Epigrammi

di AhiUnPoDiLui
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Epigramma 1 ***
Capitolo 2: *** Epigramma 2 ***
Capitolo 3: *** Epigramma 3 ***
Capitolo 4: *** Epigramma 4 ***
Capitolo 5: *** Epigramma 5 ***
Capitolo 6: *** Epigramma 6 ***
Capitolo 7: *** Epigramma 7 ***
Capitolo 8: *** Epigramma 8 ***
Capitolo 9: *** Epigramma 9 ***
Capitolo 10: *** Epigramma 10 ***
Capitolo 11: *** Epigramma 11 ***
Capitolo 12: *** Epigramma 12 ***
Capitolo 13: *** Epigramma 13 ***
Capitolo 14: *** Epigramma 14 ***
Capitolo 15: *** Epigramma 15 ***
Capitolo 16: *** Epigramma 16 ***
Capitolo 17: *** Epigramma 17 ***
Capitolo 18: *** Epigramma 18 ***
Capitolo 19: *** Epigramma 19 ***
Capitolo 20: *** Epigramma 20 ***
Capitolo 21: *** Il Grande Ciclo sulla Crisi - Parte Uno ***
Capitolo 22: *** Epigramma 21 ***
Capitolo 23: *** Epigramma 22 ***
Capitolo 24: *** Epigramma 23 ***
Capitolo 25: *** Epigramma 24 ***
Capitolo 26: *** Epigramma 25 ***
Capitolo 27: *** Epigramma 26 ***
Capitolo 28: *** Epigramma 27 ***
Capitolo 29: *** Epigramma 28 ***
Capitolo 30: *** Epigramma 29 ***
Capitolo 31: *** Epigramma 30 ***
Capitolo 32: *** Epigramma 31 ***
Capitolo 33: *** Liber II - Familiaria et alia ***



Capitolo 1
*** Epigramma 1 ***






Mi chiedi, ‘Sabetta, perché non t’amo;
semplicemente non ti amo, perché
amare lo fan tutti; finché t’amo,
e tu amerai, saremo di tutti.



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Capitolo 2
*** Epigramma 2 ***




Passa, ti prego, per la nostra piazza,
quella che c’accoglieva nei pensieri,
nei salti, e nelle mortificazioni;
quell’attondata, impietrosita piazza
coi gradoni appiccionati, il leone,
la chiesina, il bar dove m’hai amato
la prima volta, e l’arco dei baci;
l’apporticata piazza di poggioli
a loggioni, col suo pubblico d’ombre,
e ricami, e tendaggi, e nostalgie
d’Oriente – lo sai come son pacchiani! –,
e occhi che scrutano e sigarette;
ti prego, passa per la nostra piazza,
quella del mio e del tuo d’affare,
dello studiare avanti e indietro, stanchi,
appesantiti, addolorati e gravi,
e dei leggerissimi passi di selce,
di lance primitive ed ancestrali,
quando correvamo ridosso al vento
come bambini cattivelli e gnocchi,
allungati in uno scatto giocoso,
e i tuoi capelli rigonfiavano a tempo;
passa, ti prego, per la nostra piazza,
quella che non aveva silenzio – eppure
silenzioso era il brusio dell’intorno,
dove le labbra esplodevano in baci:
c’amavamo, e non esisteva il resto;
passa, amore mio, per quella piazza.
E non dimenticar le sigarette.


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Capitolo 3
*** Epigramma 3 ***


Fabri, tu compiacente anfitrione,
che gesticoli e sei tutto un ricamo,
e non hai dimenticato i gemelli
ai polsi, e gli orecchini appesi ai lobi,
lucidati come quel tuo sorriso
dentato, di studiata simpatia;
e nemmeno l’elegante cravatta
che t’accollana il petto color legno
e l’ugola abbronzata di fanghiglia,
pur ch’è inverno; nulla hai dimenticato,
per serbarci un’accoglienza da re.
Mi dispiace, Fabri, ma devo dirlo:
a tua moglie è bastato molto meno.


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Capitolo 4
*** Epigramma 4 ***


Ora puoi dirlo, con quella sciarpa
marocchina che t’intabarra il collo
d’ideali, e con le braghe affusate
che tutte cantano d’anni settanta,
e quel sapore di rivoluzione
che ti rimastichi di tra le labbra
arrotolate d’arancio tabacco,
e i passi che spargi all’occupazione
randagia e sistematica della quiete,
rollata in affumicate parole …
Finalmente posso concedertelo:
ora sì che sei un vero intellettuale.


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Capitolo 5
*** Epigramma 5 ***


I gonfi ingredienti del tuo banchetto
siamo noi, dolce Michele; gonfi
di quell’unico tuo condimento
che c’insapora, di spezie la vita
inpepa: non è il dolce radicchietto
che fa sugo tra la salsiccia, o il brocco,
o il pépero, o il pane che si grattuggia,
né quella maniera di rinfarcire
il pentolone sfrigolante d’olio
soffrittino, che gonfia saporìo;
niente se non la calda tua amicizia
è il condimento che ci dà sapore.


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Capitolo 6
*** Epigramma 6 ***


La virtù è negli umili, così dici,
pretino, e non esiste altra virtù
che quella del farsi elemosinare.
Io dico: per questo ci vuole un ricco.








Colgo l'occasione per ringraziare tutti quelli che dovvesero continuare la lettura di questa raccolta asistematica. E chiedo scusa per il tono saccente che posso aver adoperato in certe risposte ad alcune recensioni: il mio obbiettivo non è mostrare di sapere, quanto piuttosto far comprendere a pieno le motivazioni del mio scrivere - a chi interessi, ovviamente, sperando che qualcuno pur sempre ci sia! In ogni caso, un saluto particolare va a winry8827, un altro al Cionco e un altro a willHole che mi legge spesso con grande pazienza e mi recensisce con grande sensibilità. Ciao!

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Capitolo 7
*** Epigramma 7 ***





AVVISO IMPORTANTE: questo Epigramma è volgarissimo; le persone più decenti di me se ne tengano volentieri distanti.




Se già non l’han roso i fiati
e le umide scorregge
delle bocche di chi parla
a testa in giù, sottosopra,
offrimi quel tùo orecchio
raffinato e tondo e aperto,
che, se vuole, si prolunghi
e viva; e respiri sempre
di una musica diversa;
e mai smetta di affinarsi
a quelle così gustose
verbalizie che neghiamo
al Dio Fatturato, morte
e fine e baratro e tomba
e profonda gola sporca
e attumorato e sì lurido
sepolcro di ogni virtù.
Niente davvero è più turpe,
amico Senno, del vendersi,
dell’inginocchiarsi, prostri,
e, richini, del ciucciarglielo.
A bocca piena, sappilo,
neanche un santo sa parlare.






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Capitolo 8
*** Epigramma 8 ***





Tieni a mente, caro Milo, che l’Arte
è tale solo se nasce in fretta; tieni
sempre un cronometrino in tasca,
Milo, sopra il minuto non è Arte.




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Capitolo 9
*** Epigramma 9 ***





S’io mai volessi far l’amore
con una vecchia e rammarcita
corteccia qual sei, Gagliarda,
non temere che il mio giardino
ne manchi; frivoli, gli ulivi
giocano coi baci del vento;
e, poco dietro, le betulle
ridono del vetusto noce
brontolone, che s’accontenta
del merlaccio, e quel che gracchia;
e mentre gli olmi s'accivettano
col pettirosso, e lì s’acchiomano
gli aceri d’un voglioso rame
ricciuto, per tentar l’airone,
che non si cede e se la gode,
si strugge, delicato, il rosso
papavero dell’eleganza
raffinata che affoglia il tiglio,
e lui ch’è bello s’ama e tace.


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Capitolo 10
*** Epigramma 10 ***




Ma chi mai avrebbe potuto dirlo
che Gollone, un così nobile padre,
uccise i figli nel lontano ottanta?
Nessuno. Solamente il suo avvocato.

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Capitolo 11
*** Epigramma 11 ***





Barbara, d’occhioni dolci non muore
il maschio, quando sotto al velo illàcrime
non si scopre un bel visino; non muore
pure d’unte guanciotte, o dei sospiri
che così spesso ritagli al tuo cinema,
se non stilla la pioggia lacrimosa
sopra rubiconde labbra da bacio;
di te non arde l’occhietto virile,
se pure t’atteggi da disastrata
e frigni, come l’amica tua Cagna,
che se guaisce uno già l’abbraccia,
un altro intanto le si struscia dietro,
e non c’è manzo che non si commuova.
Barbara, d’occhioni dolci non muore
il maschio, se chi frigna non è fregna.


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Capitolo 12
*** Epigramma 12 ***





Mi dispiace, amicone, che non prendano
da te le tue figliocce; che il vasello
tuo ripieno di tanta intelligenza
così di spreco vada spanto; Mirko,
neppure il saltulo salmone vede
l’orso, quando arrampica la corrente,
e non s’accorge dell’impètra zanna
che lo spieda: perdona il tuo bel tonno,
dunque, se s’è trovato in quello stagno
quand’ha saltato con tanta allegria
da non accorgersi di acque migliori.
Ascoltami: il guasto è nella madre:
tua non è la colpa se così sprecano
la lor bellezza all’università!


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Capitolo 13
*** Epigramma 13 ***







Giorgio, tu che se mi vedi avanzare
    nel polvero subito mi dici:
“Rico”, e tutto intorno fosca s'aggruma
    la taverna, “Rico, o quale gioia
lustrarsi le ciabatte sul baffone
    d'un magrebino; buttare un soldo
là tra le pietre, lùccico disìo
    per povere manine agguerrite;
squadrar da sullo yotte le barchine
    spennacchiate; o lanciare a Iusuf
la capricciosa lenza di una mancia
    da fame!”; Giorgio, che se mi vedi
subito ingrassi, e “Rico,” così chiami,
    “Rico!”, e mi brami per il colletto, 
"a te una piccola sordida casa,
    a me un villaggio d'empia lascivia!
per te sgraziate declive colline,
    per me un giocoso vento infraddito!
a te Vacanza risporca i fornelli
    con stronzi obesi affari di casa!
a me Vacanza massaggia i polpacci
    con dolci rosee dita inunghiate!”;
a te che, Giorgio, ora viaggi nell'Ovest,
    ogni più caro e dolce saluto:
baci da Rico e tua moglie Rebecca!



EDIT: ho modificato la forma grafica dell'epigramma, in modo che se ne intenda meglio la struttura metrica, per chi interessa! si tratta infatti di un seppur triste tentativo di imitare il distico elegiaco latino, che era formato da un esametro seguito da un pentametro, divenuto qui endecasillabo più decasillabo. Salve!

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Capitolo 14
*** Epigramma 14 ***






Ma quando al quinto sesto ottavo no-no
parcheggio ancora sbuffi con quell'aria
pettola e faraona, ond'io rimastico
bave mastine inneggiando all'araba
saggezza, non temere, Elisabetta;
quando illinguo il cruscotto colla rabbia
salivona e di tra i molari stringo
la minaccia d'imbavagliarti; quando,
se quelle mani tue ditate ed avide
nella manovra afferrano il volante
ché mamma mia sei sempre troppo in là!,
dipingo con le rìnghiole parole
dell'astioso la scena dell'appenderti
alla cintura – non temere, 'Betta:
anche quando medito sul bavaglio
è Amore.



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Capitolo 15
*** Epigramma 15 ***







Cupido, che le acconci, che sussurri
dietro le loro spalle la magia,
che sei la cipria, e la matita, e il rosso
morbido invito sciolto sulle labbra,
colato zuccherino a caramello,
che sei il riflesso gocciolo e bagnato
sul vetro dei nostr’occhi strabiliati,
penzoli e sbirci, che la primavera
soffi tenendola in mano, soffiata
polvere delle labbra tue carnose.
Cupido, che le vesti del tuo amore,
infarfallandole col tuo mistero,
Cupido, lavale pure i denti.





Dedicata particolarmente a T.
Un saluto a tutte le donne!

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Capitolo 16
*** Epigramma 16 ***







Al mio barbiere, che tutto sa (?) e lo fa pesare

Quando tra uno sferraglio e l’altro e il cìc cic
delle tue forbici ci cacci un Pascoli
così a bruciapelo, od un Bernulli*
tiri per i capelli (e gli ingegneri
godono d’essere pelati), o Enrico,
gongolo!, quante ne sai … ? Minerva*
tetrica siederebbe ai bigodini
con la scolara penna, e tra una mesh
ed una permanente, a piluccare
dal tuo becco non sarebbe mai sazia.
Quando dalla tua lingua masticato
cali lurido un Dante, o lercio un Foscolo
sfoderi dalla bava, o un abbruttito
Saba da wikipedia, dotto Enrico,
che agli esquimesi le gelate e il freddo,
agli africani stronzo l’appetito,
all’appiedate donnacce il prurito
spiegheresti, ma quante ne sai?
che sia per ‘sta cultura
che due colpi di forbice
li fai pagare un occhio della testa?



Note (*):
Bernulli (Bernoulli): studiato teorema in fluidodinamica;
Minerva (tetrica: seria, seriosa): dea, tra le altre cose, della saggezza e del sapere.


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Capitolo 17
*** Epigramma 17 ***







Stronzo potere infame,
quanto godi! da quando nelle piazze
sola Sara Tommasi
è rimasta – a spogliarsi!




In un tempo dove più degli ideali la fame - o la fama - riempiono le piazze, questa è dedicata a tutto ciò che è simbolo dell'odierna morte culturale, segno della perdizione d'ogni valore, silenzio di ogni proposito sincero.

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Capitolo 18
*** Epigramma 18 ***


Regalando un fiore di carta


Amami, piccolo fiore di carta
quale sono; di me non spande il vento
il profumo, né ventila i miei petali
la primavera, soffiando sul viso
mio pallido e scorbuto la bellezza
della vita pulsante e calorifera,
della madida linfa deteriore
che sprigionano i gigli e l’orchidee
sfarfalle nella polvere di marzo;
amami amandomi come ami gli altri
che coglieresti cogliendoli ai margini
dei prati, io mai fui colto, mai voluto,
non ho vissuto, né vivo, o vivrò;
ma dammi un nome, piantami nel morbido
terreno del tuo cuore, e splenderà
nel cieco buio brìllica una luce;
io sarò il simbolo del tuo calore
genitore, del vivere che porti.



Note:
Non pubblico da qualche tempo. Colgo allora l'occasione per salutare tutti i miei cari amici di Efp. :)



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Capitolo 19
*** Epigramma 19 ***









Non più d’un grammo sul tuo piatto ha sceso
tirchiona la tua mano, se non quando
brillò sull’altro piatto un altro grammo
d’amore; Saggia, tu che per un bacio
un altro bacio, che per un sorriso
sorriso rimandato chiedi, e sfinge
la bocca tua consiglio mai ha steso
se prima altrui consiglio non ti venne;
tu che l’esubero gratuito imbotti
gocciato dal tuo cuore, quando stilla
senza guadagno; che s’ami per prima
l’amore lo rivuoi coll’interesse;
che dalle fiamme hai tratto un accendino;
che una diga hai calato nel torrente;
tu che hai premuto un interruttore
sul fulmine, ed il tuono or tuona al play;
oggi è Natale, Saggia; almeno oggi
quella botola schiudi, tarla e pesa,
sotto la cesta del giardino; calca
i tacchi e schiaccia sui gradini sdruccioli;
scendi laggiù nella cantina, Saggia,
dove tra le ombre luccicano i tini
dov’hai premuto a risparmio l’amore
tuo di bilancia;
amore d’imballaggio,
amore di bancale e di stoccaggio,
amore umido e passito, amore
fetido e trito, amore imbarilato,
amore europalettato – amore! –,
Saggia, è Natale!,
daccelo gratis, oggi, un po’ Amore,
e se non ti riesce almeno fa’ lo sconto.











Qualche nota
L’amore è a volte – non sempre, per fortuna – un fatto commerciale. Se ti do tot, tot voglio in cambio. Se me ne avanza, meglio non sprecarlo, lo terrò per me, lo metterò in qualche cantina buia, da cui ne uscirà di certo tutto flaccido e rinsecchito, e mi si sbriciolerà tra le mani come cenere; meglio questo, però, a donarlo gratuitamente, solo perché ne ho in esubero. Riempiremmo isole ecologiche coi nostri vitali sentimenti, piuttosto che impegnarli in qualcosa di non fruttuoso.






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Capitolo 20
*** Epigramma 20 ***


Temo di dover avvisare il lettore: qui si alludono cose volgarotte. Avvisato, mezzo salvato!




Non è per il ristagno,
Gustosa, delle ascelle
che t'hanno regalato un deodorante.







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Capitolo 21
*** Il Grande Ciclo sulla Crisi - Parte Uno ***


Il Grande Ciclo sulla Crisi

un’odissea tutta italiana

 

Da dove vieni, da dove sei giunta,
Crisi? Dal
caeco acervo ti tuonò
forse Giove tagliando l’aere scuro?
O forse un uomo in niente avventuroso
un cimitero indiano ha profanato?
O forse che men gente vada a messa…?
O forse che la pioggia inquinata…?
O forse il buco nell’ozono, o i Maya,
discontenti che il mondo ancora viva…?
Non me lo dire:
ufo anche tu? O forse…?
 

È crisi, non si può più vivere.
Se continua così, Viziata,
ci toccherà pure vendere l’I-phone.
 

II°

Gesù Cristo, da quattro pani incrosti
un panificio, una sgronda cantina
da quattro calici infangati hai tratto…
Lo chiami questo un miracolo? Chiedilo
ad Italo che villa può comprarsi
con cinquecento euro – dichiarati –
imprenditore ardito.
 

…o forse Cthulhu , tentacolar divo…?
Colui-che-non-dev-esser-nominato
forse volandoti dal legno magico
t’ha generato? O poi Messer Rodrigo,
pel matrimonio che infine s’è fatto…?

 

 

IV°

Non temano più i bimbi, dolce Mina,
perché l’uomo nero entra solo in fabbrica,
più non varca – se mai l’ha fatto – il letto
dondolo e recintato, o la stanzetta,
più non ghigna in penombri vaporosi,
né affila sotto armadi unghiate trappole…
Non temano più i bimbi, dolce Mina,
perché più non spaventa il nero gli uomini,
anzi! li aiuta in contabilità.

 

…o forse Monti t’ha stillato, Crisi,
ciucciandoti da crucca epidermide…?
Certo colpa non è dei centoventi
miliardi elusi, evasi, sciolti, stolti
da Italo ogn’anno… No, non è.

 

Non ci vuol mica certo un genio!
Se non ci fossero le tasse
le tasse non evaderemmo.
 

 

Un saluto
A tutti quelli che siano giunti sino a qui.

 

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Capitolo 22
*** Epigramma 21 ***









Se nelle tue notti non digrignati
sonni, ma pleniluni, miniatori
d’onde, io potessi spremere, cavandoli
dalle mie notti, né ventose ciglia,
né occhi impalpebri, o illacrimi guance;
Betta, di dormir pago, ancor più pago
scorrerei la notte, empia alle tue paci,
perché è felice chi felice vede
la sua felicità.




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Capitolo 23
*** Epigramma 22 ***









Se avessero saputo Adamo ed Eva
quale gagliardo frutto qui si vizi,
Genzio, sui rami, ai coccoli d’Autunno,
e alle moine, e ai baci, e alle blandizie,
più grave avrebbero il loro peccato,
e al forcone diabolico, con sdegno:
«Per quel pometto frigido di Dio,»
lamenterebbero, «scarnito ed òssolo,
peccato universale...!».
E il Nasone*, vagando il tuo giardino,
non avrebbe più sale per ridenti
lacrime, né per plausi palmi duri,
scovando, fuor dal calamo, pintore
dei mutati, davvero fiumi d’oro,
e miele, e latte, e avena, e cereali.
Non diedero mai i chiostri delle Esperidi
così volatili fronde, né l’onde,
che gode il tuo giardino, caro Genzio.
Né più smarrire vuole il cuor smarrito
il tempo, se non lo perda nei tuoi prati.






*Ovidio, il famoso scrittore delle Metamorfosi.





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Capitolo 24
*** Epigramma 23 ***










Ti piacciono sposati, Grande Vacua,
i tuoi amici; se non hanno lacrime
di sposa, o pargoli guaiti, o suocere
lagne da immolarti, non ti fregano;
e ti compiaci che il tuo forno fonda
il ferro delle più forti fedi; Vacua,
vanesia! far cadere un matrimonio,
capirai, non è più una grande impresa,
se insospettabili mariti gettano
l’anello nel canestro dei pollastri,
e inseguono desideri fanciulli
dietro procaci veneri in pensione;
se si cacciano in elene fuggite
le penelopi madri, e Telemaco
i Proci spiedano col patrio arco,
ed Argo si dispera; Grande Vacua,
raccolgono adesso tanta gloria
i fasti del tuo corpo;
cosa raccoglierai quando Afrodite
avrà chiuso le porte del suo tempio
sulla tua faccia, e l’impietoso tempo
t’avrà tirato il culo alle caviglie?






Alla pochezza dei nostri tempi




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Capitolo 25
*** Epigramma 24 ***











Bisogna dirlo, Vanio: se ti pompi
coi tuoi amichetti depilati, e sudi,
gonfiandoti mammelle portentose,
e passi il tempo a contemplare il seno
dell’ammaestratore, agognando
il suo stesso telaio, devo dirlo:
finalmente sei proprio un vero maschio.










For Men.


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Capitolo 26
*** Epigramma 25 ***





AVVISO IMPORTANTE: questa poesia è volgarissima, lettore avvisato, mezzo salvato!








<< Finisci fuori, o più non t’incappello! >>
Non ti sdegnare, Linda; io son d’accordo,
se il buonsenso comune: << In luogo pubblico
non sporcare: ai venturi va rispetto >>.










Alla moderna cortesia.



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Capitolo 27
*** Epigramma 26 ***











A morso, mordi; a graffio, graffio incidi,
Piero, sul ghigno dei fratelli; e voli
fra mani e mani all’eredità
lassù sui nembi biondi…
Hai modo, finalmente,
di conciliare famiglia ed impegni.










Alla gioia dei genitori.




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Capitolo 28
*** Epigramma 27 ***




















Hai ragione, Martino: «Se lo vota
metà italiani, un motivo dev’esserci».
E sulla merda posano le mosche – a miliardi.


















Grazie, Silvio, per aver mantenuto le tue promesse.



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Capitolo 29
*** Epigramma 28 ***













Dimmi un po’, Barbara, quando, sfilando
sui cerchioni toyota che hai ciucciato
senza alcun fremito ai tristi bisogni
del marito, ti sdegni della piccola
ombra marcita che il fato trascina
di bava in bava sul liquido asfalto
in disperata ricerca degl’oboli
da immolare al padrone…
Dimmi un po’ adesso chi è la puttana.










Un saluto a tutte le mantenute cagne come Barbara.









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Capitolo 30
*** Epigramma 29 ***

















Non è vero, Maurizio: generoso
uomo - sempre lo è stato – è Paolo.
Quando del suo palazzo i freschi cede
penombri, e i chiostri, e gli agi dolci ai giochi
dei bambini, e non solo della moglie
lascia che i passi premano vestigia
vellutate su mòrmori infraddito,
ma anche dei suoi amici.
Del resto, poiché tacciono gli androni
sempre dei suoi lugubri passi, goda
almeno il faticoso fatturato
qualcuno: Paolo certo non lo gode.










Alla famiglia moderna.






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Capitolo 31
*** Epigramma 30 ***





















Io purtroppo, Martino, risarcisco
soltanto una poesia ai tuoi torti,
di più chiedilo a Dio; ma se agli occhi
miei fosse dato un Superciglio – tremano
le solerti faccette dei colleghi
rancorosi, e più ancora dei capetti
industriosi e ciechi: la mia scure preme
senza battere ciglio animi neri,
dove la carne più suppura scende
sorda alla pietà; resta, dolce amico,
pochi piaceri offre il molle asfalto
alle tue guance:
per quelle genti che senza di te
piangerebbero solo la fatica
di organizzare di nuovo le ferie
aziendali… non ne vale la pena
di tentare quel volo.



















Al mondo affascinante delle aziende. Per chi ci vive come se fosse la sola vita: a voi offro i miei testicoli.






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Capitolo 32
*** Epigramma 31 ***






Che non vi prenda il panico, quel panico
funesto, miei amici; non richiama
da nebbie primordiali alcuna ombra
lo sciacquone, né trarre quella corda
vi getterà nel gorgo assieme al resto.
Ah, ho capito! è una firma d'autore.







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Capitolo 33
*** Liber II - Familiaria et alia ***







LIBER SECVUNDVS - FAMILIARIA ET ALIA



I

Quanti nomi hanno i tuoi sfoghi, Rubella!
Quante maschere ha il teatrino dell’ira
tua gratuita – e troppi spettatori!
Qui Tiroide solìloga brandendo
mestoli tapperware; lì Ciclo versa
bulicami di parole fumanti;
e finalmente Menopausa brucia
vampando i baffi a un signore del pubblico,
grida, urla, si dimena, e poi si calma
quando non resta che polvere e cenere
là sul loggione. La menopausa, dici?
Un’isterica sei, Rubella, e sempre.








Dedicata a tutte le casalinghe deluse che sfogano sui figli e sul marito le proprie frustrazioni.





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