Volti gli occhi a fronteggiare il sole.

di Afaneia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un segreto segretissimo. ***
Capitolo 2: *** Promesse da marinaio. ***
Capitolo 3: *** Accidenti al diavoletto. ***
Capitolo 4: *** Hai detto una parolaccia. ***
Capitolo 5: *** Mamma non aver paura. ***
Capitolo 6: *** Il Grande Sole Rosso. ***
Capitolo 7: *** Il Grande Max. ***
Capitolo 8: *** Come l'irruzione di un'alba. ***
Capitolo 9: *** La sua parte di cattiva sorte. ***
Capitolo 10: *** Guglie e merlature e raffinate decorazioni in conchiglie. ***
Capitolo 11: *** Lista delle cose belle di una vita. ***



Capitolo 1
*** Un segreto segretissimo. ***


Volti gli occhi a fronteggiare il sole.


«Ma chi disdegnerebbe di acquistare un mondo

per una sola ferita, o anche pagando il prezzo

di un qualche dolore più grave?»


John Milton, Paradiso Perduto, Libro X, vv. 499-501.



Capitolo I – Un segreto segretissimo.


«Max, senti... devo dirti una cosa.»

«Uhm, sì?»

«Ho una figlia, Max.»


Ci sono notti in cui Max vorrebbe veramente sognare di annegare.

Pensa che l'acqua che sale, sale, fino a inghiottirlo e a soffocarlo, sprofondandolo nel suo grembo azzurro e rassicurante, sarebbe l'unico rimedio a quest'arsura che lo dilania.

Ma tutto ciò che Max riesce a vedere è questo grande sole caldo che brucia e irrora la terra dei suoi raggi che la inaridiscono. Non riesce a guardarlo direttamente. È una grande sfera arancione, sorprendentemente bassa sull'orizzonte, e molto più grande di un sole normale. La sua luce è così splentente che sostenerne la vista, persino in sogno, è impossibile.

Eppure a Max piacerebbe vederla, ma proprio non è possibile. Sente che questo sole conoscerebbe qualche risposta, se solo egli riuscisse a guardarlo abbastanza a lungo da concepire dentro di sé le domande.

Ma davanti al sole, Max si sente come nudo. All'improvviso si accorge che non ha nulla con cui difendersi dal sole, che il calore è troppo forte, è insopportabile e bruciante e brucia la sua pelle come fosse fuoco!

Ogni notte Max si sveglia ansimante e sudato e fa fatica a ricordarsi dove si trova. Rimane immobile col petto che si gonfia affannosamente finché la luce che filtra attraverso le persiane non abitua la sua retina a distinguere nel buio quei tratti della loro camera che ormai stanno diventando familiari: vede la cima dell'armadio in rovere, le lame di luce delle persiane, la sagoma della porta rimasta aperta. Alla sua sinistra, nel letto, sente quella grande massa di calore che è Ivan.

Sarebbe troppo facile attribuire quegli incubi al calore emesso dal suo corpo robusto, così vicino a lui nel letto. C'è una parte molto razionale della sua mente che vorrebbe convincersi di questo, attribuire le sue angosce a ragioni fisiche, ma Max – in quei momenti di straordinaria sincerità con se stesso che si concede nel dormiveglia – sa che si tratterebbe di una bugia. Se così fosse, non sarebbe possibile spiegare per quale motivo, non appena egli si accosta maggiormente a Ivan sotto le coperte e si appoggia contro la sua schiena, gli incubi cessano fino al mattino. Appoggiando l'orecchio contro la sua pelle nuda, Max ascolta il suo cuore battere attraverso la cassa toracica a un certo ritmo familiare e rassicurante e si riaddormenta.


Max spalanca la finestra e il mattino irrompe nella stanza sotto forma di luce dorata, ma di una luce tiepida e benevola, priva di qualsiasi minaccia, e gli riempie le narici il profumo del mare. Vi è un continuo cinguettio di uccelli, fuori dalla loro casa, ma Max ha finito col trovarlo rilassante. Si concede qualche minuto di silenzio in quella luce e in quel canto.

«Hai voglia di parlare?»

Max non si volta. Anche così, continuando a dargli le spalle, riesce a vedere Ivan con precisione nella propria mente: sa che è seduto sul letto, a petto nudo, colle lenzuola drappeggiate attorno ai fianchi in modo così casuale e vaporoso da risultare terribilmente provocante, e che lo sta fissando. Percepisce sulla schiena la forza del suo sguardo, come una luce proiettata attraverso una lente.

Non lo sorprende che glielo abbia detto proprio ieri sera, soltanto ieri sera, in fin dei conti. Vivono insieme da quasi una settimana, e di certo può non sembrare molto, ma in realtà questi cinque giorni sono solo la punta di un iceberg che si protrae ormai da mesi – un iceberg di notti insonni e di giornate trascorse assieme in silenzio e di una strana quotidianità che avrebbe fatto impazzire chiunque se solo non si fosse trattato di loro. Non che la decisione di vivere insieme sia stata particolarmente studiata. Semplicemente una mattina Max si è svegliato nel letto di Ivan con tanta naturalezza che non si ricordava più come o quando ci si fosse addormentato, e Ivan stava guardando il soffitto con aria pensierosa. Devo comprare un letto più grande, ha detto solamente, e questo è stato l'inizio ufficiale della loro convivenza.

«Certo.»

«Bene, perché io ho un sacco di cose da dire.» Sente che Ivan si sistema meglio sul letto: probabilmente sta cercando di fargli spazio, ma Max non ha voglia di andare a sedersi accanto a lui. Non per ora, almeno. «Da cosa vuoi partire?»

Bisognerà che si decida ad affrontarlo, dopotutto, perciò Max si decide a voltarsi e a guardarlo in faccia, appoggiandosi al davanzale della finestra.

«C'è qualche motivo particolare per cui non me l'hai mai detto?»

Questa è la domanda più stupida, più infantile e forse più egoista che potesse fargli, è vero, eppure Max deve sapere. Per quale motivo conosce Ivan da più anni di quanti ne riesca a ricordare, e forse meglio di quanto conosca se stesso, ma non ha mai saputo che avesse una figlia. E non è che sia arrabbiato, o deluso, o che altro – non prova niente di tutto questo – ma semplicemente è qualcosa di rivoluzionario. Lui e Ivan si sono inseguiti e braccati e rifuggiti a vicenda in impeti d'amore e d'attrazione e di rivalità per quasi tutta la vita ch'egli conosce, e ora viene fuori che durante tutto questo, in un piccolo mondo protetto e distante relegato sullo sfondo del loro scontro, Ivan aveva una figlia. Max non è arrabbiato, non gli importa di quella bugia, se tale vogliamo chiamarla – è solo un rimasuglio di quel passato in cui entrambi hanno sbagliato e perso e si sono confrontati, e Max non potrebbe mai rinfacciargli niente che faccia parte di quel passato - ma vuole sapere. Ivan è sempre stato ciò che si chiama un libro aperto, che tradisce i suoi segreti con la voce e col corpo, se mai ne ha, di segreti... eppure, per tutto questo tempo, ha tenuto sua figlia segreta più ancora dei suoi piani.

Anche ora che vuole capire, Max non si limita ad ascoltare. Osserva, e vede Ivan nella sua solita postura aperta e disponibile al mondo, franca e schietta, gonfiare il petto ed emettere un lungo fischio assordante. «Ehi, Max, sei impazzito? Non è che non l'ho detto a te. Non volevo che questo potesse rientrare nello scontro tra i nostri Team...»

«Sai bene che non me ne sarei mai servito!» protesta Max inorridito, e forse non lo è tanto perché Ivan ha appena prospettato questa possibilità, quanto perché non è davvero sicuro che non l'avrebbe fatto.

Sta cominciando a rivalutare quello che ha fatto, Max. Non è una cosa che ammetterebbe ad alta voce, ma è così: nei suoi piani di miglioramento del pianeta, la falla era tanto grande che non essere riuscito a vederla gli dà un'idea molto precisa della sua propria cecità. Il suo piano così elaborato e ingegnoso era perfetto, e proprio il fatto che fosse tale ha rischiato di condannare tutta l'umanità. Semplicemente, Max ha sbagliato, e le conseguenze delle sue azioni sarebbero state irreparabili, se non fosse stato per l'intervento di altri. La verità è che Max non sa ancora se riuscirà a perdonarsi per ciò che ha fatto, ed è proprio questo il motivo per cui ora si domanda se davvero, se solo avesse saputo prima della figlia di Ivan, non avrebbe tentato di sfruttarla pur di avere la meglio sul suo Team.

Ivan scaccia quell'idea agitando la mano. «Non mi riferivo a te! Ma andiamo, credi davvero che se per caso questa cosa fosse venuta fuori, anche solo per errore, qualcuno come Rossella non se ne sarebbe approfittato?»

Rossella, già. Max non ha idea di cos'abbia fatto dopo ch'egli ha deciso di sciogliere il Team Magma, e francamente neppure gliene importa. Si augura che sia stata rinchiusa in un ospedale psichiatrico, comunque, perché non osa neppure immaginare cosa potrebbe combinare se trovasse qualcos'altro a cui appassionarsi nel suo modo morboso. Oppure che sia emigrata in qualche regione veramente lontana. Tipo Unima, magari.

«Giusto» conviene a bassa voce, ma il fatto che Ivan non lo reputasse capace di una cosa del genere non gli dà il sollievo che sperava. Forse è ancora troppo suggestionato dal suo sogno divenuto ormai ricorrente, quello di un grande sole caldo che brucia la terra.

Ivan è ancora lì, sul letto, e aspetta. Vuole davvero parlare di questa cosa, perciò Max pesca a caso dal mucchio di domande che gli affollano la testa.

«Come si chiama?»

Anche stavolta Ivan pare gonfiarsi tutto, ma stavolta è d'orgoglio. Max scorge un luccichio insolito nei suoi occhi.

«Hyra, ha sette anni. Vive a Ciclamipoli con sua madre. Ti piacerà, Max, vedrai: è una bambina intelligentissima.»

Max deve ancora incontrare un padre che sostenga di avere una figlia scema, e di certo quello non sarà Ivan. È veramente orgoglioso di parlare di lei, come se il merito della sua intelligenza, o di qualsiasi eventuale altra sua qualità, fosse interamente suo. In questo momento è un po' come un enorme piccione gozzuto che si stia mettendo in mostra, e Max decide di punzecchiarlo un po' per allentare la tensione.

«In tal caso, suppongo che tu debba ringraziare la madre.»

Il cuscino che Ivan gli scaraventa contro sbatte con un suono sorprendentemente forte contro l'intelaiatura della finestra, ma Max lo sa che non è arrabbiato. La sua grassa risata roboante riempie la stanza, e Max si sente giusto un po' meglio.

«Aye, hai ragione, Max! Sua madre non è una scema, anche se non ha due lauree come te.»

Ivan è così dannatamente a suo agio. Stanno parlando di una cosa come la sua figlia segreta, eppure è aperto e sereno e ci scherza anche sopra. A volte Max invidia la sua semplice visione del mondo (che comunque, come non perde occasione di ricordare a se stesso, era migliore della sua. Ivan ha cercato di fermarlo, anche se non ci è riuscito. Ivan sapeva che lui stava sbagliando).

Finalmente, Max si sente abbastanza a suo agio da andare a sedersi sul letto, accanto a lui. È ancora caldo della notte movimentata che ha passato, ed egli deve cercare di reprimere tutti i pensieri correlati al suo sogno.

«Chi è sua madre?»

Ivan si stringe nelle spalle, come se la cosa non avesse poi particolare importanza. «Una ragazza che voleva entrare nel Team Idro, qualche anno fa.»

«Sì, e poi?» chiede Max un po' spazientito. Non c'è bisogno che Ivan abbia riguardo dei suoi sentimenti proprio ora. «Ivan, ci hai fatto una figlia. Suppongo che tu la conoscessi almeno un po'.»

«Oh, va bene.» Ivan sembra dover raccogliere i pensieri per un po', come se precisamente questo pensiero, quello di aver avuto una relazione con una donna misteriosa sette od otto anni prima, gli desse un lieve disagio davanti a lui. Ma perché, poi? Ha forse paura che lui possa essere geloso?

«Ha seguito il percorso di addestramento per diventare una Recluta, ma ha deciso di smettere dopo che ci siamo lasciati. Non è stata una grande storia, alla fine» lo avverte. «E non molto romantica. Forse volevo solo dimostrare a me stesso che... non so, che ero veramente un uomo, magari. Che riuscivo ancora ad andare a letto con una donna e roba simile.» Max riesce quasi a vedere l'Ivan di quasi dieci anni prima, risentito e offeso con se stesso per quelle pulsioni che non riusciva a dominare, comprendere e ad accettare (a dire il vero si ricorda ancora com'era quando finivano accidentalmente l'uno nel letto dell'altro le prime volte, ormai una vita fa, così giovani e un po' più inesperti e passionali di ora, forse. Si ricorda bene la rabbia negli occhi di Ivan quando si accorgeva che nonostante tutto ciò che li separava lo voleva). Per questo forse riesce a immaginarselo così vividamente mentre si ritrova a letto con questa sconosciuta senza volto con il furioso proposito di farselo piacere... non c'è dubbio, tutto questo è molto da Ivan.

«Hyra è venuta fuori per caso, sai... un incidente. Io e Aima non siamo mai stati insieme, neppure quando è nata lei, ma beh... penso di poter dire che siamo sempre stati due genitori piuttosto civili, e ci siamo organizzati molto bene.»

Finalmente Ivan finisce queste poche parole che sembrano pesargli moltissimo, ma ora eccolo lì, un colosso di quasi un centinaio di chili d'orgoglio paterno. Forse è il sentimento più delicato che Max gli abbia mai visto esprimere.

Ora entrambi rimangono in silenzio, per un po', e Max torna a guardare fuori dalla finestra. In realtà Ivan gli ha detto pochissimo, ma a lui sembrano un mucchio di informazioni da analizzare. Ora che nessuno dei due sta parlando, il canto degli uccelli sembra molto più forte e insistente fuori della finestra, ed egli socchiude per qualche istante gli occhi in quella luce. È felice che il loro mondo ci sia ancora, malgrado le sue azioni, e che all'interno di quel mondo ci sia ancora spazio per una casa modesta e confusionaria come la loro, e per una bambina dal nome esotico che pare rendere tanto felice il suo compagno (amante?, ragazzo? È una fortuna che Ivan non sia uno che dà peso alle definizioni, perché per quella loro strana relazione Max non ha voglia di trovarne nessuna).

Finalmente, Ivan parla ancora. Max si volta verso di lui, e per una volta i suoi occhi scuri sono forse quanto di più serio egli abbia visto mai.

«Forse avrei dovuto parlartene prima, Max, ma è successo tutto in modo così rapido che non ho neppure capito quand'è che abbiamo cominciato a fare sul serio, e ora non posso più aspettare. Se c'è una cosa a cui penso di non poter rinunciare, quella è Hyra. Perciò ho solo bisogno di sapere che tu accetti mia figlia, Max. Credimi, non voglio altro.»

Max si ricorda ancora perfettamente di quanto, nell'estate dei loro vent'anni, ha disprezzato profondamente Ivan per la sua manifesta incapacità di mentire e per la sua sincerità totalizzante, palese, che traspariva persino dai suoi muscoli. Ivan non ha mai cercato di manipolarlo, e non lo farà neppure ora. E questo, per come la vede Max, è straordinario, in parte perché per tutta la vita egli non ha fatto nient'altro che questo – manipolare e rigirare la verità a proprio vantaggio, cioè – ma soprattutto perché in questo momento Ivan avrebbe ogni genere di motivo e di opportunità per ricattarlo subdolamente, ma non lo farà mai. Potrebbe ricordargli, direttamente o per velate insinuazioni, che l'uomo che ha rischiato di distruggere Hoenn non è proprio nella posizione migliore per rifiutarsi di accettare sua figlia, solo per fare un esempio, oppure ancora che, semplicemente, Max gli deve così tanto per essere rimasto con lui nel momento della sua massima aberrazione che... ma Ivan non è il tipo di persona che ragiona così, fortunatamente. Quello è lui. Ivan, invece, non si accontenterà di nient'altro che del suo pieno assenso incondizionato e per quanto possibile entusiastico – beh, entusiastico per i suoi standard, naturalmente.

Perciò, stringendosi le ginocchia al petto, Max alza le spalle e borbotta: «Non sarò obbligato a guardare le tue foto di famiglia, vero?»

Ivan scoppia a ridere – un suono caldo e avvolgente, basso e ritmico come sentir cannoneggiare in lontananza – e lo afferra per stringerlo a sé. C'è sempre un che di erotico nell'urtare contro il suo petto nudo – Dio, ma quand'è che quest'uomo scoprirà l'utilizzo del pigiama? - ma dato che stanno parlando di qualcosa di così serio Max si sforza d'ignorarlo.

«No, niente foto di famiglia, Maxie! Aye, non c'è mai stata una famiglia, lo sai: io e Aima non siamo mai stati davvero insieme, te l'ho detto.»

Beh, bene così, dopotutto.


Che poi, non è che Max sia poi così sorpreso come dovrebbe essere dal fatto che Ivan abbia una figlia. Anzi, in un certo senso, avrebbe dovuto aspettarselo. Insomma, se lui fosse stato nei panni della natura nell'atto di un processo evoluzionistico e avesse dovuto scegliere il maschio con più possibilità di riprodursi e mandare avanti la specie, avrebbe scelto Ivan senza neppure bisogno di pensarci troppo. Da un punto di vista meramente biologico, questo ammasso di muscoli e violenza è praticamente tutto ciò che una madre potrebbe volere... e quanto del resto all'orientamento sessuale, Ivan non è certo il tipo da porsi problemi, e Max, sin da quando lo conosce, non ha mai creduto nemmeno per un momento che Ivan non andasse a letto anche con qualche ragazza, oltre a lui (e anzi è piuttosto convinto, anche se non glielo chiederà mai direttamente, di essere stato l'unica relazione omosessuale della sua vita. Per quanto ne sa, Ivan non ha mai guardato un altro uomo che non fosse lui, mentre di ragazze Max gliene ha sempre viste attorno non poche e tutte diverse... ma deve ammettere, pensandoci bene, che già negli ultimi anni, molto prima degli eventi di Groudon, ha avuto l'impressione che queste altre relazoni si facessero sempre più rare e inconsistenti).

Quanto al lato, per così dire, affettivo della faccnda, deve ammetterlo, non ci aveva mai pensato, ma tutto sommato non è così difficile figurarsi Ivan nei panni di una figura paterna. Ha la sensazione che Ivan sia istintivamente molto portato a tutelare la prole, come gli Ursaring, il che non è così sorprendente. Probabilmente, e a maggior ragione dato che gli è nata una figlia femmina, sarà uno di quei padri gelosi e protettivi, o roba del genere... bah. Lo vedrà col tempo.

In conclusione, l'unico aspetto veramente sorprendente della faccenda è proprio il fatto che Ivan sia riuscito a tenerglielo nascosto per ben sette anni. Questo, in effetti, per lui che conosce Ivan più di se stesso, ha davvero del prodigioso, insomma... è Ivan. L'uomo che non riusciva a trattenersi dal venire a letto con lui nemmeno quando ce ne sarebbe stato più bisogno è davvero riuscito a tenere nascosta sua figlia non solo a lui, ma anche alla maggior parte del suo Team? (Perché Max è certo che se quest'informazione fosse stata nota anche solo a una recluta del Team Idro, nel giro di pochi giorni sarebbe giunta anche alla sua attenzione. Non si gestisce una squadra come la sua senza un buon servizio spionistico, che è qualcosa che Ivan non è mai riuscito a capire, per la disgrazia di entrambi.)

Il che, probabilmente, è qualcosa che dovrebbe farlo sentire quantomeno ferito, o qualcosa del genere. Eppure, per quanto ci ripensi, Max non può fare a meno di sentirsi persino (oh! quanto gli ripugna collegare questo sentimento a Ivan) un tantino ammirato nei suoi confronti.

Insomma, chi l'avrebbe mai detto che Ivan sapesse essere tanto bravo a mentire?



Buon pomeriggio a tutti!

Confesso che ho tanto esitato a pubblicare finalmente questa storia alla quale lavoro ormai da quasi un anno (già, sembra impossibile, considerando che doveva trattarsi di una sciocchezza, nata per caso una mattina di maggio in cui stavo pulendo il bagno. Non penso possa esistere una genesi meno poetica per una storia), e che è stata tanto gentile da scriversi praticamente da sola mentre io ero troppo impegnata con Cronache di Inenarrabili Eventi. Ho potuto dedicarle più tempo solo nelle ultime settimane, in effetti, ma questo non toglie che è probabilmente uno dei miei progetti preferiti e una storia che adoro, e forse quella in cui, al momento, mi rifletto maggiormente.

Una nota importante: per il momento, dato che non mi sembra di essermi allontanata troppo dal canone dei personaggi, ho deciso di non inserire l'avvertimento OOC alla storia, ma è una decisione sulla quale sono disposta a tornare. Sarei lieta di ricevere pareri in merito per poter valutare nuovamente la questione, anche col progredire dei capitoli.

Sento di dover specificare, nel caso qualcuno fosse intenzionato a proseguire con la lettura che gli aggiornamenti saranno con ogni probabilità assolutamente irregolari (nel mio caso, questa non è esattamente una novità, ma suppongo che sia sempre meglio avvertire!). Me ne scuso anticipatamente.

Nel frattempo, i miei più sentiti ringraziamenti a chiunque abbia deciso di aprire comunque la storia e sia arrivato addirittura fin qui.

A prestissimo (spero)!

Afaneia

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Capitolo 2
*** Promesse da marinaio. ***


Buonasera a tutti!

Suppongo sia inutile dire che mi sento un mostro per averci messo così tanto ad aggiornare questa storia – quando ho avvertito che gli aggiornamenti sarebbero stati irregolari, per la verità, nemmeno io pensavo niente del genere! - ma purtroppo, lo giuro, questo è il massimo che sono riuscita a fare: ho avuto degli orari all'Università semplicemente impossibili, da assommare ai continui disagi causati dai mezzi di trasporto e, come se non bastasse, ogni singola sera che non mi ritrovavo a letto già alle dieci c'era qualcuno che insisteva per uscire. Paradossalmente il capitolo era pronto già da un po' di tempo, ma copiarlo al computer mi ha portato via quasi altrettanto tempo che scriverlo.

Ciò detto, mi decido finalmente a pubblicare stasera, sperando che questo nuovo capitolo possa valere almeno un minimo dell'attesa che ha comportato.

Ci tengo anche a fare i miei ringraziamenti a crystal_93, Persej Combe e Stag Tree per le loro deliziose recensioni al precedente capitolo: so di essere ripetitiva, ma mi hanno fatto davvero piacere!

Un bacio enorme a tutti e vi auguro buona lettura.

Al prossimo capitolo! (Che spero di poter pubblicare in tempi un po' più decenti, con la fine delle lezioni)

Afaneia


Capitolo II – Promesse da marinaio.


Se c'è una lezione che gli ha insegnato la sua recente esperienza di vedere un colossale leggendario di quasi quattro metri alzarsi e andarsene a spasso con disinvoltura in mezzo al mare, è che conviene avere un piano B in qualunque situazione. Che poi questo piano B sia spedire una bambina di dieci anni negli abissi di una grotta segreta con nient'altro che una tutina per ripararsi dal calore non importa: l'importante è che un piano B ci sia. Sempre.

Quindi Max, che in quanto uomo di scienza ha imparato dai suoi errori, si è presentato a questo appuntamento con almeno una decina di piani diversi da attuare in base a tutte le possibili situazioni che potessero verificarsi e ogni eventuale piega che potesse assumere la conversazione. Il problema, come ha scoperto stasera nel giro di pochi minuti, è che il comportamento dei bambini non rientra esattamente in quella categoria di eventi di cui si può prevedere in anticipo lo svolgimento.

Hyra starà con loro per tutto il finesettimana, dopo che Ivan è andato a prenderla direttamente a Ciclamipoli, all'uscita da scuola. Nei giorni scorsi, Ivan gli ha spiegato che si è sempre occupato di lei per la maggior parte dei week end dell'anno e circa la metà delle varie vacanze scolastiche, ma in modo piuttosto flessibile, senza regole precise: in effetti, lui e Aima sembrano un perfetto esempio di civiltà genitoriale (Max se ne è sorpreso, in un certo senso, ma dopotutto, a ben pensarci, ha il sospetto che se qualcuno proibisse a Ivan di vedere sua figlia, finirebbe col passare un quarto d'ora non precisamente edificante). Questo regime si è interrotto per qualche mese nel periodo in cui le attività dei loro Team si sono intensificate, ma ora, a quanto pare, Ivan non ha più alcuna intenzione di perdersi i suoi momenti con sua figlia.

A questo proposito, Ivan ha tassativamente insistito perché lui rimanesse in casa per tutto il week-end. Egli gli aveva proposto di trovarsi un'altra sistemazione per i finesettimana in cui Hyra si fermerà da loro, o almeno per i primi tempi, per non confonderla troppo («...dopotutto io e te non siamo sposati. Potrai resistere per un paio di notti da solo senza dovermi denunciare per abbandono del tetto coniugale»), ma Ivan si è mostrato decisamente contrario(«Smettila, Max. Hyra capisce molte più cose di quelle che credi, non si sconvolgerà perché dormiamo insieme. È una bambina intelligente, sai?»), e Max, alla fine, è rimasto.

Ivan ha voluto fare le presentazioni tra di loro non appena entrato in casa, e per Max, che lo conosce più del suo proprio respiro, non è stato difficile intuire il perché: emozionato e orgoglioso così, lui quest'uomo non l'aveva visto mai.

Quanto alla bambina, per la verità, all'inizio gli è stato un po' difficile giudicare. Dopo aver nascosto per almeno un paio di minuti la faccia contro il ginocchio di suo padre, forse sperando che in quel modo egli non potesse vederla, alla fine tutte le affettuose insistenze di Ivan hanno portato i loro frutti: finalmente Hyra si è decisa a guardarlo e, con grande solennità, gli ha teso la mano. Allora Max ha visto uno scricciolino di forse trenta chili, con lunghissimi capelli neri, sopracciglia scure e molto folte, che quasi si congiungono alla radice del naso, la carnagione olivastra e vellutata di qualche paese esotico, e gli stessi occhi di Ivan. Da questo dettaglio, chissà perché, Max si è sentito molto colpito, senza che ce ne fosse un vero motivo. Ma perché, poi? È la figlia di Ivan. È poi tanto strano che una bambina abbia gli occhi di suo padre?

Ma la somiglianza con Ivan non si limita a questo. Vinti i primi iniziali minuti d'imbarazzo, dopo che Ivan le ha spiegato con calma che lui era il ragazzo di papà e che da allora in poi sarebbe rimasto sempre con lui, Hyra si è limitata a far cenno di sì un paio di volte col capo, per dar segno di aver capito, ha aspettato un po' e infine si è decisa a domandare a suo padre quello che, evidentemente, non vedeva l'ora di chiedergli sin dal suo arrivo: «Papà, ora posso andare a giocare in giardino con Mightyena, però? Non lo vedo da così tanto tempo!»

Dopodiché, completamente dimentica della loro presenza, Hyra ha afferrato la Pokéball che Ivan le porgeva e si è defilata strillando, immensamente felice di poter finalmente incontrare di nuovo il suo amico Pokémon.

In effetti, di tutti i piani B che aveva elaborato nella propria mente, Max si rende conto soltanto ora di non averne approntato nessuno per l'eventualità che alla figlia del suo compagno non importasse semplicemente nulla della sua presenza.

«Beh, è andata bene, no?» constata Ivan allegramente, appogiandosi allo schienale del divano con aria immensamente compiaciuta, non appena i latrati giocosi di Mightyena e le risate sguaiate di Hyra provenienti dalla finestra aperta lo informano che no, non c'è alcun pericolo che sua figlia li senta.

Max è abbastanza sicuro di avere un'espressione assolutamente idiota in viso da almeno qualche minuto. È inutile dire che la reazione di Hyra gli è giunta alquanto... inaspettata. Per la precisione, si sente stupido esattamente come quella volta che Groudon si è risvegliato e se n'è andato allegramente a spasso per l'oceano in barba a ogni sua possibile previsione... solo che stavolta a confonderlo così tanto è una bambina.

«Tu dici?» chiede con sincera perplessità.

«Sicuro che lo dico.» Certo, è inutile parlare con lui. Ivan è felice come un bambino che abbia appena ricevuto un regalo desiderato da troppo tempo. «Anzi, sai che ti dico? Dopo cena potresti presentarle i tuoi Pokémon, che ne pensi? Sono certo che Hyra li adorerebbe.»

«Sì, certo. Senti, Ivan, non so se ci hai fatto caso, ma non mi è parso che le importasse molto.»

«Beh, certo che no!» risponde Ivan, scoppiando a ridere della sua risata roboante. Avvicinandosi a lui gli tira quella che dovrebbe essere, almeno nelle sue intenzioni, un'amorevole pacca sulla spalla, che per poco non gli provoca una lussazione. «Max, Hyra è una bambina intelligentissima, ma è una bambina. Ha bisogno di abituarsi a vederti qui ogni week end, prima di capire veramente che sei il mio ragazzo. Che ti aspettavi?»

Già, che si aspettava? A questa domanda Max non si sente in grado di produrre una risposta così, su due piedi, ragion per cui evita cautamente di rispondere. La verità è che forse non si aspettava niente, e che anche lui stesso, a sua volta, ha veramente realizzato per la prima volta l'esistenza di Hyra solo nel momento in cui essa ha assunto una forma precisa, davanti a lui, e nel suo viso egli ha riconosciuto gli occhi di Ivan. Comunque, questo pensiero suona troppo stupido da pronunciare ad alta voce, perciò Max si limita ad appoggiarsi per un solo attimo, familiarmente, al petto di Ivan.

«Immagino che tu abbia ragione» ammette malvolentieri (e lo ammette solo perché i bambini sono uno dei rarissimi campi in cui Ivan possa vantare una maggiore conoscenza, tanto teorica quanto pratica, della sua, insieme alle barche e poco altro).

Per tutta risposta, Ivan scoppia di nuovo a ridere. «Aye, sicuro che ho ragione, Maxie. Fidati, conosco mia figlia.»

Ovviamente questo Max non lo riconoscerà mai, forse neppure di fronte a se stesso, ma in fin dei conti è rassicurante sentire nel petto di Ivan tutta questa certezza.


Max ha la certezza che sta per accadere qualcosa di sgradevole quando, per la prima volta non solo dall'inizio della loro convivenza, che non ha di certo una durata degna d'esser presa in considerazione, ma addirittura dalla prima volta che sono andati a letto insieme, Ivan (già perfettamente vestito nonostante sia sabato mattina) lo sveglia passandogli due dita sulla guancia; e non perché Ivan, abitualmente, dorma sino a chissà quale ora tarda, o perché non lo abbia mai svegliato prima d'ora; ma perché vederlo alzato prima del tempo ha sempre voluto dire, solitamente, vederlo sgusciare via dal suo letto prima dell'alba, il che andava bene, al tempo della loro inimicizia, oppure sesso mattutino, il che è sempre andato bene in qualunque circostanza. Ma stamattina Max è abbastanza certo che non possa verificarsi nessuna delle due cose, ragion per cui, con la consapevolezza dell'infarto che sta sicuramente per arrivargli, egli balza a sedere sul letto e domanda: «Che vuoi?»

«Ehi. Guarda che stavo cercando di svegliarti dolcemente» ribatte Ivan, che non sembra essersela presa particolarmente, comunque, dato che conclude la frase, allontanandosi dal letto, con un disinvolto «O una roba del genere, insomma.»

«Preferisco il vecchio metodo, grazie» ribatte Max, senza specificare quale vecchio metodo, prima di guardare l'orologio. Sono le sette e quarantacinque. «Che diamine ci fai alzato così presto?»

Chinandosi ad allacciare le scarpe con l'aria di uno che stia spudoratamente evitando di guardarlo, Ivan risponde con tutta la simulata noncuranza di cui è capace (cioè pochissima): «Lavoro.»

No, no, no, no. Questo assolutamente non era nei patti. «Che cosa?»

«Oh, andiamo, Max... solo un paio d'ore» garantisce Ivan, nel tono più serio che riesce a produrre; ma per quanto egli si sforzi, la sua voce continua a vibrare incontrollabilmente di divertimento, ed egli continua a evitare di guardarlo direttamente. «Alan mi ha chiesto di dargli una mano con un paio di scartoffie che ci siamo dimenticati di compilare. Lo sai com'è con la burocrazia.»

In una situazione normale, Max pondererebbe con la massima cura ciò che sta per dire in questo momento, per evitare di suonare come una ragazzina isterica in preda al panico.

Il problema è che Max è in preda al panico.

«Non puoi lasciarmi solo in casa con tua figlia!»

«E perché? Sono assolutamente certo che non mangi carne umana.»

Forse lei no, ma io mangerò la tua se continui a divertirti alle mie spalle. «Non la conosco neppure, Ivan! Che cosa pensi che dovrei dirle?»

«Max, non è che ci sia tanto da conoscere. Ha sette anni. Non ha ancora deciso neppure se il suo colore preferito è il giallo oppure il rosso!»

Finalmente, Ivan si decide a voltarsi e a guardarlo negli occhi. Ma se Max ha coltivato finora la speranza di vederlo dispiaciuto, o come minimo serio, per una volta nella sua vita, a questo punto non può fare nient'altro che rimproverarsi da solo della sua ingenuità. Questo bastardo si sta divertendo come mai prima d'ora. «A proposito, è abituata a svegliarsi da sola, ma se per le nove non si fosse ancora alzata dovresti andare a darle un'occhiatina. Per colazione prende del latte col cacao e i biscotti al cioccolato che abbiamo comprato ieri. Le piace tanto quel cartone animato con una bambina che vive con un Ursaring, e ha il permesso di guardarlo dopo le undici se prima ha fatto i compiti. A proposito, come te la cavi con le divisioni a due cifre?»

«Credevo che avessi detto che starai fuori solo due ore» obietta Max, che non ha alcuna intenzione di farsi distrarre dal problema principale.

È evidente che Ivan si sente colto in fallo.

«Aye, certo, certo, Maxie! Te lo dicevo così, per dire. E poi, se sei in dubbio, puoi sempre chiamarmi. Lascio il telefono acceso, okay?»

A questo punto della conversazione, Ivan è ormai perfettamente vestito e pronto per uscire. Sta cercando di svincolarsi dalla conversazione per potersene finalmente andare abbandonandolo al suo destino, e Max sa di non aver più molto tempo a disposizione per fare la sua ultima mossa.

«Ivan» riprende con voce bassa e distinta, molto lentamente, e scandisce le parole con la massima serietà. «Io ti ucciderò se varcherai quella soglia.»

Per tutta risposta, Ivan si protende sul letto e lo bacia sonoramente sulla bocca. Max rimane così stupefatto che per un po', effettivamente, non gli viene in mente nessuna osservazione valida con cui controbattere.

Al contrario, Ivan è perfettamente padrone di sé. Tornando a tirarsi su per allontanarsi dal letto, con l'aria compiaciuta e gongolante di qualcuno che abbia appena trovato un'argomentazione semplicemente inattaccabile e non si aspetti repliche, recupera la sua giacca e lo guarda soddisfatto. Max rimane stupidamente immobile.

«Oh, Max, ti ricordi? Avevamo vent'anni la prima volta che hai minacciato di uccidermi. Quanta passione che c'era, eh?»

Dopodiché, senza attendere risposta, Ivan esce tranquillamente dalla camera, canticchiando allegramente a bassa voce qualcosa a proposito di un ragazzo su di un Lapras.


Come Ivan aveva predetto, Hyra fa la sua apparizione in cucina attorno alle otto e venticinque, con addosso un delizioso pigiamino con su disegnato uno Skitty e gli occhi ancora piccoli di sonno che girano pigramente sulla stanza.

Più la guarda, e più Max non riesce a non pensare a quanto dannatamente questa bambina somigli a Ivan.

«Buongiorno, piccoletta.»

Collo sguardo ancora assonnato e l'aria assente di qualcuno che non sia del tutto convinto di essere sveglio, Hyra lo guarda per un po' e poi risponde cautamente: «Ciao. Papà non c'è?»

Quello stronzo ci ha abbandonati a noi stessi. Reprimendo a fatica l'impulso omicida che lo sta animando in questo momento, Max si sforza di suonare rilassato e rassicurante quando risponde: «È dovuto andare a sistemare un paio di cose al lavoro, ma tornerà sicuramente per pranzo.» Altrimenti farà meglio a non tornare affatto, ma quest'ultimo pensiero, incidentalmente, rimane non detto.

«Okay» risponde Hyra a bassa voce, ancora un po' perplessa, ed esita sulla porta.

«Ti ho preparato la colazione» annuncia Max un po' troppo precipitosamente, per evitare che i primi minuti della loro vera conoscenza sprofondino in una sorta di silenzio imbarazzato. È lui l'adulto della situazione, dopotutto. Attirarla in cucina col cibo come una preda, almeno sulla carta, sembra una buona idea. «Ti vuoi sedere?»

«Grazie» borbotta Hyra con aria un po' impacciata, e forse un tantino più sveglia rispetto a pochi minuti fa, prima di decidersi a inerpicarsi una buona volta sulla sedia.

Nonostante gli sforzi di Max, ma forse a causa della sua pressoché inesistente disinvoltura coi bambini, i primi minuti della sua colazione trascorrono avvolti da una cappa di mortale silenzio. Per ingannare l'attesa, ed evitare di farla sentire troppo osservata, Max si sforza d'inventarsi qualcosa da fare o da pulire o da riordinare attorno al piano cottura, in silenzio, e aspetta.

Dopo un po', Hyra sembra finalmente essersi acclimatata alla sua presenza abbastanza da domandare con voce squillante: «Dove hai detto che è andato papà?»

Tutto sommato, non è un brutto modo per iniziare una conversazione. Max si volta con calma verso di lei, per non dare l'impressione di non aver atteso altro che qualche sua parola. «Al lavoro, piccoletta. Il suo amico Alan aveva bisogno di una mano.»

«Oh» commenta Hyra, pescando un biscotto dal pacchetto e valutandone con occhio attento la quantità di gocce di cioccolato. «Anche tu lavori con lui?»

«Beh, no. Io... lavoro in casa, per il momento.»

Hyra non perde un colpo. «Anche mia zia lavora in casa, sai? Lo zio lavora in un negozio e lei sta a casa e cucina e lava i vestiti e fa la spesa e fa un sacco di altre cose. Anche tu?»

La brusca presa di coscienza che sì, è esattamente questo che sta facendo nella sua vita – la casalinga che se ne sta a casa a lavare i panni mentre il suo uomo lavora – lo coglie alla sprovvista a tal punto da lasciarlo senza fiato. Fortunatamente, Max riesce a riprendersi abbastanza in fretta da rispondere: «Non esattamente.»

«Oh... e quindi che cosa fai?»

Come si fa a spiegare a una bambina di sette anni in cosa consista – o consistesse – la sua principle occupazione? Nonostante non sia esattamente sicuro di aver trovato una metafora adatta, Max decide comunque di fare un cauto tentativo. «Ecco, hai presente i cattivi dei videogiochi?»

«Quelli che buttano per terra gli ingredienti delle torte?» chiede Hyra aggrottando la fronte.

Ma con che razza di videogiochi giocano i bambini di oggi?

«Volevo dire che sono uno scienziato» conclude in fretta Max, vedendosi costretto a una brusca inversione di tendenza, e questo lascia lui un po' più imbarazzato e Hyra un po' più confusa di prima.

Certo, non che si tratti di una confusione tale che non si possa affogarla in una sorso di latte e in qualche nuovo biscotto, a quanto pare. Approfittando di questa pausa nella loro farraginosa conversazione, Max torna ad alzarsi e ad affaccendarsi attorno al niente della loro cucina, domandandosi con una certa parte della sua mente se quella bambina sia in grado di smettere da sola di mangiare o se continuerà per un indefinibile numero di biscotti. Nel dubbio, tuttavia, ritiene più saggio non pronunciarsi al riguardo.

Per buona fortuna, Hyra trova assai presto un nuovo problema su cui soffermarsi mentre mangia.

«Comunque la mamma aveva detto che papà doveva aiutarmi a fare i compiti» borbotta a un tratto, rivolgendo al biscotto al cioccolato che tiene in mano uno sguardo molto, molto contrariato, prima di inzupparlo meticolosamente per tre quarti nel latte.

«Posso aiutarti io, sai» risponde Max, cercando di mostrarsi il più gentile e, per quanto ne è in grado, entusiastico possibile. Non gli sembra un buon modo di instaurare un rapporto con la figlia del suo ragazzo, quello di mostrarsi alquanto restio nei suoi confronti. «Me la cavo bene. Hai molti compiti da fare?»

Tutto quello che è stato detto pochissimi minuti fa sull'essere uno scenziato dev'esserle entrato da un orecchio per poi uscire dall'altro. Hyra gli rivolge uno sguardo scettico, che non deve lasciargli alcun dubbio su quanto poco sia convinta delle sue capacità.

«La maestra ci ha dato delle divisioni difficili» spiega in tono di grande importanza, come a volergli tacitamente suggerire, senza tuttavia dirglielo direttamente, che un comune mortale come lui non può di certo ambire a simili vette di erudizione. «A due cifre.»

«Già, posso immaginarmelo. Ma sono certo di poterti aiutare, se mi fai vedere il quaderno.»

Dopo un lungo momento d'incertezza, Hyra beve lentamente un sorso di latte, si asciuga la bocca col dorso della mano, e infine borbotta pensierosamente, senza guardarlo dritto negli occhi: «Non potrei aspettare papà, così mi aiuta lui?»

Ed è in questo preciso momento che Max si rende conto di non aver mai veramente avuto l'intenzione di aiutarla a fare i compiti... fino a ora. In fin dei conti, Hyra non è sua figlia, e Max, francamente, aveva in mente modi d'instaurare un rapporto con lei assai migliori che obbligarla a fare i compiti (beh, in ogni caso è certo che qualcosa gli sarebbe venuto in mente), per non parlare del fatto che Ivan gli ha letteralmente scaricato addosso la patata bollente – ma questa è un'altra storia. Perciò, nei suoi piani, tutto il suo dovere in questo senso consisteva nel cercare delicatamente di convincerla, nel prendere atto del fallimento di ogni sua strategia, e nel permetterle infine di guardare i cartoni fino al ritorno di Ivan. Il quale avrebbe poi dovuto vedersela da pari a pari con le divisioni a due cifre o con qualunque genere di esercizio assegnino alle elementari.

Il problema è che Hyra ha appena commesso l' ingenuo errore di sfidarlo.


Quando Ivan torna a casa, la bellezza di due ore dopo – e Max non manca di appuntarsi mentalmente anche questo ritardo nella lista delle cose che deve far scontare col sangue al suo uomo – tutti i compiti sono miracolosamente stati fatti e Hyra, che si sta godendo un meritato riposo davanti alla televisione e al suo cartone animato con l'Ursaring e la bambina bionda, si precipita ad accoglierlo strillando per farsi prendere in braccio. Al contrario, Max deve trattenersi quasi fisicamente per impedire a se stesso di andare ad accoglierlo sulla porta con l'intento di ucciderlo, e restare invece lì davanti al tavolo, sminuzzando qualcosa con un coltello che, francamente, preferirebbe tanto piantare da qualche altra parte. Ma non vuole sconvolgere Hyra subito dopo i compiti, per oggi.

Quando Ivan entra finalmente in cucina, presumibilmente dopo aver scaricato di nuovo la bambina davanti alla televisione, con l'aria compiaciuta e rilassata di qualcuno che decisamente non abbia trascorso l'intera mattinata a ripetere le tabelline (e anche a scrivere uno stupido racconto su uno Skitty che dorme in cucina, e che egli le ha proposto sarcasticamente di intitolare Una storia al cardiopalma, prima di ricordarsi che Hyra è un po' troppo piccola per comprendere al volo il sarcasmo), non c'è neppure bisogno di fare grandi scenate per mettere le cose in chiaro. Max si limita a brandire il coltello, con tutta la calma di questo mondo, e ad affermare serenamente: «Dovrei ucciderti, lo sai?»

«Oh, andiamo... dillo che ti sei divertito» ribatte Ivan, scrutandolo con l'aria fintamente sorpresa che ha sempre quando sa di aver fatto qualcosa che non avrebbe dovuto, e ne sia ugualmente troppo compiaciuto per riuscire ad ammetterlo. Max lo sta odiando. Tanto – e del suo odio Ivan sembra consapevole, dato che compie un movimento istintivo per avvicinarsi a lui, come fa sempre quando torna a casa, ma poi inspiegabilmente sembra considerare un'opzione molto più valida quella di rimanere a una prudente distanza da lui e dal suo coltello. «Hyra si è trovata bene con te. Quando l'ho presa in braccio mi ha detto nell'orecchio che sei molto bravo con le divisioni.»

«Era ovvio che l'avrebbe detto» risponde Max senza scomporsi, né tantomeno concedere al suo nemico d'intenerirlo con questi mezzi meschini. «Dopotutto, suppongo che il suo metro di paragone fossi tu. Non era poi una grossa sfida.»

Ma forse qualcosa nel suo contegno dev'essersi ammorbidito comunque, senza che egli se ne accorgesse né tantomeno ne avesse l'intenzione, perché Ivan si decide infine ad avvicinarsi, rinunciando al confortante riparo del tavolo frapposto come un ostacolo tra di loro, e lo circonda da dietro con le braccia per dargli un morso – giocoso ma neppure tanto – sul collo. Max si ritrova costretto a posare il coltello per un attimo per evitare di deconcentrarsi troppo, mentre Ivan appoggia il mento sulla sua spalla e rimane lì per un po'.

«Che cosa ne pensi, Max?»

In fin dei conti lo sapeva che questo momento sarebbe arrivato. Come se fosse una domanda facile poi, questa. Che altro si può dire che non siano banalità? Che è una bambina intelligente, certo, e poi? Che è simpatica, è dolce, d'accordo, e poi? Ma come si fa a parlare di una bambina?

Alla ricerca di qualcosa che possa suonare un tantino meno banale del resto, Max ci pensa un po' e poi risponde: «Ti somiglia un sacco, sai?»

Colla faccia affondata nella curva del suo collo, e la schiena che combacia con la sua schiena, Ivan ride sommessamente. «Aye, lo dicono tutti. Gli occhi li ha presi da me, eh?»

«Non è solo questo.» O meglio sì, ma quella strana somiglianza dei suoi occhi, per quanto sia la cosa più palese di quella bambina, Max non è ancora riuscito a inquadrarla perfettamente. «È anche un tipetto... vivace.» Sembra sicuramente un modo gentile di dire che quella bambina è sufficiente da sola a far casino per una classe intera.

Ma per quanto a lungo egli possa parlar d'altro, girare intorno alla questione e fingere di credere che sia questo che Ivan vuole sentirsi dire da lui, Max lo sa che qui non si sta parlando degli occhi di Hyra o della sua voce o della sua vivacità. Ivan gli sta chiedendo che cosa ne pensa lui.

«Beh, mi piace. Dobbiamo conoscerci meglio, ma... sì. Penso che andremo d'accordo, io e lei. Anche se io non sarò mai molto portato per i bambini.»

Per tutta risposta, Ivan lo stritola – letteralmente! - stringendolo a tal punto che Max non riesce davvero più a respirare per qualche istante, e lo morde di nuovo, questa volta decisamente forte, peraltro – e basta, non ha bisogno di dire nulla. Max lo sa, lo sente che gli è grato, e in parte è anche questo a togliergli il respiro, perché vorrebbe che Ivan non lo fosse. Ma sa anche che parole per dire tutto questo non esistono, perciò tanto vale spezzare in altro modo la tensione.

«Ehi, Ivan... senti.»

«Mh?»

«Non ti sei inventato di avere da fare al lavoro solo per lasciarmi apposta da solo con tua figlia, vero?»

«Ehm. Che si mangia a pranzo?»


Questa domenica, eccezionalmente, Ivan deve riportare Hyra a Ciclamipoli già nel primo pomeriggio, dato che un compagno di scuola ha organizzato una festa di compleanno intorno alle quattro.

Ragion per cui, subito dopo pranzo, Ivan si è tirato su le maniche, ha aiutato Hyra a lavar via dalle mani e dalla faccia i postumi di un week end di scarabocchi coi pennarelli, ha sorvegliato attentamente l'operazione di vestizione di un vestitino blu con le balze bianche – fino a quel momento nascosto, religiosamente incellophanato, nella piccola valigia della bambina – e infine, con una serie di sbuffi e imprecazioni che i suoi occhi esprimevano molto bene anche senza bisogno di ricorrere alla voce, e una non indifferente serie di tentativi, le ha pettinato i capelli in due trecce un po' meno pietose di quanto fosse lecito aspettarsi da lui, e sorprendentemente simmetriche.

Ma al termine di questa lunga e, a quanto pare, estenuante cerimonia, Ivan non accenna neppure ad andarsi a cambiare, per presentarsi alla festa in modo un po' meno informale che in jeans e T-shirt bianca. Quando Max tenta di farglielo cautamente notare, Ivan si limita a stringersi nelle spalle e a argomentare: «Perché dovrei cambiarmi? La mamma del bambino ha preso degli animatori per la festa, perciò non c'è bisogno che restiamo a sorvegliare i bambini mentre giocano. E poi le altre mamme mi fissano sempre» aggiunge in tono di grande disappunto. «Non voglio mica dargli la soddisfazione di pensare che mi sono messo in tiro per loro.»

«Non credo che ti guardino per il tuo abbigliamento, Ivan, sai» risponde Max aggrottando la fronte, ma Ivan non fa in tempo a chiedergli a che cosa si riferisca. Proprio in quel momento, Hyra si precipita fuori dalla sua cameretta in un tripudio di balze e di pizzo, portando in modo un po' instabile un delizioso pacchetto regalo dall'aria molto colorata, ed esclama: «Papà, andiamo! Siamo in ritardo.»

Ivan deve avere una sorta di curioso presentimento riguardo alla sorte del regalo e alla vivacità dell'impazienza di Hyra, perché con grande discrezione, e senza neppure aver l'aria di essere preoccupato, le sfila il pacco dalle mani e le sistema le trecce.

«Aye, in marcia allora! Ma prima non vuoi salutare Max?»

«Sì, però poi andiamo» ci tiene a ribadire Hyra, assumendo un certo tono serioso e ammonitore come a dire se non ci fossi io a pensare a tutto, chissà che cosa combineresti. Dopodiché, e senza che la cosa paia costarle il benché minimo sforzo di volontà o di riflessione, né la minima affettazione, Hyra gli si avvicina, lo abbraccia familiarmente alla vita e domanda con voce squillante: «Ciao, Max. Sei qui anche il prossimo week-end?»

C'è qualcosa in quell'abbraccio affettuoso e puerile, così dannatamente privo di secondi fini, che inspiegabilmente pare soffocarlo, togliergli il respiro molto più e più bruscamente di quando Ivan lo ha stritolato il mattino precedente. Sotto lo sguardo irridente e derisorio e profondamente compiaciuto di quel maledetto, Max si ritrova a boccheggiare e a cercare alla rinfusa nella sua mente spiazzata qualcosa di sensato da risponderle. «Sicuro. Anche la prossima settimana, certo.»

Finalmente, dopo questi due giorni di inferno, Ivan deve essere riuscito a concepire nella propria mente almeno una briciola di pietà per la sua precaria situazione, perché per una volta si decide a venirgli in aiuto. «Max da adesso vivrà sempre con papà, tesoro. Io e la mamma te l'abbiamo già spiegato. Ti ricordi?»

«Allora facciamo i compiti insieme anche sabato prossimo» conclude Hyra allegramente, come se questa fosse l'unica deduzione logica che le viene in mente al riguardo. Per il momento, Max ritiene che sia più saggio non soffermarsi a chiedersi se sia un bene che, nella sua mente, quella sia la massima conseguenza notevole del fatto che suo padre conviva con un uomo. Con ogni probabilità, lo scoprirà col tempo. Per il momento, egli le concede di sbilanciarsi tanto da darle una sorta di rapida carezza, o pacca, o per meglio dire un minuscolo colpetto sulla spalla, e da accennare a fatica un sorriso.

«Certo, piccoletta. A venerdì.»

Il che, per lei, dev'essere una garanzia sufficiente. Staccandosi allegramente da lui, Hyra se ne torna saltellando da suo padre con l'espressione seria e coscienziosa di qualcuno che abbia compiuto debitamente il proprio dovere, ed esclama: «Papà, andiamo! È tardi.»

Quando alza lo sguardo su Ivan, appoggiato a braccia incrociate contro lo stipite della porta già aperta, Max si ritrova a pensare di non averlo mai visto tanto felice come oggi.

«Grazie» mormora Ivan quasi senza voce, mentre sospinge delicatamente Hyra verso l'auto sul vialetto.

Pochi minuti dopo, quando la voce eccitata di Hyra e il rombo dell'automobile si sono spenti in lontananza, e Max si ritrova completamente solo per la prima volta da quando è iniziato quell'infernale week-end, si stupisce un po' di scoprire la casa un tantino più silenziosa e forse più solitaria di quanto sia abituato a percepirla, il che è strano, per lui che trascorre la maggior parte delle sue giornate da solo mentre il suo compagno è al lavoro. Ma è meglio non soffermarsi a riflettere su questo strano senso angoscioso di vuoto e solitudine e di estraneità che lo assale. Al momento, Max si arrangia a cercare per l'ennesima volta qualcosa con cui tenersi impegnato, nel vano tentativo di reprimere almeno per qualche ora il desolante pensiero che per quanto egli possa impegnarsi, e lottare, e riuscire persino a far felice Ivan da qui all'eternità per ogni singolo giorno della sua vita, nulla di tutto questo potrà mai fare di lui una persona migliore e cancellare tutto quello che ha fatto.

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Capitolo 3
*** Accidenti al diavoletto. ***


Buongiorno a tutti!

Come al solito, ho un ritardo mostruoso nell'aggiornamento, me ne rendo perfettamente conto: se ci ho messo così tanto a finire di scrivere il capitolo, di cui una buona parte faceva peraltro parte del nucleo iniziale della storia risalente all'estate scorsa, è perché la sessione estiva degli esami non mi ha davvero dato tregua e ho dovuto mettere da parte più di un hobby; e in aggiunta, come se non bastassero le giornate dedicate interamente allo studio, è da maggio che non riesco a trascorrere a casa più di una serata a settimana. Ma ora sono qui, finalmente, e mi scuso sinceramente per il ritardo.

Questo è sempre stato probabilmente il mio capitolo preferito della storia, sul quale ho ragionato davvero un sacco. Mi fa piacere pubblicarlo ora, a distanza di un anno da quando è stato progettato, e rendermi conto di quante cose più o meno grandi siano cambiate nella mia vita... e di quanto comunque rimanga vivida in me l'idea di un amore come questo. Ma meglio non dire altro, per evitare rischi di spoiler!

Come mio solito, i miei ringraziamenti più sinceri a crystal_93 e a Persej Combe per le loro dolcissime recensioni (e per la spinta a pubblicare infine questo capitolo!), e in generale a chiunque continui a seguire la storia in qualsiasi modo. Ogni minimo apprezzamento fa sempre piacere!

A questo punto, direi che davvero non posso fare altro che lasciarvi al capitolo.

Buona lettura!

Afaneia



Capitolo III – Accidenti al diavoletto.


Non c'è quasi giorno che Ivan non cerchi di convincerlo a fare qualcosa, e questo non perché gli stia rinfacciando alcunché. Max lo sa, lo vede nei suoi occhi che Ivan sta disperatamente cercando di aiutarlo, eppure ha l'impressione di essere lontanissimo da lui, a una distanza infinita da ogni suo tentativo di approccio, e si sente come se attraverso quell'enorme distanza deserta che si apre tra di loro ogni sua parola fosse come un urlo che la lontananza soffoca, e che giunge a lui attutito e sfumato e a malapena udibile.

«Potresti tentare l'insegnamento» gli suggerisce Ivan una sera. «Hai due lauree, no? Potresti insegnare geologia... o biologia... o quello che è.»

La sera dopo è la volta di un dottorato di ricerca (Max non vuole neppure scoprire dov'è che Ivan possa aver sentito la parola dottorato, e a ogni modo è alquanto certo che non sappia comunque di cosa si tratta) e quella dopo ancora di un'azienda per prodotti di giardinaggio. Ma quando si accorge che la prospettiva del lavoro non pare scuoterlo, Ivan non si scoraggia affatto. Visto dai suoi occhi, il mondo deve apparire come un luogo ricco di possibilità e occasioni per reinventarsi, per uno che abbia rischiato di provocare l'apocalisse, e Max invidia un poco questa sua visione del mondo. Gli piacerebbe essere in grado di vedere anche lui queste infinite strade che Ivan gli disegna davanti, ma per quanto lo riguarda, davanti a sé egli non vede altro che la terra bruciata che per poco non ha creato davvero.

«Ada mi ha parlato di un corso di primo soccorso qua vicino, sai, per quelli che aiutano sulle ambulanze. I soccorritori, ecco. Non so, magari ti poteva interessare.» Ivan, ho rischiato di uccidere delle persone. Non sono proprio la persona giusta da far salire su un'autoambulanza, ma questo Max non lo dice. Non vuole aggredire Ivan con tutta la sua meschinità.

Ma poi, ancora: «Sai, c'è un gruppo che si occupa di pulire la spiaggia, la sera verso l'ora di cena», e poi altre cose ancora, fino ad arrivare al fondo dell'abisso: «Sai, il sabato mattina c'è un gruppo di volontari che aiuta i bambini della scuola elementare a fare i compiti.»

Non è che Max rifiuti. Ivan si sta impegnando a trovargli un'occupazione molto più di quanto stia facendo lui stesso, ma se si soffermasse a riflettere un solo istante si renderebbe conto che quelle sue mezze risposte incerte sono molto più irrispettose e terribili di un netto rifiuto.

«Ci penserò» dice qualche volta, e altre volte ancora invece: «Beh, sembra interessante», o persino: «Dovrei compilare un curriculum». (Ma chi vuole prendere in giro? Che potrebbe mai scriverci di nuovo? Il suo tentativo di distruggere Hoenn è davvero considerabile una buona referenza? Ah, Max ne ha sentite tante di stronzate in vita sua, ma questa le batte tutte.) Qualche volta dice solo «Grazie», e per tutti i lunghi secondi successivi Max sente lo sguardo deluso, spaesato di Ivan sulla schiena. Sa che vorrebbe una risposta in più, un cenno, la più piccola manifestazione d'interessamento o determinazione in risposta alle sue parole. Nella fissità dei suoi occhi confusi, Max sente che Ivan vorrebbe davvero vederlo alzarsi, muoversi, fare qualcosa: sollevare il telefono, leggere un annuncio, accendere il computer per aggiornare il curriculum... forse gli basterebbe anche solo questo, un minimo segnale d'impegno da parte sua, anche se questo non dovesse comportare alcuna conseguenza pratica: per un po' Ivan si accontenterebbe di vederlo in piedi, colla mente intenta a qualcosa di concreto, e basta.

Ma questo gesto così minimo, questo brevissimo passo, Max non ha ancora alcuna intenzione di compierlo, e non perché non lo voglia, ma perché il semplice atto di sollevare una mano o alzarsi in piedi gli pare richiedere uno sforzo sovrumano, troppo grande e sproporzionato per le sue reali forze, come se ogni parte del suo corpo - non sempre, ma solo quando egli vi si sofferma col pensiero - fosse intrappolata in un unico blocco di metallo immane e pensantissimo, impossibile anche solo a smuoversi, e non valesse neppure la pena di provarci. Ma tutto questo a Ivan non si può dire, semplicemente perché parole per dirlo non esistono a questo mondo, e allora tutto ciò che Ivan vede, quando guarda verso di lui, è il suo compagno che non accenna ad alzarsi dal divano e che a malapena lo ascolta.


In fin dei conti, Max l'ha sempre saputo che questo momento sarebbe arrivato, prima o poi... e anzi, la pazienza e la capacità di tolleranza di Ivan l'hanno sorpreso oltre ogni dire. È riuscito a sopportare molto più di quanto si sarebbe aspettato mai, ma ora, decisamente, basta.

Non sa neppure dire come sia iniziata. Probabilmente non c'è neppure stato un vero motivo. Semplicemente, quando Ivan è tornato a casa dal lavoro ed è entrato in salotto a salutarlo, l'ha trovato sul divano, più o meno nello stesso identico punto dove l'aveva lasciato stamattina. Non è certo la prima volta che succede una cosa del genere, in realtà, e di certo è proprio questo il problema.

«Che hai fatto oggi, Max?»

La sua voce è tagliente, questa sera, e molto, molto calma. Questa sera, per la prima volta, Max sente che la sua non è una semplice domanda di cortesia. Stavolta esiste una risposta giusta alla domanda, ed egli sa di stare per dare quella sbagliata.

«Ho cercato lavoro.»

Per la cronaca, non è esattamente una bugia, questa. È da settimane ormai che non pensa ad altro che a come poter impiegare la sua miserabile esistenza in un modo un po' diverso che distruggendo Hoenn, e questo coinvolge anche l'intera riflessione sui suoi possibili sbocchi occupazionali... il problema è che nessuna di tutte queste sue immani elucubrazioni lo ha ancora condotto da nessuna parte. Ci ha pensato, è vero, ma tutti i suoi pensieri sono stati perlopiù angoscianti circoli viziosi che iniziavano e terminavano sempre entro la sua testa, e niente di più.

Ivan non risponde, e Max sente che il suo sguardo ora non è più fisso su di lui. Sta guardando il giornale, per esempio, ancora appoggiato sul tavolino dove l'ha lasciato lui stesso questa mattina, e pressoché intonso, e poi altre cose ancora, ma in modo troppo inconsistente perché Max possa intercettare il suo sguardo e dedurne cosa stia pensando.

«Cazzo» borbotta dopo un po', e Max non può proprio fare a meno di sentirsi colto in fallo, a questo punto.

«Senti, Ivan...»

«Lascia stare, Max.» La voce di Ivan è ancora stranamente calma e fredda, gelida e distante da lui quanto gli abissi dell'oceano, e molto più disturbante. Di fronte alla rabbia scostante che il suo tono esprime, Max si scopre improvvisamente ancor più spiazzato di prima, perché di solito, negli ultimi vent'anni, è sempre stato Ivan a infuriarsi e urlare e spaccare i mobili. Perché ora non sta urlando? «Non rimango a cena. Sentirò se Alan ha voglia di una birra al pub, o qualcosa del genere. Non mi aspettare alzato.»

Praticamente l'unica cosa che Max abbia fatto oggi, esattamente come tutti i giorni precedenti da quando si è trasferito in questa casa – oltre ad andare tre o quattro volte al bagno e a guardare un'interminabile serie di televendite, che sembrano essere l'unica cosa che la sua scarsa attenzione sia in grado di seguire - è stato preparare la cena per lui e Ivan. (Non è una cosa ch'egli faccia per sentimento, o per spirito di sacrificio, o per niente del genere. È l'unica cosa sensata che possa fare per occupare almeno una minima parte delle sue giornate, e la fa, senza neppure chiedersi se debba farlo o ne valga la pena o cose simili.) Non sa neppure se il fatto che Ivan non voglia cenare a casa lo intristisca, o lo spaventi, o semplicemente lo faccia sentire come una stupida massaia insensata.

«Oh... giusto. Fai bene.»

Per la sequenza di secondi più infinita e più angosciante ch'egli ricordi d'aver mai provato in vita sua, Ivan non risponde e lo guarda. Max lo sa, lo vede nei suoi occhi che è arrabbiato.

«Aye, Max» risponde finalmente, senza distogliere lo sguardo da lui. «Certo che faccio bene. Perché mai dovrei voler stare qui con te?»

È troppo, Max non può farcela a restare in silenzio. Anche se si era ripromesso di non protestare mai, perché diritti di cambiare le cose sa bene di non averne, e poi perché Ivan non gli appartiene e gli ha già fatto il favore di restare con lui dopo tutta quella storia. Mentre Ivan si volta ed esce a grandi passi dalla stanza, d'improvviso Max si rende conto che non può lasciare che se ne vada così. Per la prima volta in tutta la sua vita, Max scavalca il divano e lo segue nell'ingresso.

«Ascolta, Ivan...»

Ma mentre s'infila di nuovo il pesante giubbotto di pelle, e si fruga più volte le tasche cercando nervosamente le chiavi, Ivan non lo guarda neppure.

«Lascia stare, Max. Io non ero del Team Magma, ti ricordi? Alle tue colossali cazzate non ci ho mai creduto, quindi non affannarti a inventarne un'altra.»

«Ivan... voglio davvero cambiare le cose. È solo che...»

«È solo che cosa

Quando Ivan finalmente si volta e lo affronta, e gli domanda che cosa esattamente lo trattenga dal fare qualcosa, Max lo sa qual è l'unica risposta giusta: la sua meschinità e la sua codardia, e il fondo dell'abisso della sua autocommiserazione. Sarebbe così facile ammettere tutto e sgravarsene la coscienza, certo, e questo sarebbe proprio il momento giusto per farlo. Ma quando è in procinto di ammettere tutto e cercare nella confessione una sorta di pace, Max si ritrova senza voce, perché confessare tutti questi orrori non li farà magicamente sparire, e soprattutto perché si accorge che, in fin dei conti, essi non sono neppure il vero problema.

«È solo che non capisco perché sei rimasto con me.»

Perché Ivan si sia preso carico di questo relitto umano che per poco non ha distrutto Hoenn, perché lo abbia gravato del peso immenso di questa gratitudine e di questo debito ch'egli non potrà saldare mai. Max è sicuro che una risposta semplice a tutti questi perché, da qualche parte, esista, ma al contempo è consapevole che tutta la sua intelligenza non basterà mai ad arrivare a comprenderla appieno; e questo perché, se c'è qualcosa che ha davvero capito in tutti questi mesi, è che se le cose fossero andate diversamente, se, in un qualche universo parallelo distante e diverso dal loro per nient'altro che pochi dettagli, fosse stato Ivan a risvegliare Kyogre, Max non sarebbe rimasto con lui. Anche questa consapevolezza, un poco alla volta, è andata ad aggiungersi al complesso delle sue colpe e della sua gratitudine, ma questa, a differenza di tutto il resto, non si potrà confessare mai.

Tutto ciò che Max può fare, ora, è rimanere immobile a vedere lo sgomento e la rabbia farsi più grandi e più brucianti negli occhi di Ivan, e ad aspettare che finalmente la tempesta del suo rancore si riversi su di lui e lo travolga e lo anneghi, una volta per tutte.

Ma quella tempesta, ch'egli ha contemporaneamente tanto temuto e tanto sperato, non arriva. Allora Max guarda meglio, più a fondo, e si accorge che non c'è solo rabbia negli occhi di Ivan. All'improvviso, ed egli è certo di non sbagliarsi, il suo compagno gli appare tremendamente deluso. Ma perché?

«Per scopare, Max» risponde infine Ivan a voce bassa, molto lentamente; e la sua voce è così carica e vibrante di dolore e di sgomento e di sarcasmo che Max non può proprio sentirsi ferito da questa risposta, perché non è la verità. Ma allora perché sta dicendo questo? «Per quale altro motivo sarei dovuto restare con te? Credevo che lo sapessi... dopo vent'anni.»

Dopodiché, senza attendere da lui nemmeno una parola di risposta, Ivan si volta ed esce di casa in silenzio, senza guardarlo. Non sbatte neppure la porta.

Max è solo, ora. La casa è silenziosa, e questo silenzio pare affliggerlo e angosciarlo più di un intero universo che urli. Ma come si fa a metterlo a tacere?

Max non vuole pensare, non vuole ascoltare, non vuole fare niente di tutto ciò e allora, per l'ennesima volta, fa l'unica cosa che abbia imparato a fare in questi mesi. Si rimbocca le maniche e lava i piatti, sistema in frigo la cena intoccata, pulisce il bagno, le finestre, la cucina, la camera da letto, ogni singola cosa che trovi, e disperatamente si concentra sugli oggetti e sulle proprie mani e cerca di non pensare a niente.

Ma anche la casa ha una fine. Quando ormai praticamente tutto quello che lo circonda brilla o quantomeno profuma di candeggina e disinfettante e deodorante per ambienti, e non gli rimane proprio più nulla su cui mettere le mani, Max si ritrova di nuovo seduto sul divano, e pensare diventa inevitabile. Il silenzio lo circonda ancora da ogni parte, insistente tanto che neppure il mugghiare sordo della lavatrice riesce a coprirlo, ed egli deve dargli ascolto, finalmente, e fronteggiare la realtà.

Per la prima volta in vita sua, Max è costretto a fare i conti col fatto che Ivan potrebbe decidere di non tornare mai più.


Quando finalmente Ivan lo raggiunge a letto e s'infila in silenzio sotto le coperte, al buio, Max si sforza di capire così, senza toccarlo, se indossa o meno il pigiama. Questo gli darebbe almeno qualche indicazione sul suo attuale stato d'animo: solitamente, la massima concessione al vestiario che Ivan ammetta sotto le coperte è un paio di boxer. Se indossasse il pigiama vorrebbe dire che è davvero tanto arrabbiato con lui, ma Max è costretto ad affrontare la dura realtà che neppure uno scienziato plurilaureato può capire che cosa indossa il suo uomo semplicemente dal calore che la sua pelle emana. Può solo rimanere immobile, rannicchiato nella sua metà del letto, e aspettare mentre finge di dormire.

Ivan è rigido, freddamente distante da lui nel letto, e troppo composto. Max sente che anche il suo respiro, di solito rumoroso e invadente anche prima ancora di cominciare a dormire, è lento e misurato, silenzioso, come se Ivan volesse preservare quel silenzio perché sia lui a parlare, o forse avesse troppe cose da dire da non saper da dove cominciare.

Per parte sua, Max non l'ha mai sentito, questo silenzio. Ivan non è certo il tipo da gelido silenzio indignato: la sua rabbia è sempre stata esplosiva e violenta, fulminea e impetuosa come un temporale che tuoni molto più di quanto compia effettivamente, ma stasera è diverso. È la prima volta che Max non sa come prenderlo e questo, stupidamente, lo spaventa. Aspetta.

«Non sono arrabbiato, Max.»

La voce di Ivan è calda e stanca, estenuata, e vibra vagamente di conforto. Non sta mentendo, e all'improvviso Max sente una grande ondata rassicurante invadergli il petto e riscaldarlo. Il sollievo che quelle parole gli danno è stupido e puerile, ma al contempo è così grande che Max non si sofferma neppure a riflettere su questo aspetto.

«Ma non ti chiederò neppure scusa. Lo sai anche tu che ho ragione io.» Ivan fa una pausa, e Max sente chiaramente che si aspetta che sia lui a dire qualcosa, ora. Si ritrova ad annaspare, ma tutto ciò che gli viene da dire è: «Lo so.»

«Mh. Bene» borbotta Ivan, e a questo punto, Max pensa che per stasera basti così. Non si aspetta davvero niente di più, dopo il suo comportamento di tutti i mesi precedenti, e dopo quello che ha fatto, e tutto il resto: dopotutto, Ivan non era tenuto a perdonarlo.

«Ti amo, Max.»

La sua voce è così calda e rassicurante che Max sente che potrebbe tremarne. In una coppia come la loro, e alla loro età, poi, certe sciocchezze non si dicono spesso. Fa parte di quella categoria di cose che a un certo punto si cominciano a dare per scontate, e a quel punto, come tutte le cose che si danno per scontate, si dimenticano.

«Già... ti amo anch'io.»

«Guarda che io lì non ci vengo. Se vuoi, vieni tu qui.»

Anche questo è giusto. Con un sospiro, Max si volta e attraversa con un po' di difficoltà quella striscia gelida di letto inviolato che li separa. Ma una volta varcato il confine, c'è il grande calore accogliente del corpo di Ivan, e Max sente di essere al sicuro come nel mare calmo.

Ivan è in mutande, per fortuna, e Max sa che è sciocco essere tanto contento per una simile inezia ma, dopotutto, non è che gliene importi poi tanto. Le sue braccia sono calde e rassicuranti, e sul suo petto caldo Max dorme per tutta la notte per la prima volta dopo mesi.




(A fine capitolo, per evitare qualsiasi riferimento troppo affrettato al contenuto dello stesso, mi pare opportuno inserire una piccola spiegazione relativa al titolo: l'ho scelto in riferimento a una canzoncina molto usata dai bambini per fare pace. Digitando Accidenti al diavoletto su Google potrete trovare tutte le varianti di questa breve filastrocca, che non so quanto sia effettivamente diffusa in tutta Italia.)










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Capitolo 4
*** Hai detto una parolaccia. ***


Capitolo IV – Hai detto una parolaccia.


Hyra ha ancora un po' di vergogna a rivolgersi a lui quando Ivan non c'è, e a dire il vero anche Max non si sente pienamente a suo agio. (Perché quel maledetto, da quando ha scoperto di poter sbolognargli sua figlia ogni volta che vuole, ha cominciato ad aiutare sempre più spesso Alan al lavoro il sabato mattina). Perciò, quando si accorge che Hyra si è messa a sedere al tavolo alle sue spalle e lo fissa in silenzio da un po', senza avere il coraggio di parlare mentre egli sta cucinando, si sente in dovere di dirle qualcosa.

«Hai fame?»

«No, grazie. Ho fatto merenda» risponde sussiegosamente la bambina. Max sente i suoi talloni che percuotono ritmicamente le gambe della sedia e si domanda se dovrebbe dirle che non si fa, ma poi decide di no. Non ha mai confidato molto sulla durata del loro mobilio, a dire il vero, non con Ivan in casa.

«Hai già finito i compiti?»

All'improvviso, come se avesse trovato un coraggio e delle parole che le mancavano da un po', Hyra balza in piedi ed esclama con voce acutissima: «Mi sapresti aiutare col progetto di scienze?»

Max rimane tanto sorpreso che quasi gli sfugge il coltello di mano. Si decide ad appoggiarlo sul lavello, per buona misura, e poi, asciugandosi le mani, si volta lentamente verso la bambina. Hyra la sta fissando con la sua piccola espressione accorata e contratta in attesa di una sua risposta, allora Max si schiarisce la voce e domanda: «Perché lo stai chiedendo a me?»

«Ti prego» sbotta la bambina sbattendo un piede a terra. Non che un gesto del genere, da parte di una bambina che si è fatta pettinare i capelli dal padre meno di tre ore prima, costituisca una grossa minaccia. «Io non so che cosa fare e papà ha detto che tu hai studiato scienze!»

Oh, papà. Max stringe nervosamente il pugno, immaginando di stritolare al suo interno la testa di Ivan: ma certo. Una delle sue solite idee per fargli stringere un rapporto con sua figlia, e anche per trovargli qualcosa da fare. Quando lo capirà che lui non è portato per i bambini?

«Beh, Hyra, tanto per cominciare...»

Ma Ivan o non Ivan, di certo il progetto di scienze non sembra un'invenzione. Hyra la sta fissando con tutta l'aria di una bambina che potrebbe mettersi a urlare o a fare le bizze da un momento all'altro, o qualsiasi altra cosa, e Max non si sente assolutamente in grado di fronteggiare una cosa del genere. E poi, è un progetto di scienze. Di che cosa potrà mai trattarsi? Qualche ricerca sulle rocce e un paio di passeggiate a raccogliere dei campioni? Certo, potrebbe farlo Ivan, ma non è nulla di cui Max non possa occuparsi in un pomeriggio. Hyra lo adorerebbe e fine della storia.

«Di che si tratta?» chiede perciò, appoggiandosi al piano della cucina.

Ma prima di rispondere Hyra vuol mettere le cose in chiaro. «Allora accetti? Accetti?»

La sua eccitazione lo fa quasi ridere. «Ma certo che accetto. Di che si tratta?»

Prima di scoprirlo, deve aspettare che Hyra improvvisi un suo piccolo balletto di giubilo, saltellando in giro per la cucina e strillando la propria vittoria. Dopodiché, quando anche questa piccola manifestazione di gioia è terminata, Hyra torna a sedersi sul bordo della sedia, tutta eccitata, e spiega: «Lo fanno tutte le classi! La terza A ha l'acqua, la terza B ha l'aria, e così via, e poi ci siamo noi che abbiamo la terra. Ciascuno deve fare un progetto e poi facciamo una grande festa e poi facciamo una recita e poi...»

Max la lascia spiegare per un po', senza interromperla, che cosa riguarderà la recita e varie altre cose per cui finge un po' più interesse di quello che realmente prova, e infine chiede: «Bello. Ma tu che progetto vorresti fare?»

È qui che si scatena il dramma.

«Non lo so!» esclama Hyra, cacciandosi le mani tra i capelli in quel modo un po' melodrammatico che hanno i bambini. «Non lo so, capisci? Io non so niente della terra!»

«Beh, non ti preoccupare. Troveremo sicuramente qualcosa» cerca di rassicurarla Max, un po' perplesso da tutte quelle sceneggiate. Non riesce mai a capire perché i bambini ingigantiscano sempre tutto. Si guarda un po' attorno cercando di raccogliere le idee, e a quel punto lo sguardo gli cade accidentalmente fuori dalla finestra. All'orizzonte si eleva una grande montagna, la cui cima è ammantata da una coltre di fumo leggera, che gli dà un lieve disagio quando egli la guarda.

«Possiamo costruire un vulcano» propone con decisione. Tutto fa pensare che sia una buona idea: è una cosa piuttosto banale, realizzabile in appena una manciata di ore, e i bambini vanno matti per quel genere di cose colorate e rumorose.

Ma evidentemente Hyra non è del suo stesso parere: Max la osserva arricciare le labbra sbuffando e fissarlo delusa.

«No, un vulcano no!» protesta scuotendo la testa. «Il vulcano lo fanno tutti. Io voglio qualcosa che faccia schiattare d'invidia tutti i miei compagni!»

Il dovere di un genitore ora, probabilmente, sarebbe quello di rimproverarla e di farle notare che questo non è un linguaggio né un pensiero degno di una bambina come lei; che lo scopo del progetto non è questo, che i valori che contano sono ben altri che l'invidia, che...

È una vera fortuna che Max non sia suo padre.

«Hai ragione. La conosci la tettonica delle placche?»

Hyra dà in un forte sobbalzo sulla sedia, guardandolo sconvolta. «Hai detto una parolaccia!»

Chissà quando è stata l'ultima volta che ha sentito qualcuno pensare che la tettonica delle placche fosse una parolaccia: a Max viene quasi da sorridere. «Non è una parolaccia, è un termine scientifico. Ne deduco che tu non sappia che cos'è. Ma che v'insegnano a scuola?»

Fissandolo in silenzio con l'aria di qualcuno che non sia affatto convinto di non aver appena sentito una parolaccia, Hyra scuote la testa. Allora, domandandosi in silenzio se la punizione per i peccati che ha commesso sia questa, quella di dover spiegare la tettonica a una bambina di sette anni, Max scuote la testa e va a cercare un vecchio manuale.


Lui e Hyra lavorano senza sosta per tutto il week end. È sorprendente quanto una bambina di quest'età sia in grado di appassionarsi a una cosa del genere. Certo, a volte si distrae, guardando fuori dalla finestra o prendendo a chiacchierare di qualche argomento assolutamente inutile in tono irritante, e più di una volta Max ha dovuto salvare l'inizio del loro progetto dall'attentato di un bicchiere di succo di frutta incautamente posato troppo vicino a un gomito... ma certo, il progetto prosegue a una velocità davvero dignitosa. Quando Ivan rientra, quella sera, Max sarebbe pronto a giurare di aver sentito la sua contentezza di vederlo lì, seduto al tavolo a lavorare con sua figlia, da nient'altro che dal suo sguardo incredulo e dalle sue bocca spalancata per la sorpresa. E basta, per fortuna, perché una sola occhiata di Max basta a fargli capire che no, non occorrono commenti. Che ha accettato il progetto di Hyra, e di sottolinearlo proprio non ce n'è bisogno.

Hanno davanti a loro un paio di settimane per concludere il progetto e, anche se per qualche bambino non sarebbero davvero poche, a conti fatti lui e Hyra hanno a disposizione soltanto due week-end: con la massima solennità possibile, Hyra gli ha fatto promettere che durante la sua assenza egli non avrebbe continuato a lavorare al loro modellino senza di lei, e Max, posandosi una mano sul cuore, ha promesso.

Ragion per cui, nella settimana seguente, Max passa molto tempo attorno al progetto - che al momento campeggia in modo piuttosto ingombrante nel loro salotto – a osservarlo e a studiarlo e a riflettere su come poterlo migliorare ancora senza complicarlo troppo, e ad annotare idee su un vecchio taccuino pieno di calcoli che credeva di aver gettato via.

Ma anche se questo semplificherebbe un po' le cose, accelerando il lavoro, e anche se probabilmente Hyra non se ne accorgerebbe neppure, Max neppure una volta solleva la mano per fare fisicamente qualcosa. Sa bene che, da parte sua, è profondamente stupido voler tener tanta fede a una stupida promessa fatta a una bambina di sette anni un po' troppo testarda: dopotutto, è comunque lui a fare la maggior parte del lavoro. Ma egualmente Max non fa niente se non limitarsi a riflettere sul loro progetto in silenzio e a scarabocchiare qualcosa ogni tanto, perché una piccola parte un po' meno cinica della sua mente, dopotutto, lo sa che non sarebbe corretto.

Quando Hyra torna, il week-end successivo, non lo saluta nemmeno. Il suo primo pensiero, non appena varcata la soglia, è quello di precipitarsi in salotto, strillando con la massima apprensione possibile: «Non sei andato avanti senza aspettarmi, vero?»

Così, per tutto il week-end, o quasi tutto, Max si ritrova a monopolizzare completamente l'attenzione di Hyra, e la cosa lo farebbe sentire un po' in colpa, se solo Ivan non girellasse insistentemente per il salotto con quell'odioso sorriso ebete in faccia. Comunque, con suo gran sollievo, il tempo a loro disposizione è sufficiente: domenica sera, quando Ivan carica in auto quasi di peso una bambina ormai praticamente addormentata, il progetto che illustra gli spostamenti delle placche tettoniche è finito, finalmente, e Max potrebbe smettere di interessarsene una volta per tutte.

Eppure, quando come al solito egli si sveglia in piena notte, cogli occhi colmi della luce acciecante del sole e il naso pieno dell'odore salato della pietra bruciante, andare in salotto e sedersi sul bordo del divano, davanti al progeto ormai terminato, è stranamente confortante. Non accende neppure la luce. Anche così, al buio, egli lo conosce così bene da percepirlo, e sarebbe in grado, senza toccarlo, di descriverne perfettamente la forma e l'aspetto e le dimensioni...

Si era dimenticato cosa volesse dire lavorare a qualcosa. Quando torna in camera e s'infila sotto le coperte, sente che Ivan è sveglio dalla diversa qualità del suo respiro, ma non dice nulla, e sa che neppure lui dirà niente. Col viso premuto contro il cuscino e un russare un pochino troppo affettato per poter essere autentico, Ivan sta gongolando (perché sì, è stata sua l'idea che Hyra chiedesse aiuto a lui per il progetto, il merito è anche suo, d'accordo), ma ormai è diventato troppo furbo, e sa che non vale la pena di rischiare di essere soffocato con un cuscino solo per rinfacciargli il proprio autocompiacimento.

Dev'essere maturato, conclude Max tra sé e sé, rigirandosi pigramente sotto le lenzuola. Vent'anni fa avrebbe rischiato.


«Sei assolutamente certo di non voler venire? Non siamo ancora in ritardo. Se vuoi...»

Nei suoi sforzi di essere elegante e rispettabile quando va a scuola di Hyra, Ivan probabilmente non si rende neppure conto di quanto sia dannatamente sexy. Max deve quasi sforzarsi di resistere alla tentazione di dirgli di indossare la giacca, o di abbottonarsi meglio la camicia, o qualcosa del genere. Non servirebbe comunque a nulla, perché la camicia resterebbe comunque dannatamente aderente sul suo largo petto pronunciato, e la giacca non farebbe probabilmente altro che esaltare ancor più la larghezza delle sue spalle robuste.

Ma più ancora che dal suo petto, l'attenzione di Max è attratta dai suoi occhi. Ivan vorrebbe davvero che andasse con lui, a presenziare e ad annoiarsi e a fare finta di divertirsi in mezzo a quella marea di bambini urlanti sovreccitati dagli zuccheri; e questo non tanto, o non soltanto, perché egli speri di trovare un sostegno e una via di fuga nella sua presenza, ma perché da quel mondo di saggi scolastici e dita sporche di crema e ginocchia sbucciate Ivan non lo ha mai considerato estraneo. Max lo sa, questo, perché anche se gli piace fingere il contrario egli è consapevole di cosa dovrebbe significare stare insieme; ma per quanto possa esserne consapevole, egli sa anche che Hyra non è sua figlia, e che quel mondo, per quanto ciò a Ivan possa dispiacere, non gli appartiene.

Per evitare di doverlo guardare direttamente, Max si avvicina e finge di sistemargli il collo della camicia. «Mi auguro che tu stia scherzando. Mi spiace dovertelo dire ma, francamente, tra la festa della scuola di tua figlia e la prospettiva di una serata rilassante in compagnia di un film muto di quattro ore e mezzo, non ho proprio alcun dubbio. Nulla di personale, lo sai.»

Quando, dopo qualche secondo, Max si decide finalmente ad alzare lo sguardo e a incontrare i suoi occhi – perché la scusa del colletto, ormai, non può proprio più reggere – si rende conto all'istante che lo scudo del suo cinismo non l'ha ingannato neppure per un momento. Ivan è serio e assorto.

«Senti, non è per Aima, vero? Perché lo sai che lei non avrebbe nulla in contrario.»

Negare che una parte della sua mente su questo pensiero si è soffermata – il pensiero finalmente d'incontrare Aima, conoscere questa donna distante di cui finora egli non ha conosciuto altro che il nome – sarebbe una bugia tanto spudorata da suonare troppo irreale. Max si limita diplomaticamente a scrollare le spalle. «Non è per Aima. Tranquillo.»

Ma Ivan non accenna a demordere. «A Hyra farebbe tanto piacere, lo sai.»

Questo è un colpo un po' basso però. Max potrebbe quasi pensare che Ivan stia diventando subdolo e mendace quanto lui, se solo non sapesse che è impossibile. «Non dire sciocchezze, non se ne accorgerà nemmeno. E poi è bravissima a esporre la ricerca.»

«Non dicevo della ricerca» prova ancora a borbottare Ivan, ma alla fine anche le sue proteste trovano pace. Sapeva già che non sarebbe riuscito a convincerlo, ma Max gli è grato di averci provato comunque. In fin dei conti, lo sa che Ivan ci proverà sempre.


Quando Ivan ritorna a casa, il mefistofelico dottore sta ormai avventurandosi per la sua via di fuga lungo le fogne, segno che il finale dell'interminabile film si sta avvicinando. Max si sorprende a voltarsi sul divano, con una strana curiosa ansia, che non ricorda di aver mai provato, di vedere Ivan per cercare di dedurre dal suo sguardo come sia andata, prima ancora di realizzare logicamente nella sua mente di volerlo sapere.

«Ehi.» Ivan sembra stanco ma soddisfatto, e piacevolmente compiaciuto di trovarsi di nuovo a casa. Gli appoggia una mano familiare sulla spalla, a mo' di saluto, e guarda verso il televisore. Nel suo sguardo assente e rilassato, che certa ristoro nelle piccole cose che lo circondano, Max percepisce con quale voluttà di riposo si trovi qui ora... e dopotutto, non è poi sorprendente che sia stanco. Ha trascorso le ultime cinque ore in compagnia della sua ex, e in balia di una mandria di bambini sovreccitati, a sorbirsi una serie di ridicole esposizioni a tema ambientale. «Che stai guardando?»

«Oh... un film. È quaso finito.» Scostandosi pigramente sul divano per fargli spazio, Max si decide infine a porre quella domanda. «Allora, com'è andata?»

«Oh, è stato fantastico, Max, a parte per il fatto che era noioso da morire. Hyra era così felice. Pensa che tu sia l'uomo più intelligente del mondo, perciò ti prego di non disilluderla» lo avverte scherzosamente Ivan, mentre si lascia cadere sul divano con la delicatezza di un piccolo terremoto. Si distende su tutto quello che può, fino a trovare la posizione più comoda per appoggiargli la testa sulle ginocchia, e rimane a fissarlo dal basso con aria soddisfatta. Beh, tutto sommato, conclude Max tra sé, sembra andata bene.

«Sono contento» ammette senza sbilanciarsi troppo. «Hyra si è impegnata così tanto.»

«Già, ha spiegato il progetto a tutti i suoi compagni e alle maestre.» Rigirandosi pigramente sulle sue gambe, Ivan guarda distrattamente verso lo schermo, senza neppure sforzarsi di trovare un significato nella sequenza di immagini mute e per lui insensate che vi si susseguono. «Insomma, non avrà vinto, ma non ricordo di averla vista così emozionata almeno da quando...»

Max ha un sobbalzo così inaspettato che Ivan è costretto a sollevarsi immediatamente dalle sue ginocchia.

«Come sarebbe che non ha vinto?» Con un progetto di quella portata, anche se ovviamente non a uso e consumo di bambini di sette anni, Max avrebbe potuto vincere una dannata borsa di studio ai tempi dell'Università. Com'è possibile che Hyra sia stata sconfitta a una stupida gara per bambini? «Vuoi dire che qualcun'altro ha presentato un progetto migliore del suo?»

«Oh, andiamo, Maxie. Mi prendi in giro?» L'idea sembra divertirlo immensamente. «Pensi che un bambino potesse fare di meglio? No, Hyra non ha vinto perché la sua maestra ha detto che l'abbiamo aiutata un po' troppo, e che non sarebbe stato corretto nei confronti degli altri bambini.»

«Oh.»

A dire il vero, Max si sente un po' sciocco per non aver pensato prima a quest'eventualità. Non è molto sicuro di cosa si debba dire a questo riguardo, ma, nel dubbio, fa un tentativo. «Mi dispiace.»

«E di che?»

Qualsiasi suo tentativo di scusarsi o di rammaricarsi o che altro sembra destinata a rifrangersi come un'onda contro l'incrollabile scoglio della contentezza di Ivan. «Non le importava niente di vincere, Max. Ha passato tutta la sera a raccontare in giro quelle cose sulla terra che le hai insegnato tu, e tanto le basta. È intelligente, eh?»

«Oh» borbotta Max, ma ormai più per dar segno di aver capito che perché ne sia veramente convinto. C'è qualcosa che lo perplime in tutto questo, sebbene non riesca esattamente a capire di che cosa si tratti, per la verità. Oltretutto non c'è neppure un vero motivo. Hyra non ha vinto, d'accordo, ma, ora che ci pensa, egli non gliene ha mai neppure sentita esprimere l'intenzione. Tutto ciò che voleva era l'ammirazione dei suoi compagni, e questo l'ha ottenuto.

«Mi dispiace che la maestra vi abbia dato la colpa.»

«Ma dai, mi conosci, Max. Non penserai davvero che mi sarei preso la colpa al posto tuo.» Prima che Max faccia in tempo a suggerirgli che forse la parola che stava cercando era merito, Ivan torna a stiracchiarsi sulle sue gambe come un gatto steso al sole e riprende: «Ho detto alla maestra che Hyra aveva tanto insistito per fare il progetto col mio ragazzo, perché sei uno scienziato e tutte quelle cose lì. L'ho messa a tacere come si deve, avresti dovuto vederla.»

Max non potrebbe rimanere più stupefatto di così. «Hai detto alla maestra di tua figlia che stai con me?»

«Beh, certo. Insomma, andiamo... non avrebbe mai creduto che l'avessi aiutata io, non credi?»

Se si trattasse di un film solo un po' più moderno, ora Max dovrebbe togliere l'audio per poter seguire il discorso di Ivan. «Oh, giusto. E la maestra che ha detto?»

Ivan si limita a scrollare distrattamente le spalle. «Che la cosa importante è che la bambina abbia stretto un buon rapporto con te. Seriamente, che altro doveva dire?»

Beh, in effetti. Mentre si sforza di tornare a dare allo schermo la sua completa attenzione, Max si ritrova a cercare di capire se vi sia qualcosa, in tutto questo, che sia veramente andato storto. Hyra non ha vinto, ma ha ottenuto ciò che voleva. È davvero possibile, per una volta, che sia riuscito a fare una cosa giusta?

Sullo schermo, il dottore sta ormai cominciando la sua ultima celeberrima partita a carte. Mancherebbero davvero pochi minuti all'eccellente finale, ma, dopotutto, non è che questa sia la prima volta che Max lo vede.

Con aria perfettamente indifferente, Max spegne la televisione e domanda: «Andiamo a letto?»

Ivan non potrebbe essere più felice di così.


Buongiorno a tutti!

Copiare questo capitolo è stato, se possibile, un lavoro assai più lungo e faticoso che scriverlo, anche in considerazione del fatto che il mio povero vecchio computer, ormai, comincia a non poterne davvero più. Giuro che ho fatto il più in fretta possibile, ma di più non ho proprio potuto!

Come mio solito, tengo a ringraziare di tutto cuore crystal_93, Persej Combe e StagTree per le loro deliziose recensioni, e in generale, ovviamente, chiunque segua la storia in qualsiasi modo. Fa sempre molto piacere!

Qualche piccola noticina a proposito di questo capitolo: non so se i riferimenti che ho inserito siano sufficienti a riconoscere il film, ma, in caso contrario, si tratta de Il dottor Mabuse di Fritz Lang, del 1922. Dura davvero 270 minuti, ma credetemi, ne vale davvero la pena.

Per quanto riguarda il progetto, ho cercato di descriverlo nei termini più generici che mi fossero possibili per evitare di scadere in imbarazzanti errori: come forse ho già accennato altrove, io studio in un ambito prettamente umanistico e non m'intendo molto di materie scientifiche, meno che mai di geologia. Se qualcuno avesse consigli o correzioni da suggerirmi li accetterei con vero piacere!

Detto questo, non mi rimane proprio altro da aggiungere. Grazie di cuore a chiunque sia arrivato sin qui, e al prossimo capitolo!

Afaneia


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Capitolo 5
*** Mamma non aver paura. ***


Capitolo V – Mamma non aver paura


Quando torna a casa ed entra in salotto per salutarlo, Ivan gli appare orgoglioso e tronfio proprio come un piccione troppo pasciuto. Non fa alcun commento incerto o amareggiato, oggi: oggi, al contrario, si piazza in piedi accanto al divano, senza neppure togliersi la giacca, e lo fissa gongolante come se non vedesse l'ora di raccontargli qualcosa. A questo punto della loro vita, Max lo conosce così bene da sapere che non c'è alcun bisogno di chiederglielo per sapere di che cosa si tratti. Difatti, poco dopo, Ivan proclama orgogliosamente: «Hyra ha fatto a botte con un bambino.»

Okay, questo di solito non è il genere di cosa di cui un padre dovrebbe essere fiero. Max spegne la televisione e alza lo sguardo verso di lui, ma la sua protesta gli muore sulle labbra prima di venir pronunciata. Ivan sta sorridendo.

«Non mi sembri preooccupato» osserva con cautela.

«Certo che non lo sono! Hyra mica le ha prese.»

«Ma non sei... uhm, arrabbiato?» Max si discosta un po' sul divano per fargli spazio. «Insomma, fare a botte è sbagliato, lo sai. Dovresti saperlo.»

«Aye, certo, certo.» Gettando la tracolla da lavoro al suolo, Ivan si siede accanto a lui, circondandogli le spalle con un braccio. «Ma ci penserà già Aima a sgridarla, e non mi pare giusto punirla troppo. Non ha mica cominciato lei: lo ha fatto per difendersi.»

«Difendersi da cosa?» indaga Max. Sa che provare a protestare, o a farlo ragionare, sarebbe inutile: in fin dei conti, Ivan non è mai stato quel tipo di persona che risolve i problemi con le parole e una stretta di mano. L'idea che sua figlia sia tanto tosta da picchiare un maschietto, anche solo per legittima difesa, dev'essere per lui una specie di trionfo personale riportato dal suo DNA.

«Beh, anzitutto, quello stronzetto le ha tirato i capelli.»

«Uhm. Non è un po' troppo chiamare stronzetto un bambino di otto anni?»

«Ma non è tutto» prosegue Ivan infervorandosi, senza neppure averlo udito. «Prima le ha detto che è una femminuccia e poi l'ha presa in giro per il fatto che io e te viviamo insieme. Perciò, per quanto mi riguarda, Hyra aveva tutti i diritti di spingerlo e di tirargli un pugno, e non dire che non è così, Maxie. Sono convinto che gliele avrebbe date di brutto, se la maestra non li avesse separati» conclude con l'aria del padre più orgoglioso della terra.

In effetti, Ivan non ha poi tutti i torti: Max non può fare a meno di pensare a come si sarebbe sentito lui, alla stessa età di Hyra, se qualcuno gli avesse detto qualcosa del genere sui suoi genitori. «Hyra ci sarà rimasta malissimo.»

«Oh, si è arrabbiata, questo sì.» Per quanto abbia assunto un'espressione grave e severa a questo riguardo, Ivan non può impedire alla sua voce di tremare segretamente di soddisfazione. «Ma rimanerci male... no, direi di no. Lo sa che i bambini dicono cose stupide.»

«Oh. Beh, meglio così, immagino.» Per un attimo Max si chiede se debba continuare a insistere sul concetto picchiare la gente è sbagliato - più per una questione di principio che perché ci creda veramente - ma poi decide di lasciar perdere. Non è affar suo come Ivan decide di educare sua figlia, dopotutto, e poi, fortunatamente, come ricorda spesso a se stesso, da qualche parte del mondo, a Ciclamipoli, esiste una santa donna di nome Aima che potrà contribuire a insegnare a Hyra tutto ciò che suo padre ritiene superfluo. Come a non fare a botte con stupidi bambini omofobi, per esempio.

Non c'è motivo di dar troppo peso all'accaduto, dopotutto. Max torna ad accendere la televisione, a un volume troppo basso perché valga davvero la pena di guardarla, e appoggia distrattamente una mano sul ginocchio di Ivan. «Ci sarà qualche conseguenza con la scuola?»

«La preside ci ha convocati per un incontro con i genitori dell'altro bambino. Nulla di grave, suppongo.» Ivan si stringe distrattamente nelle spalle. «Comunque, io e Aima siamo del parere che sarà solo una chiacchierata: Hyra l'ha picchiato, ma quello stronzetto ha detto delle cose gravissime, quindi saranno i suoi genitori a doverci chiedere scusa, alla fine. Non c'è da preoccuparsi.»

«Mh, meglio così.» Quasi senza pensarci, Max lo attira a sé senza guardarlo. Il peso familiare del suo capo sulla spalla è gradevole in un certo suo modo domestico e intimo. «Ivan...»

«Sì?»

«Cerca di mostrarti contrario alla violenza, almeno il giorno dell'incontro coi genitori, siamo intesi?»

Contro la curva della sua gola esplode il ruggito basso e vibrante della risata di Ivan.


Solitamente, durante la spesa settimanale del venerdì pomeriggio, Ivan si dimostra attento e collaborativo come un bambino di dieci anni, e fa anche gli stessi capricci, ma, quantomeno, partecipa. È anche vero che, prima d'oggi, non gli aveva mai telefonato la madre di sua figlia durante la spesa.

Attualmente, il suo compagno sta passeggiando su e giù da circa un quarto d'ora nel reparto dei surgelati, discutendo concitatamente al telefono con Aima. Concitatamente è l'eufemismo più adatto che gli venga in mente: a dire il vero, Ivan sta praticamente urlando e, a giudicare dalle parole che usa, dev'essere veramente arrabbiato.

È una fortuna che il supermercato sia veramente affollato, questo pomeriggio, e che il brusio degli acquirenti che si affollano lungo le corsie copra almeno in parte il turpiloquio del suo compagno, perché quando gli passa vicino Max prova quasi vergogna per lui. Comunque sia, Max continua a fare la spesa senza di lui, e aspetta.

Ivan pone bruscamente fine alla chiamata, con un'imprecazione irripetibile, proprio poco prima che debbano andare alla cassa. Max sta per dirgli qualcosa sul suo straordinario tempismo, ma prima che possa anche solo aprir bocca, Ivan erompe violentemente: «Dio, come sono fortunato a stare con un maschio!»

Questa se la sarebbe potuta anche risparmiare. Fulminandolo con lo sguardo, Max lo afferra per un braccio e lo avvicina a sé. «Si può sapere che succede?»

«Ehi, ora non preoccuparti.» Per quanto Ivan abbia litigato per tutto il quarto d'ora precedente, non appena posa lo sguardo su di lui, sembra calmarsi improvvisamente. Gli batte la mano sulla spalla in un benevolo sfoggio di violenza. « Non hai idea di quali sceneggiate facciano le donne per le cose più inutili. Ah, hai già preso tutto?» soggiunge stupito, gettando un'occhiata verso il carrello.

«Ivan, vorresti cortesemente spiegarmi che succede?» sbotta Max in un picco d'impazienza. Prima o poi ucciderà quest'uomo, se lo sente, e paradossalmente lo farà proprio ora che stanno ufficialmente insieme, dopo essersi faticosamente trattenuto per tutti gli anni della loro lotta.

«Succede che Aima ha spaventato a morte Hyra, con tutte le sue sceneggiate isteriche» esclama infine Ivan, e al solo pensiero i suoi occhi lampeggiano. «Ti rendi conto? Far credere a una bambina che sua madre potrebbe morire! E tutto per uno stupido neo...»

Fino all'ultima parola, Max avrebbe pensato che si trattasse di un semplice alterco tra due genitori non poi così civili quanto si vantavano di essere, ma all'improvviso cambia qualcosa. Lascia finalmente il braccio di Ivan. «Che cos'hai detto?»

«Ecco, vedi? Lo pensi anche tu» sbuffa Ivan coll'aria di chi, trovandosi perfettamente compreso e appoggiato dal suo interlocutore, sia ormai disposto a lasciar perdere un argomento che non gli interessa più sostenere. «È ridicolo, ma lo sai come sono le donne... esagerano sempre tutto.»

«Cos'è questa storia del neo?» insiste Max con uno strano senso di urgenza, per cercare di capirci qualcosa prima che Ivan rivolga tutta la sua attenzione al contenuto del loro carrello. Non che, anche così, la sua reazione cambi molto: Ivan si limita a scrollare le spalle, come se la cosa fosse un'inezia che non lo riguardasse minimamente.

«Ah, non ne ho idea, Maxie, non l'ho quasi ascoltata. Ho capito soltanto che sua sorella le ha notato questo neo sulla schiena mentre prendevano il sole e Aima è andata nel panico. Il problema è che si è messa a piangere davanti alla bambina» soggiunge, calcando con particolare intensità sull'ultima parola, quasi a voler mettere a tacere ogni possibile protesta al riguardo. «Ha già fissato un appuntamento per farlo rimuovere, quindi che bisogno c'era di spaventare Hyra?»

Solo un anno prima (quand'era in procinto di devastare Hoenn, per esempio), Max non avrebbe mai creduto di poter udire Ivan parlare così, come il padre iperprotettivo e ostinatamente cocciuto che è davvero, ma non è questo il punto. Al momento, egli sta cercando di riordinare e rielaborare le informazioni nella propria mente, e tutto ciò che riesce a dedurne con certezza, per ora, è che non finirà mai di sorprendersi di quanto Ivan sia stupido.

«Tu lo sai che potrebbe trattarsi di una cosa grave, non è vero?»

«Oh, andiamo, Max.» Le sue parole, evidentemente, non riescono neppure a scalfire la sua corazza di solida sicumera. «Senti, ti ho mai detto quanti anni ha Aima? Non ne ha ancora compiuti trenta. È una ragazza giovane, mangia sano e fa attività fisica due o tre volte alla settimana. Che razza di problemi vuoi che abbia alla sua età?»

La logica di Ivan, pur nella sua cieca chiusura ostinata, non fa una piega. Max sa che le cose, con i melanomi, non funzionano esattamente così – ha fatto un paio di esami di Oncologia ai tempi della sua laurea in Biologia – ma in questo momento, per qualche strano motivo, non se la sente di ribattere. Non vale la pena distogliere Ivan dalle sue convinzioni, dopotutto... no? In fin dei conti, con ogni probabilità, ha ragione. La sua ex si farà rimuovere subito quel neo, la biopsia risulterà negativa, e questa storia finirà in una bolla di sapone, tutto qui.

Ma più Max cerca di convincersi di questo, più sente crescere in sé e radicarsi la sgradevole sensazione che ci sia qualcosa che non va.


C'è qualcosa che non va. Max lo ha percepito già dalla tarda mattinata, quando al telefono la voce di Ivan gli è parsa strana e assente, troppo cupa, ed egli ha ostinatamente eluso le sue domande negando che ci fosse qualcosa di anormale.

I suoi sospetti si sono consolidati quando, nel pomeriggio, un asettico messaggio di Ivan lo ha informato che il suo compagno sarebbe tornato più tardi del solito, e che perciò non c'era bisogno di aspettarlo in piedi. A questo punto, negare che qualcosa non andasse era semplicemente assurdo, perciò Max si è messo l'anima in pace e ha aspettato. Ha preparato la cena, ha mangiato da solo, ha lasciato un paio di piatti coperti in caldo dentro il forno, ha riordinato la cucina e infine, per non saper che fare, ha aperto un libro a caso e si è messo a leggere.

Quando sente la porta d'ingresso aprirsi e poi richiudersi piano, è quasi l'una, e le parole scritte davanti ai suoi occhi cominciano a confondersi e a incrociarsi, ma lo scatto della serratura lo riscuote bruscamente dalla sua pigra sonnolenza. Quando Ivan si trascina lentamente in cucina, Max è perfettamente sveglio.

Non ricorda di averlo visto mai così. Ivan è distrutto, estenuato come neppure nei grandi terribili giorni in cui Groudon devastava i mari, e nei suoi occhi arrossati non c'è la minima traccia di speranza. Di fronte a quello spettacolo di sofferenza, Max non trova nulla di sensato da dire. Chiude il libro sulle ginocchia, si protende in avanti sulla sedia, e aspetta.

Per un po', Ivan non dice niente. Tutto ciò che riesce a fare, per qualche secondo, è accennare un sorriso appena abbozzato, afferrare una sedia e trascinarla accanto alla sua.

«Scusa se ho fatto tardi.» Le scuse sono superflue, certo, ma sono un ottimo modo per cominciare. Max minimizza la cosa agitando distrattamente una mano in aria.

Ivan si siede pesantemente davanti a lui, emettendo un sospiro che sembra più un gemito. È stanco davvero, e dai suoi occhi vitrei è evidente che il lavoro non c'entra.

«Sono stato finora da Aima. Le è arrivato il risultato di quella biopsia che... ti ricordi, no?»

Certo che se lo ricorda. Da quel giorno non ci ha più ripensato, è vero, ma ora che Ivan glielo rammenta, ogni cosa gli torna alla memoria come se ne avessero parlato appena ieri.

«È andata male?» domanda a bassa voce, in un patetico tentativo di aiutarlo a dirlo, ma anche soltanto questo sembra fare la differenza. La fronte di Ivan è impercettibilmente rischiarata da un accenno di gratitudine.

«Deve fare la chemioterapia, credo.» Nel dire finalmente questa verità c'è una specie di liberazione, come se poterla condividere con lui lo alleggerisse di un fardello che, per lui solo, era troppo pesante da portare. Si passa una mano sugli occhi. «Non ci abbiamo capito molto, in realtà, né io né lei. È tutto così confuso, Max. Mi sembra un incubo. Com'è possibile tutto questo?»

Max lo conosce ormai da più anni di quanti riesca a ricordare, ma in questo preciso momento, davanti a quest'uomo devastato e affranto, spezzato, si rende conto di non averlo mai visto tanto umano. Ivan non ha mai amato Aima, e di questo Max non potrebbe dubitare mai, neppure volendolo, eppure egli non l'ha visto mai più distrutto e impotente di così. Tutti i suoi muscoli, i suoi Pokémon e il suo coraggio sono inutili e privi di significato davanti alla malattia di quella donna.

«Ha già parlato col medico?»

Ivan scuote la testa come se la cosa non avesse molta importanza: i suoi occhi sono vacui e persi, del tutto assenti, e Max vede da essi che egli lo ascolta, ma la sua mente è presa da altro: è ancora ferma a quel momento in cui ha saputo della biopsia.

«Sì, ma dovrà tornarci domani per capire meglio. Credo che debba fare una risonanza magnetica, o qualcosa del genere. Oggi abbiamo cercato di spiegarlo a Hyra senza spaventarla...»

La sua voce ha un fremito, un tremore terribile, e poi si spegne. In tutto questo è Hyra che lo spaventa di più, e come potrebbe essere altrimenti?

«Che cosa le avete detto?» mormora Max dopo un po', quasi solo per infrangere quel silenzio troppo grave e angosciante. C'è un'idea mostruosa che si sta formando rapidamente in fondo alla sua coscienza e che sta assumendo voce, e Max sente di doverla mettere a tacere prima che cominci a urlare e assordarlo. Le darà retta più tardi, e sa che allora, se deciderà di prestarle attenzione, essa finirà per ammutolirlo e paralizzarlo... e ora non può permetterselo.

«Le abbiamo detto che la mamma sta poco bene e che dovrà fare delle cure.» Ivan si strofina gli occhi, stancamente, come tutto quello che fa. «Il problema è che ha capito, ovviamente. È anche per questo che ho fatto tardi, sai... abbiamo dovuto tranquillizzarla prima di poterla mettere a letto.»

In tutti gli anni della loro conoscenza, Max non ricorda d'aver visto mai Ivan arrendersi, lasciar perdere e smettere di lottare, che fosse contro qualcuno o qualcosa o anche solo contro un'idea (la sua, per esempio), ma oggi, semplicemente, lottare è mero spreco di forze. La malattia di Aima non è una persona e non è un ideale - è un abisso che cresce dentro di lei, ingombrante e irragionevole, e tentare di combatterlo sarebbe come sgolarsi inutilmente contro la vasta distesa del mare.

«Hyra è molto intelligente. Non avreste potuto tenerglielo nascosto.» Non è del tutto certo che questa sia una consolazione, ma quantomento Ivan sembra apprezzare. Gli sorride appena.

È tardi, ormai. L'una è passata da un pezzo, e parlare ancora della malattia, ormai, è inutile e controproducente come sale su una ferita. Alzandosi in piedi, Max gli passa una mano tra i capelli e si muove per allontanarsi. Ha bisogno di riprendere il controllo, di concentrarsi e di rimanere un po' solo coi propri pensieri.

«Sono sicuro che Aima ce la farà, Ivan. È riuscita a stare con te dopotutto, no?»

Senza preavviso, Ivan lo abbraccia.

Somiglia più a un placcaggio, a dire il vero, ma quello che conta è che Max non può muoversi, ora, colle braccia calde e muscolose del suo uomo strette attorno alla vita. Ivan ha bisogno di lui, si rende conto Max per la prima volta nella vita.

Prima di questo momento, egli non ha realizzato mai quanto profondamente tutti questi anni li abbiano uniti, o quanto davvero voglia dire stare insieme. Ha sempre pensato che fosse Ivan, tra di loro, l'elemento stabile e concreto, incrollabile, attorno al quale far orbitare la sua genialità, prima, e poi il suo disagio e la sua depressione... ma ora Ivan è più fragile che mai, e sorprendentemente questo non lo spaventa tanto quanto dovrebbe.

Le dita di Ivan affondano nella sua schiena, ma Max, da questa posizione, non riesce a vedere i suoi occhi.

«Non può morire, Max.» La verità, semplicemente, è che Ivan ha paura. La sua voce trema e sembra supplicare una pietà che Max, purtroppo, non è in grado di dargli. «È la madre di mia figlia, Max. Hyra ha ancora tanto bisogno di lei. Non può morire ora, non... non è giusto.»

Oh, Ivan. Mentre la sua coscienza pare ribollire e ululare dai reconditi del suo petto, Max appoggia le mani sulle spalle di Ivan. Non c'è nulla che sia in grado di dirgli, e tutto ciò che può fare, ora, è sperare che il solo contatto con le sue mani possa parlare in sua vece e dirgli tutto ciò per cui la sua voce è muta. La morte è sempre ingiusta.

E non vi è nessuno più adatto di lui per dirlo, lui che ha tanto lavorato perché nessuno mai fosse estromesso dal banchetto di vita, per dare all'uomo più terra e meno morte.

No, non vi è nessuno più adatto del grande Max, che ha scatenato su Hoenn l'inferno di un sole che bruciava, e che sa benissimo quali effetti il sole abbia sulla pelle.

No?


Questa notte, la paura di sognare del sole è così angosciosa che Max lotta con tutte le sue forze per non addormentarsi. Pensa. Ha bisogno di pensare, stanotte, e non solo perché non può continuare a ignorare l'idea che è affiorata in lui mentre Ivan parlava, ma anche e soprattutto perché, in questi mesi, si è reso conto che pensare alla sua colpevolezza è molto meno spaventoso che sognarla. A differenza dei sogni, il suo pensiero è l'unica cosa della sua vita che sia rimasta sotto il dominio della sua volontà, e a questo Max cerca disperatamente di aggrapparsi.

Aveva creduto di aver già fronteggiato ogni possibile conseguenza delle sue azioni, Max, prima coll'aiutare quella sciocca ragazzina dagli occhi vacui negli abissi di quella grotta, e poi, ancora, nei giorni dell'avvento di Rayquaza sulla terra... e proprio per questo motivo, scoprire che i danni comportati dai suoi errori sono molto più gravi, e molto più numerosi e impensabili di quelli ch'egli è già riuscito a contenere e a riparare lo spaventa oltre ogni dire. Per la prima volta da ormai molti mesi, Max si sente di nuovo soffocare proprio come in quei giorni terribili in cui la terra andava per colpa sua inaridendosi, e ora ha la precisa consapevolezza che quell'inferno da lui creato non è ancora finito.

Sollevandosi sul gomito, Max passa gran parte della notte a osservare Ivan. Nella luce sfumata e grigiastra della notte di Porto Selcepoli, egli lo scorge appena, e la memoria lo aiuta a ripercorrere i suoi tratti molto più dei suoi occhi.

Stasera, per la prima volta, egli ha fatto caso realmente ai primi accenni di rughe attorno ai suoi occhi, alla stanchezza della sua voce, all'incurvatura esausta delle sue spalle larghe, ed è stato allora che, all'improvviso, egli si è accorto che Ivan davvero non è più il ragazzone testardo e aggressivo della loro antica militanza in quella vecchia squadra. Ma quand'è che è diventato uomo? Forse mentre Max non stava guardando?

Cercando di reprimere i dubbi che lo assalgono, Max si concentra sul volto del suo uomo per tutte le ore che lo allontanano dall'alba. Questa notte neppure il grande calore accogliente del suo corpo potrebbe farlo dormire serenamente, ma sentire il suo respiro nel buio è comunque la cosa più rassicurante della sua vita, al momento.



Buongiorno a tutti!

È veramente strano, per me, ritrovarmi a pubblicare questo capitolo proprio in questo periodo, in cui una persona molto importante della mia vita (la persona che ha ispirato questa storia, in effetti) sta nuovamente male. Ma immagino che esistano molte coincidenze di questo tipo nell'universo, e forse non dovrei sorprendermi più di tanto.

Anche per questo motivo questa storia è per me sinceramente importante, e spero che possa contribuire a dar voce a certe tematiche che sento molto vicine. Desidero naturalmente mettere in chiaro sin da ora che, se darò di determinate malattie una visione non perfettamente inerente alla realtà, è perché non sono un medico e non sono in grado di fare altrimenti; ma ho cercato d'investire in queste pagine tutta la mia sensibilità e le mie esperienze, e se ci saranno errori o imprecisioni non vorrà essere una mancanza di rispetto o di attenzione. Il mio cuore è con coloro che soffrono, per se stessi o per qualcuno di caro.

Detto questo, desidero ringraziare sinceramente per le loro recensioni cristal_93 e Persej Combe: mi hanno fatto davvero tanto piacere!

A questo punto non posso che ringraziare semplicemente chiunque sia arrivato anche solo sin qui con la lettura: per essere una storia nata davvero per caso, è davvero un bel passo avanti!

Un abbraccio enorme a tutti!

Alla prossima


Afaneia










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Capitolo 6
*** Il Grande Sole Rosso. ***


Buonasera a tutti!

Capitolo brevissimo, lo riconosco, e che forse non aggiunge neppure molto al precedente: ma è stato anche uno dei primi a venire scritti, ed era assolutamente fondamentale allo sviluppo dei prossimi, ma non c'era alcun modo in cui potessi accorparlo ad altri.

Sono davvero, davvero dispiaciuta di non aver pubblicato prima: ammetto che avevo sperato di riuscire a pubblicare durante le feste, ma poi l'ansia per gli esami mi ha letteralmente assalita, e non ho più avuto in minuto libero senza un libro aperto davanti.

Non posso davvero che ringraziare di tutto cuore cristal_93 e Persej Combe per le loro recensioni e per le loro carissime parole. Siete un sostegno grandissimo, sotto tutti i punti di vista.

Grazie a chiunque di essere arrivato anche solo fin qui, e, anche se in leggero ritardo, buon anno!

A presto

Afaneia


Capitolo VI – Il Grande Sole Rosso.


Per far confessare i bambini, Max ha stabilito che la cosa migliore da fare è coglierli di sorpresa. Perciò, mentre Hyra sta disegnando con aria concentrata un grosso obbrobrio sproporzionato che, secondo l'ipotesi più plausibile, dovrebbe voler rappresentare lo Sharpedo di suo padre, Max si china su di lei e le chiede senza preavviso: «Tu te lo ricordi il grande sole rosso?»

È sabato, per fortuna, e Hyra non ha trovato nulla d'inusuale nel rimanere a casa loro per tutta la mattina, anche se soltanto con lui. Del resto, è abituata al fatto che suo padre lavori di sabato, e non sa che Ivan oggi ha preso un giorno di permesso per accompagnare Aima in ospedale.

»Il grande sole rosso? Che cos'è?» cinguetta Hyra per tutta risposta, senza peraltro distogliere gli occhi dal foglio, dove si comincia a intravedere quella che, almeno secondo le sue intenzioni, dev'essere una pinna dorsale. Preoccupato dai movimenti un po' troppo entusiastici e irregolari del suo gomito, Max allontana l'inconsapevole bicchiere di succo di pesca che aspetta con aria apparentemente innocua in un angolo del tavolo.

«Non te lo ricordi?» insiste piano, scrutandola attentamente per saggiare le sue reazioni. «È stato qualche mese fa. Non ti ricordi che c'era un po' troppa luce, e il sole era troppo caldo, e...»

«Di che colore è la pancia degli Sharpedo?» lo interrompe Hyra, che dev'essersi evidentemente già scordata del fatto che egli, in quel preciso momento, le stava parlando.

«Bianca» risponde asciuttamente Max, guardando il disegno con un certo disappunto. Non che si capisca che è uno Sharpedo, comunque. «A ogni modo, tornando a noi...»

«Oh, no!» esclama Hyra, cacciandosi disperatamente le mani tra i capelli. «Stai scherzando?»

Max non impiega molto tempo a trasferire il suo disappunto dal disegno a lei.«Cielo, non hai visto abbastanza volte lo Sharpedo di tuo padre?»

«Ma guarda!» proclama Hyra tragicamente, porgendogli l'astuccio delle matite con lo stesso spirito di sacrificio di una moderna Ifigenia avviata al martirio. Con un'occhiata compassionevole alle matite mordicchiate e perlopiù spuntate, a Max non occorrono più di un paio di secondi per capire qual è il problema. Non c'è una matita bianca. «Come potrò finire il mio disegno, adesso?»

Gli accenti melodrammatici di questa bambina risulterebbero dannatamente irritanti, se solo Max non potesse fare a meno di trovarli suo malgrado divertenti. Il fatto di non possedere una matita bianca deve sembrarle un problema mortalmente serio, in questo momento, e in fin dei conti è giusto così. Istantaneamente, Max decide che non è da lei che potrà sanare i suoi dubbi e mettere in pace la sua coscienza, e semplicemente lascia perdere. Non sa per quant'è che Hyra potrà essere ancora serena, e rubarle questi ultimi giorni di quiete apparente sarebbe un crimine peggiore di quello ch'egli ha commesso nei confronti di sua madre.

«Perché non fai finta che sia sott'acqua e lo colori di azzurro chiaro?» propone, aggiustandosi gli occhiali sul naso con l'aria di esporre la conclusione di un lungo e complesso studio scientifico. «Sai, i colori cambiano sott'acqua. Può funzionare.»

La disperazione di Hyra si tramuta in un tripudio di gioia, non tanto all'idea dell'azzurro, quanto alla prospettiva di poter trasporre il suo aborto di Sharpedo non più sull'anonimato di un foglio bianco, ma su uno scenario esotico e concreto e in quache modo esotico. «Oh, ma è fantastico! Grazie, Max, grazie! Allora voglio farci anche uno sfondo blu e una stella marina e... tu sai dirmi com'è fatta un'alga?»

Ma ora neanche Max la sta più ascoltando. È sorto qualcosa, in quella conversazione, che sta pungolando la sua coscienza nel profondo del petto, e non saprebbe dire cos'è – o forse non vuole soffermarsi a riflettervi – ma ora per qualche strano motivo parlare con lei a quel modo lo sta mettendo tremendamente a disagio. Non vuole che Hyra gli chieda niente. Non vuole aiutarla, non vuole consigliarla e non vuole, assolutamente non vuole che lei lo ringrazi mai più!

Alzandosi in piedi, dice forzatamente: «Se ti vesti, ti porto a finire il tuo disegno al Museo Oceanografico. Così potrai guardare tu stessa che cosa c'è in fondo al mare. Sai, è proprio quello che fanno i pittori. Corri a cambiarti.»


«Hyra mi ha detto che siete stati al Museo Oceanografico.»

Ogni volta che Max lo guarda, malgrado tutte le sue speranze, Ivan è così... distrutto, e stanco. Ogni singola volta, vederlo così è un dolore.

A giudicare dal suono rassicurante di personaggi che s'inseguono tra ridicole minacce irrealizzabili e suoni onomatopeici tanto da suonare irreali, Hyra è tornata a guardare i suoi cartoni animati subito dopo aver salutato suo padre. Bene così.

Ivan si accascia sul divano in una profusione di sospiri. Continua a parlare, certo, ma senza guardarlo, e Max ritiene che sia più prudente non fare domande, per un po'.

«Già. Hyra stava disegnando un fondale marino, e pensavo che...»

Ma Ivan non lo sta veramente ascoltando, e non perché non gli interessi. Ha gli occhi vacui, perdutamente infissi nel vuoto, e forse non sa neppure lui a che cosa precisamente stia pensando. Semplicemente, è stanco. Max però continua egualmente a parlare, perché di solitudine, e di silenzio, e di stanchezza e di pensieri orribili, la mente di Ivan dev'essere anche troppo piena.

«Dice che vi siete divertiti un sacco.» Sono parole meccaniche e fiacche, remote e fredde come provenienti da un universo lontanissimo. Ivan sta ancora fissando il vuoto, eppure Max fa finta di niente.

«Beh... Hyra si è divertita. Ha fatto un bel disegno.» Hyra ha fatto la brava per tutta la mattinata. Durante la lunga passeggiata al museo ha chiacchierato ininterrottamente, colmando il vuoto con le sue parole, ma non si è data peso dei suoi silenzi, e Max gliene è stato grato. Ha parlato del mare, della spiaggia, degli Wingull, e gli ha anche fatto sentire un campionario del suo vasto repertorio di imitazioni dei versi dei Pokémon, alcuni dei quali non sono neppure tanto male, per dirla tutta. Ma si è comportata notevolmente bene durante la coda d'ingresso al Museo, senza disturbare nessuno; e poi, non appena sono entrati nelle vaste sale luminescenti di bagliori d'acqua che si specchiavano sul pavimento, lo ha trascinato per il braccio lungo l'intero edificio, raccontandogli tutto quello che sapeva delle stelle marine e dei Magikarp e di tutto il resto, e poi, finalmente, con buona pace dei suoi sensi stanchi e della sua coscienza rimordente al centro del petto, si è messa a sedere, ha tirato fuori il suo disegno e ha ricominciato a disegnare. In silenzio, che era una cosa della cui esistenza Max stava dubitando ormai da diverse ore. «Credo che sia in camera sua. Se vuoi te lo vado a prendere...»

«Max.» La voce di Ivan è profonda e non lascia adito a obiezioni. Per una volta, Max si lascia interrompere senza protestare. «Grazie.»

Max non vuole dare a questo grazie un significato più profondo di quello che può attribuirgli Ivan. Si sforza di trovare in fretta qualcosa da dire per sdrammatizzare un poco la situazione. «Di niente. In fondo, beh, quella bambina ha bisogno di un adulto che l'avvicini un po' al mondo della cultura, no?»

«Non parlavo di... cioè, certo. Sei stato gentile a portarla al museo, l'hai fatta distrarre. Ma volevo dire... grazie di cercare di stringere un rapporto con lei, Max. Io credo...»

«Che cosa credi?» chiede Max, quando l'esitazione di Ivan diventa silenzio e troppo carico di tensione, ed egli sente che potrebbe urlarne.

«Credo che Hyra dovrà passare moltissimo tempo con noi, d'ora in poi. Aima non potrà più prendersi cura di lei molto a lungo, e vorrei che si trovasse bene con te, e che vi voleste bene, se dovrà vivere in questa casa.»

Oh.

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Capitolo 7
*** Il Grande Max. ***


Capitolo VII – Il Grande Max.


Quando Max si sveglia per la seconda volta, stamattina, si sorprende nel constatare che Ivan è sveglio – e da un bel po', si direbbe – e che lo sta guardando. Ma di più, non lo sta solo guardando – Ivan lo sta soppesando, e Max ne è così sorpreso che non gli viene neppure in mente nulla da dire. Che diamine succede?

«Che cosa stavi sognando?»

«Prego?»

Questa poi, Max proprio non se l'aspettava, ma di fronte al suo sbigottimento Ivan non cede minimamente. Ha la fronte corrucciata e stanca, pensierosa, e a Max non piace vederlo così assorto.

«Che cosa stavi sognando?» ripete Ivan con calma.

«Perché devo aver sognato?» ribatte Max bruscamente, sollevandosi a sedere contro lo schienale del letto, un po' per prendere tempo e un po' perché, a dire il vero, lo sguardo attento di Ivan, a così breve distanza da lui, lo sta mettendo a disagio. Se c'è qualcosa di Ivan che proprio non sopporta – beh, tra le varie cose – è che sa quando mente. Bastardo.

Ma con la massima calma, e sempre senza distogliere gli occhi da lui, Ivan si stringe nelle spalle, si stiracchia pigramente sul letto, e risponde: «Perché non me lo dici tu?»

Sa tutto, questo stronzo, o quasi tutto... perché al di là della sua pelle sudata e dei suoi occhi stravolti, e forse del tremore che lo ha scosso mentre dormiva – perché a questo punto Max non può non sospettare di essersi agitato parecchio nel sonno – al di là di tutto questo, insomma, Ivan non può certo aver indovinato niente di più. Nonostante ciò, Max è certo che Ivan non lo lascerà in pace finché non avrà ottenuto la sua dannata risposta. Non che egli intenda dargli più soddisfazione di quanta se ne meriti, comunque.

«Ho sognato il sole» risponde senza giri di parole, scaricandogli addosso tutto il compito di districare da solo il significato del sogno e di ciò che questo comporta. Quanto a lui, egli non intende fare proprio niente per aiutarlo, a maggior ragione dal momento che averglielo detto così, bruscamente e senza mezzi termini, non ha avuto proprio niente che ricordasse anche solo vagamente il sapore vivificante e remissivo di una confessione. Quanto a questo, Max è sempre stato così disilluso da non provare nemmeno un poco di delusione.

E poi, quand'anche volesse spiegarsi più chiaramente, che diamine dovrebbe dirgli? Che è da quando è accaduto, inesorabilmente, ch'egli non fa che sognare quel sogno, e che la cosa più terribile è proprio questa: che in quel sogno non c'è niente che possa fargli tanta paura? Che dopo aver bramato per anni quel paradiso fatto di terra e di sole e di vita – di vita! - egli ora non riesce proprio a liberarsi gli occhi del ricordo angosciante di ciò che per poco non è riuscito a creare, e che quel paradiso che ha scatenato sulla terra era l'inferno del sole che bruciava, e che forse è per quell'inferno che Aima sta morendo e sua figlia si ritroverà orfana?

Ma quando si volta a fronteggiare Ivan, in un parossismo di rancore e di sfida e di chissà che altro, Max non tarda ad accorgersi che nei suoi occhi non c'è alcuna traccia di perplessità. Ivan ha capito tutto, e subito, anche. Ivan, che ha assistito alla sua grandezza e al compiersi della sua vittoria, e poi alla sua rovina ch'è stata maggiore e più rovinosa dal momento che si è compiuta al culmine del suo trionfo, Ivan ha capito all'istante il significato del suo dolore e del suo tormento, e forse è possibile anche che lo sapesse già da molto tempo prima di chiederglielo. Bastardo, di nuovo.

«È per Aima, vero?»

Certo che è per Aima, per questa donna senza volto che per lui non consta d'altro che di un nome, e forse appena dell'indistinta identità che a questo nome egli è riuscito ad associare. È per Aima, perché per la prima volta da quando tutto questo è cominciato, nella prospettiva concreta della morte di una madre, Max ha finalmente saggiato con mano, senza possibilità d'appello, i frutti del suo ideale e della sua vittoria. Ma come dirgli che il ricordo del suo errore lo ha perseguitato ogni giorno da quando lo ha compiuto, certo, ma che solo da quando ha saputo di Aima si è fatto insopportabile?

«Max.» C'è un'inaspettata tenerezza nella voce di Ivan. «Perché non me l'hai detto prima?»

«Per ottenere cosa?» Per gravarlo forse di tutta la responsabilità morale della propria colpevolezza? Questa sì che è proprio una bella idea.

Se questo è il livello delle argomentazioni di Ivan, la loro conversazione non può che essere inutile. Scostando decisamente le coperte, Max si alza dal letto e prende a cercare con rabbia qualcosa nella stanza. Non che stia davvero cercando qualcosa di specifico, ma è confortante poter fare finta di avere qualche ottimo motivo per aggirarsi per la camera come un cane rabbioso.

«Perché se tu me l'avessi chiesto, io ti avrei detto che né Aima né Hyra erano a Hoenn quando tu hai risvegliato ArcheoGroudon» lo interrompe Ivan bruscamente.

Il tempo ha come un piccolo singulto nell'aria della stanza.

«Che cosa?» esclama Max voltandosi.

Ancora seduto sul letto, appoggiato alla testiera contro un cuscino rovesciato, Ivan ha l'aria di qualcuno che sia appena riuscito a farsi finalmente ascoltare dopo aver tanto urlato invano.

«Dio, Maxie! Mi credi proprio così stupido? Pensi davvero che sapendo quello che stavi per fare avrei veramente lasciato mia figlia in pericolo?»

Di fronte all'ineccepibile logica del suo ragionamento Max apre la bocca, poi ci ripensa e la richiude. Si sente la testa un po' troppo vuota e spiazzata, dopo esser stato colto così, alla sprovvista, e preferisce evitare di dire qualche sproposito, per il momento.

«Beh, non l'ho fatto, Max. Non appena ho sentito parlare delle Cascate Meteora e ho intuito che dovevi essere a un punto di svolta, le ho imbarcate tutte e due sul primo aereo per Sinnoh. Aima ha una zia a Giardinfiorito e ogni tanto vanno a trovarla, perciò la bambina non si è spaventata troppo.»

C'è qualcosa di splendido e meraviglioso in tutto questo, cui Max non pensava neppure di poter ancora credere. Torna a sedere sul bordo del letto, molto lentamente, e guarda Ivan con attenzione. Non è che non gli creda – lo sa bene che Ivan non gli mentirebbe mai – ma in qualche modo mantenere il contatto con la franchezza schietta e diretta del suo volto lo aiuta a essere certo che quella è la verità. Che non ha ucciso la madre della figlia del suo compagno.

«Aima non era qui» ripete.

«No.»

«E non c'era neppure Hyra.» È per questo, dunque, che Hyra non ha avuto la benché minima reazione quando lui le ha parlato del grande sole rosso: non se lo ricordava perché non lo aveva mai visto.

«No» conferma Ivan sorridendo. Aggrotta un sopracciglio. «Ah, e prima che tu me lo chieda, sono state via per tutta l'estate. Ho aspettato che la situazione si stabilizzasse prima di farle tornare, perciò non hanno mai corso alcun pericolo. Beh, a parte per la meteora, ovviamente.»

Aima non era a Hoenn nelle ore di terrore in cui Groudon la devastava. All'improvviso, Max ha la sensazione di tornare a respirare per la prima volta veramente da quando è iniziato tutto, è una grande boccata d'aria fresca non più torrida che gli riempie i polmoni e lo rianima... ma proprio quando non vorrebbe altro che abbandonarsi definitivamente a quest'aria e a questo sollievo, e crogiolarsi per un solo istante nella consapevolezza di non esser stato lui a far ammalare Aima, all'improvviso proprio quel profondo respiro salvifico pare bloccarglisi in gola. Dov'è finito quel sollievo? Perché, ora che è tutto finito, Max non si sente definitivamente leggero e redento da ogni peccato che abbia commesso in quei giorni?

Ma la verità, che Max arriva a cogliere giusto un attimo dopo il primo intuito, è che il responsabile della malattia di Aima non è stato lui, ma avrebbe potuto esserlo. Che la rassicurazione che Ivan si è tanto prodigato a dargli è parziale e incompleta proprio per questo fatto: che non lo rende meno colpevole per ciò che ha effettivamente compiuto. Il suo errore è ancora lì, alle sue spalle, immenso e immutabile, e il fatto che Aima in questo preciso momento non stia morendo per colpa sua non lo redime nel modo più assoluto. Quella che per lui sarebbe stata una catastrofe è stata solo sfiorata, d'accordo, ma può veramente sentirsi sollevato?

«Ehi, Max.» La voce di Ivan, così calda e rassicurante anche quando, come ora, egli è perplesso. «Che cos'hai?»

Per una volta, di fronte alla legittima confusione del suo uomo, Max gli farà il piacere di non credere che sia troppo stupido per la complessità dei dubbi che lo attanagliano, ma ciò nonostante, non se la sente ancora di parlargliene. Per il momento, ha bisogno di pensarci un po' da solo.

«Niente, Ivan. Sono solo... sollevato.»

La cosa straordinaria quando si parla di Ivan è che, per quanto Max non gli abbia detto poi niente di che – perché, davvero, non è che sia poi una grande reazione, rispondere sono sollevato quando il tuo compagno t'informa che non hai ucciso la madre di sua figlia – la sua reazione è smisuratamente, sproporzionatamente felice. Forse, tutto sommato, un po' stupido lo è comunque – perché per quale motivo quest'uomo s'intestardisca tanto a investire su di lui la sua felicità, purtroppo, è qualcosa che esulerà per sempre dalla sua comprensione – ma Max non gliene farà una colpa, per il momento. Gli occhi di Ivan hanno saputo vedere proprio là dove egli era cieco, e Max non potrebbe essergli più grato di così per aver dubitato di lui e aver cercato di fermarlo, e per aver limitato i suoi danni, che è forse la cosa migliore che chiunque potesse fare per lui.

Ma tutti questi pensieri e questa gratitudine, pronunciati a voce alta, non suonerebbero poi tanto bene, e magari chissà, forse Ivan lo accuserebbe persino di essersi rammollito un po'. Perciò, afferrando una felpa da una sedia, tanto per dare un senso all'aver girovagato per la stanza per tutti i minuti precedenti, Max gliela getta sul letto senza tanti complimenti e gli fa cenno di vestirsi.

«Dai, su... preparati. Facciamo in tempo ad andare a fare colazione fuori, prima che tu parta.»


Era da così tanto tempo che non portava Mightyena sulla spiaggia. Chissà perché, poi.

Stamattina, quando ha proposto a Ivan di andare a fare colazione da qualche parte, non gli sembrava poi di aver fatto la proposta del secolo, a maggior ragione dal momento che l'ha detto non tanto per un vero e proprio desiderio di uscire di casa (cosa che non ha mai realmente avuto, negli ultimi mesi), quanto piuttosto per poter prospettare una valida scusa per essersi alzato così presto e aver vagato per la stanza in preda a chissà quali pensieri. Ma la reazione compiaciuta e soddisfatta di Ivan gli è parsa, per la seconda volta in quella mattinata, un tantino spropositata, e solo dopo qualche momento Max ci ha ripensato e si è accorto che, effettivamente, quella doveva essere la prima volta da quando abitano insieme che era lui a proporre spontaneamente di uscire a fare qualcosa che avrebbero potuto tranquillamente fare a casa.

Subito dopo colazione, quando Ivan ha inforcato la bicicletta e si è avviato per raggiungere gli altri del vecchio Team, improvvisamente Max si è ritrovato fuori di casa, da solo, senza aver fatto niente per cercare di evitarlo, e soprattutto, cosa ancor più sorprendente, senza provare alcun desiderio di tornarci. Ci ha riflettuto un po', poi ha deciso di lasciar perdere e di rinunciare, per una volta, a voler capire sempre tutto, e si è avviato a passo lento verso la spiaggia.

Non che sia stata una buona idea. Max non è mai stato un vero e proprio amante del mare neppure nel pieno sole estivo, e oggi, nella fattispecie, fa un freddo dannato. L'aria è umida e salmastra, già profumata della pioggia che il cielo preannuncia, e un vento forte che rigonfia le onde gli fustiga il viso in grande sferzate violente che lo graffiano di sabbia. Ma di questo vento roboante, e del ruggito vorace delle immani onde che si accavallano e urlano come a volerlo assordare, e persino di questa sabbia che gli graffia e gli brucia il viso, Max si sente stranamente grato, e chiudendo gli occhi e reclinando il capo all'indietro egli si bea ciencamente di questo fragore e di questo profumo.

Per quale motivo voleva distruggere tutto questo?

Per dare al mondo meno acqua e più vita, vorrebbe rispondere dentro di lui il Grande Max, il folle Max che scagliandosi contro la natura voleva risvegliare la forza immane e incontrollabile di Groudon. Ma quell'uomo, che pure non è affatto morto dentro di lui – e perché dovrebbe? Ci vorrebbe proprio un bel coraggio, dall'alto del senno di poi, a rinnegare quell''uomo tanto geniale quanto ottuso che ha operato per tanti anni indefesso, infaticabile, senza mai neppure una volta concedere a se stesso o ad altri il lusso di mettere in dubbio i suoi piani, e Max non è tanto ipocrita da rinnegare così, al punto di disconoscerlo, il se stesso di allora – quell'uomo ha oggi quantomeno la decenza di tacere eloquentemente, dopo aver imparato la lezione.

Mentre osserva con la coda dell'occhio il suo Mightyena correre sulla spiaggia sollevando una miriade di spruzzi, vergognosamente felice, Max guarda dentro di sé e si risponde che tutto ciò che ha sempre voluto, sin dai suoi anni universitari, era salvare l'umanità. E tutto il suo sbaglio è stato voler puntare troppo in alto, e troppo in fretta, e voler salvare tutti e tutti insieme, e... e poi, beh, sappiamo tutti com'è andata.

Il problema è che quest'umanità ch'egli ama con tutte le sue forze vorrebbe salvarla ancora, Max, e che tutta la sua angoscia e la sua frustrazione scaturiscono proprio da lì. E di quest'umanità così variegata e indistinta ed egualmente amata, seppur dall'alto della sua vana illusione di superiorità, egli ora disperatamente vorrebbe salvare qualcuno che è un po' meno di un volto e un po' più di un nome, ed è Aima. Perché se non è stato lui a ucciderla – e di questo il suo cuore non fa che urlare grazie, grazie, grazie! - quella donna che ora sta morendo a pochi chilometri di distanza non è davvero la prova di ciò che avrebbe potuto essere, se altri non l'avessero fermato, e di quell'umanità che egli, pur cercando di salvare, stava per condannare?

Ma al punto a cui si è giunti, esiste ancora una qualche forza al mondo in grado di salvare Aima?


Quando Ivan torna a casa, per la prima volta da quando abitano insieme, non trova la cena pronta, e questa è una novità. Non ne è risentito, ovviamente (beh, il suo stomaco lo è, ma Ivan ha almeno la buona grazia di non farglielo notare), ma di certo è sorpreso. Max percepisce la sua confusione nell'aria, esplicita a sufficienza perché non ci sia bisogno di dichiararla a parole, e sarebbe disposto a dissiparla se solo non fosse troppo impegnato ad aggiornare le sue conoscenze in oncologia e dermatologia, che sono decisamente un po' stantie, dato che risalgono ai tempi della sua seconda laurea.

Il tavolo della cucina è stato promosso di grado, nel corso del pomeriggio, e attualmente sta svolgendo il ruolo di scrivania, dato che nell'appartamento di Ivan non c'era niente di assimilabile a uno studio quando ci si è trasferito. Ivan si ferma alle sue spalle e rimane in silenzio così, per un po', a cercare di capire che cosa stia facendo e per quale diamine di motivo non ci sia niente da mangiare in casa.

«Sono tornato» prova dopo un po', forse coltivando l'insolita convinzione che un'ottantina di chili di muscoli possano passare inosservati quando entrano in una stanza.

«Già, ciao» risponde Max, senza per questo alzare lo sguardo dal suo manuale.

C'è qualche attimo di silenzio, che Ivan impiega a decretare il fallimento della sua strategia di sottolineare l'ovvio per ottenere la sua attenzione, quindi torna alla carica.«Che cosa stai facendo?»

Sollevando finalmente lo sguardo per gettare un'occhiata d'insieme alla distesa di libri che ha davanti, Max ha la viva sensazione di sentire le loro pagine animarsi ed esclamare a gran voce: giochiamo a canasta! «Studio.»

«Oh.» La voce di Ivan esprime una certa contentezza che non si premura di nascondere, ma è certo che non vuole fargli pesare troppo il suo radicale cambiamento di abitudini. «Ottimo. Senti... tu non hai fame?»

«Certo. Potresti ordinare un paio di pizze, che ne dici? Io ne avrò ancora per un po'.»

«Un paio di pizze?»

Di fronte al suo genuino, spontaneo stupore, Max stabilisce infine di potersi distrarre per qualche secondo dai suoi manuali per voltarsi a guardarlo.

«Perché no, Ivan? Non è il genere di cose che piace a voi uomini grandi e grossi, pizza e birra sul divano davanti alla televisione? Sono quasi sicuro che ci sia una partita di qualche sport, stasera.»

C'è qualcosa nella sua voce che deve togliere a Ivan ogni velleità di protesta, per quanti dubbi Max possa scorgergli negli occhi: semplicemente, dopo qualche momento, Ivan si limita a scuotere il capo, un po' confuso ma senza la minima traccia di disappunto, ad afferrare il cordless dal tavolo e il menù della pizzeria d'asporto dal frigorifero, e a uscire dalla stanza.

Per la successiva ora e mezza, la serata trascorre senza intoppi, proprio come Max aveva previsto: lo squillo del campanello e un breve suono di voci basse che si scambiano, e poi, da qualche parte nel loro soggiorno, il brusio indistinto dei canali televisivi che vengono cambiati in modo rapido e inquieto.

Chino sul tavolo con gli occhi che si arrossano e cominciano a bruciare, Max continua a studiare e a cercare nei libri un modo per salvare Aima. Si sente un po' tornar giovane, questa sera – il ragazzo geniale e insicuro dei suoi primi esami, il genio studioso e solitario che s'isolava giorno e notte nell'eremo della sua stanza... ma è diverso, ovviamente. Oggi c'è Ivan, in questa casa, con lui. La consapevolezza della sua presenza è confortante, per nulla fastidiosa, e Max si sorprende di non esserne in alcuna misura distratto. È bello sapere di non essere solo. Chissà come sarebbe stato avere Ivan come coinquilino, ai tempi dell'Università.

Quando Ivan rientra in cucina sono quasi le dieci, e Max si sente la testa piena di concetti confusi e sovraffollati che lotttano per farsi spazio nel suo cervello. Qualche minuto di pausa, dopotutto, può concederselo: socchiudendo il libro che sta leggendo, si appoggia allo schenale della sedia e alza lo sguardo sul suo compagno.

Ivan è in piedi accanto a lui, in silenzio, e sta percorrendo con lo sguardo la catasta di libri e riviste che sovrastano il tavolo. Non sta facendo nient'altro, ma Max sa che ha capito per quale motivo, di punto in bianco, egli si è procurato tutta la possibile bibliografia in merito ai tumori della pelle, e non c'è bisogno di dire niente.

Si schiarisce un po' la voce. «Allora... non c'era niente di interessante in televisione?»

«Che cosa?» Ivan sembra faticare un momento a distogliersi dalla sua contemplazione e a concentrarsi su di lui. Sta pensando ad Aima. «Ah... no. Sai com'è. Sono un po' stanco.»

Sì, è stanco, certo, ma nei suoi occhi assorti e pensierosi Max legge anche qualcos'altro. Ivan è sollevato. Sente che è cambiato qualcosa, per la prima volta da quando stanno insieme, anche se non sa ancora bene di che cosa si tratti, e forse non riesce ancora a crederci.

«Se sei stanco, puoi andare a dormire» lo incoraggia. «Io ti raggiungo tra un po'. Non importa che mi aspetti in piedi.»

Al suo invito non giunge alcuna risposta ma, del resto, non c'è fretta. Max continua a sentire la sua calda presenza rassicurante al suo fianco, silenziosa e piacevolmente confortante, mentre si china in avanti e torna ad appuntare sul libro gli occhi brucianti.

E poi, dopo un minuto, finalmente, il fragore di una sedia trascinata sul pavimento, e Ivan si siede accanto a lui.

«Ti tengo un po' compagnia.»

A questo non c'è nulla da ribattere. Ivan si appoggia a lui con tutto il suo peso, reclinando il capo sulla sua spalla, e sorridendo tra sé Max solleva pensierosamente la mano ad accarezzargli la nuca, con un certo gesto meccanico e pensieroso e non privo di affetto.

Per tutto il tempo che segue, Max continua a studiare malgrado la stanchezza, mentre il cuore di Ivan batte forte forte contro la sua spalla, pulsando attraverso la pelle tutta la sua gratitudine.







Buongiorno a tutti!

Spero che questo aggiornamento sia stato un po' più corposo del precedente: penso che finalmente si sia arrivati a un vero e proprio punto di svolta nella storia, anche se non posso anticipare nulla sui prossimi capitoli.

Come al solito, un grazie infinito a cristal_93 per la sua recensione al precedente capitolo, mi ha fatto davvero molto piacere!

Non posso inoltre che ringraziare di cuore chiunque anche solo per essere arrivato sin qui con la lettura.

Detto questo, un caro saluto a tutti, e alla prossima!

Afaneia





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Capitolo 8
*** Come l'irruzione di un'alba. ***


Capitolo VIII – Come l'irruzione di un'alba.


A partire da quel giorno, e per tutti i giorni a venire, Max sente di aver ingaggiato una titanica lotta contro il tempo.

Ogni giorno, quando torna a casa, Ivan gli parla di Aima, e non sempre o non necessariamente con la voce. Le notizie peggiori Max le intuisce proprio quando Ivan è troppo stanco, troppo disperato per parlare... e allora, Max non chiede niente. In questi casi, quando il suo compagno torna a casa esausto, cogli occhi troppo pieni di qualcosa d'inesprimibile, Max deve esercitare su se stesso uno sforzo di volontà ancora più intenso del normale per obbligarsi a staccare dai suoi libri, a un orario decente, e a infilarsi sotto le coperte con lui. Ivan non chiede niente, non dice niente, eppure Max sa ch'egli ha un disperato bisogno della sua presenza.

E sarebbe poi capace di spiegare ad alta voce, se qualcuno glielo chiedesse, che cosa spera di ottenere, con queste notti insonni trascorse sui libri e le sue competenze che si accrescono e sempre di più affollano e colmano la sua mente, ma che sono destinate a rimanere lì – nella sua mente – sterili e inservibili e totalmente insignificanti? Aima sta morendo, e se anche poi non fosse? Forse che ci sarebbe qualcosa, qualsiasi cosa ch'egli potrebbe fare per salvare la sua vita? Max non è un medico, non è niente di niente, impotente come il più miserabile studente del primo anno di Medicina, e la sua impotenza lo fa sentire ignobile e furente come se si sfiancasse urlando contro una marea di onde che lo affondano!

È possibile che non ci sia nulla, che non esista nulla, che tutto il suo impegno e la sua rabbia siano destinati a rimanere insignificanti come atti non compiuti?

E poi, proprio quando la lotta pare sopraffarlo, come un nemico invisibile e troppo potente, una sera in cui Ivan è tornato a casa tanto desolato e furioso col mondo e con se stesso e con l'universo intero da non riuscire neppure a guardarlo negli occhi, è stata la sua impotenza a parlare per lui. A un tratto Max si è accorto di essere seduto a un tavolo da ore, a rileggere e sottolineare in continuazione gli stessi libri, sprecando le sue forze e il suo tempo proprio come se cercasse di abbattere un muro con le sue mani nude. Sta sbagliando tutto. Nulla di quanto potrà mai leggere in quei libri potrà mai salvare Aima, semplicemente perché, se questo è il massimo che la scienza può offrire allo stato attuale delle cose, non è sufficiente, e non c'è niente che né lui né nessun'altro possano fare. Ai miracoli, dopo averne cercato per anni uno che per poco non ha distrutto Hoenn, Max ha ormai smesso di credere da un po', e la scienza, ch'è stata sempre l'altro fondamentale caposaldo della sua vita (e anche quello che, alla fine dei giochi, si è rivelato il più sicuro), non è sufficiente a salvarla. Non ancora, quantomeno.

E improvvisamente Max capisce che quel non ancora è tutto quello a cui può aggrapparsi. Nella morte di Aima, che è ormai una certezza assoluta che si staglia davanti a lui coll'imponenza dell'ineluttabile, Max si accorge finalmente che quella è l'unica via percorribile, e scoprirla è una liberazione, come l'irruzione di un'alba attraverso una coltre di nubi. È la chiave di tutto, finalmente, e una volta che l'ha trovata, questi libri gli diventano completamente inutili, per il momento.


«Ti vedo in forma» commenta Max a mo' di saluto, sinceramente sorpreso.

Al suo complimento è alquanto evidente che non farà seguito alcuna risposta, ma per la verità Max si ritiene già abbastanza fortunato per il fatto che Ottavio abbia deciso di presentarsi all'appuntamento. Convincerlo a venire a incontrarlo in questo bar di Ciclamipoli è stato di per sé un mezzo miracolo, e in quanto al resto egli non ha proprio idea di come farà a persuaderlo ad ascoltarlo per più di cinque minuti, per non dire a collaborare con lui. Con ogni probabilità, Max non riuscirà a ottenere da lui che un secco no, ma doveva almeno tentare. Ottavio ha collaborato con lui a partire dal suo primo progetto sulle rocce effusive al suo primo anno di Geologia, e l'idea d'intraprendere un progetto senza di lui, semplicemente, gli era impensabile. Certo, Max sa di dover riscrivere parecchie cose della sua vita, ma non vede per quale motivo cancellare proprio le migliori: e Ottavio, pur con tutti i suoi evidenti difetti, è stato comunque una delle persone più importanti del suo passato. Almeno questo, Max glielo deve.

Le apparenze sono fatte per ingannare, ma qualcosa nell'aspetto del suo antico collaboratore gli dice che Ottavio, quel tormento di rancore e di rimorso che Max conosce anche troppo bene, lo ha già superato. Non era lui a portarsi dietro la responsabilità morale più grossa per quello che hanno fatto, dopotutto – Ottavio ha cercato di fermarlo! La sua coscienza, per quel tanto che un tardivo tentativo di fare la cosa giusta può bastare a cancellare tutti gli anni che hanno trascorso inseguendo il medesimo obiettivo, è pulita. Anche se non immediatamente come Ivan, Ottavio ha cercato d'impedirgli di distruggere Hoenn. Quello che è successo dopo, dal momento che Max si è rifiutato di prestargli ascolto, non è stata colpa sua.

Ottavio si siede rabbiosamente davanti a lui, alla prudente distanza del tavolo che li separa, e lo guarda. Forse non è arrabbiato tanto con lui per averlo convinto a incontrarlo, quanto con se stesso per avergli dato retta, per l'ennesima volta.

Per la sua rabbia e per il suo rancore, Max nutre il massimo rispetto.

«Buongiorno, Ottavio» riprende lentamente, ma con decisione. Sa già che, con ogni probabilità, Ottavio gli dirà comunque di no, ma ormai la sua strada è già tracciata e un suo eventuale rifiuto non potrà in alcun modo fargliela perdere di vista. Questo percorso, quali che possano essere le difficoltà. Max ha intenzione di compierlo tutto sino alla fine, senza allontanarsene mai, alla stregua di chi segua l'inestinguibile corso di un fiume, che prosegua la sua via verso il mare anche dopo aver percorso un breve tratto sotto terra. «Ti ringrazio di essere venuto.»

«Veniamo al dunque, Max» ringhia Ottavio. «Hai detto di avere bisogno di me, quindi va bene, sono venuto qui a sentire quale nuova stronzata avevi in mente. Ti confesso che sono curioso. Vuoi archeorisvegliare qualcun'altro, prima di pranzo?»

Max incassa il suo sarcasmo a testa alta, senza replicare. Se lo merita. Non gli viene in mente neppure per un momento che potrebbe fargli notare, in modo più o meno velato, che quel piano folle lo ha concepito lui, d'accordo, ma che Ottavio lo ha aiutato per anni, prima di cambiare idea e di tirarsi indietro a un minuto dalla fine. Non ne vale la pena. Questo gioco delle responsabilità e delle colpe non ha più alcuna ragion d'essere, e tutto ciò che gli viene in mente di replicare, ora come ora, è: «Mi dispiace, Ottavio.»

Con l'aria di qualcuno che fosse già in proncinto di lanciarsi in una lunga tirata alla sua volta, e che inaspettatamente sia costretto a rimangiarsela prima ancora di averla cominciata, Ottavio spalanca gli occhi, annaspa un po' e domanda: «Che cosa?»

«Mi dispiace» ripete Max con calma, senza timore di scandire bene le sillabe. Lo guarda negli occhi, serenamente e a lungo come forse non ha fatto per anni, e per una volta è contento di riuscire ad ammettere così, in modo spontaneo e del tutto indipendente dalle circostanze che lo circondano, di aver inseguito un miraggio per quasi vent'anni. Gli ci è voluto un po' (beh, quasi un anno), ma ora finalmente può offrire al suo migliore amico delle scuse sincere dal profondo del suo pentimento e della sua accettazione. Solleva le mani per impedirgli di parlare, per il momento. «Mi dispiace, Ottavio... per davvero, questa volta. Per tutto. Per averti convinto a perseguire quel piano e per aver creduto che intendessi tradirmi. E anche per aver sciolto il Team quando le cose si sono fatte difficili.» Quando anche i loro occhi erano divenuti insopportabili per la sua coscienza rimordente, quando le loro bocche e le loro fronti stanche, deluse, tutto, tutto di loro gli era parso urlare e accusarlo, a ogni singolo incrocio di sguardi, di averli ingannati tutti e trascinati con sé nell'abisso del suo errore di valutazione.

Ma l'onestà delle sue scuse a Ottavio non basta. Chinandosi in avanti sul tavolo per non cedergli altra via di fuga, lo incalza: «E per Rossella. Non è vero?»

Ripensare a Rossella gli fa ogni volta più male. Rossella è stata il suo grande errore, l'erede e continuatrice del suo sogno di progresso e di distruzione, e ora Max sa di averla odiata proprio per questo: per avergli mostrato, nel modo più efficace possibile, con la violenza delle sue azioni, quale uomo egli era e sarebbe ancora, e quali aberrazioni sarebbe stato in grado di compiere, se solo gliene si fosse offerta l'occasione...

Max ha odiato Rossella per la semplice colpa di essere identica a lui, e proprio per questo motivo l'ha allontanata, alla fine. Ora che l'ha capito, che si è finalmente reso conto di cosa quella ragazza disturbata abbia significato per lui, a distanza di quasi un anno, egli è finalmente in grado di perdonarla... ma proprio per fare ciò, per poterla finalmente comprendere e perdonare, quest'anno gli era necessario quanto una boccata d'aria dopo ore di apnea: Max ha potuto perdonarla per aver compiuto i suoi stessi errori solo dopo aver perdonato se stesso per averli commessi per primo.

«E per Rossella» conferma a bassa voce. Esita un poco, e poi: «Hai avuto notizie di lei?»

Che sia per l'onestà che gli ha letto negli occhi, o per il semplice fatto di avergli sentito pronunciare il nome di Rossella per la prima volta dopo mesi, Ottavio appare più rilassato, ma si passa egualmente una mano sugli occhi. Il pensiero di Rossella estenua anche lui, evidentemente.

«Credo che sia tornata a casa, dai suoi genitori, ma non ha voluto che l'accompagnassi. Posso solo sperare che sia rimasta con loro» ammette tristemente. «Alle mie chiamate non ha mai risposto. Credo che stia cercando di cancellarci, sai.»

In risposta alle sue considerazioni, Max si limita ad annuire in silenzio. È giusto così, si dice pensierosamente. Rossella è malata e ha bisogno di un aiuto che in questo momento né lui, né Ottavio, né nessun'altro è in grado di darle: Max ha conosciuto i suoi genitori, tanti anni fa, ed è certo che essi fossero e siano tuttora in grado di aiutarla meglio di chiunque altro... ma ora che Ottavio gliel'ha detto, sa che non smetterà di pensarci e di domandarsi se tutto vada bene, e chissà, forse troverà anche la forza per cercare di ricontattarla, in futuro.

«E tu, invece?» chiese a bassa voce.

Ottavio si stringe nelle spalle come se quella domanda, per lui, fosse irrilevante. Quest'uomo è sempre stato dannatamente pieno delle risorse e degli appigli più insospettabili, e Max non dubita neppure per un momento della risposta che gli sta per dare. «Ho ripreso a lavorare per la Devon. Credo di essere rimasto simpatico al Campione, sai, Rocco. Mi ha aiutato lui a riottenere il posto.»

«Sono contento per te» risponde Max, e lo è davvero. È sempre stato praticamente certo che Ottavio avesse avuto fortuna in qualche altro modo, e non è venuto a offrirgli questo nuovo progetto perché pensava che ne avesse bisogno.

In tutto questo, comunque, non gli era venuto in mente che Ottavio avesse potuto tenersi impegnato anche su di lui.

«Quanto a te, so che vivi con Ivan, adesso. Era l'ora» constata Ottavio in tono molto divertito, come se per tutta la conversazione non avesse atteso altro che poter parlare di questo. Max aggrotta la fronte in un moto di perplessità. «E tu come lo sai?»

«Oh, andiamo, Max. viviamo in un presente meravigliosamente aperto alla libera circolazione delle notizie, e le voci girano» riprende Ottavio. «E comunque, ho conosciuto un'ex recluta del Team Idro, una di quelle che hanno lasciato Ivan. Cercava lavoro a Ferrugipoli, ma non so se abbia avuto fortuna, poi... se fossi stato in lui, non mi sarei allontanato così tanto dal mare, a dire il vero. E chiunque abbia piantato Ivan senza avere una valida alternativa è stato stupido, te lo dico io, ma che vuoi farci... erano un branco di ragazzini che avevano solo voglia di litigare con i nostri, era ovvio che avrebbero lasciato perdere tutto quando avrebbero dovuto scontrarsi soltanto con l'inquinamento dei mari e rimboccarsi bene le maniche, senza troppi ideali e sfide di mezzo. Ma gli saranno rimasti i suoi fedelissimi, no? E poi ho sentito che stanno lavorando molto in questo periodo, è vero?»

Quello di cui Ottavio, ormai lanciato nel suo interminabile monologo, non sembra essersi accorto, è che Max ha smesso di ascoltarlo praticamente subito, anche perché il destino di qualche anonimo ex- accolito di Ivan, per la verità, gli interessa ben poco. Non si aspettava affatto che Ottavio sapesse già della loro convivenza.

«Suppongo che tu sappia già anche della bambina, quindi» dice pensierosamente.

Per la prima volta dall'inizio della loro conversazione, Max ha la soddisfazione di vedere Ottavio veramente sconvolto.

«La cosa?» esclama stupefatto, appoggiandosi al tavolo con ambo le mani e gli occhi spalancati per lo stupore. Cerca invano di riprendersi e di riacquistare un contegno, ma subito dopo, lasciando perdere una partita persa in partenza, prosegue: «Ma, Max... tu non hai mai sopportato i bambini! Vuoi dirmi che ne avete adottata una?»

Almeno questo non lo sapeva. Non che Max intendesse tenere nascosto niente, beninteso – andiamo, anche volendolo, non avrebbe più l'età per una relazione clandestina – ma gli fa piacere aver assunto una più precisa percezione di quanto della sua vita sia già noto ad altri.

«Niente di così complicato, Ottavio» si affretta a spiegargli. «È la figlia di Ivan, l'ha avuta prima che... beh, insomma. Non vive neppure stabilmente con noi.» Non ancora, quantomeno, pensa con una stretta allo stomaco.

Se il suo tentativo era quello di tranquillizzarlo, Max ha fallito alla grande. Ottavio ha l'aria di uno che potrebbe avere un infarto da un momeno all'altro.

«Ivan ha una figlia? E da quando? E tu lo sapevi?»

«Certo che non lo sapevo, Ottavio!» protesta Max, sentendosi quasi offeso da tale mancanza di fiducia. «L'ho saputo pochi mesi fa, dopo che abbiamo cominciato a vivere insieme. E ti prego, risparmiami le tue considerazioni in merito alle insospettabili capacità di segretezza di Ivan» soggiunge. Ottavio, che stava già preparandosi a interromperlo per obiettare ancora, chiude immediatamente la bocca. «Qualunque riflessione tu possa esprimere, l'ho già pensata mesi fa. Ivan ha eluso ogni nostro tentativo di spionaggio e l'ha tenuto nascosto anche al suo stesso Team, informando solo il suo stato maggiore. Non c'era modo per noi di scoprirlo, se gli unici a saperlo erano Ada e Alan.»

«A dire il vero, ero solo sorpreso che a te stesse bene così» risponde Ottavio cautamente, dopo qualche istante di silenzio.

Max lo scruta a lungo senza capire. «Che mi stia bene cosa?»

«Beh, il tuo uomo ha avuto una figlia da un'altra donna.» Ottavio sembra quasi far fatica ad articolare una frase compiuta, come se temesse, spingendosi troppo in là, di offenderlo. «Insomma... a me farebbe impazzire, penso. È da anni che va avanti tra voi due.»

«È successo più di otto anni fa, Ottavio» risponde Max con calma. È la prima volta che ha modo di parlare con qualcuno di quest'argomento, ed è stupefacente che la cosa non lo metta minimamente in imbarazzo e che egli sia in grado di ripetere così, ad alta voce e con la massima tranquillità, le stesse riflessioni che ha concepito nella sua mente ormai sei mesi prima. Questa è la verità, dopotutto: non ha accettato Hyra per compiacere Ivan, ma perché credeva sinceramente che fosse la cosa giusta da fare, e le legittime osservazioni di Ottavio non mettono minimamente in crisi la sua convinzione. «Non stavamo neppure insieme all'epoca. Non ho mai minimamente creduto di avere l'esclusiva su di lui, fino a dopo Groudon. E poi, beh... ti dirò che sua figlia Hyra è sorprendentemente intelligente. Non è poi male come pensavo, con i bambini.»

«Oh» risponde Ottavio, stranamente colpito. Se ne rimane in silenzio per un po'.

«Va bene, allora» conclude finalmente, dopo un po', appoggiandosi alla sedia, con aria seria e concentrata e aperta al dialogo. «Dopo tanti anni direi che possiamo mettere da parte i convenevoli, no? Ora dimmi perché hai voluto incontrarmi.»

Max tamburella per un po' con le dita sul tavolino, cercando dentro di sé le parole per cominciare il discorso. Ma un modo giusto per dirlo non esiste, ormai lo sa anche troppo bene, perciò, con un sospiro profondo, finisce per lasciar perdere.

«La madre di Hyra sta morendo. Ha un melanoma. Hanno provato a operarla, ma le metastasi sono troppo estese, perciò... non c'è niente da fare.»

«Oh» balbetta Ottavio solamente. È senza fiato, e forse un po' confuso. «Accidenti, Max, io... mi dispiace. Ivan sarà distrutto.»

«Lo definirei... incazzato.» Non esiste un momento migliore per avanzare la sua proposta, ormai. «Senti, Ottavio... quanto ne sai tu della tecnologia usata nella rimozione delle cellule cancerogene?»

«La che cosa?» Ma è evidente che Ottavio ha capito benissimo, e ha solo bisogno di un attimo di pausa per fare mente locale. «Cielo, Max... che razza di domanda! Bisognerebbe che mi documentassi almeno un po'! Ma Max, ascolta... se i medici dicono che non c'è più nulla da fare, dubito molto che io...»

«Non è per sua madre, Ottavio» lo interrompe gentilmente Max. «Non lo è più, ormai. Lei mi ha solo... aperto gli occhi su quello che voglio fare della mia vita, d'ora in poi.»

Gli ci è voluto un po' di tempo a lasciar andare Aima nella sua mente, e ad ammettere a se stesso, con la massima e più dolorosa sincerità possibile, che non è e non sarà mai in grado di salvarla. Che è troppo tardi, troppo tardi per chiunque, a parte forse per un miracolo, e che continuare a sfiancarsi a cercare una soluzione era inutile e controproducente, come ostinarsi a fissare l'orizzonte con un cannocchiale troppo piccolo per poterlo vedere interamente.

Seduto di fronte a lui, in questo locale così luminoso e vitale in questa Ciclamipoli accarezzata dal giorno, Max ha modo di osservare con tutta calma la consapevolezza prendere forma negli occhi di Ottavio.

«È questo che volevi propormi, quindi?»

«È questo» conferma Max con calma. «Non ho ancora ben chiaro tutto, ovviamente, ma ora so che è questo che voglio fare nella vita, Ottavio. Aiutare le persone, ma in un modo migliore. Ora so che è quello che hai cercato di mostrarmi quel giorno, di fronte alla Grotta dei Tempi, quando io non sono stato in grado di ascoltarti fino in fondo. Mi piacerebbe cambiare di nuovo il mondo al tuo fianco, se sei d'accordo.»

«Max, io... non so cosa dire.» Ottavio è spiazzato, preso alla sprovvista tanto da non sapere neppure dove guardare. «Lo sai, vero, che non è proprio una cosa che si fa dalla sera alla mattina? Non è come risvegliare un leggendario e puff!, qualche milione di ettari di terra coltivabile in più. Si tratta di studiare anni e anni per ottenere un miglioramento di ordine infinitesimale nelle tecniche già esistenti. Insomma, sei proprio certo...»

«Lo sono, Ottavio.»

I miracoli non esistono, l'umanità non può essere salvata in un giorno. Max ha cercato di opporsi a questa verità per tutta la vita, scontrandovisi di petto come contro un muro, e dopo vent'anni la sua resa è ormai completa e incondizionata. Ha fallito, e a distanza di quasi vent'anni dal giorno in cui per la prima volta egli ha concepito il suo folle piano, finalmente Max si è reso conto di quanto tempo abbia sprecato a inseguire una chimera e a rischiare di rovinare tutto per voler ottenere troppo in un colpo solo.

Non può salvare il mondo da solo, ma può fare qualcosa, e forse un giorno questo infinitesimale qualcosa potrà salvare una vita. Questa è forse la massima speranza che può permettersi di coltivare, e veramente, va bene così. Ha sbagliato per tutta la vita, ma per fortuna, ringraziando il cielo, ha aperto gli occhi prima che fosse troppo tardi, e ora è ancora in tempo per rimediare e fare la cosa giusta.

«Allora ci penserò, Max» afferma Ottavio, solo un po' più convinto e meno esitante di prima. «Dopotutto, sai... non è che alla Devon il lavoro sia così interessante. E poi non era male lavorare con te, quando non c'erano di mezzo leggendari di novecentocinquanta chili.»

Per oggi, Max ritiene che sia più corretto non mettere in chiaro proprio tutto. Rimane sottaciuto, per esempio, il fatto che non ha più alcuna intenzione di avere sottoposti di alcun tipo, e che da oggi non vuole altro che soci alla pari. Non vuole lusingare il suo orgoglio. Se Ottavio accetterà, Max vorrà soltanto la sua convinta partecipazione, e basta.

«Grazie, Ottavio. Confesso che non mi aspettavo che avresti preso in considerazione la mia proposta.»

Ottavio fa un cenno noncurante con la mano, quasi a scacciare un'idea molesta che non possa che disturbare la conversazione.

«Ci conosciamo da tanto, Max. Lascia perdere i ringraziamenti. In fin dei conti, sai... potrebbe darsi che anche io abbia qualcosa da farmi perdonare dal mondo.»

Fa piacere ritrovarsi con un vecchio amico, dopo tanto tempo. Per la prima volta da quando tutto questo è cominciato, Max ha come la sensazione di essere ringiovanito di dieci anni.




Buonasera a tutti!

Nuovo capitolo di svolta, direi ormai decisiva e conclamata, e purtroppo ancora più radicale che nel capitolo precedente. So che forse Max ha preso una “decisione” che non tutti si aspettavano, ma (anche se a malincuore) ritengo che questa presa di coscienza fosse fondamentale nel suo percorso di redenzione, se così vogliamo chiamarlo: i miracoli non esistono, ed esigerne uno dall'universo non può portare che danni.

Mi viene quasi da dire che Ottavio sia entrato da solo nella storia, perché non mi ricordo affatto di aver mai deciso di inserirvelo. Mi è piaciuto rappresentarlo come una persona un po' logorroica, che ha bisogno di dire tutto quello che pensa, subito, di qualsiasi argomento, e anche come qualcuno che abbia sempre una soluzione in tasca e sappia sempre come reinventarsi. Nel videogioco mi dava un po' questa sensazione, anche per il fatto che (potrei ricordare male, qualcuno mi corregga se sbaglio) viene specificato che al Team Magma sono molto utili le sue conoscenze acquisite durante il lavoro alla Devon.

Penso di aver detto tutto quello che dovevo riguardo a questo capitolo: come al solito, i miei più caldi ringraziamenti a cristal_93 e a Persej Combe per le loro recensioni al precedente, e in generale a chiunque sia arrivato a leggere sin qui!

Alla prossima

Afaneia

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Capitolo 9
*** La sua parte di cattiva sorte. ***


Buonasera a tutti!

Devo dire che questi sono stati per me mesi un po' confusi, oltre che carichi di esami, di tesi da scrivere e quant'altro. Posso solo dire che aver sconfitto un boss in Legend of Zelda – Ocarina of time è stata la cosa migliore e più emozionante che mi sia successa da qualche settimana a questa parte, e ammetto che in tutto questo la pubblicazione ne ha un po' risentito. Ma spero che con l'arrivo dell'estate – e la fine della sessione estiva – finalmente le cose si facciano un po' meno pesanti per me.

Ciò detto, che dire? Questo capitolo è stato uno dei primissimi a essere scritti, probabilmente il primo che scrissi quando decisi razionalmente di inserire nella storia la malattia di Aima: sono cambiate tante cose da allora, e ho potuto ultimarlo e rifinirlo in un modo che personalmente mi soddisfa molto. I percorso di Max sta proseguendo pagina dopo pagina.

Prima di lasciarvi alla lettura, non posso che ringraziare come al solito cristal_93 e Persej Combe per le loro gentilissime recensioni.

Un abbraccio enorme a tutti!


Afaneia



Capitolo IX – La sua parte di cattiva sorte.


Nelle ultime settimane, la situazione si è aggravata tanto che si è reso necessario ricoverare Aima in ospedale. Le metastasi ai polmoni le hanno tolto il respiro, e i dolori si sono fatti insostenibili. Curarla a casa, anche con l'assistenza continua di sua sorella Samah e suo cognato, e di Ivan che trascorreva a Ciclamipoli quasi ogni minuto libero, non era più possibile. Hyra sta con loro, adesso.

È mezzanotte, Ivan ancora non è rientrato dall'ospedale. È normale, Max sa bene quanto ci voglia a tornare da Ciclamipoli, e che il suo ritardo non significa niente: Ivan e la sorella di Aima rimangono al capezzale della malata finché gli inflessibili infermieri non li allontanano.

Hyra, però, questo non lo sa. Max non si è sorpreso affatto quando ha visto la luce della cucina accesa, ma è rimasto un po' pensieroso, indeciso se entrare o meno. Sa che Ivan non vuole che sua figlia rimanga alzata fino a tardi e che probabilmente, se fosse qui, la prenderebbe in braccio e fingerebbe di sgridarla, con quella sua bassa voce roca e il tono da pirata, mentre la riporta a letto. Ma lui non è Ivan, e soprattutto Ivan non è qui: Max non ha idea di quando tornerà e sa bene che adesso, con tutti i pensieri e i problemi che ha, non può permettersi di chiamarlo e disturbarlo per qualcosa che dovrebbe essere perfettamente in grado di risolvere da solo. Non gli piace porsi con troppa autorità nei confronti di Hyra, ma in qualche modo bisogna che quella bambina vada a letto.

Schiarendosi discretamente la voce, Max entra in cucina e si sofferma sulla soglia. Hyra è seduta al tavolo, con le gambe che oscillano dalla sedia a un ritmo mesto, e ha davanti a sé una tazza di latte ancora piena. Sulla sua superficie bianca, egli scorge il riflesso del lampadario che vi si specchia in silenzio. Hyra sa che è lì – lo ha sentito – eppure non si muove.

«Ancora sveglia a quest'ora?» chiede ad alta voce in tono di conversazione. Non sa mai come prenderla, questa bambina. Forse, se non dà tanta importanza all'andare a letto, Hyra non si sentirà messa sotto pressione.

Finalmente, la bambina alza lo sguardo e si volta verso di lui. Ha gli occhi stanchi e tristi, gonfi, e Max si sente quasi male nell'accorgersi per l'ennesima volta di quanto siano simili a quelli di Ivan, persino nella tristezza. Le loro labbra hanno la medesima increspatura. Chissà come fa una persona così giovane a somigliare già così tanto a suo padre.

Hyra alza le spalle e annuisce appena, come colta in fallo, colle labbra strette, prima di tornare a concentrarsi sulla sua tazza di latte che non sta bevendo.

Dopo un po', Max parla ancora, in tono neutro. «Non sapevo che ti piacesse il latte freddo a quest'ora. Ti va un po' di cioccolata, magari?»

«No, grazie.» Hyra scuote il capo con tanta dolcezza che a Max fa quasi male.

Questa bambina è piena di ottimi motivi per non dormire. Suo padre non c'è, sua madre è in ospedale, e per quanto lui e Ivan e sua zia possano cercare di tranquillizzarla e di nasconderle la reale gravità della situazione, in realtà tutti sanno benissimo che Hyra ha capito tutto. Si chiede quanto debba sentirsi sola e triste e conclude che, al suo posto, neppure lui avrebbe voglia di dormire.

«Hai ragione, sai» dice infine, ma non più nel tono leggero e colloquiale che ha usato fino a ora. Ora la sua voce è sbrigativa e professionale ed egli marcia a passo deciso verso i fornelli. «La ciocccolata è una cosa da bambini piccoli. Gli adulti bevono caffè. Tuo padre te lo prepara mai?»

Quando finalmemte, nel lucido piano dei fornelli, Max vede il riflesso degli occhi di Hyra che lo fissano con attenzione, egli è certo di averla in suo potere.

«Papà dice che il caffè mi fa male» risponde sospettosamente.

«Tuo padre esagera sempre, lo sai. Ne vuoi un po'? Sarà il nostro segreto. Certo, se preferisci la cioccolata...»

Questa bambina che ancora non raggiunge il metro e trenta di altezza somiglia a Ivan più di quanto lei stessa creda, e proprio come lui non riuscirebbe mai a rifiutare una sfida. Max la vede raddrizzarsi all'improvviso sulla sedia, spingendo orgogliosamente via con la mano la tazza di latte freddo, e sente la sua voce squillante e decisa affermare: «Un caffè, grazie!»

Naturalmente Max non vuole veramente dare del caffè a una bambina di sette anni, e non solo perché sa che Ivan lo picchierebbe. Ragion per cui prepara con cura due cioccolate calde acquose e amare, vi spolvera sopra una minuscola quantità di caffè decaffeinato in polvere, quanto basta per ingannare Hyra, e le porta in tavola con aria d'importanza.

«Spero che non sia troppo amara per i tuoi gusti» soggiunge gravemente mentre si siede.

La cioccolata che ha preparato dovrebbe essere abbastanza cattiva da farle passare la voglia di bere caffè almeno fino alla maggiore età. Max la osserva attentamente berne un piccolo sorso coraggioso ma incerto e stringere un poco le labbra. Con la fronte stoicamente aggrottata, Hyra si pulisce la bocca sulla manica del pigiama e afferma: «Buona.»

Hyra è coraggiosa e testarda come Ivan, e i suoi occhi scuri e assenti hanno la medesima sfumatura triste dei suoi. Sono molto meno disillusi, però. Max ha sempre trovato disturbante questa somiglianza, fin dalla prima volta che ha visto questo scricciolo di otto anni e forse trenta chili di peso, e ora che per la prima volta si trova a guardarla negli occhi e basta, senza nulla da doversi inventare per tenerla impegnata, e che non ci sono luci o rumori o contrattempi o nient'altro a distrarlo da lei, capisce finalmente perché.

Hyra ha gli stessi occhi di Ivan quando aveva vent'anni, al tempo delle grandi illusioni magnanime e generose della giovinezza, quando facevano parte di quella squadra da quattro soldi che aveva ambiziosi e nebulosi progetti di grandezza e che poi è svanita, a poco a poco, senza lasciare traccia sulla terra. A quei tempi, Max ritiene di aver parlato con Ivan forse sei o sette volte in tutto, e solo per litigare, dato che litigare e farsi grossi e alzare la voce sembrava l'unico modo per affermarsi e farsi notare in quella banda di ragazzetti spauriti che si atteggiavano a criminali e salvatori del mondo. Non si conoscevano bene, allora. Guidavano due gruppi diversi e con compiti opposti, e odiarsi in quell'ambiente era naturale, e Max provava un cordiale disprezzo per quel ragazzo grande e grosso, rumoroso e confusionario che era sempre circondato da squinzie e che portava sempre a termine ogni missione col massimo spreco possibile di risorse e di tempo e di uomini perché si divertiva così. Ma dell'Ivan di quegli anni, oltre al frastuono e alla confusione e alla vanagloriosa baldanza, Max ricorda ancora la franchezza limpida dei suoi occhi. Con l'età la franchezza è rimasta, certo, ma la portata delle sue illusioni, ovviamente, si è ridotta. È strano ritrovare quella medesima luce negli occhi di Hyra, a distanza di tanto tempo.

«Sei preoccupata per tua madre?»

Gli occhi di Hyra si riempiono improvvisamente di lacrime, eppure lei non piange. Mordendosi le labbra per ricacciarle indietro, con un orgoglio che Max non pensava che i bambini potessero provare, Hyra deglutisce e scandisce faticosamente: «Sono preoccupata perché nessuno mi dice mai niente.»

Nessuno sono Ivan, sua sia, forse anche lui, per quanto poco egli sappia davvero di ciò che sta accadendo. Max annuisce gravemente. Hyra ha ragione, dopotutto.

«Vedi, Hyra... tuo padre non ti dice alcune cose perché non vuole che ti preoccupi.» Gli occhi incupiti di Hyra hanno un lampo al di sotto delle sopracciglia scure, e Max si affretta a specificare: «So che ottiene l'effetto opposto, ma tuo padre vorrebbe solo che tu fossi tranquilla... e anche la tua mamma. È per questo che a volte non ti dicono qualche cosa, ma nessuno vuole tenerti all'oscuro.»

«Sì, lo so, però» borbotta Hyra senza alzare lo sguardo. A questo però non ci sarà alcun seguito: Max sta ormai imparando il linguaggio viscerale e istintivo dei bambini, con la sua vasta portata espressiva.

«È per questo che sei ancora sveglia?» domanda cautamente. «Vuoi aspettare tuo padre per sapere come sta la mamma?»

Hyra incassa il capo tra le spalle e fa cenno di sì con la testa. È ancora imbronciata, certo, ma quantomeno parlare sembra esserle di qualche conforto. «Ho pensato che se lo aspetto sveglia non potrà non dirmi niente.»

Certo che no. In compenso picchierà me per non essere stato in grado di mettere a letto una bambina di otto anni. Ma in realtà, per quanto cinico Max possa illudersi di essere dentro di sé, sa benissimo che non è per questo motivo che si trova seduto qui, al tavolo della cucina, a cercare di mandare a letto la figlia del suo compagno.

«Senti, io ho un'idea migliore. La vuoi sentire?»

Hyra alza lo sguardo su di lui, con l'aria di qualcuno che non abbia niente di meglio da fare che starlo ad ascoltare, e Max si sente autorizzato a parlare.

«Tuo padre sarà esausto quando tornerà e non gli farà piacere trovarti alzata. Invece domattina potrei pensarci io a farlo alzare presto e a mandarlo da te. Così potrebbe svegliarti lui e tu potresti mettertelo sotto torchio e fargli tutte le domande che vuoi. Ci penso io a non farlo scappare. Che te ne pare come idea?»

Quanto alle risposte, beh, gli dispiace, ma Ivan dovrà cavarsela da solo. Max ha un'idea molto chiara di dove finisce il suo rapporto di patrigno, se è così che può definirsi, e non ha proprio alcuna intenzione di spingersi oltre quel confine invisibile ch'egli ha ben delineato nella sua mente.

Con tutta la caparbietà e la cocciutaggine che ha ereditato da Ivan, Hyra ha comunque otto anni, e gli occhi esausti e piccoli di sonno e gonfi di pianto. La sua proposta, tutto sommato, dev'essere allettante.

«Davvero lo sveglierai presto?»

«Ehi, sono il grande Max, piccoletta. Pensi davvero che sia arrivato a essere quello che sono raccontando bugie?»

Beh, o almeno non aveva mai saputo che fossero bugie, il che, tecnicamente, non le rendeva tali.

«Se me lo prometti...» borbotta Hyra, che forse ancora non vuole ammettere che la sua idea tenta la sua stanchezza. Ma Max, che ormai sente d'aver vinto ogni sua possibile resistenza, non ha intenzione di demordere.

«Già, te lo prometto» ribadisce con calma, spingendo discretamente via la tazza del suo pseudo caffè poco meno che vomitevole. «E ora vai a letto, piccoletta. Ci parlo io con Ivan. E basta caffè. Siamo intesi?»

Finalmente, dopo questa lotta che Max ha combattuto e ha vinto con tutta la delicatezza di cui disponesse, Hyra accetta di abbandonare il campo. Allungando le gambe, scivola giù dalla sedia e si avvia verso la porta, e Max può tirare un sospiro di sollievo. Forse, dopotutto, Ivan non lo ucciderà per questa volta.

«Max, tu sei uno scienziato, giusto?»

O forse sì, dipende. Con un sospiro, Max si volta sulla sedia. Hyra è tornata ad appoggiarsi alla soglia, e a quanto pare è anche da lui che si aspetta delle risposte, questa notte. Le fa cenno di sì con la testa. «Già... una specie.»

«Pensi che mia mamma morirà?»

Max vorrebbe mentirle più di ogni cosa al mondo. Ma davanti a questa bambina estenuata e confusa, che non vuole nient'altro che il ritorno di suo padre e la salvezza di sua madre, tutto ciò che trova la forza di dire è: «Va' a dormire, Hyra. È tardi. Tua madre non è sola. C'è tuo padre con lei.»

E non c'è niente che né lui né lei possano fare, ora. Colle labbra strette e gli occhi lucidi di pianto e di delusione, Hyra fa cenno di aver capito e riprende lentamente la via della sua camera. Non ci saranno altre domande vane, per questa notte.


Max era così stanco che ha finito per addormentarsi, anche se si era ripromesso di aspettare Ivan. Ma dev'essere rincasato davvero tardi, o forse il suo sonno doveva essere davvero profondo, perché Max si accorge che il suo uomo è rientrato a casa solo quando si sveglia e se lo ritrova accanto a sé, già – o più probabilmente ancora – sveglio. La cosa lo lascia un po' spiazzato.

«Quando sei tornato?»

Ivan ha gli occhi assenti, infissi nel muro di fronte al letto. Non si volta verso di lui, ma aggrotta un sopracciglio a mo' di saluto, e questo sembra il massimo che sia in grado di fare, al momento.

«Penso fossero le tre. Aima è stata... molto male. Mi dispiace se mi hai aspettato.»

Puntellandosi al materasso, Max si solleva a sedere sul letto. Non ha più l'età per le notti piccole.

«Che cos'ha avuto?»

«Non l'ho capito bene. Una specie di crisi... ha vomitato. Ma poi le hanno messo un tubo dal naso ed è andata meglio, credo...»

Max fa cenno di aver capito, anche se non è sicuro che Ivan lo stia guardando. Pensa di aver capito cosa è successo e, se le cose stanno come pensa, non c'è nulla per cui essere ottimisti.

«Hai fatto bene a restare là.»

Ivan accenna un sorriso stanco, tirato, e questa è tutta la sua risposta. La verità è che Ivan è ancora , a Ciclamipoli, in quella stanza d'ospedale il cui odore indescrivibile di disinfettante e medicinali Max conosce bene quanto lui, per averlo sentito infinite volte sulla sua pelle e sui suoi vestiti. Vorrebbe che esistesse un modo per strappare la sua mente da quell'ospedale, almeno per qualche minuto, e da quell'odore terribile e dal volto morente di quella donna, ma sa bene che questo è impossibile.

«Ho parlato con Hyra, stanotte. Ho faticato un po' a mandarla a dormire. Le ho dovuto promettere che le avresti parlato tu, stamattina.»

Parlare di Hyra sembra riportarlo al presente, almeno un po'. Voltandosi lentamente verso di lui, Ivan annuisce. «Già, io... penso che dovrò farlo. Ieri l'ho lasciata da sola per tutto il giorno, e non penso che abbia capito perché. Ma grazie di essere stato con lei.»

Grazie. Forse che son cose per cui si debba dir grazie, queste? Ma di lanciarsi su una conversazione sopra i massimi sistemi dell'essere genitori e patrigni e condividere insieme la buona e la cattiva sorte e stronzate varie, francamente, Max non ne ha propria voglia e sicuramente non l'avrà mai.

«Non c'è di che. Ma se dovesse dirti che le ho dato da bere del caffè, tu non crederle. Era cioccolata amara, solo che lei non lo sa.»

Ma Ivan, che normalmente dovrebbe come minimo scoppiare a ridere della sua risata esplosiva e roboante, o infuriarsi, o qualsiasi altra cosa, non ha alcuna reazione.

Continuare a insistere non servirà a niente. Per il momento, Max decide di lasciar perdere e di rimanere in zona: Ivan gli parlerà quando e se ne avrà voglia. Nel frattempo, tanto vale andarsene un po' di là a fare qualcosa di utile, come preparare la colazione, e aspettare.

«Max.»

Il dolore negli occhi di Ivan è qualcosa che Max non imparerà mai a fronteggiare, eppure, per quanto male sappia già che questo gli farà, si volta quando si sente chiamato, e si prepara a sostenere la parte che di quel dolore gli spetta. La sua parte di cattiva sorte. «Sì, Ivan?»

«Il dottore è stato chiaro. Non ce la faranno mai più portare a casa. Non arriverà al prossimo compleanno di Hyra e forse nemmeno a questo sabato. Ma io come faccio a dirlo a Hyra?»

Max si augura con tutto il cuore che Ivan lo sappia che una risposta a questa domanda non può esistere in nessun luogo della terra, e che di certo, quand'anche esistesse, non potrebbe essere lui a conoscerla. Ma, in fin dei conti, egli lo sa che Ivan non gli ha posto questa domanda perché spera di poter ricevere da lui una risposta, e questo è se possibile più terribile ancora, perché in questo caso come può venirgli in aiuto?

Tutto ciò che per il momento può fare è non uscire dalla stanza e rimanere lì. Anche se il peso troppo greve di domande irrisolvibili sembra rendere la stanza opprimente e l'aria irrespirabile e lo spazio invivibile, per lui come per il suo compagno, e sarebbe così facile andarsene di là e fingere che tutto questo non stia accadendo.

Perciò, Max si ferma sulla soglia, coraggiosamente, e aspetta.

La voce di Ivan è così dolorosa che potrebbe piangerne.

« Non so cosa fare, Max. Vorrei che Hyra restasse con sua madre per le ultime ore che le restano, ma Aima ha un tubo nel naso e non riesce quasi a parlare. Come posso permettere che se la ricordi così?»

Non c'è niente da fare. Per quanto Max si sforzi di cercare qualcosa, dentro di sé, che possa almeno in parte costituire un conforto, egli non trova niente che non sia arido e desolato e disperato e del tutto privo di risposte. È questo tutto quello che ha da offrirgli, ma Ivan lo sa, ed è esattamente questo che gli sta chiedendo.

Max torna a sedere sul letto e aspetta.

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Capitolo 10
*** Guglie e merlature e raffinate decorazioni in conchiglie. ***


Buonasera a tutti!

Finalmente sono tornata con questo nuovo capitolo, che, preannuncio essere il penultimo.

Naturalmente so di averci messo un bel po', ma a mia discolpa posso dire sinceramente che questo è stato il periodo più stressante della mia vita e me ne sono successe diverse tutte insieme (tra l'altro, per una delle curiose coincidenze della vita, mi è anche cambiato un neo che ho sempre avuto fin da piccola sul petto. Fortunatamente la mia dermatologa sostiene che non ci sia nulla di cui preoccuparsi, quindi il rapporto con questa storia è davvero minimo, ma l'ho trovato davvero un caso curioso). La cosa buona è che, lo stesso giorno in cui ho smesso di scrivere la tesi, ho finalmente ritrovato l'ispirazione per riprendere a scrivere storie di buona lena.

Ringraziando come mio solito Persej Combe e cristal_93 per le loro cortesi recensioni, non posso che augurarvi buona lettura!

Alla prossima


Afaneia




Capitolo X – Guglie e merlature e raffinate decorazioni in conchiglie.


Se avessero dato retta all'entusiasmo, ora Max e Ottavio sarebbero già all'opera, a pianificare e scardinare progetti e idee e prototipi come ai tempi dell'università. Hanno ancora lo stesso entusiasmo di allora, e questo Max non l'avrebbe creduto possibile, alla loro età... ma in quanto alle responsabilità, nessuno di loro conduce più la stessa vita di allora. Ottavio non può permettersi di lasciare una seconda volta il suo lavoro alla Devon, almeno non senza avere un'alternativa sicura, e lui ha Hyra di cui occuparsi a tempo pieno, ora che sia suo padre che sua zia devono accudire sua madre. Ragion per cui, per il momento, tutto ciò che stanno facendo per avviare il loro progetto è consultare tutta la letteratura scientifica disponibile, confrontandosi giornalmente in videochiamata per paragonare i rispettivi appunti, e incontrarsi ogni tanto a metà strada, quando è possibile.

È durante uno di questi rari incontri che il telefono di Max squilla.

Questa volta è stato Ottavio a raggiungerlo a Porto Selcepoli. La Devon rimane chiusa per non sa quale ponte o festività, e quando egli ha saputo che Max voleva portare la bambina al mare – perché distrarla quotidianamente tenendola chiusa tra quattro mura è un po' troppo difficile – si è autoinvitato senza pensarci troppo. A Max l'idea è piaciuta, perché in fin dei conti lui e Hyra sono sempre soli nel corso della giornata, quando Ivan è a Ciclamipoli; e quando gli ha esposto il progetto, Ivan è stato contento dell'idea del mare e di quella della compagnia.

«Se torno presto, vi telefono e vi raggiungo. Nel peggiore dei casi, ci troviamo a casa e prendo delle pizze tornando» ha proposto. «Pensi che Ottavio resterebbe a cena anche se ci sarò io?»

Hyra è stata elettrizzata alla proposta di andare a mare, e Max non ha potuto che congratularsi con sé stesso per la propria idea.

Ottavio sembra portato per i bambini, sicuramente più di quanto fosse lui i primi teimpi, e a Hyra, dopo un attimo di timidezza, è piaciuto subito questo grasso sconosciuto simpatico che ha lasciato cadere nel discorso, del tutto casualmente, di essere in grado di costruire uno di quei grossi castelli di sabbia con le torrette e il fossato e le merlature e tutto il resto, come quelli dei libri di favole.

Perciò, dopo una prima mezz'ora di bagno e dopo un pranzo a base di panini sotto l'ombrellone, Ottavio mantiene la promessa e insegna a Hyra a costruire questo meraviglioso prodigio di guglie e merlature e raffinate decorazioni in conchiglie. Non che ci fosse da dubitarne, naturalmente, vdato che Ottavio è probabilmente l'uomo più egocentrico dell'intera spiaggia, o di Porto Selcepoli. O di Hoenn, magari. Beh, diciamo che se la gioca da pari a pari con quell'eccentrico capopalestra di Ceneride. Come si chiamava?

Il cellulare suona proprio mentre Hyra sta debutamente scavando il canale che deve approvvigionare l'acqua del loro fossato e Max, dopo essersi assicurato con lo sguardo che Ottavio non si muoverà di un centimetro dal cantiere del castello, si allontana di qualche passo per rispondere, cercando un punto dove poter sentire meglio. È Ivan. Ma perché sta chiamando così presto?

«Pronto... ehi.»

«Aima è morta, Max.»

D'un tratto le strida degli Wingull e gli spruzzi dei bagnanti e persino il sole si fanno agghiaccianti e come immobilizzati, e solo dopo un po' Max torna a udirli, ma come ovattati da una grande distanza. Egli cerca dentro di sé, ed è sicuro che dovrebbero esserci delle urla da qualche parte, perché ne sente l'eco nelle orecchie, ma ora persino il suo cuore sembra ridotto al silenzio, agghiacciato.

«Ivan...»

«Non credevo ch sarebbe successo oggi.» Ivan sta piangendo, e Max non credeva che sarebbe stato così terribile sentirlo così, per telefono, e non poter fare niente. Lui è a Porto Selcepoli, Ivan è a Ciclamipoli, e non c'è alcuna possibilità di contatto tra loro. «Ha avuto una crisi polmonare... no, respiratoria. Non lo so. Ce lo avevano detto che era solo questione di tempo, ma noi non avevamo capito... pensavamo... non lo so cosa pensavamo.»

«Dobbiamo venire lì?» È l'unica idea che gli venga in mente, a pochi passi da lui, sopravvento, Hyra sta ancora giocando coi capelli pieni di sabbia e le mani traboccanti d'acqua di mare. Max aveva sperato di regalarle qualche ora di serenità, lontana dall'idea ossessionante della malattia di sua madre, e invece è andato tutto storto. Che deve fare?

«Sì... no, anzi, no. Meglio di no. Hyra ti ha sentito?»

«Sta giocando con Ottavio. Non sa nulla.»

«Okay, allora... per favore, non dirle niente. Torno a casa tra poche ore, solo che ci sono tante cose da firmare, e non posso lasciare Samah da sola. Glielo diremo stasera.»

«Stasera, allora.» Per una volta, Max non prova neppure a tirarsi fuori dalla responsabilità che quel plurale implica: Ivan ha detto diremo, implicando necessariamente anche lui, perciò è esattamente quello che faranno: glielo diranno. Ed è poi ovvio che sarà Ivan a parlare, perché Hyra è sua figlia e ha tutto il diritto di venire a sapere della morte di sua madre dalle labbra del suo proprio padre; ma Max resterà lì, anche quando le cose si faranno troppo difficili e gli verrà voglia di andarsene. A seconda del bisogno, farà ciò che ci si aspetterà da lui, che si tratti di consolare Hyra, o aiutare Ivan, o anche solo restare in disparte. Qualunque cosa accada, ha fatto finta anche troppo a lungo che Hyra lo coinvolgesse solo in parte.

«Grazie, Max, io... cerca di farla distrarre, okay? So che ti sto chiedendo tanto.»

Come dirgli che c'è tutta una parte di lui che sta tumultuando e scalpitando perché vorrebbe poter fare qualcosa, qualunque cosa che non sia restar qui a fare finta di niente e a costruire castelli di sabbia?

Ma non c'è nient'altro da fare, al momento. Reprimendo la forte tentazione di scagliare il telefono in acqua e mettersi a urlare perché quella giovane donna è morta, Max si morde le labbra e risponde: «Penso io a tutto, qui. Tu fai quello che devi fare.»

«Max! Stai parlando con papà?» strilla alegramente Hyra, che sta compattando con le mani un grosso bastione difensivo attorno al castello. «È papà?»

Se le rispondesse di sì, Hyra vorrebbe a qualsiasi costo parlare con lui, e si accorgerebbe subito che suo padre è disperato. Coprendo il microfono con la mano, colla sensazione terribile di star dicendo la peggiore bugia della sua vita, Max si sforza di sorridere e fa cenno di no col capo.

«No, piccoletta... tuo padre non ha ancora chiamato. Non preoccuparti.»

«Ti lascio andare, Maxie... non la fare insospettire troppo.» Ivan ha sentito tutto. «Torno a casa appena possibile. Dobbiamo solo finire qui, e poi...»

E poi, e poi. E poi verrà la parte difficile: affrontare tutti i giorni, dal mattino alla sera, con Hyra.

«A dopo. Ti amo.»

Ottavio si accorge che qualcosa non va non appena incrocia i suoi occhi. Tutti questi anni di amicizia dovevano pur servire a qualche cosa, dopotutto.

«Sai, Hyra, credo proprio che servano più conchiglie qua sulle merlature. Perché non vai a raccoglierne qualcuna col secchiello?»

Buon vecchio Ottavio, molto più sveglio e più reattivo di quanto il suo aspetto faccia intendere a chiunque. Max gli accenna un ringraziamento con lo sguardo, mentre Hyra sguscia via correndo, tutta lieta di poter andare a bagnare i piedi nell'acqua e sguazzare un po'.

Egli continua a sorvegliarla con la coda dell'occhio, per essere certo di non perdere di vista nemmeno per un istante la sua lunga treccia nera e il suo costume a righe tra la folla dei bagnanti.

«Ehi, Max... che è successo?»

A Ottavio non si può nascondere nulla, e Max non ne è mai stato più lieto in vita sua.

Sentendosi colto alla sprovvista da quello che sta per pronunciare a parole, Max deglutisce a vuoto, un paio di volte, e risponde: «La madre di Hyra è morta.»

«Oh...cazzo.»

I costumi da bagno hanno la dannata caratteristica di non offrire alcun posto dove mettere le mani quando non si sa che cosa farne. Quelle di Ottavio sembrano cercare spasmodicamente un posto dove posarsi. «Così, all'improvviso?»

Per il momento, Max si limita ad annuire. All'improvviso, già.

«Accidenti, io... mi dispiace, Max, davvero. Tu come ti senti?»

Questa domanda gli giunge totalmente inattesa. Max si volta lentamente a guardarlo, un po' perplesso, e si sente in dovere di specificare qualcosa che a lui pareva molto ovvio, ma che forse non lo è. «Io non la conoscevo.»

«Questo lo so, ma... insomma, riguarda anche te. Era l'ex di Ivan, ora Hyra rimarrà per sempre con voi. È un grosso sconvolgimento.»

Il pensiero che Hyra rimarrà con loro per tutti i prossimi anni non lo spaventa più come avrebbe fatto una volta, e non solamente perché ormai ne è consapevole da settimane. Max si stringe un po' nelle spalle, sentendosi profondamente triste.

«Voglio bene a Hyra, lo sai. Non vorrei che stesse in nessun altro posto che con noi. Ma...»

Ma nonostante il pensiero di Hyra non lo spaventi minimamente, Max non potrebbe onestamente dire che quella morte non lo turbi neanche un po' – e non si tratta di Hyra, o di Ivan, o meglio sì, si tratta anche di loro, ma non nel modo che pensa Ottavio. Ma come dirgli che la morte di una donna ch'egli non ha mai vista né conosciuta pare trafiggergli il cuore come una moltitudine di aghi, e questo non perché egli abbia una minima parte nella sua morte, ma solo perché non ha saputo come salvarla – e come dirgli che lui Aima non l'ha mai incontrata, d'accordo, ma che c'è tutta una parte di lui che ha la sensazione di averla conosciuta veramente, e non per averla mai vista, ma perché l'aveva percepita, e gli era parso qualche volta d'incontrarla negli abiti di Hyra che una mano gentile aveva piegato e ordinato per colore nella sua piccola valigia...?

Max si sente tremendamente egoista a pensare questo perché Aima non lo riguardava e lui, di partecipare a questo lutto, non ha proprio alcun diritto – ma le cose stanno così, e al momento quella parte di lui vorrebbe piangere proprio per questo fatto, che quelle due mani gentili che stiravano e piegavano quegli abiti con tutto l'amore del mondo, e che sono state per mesi l'unico tramite tra lui e questa donna, ora non esistono più.


È veramente finita, ora.

Hanno fatto tutto quello che dovevano fare. Quando Ivan è tornato a casa, ha preso sulle ginocchia una Hyra confusa e un po' inquietata dalla serietà dei suoi occhi, l'ha riempita di baci e di coccole e di carezze e abbracciandola le ha detto la verità.

Max è rimasto lì fuori per tutto il tempo, seduto contro la porta, ad ascoltare, e a desiderare di bruciare la casa e spaccare tutto, distruggere tutto, e di sovvertire l'universo pur di fare in modo che Hyra non piangesse più, ma invano. Tutta la sua rabbia e la sua disperazione sono rimaste confinate dentro di lui, brucianti e desolanti tanto ch'egli si è chiesto come fosse possibile che quella pressione immane ch'egli avvertiva dentro di sé non finisse per erompere da lui e spaccarlo come un guscio troppo stretto per contenere qualcosa.

Questo senso d'impotenza Max non l'aveva provato mai, né di fronte all'ineluttabilità del grande vulcano silente, immobile, né di fronte all'imponenza vorace e distruttiva di Groudon, semplicemente perché ora è veramente troppo tardi per provare a cambiare le cose.

Che Ivan si rivelasse così calmo, invece, non l'avrebbe mai supposto. Ha collaborato a organizzare il funerale per telefono, parlando sempre a bassa voce, e ha passato con Hyra tutta la notte, disteso nel suo letto a cercare di farla dormire almeno per qualche ora, nella speranza di darle con la propria presenza, che è l'unica cosa che abbia da offrirle al momento, almeno un po' di conforto: che la malattia di Aima, oltre a portarla via da loro, dovesse anche togliere il sonno alla sua bambina, questa sembrava una sconfitta che non era disposto ad accettare.

Anche oggi si è rivelato stranamente calmo. Si è vestito lentamente, cogli occhi spenti, indossando volontariamente un completo scuro, poi è andato in camera di Hyra e l'ha vestita e pettinata, in silenzio, con tutta la tenerezza che poteva, ma non di nero – perché i bambini non devono mai vestire di nero, neanche ai funerali, ha sentenziato con l'aria di echeggiare una certa massima sapienziale risalente a qualche nonna o bisnonna particolarmente autorevole. Per parte sua, Hyra è così istupidita dal dolore che non sembra accorgersi di quello che le succede intorno. Si è lasciata lavare e sistemare e caricare in auto come una bambola, e non ha detto una parola per tutto il tragitto.

La camera mortuaria è piena di gente, e Max si sente profondamente colpito al vedere quanto siano giovani. Ogni volta che il suo sguardo scorre sui presenti egli ha l'impressione di scorgere qua e là i volti tristi di reclute del Team Idro dei giorni in cui tutto andava bene, e si sente quasi male al pensiero che qualcuno di quei ragazzi avrebbe potuto essere uno dei suoi, se solo le cose fossero andate diversamente...

Ha finalmente conosciuto Samah, oggi, la famosa zia di cui Hyra gli ha parlato quella prima mattina a colazione. Anche lei, come sua nipote, è talmente attonita e istupidita dal dolore da non sembrare neppure in grado di parlare, del tutto dipendente da suo marito.

Ma di vedere Aima, per la prima e l'ultima volta nella sua vita, prima che chiudano la bara, di questo non se ne parla. Max non lo sa il perché – forse è solo che questa donna è stata così presente nella sua vita per tutto l'ultimo anno, ed egli l'ha così idealizzata, che non vuole vederla morta. Perciò, mentre Ivan si avvicina alla tomba e si china per dare un ultimo saluto alla madre di sua figlia, Max rimane con Hyra, seduto in prima fila, ad aspettare – e mentre aspetta che ritorni suo padre, Hyra gli prende la mano e la stringe, e Max prova di nuovo quell'impulso sovrumano di urlare e distruggere tutto.

Quando guarda Ivan, invece, Max vede l'opposto dell'uomo che ha sempre conosciuto, vede un uomo composto e dignitoso che si è sentito addossare d'improvviso il peso di crescere sua figlia da sola e di darle il buon esempio e di essere forte per lei. Quando lo guarda, Max si sente come se fossero stati invertiti i ruoli, e questo lo spaventa.

È questo allora l'effetto che ha la morte?

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Capitolo 11
*** Lista delle cose belle di una vita. ***


Lista delle cose belle di una vita

Capitolo XI –Lista delle cose belle di una vita.

 

Certe volte, la sera, prima di addormentarsi, Max recita a se stesso la

 

LISTA DELLE COSE BELLE DI UNA VITA

guadagnate in tanto tempo (in ordine casuale).

 

·         Aver insegnato a Ivan a preparare una torta.

È stato mostruosamente divertente. Non c’è bisogno di aggiungere altro, a proposito di questa voce. (Per la verità, Max ha imparato proprio mentre lo insegnava a Ivan, ma questo non vale neppure la pena di ricordarlo. Dopotutto, aver impiegato anni a costruirsi la fama e l’immagine di un uomo posato ed esperto deve pur comportare qualche vantaggio.)

·         Donare regolarmente sangue ed emocomponenti, ed esser conosciuto all’ospedale per questo. Fa sempre piacere.

·         Aver visto Hyra stracciare Ottavio a dama, dopo ch’egli le aveva appena insegnato a giocare.

Max non si convincerà mai fino in fondo che Ottavio l’abbia cortesemente lasciata vincere in virtù della sua giovane età, malgrado tutte le sue rassicurazioni in merito.

·         Aver parlato per telefono a Rossella.

È stato Ottavio a incoraggiarlo, e lei gli è parsa serena. Spera che potranno rivedersi un giorno, chiacchierare un po’ e provare a confrontarsi l’uno con l’altra, e forse non è ancora il momento adatto, ma è certo che un giorno questo sarà possibile; e chissà, se Rossella sarà d’accordo, forse sarà possibile coinvolgerla nella sua nuova vita, quel giorno.

·         Aver coinvolto Ivan nella questione degli aghi. Ah, sì, e aver scoperto che ha paura degli aghi.

Una paura fottuta degli aghi.

Oh, Max si è divertito, quella volta, a maggior ragione dato che Ivan si è sempre ostinatamente rifiutato di ammetterlo. Sta di fatto che, in seguito, Ivan si è sempre dimostrato alquanto restio alle sue proposte di donare, e che si è sempre rifiutato anche solo di pensare di poter donare il midollo, dopo che gliene è stato illustrato il procedimento.

·         La volta che Ivan gli ha detto, per scherzare, che in fin dei conti si potrebbero pure sposare.

Questa minaccia non avrà mai alcun seguito, ovviamente, e per fortuna, ma è piacevole venire a sapere così, semplicemente, a mezzo di una battuta e senza troppe smancerie, che nonostante tutto Ivan è ancora contento di aver scelto lui. Che nonostante tutti i loro difetti (che, accumulati insieme, sono davvero un bel numero e considerevolmente grossi), questa vita che hanno vissuto insieme Ivan sarebbe pronto a riviverla, e che l’abitudine, ormai, tra di loro non c’entra niente.

·         Hyra. Chi l’avrebbe mai detto, in quel giorno ormai lontanissimo in cui Ivan gliel’ha confessato, che avere una figliastra gli sarebbe piaciuto tanto?

Max non vorrebbe mai essere considerato o attribuirsi i diritti o i doveri di un padre nei confronti di Hyra, ma in compenso essere il suo patrigno, o più semplicemente il compagno di suo padre, gli piace molto.

Hanno trovato una piccola intimità, loro due, che di certo non sarà mai neppure comparabile a quella che hanno lei e Ivan, ma la cui bellezza risiede proprio in questo: non deve esserlo. Hyra non è sua figlia né mai lo sarà, ma proprio questo gli concede una grande libertà di movimento.

A modo suo, gli piace condividere con lei dei momenti di cui Ivan non è partecipe, e non perché ci sia alcuna consapevole volontarietà di escluderlo, ma perché Hyra vive stabilmente con loro ormai da più di cinque anni, e Max si è reso conto a poco a poco di poter costituire per lei una figura autonoma e del tutto diversa da suo padre, e avere con lei un rapporto diverso e a modo suo complementare, e tutto sommato questo gli piace.

Per esempio, ci sono piccole cose che Hyra ha detto a lui soltanto, cautamente all’oscuro di Ivan, e su cui Max ha perlopiù mantenuto il silenzio senza tradire la sua fiducia. Per esempio, Ivan non saprà mai della gravissima insufficienza in matematica al suo primo anno delle scuole medie, e del resto, che motivo avrebbe di venirlo a sapere? Con il suo aiuto, Hyra ha recuperato, e per quel poco che Max ricorda del suo periodo scolastico, questo dovrebbe essere l’importante. No?

Ma poi, col passare del tempo, via via che Hyra è cresciuta, questi attimi di vicinanza si sono moltiplicati e variegati, e Max si è sorpreso a esserne soddisfatto. C’è una certa complicità tra di loro che Ivan nota, ma di cui non può necessariamente prendere parte, e che si manifesta in atti che non potrà mai avere chiari.

Esiste un patto non scritto tra lui e Hyra, per cui è sempre Max ad andarla a riprendere il sabato sera, ora che ha cominciato a uscire con qualche amica. Non che faccia molto tardi: si tratta perlopiù di una passeggiata in centro per mangiare un gelato, o al più di qualche film al cinema… il che, per la sua età, va più che bene, ed è oltretutto il massimo che le consenta la malcelata iperprotettività di Ivan.

Il patto non scritto consiste semplicemente nel fatto che Max le concede di star fuori un quarto d’ora in più ogni volta, più o meno regolarmente. Quando tornano a casa, e Ivan lo guarda con aria interrogativa, come a chiedergli solo aggrottando la fronte perché abbiano fatto tardi, Max gli mente molto seriamente spiegando con la massima naturalezza che si sono fermati sulla via del ritorno a guardare le stelle, o che hanno fatto una deviazione per vedere a che punto fossero i nuovi lavori al molo… una cosa così. Ivan non sospetta nulla, naturalmente, e Max non si sente minimamente in colpa, perché non è come se stesse mentendo veramente. Sa benissimo dov’è Hyra e con chi è e che va tutto bene, e Hyra gli è grata e complice e tutto il resto, perciò va bene così.

Oltretutto, Max non ha l’impressione di mentire anche per un altro motivo, e cioè perché tutte queste cose che lui inventa per Ivan, lui e Hyra le fanno veramente ogni tanto. A Hyra piace moltissimo farsi indicare le stelle e sentirsi dire i loro nomi, o deviare sulla strada di casa per passare dal molo e leggere i nomi delle grandi barche a motore che non vede l’ora di poter guidare, non appena avrà l’età per prendere la patente nautica…

Hyra per lui non è una figlia e non potrà esserlo mai, semplicemente perché di figli Max non ne ha voluti né cercati mai, o forse non ha mai avuto l’occasione di averne; ma c’è stato un momento della sua vita in cui questa figliastra inattesa è arrivata per conto suo, e Max l’ha voluta non solamente perché faceva parte della vita che Ivan portava con sé dal proprio passato, e dunque non si poteva avere Ivan senza accettare necessariamente anche Hyra, ma anche perché egli è arrivato a capire che nella sua vita c’era spazio anche per lei – e soprattutto che nell’economia della vita di Hyra c’era spazio anche per lui.

Forse non possiamo essere tutti padri a questo mondo, ma pare che di patrigni volenterosi ci sia ancora una cospicua richiesta.

Non che tutto questo sia stato facile, all’inizio, come suona facile ora a raccontarlo. Il primo anno dopo la morte di Aima è stato terribile, e Max lo ricorda ancora con angoscia. Se ora affermasse che è stato tutto facile, bello e divertente con una lieve punta di drammaticità come in quei film che danno la sera sul quinto canale, direbbe la peggiore bugia dell’universo. A questo equilibrio ci sono approdati, è vero, ma non è stato facile affatto.

Hyra ha reagito alla morte di sua madre in tutti i modi peggiori descritti nei manuali per l’infanzia: per mesi è stata intrattabile e aggressiva, e non è trascorsa una settimana in cui lui e Ivan non dovessero accorrere a scuola, richiamati dalla maestra per via di qualche rissa coi compagni. Ai loro rimproveri Hyra sembrava tanto insofferente e ribelle quanto ai loro tentativi di confortarla, e di punizioni materiali Ivan (ch’è sempre stato un po’ troppo propenso a viziare questa bambina per compensarla almeno un po’ della morte della madre, a onor del vero) non ha mai voluto neppure sentir parlare.

Quando ha smesso di essere aggressiva e di picchiare gli altri bambini, Hyra ha poi cominciato a bagnare il letto di notte. Forse questa è stata la fase peggiore, perché alla rabbia si è aggiunta l’umiliazione: Hyra è orgogliosa come suo padre, e svegliarsi in piena notte nel letto caldo e bagnato l’ha fatta piangere e inalberarsi d’intollerabile mortificazione, perché persino coi suoi nove anni di esperienza di vita sapeva perfettamente d’esser troppo grande per queste cose.

Trattandosi di un problema di natura fisiologica, Max ha deciso di trattarlo come un uomo di scienza, naturalmente, e ha perciò fatto ricordo alle più eminenti riviste di pedagogia e psicologia infantile, e in genere a qualsiasi articolo o monografia incentrata specificamente sull’enuresi. A saperle leggere con attenzione, era sicuro che ne sarebbero venute fuori un sacco di soluzioni applicabili.

Ma prima che Max riuscisse a cavarne fuori qualche cosa di concreto da usare nella vita quotidiana, all’ennesima volta che il pianto di Hyra proveniente dall’altra stanza li ha svegliati nel cuore della notte, Ivan gli ha detto in un modo estremamente esplicito e insieme incredibilmente sintetico dove potevano andare tutti gli psicologi e i pedagogisti del mondo e che cosa esattamente potevano fare con tutti i loro studi e i loro articoli e le loro riviste peer-reviewed. È andato nella camera di Hyra, l’ha consolata e fatta smettere di piangere e poi, ignorando i suoi occhi piccoli di sonno e la sua stanchezza e la sua confusione, l’ha fatta lavare e vestire e se l’è portata fuori senza dire una parola.

Sono stati fuori tutta la notte, tanto che Max, a un certo punto, ha capito che non valeva la pena di aspettarli ed è tornato a dormire. Sentiva che in qualche modo anche solo restare sveglio ad aspettarli sarebbe stato come intromettersi in un qualche momento privato e personale che doveva far parte della Storia raccontata da Ivan, non da lui. Quella notte poteva avere un solo punto di vista, e quello non era il suo.

In effetti ha saputo solo da pochi mesi che cosa è successo quella notte, e cioè che Ivan ha fatto l’unica cosa che la sua irruenza e la sua esasperazione gli abbiano suggerito. Ha portato Hyra al molo, le ha infilato un giubbino galleggiante allacciato stretto, l’ha caricata in barca e ha preso il largo. Hanno veleggiato fino al mattino, spingendosi sin quasi a Ciclamare, e Ivan le ha parlato ininterrottamente per tutto il tempo, senza neppure curarsi che sua figlia fosse del tutto sveglia. Tutto ciò che gli importava, in quel momento, era che Hyra sentisse la sua voce e sapesse che suo padre le stava parlando ed era con lei, e ci sarebbe stato sempre.

Quando Ivan gli ha raccontato tutto questo, a distanza di quattro anni da quando è accaduto, Max si è astenuto dal commentare che gli sembra un metodo assolutamente poco ortodosso e anche un po’ traumatico per risolvere il problema, non solo perché a questo punto non avrebbe più senso farlo presente, ma anche perché ricorda benissimo che il mattino seguente, quando ha visto Hyra a colazione, gli è parsa molto più calma che nei giorni precedenti. Dopo quella notte in barca ha continuato a bagnare il letto per un po’ di tempo, ma non si è sentita più così umiliata, e poi, alla fine, ha finito per smettere. Se questo sia stato merito della sola crescita e del superamento del trauma, o se davvero, quella notte, Ivan sia riuscito a dirle cose tanto importanti e confortanti da aiutarla, Max non saprebbe dirlo, ma non ha dubbi su quale sia l’ipotesi che gli piace di più.

Ottavio gli dice spesso che in parte è anche merito dell’influsso positivo esercitato da Hyra nella sua vita, oltre che naturalmente della presenza di Ivan al suo fianco, se è riuscito a uscire dal baratro di autodistruzione in cui il fallimento del suo progetto lo aveva sprofondato. Potrebbe anche darsi, naturalmente (Max non può sinceramente vantare una tale conoscenza della propria psicologia e delle proprie profondità da poterlo confutare con certezza); ma questo gli pare un modo assai banalizzante di vedere la cosa, e non sarebbe questa la chiave di lettura che sceglierebbe per una propria eventuale autobiografia, se mai gli venisse il ghiribizzo di produrne una.

Certo, nel percorso ch’egli ha compiuto, Ivan c’entra eccome, e allo stesso modo c’entra anche Hyra; ma la verità è che salvarsi richiede un atto di volontà talmente intenso, da escludere necessariamente ogni intervento esterno. È proprio come sfiancarsi a nuotare disperatamente controcorrente contro il mare che ci affoga, e sperare, prima o poi, di intravedere una riva: non si può fare che da soli. Ma Max è contento che, in tutto questo, Ivan gli abbia nuotato accanto, urlando e chiamandolo ogni volta che la forza avversa delle onde lo ricacciava sotto minacciando di annegarlo. A quella riva, dopo innumerevoli sforzi, Max ci è arrivato da solo, e non poteva essere altrimenti, perché se non avesse compiuto alcun cammino, se qualcuno semplicemente si fosse limitato a salvarlo, per quanto banale possa sembrare questa parola, forse non sarebbe annegato, certo, ma non ci sarebbe stata alcuna riva ad aspettarlo.

Purtroppo, o per fortuna, non ci si può salvare che da soli.

 

«Max, papà dice di andare a prepararti» lo ammonisce Hyra affacciandosi sulla porta del suo studio. Questa sera sono a cena da sua zia, come praticamente una volta a settimana per tutte le settimane negli ultimi cinque anni, ed effettivamente, pensa Max gettando un’occhiata all’orologio, si sta facendo un po’ tardi. (Oh, Max adora Samah, e non soltanto perché, avendo conosciuto Ivan quando aveva diciott’anni e avendolo sempre visto come un cognato piuttosto che come il boss di un Team eco terroristico, conosce su di lui gli aneddoti più meravigliosi dell’universo. È sicurissimo di adorarla anche per altri motivi, solo che ora non gli vengono in mente.)

«Dì a tuo padre che andrò a prepararmi quando lui avrà cominciato ad allacciarsi le scarpe, e che mi rimarrà comunque abbastanza tempo» risponde senza distogliere gli occhi dal computer, dove file di numeri e dati scorrono incessantemente fino a incrociarsi davanti ai suoi occhi. È da giorni che lui e Ottavio stanno cercando di preparare un articolo per una prestigiosa rivista scientifica, e Max ha la sensazione di non aver mai avuto tanto materiale su cui lavorare tutto in una volta. Naturalmente questa è la medesima sensazione che lo ha sempre accompagnato per tutta la vita, dagli esami universitari agli studi su Groudon, perciò, effettivamente, la cosa non vuol dire poi molto. Ottavio è dannatamente ottimista riguardo a questo articolo, e chissà che non abbia ragione. Quel ragazzo ha un intuito dannatamente premonitore.

«Papà dice che non devi lavorare così tanto perché ti stanchi gli occhi» lo rimprovera Hyra, appoggiandosi allo schienale della sua sedia per guardare il computer. «È sempre per quell’articolo?»

Max accenna un sorriso rapido mentre si sfila gli occhiali e si sgranchisce le braccia. Effettivamente è da diverse ore che lavora, e comincia a essere stanco. «Esatto, piccoletta. Quello che sto scrivendo con Ottavio.»

Hyra strizza un po’ gli occhi per cercare di leggere le lunghe file di numeri che si susseguono intabellandosi sullo schermo, e Max si sente un po’ a disagio. È la prima volta che Hyra si mostra tanto interessata agli aspetti tecnici del suo lavoro e che non si limita a bollarlo come qualcosa di troppo complicato e noioso da meritare un tale spreco di attenzione. È cresciuta così tanto da quando gli ha chiesto, una mattina di un secolo fa, se fosse uno di quei cattivi dei videogiochi che buttano per terra gli ingredienti delle torte?

«Che cosa dicono quelle tabelle?»

Le sue mani vorrebbero disperatamente chiudere tutti i file che sono aperti sullo schermo in questo momento, e mettere tutto da un lato e rifiutare di dirglielo; ma è uno stupido sentimento immaturo e iperprotettivo, questo, ed egli lo sa benissimo.

Reprimendo con forza nel fondo della sua coscienza questo sentimento, Max deglutisce un po’ più difficoltosamente del normale e ingrandisce gentilmente la tabella perché Hyra possa leggerla meglio.

«Beh, noi speriamo che documentino l’efficacia del trattamento che stiamo sperimentando per la soppressione delle cellule cancerogene» spiega con una voce molto più fioca di quella che ricordava di avere.

«Oh» risponde Hyra solamente, e i suoi occhi si velano di una profonda tristezza.

È diventata molto bella nella primavera dei suoi tredici anni, e forse assomiglia sempre di più a sua madre, se sua madre somigliava a sua zia anche solo una metà di quanto le somiglia lei. Ha gambe lunghe e slanciate e lunghi capelli neri e lucidi, e un volto ambrato ed esotico dagli zigomi alti e pieni, ma ingentilito dai liquidi occhi di Ivan, e forse Max guarda a lei con troppo orgoglio, ma è diventata davvero molto carina.

Per ora è ancora un po’ piccola, forse, ma c’è una certa voce dentro di lui che ci tiene molto a far presente che, tra qualche tempo, sicuramente farà la sua apparizione sulla scena il personaggio del fidanzatino. Di questa sua conclusione, di cui è assolutamente certo, Max non ha ancora fatto parola con Ivan, ma è alquanto certo che, nella sua qualità di padre, Ivan non accetterebbe molto volentieri questa prospettiva. Dal suo punto di vista, Hyra continuerà ad avere dieci anni ancora per i prossimi dieci anni, e continuerà a rimanere perfettamente asessuata di qui all’eternità. Ma la verità è che un giorno non troppo distante scopriranno che Hyra esce di nascosto con qualche ragazzo, e Ivan avrà con ogni probabilità un infarto, e Max non vuole perdersi tutto questo per nulla al mondo.

«Mi sarebbe tanto piaciuto salvare tua madre, Hyra.»

Era da così tanto tempo che voleva dirglielo, che Max si accorge d’improvviso che questa semplice confidenza pare sgravare il suo petto dello stesso peso di un’innominabile confessione.

Nella morte di Aima il risveglio di Archeo Groudon non ha avuto alcun ruolo, e per la propria innocenza Max non fa che ringraziare ancora il cielo, a distanza di cinque anni da quando è avvenuta; ma Max, che per un periodo molto lungo della sua vita avrebbe voluto poter salvare l’umanità, non ha mai perdonato a se stesso di non esser stato in grado di salvare una vita. La storia non è certo fatta di se, d’accordo; ma è davvero possibile smettere di domandarsi, un giorno, se le cose avrebbero potuto andare diversamente, se solo egli avesse perso meno tempo a cercare Groudon, e avesse capito un po’ prima qual era la strada giusta da percorrere?

La verità è che Max ha sempre aspettato che fosse Hyra a perdonarlo per non aver saputo salvare sua madre, e solo stasera, quando un lampo di comprensione le attraversa fugacemente gli occhi, e lei distoglie lo sguardo per un attimo, egli si rende conto per la prima volta che Hyra è finalmente diventata grande abbastanza da potergli dare l’assoluzione che egli da anni aspetta da lei.

«Lo so, Max» risponde senza guardarlo, con un piccolo sorriso triste. «Anche a me sarebbe piaciuto.»

E la sua risposta è tutta qui, ma neppure per un momento Max dubita che abbia capito, e che nel profondo della sua anima lo abbia perdonato per non esser stato grande abbastanza da salvare sua madre. Il Grande Max ha finito qui, finalmente, e ha finalmente ottenuto tutte le assoluzioni che cercava.

«Con questo puoi salvare le persone, quindi? Le persone con il cancro?»

Abbandonandosi contro lo schienale della sedia girevole, Max si prende un lungo attimo di silenzio prima di rispondere e incrocia pensierosamente le mani in grembo.

«È un po’ più complicato di così, ma… sì. Voglio dire, la speranza sarebbe quella.»

C’è un lampo di desiderio nello sguardo che Hyra getta allo schermo, adesso.

«Puoi spiegare anche a me come funziona?»

Max sorride pazientemente. «Non certo prima di andare a cena dalla zia. Domani, se vuoi.»

«Pensi che sarei in grado di studiare anch’io queste cose? Tipo all’università?»

«Oh, Hyra.» Quando già la sua mano sta per muoversi e assestarle un’affettuosa pacca sul capo, come quando era piccola, Max ci ripensa e si trattiene. Quella che ha di fronte è una piccola adulta, ed egli le farà il piacere di trattarla con tutto il rispetto che merita. «Tu sei in grado di fare tutto quello che vuoi.»

C’è tutto un dilemma che si agita e combatte in fondo agli occhi di Hyra e che lotta per venir fuori, e Hyra pare fare uno sforzo enorme per trovare le parole per esprimerlo.

«Non vorrei rinunciare ad allenare i Pokémon, però.»

Anche se sarebbe potuta partire tre anni fa, Hyra ha deciso di posticipare per continuare a studiare ancora un po’, ma quest’anno, a quanto pare, si è decisa. Ivan ha deciso di regalarle un Pokémon per il suo compleanno, e lui e Ada stanno praticamente vagliando tutti i mari di Hoenn alla ricerca di Quello Perfetto. Che poi, ovviamente, sarà un Carvanha, e questo lo hanno già previsto tutti, ma è ammirevole che Ivan stia almeno sforzandosi di provare a prendere in considerazione anche altri Pokémon.

«Beh» inizia lentamente Max «So che suona un po’ troppo autoreferenziale detto da me, ma nulla ti obbliga a rinunciare a niente. Io sono diventato un discreto allenatore e ho padroneggiato anche la Mega Evoluzione frequentando l’Università, e mi sono laureato con il massimo dei voti.»

Ci sarebbe anche quel dettaglio del team di malviventi di cui faceva parte a vent’anni, quando non doveva studiare, insieme a Ivan, ma sarebbe veramente troppo autoreferenziale… insomma, non vuole certo gravare Hyra del peso di un modello troppo difficile da seguire. No?

(E poi, diciamocelo, non lo rifarebbe. Studiare di pomeriggio e introdursi nei Centri Pokémon di notte e andare a letto con Ivan all’alba e litigare alle otto e presentarsi all’esame alle nove. No, no, era uno stile di vita decisamente troppo stressante.)

«Già, è vero» risponde Hyra, e dalla ritrovata luminosità dei suoi occhi è evidente che non ci aveva pensato, ma che quell’idea, tutto sommato, non le dispiace, e che potrebbe anche pensarci su.

«Certo che è vero, l’ho fatto io» conclude Max alzandosi. «E comunque hai un sacco di tempo per pensarci. Io invece devo andare a cambiarmi, prima che tuo padre venga di qua a uccidermi.»

«E che la zia si arrabbi» lo ammonisce Hyra in tono di rimprovero. «Anche lei dice che lavori troppo.»

Questo dev’essere un complotto. Com’è che quando si dava tanto da fare per distruggere Hoenn nessuno veniva mai a dirgli che stava lavorando troppo?

«E che la zia si arrabbi, giusto» concede Max pazientemente. «Vai a dire a Ivan che spengo il computer, va bene? Io arrivo subito.»

Ma dopo che Hyra ha lasciato la stanza per andare a riferire a suo padre, tutta gongolante, il frutto delle sue fatiche e della sua vittoria, Max indugia ancora un po’ di fronte a quelle interminabili file di numeri prima di spegnere il computer.

Quando inseguiva i grandi e terribili miracoli che la leggenda di Groudon gli prometteva, ed era convinto di poter ottenere tutto e tutto insieme con il minimo sforzo possibile, una parte di lui aveva dimenticato quanto incredibilmente lenti fossero i progressi della scienza, e di quanto frustrante potesse essere lavorare anni per ottenere quei miglioramenti di ordine infinitesimale di cui gli parlava Ottavio; eppure, quando guarda questa infinita serie di dati e risultati statistici, il cuore pare pulsargli in petto di un silenzioso battito di conforto. È la prima volta ch’egli sente davvero di star ottenendo qualcosa in questa vita che gli è stata restituita, e magari potrà pure non salvare l’umanità, ma gli piacerebbe così tanto che tutto il suo lavoro servisse a salvare una vita.

Ora che tutti i suoi errori hanno trovato rimedio e tutte le sue mancanze perdono, Max può fronteggiare il sole, finalmente, e salutarlo come un vecchio amico.

 

 

 

Il perdono è un atto troppo grande e difficile per una sola persona. Ne richiede due: chi ha tradito e chi è stato tradito.

Tu quale sei dei due?

 

Hannibal, Episodio 3x03: Secondo.

 

Fine.

 

 

 

 

A distanza di quasi tre anni da quando questa storia è stata concepita, finalmente, eccomi qui.

È stato un percorso meraviglioso, per me, perché per quanto ciò sia paradossale parlando di una fanfiction, questa storia ha una larga componente autobiografica. E anche perché mi ha permesso di valutare tante cose di me stessa: quanto io sia cambiata in questi tre anni e quanto no. Mi ha sorpresa accorgermi che un amore come quello di Ivan e di Max come l’ho raccontato in questa storia lo desidererei ancora, e anche quanto io sia riuscita ad attenermi perfettamente al progetto della storia come lo avevo fissato nel 2015. Questo capitolo finale potrà esser piaciuto o meno, ma ho usato esattamente le stesse parole che mi ero studiata anni fa, e che sono riuscita miracolosamente a ricordare senza annotarle da nessuna parte: persino la citazione di Hannibal è la stessa. Non sapevo di saper essere così coerente.

Le parole che conosco non possono bastare a ringraziare chi mi ha seguita con pazienza per tutti questi mesi, ripresentandosi a ogni mio saltuario aggiornamento: mi avete veramente commossa. Tutto quello che posso fare per il momento è ringraziare di cuore cristal_93, Persej Combe e StagTree per il loro continuo sostegno a questa storia, per me ha significato tantissimo.

Detto questo, potrei probabilmente continuare a scrivere per ore, ma non direi nient’altro che valga la pena leggere.

Un abbraccio enorme a tutti, e usate buone protezioni solari!

 

Afaneia

 

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