Il principe senza nome

di Oblio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La ragazza dal mantello rosso ***
Capitolo 2: *** Quando le zucche prendono il sopravvento ***



Capitolo 1
*** La ragazza dal mantello rosso ***


------angolo dell'autore:
Salve a tutti. Questo è un piccolo capitolo che fa da prologo a tutta la storia.
È scritta secondo il punto di vista di uno dei personaggi principali, nonché il mio preferito, che arriverà nel sesto capitolo.
Buona lettura e fatemi sapere cosa ne pensate in una recensione :)
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Si strinse nel mantello rosso, raccogliendo tutto il coraggio che aveva. Cercava di misurare il respiro: il minimo rumore sarebbe stato fatale.
Lui era lì, e non ci avrebbe messo molto a trovarla.
Passi pesanti, goffi, i passi del mostro sempre più vicino.
-è solo uno di quegli strani giocattoli incantati che camminano da soli- tentò di tranquillizzarsi.
Lì, sotto la scrivania dove si era rifugiata, il mondo sembrava aver iniziato a contare i secondi che le restavano.
Di fronte a lei degli scaffali con strani oggetti; sembravano palle di vetro in cui il tempo aveva relegato con qualche sorta di maledizione l'inverno di molti reami.
Ecco dunque i piccoli regni di "Philadelphia", "Los Angeles" e "Parigi", sotto la  cupola dei quali continuava a vorticare neve. C'era anche un'altra palla di vetro, questa volta più grande, in cui però non c'era neve. Sotto ad essa un cartellino recante il prezzo probabilmente. "Riverwood" lesse Jack socchiudendo gli occhi, quando i passi non si fecero tuoni per quanto erano vicini.
Prese la palla di vetro in vendita: in caso fosse sopravvissuta, le sarebbe piaciuto avere un nuovo oggetto per la sua collezione. Gli umani erano interessanti, anche se ora avrebbe dovuto pensare ad un piano per uscire da lì.
Ma... nulla. Nessuna idea, e, mandata un ultima preghiera al Cielo, uscì dal suo nascondiglio. Il pugnale sguainato.
-gnam gnam- ruggì l'altro con voce metallica.
Jack comprese che quello non poteva essere un giocattolo.

Il mostro la fissava, le iridi vitree.
-che occhi grandi che hai...- sussurrò quando il muso di lui le sfiorò il viso.
Il pugnale era a terra, caduto dall'altra parte della stanza quando era stata disarmata.
-è per guardarti meglio mia cara- rispose lui avanzando ancora.
Le tende della bottega erano chiuse e solo da una piccola feritoia che il mostro stesso aveva creato con gli artigli entrava un sospiro di sole. E giunse sotto quella luce fioca, rivelandosi a Jack in tutta la sua bruttezza; il muso da ratto, sormontato da corna caprine, gli occhi piccoli piccoli e rossi come due rubini. Il corpo era invece quello di un uomo, o almeno sembrava, di un uomo gigantesco e peloso, quasi come una delle creature di cui Jack aveva letto solo nei libri.
-Per quanto il tempo è eterno, io non ho fatto nulla!- disse Jack fingendosi sicura. Arretrava.
-davvero?- lui aprì di colpo le grandi ali nere che aveva sulla schiena e come vento spazzò via i cocci di vetro per terra. -non hai esattamente un viso innocente-
-ah sì? E che cosa sembro allora?-
Il mostro spalancò gli occhi e i due piccoli fuochi quasi accecarono Jack.
-la mia cena-

Armata di quello che aveva tutta l'aria di essere un mestolo dall'elsa a forma di mucca, Jack cercava di difendersi. Menava fendenti all'aria, alternandosi agli affondi del mostro, finché lui non osò troppo e riuscì a graffiarle la spalla.
Faceva male, come il fuoco. Arretrò.
Un mestolo: non aveva possibilità.
Le restava solo un'ultima carta da giocare, ma l'idea non le piaceva troppo.
 Le bambole non le erano mai piaciute e durante l'infanzia si era dilettata con la lettura di ogni genere di libro.
"In caso l'avversario sia in vantaggio, provare la fuga distraendolo con quel che si ha a disposizione" ricordava ancora di aver letto da qualche parte.
-meraviglioso- pensò. Quel che aveva era un mestolo. Ma doveva provare.
Lanciò la sua gloriosa arma in faccia all'avversario e, prima di vederla rimbalzare e cadere senza troppa gloria, corse verso il "reparto alimentari".
Il mostro rimase attonito un momento, per quel gesto forse stupido o forse geniale, finché non riuscì a capire che la sua preda si era allontanata.
-non capirò mai voi figli di Kaos.- scuoteva la testa sorridendo.
Lui avanzava con passo claudicante, scrutando dietro ogni scaffale ricco di scatole e scatolette.
Sembrava ormai essersi abituato alla vista dei "cerealiametáprezzo", finché Jack, dietro all'ultimo scaffale, non fece cadere una di quelle qualunque-cosa-fossero.
Il mostro si fermò; gli occhi chiusi. Fiutava l'aria.
-già già. Così curiosi, così sapienti, così stupidi. Non capirò mai i figli di Kaos- accelerò il passo.
Ma questa volta Jack era pronta. Il pugnale, ritrovato, di nuovo stretto nella mano.
- e io non capirò mai voi Piegualdi- urlò mentre in fretta lo accoltellava alla spalla.
L'argento, il sangue della luna, avrebbe dovuto indebolirlo. Jack era pronta a vederlo agonizzare sul pavimento della bottega, ma non successe nulla.
Superato il trauma di ho-un-pugnale-nella schiena, il mostro si girò verso di lei. Lo sguardo incolore, mentre si strappava il pugnale dalla carne, subito guarita.
Sorrideva ancora. Jack odiava quel sorriso.
-Per quanto il tempo è eterno, non è possibile...-
-oh tesoro, dovrai fare molto più di questo per liberarti del Lupo cattivo!-

Correva, correva accanto al vento che voleva scoraggiarla. Il cappuccio scarlatto calato sugli occhi.
La porta della bottega si era richiusa sbattendo dietro di lei, fino a cadere, rotta, con altrettanto rumore, sfondata dal mostro.
Sentiva il suo respiro sul collo, il suo odore accanto al suo viso. La sua ombra.
Sapeva che i Piegualdi potevano correre anche quattro volte più velocemente degli umani, ma voleva sfidare il Cielo per l'ennesima volta.
No, non poteva arrendersi così. Non era arrivata fino a quel punto per venir sbranata da un Piegualdo.
Non aveva perso tutto, anche Peter, per questo.
-corri, corri cappuccetto rosso- la incitava lui.
Il sole era alto su di loro, tra le nuvole della città, quasi volesse assistere allo scontro.
Correva, correva a gara con il fato.
Un cartello, "benvenuti a Riverwood".
Si era persa. Le ceneri non funzionavano lì, "da quella parte".
Voleva solo mettersi in salvo ora. Voleva andare a casa.
Un altro cartello, "Little Street".
La via si aprì davanti a lei, ricca di gente che passeggiava, camminava o correva. Gli umani erano sempre di fretta.
Eppure nessuno sembrava notarla.
Nessuno vedeva lei o il suo inseguitore. Nessuno la sentiva urlare.
Correva, a volte inciampando per rialzarsi in tutta fretta.
L'alito fetido del mostro le intorpidiva la vista.
-è per farti dormire meglio, bambina mia-
Ma Jack trovò il tutto soltanto disgustoso.
-aiuto!- provò ancora ad urlare a chi le stava intorno. Ma nulla. Nessuno la vedeva.
La sua voce moriva nel loro silenzio.
Nessuno la vedeva, fino a quando lei non vide lui.

Un tuono, che Jack scambiò inizialmente per un ruggito del Piegualdo. Il vento soffiò sul piccolo regno di Riverwood con arroganza. Jack chiuse gli occhi.
Qualcuno nella via perse dei fogli, altri si tennero il cappello con la mano. I capelli di lui si scompigliarono..
Jack corse ancora, finché per l'ennesima volta non inciampò in qualcosa.
Cadde, atterrando di nuovo sullo stranissimo terreno di Altromondo.
Davanti a lei, lui.
Lo guardò e lui guardò lei. La vedeva.
-aiutami...- riuscì a sussurrare, quando il mostro arrivò proprio accanto a lei.
Il ragazzo di Altromondo aveva gli occhi sbarrati. Probabilmente non era usuale per un ordinario vedere un'ombra, ma lui reagì stranamente bene.
Tolse la strana sacca che portava legata alle spalle ed avanzò verso di lei e verso il mostro.
Jacqueline lo guardava, ancora a terra.
-ehi, lasciala stare!- disse il ragazzo convinto.
Il mostro allora volse il suo sguardo a lui e Jack pregò che non lo uccidesse. 

Ma prima che lei o l'Ombra potessero fare qualcosa, il ragazzo di Altromondo usò l'insolita arma che teneva tra le mani, la sacca appunto, e la lanciò contro il Piegualdo.
Jack si ricordò del mestolo e si chiese se non fosse normale ad Altromondo usare oggetti in modo non-convenzionale. Ma non importava.
Sacca o no, il mostro si era distratto.
Jack si affrettò ad alzarsi.
Il ragazzo la guardava.
-grazie Scacciaincubi-.

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Capitolo 2
*** Quando le zucche prendono il sopravvento ***


-------angolo dell'autore:
Chiunque tu sai, licantropo o vampiro, albero o animale, winnie the pooh o pimpi, ti ringrazio per leggere la storia che più mi sta a cuore.
Per quanto il tempo è eterno, ti auguro una buona lettura...
 

Lo ammetto: saltare da un muro non è stata la cosa più razionale che abbia fatto nella mia vita. Ma se non lo avessi fatto, ora voi non sareste qui a leggere, giusto?

E poi non sempre bisogna essere razionali: a volte basta riconoscere di essere folli.

Ma cominciamo dall'inizio: mi chiamo Vincent Blake e sono folle. E ora che ci conosciamo meglio, posso raccontarvi la mia storia.

C'era una volta un ragazzo apparentemente inutile che conduceva la sua vita apparentemente inutile finché non scoprì... di essere davvero inutile. Nah, che storia sarebbe?

C'ero una volta io, il ragazzo inutile.

 

Riverwood era sempre stata una città silenziosa, uno di quei posti che in realtà non vengono segnati nemmeno sulle cartine geografiche. Insomma, se amate la vita mondana e volete una vacanza da sogno non scegliete Riverwood, la ridente cittadina del Maine dimenticata da Dio che diventava anche più noiosa durante la primavera.

Già: verso la fine di febbraio, con lo sbocciare dei fiori, Riverwood si riempiva di zucche.

Avete letto bene: zucche.

Il motivo di tale usanza restava ancora sconosciuto a molti, fatto sta che per la fine di marzo ogni balcone e ogni giardino era decorato con stupide zucche arancioni intagliate e addobbate a festa.

Una delle ipotesi che avevo elaborato in quindici anni di vita era che in un passato molto lontano qualcuno avesse fatto confusione tra la primavera e l'autunno. Così a Riverwood si festeggiava Halloween a marzo.

 

Quella notte stavo infrangendo un numero di regole sicuramente maggiore a quello delle ore di sonno che mi rimanevano.

-Ci metteremo nei guai così- ripetei per l'ennesima volta, ma Nate mi ignorò e, preso un tronchese probabilmente più pesante di me, spaccò in due il lucchetto che chiudeva il cancello.

-Non dovremmo essere qui-

Nate allora sbuffò. -Vincent Gloria Blake...- cominciò prima che lo interrompessi.

-Gloria?-

-è il tuo secondo nome- ribatté lui.

-io non mi chiamo Gloria!-

-d'accordo, se vuoi metterla così...- e spinse il cancello abbastanza da poter passare, -Vincent Blake, tu sei una persona noiosa-

Alzai gli occhi al cielo e lo seguii. Sì, Nate faceva spesso cose anche troppo folli, ma se voleva mettersi nei guai dovevo mettermi nei guai anche io. A questo servono gli amici, no?

 

Nate richiuse il cancello, aprendo le braccia come a darmi il benvenuto nel Cantiere.

-a questo e a molto altro... per esempio a ospitare il tuo migliore amico mentre casa sua è invasa dall'uragano Jude-

Lasciato il cancello alle spalle, cominciammo a camminare per il Cantiere, il quartiere più lontano, antico e decadente della città. Una volta quel cumulo di macerie era appartenuto a mio zio, ma ora era solo il luogo in cui i bambini andavano per provare di essere coraggiosi, dove le persone sane di mente non entravano, e dove quelli come me e Nate cercavano indizi.

-tua cugina è già arrivata in città?- gli chiesi rischiando di inciampare in un mattone.

-non ancora, per fortuna, ma è questione di giorni- il tono della sua voce somigliava vagamente a quello di un medico che deve esprimersi su un paziente terminale.

Sapevo quanto Nate trovasse Jude insopportabile.

-sai, io però non credo che sia poi così male...- dissi cercando di ricordarla.

In realtà era da un sacco di tempo che non vedevo Jude, forse dall'ultima volta che ero entrato nel Cantiere. Era stato parecchi anni prima, quando, nell'eterno silenzio di Riverwood, era successo qualcosa.

Quel posto non mi piaceva. Portava guai.

-pensi davvero che “non sia male”?-

-davvero-

-ah certo... è perché hai una cotta per lei- e corse verso la casa più vicina.

Il Cantiere era incredibilmente grande. Quando era stato scoperto, oltre la coltre di edera e rovi che l'aveva nascosto nel tempo e recluso ai margini della foresta, si era pensato che fosse qualcosa come il quartiere di una città che era crollata molto prima della nascita di Riverwood, poi, dopo la sua parziale esplorazione, era stato appurato che potevano essere due o tre i quartieri fantasma.

Infine, c'era anche chi pensava che il Cantiere in realtà fosse una vera e propria città.

Era un mistero come il tutto fosse rimasto nascosto per così tanto tempo, dato che anche Riverwood era una città molto antica, e ne poteva essere prova il wi-fi di casa mia, i computer che usavamo a scuola e la mia insegnante di scienze, che molto probabilmente aveva assistito anche alla fondazione della città, per quanti anni aveva.

Semplicemente, meno di vent'anni prima, qualcuno aveva sbirciato oltre la foresta di spine e aveva scoperto tutto il “Cantiere”, come lo si era cominciato a chiamare quando il sindaco aveva promesso di abbatterlo.

Eppure il Cantiere era ancora lì.

 

-io non ho una cotta per lei!- protestai raggiungendo Nate, che stava fissando i resti di una casa davanti a lui.

-cosa c'è?- chiesi cercando di capire cosa stava guardando.

-ragni- sussurrò lui. Alzò una mano e indicò in alto, -una gigantesca sacca di piccoli ragni!- esclamò entusiasta.

-ragni? Pensi che sia forte?-

-certo!-

Guardai meglio: i ragni erano di un colore insolito, blu. Un blu elettrico.

-sì, in effetti è abbastanza forte- ammisi guardando i ragni blu che improvvisamente uscirono dalla sacca. -okay, ora diventa meno forte- e ci allontanammo in fretta dalla casa.

Nate ora aveva in mano il telefono e scorreva col pollice sullo schermo.

-ricordami perché siamo qui- gli chiesi allora

-“...rimasto abbandonato per chissà quanti anni- lesse lui dal telefono, -il Cantiere venne infine comprato nel 2010 da Mattew Lockside, multimilionario professore di Harvard appena trasferitosi nella piccola città di Riverwood”-

-cosa stai leggendo?-

-“Tuttavia la prematura scomparsa di Lockside, la cui morte resta avvolta nel mistero, lascia ancora una volta il Cantiere senza un futuro definito”- finì, -è un sito creato dai fan.

-i fan di chi? Di mio zio, il “multimilionario professore di Harvard”?-

-No!-

-di chi allora?-

Nate sorrise, -del Cantiere-

 

-ce ne è di gente malata!- commentò lui spegnendo il telefono.

-già, abbastanza da entrare in un luogo che è stato sigillato dalla polizia...-

-vuoi dire da quell'incapace dello sceriffo?-

-...di notte, quando in città è stato indetto il coprifuoco-

Nate rise. -cerchiamo prove, indizi. Ricordi? Facciamo quello che fa lo sceriffo, solo meglio.-

Ah già, lo sceriffo. Be, Nate aveva un rapporto particolare con lui: “quell'incapace” non era riuscito a ritrovare sua sorella quando, molti anni prima, era scomparsa nel nulla.

Ormai io non ricordavo quasi niente di Beckie, Rebecca, la gemella di Nate. Eravamo nella stessa classe a scuola, a sei anni. Eravamo stati amici, finché in una notte, proprio come quella, di freddo e silenzio smorzati solo dall'arancione delle zucche nei giardini... nulla. O almeno, io non ricordavo nulla.

 

-chissà cosa ci trovava tuo zio in un posto come questo-

-è quello che dobbiamo scoprire, giusto?-

-giusto-

-così forse riusciremo a capire perché è morto.-

La morte di mio zio, Mattew Lockside, era stato, insieme alla scomparsa di Rebecca Brown, l'unico evento che aveva fatto uscire Riverwood dal suo invisibile quanto eterno nascondiglio. Per qualche settimana ogni città della Contea di Hancock aveva sentito parlare della nostra piccola cittadina, prima per la figlia del magnate Brown, poi per la morte del professore di Harvard.

In compenso, quando ormai tutto quello che poteva essere detto era stato detto e nei programmi televisivi di cronaca nera non erano rimaste più idee per possibili complotti o crimini fantasiosi, Riverwood e i suoi misteri erano tornati nel dimenticatoio, nel buio.

 

-ucciso- mi corresse lui.

Sapete, anche se lo sceriffo aveva chiaramente interpretato la morte di mio zio come “decesso per cause naturali”, Nate, come tante altre persone a Riverwood ovviamente, la pensava diversamente.

A Nate piacevano i misteri, anche troppo, e quello era un gran bel mistero.

Un corpo ritrovato a metà dopo essere stato crocifisso.

Non doveva essere stato un bello spettacolo per Mrs. Armond, la domestica che lavorava nella magione fuori città di Lockside. Lei aveva ritrovato quel che di mio zio era stato dallo stomaco in su.

Il resto, dopo qualche giorno di ricerca, era stato rinvenuto dai cani della polizia nella nuova proprietà di mio zio: il Cantiere, appunto.

Quello che in un cadavere mutilato e palesemente torturato poteva esserci di “morte naturale”, proprio come il motivo delle zucche, era sconosciuto quasi a tutti.

Semplicemente, in un'intervista alla tv locale, lo sceriffo aveva escluso che la morte di Mattew Lockside potesse essere stato un omicidio. Subito dopo, sempre in onda, aveva invitato tutti i cittadini a godersi il Festival di Primavera, sponsorizzando il negozio di zucche intagliate del Signor Evans.

Come non si poteva essere contenti di vivere in una città così sicura? Be, qualcuno, anzi, molti ci riuscivano. Ma, anche per il fatto che non c'erano stati più omicidi in tutti i cinque anni che erano passati dalla morte di mio zio, non era cambiato nulla. E, probabilmente, nulla sarebbe cambiato ancora; ma questa era Riverwood, cosa mai poteva succedere?

 

-già, ucciso-

Nate brandiva la torcia come una spada, facendoci strada nel buio.

-tua madre ha detto ancora qualcosa su di lui? Su tuo zio?-

scossi la testa. -no, come sempre.-

Mia madre non parlava mai di zio Mattew. Da quanto avevo capito, avevano avuto dei trascorsi piuttosto spiacevoli. Infatti, lei non l'aveva mai menzionato prima del suo arrivo in città, cinque anni prima.

-non importa quello dice, non ti devi fidare di lui Vince, hai capito?-

Oh, cavoli, odiavo quando mi chiamava “Vince”, ma quella volta mia madre aveva ragione: zio Mattew era un tipo strano, e io avevo cercato di stargli alla larga, anche quando era venuto a insegnare nella mia scuola. Quella volta mamma aveva chiesto al preside di farmi cambiare classe, e poi, mentre io aspettavo in auto, lei e Mattew avevano discusso a voce alta.

-stai lontano da me, e stai lontano da mio figlio!- aveva urlato lei, prima di salire in auto.

Da quella volta, non avevo più parlato con Lockside, e nessuno nella mia famiglia aveva accennato a lui fino a qualche giorno prima. La televisione era accesa e davano il telegiornale, quando, sentendo una delle prime notizie, mamma aveva sussurrato il suo nome.

-Lockside!- aveva detto prima di scappare in bagno.

 

-pensi che lui sia ancora qui?- chiesi quando ormai non riuscivo più a riconoscere la strada da cui eravamo arrivati.

-se gli interessano i ragni, sì- ridacchiò Nate indicando l'ennesima sacca di aracnidi blu elettrico.

Scossi la testa. -ai lupi non interessano i ragni...-

 

“Il Cantiere ancora scenario di una storia macabra a Riverwood” aveva annunciato il telegiornale due giorni prima.

In breve: due fidanzati avevano deciso di scappare insieme, perché le loro famiglie disapprovavano. Volevano andare lontano, a Boston, a New York o in Europa, magari.

Romantico, vero? Sì, lo era. O meglio, lo era stato finché, prima di partire, erano stati aggrediti vicino al Cantiere, dove si erano dati appuntamento.

Lui, Fred Babbel, era stato ucciso e sbranato da quello che Jane Cooper, la sua fidanzata, aveva descritto come un lupo mostruoso.

-secondo me esagerava- disse Nate, -insomma, un lupo è sempre un lupo. Era mostruoso solo perché stava divorando il suo ragazzo ahahahah-

-sai, non credo che dovremmo scherzare su questo. Lui è morto...- risposi interrompendolo mentre rideva.

 

Perché allora stavamo girovagando nel Cantiere, di notte, dopo che c'era stata un'aggressione proprio lì? Per quello che mia madre aveva detto, ovviamente.

Insomma, io non avrei mai sognato di entrare in quel posto solo per un nome sussurrato da mia madre, ma non appena l'avevo accennato a Nate era stato deciso. Inoltre, suo padre, che era nel consiglio comunale, era venuto a sapere che alcune prove collegavano l'episodio del lupo a mio zio.

Cosa di preciso non lo sapevamo, perché, ecco, Nate non era stato esattamente invitato ad ascoltare le conversazioni di suo padre. Ma ci doveva essere qualcosa, Nate ne era convinto.

Qualcosa che potesse spiegare tutto, e, anche se lui non ammetteva che potesse far parte di quel “tutto”, anche la scomparsa di sua sorella.

In fondo era successo tutto sempre al Cantiere.

Quel posto non mi piaceva, ma è anche questo quel che fanno gli amici, no?

 

-se devo morire, comunque- riprese lui, -voglio farlo in un modo grande, nobile, capisci?-

-non si sceglie come morire- dissi continuando a pensare cosa poteva realmente collegare un omicidio a un lupo.

Oh, per lo sceriffo, naturalmente, questo problema non c'era. Ormai era questione di minuti prima che archiviasse l'aggressione come “incidente domestico”.

-sì, lo so. Ma non voglio cadere fatalmente dalle scale o essere colpito a morte da un tappo di champagne...-

Arrivammo alla colonna crollata a metà, che, almeno secondo il sito dei fan, era il centro e il cuore del Cantiere.

Era un pilastro di marmo bianchissimo, rovinato e consumato dalle crepe, che si interrompeva bruscamente a circa due metri da terra. Un rampicante gli cresceva intorno, quasi a soffocarlo, per la metà che era rimasta.

-siamo arrivati- annunciai, -e adesso?-

Nate fece spallucce. Stava per dire qualcosa, quando un potente ululato risuonò per tutto il Cantiere, trovando eco in ogni dove.

Nate rise. -Adesso è il momento di avere paura.

 

-tornando al discorso di prima...- continuò lui investendo tutta la mezza colonna con la flebile luce della torcia, -tu cosa vorresti?-

-cosa? Per il mio compleanno?-

-no, scemo. Come vorresti morire?-

Non ci avevo mai pensato, o comunque, non avevo mai avuto la necessità di pensarci.

Feci per parlare, quando un altro rumore rispose al posto mio. Ma non era un lupo, purtroppo.

 

-così va bene, tesoro?- chiese una voce grossa e profonda.

Nate sobbalzò. -chi è?- poi, una mazza, un bastone o un qualcosa di abbastanza pesante gli arrivò in testa.

Avete presente i film dell'orrore? Quando gli zombie arrivano all'improvviso e iniziano la loro lenta, lentissima marciata verso le loro prede per ucciderle in un modo spiacevole? Be, se quello era uno zombie, doveva essere lo zombie più educato che avessi mai incontrato.

-Nate!- chiamai. La torcia cadde a terra, seguita subito da Nathan Brown.

La voce rise.

-chi sei?!- urlai guardandomi intorno.

Nessuna risposta.

-Nate, stai bene?- chiesi prima di pensare, -no, hai preso una mazza in testa, non stai bene!-

-tutto ok, amico. Solo, sai la mia testa e tutte le cose che fanno male non sono proprio amici.

La voce rideva ancora, grugniva addirittura. Oh, conoscevo qualcuno che grugniva così.

Presi la torcia e puntai davanti di me, cercando di vedere chi si nascondeva dietro il muretto vicino.

-Ford!- chiamai avvicinandomi, -Peter Ford!-

Peter uscì dal suo nascondiglio. -dai, Blake, era uno scherzo. Non ti è piaciuto?-

Peter era quel genere di ragazzo che non vorresti mai incontrare. Capelli di un arancione carota, corti e ispidi, la faccia da dammi-la-merenda-o-finisci-male e per il resto era il doppio di me.

Peter ford era un bullo, anzi, il bullo, il capo, il che significava che ogni illegalità, almeno a scuola, passava attraverso di lui.

 

-non ti è piaciuto?-

-direi di no- risposi aiutando Nate ad alzarsi. -cosa vuoi?

Peter era un bullo, un “ragazzo difficile”, ma non era sempre stato così.

Sapete, a volte provavo quasi pena per lui; ovviamente quando non picchiava il mio migliore amico.

Tanti anni prima, anche sua sorella era scomparsa, come Beckie. Ma a Riverwood, se non eri ricco e famoso come il padre di Nate, difficilmente riuscivi ad avere attenzione, anche quando ti capitava una cosa del genere.

Così come la famiglia Brown ce l'aveva con lo sceriffo per essere stato un incapace, Peter Ford detestava i Brown per essere quello che erano. Per aver potuto.

 

A volte provavo pena per lui, ma in quel momento lo trovavo solamente un idiota.

-ma che cavolo ti passa per la testa?!- gli chiesi mentre Nate si sedeva sulla base della colonna.

-volevo solo movimentare la vostra serata, ragazzi- si voltò verso Nate, -E finiscila Brown, non ti ho colpito tanto forte!-

Sì, era un idiota, e non sapevo cosa avrebbe potuto trattenermi dal prenderlo a pugni.

 

A quel punto l'epilogo dei quella felice serata sembrava già scritto, finché non arrivò lui. Sì proprio lui: “quell'incapace”.

-Vincent, non ne vale la pena- sussurrò Nate sentendo da lontano le sirene della polizia.

-ci mancava solo lui...-

 

Riverwood era davvero una città particolare, ma da questo punto di vista, non molto diversa dalle altre. Capirete dunque come sia stato difficile spiegare ai miei il tutto.

 

-ciao mamma, lo sceriffo mi ha riportato a casa, ma non preoccuparti: non è successo niente, è solo che quel mattacchione con la stella dorata voleva darmi uno strappo a casa-

 

Già, signori e signori, Vincent Blake venne riportato a casa dalla polizia. Chissà, forse ora lo sceriffo sarebbe riuscito ad incriminare me per incidente domestico o morte naturale. Ma questa era Riverwoo, la città delle zucche, che cosa vi aspettavate?

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