Can't Breathe Without You

di Sakurina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapitre 1. ***
Capitolo 2: *** Chapitre 2. ***
Capitolo 3: *** Chapitre 3. ***
Capitolo 4: *** Chapitre 4. ***
Capitolo 5: *** Chapitre 5. ***



Capitolo 1
*** Chapitre 1. ***


*Can't Breathe Without You*
 
 


Quello doveva essere un incubo.
Non c’era altra spiegazione.
Era tutto così assurdo che non poteva fare a meno di… ridere.
Si era appena svegliato dopo una notte di incubi che gli pareva infinita e la prima cosa che riusciva a fare era ridere. Ma era una risata così secca, così arida, così acuta, che faceva male.
Gli faceva un male terribile.
“Lo sapevo che saresti impazzito alla fine.” Sospirò il piccolo Plagg, scrutandolo dall’alto di uno scaffale della lussuosa camera del ragazzo con sguardo amareggiato.
Adrien ricambiò la battuta lanciandogli un cuscino.
“Non sei d’aiuto.” Sibilò il ragazzo, scivolando fuori dalle coperte per dirigersi verso la sua doccia privata con passo veloce e sicuro nonostante l’oscurità. Appena le sue mani toccarono la porta fredda che separava la sua stanza dal bagno, la stessa risata isterica si fece nuovamente largo nella sua gola, naturalmente. Non poteva fare a meno di pensare a quando Ladybug gli parlava da lì, dal punto in cui si trovava lui in quel momento. La sua fedele doccia che aveva salvato la sua doppia identità da superoe felino più di una volta con Ladybug.
Ladybug.
Ladybug… non c’era più.
Una lacrima scivolò leggera sulle sue labbra ridenti, mentre la sua risata si acutizzava.
“Ahi, ahi…” sospirò Plagg, da sotto il cuscino.
 
Parigi scivolava veloce, al di là del finestrino dell’auto, davanti ai suoi occhi svuotati: un agglomerato di edifici eleganti e ricchi di storia, ormai privo di qualsiasi interesse. La sua assistente Nathalie cercava di attaccare bottone con lui più del solito, forse assalita dal senso di colpa per la scomparsa di Gabriel Agreste o semplicemente perché improvvisamente si era trovata con il peso di un adolescente orfano sulle spalle.
Ancora un anno e, raggiunta la maggiore età, se ne sarebbe potuto andare da lì. Lontano da quella casa, lontano da quella città, lontano da quei ricordi.
“So che non è un momento facile, Adrien… ma ormai sono passati quasi tre mesi dalla scomparsa di tuo padre. Cosa pensi di fare con l’azienda di famiglia?” sospirò Nathalie, ormai esasperata dai continui silenzi e dalle risposte evasive di Adrien.
“Ci penserò quando finirà la scuola.”
Andare a scuola non lo entusiasmava più ormai; si pentiva della sua scelta di qualche anno prima. Se quando aveva iniziato a frequentare la scuola avere nuovi amici lo rendeva felice, ormai vedere i volti dei suoi compagni di classe, sempre preoccupati per lui, lo nauseava. Ma anche starsene rinchiuso in quella casa solitaria gli dava il voltastomaco. Altro che gatto, pensava, si sentiva come un topo in gabbia.
 
La nausea si faceva più insopportabile quando si avvicinava alla porta della classe: vedere il suo banco vuoto, il volto malinconico di Alya e quell’insopportabile assenza alle proprie spalle erano troppo per lui. A volte doveva uscire in cortile, fare dei profondi respiri e rientrare in classe correndo, per cercare di evitare di pensare. Concentrarsi solo sul respiro lo aiutava.
All’inizio funzionava. Ora non più.
E se lo sentiva che quel giorno non ce l’avrebbe fatta a varcare la soglia: quello era il giorno in cui avrebbe mollato la scuola. A un anno dal diploma.
Stava per girare i tacchi e andarsene, se non fosse stato per Chloé che, stizzita e irritata, se ne usciva dalla porta borbottando: “Pensavo di essermi liberata sia di lei che di Lila, ma ovviamente non me ne deve mai andar bene una!”. La biondina era così fuori di sé che lo aveva brutalmente ignorato per tirare dritto verso il cortile.
Adrien rimase bloccato a riflettere qualche secondo, dopodiché sentì dei singhiozzi provenire dall’interno della classe, il chiacchiericcio allegro di Nino e dei suoi compagni, una strana vitalità animare l’interno dell’aula. Si lanciò dentro la classe come non aveva mai fatto prima e… il cuore si fermò.
Il tempo, i suoni, le persone, i profumi, i colori, tutto scomparì per lasciare spazio ad un’unica personcina.
Solo a lei.
Così piccola e graziosa tra le braccia strette di Alya. Non riusciva a vederla in faccia, perché aveva il volto appoggiato sulla spalla dell’amica e la folta chioma bruna di Alya la copriva.
Si era dimenticato come si respirava.
L’udito ovattato, il respiro affannato, la vista sfocata.
Aveva bisogno di guardarla, di vederla in faccia, perché il tempo e il dolore stavano rischiando di cancellare i suoi tratti dalla memoria.
“Marinette.”
Il suo nome gli bruciava sulle labbra. Un nome arrugginito, un nome che non sentiva da troppo tempo, un nome che non pensava di poter pronunciare ancora.
“EHI, ADRIEN, HAI VISTO?! La nostra Marinette è tornata!” esultò Nino, piazzandosi di fronte ad Adrien e bloccandogli ancora di più la visuale.
Adrien cercò di divincolarsi dalla presa di Nino, ma proprio in quel momento sentì una vocina – la sua vocina – sussurrare lentamente “Scusami Alya, devo andare assolutamente nell’ufficio del preside prima che inizi la lezione…”
Tutto ciò che riuscì a vedere fu solo un piccolo fulmine dai capelli scuri che si lanciava fuori dalla classe, senza neanche voltarsi a guardarlo.
“Ehi, cerca di non sparire di nuovo Marinette!” le urlò Alya, con gli occhi ancora ricolmi di lacrime.
“No… no!” urlò Adrien, lanciandosi immediatamente all’inseguimento della ragazza.
Di quella ragazza che non vedeva da più di 3 mesi dopo aver condiviso con lei ore, giorni, anni. La protagonista dei momenti più felici della sua vita. Non l'avrebbe lasciata scivolare via di nuovo.
Con la coda dell’occhio, Adrien riuscì a scorgere Marinette che svoltava l’angolo per dirigersi verso l’uscita di sicurezza posteriore. Il ragazzo non perse neanche un secondo e, con uno scatto felino, raggiunse la compagna proprio mentre stava aprendo la porta di sicurezza.
“Dove pensi di scappare?!” le chiese, afferrandola per il braccio e trascinandola verso di lui.
Marinette perse l’equilibrio e cadde all’indietro, incontrando il forte petto di Adrien, che prontamente la afferrò stringendola a sé.
“A-Adrien…” sospirò Marinette, chiudendo gli occhi resi lucidi dalle lacrime imminenti e respirando a fondo il suo profumo, quel profumo che solo Adrien aveva – perché non aveva mai fatto caso al profumo di Chat Noir?
“Come hai potuto farmi questo… te ne sei andata senza dirmi niente…è stato un inferno senza di te!” sussurrò Adrien con voce spezzata, affondando le labbra tra quei morbidi capelli corvini.
Con uno sforzo immane, Marinette riuscì a divincolarsi dalla stretta di Adrien con uno strattone così forte che lo fece barcollare all’indietro. La ragazza continuava a dargli le spalle, evitando lo sguardo di Adrien come se questo rischiasse di trasformarla in pietra.
“Lasciami perdere, Adrien. Lascia perdere... tutto. Dimenticati di Ladybug e di tutto quello che è successo.” Sibilò Marinette, con voce debole e tremante. Eppure non era né una voce triste né una voce spaventata: era solo una voce estremamente nervosa e arrabbiata.
Adrien rimase senza parole per qualche secondo, sorpreso dalla reazione e dalle parole della sua compagna.
“Cosa cavolo intendi dire, scusa? Dimenticare tutto?! Come diavolo faccio a dimenticare tutti questi anni insieme, si può sapere?!” la collera prese il sopravvento nel suo cuore. Dopo tutti quei mesi senza vedersi, l’unica cosa che era in grado di fare era respingerlo così?
Decise che era il caso di calmarsi se non voleva peggiorare la situazione più di così. Ma qualcuno non era della stessa idea. In quel preciso istante, infatti, Plagg saltò fuori dalla sua camicia, fluttuando vicino a Marinette.
“Buongiorno Marinette, lieto di rivederti…”
“Plagg…” sobbalzò la ragazza, fissandolo perplessa.
“Mi domandavo come stesse Tikki. Alla fine sei partita per la Cina col maestro per salvarle la vita, no? Ci siete riusciti oppure devo considerarmi ufficialmente un lavoratore autonomo?” domandò Plagg, senza dimenticare il suo solito tatto.
“Plagg!” ringhiò Adrien, infastidito dalle maniere del suo kwami.
“Tikki sta bene, si sta riprendendo, grazie” mugugnò Marinette, abbassando lo sguardo.
“E allora perché non porti gli orecchini?” insistette il piccolo kwami.
“Perché non si è ancora ripresa del tutto. E perché, comunque vada, non ho intenzione di tornare a essere Ladybug.” Asserì Marinette perentoria, abbassando lo sguardo.
“Come sarebbe a dire?!” sbottò Adrien, scosso dall’affermazione della ragazza.
“Adrien… non ho voglia di parlarne adesso. Dobbiamo tornare in classe.” Mormorò Marinette, sorpassandolo per dirigersi a lezione.
“Eh no, adesso voglio che mi parli chiaro, me lo devi!” ringhiò Adrien, afferrando la ragazza per le spalle e inchiodandola al muro. “Guardami in faccia e dimmi perché ti stai comportando così.”
“Te lo devo?! Perché mi comporto così?!” ribatté Marinette, sollevando il suo sguardo adirato e incontrando finalmente gli occhi del ragazzo che le aveva fatto girare la testa per tutti quegli anni. “Ho rischiato tutto per salvarti la vita durante la nostra ultima battaglia con Papillon! Ho sacrificato il mio potere, Tikki, ho rischiato di sacrificare quasi tutta Parigi per salvarti…e... e... tu... ma adesso basta. Non sarò più io quella che sacrifica tutti quelli che ama per fare la supereroina. Sono stanca, Adrien… sono così stanca e devastata da tutti questi mesi passati ad assistere la mia piccola Tikki, che si aggrappava la vita così tanto a fatica che—“ Marinette si interruppe, gli occhi pieni di lacrime.
“Lo so! Lo so e mi dispiace! Se solo Papillon non si fosse rivelato essere mio padre avrei sicuramente agito diversamente, avrei gestito meglio la situazione e-e-e…e lo so che è colpa mia... in quel momento avrei dovuto solo essere Chat Noir, il tuo Chat Noir, il tuo compagno di battaglia e invece... ho preferito essere il figlio di Papillon... mi dispiace, Marin—“
“Basta così, Adrien. Questa cose devi dirle a Ladybug e io... non sono più la Ladybug di cui eri tanto innamorato. Sono solo Marinette, la tua compagna di classe. Una Marinette che è in ritardo per la lezione di inglese. Scusami.”
La ragazza scivolò sotto il braccio di Adrien, che rimase immobile, atterrito dai fiumi di lacrime cristalline che bagnavano le guance di Marinette.
Avrebbe dovuto piangere e invece... di nuovo quella stupida, stridula, maledetta risata.
“Ho rovinato tutto... tutto! Ah ah ah!”
 
“Adrien, cosa ci fai già a casa?!” sussultò Nathalie, vedendo il ragazzo rientrare a casa dopo solo un’ora a scuola.
“Scusami Nathalie...” sussurrò Adrien, ansimando.
“Cosa succede Adrien?!”
“Nulla di grave, Nathalie... ho solo... un po’ di asma... vado a... riposarmi...” e, liquidando l’assistente che lo pregava di andare dal medico, il ragazzo si chiuse a chiave in camera.
Si concentrava più che poteva per cercare di controllare il respiro, ma non c’era verso di far funzionare i suoi polmoni a dovere. L’ansia e il nervoso stavano distruggendo il suo autocontrollo e Adrien non riusciva più a sentirsi padrone del proprio corpo.
Si sdraiò sul letto, chiudendo gli occhi, respirando a fondo e contando ogni fiato.
1...
“Papillon, ridammi Adrien! Chat Noir, dobbiamo assolutamente liberare Adrien!”
2...
“Ladybug, dammi i tuoi Miraculous e riavrai Adrien sano e salvo...”
“Non scenderò mai a patti con te, Papillon!”
3...
“Ladybug, forse dovresti fare... come dice...”
“Cosa stai dicendo, Chat Noir?! Sei impazzito?!”
“Lui... lui ha promesso... di usare i Miraculous solo per riportare in vita la madre di Adrien... è una cosa buona, no? Noi... potremmo provare a fidarci... solo questa volta...”
4.
“Chat Noir... perché mi stai facendo questo... perché?”
“Ladybug, ti prego...”
“Io... io non scenderò a patti col male, Chat Noir... se la madre di Adrien è morta, non c’è nulla che possiamo fare per riportarla indietro... fa male, lo so, ma non possiamo giocare a fare Dio...”
“Chat Noir, prendi i suoi Miraculous, ORA!”
5.
 
Adrien riaprì gli occhi, il petto pesante, come se fosse schiacciato da un macigno.
Ricordava tutto così nitidamente. Come un incubo dal quale ci si è appena svegliati e le cui terribili immagini non riusciamo a levarci dalla testa.
Ladybug che attaccava Papillon sfruttando al massimo la sua energia, portando il suo piccolo kwami fino allo stremo.
Papillon che crollava, sfinito, sconfitto dal potere della fortuna.
Lui, il grande eroe Chat Noir, ancora scioccato dal potente attacco di Ladybug e paralizzato davanti all’incombente sconfitta del padre.
E poi quella scena che Adrien non riusciva a levarsi dagli occhi, che si ripeteva ossessivamente nella sua mente: il costume di Ladybug che svaniva nell’aria come piccoli granelli di sabbia rossa, rivelando il corpo di colei che mai e poi mai avrebbe pensato celarsi dietro quella maschera a pois.
“Marinette...” sussurrò sottovoce, sofferente, coprendosi il volto con  il cuscino. “...come ho fatto a non capirlo... dopo tutti questi anni... come ho fatto a non capire che il sorriso di Ladybug era lo stesso di Marinette? Sono proprio un idiota...” sospirò Adrien, sofferente, girandosi a pancia in giù sul letto e affondando il volto tra le lenzuola. “Ora le ho perse tutte e due...”
Questa volta, però, nessuna risata uscì dalle labbra di Adrien.

 

Ciao popolo di EFP. Non odiatemi. Sono in crisi di astinenza da Miraculous Ladybug. HO BISOGNO DI SAPERE COME FINISCE !"$$%$&%/&$ quindi me lo sono inventata. Pateticamente. Adrien e Marinette sono tristi perché lo sono anche io. 
Continuerò, spero, se l'astinenza non mi uccide prima. À bientôt 
<3
 

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Capitolo 2
*** Chapitre 2. ***


CHAPITRE 2.
 

Era quello il momento.
Tutti quegli anni di combattimenti, di peripezie, di sacrifici... tutto portava lì, in quel preciso istante.
Lei e Papillon si guardavano finalmente negli occhi, dopo tutti quegli anni di inseguimenti.
L’ultimo akuma da lui creato era stato particolarmente potente: dopo aver rischiato di dover chiudere il negozio per via della concorrenza sleale di un grande supermercato della zona, il papà di Marinette aveva lasciato che il suo cuore si riempisse dell’oscurità dell’akuma di Papillon, tramutandosi in un potentissimo nemico che aveva raso al suolo buona parte di Parigi.
Di Chat Noir nemmeno l’ombra.
Dopo esser rimasta ferita ad una spalla e ad aver rischiato la vita più volte, Ladybug riuscì a liberare suo padre dall’akuma, ma c’era qualcosa di strano. Il padre era corso verso la periferia della città, invece di devastarne il centro come tutte le persone akumatizzate prima di lui. Era riuscito a portare Ladybug in una zona boschiva al sud di Parigi: qui, senza la protezione di edifici o di altri impedimenti, aiutata dagli intrecci labirintici creati da rami e alberi, era stato facile per lei rubargli di mano la baguette di pane akumazzita e liberarlo dal male.
Mentre Ladybug adagiava il padre contro un albero in attesa che si riprendesse, una risata ben conosciuta attirò la sua attenzione. La ragazza si lanciò verso quella direzione, finché il suolo non si mise a tremare: uno sciame di farfalle nere la travolse all’improvviso, buttandola a terra mentre il fiume di farfalle oscure si riversava in un laghetto. Qui creò una voragine nel suolo artificiale, nel quale tutta l’acqua che cadeva dalla cascatella superiore iniziò a riversarsi, creando uno profondo strapiombo sovrastato da un’ampia cascata.
Ladybug si alzò da terra, guardando terrorizzata il grande canyon che si era aperto di fronte a lei: non riusciva a vedere dove andasse a finire l’acqua che vi si riversava dentro.
La risata di Papillon la attirò nuovamente e la ragazza lo scorse sull’alto della cascata, tronfio della sua impresa.
“Buonasera Ladybug. Quale onore conoscerti personalmente.”
“Papillon...”
“Come ben saprai, ho dato ordine al caro signor Dupain di rapire Adrien e, nonostante il tuo Miraculous abbia risistemato tutto a Parigi, posso assicurarti che il tuo caro amico è ancora al sicuro nelle mie segrete. Ahahahah!”
“Maledetto... cosa pensi di ottenere tenendo in ostaggio Adrien?!” urlò la ragazza, impietrita da quelle parole, conscia che la sua trasformazione sarebbe durata ancora pochissimo.
“Se solo tu volessi prestarmi i tuoi Miraculous, Ladybug, sono sicuro che riusciremmo a trovare un accordo equo per entrambi.”
“Te lo puoi scordare!”
In quel momento, un’ombra scura taglio la visuale di Ladybug, atterrando con un tonfo al suo fianco.
“Chat Noir! Dove diavolo eri finito?!” si adirò la ragazza, che quella volta se l’era davvero vista brutta. “Papillon, ridammi Adrien! Chat Noir, dobbiamo assolutamente liberare Adrien!”
Chat Noir la guardò con sguardo malinconico, senza dire nulla.
Nessuna battuta sul suo arrivo, nessuna spiegazione sul suo ritardo, nessun aggiornamento sulla situazione corrente.
“Chat Noir, che succede?”
“Ladybug, dammi i tuoi Miraculous e riavrai Adrien sano e salvo...” intervenne con voce profonda il loro nemico.
“Non scenderò mai a patti con te, Papillon!”
 “Ladybug, forse dovresti fare... come dice...” sussurrò il suo compagno, con voce amara.
“Cosa stai dicendo, Chat Noir?! Sei impazzito?!”
“Lui... lui ha promesso... di usare i Miraculous solo per riportare in vita la madre di Adrien... è una cosa buona, no? Noi... potremmo provare a fidarci... solo questa volta...” continuò Chat Noir, avvicinandosi a lei con sguardo basso e colpevole.
Più lui si avvicinava, più lei arretrava, fissandolo con occhi sbarrati ed increduli. Cosa intendeva dire? E perché mai Papillon avrebbe voluto riportare in vita la madre di Adrien? Doveva essere un trucco, uno sporco trucco usato per ingannare Chat Noir.
Il suo compagno allungò le mani verso di lei, in un gesto pacato di richiesta.
Voleva i suoi orecchini.
“Chat Noir... perché mi stai facendo questo... perché?”
“Ladybug, ti prego... io...” cercò di spiegarle l’amico, ma non sembrava essere convinto al 100% delle sue azioni.
“Io... io non scenderò a patti col male, Chat Noir... se la madre di Adrien è morta, non c’è nulla che possiamo fare per riportarla indietro... fa male, lo so, ma non possiamo giocare a fare Dio...”
“Chat Noir, prendi i suoi Miraculous, ORA!” ringhiò Papillon, riversando un nuovo sciame di farfalle oscure verso i due eroi.
“Chat Noir, io non so cosa ti abbia detto o fatto Papillon, ma cerca di capire che è un inganno, uno sporco inganno...” Ladybug lo guardò con occhi imploranti, distrutta. I suoi orecchini ormai suonavano e se Chat Noir non combatteva al suo fianco, la partita era persa. L’unica opzione era la fuga.
Mentre si preparava a scappare via, Chat Noir la fermò, afferrandola per entrambe le braccia, mentre la marea oscura si scagliava contro di loro. Di quel passo, avrebbe colpito entrambi.
“TIKKI... AIUTAMI!” aveva urlato Ladybug, concentrandosi per raccogliere dentro di sè tutta l’energia che le restava.
Improvvisamente il suo corpo iniziò ad emanare un potente fascio di luce rossa costellata di macchie nere: Chat Noir venne scaraventato via, così come la marea di farfalle oscure, che vennero liberate tutte dall’oscurità e lasciate libere di volare lontano, come un tornado bianco che si sollevava dal parco parigino. Il turbine rosso colpì Papillon, facendogli perdere il suo bastone nell’acqua e facendolo cadere ai piedi della cascata.
Ladybug si accasciò al suolo, priva di forze.
Chat Noir si sollevò da terra, ferito e scosso dall’avvenimento. E rimase fermo, a qualche metro di distanza, a fissarla impietrito mentre il suo costume da supereroina svaniva nell’aria come brillante polvere di rubino, per rivelare il corpo inerme e stanco di... Marinette Dupain-Chang.
Accanto a lei, un piccolo kwami rosso a pois giaceva privo di sensi.
La ragazza non seppe cosa accadde in quei brevi istanti. Si ricordava solo di star sognando Adrien e, subito dopo, le era apparsa sua madre. La madre di Adrien. Bella come l’aveva vista nella foto sul desktop del ragazzo.
Svegliati, Marinette, le aveva sussurrato la signora Agreste.
Marinette aprì gli occhi stanchi, per trovarsi davanti Chat Noir, pallido e sconvolto, che la fissava dall’alto. Era inginocchiato accanto a lei senza dire né fare nulla.
“Hai... tro... vato... Adrien?” gli chiese lei, con un filo di voce.
“Non ce n’è bisogno, Marinette. Adrien sta bene.” Le aveva sussurrato Chat Noir con voce spezzata, dopo qualche secondo di silenzio, accarezzandole la frangetta scomposta.
“No, tu...” ribatté lei, ma subito il ricordo del tradimento del compagno le tornò alla mente e la pugnalò dolorosamente al petto. Le veniva da piangere a pensare che Chat Noir l’aveva tradita così, dopo tutto quello che avevano passato insieme, dopo tutto quello che avevano condiviso... dopo averlo persino baciato!
Con un gesto stizzito, Marinette spinse via la mano di Chat Noir dal suo volto, girandosi sui gomiti e iniziando a strisciare verso il bosco, verso Parigi, verso Adrien. Doveva trovarlo e liberarlo, non importava chi fosse adesso, se Marinette o Ladybug.
Nel voltarsi, la ragazza scorse la sua piccola kwami distesa a terra senza forze e, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime, la raccolse, tenendosela stretta al petto.
“Oh, Tikki...” pianse con voce spezzata.
“CHAT NOIR!” urlò improvvisamente la voce roca di Papillon, che si era trascinato silenziosamente fino al bordo del burrone per recuperare il suo bastone “UCCIDI LA RAGAZZINA E PRENDI IL SUO MIRACULOUS, ORA!”
Papillon era furente e, non appena preso il bastone, si sarebbe personalmente premurato di attaccare Lad—Marinette.
Con uno scatto felino, Chat Noir lanciò il suo bastone contro quello di Papillon, infrangendo così il loro patto, il loro legame, la loro unione. L’arma di Chat Noir colpì la mano di Papillon: il suo bastone oscuro cadde nel burrone e Papillon, preda della disperazione, si sbilanciò in avanti per riprenderlo, cadendo anche lui nella profonda voragine.
Un urlo disperato sfuggì dalle labbra di Chat Noir mentre vedeva il padre svanire nelle profondità tenebrose di quel dirupo senza fine.
Passarono alcuni infiniti istanti finché alcuni versi sofferenti non attirarono la sua attenzione, portandolo a voltarsi verso Marinette.
La ragazza aveva ripreso a strisciare sui gomiti, sofferente, indolenzita, ferita, per raggiungere in qualche modo il bosco.
“Marinette...” sussurrò Chat Noir, con voce debole.
“Non... avvicinarti... Chat Noir... io... devo and.. a...re a... salv... are...”
“Lo so, ma non ce n’è bisogno, Marinette” sospirò il ragazzo, sollevando di peso l’amica per farla sedere sulle ginocchia.
“Lasciami stare” ringhiò lei, con occhi gonfi e ricolmi di lacrime, mentre cercava di divincolarsi dalla presa del compagno.
“Ho scoperto che Papillon era mio padre, Marinette. Mi sono lasciato convincere che... che... io lo sapevo in cuor mio che era sbagliato, però...” le disse lui con voce spezzata, mentre si mordeva con forza il labbro inferiore.
“Chat Noir...”
“No, Marinette” le rispose lui, sollevando la mano e richiamando nell’anello la sua trasformazione.
La ragazza osservò con occhi sbarrati e ricolmi di lacrime il costume di Chat Noir svanire in un vortice di granelli oscuri, risucchiati uno a uno dal suo anello per rivelare l’identità di...
“Adrien...”
Il suo nome fu solo un soffio di fiato dalle sue labbra, quasi impercettibile.
Adrien la guardò con occhi lucidi e distrutti.
Era lì di fronte a lei, inginocchiato di fronte a lei. Con lo sguardo più triste, devastato e distrutto del mondo.
Lì, dove pochi secondi prima c’era Chat Noir.
Chat Noir, quella che l’aveva tradita.
Mentre Adrien doveva essere...
Quello che...
L’adrenalina le esplose nel corpo all’improvviso, come una colata di fuoco vivo.
Marinette sollevò la mano e, forte e precisa, colpì la guancia di Adrien in pieno con un potente schiaffo.
Adirata e fuori di sè, la ragazza si alzò in piedi e, barcollando, si trascinò verso la vegetazione.
Adrien non la seguì.
 
Marinette si svegliò con un sobbalzo, spaventata e col fiatone. Il volto era bagnato di lacrime, così come il cuscino.
Si guardò intorno agitata, il cuore che le pulsava furiosamente nel petto, il sudore che le imperlava la fronte.
Il sole dell’alba infuocava le persiane della sua cameretta, filtrando all’interno come fiamme che incendiavano tutto ciò su cui si posavano. Come la parete rosa su cui un tempo erano appesi i poster di Adrien, ora staccati. Non se ne erano mai davvero andati, perché avevano lasciato un alone più chiaro proprio nel punto in cui erano stati appesi per quasi tre anni.
Debolmente, la ragazza strisciò fuori dal letto, fissando con occhi vacui la sua cameretta.
Niente foto di Adrien, niente Tikki che la salutava con voce squillante e allegra. Un’altra vita.
Una vita molto più brutta ora che li aveva persi entrambi.
Lo sguardo della ragazza sostò per qualche secondo sulla scatola appoggiata ai piedi della scrivania e, per un attimo, le venne il folle desiderio di aprirla: di guardare tutte quelle foto e quei ricordi legati ad Adrien che aveva raccolto in tutti quegli anni per provare a ritrovare in essi il ricordo di quel meraviglioso sentimento che la legava a lui.
Ma non voleva. Non poteva.
Avevano chiuso.
Lei, Ladybug, Adrien, Chat Noir.
Quell’odioso quadrato doveva finire.
Per un attimo le venne da ridere. Le tornò alla mente quell’occasione, qualche giorno prima della fine, in cui Adrien aveva confessato a Ladybug i suoi sentimenti.
Per lei era stato terribile, il giorno più brutto della sua vita, pensava.
Quant’era stata sciocca.
“Basta Marinette... baste pensare a queste cose...” sussurrò fra sè e sè, fissandosi allo specchio. “Papillon è ancora vivo, devi riportare in forze Tikki al più presto. Non puoi pensare ad altro.”
 
Avrebbe avuto senso cambiare scuola? A nemmeno sei mesi dalla fine dell’anno? Già ne aveva persi tre per il suo viaggio in Cina, sarebbe stato drammatico cambiare scuola così.
Ma poi, che importava? Se non riusciva a trovare la Fonte, poteva anche fregarsene della scuola. Ma mica poteva mollare scuola e dire: “Ehi mamy, ehi papy, mollo tutto e vado a cercare la Fonte per riportare in forze un piccolino esserino antico che è in grado di trasformarmi in Ladybug!”
Che assurdità.
Sollevò lo sguardo.
Ma no, non ce la faceva.
Ogni volta che alzava lo sguardo e intravvedeva la chioma bionda di Adrien lì davanti a lei le affioravano le lacrime agli occhi e un senso di nausea insopportabile la devastava.
Non ce l’avrebbe mai fatta.
Marinette si voltò verso l’ampia finestra della classe e con occhi lucidi fissò le grosse nuvole scure che si avvicinavano a Parigi, preannunciando tempesta.


“Quanto tempo ho ancora a disposizione, Maestro?” chiese Marinette con voce seria, mentre stringeva  lo smartphone all’orecchio con mano tremante.
“Uff...” sospirò l’anziano maestro al di là della cornetta “Qualche settimana... due o tre al massimo...”
“Ho capito. Ora devo andare, stasera farò un altro giro di perlustrazione” asserì la ragazza, mettendo giù la chiamata ed uscendo dal bagno delle ragazze.
La scuola era ormai vuota da qualche ora. Si era rinchiusa in biblioteca a cercare qualche libro che potesse aiutarla, ma la collezione scolastica non era molto assortita. Quella sera avrebbe provato in biblioteca.
Si diresse a grandi passi verso il portone di uscita, ma non si era accorta che già da qualche ora la pioggia aveva iniziato a scrosciare impervia. Sarebbe arrivata inzuppata in biblioteca.
Decise di attendere qualche minuto appoggiata al portone, nella speranza che la pioggia si indebolisse abbastanza da farla arrivare almeno fino alla fermata della metro in stato decente.
E mentre se ne stava lì, a braccia conserte a fissare la pioggia, alcuni passi riecheggiarono nell’atrio alle sue spalle, finché una sagoma fin troppo conosciuta non si fermò di fianco a lei.
Adrien la guardava con occhi tristi, anche se forzava un lieve sorrisino, nella vana speranza di smorzare la tensione.
“Scherma?” gli chiese lei d’istinto, fissando il borsone sulle spalle del ragazzo.
“Già. Mi tengo allenato” rispose lui, sovrappensiero.
“Già, anche perché se qualche cattivone attaccasse Parigi, ci saresti solo tu a proteggerla adesso” replicò lei con tono ironico.
Adrien distolse lo sguardo, ferito, un’espressione infastidita sul volto.
In quel momento, la sua auto privata si fermò davanti alla scuola.
“Sarà per sempre così d’ora in poi? Tra di noi?” le domandò lui con tono stanco.
Un tuono illuminò i loro volti, attutendo lo scroscio della pioggia.
Marinette avrebbe voluto rispondere piccata, ma non sapeva cosa dire. Aveva solo voglia di piangere, piangere tanto, piangere a lungo, uno di quei pianti con i singhiozzoni e i lacrimoni e tutto il resto. Cosa aspettava Adrien ad andarsene?
Il ragazzo la guardò per qualche secondo e, notando che Marinette non rispondeva e che gli occhi le diventavano lucidi, decise che non era il caso di insistere.
Finalmente, Adrien aprì l’ombrello, pronto ad andarsene senza dire una parola. Ma il ragazzo si fermò, si voltò e, dopo un attimo di esitazione, le allungò il suo ombrello e lei, con occhi sbarrati, non poté fare a meno di prenderlo.
“Cerca di non chiudertelo addosso stavolta, my lady” le disse lui, prima di voltarsi e correre verso l’auto parcheggiata.
Marinette si portò l’ombrello freddo contro una guancia e iniziò a piangere.
Si era ricordato di quel momento. Quel momento magico in cui lei si era innamorata di lui. Quel momento che aveva dato inizio a quel circolo infinito di dolore.
Pianse tutta la notte, insieme al cielo di Parigi e, quando la pioggia si quietò, finalmente la ragazza riuscì a prendere sonno.
Finché lo smartphone non iniziò a squillare improvvisamente.
Marinette si svegliò e afferrò il telefono: erano le 3 di notte. La chiamata era da parte del Maestro.
Poteva solo aspettarsi il peggio.
“Maestro, Tikki è...?”
“No, mia cara. Scusa se ti disturbo a quest’ora ma in realtà... è per Adrien. È ridotto piuttosto male.”
Marinette trasalì, spaventata da quelle parole.
Cos’aveva fatto quel folle? Si era schiantato in auto? Aveva inghiottito una palla di pelo? Era corso a combattere? Si era fatto fregare da Papillon?
“Arrivo subito!” lo liquidò Marinette, lanciandosi giù dal letto e vestendosi in tutta fretta con le prime cose che trovava.
Nella fretta, la ragazza inciampò sulla scatola dei ricordi di Adrien, sparpagliando tutte le sue foto al suolo.
“Oh... no no no... no...” scoppiò in lacrime Marinette, raccogliendo tutti i suoi tesori per rimetterli al loro posto.
Marinette raccolse la foto di Adrien che più le piaceva, una foto in cui sorrideva così naturalmente che le scaldava sempre il cuore guardarla. La ragazza si asciugò le lacrime e ripose la foto nella scatola.
“Arrivo, Adrien”.
 
 
Awww... mi sono commossa un po’ a scrivere il pezzo della pioggia, lo ammetto. Per chi non lo avesse visto si riferisce al pezzo in cui Marinette si innamora di Adrien in “Origins” <3
E sono commossa anche dalle bellissime recensioni che mi avete fatto Nim, StiveCoppola, Kiaretta_scrittrice92, finexshade, ilariapokemon e Erin_05! Essendo un fandom nuovo per me hanno significato davvero tantissimo, grazie infinite!
Vorrei specificare che non sarà una long-issima fiction, ma spero di finirla fra uno o due, massimissimo tre capitoli! Grazie nuovamente a tutti! E una maledizione a te, Muzza, per avermi iniziata a Ladybug. Sob.

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Capitolo 3
*** Chapitre 3. ***


CHAPITRE 3.
 


 
“Maestro, Tikki è...?”
“No, mia cara. Scusa se ti disturbo a quest’ora ma in realtà... è per Adrien. È ridotto piuttosto male.”
 “Arrivo subito!”

 


10 ore prima...
Adrien salì in auto, rabbrividendo.
Dopo aver prestato il suo ombrello a Marinette, percorse il tragitto che lo separava dall’auto molto lentamente, percependo la pioggia fredda battergli sulla pelle, i capelli, i vestiti. In prossimità della portiera rallentò il passo, come se sperasse che il gelo della pioggia filtrasse fino a giungergli nell’anima, al centro del petto, desiderando che tutto il dolore che provava in quel momento potesse congelarsi e ibernarsi lì, per sempre.
Nathalie lo salutò e gli chiese qualcosa, ma lui non ci fece caso e la ignorò, cominciando a fissare il mondo uggioso al di là del finestrino. Non era giusto. Marinette lo trattava come se la colpa di tutto fosse unicamente sua, ed in parte era sicuramente vero, però lei non faceva nulla per venirgli incontro: aveva eretto un muro di rovi spinosi che gli impedivano di avvicinarsi a lei per spiegarle com’era davvero andata, per cercare di conquistare almeno una parte della sua empatia per riavvicinarla.
Nemmeno a casa riusciva a stare bene. Quella prigione era diventata ancora più asfissiante dopo la scomparsa di suo padre. Non lo credeva possibile. Non appena la porta della sua cameretta gli si fu chiusa alle spalle, Adrien ebbe uno scatto di ira che gli fece rovesciare a terra tutto ciò che gli capitava a tiro, finché non gli finì in mano il cellulare. Lo fissò per qualche secondo, esitante. Fece scorrere la rubrica telefonica e il suo dito si fermò immediatamente sul numero di Marinette. D’impulso, fece per premere il tasto di chiamata, ma all’ultimo momento deviò la traiettoria del suo polpastrello, premendo invece il numero sottostante.
Dopo mezzo squillo, un’allegra voce maschile rispose.
“Che succede, bro? Sarà un secolo che non mi chiami!” gli disse Nino dall’altro capo del telefono.
“Hai ragione, Nino. Per farmi perdonare stasera ce ne andiamo a divertirci. Che ne dici?”
“Cosa dico?! Alla grande amico! So giusto di una festa fantastica qui a Parigi. Ti passo a prendere io!”
“Fammi capire… hai il cuore a pezzi e quindi esci a festeggiare il lieto evento?” gli chiese Plagg con tono ironico, mentre dall’alto di uno scaffale si gustava un maleodorante pezzo di Camembert.
Chiudendo la chiamata, Adrien gli rivolse un sorrisino forzato.
“Si chiama ‘distrarsi’, Plagg. Sono sicuro che staccare un attimo il cervello non potrà farmi altro che bene. Ne sono sicuro.”

 

 
5 ore prima (e 5 dopo la telefonata)...

 
 “Ero sicuro che queeeeesta coooosaaaa non sarebbe andata beeeene. Loooo sapevo.” Sbiascicò Adrien, abbracciando una fredda statua di marmo dalle forme sinuose.
Di fronte ad Adrien si estendeva un giardino rigoglioso, ricolmo di alte piante verdeggianti e di archi fioriti. Ricordava che Nino gli aveva parlato di una mega festa in una lussuosa villa alle porte di Parigi. Si ricordava l’entrata incredibile della villa – che a confronto di casa sua pareva una reggia, doveva ammetterlo – e della festeggiata, Claire, una sottospecie di Chloé numero 2. Poi ricordava solo l’odore di alcol, i litri di vodka e di rum e di qualsiasi altra robaccia Nino l’abbia convinto a ingerire. Le gare di freccette alcolica, il torneo di scacchi alcolico, la sfida a poker alcolica. Le ragazze gli morivano letteralmente addosso, qualcuna stesa dal suo fascino, qualcuna stesa dalla tequila.
E poi tutto diventava confuso e nebuloso.
Una massa informe di momenti fugaci di risate prive di senso di scalini che spuntavano all’improvviso e di coppiette che si imboscavano negli angoli appartati a pomiciare e insomma lui era un po’geloso di quelle coppiette perché lui e Marinette non avevano mai avuto occasione di comportarsi come due semplici adolescenti ma avevano sempre dovuto fare i supereroi e comunque Marinette era Ladybug e Ladybug non si era mai lasciata andare minimamente a tutte le sue avances e insomma era complicato e avrebbe dovuto anche smetterla di pensare a tutte quelle cose ma i pensieri gli riempivano il cervello come una cascata senza fine ed era come se la sua mente vomitasse ricordi di lui e Ladybug e la verità era che non era solo il suo cervello a vomitare in quel momento perché la nausea era troppo forte e va beh insomma vomitare in un vaso di fiori non era poi così grave
Dal vomitare in un vaso di fiori Adrien era passato col ritrovarsi abbracciato a quella bella statua bianca. Il ragazzo appoggiò la testa contro il seno di marmo della statua e, non appena la superficie fresca ebbe incontrato la sua fronte sudata, iniziò a sentirsi immediatamente meglio. 
“Devoooo proprio trovarti una ragazza.” Commentò Nino, sbucando improvvisamente alle spalle di Adrien.
“Ioooo… vogliooo… Ladybuuug…” sbiascicò il biondino, strusciando la fronte contro il seno della statua.
“Ahahah, beh, dire che sei già a posto allora!” scoppiò a ridere Nino, inciampando e finendo a terra, dove continuò imperterrito la sua risata ubriaca.
“Ma cosa…?” chiese Adrien, staccando lievemente il volto dalla statua per capire chi ritraesse. “Ladybug…?” trasalì il ragazzo, allontanandosi con un balzo dalle sinuose forme di marmo di quella finta Ladybug.
Non si era minimamente accorto di aver abbracciato per tutto quel tempo una statua dell’eroina, e a ragion veduta: le forme di quella Ladybug in marmo erano decisamente troppo accentuate, a tratti anche volgari.
“Questa non è Ladybug…” commentò con una smorfia schifata il ragazzo, dando immediatamente le spalle alla raffigurazione dell’eroina.
“È Ladybug dopo il chirurgo plastico!” rise nuovamente Nino, prima di addormentarsi di colpo sul pavimento.
Adrien si allontanò dalla statua stizzito, immergendosi nella vegetazione rigogliosa del giardino, barcollante. La nausea era fortissima e la testa girava come se avesse una trottola al posto del cervello. Giunse in un angolo buio del cortile, attirato dal dolce suono dello scorrere dell’acqua. Una piccola cascatella artificiale scorreva lungo la parete di pietra del giardino, riversandosi in un piccolo stagno artificiale. Adrien si fermò a fissare il riflesso della luna che illuminava la piccola cascatella: non poté fare a meno di ricordare la caduta di suo padre nella cascata, e poi ancora Ladybug che diventava Marinette, e tutto il suo mondo che si sgretolava davanti ai suoi occhi.
Improvvisamente, una lieve increspatura dell’acqua gli fece notare che c’era qualcosa che si muoveva nel piccolo stagno: una grossa tartaruga nuotava placidamente, padrona indisturbata dello specchio d’acqua. Adrien sorrise lievemente, ma immediatamente un’idea gli fulminò la mente con un lampo che squarcia le tenebre. Ma certo, la tartaruga! Come aveva fatto a non pensarci prima…
Doveva solo uscire da quel posto e… ma come diavolo faceva a uscire da lì?

 

 

Qualcuno bussava insistentemente alla porta, anzi sembrava quasi che… grattasse?
Chi poteva essere a quell’ora di notte?
L’anziano maestro si alzò dal suo futon lentamente, dirigendosi verso la porta accompagnato dal fedele piccolo kwami della Tartaruga.
“Maestro, chi potrà mai essere? Avverto un potere familiare…” asserì il piccolo Wayzz, sospettoso.
Il Maestro Fu non badò alle parole del suo aiutante, ma si limitò a sospirare, esasperato.
“Sarà solo un povero gatto in amore…” lamentò il Maestro Fu, aprendo la porta con uno scatto secco.
Si trovò di fronte la silhouette sinuosa di Chat Noir che, facendo ruotare la coda con fare spavaldo, lo salutò con un sorriso sghembo.
“Miaaaao, Maestro Fuuuuu” esordì il ragazzo, regalando un’alitata carica di alcol che fece tossire il Maestro. “Posso entrare?” gli chiese poi, ma era già praticamente entrato nel salone dell’abitazione orientaleggiante.
“Chat Noir, mi sembra superfluo ricordarti che i tuoi poteri dovrebbero essere adibiti unicamente alla protezione del prossimo” iniziò con tono di rimprovero il Maestro, mentre si avvicinava al giovane eroe che aveva preso ad analizzare ogni oggetto della stanza.
“Sìììì sìììì lo soooo… solo che ero intrappolato, inscatolato come il gatto di Schroedinger, a proposito esiste in Cina il gatto di Schroedinger? Sa, a volte mi sento proprio come il gatto di Schroedinger, sia vivo che morto, un limbo senza uscita” iniziò a delirare il ragazzo, ancora vittima dei fumi dell’alcol. “E quindi sono venuto qui perché insomma, ero alla festa e c’era una statua di Ladybug ma non era davvero lei, capisce?”
Il Maestro gli rispose inarcando un sopracciglio, perplesso e scettico.
“E quindi lei non era Ladybug, e non voglio che Marinette non lo sia più, perché io e lei siamo una coppia di eroi perfetti e… Tikki è qui no? Volevo sapere come stava, perché se Tikki sta bene allora possiamo convincere Marinette a tornare ad essere Ladybug e poi puff, tutto finito, tutto a posto come prima! No?” continuò Chat Noir, camminando avanti e indietro come un ossesso.
Fu sospirò, sedendosi stancamente su una poltrona e incrociando le mani con fare esasperato.
“La prego Maestro, io—“
“Puoi calmarti solo un secondo, ragazzo?” sospirò il Maestro, invitandolo a sedersi accanto a lui.
Chat Noir si sedette goffamente su un bracciolo della poltrona, rischiando dapprima di cadere per via del suo equilibrio precario, poi incrociò le braccia e osservò l’anziano signore davanti a lui.
“Caro ragazzo, temo che Marinette non mi abbia detto tutta la verità. Mi ha detto che non le rivolgevi più la parola per quello che era accaduto a tuo padre per colpa sua” iniziò Fu, massaggiandosi lentamente il pizzetto.
“No! No, non è vero! Io mi sono depresso senza di lei e-e-e lei da quando è tornata dalla Cina mi evita come la peste!” protestò il ragazzo, balzando in piedi.
“Capisco…”
“Cosa capisce? Faccia capire anche a me, perché io non ci sto capendo più niente, nonnetto!” sbottò Chat Noir, accasciandosi sulla poltrona con fare esausto.
“Cosa ti ha detto di Tikki, esattamente?” chiese Fu.
“Cheeee… si sta riprendendo!”
“Mh. Mi spiace, ma non è così.” Asserì con voce grave il maestro. “In realtà, Tikki sta morendo.”
A quelle parole, Chat Noir balzò nuovamente in piedi, impallidendo.
“Come sarebbe a dire? Marinette mi ha detto che…”
“Marinette si sta nascondendo dietro un muro di bugie per non ferire nessun altro oltre a sé stessa, Adrien” disse il Maestro e, con uno schiocco della dita, sciolse la trasformazione di Chat Noir, richiamando anche Plagg nella stanza.
“Ma è terribile Maestro! Tikki non può morire!” trasalì il piccolo kwami nero, allarmato.
“Esattamente, Plagg…” sospirò il maestro “Se Tikki muore, l’equilibrio delle forze della natura verrà incrinato in modo irreparabile. Per questo Marinette è alla ricerca della Fonte, una sorgente di energia rigenerativa che permetterà a Tikki di rimettersi completamente in forze. Dobbiamo pregare affinché ci riesca, perché altrimenti… la soluzione diventerebbe drammatica.” Spiegò il Maestro, preoccupato.
“Ma Maestro, un kwami può passare la propria energia ad un altro kwami, non è vero?” domandò Plagg, preoccupato.
“Certo, Plagg, ma il potere di Wayzz non è sufficiente per ridare energia a Tikki, che è il kwami più potente di tutti insieme a te.”
“Beh, se è così prenda lui!” asserì Adrien, afferrando Plagg per la collottola e porgendolo al Maestro.
“Ahimè, non è possibile mischiare il karma della Fortuna con quello della Sfortuna. Non si può fare, mi dispiace” abbassò lo sguardo il Maestro, scostando Plagg con fare infastidito.
“E quindi Maestro Fu, cosa farà? Lascerà morire Tikki?” domandò Plagg.
“No, assolutamente, in quanto Maestro ho giurato di dare la vita pur di proteggere l’equilibrio degli elementi. Se solo la mia forza vitale non fosse ormai così avvizzita e stanca, avrei donato la mia vita per salvare quella di Tikki” continuò Fu, demoralizzato.
“La sua… vita?” domandò Adrien, sedendosi nuovamente sulla poltrona. Ora che la trasformazione era annullata, si sentiva stanchissimo e i sintomi della sbronza ricominciavano a farsi sentire più forti di prima.
“Già, Adrien. Un kwami può essere riportato in forze tramite il sacrificio di una vita umana, il cui spirito sia particolarmente forte e ricco di energia, ecco perché…” sospirò il Maestro, fissando Adrien intensamente negli occhi. “…ecco perché se Tikki non dovesse farcela, se non riuscissimo a trovare la Fonte in tempo, sarà Marinette a donare la propria vita per salvare quella della sua piccola kwami. Ecco perché non tornerà più ad essere Ladybug: perché si sacrificherà affinché possa esserlo qualcun altro”.
Adrien aprì la bocca, avvertì una nausea devastante risalirgli la gola, richiuse le labbra, le riaprì e le richiuse. Percepì il sangue ritrarsi dai capillari del viso, il sudore freddo iniziò a imperlargli la fronte, la gola si fece secca e impastata. Si alzò barcollante, vittima di una sensazione inspiegabile: rabbia, shock, paura, freddo, caldo, nausea, orrore, ansia, impotenza, debolezza, devastazione, inettitudine…
“Adrien, forse è meglio che tu ti sdrai un attimo” lo invitò il Maestro, avvicinandosi al ragazzo che intanto si era alzato in piedi.
Barcollante e pallido, Adrien si avvicinò alla finestra: aveva bisogno di aria fresca, aveva bisogno di uscire da quell’ennesima scatola di Schroedinger in cui si era infilato… aveva bisogno di capire se era vivo o morto.
“No… stammi lontano… com… come puoi…” ancora quella sensazione di soffocamento, come se qualcuno gli stesse premendo un pezzo di cellophane in faccia “…come puoi chiederle di far…e… questo… io non lo… permett…”
“Adrien, sdraiati.”
“NO! STAMMI LONTANO!”
“Non te lo sto chiedendo, Adrien. Fallo e basta.”
Con un rapido movimento, il Maestro aggirò il ragazzo e, approfittando dei suoi sensi offuscati dall’alcol, lo stese con un colpo da “maestro”.
Tutto ciò che Adrien percepì fu un potente colpo al collo, il pavimento duro sotto di sé e poi il mondo venne inghiottito dall’oscurità, come se qualcuno lo stesse rinchiudendo in una scatola.
 


Il risveglio fu strano. Un brusio fastidioso l’aveva destato. Non ricordava di aver dormito né di aver sognato. Era come se fosse andato in stand-by per un po’ di tempo, non riusciva a quantificare quanto. La testa gli faceva malissimo, una massa dolorosa e pesante appoggiata al suo collo, di cui non riusciva a ricordare l’utilità. Era sdraiato a terra, ma il pavimento sotto di lui era morbido, ed era avvolto da qualcosa di caldo. Gli ci volle qualche secondo per capire di essere adagiato su un futon, e gli ci volle un lieve movimento del collo, seguito da un forte dolore alla cervicale, per ricordare che il Maestro Fu l’aveva mandato a tappetto. Quel vecchietto se la cavava ancora egregiamente.
Adrien chiuse gli occhi e finalmente riuscì a capire cosa fosse quel brusio fastidioso: erano delle voci, una maschile e una femminile, che in un tono sommesso sembrano discutere al di là della porta della camera.
“Ubriaco? Ubriaco?! E si può sapere cosa è venuto a fare qui?!”
“Marinette, sono sicuro che se fossi stata sincera fin dall’inizio con lui...”
“Sincera?! Come avrei potuto esserlo?! Oh, guarda Adrien che se Tikki non si risveglia ho deciso di sacrificarmi per la causa. Non penso che l’avrebbe presa benissimo. O forse sì, non lo so, ma non credo...”
“Beh, ad ogni modo la situazione va gestita diversamente... tu e Chat Noir siete comunque una squadra, dov—“
“No! No Maestro Fu! Forse prima sì, ma ora che so che Chat Noir è Adrien... beh, semplicemente no!”
“Marinette, io capisco...”
“No, lei non capisce, Maestro... avrebbe dovuto interpellarmi prima di spifferare tutto ad Adrien!”
“Beh, onestamente dato il livello alcolico nel suo sangue, non mi stupirei se domattina non si ricordasse più nulla...”
Marinette tirò un profondo sospiro e, senza aggiungere altro, aprì lentamente la porta scorrevole che portava alla camera da letto. Adrien chiuse immediatamente gli occhi, fingendo un sonno profondo.
Il ragazzo percepì l’amica richiudere la porta, per poi avvicinarsi a lui con passi leggeri. L’avvertì inginocchiarsi al suo fianco, la sentì sospirare, percepì la sua piccola e delicata mano accarezzargli con dolcezza i capelli biondi. Quel contatto fu troppo.
Con uno scatto felino, Adrien la afferrò per le braccia e, con uno strattone, la attirò a sè, contro il suo petto, stringendola in un’abbraccio stritolante.
“A-ADRIEN?!” sobbalzò lei, imbarazzata.
Allarmato dall’urlo, il Maestro Fu aprì la porta, paralizzandosi però immediatamente non appena vide i due sdraiati uno sopra l’altro.
“Scusate. Fate pure con comodo.” Si congedò, richiudendosi la porta alle spalle.
“M-MAESTRO FU?!” trasalì Marinette, imbarazzatissima. “A-Adrien, cosa ti prende?!”
“Non ti lascerò andare ancora” le sussurrò Adrien, stringendola ancora più forte, un braccio intorno alle spalle e uno intorno all’esile vita.
Il corpo irrigidito di Marinette iniziò a lasciarsi andare lentamente, sciogliendosi nell’abbraccio del ragazzo e lasciando che la sua testa si appoggiasse sulla spalla di Adrien.
Il ragazzo non riusciva a guardarla in faccia da quella posizione, riusciva solo a percepire il dolce profumo dei suoi capelli e il petto della compagna stretto contro il suo, i loro cuori che battevano all’unisono.
“Adrien, io...” cercò di dire Marinette, ma Adrien la zittì dolcemente, facendo scorrere la mano dalla spalla verso il collo, risalendo dolcemente verso la nuca per accarezzarle i capelli. Percepì la ragazza gemere lievemente, il suo corpo longilineo scosso da un tremito, e la cosa non poté che rassicurarlo, spingendolo a non mollare la presa.
“Va tutto bene, Marinette. Non ti permetterò mai di sacrificarti per Tikki, non dopo quello che è accaduto per colpa mia. Domattina ci metteremo alla ricerca della Fonte e sono sicuro che andrà tutto bene. Non ti lascerò più fuggire via. Troveremo la Fonte, lo faremo insieme, come abbiamo sempre fatto. Nulla deve più dividerci, siamo fatti per combattere insieme, fianco a fianco. Senza di te non sono nulla, né da Chat Noir, né... da Adrien” le sussurrò dolcemente il ragazzo, percependo le calde lacrime di Marinette ricadergli sul collo e sulla maglietta. “Ti prego, torna a fidarti di me... my Lady.”
Marinette non rispose. Dopo qualche secondo passato in silenzio, la ragazza si limitò a sollevare leggermente la testa e ad avvicinare il suo volto a quello di Adrien.
Il ragazzo trasalì non appena avvertì il respiro caldo di Marinette sulle sue labbra.
“Adrien...” sussurrò Marinette, esitando un attimo prima di proseguire.

 


Ciao. Non odiatemi. <3 
Scusate il ritardo nell'aggiornare ma è stata una settimana lavorativa intensa (sob).
Spero di aggiornare al più presto. Grazie grazie a tutti per le vostre recensioni :3
Luv u!

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Capitolo 4
*** Chapitre 4. ***


CHAPITRE 4.
 
Quel dolce torpore la avvolgeva in un caldo abbraccio, uno stato di benessere completo. Lì era al sicuro, lì era felice, lì andava tutto bene. Eppure lo sentiva arrivare, il momento del risveglio. Ma Marinette non voleva, e lottava con tutta se stessa contro il suo subconscio dormiente per impedirgli di risvegliarsi. Eppure, alla fine arrivò.
Nell’istante stesso in cui le sue palpebre si aprirono, quel conflitto interiore col suo io dormiente era svanito dalla sua memoria, come un alito di fumo. Spaesata, si guardò attorno: quella non era la sua stanza. Man mano che cercava di recuperare frammenti di memoria, Marinette si voltò leggermente per ritrovarsi a pochissimi centimetri di distanza dallo sguardo sorridente di Adrien che, sornione, la contemplava da chissà quanto tempo.
Marinette sobbalzò spaventata e saltò all’indietro, coprendosi con le coperte del futon: da quanto tempo Adrien la stava guardando? Aveva sbavato mentre dormiva? Aveva parlato nel sonno? E se invece avesse russato come un trombone? Non poteva davvero credere di aver dormito con Adrien. Aveva dormito con Adrien. Abbracciata a lui. Non riusciva ancora a crederci. Come aveva fatto a prendere sonno in una situazione come quella?
Adrien tentò di tirarsi su a sedere con aria spavalda, ma non appena la sua testa ebbe lasciato il cuscino, il ragazzo si lasciò ricadere sul futon, lasciandosi sfuggire un lamento sofferente e portandosi entrambe le mani alla testa.
“Oddio… ma cosa mi è successo… mi ha investito un camion?” si lamentò Adrien, coprendosi il volto con le mani.
Marinette fissava sbalordita il ragazzo sdraiato sul futon: aveva i capelli arruffati ed i vestiti tutti stropicciati, sembrava essere scampato a un uragano. Non sembrava il suo Adrien Agreste, quello sempre perfetto ed impeccabile, eppure era lui. La ragazza non poté fare a meno di sorridere. Del resto, l'aveva avvisato la sera prima:
 
“Adrien...” sussurrò Marinette, esitando un attimo prima di proseguire. "Domani ti pentirai di aver bevuto così tanto".
 
Per un attimo, tutto era svanito: quella giornata, il tradimento, Chat Noir… era solo Adrien, come un tempo. La ragazza si inginocchiò sorridendo e gli tese la mano.
“Coraggio, alzati… dopo un bel caffè ti passerà tutto!”
Adrien fece forza sul gomito e si tirò su, afferrando la mano della ragazza. Quel contatto fece sobbalzare Marinette: era la stretta di mano di Chat Noir, l’avrebbe riconosciuta ovunque. Le vennero improvvisamente in mente tutte le volte in cui Ladybug e Chat Noir si erano presi la mano, sempre e solo per aiutarsi, e d’istinto le venne da ritrarsi, pallida in volto.
“No, aspetta!” sobbalzò Adrien, non appena percepì la mano della ragazza scivolare via dalla propria.
Con agilità, il ragazzo strinse la manina minuta di Marinette e, d’istinto, se la portò al petto, stringendola nella propria.
“Scusami, scusami… non scappare ancora, ti prego…”
“Ecco, io…” tentennò lei, in difficoltà.
“Io ti prometto che troveremo la Fonte, la troverò io, e salverò Tikki, e tutto tornerà come prima, te lo giuro.”
“Non fare promesse che non puoi mantenere, Adrien” sussurrò Marinette, abbassando lo sguardo, dispiaciuta. “Non abbiamo indizi su dove si trovi la Fonte.”
“Se è qualcosa di tanto importante per i kwami, allora ho un’idea di dove andare a cercare indizi” asserì lui, serio “mio padre è sempre stato ossessionato dai Miraculous, scommetto che nel suo studio possiamo trovare qualcosa di interessante.”
Man mano che parlava, gli occhi di Adrien si riempivano di una nuova luce: era davvero convinto di quello che stava dicendo, e più ci pensava, più si convinceva che fosse una buona idea.
“Forza, andiamo Marinette!” asserì il ragazzo, alzandosi con scatto felino dal futon dove fino a pochi minuti prima giaceva morente.
Prese la mano della ragazza e si precipitò di corsa fuori dalla casa del Maestro.
“Aspettami Adrien!” urlò Plagg, lanciandosi all’inseguimento del padrone.
“Divertitevi ragazzi!” li salutò il Maestro, sorseggiando con calma del the verde, seduto su un cuscino.
“Ma come maes—ahhhh Adrien, vai piano!” urlò Marinette, ma ormai era già giù dalle scale dell’edificio.

 

Quando mai aveva deciso di dare retta a Nino. Quando mai aveva deciso di lanciarsi fuori da quella casa senza prima aver bevuto un buon caffè. Adrien si appoggiò al vetro dell’autobus e fissò il suo riflesso nel finestrino: volto pallido, occhiaie, nausea galoppante.
Quando mai aveva deciso di fidarsi di Papillon…
La nausea si fece più forte.
Il ragazzo si alzò di scatto senza dire nulla, prese Marinette per un braccio e la trascinò giù dall’autobus non appena le porte si aprirono alla fermata seguente.
“Ma… casa tua è ancora lontana!” protestò la ragazza, fissando Adrien che, piegato sulla ginocchia, si impegnava a non rimettere tutto quello che aveva in corpo.
“Andiamo a piedi, ti prego…” si lagnò lui, sofferente.
Marinette incrociò le braccia, fissandolo perplessa - e nascondendo a fatica un'espressione divertita.
“Si può sapere cosa ti è preso? Ubriacarti a quella maniera con Nino? Non me lo sarei mai aspettata da te, Adrien…” sospirò la ragazza.
“Ma da Chat Noir sì, non è vero?” sorrise Adrien divertito, sollevandosi leggermente.
“Sì, in effetti da lui sì” sorrise Marinette. “Com’è possibile che tu e lui abbiate un carattere così…”
“Ehi, ferma, potrei farti la stessa domanda!” la interruppe Adrien, prendendo a camminare verso casa sua con le mani in tasca.
“Ehi, io non sono così diversa da Ladybug!” protestò Marinette, iniziando a seguirlo.
“Ah no?” ridacchiò Adrien “Mi sembrava che Ladybug fosse molto più spavalda di te!”
“Dietro ad una maschera siamo tutti più spavaldi. Non si devono fare i conti con le conseguenze nella vita reale” borbottò Marinette, seriamente.
“Hai ragione” asserì lui, pensieroso “Però una volta ogni tanto bisogna avere il coraggio di fare ciò che si vuole anche nella vita reale. Vieni, attraversiamo” così dicendo, Adrien afferrò la mano di Marinette e attraversò improvvisamente il semaforo alla loro sinistra.
“Dove andiamo?” domandò la ragazza, sorpresa, mentre guardava le ampie spalle di Adrien che, stringendole ancora la mano, camminava a passo spedito davanti a lei.
Da quella posizione, Marinette non poteva vedere che il viso di Adrien stava ricominciando ad acquistare colore: aveva girato in quella via solo per avere una scusa per prenderle la mano e la cosa lo imbarazzava profondamente. Alla faccia del ‘bisogna avere il coraggio di fare ciò che si vuole anche nella vita reale’, Adrien Agreste. Pensò lui, stringendo ancora più forte la mano della ragazza nella sua. La riconosceva: era proprio la mano della sua Ladybug.

 
 
Finalmente casa Agreste sbucò all’orizzonte. Finalmente, pensò Marinette, perché andare in giro mano nella mano con Adrien le aveva fatto un effetto sconvolgente. Era accalorata da impazzire, si sentiva il volto in fiamme e il cuore balzarle fuori dal petto. Non importava che Adrien e Chat Noir fossero la stessa persona: faceva ancora fatica ad unire il volto di Adrien a quello del suo compagno di avventure. Per ora, lui era ancora solo Adrien. E anche i suoi ormoni sembravano pensarla così.
Il cielo doveva aver ascoltato le sue preghiere perché, mentre i due camminavano silenziosamente mano nella mano, dei nuvoloni temporaleschi si erano ammassati sopra le loro teste. Un tuono rombò nel cielo e, come se fosse stato il colpo di pistola che dava inizio ad una gara, la pioggia prese a scrosciare immediatamente, con una potenza incredibile.
“Ma che problema abbiamo noi due con la pioggia?” sospirò Adrien, inzuppandosi all’istante.
“Non me lo dire” sospirò anche Marinette, fissando incredula la quantità di pioggia esagerata che stava cadendo dal cielo.
I due presero a correre verso la casa di Adrien, i cui cancelli si aprirono all'istante non appena lo videro rientrare.
I due ragazzi si chiusero il portone alla spalle, appoggiandosi contro e inzuppando di acqua tutto il pavimento intorno.
Plagg stava già per sgattaiolare fuori dalla camicia di Adrien per protestare, ma in quel momento Nathalie arrivò correndo.
"Adrien, santo cielo! Dove sei sparito?! Avevo chiamato anche la polizia!" Sospirò la segretaria, allarmata "Temevo che ti avessero rapito o che ti fosse accaduto qualcosa di terribile...!"
"Mi spiace Nathalie, sono andato ad una festa e si è fatto tardi, così mi sono addormentato a casa di Nino..." Si scusò Adrien, sentendosi davvero in colpa per lo spavento che aveva fatto prendere a Nathalie.
La donna sospirò sollevata e il suo sguardo freddo si posò su Marinette, la cui camicetta inzuppata era diventata trasparente, lasciando intravvedere un simpatico reggiseno bianco con pizzo e puntini neri.
"Forse dovreste andare a farvi una doccia e a cambiarvi con dei vestiti asciutti" la fulminò la segretaria.
Marinette seguì lo sguardo di Nathalie e, non appena si accorse della trasparenza, si coprì al volo, incrociando le braccia al petto.
Adrien sbirciò d'istinto, per poi scostare lo sguardo e grattarsi il capo imbarazzato.
"Ehm, vieni, andiamo in camera mia che c'è la doc..." Ma il ragazzo venne immediatamente sedato da Nathalie, che lo bloccò dividendo i due con un braccio.
"Marinette ha a disposizione la camera degli ospiti. Le farò asciugare i vestiti nel frattempo. Non c'è bisogno di creare situazioni ambigue e poco appropriate. Hai già combinato abbastanza guai per oggi." lo rimbeccò la segretaria, afferrando Marinette per le spalle e guidandola di forza verso la stanza degli ospiti.
La ragazza venne condotta in un'enorme camera da letto, arredata con uno stile minimal ma elegante, pareti bianche e parquet nero. Al centro della stanza, un letto matrimoniale molto semplice era ricoperto da lenzuola nere. Era una stanza molto impersonale e quello stile impeccabile non poté fare a meno di ricordarle la freddezza di carattere di Gabriel Agreste.
"Lasci pure gli abiti bagnati fuori dal bagno, provvederò a farglieli lavare e asciugare il più velocemente possibile" le disse Nathalie, richiudendosi la porta alle spalle, senza lasciarle modo di ribattere.
Marinette sospirò, ancora confusa da quella frenesia che l'aveva investita non appena aveva varcato la soglia di quella casa. Un brivido di freddo le risalì lungo la schiena, facendola starnutire, così decise di infilarsi nell'immenso bagno privato della stanza – che era grande quando il suo salotto e la sua cucina messe assieme. La ragazza lasciò gli abiti sul letto e poi si infilò nel bagno, per godersi il dolce tepore dell'acqua calda. La doccia la riscaldò completamente e la fece rilassare: nel frattempo, Marinette cercava di fare chiarezza nei suoi sentimenti. Il suo stato d'animo era terribilmente diviso tra il senso di rabbia incontrollabile che provava per il tradimento di Chat Noir, il dolore per il sacrificio di Tikki e l'amore per Adrien. Da un lato, riusciva a capire perché Adrien si fosse fatto trarre in inganno da Papillon; non poteva biasimarlo. Dall'altro, la rabbia per ciò che era accaduto a Tikki continuava a farla star male e a colmarla di odio, come se un pugnale avvelenato le si fosse piantato nel cuore, ma anche di sensi di colpa. Se non avesse esaurito tutto il suo potere in quell'ultimo, estremo attacco... se avesse trovato un altro modo...  se solo Chat Noir l'avesse aiutata.
La ragazza scosse la testa e si rannicchiò ai piedi della doccia, stringendosi le braccia al petto e cercando di fare chiarezza nei suoi sentimenti.
 


Adrien camminava avanti e indietro preda dell'agitazione. Si era fatto una doccia veloce e si era cambiato con degli abiti asciutti, e ora era prigioniero nella sua cameretta in attesa che Nathalie gli riportasse Marinette.
"Sei nervoso perché finalmente resti da solo con la tua bella in camera?" Domandò Plagg, appoggiandosi con fare esausto alla spalla di Adrien "Vorrei solo farti notare che, mentre tu ti crogioli nei tuoi patemi adolescenziali, qui io muoio di fame. Sarà da due giorni che non mangio del buon Camembert!"
"Ma se l'hai mangiato ieri! E comunque non sono preda dei patemi adolescenziali, sto solo pensando alla Fonte. Sappi che mi servi per aprire la cassaforte di mio padre."
"CA-MEM-BEEERT!" Piagnucolò Plagg, accasciandosi al suolo con aria melodrammatica.
"Ehi, ma a Tikki non ci pensi, razza di egoista?" Sbottò Adrien, tirando su il suo kwami per la collottola.
"Ma io sono esausto!"
"D'accordo, ti prenderò del Camembert, ma dopo andremo a sfondare quella stupida cassaforte per vedere se scopriamo qualcosa. Non mi darò pace finché non rimedierò al danno che ho combinato."
Proprio mentre Adrien apriva la porta della camera per raggiungere la cucina, il ragazzo si trovò davanti Marinette, che lo fissava dispiaciuta.
"Cosa ci facevi qui fuori?" Sobbalzò Adrien, preso alla sprovvista. Aveva sentito tutto?
"Stavo per bussare, solo che ti ho sentito discutere con Plagge... scusami" si scusò la ragazza, abbassando lo sguardo sconsolata.
"No, ma no, figurati! Dobbiamo fare una tappa in cucina per ricaricare Plagg e poi possiamo andare a svaligiare casseforti. Andiamo?" Le propose Adrien, porgendole la mano e sperando che lei gliela stringesse.
Marinette la fissò per qualche secondo, prima di appoggiare la sua delicata manina su quella del ragazzo, che gliela strinse con forza. Il cuore di Adrien perse un battito, poi si riscosse e, senza aggiungere altro, accompagnò la ragazza verso la cucina.
Una volta giunti in cucina, Adrien avvertì uno strano rumore. Si girò verso Marinette, che si era stretta lo stomaco imbarazzata, e capì subito che si trattava del suo stomaco. Scoppiò a ridere divertito e si diresse verso l'enorme dispensa: effettivamente, non avevano ancora fatto colazione e pure (anche) lui era affamato – nonostante la nausea non gli fosse ancora del tutto passata.
"Croissant?" Chiese il ragazzo a Marinette, che annuì lievemente. "Non saranno buoni come quelli di tuo padre, ma... è già tanto che ci siano dolci da mangiare in questa casa, quindi non lamentiamoci."
"Non riesco ad immaginarmi una casa senza dolci" pensò ad alta voce la ragazza.
"Perché sei abituata bene!" Sorrise Adrien amaramente, versando una tazza di caffè a Marinette. "Qui sono sempre stato solo io, sia a pranzo che a cena, nel frigorifero solo pasti ipocalorici. Spero tu capisca perché ho dato di matto" si azzardò a dire, sperando che lei apprezzasse la battuta. Doveva cercare di smorzare quell'insopportabile tensione tra di loro in qualche modo.
Marinette ridacchiò leggermente, sorseggiando con calma il caffè e azzannando la brioche: il suo ripieno esplose immediatamente, macchiandole volto e camicetta di cioccolato.
"Non ci posso credere" mugugnò la ragazza incredula, mentre Adrien si ammazzava di risate. "Smettila di ridere, Nathalie aveva appena lavato tutto, mi prenderà per un'idiota!"
In quel momento, neanche a farlo apposta, la segretaria entrò in cucina. Rapidamente, Marinette si nascose dietro Adrien, fingendo un'aria spensierata.
"Ragazzi, io vado in azienda. Sicuro di non voler venire, Adrien?" Gli domandò Nathalie, scrutando i due con aria sospettosa.
"Tranquilla, mi fido di te, Nathalie!" La salutò Adrien, sorseggiando con nonchalance il suo caffè.
"Buona giornata, allora. E vedete di studiare un po' insieme, che i tuoi voti stanno peggiorando."
"Sarà fatto, signora!"
Finalmente, Nathalie se n'era andata. Adrien si voltò e non appena vide Marinette ancora sporca di cioccolato non poté fare a meno di riscoppiare a ridere.
In quel momento, Adrien allungò un dito per togliere un po' di cioccolata che era finita sul volto di Marinette, e quel contatto, così simile ad una carezza, li fece sussultare entrambi. La ragazza si paralizzò, lasciando che le dita di Adrien tracciassero il profilo delle sue labbra. 
"Marinette, io..." Sussurrò il ragazzo, fissando con intensità la bocca rosea di Marinette.
"BENE, SONO PROOOONTO!" Lì interruppe Plagg urlando, apparendo all'improvviso tra di loro e facendoli trasalire. I due si allontanarono all'istante, rossi in volto e imbarazzati. "Ehi, che succede, non avevamo fretta di aprire la cassaforte?" Domandò il kwami, dubbioso.
"Sì, sì... andiamo..." Sospirò Adrien, un po' scocciato.

 
 
Marinette trattenne il fiato mentre Adrien spostava l'enorme dipinto di sua madre che si ergeva nell'ampia stanza. Era un dipinto incantevole: la signora Agreste veniva rappresentata come in un quadro di Klimt e la sua bellezza sembrava illuminare l'ambiente circostante.
Dietro all'enorme quadro, stava un piccola cassaforte: Plagg vi si lanciò dentro, smaterializzandosi e aprendola dell'interno. I due ragazzi rovistarono un po' tutto ciò che si trovava all'interno: un libro riguardante il Tibet, una serie di libri e di cataloghi, una foto della signora Agreste.
Marinette stava qualche passo indietro: nonostantesapesseche quella cassaforte nascondeva i segreti di Papillon e che uno di questi poteva aiutarla a salvare Tikki, non le piaceva l'idea di rovistare in cose tanto private. Così, mentre Adrien trafficava con quegli antichi manuali, la ragazza si concesse un'altra occhiata al quadro della signora Agreste: era davvero splendida.

"È questa!" Esultò Plagg, ad un certo punto.
"Cosa?" Domandò Adrien, che aveva preso in mano un tomo piuttosto antico, tutto scritto in cinese. Il ragazzo cercava di tradurre qualcosa grazie alla sua conoscenza approfondita del cinese, ma la lingua di quel manoscritto pareva essere piuttosto arcaica.
"Sì, non lo vedi? È questa qua la fonte!" Disse Plagg, indicando un'immagine realizzata a mano che rappresentava un grande trono fatto di pietre e cristalli dalle tinte violacee.
"Sobrio" commentò Marinette, fissando perplessa quell'immagine: certo che se a Parigi o in Europa ci fosse stato un trono di quelle dimensioni, interamente realizzato in pietra simile ad ametista, qualcuno l'avrebbe saputo.
Adrien però non sembrava convinto. Continuava a fissare il trono con aria concentrata.
"Queste pietre... mi ricordano qualcosa..."
"Sembrano delle pietre di ametista. Sono molto comuni nei negozi, forse è per quello" sospirò Marinette.
"Forse hai ragione. Magari bastano delle semplici pietre di ametista..."
"No, no, devono essere le pietre del trono di Nüwa, ovvero questo qui" asserì Plagg con convinzione.
"Bene, dai, almeno abbiamo un indizio!" Sorrise Adrien, chiudendo il libro e sorridendo a Marinette. "Forse con un po' di impegno e un dizionario di antico cinese, ce la posso fare a tradurre qualcosa!"
"Lo spero tanto..." Sorrise leggermente la ragazza: nel giro di qualche ora Adrien aveva già scoperto molto più di lei in due settimane. Doveva ammetterlo: Adrien era incredibile.
Nonostante ciò, dopo 6 ore di traduzione, Adrien era riuscito a tradurre sì e no qualche parola a casaccio. Lei si era limitata a ciondolare in giro per la sua cameretta, con un misto di timore reverenziale e incontrollabile curiosità. Aveva fatto ricerche disperate su internet, cercando di scoprire qualcosa sul trono di Nüwa, ma invano. Aveva curiosato tra le sue riviste di design e di moda, aveva letto qualcuno dei suoi fumetti, aveva scorso tutte le riviste in cui era comparso. Di tanto in tanto si incantava a guardarlo: assorto com'era nella traduzione, sembra essersi isolato in una dimensione lontana in cui non poteva sentire nessuno.
Mentre mangiucchiava una pizza in cucina per pranzo, Marinette aveva chiacchierato con Plagg e gli aveva raccontato di cosa aveva fatto quei mesi in Cina, lui l’aveva rassicurata dicendole che Tikki era sempre stata la più forte di tutti i kwami.
Dopo aver dato un'occhiata ad un paio di riviste, Marinette si era addormentata sul letto di Adrien, mentre lui continuava la sua lunga opera di traduzione.

 
 
Adrien richiuse lentamente il libro sulla scrivania, stiracchiandosi stancamente. Guardò fuori dalla finestra: ormai era sera.
"Accidenti... non so neanche cosa diavolo sto traducendo..." Sospirò, voltandosi verso Marinette, addormentata sul letto.
Il ragazzo sorrise dolcemente, prese il libro e si mise a sdraiare accanto a lei sul letto. Era sicuro che averla vicina gli avrebbe portato fortuna: del resto era la sua coccinella.
In quel momento, Marinette si svegliò lentamente, appoggiando con aria assonnata la sua mano sul braccio del ragazzo.
"Hai scoperto qualcosa?"
"Macché..." Sospirò lui, tirando su il libro per appoggiarlo al comodino. In quel momento, un foglietto di carta volò fuori dal libro, finendogli in faccia. "Ma cos...?"
"Lucky Charm!" Esultò Marinette ridacchiando, afferrando il foglietto apparso all'improvviso e leggendolo con Adrien.
 
Ciò che è sepolto, possa vivere per sempre. Ciò che vive per sempre, non conosca sepoltura.
 
"Lugubre" commentò lei.
"Inquietante" disse lui "Però... è la scrittura di mio padre. E questa parola, sepoltura... l'ho trovata sulla pagina della Fonte, uno dei pochi ideogrammi che ho tradotto!"
"E quindi?"
"E quindi... non lo so?" Sorrise Adrien. "Ma dammi tempo, scoprirò qualcosa."
"Okay. Però fermati per oggi. È quasi notte ormai e non hai neanche pranzato."
"Tu sei andata 3 mesi in Cina, direi che una notte in bianco non è nulla in confronto."
"Sì, ma..."
"Non preoccuparti" la interruppe lui, piazzandole un bacio sulla fronte che la lasciò senza parole. "Ordina pure qualcosa per cena! Io continuo ancora un po', my Lady!"
Adrien fece per alzarsi, ma percepì le mani di Marinette afferrarlo per il braccio, trattenendolo sul posto. La sentiva vicina, tanto da farlo stare male. Gli mancava quella vicinanza, l'averla tutta per sé, come ai vecchi tempi in cui stavano insieme solo loro due a fare guai per le strade di Parigi.
Adrien si voltò di scatto e se la ritrovò lì, il suo volto a pochi centimetri di distanza dal suo, e non poté far nulla. In quel momento la vide, era così evidente: era sia Marinette che Ladybug, era fragile e forte, era impacciata e aggraziata, era tutto ciò che potesse desiderare. Il suo cervello si spense in automatico, come gli succedeva a volte da Chat Noir, e pensò solo all'azione.
Si sporse verso di lei e appoggiò le proprie labbra su quelle calde e morbide di lei: il contatto creò una scintilla che gli incendiò l'anima e ogni fibra del corpo. Dovette interrompere immediatamente quel contatto, perché aveva percepito un sentimento impetuoso nascergli dentro, qualcosa di così incontrollabile che l'aveva spaventato.
Ma Marinette non sembrava essere troppo d'accordo: la ragazza avvolse un braccio intorno al collo di Adrien e si avvicinò al suo volto per cercare ancora quel contatto. Il ragazzo cedette e la baciò ancora, questa volta più cautamente, attento a non perdere il controllo. Ma le mani di Marinette sul suo collo, che gli carezzavano dolcemente l'incavo della spalla e i capelli, le sue labbra soffici e carnose, il suo corpicino che si incastrava alla perfezione tra le sue braccia: sentiva di star per impazzire. Come poteva qualcosa che desideri così tanto farti così paura?
"Marinette... aspetta... aspetta..." La interruppe lui, allontanandosi lentamente.
"Oddio. Oddio." Si portò le mani sul viso Marinette. "Lo sapevo. Ho fatto schifo.”
“Cosa?” chiese Adrien, perplesso.
“Lo so, lo so. È che io non ho mai… scusa… lo sapevo. Ti ho morso? Bacio come un lama? Sono negata, non è vero?”
“No. No…! Davvero, non è nulla di tutto questo…” ridacchiò Adrien, conquistato dalla sua aria imbarazzata e agitata. “No, è… colpa mia, davvero.”
“Lo dicono sempre tutti i ragazzi per scaricare una ragazza.”
Adrien le sorrise e si sporse, baciandola sul collo dolcemente. “No, è davvero colpa mia... devo lavorare un po' sul mio autocontrollo."
"A-Autocontrollo...?"
"Sì, autocontrollo" le sorrise lui maliziosamente, alzandosi dal letto con uno scatto felino "Pizza o cinese?" Le chiese poi, afferrando il suo smartphone.
Marinette sorrise imbarazzata e si alzò dal letto, tenendo stretto tra le mani il fogliettino caduto dal libro. Adrien lo fissò, rimettendo in moto il cervello dopo quel breve – ma intenso – momento di pausa.

 

In super ritardo come sempre. Scusatemi! Il prossimo credo sarà l'ultimo capitolo, spero di riuscire ad aggiornare presto... grazie a tutti voi che recensite e favvate la storia, come sempre. U_U
Luv u all, 
Luls <3

 

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Capitolo 5
*** Chapitre 5. ***


CHAPITRE 5.
 
La pioggia non aveva smesso di scrosciare un solo minuto da quando erano entrati nella residenza Agreste. Marinette stava seduta appoggiata al tavolo della cucina, masticando lentamente la sua fetta di pizza, mentre i suoi occhi erano inchiodati su Adrien che, con espressione corrucciata, era intento a leggere il fogliettino volato fuori dal libro ritrovato nella cassaforte del padre.
 
Ciò che è sepolto, possa vivere per sempre. Ciò che vive per sempre, non conosca sepoltura.
 
Adrien leggeva e rileggeva quel bigliettino, senza darsi un attimo di tregua. Lo leggeva, lo abbassava, fissava il soffitto sbuffando, faceva un giro della cucina, si infilava il bigliettino in tasca; dava un morso alla sua fetta di pizza, prendeva un sorso di coca-cola. Tirava fuori il bigliettino, lo leggeva e lo rileggeva. Lo abbassava. E ricominciava la sua routine. Marinette lo fissava come incantata, era quasi ipnotico il ritmo cadenzato con cui il ragazzo seguiva gli stessi identici passaggi. Inoltre, era il modo più comodo che aveva per distrarre la sua mente da quello che era successo poco prima in camera di Adrien: si erano baciati. Lei. E Adrien. Si erano baciati. E la cosa più assurda era che era stato tutto così naturale, e lei non si era agitata, e non aveva combinato danni. Si era immaginata quella situazione in mille modi diversi durante gli anni delle superiori, e in ogni simulazione la sua mente era già impostata per calcolare cosa sarebbe potuto andare storto e quante stupidaggine avrebbe potuto commettere. Invece era andata: così, dolcemente, tranquillamente, seduti sul suo letto. Dopo averci dormito insieme la notte prima. Beh, le cose non erano andate esattamente nell’ordine più ottimale, però non poteva nascondere una profonda felicità che le scaldava il cuore. Oltretutto, qualcosa le diceva che si stavano avvicinando alla Fonte: non poteva esserne sicura, ma quegli indizi trovati insieme, come avrebbero fatto da Ladybug e Chat Noir, le avevano acceso una speranza nel cuore. Sentiva i pezzi della sua anima ricomporsi lentamente, pezzo per pezzo.
“Adrien... forse dovresti fermarti a mangiare con calma” gli suggerì dolcemente lei, raggiungendolo e appoggiandogli la mano sulla spalla.
Lui le sorrise di rimando, mettendo il biglietto in tasca mestamente, e dirigendosi verso la pizza gigante che avevano ordinato poco prima.
“È che... ho un tarlo in testa che non mi dà tregua... ma non riesco a capire cosa sia” sbuffò il ragazzo, appoggiando i gomiti all’isola posta al centro dell’enorme cucina.
“Forse con un po’ di riposo lo capirai meglio. Dovremmo dormirci su. Sono sicura che domattina ci ragioneremo più lucidamente” lo incoraggiò Marinette, sorridendo. “Magari potremmo vederci a scuola e...”
“No!” la interruppe Adrien, d’istinto.
“No cosa?”
“No... non andiamo a scuola...” sorrise nervosamente Adrien, afferrando una fetta di pizza. “Potremmo stare qui a cercare una soluzione per Tikki. È vicina, me lo sento”.
“Okay, allora... ti raggiungo qui a casa tua domattina?”
“...meglio ancora, perché non ti fermi qui stanotte?” le chiese lui, regalandole uno speranzoso sorrisino alla Chat Noir.
All’udire quelle parole, il cervello di Marinette smise di funzionare. Una vampata di caldo le infuocò le guance e la bocca si spalancò, senza emettere alcun suono.
“N-non prenderla come una richiesta ambigua, è solo che... mi sento più tranquillo se resti qui con me... non so... avrei l’ansia di vederti sparire ancora e non riuscirei a chiudere occhio tutta la notte” le spiegò Adrien, stringendola la mano nella propria “So che non ho il diritto di chiederti nulla, Marinette. Ma ti prego, resta con me stanotte. Troveremo una soluzione. Faremo riprendere Tikki e dopo che sarà tutto sistemato... spero che mi darai la possibilità di farmi perdonare per il male che ti ho fatto”.
“Adrien, io... in verità... ti ho già perdonato... sono stata molto egoista a vomitarti addosso tutta la mia rabbia. C’era in gioco la tua famiglia, tuo padre, tua madre... forse nemmeno io sarei riuscita a ragionare lucidamente se mi fossi trovata nella tua situazione. Solo, ero troppo ferita per rendermene conto”.
“No, Marinette. Sono stato debole e non mi sono comportato come avrei dovuto. Mi sono fatto corrompere dall’oscurità, ma non succederà mai più. Farò ammenda per tutto, te lo prometto. Solo che ora, ho bisogno della tua forza. E non parlo della forza di Ladybug, parlo di quella di Marinette” le sorrise lui, stringendole con più forza la mano.
“Va bene, Adrien” sorrise lei di rimando, allacciando le sue braccia intorno al collo del ragazzo.
Adrien la abbracciò dolcemente, portando le sue labbra sul collo di Marinette per stamparci un dolce bacio che la fece rabbrividire. La ragazza tirò indietro la testa per incontrare lo sguardo di Adrien, ma lui si era già piegato per rubarle un altro bacio. Nonostante anche questa volta fosse giunto all’improvviso, questo sembrava un bacio completamente diverso dal primo: erano entrambi un po’ più consapevoli delle labbra dell’altro, sapevano già come gestire il flusso di emozioni che il gesto risvegliava in loro; era più controllato, più dolce, più assaporato. Durò finché il cellulare di Marinette non iniziò a suonare all’impazzata, il che accadde giusto poco prima che la porta d’ingresso si aprisse per annunciare il ritorno di Nathalie.
“Fiu, pericolo scampato per un pelo” le sorrise Adrien, regalandole un occhiolino malizioso, prima di correre dalla segretaria per trovare una spiegazione plausibile alla permanenza notturna di Marinette.
La ragazza sorrise di rimando, fissando poi lo schermo terrorizzata quando si rese conto dei mille messaggi senza risposta da parte dei genitori e della chiamata di suo padre che, vista la tarda ora e la cena saltata, probabilmente era in procinto di morire di crepacuore. Marinette prese un bel respiro, prima di rispondere e sorbirsi la (meritata) ramanzina.
 
Qualche ora più tardi, Alya, che era al telefono con Nino, ricevette un messaggio di Marinette che lesse ad alta voce al fidanzato: «Ciao Alya, ufficialmente sono a casa tua per stanotte. Reggimi il gioco. In realtà sono a casa di Adrien. Domani non veniamo a scuola. Ti racconterò tutto con calma! Baci baci».
“...sta scherzando, vero?” commentò poi l’amica, rileggendo il messaggio a bocca aperta.
Adrien scoppiò a ridere, divertito.
“Non posso credere che tu abbia davvero mandato un messaggio del genere ad Alya!”
“In realtà, a rileggerlo bene è venuto fuori più ambiguo di quanto non intendessi...” commentò fra sè e sè Marinette, rispondendo perplessa alla sfilza di messaggi con cui l’amica la stava tempestando. Decise di smettere di rispondere quando lesse «È successo qualcosa di interessante?! Vi siete baciati?!». Per quello avrebbe dovuto aspettare il racconto dal vivo.
“Dunque... ricapitoliamo la situazione” disse Adrien, sedendosi sul suo letto a fianco della ragazza e avvolgendole le spalle con un braccio “Abbiamo tempo solo fino a mezzanotte per finire la nostra ricerca per scuola prima che Nathalie venga qui per portarti nella camera degli ospiti. Dopodiché, domattina cercheremo un modo per bigiare scuola senza essere scoperti. Spero di convincere il mio autista a concederci una fuga d’amore senza spifferare tutto a Nathalie” sorrise infine, sornione.
“D’accordo, Adrien. Hai idee?”
“Uff... per ora continuerei le ricerche su internet. Se non troviamo nulla, domani potremmo andare a fare un tour per le biblioteche di Parigi. Che ne dici, my lady?”
“È un buon piano, gattino” sorrise lei, toccando le labbra sorridenti di Adrien con un dito.
 
Lui lo sapeva che quel tempo era prezioso e che avrebbe dovuto focalizzare l’attenzione sulla sua ricerca. Lo sapevano entrambi, ma visto che le informazioni su internet sembravano scarseggiare e la stanchezza aveva iniziato a farsi sentire, si erano ritrovati abbracciati a letto per riposare, e il riposo era diventato un piccolo bacio, e il piccolo bacio era diventato un bacio lungo e profondo, che era diventato sempre lungo; e ora erano avvinghiati a letto, preda di un raptus di passione che non sembrava avere fine, a scambiarsi una sfilza di baci intensi e infiniti, interrotti solo per prendere respiro. Con un braccio, Adrien teneva Marinette stretta al suo petto; l’altra mano, invece, era ben arpionata al letto per ordine del suo cervello. Autocontrollo, Adrien, autocontrollo. Eppure era così difficile mantenere la mente lucida, mentre i loro corpi erano completamente vittima dell’istinto, della passione, dei sentimenti; un’ondata di emozioni intense e fuori controllo che finalmente, dopo tanti anni, trovava finalmente un modo per essere espressa.
A mezzanotte precisa, Nathalie bussò alla porta, interrompendo le effusioni tra i due con un gemito infastidito di Adrien.
“Sì, tra un minuto apro...” si lamentò lui, tirandosi su a sedere sul letto insieme a Marinette, che si sistemava alla bell’e meglio capelli e camicetta, scombinati per quelle effusioni movimentate.
“Subito!” replicò secca Nathalie, che mal tollerava quella situazione.
“Allora, io vado di là...” esordì Marinette con voce tremante, le guance in fiamme. Era così imbarazzata e confusa da tutto quello che era appena successo, che si sentiva quasi stordita.
“Sì, my lady... per stanotte mi sa che è meglio così” la salutò Adrien, regalandole un bacio in fronte. “Vengo a svegliarti domattina”.
“Oh no! Potrei essere in uno stato inconcepibile...!” protestò lei, preoccupata.
“Adrien!” lo richiamò la segretaria.
“Arriviamo, arriviamo...” si lamentò il ragazzo, con un sospiro.
Di nuovo quel sogno.
Marinette era sicura di averlo già fatto in precedenza e ricordava nitidamente dove e quando.
Ma certo, quella volta, durante la battaglia contro Papillon.
Mentre era svenuta, era andata in un luogo lontano da lì.
In un campo di fiori inondanto di una luce calda, bianca e abbagliante.
La madre di Adrien era intenta a raccogliere un mazzo di margherite colorate, i lunghi capelli dorati accarezzavano le piante ogni qualvolta si piegava per raccogliere un bocciolo. Il lungo vestito bianco che quasi svaniva avvolto dalla luce candida.
Le aveva detto qualcosa, anche quella volta. Con una voce dolce, flebile, elegante. Quasi una eco lontana.
Portami Adrien.
No, le aveva risposto lei. Portarle Adrien significava portarlo alla morte e l’idea la terrorizzava.
Portami Adrien.
Cosa vuoi dire? Le aveva chiesto Marinette. Forse c’era un significato che le sfuggiva. Non poteva credere che sua madre lo volesse morto. Doveva esserci dell’altro, per forza.
Svegliati, Marinette, le aveva sussurrato la signora Agreste.
 
Marinette si svegliò di colpo, un fremito lungo la schiena. Si guardò intorno per capire dove fosse, e poi accese la luce dell’abat-jour.
Saltò giù dal letto – aveva un pigiamino molto carino, una specie di vestaglia rosa di raso che le aveva dato Nathalie e che le andava anche un po’ grande. Con passo felpato, aprì la porta e guardò il corridoio, per assicurarsi che fosse vuoto. Percorse quei corridoi infiniti col batticuore, spaventata dal più piccolo scricchiolio e da qualsiasi ombra ambigua. Raggiunse la camera di Adrien col fiatone, nonostante non avesse mai corso – la paura di incontrare Nathalie e di beccarsi una ramanzina inferocita le aveva fatto compagnia per tutto il tragitto. Decise di non bussare per non essere scoperta e si intrufolò molto lentamente nella stanza, richiudendo con cura la porta alle sue spalle. Raggiunse il letto matrimoniale dove il ragazzo riposava, saltandoci sopra e scuotendo lievemente le spalle del biondino, che dormiva con un sorrisino compiaciuto stampato in faccia.
“Adrien...!” lo richiamò lei un paio di volte, per poi vederlo destarsi con fare intontito.
“Mari...nette...” la chiamò lui, sbadigliando leggermente “...che piacevole sorpresa notturna” affermò poi, regalandole un sorrisino più che malizioso e afferrandola per la vita.
“NO, non hai capito!” ribatté la ragazza, arrossendo nella penombra. Le finestre di Adrien non erano coperte e la luce della luna, finalmente visibile dopo una giornata di tempesta, filtrava attraverso i vetri.  Il ragazzo l’aveva bloccata sopra di lui e ora si guardavano negli occhi. “Ho fatto un sogno strano”.
“Definisci ‘strano’...” le chiese Adrien, restando sdraiato e fissandola con sguardo perplesso.
“Vedi, non è la prima volta che lo faccio...” spiegò sottovoce Marinette “...ho sognato tua madre”.
“Mia madre?” la risposta della ragazza attirò l’attenzione del biondino, che le liberò la vita e si sedette immediatamente per poter guardare meglio il volto di Marinette.
“Sì... lei mi dice per due volte portami Adrien. E poi mi dice di svegliarmi, e ogni volta io mi sveglio. All’inizio le sue parole mi hanno spaventata, pensavo che intendesse dire che dovevi morire; ma comincio a credere che forse le sto interpretando male”.
Adrien fissò Marinette con sguardo serio e cercando di capirci qualcosa. Tutta quella faccenda stava assumendo delle pieghe assurde, ma non poteva fare a meno di pensare che ci fosse un collegamento logico, che per ora gli sfuggiva.
“Cerchiamo di ragionare... dove potrei vedere mia madre, a parte nei quadri e nelle fotografie che ho a casa?” sospirò lui, fissando la luna fuori dalle vetrate.
“So che è lugubre, ma... al cimitero? Alla fine è lì che fisicamente riposa...” si azzardò a proporre Marinette, con voce incerta.
“Sì, certo... sono stato solo il giorno del suo funerale alla sua tomba. Mio padre mi ha impedito l’accesso da allora. Da che ricordo, riposa in un grosso mausoleo che mio padre aveva fatto costruire per lei” Adrien sospirò. “È comunque un posto che vorrei visitare da tempo. Potremmo andarci domattina prima delle biblioteche. Che ne dici?” le propose Adrien.
“No, Adrien, andiamoci subito”.
 
Per fortuna, negli ultimi anni Adrien era diventato un esperto di fughe da casa sua. Dopo essersi trasformato in Chat Noir – non senza provocare una serie di sentimenti contrastanti nel cuore di Marinette – il ragazzo l’aveva presa in braccio e insieme erano volati fuori dalla finestra, diretti al cimitero nel quale riposava la signora Agreste.
“Di certo non è proprio il primo appuntamento che mi sarei aspettato per noi” sospirò Chat Noir, dopo essere atterrato all’interno del cimitero, ancora chiuso alle 3 di notte.
“E-effettivamente è un po’ lugubre, l’atmosfera...” asserì Marinette con voce tremante, riluttante all’idea di dover scendere dalle braccia del ragazzo e di dover camminare in mezzo a tutte quelle tombe immerse nell’oscurità.
“Eccolo, è laggiù” affermò Chat Noir con un sospiro, intravvedendo in lontananza l’enorme monumento funebre realizzato in marmi chiari che parevano risplendere illuminati dalla luna piena di quella notte – unica fonte di luce insieme ai lumini appoggiati alle lapidi.
I due ragazzi si avvicinarono con passo lento e con un contegno reverenziale al monumento funebre: si trattava di una specie di tempietto greco, con al centro una grande cancellata nera incastonata tra due alte colonne bianche in stile classico. Al di sopra dell’architrave, sorgeva una scritta illuminata dai raggi lunari:
 
Ciò che è sepolto, possa vivere per sempre. Ciò che vive per sempre, non conosca sepoltura.
 
Entrambi sussultarono nel leggere quella scritta e si fissarono senza proferire parola.
“È proprio ora che io vada da mia madre. Credo di essermi appena ricordato qualcosa di importante” affermò Chat Noir con espressione seria, avvicinandosi alla grande cancellata chiusa. Il ragazzo fece per aprirla, ma com’era prevedibile, era chiusa a chiave.
Marinette stava per chiedergli cos’avesse intenzione di fare, quando senza preavviso Chat Noir attivò il suo Cataclisma e distrusse la serratura della cancellata, forzando così l’apertura del cancello.
“Ma... Adrien!” trasalì Marinette, raggiungendolo. Stavano profanando una tomba in un cimitero di notte. La cosa stava cominciando a prendere una piega da film horror.
“La sistemerò più avanti, Marinette. Coraggio, ora tira fuori la torcia.” La incoraggiò il ragazzo con fare determinato, aprendole il cancello per farla entrare per prima.
La ragazza si armò di coraggio, accese la torcia che si erano intelligentemente portati da casa e varcò il cancello scuro, per entrare nel mausoleo. A differenza dell’esterno, gli interni erano stati fatti in marmo nero, creando un effetto di oscurità totale che sembrava inghiottirli. In fondo a questo tunnel scuro, sul pavimento apparve qualcosa di splendente. Una lapide in marmo bianco, rettangolare, con sopra una ricca iscrizione in oro, il nome della madre di Adrien, la sua data di nascita e di morte, una bellissima fotografia della defunta e una lunghissima poesia di William Wordsworth, She was a Phantom of Delight, scritta in corsivo e in oro. Tutto intorno, una corolla di pietre poco lavorate del colore dell’ametista incorniciavano il luogo del riposo di Emilie Agreste.
“Eccole Marinette... le pietre del trono di Nüwa. Le avevo viste solo una volta molti anni fa, non potevo ricordarmele. Ma per fortuna... sembra che ci abbia pensato mia madre ad aiutarci” sorrise il ragazzo, inginocchiandosi e accarezzando con un gesto amorevole la foto di Emilie. “Grazie, mamma”.
Gli occhi di Marinette si riempirono di lacrime e la ragazza si accovacciò dietro a Chat Noir, abbracciandolo da dietro e affondando il volto nella sua schiena. Forse sarebbero riusciti a salvare Tikki. Forse sarebbero riusciti a riportare tutto com’era prima. Forse sarebbero potuti tornare a salvare Parigi insieme. Quell’incubo era finito.
 
EPILOGUE.
Chloé strappo un fazzoletto a morsi mentre li vedeva uscire da scuola mano nella mano, sorridendosi a vicenda e chiacchierando amorevolmente. Era la scena più disgustosa che avesse mai visto prima di allora. In compenso, tutti i loro compagni li salutavano e li guardavano con aria soddisfatta. Una in particolare.
“AHHHH!” urlò Alya, saltando in mezzo a Marinette e Adrien, afferrandoli entrambi a braccetto con espressione adorante. “Questo è uno dei mesi più belli della mia vita! Prima voi due che finalmente decidete di darvi una svegliata e vi mettete insieme, poi Ladybug e Chat Noir che tornano alla ribalta... ah! È un sogno! Finalmente posso riaprire il mio Ladyblog!”
“Sono felice per te, Alya!” sorrise Marinette, che era tornata a sfoggiare i suoi orecchini.
“Ehi, non è che voi due abbiate fatto molto per aiutarci a metterci insieme!” la riprese Adrien, scherzosamente.
“COSA?! Starai scherzando, vero? Lasci che ti racconti esattamente tutto quello che ho fatto per voi da quando hai messo piede in questa scuola, caro Adrien Agreste...” iniziò Alya, con tono divertito.
“Ehm, Alya, forse è meglio lasciar perdere... del resto il passato è passato, no?” ridacchiò nervosamente Marinette, guardando Adrien con occhi innocenti.
“Sì, il passato è passato” sorrise il ragazzo, stringendo nuovamente la mano di Marinette, pronto a non lasciarla andare mai più: del resto l’aveva capito fin troppo bene, stare senza di lei era come smettere di respirare.
 
The End.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Sicuramente non un finale stupendo, ma quello di cui avevamo bisogno (?). Onestamente non mi ero accorta che fosse passato così tanto dall’ultima volta che avevo aggiornato. Avevo in mente quest’ultimo capitolo da così tanto tempo che continuavo a dirmi “ma sì, lo scriverò, lo scriverò” e puff. Sono passati due anni. Ah, il maggggico mondo delle fanfiction. A mio discolpa posso dirvi che sono stati due anni molto movimentati che non mi hanno permesso di dedicarmi molto alla scrittura... so che non ve ne fregherà nulla, ma va beh, cerco sempre di giustificarmi *occhi dolci*.
Un grandissimo grazie a tutti coloro che hanno letto e commentato e soprattutto a tutti quelli che hanno pazientato (ciao Marcy!). Quasi quanto pazientiamo ogni volta che deve uscire un nuovo episodio di questa meravigliosa serie. Si vede che il buon Astruc mi ha un po’ influenzata. <3

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