che gli bruciava gli occhi.

Afferrò quelle guancie spigolose tra le mani e affondò la bocca in quella di Sherlock.
Sentì la sorpresa dell'altro nella sua immobilità, ma durò solo per un istante prima che il moro circondasse con prepotenza le sua nuca con le braccia sottili, insinuando le dita nei capelli corti e tirandoli delicatamente.

Dopo qualche secondo riemersero e si separarono restando a osservarsi vicinissimi, entrambi con il fiatone, gli occhi negli occhi. Fu John una volta tanto a interrompere il silenzio "Io ti uccido uno di questi giorni" sibilò ancora arrabbiato nonostante il sollievo che lo aveva invaso. Sherlock sbuffò una risata "Impossibile John, lo sappiamo tutti e due. Tu non puoi stare senza di me e poi. . ." il dottore lo interruppe pizzicandogli una guancia e tirandola "Zitto. Sta zitto, razza di arrogate sputasentenze. Oh, e non pensare di cavartela così a buon mercato, sono ancora incazzato nero con te." sbottò serio.
Sherlock gli rivolse un'occhiata oltraggiata, poi sorrise "Sono in punizione?" chiese, con aria maliziosa.

"Oh di questo puoi starne certo" borbottò John, prima di attirarlo a se e stringerlo in un abbraccio soffocante "Mi hai fatto morire di paura" aggiunse sottovoce appoggiando la fronte sulla spalla ossuta del tritone.

Il moro ricambiò la stretta, cullandolo gentilmente "Sono qui John, non ti lascio solo. Questa volta resto con te" promise con la sua voce profonda, accarezzandolo gentilmente sulla testa. John sorrise nel riascoltare le parole che lui stesso aveva pronunciato qualche ora prima. In fondo Sherlock aveva ragione, come sempre d'altronde, era un inguaribile romantico.

Probabilmente sarebbero rimasti nell'acqua tutto il giorno, nonostante gli acciacchi a John sarebbe andato bene pur di rimanere con il suo tritone, ma un familiare colpo di tosse li riscosse dalla dolcezza di quell'incontro.

Poco distanti Greg, Sally e Mycroft (i primi due particolarmente interessati al paesaggio a giudicare dall'ostinazione con cui fissavano qualunque cosa non fosse nella loro direzione) erano emersi dal pelo dell'acqua. A giudicare dal loro aspetto sembrava che non avessero riportato nessuna ferita grave nella tempesta, cosa che sollevò il dottore, nonostante l'irritazione per essere stato interrotto.

"Perfetto tempismo come sempre Mycroft" commentò acido Sherlock, restando attorcigliato a John con la possessività di una piovra. Finse di scrutarlo "Sono passati solo due mesi e sei riuscito a prendere peso? Mi deludi" lo punzecchiò ironico.
"Noto che tu invece sei sempre inossidabile alle buone maniere fratellino. Sono sollevato, vedendo l'affettuosità con cui ti stavi. . . rapportando al dottor Watson temevo che il tuo splendido carattere si fosse addolcito" replicò il maggiore.

Sherlock si volse stupito verso John "Vi conoscete?" "Mi ha aiutato a tirarti fuori dalla Appledore e mi ha salvato la vita quando Moriarty mi ha sparato, direi che siamo in debito con lui". A quella notizia Sherlock si esibì nel migliore gemito teatrale del suo repertorio.

"A tal proposito" proseguì Mycroft come se non fosse stato interrotto "Credo che sia venuto il momento di salutarci per adesso" disse in tono piatto. Per tutta risposta il minore strinse ancora di più la presa sul suo dottore , avvolgendo anche la coda intorno alle sue gambe, rischiando di farli affondare "Scordatelo" sibilò.

Il maggiore degli Holmes sospirò alzando gli occhi al cielo "Sherlock, il dottor Watson ha bisogno di cure mediche, e anche tu . . . " "Sto benissimo" lo interruppe quasi ringhiando, mentre la pinna dorsale si inarcava per l'indignazione.
Subito però si rilassò, quando sentì la mano calda di John posarsi sul suo braccio "Sherlock per quanto mi costi ammetterlo tuo fratello ha ragione. Abbiamo bisogno entrambi di cure e riposo e possiamo ottenerle soltanto tornando nei nostri rispettivi luoghi di appartenenza. Ci rivedremo molto presto, stanne pur certo. Anche a costo di rimettermi una maledetta tuta da sub e a venirti a cercare di persona" aggiunse sfiorandogli lo zigomo con il pollice.

Sherlock gli rivolse uno sguardo da cane bastonato prima di sfiorargli nuovamente le labbra in un bacio leggero. "Non dimenticare la tua promessa" sussurrò sulla sua bocca "Solo se tu non dimentichi la tua" rispose John sfiorandogli la fronte con la propria, prima di lasciarlo andare con riluttanza.

John osservò il tritone allontanarsi verso gli altri membri della sua specie, e dopo avergli rivolto un ultimo sguardo, inabissarsi sotto le onde del mare.
 

***


Il dottore abbassò il libro che teneva all'altezza degli occhi, sospirando frustrato.
Erano passati ormai sei giorni da quando si era presentato barcollando a Tobemory, l'unica città di Mull, con la muta da sub strappata e chiedendo di essere portato all'ospedale. Una volta ricoverato aveva dovuto inventarsi una storiella ben poco credibile secondo cui era stato aggredito dai pescatori della Appledore mentre era in barca.

La fortuna però, insieme alla sua professione rispettabile e alla sua fedina penale immacolata, erano dalla sua parte: così l'ispettore Bloch, venuto appositamente da Scotland yard per seguire il caso del peschereccio affondato gli credette, o finse di farlo. Ad avvalorare la sua tesi c'era poi il fatto che i marinai naufraghi fossero tutti mercenari russi o slavi, e che farneticassero di sirene e di un certo James Bond biondo e non troppo alto che aveva messo fuori gioco quattro di loro prima di darsela a gambe con la presunta Ariel.

Fu così che John poté ritornare a casa sua, dove ad aspettarlo c'era un confusissimo Mike Stamford che ricordava poco o niente della loro avventura.

Non fu difficile convincerlo che in realtà loro due erano semplicemente usciti per una battuta di pesca insieme e che, una volta scoppiata la tempesta, la barca si era rovesciata e loro due erano stati trascinati in due direzioni diverse.
L'ospedale gli dette un congedo mensile, dopotutto gli avevano pur sempre sparato in una spalla, così John aveva potuto dedicarsi all'unica cosa che aveva da fare al momento.

Aspettare.

E aspettare e aspettare e aspettare, finchè non avesse avuto notizie da Sherlock.
Per essere sicuro di non mancare quando sarebbe tornato da lui ormai si era praticamente trasferito nella caverna, visto che dormiva, mangiava e scriveva lì.
Spiegare a Mary come stavano le cose non era stato troppo difficile, in realtà le aveva detto semplicemente la verità. Si era innamorato di un'altra persona e gli sembrava ingiusto proseguire con la loro relazione.

Se l'era cavata con uno schiaffo, una scenata terribile e, alla fine con un abbraccio e un bacio sulla guancia, contornati da un sincero "Spero che ti renda felice". Quindi neanche troppo male a conti fatti.

Così aveva passato i successivi quattro giorni rintanato lì, a leccarsi le ferite, aspettando che Sherlock tornasse da lui.

Ormai cominciava a sospettare che avrebbe davvero dovuto mettersi una muta da sub e andarlo a cercare sul fondo del mare.

Chiuse il libro con un colpo secco, alzandosi e preparandosi a passare un'altra nottataccia sul materasso scomodissimo quando un lieve tonfo lo bloccò sul posto.
Abbassò lo sguardo e con un moto di delusione vide che era solo il cellulare che gli era caduto di tasca, atterrando in una delle pozze più basse, di quelle che avevano il ricambio d'acqua anche con la bassa marea, come quella di adesso.

Si inginocchiò per riprenderlo, per fortuna era quello comprato un mese addietro, ed era a prova d'acqua. In realtà lo aveva preso per Sherlock, ma lui si era sempre ostinato a rubargli il suo e quello era rimasto nella grotta, inutilizzato.

Arrotolò la manica della camicia fin sopra il gomito voltando il capo per poter allungar ancora di più l'arto e affondò il braccio nell'acqua per riprenderlo, quando sentì qualcosa sfiorargli la mano. Istintivamente la ritirò, ma questa fu repentinamente afferrata da una stretta ormai familiare.

"Sherlock!" esclamò felice e sollevato vedendo la testa del suo tritone affiorare dall'acqua. "Mi hai fatto prender un accidente, ma cosa. . ." si interruppe quando vide l'espressione mesta del minore degli Holmes.

"Sherlock. . ." ripetè, questa volta titubante "Qual è il problema. Che. . ." le parole gli morirono in gola quando vide l'altro braccio del moro.

Il polso era cinto da una robusta fascia di cuoio, che correva fino all'altra parte della caverna, dove nel frattempo erano emerse le teste di Mycroft e di un paio di tritoni dall'aspetto possente e dal piglio militare.

Uno di questi teneva l'altro capo della fune che legava Sherlock.

"Mi dispiace" sussurrò "Mycroft ha già dovuto riscuotere un mucchio di favori solo per farmi venire fin qui. Anche se la grotta non ha altre uscite, non hanno voluto aspettarmi fuori, ordini del Consiglio" aggiunse, calcando con fare disgustato il nome del loro gruppo di capi.

"Che sta succedendo Sherlock?" chiese John guardando con ostilità i due bestioni, che dal canto loro lo fissavano con aria tutt'altro che amichevole.

Il tritone evitò il suo sguardo per un lungo istante, prima di prendere coraggio "Mi spediscono a Biscay, lì c'è la nostra colonia più grande in Europa. Sarò sorvegliato giorno e notte e non potrò tornare in Inghilterra. . .mai più" sputò fuori stringendo gli occhi, il tono che aveva usato era quanto di più vicino alla disperazione John avesse mai sentito.

"No!" gemette con un filo di voce il biondo "Ci deve essere qualcosa che posso fare, io . . .parlerò con loro, non possono farti questo. Non possono farci questo!" disse sfiorando la guancia di Sherlock.

"La decisione è stata presa ormai, e le decisioni del Consiglio sono irrevocabili" disse mestamente, poggiando la mano palmata su quella calda del suo dottore.
"Gli umani sono e saranno per sempre visti come una minaccia per il nostro popolo, il solo fatto che io abbia passato del tempo con te, il solo fatto che io provi qualcosa per te, dal loro punto di vista è abominevole" disse con amara ironia.
"Normalmente per ciò che ho fatto sarei stato condannato a morte" alzò il capo e gli sorrise tristemente "Ma avevano paura che se lo avessero fatto tu l'avresti presa poco sportivamente" aggiunse.

"Quindi è questo che hanno escogitato? Rinchiuderti da qualche parte nella vostra colonia d'oltremanica, tenendoti in ostaggio per il resto dei tuoi giorni?" ringhiò furioso il medico. "Non possono farlo, è sbagliato, è crudele! Non possono perchè tu. . .perchè. . .io. . .Io ti amo!" esclamò John. Sherlock sgranò gli occhi, mentre le pupille si dilatavano inghiottendo l'azzurro e il cuore martellava contro il petto.

Rimasero così, fermi immobili, semplicemente guardandosi per alcuni lunghi istanti, assaporando i significati di quelle due parole in relazione a loro due.

Dall'altra parte della sala uno dei due colossi che avevano accompagnato i fratelli Holmes si agitò nervosamente sul posto. "E' ora Sherlock" disse debolmente Mycroft, per una volta in vita sua rispettoso del dolore altrui "dobbiamo andare".
Per tutta risposta Sherlock circondò il collo di John con il braccio libero, mentre il medico affondava il volto nella spalla del tritone, cercando di trattenere le lacrime.

Sentì la bocca del moro sfiorare il suo orecchio "Ricordati che ti ho fatto una promessa John Watson" sussurrò in modo tale che solo lui potesse sentirlo.
"E ho tutta l'intenzione di mantenerla" concluse, scendendo con la mano ad accarezzargli il fianco coperto dal parka verde.

John lo fissò sorpreso negli occhi color ghiaccio.

"Mi fido di te" sussurrò in modo ugualmente impercettibile agli altri.

Sherlock sorrise, prima di esibire nuovamente un'espressione affranta "Addio John" disse, allontanandosi. Dopo avergli lanciato una fugace occhiata si inabissò con un colpo della coda azzurra, seguendo i suoi carcerieri incontro al suo destino.

John si rialzò in piedi, cominciando a percorrere avanti e indietro la grotta. Con il passare dei minuti la sua ansia crebbe sempre di più, che cosa aveva voluto dire Sherlock con quell'ultima criptica frase.

Continuò a percorrere sue giù la grotta finchè non fu davvero troppo stanco per continuare.

Si lasciò cadere a peso morto sul letto, gli occhi fissi sulla volta di pietra della caverna, come se questa potesse dargli le risposte che cercava.

Quando ormai stava per perdere le speranze sul venire a capo dell'ennesimo mistero di Sherlock udì il suo cellulare, quello che Harriet gli aveva regalato lo scorso Natale, vibrare per l'arrivo di un messaggio. Un po' per l'automatismo del gesto, un po' per sapere se all'ospedale avessero bisogno di lui, lo afferrò di malavoglia.
Aggrottò la fronte quando vide comparire la scritta Numero sconosciuto, pensando ad un qualche sorta di spam.
Stava per buttarlo via quando la curiosità prevalse e aprì l'Sms.

I23.33I - Stavo pensando. . .

John inarcò un sopracciglio deluso e irritato, credendo che fosse qualcuno che avesse sbagliato numero. Stava per far notare l'errore, ora non aveva proprio voglia di stare dietro agli errori di battitura di qualcuno, quando arrivò il secondo messaggio.

I23.35I - Che la campagna intorno a Bordeaux è davvero splendida in questo periodo dell'anno.

Il cuore del dottore prese a battere furiosamente contro il petto. Da quel poco che ricordava di geografia Bordeaux era sul mare. Non osava crederci, possibile che. . .?
Tastò la tasca del parka, dove poco prima aveva infilato il telefono impermeabile recuperato dall'acqua e trovandola vuota. Mentre un gigantesco sorriso gli si stampava in faccia il telefono trillò di nuovo.

I23.36I - Vieni con me? Potrebbe essere pericoloso. . . S.H

I23.39I - Sì, mille volte sì! Anche a costo di farmi trascinare per tutto l'oceano da quei fottuti pesci spada! J.W

I23.40I - Oh, quasi dimenticavo John S.H

I23.40I - Cosa? J.W

I23.41I - Ti amo anch'io. S.H

 
Fine




*Mannaggia all’arcipelago inglese! Ho passato mezz'ora a cercare un’isoletta nel mare d’Irlanda che avesse delle coste un po’ impervie  e alla fine, visto che non c’era assolutamente NULLA su cui lavorare, ho dovuto inventare di sana pianta. Mull infatti si trova in Scozia, e non al largo di Cardiff dove si svolge la nostra storia. In compenso però ha delle bellissime scogliere in basalto, date loro un'occhiata se avete voglia.
Per quanto riguarda tutta la descrizione del paesaggio e del mare è tutto pura invenzione ai fini della storia.

* di Haruki Murakami. Opera: Kakfa sulla spiaggia.
*E' il capitolo delle citazioni improprie a quanto pare. Di T.s Eliot. Poesia: gli uomini vuoti.

Breve riassunto di come ho trascorso le ultime due settimane:

Razionalità-  finisci la storia.

Me-  ma. . .ma ci sono un sacco di altre cose che potrei fare al posto di continuarla, tipo. . .iniziare una nuova fan fiction lunga 217904735 capitoli di Merlin. .  . o accompagnare mia sorella e il suo immenso guardaroba in Germania. . . o iniziare un corso di macramè online. . . o . . .

Razionalità con una mazza chiodata in mano-  Finisci. La. Storia!


Che dire (a parte il fatto che sto capitolo è stato un dannato parto cesareo pentagemellare?) non mi sembra vero di essere riuscita finalmente a scrivere e concludere qualcosa di più lungo di dieci pagine, è un sogno che si avvera, ma forse farei a piantarla di sproloquiare e a darmi una mossa. Ringrazio Fantasy090, Koa__, LairaWolf, conan, _KuroNeko per aver lasciato dei commenti e, soprattutto, Skyliria e CreepyDoll per aver recensito ogni capitolo. Grazie infinite, se non fosse stato per voi probabilmente avrei mollato tutto a metà come al mio solito. La mia riconoscenza va anche a coloro che, pur non recensendo, hanno inserito la mia storia tra le preferite, ricordate o seguite, il fatto che così tanta gente abbia apprezzato il mio primo lavoro è stata un’ulteriore motivazione a proseguire.
E ora (se ho finito di fare il Di Caprio dei poveri alla consegna degli oscar) direi di concludere qui.

Goodbye-bye.


P.s se non l'avete ancora vista sul canale di Hillywood c'è una parodia di Sherlock fatta da due sorelle semi-professioniste, con tanto di messaggio finale di Moffat e riprese fatte all'interno del solo e unico Setlock. Dovete assolutamente vederla è qualcosa di spettacolare.

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Capitolo 20
*** Epilogo ***


Epilogo


Pensavate di esservi liberati di me non è così? E invece no! Sono come come la sifilide: Infida e non scompaio mai del tutto.
E niente, particina finale piccola piccola (più o meno) che avevo già in mente di buttar giù e che Skyliria mi ha convinta ad aggiungere. Questa in ogni caso è la fine assoluta,o The End, o game over, o fine dei giochi, o stop al televoto(!?) che dir si voglia. Ma come il cattivo di un pessimo B-movie ve lo giuro: io ritorneròòòòòòòòòòòò.

(I saluti finali sono sempre quelli del capitolo 19, e non ho voglia di ammorbarvi recitando di nuovo tutta la miranda, quindi vi lascio alla lettura).



La campagna francese era sempre stata nota per essere particolarmente generosa e lussureggiante. Molti avrebbero detto che era grazie alla terra di quei luoghi che contadini i francesi definivano graisse "grassa", perchè carica di sostanze nutritive. Oppure che il merito era della calda corrente del Golfo, che trasformava anche gli inverni più rigidi in tiepide primavere lungo tutta la costa della baia di Biscay.

Eppure c'era anche chi nonostante quelle spiegazioni perfettamente logiche pensava che ci fosse anche dell'altro. Come se la terra avesse voluto fare uno dei suoi rari regali ai suoi abitanti, donando loro un luogo perfetto ove vivere.

Qualunque fosse la spiegazione vi era almeno una cosa certa, grazie a quei fattori naturali la provincia agricola di Bordeaux poteva vantare la produzione di alcuni tra i migliori vini al mondo. Essi erano tanto intensi e dalle tonalità così sgargianti da avere col tempo dato il nome della loro regione di provenienza addirittura ad una particolare tonalità di rosso.

John Watson, ex medico ormai in pensione, non aveva mai amato particolarmente il vino, da buon inglese aveva sempre preferito a questo una bella birra in un pub chiassoso, preferibilmente in compagnia di amici e da gustare con del fish and chips. Tuttavia negli ultimi anni si era dovuto abituare alla mancanza di entrambi, salvo nel periodo di Natale, quando oltrepassava la Manica a bordo del suo piccolo motoscafo per tornare in madrepatria a salutare amici e parenti.

Però John aveva sempre amato coltivare la terra, e così, quando dopo quarant'anni di onorata carriera aveva deciso finalmente di appendere lo stetoscopio al chiodo, aveva usato parte dei suoi risparmi per acquistare un piccolo appezzamento di terra e una deliziosa villetta accanto ad esso. La casa era splendida, dipinta di un giallo probabilmente intenso ai tempi della tinteggiatura, ma che con gli anni si era dissolto in un delicato color crema. Aveva le persiane dipinte di un rosso brillante e sul fianco est crescevano delle ipomee rampicanti, che dall'inizio alla fine dell'estate regalavano una cascata di effimere campanelle indaco dal cuore bianco e viola.
Il resto del giardino intorno ad essa era amorevolmente curato da John, così come il vigneto, e vi crescevano piante da fiore di tutti i tipi, ma soprattutto lavanda, decine e decine di piante di lavanda.

L'ex medico si levò il cappello di paglia sfibrata, rivelando una chioma oramai ingrigita dagli anni, e si asciugò la fronte con la manica della sua camicia da lavoro. Per quel giorno poteva bastare, inaspettatamente quell'anno era stato piuttosto caldo, e gli afidi avevano fatto una vitaccia. Poteva prendersela con calma per quanto riguardava la disinfestazione.

Senza stare a rimettersi il cappello procedette a colpo sicuro verso la direzione che sapeva essere quella di casa, nonostante i muri verdi costituiti dalle piante d'uva la nascondessero alla sua vista. Dopo una ventina di metri la siepe si interruppe bruscamente, rivelando la villetta alla sua vista.

Sorrise, come gli veniva sempre spontaneo fare ogni volta che vedeva l'abitazione, e si mosse verso la veranda, passando attraverso un vialetto di ghiaia circondato da alti e profumatissimi cespugli di lavanda. Lanciò un'occhiata attraverso il folto degli steli lilla, osservando divertito il lavoro alacre e instancabile delle centinaia di api che avevano preso d'assalto quelle piante fin dallo sbocciare del primo fiore.

Ancora abbastanza in forma nonostante i suoi 72 anni John salì senza fatica i primi gradini in legno verniciato che conducevano alla veranda. Ma proprio quando stava per poggiare il piede sulle assi di questa una voce perentoria lo interruppe.

"Non ti muovere John!"

L'ordine era stato sussurrato, ma nonostante questo l'ex medico non si sognò neppure di disubbidire, anche se un sorriso dolce comparve sul suo volto, increspandolo di rughe benevole.

Dopo qualche secondo si azzardò a sporgersi per osservare la scena, restando però in religioso silenzio.

Una figura seduta, attorniata da una foresta di pennelli, stracci, barattoli d'acqua colorata e tavolozze coperte di decine di sfumature diverse d'acrilico, era intenta ad aggiungere un ultimo invisibile particolare ad una tela orizzontale posta su un cavalletto. L'unico segno visibile del tempo su di lui, almeno da quella posizione erano i rari capelli bianchi che cominciavano a spuntare timidamente nella chioma bruna, leggermente più frequenti sulle tempie. Proprio per quelle due strisce argentee di tanto in tanto John lo punzecchiava, dicendogli che somigliava alla moglie di Frankenstein dell'omonimo film, ricevendo in cambio sbuffi e borbottamenti su quanto quella pellicola fosse scientificamente pressapochista.

Il volo che una splendida farfalla podalirio spiccò dal vaso di anemoni bianchi e neri fu il segnale grazie al quale capì che poteva di nuovo muoversi liberamente.

Raggiunse il pittore, mentre questo, separatosi dalla sua tela le lanciava un'occhiata critica, come se non fosse completamente soddisfatto, ma quando mai lo era?

John gli circondò le spalle fasciate da una leggera camicia azzurra in un abbraccio, prima di baciarlo dolcemente su una guancia "E' bellissimo" mormorò ammirando al quadro al quale l'altro stava lavorando da quasi un mese: una splendida veduta della baia in una giornata di sole esattamente come quella. Gli oggetti, gli alberi, la fila di arnie di loro proprietà e le case non avevano contorni ma erano macchie di colore di pura ispirazione impressionista, ammirabili soprattutto quando l'occhio dell'osservatore osservava la tela da lontano. Eppure qua e là vi erano soggetti dipinti con una minuzia tale che i loro dettagli potevano essere visti solo da chi si avvicinava fino quasi a sfiorare la superficie dipinta con la punta del naso.

Sherlock fece una smorfia, mentre sul suo viso compariva inaspettatamente qualche solco del tempo. John amava quei momenti, quando il tritone rivelava la sua vera età. C'erano volte in cui credeva che il suo amore avrebbe finito per spaventare anche la vecchiaia con il suo caratterino amabile e lui, succube invece del tempo tiranno, avrebbe finito per sostituire il teschio sul ripiano del caminetto.

"Non mi convince" borbottò sciacquando il pennellino nell'acqua. "Forse è la luce. . . oppure la tonalità del mare . . ." aggiunse dubbioso, come se in realtà non credesse a nessuna di quelle due ipotesi.

"Lo capirai più tardi. Adesso dobbiamo andare a farci un bagno tutti e due, o ti si seccheranno di nuovo le scaglie e passerai di nuovo una settimana a lamentarti di come sia ingiusto l'universo nei tuoi riguardi, prima che tornino splendide come al solito." gli disse John massaggiandogli le spalle ossute. Nonostante avesse passato gli ultimi tre decenni a insistere per farlo mangiare, Sherlock si ostinava a mantenere la sua costituzione filiforme.

Con uno sbuffo il tritone fece ruotare la carrozzina, dove era adagiato con la lunga coda azzurra nascosta da una coperta leggera e ormai quasi asciutta. mentre entrava nella villetta brontolò "Mh d'accordo, però questa volta non addormentarti sul letto lasciandomi nella vasca, o dovremmo spiegare un paio di cosette a tua sorella e alla sua adorabile nouvelle flamme che ha insistito tanto per farci conoscere".

John ridacchiò, appendendo ad un gancio la paglietta da esterno.

Aveva l'impressione che quella sarebbe stata una magnifica giornata.

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