Voi vi rendete conto che questo significa guerra

di Hudders_Umbrella
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Così ha inizio ***
Capitolo 2: *** Un boccone amaro ***
Capitolo 3: *** Tutto fumo.... ***
Capitolo 4: *** Una doccia fredda ***
Capitolo 5: *** Figure di.... ***
Capitolo 6: *** Sembra talco ma non è ***
Capitolo 7: *** Vita da celebrità ***
Capitolo 8: *** A scatola chiusa ***
Capitolo 9: *** But initially ***



Capitolo 1
*** Così ha inizio ***


N/A: questa fanfiction-raccolta nasce da una nostra esigenza personale ovvero portare un po' di humour disimpegnato in questo fandom. Da qui, l'idea di postare una serie dedicata ai due fratelli Holmes e ad una loro particolare... contesa. Chi la spunterà? Ai posteri l'ardua sentenza, a voi... buona lettura.

Hudders&Umbrella

VOI VI RENDETE CONTO CHE QUESTO SIGNIFICA GUERRA

Le ombre della sera erano ormai calate su Londra, portando via un’altra giornata di quel freddo e umido Febbraio. Mycroft Holmes se ne stava seduto nel suo salotto di Pall Mall, un bicchiere con due dita di Scotch posato su un tavolino alla sua destra e “I Miserabili” tra le mani – un libro deprecabile quanto il musical (decisamente troppi sentimenti), ma non poteva non considerare affascinante la parte riguardante la battaglia di Waterloo.

La pendola sopra il caminetto batté le sette, facendogli sollevare lo sguardo e inarcare un sopracciglio: sapeva che gli orari di Gregory potevano oscillare a seconda di ciò che accadeva a New Scotland Yard, ma quel giorno non era successo niente di particolare – Anthea glielo avrebbe comunicato subito – e quindi non c’erano ragioni per cui il suo compagno si dovesse trattenere al lavoro. Il suo ritardo era dunque oltremodo sospetto, nonché frustrante, dal momento che quella sera avevano deciso di ritagliarsi un po’ di tempo da passare nella tranquilla compagnia reciproca. Proprio mentre cominciava a vagliare le varie ipotesi e a chiedersi se non fosse il caso di andare a controllare le sue telecamere, sentì la porta dell’ingresso aprirsi: finalmente Gregory era tornato. Il sorriso che aveva cominciato ad arricciargli le labbra fu però gelato dal suono dei passi strascicati e stanchi dell’Ispettore. C’era una certa spossatezza nell’incedere dell’uomo, nel suo togliersi il cappotto e la sciarpa e lasciarli sull’attaccapanni dell’ingresso. I suoi sospetti furono confermati quando lo vide entrare in salotto, stanco e stravolto, l’espressione di chi vorrebbe semplicemente scomparire, anche solo per un giorno, dalla faccia della Terra. Seguì Gregory con lo sguardo, osservandolo gettarsi sul divano e rilasciare un respiro di sollievo, prima di portarsi le mani sul volto.

“Buonasera Gregory, vedo che hai avuto una giornata alquanto pesante.” Esordì, posando il libro sul tavolino e prendendo il bicchiere di Scotch prima di alzarsi per raggiungere l’uomo sul divano e prendere posto accanto a lui.

“Ah, puoi dirlo forte Myc!” rispose Gregory, prendendo lo Scotch che l’altro gli stava offrendo e bevendone un sorso generoso. “Ho passato la giornata a stilare rapporti per i miei casi e per i miei colleghi e tutto per quella stupida foto” Borbottò, sbuffando infastidito e guadagnandosi un’occhiata incuriosita da parte del politico.

“Quale foto?” chiese infatti quest’ultimo, accomodandosi meglio sul divano, scrutando il volto del compagno. Gregory prese un altro sorso di Scotch, finendo il suo bicchiere e passandosi una mano tra i corti capelli grigi, prima di parlare.

“Una che è stata scattata al matrimonio di John. Tu non c’eri, mi annoiavo e, sì, lo ammetto, avevo già bevuto un po’… insomma, la signora Hudson aveva quel cappello che…” l’Ispettore si interruppe e sbuffò, sempre più esasperato, perfettamente conscio del fatto che Mycroft lo stava ancora fissando e stava facendo le sue deduzioni.

“Te lo sei messo e qualcuno ha scattato una foto in quel momento” concluse infatti l’uomo poco dopo “e, dato che hai sottolineato di essere un po’ su di giri al momento dell’accaduto, probabilmente ti sei fatto riprendere con un’espressione… vogliamo dire particolare?” aggiunse, con un sorrisetto, facendo sbuffare l’altro.

“Esatto. Tempo fa ero a Baker Street e, mentre aspettavo Sherlock, la signora Hudson mi ha fatto vedere la foto. Ci siamo fatti due risate, poi però è arrivato tuo fratello, l’ha notata e stamani ho saputo che l’aveva messa sul suo blog, in un articolo nel quale parlava dei travestimenti, citando la mia immagine come un esempio da non seguire. Il capo ha preso alla lettera queste sue ultime parole e mi ha detto che per un po’ sarebbe stato il caso che non mi facessi vedere in giro, per non, cito testualmente, ‘infangare il nome di Scotland Yard’. Risultato? Lavoro d’ufficio a tempo indeterminato, per adesso.”

Gregory concluse la sua spiegazione, passandosi sul viso la mano con cui non stringeva il bicchiere. “Alla centrale i colleghi non fanno che ridermi alle spalle e temo che presto possa uscire un articolo al riguardo sul Times. Sai che non perdono occasione per darmi addosso, quei bastardi.” Borbottò poi, prendendo un sorso.

“E Sherlock non vuole togliere l’immagine dal suo blog.” Commentò Mycroft, cominciando ad innervosirsi: fintantoché suo fratello si divertiva a fare la Primadonna durante le indagini poteva anche chiudere un occhio, fintantoché si ostinava a fare il bambino quando lui provava a parlarci poteva chiuderne due, ma andare a danneggiare la carriera dell’unico uomo di Scotland Yard che lo supportava (e sopportava)… beh, era giunto il momento che quel piccolo bastardo ingrato avesse una bella lezione. Mise una mano sulla spalla di Gregory che, nel frattempo, continuava a lamentarsi:

“Non posso nemmeno denunciarlo per oltraggio a pubblico ufficiale senza trovarmi tutta la stampa addosso, e comunque servirebbe a poco, e… sì, dimmi.” Concluse l’Ispettore, fermandosi e voltandosi a guardare il compagno.

“Stavolta, se permetti, voglio pensarci io.” Gli disse quest’ultimo. Sembrava stargli offrendo una scelta ma, e questo Gregory lo sapeva, di scelte ce n’erano ben poche.

“Cosa… cosa pensi di fare?” gli chiese infatti, un po’ preoccupato. Sherlock sapeva essere terribile, ma non osava né riusciva ad immaginare cosa avrebbe potuto combinare il maggiore degli Holmes in una situazione del genere. “Insomma, pensi che sia necessario rispondere ad una stupidaggine simile?”

“Gregory” cominciò Mycroft, la voce molto calma “Sherlock ha sempre fatto il bambino per attirare l’attenzione. Gli abbiamo perdonato di tutto in questi anni, lo sai anche tu, ma ci sono dei limiti che non deve permettersi di varcare. Mettere a repentaglio la tua carriera è uno di questi e avrò cura che se ne renda conto.”

L’Ispettore era sempre più preoccupato e più conscio del fatto che, con ogni probabilità, si stava per scatenare una guerra le cui proporzioni non era così sicuro di voler sapere. Né il sorriso, né le parole che il compagno gli rivolse subito dopo servirono a fargli passare la sensazione che Londra stava per vivere dei tempi molto, molto bui.

“Ora però dimentichiamoci di mio fratello e cerchiamo di passare al meglio questa serata. Altro Scotch?”

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Qualche giorno dopo…

Non era stata dura per Mycroft convincere alcuni degli addetti ad uno dei suoi laboratori a produrre per lui il contenuto del flaconcino che aveva tra le mani. Alcuni di loro gli erano parsi fin troppo entusiasti di mettere al suo servizio le loro conoscenze, ma poco importava: sapeva che nessuno di loro avrebbe rischiato troppo, in fondo si trattava di una piccola vendetta, non di commissionare un…

Distolse la mente da quella linea di pensiero quando si accorse che la macchina si fermava davanti al 221/b. Sapeva bene, grazie ad alcune intercettazioni, che quel giorno né suo fratello, né il dottore sarebbero stati all’appartamento per qualche ora, lasciandogli il tempo di agire nella calma più assoluta. Nascose il flacone nella borsa, scese dalla vettura e andò a suonare il campanello, salutando la signora Hudson che lo accolse con un sorriso.

“Oh, signor Holmes, è un piacere vederla! Prego, entri, entri pure. Temo che Sherlock non sia in casa però, povero caro. Si sta annoiando molto in questo periodo. Ha portato qualcosa per lui, vero?”

Mycroft la lasciò parlare, rivolgendole poi un sorriso. “Sì, è esatto, ma temo di non potermi trattenere molto. Se non le dispiace, posso salire e lasciare tutto nel salotto?”

“Ah, certo, se crede di non restarci intrappolato, c’è una tale confusione…” borbottò la signora. “Faccia, faccia pure, caro.” Concluse poi con un gesto della mano, canticchiando qualcosa che sembrava una vecchia canzone dei cabaret Anni Cinquanta. Ridendo tra sé, Mycroft salì al piano superiore. Sapeva che Sherlock non era in casa, ma non sapeva quando sarebbe rientrato, quindi avrebbe dovuto agire velocemente. Inoltre, se fosse rimasto a lungo, la padrona di casa avrebbe potuto porsi delle domande, magari farlo notare a suo fratello e farlo di conseguenza insospettire.

Giunto all’appartamento, si tolse il cappotto e posò la valigetta a terra, aprendola. Ne tirò fuori due copri-scarpe di plastica e un paio di guanti in lattice e prese il flacone, insieme ad una cartelletta. Rialzatosi, andò verso il salotto e posò la cartelletta sul tavolino da caffè, già assai ingombro di fogli e tazze di caffè e del tè sporche – cosa che gli fece arricciare il naso: possibile che non sapessero nemmeno mantenere un po’ d’ordine, quei due scellerati?

No, non doveva distrarsi. Si infilò prima i copri-scarpe, poi i guanti e infine si diresse verso il bagno. Era un po’ più ordinato rispetto al salotto e per questo non ebbe difficoltà ad individuare ciò che cercava: il flacone di shampoo di suo fratello. Lo prese e lo aprì, posandolo sul lavandino, prima di aprire anche quello che aveva portato lui e versarne il contenuto, incolore e inodore, in quello che Sherlock avrebbe usato, prima o poi. Richiuse entrambi i flaconi, scuotendo quello del fratello per mischiare i due fluidi, poi mise tutto a posto e tornò in salotto. Si tolse i guanti e i copri-scarpe, li ripose nella valigetta insieme al flacone vuoto, si rimise il cappotto e lasciò l’appartamento, un ghigno stampato sulla faccia.

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Gregory sbuffò quando, entrato in ufficio, trovò la solita montagna di scartoffie: quando si sarebbe placato il suo capo? Con fare stanco, andò alla sua scrivania e si sedette, sospirando e passandosi una mano sul viso, prima di prendere il dossier che si trovava in cima al mucchio e cominciare a lavorare. Nonostante ciò che Mycroft gli aveva detto qualche giorno prima, non era successo niente e tutto continuava a procedere come al solito. Scriveva rapporti da quasi due ore, quando il suo telefono vibrò. Lo prese e sorrise prima di aprirlo, notando che c’era un messaggio e che il mittente era Mycroft. Senza esitare oltre, scorse la tastiera e lesse il testo:

Tra cinque minuti esatti dovrebbe arrivare la tua rivincita.

La tua giornata migliorerà notevolmente.

MH

Il cuore dell’Ispettore sobbalzò: aveva una vaga idea di quello che sarebbe accaduto, o quantomeno di chi sarebbe stato il diretto interessato e si sentì pervaso da una forte euforia. Con un sorriso sornione, si rimise a lavorare e, esattamente cinque minuti dopo, sentì la porta aprirsi e qualcuno entrare.

“Inutile dirti che devi bussare, Sherlock. Ma accomodati, fa come se fossi a casa tua.” Disse, prima di alzare lo sguardo e inarcare un sopracciglio: nel suo ufficio c’era effettivamente Sherlock, ma aveva la testa coperta dal cappuccio di una felpa. Strano, non l’aveva mai visto abbigliato a quella maniera a Scotland Yard. Lo guardò con fare interrogativo, guadagnandosi una sbuffata da parte del consulente.

“Hai vinto, non è ovvio?” gli disse seccamente, la stizza palese sui suoi lineamenti spigolosi.

“Ho vinto… cosa?” chiese Gregory, decidendo di fare finta di niente per il momento.

“Ma sei proprio ottuso, Lestrade!” sbottò Sherlock, così forte, pensò l’Ispettore, che metà divisione doveva averlo sentito alla perfezione e l’altra metà doveva aver colto l’eco. “Toglierò la foto e la parte che ti riguarda dal mio blog, contento? Ora però digli che mi faccia avere qualcosa che risolva il mio problema.”

Gregory avrebbe voluto continuare a fare lo gnorri, ma non riuscì più a trattenersi dal ridere al vedere l’espressione frustrata del giovane di fronte a lui. Riuscì a riprendere un contegno dopo qualche minuto e stava per rispondergli quando Sally entrò nell’ufficio.

“Ah, geniaccio, sei tu, mi pareva di aver sentito la tua voce. Cosa vuoi?” chiese, rimanendo sulla porta.

“Non sono affari che ti riguardano, Donovan, perché non torni a cercare di fare il tuo lavoro?” replicò Sherlock, senza voltarsi a guardarla.

“Ma sentilo, e oltretutto più irrispettoso del solito! Levati questo… Oh mio Dio!” esclamò la donna, che si era avvicinata ed aveva tolto il cappuccio. Ci fu un momento di silenzio, poi sia lei che Gregory scoppiarono a ridere in modo quasi isterico: al posto dei riccioli neri, Sherlock aveva una vivace chioma fucsia. L’Ispettore avrebbe voluto scattargli una foto, ma non riusciva a smettere di ridere e sentiva le lacrime che gli scendevano dagli occhi. Guardò il consulente che era rimasto paralizzato nel mezzo della stanza, la bocca che si apriva come quella di un pesce, senza emettere alcun suono. Sally era piegata in due dalle risate, poco distante. Dopo alcuni istanti, Sherlock voltò i tacchi e fece per uscire, solo per trovarsi davanti il cellulare dell’Ispettore Dimmock, un sorriso trionfante sul volto.

“Ehi, Greg, questa la mettiamo in gigantografia nella sala riunioni, eh? Magari mentre parliamo dei travestimenti!” commentò l’uomo, mentre Sherlock lo spintonava via ed usciva dall’ufficio, inseguito dalle risate dei tre e poi da quelle di tutta Scotland Yard, mentre lasciava l’edificio, gridando qualcosa come “Digli che non finisce qui, Gavin!”

Quando si fu ripreso, Gregory uscì a sua volta dall’ufficio, tra le risate e gli applausi dei colleghi.

“Ragazzi, propongo una pausa. Ciambelle per tutti, offro io!” dichiarò, guadagnandosi un’altra ondata di applausi, prima di rientrare nel suo studio e prendere il telefono per chiamare l’artefice di tutto quello.

“Ne deduco che Sherlock sia appena uscito. Come ridono, i tuoi colleghi.” Gli disse Mycroft quando rispose dopo due squilli.

“Avresti riso anche tu. È stato geniale, Myc. Grazie, grazie davvero.” Replicò Gregory, senza riuscire a togliersi il sorriso dalla faccia.

“Ah, figurati. Gli servirà da lezione.”

“Dici? Ne dubito fortemente. Preparati piuttosto alla sua vendetta. Temo che possa arrivare molto presto.”

“Sarò lì ad attenderla. Stasera che programmi ha, Ispettore?”

“Il mio programma, signor Holmes, è ringraziarla a dovere, portandola fuori a cena e niente discussioni.”

È una proposta oltremodo allettante. Accetto con piacere.”

“Ne sono lieto. Grazie ancora Myc, è stato spettacolare. Vorrei che ci fossi stato anche tu.”

“In un certo senso c’ero e ti prego di non chiedere altro. A stasera Gregory.”

“A stasera Mycroft. Ti amo.” Disse Gregory, concludendo la chiamata.

Qualche chilometro più in là, a White Hall, Mycroft Holmes abbassò il telefono, un sorriso sul volto e il video di Sherlock a Scotland Yard in riproduzione sul monitor del suo computer. Doveva ammetterlo, al di là dell’aver fatto felice Gregory si era divertito molto. Sapeva che suo fratello avrebbe risposto, ma sapeva anche che poteva batterlo sul tempo.

Insomma, dei due era lui quello intelligente, fino a prova contraria.

FINE

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Capitolo 2
*** Un boccone amaro ***


N/A:
Sherlock è notoriamente orgoglioso e plateale, e lo scherzo di Mycroft non aveva ovviamente possibilità di restare impunito. Ecco il secondo capitolo, ovvero la vendetta del giovane Holmes nei confronti del fratello. Sarà dura da digerire, in tutti i sensi. 
Speriamo che vi facciate quattro risate (alle spalle del povero Mycroft...) come ce le siamo fatte noi.
Hudders&Umbrella

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"Sherlock, posso sapere cosa te ne fai delle interiora del pollo?"

La signora Hudson, ancora intenta a spezzare lo sterno del volatile con le forbici da cucina, rivolse la domanda al suo inquilino accompagnandola con uno sguardo confuso.

"È per un esperimento.”

“Certo che ultimamente sei strano, caro. Prima quella tinta così appariscente…”

“Non è stata certo una mia libera scelta!”

“…hai ancora una ciocca rosa, oltretutto, dietro la nuca. Adesso vuoi gli organi di un animale. Non stai frequentando brutte compagnie, dico bene?”

Insomma, andava bene che le nascondesse parti di cadavere in frigorifero, era necessario per il suo lavoro. Ma che le chiedesse gli scarti di quello che sarebbe diventato il pranzo della domenica era una novità.

“È per un esperimento, ho detto. Non le serve sapere altro."

La donna storse il naso, infastidita da quel tono saccente.

"Ah, beh. Potresti anche essere un po' più educato, giovanotto. Metterò gli scarti in una scodella, prendi quello che ti pare."

Sherlock Holmes si concesse un sorriso soddisfatto. Era così semplice ottenere quello che voleva.

"La scienza le deve molto."

Fu il ringraziamento che, a modo suo, le rivolse quando finalmente potè allontanarsi con le interiora tanto bramate.

La scienza... come no. Se l'infantile necessità di vendicarsi dello scherzo del fratello e l'incapacità di lasciare a lui l'ultima parola potevano essere definite scienza, allora non aveva mentito.

Salì le scale quasi con euforia, la stessa che lo coglieva quando aveva per le mani un bell’omicidio o la possibilità di ridicolizzare Scotland Yard.

Nonostante i dissapori, le incomprensioni, l’astio e il rancore (probabilmente ingiustificati, ma mai l’avrebbe ammesso) che provava o diceva di provare  nei confronti di suo fratello, aveva sempre adorato giocare con lui. Dagli scacchi alle gare di deduzioni, da “l’Allegro Chirurgo”alle parole crociate, Mycroft era il solo in grado di tenergli testa… anzi, di rappresentare una vera e propria sfida.

Tuttavia, il gioco a cui il maggiore degli Holmes aveva appena dato inizio era qualcosa di particolarmente stimolante e Sherlock, privo di un caso decente ormai da settimane, aveva tutta l’intenzione di rispondere al fuoco.

Non appena fu al sicuro nel suo appartamento posò la scodella sulla prima superficie disponibile e, senza nemmeno preoccuparsi di indossare un paio di guanti, prese a frugare tra gli organi, gettando dalla finestra quelli di cui non aveva bisogno (il gatto che bazzicava sempre vicino ai bidoni avrebbe apprezzato).

Via il cuore, i polmoni, questo cos’era? Fegato? Via! Ah, eccolo qui. Piccolo e decisamente micidiale. 

Tenendolo tra le dita e guardandolo vicino alla luce come avrebbe fatto con una pietra preziosa, Sherlock sorrise e dette un’occhiata all’orologio. Le due del pomeriggio. Aveva tutto il tempo.

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Mycroft sedeva composto, pazientemente in attesa. Mancavano pochi minuti ormai all’arrivo del suo ospite e la sola cosa che restava da fare era controllare un’ultima volta che tutto fosse pronto. Due comode poltrone giacevano una di fronte all’altra al centro della stanza, separate da un tavolino dall’aspetto elegante e sobrio. Su questo, un vassoio con due tazze, piattini, stoviglie di vario genere, una teiera e in ultimo un espositore per dolci in argento carico di una particolare prelibatezza che sapeva essere estremamente gradita al giovane francese che sarebbe entrato di lì a poco dalla porta: macarons al pistacchio.

Per essere certo di non sbagliare si era affidato alla migliore pasticceria di Londra, a cui da anni si rivolgeva per ordinare dolci di ogni tipo da offrire ai suoi ospiti più importanti. Si fidava ciecamente del longilineo signore che da tanto tempo ormai gli forniva le migliori leccornie, indispensabili a prendere i suoi colleghi internazionali per la gola ed anche a concedersi un piccolo piacere personale di tanto in tanto.

Errore imperdonabile.

Avrebbe dovuto fare molti più controlli su quell’uomo prima di ritenerlo così degno di fiducia. Avrebbe scoperto tante di quelle cose.

 

“Signor Holmes, la prego. Non mi chieda una cosa simile.”

“Clayton, mi sono forse tirato indietro quando l'ho scagionata dalle accuse di omicidio?”

“No,ma.. suo fratello è mio cliente da tanti anni ormai…”

“Non è stato forse lei a dirmi che mi sarebbe stato debitore vita natural durante?”

“L’ho detto e lo penso tuttora, ma mi sta chiedendo di tradire la fiducia di Mycroft Holmes.”

“La fiducia di mio fratello o la mia, Clayton. A lei la scelta.”

“…per l’amor del cielo, mi dia quel pacchetto e che Dio ce la mandi buona.”

“Ottimo. Ha fatto la scelta giusta.”

 

Ebbene, Mycroft non aveva fatto alcuna ricerca e non aveva idea del fatto che quel pasticciere dovesse un gigantesco favore al caro fratellino, né poteva in alcun modo dedurre una sillaba della conversazione avvenuta tra i due poche ore prima. Fu solo quando ormai era troppo tardi che notò qualcosa di strano, una nota fuori posto nell’accoglienza preparata a puntino.

Quei dolci avrebbero dovuto presentare tutti la stessa delicata sfumatura di verde, ma alcuni (circa la metà, a occhio e croce) apparivano lievemente più scuri del dovuto.

Non era la prima volta che vedeva quel dolce, ne aveva assaggiato uno prima di ordinarli. Perché quella stranezza? Era una differenza quasi impercettibile ad un occhio meno allenato del suo nel notare i dettagli, ma c’era. Fu in quell’istante che l’interfono sulla sua  scrivania si accese. La voce della sua assistente costrinse Mycroft a distogliere l’attenzione da quella inaspettata sorpresa bicromatica.

“Signor Holmes, il signor Gaillard è appena arrivato.”

“Ah, lo faccia entrare, grazie.”

George Gaillard fece il suo ingresso pochi istanti dopo. Nonostante la giovane età, quell’uomo aveva ereditato un impero finanziario dal padre e se tutto fosse andato per il verso giusto avrebbe firmato un contratto con il governo inglese estremamente vantaggioso per il paese.

“Sono lieto di vederla. Mycroft Holmes, la stavo aspettando.”

Lo accolse con una ponderata stretta di mano, per poi scortarlo verso una delle poltrone. L’occhio del francese cadde sui dolci, e così fece quello del politico. Tuttavia, se lo sguardo del primo era animato dalla gola, quello del secondo era tormentato da un brutto presentimento.

“Posso offrirle qualcosa, signor Gaillard?”

“Volentieri, grazie.”

Rispose l’altro, allungando la mano verso i macarons. Mycroft perse un battito, salvo poi sospirare di sollievo nel constatare che aveva preso uno dei dolcetti dal colore regolare. Sembrava non avesse nemmeno notato la sfumatura impercettibilmente differente. Dopo aver riempito le tazze, l’inglese trasse mentalmente un sospiro e prese uno dei dolcetti più scuri, portandolo alle labbra e staccandone metà.

A distanza di anni avrebbe continuato a congratularsi con se stesso per il sangue freddo che era riuscito a mantenere in quell’istante.

Non mosse uno dei quarantatrè muscoli facciali che chiunque altro avrebbe contratto in una smorfia di disgusto.

Non si alzò per correre in bagno a vomitare, cosa che sarebbe stata perfettamente giustificata.

Non sputò quella.. cosa in un tovagliolo.

Deglutì e si accinse a portare l’altra metà alla bocca, lottando contro l’istinto di sopravvivenza che gli suggeriva di gettarla. Conosceva quel sapore. Era amaro, la cosa più amara che mai gli fosse capitato di assaggiare. Era bile, una sostanza verde prodotta dalla cistifellea. Una mano poco esperta o un po’ di sfortuna erano sufficienti a rompere l’organo durante la pulizia della selvaggina, provocando una contaminazione della carne da parte della bile e di conseguenza un sapore estremamente amaro. Quello stesso sapore che adesso era per la seconda volta nella bocca di Mycroft.

Trovò chissà dove la forza di sorridere mentre le sue papille gustative si davano al suicidio di massa. L’altro tuttavia sembrava godersi completamente il dolcetto, grazie al cielo. Improvvisamente lo schermo del cellulare di Mycroft si illuminò e la notifica di un sms in entrata apparve in alto. “Mi scusi un attimo.” Disse il politico prima di sbloccare lo schermo e controllare velocemente il messaggio. Aveva già capito chi fosse il mittente, ed anche il suo coinvolgimento in quella faccenda.

 

Allora, Mycroft? Cucino bene?

SH

 

Per l’amor del cielo. Si era aspettato una contromossa da parte di Sherlock, dopo averlo fatto girare per Londra con una chioma da fare invidia Lady Gaga.Tuttavia, tentare di sabotare un accordo internazionale di quel calibro era decisamente troppo. Sherlock non aveva il senso della misura.

Se lo immaginava perfettamente, a preparare quei crimini alimentari contro l’umanità con un sorriso beffardo stampato in volto.

Mycroft ripose il telefono e tornò a rivolgere la propria attenzione al giovane che gli stava davanti.

“Mi dica, ha fatto buon viaggio?”

Domandò fingendosi interessato alla risposta mentre versava il tea nelle tazze, zuccherando la propria più del solito nella speranza di scordare quel saporaccio.

“Un volo discreto, sebbene sia abituato a qualcosa di più. Il servizio a bordo non era assolutamente all’altezza della situazione.”
“Me ne rammarico. Mi permetta di compensare offrendole una buona tazza di-”

“Non mi piace il tea, la ringrazio.”
Tagliò corto l’altro, lasciandolo di sasso. Mycroft sapeva benissimo che genere di viziato figlio di papà avesse di fronte, ed era certo che se avesse bevuto per primo, o peggio, se avesse bevuto nonostante la bevanda fosse sgradita al signorino, questi l’avrebbe presa male.

In breve, per il bene dell’Inghilterra era costretto a tenersi quel retrogusto amaro.

Non fece in tempo a rassegnarsi che fu messo nuovamente in allarme: il ragazzo stava allungando la mano verso il piatto ed era ormai a una frazione di secondo dall’afferrare uno dei dolcetti, il più esterno (come da bon ton). E ovviamente, uno dei più scuri. Non ebbe che un istante per pensare ed agire.

“Cos’è quello?”
Chiese di scatto, indicando la finestra. Il giovane si voltò allarmato nella direzione indicata, lasciando a Mycroft l’opportunità di afferrare quella.. cosa prima di lui. Purtroppo, però, il suo movimento per quanto rapido doveva essere stato notato. Il francese infatti tornò a guardarlo, fissando la mano in cui reggeva il macaron.

“Signor Holmes?”
“Curioso. Forse era solo un volatile di passaggio.”

Commentò ostentando la massima nonchalance possibile. Aveva pensato di gettare quella roba sotto il tavolo, ma era stato visto troppo presto e il giovane continuava a fissarlo confuso. Non restava che mangiarlo.    

Dopo aver temporeggiato il più possibile si decise a dare un morso, ingoiando quasi senza masticare. Sperava che fosse più facile, invece fu costretto a fare uno sforzo per reprimere un conato di vomito. Era davvero immangiabile, ma quantomeno adesso il più esterno era uno di quelli commestibili, che infatti l’altro prese.  

“Vogliamo parlare del contratto, signor Gaillard?”

“Sì, vorrei leggerlo per intero, se non le dispiace.”

“Assolutamente, faccia pure.”
Rispose, spingendo verso di lui il contratto con la mano libera mentre deduceva rapidamente. Aveva il segno degli occhiali ai lati del naso, ma in quel momento non li portava, né indossava lenti a contatto. Non aveva rigonfiamenti nel taschino superiore della giacca e sicuramente usava una montatura troppo costosa per essere riposta in altre tasche senza rischi, quindi c’era una sola possibilità.
Il giovane prese infatti a rovistare nella propria valigetta, con somma gioia di Mycroft che potè approfittarne per passare la mano sotto il tavolino ed attaccarvi i resti del dolcetto. Decisamente poco convenzionale per lui, ma a mali estremi… avrebbe sistemato dopo.

“Tutto in regola?”
“Direi di sì. Possiamo firmare, per me.”
“Meraviglioso.”

Lo osservò trepidante mentre apponeva la firma. Presto sarebbe tutto finito e avrebbe potuto passare il resto della mattinata a fare gargarismi. Prese i documenti per firmarli a sua volta, ma non fece in tempo a iniziare che Gaillard afferrò di nuovo uno di quegli affari. Un istante dopo il francese, sempre più confuso, fu inondato di tea.

“Che sta facendo?”

“Sono desolato! Temo di aver colpito inavvertitamente la tazza con il gomito. Sono terribilmente imbranato a volte, spero di non averle rovinato il completo.”
“No.. no, solo la mano.”
Borbottò l’altro innervosito, posando da parte il dolce che gli si stava letteralmente sciogliendo tra le dita.

Holmes gli porse un tovagliolo e si chinò nuovamente sui documenti, deciso a concludere la trattativa prima che… oh, Signore, ancora? Possibile che continuasse a pescare quelli contaminati? Non era il momento, per Mycroft, di rivalutare la propria posizione sulla legge di Murphy. La penna che teneva in mano volò letteralmente a terra, oltre il tavolo.
“Ah, dev’essermi sfuggita. Questa mattina sono imperdonabile. Le dispiacerebbe…”

Il ragazzo, stavolta visibilmente infastidito, posò il macaron sul tavolo e si chinò per raccogliere la penna. Non si accorse della sostituzione che il politico operò a tempo di record, tanto da mangiare in tutta tranquillità mentre questi finiva di ufficializzare i documenti.

“Benissimo, abbiamo finito.”
Fece, sollevato. Si alzarono entrambi, e Mycroft si avviò verso l’uscita, compiacendosi per aver gestito in maniera quasi impeccabile la situazione.

Quasi.

Perché quando, aperta la porta, si voltò per salutare il francese, scoprì con sgomento che costui non l’aveva seguito. Anzi, era ancora in piedi accanto al tavolino, un dischetto di un verde sospettosamente scuro tra le dita.

Mycroft Holmes era troppo lontano per fare qualcosa che non fosse passarsi una mano sugli occhi in attesa della tragedia.

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“..e con uno importante come quello! Ma che hai in testa? L’Inghilterra poteva rimetterci milioni per la tua bravata, te ne rendi conto o no? Fortuna che aveva già firmato, poteva succedere un disastro.”

Raramente Gregory Lestrade appariva tanto arrabbiato come in quel momento. “Mhhm. Raccontami ancora la parte della penna.”

“Sherlock, ce la fai a non compiacerti di te stesso per dieci secondi? Sono sconvolto, cosa ti è passato per la testa? SIGNORA HUDSON! Vuole allontanarsi da quella porta, per cortesia?”
Le parole – per non dire le urla- dello yarder furono seguite dal suono di rapidi passi che si allontanavano per le scale.

“Greg, ascolta.”
Intervenne John, allarmato.

“Li conosci bene, sono due testoni. Per favore, và a casa e porta a Mycroft le scuse di..”

“No, John, stavolta non ho intenzione di coprirlo. Deve scusarsi lui con suo fratello.”
“Senti, è lui che gli ha messo la tintura rosa nello shampoo o no? Sapeva a cosa andava incontro, e quel colore gli è rimasto per giorni.”

“Mycroft ha ancora la bocca amara da ieri mattina, se è per questo, e come suo compagno ti assicuro che non è piacevole.”
“Senti, mi dispiace davvero, ma per il quieto vivere vai da suo fratello e digli che..”

“Vai da mio fratello.”
Interruppe Sherlock di colpo.

“E digli che tocca a lui.”

Gli altri due lo fissarono sconcertati.

“Il gioco, Gunther, è cominciato.”

      

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Capitolo 3
*** Tutto fumo.... ***


N/A: oh bene, eccoci di nuovo qua. Chiedo scusa per il ritardo. Come replicherà Mycroft al tiro mancino giocatogli da Sherlock? Prima di scoprirlo, tuttavia, dato che ormai siamo al terzo capitolo, vorrei ringraziare anche a nome della mia collega tutti coloro che stanno leggendo e mostrando di apprezzare questa storia. L’idea era folle, come abbiamo più volte ripetuto, e nata un po’ per noi stesse. Vedere che stiamo riuscendo a farvi ridere anche in situazioni molto serie (come i seminari universitari) ci dà un immenso piacere e ci sta spronando a continuare. Quindi grazie di cuore. Ora, senza ulteriori indugi, vediamo un po’ cosa avrà deciso di combinare il maggiore degli Holmes.

TANTO FUMO…..

" Mycroft, ti prego, calmati !"

"No, Gregory, non mi calmo! Sherlock deve rendersi conto che non può fare certe cose e sperare di passarla sempre liscia"

"Sì, ma dubito fortemente che rispondere con un altro scherzo sia il modo giusto per farlo smettere. Sai com’è fatto, la prenderà come una sfida e risponderà un’altra volta"

"Dovrei dunque lasciar correre?"

"Sarebbe probabilmente la scelta più saggia. Gli daresti l’impressione che non valga la pena assecondarlo"

"Oppure gli darei l’impressione che mi sono arreso. Beh, non questa volta! Mi ha persino costretto a privarmi del mio pasticcere di fiducia!"

Gregory Lestrade si passò le mani sul volto, in un gesto di esasperazione, mentre Mycroft continuava a percorrere il salotto avanti e indietro con passi lunghi e lenti. John aveva proprio ragione: i due fratelli Holmes sapevano essere delle vere e proprie teste dure quando ci si mettevano. Era tuttavia strano che Mycroft reagisse in quel modo, impuntandosi per uno scherzo da parte di Sherlock, per quanto pesante fosse stato. Di solito, infatti, si limitava a classificare il fratello come infantile e concludeva il discorso. In quell’occasione, invece, sembrava deciso a prenderla sul personale e a vendicarsi. Alzando lo sguardo, l’Ispettore posò gli occhi sul compagno, che non aveva ancora smesso di camminare per il salotto, una luce battagliera nelle iridi grigie. Gregory la conosceva bene, l’aveva vista tante volte ed aveva imparato ad associarla a qualche provvedimento che il suo compagno stava per prendere nei confronti di qualche politico, o all’attuazione di un piano particolarmente machiavellico. Fu allora e solo allora che realizzò cosa stava davvero spingendo Mycroft a proseguire per la sua strada. Con un ghigno, si alzò dal divano su cui era seduto e raggiunse il compagno per abbracciarlo da dietro, fermando i suoi movimenti e posandogli il mento su una spalla per potergli sussurrare all’orecchio:

"Tanto io ti ho capito, sai?" gli disse con una mezza risata, sentendo che Mycroft posava le mani sulle sue braccia e che si voltava appena verso di lui.

"In che senso mi hai capito?" domandò il politico, guardandolo con la coda dell’occhio e guadagnandosi una risatina da parte dell’Ispettore.

"Tu stai recitando la parte dell’uomo che deve replicare per vendicare l’onta subita, ma in realtà, anche se non lo ammetterai mai, questo gioco tra voi ti sta divertendo". Gli rispose quest’ultimo, lasciandogli un bacio sul collo per frenare le proteste e le giustificazioni che avevano minacciato di cominciare a fluire dalla sua bocca. Mycroft si irrigidì, poi sospirò: da buon diplomatico, sapeva benissimo che, quando le maschere venivano calate, era inutile ostinarsi a tenerle sul volto. Sapeva che avrebbe dovuto trovare comunque qualcosa da dire, ma Gregory lo precedette.

"Promettimi solo che non ci saranno coinvolgimenti esterni e che resterà tra di voi: non vorrei essere costretto ad arrestarti" gli disse infatti, con una mezza risata, ben conscio del fatto che sarebbe stato impossibile, data la posizione che il suo compagno ricopriva. Mycroft gli strinse appena il braccio.

"Da parte mia, cercherò di fare il possibile. Spero che Sherlock sia altrettanto assennato, anche se ho i miei seri dubbi al riguardo."

Gregory sorrise a quella risposta. " Sapevo che avresti accettato, ora…. Qual è il piano?"

Mycroft si voltò tra le sue braccia per guardarlo, un misto di sorpresa e incredulità sui lineamenti.

"Oh, andiamo Myc, pensavi davvero che me ne sarei rimasto in disparte e ti avrei lasciato tutto lo spasso? Voglio collaborare, ammesso che questo possa tornarti utile" aggiunse l’Ispettore, mentre il viso di Mycroft, passato lo stupore, si allargava in un ghigno.

"In effetti, potresti appena avermi fornito il mezzo perfetto per portare a compimento la mia idea. Vieni, sediamoci e lascia che ti spieghi"

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Qualche settimana dopo, l’Ispettore si trovava ancora una volta tranquillamente seduto nel suo ufficio a Scotland Yard. Erano stati giorni molto impegnati, avevano avuto parecchi casi per le mani ed erano riusciti a risolverli quasi tutti. L’intero dipartimento era stato pervaso da una discreta euforia, dal momento che Gregory, per qualche ragione a tutti ignota, aveva deciso di non chiamare più Sherlock e di far vedere che Scotland Yard era perfettamente in grado di cavarsela senza aiuti esterni. L’Ispettore aveva anche insistito per concedere conferenze stampa, che di solito odiava, e interviste varie durante le quali elogiava con enorme soddisfazione il lavoro dei suoi colleghi e le loro capacità.

Il clima a Scotland Yard era tranquillo e spensierato: con il plauso dell’opinione pubblica era salito anche il morale dell’intero dipartimento. Certo, ogni tanto c’era un po’ di incredulità di fronte all’ostinazione di Gregory di non chiamare “il geniaccio”, ma nessuno si lamentava più di tanto: finché i casi venivano risolti così rapidamente, di fatto non c’era bisogno di lui.

Lestrade, frattanto, attendeva pazientemente, ben sapendo che era solo una questione di tempo, prima che la fase 1 del piano di Mycroft fosse completa. Certo, Sherlock stava dimostrando di avere una discreta dose di resistenza, ma a tutto c’era un limite e la noia era una brutta nemica per il consulente.

Nel frattempo, aveva anche deciso di riprendere un piccolo vizio, ovvero il fumo. Non consumava tante sigarette al giorno, giusta una o due, così che sarebbe stato più facile smettere alla fine del gioco. Non che sapesse molti dettagli: Mycroft gli aveva spiegato solo alcuni piccoli dettagli, per “limitare le possibilità che Sherlock capisse qualcosa”, così aveva detto. Sospettava tuttavia che anche il maggiore degli Holmes amasse la teatralità quasi quanto il fratellino, ma la cosa non gli importava più di tanto.

Alla fine, dopo quasi tre settimane, cappotto svolazzante, colletto tirato all’insù, un blogger al seguito (ma John non visitava mai nessuno?) e un’aria di strafottenza sul viso spigoloso, Sherlock era arrivato nel suo ufficio a chiedergli un caso. Lui, con totale nonchalance, aveva risposto che al momento non aveva niente che gli potesse interessare e lo aveva liquidato, ignorando la frecciatina del consulente sull’odore di fumo nella stanza e tornando a lavorare.

Sherlock era poi tornato tre giorni dopo ed aveva ricevuto la stessa identica risposta. Erano andati avanti così per quasi due settimane, quando alla fine il consulente aveva sbottato, sbattendo i palmi delle mani sulla sua scrivania.

"Accidenti Lestrade, non pensavo che mio fratello si abbassasse a tanto!" gli gridò in faccia, mentre John cercava di calmarlo, mettendogli una mano sulla spalla. Gregory lo guardò, aggrottando la fronte.

"Cosa c’entra Mycroft, adesso?" chiese infatti.

"Sappiamo entrambi che c’entra in qualche modo! Dimmi, è lui che ti risolve i casi al posto mio?"

"Ascoltami bene, Sherlock: un’altra insinuazione del genere e giuro che da me non riceverai più alcun caso, mi sono spiegato?" sbottò a sua volta l’Ispettore, alzandosi in piedi per fronteggiare il consulente. Era vero che Mycroft era coinvolto, ma solo perché gli aveva chiesto di non cercare di evitare di fornire a Sherlock dei casi interessanti e lui non se l’era fatto ripetere due volte. "Non chiederei mai il suo aiuto per una cosa del genere. Stiamo riuscendo a risolvere qualcosa da soli perché, guarda caso, non siamo degli idioti, quindi vedi di farla subito finita."

Il consulente era rimasto basito di fronte a quella risposta, ma dopo alcuni istanti, incrociò le braccia al petto, guardando Lestrade dall’alto in basso.

"È per lo scherzo dei pasticcini, vero? Ti ha chiesto di non darmi casi per farmela pagare. Che colpo da dilettante" commentò sardonico. "Bene, lo scherzo è svelato. Forza, cos’hai per me?"

"Niente di niente, te l’ho detto. Giusto ieri abbiamo risolto un omicidio piuttosto curioso a Camden. Credo che il cronista lo abbia denominato “il caso del pittore blu” o roba del genere. Ci sono tutti i dettagli sul Times di oggi." gli rispose Gregory, tornando a sedersi e guardando Sherlock non senza una certa soddisfazione. Il consulente stava giusto per replicare, quando la porta si aprì e nell’ufficio fece il suo ingresso niente altri che Mycroft.

"Gregory, una riunione è appena stata rimandata e mi chiedevo se…. Oh, salve fratellino" esordì il politico andando a sedersi alla sedia di fronte alla scrivania di Gregory, posando il suo ombrello e la sua ventiquattrore. Sherlock lo fulminò.

"Ci sei tu dietro questa storia, vero Mycroft?" gli chiese, guardandolo negli occhi. Mycroft ricambiò in tutta tranquillità, accavallando le gambe.

"Ho soltanto suggerito a Gregory di provare a lavorare senza di te per un po’, giusto per rinvigorire la squadra. Non si tratta di uno scherzo nei tuoi confronti, ma di pura strategia." gli rispose con calma, guadagnandosi uno sbuffo stizzito. " Oh, Sherlock, piantala di fare il bambino. Se tu accettassi anche casi più banali, ti impegneresti il tempo. Non puoi sperare che ci sia sempre originalità in questo mondo. Non c’è nulla di nuovo sotto il sole, tutto è già stato fatto."

"Finiscila con la filosofia" sibilò Sherlock, stringendo i pugni. " Sei davvero subdolo, tirare in mezzo Scotland Yard per la tua vendetta."

Mycroft sospirò. " Scotland Yard non c’entra niente, te l’ho già detto. Ora vuoi calmarti, per favore?"

"Non ho un caso decente da più di un mese e tu mi chiedi di calmarmi? Non ne posso più di attendere!" replicò il detective, alzando le mani al cielo, esasperato.

Mycroft lo guardò per un momento, poi sospirò di nuovo e rovistò nella tasca interna della sua giacca, estraendone un porta sigarette ed aprendolo per poi porgerlo al fratello.

"Prendine una."

"Mycroft, ti pare saggio?" chiese John, un po’ titubante.

"Mi pare preferibile a quella orrida soluzione al sette percento." gli ripose Mycroft mentre Sherlock, dopo un attimo di esitazione, allungava la mano per prendere una sigaretta, mettersela tra le labbra e accenderla, tirando una boccata piuttosto profonda. Mycroft chiuse il portasigarette e se lo mise in tasca, uno strano ghigno sul viso, come qualcosa che stava disperatamente cercando di trattenere. Questo fu quanto notò John, ormai troppo tardi per poter avvertire il suo amico. Non poté fare altro, dunque, che passarsi una mano sugli occhi e attendere l’inevitabile.

"Ah" esalò Sherlock, soffiando fuori dalla bocca una densa nuvola di fumo. " Va molto meglio. Sapete una cosa? Posso anche trovare i miei casi da solo, senza bisogno di…. COSA È SUCCESSO ALLA MIA VOCE?!"

Il tono del detective si era alzato gradatamente non solo di volume, ma anche di timbro, arrivando fino a far sembrare che avesse appena inspirato aria da un palloncino di elio. Sherlock si portò una mano alla gola, mentre Mycroft cominciava a ridacchiare, seguito a ruota da Gregory.

"Non è divertente! Capito? È una cosa davvero stupida! Voi siete stupidi! Tutti quanti sono stupidi!" continuava nel frattempo a gridare il detective, ormai viola in faccia, e con una voce che lo faceva assomigliare sempre di più ad un Chipmunk arrabbiato -  questo era quanto pensava Gregory, almeno: aveva visto decine di cartoni con quegli esserini nelle occasioni in cui aveva badato ai suoi nipoti.

Mycroft nel frattempo aveva cominciato a ridere di gusto e anche John stava faticando a trattenersi. Sherlock sembrava ormai sul punto di uccidere qualcuno.

"Ti sembra uno scherzo intelligente, Mycroft? Sigarette all’elio? Bravo, complimenti, anche tu sai usare il piccolo chimico, meriti proprio un bell’applauso" disse in un tentativo di canzonare il fratello che, a onor del vero, cercò di replicare in qualche modo, senza tuttavia riuscirci, per quanto rideva.

"Sappi che non finisce qui, Mycroft! Questo scherzo ti costerà molto caro, è una promessa! John, andiamoce… John, anche tu ?"

Il dottore, malgrado tutti i suoi sforzi, aveva cominciato a ridere insieme agli altri due uomini, ma riuscì a riprendere un minimo di controllo, quando vide che Sherlock usciva dalla stanza. Si schiarì la voce e guardò Mycroft con quello che, lo sapeva benissimo, era un pessimo tentativo di occhiata di rimprovero, quando fuori dall’ufficio ci fu il rumore di una colluttazione, seguita da una serie di improperi che, dati i toni, uscivano indubbiamente dalla bocca di Sherlock. I tre uomini andarono velocemente alla porta dell’ufficio e si trovarono davanti una scena che si sarebbe potuta descrivere soltanto con il termine ‘tragicomica’: nella fretta di andarsene, Sherlock doveva essere entrato in collisione con un agente che aveva tra le mani una tazza di caffè, il cui contenuto, nello scontro, si era riversato sul cappotto del detective. Quest’ultimo, suo malgrado in quanto umano, aveva ovviamente cominciato a sbraitare come un ossesso, per un momento dimentico della sua condizione. La sua voce aveva suscitato l’ilarità dell’intera stanza e Gregory avrebbe potuto giurare di aver visto qualcuno fare un video: più tardi avrebbe sicuramente indagato. Il momento fu spezzato da John il quale, dopo aver recuperato il suo contegno con un enorme sforzo di volontà, aveva raggiunto Sherlock, mentre questi continuava ad inveire contro l’agente, che era ormai piegato in due dalle risate. Preso l’amico per il cappotto, lo trascinò fuori finché le sue urla acutissime non furono che un’eco.

Mycroft e Gregory si guardarono, ancora ridendo, e rientrarono nell’ufficio, riuscendo dopo poco a smettere di ridere.

"Ah, è stato splendido Myc." commentò l’Ispettore, asciugandosi le lacrime. " Non pensavo che avrebbe accettato la sigaretta da te, credevo sarebbe stato più sospettoso."

"Come ho detto a lui, si tratta di pura e semplice strategia" gli rispose Mycroft, schiarendosi la voce. " È bastato distogliere la sua attenzione dall’obiettivo e ci è cascato con tutte le scarpe. Pura e semplice psicologia."

Lestrade rise di nuovo. " Non che mi preoccupi, ma quanto dura l’effetto di una sigaretta del genere?"

Il politico ci pensò un po’ su, poi gli disse: " Calcolando che non l’ha fumata tutta, durerà comunque minimo otto ore"

"Otto ore?! Sarà ancora più infuriato quando avrà finito. Fossi in te mi prenderei una guardia del corpo"

"Non credo che mi farebbe seriamente del male, Gregory."

L’Ispettore annuì, prendendosi poi il mento con una mano. "Sigarette all’elio… le pensi di notte queste cose?"

"No, ho cose migliori da fare in quel momento della giornata" gli rispose Mycroft, guardandolo e facendo apparire un ghigno sul viso dell’Ispettore. " Comunque ero sincero quando ho detto che la riunione è saltata. Ti andrebbe se pranzassimo insieme?"

FINE DEL CAPITOLO

 

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Capitolo 4
*** Una doccia fredda ***


Sherlock Holmes non era famoso per i suoi travestimenti e ne andava fiero.
 Forse non ne era in grado? Forse  quel suo atteggiamento geniale e sfrontato era talmente evidente da tradirlo? Magari quegli zigomi alti, quella fisionomia così particolare erano difficili da nascondere?
Sbagliato, sbagliato, sbagliato.
Sherlock, in effetti, era bravo come pochi nel camuffare la propria identità.
Proprio per questa ragione non veniva mai smascherato e, pertanto, non era nota ai più la sua abilità. Dopotutto, sarebbe stato controproducente farsi pubblicità in tal senso. Poteva sfruttare l’effetto sorpresa.

Fu con un sorrisetto compiaciuto che contemplò la sua opera allo specchio, quella mattina. La tuta da lavoro  era stata sapientemente imbottita per dare l’effetto di una corporatura ben più robusta della sua, e qualche protesi di lattice nei punti scoperti aveva completato l’effetto regalandogli almeno trenta chili, a occhio. Le sopracciglia erano state coperte da una sorta di folto monociglio sintetico, lenti a contatto scure avevano permesso un cambio di colore all’iride. Occhiali da vista, contouring e un po’ di barba avevano completato l’opera.
Infine, un parrucchino rossiccio per non lasciarsi tradire dai capelli.
Perfetto, semplicemente perfetto. Afferrata la borsa traboccante di attrezzi dall’aspetto decisamente usato, uscì silenziosamente di casa, chiudendosi la porta alle spalle solo per voltarsi e bussarvi contro.

Poco dopo la signora Hudson si presentò al portone e lo squadrò da capo a piedi.
“ Posso esserle d’aiuto?”
“Buonasera, lei è la signora che mi ha telefonato ieri sera?”
Esordì con un forte accento irlandese.                              
 “Temo di non aver chiamato nessun idraulico, forse i miei inquilini, ma conoscendoli avrei qualche dubbio.”
Il detective storse il naso. Solo perché avevano lasciato il rubinetto rotto in bagno per circa tre settimane, con uno spreco totale di quasi settecento litri d’acqua, non significava certo che non potessero chiamare un idraulico all’occorrenza.
“Non è il 221B di Blackshots Lane, questo?”
 “Oh, no, siamo a Baker Street!” 
“Santo cielo, riuscirò mai a orientarmi in questa città? Londra è così grande.”
 “Se vuole le posso indicare come-“
 “non si preoccupi, me la caverò! Scusi il disturbo!”
 Gridò lui, praticamente già dall’altra parte della strada.

Se la donna che gli faceva pazientemente da seconda madre ogni giorno non l’aveva riconosciuto, sarebbe riuscito a ingannare anche Gerald, per quanto fosse probabilmente più sveglio della signora Hudson.
 In preda all’eccitazione salì sul primo taxi che riuscì a fermare.
“Pall Mall. Il più velocemente possibile.”
 
 
Dopotutto, tanta euforia era comprensibile. Aveva atteso l’occasione giusta per quasi un mese.
Ventisette giorni, ad essere precisi.
Ventisette giorni durante i quali aveva passato il tempo ad aspettare il momento propizio per ripagare il caro fratellone della figura penosa che gli aveva fatto fare.
Purtroppo non aveva potuto pianificare e mettere in atto una vendetta come aveva fatto la prima volta.
Ormai Mycroft era troppo sospettoso, e a Sherlock non restava che attendere che le premesse per uno scherzo coi fiocchi si presentassero da sole e in maniera del tutto innocente, per poi agire di conseguenza. C’era voluto un po’, ma alla fine aveva ricevuto un sms che lo aveva illuminato.
 
“John, mi passi il telefono? Mi è arrivato un messaggio.”
 “Ce l’hai appoggiato sulle gambe, Sherlock. SULLE GAMBE.”
 “Sai perché la mia rete di senzatetto è così utile, tra le altre cose?”
 “No, perché?”
 “Passami il telefono e lo scopriremo.”
 “Per l’amor- prendi, ecco qui!”
 “Ah, ottimo.”
 “Allora?”
 “Allora cosa?”
 “L’utilità nascosta della rete di senzatetto.”
 “Non è ovvio? Non tutti loro restano senzatetto per sempre. Alcuni trovano lavoro, garantendomi piccoli contatti qua e là.”
 “E con ciò?”
 “Leggi il messaggio che mi è arrivato.”
 “Allora… -Signor Holmes, l’Ispettore Lestrade ha appena chiamato un idraulico per sistemare la doccia. Lo aspetta per domattina alle die- SHERLOCK! Non stai pensando di..?”
 “Certo, John. È l’occasione perfetta.”
 “Dio, la finirete mai?”
---
“Buongiorno, finalmente è arrivato. Non c’è verso di regolare la temperatura della doccia e stamattina ho rischiato di congelare e finire lessato a fasi alterne.”
 “Ah, non si preoccupi, adesso vediamo subito qual è il problema. Potrei metterci un po’, ha fretta per caso?”
 “No, io mi faccio la doccia di mattina, generalmente, ma il mio compagno ha l’abitudine di farne una quando rientra dal lavoro, intorno alle sei.”

Caro abitudinario Mycroft Holmes. Non aveva cambiato l’orario di un minuto.

 “Le sei? Nessun problema, per quell’ora si sarà scordato che io sia stato qui. Vuole mostrarmi il bagno?”
 “Sì, mi segua. Devo lasciarla da solo per un po’, mi hanno telefonato dal lavoro… pare che abbia lasciato lì dei documenti importanti.”
 “Lo so.”
 “Prego?”
 “Voglio dire, so perfettamente cosa significa lasciare… cose in giro… per lavoro. Sa quante pinze ho perso? Vada, vada pure.”

 Pochi minuti dopo, Sherlock era da solo in casa di Mycroft. Oh, avrebbe potuto combinare tante di quelle cose.. ma no, doveva attenersi al piano.
Prima trafficò un po’ con le tubature, stupendosi di quanto fossero facili da manipolare.
 Poi aprì il telefono della doccia e inserì qualche piccolo oggetto proprio all’interno, per poi chiudere di nuovo tutto. Nel giro di due ore aveva finito, in tempo per il ritorno dello yarder.

“Ci ha messo un po’, lavora lontano da qui?”
 “No, affatto, ho avuto una serie di imprevisti… come va con la doccia?”
 “Tutto fatto. Le manderò il conto dall’ufficio, stasera mi faccia sapere come va. Se dovessero esserci altri problemi non esiti a chiamarmi.”

Evitò la stretta di mano per non tradire il lattice che gli rendeva le dita meno ossute e si dileguò, impaziente di conoscere l’esito dei suoi sforzi.
 
Pall Mall,5:55 pm.
“Fammi sapere se la doccia funziona, altrimenti richiamo l’idraulico.”

 Mycroft annuì prima di salire al piano di sopra. Stava più attento del solito nel guardarsi intorno, anche durante la sua routine. Controllò l’accappatoio prima di indossarlo, e prima di entrare nella doccia verificò che shampoo e bagnoschiuma non contenessero sostanze estranee.
Sembrava tutto in regola, come sempre, ma Mycroft sapeva bene che era meglio non sottovalutare Sherlock.

Trasse un profondo sospiro mentre entrava nella doccia, come se volesse buttar fuori tutto lo stress accumulato durante la giornata.
 Già pregustava la piacevole sensazione di tepore dell’acqua sulla pelle, una delle cose che più lo rilassavano.
Aprì la manopola e constatò con piacere che l’acqua era effettivamente della temperatura giusta: niente sbalzi inaspettati.

Si insaponò senza troppa fretta, vagamente distratto dal profumo che lo raggiungeva dalla cucina. Sembrava che Gregory stesse preparando una minestra, o forse aveva ordinato del ramen al ristorante cinese vicino.

Peccato che giusto mezz’ora prima lo yarder avesse espresso la propria volontà di ordinare della pizza, per quella sera. Peccato che l’odore in effetti fosse sempre più intenso, tanto da sembrar provenire da quella stessa stanza.

Peccato che Mycroft chiuse il rubinetto troppo tardi.

Abbassando lo sguardo si rese conto di non essere ricoperto semplicemente di acqua. Era completamente imbrattato di una sostanza oleosa e dall’odore piuttosto forte. Che idiota era stato.
Mormorando tra i denti qualcosa sull’avere pazienza e aiutandosi con un pettine, riuscì a togliere la parte anteriore del telefono della doccia, quella con i fori. All’interno dello strumento trovò quello che si era aspettato: i residui di alcuni dadi da brodo, forse quattro.
 Li aveva lasciati incartati, il genio, così non avrebbero iniziato a sciogliersi immediatamente.
“Stavolta ti è andata male, fratellino.”
 Commentò, togliendo i residui di lì e richiudendo il coperchio forato.
 “Non devo fare altro che lavarmi di nuovo.”
 Certo che era strano. Se l’avesse costretto a restare ricoperto da quella robaccia avrebbe avuto senso, ma…
Oh, no. Non poteva…fu quasi con terrore che Mycroft aprì di nuovo il rubinetto, certo che quella volta non sarebbe uscita una goccia d’acqua. Tuttavia, la doccia sembrava funzionare correttamente e Mycroft si spostò deciso sotto al getto, pronto a lavarsi via di dosso quella brodaglia. 

---

  “Ti assicuro, John,  quando l’ho sentito gridare mi è preso un colpo. Un'altra birra?”
 “No, sono a posto. Quindi l’acqua era così fredda?”
 “Fredda? Era gelida, non so come potesse essere ancora allo stato liquido. Un ghiacciolo sarebbe stato più tiepido.”
 “Fammi capire, la scelta era tra il farsi la doccia a quella temperatura disumana o tenersi addosso qualche litro di brodo?”
 “Esattamente, ti rendi conto? Sherlock è diabolico.”
 “E Mycroft cosa ha fatto?”
 “Si è fatto la doccia comunque, temevo che sarebbe andato in ipotermia da un momento all’altro.”
 “Esagerato!”
 “Esagerato? Non è andato in ipotermia, forse, ma al momento ha la febbre alta e una bella influenza. Anzi, sarà meglio che rientri, non voglio lasciarlo da solo in quelle condizioni. Grazie per la chiacchierata.”
 “Grazie a te, Greg. Non sarebbe il caso di farli ragionare?”
 “Sinceramente non saprei. Per ora direi di vedere fin dove arrivano. Dì a Sherlock che suo fratello sta davvero male per colpa sua, adesso.”
 “Ah, riferirò sicuramente.  Porta i miei saluti a Mycroft. E, beh, digli che mi scuso. Avevo qualche vago indizio sui piani di Sherlock, ma non pensavo si sarebbe spinto a tanto.”
 “….tu lo sapevi?”
 “Io… sarà meglio andare adesso, non vorrai farlo aspettare. Ci vediamo presto!” 
---
N. d. A.
Bentrovati/e e grazie davvero a chi segue questa storia, a chi ha lasciato un commento, e più in generale a chi abbia letto queste nostre follie e si sia lasciato scappare un sorriso. Siamo contentissime di vedere che apprezzate il goliardico botta e risposta tra i fratelli Holmes.
Piccola nota: la parte del travestimento è liberamente (altro che liberamente, con gioia direi) ispirata alla prima puntata della serie "Le avventure di Sherlock Holmes" della Granada, ovvero "A Scandal in Bohemia". Se non la conoscete cercatela, merita assolutamente e il travestimento di Holmes è qualcosa di meraviglioso, tanto che non ho resistito alla tentazione di riproporlo, opportunamente modificato.
Mi sto dilungando davvero troppo, grazie ancora a tutti e al prossimo capitolo! 
-Hudders&Umbrella

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Capitolo 5
*** Figure di.... ***


N/A: ed eccoci qua con grande e sommo ritardo. Come dicevo alla collega, il suo scherzo è stato talmente bello che ho cambiato idea tre volte per trovare una degna risposta e, ad essere sincera, dubito di esserci riuscita. Mi rimetto al vostro giudizio.

-          Umbrella

Figure di….

Quando l’orologio della cucina trillò, Gregory si infilò i guanti da forno ed estrasse dall’elettrodomestico una teglia di crostini fumanti, appena tostati. Li dispose in un piatto che poi mise su un vassoio sul quale aveva già posizionato alcune fette di formaggio, due scodelle di zuppa calda, una brocca piena d’acqua, posate e bicchieri. Dopo essersi assicurato che tutto fosse ben stabile, sollevò il vassoio con entrambe le mani e si diresse verso la camera da letto al piano superiore. Se c’era un lato positivo nello scherzo di gusto alquanto cattivo che Sherlock aveva giocato a suo fratello, era il fatto che, finalmente, aveva potuto mostrare a Mycroft che anche lui, nonostante avesse sempre poco tempo, sapeva cavarsela in cucina. Anzi, stando ai commenti del suo imbronciato e malato compagno, era anche piuttosto bravo. Sorridendo sornione, aprì con la spalla la porta della camera ed entrò.

“Ehi, è ora di cena”. Annunciò, vedendo che Mycroft, seduto sul letto, stava ancora lavorando. Passati i primi giorni di febbre alta e influenza, l’uomo aveva ritrovato abbastanza forza da mettersi a discutere sia con l’Ispettore che con la sua assistente per farsi dare quantomeno il lavoro burocratico da poter svolgere senza muoversi da casa, ottenendolo con la condizione che avrebbe accettato tutte le cure senza brontolare. L’accordo era risultato favorevole a entrambe le parti, così Mycroft aveva ottenuto il portatile sul quale stava scrivendo giusto in quel momento. Quando Gregory si sedette sul letto, posando con estrema cura il vassoio sul materasso, però, il politico chiuse lo schermo e spostò il computer sul comodino accanto al letto.

“Come ti senti?” gli chiese l’Ispettore, guardandolo scoprire una delle scodelle e portarsela più vicina.

“Sempre meglio” fu la risposta, accompagnata da un colpetto di tosse. “Se le mie stime sono corrette, tra circa due giorni, tre al massimo, la febbre sarà passata del tutto e potrò tornare al lavoro.”

“Ah.” Rispose Gregory, cominciando a bere la sua zuppa e cercando di ignorare quel sopracciglio così altezzosamente inarcato che gli era appena stato rivolto.

“Come sarebbe a dire ‘ah’?” gli chiese infatti Mycroft, prima di prendere un sorso di minestra. L’Ispettore sospirò.

“Non fraintendermi, sono contento che tu stia meglio e che tu torni al lavoro, però siamo stati molto insieme e non posso dire che mi sia dispiaciuto.” Confessò, voltandosi a guardarlo. “Lavoriamo molto entrambi e alle volte non ci vediamo per giorni, quindi sono stato contento di potermi occupare di te. Mi prenderai per un idiota sentimentale, ma per me è stato così.” Concluse, prendendo un’altra cucchiaiata e riportando lo sguardo sul piatto. Tra i due calò momentaneamente il silenzio, rotto dal rumore delle stoviglie mentre mangiavano.

“Sai” cominciò Mycroft, posando la sua scodella ormai vuota sul vassoio “la tua cucina in queste settimane è stata molto buona, ti ringrazio” concluse, rivolgendo un sorriso all’uomo accanto a lui, ricevendone uno sorpreso e a trentadue denti in risposta. Entrambi sapevano che quelle parole sarebbero state tutto ciò che avrebbe detto riguardo a quel periodo e per Gregory era sufficiente. Finì la zuppa a sua volta, poi cominciò a preparare i crostini con il formaggio.

“Ho avuto modo di riflettere in questi giorni.” Gli disse a un certo punto il politico, appoggiandosi meglio contro il cuscino alle sue spalle.

“Hai intenzione di dare un taglio a questa stupida guerra contro Sherlock?” gli chiese Gregory, porgendogli un crostino.

Au contraire” rispose Mycroft, prendendo il pane. “Lo sto tenendo d’occhio da un po’ e credo di aver trovato l’occasione per rispondere che fa proprio al caso nostro.”

“Tuo, non nostro. E non guardarmi così: questa è una cosa tra voi e io non voglio entrarci.” Gli disse Gregory, prima di addentare il suo crostino, stando attento a non sbriciolare sul copriletto. “Secondo me, però, dovresti darci un taglio. Sherlock ci sta andando giù molto pesante e mi pare che non si faccia problemi a causarti danni fisici anche gravi. Se continuerete qualcuno potrebbe farsi male davvero.”

“Non arriverebbe a tanto.” Replicò Mycroft, prendendo un morso a sua volta.

“A me sembra che stia un po’ esagerando, ma se dici di saperlo gestire allora fai pure, sei tu quello che lo conosce di più.” Gli ripose ancora Gregory, finendo il suo crostino e stendendosi su un lato per guardarlo.

“Gregory, non preoccuparti. Stiamo semplicemente giocando.”

“Oh, davvero un bel gioco!” esclamò l’Ispettore, sospirando “Tanto è come parlare a un muro, so che continuerai, che lui risponderà e che prima o poi qualcun altro resterà coinvolto.” Concluse e, vedendo che Mycroft aveva finito di mangiare, mise di nuovo piatti e stoviglie sul vassoio, prima di alzarsi dal letto.

“Lavo i piatti e torno. Non ti azzardare a metterti a lavorare di nuovo, stasera devo farti vedere quel film che ti dicevo.”

“Ah sì, com’era che si intitolava? Qualcosa a che fare con i servizi segreti e i cavalieri della Tavola Rotonda?1

“Più o meno. Aspettami.”

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La mattina seguente, dopo aver avuto il permesso di scendere in salotto, aver fatto colazione con Gregory e averlo salutato, Mycroft, seduto sul divano, prese il portatile e lo accese. Alla fine era riuscito a trovare un’idea che, magari, si allontanava un po’ dagli standard che si era dato all’inizio di tutta quella storia, ma Sherlock aveva dimostrato di non avere misura, dichiarando guerra aperta e, questo lui lo sapeva bene, in guerra ogni mossa era lecita per raggiungere il proprio scopo.

Dopo aver digitato la password, riprese il lavoro da dove l’aveva lasciato la sera prima, accedendo ad alcuni dispositivi sparsi per Londra e preparandosi ad attendere pazientemente che il suo caro fratellino avesse uno dei suoi colpi di genio per risolvere il caso a cui stava lavorando (alle volte si chiedeva se fossero davvero fratelli, perché Sherlock era così lento quando si trattava di fare deduzioni?)

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Frattanto, a qualche chilometro di distanza….

“John, ci sono, ho trovato!”esclamò l’unico consulente investigativo del mondo, balzando in piedi dalla sedia della scrivania. “Mettiti la giacca, forza, dobbiamo andare!”

Il dottore sbucò dal bagno, la faccia ancora coperta per metà dalla schiuma da barba. Aprì la bocca per protestare e chiedere di poter almeno avere il tempo per terminare, ma la richiuse subito, conscio del fatto che protestare sarebbe stato del tutto inutile. Sbuffando, tornò in bagno per pulirsi la faccia velocemente prima di uscire di nuovo e infilarsi la giacca, seguendo il coinquilino che era già in strada per fermare un taxi.

“Hai la soluzione del caso, immagino.” Gli chiese con un po’ di fiatone, mentre un taxi si fermava davanti a loro.

“Beh, mi sembra ovvio” fu la risposta di Sherlock, una volta saliti a bordo. “Ai Docks, il più in fretta possibile.” Disse all’autista, picchiettando poi le lunghe dita sul ginocchio in un chiaro segno di impazienza. Da circa due settimane si stava occupando di un caso affidatogli da Lestrade che lo aveva messo sulle tracce di alcuni trafficanti internazionali di droga. Gli ci era voluto un po’, ma alla fine era riuscito a capire come si muovevano e come svolgevano la loro attività: un piano ingegnoso, doveva ammetterlo. Sperava solo che John, per una volta, riuscisse a renderlo come si doveva, senza troppe figure retoriche e licenze poetiche. All’inizio, a dire la verità, aveva temuto che dietro quelle manovre così ben architettate, quel caso così ben costruito, ci fosse lo zampino di Mycroft, di cui ancora attendeva la vendetta dopo lo scherzo della doccia, ma alla fine si era tranquillizzato: suo fratello era troppo corretto e maturo per mettere a repentaglio un’operazione di Scotland Yard a capo della quale c’era il suo compagno solo per ripicca nei suoi confronti. Lungo il tragitto, chiamò Lestrade per comunicargli che aveva risolto il caso e che lo avrebbe aspettato ai Docks per concluderlo, sottintendendo ovviamente che glielo avrebbe fatto trovare concluso. Ciò che però udì in risposta lo lasciò di stucco.

“Come sarebbe a dire che siete già là?” esclamò, facendo sobbalzare John accanto a lui. “Ho appena trovato la soluzione, come fai a…” cominciò a domandare, prima di irrigidirsi. “È stato Mycroft, vero? È stato mio fratello a dirti dove andare per vendicarsi! Che razza di idiota!” sbottò, battendosi una mano sul ginocchio, mentre il dottore si schiariva la voce, indeciso su come comportarsi per calmarlo.

“Sono alla South Bank, sto venendo in taxi. Aspettatemi. E togliti quel ghigno dalla faccia!” gli gridò, prima di interrompere bruscamente la telefonata. Si sarebbe anche messo a inveire contro l’autista per incitarlo ad andare più in fretta, ma John lo fermò appena in tempo, spiegandogli che non sarebbe stato saggio insultare l’unico uomo che poteva portarli a destinazione in un lasso di tempo ragionevole. Fu così che, circa dieci minuti dopo, i due giunsero ai Docks e si trovarono davanti alcuni agenti di Scotland Yard che conducevano via degli uomini in manette. Poco lontano, Lestrade stava discutendo con il sergente Donovan e con l’Ispettore Dimmock. Appena uscito dalla vettura, lasciando a John l’incombenza di pagare la corsa, Sherlock si diresse a grandi falcate verso il terzetto.

“E così adesso devi affidarti anche a lui per risolvere i casi. Siete proprio penosi.” Esordì, senza riuscire a tenere a freno la stizza. Lestrade alzò gli occhi al cielo.

“Sherlock, non è come credi tu, abbiamo avuto una soffiata da un nostro uomo che stava qui di guardia al porto, Mycroft non mi ha chiamato.” Gli disse, mettendosi le mani nelle tasche del cappotto. “Abbiamo anche noi dei metodi di indagine e forse ti sorprenderà, ma qualche volta funzionano anche senza bisogno del tuo intervento.”

Sherlock si stava infuriando sempre di più e John, che intanto si era avvicinato, stava pensando di trascinarlo via per evitare che facesse qualcosa di sconsiderato, quando di colpo lo vide fermarsi, come se gli fosse appena venuta un’idea. L’espressione furibonda scomparve dal viso del consulente, sostituita da una che poteva essere sia ansiosa che speranzosa.

“Lestrade” cominciò infatti in tono molto più calmo. “Esattamente voi cosa avete fatto ora?” chiese, guadagnandosi l’occhiata sbalordita dei due Ispettori, del sergente e dello stesso John. Gregory, dopo un attimo di smarrimento, riuscì a riprendersi.

“Abbiamo arrestato la banda con le mani nel sacco, mi pare ovvio. Li abbiamo presi dal primo all’ultimo e abbiamo requisito la droga.” Gli rispose.

“Tutta la droga?” chiese ancora Sherlock, incalzandolo.

“Come sarebbe a dire ‘tutta’? C’erano delle casse da cui avevano recuperato le dosi da scambiare con gli acquirenti e le abbiamo prese.” Replicò Lestrade, sempre più costernato.

“Quindi non avete… oh!” esclamò il consulente, battendo le mani come un bambino la mattina di Natale, prima di scattare verso uno dei capannoni con gli altri che lo seguivano.

“Non abbiamo cosa? Sherlock, fermati un attimo!” gli gridò dietro l’Ispettore, cercando di raggiungerlo.

“Il resto, Lestrade! Come avete fatto a non trovarlo? Oh, adesso vedrete!” gli rispose Sherlock che, raggiunto uno dei capannoni, stava armeggiando con il portello. “L’aspetto geniale di questa vicenda era che tenevano la droga sotto gli occhi di tutti, in questo capannone.”

“Ma siamo venuti tante volte a ispezionare con i cani, anche in incognito, e non abbiamo mai trovato niente!” replicò Lestrade, stando un po’ dietro di lui e osservandolo insieme agli altri.

“Certo che non avete trovato niente! Era stata nascosta in modo che i cani non potessero fiutarla.”

Con un cigolio, il portone si aprì e tutti si portarono immediatamente una mano a tappare le narici, tossendo.

“Puah, che odore!” gemette Sally. “Ma che diavolo ci tengono qui dentro?”

“Beh, Donovan, come dovresti capire usando il tuo senso dell’olfatto, ammesso che funzioni a dovere, questo è un deposito di concime animale, comunemente definito..”

“Sì, Sherlock, sappiamo che si tratta di letame, grazie.” Lo interruppe John. “E dici che la droga è qua dentro?”

“Esatto” replicò il consulente, entrando nel capannone, seguito dal dottore. All’interno, c’erano molti scatoloni di legno piuttosto alti e grossi, sul cui contenuto, ormai, non era più necessario indagare. Almeno, non su quello di tutti. “Ora, se le mie informazioni sono corrette, dovremmo cercare il lotto 43 R” borbottò infatti Sherlock tra sé, cercando di ignorare l’odore e leggendo le targhe affisse sopra gli scatoloni.

Frattanto, Gregory, Sally e l’Ispettore Dimmock erano rimasti sulla porta a guardare i due aggirarsi per il capannone.

“Greg” cominciò la donna. “Non che me ne importi, ma secondo te dovremmo dirgli degli uomini che sono venuti prima a spostare uno degli scatoloni e l’hanno messo nel capannone accanto, sostituendolo?” chiese, guardando l’Ispettore, che parve pensarci un po’ su, mentre, piano piano, un’idea di quanto stava per accadere cominciava a formarsi nella sua testa.

“No, anche perché non credo che ci ascolterebbe. L’unico per il quale mi dispiace è John. Spero che abbia i riflessi pronti.” Commentò, senza riuscire a trattenere un sorrisetto divertito. “Suggerirei comunque di battere discretamente e silenziosamente in ritirata e di lasciare la conclusione all’antidroga. Tanto abbiamo comunque finito qui?”

“Spero che tu stia scherzando Greg!” esclamò Dimmock, prendendo il suo telefono. “Se ci troviamo di fronte ad un’occasione come quella delle altre volte a Scotland Yard non ho intenzione di perdermela.” Disse, selezionando l’opzione ‘videocamera’ dal display e cominciando a puntarla verso Sherlock e John, solo per essere fermato dal suo collega.

“Tim, se la punti ora, si insospettirà.” Gli disse Lestrade. “Abbi pazienza e vedrai che…”

“John, ci siamo, prendi un piede di porco!” la voce di Sherlock giunse amplificata dall’acustica del capannone, attirando l’attenzione dei tre agenti. Poco più avanti, illuminati soltanto dalla luce del sole che filtrava fuori, c’erano il consulente e il dottore fermi di fronte a uno scatolone.

“Sherlock, tu sei sicuro che sia questa, vero?” chiese John, portando comunque il piede di porco richiesto. “Perché mi sembra che l’odore sia comunque molto forte”

“Ne sono assolutamente certo, John. Non fidarti dell’olfatto, è stato contaminato dall’ambiente.” gli rispose Sherlock, prendendo il piede di porco e spezzando il lucchetto che chiudeva il cassone con un colpo preciso. John sospirò e si voltò, notando così il terzetto rimasto sulla porta. Lo colse un terribile sospetto e, anche se conscio del fatto che probabilmente era già troppo tardi, cercò di avvertire il consulente.

“Sherlock, non sono sicuro che…ATTENTO!”

Preso dalla foga, Sherlock aveva aperto lo scatolone e i due avevano avuto solo un istante prima di venire travolti da un’ondata di “concime animale” così come Sherlock l’aveva definito.

Gregory, Sally e Tim, che avevano ovviamente visto – e filmato accuratamente – la scena, rimasero fermi e immobili per qualche secondo, vedendo i due uomini sparire sotto la melma maleodorante e stavano giusto decidendo di andare ad aiutarli in qualche modo, quando una mano, poi un’altra, sbucarono da sotto l’ammasso, seguite dai corpi dei due uomini che, tossendo e sputacchiando, cominciarono a cercare di liberarsi.

“Tim, hai ripreso abbastanza?” chiese Lestrade al collega, senza perdere di vista Sherlock e John.

“Uh-uh” fu la risposta di Dimmock, che cominciò a riporre il cellulare.

“Ti sembra che stiano bene?”

“Stanno imprecando, quindi direi di sì.”

“Bene, allora io direi che possiamo anche andarcene, prima che ci chiedano un passaggio sulle auto di servizio.” Concluse Gregory, cominciando ad andare verso le loro macchine, seguito da Sally e dallo stesso Dimmock.

“Greg, non che siano affari miei e non che la cosa mi dispiaccia, ma perché suo fratello gli avrebbe fatto una cosa del genere?”

“Sally, come hai detto tu stessa, non sono affari tuoi e credimi, meno ne sai, meglio sarà.” Rispose Gregory, aprendo la sua auto.

“Sarà? Vuoi dire che ne vedremo altri?” lo incalzò la donna.

“Sally, sul serio, ti ho detto che…. Accidenti, arrivano. Forza, salite e andiamocene!” esclamò l’Ispettore che aveva visto Sherlock e John, sudici da capo a piedi, correre verso di loro. Anche gli altri agenti, i quali, pur non avendo assistito all’accaduto, si erano accorti di quello che stava succedendo, corsero verso le loro auto per partire a tutta birra dietro l’Ispettore (tutti tranne gli agenti che dovevano montare la guardia al capannone in cui era stata spostata la droga, che ebbero cura di chiudersi bene dentro).

“TORNATE QUI!” gridò Sherlock, furioso, guardando le vetture lasciare la zona. John lo raggiunse, appoggiandosi sulle ginocchia per riprendere fiato dopo la corsa.

È inutile, non torneranno. Nemmeno io ci farei salire, ora come ora. Dovremo arrangiarci.” Gli disse, un po’ affannato.

“Oh, non direi proprio, aspetta che mi senta…” borbottò Sherlock, recuperando il telefono dalla tasca e pulendo alla meglio il display, prima di chiamare l’autore di quel colpo basso.

“Ah, salve fratellino. Mi stavo preoccupando in effetti. Hai risolto il caso dunque?” la voce del maggiore degli Holmes, giunse alle orecchie del consulente, accompagnata da qualche leggero colpetto di tosse.

“Mycroft, questa volta hai veramente toccato il fondo!” esclamò Sherlock. “Compromettere le prove di un caso! È meschino!”

“Non le ho affatto compromesse. Ho lasciato che Scotland Yard facesse i suoi rilevamenti e poi ho agito. Non danneggerei mai Gregory, nemmeno per prendermi gioco di te.” Replicò Mycroft, ridacchiando “E parlando di fondo… non mi sembra che tu sia messo così bene al momento.”

“Ma che grandi capacità deduttive, fratellone! Bene, ti sei divertito, ora manda una delle tue macchine a prenderci!” Il consulente, irato, aveva preso a camminare avanti e indietro nello spiazzo intorno ai capannoni.

“Temo di non poterlo fare. Grazie al tuo scherzetto sono ancora a casa malato e ho mandato il mio autista in ferie fino a nuovo ordine. Non posso certo scomodare quelli degli altri. Se posso avanzare un suggerimento, ci sono degli idranti lì intorno. Fatevi un bagno e avrete maggiori possibilità di essere accettati da un taxi. Buona giornata, fratellino.”

Sherlock non ebbe neanche il tempo di replicare. Mycroft aveva riattaccato e sicuramente non avrebbe più risposto. Con un urlo frustrato, si mise a cercare uno degli idranti, seguito da John, che stava a sua volta cercando di soffocare l’irritazione per il fatto di essere stato coinvolto in quella stupida guerra.

FINE DEL CAPITOLO

1 Chi ha capito di che film si tratta?

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Sembra talco ma non è ***


N.d.A.
Salve a tutti e a tutti un enorme grazie per il supporto che ci date, seguendo, leggendo e recensendo questa storia capitolo dopo capito.
Tener testa alle trovate geniali che Umbrella mette nelle mani di Mycroft si fa sempre più difficile, e stavolta in particolare è stata dura far vendicare Sherlock.
Come sempre, spero di farvi divertire con questo capitolo quanto mi sono divertita io a scriverlo. Buona lettura!
-Hudders
P.s.: ci sono riferimenti a una serie tv che guardiamo io e la mia collega, qualcuno riesce a individuarli? ;)


“Sherlock, ricordami perché siamo chiusi dentro un armadio.”
 John, ormai rassegnato, era rannicchiato sul fondo del mobile, in una posizione improponibile e decisamente scomoda a cui però era costretto dal poco spazio. Sherlock, invece, era in piedi, fremente d’eccitazione.
Posando il dito sulle labbra intimò a John di star zitto, mentre nella mano libera si rigirava una bustina quadrata di plastica trasparente, il cui contenuto era evidentemente di fondamentale importanza.
“Senti, hai pensato a cosa succederebbe se ci scoprissero? Non è un nascondiglio sicuro. Ci sentiranno senza dubbio.”
“Certo che ci sentiranno, se non fai silenzio! Dobbiamo solo aspettare il momento giusto. Oh, ci sarà da divertirsi. Vedrai se non mi ringrazierai, quando avremo finito.”
L’altro non rispose, limitandosi a scuotere la testa sconsolato.
Tutto era iniziato la sera prima, complice una partita di calcio trasmessa al solito bar vicino a Scotland Yard.
---

 “John, non so più come dirlo. Non sapevo che sarebbe andata così. Mycroft mi aveva detto solo in parte-“
 “Senti. Dimmi quello che ti pare, ma tu sei prudentemente rimasto in disparte. Il bagno in quello schifo l’abbiamo fatto noi, Greg.”
 “Mi dispiace, davvero. Non dovevi andarci di mezzo anche tu. Possiamo lasciare che se la vedano loro e goderci la partita, prima che ci buttino fuori dal locale?”
 “Veramente ero passato solo per una birra.”
“Dai, resta a farmi compagnia. Offro io, prendilo come un risarcimento.”
Dopo averci pensato per qualche istante, il dottore aveva deciso di lasciar perdere il rancore e passare la serata con Greg, da buoni amici, come avevano fatto spesso. A poco a poco avevano preso a chiacchierare del più e del meno, sempre più rilassati (grazie soprattutto alle birre che avevano ordinato) e relativamente interessato a quanto accadeva sullo schermo. La conversazione era inevitabilmente, fastidiosamente, prevedibilmente virata sui fratelli Holmes, con i quali avevano quotidianamente a che fare.
“Due bambini, te lo dico io.”
“Forse Sherlock, Mycroft è molto maturo.”
“Veramente a me sembra che stia esagerando. Finché gli colora i capelli di rosa o lo fa parlare come una fatina per qualche ora può andare. Ma l’ultima volta c’è andato giù pesante!”
“Suo fratello ci va sempre giù pesante! Prima lo porta quasi all’avvelenamento alimentare, poi lo costringe a una doccia gelata. Se l’è cavata con un’influenza, ma poteva finire male, sai? ”
“Non sto dicendo che Sherlock non esageri. Dico che anche Mycroft lo fa! Lui si è fatto una doccia fredda nel bagno di casa vostra. Io e Sherlock ce la siamo fatta in mezzo a Londra, è un miracolo che non abbiamo preso una broncopolmonite!”
Gregory aveva scrollato le spalle. Da una parte sapeva che John non aveva tutti i torti.
Quella faccenda stava diventando ridicola, e avrebbero fatto meglio a darci un taglio.
Era anche vero però che Mycroft aveva dato inizio a tutto per “difenderlo”, e si sentiva in colpa a dargli contro.
“Sarebbe più facile per tutti se la chiudessero qui, ma sembra che si divertano.”
 “Oh, non so il tuo compagno, ma Sherlock di sicuro. Solo i casi migliori lo entusiasmano come questo nuovo passatempo. E con migliori intendo… ricordi il caso Denverson?”
Gregory aveva sgranato gli occhi al sentir ricordare una delle indagini più complesse della sua carriera lavorativa.
Un duplice omicidio al chiuso, porte e finestre sbarrate dall’interno, la desolazione più totale nei dintorni, e decine di false piste.
Non ce l’avrebbero mai fatta senza Sherlock, doveva ammetterlo, e anche questi  aveva fatto una certa fatica a risolverlo.
“Davvero questa storia lo diverte così tanto?”
“Sono giorni che non esce di casa, sta cercando una contromossa, ma penso sia in stallo. Continua a ripetere che attende un passo falso di Mycroft.” 
“Dovrò dirgli di stare attento a non farne, allora.”
“Già.. a proposito, come mai stasera non sei con lui? È piuttosto tardi. Non è che avete… litigato, o un’altra delle cose che direbbe la signora Hudson?”
“No, no. Nessun problema, non l’ho lasciato da solo a casa per uscire a divertirmi, non lo farei mai. Solo che stasera fa un po’ di straordinari, rientrerà tardi.”
“Certo che lavora parecchio.”
“Beh, domani dovrà assentarsi dal lavoro quasi tutto il giorno, quindi recupera oggi. Grande occasione, sai.”
“Mi sembri abbastanza ironico.”
L’ispettore si era messo a ridere, per poi spiegarsi meglio, sul volto l’espressione di chi prende bonariamente in giro qualcuno a cui tiene immensamente.
“Domattina ha appuntamento con il sarto. Sai com’è, si fa cucire i completi su misura, e deve andare a provarlo. Ci metterà secoli, è quasi un rito.”
Arrivati a questo punto, erano stati interrotti da un grido collettivo che li aveva colti di sorpresa: un punto all’ultimo minuto aveva appena assicurato la vittoria alla loro squadra, e i due avevano lasciato cadere la conversazione per unirsi ai festeggiamenti.
---

“John! Ho sentito la sua voce!”
Il dottore si riscosse e si tirò su, reprimendo un gemito di dolore. Quanto a lungo erano stati in quella posizione? Si sgranchì un spalla, poi il collo.
“Se tu non fossi stato così idiota da non informarti sull’ora, John, ci saremmo risparmiati questo appostamento.”
“Ma se non ci avevo nemmeno pensato! Mi è venuto in mente solo quando ormai ero a casa.”
Forse, tutto sommato, informare Sherlock dei piani di Mycroft non era stata un’idea fenomenale. Ma il detective si lamentava da ore di non riuscire ad avvicinare suo fratello, ed era già l’una del mattino, e John voleva dormire, per l’amor del cielo.
“Domani va dal sarto!”
“Come?”
“Domani tuo fratello ha un appuntamento con il sarto.  Adesso potresti andare a dormire? Stai tenendo sveglia perfino la signora Hudson con le tue lamentele. ”
“Quando pensavi di dirmelo?”
“Pensavo ci arrivassi DA SOLO, Sherlock. Come pensi che possiamo chiudere occhio con te che piagnucoli ad alta voce e pesti i piedi-”
“Non pesto i piedi a terra. In ogni caso mi riferivo al sarto! Me l’avresti detto domani, quando ormai sarebbe stato troppo tardi? A che ore andrà?”
“Non lo so… senti, non possiamo pensarci domattina?”
“Vai a dormire immediatamente, ti voglio sveglio per le sei!”
“Tu sei pazzo! Non ho intenzione di seguirti nelle tue bravate.”
“Mio fratello ti ha ricoperto di sterco, ti ha costretto a lavarti con un idrante e a cercare disperatamente per quasi un’ora  un taxi  che ci facesse salire nonostante i vestiti fradici e l’odore nauseante.”
“ Tra cinque ore sarò pronto.”
 
“Prego, signor Holmes, è tutto pronto.”
 La voce del sarto era così vicina che John sussultò, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Sherlock. Beh, era buio, ma lo sguardo di disapprovazione del detective poteva essere /avvertito/ sulla nuca, come una presenza spettrale.
“La ringrazio, Harvey.”
E questa invece era la voce di Mycroft. Quei due erano nella stanza, non c’era dubbio.
Sherlock si sporse a sussurrare qualcosa a John, con una voce così controllata da essere quasi impercettibile.
“Questa stanza è uno spogliatoio. Mio fratello è entrato per cambiarsi, e tra poco uscirà per farsi vedere dal sarto. Fai silenzio.”
Il dottore obbedì, anzi, si può dire che prese a trattenere il fiato, tanto era il timore di rovinare tutto facendosi sentire.
Passarono alcuni minuti, poi si udì distintamente il “clack” della maniglia. La porta si aprì, poi si chiuse. Di nuovo un “Clack.”
“Ora.”
Sherlock aprì l’anta dell’armadio in cui erano nascosti e si diresse sicuro verso i vestiti di Mycroft, accuratamente disposti su un appendiabiti. John lo seguì, incuriosito.
“Eccoli qui. Ah,John. È perfetta, capisci? È perfetta.”
Al detective brillavano gli occhi mentre indossava un paio di guanti in lattice.
“Cosa è perfetta?”
“Ma l’occasione, è ovvio! Oh, ci sarà da ridere. Sarà una scena imperdibile, vedrai. E stavolta stai pronto con il cellulare, mi sono stufato di essere l’unico a venir screditato pubblicamente.”
“Sherlock, se registro… qualunque cosa tu abbia in mente, i servizi segreti mi faranno esplodere il telefono come minimo.”
“Usa il mio, allora. È nella tua tasca, a me dava fastidio.”
“Vuoi nascondergli gli abiti?”
“Non essere stupido, John. È in un negozio di abbigliamento. Se tutto va bene il suo abito nuovo è pronto, a che servirebbe nascondere questi?”
Sherlock tirò fuori una bustina di plastica piena di una strana polvere biancastra.
“Ecco, ci siamo. Oh, sembra Natale, era così inaspettato. Questa volta sarà perfetto, assolutamente, e sarò qui a godermi la scena.”
“Sherlock, mi fai paura. Che stai mettendo su quei vestiti?”
“Non ci arrivi, John?”
“Dimmelo e basta..”
Furono interrotti di colpo dalle voci dei due che tornavano indietro. Troppo presto, diamine… Dopo essersi guardati negli occhi per un istante si rifugiarono di nuovo nell’armadio, appena in tempo.
“Perfetto,allora mi cambio e passo a pagare. Grazie mille, Harvey. Gregory, sicuro di non voler aspettare fuori?”
“Per l’amor del cielo, Mycroft, devi solo cambiarti. Ti faccio compagnia, dai.”
John poteva percepire quanto il giovane Holmes stesse andando in brodo di giuggiole.  La presenza dell’ispettore era inaspettata e probabilmente un bonus insperato.
“Si sta rivestendo, John!”
“Parla piano…”
“Sì, sì. Ecco, si è vestito.”
“Lo stai spiando dal buco della serratura?!”
“Zitto! Aspetta un po’… oh! Garrett lo sta abbracciando. Perfetto, meglio di così non poteva andare. Dammi il telefono.”
“Sherlock, dimmi che quella robaccia che hai sparso sui vestiti di Mycroft non è pericolosa.”
Non fece in tempo a finire la frase. Senza alcun preavviso, il detective aveva spalancato le ante dell’armadio, rivelando platealmente la loro presenza. I due trasalirono, sciogliendo l’abbraccio, e John si limitò a sollevare una mano in segno di saluto.
Si sentiva terribilmente in colpa per averli interrotti in un momento così privato. Tra l’altro, Sherlock stava già facendo un video.
“Complimenti, fratellino. Vuoi rendere pubblico un momento estremamente personale? Non si può nemmeno definire uno scherzo. E, John, non ti facevo così pieno di rancore. Non eri tu il bersaglio, lo sai..”
Esordì Mycroft, visibilmente infastidito, mentre si grattava distrattamente un braccio. John quasi arrossì sotto lo sguardo di Greg, deluso e frustrato.
“ Non essere idiota, Mycroft! Mi sottovaluti.”
“Non vedo cosa mai dovrei aspettarmi da questa tua entrata teatrale.”
“Prova a smettere di grattarti il collo e forse te ne renderai conto.”
Confuso, il politico abbassò la mano. Effettivamente il prurito era insistente, sempre di più.
“Sherlock Holmes, cosa hai fatto ai miei vestiti?”
“Myc…”
La voce di Gregory suonava decisamente alterata mentre si strofinava i polsi e il collo.
“Cosa diavolo succede?”
“Te lo spiego io, Galavan. Ho sparso una particolare polvere sugli abiti di mio fratello, che ha contaminato le tue zone più esposte quando l’hai abbracciato.”
“Leva quella telecamera!”
Sbottò lo yarder dopo aver notato lo sforzo (vano) che Mycroft stava facendo per non grattarsi freneticamente ovunque.      
“Perché? A voi è piaciuto immortalarmi.”
Gregory aprì la bocca, poi la richiuse. Niente da obiettare.
“SHERLOCK!”
La voce di Mycroft ruppe quel piccolo battibecco, attirando sul politico l’attenzione di tutti. Mossa sbagliata, dato che ormai si stava praticamente strofinando contro l’attaccapanni, causando l’improvvisa ilarità di John ed evidentemente la soddisfazione di Sherlock, che parve essersi divertito a sufficienza da interrompere la registrazione.
“Dimmi, mio caro fratello.”
“Come la faccio smettere?”
“Ah, non è un problema mio. Potresti toglierti i vestiti e uscire di qui in mutande, grattandoti come uno scimpanzé. Oppure uscire con i vestiti e grattarti comunque come uno scimpanzé. Una volta a casa, se sei fortunato, quattro o cinque docce basteranno. Ti consiglio l’aloe, au revoir. Andiamo, John.”
Ciò detto, Sherlock se ne uscì, salutando il sarto che – attirato dagli schiamazzi- aveva assistito sconvolto alla scena. John lo seguì poco dopo.
“Sai, mi dispiace, Greg. Non dovevi essere coinvolto … non eri tu il bersaglio.”
Disse con le lacrime agli occhi prima di seguire Sherlock fuori dalla stanza.      

 

 

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Capitolo 7
*** Vita da celebrità ***


N/A: ecco l’aggiornamento con un ritardo mostruoso. Chiedo venia, ma per impegni vari ho dovuto posticipare. Spero di farmi perdonare.

Umbrella

 

VITA DA CELEBRITA’  

Mycroft aprì gli occhi e sorrise, trovandosi davanti il volto di Gregory, ancora profondamente addormentato. Lo osservò per alcuni istanti, poi spostò lo sguardo verso la finestra, attraverso la quale filtravano alcuni raggi di sole: a giudicare dall’angolazione e dall’intensità della luce, dovevano essere già passate le nove di quel sabato mattina, ma poco importava. L’ultima mossa di Sherlock, benché meschina, tutto sommato non era stata così tremenda come forse suo fratello aveva sperato che fosse: la polvere urticante, benché estremamente pruriginosa e fastidiosa, era stata la scusa perfetta che lui e Gregory avevano utilizzato per concedersi una giornata chiusi in casa, lontano da tutto e da tutti, a cercare di togliersi di dosso quella sostanza nella loro vasca da bagno. Ci avevano impiegato qualche ora più del necessario, ma nessuno dei due si era lamentato. Avevano poi trascorso una piacevole serata, godendo della reciproca compagnia, fino a quando non si erano addormentati l’uno accanto all’altro.

Sì, decisamente Sherlock aveva fatto a entrambi un meraviglioso, inconsapevole regalo, dato che era  raro che riuscissero a ritagliarsi momenti come quelli, a causa dei rispettivi lavori. Si sarebbero dovuti alzare, ma c’era tempo e Gregory sembrava così beato... guardando di nuovo il volto del compagno, non riuscì a trattenersi e gli accarezzò una guancia, ricevendo in risposta una specie di borbottio sconnesso. Ridendo tra sé, si sporse verso di lui, baciandogli la fronte.

“Buongiorno Gregory, dormito bene?” gli chiese, vedendolo stiracchiarsi.

“Mhm, sì, direi di sì.” Gli rispose l’Ispettore, aprendo gli occhi e guardandolo con aria assonnata. “Tu?”

“Anche io. Dovremmo scendere a fare colazione.

“Nah, prendiamoci ancora qualche minuto.” replicò Gregory, passandogli un braccio intorno alla vita per bloccarlo, guadagnandosi uno sbuffo da parte del politico.

“D’accordo, ma solo qualche minuto.” Gli disse, sorridendo, prima di aggiungere: “Sai, stavo pensando di smettere con gli scherzi.”

L’Ispettore lo guardò sorpreso.

“Smettere? Davvero? E come mai?” gli chiese, alquanto costernato: Mycroft era sembrato così deciso a vincere quella guerra e ora voleva chiuderla senza un’ultima contromossa?

“Beh, l’ultimo scherzo di Sherlock è stato una notevole caduta di stile. Insomma, polvere urticante? Come se fossimo ancora dei bambini? Pensavo di giocare contro un adulto, così non c’è molto gusto.”

“Forse non serve che te lo ricordi, ma tu hai ricoperto lui e John di letame.” Gli fece notare Gregory, ridendo.

“Era diverso, la mia idea è stata paradossalmente più raffinata.” Replicò Mycroft, facendo ridere di nuovo il compagno. “Sul serio, Gregory. Ho visto le registrazioni, avrebbe potuto evitarlo se avesse usato la logica al posto dell’irruenza di dimostrare che è più brillante di tutti.”

“Anche tu avresti potuto capire che si era nascosto nell’armadio, però.” Fu la risposta che ricevette e che gli fece inarcare un sopracciglio.

“Lo difendi ora? Non ho dedotto la sua presenza in quell’armadio perché, se ricordi bene, ero alquanto distratto al momento.” Gli disse.

L’Ispettore gli sorrise sornione.

“Tutto sommato hai le tue ragioni. Però devo ammetterlo, mi dispiace che tu abbia deciso di smettere.”

“Ma come? Proprio tu che all’inizio volevi che facessi l’adulto e ponessi una fine alla guerra, adesso sei dispiaciuto che ci metta un freno?”

“Beh, l’ultimo scherzo di Sherlock ci ha regalato questo” gli rispose Gregory, accarezzandogli un braccio. “E poi lo confesso, è bello vederti in azione su qualcosa che non sia il lavoro. È… sì, direi accattivante.”

Mycroft lo guardò, sorridendo.

“Quindi tu non vuoi che io smetta.” Affermò.

“No, in effetti no. Anche perché non mi è piaciuto per niente l’atteggiamento di John. Hai visto come era divertito di averci messi nel sacco?”

“Sì, il dottor Watson si è mostrato alquanto irriverente, ma vorrei ridimensionare tutta la situazione e ricordare a Sherlock che la sfida è tra me e lui.”

Gregory lo guardò, sospirando.

“Suppongo tu abbia ragione in fondo, ma… aspetta, questo vuol dire che hai già qualcosa in mente?” gli chiese. Mycroft gli rispose con un ghigno stampato sul volto.

“Oh sì, mi è venuta un’idea che credo possa andare e che possa far capire chi è che sta vincendo davvero. Certo, ci vorrà un po’ per realizzarla come si deve, ma l’attesa renderà ancora più bello vederne la realizzazione concreta.”

“Sembra promettente” commentò Gregory, sorridendo “suppongo però che non mi dirai nulla.”

“Esatto, credo sia meglio così. Mi fido di te, ma ho visto che ti diverte di più vedere il prodotto finito, per così dire. Tuttavia, stavolta avrò bisogno di un po’ di collaborazione.” Replicò Mycroft. L’Ispettore inarcò un sopracciglio.

“Collaborazione con chi? Anthea?” gli chiese infatti.

“Oh no. Se te lo dicessi, dubito che mi crederesti.”

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Qualche settimana dopo…

“Allora, è tutto pronto signor Anderson?”

“Tutto pronto, signor Holmes. Ho seguito le sue istruzioni alla lettera e il progetto è pronto a partire.”

“Molto bene, allora può inviare il comunicato. Mi raccomando, usi quello che le ho mandato io senza cambiarlo di una virgola.”

“Sarà fatto, e… ecco, è in rete. Adesso cosa facciamo?”

Mycroft ghignò tra sé, conscio che l’uomo all’altro capo del telefono non poteva vederlo.

“Adesso aspettiamo che mio fratello si decida ad uscire di casa. La ringrazio per il suo aiuto.”

“Si figuri, quello che me ne verrà è più di quanto potessi sperare. Grazie a lei per avermi contattato. Buona giornata.”

“Anche a lei.” Replicò il maggiore degli Holmes, interrompendo la chiamata. Bene, stava andando tutto secondo i piani. Adesso bastava fare in modo che Sherlock lasciasse l’appartamento per una qualche ragione, che fosse un caso o meno e il divertimento sarebbe cominciato.

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Due giorni dopo…

“Sherlock, dov’è finita la roba che era nel frigo?” chiese John, la testa infilata nel frigorifero.

“Avevo bisogno di spazio per i miei organi, l’ho data ai ragazzi della rete dei senzatetto.” Fu la risposta di Sherlock, mollemente sdraiato sul divano.

“L’hai… Sherlock, ma che ti salta in mente? Cosa mangiamo per cena?” gli chiese il dottore, indignato, andando verso di lui e fermandosi, le mani sui fianchi.

“Ah, non lo so. Perché non hai fatto la spesa, scusa?”

“Perché, caro il mio genio, pensavo che il frigo fosse pieno e invece qualcuno l’ha svuotato!” esclamò John, esasperato. Sherlock lo guardò, prima di mettersi a sedere.

“Vorrà dire che stasera andremo da Angelo.” Gli disse, alzandosi.

“Cosa? Ah no, non ho intenzione di tornare là dentro e cenare con una candela sul tavolo e le risatine dei camerieri in sottofondo. No, adesso tu prendi il tuo cappotto, ti alzi il colletto e vai a fare la spesa.” Gli ordinò il dottore, incrociando le braccia al petto. Il consulente lo guardò.

“E se mi rifiutassi?” gli chiese in tono di sfida, ricevendo un ghigno da John, che gli voltò le spalle e si diresse verso il frigorifero, aprendolo e prendendo un sacchetto.

“Se tu ti rifiutassi, io, tanto per usare uno dei giochi di parole dei quali mi accusi di abusare nei miei resoconti, rifiuterò i tuoi esperimenti dritti nel bidone dell’immondizia.” Gli disse, agitando il sacchetto in mano e sorridendo di fronte all’espressione orripilata del suo coinquilino.

“Non oseresti, non… non puoi. Sono importanti!” gli disse infatti, balzando verso di lui. John riuscì a schivarlo, spostandosi fuori dalla sua portata.

“Anche il mio stomaco è importante, quindi ora fila, prendi il portafogli e vai a fare la spesa! Ti manderò la lista per messaggio mentre sei per strada.”

Il consulente lo guardò, aprendo bocca un paio di volte per cercare di rispondere degnamente, poi, di fronte all’espressione perentoria dell’amico, sbuffò e si arrese.

“D’accordo, va bene. Come vuoi tu.” Disse, andando verso l’ingresso e recuperando la sciarpa e il cappotto. “Ma non ti lamentare se non prenderò le stesse cose che compri tu.”

“Sì sì, tanto lo so che prenderai prodotti diversi per farmi innervosire. Buona missione, Sherlock.” Gli disse John, spingendolo fuori dall’appartamento e chiudendo la porta dietro di lui. Il consulente sbuffò di nuovo, si strinse nel cappotto e scese i gradini fino a uscire su Baker Street. Scartò subito l’idea di prendere un taxi – d’altronde, il supermercato era solo a cinque minuti di distanza – e si incamminò verso la sua destinazione. A metà strada, il cellulare vibrò nella sua tasca, segnalando l’arrivo del messaggio annunciato da John. Scorse la lista, decidendo subito che si sarebbe preso tutto il tempo che avesse voluto per acquistare i prodotti, così il dottore avrebbe imparato a mandare lui a fare acquisti. Arrivato al supermercato, entrò e prese un cestino, cominciando a girare tra gli scaffali. Vista l’ora c’era parecchia gente, tutti evidentemente appena usciti dal lavoro e fermatisi a fare compere sulla strada del ritorno a casa. Impiegati, avvocati, infermieri… un vero potpourri di rappresentanza della società londinese. Dopo aver fatto un giro di esplorazione ed aver notato che erano già trascorsi quindici minuti, decise di cominciare a prendere qualcosa. Si stava giusto dedicando alla scelta del latte, quando sentì qualcuno, presumibilmente una ragazza, schiarirsi la voce alle sue spalle. Dubitava che, chiunque fosse, si stesse rivolgendo a lui, così continuò a leggere l’etichetta sulla bottiglia.

“Mi scusi, signor Holmes.”

Stavolta non potevano esserci errori, la ragazza stava cercando di attirare la sua attenzione. Si voltò, trovandosi di fronte un paio di occhi castani molto vivaci. La ragazza doveva avere poco più di vent’anni, studentessa che abitava ancora con i genitori e... oh no, pensò tra sé, quando l’occhio gli cadde su un particolare della giacca: attaccata sul petto, c’era una spilletta con su scritto I believe in Sherlock Holmes. Fantastico, doveva essere una delle socie dello stupido club di Anderson!

“Non concedo interviste e non ho intenzione di venire a uno dei vostri incontri, quindi non sprecare il tuo tempo.” Le disse, sperando così di troncare il discorso, ma rimase sorpreso quando la vide sorridere.

“No, vorrei solo fare una foto con lei. Ci vorrà un istante, poi la lascerò in pace.” Gli rispose lei, facendogli sgranare gli occhi. Una foto? Santo cielo, non poteva nemmeno uscire tranquillamente a fare la spesa senza che qualcuno lo assillasse per una foto? Ponderò l’idea di rifiutare, ma calcolando che doveva ancora finire di fare la spesa e che non poteva scappare dal supermercato, assentì con una sbuffata. Il viso della ragazza si illuminò.

“Ehi, Judy, vieni a farci una foto?” chiese poi a una ragazza che se ne stava qualche metro più in là ad osservare la scena. Quest’ultima, sorridendo, si avvicinò sfoderando un cellulare, mentre la ragazza che lo aveva interpellato gli si faceva più vicina e appoggiava la testa contro la sua spalla – gesto che lo fece irrigidire subito, come si permetteva? Non si sforzò nemmeno di sorridere e attese che il momento finisse e che Judy scattasse quella benedetta foto. Quando la vide sorridere e confermare che lo scatto era andato a buon fine, si rilassò, pronto a riprendere da dove si era fermato, quando si sentì richiamare di nuovo.

“Ci scusi ancora, anche Judy vorrebbe una foto. È una sua grande ammiratrice, conosce il blog del dottor Watson meglio di chiunque altro.” Gli disse la ragazza che lo aveva chiamato prima, un sorriso a trentadue denti stampato sulla faccia. Ancora una volta fu tentato di rispondere che non aveva tempo per simili fesserie, ma ancora una volta le obiezioni che si era posto prima tornarono a farsi prepotentemente spazio nella sua testa, così, a malincuore, accettò di nuovo. Scattata anche la seconda foto, rispose con un borbottio alle due ragazze e si stava giusto voltando vero il latte, quando le sentì dire qualcosa che catturò la sua attenzione.

“Due foto! Non vedo l’ora che gli altri lo sappiano, siamo in testa.”

“Già, siamo state sicuramente le prime!”

Sherlock si voltò per la terza volta, pronto a chiedere di cosa stessero parlando, ma le due ragazze se n’erano già andate. Rimuginò quelle frasi nella sua testa, cercando di trovare una spiegazione e guadagnando solo un brutto, bruttissimo presentimento. Desistendo dal suo intento precedente, prese due bottiglie di latte e cominciò a muoversi per i corridoi più velocemente che poteva per prendere tutto quanto richiesto e tornare a casa quanto prima.

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“Ma dove diavolo si sarà cacciato?” borbottò John.

Era passata quasi un’ora dal momento in cui Sherlock era uscito di casa per andare a fare la spesa. Era possibile che stesse ritardando per farlo irritare, ma così cominciava ad essere troppo. Stava per chiamarlo per l’ennesima volta quando vide il display del cellulare illuminarsi e il nome del consulente comparire sullo sfondo. Senza indugiare, rispose.

“Sherlock, ma dove ti sei cacciato? Se è una tattica per non mandarti più da Tesco, sappi che…”

“John, devi aiutarmi, sono nei guai.”

La voce terrorizzata del suo coinquilino pose fine alla sua predica. Nei guai? Possibile che non potesse nemmeno fare pochi passi a piedi senza cacciarsi nei guai? Certo era preoccupante che sembrasse così spavenato…

“Sherlock, ti giuro che se è uno scherzo io..”

“Non è uno scherzo, John! Mi danno la caccia!”

“Chi.. chi ti dà la caccia?” chiese il dottore, sempre più in allerta.

“Le socie della bara vuota”.

“…..”

A John ci vollero alcuni secondi per riuscire a far arrivare le parole di Sherlock alla sua mente, più un’altra manciata per essere in grado di connetterle e di capire cosa comportavano.

“Cioè, le ragazze del fan-club che Anderson ha creato in tuo onore ti stanno dando la caccia? Perché?”

“Non ne ho idea, ma credo di aver capito che si tratta di una specie di iniziativa e scommetto che c’è mio fratello dietro a tutto questo. Sembrano sempre sapere dove sono.”

“Sherlock, dubito che Mycroft si metterebbe in combutta con Anderson per..”

“Esatto, dubiti! Proprio per questo non sospetteremmo mai di lui!”

“Ora basta, stai diventando paranoico! Questa storia degli scherzi ti ha totalmente dato alla testa!”

“John, per una volta usa il cervello! Queste ragazze sanno esattamente dove mi trovo, sbucano dal nulla e riescono a rintracciarmi come se niente fosse!”

“Hai mai sentito parlare dei cellulari e della comunicazione del ventesimo secolo? Staranno facendo passaparola.”

“Ha poca importanza ora! John, devi aiutarmi!”

“E cosa diamine posso fare, scusa?”

“Devi venirmi a prendere!”

Il dottore sbuffò, passandosi una mano sulla faccia.

“Va bene, d’accordo. Dove sei?”

“Sono in un vicolo di Clay Street. Ora devo staccare, sento che si stanno avvicinando. Fai presto.”

John non fece neanche in tempo a chiedergli a quale altezza di Clay Street si trovasse che il consulente aveva interrotto la chiamata. Si mise il cellulare in tasca e andò a prendere la giacca, prima di uscire dall’appartamento.

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Venti minuti dopo….

“Sherlock, per l’ennesima volta, smettila. Non troverai niente in rete perché non c’è niente da trovare.” Disse John dalla poltrona su cui si era accomodato dopo il loro rocambolesco rientro a Baker Street. Le fan di Sherlock li avevano inseguiti e per poco non si erano fatte investire dal taxi sul quale erano a stento riusciti a salire. Avevano scattato anche diverse foto e il dottore non osava immaginare cosa ne avrebbero fatto.

“Mycroft deve entrarci qualcosa. Erano troppo ben organizzate.” Gli rispose Sherlock che, seduto al tavolo di cucina, ticchettava furiosamente sulla tastiera del portatile.

“Beh, questo capita quando sei una celebrità che si fa desiderare. Se decidono di braccarti, queste ragazzine ci riescono alla perfezione.”

“Non ci arrivi proprio! Sembrava che stessero facendo una classifica!”

John si passò una mano sulla faccia per l’ennesima volta.

“Stai cercando da tre quarti d’ora, avrai inserito trecentomila nomi e definizioni diverse, hai cercato la tua foto, e non è saltato fuori niente. Sarà una bravata tra ragazzine.”

“Proprio per questo sospetto che ci sia Mycroft dietro. È impossibile che ci sia un’organizzazione simile senza che io me lo sia perso!”

“Beh, grande detective, ogni tanto c’è qualcosa che sfugge anche a te, fattene una ragione.”

“Che hai detto?”

“Oh andiamo, non ti sarai mica offeso!”

“No, John” Sherlock smise di scrivere e si voltò a guardarlo. “Come mi hai chiamato?” chiese.

Il dottore inarcò un sopracciglio.

“Grande… detective?” ripeté con una lieve incertezza nella voce. Il consulente lo fissò per un secondo, poi batté le mani.

“Sono un tremendo idiota!” sbottò, mettendosi a digitare di nuovo. “È così ovvio!”

John gli si avvicinò.

“Cosa sarebbe ovvio?” gli chiese.

“Se tu vuoi comunicare con qualcuno senza che altri lo scoprano, cosa usi?”

“Un codice.”

“Esattamente. Ora, in questo caso le persone coinvolte sono molte, quindi mio fratello, Anderson o chiunque abbia dato avvio alla cosa deve aver utilizzato un linguaggio conosciuto da tutti gli affiliati e cosa meglio dei sinonimi per veicolare un messaggio senza che io me ne accorga?”

“Sembrerebbe un po’ macchinoso…” commentò John, pensieroso.

“Eppure è così semplice! Ecco, guarda qua, trovato!” esultò Sherlock, girando appena lo schermo in modo che anche il dottore potesse vedere. I due lessero un annuncio che era evidentemente stato pubblicato da Anderson e che parlava del consulente… senza però che il suo nome venisse fatto una volta che fosse una. Praticamente impossibile da trovare se non si sapeva cercare. Ciò che più colse la loro attenzione – e suscitò il loro orrore – fu che si trattava di una sorta di competizione tra fan pe chi riusciva a fare la foto migliore e che si sarebbe protratta per circa dieci giorni, data la sua elusività.

John si grattò la testa.

È un bel problema.” Commentò.

È una catastrofe!” esclamò Sherlock, alzandosi in piedi. “Dieci giorni senza uscire di casa, senza poter ricevere nessuno, senza potermi dedicare ai casi e… Signora Hudson, cosa c’è?!” sbottò, vedendo che la porta si apriva e che la signora stava entrando con un vassoio tra le mani.

“Cù-cù, ho sentito del trambusto e ho pensato di fare un po’ di tea.” Disse, sorridendo e andando a posare il vassoio con due tazze fumanti sopra sul tavolino da caffè davanti al divano. “Sherlock, caro, mi sembri molto agitato.” Aggiunse, sorridendogli e infilando le mani nelle tasche del grembiule.

“Lo sarebbe anche lei se si trovasse a dover subire una tortura come la mia!” replicò il consulente, appoggiandosi alla mensola del caminetto.

“Oh, ti farei convivere tutti i giorni con la mia anca, poi potremmo riparlarne.” Gli rispose lei con una risatina, muovendo di nuovo le mani.

“Non è la stessa cosa!” esclamò lui, voltandosi e trovandosi a dover chiudere gli occhi, accecato da quello che pareva un flash. “Ma cosa…”

“Ah!” esultò la padrona di casa, stringendo una piccola macchina fotografica tra le mani e rimirando il risultato. “Vi ho presi tutti e due, alla faccia di quelle adolescenti che si sono vantate di avervi rincorso ovunque. Oh, moriranno di invidia, ih-ih” rise tra sé, andando più velocemente che poté verso la porta, lasciandosi alle spalle i due uomini ancora shockati.

FINE DEL CAPITOLO

 

 

 

  

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** A scatola chiusa ***


* Nota: Salve a tutti. In primo luogo mi scuso per il ritardo nella pubblicazione. Fino ad ora avevamo sempre mantenuto un ritmo di circa un capitolo a settimana, salvo ritardi di un paio di giorni, ma questa volta non ce l'ho fatta, principalmente a causa esami. Chiedo scusa e spero che sia valsa la pena di aspettare per farvi una risata alle spalle del povero Mycroft. Buona lettura e grazie a tutti quelli che continuano a seguirci e a recensire!
-Hudders *  


24 dicembre, ore 23: 57.
I signori Holmes sedevano sul divano. Dal lettore cd si diffondevano per tutta la stanza le note di "Hark, the herald angel sing".
Ancora un minuto e sarebbe seguito "Carol of the Bells". Lo stesso cd stava proseguendo da tutta la sera, ormai.
Gregory stava spiegando a Siger Holmes che il dottor Watson era a passare il Natale con la sorella, Harry.

Un vero e proprio miracolo, c'era da ammetterlo.

I due fratelli cresciuti in quella casa bisbigliavano animatamente, attenti però a non farsi sentire.

"Ormai è passato un mese, Sherlock. Ti sei deciso a riconoscere chi è il migliore?"
"Chiudi il becco, Mycroft. Per colpa della tua trovata non sono riuscito a lavorare in pace per giorni. Settimane, anzi. E nemmeno a farmi preparare un tea."
"Cosa c'entra il tea, adesso?"

Mycroft non poteva sapere che perfino la signora Hudson, la dolce proprietaria del 221B di Baker Street, si era lasciata prendere la mano dalla caccia che lui aveva organizzato ai danni del fratello.
"Non starete litigando, spero!" Li interruppe la madre, con un'occhiataccia.
"Assolutamente no!"

La rassicurò Mycroft con un sorriso educato.

"Molto bene, allora direi di iniziare ad aprire i regali, è già mezzanotte ormai."
Mycroft aveva spiegato a Gregory che nella loro famiglia era sempre stata tradizione scambiarsi i regali allo scoccare della mezzanotte .
Seguì pertanto un breve scambio di pacchetti accompagnato da ringraziamenti relativamente sinceri. Il Natale era forse l'unico periodo dell'anno in cui gli Holmes assomigliavano ad una famiglia normale. Gregory, sorridendo curioso, inizio a scartare il pacchetto che Mycroft aveva preparato per lui. Era particolarmente emozionato: il politico gli aveva anticipato che avrebbero potuto utilizzare quel regalo insieme e la cosa l'aveva portato ad elucubrare a lungo su cosa potesse essere.
Tutto si sarebbe aspettato, però, tranne quello che vide quando tolse il coperchio.
Fissò il contenuto della scatola senza osare tirarlo fuori, conscio che Mycroft lo stava osservando per dedurre la sua reazione. Pertanto si decise ad alzare lo sguardo verso di lui, un sorriso non troppo convinto abbozzato sul volto.
"Non ti piace, Gregory?"
Chiese l'uomo, sorpreso nel vedere una reazione così inaspettata sul volto dell'altro. Aveva scelto con cura l'Hotel migliore della località più bella che era riuscito a trovare, aveva prenotato un fine settimana di totale riposo per entrambi (certo, avrebbe potuto tranquillamente restare in contatto con Anthea e risolvere qualche pratica dal cellulare...) ed aveva fatto stampare su carta fotografica un elegante buono con tutte le informazioni relative, il tutto incorniciato da un portafoto in argento.
Eppure, Gregory sembrava totalmente destabilizzato. Continuava a spostare lo sguardo dal contenuto della scatola al volto del fidanzato, indeciso su cosa dire.

"È... non me l'aspettavo. Proprio no, davvero."
Disse alla fine, in un tentativo di salvare la situazione. Mise una mano dentro alla scatola, toccando il contenuto.
"Cristo," pensava. "Sono di peluche. Sono davvero ricoperte di peluche. Rosso."
Mycroft continuava a non capire il perché di quella reazione.
Se solo si fosse voltato ed avesse visto il ghigno soddisfatto con cui suo fratello stava osservando la scena...
"Ho pensato, come ti avevo già anticipato, che potremmo goderceli insieme."
Spiegò, riferendosi ai due giorni di vacanza. Grgeory parve decisamente a disagio, adesso, tanto che Mycroft pensò fosse preoccupato per il lavoro.

"Se temi di non averne il tempo, ho già provveduto. Ho chiamato il tuo capo e gli ho spiegato la situazione."
Stavolta l'ispettore andò visibilmente nel panico.
"In che senso, scusa?"
"Nel senso che gli ho spiegato cosa avevo intenzione di regalarti e che avresti avuto bisogno di un paio di giorni per farne buon uso. Si è detto del tutto d'accordo nell'idea che un po' di svago sia più che meritato da un lavoratore assiduo come te... Gregory, ti vedo pallido. Stai bene?"
Lo yarder aveva adesso lo sguardo fisso dentro la scatola. Boccheggiava, quasi.
Nel frattempo, nonostante la musica che copriva appena le loro parole, tutte quelle scene sembravano aver attirato l'attenzione. La signora Holmes, infatti, intervenne sorridente.

"Avanti, Gregory, cos'hai ricevuto? Siamo curiosi!"
"Ah.. diciamo che è un pensiero piuttosto personale."
Balbettò lui, arrossendo (per lo sgomento di Mycroft: arrossire per una cosa simile? Non erano due ragazzini!).
"Penso che... dovrebbe restare tra noi. Lei capisce, Violet... non si offenderà, spero?"
"Oh, non dirlo nemmeno per scherzo. Ma certo che capisco-"
La donna fu interrotta dal figlio maggiore, evento piuttosto raro.
"Gregory, permettimi di farti notare che la tua reazione è un po'eccessiva."
"Penso solo che sarebbe meglio non sbandierarlo ai quattro venti! L'hai detto al mio capo,vuoi dirlo perfino ai tuoi genitori?"
"Non vedo cosa ci sarebbe di male!"
Lo yarder aprì e richiuse la bocca diverse volte, sotto shock.
Mycroft, invece, ignorando la voce della madre che gli diceva qualcosa sul lasciar perdere e rispettare il desiderio di privacy espresso da Gregory, afferrò la scatola e vi infilò la mano, lo sguardo fisso su Gregory.
"Mi vorresti spiegare cosa ti imbarazza tanto in questo?"
Disse, afferrando l'oggetto rettangolare all'interno e sollevandolo in aria.
Il silenzio piombò nella stanza.

L'ispettore aveva la faccia di chi avrebbe desiderato sotterrarsi.
I coniugi Holmes erano paonazzi, e sembravano improvvisamente interessatissimi a qualunque cosa che non fosse ciò che Mycroft teneva in mano.
Solo Sherlock, ancora seduto in poltrona, pareva enormemente soddisfatto.
Fu nell'incrociare lo sguardo del fratellino, infatti, che il politico fu colto da un terribile dubbio e sollevò lo sguardo.
In mano non aveva alcuna cornice. C'era una scatola di plastica trasparente, tenuta chiusa da un nastrino rosso.
All'interno erano chiaramente visibili un paio di manette rivestite di peluche (anch'esso rosso), una confezione di lubrificante alla fragola e quello che a prima vista somigliava tremendamente a un frustino arrotolato.
Sul lato frontale, alcune fessure permettevano di toccare i vari materiali.
Un cartoncino in basso a destra recava la dicitura: "confezione regalo!" in vistosi caratteri rosa.
"Oh."

Commentò Mycroft dopo qualche secondo.
Lanciò un'occhiataccia a Sherlock, che se ne stava tranquillamente seduto a godersi la scena.
"Capisco il disagio, adesso. Non era questo quello che avevo intenzione di regalarti, ovviamente."
Proseguì, costringendosi a rimanere calmo.
"Avevo preso tutt'altro, ma evidentemente Sherlock..."
Fu interrotto dal padre, in quel momento. Quell'accenno di spiegazione era stato sufficiente a far capire qualcosa a Gregory, ma lo stesso non poteva evidentemente dirsi per i padroni di casa.

"Figliolo, non devi giustificare a noi quello che.. umh, sono affari vostri e..."
Sia Mycroft che Gregory sembravano voler sprofondare, ed iniziarono a tentare di spiegarsi.
"No, vi assicuro che c'è un malinteso."
"Non è il tipo di cose che lui..."
"Non sarebbe da me."
"E in ogni caso non certo in casa vostra.."
"Sherlock, lui..."
Furono interrotti dalla voce della signora Holmes. Quasi un grido, ad essere sinceri.
"Mycroft Holmes!"
Tutti si voltarono verso di lei, sorpresi dal tono stizzito con cui si era rivolta al figlio.
"Mamma?"

Ormai il Governo Inglese  aveva mangiato la foglia, pertanto sbirciò con la coda dell'occhio suo fratello.
Ovviamente, Sherlock aveva tutta l'aria di divertirsi come, per l'appunto, un bambino a Natale.
"Non posso credere che proprio tu abbia pensato di essere così.... di cattivo gusto!"
L'uomo sospirò. Era ormai certo che nel pacchetto mezzo scartato tra la mani della donna non ci fosse la collana di coralli che le aveva preso.
"Non ho più vent'anni! Alla mia età è normale avere un girovita più morbido."
"Non credo di aver mai detto il contrario."
"Mi sembra un messaggio abbastanza chiaro."
Ribattè lei, mostrandogli una confezione di pastiglie dimagranti e un tagliandino che Mycroft dedusse essere un abbonamento in palestra.
"Credo tu mi conosca abbastanza bene. Ti sembra il genere di regalo che potrei farti?"
"No, non me lo sarei certo aspettata da te!"
La donna, prima stizzita, sembrava adesso mortificata.
"Probabilmente hai fatto bene. Si vede che ne ho davvero più bisogno di quanto credessi. Forse dovrei essertene grata, invece di offendermi."
Cominciò a mormorare, con lo stesso tono che avrebbe usato in un dramma shakespeariano.
"Mamma, sono certo che Mycroft fosse solo preoccupato per la tua salute."
Intervenne Sherlock, ben sapendo che quell’affermazione avrebbe solo peggiorato il senso di disagio generale.
Fu il signor Holmes ad arginare la situazione prima che degenerasse, sorridendo alla moglie e dandole un bacio. Lei parve tranquillizzarsi a sufficienza da far desistere Mycroft dall'intenzione di dare spiegazioni, almeno per il momento.

Gregory colse la palla al balzo e ne approfittò per scartare rapidamente il regalo che i due gli avevano fatto.
"È davvero bellissima!"
Disse rivolto a loro mentre reggeva in mano la cravatta firmata più elegante che avesse mai visto.
Il politico si appuntò mentalmente di ringraziare il suo compagno, intento a distrarli, e si diresse verso Sherlock con uno sguardo dei più torvi.
"Passi il fatto che tu abbia coinvolto di nuovo Gregory, ma dovevi davvero mettere a disagio nostra madre?"
Lo rimproverò. L'altro sbuffò, agitando una mano come per scacciare una mosca.
"Noioso. A disagio, addirittura. È solo uno scherzo innocente."
"Abbiamo sfiorato la tragedia familiare!"
"Tragedia? Oh, ma smettila. Per un volta ho dato un po' di movimento a questa festa. John si divertirà quando vedrà le registrazioni. Penso che farò vedere alla signora Hudson la parte della confezione regalo del sexy shop, così non ti aprirà più la porta per l'imbarazzo."
".....di quali registrazioni parli?"
Fu la voce di Gregory a interromperlo, stavolta.
"Mycroft, tuo padre sta aprendo il tuo regalo. Perché non vieni a vedere?"
Lo invitò, consapevole che probabilmente anche quel pacchetto era stato manomesso.

Il sorriso sul volto di Sherlock si era allargato, per la disperazione di Mycroft che nuovamente si avvicinò ai genitori.
La scatola che Siger teneva sulle ginocchia avrebbe dovuto contenere un costoso dopobarba. Vi erano invece un bigliettino e quella che, a prima vista, sembrava una maglietta bianca ben piegata.
"Che c'è scritto, tesoro? Leggi ad alta voce!"
Esclamò Violet, apparentemente dimentica dell'onta subita poco prima.
"Allora... dice: questo regalo è frutto di tanto affetto. So che lo indosserai con orgoglio domani, quando andremo tutti insieme a Messa. Ci tengo, mi raccomando. Con profondo amore filiale, Mycroft. "

Il presunto autore del biglietto era sconvolto.
Che diavolo si era inventato Sherlock? Non solo avrebbe dovuto accompagnarli in chiesa il giorno successivo, ma quelle frasi lo facevano sembrare un perfetto idiota. I suoi genitori, però,  non sembravano pensarla così.
"È davvero un bel pensiero, Mycroft. Pensavo di mettere una camicia, domani, ma sono certo che anche questa andrà benissimo."
Beh, non era andata troppo male.
Almeno,così credeva finchè suo padre non aprì la maglietta.
Non era del tutto bianca: c'era una stampa molto particolare davanti.
Una rappresentazione estremamente infantile di un bambino. Testa ovale, righe verticali al posto dei capelli, un sorrisone in faccia, corpo costituito da una triangolo verde dalla cui base spuntavano due righette per le caviglie a cui erano attaccati due piedi quasi tondi.
Le braccia, anch'esse stilizzate, erano innaturalmente lunghe e tese verso l'esterno, come se il bambino del disegno volesse dare un enorme abbraccio o indicare le dimensioni spropositate di qualcosa.
Sotto campeggiava la scritta:
 "Papà, ti voglio bene tanto così."
Mycroft era letteralmente pietrificato, nemmeno sentiva i gridolini di gioia di sua madre.
"Sei così dolce, a fare un regalo del genere a papà!"
Ripeteva, per poi alzarsi e andare ad abbracciarlo.
"Il mio bambino, sei così caro!"
Lui cercò di trattenere la stizza e di ricambiare educatamente la stretta della madre. Quasi la preferiva quando faceva l'offesa.
"Papà, non c'è bisogno che la indossi..."
"Non dirlo nemmeno per scherzo! Se ci tieni la metterò domani in chiesa, e se qualcuno dovesse stupirsi spiegherò che figlio affettuoso sei. Tanto sarai lì con me!"
Certo. Si sarebbe rovinato la reputazione per sempre.
Peggio di così proprio non poteva andare.
---
"Non essere così tragico."
Mycroft sembrava averla presa davvero male, tanto che nemmeno rispose a Sherlock. Finalmente la serata era giunta al termine, ma era stata la più lunga della sua vita.
Il più giovane dei fratelli Holmes si alzò e si diresse verso la libreria, dove era ben nascosta un videocamera. Sherlock estrasse il cd e lo avvolse con un pezzo di carta per pacchetti usato e rimasto in un angolo. Poi,  tornando dal fratello, glielo porse.
"Cosa sarebbe?"
"Non ti ho ancora dato il mio regalo."
"Pensavo semplicemente che non me ne avessi preso uno quest'anno."
Mycroft aprì la carta, squadrando il cd.
"Credevo volessi mostrarlo a John,  alla signora Hudson e a mezza Baker Street."
"Credevi male."
Il politico rimase di sasso. Sherlock rinunciava a umiliarlo ulteriormente? Era... piacevole. Commovente, quasi.
"Perchè?"
"Buon Natale, Mycroft. "
Un sorriso.
"Buon Natale, Sherlock."
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"Hai registrato le parti importanti con il cellulare, dico bene?"
"Dovevi proprio rovinare il momento?"

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Capitolo 9
*** But initially ***


N/A: e dopo un enorme, immenso ritardo, eccomi qua con l’aggiornamento. E’ stata durissima, lo ammetto, perché l’ultimo scherzo di Sherlock è stato veramente un colpo da maestro. Spero che la replica possa piacervi.

Buon proseguimento delle vacanze.

Umbrella

 

BUT INITIALLY…

 

Mycroft mosse le braccia di fronte allo specchio affisso al grande armadio della camera da letto, gli occhi puntati sul riflesso dei polsi. Perfetto, la camicia era abbastanza lunga da coprire i segni. Scosse la testa, sorridendo tra sé: il regalo di Natale che Sherlock aveva dato a Gregory “da parte sua”, causando tanto imbarazzo, alla fine si era rivelato più utile di quanto avessero immaginato, forse troppo, considerando la loro età anagrafica. La frusta era stata messa sotto chiave, tra i regali da poter riciclare (‘Se mai Sally si dovesse sposare, gliela regalerò’ aveva detto Gregory), ma delle manette avevano deciso di fare buon uso. Superate le prime esitazioni e ritrosie imbarazzate (e tolto quell’assurdo peluche da rivestimento), avevano cominciato a prenderci gusto arrivando a… beh, a dover nascondere i segni di quello che combinavano, come se fossero due adolescenti.

Un paio di braccia si avvolse intorno alla vita del politico, facendolo sorridere ancora di più.

“Buongiorno Gregory, vedo che siamo mattinieri oggi.” Disse, appoggiando le mani su quelle dell’Ispettore, che intanto aveva posato il mento sulla sua spalla.

“Che tu ci creda o no, non avevo sonno” rispose l’uomo, baciandogli appena il collo e prendendogli le mani. “Volevo assicurarmi che stessi bene, ho visto con che attenzione ti sei messo la camicia.”

Mycroft strinse a sua volta le mani del compagno.

“Sto benissimo, te lo assicuro. Sono rimasti solo un po’ di segni, credo che possa capitare quando un certo Ispettore prende gli arresti troppo sul serio”. Gli rispose, facendo ridere l’uomo dietro di lui.

“Beh, perdonami, ma quante persone possono dire di aver avuto in custodia il Governo Britannico? Era normale che mi facessi un po’ prendere la mano.” Gli disse, infatti, baciandogli di nuovo il collo, prima di farlo voltare per guardarlo negli occhi. “Sei sicuro che non abbia esagerato?”gli chiese, lasciando scivolare le mani lungo le braccia e squadrandolo, sinceramente preoccupato. Mycroft gli prese le mani, ricambiando lo sguardo e lasciandogli un bacio sulla fronte.

“Gregory, smettila di angustiarti. Sto benissimo, davvero. Solo perché non siamo più ragazzini, non significa che io mi debba rompere subito quando il gioco si fa un po’ più duro. Te lo avrei detto subito se mi avessi fatto male, tranquillo.”

Lo rassicurò, accarezzandogli il dorso di una delle mani con il pollice e guadagnandosi un sorriso da parte dell’Ispettore, che lo abbracciò stretto.

Mycroft ricambiò immediatamente, chiudendo gli occhi e assaporando quel momento. Lui e Gregory stavano insieme ormai da diverso tempo, eppure non riusciva ancora a stancarsi di quegli attimi, di quei gesti che lo facevano sentire tanto bene nella loro semplicità. Mentre faceva il suo ormai consueto ragionamento su come avesse fatto a trovarsi in quella situazione tanto fortunata, si scoprì a pensare che alcune delle ultime occasioni erano state create, forse involontariamente, da suo fratello.

Sherlock aveva indubbiamente cercato di metterlo in imbarazzo, prima davanti a Gregory, poi davanti ai suoi genitori eppure, ogni singola volta, si era trovato a sperimentare le cure amorevoli dell’Ispettore, che aveva fatto di tutto per tirarlo su, per aiutarlo a guarire, per sostenerlo nelle sue idee e, in quell’ultimo caso, per riportarlo a quell’adolescenza che non aveva mai vissuto.

In un certo senso, era debitore nei confronti di suo fratello e non gli piaceva avere dei debiti. Forse poteva trovare il modo per ricambiare il favore. Si strinse ancora di più al compagno, mentre un piano cominciava già a prendere forma nella sua testa. L’occasione era perfetta, il luogo lo sarebbe stato ancora di più. Doveva solo convincere la persona che avrebbe potuto dare vita a tutto e, conoscendola, non sarebbe stato affatto difficile.

Dire che Sherlock era euforico sarebbe stato l’eufemismo del secolo. Tale entusiasmo, tuttavia, non era dovuto a un nuovo caso o a qualche bizzarro esperimento il cui esito aveva portato ad una grande scoperta nell’ambito delle indagini criminali.

No, Sherlock era contento perché, da ormai quasi tre mesi, Mycroft non si faceva sentire. Neanche un piccolo, minuscolo segnale di vendetta imminente. Certo, i primi tempi era stato in guardia e ogni telefonata, ogni visita del fratello o di Lestrade erano sembrate una potenziale minaccia, ma, fino a quel momento, non era successo niente. Era forse troppo presto per cantare vittoria definitivamente, ma il consulente investigativo era abbastanza sicuro di averla spuntata.

Doveva ammetterlo, lo scherzo di Natale era stato un vero colpo da maestro, ma era sorprendente che Mycroft non avesse ancora replicato. Forse si era stancato, forse aveva deciso di fare la parte del fratellone maturo (e noioso) e di darci un taglio. Certo, in parte gli dispiaceva, ma d’altro canto, per una volta, l’aveva spuntata su “quello intelligente” tra loro due e non poteva dire che la sensazione fosse brutta, anzi.

Finalmente gli aveva dato scacco matto, in un modo davvero spettacolare tra l’altro.

Senza riuscire a trattenersi, scoppiò a ridere poi, sempre con un grosso sorriso sulle labbra, afferrò il suo violino dalla poltrona e cominciò a suonare un allegro motivetto di sua composizione. Dopo pochi minuti John entrò nel salotto, sbadigliando.

“Sherlock, sono le sette e mezzo del mattino. Vuoi farmi credere che qualcuno ti ha cercato a quest’ora per affidarti un caso?” chiese, guardandolo con aria torva e assonnata prima di andare verso la cucina per prepararsi il caffè.

“No, nessun caso. Solo la più bella vittoria della mia vita.” Replicò il consulente con un ghigno non molto dissimile da quello di un gatto del Cheshire.

“Ah, hai per caso scoperto la combinazione vincente della lotteria? Non che ci manchino, ma qualche sterlina in più potrebbe farci comodo.” Fu la risposta del dottore, che intanto stava riempiendo una ciotola con dei biscotti.

“No, i soldi non c’entrano. Sai che giorno è oggi?” chiese Sherlock, fissandolo. Il dottore aggrottò la fronte, confuso, prima di rispondere con una certa esitazione.

È… giovedì, se non sbaglio. Ha importanza?”

Il consulente alzò gli occhi al cielo.

“Come al solito, hai a disposizione tutti gli elementi, ma scegli quelli sbagliati. La data, John, qual è la data di oggi?”domandò con impazienza.

È il 25. Dovrebbe dirmi qualcosa?” replicò John, continuando a non capire dove l’amico volesse andare a parare. Sherlock ghignò.

“Oggi sono passati tre mesi esatti dal mio ultimo scherzo ai danni di Mycroft e lui non ha ancora sferrato il contrattacco. Mi sembra ovvio che ormai abbia rinunciato.” Spiegò, un’espressione di trionfo stampata sul viso spigoloso.

Il dottore, però, alzò gli occhi al cielo, passandosi poi le mani sulla faccia.

“Santo cielo, ancora con questa storia…” borbottò, esasperato.

“Ma come John? Ti ho appena comunicato la tua vittoria e tu reagisci così? Ti ricordo che anche tu hai subito le sue trovate, in più di un’occasione.”replicò il detective, sorpreso della reazione dell’amico.

“Solo e soltanto perché ti ho voluto seguire. So benissimo di essere stato una conseguenza collaterale e che Mycroft non ce l’ha con me. Probabilmente, alla fine, ha deciso di essere maturo e ha lasciato perdere.”

Sherlock guardò l’amico, basito, prima di corrugare la fronte.

“No, non è così. L’ho battuto in astuzia e lui l’ha riconosciuto, anche se è troppo orgoglioso per venire a dirlo di persona.” Gli rispose, incrociando le braccia al petto.

“Se ti piace crederlo…” borbottò il dottore, prendendo il giornale del mattino e spiegandolo per cominciare a leggerlo.

Il consulente stava nuovamente per rispondergli, ma fu interrotto dal passo un po’ claudicante della loro governante che, infatti, sbucò poco dopo, bussando alla porta socchiusa.

“Cucù? Buongiorno, siete svegli?” chiese, entrando nella stanza. “Sherlock, caro. C’è qui un ragazzo molto agitato che chiede di te. Posso farlo entrare?”

Tuttavia, prima che il detective potesse replicare, la donna si spostò, lasciando entrare un giovane che poteva avere forse venticinque, ventisei anni e che aveva un’aria spaurita e l’aspetto trasandato di uno dei senzatetto che facevano parte della rete di Sherlock.

“Signor Holmes. Mi spiace disturbarla, signore, ma devo dirle una cosa che credo possa interessarle.” Gli disse, torcendosi nervosamente le mani. “A Scotland Yard non mi darebbero ascolto e Chrissy di London Bridge – la conosce, vero? – mi ha detto di venire qui.”

Il consulente lo guardò, all’apparenza per niente colpito da quel racconto. Tuttavia John, osservandolo, si rese conto che stava mostrando un vivo interesse, almeno a giudicare dalla luce che aveva negli occhi e dalla sua postura.

“Dimmi tutto”

“Credo sia meglio se viene a vedere di persona. Glielo racconterò per strada, ma dobbiamo fare presto.”

Il consulente inarcò un sopracciglio e altrettanto fece il dottore, i sensi improvvisamente in allerta.

“Per quale ragione?” chiese, infatti, John.

“Perché quel galeone potrebbe sparire.”

Se Sherlock si era mostrato interessato prima, ora appariva completamente catturato.

“Galeone, hai detto? Spiegati meglio.”chiese al ragazzo, sfilandosi la vestaglia azzurra e andando verso l’attaccapanni per recuperare il suo Belstaff.

“Un galeone pirata. L’hanno portato in una rimessa in disuso del porto ieri notte e degli uomini sono scesi da lì e hanno caricato delle grandi casse che sono portate davanti alla rimessa da un furgone grigio senza targa o scritte.”

“Potrebbe trattarsi di contrabbando. Certo che non fanno un buon lavoro per nasconderlo.” Commentò John, guardando l’amico vestirsi.

“Ovvio, John. Prevedono una partenza rapida e sono nascosti abbastanza bene da eludere Scotland Yard. Devo andare a vedere subito di cosa si tratta.” Replicò il consulente. “Vieni con me?”

“Ah no, non stavolta. Dopo l’ultimo caso, credo che non potrò lasciare i miei pazienti per almeno un paio di mesi, oppure dovrò cercarmi un altro ambulatorio.” Rispose il dottore, tornando a leggere il giornale.

Sherlock fece spallucce e si rivolse al ragazzo.

“Andiamo, fammi strada.” Gli disse, seguendolo poi giù per le scale e in strada, lasciando John e la signora Hudson da soli nel salotto.

“Certo che qui non ci si annoia mai. Ora addirittura un galeone pirata!” commentò la donna, guardando il dottore. “Devo confessare che sembra strano, però.”

“Già, molto strano.” commentò John, continuando a sfogliare il giornale.

“Credi che possa esserci lo zampino di Mycroft dietro?” chiese la governante con un’espressione preoccupata e divertita al contempo.

“Non solo lo credo. Ne sono assolutamente convinto e se Sherlock è abbastanza stupido da non accorgersene da solo anche stavolta, io voglio restarne fuori. Mycroft non è come suo fratello, non credo che lo metterebbe mai in pericolo. Beh, non per una cosa del genere e non in modo eccessivo.” Rettificò John, dopo l’occhiata dubbiosa della signora Hudson.

La donna scosse la testa.

“È incredibile: da Sherlock mi sarei aspettata scherzi del genere, ma da Mycroft Holmes… “

“Evidentemente non lo conosciamo abbastanza bene.” Replicò il dottore, lasciando vagare lo sguardo verso la finestra, chiedendosi cosa avesse in serbo il Governo Inglese per il suo amico.

Quella sera stessa…

Sherlock stava appostato dietro alcune casse di legno in attesa degli eventi. Quella mattina, quando lui e il ragazzo erano arrivati alla rimessa, non avevano trovato traccia del galeone. Ignorando le assicurazioni frenetiche del giovane, aveva indagato e aveva trovato le prove della presenza di un’imbarcazione la notte precedente. Aveva così deciso di tornare a Baker Street e di prepararsi per tornarci al calare del buio.

John, ancora una volta, si era rifiutato di seguirlo, ma lui non aveva insistito più di tanto ed era tornato alla rimessa.

Così eccolo lì, in attesa degli eventi.

Controllò l’orologio: mancava ormai poco a mezzanotte e ancora non si era mosso niente. Aveva preso in considerazione l’idea che la nave avesse già compiuto il suo dovere e non tornasse, ma era altamente improbabile che delle persone si prendessero il disturbo di portare un’imbarcazione simile in una rimessa solo per una notte.

All’improvviso, un rumore giunse alle sue orecchie: sembrava lo sciabordio delle onde contro uno scafo di discrete dimensioni. Strinse gli occhi, cercando di scorgere qualcosa nell’oscurità. Poco lontano, vide una luce oscillante che sembrava quella di una lanterna. Dopo poco comparvero altre luci, tremule, fioche, come di tante candele. Sherlock non riuscì a non ghignare: però, se effettivamente erano dei contrabbandieri, stavano facendo molto bene il loro lavoro.

Attese, sempre nascosto, che il galeone pirata, finalmente ora ben visibile, attraccasse, poi si preparò a trovare il momento buono e a salire a bordo per indagare meglio.

Il momento arrivò circa una ventina di minuti dopo: era arrivato, come da copione, il furgone grigio e, mentre i marinai, vestiti di tutto punto come dei veri e propri pirati, compivano la loro opera di carico, esattamente com’era stata descritta dal ragazzo che era venuto a cercarlo quella mattina, riuscì a intrufolarsi a bordo, mischiandosi agli uomini e portando su un sacco.

Una volta arrivato, posò il sacco e, cercando di non dare nell’occhio, cominciò a ispezionare lo scafo. Se quegli uomini erano effettivamente dei contrabbandieri, trattavano merce ben strana: farina, verdure, rhum… sembrava quasi che stessero semplicemente facendo provviste. Il motivo, però, ancora non riusciva a capirlo.

Forse la cabina del capitano gli avrebbe fornito le risposte che cercava. Stando attento a non farsi vedere e attingendo ai ricordi di bambino, si diresse a poppa, entrando nella porta sotto la postazione del timoniere. Percorse uno stretto corridoio, fortunatamente deserto, fino ad arrivare alla meta. Una volta entrato, lo colse subito un sospetto: quando da piccolo sognava di diventare un pirata, aveva spesso immaginato e disegnato la stanza che avrebbe avuto in qualità di capitano e quella che aveva davanti era identica a quella impressa nella sua mente.

Le deduzioni cominciarono a scorrergli davanti, ma ormai era troppo tardi: ebbe appena il tempo di sentire un fruscio alle sue spalle, poi qualcosa si abbatté contro la sua nuca, facendogli perdere i sensi.

 

“Mycroft, per favore, me lo ripeta di nuovo perché non credo di aver capito bene cosa ha fatto”.

John, seduto su una delle confortevoli poltrone del Diogene’s Club, fissava incredulo il maggiore degli Holmes il quale, con un sorrisetto stampato sulle labbra, stava versando a entrambi un bicchiere di Scotch. Quando non aveva visto Sherlock nell’appartamento la mattina successiva, il dottore era andato a cercare Mycroft per farsi spiegare cosa fosse successo e la risposta lo aveva lasciato basito.

“L’ho spedito per i Sette Mari, come avrebbero detto i corsari di un tempo.” Gli ripeté il funzionario minore del Governo Britannico, porgendogli poi un bicchiere.

“In parole povere?” lo incalzò John, prendendo un sorso di Scotch. L’uomo davanti a lui sorrise.

“In parole povere, attualmente il mio caro fratellino è su un galeone pirata, nel ruolo di capitano. Dalle ultime notizie, so che dovrebbe essere nei mari del Sudamerica, diretto verso l’Australia, che tutto procede bene e che per ora si è trattenuto dal mettere una benda sull’occhio.”

Il dottore lo guardò, prendendo un altro sorso di Scotch, più generoso del primo.

“Ma io non capisco. Cioè, dove…”

“Dov’è l’entità dello scherzo?” lo incalzò Mycroft, incrociando le braccia al petto. Ricevuto un cenno d’assenso da John, si accinse a spiegare.

“Se lo conosco bene, o quantomeno quel poco che basta, quando gli passerà il broncio per aver ricevuto una simile imposizione, il suo spirito teatrale prenderà il sopravvento, si lascerà coinvolgere e si butterà nell’interpretazione del ruolo.”

John continuò a guardarlo, poi qualcosa scattò nella sua mente.

“E lei ovviamente avrà le prove di questa sua… recitazione, mediante delle riprese.”

“Ovviamente, le parrebbe giusto lasciare a mio fratello tutto il divertimento?”

FINE

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