CAPITOLO 1

GUARDIANO

Il film era finito da un pezzo.

Nick era seduto sul divano e Judy vicino a lui, con la testa reclinata sulla sua spalla, che dormiva della grossa.

Aveva cercato di rimandare fino all'ultimo il momento di alzarsi, per timore che si destasse.

Dai, Nick! Muoviti, per la miseria! Sennò domattina chi si sveglia più!!

Sgattaiolò lentamente dal divano, scivolando verso il basso. Poi sistemò due cuscini e la fece sdraiare con estrema delicatezza, facendole poggiare sopra la testa.

Dopo aver risistemato tutto quanto senza fare alcun rumore, diede un'occhiata all'orologio a muro. Era decisamente tardi. Lui dal canto suo, non aveva la benché minima voglia di muoversi. E lasciar andare una fanciulla fuori da sola a quell'ora era decisamente fuori discussione. Chiamare un taxi, forse? Naah.

La prese in braccio e la sollevò dal divano, facendo attenzione a non svegliarla. Poi la portò in camera, dove la adagiò dolcemente sul suo letto.

Era notte fonda, ed erano sdraiati l'uno di fianco all'altra. Judy continuava a dormire tranquilla, mentre Nick fissava il soffitto e pensava.

Pensava al loro primo incontro, e a tutto ciò che ne era seguito. Sembrava che il destino avesse deciso che dovessero incontrarsi in quel luogo, in quel momento.

Esiste davvero un filo rosso che lega tra loro due individui? Due anime gemelle destinate a congiungersi superando qualsiasi barriera?

Nicholas Wilde e Judy Hopps. Due spiriti affini, dunque. Ma cosa rendeva il loro legame così speciale?

Non poteva essere solo amicizia. L'intesa e la sintonia che dimostravano quando si trovavano insieme erano fin troppo profonde.

Affetto? Senza dubbio si si volevano bene ed avevano imparato a fidarsi l'uno dell'altra.

Forse era...

Non dire sciocchezze.

Gia', sciocchezze. Nient'altro che sciocchezze. AMORE non poteva che essere soltanto una parola, per loro due. Il sentimento che evocava non aveva ragione ne' motivo di esistere.

Lui era una volpe, e lei un coniglio. Lui era un predatore, e lei una preda.

Nei tempi antichi, quelli come lui davano la caccia e si cibavano di quelli della sua specie. Di quelle come lei.

Un abisso li separava, un abisso che niente avrebbe mai potuto colmare. NIENTE. Eppure...

Udì un fruscio. Judy, nel sonno, si era girata verso di lui ed aveva appoggiato la sua testolina sul suo petto. Sembrava una cucciola indifesa in cerca del calore della madre.

Nick le posò una zampa sulla sua testa e comincio' ad accarezzarla dolcemente.

Niente brutti sogni stanotte, piccola. Ci sono qui io, con te.

Fare il poliziotto era un mestiere pericoloso. E non certo perché dubitasse delle sue capacità. Aveva imparato a conoscerla, ormai. Possedeva una tenacia ed una volontà di ferro, e il suo coraggio era quello di un leone.

Ma il suo restava il corpicino minuto di una coniglietta. Prima o poi avrebbe fronteggiato animali ben più grossi e forti di lei. Avrebbe potuto rimanere seriamente ferita. Avrebbe potuto m...

No!

Non pronunciare quella parola!

Non voglio neanche sentirla!!

Entrare in polizia era il sogno di Judy, sin da piccola.

E lui, invece? Perché era entrato in polizia?

Per servire e far rispettare la legge?

Per il trionfo della verità e della giustizia?

Quelli erano gli ideali di Judy, non certo i suoi. Cosa ne poteva sapere di verità e giustizia uno come lui, buono solo a truffare il prossimo e a vivere di espedienti fino all'altro ieri?

Forse una cosa poteva ancora farla, pero'.

Aiutarla a realizzare i suoi ideali, i suoi sogni.

Standole accanto. Proteggendola.

E' per lei che sei entrato in polizia, ammettilo.

Nick volse lo sguardo verso la finestra. Le luci di Zootropolis risplendevano nel buio. La città sembrava osservarli, beffarda.

Avanti, fai del tuo meglio. O del tuo peggio, non mi importa. Io la difenderò ad ogni costo, da te e da chiunque tenterà di farle del male.

Guardo' il musetto di Judy.

Te lo prometto, piccola.

Gli venne in mente un vecchio proverbio che aveva letto molto, molto tempo fa:

A volte i migliori guardiani degli agnelli sono i lupi.

Poi chiuse anche lui gli occhi.

E si lasciarono cullare dal ritmo dei loro respiri e dal battito dei loro cuori.

Fu il profumo del caffè forte a svegliarla. Profumo di inizio giornata ed allettanti promesse. Aprì delicatamente gli occhietti e li richiuse subito dopo, per prolungare il più possibile quella piacevole sensazione.

Poi li riaprì di colpo.

Ma cosa...questa non e' casa mia! Penso'.

Questo...e' il letto di Nick!!

Sono a casa di Nick!!

Ho passato la notte da lui?!

Si alzò di scatto dal letto e, dopo aver aperto la porta, si diresse verso la cucina.

Nick era indaffarato a preparare la colazione, fischiettando. Indossava addirittura un grembiule.

Questa poi...penso' Judy.

Nick mosse leggermente le orecchie e la vide con la coda dell'occhio.

"Oh! Buongiorno, Carotina! Dormito bene?"

"Nick, cos’é questa storia?" chiese lei.

"Ma niente...é solo che ieri sera ronfavi della grossa, e ormai si era fatta una certa ora, quindi...comunque lasciati dire che scalci parecchio, nel sonno."

La coniglietta sgranò gli occhi, incredula. "V-Vorresti dire che tu...tu...cioé, noi..."

"Ah, ah, ah!! Ma dai! Ma ti pare? Ti ho ceduto il letto e ho dormito sul divano. Oh, cielo! Dovresti vedere la tua faccia in questo momento, Carotina!"

E scoppiò in una risata.

"Allora,il bed and breakfast da Nick propone croissants e ciambelle, succo di carota fresco e un caffè da resuscitare i morti. In cambio, voglio uno di quegli abbracci che fanno iniziare bene la giornata. Che ne dice, signorina?"

E si voltò verso Judy, spalancando le braccia.

Sul grembiule, adornata da una selva di cuoricini, troneggiava la scritta:

I'M TOO SEXY FUR MY LOVE...

Lei sospirò, assumendo un’aria perplessa.

E ti pareva, pensò. Sei sempre il solito, Nick.

"Cominciamo bene...hai finito di prendermi in giro?"

"Dai, siediti." Disse lui, scostando una seggiola. "Comunque, chi l'avrebbe mai detto che ti saresti trovata così a tuo agio a passare la notte NELLA TANA DI UN PREDATORE? E' proprio vero quel che diceva quel vecchio proverbio: a volte i migliori guardiani dei conigli sono le volpi!"

"Erano agnelli, non conigli." rispose Judy. "Ed i guardiani erano lupi e non volpi, mi risulta."

"Mmm...mi sa che forse hai ragione tu. Però calza a pennello,non trovi?"

"Facciamo colazione, che e' meglio."

Nota dell'autore:

Salve a tutti!

Mi cospargo il capo di cenere e chiedo umilmente scusa per il mezzo pastrocchio che ho combinato con questo primo capitolo, tra cambio di rating improvviso, errori di battitura e conseguenti correzioni in corsa (che DETESTO).

E' quello che accade talvolta quando si é reduci da un turno di lavoro massacrante, alle prese con l'ora tarda, la stanchezza e la stupida ostinazione a voler scrivere ad ogni costo quando forse sarebbe meglio fare altro (andare a letto a dormire, ad esempio). Per poi rendersi conto, due giorni dopo, di non essere PER NULLA SODDISFATTI del risultato.

Ho quindi realizzato questa seconda stesura, eliminando alcune parti che a mio giudizio appesantivano troppo la narrazione, e facendo qualche modifica strutturale.

POSSO INOLTRE PROMETTERVI CHE NON ACCADRA' MAI PIU', GIURO.

Preferisco metterci più tempo e fare un lavoro bene che in fretta e male.

Infine volevo complimentarmi con gli altri autori: ho letto tutti i racconti su Zootropolis e siete davvero bravi, continuate a scrivere!!

A presto per il secondo capitolo!

See ya!!

CAPITOLO 2

UNA BATTAGLIA IMPARI

Nick parcheggiò la macchina nell'ampio piazzale. Una volta scesi, lui e Judy si diressero verso la centrale.

Benjamin Clawhauser era alla reception. Ma il paffuto ghepardo non era intento a trafficare con lo smartphone o a divorare ciambelle in confezione maxi da quarantotto, come di consueto.

I due agenti si scambiarono un'occhiata interrogativa e lo raggiunsero.

"Buongiorno, Ben" disse Judy. "Va..va tutto bene?"

"Uh..ciao, Judy. Ciao, Nick." disse lui, con aria afflitta.

No. C'era decisamente qualcosa che non andava, quella mattina.

"Che cosa ti é successo?" chiese nuovamente lei.

"Devo darvi una notizia terribile" rispose. "Vi...vi ricordate di…di Martin, la giraffa?"

"Fredericksen?" domandò Judy. "L'agente rimasto ferito quattro giorni fa?"

"Non...non c'e l'ha fatta, purtroppo. E'...é morto stanotte." disse Benjamin, con un filo di voce.

"No..."Judy portò entrambe le mani sulla bocca, quasi a voler soffocare un grido.

"Dannazione!" imprecò la volpe. "Ancora quei maledetti dardi venefici...stiamo cadendo come mosche, qui!"

Si stava trattenendo a stento.

"La situazione é molto seria, Nick." confermò Benjamin. "I ragazzi qui al distretto sono tutti su di giri. Temo ci saranno problemi, alla riunione di stamane."

"Puoi dirlo forte." replicò lui.

Judy afferrò il suo partner per un braccio, tirandolo via di lì.

"Tra poco dovrebbe cominciare. Andiamo, dai."

La sala riunioni non era ancora gremita. Parecchi agenti, riuniti in vari capannelli, discutevano animatamente tra loro.

Judy addocchiò quattro posti liberi in prima fila, e si sedette sul primo da sinistra.

Poi vide che Nick era rimasto in piedi.

"Tu non ti siedi?" Gli chiese.

"Grazie dell'offerta” rispose lui, “ma credo che andrò a sistemarmi al mio angolino di fiducia. A dopo."

Detto questo, raggiunse la parete opposta e si appoggiò all'angolo destro, a braccia conserte.

Nel frattempo la sala si era riempita. Due minuti dopo fece il suo ingresso il capitano Bogo.

Il bufalo prese posto alla sua scrivania e, vedendo che il brusio non accennava a placarsi, zitti' tutti i presenti con due poderosi colpi di zoccolo sul tavolo.

Poi comincio' a parlare.

"Probabilmente ne sarete già tutti al corrente, ma é mio dovere informarvi che purtroppo il nostro collega Fredericksen non c’é l'ha fatta. E' deceduto stanotte, in ospedale."

Un mormorio di disapprovazione serpeggio' tra i poliziotti.

"I funerali avranno luogo domattina" prosegui' il comandante, con tono imparziale. "Chi non e' di servizio potrà parteciparvi. Per le donazioni alla famiglia potete rivolgervi a Clawhauser, come al solito."

Ci fu un attimo di silenzio. Poi Bogo riprese a parlare.

"Anche questa volta ne conosciamo bene la causa. Dall'inizio di quest'anno tra i criminali sono notevolmente incrementati la circolazione ed il possesso di armi illegali. Sono pistole sparadardi molto simili a quelle in dotazione alle forze di polizia, ma il contenuto dei proiettili é ben diverso. Si tratta di una neurotossina che, una volta iniettata, agisce sul sistema nervoso centrale causando paralisi, convulsioni e perdita di conoscenza, fino al blocco cardio - respiratorio."

"Con Fredericksen fanno già otto agenti, dall'inizio di quest'anno." Judy riconobbe la voce di Nick. "Dobbiamo andare avanti con questa situazione ancora per molto?"

"...E a noi ci mandano ancora in giro con i dardi soporiferi!!" Urlò un agente, spazientito.

"Basta! Ci stanno mandando al massacro!!" Gridò furibondo un altro.

"Ve lo dico io cosa bisogna fare...un bello sciopero, ecco cosa!!"

“L’hai detto! Così al municipio sarà la volta buona che capiranno la situazione, quelle teste vuote!!”

"Silenzio!!" Tuono' Bogo. "Fate silenzio, ho detto!! Al momento non siamo ancora riusciti a scoprire chi immetta queste armi sul mercato nero. Si,agente Hopps?"

Indicò Judy che, nel frattempo, aveva alzato la mano.

"Mi scusi capitano...stando ai dati che abbiamo raccolto, i casi riconducibili a questi...chiamiamoli, DARDI VENEFICI, sarebbero circa centosessanta, fino ad ora. Ma mi risulta che la maggior parte delle persone colpite sia riuscita a ristabilirsi completamente..."

"Esatto, agente Hopps.” confermò lui. “In mancanza tuttora di un antidoto efficace, sottoporre la vittima a terapia intensiva immediata é l'unica cosa ad aver dato dato qualche risultato, almeno per adesso."

"Ascoltate" proseguì. "Non e' una situazione facile, ne sono ben consapevole. In attesa di una soluzione, non rimane altro che affidarci al caro, vecchio buon senso. Indossate caschi e giubbotti protettivi, quando siete di pattuglia. Chiedete ed attendete i rinforzi quando siete in difficolta'. Niente atti di eroismo o colpi di testa. Non vi esponete a rischi inutili. E ancora una cosa..."

Bogo tiro' un altro pugno sul tavolo che rieccheggiò per l'intera sala.

"Ve lo ripeto per l'ultima volta...non voglio più sentire parlare di DANNATI SCIOPERI!! Siamo agenti di polizia, e gli agenti di polizia NON SCIOPERANO!! SONO STATO ABBASTANZA CHIARO?!"

Nessuno fiatò.

"E' tutto." concluse. "Al lavoro, ora."

“Lo sai che di questo passo Bogo finirà con l’appenderti ad un muro? Ne sei consapevole,vero?” Disse Judy a Nick, mentre si dirigevano verso la volante.

“Chiedo scusa…” replicò lui. “...vorrà dire che la prossima volta presenterò prima una richiesta in carta bollata in triplice copia, prima di intervenire...tu dici che così potrebbe andare?”

“Il solito esagerato…basterebbe che ti ricordassi di chiamarlo CAPITANO e che alzassi la mano prima di aprire bocca, proprio come ho fatto io.”

“E comunque non sono stato l’unico a parlare senza permesso.” aggiunse.

Salirono a bordo. Judy mise in moto e partirono.

“Sai...” disse. “...Ripensavo a Martin, poveretto. Aveva una moglie ed una figlia. Non riesco ad immaginare come…”

“Già” la interruppe Nick. “Io invece stavo riflettendo sul fatto che uno di questi giorni potrebbe toccare a me, o a TE. Ci pensi mai, ultimamente?”

“Che intendi dire?”

“Intendo dire” proseguì lui, “che giocare ai poliziotti non é più divertente come un tempo. Anzi, a dirla tutta sta diventando molto, molto pericoloso.”

“GIOCO?!” Esclamò lei. “Tu questo lo chiami GIOCO? Come puoi dire una cosa simile?”

“Pace, Carotina. Non volevo offendere. Lo so bene, quanto ci tieni al tuo lavoro.”

“E tu, allora?” Stava andando su tutte le furie. “Stammi bene a sentire, Nick. Quando sono entrata in polizia sapevo bene i rischi a cui sarei andata incontro. La nostra missione é di arrestare i delinquenti e di proteggere gli innocenti. Se per te tutto questo é solo un lavoro come un altro, o un…un gioco, come hai detto prima, allora vuol dire che non hai capito NIENTE! ASSOLUTAMENTE NIENTE!!”

Era veramente furibonda. Per forza, l’aveva punta sul vivo. La sua missione. Per la quale era disposta a rischiare tutto. Ma come si fa? Bisogna avere un coraggio fuori dal comune,pensò la volpe. O un’incoscienza fuori da ogni logica.

Ma nonostante non la comprendesse appieno, in fondo ammirava la sua dedizione.

E’ tutto inutile. Non potrò mai essere come te, Carotina.

“Scusami” disse Judy, con un sospiro. “Non ce l’avevo con te, Nick. Sono soltanto un po’ scossa per quello che e’ accaduto.”

“Tranquilla, Carotina” la rassicurò. “Anch’io sono preoccupato. Come tutti, del resto.”

Sono preoccupato che ti possa accadere qualcosa di brutto, piccola. Non potrei mai perdonarmelo.

Mai.

“No. Sul serio, Nick. Dimmi cosa posso fare per farmi perdonare.”

“Beh...” disse lui, stiracchiandosi sul sedile. “...tanto per cominciare, potresti offrirmi un bel muffin ai mirtilli ed un buon caffè a meta’ mattinata. E poi avrei un’altra proposta da farti, se sei libera una di queste sere.”

CAPITOLO 3

RED & HONEYBUNNY: SPARRING PARTNER(S)

"Sul serio, Nick. Io non ti capisco proprio, questa volta. Abbiamo la nostra palestra al dipartimento, con tutto quanto l'occorrente. Perché mai dovremmo allenarci in quel tugurio?"

"Naah, Carotina. Troppa folla per i miei gusti, giù al distretto. Qui saremo solo noi due. Nessuno a romperci le scatole. E poi, vuoi mettere il gusto di tornare alle origini? Niente attrezzi ed accessori all'ultimo grido. Solo polvere, cuoio, sudore e..."

"Pulci. Mi auguro solo di non prenderne qualcuna, quando metterò piede lì dentro."

No. Questa volta Judy non riusciva in alcun modo a condividere l'entusiasmo del suo collega. L'edificio che avevano di fronte aveva un aspetto diroccato e sotto la fioca luce della luna, unica fonte d'illuminazione in quella strada deserta, appariva ancora più fatiscente. L'insegna luminosa della palestra o per meglio dire quel ne rimaneva, posta a lato del portone d'ingresso, era intermittente.

Come risultato di un bel tiro a segno a base di sassi o chissà cos'altro, il nome della palestra non era più leggibile. Rimaneva solamente la parola GYM.

Nick spalancò il portone ed entrò, seguito a ruota da Judy. L'atrio era deserto e piuttosto sporco. Sulla destra vi era la guardiola del portinaio, ovviamente vuota e con i vetri completamente infranti. Pareva proprio che il palazzo fosse disabitato.

"Che razza di posto…" bisbigliò lei, guardandosi attorno.

“Lo so, Carotina. La prima impressione é sempre deludente.”

Nick puntò deciso verso una piccola rampa di scale sulla sinistra. Al termine vi era una porticina di vistoso rosso porpora, con una piccola insegna nel mezzo:

COULSON'S GYM

Almeno qui il nome si legge, osservò tra sé la coniglietta.

Quello che vide, una volta che varcarono la soglia, non contribuì certo a migliorare l'opinione maturata in precedenza. Un ring malandato al centro della stanza. Sacchi da boxe avvolti da giri e giri di nastro isolante grigio. Tutto in quel luogo dava l'idea di vecchio, lacero e consunto.

Chissa' che ci trova Nick di tanto speciale, in questo posto.

Una voce greve proveniente dall'altro lato del locale la distolse dai suoi pensieri.

"E' tardi, sto per chiudere."

Vide avvicinarsi un nerboruto rinoceronte dalla pelle rugosa. Vestiva una canotta rosso acceso e shorts di colore giallo in satin, e sembrava piuttosto in là con gli anni. Judy ipotizzò si dovesse trattare del proprietario, o quantomeno del gestore.

Il rinoceronte si avvicinò ancora, come a volerli squadrare meglio. Poi disse: "Ah...sei tu, ROSSO."

"ROSSO?!" Disse Judy, mentre guardava Nick.

"Poi ti spiego." si affrettò a rispondere lui . Ed aggiunse: "BUTCH! Vecchio mio, come va?"

"Va." rispose Butch. "E HONEYBUNNY chi é?"

“HONEY…BUNNY?! Ma che…” mormorò tra sé Judy, sempre più perplessa.

“Lei é Judy, la mia collega di pattuglia. Stasera si allena con me, OK?” Disse Nick.

“Come ti pare. Io tra poco levo le tende.” Rispose il rinoceronte, allontanandosi. ”Le chiavi ce le hai, almeno spero. Ricordati di risistemare tutto e di spegnere tutte le luci, prima di uscire. E chiudi bene la porta.”

“Tranquillo, Butch. Penso a tutto io.”

“Ah, dimenticavo...se vuoi c’é della birra scura, nel frigorifero.”

“Quella te la puoi tenere. Lo sai benissimo che mi fa schifo, quella roba.”

“Apposta la compro, Rosso.” rispose Butch, sghignazzando.

Detto questo, si diresse lentamente verso la porticina color porpora e, prima di uscire, si volto’ verso i due dicendo: “Divertitevi, e non sporcate in giro.”

Lo sentirono ghignare ancora da fuori, mentre si allontanava. Judy, a quelle parole, sembrò quasi arrossire da sotto la pelliccia, mentre Nick scosse la testa.

“Devi scusarlo” si schermì. “E’...piuttosto grezzo, a volte.”

“Amico tuo, no? Ormai non mi stupisco più di nulla.” rispose lei, ironica. “Piuttosto...che significa ROSSO?!”

La volpe fece spallucce.

”Niente di speciale” le spiegò. “Devi sapere che Butch ha il vizio di rifilare soprannomi a chiunque. A proposito...molto carino quello che ha scelto per te, HONEYBUNNY…”

Andò verso una porticina sul lato destro della stanza. La aprì e si volse in direzione di Judy.

”Prima le signorine, prego.” annunciò, orgoglioso.

“Vorresti dire che...c’é un solo spogliatoio?” Domandò la coniglietta, incredula.

“Beh, sai...la palestra di Butch non e’ molto frequentata. Men che meno da clientela di genere femminile, quindi…”

“…Quindi facciamo che nello spogliatoio dei MASCHIETTI ci vai tu, mentre io mi cambio qua fuori. Non oso neanche immaginare che razza di odore ci deve essere lì dentro!!”

“Caarootiiinaaaa….” cantilenò Nick in direzione della porta.

“Che vuoi?” Rispose Judy, dall’altra parte.

“Deve fare piuttosto freddino, di lì…perché non vieni a finire di cambiarti qui dentro? Prometto di non sbirciare, parola d’onore!”

“Non fare lo scemo.”

“E va bene, ne possiamo riparlare anche dopo. Sai...la doccia mi sembra bella spaziosa, credo ci potremmo stare belli comodi entrambi, e…”

“Nick, ho detto di darci un taglio!!”

“Ok, ok. Pensavo solo ti facesse comodo uno che ti insaponasse la schiena...” e soffocò una risata.

“Muoviti a cambiarti, invece di continuare a blaterare idiozie!!”

Nick uscì dallo spogliatoio. Indossava una maglia bianca di una misura più larga ma bella comoda, e un paio di pantaloncini neri lunghi fino al ginocchio. Notò Judy mentre era intenta a fare riscaldamento, saltellando ritmicamente con la corda. Si fermò un momento ad ammirarla.

Vestiva un paio di leggins bianchi con due bande nere sui lati, ed un top di colore blu scuro con le lettere ZPD, maiuscole ed anch’esse di colore bianco, stampate all’altezza del cuore. Il guizzare dei muscoli sotto sforzo lasciava intuire un addome perfettamente tonico e ben sviluppato sotto il manto bianco e grigio.

Wow...ci hai dato dentro con gli allenamenti di recente, Carotina.

Armeggiò nel borsone e tirò fuori due paia di guantini leggerissimi. Erano imbottiti solo sul dorso della mano e avevano delle aperture all’altezza delle falangi, per lasciare libere le dita.

Ne lanciò un paio a Judy, che li afferrò al volo.

”Fammi vedere come ti stanno.” le disse.

La coniglietta li esaminò, incuriosita.

”Che cosa sono?” Chiese.

“Oggi si fa combattimento corpo a corpo, no? Questi andranno benissimo.” Rispose lui.

Fecero una mezz’oretta al sacco pesante, alternandosi e provando varie combinazioni di colpi. Poi salirono sul ring.

Nick cominciò a saltellare intorno a Judy, punzecchiandola con dei rapidi e continui colpi di sinistro, mentre lei rimaneva immobile al centro del ring, con le braccia serrate a difesa ed aspettando l’occasione per contrattaccare.

Pochi istanti dopo, Judy parti’ con due rapidi sinistri,seguiti da un diretto destro e da un gancio sinistro. Poi alzo’ di scatto la gamba destra e lancio’ un calcio circolare alto. Nick ammortizzo’ il colpo spostandosi di lato e le afferro’ il piede con la mano sinistra.

Gli fu sufficiente una piccola spinta sulla spalla con l’altra mano per farla finire a terra.

Nick le fu sopra in un istante e le sferrò un diretto destro al viso.

Judy fu percorsa da un brivido e chiuse gli occhi. Sentì lo spostamento d’aria scompigliargli il pelo. Quando li riaprì, vide il pugno di Nick fermo a pochi centimetri dal suo naso.

Lui aprì la mano e gliela porse, sorridendo. Lei l’afferro’.

“Alzati, su.” disse, rimettendola in piedi.

Riprese a muoversi.

”Occhi sempre aperti, Carotina!” Le intimò, puntando l’indice ed il medio verso di se e successivamente nella sua direzione. “Se proprio non puoi fare a meno di prendere un pugno, prendilo. Capita, a volte. Ma non distogliere lo sguardo dall’avversario, in nessun caso.”

“Perché ti sei fermato, prima?” Domandò lei. “Si era detto che dovevamo fare sul serio, no?”

“Tsk, tsk.”

Nick ondeggiò il dito a destra ed a sinistra, in segno di diniego.

”La prima regola del MIO FIGHT CLAW é…non si colpiscono le fanciulle. MAI.”

“Senti, Nick” esclamò Judy. “Non mi sono lasciata convincere a mettere piede in questo buco puzzolente per fare finta di combattere. Niente sconti, capito? Datti da fare, o te ne faro’ pentire.”

Cominciarono a scambiarsi una serie di colpi rapidissimi. Poi Judy tentò nuovamente un calcio circolare destro, questa volta al busto. Nick lo blocco’ sotto il braccio sinistro.

“E due! Stai diventando prevedibile, Carotina!” Disse.

“Davvero?” Rispose lei. “Allora stà a vedere cosa ti combino ora, ROSSO.”

Spiccò un leggero balzo verso l’alto e a mezz’aria, con un colpo di reni ,si avvitò su sé stessa in senso antiorario lanciando un calcio girato all’indietro con la gamba sinistra. Il suo tallone si abbatté sulla testa di Nick, facendolo cadere in avanti.

Non e’ possibile!! Pensò, mentre stramazzava al suolo.

Sfruttando l’attimo favorevole, Judy gli afferrò il braccio sinistro e, dopo avergli serrato intorno braccia e gambe, si buttò a terra stringendolo tra collo e spalla e premendo contro il gomito, mettendolo così in leva.

Una smorfia di dolore comparve sul viso di Nick, che batté ripetutamente con l’altra mano sul tappeto, in segno di resa.

Judy mollò il braccio e si rialzò con una capriola all’indietro, mentre Nick si rimise in piedi qualche istante dopo, ancora un po' stordito.

“Fiuuu…però! Davvero niente male…” disse, massaggiandosi il braccio ancora dolorante.

Judy fece un gesto con la mano, invitandolo a farsi sotto.

“Hai capito, adesso?” Disse, con un sorrisetto di sfida. “Non sottovalutarmi, Rosso. O te ne pentirai.”

Nick ricambiò con un sorriso ironico.

“Lo terro’ a mente, Carotina.”

ROSSO…quanto gli piaceva sentirlo pronunciare da lei.

Salve a tutti, rieccomi qua!

Da appassionato ed (ex) praticante di arti marziali, mi sono divertito un sacco a scrivere questo episodio.

Ma, divertimento a parte, mi sono scontrato da subito con un grosso ostacolo: descrivere scene di combattimento, sulla carta, in particolar modo se si tratta di colpi spettacolari, può essere molto complicato.

Ma era un mese che avevo in mente questa scena, ed era talmente BELLA che non avrei rinunciato a metterla PER NESSUN MOTIVO AL MONDO.

Spero vi piaccia ma soprattutto di riuscire a farvela immaginare come l’ho immaginata io.

A presto per il prossimo episodio!

See ya!!

CAPITOLO 4

PER UN PELO (PRIMA PARTE)

Erano passate da poco le due. Nick e Judy girovagavano a bordo della loro volante, alle prese con la ronda notturna. Erano intenti a discutere di una spinosa e delicata questione: la scelta del film per il sabato sera al cinema.

"Allora é deciso: si va a vedere FURRY ROAD, all'unanimità!" Esordì lui.

"Veramente lo hai deciso tu da solo…" replicò lei. "...e comunque, un film per te non é un film se non ha dentro esplosioni e morti ammazzati, vero? Mi domando come faccia a piacerti, quella schifezza..."

"AAARGH!! SACRILEGIO!! Cosa odono le mie povere orecchie!!"

Nick assunse un espressione inorridita mentre si contorceva sul sedile, fingendo di essere in preda a fantomatiche convulsioni.

"Non ti azzardare MAI PIU' a chiamare SCHIFEZZA MAD WAX, Carotina!! Sono almeno vent'anni che aspetto il seguito!!"

Judy era al volante. E a quella scena gli getto un'occhiataccia, disgustata.

"Ecco,appunto...se persino il regista ci ha impiegato vent'anni per trovare il fegato di girare un nuovo episodio qualcosa vorrà pur dire, no? Fatti due domande..."

"E comunque, sempre meglio di quella roba da marmocchi che ci tieni tanto a vedere tu, Carotina."

"CHE COSA?! Per tua informazione, THE GOOD DINOFUR NON E’ AFFATTO UN FILM PER BAMBINI! Ho letto tutte quante le recensioni, dove hanno detto che si tratta di un film bellissimo e commovente. E sappi che secondo molti é addirittura il miglior film dell'anno, capito?"

"Commovente, eh?"

Nick sorrise ironico, a quell’affermazione.

"Speriamo solo che non vada a finire come quella volta che mi hai trascinato a rivedere TEETHANIC con la scusa del decennale…" buttò lì.

"Attento a quello che dici…" lo ammonì lei.

"Coome, non te lo ricordi, Carotina? Mi sei costata un’autentica fortuna in Kleenex, quella volta...meno male che piangevate tutte in sala, almeno non ti si notava...ah, e per la cronaca...io, comunque sia, facevo il tifo per l'ICEBERG. Capirai: era l'unico un po' espressivo, dentro a quel film..."

Vennero interrotti dalla radio.

“Qui centrale! A tutte le unità! Ripeto,a tutte le unità disponibili! Segnalato furto con effrazione in gioielleria all’angolo tra la Glastonbury e la ottava. I sospetti si stanno allontanando lungo la Orwell in direzione Downtown a bordo di una berlina verde. Ripeto…”

"Nick, stanno venendo in questa direzione!" Disse Judy. "Tocca a noi!"

"Pronti." rispose lui, afferrando il microfono.

"Centrale, qui UNO – DELTA - SEI. Ripeto, qui UNO -DELTA – SEI. Risponde l'agente Wilde. Io e la Hopps ci troviamo in zona, li intercettiamo. Passo."

"Ricevuto,Wilde. Procedete pure. Passo."

La Orwell distava circa un paio di isolati dal punto in cui si trovavano. Judy fermò la volante in una via traversa, spense i fari e rimase in attesa, con il motore acceso ed il piede pronto sull’accelleratore.

“Niente fanfara?” Chiese Nick.

“Meglio aspettare. Se ci sentono, cambiano direzione al volo.” rispose la coniglietta. ”La Orwell é la via più veloce per allontanarsi dal centro. E non ci sono altre svolte oltre a questa per almeno il prossimo miglio. Devono passare di qui per forza.”

Pochi istanti dopo, videro le luci di un’auto fare capolino alla loro sinistra.

“Che ti avevo detto?” Fece lei.

“Eccoli!” Grido’ Nick. ”VAI, VAI, VAI!!”

“Ancora un attimo…”

L’auto li stava per raggiungere.

“…ancora no…”

La berlina passò loro davanti: una macchia sfocata di colore verde scuro, lanciata a tutta velocità.

“…ora. Tienti forte, Nick.”

Judy accese le luci e pigiò l’acceleratore a tavoletta. La volante partì con uno stridio di gomme sull’asfalto, lasciandosi dietro una scia di fumo bianco.

“E ora…vai con la fanfara!”

Nick premette due interruttori sul cruscotto, attivando luci e sirene.

“Centrale, qui Uno – Delta – Sei. I sospetti sono in fuga. Gli stiamo alle costole. Passo.”

“Ricevuto, Wilde. Continuate a seguirli, vi stiamo inviando rinforzi. Passo.”

“Accidenti” disse poi, rivolgendosi a Judy. “Non sono certo dei novellini, al volante. E non hanno la benché minima intenzione di fermarsi, a quanto pare.”

“Vorrà dire che li convinceremo a cambiare idea.” rispose lei, abbassando il finestrino e sganciando la cintura di sicurezza.

“Guida!” Urlo’ al collega.

“Ma che vuoi fare?!”

“Prendi il volante, ho detto!!”

Nick si mise sul sedile del guidatore al posto di Judy che nel frattempo si era rannicchiata contro la portiera, con la pistola sparadardi in pugno.

“Nick, vagli a fianco!” Gli gridò.

Nick si sposto’ leggermente a sinistra, fintando un sorpasso. La berlina si spostò a sinistra a sua volta, nel tentativo di tagliargli al strada.

Perfetto, c’era cascato in pieno.

Nick sterzò di colpo e, con una brusca accelerata, portò la volante a destra accostandola alla ruota posteriore.

“Bene così. Ora tira dritto e mantieni la velocità!!” Gli raccomandò Judy.

Spero che tu sappia quello che stai facendo, Carotina, pensò la volpe.

Judy avvinghiò le sue gambe attorno al ginocchio sinistro di Nick e si sporse con il busto fuori dal finestrino. Poi prese la mira con entrambe le mani e sparò.

Il proiettile si conficcò nel pneumatico che si sgonfiò all’istante, con un sibilo.

Un attimo dopo la vettura perse il controllo, sbandando paurosamente verso destra.

Nick lasciò un poco l’acceleratore e vide la berlina passargli davanti, attraversando diagonalmente la carreggiata. La macchina finì contro il muro, sprizzando scintille dalla fiancata, per poi terminare la sua corsa contro una pila di bidoni dell’immondizia.

Judy afferrò il volante con la mano destra e, con una spinta, si rituffò nell’abitacolo rimettendosi al posto di guida. TRA LE GAMBE DI NICK.

“Visto?” Disse, riprendendo il controllo del veicolo. “I dardi si possono utilizzare in molti modi…”

Alle sue spalle, nemmeno un fiato.

Poi Judy tirò di scatto il freno a mano e diede una rapida sterzata, seguita da un ancor più rapida controsterzata.

La volante fece un testacoda, fermandosi pochi metri più avanti.

La coniglietta aprì la portiera e salto’ fuori.

“Andiamo a prenderli!” Disse.

Ma Nick non si muoveva. Era ancora sul sedile, con gli occhi sgranati e la bocca semiaperta.

Judy, non vedendo alcun tipo di rezione, si voltò verso di lui, spazientita.

”Allora, Nick! Ti muovi o no?”

“…Eh? Ah, si...si…” le rispose lui.

Non era stata la manovra spericolata di Judy a mandarlo in bambola.

Accidenti, non avrei mai pensato che il fondoschiena di una coniglietta potesse essere così morbido e caldo…che vuoi farci, vecchio mio. Nella vita non si finisce mai di imparare, pensò mentre scendeva dall’auto, riaggiustandosi i pantaloni.

Si misero a correre, armi in pugno, verso la berlina verde. Era vuota. Gli Airbag si erano attivati in seguito all’urto.

“Eccoli!” Disse Judy, indicando quattro figure che si allontavano lungo la via vicina.

Si lanciarono all’inseguimento. Judy estrasse la ricetrasmittente.

“Centrale, qui Hopps. I quattro sospetti hanno abbandonato il veicolo e stanno fuggendo lungo la Grahame. Io e Wilde li stiamo inseguendo. Passo.”

“Ricevuto, Hopps. Abbiamo inviato altre due unità in zona,dovrebbero essere lì a momenti. Procedete con estrema cautela, i sospetti potrebbero essere armati. Passo.”

Judy era quasi giunta al termine della via, quando udì una serie di tonfi sordi.

“GIU!!”

Nick, come un fulmine, l’afferrò per la vita con un braccio, tirandola a sé e rannicchiandosi dietro un palo elettrico.

I colpi cessarono. Alzarono lo sguardo e videro che i malviventi si erano divisi in due gruppi, scappando in direzioni opposte.

“Dobbiamo dividerci” propose Judy. ”Io prendo quelli a sinistra, e tu gli altri due.”

“Starai scherzando,spero.” rispose Nick. “Non se ne parla neanche. Hai sentito la radio, no? Aspettiamo i rinforzi.”

“Nick! Se rimaniamo qui fermi, li perdiamo!”

La volpe si guardò intorno, come a cercare qualcosa. Poi raccolse un oggetto da terra.

“GUARDA!!” Disse,mostrandolo alla partner. “Sono DARDI VENEFICI!! Siamo noi due soli contro quattro, e non abbiamo nemmeno un giubbotto protettivo. Non so come lo chiamano dalle tue parti, dalle mie si chiama SUICIDIO!!”

“Io vado.” replico’ Judy, spingendolo da parte e scattando verso sinistra.

“JUDY! NO!!” Urlò Nick.

Ma lei era già troppo lontana per riuscire a sentirlo, ormai.

Salve a tutti, rieccomi qua!

Chiedo scusa per la lentezza, ma purtroppo in quest’ultimo periodo il tempo a disposizione é un po' quello che é (molto, molto poco, purtroppo). Portate pazienza, ragazzuoli.

Una piccola precisazione: il film che vorrebbe andare a vedere Judy sarebbe IL VIAGGIO DI ARLO, ma ho preferito mettere il titolo originale (THE GOOD DINOSAUR) perché ,a mio giudizio, il gioco di parole in chiave “furry” riesce meglio (sennò come lo chiamavo? IL VIAGGIO DI FURLO? Orribile…)

A presto per la seconda parte!

See ya!!

CAPITOLO 5

PER UN PELO (SECONDA PARTE)

Bel guardiano, che era.

Aveva giurato di proteggerla ed invece l'aveva lasciata andare via, senza neanche provare a fermarla.

Non che sarebbe servito a molto, conoscendola.

"MALEDIZIONE!!" Imprecò Nick, tirando un pugno contro il muro.

Cosa ti spinge a correre simili rischi?

Perché devi sempre mettere a repentaglio la tua vita in questo modo?

Perché, Judy?

Sentì un gran calore alla mano. Pulsava. Le due ultime nocche stavano sanguinando. Alcune gocce caddero sull'asfalto.

Al diavolo quei due, pensò. Che se occupi qualcun altro. Io vado dietro a lei.

Figurarsi. Il suo DOBBIAMO DIVIDERCI era stato un ordine perentorio e senza alcuna possibilità di repliche o ripensamenti. Se soltanto si fosse azzardato a seguirla lo avrebbe ricacciato fino a qui a suon di pedate, come minimo.

Non restava che acciuffare i due fuggiaschi il più in fretta possibile e poi tornare indietro ad aiutarla, sperando di fare in tempo.

Sperando non fosse già troppo tardi.

L'importante, ora, era muoversi. Nel tempo che lui era rimasto lì, incerto sul da farsi, quei due avevano sicuramente guadagnato terreno.

Corse verso destra, entrando deciso nel vicolo dove li aveva visti sparire.

Attraversò una serie di viuzze, per poi ritrovarsi davanti ad un lungo e stretto budello male illuminato. Lo percorse a grandi falcate. Era sul punto di svoltare l'angolo quando udì un rumore di spari, ed un istante dopo una pioggia di calcinacci e schegge di muro lo investì in pieno volto, accecandolo. Lampi e saette azzurrognole gli attraversarono le palpebre mentre decine di punture dolorose, simili ad aculei di porcospino, gli trafissero il muso.

Riuscì ad arrestare bruscamente la corsa, mettendosi al riparo un attimo prima di venire colpito a sua volta.

Grazie, ragazzi. Ma che pensiero gentile. Sono davvero commosso, pensò lui, tenendosi una mano sul viso. Non riusciva a tenere gli occhi aperti.

Proprio un pensiero gentile, avevano avuto. Li credeva ormai chissà dove ed invece quei due farabutti si erano appostati lì dietro, con l'intenzione di fargli la festa.

Come a voler confermare i suoi timori i due spararono qualche altro colpo nella sua direzione, urlandogli frasi di scherno e sghignazzando di gusto. Nick poté udire i proiettili schiantarsi contro il muro.

"AVANTI SBIRRO, VIENI FUORI!!"

"SU, ANDIAMO, NON FARCI PERDERE ALTRO TEMPO!!"

Non va bene, pensò.

No, non andava bene per niente. Per colpa di quei due imbecilli rischiava di rimanere bloccato lì per chissà quanto. Mentre Judy...

Poi, all'improvviso, un suono familiare.

Una sirena della polizia.

Lampeggianti rossi e blu.

"GETTATE LE ARMI, SUBITO!!"

Udì poi una serie di spari, seguiti dal rumore di due corpi che cadevano a terra.

“Ok” si disse, ”basta rimanere qui rintanato. Devo tentare, costi quel che costi.”

Pur mezzo accecato, Nick uscì dal vicolo e corse in direzione dei lampeggianti, puntando l'arma con la mano destra e con l'altra a coprire gli occhi.

"Ma che...Wilde, sei tu?"

Si fermò e guardò a terra, dove scorse un orso bruno ed un licaone, entrambi narcotizzati. I due simpaticoni che gli avevano teso l'agguato.

Alzò lo sguardo e vide, vicino alla volante, un altro orso. Polare, questa volta. Ed una tigre. Li riconobbe al volo: erano gli agenti Metcalfe ed Owens.

"Ragazzi, é il cielo che vi manda!" Esclamò.

"E' da dieci minuti che vi stavamo cercando, poi abbiamo sentito gli spari…" rispose Metcalfe. "...ma Hopps, la tua collega? Dov'é?"

"E' andata dietro agli altri due. Se non vi spiace vado a vedere se le serve aiuto."

"Tranquillo, Wilde. Qui ce ne occupiamo noi." lo rassicurò Owens. "A proposito, c'é un' altra pattuglia nei paraggi, magari l'hanno gia' raggiunta."

"Non importa, vado lo stesso. Grazie ancora, ragazzi. A buon rendere."

"Ehi, Wilde! Sicuro di star bene?" Gli chiese l’orso polare.

"Tranquillo, é tutto ok. Ci si vede dopo."

Nick percorse il vicolo a ritroso. Una volta uscito, si fermò vicino ad un cassonetto dei rifiuti. Il muro dietro ad esso terminava con un tetto piuttosto basso. Doveva trattarsi di una rimessa per auto, o qualcosa del genere.

Per fortuna il fastidio agli occhi era quasi cessato. Salì sopra al cassonetto. Da lì spiccò un balzo, aggrappandosi al bordo del tetto. Una volta in cima, dette una rapida occhiata intorno. L’altezza pareva sufficiente.

Aprì la giacca della divisa ed estrasse dal taschino interno una piccola bustina trasparente, a chiusura ermetica. Dentro vi era una piccola ciocca di pelo grigio.

Fece una serie di respiri lunghi e lenti, cercando di rilassare il corpo e svuotare la mente. Poi chiuse gli occhi.

Aprì la bustina e la avvicinò al naso,inspirando profondamente. Poi alzò il muso e cominciò ad annusare le correnti d’aria intorno a sé.

Un’ondata di odori tra i più svariati lo investì, penetrando a fondo nelle sue narici.

Ignorò da subito quelli più forti e marcati, concentrandosi piuttosto sui più sottili ed appena percettibili. Analizzandoli uno alla volta, con estrema calma.

Era l’equivalente di voler trovare una goccia in mezzo all’oceano: doveva osservare una goccia alla volta, senza fretta.

Goccia, dopo goccia, dopo goccia, finché…

All’improvviso, una traccia. Un bagliore nella sua mente. Un’immagine.

JUDY.

Spalancò gli occhi.

Da quella parte.

Balzò sul tetto adiacente, e cominciò a correre con tutto il fiato che aveva in corpo. Al resto avrebbe pensato il suo olfatto.

Conducendolo da lei.

Resisti, piccola. Sto arrivando.

Salve a tutti!

Inizialmente questo capitolo doveva essere diviso in due parti, ma siccome di ”carne al fuoco” ce n’é ancora parecchia, ho deciso di aggiungere un’altra parte.

Tranquilli, la terza (ed ultima) parte é già pronta e la pubblicherò tra breve, giuro.

Un’altra cosa: notando che il roster dei personaggi é stato aggiornato, sostituirò Clawhauser con il capitano Bogo. Non me ne voglia il buon Benjamin (anche lui avrà il suo spazio) ma, in termini di apparizioni ed importanza, Bogo ricopre un ruolo senz’altro maggiore all’interno della mia storia.

Ci si rivede a breve con la terza ed ultima parte!

See ya!!

CAPITOLO 6

PER UN PELO (TERZA PARTE)

Accidenti a Nick. Ultimamente, con il suo atteggiamento, non faceva altro che riempirle la testa di dubbi e paure. Possibile non riuscisse mai a capire che era proprio l’ultima cosa di cui aveva bisogno, in momenti come quello?

Forse era lei ad essere troppo dura nei suoi confronti, pensò.

Nick era il suo collega, ed il suo più caro amico. Era normale che avesse a cuore la sua incolumità.

Ultimamente non si comportava affatto bene con lui. Nick aveva sempre mille premure nei suoi confronti, e lei per tutta risposta lo trattava coi piedi. E non sapeva spiegarsene la ragione.

Basta distrazioni, Judy. Concentrati sulla missione.

Si guardò intorno. Li aveva rincorsi per quasi mezz’ora e i due, un giaguaro ed una faina, dopo aver tentato inutilmente di seminarla avevano scavalcato una recinzione, e lei li aveva seguiti a sua volta.

Erano finiti all’interno di una ditta di trasporti, la BADGER LOGISTICS, come confermato dalla gigantesca insegna luminosa piazzata al centro del cortile.

Lo spiazzo esterno al capannone era pieno zeppo di casse di legno e container di tutte le misure. E Judy, al riparo dietro uno di essi, attendeva pazientemente. Sapeva che i due erano lì intorno. Al minimo rumore, le avrebbero rivelato la loro posizione.

Ok. Il respiro é calmo, il battito regolare. Ricorda che un bravo poliziotto usa tutti e cinque i sensi.

Le sue orecchie si mossero leggermente. Passi che si stavano allontanando, sulla destra.

Si girò di scatto e vide i due delinquenti correre in direzione del capannone.

“Fermi! Polizia!!” Urlò mentre li inseguiva, puntandogli contro la sparadardi. Il giaguaro si voltò, sparando due colpi nella sua direzione.

Judy si tuffò verso il basso, compiendo una scivolata in avanti, ed uscendo dalla linea di tiro. Udì i proiettili fischiare sopra di lei. Si rimise in piedi giusto in tempo per vedere i due sgattaiolare all’interno dello stabilimento, dopo aver forzato la serratura.

Pochi minuti dopo anche lei raggiunse l’ingresso e varcò la soglia.

All’interno era tutto buio. C’era solo la luna ad illuminare il locale, dalle ampie vetrate del soffitto.

Anche lì dentro casse e container ovunque, disposti su entrambi i lati. Le due file formavano un ampio corridoio centrale, in fondo al quale si trovava un carro ponte utilizzato per le operazioni di spostamento.

Judy avanzò con circospezione, arma in pugno. Lentamente, i suoi occhi si stavano abituando all’oscurità. Le sue orecchie erano tese, pronte a captare qualunque suono.

Una figura esile sbucò da un container sulla sinistra, tentando di attraversare il corridoio. Judy sparò due colpi ed il malvivente cadde a terra, addormentato all’istante.

Si avvicinò ad esaminarlo. Era la faina. I due dardi l’avevano raggiunta alla schiena.

Ad un tratto, l’oscurità alla sua sinistra si mosse. Lei si girò nel tentativo di difendersi, ma non fu abbastanza rapida.

Un tremendo colpo la raggiunse in pieno torace, mozzandole il respiro e scaraventandola in aria.

La coniglietta atterrò su di un fianco un paio di metri più avanti, stordita. L’arma le sfuggì di mano.

Aprì gli occhi e si trovò di fronte il giaguaro. Le sue fauci erano serrate in un ghigno di feroce soddisfazione. La sua pistola era puntata contro di lei, con il colpo letale in canna.

Una trappola, ecco cos’era. E lei c’era cascata in pieno. Aveva probabilmente costretto, o convinto, il suo complice a fare da esca.

Attirala allo scoperto, così posso farla fuori. Male che ti vada, te la cavi con un sonnellino di qualche ora. Noi, invece, possiamo UCCIDERE.

“Hai chiuso, roditore.” ruggì.

Judy buttò un’occhiata alla sua pistola, ormai irraggiungibile.

Sono spacciata.

“Fermo!!”

Una voce, alle spalle del giaguaro.

Nick!! Sia ringraziato il cielo.

Il criminale si voltò di scatto, sparando in direzione della voce.

Ora o mai più.

Judy raccolse tutte le sue energie e si lanciò verso la pistola, afferrandola. Si girò sulla schiena e sparò, di puro istinto, centrando il malvivente alla base del collo.

“M-maledetta…” ringhiò lui, con odio.

Fece per sparare a sua volta, ma l’arma gli cadde dalla mano ormai intorpidita. La portò al collo nel goffo tentativo di estrarre il dardo. Un istante dopo le gambe non gli ressero più e si accasciò al suolo.

Judy emise un sospiro di sollievo. Era viva.

“Ce l’abbiamo fatta, Nick!!” Esultò. ”Hai visto? Ce l’abb…”

Le parole le morirono in gola.

Alle spalle del criminale, vicino alla porta d’ingresso, c’era Nick steso a terra, immobile. Il dardo venefico gli spuntava dall’addome.

”Oh, no...no, no, no no no NO! NO!!”

Si rialzò di scatto e gli corse incontro. L’angoscia le serrava la bocca dello stomaco come un laccio.

Prese la ricetrasmittente.

“Centrale, qui Hopps! Ni..Wilde é ferito gravemente, lo hanno colpito con un dardo venefico!Mandate un’unità medica, SUBITO!!”

“Calma, Hopps. Dove vi trovate?”

“All’interno della Badger Logistics, zona industriale. FATE PRESTO, PER L’AMOR DEL CIELO!!”

“Ricevuto, Hopps. Provvediamo subito. Tu resta vicino a Wilde. Cerca di mantenerlo cosciente fino all’arrivo dei soccorsi.”

Si chinò su Nick. Aveva gli occhi semichiusi. Judy gli sollevò la testa con un braccio.

“Nick, Nick!! Ti prego, rispondimi!!” Gli gridò.

“Accidenti, se era veloce. Non sono riuscito a…”

“Ascoltami bene, Nick. Non devi chiudere gli occhi, CAPITO? PER NESSUN MOTIVO!!” Gli disse lei, colpendolo ripetutamente all’altezza del torace. ”Ascolta la mia voce! DEVI RIMANERE SVEGLIO, CHIARO?! I soccorsi stanno arrivando.”

“I - io n - non credo di…”

Gli occhi di Judy si riempirono di lacrime, che cominciarono a scorrerle copiose sulle guance. Strinse Nick a sé con tutta la forza che aveva.

“NO!! TI PREGO NICK, NON MORIRE!! TI SCONGIURO, NON MI LASCIARE!! NO!!” Gridò, tra i singhiozzi.

“Intendo dire, Carotina, che non credo di riuscire a respirare, se continui a stritolarmi così…e se hai di nuovo intenzione di prendermi a cazzotti sullo sterno, mi sa che tiro le cuoia anche prima…”

“…EH?”

Judy fissò Nick sbalordita, tenendolo per le spalle.

La volpe estrasse il dardo, buttandolo a terra.

“Guarda.” disse, slacciando la zip della divisa.

L’interno dell’uniforme di Nick era imbottito di giornali e vecchie riviste. Alcune di esse, imbrattate di liquido scuro, avevano arrestato il dardo, assorbendone il contenuto e salvandogli la vita.

“Visto?” Disse lui, sorridendo. “Siccome, nonostante i buoni propositi del grande capo, nessuno si é ancora degnato di fornirmi un giubbotto protettivo, ho deciso di provvedere da me. Che te ne pare, Carotina? Forse dovrei brevett…”

Non riuscì a terminare la frase. Judy lo zittì con un manrovescio che quasi gli staccò la testa dal collo.

“Nick, sei un idiota!!” Disse, alzandosi in piedi. Il suo sguardo era furente, nonostante gli occhi ancora lucidi.

“AHIO!! Ma ti ha dato di volta il cervello?!” Sbraitò Nick, tenendosi la mascella con una mano.

“Mi hai fatto venire un colpo, accidenti a te!” Rispose Judy. “Perché non me lo hai detto subito?”

“Ma tu non me ne hai dato il tempo!!”

“E comunque é colpa tua, Nick…non prendi mai niente sul serio, pensavo fosse uno dei tuoi soliti scherzi cretini!!”

“Ma ti pare che io possa mettermi a scherzare su una cosa simile?! Ma tu sei tutta matta!!”

“Fermi tutti! Polizia!!”

Un ippopotamo ed un elefante fecero irruzione nel capannone a pistole spianate. Erano gli agenti Clemmons e Indelli, la seconda pattuglia inviata dalla centrale.

“Ma che diavolo…” disse Clemmons, abbassando l’arma.

Vide Nick e Judy che stavano discutendo animatamente, al punto che neanche si accorsero di lui e del suo collega. Dietro di loro, due tizi stesi a terra.

“Ehi, ehi! Ragazzi!!” Disse. “Vi volete dare una calmata e dirmi che accidente sta succedendo?”

Nick e Judy si voltarono all’unisono.

“STA’ ZITTO!!” Urlarono.

Poi ripresero a litigare.

“Ehi, Walter!” Chiese Indelli, alquanto perplesso. “Ma che gli è preso, a quei due?”

“Se non fosse assurdo, direi che siamo incappati nel bel mezzo di una lite tra fidanzatini.” rispose Clemmons, scuotendo la testa.

“Ma che stai dicendo, Walt?”

“Niente, Joe. Lascia stare. Quei due là dietro, piuttosto. Devono essere il resto dell’allegra combriccola. Andiamo ad impacchettarli, su.”

Salve a tutti!!

Finalmente ce l’ho fatta (con il consueto ritardo, ovvio…) !

Scusate ma ho avuto qualche problema e quindi ho dovuto rifare tutto da capo.

Un piccolo consiglio: provate a rileggervi la parte dell’inseguimento a piedi (dalla fine della prima parte al momento in cui Judy entra nel capannone) ascoltando il brano NUMB dei Linkin Park. Va bene anche NUMB/ENCORE in duetto con Jay-Z, usato come soundtrack nel film MIAMI VICE di Michael Mann (quello con Colin Farrell e Jamie Foxx).

Come sempre ringrazio chi leggerà la storia e chi vorrà recensirla.

A presto!

See ya!!

CAPITOLO 7

LONTANO DAI GUAI

“Allora, ciao.” disse Judy, scendendo dall’auto.

“Ciao.”

Furono le uniche parole che pronunciarono quella mattina, dopo che Nick l’ebbe riaccompagnata a casa. Lo schiaffo ed il successivo litigio bruciavano ancora.

Non avevano più avuto una simile discussione dai tempi di quella sciagurata conferenza stampa dove Judy, con la sua involontaria gaffe, mise nei guai i predatori di Zootropolis facendo cadere l’ombra del sospetto e della diffidenza su tutti loro.

Eppure, nemmeno quella volta, neanche quando Nick l’aveva piantata in asso manifestandole tutto il suo disappunto, era arrivata a tanto.

Nick si stava dirigendo verso la sua abitazione. Fortunatamente, il flusso di traffico del mattino non era ancora cominciato. Mentre era alla guida, parlava tra sé nel tentativo di far sbollire il nervoso.

“Questa non me la dovevi proprio fare, Judy.” disse. “Bella roba! Il sottoscritto a momenti ci rimette la pelliccia nel tentativo di salvarle la vita e lei, per tutto ringraziamento, che fa? Lo prende a schiaffi dandogli dell’idiota! Ah, ma stavolta non gliela perdono, cascasse il mondo!!”

Guardò la sua immagine riflessa nello specchietto retrovisore.

“Ha forse qualche opinione in merito, DOTTOR PIBERIUS? Sarei ansioso di sentirla.” Si disse.

“Suvvia, Nicholas.” si rispose. “Non le pare di essere un po' troppo severo nei confronti della sua collega?”

“No, dico! Ha visto cosa mi ha fatto?”

“Neanche lei si é propriamente comportato da cavaliere, a onor del vero. E comunque ritengo che lei sia un po' troppo precipitoso nel valutare la situazione. Eravate entrambi in un momento di forte stress psico – fisico. Pienamente comprensibile, visto che avete rischiato di finire entrambi uccisi, un attimo prima. ”

“Quando é troppo é troppo, dottore. E stavolta Judy ha oltrepassato il limite.”

“Sa qual’é la cosa più ridicola, mio caro Nicholas? Che, con ogni probabilità, l’istante successivo eravate già pentiti di ciò che avete fatto. Ma siete ambedue troppo orgogliosi per ammetterlo.”

“E quindi che dovrei fare? Sentiamo.”

“Innanzitutto ci dorma sopra. Poi, non appena ci sarà occasione, farà il primo passo e sistemerà le cose, grazie alla sue abilità diplomatiche e di persuasione che da sempre la contraddistinguono.”

“Ricevuto, dottore. In altre parole, tocca al qui presente metterci una pezza. Come al solito.”

“Mi dia retta, Nicholas. L’orgoglio non aiuta, certe volte.”

“Lei é una grandissima faccia di bronzo, dottor Piberius.” concluse Nick, ridendo di gusto all’indirizzo dello specchietto.

“Non per nulla sono il suo avvocato, psicologo, nonché coscienza. Ah,a proposito...per la consulenza fanno due frappé shakerati al mirtillo.”

Nel tardo pomeriggio vennero entrambi convocati dal capitano Bogo per una bella lavata di capo.

Certo, l’operazione si era conclusa con successo: i criminali erano stati arrestati e la refurtiva interamente recuperata. Ma qualcuno aveva contravvenuto alle disposizioni riguardanti l’incolumità degli agenti in servizio, e Bogo sapeva già chi era quel qualcuno.

Nick e Judy si trovavano entrambi nel suo ufficio, sull’attenti e con le braccia dietro la schiena. Il bufalo li scrutava con occhio severo, tamburellando nervosamente con lo zoccolo destro sul tavolo.

“Allora, Hopps: confermi che é stata una tua iniziativa?” Le chiese.

“Si, capitano.” rispose Judy, risoluta.

Bogo sbuffò.

“Sentiamo: cosa non era chiaro del mio discorso, durante l’ultima riunione? Avevo dato delle direttive precise sul comportamento da tenere in missione, e tu le hai infrante TUTTE!!”

“Ma capitano, io...”

“Ti sei lanciata all’inseguimento nonostante foste in evidente condizione di inferiorità numerica, contro nemici armati, senza protezioni e senza neanche attendere i rinforzi, nonostante stessero per arrivare! Hai messo deliberatamente in pericolo la tua vita e quella dei tuoi colleghi: per poco tu e Wilde non finivate uccisi!”

“Capitano, quelli stavano scappando!” Esclamò lei. “I miei colleghi non sarebbero mai giunti in tempo. Era mio dovere fermarli, a qualunque costo!”

“Questo lo so!” Sbraitò Bogo, alzandosi in piedi. “Ma c’é un limite a tutto, PER LA MISERIA!!”

Judy sospirò, abbassando lo sguardo.

“Mi dispiace, capitano. Questo é il mio modo di fare il poliziotto. Non ne conosco altri.”

“E va bene” rispose il bufalo, sbuffando nuovamente. “Giunti a questo punto, ritengo che un provvedimento disciplinare sia inevitabile. Mi rincresce, Hopps. Ma mi ci hai costretto tu.”

Nick, che fino a quel momento era rimasto a fare da spettatore, posò gli occhi su Judy ed intuì che era il momento di entrare in scena.

“Ah - ehm. Mi scusi,capo.” Intervenne, schiarendosi la gola.

Bogo si voltò nella sua direzione. Non sembrava particolarmente sorpreso. A dirla tutta, pareva che se lo aspettasse.

“Qualcosa da aggiungere, Wilde?” Disse.

“Certamente, capo.” proseguì la volpe. “L’agente Hopps non c’entra nulla. Dividerci ed inseguire i malviventi é stata un’idea mia.”

“COME?” Fece Bogo, incredulo.

“COSA?” Gli fece eco Judy, ancora più stupita.

“Proprio così, capo. L’agente Hopps ha tentato di opporsi alla mia decisione, ma alla fine sono riuscito a convincerla.”

“Ma non é vero! Che stai dicend...”

Judy fece per replicare ma Nick la interruppe, afferrandola per le spalle e scuotendola convulsamente.

“Non le dia retta, capo! La poverina é ancora sotto shock, vede? Sta ancora tremando!”

“Piantala! Che cavolo stai facendo?!” Gli intimò la coniglietta, piantandogli una gomitata tra le costole.

“Finitela, voi due!!” Urlò il comandante.

Nick e Judy si rimisero sull’attenti.

“Allora, Wilde: visto che é stata opera tua non ti sospendo dal servizio perché, nel tuo caso, finirei soltanto per farti un favore. Quindi, doppi turni e niente week-end per tutto il mese a partire da oggi. Come la vedi, eh?”

Ecco fatto,penso’ Nick. E addio cinema.

“Hopps, tu puoi andare.” proseguì Bogo. “Tu, Wilde, invece rimani. Con te non ho ancora finito.”

“Accidenti! Un tete-à-tete con lei, capo! A saperlo prima, avrei messo un po' di profumo!!” Rispose Nick, ironico.

Judy, a quella battuta, si voltò verso di lui, fulminandolo con lo sguardo.

“Nick”disse. “Fammi un sacrosanto piacere: CHIUDI QUELLA BOCCACCIA, UNA BUONA VOLTA!!”

“HOPPS!!” La zittì Bogo. “Ho detto FUORI.”

“Si, capitano.” rispose lei. “Con permesso.”

Ed uscì dall’ufficio.

Nick e Bogo rimasero soli.

“Complimenti per lo show”esordì quest’ultimo, dopo qualche istante. “Per non parlare della battuta: umorismo di alta classe, davvero. Sono sempre più convinto che tu sia sprecato qui dentro, Wilde. Avresti un avvenire, come comico. O come pagliaccio in un circo, decidi tu.”

“Grazie per i preziosi consigli, capo. Ma ritengo che il dipartimento sia il posto ideale dove mettere a frutto il mio talento.” rispose Nick.

Bogo fece finta di non aver sentito e riprese il discorso. “Allora, vorresti darmi a bere che inseguire i criminali senza attendere i rinforzi é stata una tua iniziativa?”

“Precisamente, capo. Che il cielo possa fulminarmi all’istante se mento!” Proclamò Nick, battendosi la zampa sul petto.

“Wilde, vedi di non menare per il naso che oggi non é giornata. Mi hai preso per un cretino? Come se non sapessi che é stata la Hopps a gettarsi allo sbaraglio, tanto per cambiare. Con te che cercavi inutilmente di fermarla. Ho indovinato, forse?”

“In pieno, capo.”

“Ora, ritengo che una punizione esemplare nei suoi confronti possa condurla a più miti consigli, ma se tu ti metti in mezzo a pararle le spalle, non sei di nessun aiuto. Né a me, né a lei!”

“Una punizione, capo?” Domandò Nick, perplesso. “E lei crede possa servire a qualcosa?”

“Non lo so.” rispose Bogo, sbuffando.

“Sinceramente, non lo so.” aggiunse, un istante dopo. “La Hopps mi sta mettendo in serie difficoltà. Dover punire un agente perché si ostina a fare il proprio dovere fino in fondo...assurdo.”

Il capitano si alzò dalla scrivania e cominciò a camminare per per l’ufficio con fare pensoso.

“La Hopps é un ottimo agente, e crede in ciò che fa. Da tutta sé stessa per questo lavoro. E’ senza dubbio un comportamento ammirevole, ma...”

Si voltò verso Nick. “...Ma questi sono tempi pericolosi. Con queste armi illegali in circolazione, i criminali sanno di avere un vantaggio su di noi e non si fanno certo scrupoli ad usarlo. E tutto questo l’agente Hopps rifiuta di accettarlo. Con il risultato che finirà per farsi ammazzare, uno di questi giorni.”

“E’ quello che temo anch’io.” rispose Nick.

“Io ne ho abbastanza di veder morire i miei agenti.”replicò il bufalo. “E qui entri in gioco tu, Wilde.”

Nick lo guardo’ incredulo.

“Io?”

“Proprio così. Pare che tu sia l’unico ad avere un certo ascendente su di lei. In altre parole, sai come prenderla. Dovresti trovare il modo di contenere la sua impulsività. Tenerla un po' a freno, insomma.”

“Facile a dirsi, capo.” rispose Nick. “Lo sa anche lei com’é fatta Ju...l’agente Hopps. Pensa in fretta ed agisce ancora più in fretta. E’...difficile starle dietro.”

“Se non puoi batterla in velocità, cerca di batterla in astuzia. Sei una volpe, dopotutto.”

“Ricominciamo con i luoghi comuni sulle volpi, capo?” Domandò Nick. Sembrava piuttosto risentito.

“Piantala con le scemenze! Hai capito benissimo cosa intendo dire. Hai carta bianca. A me basta solo che tu la tenga fuori dai guai, chiaro?”

“Intesi, capo. Farò del mio meglio.”

Bogo fece ritorno alla scrivania.

“Conto su di te, Wilde. Ora puoi andare. Tu e la Hopps prendetevi un paio di giorni di ferie: credo ne abbiate bisogno.”

“Ok, capo. Ci si vede.”

Nick fece per uscire dall’ufficio, quando…

“Ah...quasi dimenticavo, Wilde. Al tuo rientro, fanno TRE MESI di doppi turni e niente week-end.”

“COOSA?!”

Nick si voltò verso Bogo. Le braccia gli cascarono inerti lungo i fianchi, mentre il viso assumeva un’espressione affranta.

“Proprio così, Wilde. Un mese per lo schifo di battuta che hai fatto prima, un altro per aver mentito ad un tuo diretto superiore ed un altro ancora perché così forse é la volta buona che ti ficchi in quella zucca che mi devi chiamare CAPITANO!! E ora sparisci.”

Era il crepuscolo. In città cominciavano ad accendersi le prime luci, mentre le prime stelle iniziavano a fare capolino all’orizzonte.

Nick uscì dalla centrale e vide Judy nel piazzale, di spalle. Le si avvicinò.

“Ehi, Carotina” disse. “Posso parlarti o corro il rischio di pigliarmi qualche altro schiaffone?”

“Perché ti sei preso la colpa al posto mio?” Gli chiese lei.

“Siamo una squadra, no?” Rispose lui. “Io copro te e tu copri me. Si usa così, tra compagni.”

Judy si voltò vero Nick. Il suo musino era triste. Non riusciva a guardarlo in faccia.

“Ti prego di perdonarmi. Sono stata una stupida. E mi sono comportata in modo orribile. Mi hai salvato la vita. Dico sul serio, se non fossi arrivato tu...ed io, in cambio, ti ho picchiato ed insultato.”

“Credo di doverti anch’io delle scuse, Carotina. Ho perso le staffe, ed ho esagerato.”

“Io...non so cosa mi sia preso, Nick. Vedere quel tizio che puntava la sua arma contro di me, e poi vedere te steso a terra...credo di aver perso la testa, in quel momento.”

“Non preoccuparti. Capita di perdere il controllo, a volte. E’ perfettamente normale. Del resto, abbiamo rischiato grosso entrambi.”

Judy lo guardò negli occhi per un istante.

“Scusami.”

Gli corse incontro, gettandosi tra le sue braccia.

Nick rimase sorpreso, per un istante. Quasi perse l’equilibrio. Poi la strinse a sé, senza parlare.

Questo tepore...come la volta che abbiamo fatto pace sotto a quel ponte...come la notte in cui ho promesso di proteggerti...per un attimo ho temuto di non poterlo sentire mai più.

“Ehi”disse. “Dov’é finita la coniglietta tutta d’un pezzo che conosco io?”

Judy alzò lo sguardo. Stava piangendo. Le luci della sera risplendevano nei suoi occhi.

Nick rimase senza fiato. Gli sembrò di precipitare in essi, in una dolce discesa senza fine.

“Nick!” Disse lei. “Tu sei importante per me, LO CAPISCI?! Se ti dovesse accadere qualcosa, io...io...”

Nick accennò un sorriso, accarezzandole una guancia.

“Ssshhh. Sono ancora tutto intero, come puoi vedere. E ora via queste lacrime.”

Gliene asciugò delicatamente una,con la punta del pollice.

“Anche tu sei importante per me, Carotina. Non farmi più prendere uno spavento simile, ok?”

“Ok.”

“E poi, lo hai sentito anche tu il VECCHIO BUFALO, no? Niente eroismi. Non vanno più di moda.”

A Judy scappò una risatina.

“Se ti sente Bogo, ti uccide.”

Morire, piccola?

E rischiare di non vedere più i tuoi occhi ed il tuo sorriso?

Fossi matto.

“Che non succeda mai più. Intesi, Carotina?”

“Intesi.”

Salve a tutti! Rieccomi qua!

Inizialmente pensavo di dividere questo capitolo in due parti, ma ritengo sia meglio finirla con certe brutte abitudini (insomma, non é che si può sempre allungare il brodo tutte le volte).

In questi primi capitoli abbiamo solo scaldato le polveri, dai prossimi si comincia a fare sul serio!

Colonna sonora: per il monologo di Nick (dal momento in cui riparte da casa di Judy in poi) recuperatevi una piccola chicca del passato caduta ingiustamente nel dimenticatoio: il bellissimo brano ALWAYS THE LAST TO KNOW dei Del Amitri.

Quando invece Nick e Judy fanno finalmente la pace, andiamo sul classico: PLEASE FORGIVE ME di Bryan Adams.

Come sempre, un grazie a chi leggerà la storia e a chi vorrà recensirla.

Alla prossima!!

See ya!!

CAPITOLO 8

UNA PROPOSTA INASPETTATA

Quella mattina Nick era di postazione alla scrivania. Le pratiche inevase avevano da tempo superato il livello di guardia.

Beato l’ingenuo che ritiene che fare il poliziotto consista unicamente nel pattugliare le strade e dare la caccia ai criminali. Certo, quella é sicuramente la parte eccitante del lavoro. Il rovescio della medaglia é che ad ogni operazione conclusa corrisponde un rapporto preciso e dettagliato, da fornire mediante un apposito modulo. In parole povere, passare ore sulla sedia a compilare scartoffie.

Poveri alberi, rifletté Nick. Possibile che nessuno abbia a cuore la loro sorte? Qualcuno dovrebbe fare qualcosa per questo scempio. Smettere di produrre tutta questa cartaccia, tanto per cominciare.

D’un tratto, si sentì osservato. Diede un’occhiata intorno e vide due occhietti viola che lo scrutavano oltre la trincea degli schedari sparsi alla rinfusa sul tavolo.

I suoi occhietti viola preferiti.

Nick abbassò la testa, nascondendosi tra le pile di fascicoli, ed alzò il braccio destro, simulando un periscopio.

“Bip...bip...” disse, con voce meccanica. “Carotina in avvicinamento a ore undici...Carotina in avvicinamento a ore undici...sganciare siluro.”

Judy sorrise e decise di stare al gioco, almeno per qualche istante.

Andiamo, Nick. La vuoi finire?

“Ehilà, Carotina!!” gridò raggiante Nick, scostando all’improvviso i raccoglitori con entrambe le zampe. “Qual buon vento ti porta da queste parti?”

Il raccoglitore in cima alla pila di destra, uno dei più pesanti, cadde centrando in pieno il piede sinistro dell’agente Wolfard, che passava di lì proprio in quel momento.

Un guaito, seguito da un’imprecazione, riecheggiò per l’edificio. Tutti gli agenti si voltarono a guardare. Compresi Nick e Judy, che rimasero impietriti.

“Wilde!!” Disse Wolfard, digrignando i denti e zoppicando vistosamente. “Un giorno o l’altro prendo te e tutto il tuo ciarpame, faccio un bel sacco e ti butto nella differenziata!!”

“Chiedo scusa, collega.”

Nick fece per alzarsi, ma Judy lo bloccò con un cenno della mano.

“Lascia” gli disse, con tono calmo. “Faccio io. Non combiniamo altri disastri, per favore.”

Prese il raccoglitore e lo rimise al suo posto.

“Sempre la solita storia...vero, Nick?” Aggiunse. “Ma perché devi sempre aspettare di venire sommerso dalla carta per darti una mossa?”

“Lo sai bene, Carotina. Il qui presente é votato all’azione. Non fa per me rimanere seduto a riempire moduli. Comunque, in cosa posso esserti utile?”

“Come fai ad essere così sicuro che io abbia bisogno di qualcosa?”

“In genere, quando mi guardi con quegli occhietti imploranti, significa che ti serve un favore dal buon vecchio Nick. Se si tratta di cambiare turno sabato, però, scordatelo. C’é la stra – cittadina: Tundratown Bears contro Savana Lions.”

“Tranquillo, non c’entra nulla sabato. Mi chiedevo solo se...” Judy buttò un’occhiata al suo piede destro, che tamburellava nervosamente, come a volerlo far smettere. “...ecco, mi chiedevo se avessi degli impegni, oggi pomeriggio.”

Nick ebbe un sussulto interiore.

“Aspetta, aspetta.” disse. “Mi stai forse chiedendo un APPUNTAMENTO, Carotina?”

“Senti, Nick: non farla tanto lunga.” replicò la coniglietta, stizzita. “Ci stai o non ci stai?”

“Beh...quando una proposta viene offerta con un tale garbo e gentilezza, non vedo come la si possa rifiutare...”

“Conosci il Café de Saint - Ambrefoeurs?”

“Complimenti per essere riuscita a pronunciarlo senza attorcigliarti la lingua...lo conosco, si trova vicino all’entrata est di Little Rodentia. Si dice facciano delle paste eccezionali.”

“Perfetto.” aggiunse Judy. “Ci vediamo per le quattro. Vedi di essere puntuale. Mi raccomando,é molto importante.”

E se ne andò di volata.

Nick rimise a posto i raccoglitori e si risedette. Che cosa poteva esserci di così importante? E poi Judy non aveva la sua solita espressione sorridente. Pareva preoccupata per qualcosa.

No, anzi: sembrava impacciata, persino imbarazzata, mentre parlava.

Inoltre, era la prima volta che Judy lo invitava ad uscire senza una ragione apparente. Certo, da quando si frequentavano erano già usciti insieme innumerevoli volte. Ma erano uscite concordate per tempo, il cui motivo era chiaro lampante sin dall’inizio: un film al cinema, un nuovo locale da provare, una serata con i colleghi o con gli amici...

Vuoi vedere che…

Un piccolo accenno di sorriso gli si insinuò all’angolo della bocca. Si sentì pervaso da un’improvvisa ondata di energia: gli era persino tornata la voglia di lavorare, se mai ce l’avesse avuta. Ricominciò a compilare di buona lena.

Nella sua testa continuava a riecheggiare un minuscolo pensiero. Aveva tentato di tenerlo a bada: malgrado l’aria perennemente svagata,era un tipo concreto e con i piedi per terra, ed evitava come la peste la tendenza a farsi illusioni o viaggi mentali. La considerava una pratica deleteria. Ma, al diavolo...la sensazione che dava quel pensiero era troppo inebriante.

Decise di lasciarsi vincere. Gli sciolse le briglie, rendendolo libero di scorrazzare nella sua mente.

Sono felice. Judy mi ha dato un appuntamento. Per dirmi qualcosa di importante. Forse vuole dirmi che io le...oh,cielo. Non riesco nemmeno a dirlo.

E’ bellissimo. La vita é splendida, il futuro é roseo, il mondo un posto meraviglioso. Vi voglio bene, ragazzi. A tutti quanti, criminali compresi. Anche al vecchio bufalo e…

Ok, basta così. Si era divertito a sufficienza. Il resto se lo sarebbe tenuto per il pomeriggio. Chinò la testa sulla pratica e si rimise al lavoro.

Erano quasi le due. Dopo una doccia al volo, aprì l’armadio alla ricerca di qualcosa da mettere. Optò per l’abbinamento classico: camicia verde chiaro con motivi hawaiiani, cravatta indigo a righe rosse e blu, e pantaloni grigio-marroni (se fossero grigi o marroni non l’aveva mai capito: che si trattasse di una forma di daltonismo? Magari tipica delle volpi? Mah).Era vestito così, quando lui e Judy si conobbero per la prima volta.

Mai cambiare riti ed abitudini, del resto. Nel suo armadio vi erano vestiti che avevano più buchi degli alibi dei sospetti che interrogava. Eppure non riusciva a separarsene. Erano come talismani. Ad ognuno era associato qualcosa: un ricordo, una sensazione. In generale,un episodio della sua vita in cui gli era andato bene qualcosa.

Uscì dalla sua abitazione. Non intendeva prendere né macchina, né mezzi pubblici. Aveva intenzione di raggiungere Savana Central a piedi, gustandosi ogni minuto che lo separava dall’appuntamento con lei. Di procedere con calma, riprendendo il filo dei dolci pensieri bruscamente interrotto quella mattina.

Del resto, coltivare l’attesa stessa del piacere, non é forse un piacere anch’esso?

Scese in strada. Il sole era ancora caldo, nonostante l’autunno fosse ormai alle porte. Sentì l’aria fresca e frizzante al contatto con la sua coda.

“...Tirulero, oggi splende il sol...” canticchiò, e si mise in marcia fischiettando.

Giunse a Savana Central un’oretta dopo, senza fretta alcuna.

Savana Central. Dove era iniziato tutto. Se lo ricordava ancora, quel giorno: Judy era da poco in polizia e faceva l’ausiliare del traffico, e lui stava cercando di rimediare un ghiacciolo gigante da Jambeaux con l’aiuto del fido compare Finnick, per poi farne porzioni più piccole a rivendere ad un branco di lemmings in Sahara Square. Era tutto perfetto: mancava solo il babbeo di turno da infinocchiare. E Judy era stata la vittima perfetta: ignara, sprovveduta, inconsapevole. Ma aveva imparato la lezione alla svelta. All’incontro successivo lo ripagò con la stessa moneta, incastrandolo e costringendolo a collaborare. E poi...e poi...chi l’avrebbe mai detto che sarebbe finita in questo modo? Che quell’incontro avrebbe finito per cambiare completamente il suo destino?

Senza Judy, avrebbe trascorso il resto della sua vita facendo il truffatore, inframezzando la sua losca attività con periodici soggiorni nelle patrie galere. Ed invece, con sua enorme sorpresa, le cose andarono diversamente, ed in meglio. Forse perché, per la prima volta dopo tanto tempo, aveva trovato qualcuno disposto a riporre un grammo di fiducia in lui.

Proprio così, piccola. Il merito é tutto tuo.

Meno male che ho avuto la fortuna di incontrarti.

Era talmente immerso nei suoi pensieri che quasi non si accorse di essere giunto a destinazione: le porte di Little Rodentia. Entrata sud, per la precisione.

Costeggiò il perimetro fino a giungere sull’ala est, e poi cominciò ad adocchiare la fila di bar e locali sulla destra sino a scorgere l’insegna della caffetteria. Si avvicinò e vide Judy, seduta ad uno dei tavolini all’esterno.

Accidenti, se era bella. Indossava un paio di jeans ed una maglietta a due colori: azzurro e blu. Stava con il braccio destro appoggiato ad angolo retto sul tavolino e la mano sulla guancia, quasi a voler sorreggere la sua testolina. Sembrava stesse fissando distrattamente le vetrine del locale. Chissà a cosa stava pensando.

Nick si concesse qualche minuto per rimanere lì a contemplarla. Tsk, minuti: avrebbe potuto stare lì per ore, ammaliato com’era da quella deliziosa visione.

Poi, decise di farle uno scherzo. Entrò nel sottopassaggio che conduceva alla metropolitana per poi risbucare a quello successivo, situato alle spalle del locale. Si mescolò quindi alla folla di passaggio, avvicinandosi al tavolo dove sedeva Judy.

Ormai mancavano pochi metri: tutto filava liscio come l’olio. Judy, intanto, aveva aperto la borsetta e vi stava rovistando dentro. Non si era accorta di nulla.

Adesso le faccio prendere uno di quegli spaventi che...pensò Nick, sogghignando. Era ormai vicinissimo: spalancò le braccia e…

Si trovò la sparadardi d’ordinanza puntata sul naso. Dietro di essa Judy, con un sorrisetto ironico.

“Zampe in alto, volpe.” disse. “Sei sotto tiro.”

“Ehi, attenta con quel gingillo. Spara,lo sai?” Disse Nick.

Judy scoppiò a ridere.

“Ma dai, Nick!” Rispose ,abbassando la pistola e rimettendola nella borsetta. “Non ti sei accorto che é un giocattolo? L’ho comprato per Kenny, uno dei miei fratellini. Ci teneva tanto!”

“Come hai fatto ad accorgerti, piuttosto?”

“Semplice: ti ho visto arrivare. Si può sapere cosa stavi fissando, lì imbambolato in mezzo alla gente?”

La creatura più meravigliosa che abbia mai visto in vita mia, piccola.

“Ehm...chi, io? Oh, niente di speciale.”si schermì lui.

“E comunque, negli appostamenti sei una frana. Sul serio, te la cavavi meglio quando facevi il delinquente.”

“Si vede che sono un po' arrugginito.”rispose Nick, facendo spallucce. “O forse quando c’era il corso di pedinamento ero malato.”

La volpe prese posto al tavolino e cominciò a consultare il menù.

“Allora, io vado sul consueto. Crepes con marmellata di mirtilli. Se accetti un consiglio, qui fanno una torta di carote con scaglie di mandorla che...”

“Nick...”

“...é la fine del mondo. Comunque qui é tutto ottimo, Carotina. Non hai che l’imbarazzo della scelta.”

“Nick! Ascoltami, per favore!” Disse Judy, con espressione seria.

Lui intuì che non era il caso di continuare a fare il buffone e tacque.

“Ecco...” ricominciò lei, “...ti starai domandando perché ti abbia chiesto di vederci così, all’improvviso...”

Sembrava stesse faticando a trovare le parole.

“Beh, devo ammettere che mi hai sorpreso, Carotina.”ammise Nick. “Solitamente pianifichiamo le nostre uscite con largo anticipo, però lasciati dire che non mi dispiace affatto.”

“Si...si tratta di una questione molto delicata...é successo tutto talmente in fretta che...che non so neanche da che parte cominciare...”

Nick sentì il suo cuore palpitare ma cercò di mantenere la calma, almeno esteriormente.

“Coraggio, Carotina. Non tenermi sulle spine. Che succede?” Chiese.

“Sai, Nick...sei l’unico con cui ne sto parlando. Neanche ai miei genitori ho ancora detto nulla. Ecco, vedi...”

La volpe deglutì.

“S – si?” Disse, con un filo di voce.

“Ieri mattina Bogo mi ha convocata nel suo ufficio e mi ha consegnato una lettera. Proviene dal dipartimento di polizia di Wyndham City.”

Cosa?

Wyndham City era un gigantesco centro urbano situato a circa settanta miglia da Zootropolis. Come altre città limitrofe, era nato inizialmente come quartiere dormitorio per i pendolari che si recavano tutti i giorni al lavoro nell’immensa metropoli.

Con il passare del tempo, Wyndham aveva cominciato ad ingrandirsi e a sviluppare una fiorente attività industriale, soprattutto grazie alla zona portuale situata sul fiume.

Ma furono le parole DIPARTIMENTO DI POLIZIA a far scattare un allarme nella testa di Nick.

“Stanno istituendo una sezione investigativa e vogliono che vada a lavorare con loro!” Aggiunse Judy, entusiasta. “Verrò promossa a detective! Non é incredibile?”

Nick ne aveva sentito parlare, tra i colleghi.

Con l’espansione ed il successivo incremento dei suoi abitanti, a Wyndham erano aumentati i problemi relativi alla sicurezza e all’ordine pubblico. Le autorità, per far fronte alla situazione, avevano quindi dato il via ad un’operazione di potenziamento delle forze dell’ordine, selezionando e reclutando gli agenti migliori dalle città vicine, Zootropolis compresa. E Judy, grazie al suo ottimo operato ed alla popolarità raggiunta dopo aver risolto il caso degli ULULATORI NOTTURNI, era uno dei candidati in cima alla lista.

Già da tempo Nick covava un brutto presentimento, sentendo quelle voci. E adesso, stava accadendo ciò che temeva.

“Che ti succede?” Chiese Judy, preoccupata.“Va...va tutto bene?”

“...Eh? Ma certo, Carotina. E’ solo che...mi hai colto un po' alla sprovvista, con questa notizia. Non me l’aspettavo, davvero.” si giusitficò lui.

“Già, nemmeno io.” proseguì lei. “E’ veramente una grande opportunità, ma non é una scelta facile. E credo proprio che vorranno una risposta entro tempi brevi. Per questo volevo parlartene.”

“Vuoi sapere cosa ne penso?”

“Diciamo che mi interesserebbe un tuo parere. Tu al posto mio cosa faresti?”

“Io? Beh...”

Non accettare, Judy. Non puoi farmi questo. NON ANDARTENE.

“Io, a dirla tutta, rimarrei qui. Però si tratta della tua vita, Carotina. Non della mia. Devi...decidere tu. Non posso aiutarti.”

Cosa stai dicendo?

“Credo proprio tu abbia ragione, Nick.” ammise Judy con un leggero sorriso.

“Sono sicuro che farai la scelta giusta.”

“Credimi, tutte queste boy - band che spuntano peggio dei funghi...tipo questi qui, gli WRONG DIRECTION, possono solo tentare di copiarne pallidamente lo stile, ma non possono imitarne la bravura, il talento...GAZELLE rimane unica ed insuperabile, te lo garantisco io!”

“Non so che dirti, Ben...per me la musica si ferma con la fine degli anni ‘80. E va bene, le concedo qualche anno ancora...ma dal novantadue in poi nessuno ha avuto più niente di interessante da aggiungere al mix, secondo me.”

Il dibattito musicale tra Clawhauser e l’agente Delgato venne interrotto dall’improvviso arrivo di Nick alla reception. Pareva furibondo.

“Ehm...Nick, tutto bene?” Chiese Benjamin.

“Tutto bene UN CORNO!!” Imprecò la volpe. Nella hall, tutti si voltarono.

“Ehm...Nick...” precisò il ghepardo,“...scusa se te lo faccio notare, ma l’uso improprio del termine CORNA, anche al singolare, potrebbe risultare offensivo nei confronti dei qui presenti che ne sono provvisti, quindi...”

“Ben, io me ne infischio del politically – correct, CHIARO?! C’é il capo?”

“Ce-certo. E’...é nel suo ufficio, come sempre.”

Nick si precipitò da Bogo. Benjamin e Delgato si scambiarono un’occhiata perplessa.

“Ma che gli é preso?” Domandò il primo.

“Credo che sarà meglio stare alla larga dall’ufficio del vecchio bufalo, almeno per le prossime ore.” sentenziò il leone.

Bogo era chino sulla scrivania ad occuparsi della turnazione della settimana seguente, quando qualcuno spalancò di botto la porta del suo ufficio senza neanche prendersi la briga di bussare.

Il capitano alzò lo sguardo per vedere chi fosse il kamikaze in cerca di morte, e vide Nick.

Wilde. Pare proprio tu abbia deciso che la testa sul tuo collo ti sia venuta d’ingombro, pensò lanciandogli un’occhiataccia che già diceva tutto.

“Capo, dobbiamo parlare.” gli intimò Nick.

“Wilde!!” Tuonò il bufalo. “Ma sei impazzito, per caso?! Ti sembra il modo di entrare nel mio ufficio?! FUORI DI QUI, IMMEDIATAMENTE!!”

“Risponda solo ad una domanda, capo. E’ questo il suo modo di tenere l’agente Hopps lontano dai guai?”

“Ma di che diavolo stai parlando?!”

“Sto parlando della richiesta di trasferimento al dipartimento di polizia di Wyndham City. E’questa la sua soluzione? Mandare Judy da un’altra parte, vero? Così ciò che le potrebbe accadere non sarà più affar suo, dico bene?”

Bogo, a quelle parole, sembrò calmarsi di colpo.

“No, Wilde. Sei completamente fuori strada. Io non c’entro nulla.”

“C-cosa?”

“Proprio così. L’iniziativa é partita dai rispettivi municipi. Chiamalo fair - play tra sindaci, o strategie per mantenere i rapporti di buon vicinato, o come accidenti ti pare. Politica, insomma. Io mi sono limitato a consegnare la missiva al destinatario.”

“M - ma allora...”

“Mi sembrava di averti già detto che considero la Hopps un ottimo agente. Credi davvero che mi priverei volontariamente di un elemento così valido? Mi dispiace, non posso farci niente. La decisione finale spetta a lei. Soltanto a lei.”

Nick era come pietrificato.

“Se hai finito, sei pregato di alzare i tacchi ed andartene. Ho da fare,qui.” concluse Bogo, rimettendosi al lavoro.

Nick uscì dall’ufficio senza dire più una parola.

Dopo pochi passi, si sentì come mancare le forze. Si appoggiò contro la parete, schiena al muro. Gli occhi alzati verso l’alto, come a formulare una muta preghiera.

Non farlo,Judy.

Ti supplico.

Così si distruggerà tutto.

NON LO FARE.

Salve a tutti, rieccomi qua!

Chiedo scusa per l’attesa, ma nelle ultime settimane oltre ai soliti impegni ed al lavoro si sono aggiunti dei problemi di salute che mi hanno tenuto fermo per parecchi giorni.

Sembra proprio che una prima tegola si sia abbattuta sulla testa del povero Nick…

Volevo inoltre complimentarmi con tutti gli altri autori che hanno pubblicato le ultime storie: sono davvero molto belle, complimenti!

Qualcuna non ho ancora avuto modo di leggerla ma conto di provvedere al più presto!

Colonna sonora: Dal momento in cui Nick, appena uscito di casa, inizia a canticchiare (a proposito: cosa sta canticchiando e soprattutto PERCHE’? Dai, che é facile!!) fino all’incontro con Judy, sparatevi

“FRIDAY I’M IN LOVE”dei CURE (F-A-N-T-A-S-T-I-C-A!!)

Come sempre, grazie a chiunque leggerà la storia e vorrà recensirla.

Alla prossima,

See ya!!

CAPITOLO 9

SEMPRE AVANTI, SENZA VOLTARTI MAI

Che cosa devo fare?

Questo si chiedeva Judy, seduta sul divano del suo nuovo appartamento.

Da un anno e mezzo circa, grazie ai suoi sudati risparmi, a papà e mamma che le avevano dato una grossa mano, e a Nick che un giorno le aveva consegnato una busta piena zeppa di bigliettoni in taglio da cento (alla domanda su dove provenissero, aveva risposto con un laconico “Vuoi una casa più grande, no? E allora consideralo un prestito senza limiti di scadenza, carotina.”), era riuscita finalmente a lasciare l’angusto monolocale con vicini rumorosi ed impiccioni annessi, per trasferirsi in un’abitazione degna di questo nome.

Non c’era verso di prendere sonno, quella notte. Judy pensava e ripensava all’offerta ricevuta dal dipartimento di Wyndham City.
Inizialmente, la tentazione era stata di accettare subito. Si trattava di un’occasione unica, di quelle che capitano una volta nella vita. Ma ora, scemato l’entusiasmo iniziale, cercava di riflettere a mente fredda, valutando i pro e contro della situazione.

Ripensò a tutti gli sforzi che aveva fatto per riuscire a farsi accettare in polizia.

Tornò con la mente agli inizi, quando da piccola annunciò ai suoi genitori cosa avrebbe fatto da grande. Lì per lì, papà e mamma si fecero in cuor loro una bella risata, convinti si trattasse di una tipica fantasia infantile. Per poi iniziare a preoccuparsi quando si resero conto che gli anni passavano e alla loro piccola coniglietta non passava neanche per la testa di cambiare idea.

Poi, la gioia indescrivibile quando seppe che il bando di reclutamento nelle forze di polizia era stato esteso anche ai mammiferi di piccole dimensioni come lei. Apparentemente, un grande passo verso le pari opportunità per tutti. Con il senno di poi, un’astuta manovra politica da parte di Lionheart per accaparrarsi voti e consensi presso la popolazione dei conigli: una comunità cospicua e sempre in costante aumento, al punto che il caro sindaco non poteva più permettersi il lusso di ignorarla.

In ogni caso, la sua grande occasione era arrivata, e lei era decisa a sfruttarla fino in fondo. Si iscrisse all’accademia, la prima in assoluto appartenente alla sua specie.

Dopo un inizio non proprio esaltante, cominciò a sottoporsi ad una serie di estenuanti allenamenti, fortificando il proprio fisico sino allo spasimo. Alla fine, superò brillantemente le selezioni, risultando la prima allieva del suo corso.

Ricordò l’orgoglio di quel giorno, durante la premiazione, avvenuta alla presenza del sindaco in persona e della sua vice Bellwether (allora sembrava così a modo...aveva veramente ingannato tutti, con quell’aria così dolce e mansueta). La commozione dei suoi genitori, l’allegria incontenibile dei suoi innumerevoli fratellini e sorelline. Il primo mattone per la strada verso il suo sogno era stato posato.

Ma una volta giunta a Zootropolis, dovette cominciare a fare i conti con la dura realtà. Scoprì a sue spese che un decreto legge non era sufficiente a cambiare la testa degli individui, ed il loro modo di pensare.

Quando mise piede al distretto comprese di essere stata mandata letteralmente allo sbaraglio, buone intenzioni a parte. Si ritrovò alle prese con un un comandante ottuso e pieno di pregiudizi, e con l’incredulità mista a scetticismo dei colleghi: tutti loro erano convinti che non avrebbe resistito un solo giorno.

Voleva affrontare i criminali e si ritrovò a riscuotere le multe per divieto di sosta. E a fare da valvola di sfogo per cittadini stressati e frustrati.

A quel punto, Judy fece l’unica cosa che poteva fare,e che aveva sempre fatto nella sua vita: si rimboccò le maniche, partendo dalla sua modesta mansione e confidando che la sua opportunità sarebbe arrivata, prima o dopo.

E poi un giorno, per puro caso, conobbe Nick.

Quanto l’aveva detestato, all’inizio. Per il modo meschino in cui aveva approfittato della sua buona fede. Era cinico, arrogante, strafottente. Con il suo atteggiamento, era come se le dicesse: “Sei soltanto una sciocca coniglietta ingenua, e finché rimarrai tale, tutti si faranno beffe di te.”

A conti fatti, era l’opinione che tutti quanti avevano nei suoi confronti. Ma Nick era il primo ad averle sbattuto letteralmente sul muso ciò che pensava di lei.

Giurò di fargliela pagare.

E finalmente, l’occasione tanto attesa arrivò, in entrambi i casi.

Il capitano Bogo, costretto da una serie di circostanze, gli concesse quarantotto ore per scoprire qualcosa sul signor Otterton, uno dei quattordici mammiferi scomparsi: pena, le dimissioni immediate. Ed il tono era pure quello di chi si aspetta un GRAZIE.

Judy cominciò ad indagare, e convinta che Nick fosse in qualche modo coinvolto, lo ricattò con un astuto stratagemma ottenendo, seppur controvoglia, il suo aiuto.

Poi, avvenne l’incredibile: i due, nonostante tutto, superarono le loro reciproche diffidenze ed iniziarono a collaborare, tirandosi fuori dai guai a vicenda ed aiutandosi l’un l’altro per risolvere il caso.

Ma soprattutto, iniziarono a comprendersi e a capirsi.

Tra loro nacque una profonda amicizia, basata sulla fiducia e sulla stima reciproca.

Scoprirono di essere molto più simili di quanto pensassero: soprattutto, ad accomunarli entrambi vi era un episodio doloroso risalente all’infanzia.

Ma mentre Judy era riuscita a lasciarsi il passato alle spalle, grazie alla sua grinta e alla voglia di emergere, lo stesso non si poteva dire di Nick, purtroppo.

Judy se ne accorgeva di questo, quando erano insieme.

Talvolta Nick pareva assentarsi, immerso in chissà quali pensieri: il suo sguardo, per qualche istante, vagava nel vuoto, e la sua espressione diventava così triste…

Era come se nel suo cuore ci fossero delle ferite mai rimarginate, che riprendevano a sanguinare all’improvviso, facendogli male, molto male…

In quei momenti, soltanto la sua presenza sembrava rasserenarlo un poco, alleviando il suo dolore (“Carotina, sei il mio cicatrizzante per l’anima.” avrebbe detto quello sciocco).

Ci hai pensato? Nick ha solo te. Tu sei la sua unica amica, l’unica di cui si fida.

Vuoi veramente abbandonarlo?

Sarebbe stato bello se avessero deciso di trasferire Nick a Wyndham City insieme a lei. Ma ciò non rientrava nei piani, a quanto pare.

Se così non fosse, Nick glielo avrebbe già detto. Oppure lo avrebbe saputo per vie traverse. Al dipartimento, le notizie corrono veloci.

Chissà, forse era dovuto al fatto che Nick era in polizia da meno tempo di lei. O magari per i suoi trascorsi poco puliti.

O forse era per l’attitudine di Nick nei confronti del suo lavoro.

A volte dava l’impressione che per lui fare il poliziotto fosse una sorta di gioco, di passatempo: che avesse scelto questo mestiere perché non avesse niente di meglio da fare.

Eppure il talento ce l’aveva, eccome: lo dimostrava il fatto che riuscisse a tenere il suo passo, nonostante lo scarso impegno.

E non solo: Nick proveniva dal sottobosco criminale di Zootropolis. Ma questo, anziché costituire un limite, nel suo caso diventava un valore aggiunto: talvolta non pensava né agiva come un normale agente, e questo suo essere fuori dagli schemi lo portava spesso più lontano di tutti i suoi colleghi.

Ma a Nick sembrava non importare nulla di ciò.

Il più delle volte, quando risolvevano un caso, rimaneva addirittura in disparte, lasciando che Judy si prendesse tutto il merito.

Impegnarsi di più: quante volte glielo aveva detto?

Ed ogni volta la risposta era sempre la stessa.

“Chi, io? Con IL MIGLIOR AGENTE DI POLIZIA DI TUTTA ZOOTROPOLIS come partner? Naah, carotina. Posso essere al massimo un buon secondo, e nulla più.” rispondeva sarcastico.

“Non é vero, Nick: e lo sai bene. Potresti diventare migliore di me, se soltanto ti decidessi a fare sul serio.”

Lui ed il suo stramaledetto vizio di prendere tutto alla leggera. Sarebbe stato la sua rovina prima o poi, ne era più che certa.

Nick era un tipo dalle infinite risorse, ma non si decideva mai ad usarle appieno. Era come se ci fosse sempre qualcosa a trattenerlo.

Forse era la paura di esporsi troppo di fronte agli altri. Si era creato una corazza per proteggersi dal giudizio del mondo, ma questo meccanismo di difesa gli si stava cominciando a ritorcere contro, senza che lui neanche se ne accorgesse.

Così avrebbe finito per far scivolare via la sua intera vita senza dare mai l’opportunità alla gente di vederlo per ciò che valeva realmente.

Lei era l’unica a cui venisse riservato questo privilegio, a quanto pare.

Un gran peccato. Se solo…

Basta, Judy. Stai complicando inutilmente le cose. Eppure é così semplice.

E’ di Nick o del tuo futuro che stiamo parlando? Devi prendere una decisione.

In realtà, la tua scelta l’hai già fatta.

Nel momento in cui hai letto il contenuto di quella busta.

Perché é così che hai sempre vissuto.

E’ così che hai realizzato il tuo sogno, diventando ciò che sei ora.

Hai scelto la tua strada da tempo, e l’hai sempre percorsa a testa alta, senza mai dubbi o ripensamenti.

Basterà fare come hai sempre fatto.

E’ solo un altro passo, Judy. Un altro miglio in più.

Vai sempre avanti per la tua strada.

Sempre avanti, senza voltarti MAI.

Non poteva aspettare.

Prese lo smartphone, cercò il numero tra i preferiti e chiamò, nonostante l’ora tarda.

Dopo alcuni istanti, udì un verso dall’ altro capo della linea, uno sbadiglio.

“Yaaawn...p-pronto, chi rompe?” Rispose una voce che risaliva a fatica dagli abissi del sonno.

“Nick, sono io.”

“C-CAROTINA!! S-SEI TU?! Scu...scusami, é che ho risposto senza guardare e…”

“No:scusami tu, piuttosto. So che é notte fonda, ma…”

“Che succede, carotina?” chiese Nick, allarmato. “Non...non ti senti bene,per caso?”

“No, no: sto bene, non preoccuparti. Volevo solo dirti che ci ho riflettuto sopra e...ho deciso di accettare.”

Salve a tutti, rieccomi qua!!

A quanto pare, la frittata e’ fatta, ormai…

Questo capitolo é un po' più corto ed introspettivo. Del resto, mi sembrava corretto esporre gli stati d’animo di Judy di fronte ad una scelta così importante. Mi auguro che non sia noioso.

Spero di riuscire a pubblicare ancora un paio di capitoli prima della meritata pausa estiva: come sempre, l’ ultimo mese di lavoro é anche il più incasinato, quindi non vi prometto nulla ragazzi, incrociamo le dita!!

Volevo fare una precisazione riguardo al capitolo precedente: ho fatto una piccola sostituzione

dopo essermi accorto di avere messo due volte la parola GIGANTESCA in quattro righe.

Lo so, sono un maniaco perfezionista, e grave per giunta.

Quindi, al posto di GIGANTESCA METROPOLI, ora c’é IMMENSA METROPOLI (ok, niente di trascendentale, ve l’avevo detto).

Ringrazio Newdark per la dritta sullo spazietto dopo la punteggiatura (avevi ragione, così é moooolto meglio!!), e tutti quelli che mi hanno recensito finora (in particolare DeniseCecilia, Freez shad e Hera85)

Come sempre, un grazie a chiunque leggerà la storia e vorrà dare il suo parere.

Alla prossima,

See ya!!

CAPITOLO 10

RENDIMI FIERO DI TE (PRIMA PARTE)

Judy si trovava di fronte all’ingresso del dipartimento.

Era il suo ultimo giorno di lavoro: l’indomani, nel pomeriggio, avrebbe preso il treno per Wyndham, dove avrebbe iniziato la sua nuova attività di detective.

Quella mattina era dovuta venire da sola: Nick era praticamente irreperibile, nonostante stesse cercando di contattarlo da più di un’ora.

Ci siamo, Judy. Chissà se i ragazzi ti avranno preparato qualche sorpresa, pensò.

Si fece coraggio ed entrò nella hall.

La scena che gli si presentò davanti era quella consueta di ogni giorno: il solito viavai di civili ed agenti indaffarati nelle proprie mansioni.

Judy puntò decisa verso la reception e…

Vuota. Sembrava che Clawhauser si fosse volatilizzato, insieme alle sue ciambelle.

Judy proseguì per la sala riunioni. Dopo averla raggiunta, si fermò un istante sulla soglia.

Ma certo. Avranno senz’altro organizzato qualcosa qui dentro, pensò, mentre apriva la porta. Probabilmente é stato Nick ad architettare tutto quanto, senza dirmi niente. Ecco perché stamattina non si é fatto trovare.

Ma anche lì, tutto nella norma.

Johnson e Snarlov stavano gareggiando a braccio di ferro.

Delgato ed Andersen, alle loro spalle, li incitavano.

Grizzoli e Wolfard erano seduti e parlottavano tra loro. McHorn e Rhinowitz facevano altrettanto.

Trunkaby sonnecchiava, stravaccato su di una seggiola.

Nessuno sembrò fare caso a lei. Sembrava di essere tornati indietro nel tempo, mediante qualche misterioso sortilegio: al suo primo giorno come recluta.

E quel che era peggio, nessuna traccia di Nick.

Judy si sistemò al suo posto, sospirando.

Che cosa ti eri messa in testa? Sei soltanto uno dei tanti agenti passati per questo distretto. Gli agenti vanno e vengono, dopotutto. Inutile illudersi che per te sarebbe stato diverso.

“Sull’ATT-TEN-TI!!” urlò Higgins. “Sta entrando il capitano!”

Bogo fece il suo ingresso: la sua espressione era severa, come sempre. Prese posto alla scrivania.

“Silenzio!! Ve lo devo ripetere tutte le volte?”

Detto questo, mise gli occhiali da lettura e diede una rapida occhiata al dispaccio che aveva con sé.

“Allora, il primo punto all’ordine del giorno é...bah, non me ne importa nulla.”

Appallottolò il foglio e lo gettò nel cestino all’angolo. Centro perfetto, da tre punti.

“Perché per prima cosa dobbiamo festeggiare: congratulazioni, DETECTIVE HOPPS!”

“SORPRESAAAA!!” Gridarono tutti in coro voltandosi verso Judy, che nel frattempo era rimasta sbalordita.

“Ma...ma...” balbettò.

Scoppiò un fragoroso applauso, accompagnato dagli ululati di Grizzoli e Wolfard in perfetta sincronia.

La porta della sala riunioni si spalancò di colpo.

“Ragazzi, si può?”

Entrò Clawhauser: stava conducendo un carrello sulla cui sommità vi era una grossa torta con il simbolo del dipartimento, adornata da due vassoi ricolmi di pasticcini. Nella parte inferiore alcune bottiglie di champagne erano tenute in fresco nel ghiaccio, dentro un apposito secchio.

Si alzarono tutti in piedi.

La prima a muoversi fu Francine. Andò incontro a Judy e l’abbracciò, sollevandola come un fuscello. Era visibilmente commossa.

“Sniff...sai, Judy: non sono poi molte le femmine che lavorano in polizia...” disse con un filo di voce. “...per me é come vedere andar via la mia sorellina più piccola...” e la strinse a sé ancora più forte.

Judy sentì le sue costole scricchiolare.

“Hhhhh...ti prego, Francine...non...non fare così...” disse mentre diventava paonazza in volto.

“Ah, ah, ah!! E dai, Fran: lasciala, non vedi che la stai stritolando?”

Fangmeyer diede una pacca sulla spalla dell’elefantessa, che finalmente mollò la presa.

Judy si aggrappò ad una sedia.

ARIA, pensò, mentre riprendeva gradualmente colore.

Grizzoli le diede una vigorosa stretta di zampa.

“Mi raccomando, Hopps: fa vedere a quegli smidollati di Wyndham City come lavora un vero agente di polizia!!”

“Ehi,” intervenne Wolfard. “Non ti permetto di sminuire in questo modo l’onesto operato di quel BRANCO DI VOLENTEROSI DILETTANTI!”

“Buona questa!! Dammi il la, bello!!”

“Con piacere!! OOOOUUUUHHHH!!”

“OOOOOUUUUUHHHHHHOOOOOUUUUUUHHHHHH!!!!”

I soliti lupi: ci provavano gusto. Quando iniziavano ad ululare, non la finivano più.

McHorn e Rhinowitz issarono Judy sulle proprie spalle.

“Per la detective Hopps, tre HURRA!!”

“HIP, HIP, HURRA!! HIP, HIP, HURRA!! HIP, HIP, HURRA!!” Urlarono tutti in coro.

“Ok, basta così.” disse Bogo.

A quell’ordine, i due rinoceronti la posarono delicatamente a terra.

Il capitano si avvicinò a Judy.

“Hopps...”

“Signore...”

“Sai, pensavo di averti inquadrata alla perfezione, durante la tua prima settimana qui al distretto. Ti ritenevo una piantagrane ed una che non sa stare al suo posto. E difficilmente sbaglio la prima impressione. Non vedevo l’ ora di avere un pretesto per poterti sbattere fuori.”

Judy lo ascoltava attentamente, in silenzio.

“Ed infatti non mi sono sbagliato. E’ passato del tempo, ma resti sempre una piantagrane ed una che non sa stare al suo posto.”

“C-come, signore?”

“Ma ora, grazie al cielo, levi finalmente le tende.”

Judy rimase interdetta.

“Al diavolo, Hopps! STAVO SCHERZANDO!! Non ci avrai creduto davvero, mi auguro! E comunque, é proprio grazie al tuo non stare al proprio posto che sei riuscita a dimostrare a tutti quanti ciò che vali.”

Judy tirò un sospiro di sollievo.

Intanto, Higgins stava provvedendo al taglio della torta, mentre Anderson e Trunkaby stappavano un paio di bottiglie.

“Voglio fare un brindisi” proclamò Bogo, “all’agente Hopps, per questi anni di onorato servizio e per la nuova carriera che si accinge ad intraprendere , con l’augurio che possa metterci lo stesso impegno profuso qui da noi, cosa di cui sono più che certo.”

Alzarono tutti quanti i bicchieri.

“Ascoltami, Hopps:” disse poi porgendo la mano a Judy. “ti é capitata una grande opportunità, e ritengo che tu la meriti più di chiunque altro. Sfruttala al massimo, come hai sempre fatto con tutte le altre che hai avuto nel corso della tua vita, intesi?”

Judy ricambiò con una stretta decisa.

“Lo farò, capitano.”

Bogo portò la mano destra sulla fronte in segno di saluto.

“Congratulazioni.”

Judy ed i suoi colleghi fecero altrettanto.

Ci fu un lungo tintinnare di bicchieri.

“Piano, con quello champagne:” li ammonì Bogo. “ricordatevi che ci aspetta una lunga giornata.”

Si avvicinò poi a Benjamin, che nel frattempo era intento ad ingozzarsi con ciò che restava della torta.

“Pssst. Clawhauser, il regalo!”

“...Eh?”

“IL REGALO, CLAWHAUSER!! SVEGLIA!!” Gli urlò.

Benjamin si precipitò verso la festeggiata con un pacchetto in mano.

“Questo é un regalo per te, Judy. Da parte di noi tutti.” gli disse, mentre glielo consegnava.

Judy scartò il pacchetto e lo aprì.

Dentro vi era una penna registratore a forma di carota, placcata in oro.

“Ma...é bellissima...” esclamò Judy.

“Sai, abbiamo pensato che sarà più adatta al tuo nuovo incarico, rispetto a quella che usi di solito. E comunque, non é tutto: prova a premere il pulsante e ascolta!” La esortò Benjamin.

Judy schiacciò il pulsante PLAY e partirono una serie di voci registrate.

“Auguri per il nuovo lavoro!!”

“Buona fortuna, Hopps!!”

“Auguri, Judy!!”

“Visto?” Aggiunse Benjamin. “Abbiamo registrato le voci di ciascuno di noi!”

Judy ascoltava senza dire una parola.

“Congratulazioni, detective Hopps.”

“In bocca al lupo!!”

Wolfard tirò uno scappellotto a Grizzoli.

“Pezzo di cretino!! Ma come si fa a dire IN BOCCA AL LUPO ad un coniglio?!”

Cominciarono a ringhiare e ad azzuffarsi. Bogo li acciuffò entrambi per la collottola.

“Ehi, EHI!! Se dovete rotolarvi per terra, fatelo fuori di qui e non durante l’orario di lavoro, CHIARO?!”

“S.si, capitano.” risposero i due, atterriti.

Intanto, il microregistratore continuava a trasmettere.

“Buona fortuna, Judy!!”

“Fagli vedere chi sei!!”

“Mi raccomando Hopps, fatti valere!!”

“Non mostrare mai i tuoi punti deboli.”

La voce di Nick.

E lui non c’era.

Gli occhi di Judy si inumidirono.

“G-grazie r-ragazzi, davvero...n-non so che dire...grazie a tutti, di cuore...” disse, con la voce rotta.

“Eh, no!” Intervenne Bogo. “Non te lo permetto, Hopps! Altrimenti, finirò per credere ad un tale di mia conoscenza che sostiene che voi conigli siete tutti emotivi!”

Partì nuovamente un applauso generale.

“S-si, mi scusi, capitano.” disse Judy riprendendo il controllo.

Si voltò poi verso Clawhauser.

“Scusa, Ben: hai per caso notizie di Nick? E’ tutta la mattina che lo cerco!”

“Nick? Ha telefonato stamane.” rispose quest’ultimo. “Ha detto di essere malato.”

“C-come?” esclamò Judy, sorpresa.

Perché non mi ha detto niente?

Salve a tutti!!

Mi ero ripromesso di non dividere più i capitoli, ma per la serie “viva la coerenza”…

Scherzi a parte, ho preferito dividerlo in due parti perché altrimenti sarebbe risultato un po' troppo lungo, e poi per quelle che io chiamo “esigenze narrative” (capirete meglio con la seconda ed ultima parte).

Un piccolo appunto: nel capitolo precedente ho effettuato una piccola correzione.

Al posto di SCOPRIRONO DI AVERE MOLTE PIU’ COSE IN COMUNE ho messo SCOPRIRONO DI ESSERE MOLTO PIU’ SIMILI e, al posto di INOLTRE ho messo SOPRATTUTTO (grammaticalmente parlando mi piace di più, e poi c’era la fastidiosa ripetizione COMUNE-ACCOMUNARLI in poche righe…).

Come al solito, niente di trascendentale, sono io che sto male (e di brutto, ormai).

Come sempre, un grazie a chi leggerà e a chi vorrà mettere una recensione.

Alla prossima (tra non molto),

See ya!!

CAPITOLO 11

RENDIMI FIERO DI TE (SECONDA PARTE)

“A tutti i passeggeri: il treno per Wyndham City é in partenza tra venti minuti sul binario sedici. Ripeto: il treno per Wyndham City é in partenza tra venti minuti sul binario sedici.”

Judy era di fronte al convoglio, insieme ai suoi genitori e ad una ventina tra i suoi fratelli e sorelle. Stu e Bonnie se li erano portati dietro con la scusa di vedere la grande metropoli.

Erano venuti con il furgoncino di famiglia: dopo aver dato una mano a Judy con i bagagli, l’avevano accompagnata tutti insieme alla stazione di Savana Central.

I coniglietti più piccoli erano scatenati: Jonathan e Susan, i due più grandi, avevano il loro bel da fare per tenerli a bada.

“Allora,” inizio Stu. “questa scena mi sembra di averla già vista!”

“Hai ragione, papà.” aggiunse Judy. “Ma stavolta non credo ci sia bisogno di preoccuparsi, vero?”

“Credo di no, tesoro.” intervenne Bonnie. “E’ passato tanto tempo e molte cose sono cambiate da allora, per fortuna. Non é forse vero, Stu?”

“Certo! Ovviamente, se sorvoliamo sul fatto che ti stai per trasferire ancora più lontano...mi domando quando riusciremo a rivederci...”

“Te l’ho gia detto, papà: al primo fine settimana libero sarò da voi, non preoccuparti.”

“Per favore, Stu.” incalzò Bonnie. “Ne abbiamo già parlato: vediamo di non ripetere il copione dell’altra volta, per favore.”

“Ok, cara: mi sa che hai ragione tu.” ammise.

“Dai, su: non mettetevi a discutere proprio adesso.” disse Judy, abbracciandoli. “Vi chiamo non appena arrivo, ok?”

“Va bene, tesoro. Mi raccomando.” rispose Bonnie.

“Siamo orgogliosi di te, figlia mia.” aggiunse Stu.

“Grazie papà, grazie mamma. Vi voglio bene.”

Judy andò a salutare i due fratelli più grandi.

“Johnny, Sue…tanti auguri per il college.”

“In gamba, sorellona.”

“Grazie, Judy. Stammi bene.”

Gli altri fratellini gli si fecero intorno, festanti. Judy li salutò tutti come meglio poteva: una carezza sulla guancia ad uno, una carezza sulla testa ad un altro, ad un altro ancora un bacio sulla fronte…

“Attenzione: treno per Wyndham City in partenza tra cinque minuti.” Fece l’altoparlante.

“Mamma, papà...non é che avete sentito Nick, per caso?” chiese Judy.

“Nicholas? No, tesoro.” rispose Bonnie.

“Non era al distretto insieme ai tuoi colleghi, ieri mattina?” Domandò Stu.

“No...mi hanno detto che era malato.”

Per un solo attimo, Judy aveva persino ipotizzato che Nick si fosse messo d’accordo in gran segreto con i suoi genitori per farle una sorpresa.

Ma anche quest’ultima speranza si era rivelata effimera.

Nick non era neanche lì in stazione.

Judy riabbracciò un’ultima volta i suoi genitori.

“Ciao. Vi chiamo non appena arrivo.”

Poi salì sul treno, rimanendo vicino alle porte fino a che non si chiusero.

Non appena il treno partì, Judy raggiunse il suo posto, di fianco al finestrino,e si sedette. Notò che il sedile di fianco al suo era stranamente vuoto, l’unico di tutto lo scompartimento.

Beh, se non altro starò comoda. Pensò.

Il treno era appena uscito dalla stazione.

Judy stava guardando il panorama che scorreva veloce accanto a lei, sospirando.

Non era riuscita a salutare Nick. Il suo partner. Il suo più caro amico.

Mille interrogativi si stavano affollando nella sua mente.

Perché si era comportato così? Era il suo modo per punirla della scelta di trasferirsi a Wyndham City? Lo aveva dunque ferito a tal punto?

Nick, eri tu quello a cui tenevo, più di chiunque altro. E tu non c’eri. Né ieri al dipartimento, né prima in stazione. Perché l’hai fatto? Non mi vuoi più vedere, forse?

E’ così, Nick?

Poi, un sussurro all’orecchio sinistro.

“Ciao, carotina.”

Judy si voltò di scatto, sobbalzando dal sedile.

“N-NICK?!”

Nick era seduto al suo fianco, sorridente.

“Ti ho spaventata?”

“M-ma come...” chiese Judy, stupita.

“Credevo lo sapessi, ormai...noi volpi siamo dei ninja, quando vogliamo. Stavolta il tuo super-udito da coniglietta non ti é stato di nessun aiuto.”

“M-ma che ci fai qui?”

“Semplice: questo posto l’ho prenotato io. Ma non preoccuparti: non ho certo intenzione di seguirti fino a Wyndham. Ho deciso che ti farò compagnia fino ai confini di Zootropolis, se ti va.”

“Stai scherzando? Certo che mi va!” rispose Judy. “Mi spieghi solo il motivo di questa sceneggiata?”

“Volevo solo salutarti in maniera speciale, tutto qui.”

Judy si sentì sollevata.

“Sai, Nick...per un attimo, non vedendoti né al dipartimento né in stazione, senza contare che é da ieri mattina che non ti fai più vivo...insomma, pensavo che ce l’avessi con me. Per aver accettato il trasferimento.”

“Mi conosci. Detesto i commiati di gruppo. Ho preferito lasciare spazio agli altri. Volevo ritagliare un momento solo per noi due.”

Judy rimase un istante in silenzio, come a valutare attentamente le parole successive da dire.

“Voglio la verità, Nick. Sei contento o no che io vada a Wyndham? Sii sincero.”

“Non é la domanda giusta, questa.” rispose Nick. “Come ti ho già detto, é una decisione che riguarda la tua vita, ed io non posso interferire in alcun modo. Non devi rendere conto a nessuno delle tue scelte, tanto meno a me.”

“In ogni caso” proseguì, “sappi che non troverò mai più una partner come te. Questo é il mio unico rammarico, carotina.”

“Non dire così. Sei un ottimo agente, te la caverai alla grande anche senza di me. Ti affiancheranno qualcun’altro, magari una recluta. Forse una bella volpacchiotta: ho saputo che quest’anno ne sono uscite un paio fresche fresche dall’accademia.”

“Con una condotta come la mia, non penso di essere questo gran esempio da imitare, per un novizio. E poi, nessuno potrà mai essere alla tua altezza: sarebbe come passare dalla cucina francese alla tavola calda all’angolo, non trovi? E’ inutile, tu sei unica, chérie.”

“Ed allora cosa conti di fare?”

“Non so, forse chiederò di farmi assegnare a qualche incarico che possa svolgere da solo, senza scocciatori intorno. Magari potrei occuparmi della circolazione stradale, o fare il vigile di quartiere.”

“Starai scherzando, vero? Sarebbe un grosso spreco con le tue capacità, credimi.” lo ammonì Judy. “Se proprio ci tieni, potresti sempre fare L’AUSILIARE DEL TRAFFICO: Proverai l’ebbrezza di stare sulle scatole a mezza città nel giro di breve tempo. Conoscendoti, nel giro di due settimane ti ritroverai alle costole i cittadini di tutta Zootropolis armati di torce e forconi!”

“Beh, almeno creerei un bel po' di trambusto, non ti pare? E comunque, io starei attenta, se fossi nei tuoi panni. Senza il buon vecchio Nick a farti da guardia, finirai accalappiata da qualche coniglio di città, magari con un ottimo stipendio, così non avrai neanche bisogno di continuare a lavorare, ed in men che non si dica ti ritroverai a fare la regina della casa tra pentole e fornelli...e a badare ad una bella nidiata di coniglietti...”

“Scordatelo!” lo ammonì Judy. “A me interessa solo fare bene il mio lavoro, e lo sai.”

“Lo so carotina, lo so: rendere questo mondo un posto migliore.”

Si misero entrambi a ridere di quelle stupidaggini.

Fu Judy a riprendere la parola.

“Sai, Nick: mi sto lasciando tutto alle spalle per imbarcarmi in questa nuova impresa...ti confesso che ho paura.”

“E’ tipico di te: non ti sei mai tirata indietro di fronte alla sfide. Ti lanci a testa bassa contro gli ostacoli, e solo dopo cominci a riflettere sulle conseguenze. Fa parte della tua natura. Ed é ciò che mi é sempre piaciuto di te, anche se ci ha sempre creato tanti problemi.”

“Comunque” continuò, “una dritta te la posso dare: sii sempre te stessa, solo così potrai sempre riuscire a guardare negli occhi chiunque ti stia davanti. Intesi, carotina?”

“Lo farò, Nick. Contaci.”

“Attenzione: ultima fermata per Zootropolis. Ripeto: ultima fermata per Zootropolis.”

“Beh, sembra sia arrivato il momento di salutarci.” disse Nick.

“Già...” aggiunse Judy, con una punta di rammarico.

Si alzarono entrambi e scesero dal treno.

“Sai, carotina: non c’é molto da dire, in questi casi. O meglio, niente che non ti abbia già detto chiunque altro, ma...abbi cura di te, mi raccomando.”

“Anche tu, Nick. Ci sentiamo non appena arrivo.”

“Ci conto. E comunque, se dovessi mai avere un problema, QUALUNQUE PROBLEMA, non esitare a chiamarmi: correrò anche in capo al mondo, per te.”

“Lo so. Tranquillo, vedrai che andrà tutto bene.”

I loro sguardi si incrociarono per un istante. Le settimane, i mesi, tutto il tempo trascorso insieme passò attraverso i loro occhi. Avrebbero voluto, o dovuto dirsi chissà quante parole: invece, rimasero a guardarsi in silenzio. Un silenzio che valeva più di qualunque inutile discorso.

Poi, spinti da una forza irresistibile, si ritrovarono l’una tra le braccia dell’altro.

“Mi mancherai, carotina.”

“Anche tu, Nick. Tanto.”

Rimasero uniti ancora per qualche istante. Istanti paragonabili ad un’eternità intera.

Judy alzò lo sguardo verso Nick.

“Devo andare.”

Estrasse qualcosa dalla tasca dei jeans e gliela porse. Era il suo vecchio microregistratore a forma di carota.

“M-ma questo é...”

“Voglio che lo tenga tu.” disse Judy.

Nick lo prese. “Anch’io ho qualcosa per te.”

E le consegnò una busta.

“Riguarda il discorso che ti ho fatto prima: se dovessi dimenticare ciò che ti ho detto, leggi ciò che c’é scritto qui dentro, e vedrai che te lo ricorderai.”

Judy raggiunse la porta del treno. Gli occhi di Nick erano fissi su di lei.

Diglielo.

“JUDY!”

Judy si voltò di scatto, sorpresa.

DIGLIELO.

“Continua a rendermi fiero di te, come hai sempre fatto finora.” disse Nick, con un sorriso.

“Te lo prometto.” rispose Judy, sorridendo a sua volta.

Judy torno’ al proprio posto e guardo’ la busta.

Decise di aprirla.

Dentro c’era un bigliettino, insieme ad un altro biglietto più grande di cartoncino, entrambi ripiegati su sé stessi. Aprì quello più piccolo.

Solo quattro parole.

IO SONO JUDY HOPPS

Poi toccò a quello più grande.

SEI JUDY HOPPS.

MA PER ME SARAI SEMPRE LA CAROTINA DEL MIO CUORE.

CON AFFETTO,

IL TUO NICK

“Oh, Nick...”

Si coprì il volto con le mani, singhiozzando.

Alla fine ce l’hai fatta.

Lo sapevo che ci saresti riuscito.

Lo sapevo che saresti riuscito a farmi commuovere, razza di stupido.

Nick rimase a guardare il treno che si allontanava sino a quando non divenne una sagoma indistinta all’orizzonte.

Poi si mise una mano in tasca e si diresse verso il sottopassaggio che conduceva al treno in direzione Savana Central.

“Va bene così.” si disse, accennando un sorriso.

“Va bene così, Nick. E non sei affatto un idiota.”

Salve a tutti!!

Alla fine, é successo ciò che temevamo...anche se i più avevano già intuito che non sarebbe andata a finire bene…

E adesso é il mio turno di darvi una pessima notizia (no, tranquilli, niente di grave).

THE PROMISE YOU MADE si prende una pausa di tre settimane (il tempo di sistemare due cosucce e prendermi una meritata vacanza).

Però, siccome detesto lasciarvi con un finale (provvisorio,eh) così triste, ho pensato di prepararvi una sorpresa per la prossima settimana, giusto per augurare buone vacanze a tutti (state a vedere).

Colonna sonora: dal momento in cui Nick e Judy scendono dal treno in poi, pensavo di farvi mettere ACROSS THE 110 STREET di Bobby Womack (Viene usata da Tarantino all’inizio ed alla fine del film JACKIE BROWN).

Poi ho pensato che essendo un po' particolare potrebbe non piacere a tutti.

Ho preparato quindi QUATTRO alternative, in base a quanto volete commuovervi (il mio consiglio é di ascoltarle tutte, visto che sono stupende).

1) se volete un leggero magone, ascoltate EYE IN THE SKY degli Alan Parsons Project;

2) se cercate il groppo in gola, ascoltate GUARDIAN ANGEL dei Masquerade;

3) se volete far scendere le lacrime, ascoltate ONE YEAR OF LOVE dei Queen

(Vai, Freddie!!);

4) se invece volete il pianto a dirotto, ascoltate a vostro rischio e pericolo EYES ON ME di Faye Wong (usata in Final Fantasy VIII);

Ringrazio tutti quelli che mi hanno seguito e recensito finora (in particolare Yume Misora, Newdark, ma soprattutto i sempre presenti Freez shad e DeniseCecilia: GRAZIEGRAZIEGRAZIE!!) ma anche tutti quelli che hanno messo la mia storia tra le seguite e preferite, che mi dimentico sempre di menzionare (RI-GRAZIE A TUTTI!!)

Alla prossima,

See ya!!

CAPITOLO 12

LA LUNA, COME UNICA COMPAGNA

“Perché?! Perché sono stato così idiota?!”

Nick se lo stava ripetendo in continuazione, sulla via del ritorno.

Si trovava sul treno in direzione Savana Central: era passata poco più di mezz’ora da quando aveva salutato Judy.

Ed ora, man mano che sia avvicinava al capolinea, iniziava suo malgrado a rendersi conto di ciò che era realmente accaduto.

Perché non glielo hai detto?

Da attore consumato qual’era, aveva retto la parte fino all’ultimo, recitando alla perfezione. Non voleva che Judy si preoccupasse per lui o potesse rimanerci male: voleva che si salutassero con un sorriso e qualche allegro scambio di battute. E cosa c’era di meglio di trasformare tutto quanto in una classica scena d’addio degna di quei drammoni sentimentali in bianco e nero tanto cari ai bei tempi andati?

Come nel più classico e collaudato dei copioni: lei ritrova lui a sorpresa sul treno dopo che quest’ultimo si é fatto misteriosamente negare per tutto il giorno; i due percorrono insieme una parte di tragitto ridendo, scherzando e dicendo scemenze; lui e lei si abbracciano e rimangono avvinghiati sino ad un istante prima della partenza; un ultimo sguardo, fugace ma intenso, tra i due, condito da una frasuccia ad effetto da quattro soldi; lei, dopo essere ripartita, legge il biglietto di lui con le sue ultime parole di commiato e, molto probabilmente, si commuove; ed infine, lui rimane immobile a guardare il treno allontanarsi fino a scomparire all’orizzonte, per poi fare ritorno a casa sorridendo tra sé.

Dissolvenza in nero, titoli di coda, FINE.

Applausi del pubblico, si riaccendono le luci.

Ma adesso che Judy era partita, ed era rimasto di nuovo solo, la maschera che era solito indossare in occasioni come questa aveva iniziato a crollare miseramente, sotto gli spietati colpi dei rimorsi e dei rimpianti. E soprattutto, cominciava ad emergere la consapevolezza del danno fatto, in tutta la sua gravità.

Perché non glielo hai detto?

Maledì sé stesso. Per il suo vizio di mettersi sempre a fare il comico da strapazzo ogni volta che doveva affrontare un discorso serio. In situazioni simili gli si innescava il pilota automatico e partiva lo show. Era una sorta di riflesso condizionato, ormai. Dettato dall’abitudine ad occultare le proprie emozioni di fronte a chicchessia, sempre e comunque.

Perché non glielo hai detto?

Non aveva avuto il coraggio di dire a Judy la verità. Cosa pensava realmente.

L’aveva lasciata andare via.

E l’aveva perduta.

Perché non glielo hai detto?

Il treno, nel frattempo, era giunto alla stazione di Savana Central. Ma Nick non aveva la benché minima voglia di fare ritorno al suo appartamento. Non ora, perlomeno.

Prese quindi la metropolitana in direzione Sahara Square.

Il vagone era gremito: dovette rimanere in piedi fino a che non iniziò a svuotarsi, man mano che il convoglio si allontanava dal centro. A quel punto, rimediò il primo posto a sedere disponibile e lì rimase, sino al capolinea.

Uscì all’esterno ed un vento secco lo investì. Era già buio.

Si trovava alla periferia di nord-est del distretto, dove le case ed i quartieri cominciavano a lasciare spazio al tratto di deserto confinante con l’impervio territorio delle Canyonlands, con le sue gole ed i suoi crepacci. Si inoltrò in quella direzione.

La strada non era illuminata ma per una volpe come lui, dotato di un’eccellente vista notturna, la cosa non costituiva certo un problema. Inoltre in quella zona, e a quell’ora, il traffico era scarsissimo, per non dire inesistente.

Percorse circa un miglio, poi uscì dalla carreggiata, addentrandosi in pieno deserto. Dopo circa cinquecento metri, si fermò e si sedette su di una nuda roccia, appoggiando le braccia sulle ginocchia.

Era in mezzo al nulla.

Guardò la luna. Era gigantesca. Quasi si scorgevano per intero i suoi crateri.

Aveva intenzione di rimanere lì per tutto il tempo necessario a cercare una risposta alla domanda che continuava a girovagare senza pace nella sua mente.

Perché non glielo hai detto?

E non sarebbe tornato a casa finché non l’avesse trovata, quella risposta.

Nick lo aveva già capito da allora.

Gli era bastato guardarla negli occhi, quel pomeriggio al caffè, quando gli aveva comunicato la notizia del trasferimento a Wyndham City, per comprendere le sue reali intenzioni.

In quel momento gli occhi di Judy avevano tradito euforia ed eccitazione, per la nuova sfida che si profilava all’orizzonte. La nuova sfida che era chiamata ad affrontare, e da cui non si sarebbe mai tirata indietro, per nessun motivo.

Del resto, Nick la conosceva fin troppo bene.

Judy non lo faceva certo per un aumento di stipendio. O per ambizione. O per carriera. Per lei, questo nuovo incarico altro non era che un modo, un fine per poter svolgere ancora meglio il proprio lavoro. La propria missione.

Cambiare il mondo e renderlo un posto migliore.

Era quello il suo unico scopo. La sua fissa, da sempre.

Tutto ciò costituiva la vera natura di Judy, e lui non avrebbe potuto fare nulla per fermarla.

Non possiamo andare contro la nostra vera natura, la parte più intima ed autentica di noi.

Possiamo cercare di adattarla, forzandone i meccanismi. E ci sembrerà di riuscire ad assecondarla al nostro volere. Ma é solo ciò che essa ci fa credere. Alla prima occasione, abbatterà completamente gli argini che le abbiamo eretto intorno, tornando a reclamare il suo spazio. E noi tutti, nel profondo, siamo consapevoli che ciò accadrà, prima o poi, anche se facciamo finta di nulla. E LEI LO SA.

Solo che...Nick aveva giurato di aiutarla, quella notte. Di proteggerla ad ogni costo.

Avrebbe voluto dirgli di non andarsene, di rimanere sempre al suo fianco: perché solo restando insieme, nel lavoro e nella vita, Judy avrebbe potuto rimanere al sicuro.

Se si fossero separati, le sarebbe senz’altro accaduto qualcosa di brutto, ne era certo.

Avrebbe voluto parlargli del terribile presentimento che covava dentro di sé.

Settanta miglia sono già un’enormità di per sé. Uniti alla routine quotidiana e alle incombenze di ogni giorno, diventavano come la distanza tra la terra su cui era seduto e la luna sopra la sua testa.

Come avrebbe fatto a mantenere il giuramento, ora?

Come avrebbe potuto proteggerla, ora? In che modo?

Smettila con le stupidaggini, Nick. Almeno questa volta.

Un fulmine a ciel sereno.

Una voce improvvisa, spiazzante, proveniente da qualche angolo remoto dentro di lui.

Quella di proteggerla é sempre stata una scusa, vero? Il comodo pretesto per giustificarti. Per giustificare a te stesso ciò che provi veramente per lei.

Abbi il coraggio finalmente di guardare in faccia la realtà. La realtà che fino ad ora ti sei ostinato a voler negare con tutte le tue forze.

Te lo ricordi, quella notte? Dicesti che per te l’amore non poteva essere altro che una parola priva di significato. Non é vero. Lo sai bene cosa vuol dire, quella parola. E lo hai scoperto proprio grazie a Judy, per la prima volta nella tua vita.

TU LA AMI, VERO?

PERCHE’ NON GLIELO HAI DETTO?

Ma certo: confessarle il suo amore. La genialata del secolo.

Cosa accidenti avrebbe dovuto fare? Prenderla per le mani e dirle: “Judy, ti prego, non andartene. Voglio che tu rimanga perché...la verità é che questa VOLPE si é innamorata di te. QUESTA VOLPE TI AMA”?

Come può una volpe come lui dire una cosa simile ad una coniglietta?

Le reazioni avrebbero potuto essere inimmaginabili.

Gli avrebbe riso in faccia, come minimo. O peggio ancora, sarebbe rimasta talmente sconvolta al punto di fuggire a zampe levate. O da intimargli di andarsene e di non farsi vedere mai più.

No, no, questo mai. Era ingiusto anche il solo pensarlo. Judy non lo avrebbe mai potuto ferire in questo modo.

Semplicemente, di fronte a quelle parole, sarebbe rimasta chiusa in un imbarazzato silenzio per qualche istante; magari persino arrossita, sotto il suo manto bianco e grigio. Nel frattempo, la sua testolina avrebbe già cominciato ad elaborare un apposito discorso per controbattere in maniera convincente quella dichiarazione.

Avrebbe senz’altro risposto: “Nick, sono felice che tu abbia voluto rivelarmi ciò che provi veramente nei miei confronti, credimi. Ma guardiamo in faccia la realtà: apparteniamo a due specie diverse e per giunta, tu sei un predatore, ed io una preda. Siamo come il giorno e la notte, Nick. Credi davvero che potrebbe mai funzionare, tra noi due? Possiamo essere solo amici, niente di più.”

Ma anche così, metterla al corrente dei suoi veri sentimenti avrebbe cambiato comunque tutto, da quel momento in poi. Avrebbe rotto gli equilibri. Non avrebbero più potuto continuare a vedersi con gli stessi occhi di prima. Ed anche lo splendido rapporto che avevano costruito finora avrebbe finito con il deteriorarsi.

Nick doveva tutto, a Judy. Era stata l’unica a credere in lui, e ad offrirgli una seconda opportunità, un’occasione di riscatto. E teneva a lei più di qualunque altra cosa al mondo. Non poteva costringerla ad una simile scelta. Né voleva correre il rischio di dover rinunciare per sempre al suo affetto.

Si sarebbe accontentato di starle accanto come collega in polizia, come amico; come un...un fratello, persino. Era comunque meglio di niente, giunti a quel punto.

Ma ormai, anche quell’opportunità gli era stata preclusa. E quel che era peggio, adesso che Judy se n’era andata, si era reso conto di amarla e di non poter più fare a meno di lei.

Se solo Judy mi avesse mai fatto intendere qualcosa, a riguardo. Forse…

Si ricordò del registratore. Che stupido. Perché non ci aveva pensato, prima?

Lo estrasse dalla tasca e lo guardò.

Vi era memorizzato un messaggio.

Esitò per un istante, temendo ciò che avrebbe potuto sentire. Poi premette il pulsante.

CLICK.

“Nick, é stato un onore lavorare con te. Sei il miglior amico che potessi mai sperare di incontrare. Ti voglio bene.”

CLICK.

Come immaginava.

Un amico. Questo era, e nient’altro.

Si può decidere di accantonare i propri sogni per chi si ama, forse. Ma mai per un amico, per quanto caro possa essere.

Certi amori nascono per non venire corrisposti, purtroppo. Ma se le cose stanno davvero così, non si dovrebbe provare il sentimento in maniera così forte...e soffrire così tanto...é ingiusto.

Ripensò istintivamente a tutti i momenti felici trascorsi insieme a lei: le immagini gli scorrevano a ripetizione nella mente.

“Judy...” mormorò tra sé.

Poi, all’improvviso, qualcosa dentro di lui si ruppe definitivamente e Nick scoppiò in un pianto a dirotto.

Come QUELLA VOLTA, da cucciolo.

Passarono i minuti, e le mezz’ore. Piangeva e singhiozzava. Non riusciva più a smettere.

Alzò il muso e lanciò un lungo ululato alla luna, unica e muta testimone della sua disperazione.

Salve a tutti!!

SOONO TORNATOOO!!

Innanzitutto, scusate per l’attesa.

Rieccomi di nuovo alle prese con la mia long: eravamo rimasti che i nostri due eroi si erano lasciati, apparentemente bene…

Ma, giusto per mettere le cose in chiaro, dopo la parentesi spensierata di IT’S A BEAUTIFUL DAY, ecco un bel re-inizio “lacrimogeno” per cominciare con il piede giusto.

A proposito della storia precedente: mentre pubblicavo questo nuovo capitolo, ho notato due piccoli errori di battitura ed una fastidiosa ripetizione, ed ho provveduto a correggere (come sempre, niente di trascendentale: nella scena dove Flash incontra il parroco, e tira fuori il biglietto, ho messo NEL PALMO al posto di AL SUO INTERNO, visto che l’avevo già scritta una riga prima).

Angolo di Quark: anche le volpi, a quanto pare, ululano. In realtà, si tratta di un verso più breve e squillante, molto simile all’ululato dei lupi. Inoltre, a differenza di questi ultimi, che lo usano per una questione soprattutto territoriale (manifestare la propria presenza e scoprire se ci sono altri lupi nei paraggi) le volpi utilizzano questo richiamo prevalentemente nella stagione degli amori. E, visto che di amore si tratta, ho pensato calzasse a pennello.

Colonna sonora (Potevo forse esimermi? Noo): dal momento in cui Nick si addentra nel deserto ed inizia il suo monologo interiore, provate a sentire la bellissima e commovente SAILING di Christopher Cross.

Lasciatemi dire, prima di concludere, che é bello essere tornati.

Come sempre, un grazie a tutti quelli che leggeranno la storia e vorranno lasciare un parere (anche due righe, ragazzi: fa sempre piacere!).

Alla prossima,

See ya!!

CAPITOLO 13

RICOMINCIARE DA CAPO

Dopo aver superato le sconfinate pianure e le colline erbose delle Meadowlands, il treno proseguì verso nord, giungendo in prossimità di Wyndham City al calare della sera.

Judy si affacciò al finestrino per vedere meglio.

Ma l’impressione che ne ricavò non fu di sincero entusiasmo come quando mise piede a Zootropolis per la prima volta.

Il convoglio stava attraversando la zona periferica, composta da villette e da una serie di complessi residenziali.

In lontananza, si scorgevano le luci degli avveniristici palazzi del centro, nella loro alternanza di giallo, viola, blu ed azzurro.

Mentre raggiungeva il cuore pulsante della città, Judy si rese immediatamente conto di una cosa.

La periferia poteva poteva somigliare vagamente a Savana Central, mentre i grattacieli luminosi, nella loro magnificenza, ricordavano senz’altro quelli del quartiere di Downtown. Ma, similitudini più o meno forzate a parte, Wyndham era completamente diversa.

Di quartieri-habitat, ognuno con il suo clima, non ne vedeva nemmeno l’ombra.

Nessuna Tundratown, qui. Né Rainforest. E neanche Sahara Square, nossignore.

I due grossi problemi di Wyndham City, al pari di altre città-satellite il cui scopo primario era di fornire forza-lavoro a Zootropolis, erano una progettazione ed una realizzazione frettolose ed assai poco lungimiranti.

Certo, da tempo vi era in atto un vasto progetto di riqualificazione urbana: presto, molto presto, stando alle parole del sindaco e dei suoi consiglieri, anche Wyndham avrebbe avuto i suoi distretti ad ecosistema specifico, adatti a soddisfare le esigenze di qualunque animale. Ma tra ritardi nei lavori, intoppi burocratici e fondi non ancora sbloccati, era ancora tutto campato in aria, buone intenzioni a parte.

Da quel punto di vista, la cara e vecchia Zootropolis rimaneva ancora un traguardo inviolato da superare.

“Prossima fermata, stazione Kipling. Ripeto: prossima fermata, stazione Kipling.”

Era la sua.

Judy raccolse i bagagli guadagnò l’uscita. Circa cinque minuti dopo, il treno giunse in stazione e le porte si aprirono.

Appena scesa, si guardò intorno e notò un lemming in blazer blu scuro. Al suo fianco, un caribù vestito da autista.

“Miss Hopps?” Le fece il lemming non appena la vide.

“In persona.” rispose Judy sorridendo.

“Buonasera. Ben arrivata a Wyndham City. Sono il consigliere comunale Patrick Sweeney e le porgo il più sincero benvenuto da parte del municipio e della città.”

Si strinsero la mano.

“Ora mi segua, prego.” continuò. “L’alloggio che le abbiamo assegnato non é molto distante, ma suppongo che sia stanca per il viaggio.”

“Li dia pure a me i bagagli, signorina.” disse il caribù, avvicinandosi a Judy. “Ci penso io.”

Uscirono dalla stazione. Un’ammiraglia di colore bianco era parcheggiata proprio lì davanti, in zona riservata. L’autista, dopo aver sistemato le valigie nel baule, aprì le portiere facendoli accomodare. Poi salì al posto di guida e partì.

Il residence FOUR MUSICIANS si trovava a circa tre miglia dalla stazione, lungo la Crockett Avenue.

L’ammiraglia si fermò davanti all’ampia cancellata.

“Eccoci arrivati, miss Hopps.” disse Sweeney.

Il conducente scese dalla vettura ed andò verso la piccola guardiola a fianco dell’ingresso, dove scambiò due parole con il sorvegliante. Pochi istanti dopo, il cancello si aprì.

L’auto percorse il vialetto interno e si fermò di fronte all’entrata del residence.

“Ecco fatto.” aggiunse il consigliere. “Il mio compito termina qui. Domattina si recherà al distretto dove la aspettano per affidarle il suo nuovo incarico. Se vuole prendere un taxi...”

“Grazie,” intervenne Judy. “Ma credo che andrò per conto mio.”

“Come preferisce, miss Hopps. La più vicina fermata della metropolitana si trova qui a due passi. O anche i mezzi di superficie, se lo ritiene opportuno. In ogni caso, può rivolgersi al custode per qualunque tipo di informazione.”

La accompagnò fin sulla porta, mentre l’autista provvedeva a scaricare i bagagli.

“Bene, credo sia tutto. Se ha qualche altra domanda...”

“A posto così, signor Sweeney.” rispose Judy. “Grazie di tutto.”

“Allora” concluse il consigliere, “ la lascio andare nel suo appartamento. E’ stato un piacere.”

Si strinsero nuovamente la mano.

“Arrivederci, dunque. E buona fortuna per domattina.”

Detto questo, risalì a bordo dell’auto, che ripartì qualche istante dopo.

Judy prese i bagagli ed entrò. Ad attenderla, dietro la vetrata della reception, vi era un istrice.

“Buonasera signorina, come posso aiutarla?”

“Salve, sono Judy Hopps. Mi hanno assegnato un appartamento presso di voi.”

“Un attimo solo, per favore...” l’istrice diede un’occhiata al monitor, muovendo e pigiando il mouse. “Hopps...Hopps...ah si, ecco qui: benvenuta, la stavamo aspettando. Il suo appartamento si trova al quarto piano: venga, l’accompagno. E dia pure a me le valigie.”

Presero l’ascensore e salirono.

Una volta fuori, percorsero un breve tratto di corridoio. Un intenso odore di moquette, già percepito sin dall’ingresso, permeava ormai le piccole narici di Judy.

Mentre avanzava a fianco del custode, notò che le porte degli alloggi erano dotate di serratura elettronica.

“Eccoci arrivati: é la quattrocentosei.” disse l’istrice, inserendo il tesserino nell’apposita fessura.

“Prego.” aggiunse mentre apriva la porta, attivando automaticamente luci e climatizzatore all’interno del locale.

Judy entrò e rimase a bocca aperta.

Al centro dell’ampio soggiorno vi era un enorme divano color panna, con tanto di penisola. Un televisore, di una sessantina di pollici almeno, troneggiava su di un porta tv in pietra bianca dalla forma ellittica.

In fondo, una grande porta-finestra dava su di un’ampia balconata da cui si poteva scorgere l’intero centro città: una vista mozzafiato.

La parete di sinistra era interamente occupata da un componibile dal moderno design, in massiccio legno di rovere.

Sulla destra, separato da un divisorio, un angolo cottura che pareva una cucina vera e propria, attrezzato ed ammobiliato di tutto punto.

Ad una prima impressione, ciò che Judy vedeva spazzava via in un sol colpo le sue due precedenti dimore messe insieme.

“Il telecomando per il climatizzatore é vicino a quello della tv.” precisò il custode.

Il municipio non aveva certo badato a spese: probabilmente lo consideravano il minimo per sdebitarsi, considerando la tempestività con cui era avvenuto il suo trasferimento. Inoltre, secondo gli accordi, Judy avrebbe potuto rimanere lì per tutto il tempo necessario a trovare casa.

“Per quanto riguarda le pulizie, basta mettere quello fuori dalla porta.”

L’istrice indicò un cartellino poggiato sul pomello.

“Colore verde, via libera: potete riordinare. Colore rosso, si prega di non disturbare. Ah, dimenticavo: abbiamo anche un servizio di lavanderia, se le dovesse occorrere.”

“D’accordo,” rispose Judy. “La ringrazio molto.”

“Di nulla, signorina. Ecco il tesserino. Di qualunque cosa possa aver bisogno, chiami pure l’interno: il numero é cinque-sette-zero-cinque.”

Dopo essersi data una risistemata, Judy entrò in camera e si buttò sul letto, esausta.

Le valigie erano ancora intatte, appoggiate in un angolo. Disfarle avrebbe dovuto essere la priorità per un tipo preciso e metodico quale lei era, ma prima di ogni cosa intendeva mettere ordine finalmente nei suoi pensieri.

Credeva che l’arrivo a Wyndham City le avrebbe schiarito le idee, ed invece i dubbi e le angosce continuavano a lacerarla.

Ripensò al capitano Bogo e ai colleghi del distretto: quanto erano stati carini, con quella festicciola a sorpresa.

Ripensò a quanto aveva lavorato sodo per riuscire a conquistare, giorno dopo giorno, il loro rispetto, la loro stima, il loro AFFETTO.

Ed ora, aveva deciso di lasciarsi tutto alle spalle per ricominciare da zero, in un territorio nuovo e completamente inesplorato. Aveva fatto davvero la scelta giusta?

Ma il rammarico più grande era per Nick.

Quella sul treno e poi in stazione era stata l’ennesima messinscena di un attore consumato. Ma non era stata sufficiente ad ingannarla.

Ti conosco fin troppo bene, Nick: non ci provare, con me. Puoi farla in barba a chiunque, tranne che alla sottoscritta.

Sapeva di avergli spezzato il cuore, con la sua decisione di partire.

Ma forse era giusto così, per tutti e due. Necessario, anche se crudele.

Il distretto uno di Zootropolis era diventato per Judy quello che lei, ormai, era diventata per Nick: un approdo sicuro, un’isola felice al riparo dalle intemperie.

Ma questa calma apparente non dura. MAI.

La vita del poliziotto, LA VITA STESSA, che lo si voglia o no, ci riconduce sempre al campo di battaglia. E l’unico modo per non farci trovate impreparati, per non soccombere, é vivere come se ci si trovasse su di un mare perennemente in burrasca.

Bisogna imparare a reggersi e a camminare sulle proprie zampe.

E questo valeva soprattutto per Nick.

Forse il suo atteggiamento in polizia non era dovuto solamente al timore di mostrarsi agli altri per ciò che era realmente. Forse lo faceva anche per una sorta di gratitudine nei confronti di Judy.

Lei, con la sua fiducia, gli aveva dato un nuovo scopo, una nuova ragione in cui credere. E lui aveva deciso di rimanere perennemente dietro le quinte, in disparte, per saldare il debito di riconoscenza.

Mettersi in competizione con lei, tentare di superarla, equivaleva a tradire quella fiducia.

Judy e Nick erano come il sole e la luna.

Lei gli aveva donato una scintilla della sua luce, salvandolo dalle tenebre.

Ma la luna non può vivere di luce riflessa per l’eternità. Arriva il momento in cui deve iniziare a risplendere di luce propria. Ma per ottenere ciò, il sole deve tramontare.

DEVE SPARIRE.

Chissà: senza di lei, ora, Nick avrebbe più dovuto vivere nella sua ombra. E avrebbe iniziato finalmente a dimostrare le sue reali capacità, ne era più che certa.

Dobbiamo crescere, Nick.

Forse, un giorno, il destino avrebbe ricongiunto le loro strade. Un giorno si sarebbero ritrovati. Ma non più come la prima volta: non più due cuccioli spaventati in cerca di un compagno con cui condividere il proprio fardello, ma due adulti, fieri e consapevoli delle loro scelte.

Ma c’era dell’altro.

Quella volta in cui avevano rischiato di rimanere entrambi uccisi, gli aveva promesso che avrebbe evitato le situazioni a rischio, che non si sarebbe più cacciata nei guai.

Judy sapeva di non poter tenere fede a quel giuramento.

Come aveva detto al capitano Bogo, conosceva un solo modo di fare il poliziotto: dare tutta sé stessa, vita compresa, fino in fondo. Solo così poteva tornare a casa e guardarsi allo specchio con la certezza di avere fatto il proprio dovere.

Nick era al corrente di tutto ciò. Ed era disposto a tutto pur di proteggerla, anche a farsi uccidere. E questo, Judy non poteva assolutamente permetterlo.

La sua partenza liberava entrambi dal vincolo: qualunque cosa fosse accaduta d’ora in poi, avrebbe riguardato lei soltanto. E Nick non ci sarebbe andato di mezzo.

Scusami, Nick. Forse é davvero meglio così, per entrambi. Un giorno lo capirai anche tu, e mi perdonerai.

La mattina dopo, di buon’ora, Judy si trovava già di fronte al commissariato.

La struttura a cupola dell’edificio ricordava vagamente quella del distretto uno, fatta eccezione per i giardini prensili sul tetto, qui del tutto assenti.

Le lettere WPD, scolpite a caratteri cubitali, risaltavano sulla parete di granito, sopra le porte a vetri dell’ingresso.

Forza Judy, pensò. Si ricomincia da capo.

Entrò nella hall e si diresse verso la reception.

“Posso aiutarla?” Chiese in tono gentile l’agente dietro il bancone, una femmina di antilope.

“Buongiorno, sono Judy Hopps. Mi hanno appena assegnato alla sezione investigativa del vostro dipartimento.”

“Ah, si...buongiorno a lei, la stavamo aspettando. Attenda un solo istante, per favore.”

Prese il telefono e compose un numero a tre cifre: una chiamata interna.

“Pronto, tenente Chance? C’é qui la detective Hopps, é appena arrivata...si, la faccio accomodare. Grazie, buona giornata.”

“Si accomodi pure, saranno subito da lei.”

“La ringrazio.”

Mentre attendeva, Judy alzò lo sguardo verso la cupola in vetro del soffitto: le nuvole scorrevano pigramente nel cielo mattutino.

“Detective Hopps?”

Una voce dal tono fermo e risoluto la distolse dalla sua contemplazione. Judy si voltò.

Vide un lupo, dalla corporatura piuttosto possente. Indossava un completo scuro alquanto elegante, ed una t-shirt a girocollo nera. Il suo manto era bruno, con delle striature fulve, ad eccezione del muso e della parte anteriore del collo, di color grigio chiaro. I suoi occhi giallo ocra, simili a due quarzi, la scrutavano con deferenza.

Il lupo puntò deciso nella sua direzione.

“Sono il sergente Marcus Volkmann, della sezione investigativa. Molto piacere.” disse, porgendole la mano.

“Judy Hopps. Piacere mio, sergente Volkmann.”

“La prego, mi chiami semplicemente Marcus, come fanno tutti.”

“D’accordo, e allora lei mi chiami semplicemente Judy, come fanno tutti.”

“Affare fatto.” rispose Marcus, sorridendo. “Le faccio i miei complimenti: é la prima della squadra ad essere arrivata. Senza contare che il briefing inizia tra mezz’ora.”

“Mi piace giocare d’anticipo, tutto qui.” puntualizzò Judy.

“A proposito: prima ha detto SERGENTE, ho capito bene?” Chiese poi.

“Lei é molto acuta, Judy. Se lo lasci dire.”

ACUTA...quella parola le fece scappare una risatina.

Marcus sembrò sorpreso. “Ho detto forse qualcosa che non va?”

“No, niente.”

“Comunque ha indovinato. Solitamente vi é un tenente, a capo della squadra detective. Il tenente Chance, nel nostro caso. Ma la nostra sezione é stata appena costituita e quindi hanno ritenuto opportuno affiancare una figura di supporto. E hanno pensato che potessi fare al caso loro. Ho quindici anni di esperienza, in polizia.”

“Complimenti.” fece Judy, ammirata.

“Detto dal MIGLIOR AGENTE DI ZOOTROPOLIS...” si schermì Marcus.

“Come, prego?”

“Oh, andiamo. La sua fama la precede, Judy. Ha un curriculum di tutto rispetto, nonostante la giovane età. Mi lasci aggiungere che é un onore lavorare al suo fianco. Tuttavia...”

“Sì?” domandò Judy, incuriosita.

“Vediamo...com’era? Ah,si...”

Marcus poggiò la punta del pollice e la base dell’indice sotto al mento, con fare pensoso, come a sforzarsi di ricordare qualcosa.

“...dimostra una dedizione ed un attaccamento al lavoro di prim’ordine. E’ scrupolosa, metodica e zelante, talvolta fino all’eccesso.”

“Ma talvolta” continuò, “tende inspiegabilmente a trascurare alcuni aspetti talmente ovvi da essere considerati madornali, dai più. Possiamo ritenere che ciò sia dovuto ad una certa impulsività di carattere unita ad una spiccata componente emotiva, tipica degli esponenti della sua specie. Devo dire che il suo profilo la rispecchia alla perfezione.”

“Cosa intende dire?”

“L’uniforme, ad esempio. Non glielo hanno detto che noi detective non abbiamo l’obbligo di indossare la DIVISA D’ORDINANZA? Per tacere del fatto che si tratta di quella che danno in dotazione alle RECLUTE...ma dove l’ha ripescata?”

Judy ebbe un sussulto e si coprì la bocca con la zampa sinistra, imbarazzatissima.

In effetti, la divisa che indossava era quella in neoprene con il corpetto in fibra di kevlar e le imbottiture metalliche alle ginocchia: la divisa del suo primo giorno di lavoro in polizia.

“P-per tutti i cracker al formaggio!! Io...io non me n’ero accorta, accidenti!!” Balbettò confusa.

“Ah, ah, ah! Facciamo così. Ha impegni, questo pomeriggio?” Chiese Marcus.

“M-mi scusi?”

“No, non fraintenda. Volevo soltanto dirle che qui, a due passi dal distretto, abbiamo le migliori boutiques di tutta la città. Si faccia un giro, e si compri qualcosa di carino ed elegante: vedendola, non le dovrebbe risultare difficile.”

“Oh...”

Judy abbassò lo sguardo. Sembrò arrossire, per un istante.

“Mi perdoni,” disse Marcus. “non volevo essere scortese. Ora mi segua, prego. Visto che é già qui, volevo cogliere l’occasione di presentarle il nostro capo Chance ed il comandante del nostro distretto, il capitano Hammond.”

“D’accordo, andiamo.” rispose Judy.

“E comunque, se le serve un cicerone, sarò ben lieto di accompagnarla a fare acquisti.”

Salve a tutti!

Chiedo scusa per l’attesa, ma sul lavoro con gli straordinari mi stanno spremendo peggio di un limone (tra un po' ci toccherà lavorare anche la domenica...yuppie!! Ehm…).

Comunque, durante le vacanze ho fatto un bel po' di scorta di capitoli, per cui conto di riuscire a pubblicare ogni 10-15 giorni (ho un po' di paura a scrivere ciò perché, di norma, accade sempre qualcosa che mi costringe a stravolgere i piani...va beh, speriamo bene!!)

per quanto riguarda il capitolo, spero che la parte descrittiva di Wyndham non sia troppo indigesta; d’altronde, alcune linee guida sul nuovo scenario dovevo darle.

Judy é alle prese con il nuovo incarico ed i nuovi colleghi: chissà come se la caverà…

Come sempre, un grazie a tutti quelli che mi seguono abitualmente; Freez shad (come vanno le vacanze?), Nami92, DeniseCecilia, Newdark e i più recenti Plando e Psiche_00 (welcome on board!!) e a chiunque vorrà leggere la storia ed eventualmente dare un parere.

Alla prossima,

See ya!!

CAPITOLO 14

ALONE – DA SOLO (PRIMA PARTE)

La sveglia suonò, destandolo dall’ennesimo sonno agitato.

Una zampa sbucò da sotto le lenzuola, cominciando a frugare sul comodino nel frenetico tentativo di spegnerla.

La urtò, facendola cadere. Cominciò quindi a tastare alla cieca il pavimento sottostante, mentre l’infernale aggeggio non la smetteva di fare baccano.

Passarono un paio di interminabili minuti. Finalmente gli riuscì di trovarla. La afferrò saldamente e, dopo aver premuto il tasto di spegnimento in cima, la lanciò stizzito dalla parte opposta della stanza.

Nick ritirò il braccio sotto le coperte e rimase lì, immobile, ancora per qualche minuto. Poi, le buttò ai piedi del letto con un calcio.

Era disteso in posizione prona, con la testa appoggiata sul bordo inferiore del cuscino e girata sul lato destro.

Con gli occhi ancora chiusi rannicchiò le gambe mettendosi a gattoni , stiracchiandosi e flettendo la schiena in avanti e verso il basso. Spinse le braccia fin sotto al cuscino, intrecciando le dita.

La coda gli si piegò all’indietro, fino a raggiungere la base del collo.

Senti le giunture delle anche scrocchiare e spalancò la bocca tirando un lungo sbadiglio, accompagnato nel finale da un flebile guaito. Ruotò quindi verso il bordo del letto e si mise in piedi.

Era a torso nudo. Indossava solo un paio di boxer neri con pallini verde mela.

Sbadigliò di nuovo, masticando un paio di volte a bocca asciutta. Si sentiva il palato come impastato. Ancora mezzo assonnato, si mosse in direzione del bagno, dandosi una vigorosa grattata al fondoschiena.

“Il resto della mia vita senza carotina: giorno ottantadue.” disse.

Erano quasi passati tre mesi dalla partenza di Judy, e per Nick era stato come dover ricominciare da zero, o quasi.

Come le aveva annunciato poco prima dei saluti, chiese immediatamente, tramite municipio, di farsi assegnare come poliziotto di quartiere nonostante il parere ASSOLUTAMENTE CONTRARIO del capitano Bogo.

Ovviamente, la risposta non arrivò subito. Nel frattempo, continuò a pattugliare controvoglia le strade, dapprima in coppia con Grizzoli, e successivamente con Fangmeyer.

Con entrambi si limitava a stare al volante, senza spiccicare una parola. Se i due agenti rimasero indispettiti a causa di un atteggiamento tanto scontroso, ebbero la buona creanza di non darlo a vedere.

Alla fine, dopo numerose insistenze, venne finalmente accontentato: ottenne il tanto desiderato incarico di pattugliamento a piedi. Destinazione: distretto di Rainforest, foresta pluviale. Preferibilmente turno di notte.

Nick giustificò la sua scelta con il fatto che una volpe come lui, dotata di un’eccellente vista notturna, sarebbe stato l’ideale in un ambiente come quello, dove la luce faticava ad entrare persino in pieno giorno, a causa della fitta vegetazione.

Non appena fu al corrente della notizia, Benjamin tentò di dissuaderlo un’ultima volta (“Dammi retta, Nick. Questa volta dò pienamente ragione al capitano. Eri molto legato a Judy, e hai sofferto molto per la sua partenza, anche se cerchi di nasconderlo. Ultimamente ti sei rinchiuso in te stesso, e se vai a fare un lavoro del genere ti isolerai ancora di più!”) ma non ci fu niente da fare.

Clawhauser si rivelò profetico. Nel giro di breve tempo, le cose al distretto peggiorarono, soprattutto nei rapporti con i colleghi. Nick continuava a trincerarsi dietro un ostinato silenzio, a malapena rivolgeva il saluto. Durante le riunioni restava in disparte in un angolo, e se interpellato, si limitava a rispondere con vaghi cenni del capo.

Gli altri, almeno all’inizio, non sapevano come prenderla. Sembrava che Nick, con il suo comportamento indisponente, volesse in qualche modo colpevolizzare l’intero corpo di polizia. O sé stesso. O entrambi.

In ogni caso, il motivo era uno, ed uno soltanto: Judy se n’era andata, punto. E nessuno, lui compreso, aveva fatto praticamente nulla per impedirlo. Quindi, non essendoci un responsabile ben preciso, Nick aveva deciso di colpire nel mucchio, indistintamente. Chissà, forse gli sembrava il modo più ragionevole per espiare la colpa.

Ben presto, i suoi colleghi presero ad ignorarlo e a non fare più caso al suo atteggiamento. Una reazione prevedibile, del resto. Quello del poliziotto é un lavoro già di per sé impegnativo, operoso ma soprattutto molto, molto delicato. Se commetti uno sbaglio, QUALCUNO SCHIATTA. Oltre a ciò, ognuno porta con sé il suo bel carico di problemi personali, e pertanto può dedicarsi alle grane altrui nel poco tempo che gli é concesso o che decide di concedersi.

Bisogna farsene una ragione, dopotutto: quando hai un grattacapo, i tuoi compagni possono darti da parte loro tutto l’aiuto possibile ma il resto, e cioé gran parte, ti tocca smazzartelo tutto da solo.

In quanto alla sua nuova mansione nel distretto di Rainforest, non é che le cose andassero molto meglio, a dirla tutta.

In realtà, il ruolo di un poliziotto di quartiere non é tanto dissimile da quello di un agente di pattuglia: mantenere l’ordine pubblico e garantire la sicurezza dei cittadini.

Ma l’approccio di Nick al suo nuovo incarico fu, se possibile, ancora più svogliato rispetto all’ultimo periodo in cui scorrazzava per la strade a bordo di una volante.

Passava la maggior parte del tempo a girovagare per la vegetazione, immerso nei suoi pensieri, ed appartandosi opportunamente dove quest’ultima si faceva più fitta, in modo da evitare con assoluta certezza possibili incombenze o scocciature. Oppure, saliva sulla funivia facendosi un giro panoramico dell’intero distretto, nel bel mezzo del turno di lavoro.

Rendersi totalmente irreperibile: ecco il vero scopo per cui si era fatto trasferire lì.

Per farla breve: c’è qualche problema, gente? Bene, non contate su di me. Io ho già i miei da risolvere.

Con Judy si sentiva in media ogni due o tre giorni. Lei gli raccontava della sua giornata lavorativa, oppure del distretto e dei suoi nuovi colleghi di polizia o del nucleo investigativo. A volte Nick la lasciava volutamente chiacchierare per dei minuti interi, beandosi unicamente del suono della sua voce. Quanto era bello, anche il solo starla a sentire.

Di tanto in tanto, a Judy capitava di accennare qualcosa riguardo ai casi di cui si stava occupando, ma senza mai scendere troppo nei dettagli. Un po' per segreto professionale, un po' perché Nick, da ex-truffatore navigato qual’era, le aveva sempre raccomandato di non parlare mai di queste cose per telefono. Al giorno d’oggi, registrano qualunque cosa.

Talvolta si scambiavano al volo messaggi e foto. A Nick venne quasi un colpo quando la vide con indosso quella che lei aveva definito LA MIA NUOVA DIVISA D’ORDINANZA: un tailleur blu scuro che la stava da favola. Aveva persino un paio di orecchini punto luce ed un filo di trucco. Altro che schianto: messa in quel modo era un autentico ORDIGNO DI GUERRA.

WOW, CAROTINA: CHI TI DEVE GUARDARE? Digitò sullo smartphone.

Un istante dopo, arrivò secca la risposta: TU, RAZZA DI IMBRANATO CHE NON SEI ALTRO.

In questi primi due mesi e mezzo, Judy aveva fatto ritorno a Zootropolis un paio di volte durante i fine settimana.

In entrambe le occasioni era partita di venerdì, non appena aveva smontato il turno, ed aveva trascorso buona parte del week-end a Bunnyburrow, dai suoi genitori.

La domenica, invece, la prima volta si era recata a Downtown e la successiva a Savana Central, dove aveva passato qualche ora in compagnia di Nick, in attesa del treno che l’avrebbe riportata a Wyndham City in serata.

Nel tentativo di compensare la mancanza di Judy, Nick prese la decisione di buttarsi anima e corpo nell’allenamento.

Ormai, il resto della giornata fuori dal distretto lo trascorreva interamente nella polverosa e malandata palestra del vecchio Butch.

Il resto della mia vita senza carotina: un altro giorno.

Solo riducendosi allo sfinimento riusciva a non sentire quelle parole risuonare in continuazione nella sua mente.

Nick era intento a maltrattare il sacco pesante, picchiando come un ossesso e provando varie combinazioni, con una particolare predilezione per l’accoppiata diretto destro-gancio sinistro.

Durata di ogni round: quattro minuti. Durata complessiva: fino a che non sarebbe crollato a terra.

Quella sera, però, c’era qualcosa di diverso dal solito: Butch non se n’era ancora andato a casa dopo aver affidato la palestra a Nick, come di consueto.

Stava aspettando qualcuno.

“Sai rosso, ho pensato ti servisse un nuovo sparring. Così ho contattato un tizio di mia conoscenza e l’ho convinto a venire qui a darci una mano.”

“Di chi si tratta, Butch?” Aveva chiesto Nick, incuriosito.

“E’ un mio vecchio allievo che non mette più piede qui dentro da anni.”

“E’...forte?”

“Era il migliore. Se riesci anche solo a batterti alla pari con lui, sarai in grado di sconfiggere chiunque. Te lo posso garantire, rosso.”

Era giunta l’ora di alzare l’asticella, continuava a ripetere il vecchio rinoceronte rugoso.

Nick continuava a ripensare a quelle parole tra un round e l’altro, e tradiva una certe impazienza mista ad eccitazione.

Ormai si allenava lì dentro da quasi due anni, e riteneva di aver raggiunto un buon grado di abilità. In alcuni casi, riusciva a tenere testa anche a mammiferi più grandi e grossi di lui.

Certo, in una palestra di quart’ordine come quella non c’erano poi molte occasioni di incrociare i guantoni con qualcuno, data la scarsa affluenza di iscritti, ma quando capitava l’occasione non si tirava mai indietro.

“Chissà chi potrà mai essere?” Si stava chiedendo in continuazione.

Salve a tutti, rieccomi qua!

Questa prima parte risulterà un po' più “cortina” rispetto al solito, ne convengo.

Diciamo che si tratta di una precisa scelta da parte mia (il solito escamotage narrativo da quattro soldi…): capirete meglio con la seconda parte (come al solito, ho molta paura a dirlo, ma spero di riuscire a mantenere questo ritmo, con la pubblicazione).

Due piccole precisazioni riguardo al capitolo precedente: dopo le segnalazioni di Plando, ho provveduto a correggere alcune fastidiose ripetizioni. Niente di trascendentale eh, come al solito, però, come dico io, un lavoro o lo si fa bene , o NON LO SI FA!!

Resta il fatto che c’é ancora qualche passaggio che non mi convince: se apporterò qualche altra piccola modifica non mancherò di farvelo sapere.

Ho dimenticato inoltre di consigliarvi due brani da ascoltare durante la lettura: da quando Judy mette piede a Wyndham fino all’arrivo al residence sentitevi CITY LIGHTS di William Pitt.

Durante le sue riflessioni personali mettete invece CROCKETT’S THEME di Jan Hammer (dal leggendario telefilm MIAMI VICE).

Infine, un ringraziamento ai miei lettori (e lettrici) di fiducia: Plando, Psiche00, DeniseCecilia (complimenti per il tuo racconto d’esordio sugli X-men: molto bello), Freez shad e Nami92 e, naturalmente, a chiunque la leggera e deciderà di lasciare un commento.

A presto per la seconda parte!!

Alla prossima,

See ya!!

CAPITOLO 15

ALONE – DA SOLO (SECONDA PARTE)

Erano giunte le dieci e mezza e Nick era quasi sul punto di mollare tutto ed andarsene.

“Dì un po', Butch, ma sei sicuro che arriva?”

“Sta tranquillo, rosso. Lo conosco da una vita e di una cosa sono certo: se promette una cosa puoi star sicuro che la mantiene.”

E finalmente, circa dieci minuti dopo la porticina rossa della palestra si spalancò all’improvviso.

Nick bloccò il sacco pesante con entrambe le mani e si voltò a guardare il nuovo arrivato.

“C-CAPO?!” Disse, sbigottito.

Non riusciva a crederci.

Di fronte a lui vi era il capitano Bogo. La sua figura imponente sembrava riempire per intero l’angusto ingresso.

Nick non riusciva a capire se a sorprenderlo di più fosse il fatto di vedere il suo comandante lì dentro o di vederlo in abiti cosiddetti CIVILI. Certo, in fin dei conti vestiva un’anonima maglietta bianca a mezza manica, degli ancor più anonimi blue-jeans ed un paio di anfibi, tutti e tre dall’aria piuttosto vissuta. Ma nel caso del vecchio bufalo, la cosa costituiva un evento già di per sé. Nick, infatti, avrebbe potuto giurare su un furgoncino carico di bibbie di non aver mai visto, a memoria sua, il capitano indossare qualcosa che non fosse una divisa.

“Salve, Wilde.” disse Bogo, impassibile. “Allora é qui che ti vieni a rintanare ogni giorno, non appena smonti dal servizio.”

Butch gli si avvicinò.

“Salve, bisteccone. Bentornato a casa.” disse.

“B-BISTECCONE?!” aggiunse Nick, incredulo. Ad udire quel nomignolo fu sul punto di scoppiare a ridere, ma ritenne più saggio trattenersi.

“Rosso, ti presento bisteccone. Anche se tu, con tutta probabilità, lo chiami CAPITANO e gli dai del lei. Era il migliore, qui dentro: un ‘autentica forza della natura. Nessuno rimaneva in piedi, dopo aver incrociato i guantoni con lui.”

“Rosso, eh? Vedo che non l’hai ancora perso, il vizio di affibbiare quei tuoi soprannomi cretini, vecchio.” disse Bogo con tono sarcastico.

“Già, un vero rullo compressore,” continuò Butch, senza neanche starlo a sentire. “peccato che il caro signorino, dopo aver fatto carriera in polizia, sia diventato troppo schizzinoso per continuare ad allenarsi qui.”

“O forse sono diventato troppo rispettabile per continuare a frequentare un letamaio come questo.” replicò seccamente Bogo.

Bisteccone, eh? Questo é oro puro ragazzi, rifletté Nick. Pensa se lo venissero a sapere giù al distretto. Altro che VECCHIO BUFALO…

“Allora, sarebbe lui L’ALLIEVO PROMETTENTE di cui mi parlavi?” chiese quest’ultimo.

“Esatto: voglio che ti batta con lui, e non ti risparmiare!!” lo esortò Butch.

“Coraggio, capo: non sia timido. Vedrà che sarà divertente! Prometto di andarci piano!” propose Nick con un sorriso divertito, mentre si dirigeva verso il ring.

“E va bene.” sbuffò Bogo.

Prese un paio di guantoni della sua misura e, dopo averli soppesati per qualche istante, raggiunse Nick sopra il quadrato.

“Ma come, capo? Non si mette qualcosa di più comodo?” Chiese quest’ultimo.

“Non serve: tanto, basteranno pochi secondi.” rispose Bogo infilandosi i guantoni ed allacciandoli.

“Suvvia, capo: non é il caso di sottovalutarsi in questo modo.”

“Non parlavo di me, ma di TE.”

“Come ha detto?!”

“Cominciate!!” Urlò Butch.

Al suono del gong, Nick si scagliò in avanti, verso Bogo. Non appena gli fu di fronte, spiccò un balzo verso l’alto, caricando il destro. Voleva tirargli un diretto in pieno volto.

Purtroppo per lui, la sua rimase solo un’intenzione.

Bogo, senza comporsi minimamente, lo centrò al fegato con un gancio corto di sinistro, stoppandolo letteralmente a mezz’aria.

Nick finì in ginocchio sul tappeto. Una fitta lancinante gli esplose nel fianco.

Appoggiò la mano sinistra a terra nel disperato tentativo di sorreggersi, mentre premeva forte con la destra la zona colpita, come a voler arginare il dolore. Un rantolo soffocato gli uscì dalla bocca.

“Scarso.” disse Bogo, sprezzante. Poi scagliò un poderoso montante destro.

Nick riuscì solo a vedere il guantone, enorme e minaccioso, puntare in direzione del suo mento.

Il colpo lo sbalzò all’indietro, facendogli attraversare in volo l’intero ring, da parte a parte.

Finì sulle corde dal lato opposto e vi rimbalzò contro, terminando al suolo.

Aveva perso conoscenza: il suo corpo, inerte come quello di un fantoccio, ebbe un paio di sussulti nervosi, come attraversato da una scossa elettrica.

Bogo andò al suo angolo mentre Butch, preso un secchio lì vicino, lo riempì d’acqua.

Si avvicinò alle corde e la gettò addosso a Nick, che si riprese all’istante, scuotendo forte la testa.

“Non perder tempo a cercare di ricordarti la targa dell’autotreno che ti ha investito, rosso: ce l’hai davanti.” disse il rinoceronte.

Ma Nick non lo stava ascoltando. Il suo sguardo era perso, e biascicava parole confuse sottovoce.

“Nn...non é possibile...” ripeteva.

Non riusciva a crederci. Bogo, con quei due potenti colpi, aveva spazzato via in un istante tutto quello che sapeva fare. O per lo meno, che CREDEVA di saper fare. Gli aveva dimostrato con un fatto compiuto che tutto l’allenamento, la fatica fatta fin’ora, il sudore versato non avevano portato a NIENTE.

Non é possibile. Non può essere vero. Non ci può essere tutta questa differenza, tra noi due.

NON PUO’ ESSERE COSI’ LONTANO.

“Te lo ricordi, rosso? Ti ricordi cosa mi hai chiesto la prima volta che hai portato le tue chiappe qui dentro?” Gli chiese Butch.

“Mi hai chiesto se allenandoti duramente e imparando a combattere avresti potuto battere animali più grandi e grossi di te.”

Da parte di Nick, nessuna reazione. Continuava a rimanere in silenzio, lo sguardo fisso sul nulla.

“E ti ricordi, quel che ti ho risposto? Ti ho risposto che é molto difficile per un topolino riuscire a sconfiggere un elefante.”

Nick continuava a non sentirlo.

Non ce la farò mai.E’ tutto inutile, non ce la farò MAI.

Alzò lo sguardo, gettando un’occhiata smarrita in direzione di Bogo.

Il capitano lo guardava, severo ed impassibile come sempre. Era a pochi metri da lui, ma Nick ebbe l’impressione che lo stesse scrutando da migliaia di chilometri di distanza, dall’alto di una vetta inaccessibile.

“E’ tutto inutile, vecchio. Stai solamente sprecando fiato.” sentenziò.

“Molto difficile, già.” continuò Butch, senza prestare orecchio alle sue parole. “Ma non mi sembra di averti mai detto che é IMPOSSIBILE.”

Impossibile…

Nick si voltò di scatto verso di lui, come colto da un’intuizione improvvisa.

Ricorda: niente é impossibile.

Non importa a quale specie appartieni.

Dipende solo da te, Nick. Solo e soltanto da te.

“Grazie, carotina.” disse sottovoce, mentre si rialzava lentamente.

Butch lo guardò perplesso.

“Ma con chi stai parlando, rosso?”

“Grazie, carotina.” ripeté Nick, sorridendo. “Lo sapevo che non mi avresti abbandonato.”

Bogo, nel frattempo, stava scendendo dal ring, spazientito.

“Bene,” disse. “Se avete finito di farmi perdere tempo, io me ne torno a casa. In quanto a te, Wilde, ci vediamo domattina. E vedi di essere puntuale.”

“Ancora un momento, CAPITANO.”

A quelle parole, Bogo si voltò e vide Nick ritto in piedi, mentre riassumeva la posizione di guardia.

“Non ho ancora sentito il gong. Andiamo avanti, per favore.”

“Bene, bene, bene.” rispose Bogo picchiando i guantoni l’uno contro l’altro. “A quanto pare, il topolino si é reso finalmente conto della forza dell’elefante. Significa che per te c’é ancora speranza, dopotutto.”

L’imponente bufalo si mise in guardia a sua volta.

“Ora non ti rimane che provare ad abbattermi, se ne sei capace.”

Una smorfia simile ad un sorriso gli comparve all’angolo sinistro della bocca.

Nick era sotto la doccia.

Gli doleva tutto il corpo: la parte destra del muso, sotto la pelliccia, era gonfia e tesa. Sembrava un palloncino sul punto di scoppiare da un momento all’altro.

Tentare di lavare via il dolore. Si dice sia questo, il motivo per cui i pugili passino un tempo interminabile sotto la doccia, specialmente dopo una sconfitta.

Lavare via il dolore dentro e fuori di loro. E’ soprattutto quest’ultimo, a fare più male. E a metterci più tempo a guarire.

Perché di sconfitta si trattava, quella infertagli dal capitano. Netta, senza alibi e senza scuse. Bogo lo aveva messo al tappeto un’infinità di volte, senza che lui riuscisse a mettere a segno neanche un colpo. In un vero match, sarebbe tutto finito nel giro di pochi istanti. Al termine dell’allenamento, il vecchio bufalo pareva persino più fresco di quando era entrato, mentre Nick era ridotto ad uno straccio per pavimenti.

Quanto tempo sarebbe dovuto passare, prima di riuscire a battersi ad armi pari contro un simile avversario? Ma soprattutto, sarebbe mai stato davvero POSSIBILE?

Mentre Nick finiva di rivestirsi, arrivò Butch.

“Allora, rosso: come va?” chiese.

“Tu che ne dici, vecchio mio? Mi sembra di essere passato attraverso un tritarifiuti...e comunque, sicuro di non aver preso la targa, almeno tu? E’ la volta buona che ci facciamo un sacco di soldi, con l’assicurazione.”

“Ah, ah! Vedo che almeno il senso dell’umorismo ti é rimasto!”

Gli lanciò un sacchetto di cellophane contenente alcuni pezzi di ghiaccio raschiati alla bisogna dal congelatore. Nick lo afferrò al volo.

“Mettitelo sul muso finché non si sgonfia.”

“Di un po', Butch: riuscirò mai a sconfiggerlo?”

“Te l’ho già detto: dipende da te. Io ho fatto quel che mi hai chiesto. Volevi batterti con animali più grossi e forti di te e io ti ho rimedito il più forte e cattivo. Ora sta a te trovare il modo.”

“Sempre ammesso che esista, un modo...”

“L’ho fatto perché tu ti renda conto di ciò che accadrà quando affronterai un avversario che ti é superiore in tutto.”

“Quindi non ho speranze. E’ questo che vuoi dire?”

Allora non mi ascolti, rosso. Dopo stasera, hai un vantaggio dalla tua, anche se minimo. Un vantaggio che prima non avevi. Ora sei conscio della forza del tuo avversario: te ne sei fatto un’idea.”

“Vedi, un problema resta tale finché non lo conosci.” continuò. “Ma, una volta che lo hai inquadrato, non ne hai più paura e puoi iniziare a spremerti le meningi per trovare una soluzione. Tra te e bisteccone il divario é incommensurabile, per ora. Ma ti posso assicurare che non troverai nessuno più forte di lui, da queste parti e dintorni. Quindi, ora che hai provato direttamente sulla tua pelliccia la sua forza, non ti resta altro che allenarti a dovere per contrastarla. Fallo, e sarai in grado di sconfiggere chiunque, te lo garantisco.”

“Ok, Butch. Ci proverò.”

“Comunque: bisteccone mi ha detto che farà un salto anche la prossima settimana, per verificare i tuoi progressi.”

“Chissà, forse la prossima volta resisterò per due secondi di più, prima di finire steso al tappeto...” rispose ironicamente Nick.

“A proposito, rosso: che fine ha fatto la tua amica coniglietta? E’ un bel pezzo che non si fa vedere, da queste parti.”

“Judy? Ha...ha avuto una promozione e...si é trasferita a Wyndham City, da più di tre mesi.”

“Capisco...beh, peccato. So che sembra assurdo quello che sto per dirti, ma facevate una gran bella coppia, tu e lei.”

“A chi lo dici...” rispose Nick, volgendo lo sguardo verso il basso. “A chi lo dici...”

Da quel giorno, gli sparring con il capitano Bogo divennero una costante.

Ogni venerdì, Nick veniva puntualmente sbatacchiato come un vecchio tappeto polveroso. Ma la presenza di un avversario così forte divenne per lui uno stimolo enorme: intensificò ulteriormente gli allenamenti, ottenendo risultati insperati. Ma, cosa più importante, la volontà ormai maniacale di migliorarsi e superare i propri limiti mitigò, almeno in parte, il pensiero dell’assenza di Judy. Nick aveva una nuova ragione per tirare avanti, seppur si trattasse solo di un blando palliativo.

Il piano di Bogo e del vecchio Butch aveva funzionato alla grande.

Quattro settimane dopo, Judy fece ritorno a Zootropolis per il week-end.

Sarebbe arrivata con il treno del mattino, e Nick era già in stazione ad attenderla.

A Bunnyburrow c’era la festa di primavera, ed erano stati invitati entrambi. Sarebbero quindi andati nella fattoria dei genitori di Judy, dove avrebbero trascorso l’intero fine settimana.

Le porte del treno si aprirono e Judy fu tra i primi a scendere.

Portava un borsone sportivo a tracolla ed indossava un paio di jeans logori insieme alla sua cara, vecchia camicia a quadri color ciclamino. Il completo ideale per una vecchia rimpatriata tra amici che non si vedono da un sacco di tempo.

Sembrava impaziente. Si guardò intorno e…

“Nick!! Ehi, Nick!! Sono qui!!”

Gli corse incontro sorridendo ed agitando la mano destra per farsi scorgere.

Ma quando gli arrivò davanti, a pochi passi, il sorriso gli svanì di colpo.

“Ehilà, carotina!! Fatto buon viaggio? Dammi la borsa, te la porto io.”

“Nick, cosa...cosa é successo, alla tua faccia?” Chiese, preoccupata.

L’occhio ed il labbro inferiore sinistri della volpe erano gonfi e violacei come due melanzane mature.

“Questi?” disse Nick, indicandoseli. “Ma niente, stai tranquilla. Te lo ricordi il vecchio Butch, carotina? Mi ha rimediato un nuovo sparring partner: é grande, grosso e picchia come un dannato.”

“Ma grazie a lui sto imparando tanto, credimi.” aggiunse, ridendo.

Ovviamente, si guardò bene dal dirle chi fosse.

Passarono altri due mesi.

Quel giorno, Nick era di turno il primo pomeriggio.

Non appena lo vide entrare, Benjamin richiamò la sua attenzione.

“Ehi, Nick!! Ehi!!”

“Alt: non dirmi nulla, Ben.” disse quest’ultimo, dirigendosi verso il ghepardo. “Lasciami indovinare: sei riuscito ad acquistare i biglietti, non é vero?”

“Certamente!! Ho dovuto pernottare fuori dall’ufficio prevendite con la tenda, ma alla fine ce l’ho fatta!!” Esclamò Clawhauser, raggiante.

“Ma hai dovuto sprecare ben due giorni di ferie...non potevi comprarli online, come fanno tutti?”

“Scherzi?! A me piace fare alla vecchia maniera, quando si tratta della mia cantante preferita! E comunque, ne é valsa la pena: sono stato il primo in assoluto ad acquistare quattro biglietti per i concerti di inizio e fine tour di Gazelle allo Zootennial Stadium!!”

“Quattro...biglietti?” Domandò Nick, perplesso.

“Ovvio!! Due per entrare ai concerti, e due immacolati da incorniciare per ricordo!!” replicò entusiasta.

Mio caro Ben, questa tua infatuazione per Gazelle sta diventando un caso patologico.

Nick avrebbe tanto voluto dirglielo, ma se lo tenne per sé, limitandosi a sorridere.

Poi, d’un tratto, sentì vibrare lo smartphone.

Non aspettava telefonate. Chi poteva essere?

Judy? No, impossibile. Erano d’accordo di sentirsi in serata, una volta terminato il turno.

Telefonata inattesa, occhio alla sorpresa.

Quel detto gli aveva sempre messo addosso una gran inquietudine.

Esitò ancora un istante, poi estrasse lo smartphone dalla tasca e controllò il numero.

Bonnie Hopps. La madre di Judy. Sempre più strano.

Passò il pollice sullo schermo per aprire la conversazione e se lo portò all’orecchio.

“Pronto, Bonnie? Si, buongiorno, come v...”

Clawhauser, sentendo la voce di Nick interrompersi bruscamente, alzò lo sguardo nella sua direzione.

Vide lo smartphone cadere a terra, aprendosi in due.

Vide le sue braccia cascargli inerti lungo i fianchi, mentre si inginocchiava a terra.

Sembrava una marionetta a cui avessero brutalmente troncato i fili che la sorreggevano.

Mollò la ciambella che aveva in mano ed uscì dal bancone, precipitandosi verso di lui.

“Nick!! Nick, che ti succede?!”

Si arrestò a pochi passi di distanza, la mano protesa verso il collega, come a volerlo afferrare.

“J...Judy...”

Fu l’unica parola che gli sentì uscire dalla bocca.

Il suo sguardo era sconvolto, e tremava come una foglia.

“J-Judy?! Cosa é successo, Nick?”

“Judy...non é possibile...no...”

“Cos’é successo a Judy?! Nick, PARLAMI!!”

Ma Nick non lo udiva più.

Era come se un’invisibile cappa di tenebra fosse sorta dal terreno circostante e lo avesse completamente avvolto, isolandolo dal resto del mondo prima di inghiottirlo per sempre.

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Ecco, ragazzi: siamo arrivati AD UN PUNTO CRUCIALE.

Cruciale nel senso che o funziona o rischio di perdere tutti i lettori.

Staremo a vedere.

Non vi anticipo nulla neanche se dovessi finire sotto tortura, ma posso dirvi solo una cosa, ragazzi: CONTINUATE A LEGGERE.

Del resto, é uno dei patti più antichi del mondo: quello tra chi narra le storie e chi le ascolta.

E’ il meccanismo dell’affabulazione: io mi impegno a raccontarti tutto ciò che so e tu ti impegni ad ascoltarmi (o a leggermi) fino alla fine, e prendi per buono tutto quello che ti dico.

Quindi spero vi continui a piacere.

Una precisazione: riguardo al soprannome di Bogo, inizialmente avevo optato per BULLDOZER, in omaggio al buon vecchio Bud Spencer che ci ha lasciato qualche mese fa (ciao Bud, e grazie di tutto: se sono quel che sono, lo devo anche ai tuoi film).

Poi ho scelto BISTECCONE perché negli USA, il termine corrispettivo é BEEFCAKE (é il nomignolo che si dà agli individui tutto muscoli e niente cervello). Ora, anche se nel mondo di Zootropolis non esiste carne (pare che i predatori si nutrano di pesci di piccole dimensioni, come quello azzurro o i lattarini, insetti e proteine di origine vegetale, mixando legumi e verdure, nonché ricorrendo ad appositi integratori proteici) credo che comunque le bistecche di soia, tofu, seitan, vegetali o addirittura entomologiche, opportunamente aromatizzate, esistano.

Tutta questa pappardella solo per dirvi che il soprannome BISTECCONE é plausibile, secondo me.

Ringrazio i sempre presenti DeniseCecilia, Freez shad, Plando, Psiche00 e Nami92 e chiunque leggerà la storia e se la sentirà di lasciare un parere.

Grazie ancora e alla prossima!!

See ya!!

CAPITOLO 16

PER SALVARE UNA VITA

“AAAHH!!”

“AIUTO, AIUTO!!”

Ma che sta facendo, quel pazzo?!

Sta fuggendo a bordo di un auto, pare.

IN MEZZO ALLA GENTE.

Devo fare qualcosa.

Ne ha già falciati tre: sono a terra, immobili.

Devo fermarlo, prima che compia una strage.

Mi metto a urlare, per richiamare l’attenzione della folla in preda al panico.

“POLIZIA!! FATE LARGO!!”

“VIA!! VIA DI QUA!!”

Cerco di allontanare più persone possibili. L’importante é mettere al sicuro i cittadini, prima di tutto. Dobbiamo rimanere solo lui ed io. Poi escogiterò qualcosa al volo. Sì, qualcosa mi verrà in mente, senz’altro.

Incalzata dalle mie grida di avvertimento, la gente si disperde per ogni dove ed inizia ad aprirsi un varco, finalmente.

Porto la mano alla fondina ed estraggo la sparadardi.

La punto di fronte a me, allineando i mirini. Non appena avrò la visuale completamente libera, sparerò ai pneumatici e poi a lui, se non deciderà di arrendersi.

“DANNY!! DIO MIO, NO!!”

Un cucciolo di furetto.

L’ennesimo strattone della calca impaurita lo ha strappato dalla mano della sua mamma, facendolo finire in mezzo alla strada.

TRA ME E LUI.

“VA’ VIA DI LI’, PICCOLINO!!”

Mi guarda con gli occhietti sbarrati, sentendo la mia voce. Ma resta dov’é, perfettamente immobile. E’ paralizzato dal terrore.

L’auto é ad una decina di metri da lui.

Lo tirerà sotto.

Non lo posso permettere. MAI. A qualsiasi costo.

Butto l’arma e compio una scatto in avanti, correndo all’impazzata. I muscoli delle gambe diventano come pompe idrauliche che mi spingono verso l’obiettivo.

Velocità, Judy. VELOCITA’. TU SEI VELOCITA’.

Non pensare all’auto.

Non pensare a te.

Non pensare a ciò che potrebbe accadere, o che accadrà.

Devi salvarlo. Pensa solo a questo. Soltanto questo conta, ora.

Dalla sua vita dipende la tua vita, il tuo essere, LA TUA ANIMA.

Compio un balzo.

Forza, Judy. Ce l’hai, lo hai già preso, mancano pochi millimetri ed é tuo.

Lo afferro al volo, con entrambe le braccia.

Bravissima, Judy. Ora proteggilo.

Ricorda quello che ti sei sempre detta: NESSUN INNOCENTE MUORE, QUANDO CI SEI TU. IN SERVIZIO E NON.

Prima ancora di toccare terra, mi rendo conto che non avremo né il tempo, né lo spazio necessario a toglierci di lì, purtroppo.

Stringo il piccolo a me e ruoto su me stessa con un colpo di reni, offrendo la schiena all’avversario.

E’ un sacrificio che accetto volentieri. Il sacrificio di un poliziotto per la salvezza di un cittadino.

E’ il mio lavoro. Il mio dovere.

Uno scambio equo, quindi.

Il cucciolo tra le mie braccia strilla ed inizia a divincolarsi. Serro la mia presa ancora più forte.

Stà tranquillo, piccolo. Non preoccuparti, non morirai. Non m-

“...”

Buio.

Strano, non sento dolore.

Non quanto dovrei, dopo una simile botta.

Forse riesco ad aprire gli occhi.

Devo farcela. Voglio capire dove…

Grazie al cielo. Sono ancora qui.

Vedo la gente tutt’intorno e sopra di me. Sono terrorizzati. Nonostante ciò, qualcuno tra loro trova il fegato di mettersi a scattare foto.

Razza di deficienti. Li prenderei a schiaffi, se solo avessi la forza di alzarmi.

D’un tratto, sento piangere. Vedo il piccolo furetto in braccio alla sua mamma, entrambi in lacrime. Ma stanno bene. Meno male.

La mamma mormora qualcosa, rivolgendosi a me. Sembrerebbe un GRAZIE.

DOVERE, SIGNORA.

E quel che vorrei risponderle, ma non ci riesco.

Arrivano alcuni agenti. I miei colleghi. Di molti di loro non ricordo ancora bene i nomi. Come questi, ad esempio.

Allontanano la folla di curiosi, fanno spazio. Per i soccorsi, immagino. Dicono di lasciarmi respirare.

Chissà se sono riusciti a prenderlo, quel disgraziato.

Sento le sirene. Tieni duro, Judy. Tra non molto saranno qui.

Volto la testa a sinistra, lentamente, e vedo il mio braccio disteso. Le dita si muovono. Provo un senso di sollievo.

Poi, sentendole intorpidite, decido di provare con le gambe, più che altro per tentare di togliermi quella fastidiosa sensazione di dosso.

E lì inizia ad assalirmi il panico.

Restano ferme, immobili. Come inchiodate al terreno.

Riprovo. NIENTE.

PERCHE’ NON RIESCO A MUOVERLE?!

Il respiro inizia a farsi affannoso. Mi giro verso destra, per controllare l’altro braccio.

E la vedo.

E di colpo capisco cosa stava osservando tutta quella gente.

Una macchia vermiglia sull’asfalto. SANGUE.

I-IL MIO SANGUE?!

Sento il terrore cominciare a farsi strada dentro me. Lentamente, inesorabilmente. Lo sento invadere senza pietà ogni fibra del mio corpo.

No...non sta succedendo a me…

Non può essere vero…

Che qualcuno mi aiuti, vi prego.

Papà…

Mamma…

NICK…

Aiutatemi, vi scongiuro.

Non posso morire così…

NON VOGLIO MORIRE.

Salve a tutti, rieccomi qua.

Questo é un capitolo piuttosto atipico: é molto breve, e scritto in soggettiva, dal punto di vista di Judy, in modo da rendere meglio la drammaticità della situazione. Fatemi sapere che ne pensate.

Alla fine ho sganciato la bomba, per così dire. Insomma, da come la vedo io era nell’aria già da un po'. Avevate intuito tutti che qualcosa stava per accadere, secondo me. Forse non questo, però…

Vi chiedo solo una cosa: SIATE CLEMENTI, RAGAZZI. Mi sento già abbastanza da schifo per conto mio per aver sottoposto la povera Judy a tutto questo. E, come vi ho già raccomandato nel precedente capitolo, abbiate fiducia e continuate a leggere, siamo appena all’inizio.

Ringrazio quelli che sono ormai i miei recensori abituali: Freez shad, DeniseCecilia (spettacolo, la tua trilogia sugli X-Men!!), nami92, Plando e la new-entry lovehug1998 (welcome on board!!). Inoltre, come sempre, un grazie a chiunque leggerà la storia e se la sentirà di lasciare un suo parere.

Grazie ancora a tutti e alla prossima!!

See ya!!

CAPITOLO 17

FOLLE CORSA

Fu come se la telefonata improvvisa di Bonnie avesse completamente spazzato via la sua mente.

Per un lunghissimo attimo, un manto bianco ed accecante aveva inghiottito tutto quanto. Non aveva visto né sentito più nulla.

Poi, poco a poco, il mondo attorno riprese gradatamente forma e colore.

“Nick, Nick!! Come stai? Rispondimi!!”

Si guardò intorno e vide Clawhauser, Fangmeyer e Higgins chini su di lui.

“Cosa...cosa ti é successo, Nick?!” Chiese il ghepardo, con aria preoccupata. “Stavi parlando al cellulare, e poi...”

Senza nemmeno rispondergli, Nick si rimise in piedi fulmineo, raccattò al volo i due pezzi dello smartphone sparsi sul pavimento e corse fuori.

“Nick! Ma dove stai andando?! FERMATI!!” gli gridò Benjamin.

Non appena uscì dal distretto si precipitò verso la macchina. Ma l’istante successivo, vedendo una volante parcheggiare lì vicino gli venne un’idea migliore.

Snarlov e Johnson scesero entrambi dalla vettura. Avevano appena terminato il giro di pattuglia.

“Ehi, Johnson!” Disse l’orso polare. “Devo andare giù al deposito, in cancelleria, ad esaminare alcuni reperti per un confronto. Pensaci tu a riconsegnare le chiavi, per favore.”

“Ok, amico: nessun problema. Lanciamele!” Rispose il leone.

“Prendile al volo!”

Le lanciò con un ampio movimento dal basso verso l’alto. Il mazzo di chiavi compì una parabola in direzione di Johnson, che aprì la mano destra, pronto a riceverle.

Ma proprio mentre avevano dato inizio alla fase discendente della traiettoria, Nick sbucò come dal nulla, compiendo un balzo ed afferrandole al volo.

“Queste le prendo io, ragazzi.” disse.

Poi corse alla volante, mettendosi al posto di guida.

“Wilde?!” Ma che...” disse Johnson, sbalordito.

“Ma che stai facendo?! ASPETTA!!” Gli fece eco Snarlov.

Nick inserì la chiave e mise in moto, accendendo lampeggianti e sirene. Diede una rapida occhiata allo specchietto retrovisore e, vedendo i due colleghi che si stavano avvicinando, abbassò il finestrino e si sporse, voltandosi verso di loro.

“LEVATEVI DI MEZZO!!” Urlò.

Il capitano Bogo si trovava come sempre nel suo ufficio, questa volta alle prese con la riorganizzazione di alcuni file al computer. Un’ impresa alquanto ardua, a giudicare da come sbuffava ed imprecava.

“E meno male che la tecnologia dovrebbe semplificarci la vita...” disse tra sé, mentre trascinava nervosamente il mouse avanti e indietro nel vano tentativo di smuovere una cartella che continuava a rimanersene ostinata al suo posto.

Poi, un frastuono improvviso di sirene lo fece letteralmente sobbalzare dalla sedia.

“Ma che diavolo...”

Si precipitò alla finestra giusto in tempo per scorgere una volante uscire in retromarcia dall’area di sosta.

Vide gli agenti Snarlov e Johnson buttarsi entrambi a terra, di lato, per non venire travolti. E vide infine l’auto fare manovra e partire a tutta velocità.

Ma soprattutto, vide il paio di zampe che reggevano saldamente il volante, riconoscendole al volo.

ZAMPE DI VOLPE.

Un istante dopo Clawhauser fece capolino nel suo ufficio, in preda al fiatone.

“Anf...anf...m-mi scusi, capitano, ma é appena successa una...”

“Non me lo dire.” rispose Bogo, senza nemmeno voltarsi.

“Ma signore, devo avvisarla che l’agente Wilde ha...”

“NON – UNA – PAROLA, HO DETTO!!” Rispose furibondo, puntando lo zoccolo destro in direzione di Benjamin.

Come supponeva, utilizzare un’auto della polizia si era rivelata la scelta migliore.

Gli altri guidatori, non appena udivano la sirena, accostavano all’istante lasciandogli la carreggiata completamente libera. Inoltre, non doveva preoccuparsi dei limiti di velocità o di altre eventuali infrazioni al codice stradale.

Attraversò il centro città in un lampo.

“Niente da fare, signore. Non risponde.” disse Benjamin.

“Prova ancora.” lo incalzò Bogo.

“Signore...devo informarla che il cellulare dell’agente Wilde era caduto a terra e...si era aperto in due. Io...dubito fortemente che abbia avuto il tempo di rimetterlo a posto, con la fretta che aveva.”

Bogo rifletté per un istante.

“Mmh...ok, contattalo via radio, allora.”

“Ma...ma capitano, quella é...é una frequenza aperta. Ci saranno anche gli altri distretti in ascolto, senz’altro. L-lei non crede che...”

“Non mi importa. TU FALLO E BASTA, TI HO DETTO!!”

“V-va bene, a-agli ordini capitano.”

“Bogo serrò i pugni, digrignando i denti per la rabbia e lo sforzo di doverla contenere. Aveva una gran voglia di scagliarli sul muso di qualcuno, e sapeva bene chi.

Giuro che questa me la paghi, Wilde. E te la faccio pagare maledettamente cara.

Stava quasi per imboccare l’ingresso della superstrada in direzione di Wyndham City, quando Nick udì il gracchiare della radio.

“Qui centrale. Due – Bravo – Cinque: rispondete, passo.”

Era Benjamin.

Nick la ignorò ed entrò nello svincolo, immettendosi nella carreggiata.

“Qui centrale. Due – Bravo – Cinque: rispondete, passo.”

Al quarto tentativo, Nick afferrò finalmente il ricevitore.

“Qui Due – Bravo – Cinque, passo.” rispose sbuffando.

“Nick, grazie al cielo!! M-ma si può sapere perché hai fatto una cosa simile?!”

“Ben, ascolta: ora non ti posso spiegare, ma ti assicuro che si tratta di una questione della massima urgenza, ok?”

“Nick, il capitano é su tutte le furie. Devi tornare subito indietro, altrimenti non so cosa potrebbe accadere!”

“Ben, ti ho appena detto che...”

“A-aspetta un attimo, Nick!! V-voglio chiederti solo una cosa: una soltanto, ok? Al distretto, prima di correre fuori, ti ho sentito fare il nome di Judy.”

Nick deglutì, senza dire nulla.

“Nick, ascoltami: c-cosa é successo a Judy? Dimmelo, per favore!!”

“Stammi a sentire, Ben: Judy é gravemente ferita, MI HAI CAPITO?! DEVO CORRERE DA LEI, SUBITO!!”

“C-COSA?!” Esclamò il ghepardo, stupito. “D-dici sul serio? J-Judy é ferita? M-ma come...”

“DA’ QUA!!”

La voce di Bogo. Sembrava davvero furibondo, a giudicare dal tono.

“WILDE!! RIENTRA QUI IMMEDIATAMENTE, E’ UN ORDINE!!”

Nick non rispose.

“TI SEI ALLONTANATO DURANTE L’ORARIO DI SERVIZIO, USANDO UN MEZZO DELLA POLIZIA SENZA ALCUNA AUTORIZZAZIONE E HAI QUASI INVESTITO DUE AGENTI!! SEI GIA’ NEI GUAI FINO AL COLLO, NON PEGGIORARE ULTERIORMENTE LA SITUAZIONE!!”

Di fronte all’ostinato mutismo di Nick, il capitano perse definitivamente la pazienza.

“APRI BENE LE ORECCHIE, WILDE!! SE NON TORNI QUI ALL’ISTANTE, GIURO CHE TI FACCIO ARRESTARE, MI HAI SENTITO?! TI ORDINO DI TORNARE SUBITO INDIETR...”

“Passo e chiudo, capitano.”

Nick spense la radio, buttò il ricevitore sul sedile ed accelerò a tavoletta, zigzagando tra le corsie e rimediando una serie di insulti e rabbiosi colpi di clacson.

Non gli importava. Né degli automobilisti né di Bogo. Nella sua testa riecheggiava senza sosta la voce sconvolta di Bonnie, insieme alle sue ultime parole.

Judy aveva avuto un incidente. L’avevano investita. E l’avevano portata all’ospedale, in condizioni critiche.

In neanche un’ora, Nick giunse al parcheggio del James Harriot Medical Center di Wyndham City, dopo aver guidato come un pazzo.

Scese dall’auto e si precipitò all’ingresso.

Sono qui, piccola.

Sto arrivando.

Non ti lascerò morire.

NON TI LASCIO MORIRE, HAI CAPITO?!

Le porte dell’ascensore non fecero nemmeno in tempo ad aprirsi.

Nick piombò fuori come una furia, dirigendosi verso il reparto di terapia intensiva.

Spalancò la porta antipanico con entrambe le braccia e prese il corridoio a sinistra.

Dopo circa cinquecento metri si imbatté in una saletta d’attesa sulla destra. Dentro, seduti su di un ampio divanetto color panna, vide Stu e Bonnie Hopps.

Bonnie stava piangendo, coprendosi il volto con entrambe le mani. Stu, al suo fianco, la stava abbracciando nel tentativo di consolarla. Aveva un’aria mortalmente stanca ed afflitta: pareva invecchiato di almeno dieci anni in un sol colpo, poveretto.

Nick si avvicinò, fermandosi a pochi passi da loro.

“Bonnie...” mormorò.

Quest’ultima, udendo la sua voce, scostò le zampe dal viso, voltandosi verso di lui.

“Ni...Nicholas!!”

“Perdonatemi, io...ho fatto più in fretta che ho potuto, mi...mi dispiace...” si giustificò.

Bonnie si alzò dal divano e gli andò incontro per abbracciarlo. Nick si inginocchiò, stringendola forte a sé.

“Oh, Nicholas...é...é terribile...Judy, la mia bambina, la mia povera bambina...” disse, tra i singhiozzi. Aveva la testa reclinata sulla sua spalla, e continuava a piangere.

“Come...come é successo?” Chiese Nick.

“Ci...ci hanno chiamato dal pronto soccorso, dopo che l’hanno portata qui.” rispose Stu, alzandosi a sua volta in piedi, lentamente.

“Judy...Judy é stata investita, da un auto. Un...un pirata della strada, a quanto sembra. Stava per travolgere un cucciolo e lei, a quel punto...lo ha salvato facendogli scudo con il suo corpo...” concluse, con la voce tremante.

“Dove...dov’é, ora?”

“E’...ancora sotto ai ferri, Nicholas. L’operazione é ancora in corso. L’urto con la macchina l’ha sbalzata in aria e, cadendo, ha battuto violentemente la testa. Non...non sappiamo altro, purtroppo.”

Lo sapevo, pensò Nick, disperato.

Me lo sentivo che le sarebbe accaduto qualcosa di brutto.

E’…

Scacciò via quell’ultimo pensiero con tutte le sue forze. Farlo entrare equivaleva a perdere definitivamente quel poco di autocontrollo che gli era ancora rimasto.

Passò circa un’ora.

Dal reparto chirurgia giunsero due pazienti, ma di Judy ancora nessuna traccia.

Bonnie e Stu avevano ripreso posto sul divanetto, chiusi in un glaciale silenzio, mentre Nick continuava a camminare avanti e indietro per lo stanzino, nervosamente.

Si era già recato un paio di volte nella sala infermiere ma in entrambi i casi, il ritornello era stato il medesimo: nessuno sapeva ancora nulla.

Lasciò passare una mezz’ora, poi andò per la terza volta. Gli risposero che l’operazione non era ancora terminata, di cercare di rimanere tranquillo e che avrebbero provveduto loro ad avvisarli poco prima di trasportare la paziente in reparto.

Nick capì che non era il caso di insistere ulteriormente e fece ritorno in sala d’attesa, sedendosi poco distante da Stu e Bonnie.

Poteva solo aspettare, come stavano facendo loro.

Non c’era nient’altro che potesse fare, in quel momento. Non c’era PIU’ NIENTE CHE POTESSE FARE PER RIMEDIARE, ORMAI. Avrebbe dovuto pensarci prima, quando era ancora in tempo. Era..

No, No!! Non ora, ti Prego!! NON ORA!! Pensò di nuovo.

Non riusciva a restare seduto. Si rimise in piedi, ricominciando a girovagare senza sosta per un’altra mezz’ora buona.

Era trascorsa un’altra ora e mezza.

“Signori Hopps?”

Nick volse lo sguardo in direzione della voce.

Una femmina di ocelot si trovava di fronte a loro. Era una delle infermiere.

“L’operazione é appena terminata. Tra non molto vostra figlia verrà portata qui in reparto.” proseguì, con voce tranquilla.

“Come...come sta?” chiese Stu.

“L’intervento é riuscito. Non appena la paziente sarà arrivata, vi raggiungerà uno dei membri dell’equipe medica, il dottor Spencer. Lui vi spiegherà ogni cosa. Ora venite con me, per favore.”

Nick, Stu e Bonnie seguirono l’infermiera fino all’ascensore riservato al personale medico.

Circa dieci minuti dopo le porte si aprirono ed uscì Judy, insieme a due corpulenti infermieri: un orso bruno ed un dromedario. Il primo spingeva il letto su cui si trovava la coniglietta, mentre il secondo si occupava dei macchinari necessari al supporto vitale.

“Permesso, scusate; fate largo, per favore!” Chiese quest’ultimo.

“Portatela nella sala di recupero post – operatorio, presto!” Ordinò l’infermiera.

“Ok.” rispose l’orso.

Bonnie fece per avvicinarsi.

“Judy!! Bambina mia!!”

Stu la trattenne.

“Aspetta, Bonnie. Non ora, ti prego.”

“Suo marito ha ragione, signora” intervenne l’infermiera. “Dobbiamo portarla nella stanza, prima di ogni altra cosa. E’ una questione della massima urgenza. Dopo, avrete tutto il tempo. Mi scusi.”

Nick riuscì a scorgere Judy di sfuggita, mentre l’infermiere la portava via.

E ciò che vide gettò il suo cuore in un pozzo profondo e scuro come la pece.

La parte superiore della testa era completamente fasciata; due tubicini spuntavano dal lato anteriore destro, connessi ad un macchinario. Altri due, collegati al respiratore artificiale, fuoriuscivano dalle sue minuscole narici; altri ancora, attaccati all’elettrocardiogramma, si diramavano a decine dal suo corpicino inerte, simili a protuberanze filamentose. L’ultimo infine, separato da quel sinistro groviglio, era infilato tramite un ago nel braccio sinistro e terminante in una flebo all’estremità opposta.

Judy venne portata all’interno della stanza. I suoi genitori, insieme a Nick, rimasero fuori, in attesa che finissero di sistemarla.

Dopo dieci minuti circa, vennero fuori l’orso bruno ed il dromedario, che si allontanarono rivolgendo loro un cenno di saluto. Un minuto più tardi uscì anche l’infermiera, che si diresse verso di loro.

“Ora potete entrare.” disse gentilmente.

“P-possiamo vederla?” chiese Bonnie.

“Certamente, signora. Appena dentro la stanza c’é un’anticamera. Appesi alle pareti ci sono dei camici e delle cuffie. Ricordatevi di indossarli, prima di entrare. E di cambiarli ad ogni ingresso. E non più di due persone alla volta, mi raccomando. Un’ultima cosa: non sono ammessi doni o altri oggetti dall’esterno, finché la paziente si trova qui. D’accordo?”

“D’accordo. Grazie di tutto.”

“Di nulla, signora. Tra non molto arriverà il neurochirurgo e vi fornirà il quadro clinico completo.”

Stu e Bonnie entrarono per primi, mentre Nick attese fuori.

Passò un altro quarto d’ora circa, quando vide avvicinarsi un muflone. Indossava un camice, e nella zampa destra reggeva una cartellina. Sulla parte anteriore del muso spiccavano un paio di occhiali sottili di forma rettangolare.

“Buonasera, sono il dottor Spencer.” disse, presentandosi. “Dovrei parlare con i genitori di Judy Hopps. Lei é…?”

“Nicholas Wilde. Sono un suo amico ed ex – collega di polizia, quando era d’istanza a Zootropolis. I suoi genitori sono appena entrati.”

“Capisco” rispose il dottore. “Vorrà dire che li attenderò qui.”

“Come...come sta, dottore? Ce la farà, non é vero?” Chiese Nick, agitato.

“Comprendo la sua preoccupazione, Nicholas. Ma devo parlarne prima con i genitori della paziente, in quanto suoi parenti più prossimi. Quando usciranno, spiegherò tutto quanto per filo e per segno, stia tranquillo. Pazienti ancora un poco.”

Venti minuti dopo, Bonnie e Stu uscirono entrambi e il dottor Spencer poté finalmente illustrare loro la situazione.

“L’operazione é stata piuttosto lunga,” esordì. “ma siamo riusciti a rimuovere completamente l’ematoma causato dal violento colpo alla testa. Abbiamo poi applicato un dispositivo per monitorare costantemente la pressione intracranica, insieme ad uno per il drenaggio. Quando si ha a che fare con un trauma cranico piuttosto esteso, vi sono concrete possibilità che si sviluppi un edema cerebrale.”

“E...e adesso come sta, dottore?” Domandò Bonnie con il cuore in gola.

“Attualmente la paziente si trova in stato di coma indotto. Abbiamo deciso di ricorrere al coma farmacologico per scongiurare la comparsa di un edema, oltre che per permettere all’apparato respiratorio di adattarsi alla ventilazione artificiale.”

“Vostra figlia ha una fibra molto forte.” aggiunse.

“Oh, si...una vera combattente. Una combattente nata.” disse Stu, con una punta di orgoglio.

“Vi posso assicurare che molti, al suo posto, non se la sarebbero cavata altrettanto bene, dopo un simile incidente. Ma il trauma che ha subito é piuttosto importante. E c’é dell’altro, purtroppo.”

“Cosa...cosa intende dire, dottore?”

“Devo avvisarvi che la tomografia ha evidenziato un danno all’altezza della terza e della quarta vertebra lombare, dove é avvenuto l’impatto con l’auto pirata. Al momento non siamo in grado di valutarne l’entità, ma se vi dovesse essere un interessamento del midollo spinale...”

“No, no; aspetti un momento!” Intervenne Nick. “Ci sta forse dicendo che Judy non potrebbe...che, che non potrà più...”

Il dottore emise un sospiro.

“Come vi ho detto, non possiamo valutare la gravità della lesione, almeno per ora. Potremo riuscirci solo quando Judy riprenderà conoscenza. E ritengo che questa sia la priorità principale, al momento. Oltre, naturalmente, a stabilire che non vi siano danni cerebrali. Ci vorrà tempo, purtroppo.”

A quelle parole, Bonnie scoppò nuovamente in un pianto disperato.

“No...NO...”

“Calmati tesoro, ti scongiuro.” la implorò Stu, cercando di tranquillizzarla. “Calmati, ti prego. O altrimenti, perdo la testa anch’io.”

Nick, sconvolto, crollò sulle ginocchia.

Fu allora che i pensieri di prima, tenuti faticosamente a bada sino a quel momento, presero definitivamente il sopravvento, approfittando di quell’attimo di debolezza.

Nick afferrò la sua testa con entrambe le mani in un ultimo, disperato tentativo di di arrestare quell’impetuoso flusso. Ma era troppo tardi, ormai.

Quella tragica rivelazione aveva rotto completamente le sue già fragili barriere, lasciandolo senza più alcuna difesa.

Frasi provenienti dal più profondo e remoto angolo della sua coscienza gli invasero la mente, moltiplicandosi come mostruosi parassiti.

Un inarrestabile moto perpetuo che lo avrebbe tormentato senza tregua per tutti i giorni a venire.

Guarda cosa hai fatto.

L’hai ridotta tu in quel modo.

Infrangendo la tua promessa.

E’ colpa tua.

SOLO COLPA TUA.

Che il cielo ti stramaledica, Nick Wilde.

PER L’ETERNITA’.

Salve a tutti, rieccomi qua, finalmente!!

Uff, non pensavo proprio di farcela, questa volta! E come al solito, i limite di 10-15 giorni che mi ero imposto é andato a farsi benedire…

Chiedo umilmente scusa, ma in quest’ultima settimana sono stato veramente incasinatissimo.

E’ un capitolo abbastanza complicato, e ho dovuto effettuare alcune ricerche nel tentativo di rendere la situazione descritta abbastanza verosimile. Spero di non aver scritto troppe “vaccate”, soprattutto dal punto di vista medico.

Intanto ringrazio, come di consueto, Plando, DeniseCecilia, Freez shad, nami92 e lovehug1998 per le recensioni, e naturalmente chiunque leggerà il capitolo e vorrà dare un parere.

Colonna sonora (vi mancava,eh? No? Ok, pazienza.): durante la lettura vi consiglio la struggente IN A LIFETIME, eseguita dal gruppo irlandese dei CLANNAD insieme a Bono (Si, il leader degli U2). E’ perfetta per tutte quelle situazioni da film in cui c’é qualcuno in fin di vita.

Alla prossima,

See ya!!

CAPITOLO 18

CAOS AL DISTRETTO (PRIMA PARTE)

Nick si trovava steso a terra, supino.

Esalò faticosamente quello che, a parer suo , doveva trattarsi del suo ultimo respiro, senza alcun dubbio.

Una fitta lancinante alla parte bassa del torace accompagnò la fuoriuscita dell’aria dalla bocca. Una sensazione di panico lo assalì. Doveva esserci senz’altro qualcosa di rotto da quelle parti, ne era più che certo.

“Calcolo errato della distanza e della portata del salto. SEI MORTO, VENDIGHIACCIOLI!!”

Si voltò in direzione della voce, a fatica.

Vide Judy che si stava avvicinando, lentamente.

“In piedi, Nick.” disse lei.

Non ne poteva veramente più.

Era da tutta la mattina che Judy lo costringeva a percorrere in lungo e in largo, di corsa, l’interno di quel vecchio condominio dismesso situato alla periferia estrema di Downtown, facendo su e giù per le sue scale malmesse e pericolanti e balzando senza sosta da un piano all’altro.

Durante l’ultimo salto aveva mancato l’appiglio di un soffio e si era schiantato al suolo, dopo un volo di circa circa tre metri.

“Sei sordo, per caso?! IN PIEDI, SOLDATO!!” Urlò lei.

Nick chiuse gli occhi per un istante, ansimando. Quando li riaprì, vide il musino di Judy, proprio sopra il suo. I suoi occhietti viola parevano di ghiaccio, e sulle sue labbra sottili vi era dipinto un sorrisetto beffardo.

Era come la sottile lama di un pugnale: bella, gelida e spietata.

“Alzati in piedi, ho detto. E non farmelo ripetere ancora.”

“Volpe rossa a carotina...volpe rossa a carotina...missione fallita. Proseguite pure senza di me e...lasciatemi qui da solo a schiattare in santa pace, vi prego...”rispose Nick, con voce lamentosa.

“Se hai ancora abbastanza fiato per continuare a fare lo spiritoso, significa che non sei messo poi cosi male.” lo provocò Judy.

“Ti prego, fammi riprendere un attimo, un attimo soltanto...ho appena rischiato di MORIRE, ti rendi conto?”

“E’ proprio questo, il punto. Quest’allenamento andrà avanti fino a che non morirai.” precisò lei.

Nick non credeva a ciò che avevano appena udito le sue orecchie.

“C-COSA?! STARAI SCHERZANDO, SPERO!!”

“Affatto. E’ proprio come ti ho appena detto: fino a che non morirai. O, perlomeno, ci andrai molto vicino, mio caro. Sforzarsi di arrivare sino al limite estremo: é questo, il nostro vero scopo. Non appena lo avrai raggiunto, sentirai l’impulso di cedere, di fermarti, di dire basta. Ma se resisterai, se riuscirai a superare quell’attimo di crisi,avrai fatto un passo avanti. E ci avrai guadagnato qualcosa. Qualcosa che ti sarà molto utile, almeno fino all’ostacolo successivo.”

“Spingersi ogni volta un po' più in là, passo dopo passo. Un centimetro, un millimetro alla volta.” continuò. “Così mi sono preparata per diventare un poliziotto. Così mi allenavo in accademia, al di fuori del programma giornaliero. E così continuo a fare ora, anche adesso che lavoro in polizia. E se ce la faccio io, ce la puoi fare anche tu. Anzi, ce la DEVI fare anche tu. Mai tirarsi indietro, Nick. E mai arrendersi.”

“D’accordo, ma non ti sembra di stare esagerando, un filo? Quel che é troppo, é troppo!!”

“Mph, sei sempre il solito, non é vero? E’ proprio per questo che i tipi come te non riescono mai ad oltrepassare i propri limiti. Perché mollano sempre un attimo prima di arrivare al dunque. Ogni pretesto é buono. Ma é giunto il momento di invertire questa tua tendenza. Farò in modo che tu ci riesca, Nick. Costi quel che costi. Sarai costretto a farcela, se ci tieni a lavorare al mio fianco. Voglio come partner un valido compagno su cui poter contare, non una palla al piede da trascinarmi appresso.” concluse.

Tipico di carotina, pensò Nick. Tanto graziosa ed adorabile fuori dal distretto, quanto cocciuta e testarda fino all’inverosimile su tutto ciò che riguardava il suo lavoro. Per tacere del resto. Quando lo trascinava con sé, volente o nolente, per sottoporlo a quella sorta di supplizi medievali che lei chiamava ALLENAMENTI SPECIALI, la sua concentrazione raggiungeva il picco massimo, cancellando in lei qualunque traccia di carità o compassione.

L’ennesima, impietosa esortazione da parte di Judy lo distolse dalle sue amare riflessioni.

“Ora tirati su. E smettila di piagnucolare, una buona volta. Tanto non ti servirà a nulla, e lo sai.”

“E’ tutto questo che non serve a nulla, piuttosto.” replicò Nick. “Andiamo: io sono una volpe, ti pare che possa riuscire ad ottenere l’agilità di voi conigli?”

“Curiosa un’affermazione del genere, da parte tua.”

“Che intendi dire?”

“Sentiamo: perché continui ad andare a farti riempire di botte in quella scalcinata palestra da quattro soldi del tuo amico Butch?”

“Eh?”

“Non fare il finto tonto, con me. Lo sai bene, di cosa sto parlando. Vai lì perché vuoi riuscire ad abbattere animali più grandi e grossi di te.”

“E’ così, vero?” lo incalzò la coniglietta. “E allora, se puoi veramente diventare forte come un orso, una tigre o un leone, spiegami perché non dovresti riuscire a diventare veloce e scattante come un coniglio? Il principio é lo stesso, se ci rifletti per un istante.”

Lui la osservava sbalordito, senza dire una parola.

“Proprio così: sono due facce di un’unica medaglia. Se é vera la prima ipotesi, lo é anche la seconda. Altrimenti, sarebbe un controsenso. Certo, potrebbero essere entrambe false, ma mi rifiuto di prendere in considerazione una simile eventualità. Perché ognuno di noi...”

Eccolo.

Il suo motto.

Il suo mantra.

La sua regola aurea.

“...Ognuno può essere ciò che vuole. Lo so, carotina. Lo so. Me lo ripeti in continuazione, fino alla nausea.” disse Nick, mettendosi seduto.

“E non mi stancherò mai di farlo.” rispose lei. “Perché io ci credo. CI CREDO VERAMENTE.”

“Ok, mi hai convinto.”

Nick sorrise allargando le braccia, come in segno di resa.

“Sei veramente implacabile, ma...a dare a Cesare quel che é di Cesare, un sergente istruttore del tuo calibro non lo troverò mai, da nessuna parte.”

“Lieta che tu te ne sia accorto, finalmente.” rispose Judy mentre appoggiava la mano destra sul fianco, assumendo un’espressione stizzita. “E adesso rifacciamo il percorso per altre quattro volte, senza interruzioni.”

Erano passati quattro giorni dall’operazione. Judy era stata trasferita dal recupero post – operatorio alla terapia intensiva vera e propria. Ma, al di là delle piccole variazioni riguardanti il protocollo medico – sanitario, la situazione rimaneva inalterata. Dal punto di vista clinico nessun miglioramento, almeno per ora.

Nick, Stu e Bonnie piantonavano ormai regolarmente la corsia del reparto, dandosi il cambio all’interno della stanza.

I primi due giorni dormirono a turno nell’auto della polizia parcheggiata fuori. Il terzo giorno Nick, dopo aver lasciato i due coniugi in ospedale, si fece un giro nel quartiere residenziale adiacente e, prima di sera, riuscì a rimediare un monolocale arredato in affitto ad un prezzo a dir poco stracciato.

Passarono altri due giorni. Da parte di Judy ancora nessun miglioramento, purtroppo.

A quel punto, accadde qualcosa.

Forse era una reazione alla snervante attesa; oppure, allo scorrere del tempo sempre uguale; fatto sta che a Nick venne un’improvvisa pensata.

In fin dei conti, cosa sapeva veramente, di ciò che era accaduto a Judy?

Quello che sapevano i suoi genitori. Che, a loro volta, lo avevano saputo dai medici.

Ma aveva tralasciato un particolare. Piccolo, ma determinante.

Accidentale o meno che fosse, era stato commesso un CRIMINE. Questo era fuori da ogni ragionevole dubbio. E quindi, qualcuno stava conducendo un’indagine, in tal proposito. E ciò stava a significare che doveva esserci senz’altro un fascicolo relativo al caso.

Forse sarebbe stato opportuno darci un’occhiata.

Valeva la pena fare un salto al distretto dove lavorava Judy.

Vi si recò il giorno dopo.

Appena entrato, si recò presso l’agente preposto alla reception.

Indossava una maglietta bianca a mezza manica ed un paio di jeans a pinocchietto, sgraffignati di soppiatto ad un emporio di abiti di seconda mano lì vicino. Aveva ritenuto opportuno presentarsi in abiti civili, giusto per tastare il terreno.

“Buongiorno, posso aiutarla?” chiese gentilmente l’antilope dietro al bancone, non appena lo vide.

“Salve, agente. Mi chiamo Nick Wilde e sono un conoscente della detective Judy Hopps.”

“Oh...capisco.” rispose l’antilope, con tono dispiaciuto.

“I suoi genitori vorrebbero delle informazioni su quanto le é accaduto” proseguì Nick. “Ma, al momento, non se la sentono di abbandonare la loro povera figlia nemmeno per un istante, lei capisce… e così hanno chiesto a me, che sono un amico di famiglia, di venire qui al posto loro.”

“Ehm...certo, certo...se le posso essere utile, in qualche modo...”

“Beh, ad esempio potrebbe gentilmente farmi avere un colloquio con chi si sta occupando del caso, se la cosa non costituisce un problema...”

“Certamente: mi lasci controllare, un attimo solo...ecco fatto. Hanno incaricato l’agente Winslow, a quanto mi risulta. Glielo chiamo subito.”

“La ringrazio molto.”

L’antilope fece una telefonata e, circa cinque minuti dopo, un ippopotamo giunse alla reception.

“Buongiorno, sono Winslow. Mi hanno detto che voleva qualche ragguaglio sull’incidente.” disse in tono cordiale.

“Si, se é possibile.” rispose Nick.

“Venga, andiamo alla mia scrivania. Si trova laggiù in fondo.”

Erano entrambi seduti, uno di fronte all’altro.

“E’ stata veramente una terribile disgrazia,” esordì l’agente. “ed un brutto colpo per tutti, qui al dipartimento. La detective Hopps si era trasferita da noi soltanto da qualche mese.”

“Avete scoperto qualcosa, sull’auto pirata?” Domandò Nick.

“Purtroppo no. Si trattava di un’utilitaria di utilizzo abbastanza comune, qui in città. Stesso dicorso per il colore: il bianco é una tonalita piuttosto consueta, per quel modello. Nulla di anomalo, da quel punto di vista.”

“E su chi la guidava?”

“Anche lì, buio completo. C’era gente terrorizzata che fuggiva in ogni direzione. Abbiamo sentito parecchi testimoni, ma niente di particolarmente rilevante.”

“Non ci sono delle telecamere di sicurezza, in quella zona? Avete provato a controllare i filmati?” Buttò lì Nick. “Magari si può riuscire a leggere la targa, o a notare qualche dettaglio ulteriore...”

“Ha detto di essere un AMICO DI FAMIGLIA, giusto?” Chiese Winslow, incuriosito.

“Che intende dire?”

“Forse mi sbaglierò, ma...a giudicare dal tipo di domande, e dal modo in cui le fa, giurerei di avere a che fare con un poliziotto.”

Beccato subito, dannazione. L’amico era un testafina, a dispetto dell’aria da bonaccione. O forse, l’agitazione e l’ansia avevano finito per tradire le sue reali intenzioni: fare un’indagine.

Nick decise che era opportuno cambiare tattica. E al volo, anche.

Ok, proviamo a scoprire le carte e a buttarle direttamente in tavola, si disse. In fin dei conti, Winslow aveva dimostrato di essere un tipo affabile e alla mano. Un BRAVO SBIRRO, insomma. Uno della vecchia scuola. Forse buttarla sull’amichevole, dichiarando i propri intenti sin dall’inizio, avrebbe contribuito a sciogliergli la lingua, facendogli ottenere le informazioni di cui aveva bisogno.

“Accidenti! Forse anche lei avrebbe dovuto fare il detective, con un simile intuito!” Esclamò, fingendo un tono sorpreso.

“Figuriamoci: a me interessa solo far bene il mio lavoro, per questo rimarrò sempre e solo un semplice agente, fino alla fine dei miei giorni.” rispose l’ippopotamo.

“E comunque ha indovinato: anch’io sono un agente di polizia.” precisò Nick. “Io e la Hopps eravamo colleghi di pattuglia quando prestava servizio a Zootropolis. Le chiedo scusa, per non averglielo rivelato subito. Volevo solo saperne di più sulla faccenda, tutto qui.”

“Detto fra noi, amico, non sarebbe la prassi. In teoria non sarei autorizzato a rilasciare informazioni relative ad un caso, neanche ai parenti più stretti. Men che meno ad un collega proveniente da un altro distretto, senza un’apposita autorizzazione. Ma vedrò di fare un’eccezione, stavolta.”

Nick fu sul punto di dire qualcosa, ma Winslow lo stoppò con un cenno della zampa.

“Non mi ringrazi: diciamo solo che, da poliziotto, posso ben capire quel si prova, quando accade una cosa simile al proprio partner. Per questo l’aiuterò.”

“Voglio ringraziarla ugualmente, di cuore.” insistette Nick.

“A dirla tutta, non che ci sia questo granché da tenere riservato, come scoprirà tra non molto. Anzi: visto che conosceva così bene la vittima, forse potrebbe essere lei a dare una mano a me, fornendomi qualche dettaglio in più.”

“Dunque, abbiamo controllato le registrazioni delle telecamere di sicurezza, ma abbiamo scoperto che entrambe le targhe dell’auto erano state coperte in precedenza, probabilmente con del nastro isolante. In seguito, ne abbiamo compreso perfettamente la ragione.” disse Winslow.

“Sarebbe a dire?” chiese Nick.

“Abbiamo visionato le immagini risalenti a dieci minuti prima dell’incidente, ed é saltato fuori che il responsabile, anzi I RESPONSABILI, visto che erano due, stavano fuggendo da una rapina.”

“Cosa? Una rapina?”

“Proprio così. Uno dei due é entrato in un negozio di articoli sportivi e, dopo aver tramortito il gestore, se l’é filata con l’intero incasso. Il complice era fuori ad attenderlo, in macchina, e non appena l’altro é salito a bordo é partito all’impazzata senza nemmeno badare ai pedoni.”

“Ma allora siete riusciti a riprenderlo, dunque!” saltò su Nick.

“Sfortunatamente, no. Indossava una felpa di taglia piuttosto grossa e aveva la testa coperta dal cappuccio. Per giunta portava occhiali scuri ed una sciarpa per nascondere meglio il muso. Indossava persino dei calzari sulle zampe. Un tipo scaltro, a quanto pare. Ha pensato davvero a tutto.”

“E le telecamere a circuito chiuso del negozio?”

“Ci stavo arrivando, collega. Anche lì, niente. E le dirò di più: in mancanza d’altro, abbiamo controllato anche la lunghezza delle estremità corporee, tanto per farci un’idea...”

“Vale a dire la distanza tra spalla e gomito, giusto?”

“Esatto. O tra gomito e polso. Oppure tra anca e ginocchio, e così via. Da quello si può calcolare approssimativamente l’altezza e le dimensioni di un individuo, in modo da ottenere qualche informazione utile a restringere il campo di ricerca. Ma, osservando le riprese all’interno dell’esercizio, abbiamo notato che il tipo presentava delle irregolarità all’altezza dei gomiti e delle ginocchia. Per farla breve, li aveva senz’altro coperti con delle imbottiture, per confonderci. Davvero astuto.”

“Non é possibile...”

“Possiamo ipotizzare che si tratti di un mustelide, ma non siamo nemmeno riusciti ad identificare la specie di appartenenza. Quello é un professionista, glielo garantisco.”

“Maledizione!!”

“Da lì in poi, é storia nota: mentre stanno fuggendo, i due pazzi investono tre persone e a momenti stanno per mettere sotto persino un cucciolo, che nel frattempo era finito in mezzo alla strada, dopo essere scappato dalla sua mamma. A quel punto la Hopps, che si trovava lì nei paraggi, accorre sul posto e si getta sul piccolo senza pensaci due volte. E poi...lo sappiamo bene, com’é andata a finire. Lei riesce a salvarlo, ma viene travolta in pieno.”

Sempre la solita. Non é forse vero, Carotina? Pensò Nick, affranto.

La mia solita, piccola, sciocca CONIGLIETTA OTTUSA.

Vuoi sempre salvare il mondo intero. Ma CHI HA SALVATO TE, stavolta?

Abbassò lo sguardo, puntando gli occhi verso terra, come un penitente.

Già...chi é il dannato idiota che avrebbe potuto, DOVUTO SALVARTI?

“E’ stato un gesto veramente coraggioso, non so quanti altri avrebbero fatto la stessa cosa, al suo posto. Ma non avrebbe dovuto finire così, poveretta.” concluse Winslow, con estremo rammarico.

“La conosceva bene?” domandò Nick.

“Di vista, come la maggior parte di noi. Ma mi aveva fatto una buonissima impressione, sin dall’inizio. Mi sembrava parecchio in gamba e piena di energie. E ci teneva molto al suo lavoro, nonostante la giovane età. Aveva sempre una buona parola per tutti. Era...era molto umile, davvero.”

“Sono cose come queste che mi fanno odiare questo mestiere, certe volte.” aggiunse l’ippopotamo, con un sospiro. “Sembra proprio che le cose peggiori debbano sempre capitare ai migliori di noi. Beh, credo di averle detto tutto quanto. Mi auguro di esserle stato utile, in qualche modo. Se lei o i genitori della detective Hopps ritenete di avere qualche elemento valido per le indagini a vostra conoscenza, non esitate a contattarmi. E se avete bisogno di ulteriori chiarimenti, sarò a vostra completa disposizione.”

Nick uscì dal distretto.

Le cose non andavano bene, purtroppo. Non andavano bene PER NIENTE.

In altre parole, stavano brancolando nel buio. Dalle telecamere e dai testimoni non avevano cavato un ragno fuori dal buco.

Ma era emerso anche un altro dettaglio, ancora più preoccupante: l’incidente di Judy veniva considerato una tragica fatalità, e nulla più. Lo dimostrava il fatto che l’avessero affidato ad un semplice agente di pattuglia. La tanto decantata squadra detective, a quanto pare, stava concentrando la sua attenzione principalmente sulla parte riguardante la rapina, tralasciando tutto il resto. Di questo passo, senza ulteriori prove a supporto, il caso sarebbe stato ben presto archiviato.

E questo non poteva assolutamente permetterlo.

Avrebbe voluto chiedere a Winslow di poter visionare il fascicolo relativo al caso. Ma, all’ultimo, aveva cambiato idea ed aveva desistito. L’agente aveva già fatto fin troppo. Si era dimostrato cortese e disponibile, e gli aveva dato una grossa mano, nonostante non fosse assolutamente tenuto a farlo. Forse a causa di quella subitanea ed improvvisa corrente di simpatia che si viene a creare tra individui che scoprono, all’improvviso e più o meno consapevolmente, di essere fatti della stessa pasta o di ritrovarsi sullo stesso lato della barricata.

Per come la vedeva Nick, era lo stesso tipo di solidarietà che si forma tra un gruppo di condannati a morte, messi bene in fila davanti al plotone d’esecuzione. Sai bene che non ti servirà a niente, ma é bello sapere che esiste.

Oppure, il merito era tutto quanto di Judy, ancora una volta. Grazie al suo entusiasmo e alla sua gentilezza, doveva essersi senz’altro fatta benvolere da tutti anche lì, nel giro di breve tempo.

In ogni caso, Winslow aveva già rischiato grosso a dargli quelle informazioni riservate (“Si ricordi, Wilde: io non le ho detto assolutamente nulla.”); non sarebbe stato giusto esporlo ad ulteriori guai.

Ma doveva comunque mettere le mani su quel dossier, in un modo o nell’altro.

Non rimaneva che un’unica carta, da giocare ancora. Non era detto che si rivelasse vincente, ma non ne aveva altre, per il momento.

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Questo capitolo é un po' più “poliziesco” rispetto al solito (ma, del resto, Zootropolis é un poliziesco, seppure tenda a virare di più sull’action - comedy), ed é venuto un po' lunghetto. Spero di non annoiare nessuno, così come mi auguro di non aver scritto troppe fesserie per quanto riguarda le procedure investigative. Diciamo che ho fatto qualche ricerchina in proposito, e ho scritto tutto solo quando ho ritenuto di avere in mano tutti gli elementi validi per poter procedere.

D’altra parte, come ho scritto nel capitolo, al di là della tragedia capitata a Judy c’é un crimine impunito su cui indagare, e oltre al Nick perdutamente innamorato della sua ex – collega e amica a iniziato a muoversi finalmente anche il Nick poliziotto.

A questo punto mi direte: “E la parte iniziale che c’entra?”

Vedrete nella seconda parte, non vi preoccupate.

Ringrazio quelli che sono i miei “compagni di viaggio”: nami92, Freez shad, DeniseCecilia, lovehug1998 e Plando, e la new entry MizukiZukishima28 per tutte le recensioni effettuate a tempo di record!

Come sempre, un grazie anche tutti quelli che hanno messo la mia storia tra le seguite e le preferite (so di non nominarvi sempre, ma non mi dimentico affatto di voi!), e un altro grosso grazie a chiunque leggerà la storia e vorrà lasciare un parere.

Alla prossima,

See ya!!

CAPITOLO 19

CAOS AL DISTRETTO (SECONDA PARTE)

L’indomani, Nick fece nuovamente ritorno al dipartimento. Ma questa volta aveva indosso la sua divisa d’ordinanza, perfettamente pulita e tirata a lucido.

Non appena fu entrato, gettò un’occhiata furtiva alla reception.

Vide un castoro, intento a controllare qualcosa sullo schermo del computer di fronte a lui.

Perfetto. Nessuna traccia dell’antilope di ieri. Quindi, nessun rischio di venire riconosciuti.

Presentarsi ad un orario completamente diverso da quello della giornata precedente si era rivelata una mossa azzeccata. Dopotutto, pur non essendo a conoscenza degli orari dei vari turni di lavoro, aveva ipotizzato che dovevano essere troppo dissimili da quelli del distretto uno di Zootropolis.

Azzeccandoci in pieno, a quanto pare.

Passò di fianco al bancone, procedendo con passo fermo ma spedito, e rivolgendo un cenno di saluto al castoro, che ricambiò cortesemente.

Era andata.

Si diresse verso le postazioni degli agenti, dove aveva avuto il colloquio con Winslow. Fortunatamente, non c’era nemmeno lui.

Meglio di così non poteva andare.

Giunse alla sua scrivania. Vide sopra il tavolo una decina di fascicoli, perfettamente impilati ed allineati. Cominciò ad esaminarli uno alla volta, ma del documento relativo al caso di Judy non vi era alcuna traccia. Ricontrollò, per sicurezza.

Niente. Non c’era.

Escludendo che Winslow se lo fosse portato con sé per svolgere i compiti a casa, non rimaneva che un’unica alternativa: l’archivio.

Doveva trovarsi per forza lì. O almeno così sperava. Ora si trattava solo di scoprire dove si trovasse questo benedetto archivio.

“Tu! Che stai facendo?”

Nick si voltò di scatto e vide una tigre che lo stava osservando con espressione severa, come se lo avesse pescato, con le zampe immerse fino ai gomiti, in un barattolo formato maxi di succulenta marmellata.

“C-chiedo s-scusa, s-signore,” disse, fingendo un’improvvisa quanto grave forma di balbuzie, “m-ma i-il m-mio c-collega più a-a-anziano, l’a-a-agente W-Winslow, m-mi ha...ha...”

La tigre lo guardava perplesso ed anche leggermente spazientito, mentre attendeva che riuscisse a terminare la frase.

“S-stavo d-dicendo, s-signore, c-che l’a-a-agente W-W...”

“Winslow,” precisò l’altro.

“E-esatto, s-signore. L’a-a-agente W-Winslow m-mi ha i-incaricato d-di r-recuperare u-una p-pratica, m-ma...q-qui n-non l-la t-trovo.”

La tigre mutò espressione, abbozzando un leggero sorriso.

“Se non si trova qui” disse, “allora deve essere sicuramente giù in archivio.”

“E-ecco, s-signore...n-non é c-che g-gentilmente p-potrebbe d-dirmi d-dove s-si t-trova, p-per favore?”

“Non sai dov’é l’archivio?” Chiese l’agente, stupito. “Ma da dove arrivi, si può sapere?”

“M-mi s-scusi, m-ma...é m-molto poco c-che m-mi hanno a-a-assegnato q-qui e...s-sono a-a-ancora un p-pò s-spaesato...”

“Capisco, figliolo. Beh, non preoccuparti. Può capitare, i primi giorni. Comunque, l’archivio si trova al primo piano seminterrato, la terza porta a destra, non appena scendi le scale.”

“G-grazie, s-signore.”

“Di niente, giovanotto. Fai qualcosa per quel tuo problemino, piuttosto: esistono tanti ottimi specialisti, sai?” Disse, mentre si allontanava.

“L-lo farò, s-signore.”

Non appena la tigre fu a debita distanza, Nick prese con sé un fascicolo a caso e si diresse verso le scale.

Il caro, vecchio trucco della recluta sprovveduta: funzionava sempre. Forse perché ogni agente di polizia lo é stato, almeno all’inizio. E quindi, quando se ne trovano di fronte una, vera o finta che sia, finiscono inevitabilmente per empatizzare con lui. E’ un riflesso automatico. La verità é che, per ogni sbirro, una recluta é uno specchio in cui rivede ciò che é stato e ciò che ha passato. E’ più forte di loro, non possono farci niente.

Nick scese i gradini e prese diretto la terza porta a destra,come gli aveva detto la tigre.

Vide un bancone in legno scuro, largo quanto la stanza. Dietro di esso, come ad attenderlo, vi era un ariete. Alle sue spalle, una serie di schedari a cassetto e scaffali su cui giacevano varie cartelle e fascicoli, in perfetto ordine.

A quanto pare, non si poteva accedere ai documenti direttamente dalla parte dove si trovava lui. Con tutta probabilità, una delle porte precedenti, a cui era passato davanti senza prestare particolare attenzione, doveva fungere da ingresso. La seconda, a giudicare dall’ampiezza dell’intero locale e facendo qualche rapido calcolo.

“Buongiorno, come posso aiutarla?” Gli chiese l’addetto, dopo averlo squadrato per qualche istante.

“Buongiorno a lei. Sono l’agente Nicholas Wilde, del dipartimento di polizia di Zootropolis. Primo distretto di Downtown, per la precisione. Mi hanno inviato per collaborare al caso Hopps. Vorrei poter dare un’occhiata al rapporto, per avere un resoconto dettagliato sull’intera faccenda.”

“Capisco...un attimo solo, per favore. Mi faccia parlare con il capitano Hammond.” rispose l’archivista, prendendo il telefono.

Dannazione!!

Nick presentì grane in arrivo. Doveva impedire quella chiamata, ad ogni costo.

“Ma come, vuole forse dirmi che il mio diretto superiore non ha già provveduto ad avvisarvi?” Esclamò, con tono stupito.

“Mi...mi spiace, ma...a me non risulta nulla, agente. Non ho ricevuto alcuna segnalazione, in merito.”

“Veramente strano...facciamo così, per non creare equivoci: adesso vado fuori un attimo e contatto immediatamente il mio distretto. Vedrà che provvederanno ad informarla quanto prima.”

“Come...come vuole lei.” Disse l’ariete, riponendo la cornetta con aria alquanto perplessa.

Nick tornò nel corridoio.

Un buco nell’acqua, purtroppo. Non aveva abboccato. Ma neanche aveva mangiato la foglia, per fortuna. Forse, non tutto era perduto. Non ancora. Ma ormai, giunti a questo punto, non rimaneva che l’assalto frontale.

Guardò il fascicolo che portava sottobraccio. L’aveva afferrato principalmente come paravento, ma anche nel caso si fosse verificata una simile eventualità.

Risalì al pian terreno, e andò di nuovo verso la zona delle scrivanie, avvicinandosi al primo agente che gli capitò a tiro, un orso bruno.

“”Scusa, amico.” disse. “Sono l’agente Nicholas Wilde, del dipartimento di polizia di Zootropolis. Ho un documento riguardante il traffico di armi illegali, e devo consegnarlo URGENTEMENTE al capitano Hammond.”

“E perché lo chiedi a me?” Rispose l’orso, seccato. “Dovrebbe esserci un ufficio informazioni all’ingresso, se non ricordo male. Non l’hai visto, per caso?”

“Ehm, certo che l’ho visto, amico...ed ho atteso ben dieci minuti. Ma non si è fatto vivo nessuno, quindi...”

“Mph! Quello sfaticato di Dudley! Sempre in giro a farsi i fatti suoi, invece di lavorare!Ma appena mi capita a tiro gliene dico io quattro!!”

“Come ti capisco, amico.” aggiunse Nick, con tono accondiscendente. “Ora, se gentilmente potresti dirmi dove si trova l’ufficio, per favore...avrei una certa fretta.”

“E va bene” replicò l’altro, stizzito. “Vai fino al secondo piano, poi a sinistra. E’ l’ultima porta.”

“Grazie, amico.”

Sei una forza, Nick. Non ti ferma nessuno, pensò ironicamente trà sé, mentre saliva le scale.

Nick arrivò di fronte all’ufficio del comandante. Bussò un paio di volte sulla porta a vetro poi entrò, senza nemmeno attendere l’invito.

All’interno dell’ufficio, dietro la scrivania, vide una giraffa. Il capitano Hammond, con tutta probabilità. Di fronte a lui, seduto, vi era una zebra. Entrambi lo stavano fissando con aria esterrefatta.

“Buongiorno” disse, semplicemente.

Fu la zebra a superare lo sconcerto e a riprendere la parola.

“Chi...chi diavolo é lei? E come si é permesso di entrare qui dentro in quel modo?”

“Calma, calma.” intervenne la giraffa.

“Ma capitano, io...”

“Non si preoccupi, Chance. So difendermi benissimo da solo.” replicò Hammond.

Si rivolse poi verso Nick. “In quanto a lei, si identifichi, tanto per cominciare.”

“Mi chiamo Nicholas Wilde, signore. Sono un agente del dipartimento di polizia di Zootropolis. Ero il collega di pattuglia della detective Judy hopps, quando era agente semplice d’istanza al distretto uno, settore Downtown.”

In quei giorni, se gli avessero dato un dollaro per ogni volta che aveva dovuto ripetere DIPARTIMENTO DI POLIZIA DI ZOOTROPOLIS…

“Capisco,” disse Hammond, mentre pigiava sulla tastiera del computer e dava un’occhiata al monitor. “una vera disgrazia. Ma il suo gesto é stato veramente ammirevole. Chiunque lavori in polizia dovrebbe prenderla ad esempio.”

“Ad ogni modo, come posso aiutarla, agente?” Chiese, muovendo il mouse e cliccando ripetutamente con il tasto destro, senza staccare gli occhi dallo schermo.

“Vorrei poter dare un’occhiata al fascicolo relativo al caso.” rispose Nick.

“Sono spiacente, ma non posso accontentarla. E’ necessaria una richiesta di autorizzazione da parte del comandante del suo dipartimento, e non mi pare di aver ricevuto nulla del genere, in proposito.

E’ completamente fuori discussione.”

“Della faccenda se ne sta occupando anche la mia squadra.” intervenne la zebra. “Sono il tenente Chance, e sono il responsabile della sezione investigativa. La Hopps era alle mie dipendenze, e le posso assicurare che non avremo pace fino a che non avremo catturato i colpevoli. E non li avremo consegnati alla giustizia.”

“Conoscevo molto bene la mia ex-partner, potrei esservi d’aiuto...” buttò lì Nick. “Magari vi é sfuggito qualcosa. Se soltanto mi lasciaste...”

“Comprendo bene il suo stato d’animo, Wilde.” lo interruppe bruscamente Hammond. “Ma la faccenda non la riguarda. Inoltre, stando alle informazioni del database, mi risulta che attualmente lei sia un semplice poliziotto di quartiere, quindi non vedo in che modo possa esserci utile. Mi dispiace.”

“E poi, non siete solo voi di Zootropolis a fare bene questo lavoro, contrariamente a quanto possiate credere. Anche noi di Wyndham abbiamo ottimi agenti, e ce la caviamo benissimo da soli. Non ci serve l’aiuto di nessuno, tanto meno il vostro.” aggiunse Chance, con tono provocatorio.

“Certo: ve la cavate a meraviglia, su questo non ci piove.” rispose secco Nick.

“Cosa vuole insinuare?”

“Io non insinuo: io affermo, semplicemente. Avete degli agenti talmente in gamba da esser costretti a depredare i dipartimenti delle città vicine, per compensare la vostra inefficienza.”

Chance spalancò la bocca dallo stupore. Le strisce bianche sul suo muso divennero, se possibile, ancora più bianche: probabilmente era impallidito, da sotto il manto.

“Come...come osa...” farfugliò.

“Proprio così.” incalzò Nick, sprezzante. “Prendete gli agenti migliori e li portate qui, nella vostra fetida città, a farsi mettere sotto dai vostri pirati della strada che non siete nemmeno buoni di acciuffare!”

“Ora basta!” Sbraitò Hammond. “Non le permetto di parlare in questa maniera. Finora ho cercato di essere paziente, ma la mia sopportazione ha un limite. Vada immediatamente fuori di qui, e se ne torni da dove é venuto!”

“Vuole un altro esempio, capitano? E’ da più di mezz’ora che sto girovagando all’interno del vostro stupido dipartimento, facendo i miei comodi. E nessuno si é ancora preso la briga di scoprire cosa accidente ci faccia, qui dentro, un poliziotto di un altro distretto senza invito né autorizzazione. E questo é ancora niente.”

Lanciò la cartellina che teneva sottobraccio sulla scrivania.

“Usando il primo documento che mi é capitato sottomano, sono riuscito ad arrivare fino al suo ufficio, completamente indisturbato. Anche in questo caso, nessuno a fermarmi. Le é andata bene che io non sia un criminale. Con gli inetti che pullulano qui dentro, il caso Hopps finirà senz’altro archiviato. Sarà meglio che me ne occupi io, fin da subito.”

“Mi stia bene a sentire...” gli intimò Hammond.

“No! Mi stia lei a sentire, invece!!” Replicò Nick. “Ha tempo fino a tre per farmi avere quel maledetto fascicolo. Altrimenti, vado all’archivio e me lo prendo da solo, dopo aver buttato giù la porta a calci!! Uno...”

“Lei si é appena cacciato in un mare di guai. Glielo garantisco.” lo minacciò il capitano.

“...Due...”

“Tenente Chance!! Faccia mettere l’agente Wilde agli arresti, IMMEDIATAMENTE!!”

“...Tre. Ve la siete voluta voi.”

Nick partì di scatto e si precipitò fuori dall’ufficio, sbattendo la porta. Questo gli avrebbe fatto guadagnare qualche secondo prezioso.

Una volta in corridoio, si fermò solamente un istante, per riordinare le idee.

Era ora di scoprire se i supplizi a cui lo aveva sottoposto Judy avevano dato i loro frutti.

Respira piano. Sciogli i muscoli.

Ripensò alle sue parole. Gliele aveva ripetute tante di quelle volte che ormai le conosceva a memoria.

Per cominciare, fissa il tuo obiettivo.

Nick guardò oltre il cornicione.

Una volta che lo hai individuato, il tuo scopo é raggiungerlo nel più breve tempo possibile.

Le scale che conducevano al seminterrato. Oltre di esse, l’archivio.

Una linea ti unisce a lui. Visualizzala. Il sentiero é già tracciato: non ti resta che percorrerlo.

Devi metterti nei miei panni, Nick. Immagina di essere una preda, come me. Una belva feroce ti insegue: vuole sbranarti. Dalla tua rapidità e dalla tua prontezza di riflessi dipende la tua salvezza.

La tua vita. Sono queste, le uniche armi di cui disponiamo noi prede. Solo queste.

E ora, vai.

Partì di scatto, attraverso il corridoio.

Un attimo dopo, la porta dell’ufficio di Hammond si spalancò e fece capolino Chance.

“Arrestate quell’agente! Fermatelo!” Ordinò, urlando come un invasato.

Tutti si voltarono in direzione di Nick. Il gran ballo stava per avere inizio.

Un orso polare gli sbarrò la strada.

Rimani concentrato sul percorso. Tutto il resto sono solamente ostacoli da superare. Se ti fissi su di loro, finirai per sbatterci contro.

Non dimenticare il percorso. Solo quello conta.

Concentrati, Nick.

CONCENTRATI.

Si gettò piedi in avanti, compiendo una scivolata e passando sotto le gambe dell’orso, che rimase di stucco. Non fece in tempo a rialzarsi che un altro agente, un leone questa volta, gli si fece sotto.

“Brady! Tunstall! Prendetelo!!” Gridò di nuovo Chance.

A quell’ordine, gli si scagliarono addosso.

Non voltarti a guardare. Non fermarti. Non ne hai il tempo.

Il predatore é alle tue spalle.

Se ti volti o ti fermi SEI MORTO.

Continua ad avanzare. Senza voltarti né fermarti MAI.

Nick finse uno scatto a sinistra, per poi scartare improvvisamente dalla parte opposta.

Funzionò. Brady e Tunstall, in preda allo slancio, si scontrarono in pieno. Le loro teste cozzarono l’una contro l’altra.

Tsk: vuote. Come volevasi dimostrare, pensò la volpe, sentendo il rumore.

Corse verso le scale. Dal piano inferiore, quattro agenti stavano salendo verso di lui.

Più veloce. Ancora più veloce.

I tempi di reazione devono diventare pari allo zero: mente e corpo devono andare di pari passo. Devi eseguire un’azione nel momento stesso in cui la pensi. E’ ciò che permetteva a noi conigli di salvare la pelle, nei tempi antichi. Il segreto della nostra rapidità. Nient’altro.

Balzò sul corrimano, lasciandosi scivolare verso il basso. Mani e braccia si protesero verso di lui nel tentativo di afferrarlo, invano.

Poco prima di giungere a fine corsa fece un salto, atterrando sul pavimento con una capriola in avanti e riprendendo a correre.

Era giunto al primo piano. Si fermò per un istante, dandosi una rapida occhiata intorno: altri poliziotti stavano correndo nella sua direzione, da ambo le parti. Ma notò che questa volta erano armati.

Pistole taser. Una sola scarica di quelle sarebbe stata sufficiente a paralizzarlo completamente. Ma, per fortuna, non avevano una gran gittata. Bastava quindi starne alla larga. Ma come, visto che tra non molto lo avrebbero circondato?

A quei tempi, se un coniglio finiva tra le grinfie di un predatore, era spacciato. La sua unica possibilità era di non farsi acchiappare.

Se ti prendono sei finito. Non concedergli quest’opportunità.

Rifletti, Nick. C’é sempre una via di uscita. SEMPRE.

Guardò oltre il parapetto.

Si, poteva funzionare.

Prese una breve rincorsa, saltò sul bordo e, senza la minima esitazione, si lanciò oltre, con entrambe la mani protese verso il riflettore al neon di fronte a lui.

Speriamo che regga, pensò.

Lo afferrò al volo e quest’ultimo sembrò accontentare la sua richiesta, almeno in apparenza. Ma proprio mentre Nick cominciava ad oscillare all’indietro per darsi lo slancio, i due ganci che lo tenevano appeso si spezzarono ed il cavo elettrico si troncò di netto, facendo scintille.

Subito si accesero le luci di emergenza.

Nick precipitò, atterrando di schiena su una delle scrivanie, per poi piombare al suolo.

Non poteva fermarsi. Né aveva il tempo di provare dolore.

I nostri antenati camminavano a quattro zampe. Ricordarselo può tornare utile, in certi casi.

Si mise pancia a terra e, approfittando dell’attimo di confusione causato dal black-out, avanzò sotto le postazioni di lavoro, rasentando il pavimento.

Sbucò poco più avanti. Le scale erano di fronte a lui, a pochi metri.

Una tigre gli si parò davanti. Nick corse verso la parete alla sua destra poi, con un salto laterale, planò con tutte e quattro le zampe su di essa. L’agente rimase immobile a guardarlo, sbalordito.

Usando il muro come un autentico trampolino, Nick balzò oltre la sua testa, colpendolo vicino alla tempia sinistra con il ginocchio. Era solo una botta di striscio, ma più che sufficiente a tramortirlo.

La tigre si accasciò a terra, tenendosi la testa con una mano.

Nick si precipitò lungo i gradini e raggiunse l’archivio. Appena fu entrato, scattò verso il bancone, con l’ariete che lo fissava esterrefatto. Vi poggiò sopra entrambe le mani e lo scavalcò, colpendo l’archivista in pieno muso con un calcio e facendolo finire nel mondo dei sogni.

“Niente di personale, amico.” disse, con noncuranza.

Proseguì verso gli schedari. Cercò la lettera H.

Trovata. Hamilton, Hendrick, Hope...Howard?! No, non é possibile, ci deve esser un err...ah, ecco! Hopper, HOPPS!! Ce l’ho fatt…

Sentì due fastidiose punture al fianco sinistro.

Nell’istante successivo, una potente scossa elettrica lo attraversò dalla testa ai piedi.

Emise un guaito e si afflosciò finendo disteso, con i muscoli totalmente intorpiditi e privi di qualunque forza.

Salve a tutti, rieccomi qua, Finalmente!!

Stavolta temevo veramente di non riuscire più a pubblicarlo.

Chiedo scusa a tutti quanti, ma queste settimane sono state un vero macello, come ho già ribadito in più di un’occasione.

E mi scuso anche per un altro motivo: inizialmente, questo capitolo doveva essere diviso in due parti, ma sarebbe diventato veramente troppo lungo, e quindi ci sarà una terza parte. Non temete, comunque: non dovrete aspettare molto (per quel che valgono le mie promesse, ormai…)!

Volevo segnalarvi poi una piccola correzione che ho effettuato nel decimo capitolo (RENDIMI FIERO DI TE – PRIMA PARTE, tanto per intenderci), relativa ad uno dei due orsi polari che lavorano nel dipartimento. Giusto per ricapitolare, in quel capitolo venivano nominati due agenti, SNARLOV e ANDERSON. In seguito alla preziosissima segnalazione di Plando (che ringrazio di cuore: essendo un pignolo perfezionista ci tengo molto a questi dettagli), ho deciso di modificare il nome di ANDERSON in ANDERSEN. Ok, niente per cui strapparsi i capelli, e consideriamo che, spulciando in rete, il poliziotto in questione viene nominato in entrambi i modi. Ma, trattandosi di un orso polare, ANDERSEN mi sembra decisamente più “nordico”.

Ringrazio, come sempre, Plando(e due!!), lovehug1998, nami92, DeniseCecilia, MizukiZukishima28 per un’altra bella sfilza di recensioni, Freez shad e Newdark per il suo graditissimo ritorno.

A presto per la prossima ed ultima parte del capitolo!!

Alla prossima,

See ya!!

CAPITOLO 20

CAOS AL DISTRETTO (TERZA PARTE)

Che stupido che era stato. Un vero stupido.

Non aveva bloccato la porta che conduceva direttamente lì dentro. Eppure era la prima cosa che avrebbe dovuto fare, prima di mettersi a rovistare in mezzo a tutti quei fascicoli.

Carotina gli aveva detto anche questo.

Quando un coniglio si ritrova accerchiato dai predatori e non ha nessuna via di uscita, comincia a sbarrare tutte le vie di accesso alla sua tana. Per convincerli a desistere.

Lo stesso dovrai fare tu, quando ti ritrovi con le spalle al muro e senza alcuna possibilità di fuga. Chiudi ogni ingresso alla tua tana. Li costringerai a scavare per venirti a prendere, e guadagnerai tempo, in attesa di escogitare qualcosa. Forse alla fine ti staneranno ugualmente, ma in questo modo dovranno faticarsela, la loro ricompensa. E quando riusciranno a raggiungerti, forse saranno stanchi, e tu li potrai affrontare. Anche se sono più forti. Anche se sono più numerosi.

Fretta. La solita fretta. La solita, dannatissima, fretta. Aveva saltato un passaggio. E aveva finito col rovinare tutto, proprio sul gran finale. Come sempre. Come ogni volta.

La storia della sua vita.

Nick girò a fatica la testa e vide l’agente Brady infilare la pistola taser dentro la cintura, con calma.

Poi, l’orso polare prese ad avanzare verso di lui, furibondo.

“Mi hai fatto sudare, dannata volpe.” disse, con odio. “E in più mi hai fatto fare la figura del fesso, davanti a tutti. Preparati a soffrire, e parecchio.”

Lo colpì con un calcio in pieno stomaco, facendolo finire con la schiena contro gli scaffali, come un mucchio di stracci vecchi sbattuti in un angolo.

Forse era ancora intorpidito dalla scarica elettrica: fatto sta che la volpe non riuscì nemmeno ad emettere un gemito, nonostante sentì le sue budella schizzargli fin quasi su per il naso, in seguito a quella botta tremenda.

Brady ghignò di gusto, immaginando il suo dolore. Ma ancora non gli bastava.

Lo raggiunse e gli piazzò un ginocchio sul fianco, torcendogli bruscamente entrambe le braccia dietro la schiena, per ammanettarlo.

Nick sgranò gli occhi, sentendo il suo torace come accartocciarsi. Quel bestione lo stava letteralmente schiacciando sotto il suo peso. O forse, VOLEVA SCHIACCIARLO. DI PROPOSITO.

“...P-piano, amico.” implorò. “N-non riesco a resp...”

“STA’ ZITTO!!” ringhiò rabbioso l’orso, che per tutta risposta lo colpì con una violenta zampata alla testa, facendogli vedere le stelle.

Il colpo improvviso gli fece esalare anche l’ultimo residuo d’aria. La testa iniziò a vorticargli per il debito di ossigeno e la vista gli si annebbiò. Sentì i polmoni andare in fiamme e le costole sul punto di spezzarsi, da un istante all’altro.

Pensò che stavolta era veramente la fine.

“Brady!! Razza di imbecille!! Levagli subito quelle tue luride zampacce di dosso!! Non lo vedi che sta soffocando, accidenti a te?”

Nick udì una voce familiare. E subito dopo, sentì la pressione sopra di lui svanire di colpo. L’aria fresca gli riempì nuovamente la gola, e lui la respirò avidamente, come acqua da una sorgente dopo aver percorso miglia di deserto arido ed assetato.

“...W-Winslow...s-sei tu...”disse, non appena ritrovò il fiato.

L’ippopotamo era al suo fianco, ritto in piedi, come a proteggerlo.

“Sta tranquillo, Wilde. Respira. E lascia fare a me, ora.” gli raccomandò, senza nemmeno voltarsi.

Brady era a terra poco distante, ancora stordito. Nel frattempo, altri agenti avevano fatto irruzione nella stanza, taser in pugno, rimanendo sbalorditi di fronte all’insolita scena.

Voci incredule si levarono in coro.

“Ma che...”

“Che diamine stai facendo?”

“Winslow! Sei impazzito, per caso?”

“E’ quello che dovrei chiedere a voi, piuttosto.” rispose quest’ultimo, indignato. “Avete intenzione di mettervi in dieci contro uno?! Questo poveretto ha soltanto perso la testa,ma ora sono riuscito a tranquillizzarlo. Ci penso io, a portarlo in cella.”

Si chinò quindi Nick, fissandogli le manette ai polsi, con delicatezza.

“Mi dispiace, Wilde. Ma é la procedura.”

Nick comprese suo malgrado che non vi era più nulla che avrebbe potuto fare, almeno per quel giorno.

“G-grazie, Winslow.” disse, con tono rassegnato. “Se non era per te...”

“Non ti preoccupare.” rispose l’ippopotamo. “Ce la fai ad alzarti?”

“Credo...credo di si.”

“Aspetta, ti aiuto.”

Dopo averlo rimesso in piedi, Winslow lo accompagno fuori, sorreggendolo per un braccio, e facendosi largo tra i suoi colleghi ed i loro sguardi attoniti.

“Il primo che si azzarda anche solo a sfiorarlo farà i conti con me, sono stato abbastanza chiaro?!” Avvertì.

Benjamin arrivò con il fiatone di fronte all’ufficio di Bogo. Il cuore gli stava scoppiando, nel suo vasto petto. Bussò alla porta.

“Avanti.”

“M-mi scusi, signore, ma devo informarla che...OH, P-PER TUTTE LE M-MACCHIE DI GHEPARDO!!”

Non appena fu entrato, Clawhauser vide il suo comandante seduto dietro la scrivania, intento ad osservare con aria sconsolata una confezione bianca dalla forma forma rettangolare, soppesandola e rigirandola con entrambe le mani.

“C-che...che sta facendo, capitano?” Chiese, allarmato.

“Oh, signore...sapevo che sarebbe arrivato questo momento, prima o poi.” disse il bufalo con tono affranto, senza nemmeno sollevare lo sguardo.

“P-perdoni la domanda, m-ma...c-cosa c’é, dentro a q-quella confezione?”

“La risposta al mio problema, Clawhauser. Una bella revolverata di queste, e non ci si pensa più.”

“C-come?!”

“Al diavolo, inutile perdere altro tempo in chiacchiere. Via il dente, via il dolore.”

“...N-no, aspetti, signore, la scongiuro!! Ci sono altre soluzioni, ci pensi su...p-parliamone un attimo, la prego...”

“No. Ci ho pensato a sufficienza e ho preso la mia decisione, ormai. Non ci sono altre soluzioni, mio caro Benjamin. QUESTA, é l’unica soluzione.”

“N-No, capitano! Non lo faccia, la supplico!! SUICIDARSI non é mai la scelta migliore, mi ha capito?! Non porrà fine ai suoi problemi, in questo modo...”

Bogo lo fissò esterrefatto.

“Ma di che accidenti stai parlando?!”

“V-voglio dire...i BARBITURICI non sono un rimedio, m-mi creda. Non metterà le cose a posto, togliendosi la vita...non risolverà nulla, glielo assicuro...”

“BARBITURICI?!” Strepitò Bogo. “Clawhauser! Ma ti sei ammattito, per caso?! L’adipe ti é arrivato al cervello, forse? Queste sono pastiglie contro l’ulcera! CONTRO L’ULCERA, CAPITO?!”

Benjamin tirò un sospiro di sollievo.

“Fiuuu…meno male, e io che credevo...” disse, passandosi una mano sulla fronte.

“Non c’é niente da fare, purtroppo.” continuò il bufalo, sbuffando e mostrando la confezione al suo sottoposto, come a volerlo rassicurare. “Capita a chiunque faccia il mio stesso mestiere. Tutti i comandanti di distretto finiscono col patirne, presto o tardi. Uno cerca di condurre uno stile di vita sano, di fare sport, di curare la propria alimentazione, ma non c’é verso di sfuggire...finisce sempre per dover ricorrere a queste, in ogni caso.”

“E comunque, parlando d’altro: cos’eri venuto a dirmi, di grazia?” Aggiunse, con tono inquisitorio.

“E-ecco, signore...io...” balbettò.

“Avanti, Clawhauser: non tenermi sulle spine e vieni dritto al dunque. Di cosa mi dovevi parlare?”

Benjamin ebbe la spiacevole sensazione che lui sapesse già quel che stava per dirgli, ma proseguì.

“I-io avrei...ehm, ho delle novità riguardo all’agente Wilde. E...si, insomma, ho ritenuto opportuno informarla all’istante.”

Bogo aggrottò la fronte.

“...Dov’é?” Chiese, semplicemente.

“Ecco, vede...abbiamo ricevuto una comunicazione dal dipartimento di polizia di Wyndham City, signore. Wilde si trova lì. Dentro...dentro una delle celle di detenzione, ad essere precisi. Sembra che si sia recato dal comandante del distretto in persona e abbia preteso di farsi consegnare il rapporto relativo a Ju...all’agent...alla detective Hopps. E di fronte al fermo rifiuto di quest’ultimo, pare che abbia...abbia tentato di prenderlo con la forza, finendo arrestato.”

Ci fu un attimo di silenzio tombale, in seguito a queste parole. Poi, la vena sulla tempia destra di Bogo iniziò a pulsare e a gonfiarsi come un tubo di ferro. Gli occhi gli si iniettarono di sangue, mentre uno sbuffo d’aria impetuoso gli fuoriuscì dal naso.

Il povero Benjamin arretrò di qualche passo, inorridito. Era una visione davvero terrificante. Temeva che, di lì a poco, il capitano avrebbe iniziato a sputare fiamme dalla bocca, e fumo nero dalle narici.

Invece, il bufalo si limitò a stritolare il pacchetto di medicinali che teneva nella zampa destra, sbriciolandone completamente il contenuto. Chissà, forse in quel momento gli ricordava un collo di sua conoscenza. Poi disse, con una calma quasi innaturale:

“Io lo ammazzo. GIURO CHE LO AMMAZZO.”

Era passato un giorno, dal suo arresto.

Nick, seduto sulla branda all’interno della sua cella, al secondo piano seminterrato, rifletteva sull’attuale e disastroso stato delle cose.

Un fallimento, ecco cos’era stato. Un unico, assoluto, totale, fallimento.

Non era riuscito a proteggere Judy. E non era riuscito a scoprire nulla riguardo al suo incidente. Lo avevano catturato ed ingabbiato un attimo prima che riuscisse a mettere e mani sul dossier. Ma questa era solo la punta dell’iceberg, purtroppo. Il peggio doveva ancora arrivare.

Lo avrebbero fatto finire sotto processo per direttissima, per tutto ciò che aveva combinato. La commissione d’inchiesta lo avrebbe senz’altro fatto espellere dal corpo di polizia. E magari lo avrebbero fatto finire in gattabuia per qualche tempo, giusto per schiarirgli le idee. E non solo: già che c’erano, avrebbero condito il tutto con una bella diffida, costringendolo a stare alla larga da Wyndham City per almeno un anno, come minimo. Davvero perfetto: così non avrebbe nemmeno potuto stare vicino a Judy. Non avrebbe più potuto vederla.

Gli stavano sicuramente preparando una vera e propria esecuzione sommaria con tutti i dovuti crismi, con il capitano Bogo in prima fila a godersi lo spettacolo, senza alcun dubbio.

Dopo l’accaduto di qualche giorno prima, il vecchio bufalo non se lo sarebbe perso per niente al mondo. Ne era più che certo.

Finito. Era finito. Tutto a rotoli, ormai.

Ma si, che lo facessero pure a brandelli, per quel che gli importava. Non avrebbe nemmeno provato ad impedirglielo.

Tanto, che senso poteva avere tutto questo, senza Judy?

Che senso aveva LUI, ormai?

Un rumore di chiavi lo distolse dai suoi foschi pensieri, seguito da quello di una porta che si apriva. Pochi istanti dopo, vide comparire la corpulenta sagoma di Clawhauser.

“Ben!” Esclamò, balzando in piedi.

Il ghepardo non era solo. Lo accompagnava una femmina di suino, anch’essa in divisa. Nick la riconobbe al volo dal ciuffo biondo che spuntava dalla parte anteriore del berretto: era l’agente Swinton.

“Salve, Allie.” disse.

“Nick.” rispose quest’ultima, con tono cordiale e alzando la mano in un breve cenno di saluto.

“Allora: che ci fate di bello, qui? Siete venuti a portarmi i mirtilli?” chiese poi la volpe, rivolgendosi a Benjamin.

“E-ecco, io...c-cioé noi, siamo venuti a prenderti.” rispose il ghepardo.

“Dici...dici sul serio?”

“Si. Al piano di sopra stanno ultimando le pratiche per il rilascio. Tra non molto ti faranno uscire.” lo rassicurò.

“A-ascolta: io e i ragazzi, giù al distretto...insomma, sappiamo tutti quanti cos’é accaduto alla povera Judy, ormai. Ne hanno parlato tutti i notiziari. E sua madre ha telefonato e ha voluto parlare con il capitano Bogo.”

“A proposito: come mai IL GRANDE CAPO BUFALO MUSCHIATO non é qui con te? Pensavo che volesse godersi lo show. O forse, non ci teneva a sporcarsi le mani con una pecora nera come me, vero? E stà tranquillo: tanto, ci siamo solo noi tre, qui dentro. Niente pecore, nei paraggi. Tanto meno dal manto nero.” disse Nick, con tono sprezzante.

“Si vede che non sei stato molto attento, razza di lingua lunga.” lo interruppe bruscamente una voce ostile dal fondo del locale.

“Ops...”

Ci fu un attimo di imbarazzato silenzio.

“V-veramente...” riprese Benjamin, “...il buf...cioè, il capitano mi ha raccomandato di informarti che che interverrà personalmente per appianare tutta quanta la faccenda...a patto che tu faccia esattamente tutto ciò che ti dirà di fare.”

“C-come?” fece Nick, stupefatto.

“Senti: sarò sincero con te. Bogo era già su tutte le furie, quando ti ha visto fuggire a bordo di quella volante. Non ti dico quando ha ricevuto la notizia del tuo arresto. Puoi credermi sulla parola: gliel’ho comunicato io stesso. Però, dopo aver saputo dell’incidente, si é calmato ed ha deciso di metterci una pietra sopra.” precisò il ghepardo.

“Ha deciso di concederti un’altra possibilità, capisci? Anche se mi ha detto di dirti che lo ha fatto solo per rispetto nei confronti della sua ex-agente.”

Nick abbozzò un sorriso malinconico.

Ancora una volta l’ho scampata solamente grazie a te, piccola. Anche da un letto d’ospedale hai trovato la maniera di aiutarmi.

Tutto merito tuo, come sempre.

“A...a dire il vero, ci sarebbe un’altra cosa che dovrei riferirti, a nome del comandante.”

“E cioé?”

“Ecco...Bogo ci teneva a precisare che é stato meglio per te che sia venuto io, perché...se fosse venuto lui, non avrebbe resistito alla tentazione ed avrebbe finito per strangolarti con le sue stesse zampe.” concluse Clawhauser.

Seppur incerto sull’assecondare o meno i suoi propositi delittuosi nei confronti di Nick, il capitano Bogo fu di parola e fece da paciere. Dopotutto, il suo parere aveva ancora un certo peso, all’interno dell’ambiente.

Di fronte ad una commissione d’inchiesta letteralmente sul piede di guerra, costituita dagli affari interni per far luce sui recenti disordini, lo giustificò, dichiarando che il suo comportamento sconsiderato era unicamente da attribuire allo stato di grave confusione mentale in cui versava, dopo aver appreso del grave incidente in cui era rimasta coinvolta la detective e sua ex-collega Judy Hopps. Un improvviso squilibro psichico ed emotivo comprensibilmente causato ed accentuato dai trascorsi lavorativi tra i due, nonché dal profondo rapporto professionale e di amicizia che li legava.

A fronte di queste valide attenuanti, ma soprattutto grazie al suo comandante che ci mise la faccia, Nick se la cavò unicamente con una settimana di sospensione, e con le pubbliche scuse nei confronti di tutto il dipartimento di polizia di Wyndham City mediante un’apposita conferenza stampa. Due autentiche bazzecole, al confronto di ciò che avrebbe veramente rischiato senza l’intervento risolutore del vecchio bufalo.

Non ricevette alcuna diffida ma Bogo gli consigliò, o meglio LO MINACCIO’, di non farsi assolutamente vedere da quelle parti, almeno per qualche tempo.

Intanto, dei due misteriosi rapinatori, ancora nessuna traccia.

Dopo due settimane dall’accaduto, in seguito alla mancanza di ulteriori elementi utili, sia il caso relativo alla rapina che quello riguardante l’incidente della detective Hopps vennero archiviati.

In ospedale, nel frattempo, le condizioni cliniche di Judy rimanevano invariate.

Salve a tutti, rieccomi qua!

Terza (ed ultima) parte postata a tempo di record: mi sembrava il minimo, dopo aver lasciato la questione in sospeso a quel modo!

Per quanto riguarda la mia long, ho intenzione di pubblicare ancora un capitolo, poi (come la scorsa estate) andrò in vacanza fino ai primi di gennaio. Voglio comunque rassicurarvi: ce ne sarà ancora per un bel pezzo!!

Inoltre, prima di Natale, vorrei pubblicare una “sorpresa”: una storia auto conclusiva e distaccata dalla mia serie principale con cui augurare buone feste a voi tutti.

Una piccola precisazione sull’agente Swinton: é la poliziotta che, nelle scene finali del film, tiene in custodia Bellwether e i suoi scagnozzi. Non ha un nome, quindi ho pensato di chiamarla Allie (diminutivo di Allison). Lo trovo carino.

Ringrazio tutti quelli che hanno letto (e che stanno leggendo tuttora) lo scorso capitolo, e Plando, MizukiZukishima28, salamander92, Newdark e nami92 per le entusiastiche recensioni (non ero molto convinto sulle scene d’azione, ed invece sembra che vi siano piaciute, meno male!!).

Ci rivediamo a breve con il prossimo (ed ultimo, almeno per quest’anno) capitolo!!

Alla prossima,

See ya!!

CAPITOLO 21

TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO

“Beh, pare che sia giunto il momento dei saluti.”

“Sembrerebbe proprio di si, capitano.”

Bogo e Judy si trovavano nel parcheggio esterno del dipartimento. Per la coniglietta era da poco terminato l’ultimo giorno di servizio. Non le restava altro che fare ritorno a casa propria, ad attendere l’arrivo dei suoi genitori. Ultimati i preparativi, Stu e Bonnie l’avrebbero poi accompagnata a Central Station, dove l’aspettava il treno per Wyndham City.

La festa di commiato si era appena conclusa, e dopo un ultimo brindisi ognuno dei suoi colleghi aveva fatto ritorno alle proprie mansioni previste per quella giornata. Bogo avrebbe voluto concederle il resto della mattinata libero, in modo da sbrigare con calma le ultime incombenze, ma Judy aveva rifiutato. Voleva svolgere il suo lavoro fino all’ultimo, senza sconti. Finito il turno, il comandante l’aveva accompagnata fuori personalmente, fornendole qualche ultima raccomandazione di rito.

“Hopps, voglio farti ancora le mie più sincere congratulazioni.” disse, stringendole la mano. “E buona fortuna per il tuo nuovo incarico.”

“Grazie, signore.” rispose lei, sorridendo. “A onor del vero, avrei un piccolo favore da chiederle. A titolo personale.”

“Piuttosto singolare, che tu abbia deciso di attendere proprio il tuo ultimo giorno di lavoro, prima di chiedermelo. Ma, se posso accontentarti in qualche modo, non vedo perché non debba esaudirti. Dimmi pure.”

“Ecco...si tratta di Ni...dell’agente Wilde, insomma.”

“Lo supponevo. Sentiamo: cosa vuoi che faccia?”

“Dovrebbe tenermelo d’occhio. Da parte mia.”

“Con tutto il rispetto, Wilde mi sembra abbastanza cresciuto per cavarsela da solo. Non credo abbia bisogno di una balia asciutta.”

“Solamente in via cautelativa, signore. Non vorrei che, senza la sottoscritta, possa commettere qualche sciocchezza o cacciarsi in qualche guaio.”

“Trovo piuttosto eccessive le tue preoccupazioni nei suoi confronti. Spesso é piuttosto avventato, ma non é così debole e sprovveduto come pensi tu.”

“Questo lo so. Lo conosco fin troppo bene. Il problema é l’opposto, semmai.”

“Che vuoi dire?”

“Wilde ha energie da vendere, capitano. La questione é che queste sue...energie, diciamo, sono in eccesso, talvolta. E per giunta, non sono completamente armonizzate tra loro. Non ha ancora trovato un equilibrio, insomma. Non che non ci stia provando, ma...finora non c’é riuscito, nonostante i suoi sforzi. Non del tutto, per lo meno.”

“Nick ha bisogno di una guida.” continuò. “Altrimenti, potrebbe perdersi. Corre il rischio di non riuscire a mettere a frutto le sue capacità. O, peggio ancora, di sprecarle malamente. E sarebbe un gran peccato, mi creda.”

“In tutta onestà, Hopps, Non riesco a scorgere in Wilde tutte queste grandi qualità che tu gli attribuisci. E’ piuttosto dotato e ha un buon intuito, di questo te ne rendo atto. E spesso ho avuto anch’io l’impressione che possa fare molto di più, e che invece si limiti ad eseguire il compitino assegnatogli. Sfortunatamente, ha la tendenza a compensare il tutto in negativo, con abbondanti dosi di insubordinazione, negligenza e disorganizzazione. L’istinto é importante, nel nostro lavoro, ma da solo non basta a fare di un poliziotto UN BRAVO POLIZIOTTO. Lo sai bene anche tu. Occorrono anche impegno, disciplina e professionalità. Ha un modo di fare e ragionare che fa letteralmente a sberle con questo mestiere.”

“Diciamo che ha solo un metodo di operare differente dal nostro, capitano. E non é detto che non sia efficace. Anzi: a volte, potrebbe esserlo persino di più.”

“Sarò sincero, Hopps: l’ho accettato nel mio dipartimento solo perché me lo hai chiesto tu. Hai fatto molto, per la polizia e per Zootropolis: mi sembrava il minimo, accontentare una tua richiesta.”

“Anche Nick può dare molto, per questa città. E anche per il nostro beneamato corpo. Più di quanto abbia mai fatto io finora. Un giorno, la farà ricredere sul suo conto. Glielo posso assicurare.”

“Ad ogni modo” disse Bogo, “ci penserò io, a tenerlo in riga. Te lo prometto, Hopps.”

“Grazie signore. Glielo affido. Ma voglio avvertirla, sin da ora, che non sarà un impresa facile: sono l’unica, di cui si fidi ciecamente. Conto soprattutto sulla sua comprensione ed il suo buon senso.”

“Ma certamente. Come puoi ben vedere, questa é la comprensione.” rispose il bufalo, indicando la sua mano sinistra chiusa a pugno.

“E questo é il buon senso.” aggiunse poi, mostrandole il pugno destro.

Judy si mise a ridere.

“D’accordo. Non me lo strapazzi troppo, mi raccomando.”

“Non preoccuparti. Farò solo in modo di non dargli il tempo di sentire la tua mancanza, tutto qui.”

“Ora và, forza.” la esortò. “Oppure, correrai il rischio di fare tardi e di perdere il convoglio.”

“Agli ordini. Abbia cura di lei, capitano. E di Nick. E di Benjamin. E di tutti quanti.”

“Stà tranquilla. Piuttosto, quando ti capiterà di ripassare da queste parti, non ti scordare di fare un salto a salutare il tuo vecchio comandante.”

“Lo farò senz’altro. E, a proposito, dovrei dirle ancora una cosa.”

“Sono tutt’orecchi. Spicciati, però.”

“Grazie di cuore, signore. Per tutto quanto.” concluse Judy, con orgoglio. “E’ stato un onore, poter lavorare al suo fianco.”

Un sorriso sincero apparve sul muso del vecchio bufalo.

“Anche per me, Hopps.” rispose. “Anche per me.”

Il capitano Bogo era seduto dietro la sua scrivania.

Stava fissando senza sosta la busta bianca, semiaperta e dalla forma rettangolare, posta sul tavolo di fronte a lui.

Dopo averne letto attentamente il contenuto, aveva passato una mezz’ora buona a maneggiarla in tutti i modi, rigirandola e soppesandola e passandosela di mano in mano, senza mai staccarle gli occhi di dosso, nemmeno per un istante, prima di decidersi a riposizionarla sulla scrivania per osservarla soltanto, con fare pensoso.

Poi, d’un tratto, si alzò in piedi di scatto, come colto da un’ispirazione improvvisa e, dopo averla ripresa con sé, uscì in fretta e furia dal suo ufficio.

Scese di volata le scale, fino al pian terreno, raggiungendolo in un batter d’occhio.

Passando di fianco alla reception, notò Benjamin che si dimenava sulla sedia in maniera sincopata, al ritmo della musica che proveniva dagli auricolari.

Tsk! Ci avrei giurato, Pensò. Gazelle, senza alcun dubbio. Sarei pronto a scommetterci.

“Clawhauser!”

Niente. Nemmeno una piega.

Giunse quindi alle spalle del corpulento ghepardo, che nel frattempo continuava ad agitarsi senza sosta, canticchiando sottovoce.

“CLAWHAUSER!!” Tuonò, tirando un pugno formidabile sul bancone, talmente forte da far sobbalzare il povero Benjamin per lo spavento.

“A-agli ordini, c-capitano!!” Farfugliò confusamente quest’ultimo, rendendosi conto di essere stato preso letteralmente in castagna, e strappandosi di colpo le cuffie dalle orecchie.

“Clawhauser, vedi di darci un taglio, con quel dannato aggeggio.” gli intimò Bogo. “Anche se al momento non c’é anima viva, questo é il tuo posto di lavoro. E sei in orario di servizio, a quanto mi risulta. E’ chiaro?”

“M-mi s-scusi, signore, i-io...”

“Non fa nulla.” lo interruppe il bufalo. “Piuttosto: ti informo che mi dovrò assentare per un po'.”

Benjamin fece tanto d’occhi: in tutti questi anni trascorsi al dipartimento non aveva mai visto il suo comandante uscire durante l’orario di lavoro senza un più che valido motivo. E soprattutto, senza un largo preavviso.

“C-come ha detto, signore? ASSENTARSI?”

“Non ti allarmare: si tratterà di un paio d’ore, al massimo. Prendi tu le mie telefonate, e se mi cercano inventati qualche scusa.”

“P-perdoni la mia domanda, ma...d-dove dovrebbe andare, di preciso?”

“A cercare di salvare il salvabile.” buttò lì Bogo, per tutta risposta. “Sempre ammesso che vi sia rimasto qualcosa da poter salvare, ormai.”

Nick era sdraiato di traverso sul divano di casa sua, torvo in volto.

Aveva sentito Bonnie al telefono circa mezz’ora prima. Ancora nessun miglioramento, da parte di Judy.

Prese una lattina di birra scura dal pavimento e se la portò alla bocca, scolandosela tutta d’un fiato.

E’ davvero incredibile, pensò, mentre si asciugava le labbra con il dorso della mano. Neanche mi piaceva questa roba, fino a qualche tempo fa.

Accartocciò la lattina e la gettò insieme alle altre, sparse al centro della stanza. Disordine e sporcizia regnavano ovunque. E anche lui aveva proprio bisogno di un bagno e di un cambio d’abito urgenti. Il suo aspetto trasandato e malsano faceva il paio con il suo appartamento, ormai ridotto ad un covo fatiscente. La casa e l’inquilino che l’aveva conciata a quel modo si specchiavano l’uno nell’altra, sommando il rispettivo ed al contempo reciproco squallore e dando vita ad un desolante quadro d’insieme. Uno spettacolo davvero deprimente.

Nick aveva scoperto suo malgrado quanto poteva risultare allettante rimanere in quello stato così pietoso. E’ quel che di solito accade quando il senso di colpa ti schiaccia al punto che nel cervello ti si comincia ad instillare un’idea subdola e molto, molto pericolosa.

L’idea che sia giusto e sacrosanto comportarsi così, ne hai il pieno diritto, perché in fondo la colpa non é tua ma di qualcun altro. Nel suo caso, la coppia di disgraziati che aveva investito la povera Judy, facendola finire sul letto di un ospedale. Ma, in generale, si finisce con il pensare che la colpa sia della vita stessa, che non doveva tirati un simile colpo basso.

A conti fatti, si tratta di un meccanismo di difesa come un altro, per non impazzire. Ma é un meccanismo perverso, un rimedio che alla lunga si rivela peggiore del male che lo ha generato.

All’improvviso, udì il campanello.

“...Chi accidenti può essere?” Brontolò.

Si alzò dal divano e, barcollando, raggiunse la porta.

La aprì e quasi spalancò la bocca dallo stupore, nel trovarsi di fronte il capitano Bogo.

“Che...che ci fa lei, qui? Che cosa é venuto a fare?” Chiese.

“Salve, Wilde.” rispose l’altro. “Disturbo, per caso? Perché, anche se fosse, non me ne importa assolutamente nulla.”

Detto questo, si chinò leggermente ed oltrepassò l’uscio, entrando nell’appartamento.

“Allora, vuole dirmi a cosa devo questa sua visita improvvisa?” Domandò nuovamente Nick.

“Innanzitutto, spiegami cos’é questa roba.” replicò prontamente Bogo, sventolandogli la busta bianca davanti al naso.

“Se l’ha già letta, non c’é alcun bisogno che io stia qui a spiegarglielo.” ribatté la volpe. “In caso contrario, non ho problemi a dirglielo subito: sono le mie DIMISSIONI.”

Ci fu un istante di silenzio. Poi, Bogo batté ripetutamente le mani, in un applauso sarcastico.

“Voglio congratularmi con te, davvero.” disse, con tono beffardo. “Sai, Wilde: la tua ostinazione a volerti comportare da stupido é ammirevole. Persino commovente, direi. Stai commettendo un’idiozia dopo l’altra. Prima ti fai assegnare come vigile di quartiere, nonostante ti avessi espressamente raccomandato di NON FARLO. Poi ti impossessi di una volante senza autorizzazione e la usi per recarti a Wyndham City, dove metti a soqquadro un intero distretto. Poi inizi a bere. Poi, inizi a non presentarti nemmeno più sul posto di lavoro.”

“Ed infine, per concludere in bellezza, QUESTE.” Aggiunse, mostrandogli di nuovo la busta.

“E comunque, sono respinte.” tagliò corto.

“Sta...sta scherzando, vero?” Sbottò Nick. “Non può farlo.”

“No, purtroppo no. Ma ti invito a rifletterci sopra. Anzi, ti ORDINO di ripensarci. E ne puoi intuire tu stesso la ragione. Tu hai BISOGNO di lavorare, in un momento simile. Perché, a occhio e croce, é l’unico appiglio che ti é rimasto. L’unico, per riuscire a tirarti fuori dallo schifo in cui ti sei cacciato praticamente per conto tuo.”

Senza nemmeno rispondere, Nick andò in cucina, aprì il frigorifero e, dopo aver preso un’altra lattina di birra, fece dietro-front e si mise seduto al centro del divano.

“Proprio non ti entra, in quel tuo cervello di volpe. Vero?” Lo incalzò il bufalo. “Stammi bene a sentire, Wilde: se adesso tu te ne vai dalla polizia, se rinunci anche a questo, nello stato in cui ti trovi, sei finito. FINITO, MI HAI CAPITO?! NON TI RISOLLEVERAI MAI PIU’!!”

“E’ perfettamente inutile che io rimanga in polizia.” replicò secco Nick. “Era per lei, che mi ero arruolato. Sa benissimo di chi sto parlando. E non sono stato nemmeno capace di proteggerla. Non sono riuscito neanche ad assolvere questo compito. L’unico buon proposito che mi ero prefissato nella mia miserabile vita. Ho fallito, su tutta la linea.”

“Adesso basta.”

Bogo si avventò come una furia su di lui, afferrandolo per il bavero della sua lercia camicia e sollevandolo di peso.

“Sentiamo: dov’é che avresti fallito, eh?! La Hopps ha semplicemente fatto il suo dovere. Quello che qualunque altro agente di polizia avrebbe fatto, se fosse stato al suo posto. Io sono ORGOGLIOSO di lei. TUTTI NOI DOBBIAMO ESSERLO, E ANCHE TU!!”

“HA DOVUTO FARE UNA SCELTA, WILDE!!” Urlò. “TUTTI NOI FACCIAMO DELLE SCELTE, CE NE ASSUMIAMO LE RESPONSABILITA’ E NE AFFRONTIAMO LE CONSEGUENZE, BELLE O BRUTTE CHE SIANO, OGNI SANTO GIORNO!! QUINDI NE’ IO, NE’ TU, NE’ NESSUN ALTRO POTEVA FARCI UN ACCIDENTE DI NIENTE!! METTITELO BENE IN TESTA, UNA BUONA VOLTA!!”

Nick lo guardò dritto negli occhi.

“La...scelta di cui parla lei comprende anche il finire in COMA e, probabilmente, PARALIZZATA A VITA? Mi risponda, capitano.”

Quest’ultimo lo fissò a sua volta, senza dire nulla.

“Lei non ha la minima idea di come mi sento o di quel che sto provando.” aggiunse la volpe. “E ora, MI LASCI.”

Bogo lo ributtò sul divano e si allontanò, mettendosi al centro della stanza.

“Hai ragione.” rispose. “Non posso immaginare come ti senti. E neanche mi interessa, a dirla tutta. Io so solo quel che vedo, e sono stufo marcio di ciò che vedo.”

“Ammetto che l’errore é stato anche mio.” continuò. “Sai perché ho voluto prendere le tue difese, di fronte alla commissione d’inchiesta degli affari interni?”

“Me lo ha già detto: per rispetto nei confronti di Judy.”

“Proprio così. La Hopps ha lavorato sodo, con te. Ha impiegato tempo ed energie, per farti diventare un agente in gamba. E il modo migliore che hai per onorare il suo impegno é di continuare a fare il poliziotto, dando il meglio di te. Se adesso molli, é come se lei avesse messo a repentaglio la sua vita per niente, MALEDIZIONE!! POSSIBILE, CHE TU NON TE NE RENDA CONTO?!”

“Ma c’é dell’altro. Quel che le é accaduto é stato un duro colpo per tutti. PER TE, in particolare. Pensavo ti occorresse solo un po' di tempo, e che alla fine ne saresti uscito fuori, in qualche modo. Ho commesso quindi lo sbaglio di volerti giustificare. E non ho capito che la tua intenzione era un’altra, sin dall’inizio.”

“E quale sarebbe, di grazia?” domandò Nick.

“Quella di autodistruggerti. Di farla finita. E’ questo, il tuo vero obiettivo. Lo era sin dal principio. Sin da quando la Hopps é partita per Wyndham. L’incidente che le é capitato Ha soltanto accelerato il processo.”

“C-cosa?”

“La verità é che tu, da quel giorno, hai firmato un contratto con te stesso per ammazzarti da solo, e non avrai pace finché non ti sarai annientato con le tue stesse mani. Ma sappi che, d’ora in poi, non sono più disposto a tollerare una simile condotta da parte tua, né voglio farti da complice in ciò che ti sei messo in testa di voler fare. Perciò, o ti dai finalmente una regolata e ti rimetti sulla giusta carreggiata una volta per tutte, o sei fuori. Hai chiuso. E’ il mio primo ed ultimo avvertimento.” concluse il comandante.

“CHI...CHI DIAVOLO SI CREDE DI ESSERE PER VENIRE QUI, IN CASA MIA, A PARLARMI IN QUESTO MODO? MIO PADRE, FORSE? SE QUI C’E’ QUALCUNO CHE DOVREBBE FARSI UN ESAME DI COSCIENZA, QUELLO E’ LEI!!” Rispose Nick, andando su tutte le furie.

“Tu stai delirando, Wilde. Sul serio.”

“So bene quel che dico, invece! Lei avrebbe potuto impedire a Judy di partire, e non lo ha fatto!!”

“Mi rincresce doverti contraddire, ma le cose non stanno affatto così: e lo sai anche tu. Vedi di smetterla, con le tue farneticazioni: ora stai davvero esagerando.”

“Le da’ così tanto fastidio perché é la VERITA’, ecco perché! La colpa é solo vostra: sua e del suo dannato lavoro! Judy é stata l’unica a credere in me; l’unica, per cui io contassi qualcosa. E voi me l’avete portata via! Non vi perdonerò mai per questo, capito? MAI!!”

“Bada a te, Wilde.” lo ammonì Bogo. “Sei ad un soffio dall’oltrepassare il limite. Sono ancora il tuo comandante, e non ti permetto di parlare così. Né a me, né al corpo che rappresento. E di cui anche tu fai parte, nel caso ti fosse uscito di mente. Stai bene attento a ciò che decidi di far uscire dalla tua bocca, perché potresti pentirtene amaramente.”

“Non mi pento di nulla, se ci tiene a saperlo.” rispose quest’ultimo, alzandosi in piedi. “E le dirò un’altra cosa: per quel che mi riguarda, potete andarvene entrambi all’inferno, LEI ED IL CORPO DI POLIZIA AL GRAN COMPLETO!!”

Nick lanciò con rabbia la lattina che teneva ancora in mano contro Bogo, colpendolo all’altezza del corno destro. Il bufalo non fece una piega mentre la lattina, leggermente ammaccata su di un lato in seguito all’impatto, precipitò alle sue spalle.

Dopo averla lanciata, Nick crollò sulle ginocchia, come spossato.

“Non dovevate farlo...” singhiozzò, prendendo a pugni il pavimento. “...perché le avete fatto una cosa simile...lei non doveva finire così...non MERITAVA, di finire così...che siate maledetti, tutti quanti...come avete potuto...come...”

Bogo scosse la testa, di fronte a quella scena.

“Ok, basta così. Io ci rinuncio.” mormorò dopo un sospiro, abbassando lo sguardo.

Si voltò e si diresse verso la porta. Poi, un istante prima di uscire disse, senza nemmeno voltarsi:

“Visto che ci tieni tanto, sei libero da questo fardello, d’ora in poi. Aspetto le tue dimissioni domattina sulla scrivania del mio ufficio, agente Wilde. E stavolta, abbi almeno il coraggio di consegnarmele di persona. Altrimenti, giuro che torno qui e ti ci trascino io stesso al distretto, per la tua dannata coda.”

L’indomani, di buon’ora, Nick si presentò di fronte a Bogo, con la busta in mano.

“Io, Nicholas Wilde, rassegno le dimissioni da agente di polizia.” disse, gettandola sulla scrivania. “Il distintivo si trova lì dentro, insieme alla richiesta.” aggiunse poi.

“La Hopps era uno dei miei migliori agenti.” commentò Bogo. “Ha avuto sempre ragione, su tutto quanto. Ed io non ho mai sbagliato a darle ascolto. Solo su una cosa ha avuto torto, purtroppo.”

Nick non disse nulla.

“Su di te, Wilde. La sua fiducia nei tuoi confronti era mal riposta. Non sei mai stato un vero poliziotto, non lo sei e non lo sarai mai. Inutile, farsi illusioni: non puoi cambiare la tua vera natura.”

“E cioé quella di volpe, giusto? Di animale infido, bugiardo e disonesto, dico bene?” Replicò Nick, con un’amara punta di ironia.

“No.” Lo corresse il capitano. “Di delinquente e di poco di buono. Quello eri, prima di mettere piede qui dentro. E tale sei rimasto. Non appena ti sei ritrovato alle strette, hai perso il controllo e le magagne che ti porti appresso da una vita sono saltate tutte fuori.”

“Ha finito? Posso andarmene, ora?”

“Ancora una cosa: non farti mai più vedere da me, Wilde. Non sei più il benvenuto, qui al distretto.”

“Sta bene. Addio.”

Detto questo, Nick uscì dall’ufficio.

Bogo era rimasto da solo, con i suoi pensieri.

Aveva perso un altro agente. Dopo la Hopps. Per non parlare di tutti quelli rimasti uccisi da quando era iniziata quella dannata storia dei dardi venefici. E la cosa lo mandava letteralmente in bestia.

Accidenti a Wilde. Cosa credeva, di avere l’esclusiva sul dolore? Anche lui era rammaricato per ciò che era capitato alla sua ex-sottoposta. Ed ognuna di quelle morti gli pesava sulle spalle come un macigno. Ma aveva anche un intero dipartimento da mandare avanti, e ogni giorno doveva decidere del lavoro e della vita di decine di poliziotti. Aveva forse per questo dato le dimissioni, dopo aver mandato tutto a catafascio?

Aveva provato in tutti i modi, con Wilde. Aveva cercato di prenderlo con le buone, chiudendo un occhio e pure l’altro, e lui aveva fatto di peggio. Gli aveva concesso un’ultima possibilità, e lui se n’era fatto praticamente beffa. Non contento, aveva persino insultato l’intero corpo, mandandolo al diavolo insieme al suo stesso comandante.

Con me ha chiuso. Non voglio più saperne niente. Che vada a farsi friggere. Pensò.

Mi dispiace, Hopps. Ho tentato l’impossibile, con lui. Ho pazientato finché ho potuto. Ma se l’é proprio cercata, stavolta.

Non sopporto chi rinnega i suoi compagni.

Mentre attraversava per l’ultima volta l’androne, Nick incrociò con lo sguardo alcuni dei suoi ormai ex-colleghi, anche se da poco.

Delgato, Fangmeyer, Grizzoli, Jackson, Wolfard...lo guardavano tutti di sfuggita, senza pronunciare una parola.

Non che ci fosse molto da dire, del resto: chiunque sapeva perché si trovasse lì, quella mattina, e quali fossero le sue reali intenzioni. Il suo atteggiamento, negli ultimi tempi, non lasciava certo spazio ad equivoci di sorta.

C’era comunque una sorta di sacralità, in quel silenzio. Un misto di composta tristezza e dignitoso raccoglimento, come in un lutto. Perché di quello, si trattava. Di un autentico lutto, per tutti quanti.

Quando un collega, un compagno, un FRATELLO se ne va, é sempre una perdita, indipendentemente dalle modalità, dalle cause o dalle ragioni. Una perdita che genera un vuoto incolmabile.

Nick si diresse verso l’uscita. Clawhauser, seduto alla sua postazione come sempre, lo scorse.

“Nick!!”

“Ciao, Benjamin.” lo salutò quest’ultimo.

“A-ascolta, Nick: io...io non so davvero cosa dire. Mi dispiace, Nick. Mi dispiace davvero tanto.”

Il poveretto era veramente affranto. Sembrava sul punto di scoppiare a piangere da un momento all’altro.

“Lo so, Ben. Lo so.” rispose mestamente Nick.

La volpe passò dietro al bancone e gli posò una mano sulla spalla, come a volerlo consolare.

“Spiace tanto anche a me, credimi. Ma non posso più rimanere qui. Non ci riesco, senza Judy. Cerca di capire.”

“Io...”

“Non c’é più nulla per me, qui. Più niente per cui valga la pena, ormai.”

“Cosa...cosa pensi di fare, ora? Dove andrai?”

“Non lo so. Forse, almeno per il momento, cercherò soltanto di vivermela giorno per giorno. Finché ne sarò in grado.”

Si strinsero la mano.

“Abbi...abbi cura di te, mi raccomando.” disse il ghepardo, ormai commosso.

“Anche tu. Stammi bene, ciccione.” disse Nick. “E grazie di tutto. Anche a nome di Judy.”

“Addio, Ben.” concluse poi, mentre si allontanava lentamente.

Prese la porta ed uscì dalla stazione di polizia, senza mai più voltarsi.

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Non é stato facile,ma alla fine ci sono riuscito: ho praticamente distrutto tutto quello che Nick e Judy erano riusciti faticosamente a mettere in piedi alla fine del film.

Direi che come ultimo episodio dell’anno non c’é niente male.

Ho praticamente raso al suolo tutto quanto, riportando al storia al punto zero.

Una scelta estrema, ma che apre infinite possibilità: vale a dire che, da ora in poi, non c’é più nessuna certezza. Potrebbe accadere di tutto.

E’ come stare sospesi sopra l’orlo di un dirupo: non sai cosa potrebbe accadere l’attimo dopo.

Molto ansiogeno, ma anche eccitante.

Ora, resterà da vedere come le cose si rimetteranno a posto, SEMPRE AMMESSO CHE SI RIMETTANO A POSTO.

C’é un solo modo, per scoprirlo: avere fiducia e proseguire con la lettura!

Come dicevo, THE PROMISE YOU MADE si prende una pausa fino al nuovo anno.

Avevo promesso di pubblicare una storia extra, slegata da quella principale, prima di Natale, ma temo purtroppo che non ci riuscirò…

Sappiate comunque che é quasi pronta, é la posterò senz’altro prima della fine dell’anno, come regalo a tutti voi che mi seguite. Scusate ancora e portate solo un po' di pazienza!!

Torna l’angolo della colonna sonora, piuttosto ricco stavolta.

Per la parte iniziale, con i saluti tra Judy e Bogo, ascoltatevi la bellissima THE WAY IT IS di Bruce Hornsby and The Range.

Durante la sequenza nell’appartamento di Nick, e durante il dialogo tra di lui e Bogo ( a proposito, di solito non é mia abitudine esaltare i miei scritti, e preferisco di gran lunga leggere i vostri pareri, ma il vecchio bufalo in quest’episodio l’ho trovato DA BRIVIDI) mettete LILY WAS HERE (anche se sarebbe meglio dire JUDY WAS HERE, vista la situazione.) di Dave Stewart e Candy Dulfer (preparate i fazzoletti!).

Infine, dal punto in cui Nick consegna la busta in poi, ascoltatevi la struggente BROTHERS IN ARMS dei leggendari Dire Straits ( il gruppo preferito dal sottoscritto).

Un ringraziamento, come sempre, a tutti coloro che hanno letto (e stanno leggendo) il capitolo precedente. Ed in particolare a Plando, Freez shad (nel tuo caso, grazie anche per il tuo parere sul capitolo precedente!), nami92, la new entry Way Out, salamander92, Newdark, lovehug1998 e MizukiZukishima28 per le recensioni.

Ed un grazie a tutti quelli che stanno iniziando a leggere e a scoprire la mia long.

Alla prossima,

See ya!!

P.S: Quasi dimenticavo…

AUGURONI PER UN SERENO E FELICE NATALE.

A TUTTI.

BUONE FESTE!!

CAPITOLO 22

HAUNTED CREEK

Era passata una settimana da quando Nick aveva rassegnato le dimissioni dal corpo di polizia.

Nel frattempo Stu e Bonnie, con cui rimaneva in perenne contatto, gli avevano riferito alcune novità.

Al James Harriot Medical Center, i dottori avevano finalmente sciolto la prognosi riguardo alle condizioni cliniche di Judy, annunciando che erano passate da critiche a critiche e stabili.

Non che questo contribuisse a migliorare il quadro generale della situazione, nonostante la punta di velato ottimismo misto ad incrollabile speranza che scorse nella voce dei due coniugi, mentre lo mettevano al corrente della notizia.

In sostanza, valeva a dire che la sua ex-collega non sarebbe migliorata, ma neanche peggiorata, almeno per il momento. Tutto qui.

Judy, come tutti gli altri malcapitati che versavano nel suo stesso stato, si trovava in una sorta di terra di mezzo. Una sorta di bolla, di sacca, di distorsione del continuum spazio-temporale che può manifestarsi senza alcun preavviso e che si rinchiude intorno a te, isolandoti dal resto del mondo. Quest’ultimo, insieme ai suoi abitanti, prosegue la sua corsa mentre tu rimani fermo, inchiodato dove sei, in una sorta di limbo dove non si può né vedere, né parlare; né udire, né essere uditi; né vivere, né morire...solo aspettare. Tu, insieme ai tuoi cari che ti attendono oltre quella sottile e fumosa linea d’ombra dove ti trovi, in attesa di poterti riabbracciare.

Aspettare. E Sperare. E pregare. Chiunque o qualunque cosa in cui si possa o non si possa credere.

Per giorni. Settimane. Mesi. Anni. Tutta la vita, nel peggiore dei casi.

Trascorsero un altro paio di giorni, al termine dei quali Nick stabilì di averne avuto abbastanza non solo della polizia, ma anche di quella casa e di quella città.

Dal suo punto di vista, non solo non c’era più niente per lui al distretto, ma nemmeno a Zootropolis, ormai. Tanto valeva andarsene anche da lì.

E così fece.

L’indomani, la mattina presto, riesumò una vecchia e logora valigia dal fondo del suo guardaroba e, dopo averla riempita alla meno peggio con qualche vestito ed alcuni ricambi presi alla rinfusa, senza prestare particolare attenzione, la scaraventò nel baule della sua auto, mise in moto e partì. Durata del viaggio: finché le sue forze e la sua volontà glielo avrebbero consentito. Destinazione: ignota, almeno per il momento.

Unica certezza: andare via di lì, SUBITO.

Forse l’unica cosa a spingerlo era l’impellente desiderio di mettere la maggior distanza possibile tra lui e quel luogo, insieme a tutto il carico di ricordi che si portava appresso, il cui peso era divenuto troppo grande e doloroso da poter sopportare.

Si allontanò dal centro città, proseguendo verso il distretto di Rainforest.

Passò oltre il quartiere di Vine Country ed attraversò il ponte di Mongoose River, che collegava quella porzione di foresta pluviale alla parte meridionale del CANAL DISTRICT, la zona dei canali.

Da lì proseguì verso ovest, tramite una serie di isolotti collegati tra loro e poi, mediante traghetto, superò un breve tratto di mare giungendo sulla costa opposta, dove iniziava il vasto e brullo territorio delle MARSHLANDS.

Per un paio di giorni non scorse altro che melmose paludi e stagnanti acquitrini: il tipico panorama di quelle terre, che contavano parecchie zone incolte ed inabitate, non ancora sottoposte a bonifica. Un panorama a dir poco deprimente, davvero un toccasana per il suo stato d’animo. L’abuso e la speculazione edilizia, che buttano colate di asettico cemento anche dove in teoria non si dovrebbe, non sono mai cose di cui si dovrebbe andar fieri. Ma, in quel caso, le avrebbe più che giustificate. Qualche bel centro residenziale o commerciale avrebbe aggiunto una nota di colore al tutto, rendendolo persino più gradevole alla vista.

Andò verso sud, toccando quasi il confine con DEERSBOROUGH, la contea dei cervi. Per un istante, gli balenò nella mente la tentazione di fare un salto al famoso borghetto menzionato da carotina. Invece, ancor prima di iniziare ad addentrarsi in quei territori, deviò all’improvviso, per poi proseguire nuovamente verso sud.

Passarono altri due giorni. Nick aveva trascorso tutto il tempo prevalentemente al volante, fatta eccezione per un paio di soste in qualche sperduto e desolato drugstore situato ai margini della strada, al fine di recuperare qualcosa da mangiare ma sopratutto da BERE, per lavare via la sete di alcool dallo stomaco e i brutti pensieri dalla testa. A queste dovette aggiungere altre due fermate effettuate nel cuore della notte, e dovute ad un fisiologico quanto imprescindibile bisogno di riposo.

In entrambi i casi, dopo aver individuato una stradina secondaria non asfaltata e sufficientemente appartata, l’aveva imboccata al volo e, dopo aver parcheggiato nel primo spiazzo abbastanza ampio disponibile, cercava di rilassarsi un poco, nel vano tentativo di dormire almeno per qualche ora. Vano perché pretendere di DORMIRE, a quel modo ed in quella situazione, era un autentico eufemismo. Quella a cui si sottoponeva Nick, sdraiato sul sedile posteriore con gli occhi chiusi, confidando che lo sfinimento e l’eccessiva spossatezza avrebbero finito con l’indurre il tanto agognato sonno, era piuttosto una sorta di fastidiosa attesa. Destinata a venire puntualmente disillusa. Quando faceva il truffatore, viveva in strada e dormiva sotto ai ponti, gli riusciva più facile. Avveniva tutto in automatico. Si coricava e si addormentava come un sasso. Ma quando ti abitui a stare dentro quattro calde mura e sopra un comodo giaciglio, non é così semplice riconvertire il processo.

Non poteva continuare così. Ostinarsi a voler guidare in quello stato equivaleva soltanto a correre il grosso rischio di rompersi l’osso del collo, prima o poi. Nick ne ebbe la conferma nel pomeriggio del quinto giorno, quando le palpebre gli si chiusero inavvertitamente per un margine di tempo che a lui parve durare solo qualche istante. Sentendosi sbandare bruscamente verso destra, li riaprì di colpo e vide la macchina sul punto di finire lungo un pendio scosceso a lato della strada.

Diede un brusco colpo di sterzo nella direzione opposta, riuscendo a rimettersi in carreggiata, per poi fermarsi pochi metri più avanti.

Nick scese di fretta e furia dalla vettura e si appoggiò sul cofano, ansimando. Sentì il cuore battere all’impazzata, come sul punto di scoppiare.

Fu in quel preciso momento che decise che avrebbe dormito su di un autentico letto, quella sera. A qualunque costo.

Ripartì quasi dieci minuti dopo, non appena i battiti cardiaci ed il respiro furono di nuovo regolari.

Per evitare altri spiacevoli inconvenienti dovuti alla stanchezza, mantenne una velocità bassa, la musica della radio a tutto volume e i finestrini abbassati: l’aria fresca l’avrebbe aiutato a rimanere sveglio e concentrato a sufficienza.

Nel frattempo il paesaggio intorno a lui aveva cominciato a mutare: una fitta vegetazione boschiva aveva cominciato ad intervallare a tratti l’ambiente lacustre e paludoso. Anche la strada aveva iniziato a cambiare: da pianeggiante aveva cominciato a farsi in salita, e brevi serie di tornanti avevano cominciato ad alternarsi ai rettilinei.

Teneva gli occhi bene aperti sulle linee bianche di segnalazione al centro, buttando talvolta lo sguardo di lato, per brevi istanti, alla ricerca di un’indicazione riguardante il più vicino centro abitato.

Dopo un paio di miglia circa, i suoi sforzi vennero ricompensati. Vide un cartello.

HAUNTED CREEK

12 Miles

Stava ormai per giungere la sera. Gli alberi disposti lungo i lati della strada si erano fatti via via più spogli, fino a sembrare delle braccia adunche e scheletriche che spuntavano dal terreno. Le punte dei rami, simili ad artigli spettrali, parevano circondarlo con intenzioni tutt’altro che pacifiche. Da un momento all’altro si sarebbero avvolti attorno alla sua vettura bloccandola e, dopo aver sfondato i vetri, lo avrebbero ghermito e trascinato nei più oscuri meandri della foresta circostante.

Un brivido, un’improvvisa scossa ghiacciata percorse la schiena di Nick, al comparire di quei pensieri. Si, aveva decisamente bisogno di dormire. La stanchezza finisce per giocare brutti scherzi, e talvolta fa vedere cose che non esistono. Erano solo fantasie, senza alcun dubbio, ma non vedeva l’ora di lasciarsi alle spalle quel posto. Non doveva mancare molto al paese, ormai. Si teneva ancorato a quella speranza nel tentativo di scrollarsi l’inquietudine di dosso, ma non servì. E’ pur vero che nelle fiabe, al termine di una selva oscura e maligna popolata di mostri e belve feroci, c’é sempre una piccola radura soleggiata con una casina accogliente e confortevole nel mezzo. Ma bisogna porre estrema attenzione, e soprattutto non abbassare mai la guardia: spesso, chi vi abita lì dentro ha intenzioni ben peggiori.

Fortunatamente, duecento metri più avanti e in corrispondenza dell’ultima fila di alberi, notò sulla destra un pannello rettangolare di colore scuro. A causa dell’incombente oscurità annunciata dal crepuscolo, risultava impossibile dire con certezza se fosse nero o marrone. Su di esso, scritto a caratteri bianchi, si poteva leggere:

Welcame to

HAUNTED CREEK

Population: 2015

A Nick scappò un sorriso a metà tra lo sconsolato ed il sarcastico.

Cominciamo bene, pensò. Se questo é il modo di dare il benvenuto, figuriamoci il resto.

Il demenziale messaggio di quel cartello aveva ottenuto un duplice scopo: se da una parte aveva azzerato completamente le sue aspettative, dall’altro gli aveva restituito un breve ed inaspettato guizzo di buonumore. Era già qualcosa, dopotutto.

Del resto, com’é che diceva sempre carotina?

Eeehi: cerchiamo di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno, ok?

Non appena fu fuori dal bosco iniziò ad intravedere le prime case. Piccole villette ad un piano in legno bianco e dall’aspetto alquanto modesto, posizionate al centro di piccoli giardini scarsamente curati e delimitati da recinzioni e staccionate piuttosto malandate e, in alcuni punti, persino mutilate. Molte di esse, infatti, facevano sfoggio di interi tasselli mancanti, come la bocca sdentata di un vecchio troppo in bolletta per permettersi una sistemata dall’odontotecnico.

Qualcuno dei suoi presumibilmente rispettabili cittadini, in preda forse ad un eccesso di lusso o a qualche inusitato vezzo architettonico, aveva provveduto a dotare la sua abitazione di una piccola veranda.

Lo scenario non cambiò, mentre Nick raggiungeva il centro della cittadina. Le strade erano scarsamente illuminate da qualche sporadico lampione, ed in giro non c’era anima viva. Con tutta probabilità, non doveva trattarsi di un paese avvezzo alla vita notturna. Non che a lui importasse particolarmente, del resto. Tutto ciò che desiderava era un letto su cui poggiare le stanche membra, per poi ripartire il mattino dopo. Ci doveva pur essere un albergo, anche in un posto sperduto e desolato come quello.

Scorse un’insegna luminosa. Non era l’albergo che cercava, ma poteva costituire una momentanea, quanto valida, alternativa. Una birreria.

SUNKEN HOPE SALOON

Già. Una birreria. Peccato solo per il nome. I casi erano due, a questo punto: o la gente di qui non era capace di fare i cartelli, o aveva un gusto tutto masochista nel voler scoraggiare i forestieri e spingerli a proseguire oltre senza nemmeno fermarsi. O, magari, era solo il desiderio di voler essere lasciati in pace, nel loro isolamento. Desiderio più che legittimo, anche se fino ad un certo punto. I visitatori, talvolta, possono far bene alle località sperdute: possono portare qualche novità, oltre che ad avere sempre con sé qualche soldo da spendere.

Al diavolo, pensò Nick mentre parcheggiava. Una birreria é pur sempre una birreria, nome idiota a parte. Ciò che conta é quel che hanno dietro al bancone da poteri servire. E lui aveva deciso di darsi una bella lavata all stomaco, prima di fare qualunque altra cosa.

Affiancò la macchina alle altre due sistemate di fronte al locale, scese ed entrò. Tutto gli faceva presupporre che non doveva trattarsi di una serata particolarmente affollata, lì dentro.

Ciò che vide, non appena varcò la soglia, confermò in pieno la sua prima impressione.

L’ampio salone era semideserto. I tavoli, piuttosto bassi e e ampi e dalla forma circolare, erano quasi tutti vuoti, a parte qualcuno a margine dove si era autorelegato qualche sparuto ed isolato avventore, intento a sorseggiare la sua consumazione lentamente ed in perfetto silenzio. L’unica eccezione era costituita da uno dei tavolini centrali dove un curioso terzetto composto da una iena, un cinghiale ed un tasso erano intenti a discutere animatamente, ognuno trincerato dietro la sua collezione di bottiglie di birra ormai vuote. I toni erano alquanto accesi, a causa della generosa quantità di alcool che ormai circolava nei loro corpi.

Il tizio dietro al bancone, un cavallo dal manto e criniera rossastri e con una linea bianca che gli scorreva dal muso fin su alla fronte, era intento a pulire un bicchiere sudicio nell’encomiabile tentativo di renderlo quantomeno opaco. Alle sue spalle, sopra un bancone pieno di bottiglie di liquori, un televisore a schermo piatto di una quarantina di pollici, spento. O, più probabilmente, guasto. Lo confermava il fatto che venisse usato come bacheca. Sullo schermo vi era infatti appiccicato un foglio bianco con una frase scritta a pennarello:

CHI BEVE PER DIMENTICARE E’ PREGATO DI PAGARE PRIMA.

Ogni frase una sentenza, da queste parti, pensò Nick mentre scostava uno sgabello, sedendosi al bancone.

“Che ti do da bere, amico?” Chiese il barista.

“Una BUDWEASEL e un SOUTHERN COMFUR, liscio.” rispose lui.

“Ci vai leggero, eh, amico?”

“Tu pensa ad innaffiare e basta. Te lo dico io quando smettere.”

Lo servì all’istante. Nick prese la birra e ne cacciò giù una grossa sorsata, a cui fece seguire un goccio di whiskey.

Sublime, semplicemente sublime. Il gassoso amarognolo che gli era appena esploso in gola finì a braccetto con una pennellata di miele ed arance che proseguì la sua corsa più giù, sempre più giù, fino a sciogliergli le viscere in un ondata di tenue calore. Un sorso e un sorso. Le due bevande si accompagnavano e si sostenevano a vicenda, come due novelli fidanzatini. Ognuna aiutava a mandar giù meglio l’altra.

“Schifoso nanerottolo! Guarda cos’hai fatto, con quel dannato spazzolone! Mi hai fatto rovesciare la birra, brutto idiota!!”

All’imprecazione seguì un rumore di sedie spostate.

Nick si voltò e vide la iena prendere a calci qualcuno sotto il tavolo, mentre i suoi compari di bevute ridevano sguaiatamente. Chiunque fosse il disgraziato vittima della sua ira, doveva trattarsi senz’altro di un mammifero di piccola taglia, a giudicare dal NANEROTTOLO udito prima e dal fatto che il tavolo riuscisse a nasconderlo totalmente alla sua vista.

Lì vicino, a terra, lo spazzolone prima menzionato, insieme ad un secchio rovesciato che stava spandendo acqua mista a candeggina tutt’intorno.

“Allora?!” Incalzò la iena, continuando a strepitare. “Devi forse dirmi qualcosa, pulce? Sto aspettando!!”

“E dai, Russell...calmati, amico!” intervenne il barista.

“Neanche per sogno!” Rispose quest’ultimo, sdegnato. “Questo deficiente mi ha rovinato il mio paio di pantaloni buoni, e adesso me li deve ripagare, chiaro? E tu fatti gli affari tuoi!!”

“Ti ho già detto che non l’ho fatto apposta. Che altro vuoi?” Li interruppe il tipetto misterioso, dal fondo di quell’improvvisato nascondiglio.

Nick arrestò la bottiglia a pochi millimetri dalle labbra.

Ma questa...questa voce…

No, non può essere!

Nel frattempo, per tutta risposta, la iena aveva infilato entrambe le mani sotto al tavolo ed aveva afferrato il suo interlocutore, trascinandolo fuori di viva forza.

“Che hai detto, microbo?! Ripetilo, se hai coraggio!” Gli urlò, piazzandoselo davanti agli occhi.

“Ho detto che ti dovresti sturare quelle orecchie piene zeppe di cerume che ti ritrovi, cabròn. Potresti fartelo succhiare via con una cannuccia da uno di quei due balordi che ti trascini appresso, oppure che ne dici di provare direttamente con un candelotto di dinamite, eh?!” Replicò la minuscola volpe del deserto.

Nick fece quasi cascare la birra per lo stupore.

“F-Finnick?!”

Non credeva ai suoi occhi.

Era Finnick! Era davvero lui!

Il suo vecchio compagno di malefatte di Zootropolis. Quando truffe, raggiri ed espedienti erano il suo pane. Praticamente la sua vita fino a un attimo prima di conoscere carotina.

Ma che diavolo ci faceva, in un posto simile? E come ci era finito, lì?

Non era il momento di pensare a certe cose. Gli avrebbe posto tutte le domande del mondo dopo, con calma. La priorità, ora, era di tirarlo fuori dai guai.

Nick poggiò la bottiglia con ciò che rimaneva al suo interno sul bancone e scese dallo sgabello.

“Non ti seguo, Butch.”

“Eppure é semplice, rosso. La paura, il rancore, la rabbia...tutte queste cose hanno dato vita ad una belva feroce che si dibatte dentro di te, senza sosta. Imparerete ad andare d’accordo, stà tranquillo. Ma prima di ogni cosa, dovrai farle capire chi comanda. E dovrai farle capire che le concederai di esistere solo per donarti la sua forza. Altrimenti, finirà per divorarti.”

“Continuo a non capire.”

“Non importa. Tu lavora sodo, fai quel che ti dico e non romperti la testa. Qui dentro non conta capire ma FARE. O meglio, fare prima per capire poi. E’ come un puzzle, rosso: all’inizio non hai un quadro chiaro ma poi, man mano che vai avanti, i pezzi vanno tutti al posto giusto. Hai presente quel giochino scemo con i mattoncini, che andava forte anni addietro?”

“Vuoi dire il TETRIS? Non sapevo ti piacessero i videogames, vecchio mio. Comunque, a me piaceva FLEA AGGIUSTATUTTO.”

“Bleah!! Mai giocato. Quel tappo insignificante mi stava sulle scatole. Il cattivo, invece: RHINO SPACCATUTTO...quello si che era un duro! Non per niente era della mia stessa specie. Mi domando perché non gli hanno mai fatto un gioco tutto per lui...comunque, ricorda bene quel che ti ho detto, rosso. Ma senza ragionarci troppo. Arriverà il momento in cui tutto ti sarà ben chiaro. E sta pur sicuro che avverrà naturalmente, senza che tu ti debba sforzare.”

Quel discorso di non molto tempo fa gli riaffiorò all’improvviso dalla memoria mentre si dirigeva, a passo sicuro, verso il quartetto di fronte a lui. E, di colpo, comprese il significato delle parole del vecchio rinoceronte.

"Non ci credo! Vuoi MORIRE, forse? Ritira subito quello che hai detto!!” lo minacciò Russell.

“No.” rispose Finnick, risoluto. “Non mi passa neanche per l’anticamera del cervelletto di schiattare, ma stavolta non te la darò la soddisfazione, hai capito?! Maldito hijo de p...”

La iena, furente di rabbia, lo scaraventò a terra con violenza senza neanche dargli il tempo di finire la frase o meglio, l’insulto. Poi gli si avvicinò e gli piazzò un piede sullo sterno.

“Peggio per te, imbecille.” disse. “Ti ho dato un’ultima possibilità, e te la sei giocata malissimo. Adesso io ti...”

“Lascialo stare.”

Si voltarono entrambi e videro Nick che li osservava, poco distante.

“S-socio?!” Esclamò Finnick, con stupore.

Nick non disse nulla: non fece nemmeno un cenno.

“E tu di che ti impicci? Che vuoi, eh?” gli domandò Russell, tentando di intimidirlo come aveva fatto con il barista, poco fa.

“Niente.” rispose lui, con tono calmo. “Ma non mi sembra questa gran prodezza maltrattarlo, non trovi?”

Russell alzò il piede da Finnick e si diresse verso di lui, emettendo quel suono stridulo tipico della sua specie, simile ad una macabra ed isterica risata, e gli si avvicinò, piazzando il muso ghignante e munito di alito fetido a pochi centimetri dal suo, che invece si manteneva impassibile e distaccato.

“Senti, senti...e tu chi saresti? Il suo spasimante, per caso? Eh, Belloccio?”

Risate dietro di lui, da parte dei suoi due compari.

“Stà attento, denti di fata.” gli intimò Nick. “Sono molto più cattivo di te, in questo momento.”

Rivide i suoi compagni, quella sera al circolo degli scout, che ridevano e lo schernivano mentre lo immobilizzavano a terra, infilandogli a forza la museruola.

I rivenditori che lo cacciavano fuori dai negozi perché temevano potesse rubargli la merce.

Gli animali più grossi che lo insultavano e lo maltrattavano solamente perché era una VOLPE e quindi, a parer loro, capace di ogni genere di bassezza e perfidia.

E rivide il capitano Bogo che lo esortava ad attaccarlo, con fare sprezzante.

Questi pensieri si tramutarono in un impulso nervoso che, come una scarica elettrica, dall’encefalo raggiunse la spalla e proseguì lungo il braccio fino a raggiungere le due prime nocche della mano destra, che stava già iniziando a serrarsi per formare un pugno.

La punta del tuo naso é il mirino. Il gomito deve sfiorare il fianco per disperdere minor potenza possibile, durante l’esecuzione. Poi torci il pugno e COLPISCI. Come se volessi passargli attraverso. Come se il tuo bersaglio si trovasse due metri oltre il punto d’impatto.

Concentra la tua rabbia, rosso.

Il diretto saettò, fendendo l’aria. Russell non lo vide nemmeno arrivare.

Nick lo centrò all’attaccatura della mascella, facendolo cadere di lato.

Pur mezzo stordito, Russell riuscì ad aggrapparsi disperatamente al tavolo vicino, finendo in ginocchio.

Nick gli piombò alle spalle, afferrandogli la criniera all’altezza della nuca e facendolo gemere. Poi, dopo avergli alzato di un poco la testa, fece per sbattergliela contro la superficie lucida e ben levigata. Si fermò a pochi centimetri.

“Guardala.” disse, con freddezza. “Quella poteva diventare la tua nuova faccia. Ma oggi é il tuo giorno fortunato.”

Detto questo lo mollò, precipitandosi da Finnick.

Si chinò su di lui per sincerarsi delle sue condizioni. Era piuttosto malconcio per le botte subite e respirava a fatica, nonostante la spavalderia.

“Come stai, Finn?”

“Il dottor Kildare dei miei stivali che non ho che ne dice, eh?”

L’imperativo del buon vecchio Finnick. Fare sempre lo spaccone, anche con il fiato grosso e le ossa rotte.

Già. NON MOSTRARE MAI I TUOI LATI DEBOLI. Vero, Finn? Me lo hai insegnato tu, del resto.

“Piuttosto: che accidenti ci fai, qui? Si può sapere?”

“Potrei chiederti la stessa cosa.” rispose Nick, sorridendo. “Ma di questo parleremo più tardi. Ora voglio cercare solo un posto dove dormire e qualcuno che ti dia un’occhiata.”

Lo aiutò a rialzarsi e gli appoggiò una mano sulla spalla, sorreggendolo.

“Il mio amico viene con me. Per stasera ha finito di lavorare, ok?” Disse poi, rivolgendosi al barista.

“O...ok, amico.” rispose quest’ultimo.

Mentre si incamminavano verso l’uscita, Nick tirò fuori dalla tasca due biglietti da venti e li mise sul bancone.

“Tieni.” aggiunse. “Questi sono per la bevuta e il disturbo. E per un’informazione. Sai dirmi se c’é un albergo, qui nei dintorni?”

“No, amico. Non ci sono alberghi, da queste parti. Mi dispiace. Però la signora Thompson, la padrona del negozio di alimentari, affitta delle camere ai viaggiatori. Però é molto tardi, amico. Non so se...”

“Ho capito. Dove la trovo?”

“Fuori di qui gira a destra, amico. E poi prosegui dritto per circa mezzo miglio. La trovi sulla destra. E’ una casa dipinta di azzurro. Non ti puoi sbagliare, amico.”

“Ok, grazie.”

Dopo che le due volpi se ne furono andate Russell, intuendo lo scampato pericolo, trovò il fegato necessario per abbandonare finalmente la sua scomoda posizione e riprendere posto accanto ai suoi due amici.

Nessuno osò fiatare per almeno dieci minuti.

Poi, la iena decise di rompere quell’imbarazzante silenzio.

“Beh?! Si può sapere che diavolo avete, da guardare?” Disse, rivolgendosi agli altri due. “Ha avuto solo fortuna, tutto qui. Mi ha preso alla sprovvista, ma la prossima volta...”

“Non credo.” lo interruppe il tasso. “Anzi, credo che quello poteva prenderti a calci nel sedere da qui fino al confine della contea, se solo voleva.”

Nel frattempo in un tavolino in penombra, vicino alle toilettes, un vecchio alce aveva assistito a tutta la scena senza aprir bocca.

Un sorriso divertito gli comparve sul muso.

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Finalmente si ricomincia, lasciatemelo dire!!

Allora, come vi sembra? Confusi? Scioccati? Perplessi? Disgustati (oddio, spero di no!!)?

Nuova ambientazione, nuovi personaggi e Nick che sembra destinato, almeno per il momento, a diventare il protagonista assoluto.

Fortunatamente, non é rimasto da solo a lungo: é entrato (o meglio rientrato) in scena Finnick, e se il buon giorno si vede dal mattino, si tratta di un rientro a dir poco esplosivo!

Staremo a vedere che combineranno questi due, insieme...del resto, alla nostra volpe piace lavorare in compagnia!

L’angolo della colonna sonora (ok, non garba a tutti, ma stavolta merita). Dall’inizio del capitolo fino all’arrivo di Nick alla birreria ascoltatevi la bellissima e straziante NIGHTS IN WHITE SATIN dei Moody Blues. In realtà noi la conosciamo con un altro titolo, cantata da un altro gruppo e IN ITALIANO...non vi dirò quale, tanto la riconoscerete subito. E così, avrete la scusa per ascoltarla!

Quando invece entra in scena Finnick, non appena inizia a parlare sparatevi SHOOT TO THRILL degli AC/DC fino alla fine del racconto.

Tornando per un attimo alla mia storia precedente, ringrazio Freez shad, Plando e MizukiZukishima28 per le recensioni (quest’ultima anche per la preziosissima segnalazione a proposito del nome del sergente istruttore; anche se, a dirla tutta, non mi sono ancora deciso a correggerlo: Hurtlocker piace tantissimo anche a me…)

Un grazie inoltre a chiunque leggerà la storia e vorrà lasciare un parere, anche breve (é sempre bello scoprire che il tuo racconto sta piacendo).

Infine, come al termine della scorsa estate, lasciatemi dire che é stupendo tornare qui.

Allacciate le cinture: si riparte, e il viaggio é ancora lungo!

Alla prossima,

See ya!!

CAPITOLO 23

FINN, LAUREEN & IL TACITURNO

“Ce la fai a salire?” Chiese Nick, mentre apriva la portiera.

“Of course! Per chi accidenti mi hai preso, per un paralitico, per caso? Ti ci puoi giocare il portacoda, che ce la faccio! Ho ancora le zampine buone, io!!” Replicò seccamente Finnick, intento ad arrampicarsi sul posto del passeggero.

“Chiedo venia. Volevo solo essere gentile, tutto qui.”

Non appena il suo amico fu a bordo, Nick chiuse di slancio e si diresse dalla parte opposta. Poi, dopo essersi accomodato al volante mise in moto e, al termine di una breve retromarcia, svoltò a sinistra e partì alla ricerca della fantomatica casa dipinta di azzurro.

“Senti, socio: riguardo a prima...” esordì Finnick dopo qualche istante.

“Sssshh.” lo zittì la volpe. “Sono sfinito dal sonno, e sto cercando di utilizzare quel lieve barlume di lucidità che mi é rimasto per rimediare qualcosa che non siano i sedili posteriori di quest’auto, almeno per stanotte. Quindi FA’ SILENZIO, PER FAVORE!!”

“Right, right, right. E ci mancherebbe. Non disturbiamo il GENIUS AT WORK, per carita’ di tutti i santi...certo che, per essere una vita e mezza che non ci si vede, non muori certo dalla voglia di chiacchierare. Voglio dire: una volta mi avresti tempestato di domande all’istante, sul perché e sul percome di ogni cosa...ti ricordavo un po' più loquace, socio. Dove accidenti é andato a finire SLICK NICK detto PAPA’ LINGUALUNGA? LA VALLE DELL’ECO? L’ANIMA DI TUTTE LE FESTE? Andiamo, non ti va di sapere che ha combinato di bello il qui presente, in tutto questo tempo? Il tuo ex-compare, il buon vecchio Finnick, altresì conosciuto come IL FOLLETTO DEL DESERTO? IL PREDONE DALLE GRANDI ORECCHIE? FIREFOX VOLPE DI FUOCO? Allora, socio: ti si sono seccate le fauci, per caso? Non sei impaziente di scoprirlo, mh?”

“TI HO DETTO DI CHIUDERE IL BECCO!!” Sbottò Nick, già spazientito. “Ancora blateri? Vai avanti un altro po' e facciamo in tempo ad uscire da questo sputo di paese e a tornare indietro! Ti ho appena salvato la pellaccia, ed il minimo che tu possa fare per dimostrare la tua gratitudine é esaudire la mia richiesta di tapparti quel forno, una buona volta!!”

A seguito di quello sfogo, Finnick e la sua logorrea corrosiva gli concessero un sospirato attimo di tregua e lui poté finalmente tornare a concentrarsi sulla strada.

Casa, casa, negozio di abbigliamento, casa, negozio di liquori...utile, magari per fare rifornimento...casa, casa, casa, ferramenta, casa...trovata!

L’abitazione indicata dal barista era proprio alla sua destra. Era perfettamente identica alle altre villette viste prima: stesso tipo di staccionata, stesso giardinetto spoglio, forse un filo più curato stavolta, per quel che riguardava il manto erboso. Le uniche differenze erano costituite dal colore celeste, che catturava senz’altro l’attenzione tra la dicotomia di bianco e varianti di marrone delle altre case, e da una doppia porta all’ingresso dotata di zanzariera.

Nick fermò l’auto.

“Ovviamente, vista la risposta di prima, mi autodispenso dal chiederti se ce lai fai a scendere da solo.” disse in tono ironico, rivolgendosi a Finnick.

“E ovviamente, io mi autodispenserò dal mandarti a quel paese per la tua domanda idiota.” replicò quest’ultimo.

“A proposito: riguardo al discorso di avermi salvato la pelle, me lo dai il numero di telefono?” Aggiunse poi.

“Di che parli?”

“Parlo dell’esperto di cibernetica che ti ha impiantato l’arto bionico al posto di quella sottiletta alla soia gusto cheddar che ti ritrovavi come braccio destro, e che ti hanno rivenduto pure per buono. Ne voglio anch’io uno così, capito? MADRE DE DIOS, quello si che era un destro coi controfiocchi!! Ma che dico: un autentico STRAIGHT CROSS da antologia! Anzi, al fulmicotone! ECCEZZIUNALE, VERAMENTE ECCEZZIUNALE, caro il mio Nickybello!! Al grande Jack Dempsey staranno brillando gli occhi, senza alcun dubbio! Per me ha già scoperchiato la bara e sta venendo qui a chiederti ripetizioni!!”

“Il solito esagerato. Quante storie. Non potevo certo lasciare che ti trasformassero in uno scendiletto...”

“SCHERZI?! Ma che mi vuoi buggerare, proprio a me? Si può sapere dove diavolo hai imparato a combattere così? Mi ricordo che, quando c’era a fare a botte, avevi solo due opzioni selezionabili: o le prendevi o scappavi, di solito.”

“Diciamo che mi sono dato parecchio da fare, nell’ultimo periodo. Tutto qui.”

Arrivarono di fronte all’ingresso, e Nick premette il pulsante del citofono, rimanendo in fiduciosa attesa. Per poi, come da suo vizio consueto, realizzare la situazione nel suo complesso solamente due secondi dopo. E venire quindi assalito da un BRUTTISSIMO PRESENTIMENTO.

Ora, persino a Zootropolis, nonostante avessero fatto dei notevoli passi in avanti riguardo agli appartenenti alla sua specie ed alla loro pessima reputazione, vi era ancora qualche imbecille per cui i pregiudizi nei confronti di lui e dei suoi simili erano duri a morire. E si parlava del complesso urbano più moderno ed avanzato dell’intero continente. Figuriamoci in un paesino sperduto e di poche, sparute anime come quello, relegato ai margini delle paludi e della contea dei cervi. In un posto popolato principalmente da prede ed erbivori e presumibilmente arretrato dal punto di vista culturale come quello, due VOLPI che si presentavano a tarda sera a casa di una sconosciuta avrebbe potuto costituire UN GROSSO PROBLEMA.

Grave, GRAVISSIMO ERRORE non considerarlo prima, pensò Nick in preda alla più sincera preoccupazione.

E va bene: ormai é fatta. Sia quel che sia, concluse rassegnato. Speriamo solo di non dovercene pentire.

Quasi a voler confermare i suoi lugubri timori, nell’attimo successivo al suono del campanello si accese una luce all’interno dell’abitazione, seguita da un nugolo di colorite imprecazioni.

“All’inferno! Ma chi accidenti é, a quest’ora?!”

Nick, a quelle parole, si mise sulla difensiva arretrando di qualche passo. La serratura, nel frattempo, scattò.

“Vi divertite così tanto a rompere l’anima ad una signora; non é vero, branco di deficienti? Ma adesso vi aggiusto io! Andate a smaltire la sbornia da un’altra parte!!”

La doppia porta si aprì di colpo e comparve sulla soglia una femmina di daino di mezz’età dal manto color marrone scuro. Indossava una camicia da notte azzurrina, in tinta con la casa, e brandiva minacciosamente un voluminoso mattarello nella mano destra. Sembrava alquanto alterata.

Nick era quasi sul punto di voltarsi, prendere Finnick sottobraccio e tagliare la corda a zampe levate. Ma, non appena li vide, l’aggressiva padrona di casa abbassò l’arma improvvisata, calmandosi di botto.

“Oh...scusate, credo ci sia stato un equivoco.” disse.

“E’...é quel che temo anch’io.” si schermì Nick allungando entrambe le braccia nella sua direzione, come a volerla rassicurare. “Lei...lei deve essere la signora Thompson, giusto?”

“Solo una cosa, se vogliamo partire con il piede giusto.” rispose lei. “Fammi il sacrosanto piacere di non chiamarmi signora, bello. Mi fa sentire più vecchia di quel che già sono. Mi chiamo Laureen, e diamoci pure del tu.”

“Uh...d’accordo, Laureen. Mi chiamo Nicholas Wilde e sto cercando un posto per la notte. Mi hanno riferito che sei l’unica a cui chiedere per un alloggio, qui nei dintorni. Innanzitutto, vorrei chiederti scusa: capisco che l’ora é un po' incomoda, ma...sto al volante da parecchio, sono piuttosto stanco e non so davvero dove sbattere la testa, per questa notte. Se...”

“Beh, se non é che per quello...hai avuto fortuna, amico. Tengo sempre una stanza pronta per le emergenze. I clienti da queste parti sono piuttosto pochi ma, da come la vedo io, possono arrivare a tutte le ore. Non si sa mai.”

Buttò un’occhiata alle spalle della volpe e scorse Finnick.

“Ehi, un momento: io quello lo conosco. E’ il fennec che lavora da Tobey, giù al locale.”

“In persona.” rispose schietto lui. I miei omaggi, madame.”

“Piacere mio. Dì un po': che ti é capitato, compare? Ti ha preso sotto uno schiacciasassi, per caso?” Chiese, vedendolo piuttosto malconcio.

Tobey, eh? Deve essere il simpaticone dietro al banco che chiama tutti quanti AMICO anche se é la prima volta che li vede in vita sua, pensò Nick.

“Non giudicare dalle apparenze, bello: Tobey é un buon diavolaccio, tutto sommato.” gli disse improvvisamente Laureen, quasi le fosse bastato incrociare il suo sguardo per intuire le sue impressioni sul barista. “Ha soltanto due grossi problemi: primo, ha il quoziente intellettivo di una tolla di pesche sciroppate; secondo, ha rimediato una più fessa di lui che ha persino deciso di farci dei figli. Ma non continuiamo a rimanere qui impalati sull’uscio come tre stoccafissi: entrate, su.”

Cinque minuti dopo, i tre erano seduti nel piccolo ma accogliente soggiorno.

Il pavimento della stanza era interamente ricoperto da un gigantesco tappeto persiano color porpora, su cui vi erano ricamati arabeschi dalle innumerevoli forme e colori. Al centro della parete più grande una fiamma languiva timidamente su di un ceppo all’interno del camino. Sulla parete di destra vi erano appesi alcuni quadri raffiguranti lo stesso campo di granturco durante le varie stagioni dell’anno e alcune cascine con mulini annessi sulla fiancata. Sulla parete di sinistra, invece, si trovava una libreria stracolma di volumi dalle dimensioni più disparate.

“Chiedo scusa per l’abbigliamento non proprio consono,” esordì Laureen, adagiata sulla poltrona. “ma mi stavo preparando per andare a letto.”

“Non fa nulla, mia cara. Oh, a proposito: l’altro giorno ho comprato al suo negozio una crostata di mirtilli. Era davvero squisita: l’ho letteralmente SBRANATA, ah ah ah!!” rispose Finnick, ridendo di gusto.

Nick gli gettò un’occhiataccia.

“Beh?! Si può sapere perché cavolo mi guardi a quel modo? Che ho detto?!”

“Beh, grazie di cuore, compare...” replicò Laureen. “...anche se, a dirla tutta, non le produco io...le faccio arrivare dalla CONIGLIERA...si, insomma, LA COLLINA DEI CONIGLI, BUNNYVATTELAPESCA o come accidenti si chiama...”

“Ehm...si chiama Bunnyburrow, Laureen.” intervenne Nick.

“Si, quella lì, insomma. Allora, vi decidete a raccontarmi che é successo?”

“Finnick ed io siamo amici,” proseguì lui. “e ci conosciamo da una vita. Ora, ciò che sto per dirti potrà sembrarti pazzesco, ma io e lui non ci vedevamo da un bel pezzo. Poi, neanche mezz’ora fa, passo da queste parti per puro caso, decido di fermarmi nel locale qui vicino intenzionato a farmi un bicchiere e me lo ritrovo davanti giusto in tempo per salvargli la pelliccia da tre tizi intenzionati a farne budino. Da non credere, vero?”

“Udite, udite: un nobile cavaliere senza macchia e senza paura che interviene per soccorrere un amico fraterno in pericolo.” commentò Laureen. “Beh...sembra sia proprio vero, quando dicono che il filo rosso del destino si snoda lungo vie imperscrutabili...”

“Ehi, Ehi! Aspetta un attimo!” Saltò su Finnick, guardando le costine dei libri perfettamente allineate ed ordinate. “ E’ quel che penso io, ciò che vedo? Una copia de IL PROFESSIONISTA di William Charles Heinz? L’ORIGINALE DEL CINQUANTOTTO?”

“Proprio quello.” precisò lei. “ Il mio defunto marito era un accanito lettore di libri, il che ha fatto automaticamente di me un’accanita lettrice di libri. Dimmi un po', compare: erano operai di Carrington, i tre che ti hanno aggredito?”

“A-ah,” confermò lui, che nel frattempo era corso ad agguantare il libro ed aveva già iniziato a sfogliarlo, immergendosi nella lettura.

“Finn, TI SPIACE?!” Lo rimproverò Nick. “Non é roba tua, e non hai nemmeno chiesto il permesso. Rimettila subito dov’era!”

“Tranquillo. Tanto, l’avevo già letto.” lo rassicurò Laureen.

“Ok, se per te non é un problema...piuttosto, spiegami chi erano quei tizi di cui hai parlato poco fa.”

“Fanno parte degli operai che lavorano alla cartiera del vecchio Carrington, giù a valle. La sera e specialmente durante i fine settimana, quando sono in libera uscita, assaltano i paesi vicini come questo e spendono la loro lauta e sudata paga in colossali bevute, fino all’ultimo centesimo. Il problema di quella gente é che quando si ubriacano, fanno la prima idiozia che passa loro per la testa. Si sfogano con qualunque cosa gli capiti a tiro: danneggiano case, strade, proprietà...oppure, riempiono di botte il primo poveretto che ha la sfortuna di capitargli tra i piedi, come il tuo amico. Sono un autentico malanno. E’ per questo che ho reagito così, quando ho sentito squillare il campanello...pensavo fosse qualcuno di loro, venuto a cercar rogne. ”

“A proposito, Laureen...c’é un medico, nei paraggi? Temo che gli abbiano dato una gran brutta battuta, prima che riuscissi a levarglielo dalle grinfie. E’ piuttosto malridotto anche se, da vero duro, non lo vuol dare a vedere.”

“C’é il dottor Cooke, ma a quest’ora sarà senz’altro a dormire.”

“Vorrei che gli desse un’occhiatina. Prova a chiamarlo, se non ti spiace. Digli che gli pagherò il doppio, per il disturbo.”

“Ok, vado a telefonargli. Voi aspettatemi qui.”

Un quarto d’ora più tardi, Laureen fece ritorno dalla cucina, reggendo un vassoio con sopra tre tazze fumanti.

“E’ tutto a posto. Ha detto che sarà qui tra dieci minuti.”

“Ti sono debitore.” rispose Nick, accennando un mezzo sorriso.

“Allora, tanto per cominciare, potresti provare il mio caffè e dirmi se é di tuo gradimento, Nicholas. O forse doveri dire Nick, per gli amici. Scommetto che ho fatto centro, non é così, forse?”

“Colpito e affondato.” rispose quest’ultimo, prendendo una delle tazze e tirando una lunga sorsata.

“Davvero ottimo, comunque. Complimenti.”

Poco dopo, perfettamente puntuale, una lontra occhialuta si presentò a casa di Laureen. Era il dottor Samuel Cooke. Prese un paio di sedie, le avvicinò a quella su cui era seduto Finnick e vi salì sopra una di esse. Quindi, cominciò ad esaminarlo con perizia, saltando da una sedia all’altra e girandogli attorno più e più volte.

“E’ tutto a posto.” concluse. “Ci sono parecchie contusioni e lividi, ma nulla di particolarmente grave, per fortuna. Il suo amico ha la scorza più dura di quel sembri. Credo che le ferite peggiori ce le abbia nell’orgoglio, mi si perdoni la battuta.”

“Tenga.” disse poi, porgendo una scatola a Finnick. “Prenda due di queste, mattina e sera, per un paio di giorni e stia a riposo. Vedrà che tornerà come nuovo.”

“Muchas gràcias, doc. Ma...mi dica: posso trangugiarmi qualcosa de CALIENTE, in questi due giorni che me le piglio? Yo no puede fare a meno di uno scarfarotto di quello buono, ogni tanto: por mi, é vitale come l’aria che respiro!!”

“Meglio la camomilla, nel suo caso. Dia retta me.”

“C-COMO?! CAMOMILLA?! PUAH!! Lei mi vuole morto, doc. Facciamo così: uno di questi giorni le porto un gotto del mio ron riserva MUY ESPECIAL che tengo nel mio furgone. Una vera BUMBA!! Lo assaggi, e vedrà se non dico il vero!!”

“Le credo sulla parola, grazie lo stesso.”

“Grazie infinite, dottore. Ecco a lei.” fece Nick, porgendogli un biglietto da cento.

“Lasci stare. Non era niente, dopotutto. Lei, piuttosto, ha tutta l’aria di aver bisogno di almeno una dozzina di ore di sonno ininterrotto.”

“E’ proprio quello che avrei intenzione di fare, tra non molto. Sono venuto qui giusto per affittare una camera.”

“Capisco...bene, credo che seguirò anch’io il suo esempio. Ma prima di andare...sento nell’aria l’aroma del tuo strepitoso caffè, Laureen. Potrei averne anch’io una tazza, per favore? Con molta panna e molto zucchero, grazie.”

“Certo, Samuel. Te lo porto subito.” rispose lei.

Nick era sdraiato sul letto della stanza che la padrona di casa gli aveva messo gentilmente a disposizione, gli occhi puntati sul soffitto.

Finnick lo fissava, seduto sul letto vicino.

“Accidenti, non lo sapevo...mi dispiace per quel che é successo alla tua amica coniglietta, socio...cioé, voglio dire, anche se giocava per la squadra degli sbirri era una tipa bella tosta...cavolo; mi andava a genio, la piccola JUJU...”

“Quante volte ti ho detto, di non chiamarla così? Lo sai che non mi piace, quel soprannome.” lo riprese Nick. “E comunque, ti rammento che anche il sottoscritto era in polizia, fino a qualche settimana fa, nel caso ti fosse uscito di mente.”

“Che vuoi farci, socio...ne é passato di tempo, ma ogni tanto fatico ancora a crederci. Ma poi che c’entra adesso, scusa?”

“Lascia perdere, Finn. Parliamo di te, piuttosto. Mi vuoi dire come ci sei finito, in un posto simile? Non sapevo nemmeno che te ne fossi andato da Zootropolis...”

“Beh, non é che ci sia molto da dire, a riguardo. E’ accaduto circa sei mesi fa. Gli affari andavano parecchio male. Sai, mi brucia un po' doverlo ammettere, ma la dannata verità é che non ho mai più trovato nessuno alla tua altezza sulle pagine gialle, alla voce GABBARE IL PROSSIMO. ENTENDE? Eeeh, grave perdita, il giorno che hai deciso di rigare dritto e fare il bravo scolaretto, appendendo la truffa al chiodo. Soprattutto per il sottoscritto, non so se mi spiego...comunque: io so per esperienza che se in un posto la terra non dà più frutti, la cosa migliore da fare é migrare verso nuovi lidi, UNDERSTAND? Perciò tiro su quattro carabattole, senza neanche far la fatica di buttarle nel mio vecchio furgone perché tanto c’erano già e via, ALLA VENTURA!! Vado a zonzo per un po', sbarco il lunario con qualche lavoretto saltuario qua e là e poi, quando arrivo da queste parti, scopro che la cartiera qui vicino, si proprio quella a cui accennava madame, sta cercando personale, e sembra che la paga sia più che buona. STIPENDIO FISSO? ARRIVO!! mi dico, e decido di provarci. Mi presento al colloquio e TAAAC! Mi assumono seduta stante. Peccato che, non appena ho scoperto come stavano veramente le cose lì dentro, é andato tutto alla malora.”

“Spiegati meglio.”

“Ti ho appena detto che la paga é buona, no? Beh, é vero, ma ti assicuro che i vantaggi finiscono lì. Socio, quel posto é un’autentica bolgia, UNA BOLGIA INFERNALE! Tu non ne hai veramente la dannata idea, te lo giuro. Quell’avvoltoio di Carrington fa lavorare i suoi operai a ritmi impossibili, senza il minimo rispetto delle più basilari norme igieniche e di sicurezza. Se esiste una copia dello statuto dei lavoratori, lì dentro, scommetto che l’ha fatta piazzare nei gabinetti al posto della carta da c...”

“Ho capito, Finn. Vai avanti.”

“Dicevamo: quel posto é un autentico lager. Lo credo bene che quando escono di lì sono talmente sclerati e su di giri che vanno in giro a combinarne di cotte e di crude. E vogliamo tirare in ballo le norme ambientali? E tiriamole, per la miseria! Gli scarti della lavorazione li fa finire tutti nel fiume lì a due passi, che ormai é ridotto a un incrocio tra una solfatara puzzolente ed una fogna a cielo aperto. A quel punto, sono andato dal grande capo e l’ho affrontato a muso duro.”

“Non ti facevo un così strenuo difensore dell’ecologia e dei diritti sindacali, Finn.” commento Nick con tono ironico. “Anzi: a dirla tutta, non ti ci vedo proprio.”

“Ma che, scherzi? Volevo ricattarlo, naturalmente.”

“Ah! Ecco il Finnick che conosco io.”

“Per farla breve, gli ho detto che o sganciava una bella lasagna farcita di fragranti verdoni per comprare il mio silenzio, oppure lo avrei immediatamente denunciato alle autorità competenti. E sai lui che ha fatto, eh? Lo sai?”

“Lasciami indovinare...”

“Quel farabutto mi ha riso in faccia e mi ha licenziato in tronco. Poi ha fatto chiamare i suoi due sgherri che mi hanno buttato fuori. Dopo avermi rotto ben bene la schiena a suon di botte, OBVIOUSLY. E allora mi dico: AH, LE COSE STANNO COSI’, EH? VEDIAMO SE ALL’ISPETTORATO DEL LAVORO LO TROVANO ALTRETTANTO DIVERTENTE. Risultato? Ghignate sul muso anche lì. E dai tizi del rispetto dell’ambiente, idem con patate. Ne deduco quindi che sia l’uno che l’altro debbano prendere fior di soldoni da quella carogna per stare alla larga e non ficcare il naso nelle sue faccende. Elementare, no? Lei che ne dice, caro il mio Watson?”

“E così, sei finito a ramazzare il pavimento e a pulire i gabinetti di quel fiorente localino...”

A quelle parole, Finnick sembrò incupirsi.

“Già...ho scoperto a mie spese che quando rimani a stomaco sgonfio per più di due giorni, purtroppo, ti abbassi a fare QUALUNQUE cosa. Puoi credermi sulla parola, socio.” rispose.

“Ti...ti chiedo scusa, Finn.” mormorò Nick, dispiaciuto. La sua era stata decisamente un’uscita infelice. “I-io non volevo...”

“Ah, lascia stare. Comunque, il vero problema é che in quel posto, una sera si e l’altra pure ci mettono piede tutti i miei ex-colleghi. E scopro sulla mia pellaccia che hanno tutti il dente avvelenato con il sottoscritto perché, a detta loro, ha tentato di fare l’infame. E quel che é peggio me la fanno pesare, con tanto di interessi. Beh, fine della storia. Ma dimmi un po': tu cosa conti di fare, ora?”

“Io? Per prima cosa dormire dodici ore filate, come mi ha prescritto il dottore. E anche tu hai bisogno di riposare, vecchio mio. Hai preso una di quelle batoste che stenderebbero a terra anche un rinoceronte. Approfittane, una volta tanto che puoi dormire su di un letto. O non mi dirai che preferisci passare la notte sul tuo ricovero per pulci ambulante?”

“Sul ricov...sul furgone non ci dormo più da quando lavoro lì al locale. Tobey mi ha fatto sistemare in uno stanzino giù in cantina. Un materasso, due scatoloni et voilà: LE JEUX SONT FAITS. Intendo dire che progetti hai nell’immediato futuro. Sai...potresti tornare a fare affari con me, che ne dici? Ci rimettiamo in società, come ai vecchi tempi: ATTENTI A QUEI DUE!! TE GUSTA? Mh?”

“Scordatelo, Finn. Te l’ho già detto: voglio stare da solo. Mi sono fermato in questo schifo di posto per puro caso, e solo perché ero talmente stanco al punto che stavo per cappottarmi insieme alla mia auto. Rimarrò qui giusto un paio di giorni e, non appena ti sarai ristabilito, ripartirò. Se proprio ti sei scocciato di fare da pupazzo antistress per quella gentaglia della cartiera, puoi venirtene via anche tu. Ma una volta lontani da qui, ognuno per sé. Intesi?”

“Facciamo così, socio: non ti chiedo di darmi la risposta adesso, ok? “ propose allora Finnick. “Pensaci su, e tra due giorni mi farai sapere. Anzi, meglio ancora: se tra due giorni cambi idea me lo dici, RIGHT?”

Per tutta risposta, Nick si voltò dalla parte opposta, chiudendo gli occhi.

“Non ci conterei troppo, se fossi in te. ‘Notte, vecchio cammello.”

“Mph. ‘Notte, satanasso.” rispose Finnick con una leggera nota di disappunto.

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Chiedo scusa per l’enorme ritardo, ma queste settimane sono state un incubo, con il lavoro.

E’ comparso in scena un nuovo personaggio, e staremo a vedere cosa riserverà al nostro Nick “questo sputo di paese” come lo chiama lui. Sembra che la nostra volpe non abbia la benché minima intenzione di fermarsi lì, nonostante abbiamo ritrovato il suo amico fraterno Finnick.

Ma sappiamo tutti che nei romanzi di avventura, i paesini sperduti e dimenticati da Dio sono da sempre dispensatori di ogni genere di peripezia!

E veniamo a Finnick. Di solito non mi ritengo un tipo incline all’entusiasmo, e tendo a trattare tutto ciò che scrivo con cinismo e crudezza estremi (fa parte dell’essere un maniaco perfezionista: non sei mai soddisfatto di quel che fai, temi sempre che qualcosa vada storto e controlli e ricontrolli in continuazione. E’ quel che chiamano pessimismo costruttivo). Ma, per una volta, mi voglio sbilanciare.

Senza voler apparire blasfemo, ritengo che Finnick sia un’autentica IRA DI DIO. E’ ASSOLUTAMENTE STREPITOSO. Lo vedo come un incrocio tra i tre più grandi e amabili logorroici della storia del cinema e del fumetto: Leo Getz di ARMA LETALE (ma non così fesso); Jay di CLERKS (ma non così sboccato) e Cassidy di PREACHER (ma per fortuna non così figlio ‘e ‘ntrocchia, come direbbero a Napoli).

Riguardo a JUJU, non é un errore: é il nomignolo con cui Finnick chiama Judy. E’ un usanza giapponese. In terra nipponica, a volte, tra adolescenti si usa inventare un soprannome basandosi sulla ripetizione delle prime due sillabe del nome. Faccio due esempi basandomi su due manga che ho letto ed appezzato molto: in YU YU HAKUSHO (YU degli spettri) il protagonista, Yusuke Urameshi, viene chiamato talvolta YUYU.

PERCHE’ QUESTO SOPRANNOME, mi direte voi. E CHE NE SO, vi rispondo io. Ve l’ho detto che il nostro fennec é fuori di testa. Ve ne accorgerete meglio nei prossim i capitoli.

In JOJO NO KIMIYONA BOKEN (Le bizzarre avventure di Jojo) e più precisamente nella quarta serie, (perché ogni serie si svolge in un’epoca differente, e ha un protagonista differente, guarda caso ribattezzato Jojo) il protagonista, Josuke Higashikata, viene soprannominato Jojo.

Per quanto riguarda L’ECCEZZIUNALE VERAMENTE, é un omaggio che ho voluto mettere quando ho scoperto chi doppia Finnick nella versione italiana (Voi lo sapevate? Io no. O P’BACCO!!”).

Ancora una precisazione: nel capitolo precedente, ho corretto il nome della birra ordinata da Nick. Ho messo BUDWEASEL al posto di BUDWEISEL. E’ così che doveva essere, all’inizio. Doveva essere un gioco di parole tra BUDWEISER (la famosa marca) e WEASEL (donnola). Ci ho pensato per settimane a questo gioco di parole, e poi ho rovinato tutto per una semplice disattenzione. Mi viene da piangere…

Prima di chiudere, ringrazio Plando, MizukiZukishima28, salamander92, Freez shad, DeniseCecilia, zamy88, nami92 e Son_Kakarol per le recensioni dell’ultimo capitolo.

E leila91 per la recensione della seconda parte di CICATRICI.

E un altro grazie, come sempre, a chiunque leggerà la storia e se la sentirà di lasciare un parere.

Alla prossima,

See ya!!

CAPITOLO 24

CITTA’ SENZA LEGGE (PRIMA PARTE)

Nick aprì gli occhi, lentamente.

Gli sembrò di aver dormito per almeno mezzo secolo, o giù di lì.

Si diede una rapida occhiata intorno. Doveva essere mattina già da un bel pezzo, a giudicare dal viavai e dal composto chiacchiericcio delle persone impegnate nelle proprie incombenze quotidiane che provenivano dalla finestra, accompagnati dal chiarore e dal tepore del sole già bello alto nel cielo.

Buttò poi lo sguardo sul letto a fianco.

Vuoto.

Figurarsi. Il buon vecchio Finnick doveva aver già fatto ritorno al locale, nella sua lussuosa suite incorporata nell’umido sottoscala della cantina. Magari ieri sera stessa, subito dopo che lui si era addormentato, vallo a sapere. La leggera impronta della sua minuscola sagoma sulle coperte ancora intatte non dava molti indizi, a riguardo. Del resto, nemmeno Nick le aveva usate: era crollato di botto non appena si era voltato sul suo lato preferito.

Non che la cosa lo stupisse. Finn non era un tipo da giacigli comodi e lo scorrere del tempo non l’aveva minimamente ammorbidito, a differenza sua. Era un autentico figlio del vento, senza fissa dimora da sempre. Per uno così, CASA era qualunque posto dove potesse poggiare la propria zampa in quel preciso momento. Uno che mangiava quando aveva fame e dormiva quando gli si chiudevano gli occhi. E ogni tentativo di convincerlo che c’era un’altra vita possibile all’infuori di quella che viveva lui si era sempre rivelato inutile.

Già, probabilmente nemmeno carotina avrebbe potuto fargli cambiare idea, a riguardo.

Gli venne da sorridere, a quel pensiero.

Prese lo smartphone e premette il pulsante di accensione.

Le dieci e ventidue. Davvero niente male. Il record assoluto di un mese e mezzo fa delle quattordici e trentasette rimaneva ancora ineguagliato, ma c’era tempo.

Non appena uscì dalla camera, un profumo delizioso lo accolse. Pochi istanti dopo incrociò Laureen, ancora alle prese con le faccende domestiche. Indossava una camicia in flanella a quadrettoni rossi e blu ed un paio di blue jeans piuttosto sbiaditi. Il classico abbigliamento da boscaiolo, senza alcun dubbio, ma le stava d’incanto. La faceva persino apparire più giovane.

“Buongiorno, bello. Dormito bene?” Gli chiese con tono gentile.

“Come un sasso. Buongiorno anche a te, Laureen.” rispose lui. “Ti sono grato per avermi lasciato a poltrire nel letto. Spero di non aver causato fastidi.”

“Ci mancherebbe. Nessun fastidio, Nick. A dirla tutta, avevo come l’impressione che una bella dormita ti servisse proprio. Figurati, ieri sera lo avevo capito persino io che non sono medico. E per questo che non sono venuta a svegliarti.”

“Grazie ancora, comunque. Sapresti dirmi dove posso mangiare un boccone, da queste parti?”

“Certamente. Dritto da questa parte fino in soggiorno. Và a darti una rinfrescata e poi accomodati che a te ci penso io.”

“Non sapevo che nel servizio fosse compresa anche la colazione.” disse Nick con una punta di stupore.

“Difatti non lo é, di norma. Ma non puoi certo ripartire senza aver provato di persona lo spirito di accoglienza per cui é rinomata la nostra contea. Un bicchiere e qualcosa da mettere sotto i denti non li si nega mai a nessuno, da queste parti. Soprattutto se sono ospiti.”

“Sul serio?”

“Sicuro: a patto che gli ospiti dicano PER FAVORE e non alzino troppo la voce. E tu mi sembri un volpacchiotto perbene ed educato. E siccome sei così a modo, corri a lavarti le zampine come si deve e poi mettiti a tavola.”

“Agli ordini, MAMMINA.” rispose Nick, ammiccando.

“Ma che...RAZZA DI SCREANZATO!!” Urlò lei agitandogli minacciosamente il manico della scopa davanti al muso, proprio come aveva fatto la sera precedente. “Fila subito o te lo spacco sulla zucca!!”

Nick, ridendo di gusto, scattò in direzione del bagno e vi si barricò dentro.

Mezz’ora dopo era seduto in soggiorno, intento a dare gli ultimi assalti a ciò che rimaneva dell’abbondante colazione.

Era stato tutto ottimo: frittelle con sciroppo d’acero ed una generosa fetta di quella torta ai mirtilli tanto decantata da Finnick. Il tutto innaffiato dall’eccellente caffè che aveva già avuto modo di apprezzare.

Infilzò con la forchetta l’ultima metà di frittella e la trangugiò in un sol boccone. Gli partì un breve ma sonoro rutto che cercò malamente di soffocare con la mano, senza riuscirvi.

“BUUURRRPPP!!”

In quel mentre passò Laureen.

“Ops...scusami, n-non volevo.” disse lui, tentando di giustificarsi.

“Tranquillo, bello.” rispose lei, mettendosi a sghignazzare. “Sta a significare che hai gradito la cucina. Tu pensa che in alcuni paesi lo considerano addirittura una tradizione. E poi, sai come si dice: MEGLIO FUORI CHE DENTRO, no?”

“Già, proprio così. Senti, Laureen: so che era già l’ottava, ma non me ne potresti preparare un’altra, per favore?”

“Diamine...non si può certo dire che tu non faccia onore alla tavola, Nick.” rispose lei. “Non vedevo un appetito così feroce dai tempi dell’ultima carestia...”

Non poteva certo immaginare che la sua fame arretrata fosse dovuta principalmente alla gran quantità di alcool ingurgitata nei giorni precedenti, a stomaco semivuoto per giunta.

“Non lo sai che non é carino usare il termine FEROCE, quando ci si rivolge ad un predatore? E, per quel che riguarda l’ultima carestia, non immaginavo certo che avessi fatto in tempo a vederla!” Replicò la volpe, con un tono a metà tra il serio ed il canzonatorio.

“Ehi, un momento...cosa vorresti insinuare?”

“Intendo dire che li porti splendidamente, tutti i tuoi anni! Complimenti davvero!!”

“Spiritosone…un’altra battuta così e la prossima frittella ti finisce in mezzo a quei tuoi bei occhioni verdi che ti ritrovi, insieme alla padella. Mi sono spiegata?”

“Chiedo perdono per l’inopportuna gaffe, madame. Il mio voleva soltanto essere un complimento alla padrona di casa, nonché alle sue squisite pietanze. A quanto pare non sai fare solamente il caffè, a meraviglia...”

“Beh, grazie...in realtà, sono contenta: non viene quasi mai nessuno a mangiare qui da me, da quando...ah, come non detto. Allora: Finnick, il tuo compare, mi ha detto che riparti domani.”

“Si, é quello che ho intenzione di fare. A proposito: a che ora se n’é andato, dalla stanza? Non me ne sono nemmeno accorto.”

“Stamattina presto. E’ tornato al locale. Mi ha anche raccomandato di riferirti che se lo cerchi per TU SAI COSA, lo trovi lì. Se ne sta rintanato in quel posto per gran parte della giornata.”

“Meno male che ha seguito il mio consiglio di restare qui, ieri sera. Quelli erano capaci di rimanersene lì ad aspettarlo.” disse Nick, sorseggiando il suo caffè.

“Non ti illudere, bello. La musica é destinata a ripetersi. L’ultima volta lo hai salvato, ma non potrai riuscirci per sempre. E quella gentaglia lo sa benissimo. O prima o poi, se li ritroverà davanti. Se non sarà già stasera, domani. Oppure, dopodomani. Visto che tra breve ripartirai, forse dovresti convincerlo a seguirti. Sarebbe la soluzione migliore, per evitargli altri guai.” rispose Laureen, rassegnata.

“Le cose, con Carrington ed i suoi, vanno così. O te ne stai zitto e sopporti in silenzio, oppure te ne vai altrove.” aggiunse poi.

“Ce l’avrete uno sceriffo, no?” Domandò lui. “ Cosa fa, invece di arrestarli? Raccoglie margherite, per caso?”

“Ce l’abbiamo si, uno sceriffo. E fa quel che può, come tutti. Cerca di tenere la situazione sotto controllo, e fa da paciere in modo che nessuno ne esca con le ossa rotte. Nei limiti del possibile, ovviamente.”

Nick sbatté la tazza sul tavolo, indignato.

“Tsk, da non credere! Quelle carogne radono al suolo il vostro paese e li lasciate fare come se niente fosse! Ma in che razza di posto sono capitato, per la miseria?!”

“Se provasse ad arrestarli” rispose lei, “il giorno dopo sarebbero nuovamente in circolazione visto che il giudice, a quanto pare, é sul libro paga di Carrington. Qualcuno ci prova a far resistenza, per carità. Io, ad esempio, quei manigoldi non li faccio nemmeno avvicinare alla mia bottega. Anche se ho tutto da rimetterci, economicamente parlando. Ed in più convivo con il terrore che un giorno o l’altro me la possano distruggere. O che se la possano prendere con la mia casa, per vendicarsi. O con me.”

“E...gli altri negozianti?”

“Non se la passano certo meglio. Rimangono a galla, per così dire. Quei quattro soldi che guadagnano grazie a quella marmaglia, si ritrovano a doverli spendere per rimettere a posto i danni compiuti dai loro stessi benefattori, visto che di avere uno straccio di risarcimento neanche a parlarne.”

“Assurdo...” disse lui, scuotendo la testa.

“Vedi, Nick...da queste parti, la prima cosa che fai quando hai un problema é capire se puoi affrontarlo e risolverlo oppure no. E se ti rendi conto che la seconda é l’unica opzione possibile, volti il muso dall’altra parte e te ne dimentichi. Ti ci fai l’abitudine come con la nebbia, la pioggia, il freddo, la neve, la solitudine, la monotonia, il territorio impervio, il paesaggio sempre uguale e tutte la altre cosucce che contraddistinguono questo posto. Cosucce che, da un giorno all’altro, iniziano a farti schifo senza una ragione precisa. Ma che ti fai andare bene comunque, anche se non é detto che ti piacciano. OCCULTARE E RIMUOVERE é la specialità di chi si ritrova, per un motivo o per l’altro, a dover passare il resto della propria vita in posti come questo. Ne diventi un assoluto maestro perché si tratta della tua sopravvivenza, alla fine. Altrimenti, l’alternativa é prendere la rincorsa e andare a fracassarsi la capoccia contro il muro.”

“Senza offesa, Laureen: ma il tuo discorso lo trovo un filino fatalista.”

“Mph. Fatalista, eh? Guardo solamente in faccia la realtà, bello. Non...”

Il suono improvviso del campanello interruppe bruscamente la loro conversazione.

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Questa volta voglio evitare sorprese e vi annuncio da subito che questo capitolo verrà suddiviso in tre parti. Lo so, con tutta probabilità verranno un po' più cortine rispetto agli ultimi capitoli pubblicati, ma si tratta di una fase molto importante dove accadranno diversi colpi di scena. E’ quindi necessario spezzettare un po' la narrazione, in modo da aumentare la suspense.

Per farla breve, ESIGENZE NARRATIVE (la classica scusa quando non vuoi fornire spiegazioni)!!

Per ripagarvi conto di pubblicare le altre due parti in tempi relativamente brevi.

Tornando al capitolo precedente, ringrazio di cuore Plando, salamander92, LittleCarrot, MizukiZukishima28 e darkdestroyer per le recensioni.

Ed un grazie anche a hera85 per le recensioni sui capitoli 8 e 9.

Come sempre, un grazie anche a chi leggerà la storia e vorrà lasciare un parere.

Alla prossima,

See ya!!

CAPITOLO 25

CITTA’ SENZA LEGGE (SECONDA PARTE)

“Chi accidenti può essere?” Esclamò Laureen, sorpresa. “Non attendevo visite, stamattina. Scusami solo un secondo, Nick: vado a vedere.”

“Qualche nuovo scocciatore in arrivo, per caso?” Domandò la volpe, mentre faceva per alzarsi. “Aspetta, vengo con te.”

“Stà tranquillo: resta pure lì dove sei. Di solito gli scocciatori a cui ti riferisci non vanno a giro a far scorribande in pieno giorno. E soprattutto, non si presentano cortesemente con tanto di campanello.”

Laureen fece un rapido salto in cucina, poggiò il piatto vuoto sul lavello e si diresse a passo deciso verso la porta.

Dopo un triplice giro di chiave, la spalancò e...quasi sgranò gli occhi per lo stupore.

“Tom?! Che ci sei venuto a fare, qui?” Chiese vedendo il vecchio alce di fronte a lei, sull’uscio.

“Buongiorno anche a te, Laureen. Come va?” Rispose lui, quasi divertito dalla sua reazione.

“Non hai ancora risposto alla mia domanda. Non dovresti essere alle prese con il giro di ronda mattutino?”

“Già fatto, mia cara. Non che ci fosse molto da controllare. Come sempre, del resto. E a quanto sembra i ragazzi della cartiera se ne sono rimasti buoni buoni, ieri sera. Non ho ancora ricevuto alcuna segnalazione di danneggiamenti o feriti. Tu, piuttosto? A quest’ora dovresti già essere nel tuo bel negozietto?”

“Ho avuto un piccolo imprevisto. E ho chiesto a Nancy di andare un po' prima e di pensarci lei ad aprire, tanto ha le chiavi di scorta. E comunque, i fatti miei non ti riguardano.”

“Ci mancherebbe, Laureen. Però...sai come funziona, da queste parti. Tutti conoscono tutti. Quindi, quando accade qualcosa di insolito o arriva una faccia nuova, ci si accorge all’istante. Le chiacchiere volano, e la notizia finisce sulla bocca di chiunque. Ho sentito che hai un ospite, a quanto pare...”

“E allora?”

“Vorrei scambiare due parole con lui, se non ti dispiace.”

“In questo momento sta facendo colazione.”

“Fortunato...scommetto che gli stai facendo gustare le tue ottime frittelle...”

“Taglia corto, Tom.”concluse lei, secca. “Se ne vuoi una anche tu, non hai che da chiederlo.”

“Ti ringrazio, Laureen. Ma, vedi...con l’avanzare dell’età devo stare attento al colesterolo, ai grassi, all’apporto calorico, e ad altre scemenze del genere, se ci tengo a campare ancora un po' ed in perfetta salute, per giunta. Ma una tazza del tuo eccellente caffè...quella te la scrocco più che volentieri.”

Entrarono in soggiorno.

“Parli del diavolo...disse Laureen rivolgendosi a Nick, che nel frattempo stava già osservando il nuovo arrivato con estrema curiosità.

“E spuntano le corna.” aggiunse l’alce, indicando il robusto e prominente palco che gli spuntava dalla sommità della testa con la punta dello zoccolo. “Beh, mai detto fu più appropriato, in una simile circostanza. Non trova anche lei, GIOVANOTTO?”

“Già, ha proprio ragione.” rispose Nick, sorridendo.

“Mi presento subito. Mi chiamo Tom Ricketts e come può facilmente intuire dall’uniforme che indosso, sono lo SCERIFFO di Haunted Creek.”

La volpe si alzò di scatto e gli andò in contro, stringendogli la mano.

“Molto piacere. Mi chiamo Wilde. Nicholas Wilde.”

“Piacere mio, giovanotto. Avrei qualche domanda da rivolgerle.”

Poco dopo, i due erano seduti entrambi al tavolo.

“Veniamo al dunque, sceriffo. Suppongo che sia qui per la rissa di ieri sera.” esordì Nick. “Ci tengo a precisare che hanno iniziato loro. Io sono intervenuto solo per difendere il mio amico.”

“Diciamo che il motivo é quello...” rispose Ricketts, con tono sibilino. “...ma non nel modo in cui lo intende lei. Oh...grazie, mia cara.”

Laureen, nel frattempo, aveva provveduto a portare altre due tazze di caffè nero, denso e fumante, insieme alla frittella numero nove per lo stomaco impaziente di Nick.

“Dunque, dicevamo...” proseguì Ricketts mentre prendeva la sua tazza e soffiava sulla superficie della bevanda, per farla raffreddare. “...per ciò che riguarda la colluttazione, le posso assicurare che non ha nulla da temere: si da il caso che mi trovassi anch’io nel locale, e che abbia assistito alla scena. So bene che le cose sono andate proprio come mi ha appena riferito.”

“Con tutto il rispetto, sceriffo: visto che era presente alla scena, avrebbe potuto anche prendersi la briga di intervenire.”

“Mi creda, giovanotto: ero proprio sul punto di farlo, poi ho visto che se l’é cavata benissimo da solo. Il che ci porta direttamente al nocciolo della questione. Lei mi sembra un tipo alquanto sveglio: avrà senz’altro notato che, anche in una cittadina all’apparenza tranquilla come la nostra, non mancano certo i problemi...”

“Devo correggerla, sceriffo. Non i problemi. IL PROBLEMA, semmai. E il nome che salta sempre fuori é quello di un certo CARRINGTON, a quanto ho potuto sentire.”

“Diamine!” Esclamò il vecchio alce, con voce entusiasta. “Lo sapevo di non essermi affatto sbagliato, sul suo conto. Comunque mi sembra un po' drastico, per quanto riguarda i giudizi...deve sapere che QUINCEY CARRINGTON, in fondo, é un bravo cittadino e uno stimato dirigente d’industria. La sua famiglia ha costruito un autentico impero dal niente, e ha dato lavoro ad un sacco di gente di questa valle e di quelle vicine. Inoltre, ha permesso lo sviluppo economico di questi posti: i suoi operai sono sempre venuti qui in città con un sacco di soldi da spendere ed hanno permesso a molti nostri compaesani di tirar su imprese e negozi tuttora ben avviati.”

“A me hanno raccontato una storia ben diversa.” replicò Nick. “Ho sentito di pestaggi, botte ed intimidazioni. E di gente ubriaca e violenta che va in giro a notte fonda a far danni e a devastare case, proprietà e terreni.”

“Beh...diciamo che anche i Carrington hanno dei difetti...come noi tutti, del resto. Nel loro caso, il difetto é di essere ricchi sfondati. E, come tutti i ricconi, hanno in testa principalmente due cose: il profitto ed il guadagno. E Quincey non fa certo eccezione. A lui importa che uno lavori sodo e si spacchi la schiena. E soprattutto, che non faccia e non si faccia troppe domande. Quando trova gente che soddisfa questi parametri, é più che disposto a non badare troppo ai suoi trascorsi o alla sua fedina penale, in cambio.”

“Immaginando il genere, non mi stupisce affatto. Ha semplicemente scoperto che ha più convenienza con gli avanzi di galera.”

“Sempre con questo tono lapidario, eh? Comunque sia, ha centrato di nuovo il punto. Gli ultimi tizi che ha assunto nella sua azienda lasciano un po' a desiderare, da quel punto di vista.”

“E delle condizioni da terzo mondo a cui costringe i suoi sottoposti che mi dice, eh?” Saltò su la volpe. “E dei veleni che riversa ogni giorno nel fiume? Ne vogliamo parlare, sceriffo?”

“Mi ascolti bene, giovanotto: quella é materia per chi si occupa dei diritti sul lavoro e della tutela ambientale. E se a loro le cose vanno bene così come stanno, io ho le mani legate. In quanto rappresentante della legge, il mio compito consiste nell’occuparmi dell’ordine pubblico e della sicurezza. Ma comincio ad essere troppo vecchio e stanco per questo mestiere, e non ce la faccio a star dietro a tutto quanto, ormai. Una zampa in più mi farebbe un gran comodo, mi creda. Perciò, avrei una proposta da farle.”

“Sentiamo.” fece Nick pur sapendo già, in cuor suo, in cosa consistesse.

“Sarò breve: che ne direbbe di diventare il mio AIUTANTE?”

“Direi che forse non mi ha guardato bene in faccia, sceriffo.”

“Che intende dire?”

“Non faccia il finto tonto con me, per favore. Credo che anche in questo posto conosciate bene la pessima reputazione di noi volpi...in generale, ci considerano animali infidi e disonesti per natura, nonché spregevoli ed inaffidabili per vocazione. Sempre pronti a sfruttare, ingannare e frodare chiunque, per il proprio tornaconto. Come pensa che la prenderebbero, i suoi concittadini?”

“Da dov’é che ha detto di venire, Wilde?”

“Non l’ho detto. Comunque, vengo da Zootropolis.”

“Buon Dio!” Disse Ricketts, accompagnando l’esclamazione con una sonora risata. “Mi ascolti: non ho idea di come la pensino giù a Zootropolis, riguardo alla sua specie. A dirla tutta, non so nemmeno come la pensi la gente di questo paese. E non che mi interessi la loro opinione, a onor del vero. Deve sapere che io mi definisco un tipo pragmatico, e amo giudicare gli individui in base a due cose: le loro azioni e le mie necessità.”

“Sentiamo, allora...cosa avrebbe visto, in me?”

“Che cosa ho visto, giovanotto? Diciamo che ho visto un tipo sveglio, che sa il fatto suo e che é capace di farsi rispettare. E, per di più, é dotato di un destro a dir poco formidabile. Una persona svelta sia di mano che di cervello. E, guarda caso, é proprio ciò di cui avrei un gran bisogno, in un momento come questo. Che mi dice, dunque? Vuole accettare la mia offerta oppure no?”

“Mi rincresce deluderla, sceriffo. Ma ho intenzione di andarmene domattina stessa. E, dopo aver ascoltato il suo discorso, credo che la voglia di partire sia considerevolmente aumentata. Non si offenda, ma ritengo che quando ci si accorge di aver messo piede dentro una polveriera in procinto di esplodere, la cosa più saggia da fare sia allontanarsi il prima possibile e mettere qualche miglio di distanza, giusto per stare sicuri. Non so se mi sono spiegato.”

“Si é spiegato benissimo, invece. E mi lasci aggiungere che non la biasimo di certo. Però mi ha stupito.”

“Davvero? E perché mai?”

“Dall’impressione che mi ero fatto sul suo conto avrei giurato che accettasse senza pensarci due volte. Mi sembrava il classico genere di persona che non tollera le ingiustizie, qualunque esse siano.”

“Difatti é proprio così.” precisò Nick. “Ma quando le ingiustizie cominciano a diventare troppe, e troppo gravi, si finisce con il perdere la voglia di lottare. Capita a chiunque, prima o poi.”

“Beh…mi dispiace, Wilde. Ma almeno potrò dire di averci provato.”

Ricketts si alzò dalla sedia.

“Ok, credo che sia ora di tornarmene al mio lavoro.” aggiunse. “In quanto a lei, giovanotto, é stato comunque un piacere. Buona ripartenza, allora.”

“Piacere mio, sceriffo.”

“Grazie del caffè, Laureen.” concluse poi il vecchio alce, rivolgendosi alla padrona di casa.

“Non c’é di che. Ti accompagno.” rispose lei, agguantando la tazza vuota.

“Mi sembri deluso, Tom.”

“Non so che dirti, Laureen...mi sembrava di aver visto qualcosa in lui, nel suo sguardo...o forse sono solo io che mi sto aggrappando a qualunque speranza disponibile.”

“Non puoi fartene un cruccio. Così come non puoi pretendere che un tizio venuto da chissà dove si prenda carico delle sorti della nostra comunità. Cerca di metterti nei suoi panni… é un forestiero, non sa nulla di come vadano le cose, qui...e la cosa più sensata che possa fare é di non rimanere coinvolto in una faccenda che non lo riguarda minimamente.”

“Già, credo proprio che tu abbia ragione, mia cara.”

“Te l’ho già detto mille volte, Tom: non siamo in un film. Qui non arriva LO STRANIERO SENZA NOME a levarti le castagne dal fuoco. La vuoi capire o no, una buona volta?”

“Vedrò di farmene una ragione. Ora me ne vado in ufficio. Grazie di tutto e buona giornata, Laureen.”

“Quando vedi Magdalene, salutala da parte mia.” raccomandò lei.

“Lo farò, come al solito...e come al solito non ricambierà il saluto. Dovresti saperlo, ormai.”

“Pazienza.” rispose lei, sospirando e facendo spallucce. “ E come hai detto tu poco fa, no? Per lo meno, continuo a provarci. Non posso fare altro.”

Nel pomeriggio Nick fece un giro in paese e si recò dapprima nell’emporio di Laureen, dove fece provviste per il viaggio e conobbe la sua socia in affari Nancy, una genetta simpatica ed alquanto ciarliera. Successivamente raggiunse il Sunken Hope di Tobey, dove si fece un buon bicchiere e scambiò due chiacchiere con Finnick ed il proprietario, mettendoli entrambi al corrente della sua intenzione di partire. Di fronte all’evidente delusione del suo ex-compare dovuta alla fatale notizia, gli promise di fare ritorno la sera stessa per un’ultima bevuta prima dei saluti.

Il sole era calato da poco.

Nick era seduto in veranda, dopo aver gustato una frugale ma squisita cenetta ad opera di Laureen. Tra non molto lo attendeva l’appuntamento con Finnick e, mentre rimandava di minuto in minuto il momento di alzarsi dalla sedia, cercava di godersi il più possibile il buio ed il silenzio che lo circondavano, interrotti solo dal gradevole frinire dei grilli.

L’attimo successivo sopraggiunse un altro suono a spezzare quell’incantesimo, improvviso ed inaspettato.

L’eco della sirena di autoambulanza.

Qualche minuto dopo, il telefono di casa squillò.

E’ proprio vero, pensò. Le notizie viaggiano davvero veloci, da queste parti, a differenza di tutto il resto. Scommetto che tra pochi istanti tutti quanti sapranno vita, morte e miracoli del malcapitato di turno.

Ma, al trillo successivo, un funesto pensiero gli attraversò la mente, insieme ad una frase che non avrebbe mai voluto ricordare.

La frase mille e mille volte maledetta da cui era iniziato tutto il recente disastro.

Telefonata inattesa, occhio alla sorpresa.

Aveva già assistito ad una scena simile.

D’istinto si alzò dalla sedia ed entrò nel soggiorno, giusto in tempo per vedere Laureen alzare la cornetta.

“Pronto, Mary? Si, ma cosa...COME? Oh, cielo...ma come é successo? E...e come sta, ora? Si, si...ti ringrazio, fammi sapere, se ci sono novità...ciao, Mary, e grazie ancora.”

Laureen staccò il ricevitore dall’orecchio e lo rimise al suo posto, con lentezza esasperante.

“Cosa...cosa é accaduto?” chiese Nick.

“Tom, lo sceriffo...ha avuto un incidente.” disse lei, voltandosi nella sua direzione. “E’ uscito fuori strada con la sua auto mentre faceva ritorno a casa. E’...é ferito piuttosto seriamente, ma non é grave, stando a quanto dicono...”

Nick rimase immobile, in silenzio. Poi, aggiunse soltanto:

“Per caso ti ha anche detto dove lo hanno portato?”

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Come al solito, i miei propositi di pubblicarlo entro domenica scorsa sono andati a farsi benedire...meglio che stia zitto, la prossima volta!

Anche in questo capitolo ne succedono di ogni...staremo a vedere come finirà!

Angolo di Quark: la Genetta é un piccolo mammifero carnivoro che si trova anche in Europa, tra Francia e Spagna. E’ prevalentemente selvatico, ma pensate che alcuni lo allevano persino come animaletto domestico!

Tornando all’episodio precedente, ringrazio salamander92, Plando, LittleCarrot, MizukiZukishima28, Freez shad per le recensioni e DeniseCecilia per la doppia recensione, nonché hera85 per le recensioni dei capitoli 10 e 11.

E, come sempe, ringrazio chiunque leggerà la storia e vorrà lasciare un parere o un commento.

Ne approfitto per salutare nami92 che é finalmente tornata con un nuovo (splendido) capitolo della sua raccolta.

Non mi rimane molto da dire, se non...ci vediamo presto con la terza ed ultima parte!

Alla prossima,

See ya!!

CAPITOLO 26

CITTA’ SENZA LEGGE (TERZA PARTE)

Il St. Mandel Hospital si trovava a circa dieci miglia da Haunted Creek, mentre distava sei miglia esatte dalla cittadina confinante con quest’ultima, Crimsonbee.

Nick decise di recarvisi il giorno successivo all’incidente, in tarda mattinata.

Dopo un breve tratto di pareti marroni che contraddistinguevano i corridoi di degenza di quel luogo, svoltò deciso per la quarta stanza sulla sinistra.

Non appena entrò vide lo sceriffo supino sull’unico letto presente. Portava un collare rigido attorno al collo ed una voluminosa fasciatura alla testa, da cui fuoriuscivano le robuste corna. Un piccolo tubicino gli fuoriusciva dal braccio sinistro, terminando in una flebo ricostituente. Sembrava assopito, forse per effetto degli antidolorifici.

“Salve, Ricketts.”

Quest’ultimo, non appena l’ebbe udito, sgranò di colpo gli occhi volgendoli nella sua direzione, ed assumendo un’espressione sorpresa.

“W-Wilde?! Salve, giovanotto. Credevo fosse già partito, a quest’ora. Coff, Coff!!”

Due violenti colpi di tosse lo colsero di sorpresa. Cercò di soffocarli con una mano per non sottoporre il collo martoriato a movimenti inopportuni.

“Cerchi di non sforzarsi.” raccomandò Nick. “Ma come é successo?”

“Pare si siano rotti i freni.” precisò l’alce. “Ad un certo punto ho perso il controllo e...mi sono ritrovato a partecipare ad un rally fuori programma. Beh, poteva anche andare peggio, a questa...coff, coff...vecchia pellaccia. Alla fine, me la sono cavata con una brutta botta alla testa condita da un bel po' di lividi e qualche escoriazione. Coff, Coff!!”

“Già. Ha perfettamente ragione. Poteva andarle anche peggio, tutto sommato.” Confermò Nick.

Ricketts tossì di nuovo. Poi quando gli spasmi si calmarono rimase in silenzio, come a voler riprendere fiato.

“Ascoltami, Wilde : é stato Carrington.” buttò lì, dopo qualche istante.

“Come?”

“E’ stato Carrington, ti dico. Li ha fatti manomettere lui i freni. Sarei pronto a scommetterci.”

“Ne é davvero sicuro?”

“Diavolo, la macchina era fresca di meccanico: l’avevo fatta appena controllare da cima a fondo, una settimana fa.”

“E perché lo avrebbe fatto?”

“Probabilmente lo hanno informato della nostra chiacchierata di ieri mattina e ci teneva a far sapere a tutti quanti che non ha approvato per niente la mia iniziativa personale.”

“Ma tutto questo é pazzesco...”

Nick era sempre più allibito.

“Stà a sentire, giovanotto: ieri, ti ho mentito. Non ti ho voluto dire come stanno veramente le cose, in paese. Ho giocato con le carte truccate e ti chiedo scusa.” confessò Tom, dispiaciuto. “L’altra sera, al locale, ero reduce da un’animata discussione avuta proprio con Carrington. Gli ho detto che i suoi ragazzi avevano oltrepassato ogni limite ed abusato fin troppo della mia pazienza. Che ne avevo abbastanza delle loro scorribande e delle loro prepotenze. E che avrei preso seri provvedimenti in proposito se la musica non fosse cambiata. E alla svelta, anche. Lui, naturalmente, ci ha riso sopra a tutto quanto e mi ha invitato a togliermi di torno con una certa sollecitudine. A quel punto ero veramente disperato, credimi. Poi ho visto te che sistemavi a dovere quel balordo, e ho pensato di chiedere il tuo aiuto. Ma ho commesso un grave sbaglio. Non...non avrei dovuto metterti in mezzo, per nessun motivo. E non posso pretendere che qualcun’altro risolva i problemi che io non sono in grado di sistemare. E’ proprio come ha detto Laureen. E ha ragione.”

“Diciamo che avevo intuito che qualcosa non filasse per il verso giusto, nel discorso che mi aveva fatto a colazione.” intervenne Nick. “Sono anch’io del mestiere, e da un bel po'.”

“Vuoi...vuoi dire che...anche tu sei...sei un...”

“Diciamo che si tratta di deformazione professionale, tutto qui. Mi sono fatto una certa esperienza, nel campo. Al punto da capire al volo quando qualcuno ha bisogno di una mano. C’è solo una cosa che ci terrei a sapere: perché non me l’ha voluto dire sin da subito, che era ai ferri corti con quel tizio?”

“Per orgoglio, ecco perché. Per il mio solito, stupido ed ostinato orgoglio. Vedi...non é affatto semplice ammettere di essere un autentico fallimento come individuo e come rappresentante della legge. E, per giunta, di fronte ad uno sconosciuto incontrato per puro caso la sera prima.”

Come se fosse la prima volta che mi capita. Pensò ironicamente Nick. Se tu sapessi...

“Lasci stare, ora. Comunque, c’é un altro motivo per cui sono venuto qui da lei, stamane.”

“C-che vuoi dire?”

“Voglio dire che ho deciso di ripensarci. E di rivalutare la sua offerta.”

“Dici...dici sul serio, Wilde?”

“Si, Ricketts. Affare fatto. CI STO.”

Il vecchio alce indicò il comodino alla sua sinistra.

“Apri quel cassetto, per favore.”

Nick obbedì: si precipitò al comodino, aprì il cassetto, vi rovistò al suo interno e...gli occhi gli si spalancarono dallo stupore. Non riusciva a crederci. Stava davvero accadendo? Di nuovo?

“M-ma questa...questa é...”

“Prendila, figliolo. E’ tua, ora.”

Nick la afferrò e, subito dopo, la esaminò con cura. Era inconfondibile. Con il suo riflesso dorato. Le sue cinque punte delimitate da un cerchio. La sua forma stilizzata che ricordava in modo inequivocabile un astro luminoso del firmamento. E per tutto ciò che rappresentava.

“Accidenti...mi sarei accontentato anche del posto di aiutante...” esclamò, stringendola nella mano.

“No, Wilde. E’ giusto così, invece. Io ne avrò per un bel pezzo, vista la mia non più giovane età. E ormai, dopo quel che é accaduto, il banco é saltato. Quindi, da adesso si gioca con nuove regole. LE TUE. C’é bisogno di uno con fegato e idee chiare, non di un vecchio inutile senza più energie. Da questo preciso momento, ti nomino NUOVO SCERIFFO DI HAUNTED CREEK.”

“Ma...é sicuro che sia regolare, in questo modo?” Chiese Nick, dubbioso. “Non si dovrebbero svolgere delle elezioni, o qualcosa del genere? E il sindaco?”

“Il sindaco se n’é andato da un bel pezzo, giovanotto. TU – SAI – CHI lo ha minacciato, tanto per cambiare. E quello ha pensato bene di levare le tende e piantarci in asso. E nessuno ha avuto il coraggio di ricandidarsi. Pertanto la massima autorità in paese sono io, al momento. In quanto ai miei concittadini, credo che si abitueranno in fretta alla novità. Così come si sono abituati a me, ai tempi. Ci si abitua in fretta ad ogni cosa, dalle nostre parti. Ma sappi che stavolta voglio essere sincero fino in fondo: ti stai per prendere tra le zampe un’autentica patata bollente, talmente bollente da rischiare di ustionarti per intero. Te la senti ancora, adesso che sai la verità?”

“Forse é proprio ciò che mi serve, in un momento come questo.”

“Pensaci bene, Wilde. Sei ancora in tempo per rifiutare. E, se lo farai, sappi che capirò perfettamente.”

“Ci ho già pensato, Ricketts. E ho già deciso. Sarò il suo nuovo sceriffo.”

“Allora, buona fortuna per il nuovo incarico. Ancora una cosa...”

“Un attimo soltanto, Tom.” lo interruppe Nick, mentre osservava la stella. “Torno subito.”

“Mph. E chi si muove, di qui?” Rispose quest’ultimo, trattenendo a stento una risata.

Nella toilette della stanza, Nick era immobile di fronte al piccolo specchio situato sopra al minuscolo lavabo, intento ad osservare la propria immagine riflessa.

“E’ sicuro di quello che sta facendo, Nicholas?” Si chiese.

“Grazie per essere passato da queste parti, DOTTOR PIBERIUS. E’ un pezzo che non ci si vedeva. E non mi risulta che avevamo altre sedute in programma, in questo periodo.”

“Diciamo che mi riservo la facoltà di intervenire anche senza un appuntamento specifico, qundo vedo che il mio paziente preferito nonché unico é sul punto di compiere una sciocchezza di quelle colossali. Ne é ben cosciente che non si tratta né di un gioco né di uno scherzo, quello che sta per affrontare? Una volta appuntato quel distintivo e varcata quella porta, non potrà più tornare indietro, e lei lo sa. Dovrà andare fino in fondo, qualunque cosa accada!”

“Nessuno mi obbliga, dottore. Se la faccenda dovesse mettersi male, posso sempre tagliare la corda e chi si é visto si é visto.”

“Non si prenda gioco del suo psicologo di fiducia, Nicholas. Non lo farà MAI. In nessun caso. La conosco fin troppo bene. Gliel’ho sempre detto che lei e l’agente Hopps siete identici, sotto un certo punto di vista. Anche lei ha la preoccupante tendenza a portare a termine un impegno preso oltre ogni ragionevole buon senso, anche se non in maniera altrettanto plateale e melodrammatica come la sua ex – collega.”

“Lasci in pace Judy, per favore. E’ solo che...pensavo che un po' di terapia d’urto potesse farmi bene.”

“TERAPIA D’URTO?! Mi faccia capire, Nicholas. Lei non ha ancora risolto un’oncia dei dei suoi problemi personali. Non ci ha nemmeno provato, a dirla tutta. E adesso si é messo in testa di farsi carico di quelli di un’intera comunità!!”

“Intanto che cerco di sistemarli, o al massimo aspetto che si aggiustino da soli, almeno farei qualcosa di utile...in ogni caso, sempre meglio che stare seduto o sdraiato da qualche parte ad ubriacarmi.”

“Se lo lasci dire, Nicholas: lei ha davvero una strana concezione di lavori socialmente impegnati. Se ci teneva tanto poteva mettersi a servire pasti caldi ai senzatetto, oppure fare da tutore a qualche adolescente in difficoltà. Invece, lei preferisce tentare di liberare quattro case dal giogo di un ricco industriale senza alcuno scrupolo.”

“Sa com’é. Ognuno si eccita a modo suo. Non le pare?”

“Beh, visto che ormai é fatta, non mi resta altro da fare che augurarle buon lavoro. E si faccia valere, mi raccomando.”

“Grazie, dottore. Quanto le devo?”

“Assolutamente niente. Stavolta mi accontento che ritorni a casa sano e salvo, e con la pelliccia intatta. E comunque, se le occorresse qualche altro consulto non esiti a chiamarmi: mi trova sempre qui, accanto a lei. Zero millimetri, Nicholas: non sono mai più lontano di così. Lo tenga bene a mente.”

“D’accordo, dottore. Me ne ricorderò.”

“Oh, un’altra cosa: porti i miei saluti a Judy, quando si risveglierà.”

“Sempre ammesso che si risvegli...lo volesse il cielo, dottore. Lo volesse il cielo.”

“Forse lo vorrà, Nicholas. Forse lo vorrà. Abbia fede.”

Nick uscì dal bagno e si diresse nuovamente verso Ricketts, con il distintivo appuntato all’altezza del cuore.

“Come mi sta?” chiese.

“Sembra che te l’abbiano cucito addosso dalla nascita.” rispose l’alce. “Levami una curiosità, piuttosto: che accidente stavi combinando là dentro, giovanotto? Parlavi da solo, per caso?”

“Oh, niente di che. Stavo praticando una seduta di autosuggestione.”

“Auto...che?”

“Si tratta di una tecnica di meditazione trascendentale che ho imparato da alcuni monaci zen, durante i miei viaggi immaginari in oriente.”

“Ah.” fece Ricketts, dubbioso. Aveva la vaga sensazione che lo stesse prendendo volutamente per i fondelli. Poi disse: “Ascolta, giovanotto: prima che mi dimentichi...lì dentro ci sono anche le chiavi dell’armeria, dell’auto e delle celle. Per qualunque altra informazione, chiedi pure alla mia vice.”

“Ok. Ricevuto.” rispose Nick mentre estraeva il voluminoso mazzo dal fondo del cassetto.

“Beh, si riguardi.” concluse, con fare sbrigativo. “Io vado.”

“E...e dove staresti andando?”

“Semplice. A iniziare a rendere Haunted Creek UN POSTO MIGLIORE. E da quel che ho potuto vedere, c’é un bel mucchio di lavoro arretrato da fare. Stia forte ed in gamba, Tom. E cerchi di riprendersi alla svelta.” Aggiunse Nick, porgendogli la mano.

“Fai pulizia, Wilde.” raccomandò l’alce, mentre gliela stringeva.

“Lasci fare a me. Avrà presto mie notizie.”

Detto questo si voltò di scatto dirigendosi verso la porta, e fermandosi giusto un istante sulla soglia.

“Ci si vede.” disse, mentre portava l’indice ed il medio della mano destra a lato della fronte per poi scostarli al volo, in un gesto repentino di saluto.

Il vecchio Ricketts era rimasto di nuovo da solo.

Ripensò alle parole di Laureen.

Qui non arriva lo straniero senza nome a levarti le castagne dal fuoco.

Pensò che forse questa volta aveva torto.

Era piuttosto infantile pensarlo. Equivaleva a dichiarare pubblicamente di credere nella fatina dei dentini. O a quella storiella secondo cui i cuccioli nascono sotto ai cavoli. Fantasie, per l’appunto. Però sono quelle cose in cui é bello credere, ogni tanto, anche se si sa che non sono reali.

Forse lo straniero senza nome esiste per davvero. E a volte, a forza di invocarlo, arriva sul serio. E, a quel punto, sono guai seri per tutti i cattivi.

Un sorriso gli si formò all’angolo della bocca.

Perché aveva accettato?

Nick continuava a ripensarci mentre percorreva il corridoio, in direzione dell’uscita.

Già. PERCHE’ DIAVOLO AVEVA ACCETTATO?

Gli tornò alla mente il vecchio giochino che aveva suggerito a Judy per i momenti di panico da giornalisti.

Allora, carotina: ecco l’abc della conferenza stampa. Se ti fanno una domanda a cui non sai o non vuoi rispondere, replica a quella domanda con un’altra domanda e poi rispondi alla tua domanda. Fai un figurone, te l’assicuro. E ne esci fuori alla grande.

Ok. Riproviamoci, disse tra sé. Forse il risultato non sarà così disastroso come l’ultima volta.

“Mi dica, sceriffo Wilde: cosa l’ha spinta ad assumere un simile incarico nelle fragili condizioni psicologiche in cui versa, in una cittadina così turbolenta e senza guadagnarci nulla, a parte il rischio concreto di avere seri problemi con un mucchio di gente alquanto pericolosa?”

“Dunque, vuole sapere cosa mi ha convinto ad accettare, é così? Beh...lasciate che sia io a farvi una domanda, questa volta. Cosa avrebbe fatto IL MIGLIOR AGENTE DI POLIZIA DI TUTTA ZOOTROPOLIS, al mio posto?”

O, meglio ancora: che cosa gli avrebbe detto di fare Judy se fosse stata di fronte a lui, in quel preciso momento?

Gli avrebbe detto: NICK, IL TEMPO DI PIANGERSI ADDOSSO E’ FINITO.

E’ ORA DI MOSTRARE A TUTTI, SOPRATTUTTO A TE STESSO, DI CHE PASTA SEI FATTO.

IO LO SO. L’HO SEMPRE SAPUTO. E’ IL MOMENTO CHE LO SCOPRANO ANCHE TUTTI GLI ALTRI.

CONTINUA A FARE QUELLO CHE FACEVI CON ME, QUANDO ERAVAMO FIANCO A FIANCO A PATTUGLIARE LE STRADE DI ZOOTROPOLIS.

CONTINUA A LOTTARE PER RENDERE IL MONDO UN POSTO MIGLIORE, A PARTIRE DA QUELLA PICCOLA CITTADINA.

Persino un posto tranquillo e sonnolento come Haunted Creek aveva un lato marcio e oscuro. Un lato marcio e oscuro di nome Quincey Carrington, che aveva ribadito il suo potere e la sua autorità sull’intera vallata tentando di eliminare addirittura lo sceriffo, e solo per aver avuto l’unico torto di parlare con lui e chiedere il suo aiuto. E, cosa ancor peggiore, lo aveva fatto mentre lui si trovava ancora lì.

Glielo aveva fatto in faccia. Come puro spregio nei suoi confronti. Per lanciargli un avvertimento e fargli capire chi comanda.

Per dargli una lezione.

Judy, in qualunque posto si trovasse ora, stava combattendo in silenzio per tornare alla vita. Ne era più che certo. E anche a lui toccava fare la sua parte, in attesa che lei tornasse. Doveva dare inizio alla sua, di battaglia.

Perché é sempre lì che veniamo ricondotti nel corso della nostra esistenza, che lo si voglia o no.

Al campo di battaglia.

QUESTE PERSONE HANNO BISOGNO DI TE.

HANNO BISOGNO DEL TUO AIUTO.

A PAROLE TE LA SEI SEMPRE CAVATA A MERAVIGLIA.

VEDIAMO COME TE LA CAVI CON TUTTO IL RESTO, ORA.

DATTI DA FARE, NICK.

“L’hai detto, carotina. L’hai detto.” ripeté sottovoce, mentre usciva dall’ospedale.

Salve a tutti, rieccomi qua!

Ve lo aspettavate? Penso di sì...comunque, é proprio quello che ci voleva!

Nick é tornato in pista, finalmente. E si prevedono grossi casini all’orizzonte, soprattutto per chi, fino ad adesso, ha fatto impunemente il bello ed il cattivo tempo da quelle parti.

Judy ha fatto davvero un gran lavoro, su di lui, anche se la nostra volpe non lo ammetterà mai. Ne vedremo delle belle.

Colonna sonora: quando il vecchio Tom consegna la stella a Nick, sparatevi HEART’S ON FIRE di John Cafferty & The Beaver Brown Band.

E quando Nick ripensa alle parole di Judy mentre esce dall’ospedale, ascoltatevi STREET FIGHTING MAN dei Rolling Stones.

Ringrazio Plando, salamander92, Nami92, LittleCarrot,MizukiZukishima28, Freez shad e hera85 per le ultime recensioni. Grazie di cuore a tutti, davvero.

E, come sempre, chiunque leggerà la storia e vorrà lasciare un parere.

Ripensandoci, tra non molto sarà quasi UN ANNO ESATTO che sono alle prese con questa long. Incredibile…

Grazie ancora a tutti e alla prossima!

See ya!!

CAPITOLO 27

IL MIO NEMICO (PRIMA PARTE)

Prima di dare inizio ad un conflitto bisogna presentare una formale dichiarazione di guerra al proprio nemico, dove si comunicano apertamente le proprie ostilità ed intenzioni bellicose nei suoi confronti.

Così imponeva il codice della cavalleria. O, grossomodo, era così che funzionava, stando a quel che si ricordava sull’argomento in questione.

E chi era lui, per mettersi a sindacare o a contestare tutto questo?

Solo un semplice sceriffo di contea, per giunta neo – eletto senza alcuna manifestazione di aperto consenso da parte dei suoi momentanei concittadini, ma mediante un passaggio di consegne che ricordava tanto uno di quei vecchi telefilm western di cui, da piccolo, non perdeva mai una puntata.

Poteva forse inimicarsi centinaia di anni di tradizione e letteratura guerresche?

Certo che no, accidenti. Lo richiedeva la storia.

Che la si accontenti, dunque!

Il primo impulso di Nick, non appena mise piede fuori dalla clinica, fu per l’appunto quello di precipitarsi alla cartiera per incontrare di persona il famoso o, meglio, il famigerato Quincey Carrington.

Il primo passo, quando si muove battaglia contro qualcuno, é di conoscere il nemico in questione.

Voleva osservarlo da vicino, guardarlo dritto negli occhi. Da quel semplice scambio di sguardi avrebbe capito se le nefaste voci che circolavano sul suo conto corrispondevano a verità. Del resto, ad un imputato va sempre riconosciuto il beneficio del dubbio, no?

Non che ce ne fosse bisogno, in realtà. Aveva sguazzato nel fango abbastanza a lungo da poter riconoscere al fiuto chi ci rotolava o ci aveva rotolato come lui un tempo. E non solo: frequentando ambienti eticamente malsani da una vita aveva imparato che, quando si tratta di fetide carogne, tutto ciò che di pessimo si dice in giro sul loro conto equivale alla precisa verità. O, quantomeno, ci va maledettamente vicino.

A furia di vivere in mezzo alle canaglie, quando te ne ritrovi una davanti la smascheri al volo. E’ una questione di istinto.

Questo pensava, mentre saliva a bordo della sua auto e metteva in moto, in direzione del centro di Haunted Creek.

Proprio così. Una canaglia. Il caro mister Carrington dava tutta l’impressione di esserlo. E tra le più puzzolenti, anche. Una di quelle che, nascondendosi dietro una facciata prestigiosa e rispettabile, finivano col commettere ogni genere di porcheria. Quelli come lui in un solo giorno ne combinavano più di quanto lui ed il suo ex – socio ne combinassero in un anno, quando lavoravano entrambi alla premiata ditta Wilde & Finnick truffe ed affini. E si trattava senz’altro di roba ben più grave ed ignobile che rivendere ghiaccioli sottobanco.

Tsk. Stimato dirigente d’industria. Cittadino modello. Ma per favore. Spesso termini simili non erano che l’utile pretesto usato dai veri criminali per ingrassare alle spese della gente comune costretta a sbarcare il lunario e tirare a campare. Lui, al loro confronto, non era che un delinquentello da strapazzo. E comunque, non si era mai vergognato di essere tale.

Occorre professionalità anche per turlupinare i gonzi, direbbe il buon vecchio Finnick.

Con simili premesse, quasi non valeva la pena perdere altro tempo in ulteriori preamboli. Tanto valeva andare dritto al sodo e vedersela subito faccia a faccia con mister pezzo grosso.

Ma non poteva farlo, anche se aveva una gran voglia. Aveva deciso di seguire l’esempio di Judy e, così facendo, aveva automaticamente giurato di procedere alla sua maniera. Ed il metodo investigativo di carotina si basava su un rigido protocollo ed una scrupolosa osservanza delle regole.

Naturalmente tra una regola inflessibile e l’altra c’erano tutta una serie di dettagli che potevano venire interpretati liberamente, e che garantivano un’ampia libertà di manovra.

Nick, in mezzo ad essi, ci sguazzava a meraviglia. E Judy non mancava mai di farglielo notare, in maniera più o meno garbata ma soprattutto molto, molto convincente. Tra urla, rimproveri e strepiti.

Quanto gli mancavano, quei civili confronti dialettici con la sua partner.

In ogni caso, dettagli e zone d’ombra a parte, la procedura d’indagine Hopps (marchio registrato) aveva una chiara e limpida struttura base, e su quella non era assolutamente consentito sgarrare.

Punto numero uno: trovare dei testimoni e raccogliere le loro deposizioni a carico dell’accusato.

Tra ieri e oggi aveva avuto modo di parlare rispettivamente con Finnick, Laureen e con Ricketts. E tutti e tre avevano fornito dichiarazioni più che eloquenti, a riguardo.

Punto numero due: cercare prove che dimostrino la colpevolezza dell’indiziato.

Ripensò all’incidente dell’ex – sceriffo. E gli venne in mente la sua macchina. Con tutta probabilità dovevano già averla rimossa.

Prese lo smartphone e telefonò a Laureen.

Sentì un paio di squilli, poi…

“Pronto?”

“Laureen, sei tu?”

“Ma chi parla?”

“Ciao, bellezza. Sono Nick Wilde, lo sceriffo.” rispose, con tono sornione.

“Tsk! Se spari un’altra idiozia del genere, quasi finisco per crederti e...ASPETTA UN MOMENTO, CHE DIAVOLO HAI APPENA DETTO?!”

“Ho detto BELLEZZA, mia cara...cos’é, voi donzelle non sapete più apprezzare i complimenti e la galanteria, per caso?”

“Non quello, razza di fesso...intendevo dire l’ALTRA IDIOZIA. Quella che hai detto subito dopo.”

“Ah, capisco...beh, volevo informarti che sei al telefono con il neo – sceriffo di Haunted Creek!”

“Parli...parli davvero sul serio?”

“Ah, ah, ah! Ancora non ci credi, eh? Ma sicuro, che sto parlando sul serio! Sai, non avevo niente di meglio da fare in questo periodo, il mio agente non risponde al telefono e fa finta di non essere in casa, in segreteria non ci sono messaggi...insomma: per farla breve, ero a spasso. Poi succede che, mentre ero lì a visitarlo, a Ricketts viene l’ideuzza di offrirmi un lavoro. IL SUO LAVORO. E io ho accettato. Niente elezioni, niente votazioni, niente di niente! Passaggio di consegne al volo, diretto, chiavi in mano! Allora, che ne dici?”

“Dico che ti sei preso una bella gatta da pelare per essere uno che doveva levare le tende stamattina, bello.”

“Sai com’é, avevo un sacco di tempo libero...”

“Tu devi essere completamente picchiato nel cervello, tesoro.”

“Senti: ne parliamo dopo, ok? Tanto, ti ho telefonato anche per informarti che mi fermerò da te per un bel po'. Ascolta, piuttosto: sapresti dirmi dove hanno portato la macchina di Ricketts, dopo l’incidente?”

“Beh, considerando che é l’unico meccanico in tutto il paese...suppongo che l’abbia ritirata Bob Birnbaum. Del resto é lui che l’aveva revisionata circa due settimane fa, se non ricordo male. Tra le altre cose, si occupa anche delle macchine della polizia.”

Confermata la revisione, quindi. E se tanto mi dà tanto…

“Grazie per la preziosa informazione, Laureen. Ci si vede stasera a cena.”

“Dove vai?”

“Diciamo solo che ho già un’indagine in corso, e che avrò parecchio da fare per le prossime ore. Ti chiedo solo una grossa cortesia: quando metterò i piedi sotto al tavolo gradirei trovare qualcun’altra delle tue strepitose frittelle!”

“Ma certamente. Come il signore desidera. Anch’io però avrei un favore da chiederti, e altrettanto grosso.”

“Sentiamo.”

“Fà attenzione, Nick. Mi raccomando. In questo posto c’é chi é venuto per starci un solo giorno e ha finito col rimanerci per sempre. Non so se ho reso l’idea.”

“Buona questa, Laureen. Davvero.”

“Non sto scherzando, Nick. Stà in guardia.”

“Tranquilla, so il fatto mio. Ci vediamo stasera. E ricordati delle frittelle!”

Non appena fece ritorno in paese, Nick si diresse immediatamente dal meccanico.

L’officina si trovava poco distante dal centro. Era un edificio piuttosto alto e con il tetto a cupola, realizzato in legno e completamente dipinto di rosso. Ad un’occhiata più attenta, più che una rimessa pareva una sorta di granaio riconvertito a tale scopo.

A fianco del gigantesco capanno, circondato da una serie di paletti avvolti da un triplice giro di robusto filo spinato, c’era un cortile adibito a parco macchine, pieno fino a scoppiare di vetture e furgoni di vario tipo e marca, tra cui spiccava un lungo torpedone mezzo mangiato dalla ruggine.

Sembrava il deposito di uno sfasciacarrozze, a dirla tutta. Probabilmente, il titolare lo utilizzava per rifornirsi di pezzi di ricambio alla bisogna. Lo confermava il fatto che a tutti i veicoli lì dentro mancava qualche pezzo, qua e là.

Nick parcheggiò vicino all’ingresso e scese dall’auto. Non fece quasi in tempo a scendere che un corpulento grizzly fece capolino dal portone. Indossava una salopette blu scuro talmente sudicia di grasso e olio di motore da apparire nera. Così come il berretto, che teneva mezzo calato sul grosso testone. Sulla parte frontale doveva esserci il logo di qualche squadra sportiva, ma era sozzo al punto che non si scorgeva più nulla. Anche le braccia, le spalle e la parte superiore del petto, completamente scoperti, erano impiastricciati delle medesime sostanze.

“Buongiorno” disse, “come posso aiutarl...ah, lei deve essere il nuovo sceriffo. Bob Birnbaum, molto piacere. Mi scusi se non le stringo la zampa, ma stavo lavorando e non vorrei sporcarla.”

Tutto questo prima che la volpe potesse presentarsi e mostrare il distintivo.

“Nick Wilde. P...piacere mio.” rispose perplesso.

Era veramente incredibile. E dire che aveva chiacchierato al telefono con Laureen solamente mezz’ora fa. Aveva già constatato in occasione dell’incidente che le notizie correvano molto veloci da quelle parti, ma qui si stava esagerando. Neanche i federali e servizi segreti erano così organizzati. Questa gente avrebbe potuto dar lezioni persino a loro.

“Vedo che ne é già a conoscenza, ma ci tenevo ad informarla che sostituirò lo sceriffo Ricketts fintanto che rimarrà in convalescenza all’ospedale.” aggiunse.

“Ho...ho saputo. Eh, si: é stato un vero colpo di sfortuna, povero Tom. Speriamo si riprenda presto. E dire che l’avevo controllata da cima a fondo non più di quindici giorni fa, quella vecchia carretta. Era un po' malandata, é vero, ma bella robusta. E faceva ancora il suo dovere.” rispose il grizzly.

“A tal proposito...volevo sapere se non ha notato nulla di strano.”

“A dirla tutta, non ci ho ancora messo le mani sopra, da quando l’ho recuperata dopo l’incidente. Stavo proprio per iniziare, quando é arrivato lei. Se le va, possiamo darle un’occhiata assieme. Venga dentro.”

“Volentieri, grazie.”

Entrarono nell’officina. L’ambiente era piuttosto buio: le uniche fonti di luce erano garantite da alcune lampade portatili collegate a lunghi fili. L’aria era intrisa di odore di lubrificante mischiato afragranza di mescola di pneumatici. La macchina di Ricketts era già stata posizionata sul sollevatore idraulico e sollevata a circa tre metri da terra, pronta per essere esaminata. Sopra uno scaffale una vetusta radio a galena, sintonizzata su di un’emittente locale, sparava a tutto volume la voce senza nerbo di un conduttore svogliato e vittima di evidenti problemi respiratori.

“KEEEHHRRUUUMPPHHH!! PTUI!! E questa era la celebre STAND BY ME nella versione cantata dal gruppo emergente di...di...KKRRROOOARRKKK!! PTU’!!...di ALVIN e dei suoi CHIPMUNKS...e ora...ascoltiamo il prossimo pezzo...ma prima un po' di reclame dal nostro...nostro...KRRAARRRKKKHH!! PTUI!!...nostro sponsor...i vostri figli hanno fame? Vogliono la pappa? E allora...allora...KKRREEERRRKKKHHH!! PTUI!!...comprategliela buona...andate dai supermercati associati BAGGERS, BOUNCE E BEAN...questo fine...fine...KKKRRRAOOOORRRKKKKHHH!! PTU’!!...fine settimana sconto del settanta per cento sui deterrenti, repellenti e taser per volpi...e ricordate che...che...KKKRREEEAAARRRRKKHHH!! PTUI!!...che con i prodotti anti – volpi di BAGGERS, BOUNCE E BEAN i lestofanti rosso malpelo entrano in casa...casa...KKRRRRAAARRRKKKHHHH!! PTUI!!...casa vostra su due zampe ed escono...escono...KKKRRROOOOORRRKKKHHH!! PTU’!!...a quattro zampe e sdraiati di schiena…siete su DEEP TROATH FM, dove gli anni cinquanta vivono ancora, purtroppo…KKKRREEEAARRRKKKHHH...”

I casi erano due: o stava per morire oppure doveva trattarsi di un lama, a giudicare da tutti quegli scatarramenti e sputi a raffica.

Comunque sia, Bob corse allo scaffale e si affrettò a spegnere la radio.

“M...mi scusi, sceriffo. Le...le assicuro che non avevo intenzione di...”

“Tranquillo, amico. Ci sono abituato. L’autoironia rappresenta la salvezza, per quelli della nostra specie.”

Il meccanico afferrò una delle lampade e andò sotto la pancia della vettura, seguito a ruota da Nick.

“Davvero non capisco” disse. “Avevo controllato tutto. I freni, poi, non ne parliamo: avevo cambiato sia pastiglie che dischi, e pure il liquido lo avevo messo nuovo nuovo...mi chiedo come é potuto succedere...”

“E’ sicuro di aver fatto le cose come si deve?” Buttò lì la volpe. “Sa com’é: la fretta, a volte...”

“Dico: abbiamo voglia di scherzare, amico?” Reagì seccato Birnbaum.

“Ehm...mi scusi, volevo dire sceriffo.” si corresse un attimo dopo. “Sa, non ci ho fatto ancora l’abitudine...e comunque deve sapere che faccio questo lavoro da una vita. Lo faceva mio padre e il padre di mio padre. Nella mia famiglia siamo meccanici da tre generazioni e le posso assicurare che...CHE IO SIA DANNATO, PER LA MISERIA!!”

“Che succede?” Chiese Nick, allarmato da quell’improvvisa reazione.

“Guardi qui!” Rispose Bob, facendo luce verso una delle ruote. “Vede quel tubicino vicino alla pinza del freno? E’ tagliato di netto!”

Poi, come mosso da un tremendo sospetto, si affrettò a controllare anche gli altri tre.

“Anche gli altri. Si sono tagliati tutti e quattro. Adesso capisco come ha fatto Tom a perdere il controllo e a uscire fuori strada. Quei tubicini servono a rifornire l’olio all’impianto frenante. Ma come hanno fatto a danneggiarsi tutti e quattro nello stesso momento, per l’inferno?”

“Credo di saperlo.” rispose deciso Nick. “Mi tolga una curiosità: suppongo che basti un tronchese o un attrezzo simile per reciderli, dico bene?”

“Immagino...immagino di si, sceriffo.”

“E quindi, chiunque abbia un minimo di nozioni basilari di meccanica é in grado di poterlo fare, giusto?”

“E...esattamente. Ma dove vuole arrivare?”

“Glielo dico subito. Li hanno sabotati.”

“C-cosa?”

“Mi lasci finire, Bob. Supponiamo che tra i sottoposti di Carrington, giù alla cartiera, vi sia un individuo che corrisponda perfettamente alle caratteristiche che le ho elencato prima. Secondo lei é plausibile che abbia potuto manometterli?”

Beh, sceriffo...fossi in lei ci andrei cauto, con simili affermazioni. Sono accuse gravi, e...insomma, io qui ci devo lavorare. E ci vivo insieme alla mia famiglia, anche.”

Aveva paura. E lo si vedeva lontano un miglio.

Pienamente comprensibile. Non é certo una colpa, avere paura. Né questo gran peccato mortale. E, fortunatamente, si tratta di un ostacolo che si può aggirare, conoscendo i tasti giusti da premere.

“E infatti lo sto dicendo io, non lei.” Precisò Nick, con tono mellifluo. “Non si preoccupi, Bob. Non la voglio certo costringere a testimoniare contro qualcuno. E non sto accusando anima viva. Lei si deve limitare a rispondere si o no. Non le chiederò altro.”

“Io...”

“Allora, mi ascolti con attenzione. Le rifarò la domanda. Per un milione di dollari: l’ipotesi che ho formulato é plausibile, secondo lei?”

“Si...presumo di si.”

“Ottimo. E ora ho una curiosità di carattere puramente tecnico, quindi non dovrebbe avere reticenze a rispondermi. Mi dica: una volta tagliati i tubi dell’olio, i freni smettono di funzionare all’istante?”

“Beh...diciamo che dipende da molte cose, sceriffo. Da quando tempo trascorre dopo il...il sabotaggio, ad esempio...intendo dire tra la manomissione ed il momento in cui si riutilizzano di nuovo i freni, non so se mi spiego...”

“Ho capito perfettamente, continui.”

“Insomma, anche tagliando i tubicini di netto non é che l’impianto si prosciughi di colpo e resti completamente a secco, intesi? Se poi contiamo che un po' di residuo rimane sempre in circolo, credo che qualche frenata si riesca a farla, prima di finire a schiantarsi da qualche parte...”

“Perfetto. Non mi occorre altro.” concluse Nick, sorridendo. “Grazie per la collaborazione, Bob. Ci si vede.”

“D-di nulla, sceriffo. Lieto di...di esserle stato utile.” rispose il grizzly, perplesso.

Proprio come pensava. La chiacchierata con Birnbaum aveva fornito anche gli ultimi pezzi mancanti.

In realtà, le domande che gli aveva rivolto rappresentavano poco più che una mera formalità. Aveva già capito tutto non appena aveva visto il danno.

Era piuttosto pratico, con quel genere di cose: lui e Finnick si occupavano anche di quello, quando non erano alle prese con la bancarella dei Pawpsicles. Procacciavano clienti. Bastavano un colpetto ben assestato o una precisa stilettata di temperino o di cacciavite di grosso calibro ed il gioco era fatto. Pneumatico sgonfio, fiancata sfregiata o freno difettoso a seconda che la vittima di turno della crisi o del periodo di morta fosse gommista, carrozziere o meccanico. Risultato? Autista bisognoso, nuova opportunità di lavoro ed il venti per cento del futuro guadagno direttamente nelle loro tasche. Ma, soprattutto, indizi infinitesimali che non facevano risalire a nulla, e da cui si poteva soltanto dedurre che si fosse trattato di fatalità improvvisa o sfortuna nera.

Professionalità, si diceva.

Quello di prima, al confronto, era un lavoro grossolano e svolto da dilettanti. Oppure, il responsabile confidava a tal punto nell’impunità da parte della legge da non prendersi neanche la briga di nascondere le tracce. E neppure l’intenzione di UCCIDERE.

Era giunto il momento di procedere alla ricostruzione del puzzle.

Dunque: dopo l’acceso diverbio con Ricketts, Carrington aveva probabilmente ordinato ad uno o più dei sottoposti di seguirlo a distanza, con il compito di organizzargli un bello scherzetto. Magari il giorno dopo, per non destare troppi sospetti.

Perché stupirsene, dopotutto? Stando a ciò che aveva detto il vecchio ex – sceriffo, Carrington non era certo il tipo da farsi troppi scrupoli, riguardo alla buona condotta dei suoi lavoratori. Era quindi molto probabile, qualora le circostanze lo richiedessero, che assumesse anche gente dalla fedina penale non proprio immacolata. Gente disposta anche a fare qualche lavoretto sporco oltre a quello in fabbrica previsto dal contratto, in cambio di un corposo extra.

A quel punto lo scagnozzo, o gli scagnozzi, stanno alle calcagna di Ricketts finché non si reca nel suo ufficio. Quando poi esce per il suo giro di ronda, si avvicinano alla sua macchina e fanno ciò per cui il loro capo li ha profumatamente pagati. La sera, quando Tom riprende l’auto per tornare a casa, i freni non saltano subito ma fanno ancora il loro dovere per qualche miglio. Ecco spiegato perché lo sceriffo riesce quasi ad arrivare fino alla sua abitazione, prima di finire fuori strada e rischiare quasi di rompersi l’osso del collo.

Allora: ci ho forse azzeccato, caro il mio pezzo di mascalzone?

Glielo avrebbe chiesto di persona, tra non molto.

Ricapitoliamo: testimoni, fatto. Raccolta prove, fatto. Movente, fatto. Ricostruzione dell’accaduto, fatta. Mancava solo il confronto, dunque.

Era giunta l’ora di andare a fare la conoscenza dell’illustre mister Carrington.

Salve a tutti, rieccomi qua!

Comincio col dire che avrei voluto pubblicare queto capitolo un paio di giorni fa, in concomitanza con l’anniversario della pubblicazione del primo capitolo della mia long, ma purtroppo non ci sono riuscito.

Ho avuto parecchi contrattempi, nell’ultimo periodo: lavoro, famiglia, impegni vari...e un bel week – end trascorso all’ospedale (hanno operato la mia piccola di tonsille e adenoidi. Una sciocchezza, ne convengo: ma l’apprensione era parecchia. Per fortuna, é andato tutto per il meglio). Insomma, ho fatto e pensato a tutto tranne che a scrivere.

Ma, finalmente, adesso ho la mente di nuovo sgombra.

Tornando al discorso di prima: é davvero incredibile, se ci penso.

Un anno che sono alle prese con questa mia storia. Niente male, se penso che all’inizio volevo chiuderla con il settimo capitolo.

E non perché non avessi idee: la storia completa ce l’ho bene a mente, a parte qualche piccolo dettaglio ancora da definire (che sistemerò quando arriverà il momento). Tanto per intenderci, il capitolo finale potrei scriverlo anche adesso!

E solo che non mi ritenevo all’altezza di questo impegno. Ancora adesso mi chiedo, ogni tanto: MA CHI ME L’HA FATTO FARE?

A volte é davvero un lavoraccio, per UN OPERAIO CHE IMBRATTA CARTA A TEMPO PERSO NEL DISPERATO TENTATIVO DI CAVAR FUORI QUALCOSA DI DECENTE (é il modo in cui amo definirmi).

Ma mi sta regalando anche grandissime soddisfazioni. Continuo a essere convinto della bontà di questa storia, e dovevo scriverla ad ogni costo.

Mi sembra giusto cominciare a tirare due somme. Diciamo che siamo a circa un quarto dell’opera, e che ne avremo ancora per un bel po'.

Due cose ancora: riguardo allo scorso capitolo, ho provveduto a correggere alcuni errori di battitura (ringrazio il sempre presente Plando per le segnalazioni)

Un grazie di cuore, oltre a lui, anche a Mizukizukishima28, Nilson_D_Rayleigh_2001, salamander92, hera85, LittleCarrot, Freez shad, nami92 e Lord Fener per le ultime recensioni.

E un altro grazie a chiunque leggerà la mia storia e vorrà lasciare un parere. E anche a chi l’ha messa tra le preferite e le seguite (non mi sono dimenticato di voi, state tranquilli. Una volta o l’altra vi metterò tutti, uno per uno!).

Avanti così, che il viaggio é ancora lungo, e la strada da percorrere ancora tanta!

Alla prossima,

See Ya!!

CAPITOLO 28

IL MIO NEMICO (SECONDA PARTE)

La cartiera era situata sul fondo della vallata, nei pressi del fiume Okefenokee, a circa cinque miglia da Haunted Creek.

Mancavano ancora un paio di miglia scarse allo stabilimento quando Nick, buttando un’occhiata distratta fuori dai finestrini, si imbatté in uno spettacolo alquanto inconsueto.

Intere squadre di boscaioli erano impegnate nel disboscamento di un’intera foresta, ad entrambi i lati della strada.

Dopo aver abbattuto gli alberi ed averli privati della corteccia cominciavano ad intagliarne il tronco, riducendolo in una serie di grossi segmenti dalla forma circolare, che venivano poi caricati sui rimorchi.

Era piuttosto perplesso.

Ciò a cui stava assistendo cozzava alquanto con l’idea di cartiera che si era fatto.

Dopo un breve giretto in rete (ebbene si, contrariamente a quanto temeva il wi – fi aveva finalmente messo radici anche da quelle parti, che il cielo l’abbia in gloria e che sempre sia lodato nei secoli dei secoli, amen) aveva scoperto che in quel genere di fabbriche la materia prima arrivava sotto forma di blocchi di cellulosa ricavati da carta macerata, nel pieno rispetto delle più recenti norme per la salvaguardia dell’ambiente.

Ma l’immagine di prima gli ricordava molto di più una segheria. Qualcosa non quadrava. A meno che…

A meno che Carrington non ritenesse più conveniente per le sue tasche far reperire le materie prime direttamente sul posto: una congettura tutt’altro che infondata. Insomma, perché dover pagare i fornitori col rischio magari di indebitarsi fino al collo, quando si hanno a propria disposizione interi ettari di zona boschiva da poter ridurre ad un DESERTO, pur di ottenere i propri sporchi guadagni? Con l’assoluta certezza di non aver NESSUNO a cui dover rendere conto delle proprie azioni, visto e considerato che ispettori e funzionari vari vengono regolarmente ed adeguatamente ingrassati e foraggiati con moneta sonante?

Poveri alberi, pensò Nick. Qualcuno dovrebbe proprio decidersi a fare qualcosa per loro.

E no, stavolta non era affatto una penosa battuta con l’unico scopo di giustificare la sua scarsa attitudine al lavoro d’ufficio.

E mentre i suoi pensieri riguardo a ciò che appena visto fornivano nuova linfa alle sue fosche considerazioni, Nick giunse sul ponte in prossimità del fiume.

In realtà, per definire FIUME quello spettacolo a dir poco deprimente occorreva davvero una fervida immaginazione. Altro non era che un misero rigagnolo dalle acque giallastre e maleodoranti, dalle cui rive pendevano alberi spogli, assetti e scheletrici. Dai loro rami secchi e rattrappiti pendevano filamenti di una strana sostanza dello stesso colore dell’acqua.

Un istante dopo un tanfo nauseabondo invase l’abitacolo mettendo a durissima prova le sue narici ultrasensibili, e obbligandolo a chiudere alla svelta i parabrezza laterali nel disperato tentativo di arginare quella puzza asfissiante.

Cominciamo bene, caro il mio mister pezzo grosso.

Se il buongiorno si vede dal mattino, il tuo fetore di carogna si sente già da qui.

E ancora non ho avuto il DISPIACERE di incontrarti, per giunta.

La cartiera era un complesso gigantesco, composto da tre enormi capannoni di colore grigio, e da un ampia tettoia rugginosa che, con tutta probabilità, doveva fungere da magazzino di stoccaggio.

L’intero perimetro era recintato da un’inferriata di colore blu scuro i cui cardini fuoriuscivano da una base di cemento. Camion entravano carichi di legna tagliata e sezionata ed uscivano vuoti, a getto pressoché continuo, dall’ampio ed unico ingresso disponibile.

Nick lo osservò con attenzione, mentre si avvicinava. Una lunga sbarra elettrica bianca e rossa delimitava l’accesso ma in quel momento era sollevata, per agevolare il flusso costante di veicoli.

La sorveglianza pareva molto scarsa, per non dire inesistente. Il buon Carrington, evidentemente, non si aspettava di ricevere rogne da parte di nessuno.

Più che comprensibile. Da queste parti, stando a quel che gli avevano raccontato, di solito era lui a crearle.

Parcheggiò l’auto di fronte all’inferriata, si tolse la stella infilandosela nei pantaloni e cominciò ad armeggiare con il portafogli.

Dunque, vediamo: tecnico della caldaia, consorzio acque potabili, azienda elettrica, società autostradale...ma dov’é finito? Ah, ecco. Et voilà: ISPETTORATO DEL LAVORO!!

Ne era sicuro che i vecchi tesserini delle sue attività fasulle sarebbero potuti tornare utili, prima o poi. Aveva fatto bene a non gettarli alle ortiche. E a nasconderli alla vista di Judy. Se la sua partner fosse riuscita a scovarglieli, ne avrebbe senz’altro fatto un bel falò.

Arrivato all’ingresso lo attraversò di slancio, accodandosi al primo camion in entrata.

Si guardò attorno, con fare furtivo.

Davvero perfetto. Nessun testimone sul luogo del delitto. Meglio di così non poteva andare.

Si diresse verso il primo capannone ed entrò.

Al suo interno, nel seminterrato, dopo aver percorso una breve rampa di scale, Nick si accorse di aver messo piede nel reparto adibito alla produzione della cellulosa.

I dischi di legno portati dai camion venivano gettati da dei nastri trasportatori in un enorme vasca cilindrica e, una volta all’interno, sminuzzati da delle seghe circolari. L’impasto così ottenuto veniva poi convogliato in una serie di cisterne e sottoposto a vari procedimenti chimici atti ad eliminare impurità ed altre componenti non idonee, fino ad ottenere il polimero necessario alla produzione della carta.

Da quel che poteva constatare Finnick non aveva affatto mentito, riguardo alle condizioni di lavoro disastrose della fabbrica.

O meglio lo aveva fatto, sotto un certo punto di vista. Nel senso che le cose stavano ancora peggio di come gli aveva raccontato.

L’ambiente era scarsamente illuminato e c’era un frastuono a dir poco assordante. Inoltre, i lavoratori erano immersi fin quasi alle ginocchia in acqua mista a polvere di segatura ed altri liquidi di non ben precisata natura.

Vide poi un paio di tizi arrivare da dietro i macchinari e riprendere il proprio posto di lavoro mentre si riaggiustavano la cerniera dei pantaloni. A quanto pare lì dentro non erano previste nemmeno le pause fisiologiche. La questione, quando capitava, doveva essere risolta direttamente sul posto.

“Ehi, tu!”

Nick si voltò in direzione della voce che aveva appena udito. Era un leone. Uno dei capi operai, sicuramente.

“Chi diavolo sei? E che ci fai, qui?”

Nick gli mostrò il cartellino.

“Ehm...salve.” rispose. “Io sarei...”

“”Ah, ho capito.” lo interruppe l’altro. “Sei qui per il mangime, eh? Ma non eravate venuti la scorsa settimana?”

“Io...non saprei, a dire il vero. Sono nuovo di qui, e...”

“Allora apri bene le orecchie, pidocchio. Fai tutto quello che ti dice di fare il signor Carrington ma, soprattutto, accetta tutto quello che ti dirà di accettare. E senza repliche. Altrimenti, saranno dolori grossi. Mi sono spiegato?”

“C...credo di si. In effetti ero proprio venuto qui per parlare con lui. Mi saprebbe dire dove posso trovarlo, per favore?”

“Dove sta sempre. Secondo capannone, primo piano. E spicciati.”

Nick raggiunse il secondo edificio, dove la carta veniva arrotolata in enormi bobine medianti numerosi rulli disposti in sequenza.

Questa volta gettò solo una fugace sbirciata ai macchinari. Aveva già visto abbastanza.

Notò poi un ascensore sulla destra, fermo al piano terreno. Lo prese e salì.

Non appena le porte si spalancarono, lo accolse un ambiente ben diverso. Il pavimento era tappezzato da una bella ed elegante moquette color cremisi, e le pareti erano bianche ed immacolate, con numerosi quadri appesi.

Grazie all’impianto di climatizzazione l’aria era fresca e persino aromatizzata, con un vago profumo di lavanda.

Da delle minuscole casse audio, posizionate negli angoli strategici del salone, proveniva una musichetta soft. Da un primo ascolto c’era da giurare si trattasse della versione lounge di HELTER SKELTER.

Tsk, bella roba: fa lavorare i suoi sottoposti in mezzo allo schifo ed intanto, nelle sue lussuose stanze, il caro direttore fa la vita da nababbo, pensò con una sensazione crescente di disgusto.

A circa tre quarti del corridoio c’era il bancone della reception, di color marroncino chiaro. Dietro di esso, una pecorella piuttosto in là con gli anni, intenta a riordinare alcuni fascicoli. Doveva trattarsi della segretaria.

Al termine della stanza, una una porta a doppio battente in formica, di colore blu scuro. L’ufficio del principale, con tutta probabilità.

La presunta segretaria, sentendo rumore di passi, alzò lo sguardo e lo vide.

“B-buongiorno...desidera?” Chiese titubante. Non erano previste visite quel giorno, a quanto pare.

“Carrington.” rispose Nick, semplicemente.

“M-mi scusi, signore,m-ma...ha un appuntamento, per caso?” Ribadì lei.

“Certamente. Mi sono vestito apposta, non vede?” Disse la volpe, indicando la sua camicia hawaiiana di colore verde. Poi puntò deciso le due porte in fondo.

“Ehm...signore...mi scusi, signore...dove crede di poter andare? Si fermi, per favore!!” Urlò la pecorella mentre fuoriusciva dal bancone e lo rincorreva nel vano tentativo di bloccarlo.

Nick la ignorò bellamente e le spalancò entrambe, trovandosi finalmente di fronte, in un completo con cravattino entrambi neri e camicia bianca da farlo somigliare sputato ad un impresario delle pompe funebri, il famoso o meglio famigerato Quincey Carrington. Il simpaticone che, con le sue frizzanti trovate, movimentava l’altrimenti grigia e monotona vita di Haunted Creek e dei suoi abitanti.

Non credeva ai propri occhi.

Va bene tutto, ma questo era veramente il colmo.

Avevano proprio un bel dire quelli di Zootropolis, quando sostenevano che ognuno può essere ciò che vuole.

Guarda, guarda. MAIALE di razza, di specie e di fatto, a quanto vedo.

“Wow.” esclamò, esterrefatto. “Il trionfo dello stereotipo.”

“Come ha detto?” Replicò indispettito il suino, da dietro la sua scrivania bianca a semicerchio.

“Niente, lasci perdere.”

Sopraggiunse la segretaria, in preda al fiatone.

“Puff...pant...mi...mi scusi, signor Quincey, ma non ne ha voluto sapere di fermarsi...”

“E’ tutto a posto, Emma.” la rassicurò Carrington, con un ampio sorriso. “Anzi, perché non va a prepararci due belle tazze di buon caffè, mentre io ed il giovanotto qui presente facciamo due chiacchiere per conoscerci meglio?”

“Si...si, signore. Come desidera...” rispose lei. E richiuse le porte, scomparendo dietro di esse.

“Allora,” esordì Quincey, senza nemmeno alzarsi dalla poltrona. “siccome non mi risulta che ci siano altre volpi nei paraggi lei dev’essere senz’altro Nicholas Wilde, il nuovo aiutante dello sceriffo. Dico bene?”

“E’ piuttosto informato, a quanto vedo.”

“Ho i miei mezzi. Del resto, se non é ancora ripartito come aveva intenzione di fare stamattina, ne deduco che ha accettato l’offerta, non é forse così?”

“Più o meno.”

“Si spieghi meglio.”

Nick estrasse il distintivo e se lo appuntò al petto.

“Il buon vecchio Ricketts rimarrà fuori gioco per un bel pezzo. Quindi, da oggi, il qui presente é il nuovo sceriffo di Haunted Creek. E CON PIENI POTERI.”

“Beh...la notizia mi coglie un po' di sorpresa, ma...le faccio le mie più sincere congratulazioni. E’ un bell’avanzamento di carriera, anche se tutto in una volta sola. Senza contare il mio operaio che ha aggredito la sera stessa in cui ha messo piede da queste parti. Direi che si é già dato parecchio da fare, per essere qui soltanto da due giorni. Anche troppo, per i miei gusti.”

“Forse dovrebbe ricordare a quel balordo e a tutti gli altri della sua risma di tenere le mani e la lingua a posto, quando vanno in giro.”

Quincey emise un sonoro grugnito, poi riprese a parlare.

“Sgrunt! Lasci che le dica una cosa, giovanotto: nessuno, e sottolineo NESSUNO, si deve anche solo azzardare a venirmi a dire quel che devo o non devo fare, mi sono spiegato?”

“E comunque...per quale motivo é venuto fin qui?” Aggiunse poi.

“Diciamo che ho sentito raccontare un gran bene sul suo conto, e morivo dalla voglia di incontrarla di persona. Inoltre, avrei da dirle un paio di cosucce riguardanti i più recenti fatti avvenuti in paese.”

Carrington emise una sonora risata, seguita a ruota da un altro grugnito.

“Ah, ah, ah! Sgrunt! Vede, é proprio questo il grosso guaio, con voi giovinastri...siete arroganti, zotici e villani. E vi mettete a fare i dottorini non appena vi cadono i denti da latte. Vi credete i padroni del mondo, e non sapete nemmeno come funziona. Siete solo una massa di energia indistinta che non ha la minima idea su quale direzione prendere. E’ per questo, che noi non possiamo lasciarvi fare ciò che volete. Combinereste solo disastri. Non avete esperienza. Tocca a noi tenervi sotto controllo, e concedervi quel minimo di briglia quando occorre.”

Nick ridacchiò.

“E’ proprio vero che ogni cosa cambia a seconda di come la si guarda.” commentò, con tono aspro. “Il problema con voi vecchiardi, invece, é l’esatto opposto...esperienza. Tsk. Vi nascondete dietro quel vocabolo e pensate che basti pronunciare quella parolina magica per risolvere tutto ed appianare qualunque discussione. Conoscete un solo modo di vivere, il VOSTRO, e vi mettete in testa che sia l’unico e giusto possibile. Cerchiamo di farvi capire che le cose non stanno così, e ci ridete in faccia. E quando perdiamo la pazienza e vi togliamo di mezzo con una pedata nel sedere, ci accusate di essere prepotenti e presuntuosi. Ridicolo, semplicemente ridicolo...”

“Un’altra cosa, Wilde...i tipi dalla battuta pronta li apprezzo. Gli SPIRITOSI, no. A parte quando gli faccio capire a modo mio che non mi divertono per nulla.” gli intimò Quincey.

“Solitamente sono sempre molto impegnato, e non ricevo mai senza appuntamento.” continuò. “Ma per lei farò un’eccezione, stavolta. Così ne approfitterò per darle un paio di consigli riguardo al suo nuovo impiego. Ma, soprattutto, le spiegherò cosa significa essere lo sceriffo di Haunted Creek.”

“Mi dica. Sono tutt’orecchi.”

“La mia famiglia era poverissima, e ha iniziato praticamente da zero. E, nel giro di pochi anni, ha tirato su un autentico impero. Io continuo e perpetuo la sua tradizione. La mia azienda dà lavoro alla gente di tutta la valle e di quelle vicine. I miei ragazzi escono fuori di qui con un sacco di bei soldoni da spendere e fanno girare l’economia del posto, riempiendo le tasche degli esercenti e dei commercianti. Sono un autentico benefattore per questi luoghi e, in quanto tale, pretendo di meritarmi il dovuto rispetto e l’adeguata dose di riconoscenza. Anche da parte della legge.”

“Vede,” aggiunse, dopo un altro sonoro grugnito, “fino al momento dello SFORTUNATO INCIDENTE, tra me ed il vecchio Tom andava tutto a gonfie vele. Pertanto, la decisione più saggia e sensata che può prendere, in merito, é di lasciare le cose ESATTAMENTE COME STANNO. I miei operai lavorano sodo, perciò é perfettamente comprensibile che durante la loro libera uscita si lascino un po' andare e che manifestino il loro entusiasmo dandosi alla pazza gioia. Lei mi sembra un giovanotto intelligente, e sono certo che comprenderà perfettamente la situazione. Inoltre ciò che le ho appena raccomandato vale anche per TUTTO IL RESTO, ovvero la mia libera interpretazione delle leggi riguardanti sia la tutela ambientale che la sicurezza sul lavoro. Se farà come le ho detto, vedrà che io e lei andremo d’amore e d’accordo. Anzi, ben presto scoprirà con sua enorme soddisfazione che so essere molto generoso con chi non mi pesta i piedi. Sono stato abbastanza chiaro?”

“Come il sole.” rispose Nick, con espressione seria ed impassibile.

“Bene. Molto, molto bene. E ora, prima di andarsene, mi faccia pure quelle due domande che doveva farmi. Ma in fretta. Come le ho già detto, ho molto da fare.”

“Non si preoccupi.” lo rassicurò la volpe mentre avanzava verso di lui, scrocchiandosi le nocche. “Basteranno cinque minuti. Forse anche meno, adesso che la guardo bene.”

Salve a tutti, rieccomi qua!

Innanzitutto vi chiedo scusa per l’assenza. Complici le ferie pasquali, sono andato via per una breve vacanzina con la mia famiglia. Niente giga sullo smartphone, niente pc, niente wi – fi. Solo una spiaggia deserta con venti persone al massimo, noi tre compresi. Caraibi? No, un’amena località tra Bibione e Caorle. Fantastico…(ok, non odiatemi! Ogni tanto bisogna pur staccare!)

Inoltre vorrei scusarmi perché, almeno all’inizio, questo capitolo doveva essere diviso in due parti. Ma poi, come spesso accade, ho visto che c’é ancora parecchia “carne al fuoco” e quindi il boccone più saporito me lo sono tenuto per l’ultima parte, che pubblicherò a breve.

Non che in questa non accada nulla: abbiamo fatto finalmente la sgradevole conoscenza di mister Quincey Carrington, quello che sembra essere il principale antagonista di Nick, almeno in questa fase della storia. E’ il primo “villain” (vale a dire capo assoluto dei cattivi e, in generale, il nemico per eccellenza del protagonista) che creo in vita mia. Che ne dite, vi sembra abbastanza carogna? E ancora non avete visto niente!

Avremo modo di riparlarne, ma credo che per creare un vero cattivo l’introspezione psicologica serva fino ad un certo punto. E’ vero, molti lo diventano perché hanno avuto una brutta esperienza che li ha allontanati dalla retta via (e Nick ne é un chiaro esempio). Un altro esempio lampante, parlando di cartoni animati, é Hokuto no Ken: lì, nessuno é veramente cattivo. Lo sono diventati in seguito alle avversità della vita e spesso, in punto di morte, capiscono di aver sbagliato e si pentono del male fatto. Molto nobile, senza dubbio.

Io cerco un’altra strada. Il cattivo vero, per essere convincente, non ha bisogno di motivazioni. Compie atti malvagi spinto dal bisogno di vincere e dominare su tutti gli altri. Deve generare paura e repulsione da parte di chi lo legge. Così, quando va incontro alla giusta punizione, non si prova pietà per lui, ma solo disprezzo.

Comunque credo che con Nick, Carrington abbia trovato chi gli tiene testa, finalmente: già dal finale, e vedendo come ha agito la nostra volpe preferita nell’ultimo periodo, si intuisce che saranno schiaffazzi che volano, nel prossimo episodio.

Ancora una cosa: mentre riguardavo le bozze di questo capitolo, mi sono imbattuto in una vecchia versione della prima parte di CICATRICI (la storia in due parti che avevo pubblicato lo scorso Natale) e ho scoperto di aver saltato un dialogo tra Nick e Judy verso la fine! AARRRGGGHHH!! Dio, come odio queste cose!!

In realtà non é niente di che, la storia va benissimo così com’é. Non aggiunge nulla. Ma era un bello scambio di battute, lo avevo scritto con l’intenzione di metterlo nella versione finale e poi…era andato perduto. Fino ad oggi. Non so se lo aggiungerò. Vedremo.

Ringrazio, come sempre, Plando (anche per i pareri sui vecchi episodi!), salamander92, DeniseCecilia (bentornata!), LittleCarrot, hera85, MizukiZukishima28, Nilson_D_Rayleigh_2001, Freez shad, nami92, zamy88 e Lord_Fener per le ultime recensioni (ben undici per un capitolo. Ho battuto il record!!).

E un altro grazie a chi segue la mia storia e l’ha messa tra le preferite. E, naturalmente, a chi la leggerà e vorrà dirmi cosa ne pensa.

Grazie ancora a tutti e alla prossima!

See ya!

Roberto

CAPITOLO 29

IL MIO NEMICO (TERZA PARTE)

Emma Earnshaw stava facendo ritorno presso l’ufficio del suo capo. Reggeva, con le manine ad entrambi i lati e non senza sforzo, un largo vassoio in argento sulla cui sommità si trovavano due tazze di porcellana con variopinti motivi floreali, entrambe belle fumanti.

Aromatizzato alla vaniglia francese, come piaceva al signor Quincey. Non era certa piuttosto dei gusti del misterioso quanto inaspettato visitatore, ma che diamine...era realizzato con una miscela di...di...com’é che lo chiamavano? Ah, si...Kopi Luwak, o qualcosa del genere...comunque, termini più o meno esotici a parte era la varietà più pregiata al mondo, da ben seicento dollari al chilo! Questo, a differenza del nome astruso, se lo ricordava bene visto che era lei ad occuparsi di tutti i pagamenti, lì dentro. E con un un prezzo simile, ci provasse qualcuno ad avere rimostranze!

Il signor Quincey se lo faceva recapitare esclusivamente per via aerea, direttamente dalla piantagione, con un trasporto privato. Sul caffé non transigeva. Nella maniera più assoluta.

“Vuole scherzare, Emma? Il caffé rappresenta la fase più importante della partenza mattutina, per un imprenditore. Dalla sua bontà dipende la bontà degli affari che porterà a termine nel resto della giornata. Il caffé ed il suo aroma sono sacri e inviolabili. Quel che compro io costa PARECCHIO DI PIU’ ma, quando lo sorseggia, capisce che sono stati soldi ben spesi, mi creda. La sciacquatura di piatti gliela lascio alla plebaglia.”

Plebaglia di cui lei faceva ovviamente parte insieme al resto della popolazione aziendale, nonostante fosse la sua fidata assistente e collaboratrice da tempo immemore. E, al loro pari, si doveva accontentare del putrido espresso delle macchinette in sala ricreazione. L’accesso a quella presunta leccornia era interdetto persino a lei.

Eppure, nonostante il divieto tassativo di utilizzo, era riuscita a strapparne qualche sorso durante la preparazione per il suo direttore. E, si, ne aveva convenuto che era proprio buono. Per quanto potesse capirne il palato semplice di una povera pecorella di infima estrazione sociale quale era lei.

All’improvviso, una serie di sinistri rumori provenienti al di là delle due porte blu la costrinsero a fermarsi, facendola arrestare a circa quattro metri di distanza.

Drizzò le minuscole orecchie, cercando di interpretare al meglio ciò che udiva.

Sgranò gli occhietti, incredula. Ancora non riusciva a crederci, ma sembrava proprio che nell’ufficio del suo capo ci fosse una COLLUTTAZIONE in corso.

Ma che diamine stava succedendo, là dentro?

La conferma o, meglio, le conferme arrivarono nell’istante successivo, puntuali e fatali come le cartelle della riscossione delle imposte.

GRRROOOOIIIINNNKKKK!!

Uno strillo lacerante. Come se oltre la porta stessero scannando qualcuno, aprendogli un occhiello scarlatto all’altezza della giugulare con un unica, fredda e chirurgica stilettata.

Subito dopo il flaccido e pesante corpo di Quincey Carrington sfondò di schianto entrambi i battenti e finì a terra dopo un breve volo all’indietro.

La poverina trasalì, scossa tra un fremito di terrore. Il vassoio le cadde di mano e le due tazze riversarono l’intero contenuto sulla moquette che lo bevve avidamente, quasi come se stesse gustando anche lei quella bevanda preziosa e tanto prelibata.

Un sorso per il pavimento. O per la tovaglia. O per il tavolo. L’assioma dell’imbranato dalle mani di pastafrolla che quando versa, centra tutto tranne che le tazzine.

Nick uscì fuori dopo qualche secondo, con sguardo severo e avanzando con tutta calma. Si fermò a tre passi di distanza da Carrington, e lo osservò mentre tentava faticosamente di rimettersi in piedi.

“SGRUNT! T-TU! M-MA SEI PAZZO?!” Urlò quest’ultimo, mentre un rivolo di sangue scuro gli scendeva dalla bocca.

Nel frattempo la signora Earnshaw, che aveva assistito alla scena immobile e spaventata a morte, ebbe un guizzo di lucidità e corse alla reception. Sollevò il cordless e compose un numero, nonostante le minuscole zampette le ondeggiassero come gelatina di frutta.

“P-p-pronto...s-s-sicurezza? V-v-venite s-s-subito, p-p-presto! Ha...hanno a-a-aggredito il s-s-signor Q-Q-Quincey!!” Balbettò all’apparecchio.

Nick stroncò il tentativo di rialzarsi di Carrington con un altro poderoso pugno ben assestato sul muso. Poi, vedendo la pecorella al telefono, gli afferrò la gamba destra e lo trascinò di nuovo nel suo ufficio.

Lo piantò nel bel mezzo della stanza, come un mucchio di cenci vecchi, e poi si nascose sul lato destro dell’ingresso.

“C-cosa? M-ma che...” fece il suino, guardandolo con stupore.

“Ssshhh. Silenzio.” lo ammonì Nick, portando la punta dell’indice contro le nere labbra. “Fà silenzio, se non ne vuoi ancora.”

Per un paio di minuti nulla di nuovo, oltre la soglia. Poi si udirono i passi concitati di due mammiferi in corsa. Piuttosto grossi, a giudicare dalla distanza tra un passo e l’altro.

“S-s-sono l-l-lì dentro, f-f-fate p-p-presto!!”

Un orso polare ed una tigre fecero irruzione. Erano Rourke e Dillon, le due guardie del corpo di Carrington.

Non appena videro il loro principale a terra, ridotto a quel modo, gli si precipitarono incontro all’istante, chinandosi su di lui.

“Capo, Capo! Tutto bene?!” Chiese Dillon.

“Ma chi é stato?!” Gli fece eco Rourke.

Due domande. Una più idiota dell’altra. Ma non era certo quello il motivo per cui Carrington non si decideva a rispondergli, fissando un punto imprecisato alle loro spalle.

Purtroppo per loro, i due energumeni non furono sufficientemente lesti a capire.

Nick piombò alle spalle dell’orso, dandogli un leggero buffetto sul braccio. Non appena questi si voltò, lo centrò con un sinistro in pieno muso mentre era ancora accovacciato, seguito da un terrificante gancio destro all’attaccatura della mascella.

Rourke stramazzò al suolo.

Il suo collega si rialzò all’istante, sorpreso e furibondo al tempo stesso.

“T-tu, maledetto! Chi diavolo sei?”

Gli si scagliò addosso tentando di colpirlo con il braccio destro ma Nick, con una rapidissima schivata laterale, si portò dietro di lui, sul fianco opposto.

Tienilo sempre a mente, Rosso. Quando combatti contro avversari più grandi e grossi di te, non ti puoi concedere il lusso di sprecare energie inutilmente. Nemmeno la più piccola stilla. Pochi colpi ma decisivi, dunque. E tirati nelle zone giuste. Mettici tutta la forza che hai solo quando sei sicuro di causargli un danno effettivo. Tutti gli altri attacchi dovranno servire solo a preparare il terreno a quello finale.

Punta tutto sulla rapidità, per quelli.

CONTROLLO TOTALE, Rosso. Devi trovare il tuo ritmo ed imporlo al tuo avversario. Impara a condurre tu la danza, e lo porterai dove ti pare. Ed il match sarà tuo. Potrai gestirlo e concluderlo a tuo piacimento. Diventerai irraggiungibile per il tuo sfidante, e tu sarai libero di poterlo avvicinare e colpire quando lo riterrai più opportuno.

Ce l’avrai in pugno.

Nick si piegò leggermente sulle gambe e poi, con una rapidissima rotazione dei fianchi in senso antiorario, scagliò un altro potente gancio di destro sul dorso della tigre. Fu come se il suo braccio si immerse completamente all’interno di quel torso gigantesco, fino alla spalla. Sentì che poteva procedere ancora, e diede un ulteriore spinta in avanti, come a perforarlo.

Ricorda i punti vitali, Rosso. Grazie a loro puoi mettere fuori combattimento l’avversario senza un eccessivo dispendio di energie. E ce ne sono parecchi, nel nostro corpo. Il mento, la mascella, il naso, la tempia...ma non ti conviene puntare subito alla testa, se sta troppo più in alto di te. Finiresti con l’esporti inutilmente. Anche nel busto ce ne sono parecchi: il plesso solare, il cuore, il fegato, la milza...e il dorso.

Si, hai capito bene: ho detto proprio il dorso. In strada non ci sono regole, Rosso. Non farti problemi a colpire l’avversario alla schiena, da dietro. Sferra un colpo con il braccio inclinato a circa quarantacinque gradi verso l’alto, puntando leggermente al centro. E mi raccomando: mira sempre alle due ultime costole, quelle fluttuanti. Sono belle morbide, i pugni affondano come nel burro e vanno fino agli organi interni. Ci sono i reni, proprio lì sotto, e quando li schiacci fanno un male atroce. Prova, e vedrai che roba. Quando ti beccano ben bene lì, un dolore lancinante ti esplode da dentro ed in men che non si dica finisci a terra, a contorcerti.

Non dimenticarlo mai: comincia a lavorarlo ai fianchi e poi passa al resto, se ce n’é ancora bisogno.

Una casa la si inizia sempre a demolire dalle FONDAMENTA.

Dillon emise un rantolo strozzato e finì sulle ginocchia piegato in due e boccheggiante, con gli occhi fuori dalle orbite. Nick lo afferrò per la nuca con il braccio sinistro, caricò il braccio rimasto libero fin dietro la testa e lo centrò con un diretto in pieno muso.

La tigre finì sul pavimento priva di sensi.

Udì un rumore dietro di lui e si voltò di scatto. Rourke, nel frattempo, si era rialzato e si stava lanciando contro di lui, alla carica.

E’ perfettamente inutile che stiamo qui a prenderci in giro, Rosso. Per quanto possa allenarsi, una volpe come te non potrà MAI ottenere la forza di un orso, di una tigre o di un leone. O di Bisteccone. E’ una legge di natura, c’é poco da fare. Un topolino potrebbe battere un elefante, come ti ho detto. Ma non diventerà MAI forte come lui.

Ma c’é una possibilità. L’unica, se sei con le spalle al muro e vuoi tentare di ribaltare completamente le sorti del match. E’ il COLPO D’INCONTRO.

Lasci che l’avversario ti attacchi e, quando é sul punto di colpirti, al massimo del suo slancio, lo attacchi a tua volta e lo colpisci con tutta la forza che hai. A quel punto, la differenza di forza tra voi due diventa irrilevante. Non importa più di quanta forza tu possa disporre, perché prendi a prestito quella dell’avversario e gliela ritorci contro, sommandola alla tua. Il suo slancio in avanti diventa la leva con cui moltiplicare la potenza.

Quando ci riesci, é fantastico. E’ come abbattere un intero palazzo di otto piani con un solo colpo di scalpello.

Ma per farcela devi imparare a giocare d’anticipo, a stare davanti al tuo avversario di tre, quattro mosse almeno.

E’ l’inganno supremo, Rosso. E’ il predatore che si finge preda. Si fa mettere all’angolo dall’avversario di proposito, per farlo finire in trappola senza che lui se ne renda nemmeno conto. E quando quest’ultimo sta per vibrare il colpo di grazia, gli balza alla gola e lo sbrana, in un sol colpo.

Voi volpi ci siete portate per natura, a questo. La furbizia é il vostro pane quotidiano.

E non fare quella faccia. In realtà ti sto facendo un complimento. Guarda che a casa mia é furbo chi é intelligente, e non il contrario.

Rourke protese entrambe le mani nella sua direzione, come volerlo ghermire, e sfoderò al contempo i grossi artigli.

Un istante prima che la letale stretta gli si potesse chiudere attorno, Nick scattò in avanti e spiccò un leggero balzo verso l’alto, colpendolo con un diretto destro all’angolo del mento.

Ti do un ultima dritta, Rosso. Non fare come fanno tutti gli altri imbecilli. Invece di chiudere il pollice davanti alle prime due nocche, serralo lateralmente sulla prima. Immagina di avere il detonatore di un esplosivo a distanza stretto nel pugno e di premere il pulsante. In questo modo la mano diventa un blocco unico con il polso e l’avambraccio, duro e compatto come la pietra. Ti servirà contro i colossi, se non vuoi che ti si spezzino le dita.

Non devo certo sprecare parole e tempo a tentare di convincerti. Come dico sempre, prova e vedrai la differenza. Qualsiasi cosa colpirai, la manderai in FRANTUMI.

Il suono delle sue estremità ossee che impattavano sul lato sinistro del muso di Rourke, staccandogli un incisivo di netto e facendolo cadere sul tappeto, dove rimbalzò più volte come un minuscolo, scintillante pezzo d’avorio, riecheggiò per tutta la stanza.

Non era stato un suono grezzo, sordo e pesante. Si era trattato piuttosto di un suono acuto, scintillante, simile a un fischio che tagliava in due l’aria. Come un proiettile acuminato che trapassa un portone di ferro da parte a parte. Un suono che contrastava completamente con quanto aveva visto Carrington, unico testimone della violenta rissa. E cioé un colpo preciso, elegante ma soprattutto incredibilmente POTENTE.

Non riusciva a credere a ciò che vedeva, mentre si trovava ancora seduto a terra e osservava i suoi due sgherri, entrambi supini e privi di sensi.

Ciò a cui aveva appena assistito era praticamente IMPOSSIBILE. Nonostante la paura folle che lo attanagliava, non riusciva a distogliere lo sguardo da quella scena. Era senz’altro uno scherzo. O un sogno. Oppure, il peggiore degli incubi.

Forse si stava davvero immaginando tutto. Come aveva fatto una misera volpe ad abbattere un orso con un solo pugno? Come aveva potuto sconfiggere due predatori più grandi e grossi di lui in una manciata di minuti, e senza alcuno sforzo apparente?

Per un attimo, un solo attimo, ebbe come l’impressione di provare persino una lieve ammirazione per quel tipo, e per l’impresa che era riuscito a compiere. Poi l’odio ebbe il sopravvento su tutto. Odio profondo per ciò che ciò che aveva fatto a lui e alle sue guardie del corpo. E, soprattutto, per aver osato sfidarlo oltraggiandolo a quella maniera all’interno della sua azienda, nel cuore del suo impero.

Nick si girò verso di lui e gli si avvicinò.

“Fermo...STA’ FERMO! Cosa...cosa hai intenzione di farmi, eh? Hai...hai un’idea di contro chi ti sei appena messo, eh? Te ne rendi conto?” Urlò Carrington, strisciando all’indietro nel tentativo di sfuggirgli.

“Io? Guarda che ti sbagli di grosso. Ho semplicemente risposto in maniera legittima alla tua ambasciata, tutto qui.” sentenziò la volpe con tono calmo e tranquillo, come se la sua fosse l’osservazione più ovvia e scontata di questo mondo.

“C-cosa?!” fece l’altro, incredulo.

“Proprio così. E’ la mia replica al bello scherzetto che hai architettato ai danni del povero Ricketts. Perché era a me che volevi indirizzare il messaggio, non é così? Volevi farmi capire di cambiare aria, e con una certa sollecitudine, vero?”

“C-che diavolo stai blaterando? T-tu devi essere uscito di senno!”

“STA’ ZITTO!!” Lo minacciò Nick, puntandogli il dito contro. “Hai escogitato quella bella trovata per tentare di intimorirmi, e farmi capire chi é che comanda da queste parti, ho indovinato? Bene, sappi che non ho alcuna paura di te, e le tue minacce non mi fanno né caldo né freddo.”

“T-tu sei matto! MATTO DA LEGARE, mi hai capito? I-io n-non...”

“Fà silenzio, ho detto! E apri bene le orecchie, perché te lo dirò una volta sola. Non azzardarti MAI PIU’ a fare una cosa simile, né al sottoscritto ne a nessun altro del paese. Perché sappi che la prossima volta non perderò nemmeno tempo cercare prove, indizi o testimoni. Verrò direttamente qui e farò DUE VOLTE A TE QUELLO CHE TU FARAI A ME. Mi é bastato stare mezza giornata in questo posto per capire al volo che i problemi, qui, hanno tutti il tuo nome scritto sopra. E a caratteri cubitali, per giunta.”

“Tu...tu hai appena iniziato la tua patetica carriera da sceriffo e...e hai già chiuso, te lo posso garantire! Hai appena firmato la tua condanna a morte! Sei morto, capito? MORTO!!”

Il sangue continuava a colargli copioso dalla bocca, mentre era intento a sbavare insulti e minacce. Inoltre, una vasta ecchimosi cominciava a fare la sua comparsa sulla sua guancia sinistra, per effetto dei pugni ricevuti.

Per tutta risposta, Nick lo afferrò per il bavero, sollevandolo di peso.

“Un’altra cosa, Carrington. Fino ad ora hai fatto il bello ed il cattivo tempo solo perché hai avuto la fortuna di aver a che fare con gente pacifica ed incapace di difendersi. Ma ti informo che da ora in poi LA CUCCAGNA E’ FINITA.”

“Sgrunt!” Rispose sprezzante Quincey, con un grugnito. “L-lo vedremo!!”

A fronte di quell’ennesimo, insulso sproloquio Nick perse la pazienza e fece per mollargli un’altra sventola di quelle belle pesanti.

“N-no, NO!!” Lo implorò il suino, piagnucolando. “T-TI PREGO, NON LO FARE!!”

“Non ci sarà proprio un bel niente da vedere, te lo assicuro.” replicò seccamente la volpe. “Non mi importa come funzionavano le cose prima del mio arrivo. E non mi interessa nemmeno in che rapporti eri con i precedenti sceriffi. Ti basti solo sapere che da da questo preciso momento la legge, ad Haunted Creek, NON E’ PIU’ IN VENDITA. Mi sono spiegato?”

Detto questo lo ributtò sul pavimento e si diresse verso l’uscita.

Prima di andarsene, gettò di spalle un’ultima occhiata a Quincey che lo fissava ammutolito, con un un’espressione di risentimento misto ad un insopprimibile timore.

Forse quell’imbecille crede di poter uccidere a furia di occhiate assassine, pensò.

“Ti avverto. Non darmi un motivo per tornare. E che non ti venga in mente di mostrare il tuo muso nella mia città, o sarà peggio per te.”

“Vuoi farmi fuori, amico? Bene, mettiti in fila. E già che ci sei, guarda la fine che fanno tutti quelli prima di te che sono abbastanza stupidi da volerci provare.” concluse.

Allora, Carotina? Come me la sono cavata? Dici che ho esagerato, forse?

Mentre faceva ritorno alla sua auto, Nick sapeva bene di essersi appena messo nei guai, e fino al collo. Tuttavia, si sentiva stranamente tranquillo.

Quel Quincey Carrington aveva tutta l’aria di essere il perfetto prototipo del vigliacco rancoroso, ma non per questo era meno temibile. Il desiderio di vendetta per l’umiliazione subita aveva già iniziato a roderlo da dentro ancora prima che lui si decidesse a levare il disturbo, uscendo dal suo studio.

Impossibile sbagliarsi: glielo aveva letto negli occhi. E adesso non avrebbe avuto più pace fino al momento in cui non fosse riuscito a fargliela pagare cara, e con tutti quanti gli interessi.

Di questo ne era più che certo. Del resto, é quel che accade quando decidi di metterti contro un tipo del genere. Soprattutto se il tipo in questione ha soldi e mezzi per colpirti quando meno te l’aspetti e quando più gli aggrada. Da quel momento in poi, dovrai sempre stare sul chi vive, e guardarti le spalle ad ogni passo.

Tanto meglio. Con la mente sempre all’erta non avrebbe avuto il tempo di lasciarsi andare a ricordi e pensieri ben più tristi e dolorosi.

Già. Forse era proprio vero ciò che aveva confessato al dottor Piberius durante l’ultima seduta: un po' di sano rischio era proprio quel che gli serviva, in un momento come questo.

E comunque, una cosa dalla sua ce l’aveva senz’altro: sapeva esattamente come ragionava uno come Carrington. Perché anche lui conosceva bene il rancore e la rabbia repressa. Lo avevano costretto a conviverci per anni, a causa di quel terribile scherzo che gli avevano fatto. Facendolo diventare uno dei massimi esperti in materia.

Per un istante rivide sé stesso da cucciolo, all’età di otto anni. O forse erano nove, non se lo ricordava mai. Ma non era più a terra, supplicante. Né seduto in un angolo a piangere di nascosto.

Era ritto in piedi, fiero e spavaldo.

Di fronte a lui, i suoi compagni del circolo dei giovani scout esploratori.

Ma stavolta, nessuno di loro osava fiatare.

Non ridevano più.

AVEVANO SMESSO DI RIDERE.

Salve a tutti, rieccomi qua!!

E così il guanto di sfida é stato lanciato...e che guanto!! Un’autentica cinquina di quelle che lasciano a terra stecchiti!!

In realtà, fare questo capitolo é stata una bella sfida. O prima o poi si doveva arrivare a questo, e il mio più grande timore era di riuscire a rendere la scena verosimile, senza scadere nel ridicolo. Spero di esserci riuscito.

Nick, esattamente come Judy, é fisicamente inferiore se paragonato ad altri mammiferi più grandi e grossi. Come fare, dunque?

Per fortuna il vecchio Butch é arrivato in mio aiuto. Il rinoceronte, come ho già detto, non é un semplice istruttore. E’ un autentico MAESTRO. Ha adattato le sue conoscenze alla struttura minuta di Nick e ha ideato uno stile che fosse perfetto per lui. E direi che anche “Bisteccone” Bogo ha fatto la sua parte. Insomma, il nostro ROSSO é diventato un combattente coi fiocchi.

Un breve cenno sul COLPO D’INCONTRO. Solitamente lo si tende a considerare un colpo casuale, se non addirittura fortuito. In realtà é una delle tecniche più sofisticate e complesse del pugilato. Occorrono anni per padroneggiarla, nonché una certa predisposizione naturale. Consiste nello sferrare un colpo (solitamente é un diretto, ma non sempre) nel momento in cui l’avversario sferra un colpo a sua volta. Può essere effettuato dopo o addirittura in contemporanea con una schivata o una parata. Si neutralizza il colpo dell’avversario e lo si colpisce mentre quest’ultimo é sbilanciato in avanti per attaccare (é una legge fisica: ogni volta che si sferra un attacco, il peso del corpo viene portato in avanti e c’é sempre uno sbilanciamento, anche se alle volte é impercettibile. Dipende da quanta forza si decide di impiegare). In questo modo la potenza del proprio pugno viene raddoppiata o addirittura triplicata. I più abili sono in grado di sferrarlo addirittura PRIMA che l’avversario riesca ad effettuare il suo attacco. E’ sufficiente che vedano il movimento e partono, colpendo l’avversario e bloccando il suo pugno sul nascere. Attacco e difesa in un’unica mossa!!

Alcuni pugili hanno improntato il loro modo di combattere su questa tecnica, trasformandola in un autentico STILE. Si complicavano non poco la vita (la boxe, come tutti gli sport da combattimento, privilegia gli stili aggressivi) ma vederli era uno spettacolo. Ribaltavano completamente il concetto di pugilato. Giocavano di rimessa, mandando a vuoto i pugni dei rivali con schivate e danzandogli intorno con il gioco di gambe, e intanto gli prendevano il tempo. E, quando avevano trovato il ritmo giusto, partivano con il colpo d’incontro quando l’avversario si esponeva per attaccarli. Non tiravano un solo pugno in più del necessario.

Comunque, nel film lo abbiamo visto tutti. E’ la tecnica che usa Judy per stendere il rinoceronte all’accademia. Lì però usa una variante ancora più micidiale, sfruttando il rimbalzo e la spinta delle corde. Poi usa le zampe posteriori (immagino che i conigli non abbiano una gran forza nelle braccia) per colpire il guantone dell’avversario e deviare il diretto che gli stava scagliando direttamente sulla faccia di quest’ultimo. Se lo avesse colpito con le gambe, l’avrebbero squalificata.

Tre cose ancora.

Primo: Nick sta diventando UN FIGO DELLA MADONNA.

Non credo che corra il rischio di diventare OOC: sta semplicemente maturando. Si sta EVOLVENDO, e ad una velocità impressionante, capitolo dopo capitolo. E non ho nessun merito, sta facendo tutto da solo. Sta sprigionando tutto il suo potenziale come personaggio, con risultati a dir poco esplosivi.

Ma attenzione: forse ci sta ingannando tutti quanti, me in primis. Forse sta indossando l’ennesima maschera. Dentro ha delle ferite orrende, e non credo che si possano rimarginare così facilmente…

Secondo: facciamo un po' il punto della situazione. Abbiamo l’eroe solitario (Nick); la spalla fracassona e divertente (Finnick); la “vecchia” saggia (Laureen); e il cattivo con il suo esercito (Carrington). Che dite, c’é tutto?

Naah. Per me manca ancora un ingrediente. Quale? Lo scopriremo nel prossimo episodio. E vi anticipo che sarà la mia più GROSSA scommessa, per quest’arco narrativo.

Non quella definitiva, sia ben chiaro. Quella arriverà verso la fine, e sarà quella su cui mi giocherò TUTTO.

Terzo: vi avevo parlato di un dialogo “perduto” relativo a CICATRICI, una mia precedente storia. Ho deciso che non lo inserirò. Lo userò come spunto per creare UNA NUOVA STORIA.

Immaginate la scena: siete nel magazzino delle sementi e scoprite che vi era caduto un semino, parecchio tempo fa. Lo ritrovate, e vedete che ha fatto due germogli. Ha un aspetto un po' deboluccio, ma il piccoletto é FORTE. Lo sentite chiaramente.

A quel punto, che fate? Lo innestate su una pianta già rigogliosa di suo col rischio di farlo morire, e sapendo che la pianta non trarrà alcun beneficio, o lo piantate in un vaso tutto suo?

Io ho scelto la seconda. Credo che se la sia meritata. E se c’é una cosa che ho imparato da quando ho iniziato a scrivere, é di seguire il flusso di coincidenze e casualità.

NIENTE ACCADE MAI PER CASO.

Per finire, ringrazio come sempre salamander92, hera85, Nilson_D_Rayleigh_2001, Plando (ho visto l’aggiornamento, leggerò quanto prima!), nami92, DeniseCecilia, Lord_Fener, Sir Joseph Conrad (benvenuto a bordo!) e Freez shad (anche per la segnalazione degli errori), nonché tutti quelli che leggeranno la mia storia e magari vorranno dare un parere.

Infine, quarto punto (poi ho finito, giuro!!): un grazie a tutti per il sostegno, davvero. Anche se non ci siamo mai visti di persona, da quando mi trovo in questo fandom é come se mi trovassi in un gruppo di AMICI. Ed é stupendo.

Sono nate delle storie meravigliose su Nick e Judy. Ed il merito credo sia anche della stima, della fiducia e dell’aiuto che ci diamo l’un l’altro.

Come dico sempre, C’E’ BISOGNO DI FIDUCIA.

Alla prossima,

See ya!!

Roberto

CAPITOLO 30

MAGGIE (PRIMA PARTE)

Erano da poco passate le tre del pomeriggio e Nick si ritrovava nuovamente al volante. Non c’era un solo attimo di tregua, quel giorno. Ed era stato eletto nuovo sceriffo da neanche mezza giornata.

Davvero niente male, come esordio!

Aveva appena lasciato alle sue spalle mister Carrington e la sua beneamata cartiera, con tutto il suo carico di schifo annesso. Via, via da tutta quella sporcizia, quella malvagità, quella puzza.

Mentre si allontanava, facendo il precedente percorso a ritroso e tornando in quella densa e fitta porzione di boscaglia non ancora violata dai fidi esecutori armati di motosega al soldo di Quincey, ebbe come l’impressione di sentirsi improvvisamente meglio. Ed era una sensazione che diventata sempre più chiara e nitida con il passare dei minuti, man mano che metteva sempre più distanza tra lui ed il ributtante marciume che trasudava senza sosta da quel luogo.

Gli parve persino che l’aria che entrava dai finestrini che aveva provveduto a riaprire fosse diventata persino più fresca e frizzante.

In realtà non era tanto benessere, ciò che stava provando. Era piuttosto una sorta di autocompiacimento.

Si. Poteva ritenersi più che soddisfatto, almeno per il momento. Come biglietto da visita, la sua sortita nella tana del drago non poteva essere più chiaro ed esplicito di così.

Aveva vendicato Ricketts e, al contempo, fornito precise istruzioni al mandante dei responsabili sul nuovo corso riguardante la gestione della legge ad Haunted Creek. Uno a zero e palla al centro, signori. Anzi: uno a uno, visto che era stato quel farabutto a cominciare. A versare sangue per primo, come si suol dire.

Se ti ritrovi costretto a fare a pugni non colpire mai per primo, qualunque sia il motivo. Ma assicurati di colpire sempre per ultimo, soprattutto se si tratta del colpo decisivo.

Così la pensava il vecchio Butch.

Puro Vangelo.

E così la pensava Nick.

Già. Proprio parole sante.

In ogni caso si augurava che la lezione impartita fosse stata sufficiente, per convincere quella carogna e i suoi sgherri a tenersi alla larga dal paese.

Non in eterno, ovvio. Una simile ipotesi era senz’altro auspicabile, ma non realizzabile.

Quanto bastava. Non chiedeva altro.

Giusto il tempo necessario a prendere confidenza con il posto ed organizzarsi adeguatamente.

La tregua non sarebbe durata a lungo, ne era più che certo. Nella zucca di tipi come quello il buon giudizio ed il senso della misura non avevano diritto di cittadinanza. I malfattori ricchi e potenti ritengono di essere sempre nel giusto e di non avere mai il bisogno di imparare qualcosa da chicchessia. Se ne sarebbe rimasto buono e placido solo fino a che non avrebbe escogitato il sistema di ripagare con la stessa moneta la tremenda batosta che aveva dovuto subire.

Ma in una maniera sicuramente più lenta, lunga e dolorosa. La più lenta, lunga e dolorosa possibile.

Ma, per allora, sarebbe stato più che pronto a riceverlo.

Che venga pure, pensò. Quando e come vuole.

Da sempre esisteva un solo modo, per gestire e risolvere tali conflitti: botta e risposta. Ad ogni azione, corrisponde una reazione uguale e contraria.

Botta e risposta. Le prendi e le dai. Ciò che conta é mettere a segno un colpo, un pugno in più, QUEL PUGNO IN PIU’, quando tocca a te restituire. Senza arretrare di un solo passo. E senza concedere un solo millimetro al tuo avversario.

Proprio come quel vecchio film. Quello che guardava sempre da cucciolo insieme a sua madre tutte le volte che lo ridavano in televisione, anche se lei non era molto d’accordo perché lo riteneva un film violento. Ma alla fine acconsentiva sempre con un sorriso dolcissimo, perché il suo Nicholas era un maschietto, il maschietto di casa. E come tutti i maschietti adorava gli inseguimenti, le sparatorie e gli ammazzamenti.

Ed ogni volta si mettevano insieme sul vecchio divanetto sgualcito all’angolo del piccolo salottino, davanti al vetusto schermo in bianco e nero con i contorni in bachelite. Lei portava, come sempre, due tazze di cioccolata bella calda. Gli porgeva la sua, la sorseggiavano insieme per tutta la durata dello spettacolo e lui le si accoccolava a fianco durante le scene più PAUROSE. Perché era un bellissimo film, parlava di una pagina di storia risaputa e lo aveva visto tante e tante di quelle volte da conoscerlo a memoria. Ma, anche se sapeva che finiva bene, aveva sempre la sensazione che ai protagonisti potesse capitare qualcosa di brutto. MOLTO BRUTTO. Rimaneva con il cuoricino in gola fino a che il capo dei cattivi non veniva finalmente rinchiuso dietro le sbarre.

Il potere degli autentici capolavori. Ogni volta che li rivedi, E’ COME LA PRIMA VOLTA.

Le scene ti rimangono impresse nella retina, al punto che te le rivedi davanti agli occhi in continuazione. E le frasi dei protagonisti ti finiscono marchiate a fuoco nel cervello.

Come quella che il vecchio irlandese Jimmy Malone diceva ad Elliott Ness prima di dare inizio alla retata che avrebbe scatenato il finimondo. Che avrebbe portato all’arresto di Al Capone e allo smantellamento del suo impero criminale. Ma anche alla morte di due di loro.

Sconfissero i gangsters. Diventarono leggenda. Ma per loro fu LA FINE.

Cosa gli aveva detto Malone, quella volta? Com’era quella frase?

Tieni bene a mente ciò che sto per dirti, Ness.

Una volta che oltrepasserai quella porta, darai il via ad una guerra.

Una guerra senza quartiere, e senza esclusione di colpi.

Non si torna più indietro.

Nessuna pietà, e nessun rimorso.

Occhio per occhio, dente per dente: é così che funziona.

Lui ti sbatte uno dei tuoi all’ospedale?

Benissimo. La volta dopo tu gliene sbatti due dei suoi ALL’OBITORIO.

Chiaro il concetto, no?

Ma ora basta. C’era tutto il tempo per analizzare la minaccia incombente ed elaborare la strategia adatta ad affrontarla. Ora, invece, era il tempo di fare un’altra cosa. La prima cosa che avrebbe dovuto fare dal momento che Ricketts lo aveva proclamato nuovo sceriffo.

Incontrare il resto della squadra.

Incontrare gli altri INTOCCABILI.

Diede una rapida occhiata al cruscotto, per la precisione ai numeri color ambra del minuscolo display dell’orologio a cristalli liquidi situato alla base del tachimetro.

No, non era troppo tardi. Non era ancora troppo tardi per fare la prima visita al suo nuovo posto di lavoro e fare così la conoscenza dei nuovi colleghi con cui avrebbe dovuto sforzarsi di collaborare, da ora in poi.

Immerso com’era nei suoi pensieri, Nick finì per prendersela parecchio comoda. L’andatura lenta causata dalla salita e dalle ripetute serie di curve e tornanti fecero il resto. Fu così che fece ritorno in paese non prima delle cinque. Ormai stava cominciando ad imbrunire. Colpa della stagione, senza dubbio, ma non solo. Si ha sempre l’impressione che, in posti come quelli, il sole cerchi di tornare a nascondersi dietro le montagne il prima possibile, come se esse esercitassero su di lui una sorta di irresistibile richiamo, un invito costante a cercare riparo dietro di loro per concedersi il giusto riposo.

SARAI STANCO A FURIA DI STARE A SPLENDERE E A SCALDARE TUTTI QUANTI PER TUTTO IL SANTO GIORNO, TESORO BELLO.

VIENI, VIENI A METTERTI A DORMIRE DIETRO DI NOI, CARO. QUI NESSUNO TI DISTURBERA’.

Questo era ciò che, con tutta probabilità, gli stavano sussurrando all’orecchio quelle alte cime.

Lo stesso richiamo irresistibile che esercitavano le grotte e gli anfratti bui sui suoi antenati e su quelli di molti altri mammiferi, nei tempi antichi, quando vi si rintanavano dentro e sprofondavano in letargo. Una delle tante inclinazioni naturali rese inutili dall’avanzare della civilizzazione e quindi estinte.

Già. ESTINTE, si badi bene. Non CADUTE IN DISUSO. E’ una cosa completamente differente.

Entrambi i processi sono il risultato di una concatenazione di eventi e fenomeni macroscopici ed avvengono indipendentemente dalla volontà dell’individuo. Ma, quando qualcosa cade in disuso, é perché solitamente non serve più, ha esaurito il suo compito. Non ha più alcuna ragione di essere o di esistere e viene sostituto, rimpiazzato da qualcos’altro di più utile e funzionale. Qualcosa che, spesso e volentieri, ha contribuito lui stesso a dare vita. Senza il vecchio, non sarebbe venuto fuori il nuovo. La vecchia onda del mare che si infrange e, morendo, dà vita ed energia a quella successiva. Da questo punto di vista é senz’altro il processo più naturale e legittimo dei due, perché é figlio di un’evoluzione. Mentre, nel caso dell’estinzione, non é detto che chi scompare abbia esaurito il suo compito. Che fosse arrivato il momento per lui di farsi da parte per far spazio a qualcosa di nuovo. Magari serviva ancora a qualcosa. E se le cose stavano davvero così, allora non vi era nulla di naturale, in tutto questo. Era un’orrida forzatura, una correzione traumatica del naturale percorso evolutivo. C’era qualcosa di profondamente sbagliato.

Mettendoli a confronto, balzava immediatamente all’occhio che cadere in disuso fosse la più autentica e pura forma di estinzione, mentre non si poteva proprio affermare la tesi contraria.

Nick optava per l’estinzione, riguardo al letargo. Riteneva che averlo soppresso non si fosse rivelata poi questa gran furbata, da parte dell’evoluzione. Lui, ad esempio, ne avrebbe avuto un gran bisogno, almeno nell’ultimo periodo. Trovare un nascondiglio ben riparato, ricavarvi un comodo giaciglio al suo interno per poi buttarvici sopra e sprofondare nel sonno per intere settimane, forse mesi. Ma non il suo dormire consueto di tutti i giorni, agitato dai mostri e dai fantasmi che il suo cervello tentava di tenere faticosamente a bada durante il giorno e che si scatenavano al calar delle tenebre, a briglia sciolta, non appena chiudeva gli occhi. Era piuttosto il collassare in uno stato di profonda incoscienza, senza ansie e senza sogni.

Come quello di Judy.

Era del tutto inutile anche il solo provarci. Non poteva più riuscirci, nemmeno se avesse voluto. Ormai il suo corpo aveva perso completamente quell’istinto. Non faceva più parte di lui. Così come chiunque altro.

Sembrava che il sole fosse l’unico rimasto a reclamare quel naturale diritto, mentre tramontava oltre le catene montuose che circondavano Haunted Creek.

L’ufficio dello sceriffo si trovava nella piazza principale del paese, proprio in faccia al municipio.

Quest’ultimo, nonostante fosse abbandonato da un pezzo in seguito alla resa resa con fuga incorporata da parte dell’ultimo sindaco, manteneva ancora un aspetto piuttosto curato.

Nick parcheggiò di fianco a quella che sembrava l’unica volante disponibile o forse non ancora in servizio e, una volta sceso, decise di concedersi un attimo per rimirare l’edificio.

Era interamente realizzato in legno ed era composto da un solo piano, al pari delle altre abitazioni.

C’erano un paio di ampie finestre per ogni lato, dalla tipica forma rettangolare ed allungata verso l’alto, ed altre erano disposte a livello del suolo. Ciò faceva presupporre la presenza di un seminterrato. Inoltre queste ultime, a differenza delle precedenti, erano più piccole e di forma quadrata, nonché dotate di robuste sbarre. Intuì che si dovevano trattare di quelle delle celle per i detenuti.

L’ingresso era rialzato da terra e raggiungibile mediante tre scalini di cemento, era costituito da una doppia porta, sempre di legno, con due maniglie di ottone dall’aspetto vetusto situate a media altezza e convergenti al centro. Ad una di esse vi era attorcigliata e penzolante una catena in acciaio, con un pesante lucchetto assicurato all’estremità. Davvero un sistema di sicurezza di prim’ordine, niente da dire.

Come prima impressione non era certo delle migliori. Inoltre, non si udiva un solo rumore provenire dall’interno.

Si fece coraggio. Non poteva certo rimanere lì davanti in eterno. E del resto non poteva aspettarsi nulla di meglio o di diverso da un paesino come quello, in termini di mezzi e strutture. E comunque, come gli ripeteva da sempre Carotina, mai fidarsi delle prime impressioni. Quando ci si trova per forza di cose ai margini, si impara presto a sopperire alle mancanze con l’impegno e la buona volontà.

E che fosse dannato se non era stata proprio lei a dimostrarglielo, e con i fatti.

Salì di slancio gli scalini ed entrò dalla porta di destra.

L’interno dell’ufficio era praticamente identico all’esterno, fatta eccezione per la mobilia. Appese al le pareti vi erano una sfilza di vecchie cornici contenenti gli sbiaditi ritratti fotografici degli illustri predecessori di Ricketts. Alle pareti laterali si trovavano degli scaffali di ferro contenenti schedari, cartellette e raccoglitori di vario tipo. In fondo, sulla destra, una piccola rampa di scale a chiocciola conduceva presumibilmente al famoso seminterrato.

Al centro c’era la scrivania dello sceriffo. Vuota, per ovvie ragioni. E subito a sinistra, posizionata quasi perpendicolarmente, vi era un’altra scrivania. Occupata.

Vi sedeva un’altra femmina di daino in uniforme beige d’ordinanza, ma di aspetto molto più giovane rispetto a Laureen. E non si trattava solamente dell’aspetto: anche le caratteristiche e i colori della pelliccia ne rivelavano e risaltavano l’evidente giovinezza.

Il suo manto era castano chiaro così come le orecchie, le cui punte erano nere. Una striscia più scura, tendente quasi al rossiccio, le partiva da sopra il minuscolo naso e proseguiva fin sulla nuca, dove il pelo formava un piccolo ciuffetto, e probabilmente lungo tutta la schiena. Dalla parte inferiore del muso invece, scendeva in direzione diametralmente opposta una striscia bianco latte, con una serie di pomelli uniformi dello stesso colore che la fiancheggiavano all’altezza del collo, su entrambi i lati.

Era a capo chino, intenta a digitare la tastiera di un computer che pareva vecchio come il cucco.

Non appena lo sentì entrare, alzò lo sguardo, rivelando due graziosi occhi dalle iridi color nocciola.

“Salve. Posso aiutarl...oh!”

Si zittì di colpo non appena lo vide. E la sua espressione mutò repentinamente, assumendo un’aria di gelida indifferenza. C’era qualcosa in quello sguardo che strideva, che contrastava totalmente con l’insieme dolce e gradevole costituito dal suo aspetto.

Di sicuro doveva già essere al corrente sia del suo arrivo che della sua specie di appartenenza. Eppure non faceva nulla per nascondere un manifesto ed evidente disappunto.

Si, pareva decisamente contrariata, all’idea.

E non sembrava dovuto al fatto che fosse una volpe. Sembrava piuttosto una sorta di consapevole ma al tempo stesso cocente delusione. Come quella che prova un’insegnante di scuola non appena apprende la notizia che le appiopperanno il ripetente pluribocciato ed indisciplinato che nessuno vuole. Lo sapeva benissimo che sarebbe toccato a lei, ma non poteva lo stesso fare a meno di sospirare pensando all’anno d’inferno che l’elemento in questione le avrebbe fatto passare.

Dopo qualche istante Nick decise di riprendere la parola, nel tentativo di rompere quella cortina di imbarazzato silenzio.

“Ehm...salve. Io mi chiamo...”

“Lo so benissimo chi é lei.” lo zittì bruscamente l’altra. “Lo sceriffo ha già provveduto a contattarmi e a fornirmi tutte le informazioni del caso. La sto aspettando già da più di un paio d’ore. Evidentemente non aveva fretta di arrivare qui, da quel che ho visto.”

E lei non doveva aver fretta di ritrovarselo davanti, a giudicare dalle parole. Il tono che aveva usato non era da meno dello sguardo: astioso e carico di risentimento.

“Non ci crederà, ma ho avuto subito un caso da risolvere. Fresco fresco di nomina. L’istante dopo che mi hanno eletto.” si giustificò Nick. “Non è pazzesco?”

Lei fece spallucce. Come a voler intendere che non ne sapeva nulla, né che le interessava saperlo, di qualunque cosa si trattasse.

“E comunque, io sono la vice – sceriffo.” aggiunse, un istante dopo. “Mi chiamo MAGDALENE THOMPSON.”

A quel nome Nick drizzò le orecchie e sgranò gli occhi, incredulo.

“...THOMPSON? Ho capito bene?”

“Ha capito benissimo.” tagliò corto lei. “E nel caso se lo stia chiedendo le risponderò subito, onde evitare equivoci. Si, sono LA FIGLIA di Laureen Thompson, presso cui lei é attualmente alloggiato.”

La figlia di Laureen. Questa si, che era un’autentica sorpresa. Mille domande iniziarono a formularsi e a ronzare senza sosta nel cervello di Nick, e avrebbe tanto voluto rivolgergliene qualcuna. Ma la prima conversazione da neo – colleghi non era certo iniziata nel migliore dei modi, e preferì soprassedere, per non fare la figura dell’impiccione. Era saggio non indispettirla ulteriormente.

“Come le dicevo, ero la vice – sceriffo di Ricketts. Pertanto, suppongo che il mio ruolo rimanga pressoché invariato, da questo punto di vista.” concluse Magdalene.

Detto questo, si rimise al lavoro sul pc senza più nemmeno degnarlo di uno sguardo.

Sembrava di stare in uno di quegli squallidi uffici di collocamento. E lei somigliava ad uno di quegli impiegati che accolgono di malavoglia allo sportello i disoccupati questuanti e supplicanti, e che ai loro MI AIUTI, LA PREGO, HO BISOGNO DI LAVORARE, rispondono con quell’atteggiamento di fastidio misto a disagio, rimanendo in silenzio e buttando lì a caso qualche frase di circostanza, quando in realtà vorrebbero urlare a squarciagola NON ME NE IMPORTA NIENTE DI TE, LA VUOI CAPIRE O NO? IO HO UN POSTO FISSO E UNO STIPENDIO TUTTI I MESI, PERCHE’ DEVO STARE QUI A SORBIRMI I PIAGNISTEI DI QUESTO MISERABILE FALLITO?

Non era proprio il genere di benvenuto che si aspettava. Dopo la breve e scarna chiacchierata l’atmosfera generale era da subito virata verso l’ostile, soprattutto a causa dell’atteggiamento della sua interlocutrice nonché futura collega, alquanto indisponente.

Nick rimase in piedi, immobile, come a riflettere sul da farsi.

Poi, non scorgendo alcun tipo di reazione in Magdalene alla sua presenza discreta e silenziosa, decise di riprovarci.

“...E adesso?” Chiese.

“Adesso cosa?” Chiese lei di rimando, senza nemmeno rialzare il muso.

“Beh, insomma...sono nuovo di qui e non so praticamente NULLA di questo posto. Pensavo mi potesse portare a fare un giro di perlustrazione, in modo da vedere com’é il paese e cominciare ad impratichirmi un po'...”

“Sono spiacente, ma come può vedere ho un mucchio di lavoro arretrato ed un sacco di pratiche da sbrigare. Se non ci ha fatto caso, siamo solamente in due qui dentro, lei compreso. Da quando lo sceriffo é finito all’ospedale, é rimasto praticamente tutto sulle mie spalle.” disse la vice, indicando i fascicoli sparsi alla rinfusa sul suo tavolo. “Non che prima fosse diverso, visto che Ricketts non si é mai degnato di riempire o compilare un solo modulo in vita sua. Quindi, almeno per il momento, é fuori discussione. Forse tra un paio di giorni, sempre che per allora abbia terminato.”

Nick, a quella risposta, stette a rimuginare per un altro paio di secondi.

“Mmh...le dispiace se mi assento per qualche minuto?” domandò.

“Faccia pure. Io non mi muovo di qui.” replicò Magdalene, con indifferenza.

Doveva uscire fuori di lì, assolutamente. Non avrebbe potuto rimanere un solo minuto di più.

Nick era indignato oltre ogni limite. Non poteva accettare simili discorsi, specialmente dopo aver visto una coniglietta di sua conoscenza arrivare quasi a rinunciare alla sua stessa vita pur di compiere il proprio dovere fino in fondo.

Era davvero fuori di sé. Se fosse davvero esistita la parità dei sessi, l’avrebbe presa a pugni.

Subito dopo si pentì di aver anche solo pensato un proposito così malsano.

Prenderla a pugni. Era forse impazzito?

La cosa migliore da fare era riprendere fiato, prima di tutto. Fece una serie di respiri profondi, cercando di calmarsi.

Si sentì meglio. E, d’un tratto, tutto gli si fece più chiaro.

Qui non vi era una vice sceriffo pigra ed indolente da dover riprendere e punire, ma piuttosto una persona con le idee tremendamente confuse riguardo ai propri compiti e doveri e ciò era dovuto, con tutta probabilità, alla negligenza del suo precedente superiore.

Magdalene Thompson non andava biasimata, ma RIEDUCATA. Al proprio ruolo e alla propria missione.

Del resto, ora era lui lo sceriffo, lì. E quello il suo ufficio.

Casa sua, regole sue, quindi.

La mettiamo così, mia cara? E allora benvenuta all’accademia di polizia WILDE.

Corso accelerato, prima lezione.

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Allora, ve l’aspettavate? Io no.

Si può dire che la VERA sorpresa non é stata scoprire a quale specie appartiene Magdalene, quanto CHI E’ VERAMENTE.

Scherzi a parte, la mia più grande scommessa era, oltre di rendere Nick protagonista principale, di affiancargli un nuovo personaggio femminile.

Che non fosse Judy, naturalmente.

Ok, siate clementi, che già vi vedo arrivare con le torce ed i forconi, da laggiù in fondo…

Come ho sempre detto, non ci resta che continuare a leggere.

Devo dire che l’inizio, tra i due, non é stato molto promettente. Ma neanche tra lui e Judy era tutto rose e fiori, almeno all’inizio.

Una cosa é certa: Nick non può riuscire a sbrogliare la matassa da solo. Ha bisogno di validi collaboratori. Ha bisogno di una squadra. E dovrà riuscire a vincere le diffidenze su di lui.

Colonna sonora: prima di tutto, un appunto sul precedente capitolo, visto che mi ero dimenticato.

Durante la scena del combattimento (a proposito: GRAZIE A TUTTI, DAVVERO. Ho lavorato sodo per renderla comprensibile ma soprattutto PERFETTAMENTE PLAUSIBILE, e sembra che ci sia riuscito.), provate le tre seguenti opzioni: TWO TRIBES dei Frankie Goes To Hollywood, SOME NIGHTS dei Fun, oppure SUCH A SHAME dei Talk Talk.

Riguardo a questo, invece, mentre Nick é immerso nei suoi pensieri al volante della sua macchina (spero che il pezzo sul letargo non risulti tedioso. E comunque, io proporrei il LETARGO ISTITUZIONALIZZATO, anche per noi umani: a volte sono talmente stanco che dormirei un mese filato!), provate ad ascoltarvi HIGH ON EMOTION di Chris De Burg.

Come sempre, ringrazio Plando, zamy88, salamander92, Sir Joseph Conrard, hera85, Nilson_D_Rayleigh_2001, nami92, la new entry gallade01 (guarda il tuo racconto su Tails che mi é piaciuto parecchio e l’ho recensito!), LittleCarrot e Freez shad per le recensioni.

E, come al solito, chiunque leggerà la mia storia e se la sentirà di lasciare un commento.

A tra non molto per la seconda parte!!

Grazie ancora a tutti e alla prossima!!

See ya!!

Roberto

CAPITOLO 31

MAGGIE (SECONDA PARTE)

Si era già calmato non appena aveva messo piede fuori dalla stazione di polizia.

E aveva già le idee piuttosto chiare sul da farsi. La breve passeggiata fino al Sunken Hope Saloon aveva fatto il resto, a riguardo.

Nick stazionò per qualche istante di fronte all’ingresso del locale e poi varcò deciso la soglia.

Non appena fu dentro, il vocione strascicato di Tobey lo accolse. Il barista che chiamava tutti quanti AMICO anche se magari era la prima volta in vita sua che vedeva le loro facce.

“...’Sera, amico, che ti do da b...”

Come volevasi dimostrare, per l’appunto.

“Oh, mi scusi...é lei, sceriffo.” si corresse l’attimo successivo. Era intento, come al solito e come ogni sera fintanto che il pub era ancora tranquillo e completamente deserto, a rendere meno lerci i bicchieri, i boccali e le caraffe superstiti. Da che? Ma dalle allegre e chiassose scorribande dei ragazzi di Carrington, ovviamente.

“Lo sanno già tutti a quanto pare, eh?” buttò lì la volpe.

“Beh, sa...le voci corrono sempre tutte quante molto in fretta da queste parti, amic...ehm, no...volevo dire sceriffo. Sa, non ci sono ancora molto abituato. Non ancora del tutto, amico.”

La sua dialettica era di gran lunga peggiorata, rispetto al loro ultimo incontro.

“Prende qualcosa comunque, am...ehm, no...volevo dire, sceriffo?”

“No, grazie. Sarei di servizio. Volevo scambiare due parole con Finnick, piuttosto. E’ nella sua tana, per caso?” Chiese Nick, indicando la scala all’angolo che dava sullo scantinato.

“Ehm...no, amic...mi scusi, volevo dire sceriffo. Era lì fino a un attimo fa. Adesso é andato al suo furgone e non é ancora tornato indietro.” rispose il cavallo.

“Ok, grazie. Lo raggiungo.”

“Faccia pure, am...ehm, volevo dire...”

“Tranquillo, Tobey. Ho capito perfettamente. Non c’é bisogno che tu me lo debba ripetere tutte quante le volte.” lo rassicurò lui. “A proposito: mi potresti dire dove si trova di preciso il suo furgone, per cortesia?”

“Certo, amico.” annui l’altro, muovendo la testa su e giù. “E’ parcheggiato proprio qui, sul didietro del mio locale, sceriffo.”

Tornò in strada. Sbuffava impaziente, mentre costeggiava l’edificio lungo il lato sinistro del suo perimetro. Tornando con il pensiero a Tobey, gli sembrava di aver appena sostenuto una conversazione con un cucciolo di cinque anni parecchio lento nel capire. Per non arrischiarsi a dire tardo di mente, giusto per non voler offendere la categoria. Forse per via del modo in cui gli aveva dovuto scandire le parole e specificare con cura ogni vocabolo.

Non appena giunse sul retro, lo vide.

Eccolo lì. Quanto tempo che era trascorso, dall’ultima volta che ce l’aveva avuto davanti agli occhi.

Unico ed inconfondibile nella sua carrozzeria color arancione, fatta eccezione per la banda marrone scuro che scorreva lungo tutta la parte centrale e per la portiera destra di lamiera non verniciata, riciclata dalla salma di un vecchio modello parecchi anni addietro, presso chissà quale discarica. Ma soprattutto per l’immagine speculare realizzata ad aerografo su entrambe le fiancate.

Erano sempre lì al loro posto, come le calamite e gli adesivi che trovava sul portellone del frigorifero di casa sua ogni volta che vi faceva ritorno al termine della giornata. Erano una certezza, una sicurezza.

I due lupi. Circondati da fulmini e saette azzurrognole e costellazioni purpuree, da un cielo di fuoco rosso e giallo e da una luna grigia, opaca e indifferente alla loro sorte. Un maschio dal manto castano e dal muso chiaro, e una femmina dalla pelliccia bianca come la neve ancora immacolata.

Il berserker e la sua valchiria. Lei, ingioiellata e vestita di una tunica leggera all’ultima moda vichinga. Svenuta, oppure addormentata. Questo lui non lo aveva mai capito né il suo compare glielo aveva mai spiegato. E lui, in armatura a placche e spadone punitivo a tracolla che la teneva tra le braccia, con sguardo fiero ed espressione guardinga, mentre scrutava tutt’intorno a cercar possibili pericoli o nuove imprese, proteggendo al contempo la sua adorata da ogni male e nequizia.

Gli venne da sorridere. Negli ultimi periodi trascorsi a Zootropolis, quando il sentimento nei confronti di Carotina si faceva via via più forte anche se non lo voleva ammettere in alcun modo, gli veniva spesso in mente quell’immagine. Ed immaginava lui nei panni dell’indomito guerriero e Judy in quelli della principessa indifesa. Anche se spesso e volentieri, nella realtà, si verificava l’esatto opposto. Con la sua partner che si accollava senza permesso e senza preavviso la parte muscolare delle varie missioni che affrontavano. E che tra balzi, inseguimenti, arresti, scivolate, botte prese ma soprattutto date trovava anche il tempo di tirarlo fuori dai guai e salvargli immancabilmente la pelliccia.

Chissà...la sua coniglietta preferita era anche parecchio forzuta, a dispetto delle dimensioni minute. Magari ce l’avrebbe fatta, a reggerlo in braccio. E lui in tunica, con le ciglia lunghe ed il giusto filo di trucco, magari non doveva stare nemmeno tanto male.

Fece un giro attorno al veicolo, come a volerlo ispezionare. I portelloni erano entrambi chiusi, ma si udiva un certo fracasso provenire dall’interno. Era di sicuro Finnick che stava rovistando alla ricerca di non si sa bene cosa.

Tornò appresso ad una delle due fiancate e vi mollò sopra un paio di colpi decisi.

“Finn! Ci sei?” Urlò.

“CHI CAPPERO E’?” Rispose un altro urlo scocciato da dentro il furgone. Evidentemente non ci teneva ad essere disturbato, qualunque cosa stesse facendo.

“Finn, apri! Sono io, Nick!!”

Fece ritorno ai due portelloni posteriori ma questi ultimi si spalancarono di botto prima che potesse provvedere lui, e per poco non gli sbatterono sul muso. Nick arretrò di qualche passo, ma non solo per quel motivo.

Dal retro del van fuoriuscì una densa nube biancastra dall’aroma intenso, speziato e pungente. Una musica lenta dal vago sentore latino si diffuse tutt’intorno, accompagnata a braccetto dalla seguente strofa:

“WELCOME TO TIJUANA...TEQUILA, SEXO Y MARIJ...”

Nick si turò all’istante entrambe le narici con un dito per ciascuna. Se avesse preso anche un solo respiro di quella zaffata acre e maleodorante, avrebbe fatto ritorno al commissariato sulle quattro zampe. E in retromarcia, per giunta. E non sarebbe stato un gran bel vedere.

Poi, un istante dopo, nel bel mezzo della nebbia e della musica a tutto volume fece capolino una figura. Con entrambi i piedi sul bordo del parafango, come una rockstar in procinto di buttarsi sulla folla per poi mancarla clamorosamente e spalmarsi sul cemento lasciandogli in regalo denti e zigomi, Finnick fece il suo trionfale ritorno sulla scena.

Se c’era una cosa che sicuramente non gli si poteva rimproverare era il non saper fare un’entrata ad effetto.

“QUIEN ES?!” Chiese, gridando di nuovo. Aveva gli occhi rossi come due bracieri ardenti e due occhiaie che gli stavano mangiando la faccia fino ai lati del mento.

“Finn! Sono io!” Gli rispose Nick, a debita distanza.

Il fennec strabuzzò gli occhietti.

“What the hell...macchecca...SOCIO?! Ma...ma sei davvero tu? Por todos los diablos...mi sa che non mi dovevo sparare tutti quei tiri no – stop dal mattino presto fino alla sera, per oggi...o magari era mixata male...quando ti ribecco il grande capo gli dico che era buona eccome, la robaccia che m’ha venduto l’ultima volta...”

Non riusciva davvero a crederci, a quanto pare.

“No, Finn...sono proprio io. In carne, ossa e pelliccia. Non stai sognando, e non stai nemmeno avendo un’allucinazione. Almeno é quel che spero...” lo rassicurò la volpe.

“Ma...ma non dovevi menare le tolle all’alba?”

“Già. Ma ci sono stati dei cambiamenti di programma.”

“Vuoi...vuoi dire che…”disse Finnick, con espressione sbalordita.

Nick avrebbe potuto giurare sulla sua testa che le pupille del suo vecchio compagno di truffe si erano come messe a luccicare, anche se per un solo istante. Naah. Impossibile. Uno così era capace di mettersi a fare battute sconce e a ridere da solo persino al funerale di sua sorella. Sempre ammesso che ce ne avesse mai avuta una. E fermo restando che, con ogni probabilità, era stato lui stesso a farla fuori. Probabilmente per questioni di debiti in famiglia non pagati o non riscossi, vai a sapere.

“La vuoi sapere la novità, amico mio? RESTO.” gli confidò, con un sorriso. “Mi costruisco anch’io la mia tana da queste parti, almeno per il momento. RIMANGO QUI, CAPITO?”

Il fennec balzò giù dal veicolo, raggiante di gioia.

“JIIIIEEEEEEEEEEEZUS!!” Urlò, ormai al settimo cielo. “Lo sapevo, MILLES TONNERRES! Me lo sentivo, che non poteva finire così! Che non potevi piantare in asso così il tuo vecchio SENPAI! Bentornato in famiglia, Nickybello! YUH - UUUUHHH!!”

Manifestò ulteriormente il suo entusiasmo per la lieta novella con due capriole laterali in ambo i sensi, poggiando entrambi i palmi delle mani terra e facendo una ruota, a cui fece seguire una piroetta all’indietro. Poi si buttò in ginocchio e si prostrò per per tre volte con le braccia stese a terra al cospetto della volpe, sbattendo per tutte e tre le volte la testa sull’asfalto.

“Ahr, ahr! Lo dicevo io che avevo fatto bene, ad accendere tutti quei bei rametti di incenso profumato al KITSUNE DALLE NOVE CODE, il sacro protettore di noi KOMBA!” Aggiunse sghignazzando, mentre una sottile striscia cremisi gli partiva dall’abrasione che si era appena autoprocurato. “E anche tutti i ceri per la NOSTRA SANTA VIRGEN DE GUADALUPE, per non parlare delle candele offerte in voto al NERO SIGNORE DEI CIMITERI! Valevano tutte quante ogni singolo spiccio, sissignore!!”

La striscia rossa, nel frattempo, aveva continuato a sgorgare dalla fronte e gli si era ormai biforcata all’altezza del muso.

“Figurati che le ho bagnate col mio stesso sangue, oltre che a buttargli sopra il mio RON RESERVA ESPECIAL! Te lo giuro, socio!” Rivelò, mentre mostrava le leggere incisioni all’altezza degli avambracci. “Solo che devo aver esagerato mica male, con la quantità...aveva iniziato a dolerme e a girar el cabézon...uuh, bailava che non ti dico...e allora pensavo di ritirarmi su con un poquito de quello buono...”

“Senza offesa, ma temo che le tre cose che hai elencato siano piuttosto incompatibili, tra loro. Le ultime due, specialmente, le ritengo in palese conflitto d’interessi.” disse Nick, scuotendo la testa.

“A te che in quella zucchina vuota tieni una mente MUY RESTRECHA. Ristretta, socio. Come dico sempre io, nel dubbio PREGA TUTTI. Magari, nel mucchio, qualcosa te la porti a casa.” rispose Finnick.

Poi, qualcosa attirò la sua attenzione.

“Wait, wait, wait...aspetta un secondo. Ma che accidenti é quella patacca che ti hanno appiccicato al petto? Oggi é Carnevale e me lo sono perso, per caso? Oppure é Halloween? Devo controllare il mio calendario più spesso, GODDAMMN’IT!!”

“Significa proprio quello che vedi.” precisò Nick, indicandola.

“Ma...me lo spieghi, il perché? Già non ci credevo, quando ti eri messo in testa di fare il piedipiatti, giù a Zootropolis...dopo tutte le rogne che ti sono capitate ancora non ti é passata la fregola, socio?”

“Sai com’é...alle volte non sei tu a cercare i guai, ma sono loro a cercare te. E, quando ti trovano, non puoi certo deluderli. E comunque piantala di fare il finto tonto e di volermi dare a bere che non lo sapevi. Ne sono a conoscenza anche i sassi, ormai.”

“Oook, socio. Mi hai preso in castagna. Avevo il file già aggiornato, a riguardo. Ma adesso dimmi una buona volta cosa ti ha portato di bello a visitare il mio ufficio, così all’improvviso.”

“Avevi detto che ci tenevi tanto a volerti rimettere in società con il sottoscritto, no? E allora si da il caso che io abbia un affare da volerti proporre.”

“Spara. Sono tutt’orecchi.”

“Ecco, bravo. Zitto e ascolta, perché non é proprio quel che pensi, mi sa.”

Magdalene era ancora seduta alla scrivania, alle prese con l’ennesimo modulo dell’ennesimo fascicolo, quando udì due voci provenire dall’esterno, sulla strada. Sembravano impegnate in una discussione parecchio concitata ed erano in costante avvicinamento. E una delle due le pareva già nota.

“Esta bien, socio. Ma ancora non ho capito bene cosa cavolo vuoi da me.”

“E dai, Finn! Volevi un’opportunità per tornare a lavorare col qui presente ed io ti ho accontentato. E’ così che ripaghi la mia fiducia?”

"Ho capito, ma qui si tratta di fare lo sguattero!”

“Esagerato...in fin dei conti ti chiedo solo di venire in ufficio per qualche ora a compilare fascicoli e a tenere un po' in ordine. Pensi di non poterne essere capace, forse?”

“Non ho mica detto questo, ma...”

“Dopotutto é quel che già fai da Tobey, e non é che ti ammazzi certo di lavoro. Potresti venire qui nella parte libera della tua giornata: mattina oppure pomeriggio, come preferisci.”

“Mmmh...dovrei prendermi un po' di tempo per pensarci su, sai...”

“Ora basta, Finn! Ultima offerta, prendere o lasciare! Ho detto che ti darò persino una fetta del mio stipendio da sceriffo...che vuoi di più, ancora? Ti offro il venti per cento, come hai vecchi tempi.”

“Eh, no! Niente da fare, socio! La paga va adeguata al contesto socio – economico, mio caro. Lo sai che son tempi duri: la crisi, la recessione, la febbre asiatica, il crollo delle borse, le cavallette, il terremoto...o il CINQUANTA per cento, o niente. In fin dei conti, sei tu che mi sei venuto a cercare.”

“E va bene, affare fatto. Vada per il cinquanta per cento. Contento, ora?”

“REALLY? Davvero?”

“Si, davvero. Basta che accetti e che la pianti di rompere, una buona volta.”