Arte contemporanea

di lady dreamer
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Conan Doyle e BBC. Questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro.

 
L'artista moderno, mi pare, lavora per esprimere un mondo interiore;
in altri termini: esprime il movimento, l'energia e altre forze interiori.

Jackson Pollock
 
 
Arte contemporanea
Capitolo I
 

Arte contemporanea. Mah.
Non ti persuade troppo. Non la capisci. Non ti interessa.
È roba pretensiosa, per lo più.
Pensi, almeno.
Mai approfondito più di tanto.
Fino a due giorni fa quando Mike Stamford, il tuo caporedattore, ti ha affidato l'intervista che Sarah, a letto con l'influenza, non può fare...
 
Le interviste già come genere non ti piacciono. Poi farne uscire una decente non è mica facile. I vip dicono tutti le stesse cose rispondendo alle stesse trite e ritrite domande.
Ti tocca studiarti vita, morte e miracoli di chi vai ad intervistare, sperando che abbia commesso qualche passo falso per smascherare i suoi giochi di prestigio.
Tutti hanno degli scheletri nell'armadio, ma bisogna essere abili per tirarli fuori. Perché se non riesci a far ammettere all'intervistato come minimo che è stato bocciato a scuola, che è stato vittima di bullismo o di stalking, che è bisessuale, che ha rubato soldi pubblici o che ha fatto uso di droghe non fa notizia. E il caporedattore ti fa la sua solita predica, che giochi al ribasso, che non avrai mai la promozione, ecc ecc. Tutte cose che questa volta non vuoi sentirti dire.
 
Così hai studiato a fondo il caso del tuo prossimo articolo.
Un artista che spaccia giornali strappati e neon rotti come un capolavoro dall'illuminante titolo: "Opera 235", come se a te dovesse dire qualcosa...
Le sue opere sono stimate con quotazioni assurde che non riesci minimamente a spiegarti, i critici inglesi lo definiscono come uno dei migliori artisti del panorama contemporaneo e manco a dirlo corteggiato dalle testate di tutto il mondo.
Ma lui non rilascia interviste.
Di solito.
Ma sta volta, chissà per quale assurdo motivo, ha deciso di accontentare i piani alti del Times e farsi intervistare, seppure solo per mezz'ora, tra un appuntamento e l'altro, li al 221 B di Baker Street dove è allestito il suo atelier.
 
L'atelier è un insolito spazio espositivo celato dietro un portone d'ingresso stranamente ordinario. L'unica stravaganza è appunto che non ci sono stranezze. Almeno sembra.
Suoni al campanello.

- Chi è? - una voce femminile. Sembra appartenere ad una donna non più molto giovane. La cameriera? La segretaria? Sua madre?

- John Watson.

Sua madre no. Ti senti di escluderlo, mentre dice, con fredda amichevolezza:- Entri, prego.
 
Entri nel pianerottolo. Ci sono diciassette gradini che compongono una scalinata ordinaria, grigia, un grigio scuro, non sapresti dire se grigio caldo o grigio freddo o grigio topo morto o com'altro si dirà nel gergo.
Ti senti un perfetto ignorante.
Di colori, di pittura, di tecniche di espressione artistica in genere... Che cazzo ne sai tu?
Sei rimasto a William Turner. Come spettatore passivo e inesperto ti piacciono i paesaggi, per riflettere se sono in quiete o per riflettertici se sono a soqquadro. Se devi figurarti la tua vita la definiresti un mare in tempesta. O più precisamente una tempesta di Turner. Di quelle che l'acqua si vede che non schizzerà mai fuori dalla tela ma che per un attimo si ha la vaghissima quanto illusoria sensazione che questo possa avvenire.
 
Nasci come reporter di guerra. Sei stato in Afganistan. Tu e i membri della tua troupe vi siete trovati nel bel mezzo di un agguato mentre raccoglievate notizie per il reportage cui stavate lavorando. Carl, il fotografo, è stato ucciso subito, tu e gli altri due uomini della troupe siete stati sequestrati. Quattro mesi di prigionia. Sei vivo per miracolo. Il reportage che avrebbe dovuto renderti famoso non è mai stato realizzato. La Reflex con le foto è stata distrutta, e dopo quei quattro mesi a stento hai avuto la forza di portare la tua ferita alla spalla e la tua zoppia psicosomatica - eccoli gli unici regali di quel periodo - da un'analista.
Non che sia servito a molto, in realtà.
 
Lavori al Times, ma, disgraziatamente, sei l'ultima ruota del carro.
E forse proprio questa dannata intervista potrebbe portarti la notorietà che cerchi... Che cercavi.
In fondo, dopo l'Afganistan non è che ti importi poi tanto. Ti sei riscoperto stanco. Spossato dalle tue passate ambizioni. Riesci a stento a stare dietro ai tuoi ritmi. Riesci a stento a stare dietro ai tuoi sogni... A quelli che un tempo erano i tuoi sogni, ma che ora sono solo degli obiettivi fissati in un momento di esaltazione e che persegui per abitudine. Per spirito di sopravvivenza.
 
Ma davvero è questa la tua vita?
Quello che è rimasto dalla tua vita?
Che disastro...
 
Alzi gli occhi dai gradini della scalinata...ma che cazzo sarebbero quei pezzi di carta che sembrano cascare dal soffitto? Sembra carta da parati sporca e logora che qualcuno si è scordato di far rimuovere prima di riverniciare... Non capisci perché uno sfondato di soldi come dovrebbe essere questo qui si tiene per le scale dello studio quell'obbrobrio scorticato...
Magari ha problemi economici che cerca di camuffare ostentando dei mezzi che non ha più, senza pensare che quel soffitto parla da solo e la dice pure lunga! Questo si che sarebbe uno scoop, eh, John?
 
- Salve - dici, entrando nella stanza d'ingresso.
Ci sono delle poltrone. Una rossa e una nera.
In mezzo ad una stanza verniciata completamente di bianco.
Con - non sai dire esattamente - delle... macchie? Del colore buttato a casaccio? Quantomeno delle cose disarmoniche e presumibilmente casuali buttate sul muro.
Ti avvicini ad una delle pareti. Ma quelli sono...? Buchi? Buchi nel muro?
Ma che... Sembrano fatti con...?

- Una pistola si. Calibro 38.

Ti volti di scatto.
 
Un uomo dal fisico slanciato, anzi, un tipo decisamente alto. Abiti dal taglio elegante: un paio di pantaloni neri, una camicia violacea di seta, con le maniche arrotolate all'altezza dei gomiti - che sdicono notevolmente con la fattura sofisticata dell'indumento.
Dovrebbe essere questo qui il tipo che devi intervistare.
Capelli ricci e scuri, occhi chiari - chiari, poi, ma grigioazzurri? Cerulei? - sembra essere lui.
Fai cenno di volergli stringere la mano, ma non sembra minimamente farci caso, indaffarato com'è a fissarti.

- Come...? - vorresti chiedere spiegazioni su... Su tutto in realtà. Sulle scale, sulla sala, su di lui, se è effettivamente il tipo che devi intervistare. Ma non ti fa parlare.

- Afganistan o Iraq? - chiede, con la sicurezza sfacciata di quelli che tirano coltelli alle fiere. 

- Afganistan... Ma? Come?

Lo sconosciuto ti guarda con uno spropositato senso di superiorità, accomodandosi le maniche della camicia. - È così evidente... - la sua voce profonda è uno sbuffo, un commento annoiato.
 
Non capisci. Semplicemente non capisci. Hai cercato di fare meno pubblicità possibile alle tue disavventure in Afghanistan e anche in redazione lo sanno in pochissimi. Non ti piace dover dar conto delle tue vicissitudini. È stato solo una grave delusione che non ha portato niente alla tua carriera. Ti stupisci che questo qui possa essersi informato e aver scoperto queste cose di te che hai tentato di nascondere. Oppure che l'abbia dedotto... ma da cosa? Non capisci.
 
- Ma dove...? - ti lasci sfuggire, ad alta voce.

L'artista non risponde, alza le sopracciglia e sparisce lungo un corridoio che non sai dove porti.
Sei sconcertato.

- Sherlock è fatto così... - una donna, presumibilmente quella che ti ha risposto al citofono, ti porge la mano, indirizzandoti uno sguardo comprensivo. - Piacere, io sono la signora Hudson, la padrona di casa - le stringi la mano - Lei quindi è Watson?

Annuisci piano. - Si, John Watson, del Times... Sono qui per l'intervista...

- O certo, caro, Mycroft me l'aveva detto.

Corrughi istintivamente la fronte. - Mycroft?

La signora Hudson sorride debolmente. - Il signor Holmes, il fratello di Sherlock. È il suo manager, sicuramente ha parlato con lui per fissare l'appuntamento...

Fai un attimo mente locale. Non riesci a rinunciare ad una vena di ironia. - Ah. Il tipo che due ore fa mi ha sequestrato con una macchina nera per accertarsi che non fossi un pazzo fanatico affetto da disturbi psichici che avrebbe potuto fare del male al signor Holmes?

La signora Hudson sorride con più decisione. - Uhm... Suppongo che sia proprio lui. Ma lo scusi, sa, adotta dei metodi poco ortodossi delle volte, ma fa solo il suo lavoro in fondo, proteggere Sherlock.

Capisci che non dev'essere facile gestire quel tipo che in meno di due minuti è riuscito a capire che ti stavi interrogando sui buchi sulla parete del suo salotto e intuire il tuo passato burrascoso in Afghanistan. E che in più per il lavoro che fa è sovraesposto all'attenzione dei media. Avevi letto che è molto ritroso con i giornalisti, che spesso fa delle uscite infelici ed ha un caratteraccio, ma questo non giustifica che suo fratello per sincerarsi del tuo comportamento ti sequestri. Ne hai decisamente abbastanza di sequestri.

- E ho capito, ma a me stava per farmi prendere un infarto e mi ha pure minacciato di non azzardarmi a far menzione all'incontro sul giornale se no non so che cosa mi avrebbe fatto.

La signora Hudson si limita ad alzare le spalle, evidentemente non troppo scossa da queste rivelazioni. - Sa essere così teatrale quando vuole...

Che questa sia la normalità tra gli artisti? Non riesci a capacitartene. - E me ne sono accorto.

Restate in silenzio. Tu guardi perplesso le pareti e la signora Hudson ti osserva con sguardo compassionevole. - Gradisce una tazza di te?

Declini gentilmente l'offerta. - No, grazie, non si disturbi... Mi dica, piuttosto, lei da quanto conosce i fratelli Holmes?

Ma il signor Holmes junior non dà il tempo alla signora Hudson di rispondere, ricomparendo in salotto con indosso un cappotto nero e sistemandosi intorno al collo una sciarpa blu - Penso che dovremmo andare. - si limita a dire, con quella sua voce quasi baritonale a cui non riesci ancora ad abituarti. E suona come un ordine, non tanto come l'esortazione amichevole che tecnicamente dovrebbe essere.

Strabuzzi gli occhi: - Dove?

Holmes ti guarda come se non sapessi il nome della Regina. Con lo stesso tono sdegnato che dà per scontate cose che non lo sono. - In aeroporto, dove sennò?

Non capisci. - In aeroporto?

- Ma certo, Mycroft non gliel'ha detto?

Fai mente locale. No. Non ti ricordi che si sia fatto menzione ad un aeroporto, ma, oddio, considerata la situazione, è del tutto probabile che, cercando di farti un'idea delle intenzioni di quel pazzo, tu ti sia perso qualche particolare per strada.

- Non c'è tempo, ho una mostra a cui presenziare. Non se ne stia li impalato, si dia una mossa. E alla svelta che l'aereo non aspetta, mio fratello non è riuscito a riservare tutti i posti, quindi stiamo alla merce alle angherie della British Airways.

Ti toccherà fare l'intervista nel tragitto fino all'aeroporto, insomma, ti aspettavi un po' più di tempo e un po' più di calma, ma ok, non puoi farci niente. Dici una parola di saluto alla signora Hudson e gli vai dietro.
 

Lui chiama un taxi. Ci entra dentro e snocciola la destinazione mentre tu ti stai ancora sedendo sul sedile posteriore accanto a lui. Accenna al dover partire. Ma dove può mai andare senza altro bagaglio che quella tela imballata alla bella e meglio in una busta di plastica gialla che accenna a volersi tenere in braccio per tutta la durata del tragitto in taxi?
Mah...

- Cosa c'è in quella busta? - domandi, timidamente.

Holmes ti riserva un altro dei suoi sguardi saccenti. - Un quadro, ovvio.

Ti senti di insistere, nonostante il suo tono indisponente. Potrebbe essere uno scoop, del resto.
- E cosa rappresenta?

Holmes risponde seccamente, guardando la strada oltre il vetro del taxi. - Farebbe meglio a girare alla prossima, arriveremo prima - snocciola al tassista che non accenna a protestare per l'intrusione e si limita a borbottare parole che non cogli ma di cui immagini il senso. Assisti alla scena stranito. Poi Holmes si volta verso di te e, come se niente fosse, risponde alla tua domanda:- Una nuova frontiera dell'arte.

Ci metti un attimo a cogliere il senso della frase, pensando ancora alle intrusioni del tuo bizzarro aspirante intervistato. - Intendo il soggetto che rappresenta...

Holmes si mantiene volutamente suo vago. - Lo vedrà lei stesso.

Non capisci. Vuoi concederti un'esclusiva sul quadro di sua spontanea volontà? C'aveva addirittura già pensato? La cosa ti lusinga non poco. Ma sbagli a mostrare prematuri segni di entusiasmo.
- Quando?

Holmes stoppa velocemente il tuo interesse. - Quando arriveremo.

Annuisci. Del resto, già è inusuale fare un'intervista in un taxi, mettersi anche ad esaminare uno dei suoi assurdi quadri mentre il tassista sbuffa in effetti non è il massimo. Però il tempo incalza.
- Le posso fare le domande almeno? - insisti.

Holmes non si stupisce della tua richiesta, stavolta. - Mi chieda quello che deve, così la facciamo finita presto. - Il dipinto imballato sempre sulle ginocchia, porta le mani sotto al mento, lanciando occhiate di malcelata sufficienza.

- Posso registrare?

Sguardo da: è così stupido che ha bisogno di registrare quello che dico?
Ma fa un cenno con il capo quasi impercettibile, e ti sembra un sì.
Accendi il registratore ma sotto il suo sguardo indagatore non hai il coraggio di tirare fuori dalla tasca dei jeans il foglietto spiegazzato che contiene le domande che ti eri preparato.

Ti schiarisci la voce.
Allora...
- Beh, mi dica di questa mostra da organizzare. - vago, troppo vago - Che cosa bolle in pentola? - ti penti di averlo detto già mentre lo stai ancora dicendo. Vorresti scomparire.

- È un'esposizione di qualche opera in un atelier semisconosciuto ma elegante a cui parteciperà la solita gente noiosa che mio fratello continua ad invitarci. Non capiscono un tubo di arte contemporanea, anzi, forse non ci capiscono niente dell'arte in genere, ma se pagano per i miei quadri io non posso farci niente, non sono tenuto ad accertarmi che capiscano. E se non capiscono... insomma fatti loro, a me non interessa.

- Non pensa che le sue, ma anche le altre per carità, opere di arte contemporanea siano un po' difficili da capire? Per la massa - ti affretti ad aggiungere.

Holmes si limita ad indirizzarti un’occhiata di stizzita commiserazione. - No. Basta osservare ed essere dotati di un cervello che funzioni.

E non lo sopporti. Non riesci a trovare una giustificazione alla sua supponenza che non c’entri con il fatto che lui, con tutti i suoi scarabocchi senza senso, si senta superiore a un qualunque normalissimo essere che non comprende il senso di quei pastrocchi. - E allora mi spieghi che senso avrebbe imbrattare in quella maniera le pareti del salotto... Perché l'ha fatto apposta, vero?

- Oh, com'è perspicace. - ironizza, lanciandoti un’occhiata gelida - Ma è ovvio che l'ho fatto apposta. È un capolavoro! Ci ho messo mesi per farlo, giorni e notti a pensare e progettare e mandare tutto all'aria e ricominciare.

Lo guardi senza comprendere. I nervi sempre più scossi. - Ma che senso ha?

Sherlock Holmes non si scompone affatto. Chiude gli occhi. Il mento elegantemente sorretto dalle mani giunte. - Pollock.

- Pollock?

Alza un sopracciglio, senza aprire gli occhi. - Pollock. Action painting. È ovvio.

Tieni le mani strette l’una nell’altra, tormentandoti le nocche con le unghie, cercando di trattenere l’irritazione. - Ovvio, certo.

Holmes apre finalmente gli occhi, ma non abbandona il suo atteggiamento serafico. E strafottente. - Lei guarda ma non osserva.

Hai sempre odiato quelli che vogliono darti lezioni. Trovi che la loro aria di superiorità sia superflua e finta. - E questo che cazzo c'entra?

- C'entra. C'entra sempre con gente come lei.

Sapevi che quel tipo che sarebbe stato irritante, ma non avresti potuto immaginarlo insolente fino a questo punto. Allenti un po’ i freni. - Gente come me? E come sarei io, sentiamo?

- Lei è un ignorante. Non capisce assolutamente niente di arte...

- Il lettore medio del Times non è tenuto ad essere un esperto d'arte!

- Ecco perché non leggo mai i giornali. Non c'è mai niente di interessante. All'infuori dell'arte è tutto così noioso... Non trova anche lei che la sua vita sia noiosa?

- Ma che ne sa lei della mia vita? Che gliene importa? Si faccia i cavoli suoi.

Il tassista vi lancia un’occhiata visibilmente preoccupata dallo specchietto retrovisore.
Holmes non si scompone. Ti guarda alzando appena le sopracciglia. - Dice così anche alla sua analista?

- La mia anali... - fermi tutti, come... Non è normale, quel tipo alto e pallido che se ne sta placidamente seduto ingolfato in un lungo cappotto nero e che si tiene addosso una busta gialla con dentro una tela, sempre quello di prima che spara ai muri e ci butta il colore a cazzo… Sempre quello che devi intervistare e sembra che lui stia intervistando te… - Che ne sa lei se ho un' analista o no?

- Ce l'ha scritto in faccia. In analisi da mesi senza alcun risultato.

- Lei... - no, John, datti una regolata, non puoi urlargli contro tutti gli improperi che si accavallano nella tua testa - Lei... Non dobbiamo parlare di questo.

Holmes accenna un sorriso sarcastico. - Per una volta sono d'accordo con lei.

- Bene. - sentenzi.

Lui ti lancia una sprezzante occhiata di sbieco. - Bene!

E ne ve state in silenzio, mentre il tassista continua a tenere d’occhio la situazione sul sedile posteriore dove sedete, senza fidarsi del vostro momentaneo stare zitti.
Per quanto possa essere irritante, devi continuare a intervistare quel tipo indisponente.

Rispolveri uno dei grandi classici dell’intervistatore disperato. - Pensa che quella dell'artista sia una figura professionale troppo idealizzata o troppo poco valorizzata?

- Entrambe. Siamo degli esseri umani. Facciamo tutte le cose che fanno gli esseri umani in genere, più o meno. Anche se, parlo per me almeno, io mangio bevo dormo poco, a volte per niente. Mi piace camminare ma a volte sto chiuso in casa per giorni senza uscire, in cerca di ispirazione. E suono il violino, quando mi pare, senza farmi tanti problemi, anche se non sono un asso in questo, devo ammetterlo. Ma mi aiuta a pensare, a scandagliare gli abissi dell'ispirazione per poi tornare a concretizzare tutto. È bene che lei sappia queste cose vista la situazione in cui ci troviamo.

Ma che situazione e situazione? Vuole tirare fuori un violino da quella busta e iniziare a suonare di punto in bianco nel taxi? Ti rassegni a non capire.

Holmes t’indirizza un’occhiata di eloquente supponenza. - Comunque, non intendo cambiare le mie abitudini per lei, queste sono e queste resteranno.

Continui a non capire. Alzi appena le spalle. Non ti interessa. Ti importa molto di più mettere insieme un’intervista decente e avere quella tanto sospirata promozione, che sarebbe anche l’ora.
Sospiri nel modo più impercettibile che riesci.
- Posso farle un'altra domanda?

L’artista non si scompone affatto. - Dica.

Cerchi le parole per articolare una domanda di taglio sartoriale e di stampo intellettualoide. Così magari Holmes la smetterebbe di considerarti un ignorante indegno di intervistarlo. - Lei... - indugi, mentre Sherlock ti guarda fisso negli occhi con quei suoi occhi impenetrabili ed espressivamente introversi. Chi sei tu per guardare dentro quegli occhi e pretendere di comprendere qualcosa della persona che li porta in giro? Ti schiarisci la voce. Lui torna a guardare per un istante la strada di fronte a lui, oltre il poggiatesta del sedile del passeggero. Quasi ti tranquillizza questa rinnovata assenza di contatto visivo. Riprendi coraggio e torni a formulare la tua domanda di prima.
- Questo rapporto tra musica ed arte... Come lo definirebbe?

Holmes non distoglie gli occhi dal punto che fissa oltre il vetro. - Interessante.

Corrughi la fronte. - E poi?

Lui si limita a guardarti nuovamente negli occhi. Alza appena le sopracciglia. - Intrinseco.

- E...?

Le sopracciglia tornano al loro posto, ma il tono del loro proprietario continua ad essere il medesimo. Seccata condiscendenza. - Mi dica cosa vuole che dica, io lo dico e la facciamo finita.

È da più di trenta minuti che hai incontrato quest’uomo e continui a non comprendere. Eppure la metà del tempo l’avete passato a parlare. Certo, bloccati dalle convenzioni che regolano il rapporto tra un intervistatore e il suo intervistato, e il pregiudizio tuo nei suoi confronti e suo nei tuoi non ha fatto partire questa conoscenza sotto i migliori auspici (e non puoi non considerare tra le note a suo demerito la propensione di suo fratello a sequestrare la gente), ma ti aspettavi una risposta diversa ad una domanda così vaga a cui un esaltato come dovrebbe essere lui dovrebbe essere in grado di rispondere in modo eloquentemente forbito e incidentalmente incomprensibile. Volevi una frase intelligente da poter usare come citazione nella didascalia alla sua foto o come occhiello del titolo dell’articolo. Sei un po’ deluso.

- Per carità, è libero di dire quello che vuole.

Holmes non sembra persuaso della tua reazione. - E allora questo è quanto. Non so descriverlo diversamente. Interessante ed intrinseco. È radicato nella natura stessa del sublime. Arte e musica, immagini e melodie, sono intimamente connessi, diversi folgoranti riflessi dello stesso prisma di cristallo che scompone le Arti in quelle che conosciamo. - e d’un tratto parla in modo concitato, ha lo sguardo rapito...finché... - Il plurale forse è improprio.

Se dovessi davvero comportarti coerentemente a quanto il tuo istinto ti spingerebbe a fare, se non lo controllassi, beh, allora dovresti presumibilmente tentare ogni mezzo per ammazzare quel saccente pittore fuori di testa seduto affianco a te in questo dannato taxi. E non puoi. In primo luogo perché non potresti intervistare un cadavere. E non avresti la tua promozione. E se lui morisse, in presenza del tassista testimone, presumibilmente non ci vorrebbe un consultive detective per ipotizzare un tuo coinvolgimento. Così si spiega il tuo far ricorso alle tue basilari conoscenze in campo di auto training. Ti imponi di respirare e di contare fino a dieci cercando di filtrare il tuo evidente sdegno.

- Non sono pagato per aggredirla, ma nemmeno per farmi umiliare da lei!

- Ha finito con le sue inutili domande? Che gliene importa sapere qual è il rapporto tra musica e arte secondo me? Importa a stento a me, che non lo so nemmeno definire bene come vorrei...

La tua obiezione non si fa attendere per molto: - Su questo si sbaglia, è stato fantastico.

Holmes ti indirizza uno sguardo incredulo che per un attimo rispecchia pienamente la tua stessa espressione. Una delle cose che proprio non ti saresti aspettato di fare è metterti a elogiarlo. E non sai se è più strano ammetterlo o intuire l’incredulità negli occhi di Holmes. È un artista saccente e convintissimo di avere sempre ragione… davvero si stupisce che qualcuno glielo riconosca?

Deglutisci. Ti affretti ad aggiungere una qualsiasi altra cosa. - Ma lei resta una delle persone più irritanti che io abbia mai incontrato.

Holmes accenna un sorriso. - Non è il primo che si lamenta del mio carattere, ma di solito la gente si tiene a distanza da me è basta. Non mi dice che sono fantastico nella stessa frase.

Scuoti energicamente il capo. - Allora... No. Io non ho detto che lei è fantastico, ma solo quello che detto prima e dopo di insultarmi.

L’artista alza le sopracciglia, ma il suo sorriso non accenna ad intristirsi. - Ok. Abbastanza nella norma allora.
 

Il taxi è giunto a destinazione. Holmes allunga un paio di banconote al tassista e accenna ad uscire dall’abitacolo. E adesso?
- Siamo arrivati...

Lui esce dalla macchina, con la busta gialla in mano, rispondendoti senza guardarti negli occhi. Ma intuisci senza bisogno di altre prove che il suo sguardo sia corrucciato e vagamente indisponente. - Le piace constatare l'ovvio...

Gli vai dietro. - Ma io non avrei finito...

Questa volta non esita a voltarsi verso di te, ti indirizza un’occhiata significativa:- Certo che non ha finito, mi segua.

Il taxi accenna a partire. - Ma lei non ha delle valigie?

Holmes alza appena le spalle:- Neanche lei le ha.

Non capisci. Mica tu devi partire per organizzare una mostra. - E questo che c'entra?

Lui non si disturba a risponderti. - Comunque penso che Mycroft si sia preoccupato di tutto.

Lui ha preso a camminare in direzione dell’entrata dell’aeroporto. Lo segui. Ve ne state in silenzio per qualche secondo. Fa ripartire la registrazione sul cellulare. - E... Arriviamo alle domande imbarazzanti...

Holmes ti indirizza uno sguardo divertito. - Dubito che possa mettermi in imbarazzo davvero.

Non ti piace fare domande sulla vita privata alla gente, ma si da il caso che lui non sia la gente, ma l’artista super chiacchierato da cui devi ricavare non solo le frasi altisonanti sul valore dell’arte da usare come occhiello dell’articolo, ma anche un titolo scandalistico per fare lo scoop che ti faccia timbrare la pratica della promozione. - Lei ha una relazione?

Holmes non si scompone affatto. - Con una persona intende?

Corrughi le sopracciglia.

- Sono sposato con il mio lavoro, non ho tempo per altro.

Molto diplomatico, glielo riconosci. - E nel passato?

Arriccia lievemente la fronte. - Che gliene importa?

Cerchi di articolare la frase con il massimo tatto di cui disponi. - Ci sono voci su una sua...presunta... omosessualità…

Holmes accenna appena un sorriso. - Non le salterò addosso in aereo se è quello che teme.

Prendi mentalmente nota di quel sorriso. Perché ti ha sorriso? Perché è vero oppure perché lo diverte l’idea che ci sia gossip di questo tipo in giro? Non puoi restare nel dubbio. Tu in quanto John Watson si, sia chiaro, non te ne frega niente. Ma a te, in quanto giornalista in cerca di scoop si, ti interessa terribilmente.
- Quindi non le smentisce?

Alza appena un sopracciglio. - Non le alimento nemmeno.

- Ma lei ha detto...?

Holmes non si spreca neanche a sorridere. - Ironia, mai sentito parlare? - e si dirige spedito verso una stanza privata, ignorando bellamente tutta la gente che, carica di bagagli, aspetta il proprio turno all’accettazione.

Ti si arriccia automaticamente la fronte. Rallenti, indirizzando uno sguardo interrogativo ad Holmes. - Non andiamo al check-in?

Lui non si scompone affatto. - No, io non faccio mai la fila.


Compare la ragazza che ti ha scortato in macchina fino al cantiere abbandonato dove hai incontrato quel pazzo di Mycroft Holmes, armata del suo solito blackberry.

- Da questa parte, signor Holmes... - e vi fa strada entrando per prima in un corridoio oltre una porta su cui è scritto "vietato l'ingresso a non autorizzati".
Ti squadra dalla testa ai piedi con un’espressione di indifferente incredulità dipinta in faccia. - E lei è ancora qua?

Le regali un sorriso forzato. - A quanto pare.

- Prego, per di qua... Ho già consegnato i documenti e fatto imbarcare i bagagli. Il controllo sicurezza ovviamente è superfluo. - si limita ad aggiungere Anthea senza degnarti di un altro sguardo, conducendovi per un’aria dell’aeroporto che non avevi mai visitato, e anzi, che pensi che non sia affatto accessibile ai comuni mortali come te.

Indirizzi uno sguardo vagamente divertito ad Holmes. - Lei potrebbe organizzare un attentato terroristico e nessuno potrebbe fermarla...

Lui non reagisce se non rispondendoti con il suo solito garbo strafottente. - E quindi sarebbe terribilmente noioso. E io evito accuratamente tutto ciò che potrebbe annoiarmi.

Una filosofia di vita che in linea di principio condividi, ma che in pratica purtroppo non è di semplice realizzazione. Tutti vorrebbero poter non fare le cose che li annoiano, ma pochissimi hanno davvero la libertà di scegliere in modo così radicale con un criterio di giudizio così personale e soggettivo. - Anch'io ci provo, ma non sempre ci riesco.

Holmes si ferma a studiarti. - Che cosa l'annoia?

Inclini appena la testa. Interrompi la registrazione. Guardi appena per un millesimo di secondo dritto negli occhi di Sherlock Holmes, per poi distogliere miseramente lo sguardo e continuare a camminare dietro ad Anthea. - Troppe cose perché possa dirle tutte...

L’artista ti segue, e ti affianca velocemente. Sembra incuriosito dalla tua reticenza. - Che cosa non l'annoia allora?

Ti si corruga la fronte. - Non l'annoia sapere cosa m'annoia o non m'annoia?

Holmes alza appena le sopracciglia. - Evidentemente non abbastanza da non chiederglielo.

- Dovrei esserne lusingato?

- Io non prescrivo comportamenti, mi limito ad osservarli.

Accenni un sorriso. - Se non sono troppo noiosi...

Holmes sorride a sua volta. - Ovviamente.

Non capisci da dove sia germogliato questo stralcio di conversazione. È strano.
E non sai perché ma è bello vederlo sorridere.
 

Gli vai dietro. E capisci dove siete. Una sorta di corridoio privato che vi conduce direttamente sull'aereo... ma ste cose non esistono solo nei film di James Bond?
Anthea porge dei biglietti all’artista che continua a portarsi dietro la terribile busta gialla. - Prego signor Holmes... Business class, come desiderava. - e sparisce, silenziosa come era comparsa.

- Ma io... - esordisci.

- Venga non si preoccupi, è tutto organizzato - Holmes individuando il suo posto e vi si va a sedere, mentre tu lo segui imbambolato. Non capisci. Pensi di esserti perso qualche passaggio dell’organizzazione. - Potrebbe mettere questo li nel portaoggetti? Sempre se ci arriva... 
Una hostess arriva sorridente ad aiutarlo con la busta gialla senza rendere necessario il tuo intervento. Così ti limiti a sbuffare. Il signor Holmes ti fa segno di sederti affianco a lui. 

- Ha altre domande? - chiede.

Non capisci. Non dovresti dove sei, ma ti siedi affianco a lui. - A che ora parte l'aereo?

- Non saprei. Suppongo tra mezz'ora.

Fai un breve calcolo mentale. Hai ancora un quarto d’ora forse prima di dovertela necessariamente squagliare dall’areobus. - Ah.

Holmes ti guarda con un’espressione tacitamente sollevata, vista la tua assenza di parole articolate in frasi di senso più compiuto di un monosillabo onomatopeico. - Fine delle trasmissioni allora?

Ti affretti a riprenderti dai tuoi pensieri. Fai ripartire la registrazione. - No. No. Un'ultima cosa... Cosa pensa di William Turner?

Holmes si lascia sfuggire una smorfia. - Turner? È superato ormai.

- Ah.

Ti guarda con un certo divertito disappunto. - Cos'è? Il suo pittore preferito o l'unico che conosce?

Sospiri sonoramente. - Lei mi ha scocciato!

- La British Airways augura buon pomeriggio a tutti i passeggeri del volo, sperando che trascorrano una piacevole traversata...

Holmes continua a non farsi influenzare dal tuo tono irritato e continua a dilettarsi a lanciarti frecciatine. - Chi ostenta alcune conoscenze personali lo fa perché del resto non conosce nulla.

- Io non ostento proprio nulla.

- Cosa penso di Turner? Cosa voleva che le rispondessi?
- Quello che pensa!

Sotto tutti i sedili in caso di bisogno troverete i giubbotti di salvataggio, quelle che sto indicando invece sono le uscite di sicurezza, siete tutti pregati di prestare attenzioni alle seguenti più specifiche istruzioni...

Holmes comincia ad argomentare con la sua voce quasi baritonale con il tono dialettico - dimostrativo con cui pensa di vincere qualsiasi schermaglia verbale. Potrebbe fare il maestro di eristica se non dipingesse quadri strambi e perfettamente inutili e sopravvalutati. - Un pittore di arte contemporanea non può amare Turner. Sarebbe un ossimoro. È come se Joice avesse letto Shakespeare prima di andare a letto per tutte le sere della sua vita.

- Ma non questo può disprezzare tutto quello che piace alle altre persone! Non sono tutti interessati alle sue opere strampalate e concettuali.

Holmes perde un po’ della sua aria serafica da intellettuale. Si altera solo quando si parla di arte, a quanto pare. - L'avevo detto che lei non capisce niente di arte. Ma chi mi ha mandato Mycroft? Un ignorante?!

- ... I signori passeggeri sono pregati di allacciare le cinture di sicurezza, ci prepariamo al decollo...

Cazzo.
Perché diamine…?
Come hai potuto non…?

- Che cosa?! Io non dovrei essere su questo aereo!

Holmes non si scompone. - Non mi dica che non ha mai volato.

- No. Che c'entra. Si che ho già preso un aereo, non è questo il problema.

Holmes ti guarda come se lui fosse la reincarnazione di Freud e tu uno sciocco qualsiasi. - A no? Pensavo che fosse un principio di crisi isterica da stress dato da una particolare fobia o patolog...

- Ma che patologia e patologia? Semplicemente io non dovrei essere su quest'aereo!

- Negare la patologia è tipico di questi soggetti. Suvvia, signor Trevon, la smetta!

Arricci il naso, gli occhi che lo guardano increduli. - Trevon?! Io sono Watson! John Watson del Times!

Holmes alza lo sguardo fulmineamente. - Lei è un giornalista?

- No, sono la Fata turchina... Certo che sono un giornalista! E devo scendere immediatamente da qui!! - ti alzi in piedi, ma la hostess si affretta verso di voi, mentre Holmes ti trattiene per il braccio costringendoti a sederti nuovamente per evitare che la ragazza si intrometta.

Acconsenti irritato a sederti, mentre l’aereo si affretta a decollare. Ed è Holmes a costatare l’ovvio, per una volta. - Dubito che ci riuscirà.

- Chiami quel suo amabile fratellone e mi faccia tirare fuori da quest'apparecchio!

Holmes ti risponde con un tono irritantemente dissacratorio. - Troppo tardi. È già partito. Mi dia il suo cellulare piuttosto.

- Perché?

- Potrei fare un tentativo.

Glielo porgi. Lui sbocca lo schermo e ci picchietta le dita un paio di volte. Preme il pulsante per spegnerlo e poi lo mette tranquillamente in tasca come se fosse suo.

- Ma cosa...?

Holmes ti indirizza un’occhiata eloquente. - Ovviamente non posso contattare mio fratello, l’aereo è già partito e non voglio precipitare a picco per le interferenze che una telefonata o un messaggio produrrebbero. E inoltre è piuttosto evidente che lei mi abbia intervistato contro la mia volontà, estorcendomi le risposte con l'inganno, e non è affatto giusto che le usi per arricchirsi.

- Ma che dice? Io ho preso un appuntamento con Microft Holmes. Suo fratello mi ha addirittura sequestrato prima di mandarmi al suo atelier.

Alza appena le sopracciglia. - Tipico.

- Ma lei non sapeva dell'intervista?

Una lieve smorfia di disappunto sul volto del tuo compagno di viaggio. - No. E se pure l’avessi saputo, l'avrei dimenticato. Certe cose non hanno posto nel mio palazzo mentale...

- Palazzo mentale?

- Lasci perdere. - liquida in fretta la questione con un gesto della mano e cambia in fretta argomento - Quindi lei non é Victor Trevon?

Sbuffi vistosamente. - Quante volte lo devo dire? No. Non sono questo Trevon! Sono Watson!

- Ok. Ok. Ho capito. Stia calmo.

Questo qui capirà anche di arte contemporanea, ammesso che ci sia qualcosa da capire, ma per il resto deve avere le idee piuttosto confuse, soprattutto rispetto alle scale delle priorità delle persone normali. - Calmo? Calmo? Io dovrei essere in ufficio ad infiocchettare la sua intervista e invece sono qui su un aereo per chissà dove con lei.

- Io non sapevo chi fosse altrimenti non le avrei detto nemmeno buongiorno. Pensavo che fosse il collaboratore che mi doveva mandare Mycroft, quel Trevon. Io non l'avevo mai visto, che ne potevo sapere che mi doveva capitare lei tra i piedi che mi segue e mi fa domande sulla mostra? Era ovvio che lei fosse Trevon!

Lui si imbarca su un aereo con il primo che gli rivolge la parola e sarebbe colpa tua? - Se mi avesse fatto almeno presentare!

- E chi gliel'ha impedito?!

La signora seduta davanti a voi si gira a lanciarvi un’occhiata infastidita.
Ti costringi a respirare profondamente. - Manteniamo la calma.

Holmes non abbandona il suo tono indisponente. - È lei che si agita.

- Appena scendiamo da quest'aereo lei mi ridà il mio cellulare e se quello che ha dichiarato proprio non le piace, sono disposto pure a rifare l'intervista così poi io me ne torno a Londra e lei se ne torna alla sua mostra. E conto che mi rimborsi il biglietto di ritorno, io non ci rimetto visto che è lei che mi ha trascinato su quest'aereo!

Holmes ti indirizza un’occhiata contrariata a appena divertita. - Ma se è lei che continuava a farmi domande equivoche continuando a sbavarmi dietro e flirtare spudoratamente!

Questo è davvero troppo. - Io flirtare con lei?! Ma stiamo scherzando? Io sono etero, è chiaro? Etero.

Lui sorride appena. - Certo, e io sono la regina Elisabetta. 

- Le domande che lei definisce equivoche erano ovviamente per il giornale, il gossip vende più di tutte le rubriche culturali. A me non frega un fico secco di chi e come si porta in camera da letto...

- Solo in camera da letto? Non sarà troppo tradizionalista?

- Lei è la persona più insopportabile che conosca! Mi deve solo ridare il telefono, firmare l'intervista e lasciare in pace per tutto il resto della vita!!

Holmes continua ad essere insopportabilmente divertito dalla tua reazione. - Quando saremo arrivati, ricorda?

Sbuffi.

- Ma si può almeno sapere dove cazzo stiamo andando?!

- A Parigi, ovviamente...      
                


Angolo autrice:
A volte ritornano, no? Ed eccomi qui con questa nuova storia che si configura come long, se a qualcuno importa. 
Ringrazio in anticipo Blue Lady, Marig28_libra e Fiamminga che mi sentono parlare di questa storia da un po', mentre la ideavo, spero di non deludere le vostre aspettative.
E quelle di chi mi ha messo il mio nome della lista degli autori preferiti - colgo l'occasione per ringraziarvi :) - e tutti coloro che vorranno approcciarsi a questa storia.
Spero che a qualcuno piacerà leggerla come a me piace scriverla! 
Per quanto riguarda gli aggiornamenti temo che saranno mensili, ma costanti, non temete, non sparirò nel nulla, studio permettendo.

A presto :)

lady dreamer.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Come artista, un uomo non ha altra patria in Europa che Parigi.
Friedrich Nietzsche
 
 
Arte contemporanea
Capitolo II
 
 
A Parigi. 
Ovviamente. 
 
Se la tua promozione non dipendesse sostanzialmente da lui, lo ammazzeresti davvero.
 
E probabilmente non ti metterebbero neanche in galera, anzi ti darebbero una medaglia per essere riuscito a zittirlo per sempre. Ma ti potresti godere la gloria e il successo che deriverebbero da ciò solo quel limitato lasso di tempo che permetterebbe a Mycroft Holmes di raggiungerti ed eliminarti dalla circolazione per sempre. 
E non vale assolutamente la pena di rischiare la pelle per quel pazzo psicopatico di Sherlock Holmes. 
Respiri profondamente mentre cerchi conforto nel sorriso della hostess che ti porge dello champagne. 
Champagne? 
 
Holmes sembra intercettare i tuoi pensieri mentre li stai ancora formulando. - In business class danno lo champagne al posto di quei succhi di frutta insapore dell' economy... - afferma con la sua saccente aria di superiorità dipinta sulla faccia pallida.
 
E gli istinti omicidi riaffiorano più impetuosi ed ingestibili di prima. 
Non riesci a trattenerti dal lanciargli un’occhiata indispettita che potrebbe gareggiare con quella di un bambino di cinque anni imbronciato. - Lo so. - ammetti, bevendo un sorso dal bicchiere.  
 
- Eppure mi è sembrato sorpreso...
 
Sospiri spazientito. Senti che è il momento di esigere una sottospecie di rivincita. - E lei che si da tante arie di capire la gente al primo sguardo non è minimamente scosso dal fatto che mi abbia scambiato per un'altra persona tanto da portarmi su un aereo per Parigi dove non sarei mai dovuto salire?
 
Sherlock Holmes ti guarda intensamente. Pensi che stia per dire qualcosa di intelligente. O che vada in escandescenza. Invece domanda con tutta la candidezza possibile:
- Lei c'è mai stato a Parigi?
 
Non capisci. - E questo che c'entra?
 
Holmes ti guarda come se fossi stupido a fare una domanda del genere. - C'entra.
 
Ti rassegni a stare al suo gioco. - No. Non ci sono mai stato. 
 
- E allora la prenda così: io non so per quale assurda motivazione l'ho scambiata per un'altra persona ma questi sono sostanzialmente problemi miei, lei non solo è in mia compagnia, onore più unico che raro, ma per giunta sta viaggiando in business class verso una delle più belle città d'Europa. E non le chiederò nemmeno di risarcirmi e ridarmi i soldi del biglietto che sarebbe dovuto toccare a Trevon. Quindi è lei che c'ha guadagnato... 
 
Sorridi. Ti aspettavi una sfuriata o una spiegazione intelligente. Invece Holmes non ha ritrattato né spiegato niente. Ha fatto un ragionamento perfettamente logico…
No. Non è affatto logico, John, te ne rendi conto?
È come uno di quei politici nei talk show televisivi. Per un attimo credi a quello che dicono. Quell’uomo non solo è un pazzo, ma addirittura un pazzo persuasivo. E l’intelligenza è affascinan… John, riprenditi.
 
- E dovrebbe essere un piacere viaggiare con lei? Suo fratello mi ha rapito, la segretaria di suo fratello mi ha trattato come una pezza vecchia…
 
Holmes ti lancia un’occhiata di freddo contrariamento. - Ma io non sono mio fratello né tantomeno la sua segretaria.
 
Decidi che puoi calcare la mano, e cercare di farlo sentire in colpa. O almeno di fargli capire che il suo atteggiamento di prima ti ha dato davvero fastidio. Fai un elenco con il tono più strafottente di cui sei capace, tenendo il conto con le dita in modo così plateale da essere palesemente fatto apposta. - Infatti, lei mi ha scambiato per un'altra persona, mi ha dato dell'ignorante più e più volte, mi ha sequestrato il cellulare, mi sta portando a Parigi senza considerare che io non ho minimamente i soldi non solo per restare a Parigi ma neanche per il biglietto di ritorno a Londra e se non porto il pezzo a casa entro domani in redazione mi cacciano... 
 
Holmes non si fa infastidire né condizionare. - Ha finito?
 
- No. Lei non ha fatto altro che insultarmi e insinuare molto poco velatamente che io sia un cretino, si è dimostrato scortese, saccente, sgarbato, supponente e profondamente irritante. E mi fermo qui perché sono un gentleman.
 
- Posso dirle che cos'è lei, allora? 
 
La signora seduta su una delle poltrone davanti a voi, che già in precedenza, all’inizio di questo dannatissimo volo, aveva dato segni di insofferenza ai vostri isterismi, si volta in modo quanto mai improvviso e plateale. Vi guarda con un’occhiata colma dell’austera indignazione che si riserva ai bambini che litigano per delle idiozie. - Ma vi sembra il posto per litigare? C'è gente che va a lavoro a Parigi, non in luna di miele.
 
Ti guardi intorno, spostando gli occhi da lei e il suo aspetto da maestrina arcigna e il placido e indifferente Sherlock Holmes che non sembra minimamente interessato alla cosa, atteggiamento che non fa affatto bene ai tuoi nervi, che si scuotono più di quanto già non fossero urtati. Cerchi comunque di mantenere la calma. Ma Mr. So Tutto Io Holmes si becca lo sguardo arcigno e accusatorio e infantile che gli lanci per discolparti.
 
- Scusi, ma non è colpa mia… - ti limiti poi a dire alla signora che si volta verso la donna seduta affianco a lei scuotendo la testa.
 
Una giovane, seduta affianco alla signora di cui prima, si gira ad intervenire. Sarà al massimo sulla trentina, ma ha il gusto di infilarsi negli affari degli altri di una con il doppio dei suoi anni. Si volta verso l’amica? la sorella? la segretaria? o quello che è, e sussurra un intercettabilissimo e lapidario:- Tipico.
 
La fronte ti si corruga istintivamente. - Tipico? 
 
La ragazza si volta verso di te, lei e i suoi curatissimi capelli biondi. - È tipico in una coppia dare sempre la colpa all'altro... con il mio fidanzato...
 
Lanci un’istintiva occhiata ad Holmes, aspettandoti che lui intervenga a chiarire l’equivoco. Ma l’artista si limita a sostenere svogliatamente il tuo sguardo e poi continuare a guardare un punto non precisato del sedile davanti a sé.
 
- Noi non siamo una coppia. 
 
La ragazza sorride con malcelato divertimento. - Ah si certo...
 
- Non siamo una coppia. - ti trovi costretto a ripetere, nella completa indifferenza di Holmes. La tua interlocutrice non sembra convinta di quello che dici. E non te ne capaciti. Se c’è una di cui sei certo è che mai e poi mai ti metteresti con quel pazzo fuori di testa… - Ma per favore, se ci diamo del lei?
 
- È perché non volete dare nell'occhio, che ne so?
 
La prima signora si volta nuovamente, questa volta verso la sua vicina di poltrona. - Ma ci si mette anche lei? Questo non è un aereo, è una sala da the...
 
E allora no, non era né l’amica né la sorella né la segretaria, era una semplice estranea. Come te e il signor Holmes, in fondo. A parte che tu non dovresti essere sull’aereo e Holmes non dovrebbe insultarti, ma per il resto…
 
Il tono concitato della discussione nel frattempo ha agitato uno degli angeli in divisa da hostess che in business class più che negli altri compartimenti dell’aereo vorticano discretamente intorno agli ospiti. La giovane, capelli scuri legati in una treccia raccolta in un particolare chignon, si affretta a domandarvi se sia tutto apposto. - Qualche problema? 
 
Questa volta Holmes sembra destarsi dalla sua apatia. - No. Nessun problema. 
 
- Volete mangiare qualcosa? - e continua a sorridervi. In un altro momento l’avresti trovata attraente, ma in questo momento vorresti solo avere almeno una piccola rivincita su Holmes.
 
Inspiegabilmente annuisce. - Solo un altro bicchiere di champagne.
 
Lei si affretta a porgergli un altro calice di champagne, premurandosi di riprendere indietro quello sporco e di riporlo separatamente nella parte inferiore del carrello.
 
Poi si volta verso di te. - E lei? 
 
Squadri con la coda nell’occhio il tuo compagno di viaggio. E decidi che non gliela vuoi dare questa soddisfazione. Non approfitterai oltre dei benefici di questo involontario, e a sue spese, volo aereo.
 
Le porgi il bicchiere vuoto. - No, grazie. 
 
Holmes beve un sorso di champagne dal suo flûte. - Guardi che può mangiare, io non la fulminerò con lo sguardo per questo. 
 
Ve ne state per qualche secondo in silenzio, guardandovi principalmente in cagnesco.
Tu sei deciso a non fiatare per ripicca, intendendo attuare quella vendetta di cui prima.
Lui non sai perché se ne stia zitto. Forse si è reso conto che discorrere con te non lo interessa davvero.
Ma dopo un tempo che ti pare interminabile Holmes ricomincia a parlarti, sembrando da un lato perfettamente inconsapevole di quello che tu hai pensato durante quest’ultimo lasso di tempo, d’altro canto, essendo verosimilmente a conoscenza di tutto.
 
- E perché la caccerebbero dalla redazione?
 
Ritrai istintivamente il capo indietro, aggrottando le sopracciglia. Non pensavi che avesse davvero prestato attenzione alle tue lamentele, pensavi che alla seconda o alla terza della lista avesse scollegato il cervello. - Non le interessa.
 
Holmes sorride impercettibilmente. - Anche a lei non interessa se ho una relazione o meno.
 
Tu fai spallucce, limitando a questo la tua indignazione. Hai avuto modo di riscontrare quanto mettere su scene madri sia inutile. Non sortiscono l’effetto desiderato. - Poteva interessare ai lettori del giornale. 
 
Holmes continua a fissarti come se volesse psicanalizzarti. Conosci quello sguardo. Anche la psicologa da cui ti hanno mandato quando sei tornato dalla guerra aveva la stessa espressione. La sua consulenza era stata peraltro inutile. - C'entra l'Afghanistan?
 
Non che tu avessi dato la benché minima possibilità alla donna di arrecarti un reale aiuto. Ti barricavi dietro un silenzio infrangibile. Pronunciavi una frase non molto diversa da quella che indirizzi adesso al signor Holmes:- Non mi va di parlarne. Non con lei. 
 
Ma lui, a differenza della tua psicologa sembra accettare il tuo silenzio. E si rintana nel suo.
Eppure ti saresti aspettato che un tipo come lui insistesse, formulasse mille e più domande e ipotesi e stratagemmi per indurti a raccontare. O forse, molto più semplicemente, non ha davvero bisogno del tuo contributo per dedurre un po’ di cose dalla tua faccia, dalla tua spalla, dal tuo modo di sederti o chissà cos’altro.
 
Questo un po’ ti scoraggia.
Sei sempre stato un tipo normalissimo, dall’aspetto ordinario, intelligenza ordinaria, vita ordinaria… Ti eri intestardito a fare il reporter di guerra per scampare a quella dannata ordinarietà, a quella quotidianità tranquilla e anonima che era la tua sicurezza e la tua condanna. Perché in fondo sei un uomo di azione, il rischio ti piaceva e l’ambizione di cambiare vita ti spingeva a rischiare sempre di più. E cosa hai ottenuto, in fondo?
 
Holmes interrompe bruscamente le tue riflessioni, salvandoti dall’autocommiserazione.
 
- Le farò pagare da mio fratello anche il biglietto aereo per il ritorno.
 
Scosti gli occhi dall’oblò. - La ringrazio. 
 
Holmes non ha abbandonato la sua saccenteria, ma un accenno di sorriso sul suo volto lo rende più sopportabile…- Ringrazi che i soldi non mi mancano, altrimenti non sarebbe andata così… - giusto un po’. Non tanto da non meritarsi un commento acidulo.
 
- Ringrazio il cielo che questa tortura non durerà ancora a lungo. 
 
L’artista ti indirizza una significativa occhiata sarcastica…- Gliel'hanno mai detto che è così affabile da diventare assillante?
 
… a cui rispondi con il medesimo tono. - Gliel'hanno mai detto che è così simpatico da diventare insopportabile? 
 
Davi per scontato che nessuno gliel’avesse mai detto. Che nessuno avrebbe anche solo osato per pensarlo in sua presenza. I critici e la gente del giro lo considerava un profeta delle nuove tendenze in fatto di arte. E di profani, per come si è finora comportato con te, Holmes non deve vederne poi molti.
 
Per questo ti stupisce la sua risposta. - Veramente si. E non è che mi importi molto... 
 
Corrughi istintivamente la fronte. - Lei è un artista molto quotato, dubito che siano in molti a dirle queste cose, anche se le pensano... 
 
- Non me le dicono apertamente come ha fatto lei ma riescono più subdolamente a recapitare il messaggio...
 
Lo sguardo di Holmes è difficile da interpretare. Vuole ostentare indifferenza, ma c’è, sebbene ben nascosto sotto una fredda lastra di rigido controllo di sé, un germe di inquieta insofferenza, una sottile e velatissima paura di non essere accettato. Lui, l’artista saccente. Quasi te ne meravigli.
 
- Dev'essere spiacevole…
 
Ma quell’espressione che ti aveva indotto quasi ad intenerirti sparisce presto, ricacciata ancora più in fondo sotto la lastra di autocontrollo. - È abbastanza spiacevole si. Ma me ne infischio. La mia vita è l'arte. 
 
Scuoti appena la testa, volgendo lo sguardo dapprima nuovamente al finestrino e poi di nuovo ad Holmes. Avresti voluto astenerti dal commentare, ma a quanto pare è altrettanto difficile startene zitto.
 
- È abbastanza pretenzioso da dire.
 
Lui ti guarda dall’alto della sua presunta superiorità spirituale rispetto ad un comune mortale come te.
- Ma resta vero. 
 
Sbuffi vistosamente. - Ma non ha una famiglia, degli amici?
 
- Ho una famiglia e degli amici. E lei è un giornalista.
 
Considerato che Holmes sta facendo del tuo tempo e della tua pazienza quello che vuole, il suo commento non riesce neanche a farti sorridere, come forse in condizioni normali avrebbe fatto. - Un giornalista che ha promesso che concorderà cosa scrivere nell'intervista con lei.
 
Lui ti guarda con ostentata diffidenza. - E dovrei fidarmi? 
 
- Praticamente non ha fatto altro da quando ci siamo conosciuti. A parte litigare e insultarmi…
 
Un impercettibile sorriso fa piano capolino sul viso del tuo petulante interlocutore. - Ed è stato quasi divertente, non trova?
 
Alzi istintivamente un sopracciglio. Incroci le braccia. E ti barrichi in uno sguardo che vaga oltre il finestrino. - Quasi, appunto.  
 
 
Per la seguente mezz'ora restate in silenzio. 
Non vi dite nulla. 
 
Ti sforzi di capirlo, questo Sherlock Holmes. Artista stravagante, uomo introverso e misterioso, acuto osservatore dei dettagli, ma distratto nel distinguere i giornalisti dai curatori di mostre. Snervante ma maledettamente elegante, sempre. Ambizioso, strafottente, affascinante anche. Insopportabile e solitario. Solitario perché è insopportabile? Sarebbe troppo semplice. Anche se resta probabile. 
Gli indirizzi uno sguardo volutamente di sfuggita, sembra a sua volta pensieroso, assorto in chissà che meditazioni, con le mani - giunte? - sotto il mento, gli occhi chiusi, sembra una statua pallida. È distante. Lontanissimo. 
 
Come dove ha condotto i tuoi pensieri...
Invece di preoccuparti su come riuscire a trovare un accordo su quest'intervista, tornare a casa e farti promuovere - magari - da Mike, sei tutto assorto nel cercare di scandagliare la psiche del tuo intrattabile compagno di volo, su questo aereo di linea per Parigi. 
 
Parigi, poi.
Mai stato tu in famiglia quello con la fissazione di camminare sotto la pioggia nella capitale francese - quella era Harry a quattordici anni - eppure devi riconoscere che non ti dispiace quanto dovrebbe la prospettiva di respirare l'aria di Parigi, anche se solo per qualche ora, il tempo necessario a mettere tutto a posto e ripartire sereno per Londra.  
 
- Siamo in fase di atterraggio. Si invitano i signori passeggeri a restare seduti sulle proprie poltrone, allacciare le cinture e chiudere i tavolini d’appoggio. L'arrivo a Parigi è previsto tra quindici minuti. È previsto tempo variabile, con una temperatura media di 13 gradi. 
 
Ti volti verso il tuo compagno di viaggio, il tuo forzato compagno di viaggio, stufo di startene zitto, approfittando il riemergere del signor Holmes dal suo stato catatonico.
 
- Lei è già stato a Parigi?
 
Holmes riprende a guardarti. - Si. Ci torno spesso. È una continua fonte d'ispirazione... 
 
È una delle prime cose stereotipate che dice. Te ne meravigli un po’. - Perché? Cos'ha di speciale?
 
Lui alza appena le spalle. - Niente. E tutto.
 
Non ha difficoltà ad intercettare il tuo sguardo sbigottito. Potresti giurare che l’abbia fatto apposta.
 
- Parigi è un'amante che, per quanto tu possa pensare di conoscere, non smette mai di stupirti. 
Accenni un sorriso. Che un tipo del genere possa sbilanciarsi così tanto non dev’essere una cosa da poco. - E tende a stupire solo le menti superiori come la sua oppure anche un semplice umano come me?
 
Anche Holmes accenna un sorriso. Ti indirizza un’occhiata di ilare comprensione. - Parigi parla un linguaggio universale. Bisogna essere proprio ottusi per non capirla. E lei non mi sembra così ottuso.
Rimani impietrito sulla poltrona. - È un complimento?
 
- Una semplice constatazione. 
 
Sorridi. - No, perché stava già partendo l'infarto.
 
Holmes ritorna alla carica con il suo sguardo indagatore da psicologo mancato. - Ricevere complimenti le fa rischiare un infarto? La sua autostima dev'essere più bassa di quanto avessi supposto.
 
Se per un attimo eri stato quasi lusingato dalle sue parole, adesso sei davvero sconcertato. Anche se non poi cos’ tanto. In fondo, questo Holmes ha dimostrato abbondantemente di divertirsi ad elaborare supposizioni e diagnosi non richieste sulla tua persona, il tuo passato e quant’altro gli pare. - Perché fa supposizioni sul mio grado di autostima?
 
- Mi annoiavo... - ammette, come se fosse la cosa più ovvia sulla faccia della terra.
 
Trattieni un sorriso. - Lei si annoia spesso a quanto pare 
 
- Perché?
 
- Perché ha sprecato gran parte del viaggio a litigare con me. Quindi deve soffrire molto l'inattività. E ha sviluppato una grande abilità nello studiare le persone, quindi le osserva spesso, ma mi ha scambiato per Victor Trevon, quindi usa questo suo talento solo quando non ha di meglio da fare.  
 
Vedi una sfumatura di stupore negli occhi di Holmes. - Meraviglioso. 
 
E sei stupito a tua volta. Devi aver necessariamente capito male. - Cosa?
 
- Perfetta analisi. Non me lo sarei aspettato.
 
Un moto di orgoglio ti fa sorridere. Come se sentire una cosa gentile - che poi è gentile fino ad un certo punto, perché sottintende che sembravi uno scemo - da questo artista fuori di testa possa avere qualche valore. 
È una sensazione irrazionale, non ha alcun senso, ma nel momento in cui ha detto "meraviglioso" la cosa ti ha galvanizzato parecchio.
E poi, diciamocela tutta, l'idea di questa trasferta gratis a Parigi non ti dispiace tanto quanto avevi stimato inizialmente. 
 
- Mi scusi, ma non potremo concordare adesso cosa omettere dall'intervista che le ho fatto a Londra, così poi sono libero di ripartire quando mi è più congeniale?
 
- Lei pensa davvero che io possa ricordarmi tutte le cazzate che le ho detto prima? 
 
Alzi le spalle, le palme delle mani rivolte verso l’alto. - No... Ma...
 
- E allora, santo cielo, mi dia il tempo di atterrare e sistemarmi in albergo e poi ne riparliamo.
 
- Io devo consegnare l'intervista entro domani!
 
- Entro domani, appunto! Non tra tre secondi. La smetta di preoccuparsi.  
 
E ti rendi conto che forse da quel pazzo esaltato che siede tuo malgrado affianco a te non potevi aspettarti poi niente di diverso...
 
Siamo appena atterrati all'aeroporto Charles De Galle di Parigi. Il tempo è sereno e la temperatura media è di 13 gradi. Vi ringraziamo di aver scelto la nostra compagnia e vi auguriamo di passare un felice soggiorno a Parigi se è questa la vostra destinazione finale, se invece siete solo di scalo, vi auguriamo di trascorrere serenamente la restante parte del vostro viaggio. Arrivederci.
-comunica l'hostess in inglese, prima di ripeterlo ancora in francese e spagnolo. 
 
- È ora di scendere.
 
Ti volti verso Sherlock Holmes. Per abbassarsi a constatare l’ovvio in questa maniera deve essere ritornato alla scarsa considerazione che aveva di te all’inizio della vostra conversazione in quel taxi.
 
- Me ne sono accorto - sussurri, più a te stesso per l’irritazione, che a lui.
 
Ti alzi. Holmes si incammina per il corridoio dell’aereo.
 
- E il suo quadro?
 
Si volta appena. Ti guarda come se avessi appena detto un’idiozia. - Davo per scontato che lo prendesse lei.
 
- Io non sono il suo maggiordomo 
 
- Al suo posto dovrebbe esserci il mio segretario personale di cui lei ha impunemente preso il posto, quindi mi aspetto che almeno si renda utile.
 
Alzi appena le spalle. - Gentile 
 
Lui non si scompone davanti alle tue proteste. - Logico.
 
Ti affaccendi a recuperare il suo quadro avvolto nella busta gialla dal vano portaoggetti. E ti affretti a seguire Holmes che lasciandoti impunemente indietro, se ne stava andando senza di te.
 
 
 
Usciti dal gate, passando davanti al rullo circolare davanti a cui gli altri passeggeri del volo si stanno predisponendo ad aspettare le proprie valigie, ti rendi conto che Holmes non ha altri bagagli che il quadro. Aveva detto che erano già in aeroporto quando si era trattato di partire da Londra, ma almeno adesso dovrebbe fermarsi ad aspettarli comparire sul rullo, come tutti gli altri.
 
 
- E i suoi bagagli?
 
- Li vengono a ritirare quelli dell'albergo.
 
Continui a seguirlo, senza capacitarti. Ci sta che qualcuno venisse a recuperare le sue valigie in effetti, ma possibile che un artista del genere non riceva quanto meno un servizio di favore anche per la sua persona? Possibile che nessuno lo, vi, venga a prendere? Possibile che Holmes si abbassi a salire sulla metro?
 
- Ma non l'aspetta nessuno?
 
- No. 
 
Corrughi la fronte. - Come mai?
 
Lui non si scompone a spiegarti:- Sono arrivato con il volo precedente rispetto a quello che avevamo comunicato, quindi... 
 
- E allora perché quell'autista ci sta facendo cenno? 
 
Holmes sembra disposto a farti passare per visionario. - Avrà visto male...
 
Ma non sei impazzito. E ci vedi benissimo. - Guardi lei stesso.
 
Holmes si volta nella direzione che gli indichi.
Una macchina nera, una limousine. Con tanto di autista.
Il passeggero abbassa il vetro del finestrino del sedile posteriore guida.
Appare un volto di donna. Una donna molto bella, a quanto sembra.
 
Holmes sembra leggerti nel pensiero. E correggerti l’articolo. - La Donna. - sussurra, più a se stesso che a te, incamminandosi a passi veloci nella direzione del veicolo. Lo segui. Evidentemente deve conoscerla.
 
- Irene? È un piacere vederti.
Lei gli porge la mano con un gesto studiatamente mellifluo. Holmes ne sfiora a malapena il dorso con le labbra.
 
Sgrani gli occhi. Era l’ultima cosa che ti aspettavi.
 
- Anche per me, come sempre. - e le sue labbra colorate di un rosso deciso si addolciscono in un sorriso appena dischiuso.
 
Ti scruta con i suoi occhi chiarissimi. - Lei dev'essere... Victor Trevon, giusto? - ma non ti dà tempo di controbattere - Ma lei non é Victor Trevon...
 
- No. Infatti. John Watson. - le porgi la mano.
 
Lei la stringe. - Irene Adler.
 
Ad un suo cenno l’autista della limousine esce dalla macchina e apre lo sportello a te ed Holmes.
Lo segui dentro la limousine. Holmes si siede affianco alla Adler. Tu prendi posto di fronte a loro, impacciato come se fossi un intruso. Un ladro degli sguardi che si scambiano.
E mentre pensi che Irene Adler potrebbe essere la fidanzata che Sherlock Holmes ha tenuto lontano dai riflettori per tutto questo tempo, allo scoop che potresti farne, lei si prodiga a smentire con ben altre insinuazioni lo stato sentimentale dell’artista.
 
- Non mi avevi detto che avessi trovato qualcuno, Sherlock.
 
Lui non sembra granché scandalizzato dalla sua ipotesi. - Perché non ho trovato nessuno. È lui che è piombato a casa mia senza preavviso.
 
Se ti aveva dato fastidio trovarti in mezzo a quei due mentre credevi che fossero amanti, non ti tranquillizza poi molto che l’argomento della disquisizione sia una presunta relazione tra te e Sherlock Holmes. Ti affretti a chiarire:- Per intervistarlo, solo per intervistarlo. Sono del Times e se a qualcuno importa non sono gay. 
 
La Adler accenna un sorriso tutt’altro che ingenuo. - Oh certo. 
 
- Certo che è certo. È vero.
 
Lei sembra non crederci. Si volta verso Holmes. - Non state insieme?
 
- Ma che vai a pensare? A me basta la tua amicizia. Non ho bisogno di altri rapporti umani. Sei stata l'unica a capire che sarei arrivato prima...
 
- Non è stato difficile: tu arrivi sempre in anticipo per studiare il territorio per poter avere ulteriore vantaggio sui tuoi avversari. Ed odi viaggiare sugli aerei sovraffollati dell'ora di punta...non potevi che prendere questo volo.
 
- Tu si che mi capisci.
 
Ritorni alla tua ipotesi primaria. - Se sono di troppo me ne posso anche andare.
 
La Donna, ma perché l’ha chiamata poi così se non è la sua amante?, si volta a risponderti:- Non scaricherei così in mezzo al niente neanche un seccatore insopportabile.
 
- Io potrei in realtà. Ma devo mantenere la mia reputazione. 
 
Irene Adler gli rivolge uno sguardo interrogativo con aria divertita. - Da quando ti importa della tua reputazione?
 
Holmes accenna un sorriso. - Da quando Mycroft vuole che rilasci interviste.
 
- Alloggerete al Savoy?
 
Holmes fa un cenno affermativo col capo mentre armeggia con il blackberry.   
 
Ti affretti a correggerlo. Già l’atteggiamento della Adler è irritante, non vuoi dare adito neanche al minimo fraintendimento. - Alloggerà al Savoy. Io riparto tra poche ore.
 
- Oh si certo. 
 
Il cellulare di Sherlock Holmes vibra appena.
E lui risponde alla chiamata.
Noti la totale assenza di convenevoli. Se hai capito qualcosa di quei due, dev'essere suo fratello. 
- Si. Lo so. È qui con me. - ma parla di te o della Adler? - Non mi interessa. Pagherai tu. - se parla del tuo volo, lo speri caldamente - Beh mi auguro. - e chiude la chiamata. Un’espressione di manifesta irritazione sul volto.
 
- Preferisco i messaggi. - spiega.
 
- Io preferirei riavere il mio telefono. 
 
Lui ti liquida con un’occhiata seccata. - Ogni cosa a suo tempo. 
 
La Adler ti rivolge la parola, con uno dei suoi soliti sorrisi insinuanti. - È un vecchio trucco. 
 
- Che cosa? 
 
Si volta leggermente verso Holmes, guardando al contempo verso di te. - Il nostro Sherlock mostra interesse per le persone rubando loro il telefono. Chissà poi cosa pensa di trovarci... 
 
- Non rubo niente che non voglia essere rubato. - si rivolge verso di te - ma non si faccia un'idea sbagliata... Non intendo corteggiarla.
 
- Dice sempre così... - si diverte ad aggiungere la Adler. 
 
Alzi gli occhi al cielo. Non intendi sprecare ancora le tue energie a litigare. E pare proprio che mettere a tacere queste supposizioni senza fondamento butti ulteriore legna sul fuoco. Ti costringi a startene zitto. E poi è così ovvio che tu e Holmes non avete niente in comune. Lui, altero e brillante, sfacciato e misterioso. Tu, un giornalista frustrato, trascurato e dal futuro precario. Anche se fossi gay, e non lo sei, e se lui fosse interessato ad una relazione, e non lo è, non ci sarebbero possibilità.
 
- Quando avrà la compiacenza di ridarmi il telefono e concordare l'intervista io me ne torno felicemente a Londra e lei sarà libero di corteggiare chi le pare... 
 
La Adler ti squadra con affettata incredulità sapientemente dipinta sul volto.
 
- Ma fino ad allora dovrà badare solo a lei? È molto egoista da parte sua...
 
- Non voglio essere corteggiato. È abbastanza chiaro?
 
- Lei ha flirtato con me in aereo, se non ricordo male... E io non ricordo mai male. E si è imbarazzato quando gliel'ho fatto notare. È diventato rosso, il battito le si è accelerato, ha farfugliato dapprima e poi ha dovuto soffocare un grido isterico. Per la mia sanità mentale ho messo da parte l'argomento. Non potevo di certo sopportare ancora per molto i suoi discorsi in difesa della sua eterosessualità, che, me lo faccia dire, sono del tutto inutili. Anche se...
 
- Se c'è qualcuno che ha dei problemi con la sessualità quello è lei, signor Holmes! Se è capace di scambiare le domande di un giornalista che suo malgrado se vuole vendere deve fare un po' di gossip per una dichiarazione d'amore, allora è lei quello frustrato in cerca di attenzioni. Che di certo non avrà da me. 
 
- Ci mancherebbe altro. Non mi voglio nemmeno farmi intervistare da lei, figuriamoci...
 
La Adler continua a lanciare frecciatine. - In quei casi non si parla molto, Sherlock, non sarebbe così irritante...
 
Chiudi gli occhi e ti massaggi la pelle alla base del naso. La tua capacità di sopportazione sta sprofondando, anzi, è già sprofondata, sotto terra. Non ce n’è più. Ma ti imponi ancora un po’ di autocontrollo. - Voi due non siete normali.
 
Holmes ti guarda per una volta con un po’ di sincera comprensione. O almeno, così ti sembra, quando riapri gli occhi.
 
- La signorina Adler gestisce una galleria d'arte contemporanea messa su con i soldi che guadagnava a Pigalle, è normale che sia un po'... Stravagante.
 
- Intrigante, suona meglio. 
 
- Intrigante, come preferisci. - risponde, rivolto verso di lei - E quanto a me, sto spesso da solo, non ho l'abitudine a censurare quello che dico, faccio del sarcasmo anche pesante e a volte mi diverto, anche se inconsapevolmente, a far arrabbiare la gente. Sa, per sfuggire alla noia... Quindi a volte parlo troppo. Fa parte dei difetti insieme al violino. Non si offenda. Niente di personale. 
 
Alzi un sopracciglio con evidente incredulità. - Sono delle scuse?
 
Holmes si guarda le mani, forse con una puntina di imbarazzo. - Se vuole ridurre all'osso quello che ho detto... forse si.  
 
Sospiri visibilmente. - Ok. Ma comunque voi due non siete normali. - ti affretti ad aggiungere. E ti riproponi di scriverlo nell’articolo. O magari no. Non vorresti davvero argomentare e spiattellare sul Times della conversazione appena avvenuta. No. Decisamente no.
 
Irene Adler ti rivolge un altro dei suoi sguardi colmi di ottriata lungimiranza.
 
- Neanche lei, John, se no non starebbe qui a parlare con noi... E poi la normalità è così noiosa, non trova?
  
 
 
 
Angolo autrice:
Capitolo di passaggio, me ne rendo conto. Spero che non sia stato così terribile, però. Che ne dite?
È la prima volta che mi trovo a “maneggiare” il personaggio di Irene Adler, spero che vi sia piaciuta la mia umile interpretazione. Prometto che sin dal prossimo capitolo ci sarà più azione, altri personaggi fondamentali verranno presentati e un mistero da risolvere inizierà ad affacciarsi prepotentemente sulla scena. E poi John e Sherlock inizieranno ad andare in giro per il centro di Parigi, come forse qualcuno sperava potesse succedere sin da questo capitolo. Ma non temete, anche questo non tarderà ad arrivare.
Nel frattempo, una precisazione riguardante il capitolo che avete letto: per chi non lo sapesse, Pigalle è il quartiere a luci rosse di Parigi, e per questo Sherlock dice che Irene si è guadagnata la sua ricchezza lì, ho cercato così di mantenere lo spirito del personaggio presentato nella serie tv.
 
Detto ciò, spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Approfitto per ringraziare chi ha messo la storia tra i seguiti e/o l’ha recensita. :)
Ci vediamo alla prossima! Ovvero, se tutto va bene, tra un mesetto.
 
A presto :)
 
lady dreamer

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


L'artista si sente solo. Singolare ed aristocratico, vive a disagio in mezzo alla società democratica ed uniforme. Si sente da essa odiato come inutile, come superbo; e la disprezza.
Pertanto le opere sue non si rivolgono ai più, ma ai pochi iniziati.
Federico De Roberto
 
Arte contemporanea
Capitolo III
 
    
Hotel Savoy.  
Soffitti altissimi affrescati. Tende di broccato. Mobili antichi. Finestre neo-gotiche. Panorama romantico sulla Senna. Sembra di stare in un film. O in un libro. O in una fan fiction. 
Bellissimo. Troppo bello. 
 
Il signor Holmes ha una suite stratosferica, con più ambienti dell'appartamento in cui vivi. 
Ti ha lasciato incredulo e in imbarazzo a girovagare nelle sue stanze e si è andato a fare una doccia. Ad incrementare il tuo disagio la Adler se l'è squagliata alla galleria con la sua macchina dopo avervi lasciato all'ingresso dell'hotel, non risparmiandoti ammiccamenti e battutine. Per non parlare poi della receptionist che vi ha scambiato - ti stupisci ancora? - per una coppia. 
 
Ma perché poi? Perché?
Punto uno non sei gay. Punto due quell'uomo non è affascinante. E anche se lo fosse, è così scontroso, saccente ed irritante che... Insomma, non è affascinante. Punto tre... 
 
- John?
 
Quasi non ti prende un infarto. Stavi guardando fuori dalla finestra, stavi mettendo insieme tutti i buoni motivi per cui...
 
- John? 
 
Ti volti. - Signor Holmes? 
 
L'uomo esce dalla stanza da bagno con un asciugamano avvolto intorno ai fianchi. E non riesci a fare a meno di notare, anche e solo per una misera frazione di secondo, la pallidezza della sua pelle, le sue membra toniche e slanciate… Una misera frazione di secondo del tutto trascurabile. O almeno così ti imponi di pensare. Alzi lo sguardo ad incontrare gli occhi grigio-azzurri di Sherlock Holmes. E speri di non arrossire per quella misera frazione di secondo in cui hai indugiato a studiare il suo corpo sostanzialmente nudo, perché sei certo che lui sarebbe capace di percepire anche il minimo imbarazzo dalla diversa tonalità di rosa delle tue guance.
 
Invece non dice niente. Ti guarda e tace. E per un istante vorresti scomparire. Lui apre bocca e non hai idea delle parole che potrebbe pronunciare.
 
- Mi passerebbe i vestiti che sono nell'armadio all'ingresso? - domanda, con tutta la candidezza possibile.
 
Lanci uno sguardo incredulo verso il guardaroba.
 
- Come hanno fatto ad arrivare prima di noi?
 
Holmes alza appena le sopracciglia. - Basta pagare. 
 
- E come sono finiti nell'armadio?
 
- Ho mandato un cambio d'abito in un appendiabiti con la predisposizione di metterli nell'armadio. Se l'avessi chiesto avrebbero svuotato anche la valigia, ma mi dà fastidio che curiosino con il mio permesso nei miei effetti personali.
 
Gli porgi i vestiti inseriti in un appendiabiti. Non riesci a trattenere un sorriso. - Cosa nasconde nella valigia?
 
Holmes ti guarda serio. Una serietà terribilmente fuori luogo e assurdamente e misteriosamente affascinante. - Vuole davvero saperlo? Poi dovrei ucciderla… 
 
Ma non sei uno che si lasci suggestionare per così poco. - Lei è molto teatrale signor Holmes. 
 
L’artista sparisce dietro una parta scorrevole che si chiude alle spalle.
Questo non gli impedisce di continuare a parlare.
- Mi chiami Sherlock. - aggiunge, senza rispondere alla tua provocazione.
 
Misuri a piccoli passi la distanza tra la porta scorrevole e il divano, poi ti ci siedi con risolutezza, mentre ti chiedi quanto dire quello che hai in mente potrebbe essere controproducente.
Ma alla fine, chi se ne frega, tanto è divisibilmente uno scherzo. E per quanto lui abbia marciato sul contrario, puoi permetterti di dirlo.
 
- E poi sono io quello che flirta…
 
La voce dall’altra parte della porta si sente appena. - Come, scusi? 
 
- Lei mi sequestra, mi porta a Parigi, mi punzecchia per il tutto il viaggio, fraintende i miei atteggiamenti, mi porta in un albergo, si presenta mezzo svestito e poi mi chiede di chiamarla per nome... E poi sono io quello che flirta!
 
Lui continua tranquillamente a rispondere dall’altra stanza. - Io sono sposato con il mio lavoro. Non ho relazioni né ne ho bisogno. Altrimenti le darei ragione, potrebbe sembrare che io stia flirtando con lei, forse. Ma io non sto flirtando con lei. E io non flirto in generale. 
 
- Allora com'è che è così esperto?
 
Holmes apre uno spiraglio di porta con una mano, mentre con l’altra chiude i bottoni ai polsini di una camicia bianca.
 
- Fingo di esserlo per divertimento. 
 
Ti alzi dal bracciolo del divano su cui ti eri appollaiato. - Perché me lo sta dicendo? Sono sempre il giornalista a cui non vuole rilasciare l'intervista 
 
- Per il divertimento di vederla confuso. Fa una faccia buffa quando è confuso. E poi scriverà quello che concorderemo nell'intervista, l'ha promesso. 
 
Ti piace, anche se non lo ammetteresti mai, che questo pazzoide voglia raccontarti di sé e della sua vita. Ma il fatto che lui dia per scontato il tuo silenzio o la tua complicità ti dà manifestamente fastidio. Anche se essere complice di un tale pazzo vorrebbe dire godere di un briciolo di stima da parte sua. E questo non può che lusingarti. - E se non dovessi mantenere?
 
Sherlock Holmes torna in camera a prendere la giacca che indossa con grandissima nonchalance.
 
- Lo sa che mio fratello Mycroft è anche il mio manager?
 
Non capisci bene quale sia il nesso. - L'ho intuito… 
 
- Ma è solo un hobby per lui. Ha delle amicizie. Lavora per il governo…
 
- Mi sta minacciando?
 
Ti guarda con una serietà sconcertante. - No. Per niente. Parlo solo di mio fratello. E non sa quanto detesti tirare in ballo mio fratello, quindi, adesso andiamo in galleria, o magari prima a mangiare, se ha fame, e poi concorderemo quest'intervista. 
 
Cerchi di nascondere l’esasperazione. - Non potremmo invertire la scaletta?
 
- No. 
 
- Perché no?
 
- No e basta. E prenda il quadro. 
 
 
*** 
Guardi Sherlock. Ti ha autorizzato a chiamarlo per nome, e il tuo cervello ha iniziato spontaneamente a smettere di pensare a lui come al Signor Holmes.
 
Cammina a passo svelto e sicuro. Fai quasi fatica a stargli dietro, perso come sei nel cercare di catturare quanto puoi dell’aria deliziosamente francese di Parigi. - Dove mi sta portando?
 
Vorresti che la smettesse di correre.
Che ti permettesse di capire dove ti trovi, dove state andando.
Cosa dovresti vedere assolutamente di Parigi.
Che idea dovresti farti.
E invece continua a camminare svelto come un atleta.
 
- C’è un ristorante italiano qui vicino.
 
E tu gli vai dietro. Con quella busta di plastica gialla in mano.
 
- Non le piace la cucina francese?
 
Sherlock si svolta appena verso di te. - Abbastanza, ma conosco personalmente il proprietario del ristorante dove stiamo andando. E poi devo incontrare lì una persona...
 
Incassi la risposta con un vago senso di delusione dipinta sulla faccia. Fai di tutto per scacciarlo.
Non sta bene che ci sia delusione sulla faccia.
 
Già Sherlock è capace di inventarsi cose che non esistono, figurarsi dargli in pasto cose che effettivamente esistono come premesse per conclusioni errate. Sarebbe un suicidio.
Ma devi fare lo stesso i conti con quel briciolo di delusione.
 
Pensavi che fosse il modo che quel pazzo potesse aver escogitato per darti il benvenuto a Parigi. Invece sta strumentalizzando la tua presenza per supplire la mancanza del suo fattorino tuttofare.
 
Scuoti appena la testa.
Magari vuole solo unire le due cose.
 
- Un collega? - indaghi con circospezione.
 
- No, ringraziando il cielo. Ma ho promesso di regalarle un quadro...
 
Le.
Un moto di rabbia ti attanaglia lo stomaco.
 
- Lei ha appuntamento con una donna e si porta dietro me?
 
Sherlock si volta a guardarti. Un’occhiata tacitamente eloquente. - Sì. Devo cercare di liberarmi di lei...
 
***
Un uomo sulla cinquantina vestito da cameriere si avvicina a voi appena entrate nel locale. Ha un codino di capelli grigi e occhi adoranti e beffardi per Sherlock.
- Signor Holmes, prego, è un piacere rivederla!
 
Lui si limita ad un sorriso appena accennato. - Buon pomeriggio Angelo. - stringendogli la mano.
 
L’uomo non tarda ad indirizzarti un’occhiata vagamente interrogativa, mentre tende la mano anche a te.
 
- Un amico - fingi, così istintivamente che... Holmes ti smonta subito.
 
Abbassa la voce, guardandosi intorno. - John Watson del Times.
 
Angelo ti stringe ugualmente la mano, mentre tu impieghi tutte le tue energie per non lanciare uno sguardo troppo seccato e deluso a Sherlock.
 
Lo spilungone finge di non accorgersene. Continua a guardarsi intorno.
Angelo intuisce il motivo della sua irrequietezza. - La sta aspettando quella signorina dell'altra volta.
 
Lui smette immediatamente di volgere lo sguardo a destra e a manca e annuisce discretamente, vagamente compiaciuto. - Lo supponevo.
 
Angelo vi indica l’altra sala del ristorante.
E proprio mentre mediti di trovare una scusa qualsiasi ed andartene, Sherlock si volta piano verso di te a sussurrare: - Qualunque cosa dica mi regga il gioco. 
 
Aggrotti le sopracciglia come se avesse parlato in aramaico e pretendesse di essere compreso. - Eh...?  
 
Non hai il tempo di metabolizzare l’occhiata che Holmes ti lancia, che una donna pressappoco della vostra età si avvicina a voi, facendovi un impacciato cenno di saluto con la mano. Cioè, a lui, e quindi indirettamente anche a te.
 
- Sherlock.
 
Il destinatario delle sue attenzioni accenna un sorriso forzato. - Salve Molly. Sapevo che saresti arrivata in anticipo. 
 
Ti sembra abbastanza tesa. Ricaccia dietro le orecchie continuamente ciocche di capelli che non sono affatto intenzionati a restare al proprio posto. - Sono arrivata appena ho ricevuto il messaggio. Ero qui in giro.
 
Ha iniziato a lanciarti occhiate curiose da quando siete entrati nella sua visuale. Non te ne stupisci. Tu hai fatto lo stesso con lei.
 
Sarà una sorta di curiosità da parte della gente che si affianca al più giovane degli Holmes, più o meno occasionalmente, di scoprire chi siano gli altri che fanno parte del medesimo ristretto club.
 
Le tendi la mano. Lei ti indirizza un sorriso sincero, mentre la stringe. - John Watson, del Times. 
 
- Il mio compagno. 
 
Sia tu che Molly vi girate di scatto verso Sherlock Holmes, entrambi certi che sia stato colto da un attacco di pazzia fulminante. Pensi al Qualunque cosa dica mi regga il gioco e al Devo cercare di liberarmi di lei... e prendi coscienza di quanto sta accadendo. Non hai avuto il tempo di promettere di aiutarlo in questa pagliacciata. E si meriterebbe che tu non lo aiutassi. Avrebbe potuto parlare chiaro e non farti fare quella faccia da pesce lesso. Per non parlare di quanto sia ridicolo anche solo pensare che… Ma per favore.
 
Cerchi di tornare ad un atteggiamento di composta tranquillità.
Molly del resto era così presa dalla “rivelazione” da non aver notato la tua faccia stravolta. O almeno speri. Guarda Sherlock come se non potesse capacitarsi. - Hai un...? Ah. Complimenti. Da quanto...? 
 
Sherlock è una sfinge. Non accenna affatto a scomporsi.
 
Molly si volta verso di te.
 
Azzardi una risposta qualunque. Possibilmente vaga. - Poco. - sembra non bastare. Lanci un’occhiata “amorevole” a Sherlock, mentre mediti alla svela le parole più giuste per prenderti una rivincita. Almeno in parte. - È come se ci fossimo conosciuti oggi ma è da un po'…
 
Molly guarda di nuovo Sherlock. - Non l'hai detto ai giornali.
 
Un’ombra di sorriso sulle sue labbra. - No. Vogliamo starcene per fatti nostri. Non voglio sprecare il mio tempo a rilasciare interviste sulla mia situazione sentimentale.
 
Non ha fatto niente. Ti ha semplicemente guardato e sorriso appena e questo è bastato a spingere Molly a dire:- Ah. Capisco. Sembrate molto... Affiatati.
 
Ed è bastato a istillare in te istinti suicidi. Vorresti sotterrarti. E poi riemergere e trascinarti sotto terra pure Sherlock. Per ammazzarlo. 
 
- Comunque anch’io sto conoscendo qualcuno...
 
Sherlock ha la sua solita espressione di altezzosa strafottenza dipinta sulla faccia. - Lo so.
 
Lo conosci da stamattina, e già capisci cose che evidentemente a Molly sfuggono ancora dopo chissà quanto tempo. Inizi a capire perché Sherlock non la consideri più di tanto. Lui è quel genere di persone che cerca intuito e intelligenza negli altri. Perché possano affiancarsi a lui anche solo per un the. Tu non fai eccezione, non perché tu abbia davvero intelligenza e intuito sufficienti, ma perché la vostra è in qualche modo una convivenza forzata. Altrimenti il giovane artista se ne infischierebbe altamente di te. E nel momento stesso in cui lo pensi un’inaspettata mestizia si unisce a questa consapevolezza.
 
Molly accompagna alla sua espressione stupita anche un:- Come...?
 
E sai che sta solo inconsapevolmente dando a Sherlock l’assenso a pavoneggiarsi in una delle sue spiegazioni pretenziose. E non vuoi che lui umili quella povera ragazza. Ti ispira simpatia proprio perché continua a sguazzare nell’innocenza e nell’ingenuità quando si parla di capire gli atteggiamenti di quel pazzo che sicuramente approfitta in qualche modo dei sentimenti che lei prova per lui. Perché insomma, è ovvio che li prova. Ed è altrettanto ovvio che Sherlock la sfrutti per qualcosa, altrimenti non le regalerebbe un quadro. Altrimenti non ti spiegheresti perché ti sta costringendo a portarti dietro quell’orribile busta gialla.
 
- Non lo vuole sapere davvero. - sospiri, sorridendo debolmente alla ragazza.
 
Lei ricambia il sorriso. - Forse ha ragione.  
 
Sherlock non accenna a commentare la tua intromissione. Ma ti fa cenno di passargli la busta. Come pensavi. - Comunque ho qualcosa per te... Ti avevo promesso un ritratto... E io mantengo sempre la parola data. John, per favore...
 
Forse hai un briciolo di intelligenza, anche se non quanta basterebbe a stupire la presunta mente geniale di Sherlock Holmes.
 
L’artista passa la busta a Molly che ne tira fuori un quadro incartato in un foglio di plastica di quello con le bolle per incartare le cose fragili. Non hai mai saputo come si chiami. Insomma, quella plastica là.
 
Lei scarta il quadro, appoggiandolo su un tavolino vuoto mentre Holmes lancia un’occhiata disinteressata mentre finge un:- Mi auguro che ti piaccia.
 
Ti sporgi per vedere di che si tratta. Ma l’espressione di Molly la dice lunga.  
 
- Una tela bianca con una bocca, una mano e una ciocca di capelli...?  
 
A Sherlock invece deve sembrare una cosa perfettamente normale. Come se i ritratti da manuale si facessero così. Come se lui non fosse un pazzo dalla poetica (si chiama poetica quella dei pittori? Insomma il corrispettivo di poetica per pittori…) contorta e strana. - Si. 
 
Non sai per chi parteggiare. Istintivamente ti senti di sbilanciarti per Molly ma sai che per molteplici motivi, in primis perché stai tuo malgrado fingendo di avere una relazione con Sherlock, non è il caso di farlo. Beneamata vaghezza. - È un po' insolito…
 
Molly guarda te alla ricerca di una spiegazione sensata. - Non capisco...
 
Cerchi lo sguardo del tuo finto fidanzato, sperando di trasmettergli la necessità di dire qualcosa, e di non troppo offensivo, a Molly. - Dico spesso a Sherlock che delle volte esagera... Ma non mi dà ascolto. 
 
Il giovane Holmes vi guarda come se foste dei bambini di dieci anni, e neanche troppo brillanti.
 
- Quello che caratterizza una persona sono i suoi occhi e in generale l'espressione che assume il suo viso in determinate situazioni. Nell'era in cui ci troviamo la sensibilità e la profondità di ideali e sentimenti vengono trascurate e a queste qualità d'animo vengono sostituite quelle estetiche. All'essenza, scomoda e problematica ma per lo meno autentica, sostituiamo senza ritengo l'estetica, la finzione, l'inganno. Così nessuno guarda più negli occhi gli altri e anche se questo avviene si è tutti abbastanza composti e compunti e assuefatti al modo di fare comune che non si scorge e non si fa scorgere niente dal e nel proprio sguardo. Piattume. Sterile chiusura. Per questo non ci sono gli occhi, perché nel mondo in cui viviamo non sono più importanti.
Quindi cos'altro può caratterizzare una donna? Le labbra, i capelli, le mani. E la relazione che la donna in questione fa intercorrere tra essi. Se è sicura di sé, consapevole del proprio fascino e ha in mano la maschera della seduttrice schiuderà le labbra, giocherà con le ciocche dei capelli ben curati e acconciati, allo scopo di irretire chi si trova di fronte. Ma io non dovevo ritrarre Irene Adler - la conosci, Molly? - ma la nostra Molly che è quanto di più diverso ci può essere. Acqua e sapone, in ordine ma ordinaria, con i capelli un po' crespi, le labbra screpolate e le mani sempre goffamente fuori posto.
 
Molly è sconvolta. E tu anche.
 
Con la differenza che non sono le tue speranze di far colpo su di lui che sono state frantumate in mille pezzi, chiuse in un sacchetto di plastica, passate nell’occhio di un ciclone e buttate nella spazzatura. Non che tu ne abbia. Assolutamente. Tu sei etero. E Holmes non ti interessa. Non in quel senso. Devi solo intervistarlo.
 
Mentre Molly è quasi sull’orlo di una crisi isterica o di pianto, o di entrambe, Holmes se ne infischia.
 
Nonostante la sua ostentata intelligenza la guarda come se non capisse. 
- Sembra che tu non abbia apprezzato.
 
Sembra paradossalmente deluso dal fatto che lei non sia entusiasta e non riconosca la sua originalità e genialità. Scuoti la testa. Ti massaggi stancamente le tempie.
 
Molly sta cercando di trattenere le lacrime che senti dalla sua voce inclinata stanno per scenderle copiose dagli occhi. - Tu mi hai dipinta come... Io pensavo...
 
E il bello è che Sherlock sembra allegramente inconsapevole di quello che sta succedendo. Non capisci se è veramente ottuso per quanto concerne i sentimenti, come sembrerebbe, o se è solo e semplicemente stronzo. - Si...?
 
Molly dimostra invece una forza di volontà nel salvaguardare almeno un po’ di dignità che non pensavi potesse avere. Non riesce a guardare Sherlock dritto negli occhi, ma riesce anche a non tenere lo sguardo basso al pavimento, come fa di solito chi non vuole far intravedere in controluce le lacrime che iniziano a gonfiare gli occhi. - Pensavo che sarebbe stato diverso...
 
E decidi che è abbastanza. Le occhiate che hai lanciato ad Holmes per la maggior parte del tempo sono state bellamente ignorate. Così richiami la sua attenzione poggiandogli una mano sul braccio. - Sherlock, puoi un secondo...?
 
Un vago stupore finalmente sul suo volto.  - Eh...?
 
- Ti devo dire una cosa... In privato.
 
E lo trascini verso la toilette.
Sbatti la porta dietro di voi, in un moto di rabbia, repressa finché siete stati con Molly.
 
- Ma ti è andato di volta il cervello?
 
Sherlock ti guarda come se fossi tu quello che si comporta in modo inappropriato. - Perché?
 
Scuoti teatralmente il capo, cercando di moderare il tono della voce. Non per lui, che anzi si meriterebbe questo e altro, ma per Molly così che tutti gli altri avventori del locale non sappiano che Sherlock la sfrutta e la disprezza e che lei lo ama disperatamente e che tu ti sei trovato in mezzo, fingendo di essere il fidanzato di Holmes anche se teoricamente dovresti solo fare un’intervista e non fargli da balia.
 
Scegli accuratamente le parole per scuotere l’intelligente cervellino di Sherlock. - Quella ragazza è visibilmente invaghita di te e tu le fai un ritratto senza senso che le spieghi con supponenza dicendo che lei non solo non è attraente ma che è disperatamente mediocre... Santo cielo, Sherlock, non è un comportamento normale!!
 
Lui si limita a fissarti. Sul suo volto neanche l’ombra della più vaga emozione. - Lei. 
 
Tutto ti aspettavi fuorché questo. - Eh?
 
Sherlock ti squadra dall’alto in basso. - Mi deve dare del lei. 
 
Ti crollano le braccia.
Tu hai fatto un discorso altamente sensato sul comportamento da maleducato che lui sta adoperando ai danni di una povera ragazza innamorata e lui dovrebbe solo sentirsi in colpa per questo, riconoscere di essere colpevole e chiedere perdono a te e soprattutto a lei. E invece… invece sta a fossilizzarsi sulla tua incidentale assenza di formalismi.  Come se fosse quello il problema!
 
- Non è questo il punto!
 
Sherlock ti guarda come se fosse depositario della verità sull’origine del mondo e tu non volessi ascoltarlo. Come se davanti a prive schiaccianti fossi tu a comportarti in modo assolutamente ottuso.
- Lei non mi conosce e non conosce Molly Hopper. Non conosce la situazione e non può dirmi cosa devo o non devo fare. Vedo che non l'ha sconvolta poi tanto doversi fingere il mio compagno... È stata una mossa sbagliata, si sta prendendo troppe libertà. 
 
Fai appello a tutte le tue facoltà per non urlare. - Io mi sto prendendo libertà? Lei mi ha portato a Parigi mi ha... 
 
Sherlock alza appena le sopracciglia. Minimizza la tua reazione interrompendoti. - Si lo so lo so. Non fa che ripetermelo.
 
Restate a fissarvi in cagnesco per una quantità di tempo indeterminata senza che nessuno dei due proferisca parola.
 
Finché la voce di Molly domanda timidamente, dopo aver bussato alla porta:- Tutto bene?
 
Ti rendi conto che il tempo ha continuato a scorrere mentre fissavi Sherlock Holmes. - Arriviamo.
Ma non accenni a muoverti prima che lui non ammetta i suoi errori.
 
Cosa che non sembra proprio intenzionato a fare. Sembra invece che lo diverta molto metterti in imbarazzo. - Non ha pensato che la situazione vista dall'esterno può sembrare equivoca?          
 
Lo guardi senza capire. Non vuoi capire. - In che senso?
 
- Nel senso che lei mi ha trascinato in un luogo appartato, un bagno nella fattispecie e considerato che non accenniamo ad uscirne, come pensa che verrà interpretata la sparizione?
 
Boccheggi come un pesce a cui manchi l’acqua in cui sguazzare, mentre cerchi invano qualcosa di sensato da ribattere. - O santo cielo. Ma cosa… come…? Lei… è un pervertito.
 
- Io non ho detto nulla. È lei che ha immaginato cose che non ho detto.
 
- Stia zitto e usciamo subito da questo posto, per l'amor del cielo!
 
E ti rendi conto di come fosse architettato proprio per convincerti ad uscire dallo stanzino senza fargli ammettere di essere in errore nel suo comportamento con Molly.
 
 
- John mi ha trascinato in bagno per convincermi a chiederti scusa per il quadro... Ma non ritengo che sia necessario. 
Il tenue sorrisetto che si stava facendo strada sulle tue labbra sparisce subissato dalla consapevolezza della totale assenza di gentilezza e di cortesia in Holmes. O forse la presenza di un orgoglio esasperatamente nutrito dalle esagerate quotazioni dei suoi quadri.
 
E Molly è fin troppo buona e scossa e invaghita da non protestare. - No, no, figurati…
 
Sherlock accenna un sorriso colmo di soddisfazione nella tua direzione. Come per dimostrarti che erano tutte tue pare mentali e che non c’era minimamente bisogno di scuse o altro. - Bene.
 
Ma in qualche modo vuoi una rivincita. Per te e per Molly.
 
Le domandi con cortesia, ignorando lo sguardo vagamente contrariato di Sherlock. - Verrà alla mostra? 
 
Lei abbassa appena gli occhi, sorridendo come se si facesse compassione da sola. - Non so. Non ho l'invito. 
 
Lanci un sorriso eloquente ad Holmes. - Venga lo stesso. Sherlock avvertirà la signora Adler.
 
Molly guarda da te a Sherlock senza riuscire a capacitarsene. - Davvero?
 
- Certo, ci fa piacere. Vero, Sherlock?
 
Lui annuisce senza entusiasmo. - Oh, si certo… 
 
 
Molly abbandona il locale poco dopo, tirandosi dietro la busta gialla con il quadro.
L’infame manifesto della supponenza e mancanza di empatia di Sherlock Holmes.
Ma in fondo, viste le quotazioni delle sue opere, una somma non indifferente che se ne passeggia per Parigi in quell’involucro di plastica.
Quindi se la ragazza si rassegnasse a vendere il quadro potrebbe evitare di guardare in faccia la propria sconfitta sentimentale per sempre e incassare un bel mucchio di soldi. Che non faranno la felicità ma sicuramente aiutano. Ma sai che Molly non venderà il quadro.
 
Sherlock ti scruta con una delle migliori espressioni torve.
 
- Lei la deve smettere di condizionare la mia vita. Concordiamo quest'intervista e facciamola finita. - allunghi una mano nell’aria di fronte a te. - Il mio cellulare, prego.
 
Holmes tira fuori il telefono da una delle tasche interne della giacca e te lo porge. - Il suo cellulare. 
 
Non ti sembra vero. - Riascoltiamo la conversazione di prima e cancelliamo quello che non le piace?
 
Lui ti indirizza un’espressione di malcelata sufficienza. - Temo che non sarà possibile. 
 
Troppo facile… - E perché?
 
Lui si guarda appena le unghie, alzando poi gli occhi nei tuoi. - Ho cancellato tutte le note vocali di oggi.
 
Vorresti sprofondare. - Ma come ha fatto? C'è una password per accendere il cellulare.
 
- Non l'ho mai spento. L'ho solo messo in modalità aereo perché eravamo in volo.
 
Non sai se possa essere più d’effetto metterti ad urlare rinfacciandogli le solite cose, quand’è che sono diventate “le solite cose” a proposito?, oppure tacere e limitarti ad un’occhiata sprezzante.
In compenso non riesci in nessuno dei due atteggiamenti. Lo guardi e sussurri, senza volerlo:- Lei è sconcertante.
 
Angelo torna con la sua mole corpulenta ad incombere su di voi. - Cosa prendete?
 
Sherlock prende teatralmente posto sulla sedia più vicina.- Le va di dividere una pizza signor Watson?
 
E non sai come interpretare quell’invito. - Lei è sconcertante.
 
Sorride appena, portandosi le mani giunte sotto il mento. - L'ha già detto. 
 
- E ho il diritto di ripeterlo. 
 
Non è un granché come risposta, te ne rendi conto. Ma non dicendo nulla, gli dai involontariamente campo libero. - Si, Angelo, una pizza con la mozzarella. La dividiamo.
 
- Ma lei fa sempre così?
 
Sguardo interrogativo. Non è facile spiazzare Sherlock Holmes. Dovresti goderti il momento. Invece lo sprechi a rispondergli.
 
- Vive sempre così? Corre di qua e di la, rapisce la gente, offende le ragazze che sono interessate a lei, ordina a posto degli altri e nel tempo libero ruba cellulari e dipinge quadri?
 
Lui ti guarda serafico e misterioso. - La mia vita è molto meno noiosa di come la descrive.
 
Ti si increspa la fronte. - E lei questa la chiama noiosa?
 
- Tutto se diventa un’abitudine può risultare noioso. 
 
- Penso che con lei niente potrebbe essere noioso... Irritante, surreale, da denuncia... Ma mai noioso. 
 
- Ci può scommettere!
 
Dio santo, John, ma in che pasticcio ti stai mettendo?  
Che stavi pensando quando hai dato quella risposta?
Che cosa cazzo…?
Fai mente locale, sarebbe il caso.   
 
 
***
Allora John, la situazione è surreale, lo ammetterai... Il tuo gentile ospite è uno psicopatico...
 
- Sono un sociopatico iperattivo... Si informi.
 
La devi smettere di stupirti per i suoi comportamenti. Eppure non ci riesci. - Ehm...?
 
- Il suo sguardo esprimeva chiaramente disappunto e il disappunto quando è rivolto nei miei confronti porta nella maggior parte dei casi a esternazioni, mi permetta, patetiche, riguardo la mia sanità mentale. Ora, lei nonostante tutto è troppo gentile per darmi del pazzo ad alta voce ma non riesce a controllare quelle sue occhiate che io ho facilmente riconosciuto e interpretato... E quindi le ho risposto a tono. Che è poi quello che faccio sempre. 
 
- Ma come cazzo fa?
 
Sherlock sorride appena, guardandoti fisso negli occhi. - Vuole la verità?
 
Non sai se ti interessa di più non fare la figura dello scemo o scoprire quale sia il segreto della sagacia del giovane Holmes. - Non lo so. 
 
Lui continua a guardarti, un’espressione di divertito disappunto nei suoi occhi indefinitamente chiari. - Ci sono cose evidenti e cose non evidenti. Le prime vanno solo riconosciute. Le seconde vanno presunte tenendo conto delle cose evidenti. Eliminato l'impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, deve essere la verità. E non è poi una cosa così eccezionale come lei la fa sembrare.
 
Non sai se essere semplicemente meravigliato della semplicità che Sherlock sembra trovare nella sua teoria, o della sfacciataggine di affermarla quando la tua presenza a Parigi è la manifesta affermazione del contrario. - E infatti non sempre le riesce. Mi ha scambiato per Victor Trevon.
 
Sherlock non si fa sconvolgere più di tanto. - È lei che è piombato nella mia vita senza preavviso. 
 
- Se la prenda con suo fratello, io non c'entro nulla…
 
Angelo poggia un piatto enorme in mezzo al tavolo. - La vostra pizza... L'ho divisa in due come avevate chiesto. 
 
Sherlock fa un cenno con il capo come ringraziamento e tu mormori un grazie rivolto non tanto all'arrivo del cibo ma dell'interruzione della discussione con Holmes. 
 
Ma Angelo non accenna ad andarsene. Tira fuori un accendino da una tasca dei pantaloni e accende una candela che prende da un altro tavolo per illuminare il vostro.
 
- Così sarà più romantico…
 
- Noi non… Non è un appuntamento.
 
Ma il corpulento cameriere si limita a lasciare la candela sul tavolo e defilarsi in silenzio, senza trattenere un sorriso vagamente accondiscendente e malizioso sul volto.
 
Se fossi stato una ragazzina alle prime armi quella pazza che si ostina a scrivere di te e del signor Holmes potrebbe dire che le tue guance si stanno imporporando di timidezza ed imbarazzo, ma visto che non sei un’educanda dell’ottocento, si sta trattenendo, sorridendo oltre lo schermo del computer. Dirà piuttosto che questo genere di scene, come se non si fosse già capito, ti irritano non poco. E lascerà intendere che ci sia un fondo di verità nelle insinuazioni sulla natura del tuo rapporto con Holmes che tutti quelli che vi incontrano fanno deliberatamente e continuamente, e ne sarà sufficientemente soddisfatta. Ma per favore, non è affatto così, vero John?
 
Peccato che se un pittore terribilmente intelligente, della serie: perché non ha fatto il detective se è così intelligente? , si ostina a dire che tu provi sentimenti contrastanti per lui, evidentemente è così.
 
Sherlock Holmes ti guarda intensamente negli occhi. - Stare con me la imbarazza, perché?
 
Alzi momentaneamente gli occhi al cielo. - Perché dovrebbe imbarazzarmi? 
 
Perché devi per forza nascondere qualcosa dietro il tuo tono evasivo? Che poi non è evasivo. Insomma, basta. Non ti interessa Sherlock Holmes.
 
Piuttosto, non sarà che lui… paradossalmente…
 
- Non sarà piuttosto che lei è imbarazzato dalla mia presenza e quindi non fa che punzecchiarmi qualunque cosa io dica o faccia?
 
Ma ti sembra ridicolo e improbabile nel momento esatto in cui lo dici. Figurarsi quando lui scuote appena la testa come sta facendo. - Come le ho già detto è quasi impossibile che lei possa mettermi in imbarazzo...
 
Peccato che tu sia stufo di questa situazione. Vuoi avere tu il coltello dalla parte del manico, per una buona volta. - Intanto la imbarazza molto rilasciare interviste.
 
- Non mi imbarazza, mi infastidisce. 
 
- E allora muoviamoci, via il dente via il dolore. - lo incalzi.
 
Lui ti indica il piatto al centro del tavolo con un distratto gesto della mano. - Mangi un boccone di pizza piuttosto, è molto buona.
 
Sbuffi appena. Perché non vuole farsi intervistare e pace? Perché deve condurti per forza all’esasperazione? Cosa c’è di divertente in questo?
 
Ti convinci che la cosa migliore è prendere un pezzo di questa dannata pizza, almeno metterai qualcosa nello stomaco, finalmente.
 
Sherlock non accenna affatto a voler mangiare. Se ne infischia bellamente. Non guarda né te, né il piatto. Fissa un punto indefinito oltre te. Non ti è dato sapere a cosa pensi. Cosa macini la sua mente geniale.
 
Immobile, senza sorridere, senza parlare, senza fare alcunché, finché non estraee il cellulare, il suo questa volta, da una tasca della giacca. Non avevi avvertito niente, ma evidentemente lui sentiva la vibrazione nella tasca.
 
Ti fa un cenno col capo. - Devo rispondere.
 
Inghiotti il boccone di pizza e bofonchi un - Prego - stentato.
 
Le telefonate di Sherlock sono totalmente mancanti di convenevoli. - Si. Lo so. Non penso. È proprio necessario? Arrivo subito.
 
Intuisci che sia successo qualcosa. Che cosa, non ti è dato saperlo. E poi con Sherlock potrebbe trattarsi di qualsiasi cosa.
 
Lui ti guarda serio. - Mi dispiace, John, ma oggi ha perso un'occasione...
 
Aggrotti appena le sopracciglia. - Eh?
 
- Non abbiamo più tempo per mangiare, abbiamo cose più importanti da fare. O meglio, io ho cose più importanti da fare ma sono costretto a portarla in giro con me finché non avremo un accordo...
 
- E un'intervista, ricorda?
 
- E un'intervista, certo. - liquida con nonchalance con un gesto della mano - Il conto, Angelo... 
 
L’uomo ne sembra abbastanza deluso, in realtà. - Ma la pizza l'avete a stento toccata.
Sherlock si alza dalla sedia con un balzo, appoggiando il tovagliolo sulla tavola. - Andiamo di fretta. - afferma, con la sicurezza di chi può permettersi di ordinare in un ristorante e pagare senza aver mangiato.
 
Ti senti un pezzente con Sherlock. E anche uno sciocco, spesso. Non sai che cosa pensi, che piani abbia, lo segui senza speranze di indovinare la sua prossima mossa o battuta. È imprevedibile. E dice della sua vita frenetica e avventurosa che è abbastanza noiosa ed ordinaria.
 
Il tutto condito da quel senso di superiorità e di insoddisfazione che in altre persone trovi terribilmente pretenzioso ed irritante. Lo trovi pretenzioso e irritante anche in lui, per carità, ma di meno, molto di meno. Ti ostini a voler credere che ci sia altro sotto quella scorza dura e non trattata. C’è qualcos’altro. E una parte di te vuole scoprirlo. L’altra parte che sia lui a parlartene. Sai che per ora nessuna delle due verrà soddisfatta.
 
 
***
Avevi intuito che Sherlock Holmes fosse una persona teatrale e stravagante, ma non avresti mai potuto immaginare che lo fosse a tal punto da entrare in ritardo in una stanza in cui presumibilmente lo stanno attendendo da un bel po’ di tempo e rimproverare gli altri di essere arrivati tardi.
 
Gli altri nella fattispecie è un uomo abbastanza alto, la pelle olivastra, capelli corti e vagamente brizzolati sulle tempie, occhi scuri. - Alla buon ora Gavin!
 
Il tipo si limita a lanciare un’occhiata mezzo contrariata a Sherlock e a porgerti la mano. - Gregory Lestrade. Piacere. 
 
Gli stringi la mano, la fronte aggrottata. - John Watson. Perché Sherlock l'ha chiamata Gavin?
 
- Perché non riesce a ricordarsi come mi chiamo, e ci conosciamo da anni.
 
Sorridi appena. È perfettamente nello stile di Sherlock. - Ha una fastidiosa e melensa relazione a distanza con mio fratello, e l'ho scoperto il Natale scorso nel peggior modo possibile. È già molto che non ti chiami...
 
L’entrata nella stanza di una figura imponente e conosciuta interrompe Sherlock. - Penso che possa bastare. 
 
Sherlock lo guarda come se avesse rovinato il più bel momento di una rappresentazione scenica. - Mycroft, per l'amor del cielo...  
 
- Scusami se ho dovuto prendere in prestito uno degli elicotteri dei servizi segreti per portarti il tuo vero assistente, Mr. Mi Imbarcarco Con Il Primo Che Passa.    
 
Sherlock lo fissa contrariato. - John Watson non è il primo che passa. E poi me l'hai mandato tu... 
 
Ha appena detto… ha detto… insomma… che non sei il primo che passa?
L’ha detto davvero?
Ti volti appena verso Lestrade come se potesse dartene conferma.
Ti rendi conto di quanto possa sembrare patetico e te ne torni a guardare i due fratelli.
 
- Per un'intervista di un quarto d'ora a Baker Street non un reportage sulla tua mostra in un bistrot degli Champs Elysee!
 
Sei così contento dell’ammissione di stima da parte di Sherlock nei tuoi confronti che ti azzardi a intrometterti, involontariamente, si intende, ti sei morso la lingua subito dopo. - In un ristorante italiano sarebbe meglio, pare che a Sherlock non piaccia la cucina francese...
 
Mycroft non si fa sfuggire il tuo commento. Lo ritorce contro il fratello, rivolgendogli un’occhiata che è tutt’altro che muta. - Pare che qualcuno abbia fatto conquiste...
 
- Pare che qualcuno si sia istintivamente coalizzando contro di te... 
 
Lestrade si intromette più opportunamente di quanto abbia fatto tu prima. - Siamo qui perché un pazzo psicotico si mette a scrivere dietro i quadri di Sherlock, se non erro...
 
Il maggiore degli Holmes gli indirizza un sorriso appena accennato… - Grazie Greg.
 
...che basta a disgustare Sherlock. - Risparmiateci il resto per favore.
 
La discussione viene interrotta ancora. Ma da una voce proveniente dalla porta della stanza. - Ehm... Scusate, potrei...? - un ragazzo abbronzato che si tiene sulla soglia, senza azzardarsi a fare un altro passo senza permesso.
 
Mycroft è l’unico a non esserne sorpreso. Gli fa un cenno con la mano. - Entri pure. Sherlock, questo è il tuo assistente, il signor Victor Trevon. 
 
Il fratello si limita a dirigergli una rapida occhiata. - Noioso. 
 
- Cosa?
 
Incrocia le braccia sul petto. Sembra un bambino che fa i capricci. - Non ho bisogno di un assistente come non ho bisogno delle attenzioni di Molly Hopper... 
 
Il ragazzo si guarda le mani con imbarazzo. Evidentemente tutto si aspettava che un’accoglienza del genere. Un po’ lo capisci e un po’ lo compatisci. Ma ti eri quasi abituato, e quasi ti faceva piacere, fare da assistente sostitutivo per il più giovane degli Holmes.
 
Il fratello lo rimprovera. E gli basta uno sguardo e chiamarlo per nome. - Sherlock.
 
Quasi gli invidi quell’autorevolezza che riesce a fargli smettere le lamentele e le proteste.
 
Lui guarda distrattamente nella direzione di Trevon. - E va bene. Ci porti del the allora. 
 
Victor sgrana quasi gli occhi. - Del the?
- Del the. E subito. 
 
Cerca conferma nelle facce degli altri presenti in sala, ma Holmes senior lo fissa senza parlare, Lestrade smanetta con il telefono e tu… beh… tu guardi la scena come se non ne facessi parte. Poi cerca di fare un sorriso a Sherlock, che lo stronca subito con un’occhiata gelida, e sgattaiola via:- Farò del mio meglio, Signor Holmes. 
 
Appena senti la porta chiudersi dietro le spalle di Trevon ti azzardi a parlare. - Perché del the?
 
Sherlock si volta appena verso di te, con un briciolo di divertimento negli occhi. - Perché il bar più vicino è chiuso per lutto e essendo domenica in Francia i negozi sono chiusi... Tranne se la signora Adler nasconde the in cassaforte. Ma è molto improbabile, visto che è già zeppa dei soldi che guadagna illegalmente.
 
Non riesci a trattenere un sorriso. - Lei è stupefacente... 
 
Dovresti smetterla di alimentare il suo ego. Dovresti proprio smetterla. - Sono o non sono Sherkock Holmes?
 
Mycroft sbuffa appena. - Patetico. 
 
Ma Sherlock gli risponde a tono. - Se vuoi dei dolci su cui sfogare la tua frustrazione per la dieta devi solo telefonare a Trevon, così ci metterà ancora di più a tornare...
 
Intervieni per stemperare la tensione, sperando di non dovertene pentire. - Allora, questo quadro?
 
Lestrade ti fa un cenno di ringraziamento con lo sguardo.
 
Vi conduce in un’altra stanza della galleria d’arte della Adler, dove su un cavalletto troneggia al centro della stanza un quadro, voltato dalla parte dell’intelaiatura.
 
Vi troneggia una scritta in corsivo, fatta verosimilmente con un qualche tipo di pittura.
 
 
Sono stanco di non essere invitato proprio alle tue feste, Holmes. Il Cavaliere Azzurro.
 
 
Ti avvicini alla tela, senza capire. - Che vuol dire questo messaggio?
 
Sherlock lo fissa per qualche secondo. - Potrebbe voler dire almeno sette cose diverse, al momento. 
 
- E sarebbe?
 
Lui scuote appena la testa, voltandosi verso Lestrade e poi verso il fratello. - Abbiamo la polizia francese e il governo inglese riuniti nello stesso posto e devo parlare io? Che senso avrebbe?
 
I due tacciono, senza alzare gli occhi dalla tela.
 
- Ma perché si firma il cavaliere azzurro? Perché non il cavaliere nero o il cavaliere rosso o il cavaliere blu cobalto? Che cosa vuole dirci firmandosi proprio con "il cavaliere azzurro"?
 
Sherlock si volta verso di te. - Vuole dimostrare la sua ignoranza, John. 
 
- Prego?
 
Non sai com’è successo ma repentinamente te lo trovi sulla cattedra di sapiente a mulinare un dito minaccioso in aria, quasi a rivoltare l’aria stessa contro la tua ignoranza.
 
- "Il cavaliere azzurro" è un movimento d'arte moderna che fa capo a Kandinskij e Marc. È una citazione artistica. Di chiunque si tratti, è una persona colta, lui. Quindi presumibilmente non è presente adesso in questa stanza. Dalle espressioni sulle vostre facce sembra che qualcuno vi abbia appena promesso di asportarvi gli organi interni senza anestesia e senza conseguenze. Ma io non voglio i vostri viscidi organi interni, pretendo solo che mi si presti attenzione visto che sono l'unico ad avere davvero chiaro il genere di persona che questo Cavaliere Azzurro potrebbe essere. 
 
Lestrade gli risponde piccato:- Ma neanche la minima idea su chi sia davvero. 
 
- Irrilevante. E noioso. Comunque, abbiamo una mostra da inaugurare stasera. Il Cavaliere Azzurro non impedirebbe mai che avvenga una mostra d'arte. Con o senza invito probabilmente farà in modo di essere presente. Dobbiamo solo tenere gli occhi aperti stasera e faremo la sua conoscenza. Non preoccupatevi, ho usato il plurale ma non intendo davvero necessario il vostro aiuto.
 
Il fratello gli indirizza uno sguardo colmo della commiserazione che si riserva ai megalomani. - Ti stai autocelebrando, Sherlock?
 
Lui non sembra offendersi. Si limita a fissarlo e prenderlo in giro con un’improbabile voce melliflua. - Perché dici così, Mycroft? 
 
- Perché mi piace sprecare il mio fiato.
 
Lestrade interviene, volgendo lo sguardo ora alla tela ora a Sherlock. - Quindi la festa sarebbe l’inaugurazione?
- Troppo acuto per lavorare per la polizia, Gringour, dovrebbe puntare ai servizi segreti, così ci invadono.
 
Il maggiore degli Holmes non tarda ad intervenire. - Sherlock.
 
E il minore a prendersela. - Scusa Mycroft, non volevo offendere la tua dolce metà.
 
- Greg.
 
Sherlock conceda la precisazione con una scrollata di spalle.
 
Intervieni tuo malgrado:- Ma come ha fatto ad entrare qui dentro? Non ci sono i filmati di sorveglianza?
 
- Ovviamente no, altrimenti sarebbero la prima cosa che ci avrebbero mostrato.
 
- In effetti sì, hanno hackerato il sistema di sorveglianza. - conferma Lestrade.
 
Sherlock alza le spalle, come se se l’aspettasse. - Prevedibile.
 
Ve ne state zitti per alcuni minuti, ognuno rinchiuso nei propri pensieri, ma tutti a fissare il quadro.
 
- Ma chi è il Cavaliere Azzurro?
 
Sherlock si volta verso di te. - Il Cavaliere Azzurro è un collezionista d’arte.
 
- Deve avere molti soldi… - azzardi.
 
È Mycroft a risponderti:- Sì, per pagare gli esecutori dei suoi furti.
 
Ti volti interrogativo verso Sherlock.
 
Che tacitamente conferma:- Lui non compra i quadri, li ruba. - come se fosse la cosa più normale a questo mondo.
 
Non capisci. Se è un ladro di quadri perché invece di scrivere dietro alla tela di Sherlock non se l’è portata via? - Vuole rubare i suoi quadri?
 
- Aveva l’intero istituto a sua disposizione. E non è sparito niente, vero, Lestrade?
 
- La Adler mi ha confermato che non è sparito niente.
 
Mycroft interviene preoccupato. - È un avvertimento.
 
- O forse voleva solo un invito.
 
Non capisci. Perché questa storia dell’invito? Ma… - Ma lei lo conosce?
 
Sherlock sfodera il migliore dei suoi toni evasivi. - Mi scrive, delle volte.
 
Sgrani appena gli occhi. - E lei risponde?
 
- Delle volte.
 
Questa situazione è così assurda che… non trovi neanche le parole o il tempo per stupirti… - Ma sa chi si nasconde dietro il Cavaliere Azzurro?
 
Holmes ti guarda serissimo, lo sguardo perso, quasi assente, mentre fissa la tela, infischiandosene di te e di tutti gli altri. - La mia nemesi.
 
- Ma…?
 
Sherlock torna subito in sé. - La seduta è tolta. Gregorius, lei può restare qui o tornarsene a lavoro o fare cose che non voglio sapere con mio fratello, non fa differenza. Al momento non è necessaria la presenza. Ma venga stasera all’inaugurazione, potremmo avere bisogno di lei. Per impedire che Mycroft mandi al diavolo la sua dieta. Non guardarmi così, è superfluo. E noioso. Andiamo, John?
 
Lo guardi come se lo vedessi la prima volta. Come se non avesse già sconvolto la tua vita in meno di dieci ore. Come se non avesse cambiato programma innumerevoli volte mentre stava facendo altro. Come se non ti avesse coinvolto nella sua routine frenetica e interessante fatta di mostre d’arte, quadri incomprensibili e pazzi che rubano quadri, ma solo ogni tanto. E che si firmano con il nome di un movimento artistico morto e sepolto da decenni. - Dove?
 
Sherlock con tutta l’ingenuità e la spensieratezza di un bambino. Come se quel pazzo non si fosse intrufolato nella galleria dove lui deve tenere una mostra da lì a poche ore e non gli avesse lasciato un messaggio dietro uno dei suoi quadri.
 
- Non abbiamo un’intervista in sospeso?
 
Come potrebbe non affascinarti un uomo simile?
 
 
 
 
Angolo autrice:
Salve! Ed eccoci qui all’aggiornamento di Aprile!
Abbiamo finalmente schierato gran parte delle pedine della storia, adesso inizia la partita a scacchi vera e propria!
Spero che abbiate apprezzato anche questo capitolo! Che ne dite nel nostro sedicente Cavaliere Azzurro?
Ringrazio chi recensisce- ha messo la storia tra le seguite-preferite-ricordate!
Buona Pasqua a tutti e alla prossima :)
 
lady dreamer

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Sono costretto a continue trasformazioni, perché tutto cresce e rinverdisce.
A forza di trasformazioni, io seguo la natura senza poterla afferrare,
e poi questo fiume che scende, risale, un giorno verde, poi giallo,
oggi pomeriggio asciutto e domani sarà un torrente.

Claude Monet.
 
 
Arte contemporanea
Capitolo IV
 
 
- Mi spiega perché l’Orangerie?
 
Sherlock alza le sopracciglia. - Perché lei non sa niente di arte. Ho bisogno di farle vedere dove nasce l’arte contemporanea per poterle rilasciare un’intervista. E tutto nasce dagli Impressionisti.
 
Sbuffi appena. Non sarai un esperto, ma non sei neanche così ignorante. - So chi sono gli Impressionisti.
 
Sherlock ti squadra come faresti con lui se di punto in bianco dicesse di essere un patito di calcio. - Tipo?
 
Mai avresti pensato di poter trovare familiare questo dannato clima da esame che si è istaurato tra te e questo artista pazzoide. Come se tu dovessi dimostrare qualcosa… e il bello è che i tuoi neuroni si affanno a trovare sempre la risposta che ti faccia fare la figura meno pessima che è possibile. Perché della sua opinione purtroppo ti importa. - Che dipingevano a macchie e punti?
 
Un professore esigente e mai contento, Sherlock Holmes. - Ma sa perché dipingevano a macchie e punti?
 
Gli mancano solo gli occhialetti tondi e fa tale e quale la stessa espressione del tuo docente di anatomia all’università. E pure lui non sapevi se stimarlo o odiarlo, infatti.
 
- Perché gli andava…
 
Sherlock non si lamenta stranamente della vaghezza della tua risposta.
Si limita a fissarti così intensamente che pensi che non ti stia davvero fissando, ma che i suoi occhi ti guardino attraverso, che vedano oltre te e l’anonimato della tua persona.
 
È ispirato come hai capito può essere solo se parla d’arte.
Parla con pause studiate, teatrali. E hai sempre guardato con invidia alle persone a cui basta fare attenzione al proprio tono di voce quando dicono qualcosa per riconoscere cosa li tiene in vita. E considerato che Sherlock Holmes sembra indifferente al cibo e allo stimolo a dormire, evidentemente è proprio l’arte a tenerlo in piedi.
 
Tu non sai più cosa ti faccia alzare dal letto tutte le mattine. Ti senti come svuotato, incerto. Non sai cosa fare dei tuoi giorni, continui a perseguire degli schemi che ti sembra di aver elaborato in un’altra, ingenua, vita.
 
Forse è proprio per questo che guardi con così tanta ammirazione alla volta di Sherlock Holmes, mentre snocciola con nonchalance: - Erano degli anticonformisti, dei ribelli, degli spiriti liberi. Hanno spianato la strada a tutti gli altri. L’arte accademica li guardava e storceva il naso. Vivevano come degli spiantati, rifiutavano i canoni classici e i soggetti finti del mito. Dipingevano la realtà come la vedevano loro. Con le ombre viola. Perché per loro il nero non esisteva. A macchie e punti. Per dipingere il filtro della loro percezione del mondo. Un mondo borghese. E felice di essere borghese. E di essere felice. Questi sono gli impressionisti. Degli spiantati visionari ribelli.
 
Ti volti a fare caso al suo entusiasmo. - Le piacciono molto. Almeno sembra.
 
Lui ti guarda con un accenno di superiorità. Come se si stupisse che tu abbia anche solo potuto ipotizzare che il suo preferito fosse un movimento così orgogliosamente frivolo. Del resto, mentre lo guardi scuotere appena il capo, anche tu ti stupisci su come abbia potuto prendere un tale abbaglio.
 
- Preferisco Van Gogh, uno spiantato visionario ribelle infelice.
 
Lo dice con orgoglio. E, quel che è peggio, detto da lui non sembra così terribile. Concorre solo a farlo sembrare più affascinante. - Pensa che l’infelicità sia un vanto?
 
Ti regala uno sguardo pensieroso, quasi assente. - Per un artista può essere un vantaggio.
 
Vorresti non trovare nelle sue parole quei sottointesi che non puoi fare a meno di individuare. - Van Gogh si è suicidato.
 
Sherlock sembra tornare presente a se stesso. Torna a fissarti. E se non avessi capito qualcosa di lui in questo tempo passato insieme, diresti che c’è un briciolo di compiacimento. E forse c’è davvero. Ma non vuoi illuderti. - Lo sa. Bene. Pensavo che fosse più ignorante.
 
Scuoti appena la testa. - Lei pensa che sia un bene suicidarsi? Che so, spararsi un colpo, buttarsi da un balcone?
 
Sherlock ti guarda con molta serietà. - Dipende dalle situazioni, temo.
 
E non sai perché, ma ti sembra ad un tempo ingiusto e strano sentirgli dire una cosa del genere.
Avresti etichettato queste affermazioni con una vuota superficialità, se non avessi trascorso le ultime sei ore con lui. Temi che ci possa essere dietro qualcosa di diverso dall’esibizionismo.
 
- Lei si ammazzerebbe?
 
Sherlock accenna debolmente un sorriso. - Teme che mi ammazzi? Non è nella lista delle mie priorità.
 
Corrughi istintivamente la fronte. - Non capisco.
 
Ti guarda fisso negli occhi. Uno specchio troppo profondo, quei suoi occhi cerulei. - Lei non darebbe la vita per le persone che ama?
 
Aggrotti le sopracciglia. - Aveva dichiarato che tenere a qualcuno non è un vantaggio.
 
- Non è un vantaggio. Ma a volte capita.
 
Hai serie difficoltà ad immaginare che sia la stessa persona che si è comportato così male con Molly Hopper, ha liquidato così malamente Victor Trevon e continua a non ricordarsi il nome del compagno di suo fratello. Esiti. Ma sussurri, nascondendoti dietro una vaga intonazione interrogativa: - La signora Adler?
 
Lui ti guarda come se avessi detto che gli alieni stanno per invadervi. Che poi dipende dai punti di vista, se fosse una puntata di Doctor Who sarebbe tutto perfettamente normale. - La signora Hudson.
 
Immagini la scena. Sherlock e l’anziana signora che... - Come?!
 
Holmes alza gli occhi al cielo. - Non nel senso che pensa. Sono cresciuto con lei.
 
Respiri profondamente con un accenno di sollievo molto evidente nella voce.
 
- E suo fratello?
 
Devi aver fatto la domanda sbagliata. Sherlock risponde più veloce di uno scioglilingua. - Nessuno mi minaccerebbe con lui. È un pezzo troppo grosso. Ma queste cose a lei non interessano.
 
Prendi mentalmente nota: c’è qualcosa che non va nel rapporto tra i fratelli Holmes.
Sarebbe uno scoop interessante per l’articolo… peccato che al momento sia l’ultimo dei tuoi pensieri.
 
***
 
Attraversare il parco delle Tuileries, scansare l’enorme costruzione del Louvre ed entrare in un museo molto più piccolo e anonimo non è da tutti. Evidentemente è da Sherlock Holmes.
Ma entrare nel museo, con Sherlock che sembra di casa e fa un cenno al ragazzo al bancone all’ingresso è una cosa che decisamente non ti saresti aspettato.
Eppure, dopo aver passato un sommario controllo sicurezza, a Sherlock non l’hanno fatto ma a te sì, perché va bene non farti pagare il biglietto perché Holmes garantisce per te che sei della stampa inglese, ma il controllo sicurezza lo fai lo stesso, perché non sei mica Holmes, mentre pensavi che sarebbe stato difficile stupirti ulteriormente, ti ritrovi in una stanza decisamente inusuale.
 
Ti volti verso Holmes alla ricerca di spiegazioni. - Perché questa stanza bianca?
 
- È una sorta di camera di decompressione. Non tema. Non le succederà niente. Monet non morde. L’idea è sua.
 
 
Pensavi che Sherlock Holmes fosse una persona superficiale e saccente.
Continui a pensare che sia saccente, per carità. Ma lo difenderesti a spada tratta dall’accusa di superficialità, adesso. Anche se poi te ne stupiresti. E cercheresti di pesare sulla bilancia della tua ferrea razionalità i motivi che ti avrebbero spinto inconsciamente a reagire così.
Ma sarà il modo in cui si ferma davanti ad ogni singolo quadro. Di pittori famosi, alcuni, di gente che non conosci, molti altri.
 
L’arte non è mai stata il tuo più grande interesse.
Eppure quelle pareti intere ricamate dagli arabeschi di colori di Monet ti hanno stupito. Sono fiori. Ninfee. Galleggiano su acque colorate di oscurità e di indifferenza. Come te. Galleggi nella tua vita. In mezzo a gente che se ne infischia.
 
E poi c’è Holmes che guarda le volute di quell’acqua stagnante, che passa in rassegna, forse per la milionesima volta, le sfumature di colore delle diverse versioni dello stesso soggetto.
E non capisci cosa pensi. Fino a che punto si spinga la sua capacità di comprendere la gente. Se capisce quello che stai provando, quel senso di irrequietezza, di smarrimento, di disprezzo per la tua stagnante immobilità in una vita che si è impantanata, tace perché lo prova anche lui oppure perché non gliene frega niente?
 
Tace. E c’è qualcosa di vagamente sensuale nel modo in cui i suoi occhi si posano sulle tele, le braccia lungo i fianchi, le mani in tasca. Sembra che il suo silenzio sottenda un rapporto molto più intimo e vero con i quadri che con te. Che con le persone in genere.
 
Forse è per questo che ha problemi a relazionarsi con le persone. Perché si trova in sintonia con l’arte. Forse non si possono avere entrambe le cose.
 
Ma temi di affrontare questi argomenti con lui.
Decidi di dire un’altra cosa qualsiasi, pur di non dover più riflettere sulla tua vita e sul suo profilo mentre il suo sguardo indugia sulle tele come se guardasse un amante.
Un’amante.
 
- Ma aveva detto che un pittore di arte contemporanea non può amare Turner. Come può amare Van Gogh? O gli Impressionisti?
 
Sherlock si volta appena verso di te. Alza gli occhi dall’enorme dipinto sulla parete e li posa su di te. E ti senti inconsciamente inadeguato. Del resto, chi potrebbe competere con le Ninfee di Monet?
Eppure non ti fa sentire uno sciocco, per una volta.
 
- Io esisto perché loro sono stati rivoluzionari anche per me, quando è stato il loro turno. Turner è stato determinante per gli Impressionisti, forse. Ma non posso amare tutti quelli che hanno determinato quelli che mi interessano.
 
Fa per dirigersi verso un’altra sala.
 
- Ma…
 
Si volta appena. - Se mi invaghissi di lei, non mi invaghirei anche dei suoi genitori, o di suo fratello alcolista.
 
Il cervello comincia a ronzare come una mosca intrappolata sotto un bicchiere. Suo fratello alcolista…se mi invaghissi di lei?... suo fratello alcolista, decisamente. Non puoi chiedere troppe spiegazioni tutte insieme. Troppe poi… due. Sono troppe. Decisamente troppe. E poi è ovviamente un esempio.
 
La tua doppia incredulità si manifesta tutta nella corrucciata fissità del tuo sguardo. - Quando le ho detto della mia famiglia?
 
- Non l’ha detto. Mi ha prestato il suo telefono.
 
Un lembo della tua bocca si inclina appena, in un sorriso che non sai se approvare. - Me l’ha sequestrato.
 
- È lo stesso.
 
Decidi di permettere alle tue labbra di sorridere. Perché una deduzione del genere, se davvero l’ha dedotto come vuole farti credere, è a dir poco geniale. Anche se incidentalmente sbagliata.
 
- Comunque Harry sta per Harriet. Mia sorella.
 
Sherlock distoglie lo sguardo, di un altro diresti imbarazzato, ma visto che si tratta di lui ti limiterai ad infastidito. - C’è sempre qualcosa…
 
Sherlock Holmes pretende sempre il massimo da sé. Questo è certo. Altrimenti non troverebbe banale la sua vita tutt’altro che ordinaria, non sarebbe sempre alla ricerca di modi teatrali di autoaffermazione, non si compiacerebbe di avere un pubblico che lo applaude e gli dice: - Per il resto è stato fantastico.
 
Ma è nel sorriso schivo che ti indirizza dicendo:- Grazie. - che capisci che c’è altro oltre ad un ego smisurato ad alimentare la sua personalità.
 
***
 
Esci dalla pinacoteca con una prospettiva diversa.
E c’è un’idea che ti barcolla tra i pensieri. Da un po’.
 
Hai formulato cosa dire in almeno dieci modi diversi. Hai schiarito la voce due volte, sorriso nervosamente una volta e mezza, e deglutito per esordire tutte le dieci diverse volte.
 
E manovre del genere non sono ovviamente sfuggite alla mente brillante che cammina affianco a te nascondendosi in un corpo filiforme e due zigomi taglienti. - Allora. Cosa vuole chiedermi?
 
Deglutisci ancora. - Lei stasera inaugura la mostra, vero?
 
Lui ti guarda con senso di superiorità misto ad una bonaria compassione. - Spreca il fiato per una cosa che sa già.
 
- Le posso chiedere di essere presente all’evento e…
 
Sherlock non ti lascia terminare la frase, ovviamente. - Scrivere sul suo ridicolo giornale quello che succede?
 
E ti ha fatto sicuramente un favore, vista la timidezza dietro in cui ti stai involontariamente impantanando. Accenni un sorriso. - Esattamente. Anche se toglierei quel “ridicolo”.
 
Holmes ti riserva un vago cenno di assenso. - Come vuole.
 
- Partirei domani il più presto possibile. - ci tieni quasi a giustificarti.
 
Sherlock sorride appena. Come se la sapesse lunga. - Ovviamente.
 
Eppure non sembra arrabbiato. Né indispettito. E se da un lato ne sei sollevato, dall’altro temi qualche ripicca. - Lei è davvero d’accordo?
 
- Mi hanno visto in giro con lei. Almeno così avrà senso anche per gli altri.
 
 
Il rientro alla galleria d’arte della Adler avviene con tutta calma, percorrendo placidamente, per quanto tu abbia comunque dovuto procedere a passo sostenuto per stare dietro alle grandi falcate di Sherlock, i boulevard ottocenteschi che attraversano la città.
 
Sembra che tutto sia elegante o naif a Parigi.
Che tutto risponda a dettami di raffinatezza, buongusto e placida serenità.
La Senna percorre tranquilla il proprio tracciato, accarezzata da bateau bus che sembrano piccole isole felici in terra, con i turisti che, vento tra i capelli e macchina fotografica in mano, si godono il panorama.
 
E poi c’è lei, in lontananza, la Torre Eiffel.
Una giraffa di ferro. Slanciata, eccentrica e ormai topica.
 
Holmes sembra perfettamente a suo agio. Come se sapesse esattamente dove andare.
Se tu cerchi conferma in ogni indicazione turistica per capire dove potresti eventualmente trovarti, se osservi con il naso all’insù e gli occhi inebriati da tanta bellezza la maestosità degli edifici del centro, lui al contrario sguazza nel suo elemento naturale. E un po’ lo invidi per questo.
 
Lui è tutto quello che non sei e che non potrai mai diventare.
Famoso senza essere carismatico. Affascinante nonostante la sua schiettezza disarmante e quella sua fastidiosa teatralità. Se solo tu non fossi così diverso da lui forse… forse avresti qualche possibilità di… chiudi gli occhi. Solo un attimo.
 
Se tu fossi un giornalista affermato, felicemente sistemato. Libero di viaggiare da una parte all’altra dell’Europa, mandare via mail quando vuoi articoli sempre da prima pagina, se il tuo animo covasse malinconie più affini alle sue… forse. Forse potreste avere un rapporto alla pari. E invece lui è la star, l’artista, il custode della verità, del senso della vita. O almeno pensa di esserlo.
 
E tu sei solo un giornalista senza importanza. Devi intervistarlo e sparire.
Anche se non vuoi.
 
Se non altro c’è qualcuno più inguaiato di te. Victor Trevon.
Se solo Sherlock non si divertisse a mortificarlo e tormentarlo forse il ragazzo smetterebbe di scusarsi anche solo di respirare. Lo compatisci, ma il tuo inconscio gioisce che tu non sia la persona che Holmes stima di meno nella galleria d’arte della Adler.
 
***
 
Il ragazzo, con lo sguardo stralunato, le mani che mulinano in aria a metà tra una resa e una reazione isterica, cerca in ogni modo di attirare l’attenzione di Sherlock, sperando di non essere licenziato su due piedi. - Signor Holmes io sono mortificato, le stavo portando il the ma è stato un…
 
Peccato che il suo interlocutore si diverta ad offendere la gente.- Lei non riesce a procurarsi tre o quattro bustine di the in meno di quattro ore, è ammirevole.
 
Che poi, a volerla dire tutta, Trevon non aveva fatto altro rispetto a quello che Sherlock voleva, togliendosi dai piedi e tornando solo dopo molto tempo. E se da un lato vorresti difendere il ragazzo, dall’altro non avresti voluto per niente al mondo condividere la tua visita all’Olangerie con lui, attaccato a Sherlock come una piattola per prevenire ogni suo desiderio.
 
- Io… Lei era sparito.
 
Sherlock sa come fare a sembrare arrabbiato anche se non lo è. Ribatte con convinzione lapidaria.
- Lei era sparito. Non sono abituato ad aspettare. E non imparerò di certo per lei. - ma nello sguardo che ti riserva per una frazione di secondo capisci che se potesse riderebbe con te di questa buffa situazione.
 
John, che stai pensando?
Lui riderebbe con complicità con te del fatto che ha cacciato via Trevon per potervene restare da soli? Hai le allucinazioni, forse.
 
È probabile quanto lo sarebbe essere convocati a Buckingham Palace e presentarsi avvolti in un lenzuolo o rubare un posacenere come souvenir.
Ma immagini esattamente le risate che questo potrebbe comportare, in corsa in taxi verso una nuova avventura.
 
Trevon ti fa tornare tristemente alla realtà. - Io sono davvero mortificato. Mi perdoni, signor Holmes.
 
- Non sono il padre eterno, non si metta in ginocchio e la smetta con queste litanie. Ne ho abbastanza di lei.
 
Victor sfodera uno sguardo da cucciolo smarrito. - Ma io… Sa… Suo fratello mi ha assunto… Io…
 
Peccato che Sherlock non si faccia impietosire facilmente. - Percepirà il suo compenso lo stesso. Ma si tolga dai piedi.
 
Non pensavi che l’avresti fatto, ma ti fa troppo pena Trevon. E intervieni, cauto e guardingo come se camminassi in bilico su una fune sospesa nel nulla. - Vuole solo rendersi utile, in fondo…
 
Sherlock alza gli occhi e non stupito, ma se non altro vagamente sorpreso, ti scruta per una frazione di secondo. Sostieni il suo sguardo, senza riuscire a decifrarlo.
 
Senza dirti una parola, si volta di nuovo verso Trevon. - E allora mi faccia un favore. Vada al buffet e si metta a servire champagne. Uno dei camerieri che ci ha mandato il catering sembra un untore di peste bubbonica, gli dia il permesso di tornarsene a casa dandogli il cambio.
 
Se Trevon fosse un cagnolino starebbe scodinzolando. - La ringrazio signor Holmes, non la deluderò signor Holmes.
 
***
 
Nel bel mezzo dell’inaugurazione della sua ultima mostra a Parigi, mentre in tanti gli si avvicinano, per fargli domande, per una foto per la stampa, per un autografo, o semplicemente per stringergli la mano, tu ti senti fuori posto come mai. Te ne stai in disparte, un bicchiere di champagne in mano che non bevi, indaffarato come sei a cercare di non dare nell’occhio, di memorizzare atteggiamenti e atmosfera per l’articolo, se mai te ne farà scrivere uno, e non perdere mai di vista Sherlock.
 
È passata più di un’ora da quando hai incidentalmente difeso Trevon e da allora non hai più scambiato una parola con Holmes. E hai avuto tutto il tempo, nonostante fossi tanto impegnato, per maledirti non una ma cento volte per esserti immischiato nella faccenda.
 
Nel momento stesso in cui vedi Molly Hooper imboccare l’ingresso della sala in cui ti trovi, voltandoti, noti la presenza di Sherlock Holmes. Gli servi per la sua recita. Per una frazione di secondo vorresti mandarlo al diavolo e dirgli di arrangiarsi, o peggio spiegare a Molly come stanno le cose. Ma ti rendi conto che sarebbe più crudele nei confronti della donna che non di Sherlock, a cui sicuramente la cosa non sta a cuore come a lei. Meglio che lei continui a pensare che state insieme che non che lui l’abbia inventato pur di farle definitivamente capire di non essere il suo tipo.
 
Al fianco di Molly c’è un uomo sulla trentina, capelli neri, occhi scuri, un paio di occhiali dalla montatura nera, abbastanza appariscenti. Indossa dei jeans fin troppo attillati e una maglia verde acido sotto una giacca blu. È lui l’aspirante fidanzato di Molly? L’aspirante rimpiazzo di Sherlock?
 
Ti concedi un attimo per guardarli insieme. Non c’è paragone.
Ma se chi si desidera davvero è irraggiungibile… è umano cercare qualcun altro.
E tu lo faresti, John? Ti accontenteresti?
 
Molly sorride raggiante, sperando di poter dare un’impressione di felicità che, persino tu riesci ad intuirlo, è un po’ vera e un po’ simulata, per convincere più che Sherlock, proprio se stessa.
 
 - Jim, ti presento Sherlock Holmes e…
 
Non vuoi che ti indichi come il fidanzato di Sherlock. Già fingere con lei di essere qualcosa che non sei ti dà fastidio, mettere i manifesti in giro sarebbe ancora più umiliante. Ti affretti a stringere la mano di Jim. - John Watson.
 
Lui ti sorride appena e volge subito la sua attenzione a Sherlock.
 
- Quindi lei è Sherlock Holmes. Molly mi ha detto tutto di lei.
 
Sherlock gli indirizza uno sguardo vagamente incredulo, mentre le guance di Molly si imporporano in modo abbastanza evidente. - Lui è un tecnico informatico. Lavora anche lui al centro di restauro del Louvre. Ci siamo conosciuti così, e abbiamo iniziato a uscire insieme… capita a volte tra colleghi.
 
Leggi i sottintesi nel discorso di Molly. Capisci che vorrebbe se non far ingelosire Sherlock, quanto meno perdere un po’ della pateticità a cui l’artista associa la sua figura.
 
Peccato che Sherlock colga bel altri sottintesi. - Gay.
 
- Cosa? - saltate in aria sia tu che Molly. Per motivi diversi.
 
Lui, apparentemente incurante di aver gettato tale macigno dello stagno, finge indifferenza.
- Niente, ehi.
 
Jim gli stringe di nuovo la mano. - È stato un piacere conoscerla. - e fa cenno a Molly di voler iniziare il percorso espositivo della mostra.
 
Molly gli fa un rapido cenno di assenso, senza essere capace di accompagnarlo con un sorriso. 
 
Si volta precipitosamente verso Sherlock. - Che vuol dire gay? Usciamo insieme… Non è gay. Perché vuoi rovinare tutto?
 
Ti verrebbe da dire che un etero difficilmente metterebbe una maglietta di quel verde, ma ti trattieni. Magari semplicemente ha un gusto un po’ eccentrico oppure non è un grande esperto con gli abbinamenti di colori.
 
Sherlock invece sa benissimo cosa non dire e come dirlo:- Il fatto più significativo è che mentre non guardavi ha infilato un biglietto con il suo numero nel taschino della mia giacca.
 
Ti eri ripromesso di non intrometterti più nelle decisioni di Sherlock Holmes, e di non fargli la morale per i suoi comportamenti. Ma non riesci a startene semplicemente zitto mentre lui si comporta male. E se questo porterà ad ulteriori silenzi tra voi due non puoi farci niente, lo dovrai sopportare e basta. L’espressione di sconforto e di tristezza sul volto di Molly ti fanno capire che non è il momento di essere egoista.
 
- Signorina Hooper, lo scusi, sicuramente si sbaglia. Non è mica un detective.
 
Sherlock ti indirizza un’occhiata sprezzante. - Avrei potuto esserlo. E non mi rinfacci l’errore dell’aereo. È lei che… lasciamo stare.
 
Molly si rintana dietro un:- Vado da Jim. - e corre letteralmente via dalla maleducazione di Sherlock.
 
Sospiri sonoramente. - Perché si diverte a distruggere la vita di quella povera ragazza?
Lui sembra perfettamente a suo agio con la sua coscienza, e indifferente nei riguardi della tua indignazione. - Non distruggo proprio niente, le ho fatto un favore.
 
Il fatto che comunque non si sottragga alla conversazione, e visto che non riusciresti a dire altro, perseveri:- Quello non è un favore. Ma pare che lei non capisca.
 
Sherlock ti guarda fisso negli occhi, serissimo e grave. - Mi sta accusando di essere ottuso.
 
Non lo diresti mai. È intelligente, ed è innegabile. - Solo un po’ indifferente ai sentimenti degli altri.
 
- Alla gente non interessa di ferire i miei.
 
Riconosci la malinconia latente presente nelle sue parole. Non abbassa lo sguardo, ma per una frazione di secondo pensi che non stia mettendo bene a fuoco quello che il suo campo visivo gli offre. Non parla, rintanandosi in un silenzio che intuisci non dipende da te, se non indirettamente.
 
- Cosa le è successo, Sherlock?
 
Lui si scuote dal suo mutismo. - Lo chiede come giornalista o come… persona?
 
Non avevi minimamente pensato di approfittare della situazione per l’intervista. L’insinuazione ti dà anche vagamente fastidio. Pensavi che aveste superato questo stadio. Ti illudevi, forse. - Come persona.
 
Sherlock sorride appena. Un sorriso inzuppato di mestizia. - Non le posso rispondere.
 
Anche tu non vuoi parlare di alcune cosa che sono successe nel tuo passato. La semplice parola Afghanistan fa esplodere migliaia di pensieri che vorresti solo cancellare. - La capisco.
 
Eppure lui non abbandona il suo atteggiamento di chiusura, scuote impercettibilmente il capo. - Non penso proprio che possa capire, John.
 
Eppure vorresti disperatamente almeno provarci.
 
Non sai perché ma non vuoi rassegnarti all’apparenza di uno screanzato che non sa come comportarsi con gli altri. Ti ostini a vedere qualcos’altro in quei suoi occhi profondi e indecifrabili. Di un colore così raro come i problemi che, nascondendo, tace. - Mi metta alla prova.
 
Sherlock ti fissa per un attimo. E a grandi falcate si dirige verso l’altra, secondaria, sala d’esposizione che si vuota ad un suo cenno ad uno degli uomini della sicurezza. - Mi segua.
 
- Che cosa...?
 
Ti porta davanti ad una tela in particolare. Si ferma e se ne sta lì, immobile e serio come un kuros greco. - Che cosa le sembra?
 
Osservi attentamente il quadro davanti a te. Eppure… insomma… per quanto tu ti sforzi non sei capace di dire qualcosa di diverso da… - Una macchia di vernice rossa?
 
Sherlock assume un’espressione tra l’incredulità, la delusione e una semplice indifferente constatazione dei fatti. - Lei vede una macchia.
 
Non volevi minimizzare né offendere. Peccato che non sapresti proprio cosa altro dire. - Ho sbagliato? - domandi, timidamente.
 
Sherlock fissa per un attimo la propria tela. Ed è come se si stesse specchiando in quella macchia rossa e informe. Come se ci vedesse cose che solo a te non appaiono evidenti.
 
- Io vedo un cuore che urla.
 
Ha il tono neutro che ostenta chi non vuole farsi coinvolgere dal proprio passato.
E tu ti senti un’idiota.
 
- Nessuno ha mai voluto avere niente a che fare con quel cuore. E lui si è raggrinzito. E urla storie sconclusionate su tele di bianco rancido. E la gente le guarderà e penserà che siano solo macchie di vernice rossa. Che siano trascurabili. E inutili. E penserà che non abbiano alcun senso.
 
Formuli quattro frasi diverse. Non sai cosa dire.
Non sai cosa vorrebbe sentirsi dire.
 
- Le sue opere valgono un sacco di soldi. - obietti debolmente.
 
Sherlock ti fissa con una luce di disperata incomprensione negli occhi.
 
- I miei scarabocchi al college mi sono stati strappati in faccia da tutti i miei professori di arte. Perché bisogna conoscere la prospettiva. Studiare l’anatomia per artisti. Fare disegno dal vero. Disegno realistico. Mentre i miei scarabocchi non erano che scarabocchi. E adesso rilasciano interviste perché erano i miei professori.
 
Ti dispiace. Capisci che lui si sia sentito incompreso e che possa aver somatizzato male il suo rapporto con il prossimo a causa della considerazione che gli altri avevano dei suoi schizzi.
 
Torni a guardare la tela, cercandovi spiegazioni e spunti di riflessioni che non ci trovi.
Per lui può essere il simbolo di tutto il suo dolore, ma per un estraneo che non lo sa, resta una macchia rossa. - Le sue opere sono un po’ strane.
 
Sherlock incrocia le braccia sul petto. - I suoi giudizi sono un po’ riduttivi.
 
- Sono sinceri.
 
Accenna un sorriso stanco e vagamente divertito. - Lei pensa che io non sappia disegnare.
 
Scuoti appena il capo. - Io non penso proprio niente.
 
Indica con un’occhiata la tela che vi eravate soffermati a guardare. - Lei pensa come loro che io faccia questo perché non so fare altro. Vero?
 
Non sembra arrabbiato. Sembra che stia parlando di qualcosa che non lo riguardi. Che non gli interessi. O forse sa fingere troppo bene.
 
- Io… non so. Forse è semplicemente il suo modo di esprimersi. E deve ammettere che è più facile che…
 
Ti guarda fisso negli occhi. Ti senti trafitto da quegli occhi. - No. Non è più facile.
 
Dura un secondo, ma è abbastanza per metterti nuovamente in imbarazzo.
 
Poi fa un cenno al tizio di prima, uscendo precipitosamente dalla stanza.
Gli corri dietro.
 
Lui attraversa a passo sicuro un corridoio ed apre la porta di un’altra sala, deserta.
Si toglie la giacca. Slaccia i polsini della camicia e li aggroviglia all’altezza dei gomiti.
 
Lo guardi incredulo, restando sulla soglia, mentre ti fa cenno di entrare e tirarti la porta alle spalle.
- Che fa?
 
La stanza è un salottino. Sherlock guarda da tutte le parti alla ricerca di qualcosa, finché ti domanda, candidamente:- Ha un foglio?
 
Tiri fuori dalla tasca interna del giubbotto un taccuino nero. Continui a non capire, ma gli porgi la moleskine. - Ho la mia agenda.
 
Sherlock fruga nella sua giacca e tira fuori una matita dal taschino.
 
Accenna con un gesto della mano ad una delle poltrone. - Si sieda. Le faccio un ritratto.
 
La fronte corrugata, resti in piedi, incredulo. - Un ritratto?
 
Lui si siede sul divano di fronte, e ti fissa con decisione, facendo tamburellare le dita sull’agenda.
- Un ritratto. Riproduzione figurativa delle sembianze di una persona, la sua, nel caso specifico.
 
Acconsenti a sederti. - Ha dei guizzi un po’ infantili…
 
Sherlock cerca una pagina bianca, alza appena gli occhi. - La irritano?
 
- Mi fanno riflettere.
 
Ti trovi d’un tratto ad essere fissato da Sherlock. - Su cosa? - dura solo un momento, ma basta ad incrementare il tuo già notevole imbarazzo. Accavalli le gambe. Ti guardi le mani, non sai dove metterle, mentre Sherlock ha già iniziato a tracciare impercettibili solchi sul foglio.
 
Ti sforzi di non pensare a lui che ti sta ritraendo, ma a lui che sta parlando con te e basta. Ti schiarisci la voce. - Lei non deve aver avuto un’infanzia facile.
 
La voce di Sherlock risponde appena, tale la concentrazione che gli leggi negli occhi. Nessuno ti ha mai guardato così. Nessuno ti ha mai guardato come se fossi un quadro di Monet. Abbassi gli occhi, quando per le supposizioni che stai facendo dovrebbe essere lui quello in difficoltà o in imbarazzo. Risponde come se parlasse di qualcun altro. Ha già usato quel tono, ma continui a non capacitarti.
- Cosa glielo fa pensare?
 
Cosa vede quando alza gli occhi rapidamente, fissandoti intensamente come fa? Vorresti scomparire. Ti sforzi di dire quello che pensi… più o meno. - Beh, lei è una persona… non convenzionale.
 
Per un attimo Sherlock abbassa la matita, e ti guarda con il tono sarcastico che ti ha riservato molte volte in queste ore.  - Dica pure insopportabile.
 
Appoggi le mani sui braccioli della poltrona. Ti costringi a restare immobile. Non vuoi fargli capire quanto nervosismo sia capace di causarti anche solo guardandoti così e mettendoti nella condizione di doverlo smentire, anche solo per educazione. - Non penso che lei sia insopportabile, non totalmente insopportabile, almeno.
 
Sherlock sorride appena. - È un complimento?
 
Sospiri. - È una costatazione.
 
Il ceruleo dei suoi occhi si incupisce di una nuova ombra. - Stava dicendo altro…
 
- Penso che forse, sa, magari…
 
Una scrollata di spalle non impedisce alle sue mani affusolate di seguitare a tracciare linee che non vedi su quel foglio. Colpi di matita irregolari e improvvisi sono intervallati da altri regolari e cadenzati. Continui a fissare le sue mani, finché non riprende a parlare. - Non finga di dedurre. È ovvio che si sarà documentato su di me per l’intervista. Esponga con più nonchalance quello che ha scoperto, fingerò che l’abbia dedotto.
 
- Non so molto di lei. Non ci sono molte notizie in giro. Il massimo che sono riuscito a scoprire sulla sua vita, oltre che dipinge quadri dalle quotazioni altissime, che ha fatto mostre qui e là e che dopo il college ha frequentato per un breve periodo la Royal Accademy of Art, è che aveva un cane da piccolo. Quanto a pettegolezzi sulle sue relazioni, molto fumo e niente arrosto, si ipotizza ma non si sa niente di certo.
 
Sherlock non riesce a frenare un sorriso. - Mycroft fa un buon lavoro con la stampa, evidentemente.
 
Hai deciso che devi smetterla di fissargli le mani o di guardare fisso nei suoi occhi alla ricerca delle ombre di quello che vede o delle forme che disegna. Ti butti sull’ironia. - È una minaccia?
 
Sherlock alza appena gli occhi, e non ci vedi altro che il desiderio di vincere l’ennesima sfida. Perché è la persona più teatrale e che voglia avere sempre l’ultima parola che conosci. - Cosa pensa di aver capito di me? - ha assunto un tono a metà tra la sfida e una decadente aria di mistero.
 
- Lei…
 
Torna in fretta al disegno, mentre esiti.
E sei tu a sentirti sulla graticola. Portare avanti una conversazione pseudo seria, mentre un uomo affascinante e geniale ti sta facendo un ritratto non è la situazione più difficile che tu abbia mai dovuto sostenere, ma… non avresti mai pensato di avere una così ansiosa curiosità di capire come lui ti veda davvero. Cosa sta disegnando? Sei come Molly Hooper per lui? Banale, ordinario, affatto interessante? Del resto cos’altro potrebbe pensare?
 
- Può parlare liberamente, e alla svelta magari. Odio questi inutili convenevoli.
 
E tu cosa pensi di lui? Deglutisci a vuoto. Vuoi giocarti le tue ultime carte per non sembrare un completo idiota.
 
- Lei è un uomo intelligente. Irriverente. Le piace la vita che fa, forse. Forse no. Dipinge per soldi? Non penso, ma non le dispiace essere ricco. Si sente superiore rispetto agli altri. A volte glielo fa pesare. La maggior parte delle volte. Ma penso che ci sia dell’altro.
 
Sherlock sorride appena. - Barbarossa.
 
- Eh?
 
Devi aver corrugato il volto in un’espressione esageratamente ridicola perché il sorriso dell’artista si allarga un po’. - Il mio cane si chiamava Barbarossa.
 
Continui a guardarlo con un’espressione chiaramente interrogativa dipinta in faccia.
 
Sherlock licenzia la questione con un gesto frettoloso della mano. Mentre le guance per un attimo solo ti sembrano leggermente meno pallide. Ma è solo un’impressione, ci metteresti la mano sul fuoco. - Da piccolo volevo fare il pirata.
 
Sorridi stancamente. - Da piccolo volevo fare lo scrittore.
 
Non pensavi che gliel’avresti mai detto.
Hai smesso di ricordarlo anche solo a te stesso. Che senso avrebbe creare aspettativa negli altri?
 
La regola numero uno del giornalista è spillare informazioni alla gente.
La regola numero due è non farsi spillare informazioni dalla gente.
 
Ma Sherlock non è la gente.
 
Ti illudi che sbattere le palpebre possa cancellare la consapevolezza di averlo pensato.
 
Sherlock confronta il suo disegno con te, prima di continuare con gli ultimi tratti sbrigativi sul foglio. Continua tranquillamente a parlare, senza farsi distrarre. - Perché non l’ha fatto?
 
Ti arrendi senza combattere. Non ne parli mai e non sai perché glielo stai dicendo, ma glielo dici.
- Perché non so scrivere romanzi. Non ho la forza di volontà o lo stile giusto, forse. Forse semplicemente era un sogno troppo grande.
 
Sherlock alza gli occhi senza per questo portarli su di te, parla tra sé e sé, guarda un punto oltre te nella pittura bianca del muro. - I sogni diventano troppo grandi quando non ci sforziamo di realizzarli. Quando ci arrendiamo. E decidiamo di accontentarci.
 
Non capisci. Sherlock è tutto quello che non sarai mai. È un vincente. Uno di quelli dall’aria tremebonda e un po’ portati all’autocommiserazione, ma insomma… - Lei non sembra una persona che si accontenta.
 
Eppure non accenna a volerti rispondere. Firma con uno svolazzo sul bordo inferiore del foglio, squadrando il disegno con chiara insoddisfazione dipinta sul volto. - Temo che lei dovrà accontentarsi di questo schizzo…
 
Ti porge la tua moleskine.
 
Giri l’agenda.
 
Ti aspettavi solo mani, bocca e capelli come era successo con il ritratto di Molly.
 
E invece…
 
La copia esatta di te stesso, disegnata a tre quarti. I tratti del viso leggermente più eleganti. Un vago sorriso sulle labbra. Uno sguardo serio e profondo che guarda davanti a sé con una sottesa inquietudine. Chiaroscuro magnificamente reso nelle leggere sfumature nei tuoi capelli, nell’ombreggiatura alla base del collo, persino nelle zone d’ombra che i polsini della camicia producono sul tuo polso che a stento fuoriescono da maglione e giubbotto.
 
È così che sa disegnare Sherlock Holmes. Temi che abbia catturato la tua anima in quello sguardo. Mentre sfuggiva abilmente alle tue domande. - È semplicemente straordinario.
 
Sherlock scuote appena il capo. - È perfettamente ordinario, invece.
 
- No, non lo è. È fantastico.
 
- Non possiamo restare ancorati al Rinascimento. Un ritratto del genere è anacronistico adesso. Nel passato, forse...
 
Tu continui a fissare il disegno. Non riesci a trovarci niente che non vada. È semplicemente fantastico.
 
Sherlock srotola le maniche della camicia, chiude i bottoni dei polsini. Ti indirizza uno sguardo di sfuggita, mentre si rimette la giacca. - Se fosse vissuto nel Cinquecento sicuramente da piccolo qualche pittore avrebbe dato il suo volto ad un puttino.
 
Lo guardi fisso negli occhi. E deglutisci a vuoto. - Non ero un bambino così bello.
 
Sherlock ti guarda come se fossi una delle ninfee che galleggiano nello stagno della sua vita.
 
Non riesci a sentirti in imbarazzo.
Ma se ti dessi il tempo di rifletterci, avresti già avuto il volto rosso di imbarazzo.
 
- Non c’è solo la bellezza. I suoi occhi sono ancora puri, nonostante tutta la lordura che hanno visto, e il suo sguardo è espressivo.
 
Ma tu non sei un quadro di Monet.
E non stai flirtando con Sherlock Holmes.
Lui vive per l’arte. Tu non sei gay.
 
Meglio cambiare argomento, no John?
 
- Lei nel Cinquecento avrebbe dipinto nelle chiese…
 
Sherlock accenna un sorriso, chiudendo il secondo bottone della giacca. - Forse.
 
- Lei crede in Dio?
 
È una domanda che solitamente poni a te stesso.
È da quando sei tornato dall’Afghanistan che non sai più trovare una risposta definitiva e convincente. Ti sei arreso al fatto che non ne esista una.
 
- Non credo a qualcosa che non posso dimostrare. Ma temo che nel Cinquecento avrei dipinto anche l’indimostrabile, visto che, come ha intuito, non mi dispiace avere molti soldi.
 
Resti seduto, anche se lui non accenna a voler riprendere posto sul divano. Se da un lato vorresti che lui smettesse di parlarti, di guardarti, di giudicarti, di pensare a te e di avere consapevolezza che lui lo stia anche indirettamente facendo, d’un tratto ti rendi conto quanto per te sarebbe ancora più irritante che lui ti lasci da solo con i tuoi pensieri, adesso. Non vuoi che sparisca per un’altra ora. Non vuoi. Temi che dopo questo momento lui possa sparire per sempre dalla tua vita. E temi di temerlo. Ti mordi l’interno del labbro superiore. - Mi dica qualcos’altro di lei.
 
Lui appoggia una mano sulla spalliera della poltrona più vicina. - Per l’intervista o perché le interessa?
 
Speri di non essere frainteso. Non c’è malizia nella frase, quando la formuli nella tua testa.
- Lei mi incuriosisce.
 
Sherlock ti osserva, i capelli ricci che gli ricadono appena sul volto, gli occhi che non cercano di sfuggire dai tuoi. - Anche lei. Ma non la inondo di domande.
 
Ti rifugi dietro un sorriso vagamente nervoso. - Lei sa intuire quello che non dico molto meglio di me…
 
- Ho diritto a qualche piccolo vantaggio, del resto, visto che sono io a dover essere intervistato.
 
Rigiri la moleskine tra le mani. Pensi a quello che avete appena vissuto. Sherlock Holmes ha fatto un disegno. Realistico e bellissimo. E ha ritratto te, con le tue occhiaie, i rari ciuffi bianchi nei tuoi capelli, il tuo sorriso abbozzato, il tuo sguardo pacatamente inquieto. Ha ritratto la calma e l’ordinarietà dietro cui trinceri l’insofferenza che hai sviluppato nei confronti della tua vita e della vita stessa.
 
Eppure…
 
Tu non capisci niente di arte.
Non potresti mai capirlo.
 
E quel tipo, quel Jim. Avvenente, a modo suo. Anche nonostante quel verde rancido.
Non ti stupisci che quel giovane uomo possa essere affascinato da Sherlock.
 
Ha un fisico slanciato, delle mani affusolate ed eleganti, quegli occhi cerulei. La sua parlata agile e sicura. La malinconica impenetrabilità del suo sguardo.
Eppure…
 
- Ma davvero quel tipo le ha lasciato il numero di telefono?
 
Sherlock accenna un sorriso. - Pare di sì.
 
Guardi a quel sorriso quasi con apprensione. - Lo richiamerà?
 
- Ovviamente no.
 
Scuote appena il capo, mentre riprendi a respirare. - Bene.
 
Ma Sherlock è troppo intelligente per non captare la sua reazione. Si siede sul divano. Ti guarda fisso negli occhi. E vorresti scomparire. - Perché le interessa?
 
Non sai neanche perché l’hai detto… figurarsi spiegarlo a lui. - Era così per parlare…
 
Il silenzio tra di voi pesa come una spada di Damocle. Finché lui non lo interrompe. Ed è ancora peggio.
 
- Lei ha una fidanzata?
 
Stenti a rispondere, sbatti le palpebre, come se non fosse appena accaduto. - Cosa?
 
Sherlock si porta le mani sotto al mento, nella sua solita posa intellettualoide da meditazione.
- O un fidanzato, non ci sarebbe niente di male.
 
Sei disorientato. Semplicemente incredulo. - Lo so che non ci sarebbe niente di male, ma…
 
Continua a fissarti, senza il minimo imbarazzo. - Allora ha un fidanzato?
 
- No, io…
 
Sherlock accenna un sorriso di inconsueta tenerezza.
 
- Vede cosa si prova ad essere tempestati di domande?
 
Sospiri appena. - Mi scusi, sa, io… deformazione professionale.
 
Sherlock alza appena il mento. Prende a guardare da un’altra parte, poi riportare gli occhi su di te.
- Deformazione professionale?
 
Alzi le spalle. Non pensavi di aver detto niente di strano. - Sì… Sono un giornalista, è il mio lavoro fare domande alla gente…
 
Sherlock si alza precipitosamente. - C’è qualcosa che ho dato per scontato. Per deformazione professionale.
 
Ti alzi di riflesso. Uno sguardo interrogativo che non lascia dubbi sul fatto che tu continui a non capire. - Mi spiega di che sta parlando?
 
Sherlock si volta verso di te, con in faccia la strafottenza dell’evidenza delle sue parole.
- Il messaggio del Cavaliere Azzurro.
 
Assumi un’espressione tra il corrucciato e il pesce lesso, squadrandolo e tacendo.
 
- SONO STANCO DI NON ESSERE INVITATO PROPRIO ALLE TUE FESTE, HOLMES. - scandisce l’artista, misurando a grandi passi la stanza nella sua interezza.
 
Gli vai dietro. - Non capisco. Che c’entra la deformazione professionale?
 
- Ho imparato a non prestare attenzione alla forma ma al messaggio in un’opera d’arte. È così che funziona l’arte concettuale. È quello che vuoi comunicare il punto, non la tecnica che utilizzi per farlo. Ma il Cavaliere Azzurro è un perfezionista della vecchia scuola. Come Kandinskji era un perfezionista. Abbinava meticolosamente colori e forme per creare una determinata reazione nello spettatore. E niente era casuale, per quanto lei possa pensare il contrario. Il nostro fantomatico rivale gioca lo stesso gioco.
 
Una folle eccitazione gli balena negli occhi mentre lo dice.
E tu ti senti ancora di più un’idiota perché continui a non capire. - Che tipo di gioco?
 
- Una partita a scacchi. Un puzzle. Un gioco da pazzi. Potrebbe essere pericoloso…
 
Ma anche se non sai esattamente cosa abbia in mente, non puoi negare che sia, che sarebbe, incredibile sfidare il pericolo e la sorte al fianco di Sherlock Holmes. Accenni un sorriso vagamente strafottente. - Non ho paura di un collezionista d’arte.
 
Anche Sherlock sorride. Vuole metterti in guardia o solo alla prova? - Io al posto suo ne avrei. È uno squilibrato.
 
- Lei non lo conosce.
 
Sherlock si avvia verso la porta. - Si capiscono molte cose di un uomo anche solo dalla sua calligrafia. E anche se non ci fosse stato un saltuario e innocuo carteggio tra noi, sarei perfettamente in grado di dedurre dal modo in cui scrive le f e le p che ha un ego smisurato, dalla mutevolezza con cui differenzia le s e le n la sua irrequietezza, la sua indole nervosa e mutevole. Nessuno scrive più la H così. È un perfezionista. Un cattivo vecchio stile. E ogni favola ha bisogno del suo cattivo vecchio stile.
 
Se voleva dissuaderti non c’è riuscito. Se voleva convincerti, potrà sempre dire, quando vi metterete nei guai, perché lo farete, lo sai bene, che lui ti aveva messo in guardia.
 
- Ha bisogno anche di eroi.
 
Sherlock sbuffa appena, scuotendo il capo. - Io non sono un eroe.
 
- Ha ragione, è troppo intelligente, troppo saccente e troppo stravagante per essere un eroe.
 
Holmes alza gli occhi al cielo, per una frazione di secondo, prima di aprire la porta della stanza e precipitarsi fuori, mentre lo segui abbastanza per sentirlo dire:- Lei invece ha perfettamente la stoffa per la spalla comica per momenti inutili come questo. - e poterne ridere senza che nessuno se ne accorga.
 
***
 
Sherlock ha fatto cenni strategici a Mycroft e Lestrade che ne stavano mediamente tranquilli a sorseggiare champagne o fingere di sorseggiare champagne, scrutando il più discretamente possibile il pubblico variegato ma mediamente elegantissimo invitato a vario titolo all’inaugurazione della mostra. E adesso vi trovate chiusi nella stanza della direttrice, assente, davanti al quadro incriminato.
 
Greg sembra non aver gradito la precipitosa intrusione, né sembra averne colto l’urgenza.
- Sherlock, mi spiega che sta succedendo?
 
- The game, Mr Lestrade, is on!
 
Sorridi appena alla volta di Sherlock. - È il suo modo teatrale per dire che ha avuto un’intuizione?
 
Mycroft guarda il fratello con rassegnata disperazione. Non sai per il suo comportamento o il tuo.
 
Sherlock torna serio. Inizia a scrutare il retro della tela. - C’è un messaggio cifrato nel messaggio del Cavaliere Azzurro. Bisogna solo capire quale sia la chiave.
 
Ti azzardi a intervenire, guardandoti intorno con circospezione, come se dovessi attraversare la strada all’ora di punta, ad un incrocio, con il semaforo spento. - Nei libri di spionaggio di solito c’entra un libro.
 
Sherlock si limita a risponderti, senza alzare neanche lo sguardo. - Nei libri di spionaggio. Questa è una battaglia sull’arte.
 
Lestrade riflette a sua volta:- Il titolo dell’opera dietro cui ha scritto?
 
È Mycroft a rispondere. - Uno studio in rosa.
 
Sherlock si fa sempre più insofferente alle vostre supposizioni. - Banale, ho già elaborato tutte le possibili connivenze, e non ce ne sono.
 
- E allora… forse…? - azzardi.
 
Si volta verso di te. Per un attimo pensi che voglia ascoltare quello che hai da dire. - La sua agenda, se non le dispiace.
 
Tiri fuori la moleskine dalla tasca interna del giubbotto dove l’avevi di nuovo riposta. E con un certo malincuore gliela porgi. - Dubito che possa trovarci le soluzioni.
 
- Quando le avrò trovate probabilmente sì.
 
Si siede per terra, appoggiandosi alla parete, scarabocchia cose incomprensibili sulla tua agenda. Alza a scatti gli occhi verso il quadro appoggiato su di un cavalletto, in mezzo alla stanza.
 
Guardi alla volta degli altri due uomini, molto meno sorpresi di te. - Ma fa sempre così?
 
Mycroft ti ignora bellamente, cantilenando alla volta di Sherlock. - Se non trovi la soluzione in massimo cinque minuti, mi sentirò personalmente tirato in causa. E cederai il caso a me.
 
Sherlock non accenna neanche a girarsi. Continua a guardare il quadro, scarabocchiare sull’agenda, cancellare, scuotere il capo e rispondere con esasperante sarcasmo. - Hai già un governo da tenere insieme, non mi seccare.
 
Guardi Greg alla ricerca di qualcuno che mostri meno immaturità e ti degni almeno di una risposta.
 
- Fanno sempre così?
 
Lui annuisce, con un sorriso aperto alla disperazione stampato sul volto. - Sempre. Almeno quando ci sono io. Magari quando sono da soli si danno una mano senza tante storie.
 
Sherlock continua a scarabocchiare, cancellare e scuotere il capo. - No. Siamo arcinemici.
 
Corrughi la fronte, le sopracciglia centrifughe ad inarcarsi.
 
Spiega senza distrarsi, almeno apparentemente. - Giocavamo ai pirati da piccoli. È nato da lì arcinemici.
 
Mycroft si mostra meno sentimentale e più pragmatico. - Si azzardi a metterlo nell’articolo e passerà un brutto quarto d’ora.
 
Accenni un sorriso. - Solo un quarto d’ora?
 
Il fratello ti dà manforte. - Il quarto d’ora prima di un processo di lesa maestà e pena capitale. - e forse l’hai detto solo per compiacerlo, visto che hai inteso le conferme dei loro dissapori.
 
- Sherlock, non essere ridicolo. E pensa al cifrario del messaggio.
 
L’artista si alza velocemente dal pavimento, rassettandosi i vestiti e brandendo la tua agenda come se fosse un’arma. - L’ho già risolto da qualche millesimo di secondo, volevo solo tenervi sulle spine.
 
Sei occhi nella stanza sono fissi su di lui come se conoscesse d’un tratto i segreti dell’universo. Non fiata una mosca. E anche se ci fosse nessuno darebbe importanza al suo pigro ronzare.
Sherlock è visibilmente fiero dell’attenzione di cui gode. Ma non smetterai di ascoltarlo per questo.
 
- Ovviamente la chiave di lettura sono le dimensioni del quadro. Il tema in sé non dice niente, è la scena di un crimine, c’è una donna vestita di rosa che giace esangue in una stanza sporca di sangue su uno sfondo nero. Ma le dimensioni del quadro, ottima pensata. Ogni parola ha le lettere numerate in base alla loro successione nella parola stessa. Il conto si azzera ad ogni nuova parola.
 
- Eh?
Vi mostra l’agenda.
 
  SONO STANCO DI NON ESSERE INVITATO PROPRIO ALLE TUE FESTE HOLMES.
  1  2 3 4  1 23 4 56  12  1 2 3  1 2 3 456  12 3456 78  1 2 3 45 67  1 234  123  1 2 3 45 1 2 3 4 5 6
 
Lestrade lo fissa come poco prima facevi tu. - Non capisco.
 
Mycroft annuisce, non senza una vaga soddisfazione negli occhi. - Come possiamo esserne sicuri?
 
- Continuo a non capire.
 
Sherlock si volta verso di te. Non hai ancora detto nulla. E sapere che adesso non solo lui, ma anche gli altri due, si aspettano che tu dica qualcosa e anche più o meno intelligente, da giustificare la tua presenza in questa storia e al fianco di Sherlock. - Andiamoci e lo scopriremo.
 
Mycroft ti prende inaspettatamente sul serio. - E se è solo uno stratagemma per lasciargli campo libero qui?
 
Sherlock non sembra disposto a transigere sul piano che, intuisci, nella sua testa ha già per metà solo delineato e per l’altra metà già attuato con la sua fantasia galoppante e svelta. - Ha già avuto la possibilità di derubare la galleria della Adler, se fosse stato questo lo scopo l’avrebbe già centrato in pieno. - si volge verso di te - Davvero ha capito di che posto si tratta?
 
- Parlate di andare da qualche parte, non ho capito come ha capito dove andare, ma penso che non potremmo scoprire se ha ragione se ce ne restiamo qui a fare elucubrazioni.
 
- È un uomo d’azione, John, come immaginavo.
 
Ci vedi qualcosa di positivo nel sorriso che ti riserva. E sorridi a tua volta, sentendoti un’idiota.
Che cosa può mai avere di sensato sorridere quando un pazzo fuori di testa vuole qualcosa che non si è capito cosa da un artista pazzo fuori di testa che denigra l’arte tradizionale, ma disegna come un dio, che dipinge macchie scomposte per indicare cuori sofferenti, ma ama gli Impressionisti? Anzi no, Van Gogh, prima e più degli Impressionisti.
 
Lestrade accenna a svegliarti dalle tue riflessioni. - Chiamo un taxi.
 
- Finalmente qualcosa di sensato. - sentenzia serio Sherlock - Comunque la chiave sono le dimensioni del quadro: 51, 25 x 23, 4 e tra tutte le combinazioni possibili, quella che ha più senso è questa - e ti porge nuovamente l’agenda - legga tutte le lettere sottolineate in fila.
 
Non capisci come ci sia arrivato, o come in generale ci si possa arrivare. Ti limiti a sillabare le lettere sottolineate. - C-e-n-t-r-o-p?
 
Sherlock sorride, serafico. - Centro P esattamente, e l’unico posto che si chiama così a Parigi e c’entra con l’arte è il Centro Pompidou.



Angolo autrice:
Mi scuso infinitamente per il ritardo con cui posto il capitolo, ma vi giuro ho cercato di pubblicare il prima possibile.
Detto ciò, mi auguro che abbiate apprezzato la lettura!
Ringrazio nuovi e vecchi lettori della storia, spero che continuiate a seguirmi. 
Al prossimo mese! 
lady dreamer

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Non tutti gli uomini sono capaci di grandi cose, ma tutti sono sensibili alle grandi cose.
Alfred De Musset
 
Arte contemporanea
Capitolo V

 
 
 
Corsa in taxi verso la costruzione più eccentrica e colorata di Parigi.
Il centro Pompidou è una gabbia di ferro dove sono imprigionate le opere delle menti più rivoluzionarie e geniali del ventesimo secolo, guardate a vista da ascensori rossi scarlatti, condotti gialli per la luce, blu per l’aria e verdi per l’acqua. È un essere polimorfo e vitale a sfidarvi dall’enorme piazza in cui troneggia, stagliandosi contro l’oscurità bluastra della notte.
 
L’ingresso principale del museo è chiuso, e Lestrade fa strada verso un’entrata secondaria, di servizio, nota solo ai dipendenti e alla polizia.
 
L’entrata sembra chiusa, ma in realtà c’è una monetina da dieci centesimi a bloccare per uno spiraglio la pesante porta blindata.
 
Vi introducete nell’edificio. L’allarme non scatta.
 
Lestrade si affretta a chiamare rinforzi dalla centrale di polizia, camminando affannosamente avanti e indietro per la stanza di servizio, mentre anche Mycroft inizia a telefonare.
 
Tu non ti capaciti. Il museo contiene delle opere d’arte di valore inestimabile e questo Cavaliere Azzurro vi si è introdotto senza far scattare neanche un allarme?
 
Sconvolto e incredulo, ti volti a chiedere spiegazioni a Sherlock.
- Mi spiega come ha fatto ad entrare?
 
Lui alza appena le sopracciglia, senza smettere di guardarsi intorno guardingo.
- Non è stato così difficile. Aveva le chiavi. Non ci sono segni di effrazione.
 
Lo guardi come se detenesse tutte le certezze del mondo. - E come ha ottenuto le chiavi?
 
Ma lui si li limita ad allargare le braccia e a sorridere amaramente.
- Non lo so. Non ho la sfera di cristallo.
 
Fingi stupore, mentre i tuoi occhi celano uno sguardo derisorio. - Mi delude.
 
Sherlock sta allo scherzo, regalandoti un sorriso serio. - Non vivo per stupirla, se lo ricordi.
 
Incroci le braccia sul petto, a mo’ di sfida. - Io l’ho bene a mente, è lei che gongola quando ammetto che è stato brillante.
 
Lestrade scuote la testa, chiuso il telefono. - Perché lasciare la porta aperta?
 
Sherlock a sua volta scuote appena il capo. - Perché sapeva che sarei arrivato. Era fin troppo banale il suo messaggio. Avrei dovuto capirlo prima.
 
Ti diverti a stuzzicarlo ancora un po’. - Era troppo preso dal rifiutarmi l’intervista.
 
Ma lui non si rivela da meno. - Lei era troppo preso a godersi Parigi.
 
Lestrade inizia a spiegare quello che ha sentito dal suo capo in centrale: - Non ci sono segnalazioni di effrazioni, non è scattato l’allarme, non risulta niente di strano dalle telecamere di sorveglianza dei palazzi che si trovano sulla piazza. Vado a controllare le telecamere del circuito esterno.
 
Sherlock gli riserva un indifferente segno d’assenso. - Secondo me non ha rubato niente. - si limita placidamente ad aggiungere, come se fosse una cosa perfettamente sensata.
 
Peccato che non ci sia niente di sensato in questo. - È strano. Un ladro per definizione ruba qualcosa. E se questo qui ruba i quadri allora dovrebbe aver fatto razzie qui dentro.
 
- Dimentica la cosa fondamentale. Questa è una sfida. E in una sfida, dopo aver rivelato al tuo avversario le tue mosse non puoi attardarti a rubare quadri.
 
Non ti capaciti dell’espressione di sicura padronanza della situazione che sembra possedere Sherlock. - E allora mi spiega perché rubare la chiave, entrare nel museo e non rubare niente? Ok la sfida, ma che scopo ha?
 
Mycrof si decide finalmente ad entrare nella vostra conversazione, o più precisamente la interrompe, rivolgendosi al fratello. - Temo che voglia impressionarti, Sherlock.
 
E per la prima volta vedi un’ombra di sensata preoccupazione nei suoi occhi. - Temo che non sia solo questo. Ma ho bisogno di altri indizi. Così non posso arrivare ad altro.
 
- Fatti pure un giro per il museo, mentre mi tocca avvertire le autorità e tener buona la stampa.
 
***
 
Sherlock percorre le gallerie principali con il suo passo agile e svelto. Tu sei costretto quasi a correre per stargli dietro. - Che cosa stiamo cercando?
 
Ti indirizza uno sguardo di sfuggita, senza distogliere gli occhi dalle pareti. - Le opere di Kandinskij ovviamente. È l’unico indizio che abbiamo.
 
La struttura è grande e la galleria riservata alla mostra permanente di Arte Moderna si sviluppa su due piani, il quarto e il quinto, è evidente che non potete visionare tutti i quadri.
- Quante ce ne sono?
 
Lui sembra intercettare i tuoi pensieri. - Troppe. Abbiamo bisogno di un altro indizio. Mi dia ancora la sua agenda.
 
Gliela porgi, incuriosito da quale possa essere la sua prossima mossa. - Pensa che ci sia qualche altro riferimento nel messaggio?
 
Lui rintraccia velocemente la pagina su cui aveva scritto le sue confuse annotazioni. - Tranne se il Cavaliere Azzurro non mi sopravvaluti a tal punto da pensare che non ne abbia bisogno. E lo escludo.
 
Azzardi la prima cosa che ti viene in mente:- E se il quadro che cerchiamo è delle stesse dimensioni di quello che ha fatto lei?
 
Ma Sherlock respinge l’ipotesi con una lieve scrollata di spalle. - Lo escludo. Sarebbe troppo semplice. Cerchi comunque su internet 51, 24 x 23, 4 Kandinskij. Risulta niente?
 
Lui ti scruta come faceva il tuo arcigno professore di matematica al liceo, aspettando che tu impostassi alla lavagna lo studio di funzione. Te ne stai imbambolato a scorrere pagine e pagine su internet, senza trovare nulla di significativo, mentre Sherlock ti fissa come se fossi uno scolaretto inesperto e incompetente. Alzi gli occhi dallo schermo dopo un paio di minuti di ricerca vana.
 
- Niente di attinente, o almeno così mi sembra…
 
Negli occhi di Sherlock lampeggia l’evidenza della tua imperizia. - Dia a me.
 
Gli poni il telefono che lui agguanta quasi strappandotelo di mano. Ci armeggia per un po’, alternando sguardi di impenetrabile concentrazione a smorfie di incomprensione o di spaesamento, finché non riprende freneticamente a camminare per il corridoio.
 
- Mi segua. - la sua unica spiegazione.
 
Riprendi a camminare, ricalcando i suoi passi. - Dove?
 
Il suo timbro basso sussurra misterioso:- Al nostro prossimo indizio.
 
A onor del vero, ci mettete non meno di dieci minuti a trovare la sala giusta, ma in fine ci siete, lì, davanti ad un quadro azzurro con strani esseri volanti dipinti sopra.
Siete davanti a “Blu di Cielo” di Kandinskij.
 
Sherlock lo guarda con malcelato orgoglio, come se l’avesse dipinto lui, e non solo trovato.
 
- È lui il nostro quadro.
 
Lo studi appena, senza soffermarti sul bizzarro soggetto dipinto. Non capisci come Sherlock abbia individuato proprio questo quadro, specie partendo, verosimilmente, dalle dimensioni del suo dipinto dietro cui avevano trovato il messaggio del Cavaliere Azzurro. - Non le sembra un po’ troppo grande?
 
Sherlock ti restituisce il telefono. - Moltiplichi 51, 24 x 2.
 
Aggrotti la fronte, senza capire che senso abbiano questi conti. Visto il tuo malcelato odio per la matematica, ti affidi alla calcolatrice del cellulare, come Sherlock aveva previsto.
 
- 102, 5 più o meno.
 
Lui incalza:- E 23, 4 x 3?
 
Alzi gli occhi dallo schermo, ancora incredulo. - Una settantina, più o meno.
 
Lui ti fulmina con lo sguardo, come se avessi tralasciato proprio il particolare fondamentale. - 70, 2.
Il tuo sguardo passa dal telefono, a Sherlock senza capire. - E quindi?
 
Sherlock sospira appena. - E quindi se lei toglie 2,5 a 102, 5 ottiene 100, e se somma quei 2,5 a 70,2 ottiene 72,7 che normalmente si approssima a 73. Esattamente le misure di questo quadro.
 
Ti volti verso il quadro che lui ti indica nuovamente con un teatrale gesto della mano.
 
Hai le idee abbastanza confuse, ma dai per buona la sua deduzione folle. - Come ha fatto ad arrivarci?
 
Sherlock non perde l’occasione per mettersi in mostra senza spiegare nulla.
 
- Un cervello e una connessione internet possono fare miracoli.
 
 
Lestrade arriva trafelato nella sala.
- Tutte le registrazioni delle telecamere interne di oggi sono state sostituite con quelle di ieri. Quel figlio di…
 
Sherlock interrompe subito il verosimile turpiloquio di Lestrade.
 
- Perché non se ne sta zitto invece di sbraitare? Qui c’è gente che sta lavorando.
 
Gregory alza gli occhi al cielo, indirizzando, ne sei certo, parte delle sue maledizioni anche a Sherlock. Non lo biasimi per questo, quando vuole sa essere molto irritante.
Ti prendi la briga di spiegare a Lestrade cosa stia succedendo.
 
Lui annuisce, e accetta di starsene in silenzio ad aspettare che Sherlock smetta di giocare all’investigatore privato.
 
Sherlock si avvicina al dipinto e lo esamina con il suo solito cipiglio critico. E criptico.
- Temo proprio che… - si gira teatralmente verso di voi - qualcuno debba darmi una mano.
 
Ti avvicini prontamente ad aiutarlo. Ormai sta diventando quasi una reazione istintiva. Il che è un po’ strano. E potenzialmente pericoloso. Ma anche potenzialmente utile.
 
Tu e Greg girate il quadro e Sherlock si mette a studiarne l’intelaiatura. 
 
- Non vedo niente di strano. Il quadro è originale.
 
Lestrade vede con la coda nell’occhio un pezzo di carta caduto per terra.
- Quel bigliettino è ininfluente?
 
Ti guardi intorno per quel che puoi, continuando a sostenere in sicurezza il peso del quadro.
 
- Quale?
 
Lestrade fa un cenno col mento. - Quello che è appena caduto a terra…
 
Sherlock interviene prontamente a smorzare il tuo entusiasmo. - Ma niente è un foglietto che mi è caduto dalla tasca del cappotto.
 
Lestrade insiste. - C’è un numero…
 
Sherlock si china a riprendere il foglietto e lo rimette in tasca. - Sì, lo so che c’è un numero. È il numero del fidanzato gay di Molly.
 
Ad un cenno del giovane Holmes riappendete il quadro al suo posto.
 
Non sai se essere più deluso dal fatto che quel pezzo di carta non contenesse il prossimo indizio, o dal fatto che Sherlock abbia conservato il numero di telefono di Jim. Scuoti appena il capo per non pensarci.
 
Lestrade continua a guardare il dipinto, senza trovarci niente di strano.
 
- Che sappiamo di questo quadro?
 
Sherlock prontamente sale in cattedra, assiso sul trono della conoscenza e della cultura. Non sai se sia più affascinante o pedante. E non lo vuoi sapere.
 
- È dell’ultimo periodo di Kandinskij, è stato dipinto nell’anno dell’occupazione nazista della Francia. È del periodo biomorfo del pittore, studiava microorganismi al microscopio, era affascinato da quest’esperienza, lo chiamava lo “sguardo interiore”, gli sembrava di intravedere l’anima segreta di tutte le cose in questo modo. Poi le interpretava con gli strumenti propri della sua sensibilità e del suo estro, creando qualcosa di originale e di nuovo.
 
Smette di parlare, e continua ad osservare il quadro da tutte le angolazioni diverse.
È precipitato d’un tratto giù dalla sua cattedra di perfezione. Lo sguardo corrucciato e indagatore scandaglia ogni singola pennellata senza giungere ad una soluzione. - C’è qualcosa che non capisco…
 
- Se in questo quadro non c’è nessun riferimento… - scuote il capo - Forse ho frainteso. E lui non intendeva affatto questo quadro. Forse stiamo solo perdendo tempo… Forse…
 
Intuisci così chiaramente la confusione che sta mettendo fuori uso le rotelle dell’ingegno di Sherlock, che ti affretti a dire qualcosa per disinnescare questo deleterio processo.
- Forse è più facile di quanto sembra.
 
Sherlock si volta a guardarti come se ti vedesse per la prima volta. - Sicuramente lo è.
 
Lestrade inizia ad azzardare ipotesi. - E se fosse…
 
A te balenano in testa idee a cui non credi, ma che magari posso servire a sbloccare l’ingegno di Sherlock. - Qual è il numero dell’opera nel catalogo del museo? O sull’audioguida?
 
Lui non annuisce, non convinto.
 
- E se fosse semplicemente un quadro qui vicino?
 
Dall’inattività completa dei pochi istanti trascorsi, Sherlock passa velocemente ad una foga nervosa. Cammina sotto e sopra davanti a “Blu di cielo”.
 
- Ci sono centinaia di quadri in questo corridoio, potrebbe essere uno qualunque di questi, allora?
 
La risposta ovviamente non ce l’hai, ma azzardi un vago:- Potrebbe.
 
- Non mi sembra da lui. Dovrebbe esserci un rapporto di esclusività tra indizi e risoluzione.
 
Cerchi a tuo modo di smorzare la tensione.
- Così il giallo non sarebbe divertente da risolvere, non crede?
 
Sherlock ferma la sua inutile marcia e ti fissa, visibilmente sorpreso. - Lei mi stupisce…
 
***
 
Passate i successivi dieci minuti a girare e rivoltare tutti i quadri più vicini a “Blu di cielo” senza per altro trovarvi niente, finché Sherlock non si accorge di qualcosa che ad una prima, furiosa, occhiata gli era sfuggito. - Hanno mandato l’altro quadro vicino ad una mostra.
 
Tu e Lestrade vi voltate a guardarlo, giusto in tempo per vederlo prendere il cartoncino con l’avviso del quadro dato in mostra, girarlo e trovarvi scritto:
Bel giorno per una passeggiata, no?
 
 
Lestrade sbianca e prende furiosamente dalle mani di Sherlock il cartoncino con l’indizio, senza capacitarsi della buffa situazione in cui vi trovate. Tu ti limiti a sbuffare. Tanto lavoro per una cosa così stupida? Che razza di indizio sarebbe?
 
Poi capisci. Ed è come accendere la luce in una stanza buia. - Dov’è in mostra il quadro?
Sherlock sorride appena. - Al Museo d’Orsay. Ed è lì che andremo a cercare le nostre risposte.
 
- Sa che è chiuso a quest’ora? E poi dice “giorno”, non notte fonda…
 
Lestrade si affretta a recuperare il telefono. - Chiamo la centrale per vedere se ci sono segnalazioni dalla rive gauche… - allarmato che il Cavaliere Azzurro possa essere entrato anche lì.
 
Sherlock sembra del tutto indifferente alle preoccupazioni di Lestrade. Lo ignora bellamente e risponde a te:- Non ho detto di volerci andare adesso. E poi le devo una cena, John.
 
Rimani interdetto per un attimo, guardandolo come se non capissi il senso delle sue parole.
Poi annuisci. E vi avviate insieme verso l’uscita del museo, mentre si sentono in lontananza le sirene delle volanti della polizia chiamate da Lestrade.
 
L’aria di Parigi è fredda. Ti stringi nel giubbotto, le mani in tasca.
I palazzi si stagliano slanciati ed eleganti su un proscenio di azzurra tenebra.
Le parole di Sherlock interrompono la tua sognante contemplazione degli edifici intorno a voi. C’è qualcosa di misteriosamente mistico e profano allo stesso tempo nel modo in cui la Ville Lumiere si accende di notte.
 
- Si dovrà accontentare di un bistrò, così non la fanno entrare da Maxime…
 
Lo fissi con poca convinzione. - Cosa c’è nel mio abbigliamento che non va?
 
Sherlock ti guarda incredulo della tua obiezione.
- Vuole davvero che parli di quel maglione beige che si ostina a portare addosso?
 
Il tuo maglione beige! Cosa ha il tuo adorato maglione beige che non va?
 
Scuoti appena il capo. - Dovrei offendermi.
 
Sherlock ridacchia tra sé e sé. - Non otterrebbe le mie scuse, sarebbe inutile.
 
***
 
Riponi il menù e ringrazi il cameriere che ha appena finito di versare il vino a te e a Sherlock.
Il giovane risponde con un cenno del capo e si dilegua con l’ordinazione verso la cucina.
 
Sherlock scruta con superiorità il liquido rosso nel flute e avvicina pigramente il bicchiere al naso, per saggiarne il profumo prima che l’aroma. Tu fai meno lo schizzinoso, ne bevi un sorso e ti guardi cautamente intorno, a catturare l’aria tipica di un bistrò francese. Tavolini e sedie in ferro battuto, coperti da tovaglie rosse, abitati ormai da poche persone, e tutte abbastanza distinte, segno che Sherlock non sarebbe entrato in un locale qualsiasi.  
 
Alzi lo sguardo verso di lui.
E c’è una punta di malcelata apprensione nelle tue parole.
- Che cosa vuole questo Cavaliere Azzurro da lei?
 
Sherlock ostenta con una credibile vaghezza - Non lo so… - ma ormai sai che, per quanto verosimile, non è questo il tono che adopererebbe se non stesse nascondendo qualcosa.
 
- Non ci credo.
 
Un’alzata di spalle e un tono vagamente condiscendente sono le sue massime concessioni. - Non lo so con esattezza.
 
Non capisci perché non voglia spiegarti. - Ha detto di aver avuto una corrispondenza con lui.
 
- L’ho detto.
 
Cioè, lo capiresti se non foste voi due, se non vi foste trovati insieme quasi ininterrottamente in queste ultime ore, se non ti avesse fatto vedere i suoi quadri, se non avesse disegnato un tuo ritratto, se non avesse capito, con un solo sguardo, tutto di te. - E…?
 
- Ed è vero. Niente di importante. Ha fatto apprezzamenti su alcuni miei quadri. Io ho risposto. E ci è capitato di intavolare una corrispondenza circa argomenti squisitamente artistici per un breve lasso di tempo.
 
La fronte corrucciata, appoggi i gomiti sul tavolo, portando leggermente in avanti la sedia, per abbassare ulteriormente il tono di voce. - Non penso che lei risponda a tutte le lettere degli ammiratori.
 
Sherlock bagna appena le labbra nel vino rosso, accennando un sorriso vagamente compiaciuto.
 
- Infatti.
 
Ti sembra di estorcergli ogni parola. E ti sentiresti a disagio se non sapessi che lui non si farebbe scappare qualcosa che non vuole rivelare. - E come mai a lui ha risposto?
 
Sherlock assume il tono di chi dice la cosa più naturale del mondo, quello tra lo spocchioso e il misterioso. - Perché sapevo che fosse un criminale.
 
Tieni a freno il tono della voce, che appare comunque vagamente sdegnato. - E questo rendeva la cosa più intrigante perché?
 
Sherlock ti scruta dall’alto della sua presunta superiorità intellettuale, come se per lui e le altre menti superiori il confine tra bene e male fosse sfumato e valicabile. - Ha una grandissima conoscenza dell’arte e un’intelligenza fuori dal comune. Il fatto che fosse incidentalmente affetto da manie di grandezza e di onnipotenza, nonché da una incresciosa tendenza a delinquere non faceva che renderlo più interessante…
 
Non sai fin dove arrivi la tua indignazione e dove inizi una desolante rassegnazione. E non vuoi saperlo. - Non immaginavo che avrebbe mai potuto dire una cosa del genere. Anche il grande Sherlock Holmes subisce il fascino del cattivo…
 
- Lui capisce l’arte. E questo va oltre l’essere buono o cattivo.
 
Per una volta ti sembra che sia lui quello vagamente ottuso tra i due. - Ruba i quadri. - scandisci, come se fosse lui quello che non capisce.
 
L’artista tace. Deve aver calcato la mano apposta, perché accenna un sorriso, guardandoti e scuotendo appena la testa. Ma il suo sorriso, che per un attimo ti aveva rassicurato, si inclina subito in una costatazione amara.
 
Il suo sguardo fissa un punto indeterminato sulla parete alle tue spalle. - È che temo ci sia dell’altro…
 
Non aggiunge niente, gli occhi che vagano per una frazione di secondo per la stanza, senza fermarsi su di te. E per la seconda volta, dopo le sue rivelazioni circa il college, i suoi disegni e il cuore che urla, scorgi, tra le pieghe della sua anima, quanto possa rivelarsi fragile Sherlock Holmes.
 
La tua sarà anche una reazione istintiva e te ne pentirai, ma accarezzi appena la sua mano abbandonata sul tavolo. - Che cosa teme? - sussurri, piano.
 
Lui ti guarda negli occhi. E svincola velocemente la mano dalla tua.
 
I suoi occhi sono colmi di malinconia. Non c’è nessuna traccia di supponenza, per una volta. Solo nostalgica malinconia. Sono gli occhi di chi non vuole ricordare qualcosa che non avrebbe voluto vivere, ma di cui continua a portare le ferite, nascoste, nell’animo, dove nessuno possa vederle.
 
- Non capirebbe.
 
E ti senti uno sciocco a non poterlo aiutare. Vorresti far scomparire quella distruttiva malinconia da quegli occhi. Preferiresti essere travolto dai suoi sguardi strafottenti, dalle insinuazioni irritanti sulla tua cultura, che non vederlo così. - Potrebbe spiegarmi.
 
Sherlock è abile a rimettere insieme i cocci rotti davanti ai tuoi occhi increduli. Beve un sorso di vino. Scuote appena il capo. E sembra tornato quello di prima. - Non servirebbe, adesso.
 
Stai per obiettare qualcosa, mentre lui alza gli occhi verso di te. E torna a fissarti. - Se le chiedessi dell’Afghanistan le andrebbe di parlarmene?
 
Scacco. Accenni un sorriso amaro. - Probabilmente no.
 
Sherlock si limita a guardarti, limpidamente. - Vede. Non siamo poi così diversi…
 
***
Il tempo scorre via, placido come un gatto addormentato sui tetti della Ville Lumiere.
Avete abbandonato il ristorante da circa mezz’ora, Sherlock ha mangiato appena, tu hai divorato sia carne che dolce, e, nonostante tutte le vicissitudini assurde di questa giornata, adesso, camminando con calma verso l’albergo, ti senti se non felice, almeno un po’ più felice dell’ultima volta che sei stato felice.
 
Ormai la felicità per te era che ti pagassero un’ora su tre di straordinario, non dover più andare dalla psicologa, che Mike non pretendesse di farti uscire con tutte le donne single della redazione. Chiamavi felicità il sollievo occasionale.
 
Adesso, invece… insomma, razionalmente non ci sarebbe niente di cui essere felice. Sei in un posto in cui non puoi che sentirti uno straniero, in compagnia di un uomo che conosci appena, sulle tracce di un criminale. E rischi anche di essere licenziato.
 
Eppure… non riesci a non farti affascinare dall’aria maestosa e al contempo bohemien di Parigi, a considerare Sherlock Holmes un estraneo, a non trovare eccitante l’indagine in cui ti sei trovato coinvolto. E rischi di essere licenziato, questo sì, non riesci a vederlo diversamente.
 
Ma ti sembra un problema così lontano, mentre l’acqua della Senna brilla delle luci che incoronano i ponti che collegano la riva destra a quella sinistra del fiume. Mentre tutti i miserabili traguardi della tua vita si perdono nella nebbia di Londra. Mentre la torre Eiffel svetta a ricordarti che sei a Parigi, al centro dell’Europa e del mondo. E che tutto il resto sembra non essere importante.
 
Ti volti verso Sherlock.
Camminate fianco a fianco in silenzio da qualche minuto.
Ma non è un silenzio imbarazzato.
Lo rompi con una domanda che ti ronza in testa da un po’.
 
- Come pensa di regolarci per questa notte? Potrò occupare il divano di una delle stanze della suite oppure mi costringerà a spendere un patrimonio per affittare lo scantinato dell’albergo?
 
Sherlock accenna un sorriso. - Non c’è nessun bisogno di prendere lo scantinato…
 
Stai per ringraziare, ma lui continua la frase, in un modo in cui non ti saresti aspettato:
- Può dormire nel letto…
 
Deglutisci a vuoto. Non… non pensavi… non… eh?
 
- E… ma…?
 
Sherlock è serissimo, e sembra non capacitarsi del tuo spaesamento. - Lo lascio a lei. Io non dormo.
 
Ringrazi il cielo di essere sbiancato e non arrossito quando nella tua testa hai iniziato a farfugliare.
 
- Non posso accettare.
 
Sherlock ti guarda senza malizia. - Allora non ci dormirà nessuno.
 
Apri la bocca per ribattere, ma la richiudi senza produrre alcun suono.
E quello che seguirà, ne puoi stare certo, sarà un silenzio imbarazzato.
 
 ***
 
Holmes si siede su una delle poltrone del salotto, chiude gli occhi, respirando piano, le mani giunte sotto al mento, come gli hai visto fare ormai tante volte. Non dice niente. Tace.
 
Tu resti in piedi a fissarlo, per qualche istante ti concedi di analizzare la sua espressione serafica, il suo volto pallido e ovale. Sai perfettamente che lui sa con esattezza che lo stai guardando, ma inconsciamente il suo tacere ti autorizza a restare sulla soglia, ad aspettare un cenno, una conferma, una parola qualsiasi.
 
Ma lui resta in silenzio, arroccato nella sua posa da meditazione. Non leggi particolare stanchezza sul suo volto, ma solo necessità di silenzio e di solitudine. Puoi quasi intuire gli ingranaggi del suo cervello che si muovono con metodo ferreo, nel turbinio di pensieri che si rincorrono fino a sicuri assiomi a cui attenersi
 
Vorresti provarci, e ci provi, ma non sai dire cosa stia pensando. Immagini che c’entri il Cavaliere Azzurro, supponi che pensi al biglietto, al museo, alla polizia, a quello che diranno i giornali, a quali siano i piani di quel pazzo con cui avete iniziato questa folle partita a scacchi. Avete… Ha.
 
Ti penti del plurale. È ovvio che lui non ti consideri davvero parte attiva del piano. Del resto, le tue abilità deduttive sono quelle che sono. E in paragone alle sue, beh, potresti a buon diritto ammettere di non averne.
 
Eppure… Ti piacerebbe essere fondamentale. Fondamentale in genere, in una qualsiasi cosa, al di là di quello che sta succedendo adesso con lui. Anche se ti piacerebbe essere fondamentale anche adesso. E invece avverti forte il peso della tua anonimità, della tua inettitudine.
 
- Cosa fa, John? Non ha più sonno?
 
Rinvieni di soprassalto dalle tue considerazioni, mentre Sherlock, senza aver neanche riaperto le palpebre, riesce seraficamente a metterti in difficoltà. 
 
Deglutisci a vuoto. - Mi chiedevo se lei avesse cambiato idea.
 
Sherlock apre gli occhi e porta le mani sui braccioli della poltrona. - Gliel’avrei detto.
 
Fai per andartene. - Mi scusi se l’ho disturbata.
 
Lui liquida la questione con un cenno del capo. - Non importa... In realtà pensavo a lei.
 
Resti per un attimo impietrito. - A me?
 
Sherlock corregge subito il tiro. - Al suo articolo. Mi pare ovvio che non potrà scrivere di questa storia prima che non sia finita.
 
Sapevi che sarebbe arrivato questo dannato momento. - Dubito che al giornale accetteranno.
 
- Le è proprio fondamentale il suo lavoro?
 
Sbianchi. Che cavolo di domanda è? - Ho bisogno del mio stipendio.
 
Sherlock assume il tono di voce più naturale possibile. - Ma io potrei pagarla…
 
Resti impietrito, sorpreso, fermo sulla soglia del soggiorno, senza fare un passo. - Pagarmi?
 
- Ho bisogno di un assistente.
 
Non capisci. - Ha già Trevon.
 
Sherlock sorride amaramente. - Che non trova quattro bustine di the in meno di tre ore.
 
Tu. Assistente di Sherlock Holmes.
Non è possibile.
 
- Comunque sarebbe una cosa temporanea… come farei a vivere dopo? Non posso permettermi di perdere il posto.
 
Lui, assiso sulla sua poltrona, non si scompone affatto. - Temo che Mycroft dovrà fare una telefonata allora.
 
Ti diverte il suo interesse. - Vuole parlare con Stamford?
 
Sherlock rilancia senza remore. - Con il proprietario del Times, se serve.
 
Le tue labbra si incurvano, senza che tu voglia, in un sorriso pieno. - Sono così importante per lei?
 
Sherlock non si imbarazza, non muove le mani nervosamente, non arrossisce, non si tocca i capelli, non parla con voce alterata. Non fa tutte le cose che inizieresti presumibilmente a fare tu se lui avesse detto una cosa del genere.
 
Si limita a dire, freddo come una statua di ghiaccio: - Si metta nei miei panni, se io la lascio andare chi mi garantirebbe la segretezza assoluta che questa faccenda necessita? E perché coinvolgere qualcun altro quando lei è già a conoscenza di tutto?
 
D’un tratto il tuo atteggiamento muta completamente. Le braccia incrociate sul petto, lo sguardo contrariato. - È molto arrogante e scortese da parte sua.
 
Sherlock appoggia mollemente il gomito del braccio destro sulla poltrona e appoggia il capo sulla mano. - Voleva che le dicessi che lei è importante per me?
 
Rispondi seccamente. - A quanto pare non le importa della mia opinione.
 
Sherlock si alza senza fretta dalla poltrona, avvicinandosi di qualche passo nella tua direzione.
- Avevo dedotto che non le sarebbe dispiaciuto lavorare con me.
 
Stringi i punti. - Questo non la autorizza a decidere per me della mia vita.
 
Lui ti osserva, per un’interminabile frazione di secondo. Ne esce con un’espressione non propriamente amareggiata, ma non strafottente né arrogante. - Non volevo dare questa impressione.  
 
- L’ha data.
 
C’è un che di delusione, mista a tristezza, mista a decisione in quello che dice, e in come lo dice.
- Ormai sa come mi comporto di solito, non pensavo che l’avrebbe presa così.
 
John. Pensaci. Vuoi davvero rinunciare ad un’occasione del genere? Davvero non vuoi vivere fino in fondo questa folle avventura e vedere cosa succederà? Davvero vuoi tornare subito ai tuoi articoletti da quartultima pagina? Alla scarsa considerazione che hanno di te tutti in quella redazione? No, non vuoi.
 
Ma tenere Sherlock sulla graticola è fin troppo piacevole per non approfittarne per qualche altro secondo. - Non può comportarsi con me come fa con la signorina Hooper.
 
Sherlock non abbassa un attimo lo sguardo, ma senti che non lo fa solo per studiato contegno.
- Con Molly mi comporto molto peggio, non che lo faccia apposta.
 
Taci. Incerto su come ribattere. Così fai per voltarti ed andartene.
 
Sherlock fa ancora un passo verso di te. - In ogni caso non intendevo offenderla.
 
Ti volti. Era questo quello che volevi sentirti dire.
 
Poi ritorna alla sua canonica sicurezza. - Vuole lavorare con me? Ma devo essere sincero… sarà pericoloso.
 
Quanto sa essere teatrale? E tu non puoi essere di certo da meno.
Accenni un sorriso. - Me lo garantisce?
 
Sherlock sorride a sua volta, prima di tornarsene sulla sua poltrona. - Glielo prometto.
 
***
 
Ti metti a dormire. È strano starsene su quel materasso enorme. Per non parlare degli stucchi dorati alle pareti, del copriletto finemente ricamato, dei quadri baroccheggianti intorno a te. Non sai se riuscirai a dormire. La giornata è stata innegabilmente lunga, e strana.
 
Mai avresti immaginato che sarebbe andata così, e invece pare che continuerai a lavorare con Sherlock Holmes a questo bizzarro caso, e per molto ancora. O almeno fino a quando lui e il Cavaliere Azzurro continueranno a sfidarsi in questa folle partita a scacchi.
 
Che Sherlock nasconda qualcosa è indubbio, ci sono troppe cose che dice di non poter dire e altre che semplicemente tace. Talvolta intravedi nei suoi occhi le ombre delle cose che nasconde. E vorresti davvero capire.
 
Non sei dispiaciuto di rimanere. Nonostante il suo atteggiamento supponente e il suo caratteraccio. Forse il mistero ti intriga più di quanto non ti irriti il suo custode…
 
Ti addormenti piano, prima di potertene davvero accorgere.
Sprofondi nelle dolci sabbie soporifere di Morfeo e rannicchiato su un fianco, solo in mezzo ad un letto così grande, fai sogni che al risveglio non ti ricorderai, tanta la stanchezza accumulata.
 
Così come non ti ricorderai di quella figura slanciata e silenziosa che, attraversando appena la soglia della porta, lascia che il suo sguardo indugi sul tuo capo abbandonato sul cuscino, e si consente un sorriso preoccupato. Resta lì solo per un secondo, zitto e immobile. Muove un passo verso di te, solo uno, e poi torna indietro, lasciandoti dormire placidamente nella penombra.
 
Eppure ti sembrerà di ricordare che lui si sia seduto sul letto affianco a te, senza fare rumore, che si sia sdraiato e che sia rimasto immobile a guardarti dormire per qualche minuto prima di addormentarsi a sua volta. Ti sembrerà di ricordare di esserti voltato e di averlo sentito sonnecchiare placidamente al tuo fianco, anzi, sul tuo fianco, il capo reclinato sul tuo petto, le braccia abbandonate addosso a te. E non ti sembrerà una sensazione poi così terribile, anzi di piacevole rilassamento, quella di sentirlo respirare piano, così dolce di sonno, mentre per una volta non ti sta fulminando con lo sguardo, o inondando di rimproveri, deduzioni o entrambe le cose insieme. Ed è così stranamente…
 
Ti svegli di soprassalto. Ti guardi intorno preoccupato come se fosse appena successo un disastro irreparabile, una calamità naturale. Eppure Sherlock non c’è.
 
Tasti le coperte affianco a te, le lenzuola sono perfettamente stirate dall’altra parte del letto, il secondo cuscino è integro e intatto, nessuno ci ha dormito. Sospiri piano. Un sospiro di sollievo, da un lato. Un sospiro di nostalgia per qualcosa che non è avvenuto, dall’altro.
 
Respiri profondamente, mentre il super-io sgomita a reprimere i pensieri che hai appena fatto.
Perché non hai appena sognato che Sherlock dormisse accoccolato affianco e addosso a te. Non hai appena inconsciamente desiderato che ciò avvenisse. Non hai pensato che fosse una sensazione piacevole. Non hai mai minimamente pensato una cosa del genere.
 
Del resto ti sei svegliato di soprassalto non a caso. Perché era una cosa sbagliata anche solo da pensare. Un lapsus del tuo inconscio. E che Freud andasse al diavolo, non c’è niente di represso nei confronti di Sherlock. Non c’è e non ci sarà mai. Eppure…
 
Fino ad un attimo fa ci avresti giurato, ma adesso. Sicuramente avrai sognato anche questo…
Ma il suono bassissimo della voce di Sherlock che sussurra piano nella notte “Tu sei importante per me” l’hai impresso nella memoria, abbarbicato tra conscio e preconscio, deciso a non farsi dimenticare. Ma l’hai sognato…vero?
 
Potresti chiedere a Sherlock… Certo, e farti prendere per uno psicopatico. Ovvio. Subito. Lo farai appena lo vedi. Ti affretti ad alzarti dal letto, cercando il telefono sul comodino per guardare l’ora.
 
Otto meno un quarto. Nonostante le vicissitudini della giornata precedente, pare che un po’ di disciplina militare regga ancora. Ti affretti ad andare in bagno, preferibilmente portandoti dietro i vestiti che ti sei tolto per andare a dormire. Perché ovviamente non potevi chiedere un pigiama a Sherlock, cioè, avresti voluto quando sei andato ad importunarlo mentre rifletteva sulla poltrona, ma la conversazione aveva preso un’altra piega e domandargli un pigiama era fuori luogo. E poi va bene dormire nel suo letto, ma mettersi un suo pigiama… non esageriamo.
 
Peccato che i tuoi vestiti siano spariti dalla poltrona su cui li avevi appoggiati.
Sbianchi.
 
Esci dalla stanza urlando:- Sherlock! - senza curarti di essere in mutande. Del resto, se il genio si è divertito a farti sparire gli indumenti, non si scandalizzerà di certo a vederti comparire così in salotto. - Dove sono i miei vestiti? - incalzi.
 
Peccato che la voce che senti non sia quella di Sherlock. Ma quella titubante e imbarazzata di Trevon. - Temo che il signor Holmes non ci sia…
 
- Eh? - non sei più padrone del colore delle tue guance. - Non è come sembra.
 
Ti rendi conto che l’espressione di imbarazzato disappunto sulla faccia di Victor Trevon, per quanto fuori luogo, in realtà sia abbastanza calzante. Del resto, vedere un tipo in mutande uscire da una camera da letto a chiedere al proprietario della camera da letto dove siano i suoi vestiti è abbastanza ambigua come situazione. O quantomeno, si presta a facili interpretazioni.
 
Calchi invano la dose. - Non è affatto come sembra.
 
Trevon si morde appena le labbra per non scoppiare a ridere. - Certo…
 
Respiri profondamente. Ti penti di aver provato istintiva commiserazione per quel ragazzo e per come lo tratti l’artista fuori di testa con cui vi trovate entrambi ad avere a che fare. Ed è proprio lui che vorresti avere di fronte, per chiedergli con che cosa avesse narcotizzato i neuroni quando gli è balenata l’idea di lasciarlo senza vestiti alla mercé delle divertite obiezioni di Trevon.
 
- Ma dov’è Sherl… - ti rendi conto che chiamarlo per nome non agevolerebbe la situazione, visti i pensieri che si sta facendo Victor, e correggi subito il tiro - Il signor Holmes?
 
Lui riassume un po’ della sua solita, ingessata compostezza. - È uscito, mi ha detto di dirle di aspettarlo nella sala delle colazioni.
 
Sospiri. - Non c’era bisogno che si incomodasse ad aspettare che mi svegliassi. Poteva lasciarmi un biglietto. - maledici mentalmente Sherlock, perché l’ha messo in quella imbarazzante situazione?
 
Trevon ti guarda non senza imbarazzo. - Ho fatto quello che mi è stato detto, mi dispiace di averla disturbata.
 
Ti ricordi che il tuo problema primario in realtà era un altro. La sparizione dei tuoi indumenti. Causa di tutto il malinteso e fonte primaria delle tue angosce. - Ma i miei vestiti?
 
Trevon si sforza nuovamente di non sorridere:- Non si ricorda dove li avete lasciati?
 
Scuoti il capo davanti all’uso improprio di quel dannato plurale. Che poi ti auguri che dopo una notte come quella che Trevon sta immaginando e che lo diverte tanto, quel disgraziato di Sherlock non sparisca così, rubando i vestiti del partner, lasciandolo senza il conforto di qualche dolce tenerezza mattutina e anzi, buttandolo in pasto alle risatine dei suoi sottoposti. Scuoti il capo. Questa è un’altra cosa che non ti interessa.
 
- Ricordo esattamente dove li ho lasciati e non ci sono.
 
Trevon medita un po’, girandosi verso l’armadio guardaroba dell’ingresso. - È probabile che siano stati mandati in lavanderia dal signor Holmes.
 
Guarda con attenzione un paio di cambi d’abito puliti, mandati dalla lavanderia presumibilmente qualche ora prima. - Sono questi i suoi vestiti? - e ti porge una gruccia con un maglione familiarmente beige, un’altra con la tua camicia azzurrina, e l’ultima con i jeans blu.
 
Prendi tutto e accenni a volertene andare, preferibilmente a sotterrarti da qualche parte per la vergogna. - Grazie. Se permette, vado a vestirmi…
 
Trevon coglie la tua insofferenza. - Io nel frattempo me ne andrei. Avrei delle altre cose da fare.
 
- Come vuole.
 
Lui accenna un saluto e sparisce verso la porta d’uscita della suite.
 
 
Ricapitoliamo John, sostanzialmente, la signor Adler pensa che voi siate una coppia, senza che nessuno abbia fatto niente per incoraggiarla, Molly Hooper è stata spinta a farlo da Sherlock, e dalla tua ignobile complicità alla messa in scena. Angelo vi ha acceso una candela al tavolo del ristorante pensando che foste al primo appuntamento, e adesso la totale assenza di buonsenso di Sherlock e il suo infischiarsene delle convenzioni sociali ti ha messo nella condizione di far credere a Trevon che tu sia il suo amante. Che modo migliore per iniziare la giornata?
 
E stai volutamente evitando di considerare i sogni che stai faticosamente macinando per far subissare nel rimosso.
 
***
 
Scendi a fare colazione e trovi Sherlock Holmes in un tavolino appartato, vuoto, che smanetta con il cellulare. Hai pensato a lungo su cosa fosse opportuno dirgli, se fare riferimento al malinteso con Trevon oppure no. E hai deciso, come era prevedibile, di tacere, sperando che Victor faccia altrettanto. In realtà ti sei interrogato a lungo sul gesto di premura e di gentilezza del tuo ospite di mandare i tuoi vestiti in lavanderia, ma anche questo è un argomento che non vuoi neanche sfiorare.
 
Ti avvicini a Sherlock, prima di buttarti a capofitto su un buffet luculliano apparecchiato in modo impeccabilmente elegante.
 
Sherlock mette da parte il telefono. - Ha dormito bene?
 
Appoggi le mani sullo schienale della sedia davanti a te. - Devo ammettere di si. E lei?
 
Lui ti guarda come se stessi constatando l’ovvio, ovvero come fa la maggior parte del tempo.
 
 - Oh, non ho dormito.
 
Sbuffi, ironico. - Non ci credo.
 
- Lestrade mi ha tenuto informato sugli sviluppi al Centro Pompidou. Non è stato rubato niente. E all’Orsay ieri notte non è entrato nessuno. Ho passato in rassegna tutti i cataloghi online sui quadri presenti all’Orsay, e ho ottenuto le informazioni riservate sui condotti dell’aria, dell’acqua, delle telecamere di sorveglianza e di qualsiasi altra cosa comunichi con l’esterno. Questa volta non possiamo permetterci che il Cavaliere Azzurro arrivi prima di noi, o abbia comunque vantaggi logistici o altro.
 
Decidi cautamente di non insistere sulla notte trascorsa e sulle deduzioni sul tuo sogno o sulla reazione di Trevon che potrebbero scaturirne. - È stato molto gentile ad aspettarmi prima di andare al museo.
 
Ti indirizza uno sguardo di divertita sufficienza. - Non ha ancora aperto, ecco perché ho aspettato.
 
Sospiri, ancora una volta. Perché ti illudi che lui voglia davvero intenzionalmente essere gentile con te? - Rettifico: sarebbe stato molto gentile se non avesse tenuto a specificare l’ultima frase.
 
Di tutta risposta Sherlock si limita a fare spallucce.
 
- Ha troppa considerazione delle convenzioni sociali.
 
- Lei ne ha troppo poca.
 
Ti allontani verso il buffet. E pensi ad altro. A quello che è successo poco fa con Trevon, al malinteso che si è creato con l’assistente ufficiale di Sherlock. Tutto perché il giovane Holmes sguazza nei malintesi, è il gran ciambellano dei malintesi.
 
Afferri un piatto che riempi di cornetti e un paio di fette di torta. Hai notato già ieri sera a cena che Sherlock tende a non mangiare, e visto che adesso il tavolino davanti a lui è immacolato, né una briciola né uno sbuffo di marmellata, immagini che non abbia toccato cibo neanche stamattina. Del resto, da un tipo che sacrifica le sue ore di sonno a studiare le condutture dell’aria e dell’acqua di un museo, azione di cui per inciso non comprendi l’utilità, puoi aspettarti qualsiasi cosa.
 
Non sarai un medico, ma ti appare ovvio che non può starsene senza mangiare, e pretendere di scorrazzare per Parigi dietro ad un pazzo che nasconde messaggi dietro i quadri, né che tu possa incoraggiarlo.
 
Una cameriera si avvicina cortesemente a domandarti se gradisci qualcosa da bere, e, fiero del tuo discreto francese, le domandi del the.
 
Del resto, un po’ di buon the nero, macchiato appena di latte, è ciò che ci vuole per iniziare bene una giornata.
 
Torni a sederti portandoti dietro due piatti pieni di roba da mangiare, quello dei cornetti, e quello della colazione continentale, bacon, uova e pane tostato. Sherlock non ti risparmia un’occhiata colma di ostentata incredulità.
 
Alza un sopracciglio, ironico. - Fame?
 
Metti il piatto con i cornetti davanti a Sherlock. - Rigiro la domanda a lei. Presumo che non abbia mangiato niente.
 
Lui finge stupore, senza risparmiarti uno sguardo ironico. - La sua abilità nelle deduzioni cresce ogni momento che passa, presto sarà lei a prendere il controllo della situazione e guidarmi alla soluzione di tutti i miei problemi, non crede?
 
Sherlock Holmes non sa, perché andiamo, può essere geniale quanto gli pare, ma non può saperlo, che stai pensando a quanto la sua frase possa essere ambigua. “Prendere il controllo della situazione.” “Guidarmi”. “Tutti i miei problemi”. Deglutisci a vuoto. Devi reimparare a non trovare riferimenti a cose che non esistono in cose che non ne hanno.
 
Scuoti appena il capo, come se il gesto possa servire anche a scacciare certi pensieri dalla testa.
 
- Lei non ha mangiato, oltre a non aver dormito.
 
Sherlock sorride, senza essersi apparentemente accorto di niente. - Lei ha dormito e sta per mangiare a sufficienza per entrambi.
 
Ti stupisce la sua ostinazione. E ti rendi d’un tratto conto di condividere l'irritazione delle anziane nonne che non si capacitano dell’inappetenza dei nipoti. - Mi spiega come pensa di reggersi in piedi per tutto il giorno?
 
Sherlock non risponde, anche se capisci, dal suo sguardo e da quell’accenno di sorriso strafottente che gli colora il viso, che si sta persino divertendo, mentre tu ti preoccupi per lui.
 
La cameriera torna con un vassoio su cui è appoggiato un elegante servizio da the di porcellana.
- Il vostro the. Due tazze, come mi ha chiesto.
 
Le sorridi, ringraziandola in francese, mentre lei si allontana verso un altro tavolo.
Tu non hai potuto fare a meno di notare la genuina avvenenza della ragazza, con quelle lentiggini sul naso e sulle guance, i capelli chiari, le forme al punto giusto, in cuor tuo rassicurandoti di essere ancora sensibile al fascino femminile, ma per Sherlock l’incursione della cameriera è come se non fosse mai avvenuta. - Che the è?
 
Sorridi appena, sapendo che Sherlock non avrebbe davvero potuto starsene senza mangiare come minacciava. - Nero, earl grey.
 
Apri il coperchietto della teiera e ti assicuri che l’infusione delle foglie sia stata sufficiente. Il colore ti sembra quello giusto, quindi versi il the prima a Sherlock e poi a te.
 
Alzi gli occhi. - Zucchero?
 
Lui annuisce appena. - Due.
 
Prendi l’altro bricco di porcellana. - Latte?
 
Sherlock fa cenno di no con la mano e inizia a sorseggiare il the, standosene per una volta zitto e tranquillo. Accenni un sorriso, macchiando con un sorso di latte la tua tazza di the nero, prima di berne a tua volta.
 
- Aveva detto di non voler mangiare.
 
Ma Sherlock, anche se gli si fa una gentilezza, resta comunque Sherlock. Lui la chiamerebbe sicuramente coerenza, tu indisponenza. - Non voglio deluderla, ma il the si beve, non si mangia.
 
Fai finta di non averlo sentito e gli indichi con un cenno del capo il piatto che gli avevi messo davanti. - Prenda uno di questi dolci.
 
Sherlock guarda a te e poi al piatto con velata diffidenza.
 
- Se non altro per evitare che io diventi obeso.
 
Ma lui non coglie l’ironia dietro la tua affermazione, o meglio, se la coglie, la travalica. Prende a fissarti e ti senti radiografato dai quei suoi occhi indefinibilmente azzurri. - Non mi sembra che ne abbia possibilità nel prossimo futuro, però…
 
Appoggi la tazza di the sulla tovaglia bianca, a metà tra l’indignazione e un divertito stupore.
 
- Sta dicendo che sono grasso?
 
Gli occhi di Sherlock se la ridono, dietro la sua tazza. - Non ancora.
 
Sorridi anche tu. Senza riuscire a sentirti offeso. Del resto, non servirebbe a niente.
Inizi a mangiare bacon e uova strapazzate, infischiandotene.
 
Ogni tanto non riesci a non alzare gli occhi a indagare il comportamento di Sherlock.
Se ne sta pensoso a seguire con le dita il bordo della tazza. Senza bere né mangiare.
 
Non sai a cosa stia pensando. Ma dev’essere qualcosa di triste. Qualcosa che non ha voglia di raccontarti, altrimenti l’avrebbe già fatto, col suo modo teatrale ed enfatico di parlare.
Non dici niente, continui a mangiare e a guardarlo, mentre pensi che lui non se ne accorga.
 
Ma Sherlock riemerge presto dagli abissi di se stesso, riaffiora dalle profondità insondabili dei suoi pensieri. Si limita ad alzare gli occhi a guardarti, ma basta per farti capire che non l’hai scampata e che lui si è reso conto del tuo timido fissarlo.
 
Allunga una mano sul tavolo e per una frazione di secondo ti illudi che voglia stringere la tua. Ma si limita ad afferrare uno dei cornetti dal piatto davanti a sé, mentre scuoti impercettibilmente la testa, maledicendo i tuoi pensieri inopportuni.
 
Ne strappa un pezzo, come se non si fidasse del suo contenuto o della sua fattura.
Sorridi appena, nascondo un pizzico di amarezza in quel sorriso. - Dubito che possa esserci del veleno.
 
Sherlock ti fissa come se fossi cascato dalle nuvole e non avessi la minima cognizione di quello che stai dicendo. - Non lo può dire con certezza.
 
Non accenna a mangiare, aspettando che tu dica qualcosa.
 
Sbuffi, porti gli occhi al cielo per una frazione di secondo. Prendi dalle sue mani il pezzo di brioche che stava squadrando come se fosse una scoria nucleare di burro e pasta sfoglia. - Dia a me, correrò il rischio. - e dai un morso al cornetto.
 
Sherlock accenna un sorriso sorpreso, in cui si nasconde una punta di ironia.
- Lei sarebbe disposto a morire per me?
 
Lo dice mentre stai inghiottendo il boccone, rischiando di farti strozzare. Tossisci ripetutamente. E bevi un sorso di the. - Lei crede davvero al veleno?
 
Sherlock sorride. - Ovviamente no.
 
Tiri un sospiro di sollievo. E non perché davvero credessi che ci fosse il veleno, ma perché lui non sembra avere intenzione di continuare a farti domande insensate che mettano in imbarazzo entrambi.
 
Accenni al cornetto che Sherlock continua a fissare. - Comunque non è male.
Lui alza appena le sopracciglia, come a dissentire. Ma poi inizia a mangiare.
E tu sorridi nascondendoti dietro la tua tazza di the.
 
 
***
 
Il museo D’Orsay un tempo era una stazione del treno.
Si specchia da più di un secolo sulla Senna, senza vanità. Eppure splende di una bellezza tutta Parigina. Gli archi, le vetrate, i due orologi tondi all’apice dei due antichi ingressi, la differenza di colori tipicamente francese tra il corpo chiaro dell’edificio e il tetto, blu scuro.
 
Entrate appena aprono.
Non c’è molta gente a quest’ora. Tanto meglio, visto che dovete cercare di capire quale sia la prossima mossa del Cavaliere Azzurro, chiunque egli sia, e restringere il campo su chi possa essere, visto che ci sono buone possibilità che sia uno degli altri turisti. Anche se… vedi gente abbastanza ordinaria intorno a te, in fila per passare il controllo sicurezza, e nessuno di loro ti sembra possa avere l’aria geniale, folle e criminale che dovrebbero essere proprie del vostro avversario.
 
Sherlock attraversa a passo sicuro l’ingresso del percorso espositivo, dirigendosi verso la sala dove hanno allestito la mostra “Urbano e bucolico nel pre e post impressionismo”.
Si guarda intorno con rapide occhiate, senza soffermarsi su nessuna tela.
 
- Cosa stiamo cercando?
 
Continua la sua veloce ispezione, senza dare molta importanza alle tue parole, e senza cambiare la traiettoria del suo sguardo neanche di un millimetro. - Il quadro di ieri ovviamente.
 
Freddato dal placido riaffiorare della sua indisponenza, cominci a guardare i quadri per fatti tuoi, e tendere solo a stare nella stessa stanza in cui si mantiene lui.
 
Dopo qualche minuto, con la coda nell’occhio vedi che si è fermato come una statua di marmo davanti ad un quadro. Ma non accenna a chiamare la polizia o la sicurezza, né smanetta sul telefono alla ricerca di informazioni, non dice niente. Si limita a fissare il quadro, come imbambolato.
 
Ti avvicini. - Perché ci siamo fermati?
 
Si volta a guardarti. E c’è un vago spaesamento in quegli occhi abituati ad essere accesi da una luce brillante di intuizioni. - Il quadro è questo.
 
Non capisci. Sherlock sa sempre cosa dire, no? - E…?
 
Ma stavolta ha uno sguardo corrucciato. - Non vedo niente di strano.
 
Guardi il quadro. Non ci vedi niente di inusuale: campi coltivati e mulini a vento. - Pensa che ci sia qualcosa dietro il quadro? O dietro la targhetta con il nome?
 
Scuote appena il capo. - Lui non si ripeterebbe.
 
Tenti di obiettare una cosa qualsiasi, sperando di fargli involontariamente accendere qualche lampadina, com’è accaduto nelle ore passate. - Ma…?
 
Ma stavolta l’intuizione di Sherlock non ha bisogno di ulteriori incoraggiamenti. - Se non c’è un altro indizio, dev’essere il quadro stesso un indizio.
 
Lo guardi come se avesse parlato in Turco.
Ma conosci qualche parola in Turco.
Hai viaggiato prima di diventare un uomo frustrato che non è riuscito a sfondare.
Da ragazzo non hai mai lasciato niente di intentato. Hai partecipato a qualsiasi concorso per aspiranti scrittori, studiato per tutte le borse di studio che hai vinto.
Hai fatto i lavori più assurdi pur di viaggiare, per quel poco che hai visto del mondo.
E mai niente ti ha scoraggiato.
Niente, prima dell’esperienza in Afghanistan.
Scuoti impercettibilmente il capo.
L’Afghanistan è lontano ormai.
 
Quando torni a guardare Sherlock, lo scopri intento a fissarti. Deve aver capito. Non ti dispiace.
Ha uno sguardo interrogativo. Vagamente. È solo una tacita sfumatura nei suoi occhi. Ma tu la cogli. Lui ha capito quale sia l’indizio. E accetti la sfida. Annuisci appena.
 
- Kandinskij. “Mulini a vento”. Olanda.
 
Fissi attentamente il quadro.
Guardi la targhetta. Alzi di nuovo lo sguardo.
 
Sherlock sa che non sei un esperto di arte. E per quanto il suo ego sia in apparenza smisuratamente grande, in realtà non ti umilierebbe così, facendoti illudere di poter indovinare una cosa assurda che palesemente non potresti conoscere, non ora che ha intravisto nei tuoi occhi l’Afghanistan e quel desiderio di rivalsa che tenevi nascosto anche a te stesso.
 
Qualcuno che conosci, quindi. Di cui avete parlato, magari.
Kandinskij. “Mulini a vento.” Olanda.
 
Ti volti verso Sherlock. - Van Gogh?
 
Lui annuisce. - Van Gogh. - e condividere uno sguardo di intesa con lui è indicibilmente strano. Perché per una volta avete capito entrambi il ragionamento che sta dietro qualcosa. E sapete entrambi quanto sia grande la passione di Sherlock per Van Gogh. E che la mossa del Cavaliere Azzurro non dev’essere casuale. Ed scopri che è anche indicibilmente bello, oltre che indicibilmente strano, condividere uno sguardo di intesa con Sherlock Holmes.
 
Non hai il tempo per somatizzarlo, lo insegui fuori dalla sala, imboccando la galleria principale. Perché Sherlock non concederebbe un secondo di più a questa tua consapevolezza. E non si priverebbe di un secondo ancora in cui poter capire cosa nasconda il Cavaliere Azzurro. Ma a te va bene così.
 
Stai a fatica dietro alle sue lunghe falcate.
 
- I quadri di Van Gogh in mostra in collezione permanente sono una ventina. Alcuni sono attualmente in prestito per mostre fuori Parigi. I più famosi sono qui in una galleria sulla destra. Anche se con l’attuale nuova disposizione delle tele, potrebbero non essere tutti collocati insieme. Questo su internet non sono riuscito a trovarlo.
 
- Non si ricorda a menadito l’Orsay come l’Olangerie?
 
Speravi che la provocazione bastasse a fargli rallentare la marcia. Ma no, non è così. Continua a parlare, senza guardarti. - All’Olangerie c’è molta meno gente da scansare, ci vado più spesso.
 
Calchi la dose, ostentando un’ingenua curiosità nelle sopracciglia. - Ha paura delle persone?
 
Si volta appena, senza fermarsi. - Ho paura dei giornalisti.
 
Scacco. Ma ne sorridi. Almeno ha rallentato e ti ha guardato mentre ti parlava. In fondo non te ne importava di quello che stavi dicendo. O almeno… insomma non ti importava.
 
Fingi indignazione, mentre accenni un sorriso. - Dovrei offendermi?
 
- Non ne abbiamo il tempo.
 
Sherlock non si era fermato per te. Aveva rallentato appena, e ti aveva rivolto uno sguardo, di sfuggita, continuando a camminare per la sua strada. Ma d’un tratto si arresta. Lo sguardo imbambolato sulla tela. Come se fosse la cosa più bella del mondo. Anzi, come se non esistesse altro. Arrivi davanti al quadro qualche frazione di secondo dopo. E capisci la reazione di Sherlock.
 
Ti piombano addosso pennellate d’acqua di un blu lapislazzuli, fluida come se si stesse infrangendo sulla spiaggia davanti ai tuoi occhi. Sei abbagliato dal chiarore delle stelle, puntini di bellezza mistica e tremolante, in quel cielo immenso e profondo, e dalle luci del porto, che si riflettono su quell’acqua appena smossa da un vento che non è dipinto, ma che la tela ti soffia addosso, come un respiro.
 
Sherlock ha lo sguardo ancora fisso sul quadro, ma come se si fosse appena ridestato da un sogno ti sussurra: - “La notte stellata sul Rodano”.
 
Ti costringi a distogliere gli occhi dalla tela, per non essere imprigionato dal suo splendore. Ti sfugge un magro:- Wow.
 
Sherlock sorride senza supponenza, ti guarda quasi con dolcezza. - Van Gogh fa questo effetto.
 
Ma tu non te ne accorgi. Hai scoperto nell’angolo due figure, una coppia di innamorati forse. Li scruti domandandoti come abbiano fatto a comparire d’improvviso nella tela. Interroghi le stelle, le luci del porto, infine l’acqua, e per ultimo quel vento invisibile, eppure così concretamente presente. E capisci che è quel quadro è tutto e troppo insieme.
 
I tuoi pensieri ti sembrano profondi, ma le parole sciocche quando la bocca si decide a pronunciarle. - I colori sono così vividi. E le pennellante così intense.
 
Sherlock ha gli occhi di nuovo fissi sulla tela. E nei suoi occhi intravedi uno sprazzo del sogno di prima. - È così che vorrei vedere il cielo, quando alzo gli occhi, di notte.
 
Lo guardi. C’è una brama d’infinito in quegli occhi che non riescono a coglierlo. C’è un anelito per la bellezza e il mistero del tutto. C’è l’ansia di capire. E la necessità di trasfigurare.
 
Volgi di nuovo lo sguardo al quadro davanti a voi.
Tu cosa vedi, in fondo? Un paesaggio, un bel mare, un bel cielo, stelle, abbastanza irrealistiche. Vedi i riflessi della luce sull’acqua. E ti sembra bello. Semplicemente bello.
 
Sherlock invece intravede anche qualcos’altro. E lo invidi per questo. Perché il mistero dell’arte è per pochi adepti e non tutti possono capire davvero. E tu fai parte di quei tutti. Ti fermi a “questo mi piace”, “questo non mi piace”, lo stadio di infantile partecipazione che potrebbe avere un bambino.
E ti senti di nuovo uno sciocco al fianco di Sherlock Holmes.
 
Sherlock riemerge dagli abissi di se stesso. Ti vede assorto. Aggrotta le sopracciglia, beffardo. D’un tratto di nuovo esente da qualunque esaltazione romantica, da qualsiasi trasporto per l’arte. È di nuovo il detective che c’era indizi e nel frattempo si diverte a punzecchiarti per sondare le tue reazioni. - Noto un discreto interesse per l’arte…
 
Non hai il cuore di ritorcergli dietro i suoi silenzi e quegli sprazzi di autenticità dietro la facciata di fredda compostezza. Sarebbe vile. Non pugnali l’uomo che ti permette di intravedere un frammento della sua anima palpitante e inquieta. - Noterà che è sempre l’interesse di un profano.
 
Il suo sguardo è corrucciato. Guarda te, poi il quadro dietro di te. E scuote il capo, teatralmente.
- Noto che non vedo indizi. E non capisco.
 
Ti guardi velocemente intorno, prima di riportare il tuo sguardo su di lui. - Non la voglio offendere, ma potrebbe sbagliarsi. Magari non era qui che voleva portarci.
 
Lui si limita a fissarti con spirito di contrarietà nello sguardo, fa su e giù davanti al quadro. - Siamo esattamente dove dovremmo essere. Ma non capisco… Non capisco ancora.
 
- Forse…
 
Alza gli occhi, corrucciato e serio. - La smetta. È lei che mi distrae.
 
Si volta bruscamente verso i quadri sulla parete più vicina, li esamina, insieme ai cartellini, i chiodi sul muro, l’altezza a cui sono appesi, la presenza o la mancanza di polvere sulle cornici.
 
Tu te ne stai a quello che ormai definisci istintivamente il tuo posto, due passi dietro di lui, le mani in tasca, a dividere lo sguardo tra Sherlock, quello che sta guardando e gli altri intorno a voi.
 
Vorresti essere d’aiuto, percorri tutta la sala dedicata alle opere di Van Gogh, ma ti limiti a scuotere appena il capo e non capire. Così ne approfitti per guardare i quadri, sperando di captare quanto meno cosa affascini tanto Sherlock. Sembra così difficile stupirlo o interessarlo…
 
L’unica persona capace di fare ciò è un pazzo che si cela dietro un pseudonimo altisonante, è un esperto d’arte e si diverte a comunicare tramite enigmi a chiave artistica. Come potresti mai competere?
 
“Le docteur Paul Gachet” sorride appena, come a commiserarti per il guaio in cui ti sei messo, seguendo Sherlock. E… “L’Arlesienne” ti fissa, con il suo sguardo puntato oltre la tela, quasi a squarciarne il tessuto con le sue tacite insinuazioni. Ma no, tu non nutri alcun sentimento per Sherlock Holmes. Lo trovi intelligente, e oggettivamente devi riconoscere che abbia il suo fascino. Ma un fascino che, del resto, chiunque potrebbe riconoscere, tanto è evidente.
 
E il fatto che ti ritrovi a interrogarti sul colore dei suoi occhi non è indicativo di alcunché. Un azzurro diverso sia dallo sfondo de “Fritillaires couronne imperiale dans un vase de cuivre” che dai nastri dei capelli delle dame di “La salle de danse à Arles”. Macchiato della purezza del cielo azzurrissimo de “L’eglise d’Auvers sur Oise, vue du chevet”, sporcato dalla solitudine del ceruleo delle porte de “La chambre de Van Gogh à Arles”.
 
Lui, l’artista che non crede in Dio, che forse ha superato, ma mai dimenticato, l’isolamento della stanza di un college in cui nessuno lo capiva. Se ne sta tranquillo, o almeno finge molto bene, ad esaminare “Les roulottes, campement de bohemiens aux environs d’Arles” e poi “La guinguette à Montmartre”. Non sembra accorgersi di aver di fatto monopolizzato la tua attenzione.
 
Evidentemente deve parergli naturale avere un pubblico adorante, quando sta per sparare qualcosa di geniale. - Rassegnati, John, sei uno dei tanti - sembra dire lo sguardo di benevola indulgenza che ti riserva “L’Italienne” - sai quanti ne ha portati qui in mezzo ai quadri? - Scuoti il capo. Dica quello che vuole la donna con la gonna rossa, e se ne restasse appoggiata al suo sfondo giallo.
 
Respiri profondamente. Massaggi lentamente con la destra l’attaccatura del naso, maledicendoti e maledicendo Sherlock in silenzio. Hai davvero coscientemente pensato che i quadri volessero parlarti? Se va avanti così ci finisci tu ricoverato in quel “L’hopital Saint Paul a Saint Remy de Provence”! Non sbianchi solo perché ne hai viste di ben peggiori in Afghanistan, altrimenti la tua pelle avrebbe lo stesso colore di un candido lenzuolo.
 
E non basterebbe una vera cena da Angelo a farti riprendere.
Nessun “Le restaurant de la Sirene à Asnieres”, e anche nessun Maxime, per cui evidentemente non sei abbastanza elegante, ti basterebbe anche una bettola, ma forse il tuo inconscio vuole farti capire che non ti dispiacerebbe un appuntamento con Sherlock Holmes. Un appuntamento vero. Di quelli in cui si è realmente interessati l’uno all’altro. Quando nessuno dei due è capitato lì per caso, o resta lì per caso. Al tuo inconscio piacerebbe che Sherlock Holmes ti trovasse, se non attraente, quanto meno interessante. E che non pendesse dalle labbra invisibili di questo Cavaliere Azzurro.
 
Ma al livello conscio provi solo il fastidio di essere ignorato e la gratitudine di assistere a quello che potrebbe essere lo scoop del secolo.
 
Osservi l’ultimo quadro di Van Gogh nella sala: “La Meridienne”. I due corpi dei contadini sdraiati sotto il sole del meriggio. Il cielo azzurro come solo il cielo sopra un biondo campo di grano sa essere. E pensi inconsciamente, e del tutto involontariamente, che la sensazione di benessere che provano le due figure sdraiate all’ombra di un covone di grano, non sia poi così dissimile da quella generata dall’illusione di dormire accanto a Sherlock, questa mattina.
 
Scuoti appena il capo. Ti proponi di non pensarci. Anzi, ti vieti di farlo.  
Sherlock passa nervosamente da una tela all’altra, cercando informazioni che riesci ad immaginare lontane dal farsi trovare.
Borbotta qualcosa, con evidente nervosismo.
L’esaltazione arriverà, se arriverà, quando ci capirà qualcosa.
 
Ti avvicini a lui, dubbioso. - Quindi?
Lui ti guarda con malcelata esasperazione nello sguardo. - Quindi cosa?
 
Ti senti di insistere. - Non chiamiamo la polizia?
 
Se prima sembrava solo scocciato, adesso manifesta chiaramente anche irritazione. Ma, se hai capito qualcosa di Sherlock Holmes, non tanto nei tuoi confronti quanto verso se stesso, per non essere ancora giunto alla soluzione. - E cosa diciamo? Che non abbiamo uno straccio di indizio?
 
Strano però… - No?
 
- No. Non capisco. E mi dà maledettamente fastidio ammetterlo.
 
Continui a fissarlo con fare titubante. Una delle tue certezze era che Sherlock fosse spocchioso, ma che nascondesse un animo sensibile, tuttavia per te da subito è stato chiaro che lui avesse sempre e comunque qualcosa da dire di appropriato. O di appropriato per lui, almeno.
 
Invece no... stavolta si limita a constatare l’ovvio, cosa che solitamente tanto disprezza.
 
- Non ci sono biglietti, non ci sono scritte dietro i quadri perché se no se ne sarebbero accorti, non c’è un bel niente…
 
Allarghi le braccia. - Beh, ci sono i quadri.
 
Sherlock ti rivolge uno sguardo vagamente esasperato. - Grazie, che ci sono i quadri. È un museo.
 
Per poi guardarsi intorno come stralunato, se gli fosse venuto in mente qualcos’altro… qualcosa a cui prima non aveva ancora pensato. - I quadri… - ripete, quasi tra se e sé, gli occhi fissi progressivamente sulle diverse tele.
 
Assisti alla genesi della sua intuizione, senza capire.
E lui, del resto, così occupato nei suoi brillanti processi mentali, non si cura di spiegarti niente, almeno per il momento. Si limita a voltarsi appena verso di te, e protendere la mano vuota.
 
- Ha ancora la sua agenda?
 
Tiri la moleskine fuori dalla tasca interna del giubbotto. - Tenga. Dovrei proprio regalargliene una.
 
Non risponde, fa un rapido cenno col capo, come tacito ringraziamento. Non ti spiega cosa stia facendo, si limita a scansare i pochi turisti che sono già presenti al museo, e zampetta da una parte all’altra della stanza, mentre scribacchia sulla tua agenda qualcosa che non ti è dato sapere.
 
Non capisci cosa tu abbia mai detto di così geniale, ma una sensazione di sotteso buonumore ti pervade il petto, riscaldandoti il cuore. Gli sei stato utile, forse. Forse ha una considerazione così insignificante di te.
 
Si siede su uno dei divanetti sul fondo della stanza, lo guardi smanettare con il cellulare, scarabocchiare qualcosa sull’agenda, tirare delle barre con indignato sdegno, probabilmente per cancellare qualcosa. Tu torni a guardare i quadri, finché, diversi minuti dopo, è lui a chiedere il tuo coinvolgimento.  
 
- John.
 
Ti volti di scatto, appena senti la sua voce. È un riflesso involontario che hai sviluppato in troppo poco tempo, questo di precipitarti se è lui a chiamarti. Non ti dai tempo di pensarci.
 
- Cosa?
 
Sherlock alza gli occhi dalla pagina sporca di grafite e cancellature.
- Come se la cava con gli anagrammi?
 
Corrughi la fronte, le sopracciglia strette sugli occhi. - Anagrammi di cosa?
 
Lui ti indica le pareti intorno a voi con un cenno della mano. - Delle iniziali dei nomi dei quadri.
 
È una pista. Ma ti sembra un po’ troppo specifica. E allo stesso tempo così vaga…
- E perché non dei nomi interi?
 
Sherlock doveva aver già riflettuto su questa questione, perché la liquida con sicura nonchalance.
- Perché si renderà conto che qui ci sono una ventina di quadri, e tranne se non vuole scrivere un romanzo, non so cosa se ne dovrebbe fare di tutte quelle lettere.
 
Ti arrendi al fatto che sia lui a condurre il gioco… tecnicamente l’indagine… ma che indagine è quella che si basa su giochi di enigmistica? - Che lettere abbiamo?
 
Sherlock ti mostra il foglio impasticciato. -  E P F R C M D D e una sfilza interminabile di L. Ma se consideriamo anche la prima lettera dopo l’articolo negli altri quadri abbiamo anche N A R I D C S E M R G H.
 
Se ha chiesto il tuo aiuto non è giunto a niente, ma vuoi una conferma, se non altro per avere qualche secondo in più per pensare a qualcosa di intelligente da fare per aiutarlo. - E?
 
- Trovo solo cose senza senso. Non capisco.
 
Tiri fuori il telefono dalla tasca dei jeans, deciso a cercare un sito online che faccia anagrammi. L’ebrezza intellettuale di riuscire a capirlo senza aiuti la lasci a Sherlock.
 
Che capisce subito la situazione. - Dubito che possa servire a qualcosa. Ci ho già provato ed escono solo cose senza senso, oppure niente. Ci sono troppe consonanti. Ma se tolgo quelle dei quadri che non hanno l’articolo nel nome le cose non migliorano.
 
- Tipo? Cosa esce?
 
Si appoggia sconsolato allo schienale del divanetto. - Parole senza senso: “drang smerci” “scremi grand” e l’H è di troppo.
 
Corrughi la fronte. - Drang?
 
- Impeto in tedesco. Come il movimento pre romantico “sturm und drang” ma non capisco che senso potrebbe avere un riferimento del genere a Parigi. Ammesso che non ci sia un’associazione culturale con “drang” nel nome, ma ho cercato su internet senza risultati.
 
Ah. Certo. E chi non li conosce? Accantoni l’ipotesi… non c’entra niente. - E quello “smerci” che senso avrebbe?
 
Sherlock esibisce un sorriso nervoso, scuotendo appena il capo. - Non ne ha.
 
- E se con “drang” in realtà intendesse “drug”, droga? Vuole mandarci da qualcuno che vende droga?
 
- Non ne capisco il nesso.
 
Passi in rassegna le parole che hanno resistito alla scrematura di Sherlock. - “Scremi grand” pure non ha senso.
 
- Non esiste un “Gran Hotel Scremi” ho già controllato.
 
Ne intravedi una che ha un briciolo di senso in più… certo ci manca una vocale, però…
 
- E “grand schermi”? Magari ci vuole mandare in un cinema?
 
Sherlock alza involontariamente il tono della voce. - Non ci vuole mandare in un cinema. Altrimenti ci darebbe un indizio su quale cinema! Ha idea di quanti ce ne siano a Parigi?
 
Gli fai cenno di abbassare la voce per non dare fastidio agli altri visitatori del museo.
Lanci un’altra occhiata sulla pagina dell’agenda. - “Gridar mensh” che senso ha?
 
Sherlock ti fulmina con lo sguardo, evitando per lo meno di urlarlo ai quattro venti.
- Non deve analizzare quelli che ho trovato io. Li ho già analizzati e non hanno senso.
 
Provi per qualche istante a comporre qualche parola che possa avere anche alla lontana un vago senso compiuto, ma non riesci a produrre niente. Vedi solo un ammasso di lettere che non vogliono affatto stare insieme. O che si configurano solo nelle parole già trovate.
 
Ti rassegni ad inserire le lettere su un sito che offre un servizio di anagrammi online.
Ti propone un paio di risultati senza senso e poi… - “Drachme rings?”
 
Sherlock guarda incuriosito lo schermo del tuo telefono. - E che senso ha?
 
Sospiri. - Nessuno, ma che vuole da me? Sto cercando di fare quello che posso.
 
Sherlock appunta le due parole sul foglio insieme alle altre ipotesi. Ci riflette un attimo, una mano sulla bocca, l’altra a scarabocchiare altre combinazioni. - Però “rings” avrebbe senso, qualcosa che suona, che cosa potrebbe essere?
 
Che cosa suona? Ma tutto può suonare? Da un antifurto ad un campanello! Che razza di domanda è? Pensi alla soluzione che ti ha dato il sito degli anagrammi. - Le dracme, che risuonano nelle tasche di un greco?
 
- Un greco? C’è l’euro in Grecia adesso.
 
Adesso non ci sono le dracme, ma un tempo si! Hai davanti agli occhi la nebulosa di un’idea. La vedi esplodere all’improvviso. È così che si sente Sherlock quando spara le sue affermazioni geniali?
 
 - Non è che ci vuole mandare al Louvre? Ci sono reperti greci, no?
 
Entusiasmo il tuo, che Sherlock si premura di distruggere subito con le sue parole titubanti e il suo sguardo affatto convinto. - Ci sono, ma… non lo so…
 
Ma non ti arrendi. Posto pure che “rings” vada bene, il problema è “drachme”.
 
- Se facessimo l’anagramma di “drachme”?
 
Sherlock riprende a scarabocchiare sulla moleskine. Lo lasci fare.
Finché riemerge dai suoi pensieri. - “March”.
 
Annuisci, senza capire la luce negli occhi di Sherlock. - Ok, siamo a Marzo, ma… che senso ha? E poi non rimangono “ D” e “E” spaiate?
 
Guarda le parole cerchiate sul foglio. Non è totalmente convinto, ma capisci che si sente vicino alla soluzione. Non mugugna, non borbotta, ripete ancora una volta:- “March rings.” Marzo suona.
 
E smanetta sul telefono.
 
Ti volti a guardarti intorno alla ricerca di qualche altro spunto, quando Sherlock prende a strattonarti per il braccio, come se fossi il bambino che si distrae proprio quando la maestra sta dicendo la nozione fondamentale della lezione. - Marzo risuona!
 
- Non capisco…
 
Ti mette sotto al naso il telefono: - Guardi qua “Mars resonne de…” è una rassegna musicale al teatro Chatelet.
 
Ah. Ecco. Non capisci il senso di mettere soggetto e verbo in inglese e preposizione in francese, se questo genio del male è davvero tale, avrebbe dovuto inventarsi qualcosa di più chiaro.
 
Scuoti appena il capo, massaggiandoti l’attaccatura del naso.
Il fatto che tu non riesca a risolvere i suoi folli enigmi non vuol di certo dire che tu valga meno di lui. Fai inabissare questo moto di malinconia volgendo lo sguardo ad un entusiasta e nuovamente iperattivo Sherlock Holmes.
 
Accenni un sorriso ironico. - E lei non sapeva di questa iniziativa? Non è esperto di violino?
 
Le sopracciglia diventano archi gotici sul suo volto pallido. - Non sono un esperto, sono solo un volgare profano.
 
Non l’hai ancora sentito suonare, ma… - Se sa suonare come disegna è un maestro anche in quello.
 
Sherlock fa un gesto di diniego con la mano. - Lei mi fa troppi complimenti.
 
- No. Non le sto facendo complimenti. La sto solo descrivendo.
 
Per una frazione di secondo Sherlock ti guarda senza parlare. Non sapresti dire con esattezza, ma sembra vagamente imbarazzato. O quanto meno stupito.
 
Il contatto visivo si interrompe bruscamente. Lui si alza precipitosamente dal divanetto.
 
- È ora di andare.
 
Ti alzi a tua volta. - Dove?
 
- Stasera dobbiamo andare ad un concerto. E lei non ha niente da mettersi.
 
Ti stringi nel maglione beige. Non l’avrà vinta così facilmente…
 
 
 
Angolo autrice:
Salve! Non sono sparita! Semplicemente gli esami mi hanno trattenuta lontano dal computer… ma non così tanto da impedirmi di postare lo stesso il capitolo, anche se con qualche giorno di ritardo!
Che ne dite? Vi piacciono le ultime mosse del Cavaliere Azzurro? Avete risolto gli enigmi con Sherlock o siete rimasti stupiti insieme a John?
 
Allora, per quanto riguarda tutti i quadri nominati, si trovano tutti esattamente nei musei in cui ho detto che si trovano. Ovviamente la mostra “Urbano e bucolico nel pre e post impressionismo” me la sono inventata, non so se “Mulini a vento” di Kandinskij sia stato mai esposto all’Orsay.
 
Comunque l’altro quadro di Kandinskij, “Blu di cielo” si trova effettivamente in mostra permanente al centro Pompidou nella sezione di Arte Moderna. Eh sì, loro la intendono come Arte moderna, non Contemporanea, ho controllato, cara marig28_libra xD
 
Per il resto, ho inventato l’entrata secondaria del Centro Pompidou che conosce solo il personale e la polizia, ma perdonatemi, non sapevo come fare!
 
I quadri di Van Gogh al Museo D’Orsay ci sono tutti, controllati sul sito, i titoli sono esattamente quelli che ho scritto, non ho inventato quadri per far quadrare gli anagrammi. Ma… una piccola licenza me la sono presa, aggiungendo l’articolo a “Hopital Saint Paul a Saint Remy de Provence” .
 
Saluto e ringrazio tutti coloro che seguono la storia, l’hanno messa tra i preferiti, e soprattutto a chi mi recensisce, facendomi sapere che ne pensa!
Spero che abbiate apprezzato anche questo capitolo :)
Il prossimo ci troveremo tutti quanti a teatro a caccia del nostro Cavaliere Azzurro… pronti?
Al prossimo mese!
 
lady dreamer

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Il pittore dipinge su tela. I musicisti dipingono invece i loro quadri sul silenzio.
Leopold Stokowski
 
Arte contemporanea
Capitolo VI



Pare che Sherlock Holmes abbia appena trovato una giustificazione accettabile per cambiarti il guardaroba e far sparire il tuo adorato maglione beige. 

Ti ha trascinato fuori da un museo. È questo di per sé la dice lunga. Hai avuto modo di capire quanto Sherlock sia ossessionato dall’arte. Temi che non sia affatto intenzionato a soprassedere, ma non riesci ad esimerti da un tentativo di dissuaderlo, per quanto possa rivelarsi infruttuoso. 

- Mi spiega che problema ha il mio abbigliamento?

Sherlock ti riserva uno dei suoi sguardi più saccenti e indagatori. - Quand’è stata l’ultima volta che è andato ad un concerto?

Assumi l’aria pensierosa e sciocca insieme di quando si guarda da un’altra parte per ricostruire un ricordo sfuggente. - Beh… sono stato ad un concerto degli U2 nel…

Sherlock si schiarisce appena la voce, esprimendo tutto il suo disappunto. - Un concerto di musica classica.

In questo caso la situazione si complica, non hai nulla da raccontare. E non sapresti mentire. Non sei mai stato un estimatore di Mozart, Beethoven e compagnia bella, forse perché nessuno ti ha mai spinto ad ascoltarli sistematicamente e farti una cultura in materia. Ed è sempre stato un tuo rimpianto. Sherlock invece suona il vìolino, dev’essere un appassionato, e questa è l’ennesima differenza che vi divide. - Ehm…

Sherlock ti guarda come farebbe un genitore con un bambino scoperto a non fare i compiti che gli sono stati assegnati a scuola. Come se, così facendo, avessi tradito la tua fiducia. - Lei non è mai stato ad un concerto di musica classica, ovviamente. 

Sembra proprio che, stando in compagnia di Sherlock, tu ti debba sentire uno sciocco, un ignorante o un ottuso. Tutte cose che non sei. Rispondi con amarezza. - Non sono tenuto a…

Ma per una volta l’artista non sembra volerti far pesare più di tanto questa tua mancanza, maggiormente interessato ad estorcerti l’assenso a fargli scegliere il tuo abito per questa sera. - Quindi non sa come ci si veste.

Purtroppo non puoi dargli torto, ha ragione, non sei mai stato ad un concerto di musica classica, ma... - Ma io…- cerchi di protestare. 

Sherlock è estremamente serio, continuando a camminare sul lungo Senna, in attesa di raggiungere il ponte per passare sulla rive droite. - Non possiamo fare brutta figura, lo sa? Ci sarà la stampa.

Cerchi di sviare l’argomento, ironizzando: - Non c’è sempre?

Sherlock non accenna neanche un sorriso, per niente divertito. - Lei non è la stampa. È il mio assistente adesso.

- Ma alla fine mi deve un’intervista.

L’artista sorride incredulo. - Con molta probabilità avrà materiale per un romanzo, e mi vorrà ancora intervistare?

Il sorriso sul tuo volto è invece amaro. Sai che forse la sua è solo una provocazione, ma sa del tuo sogno di diventare uno scrittore e poi ti guarda con ingenuo coinvolgimento... Non vuoi pensare che ti sia prendendo in giro. - Mi pagano un’intervista, non un romanzo.

Sherlock risponde senza pensare, continuando a guardarti benevolmente. - Lei si sottovaluta.

Non vuoi iniziare questo discorso. Non adesso. Dovresti tirare fuori altri ricordi del tuo passato. Altri fallimenti. Cambi repentinamente discorso. 

- Lei mi blandisce perché vuole costringermi a vestirmi come un damerino. 

Sherlock capisce, gli basta un’occhiata, mentre continua a camminare al tuo fianco, e finge di essere inconsapevole della tua strategia. - Non ho bisogno di blandirla per questo. Non la fanno entrare se viene vestito così. 

Ti sembra esagerato. Non è un’udienza con la Regina e famiglia reale al completo. E poi sicuramente nessuno farà caso a te, sarai uno dei tanti pedoni sacrificabili sullo scacchiere della serata.  - Mi guarderebbero male, al massimo, ma mi farebbero entrare.

Peccato che Sherlock sia fin troppo abile nell’individuare le argomentazioni più varie ed adatte per le diverse situazioni. - Vuole che nel guardare male lei, guardino male anche me?

Sarebbe immensamente difficile. Non potresti mai con un tuo maglione, per altro bello, eclissare l’eleganza innata di Sherlock Holmes. - Così vuole che la assecondi per pietà?

Ti guarda con l’esasperazione di un genitore stufo di discutere. - John. La prego. 

Un sorriso malandrino si forma presto sulle tue labbra. - Mi prega?

Sherlock continua a camminare come se niente fosse, le mani in tasca. - No.

Insisti, divertito. - Mi stava pregando?

Ti lancia un’occhiataccia. - No.

Eppure non te la sei detta da solo quella frase. - Mi ha pregato?

- No. Si. La smetta.

E per una volta sei tu quello che ride beffardo. - Si sta sbilanciando un po’ troppo, non trova?

Ma prendere Sherlock in contropiede è forse impossibile, perché rilancia. Anche davanti all’evidenza. - E in che cosa mi starei sbilanciando?

Ma in questa maniera riesce, e non credi che non l’avesse calcolato, a far sbilanciare te. Il filtro che finora ha bloccato le affermazioni di questo genere deve essersi rovinato. Forse irreversibilmente. E ti scappa, tutto d’un fiato, guardandolo negli occhi, un sicuro: - Sta dimostrando che ci tiene a me.

Se a te basta aver insinuato una cosa del genere per avvertire un forte desiderio di scomparire, sembra che non basti per togliere la parola a Sherlock Holmes. - È il mio assistente. È ovvio che non voglia che mi faccia sfigurare.

È incredibile la sua capacità di cavarsela sempre. Ma questa volta hai intenzione di ottenere una, seppur modesta, vittoria. - Al punto di supplicarmi?

Il suo sguardo si fa d’un tratto serio, più intenso. - Sta giocando con il fuoco, John. Ma io so come evitare di bruciarmi. Lei no. 

Non capisci. Per una frazione di secondo pensi che si riferisca a emozioni...sentimenti? Ma ricacci subito indietro quest’insinuazione. Capisci che ancora una volta c’entra il Cavaliere Azzurro. E qualcosa che non ti vuole dire. 

- Non so cosa nasconda. Ma mi rendo conto che ci dev’essere dell’altro.

Sherlock ti riserva il suo ennesimo sguardo strafottente. - Cosa pensa di aver capito?

- Lei non è l’unico ad avere un paio di occhi per guardare in giro e sparare sentenze.

- Lei guarda ma non osserva, John. -sussurra, quasi tra sé e sé, con impercettibile dolcezza. 

- Basta fare caso al rapporto che ha con i quadri… come li accarezza con lo sguardo, prima di immergersi completamente nel soggetto e naufragare per un attimo in mezzo alle pennellate. Torna a galla sempre stravolto, Sherlock, come se ogni volta stesse per affogare in tanta bellezza. E ogni volta teme di ammettere a se stesso che non sarebbe così male perdersi e non ritrovarsi più… smarrirsi nell’arte.

Alza le spalle, stupito ma non convinto fino in fondo. Del resto, sono osservazioni abbastanza vaghe e a cui non è difficile arrivare. - Lo fa sembrare un segreto.

Ma deve lasciarti finire. - Ed ha lo stesso identico atteggiamento quando delle volte si perde nei suoi pensieri, in qualche remota stanza piena di polvere nel suo Palazzo Mentale. Guarda il vuoto davanti a se, come se si materializzasse il passato davanti agli occhi, e vi si perde, come per l’arte… e come per l’arte, sa quanto sia pericoloso correre il rischio di smarrirsi nei propri ricordi.

Nel suo sguardo una rara espressione genuinamente sorpresa. Ti fissa con i suoi occhi grigio azzurri, come se ti vedesse per la prima volta. Ma dura solo un’istante. L’allarmata dolcezza del suo stupore viene velocemente sostituita da un’espressione sicura e misteriosa insieme. - Finora non mi sono mai perduto.

Gli sorridi. Ti è sembrato strano vederlo così smarrito, anche se solo per un istante. - Io non glielo permetterei. Mi ha voluto qui per questo, no?

Sherlock Holmes non arrossisce, ma per un attimo distoglie lo sguardo, le orecchie e le guance meno pallide del solito. 
Quando torna a guardarti cambia radicalmente argomento. - Che dice, entriamo in questo negozio? 

- Se proprio dobbiamo. 

***

Sherlock esamina attentamente e con molta perizia gli abiti eleganti e fin troppo costosi esposti in una sartoria in pieno stile parigino, in cui ti ha costretto ad entrare. Un giovane commesso si era gentilmente proposto di mostrarvi gli abiti e di consigliarvi nella scelta, ma Sherlock lo ha licenziato alla svelta, facendogli capire con una dose insolita di tatto che avreste saputo cavarvela da soli. Oddio, tu non sapresti proprio cosa fare se non ci fosse lui a scartare tipologie di abiti, tessuti e fantasie varie... E anzi, faresti più felicemente a meno di tutto questo, se Holmes non ci tenesse tanto da costringerti. 
Se lo sguardo di Sherlock è quello dell’esperto che osserva, esamina l’abilità del taglio e saggia la qualità dei tessuti utilizzati, tu ti guardi intorno come frastornato, perso in mezzo a giacche, pantaloni e camicie così seri che pensassi si mettessero solo ai matrimoni e ai funerali. 

Sbuffi, cercando vanamente una via di scampo.  - A me questa roba non sta bene.

Sherlock si volta verso di te, smettendo per un secondo di scorrere le grucce dei completi sullo stand che stava esaminando. Ha uno sguardo tra il sorpreso e il divertito. - E chi gliel’ha detto? 

Il commesso è visibilmente incuriosito dal vostro breve scambio di battute, vi osserva, ostentando discrezione. Abbassi il tono di voce, per evitare di farti ridere dietro anche da lui. - Me lo dice lo specchio! Sono troppo basso. 

Sherlock ti guarda serio e composto come sempre, ma sul suo volto un vago sorriso. - Ma per favore… sono tutte scuse.


***

Non volevi dargli ascolto, e hai trovato molto antipatico che non ascoltasse le tue proteste, porgendoti altre camicie o altre giacche, o altri papillon. Non ti piace fare compere. Non ti è mai piaciuto. Ti accontenti di comprare un paio di maglioni o di camicie a stagione, un paio nuovo di pantaloni, quando ti servono, e un giubbotto ogni tre, quattro anni, e stai apposto. 
Non che tu abbia mai avuto un gran budget a disposizione, da spendere. 
Invece Sherlock sembra del tutto incurante dei cartellini dei prezzi, come se fossero lì per sbaglio. E non fossero importanti. Sceglie con la velocità di un esperto di moda, scartando con un veloce gesto del capo quello che non lo persuade. 

Hai provato un gessato che non è piaciuto a nessuno dei due. Tu hai cercato di fare pressione in favore di uno spezzato, sperando di poter mantenere i jeans sotto la giacca, ma Sherlock ha risposto con un secco “no” e negli occhi lo sguardo di chi non transige. 

- Ma io…

- Non ammetto lamentele. Con i jeans non si può andare ad un concerto di musica classica, tranne se non si abbia sotto i trent’anni. 

Lo fulmini con lo sguardo, contrariato. - Ma io ho trentacinque anni, non ottanta.

Lui ti passa l’ennesimo completo. - Non importa.


***

Sherlock ha chiesto a Trevon di procurargli due biglietti per il concerto di stasera allo Chatelet, ottenendo una telefonata in cui Victor, con voce trafelata, ha rischiato il licenziamento, perché pare non esserci nessun posto libero. Prima di condannare alla gogna il malcapitato, Sherlock ha poi contattato Mycroft che ha scoperto, con mezzi che non vuoi conoscere, l’intera lista di chi aveva acquistato i biglietti per lo spettacolo. Tra loro, fortunatamente, Irene Adler. 
 
La donna, vestita di un aderente tubino bianco, un copri spalle a maniche corte, con grandi bottoni candidi sul davanti, i suoi soliti tacchi vertiginosi, vi accoglie nella sua galleria con un sorriso malizioso dipinto sulle labbra rosse. 

- Chi si rivede… la nostra coppietta preferita… 

Sospiri impercettibilmente. Ormai hai capito che con quella donna non vale la pena protestare. 

E ti stupisci quando lo fa Sherlock. - Irene, John non gradisce di queste insinuazioni.

Lei sorride maliziosa. - E da quando ti preoccupi degli altri?

Sherlock glissa elegantemente. - Dovresti sentirlo quando mi rinfaccia il contrario. Cambieresti idea.

Anche Irene per una volta decide di non insistere. 

- Sono addolorata di non poter venire a teatro. I biglietti li avevo presi per me… e un mio amico.

Sherlock prende i biglietti che Irene gli porge con ostentato rammarico.
- Andate da Maxime a nome mio.

Lei accenna un sorriso. - No, non te la cavi così. Diciamo che mi devi un favore, poi sceglierò io.

Sherlock annuisce, ringrazia e uscite. 

***

È passata una buona mezz'ora da quando, vestito di tutto punto, ti sei parato davanti allo specchio. Hai un semplice completo blu scuro, giacca, pantalone e papillon. Classica camicia bianca. Non stai male ma... 

La voce di Sherlock al di là della porta del bagno. - John?

Continui a bofonchiare davanti allo specchio. - Sono ridicolo.

- Venga fuori.

Prima c’erano le scarpe scomode, il papillon a soffocarti, il disagio di essere vestito inutilmente da pinguino. Poi sei uscito dal bagno, abbandonando le tue insicurezze sullo specchio. 

E poi semplicemente Sherlock. 

È elegantissimo. Indossa uno smoking nero, con i revers in satin. La camicia bianca a collo diplomatico con papillon nero. Una pochette bianca nel taschino. Scarpe Oxford nere, allacciate. 
Porta l’abito con l’elegante indifferenza dei suoi capelli ricci e vagamente ribelli. Con la ridente strafottenza dei suoi occhi tra l’azzurro e il verde. E tra il verde e il grigio. Tra il mare d’inverno e i prati verdi di sole, a maggio.
Il corpo rilassato in quel vestito elegante, unito all’altezza statuaria del giovane, al suo sguardo misterioso e assorto, fanno di Sherlock Holmes l’uomo più attraente che tu abbia mai visto. 

- Lei è bellissimo.

Ti è sfuggito, senza che il Super Io potesse censurarlo. Lo trovi affascinante. Ed è così. Punto. Purtroppo non servirebbe a niente negarlo. Ma ti mordi istintivamente la lingua dopo averlo detto, ad alta voce, nel silenzio più totale, con quell’espressione di totale ammirazione sul volto, per giunta a lui. Vorresti sparire dalla faccia della terra. Ma continuare ad avere la possibilità di guardarlo. Bello com’è ora, per sempre. 

Cerchi goffamente di rimediare al danno fatto. Di insabbiare il tuo interesse. Di offuscare qualsiasi cosa la tua mente abbia pensato, o anche solo sfiorato con l’immaginazione. - Cioè, il suo vestito. Il suo vestito è molto elegante.

Ma Sherlock ostenta sicurezza, infischiandose di quello che hai appena detto, rispondendo al tuo istintivo apprezzamento. - Anche lei sta molto bene. 

I suoi occhi nei tuoi. E questa volta vorresti morire. - Grazie. 

John. Stai arrossendo. Senti il sangue fluirti rapido e inopportuno in faccia. 
Sospiri invano, mentre Sherlock finge di non accorgersene.

***

Il teatro Chatelet è una costruzione sobria ma elegante al centro di Parigi. 
L’atrio è pieno di gente ben vestita e chic, donne in abito lungo e uomini in giacca e cravatta o in smoking, qualcuno persino in frac. 

Ringrazi mentalmente Sherlock di non averti permesso di presentarti in jeans e maglione. Dire che ti saresti vergognato anche solo di respirare non è un eufemismo. 

Sherlock è elegantissimo e dannatamente affascinante. E ti mordi ancora la lingua per averglielo detto, prima. Eppure… era la verità. I suoi riccioli scuri sono l’unico elemento di scompiglio nel suo aspetto impeccabile. A te lui sembra un dio sceso in terra, Apollo in persona.
Ma ai suoi occhi tu devi sembrare terribilmente banale ed ordinario.
Perché di certo non basta un completo elegante a farti sembrare affascinante. 

Sherlock sembra aver abilmente intercettato i tuoi pensieri mentre man mano acquistavano consistenza nella tua mente. Aggrotta appena le sopracciglia, come se si stupisse di trovarti così insicuro. - Deve smetterla di autocommiserarsi.

Non sei mai stato un uomo vanitoso, e neanche da ragazzo passavi molto tempo davanti allo specchio. Col fatto di non essere molto alto sei sceso a patti da adolescente, e non ti sei mai ritenuto brutto, anzi il successo che riscuotevi con le ragazze ti metteva al riparo da ogni tipo di fisima. Ma con Sherlock è diverso. Lui è sempre eccessivo. Nei commenti che fa. Nel successo e nel prestigio di cui gode. È ovvio che tu ti senta in difetto. 

- Io non mi autocommisero.

Sherlock accenna un sorriso corrucciato. - Dalla sua espressione sembrava diversamente.

Sei stufo di quest’ennesimo dannato vantaggio che lui nutre nei tuoi confronti. Perché gli basta così poco per leggerti dentro? Perché del resto questo non ti rende speciale ai suoi occhi? Sicuramente trova banali e poco interessanti le menti ordinarie come la tua. E ne hai abbastanza del suo più o meno tacito soppesarti. - Lei deve smetterla di osservarmi.

Sherlock reagisce tutto sommato bene alla tua reazione in fondo abbastanza infantile. Anche se ti scruta con quello sguardo velato di rimpianto. - Ho smesso di guardare la gente senza osservarla molti anni fa.

Lo guardi negli occhi, abbastanza curioso di sapere se è solo un’espressione di strafottenza, oppure c’è del vero. - Perché ha smesso?

Sherlock non si libera del suo tono elusivo. - Perché ho scoperto che mi piace osservare.

E quando usa quel tono hai imparato a capire che non c’è verso, non spiegherà niente, non dirà altro. Se Sherlock vuole tenere qualcosa nascosto agli altri è perfettamente in grado di stoppare con uno sguardo qualsiasi domanda. L’atmosfera non è tesa, del resto non hai avuto modo di dire molto, però quegli insostenibili momenti di silenzio stridono nelle tue orecchie. Dai fiato alla bocca senza parlare, risollevando un argomento che la parte razionale di te avrebbe evitato. - Non voglio sapere le sue ultime deduzioni su di me...

Combatti per non morderti la lingua. Avresti dovuto startene zitto e sopportare il silenzio, una buona volta. 

Sherlock ti squadra dalla testa ai piedi e ritorno in una frazione di secondo che nella tua alterata percezione sembra infinita. E poi, come se niente fosse, accennando a muoversi verso l’ingresso della grande sala da concerto, ti sussurra un sicuro:  - Le riassumo tutte in “smetta di autocommiserarsi”. 

***

Osservi il biglietto e il programma del concerto, facendo di tutto per non intercettare lo sguardo di Sherlock prima di aver trovato un argomento di conversazione sicuro. - L’orchestra del Bolshoi…

Sherlock guarda i primi musicisti sul palco. Scuote appena il capo, riservando un’occhiata quasi di tenerezza per la tua ingenua constatazione. - Non è l’orchestra del Bolshoi.

Lo sguardo va veloce al programma.. Che gli sventoli sotto gli occhi. - Ma qui c’è scritto…?

Sherlock sorride appena. - Non è l’orchestra del Bolshoi. Si fidi di me. 

Continui a fissarlo senza capire. Alternando occhiate alla scritta grande ed evidente che presenta gli orchestrali sul programma. 

Sherlock rigira tra le mani il suo programma e forse per via della questione che hai sollevato, prende ad osservarlo anche lui. Anche se abbastanza distrattamente. Finché qualcosa non cattura la sua attenzione.
 - E poi è molto più interessante cosa c’è scritto dietro il programma. 

Rigiri tra le mani il tuo foglietto.
 - Qui non c’è scritto niente.

Sherlock ti mostra quello che hanno dato a lui. - Guardi qua.

Tutti ce l’hanno sul palco, tranne Lei.

Sussulti. Inizi a guardarti intorno alla ricerca di persone sospette. Se quell’annotazione è stata fatta dal vostro fantomatico sfidante, magari si trova nella vostra stessa sala. E non avete neanche un indizio per individuarlo. - Il Cavaliere Azzurro?

Sherlock sorride quasi divertito. - La sua sagacia delle volte mi destabilizza.

Alzi gli occhi al soffitto decorato. - La smetta di prendermi in giro.

Sherlock ti prende in parola. E tace. Continui a osservare l’elegante e nervosa grafia di chi ha scritto quelle parole enigmatiche. 

- E questa Lei chi sarebbe?

Sherlock ti fa un cenno distratto con il capo. - Guardi il programma. 

- Ci sono almeno trenta nomi di donne.

Sherlock ti indica un nome in particolare, scritto in grande sotto al nome del direttore d’orchestra. - Ma c’è solo un primo violino. Ed è Anne Marie Jacquet.

Inizi finalmente a vederci chiaro. - Quindi dobbiamo vedere che cosa non ha lei.

- Esattamente.

***

Non sei andato ad un concerto di musica classica. Ma questo è decisamente strano. I musicisti entrano un po’ alla volta e non tutti insieme. Intravedi un paio di scarpe da ginnastica sul palco. 

Guardi Sherlock, lui sembra non essersi accorto di niente. 

Continui a guardare le sedie che si riempiono. Tutte. O meglio, quasi tutte. Quando il direttore d’orchestra entra, nel suo elegante abito scuro, con la bacchetta per dirigere in mano, e dietro di lui una splendida fanciulla bionda, abito lungo color argento, un violino in mano, ti accorgi che in realtà nelle ultime file ci sono due sedie vuote. E che uno dei musicisti è legato e imbavagliato. 

Mentre tutti applaudono, e uno dei violinisti bacia la mano ad Anne Marie Jacquet, tu non puoi smettere di cercare con lo sguardo il musicista imbavagliato, ora nascosto dalla selva degli altri tutti in piedi per onorare l’ingresso di direttore d’orchestra e primo violino.

Ti volti verso Sherlock, anche lui intento ad applaudire. - Quel tizio è legato o sto impazzendo?

Tutti gli orchestrali prendono posto, incuranti del tuo agitato spaesamento. 

Anche Sherlock non si scompone. Ti indirizza un’occhiata di sfuggita, poco interessato alla cosa. - Se è legato ci dev’essere un motivo.

Non riesci a capacitarti di tanta indifferenza.  Non riesci a trovare una valida giustificazione per quello a cui stai assistendo. - Ah si?

Sherlock ha ripreso a guardare fisso davanti a sé, liquidando le tue domande con sottesa irritazione. - Sì. E adesso stia in silenzio, che iniziano.

Andreï Filipov apre le braccia volgendo le palme delle mani verso l’alto, facendo segno ai musicisti di prepararsi. Le voci e i bisbigli dalla platea e dai palchi si zittiscono quasi di colpo, mentre tutti gli occhi sono calamitati dal direttore d’orchestra.  

Quando entrano in sala, impermeabili beige addosso, i due musicisti assenti, facendo reverenziali cenni di scuse a tutti, Andreï Filipov scuote appena il capo, mentre abbassa le mani. È di spalle, ma immagini un’espressione di sconsolato disappunto sul suo volto.
 
Ti rivolgi nuovamente a Sherlock. Questa volta deve risponderti. Passi il tipo legato e imbavagliato, che francamente potrebbe essere stato inquietantemente inventato dal tuo inconscio scosso, ma un concerto che non inizia perché mancano i musicisti che entrano con addosso l’impermeabile e in mano bustoni di plastica degni di un supermercato è un’evidenza che anche il tuo flemmatico e poco impressionabile vicino di poltrona non potrà negare. E ok che non sei dell’ambiente, ma è una scena che ti sembra universalmente quantomeno surreale.

  - Ma sono cose che succedono queste?

Sherlock scuote appena il capo, vagamente indispettito, come se fosse costretto a ripetersi. - Ovviamente no. Ma loro non sono da anni l’orchestra del Bolshoi, non la stanno prendendo seriamente.

- Prima non erano proprio l’orchestra del Bolshoi, ora non lo sono da molti anni… Tra dieci minuti saranno l’orchestra del Bolshoi attuale?

L’avevi detto per scherzo, ma Sherlock stranamente ti prende sul serio. - Se suonano bene potrebbero diventarlo. Ma non penso che sia questo il piano. 

Non stai capendo un accidente. Ma chi cavolo sono questi dell’orchestra? Cosa vogliono? 

- Ma il piano di chi?

- John, già fa fatica a stare dietro alle mosse del Cavaliere Azzurro, non si incasini la testa con cose che non la interessano e comunque non capirebbe. 

Tenti vanamente di protestare. - Ma io…

- Per favore, faccia silenzio. 

Filipov alza le braccia come prima. Tutti i musicisti si preparano, mettendo in posizione gli strumenti. I violinisti portano i violini sotto il mento, in quella posa che a te pare così scomoda e a loro così naturale, gli archetti pronti nell’altra mano. I flautisti, i clarinettisti, gli oboisti, i violoncellisti, i fagottisti, i trombettisti, i suonatori di corno e di timpano, sono tutti pronti a suonare, gli strumenti in posizione e gli sguardi che aspettano l’attacco dal direttore d’orchestra per poi rivolgersi velocemente agli spartiti. 
E finalmente, ad un cenno di Andreï Filipov, il Concerto ha inizio. 

Il concerto in Re Maggiore per violino e orchestra, opera 35 di Tchaikovsky.
 
Non sei un esperto, ma sembra che ci sia qualcosa che non vada. Sembra che i musicisti non vadano tutti a tempo, che ogni strumento suoni per conto suo, mentre fa fatica a stare insieme agli altri, con cui dovrebbe invece armonizzarsi in qualcosa che superi la somma delle parti e trascenda gli strumenti e chi li suona, per creare qualcosa di perfetto e di sublime. 

Ma non trovi niente di sublime in quei suoni discordi e solitari, ottusi nel loro individualismo. Il direttore d’orchestra scuote appena il capo, il pubblico é diviso tra lo sconforto e il divertimento. Sherlock non si sbilancia né in un senso né nell’altro, si limita a tacere, guardando intensamente l’orchestra davanti a sé sul palco. 

Anne Marie Jacquet in piedi davanti a tutti i musicisti seduti, vestita di un magnifico abito argentato, posiziona il violino sotto il mento, apparentemente incurante di quanto sta succedendo intorno a lei. 

Ad un gesto quasi impercettibile di Andreï Filipov, Anne Marie Jacquet inizia a suonare. 

L’orchestra tace durante il suo assolo di violino. Anche il pubblico tace. Non c’è più posto per risolini o commenti acidi. 

La perizia della musicista, il trasporto con cui suona, il movimento della mano che impugna l’archetto, tutto rapisce tempestivamente l’attenzione della platea e dei palchi. 

E ti scordi del musicista legato, ti dimentichi di quello con le scarpe da ginnastica, non hanno più importanza i due con gli impermeabili e le buste di plastica. Esiste solo Anne Marie Jacquet e la sua musica. 

Il resto dell’orchestra ad un tratto la segue di nuovo, e non hai il tempo di stupirti della ritrovata sincronia dei movimenti, della spontanea e sofferta armonia che rende tutti gli strumenti uniti, tutti gli animi uniti, quelli dei musicisti, quelli della gente del pubblico, per il tempo di un concerto. 

Sul palco del teatro Chatelet accade qualcosa che non pensavi possibile. Ti senti travolto da un emozione che non è solo tua. Da un’energia che non è solo musica. Che è sentimento. Che è passione. Che è ingiustizia. Che è morte e vita insieme. E senza capire perché, ti senti invaso simultaneamente da domande e da risposte che ti assillano. 

Pensi ai giorni trascorsi, a quelli che seguiranno, ad adesso e a sempre. E l’atavica paura dell’ignoto si mescola alla speranza che, nonostante l’incoerente e impietoso scorrere del tempo, tutto abbia un senso. È questa forse l’armonia suprema? 

Ti senti spaesato, ma felice di essere in balia di un’emozione che niente, se non la potenza e la leggiadria della musica, potrebbero mai farti provare. Tutto risuona di quest’emozione. I cuori le fanno da cassa di risonanza. Anne Marie Jacquet ha gli occhi lucidi, mentre le note stanno ormai giungendo al termine. Annuisce rivolgendo lo sguardo ad Andreï Filipov. Lui annuisce a sua volta. 

E d’un tratto ti senti di troppo, un intruso in un mondo che non ti appartiene. Sei testimone di un’armonia che non ti sei guadagnato. Ma non puoi fare a meno di sentirti felice. 

L’orchestra smette di suonare e Anne Marie Jacquet per ultima ripone il violino. Ed è un attimo di silenzio, colmo di emozione. E poi il fragore degli applausi esplode come una supernova. La gente in piedi come ad una cerimonia religiosa. Qualcuno lancia dei fiori, sul palco. Tutti sentono di aver assistito a qualcosa di speciale. 

Anne Marie Jacquet abbraccia Andreï Filipov. E lacrime copiose le bagnano le guance. E capisci che quell’Opera 35 di Tchaikovsky per violino e orchestra per loro non è stato un semplice concerto, ma Il Concerto. 
La storia delle loro vite, del loro passato, del loro futuro. 

***

Sherlock ha applaudito, composto anche nell’entusiasmo. Un sorriso sornione sul volto. - Dobbiamo rubare lo spartito di Anne Marie Jacquet. 

Ti giri di scatto verso di lui. - Sta scherzando?

- Tutti ce l’hanno sul palco, tranne Lei.
 Ha già dimenticato?

Non riesci a capire. Ti sembra che d’un tratto sia completamente impazzito. Vedere quella luce negli occhi di uno che dice di voler attuare un furto non ti piace. Specie se quella persona vuole coinvolgerti. - E quindi?

- Tutti gli orchestrali avevano lo spartito davanti, tranne lei. - spiega con la solita sicurezza. 

- E che c’entra? Se è per questo tutti stavano seduti tranne lei. 

Sherlock sorride mentre in realtà forse gli dà un po’ fastidio che tu metta in dubbio le sue intuizioni. - Lei pensa seriamente che il Cavaliere Azzurro si sia messo a scrivere indizi sotto una sedia? 

In effetti rientrerebbe molto di più negli standard che hai potuto appurare lo spartito che non una sedia ma... 

- Poniamo che ci serva davvero il suo spartito... Che cosa ha in mente di fare?

Sherlock liquida anche questo problema con una facilità che tu non dai affatto per scontata nella risoluzione della missione. - Lei deve distrarre Anne Marie Jacquet.

Ti volti a guardarla, circondata da ammiratori che chiedono discretamente autografi, o le porgono dei fiori e le stringono la mano, facendole i migliori complimenti. - E come faccio?

Sherlock accenna un sorriso insolitamente malizioso. - John Tre continenti Watson che chiede a me come corteggiare una donna?

Lo guardi come se fosse un alieno caduto dal cielo in una cabina blu. - Per distrarre lei intende corteggiare?

Lui si limita ad alzare le spalle. - È funzionale al nostro piano. 

Continui a guardarla. Una musicista di quel calibro... Che argomenti potresti mai usare? 

- Ma io non capisco niente di musica classica. Che le dico?

Sherlock sembra annoiato dalle tue proteste. - Quello che le pare. Basta che si distragga e lasci il suo spartito a noi. 

- È una musicista. Non lascerà mai lo spartito. Le serve.

Continua a guardarti come d’un tratto ti fossi trasformato in Mycroft, appoggiato serafico ad un ombrello, pronto a dispensare consigli non richiesti. - È noioso quando fa queste ridicole obiezioni.

E così, pur di scampartela, hai avuto la brillante idea di domandargli, in un moto di giocoso astio.  - Mi scusi, perché non ci va lei?

Pensavi che avrebbe protestato, si sarebbe sottratto, adducendo motivazioni più o meno valide, e sottintendendo ancora una volta che a lui non piacciono le donne, invece non si fa scuotere dal tuo sarcastico suggerimento. Anzi, annuisce, sornione, prima di voltarti le spalle e dirigersi verso la violinista. 

- Volevo darle la possibilità di rendersi utile. E di alzare un po’ la sua autostima. Ma andrò io, perfetto. 


***

Pensavi che a lui interessassero gli uomini. E poi lo vedi flirtare con molta convinzione con Anne Marie Jacquet. 

Alla distanza a cui ti trovi non riesci a sentire cosa stia dicendo, ma dal modo in cui lei sorride, deve aver trovato le parole giuste. Parla in francese. Puoi starne certo. Le ha donato il bocciolo di rosa che aveva nell’occhiello della giacca. Lei porta il fiore alle narici, sorridendogli. Sembra abbastanza compiaciuta delle attenzioni di Sherlock. Continua a parlarci. 

Forse deve anche aver riconosciuto in lui il genio artistico delle macchie rosse sulle tele, dei ritratti senza occhi e dei neon rotti, ma non necessariamente. Sherlock Holmes non ha bisogno del suo nome per interessare qualcuno. Se vuole piacere, sa esattamente come farlo. Non c’è niente di eccessivo nei suoi sorrisi appena accennati, nella sua aria schiva, gli basta la sua voce bassa, il suo sguardo profondo e malinconico, la sicurezza con cui snocciola la sua visione del mondo, illudendoti per un attimo che sia l’unico modo di pensare possibile. 

Pensavi che a te non interessassero gli uomini. E poi lo vedi flirtare con molta convinzione con Anne Marie Jacquet. Ed è lui a calamitare la tua attenzione, le mani in tasca, si staglia slanciato e statuario nel suo elegantissimo abito nero in mezzo alla folla, i capelli ricci il suo unico atto di ribellione all’etichetta. 

Poco importa l’abito grigio argento che lascia scoperte le spalle della violinista, o che le slancia la figura fasciandone il corpo. I suoi capelli biondi semi raccolti acquistano importanza solo quando Sherlock le scosta delicatamente quella ciocca che le ricadeva sugli occhi chiari. E capisci di non poter più mentire a te stesso. Devi smetterla di vivere di scuse e di bugie...

Anche se forse non sbagliavi a pensare che non ti interessassero gli uomini. Se ti guardi intorno ad osservare gli altri spettatori del concerto, nessuno ti provoca la minima attrazione. Ce ne sono alcuni di cui riconosci una certa bellezza, o un certo stile, ma preferisci guardare le loro compagne. 
Ma se ti volti verso Anne Marie Jacquet e Sherlock Holmes, d’un tratto la bellezza di lei diventa insipida e quella di lui preponderante. 

A te non interessano gli uomini. Ti interessa solo lui.
Il che è peggio. 

Li vedi allontanarsi verso l’entrata che presumibilmente conduce dietro le quinte, verso i camerini dei musicisti. Sherlock ti ha fatto un cenno col capo, riuscirà ad ottenere lo spartito. 
Ti avvii verso l’uscita della sala da concerto, per dirigerti verso il bar della hall, con aria sconsolata.

***

Quando Sherlock torna ti trova con un bicchiere di whisky in mano, il terzo. 

Ti indirizza uno sguardo tra il sorpreso e il canzonatorio. - Perché sta cercando di ubriacarsi?

Alzi gli occhi, facendo appello a tutta la tua dignità. - Sfortunatamente reggo l’alcool. 

Bevi d’un sorso il contenuto del bicchiere. 
La cosa migliore da fare è cambiare velocemente argomento. - Ha lo spartito?

Sherlock accenna un sorriso soddisfatto. - Ovviamente. 

Lo guardi con una cerca incredulità negli occhi, stupendoti della velocità con cui è ricomparso. Non più di un quarto d’ora. - Ha fatto presto.

Hai uno sguardo tra il guardingo e il sollevato. A Sherlock ovviamente non sfugge. - So cosa sta pensando, ma…

Scuoti appena il capo, poggiando il bicchiere sul bancone. - Non deve giustificarsi con me.

Sherlock sorride ancora, quasi divertito. - Ah no? 

Non gli rispondi. Ti limiti a pagare i whisky al ragazzo del bar del teatro, cercando di fare il vuoto nel tuo cervello. Ma ogni volta che pensi di esserci riuscito salta fuori, dolorosa, quella disgraziata consapevolezza. Lo trovi attraente, sogni che dorma abbracciato a te, ti deprimi quando mostra interessamento per altre persone, e vederlo allontanarsi con quella donna ti ha fatto ordinare tre whisky di fila. Ti stai infatuando di Sherlock Holmes. 

Ed é proprio lui a destarti da questi pensieri, facendoti segno di raggiungere l’uscita. - Andiamo.

- Dove?

Sherlock ti sorride, raggiante di aver ottenuto quello che voleva. - Ad esaminare lo spartito. 

- Non vedo nessuno spartito. 

Si affretta verso il guardaroba, mentre lo segui, imperterrito.  - Ho le foto.

Le sopracciglia corrugate, lo fissi senza capacitarti di quello che ha appena detto. - Le foto?

Sherlock quasi ti rimprovera con lo sguardo, come se solitamente l’insensibile dei due fossi tu. - Non potevo prenderlo. Lo spartito era di sua madre. Non l’ha mai conosciuta. E ha scoperto oggi che fosse sua madre.

Pensi di non aver capito. Anzi, senza il “pensi”. Non hai capito. Del resto, per una volta, la spiegazione di Sherlock non è poi molto esauriente. Sarà che per lui non è questo il nocciolo della questione. 

- È una lunga storia. - aggiunge, come se questo spiegasse tutto. 

Rifletti sulle parole che ha detto, perché il sguardo seccato ti intima di non chiedergli di ripeterlo. Era sua madre. Sua della musicista. E lei non lo sapeva. E l’ha scoperto oggi. Non capisci come sia possibile. Ma vabbè...

- Sembra una storia da film. 

Sherlock annuisce, soddisfatto che tu sia riuscito a comprendere la storia anche solo marginalmente. - Penso che ne faranno uno prima o poi.

Sherlock sorride appena alla ragazza del guardaroba che gli porge il cappotto Chesterfield nero. Dopo aver indossato a tua volta il soprabito, uscendo dal teatro, ti scappa una domanda spontanea ma forse per lui un po’ sciocca. 

- Da quando lei è gentile con le persone?

Sherlock esclude il tono scherzoso del quesito e ti riserva uno sguardo serissimo. - Io sono sempre gentile, a modo mio. Per questo le sto dicendo che non c’è stato niente con la violinista. Mi ha riconosciuto, mi ha chiesto di dipingerle un quadro. Non ho dovuto sedurla, se è questo che pensa. 

Da un lato la sua confessione ti solleva, dall’altro non ti libera completamente da i tuoi dubbi. Così incalzi. - Ma l’avrebbe fatto.

Sherlock finalmente sorride. - Suvvia, la Jacquet è troppo intelligente per cascarci.

Lo guardi come se avesse appena detto di lei che è la donna più bella che abbia mai visto e di essersene perdutamente innamorato. Se non fossi il protagonista di questa storia, ma la leggessi dal di fuori, probabilmente ti accuseresti di una poco abilmente mascherata gelosia, anche un po’ infantile, nonché immotivata. Tu e Sherlock non state mica insieme. - La trova intelligente.

Lui alza gli occhi al cielo, più irritato che lusingato, in realtà.  - Trovo anche mio fratello intelligente, se è per questo.

Prendi parzialmente coscienza di aver detto e provato qualcosa che non avresti dovuto. - Scusi.

Sherlock ostenta indifferenza, mentre in realtà non riesce a non sorridere quando distogli lo sguardo. - Non deve scusarsi.

***

Seduti in un caffè non lontano dal teatro, Sherlock ti mostra sul telefono le foto dello sparito. - Ci sono molte annotazioni di Lea, la madre di Anne Marie Jacquet... Dia un’occhiata anche lei, ma le assicuro che dal vivo una delle poche frasi che sembra scritta da poco tempo è questa. 


Je n'ai pas perdu une maîtresse mais la moitié de moi-même. Un esprit pour lequel le mien semblait avoir été fait. 

(Non ho perduto un'amante ma la metà di me stesso. Un'anima per la quale la mia sembrava fatta.)

- Le annotazioni di Lea sono principalmente in russo per quello che ho potuto vedere... 

Insomma. Non ti sembra una grande argomentazione. E la frase affatto significativa. E poi non trovi una grande eccezionalità nel fatto che sia scritta in francese. Scuoti appena il capo. - Di per sé non vuol dire niente. Era una persona colta, magari viaggiava molto...

Sherlock non sembra essere d’accordo. - Non dovremmo sottovalutarlo, potrebbe essere un indizio. 

Scuoti il capo. - È una frase sentimentale, Sherlock. Capisco un po’ di francese. Non potrebbe averla scritta la Jacquet?

Lui alza le spalle. - Gliel’ho chiesto, mi ha assicurato di no. 

Rigiri il cucchiaino nel tazza del caffè che avete preso solo per potervi sedere li al tavolo a meditare, lontano da occhi indiscreti. Hai sempre avuto difficoltà ad decodificare questi messaggi, ma questa volta anche Sherlock ti sembra completamente fuori strada. 

 - E che senso ha? Adesso il Cavaliere Azzurro le scrive messaggi d’amore?

Sherlock ti guarda non poco irritato. - Non dica idiozie. È al femminile. Parla di una donna. 

- E allora che senso ha?

Sherlock scuote appena il capo, come se non comprendesse la tua impazienza. - È uno dei suoi soliti indizi. Dobbiamo lavorarci.

E si ritira in una delle inaccessibili stanze del suo Palazzo Mentale. Se ne sta in silenzio per alcuni minuti, prima di riemergere dalle profondità di se stesso con nuove riflessioni. 

- Lo spartito originariamente apparteneva ad una musicista ormai defunta. E in queste righe parla qualcuno che ha perso la donna amata. Che voglia portarci ad una tomba?

Devi ammettere che ha abbastanza senso. Ammesso che la frase indizio sia effettivamente quella, questa potrebbe essere una buona interpretazione. - La tomba della musicista?

Sherlock distoglie appena lo sguardo dal punto indefinito sul muro dietro di te, che sta fissando per raccogliere i pensieri. - Dubito. È morta in un gulag. 

Questo complica notevolmente le cose. - E allora la tomba di chi?

Finalmente Sherlock torna a guardarti negli occhi. - Di chiunque sia stata la persona amata da chi ha scritto questa frase. 

Non ti lascia il tempo di somatizzare l’informazione che si rintana dietro lo schermo del suo telefono. Sei grato del fatto che non ti stia guardando in faccia adesso, mentre le labbra si distendono in un timido sorriso, quando i tuoi pensieri si soffermano sul casuale alzare lo sguardo di Sherlock su di te mentre parlava di amore. É una consolazione da adolescente che legge troppi romanzi rosa, e la scacci velocemente dal cervello, ma per una frazione di secondo ti aveva riempito il cuore di una tacita speranza. 

La calda voce di Sherlock Holmes ti distoglie dai tuoi pensieri, annunciando con soddisfazione trionfale il risultato delle sue ricerche. - Emilie du Chatelet. L’amante di Voltaire. 

- Chatelet come il teatro? Sembra un’ulteriore conferma.

Sherlock non condivide il tuo entusiasmo. La luce nei suoi occhi è adombrata dai dettagli che sta per comunicarti. - Il problema è che la sua tomba è a Luneville, saranno quattro ore di macchina. 

Quattro ore? Sprofondi sulla sedia del caffè. Solo un tale viaggio in  macchina occorre a distruggerti completamente di stanchezza. Per poi magari non trovare niente perché l’indizio non era quello a causa di una colossale cantonata. 

- E se si riferisse a qualcun altro? O se fosse solo un messaggio cifrato, come con il messaggio dietro al quadro?

Sherlock scuote appena il capo, deciso. - Dubito che sia un messaggio cifrato, il Cavaliere Azzurro non si ripeterebbe. E l’altra pista in ogni caso sembra più interessante. 

 Speri che ci sia un treno, magari diretto, che possa condurvi in questo questo fantomatico posto. - Dobbiamo andare a Luneville allora?

Sherlock non sembra aver contemplato la partenza tra le possibilità d’azione.  - Ovviamente no. Tutto ruota intorno a Parigi, non ci manderebbe da un’ altra parte, o almeno lo spero. 

E quindi? Se l’indizio è effettivamente quello, cos’altro spera ancora di cavarci Sherlock? Ad ogni modo continua a smanettare sul telefono, finché non capisce quale potrebbe essere la svolta dell’indagine. 

- E poi... Forse la marchesa Du Chatelet sarà anche sepolta a Luneville, ma la tomba di Voltaire è a Parigi, al Pantheon!

Le le tue labbra si rilassano in un sorriso. - Ecco dove andremo domani mattina allora...

Ma Sherlock ti riserva l’ennesima sorpresa. - Perché? Ha impegni per la serata?

***

State davanti al Pantheon. Una struttura ricca di fascino e di storia. Tempio neoclassico che troneggia con il suo algido candore sul quartiere latino, a pochi passi dalla Sorbonne. E tu non hai la minima idea di quali siano i piani dell’intraprendente, e a tratti incosciente, artista al tuo fianco. 

Ti volti ironico verso di lui. - Lei ha mai scassinato una porta?

Sherlock aggrotta la fronte, stupito. - Per chi mi ha preso?

Accenni ironicamente col capo al pesante portone sbarrato di fronte a voi. 
- E allora mi spiega come facciamo ad entrare?

Sherlock imita in fine il tono ironico della tua precedente insinuazione. - Facevo affidamento su di lei... È stato in Afghanistan...

- Questo non fa di me uno scassinatore. Anche se assomiglio un po’ all’attore che fa Bilbo Baggins ne “Lo Hobbit”...

Ti guarda come se avessi appena ammesso di giocare ogni pomeriggio con le costruzioni come quando eri piccolo. Ma la sua espressione di sdegno è visibilmente accentuata.  - Questo è il genere di film che guarda al cinema?

- Non vedo quale sia il problema. 

Sherlock sorride grave. - E non ha imparato a scassinare una porta?

Non capisci fino a che punto sia un gioco. Forse lui trova davvero la letteratura fantasy infantile, sebbene si tratti di Tolkien, e forse si aspettava davvero un maggiore aiuto da parte tua. Ti mantieni sul neutro. - Non ho mai avuto necessità di imparare a scassinare una porta, come tutte le persone normali. E poi è lei quello intelligente, si inventi qualcosa. 

Sherlock sorride soddisfatto di essere ancora una volta un passo davanti a te. - Mi sono già inventato qualcosa. Dobbiamo solo aspettare Victor Trevon.

***

Quando, dopo venti minuti buoni, vedi uscire da un taxi la figura slanciata e goffa del giovane, vivi emozioni contrastanti. Sei ovviamente sollevato di vederlo comparire con in mano la salvifica busta della missione impossibile, estinguendo l’angoscia di dover sopportare uno Sherlock annoiato e intollerante. Ma d’altro canto non sei poi così impaziente di rivedere così presto l’uomo che, non più tardi di questa mattina, ti ha visto uscire in mutande dalla camera da letto di Sherlock Holmes immaginandomi un film sfortunatamente affatto veritiero. 

Decidi di non fare nulla di eclatante e di ostentare indifferenza, prendendo velatamente le parti di Trevon per evitare che Sherlock si insospettisca. 

Diciamo anche che il giovane non sembra affatto intenzionato a rinfacciarti le insinuazioni della mattinata, indaffarato com’è, sin da subito, a discolparsi con Sherlock. 

 - Mi scusi, Signor Holmes. Non volevo arrivare tardi ma...

Sherlock mostra la sua annoiata intolleranza. - So immaginare da me più di uno dei motivi che potrebbe addurre come scusa. 

Trevon non si rassegna e continua a spiegare, gli occhi sbarrati, ancora agitato dalle peripezie affrontate. - Ma io...In realtà...Ho avuto problemi. Non c’erano negozi aperti. Ho perso la metro...

Sherlock lo squadra dall’alto in basso senza lasciarsi convincere, così Trevon si volta disperato verso di te, aspettandosi un po’ di umana comprensione. 

- Signor Watson lei almeno mi crede?

Gli riservi un’occhiata accondiscendente, desideroso di liquidare la questione alla svelta.  - Non si preoccupi...

Sherlock si intromette sprezzante. - Ha portato quello che le ho chiesto?

Trevon gli consegna la busta, accennando con la sua solita timida goffaggine ai dubbi che devono essergli sorti quando ha ricevuto il perentorio messaggio di Sherlock. - Si, anche se non capisco a cosa possano serv...

Holmes lo interrompe. - Ha la serata libera, può andare...

***

Victor Trevon si incammina a piedi. Non sai dove stia andando e al momento non ti interessa neanche, preso come sei dal cercare di capire quale possa essere il folle piano di Sherlock Holmes. 

- Mi spiega cosa pensa di fare?

Sherlock inizia a camminare a passo spedito. - Mi segua e lo vedrà. 

Perché se dovete entrare nel Pantheon si sta allontanando? - Ma dove stiamo andando? 

Sherlock si volta verso di te, senza accennare a rallentare. - Alla fermata della metro. 

Lo segui, incredulo. - E che c’entra la metro?

L’artista non si scompone affatto, ma ti guarda come se fossi cascato giù dal pero. - Lei come pretende di entrare?
 
Non sta effettivamente chiedendo il tuo parere. Ti sta solo sarcasticamente invitando a comprendere che al suo piano non ci sono alternative. 

Quando invece ovviamente non è vero. - Io aspetterei domani, gliel’ho già detto, così evitiamo di metterci nei casini, ma lei evidentemente non mi vuole ascoltare. 

Sherlock ti indirizza uno dei suoi mezzi sorrisi e un’occhiata penetrante. - La facevo più intrepido, John. 

Deglutisci a vuoto prima di parlare. - La facevo meno avventato. 

Lui continua a camminare, le mani in tasca, guarda davanti a sé, improvvisamente pensieroso. - La vita ci rende diversi rispetto a come ci aspettavamo di essere...

Lo sai bene. Da bambino sognavi di diventare uno scrittore affermato. Poi avevi deciso di fare il giornalista, reporter di guerra, di ottenere fama e successo, di realizzare le tue possibilità. E invece eccoti. A fare l’assistente a Sherlock Holmes in un’indagine improvvisata e potenzialmente pericolosa, mentre dalla redazione, complice la telefonata di Mycroft, tutto tace. Fatta eccezione per un messaggio in cui Stamford ti lasciava carta bianca sui tempi, ma pretendeva qualcosa di formidabile al tuo ritorno. Sai che se non lo otterrà probabilmente, nonostante tutta l’influenza della famiglia Holmes, verrai licenziato. 
Ma non ti sembra questo il momento di pensarci. 

Ti volti verso Sherlock, domandandoti che cosa gli passasse nella testa quando ha pronunciato quella frase sibillina. 
 - Lei come si aspettava di essere?

Sherlock fa a meno di guardarti, soppesando le parole. - Pensavo che alcune cose non mi interessassero, e altre che non sarebbero mai potute succedermi. Eppure... 

- Eppure? - incalzi, vista la sua reticenza. 

Sherlock torna a guardarti. - Lei è troppo curioso, John. E a me piace dedurre la vita degli altri per non parlare della mia, dovrebbe averlo già capito... 

- Forse non sono la persona più adatta a dirlo ma... Lei non è costretto a tenersi sempre tutto dentro. Non dico che debba raccontare tutti i fatti suoi a me, ma...insomma...

Holmes fortunatamente ti interrompe, prima che la tua lingua si attorcigli alla ricerca di perifrasi. - Non si affanni. Ho capito cosa intende. Però non è questo il momento, John. Abbiamo una missione da compiere, non ricorda?

***

La fermata della metro più vicina al Pantheon è quella Cardinale Lemoine, a circa seicento metri. Non capisci che senso abbia scendervi, quando in realtà dovreste entrare nell’edificio, ma segui Sherlock senza lamentarti, convinto che almeno lui sappia quello che fa. 
Non sai come possa sapere di scavi ignoti ai più ora in corso sotto il Pantheon per creare una nuova linea della metro, né che seguendo un percorso folle attraverso cantieri sotterranei si possa spuntare, tramite un improbabile condotto dell’aria, in una presa d’aria del Pantheon, ma lo segui in questa follia tra troppo per tirarti indietro ora. La busta che Victor Trevon vi aveva portato conteneva gli strumenti di una cassetta per gli attrezzi, cacciavite, chiavi inglesi, e una bella torcia elettrica. Tutte cose senza le quali non sareste riusciti a spuntare dentro il Pantheon. 

Ti guardi intorno titubante, indeciso su dove mettere i piedi e pronto in ogni momento a tornare indietro. - E adesso? Non scatta l’allarme?

Sherlock non si affanna più di tanto, si punta la torcia intorno e dà un’occhiata in giro senza apprensioni. - Perché dovrebbe? In fondo non abbiamo scassinato nessuna porta. 

Lo squadri come se fosse un bambino incosciente che gioca con l’acqua vicino ad una presa di corrente. - Io non capisco come faccia ad essere così tranquillo...

Sherlock si limita ad alzare le spalle. - Se tuo fratello è il governo inglese, è abbastanza facile. 

Microft Holmes potrà anche essere suo fratello. Ma un’effrazione del genere non potrebbe rimanere impunita, specie per l’opinione pubblica che si infiammerebbe, giustamente, di disappunto. E ovviamente immagini già chi potrebbe essere il capro espiatorio perfetto. Indignato, ti rivolgi con voce alterata a Sherlock. - Quindi in carcere manderebbero solo me?

Lui di tutta risposta si volta serafico verso di te, serissimo in viso. - Pensa che possa rinunciare a lei così facilmente, John?

Nella penombra non vedi nitidamente la sua espressione, ma la sua voce sembra dannatamente sincera. - Io, in realtà...

Sherlock continua, interrompendoti. - Ho bisogno di un assistente. Lo ha detto anche Mycroft, non ricorda?

Cerchi di rimanere serio a tua volta e non soffermarti sulle parole pronunciate senza dubbio ingenuamente ma che, insomma, ti erano sembrate... Scuoti velocemente il capo per tornare in te.

 - Allora in qualità di suo assistente la esorto a trovare questo dannato indizio alla svelta, perché io non sono tranquillo. 

Sherlock si esibisce in una delle sue menefreghiste alzate di spalle e punta la torcia intorno a sé, alla ricerca della tomba di Voltaire. 

Il Pantheon è una costruzione imponente, neoclassica, ma con un non so che di gotico. Sarebbe sicuramente interessante visitarla alla luce del giorno, apprezzarne gli affreschi, osservare le tombe delle persone illustri che vi riposano, per poi meditare sulla caducità dell’esistenza e la necessità di non sprecare il tempo che si ha a propria disposizione. O più semplicemente limitarsi a trovare bella la facciata, slanciati gli archi, grandiosi i dipinti, gloriosa e imponente la struttura nella sua fiera interezza. 

Ma in piena notte, dopo essere entrati tramite un condotto dell’aria, con una torcia in mano e la paura di finire in prigione, si ha ben poca voglia di guardare le pareti, studiare le proporzioni, fare riflessioni filosofiche davanti alle tombe. Vuoi soltanto andartene. 

Sherlock individua in poco tempo la tomba di Voltaire. Dietro ad una sobria transenna sta una statua che raffigura il celebre illuminista che reca un libro nella mano destra e fissa alto e fiero l’osservatore. Dietro la statua la tomba: un’urna contenente quel che resta delle sue spoglie. 

Sotto la statua un bouquet di rose rosse, un biglietto nascosto tra i rami...

Prima che tu possa fermarlo o tentare di fargli cambiare idea, Sherlock ha già scostato la transenna e preso il foglietto, risparmiandosi fortunatamente di sventolarlo come un trofeo. La sua composta eleganza glielo impedisce, ma non gli vieta di accennare un sorriso soddisfatto nella tua direzione, come per rimarcare il fatto che avesse ragione, sottintendendo un iniquo “come sempre”. 

Dà uno sguardo a quello che presumi essere il prossimo indizio, e quel sorriso beffardo sparisce piano dal suo volto, dileguandosi come una manciata di sale nell’acqua che bolle. 

- Cosa succede?

La sua voce si è fatta più tesa. Si guarda intorno furtivo, mettendo il biglietto al sicuro in una tasca del cappotto. - Usciamo di qui. 

***

Finalmente sopra di te il mantello blu della notte, puntellato sempre più di nuvole che di stelle. 

Ti volti verso Sherlock che ha trascorso tutto il tempo impiegato per tornare indietro, passando per gli scavi della metro in religioso silenzio, se si escludono le informazioni logistiche su cosa fare e dove girare. 

- Cosa c’era scritto sul biglietto?

Ti porge con riluttanza il foglio. - Guardi lei stesso. 


Ah! misère de t’aimer, mon frêle amour
Qui vas respirant comme on respire un jour!
O regard fermé que la mort fera tel!

(Ah! sfortuna d'amarti mio fragile amore
che respiri come si spirerà, un giorno!
O immobile sguardo, che tale farà la morte!)

- Verses pour être calumnié. Verlaine. 

A lui deve parere esauriente come spiegazione, perché non dice altro e cammina imperterrito verso la stazione dei taxi più vicina, ma tu ti limiti a seguirlo senza capire. 

***
Entrare in un cimitero di notte è ovviamente il più recondito desiderio di ben pochi uomini, e tu non sei di questi. 

Non che sia paura la tua, e neanche quel timore ancestrale per i defunti, alimentato da raccapriccianti racconti dell’orrore. Semplicemente un posto buio, deserto, desolato, in cui non dovresti assolutamente entrare, pena forse l’arresto, non è in cima alla lista dei luoghi da visitare prima di morire. 

Nonostante sia Marzo, poi, l’aria è gelida e le stelle in cielo si nascondono dietro una coperta di nubi per ripararsi. Nuvole scure che promettono pioggia. Motivi in più per non avventurarsi nella periferia nord ovest della città, con un taxi che costerà sicuramente un patrimonio all’incurante Sherlock Holmes. 

L’artista trascorre il viaggio in taxi guardando oltre il vetro, fuori dal finestrino, con svogliatezza congiunta ad una certa dose di  preoccupazione. Non ti azzardi a chiedergli  nulla, alternando le tue timide occhiate verso di lui allo studio del panorama fuori dall’abitacolo, vedendo spuntare complessi residenziali e sparire quasi completamente i turisti. 

Il diciassettesimo Arrondissement non è del resto dei più noti né dei più frequentati e forse la sua unica vera attrazione è proprio il cimitero monumentale, opportunamente inaccessibile ai visitatori a quest’ora della notte. 

Sherlock ha chiesto al tassista di portarvi in una via specifica, non lontana dal cimitero, evitando di farvi lasciare davanti all’ingresso sbarrato. La scelta è senza dubbio giusta, ma sei al contempo sicuro del fatto che licenziare il tassista per trovarsi poi da soli in mezzo al nulla, con un temporale imminente e un cimitero in cui entrare in modo illegale per trovare chissà che cosa, non è poi un’idea così brillante. 

Peccato che Holmes sembri non interessarsene, nonostante a bisbigli, cercando di non farti sentire dal tassista, tu abbia espresso più volte le tue perplessità. 

Lui ti ha guardato, svegliandosi improvvisamente dal suo momentaneo torpore, per poi licenziare le tue preoccupazioni con un noncurante cenno del capo, e sprofondare di nuovo nella sua apparente inattività. Nel suo cervello, invece, ne sei quasi certo, gli ingranaggi si muovono ad un ritmo così elevato da essere imbarazzante per una mente ordinaria come la tua. Peccato che non sembri minimamente intenzionato a metterti a parte dei suoi pensieri e si ostini a tenerli stretti nella scatola cranica, al sicuro sotto quei suoi ricci scuri e bellissimi. 

Noti con angosciante consapevolezza di aver persino smesso di censurarti questi aggettivi inappropriati che il tuo Super Io prima si affannava a confutare, per poi sbracciarsi come un naufrago che vede una nave che potrebbe trarlo finalmente in salvo, alla prima bella ragazza che ti passava vicino. Es e Super Io devono aver deciso una tregua, mentre l’Io, incredulo per questo momentaneo stallo, sembra tirare un sospiro di sollievo. 

Tu ti limiti ad uno di sconforto, indirizzando una timida occhiata all’oggetto dei tuoi pensieri che incurante, e forse ignaro, continua a guardare fuori dal finestrino. 

Quando il taxi arriva a destinazione, Sherlock riprende il suo usuale strafottente entusiasmo, paga il conducente, e ti esorta a scendere. 
Ti fa girare alla prima traversa, e poi ancora un paio di volte, come se conoscesse benissimo la zona, finché non vi trovate davanti al monumentale  Cimitiére des Batignolles. Un cancello troneggia a difenderne l’ingresso, la tangenziale a fargli da aureola. Un santo di periferia, quest’immensa distesa di tombe per lo più di gente sconosciuta. 

Accendi la torcia del cellulare, rinfrancato dalla percentuale di carica presente sul blocca schermo. 

Holmes si guarda intorno senza proferire parola. Il che da un lato di rincuora e dall’altro ti spaventa. Se non sa cosa fare potrebbe decidere, finché siete in tempo, di battere dignitosamente in ritirata. Ma ormai lo conosci abbastanza da sapere che non si arrenderà facilmente, e che si lancerebbe in questa follia ugualmente, trascinandoti inesorabilmente dietro di lui, verso il baratro. 

Non sai perché questa sorta di sfida sia così importante per lui, perché assuma spesso questo sguardo triste, e, oseresti quasi dire sconsolato, se non conoscessi il tono supponente che contraddistingue solitamente il suo modo di fare. Lui si ostina a non volertene parlare e la tua buona volontà non basta a farti scoprire molto, complice i suoi estenuanti silenzi. 

Del resto non ti va neanche di forzarlo, ognuno ha dei fantasmi contro cui è obbligato dal suo passato a combattere. Il tuo fantasma è l’Afghanistan. Il suo...non sapresti dire. E forse non lo saprai mai. 

Non basta l’incomprensione che ha subito da ragazzo, poi è riuscito a condurre la vita che desiderava, a essere la persona che voleva diventare. Ma nel frattempo cosa può essergli successo?
Sospiri, guardandolo con malcelata curiosità, finché non alza gli occhi a sua volta, interrogandoti tacitamente sul tuo interesse. 

Distogli frettolosamente lo sguardo. Lui se n’è accorto, ma non accenna a volerne parlare. 

Continui a guardare il cancello. Speri che almeno questa volta Sherlock sia per qualsiasi motivo in possesso di una copia della chiave per aprirlo. Ma continua a tacere, per poi incamminarsi lungo il perimetro del cancello, lontano dall’ingresso per i visitatori, sbarrato. 
Lo segui, aspettando che sia lui a dire qualcosa e a metterti a parte del piano con il tono disinvolto e geniale che lo caratterizza. 

Passi sfruttare gli scavi della metro, ma adesso? Come pretende di entrare e soprattutto di non perdersi in mezzo al buio in uno dei cimiteri più estesi di Parigi? 
Speri di scoraggiarlo e di convincerlo almeno questa volta a desistere, chiamare un taxi e togliervi dai pasticci, anche se sei ben consapevole di avere poche speranze. - E qui come dovremmo entrarci?

Sherlock ti indirizza un’occhiata eloquente. - Basta scavalcare. 

A onor del vero, dopo essere entrati in modo fortuito e soprattutto illegalmente al Pantheon, entrare in un cimitero dovrebbe essere una ben minor fonte di preoccupazione, ma dev’essere la stanchezza, unita ad una legittima esasperazione, a spingerti ad addurre ogni scusa per evitare l’impresa. - Ma si rende conto di come siamo vestiti? 

Sherlock continua a riservarti un sorriso beffardo. - Bisogna mostrare ritengo per i morti, non le pare?

E nel suo sguardo vedi che sarebbe inutile tentare di convincerlo. A malincuore ti arrendi a fare quello che dice, per quanto illegale. - Ma lei normalmente cosa fa nel suo tempo libero?

Sherlock alza appena le spalle, come se avessi fatto una domanda sciocca, una delle tue solite dalla risposta scontata. - Vivo la vita che mi capita, ogni giorno. Come fa lei. 

La cosa più avventurosa che hai fatto negli ultimi mesi è stata scordarti le chiavi dentro casa e dover cercare il doppione in mezzo alle mille cianfrusaglie di Harry. E poi è arrivato lui. Aereo per Parigi. Mostra. Indizi. Musei di notte. Effrazioni altrui. Concerto. Gelosia. Pantheon. Rischio di finire in carcere. Scuoti il capo.  - Questo lo dubito...

Sherlock non ti risponde, e si rimbocca le maniche del cappotto, dopo aver appoggiato a terra la torcia. 

- Lei ha la più pallida idea di dove si trovi la tomba di Verlaine?

Non alza neanche lo sguardo, intento com’è nell’operazione. - Ci sono già stato, penso che ritrovarla non sarà un problema. 

***

Sherlock sembra effettivamente ricordare la strada. Si muove tra le tombe con sicurezza, senza dare minimamente l’impressione di star improvvisando. Come sempre. Anche in un cimitero, di notte, vestito come un damerino persino più del solito, ha sempre quell’espressione di convinta risoluzione sul volto. 

Ma anche se al buio non riesci a vederli, i suoi occhi sono adombrati di tristezza. 

Pensavi che peggio di così non potesse andare, in giro di notte in mezzo al cimitero, quando inizia anche a piovere. Una pioggia leggera e lieve. E sarebbe anche piacevole se non foste appunto in mezzo ad un cimitero. 
Sherlock illumina i suoi passi con la torcia che avevate usato anche nei tunnel sotto al Pantheon, cammina sicuro, per poi fermarsi ogni tanto a controllare che tu gli vada dietro, con la luce che riesci a fare con il telefono. 

La tomba di Verlaine è una tomba come le altre. A vegliare le spoglie mortali del poeta non una musa addolorata e bellissima, non un angelo che intona preghiere per il suo inquieto spirito. Solo fiori lasciati dai turisti. 

Verlaine era uno dei poeti maledetti. Amava un ragazzo, il giovane Arthur Rimbaud. Era una storia tormentata e morbosa la loro, distruttiva e additata dagli altri. Eppure un amore travolgente e passionale. 

Davanti al piccolo monumento stanno diversi mazzi di fiori, posti lì dai turisti di passaggio. Ma troneggia sugli altri un mazzo di rose rosse, molto simile a quello che avete trovato al Pantheon. Tra le foglie dei fiori è incastrato placidamente un bigliettino. 

Sherlock fissa la tomba e i fiori come se avesse visto un fantasma. Ti azzardi a prendere il biglietto, ma non a leggerlo prima di lui, così glielo porgi, restando in silenzio. L’artista ti riserva uno schivo cenno col capo e fissa il biglietto nella sua mano come se provenisse da un altro mondo, dal paradiso o dall’inferno. Non sembra avere fretta di leggerne il contenuto, esita, come finora non ha mai fatto. E non alza neanche gli occhi, sapendo che il tuo sguardo pretenderebbe spiegazioni. 

Quando dà finalmente segno di volerlo aprire, illumini come puoi con la torcia del cellulare il foglietto, cercando di intravedere anche tu il prossimo delirante indizio. Sherlock sospira sonoramente, lasciandoti il biglietto dopo averlo scorso con lo sguardo per alcuni secondi. Si allontana. Continua a fissare la tomba di Verlaine, infischiandosene della tua presenza. Le goccioline di pioggia che si fanno man mano più insistenti a bagnargli gli abiti, ad appesantirgli i capelli ricci. Sembra non importargli neanche di questo. 

Da un lato vorresti seguirlo, chiedergli che cosa ha capito, dove dovete andare, che cosa vuole il Cavaliere Azzurro questa volta. Dall’altro c’è la tentazione di leggere il biglietto e cercare di capire da solo cosa possa averlo gettato così visibilmente nello sconforto. 

Illumini il foglio. Scuoti a tua volta il capo, per un motivo intuitivamente diverso da quello di Sherlock. 
Non capisci una parola di latino. E l’ultima frase in inglese per te non ha un significato meno arcano. 

Chýntia príma suís miserúm me cépit océllis,
cóntactúm nullís ante cupídinibús.
Túm mihi cónstantís déiecit lúmina fástus
ét caput ímpositís préssit Amór pedibús,


Stavolta sarò io a farti abbassare quegli occhi indolenti, Holmes. 
 
Fissi quelle parole scritte verosimilmente dal Cavaliere Azzurro e poi Sherlock, alternando così l’oggetto della tua incredulità fin troppo teatralmente ogni pochi secondi. 

L’artista se ne sta in piedi a fissare il marmo, come se fosse fatto del medesimo materiale. E capisci che ci dev’essere di più di quello che vedi o che puoi supporre. Qualcosa del passato. Qualcosa che continua a condizionare il suo presente ed adombrargli ancora il futuro. Sherlock Holmes conosce il Cavaliere Azzurro più di quanto non sia disposto ad ammettere. Non è solo un gioco, un labirinto che si snoda tra quadri e spartiti. È qualcosa che non è rimasto confinato in musei e teatri. Qualcosa di più intimo. E di più doloroso. 

Guardi quelle rose rosse, le hai lasciate sulla tomba del poeta, e anche Sherlock non le ha toccate. Non possono essere casuali. Perché il Cavaliere Azzurro ha fatto in modo che trovaste proprio rose rosse? Che ci sia stato qualcosa tra di loro? Sherlock guarda afflitto la tomba, senza renderti partecipe dei suoi pensieri. Ma ti ha lasciato troppo in fretta il biglietto. Forse non l’avrebbe fatto se quelle rose avessero questo significato. E poi ti ha detto che non conosce il Cavaliere Azzurro, che non sa chi si celi dietro la sua vera identità, che non sa cosa voglia da lui. 
Ma fino a che punto puoi fidarti?

Sherlock di solito sa quello che fa, forse spesso bluffa, ma comunque è consapevole delle sue strategie, mentre costringe te a giocare a carte coperte. 
Sembra chiuso nel suo mondo, che non voglia essere scosso né salvato. Ma non puoi aiutarlo se ti rivela così poco, né puoi lasciarlo sprofondare senza fare niente. 

- Ce ne andiamo via? 

La tua voce dapprima é un sussurro, come se non volessi profanare la sacralità della scena. Ma continua a piovere sulle vostre teste, sui vostri vestiti eleganti, sul marmo delle tombe. Ti permetti di insistere. 

- Sherlock. Andiamocene di qui. Sta piovendo. 

Lui annuisce appena. Lo sguardo stravolto. Non sembra più l’artista strafottente che ti ha accolto qualche giorno fa al 221 B di Baker Street. Non l’arrogante sbruffone che prende in giro Molly Hooper. Non il saccente insoddisfatto che sbraita contro Victor Trevon. Non l’affascinante giovane uomo che scherza con Irene Adler, che corteggia Anne Marie Jacquet o che ti fa ordinare tre whisky di fila per non pensare a quanto sia sbagliato essere geloso dei mezzi sorrisi che indirizza agli altri. 

Sembra un’altra persona. L’ombra di se stesso. E sono bastati due colpi ben assestati, tre versi di Verlaine e quattro scritti in latino per ridurlo così. Un mausoleo e un cimitero. Due mazzi di rose rosse. Che cosa ti nasconde Sherlock Holmes?

***

La pioggia non è più lieve né piacevole. L’acqua ti è entrata nelle scarpe, il cappotto che indossi è zuppo, e te lo sei anche pateticamente tirato sulla testa per evitare di bagnarti completamente anche i capelli. Le gocce di pioggia cadono giù con disperazione, con rabbiosa ansia. Il vento ti sferza ancora di più il freddo addosso, facendoti rabbrividire ancora di più sotto i vestiti bagnati. Sherlock ti conduce fuori dal cimitero, ma non ha più completamente la prontezza di prima, sbaglia strada un paio di volte, anche a causa della visuale offuscata dalla pioggia, dall’imponente cascata d’acqua che il cielo vi scarica addosso. 

Se questa è la punizione per essere entrato in un cimitero di notte, giuri a te stesso che sarà stata la prima e ultima volta che fai una cosa del genere, ma ovviamente non basta a far cessare il diluvio. Sherlock non corre come al suo solito, nonostante questa volta ce ne sarebbe bisogno, non fa molto neanche per ripararsi dall’acqua, come se le angherie delle intemperie non lo toccassero. Il suo istinto e la sua memoria fotografica vi portano fuori dal lugubre luogo della vostra indagine, ma i suoi pensieri vagano dove tu non puoi vederli, perdendosi in ricordi che non vuole rivelarti, indugiando su luoghi e persone che forse non hai mai conosciuto né conoscerai mai. 

Usciti dal cimitero, lo spingi nel primo portone aperto che trovate, e da lì ti affretti a chiamare un taxi, sperando che arrivi in fretta. 
Ti togli il cappotto e la scarpe, sedendoti su un gradino dell’imponente scalinata, tamponando come puoi i capelli bagnati. Sherlock si è tolto il cappotto a sua volta, se ne sta appoggiato alla parete, guardandosi intorno con uno sguardo stranamente perso nel vuoto. Fissa la parete davanti a sé come se fosse di grande interesse storico o se Van Gogh di passaggio a Parigi ci avesse dipinto qualcosa. 

Sei esausto, ma gli vai vicino, e gli sfiori appena il braccio per attirare la sua attenzione. 
- Ho chiamato un taxi. Spero che non ci metta molto. 

Ti guarda. Hai detto un’ovvietà, lui era presente quando hai chiamato e deve averlo necessariamente sentito, ma non ti riserva il suo solito tono strafottente. - Lo so. 

Goccioloni di pioggia gli cascano dai capelli sul viso e sui vestiti. - Ha i capelli zuppi d’acqua. 

- Lo so. 

Prendi la pochette dal taschino della giacca del completo e gliela porgi. 

- Si rovinerà, ma a me non importa. 

Sherlock ti riserva appena un cenno e si tiene il fazzoletto di stoffa in mano, finché non insisti continuando a fissarlo. 
Tampona un po’ i capelli come può, e anche abbastanza distrattamente, come se non gli interessasse. 

- Non mi ammalerò per così poco. 

Non ti è mai piaciuto essere apprensivo nei confronti degli altri, hai sempre pensato che ognuno sia libero di curare se stesso come meglio crede, ma non riesci a non preoccuparti per Sherlock Holmes. Per la sua ostinata e ormai apatica cocciutaggine. - Non sono un medico, ma con tutta l’acqua che abbiamo preso io non mi meraviglierei se...

Sherlock ti guarda fisso negli occhi. E nei suoi occhi un certo intenerito fastidio, come se tu non fossi capace di cogliere il cuore del problema, indirizzando le tue energie ad azioni senza alcun senso. - So già quello che pensa. Non c’è bisogno che continui. 

- E allora saprà anche che non so come aiutarla. Che non capisco quello che lei non mi dice. 

Scuote appena il capo, continuando a riservarti quel suo sguardo. - Sono solo pensieri senza consistenza. 

- E qui si sbaglia. Perché devono averne una ben pensante per ridurla così. 

Ostenta un’espressione di strafottente serenità, scandendo bene ogni lettera.  - Sto benissimo. 

Sospiri, impotente di fronte al suo mutismo. - Potrà mentire a se stesso, ma non a me. 

Sherlock non risponde, si siede su uno dei gradini e aspetta. Tu non dici niente, ti limiti ad osservarlo, in silenzio, e a camminare dalla scalinata al portone, sbirciando di tanto in tanto fuori sperando di intravedere la sagoma bianca del taxi sotto lo scrosciare incessante della pioggia. 

***
Durante il percorso in taxi Sherlock non ha detto una parola. Guardava fuori dal finestrino, la pioggia che moriva sul vetro, le strade piene d’acqua, qualche saltuario ombrello che copriva appena il suo proprietario già zuppo fino al midollo. 

Arrivati in albergo, dopo aver sborsato una bella somma al tassista, con i vestiti eleganti sporchi di fango e bagnati fradici, avete anche dovuto sopportare di buon grado l’occhiata di schifata compassione della receptionist che ha porto a Sherlock la chiave della suite indirizzandogli un sorriso abbastanza tirato. 

Avresti voluto cantargliene quattro, dicendole che avrebbe potuto indirizzare a te questo trattamento e che non l’avresti biasimata, sebbene non ti avrebbe fatto piacere, ma che Sherlock Holmes, il grande pittore d’arte contemporanea, avrebbe sicuramente meritato ben altri modi. 

Ma hai preferito startene in silenzio, senza dire niente, ed hai seguito Sherlock in camera, esausto, rendendoti conto nell’aspettare l’ascensore, che sei così stanco che preferiresti assopirti su una delle poltrone dell’ingresso che salire due rampe di scale appiedi. 

Sherlock si è tolto il cappotto bagnato lasciandolo cadere con noncuranza su una delle poltrone del salotto, vicino alla quale ha lasciato anche le scarpe e i calzini inzuppati d’acqua. Per il resto non sembra intenzionato a fare più di tanto, si è seduto sul divano, la testa tra le mani, gli occhi chiusi. 

Ti liberi del soprabito bagnato e vai in bagno ad asciugarti un po’ e metterti il pigiama a righe che hai comprato oggi durante la sessione di shopping forzato. 
Durante la corsa in taxi avevi accarezzato l’idea di farti un bagno caldo, visto il freddo che sentivi fin dentro le ossa, ma vedere Sherlock così provato e così restio a parlare, lui, sempre abituato a dire la sua senza pudori, hai capito che non era il caso di pensare a te stesso più del necessario. 
Già indossare qualcosa di asciutto ti dona sollievo e sprofondare sulla poltrona del salotto ti conforta e ti ricompensa di tutto l’estenuante attivismo delle ultime ventiquattro ore. 

Sherlock viceversa non si è mosso di un millimetro, le mani sempre in faccia, gli occhi sempre bassi e chiusi. 

Ti costringi ad alzarti dalla poltrona e recuperi un asciugamano pulito per Sherlock. Glielo porgi, scuotendolo dalla sua apatia. 
Lui annuisce, indirizzandoti un cenno di ringraziamento. Poi si tampona un po’ i capelli bagnati con l’asciugamano, frizionando le tempie finché il risultato non gli sembra soddisfacente. 

Lo guardi per tutto il tempo, aspettando che da un momento all’altro lui possa spiegarti cosa volesse dire l’indizio, ammesso che ce ne fosse davvero uno, e sopratutto che voglia giustificarti il suo repentino cambio d’umore, i suoi silenzi, la sua tristezza. 
Eppure non dice niente. Continua a trincerarsi in questo elegante mutismo. 

- Mi spiega il perché di quella poesia?

Sherlock riprende a guardarti. I suoi occhi hanno riacquistato un po’ di ostinazione, la voce non ha mai perso la sua compostezza nonostante lo sguardo stravolto. Dà l’impressione di constatare l’ovvio. - Il Cavaliere Azzurro vuole sfidarmi. 

La risposta in realtà è fin troppo magra. Si ferma alla superficie del problema, senza scendere in profondità, senza volerne svelare l’essenza, senza permetterti di elaborare una soluzione. Detesti guardarlo così e non poter fare nulla. Torni alla carica, incurante della sua reticenza. - Non è solo questo. Me ne sono accorto. Non può essere solo questo.

Sherlock vuole visibilmente licenziare alla svelta la questione. Non vuole spiegare nulla. Così finge di averlo già fatto. Di averti già dato tutti gli elementi. E forse se soltanto tu fossi più intelligente, avresti già capito cosa nasconde. - Le ho già spiegato…

Ma tu purtroppo non riesci a cogliere. E del resto non è una sfumatura di colore che non sai perfettamente definire, ma un’intera tavolozza di persone, di cose, di situazioni, che non sai immaginare. Che puoi semplicemente tirare ad indovinare. 

Eppure non ti senti neanche di forzarlo, di costringerlo a rivelarti cose del suo passato che vuole tenere nascoste. Non oggi. Non ora. Ti sembra immensamente stanco e immensamente fragile. Sospiri quasi impercettibilmente. Sai come si fa ad estorcere informazioni dalla gente, ma con lui non ha mai funzionato. È sempre stato tre passi avanti a te, per non dire quattro. Non si è mai fatto prendere in contropiede. Forse adesso se continuassi ad insistere, potrebbe capitolare, rivelare qualcosa. Ma ti sembrerebbe sleale. Non ti sembrerebbe giusto. 

- Non deve dirmi niente che non voglia confidarmi. Voglio solo aiutarla.

Sherlock accenna appena un sorriso. Il suo volto è bello anche così, stanco come se reggesse sulle spalle le sorti del mondo, come se non potesse sfuggire a qualcosa di imminente e funesto. Gli basta quel mezzo sorriso e ha già vinto. 

- Lo sta già facendo.

Lo guardi negli occhi, quei suoi occhi scuri e chiari insieme, macchiati d’infinito e di inquietudine. - Lei deve dormire stanotte.

Inizia vanamente a protestare, alzandosi dalla poltrona, come per farti vedere che è perfettamente in grado di fare qualsiasi cosa, che non ha sonno, che non ha affatto bisogno di dormire. - Io non ritengo che…

Gli riservi lo sguardo più perentorio che la stanchezza ti concede. - Lei deve dormire. Non è una domanda. 

A Sherlock non piace ribadire l’evidenza, ma per onestà intellettuale non riesce neanche a negarla per molto. Si arrende abbastanza in fretta per i suoi standard. Annuisce. 

- Io starò sul divano. - chiarisci, scortandolo in camera. 

Sherlock si siede sul letto, lo sguardo assente, le mani abbandonate sul materasso. È così stremato che non continua neanche a protestare. 

Apri l’enorme armadio di fronte al letto e ne tiri fuori una coperta da portarti sul divano, insieme ad uno dei cuscini del matrimoniale. 

- Si cambi e vada a dormire.
Sherlock ti guarda con gli occhi di un bambino che ascolta tutte le sere le stesse raccomandazioni da parte della madre. Fai finta di non accorgertene. 

- Tornerò a controllare tra un quarto d’ora e voglio trovarla col pigiama e a letto.

Sherlock scuote appena il capo, non sai se infastidito o intenerito. Forse entrambe. - Non si preoccupi per me.

- Se lei adesso non va a dormire, domani non la faccio uscire da questa stanza.

La fronte corrugata, in realtà sembra appena divertito. - La stanza è mia.

Liquidi la questione sorridendo a tua volta, contento di vederlo un po’ più sereno. - Particolari.

Sherlock continua a guardarti, come se volesse dirti qualcosa. Così te ne resti lì, fermo come un salame, il cuscino e la coperta in mano, aspettando. 

Ma non sembra che la sua parte razionale voglia concedere alla sua bocca di dare voce ai suoi pensieri. Ha gli occhi fissi su di te, come se fossi un’ancora in mezzo al mare. La sua ancora. E ti basta quello sguardo addosso. Senti che non c’è bisogno di parole da parte sua. Ti volti, dirigendosi verso il salotto. 

E mentre sei di spalle Sherlock ha di nuovo il coraggio di parlare. La voce ha la consistenza di un sussurro, sfuggito via alla censura. - Grazie per quello che fa. 

Ti rivolgi di nuovo a lui, guardandolo a tua volta, mentre scuoti appena il capo, dolcemente. - Non faccio niente di strano.

Sherlock ti guarda con estrema serietà, continuando a starsene seduto sul letto, pesante di tutte le sue impronunziabili preoccupazioni. - John. Lei non mi conosce, io sono insopportabile, l’ho praticamente costretta ad aiutarmi in un’impresa folle, e lei si preoccupa persino che mangi e che dorma a sufficienza.

Sorridi appena, intenerito dalla sua ammissione di colpa. - È così che si comportano le persone. Si preoccupano per gli altri.

Ma per Sherlock quello che dici sembra essere scritto in arabo. Non sembra capacitarsene. - Tenerci non è mai un vantaggio.

È un artista deciso ed anticonformista, ma è anche un uomo solo e tormentato. Un uomo a cui l’aiuto spassionato degli altri sembra quasi impossibile.

Gli sorridi con fare rassicurante, nonostante il carico del cuscino e della coperta addosso. - Non serve che sia un vantaggio. Se sento di fare qualcosa la faccio e basta.

Sherlock ti guarda come imbambolato. Sembra d’un tratto diventato un altro.
 
Continui a sorridergli. - E adesso sento che lei deve dormire. 

Annuisce ancora. - Recepito il messaggio.

***

Entri nella stanza di Sherlock dopo una ventina di minuti, quando dalla porta aperta hai visto spegnersi la luce dell’abatjour sul comodino. L’artista se ne sta sdraiato sulla schiena, i capelli ricci schiacciati sul cuscino. Gli occhi chiusi. Il silenzio nella stanza interrotto solo dal tacito respiro di Sherlock. Non dorme. Non ancora. Ma è già un inizio.

Esci in punta di piedi dalla camera e ti sdrai sul divano, dove hai preparato una sorta di brandina.
Ti raggomitoli sotto la coperta e pensi che solo la sera precedente dormivi tu al posto di Sherlock. 
Dorme sulla sinistra, tu avevi dormito a destra. È un particolare irrilevante, ma dopo averci fatto caso, non riesci a dimenticarlo per un po’, prima di addormentarti. 

Un divano non è il posto più comodo su cui dormire, ogni tanto ti svegli, ti giri dall’altra parte, risistemi la coperta che ti aveva lasciato scoperti i piedi, pregando di riaddormentarti. E ti riaddormenti. Finché non senti dei mormorii, dei lamenti, dalla camera di Sherlock.
Esiti per un attimo ad alzarti dal divano, pensando di aver immaginato tutto. Ma senti delle parole sconnesse. Non nitidamente. Ma le avverti. Decidi che è il caso di andare a controllare.

Sherlock non è sveglio, gli occhi chiusi, il volto sudato, scuote il capo, mormora cose incomprensibili, visibilmente agitato e in preda ad un incubo. 

Sai che vuol dire avere gli incubi. Non sai che cosa lo angosci tanto, ma decidi di fare qualcosa. 

Ti siedi sul bordo del letto, titubante.
- Sherlock.

Lui non si accorge del tuo sussurro. Continua ad agitarsi. Gli accarezzi il viso pallido, e freddo di sudore, e fai risalire le dita fino ai suoi capelli scuri, saggiando tra i polpastrelli quei ricci che ti hanno sempre inconsciamente affascinato, accarezzandogli il capo con fare rassicurante.

- Sherlock. È solo un brutto sogno.
 
Si sveglia di soprassalto, scostandosi istintivamente. Ti guarda come se fossi un sicario mandato lì ad ammazzarlo. 

- Stavi avendo un incubo. Ti ho sentito dal salotto. Dovevo fare qualcosa.

Abbandona il capo di nuovo sul cuscino, respirando affannosamente, e scostando di poco le coperte. 

Ti alzi dal letto, tornando con un bicchiere di acqua fresca.

Lui annuisce appena, si mette a sedere e prende dalle tue mani il bicchiere.

- Non la bere tutta d’un fiato. 

Sherlock ha uno sguardo stravolto. I suoi occhi vagano in tutti i punti della stanza, come se non si rendesse conto di dove si trova. 
La camera è illuminata dalla luce proveniente dal salotto, ma per tranquillizzarlo accendi l’abatjour sul suo comodino. 

- Va tutto bene, Sherlock. Ci sono qua io.

Ti siedi di nuovo istintivamente sul letto affianco a lui, ma ti astieni dal toccargli di nuovo i capelli. 

Lui ti guarda come se non ti vedesse, il respiro ancora alterato. Gli fai cenno di bere.

Annuisce e prende un sorso d’acqua. E poi un altro. E un altro ancora. Fino a svuotare il bicchiere.

La luce, l’acqua, la tua presenza non sono sufficienti a calmarlo. 
Gli prendi il bicchiere dalle mani e lo appoggi sul comodino.

Lo spingi a sdraiarsi di nuovo.

Gli scosti la coperta. E ti azzardi a mettergli una mano sulla pancia. 

- Respira. Respira con il diaframma. Forza.

Ti lascia fare, chiude gli occhi. Senti la sua pancia alzarsi ed abbassarsi sotto la tua mano. 

- Più piano, Sherlock. Molto più piano. 

Dopo qualche minuto ti sembra più calmo, ha preso a respirare regolarmente. Gli controlli il polso, e i battiti sono regolari. È più padrone di sé, ma continua a non stare bene. È scosso. Non ha neanche la forza di lamentarsi della tua intrusione. Allontani la mano dalla sua pancia. 

- Va meglio?

Annuisce appena. 

- Cosa hai sognato?

Porta lo sguardo su di te, continuando a respirare piano. - Cose. Del mio passato.

Sospiri, mordendoti la lingua. Non è questo il momento di mettergli pressione per farti raccontare cosa lo tormenta. - Non sei tenuto a raccontarmele.

Annuisce ancora.

- Hai dormito a stento due ore. Hai bisogno di riposare. 

Lui scuote appena il capo, chiudendo gli occhi per poi riaprirli dopo appena un istante, prendendo a fissare la testata del letto. - Non ce la faccio.

Gli prendi la mano abbandonata sul fianco. - Sherlock, guardami. Qualsiasi cosa tu abbia sognato, è stato un incubo. È finito. E se è una cosa che appartiene al passato è finita da molto tempo. 

Sherlock ti guarda con risoluzione sconvolta. - Non finirà mai.

Continui a stringere la sua mano, sperando di trasmettergli un po’ di stabilità e di speranza. - Il passato bisogna lasciarselo alle spalle. Non dobbiamo farci perseguitare dai nostri fantasmi.

Sherlock ti guarda serio, con in volto la stessa esasperazione che manifesta quando non capisci una deduzione ovvia. - Non ci riesco. 

Paradossalmente sembra stare meglio. Che abbia la forza di controbattere è sicuramente un buon senso. Decidi di insistere. - Hai spesso questi incubi?

Per una frazione di secondo sembra restio a risponderti, ma anche questa volta la sua onestà intellettuale davanti all’evidenza si fa sentire. - Sì.

Lo guardi negli occhi, per captare ogni sfumatura del suo sguardo, per assicurarti che non ti menta. - Ed è per questo che non vuoi dormire?

Sherlock allenta la presa dalla tua mano, fino a lasciarla andare del tutto. - Non constatare l’ovvio, John, non lo sopporto.

- Siamo tutti fragili, nonostante la corazza che cerchiamo di costruirci. 

Sherlock non risponde, ma scosta completamente le coperte e fa per alzarsi dal letto.

- Hai bisogno di dormire. 

Sembra aver riacquisito la sua consueta elegante compostezza. - Non ho più sonno.

Tu sei stanco morto, e ieri notte hai dormito le tue consuete otto ore, lui, stravolto, provato, dopo essersi inzuppato d’acqua anche più di te, e per giunta senza aver dormito la notte scorsa, pretende di convincerti di non essere affatto stanco. Scuoti il capo. - Le tue occhiaie dicono diversamente.

Sherlock è rimasto immobile seduto sul letto affianco a te. Nel suo sguardo sembra nascosto un segreto troppo pesante perché un uomo possa sopportarlo. - John… tu non sai che cosa vedo.

Ti alzi precipitosamente dal letto, risoluto a risolvere, anche se solo parzialmente, la questione. - Ho capito.

Sherlock sembra allarmato. - Dove vai?

Torni con il cuscino in mano e ti siedi di nuovo affianco a lui.

- Quando ero piccolo e avevo gli incubi, mia madre, se se ne accorgeva, si sedeva sul letto affianco a me, mi faceva respirare come ho fatto prima con te, mi portava l’acqua, e poi restava con me finché non mi addormentavo di nuovo. Quando sono tornato dall’Afghanistan, avrei tanto voluto che ci fosse ancora mia madre, o qualcun altro, a farlo.

Sherlock ti guarda con quello che potrebbe sembrare spaesamento o imbarazzo. - Io…

Non capisci il perché di quell’esitazione finché non si consuma un interminabile attimo di silenzio. Hai invaso il suo spazio personale, gli hai accarezzato i capelli, ti sei seduto sul tuo letto, gli hai toccato la pancia, e poi hai stretto la sua mano, adesso stai dicendo di voler stare lì, affianco a lui, finché non si addormenta. Non c’era neanche un briciolo di malizia in tutto quello che hai fatto o detto, e Sherlock ha spesso dato prova di grande sfrontatezza, non pensavi di metterlo in imbarazzo...

Ti alzi nuovamente dal letto, afferrando il cuscino come per mettere una rassicurante barriera tra te e lui. - Mi devo mettere sulla poltrona?

Sherlock sembra stupirsi a sua volta della tua reazione. - No. 

Rosso in faccia ti siedi sul bordo del letto, appoggiando il cuscino. - Ok. Resto qua allora. Se vuoi vai in bagno, bagnati un po’ il viso. Quando vuoi torna… E se nel frattempo mi addormento svegliami.

Sherlock si alza dal letto e scompare in bagno per meno di cinque minuti, poi si sdraia di nuovo tirandosi addosso le coperte, spegnendo la luce sul comodino. 

Ovviamente non ti sei addormentato. Del resto, come avresti potuto? Hai trascorso tutto il tempo a passare in rassegna tutti gli avvenimenti degli ultimi giorni, gli indizi del Cavaliere Azzurro, le frasi in sospeso di Sherlock, il suo comportamento al Pantheon e poi al cimitero, le sue vaghe rivelazioni sul suo passato. Ma non hai trovato nessun indizio serio, forse perché le maggiori capacità deduttive le ha sempre avute lui. 

Al buio intravedi appena la sua sagoma. Sa benissimo che non stai dormendo. - Va meglio?

Senti un fruscio di coperte e di lenzuola, e Sherlock che si volta verso di te. - Insomma…

Dal tono della sua voce capisci che è davvero troppo esausto anche per mentire. Avrà cercato di darsi un certo contegno, se non altro per non farsi vedere ancora così disperato da te, e si sarà anche ripromesso di non cedere e di non dirti quali siano i suoi demoni, ma al contempo deve anche essersi reso conto di non avere abbastanza forza per fingere che vada tutto bene. 

Sospiri, guardando nella sua direzione. - Hai bisogno di dormire. 

- Lo so. Cercavo un sonnifero, per non ricordare gli incubi. Ma devo averli finiti.

Allarghi appena le braccia. - Vieni qua. Mia madre mi abbracciava. E io mi addormentavo.

Gli sfugge uno sbuffo, che voleva essere un accenno di risata.

Ma non aggiunge altro, si limita ad accoccolarsi addosso a te, poggiando la testa sul suo petto, un braccio abbandonato sul materasso, l’altro ti cinge il fianco. 
Senza neanche alzare gli occhi a guardarti, sussurra, contro la tua maglietta:- Grazie.

- Non c’è bisogno che mi ringrazi. Dormi un po’… 

Ed averlo lì, abbandonato tra le tue braccia, bellissimo e tremante, è più di quanto avresti osato sperare. Non riesci a non accarezzargli i capelli che ti solleticano il collo. 

Lui non si lamenta. Anzi, senti il suo respiro farsi sempre più calmo, e il cuore battere più regolare sul tuo petto, finché non si addormenta. 

***

Cominci gradualmente ad avvertire di nuovo il mondo intorno a te. 
Non senti più né il tacito respiro di Sherlock né il suo cuore battere. 
Apri gli occhi, infastidito. Lui non c’è più. 

Lo sapevi. 


Lo trovi in salotto. Seduto sulla sua poltrona. Di nuovo impeccabile nel suo completo elegante. Apparentemente impassibile. - Buongiorno.

Sherlock ha riacquistato la compostezza di sempre, il suo sguardo sembra di nuovo freddo e sicuro. Solo la sua voce tradisce qualche esitazione. - Per quello che è successo ieri notte…

Corrughi a stento la fronte. - Ma non è successo niente. 

Ti guarda negli occhi, con il tono di chi vuole giustificarsi alla svelta. - Io…

Non lo lasci continuare, scuotendo la testa. Non vuoi che si scusi di essere umano. - Hai avuto un incubo.

Sherlock si alza in piedi, avvicinandosi di poco a te con una sottesa ansia ben celata agli angoli degli occhi. - Lei mi promette di non scriverlo nell’articolo?

Ti sta dando del lei. Si tiene a distanza. Ostenta indifferenza, ma sembra preoccupato. Davvero teme che tu possa essere così vile da scrivere di ieri notte su un giornale? Ti ripugna il fatto che abbia anche solo potuto pensarlo. 
- Non mi frega niente dell’articolo. L’ho fatto per te.

Sherlock scuote appena il capo. - Nessuno fa queste cose per me. Da molto tempo.

Lo guardi negli occhi, sperando che il contatto visivo possa esprimere meglio delle tue parole quello che pensi. Quello che provi. - Questo non vuol dire che non possa farlo io.

Sherlock non si muove di un millimetro. Continua a guardarti, ma sembra intenzionato a farti desistere da qualsiasi proposito tu abbia. - Lei non mi conosce. 

Vorresti urlargli che è inutile continuare a darti del lei, o provare a cancellare in altro modo la familiarità che avete sviluppato ieri notte, in quell’abbraccio, la necessità di proteggerlo che ti è fiorita nel petto, il desiderio di avere di più, di non dover aspettare il prossimo incubo per accarezzargli i capelli, o stringerlo a te. Vorresti sapere il perché di quegli incubi, il senso dei biglietti del Cavaliere Azzurro, di quei fiori, di quelle poesie, dell’apatica disperazione di Sherlock. Hai bisogno di saperlo per poterlo aiutare, per renderlo felice, se solo volesse. - Tu non me ne dai la possibilità.

Sherlock ti fissa esasperato. - Perché continua a darmi del tu?

Ma non gli urleresti mai contro. Sarebbe inutile.  Eppure la tua voce ha un tono deciso, forse più del suo. - Perché continui a darmi del lei?

Sherlock non abbassa mai lo sguardo. Non distoglie mai lo sguardo. Ha occhi solo per te nella stanza. Lo prendi come un buon segno, insieme al suo momentaneo fissarti in silenzio. Negli occhi emozioni contrastanti su cui gli vedi imporre un grande autocontrollo. 

Quando ti avvicini a lui, non indietreggia né si scosta. Si limita a dire qualcosa di improvvisato e melodrammatico insieme. - Io sono una persona difficile. Con un passato difficile.

Annuisci, per fargli capire che questo non ti spaventa, che ci vorrebbe ben altro per farti esitare o per farti scappare via. - Anch’io ho un passato difficile. E con questo?

Stai sfidando Sherlock Holmes, abbattendo quel che resta delle sue difese. Eppure sei stanco, hai le occhiaie, i capelli arruffati, indossi un patetico pigiama a righe, fino a qualche giorno fa ti consideravi un fallito. E adesso Sherlock Holmes, quell’artista che avresti solo dovuto intervistare, si avvicina a te titubante, continuando a guardarti negli occhi. Continuando a blaterale stronzate. - Ti rovineresti la vita con me.

- Non penso. 

Sei ad un passo da lui. Un passo solo. 

Lo colmi, guardandolo negli occhi. 

Siete così vicini che avverti il respiro di Sherlock sul viso. 

Chiude gli occhi prima di te, le labbra che toccano per la prima volta le tue. Si abbandona completamente a quel bacio, saggiando la consistenza della tua bocca, esplorandone l’interno con la lingua. Di colpo ti manca il respiro. 

La tua voce è ridotta ad un sussurro. - Sherlock. 

È troppo in fretta sembra essersene pentito. - John, dimentic…

Gli sorridi quasi divertito, accarezzandogli il volto con le mani. - Sono fermamente intenzionato a non dimenticare niente.

Lo baci di nuovo, completamente perso nella sensazione di beatitudine che questo comporta. 

E il mondo intorno a te sfuma di nuovo nell’indistinto, e per qualche secondo non esiste altro che Sherlock e la disperata necessità di quel bacio. 




Note dell’autrice: 

Miei cari lettori, nonostante il caldo, le vacanze e casini con la connessione internet, sono qui finalmente ad aggiornare! Questa volta ho tardato forse più del solito, ma spero che il capitolo corposo e ricco di avvenimenti possa ricompensare l’attesa. Che ne dite? Ve l’aspettavate una svolta del genere? In realtà suppongo si, visto il mio intento manifestato senza troppi segreti di scrivere una Johnlock. Ma la storia ovviamente non finisce qui, anzi, ci aspettano ancora altri rocamboleschi capitoli! Il mistero intorno al Cavaliere Azzurro e ai suoi propositi é ancora molto fitto... Se avrete la pazienza di seguire la storia ne verremo a capo insieme a John e Sherlock. 

Nel frattempo, devo specificare qualcosa del capitolo che avete appena letto. 

Mi auguro che qualcuno abbia capito il riferimento - e l’omaggio - al magnifico film di Radu Mihăileanu “Il concerto” i cui protagonisti sono appunto Anne Marie Jacquet e Andreï Filipov. È la storia bellissima e tormentata dell’allestimento allo Chatelet di Parigi dell’opera 35 di Tchaikovsky. Non ho spiegato molto della trama del film per non fare troppi spoiler per chi volesse vederlo e poi perché la storia è dal punto di vista di John che non ne sa niente e non ha l’intuito di Sherlock. Mi auguro di aver saputo rendere l’atmosfera del film, comunque! Se qualcuno dei miei lettori l’ha visto spero di leggere il suo commento circa quest’omaggio all’originale. 
Per chi non ha visto il film, beh, guardatelo, è bellissimo! E spero di non avervi annoiato.
La scena che ho descritto è quella finale, se volete, su internet si trova anche solo quella parte. 

Per il resto. Non esistono davvero gli scavi sotto al Pantheon e dubito che anche se ci fossero possano mai essere facilmente utilizzati per entrare nel monumento illegalmente, ma spero di avere la nostra comprensione, dovevo pur inventarmi qualcosa. 

La tomba di Voltaire è davvero al Pantheon e quella di Verlaine davvero al Cimitiére des Batignolles. 

I versi in latino sono di Properzio. L’incipit dell’Elegia I del Corpus di quest’autore latino. Ecco la traduzione:

“Cinzia per prima conquistò me, infelice, con i suoi begli occhi,
io, mai colpito prima da alcuna passione. 

Allora mi costrinse ad abbassare gli occhi dall’alterigia ostinata
Amore, e mi premette il capo sotto i piedi”

Sul perché di questa scelta taccio per evitare spoiler! 

Colgo inoltre l’occasione per ringraziare Blue Lady, Fiamminga e  marig28_libra, che mi sostengono e dispensano saggi consigli - o semplicemente condividono i miei scleri - per questa ed altre storie. 

Ringrazio le venticinque persone che hanno messo la storia tra le seguite e le sei che l’hanno messa tra le preferite. Nonché chi mi segue come autrice. Mi auguro di leggere un vostro parere prima o poi, ma nel frattempo sono comunque contenta di avervi come pubblico. Spero di non deludervi. 


Alla prossima! All’incirca tra un mese dovrei pubblicare il capitolo VII, se va tutto bene. Nel frattempo buone vacanze a tutti! 

Saluti, 

lady dreamer 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


 
Arte contemporanea
Capitolo VII
 
 
Ci diremo tra le labbra ormai stanche
"eri il mio caro amore”
Fabrizio De Andrè.
 
 

 
Stavi baciando Sherlock. Ricordi perfettamente la sensazione di beatitudine che questo ha comportato, le endorfine che ha messo in circolo, la mancanza momentanea di angosce che ha generato. Non hai pensato alla redazione, né al tuo capo, al tuo posto di lavoro, alle tue onnipresenti frustrazioni, alla tua presunta eterosessualità. Non hai pensato a nulla. Per quegli interminabili, dolcissimi istanti hai vissuto il tuo corpo in maniera esclusiva, senza la mediazione delle ansie, delle paure, dei tuoi problemi. Hai avuto fin troppe incertezze negli ultimi anni. Ti sei lasciato andare a facili disfattismi, ti sei considerato un fallito, senza che questo fosse necessariamente vero. E soprattutto senza che fosse irreversibile. Niente dura per sempre. E anche quello stato di sconforto latente sarebbe stato destinato a finire.
 
Ed è finito. Quando si è scontrato con Sherlock Holmes. Quando ha sfiorato le sue inquietudini, rotto le sue titubanze, accarezzandogli i capelli, schiudendogli le labbra. Ti sei lasciato sorprendere dalla sua resistenza così razionale, e da quel desiderio così energico, così malinconico ad un tempo. Così suo. Disperato, sentito, vivo. Di Sherlock. E di nessun altro.
 
Non potresti mai amare un altro uomo. Desiderare di scompigliargli i capelli, di baciargli il volto, le labbra, ogni parte del corpo, di avere il grado di complicità tale da permetterti di farlo. Ti sei fatto stupire da Sherlock, dalla sua affascinante algidità. Dalla sua involontaria tenerezza. Dalla sua capacità di dissezionare la realtà e di saperla ricomporre, come un abilissimo chirurgo. Sa il fatto suo, Sherlock Holmes.
 
Bacia le tue labbra con sincero trasporto, ha il battito accelerato, approfondisce il contatto, gioca con la tua lingua, gli occhi chiusi, un abbandono dolce e disordinato.
 
Il tuo cuore lo amava già. Il tuo corpo lo desiderava già. Ma sei stato il suo assistente, perché ti aveva chiesto di essere questo. La sua balia, perché ha bisogno di qualcuno che lo metta in guardia circa le conseguenze delle sue azioni. Sei stato suo complice, quando siete entrati illegalmente al Pantheon, o avete scavalcato il cancello del cimitero. Sei stato suo amico quando gli hai accarezzato i capelli, quando hai chiamato il suo nome, mentre aveva un incubo da cui non riusciva a risvegliarsi. Ti sei addormentato con lui, senza malizia, come un genitore. Senza pensare minimamente alle complicazioni che dormire insieme, in un letto, abbracciati, avrebbero potuto portare. Non era quello il momento. È questo.
 
Lo spoglieresti. Ti lasceresti spogliare. Allenteresti tutti i freni, senza riflettere, inebriato dai suoi baci, dal profumo della sua pelle, dalla sofficità di quei ricci scuri, dal fascino innegabile che emana involontariamente da tutta la sua persona, dalle sue membra statuarie. Ma è troppo presto.
Ci sono troppe cose che non sai. Che non ti dice. Che tiene nascoste forse anche a se stesso. Che determinano le sue titubanze, che ordiscono contro il suo sonno, che lo portano a reagire con quest’appassionata disperazione. E sono cose non puoi ignorare. Anche se…
 
- William Sherlock Scott Holmes apri questa porta!
 
Ma cosa?
Ti scosti da Sherlock, sentendoti d’un tratto quasi colpevole. Forse non avresti dovuto baciarlo, è stato un impulso prematuro, molto probabilmente. Ma non riesci a pentirtene. Non dopo la grandiosa sensazione di benessere che ti ha agguantato il corpo mentre lo baciavi. In ogni caso non capisci come qualcuno possa aver scelto proprio questo dannato momento per comparire a rompere le scatole.
 
Lui alza gli occhi dalle tue labbra, volgendoli significativamente alla porta, allentando appena la presa del braccio che ti stringeva a sé.
 
- Quel che si definisce tempismo.
 
Sospiri abbastanza vistosamente, accarezzando il suo profilo con lo sguardo, mentre riprendi fiato, ancora vicinissimo al suo petto che si alza ed abbassa per calmare il battito cardiaco.
- Già…
 
Respiri la sua stessa aria, e per un attimo ancora siete soli in quella stanza. Sapete che non durerà ancora molto. Che Mycroft Holmes, è sua la voce, piomberà con le forze armate inglesi di gran carriera se non sarete voi ad aprirgli. Però…
 
C’è un’urgenza titubante negli occhi di Sherlock. L’hai vista fare capolino, distintamente. Eppure hai cercato di convincerti di averlo solo immaginato. Perché sarebbe stato troppo. Perché ti sentiresti troppo dannatamente bene. Ma non c’è tempo per formulare una frase del genere. Non per dirla, prendere coscienza della sua importanza, sorridersi e baciarsi ancora, e ancora, e potenzialmente sempre. È una promessa che non si può fare in due minuti sottratti al tempo così platealmente. Eppure Sherlock rompe le titubanze, o almeno parte di esse, nel suo sguardo uno spaesamento consapevole. Ti guarda intensamente, con quegli occhi misteriosamente chiari e scuri insieme. - Io…
 
Non ha tempo. E forse è comunque troppo presto. Ma non è importante. Le tue labbra sulla sua bocca, lo guardi a tua volta negli occhi, sussurri:- Anch’io. - e sai che non vi serve altro.
 
Che per adesso sarà questa la vostra dichiarazione d’amore. L’unica che ora potete permettervi. “Io…” “Anch’io”. E tutto è indefinibilmente chiaro. E dolce. Le vostre labbra si sfiorano ancora. Solo un istante che non dura abbastanza ma che dilata il tempo.
 
E ti viene da ridere, pensando che vi state baciando e dietro la porta c’è Mister Governo Inglese. Che romanticismo.
 
A malincuore ti allontani da Sherlock, cercando vanamente di ricomporti. Ricordandoti di essere in pigiama, e di avere in volto un sorriso ebete. Anche Sherlock esita a riappropriarsi della sua usuale compostezza. Sospiri, sorridendo amaramente.
 
- Vagli ad aprire, prima che butti giù la porta…
 
Sherlock alza gli occhi al cielo, e il tempo di aprire a suo fratello gli basta per chiamare a raccolta un po’ di sarcasmo, e la sua migliore espressione strafottente.
 
- Il motivo di tanta irruenza?
 
Mycroft entra come una furia nel salotto della suite. -  Trevon è sparito.
 
*
 
Alzi vistosamente gli occhi al cielo, maledicendoti per averlo lasciato da solo in piena notte in giro per Parigi. Non era palesemente una buona idea. Ma non hai avuto modo di fermarlo, di elaborare un’alternativa, mentre la mente di Sherlock andava a tremila, ma in direzione opposta, verso il cimitero del XVII arrondissement. E al fronte della sua prontezza, della sua sfrontata sicurezza, le sorti di Victor Trevon ti erano passate di mente. Così com’era arrivato probabilmente se ne sarebbe anche tornato da dov’era venuto.
 
- Ma dove alloggia Victor Trevon?
 
Mycroft risponde velocemente alla tua domanda, fissandoti un secondo di troppo.
- Qui in albergo con voi.
 
- Ah.
 
Dovresti preoccuparti del fatto che sia sparito nel nulla. E invece non puoi smettere di pensare al fatto che, nonostante avrebbe potuto benissimo spedirti a condividere la stanza con Trevon, Sherlock ti abbia tenuto nella sua suite. Non puoi credere, nonostante la sua grande intelligenza, che avesse già intuito gli sviluppi della vicenda, del resto, è stato tutto così bizzarro e inaspettato che se qualcuno ti avesse detto che ti saresti innamorato di lui probabilmente ti saresti messo a ridere. O a negare, arrossendo. O a fare entrambe le cose.
 
L’ipotesi più plausibile è che Sherlock non volesse perderti d’occhio, temendo ritorsioni, che vendessi un articolo non autorizzato al miglior offerente, o chissà cos’altro. Ma istintivamente hai sorriso come uno sciocco, pensando a quanto sia stato profeticamente romantico che ti abbia tenuto con lui, sin dall’inizio.
 
- Signor Watson, è con noi?
 
Ti scuoti abbastanza teatralmente. - Certo.
 
Mycroft continua il discorso che evidentemente aveva iniziato mentre, in modo del tutto inappropriato, ti compiacevi del corso degli eventi. - Abbiamo controllato gli ospedali e le stazioni di polizia, non si è messo nei guai in modo evidente, ma non è al momento reperibile.
 
- Magari sta semplicemente dormendo…
 
Il più grande degli Holmes ti fissa con glaciale esasperazione.  - Non è rientrato in albergo.
 
Sherlock ti trae momentaneamente d’impiccio, fin troppo serioso.
- Hai già perquisito la stanza?
 
- No. Ti aspettavo, ma tu hai deciso d’un tratto di diventare irraggiungibile.
 
Mycroft Holmes fissa Sherlock e poi te. E la vedi balenare come un lampo la consapevolezza del motivo per cui non gli stava rispondendo. Non sai da cosa lo capisca. Forse dal tuo sguardo assente, o dal fatto che tu sia ancora in pigiama, nonostante evidentemente sveglio da un po’, magari unito al fatto che Sherlock risponde subito al telefono, di solito. O magari basta solo vedere quanto siete ancora accaldati, scompigliati, con le labbra arrossate. Siete abbastanza facili da classificare, in realtà, ora che ci pensi.
 
- Posso chiederle di mettersi un abbigliamento più appropriato, signor Watson, prima di procedere alla perquisizione della stanza di Trevon?
 
Sai bene che è una scusa per poter parlare in privato con suo fratello. Non lo biasimi. Anche se non pensi che sia prioritario indagare sulla natura del vostro rapporto, se effettivamente Victor Trevon è sparito dalla circolazione. Ma fai finta di non cogliere la vena apprensiva nella voce di Mycroft Holmes e ti defili con cortesia, con qualche parola formale di congedo, senza riuscire a non rivolgere un ultimo sguardo a Sherlock, sorridendo appena.
 
***
La stanza di Victor Trevon è un disordinato guazzabuglio di vestiti e oggetti sparsi ovunque. È un soqquadro quasi deliberato, tanto risponde allo stereotipo di camera in cui qualcuno ha frugato alla ricerca di qualcosa. Letto disfatto, vestiti e grucce per terra, la valigia aperta sul pavimento, i cassetti della scrivania svuotati del loro esiguo contenuto: un agenda evidentemente spaginata, libri lasciati mezzi aperti sul tavolo.
 
Tutto fa sembrare che l’inquilino della stanza non l’abbia lasciata di sua sponte, ma che qualcuno abbia buttato tutto per aria alla ricerca di qualcosa. Sherlock e Mycroft camminano in mezzo al caos che i pochi effetti personali di Trevon sono riusciti a creare, mentre tu rimani sulla soglia a interrogarti a riguardo, senza capire.
 
Pensavi sul serio che Sherlock e Mycroft fossero esagerati, immaginando scenari catastrofici in luogo di una dormita più lunga, o di una sistemazione provvisoria per la difficoltà di tornare in albergo. Eppure la faccenda pare molto più spinosa. Qualcuno lo ha evidentemente fatto sparire, perché se fosse fuggito da quelli che lo cercavano, per cosa poi resta un mistero, sicuramente non avrebbe lasciato i suoi effetti personali. Eppure… tu puoi dedurlo adesso, con che elementi Sherlock e Mycroft Holmes sono riusciti a saltare a queste conclusioni prima di vedere la stanza? Cosa sanno che tu non sai?
 
Sherlock ha dei segreti che è restio a rivelare, ma a cui ormai fa volontariamente o meno cenno, cercando di allontanarti. “Un passato complicato” o “un passato difficile”, aveva accennato a qualcosa del genere prima di baciarti. E tu gli avevi detto che non era un problema, che tutti hanno qualcosa che li addolora nel proprio passato. Ma… non può più lasciarti all’oscuro. Se vuole che tu possa continuare ad aiutarlo in questa folle impresa deve spiegarti cosa è successo, e cosa sta succedendo.
 
- Quello è un cellulare?
 
Sherlock e Mycroft si voltano fulmineamente verso di te. Ti limiti ad indicare il comodino di Victor Trevon su cui troneggia con noncuranza uno smartphone avvolto da un’improbabile cover rosa. Entrambi, presi dal cercare indizi indiretti, si erano evidentemente lasciati sfuggire l’evidenza.
Sherlock lo agguanta con fulminea incredulità.
- Ma cosa…?!
 
Sblocca lo schermo e sul telefono appare qualcosa.
È un dettaglio di un quadro di Sherlock.
E lo riconosci anche tu, sebbene dopo qualche inziale tentennamento: è “Lo studio in rosa”, il quadro che rappresenta il cadavere di una donna vestita di rosa riverso sul pavimento.
 
- Il Cavaliere Azzurro?
 
Sherlock guarda con attenzione il telefono, spogliandolo della cover di plastica.
È un vecchio modello, uno dei primi smartphone, in commercio da non prima di cinque anni fa. E Sherlock pare riconoscerlo. E trasalire. E guardare Mycroft con apprensione.
 
Detesti non capire. E non poterlo aiutare.
 
- Come ha fatto ad averlo?
 
- Non farti suggestionare, Sherlock, lo sta facendo apposta per farti suggestionare. Non può essere il suo.
 
- Lo riconosco. È quello. L’ha tenuto per tutto questo tempo.
 
- Allo scopo di annebbiare la tua razionalità, ancora una volta.
 
Il telefono squilla. Sherlock guarda lo schermo illuminarsi come se il chiarore venisse dall’oltretomba.
 
- Pronto?
 
***
Dall’altra parte del telefono c’era Victor Trevon, evidentemente costretto contro la sua volontà a recitare frasi scritte da qualcun altro. Al posto del quadro di Sherlock si cela inspiegabilmente un falso, e forse ritrovando l’originale potrete aspirare a salvargli la vita.
Mycroft è uscito dalla stanza e ha preso a parlare a telefono con ansiogena metodicità, Sherlock guarda un punto di fronte a sé articolando pensieri che non ti è dato scoprire.
 
Quello che sta accadendo è surreale. Il Cavaliere Azzurro che doveva essere un collezionista di quadri, pazzo ed incidentalmente un ladro, ma pur sempre una persona relativamente innocua, ha fatto rapire Victor Trevon.
Ricatta Sherlock in qualche modo che ti è oscuro, tirando fuori tombe, poesie in latino, cellulari fantasma, e lo fa crollare in uno stato di ansia sottocutanea palpabile. E di tutto questo, a parte l’ovvietà dei fatti, non sai nulla.
 
Il che, considerato quello che sta nascendo tra te e lui è abbastanza frustrante. Non hai fatto altro che fidarti da quando l’hai conosciuto e lui non ti ha mai dato gli elementi chiave per capirlo. E adesso, se quel tizio è davvero un potenziale assassino, pronto ad uccidere per qualcosa che tu non conosci, è arrivato il momento di scoprire la verità. Perché sei stufo di fargli da spalla senza poterlo sul serio sostenere. Perché la sua vaghezza inizia ad insospettirti.
 
Mycroft avrà praticamente mobilitato l’intelligence, Sherlock passa in rassegna febbrilmente un passato per te inaccessibile.
 
- Sherlock, adesso devi dirmelo. Chi è il Cavaliere Azzurro? Cosa c’entra con te?
 
Lui ti fissa per qualche istante, scuotendo il capo. - È più complicato di così.
 
- Sherlock, se vuoi che io rimanga, devi mettermi in condizione di capire quello che sta succedendo. Di chi è quel cellulare. E il perché di quella poesia in latino. E i tuoi incubi. E perché stiamo rischiando non so cosa. Ho bisogno di saperlo, Sherlock.
 
Lui guarda altrove, ha lo stesso sguardo che aveva al cimitero, davanti alla tomba di Verlaine, quando le gocce di pioggia gli cadevano addosso e lui non faceva niente per ripararsi.
- È una storia lunga.
 
Detesti dover insistere, ma senti di non poter fare altrimenti.
- Sherlock. Non puoi tenermi all’oscuro. Pretendo che tu mi spieghi.
 
Lui guarda verso la porta della stanza di Trevon, assicurandosi che sia chiusa, ti fa cenno di sederti dove vuoi, mentre lui si appoggia appena alla scrivania.
 
- Ti parlerò del Cavaliere Azzurro. Ma questa storia inizia con un’altra persona. Quando ero al college… Ti prego di non saltare a conclusioni affrettate quando avrò finito.
 
****
 
Sei una creatura solitaria. Non cerchi gli altri, ma li fuggi. Non ti capiscono, ti giudicano senza conoscerti. Pensano che quello che fai sia sciocco e fatto male. Che tu non abbia talento. Ti definiscono strambo, insopportabile, pazzo, e in realtà non sanno nulla di te. Di chi sei veramente.
Però non ti interessa di loro.
 
Ti sei convinto che non ti interessi. Ma è evidente che non è così. Non dipingi solo per te stesso. Speri che qualcuno possa capire il disagio che provi da quei quadri. Ma ce lo nascondi bene, perché non sia facile trovarlo. Per non armare le lingue che ti attaccano di nuovi argomenti. Loro non capiscono, a te sta bene. Fermo restando che speri, seppur del tutto inconsciamente, che un giorno qualcuno possa capire.
 
Te ne stai sdraiato sul letto in pigiama e vestaglia, a scarabocchiare su un taccuino, quando qualcuno bussa sonoramente con due dita sulla porta.
 
Lo ignoreresti, se non continuasse ad insistere.
Ti alzi di malagrazia dal letto, apri la porta e dietro ci trovi un ragazzo più o meno della tua età con una borsa porta computer a tracolla e la mano destra che si tira dietro un trolley piuttosto massiccio. Sembra entusiasta. - Sei Sherlock Holmes?
 
Lo guardi sconcertato, senza capire il senso della sua presenza alla tua porta. - Sì.
 
Lui sorride, lasciando la maniglia del trolley, e porgendoti la mano.
- Sono il tuo compagno di stanza.
 
Ignori quel suo gesto di istintiva cortesia. Dev’essere un equivoco.
- Pensavo che la mia stanza fosse solo mia, come tutti gli altri anni.
 
Lui ritrae la mano, abbastanza deluso dalla tua scarsa accoglienza. - Pare di no.
 
Lo fissi con noncuranza. Ma non basta a scacciarlo.
Così gli fai un cenno di entrare.
 
- Mi chiamo Carl Norton, comunque.
 
Chiudi la porta alle vostre spalle, lanciando un’occhiata eloquente al letto dall’altra parte della stanza che hai sempre usato come magazzino/immondezzaio delle cose inutili. Ti toccherà liberarlo, molto probabilmente.
 
- Vorrei dire che sia un piacere, ma non dimostrerei una grande coerenza.
 
Dietro questa inattesa comparsa di un coinquilino ci deve essere Mycroft, che deve aver smesso di pagare, per dispetto, non per mancanza di soldi, due posti invece che uno nell’alloggio del college. Allo scopo di costringerti a socializzare con qualcuno. Sforzo inutile.
 
- Ho sentito il tutor che mi ha assegnato questo alloggio fare scommesse con altri due ragazzi su quanto avrei resistito qui con te…
 
Gli rivolgi un’occhiata sdegnata. - Gentile da parte tua dirmelo.
 
Ma lui sembra non perdere smalto, sinceramente stupito. - Perché non dovrei resistere?
 
Ti volti totalmente verso di lui, le braccia conserte sul petto, come in un gesto di istintiva difesa.
- In molti pensano che sia una persona sgradevole.
 
Carl ti guarda con un’intensità sorprendete per essere un estraneo. - Perché?
 
Volevi mandarlo via appena è arrivato, ma sembra così sinceramente stupito delle dicerie su di te che qualcosa ti dice che potrebbe non essere come tutti gli altri. Ma potrebbe benissimo essere una falsa per farsi liberare il letto dalle tue cianfrusaglie e lasciargli il posto che gli spetta nella stanza. Il che tecnicamente è un suo diritto.
 
Comunque ti ha sfidato lui. Forse non l’avresti messo alle strette in maniera così incisiva se non te l’avesse implicitamente richiesto. Lo scruti per un paio di secondi. - Medicina o chimica?
 
Carl ritrae istintivamente il capo. - Come, scusa?
 
Vuoi scacciarlo o vuoi sorprenderlo? Diciamo che lui potrebbe darti meno fastidio di tanta altra gente sgradevole che conosci.
 
- Frequentavi medicina o chimica prima di trasferirti qui?
 
D’un tratto il piglio del ragazzo cambia radicalmente. Visibilmente stupito, vagamente sulla difensiva. - E tu che ne sai?
 
- Frequento questa università da due anni e non ti ho mai visto in giro, in più sembra che tu non conosca né me né la mia cattiva nomea. Ma sembra che tu abbia la mia stessa età. Quindi presumibilmente frequentavi un'altra università. Dal modo in cui sei vestito e dall’atteggiamento cortese che hai e in più dal fatto che tu sia capitato qui, deduco che la tua famiglia sia benestante. Tuo padre potrebbe essere avvocato, o lavorare in banca, o essere medico. Quindi ti avrà indirizzato su una facoltà che ti avrebbe permesso di seguire le sue orme. Ma ti chiami Norton, e c’è un Norton che è un famoso neurochirurgo. Quindi medicina. Ma potresti non aver passato i test, visto che verosimilmente non ti piaceva se adesso ti trovi qui, quindi potresti aver sprecato uno o due anni alla facoltà di chimica o di fisioterapia o roba del genere.
 
Carl continua a fissarti con irritata ammirazione. - Diamine, fai così con tutti?
 
Rispondi d’impulso, accennando un sorrisetto volutamente indisponente.
- Solo con chi mi sta antipatico.
 
Carl sposta una pila dei tuoi libri per terra e si siede sul bordo di quello che tecnicamente sarebbe il suo letto, lasciando sprofondare la sua stanchezza sul materasso. - Non mi conosci e ti sto già antipatico?
 
- Volevi sapere perché la gente mi trovasse insopportabile.
 
Nel suo sguardo un guizzo di sarcastico ottimismo. - Quindi non ti sto antipatico.
 
Ha un certo spirito e non se n’è andato sbattendosi subito la porta alle spalle. Ti ha quasi stupito con la sua serena indisponente disponibilità a sopportarti. - Non ancora.
 
Sorride con un certo titubante entusiasmo.
 
- Che facoltà era?
 
Lui alza appena le spalle, con una certa vincente noncuranza. - Medicina. Volevo solo scappare.
 
Nei suoi occhi si adombra una certa tristezza. E trovi crudele lasciarlo rosolare lì dentro, considerato che ce l’hai spinto tu. - Ti piace il violino?
 
Carl Norton alza gli occhi evidentemente sorpreso dalla domanda.
 
Ti senti in dovere di spiegare. - Suono il violino delle volte, mi aiuta a pensare.
 
- Non ho niente contro il violino. Se suonato bene.
 
Gli lasci correre l’ultima insolenza, ma decidi che dovrà liberarsi la sua parte di stanza da solo, se vorrà usufruirne. Così ti limiti a tacere e a sprofondare sul letto dove stavi spaparanzato prima.
 
Carl si volta verso di te, un’espressione a metà tra l’incredulo e il curioso. - Hai molti amici?
 
Classifichi la domanda come inutile, ti proponi di ritrattare le sue considerazioni sulla sua presunta intelligenza. - No.
 
Pare che non volesse essere impertinente, o almeno la sua impertinenza non era programmata per essere fine a se stessa. - C’è qualcuno a cui puoi presentarmi? Non conosco nessuno a parte te e il mio tutor.
 
Scuoti il capo senza enfasi. - Conosco solo gente che non mi piace.
 
Carl ti guarda con una certa sorpresa indulgenza. - Te ne stai sempre da solo?
 
Alzi le spalle, incurante. Stai benissimo da solo, non hai bisogno di nessuno, è bene che lo capisca subito e non inizi a commiserarti. - Per la maggior parte del tempo.
 
Sembra incuriosito da te. E che le sue domande siano senza malizia.- E che cosa fai? Studi sempre?
 
Snoccioli la tua routine come se ne fossi pienamente soddisfatto. - Me ne sto in biblioteca, seguo qualche corso nel dipartimento di chimica, dipingo. Ogni tanto studio.
 
Ma non può continuare a farti domande a raffica. Inverti il verso della conversazione.
- Perché hai lasciato medicina?
 
Carl contiene sapientemente uno sguardo piuttosto amareggiato. - Perché mio nonno è morto, mi ha lasciato dei soldi, ho mandato al diavolo mio padre e mi sono iscritto ad un corso di arte fotografica. Ma mi devo trovare un lavoro… Mi hanno detto che si può fare domanda per lavorare in mensa o in biblioteca.
 
Gli dici quello che sai e per oggi decidi di lasciarlo in pace. Sai che vuol dire perdere qualcuno a cui si tiene, non avere l’appoggio di chi rimane, e quel senso di irrequieto malessere che si prova.
 
***
Questo fine settimana c’è una mostra all’auditorium. Espongono tutti gli studenti del tuo corso, due quadri a testa. La cosa come linea di principio ti ha esaltato, ma sai che in pochi guarderanno davvero le tue tele, in mezzo alle centinaia di quadri che saranno esposti. E poi quello che dipingi ai tuoi docenti non piace, quindi le hanno messe in un posto tale da non risaltare particolarmente. 
 
Non hai voluto presenziare davanti all’entrata. Te ne stai seduto su una panchina solitaria, nel parco, mentre un timido raggio di sole cerca di infonderti speranza accarezzandoti i capelli.
Ogni tanto qualcuno passa nelle vicinanze e tendi a non farci caso, perché ormai sei diventato abbastanza bravo a ignorare le persone. Ma di solito la gente ti passa davanti senza fermarsi a parlare con te. Alzi gli occhi. E incroci quelli di Carl.
 
Ha uno sguardo benevolo, ma sceglie le parole con troppa attenzione.
- Ho visto i tuoi quadri, alla mostra…
 
Riconosci quell’atteggiamento. E sai che vuol dire. - E non ti sono piaciuti.
 
Carl dimostra ancora una certa sorpresa quando deduci qualcosa su di lui o sul resto del mondo. E questo un po’ ti lusinga, del resto la gente non è mai tanto paziente con te, ma leggi nei suoi occhi una certa delusione. 
 
- Come fai a saperlo?
 
Accenni un sorriso sprezzante con poca convinzione. - È abbastanza evidente, basta osservare l’espressione del tuo volto.
 
Carl ti lancia un’occhiataccia stranamente bonaria. - Allora posso anche andarmene.
 
Di solito tendi a capire molte cose sulle persone, ma questa volta c’è qualcosa che ti sfugge. Avevi capito che non gli piacessero i tuoi quadri, ma allora, vista la sua solita discreta gentilezza, perché venirtelo a dire? - In realtà non capisco perché me ne stai parlando.
 
Si siede accanto a te sulla panchina, facendoti dubitare del suo malanimo. Ha un’espressione corrucciata sul viso, ma allo stesso tempo non sembra intenzionato a demordere. 
 
- Perché sono strani. Non capisco cosa vogliano dire.
 
Di solito gli altri si perdono nell’apparenza, e non si preoccupano di fare domande. Finanche Anderson, uno dei tuoi ottusi insegnanti, non ti ha mai seriamente chiesto cosa si nascondesse dietro le tue tele. E se si spingono a formulare la domanda, si accontentano di una risposta come questa: - Dipingo così apposta.
 
Carl ti fissa con severa incredulità. - Non vuoi farti capire? Che senso ha?
 
Scuoti il capo, guardandolo negli occhi. Sai che si fa così per sembrare sicuri di quello che si dice, si mantiene il contatto visivo per sembrare sinceri. - Diciamo che… è il mio stile.
 
Ma lui non si fa convincere così facilmente. Il suo sorriso è rassicurante come sempre. Ti guarda senza giudicarti, con l’onesto desiderio di capire, e basta. - Di che cosa hai paura?
 
Insisti. - Di niente.
 
- Non si direbbe, dai tuoi quadri.
 
Hai capito che quando non si può essere sinceri bisogna dire qualcosa di verosimile, una menzogna credibile, una mezza verità. Mai assolutizzare. Eppure i suoi occhi penetranti e schietti ti hanno estorto quel “niente”, la più sfacciata delle ammissioni di colpa. Ma te la devi cavare, in un modo o nell’altro. Se la difesa non funziona bisogna attaccare, no? - E tu di cos’hai paura?
 
Carl accenna un sorriso, vagamente evasivo. - Del futuro. Di tante altre cose.
 
Non vuoi offenderlo o scacciarlo, vuoi solo riportarlo lontano dalla soglia della tua interiorità. E forse sei un po’ brusco, arrugginito come sei nell’usare metodi cortesi per deviare l’attenzione dalle cose di cui ti irrita parlare. - “Di tante altre cose” che non vai a dire in giro. Tu non le dici. Io non le dipingo chiaramente. È semplice.
 
Carl sembra comprendere quello che dici, e per qualche istante fa silenzio, come per metabolizzare che non ti va di parlare di questo argomento, per continuare a scansarlo in futuro. Ti starebbe bene se si comportasse così. Potrebbe essere tuo amico se accettasse di lasciarti i tuoi spazi. Se si accontentasse di intuire senza indagare. E invece Carl fa di peggio. Insiste. Affermando sfacciatamente, per giunta. - Dipingi così per nascondere quello che ti spaventa.
 
Scuoti il capo, con una certa amarezza. - È un’affermazione molto semplicistica.
 
- Ma tendenzialmente è vera.
 
Alzi gli occhi con irritazione. - Parliamo d’altro?
 
Carl annuisce, un lampo di pazzo entusiasmo negli occhi. - Solo se vieni con me in un posto.
 
***
Ti ha trascinato in biblioteca, domandandoti con una certa compiaciuta soddisfazione se conoscessi gli Impressionisti. Non si cura di parlare a bassa voce, l’edificio è deserto, la domenica mattina di per sé non c’è quasi nessuno, poi con la mostra appena inaugurata la dispersione è aumentata ancora di più.
 
Soffochi a malapena uno sbuffo di insofferenza. - Sì, li conosco. E non mi interessano.
 
Carl si volta a fissarti, mulinando un dito per aria, con energico spirito di contraddizione. - Molto grave. L’arte contemporanea nasce dall’arte moderna. E l’arte moderna sono gli Impressionisti. 
 
Non capisci tutto questo entusiasmo, adduci i tuoi soliti schemi razionali come una giustificazione che presumi sufficientemente valida. - Non posso interessarmi di quelli che hanno ispirato quelli che mi interessano.
 
Carl sembra quasi indignato. - Ma gli Impressionisti sono stati rivoluzionari anche per te. Se non avessero iniziato a dipingere di getto, in mezzo al niente, la vita vera, lontana dai soggetti stereotipati del mito, probabilmente non sarebbe nato l’Espressionismo, e poi tutte le avanguardie del ‘900.
 
Sbotti la prima cosa che ti viene in mente, sperando di fargli smettere questa inutile orazion picciola. Convincerti a spingerti oltre le colonne d’Ercole delle tue statiche convinzioni è di norma quasi impossibile. Glielo dimostrerai.
 
- Sono borghesi che si divertono.
 
L’occhiata che ti rivolge ha del melodrammatico, distogliendosi dalla ricerca dei libri che aveva intensione di mostrarti. - E le ninfe che fanno il bagno hanno forse maggiore dignità artistica? Che te ne fai delle ninfe che fanno il bagno? Sono decorative e non comunicano niente. Gli Impressionisti dipingono su tela la vita vera. La loro vita e quella di chi sta loro intorno. Con una sostanziale differenza rispetto al passato.
 
- Dipingono a macchie e punti. È evidente.
 
Non ti hanno mai interessato gli Impressionisti perché sono troppo limpidamente felici, oppure aspirano ad esserlo, in modo così candido e luminoso… Non si può invidiare gente morta e sepolta da secoli, ma i borghesi di Renoir sembrano al loro posto nel mondo, mentre si divertono al Moulin de la Galette. E forse semplicemente non li senti affini e per questo non ti interessano.
 
Carl non si lascia scoraggiare dal tuo spirito di contraddizione. E centra perfettamente il punto.
- Ma ti sei mai chiesto perché lo fanno?
 
Lo guardi come se avesse appena detto una stronzata. Per poi renderti drammaticamente conto del fatto che fosse una domanda che non ti eri mai posto. Alzi le spalle, arrancando una risposta qualsiasi. - Perché gli andava.
 
Lui si rivolge a te con appassionata convinzione in quello che sta dicendo.
- Perché dipingevano il filtro della loro personale visione del mondo. Troviamo l’interesse per il singolo e il suo distinto punto di vista. Se un pittore non usa mai il nero forse vuol dire che non pensa mai alla morte o che non ne ha paura, o che vuole semplicemente sperimentare, o scandalizzare gli altri dipingendo le ombre viola.
 
Incroci le braccia sul petto, involontariamente sulla difensiva. - Le ombre non sono viola.
 
Carl sorride con un che di benevolo. - Ma con una particolare luce ti può sembrare che sia così. E se sei triste, non serve la particolare luce. Tutto ti sembra triste e soffuso. E le ombra sono viola. Perché in quel momento esprimono il tuo stato d’animo.
 
E capisci che questa battaglia non puoi vincerla. Non potresti mai fargli cambiare idea. Crede agli Impressionisti, alla loro arte, alle sensazioni che trasmettono, al messaggio che veicolano. Crede in loro. Forse perché nessuno lo fece quando sui giornali li deridevano chiamandoli “impressionisti”, prima che facessero di quell’etichetta un vessillo e un vanto. Perché il tempo ha dato loro ragione. E anche Carl cerca disperatamente che venga riconosciuta la validità delle sue scelte. Che qualcuno gli dica che è stato bravo. Fai finta di non capirlo.
 
- Perché vuoi convincermi sugli Impressionisti?
 
Lui ti guarda con rapito entusiasmo, sorridendo appena, come se non potesse farne a meno.
 
- Perché sono i miei pittori preferiti. Erano degli spiantati visionari ribelli.
 
- Penso di preferire Van Gogh. Almeno era uno spiantato visionario ribelle infelice.
 
Carl ti dà una pacca sulla spalla e sei sicuro che passerà il resto del pomeriggio a mostrarti foto di dipinti e a rallegrarsi in cuor suo se non di averti convinto, almeno di averti zittito. E non succede mai, ma oggi sei contento di averglielo permesso. Perché d’ora in poi saprai disegnare una sfumatura in più dell’anima di Carl. Sai che i suoi sogni sono fumosi come gli sbuffi delle locomotive della Gare Saint Lazare, che i suoi occhi hanno la luce dell’alba sulle cattedrali di Rouen.
 
***
Seminario di disegno dal vero. Odi il disegno dal vero. Odi doverti confrontare e conformare alla banale realtà delle cose.
 
 
Carl sta in piedi vicino alla porta, fissando l’aula pensieroso.
 
- Che ci fai qui?
 
- Mi pagano per stare fermo.
 
Scuoti appena il capo. È assurdo. Ma avresti dovuto capirlo. Qualche giorno fa gli avevi accidentalmente detto che i modelli vengono pagati per posare. E sai che lui ha bisogno di soldi per mantenersi. Non lo biasimi per questo. Ma almeno avrebbe potuto dirtelo.
 
Sospiri impercettibilmente, mentre lo vedi raggiungere la pedana al centro della stanza.
 
Il professore lo introduce sommariamente alla classe e lo ringrazia della sua presenza, prima di invitarlo ad accomodarsi su un’asettica poltroncina bianca e iniziare a ribadire le regole da seguire per il ritratto dal vero.
 
Tu non ascolti. Ringrazi il cielo di non doverlo ritrarre nudo, perché quest’inattesa intimità avrebbe sicuramente portato un certo imbarazzo ad aleggiare tra te e lui per tutto il resto dell’anno scolastico.
 
Tiri fuori il blocco dei fogli da disegno e le matite dalle diverse consistenze.
Carl se ne sta immobile, guarda un punto indistinto sul pavimento, le braccia conserte.
Finché non alza gli occhi. Ci sono quaranta persone in sala, distribuite nelle postazioni in modo che, ognuno da un’angolazione differente, riesca a vedere perfettamente il modello, ma Carl guarda te. È palese, ti indirizza anche un cenno del capo per conferma.
Sembra che ti dovrai rassegnare ad avere i suoi occhi addosso per tutto il tempo.
 
Solitamente osservi ma non guardi.
Cerchi nelle persone solo le informazioni che ti sono più utili, che soddisfano la tua curiosità, o con cui puoi ricattarle - e questo succede spesso con i professori - ma non le guardi mai.
Capelli biondi, scuri, rossi, non ti interessano. Tranne se non ci sono capelli di colori completamente diversi sul cappotto o sul maglione di qualcuno, segno che o la persona in questione si è fatta prestare quel dato capo d’abbigliamento, oppure, più semplicemente, ha una relazione con quell’altra persona. Magari all’insaputa di una terza persona ignara. Ti diverti a dedurre la vita privata della gente.
Sarà che non ne hai una. E devi pur far qualcosa del tuo tempo.
 
Così non hai mai badato all’aspetto di Carl Norton. Fino ad oggi.
Riscuote un discreto successo con le ragazze, e anzi, Sally Donovan sembra avergli messo seriamente gli occhi addosso, ma lui, per quanto sorrida e parli con la gente molto più di quanto non faccia tu, non sembra interessato alla Donovan o più in generale ad una relazione. Anche perché tra lezioni, studio e lavoretti occasionali, non è che abbia poi molto tempo libero.
 
Se ne sta seduto sulla poltroncina bianca. Le gambe leggermente divaricate, le mani in grembo, il capo leggermente inclinato a sinistra. Indossa un paio di jeans, una camicia bianca. Un abbigliamento semplice, che non deve distogliere l’attenzione di chi lo deve ritrarre.
È un bel ragazzo Carl Norton.
Con i suoi occhi scuri, macchiati d’infinito. C’è una luce in quegli occhi.
È la luce di chi crede in quello che fa, anche se è difficile.
 
C’è la stessa luce nei tuoi occhi?
Non sapresti dire con esattezza, ma supponi di no. Sei troppo arrabbiato contro il mondo, perché la luce che ti brilla negli occhi possa essere così puramente disinteressata. La luce dei tuoi occhi è il guizzo di intelligenza che usi gratuitamente contro il prossimo, per non lasciarti ferire ancora.
Sei abbastanza infelice, in fondo.
E te ne sei accorto quando nella tua vita è entrato Carl.
Che ha una situazione volendo molto più sgangherata della tua. Ma non perde l’entusiasmo. È sincero, disincantato, ma ci crede lo stesso. Sembra un ossimoro…
 
Un bell’ossimoro.
Dai capelli scuri. Ma non di nera pece. Piuttosto di un singolare marrone, tra il colore delle castagne bruciate e quello delle mandorle amare. Li porta corti, ma non da militare. Una volta ha detto di volersi lasciar crescere i capelli, fortunatamente non l’ha fatto. Non ti ci saresti abituato subito. Non passi le tue giornate a fissargli i capelli, ovviamente. Ma insomma, un particolare del genere ti avrebbe… beh… te ne saresti accorto.
 
Carl sorride, come se potesse vedere i pensieri che si ingarbugliano nel tuo cervello iperattivo.
Sorride, come sa fare lui, un sorriso appena accennato.
 
Ti guarda e sorride. E ti senti uno sciocco.
Abbassi il capo sul foglio, continuando a tracciare il contorno delle sue membra atletiche, sperando, rialzando lo sguardo, che i suoi occhi non continuino a cercare i tuoi.
Ma in fondo perché dovrebbe imbarazzarti questo scambio di sguardi?
 
***
 
Carl scherza con ridente convinzione. - Che dici, posso contare su una carriera da modello se non riesco a sfondare come fotografo?
 
L’hai fissato per tutto il tempo, sforzandoti di distogliere ogni tanto lo sguardo, scoprendo quasi imbarazzato di dispiacertene.
 
- Non saprei…
 
Le sopracciglia di Carl diventano come due archi ad ogiva, sulla facciata di una cattedrale gotica.
 
- Come non sapresti? Sono rimasto fermo per due ore e mezza Sherlock! Due ore e mezza!
 
Tu scuoti appena il capo, divertito. - Hai cambiato posizione tre volte.
 
Carl si volta fulmineo verso di te. - Tre volte?
 
- All’inizio avevi la testa reclinata a sinistra, le gambe un po’ divaricate, le mani in grembo. Poi ti sei appoggiato completamente alla poltrona, la testa sulla stoffa, come per sprofondarci dentro. Stavi per accavallare le gambe, ma non l’hai fatto solo perché Banks ti ha fatto tacitamente segno di no. E alla fine sei tornato alla posizione di partenza, se non fosse che hai inclinato la testa a destra e non a sinistra.
 
Carl ti fissa con tacita sorpresa. - Sherlock, hai fatto caso a tutti questi particolari?
 
- Dovevo ritrarti, e tu non accennavi a startene immobile come avresti dovuto.
 
Ma è un osservatore troppo fine per farsi ingannare. -Ma se hai messo giù le matite dopo mezz’ora!
 
Ti arrendi ad un sorriso. - Dovevo comunque restare lì per supportarti.
 
Carl calca con entusiasmo la dose, stupito. - Quindi ti sei preoccupato per me?
 
- Andiamo, hai guardato me per tutto il tempo, era ovvio che non avresti potuto guardare nessun altro e rimanere serio.
 
Forse non si aspettava un capovolgimento così repentino dei rapporti di forza.
 
- Sono una persona così scontata?
 
Lo guardi negli occhi per una singola frazione di secondo. - Non sei scontato.
 
A lui questa concessione pare bastare. Cambiate argomento, mentre vi allontanate dalla stanza, ma non puoi evitare di guardarlo per una frazione di secondo, senza prestare attenzione a quello che dice, e pensare che probabilmente sia la persona meno scontata che tu abbia mai incontrato…
 
***
 
È il tuo compleanno. Non lo sa nessuno. Mycroft ti ha regalato un set da scrittoio come tutti gli anni. E a te non interessa. O meglio, ti piacerebbe essere sincero e non soltanto credibile, quando fingi con te stesso che non ti interessi. Così te ne stai in camera, seduto sul pavimento freddo, da solo, a fianco a te sta inerte e abbandonato a se stesso l’unico regalo che hai ricevuto.
 
 I tuoi sono morti in un incidente. Ti è rimasto solo tuo fratello, il cui modo di dimostrare l’affetto è abbastanza deprimente. E poi la gente ti domanda perché dipingi cose contorte. Che cosa tu voglia nasconderci. È che cascano tutti dalle nuvole, si accontentano della tua ostentata noncuranza, e credono che tu sia un pazzo che dipinge cose senza senso. Come puoi pensare che sia un bene voler bene a qualcuno se le persone a cui tenevi di più sono morte? Così ti sei rinchiuso in un abbraccio di indifferenza e te ne stai da solo con te stesso, a nascondere il tuo malessere nei tuoi quadri.
 
Carl entra nella camera con lo stanco entusiasmo di chi finalmente può buttarsi sul letto e riposarsi dopo una giornata sfiancante. Ma i suoi propositi sono stoppati dalla tua espressione sconsolata e sorpresa insieme, nel vederlo comparire proprio nel momento in cui le tue debolezze sempre sopite sono così evidenti. Si chiude la porta alle spalle, si avvicina.
 
 - Cosa ci fai con quel set da scrittoio?
 
Fai un breve calcolo mentale. Servirebbe mentire? - È un regalo. Oggi è il mio compleanno.
 
Sul volto di Carl come un senso di spaesato tradimento. È come se si sentisse in colpa per non averlo scoperto. - Auguri allora! Ma non me l’avevi detto.
 
 
Lo rassicuri con uno timido sorriso. - Non lo sa nessuno. Il regalo me l’ha mandato mio fratello.
 
Si siede a fianco a te e rigira tra le mani il set da scrittoio ancora incartato dalla pellicola di plastica, un po’ stupito dalla noncuranza con cui hai trattato l’oggetto. - Non ti piace?
 
Sospiri lievemente, nel riportare alla memoria tale archeologia emotiva. - Me ne regala uno ogni anno da cinque anni. E il bello è che non mi è piaciuto mai neanche il primo.
 
Carl ti guarda con una certa sottesa dolcezza. - Ma come? Se dovessi scegliere per me un oggetto del genere, lo comprerei proprio così… - rigira la confezione tra le mani, come per osservarla meglio al fine di descriverla con verosimiglianza. - Ha una forma… aereodinamica, non trovi?
 
Non nascondi un certo divertito disappunto.
 
Lui si tira su dal pavimento portandosi dietro il set da scrittoio. Si volta a porgerti la mano per aiutarti ad alzarti a tua volta. - Vieni con me.
 
Lo guardi con una certa incredula felicità. Gli stringi la mano e ti lasci aiutare, ma lasci la sua presa appena in piedi, con un certo velato imbarazzo.
 
***
 
Ti svegli di colpo da un sonno pastoso e denso come colla liquida.
Hai dormito troppo poco.
 
Ieri sera Carl ti ha portato sul tetto dell’edificio, ha spiegato serissimo le sue ragioni e poi ridendo, ad un tuo cenno affermativo, ha lanciato il set da scrittorio giù dall’edificio. “Perché è proprio fatto per volare, con quella forma aerodinamica, no?” E poi “non temere, Sherlock, ne riceverai un altro l’anno prossimo!” Hai riso come non facevi da tempo immemore.
 
Hai passato tutta la notte sul tetto a parlare con Carl, sdraiati a guardare il cielo, di un blu infinitamente blu. Denso e sfumato dal chiarore di solitarie nuvolette che sembravano disegnate sulla volta celeste con un carboncino bianco. La luna brillava, sorridendo della sua incompletezza, senza mortificarsi. E anche tu hai sorriso e ti sei sentito vivo, abbandonato su quel pavimento neanche tanto freddo, le braccia sotto la testa, in un cuscino scomodo.
 
Voltandoti verso Carl vedevi appena il suo profilo, ma la sua voce la sentivi forte e chiara, dolce e sicura. E non hai pensato al tempo che correva, inesorabile, verso l’alba. E per una volta, da quando hai compiuto dieci anni, non ti sei sentito solo nel giorno del tuo compleanno.
 
 
Ti alzi dal letto, intontito.
Queste nottate non fanno per te. Devi dormire più di tre ore per poter articolare un ragionamento coerente. Ed è per questo, in una sorta di annebbiamento deduttivo, che non ti accorgi del pacchetto incartato malamente, ai piedi del letto, che mentre ti alzi dal materasso, piomba a terra con un tonfo sordo.
 
Ti volti a vedere di che si tratta. Sembra un regalo. E non può essere che di Carl.
Ti guardi rapidamente intorno, ma nella stanza non c’è nessuno a parte te.
Sospiri piano. Non volevi che si sentisse costretto a farti un regalo. Per questo non gliel’avevi detto. E poi non trovi niente da festeggiare in un compleanno.
 
Lo stato del pacchetto ti fa capire che molto probabilmente l’ha incartato lui, anche perché non sapresti quale negozio potrebbe incartare un regalo con un foglio di giornale. Il nastro azzurro sembra riciclato da qualche altro regalo, perché è un po’ sgualcito. Ma non molto, probabilmente un altro non se ne sarebbe accorto.
 
Incastrato sul pacchetto, tenuto fermo dal nastro di stoffa, un foglio di carta ripiegato un paio di volte. Lo apri titubante.
 
“Scusami, l’ho incartato con quello che ho trovato prima di andare al turno di colazione in mensa.
Anche se in ritardo, buon compleanno, Sherlock.”
 
Metti da parte il biglietto e scarti il regalo. Presumibilmente si tratta di un libro.
 
Una copertina beige, neutra, su cui sta scritto con caratteri eleganti:
 
“Le più belle poesie di Paul Verlaine.”
 
Apri il libro. La pagina bianca imbrattata dalla scrittura fitta e scarna di Carl.
 
“Non puoi dire di non amare la poesia, se non hai mai letto i grandi poeti.
Uno dei miei libri preferiti, per cercare di farti cambiare idea.
Con stima… affetto… o qualsiasi altra cosa si dica in questi casi,
C.”
 
Rileggi la dedica un paio di volte, basito.
Sfogli velocemente il libro. È in buone condizioni, ma è visibilmente appartenuto a qualcuno. È suo. Ti ha regalato uno dei suoi libri. Uno dei suoi preferiti.
Con stima. Affetto. O qualsiasi altra cosa si dica in questi casi.
Le guance ti si tingono incautamente d’imbarazzo. E sei felice di essere solo nella stanza.
 
***
 
Solitamente non fai colazione. Ti basta una tazza di the a metà mattina, che ti consente di saltare anche il pranzo. Così vai in mensa solo a cena, e presto, quando non c’è quasi nessuno. Anche perché sederti in un tavolo vuoto o in mezzo a gente con cui non parli non è l’esperienza più esaltante a cui aspiri durante la giornata.
Ma oggi farai un’eccezione.
 
Ti sei lavato e vestito di fretta, e sei letteralmente corso nella sala della mensa, dove Carl potrebbe finire il turno da un momento all’altro.
 
Invece quando entri nella sala, lui è ancora lì, a servire porridge o bacon e uova strapazzate dietro al bancone. Arrivi e ti metti in fila dietro altri tre studenti ritardatari.
 
Carl sorride in modo manifestamente evidente, quando arriva il tuo turno.
 - Non mi aspettavo di vederti qui.
 
Accenni vagamente con il capo allo stanzone mezzo vuoto dietro di te.
- Non mi aspettavo di venire qui. Se può consolarti.
 
Carl spia oltre le tue spalle, prima di rivolgersi di nuovo a te:
- Stacco tra un quarto d’ora… possiamo parlare dopo?
 
- Certo.
 
Ti porge un piatto di uova e bacon, nonostante il tuo sguardo contrariato. Intuisci dall’angolazione delle sue sopracciglia, che tu debba accettare il piatto e andarti a sedere, lasciando spazio alla ragazza dietro di te. Sotto la supervisione di qualcuno del personale, immagini.
Prendi il piatto e le posate, e fai un cenno affermativo del capo.
 
- Ci vediamo dopo.
 
Rivolgi un saluto formale all’insopportabile Mr. Anderson e appoggi il piatto su un tavolo vuoto in fondo alla stanza. Ormai non c’è quasi più nessuno, le sedie sono per la maggior parte vuote, i tavoli iniziano ad essere sgombrati dagli addetti al servizio di questa mattina.
 
Non hai fame, ovviamente.
 
Passi cinque minuti a rigirare l’uovo nel piatto, riducendolo ad un’orribile poltiglia. Mangi un pezzo di bacon. Ne sminuzzi gli altri pezzi, e inizi a disporre tutto come se fosse una composizione astratta.
 
Poi ti decidi ad abbandonare il capolavoro sul tavolo ed esci dalla stanza, facendo un cenno a Carl che lo aspetti fuori.
 
Lui ti raggiunge dopo pochi minuti, stropicciandosi gli occhi con una mano, visibilmente stanco.
Vi incamminate in silenzio verso l’uscita dalla mensa, finché lui prende con naturalezza a parlare, come se continuasse una conversazione già iniziata.
 
- La prossima volta che mi metto a sproloquiare su quanto siano belle le stelle di notte, fermami. Stamattina non riuscivo ad alzarmi dal letto. Per quanto ci ho messo a spegnere la sveglia, sono stupito che non ti sia svegliato anche tu.
 
Hai rigirato la frase mille volte nei tuoi pensieri mentre lo aspettavi. Butti fuori una qualsiasi delle formulazioni, forse un po’ troppo bruscamente. - Non dovevi sentirti obbligato a regalarmi niente.
 
Carl sorride con una certa stupita tenerezza. - Non mi sono sentito obbligato. Altrimenti non ti avrei regalato la mia copia di Verlaine.
 
- Perché l’hai fatto?
 
Carl ti fissa con un’espressione da vecchio santone indù. - Non puoi diventare un pittore se non leggi poesie. Non riusciresti a cogliere la bellezza delle cose.
 
Non sai come interpretare quello che ha appena detto. E questo ti fa paura. Tutto quello che non riesci a capire, ad analizzare razionalmente, ti spaventa. Il tuo unico modo di incanalare l’irrazionalità è dipingere, e anche lì c’è una componente analiticamente teorico-astratta dietro.
Ti sforzi di non far tremare le parole.
 
- Tu pensi che io non sappia riconoscere la bellezza quando la vedo?
 
Carl ti guarda intensamente, rallentando impercettibilmente il passo, per poi accelerarlo nuovamente. - Non devi prendermi sul serio, sono quelle frasi che si dicono per darsi un tono.
 
Non dovrebbe essere così, però riesce a metterti in imbarazzo. Sa portati lontano dalla tua zona di confort continuando a tenerti per mano, senza andarsene mai via. Eppure non sai sempre sostenere il suo sguardo. Sussurri qualcosa di vagamente sconnesso con il resto della conversazione.
 
- Io… dovrei andare a lezione.
 
Carl annuisce, una potenziale delusione che già si affaccia sul suo viso.
- Non mi hai detto se ti è piaciuto il mio libro.
 
Anche lui è fragile, avrebbe bisogno di molte più conferme di quante tu non riesca a dargliene. Ti limiti a sorridere appena e a riferiti alla notte precedente. Ma sai che lui capirà. Per te anche solo ammettere che fosse il tuo compleanno e lasciarti tenere compagnia era qualcosa di immensamente complicato. Fino a ieri. - Non è certo un set da scrittoio.
 
Così sorride rassegnato, anche se i suoi occhi dicono fermamente che ha compreso, che non ha bisogno di ulteriori spiegazioni. Ti fa un cenno col capo ed fa per andarsene.
 
Ma al diavolo tutto, non puoi lasciarlo andare via così. Intercetti di nuovo la sua attenzione. Le guance arrosate d’imbarazzo. - Comunque grazie.
 
Si volta appena, giusto il tempo di guardarti negli occhi. Di sorridere, un’altra dannata volta.
- Di niente.
 
***
 
Carl entra in stanza trascinandosi dietro tutta la stanchezza di una giornata pesante. È passato del tempo da quando ti ha regalato il libro di poesie. Siete amici, adesso. O qualsiasi cosa si dica in questi casi.
 
- È proprio necessario suonare a quest’ora? Il ragazzo della stanza affianco alla nostra che mi ha visto arrivare mi ha scongiurato di farti smettere.  
 
Non gli rispondi, immerso come sei nelle note che danzano intorno all’archetto del tuo violino.
 
- Sherlock?
 
Continui a suonare, noncurante.
 
Carl smette di lamentarsi, scuotendo appena il capo e sedendosi sul suo letto, evidentemente stanco. Solitamente si toglie le scarpe e si sdraia, infischiandosene di quello che stai facendo, se ti trova in camera. Ma questa volta ti osserva, senza sbadigliare, senza distogliere lo sguardo. Non è la prima volta che ti sente suonare, ma di solito ti limiti ai suoni sconnessi che improvvisi per accompagnare riflessioni e intuizioni artistiche, mentre la mente dipinge affannosamente schizzi nella tua testa.
 
Forse è la prima volta che ti sente suonare qualcosa di compiuto.
Ha le orecchie tese, e gli occhi che saggiano i movimenti delle tue dita, l’incavo del collo con cui fermi il violino, la tua figura slanciata e sicura, avvolta da un’aria di imperturbabile sacralità.
Termini il pezzo, gli occhi chiusi, perso nelle sensazioni che solo la musica e l’arte riescono a darti.
 
Apri gli occhi dopo qualche istante, mentre allontani il violino dalla spalla.
 
Carl sembra piacevolmente stupito. - Che cos’era?
 
Alzi gli occhi, abbastanza soddisfatto della sua curiosità.
- Concerto d'Aranjuez nella trasposizione per violino.
 
- Lo suoni ancora?
 
Volevi che te lo chiedesse, ma non osavi sperarlo. Il suo sguardo ammirato ti ha riempito di tremante orgoglio. Non è un grande estimatore del modo in cui dipingi, anche se ti incoraggia a farlo, ma hai visto l’incredulo stupore con cui ti ha guardato, e senti di averne bisogno ancora.
Razionalmente ti costringi a mostrarti esitante. Scherzi, sapendo bene che non costituirà un ostacolo:- E il vicino? Come la mettiamo?
 
- Quando mai c’è importato del vicino?
 
Scuoti appena il capo. E continui a suonare per Carl.
 
Alzi gli occhi su di lui, vedi il suo sorriso sciogliersi presto in una silenziosa partecipazione.
E la sua anima sensibile seguire gli svolazzi e le pause della tua musica.
 
Quando ti accorgi di star prendendo male una nota per poter guardare l’espressione rapita di Carl, smetti di fissarlo. E chiudi nuovamente gli occhi. Ma continui a sentire il suo sguardo addosso. Tacito e sognante. Scuoti appena il capo. Hai sicuramente solo immaginato tutto. È Joaquin Rodrigo che ti fa confondere realtà e fantasia…
 
***
Presto dovrai presentare la tesi ed andartene, con il grande sollievo di metà del corpo docente.
Questo è il tuo terzo anno, e preparando gli ultimi esami ti rendi conto di quanto poco manchi alla laurea. I sette mesi trascorsi con Carl hanno soppiantato i due ombrosi e lunghissimi anni precedenti. Come sarà la tua vita senza di lui? Inizi a chiedertelo e a chiederglielo.  
 
Carl scuote piano il capo, fissandoti con una certa malinconia.
- Stare qui senza di te non sarà più lo stesso.
 
Dall’altra parte del tavolo, rigiri il cucchiaio nella tazza ormai vuota di the.
- Posso non presentare la tesi o farmi bocciare agli ultimi esami, se vuoi.
 
Lui alza lo sguardo dalla tua tintinnante occupazione, lo sguardo scuro ma vagamente divertito.
- Lo sai che non acconsentirei mai ad una cosa del genere.
 
Non sai come ti sia venuta in testa un’idea tanto balorda, ma per un attimo credi davvero a quello che dici:- So che neanche mio fratello acconsentirebbe mai, quindi…
 
Carl ti fissa con adorante terrore. - Perché? Tu faresti una cosa tanto folle per me?
 
Sei preso alla sprovvista dalla sua mano che ti fa smettere di  tormentare la porcellana della tazza. Abbandoni il cucchiaino, ed esisti a scansare la tua mano dalla sua. - Non farei una cosa tanto folle. Ma potrei essere in dubbio solo se si trattasse di te. Mi sembra abbastanza scontato.
 
Carl ti rivolge uno sguardo aggrottato. - Non è una cosa scontata…
 
Sorridi sarcasticamente. - Con quante altre persone mi hai visto socializzare qui dentro?
 
- Che c’entra?
 
Lo guardi. E fissi i suoi occhi scuri per un secondo di troppo. - Io non ho amici. Ho solo te.
 
- Sherlock…
 
Carl si alza di scatto dalla sedia e ti invita tacitamente a fare lo stesso. Si avvicina pericolosamente a te, colmando d’un passo lo spazio che vi separava. Ma il tuo corpo non accenna a spostarsi, il tuo cervello sembra una centrale di controllo impazzita.
 
E d’un tratto ti trovi le sue mani a cingerti le spalle in un abbraccio.
- Sei così tenero quando non te ne accorgi. - ti sussurra in un orecchio.
 
Tu resti per una frazione di secondo impietrito, poi le tue mani si poggiano timidamente sulle sue spalle. Carl non commenta, e non avverti neanche un risolino per la tua goffa dimostrazione d’affetto. Si limita a stringerti a sé per qualche altro secondo. Poi lascia la presa, sorridendo.
Devi essere vagamente rosso in faccia.
 
- Nessuno ti ha mai abbracciato, Sherlock?
 
Pensi che il cuore possa andarti a fuoco, mentre il cervello cerca di spegnere razionalmente l’incendio. Ma anche lì c’è troppo fumo. E i tuoi neuroni, presi di sorpresa, hanno bisogno di più tempo per elaborare una soluzione. Ti lasci scappare la verità. - Nessuno mi abbraccia da quando avevo nove anni.
 
- Tutte le volte che hai bisogno di un abbraccio chiamami e io verrò da te ad abbracciarti.
 
Accenni un sorriso imbarazzato, davanti all’ingenua sicurezza nella voce di Carl. E per quanto il cuore ti consigli di restare, il cervello intima di dileguarti, chiamando la ritirata come se fosse questione di vita o di morte.
 
- Vado in biblioteca. Mi serve del materiale per la tesi.
 
Non gli dai il tempo di dire niente, ed esci dalla stanza, col passo più calmo che riesci. Ma appena ti chiudi la porta alle spalle corri via, verso il giardino.
 
*
 
Accendi una sigaretta. Aspiri lentamente il fumo.
E lo ricacci fuori, allontanando la sigaretta dalle labbra.
Ti senti uno sciocco.
 
Non hai aspettato altro che andartene dall’ambiente opprimente dell’università. Via dalle critiche di Anderson. Dagli sguardi della gente che non ti capisce perché troppo ottusa per guardare al di là del proprio naso. Via da chi ti ha sempre preso in giro. O additato come quello strambo che fa scarabocchi e suona il violino di notte.
Non vedevi l’ora di poter essere davvero padrone di te stesso. E andartene. 
Ed era così, finché non è piombato nella tua vita Carl Norton.
 
***
 
Carl apre la porta accostata. Alzi lo sguardo, lo vedi accaldato, il petto che si alza e abbassa a ripagarlo della corsa appena fatta per raggiungerti. - Pensavi di andartene senza salutarmi?
 
Scuoti appena il capo. - Sapevo che te ne saresti accorto.
 
Carl si siede accanto a te. Non si è mai seduto sul tuo letto, neanche per sbaglio. E adesso ci si è seduto, sprofondandoci senza neanche pensarci. Del resto, ormai non potresti fraintendere. Te ne stai andando. E se non è successo niente finora, non è adesso che le cose devono o possono cambiare. Carl riprende fiato, e butta fuori la sua protesta, ignorando le tue inutili elucubrazioni.
 
- Devi smetterla di sottopormi a questi test. Arriverà il giorno in cui non riuscirò più a passarli.
 
Non abbassi lo sguardo. Sarebbe una prova troppo grande di debolezza. Così ti trovi a guardarlo negli occhi e a non riuscire a mentire. - Non hai bisogno di passare nessun test. Sei il mio unico amico.
 
Carl prova a sorriderti, ma è un sorriso troppo amaro per infonderti il suo abituale ottimismo.
- Sarà triste stare qui senza di te, Sherlock.
 
E per una volta sarai tu a dirgli qualcosa di rassicurante. Per una volta non sei tu quello che deve essere consolato, sei quello che consola. Ma è un ruolo che non ti si addice. - Ti scriverò.
 
- Non sarà lo stesso.
 
Siete abbastanza vicini da permetterti di percepire il leggero sbuffo di fiato quando respira ed espira l’aria che la corsa affannosa di prima gli ha fatto inghiottire tutta insieme.
 
- Ammetterlo non serve a molto.
 
- Lo so… Ma…
 
Siete troppo vicini. E non puoi permetterti di pensare alle sue labbra, appena dischiuse per respirare meglio. Devi smettere di fare caso al suo sguardo affranto, a tutta l’affannosa malinconia che manifesta per te. Non puoi permetterti di farlo adesso.
 
Ti alzi di colpo dal letto, le molle che saltano scricchiolando nel materasso.
Prendi la custodia del violino lasciata sulla scrivania e ti trascini dietro il trolley scuro.
 
- Devo proprio andare, Carl.
 
Lui è di nuovo al tuo fianco. Stavolta in piedi, ad una distanza meno imbarazzante, e con un’espressione più serena che ti fa pensare per un attimo di aver frainteso tutto.
 
- Non ti piacciono gli addii, lo so. Ma il nostro non è un addio, me lo prometti?
 
Hai annuito. Sperando sinceramente e disperatamente che non si sbagliasse.
Prima di scappare via.
 
***
 
Mycroft non ti è venuto a prendere. Si è limitato a mandarti la macchina, con il suo autista, perché ti riportasse a casa. È sempre stato troppo impegnato per stare con te. E ormai è troppo tardi per colmare le falle del vostro rapporto sbilanciato.
 
Ti aspetta seduto sulla poltrona del salotto, davanti ad una marea di giornali sia inglesi che stranieri. Non sei ancora in grado di nascondergli tutto, purtroppo. Capisce anche quello che non dici, e con una facilità che non può fare a meno di irritarti.
 
Gli basta alzare gli occhi dal Times. - Perché sei triste, Sherlock?
 
Resti in piedi. Le dita che stritolano la maniglia della custodia del violino. - Non penso che ci sia bisogno davvero di parlare. L’hai sicuramente già dedotto.
 
Mycroft ti guarda serafico. - Non è così che funziona di solito.
 
- È sempre funzionato così tra noi. E poi so già quello che pensi. Tenerci non è un vantaggio, vero?
 
***
 
Sherlock, come va? C
 
Insomma. SH
 
Il mio nuovo coinquilino non suona il violino. C
 
E quindi? SH
 
Quindi mi manca sentirti suonare. C
 
Com’è lui? SH
 
Noioso. C
 
Forse terrò una mostra a Londra. SH
 
Quando? Voglio esserci. C
 
Il mese prossimo. Pare che le conoscenze di Mycroft servano a qualcosa. SH
 
Ma tu sei bravo. Te lo meriti. C
 
***
- Sherlock!
 
Quando lo vedi sbracciarsi in mezzo alla folla sorridi e ti senti un idiota, ma non puoi fare a meno di andargli incontro, impacciato come solo tu sai essere. Con lui.
 
- Non pensavo che saresti venuto.
 
Carl rompe ogni indugio, ti abbraccia appena sei abbastanza vicino, sorridendo con una certa tenerezza, mentre istintivamente anche tu lo abbracci, stringendolo e lasciandoti stringere, pensando che non ci sia niente di più giusto di questo. Non riesci a realizzare di aver pensato concretamente di stringergli la mano e basta, avvicinandoti il minimo indispensabile. Avevi bisogno di questo contatto. Avevi bisogno di vederlo. Che fosse qui, oggi, anche se non osavi sperarci.  
 
- Come potevo non esserci? È la tua prima mostra.
 
E la sua espressione di sorpresa è così schietta, le sue parole così sincere, che ti vergogni di aver dubitato. Accampi scuse con poca convinzione. - Pensavo che con gli esami…
 
Carl sorride, evidentemente contento di mandare in pezzi le tue titubanti incertezze.
- Chi se ne frega degli esami? Qui si fa la storia.
 
Perché è questo che fanno gli amici. Ci sono nei momenti importanti. Non ti lasciano solo alla tua prima mostra. Ti offrono conforto e sostegno anche quando non te lo aspetteresti. Perché Carl è questo. Ma forse è anche molto di più. Forse. Ma non riesci a pensarci coscientemente. Non sapresti accettarlo o realizzarlo adesso. Già il fatto di avere un amico ti destabilizza.
 
- Dubito. Ma grazie.
 
Carl sorride, scostandosi da te.
- Sherlock Holmes sa anche ringraziare? Te l’ho detto che si faceva la storia!
 
Perché gli amici sono anche questo. Le uniche persone da cui piace lasciarsi prendere in giro.
- Scemo.
 
Carl si fa più serio, solo per farti impensierire inutilmente, prima di ridere di nuovo.
- Come non detto.
 
***
 
Una bella mostra, Mr. Holmes. Intendo comprare “Notturno aereodinamico”.
Un ammiratore
 
Mi spiace. Quel quadro non è in vendita. Scelga uno qualsiasi degli altri.
E si firmi.
SH
 
Insisto per avere quel quadro.
Il Cavaliere Azzurro
 
Perché vuole proprio quello?
Era scritto espressamente che non fosse in vendita.
SH
 
Non è questo un motivo più che sufficiente? Perché non lo vende?
Il Cavaliere Azzurro
 
Per lo stesso motivo per cui lei non si firma.
SH
 
Ho un nome troppo anonimo e ambizioni troppo grandi. È questo anche il suo motivo?
Oppure la sua è una questione di cuore?
Il Cavaliere Azzurro
 
Non le interessa. Semplicemente non lo vendo.
SH


Non volevo essere invadente. O si?
Il Cavaliere Azzurro
 
Sembra una persona molto infantile.
SH
 
Sembra una persona molto sola.
Sta continuando a rispondermi.
Il Cavaliere Azzurro
 
Gli artisti devono essere soli. Dipingiamo per questo.
SH
 
Dipinge per attirare l’attenzione. Ma c’è dell’altro che non capisco ancora.
Il Cavaliere Azzurro
 
Non voleva comprare uno dei miei quadri?
SH
 
Posso commissionargliene uno?
Il Cavaliere Azzurro
 
Dipende dal soggetto.
SH
 
Voglio che dipinga una scena del crimine.
Il Cavaliere Azzurro
 
Perché una scena del crimine?
SH
 
È un soggetto come un altro.
Il Cavaliere Azzurro
 
Che crimine vuole?
SH
 
Quello che preferisce. Si diverta. Sperimenti.
Il Cavaliere Azzurro
 
***
 
Come va? C
 
Un pazzo vuole che faccia un omicidio. SH
 
Sherlock ma che cazzo stai dicendo? C
 
Che dipinga un omicidio. O un altro crimine qualsiasi. SH
 
Non farmi più questi scherzi. Come t’è venuto in mente di scrivere “che faccia un omicidio”?! C
 
Prendi tutto così alla lettera. SH
 
Sono contento che ti abbiano commissionato un quadro, per inciso. Ma chi vuole appendere in salotto una scena del crimine? C
 
Penso che non gli interessi davvero. Che sia una specie di sfida. SH
 
Ma è uno che conosci? C
 
No. Mi ha scritto sul blog. SH
 
Ed ha un nome? C
 
Si firma “Il Cavaliere Azzurro”. SH
 
E non sai chi sia? Potrebbe essere un serial killer. C
 
Potrebbe. SH
 
Sherlock? Sei impazzito? C
 
Sono solo annoiato. SH
 
Non mi scrivi mai. C
 
Non vorrei annoiare anche te. SH
 
Con te è impossibile annoiarsi, anche a distanza. C
 
Cosa fai in questo periodo? SH
 
Sto uscendo con una ragazza. C
Ma non la amo.
 
Avresti voluto domandargli perché ci uscisse. Avresti voluto chiedergli perché avesse precisato che non la amasse. Avresti voluto chiedergli se dovesse sembrarti un tradimento, oppure no, dal momento che non la amava. Ma si può tradire una persona solo se si è fatto una promessa. E voi non vi eravate promessi niente. Non c’era niente da promettere. Niente che avreste ammesso, almeno.
 
E così non hai scritto niente. Perché per te, per una sensazione sommersa e inconfessabile, era un tradimento. Anche se non avevi il permesso. Anche senza nessuna promessa.
Iniziasti a buttare giù schizzi per il quadro con la scena del crimine. Ma la tua matita riusciva a disegnare solo il profilo di Carl e la sua mano stretta in quella di una donna senza volto.
Quando Mycroft entrò nella tua stanza, ti trovò circondato da fogli strappati e nessuna voglia di parlare.
 
La sua apparente premura ti inquieta. Devi avere un aspetto davvero orribile per spingerlo a tanto. Oppure deve essersi concretamente rincretinito, il che è dannatamente meno probabile.
 
- La musa non ti ispira stasera?
Il tuo sguardo non riesce a celare una certa esasperazione. - Davvero non hai altro da fare?
 
- Sei mio fratello.
 
- A volte me ne dimentico.
 
Resta sulla porta, a dimostrare la sua poca familiarità persino con la tua stanza.
- Devo parlare io con…?
 
È questo quello che ti dà fastidio di tuo fratello. Che non c’è mai e quando riappare ha dei modi semplicistici che non portano a nulla, se non a farti rimpiangere la sua assenza.
 
Alzi gli occhi, furente. - Con chi vuoi parlare, sentiamo?
 
- Con chiunque ti stia rendendo infelice.
 
Il suo tono di voce è lo stesso di sempre, ma la sua espressione per una volta sembra sinceramente preoccupata.
 
- La felicità è una cosa che non puoi comprare.
 
***
 
Quel quadro, la scena del crimine. Ci sto lavorando.
SH
 
Che crimine ha deciso di commettere? Pardon, di dipingere?
Il Cavaliere Azzurro
 
Omicidio.
SH
 
***
 
Sherlock? Stai bene? Adesso non mi rispondi più? C
 
Sto bene. E la tua ragazza? SH
 
Non è la mia ragazza. C
 
Quella che ti porti a letto? SH
 
Non capisco il tuo astio. C
 
Perché la inganni se non la ami? SH
 
Non posso avere la persona che voglio. Non è disponibile. C
 
Fa quello che vuoi della tua vita. SH
 
 
***
 
Hai costretto Mycroft a comprarti una casa tua, per non dover più rendere conto a lui di ogni tuo sospiro. È un sollievo non vivere insieme con tuo fratello, anche se sai di non essere assolutamente libero dal suo ipercontrollo.
 
Ma le stanze mezze vuote, le pareti bianche, è tutto come un’immensa tela che non sai come riempire. È la tua vita che non riesce ad avere un suo senso. Pensavi che dipingere avrebbe risolto tutto. Che avrebbe appiattito le conflittualità interiori ad un rumore di fondo sopportabile. Invece no. Dipingere, a quanto pare, non ti basta più. Avresti bisogno di qualcuno con cui condividere quello che dipingi. Ovvero quello che provi. Ma ti sei rinchiuso in un isolamento quasi totale. È difficile che tu abbia qualcuno con cui confrontarti, se non il pazzo che continua a scriverti sul blog. Eri geloso della tua solitudine, ti proteggeva da tutto il resto… ma perché continuasse a funzionare avresti dovuto mantenerne l’integrità. Dopo la morte dei tuoi genitori avevi seguito quello che Mycroft ti aveva insegnato, tenere alle persone non è mai un vantaggio. Crea dipendenza, e il vuoto nel cuore. Non avresti mai dovuto affezionarti a Carl.
E infatti sono settimane che rispondi di rado alle sue chiamate e ai suoi messaggi. Devi disimparare ad avere bisogno di lui. E vedertelo di fronte davanti casa non ti aiuta.
 
- Carl? Cosa ci fai qui?
 
Il giovane ha il volto serio e stanco. - Volevo vederti.
 
Una parte di te è felice e vorrebbe solo ringraziarlo per essere venuto, per essersi preoccupato del tuo silenzio, che vorrebbe solo abbraccialo. E… non hai il coraggio di pensare neanche per un momento che sia possibile. Carl ha una ragazza, una donna. E tu… tenerci non è un vantaggio, ricordi? Ti sforzi di essere scostante. La tua razionalità ti impone di tenerti a distanza, di non permettergli di scombussolarti ulteriormente l’esistenza. - Per dirmi?
 
Carl alza timidamente le spalle. - Ci dev’essere per forza un motivo? Sei il mio miglior amico.
 
Lo guardi con sprezzante sicurezza. - Adesso hai una ragazza. Non hai più bisogno di un amico.
 
L’accenno di un sorriso solca amaramente le sue labbra. - Non sai molto dell’amicizia, allora.
 
- Ne so abbastanza da capire che se non ci sentiamo e non ci vediamo allora evidentemente non siamo poi così amici.
 
Abbassa gli occhi, con fare colpevole. - Sai che lavoro oltre lo studio…
 
- Anch’io lavoro.
 
Alza di scatto lo sguardo, investendoti con un’occhiata di fermo rimprovero.
- Sherlock, tu non devi mantenerti.
 
Forse non ha colpe, non più di quante non ne abbia tu. Anzi, quando hai smesso di rispondergli, sei probabilmente passato dalla parte del torto. Ma sei troppo stizzito. A livello inconscio si era sedimentata la convinzione che lui sarebbe stato tutto per te, sempre.
 
- Lavoravi anche quando c’ero io al college. Ma questo non ti impediva di impicciarti della mia vita.
 
Carl si sforza visibilmente di non litigare. Si sente in colpa, quando teoricamente non dovrebbe. E forse sarebbe un sollievo se lui sbottasse, dicesse che non hai diritti sulla sua vita privata, che devi accontentarti delle briciole, che la tua è una delle facce che la lontananza lascerà dimenticare. Vorresti che mettesse in chiaro che non hai nessun motivo valido di fare l’offeso, che sei un permaloso acido ed egoista. E che non ti meriti niente. Così potresti metterci una pietra sopra.
Ma lui non lo dice.
 
- A quanto pare mi impiccio ancora. Ti sono venuto a cercare io.
 
E finché non te lo dirà, continuerai a lambiccarti il cervello ed illuderti. - Vuoi entrare?
 
- Se non ti dispiace.
 
Non è bello fare finta con le persone a cui tieni. E per un attimo pensi che sia tutto inutile, che cercare di essere conciliante voglia dire in fondo mentire, però lui è qui con te, ed è già qualcosa.
Attacca di nuovo discorso:- Perché non le dipingi queste pareti? È uno spreco tenerle bianche.
 
Il soffitto immacolato per le scale, non avresti mai pensato di farci qualcosa. In un altro momento avresti di buon grado accettato il suo consiglio, ma adesso tutto sembra immensamente più difficile, e la vostra distanza insormontabile. - Non ti è mai piaciuto il mio modo di dipingere.
 
Carl continua a salire le scale senza fermarsi, lanciandoti un’occhiata irritata. - Non capisco i messaggi che lanci con i tuoi quadri. E detesto non capirti.
 
Glielo lasci dire, e sembra che le sue parole precipitino nel vuoto.  
 
Si ferma sul pianerottolo, marmoreo nella sua gravezza. - Sherlock, io non voglio perderti.
 
- Non mi stai perdendo, Carl. Semplicemente viviamo in due posti diversi e lontani. E siamo molto impegnati.
 
Lui ti guarda con una certa esasperazione. - Sai che puoi venirmi a trovare, ma non l’hai mai fatto.
 
Gli rinfacci la stessa accusa perché non sai cos’altro dire. - Anche tu non l’hai mai fatto. L’inaugurazione non vale.  
 
Carl è in imbarazzo quanto te. Semplicemente sa convivere più placidamente con la situazione.
- Abbiamo sbagliato entrambi, non trovi?
 
- Forse.
 
A te basterebbe questo, se la vostra riconciliazione potesse essere permanente, e riportarvi al rapporto che avevate prima. Ma sai che ormai non è più possibile.
 
Lui cerca di sorridere, chiedendoti tacitamente di smettere di pensare a com’era prima e come sarà dopo, e di pensare solo ad adesso, a questo singolo momento. Che non andrebbe sprecato a litigare. - Mi fai vedere i tuoi quadri?
 
Annuisci, sperando che smuovervi dal pianerottolo sia risolutivo. Che smetterla di rinfacciarvi la rispettiva infelicità possa portare a qualcosa.
 
*
 
Il tuo appartamento è sempre terribilmente in disordine. Colori ad olio, trementina, tavolozze, pennelli, ma anche spatole e strofinacci, gessetti, matite, tele bianche o imbrattate, con soggetti raschiati via o mezzi finiti, spadroneggiano nel salotto del 221 B di Baker Street.
Un divano ammassato alla parete, con diversi cuscini maltrattati e sporchi di colore.
 
Carl accenna uno dei commenti cauti dei suoi: - Ti aiuto a mettere un po’ in ordine, se vuoi.
 
- A me non dispiace questo disordine. Rispecchia...
 
Scuote appena il capo, cammina con noncuranza in mezzo al caos, e guarda le tue tele sparse ovunque. - Rispecchia i tuoi pensieri, lo so. Lo dicevi sempre.
 
Lo lasci fare, e ti azzardi a preparare un the, per distoglierlo dai tuoi sofferenti lavori, e mostrargli che sei ancora capace di uno squarcio di normalità. Lui ti raggiunge in cucina, si siede, ti guarda, sussurra qualche parola di lode sui tuoi quadri, più per obbligo che per reale partecipazione, e nei suoi occhi leggi l’attesa che adesso sia tu a dire qualcosa. A proporre una trattativa di riconciliazione.
 
Gli poggi una tazza di the nero davanti, sperando che basti, ed intavoli una conversazione a prima vista del tutto anonima. - Lavori ancora in mensa?
 
Anche se pensi a quella volta che l’hai raggiunto per ringraziarlo per il libro che ti aveva regalato. E lui aveva il turno per la colazione.
 
- Sì, e anche in biblioteca.
 
E non sai se si ricorda di quella volta che ha passato il pomeriggio a decantarti la bravura degli Impressionisti. Non dice niente, e supponi che non dia alle parole il peso che tu stai conferendo loro.
 
Così decisi di rendere inequivocabile che stai pensando a tutte quelle occasioni in cui l’hai visto come un amico, come una persona potenzialmente importante nella tua vita. Alzi gli occhi dalla tua tazza. - E posi ancora?
 
- No. Non ci sei più tu a ritrarmi. Non c’è gusto.
 
Abbassi gli occhi, con la scusa di bere un sorso di the.
 
Lui accenna un sorriso. - Ce l’ho ancora il tuo ritratto.
 
Alzi lo sguardo, stupito di essere stupito. Un tempo non sarebbe bastato così poco per sentirti importante per lui. E quel foglio conservato gelosamente in un cassetto diventa il simbolo di un surrogato di affetto. Un ricordo, destinato ad allontanarsi sempre più nel tempo.
 
Scuoti il capo. - Era solo uno scarabocchio.
 
Carl ti rimprovera tacitamente. Gli basta un’inclinazione diversa del tono della voce, come faceva quando peccavi di infantilismo. - Banks ti mise una A per quello scarabocchio.
 
- Sai che non è il mio stile. È troppo scolastico. - e sei tornato al tono scostante del primo giorno che parlaste di arte. Ricordi che eri seduto su una panchina nel parco. Che erano tutti alla mostra. E che lui ti venne a cercare per tentare di capirti. Era quando potevi illuderti di non avere bisogno di nessuno.
 
Stai in silenzio, con la scusa di finire il the.
Carl fa correre le dita sul bordo della sua tazza, accumulando cerchi per non far caso al silenzio.
 
- E poi mi hanno chiesto di posare al corso di anatomia per artisti.
 
Sai benissimo che vuol dire. Che gli hanno proposto di posare senza vestiti. Sapevi che prima o poi l’avrebbero fatto. Carl è visibilmente sprecato per posare con i vestiti. Ostenti indifferenza.
 
- Pagano di più.
 
Ha smesso di tormentare la tazza, ti guarda negli occhi, serio in volto.
 
- Ma non mi spoglio davanti a tutti.
 
- Solo davanti a… come si chiama la tua ragazza? - Ti stupisci dell’ostentato sfacciato menefreghismo del tono della tua voce. Vorresti sparire piuttosto che parlarne, ma ti sentiresti un allocco a non tirare fuori l’argomento. Perché è la prima cosa che volevi chiedergli. Avresti voluto sbatterlo contro un muro e pretendere una spiegazione sensata della faccenda. Ma ti rifugi nella tua impacciata compostezza.
 
Carl sospira manifestamente. - Ci sono stato insieme un paio di volte, non è la mia ragazza.
 
Lo dice come se non fosse importante, quando in realtà è un macigno di dimensioni colossali tra voi due. Non riesci a trattenere la domanda che ti parte spontanea dalle labbra.
- Nella nostra stanza?
 
Ma anche lui non riflette. Si limita a rispondere, quando potrebbe darti del pazzo e non aggiungere altro. - Non avrei mai potuto farlo.
 
Per un riflesso involontario lo fissi con gli occhi spalancati dallo stupore.
 
Carl continua frettolosamente la frase. - Il mio nuovo coinquilino sta sempre lì a rompere.
 
Deglutisci a fatica. - Quante ragazze hai portato nella nostra stanza quando ci stavo io?
 
- Nessuna.
 
Ostenti indifferenza, tornando a sbattere le palpebre. - Quando uscivo, intendo. Io uscivo spesso.
 
- Nessuna, Sherlock.
 
Silenzio.
Ti mordi l’interno del labbro fino a sentire una fitta di dolore distinto.
 
Carl riacquista a sua volta lucidità, riprendendo a giocare con il bordo della tazza. - Com’è che d’un tratto ti interessa la mia vita privata?
 
Alzi le sopracciglia facendo spallucce. - Non mi interessa, infatti. Un argomento di conversazione come un altro.
 
- E la tua vita privata, Sherlock?
 
Spari la prima cosa che ti viene in mente. - Sono sposato, non lo sai?
 
Carl rotea gli occhi, ha allentato la presa della tazza in modo così fulmineo che questa pericola sul piattino, dove la ferma un’involontaria prontezza. - Ma che cazzo stai dicendo?
 
È bastato così poco per mandarlo nel panico. Potresti compiacertene se servisse a qualcosa. Ma non servirà ad altro che ad arricchire le idiozie da passare in rassegna ossessivamente per le prossime settimane. - Con il mio lavoro. Mi pare ovvio.
 
Carl emette un suono strano, a metà tra uno sbuffo e un sospiro di sollievo. Ti guarda intensamente con i suoi occhi scuri. Quasi volesse trasmetterti qualcosa. Qualcos’altro. - A me non pare ovvio. Hai… sapresti piacere a qualcuno se solo lo volessi.
 
Ma fai finta di non coglierlo. Decidi che non c’è nient’altro. Che non ci può essere nient’altro.
Alzi gli occhi dalla tazza, sfacciatamente. - Non mi interessa nessuno.
 
- Io non ti capisco…
 
- Io non capisco che necessità ci sia di rincorrere il piacere in un bagno doloroso di sudore e umori.
 
Carl scuote appena il capo. - Non è così squallido come lo fai sembrare. E poi dovresti essere con la persona che ami.
 
Sei troppo preso dal fargli capire quanto il suo comportamento t’abbia urtato per cogliere i timidi indizi di frustrazione nella sua frase. Quel “così”, quel “dovresti”. Forse non era con lei che sarebbe voluto essere. Forse è stato un po’ squallido perché non era lei la persona che amava. Ma ti senti troppo punto nel vivo per farci caso.
 
- Io non amo che l’arte.
 
Carl ti fissa con sarcastico disaccordo. - L’arte è una sublimazione del sesso, Sherlock.
 
Ti alzi in piedi, dopo aver impilato le due tazze e i due piattini, scappando via dalle sue insinuazioni. - Freud è superato.
 
I cucchiaini per lo zucchero sono miseramente cascati per terra nella tua frettolosa chiusura tragica. Carl si alza per aiutarti a raccoglierli. Te li porge, in un gesto inequivocabile di pace.
 
Sostieni il suo sguardo con tardivo imbarazzo.
 
Carl ti toglie le tazze e i piatti di mano e mette tutto nel lavabo. - Suoni ancora il violino?
 
Annuisci, piuttosto stupito.
 
- Ti ricordi quel pezzo che facevi sempre?
 
Ed è immensamente dolorosa la consapevolezza di sapere esattamente a cosa si stia riferendo.
- Il Concerto d'Aranjuez?
 
Lui scuote appena il volto, mentre nei suoi occhi risplende un misto di titubanza e aspettativa.
- Non so come si chiama, quello che suonavi sempre.
 
- Vuoi che lo suoni.
 
Sorridi con una residua tristezza. Dolcezza che deriva dalla nostalgia di qualcosa che neanche la musica potrà portare indietro.
 
Carl ti sfiora appena la mano destra con cui impugnerai l’archetto del violino.
 
- Sì. Mi è mancato sentirti suonare.
 
****
Sei sinceramente in imbarazzo. In piedi, appoggiato alla scrivania, lo sguardo che alterna i tuoi occhi al pavimento, Sherlock parla di momenti sconnessi della sua vita, del suo amore disperatamente non ammesso per il suo compagno di stanza del college, della pochezza della sua esistenza prima di incontrarlo. E ti senti come un’insignificante scintilla rispetto ad un fuoco alimentato per anni alla luce di timide speranze e brucianti rimpianti. Cosa può mai essere stato un tuo bacio rispetto al solo, sofferto e inappagato desiderio di baciare Carl? Cosa può essere stato il tuo stargli vicino se non il cercare inconsapevole e del tutto vano di colmare un vuoto destinato a restare eterno?
 
Ora capisci perché Verlaine, perché i “Versi per essere calunniato”, perché quei distici latini, e che il nome Cinzia si presta ironicamente ad essere il senhal di Carl. “Amore gli preme la testa sotto i suoi piedi.” E cogli drammaticamente il senso della sua tacita disperazione davanti alla tomba di Verlaine. Probabilmente, in circostanze che non ti sono chiare, il giovane che amava è morto. E questo spiegherebbe gli incubi, e il suoi occhi bassi a scavare il pavimento.
 
Il suo “Io…” di prima, dopo averti baciato, il suo sguardo spaesato… Avresti dovuto lasciarlo finire, ti avrebbe sicuramente detto qualcosa di più simile a quello che ti sta dicendo adesso. E ti penti del tuo patetico “Anch’io…”, del tuo comportamento stupido, del tuo sentimentalismo ingenuo.
 
Parla anche del Cavaliere Azzurro, di come gli ha scritto sul suo blog, di come gli abbia commissionato un quadro dove fosse raffigurato un reato. E hai capito che “Uno studio in rosa” non può essere stato al centro dell’intrigo per caso. È quello il quadro commissionato, ma se così fosse perché ce l’aveva ancora Sherlock?  E il Cavaliere Azzurro ha organizzato tutto questo casino solo per riavere il quadro?
 
È tutto terribilmente surreale. E le sue parole continuano a bruciare. E decidi di porre fine a questo strazio.
 
Non riesci a trovare dolcezza nel tono della tua voce, mentre il suo suono giunge alle tue stesse orecchie. C’è una punta di incredulità e tanta amarezza.
- Perché mi stai raccontando di questo ragazzo?
 
Sherlock d’un tratto riprende il contatto visivo.
Esita ad articolare le parole, lui, di solito sempre così sfrontatamente loquace.
 
- Perché lo conoscevi. L’hai conosciuto in Afghanistan…
 
Allarmato, cerchi conferma nei tuoi ricordi.  - Non conoscevo nessun Norton.
 
- Con il nome di Carl Powers.
 
Ed è come se avessi avuto finora un pesante drappo davanti agli occhi, che adesso, d’un tratto, con tutto il suo peso, precipita e ti lascia vedere quello che forse avresti dovuto capire prima.
 
E tutte le coincidenze si incasellano in uno schema preciso. E forse non è molto diverso quello che lui sta facendo con te, da quello che il Cavaliere Azzurro sta facendo con Trevon.
Perché in entrambi i casi è rapimento premeditato.
 
Guardi Sherlock stupito ed indignato.
- Mi avete rapito apposta? Perché conoscevo Carl? Ma che cazzo di senso ha?
 
- Sei in pericolo.
 
Sherlock cerca di fermarti, ma ormai sei in piedi, e rivolgi ansiosamente un occhio alla porta.
 
- Sherlock io non sono Carl, non posso sostituirlo… E io sono stato così coglione da credere che… - ti mordi la lingua pur di non continuare la frase.
 
D’un tratto ti sembra di non aver capito niente. Mai.
Hai davvero creduto di essere finito per caso ad intervistare Sherlock Holmes che non rilascia mai interviste. Che avrebbero dato a te un incarico tanto importante solo perché chi vi era stato destinato non era disponibile. Hai pensato che fosse inverosimile ma tutto sommato possibile che una mente geniale come quella di Sherlock non si accorgesse che non fossi Victor Trevon, il suo assistente. E che sapesse sul serio dedurre che eri stato in Afghanistan solo guardandoti in faccia.
 
Hai creduto possibile che una compagnia stimata come la British Airways potesse non effettuare un controllo dell’identità dei suoi passeggeri. Hai creduto che Mycroft Holmes non avrebbe rimandato indietro in Inghilterra con il primo volo un giornalista potenzialmente ficcanaso, ma ti avrebbe bellamente permesso di ascoltare di faccende delicate e indagare su un pazzo sconclusionato, solo per la tua aria affidabile e la tua promessa di non pubblicare neanche un tweet senza il loro permesso. Hai creduto a tutto questo.
E soprattutto hai creduto che Sherlock avrebbe potuto amarti.
E invece, sin dall’inizio ti ha mentito. Perché gli servivi.
 
L’artista ti guarda con preoccupazione, scuotendo il capo. - John, ti avevo chiesto di non saltare a conclusioni affrettate…
 
E ti sembra paradossale dover essere tu a dire a lui:- Non sono conclusioni affrettate, si tratta di semplice logica.
 
Nei suoi occhi un sincero rammarico, una cappa di nostalgia, il peso di innumerevoli sensi di colpa. - Non c’è niente di semplice in questa storia… E non mi hai fatto finire. È parziale quello che…
 
Con voce ferma ed inflessibile cerchi di celare il tuo sconforto:- Sherlock. Non voglio sentire un’altra parola. Dimmi cosa vuoi da me e me ne torno a Londra.
 
- Non voglio che te ne vada.
 
Sembra sinceramente affranto. Ma ormai diffidi di ogni sua pretesa di spontaneità. Sembrava spontaneo quando ti credeva Trevon, quando fingeva di non capire che le domande fossero per un’intervista, quando cercava le tue labbra con le sue. Ma non c’era niente di spontaneo.
 
- Adesso dici così, ma in realtà tu volevi qualcos’altro, no? Altrimenti perché mi avresti messo nella condizione di essere qui adesso? Cosa vuoi che ti dica?
 
- John, io… Lasciami spiegare.
 
Non vuoi altre spiegazioni. Non vuoi sapere come è proseguita la storia, ma sai com’è andata a finire. Carl era il fotografo della tua troupe per il reportage sull’Afghanistan, tre anni fa. Nell’agguanto di cui siete stati vittime, lui è stato ucciso subito, tu e gli altri siete stati prigionieri dei terroristi per quattro mesi prima di riuscire fortuitamente a fuggire.
 
Carl era una persona diversa da quella che Sherlock ti ha descritto, non era rimasto più niente della sua sognante ingenuità, nei suoi occhi solo una sofferente amarezza.
 
Carl lo amava. A volte accennava di una persona che si era lasciato alle spalle, prendendo il dannato aereo per l’Afghanistan. Era contento del suo lavoro, ma aveva temuto sin da subito che non sarebbe tornato vivo a casa. E adesso capisci che c’entrava il Cavaliere Azzurro, in quale modo. E qualcosa di losco in cui c’entrava anche Sherlock che non vuoi conoscere.
 
Nei febbrili attimi in cui vi catturarono, prima che gli sparassero un colpo, Carl ti diede un foglietto spiegazzato senza avere il tempo di spiegarti niente.
 
Tiri fuori quel foglio spiegazzato dal portafoglio, davanti all’incredulità ostentata da Sherlock.
 
- E pensare che ho cercato per anni il destinatario di questa lettera… E ce l’avevo davanti. Non ho saputo riconoscerti, ed ho letto mille volte quelle righe per capire… Non lo so. Non sta a me… Tieni, suppongo che sia tua… Avresti solo potuto chiederla subito e non costringermi ad entrare in questa girandola di follia.
 
Lui prende il foglio ingiallito, visibilmente impaziente di aprilo, ma alza gli occhi a cercare ancora una volta i tuoi. - John, lascia che ti spieghi…
 
Ma non vuoi più spiegazioni. Avverti un senso di inutilità e di tradimento difficile, se non impossibile, da scacciare via. Vuoi solo prendere il primo aereo e tornare alla sicura monotonia della tua vita.
 
Lo guardi negli occhi, forse per l’ultima volta. - Sherlock, è la tua battaglia, non la mia. Lasciami in pace. Non cercarmi più…
 
 
 
Angolo autrice:
 
Pubblicare oggi una storia tanto futile ambientata a Parigi, dopo quello che è successo ieri, mi colma di amarezza. Ma efp è un sito in cui raccontiamo storie anche per darci la forza di andare avanti. E non posso fare altro che mettere queste pagine a disposizione di chi vorrà distrarsi, anche solo per un istante, dalla barbarie di quello che è successo ieri.
 
Sono consapevole del fatto che i miei lettori - che ringrazio della pazienza - aspettassero questo capitolo a settembre. Lo so, questa volta ho sgarrato alla grande. Ma prometto entro la fine dell’anno di pubblicare il finale della storia, probabilmente uno, al massimo due, altri capitoli.
 
Non so quanti di voi avessero fatto caso che all’inizio del primo capitolo io nominassi esplicitamente Carl Powers come il fotografo della troupe di John in Afghanistan, ma comunque adesso sapete che era lì per un motivo…
 
Programmo il capitolo con parte del passato di Sherlock da mesi, e ho sviluppato un’ossessione per “Caro amore” di De André, che per me sarà sempre collegata a Sherlock e Carl. Vi sarete accorti che ho preso il nome della vittima del primo omicidio su cui Sherlock indaga nella serie, e vi sarete anche accorti che ne ho fatto sostanzialmente un personaggio originale, a parte il nome preso in prestito, per dare continuità alla ff con la serie.
 
Ragion per cui io a Carl tengo particolarmente.
 
Cosa pensate di lui?
 
Mi auguro che nessuno lo abbia odiato per l’ingrato posto che occupa nella storia…
 
Ad ogni modo, sono veramente curiosa su quello che pensate su questo capitolo.
 
Lo posto dopo un tempo di assenza immenso, ma è un capitolo a cui tengo particolarmente.
 
John si è fatto una sua idea su quello che è successo, ma ha ancora una visione parziale (molto parziale) di quanto accaduto. Per scoprire chi si cela dietro il Cavaliere Azzurro (come se non l’aveste capito!) e soprattutto quali sono le motivazioni che tengono in piedi tutto questo assurdo teatrino, vi aspetto al prossimo capitolo!
 
lady dreamer
 
 

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


 
           Arte contemporanea
          Capitolo VIII
 
 
Più divento dissipato, malato, vaso rotto, più io divento artista, creatore... con quanta minor fatica si sarebbe potuto vivere la vita, invece di fare dell'arte.
Vincent Van Gogh
 
 
 

Se ne è andato. Ti ha lasciato solo nella stanza, trascinandosi dietro il tuo sguardo affranto. Sul pavimento tante piccole scaglie di cuore, pezzi grossolani e furenti di quel foglio che hai strappato senza pensarci. Lo spartito del concerto di Aranjuez.
Ma quelle note continueranno ad infestare i tuoi pensieri, ad associarsi al suo volto, a quelle labbra che non hanno saputo darti conferme, al suo “mi è mancato sentirti suonare”.
 
Lo ami con l’ingenuo egoismo del primo amore.
E non sai ammetterlo. Eppure rivedere Carl non ha colmato il vuoto, ha creato una voragine. La sua assenza adesso pesa più di prima. E questo non puoi negarlo.
Una zaffata della beata incoscienza in cui vivevi fino a pochi mesi fa ti ha scompigliato le emozioni. Adesso che se n’è andato, seppure con la promessa di rivedervi presto, continui a pensare a quella sera, sul terrazzo, sotto le stelle. E faceva freddo, il pavimento era scomodo, ma i fogli che volavano nella notte erano i vincoli del tuo passato che si allentavano, erano il tuo futuro che sorrideva in quella luna imperfetta.
 
Quella notte anche l’oscurità era blu. E non nera.
 
Quella notte hai desiderato essere Van Gogh per saper catturare la sfuggente brillantezza di quelle stelle, il loro ridente gioco di luci, mentre distoglievi lo sguardo da Carl, ma la sua voce continuava a cullarti.
 
E per una volta hai pensato che fosse bello stare al mondo.
Per una volta non hai pensato alle conseguenze, celato dall’oscurità il rossore delle tue guance scoloriva, e il luccichio nei tuoi occhi era un riflesso delle stelle, non una lacrima che ti scivolava svelta via ad essere dimentica. Carl fu al tuo fianco quella notte, sotto quel cielo stellato.
 
Adesso ci sei solo tu. E quel dannato quadro.
Non hai saputo venderlo. Non puoi più continuare a guardarlo. Non vuoi buttarlo via. Perché quella tela è una promessa. Un tacito accordo tra voi due. La certezza che quella notte è esistita sul serio, che non l’hai solo sognata.
 
****
 
Pensavi che la tua vita fosse un dignitoso disastro. Non avevi realizzato le tue aspirazioni, ma avevi un tetto sulla testa, e il frigo pieno di quanto ti servisse a sostentarti, i soldi per il cinema o un concerto, risparmiando, li trovavi, e per quanto squallido fosse ammetterlo, ti stava tutto sommato bene. Alla tua parte razionale stava bene.
 
Le viscere si contorcevano quando firmavi il trafiletto di quartultima pagina o quando restavi ad impaginare le notizie dell’ultim’ora, senza che ti venisse pagato lo straordinario, ma stringevi i denti e pensavi che tutto sommato la tua fosse una vita dignitosa. E che rispetto a tante altre persone avresti potuto quasi ritenerti fortunato. Gli intestini si aggrovigliavano, lo sguardo istintivamente si corrucciava, ma i piedi erano ben piantati alla realtà. Avresti fatto il tuo meglio, ma ti saresti tutto sommato accontentato di quello che avevi.
 
Poi ti hanno mandato ad intervistarlo. Irriverente, scostante, provocatorio, terribilmente scortese, malauguratamente affascinante. E ti ha illuso che la tua vita sarebbe potuta essere altro, che i tuoi giorni avrebbero potuto prendere la piega affannosa del ritmo dei suoi, che indizi, quadri, musei, corse, azioni al limite del legale potessero essere un entusiasmante presente, un promettente futuro. Pensavi di esserti trasformato nella spalla di una mente sregolata e geniale che avrebbe potuto portare la sua scombinata luce tra i tuoi capelli.
 
E ti eri illuso che anche lui avesse bisogno di te, della tua tacita presenza, dei tuoi rimproveri, delle tue occhiate e della tua pazienza, mentre non riusciva a dormire, in preda agli incubi. Hai pensato sinceramente che uno sconosciuto avrebbe potuto aver bisogno del tuo conforto, del tuo ingenuo “Anch’io.” Ti senti un colossale idiota. Vorresti strapparti la pelle di dosso, per non essere più riconoscibile. Vorresti strapparti il cuore per non sentirlo battere irrequieto mentre corri via, furente.
 
Non sei mai stato un essere prettamente razionale, John. Il pericolo, con l’adrenalina che metteva prepotentemente in circolo, era quello che amavi di più dell’Afghanistan. Quello che avevi riscoperto con lui. Sherlock Holmes ti ha illuso. Ha rialzato gli standard. Come potresti ritornare semplicemente alla tua vita squallida e scordati di averlo incontrato? Come pensi di poter dimenticare i suoi occhi verdi macchiati dell’oscurità dell’infinito? Come pensi di poter dimenticare le sue labbra, timide e irrequiete, sulle tue?
 
Sherlock Holmes ha firmato la tua condanna all’infelicità. Non puoi che odiarlo per questo.
 
Gli hai detto di non cercarti, hai sbattuto teatralmente la porta e te ne sei andato. Furente, hai preso le scale, sei entrato nella suite di Sherlock, agguantato il tuo giubbotto e sei scappato via, senza darti il tempo di volgere un’occhiata alla camera da letto, alle lenzuola disfatte, a quell’orma di corpi abbracciati che forse marchia ancora il cuscino.
Non hai preso l’ascensore, avresti potuto, ma scendi a piedi fino al piano terra, saluti sgarbatamente il concierge ed esci dall’albergo, senza che nessuno ti segua.
Cammini nervosamente per un tratto di strada, e poi ti volti indietro.
 
Sherlock non ha fatto niente per impedirti di uscire dalla sua vita.
Ti convinci di aver fatto la cosa giusta, mentre gli intestini si rivoltano e il cuore pompa il sangue ad un ritmo troppo accelerato per permetterti di valutare razionalmente quello che sta succedendo. O che non sta succedendo. Ti senti tradito, umiliato, sei riuscito a farti destabilizzare a tal punto da non pensare neanche al fatto che non hai un’intervista per il giornale, che vista la tua teatrale uscita di scena potresti anche perdere il lavoro.
Non ci pensi ancora, e fai la primadonna offesa. E non sai quello che ti aspetta.
 
***
 
Hai girato a vuoto, senza convincerti ad andare verso l’aeroporto, hai scioccamente ripercorso alcuni dei posti in cui eravate andati insieme. Non hai neanche cercato l’ingresso dell’Orangerie, ti sei limitato a passeggiare pigramente per le Tuileries, a sostare su una delle sdraio vicino ad una fontana in cui i bambini si divertono a far girare barchette a vela, a ricordarti come il cappotto gli svolazzava dietro mentre camminava, senza dare importanza alle cose che tu fissavi con infantile stupore.
 
Ti mancherà, anche se è stata tutta una bugia.
Ti mancherà, perché quegli ingannevoli momenti con lui hanno già assunto la connotazione del sogno. Non pensavi che avresti potuto sentirti così, con un uomo e per un uomo… Un’infatuazione, dettata dal suo fascino e dalla sua sagacia, dalla sua aria tremebonda, dalla sua scelta di dipingere cose incomprensibili. Con la sua passione per l’arte, il suo sguardo perso nelle pennellate di acrilico su tele ingiallite, in un museo, è riuscito a farti credere di desiderare un’altra vita… con lui. E quella notte, i suoi incubi, quell’abbraccio, hai incoerentemente creduto di poter essere tutto quello di cui poteva avere bisogno. Hai pensato seriamente di amarlo. Un “anch’io…” non è mai stato così pregno di significato. Ma il suo “io…” era solo un colossale fraintendimento.
 
***
Quando una macchina nera accosta a fianco al marciapiedi proprio davanti a te, e l’autista ti fa cenno di entrare, apri cautamente lo sportello, senza fare caso al fatto che non ci sia la segreteria di Mycroft Holmes ad aspettarti…
 
Sei stato quasi sollevato di vedere quella macchina spuntare, e fermarsi, hai dato per scontato che Sherlock avesse movimentato il fratello per farti venire a prendere, che fosse frutto di un tardivo moto di affetto nei tuoi confronti, o della consapevolezza che la tua assenza sarebbe stata insopportabile. Hai dato per scontato che lui provasse per te quello che tu provavi per lui. Ma è questo il problema dell’amore, ha un’arroganza tutta sua, ingenuamente totalizzante. E tu hai dato per scontato quello che non lo era affatto, perché il tuo cuore, del tutto irrazionalmente, voleva che fosse così. E forse non sei mai stato così avventato in vita tua…
 
- Dov’è Sherlock?
- Non abbia fretta, signor Watson, arriverà… Arriverà a salvarla.
 
***
Pensavi di aver visto abbastanza. E che quando Sherlock avesse farneticato qualcosa riguardo al fatto che lui e il suo passato avrebbero potuto metterti in pericolo esagerasse, come suo solito. E invece, eccoti qua. In balia di un pazzo che ti ha rapito, legato e imbavagliato e portato in una piscina abbandonata. E adesso incominci a pensare che incontrare Sherlock Holmes sia effettivamente la cosa peggiore che ti sia successa, e non solo da un punto di vista prettamente sentimentale. In Afghanistan ti aspetti che possa succedere qualsiasi cosa, ma non nel centro di Parigi.
 
Non è difficile intuire chi ti abbia rapito, probabilmente si tratta del fantomatico Cavaliere Azzurro. Così anche tu, dopo Victor Trevon, sei vittima del sedicente Cavaliere. Ora, se vi ha rapiti entrambi, è probabilmente per il vostro legame con Sherlock, presumibilmente perché siete suoi assistenti, e non perché possa aver intuito del tuo legame sentimentale, o quello che credevi tale, con l’artista. Vuole arrivare a lui attraverso di voi. Ma cosa vuole da Sherlock?
 
Ti maledici per non avergli fatto continuare il racconto, andando di matto quando lui ha continuato ad indugiare sui sentimenti che provava per Carl, e soprattutto quando ti ha rivelato il colossale teatrino imbastito per spingerlo a collaborare con lui, per avere le informazioni che Carl gli aveva affidato. Hai letto infinite volte quella lettera negli anni, e si trattava di un semplice commiato ad un amore abbandonato, parole struggenti ma sicuramente poco significative per chiunque altro che non fosse il destinatario.
 
Quindi se il Cavaliere Azzurro ti ha rapito per avere quella lettera pensando di trovarci chissà cosa innanzitutto non hai più con te la missiva e inoltre avrebbe preso un colossale abbaglio. A meno che… il Cavaliere Azzurro non fosse invaghito di Sherlock Holmes. Ma questo non avrebbe senso. Stando a quello che ti ha detto Sherlock, non si sono mai incontrati di persona, semplicemente si scrivevano delle mail tramite il blog del pittore, e si parlava di una corrispondenza professionale, perché il Cavaliere Azzurro voleva commissionargli un quadro. È sicuramente bizzarro e forse anche indicativo, che il quadro della commissione, “Lo studio in Rosa”, è in realtà ancora in possesso di Sherlock, o almeno, lo era prima che sparisse insieme a Trevon. Ma se era semplicemente il quadro quello che il Cavaliere voleva da Sherlock perché rapire Trevon? Perché rapire te?
 
Se la tua importanza per tutti loro consisteva nella lettera, che in realtà non sapevano che tu avessi, tutto questo porta a Carl e alla sua morte. Tu hai assistito alla sua morte. L’ha ucciso un terrorista, davanti agli occhi increduli di tutta la troupe. Ma che c’entra il Cavaliere Azzurro con i gruppi di terroristi in Afghanistan? Tutto questo non ha alcun senso… ma resta che dopo aver ucciso lui, e tenuto sotto sequestro te e gli altri per diversi mesi, nessun’altro è morto. Perché Carl? Hai sempre pensato che fosse stato un caso… un’intimidazione. Ma se non fosse stato solo quello? Se fosse stato mirato? Se tutto fosse servito solo ad uccidere Carl? Eravate giornalisti europei, e non vi hanno torto un capello. Perché? Hai sempre pensato che fosse stato un miracolo. Ma se in realtà si fosse trattato semplicemente di un gioco losco, di una faida tra il Cavaliere Azzurro e Sherlock Holmes? Ma come si arriva a tanto da un rapporto artista - mecenate come tanti altri? Non come tanti altri, effettivamente commissionare un quadro che abbia come soggetto un crimine è abbastanza singolare, ma tra farsi dipingere un omicidio e commetterlo c’è una bella differenza.
 
E comunque, se l’obiettivo era Carl, perché era vicino a Sherlock, passa in secondo piano anche la tua lettera, di cui il Cavaliere Azzurro potrebbe non ipotizzare neanche l’esistenza, dal momento che ha rapito prima Victor e non direttamente te, e quindi forse gli interessa solo portare Sherlock alle trattative. Ma il punto è… perché tutto questo andare su e giù per musei a cercare indizi per quadri e quant’altro se mirava solo a rapire te, o Victor? Forse vuole solo divertirsi… potrebbe essere una persona malata, magari schizofrenica o psicotica, per cui tutto questo è un semplice divertimento. Il che renderebbe comprensibile quella gara artistica all’ultimo quadro in cui avete di fatto gareggiato e vi sembrava di aver vinto.
 
Ora, il Cavaliere Azzurro sapeva dei sentimenti che Sherlock provava per Carl e li ha sfruttati per destabilizzarlo, forse è questo il motivo degli indizi, dei quadri, dei posti in cui vi ha mandato. Tutto era finalizzato a quei versi di Properzio, alla tomba di Verlaine.
Potrebbe essere stato un macabro gioco per rivendicare la paternità dell’omicidio di Carl. Se così fosse tu saresti nelle mani di un assassino.
 
 
- Non è stato divertente rapirla. Non ha opposto resistenza.
 
Senti solo la sua voce, senza riuscire a vedere la persona che ha pronunciato quelle parole colme di arroganza. D’istinto provi a dire qualcosa, ma il bavaglio te lo impedisce.
 
- Con Carl fu molto più stimolante. Dovetti farlo rincorrere fino in Afghanistan. È un posto così esotico, un bello sfondo per un omicidio, non trova? Lei è stato uno spettatore di quella morte, non l’ha trovata poetica? Mi rendo conto che senza conoscere i retroscena potrebbe essere fraintesa… Mi spiace che sia andato tutto a suo discapito… Eppure pensavo che sarebbe stato più intraprendente.
 
La persona che sta parlando ti sembra più vicina. Distingui chiaramente che appartiene ad un uomo. Deve essere il Cavaliere Azzurro. Deve essere per forza lui. Un sottoposto non parlerebbe così… Il punto è che… il suono di quella voce non ti è completamente nuovo…
 
- Mi sembra perplesso… Mai sentito parlare di me…? Non è possibile. Mi deluderebbe la sua mancanza di senso critico. Ma no, sicuramente ha capito… E vuole andarsene, non è così? Non aspettiamo Sherlock Holmes? Allora sì che la situazione potrebbe farsi divertente…
Chissà come reagirebbe questa volta, se lei morisse… L’ultima volta dipinse dei quadri bellissimi. Ne ho visto qualcuno… alla mostra sa? Si ricorda? Ci siamo anche presentati quella volta. Eppure lei sembra non ricordarsi.
 
Finalmente riesci a vederlo. E il sangue ti si ghiaccia nelle vene.
 
- Lo so, l’ultima volta ero vestito in modo orribile… I completi scuri mi donano di più…
 
Lo fissi con gli occhi sgranati, senza capacitarti dell’assoluta apparente normalità dell’uomo, quando l’avevi incontrato per la prima volta. Il giovane dalla maglietta di quel verde improponibile, con gli occhiali da nerd.
 
- Molly… Povera ragazza, non è vero? Se Sherlock non riuscisse a salvarla non verrà qui a salvare lei… perché non saprebbe dove cercarla… Probabilmente non sa neanche che lei sia sparito. È stata una gran trovata da parte sua dire di voler tornare subito a Londra, mi ha reso le cose molto più facili. Nessuno si affannerà a cercarla, se pensano che sia in viaggio per tornare a casa.
 
Si avvicina alla sedia a cui sei legato, valutando se toglierti o non il bavaglio che ti impedisce di parlare. - È inutile dire che urlare non le servirà a niente. Qui intorno non c’è nessuno che possa sentirla.
 
- Lei pensa che io sia il cattivo, il demonio della situazione… Ma Sherlock Holmes non è un angelo anche se sta dalla parte degli angeli.
 
Sei arrabbiato con Sherlock perché ti ha mentito, ma non c’è da fare paragoni con un pazzo che ti ha rapito e ti costringe a stare legato in un posto contro la tua volontà.
Se ti ha tolto il bavaglio è perché vuole che tu parli, che scivoli nella sua rete. Per il momento decidi di non rispondere.
 
Jim ti guarda in silenzio, senza stupirsi particolarmente della tua mancanza reazione.
- Come siete entrati al Pantheon?
Non capisci il nesso.
 
- Siete entrati di notte al Pantheon… Non si è chiesto come Sherlock possa aver avuto quell’idea? Perché sa esattamente come si organizza un furto.
 
- Non le credo.
 
Il Cavaliere Azzurro ti guarda con malinconica saccenteria:- E non è la cosa peggiore che ha fatto… Le ha già raccontato quella storia svenevole di Carl Norton e dell’Afghanistan? In fondo è stato Sherlock a causare la sua morte. A darlo in pasto allo sciacallo. Si potrebbe dire che io abbia solo messo i fiori sulla sua tomba. Ma non vale la pena morire per Sherlock Holmes. Quell’uomo non amerà mai nessuno.
 
- Come fa a dirlo?
 
- Sherlock Holmes, l’artista incompreso, stanco di vivere, che subisce il suo successo mentre disprezza il pubblico, l’uomo dalla vita sregolata e infelice, l’anima in pena che trova la sublimazione delle proprie frustrazioni nell’arte. Non le sembra di aver sentito questa storia troppe volte? Sherlock Holmes è uno stereotipo vivente. E gli stereotipi non amano, non hanno vero spessore, sono costruiti abilmente. Sherlock Holmes sa recitare fin troppo bene la sua parte, ma finge. Sherlock Holmes è ben altro.
 
- Lei non lo conosce.
 
- Lo conosco invece, sicuramente più di lei. Ci sono fin troppe cose che non le ha detto. Che non può nemmeno immaginare.
 
 
****
 
Ho finito il suo quadro, se le interessa ancora.
SH
 
E le dicessi che non mi interessa più?
 
La considererei molto maleducato.
SH
 
Dal momento che vuole sbarazzarsene, il quadro dev’essere pessimo.
 
Perché ha smesso di firmarsi?
SH
 
Per darle la possibilità di sviare il discorso, quando avesse preferito.
 
Il quadro è orribile, non la biasimerei se non volesse appenderlo in salotto.
SH
 
Posso pagarglielo lo stesso, se vuole. Ma non intendo ritirarlo.
 
Non ho bisogno di soldi.
SH
 
Perché mi ha scritto se non vuole vendermi il quadro?
 
Mi annoio.
SH
 
Anche a me capita spesso. È spiacevole annoiarsi.
 
E cosa fa?
SH
 
Penso alle cose più assurde. Solitamente mi distrae.
 
Tipo?
SH
 
Guardo alla finestra le persone per la strada, e immagino le loro vite.
 
È uno scrittore?
SH
 
Se fossi uno scrittore non sarebbe un diversivo immaginare la vita di altri.
 
Non vuole dirmi cosa fa…
SH
 
Dirigo l’azienda di famiglia. Mio padre è morto, tocca a me occuparmene. La sua vita è molto più interessante della mia. Avrei voluto fare l’artista anch’io...
 
Non avrebbe dovuto dirmelo… così avrei potuto indovinare. Ma fare l’artista non è sempre divertente.
SH
 
***
 
Me la spiega una cosa?
Il Cavaliere Azzurro
 
Oggi si firma quindi…
SH
 
Non si può mandare un messaggio così scarno e non firmarsi. Sarebbe maleducato.
CA
 
Sono le sue iniziali?
SH
 
Sono le iniziali di Cavaliere Azzurro. Mi secca scriverlo tutte le volte.
CA
 
Le posso chiedere di non firmarsi così?
SH
 
Come preferisce. Perché?
 
Cosa vuole che le spieghi?
SH
 
Quel furto sventato alla Tale Gallery.
 
Ho letto qualcosa a riguardo.
SH
 
Lei si intende più di me di arte e anche di musei. Io sono solo un amatore. Non capisco come abbiamo fatto.
 
A entrare?
SH
 
No, a farsi scoprire. Sembrava perfetto…
 
****
 
- Sherlock Holmes mi ha aiutato ad organizzare i migliori furti d’arte della mia carriera.
Poi ha preteso per sé tutta la refurtiva, che io ovviamente gli ho rifiutato. Mi ha minacciato, ma a me è bastato contattare la persona giusta, che non avrebbe potuto accettare di perdere Sherlock, così anche se lui è uscito dal business, Carl ha continuato a lavorare per me. Finché insieme non hanno deciso di portarmi via i miei quadri… ma io non potevo accettare che se li portassero via, capisce…? Non potevo. Avrebbero potuto portarmi via un braccio, una mano, un piede, ma non uno dei miei quadri. Loro sono tutto per me. Ma lei questo non lo capisce, vero? Non ha la sensibilità per capirlo. Ma loro lo sapevano. Sapevano che mi avrebbero fatto del male. E l’hanno fatto apposta.
 
****
 
Carl cammina nervosamente per la stanza, e si ferma solo per lanciarti occhiatacce e rimproverarti. - Sherlock, ma ti rendi conto di quello che hai fatto?
 
Tu te ne stai seduto su una delle sedie della cucina, senza sapere cos’altro fare.
- Come potevo immaginare che sarebbe finita così?
 
- Da quando ti metti a progettare furti con gli sconosciuti, come se fosse un gioco?
 
Non gli rispondi. Forse ha già capito che da quando hai finito il college ti sei sentito solo, ed è probabilmente per la sua assenza che hai iniziato a rispondere sempre con maggiore coinvolgimento al Cavaliere Azzurro. Se un’anima affine, appassionata d’arte, annoiata dalla vita e dalle persone che la popolano, trova un modo eccitante per combattere la noia e ti propone di farne parte, tu ci scivoli dentro, senza pensare alle conseguenze. Del resto, pensavi che fosse un imprenditore, che l’azienda del padre fosse una fabbrica di automobili, non un’associazione criminale, e che ragionare insieme su possibili furti d’arte potesse essere un semplice passatempo. Pensavi che fosse un gioco, l’ebrezza intellettuale che derivava dall’immaginare come introdursi in un museo e portarsi a casa un Van Gogh o un Modigliani senza che nessuno potesse risalire a voi, era una sensazione terribilmente esaltante. E a te bastava.
 
Ti bastava che il Cavaliere Azzurro ti scrivesse, che apprezzasse i tuoi folli ragionamenti, che per te erano puri voli pindarici, che ti ponesse questioni, che facesse appunti, che proponesse obiettivi sempre nuovi. Era solo un gioco, no? Un esercizio di stile. Doveva esserlo.
 
Aveva riempito la monotonia dei tuoi giorni, ti aveva stimolato a dipingere, ti aveva permesso di accantonare il bruciante pensiero di Carl, del suo volto, del suo corpo, del fatto che appartenesse a qualcun altro. Questo non per colpevolizzare Carl, sia chiaro. Che lui non ti concedesse attenzioni, che ti scrivesse o parlasse solo saltuariamente, vista la sua difficile routine giornaliera, non ti ha da solo portato alla deriva a cui è giunta la tua vita. Forse se il Cavaliere Azzurro non ti avesse blandito con tanta bravura, senza dartene avviso, se non ti avesse accarezzato con le sue lusinghe, consolato con la sua insistenza, probabilmente non saresti caduto così facilmente nella sua rete.
 
Ma nell’arco di una notte sola due furti che avevate immaginato insieme, sono stati realizzati. Ti piacerebbe pensare ad un’assurda coincidenza, ma sai che l’universo non è mai così pigro. Non ti resta che sperare che qualcuno abbia letto le vostre mail e usato quei piani per effettuare le rapine, e che quindi il Cavaliere Azzurro sia solo colpevole di un’imperdonabile distrazione, ma non di averti ingannato.
 
Carl non riesce a capacitarsi e non sapete cosa dirvi, tu perché ti sei già pentito di averlo coinvolto e lui perché non sa come aiutarti.
 
- Secondo me potrebbe non essere stato lui, qualcuno potrebbe aver usato le nostre conversazioni contro di noi, ti giuro che non volevamo davvero fare quei furti.
 
- Sherlock, continui a fidarti di qualcuno di cui non conosci neanche il nome! Quello è un pazzo criminale! Probabilmente continuerà a tirarti in mezzo a questa storia, ti ricatterà, o altro. Non solo sei stato irresponsabile, non ti rendi neanche conto della situazione in cui ti trovi!
 
- Abbiamo solo un modo per scoprirlo.
 
Accedi al blog dal cellulare, e controlli la posta privata. Nessun messaggio, come l’ultima volta che avevi controllato. Così sei tu a scriverne uno, sperando che tutta questa bizzarra storia sia solo frutto di un equivoco.
 
Sms a: il Cavaliere Azzurro
Mi spieghi cos’è successo ieri notte?
SH
 
- Gli ho scritto. Aspettiamo la sua versione dei fatti, prima di processarlo arbitrariamente.
 
Carl scuote il capo e si siede di fronte a te, come avvilito. - Arbitrariamente? Questo è un delinquente, e lo sai pure tu. Non capisco perché lo copri.
 
- Non lo sto coprendo, voglio solo capire.
 
- Non c’è niente da capire, purtroppo. Hai informato Mycroft?
 
Lo guardi negli occhi con fermezza. - Non ho intenzione di farlo. Mi rinchiuderebbe in una casa di campagna lontana dalla civiltà e mi farebbe sorvegliare a vista. E io questo lo odio. Non potrei sopportarlo. Sarebbe come andare in prigione.
 
Carl avanza una mano sul tavolo, verso la tua, ma non osa toccarla. - So che non avete un gran rapporto, ma tuo fratello ha delle conoscenze, potrebbe aiutarti ad uscirne pulito…
 
Fissi la sua mano sul tavolo senza avere il coraggio di raggiungerla. - Nessuno ha fatto il mio nome, nessuno ha firmato i furti, per il momento non corro alcun pericolo.
 
- E allora mi spieghi, dal momento che non corri alcun pericolo, perché mi hai chiamato? Cosa vuoi che faccia? Che stia qui a commiserarti e a darti ragione?
 
Ha incrociato le braccia sul petto, allontanando la sua mano dalla tua e facendoti intuire che in realtà se prima vi era stata così vicina era stato solo per errore. - Non voglio essere commiserato. Volevo il tuo consiglio, ma non che saltassi a conclusioni affrettate.
 
Carl ti guarda stizzito. - Sai benissimo che non lo sono.
 
Vorresti avere la forza di controbattere, ma la parte razionale del tuo cervello ti dice che è lui ad avere ragione e che le probabilità che il misterioso Cavaliere Azzurro sia incolpevole sono così basse da poter essere considerate nulle. Tieni gli occhi fissi sulla tovaglia plastificata davanti a te.
 
- Ti chiedo solo una cosa… mi spieghi perché l’hai fatto?
 
È quasi ridicolo che sia lui a farti questa domanda, dal momento che è parte integrante della risposta. Ma non lo ammetteresti mai. Ti focalizzi su quello che provavi ad inventare stratagemmi per non far saltare gli allarmi, e per disinnescare i circuiti delle telecamere interne.
 
Alzi lo sguardo, sperando di essere più convincente. - Perché era divertente.
 
- Non ti è mai passato per la tua testa geniale che fosse una cosa sbagliata? Che non avresti dovuto farla sebbene avessi voluto?
 
- Non pensavo di correre nessun pericolo. Doveva essere semplice speculazione. Pensavo che lui fosse mio amico.
 
C’è un forte sottinteso, un chiaro rimando, in quello che hai detto. Carl sembra coglierlo, e non sai se esserne felice o meno. - Perché non hai chiamato me invece di cercare conforto in questo pazzo?
 
- Hai la tua vita Carl, io non posso sempre pensare di avere il diritto di intromettermi.
 
Lui ti guarda fisso negli occhi, una mano sul tuo braccio, come a indicare la sua vicinanza. - Avrai sempre il diritto di intrometterti nella mia vita, ricordalo bene.
 
Guardi la sua mano, cercando di immagazzinare il ricordo di questa sensazione nell’archivio della tua memoria. Dissenti con quello che dice, ma ti sembra così intrinsecamente bello sentirglielo dire che quasi non vorresti contraddirlo. - Carl… Ci sono altre cose, altre persone nella tua vita...
 
- Nessuno potrà tenermi lontano da te.
 
C’è la stessa dolorosa tenerezza nei suoi occhi, data dalla consapevolezza del peso di quello che sta dicendo, dal momento che non è propriamente vero, non è sempre vero.
 
- Non dici niente?
 
Lo guardi negli occhi e alzi appena le spalle. - Cosa vuoi che ti dica?
 
- Quello che pensi…
 
- Su di noi…?
 
Senti la pelle bruciarti sul viso. “Noi” è un pronome terribilmente identitario. Ti penti di averlo pronunciato nella frazione di secondo in cui Carl ti guarda senza dire niente.
- Anche su di noi.
 
Ha annuito. Ha usato quel pronome terribilmente identitario, come se fosse normale. Come se fosse normale parlare di “voi”, così come lo state facendo adesso. Che questa follia del Cavaliere Azzurro possa riuscire a farvi essere sinceri l’uno con l’altro? Che possa portavi altrove?
 
- Penso che mi manchi. Mi manchi troppo spesso. Ci sono molte cose che ti tengono lontano da me. Ma non è colpa tua. Io ho scelto di andarmene. Io devo pagarne le conseguenze. Ma non dirmi che non c’è niente che ci separa. Perché c’è l’Himalaya tra di noi.
 
Carl ti guarda con esasperata dolcezza. - Sei tu che non mi vuoi nella tua vita. Ti fai vivo molto raramente. Non mi scrivi mai. Ti sei fatto strane idee…
 
- A quale delle mie tante strane idee ti riferisci?
 
- Tu pensi che io abbia una ragazza. Che la anteponga a te.
Lo dice con tono di leggero rimprovero. Come se fosse ridicolo da parte tua.
 
- Non è forse così?
 
Carl stranamente non temporeggia nel risponderti. - Il fatto che io sia andato a letto con questa ragazza non implica che lei sia più importante di te. Ti conosco da molto più tempo di quanto non conosca lei.
 
- Ma tu la ami, io sono solo un tuo amico.
 
Disegna ghirigori di nervosismo sul tavolo, mentre con gli occhi bassi sussurra:
- Tu non sei solo un mio amico.
 
- E cosa sono allora…?
 
Alza lo sguardo su di te, con intimidita tenerezza. - Sei… il mio miglior amico.
 
Non sai dove trovi il coraggio, ma insisti. - E l’amicizia conta più dell’amore?
 
- Tu conti più di chiunque altro.
 
Probabilmente è quanto di più vicino ad una dichiarazione potrai mai sentirgli pronunciare.
Nei tuoi confronti almeno. Non sai perché, ma sei sicuro che Carl sarebbe capace di parole colme di tenerezza. E ti angustia immaginare che le dica a qualcun altro. Probabilmente arriverà il giorno in cui dovrai pronunciare un discorso al suo matrimonio. Il discorso del testimone di nozze. Solitamente è il miglior amico che lo pronuncia. Non sai se saresti mai capace di scriverne uno, perché celebrare la felicità della persona che si ama con qualcun altro non è qualcosa che si possa pretendere da se stessi a cuor leggero.
 
Ami Carl. Ma non puoi dirglielo. Perché preferiresti essere al suo matrimonio, dalla parte sbagliata del tavolo, piuttosto che non esserci. Preferiresti vederlo felice, anche se con qualcun altro, che dover solo immaginare la dolcezza del suo sguardo, la spensieratezza del suo sorriso. Ami Carl. Non riesci a trovarci niente di più sbagliato… e niente di più giusto.
Essere innamorati genera continue contraddizioni. Non volevi chiamarlo, ma volevi che fosse con te. Pensavi di poter gestire il Cavaliere Azzurro da solo ma volevi che lui vedesse che sai essere affascinato da qualcun altro, volevi in fondo che si ingelosisse. Ma in realtà ti sembra di avergli solo mostrato quanto a fondo puoi cadere se non c’è lui a sorreggerti. L’hai chiamato perché volevi che ti dimostrasse di tenerci a te, di volerti tirare fuori dai guai, che si mettesse in moto qualcosa…
Ma forse stai solo facendo una figura patetica…
Quando leggi la risposta del Cavaliere Azzurro ne hai la conferma.
 
Sms da: Il Cavaliere Azzurro
Non è stato magnifico?
 
****
 
Il Cavaliere Azzurro delira nella sua follia. Cerca persino di creare empatia con te, che sei legato come un salame e suo ostaggio. - Lei cos’avrebbe fatto se le avessero portato via tutto quello a cui teneva?
 
- Quei quadri non erano suoi, li aveva rubati…
 
Fa una smorfia di disappunto abbastanza teatrale. - Li avevo rubati, quindi erano miei.
 
- Quindi non era solo per i quadri?
 
- I quadri non sono solo quadri, non l’ha ancora capito? I quadri sono ritratti di anime. La tela è il corpo, un mero supporto fisico, le pennellate sono arterie, e sangue, e viscere, il colore è spirito. Non ci è dato vedere gli spiriti, se non nelle opere d’arte.
 
Non riesci a capire fino in fondo cosa ci sia nella psiche di quest’uomo. È tutto terribilmente surreale e folle.
 
- Lei si rispecchia nei quadri…?
 
E più tu sei incredulo, più lui sembra convinto. - Io posseggo altri attraverso i quadri. Sono in mio completo dominio, anche se sono morti, perché ho in ostaggio le loro anime. L’arte è l’unica cosa che vince la morte.
 
- È questo che vuole da Sherlock: un ritratto, per essere immortale?
 
- Non siamo in un romanzo di Oscar Wilde, signor Watson. Lei non potrà mai capire.
 
 
****
Avete discusso sul da farsi, e hai dovuto ammettere, a malincuore, che i vostri peggiori timori erano giustamente fondati. Quel messaggio del Cavaliere Azzurro rivendica i fatto i furti, nella sua innocenza non potete di certo più credere.
 
Carl ti guarda con rammaricata serietà. - Non ci resta che sventare il suo prossimo colpo. Tu probabilmente conosci già il piano. Sai già cosa dobbiamo impedire.
 
Scuoti il capo, indeciso se dargli ascolto o meno. - Non è detto che segua alla lettera quello che abbiamo pensato…
 
- L’ha fatto la volta scorsa…?
 
Ripercorri nella memoria il progetto e poi le dinamiche del furto. - Tutto sommato sì.
 
- Perché non dovrebbe farlo anche stavolta?
 
****
 
- Sherlock avrebbe potuto… se solo non fosse stato così stupido… Se solo avesse accettato il mio gioco, e non si fosse fatto indietro. Mi ha stracciato il cuore… Questo lei lo capisce, no? Sa cosa vuol dire essere ingannati, essere la seconda scelta… Io non sono mai la seconda scelta. Nessuno mi sceglie, sono io che scelgo gli altri. E nessuno fa quello che vuole senza che non lo voglia io, o se lo fa, lo fa a suo rischio e pericolo. Sherlock Holmes sta giocando con il fuoco… Non è curioso di vedere se si brucerà anche stavolta?
 
***
 
Oggi piove. Diluvia. Le gocce di pioggia si suicidano contro i vetri della tua finestra.
Il tempo di uscire dal taxi e raggiungere il portone del 221 B basta a Carl per inzupparsi completamente. Gli saresti andato incontro con un ombrello, se solo avessi saputo che stava venendo da te. Apri la porta con inquieto stupore dopo averlo visto dallo spioncino.
Sorpreso, lo guardi senza riuscire a capacitarti della sua comparsa, della sua corsa, dei suoi capelli bagnati sotto la pioggia. - Carl, che ci fai qui?
 
Lui entra, tirandosi dietro la porta, senza sedersi, senza guardarsi intorno, senza accennare a uno qualunque dei convenevoli dietro cui le persone solitamente si nascondono.
Nei suoi occhi l’urgenza di parlarti. - Mi hanno anticipato la partenza.
 
Nei tuoi un certo allarmato stupore. - Quando?
 
- Domani mattina.
 
- Ma possono farlo…? Con così poco preavviso?
Annuisce appena.
 
Gli hai indicato il bagno, perché si asciugasse quanto meno i capelli con il phon, mentre hai messo a bollire l’acqua per il the. Non puoi credere che se ne vada adesso. Non puoi credere di perderlo, ora che pensavi che avresti potuto ritrovarlo, e non così alla svelta.
 
Da quando il Cavaliere Azzurro ha scombussolato le vostre vite, paradossalmente siete diventati uno il punto di riferimento dell’altro. Siete riusciti a sventare il secondo e il terzo furto di quelli che avevi per gioco organizzato con il ladro. Il Cavaliere Azzurro ha smesso di seguire quei piani, e per un po’ musei e collezionisti privati hanno dormito sonni tranquilli. Tempo un paio di settimane e i furti sono ricominciati, ma non con piani che si potevano ricondurre a te. Avresti voluto fare qualcosa anche in merito a quelli, ma Carl te l’ha impedito, dicendo che vi siete messi a sufficienza in pericolo, e che se quel Cavaliere Azzurro è un criminale come sembra, va lasciato in pace.
 
Non ti spieghi che non sia successo niente dopo che avete sventato i furti. Non un messaggio, non una parola da parte del ladro. Ma forse il tacito accordo era proprio quello, lui avrebbe tentato i furti, tu avresti dovuto sventarli. È stato avvincente, come stare in un film, o in un libro. Ed essere l’eroe della situazione.
 
Carl ha finito il suo corso di fotografia all’università e ha fatto domanda per partecipare ad una troupe in partenza per l’Afghanistan. Avresti voluto poterglielo impedire, ma sai che non farebbe mai il fotografo di moda, o qualsiasi altra cosa che potesse tenerlo a Londra. Del resto non è a te che deve chiedere il permesso per vivere la sua vita come preferisce viverla. La partenza della missione era incerta sin dall’inizio, vista la difficile situazione nel paese, e le date sono state sempre molto altalenanti. In realtà non pensavi che avrebbero accettato la sua candidatura, vista la giovane età e la mancanza di esperienze sul campo, ma sei felice che qualcuno abbia riconosciuto il suo talento. Ma non puoi pensare che debba partire domani…
 
***
Carl fa giocherellare la bustina di the nell’acqua bollente, che diventa pian piano più scura.
Alza gli occhi e comincia a fissarti, con titubante insistenza.
 
- Lo sai che Verlaine scriveva poesie per un uomo?
 
Deglutisci a fatica il sorso di the che avevi preso, col rischio che ti vada per traverso.
Quel libro è stato la fonte primaria dei tuoi problemi. Se non te l’avesse regalato non ti saresti fatto illusioni, ma a fronte di una poesia per Rimbaud, e un paio al maschile, le altre erano tutte l’esaltazione del corpo femminile. Per questo non hai mai preso il suo regalo come prova. Alzi gli occhi a sostenere il suo sguardo. - Scriveva anche poesie per delle donne…
 
Carl scuote appena il capo. - Che non erano importanti…
 
Smetti di tormentare il manico della tazza. - Cosa stai cercando di dirmi?
 
Devi avere un’aria un po’ smarrita, perché Carl fa fatica a non abbassare gli occhi.
- Niente, se non è quello che vuoi sentire.
 
 Chiami a raccolta tutte le forze che hai, respirando a fondo prima di parlare, per far arrivare un po’ di ossigeno al cervello, e calmare il cuore che inizia ad agitarsi nel petto.
 
- Carl, conosci De André?
 
Lui ti guarda con sincero spaesamento. - No…?
 
Era un rimando troppo sottile da cogliere. Non avresti dovuto farci tanto affidamento fin dall’inizio.
- Ha scritto una canzone sulla melodia dell’Adagio del Concerto d'Aranjuez. E parla di un amore infelice.
 
Carl sembra stupito, scuote il capo. - La suonavi sempre...
 
- La suono ancora.
 
Lo guardi fisso negli occhi, sperando che possa bastare. Incredulo che qualsiasi cosa stia succedendo, stia succedendo davvero.
 
Non distoglie lo sguardo. - Perché non me l’hai mai detto prima?
 
- Per lo stesso motivo per cui non mi hai mai detto di Verlaine.
 
Cala un silenzio imbarazzato. Fai per prendere un sorso di the, ma resta solo un vago tepore sulla porcellana della tazza, e la bevanda è ormai fredda. Carl continua a guardarti, e lasci a lui l’onere di dire qualcosa. Non sai cosa aspettarti da questa situazione e non sai cosa lui si aspetti da te. Non ti piace non sapere come comportarti. E te ne vergogni, incidentalmente.
 
Carl allunga una mano sul tavolo a toccare la tua.
- Sherlock, posso farti una richiesta?
 
Annuisci.
 
Lui si alza in piedi e si avvicina a te. - Vieni qui…
 
Ti alzi a tua volta. - Cosa vuoi…?
 
Lui allarga le braccia: - Voglio tenerti stretto a me, sentire il tuo cuore battere vicino al mio e scordarmi quanto sia stato infelice…
 
Arrossisci abbastanza vistosamente.
 
Scuote il capo. - Sono uno sciocco sentimentale, scusami. Non volevo metterti a disagio.
 
Ti avvicini a Carl, combattendo contro il rossore e sapendo di non essere credibile.
- Non mi metti a disagio…
 
Il cuore batte forsennato nel petto, mentre te ne stai lì, vicinissimo, ad aspettare che lui ti abbracci.
Carl sorride appena, ti circonda la schiena con le mani, ti abbraccia con tenerezza, appoggia la testa sulla tua spalla, gli occhi chiusi. Non è irruento, ma è così intimo, per quanto è dolce.
 
- Sei adorabile quando cerchi di smentire l’evidenza.
E continua, sussurra al tuo orecchio con un tono inconsapevolmente suadente: - E sei bellissimo quando t’imbarazzi…
 
Ma non mantiene a lungo la promessa di limitarsi ad abbracciarti, ti bacia dolcemente l’orecchio, e poi l’attaccatura del collo, incoraggiato dalla tua arrendevolezza.
Non ti dispiace, ma lui si fa prendere dal senso di colpa, si stacca da te quasi fulmineamente.
- Scusami, non…
 
Carl non sa intuire quanto tu lo abbia desiderato, è ancorato alla tua ostentata indifferenza per i sentimenti, al tuo dichiarato sdegno per il sesso, evidentemente deve aspettarsi che anche il minimo contatto possa disgustarti. E se ci fosse qualcun altro al suo posto, probabilmente sì, ti darebbe immensamente fastidio. Ma è lui. Ed è immensamente diverso.
 
- Smettila di scusarti…
 
E non se l’aspetta, ma sei tu a prendergli il volto tra le mani, e baciare timidamente la sua bocca. Risponde appena, dischiudendo le labbra, mentre il volto gli diventa vagamente rosso.
 
Carl ti sorride incredulo, portandosi una mano sul viso, come se non si capacitasse ancora della tua iniziativa. - Non mi aspettavo che…
 
Avete passato anni a desiderarvi senza mai dirvelo. E adesso sembra difficile ad entrambi che l’altro possa ricambiare, tanto siete stati terrorizzati dalla prospettiva di essere respinti. Di essere rifiutati dall’unica persona che conta.
 
Potresti prendere la mano che ha appena allontanato dal viso. Oppure potresti accarezzare una delle sue guance con la punta delle dita. Potresti scompigliargli i capelli. Ma un timido sfiorarsi di labbra non è stato sufficiente a rimuovere anni di rigido autocontrollo. 
 
Sai che è così anche per lui. Sorridi del suo spaesamento. - Ti sembra strano che volessi baciarti? Questo dimostra che non hai capito niente in questi anni…
 
Lui alza gli occhi al cielo, senza sembrare arrabbiato. È visibilmente diviso dall’avvinghiarsi a te e chiederti spiegazioni. - Sherlock, hai fatto di tutto per depistarmi…
 
- Non è vero, spesso sono stato avventato.
 
 Hai pensato molte volte di esserti tradito, che lui avesse capito l’entità del suo attaccamento a lui, la dolcezza di alcuni sguardi, l’indulgenza che ingentiliva i suoi tratti quando lo ritraevi, dal vivo, o a memoria. Probabilmente non sa di quelli a memoria, però…
 
- Troppo poco, Sherlock. Io stavo per partire senza dirti una parola…
 
Forse ti si potrà accusare di eccessivo riserbo, ma a parte qualche uscita infelice sull’inutilità dei sentimenti o lo squallore del sesso, non hai mai barato mischiato le carte, come ha fatto lui. Gli lanci un’occhiata volutamente torva. - Non sono io ad essermi messo con una donna.
 
Lui si appoggia alla parete, come se non avesse d’un tratto la forza di risponderti. - È stata solo una parentesi squallida, non rinfacciarmelo, ti prego.
 
A te non è mai interessato avere una relazione, ma capisci che per lui possa essere stato destabilizzante ritrovarsi attratto da un uomo, dal momento che le sue esperienze precedenti potrebbero essere state delle donne. Ma a te di quello che succedeva prima che ti conoscesse non interessa. Eppure Carl dopo averti conosciuto e averti lanciato segnali ambivalenti, ha avuto una donna. Il che non solo ti ha portato a quella gelosia ossessiva e fintamente disinteressata che ha sperimentato quel pomeriggio a casa tua, dopo settimane che non rispondevi al telefono oppure scrivevi messaggi monosillabi, ma ti ha fatto concretamente perdere ogni speranza. Ma non è questo il momento di recriminare. E anzi, probabilmente preferisci non sapere. Adesso non servirebbe a niente. Vuoi solo stare con lui, prima che parta. Vuoi abbattere le muraglie di convenevoli che vi tengono ancora divisi. E con decisione colmi la distanza che vi separava.
 
- Adesso non voglio rinfacciarti niente…
 
 
***
Se Carl si era arreso a baciarti, e baciarti e baciarti ancora, pare non sia intenzionato a proseguire oltre. Scuote appena il capo. - Sherlock, non sentirti obbligato… Non voglio che tu faccia qualcosa che non ti senta di fare…
 
- L’arte è una sublimazione del sesso, ricordi?
 
Carl sembra ignorare quello che hai detto, sulla faccia un’espressione di tacito disappunto.
- Sherlock… so quello che pensi e non me lo perdonerei mai se…
 
Ma non si è scostato di molto. Siete ancora così vicini da respirare il respiro dell’altro.
- Sono con la persona che amo…
E gli baci ancora le labbra con dolce devozione.
 
Lui non si sottrae al bacio, ma non lo approfondisce. - Tu vuoi mandarmi al manicomio… Non puoi davvero ricordarti tutto quello che dico e usarlo contro di me!
 
Una colonna di aria fredda prende il tuo posto tra le sue braccia. - Non pensavo che… Scusami.
 
Carl sembra mortificato. - Sherlock, stavo scherzando. Non pensavo che ti ricordassi… Io… non so più cosa pensare. Io pensavo che mi avresti cacciato via, non che mi avresti baciato. Sono un po’ destabilizzato da… tutto questo.
 
- Ma…
 
- Sono destabilizzato… in senso positivo.
 
Si appoggia al tavolo, soppesando visibilmente i pensieri. Resti immobile davanti a lui, senza capire cosa possa frullargli per la testa, e senza riuscire a collegare la sensazione di spaesamento a qualcosa di positivo. Tu detesti non sapere cosa fare. Affidarsi alla razionalità e ad uno schema di comportamento già sperimentalmente testato come funzionante è la cosa che trovi più confortante al mondo. E questo silenzio ti spaventa…
 
Carl alza infine gli occhi dal pavimento, e riprende a guardarti. E a parlarti.
- C’è un motivo se sono stato con una ragazza e non con un ragazzo.
 
Avevi supposto che l’evidente differenza avrebbe potuto infastidirlo, o frenarlo, o… dargli problemi anche psicologici, ma non pensavi che tirasse fuori l’argomento così francamente e così all’improvviso. - Non sei tenuto a dirmelo…
 
- Sono tenuto invece. Perché c’entri tu, ovviamente.
 
Annuisci. Aspetti che continui a parlare, ma di risposta il suo sguardo ha ripreso a vagare sul pavimento.  
 
- Non sono bravo con queste cose.
 
Non sei certo di capire… - Parli con qualcuno che non ha affatto esperienz…
 
Carl scuote il capo, accennando un sorriso nervoso. - Non intendevo “quelle” cose. Intendevo “parlare di sentimenti”…
 
Ma non c’era malizia in quello che avevi detto. Volevi solo diluire le sue preoccupazioni, ammettendo le tue mancanze. - Anch’io intendevo parlare di sentimenti.
 
Carl respira profondamente. E alza deciso gli occhi fino ad incontrare i tuoi.
- Io non potevo sopportare di stare con un uomo che non fossi tu. E visto che non potevo avere te, ho cercato di dimenticarti, di convincermi che per te provassi solo affetto, che fossi solo confuso. Che in realtà mi piacessero le donne. Ma sono stato ancora più confuso dopo. E tu sembravi geloso. Ma non… Non l’ho fatto per farti ingelosire sia chiaro, io…
 
Lo interrompi, stupendoti della tua fermezza, a fronte di quello che ti ha appena detto.
 
- Carl, ti imbarazza parlare di questo…?
 
Annuisce, rifugiandosi in un tono ironico che mal si addice alla serietà del suo volto.
 
- Evidentemente.
 
- E allora smetti di parlarne…
 
- No, devi farmi continuare.
 
È commovente come sia deciso a portare avanti questo discorso. Ti stupisce quanto possa avere a cuore spiegarti quello che non ti ha mai detto e che ti ha ferito, quello che non avevi mai avuto l’arroganza di chiedergli. Non l’avevi fatto neanche prima, pur avendo tirato fuori l’argomento. Carl sente di non essere stato leale con te quando è stato con quella ragazza. A quanto pare si sente in colpa per questo…
 
- Io ti desidero immensamente, ma… Non sarei dovuto venire qui a parlarti… Domani parto per l’Afghanistan. Cosa posso offrirti?
 
Se fossi avvezzo alle metafore potresti pensare che il cuore ti si stia squagliando nel petto. Carl continua sempre e solo a preoccuparsi per te. Perché sa che non lasceresti a nessun altro l’onere di preoccuparsi per te, senza ostacolarlo. E come potresti mai ostacolare Carl, che scuote il capo e ti guarda come se fossi la cosa più preziosa e importante al mondo? È difficile, ma devi trovare un modo per farlo, visto che sta piombando inutilmente nello sconforto. - Oggi non è ancora finito… e tornerai…
 
- Oggi è già finito Sherlock, il sole sta tramontando. E non so quando potremo rivederci…
 
Alzi le spalle, scuotendo le spalle. - È già successo altre volte.
 
- Chiedimi di non partire…
 
Ha un’espressione teneramente vulnerabile. Non pensi che sia stato mai così candidamente esposto al tuo giudizio, come oggi, in questa stanza, la sua partenza ad incombere come un macigno sulla vostra vita insieme. Ma sai che per quanto l’istinto gli abbia fatto pronunciare quella richiesta, in realtà sarebbe solo meschino e vile da parte tua cercare di trattenerlo.
 
Sospiri appena. - Lo sai che non posso farlo. Mi odieresti per questo.
 
Carl riacquista parte della sua solita sicurezza.  - Non potrei mai odiarti, Sherlock, scordatelo.
Non ti ha ancora detto di amarti. Non nel modo canonico in cui le persone lo dicono. Tu l’hai fatto, ma lo stavi citando, il che forse non vale, visto che sembra che lui non ci abbia fatto granché caso. Tu rincorri piste su questo, mentre lui continua a farsi rodere dai suoi demoni.
 
- Non avrei dovuto lanciarti in tutto questo… Come starai dopo che me ne sarò andato…?
 
Alzi le spalle, come a sottolineare che verrai a patti con la sua partenza, ma sicuramente non potresti tollerare di lasciarlo andare come se fosse un estraneo, proprio ora che vorresti solo che fosse tuo complice. Che almeno per questa notte fosse il tuo amante. La verità è che vuoi disperatamente che si dimentichi di quello che ha vissuto prima, con altri, e che possa ricordare, nelle notti buie e solitarie e fredde dell’Afghanistan, solo i tuoi baci, la tua pelle, i tuoi sospiri.
 
- Ormai il danno è fatto, non puoi tornare indietro.
 
Carl accenna un sorriso piuttosto triste, e ti accarezza il volto. - Detesto darti ragione…
 
Ti volti a baciare il palmo della sua mano.
 
- E questo lo detesti…?
 
Carl ti regala un sorriso più rilassato, scuotendo appena il capo.
 
Baci ancora la sua bocca, ed è un leggero sfiorarsi di labbra. - E questo…?
 
Lui risponde al tuo incoraggiamento, ti attrae a sé, mentre il tuo respiro, già accelerato dalla tua impudenza di prima, ti fa alzare e abbassare il petto speri non troppo vistosamente.
 
- Non potrei mai detestare niente di tutto questo…
 
Abbassi lo sguardo, poi chiudi gli occhi. Carl ti bacia con appassionata lentezza, e ti senti avvampare il volto, ti irrigidisci istintivamente, mentre lui scende a baciarti il collo, a insinuare il naso e poi le labbra sotto la stoffa della tua camicia azzurra, dopo aver liberato qualche bottone dall’asola.
 
- Carl…
 
Si ferma istantaneamente, alza gli occhi, quasi preoccupato.
Vorresti non averlo fermato. Se non altro adesso non dovresti spiegare nulla. E non ti sentiresti uno sciocco, come sta avvenendo. Cerchi le parole con imbarazzo. - Il fatto che voglia… non vuol dire che non mi spaventi.
 
- Possiamo interromperci anche adesso…
 
Il suo tono di voce è calmo, e rassicurante, e sai che non farebbe mai qualcosa che tu non volessi che facesse. Prendi un respiro profondo prima di parlare. - Non voglio che tu ti interrompa… Ma penso che potrai restare deluso, forse…
 
- Sherlock, tu pensi davvero di non poter essere abbastanza?
 
Non abbassi gli occhi, ma sostieni il suo sguardo, lieto che abbia capito senza che tu dovessi esporti ancora.
 
- Io passo le mie notti a sognarti, e i miei giorni a maledire che siano solo sogni.
 
Non sai se la cosa deve lusingarti o spaventarti. Sicuramente ti mette ansia. - Che cosa facciamo nei tuoi sogni?
 
- Solitamente dipingi, o suoni il violino. Delle volte mi baci persino…
 
Non puoi credere che si sia limitato a questo. Persino tu non ti sei limitato a questo. - E basta…?
 
Carl accenna un sorriso vagamente nervoso. - Vuoi mettermi o metterti in imbarazzo?
 
- Non sarò mai all’altezza delle tue fantasie…
 
- Scommettiamo?
 
Annuisci, accennando un sorriso alla sua sicurezza mal riposta.
 
- Non mi hai mai fatto vedere la tua camera…
 
***
 
Ti togli le scarpe, dopo esserti seduto sul bordo del letto.
Carl si siede a fianco a te. Bacia solo le tue labbra, non il collo, non la porzione di dorso lasciata scoperta dalla camicia che aveva iniziato ad aprire. Ti abbraccia, semplicemente. Ti stringe forte, senza malizia. Ti porta dolcemente a sdraiarti sul materasso insieme a lui.
 
- Sei teso come una corda di violino, Sherlock.
 
Sarebbe inutile negare… così cerchi di minimizzare. - Penso che sia normale.
 
- Penso che tu debba scioglierti. E smettere di pensare. E di razionalizzare tutto.
 
- Fammi smettere di pensare allora…
 
Carl ti bacia ancora. E ancora. E ancora una volta. Perdi il conto dei suoi baci, degli attimi che passi senza riprendere fiato, o con gli occhi chiusi. Carl inizia piano a spogliarti, scostando i bottoni dalle asole della tua camicia.
 
- Hai idea di quanto sia bello anche solo guardarti…?
 
Non rispondi, intento a cercare di non cambiare ancora una volta colore.
 
Carl non aspetta sul serio una risposta, bacia piano ogni porzione di pelle che scopre, dolcemente soddisfatto del tuo progressivo abbandonarti contro il materasso, dei tuoi taciti sospiri. Quando smette, apri di nuovo gli occhi. Lui incrocia il tuo sguardo, chiedendoti chiaramente il permesso. Annuisci, accordandoglielo.
 
Gli lasci sganciare il bottone, le sue mani pericolosamente vicine a una parte che di te che nessun altro ha mai toccato. Temi di rovinare tutto con la tua inesperienza, ma fai scivolare via i pantaloni.
 
Carl è ancora completamente vestito. E sembra non farci caso. Ha preso a baciare la pelle intorno alle cuciture dei tuoi boxer. Avvampi quando incomincia a diventare dolorosamente evidente che stai gradendo quello che fa.
 
Non è la prima volta che ti vergogni di avere un corpo, ma solitamente sei da solo, nel pieno della notte, nel buio più completo. Hai immaginato più di una volta come sarebbe stato essere con Carl. Ma lui non c’era e non poteva vedere la reazione involontaria che stimolava. Ora c’è. E la vede. E la sente, sotto la lingua, le tue mutande abbandonate ai piedi del letto.
 
Sei un fascio di sensazioni contrastanti, mentre ti sforzi di soffocare i gemiti, mordendoti selvaggiamente le labbra.
 
Carl alza gli occhi, interrompe quello che sta facendo.
- Ricordi ancora il mio nome, vero?
 
Lo guardi senza capire, e annuisci, cercando di darti un tono.
- Posso sperare di sentitelo pronunciare?
 
Carl riprende a saggiare quella pelle tesa e sensibile con le sue labbra, intensifica di colpo il movimento della lingua, e ti strappa un gemito che non riesci a controllare.
 
Ripeti il suo nome più e più volte, finché non gli metti una mano sulla spalla, per distoglierlo e non lasciarlo finire.
 
Lui ti rivolge uno sguardo interrogativo.
- Sei ancora vestito.
 
Carl scuote appena il capo, accennando a voler riprendere la sua pratica da dove l’aveva interrotta. Ma insisti perché si stacchi da te, per quanto doloroso possa essere.
 
E se lui ti aveva spogliato con una lentezza di una dolcezza disarmante, tu lo aiuti febbrilmente a liberarsi dei vestiti, mentre continua a protestare per non averti pienamente soddisfatto.
 
Quando accenni con molto imbarazzo a quello che vorresti che facesse, prendendosi il piacere cui agogna da tempo, lui scuote categoricamente il capo, in un “no” che vorrebbe essere tassativo, ma che non riesce ad esserlo fino alla fine.
 
Ed è doloroso, e ti sei maledetto per averglielo proposto tu, quando lui sembrava interessato solo al tuo piacere, ma non è solo questo che ricorderai quando ripenserai a questo momento. Carl che continua a chiamare il tuo nome dopo ogni spinta, la voce sempre più roca, mentre ti bacia i capelli, il collo, la schiena, e la sua mano guida la tua nel rincorrere lo stesso ritmo.
 
Ricorderai che dopo il tuo letto era un campo di battaglia, sporco di sudore e umori, ma anche che non pensavi a niente, di nuovo abbandonato sul materasso, e che una sensazione di stancante benessere ti aveva sopraffatto le membra, mentre un calore diffuso continuava a consolarti la pelle.
 
***
 
Carl sta sdraiato accanto a te sotto le coperte. In silenzio. Lo sguardo perso sul muro.
Lo chiami per nome, ma lui non si volta subito. Quando infine ti guarda sembra distrutto dai sensi di colpa.
 
Scuote il capo, perentorio:- Abbiamo sbagliato tutto…
 
Non osi avvicinarti o toccarlo, il che è ridicolo adesso, ma d’un tratto lo senti di nuovo distante. Incroci il suo sguardo, cercando di trasmettergli la tua sicurezza. - Non mi pento di quello che abbiamo fatto.
 
- Non mi riferivo solo ad oggi. Sono anni che ci conosciamo. E anni che non facciamo altro che mentirci. Se fossimo stati sinceri, sin dall’inizio…
 
Sorridi delle sue insicurezze. - Abbiamo tutto il tempo del mondo per recuperare quello che abbiamo perso.
 
Carl ti bacia disperatamente le labbra, affondando le mani nei tuoi capelli scuri.
 
- Promettimi di avere cura di te. Mangia, dormi, dipingi, continua a vivere la tua vita.
 
Non rimpiangi affatto la monotonia della tua vita. Vuoi vivere con lui, ogni minuto di ogni giorno. - Ormai fai parte della mia vita…
 
Carl risponde con appassionata mancanza di contegno:- Sai quanto ardentemente io ti ami?
 
Sgrani istintivamente gli occhi. Non ti aspettavi che ti dicesse questo, ora, così, con questa struggente urgenza. E non sai cosa rispondergli. - Io…
 
Lui ti guarda con dolcezza infinita. E non sai perché ricorderai per sempre queste parole. - E allora promettimelo. Non restare ancorato ai ricordi.
 
Incredulo, riesci solo ad articolare il suo nome. - Carl…
 
- Abbracciami e basta.
 
E tu lo abbracci. Senza sospettare niente. Senza pensare al motivo del suo comportamento.
E per tutta la vita rimpiangerai di non aver colto quello che avresti dovuto. Ma i sentimenti sono come una tempesta e se non sei mai uscito in mare aperto, ti lasci travolgere dai venti, e puoi rischiare di naufragare… E si sa che la notte prima della tempesta le stelle brillano più luminose nel cielo, per trarti in inganno.
 
Carl ti accarezza placidamente i capelli. - Tu sarai sempre il mio più bel ricordo.
 
E ti addormenti così, la tua testa sul suo petto, come se il mondo finisse davanti alla porta chiusa della tua stanza.
 
***
 
Carl non è mai tornato dall’Afghanistan.
Un tempo ti aveva promesso che ogni volta che saresti stato triste, avresti potuto chiamarlo, e lui sarebbe venuto ad abbracciarti. Ma per quanto tu possa chiamare il suo nome, lui resterà sepolto sotto quella lapide, e nessuno potrà più abbracciarti. A nessuno permetterai più di accarezzarti il viso, di scompigliarti i capelli, di baciarti le labbra.
 
Intorno a te tutto è buio, ma neanche l’oscurità sa essere un grembo accogliente. Hai iniziato a drogarti sperando che il tuo corpo non regga. Vorresti solo addormentarti e non svegliarti più.
 
 
****
 
Jim ti ha lasciato da solo, a rimuginare sulla follia delle sue parole.
Tra Sherlock Holmes e il Cavaliere Azzurro è in corso una partita a scacchi da anni, non sai più distinguere chi muova il bianco e chi il nero. Sai solo di essere un insignificante pedone al centro della scacchiera, senza libertà di movimento, e prossimo a perire. Non vedi come possa essere diversamente. Non hai informazioni, non sai niente, e in più il Cavaliere Azzurro in qualche modo pensa che Sherlock sia emotivamente coinvolto con te in un’infatuazione che non chiama amore, ma che vuole di certo sfruttare a suo favore per fargli del male.
Non hai libertà decisionale, e non sei neanche nella posizione di elaborare un piano. Sembra che non ci sia più niente da fare.
 
***
 
Il Cavaliere Azzurro ti ha fatto slegare, e questo ti fa pensare che voglia intavolare trattative, cercando di istaurare un rapporto alla pari, convincendoti a coalizzarti con lui contro Sherlock.
Ti ha ricordato che c’è un cecchino pronto a spararti se provassi a fuggire, ed in effetti c’è una specie di cursore rosso, probabilmente dato dal mirino di un fucile di precisione, sul tuo giubbotto. Del resto non hai più il telefono che ti era già stato sequestrato prima, quindi non puoi fare praticamente niente per avvertire qualcuno della tua presenza in questa dannata piscina abbandonata. Aspetti che il Cavaliere Azzurro esponga le sue carte, e faccia la sua offerta… 
 
Lui cammina bellamente verso di te, con nonchalance, come se non fossi un suo ostaggio.
Impeccabile nel suo completo scuro, la camicia bianca, e le scarpe nere spazzolate, non l’aspetto che l’immaginario collettivo attribuisce ad un pazzo psicotico.
 
- Eccoci John, lei ed io. E il nostro ultimo problema: Sherlock Holmes. Per tutta la vita ho cercato delle distrazioni. E lui era la mia distrazione migliore. E ora non ho più neanche lui… perché l’ho battuto. E saiuna cosa? Tutto sommato è stato semplice.
Portarla a Parigi non è stata una grande idea, se pensava di ostacolarmi per così poco. Certo, avrei preferito evitare questa trasferta… ma tutto sommato è stato piacevole. Del resto ho avuto molto più preavviso di lei di quello che stava per succedere. Sherlock mi ha molto deluso… Non ha capito che Victor Trevon fosse solo una mia pedina. Ha lasciato che gli scorrazzasse intorno per tutto questo tempo, che scoprisse i suoi piani… Quando Trevon mi ha riferito di averla trovata in mutande nella camera da letto di Sherlock, l’ho trovato abbastanza squallido. Sa che non la ama, ma lei non hai saputo resistere al fascino dell’artista, non è così?
Sherlock ha ritrovato il suo quadro, pensando che sarebbe servito a salvare Trevon. Ma non riesce a trovare lei… Non è ridicolo? Ha salvato la mia spia e non il suo amante.
 
- Non posso più giocare con Sherlock… dicevo. Ora devo tornare a giocare con le persone comuni. Lei si starà chiedendo cosa voglio. E perché non gliel’ho ancora chiesto…
Ma prima devo raccontarle una storia: quando Sherlock ha abbandonato l’organizzazione, Carl ha preso il suo posto, temendo ritorsioni ai danni del suo amato. Ha rubato molti quadri per me… aveva una bella mano per i furti. E non si è mai fatto scoprire. Temevo che sarebbe finito in carcere al primo colpo, per questo l’ho fatto addestrare dalla migliore delle mie collaboratrici, Irene Adler.
Capisci perché tutto è così umiliante per Sherlock? La conosce da anni, e non ha mai capito che fosse riconducibile a me. Lei gli organizza le mostre, sbatte le ciglia, fa finta di capirlo. È stata l’unica donna per cui abbia mai provato interesse. E anche lei, Watson, come ha fatto a non capire? Ha fatto persino un passo falso, quando l’ha incontrata. Ha detto subito che lei non fosse Victor Trevon, aveva un microfono appuntato in un bottone del vestito. Quando l’ha detto ho pensato che avrebbe potuto mandare tutto a monte. E invece… lei e Sherlock Holmes eravate troppo impegnati a fingere di non flirtare per accorgervene. Questo era un dettaglio, mi rendo conto che poteva essere difficile da cogliere, lei era un po’ frastornato, Sherlock doveva ancora decidere come comportarsi… Ma il quadro…? Che il primo messaggio fosse dietro un quadro esposto lì alla mostra? Che poi quello stesso sia sparito da lì come indizio per il rapimento di Trevon? E i biglietti per il teatro Chatelet, l’altra sera…? Irene non li aveva di certo per puro caso…
Ma stavamo parlando di Carl. Era diventato molto bravo con i furti. E così ha deciso di portarmi via la refurtiva a cui più temevo. A Londra era in atto una mostra di Van Gogh, tra cui gli schizzi di alcuni suoi quadri, di quelli che mandava a suo fratello Theo. Doveva portarmi il disegno in inchiostro di “Un paio di scarpe”. Ma non l’ha mai fatto. Ha raccontato tutto a Mycroft Holmes ed è scappato in Afghanistan. Una buona parte della mia organizzazione è stata smantellata dagli uomini di Holmes e io non ho mai ottenuto quello che mi era stato promesso.
 
Avresti bisogno di tempo per somatizzare quanto ti ha detto. Ma molto tempo. Pensavi che le tue certezze non potessero crollare ulteriormente, quando Sherlock ti ha confessato che se tu ti trovavi con lui era solo per un misterioso maneggio, che le cose potevano mettersi male e che lui comunque avrebbe sempre amato qualcun altro. Pensavi che non ci fosse limite al peggio quando sei stato rapito. E invece la sorte si rivela più fantasiosa di quanto avresti mai potuto immaginare. La persona più goffa, per cui hai provato più compassione e in cui ti sei identificato maggiormente è in realtà una spia del Cavaliere Azzurro. Hai passato metà del tuo tempo a seguire Sherlock in quella sfida malata contro il suo acerrimo avversario, un quarto a pensare di non essere abbastanza per lui, e un quarto a commiserare Trevon. Ti senti un idiota.
Che la Adler nella sua sfacciata intraprendenza ti abbia sempre irritato non è indicativo, non per questo ti aspettavi che fosse complice di questo pazzo. Per quanto civettava e scherzava con Sherlock, tutto ti saresti potuto immaginare fuorché questo.
 
 
Hai ascoltato la sua folle ricostruzione dei fatti. Ma non capisci cosa tu possa fare o offrire.
- Cosa vuole da me?
 
Jim ha una bramosa follia negli occhi mentre dice:- Quello schizzo.
 
Hai paura a contraddirlo, ma non puoi promettergli qualcosa che non puoi dargli. Sei nelle mani di un pazzo. - Io non ho nulla.
 
- Mi sono premurato di scoprire che a casa di Carl non ci fosse nulla prima di disturbare gli altri membri della sua troupe… E lei è l’ultimo.
 
- Potrebbe averlo Sherlock…
 
Ti guarda come se fossi uno stupido. - Sherlock non ce l’ha. Altrimenti non lo avrebbe tenuto nascosto, ma l’avrebbe restituito al museo da cui era stato portato via. L’unica persona che può avere quel disegno è lei.
 
Protesti più energicamente. E decidi che l’unica cosa che puoi fare a questo punto è prendere tempo, sperando che qualcuno venga a salvarti.
- Si sbaglia… Io non ho nessun disegno. E poi non capisco… Perché le preme tanto avere uno schizzo di un paio di scarpe?
 
- Quello schizzo vale milioni di sterline, signor Watson.
 
Accenni un sorriso, disgustandoti di te stesso, ma sperando che fingere di capirlo possa portarti a qualcosa. - Ma lei non lo fa per i soldi, non è vero…?
 
- Con alcune persone siamo naturalmente in sintonia. Non sono molte. Ma le capiamo. E loro capiscono noi. Purtroppo non sempre si ha il privilegio di vivere nella stessa epoca. E c’è come una sorta di comunione psichica… Tra me e Vincent. Non può essere completa senza quel disegno. Ho bisogno di toccare la carta su cui ha disegnato, vedere in filigrana le impronte delle sue dita, le sbavature dell’inchiostro. C’è qualcosa di molto più intimo nel vedere uno schizzo su carta che non un acrilico su tela. Osservare il disegno è come vedere lo scheletro che regge il tutto, e gli organi che lo fanno respirare e vivere.
 
- Io non ho nessuno schizzo. Conoscevo a stento Carl Norton.
 
- Ma le diede una lettera.
 
- Non posseggo più questa lettera.
 
- Visto che siamo qui ad aspettare Sherlock, perché arriverà prima o poi, vuole dirmi di che morte preferirebbe morire?
 
Scoppia a ridere, prima di sparire dalla tua visuale, senza attendere una risposta.
 
***
 
Hai dell’esplosivo addosso. Morirai. Probabilmente morirai.
Sei nelle mani di un pazzo. Ha cercato di convincerti che Sherlock e Carl fossero dei criminali e che l’abbiano tradito denunciandolo. Ammesso che lo fossero, la denuncia ai tuoi occhi li riscatterebbe, ma probabilmente lui vuole fare appello ad una sorta di empio venir meno alla parola data, qualunque essa sia. Forse vorrebbe farti assimilare a livello inconscio la tua situazione alla sua, perché Sherlock ha mentito anche a te. Ma il Cavaliere Azzurro è un pazzo, mentre tu per quanto arrabbiato, sei ancora sano di mente.
E quando ha capito che da te non avrebbe avuto nulla, ti ha imbottito il giubbotto di esplosivo.
Vuole far parlare Sherlock minacciando la tua morte.
 
Il punto è… davvero c’era qualcosa in quella lettera? In quelle poche righe c’erano degli indizi che tu non hai saputo cogliere? Eppure sembravano banali frasi di disperato congedo e richiesta di perdono. Perdono per essersene andato.
 
La cosa più terribile è che dopo il discorso di Jim hai finalmente capito il senso di quelle parole; se Carl lavorava per il sedicente Cavaliere Azzurro, lo faceva sicuramente per la salvezza di Sherlock. Se è scappato in Afghanistan è stato per salvare Sherlock, per addossarsi tutta la colpa e lasciarlo incolume.
 
Se ripensi a quella volta in quel bistrot, a quando Sherlock borbottava tra i denti, guardando altrove, i suoi timori sulle azioni del Cavaliere Azzurro. Ma come si fa a minimizzare una cosa del genere? Non lo sapeva, allora?
 
Quindi gli indizi dietro i quadri, sugli spartiti, in enigmatici biglietti sparsi per Parigi, i fiori sulla tomba di Verlaine, è stato tutto organizzato per rivendicare la morte di Carl?
Ti sembrava un gioco, e per un po’ scorrazzare per Parigi in quella folle caccia al tesoro è stato solo divertente… adesso ti rendi conto di quanto quel gioco fosse malato, e perverso.
E infatti com’è finito?
Tu imbottito di esplosivo, Sherlock sicuramente distrutto. Ma avrà capito che Trevon e la Adler lavorano per Moriarty? Riuscirà a salvarti, nonostante tutto?
 
***
 
Sherlock entra nella piscina. Ha in mano un foglio di carta spiegazzato.
- Questa è la ragione di tutto, non è vero? Tutti i tuoi piccoli puzzle… l’unire i puntini… Serviva tutto per portarci a questo.
 
Nell’auricolare Jim ti dice che devi entrare in scena. Lo fai, riluttante.
 
- John, ma che diavolo…?
 
Ripeti meccanicamente le parole che lui ti suggerisce nell’auricolare, mentre apri il giubbotto per mostrargli l’esplosivo.
- Sapevo che non te lo saresti mai aspettato.
E invece…sono riuscito a fermare Carl Norton… riuscirò a fermare anche John Watson. Fermare il suo cuore. Dipingerai qualcosa di altrettanto grandioso?
 
Sherlock si guarda intorno alla ricerca del Cavaliere Azzurro. - Chi sei veramente?
 
La voce di Jim risponde da lontano. - Ti ho dato il mio numero, credevo mi avresti chiamato.
 
E poi da una porta laterale sbuca, elegante e impeccabilmente irritante, il tuo carceriere.
 
- Quella nella tua tasca è una pistola Browing L9A1 o sei solo felice di vedermi?
 
Sherlock estrae la pistola dalla tasca e gliela punta contro.
 
Le mani in tasca, lui continua a camminare, con noncuranza, verso di voi, per niente preoccupato. - Jim Moriarty. Salve! Mi hai deluso, pensavo che avresti capito alla mostra… Davvero ho dato un’impressione così debole? Ma allora suppongo che il punto fosse proprio quello.
 
Il puntino rosso del mirino del fucile ricompare sul tuo giubbotto, a mostrare chiaramente a Sherlock che sei sotto tiro.
 
Lui guarda Moriarty abbastanza perplesso.
 
- Non essere sciocco, qualcun altro sta tenendo il fucile. Non mi piace sporcarmi le mani. Ti ho fatto intravedere, Sherlock, in piccola parte, che cosa ho in ballo là fuori, nel grande e brutto mondo. Vedi, io sono uno specialista. Come te. Tu crei. Io apprezzo l’arte.
 
Sherlock gli rivolge uno sguardo pieno di disprezzo. Tu lo detesti, è un pazzo, ha ucciso delle persone, ti tiene sotto sequestro, vuole ricattare Sherlock. Ma Sherlock come deve sentirsi? Ha davanti a sé il mandante dell’assassino del suo grande amore... Non sai se riusciresti ad essere lucido come lo è lui.
 
Si rivolge a te, continuando a puntare la pistola contro di lui. - Stai bene?
 
Resti immobile finché Moriarty non ti arriva vicino con strafottenza, e ti concede di rispondere.
 
Ti limiti ad annuire.
 
Sherlock accenna al foglio spiegazzato. Glielo porge. 
- Prendila.
 
- Quella? La lettera di Carl?
Si avvicina sorridendogli con sottesa malizia. Gli sfila il foglio dalle mani e, senza neanche guardarlo, la lancia con noncuranza dietro di sé. - Noioso! Non me la daresti se ci fosse qualcosa dentro.
 
È esattamente davanti a te. Non approfittare della situazione sarebbe da sciocchi. Ti avventi contro di lui, tenendolo fermo per le spalle e strattonandolo per tenerlo fermo.
- Sherlock scappa!
 
Moriarty non sembra granché sconvolto. - Bene. Molto bene.
 
Lo strozzeresti. Lo faresti se non avessi la certezza che facendolo fuori non uscireste vivi dalla stanza. - Se il suo cecchino spara, signor Moriarty, saltiamo in aria entrambi.
 
Il Cavaliere Azzurro ignora bellamente quello che dici, e si rivolge a Sherlock. - Non è dolce? Capisco perché ti piace averlo intorno. Le persone diventano sentimentali nei confronti dei loro animaletti. Si può fare loro qualsiasi cosa, ma non smettono di essere leali.
 
La luce del mirino del fucile ballonzola sulla camicia bianca di Moriarty per un po’ prima di sparire e riapparire addosso a Sherlock.
- Ma…ops. Direi che ha scoperto le sue carte, signor Watson. Beccato.
 
Sbianchi. Sherlock scuote leggermente il capo. Non c’è altro da fare che allentare la presa su Moriarty e lasciarlo andare. Lui si rassetta l’abito, come annoiato da un inutile contrattempo.
 
- Sai che succede se non mi dai quel disegno, Sherlock?
 
Sherlock continua a puntare la pistola contro di lui. - Lasciami indovinare. Verrò ucciso.
 
- Non essere ovvio. Ti brucerò. Ti brucerò fino in fondo al cuore.
 
Pensavi di aver visto tutto. Che non potesse succedere niente di più inconcepibile e assurdo di quello che è già successo. E invece… Parte a tutto volume “Staying alive” di Bee Gees.
 
Moriarty chiude gli occhi in una smorfia di seccatura. - È un problema se rispondo?  
Sherlock gli dice di rispondere. Ma che cazzo di criminale è se ha “Staying alive” come suoneria?
 
Guardi Sherlock cercando di decodificare nel suo sguardo il da farsi.
 
Lui fissa Moriarty, che cammina intorno al bordo della piscina vuota. - Prova a ripeterlo! Prova a ripeterlo con la consapevolezza che se menti io ti troverò e ti scuoierò.
 
Ha urlato. Ha urlato con la sua voce stridula e inquietante. Aveva dimostrato la sua follia in molti modi finora, ma non aveva ancora urlato. Cosa vi aspetta?
 
Si rivolge a voi.
 
- Scusatemi, giorno sbagliato per morire.
 
Alterni lo sguardo tra lui e Sherlock.
 
- Ti hanno fatto un’offerta migliore?
 
Moriarty non risponde, si limita a dire:- Avrai mie notizie, Sherlock. - e allontanarsi tornando a parlare a telefono. - Beh, se hai davvero quello che dici di avere, ti renderò una persona ricchissima. Se non è così, ti userò per fare delle scarpe.
 
Scocca le dita. E si allontana dalla porta da cui era entrato come se fosse tutto perfettamente normale. I puntini rossi del mirino spariscono. Pare che nessuno vi tenga più sotto tiro.
 
Sherlock esita solo un secondo. Poi ti viene incontro, butta la pistola sul pavimento, e si inginocchia davanti a te per slacciarti l’imbracatura esplosiva che hai addosso. - Stai bene?
 
Sei impietrito. Non ti capaciti neanche di essere vivo.
 
Lui insiste, con affannosa apprensione nella voce. - Stai bene?
 
- Si, sto bene…
 
Lui si tira su dal pavimento e ti aiuta a togliere il giubbotto a cui è assicurato l’esplosivo e lo lancia lontano.
 
Tu lo lasci fare, le gambe ti tremano, respiri affannosamente.
 
Sherlock riprende la pistola e si guarda prudentemente incontro, mentre tu ti accoccoli sul pavimento, senza riuscire ad elaborare l’entità del pericolo scampato.
 
- Quella cosa che stavi… che volevi fare… andava bene.
 
Appoggiato al muro, guardi un punto fisso davanti a te, mentre il cervello inizia a processare i ricordi nell’ordine temporale inverso. Dal più vicino al più lontano.
- Sono contento che nessuno l’abbia visto.
 
Sherlock ti guarda senza capire il nesso con quello che stava dicendo.
 
È la cosa più idiota da dire in questo momento. Ma è l’unica cosa che ti viene in testa.
- Tu che mi togli i vestiti in una piscina buia. La gente potrebbe parlare.
 
Sherlock sorride. È bello vederlo sorridere. Ma ti ha mentito. E un pazzo furioso è ancora in circolazione. E voi non siete ancora in salvo.
 
- Usciamo di qua, John.
 
Prima di andarvene, raccogli il foglio stropicciato che Sherlock aveva dato a Moriarty. E non è quello che Carl ti aveva dato prima di morire.
 
***
 
- Mi piace questo posto. Dopotutto farti saltare in aria in una piscina deserta non sarebbe stato molto scenografico, non ci sarebbero stati spettatori. La Tour Eiffel è molto più romantica. Hai gli occhi del mondo puntati addosso. Il che rende tutto molto più decadente. Morire è un gesto di per sé estremamente iconico… ed esalare l’ultimo respiro sul simbolo di una nazione intera, sotto gli occhi del mondo, ha tutta un’altra risonanza…
Sapevo che avresti fatto qualunque cosa per salvare John. Vuoi salvare lui perché non sei riuscito a salvare Carl. È quasi commovente.
 
Sherlock lo guarda senza esprimere nessuna emozione. - Non meriti che io ti risponda.
 
Moriarty lo guarda con finta condiscendenza. - Temi di scoppiare in lacrime?
 
- Non ho tempo da perdere con te.
 
Il Cavaliere Azzurro lo guarda negli occhi, con una certa macabra malizia.
- Impaziente di morire? Sappiamo entrambi che uno di noi due non scenderà da questa torre.
 
Sherlock non si scompone. - Ho il disegno. Puoi tenerlo. Appenderlo in casa, venderlo, bruciarlo. Non mi interessa.
 
- A te interessavano solo le patetiche parole di Carl non è vero…? Peccato che non potrai tenerle. Scrivere un addio su un disegno di Van Gogh… Non ha avuto rispetto, vero?
Stendere un pantone isolante su uno schizzo dell’ottocento… e scriverci sopra… Inorridisco al solo pensiero.
 
- Ne sei tu il responsabile. Inorridisci di te stesso.
 
Moriarty lo guarda languidamente. - Tu avresti dovuto giocare il mio gioco. Ci saremmo divertiti… Tu hai voluto che fossi il virus del sistema. Avresti potuto scegliere diversamente. Non l’hai fatto… E ora siamo qui. A decidere chi tra noi deve morire… O vuoi che sia io il primo a metterti le mani addosso, Sherlock?
 
Teoricamente tu non saresti dovuto intervenire, avresti solo dovuto accertarti che la polizia arrivasse in tempo. Ma non puoi sopportare che quel pazzo di Moriarty si comporti così con Sherlock, non puoi rischiare che nella colluttazione che sta iniziando sia l’artista ad avere la peggio. Così intervieni, fuori copione, con la pistola in mano, salendo in piena notte l’ultima rampa di scale e urlando, sul balcone della Torre Eiffel, sullo sfondo di una Parigi illuminata di quelle calde luci artificiali che la rendono la “Ville lumiere”:- Non c’è molto da decidere, Cavaliere Azzurro. Sei tu il cattivo, se non ti arrendi sarai tu a morire.
 
Moriarty si distrae al tuo rocambolesco ingresso in scena. - Così non vale, siete in due!
 
Sorridi, minacciandolo con la pistola, mentre Sherlock lo tiene fermo. - Noi siamo sempre in due.
 
- Perché non fuggite insieme?
 
La polizia arriva a sirene spiegate nella notte di Parigi.
 
***
 
Non sai più come comportarti con Sherlock Holmes.
E forse in realtà non l’hai mai saputo. Hai sempre agito d’istinto.
E l’hai seguito anche ora, mentre snobbava le domande di Lestrade e illustrava per sommi capi la faccenda a Mycroft. Siete entrati nei giardini del Campo di Marte, e vi siete seduti su una panchina senza dire niente. Ma avete troppe questioni irrisolte per tacere a lungo.
 
La rabbia riaffiora tutta, come una scarica di energia elettrica, appena inizi a parlare.
- Perché non mi hai detto che un pazzo voleva ammazzarmi perché avevo un Van Gogh nel portafoglio?!
 
- Non sapevo che il disegno lo avessi tu altrimenti te l’avrei detto!
 
Lo guardi con seria preoccupazione, cercando di abbassare il tono della voce, mentre saresti naturalmente portato ad urlare. - Quindi ho avuto sul serio un Van Gogh rubato nel portafoglio negli ultimi tre anni?
 
Sherlock sorride appena. - Temo di sì…
 
Sospiri amaramente, mentre ti appoggi sconsolato allo schienale della panchina.
- Benissimo, sono sopravvissuto ad un pazzo solo per farmi arrestare.
 
- Mi assicurerò che non lo facciano.
 
- Perché non mi hai detto tutto subito? Io ti avrei detto della lettera, non avrei mai preso quell’aereo, e saremmo tutti contenti.
 
- Forse non lo sai, ma gli altri membri della troupe con cui sei andato in Afghanistan sono tutti morti. Invece noi siamo ancora vivi. Stiamo bene, più o meno. Che c’è da urlare?
 
- Sherlock, io ho pensato di morire almeno una diecina di volte nell’arco di questa fottuta giornata, non so se mi spiego… Non puoi dire che vada tutto bene.
 
- Pensavo che Moriarty non ti sarebbe venuto a cercare a Parigi. E se io ti avessi raccontato tutto saresti stato più vulnerabile…
 
- Del resto, cosa avresti dovuto raccontarmi? Non sapevi un cazzo neanche tu. Hai visto Moriarty e non l’hai riconosciuto! Era il fidanzato di Molly! Gli abbiamo stretto la mano. E poi me lo ritrovo davanti, perché mi ha sequestrato.
 
- Io non sono un detective, va bene? Non sapevo che fosse lui. Non l’avevo mai visto in faccia!
 
- Come non sapevi che Victor Trevon fosse uno dei suoi? E così la Adler…
 
- Di Trevon non sapevamo niente, ma quando abbiamo scoperto di Irene, l’abbiamo costretta ad aiutarci. È lei che ha telefonato a Moriarty mentre eravamo nella piscina, dicendo che aveva il disegno. Lo dobbiamo a lei se non ci ha fatto sparare mentre tu eri imbottito di esplosivo.
 
- Come ha fatto ad accettare di vedervi da soli qui sopra?
 
- Pensava di trovare Irene.
 
Lo guardi negli occhi, incerto se fare o no quella domanda.
Ne fai un’altra.
 
- Sul serio facevi furti d’arte con Moriarty?
 
- Ne ho organizzati un paio, ma pensavo che fosse solo in linea teorica, poi lui ha messo in atto i furti sul serio. Io e Carl ne abbiamo sventati un paio. Io pensavo che andasse tutto bene, perché ha preso a fare altri furti che non c’entravano niente con i piani che avevamo messo a punto insieme. Ma non sapevo che in realtà parte di quei furti li faceva Carl. Lui non mi detto niente per proteggermi, ma quando le cose sono precipitate ha parlato con Mycroft, che gli ha procurato l’ingaggio per l’Afghanistan. Durante l’ultimo furto, quello del disegno, è stato costretto in una sparatoria e per poco non aveva ucciso l’agente che lo aveva sorpreso. Ma sapeva che non avrebbe potuto svincolarsi dalla banda di Moriarty e passarla liscia, e pensava che se avessi saputo qualcosa se la sarebbero presi con me. Così è scappato in Afghanistan senza dirmi niente. Se ci pensi bene, lui non ha fatto il viaggio di andata con il resto della troupe, era già lì da diversi giorni. Il giorno prima di partire è venuto da me, mi ha detto che mi amava, che non voleva partire, ma non mi ha detto che rischiava di morire. Non mi ha detto niente. Io pensavo che sarebbe tornato dopo tre, quattro mesi. E invece… Moriarty ha camuffato la sua morte facendola passare per un attentato terroristico, e c’ha creduto anche Mycroft. Io di tutti questi maneggi non sapevo niente. Sono piombato nella depressione e ho preso a drogarmi, forse speravo anche di morire di overdose. C’ho provato, ma Mycroft è riuscito a salvarmi. Non che ne fossi contento…
Non so perché Moriarty abbia aspettato così tanto tempo per cercare il disegno… probabilmente per insabbiare quello che aveva fatto, oppure pensava che non ci fosse modo di recuperarlo. Fatto sta che gli altri della tua troupe sono spariti, un po’ alla volta, e non sono mai tornati. Mycroft se n’è accorto e ha preso la decisione di salvare quelli ancora vivi. Non sapevamo che ancora che ci fosse lui dietro i rapimenti. Ma a quel punto eri rimasto solo tu, che eri l’ultimo della lista, per via del tuo cognome. Così ha telefonato al giornale perché mandassero a te a intervistarmi… La caccia al tesoro di Moriarty ci ha fatto capire che l’omicidio di Carl era colpa sua. Per questo avevo gli incubi quella notte dopo essere stati al cimitero. Li ho sempre avuti quegli incubi, ma erano tornati a galla più prepotenti di prima. Ecco perché non mi piace più dormire. Perché la prima sera sono rimasto sul divano in salotto. Odio fare i conti con il mio passato. Specialmente ora che so che il mio passato è Carl che muore per colpa mia in Afghanistan.
 
- Perché non mi ha detto questo quando era il momento?
 
- Perché volevo salvare almeno te. Se avessi preso il primo aereo per Londra non ti sarebbe successo niente. Non ti avrei messo ulteriormente in pericolo.
 
Continui a temporeggiare. Ti guardi le mani. E capisci che probabilmente non glielo chiederai mai. Decidi di affrontare il problema da un altro punto di vista.
 
- Che ne farai del disegno?
 
Sherlock tira fuori il foglio dalla tasca del cappotto e lo rigira tra le mani. - Lo restituirò al museo, dopo aver rimosso il pantone.
 
Lo guardi negli occhi, senza capire. - Ma così perderai le ultime parole di Carl…
 
- Posso ricopiarle, o fare una foto. Non posso tenere uno schizzo di Van Gogh in casa solo perché ci sono due frasi per me sopra.
 
Hai preso tra le mani il foglio che avevi tenuto in tasca per anni, senza sapere cosa realmente contenesse e quanto fosse prezioso. A te sembravano già abbastanza quelle parole rubate a Verlaine e quella trepidante confessione.
 
“Camminavo su sentieri infidi/dolorosamente incerto./E le tue care mani mi guidarono./Pallido un debole presagio d’alba/ riluceva all’orizzonte lontano:/ il tuo sguardo fu il mattino.”
 
 
Hai intriso di bellezza gli ultimi momenti felici della mia vita. E io ho saputo solo mentirti, tenendoti nascosta la verità. Perdonami, se puoi. Il tuo luminoso ricordo è l’unica cosa che mi permette di andare avanti, che mi fa sperare di poterti rivedere ancora…  Non aspettare il mio ricordo. Sii felice…
 
Sherlock ti prende il foglio dalle mani, e rilegge quello che c’è scritto per alcuni secondi, prima di riporlo in tasca.
 
- Tu cosa farai adesso?
 
Mentre tu hai temporeggiato, è stato lui a prendere in mano la situazione. - Cosa vuoi che faccia? Me ne tornerò a Londra… a cercare di dimenticare.
 
Ti guarda con i suoi occhi macchiati d’infinito. - Dimenticare me?
 
E sai che non vorresti dimenticarlo. Ma… - Cos’altro potrei fare?
 
- Potresti restare…
Scuoti il capo, guardando amareggiato i suoi occhi. - Io non sono Carl.
 
- Io non so più amare timidamente e disperatamente come si ama a vent’anni. Ti posso offrire solo quello che resta. E non posso biasimarti se per te un cuore che urla, a brandelli, in una macchia di sangue su una tela, non è abbastanza. 
 
- Sherlock…
 
- Ho amato Carl con incoscienza. È stato il primo a guardarmi con tenerezza, e a farmi sprofondare nella disperazione. Ma adesso sono una persona diversa.
Forse ti ho mentito col mio silenzio. Ma non volevo ingannarti. Volevo solo proteggerti.  Ma è giusto che ti lasci andare via…
 
- Io non voglio andarmene… ma non posso restare.  
 
- Sarebbe meno rocambolesco di così… posso promettertelo. Conduco una vita insolitamente noiosa.
 
- Sherlock, noi non ci conosciamo.
 
- Lo sai che non è vero… Io non ho mai raccontato di Carl a nessuno.
 
- Perché era l’amore della tua vita. Io chi sono per te…? Qualcuno che te lo ricorda, o che te l’ha fatto momentaneamente dimenticare. Credere a quei pochi attimi che abbiamo trascorso insieme significherebbe cedere ad un illusione. E prima o poi ci sveglieremmo. E ci pentiremmo di quello che abbiamo fatto.
 
- Io non voglio da te niente che tu non possa darmi. Non pretendo che tu rimpiazzi un’altra persona. Vedo in te qualcosa di diverso. Che provoca in me qualcosa di diverso.
 
Così decidi di chiederglielo. Perché non avresti pace se non lo facessi. Perché vuoi un motivo per andartene. Mentre cerchi disperatamente un modo per restare.
 
- Quella volta, quando ti ho baciato… poi è arrivato Mycroft… quella frase che non hai terminato, cosa volevi dirmi?
 
- Ero molto confuso, John… non so neanch’io cosa volessi dire… infatti non ho detto niente. Ma quando hai detto “Anch’io.” ho capito che avrei dovuto salvarti la vita, altrimenti avrei perso me stesso, ancora una volta.
 
- Sono stato patetico…
 
- No, sei stato coraggioso. Tu sei sempre coraggioso, ma non sei incosciente. Carl lo era. Era incosciente. Cercava di trasmettermi la sicurezza che non aveva. È da lui che ho imparato ad ingannare per proteggere. Ma da te ho imparato che la verità è più forte. Tu hai rischiato di morire. Ma io ho capito che non avrei potuto accettare di perderti. Tra me e Carl è stato sempre il regno dei sottintesi, non ci siamo mai parlati chiaramente. Ci siamo fatti del male, per anni. Tu invece sei limpido. Abbiamo tutti le nostre nuvole, ma tu non ti nascondi dietro di esse. Tu vivi ogni giorno, e sei trasparente, come i tuoi occhi azzurri. Non ti sforzi di piacermi, non mi mandi messaggi criptici. Sei deciso. Vivi d’istinto, eppure sei prudente. È questo che ho visto quando ho fatto il tuo ritratto. Tu ti vergognavi di guardarmi negli occhi perché sapevi che io avrei visto quello che tu non avresti saputo nascondere. Invece Carl guardava me nella folla, in quell’aula, perché sapeva che non avrei capito. Carl voleva aiutarmi, ma non voleva ammettere di avere bisogno d’aiuto.
 
- Sherlock, tu lo sogni ancora. Un amore così non lo puoi dimenticare.
 
Ti sei alzato in piedi, assecondando il tuo impulso alla fuga.
 
Lui si alza a sua volta, e ti trattiene poggiando una mano sulla tua spalla. - La sua morte è l’incubo che infesta le mie notti… Ma la tua semplice presenza ha portato speranza ai miei giorni. Nessun altro mi ha mai fatto sentire così. Sei il mio conduttore di luce.
 
È così terribilmente vicino….
 
Lo guardi negli occhi, inconsciamente deciso a restare, ma disperatamente insicuro di poter davvero essere abbastanza per lui. - Come potrei io renderti felice?
 
- Ti basterebbe essere nella mia vita. E io sarai già felice.
 
 
 
Quando l’hai incontrato non pensavi che fosse capace di sentimenti, escluso un sotteso senso di superiorità, e di malcelato sdegno nei confronti del genere umano nella sua interezza.
Sebbene avessi qualche perplessità sulla sua capacità di empatia con le persone e di relazionarsi in modo cortese con loro, non hai mai pensato che non fosse una persona geniale. Ma alle persone geniali, che sono la minoranza, la maggioranza chiede sempre di uniformarsi ad un modello in cui non si riconoscono, per poi stupirsi se si chiudono in se stesse, e sviluppano i più svariati sistemi di difesa per non soccombere. Le persone geniali sono le più originali, e la loro individualità andrebbe salvaguardata, perché sono il sale della terra.
 
Sherlock Holmes è probabilmente tra le persone più geniali che tu abbia incontrato. E pensare che quell’artista folle non sia geniale sarebbe un insulto alla tua onestà intellettuale, potrà essere scontroso, potrà essere sgarbato, potrà rifiutare di farsi intervistare, potrà scansare la compagnia degli altri, ma non è uno psicopatico. È una persona che ha sofferto molto. La perdita dei genitori, il pessimo rapporto con il fratello, l’ostilità dei suoi coetanei e dei suoi insegnanti, e poi la morte di Carl per cui continuerà a sentirsi responsabile per sempre.
 
Sarebbe un’illusione infantile sperare che possa dimenticarlo, una presunzione malsana pretendere che lo faccia. Ma se quest’uomo geniale dichiara così appassionatamente di amarti, cosa puoi fare se non stringerlo a te, e dirgli che ci sarai, se vorrà, nella sua vita?
 
La ragione farebbe mille obiezioni se solo ti permettessi di rifletterci, ma non è il momento adesso. Non mentre le sue braccia circondano le tue spalle. Non mentre vi abbandonate al reciproco abbraccio tra i vostri corpi. Non mentre avverti la consapevolezza di amarlo. Per quanto irrazionale possa essere, vuoi un futuro con lui. Vuoi potergli accarezzare i capelli e il viso, come adesso, vuoi poterti sporgere verso di lui, e baciare le sue labbra, ogni giorno, per prossimi mesi, i prossimi anni… forse per sempre.
 
Se la tua pazienza sopporterà le pareti imbrattate di disegni improbabili, se accetterai esperimenti bizzarri per creare la nuova incomprensibile opera d’arte del millennio, se i tuoi nervi tollereranno di sentirlo strimpellare con il violino alle quattro del mattino e di doverlo spingere a mangiare e dormire a sufficienza, se il cuore non ti scoppierà prima nel petto per quanto riuscirai ad amarlo, pur con le sue debolezze, e le sue irritanti abitudini.
Non pretendi di cambiarlo, sarebbe inutile, ma speri che ti ami abbastanza da non mandarti fuori di testa.
 
 
 
****
 
Non ti piaceva l’arte contemporanea. Non la capivi. Non ti interessava.
Pensavi che fosse roba pretensiosa, per lo più. Mai approfondito più di tanto, in realtà.
Fino a quando Mike Stamford, il tuo caporedattore, ti ha affidato l'intervista che Sarah, a letto con l’influenza, non poteva fare... Hai sempre odiato le interviste, per altro. E Sherlock Holmes non ha smentito questa tua antipatia. Gli hai fatto delle domande, ma ha cancellato la registrazione con le risposte.
Del resto dopo quello che vi è successo sarebbe ridicolo far pubblicare quell’intervista. Non dopo furti, rapimenti, tentati omicidi, e tutte le vicende rocambolesche che vi sono capitate. Parlare di Pollock e di Turner sarebbe fuori luogo.
Stamford ti ha promesso la prima pagina. Un editore vuole farne un romanzo.
Sherlock, contro ogni aspettativa, ti ha consigliato di accettare.
Per il momento hai solo un titolo…


 
Arte contemporanea.
 
 
 
 
Note dell’autrice:
 
Allora…
Mi dispiace.
Avevo promesso di finire la storia a dicembre. Poi man mano rispondendo alle recensioni ho posticipato a gennaio, a febbraio e a marzo. Posto il capitolo ad Aprile con un ritardo infinito.
Perdonatemi, anche se sono imperdonabile.
 
Detto ciò… alla fine ho accorpato ultimo capitolo ed epilogo, perché in fondo non avrebbe avuto senso dividerli, stanno bene insieme.
 
Quindi quello che avete avuto la bontà di leggere è stato il capitolo conclusivo della storia.
 
Mi auguro che le tessere del puzzle siano tutte rientrate al proprio posto e che la trama risulti complessivamente abbastanza chiara.
 
Spero che questa conclusione vi piaccia.
Secondo me ci sono delle mancanze. E ho la sensazione che qualcosa non quadri del tutto, ma sarà che è perché è una settimana che lavoro ossessivamente a questo capitolo, senza pace, ricucendo insieme tutto quello che avevo già scritto e riguardando gli spezzoni della serie che avrete sicuramente riconosciuto e quindi non ho una percezione distaccata e oggettiva della faccenda. Questo capitolo ha avuto una gestazione complicata, e un travaglio fin troppo lungo.
Ma tant’è, adesso siamo qui, finalmente alla fine.
 
Non ho voluto che Moriarty fosse ammazzato da Sherlock e John e in quel frangente non aveva senso che si suicidasse, quindi pensate come volete, ma io penso che Mycroft l’abbia fatto torchiare per bene dai suoi, e che siano riusciti a recuperare molti dei quadri che aveva rubato e che l’abbiano rinchiuso da qualche parte. Se vi diverte immaginare che sia scappato, fatelo pure, io lo faccio. Ma non penso di scrivere a riguardo.
 
Ora… Ringraziamenti.
 
 
Ringrazio marig28_libra, fiamminga, averypotterslover e in particolare Blue Lady che sta aspettando che aggiorni con il fucile puntato.
Ringrazio tutte le persone che mi hanno recensito! Per me ricevere 7 recensioni allo scorso capitolo è stata un’emozione non da poco, dal momento che questa storia non ne aveva mai ricevute così tante per un solo capitolo.
Lo stesso dicasi del numero per me spropositato di gente che ha messo la storia tra i preferiti e/o seguiti. Non ho mai avuto 34 persone che seguono una mia storia e 16 che l’hanno messa tra i preferiti. Vi ringrazierei uno alla volta se non fosse l’una di notte passata! Il vostro sostegno, anche se magari finora silenzioso, mi ha spronata tantissimo a continuare a scrivere.
 
A tutti i miei lettori: spero di non avervi deluso! E che i miei espedienti narrativi non vi sembrino troppi improbabili.
 
Un saluto affettuoso,
 
lady dreamer.
 
 
 

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