La maledizione del Torneo Tremaghi

di Carme93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La femme fatale ***
Capitolo 2: *** Furto al Louvre ***
Capitolo 3: *** Fiducia ***
Capitolo 4: *** La profezia ***
Capitolo 5: *** Stelle cadenti ***
Capitolo 6: *** Per il Bene Superiore ***
Capitolo 7: *** In viaggio ***
Capitolo 8: *** Il Cappello Parlante ***
Capitolo 9: *** Rabbia ed incomprensioni ***
Capitolo 10: *** Una cugina ritrovata ***
Capitolo 11: *** Tassorosso alla riscossa ***
Capitolo 12: *** Vento di novità ***
Capitolo 13: *** Il segreto di Paracelso ***
Capitolo 14: *** La società alchemica ***
Capitolo 15: *** Il Torneo Tremaghi ***
Capitolo 16: *** Comportarsi da Campione ***
Capitolo 17: *** Prese di posizione ***
Capitolo 18: *** Libertà di pensiero ***
Capitolo 19: *** Spensieratezza ***
Capitolo 20: *** Tradizioni da sconvolgere ***
Capitolo 21: *** Natale in famiglia ***
Capitolo 22: *** Brancolare nel buio ***
Capitolo 23: *** Il dodecagono magico ***
Capitolo 24: *** Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio ***
Capitolo 25: *** Infrazione al Codice ***
Capitolo 26: *** Tendimi la mano ***
Capitolo 27: *** Una nuova prova per James ***
Capitolo 28: *** Nelle mani della Signora Oscura ***
Capitolo 29: *** La tela di Penelope ***
Capitolo 30: *** Un bambino fuori dal normale ***
Capitolo 31: *** Il consiglio dei Purosangue ***
Capitolo 32: *** La radura degli eroi ***
Capitolo 33: *** Tempo di esami ***
Capitolo 34: *** Il ritorno dei Dissennatori ***
Capitolo 35: *** I dodici della Profezia ***



Capitolo 1
*** La femme fatale ***


Capitolo primo

La femme fatale

Bellatrix Dolores Selwyn.

Due nomi ed un cognome che aveva sempre amato, ma che l’avevano segnata per tutta l’infanzia e l’adolescenza.

Odio e rancore. Queste due sentimenti le aveva trasmesso la madre per tutta l’infanzia. Odio verso coloro che avevano ostacolato e sconfitto il Signore Oscuro. Rancore verso coloro che avevano incarcerato il padre, condannandolo a vita perché Mangiamorte, perché devoto servitore del Signore Oscuro, perché era un crudele assassino. Rancore verso coloro che hanno costretto sua madre a nascondersi per anni, che l’hanno costretta per anni nelle ristrettezze economiche ed a vivere in modo indegno ad una Selwyn, perché i beni dei Mangiamorte erano stati tutti congelati in attesa di indagini.

Odio e rancore le erano stati inculcati, mentre Il Bambino-che-è-sopravvissuto, il Prescelto, il Salvatore del Mondo Magico veniva acclamato dall’intera Comunità Magica per aver messo fine alla vita del Signore Oscuro; mentre il nuovo e saggissimo Ministro della Magia, Kingsley Schacklebolt iteratamente annunciava pace e sempre nuovi provvedimenti contro i Mangiamorte catturati, ma soprattutto contro quelli ancora in fuga. Li prenderemo tutti, Proteggeremo la pace, Non più discriminazioni affermava; mentre i Malfoy ancora una volta ne uscivano quasi puliti ed il loro patrimonio veniva affidato alle mani dell’unico erede, Draco: un povero ragazzo costretto dal Signore Oscuro a compiere gravi nefandezze, degno quindi di comprensione e perdono.

Bellatrix rise sprezzante, mentre con la sua ampia veste porpora sfiorava lievemente il pavimento di candido marmo dell’immensa sala, nell’unico castello dei Selwyn, che era riuscita a riprendersi al compimento dei diciassette anni. In Germania, lontano da tutti e da tutto. Ecco perché avevano acconsentito, per non vederla mai più.
 I suoi occhi dardeggiarono all’apparire di un elfo domestico, che le annunciava l’arrivo di Thomas, del suo uomo.

Odio e rancore erano cresciuti dentro di lei durante l’adolescenza trascorsa nel millenario castello di Hogwarts. Odio verso i suoi compagni Serpeverde: maledetti impavidi, dopo la guerra erano tutti silenziosi e remissivi; si lasciavano additare dagli studenti delle altre Case, permettevano che al loro passaggio mormorassero mangiamorte con disprezzo. Lo permettevano persino a quei buoni a nulla dei Tassorosso! Tutti avevano alzato la cresta contro la progenie di Salazar e vergogna delle vergogne questa non era stata in grado di difendersi. Odio verso gli insegnanti ed il loro falso buonismo: le Case sono tutte uguali, non c’è alcuna differenza tra uno studente e l’altro, creiamo armonia e concordia tra tutte le Case!

Cazzate! Tutte cazzate!

Mai i Serpeverde avrebbero collaborato con gli altri studenti della Scuola, erano solo troppo spaventati dalle conseguenze della guerra e dalla gente che li incolpava delle crudeltà compiute dalle loro famiglie.
C’era stato anche chi aveva proposto l’espulsione di tutti i Serpeverde e la cancellazione dell’intera Casa. Una damnatio memoriae in piena regola, proprio come quella cui era stato condannato il Signore Oscuro. Guai a nominarlo, guai a parlarne, guai a leggere qualcosa che inneggiasse a lui.
La faceva ridere la politica anti-discriminazione di Schacklebolt: i vinti vengono sempre discriminati, ma attenzione i vincitori non parlano mai di discriminazione, ma di giusta punizione.
Rise, rise a lungo da sola come ormai aveva imparato a fare da anni.
Aveva imparato ad odiare sua sorella. Sua sorella che aveva voltato le spalle alla sua famiglia, l’aveva rinnegata: una schifosa Grifondoro che se la faceva con un compagno di Casa Mezzosangue, che a tratti brillava della celebrità riflessa della zia, uccisa forse dal Signore Oscuro in persona.
Odiava Horace Lumacorno perché era il più pavido dei Serpeverde, aveva combattuto contro il Signore Oscuro e dopo la guerra parlava di armonia e concordia ai suoi studenti come tutti gli altri insegnanti. Incapace di affrontare la paura che lui stesso aveva provato. Lo odiava perché aveva ostacolato ogni suo tentativo di riportare la Casa di Salazar ai suoi antichi splendori. Aveva parlato di lei alla Preside, maledetta Grifondoro, come di una sediziosa e ribelle; era stata ad un passo dall’espulsione. Lo odiava perché per sette anni aveva ignorato e sminuito il suo grande potere ed il suo talento in pozioni; aveva visto di cattivo occhio le sue domande sull’alchimia ed i suoi tentativi più o meno fruttuosi di accedere al Reparto Proibito della Biblioteca di Hogwarts.

Odio e rancore generano vendetta.

«Mia signora» disse un uomo, entrando nella Sala in compagnia dello stesso elfo di prima. Egli si avvicinò e le baciò la mano, mentre l’elfo si inchinava e li lasciava da soli.
«Thomas, mi sei mancato» sussurrò, baciandoli il collo.
«Bella, sono venuto il prima possibile. Mi dispiace, ma devo mantenere la facciata del perfetto matrimonio purosangue di fronte alla società ed i viaggi internazionali non sono mai rapidi quanto vorremmo. In più gli Auror e la Squadra Speciale Magica hanno aumentato i controlli».
«Non possono sospettare di te».
«Di che cosa dovrebbero sospettare? Io sono un uomo innocente. Ho sempre fatto il mio dovere nei confronti della mia famiglia. Ti vogliono per un interrogatorio, però. Pensano che ci sia tu dietro all’attacco di Natale a Samuel e soprattutto dietro all’omicidio di quella stupida babbana».
Bella rise. «Credevo che il Salvatore del Mondo Magico fosse uno stupido ed invece è più sveglio di quanto pensassi».
«Che cosa farai? Come vuoi muoverti?».
«Voglio Samuel morto, lo sai. Harry Potter ha umiliato definitivamente la nostra famiglia prendendo in affidamento quel ragazzino. Capisci? Samuel rappresenta il tradimento di mia sorella! L’ho uccisa personalmente ed ora tocca a Samuel. Ho aspettato tutto questo tempo, perché la Comunità Magica si dimenticasse di me, di quello che mi lega alla strage di quella notte in cui sono rimasta sola al mondo. Emmanuel Vance ha ucciso mia madre per vendicarsi, ma io ucciderò Samuel. E poi toccherà ai figli di Harry Potter, non doveva mettersi in mezzo».
«Farò quello che desideri Bella, a costo di ucciderli personalmente. Ho un conto in sospeso con lui, lo sai».
«Lo so. Ti concederò i due più piccoli per la tua vendetta. Il primogenito Harry Potter dovrà vederlo soffrire e morire, ne sarà distrutto. Poi seguiranno gli altri due. Il Prescelto non è una grande minaccia. Ma ora Thomas non parliamo, questa notte voglio che tu mi faccia compagnia. Domani, domani ci sarà la riunione e vedremo quanti davvero mi sono fedeli».
«Mi rendi l’uomo più felice di questa terra, Bella».
Thomas prese la sua mano e si lasciò condurre da Bellatrix nelle sue stanze.
Era una donna bruna ed esile, così esile che Thomas non aveva mai capito da dove tirasse fuori quell’energia e quella forza che mai in vita sua sarebbe stato in grado di contrastare. Ogni suo volere e sentimento si annullava di fronte a quella donna, sembrava risucchiare tutte le sue energie. Era suo e di nessun altra. Se lei gliel’avesse chiesto avrebbe ucciso anche i suoi stessi figli.
La camera da letto era sfarzosa: un enorme letto a baldacchino occupava la parte centrale. Le tende e le coltri erano verde acido ed il legno era scuro, così come quello degli altri mobili che adornavano la stanza altrimenti spoglia: un comò, un armadio ed uno specchio dall’aspetto inquietante.
Thomas sorrise: era il nido del loro amore.
Aiutò Bella a spogliarsi e poi lei fece lo stesso con lui.
Quella notte giacquero insieme, felici come non lo erano da mesi. Thomas era stato trattenuto lontano da lei da alcuni affari e soprattutto l’aumento dei controlli aveva comportato una maggiore attenzione a trovare una buona scusa per dover uscire dal territorio britannico per recarsi proprio dove sapeva per certo stessero portando le indagini degli Auror congiunte a quelle della Squadra Speciale Magica. Steeval e Potter li stavano addosso. Per fortuna dopo l’uccisione di suo padre, sua madre aveva spinto lui e le sue sorelle ad assumer un profilo basso per evitare ripercussioni. E per anni avevano fatto quasi finta di non appartenere alla nobile Casata dei Rosier, ma presto suo padre sarebbe stato vendicato.
«Non mi piace che Rabastan Lestrange ti giri intorno» sussurrò dopo un po’.
Bella rise, non una risata sprezzante come quella di prima ma divertita: «Sei geloso, Thomas?».
«Sì. Un uomo che ha trascorso sedici anni ad Azkaban ed ha vissuto latitante per altrettanti non rispetta le donne altrui. Non mi interessa se ti serve il suo aiuto, se ti tocca lo crucerò e poi lo ucciderò. Non capisco che te ne fai di uno come lui! Posso fare tutto io».
«Oh, Thomas. Se Lestrange fa qualcosa che non dovrebbe, lascerò a te la punizione. Non sarà lui a comandare alla fine, lo sai. Lascia che s’illuda. Ci serve, perché anche lui è spinto dalla vendetta ed è un uomo senza scrupoli… Ultimamente hai le cruciatus facili, ho sentito…».
«Mmm» lui la baciò, «Di che parli?».
«Evan mi ha detto che hai cruciato pesantemente Pauline in questi giorni».
Thomas si staccò da lei e sbuffò: «Se lo merita. Si è fatta bocciare per la seconda volta! Ti rendi conto? È una vergogna per i Rosier! Ne ha preso sicuramente da quella scema della madre».
«Pauline è molto intelligente, ma è una ragazzina ribelle».
«Sarà come dici tu… Comunque non c’è nulla di meglio della Maledizione Cruciatus per domare quelle come lei».
«Ti amo, Thomas» sussurrò Bella, dopo averlo baciato a lungo. «Vedrai che quest’anno si darà una regolata. Evan mi ha assicurato che i tuoi argomenti sono stati molto convincenti».
«Lo spero bene. Mia moglie ha dato la colpa a me… Dice che non sto abbastanza attento ai miei figli… Ti assicuro che non mancherò di dedicare tutta la mia attenzione a Pauline quest’estate».
«Prima di andartene domani, passa a salutare il nostro principino. Ha chiesto di te parecchie volte. Lui sì che sente la tua mancanza!».
«Lo so, manca anche a me. Purtroppo non sono riuscito ad arrivare prima che andasse a dormire. Il vero erede dei Rosier! Continua ad apprezzare la compagnia di Vasilij?».
«Oh, sì. La prossima settimana si trasferirà qui al Castello, così potrò istruirlo a dovere sul compito che avrà durante il prossimo anno scolastico».
«Lo farai partire per Hogwarts?».
«Naturalmente. Mi fido ciecamente di lui. Le resistenze di Potter e della McGranitt sono state sconfitte?».
«Ancora no, ma non manca molto. Ti porto una notizia sorprendente però».
«Spero sia una buona notizia».
«Fa cambiare le carte in tavola. Kingsley Schacklebolt ha dato le dimissioni. Saranno ufficializzate solo la prossima settimana».
Bella rimuginò a lungo sulla novità, poi disse: «Dobbiamo incrementare la nostra presenza all’interno del Ministero. Quante possibilità ci sono che sia Parkinson a prendere il suo posto?».
«Poche Bella, poche. Potter non lo permetterebbe mai».
«La parola del Salvatore del Mondo Magico, certo vale più di quella dell’intera comunità magica. Figuriamoci».
«Non ha ancora compreso chi sia la nostra spia» si compiacque Thomas.
Bella fece una smorfia. «Tieni d’occhio quel ragazzo. Non è convinto. Non sente davvero la nostra causa. Prima o poi crollerà, e quando lo farà dovrà sapere pochissimo di noi o saremo nei guai. Già Main ha combinato un disastro, è meglio per lui che se ne stia un po’ ad Azkaban o dovrà affronterà la mia ira. Edward è spinto dalla paura e dalle minacce del padre. Ammira Potter e prima o poi ci tradirà».
«Parkinson gli ricorda quotidianamente da che parte deve stare e suo padre fa altrettanto, te lo assicuro».
Lei scosse la testa e lasciò cadere l’argomento. Lo abbracciò di nuovo e giacquero insieme ancora una volta. Ben presto il sonno scese su di loro.

*

La mattina dopo Thomas si alzò molto prima di Bella: aveva dei compiti da svolgere e sarebbe tornato da lei più tardi.
Per prima cosa si recò nell’ala del castello del figlio. Il piccolo Merlin dormiva beatamente nel verde letto a baldacchino, in cui il suo esile corpicino decisamente si perdeva. Lo baciò delicatamente sulla fronte, senza svegliarlo. Quel bambino era il frutto del reciproco amore che nutrivano lui e Bella.
Quella sera rientrò in tempo per la riunione e non poté andare a trovarlo, ma con sua grande sorpresa lo trovò in compagnia della madre nel salottino che coincideva con l’anticamera della stanza da letto di quest’ultima.
«Merlin, ha preteso di aspettarti in piedi. Meno male che sei arrivato. La riunione sta per iniziare. Ti aspetto» lo accolse frettolosa Bella, dopo che le fece il baciamano.
«Merlin» sorrise Thomas.
Il bambino corse da lui. I due si squadrarono per un momento, poi il più piccolo disse eccitato: «Vasilij questa mattina mi ha insegnato a Disarmare… mi ha prestato la sua bacchetta… ci sono riuscito al primo colpo! Vasilij non ci credeva».
«Sei stato bravo» concesse Thomas sorpreso. Era abituato ad essere ignorato ed evitato da Evan e Pauline. Merlin, invece, aveva disobbedito alla madre solo per potergli raccontare i suoi progressi. Per un momento gli tornò alla mente lo sguardo dolce ed amorevole di sua madre, prima che la tragedia li travolgesse. Quel bambino gli voleva bene, lo sentiva suo. «Diventerai un grande duellante, ne sono sicuro. E sarai un degno erede dei Selwyn e dei Rosier».
Merlin annuì e gli gettò le braccia al collo. Thomas per un momento si irrigidì, ma poi come ricordando un gesto dimenticato da tempo lo circondò con le sue braccia e lo strinse a sé. Non aveva mai abbracciato così gli altri suoi figli. Quella era l’ennesima prova di quanto amasse Merlin e Bella. L’ennesima prova di ciò che lui e Bella avevano capito da tempo: il Signore Oscuro aveva davvero commesso un errore a sottovalutare l’amore. Loro non l’avrebbero mai fatto.
Bella era sempre molto dura con il piccolo, perché lei non aveva conosciuto il vero amore di cui è capace una madre, ma lui sì e non l’avrebbe mai dimenticato. Lo prese in braccio e lo accompagnò personalmente nella sua camera e lo mise a letto.
«Ora dormi e non ti azzardare a vagare per il castello da solo» lo minacciò, tentando di ricomporsi. «Questa sera io e tua madre abbiamo una riunione molto importante. Ti prometto che nei prossimi giorno trascorrerò più tempo con te. Ti assicuro che io conosco molti più trucchetti di Vasilij. Ti andrebbe di impararli?».
Merlin lo guardò ad occhi sgranati ed annuì. «Sì, sì ti prego. Insegnami tu».
«Va bene, ma non disobbedire più a tua madre od a me. Chiaro?».
«Sì, signore» replicò rapido lui. «Papà, mi abbracci un’altra volta prima di andare alla riunione?».
Thomas fu preso alla sprovvista. Chi gli aveva insegnato quelle cose? Certamente Bella non era il tipo da abbracciare o baciare il bambino. Al di fuori delle loro notti di passioni, era una donna gelida e sapeva diventare altamente crudele. Per conto suo non si era mai permesso di rivolgersi a suo padre in quel modo. Si morse il labbro, suo padre aveva sempre fatto come lui faceva come Evan e Pauline. Non li aveva mai amati. Finalmente, dopo anni lo comprese. Per Evan Rosier era esistito solo il Signore Oscuro ed i suoi ideali.
«Quando non ci sono io, chi abbracci?» indagò. Bella selezionava attentamente le compagnie del bambino e difficilmente le sarebbe sfuggito qualcosa.
«Camilla. Prima Vasilij non era d’accordo, diceva che sono cose da femminucce. Poi però Camilla ha cominciato a baciarlo ed allora ha iniziato ad essere più gentile anche lui con me. Non quanto Camilla però».
«Capisco». Camilla Blanchard era una Purosangue francese. La sua famiglia e quella di Vasilij si conoscevano da diverso tempo perché i padri avevano frequentato insieme Durmstrang. Così i due ragazzi avevano avuto modo di conoscersi. Naturalmente Vasilij aveva avuto un’educazione simile alla sua, ma doveva essersi realmente innamorato della francesina. Infatti Bella gli aveva raccontato che la ragazza aveva cominciato a frequentare il castello dopo il loro fidanzamento ufficiale.
«Però papà non capisco, Camilla bacia sempre Vasilij sulla bocca, ma a me mai».
Si trattenne dal ridere: suo figlio prima ancora dell’erede di due importanti famiglie purosangue, era un bambino. Forse l’aveva capito in tempo per non commettere gli stessi errori che aveva compiuto con gli altri due e soprattutto non aveva mai davvero voluto bene a suo padre. Lo aveva sempre temuto e poi si era ritrovato a venerare il suo ricordo ed a desiderare di vendicarlo. Non sarebbe caduto nel baratro di odio e rancore che lentamente uccideva Bella, anche se non era sicuro che sarebbe riuscita a salvarla. Lo abbracciò, esaudendo la sua richiesta e mentre lo stringeva nuovamente a sé, comprese che doveva difenderlo come un vero papà, ma lui non lo sarebbe stato mai: l’impresa in cui si erano imbarcati lui e Bella avrebbe potuto rivelarsi suicida. Thomas non nutriva le sue stesse certezze.
«Vasilij e Camilla sono fidanzati. Solo i fidanzati si baciano sulla bocca».
«Quindi quando io sarò grande potrò baciare sulla bocca una ragazza bella come Camilla… cioè no aspetta prima mi fidanzo con lei e poi ci baciamo, giusto? Ma io ne voglio una dolce e carina come lei».
«Giusto. Quando avrai l’età di Vasilij sceglierai la ragazza che ti piacerà. Promesso».
Quando poco dopo si diresse nel Salone dove lo attendevano per la riunione, ringraziò Merlino e Morgana di aver avuto la prontezza di ordinare al bambino di non raccontare nulla alla madre. Bella non avrebbe potuto comprendere. Lei non poteva capire che cosa significasse sposare una donna che non ami ed odiarla ogni giorno di più. E soprattutto non doveva parlare alla madre di Camilla o l’avrebbe allontanata dalla Castello.
Entrò nel Salone ed osservando i convenuti, si ripromise di non far crescere Merlin nell’odio e nel rancore, ma nell’amore. Solo nell’amore. Lui avrebbe seguito Bella nel baratro se fosse stato necessario, ma Merlin si sarebbe salvato.
Conosceva tutti i presenti quanto meno di vista. Sedette alla sinistra di Bella. Con rabbia vide che di fronte a lui sedeva Rabastan Lestrange.
«Credo che vi conosciate quasi tutti, quindi non è necessario che io faccia le presentazioni» disse Bella.
Tutti annuirono in risposta. Thomas sapeva con certezza che nessuno di loro avrebbe avuto il coraggio di contraddirla apertamente.
Era la prima vera riunione dei Neomangiamorte. Nonostante fosse in disaccordo, Bella aveva scelto questo nome. Loro non erano come i vecchi Mangiamorte, ma Bella, non a torto, aveva ritenuto che quel nome avrebbe suscitato maggior timore tra i maghi e più facilmente avrebbe attirato consensi. E così era stato.
Tutti erano stati marchiati con l’uroboro con lo stesso incantesimo oscuro utilizzato dal Signore Oscuro. L’uroboro aveva infiniti significati: rigenerazione, vita e morte, infinito.
«Il nostro nuovo obiettivo è entrare ad Hogwarts» principiò Bella.
Molti trattennero il fiato, altri impallidirono.
«Mia signora», intervenne Lestrange. «Non crede sia troppo presto?».
«Sciocchi, pensate davvero che io sia così stupida da voler penetrare ad Hogwarts con la forza? Non mi avete forze detto che Potter e Steeval hanno spiegato tutte le loro forze per proteggere i pargoli? No, sarà indetto un nuovo Torneo Tremaghi. A che punto siamo Richard?».
Richard Parkinson si schiarì la voce e rispose: «Mia signora, sono riuscito a coinvolgere molti altri Capi di Dipartimento. Presto la vecchia e lo Sfregiato dovranno cedere».
«Ottimo, avvertimi appena succederà. Mi raccomando Richard, non vi fate scrupoli ad usare le cattive maniere. Eliminate chi vi ostacola troppo. Ho già scelto i ragazzi della delegazione di Durmstrang. Dimitri ti darò la lista al momento giusto».
«Come desidera, mia signora» replicò il corpulento Dimitri Vulchanova, Preside dell’Istituto di Arti Magiche di Durmstrang.
«Che cosa vuoi fare mandando dei ragazzi? Non puoi certo accompagnarli tu!» disse Lestrange.
«Se mi permette, mia signora» s’intromise un giovane, Bella annuì ed egli continuò. «Il capitano Potter…». Molti risero, l’uomo seduto accanto a lui, suo padre, lo gelò con lo sguardo.
«Su, smettetela! Non ridete di Edward, è costretto a mostrarsi rispettoso verso lo Sfregiato. Su, Edward continua pure».
«Stamattina è stato emanato un mandato di cattura per lei, mia signora».
Bella rise sprezzante: «Lo Sfregiato non perde tempo allora. Beh pazienza, tanto se ne pentirà presto. Non dovrai sopportarlo per molto. Comunque non avevo intenzione di andare ad Hogwarts. Ho però l’intenzione di tornare in Inghilterra. Dain, ragazzo mio, avete combinato un bel macello il giorno del solstizio d’estate».
Il ragazzo interpellato si raddrizzò, ma da bravo occlumante non mostrò le sue emozioni. «Mia signora, abbiamo frainteso la storia dei Fondatori. Non succederà una seconda volta».
«Lo spero bene e poi da quest’anno si occuperà Evan di Hogwarts» disse indicando un ragazzo bruno seduto alla destra di Thomas. «Confido in te, ragazzo mio».
«Sì, signora».
«Devi creare un gruppo di arti oscure e spiegare loro i nostri obiettivi. I maghi non vivranno più in clandestinità!».
«Ai suoi ordini, mia signora. Farò di tutto per non deluderla».
«Konrad, a che punto sei con l’incarico che ti ho assegnato?».
«Ho preso contatti con il nostro uomo, signora. Lo incontrerò all’inizio della prossima settimana».
«Bene, mi raccomando se accetta i soldi buon per lui, in caso contrario prendi qualche uomo e falli capire che con noi non si scherza».
«Stia tranquilla, mia signora».
«Mia signora, si ricorda quella cosa che mi aveva chiesto di verificare?» intervenne Richard Parkinson.
«Naturalmente, Richard. Che cosa hai scoperto?».
«Esiste davvero una profezia pronunciata da Cassandra Cooman, ma non ho potuto ascoltarne il contenuto».
«Vorrà dire che lo chiederemo direttamente a Sibilla Cooman, visto che si diverte ad andare in giro e raccontare frammenti di profezie della sua più capace antenata solo per farsi bella» replicò Bella, guardandosi intorno. «Chi si offre volontario?».
«Io mia signora» disse pronto Dain Zabini.
«Anche io» disse pronto un altro ragazzo sui diciassette anni.
Bella lo osservò per un momento e poi un sorriso affiorò sulle sue labbra carnose. «Bene, bene Jesse Steeval. Ragazzo mio, lo sai, sono molto sorpresa di vederti qui questa sera. Sono molto curiosa di sapere che cosa hai detto a tuo padre».
«Nulla mia signora. Sono maggiorenne e faccio ciò che voglio. Mio padre se ne farà una ragione prima o poi. Non ha idea di dove sia e quanto starò fuori».
«Prima che partissi non ti ha raccontato qualcosa che potrebbe interessarci?».
Jesse sbuffò: «Lei non conosce mio padre. Non parla di lavoro, se non sollecitato. Una parte di lui crede che siamo ancora dei bambini. E comunque ciò che più potrebbe interessarci è coperto dal segreto professionale e mio padre è troppo rigoroso e rispettoso della legge».
«Perché hai deciso di unirti a noi?».
«Io credo veramente che i maghi dovrebbero dominare e voglio fare parte del nuovo ordine che verrà istaurato».
«Ammirevole, ammirevole Jesse, ma mi posso realmente fidare di te?».
«Sì, signora. Non mi scarti a causa di mio padre, la prego».
«No, no. Lascia che ti legga la mente però se non hai nulla da temere».
«Sono pronto» replicò Jesse alzandosi in piedi. Bella fece altrettanto ed estratta la bacchetta la puntò contro il ragazzo. Seguirono alcuni minuti di silenzio, nessuno osava fiatare e distrare la Signora. Quando finalmente il contatto si interruppe, Bella sorrise.
«Benvenuto nel gruppo, Jesse Steeval. Se ti dimostrerai leale, presto sarai marchiato con l’uroboro e diventerai ufficialmente uno dei nostri. Sì, voglio che vada anche tu con Zabini. Che ne dice di guidare lei l’operazione?».
Bella si era rivolta ad una donna tarchiata e dalla faccia da rospo, seduta a metà della tavolata.
«Oh, sarà un piacere» disse con un sorriso lezioso.
Bella annuì soddisfatta: Dolores Jane Umbridge aveva un grande desiderio di vendetta ed era una di quelle di cui si fidava maggiormente.
«Quando attaccheremo Azkaban?» intervenne Rabastan Lestrange.
«Piano, piano Lestrange» replicò Thomas con disprezzo. «Mi sembra che fossi tu alla guida dell’operazione il giorno del solstizio ed hai fallito miseramente. Per questo motivo le nostre forze hanno subito un brutto colpo! Se attaccassimo Azkaban, ci butteremmo direttamente nelle braccia del Ministero!».
«Ogni cosa a suo tempo. Dareus, a che punto siamo con i dissennatori?».
«Ottimo, mia signora. Presto saranno sotto il nostro potere» rispose un maghetto basso e dal viso coperto per metà da un grosso paio di baffi grigiastri.
«Per quanto riguarda i mercenari?».
«Ogni tanto danno qualche problema, ma sono quasi pronti a combattere» grugnì Gregory Goyle.
Bella annuì senza commentare; non aveva molta stima per quell’uomo: fortunatamente non si occupava lui dell’addestramento o gli uomini non sarebbero mai stati davvero capaci di combattere, ma si limitava a coordinare la squadra che se ne occupava. «Bene, se non avete altro di aggiungere. Possiamo chiudere qui la riunione» disse Bella dopo averli osservati uno per uno.

Angolo autrice:

Ciao a tutti!
Sono tornata, spero che vi faccia piacere :-D Ditemi che ne pensate di questo capitolo, finalmente la Signora Oscura ha un nome.

Vi auguro una buona serata :-D 
 

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Capitolo 2
*** Furto al Louvre ***


Disclaimer: i personaggi appartengono a J.K. Rowling e questa storia non ha scopo di lucro (scusate dimentico sempre di scriverlo).
 
Capitolo secondo

Furto al Louvre

I Flamel erano un’antica e stimata famiglia. La loro fama derivava essenzialmente dalla figura di Nicolas Flamel, nato nel XIV secolo a Parigi. Egli era un alchimista ed è noto per aver fabbricato la pietra filosofale, con la quale poté realizzare l’Elisir di Lunga Vita. Grazie a questa pozione egli visse fino alla veneranda età di 665 anni, mentre la moglie fino ai 658. La residenza più antica dei Flamel è sita al numero 51 di rue de Montmorency ed è anche una delle prime case in pietra di Parigi. Oggi a Parigi esiste la rue Nicolas Flamel, nei pressi del Museo Louvre e si incrocia con rue Perenelle (dal nome della moglie di Flamel). Oggi la famiglia risiede in un altro antico palazzo, posto proprio al principio della via dedicata a Nicolas, ma dalla sua morte si è tendenzialmente chiusa in sé stessa nel tentativo di mantenere invariato il proprio prestigio. L’immenso palazzo, che occupa quasi un intero isolato, consta di tre piani, più un vesto sotterraneo che Flamel aveva usato come laboratorio personale. Il primo piano è occupato da vasti saloni di diverso stile che denotano l’antichità dell’edificio, ma anche le diverse mani femminili che si sono susseguite nel tempo. Al secondo piano c’è la camera da letto di Nicolas e Perenelle, degli attuali padroni di casa e l’immensa e bellissima biblioteca di famiglia, contenente tomi antichi e preziosissimi, che Nicolas si era premurato di raccogliere per più di seicento anni. Il terzo piano invece aveva un’ampia terrazza che dava una vista panoramica sulla capitale francese e le decine di stanze da letto per il resto della famiglia e per i suoi ospiti. L’ingresso principale dell’edifico dava sulla strada, mentre sul retro c’era un giardino bellissimo, con prati, radure, fontane, curato e voluto primariamente da Perenelle (naturalmente il tutto era nascosto alla vista dei Babbani, grazie ad un alto muro di cinta).
«Non dovremmo entrare qui. Se tuo padre ci becca, sono guai».
«Lo so, Louis, ma devo assolutamente farti vedere che cos’ho scoperto in primavera. Sono mesi che aspetto che tu venga. Sai che noia da solo con i miei? Tu almeno vai in una scuola babbana, sai quanto avrei pagato per poterci andare anche io? Tua madre non è mai riuscita a convincere i miei purtroppo».
Un ragazzino dai lineamenti graziosissimi e fini, fece un sorrisino triste al coetaneo e cugino, biondo e chiaro quanto lui. Valentin Flamel, undici anni compiuti da meno di un mese, non aveva sentito altro durante la sua ancor breve vita, oltre al fatto che era l’erede della notissima famiglia Flamel e non avrebbe avuto a che fare con nessun altro se non con i suoi noiosissimi precettori, se non fosse stato per Apolinne, sua sorella maggiore, ed i cugini: Louis, Dominique e Victoire, che però vivevano in Inghilterra e potevano incontrarsi solo un paio di volte l’anno, se andava bene. Il Natale precedente, per esempio, sua madre aveva deciso di andare in vacanza in America ed a nulla erano valsi i suoi capricci per andare in Inghilterra, anche da solo.  Finalmente dopo mesi i suoi cugini erano andati da lui a Parigi. Louis Weasley e Valentin Flamel non avrebbero avuto quasi nulla in comune se non fosse stato per l’ottavo di sangue Veela che scorreva in loro; caratterialmente erano come il giorno e la notte. Louis era tranquillo e molto timido, tanto da non spiccicar parola davanti agli estranei, ma anche con gli zii francesi se non obbligato, per di più era un bambino obbediente e studioso. Valentin, invece, era sempre pronto a far dispetti agli adulti, era sfrontato e spesso risultava maleducato, ma soprattutto era la disperazione dei suoi precettori. Sua madre era costantemente arrabbiata con lui, anche perché, non rendendosi conto di quanto desse fastidio al figlio, lo paragonava sempre al cugino. Suo padre Emile a malapena faceva caso a lui, anche perché per esperienza sapeva che in ogni caso sarebbe stato l’erede di tutto, indipendentemente dalla sua educazione; per cui non comprendeva minimamente le preoccupazioni della moglie: suo figlio avrebbe avuto qualunque cosa allo scrocchiare delle dita, tanto valeva che facesse da subito ciò che più gli aggradava. Per conto proprio Valentin non dava troppo peso a quel che si diceva di lui e si comportava come se il figlio per cui i genitori discutevano spesso non fosse lui; anzi non era lui: era l’erede; ma Valentin non voleva essere l’erede di un bel niente. Adorava andare in Inghilterra perché fuggiva al controllo asfissiante della madre e giocava come ogni bambino insieme ai cugini ed ai loro amici. Odiava l’enorme palazzo per cui gli altri maghetti, che aveva avuto modo di incontrare, lo invidiavano. Era troppo grande per un bambino solo e sua sorella aveva ben sei anni più di lui e si interessava solo ai vestiti ed ai ragazzi. Le stanze del secondo piano erano le uniche in cui non poteva entrare, per cui era proprio in quelle che andava appena i genitori uscivano per conto loro e a nulla valevano le suppliche degli elfi domestici che avrebbero condiviso parte della colpa se fosse stato beccato. In modo particolare lo attirava la biblioteca perché sapeva che il cugino la adorava e voleva avere qualcosa di fantastico da raccontargli ogni qual volta andava a trovarlo. E in questo caso era eccitatissimo, perché aveva fatto una scoperta strabiliante. Così appena le loro madri e le loro sorelle erano uscite in compagnia di Teddy Lupin e dello zio Bill (suo padre non andava mai a far compere con la moglie), Valentin aveva trascinato suo cugino in biblioteca.
«Ti assicuro, che non te ne pentirai» disse scacciando i brutti pensieri.
«Mmm speriamo, non voglio far arrabbiare i miei» borbottò Louis.
«Nessuno saprà che siamo stati qui oggi! Stai tranquillo, siamo soli in casa, chi dovrebbe scoprirci?».
«Hai detto quella cosa ai tuoi?».
«No, ho fatto di meglio».
«Cioè?» chiese Louis, cui non piaceva la strana luce che illuminava gli occhi del cugino.
«Ho usato quella piuma che falsifica la scrittura, quella che Domi ha regalato ad Apolline lo scorso Natale».
«Per far che?» chiese Louis sollecitandolo a parlare, visto che l’altro si aspettava proprio questo.
«Per falsificare la calligrafia di mio padre, naturalmente. La lettera di Beauxbatons arriva prima della vostra. Ho risposto alla Preside che in quanto erede del Casato che preferisco, cioè mio padre preferisce, istruire mio figlio a casa».
«Ma è una bugia!».
«Certo, che lo è. Ma a fin di bene».
«Il tuo bene, s’intende».
Valentin annuì felice. «Ed ho scritto anche alla vostra Preside chiedendoli di ammettermi ad Hogwarts! Non ha ancora risposto, ma sono sicuro che mi manderà la lettera di ammissione insieme a quelle degli altri! Ti rendi conti? Verrò a Scuola con te e Domi!».
«È assurdo, Vale! Quanto pensi di poterlo tenere nascosto ai tuoi?».
«Fin quando non sarò ad Hogwarts oppure me lo impediranno. I Flamel sono sempre stati allievi di Beauxbatons. Che ti salta in mente stupido che non sei altro! Questo mi ha risposto mio padre quando gliel’ho accennato e mi ha dato anche uno scappellotto».
«Quale è il piano?» chiese rassegnato Louis.
«Il 31 agosto farò richiesta di una passaporta urgente a nome di mio padre. Il Ministero non gli dice mai no e così me ne vengo a Londra, da lì alla stazione sarà un giochetto. In più sarò in territorio inglese, non mi può più toccare no? Ci vedremo sul treno, perché i tuoi farebbero ostacoli. Io spero di essere un Grifondoro, tu?».
Louis lo osservò in silenzio per qualche secondo e si chiese se per caso non avessero esagerato con i racconti su Hogwarts. «Sì, certo anche io. Mio padre e le mie sorelle sono stati smistati in Grifondoro» bofonchiò poco convinto. «Il tuo piano è folle però».
«La fortuna aiuta gli audaci, non dimenticarlo mai».
«Saresti un Grifondoro perfetto».
«Lo so e non vedo l’ora».
«Ma Beauxbatons non è male come Scuola, mamma è sempre felice quando parla dei suoi trascorsi scolastici ed è anche un bel posto. Soprattutto qui in Francia non piove spesso come in Inghilterra».
«Cavoli, Louis! Nemmeno tu mi capisci?» chiese Valentin con le lacrime agli occhi. «Io voglio andarmene da qui! Voglio venire in Inghilterra con voi! Sono stanco di essere solo! E non mi dire che a Scuola non lo sarei! Sarei l’erede dei Flamel! Il fratellino di Apolline. E soprattutto voglio allontanarmi il più possibile dai miei genitori. Se verrò lì a Scuola, sarà più facile che durante le vacanze io possa venire a casa tua. Mi capisci almeno tu? Ti prego».
Louis annuì, comprendeva eccome, aveva sentito un milione di volte sua mamma lamentarsi della sorella con suo padre: da quando aveva sposato un Flamel aveva perso la testa e non si rendeva conto che prima o poi, se non avessero cominciato a trattarlo come un bambino, Valentin avrebbe fatto qualche sciocchezza grave prendendola come uno dei suoi soliti dispetti. Ebbene sua mamma aveva avuto ragione: suo cugino stava progettando di scappare di casa e visto che i suoi zii davano per scontato che il figlio facesse quello che volevano loro, probabilmente ce l’avrebbe fatta e quando loro se ne sarebbero accorti, lui sarebbe stato ormai diretto in Scozia. Non fece commenti sul fatto che si trattava di un minorenne ed il Ministero inglese non avrebbe mosso un dito in suo favore, senza contare che il suo pesante cognome l’avrebbe seguito anche ad Hogwarts.
«Come posso aiutarti?».
«I libri. Tuo padre ti ha promesso che ti comprerà tutti i libri nuovi, vero?».
«Sì, Domi usa quelli di Vic, ma ha il brutto vizio di impasticciarli tutti, di disegnarci e di scriverci sopra con le sue amiche. Papà mi ha promesso di comprarne una copia nuova tutta per me».
«Bene, allora tu metti nel baule anche quelli di Vic del primo anno e poi me li dai ad Hogwarts. Pensi di poterlo fare senza problemi?».
«Domi li ha buttati in cantina e Vic ha tenuto solo quelli pozioni e degli ultimi due anni in camera, anche perché servono anche a Domi».
«Sì, ma puoi prenderli senza che i tuoi ti facciano domande?».
«In realtà l’ho già fatto. Papà ha detto che andremo a comprare il materiale solo dopo che arriverà la lettera anche a Domi e probabilmente dopo il matrimonio di Vic. Io volevo dare un’occhiata a quello che faremo al primo anno, per cui sono andato a cercare i libri vecchi. Sono tutti in camera mia, anche quello di pozioni».
«Magnifico, non ti resta che tenerli lì e poi metterli nel baule. Ok?».
«Sì, va bene. Lo farò, te lo prometto».
«Grande, Louis. Non devi dire nulla ai tuoi, però!».
«Tranquillo, papà dice che posso servirmi a piacimento dei libri che ci sono in casa, tranne quelli delle mie sorelle, anche perché mi ucciderebbero».
«Per Vic non sarà un problema se tengo io il libro di pozioni?».
«No, non credo. Lo tiene lì solo in caso di necessità, ma lei adesso usa i manuali di Pozioni Avanzate».
«Comunque ho tenuto d’occhio papà, come mi hai chiesto. L’ho visto parlare con dei tizi con l’accento straniero. A me è sembrato proprio inglese. Sono venuti un paio di volte e papà li ha fatto vedere la biblioteca. Non so che cosa si siano detti, perché mi ha cacciato. Ah, sono venuti anche degli Auror. Mamma e papà li hanno fatti accomodare in salotto. Mi hanno fatto rimanere. Gli Auror li hanno chiesto se era entrato in contatto con qualcuno di particolare negli ultimi tempi e soprattutto con qualche inglese. Papà si è alterato ed ha alzato la voce affermando che non dovevano nemmeno permettersi di fare certe domande ad un Flamel. Gli Auror non si sono fatti intimidire ed hanno riposto le domande e mio padre ha risposto di no. Ma ha mentito, capisci? Quei tizi li aveva già incontrati! Ed ho sentito i nonni arrabbiarsi con mamma: le hanno detto che avrebbe dovuto richiamare suo marito e non permettergli di alzare la voce in quel modo contro le forze dell’ordine, che in quel modo non ha fatto altro che darmi un cattivo esempio. Ma io so che ha mentito! Io non mi fido più di lui. In più lui e la nonna hanno litigato. Qualche giorno dopo la nonna è stata male…».
«La nonna è stata male?» lo interruppe Louis. «Ma mia mamma lo sa?».
«No, non credo. È stata un’intossicazione alimentare. Appena si è ripresa nonno ha voluto lasciare il palazzo. Non so perché. Da quando sono nato, loro sono sempre stati qui. Nessuno mi ha spiegato nulla. Nonna mi ha detto che preferiva stare nella sua villetta di campagna, perché l’aria di città le fa male. Ma se n’è accorta proprio adesso dopo più di undici anni? In più siamo andati noi da loro per festeggiare il mio compleanno. Mio padre non è voluto venire. Mamma era dispiaciuta, ma non hanno detto nulla in proposito. I nonni sembravano contenti di non vederlo. Doveva essere il mio compleanno più bello ed invece è stato il peggiore. Apolline non è voluta venire, perché aveva gli esami a Beauxbatons ed ha detto che doveva studiare, ma non è vero. Lei non studia mai, semplicemente voleva starsene con i suoi amici. In più mentre la nonna stava male, nonno e papà hanno litigato e sono sicuro che è per questo che se ne sono andati. E papà nonostante non mi voglia tra i piedi, non ha mai permesso che io dormissi dai nonni».
Louis aveva ascoltato ogni sua parola con sorpresa crescente: «Ecco perché mamma e zia Gabrielle ieri hanno discusso! Mamma non sapeva tutte queste cose!».
«Già, adesso sbrighiamoci prima che tornino tutti».
Louis lo seguì verso il fondo della biblioteca, staccando a fatica gli occhi dall’uroboro di cui aveva parlato allo zio Harry diversi mesi prima. E così gli Auror francesi non avevano ottenuto nulla.
«Ecco» disse eccitato Valentin indicando il caminetto spento.
Louis lo osservò interrogativo: quel caminetto era vecchio quanto la casa, anche se forse non veniva acceso da quando il nonno di Valentin era morto.
«Ho scoperto un passaggio segreto!». Valentin si sporse in avanti ed inserì la testa dentro il caminetto. Alla fine la tirò fuori e con il viso un po’ sporco di cenere sorrise al cugino, mentre sotto i loro occhi la parte interna del camino si apriva e lasciava intravedere un buio corridoio.
«Dove porta?» domandò subito Louis.
«Non lo so. È lungo. Non l’ho mai percorso tutto. Ho sempre avuto paura che i miei mi cercassero. Comunque ho iniziato ad usarlo come nascondiglio».
«È davvero una scoperta fantastica! Tuo nonno mi ha detto, che la biblioteca, come tutto il palazzo d’altronde, è stato progettato da Nicolas Flamel in persona. Non l’ha messo qui per caso, Vale! Ti rendi conto?» disse tutto d’un fiato Louis con gli occhi che brillavano. «Potrebbe portare addirittura ad un laboratorio segreto, dove ha conservato i suoi appunti sulla pietra filosofale!».
Valentin non fece in tempo a replicare, che sentirono delle voci e la porta della biblioteca aprirsi.
«Ma non erano tutti fuori?» chiese spaventato Louis.
Suo cugino non rispose e lo spinse dentro il caminetto e poi nel corridoio buio. L’apertura segreta si chiuse senza fare il minimo rumore. Louis odiava il buio, preferiva beccarsi un castigo che rimanere lì un secondo di più; Valentin lo bloccò e sussurrò: «Ci sono io tranquillo. Non ci allontaniamo, rimaniamo qui. Appena se ne vanno, usciamo anche noi».
Louis cercò di tranquillizzarsi e si mise a sedere, stringendo le gambe con le braccia e cercando di non guardare il buio che si estendeva senza fine alla sua destra.
«Allora Flamel, quest’accordo?» la voce aspra che aveva parlato aveva un inconfondibile accento inglese.
«Mi hanno cercato ancora gli Auror! Mi avevate assicurato che non vi è nulla di illegale!» disse una voce altrettanto aspra, che riconobbe essere quella dello zio Emile. Valentin fremette di fronte a lui. Non poteva vederlo al buio, ma avrebbe potuto scommettere che non si stava perdendo una battuta.
«Razza di idiota! Vogliamo gli appunti di Nicolas Flamel! Ce li hai promessi! Non ce ne frega un cavolo die tuoi problemi con gli Auror. E comunque è Potter che non sta tranquillo a Londra. Vuole anche lui quelli appunti. Te l’ho spiegato un milione di volte con noi ci guadagni di più. Siamo disposti a darti un bel po’ di galeoni. Stai attento, però, noi non siamo pazienti come gli Auror» rispose la stessa voce di prima.
Si sentirono delle risatine. Dovevano essere almeno tre o quattro persone.
«Ok vi darò quello che volete, ma visto il rischio che sto correndo con gli Auror pretendo almeno mille galeoni in più di quelli concordati» disse zio Emile.
«Ahó ma chi credi di essere?» sbottò un’altra voce.
«Su, su. Emile ci sa fare, vero? Avrai altri mille galeoni. Sono tutti qui, ma prendi gli appunti del tuo avo» replicò la prima voce, che doveva appartenere al capo.
Nella stanza risuonò un tintinnare di monete, dopo ci furono diversi minuti di silenzio.
«Ecco a voi. Io sono un uomo di parola. Questo è il grimorio di Nicolas Flamel. È stato disilluso, naturalmente. Un incantesimo molto potente, ma la vostra Signora sarà in grado di leggerlo, ve l’assicuro».
«Spero per te che non ci stai prendendo in giro. La famiglia Flamel ha una storia antichissima, ma ti giuro che noi ci metteremmo pochissimo a cancellarla dalla faccia della terra! Sono stato chiaro?».
«N-naturalmente».
«Bene, ora noi andiamo. Prenditi il denaro».
Ci fu un altro tintinnare di monete e poi di nuovo silenzio.
«Vi accompagno» disse zio Emile.
Appena la porta della biblioteca si chiuse alle loro spalle Valentin saltò fuori insieme a Louis e scapparono di corsa da lì. Solo quando si furono chiusi la porta della camera di quest’ultimo alle spalle, presero fiato. Rimasero in silenzio per un bel po’ di tempo, alla fine Valentin parlò:
«Tu lo sai vero che nessuno sa dove Nicolas Flamel ha nascosto i suoi grimori prima di morire?».
«Sì, tuo padre che cos’ha in testa? Se quelli sono gli uomini a cui mio zio dà la caccia…».
«Ci ha venduto! Ecco cos’ha fatto! I soldi sono più importanti di noi per lui! Quelli uomini si vendicheranno! Dobbiamo andarcene. Devi avvertire tuo zio!».
«Sì, ma come? Un gufo ci metterebbe troppo tempo!» ribatté Louis con voce tremante. «Dobbiamo dirlo a mio padre».
«No, gli adulti non ci crederanno mai! Sarebbe la sua parola contro la nostra! Finiremmo solo nei guai. Non puoi chiamarlo per telefono?».
«Telefono? Sì, ce l’ha, ma sarebbe una chiamata internazionale! Sai quanto costano?».
«Paga mio padre, appena arriva il messaggino di notifica glielo cancello e non lo saprà».
Louis acconsentì e scesero insieme al primo piano. Valentin lo condusse dentro uno dei salotti preferiti dalla madre e qui su una mensola trovò uno degli ultimi modelli di Iphone messi in vendita dalla Apple.
«Questo è della mamma. Papà gliel’ha comprato solo perché lo possa mettere in mostra con le amiche. Lei non lo sa nemmeno usare e lo lascia quasi sempre a casa. Io di solito ci gioco di nascosto. Ricordi il numero a memoria?».
«Sì, quello di casa di mio zio».
Valentin gli porse il cellulare e rimase in attesa, ma Louis gli disse: «Guarda che non l’ho mai usato, mamma e papà ne hanno comprato uno a Vic, ma è un androide e comunque io non ho il permesso di usarlo. Non ho idea di come si apra lo schermo o la schermata con i numeri».
Il cugino sbuffò e si riprese il telefonino. «Anche a me l’hanno vietato, secondo me sei troppo obbediente… Detta il numero».
Pochi secondi dopo Valentin aveva fatto partire la chiamata.
«Avanti rispondi!» lo esortò.
Louis prese il cellulare ed attese. I secondi sembrarono dilungarsi e Valentin era così curioso che non andò nemmeno a controllare che non arrivasse qualcuno.
«Credo che l’operatore telefonico li chiederà se vogliono accettare la chiamata, se non lo fanno siamo fregati» aggiunse Valentin.
Louis non replicò e continuò ad attendere in silenzio.
«Pronto? Qui è casa Potter. Chi parla?» la voce squillante di sua cugina Lily, per poco non gli perforò un timpano. E chi se non Lily avrebbe accettato subito una chiamata internazionale?
«Lily! Sono Louis. Tuo padre è a casa?».
«No, è ancora a lavoro. Ma tu sei ancora in Francia?».
«Lily con chi parli?» Louis sentì la voce di Albus intromettersi. «Con Lou! Ha chiamato dalla Francia! Vuoi salutarlo?».
«Lily hai accettato una chiamata dalla Francia senza dirlo alla mamma?» chiese esasperato Al.
«Lily, passami Albus devono chiedergli una cosa importante!». Sentì la cuginetta sbuffare. «Che siete noiosi. Ecco te lo passo».
«Lou, che succede?» chiese subito Albus.
«Ascolta, mio zio Emile si è incontrato con degli uomini con accento inglese. Non li ho visti in faccia. Li ha venduto il grimorio di Nicolas Flamel, ma in realtà lui non è in possesso. Non lo è mai stato. Capisci? Devi dirglielo a tuo padre! Quelli lì l’hanno minacciato e…».
«Che diavolo state facendo voi due?» la voce di zia Gabrielle fece saltare Louis, Valentin gli strappò il telefono dalle mani e chiuse la telefonata. «Con chi stavate parlando?».
Era entrata nel salotto in compagnia di tutti gli altri senza che la sentissero.
«Ecco vedi mamma» iniziò Valentin, «Louis aveva nostalgia dei suoi cugini, così l’ho fatto chiamare con il tuo cellulare. È vero che sei contento di aver sentito… com’è che si chiama?».
«Al» replicò Louis con un filo di voce. Percepiva su di sé gli sguardi di tutti: i suoi avevano un’espressione tra il sorpreso ed il preoccupato, quella di Domi ed Apolline era divertita, inquisitoria quella di Vic e Teddy che avevano smesso da lungo tempo di prendere per vere ogni parola che fuoriusciva dalla bocca di Valentin. Avrebbe voluto sprofondare.
Molto più tardi, quando si rigirava tra le coperte senza riuscire a prendere sonno Louis si disse che lui e Valentin avevano avuto una fortuna assurda. Quasi tutti si erano bevuti od avevano fatto finta di bersi la scusa inventata da Valentin. La verità è che prima di partire aveva fatto un macello ai suoi, proprio per rimanere a casa con i nonni ed i suoi cugini; per cui che avesse nostalgia di casa non li era parso troppo strano, certo i suoi genitori l’avevano comunque sgridato per aver usato il telefonino della zia di nascosto e non averne parlato direttamente con loro. Per quanto lo riguardava era rimasto in silenzio tutta la serata ed aveva mangiato pochissimo, e ciò in realtà li aveva fatti preoccupare tantissimo; ma non era colpa sua se in quella casa si mangiava sempre roba complicata, di alcune portate non aveva capito nemmeno il nome.
«Louis?». Sobbalzò e si voltò verso suo padre. Non l’aveva sentito entrare. «Oh, meno male temevo che già dormissi». Bill Weasley avanzò nella stanza in penombra e si avvicinò al letto. Con un lieve sorriso gli porse quello che Louis riconobbe come un sandwich semplicissimo con prosciutto, formaggio e lattuga. Lo prese felice e gli diede un morso.
«Grazie» disse, dopo aver ingerito il primo boccone. Bill attese in silenzio osservandolo mangiare.
«Se continui così, nessuno avrà mai problemi a invitarti a pranzo. Disdegni l’alta cucina e mangi poco. Decisamente un convitato economico» disse poi sorridendogli. Louis ricambiò il sorriso e scrollò le spalle. «Mi dispiace avervi fatto preoccupare, ma proprio quelle cose non mi piacciono» sospirò dopo aver mangiato tutto il sandwich. «È vero che mi manca casa, ma non così tanto da dovervi preoccupare».
«Hai chiamato a Londra, Louis. Certo che ci dobbiamo preoccupare. E la mamma si sente in colpa, però non è dipeso solo da lei. Per quanto tu sia un bambino tranquillo, non ti volevo lasciare due settimane dai nonni. Cominciano ad essere anziani e le responsabilità le sentono. E poi anche questa è la tua famiglia, per quanto non ti entusiasmi».
«Io voglio bene a zia Gabrielle e soprattutto mi piace giocare con Valentin. Non mi piace questo posto. Andiamo dai nonni in campagna? Che bisogno c’è di restare qui? In fondo siamo venuti soprattutto per loro».
«Penso che faremo così».
«Papà, vuoi sapere la verità?».
«La verità?» chiese Bill.
«Sì, sulla telefonata. Quella di Valentin era solo una scusa».
«Ah, quindi avete o non avete chiamato a Londra?».
«Questo sì. Ho chiamato zio Harry, ma non era in casa. Ho avuto il tempo di parlare solo con Lily ed Al. Ho lasciato un messaggio ad Al».
«Non capisco, Louis. Che dovevi dire di così urgente a zio Harry?».
«Oggi pomeriggio io e Valentin abbiamo origliato una conversazione di zio Emile con degli uomini. Non li abbiamo visti in faccia, perché eravamo nascosti. Avevano l’accento inglese ed a pensarci bene parlavano francese male, un po’ come te. Anche peggio. Zio ha venduto loro un grimorio di Nicolas Flamel, affermando che lì dentro vi sono i suoi appunti. Tutti noi sappiamo però che nessun membro della famiglia ha mai visto quegli appunti. Quegli uomini l’hanno minacciato. Hanno detto che se li stava prendendo in giro, avrebbero messo fine all’intera famiglia».
Bill aveva ascoltato con attenzione e la sua espressione era diventata man mano sempre più pensierosa.
«Perché non ce l’avete detto?».
«Ci avreste creduto? Dai, la parola di due undicenni contro quella di un mago adulto?».
«Ma a me lo stai dicendo adesso».
«Tu non sei gli altri. Non mi piace dirti le bugie e poi ho tanta paura».
Bill si chinò su di lui e lo abbracciò stretto. «La casa è ben protetta non hai nulla da temere. Gli Auror pattugliano l’isolato. I Flamel sono abbastanza potenti da potersi permettere la migliore delle protezioni, ok?».
Louis continuava ad essere preoccupato, ma annuì.
«Domani parleremo del tuo comportamento di questo pomeriggio» lo avvertì con una punta di severità nella voce. «Adesso dormi, buonanotte». Bill lo baciò sulla fronte e poi uscì dalla stanza silenziosamente così com’era entrato.
Louis sospirò, ma non prese sonno. Lesse svogliatamente qualche pagina di un fumetto francese che gli aveva prestato Valentin un paio di giorni prima. Anziché tranquillizzarsi, però, si stava inquietando sempre di più. Si alzò con l’intenzione di andare nella camera dei suoi genitori, ma un urlo lo gelò sul posto. Ad esso ne seguirono altri e nel corridoio scoppiò il caos. Si fece coraggio ed uscì, ma quello che vide lo spaventò ancor di più. Nonostante fosse quasi l’una di notte, il corridoio era tutto illuminato; ma soprattutto vi era un gruppo di uomini con la veste nera ed una maschera argentata. Proprio come nelle foto sulla Gazzetta del Profeta. Valentin lo raggiunse di corsa terreo in volto. Incantesimi scudo furono innalzati dagli adulti, ma questi erano decisamente in minoranza.
«Dominique» urlò Bill Weasley, «porta i bambini fuori da qui!».
Domi nonostante il caos lo sentì, meccanicamente si volse verso di loro e li incitò a scappare dall’ala libera del corridoio, voltando le spalle ai duelli e seguendoli. La situazione al piano di sotto non era delle migliori, anzi vi erano altrettanti uomini e zia Gabrielle, zio Emile ed alcuni guardia-maghi al servizio dello zio tentavano di bloccare un altro gruppo di Neomangiamorte che andava verso la biblioteca.
«L’edificio è nostro» disse uno di loro ad Emile Flamel. «Hai tentato di prenderci in giro? Perderai ogni cosa questa notte, magari ti lasceremo la vita. Dopo che avremo distrutto ogni cosa, la morte sarebbe come farti un favore».
Dominique gemette e si fermò appena in tempo prima di svoltare il corridoio e farsi vedere, trattenne anche Valentin e Louis.
«Siamo spacciati» mormorò con voce tremula, che mai Louis le aveva sentito. «Forse saremmo dovuti rimanere sopra con mamma e papà. Voi non avete nemmeno la bacchetta. Non abbiamo via di uscita. Sarebbe assurdo combattere con tutti loro e anche se riuscissimo ad arrivare alle scale, sotto ce ne sono altri. Sentite i lamenti degli elfi domestici ed i rumori di vetri infranti?».
«P-possiamo usare il passaggio segreto in biblioteca. Da qualche parte dovrà pur portare e la porta al momento non è sotto l’attenzione di quegli uomini. Sono occupati a torturare i miei. Se riuscissimo ad uscire potremmo chiedere aiuto» disse Valentin.
«Papà ha detto che la casa è sorvegliata dagli Auror, arriveranno a momenti» sussurrò Louis.
«Temo proprio di no, se no sarebbero già qui. Qualcosa è andato storto. Lasciate che vi disilluda e poi tirerò questo detonatore abbindolante tanto per prendere un po’ di tempo. Poi ci buttiamo dentro la biblioteca. Pronti?».
I due annuirono.
«Perché vai in giro con i prodotti di tuo zio?» le domandò Valentin.
«Ho un conto in sospeso con Apolline» borbottò Dominique, prima di disilluderlo.
Louis percepì una sensazione di freddo quando sua sorella lo colpì in testa con la bacchetta. Domi stringeva il detonatore tra le mani; prese un bel respiro: il saltar fuori, il tirarlo ed il correre fu un tutt’uno. Non si fermarono minimamente a vedere se il diversivo avesse funzionato. Con il cuore a mille Domi si chiuse la porta della biblioteca alle spalle.
«Homenum revelio» sussurrò. «Bene qui non c’è ancora nessuno. Colloportus» disse sigillando la porta. «Avanti questo passaggio?».
Valentin e Louis corsero verso il caminetto; mentre qualcuno là fuori tentava di forzare la porta, aprì il passaggio e si infilarono all’interno tutti e tre. Domi sigillò anche quell’entrata e poi per un tempo che a Louis parve infinito, procedettero al buio nel corridoio.
«Dovremmo essere abbastanza lontani. Lumos» sussurrò Domi. La luce fioca della sua bacchetta illuminò le pareti di pietra. Camminando si avvidero che ad intervalli regolari vi erano delle lanterne eleganti appese alle pareti. Valentin raccontò a Domi tutto quello che erano accaduto nel pomeriggio.
«Tuo padre è un idiota» sbottò lei alla fine. «Non hai proprio idea di dove stiamo andando? Sono almeno dieci minuti che camminiamo e credo che ci siamo allontanati da casa tua».
«No, te l’ho detto».
Louis tirò su con il naso ed intervenne. «Credo che abbiamo cominciato ad allontanarci da casa nel momento in cui abbiamo sceso quelle scale. Siamo scesi più in basso del laboratorio sotterraneo di Nicolas Flamel».
«Non ci resta che continuare e trovare l’uscita».
Meno di cinque minuti dopo in effetti trovarono delle nuove scale ed iniziarono a salire per trovarsi ad una porta di legno massiccio. Questa al tocco di Dominique si animò e disse con voce cavernosa: «Solo un Flamel».
Superato il momento di sorpresa e spavento Valentin si fece avanti e toccò la maniglia di ottone: «Io sono Valentin Nicolas Flamel, fammi entrare».
«Sì, lo sei. Ma perché dovrei farti entrare? Nicolas non ha mai portato nessuno qui e mi ha raccomandato che se fosse morto, avrei dovuto fatto entrare solo un suo erede, ma questi avrebbe dovuto meritarselo» replicò la porta. «È inutile che tiri l’anello, brutto teppista. Mi fai solo male. È messo solo per bellezza, mi apro da sola e solo se voglio».
«Ma per favore!» sbottò Domi. «I Neomangiamorte hanno attaccato la casa, non vorrai farci morire di stenti qui davanti a te? Tanto sarebbe valso combattere e farci uccidere da loro!».
«Chi è entrato nel Palazzo del mio amico Nicolas?».
«Uomini cattivi che vogliono impadronirsi degli appunti del tuo amico; ma ti prego aiutaci» intervenne Louis supplichevole.
«No, dovete dimostrare di esserne degni. Ho un indovinello per voi. Ascoltate con attenzione.
La mia vita può durare qualche ora
quello che produco mi divora
sottile, son veloce
grossa, sono lenta,
ed il vento molto mi spaventa»
«Ci mancava la porta degli enigmi» borbottò Dominique.
«Un po’ di rispetto madamoiselle. Avanti trovate la soluzione e vi farò entrare. Nicolas apprezzava solo gli uomini intelligenti».
Si sedettero sui gradini e per la prima volta quella sera Dominique cedette davvero e scoppiò in lacrime. Louis non l’aveva mai vista così… così indifesa. Distolse lo sguardo e tentò di concentrarsi solo sull’indovinello. Valentin si avvicinò alla cugina per consolarla ed a mezza voce malediva la porta ed il suo schifosissimo destino che l’aveva fatto nascere proprio in quella famiglia di pazzi. Il tempo sì sa scorre molto velocemente quando vorremmo che si fermasse e così accadde quella notte. Fortunatamente Louis saltò su esultando dopo nemmeno cinque minuti ed osservò la porta trionfante. «La risposta te la posso dare io o dev’essere per forza un Flamel?» chiese con un certa arroganza che sorprese gli altri due.
«Fa’ pure» concesse la porta.
«La candela. Non dura assai e nel produrre luce si consuma. La sua grandezza aumenta o diminuisce la velocità con cui si consuma e naturalmente il vento spegne la fiammella».
«Bene, bene. Prego entrate, ma mi raccomando rispettate le cose di Nicolas. Ci teneva tanto».
Procedettero all’interno della stanza, che si rivelò abbastanza piccola. Probabilmente la sua cameretta a Villa Conchiglia era più grande. Era comunque un luogo affascinante e ne rimase colpito. Come aveva immaginato era il laboratorio segreto di Nicolas Flamel. Provette ed alambicchi luccicavano alla luce della bacchetta di Domi. Sarebbe rimasto volentieri lì a guardare ogni cosa.
«Muoviti, Louis» lo apostrofò acida Dominique. Lei e Valentin erano già vicini all’altra porta e la osservavano. Per un momento si chiese quanto sua sorella lo odiasse, non faceva altro che dirgli che erano un stupido piagnone, una piaga e quella sera gli avvenimenti avevano mostrato quanto avesse ragione. Si avvicinò loro mesto ed a testa china con l’intenzione di non essere di ulteriore peso; però mentre i due spingevano la porta lievemente incastrata per tutto il tempo che era restata chiusa, gli caddero gli occhi sulla mensola più bassa di una libreria di legno grezzo. Era una specie di grosso librone. Lo prese e con il cuore in gola, capì che quello era il vero grimorio di Nicolas Flamel. Nascose il libro sotto la maglia del pigiama e seguì la sorella ed il cugino fuori dal laboratorio. Si ritrovarono in una specie di sgabuzzino ingombro di scatoloni.
Uno strillo di Domi attirò l’attenzione di Louis e Valentin su quello che altro non era che un sarcofago. Entrambi si spaventarono. Il cuore di Louis riprese a battere normalmente solo quando puntò la bacchetta di Domi sul sarcofago e capì che era un manufatto antico.
«Magnifico, siamo finiti in un covo di ladri di opere d’arte» borbottò Domi quando si rese conto anche lei di che cosa avessero davvero davanti.
«Usciamo da qui» li esortò Valentin.  
Louis non era proprio sicuro che si trattasse di un covo di ladri e quando uscirono dallo sgabuzzino ne fu certo. Rimasero senza parole. Era una vasta sala piena di sculture.
«È possibile che io abbia già visto questo posto?» chiese Domi.
«Anche io ho la stessa impressione» replicò Valentin.
«Oh, sì. Siamo nel seminterrato del Louvre» sospirò estasiato Louis, sempre più convinto del genio di Nicolas Flamel.
«CHE COSA?!».
L’urlo di Domi e Valentin risuonò nella sala deserta. Avevano commesso un grave errore. «Chi c’è?» chiese una voce poco distante.
«Una guardia! Deve essere nella sala dell’arte islamica. Prendiamo le scale. Portano al primo piano, ma evitate di urlare! Questo posto è protettissimo!» biascicò rapidamente Louis e fece loro strada. Il nonno materno ce lo portava da quand’era piccolo. Era uno dei pochi motivi per cui adorava andare in Francia e quando aveva saputo che i nonni erano in campagna c’era rimasto malissimo anche per questo. Certo non pensava proprio che ci sarebbe entrato di notte.
Giunsero in un’altra sala con delle sculture.
«Da dove si esce?» sussurrò ansimando Dominique. Si bloccarono e Louis disse: «Tutte le uscite sono chiuse e se le forziamo scatteranno gli allar-». Le sue parole furono coperte da una serie di sirene che si accesero.
«In realtà ci siamo già fatti beccare» ricordò Dominique.
«Domi, la smaterializzazione» disse Valentin. La ragazza li prese per le braccia e girò su stessa. Si ritrovarono a terra tutti e tre.
«Non funziona e…» tentò di spiegare Louis, ma un potente spruzzò d’acqua li beccò in pieno.
«Ma che pensano questi babbani… Che ci sia un incendio?» sbottò Dominique, sputacchiando.
«I maghi collaborano alla protezione del museo. E non era semplice acqua. Siamo tornati perfettamente visibili. È quella che alla Gringott viene chiamata Cascata del ladro» spiegò finalmente Louis. «E naturalmente ci sono anche incantesimi anti-smaterializzazione».
«Venite avanti con le mani ben in vista» intimò una voce autoritaria.
I tre si alzarono ed obbedirono avvicinandosi alle guardie, alle cui spalle c’erano degli altri uomini in divisa e il simbolo su di essa era eloquente: erano Auror in borghese. Uno di loro vide la bacchetta che Domi non aveva posato e si fece avanti: «Ci occupiamo noi di loro e tu ragazzina consegna la bacchetta».
Dominique, mentre le guardie babbane lasciavano la sala, obbedì a malincuore.
«Almeno tu sei maggiorenne?» chiese l’Auror, scrutandoli criticamente.
«Sì, lo sono. Noi non siamo ladri. È una storia molto complicata, ma dovete andare subito al Palazzo dei Flamel. Sono stati attaccati» replicò rapidamente Dominique.
*
«Potter!».
«Malfoy, per Merlino che è successo? È l’una e mezza di notte!».
«Sono appena stato contattato dal Ministero francese. I tuoi famigliari sono stati attaccati».
«Oh, Merlino! Stanno bene, vero?» chiese Ginny ansiosa. Era scesa in vestaglia quando avevano suonato e trovarsi Draco Malfoy alla porta era stato un colpo.
«Non ne ho idea, mi dispiace. A parte i vostri nipoti, loro hanno chiesto esplicitamente di te, quindi deduco stiano bene». Tirò fuori una bottiglietta di plastica vuota. «Hai cinque minuti per prendere la passaporta straordinaria». Harry fece per strappargliela di mano, ma Malfoy lo allontanò bruscamente. «No, Potter. Ascolta le regole attentamente. La passaporta è stata autorizzata per i signori Potter, in quanto Ginevra Weasley in Potter è la sorella di William Weasley e qualunque cosa sia accaduta lei ha il diritto di prendersi cura dei suoi nipoti, a maggior ragione se uno di questi è minorenne. Potter, non voglio ripetermi, con questa passaporta non partirà il Capo del Dipartimento Auror Inglese. Chiaro, Potter?».
«Sì, Malfoy».
Ginny trasfigurò i loro pigiami in jeans e maglietta ed Harry inviò un patronus a Ron ed Hermione per avvertirli ed affidarli in figli che dormivano. I due arrivarono di corsa appena prima che partissero e non ebbero il tempo di aggiungere altro. Harry e Ginny strinsero la passaporta.
«Vi porterà dentro il Ministero francese. Un Auror vi sta aspettando» aggiunse Draco Malfoy.
«Grazie» disse Harry poco prima che il famigliare e fastidioso strappò all’ombelico li facesse partire.
Appena toccarono il pavimento, furono avvicinati da un uomo con la divisa azzurra.
«Bonsoir. Vous êtes les Messieurs Potter? ».
«Oui, nous sommes» replicò Harry che per necessità aveva dovuto imparare qualche parola di francese.
«Suivez-moi, s’il vous plaît».
Harry e Ginny lo seguirono per una serie di corridoi silenziosi e bui. Erano all’interno del Ministero della Magia francese, Harry c’era già stato, ma di giorno era affollato e frenetico. L’Auror comunque li accompagnò al loro Quartier Generale, che era molto più ampio rispetto a quello inglese. Lì non c’erano cubicoli, ma ordinati uffici per lo più chiusi a quell’ora della notte, ma sicuramente era molto più popolato rispetto al resto dell’edificio.
«Ceci est le bureau du Capitaine. S’il vous plaît, entrez» disse l’Auror dopo aver bussato ad una porta.
Harry non fece in tempo ad entrare, che Louis gli saltò letteralmente addosso. Lo strinse a sé, percependo tutta la sua paura ed il suo smarrimento. Delicatamente Ginny lo staccò da lui e lo abbracciò anche lei; mentre Harry avanzava nella stanza. C’era un altro ragazzino, che doveva essere il nipote di Fleur e Bill, l’aveva visto diverse volte anche se dall’ultima era cresciuto parecchio e Domi che gli sorrise stancamente per poi abbracciarlo anche lei.
«Boinsor» disse al Capitano Leroy, porgendogli la mano.
«Boinsor, Pottér» replicò questi, ricambiando la stretta. «Ti presento l’Auror Lefebvre, nostro traduttore» disse in un inglese un po’ stentato, per poi far cenno all’altro di parlare.
«Molto piacere, signor Potter. Le volte precedenti in cui è stato qui, io ero fuori Parigi per motivi famigliari. Nonostante ciò sono dispiaciuto di doverla conoscere in una simile circostanza» disse Lefebvre, un uomo sulla cinquantina con un pizzetto brizzolato che saltava subito agli occhi.
Harry strinse la mano anche a lui, con impazienza crescente.
«Il corpo Auror deve delle scuse alla sua famiglia e le farà personalmente anche ai signori Flamel se ne avrà la possibilità. Gli uomini che dovevano pattugliare la zona e sorvegliare il Palazzo Flamel sono stati posti sotto maledizione Imperius. Non solo non sono intervenuti, ma hanno tolto anche ogni protezione magica sull’abitazione dei Flamel».
«Come stanno i miei cognati?» chiese. I dettagli e le spiegazioni potevano anche aspettare.
Lefebvre si toccò il pizzetto pensieroso. «Stiamo aspettando notizie dal nostro ospedale. Dovrebbero arrivare a momenti. Se nel frattempo vuole accomodarsi».
Harry prese posto nella sedia lasciata libera da Dominique e sfiorò con una carezza Valentin in quella accanto. Il bambino fino a quel momento aveva mantenuto uno sguardo vacuo e non aveva proferito parola, ma al gesto gentile cedette e la tensione si fece sentire tutta. Scoppiò a piangere ed accolse con sollievo l’abbraccio di Harry. Trascorsero così una decina di minuti, poi un Auror entrò e parlottò con i colleghi, lasciando loro un foglio.
«Allora per quanto riguarda William e Fleur Weasley sono stati lievemente feriti. Tra un paio di giorni saranno dimessi. Victoire Weasley e Ted Lupin stanno bene, ma saranno tenuti sotto osservazione per il resto della notte. Gabrielle Flamel ha riportato un ferita più grave ed ha subito diverse volte la maledizione cruciatus, la prognosi è di almeno due settimane. Emile Flamel, invece, è molto grave. I guaritori stanno facendo di tutto per salvarlo» disse Lefebvre mantenendo un tono professionale.
La tensione nella stanza diminuì palpabilmente.
«Ma mia sorella?» domandò Valentin con voce acquosa per il pianto.
«Apolline, sta meglio di tutti noi. Stai tranquillo» rispose aspramente Dominique. «Non era in casa. È uscita di nascosto dopo che i tuoi sono andati a letto. Probabilmente non sa ancora niente ed avrà bevuto così tanto che non capirà nulla per un bel po’».
«Signor Potter, può portare via i ragazzi. Hanno già testimoniato».
Harry annuì e ringraziò.
«Noi a casa senza gli altri non torniamo» lo avvertì Dominique.
«Stai tranquilla» replicò Ginny. «Cerchiamo un hotel, dove potrete riposare e domani mattina andremo in ospedale a trovarli».
«Zio Harry» sussurrò Louis, accostandosi all’uomo in modo che lo potesse sentire solo lui. «Ho il grimorio. Quello vero… quello che stanno cercando. Sono sicuro che spiega come si fa la pietra filosofale». Nel dirlo si toccò l’ampia maglia del pigiama. Era di almeno tre o quattro taglie più grande, ma era di Geronimo Stilton e qualche anno prima aveva costretto i genitori a comprarglielo anche se non c’era la sua taglia. Adesso era tornato utile. Nessuno li aveva perquisiti, quando al Louvre avevano capito che cos’era accaduto.
Harry sgranò gli occhi e lo osservò sorpreso e spaventato allo stesso tempo.
 
Angolo autrice:

Ciao a tutti!
Eccomi di nuovo!
Non avete detto nulla del primo capitolo, ma spero vi sia piaciuto. Ecco il secondo dove Louis è il protagonista assoluto :-D È un personaggio che adoro :-D Per le parti in francese ho usato google traduttore (la mia conoscenza delle lingue è davvero pessima). Immagino che Louis e le sue sorelle parlino normalmente francese quando sono dai parenti in Francia per cui non ho ritenuto oppurtuno usarlo in quel caso (oppure Bill in privato si rivolge a Louis in inglese ma lo parlano entrambi), ma solo quando vi è 'contrasto' tra le due lingue (Harry e Ginny con gli Auror francesi). 
Se vi va, lasciate una piccola recensione ;-)
Buona domenica.
Alla prossima settimana.
Carme93

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Capitolo 3
*** Fiducia ***


Capitolo terzo.

Fiducia

Cassandra Cooman si svegliò urlando. I suoi genitori e suo fratello entrarono in camera sua preoccupati.
«Dovete chiamare gli Auror» disse con voce stridula e lacrimosa. «La stanno torturando e la uccideranno se non interveniamo».
Parlando era saltata giù dal letto e tirava il padre per la veste da notte. Dalla sua espressione capì che stava perdendo tempo.
«Ma di chi stai parlando?» chiese sua madre Lisa.
«Idiozie. Solo un incubo. È colpa di quegli stupidi film babbani che ti guardi, ma stavolta te li butto tutti!» tuonò, invece, Eleno Cooman.
«NON ERA UN INCUBO! IO L’HO VISTO! STA SUCCEDENDO DAVVERO! STANNO TORTURANDO ZIA SIBILLA!».
Suo padre le tirò uno schiaffo e sibilò: «Ricomponiti, per l’amor di Merlino! Era solo uno stupido incubo! Smettila con le tue idiozie e torna a dormire! Noi domani mattina dobbiamo andare a lavoro. Non siamo mica dei perdigiornata come te!». Detto ciò uscì dalla stanza, seguito dalla moglie.
Cassandra disperata si voltò verso l’unica persona che non l’aveva lasciata sola.
«Davie, ti giuro…».
Il ragazzo la strinse a sé e le chiese: «Che hai visto?».
«I Neomangiamorte torturavano zia Sibilla, le dicevano che doveva dar loro una profezia. E poi la uccidevano, perché lei non ce l’aveva».
«Possiamo ancora salvarla?».
«Forse, non so come funzionano queste stupide predizioni. Davie, non le voglio… non le voglio…» rispose la ragazzina con voce lacrimosa.
Davie si mordicchiò il labbro pensieroso, poi estrasse la bacchetta. «Sei certa di quello che hai visto? Diventerei lo zimbello del Dipartimento Auror ancor prima di diplomarmi, senza contare che verrei accusato di procurato allarme».
«Ne sono certa».
Davie si concentrò e dalla sua bacchetta uscì una pantera argentata, che sparì oltre il vetro della finestra.
Cassandra gli buttò le braccia al collo e lo baciò sulla guancia. «Grazie. Se nemmeno tu mi credessi, non saprei che fare».
«Tranquilla, sono o non sono il tuo fratellone? Domani cercherò qualcuno che ti possa aiutare con questo tuo particolare dono».

*

«Povera donna» borbottò Ron Weasley, vice capitano del Dipartimento Auror. «Insomma è sempre stata antipatica ed insopportabile… ma vederla in quel modo… eh, Harry?».
«Mmm» fu l’unico commento che uscì dalle labbra del suo migliore amico, nonché Capitano degli Auror inglesi.
«Harry, ma chi è stato a segnalare l’omicidio?» chiese l’unica altra persona presente nell’ufficio del Capitano in quel momento.
Harry Potter, che di appellativi ne aveva ricevuti tanti fin da quando aveva un anno, sospirò e rispose: «L’allievo David Cooman ha mandato una segnalazione via patronus agli uomini di turno».
«Il nipote di Sibilla Cooman?».
«Già, Gabriel. L’ho sentito poco prima che tu entrassi. A quanto sembra sua sorella Cassandra, che tu dovresti conoscere, ha il dono della Preveggenza».
Ron sbuffò: «Anche sua zia ne era convinta».
«A quanto pare lei, però, ce l’ha davvero» replicò Harry, «e secondo quanto mi ha riferito David, i loro genitori non vogliono accettarlo. Non so se li conoscete…».
«Come no. Eleno Cooman è un magonò, che ha dedicato tutta la sua vita a studi babbani. È un ingegnere. Non sopporta nulla che non sia razionalmente spiegabile, a parte la magia. Quella ha dovuto accettarla per forza. Mia moglie e la sua sono molto amiche fin dai tempi di Hogwarts» rispose Gabriel Fenwick.
«E quindi che farai?» chiese Ron.
«Ora? Vado alla Tana a fare colazione. Ho trascorso tutta la notte tra la casa della Cooman e quest’ufficio. Ho bisogno di una doccia e di prendere una boccata d’aria. A furia di stare qua sotto comincio a diventare claustrofobico».
«È la vecchiaia, Harry. Ammettilo».
Gabriel ridacchiò ed Harry sbuffò.
«Fino a prova contraria sono l’unico a non avere ancora quarant’anni qui dentro. Pensate a voi» replicò alzandosi e dirigendosi fuori dall’ufficio. «Il capo sei tu in mia assenza, Gabriel. Quando torno voglio vedere i risultati delle ricerche a casa della Cooman e magari anche il referto medico».
Ron lo seguì imbronciato e borbottò: «Tra nemmeno due settimane anche tu avrai quarant’anni. Io non mi vanterei tanto».
Si smaterializzarono vicino al cancelletto che dava sul piccolo giardino che circondava la Tana, la casa dei suoi suoceri. Era ancora abbastanza silenziosa, segno che i ragazzi non si erano alzati.
«Buongiorno» disse Harry entrando nella piccola cucina. La moglie si avvicinò subito e lo baciò.
«Buongiorno a te Harry, caro» disse la suocera abbracciandolo. «Siete così pallidi tu e Ron ultimamente».
«Brutta nottata?» chiese, invece, suo suocero.
«Pessima. Hanno assassinato Sibilla Cooman» rispose. Lasciò Ron a raccontare i dettagli e salì al piano di sopra a farsi la doccia seguito dalla moglie. Quando scese nuovamente la cucina era molto più caotica per la presenza dei ragazzi.
«Ciao papà» lo accolse James, mentre si gettava sul piatto che la nonna gli aveva messo davanti. Harry sorrise e sedette accanto ad Albus, il suo secondogenito, che gli fece un gesto assonnato di saluto. Gli arruffò affettuosamente i capelli e si mise a fare colazione.
Victoire, la più grande dei ragazzi, entrò in cucina insieme a Molly: erano entrambe lievemente arrossate. Harry e Ginny le avevano sentite discutere tra loro prima di scendere al piano di sotto. Le ragazze, però, non dissero nulla e la prima sedette accanto al padre Bill.
«Che cos’hai?» le chiese la madre Fleur, notando la strana espressione sul viso della figlia maggiore.
«Se sono andati male gli esami, non ti preoccupare… tanto a tuo padre regalano i soldi…» s’intromise Percy Weasley.
Sulla cucina scese un silenzio improvviso, Bill arrossì, infastidito dalla provocazione del fratello minore. Avevano avuto una piccola discussione qualche giorno prima ed evidentemente Percy ora cercava di rifarsi. «Percy!» intervenne Arthur Weasley, «Quest’atteggiamento è infantile! Solo perché tuo fratello ti ha dato un consiglio, non devi parlare così!».
«E comunque,» disse Victoire quando il nonno finì di parlare, «gli esami sono andati benissimo e sono stata ammessa al terzo anno. Più tardi scriverò ad Anthony Goldstain perché mi prenda come sua tirocinante».
Victoire frequentava l’Accademia di Medimagia ed Anthony Goldstain, oltre che rettore dell’Accademia, era anche il primario dell’Ospedale San Mungo per Ferite e Malattie Magiche, insomma era uno dei Guaritori più importanti della Gran Bretagna. In realtà gli studenti di medimagia usavano impropriamente il termine ‘tirocinio’, in quanto quello vero e proprio iniziava dopo il conseguimento del diploma presso l’Accademia, di durata quadriennale; più che altro gli studenti avevano la possibilità di aver un specie di mentore personale che potevano seguire nei vari reparti, al di fuori delle lezioni.
Questa volta fu il turno di Percy di arrossire, probabilmente vergognandosi di quello che aveva appena detto. Gli altri le fecero i complimenti, l’ultimo ad abbracciarla fu proprio Bill, che prima di sedersi nuovamente accanto alla moglie, lanciò un’occhiata carica di orgoglio al fratello.
«Allora cos’hai?» insistette Fleur.
«Nulla, nulla» si schermì lei, «Io e Teddy abbiamo fatto tardi ieri sera per festeggiare e poi i preparativi per il matrimonio sono stancanti… senza contare che non riesco a dormire ancora bene…».
«Gufi» strillò Louis, che dalla sua posizione poteva osservare l’ampia finestra che illuminava la stanza, attirando l’attenzione di tutti. Fred a quelle parole si affogò e se gli altri non si fossero interessati all’arrivo dei pennuti od a ridere del ragazzo, si sarebbero accorti che Molly era sbiancata completamente. Alla fine nonno Arthur prese le lettere e nel silenzio generale le consegnò ai destinatari: Fred, Molly, Louis e con sorpresa di tutti anche a Valentin. Il ragazzino si affrettò a nascondere la busta di pergamena giallastra, non riuscendo, però, a passare inosservato come avrebbe voluto.  Roxi saltò dalla sedia ed affiancò il fratello, così come fece il padre George.
«Lasciatelo respirare» li richiamò nonna Molly.
Il silenzio durò solo pochi minuti, poi la cucina fu invasa dalle urla di Fred e George che insieme a Roxi iniziarono a saltellare da una parte all’altra.
Harry nella confusione generale lesse con un sorriso divertito la pergamena che gli fu passata:

Giudizio unico per fattucchieri ordinari:
Voti di promozione: Eccezionale (E)
Oltre ogni previsione (O)
Accettabile (A)
Voti di bocciatura:  Scadente (S)
Desolante (D)
Troll (T)
Fred George Weasley ha conseguito:
Trasfigurazione           A
Incantesimi     O
Storia della magia       T
Astronomia     D
Pozioni            E
Difesa contro le arti oscure O
Erbologia        A
Babbanologia O
Cura delle creature magiche O

«Andrò in America. Andrò in America» continuava ad urlare il sedicenne, sostenuto dal padre e dalla sorella.
«Sei un secchione Freddie, aspetta che lo sappia la mamma!» ululò George felice.
«Oh, amore di nonna» si unì anche Molly, «Sei G.U.F.O. Bravissimo. Tuo padre ne prese a malapena quattro. Mi fece disperare un sacco».
Harry diede una pacca sulla spalla al nipote e si complimentò con lui. In realtà avrebbe potuto far molto meglio se solo si fosse impegnato, ma conoscendo la sua indole in fondo andava bene in quel modo; anche se dubitava che la cognata avrebbe mai considerato il figlio un secchione, quella era una prerogativa di George.
«Ma non vedi che è stato bocciato in due materie? E potrà seguirne solo cinque per i M.A.G.O.?» disse Percy Weasley.
«Su, Percy, non provocare George» provò Bill, che aveva colto l’espressione del fratello minore e non prometteva nulla di buono. «Fred è stato bravo. Diventerà un ottimo pozionista».
Percy sbuffò: «Su, Molly, fa vedere ai nonni le tue dodici E».
Harry sentì Albus irrigidirsi accanto a lui e l’osservò interrogativo. In più non era stato l’unico a reagire in modo strano. Gli occhi di tutti i ragazzi presenti andavano nervosamente dalla cugina allo zio. Victoire era impallidita ancora di più; sul volto di Fred e Dominique si dipinse uno strano ghigno.
«Oh, ho sentito Felpato abbaiare. Devo aver chiuso la porta della camera. È ancora piccolo, avrà fame» bofonchiò rapidamente James, che ingurgitò un pezzo di brioche e corse via. Harry, stranito, vide il figlio correre per le scale e sparire rapidamente dalla loro vista: il cagnolino, che aveva regalato loro per la promozione, però, non aveva abbaiato.
«I-io vado a studiare» saltò su Albus.
«Valentin, Louis andate ad aiutare James» disse, invece, Victoire.
Nel giro di pochi secondi quasi tutti i ragazzi lasciarono la stanza: solo Molly, Fred, Domi, Lucy e Victoire rimasero seduti; in attesa di cosa Harry non riusciva a comprenderlo.
«Si vergognano, è logico» disse Percy trionfante. «Sono dei lavativi e sanno che non raggiungeranno mai i risultati di Molly».
Harry trattenne la moglie che stava per rispondergli per le rime. Non era il caso di litigare con Percy e meno che mai mettersi a fare paragoni tra i loro figli. Albus era tutto tranne che un lavativo a Scuola, per cui se se l’era data a gambe c’era qualcosa di peggio che semplice gelosia o vergogna.
«Su Molly, amore di papà leggi i tuoi voti ad alta voce».
«Non credo che sia il caso» replicò evidentemente tesa la ragazza.
«Oh, vedete è anche così modesta. Siamo in famiglia. Leggi pure».
Fred si mise a braccia conserte ed osservò la cugina in attesa. Aveva un’insolita espressione in volto: sembrava quasi soddisfazione. Victoire appoggiò la testa alla spalla del padre, sorprendendolo. Anche Bill aveva avvertito la tensione dei ragazzi e soprattutto di Molly, ma come tutti gli altri adulti, a parte Percy e la moglie che sembravano non accorgersi di nulla, non aveva capito quale fosse il problema. 
«Ok, come vuoi tu. Ecco:

Magie avanzate di grado ottimale
Voti di promozione: Eccezionale (E)
Oltre ogni previsione (O)
Accettabile (A)
Voti di bocciatura:  Scadente (S)
Desolante (D)
Troll (T)
Molly Audrey Weasley ha conseguito:
Trasfigurazione           A
Incantesimi     O
Storia della magia       S
Astronomia     S
Pozioni            O
Difesa contro le arti oscure O
Erbologia        S
Babbanologia O
Cura delle creature magiche O
Divinazione    D
Aritmanzia      A
Antiche Rune             A

Molly finì di leggere i suoi voti nel silenzio più assoluto. Tutti erano in attesa dello scoppio di Percy Weasley. Bill osservò il padre, solo lui avrebbe potuto calmare il figlio adesso. Per quanto lo riguardava dei risultati così scadenti da una ragazza che aveva sempre avuto voti alti significava solo che aveva avuto qualche problema negli ultimi tempi e si sarebbe preoccupato solo di questo, a parte il fatto che avrebbe evitato una lettura pubblica. Percy era paonazzo in volto e sembrava non essere in grado di andare oltre i voti. Anche lui ci teneva alla Scuola ed ai risultati dei figli, checché ne dicesse suo fratello non aveva mai accettato un comportamento da lavativi da parte loro, così come la maggior parte dei suoi fratelli (a parte George e Ron, ma nel loro caso ci pensavano le mogli); ma arrivati a quell’età dovevano decidere da sé cosa fare del proprio futuro. Se non volevano studiare non li avrebbe certo obbligati, ma certo dopo i diciassette anni non li avrebbe mantenuti per sempre. 
«Molly, c’è stato un errore vero? Questi non sono i tuoi voti» sussurrò Percy.
«Non omonimi a Scuola, di chi dovrebbero essere?» replicò lei.
Tutti gli adulti presenti si resero conto che Molly non era più la ragazza bacchettona e secchiona che l’estate precedente gongolava per essere stata nominata Caposcuola. Certo non era cambiata proprio in meglio. Il tono era stato palesemente di sfida nei confronti del padre.
«Non parlare così a tuo padre» intervenne aspra la madre Audrey.
«Ma com’è possibile? Ti sei fatta prendere dal panico durante le prove?».
«Un poco, ma il problema è che non conoscevo le risposte a molte domande».
«È colpa di quel ragazzo, vero? Ti avevamo detto di non frequentarlo più!» tuonò Audrey.
«Quel ragazzo ha un nome! Si chiama Arion Greengrass!» ribatté Molly con gli occhi pieni di lacrime. «Ed io continuerò a frequentarlo! Che lo vogliate o no!».
«Non se ne parla nemmeno» dichiarò Audrey alterata.
«Io sono maggiorenne e faccio quello che voglio!» replicò Molly alzandosi.
«Siediti» sibilò Audrey, «non ti abbiamo dato il permesso di lasciare la cucina».
«E chi se ne sbatte!».
«Molly. Mi hai molto deluso. Ti sei rovinata il futuro per uno stupido teppistello» disse, invece, Percy con voce gelida senza nemmeno guardarla in faccia.
«ARION NON È UN TEPPISTELLO».
«Arion è un bravo ragazzo» s’intromise Lucy.
«Tu zitta» la redarguì la madre.
«Molly, è un pessimo soggetto quel Greengrass» insistette Percy.
«Non lo è! Diglielo tu zio Harry! È stato accettato alle selezioni per l’Accademia! Ha superato tutte le prove fisiche la scorsa settimana! Mancano solo i M.A.G.O. e poi diventerà un Allievo Auror!».
Harry sentendosi chiamare in causa quasi si strozzò con il caffè che stava bevendo e poi tentando di essere diplomatico rispose: «Io sono il rettore dell’Accademia, ma di fatto se ne occupa Simon Scott. Non io. Non ho idea dei risultati della settimana scorsa e comunque sono solo indicativi. Ciò che conta sono i risultati degli esami. Ed ora scusate, ma io e Ron dobbiamo andare». L’amico non se lo fece ripetere due volte e se ne andarono, prima che Percy decidesse di fare una scenata in piena regola.
Percy stava per ricominciare ad urlare quando la porta si aprì di nuovo: Charlie era appena arrivato con moglie e figli.
La nonna consigliò ai nipoti di raggiungere i cugini al piano di sopra. Gideon, il più grande dei gemelli, prese al volo una brioche dal vassoio ed insieme ad Arthur e Fabiana seguì il suo consiglio.
«Percy hai una bruttissima cera» costatò Charlie anche per allentare la tensione.
«Molly mi hai deluso terribilmente» dichiarò, invece, suo fratello ignorandolo.
«Aspetta, Percy» lo richiamò la moglie, «Com’è possibile che non siamo stati avvertiti dalla Scuola se Molly ha avuto un simile crollo? È successo prima, non ai M.A.G.O.!».
«Hai ragione, la McGranitt mi sentirà!» assentì Percy.
«No, no aspettate». Molly tirò fuori dalla tasca dei jeans due lettere sgualcite e strappate in più punti. «Una è di Natale avrei dovuto consegnarvela personalmente e riportarla firmata. Ho falsificato la firma. L’altra avrebbe dovuto mandarvela Paciock, ma era oberato di lavoro, così ha chiesto a Domi, in qualità di Prefetto, di spedirla insieme ad altre, ma lei ha visto che era indirizzata ad uno di voi e l’ha nascosta; poi me l’ha consegnata».
Bill e Fleur fulminarono con lo sguardo la figlia. Domi, superato lo shock (la cugina aveva appena infranto il codice non scritto di aiuto e complicità tra loro cugini e con lei presente!), si volse verso di lei irritata: «Ma che cazzo fai?» sibilò, «Hai ripreso a fare la spia?».
«DOMINIQUE GABRIELLE WEASLEY NON USARE QUESTO LINGUAGGIO» urlò Fleur.
«Zio Percy, zia Audrey conoscete il bellissimo Nicolas Jackson?» continuò imperterrita Dominique, ignorando i richiami dei genitori.
«Dominique, devi farti gli affari tuoi» disse Molly saltandole addosso. A riportare la calma fu Ginny, che suo malgrado si era ritrovata seduta tra le due nipoti: «La prima che si muove, l’affatturo» minacciò, spingendole sulle rispettive sedie con poca delicatezza ed incenerendole con lo sguardo.
«Chi è Nicolas?» chiese basito Percy, in un altro momento si sarebbe arrabbiato con la sorella per aver estratto la bacchetta e minacciato la figlia e l’avrebbe difesa a spada tratta. Bill si era mosso quando le due si erano saltate addosso, ma all’intervento della sorella era tornato a sedersi e non la biasimava affatto.
«Un compagno di classe e di Casa di Molly. Per essere brevi un pessimo soggetto…».
«Domi, smettila!» la interruppe Victoire.
«Fatti gli affari tuoi! Zio Percy è il momento che tu apra gli occhi, perché tua figlia è tutto tranne che perfetta!» rincarò Dominique.
«Illuminami, allora» ordinò Percy e Dominique, non aspettando altro, lo accontentò.

*

«Ci dovete una spiegazione voi due» disse secco Bill squadrando il figlio ed il nipote, seduti sul letto di fronte a loro.
«Cosa credete? Abbiamo visto la lettera che è arrivata a Valentin! Com’è possibile se i tuoi genitori ti hanno iscritto a Beauxbatons?» disse Fleur andando al sodo.
«Quale lettera? Questa?» Valentin con la sua migliore faccia da angelo mostro loro la lettera il cui incipit era Caro signor Weasley.
«Non sopporto le bugie» li fulminò Bill, «Quella lettera è di Louis. Fammi vedere l’altra. Adesso».
«Non c’è nessun altra lettera!» insistette Valentin.
«Valentin! Ti ricordo che abbiamo accettato di tenerti qui con noi in Inghilterra per via delle condizioni di tuo padre, ma se non ci ascolti prendi la prima passaporta e torni a casa! È chiaro, signorino?» si alterò Fleur.
Il ragazzino spaventato dalla prospettiva tirò fuori dalla tasca la sua lettera, quella per cui aveva lottato un sacco. La consegnò allo zio che tendeva la mano.
«Caro signor Flamel,
siamo lieti di informarLa che Lei ha il diritto di frequentare la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts…» Bill lesse ad alta voce e poi osservò Valentin.
«Vi prego» iniziò a supplicare il ragazzino, «voglio andare a Scuola con Lou e Domi! Non dite niente ai miei».
Fleur si torturò i capelli per qualche secondo ed osservò Bill in cerca di aiuto.
«Tuo padre era contrario ad iscriverti ad Hogwarts, come hai fatto?» domandò quest’ultimo.
Valentin decise di raccontarli la verità per non indisporli di più.
«Lo dirò a tua mamma» sentenziò Fleur.
«No, dai ti pregoooo».
«Valentin, non fare i capricci! Non posso tenere nascosta una cosa del genere a mia sorella! E poi falsificare la scrittura di tuo padre! Ti rendi conto che hai ingannato non solo i tuoi genitori, ma anche le Presidi di Beauxbatons ed Hogwarts!? Io non so come ti sia venuta in mente una cosa del genere! Dovresti vergognarti! Fila in camera tua adesso» lo sgridò Fleur.
«Ma zia…».
«Niente ma, fila!».
Valentin imbronciato lasciò la stanza.
«E tu che ruolo hai in questa storia?» chiese severa al figlio.
Louis deglutì e disse: «Io gli ho promesso che gli avrei dato i libri di Domi…».
«E naturalmente hai pensato bene di coprirlo!» brontolò Fleur, «Ma ti rendi conto che voleva prendere una passaporta e bighellonare a Londra per ore da solo!?».
«Fleur» la richiamò Bill, mentre questa inceneriva il figlio con lo sguardo. «Louis non ha nessuna colpa… Lou vai e dì a tuo cugino che vedremo di risolvere questa situazione nel migliore dei modi. Non vorrei che fraintendesse: noi siamo felici di averlo qui con noi. Ok?».
«Sì, papà» replicò Louis e scappò via, prima che la madre se la prendesse di nuovo con lui.

Angolo autrice:
Ciao a tutti!
Eccomi con un nuovo capitolo! Spero che vi piaccia! :-D Questa volta mi sono concentrata sulla famiglia Weasley-Potter e vi sono stati dei nuovi colpi di scena!
Vi auguro una buona serata!
Alla prossima volta ;-)

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Capitolo 4
*** La profezia ***


Capitolo quarto

La profezia

«Al!».
«Ciao, ragazze» rispose il ragazzo, senza sollevare gli occhi dal libro che stava leggendo.
«Ma tu studi sempre?» chiese Cassandra Cooman.
«No. Non credi che basta Rosie a fare domande sceme?».
«Studia sempre. Ma faremo in modo che non faccia la fine di Molly» disse Rose, chiudendo il libro di Aritmanzia del cugino, ignorando le sue proteste.
«Rosie, ti prego. La De Mattheis ha segnato un mare di compiti!».
«Abbiamo bisogno di te» disse Rose tirando fuori una pergamena dalla tasca e spiegandola sulla scrivania. Vi era disegnato alla meno in meglio quello che sembrava l’interno di una villetta con indicazioni sommarie sulle varie stanze.
«Che roba è?».
«La villa di mia zia Sibilla».
Albus osservò entrambe le ragazze. Aveva anche paura di chiedere spiegazioni: sentiva già odore di guai.
«Ci sono delle cose che dobbiamo cercare ed abbiamo deciso di andarci stanotte, quando gli adulti saranno andati a letto».
«Voi vi siete fumate qualcosa!» sbottò Albus.
«Al, è fondamentale! Se i Neomangiamorte sono andati da lei, è perché si aspettavano di trovare delle informazioni».
«Ma non le hanno trovate, no?» disse esasperato Albus.
«Credo che non le abbiano cercate nel posto giusto» sussurrò Cassy, «Una volta quando io e Davie eravamo più piccoli siamo rimasti qualche giorno a casa di zia Sibilla perché mio padre aveva un convegno in Cina sulle nuove tecnologie e mia mamma l’ha accompagnato. Zia Sibilla aveva il vizio di bere la sera ed a un certo punto crollava e russava in modo insopportabile. Non aveva né la tv né altro e così io e Davie le mettevamo a soqquadro la casa per passarci il tempo ed in una delle nostre retate abbiamo scoperto un cassetto segreto. Quella casa è appartenuta alla mia omonima e c’è roba che le apparteneva e zia Sibilla non lo sapeva secondo me. E quindi nemmeno gli Auror. Quelle cose mi toccano di diritto».
«Non sarebbe più facile dirlo ai nostri genitori?» chiese Albus, rivolgendosi specialmente a Rose.
«No. Zio Percy ci ha spiegato che quando gli Auror confiscano qualcosa che fa parte di indagini deve trascorrere un tempo preciso prima che siano costretti a restituirli ai proprietari. Cassy li vuole prima e noi l’aiuteremo».
Albus gemette conoscendo la sua testardaggine. Non aveva dubbi del perché non avesse posto le stesse domande alla madre: lei avrebbe capito che non era mera curiosità culturale.
«Ragazze, non dite stupidaggini! Gli Auror hanno posto i sigilli alla villa! Commetteremmo una grave infrazione della legge!».
«Non lo sapranno! Entriamo e poi rimettiamo i sigilli al posto» replicò Rose.
«Allora il piano è questo: aspettiamo che tutti si addormentino; usciamo e ci allontaniamo un po’ dalla Tana; chiamiamo il Nottetempo e ci facciamo portare poco lontano dall’abitazione di mia zia; entriamo, prendiamo quello che mi serve e ce ne andiamo».
«Al, i soldi del Nottetempo ce li metti tu, ok? Perché mamma non mi dà più la paghetta. Si è fissata che non so usare i soldi…».
«No, no. Assolutamente no» disse Al, scuotendo la testa. «Voi siete pazze. Cioè ce n’è abbastanza per farci mettere in punizione fino ai diciassette anni! Uscire di casa di notte, da soli e senza permesso e ciliegina sulla torta c’è ne infischiamo dei sigilli imposti dagli Auror! Che non so se ricordate da chi sono comandati!? Vi do un piccolo indizio. Mio padre… Vi dice niente????».
«Al, stai andando in iperventilazione» commentò Rose.
«Mi farete diventare matto… sì, io lo so… pazzo, mi rinchiuderanno al San Mungo!» la ignorò lui, camminando nervosamente per la stanza.
«Noi ci andremo comunque con o senza di te» dichiarò Rose e Cassy annuì al suo fianco.
«Sta volta non vi seguirò e non vi darò nemmeno i miei soldi!» ribatté Albus. Smile, la sua fenice, emise una bassa nota melodiosa.

*

«Frank? Che fai qui?».
Il ragazzino si voltò verso il padre, che era appena entrato nella sua stanza da letto, e nascose ciò che teneva in mano dietro la schiena. Neville si accigliò, ma non dovette far domande, perché Frank si lamentò e tirò fuori un dito insanguinato. Lo bloccò prima che lo mettesse in bocca.
«Come ti sei tagliato?».
Il ragazzino gli mostrò il portafoto con il vetro in frantumi che teneva tra le mani.
«Quante volte ti devo dire che il vetro è pericoloso!» lo rimproverò Neville. Si sedette sul letto e gli prese la mano. «È solo un graffio, per fortuna». Estrasse la bacchetta e mormorando un incantesimo fece sparire il taglio.
«Grazie» disse Frank.
«Figurati. Ora dimmi perché lo stavi nascondendo. Non ne vedo il motivo. Reparo».
Il portafoto torno perfettamente integro.
«È una lunga storia» borbottò Frank.
«Finché non si mette a piangere Aurora sono a tua disposizione» replicò Neville.
Frank osservò la sorellina di a malapena un mese e mezzo, che dormiva beatamente nella culla vicino al letto. Ormai aveva imparato a prenderla in braccio, anche se aveva ancora paura di farla cadere. La piccola non faceva altro che mangiare, dormire e piangere (ed i suoi pianti erano più difficili da interpretare di una versione di rune antiche); da una parte non vedeva l’ora che iniziasse a parlare ed imparasse a camminare, dall’altra pensava che dopotutto stava meglio di tutti, proprio nella sua incoscienza. Sospirò e rispose al padre.
«Ti sembrerà assurdo ma Alice ed Augusta dicono di aver visto zia Elisabeth al parco. Così hanno preso il portafoto con la foto di mamma e degli zii e se la sono portati con sé per vedere se qualcuno la riconosceva. Accidentalmente però, mentre passavano dal campetto, li è arrivata addosso una pallonata; il portafoto è caduto e si è rotto».
«Ma perché anziché dirci la verità, ne avete comprato un altro?» chiese Neville indicando la nuova cornice sul comodino della moglie.
«Mamma ci tiene tantissimo, non volevamo darle un dispiacere e poi siete molto nervosi entrambi ultimamente».
Neville sospirò e si passò una mano sul volto. «Mi dispiace, Frank, siamo solo un po’ stanchi. Aurora ha scambiato il giorno con la notte e noi non riusciamo a riposare bene».
«Lo so, tranquillo. È per questo che non ti ho detto nulla. Volevamo risolvere il problema da soli».
«Avete comprato una cornice d’argento?!» disse sorpreso, mentre la osservava.
«Certo, doveva essere uguale a quella di prima perché la mamma non se ne accorgesse».
«Ma quella della mamma non è d’argento! Come vi è venuta una cosa del genere in testa? Come l’avete pagato?».
«C’è costato tutti i nostri risparmi» borbottò Frank.
«Oh, Frankie! Quante volte vi ho detto che potete dirci qualunque cosa? Certo, mamma si sarebbe arrabbiata, perché le tue sorelle non avrebbero dovuto toccare la foto sapendo che lei ci tiene tantissimo…».
«Ma mamma sarebbe stata contenta se davvero avessero trovato zia Elisabeth e poi mica l’hanno fatto apposta. E abbiamo cercato di rimediare».
Neville sorrise: «Ti faranno diventare matto quelle due. Non dovresti darle filo così tanto. Sono abbastanza grandi da assumersi la responsabilità delle loro azioni, sai?».
«Non credo».
«Vi darò metà dei soldi che avete speso, non di più e solo perché avete agito in buona fede. Mamma sarà contenta del nuovo portafoto, ma non ditele che vi è sembrato di vedere sua sorella. Non voglio che si illuda. Ha sempre sofferto molto per questa storia».
«Va bene».
Neville posò il vecchio portafoto sul comò e cominciò a cercare qualcosa nell’armadio. «Sai per caso dove mamma ha messo la tutina rossa di Aurora?».
«Di certo non nel vostro armadio. Guarda nel settimino. L’altro giorno ha riposto lì tutte le cose di Aurora. Nell’ultimo cassetto».
«Ah, sì giusto. Credo che me l’abbia anche detto» bofonchiò Neville.
«Posso andare in camera mia o mi devi dire qualcos’altro?».
«Vai, ma mi raccomando qualunque cosa non ti fare scrupoli a parlarmene».
Frank annuì; appena entrato nella sua stanza si buttò sul letto. Forse avrebbe dovuto parlargli di Calliance e gli altri almeno si sarebbe tolto un peso. Charles Calliance era un suo compagno di Scuola e di Casa che fin dal primo anno l’aveva preso di mira insieme ai suoi due scherani Alcyone Granbell e Halley Hans. A fine anno sua sorella e la sua migliore amica li avevano fatto uno scherzo che li aveva messi in ridicolo davanti a tutta la Scuola e li aveva fatti finire nei guai per vendicarsi, ma a quanto pare avevano capito perfettamente che era colpa loro ed avevano cominciato a scrivergli delle lettere con degli insulti. Tutta la situazione lo abbatteva particolarmente. Solo quella mattina ne aveva ricevute tre. Si sfogava con Roxi, la sua migliore amica, via lettera ma non era abbastanza. Trascorse quasi tutto il pomeriggio a lambiccarsi il cervello su questa cosa, finché non decise che ne avrebbe parlato con suo padre alla prima occasione che fossero rimasti da soli di nuovo. Poi si ricordò di non aver toccato libro, nonostante l’avesse promesso alla madre e si alzò di scatto. Non aveva la minima voglia di studiare e tra non molto l’avrebbero chiamato per la cena. Non si era nemmeno accorto del tempo che passava, nonostante la stanza fosse diventata buia. Si vergognava troppo a mentirle. Prese un libro a muzzo dalla scrivania e tornò a sedersi sul letto. «Cavoli» si lamentò, aveva preso proprio quello di Pozioni. Odiava Pozioni, era la materia in cui andava peggio ed erano giorni che la mamma gli diceva di lavorare su quella. Era stanco e nervoso, con un moto di stizza scagliò il manuale a terra.
«Frank, tutto ok?».
Il ragazzino sobbalzò e si voltò verso il padre, che lo osservava interrogativo appoggiato allo stipite della porta. L’aveva visto lanciare il libro?
«Ti devo parlare». Le parole gli uscirono dalla bocca senza che se ne rendesse conto e se ne sorprese lui stesso.
Neville annuì e si chiuse la porta alle spalle. Si sedette di fronte al figlio sulla sedia della scrivania, ma non prima di aver raccolto il libro da terra. Frank trattenne il respiro quando vide che il suo occhio cadde sul nome vergato a chiare lettere sulla prima pagina del libro: Albus Severus Potter.
«Perché hai il libro di Al? ».
«È una storia lunga».
«L’hai detto anche prima» gli fece notare pazientemente il padre, appoggiando il libro sulla scrivania.
«Sì, ma stavolta è lunga sul serio. Inizia dal mio primo anno ad Hogwarts».
«Ti ascolto».
Frank fece per parlare, ma si accorse di non sapere da dove iniziare o meglio non ne aveva il coraggio. Aveva pensato un milione di volte a quel discorso, ma nella sua fantasia era molto più facile: ora non ci riusciva.
«I-io… No niente… scusa non volevo farti perdere tempo… Volevo solo dirti che non ho studiato nulla nemmeno oggi».
«Sì, questo l’avevo immaginato. Sei stato tutto il giorno appresso alle tue sorelle. Però Frankie, non è questo che volevi dirmi. Sono giorni che sei nervoso e distratto. Perché?».
Frank tentennò un attimo, poi si alzò e tirò fuori dall’ultimo cassetto della scrivania un blocco di lettere e gliele porse. Neville le prese e ne lesse qualcuna.
«Di chi sono?» chiese infastidito.
«Non riconosci la scrittura?».
Neville sbuffò: «Avrò centinaia di studenti all’anno, Frank. Non ricordo la calligrafia di tutti! La conosco, ma non sono in grado di dire di chi sia».
«La maggior parte sono di Charles Calliance». Ecco l’aveva detto, si sentì lievemente più leggero, ma era solo l’inizio.
«E le altre? Fammi indovinare questa è di Hans? Dico bene?». Frank annuì. «Da quanto dura questa storia?».
«Le lettere o gli insulti?».
Neville lo fulminò con lo sguardo: «Entrambi».
«Le lettere da quasi tre settimane… gli insulti… dal settembre del primo anno».
«E PERCHÉ NON ME NE HAI MAI PARLATO PRIMA!?» urlò Neville. Frank non rispose, un po’ spaventato dall’insolita reazione del padre. Questi se ne rese conto e tentò di calmarsi, d’altronde non ce l’aveva con il figlio. Sedette sul letto accanto a lui e gli cinse la vita con un braccio. «Scusa non dovevo alzare la voce. Ma alcuni di questi insulti sono pesanti. Sinceramente non avrei creduto che dei ragazzini di tredici anni potessero scrivere certe cose! Perché non ti sei confidato con me?».
«Non volevo farti preoccupare e volevo cavarmela da solo. Pensavo che avrebbero smesso».
«Ma non l’hanno fatto».
«No, anzi. Sono diventati più pesanti».
«Ho notato. Ed il libro di pozioni che centra?».
«Charles ha usato l’incantesimo reducto sul mio» rispose mogio Frank.
Neville sbuffò: «Frankie, avresti dovuto parlarmene subito! È una cosa grave!».
«È stato nel periodo in cui mamma è stata poco bene e non era così importante da farvi preoccupare ulteriolmente».
«È vero, sarebbe stata una preoccupazione in più, ma è meglio affrontare subito le cose. Oppure avresti potuto parlarne con Ernie. Ti avrebbe aiutato senz’altro. O con Teddy».
«Non è così facile» borbottò Frank.
«Cosa?».
«Se tu, o comunque un altro insegnante, fossi intervenuto sarebbe stato peggio… gli altri non avrebbero capito… tutti penserebbero… insomma…» Frank non sapeva come esprimere il nodo cruciale della questione senza fargli dispiacere.
«Non è facile essere il figlio del prof, vero? A te viene più difficile che ad Alice affrontare la cosa».
«Come lo sai?» chiese sorpreso.
«Vi osservo sempre, sai? Anche se non intervengo, proprio perché so che dovete imparare certe cose da soli, ma alle volte avete ancora bisogno di noi. Ho cercato di non intromettermi davanti a tutti e trattarti sempre come gli altri, anzi magari alle volte sono stato più severo, per cui scusami».
«Tranquillo. I miei compagni però pensano che tu mi favorisca e che lo facciano anche gli altri professori. Mi punzecchiano sempre su questa cosa, io cerco di ignorarli e soprattutto di far in modo di non dare supporto alle loro accuse».
«Per questo tieni sempre un profilo basso a lezione?».
«Sì, anche perché questa storia è iniziata dopo il primo mese di Scuola. All’inizio mi piaceva intervenire o rispondere alle domande, poi loro però hanno iniziato a tormentarmi… così ho preferito starmene per conto mio».
«Raccontami che altro ti hanno fatto» chiese gentilmente Neville.
«Va bene, ma lo racconto a te e non al direttore di Grifondoro».
Neville lo osservò per qualche istante in silenzio, poi acconsentì: «Come vuoi. Posso benissimo affrontare la questione da genitore».
«Ma…».
«Niente ma» lo bloccò, «raccontami tutto e non mi nascondere nulla. Sono qui per aiutarti Frankie».
Quando Hannah più tardi entrò a chiamarli per la cena, li trovò ancora abbracciati a parlare.

*

«Al, è un idiota. Meno male che non può fare la spia… violerebbe il Codice dei cugini…» sbuffò Rose.
«Mmm stiamo vicine» replicò Cassy, che squadrava spaventata le ombre che i lampioni gettavano sul marciapiede. Era trascorsa da un pezzo la mezzanotte e le strade era quasi del tutto deserte quanto meno in quella zona. La ragazzina deglutì, quando un gatto passo veloce poco distante da loro due. «La villa è quella, andiamo… Rosie, ma sei ancora sicura? Io comincio ad avere paura… tu no?».
«Paura di che? Siamo Grifondoro».
Cassy non replicò e scostò il cancelletto arrugginito. Il giardino era incolto, ma sua zia non aveva mai avuto il pollice verde. «Qualcosa si è mosso» strillò terrorizzata, indicando un punto indistinto nell’erba alta.
«Ma che dici! È solo il vento».
Cassy non ne fu convinta, non era una serata molto ventosa, ma comunque si avviò verso l’ingresso. Rose toccò il nastro che copriva il massiccio portone di legno. Fu un attimo e poi vi fu un suono assordante, che le costrinse a coprirsi le orecchie. Per un attimo non capirono più nulla. Videro delle ombre e poi fu buio completo.
Quando le due ragazze ripresero i sensi, videro un gruppo di uomini con gli occhi puntati su di loro. La prima reazione di Rose fu cercare la bacchetta, ma non la trovò. Era disarmata. Poi si rese conto che indossavano una divisa scarlatta: erano Auror. Per un attimo si rilassò, poi la sua mente si mise in moto.
«Voi ci avete schiantato!» sbottò mettendosi a sedere.
«E dimmi signorina, che cosa ti aspettavi? Un comitato di benvenuto?» disse sarcastico un Auror, che Rose non riconobbe.
«Molto spiritoso! Abbiamo solo quattordici anni! Per chi ci avete preso?».
«Per quello che siete» replicò adesso duro lo stesso Auror, «Piccole delinquenti! Che intenzioni avevate? Rubacchiare?».
«Come si permette? Lei chi è?» disse Rose alzandosi e squadrandolo male.
«Qui le domande le faccio io. Immagino che non avete un documento d’identità, vero?».
«Ehm no» rispose Cassy, che si era tranquillizzata.
«Ora ci seguirete al Quartier Generale» disse l’Auror di prima e Rose comprese che era lui a comandare il gruppo.
«Non possiamo risolvere tra di noi?» tentò Cassy.
«Infatti, ci dispiace molto per avervi disturbato…» disse, invece, Rose, facendo per andarsene ma gli Auror serrarono i ranghi.
«Non siamo ladre. Abbiamo semplicemente sbagliato casa. Al buio… la stanchezza… queste villette sono tutte uguali…» riprovò Cassy.
«Sì, certo. È sempre per sbaglio avete fatto scattare l’Incanto Gnaulante, vero?» disse l’Auror prendendo per il braccio Rose.
«Mi molli! Non ha il diritto di toccarmi! Mi molli! Lo dirò a mio padre!».
«Stai tranquilla, che appena arriviamo al Ministero lo convochiamo noi tuo padre…».
«Lewis, non l’ha riconosciuta?» disse una voce. Un Auror che era rimasto nell’ombra fino a quel momento si fece avanti.
«Samuel!» strillò Rose.
«Ciao, Rosie. Sai che tuo zio ti ucciderà?» replicò il giovane.
«No, se voi non glielo direte» ribatté immediatamente lei, facendogli gli occhi dolci.
L’altro rise e si avvicinò alle due ragazzine: «Dì un po’ Rosie, hai idea di quello che tuo zio farebbe a noi se non gli dicessimo che qualcuno ha violato i nostri sigilli?».
«No, ma hai idea di quello che mi farebbe mia madre?».
«Credo che di mezzo non ci siano lunghissime guardie ad Azkaban… se ci va bene…».
«Sarebbe capace di tutto…».
«Ora basta! Harper, chi sono queste ragazze?».
«Mmm quella con i capelli castani non la conosco… la rossa è Rose Weasley».
Un forte mormorio si levò dal gruppo.
«È così sei la figlia del Vice Capitano…» disse Lewis, ripresosi dalla sorpresa.
«Già… Ora che è tutto chiarito, possiamo andare?» chiese Rose con la sua miglior faccia da schiaffi.
«Naturalmente no… Conners, manda un patronus al Capitano… Quanto a voi due… voglio sapere nome e cognome della tua amica e che cosa ci fate qui».
«Mi chiamo Cassandra Cooman e dovevo prendere delle cose che mi appartengono» sospirò Cassy.
«Che cosa?».
«Non sono affari suoi» ribatté la ragazzina.
«Oh, sì che lo sono… Comunque lo direte al Capitano… Non c’è problema…».
«Sul serio, non volevamo far male a nessuno… se voi ci aveste lasciato in pace a quest’ora saremmo già a casa… e saremmo tutti felici…». Rose aveva trascorso gli ultimi dieci minuti a tentare di convincerli in ogni modo a lasciarle andare.
«Sì, certo e si ritroverebbero nella sezione Centauri del Ministero…» replicò una voce dura ed a lei perfettamente nota.
Tutti scattarono sull’ attenti nel vedere l’uomo che si avvicinava, anche Samuel Harper che fino a quel momento aveva ascoltato divertito i tentativi di Rose di filarsela.
«Capitano, mi dispiace di averti buttato giù dal letto ma mi è sembrato doveroso» disse Lewis.
«Tranquillo, Rick. Non sei tu a doverti preoccupare. Fammi rapporto» replicò Harry Potter, incenerendo con lo sguardo le due ragazzine.
L’Auror riferì puntualmente quanto accaduto.
«Hai capito zio? Ci hanno schiantate!» provò Rose, ma l’occhiata di Harry le fece capire che forse sarebbe stato meglio tacere.
«Hanno l’ordine di schiantare tutti coloro che si avvicinano alla villa. Nessuno escluso» disse lapidario. «Che cosa stavate cercando? E pretendo una risposta».
«U-un taccuino, dei tarocchi e delle rune che erano appartenute alla mia omonima» rispose Cassy, evidentemente intimorita da Harry.
«Non abbiamo trovato nulla del genere. La mia squadra ha perquisito la casa con estrema attenzione».
«Mica tanto» borbottò Rose.
«Ci sono dei cassetti a doppio fondo» spiegò Cassy e poi gli raccontò di quando l’avevano scoperto lei e Davie.
Harry rifletté sulle sue parole e poi disse: «Rick ed Edward, andremo a controllare insieme. Cassy guidaci».
Rose non aspettò di essere invitata: quando lo zio tolse i sigilli con un incantesimo scivolò dentro insieme a Cassy. Lo zio le rivolse l’ennesima occhiataccia, ma finché non si fosse messo ad urlare le andava benissimo.
Cassy li condusse fino ad una stanzetta al piano di sopra. Era piccola, ma particolare. Il soffitto era incantato in modo che rappresentasse tutte le costellazioni ed i movimenti dei pianeti. I mobili erano pochissimi: un letto, una scrivania ed un cassettone. Si vedeva che più di una persona vi aveva rovistato senza particolare delicatezza.
«Allora?» la esortò Harry.
Cassy si avvicinò al cassettone ed aprì il primo cassetto, tentennò un attimo e poi si volse verso di lui: «Davie aveva già compiuto diciassette anni ed ha usato un incantesimo… tanto per giocare… la stanza è particolare e si chiedeva se ci fosse qualcos’altro… ma non so che incantesimo fosse…».
Harry si avvicinò e mormorò qualcosa, come Cassy aveva predetto il fondo del cassetto si sollevò; prese quello che vi era all’interno ed osservò preoccupato i suoi uomini. «Rick, controlla un po’ questo cassetto».
Si scambiarono un segno di intesa e l’Auror eseguì. «Magia nera» dichiarò dopo qualche secondo.
«Il taccuino è strappato, mancano delle pagine…» sospirò Harry. «Cassy, ricordi cosa c’era scritto?».
«Vagamente. Mi era sembrata una specie di diario personale… c’era un accenno ad una profezia, che lei aveva pronunciato… Cercava di interpretarla… Una cosa del genere…».
«E queste?».
«Tarocchi e rune. Le veggenti li usano alle volte».
«Controllateli» ordinò a Rick, mettendoglieli in mano, «Quanto a voi due, ora andiamo a casa. Domani avvertirò i tuoi genitori Cassy».
«Ma zio non puoi…».
«No, non posso. Avete superato ogni limite questa volta».

*

«Signore, c’è la signora Weasley».
«La faccia entrare» rispose Harry alla segretaria.
«Ciao, Harry».
«Hermione! Com’è andata?».
«Nulla di fatto ancora una volta. Flint ha richiesto nuovamente il rinvio del voto finale, quando ha visto che avrebbe potuto perdere… Non sono riuscita ad impedirlo».
Harry sbuffò e chiuse gli occhi appoggiandosi allo schienale della sedia.
«Flint si è assicurato un certo appoggio… Non ci crederai, ma l’unico che stava ad ascoltare le mie ragioni era Malfoy…».
«Ha paura per Scorpius, Hermione» sospirò Harry, «Gli altri?».
Hermione si sedette nella sedia di fronte alla scrivania: «Michael Corner ritiene che sia un’idea fantastica…».
«Gli hai detto che cosa temiamo io e Terry?».
«Ha risposto che siete paranoici… soprattutto tu…».
«È un idiota».
Hermione ridacchiò e l’amico la guardò male. «E dai Harry, sei ancora geloso perché è un ex di Ginny? È un ottimo Capo Ufficio!».
«Sì, sì, vai avanti».
«Elias Dennis dell’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche mi ha dato ragione… Quel cretino di Cormac Mclaggen farebbe di tutto, anche buttarsi dal Tower Bridge, pur di darmi torto…».
«E poi sono io quello che non dimentica il passato» borbottò Harry.
«E Parkinson appoggia Flint in tutto e per tutto».
«Facendo i conti…» disse Harry pensieroso.
«Michael alla fine voterebbe no, ne sono sicura… è un ex-Corvonero… un uomo intelligente… i suoi figli sarebbero in pericolo… In definitiva, vinceremmo noi. Flint lo sa e per questo ha voluto prendere tempo… Però non so cosa voglia ottenere…».
Harry sbuffò: «Cosa? Hermione, su non essere ingenua… lavoriamo in questo posto da anni ormai… sono tutti degli squali… Flint farà girare un bel po’ d’oro…».
«Sì, ma chi si venderebbe per un po’ d’oro? Michael? Non ce lo vedo. Malfoy? Ne ha un sacco e per lui Scorpius è più importante di ogni altra cosa… Ed Elias l’ho sempre reputato un uomo corretto…».
«Quindi tu pensi che dobbiamo stare tranquilli?».
«Sì, non possono vincere loro».
«Quando sarà la prossima riunione?».
«Il dieci agosto».
«Non ci resta che aspettare, allora».

*


Harry stanco dopo alcuni controlli che si erano protratti per tutta la sera, entrò nella sua stanza da letto convinto di trovarla vuota. Ginny era stata mandata in Germania per un’intervista alla sua nazionale di Quidditch che aveva vinto l’Europeo; ma trovò Albus seduto sul letto a gambe incrociate e con in grembo Felpato, il cucciolo nero di labrador. Il nome l’aveva scelto lui e con gratitudine doveva ammettere che nessuno se n’era lamentato, anzi ne erano stati felici.
 «Al? Che fai qui? Credevo che stesse dormendo tutti».
«Ciao. Ti abbiamo lasciato la cena nel forno. Non mangi?».
«No, sono troppo stanco. Preferisco andare a dormire e tu?».
Albus sospirò e lasciò andare Felpato che scodinzolò felice verso Harry, che lo accarezzò distrattamente.
«Ho bisogno di parlarti. Capisco che sei stanco, ma è importante».
«Certo, ti ascolto. Di che si tratta?».
«Cassy».
«Sei preoccupato per lei? Non devi, stiamo cercando qualcuno che sia in grado di aiutarla a controllare il suo potere».
«Ha avuto un’altra visione».
Harry rimase con la mano in aria mentre stava per prendere la maglia del pigiama e lo guardò: «Che ha visto?» chiese a mezza voce.
«Me mentre prendevo una profezia al Ministero. In quella Sala di cui ci avete parlato».
«La Sala delle Profezie? Ne sei sicuro?» domandò Harry dopo aver deglutito vistosamente.
«Cassy ha detto che era un posto con scaffali altissimi pieni di quelle che sembravano palle con la neve».
Harry si lasciò cadere sul letto senza commentare ed Albus decise di dire tutto il resto subito.
«Rose dice che dobbiamo ascoltarla. Ehm se ti dico una cosa prometti che non ti arrabbi con nessuno dei tre?».
«Fammi indovinare vorreste entrare stanotte nel Ministero da soli?».
«Mmm il piano non è ancora definito. Rosie vorrebbe tirare qualcosa in più a zio Ron per capire se ci convenga meglio di mattina o di notte».
Harry sbuffò. «Gli uomini di Terry pattugliano la zona, nessuno può avvicinarsi di notte. Figuriamoci entrare senza essere fermati».
«Zio Bill aveva detto la stesse cosa a Louis, prima che Palazzo Flamel venisse attaccato».
«Al, mi stai dicendo che tu, Rose o Cassy sapreste usare la Maledizione Imperius su un agente scelto? O che vi permettereste davvero di ricorrere ad una maledizione senza Perdono? E loro non si sono già messe abbastanza nei guai?».
«No, no. Non sapevamo fosse così protetto».
«Diciamo che il fatto che Rufus Scrimgeour sia stato assassinato dentro il Ministero nel 1997 e pochi mesi dopo io, Ron ed Hermione siamo penetrati lì dentro, nonostante fossi il ragazzo più ricercato di Inghilterra, ha fatto, direi finalmente, pensare che ci fosse qualche problema di difesa. E la mattina non so quante possibilità avreste. In più lì comanda Richard Parkinson, non mi piace quell’uomo. Non si fa molti scrupoli».
«Mi stai cercando di dire che un’idea stupida?».
«No, Albus. Spero che a questo ci arriviate da soli e non siate così sciocchi. Non te lo perdonerei facilmente» disse fulminandolo con lo sguardo.
«Sì, tranquillo. Però che facciamo? Loro ce l’hanno la profezia, hanno strappato le pagine del vecchio taccuino di Cassandra Cooman con tutti i suoi appunti».
«Gli unici testimoni dell’esistenza di una profezia sono Cassy e suo fratello David… e non siamo nemmeno sicuri che abbiano capito bene quello che hanno letto anni fa» gli fece notare Harry, che torturava i capelli con la mano.
«E nel dubbio non dovremmo conoscere la profezia? Se io prendo la profezia in mano vuol dire che sono coinvolto. Io voglio rendermi utile».
«Sai Al, forse dovrei vietarti di trascorrere tutto il tuo tempo con Rose. Ti mette strane idee in testa».
Albus non replicò, anche perché il tono del padre era stato particolarmente aspro.
«Domani verrai al Ministero con me. Porteremo anche quelle due, così non ti tortureranno per sapere. Ora vattene a letto» disse bruscamente Harry.
Albus, però, rimase lì ad osservarlo.
«Allora? Non mi hai sentito?» domandò dopo aver finito di cambiarsi.
Il ragazzino sbuffò e si alzò: «Non capisco perché alla fine riesco sempre a deluderti! Sono venuto a parlare con te, nonostante Rose mi ucciderà. So benissimo che sarebbe stato stupido tentare di penetrare al Ministero di nascosto. Ti assicuro che non credo minimamente di essere un mago così capace. Scusa tanto, eh». Uscì dalla camera e Felpato gli trotterellò dietro. Harry si sorprese di quell’atteggiamento da parte di Albus; si sciacquò la faccia in bagno e cercò di riprendere il controllo, solo dopo si recò nella stanza del figlio.
«Al, perdonami. Sono molto stanco e nervoso in questi giorni. Hai fatto bene a raccontarmi queste cose. E Rosie ha ragione: abbiamo bisogno di conoscere la profezia sia che loro non la conoscano e soprattutto se la conoscono».
«Domani verrò con te e farò quello che mi dirai» fu la replica di Al, che si era sdraiato e gli dava ostinatamente le spalle.
«Al, voltati per favore», ma il ragazzino non si mosse, «Mi dici quand’è che mi avresti deluso? Non l’hai mai fatto, meno che mai questa sera. Te l’ho detto, sono solo nervoso».
«Come no?» si bloccò bruscamente Albus. «Io non ho preso nulla da te, a parte l’aspetto fisico. Bell’affare! Tutti non fanno che dirmi che non sono come te! Gli unici ad esserne contenti sono i professori…».
Harry non poté fare a meno di sorridere a quest’ultima affermazione del figlio. «In effetti non sono mai stato uno studente modello. La professoressa McGranitt non si capacitava di come in ogni cosa ci fossimo in mezzo io ed i tuoi zii. Per quanto Hermione ci abbia salvato molte volte. E poi perché dovresti essere come me? Tu hai il tuo carattere».
«Sì, ma io vorrei esserlo».
Harry si commosse alle sue parole e distolse lo sguardo per un attimo trovò interessanti i libri accatastati disordinatamente sulla scrivania del figlio e quello aperto di Difesa. Smile lo osservava intensamente, sembrava volesse a sfidarlo a far soffrire Al in qualunque modo. «Non so quanto ci guadagneresti. Sei migliore di me, questo è l’importante. Sei abbastanza assennato, da non commettere i miei stessi errori, molto spesso dettati dall’impulsività. Solo per colpa mia è morto Sirius. No, sul serio. Vorrei che tu ed i tuoi fratelli foste migliori di me».
«È per questo che ti sei arrabbiato tanto quando siamo entrati nella Foresta Proibita?».
«Anche, ma non certo perché hai violato le regole. Figurati, sai quante volte l’ho fatto io. Non è quello che mi interessa. L’onestà di una persona si comprende soprattutto nel modo in cui tratta gli altri a mio parere».
«Ma non sono alla tua altezza. Sono un disastro in Difesa. Posso imparare a memoria il libro e l’ho fatto, ma quando vado a duellare… non ci riesco… ho paura di sbagliare o non controllare l’incantesimo e quindi rischiare di far male al mio avversario… Robards si incavolava sempre, ma io proprio non ci riuscivo… Non volevo attaccare nessuno, nemmeno i Serpeverde! Sono uno scemo».
«Al, smettila di sminuirti per favore. Non sei uno scemo, sei solo molto sensibile. E si tratta di un pregio, non di un difetto. Io penso che tu ne prenda molto da tua nonna Lily e ti assicuro che dovresti esserne molto fiero. Era una donna fantastica. E per Difesa, l’importante è che tu impari gli incantesimi difensivi, non certo gli offensivi. Lascia stare Robards».
«Ti voglio bene. Scusa se ti ho risposto male prima. È che ci tengo al tuo giudizio ed alle volte mi sembra più difficile rendere fiero di me te piuttosto che la mamma».
Harry sorrise e disse: «Se fossi in te mi preoccuperei più della mamma».
Albus ricambiò il sorriso e lo abbracciò di slancio. «E comunque hai fatto bene prima. Ho parlato a sproposito. Anche io ti voglio molto bene. E domani non voglio che vieni e fai quello che dico io. Voglio che vieni e mi aiuti. Pensando a Sirius, mi sono ricordato che Silente ha cercato a lungo di nascondermi la verità per difendermi ed io ho combinato solo un sacco di disastri. Non voglio commettere il suo stesso errore. Anziché allontanarvi da me e mettervi in un pericolo maggiore, preferisco che mi aiutiate».

*

 «Potter, sei sicuro di quello che fai? Se ti stessi sbagliando tuo figlio potrebbe farsi molto male».
«Sì, Parkinson. Ne sono sicuro. Non far finta di preoccuparti per mio figlio; non è necessario».
Harry serrò la mascella e non aggiunse altro. La Sala delle Profezie gli riportava alla memoria solo brutti ricordi. Strinse la spalla di Albus accanto a lui. Dietro di loro procedevano Rose e Cassy. Chiudevano la fila Terry Steeval, Ron e Gabriel Fenwick.
«Ecco qua. È una profezia molto vecchia. Cassandra Cooman la pronunciò nell’800. È assurdo che crediate che si avvererà proprio adesso, dopo tutto questo tempo».
Harry ignorò Parkinson ed osservò il figlio in attesa. Avevano già parlato e non aveva intenzione di dire nulla di fronte a quell’uomo, che proprio non sopportava. Albus avanzò e allungò la mano verso la profezia indicatagli. Il silenzio divenne ancor più teso e quando il ragazzino la strinse tra le mani molti trattennero il respiro in attesa.
 
«Cave tibi mondo della magia
i tempi stanno per cambiare
nuova incurabile malattia
incombe, le tenebre minacciano di tornare
 
giovani virgulti, Esculapi novelli
gli abeti del Pelio beccheggianti nel blu
tutto è pronto: velatura, scotta, bozzelli
si schiudono le porte dell’avventura, si veleggi a sud.
 
In numero uguale agli immemori tomi
e alle virtù dello Stagirita;
si rovescino i troni
agli ordini di chi al potere preferisce la vita.
 
Spazzacamini redentori
le muse a voi innalzeranno cori
alla ricerca di una pace che sia tale
e non quale vedere si vuol fare».
 
«E che diavolo vuol dire?» sbottò Ron.
«Weasley, di che ti sorprendi? Le profezie non sono mai chiare» ghignò Parkinson. «Soddisfatta la vostra curiosità? Ora potete andarvene».
«Stai tranquillo, non è nostro interesse rimanere qui» replicò Harry.
Nessuno fiatò finché non raggiunsero il suo ufficio e vi si chiusero dentro.
«Allora secondo voi che significa?» chiese Harry osservando tutti i presenti.
«La mia ava era una pazza» borbottò Cassy.
«Poco ma sicuro» la sostenne Rose.
«La prima parte sembra scritta apposta per noi. Com’è che diceva?  Nuova incurabile malattia /incombe, le tenebre minacciano di tornare? È quello che sta succedendo…» disse Gabriel.
Harry prese un pensatoio, certo meno antico ed elegante di quello di Silente ma comunque funzionale, vi riverso dentro il suo ricordo e riascoltarono più volte la profezia, mentre Gabriel la trascriveva.
«Beh i nostri salvatori stavolta saranno dei giovani virgulti, Esculapi novelli, a quanto pare» commentò quest’ultimo.
«E la terza strofa dovrebbe dirci quanti sono, ma che sono gli immemori tomi e le virtù dello Stagirita?» aggiunse Harry.
Nessuno seppe rispondergli.
«E ci dice chi li guiderà» s’inserì Ron.
«Già. Chi al potere preferisce la vita» concordò Harry.
«E la quarta strofa? Alla ricerca di una pace che sia tale e non quale vedere si vuol fare?» chiese Gabriel.
Ma nonostante rimasero lì a ragionare per ore non ne vennero a capo.

*

«Buon compleanno, Capitano! Lavora anche oggi?» esordì un giovane Auror.
Harry sorrise e gli strinse la mano. «Non ho molta scelta, Maximillian. Grazie per gli auguri. Tu come stai?».
«Bene, grazie. So che qui in Gran Bretagna la situazione non è delle migliori, quindi non le chiederò come sta. È per questo che mi ha convocato?».
«Esattamente. Ho un nuovo incarico per te, qui in Gran Bretagna».
«Ottimo, sono felice di tornare a casa. Mi ero stancato di girare. Mia madre ne sarà felice. Di che si tratta?».
«Devi sostituire Robards nel suo ultimo incarico».
Harry lasciò che l’altro ci arrivasse da solo e non ci impiegò molto. Lo vide sgranare gli occhi. «L’ultimo incarico di Robards? Sta scherzando, vero?».
«No. Voglio che tu vada ad Hogwarts e che insegni Difesa Contro le Arti Oscure».
«No, sul serio con tutto il rispetto lei è pazzo. Mi ci vede a me ad insegnare?».
«Sì, hai sostituito più volte gli istruttori dell’Accademia e…».
«È successo quasi dieci anni fa e non è la stessa cosa. E poi è stato prima dell’incidente, da allora non sono più sceso in campo» replicò l’altro scuotendo la testa.
«Meno di dieci anni e l’incidente non ha diminuito le tue capacità, ma ti ha solo rallentato. Io sono sicuro che saresti bravissimo, sei un tipo che si adatta e sei in grado di farti apprezzare dai ragazzi… Naturalmente, puoi anche rifiutarti».
«Credevo fosse un ordine» replicò Maximillian sarcastico.
«In teoria lo è, ma dopo l’esperienza con Robards l’anno scorso… beh non possiamo commettere lo stesso errore. Non lo puoi fare per forza, gli studenti di Hogwarts arriveranno ad odiare tutti gli Auror. Robards non si è fatto amare, anzi».
L’altro rise. «Robards farsi amare? Immagino abbia traumatizzato metà Scuola! Ho visto allievi dell’Accademia scappare con la coda tra le gambe per colpa sua e per fortuna il direttore è Simon Scott e non lui, in caso contrario non ci sarebbe quasi più nessun allievo».
«È stato terribile, la professoressa McGranitt ha ricevuto un sacco di lamentele e si è scontrato anche con i suoi colleghi. È stato un errore. Vedi che comprendi? Sono sicuro che sapresti trovare il giusto equilibrio. Naturalmente puoi rifletterci, ma non troppo tempo. La professoressa McGranitt deve completare l’organico per il nuovo anno scolastico».
«No, non ho bisogno di riflettere. Mia madre mi ucciderebbe se tornassi a casa e dicessi che penso solo di rifiutare un incarico del genere. Accetto, ma non le prometto nulla. E poi è sicuro che la Preside sarà d’accordo?».
«Oh, sì tranquillo. Si ricorda di te a Scuola, ne è felice. Poi il professore Vitious è convinto che tu sia la persona giusta per prendere il suo posto».
«Un attimo, un attimo. Il professor Vitious? Non devo insegnare Difesa?».
«Certo, ma il professore è andato in pensione per cui qualcuno deve sostituirlo come Direttore della Casa di Corvonero».
«Eh? Dovrei farlo io?».
«Lui si fida di te».
Maximillian sbuffò: «Se le dico di sì, non è che esce qualcos’altro? Che so, ci mancherebbe solo che debba fare anche il vicepreside!».

*

«Buon compleanno!» urlarono tutti insieme, mentre Harry, Louis e Neville soffiavano insieme le candeline. I due adulti compivano quarant’anni ed il piccolo undici (in realtà Neville gli aveva compiuti il giorno prima, ma avevano deciso di festeggiare tutti insieme).
«Siamo stati bravi io e Frank a decorare il giardino, vero?».
Rose sollevò gli occhi su Albus per un attimo e poi tornò a giocare con i fili d’erba.
Il ragazzino sbuffò: «Ho capito che ce l’hai con me, ma non puoi continuare ad ignorarmi in eterno!».
«Posso eccome».
«Mi hai parlato!» disse Albus trionfante.
«Sei un cretino Albus Severus Potter! Diventerai peggio di Molly! Hai violato il nostro codice!».
«Merlino! Volevi entrare al Ministero di nascosto!».
«E tu sei andato subito a dirlo a tuo padre!».
«Non è stato meglio?! Tu sei già nei guai fino al collo! Se avessi fatto davvero una cosa del genere penso che zia Hermione ti avrebbe chiuso da qualche parte e buttato la chiave fino al compimento della maggiore età! Su dammi una possibilità…».
«Per la prima volta in quattordici anni mia madre è rimasta senza parole… Sai che soddisfazione!».
Albus per non contrariarla non le fece notare che zio Ron si era vergognato tantissimo.
«Al! Vieni a farti una foto con tuo padre!» lo chiamò Ginny.
«Arrivo!» rispose il ragazzo alzandosi da terra.
«Ehi Potter» lo richiamò Rose, «poi torna qui. So come puoi farti perdonare».
Albus deglutì preoccupato e raggiunse il resto della famiglia. Dopo un po’ tornò dalla cugina e le porse un piattino con un enorme fetta di torta. «Ho preso la fetta più grande per te».
«Ruffiano». Rose prese la torta e lo squadrò con calma. «Non pensare di cavartela così facilmente. Tra poco ti dirò che devi fare».
Albus sospirò e si allontanò per andare a chiacchierare con Frank, rassegnato al suo destino; in fondo se gli avesse chiesto qualcosa di impossibile avrebbe potuto sempre rifiutare. Prima o poi l’avrebbe perdonato. Rose, però, lo cercò solo molto più tardi. Si avvicinò a lui furtiva e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Molti degli adulti presenti li osservarono interrogativi. Ginny Potter gli lanciò un’occhiata di avvertimento.
«Dai, Rosie…» tentò di protestare Albus.
«Non ti sto chiedendo nulla di difficile… se non fai una cosa così per me, forse non ci tieni davvero alla nostra amicizia…».
«Ci tengo ma…».
«Niente ma o lo fai o non lo fai… Vengo con te… insieme per sempre… ricordi il nostro patto?».
«Sì, me lo ricordo… andiamo e facciamola finita…».
Albus si guardò un attimo intorno: la madre stava parlando concitatamente con zia Angelina, probabilmente di Quidditch e nessuno degli adulti stava più facendo caso a loro. Raggiunsero la piscina gonfiabile senza che qualcuno chiedesse loro che intenzioni avessero. Salirono dalla parte opposta, completamente in ombra. Rose con un sorriso malandrino gli porse la mano e lui la strinse.
«Pronto?».
«Sì».
«BAGNO DI MEZZANOTTE!» urlò Rose, mentre insieme saltavano vestiti in piscina. Al suo urlo risposero tutti i cugini Weasley-Potter ed i vari amici, che di lì a poco li raggiunsero.
 

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Capitolo 5
*** Stelle cadenti ***


Capitolo quinto

Stelle cadenti
 
«Buongiorno a tutti i maghi e le streghe in ascolto! Bentornati su Radio Strega Network! Un caloroso saluto da Glenda Chittock ed Azzurra Stars! Oggi, però, non è un giorno come gli altri, vero Azzurra?».
«Eh, già. Oggi abbiamo qui con noi il nostro Ministro della Magia che deve farci un annuncio importante. Prego, signor Ministro».
«Vi ringrazio. Buongiorno a tutta la Comunità magica. Sarò breve. Dopo una lunga e travagliata riflessione ho deciso di dare le dimissioni. Vi assicuro che non si tratta di una decisione affrettata. Ci stiamo avviando inesorabilmente verso un periodo di oscurità e di crisi. Proprio per questo posso immaginare che molti di voi giudicheranno negativamente la mia decisione. Un Ministro non può mollare la sua Comunità quando ha più bisogno. Purtroppo, però, non sono più nelle condizioni di ottemperare ai miei compiti, perciò sarebbe stato altrettanto imperdonabile non ammetterlo solo per continuare ad occupare la mia posizione in un momento così delicato. Spero ardentemente di aver compiuto al meglio il mio dovere in questi ventidue anni, in caso contrario me ne scuso. Sono sicuro che il mio successore sarà perfettamente in grado di guidarci verso un nuovo periodo di serenità».
La voce profonda e pacata di Kingsley Schacklebolt fece in poco tempo il giro dell’intera Gran Bretagna.

*

«Ti diamo la possibilità di entrare nel nostro gruppo».
«Sempre se ne hai abbastanza coraggio» aggiunse un altro ragazzino.
Era un gruppetto eterogeneo di ragazzi tra gli undici ed i tredici anni, che al momento circondava un coetaneo. L’unica bambina e la più piccola dei presenti, stringeva la mano di quest’ultimo, osservando imbronciata gli altri.
«Che volete che faccia?».
«Stamattina accidentalmente il mio pallone è finito in casa della vecchiaccia, dopo aver rotto il vetro naturalmente». Tutti risero, consapevoli che non vi era stato nulla di accidentale. «Si è rifiutata di restituirmi il pallone, a meno che non vado con mio padre a scusarmi. Ma vi pare?». Gli altri risero nuovamente: il padre dell’amico era il preside della scuola del quartiere e conoscevano perfettamente la sua severità, per ciò nessuno si aspettava che il figlio gli avrebbe raccontato qualcosa. «Il tuo compito è molto semplice, Brian. Devi riprendere il pallone».
«Ma non me lo darà mai! Dai, Andreas, lasciaci in pace e basta. Che ti costa?».
«Mica glielo devi chiedere per favore! Entri in casa di nascosto e te lo prendi. Se ci riuscirai, ti rispetteremo per sempre; se non ci riuscirai, dirai che il pallone è tuo e che è tutta colpa tua. Poi mi darai un pallone che sia quello od il tuo… in effetti ne hai uno bello di cuoio e non ci giochi mai…».
«Mi stai chiedendo di compiere un’effrazione?» si lamentò Brian.
«Stai sempre ad usare paroloni, eppure sei sempre stato l’ultimo della classe». Nuove risate si levarono dai ragazzi.
«Non voglio» s’impuntò Brian.
Andreas con un rapido gesto lo prese per la maglia e lo scosse, costringendolo a mollare la mano della sorellina. «È un ordine! Fallo o te ne farò pentire». Schioccò le dita e due compagni presero a tirare i capelli alla bambina, che strillò.
«Lasciate stare Sophie. Farò quello che volete» si arrese Brian.
«Sei meno stupido di quanto penso, allora! Bene, Connor verrà con te».
Il ragazzino in questione deglutì vistosamente e chiese: «Io che centro, Andreas?».
«Dovrai verificare che non faccia scherzi».
Meno di un quarto d’ora dopo Brian e Connor si avviavano lungo le ordinate villette a schiera che caratterizzavano il quartiere. 
«Spero per te che tu abbia un piano» disse scocciato Connor.
Brian si voltò verso di lui, alzando gli occhi da terra e mostrò la sua espressione tra lo spaventato ed il risentito. La vecchiaccia come veniva comunemente chiamata dai ragazzi del quartiere, non era altro che la signora Dennis, una vedova che viveva sola ed aveva un bruttissimo carattere. Ogni tanto andava al trovarla il suo unico figlio e raramente portava con sé la sua famiglia. Suo padre gli aveva detto di starle lontano e non infastidirla in alcun modo: era una donna anziana, inasprita dalla solitudine e dalle amarezze della vita.
«Non ho un bel niente! Mi ci avete costretto!».
«Che palle che sei, Brian».
«Io? Andreas poteva anche lasciarla in pace! Sapeva benissimo che si sarebbe arrabbiata!».
«Le azioni del capo non si discutono» replicò Connor senza molta convinzione. Ormai avevano raggiunto la villetta della signora Dennis. «Nascondiamoci dietro quel cespuglio».
Brian lo seguì senza dire nulla, sentiva il cuore battere all’impazzita ed avrebbe voluto essere molto lontano da lì.
«Senti, tocca a te decidere che cosa fare. Hai sentito Andreas, no? Io sono qui solo per controllarti, però ti prego trova un modo per non farci beccare. Se mio padre dovesse sapere solo metà di questa storia, mi ritroverei in punizione per il resto di agosto e non voglio! Anche il tuo si arrabbierebbe, no?».
«Sì, sì» replicò Brian distrattamente. Ciò che lo preoccupava molto era l’aver lasciato Sophie al parco, fortunatamente c’erano le mamme delle sue amichette dell’asilo ed aveva chiesto loro di darle un’occhiata in sua assenza. Erano tutte molto gentili con lui e gli avevano detto di non preoccuparsi. Storse la bocca: era più amico con delle donne tra i trenta ed i quaranta anni che con i suoi coetanei; d'altronde loro lo consideravano tenerissimo ad occuparsi della sorellina. Ecco cosa ispirava: tenerezza e compassione. Sentimenti che i suoi coetanei non conoscevano e per questo lo disprezzavano. Volevano il pallone? Lo avrebbero avuto. Spezzò il borbottio lamentoso di Connor, che non aveva minimamente ascoltato: «Il tuo capo riavrà il suo pallone e voi non mi direte più che sono un fifone inutile, è chiaro?». Non aveva bisogno della compassione di nessuno né dell’amicizia di un gruppetto di bulletti, che avevano sempre ciò che volevano.
Connor sorpreso dal suo tono sicuro e rabbioso, annuì. Brian gli fece cenno di tacere e rimasero ad osservare la vecchia che si muoveva per casa, attendendo il momento più adatto. Trascorse più di un quarto d’ora prima che Brian scattasse in piedi, facendo sobbalzare l’altro.
«Adesso, è in giardino ad appendere i panni lavati. Abbiamo giusto il tempo di prenderci il pallone ed andarcene».
Connor dovette sbrigarsi a raggiungerlo, perché parlando aveva già saltato lo steccato che circondava il giardinetto della villetta e si appropinquava alla finestra aperta. Brian con un po’ di difficoltà, che il compagno in quel momento non si sognò di deridere, si arrampicò sul davanzale e si buttò dentro la piccola cucina tentando di non far rumore. Aveva il cuore in gola, ma vide subito il pallone a terra vicino a tavolino nell’entrata. Per un attimo si immaginò trionfante mentre consegnava il pallone ad Andreas e gli diceva che se non se ne faceva niente della sua amicizia, magari sotto gli occhi ammirati di tutti quelli che come lui avevano sopportato le sue angherie per anni. Connor si era già impossessato del pallone ed erano pronti ad uscire. Fuori gli avrebbe detto di non fare il furbo. I suoi sogni di gloria però furono infranti dal campanello che suonò ripetutamente, costringendo la vecchia a rientrare in casa. I due ragazzini gelarono sul posto, ma Connor si riprese subito: rimise il pallone dov’era e spinse Brian dietro il divano, proprio nel momento in cui la vecchia arrivava borbottando irritata. Osservò dallo spioncino ed aprì la porta.
«Ah, sei tu. Che vuoi?» disse, accogliendo freddamente, quello che i ragazzi riconobbero come il figlio.
«Come che voglio?» chiese questi, evidentemente sorpreso. «Hai chiamato a casa mia ed hai detto di aver bisogno di me urgentemente. Mia moglie mi ha chiamato in ufficio e sono venuto subito da te. Mi sono solo cambiato perché so che a te danno fastidio i nostri vestiti. Stai bene?».
«Certo che sto bene! Ti piacerebbe che schiattassi, vero?».
«Ma mamma che dici! Sai che non è vero! Io ti voglio bene, sei tu che non vuoi accettarmi per quello che sono! Te l’ho detto un milione di volte di venire a vivere da me! I tuoi nipoti ne sarebbero felici».
«Io? In mezzo a dei mostri? Mai. Vattene da casa mia!».
L’uomo sospirò rassegnato ed annuì. Si sentì uno scrocchio, che fece sobbalzare tutti, compresi i due ragazzini nascosti. Brian conosceva perfettamente quel suono e spaventato osservò l’uomo che era apparso dal nulla. Connor era a bocca aperta, ma Brian sapeva che a quel punto la violazione del decreto di segretezza internazionale era il minimo: il nuovo arrivato indossava una lunga veste nera ed una maschera argentata in volto. Aveva visto più volte negli ultimi mesi foto uguali sulla Gazzetta del Profeta, suo padre gli aveva solo detto che erano molto pericolosi e poi non era andato oltre nascondendosi anche dietro il segreto professionale. Il signor Dennis era sbiancato ma, con sorpresa di Brian, estrasse la bacchetta; però era stato troppo lento. Il Neomangiamorte lo disarmò e rise: «E bravo Elias, su questa casa non c’è la minima difesa. Eppure ci tieni a mammina, vero? Secondo te quanto ci vuole ad imitare la voce di una lurida babbana?».
«Chi sei? E cosa vuoi da me?».
Il Neomangiamorte rise di nuovo, dando i brividi a Brian e Connor.
«Cosa voglio? Ti credevo più intelligente, capo. A quanto pare avrei dovuto capirlo quando hai rifiutato la bellezza di cinquemila galeoni. “Io non mi faccio corrompere da nessuno”. Povero, illuso. Quelle erano le buone maniere. Tu mi hai licenziato perché ho osato provare a corromperti. Ora perderai ogni cosa. Avada Kedavra».
Brian chiuse istintivamente gli occhi, mentre l’urlo della donna accompagnava la caduta del figlio. «Contenta donna? Il figlio che hai ripudiato ingiustamente, è morto. E tutto perché non hai voluto che questa casa venisse protetta dal Ministero della Magia. Tutto perché tuo figlio era un mago. Voi babbani dovreste morire tutti!» disse l’uomo con disprezzo. Puntò la bacchetta contro di lei, che accasciata a terra stringeva a sé il corpo inerte del figlio urlando e singhiozzando.
Brian era terrorizzato e guardava la scena sotto shock e non fece in tempo a bloccare Connor, che uscì allo scoperto.
«ASSASSINO!» urlò il ragazzino e prima che il Neomangiamorte si voltasse gli tirò in testa un grosso portacenere di marmo e gli fece perdere i sensi.
Brian prese in mano le due bacchette e le allontanò dall’uomo.
«Sei scemo?» gli chiese ansimante ed in lacrime Connor.
«Tu non sai a che servono queste. Se si dovesse risvegliare ucciderebbe anche noi» disse con voce incerta e si accorse che anche lui stava piangendo.
«Lo so. Adesso però hai lasciato le tue impronte digitali. È morto davvero?».
«Tu sei un mago?» chiese sorpreso Brian.
«Sì, l’ho scoperto qualche settimana fa. Voi ci chiamate Nati Babbani, giusto?».
Brian annuì e poi vedendo che l’amico tentava di avvicinarsi al signor Dennis, lo fermò: «Ha usato l’Anatema che Uccide».
«E non esiste un controincantesimo?».
Brian scosse la testa e si mise a piangere più forte: «LA MAGIA È INUTILE» urlò sorprendendo Connor. Mollò le bacchette, che toccando terra produssero un suono inquietante. Si sentì soffocare. Sembrava che le pareti si stessero restringendo fino a circondalo e soffocarlo. Si sentì mancare e cadde in ginocchio.
«Brian?» la voce incerta di Connor, gli giunse come da molto lontano. «Che hai? Ti prego, non so che fare».
Brian sobbalzò quando Connor gli diede un ceffone ed alzò gli occhi su di lui. «Non ho idea di che cavolo ti passa per la mente, ma quello non ci metterà molto a riprendere i sensi!». Detto ciò cominciò a legarlo nella fodera che aveva tolto dal divano, la scena era così assurda che lo fece riprendere più dello schiaffo. La vecchia per conto suo continuava a piangere e strillare. Si sollevò con le gambe tremanti e disse a Connor: «Dobbiamo chiamare mio padre».
Quello sospirò e scosse la testa. Tirò fuori il cellulare dalla tasca e disse: «Chiamerò mio padre. Siamo noi che ti abbiamo trascinato in questo guaio. Me ne assumerò io la responsabilità. Poi mio padre è un avvocato, collabora spesso con la polizia. Saprà cosa fare. Cancellerò le impronte dalle bacchette e nessuno saprà che sei stato qui. Prendi il pallone e dallo ad Andreas, manterrà la parola e non ti darà più noia e poi andremo insieme nella nuova Scuola, no? Sei coraggioso, l’ho visto con i miei occhi. Non ti farò più nulla. Promesso».
«Fermo! Non chiamarlo» gli bloccò la mano. «Tuo padre non può far nulla. Fidati. Quello è il cellulare di tua mamma, vero? Allora chiama la signora Scott e dille ciò che ti dico io».
Connor era sorpreso ma dover aver preso il bastone da passeggio della vecchia per precauzione, nel caso in cui il Neomangiamorte avesse ripreso i sensi (ma la botta doveva essere stata forte perché perdeva sangue). «Pronto, qui casa Scott. Chi parla?» la voce dolce della loro anziana vicina fece trasalire entrambi.
«Signora Scott, sono Connor Mils».
«Oh, ciao tesoro. C’è qui la tua mamma con me, vuoi che te la passo?».
«Dille di chiamare il marito» suggerì Brian.
«Chi c’è con te?» chiese la donna sorpresa.
«Brian Carter, signora. Senta mi può passare suo marito?».
«Non è ancora rientrato dal lavoro. C’è qualche problema ragazzi?» la sua voce ora era preoccupata.
«Che facciamo?» chiese Connor. Brian gli prese il cellulare e parlò lui: «Signora, sono Brian. Per favore chiami gli Auror. Il figlio della signora Dennis è stato assassinato da un Neomangiamorte».

*

«Robert! Non ti aspettavo a quest’ora!».
Se qualcuno fosse passato di lì in quel momento avrebbe visto un giovane sui quindici anni, alto, moro, i muscoli che si notavano dalla maglietta aderente, fronteggiare una donna anziana dall’aria severa e con i capelli legati in uno stretto chignon.
«Ciao zia. Sai benissimo, che mia madre mi tratta come un pacco postale. Ancora due anni, però e poi…» replicò Robert seccato.
«Bentornato» disse, invece, la donna ignorando il suo malcontento. Si spostò e lo fece entrare nella piccola casetta.
Robert si guardò intorno: nei suoi tre anni di assenza non era cambiato nulla. Anzi forse nella libreria c’erano ancor più libri di quando era partito. Se non fosse stato per la magia sarebbe già crollata da un pezzo.
«Non sei contento di essere di nuovo in Scozia?».
Il ragazzo sospirò e si volse verso sua zia: Minerva McGranitt, donna temuta ed ammirata dalla maggior parte del mondo magico inglese.
«Credo di sì. Però ho dovuto mollare di nuovo gli amici che mi ero fatto con fatica e soprattutto la mia ragazza».
«Mi dispiace. Non devi aspettare il compimento dei diciassette anni per decidere. I tuoi genitori sono andati in Africa per alcune loro ricerche e saranno irrintracciabili per mesi, per cui mi hanno lasciato ufficialmente la tua temporanea custodia. A me interessa la tua istruzione e null’altro. Ho detto a tua mamma di portarti qui, perché ho pensato che sarebbe stata la decisione migliore, ma se tu vuoi proseguire i tuoi studi ad Ilvermorny, puoi farlo».
Robert fu prese in contropiede dalle sue parole e la osservò per un momento, poi si sedette sul divano senza dire nulla.
«Hai tutto il tempo di decidere. Questa volta sei l’unico responsabile delle tue scelte».
Il ragazzo annuì: finalmente gli era stata data la possibilità di scegliere, che anelava da anni; ma adesso non sapeva cosa scegliere. Non gli interessava molto della Scuola, ma gli affetti che essa comportava. «Ho bisogno di parlare con Jamie» e nel momento stesso in cui lo disse, capì che aveva preso una decisione e lo comprese anche la zia, le cui labbra si arricciarono in quello che sembrò un sorriso.

*

«Brian, mi raccomando. Stai tranquillo. Il Capitano Potter è bravo. Devi raccontargli ciò che tu e Connor avete visto, ok?».
Il ragazzino annuì al padre e tentò di calmarsi, ma non era facile per nulla. Sentiva lo sguardo del padre su di lui. La signora Scott aveva immediatamente allertato il marito, che era giunto sul posto con una squadra di Auror, compreso suo padre. Quest’ultimo aveva preso lui e Connor e li aveva trascinati fuori dalla casa e solo allora Brian aveva ripreso a respirare correttamente. Poi era scoppiato a piangere senza ritegno e ce ne aveva messo di tempo a calmarsi, tanto che il Capitano aveva ascoltato la testimonianza di Connor, ma aveva rimandato la sua al giorno dopo. Suo padre gli strinse la spalla per fargli sentire la sua presenza. Entrarono insieme nell’ufficio del Capitano Potter.
«Buongiorno, signore. Scusi il ritardo. Ho dovuto lasciare la bambina alla signora Scott».
«Non ti preoccupare, Gregory. Come stai Brian?».
«Non ha dormito tutta la notte» rispose per lui il padre. Brian era intimorito dalla presenza di tutti quelli uomini in divisa scarlatta.
«Non è stato l’unico. Ti ricordo che abbiamo arrestato un alto membro del Ministero. Non so se hai notato i giornalisti» rispose Harry, che era di pessimo umore. «Ciò che mi fa rabbia è che c’è qualcuno qui dentro ancora più in alto che ha comandato l’omicidio. E sai chi è secondo me?».
«Denver Green?» chiese Gregory.
«Esattamente. Ed indovina chi è stato nominato stamattina presto come sostituto di Dennis? E chi ha votato a favore di quel maledetto Torneo?».
«Merda» sbottò Gregory, «Ce l’hanno fatta».
«Hanno ucciso un padre di otto figli pur di raggiungere lo scopo. Sì, per ora hanno vinto loro».
«Avanti Harry, ascoltiamo Brian» lo esortò Gabriel Fenwick. «Dobbiamo andare avanti con le indagini».
«Hai ragione. Brian siediti per favore e raccontaci tutto quello che è accaduto ieri pomeriggio».
Brian obbedì e raccontò loro ogni cosa. Non disse nulla di nuovo rispetto a Connor. La sua testimonianza fu solo più precisa, in quanto Connor non conosceva ancora le peculiarità del mondo magico.
«Va bene. Grazie, Brain. Puoi andare, grazie del tuo aiuto. Gregory va’ a casa con lui. Hai la giornata libera» disse Harry.
«Grazie, Capitano. Posso sperare che i nomi di Brian e Connor non verranno resi noti?».
«Capisco la tua preoccupazione e vorrei tanto dirti di sì, ma purtroppo è molto probabile che durante il processo verrà nuovamente richiesta la loro presenza. Essendo, Konrad Ralphs, un alto membro del Ministero, tenterà di far forza sulla sua posizione. Per ora nessuno saprà che sono stati loro».
Gregory annuì e si congedò portando con sé Brian.
«Harry, che pensi?» chiese Gabriel.
«Che Hogwarts da ottobre sarà il teatro della Signora Oscura. Non capisco quale sia il suo obiettivo, ma ormai è chiaro che come temevo la storia del torneo non è casuale. Dobbiamo aumentare le difese, ma soprattutto quelle interne. Sono contento che Maximillian abbia accettato di insegnare Difesa, mi sento più tranquillo».
«So che a parte lui ci sono altri nuovi arrivi ad Hogwarts… Ne hai parlato con la Preside?» chiese Gabriel.
«Potrebbe esserci qualche infiltrato» aggiunse Ron.
«Sono tutti incensurati» rispose Harry pensieroso.
«Non credo sia abbastanza rassicurante come cosa» borbottò Ron.
Harry sbuffò. «Non posso decidere per la McGranitt! Maximillian sarà il nostro occhio interno. Altro non possiamo fare».
«Sei il capo degli Auror, Harry! Puoi fare tutto tu!» sbraitò Ron, beccandosi un’occhiataccia dal suo migliore amico.
«Non dire scemenze. Dite a Terry che ho urgente bisogno di parlargli ed anche a Malfoy».
«Malfoy? Che centra lui?» si alterò Ron, ma Gabriel lo prese per un braccio e lo trascinò fuori dall’ufficio.

*

«Ciao, papà. Ti aspettavo».
«Ciao, Al. Tutto ok?».
«Sì sì, tutto normale. Oggi con il nonno siamo andati in una biblioteca babbana a Londra».
«Ah, bene. Ti sei divertito?» chiese distrattamente Harry, mentre cercava la cena che la suocera gli aveva lasciato in forno.
«Papà, mi stai ascoltando?».
«Sono molto stanco Al» si giustificò Harry.
«Senti gli altri mi stanno aspettando fuori. Abbiamo messo i sacchi a pelo per guardare le stelle…».
«Ah, ok. Divertiti».
«Papà! Ascoltami. Un minuto solo».
Harry volse lo sguardo su di lui e lo scrutò in attesa.
«Ho scoperto chi è lo Stagirita».
«Sul serio? E che aspettavi a dirmelo!».
«Se non mi ascolti! Comunque Stagirita indica un abitante di Stagira, una città della Grecia».
Harry sbuffò: «Quindi potrebbe essere chiunque…».
«No. La Profezia si riferisce ad Aristotele. Visse nel IV secolo a.C. È un filosofo molto importante e il pensiero occidentale si fonda anche su di lui. Inoltre si è occupato anche di etica e qui si arriva alle virtù: prudenza, giustizia, fortezza, temperanza, coraggio, liberalità, magnificenza, magnanimità, mansuetudine, arte, saggezza e sapienza, che si divide in scienza ed intelletto. In realtà il manuale di filosofia che mi ha gentilmente mostrato la bibliotecaria spiegava concetti più complessi, ma credo che questo sia ciò che ci interessa di più. I dodici della Profezia sono dotati ciascuno di una di queste virtù, ma non ho capito ancora come sapere chi siano».
«Era un babbano? Non ci capisco niente. Come hai fatto a scoprirlo?».
«Ho chiesto direttamente alla bibliotecaria… Ho pensato che non ci sarebbe stato nulla di male, ed il nonno era d’accordo… al massimo ci avrebbe presi per pazzi… invece mi ha guardato sorpresa… dovevi vederla era felicissima di rispondere alle mie domande, a quanto mi ha detto sono pochi i ragazzi che si interessano seriamente alla filosofia… certo quando ha cominciato a fare nomi strani ho dovuto ammettere di non saperne molto…».
«Hai detto al nonno della Profezia? Avevo chiesto a te, Rose e Cassy di tenerlo per voi» si crucciò Harry.
«Non gli ho detto nulla. A nonno è bastato sapere che dovevo fare una ricerca importante e mi ha accompagnato… sai che è sempre felice di andare nella Londra babbana».
«Sei stato bravissimo, Al».
«Grazie, ora raggiungo gli altri».
Albus uscì fuori nel giardino, occupato da una serie di sacchi a pelo blu notte. James si era messo più in là con Robert, Danny e Tylor e parlavano fitto fitto. I Malandrini erano dalla parte opposta ed indicavano le stelle ridendo. Fred era il più distante di tutti, con lui c’era July, che per quello che aveva potuto intendere aveva detto al padre che avrebbe trascorso la notte con la sua migliore amica, Melissa Goldstain. I due si baciavano. Louis e Lysander Scamander facevano ancora a gara a chi riconoscesse più costellazioni, come prima che entrasse in casa a parlare con il padre. Lorcan, il gemello di Lysander, era appiccicato ai Malandrini.
Albus si buttò sul suo sacco accanto a Rose e Frank. Loro tre, Roxi, Alastor, Cassy, Scorpius, Isobel, Dorcas e Jonathan formavano un gruppo disordinato al centro del giardino.
«Hai parlato con zio Harry?» gli sussurrò Rose.
«Sì».
«Io direi di lasciar perdere le ricerche per ora. Abbiamo bisogno della biblioteca di Hogwarts».
«Sono d’accordo».
«Ehi guardate una stella cadente» gridò Louis eccitato.
Albus alzò gli occhi appena in tempo per vedere una striscia luminosa in cielo. Desidero che questa storia finisca al più presto e bene pensò con intensità.

*

Harry tentò di sistemare i capelli del figlio maggiore, ma inutilmente: erano ribelli quanto i suoi. James sbuffò e corse fuori dalla casa. Era una soleggiata mattina d’agosto e vicino alla finestra stava iniziando a sudare e decise di raggiungere la moglie nel giardino, ma qualcuno entrò nella stanza.
«Harry».
Egli alzò i suoi brillanti occhi verdi sulla donna che era appena entrata: il suo viso era ormai pieno di rughe; ogni ruga era una sofferenza; i suoi occhi, però, erano ancora vispi. Andromeda Tonks si avvicinò ad Harry e tentò di sorridere.
«Ti volevo ringraziare».
Una lacrima silenziosa solcò il volto della donna, una volta fiero ed orgoglioso.
«E di cosa?».
«Lo sai. Non fare il modesto. Senza l’aiuto tuo e di Ginny non ce l’avrei mai fatta a crescere Teddy».
«Ma che dici! Hai fatto tutto tu, Andromeda! Io e Ginny eravamo dei ragazzi. Hai avuto la forza di reprimere il tuo immenso dolore solo per il bene di Teddy. Non tutti avrebbero avuto il tuo coraggio».
Lei scossa la testa: «Sei sempre stato un importante punto di riferimento per lui e…».
«Andromeda, smettila per piacere. Remus mi ha nominato suo padrino: ho fatto solo il mio dovere. Teddy ha subito la mia stessa disgrazia, purtroppo io non ho avuto la fortuna di crescere con Sirius. Credo che alla fine tutti trovino un po’ di bene: io l’ho trovato nei Weasley, Teddy in tutti noi».
«E ve ne sarò sempre grato».
I due si voltarono ed incrociarono gli occhi di un Teddy elegantissimo. Indossava un completo bianco, con il collo della giacca ricamato; sotto di essa si intravedeva un doppio petto scuro ed una candida camicia bianca. Abbracciò la nonna e le disse:
«Su, nonna, non piangere. Ti ricordo che mi devi accompagnare all’altare».
Andromeda tentò di sorridergli e disse: «Hai ragione, sono una sciocca. Vado a sciacquarmi il viso».
I due uomini rimasero soli e Teddy si rivolse al padrino: «Ti ricordi la nostra discussione di qualche giorno fa?».
«Certo. Mi dispiace se è degenerata. Non era mia intenzione».
«Neanche mia. Non volevo arrabbiarmi. Negli ultimi giorni ci ho riflettuto molto… mi ha aiutato anche Vic… Ho capito che hai ragione tu: ho sempre cercato di essere il migliore in ogni mia attività. Desideravo solo eguagliare i miei genitori. So che tu non volevi mettere in dubbio le mie capacità, ma decisamente devo scegliere tra l’essere Auror ed insegnante. Anzi, ho già scelto: preferisco la vita accademica. Ne sei deluso?».
«Come no», rispose ironico, «Il mio figlioccio si è diplomato con il massimo dei voti ad Hogwarts, è un animagus, ha superato gli esami per diventare Auror ed insegna ad Hogwarts alla veneranda età di ventidue anni… ma non fare lo stupido! I tuoi genitori sarebbero molto fieri di te. Ed ora muoviti, è la sposa che arriva in ritardo».
Harry gli diede una pacca affettuosa sulla spalla e lo condusse al piano di sotto.
Teddy e Victoire avevano deciso di sposarsi a casa Tonks: la villetta era piccola, ma era circondata da un ampio giardino, nascosto agli occhi dei Babbani da una fitta rete di rampicanti, in cui vi erano una serie di alberi che rispondevano anche alla necessità degli invitati di proteggersi dalla calura estiva.
Uscirono in giardino, dove ormai si stavano radunando tutti gli invitati. Strinsero la mano a parenti ed amici, mentre si dirigevano verso il tendone che era stato eretto appositamente per la cerimonia. All’interno erano state sistemate due ali di sedie e tra di esse un lungo tappeto rosso, cosparso di petali di fiori.
Harry percepì l’emozione del figlioccio e sorrise per incoraggiarlo, ma non poté fare a meno di osservare la moglie in un elegante tubino blu, che parlava con Angelina, che, invece, indossava una vestito beige più largo alla fine. Ginny era semplicemente meravigliosa. Con un tuffo al cuore le immagini del suo matrimonio si riaffacciarono alla sua memoria, con una sensazione di malinconica felicità: erano già trascorsi sedici anni.
Strinse la mano a Lee Jordan e scambiò qualche parola con lui; Teddy al suo fianco diventava sempre più taciturno.
Il figlioccio aveva invitato anche tutti i suoi colleghi di Hogwarts. Harry ridacchiò nel vedere figli e nipoti evitare accuratamente di incrociare il cammino di Louise Campbell, antipatica insegnante di Astronomia; Fred chiacchierava amabilmente con i coniugi Mcmillan insieme al padre. Poco dopo giunsero anche la professoressa McGranitt ed il professor Vitious, ma probabilmente si sarebbero congedati presto a causa dell’età.
Neville ed Hannah si avvicinarono loro con la piccola Aurora in braccio.
«Alice è scappata non so dove con Lily ed Hugo» disse ad Harry dopo che si furono salutati, con un certo grado di esasperazione nella voce.
«Lily mi ha dato la sua parola che si comporteranno bene» li tranquillizzò Teddy.
«Meglio così. Ho proprio bisogno di trascorrere una giornata tranquilla» sospirò Neville.
«Aurora non ha smesso di scambiare il giorno e la notte?» chiese Harry.
«Sì, per fortuna. Ogni tanto si sveglia, ma non ci mette molto a riaddormentarsi. Però ci pensano gli altri a farmi preoccupare. Augusta non ha ancora accettato la sorellina ed Alice ne combina sempre qualcuna».
«Meno male che c’è Frank allora».
«Già, è un ragazzino fantastico. Ci aiuta sempre» replicò Hannah.
«Andiamo a prendere posto» disse Neville.
«A dopo».
Harry spinse Teddy verso il lato opposto del tendone e prese posto accanto alla moglie. Per un attimo cercò i figli con lo sguardo per assicurarsi che si stessero comportando bene: James, che Ginny aveva costretto a mettere la camicia nei pantaloni, era insieme a Tylor, Danny e Robert; Albus, poco distante da loro, come sempre era in compagnia di Rose, alquanto impacciata in un vestitino che la madre l’aveva costretta ad indossare, di Alastor e Scorpius; con difficoltà scovò Lily in fondo al tendone, indossava un vestito, celeste con un fiore sulla spallina destra, che aveva scelto personalmente.
I Malfoy erano stati invitati in quanto erano gli unici parenti in vita di Andromeda; con grande dispiacere di quest’ultima Narcissa e Lucius si erano rifiutati. Draco ed Astoria, invece, avevano accettato e si erano mostrati molto cortesi nei confronti dell’anziana zia.
Harry aveva invitato anche gli zii ed il cugino Dudley con la sua famiglia e straordinariamente erano venuti tutti; certo zio Vernon e zia Petunia si guardavano intorno spaventati, come se qualcuno dovesse attaccarli da un momento all’altro, ma insomma non poteva pretendere troppo.
Teddy era stato raggiunto dai suoi testimoni: Laurence Landerson e Samuel Harper, due indisciplinatissimi Auror e suoi migliori amici fin dai tempi della Scuola.
Gli ultimi a sedersi furono Fleur, Louis, Valentin e Domi accompagnata dal suo ragazzo. I coniugi Delacour e Gabrielle Flamel avevano occupato posti molto distanti tra loro.
Tutti si alzarono all’entrata di Victoire: dava il braccio al padre. Roxi e Lucy le tenevano il lungo strascico. Bill con un ampio sorriso stampato sul volto e, anche se non l’avrebbe mai ammesso, sul punto di commuoversi, la consegnò a Teddy che le strinse la mano.
L’officiante, fino a quel momento rimasto in disparte, prese la parola: «Siamo qui riuniti oggi per celebrare l’unione di due anime fedeli, Ted e Victoire…».
Harry strinse la mano a Ginny; Molly già piangeva, come Hagrid seduto in ultima fila si soffiava sonoramente il naso.
«Vuoi tu, Ted Remus, prendere Victoire Apolline come tua sposa?».
«Sì, lo voglio».
Adesso anche Andromeda singhiozzava silenziosamente nel suo fazzoletto di seta scura.
«Vuoi tu, Victoire Apolline, prendere Ted Remus come tuo sposo?».
«Sì, lo voglio».
L’officiante levò la bacchetta sopra le loro teste ed una pioggia di stelle li coprì, avvolgendoli in una spirale mentre si abbracciavano. I presenti applaudirono ed una serie di palloncini bianchi e candide colombe furono fatti volare. Gli sposi furono circondati dagli invitati che si volevano congratulare con loro e nel frattempo qualcuno spostò le sedie e fece apparire i tavoli per il buffet. Una volta liberi Teddy e Vic diedero il via alle danze.
Harry ballò a lungo con Ginny: era sempre impacciato, ma erano settimane che non avevano un po’ di tempo solo per loro. Nel vedere Albus trascinato in pista da un’agguerrita Alice, rise insieme alla moglie.
«Potter, facciamo cambio di dame».
La voce fredda e strascicata di Draco ruppe l’incantesimo e lo riportò alla realtà.
«Sei impazzito, Malfoy?».
Volteggiarono un altro po’ in silenzio, Harry con la palese intenzione di allontanarsi da Draco, ma senza riuscirvi.
«I Babbani lo fanno. Tu non adori i Babbani?».
Harry era sul punto di rispondergli che non gliene fregava nulla dei Babbani, ma l’altro fu più rapido ed ebbe a malapena il tempo di stringere la mano di Astoria. Troppo stupito per l’audacia dell’altro non si ribellò subito e la donna si accostò di più, tanto che i loro nasi quasi si sfiorarono.
Astoria sussurrò: «I Neomangiamorte ci hanno contattato. Vogliono che ci uniamo a loro».
Harry le fece fare una giravolta, turbato dalle sue parole.
«Draco ha litigato con Lucius, non si parlano da settimane. O ci uniamo a loro o ne subiremo la vendetta».
L’altro la fece volteggiare ancora, senza proferire parola.
«Draco vorrebbe fare come Severus Piton. Ti prego dissuadilo».
Harry sbigottito non seppe cosa replicare.
«Almeno proteggi Scorpius. È solo un ragazzo, non ha nessuna colpa» supplicò Astoria.
«Stai tranquilla».
Con un gesto rapido Astoria e Ginny si scambiarono di nuovo. Le due coppie si allontanarono, per non destare più attenzione di quanto avessero già fatto. Harry percepì addosso lo sguardo perforante di Kingsley poco distante.
«Draco parlerà con te alla prossima riunione per il Torneo Tremaghi. Ti chiede di non mandare mio fratello, perché finirebbero per schiantarsi a vicenda» gli comunicò Ginny, attirando la sua attenzione.
«Andrò personalmente».
«Harry, quant’è grave la situazione?».
«Non è il momento. Parleremo poi. Ora festeggiamo».

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Capitolo 6
*** Per il Bene Superiore ***


Capitolo sesto

Per il Bene Superiore

«Harry, per piacere, parla con James».
L’uomo era appena rientrato dal Ministero insieme a Ron ed Hermione.
«Che ha combinato?» domandò stanco ed esasperato alla suocera.
«Stamattina sono arrivate le lettere da Hogwarts. Ha letto la sua e senza dire nulla si è chiuso nel capanno degli attrezzi. Si è rifiutato di pranzare ed ha accettato di parlare solo con Albus».
Proprio in quel momento scesero Rose ed Al dal piano di sopra.
«Che ha tuo fratello?» chiese subito Harry al figlio.
«È meglio che ci parli di persona».
Harry sbuffò e senza indugiare oltre uscì in giardino e si diresse al capanno degli attrezzi. «James, sono papà. Avanti aprimi».
Il ragazzo tolse il chiavistello e lo fece entrare.
«Allora, che sono questi capricci da bambino!? Hai quindici anni, James! Per l’amor di Merlino, fai preoccupare tutti! Il tuo è un comportamento assurdo» sibilò subito.
James non si scompose e richiuse la porta, poi si voltò verso di lui.
«Se fossi rimasto di là, si sarebbero impicciati tutti… dovevo capire…».
«Capire che?» s’irritò di più Harry, che non aveva voglia di parlare per enigmi.
«Senti papà, ma la McGranitt l’hai vista ultimamente? Sta bene?».
Harry, colto di sorpresa dalla domanda, lo squadrò per un attimo poi rispose: «Sì, ci siamo visti. Io e Terry Steeval ci stiamo occupando della protezione di Hogwarts. Sta benissimo a parte magari gli acciacchi dell’età».
«Sì, ma ragiona?».
Harry sbuffò: «Sto davvero perdendo la pazienza. La McGranitt ragione meglio di te e me messi insieme. Dimmi quello che ti passa per la testa o me ne torno dentro, e se vuoi continuare a stare qui, fa’ pure».
«Io, cos’ho in testa? Lei! Guarda!».
James estrasse dalla tasca dei jeans la lettera di Hogwarts ormai tutta strappata e spiegazzata. Si avvicinò al padre, gli prese la mano e la girò in modo che volgesse verso di lui il palmo aperto. Harry lo lasciò fare in attesa. Infine James capovolse la busta e lasciò cadere sulla sua mano una spilletta. Harry ancora più sorpreso la osservò: con un sorriso non poté fare a meno di avere un déjà-vu, era la stessa spilla argentata che avevano ricevuto Ron e Hermione; la stessa che al suo primo anno aveva visto sul petto di Percy. Sollevò lo sguardo sul figlio maggiore, che lo scrutava in attesa con le braccia conserte. La situazione era così assurda, che scoppiò a ridere e per un attimo si dimenticò della stanchezza e delle sue preoccupazioni.
«Non c’è nulla da ridere» esclamò offeso James.
«No? James, hai un ragno sulla spalla» replicò Harry con un ghigno.
Il ragazzo sobbalzò e cominciò a colpirsi la spalla.
«È solo un ragnetto, Jamie. Non fare come zio Ron, per favore».
James smise di agitarsi e riportò l’attenzione sulla loro discussione. «Papà, io non posso essere un Prefetto! È una tragedia!» sbraitò.
«Perché mai?» domandò Harry pazientemente.
«Uno. Danny mi ucciderà. Voleva lui la spilla. Ci teneva tantissimo! Due. Tylor mi prenderà in giro in eterno. Tre. Freddie e zio George… non mi potrò più fare vedere in giro… mi disconosceranno…», poi sgranò gli occhi come preso da una folgorazione improvvisa, «… dovrò rispettare le regole e studiare?».
«È pronta la cena. Nonna ha detto di venire» la voce di Albus arrivò loro attutita dalla porta di legno.
«Arriviamo, Al» rispose Harry.
«Al, lo sa. Dovevo sfogarmi con qualcuno. Era l’unico che speravo non mi avrebbe preso in giro».
«L’ha fatto?».
«No, anche se non sono sicuro che ancora l’abbia pienamente accettato. Insomma è lui quello bravo e studioso, non io. Lui sì, che aspira a questa spilla. Perché io?».
«E che ne so. Chiedilo alla McGranitt. Avrà avuto i suoi motivi. Ti va di andare a mangiare? Ci stanno aspettando».
«Neanche per sogno. Vai tu, poi tu od Al mi portate qualcosa».
«Scordatelo, se vuoi mangiare entri» replicò con fermezza Harry.
«E gli altri?».
Harry lo sollevò quasi di peso dallo scatolone su cui si era accomodato. «Adesso, smettila di fare i capricci. Che te ne frega degli altri? Io e mamma siamo fieri di te. Per premiarti ti faremo un bel regalo. Che cosa vuoi?».
«Qualunque cosa?» chiese James illuminandosi in volto.
«Qualunque».
«Quindi anche una moto volante?».
Harry si voltò e lo scrutò: «Scordatelo».
«Avevi detto qualunque cosa! E poi Oliver Baston l’ha regalata a Danny!».
«E tu non ci salirai! Chiaro? Puoi chiedere quello che vuoi nei limiti del possibile».
«Limiti che stabilite tu e mamma, naturalmente» disse scocciato.
«Esattamente».
James sbuffò e borbottò qualcosa che suonò tanto come che bella fregatura, ma Harry lo ignorò. Avvicinandosi alla porta di casa sentirono le voci degli altri famigliari: dovevano già essersi riuniti tutti per la cena!
«Io non entro. Ho una reputazione da difendere».
Questa volta toccò ad Harry sbuffare e si fermò a fronteggiarlo; ancora stringeva tra le mani la spilla di Prefetto e nonostante le sue proteste gliel’attaccò alla maglietta. Ignorò le sue lamentele e lo trascinò dentro. Con sorpresa di entrambi, gli altri non erano in cucina, ma in salotto. A mezz’aria galleggiava uno striscione con la scritta: Congratulazioni Dominique nuova Caposcuola di Grifondoro. James gemette ed Harry trattenne a stento una risata. Pose un braccio attorno al collo del figlio ed attirò l’attenzione dei presenti.
«Credo sia il caso di modificare lo striscione» disse e nel farlo ed agitò la bacchetta, modificando la scritta: Congratulazioni Dominique nuova Caposcuola e James nuovo Prefetto di Grifondoro.
 Il vociare si spense e tutti li osservarono sorpresi, James stava già meditando di buttarsi dalla Torre di Astronomia quando nonna Molly strillando qualcosa tipo Oh il mio Jamie, lo stritolò in uno dei suoi abbracci. Subito dopo anche la mamma e gli altri cominciarono a complimentarsi con lui. Albus, con un sorriso complice, gli diede il cinque. Forse aveva accettato la sua nomina. Gli unici che erano rimasti in silenzio e distanti erano stati Lily, Fred, zio George, Rose e Dominique. Non che non se lo fosse aspettato.
Non sopportando i loro sguardi si avvicino alla cugina più grande, le sorrise un po’ forzatamente (si vedeva lontano un miglio la sua ostilità e farsi nemica Dominique Weasley non era mai una mossa saggia, figuriamoci ora che era Caposcuola): «Complimenti, Domi».
«Anche a te» rispose lei laconicamente, probabilmente per mantenere la facciata: che cosa pensasse realmente, l’avrebbe scoperto in assenza degli adulti.
Nonna Molly aveva preparato un piccolo buffet ed iniziarono a mangiare parlando animatamente ed in ogni conversazione inevitabilmente entravano i nomi di James e Dominique, che venivano incastrati ora dall’uno ora dall’altro zio.
«Sono davvero sorpreso, James! D’altronde la professoressa McGranitt deve aver avuto dei buoni motivi per nominarti Prefetto! È il primo passo per diventare Caposcuola! Pensandoci sia Teddy, Vic, la mia Molly e Domi lo sono stati perciò stai percorrendo la strada di famiglia! Bravo, hai dato una bella soddisfazione ai tuoi! L’unico che non è stato nominato Prefetto è Fred, ma non mi sorprende…».
James deglutì a quelle parole, cercò con lo sguardo il cugino: era in un angolo con Rose e Lily. Ogni tanto lo occhieggiavano malevolmente: gli avrebbero reso la vita impossibile! Perché tutte a lui?
«Fred è il Capitano di Grifondoro, zio Percy» replicò.
«Sì, sì il Quidditch ha la sua importanza ma dev’essere accompagnato dallo studio… Hai deciso cosa ti piacerebbe fare dopo i M.A.G.O.? Da piccolo volevi seguire le orme di tuo padre».
«Infatti e non ho cambiato idea. Voglio entrare in Accademia dopo il diploma» rispose pazientemente: prima o poi si sarebbe stancato o no?
«Potresti prendere in considerazione anche un impiego diverso al Ministero o fare il pozionista… Pensaci, James, sono tempi bui… Tua madre starebbe più tranquilla…».
Ah, ecco dove andava a parare pensò, ma suo fratello lo salvò dal dare una risposta.
«Scusa, zio, ho bisogno di Jamie. È importante».
James si lasciò trascinare in cucina e lo scrutò stupito. «Che succede? Cioè ti sono grato di avermi salvato dalle sue grinfie, ma…?».
Albus prese un bel respiro e poi parlò: «Intanto ti devo chiedere scusa. All’inizio quando me l’hai detto, mi sono arrabbiato. Insomma ti metti sempre nei guai e ti becchi un sacco di punizioni… e poi tu sei un grande Cercatore, e mamma e papà sono orgogliosissimi quando ti vedono giocare… io me la cavo nello studio e pensavo che insomma… io avrei avuto quella spilla, solo io… avrei avuto qualcosa in più di te…».
«Qualcosa più di me? Cavoli, Al! La prossima volta che sali su una scopa ti riprendo con una telecamera babbana! Sei molto più bravo di me! E mamma e papà lo sanno! Tu sei quello di cui non si devono mai preoccupare, mentre io li do un sacco di grattacapi! E poi io la spilla non la volevo. So benissimo che sei tu quello che la meriti».
I due fratelli si abbracciarono.
«Ah, ho sentito Rose e gli altri parlottare… Vogliono la tua testa…».
James emise un fischio sommesso. «L’avevo immaginato e credo che Dominique non sia nemmeno felice della mia nomina».
«Quando papà ha cambiato lo striscione, sembrava volervi saltare addosso. Le hai rovinato il suo momento di gloria. Lo sai che è molta ambiziosa e dopo il fallimento di Molly ai M.A.G.O. ha l’opportunità di dimostrare a zio Percy di essere la migliore».

*

Il gatto decapitato.
Esiste un proverbio babbano che afferma che “la veste non fa il monaco”, o più semplicemente l’apparenza inganna. Eppure se un locale si chiamava Il gatto decapitato e si trovava a Nocturn Alley, beh difficilmente avrebbe potuto essere qualcosa di diverso dall’apparenza. La ‘p’ stava a penzoloni ed oscillava ad ogni minimo colpo di vento. Lo spiazzo su cui dava l’ingresso era buio e sudicio. E vi era un tanfo di urina, che lasciava nauseati.
Un ragazzo si avvicinò al pub, gettando occhiate preoccupate intorno a sé. Strinse forte la bacchetta: a quell’ora si poteva incontrare chiunque. Sospirò e si scostò dagli occhi con la mano sinistra alcune ciocche dei suoi folti e disordinati capelli neri. Il proprietario gli rivolse un ghigno malevolo quando entrò. Un uomo onesto probabilmente l’avrebbe bloccato e non l’avrebbe fatto entrare: era minorenne e quello non era un posto per ragazzini. In confronto la Testa di Porco di Hogsmeade era un luogo gradevolissimo. Naturalmente non era onesto e tutti i delinquenti di Nocturn Alley si radunavano lì: anche se ci fosse stato un blitz della Squadra Speciale Magica, Angus Blackwood avrebbe protetto i suoi avventori. No, non certo per bontà. Solo per mera convenienza: d’altronde era anche lui un delinquente. Si diceva che sottobanco commerciasse di tutto.
 La maggior parte degli avventori a quell’ora era ormai ubriaca e vi erano dei principi di rissa, che il proprietario si affrettava a sedare per timore che li sfasciassero tutto il locale. Proprio in quel momento due ladruncoli da quattro soldi si avventarono uno sull’altro sbarrandogli il cammino. Li conosceva di vista, ma non intervenne: quella era gente che estraeva facilmente i coltelli. Angus si gettò a dividerli e gli occhi del ragazzo caddero sulla porta dietro il bancone che dava su alcune stanze contenenti slot machine babbane ed altre usate per riunioni in vista di qualche colpo. Sgranò gli occhi riconoscendo i tre uomini, che si infilarono lì approfittando del caos. Nessuno a parte il ragazzo li aveva notati e loro per sua fortuna non l’avevano visto. Da sotto la maglia estrasse un rattrappito mantello dell’invisibilità. Non era quello vero e la magia presto si sarebbe esaurita e non avrebbe potuto applicarne una nuova prima di tornare a Scuola, se non rischiando di incorre in sanzioni ministeriali. Gettò un’occhiata agli altri avventori: la rissa era definitivamente scoppiata ed Angus ne era stato coinvolto. Si coprì rapidamente e seguì i tre uomini. Erano entrati nella stanza più lontana. Il ragazzo tirò fuori un paio di orecchie oblunghe, ma purtroppo i tre non erano degli sciocchi sprovveduti: avevano gettato sulla porta un Incantesimo Imperturbabile. Allora risalì il corridoio e tenne il tempo di quanto stessero lì dentro. Intelligentemente i tre uscirono separatamente. La rissa si era calmata ed avrebbero dato nell’occhio. Erano sì tutti delinquenti, ma il ragazzo sapeva che il Ministero pagava bene i suoi informatori e certa gente non conosceva la parola lealtà. Appena furono usciti tutti e tre, tornò nella stanza principale e si tolse il mantello solo dopo essersi avvicinato alla porta del bagno. Comunque nessuno aveva fatto caso a lui, Angus inveiva ancora con alcuni dei suoi avventori che a quanto pare gli avevano fatto un bell’occhio nero. Si avvicinò al padre, che dormiva con la faccia su un tavolo.
«Ehi piccolo Jackie» lo apostrofò un uomo seduto al tavolo vicino, dove si giocava a poker babbano. «Tuo padre stasera ha perso un più di un centinaio di galeoni. A chi li aveva fregati?». L’uomo rise sguaiatamente e Jack lo salutò con un mano, per poi sollevare quasi di peso il padre e portarlo fuori da lì. Se qualcuno dei suoi compagni di Scuola l’avesse visto in quel momento avrebbe capito che il Cappello Parlante quella benedetta sera di quasi cinque anni prima non era impazzito smistandolo a Tassorosso. I soldi che si era giocato il padre erano i suoi. Gli aveva guadagnati lavorando per tutte le vacanze in una pizzeria babbana. Era stato uno stupido ingenuo a pensare che il padre non avrebbe guardato nel suo baule di Scuola.
«Oggi, oggi avevo quasi vinto» biascicò suo padre. «Te lo assicuro, Jack. Quell’imbroglione di Tylor aveva un asso in più nella manica rispetto a me».
Jack non replicò, in fondo non era necessario: tra l’alcool ed il sonno suo padre diceva frasi sconnesse, che non volevano davvero una risposta. La cosa buffa è che suo padre chiamava imbroglione l’altro solo perché aveva nascosto più carte rispetto a lui sotto il mantello. Davvero se quella situazione non fosse stata la sua vita di sempre, avrebbe anche riso; invece in quel momento aveva solo voglia di urlare e rompere qualcosa.

*

Harry Potter non amava scendere a compromessi con i ladruncoli da quattro soldi e meno che mai chiudere gli occhi davanti ai loro crimini in cambio di valide informazioni; però se qualcuno l’avesse seguito quel giorno forse gli avrebbe dato dell’incoerente, ma la sua tendenza a fare l’eroe, come diceva Hermione, non l’aveva mai abbandonato. Arrivato presso la Gelateria di Florian Fortebraccio, da anni ormai gestita dal figlio Francis, notò subito il ragazzo che cercava, ma lasciò che fosse lui a fare la prima mossa.
«Buongiorno, signor Potter! Come mai da queste parti?».
«Ciao, Jack. Piccola pausa. Tu come stai?» disse avvicinandosi e stringendogli la mano. Il ragazzo sorrise in modo stiracchiato e rispose: «Come sempre».
Aveva usato una voce squillante, ma come il sorriso era stata forzata. Harry se ne sorprese: di solito era molto più spontaneo.
«Volete ordinare?».
La cameriera prese le loro ordinazioni e li lasciò soli, ma intorno a loro c’era un grande via vai per cui continuò a parlare del più e del meno.
«Allora sei pronto per tornare ad Hogwarts?».
«Come ogni anno» replicò Jack conciso.
Dissero qualche altra parola di circostanza ed appena la cameriera mise loro davanti le coppe di gelato iniziarono a mangiare.
«Rabastan Lestrange, Thomas Rosier e Denver Green» disse Jack all’improvviso. Harry non alzò gli occhi dalla coppa, ma annuì. «Al Gatto decapitato. Ieri notte. Hanno parlato per una mezz’oretta. La porta era imperturbata. Non ho sentito nulla».
«Grazie».
Finirono di mangiare in silenzio ed Harry fece per alzarsi. Jack lo bloccò.
«Questa volta voglio essere pagato per la mia informazione».
Harry lo fissò per un attimo e tornò a sedersi: Jack aveva solo quindici anni, ma nei loro incontri si atteggiava come se fosse più grande. James, però, gli aveva raccontato che a Scuola era un ragazzo come gli altri, un po’ esuberante e dotato di una spiccata intelligenza. Ora sembrava a disagio.
«Ti darò dei soldi, ma devi dirmi a che ti servono». James avrebbe commentato che non poteva comportarsi da padre con tutti ed Hermione che non poteva aiutare tutti i ragazzi problematici.
«Allora non me li dia. Non è necessario. Anzi è meglio che io non ne abbia: mio padre finirebbe per beverseli o giocarseli».
«E che vuoi?».
«I libri di testo del quinto anno. Anche di seconda mano, purché non debba passare l’anno a farmeli prestare od a cercarli in biblioteca».
«Scusa ma i soldi che la McGranitt ti dà dal fondo per gli studenti con difficoltà economiche?».
«Mio padre li ha persi a fine luglio».
«Hai bisogno di altro per la Scuola?».
Jack lo osservò per un attimo ed Harry non ignorò il guizzo speranzoso che avevano avuto i suoi occhi.
«N-no io ho tutto».
«Su, non fare lo scemo. Se è perché ti vergogni non lo saprà nessuno. Nemmeno i miei figli, nei puoi star certo».
«La divisa mi sta corta e stretta. Non riesco più a sistemarla con la magia e mi servirebbero piume, inchiostro ed il mio kit di pozioni è quasi inesistente».
«Avrai quello che ti necessita. Ora, però, devo andare».
«Signor Potter» lo richiamò, «Io non voglio queste cose perché mi vergogno degli altri».
«E perché?» chiese Harry, leggendo nei suoi occhi determinati ed orgogliosi la necessità di spiegarglielo.
«Per questa per esempio». Jack tirò fuori dalla tasca una spilla, identica a quella di James, solo che al posto del leone rampante vi era un tasso. «La McGranitt e Mcmillan mi hanno sempre sostenuto ed adesso con questa stanno dicendo che hanno fiducia in me. Non posso deluderli. E poi questo è l’anno dei G.U.F.O. se non vado bene, non diventerò mai uno dei suoi uomini».
Harry sorrise ed annuì: «Complimenti, Jack. Sono sicuro che non spenderò soldi invano. In fondo il mio è un investimento per il futuro! Mi rifarò quando sarai ai miei ordini» disse strizzandogli l’occhio, poi tornando serio aggiunse: «Però vorrei che mi ubbidissi anche ora».
«Che cosa vuole che faccia?».
«Stare fuori dai guai. Sei uno di quei tre ieri ti avesse visto, ora non saresti qui a raccontarlo».
Jack scosse la testa: «Nessuno avrebbe pianto per me, mentre così le ho dato una mano».
«Non dire scemenze!» si irritò, con la voglia di tirargli un ceffone. «Tuo padre è quel che è, ma ti vuole bene. E poi sei un bravo ragazzo, più gente di quanto pensi sentirebbe la tua mancanza».
«Se lo dice lei» replicò il ragazzo, tanto per dargli ragione.
Harry sospirò: «Per fortuna fra due giorni tornerai ad Hogwarts e starò più tranquillo».

*
 
«Louis… Louis… su, svegliati… è tardi!».
Il ragazzino aprì gli occhi e si trovò davanti il sorriso del padre.
«Ciao» biascicò con tutta la voglia di tornare a dormire.
«Gli altri sono già in spiaggia. È l’ultimo giorno di vacanza… io non lo passerei chiuso qui dentro se fossi in te».
«Che ore sono?».
«Le undici passate».
«Mi sono addormentato tardi… dovevo assolutamente leggere la fine del romanzo» ammise.
«Sì, lo so. Ti sconsiglio di fare così anche ad Hogwarts o il giorno dopo non capirai nulla a lezione».
Louis annuì.
«Alla fine zio Emile ha capitolato: Valentin partirà con voi domani».
«Evvai» replicò il ragazzino, mettendosi a sedere sul letto.
Bill si alzò e prese una cesta che aveva lasciato ai piedi del letto.
«Questo è un regalo da parte mia e di mamma».
Louis osservò con attenzione la cesta che il padre aveva appoggiato sul letto e da cui proveniva una specie di miagolio. Spostò la coperta, che la copriva, e rivelò un gattino dal pelo rossiccio; era minuscolo e stranamente aveva le orecchie un po’ appuntite.
«È uno kneazle?» chiese eccitato.
«Sì, sei contento?».
«Grazie mille» rispose lui gettandogli le braccia al collo. Bill strinse a sé il figlioletto: sembrava più piccolo rispetto a Vic e Domi alla sua età, ma soprattutto così terribilmente indifeso ed ingenuo.
«È maschio o femmina?» domandò Louis.
«Femmina». L’aveva scelta apposta: i kneazle erano animali protettivi e per natura le femmine lo erano di più, forse non era scientifico, ma sarebbero cresciuti insieme e si sentiva un po’ più tranquillo. «Sai già come chiamarla?».
Louis rifletté per qualche secondo poi disse: «Cliodna».
Bill sorrise dolcemente, non aspettandosi un nome meno complesso da parte sua.
«Nella cesta c’è tutto il necessario. Vieni a fare colazione adesso».
Louis lo seguì obbediente al piano di sotto.

*


Villa Conchiglia si ergeva solitaria su una scogliera rivolta verso il mare e la risacca del mare era una dolce ninna nanna per i suoi abitanti.
Era l’ultimo giorno di vacanza e tutta la famiglia Weasley-Potter era riunita lì con gli amici per festeggiare il tredicesimo compleanno di Roxi e Lucy. I ragazzi avevano invaso la casa fin dalla mattina per godersi il mare e la spiaggia. Entravano ed uscivano dalla villetta in costume da bagno. Un vero e proprio addio alle vacanze. Bill fece fare molti giri ai nipoti con la barca a vela ed ad alcuni cercò di insegnarli come manovrarla.
La torta fu tagliata nel pomeriggio perché Frank e le sorelle avrebbero dovuto cenare a casa del nonno materno.
C’era chi giocava con il pallone, qualcuno con una pluffa rossa, altri entravano ed uscivano dall’acqua.
«Un momento di attenzione» disse zio George, chiamandoli tutti. I ragazzi curiosi si avvinarono allo zio.
«Tsk se li avessimo detto noi di uscire, ci avrebbero fatto disperare» borbottò Ginny alle cognate che sorrisero e ridacchiarono.
«Ho l’onore di presentarvi l’ultimo prodotto Tiri Vispi Weasley che sarà in commercio da domani!» annunciò George entusiasta. «Ci lavoro da secoli. Rivoluzionerà tutto il mondo della magia!».
«Dobbiamo preoccuparci?» sospirò nonna Molly.
«Ma no cara, George non farebbe mai nulla che potrebbe mettere in pericolo i ragazzi» replicò nonno Arthur, ma nemmeno egli ne era molto convinto.
«Ho preso l’idea dagli specchi gemelli» continuò George, «Volevo applicare lo stesso principio su più larga scala e ce l’ho fatta!».
Tutti lo fissarono tra il sorpreso e lo smarrito.
«In che senso, zio?» chiese Albus.
«Spiegazione semplice anche se incantesimo complesso!».
«E lui non si vanta mai…».
«Percy lascia stare tuo fratello» lo richiamò la madre.
«Sì, sì Perce la tua è solo invidia… presto sarò famoso più di te…».
«Dai George, pendiamo tutti dalle tue labbra… come volevi… adesso spiegaci…» lo esortò Angelina.
«Come vi dicevo il mio obiettivo era quello di creare un modo di comunicare semplice e rapido… Insomma i gufi ci mettono un sacco di tempo e poi hanno anche altri spiacevoli e disgustosi difetti… inoltre i Babbani sono anni luce avanti da questo punto di vista… Allora ho studiato un paio di specchi gemelli… Ho creato degli specchietti più piccoli e che si possono collegare con molti altri e non uno solo».
George da una scatola tirò fuori degli specchietti come quelli usati quotidianamente dalle ragazze, ma dai colori diversi. «Rosso e oro per i Grifondoro, verde argento per Lucy, blu bronzo per Fabiana e giallo nero per Arthur… Ah, questo è per te Louis blu, te lo personalizzo dopo lo Smistamento se vuoi… Naturalmente da lunedì saranno in vendita anche le foderine personalizzate…».
I ragazzi iniziarono ad osservare lo specchietto.
«Naturalmente la magia deve essere migliorata… per ora funziona per un numero ristretto di persone e ad una certa distanza… Per quanto riguarda le persone è più facile… per la distanza: per esempio da Hogwarts a Londra non funziona, ma Hogwarts, Hogsmeade ed i territori circostanti funziona benissimo… oppure per tutta Londra e dintorni… Avanti, provate… Ah, nome e cognome».
«Io, io» strillò Lily, che aprì il suo specchietto e disse «Hugo Weasley».
Il cugino strillò a suo volta «Cavoli si è illuminato! E c’è la tua faccia Lily!».
«E meno male che tu hai l’intelligenza di tua madre!» lo schernì Lucy, altrettanto felice.
«Zio ti prego dammene uno anche per Ali e Marce… Ti prego, ti prego…» supplicò Lily.
«Già, preparati! Tra malandrini ci si aiuta, d’altronde… e ce n’è anche per voi fratellini» replicò George, strizzando l’occhio a Lily sotto lo sguardo severo di Ginny e nonna Molly.
«Sai che potrebbero servirmi per la squadra?» chiese Harry ammirato.
«Sicuro, aspetto che il Ministero mi renda ricco per l’eternità!».
I ragazzi circondarono lo zio riempiendolo di domande. «Al, per Merlino, fai domande troppo difficili! Che ne so io di incantesimi sperimentali!» sbottò George ad un certo punto.
«Sai, che gli incantesimi sperimentali si dichiarano?» chiese Percy, squadrandolo attentamente.
«Sai che sei un rompi pluffe ed Harry, per Merlino, fa qualcosa prima che tu figlio diventi peggio di Percy!».
Harry rise e lasciò che Hermione soddisfacesse la curiosità del figlio. «È solo curioso, George».
A poco a poco i ragazzi tornarono a divertirsi per conto loro e gli adulti sedettero sotto il gazebo, mentre aspettavano l’ora di cena.
Dominique trascinò Matthew in un angolo di spiaggia lontano e circondato da scogli ed iniziarono a baciarsi.
«Mi sei mancata, Caposcuola Weasley!».
«Anche tu Caposcuola Fergusson».
Matthew sedette su uno scoglio vicino alla riva e scrutò il mare, mentre sul suo volto si formava un’espressione nostalgica e mesta.
«Che hai?» gli chiese Dominique, sedendosi accanto a lui.
«È l’ultimo anno. Non hai paura?».
«A me la Scuola annoia… Però, sì ho un po’ di paura… Una specie di vertigine… Sai, l’idea di essere nel mondo reale… insomma è la sua enormità che mi spaventa… non è Hogwarts».
«Mi mancherà la Scuola e non ho molta voglia di affrontare il mondo reale… mi pare una gran schifezza… senza contare quello che sta succedendo…».
Dominique lo baciò a fior di labbra ed avvolse la sua stretta vita con le braccia ben abbronzate.
«Mi dispiace che i tuoi non vogliano accettare il nostro mondo…».
«Non è che non vogliono» sospirò Matthew, «Li scoccia il fatto che non sanno dove trascorro nove mesi l’anno… Sono molto apprensivi e pensano il peggio… per cui quando sono a casa mi fanno il terzo grado, mi tengono d’occhio di continuo e se fosse per loro non dovrei nemmeno uscire…».
«Ma che pensano che Hogwarts sia un posto dove si spaccia e si fuma dalla mattina alla sera? Una specie di Nocturn Alley?» ridacchiò Dominique.
«Tu scherzi, ma loro lo pensano davvero…».
«Allora non conoscono la McGranitt… E nemmeno loro figlio…Ma andiamo, Matthew! Sei un Caposcuola! Il miglior allievo del nostro anno! Tutti i professori ti adorano e fra parentesi credo anche i miei genitori… Quando li ho comunicato di aver lasciato Edmund e di essermi fidanzata con un altro… temevano che fosse qualche mezzo delinquente… Alle volte penso che non abbiano un minimo di fiducia in me… poi ti hanno visto al matrimonio…».
Sta volta fu Matthew a ridacchiare. Si coccolarono per un po’, mentre il sole iniziava a scendere sull’orizzonte.
«Vorrei tanto che i miei potessero venire ad Hogwarts…» sussurrò il ragazzo.

*

«Molly».
La ragazza si voltò verso il suo fidanzato. Aveva uno sguardo duro e fiero.
«Mi dispiace, Arion. I miei sono degli scemi».
«La famiglia non ce la possiamo scegliere. Non hai mai visto mio nonno…».
«Mio padre non doveva cacciarti».
«Non fa niente… Ceneremo insieme un’altra volta… Intanto siamo rimasti insieme tutta la giornata».
«Ci mancava pure! La spiaggia non è sua! Comunque ho deciso, Arion».
«Cosa?».
«Non rimarrò qui questa sera. Non voglio più stare sotto il loro stesso tetto. Portami con te. A tuo padre darebbe fastidio?».
«Villa Greengrass è enorme. Mio padre non avrà problemi. Non ha gli stessi pregiudizi di mio nonno, per fortuna. Sarai la benvenuta. E poi se vorrai cercheremo un appartamento a Londra. Sono l’erede dei Greengrass ed in quanto maggiorenne posso già usufruirne».
«Ti amo, Arion» disse ella baciandolo.
«Anche io ti amo, Molly».

*

Ad un certo punto Rose ed Hugo si avvicinarono agli adulti sotto il gazebo, la prima con un cipiglio combattivo in volto.
«C’è qualche problema, Rosie?» chiese Hermione.
«Sì» rispose e si sedette a braccia conserte sulla sedia lasciata libera poco prima dalla nonna, che era andata a controllare la cena con zia Angelina e zia Fleur.
Tutti smisero di parlare e la osservarono in silenzio. «È vero che pensano di nominarti Ministro della Magia?» chiese la ragazzina a bruciapelo.
«Sì, ma non sono l’unica candidata» rispose Hermione, con evidente orgoglio e soddisfazione.
«Perché non hai chiesto il nostro parere?».
Il sorriso sul volto della madre vacillò. «Credevo che ne sareste stati felici e poi non siete mai interessati al mio lavoro…».
«Non trovare scuse… la verità è che ti interessa di più la tua carriera!».
«Ma che dici, Rose! Voi e papà siete la cosa più importante per me!».
«Tutte parole!» gridò Rose. Si alzò e corse via.
«Hugo…» provò Hermione, rivolgendosi al figlio minore.
«Ha ragione, Rose! Non te ne frega niente di noi! Fa pure il Ministro! Chi se ne frega!» disse questi e scappò via.
«Come fanno a pensare una cosa del genere?» chiese Hermione agli altri in cerca di aiuto.
«Dopotutto non hanno torto… ed è anche un periodo difficile» disse mesto Ron, che non trovava nulla di strano nel fatto che la sua geniale moglie raggiungesse un tale obiettivo: avrebbe potuto scommetterci da quando avevano undici anni!
Hermione lo scrutò ad occhi sbarrati e poi borbottò qualcosa sul dover aiutare la suocera e le cognate.
«Quali sono gli altri candidati?» chiese nonno Arthur.
«Percy, Mary McDonald e Gawain Robards» rispose Ron.
«Tu che ne pensi, Harry?» chiese Bill.
«Viste le circostanze chi sarebbe più adatto?» chiese nonno Arthur.
«Hermione».
«Harry, per Merlino! Ma non hai sentito Rose ed Hugo?» chiese Fleur.
«Sì, ma viste le circostanze ho bisogno di qualcuno che collabori con noi e non che intralci le indagini. Gawain Robards è intollerante, non sarebbe mai un buon Ministro. Mi ricorda tanto Barty Crounch. Percy, alle volte si impunta e non ascolta nessuno. Ne abbiamo parlato e abbiamo discusso per cui… Ho paura di un nuovo Cornelius Caramell… bisogna agire subito ed in modo deciso! Mary McDonald potrebbe essere un’ottima Ministra, ma non ci lascerebbe carta bianca come Hermione. È questo il problema!».
«Harry, se qualcuno ti sentisse adesso! Sembra che tu voglia manipolare il Ministero! Le tue intenzioni sono buone, ma non ti conviene farti attaccare» lo avvertì Bill, come sempre diplomatico.
«Che cosa dovrei fare io?» chiese Ron funereo, «Devo spingere mia moglie a fare qualcosa che farà soffrire i nostri figli e noi?».
Harry non rispose, nella sua mente risentì le parole di Albus Silente: Adesso la vedi, Harry? Vedi la pecca nel mio piano geniale? Ero caduto nella trappola che avevo previsto, che mi ero sforzato di evitare, che dovevo evitareMi ero troppo affezionato a te.
Si passò una mano sul volto. Rose ed Hugo avrebbero sofferto, si sarebbero sentiti traditi.
Che cosa importava che in un lontano futuro fossero massacrati sconosciuti senza nome né volto, se nel presente tu eri vivo e felice?
No, non era così facile, Alla fine anche Silente aveva ceduto ed aveva delineato un piano, che aveva fatto soffrire molti. Ma quanti altri in caso contrario sarebbero morti? Sospirò non c’era altra scelta.
«Sì, Ron. Hermione deve diventare Ministro della Magia».
Per il Bene Superiore.
 
Angolo dell’autrice:
Ciao a tutti! Sono tornata con un nuovo capitolo! Spero ne siate felici.
Questo è un capitolo un po’ di passaggio: appare qualche nuovo personaggio che sarà importante in futuro (Jack, non so se avete capito di chi è figlio); ho voluto far diventare James Prefetto per delle buone ragioni (almeno dal mio punto di vista), che probabilmente farò spiegare alla McGranitt più avanti (voi che ne pensate?); infine le scene dedicate a Domi e Molly: le loro storie sono secondarie rispetto alla trama principale della fanfiction, ma mi piace dare un po’ di spazio anche a loro ogni tanto. Sinceramente ho difficoltà a pensare che Percy sia cambiato particolarmente dalla guerra: ha sempre bisogno di tempo per accettare i pareri diversi dai suoi ed immagino che anche Audrey sia una donna orgogliosa e testarda. Inoltre penso che sia inevitabile che i genitori Babbani si chiedono che cosa facciano i figli ad Hogwarts (certo i genitori di Matthew sono parecchio paranoici) e secondo me sarebbe fantastico se potessero visitare almeno una volta il castello.
Se vi va, ditemi che cosa ne pensate del capitolo o di come la storia si sta sviluppando.
Vi auguro un buon week end.

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Capitolo 7
*** In viaggio ***


Capitolo settimo.

In viaggio

«Ragazzi, mi raccomando: studiate e comportatevi bene! Guai a voi se mi arrivano delle lettere da Hogwarts! Parlo soprattutto con voi due» disse Ginny Potter osservando con severità i figli e soffermandosi su James e Lily.
«Su, mamma… quest’anno le faccio io le regole! Sono Prefetto!» celiò James prima di cogliere l’espressione minacciosa della madre. «Ok, ok niente lettere e niente guai».
«James, hai i G.U.F.O. quest’anno! Harry, per Morgana, dì loro qualcosa!».
Harry, che fino a quel momento aveva osservato Jack parlottare con il Caposcuola di Tassorosso, si voltò verso la moglie. «Lily smetti di ridere» richiamò la figlia. «Tua mamma è seria! In un solo anno sei riuscita a farci esasperare più di James in tre!».
«E dai papà! Non facciamo niente di male!».
Harry vide la moglie sul punto di esplodere e disse deciso: «La prima lettera che ci arriva e ci segnala che ne hai combinata una delle tue, ti tagliamo la paghetta, chiaro?».
Ginny lo osservò come a dire alleluia! E Lily, a bocca aperta, mise in scena uno dei suoi migliori capricci.
Albus si guardò intorno mentre i genitori litigavano con la sorellina, scorse Frank e famiglia avvicinarsi e li andò incontro felice.
«Anche i tuoi hanno iniziato con le raccomandazioni?» chiese il ragazzino.
«Sì, peccato che si siano persi con Lily».
«Non lo dire a me… e da quando siamo partiti da casa che mamma e papà battibeccano con Alice».
«Sempre al solito, insomma…».
«Già».
«Ah, ho una cosa per te».
Albus tirò fuori lo specchietto in tinta rosso-oro e gli spiegò tutto quello che aveva detto zio George.
«Wow fantastico! Di questo passo entrerà nella storia! Come Marconi nella storia babbana!» disse Frank per poi spiegargli chi fosse Guglielmo Marconi.
«Sì, sì me l’ero dimenticato» replicò imbarazzato Al, «meno male che non mi ha sentito Finch-Fletchley, se non mi avrebbe abbassato il voto…».
Frank ridacchiò con lui.
«Voi due, venite a salutare» li chiamò Hannah.
Erano arrivati anche gli altri Weasley e zia Luna con i gemelli, Lorcan e Lysander, che avrebbero iniziato quell’anno.
I due ragazzi si avvicinarono e salutarono, poi arrivò anche il loro turno per le raccomandazioni. Albus non vedeva Lily ed Alice da nessuna parte, segno che dovevano essere scappate sul treno chissà quanto arrabbiate. «Al, mi raccomando almeno tu… usa giudizio!».
«Sì, mamma stai tranquilla».
«Al» lo chiamò suo padre, facendogli segno di allontanarsi un po’ dagli altri. «Ho riflettuto su quello che mi ha chiesto e sì, puoi raccontare della profezia a chi credi ti possa aiutare ma ti devi fidare al cento per cento».
Albus annuì: «Solo Frank ed il solito gruppo».
«Bene, appena sai qualcosa di importante avvertimi, ma non usare la posta via gufo… usa Smile… le fenici hanno poteri fantastici, ok?».
«Certo. Ma papà se mi servono libri del reparto proibito?».
«Cerca di ottenerli in modo lecito… in caso calmo io la mamma… ma mi raccomando non fare nulla di testa tua, se non spulciare libri».
«Va bene, va bene».
La locomotiva scarlatta fischiò.
«Harry, è quasi ora!» lo chiamò Ginny.
Gli altri erano già saliti tutti. Al abbracciò rapidamente i genitori e salutò gli altri.
Appena la porta si chiuse alle sue spalle il treno partì.  Era iniziato un nuovo anno. Una nuova avventura.

*

Dominique Weasley ascoltava annoiata Klaus Moritz, Caposcuola di Tassorosso, ma le ricordava tanto zio Percy.
«…quindi vi ricordo che voi non siete semplici studenti! Voi siete Prefetti e perciò avete il dovere di distinguervi in condotta e profitto!».
«Moritz, pensi di entrare in politica l’anno prossimo vero?».
Il ragazzo guardò malissimo Dominique e riprese imperterrito: «Vi presento gli altri Caposcuola di quest’anno: la spiritosissima Dominique Weasley per Grifondoro…».
Dominique si profuse in un finto inchino, facendo ridacchiare parecchi.
«Samantha Tylerson per Serpeverde e Matthew Fergusson per Corvonero. Ora se volete dire qualcosa e poi prima di sciogliere la riunione appronteremo gli orari delle ronde di questa settimana… Ah, la prima riunione sarà domani sera alle otto».
«Io credo che dovremmo fare delle innovazioni! Hogwarts è troppo conservativa. Noi dobbiamo essere la voce degli studenti! Non avete mai pensato a qualche attività in più? Di cambiare qualcosa?».
«Dominique, noi non abbiamo alcun potere» intervenne Moritz ammonendola.
«Moritz, noi abbiamo il diritto di chiedere e gli insegnanti il dovere di ascoltarci».
«Klaus, sono sicuro, che se ci poniamo in modo educato, la Preside non mancherà di ascoltarci» disse Matthew Fergusson.
«Fergusson, adesso dai ragione alla Weasley? Per le mutande di Merlino, non inizierete a fare i piccioncini?».
«Ho detto solo quello che penso, Parker!» si irritò Matthew.
«E poi non usare certe espressioni! Dobbiamo dare l’esempio!» sibilò Moritz, senza che qualcuno lo ascoltasse realmente.
«Parker, cerca di non fare la persona infantile e gelosa» rincarò Samantha Tylerson.
Edmund Parker arrossì violentemente per l’ira e l’imbarazzo: pochi mesi prima, Dominique lo aveva lasciato davanti a tutti i Grifondoro in Sala Comune, umiliandolo profondamente.
«Allora avete qualche proposta?» chiese Dominique incurante, o facendo finta, che Matthew ed Edmund non volessero sbranarsi.
«Io» disse il Prefetto di Corvonero.
«Dimmi pure… Come ti chiami?».
«Gabriel Corner. Pensavo che sarebbe più proficuo per l’orientamento professionale invitare per esempio degli Auror, dei membri delle Accademie o del Ministero».
«In effetti questo sarebbe utile anche a noi del settimo» approvò Klaus Moritz e Dominique sorrise trionfante nel costatare il suo evidente cedimento di fronte alle sue teorie.
«Io proporrei più balli».
A parlare era stata Hannah Zabini, Prefetto Serpeverde del sesto anno.
«Sì, così la Preside ci caccia direttamente dal suo ufficio» replicò Samantha Tylerson. Zabini assunse un’aria infastidita.
«Sarebbe bello se ci fosse un Club degli Scacchi» disse una ragazzina di Tassorosso.
«Tu sei?» chiese Dominique.
«C-Camilla Smith» rispose l’altra imbarazzata.
«Pensavo che queste idiozie le facessero solo i Corvonero» disse un ragazzo di Serpeverde.
«Roockwood, attento a ciò che dici» lo minacciò Beatrix Calliance, Prefetto Corvonero.
Entrambi erano del sesto anno e si conoscevano da lungo tempo. In effetti da più di quanto avrebbero potuto sopportare.
«Non litigate» li richiamò Moritz. «E Roockwood evita i commenti stupidi!».
«Non sapete nulla di quello che succederà quest’anno, vero?» domandò superbo quest’ultimo. «Eppure molte delle vostre famiglie lavorano al Ministero…».
Dominique rimase perplessa alle sue parole e cercò lo sguardo di Matthew. C’era anche lui quella mattina quando il padre le aveva detto: Domi, non ti vieteremo di seguire il tuo istinto, anche se vorremmo. Tanto non ci daresti ascolto. Siamo preoccupati, ma ti sosterremo. Non le aveva dato nessuna spiegazione, se non che avrebbe compreso una volta giunta ad Hogwarts.
«E tu non ce lo dirai, vero?» chiese sarcastica.
«E dove sarebbe il divertimento, se no?» assentì Roockwood.
«La riunione è finita. Se avete altri idee rivolgetevi alla Caposcuola Weasley. Mi raccomando, dovete pattugliare i corridoi».

*

Frank corse tentando di evitare gli studenti che stazionavano, solo Merlino sapeva perché, nei corridoi. Evitò per un pelo un baule lasciato incustodito. Si voltò un attimo per vedere a che distanza fossero Calliance e compagni. Troppo vicini. L’attimo di distrazione, però, fu fatale. Non riuscì a frenarsi in tempo ed andò a sbattere contro una ragazzina, che doveva avere all’incirca la sua età; ma non l’aveva mai vista. Le rovinò addosso buttandole anche il baule.
«Razza di cretino! Qui in Inghilterra non guardate dove andate!?!?» strillò quella spingendolo di lato con veemenza.
Frank sospirò con una tipetta così, che ora lo scrutava furiosa già in piedi e lo sovrastava minacciandolo con un dito, non sarebbero bastate delle semplici scuse.
«Te ne farò pentire!» continuò a strillare la ragazzina.
Calliance, Hans e Granbell li avevano raggiunti e ridevano felici della scena.
«In Inghilterra non siamo tutti così incapaci!» dissi Granbell e porse la mano alla ragazzina. «Molto piacere, io sono Alcyone Granbell. Purosangue».
Quella lo osservò interdetta per un attimo e poi scoppiò a ridere: «Hai un nome da femmina! Alcyone è una delle Pleiadi!».
Granbell sembrava aver appena ricevuto uno schiaffo, molto solidali Hans e Calliance ridevano ancora più forte. Frank, per conto suo si rialzò e scrutò preoccupato la nuova arrivata. Era lunatica.
«Come osi?!» tuonò allora il ragazzino, «Mio padre è uno dei Consiglieri della Scuola! Farò in modo che tu nemmeno metta piede ad Hogwarts! Tu sei l’americana, vero? Noi non vogliamo yankee!».
«E chi ci vuole andare in una Scuola con gente come te? Non vorrei che il mio cervello diventasse grande quanto una nocciolina!».
Granbell estrasse la bacchetta, ma con sorpresa di tutti l’altra fu così veloce da puntagliela alla gola prima che lui potesse fare alcunché.
«Basta, Alcyone» lo richiamò Hans.
«Sta arrivando qualcuno. Paciock, a Scuola faremo i conti» aggiunse Calliance.
I tre corsero verso la coda del treno da cui erano venuti. Frank rimase in silenzio, mentre un gruppo di Tassorosso chiassosi li superava diretto alla testa del treno.
«Mi chiamo Frank e non l’ho fatta apposta a travolgerti… loro mi inseguivano…».
La ragazzina lo squadrò per un attimo, poi rispose: «Piacere, io sono Amy Mitchell. Sono tutti così scemi nella vostra Scuola?».
«No, stai tranquilla».
«Ho la divisa diversa dalla tua» costatò Amy dopo averlo squadrato per qualche secondo. Gli toccò eloquentemente la cravatta rosso-oro ed il leone rampante che spiccava sul suo petto.
«È normale: tu non sei stata ancora smistata. Dopo stasera avrai anche tu i colori e lo stemma della tua Casa».
«Ehm di che stai parlando?».
«Non conosci la storia di Hogwarts?», la ragazzina scosse il capo e Frank continuò, «Per farla breve Hogwarts secoli e secoli fa è stata fondata dai quattro maghi più potenti dell’epoca: Godric Grifondoro, Tosca Tassorosso, Priscilla Corvonero e Salazar Serpeverde. I quattro prediligevano negli allievi delle determinate qualità, così ben presto cominciarono a scegliere i loro prediletti, da qui poi, dopo la loro morte, sono nate le Case, tra le quali gli studenti vengono divisi il primo giorno di Scuola. Naturalmente le Case prendono il nome da ciascun fondatore».
«Che qualità?».
«Grifondoro il coraggio e la lealtà, Tassorosso la bontà ed il duro lavoro, Corvonero l’acuta intelligenza e Serpeverde la furbizia, l’ambizione e la purezza di sangue».
«Mmm non mi ci vedo tra i Tassorosso» commentò la ragazzina.
«E dove ti vedi?» chiese con un sorriso Frank.
«I Serpeverde non sembrano male. Io sono furba, anche ambiziosa e provengo da una famiglia Purosangue. Tu che sei?».
«Grifondoro… anche se non credo di essere molto coraggioso».
«Non mi sorprende visto come correvi prima… Se fossi stata al tuo posto li avrei affatturati».
«È contro le regole della Scuola».
«Se lo dici tu… Quanto ci vuole ad arrivare? Mia madre non me l’ha detto».
«Arriveremo verso sera… Ti va di venire nel mio scompartimento?».

*

«Al, per la miseria, la smetti con quel coso babbano?».
Albus distolse gli occhi dal paesaggio, che aveva fissato intensamente da quando erano partiti. Sbuffò e spense il lettore mp4, che i genitori gli avevano regalato quell’estate.
«Sembri nonna Molly».
Rose arrossì. «Come osi? Dobbiamo parlare di cose importanti e tu ci ignori ascoltando la musica!».
«A te non capita mai di voler stare sola o magari in un posto silenzioso?».
A porre la domanda era stato Alastor Schacklebolt, migliore amico di Rose ed Albus da quando avevano iniziato a parlare e camminare. Tutti lo fissarono sorpresi. Il suo tono era stato duro, non aveva nulla della sua consueta timidezza. Anche lui era stato silenzioso fino a quel momento ed aveva ignorato le chiacchiere chiassose di Rose, Cassy, Scorpius, Elphias, Isobel, Jonathan e Dorcas.
«Sta un po’ calmino, eh! Ma che avete tutti e due stamattina?».
Alastor non rispose e tornò a guardare fuori dal finestrino.
«Ascoltatemi» disse Albus, distogliendo così l’attenzione di Rose dall’amico, che non sembrava in vena di sopportare un terzo grado. Quando si era voltato aveva visto i suoi occhi inumidirsi. «C’è una Profezia, che ha pronunciato più di un secolo fa Cassandra Cooman».
Rose intervenne e lesse la Profezia, che aveva ricopiato dopo quel primo incontro nell’ufficio di suo zio.
«Cavoli! Certo che avete avuto un’estate movimentata!» commentò Elphias.
«E non è tutto… Io sono una Veggente. Ho ereditato il potere della mia ava» confessò Cassy. Ci aveva messo ben due anni, ma finalmente si era confidata con i suoi amici.
I compagni la osservarono a bocca aperta, anche Alastor era tornato a porre attenzione alle loro parole.
«Cassy ha avuto una visione in cui ha visto me prendere la Profezia. È così che l’abbiamo ascoltata» aggiunse Albus. Poi Rose e Cassy raccontarono del loro tentativo di penetrare di nascosto nella casa di Sibilla Cooman. Lo sguardo ammirato di Scorpius ed Elphias e quello sconcertato degli altri fu fonte di orgoglio per le due ragazze.
«Ho una novità. Gli Auror mi hanno restituito i tarocchi, le rune ed il taccuino» annunciò Cassy. I vari oggetti passarono dalle mani di tutti.
«Ma a che servono?» domandò Scorpius.
«Beh i tarocchi e le rune sono usati dai Veggenti» replicò Elphias.
«Esatto, ma in questo caso c’è qualcosa che non mi torna» disse Cassy.
«Cosa?» chiese Rose.
«Le rune quante sono?» domandò a sua volta Cassy.
«Il fuþark è composto da ventiquattro rune» rispose prontamente Albus, non capendo dove l’amica andasse a parare.
«Qui però ce ne sono solo undici» disse Cassy, svuotando il sacchetto sul libro, che Dorcas teneva in grembo.
«Undici?! Quasi come le virtù di Aristotele!» esclamò stupito Albus.
«I Neomangiamorte hanno strappato il taccuino, ma credo che la mia ava abbia cercato di interpretare la Profezia».
«Quindi non pensi che le abbia semplicemente perse?» chiese Scorpius.
«No. Undici rune. Manca la dodicesima. Una per ogni possessore delle virtù».
«Allora una è di Al, ma quale?» domandò Jonathan meditabondo.
«Non lo so. Se lo capissimo, però, potremmo già escludere ben due virtù».
«Prova a toccarle, magari si illuminano» suggerì Scorpius. Albus, non particolarmente fiducioso, fece come gli era stato detto. Non accadde nulla.
«Deve esserci un modo!» sbuffò Jonathan.
«Perché? Basta capire chi possiede una virtù e via!» commentò Rose.
«No! L’animo umano è molto complesso! E queste sono virtù che chiunque di noi qui dentro possiede almeno in piccola parte, per farti un esempio. E così se ci allarghiamo a tutta la Scuola o peggio a tutta la comunità inglese!» s’infervorò Jonathan.
«E quindi?».
«Magari le rune riconoscono davvero la virtù preponderante, ma non sono state ancora attivate».
«E come le attivi? Mica hanno un bottone on/off come gli aggeggi babbani» lo irrise Scorpius. Rose e Cassy ridacchiarono.
«Ignoranti. Intendevo attivarle con la magia» disse il ragazzo con sufficienza.
«Aritmanzia?» chiese seria Isobel, che aveva ascoltato con attenzione ogni singola parola.
«Già. Dobbiamo cercare in biblioteca» concordò Jonathan.
«Facciamo che cercate voi secchioni» bofonchiò Rose.

*

«Ciao, ragazzi».
«Ciao, Domi» risposero in coro i gemelli Scamander e Valentin.
Louis si limitò ad alzare lo sguardo dal libro che stava leggendo e farle un lieve sorriso.
«Loro sono Christine Bell e Anastasia Johnson» disse Lorcan, indicandole due ragazzine sedute di fronte a lui.
«Molto piacere. Io sono Dominique Weasley e sono la Caposcuola di Grifondoro. Se avete qualche attività da proporre per questo nuovo anno scolastico sono tutt’orecchi».
«Davvero possiamo?» chiese Lysander con gli occhi che gli brillavano.
«Merlino, ora comincia… Perché Domi? Perché?» si lamentò Lorcan.
«Ma chi ti ha interpellato?» s’infervorò subito Lysander.
«Dateci un taglio, ho da fare. Lys, puoi dire tutto quello che vuoi» intervenne Domi, troncando la lite sul nascere.
«Sarebbe fantastico se ci fosse un giornale scritto dagli studenti».
«No, no, no, no, come nonno Xeno… Ti prego, Merlino…».
«Chiudi la bocca, ignoranza ambulante!».
«Ma come parli? Ma ti senti? Razza di secchione».
Dominique sospirò. «È un’ottima idea, se ne avete altre me lo direte più tardi. Ciao».
«Siete riusciti a far scappare Domi!» disse Valentin rotolandosi dalle risate, dopo che la cugina aveva lasciato lo scompartimento. «Più ti conosco Lorcan, più penso che siamo fatti l’uno per l’altro».
«Ci puoi scommettere» sghignazzò Lorcan.
«Qualcosa dal carrello?».
L’attenzione dei sei ragazzini fu attratta da una signora anziana con un carrello pieno di dolci. Lorcan fu il primo a rispondere e prese un po’ di tutto con la scusa che Chris ed Anastasia erano Nate Babbane e non potevano non conoscere i dolci magici!
«Queste sono gelatine Tutti i Gusti+1» disse facendo girare il pacchetto, «E dico proprio tutti».
«Sei peggio di un venditore porta a porta!» lo redarguì Lysander.
«Chi ti ha chiesto niente razza di…».
«In che senso tutti i gusti?» chiese Anastasia interrompendolo.
«Prova».
«Bleah, che schifo sembra… sembra cavolo bollito» disse con una smorfia terribile che fece ridere tutti.
«Lo è. Questo significa tutti» disse soddisfatto Lorcan, come se le avesse inventate lui.
«Questa sa di broccoli» boccheggiò Valentin, suscitando nuove risate.
«Allora iniziamo con il toto Case?» disse Lorcan con gli occhi fuori dalle orbite.
«Io sarò un Corvonero» disse sicuro Lysander.
«Ed io un Grifondoro» aggiunse Lorcan.
«Anche io e Louis» disse altrettanto sicuro Valentin. Il cugino non aprì bocca e tornò al suo libro; il sorriso, appena apparso, si congelò sul suo volto e scomparve rapidamente: non si sentiva molto Grifondoro.
Le ragazze dissero di non sapere niente sulle Case di Hogwarts e Lorcan e Valentin trascorsero gran parte del pomeriggio a tessere le lodi di Grifondoro.

*

«James, credevo che fossi troppo occupato con i Prefetti» lo accolse freddamente Danny Baston.
«La riunione è finita ed io e Benedetta abbiamo pensato di raggiungervi».
Benedetta entrò nello scompartimento dietro di lui insieme a Robert e li salutò.
«Vai a rompere le pluffe a qualcuno altro, Potter. E meno male che tu eri il più leale dei Grifondoro!» continuò Danny.
«Forse è meglio se andiamo noi, Danny» disse Tylor Jordan alzandosi.
«Sì, lasciamo i cocchi della Preside a confabulare tra loro».
Robert trattenne James, che era furente.
«Come fai a stare tranquillo?» sbottò quando finalmente lo liberò dalla sua stretta d’acciaio.
«A me l’amicizia di quei due non interessa» replicò sedendosi accanto a Benedetta.
«Devo andare a cercare Demetra!» disse lei saltando su.
«Ti aspettiamo qui» le gridò dietro James.
«Amico, sei proprio cotto».
James arrossì violentemente a partire dalle orecchie, proprio come suo zio Ron. «Ma che dici?!».
«Inganna pure te stesso, ma non me».

*

«Alastor, che cosa ti preoccupa?» chiese Albus. Si erano allontanati entrambi dal loro scompartimento con la scusa di cercare Isobel ed Elphias, spariti da un bel pezzo.
«Mio padre».
«Perché ha dato le dimissioni?».
«Non sta bene. Ha un problema al cuore. I Guaritori francesi hanno dichiarato di essere perfettamente in grado di curarlo. I rischi, però, non mancano».
«Andrà tutto bene. Noi siamo con te. Dovresti saperlo».
«Sì, ma non mi va di raccontarlo a tutti per ora».
«Capisco. Stai tranquillo, io non dirò nulla senza il tuo consenso».
«Grazie. E comunque anche se dovesse andare tutto bene, i Guaritori hanno detto che deve vivere in modo più tranquillo. Niente più politica, niente più Auror».
«Come l’ha presa?».
«Non male, credo. Comunque con me non ne parlano, quindi non lo so. Forse sono egoista, ma un po’ sono contento: adesso starà a casa con noi. Da piccolo alle volte non lo vedevo per giorni a causa del suo lavoro».
«È normale. Anche mio padre è molto preso dal lavoro. Soprattutto ultimamente».
«Sì, ma mai quanto il mio. Lasciamo perdere, ok?».
Albus annuì. «Hai paura, vero?».
Alastor lo scrutò per un attimo e poi annuì. «Anche tu».
«Già. Ho paura di non essere all’altezza».
«Il peso della Profezia non lo devi portare da solo» gli ricordò l’amico.
«Hai ragione. Ci sosterremo a vicenda, come sempre» concordò Albus.

*
 
La stazione di Hogsmeade era molto piccola e ben presto la banchina si riempì di studenti urlanti, gufi che stridevano e gatti che miagolavano. Louis tentò di raggiungere Hagrid, che come sempre chiamava a raccolta gli studenti del primo anno, senza perdere di vista Valentin e gli altri, ma non era molto facile. Con il cuore in gola salutò Hagrid e iniziò a guardarsi intorno, mentre lo seguiva. Era molto emozionato ed aveva anche paura. Quello era un giorno importante per ogni mago, ma proprio non riusciva a stare tranquillo. Aveva paura che non sarebbe stato un Grifondoro come suo padre. Ascoltò a malapena le parole eccitate di Valentin. Sapeva benissimo che a suo padre non sarebbe interessato, ma Dominique quella mattina prima di partire l’aveva deriso, come sempre, perché l’aveva visto osservare una vecchia sciarpa di loro padre, guarda caso quella di Grifondoro e lei gli aveva detto chiaramente che se il Cappello l’avesse smistato nella Casa dei coraggiosi probabilmente sarebbe stato il momento di sostituirlo. La cosa brutta è che aveva ragione.
«Insomma che hai? Guarda il castello!» lo richiamò Valentin.
Louis alzò gli occhi che fino a quel momento aveva tenuto puntati a terra e la vista del castello di Hogwarts lo paralizzò: era davvero enorme e bellissimo con tutte quelle finestre che luccicavano a distanza. Era un castello molto antico e suscitava un forte senso di antichità e potenza. Era felice di essere lì, ma la sua Casa sarebbe stata un’altra, si voltò verso Valentin, mentre salivano su una barchetta con i gemelli.
«Non sarò mai un Grifondoro».
Valentin lo squadrò, il sussurro era stato diretto solo a lui e le sue parole furono portate via dalla brezza della sera, che increspava lievemente il Lago Nero.
 

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Capitolo 8
*** Il Cappello Parlante ***


Capitolo ottavo
Il Cappello Parlante
 

 
«Professoressa McGranitt, i ragazzi del primo anno sono arrivati con Hagrid».
«Grazie, Neville» la donna si voltò e fissò attentamente il suo nuovo vicepreside. «Sarà un lungo anno, lo sai vero?».
«Staremo allerta e proteggeremo gli studenti» replicò Neville Paciock, altrettanto seriamente.
«Andiamo».
I due insegnanti si divisero poco prima della Sala d’Ingresso. Neville mise da parte le preoccupazioni e sorrise ai bambini del primo anno. Alcuni avevano espressioni terrorizzate, altri baldanzose, altri perplesse o preoccupate. Si ricordò di quante voci strane girassero ogni anno sulla modalità di smistamento, spesso messe in giro da fratelli burloni ed il suo sorriso si ampliò.
«Buonasera e benvenuti ad Hogwarts. Abbiate ancora un attimo di pazienza, tra poco inizierà la Cerimonia dello Smistamento…».
«Signore, è vero che lo smistamento consiste in una lotta con dei Troll?» disse un ragazzino paffuto e biondo. Alcuni risero, altri impallidirono. «Me l’ha detto mia sorella» si difese lui.
«E chi è tua sorella?» chiese divertito Neville.
«Eleanor Mckenzie, signore».
E ti pareva? Probabilmente erano i Grifondoro quelli che si divertivano di più a mettere in giro certe voci!
«State tranquilli, lo Smistamento è molto semplice, lo vedrete tra poco con i vostri occhi. Signor Mckenzie i Troll non sono ammessi nella Scuola, anche se sua sorella ed i suoi degni amici lo considererebbero un diversivo divertente per saltare le lezioni… Per chi non lo sapesse, i Troll non sono creature molto pacifiche…».
Nuove risatine si diffusero nella Sala d’Ingresso e molti si rilassarono vistosamente.
Louis ascoltò attentamente l’abituale discorso sulle Case che il vicepreside teneva agli studenti del primo anno, nonostante Valentin e Lorcan lo importunassero ogni due secondi.
«Mettetevi in fila per due, per cortesia».
I ragazzini obbedirono ed una volta assicuratosi che fossero in ordine, Neville li condusse attraverso due porte a doppio battente e poi dentro la Sala Grande.
I quattro tavoli erano gremiti di studenti. Louis vide James e Fred sbracciarsi dal tavolo dei Grifondoro per salutarlo e non poté fare a meno di ridacchiare.
Il soffitto era proprio come gliel’avevano descritto.
«Ma è aperto?» sussurrò una ragazzina, quando si fermarono davanti al Tavolo delle Autorità.
«No, è un incantesimo» le spiegò.
«Qua abbiamo un piccolo secchione» disse un ragazzino sogghignando. Valentin fece per replicare, ma Lorcan lo bloccò ed il Cappello iniziò a cantare:
 
«Quanto tempo è passato
da quando questo luogo è stato fondato.
Ogni anno rimembro i tempi che furono,
le memorie che i miei rattoppi racchiudono.
Quest’anno, però, è un anno speciale
tutti di più ci dobbiamo amare,
non dobbiamo dimenticare quant’è accaduto
e apprezzare questa Scuola di più, di minuto in minuto.
Un terribile nemico tornò a comandare
sul mondo e sulle genti, praticando ogni male;
ma l’anima della Scuola ciò non permise
e le ali del male, svelta, recise.
È una storia un po’ complicata,
che in questa Scuola oltre ad esser finita, è anche iniziata:
una profezia fu vaticinata,
una condanna venne annunciata
senza sapere chi fosse vittima e chi carnefice,
intanto si alzavano le ombre malefiche;
il Prescelto e l’Oscuro Signore:
i sette Horcrux, i Doni e un grande cuore;
tanto simili, tante cose in comune,
una sola grande differenza che rese il Prescelto immune.
Volete sapere quale fu?
sforzate le vostri giovani menti, orsù.
È l’amore, antica magia
fra tutte la più grande che ci sia.
Ma a decider tutto fu il caso,
un inaspettato aiuto del fato
come tutti sappiamo la famosa “falla nel piano”.
Fiumi di sangue, un’ecatombe di esseri umani,
scintille assassine, incendi e urli disumani.
Tutto sembrava ormai perduto,
ma dalla testa di un giovane Grifondoro, la luce ho veduto
la speranza non morirà
l’amore sempre trionferà:
sembrava che l’edificio stesso volesse pugnare,
scendere in campo e gli amici aiutare,
armature e statue scese dal loro piedistallo
vibrano colpi mortali senza fallo;
giganti, acromantule e centauri. Infine
per chi ama non sarà mai la fine.
Voglio che traiate esempio da ciò,
l’unica cosa che vi chiederò,
con spirito nuovo e fede
inizio lo smistamento, nella speranza che uniti rimarrete».
 
Lo strappo sulla tesa del Cappello si chiuse e la Sala Grande piombò nel silenzio.
Albus gettò un’occhiata a zio Neville, che dopo un attimo di smarrimento cercò lo sguardo della McGranitt; anche gli altri insegnanti sembravano spaventati e colpiti dalla canzone. La Preside con un cenno eloquente esortò Neville ad iniziare lo smistamento e il professore chiamò il primo nome:
«Abbott Emmy».
«Ma che era? Il riassunto della seconda guerra magica?» chiese James sorpreso.
«A quanto pare» replicò Albus. «Papà ha detto che durante l’anno il Cappello Parlante è conservato nell’ufficio della Preside. Che abbia detto queste cose apposta per quello che sta succedendo?».
«Sì, ma a che pro?» insistette James.
«La memoria è importante, Jamie. I Neomangiamorte potrebbero portare una nuova guerra».
Un lieve applauso ed uno strillo indignato di Alice riportò l’attenzione dei due fratelli sullo Smistamento.
«Che succede?» chiese Albus.
«La cugina di Alice è stata appena smistata a Serpeverde» rispose Lily.
«Non le rivolgerò più la parola! Avrei dovuto aspettarmelo!» borbottò quest’ultima.
«Prenderò in giro in eterno Albert» disse Fred entusiasta. Albert Abbott, fratello maggiore di Emmy, era uno dei migliori amici della sua ragazza, July Mcmillan.
Anche il ragazzino moro successivo fu mandato nella Casa di Salazar.
«Burke Sarah» chiamò il professor Paciock.
«Questa è sicuro un’altra Serpe» disse Lily.
«I Burke sono maghi oscuri» sentenziò a sua volta Alice.
Albus le guardò malissimo: «Ma che discorsi fate? Non si giudicano le persone dal loro cognome! Avete sentito il Cappello! Dobbiamo stare uniti!».
«Sì, come no, Al. Uniti con le Serpi?» chiese Alice.
«Tu sogni, fratellino» rincarò Lily.
Intanto il tavolo blu bronzeo era scoppiato in un forte applauso ed aveva accolto, a dispetto delle predizioni delle due Malandrine, la ragazzina.
James ed Albus si distrassero nuovamente, ognuno perso nelle sue elucubrazioni.
«Dici che dobbiamo dire a papà della canzone del Cappello?» chiese ad un certo punto il primo.
«Sì, anche se probabilmente lo faranno anche la Preside e zio Neville».
«Negli ultimi tempi è sempre più preoccupato. Tu che cosa ne sai? E non mi mentire. Vi ho visto confabulare! Anche stamattina prima che il treno partisse».
Albus fu preso letteralmente in contropiede dalle sue parole, ma capì che doveva confidarsi con suo fratello. «Non qui, Jamie. Te lo dirò poi in luogo con meno orecchie».
«Ok, ci conto».
«Flamel Valentin».
Era il momento del piccolo vulcano francese e posarono l’attenzione su di lui, che raggiunse lo sgabello spavaldo e sicuro di sé. Poco dopo il Cappello gridò: «GRIFONDORO».
I fratelli Potter applaudirono forte il secondo Grifondoro dell’anno. Poco prima infatti era stato smistato nella loro Casa anche Benjamin, il fratellino di Dorcas.
Altri ragazzini si susseguirono per un tempo che ai ragazzi parve eterno.
«Ho fame» si lamentò Lily.
«Sei peggio di mio padre» disse Hugo alzando gli occhi al cielo e suscitando varie risatine tra i cugini.
«Jordan Andrew».
James conosceva ormai da anni il fratellino di Tylor e lo osservò, mentre palesemente spaventato si metteva il Cappello in testa.
«Spero solo che non sia dei nostri» brontolò Tylor, che si era seduto poco distante con Danny.
«Pensaci, magari sarà un Tassorosso».
I due risero malignamente, ma le loro previsioni dovettero scontrarsi con la realtà. Qualche secondo dopo il ragazzino, con un ampio sorriso in volto, si unì a dei festanti Corvonero.
James iniziò a fissare con impazienza il piatto vuoto di fronte a lui: sembrava che fosse passata un’eternità dalla scorpacciata di dolci fatta sul treno.
«Ecco i gemelli» disse Lily, attirando la sua attenzione.
Lysander aveva già preso posto e poco dopo il Cappello Parlante urlò: «TASSOROSSO». Per un momento poterono cogliere l’espressione delusa del ragazzino, che comunque si unì subito ai suoi nuovi compagni.
«Scamander Lorcan» chiamò il professor Paciock.
Il ragazzino sicuro di sé si calcò il Cappello sul capo e pochi secondi dopo correva già verso il loro tavolo felice. I Grifondoro applaudirono fragorosamente il nuovo arrivato. Lorcan strinse parecchie mani e diede il cinque a Valentin.
Ormai erano rimasti meno di una decina di ragazzini da smistare; purtroppo Louis era uno degli ultimi. Dovettero aspettare quasi mezz’ora prima che toccasse a lui.
Il ragazzino era terreo in volto e sedette tremante sullo sgabello. Solo Valentin forse sapeva realmente cosa lo stesse torturando ed a quanto pare di tutte le sue incertezze il Cappello Parlante se ne fece un baffo e appena sfiorò la sua testa senza dargli nemmeno il tempo di esprimere il suo parere urlò: «CORVONERO».
Il tavolo blu bronzo lo accolse calorosamente e Louis non si fece attendere; volse solo un mesto sorriso verso il tavolo che ospitava la maggior parte della sua famiglia, ma i pollici alzati di Valentin e James, il sorriso di Al e di Roxi lo tranquillizzarono. Dopotutto non potevano essere tutti uguali; sedendosi sorrise a Fabiana, che sembrava essere felice di non essere l’unica Corvonero della famiglia e probabilmente anche Lucy ed Arthur erano felici perché adesso anche lui aveva contribuito a cancellare la tradizione dei Weasley a Grifondoro.
Quando Mike Zender fu spedito a Serpeverde, finalmente lo Smistamento si concluse od almeno apparentemente.
«Quest’anno si uniranno a noi anche altre due studentesse: Amy Mitchell, proveniente dall’Accademia di Magia di Ivelmorny, che frequenterà il terzo anno ed Akili Enoka, quinto anno, che fin ad ora ha studiato privatamente».
Quest’ultima fu la prima ad essere smistata e fu mandata tra i Corvonero.
«Mitchell Amy».
La ragazzina con cui Frank, Roxi e Gretel Finnigan avevano fatto amicizia in treno avanzò senza alcuna preoccupazione ed attese tranquillamente il verdetto del Cappello Parlante. Trascorsero, però, ben tre minuti prima che questi gridasse: «SERPEVERDE».
«Peccato» commentò Gretel.
«Vabbè nessuno ci vieta di farci amicizia» replicò Frank.
«Forse… Frankie, lo sai come sono i Serpeverde… magari sarà lei a non voler più aver a che fare con noi» disse, invece, Roxi temendo che l’amico si illudesse troppo.
Frank non replicò sia perché temeva che lei avesse pienamente ragione sia perché la Preside si alzò, pronta per il suo annuale discorso, ed il brusio nella Sala Grande cessò immediatamente.
«Benvenuti i nuovi studenti e bentornati i vecchi. A beneficio dei nuovi, ma anche dei più sordi tra i grandi, credo sia necessario ricordare subito alcune regole fondamentali della Scuola: la magia ed i duelli sono vietati nei corridoi; sono vietati quasi tutti i prodotti Tiri Vispi Weasley, troverete l’elenco completo affisso alla porta dell’ufficio del Custode; assoluto e dico assoluto divieto di entrare nella Foresta Proibita, che, a differenza di quanto credano molti, non si chiama così a caso».
Alcuni, soprattutto tra i ragazzini del primo anno, risero ma Albus intercettò lo sguardo di Frank e degli altri: la McGranitt che fa sarcasmo è più pericolosa di un ippogrifo. Chi non lo sapeva, l’avrebbe ben presto imparato.
«Sono spiacente di comunicarvi che quest’estate il nostro Custode Argus Gazza non è stato bene, per cui non più è in grado di ottemperare ai suoi compiti. Date il benvenuto al signor Sawyer. Inoltre» disse alzando la voce per soprastare il vociare dei ragazzi, «la nostra bibliotecaria Irma Pince ha ritenuto di dover assistere il signor Gazza, il suo sostituto è Adam Bennett. Madama Chips è andata in pensione e la sostituirà Peter Lux…».
La Preside dovette interrompersi perché l’ilarità nella Sala Grande aveva raggiunto toni abbastanza alti. Tutti commentavano quanto sentito. Ognuno, inoltre, voleva accaparrarsi il merito di aver mandato K.O. mastro Gazza.
«Ma non muore mai?» chiese esasperato Fred Weasley.
«L’abbiamo comunque messo fuori gioco» replicò James.
«E se tornasse?» domandò Lily.
«Figurati! Non vorrebbe mai tirare le cuoia in mezzo agli studenti tanto odiati» la tranquillizzò James.
«Comunque ci avrei scommesso un sacco pieno di galeoni che tra quei due ci fosse del tenero» aggiunse Fred.
«Ora fate silenzio» la Preside riprese il controllo della situazione fulminandoli con lo sguardo. «Ci sono stati degli avvicendamenti nel corpo insegnanti quest’anno. Per prima cosa vi presento il professor Williams, che insegnerà Difesa Contro le Arti Oscure e sostituirà il professor Vitious in qualità di Responsabile della Casa di Corvonero».
«È un Auror. Me l’ha detto papà» disse James, mentre applaudiva.
L’applauso più caloroso si era levato dal tavolo dei Corvonero, particolarmente curiosi di conoscere il nuovo Direttore dopo aver dovuto salutare Vitious, al quale erano tutti molto legati.
«La cattedra di Incantesimi verrà invece ricoperta dalla professoressa Shafiq, nuova Responsabile di Serpeverde».
Un nuovo applauso accolse l’insegnante, ma velato da una certa perplessità dagli studenti delle altre Case: insomma tutti si chiedevano se la donna avrebbe spudoratamente favorito la sua Casa come Robards o si sarebbe tornati all’equilibrio di Candida Macklin.
«Il professor Ruf dopo secoli di onorata carriera ha chiesto il congedo avendo scoperto dell’esecrabile modo in cui i suoi eredi stanno sperperando le fortune di famiglia ed ha ritenuto opportuno iniziare a perseguitarli».
La Preside era stata serissima nel dare l’annuncio, ma la Sala Grande scoppiò in una fragorosa risata, tranne alcuni che considerarono la cosa fin troppo inquietante.
«Immagino che si metterà a spiegarli qualche rivolta dei folletti dell’XI secolo» sghignazzò James, che aveva anche le lacrime agli occhi.
«Li farà morire di noia» ululò Seby Thomas, uno dei migliori amici di Fred.
La Preside, le cui labbra stavano diventando sempre più sottili, riprese a parlare: «Se vi decideste a comportarvi come richiede la vostra età forse sarebbe meglio! Vi presento la professoressa Dawson».
Un forte applauso e qualche fischio accolse la nuova e graziosa docente, che aveva avuto il coraggio di mettere fine al più longevo dei professori di storia della storia! Frank era felicissimo e Roxi rise della sue espressione, uguale a quella di zio Ron quando due anni prima i Cannoni di Chudley avevano vinto contro le Holyhead Harpies (anche se era stata solo fortuna perché, nonostante il vespaio che l’episodio aveva causato e lo zio era stato schiantato da sua mamma e dalla zia Ginny, il loro Cercatore si era praticamente scontrato con il boccino d’oro).
«Infine come tutti voi sapete quest’estate la professoressa Cooman è stata uccisa dai Neomangiamorte».
Bastarono quelle poche parole per far sparire il sorriso dal volto di tutti i ragazzi, che osservarono tesi e spaventati la Preside.
«Perciò diamo il benvenuto al professor Solovyov».
L’applauso fu per lo più di circostanza e si spense quasi subito: nessuno era particolarmente entusiasta di Divinazione, ma soprattutto il nuovo docente con i suoi tratti spigolosi aveva qualcosa di inquietante e di marziale.
«Speriamo che la Cooman abbia gettato una maledizione sulla sua cattedra» sussurrò Tylor Jordan, facendo ridere qualcuno dei suoi vicini. Rose lo fulminò, mentre abbracciava Cassy.
«Quest’anno ad Hogwarts si terrà il Torneo Tremaghi» annunciò la Preside, ma per continuare dovette mettere fine alle urla di giubilo degli studenti. «Se fosse stato per me, non ci sarebbe stato. Per chi non lo sapesse questo Torneo è noto per l’elevato tributo di morti. Sospeso per secoli, si è svolto qui l’ultima volta durante l’anno scolastico 1993-1994. Uno dei Campioni di Hogwarts è morto: Cedric Diggory. A novembre arriveranno le delegazioni dell’Accademia di Magia di Beauxbatons e di Durmstrang. Per ciascuna Scuola gareggerà un solo studente, il Campione. Dovrà affrontare tre prove molto pericolose. Per ovvie questioni di sicurezza solo i maggiorenni potranno iscriversi al Torneo. Per tutti gli altri invece vi sarà un più salutare e divertente Torneo di Quidditch ed Hogwarts sarà rappresentata dalla squadra che quest’anno vincerà il Torneo, per l’occasione concentrato nel primo trimestre. Per concludere annuncerò i migliori studenti del quinto e del settimo anno per il precedente anno scolastico. La migliore studentessa del quinto anno è Tania Benson, mentre il migliore del settimo, Fabian Parker. Per cui cento punti ben meritati a Corvonero». La Preside attese alcuni secondi permettendo ai ragazzi di festeggiare, poi riprese riportando il silenzio nella Sala. «Adesso, vi prego, alzatevi in piedi».
I ragazzi sorpresi obbedirono.
«Facciamo un minuto di silenzio per la professoressa Cooman, che è stata barbaramente uccisa ma anche per un, per voi meno noto, membro del Ministero, Elias Dennis che pur di non farsi corrompere ha affrontato la morte».
Quei sessanta secondi sembrarono interminabili e ad Al pesarono terribilmente: non avrebbe sopportato che al posto di due persone per lui quasi sconosciute ci fosse stato qualcuno, cui invece voleva bene. Era uno dei dodici della Profezia ed avrebbe dovuto trovare una soluzione in tempo o non se lo sarebbe mai perdonato.
«Infine vorrei che brindassimo a Cedric Diggory, vincitore dell’ultimo Torneo Tremaghi ad ex equo con Harry Potter. Brindiamo ad un ottimo studente, un Prefetto, un ragazzo buono e pieno di vita. Brindiamo a Cedric Diggory che nonostante tutto ha dato lustro alla Casa di Tassorosso. Brindiamo a Cedric Diggory, perché la stoltezza umana non renda vana la sua morte».
Finito il suo discorso la Preside schioccò le dita ed i tavoli si riempirono di portate.
La serata dal quel momento in poi trascorse normalmente finché Benedetta non richiamò l’attenzione di Robert e James. Quest’ultimo abbandonò per un momento la sua seconda porzione di costolette e seguì il suo sguardo. Quella che dovevo essere il nuovo Custode si era avvicinato alla professoressa McGranitt e le stava sussurrando qualcosa. Anche gli insegnanti si interessarono e vi fu un rapido scambio di battute prima che la Preside si alzasse di nuovo e battesse con un cucchiaino contro il suo calice per attirare l’attenzione di tutti gli studenti.
- Sono lieta di informarvi che abbiamo un nuovo Ministro della Magia: Hermione Jane Granger-.
Il tavolo di Grifondoro scoppiò in un fragoroso applauso e molti si voltarono verso Rose ed Hugo per far loro le congratulazioni; ma gli studenti che erano più vicini alla ragazza si guardarono bene dal rivolgerle la parole: aveva un'espressione assassina. Hugo, invece, aveva spinto con foga il piatto urtando il calice pieno di succo di zucca. I Grifondoro, impegnati a festeggiare, non notarono nemmeno la macchia arancione che lentamente si espandeva sul tavolo.

Angolo dell'autrice:
Ciao a tutti :-D
Scusate il ritardo, ma è un periodo incasinatissimo. Anche la pubblicazione dei prossimi capitoli sarà irregolare, mi spiace. Spero che questo capitolo vi piaccia. La canzone del Cappello Parlante è opera di mio fratello, non mia. Io non vado d'accordo con la poesia. Preferisco di gran lunga la prosa. 

Alla prossima,
Carme93 
 

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Capitolo 9
*** Rabbia ed incomprensioni ***


Capitolo nono

Rabbia ed incomprensioni
 
«Rose, aspetta, per Merlino!».
La ragazzina si voltò di scatto e fronteggiò i suoi cugini preferiti. Albus era piegato sulle ginocchia e James si teneva un fianco.
«Cavoli, ci hai fatto correre per sette piani!» ansimò Albus.
«Che volete?».
«Parlarti» rispose James.
«Non ho nulla da dirvi… provate solo a farmi le congratulazioni e farete la fine di Belson».
Christopher Belson era un Grifondoro del quinto anno e non aveva un minimo di intelligenza, in caso contrario non si sarebbe mai avvicinato a Rose elogiandone la madre. La Grifondoro l’aveva schiantato in un corridoio gremito di Corvonero e Grifondoro con i rispettivi Prefetti e Caposcuola, prima ancora che quello finisse di parlare.
«Non devi fare così» tentò Albus, beccandosi un’occhiata raggelante.
«MIA MAMMA MI HA TRADITO» urlò Rose, «COME DOVREI REAGIRE SECONDO TE!?».
Poi corse verso il dormitorio femminile, dove non potevano seguirla.
«Le passerà» sospirò James, senza molta convinzione: tutti sapevano che Rose Weasley era molto testarda.
«Speriamo» replicò mesto Albus, «Ma pure zia Hermione! Che l’è saltato in mente?».
«Non lo so, Al. Andiamocene a letto».

*

«Harry Potter» sussurrò James. Aveva dato la buona notte al fratello e si era rifugiato nel bagno. Tylor e Danny già dormivano; Kalvin leggeva un giornaletto di dubbio gusto; mentre Christopher e Robert non erano ancora saliti in camera.
«Ciao, Jamie. Tutto ok?».
Il viso del padre comparve sulla superficie dello specchio ed anche alla luce fioca del bagno James poté cogliere la sua stanchezza.
«Insomma. Perché zia Hermione ha fatto questa cosa?» chiese andando subito al sodo.
Harry sospirò e chiese: «Rose ed Hugo come l’hanno presa?».
«Malissimo. Fai conto che Rosie ha schiantato Belson in corridoio. Penso che zio Neville scriverà agli zii. Insomma l’ha fatto davanti a Prefetti e Caposcuola! E poi Belson è una piaga, si starà lamentando con tutti!».
«Era necessario. Rose ed Hugo ora non possono capire, ma confido che lo faranno in futuro».
«Tu sei d’accordo?».
«Sono stato io a convincere Hermione… e non fare quella faccia, ti prego… credimi, è necessario che le cose vadano così!».
«Ma perché?» insistette James.
«Perché così ho pieno appoggio dal Ministro della Magia. Dobbiamo fermare ora i Neomangiamorte, prima che sia troppo tardi!».
«Ok, capito».
«Non mi odiare».
«No, tranquillo» disse James, poi prese un bel respiro ed aggiunse: «Mi devo fidare di te, come tu ti fidi di me?».
«Esatto, Jamie. Ora più che mai possiamo riporre la nostra fiducia in poche persone. State vicini a Rose ed Hugo».
«Ok, papà».
«Un ultima cosa… Il Torneo Tremaghi…».
«Anche tu la pensi come la McGranitt?» lo interruppe James.
«Sì. Abbiamo cercato in ogni modo di impedirlo, ma non ci siamo riusciti. James, ascoltami bene. Elias Dennis è stato ucciso perché si ostinava a votare contro; è stato sostituito da uno membro del suo Ufficio favorevole, molto casualmente. Non so come, ma la Signora Oscura vuole usare il Torneo per raggiungere uno dei suoi scopi. E non so quale! Non riesco a comprendere quale logica la muova! Se vuole solo il potere o qualcos’altro! Per fortuna, voi tre siete minorenni!».
«Non avresti voluto che partecipassimo?».
«Ve l’avrei vietato. Il Torneo Tremaghi è un gioco brutale ed inutile. Ci sono un milione di altri modi per istaurare un legame di amicizia con le Scuole straniere. Zia Hermione e la McGranitt lavoreranno anche in questo senso. Intanto il Torneo di Quidditch è un primo segnale che vogliamo mandare».
«Domi, però, ha detto che parteciperà. Gli zii non glielo vietano».
«Zio Bill sa che lei gli avrebbe disobbedito ed ha scelto di appoggiarla direttamente, evitando litigi».
«Ok» James si passò nervosamente una mano tra i capelli e rimase in silenzio per qualche secondo riflettendo. «Oggi il Cappello Parlante ha detto cose che non abbiamo capito. Sembrava il reassunto della guerra contro Voldermort. Ha parlato di Horcrux e di Doni, per esempio… A che si riferiva?».
Harry sgranò gli occhi e si incupì. Prima di rispondere a James dovette riflettere per diversi minuti; quando finalmente aprì bocca, sembrò aver scelto le parole con attenzione: «Gli Horcrux sono cose oscure, che non ti devono minimamente interessare. Non troverai nulla in biblioteca, né nel Reparto Proibito. Non pensare nemmeno di fare ricerche in proposito. I Doni, invece, sono quelli di cui parla Beda il Bardo nella sua fiaba. I Doni della Morte».
«Ma è solo una fiaba per bambini!».
«Non lo è. Il mantello dell’invisibilità è il Dono che la Morte ha fatto al terzo fratello. Noi discendiamo da Ignotus Perevell. Ti dico questo perché credo che tu cominci ad essere abbastanza grande per capire».
«E gli altri Doni? La Bacchetta di Sambuco? Con quella sconfiggeremmo tutti i Neomangiamorte in un attimo!» si esaltò James.
«Non dire idiozie. A noi tocca solo il terzo dono! A gli altri non ci pensare nemmeno! Chiaro, James? Portano solo guai. Non mi ripeterò sull’argomento».
«Va bene, va bene. Non ti scaldare».
«Ne riparleremo a Natale. Faccia a faccia. Guai a te se Lily sa qualcosa di quello che ho detto! È troppo incosciente. Se lo ritieni opportuno dillo ad Al, ma a nessun altro! Mi raccomando, solo Merlino sa che cosa potrebbe fare Rose! Ora vado. Riferisci ai tuoi fratelli quello che ti ho detto sul Torneo. Fate i bravi. Buonanotte».
«Buonanotte, papà».
Se c’era una cosa di cui Harry era sicuro, è che, se i figli avessero avuto l’età per partecipare, il suo divieto avrebbe avuto valore solo con Albus e James: Lily avrebbe fatto di testa sua. Per questo motivo quella sarebbe dovuta essere l’ultima edizione del Torneo.

*

«Qual è il vostro Stato di Sangue?».
Louis squadrò con attenzione il ragazzo che aveva rivolto loro la domanda. Doveva essere del settimo anno: era alto e massiccio; i suoi occhi erano di ghiaccio e sembravano volerli perforare.
«Che razza di domanda è?» si alterò un ragazzino abbastanza alto per la sua età, che durante la cena si era presentato come Andrew Jordan ed aveva sottolineato più volte che preferiva essere chiamato Drew.
«Una domanda legittima. Rispondi!» tuonò il ragazzo.
«Non ci penso nemmeno!».
«Che succede?» Matthew Fergusson era appena entrato in Sala Comune e scrutò il gruppetto del primo anno, che sembrava spaventato dall’altro ragazzo, che conosceva fin troppo bene.
«Matthew, stavo solo mettendo in riga questi ragazzini» rispose quest’ultimo.
«Non è vero! Ci ha chiesto quale sia il nostro Stato di Sangue!» si lamentò Drew.
«Evan, sei impazzito?» chiese Matthew all’altro ragazzo.
«No, ma dimenticavo da che razza di fogna vieni anche tu».
Matthew strinse i pugni, palesemente arrabbiato: «Smettila, idiota. Ti devo ricordare che fine ha fatto Douglas l’anno scorso?».
«No, ma io sono più intelligente… Ci si vede in giro con voi» ghignò, occhieggiò male i ragazzini e voltò loro le spalle dirigendosi verso il dormitorio maschile.
«Scusatelo, non vi importunerà più».
«Lo racconterai ad un insegnante, vero?».
Matthew scrutò la ragazzina che aveva posto la domanda: aveva uno sguardo furbo e determinato.
«Come ti chiami?».
«Anastasia Johnson. E so che quello ce l’aveva con i maghi come me. Io sono una Nata Babbana. Il professor Finch-Fletchley mi ha spiegato ogni cosa quest’estate e mi ha raccomandato di riferirlo subito a lui o ad un altro docente, qualora qualcuno avesse fatto commenti del genere».
Matthew si mordicchiò il labbro nervoso: «Evan, non si comporta così di solito. Per questa volta non farò rapporto».
La ragazzina lo guardò malissimo, ma egli fece finta di nulla: avrebbe parlato con Evan per capire che cosa gli fosse preso all’improvviso, non voleva metterlo in guai seri; magari aveva solo parlato a sproposito. Per giunta non sapeva come ragionava il nuovo direttore, se fosse stato Vitious probabilmente gliene avrebbe parlato subito.
Sciorinò ai ragazzini le regole più importanti e indicò loro i rispettivi dormitori.
 
Louis sorrise quando vide la sua stanza: il colore che risaltava immediatamente all’occhio era il blu. Il suo colore preferito. Vi erano solo tre letti ed una scrivania. Una lampada ad olio a forma di corvo pendeva dal soffitto illuminando delicatamente la camera. I loro bauli erano ai piedi dei letti. In silenzio iniziarono a sistemarsi per la notte. L’adrenalina si stava esaurendo e Louis cominciava a pensare che avrebbe dormito lontano dalla sua famiglia per la prima volta. Con un groppo in gola si voltò verso i suoi due compagni che, come avevano detto prima Neville e poi Matthew, sarebbero stati la sua seconda famiglia per i prossimi sette anni.
Drew ricambiò il suo sguardo con un ampio sorriso.
«Finalmente non devo sopportare mio fratello! Sapete, è un pessimo compagno di stanza! Credo che andremo d’accordo. Lui si lamenta in continuazione, ma io mi adatto facilmente».
Anche Louis sorrise di fronte alla spontaneità e l’espansività del compagno. L’altro ragazzino, Brian Carter, fece un sorrisetto timido ed annuì.
«Non vedo l’ora che inizino le lezioni. Sono proprio curioso» si lasciò scappare Louis, per poi pentirsene: insomma già un ragazzino l’aveva apostrofato come secchione, non era il caso di farsi etichettare da subito.
«Anche io sono curioso, anche se non amo molto le lezioni in sé… ma insomma il primo giorno è sempre il primo giorno!» disse, però, entusiasta Drew.
«Anch’io» pigolò Brian, «Però ho anche paura… insomma e se ci chiedono di fare qualcosa di difficile? Voi avete letto i libri? I miei genitori sono maghi, ma sono cresciuto quasi come un babbano…».
«Ma no! Partiranno da zero! Io, i libri non li ho nemmeno aperti!» rispose subito Drew con fare rassicurante.
«Io i libri li ho letti, ma solo per curiosità. Mia sorella Vic, mi ha spiegato che il primo giorno ci presenteranno le materie».
«Ah, ok».
«Ma quello è uno kneazle?» chiese Drew, osservando con sospetto il cucciolo che si era comodamente sdraiato sul letto di Louis.
«Sì. Per precisione è una femmina. Si chiama Cliodna».
«Ma si possono portare ad Hogwarts?» chiese ancora perplesso Drew.
«Non lo so, ma mio padre avrà parlato con la professoressa McGranitt. Me l’hanno regalata lui e la mamma».
«È carina. Posso accarezzarla?» domandò Brian.
«Provaci, ma sii gentile. Non può vedere né mia sorella Domi, né i miei cugini Fred e Lily e li ha conosciuti solo ieri!».
La piccola Cliodna, però, non si mostrò infastidita dalle attenzioni di Brian né da quelle di Drew, che si era avvicinato. Chiacchierarono per un po’, finché il sonno non iniziò a farsi sentire.
«Buonanotte, ragazzi» disse Drew sparendo sotto l’enorme coperta blu, che copriva i letti a baldacchino.
«Buonanotte» risposero in coro Louis e Brian.

*

«Per le mutande di Merlino! Rose, smettila immediatamente!».
La ragazzina da quando aveva messo piede in camera non aveva fatto altro che lanciare in aria e rompere tutto ciò che le capitava sotto mano.
Cassy ed Isobel non riuscivano a calmarla in nessun modo.
«Giuro che se non la smetti ti schianto!» sbraitò ancora Cassy.
Niente da fare. Rose Weasley mandò in frantumi anche la finestra colpendola con il tomo di aritmanzia.
«Lo sai che quello ti servirà?» pigolò incerta Isobel, mentre il libro spariva inghiottito nel buio della notte. Rose non la sentì nemmeno.
«Ok, l’hai voluto tu» disse Cassy estraendo la bacchetta.
«No, aspetta. Lasciami provare» la bloccò Isobel. Cassy la fissò scettica, ma abbassò la bacchetta: attaccare Rose in quelle condizioni avrebbe potuto rivelarsi pericoloso.
«IO ED ELPHIAS CI SIAMO BACIATI IN TRENO» gridò Isobel.
A Cassy cadde la bacchetta di mano; il manuale di storia della magia seguì quello di aritmanzia, ma Rose si voltò verso di loro.
«EH?» urlarono sia quest’ultima che Cassy all’unisono.
«Siamo rimasti in contatto tutta l’estate e mi ha invitato una settimana da lui in Svizzera. Ci siamo baciati prima che io tornassi a casa. Quello sul treno era per sottolineare che ci siamo messi insieme».
Isobel sorrise. Quell’anno era cominciato alla grande: adorava Elphias ed era riuscita a lasciare Rose Weasley senza parole.

*

«Ma vi rendete conto?! È una disgrazia!».
«Continuerà così tutta la notte?» sussurrò Vernon Dursley, annoiato.
«Spero di no» sospirò Murray Mullet.
«Lo sapevo che era scemo, ma non fino a questo punto! Serpeverde! Serpeverde, ma vi rendete conto?».
«Canon, chiedilo un’altra volta e ti schianto» sibilò minaccioso Hugo Weasley.
Colin Canon si voltò verso di lui e lo fissò ad occhi sgranati. Marcellus Nott strappò la bacchetta dalle mani del suo migliore amico: già sua sorella Rose aveva fatto finire Grifondoro sotto zero.
«Mio fratello è un Serpeverde» piagnucolò Colin.
«L’abbiamo capito, Colin» disse conciliante Marcellus, «Pazienza, significa che il Cappello ha ritenuto opportuno così. Che differenza fa? Una Casa vale l’altra».
«Come osi?! Una Casa vale l’altra? Lo so, che sei uno sporco figlio di Mangiamorte! Non dovresti nemmeno stare in nostra presenza!».
Marcellus si sentì come se l’avessero schiaffeggiato e per un momento gli mancò l’aria: pensava che dopo un anno fosse stato accettato indipendentemente dalle sue origini. Ferito non si rese neanche conto di aver mollato il braccio di Hugo, che ne approfittò subito, lanciandosi sul compagno. Vernon e Murray saltarono dai loro letti tentando di separare i compagni, mentre Gideon osservava sorpreso il cugino: non era da Hugo comportarsi così. Alla fine intervenne anche lui e Marcellus; quest’ultimo allontanò l’amico da Colin.
«Sei un traditore, Hugo Weasley! Non dovresti stare con gente come Nott! Sono loro che stanno rigettando il nostro mondo nel panico! Io non dormo con gente come voi!» disse Colin sputando addosso ai due compagni. Il gesto fece scoppiare una nuova rissa.
«Protego».
L’incantesimo improvviso li separò e tutti si voltarono verso la presenza estranea che li scrutava sbigottita e mezza assonnata.
«Ma che fate?» chiese James.
Hugo e Colin iniziarono ad urlare spiegando ognuno le loro ragioni: il primo voleva l’appoggio del cugino; il secondo era spaventato perché adesso Potter era un Prefetto. James s’irritò man mano che comprendeva ciò che i due sbraitavano.
«Ascoltami bene, Canon. Non mi ripeterò. Non so se ti rendi conto, ma stai facendo discriminazione. Le discriminazioni non sono ammesse ad Hogwarts, a meno che tu non voglia essere espulso, ti conviene cambiare atteggiamento. Marcellus è uno dei nostri indipendentemente dal suo cognome. E lascia stare tuo fratello! Non hai minimamente pensato che magari in questo momento non è felice? E poi i Serpeverde non sono tutti cattivi. I Neomangiamorte si basano proprio sulle discriminazioni. Ti comporti come loro».
Tutti i ragazzini del secondo anno lo osservavano preoccupati.
«Ed adesso andatevene a letto, forza. Se vi sento litigare un’altra volta, domani mattina farò rapporto al professor Paciock».
James, palesemente contrariato, attese che tutti obbedissero e poi se ne tornò in camera sua, con la speranza di poter finalmente dormire.

*

Scorpius si sentiva inquieto: i suoi compagni di stanza non lo degnavano di tante attenzioni dal primo anno. E non erano state attenzioni positive: Thomas Roockwood e Daniel Warrington credevano ancora nelle vecchie idee purosangue, mentre Fulton Collins non aveva un minimo di personalità e faceva ogni cosa i due ordinavano. Al primo anno quando aveva visto che la sua amicizia con Al e Rosie dava loro fastidio, ogni rapporto amichevole era cessato: le sue amicizie le sceglieva da solo. I due allora avevano ben pensato di poter fare i bulli con lui, ma con l’aiuto di Rose li aveva rimessi al loro posto e da allora non si rivolgevano più la parola.
«Allora Scorpius, come sono andate le vacanze?».
«Uno spasso. Le vostre?» rispose meccanicamente, cercando l’inganno.
«Interessanti. Mio padre mi ha presentato dei ragazzi simpatici. Purosangue, naturalmente» disse Thomas.
«Già. E questi ragazzi pensano di riunirsi anche qui a Scuola. Sarai dei nostri?» aggiunse Daniel.
«Riunirsi per far che?».
«Amicizia» rispose vago Thomas.
«Mmm vedremo. Domani chiederò ad Al e Rosie se vogliono venirci…» buttò lì Scorpius e dal lampo irato che balenò negli occhi del compagno capì di non aver sbagliato a giudicare.
«Loro non sono ammessi. Si tratta di ragazzi di una certa élite sociale» replicò subito Daniel.
«Ma come!? I figli dei Salvatori del Mondo Magico non fanno parte dell’élite?» chiese fintamente sorpreso.
«Bisogna essere Purosangue» fu la risposta di Thomas.
«Curioso… E da quando i Warrington hanno il sangue puro? Credevo che tua madre venisse dai bassi fondi» disse Scorpius. Se era stato smistato a Serpeverde un motivo c’era: la sua lingua poteva diventare molto tagliente.
«Come osi?!» lo fulminò Daniel balzando verso di lui, ma Scorpius fu più veloce: estrasse la bacchetta e la punto contro i tre ragazzi.
«Oso. State lontani da me e dai miei amici o la pagherete». Per quanto era arrabbiato la sua bacchetta emise delle scintille rosse e gli altri tre indietreggiarono spaventati. Per quanto fossero in maggioranza in un duello di magia non avrebbero mai avuto la meglio: Scorpius era dieci volte più bravo di loro in Incantesimi.

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Capitolo 10
*** Una cugina ritrovata ***


Capitolo decimo
 
Una cugina ritrovata
 
Amy Mitchell si alzò prima di tutte le sue compagne. Fu pronta ancora prima che loro dessero segno di volersi alzare dal letto. Era una ragazzina schizzinosa ed alle volte asociale, come sua madre non mancava mai di sottolineare. Non fraintendiamoci, non era una di quelle ragazzine timide che avevano difficoltà a relazionarsi con gli altri. No. Semplicemente evitava coloro che non reputava alla sua altezza. Cioè quasi tutti. Era ribelle per natura ed amava avere sempre l’ultima parola. Aveva fatto conoscenza con le nuove compagne la sera prima e poteva affermare con sicurezza di non sopportarle: Merope Granbell e Nadine Parkinson erano di una stupidità abissale; Alexis Finch-Fletchley e Mariam Russell erano troppo remissive; Lucy Weasley era un’arrogante ed Arianna Greengrass si era fin da subito presentata come la migliore del loro anno, una specie di secchiona altezzosa quindi.
Così decise di recarsi in Sala Grande da sola. Erano appena le otto meno un quarto e non c’erano che pochissimi studenti. Per lo più Serpeverde. Sedette all’inizio del tavolo in modo da poter osservare quello di Grifondoro: i tre coetanei che aveva conosciuto la sera precedente non erano ancora arrivati, se n’era accorta appena messo piede nella vasta Sala. Quando sua mamma l’aveva lasciata sola su quel treno in mezzo a gente sconosciuta, si era sentita persa come mai in vita sua ed aveva accolto piacevolmente la compagnia e la semplicità di quei tre; niente in confronto con la stupidità delle sue compagne di Casa.
«Sei una tipa mattutina».
Amy si voltò verso il ragazzo che aveva parlato e lo scrutò con attenzione: i capelli biondi e folti; ma soprattutto la colpirono gli occhi, che avevano un che di magnetico ed erano di un azzurro glaciale. Era in compagnia di due ragazzi mori.
«Non credo di conoscervi» disse altezzosa. I tre presero posto di fronte a lei.
«Hai ragione, perdona la mia maleducazione. Io sono Emmanuel Shafiq. Loro invece sono Tobias Andersen e Urano Pratzel. Siamo anche noi del terzo anno».
«Piacere. Io sono Amy Mitchell».
«Com’è stata la prima notte ad Hogwarts?».
«Non mi lamento; ma sarebbe andata meglio se le nostre compagne non fossero delle oche insopportabili».
Con sua sorpresa i tre risero, anziché mostrassi offesi. «Cavoli, non ti far sentire da Lucy, Alexis od Arianna. Loro non vorrebbero mai essere etichettate così».
«Non possono negare l’evidenza» insistette lei.
Iniziarono a fare colazione in silenzio.
«Perché guardi in continuazione il tavolo dei Grifondoro?» chiese a bruciapelo Pratzel.
«Voglio vedere se arrivano dei ragazzi che ho conosciuto ieri in treno».
«I Grifondoro sono tutti degli sfigati» sentenziò il ragazzino con la bocca piena. Amy lo osservò disgustata.
«Chi?» domandò invece Emmanuel.
«Frank Paciock, Roxanne Weasley e Gretel Finnigan. Li conosci?» chiese a sua volta, ignorando palesemente Pratzel.
«Certo, sono nostri compagni. E non sono degli sfigati. Urano dovresti smetterla con questa rivalità tra Case. È fuori moda».
Amy saltò su appena li vide e fece per andare da loro, ma Emmanuel la bloccò: «Che fai?».
«Voglio stare un po’ con loro! Non posso?» chiese sfidandolo a contraddirla.
«Sì, ma aspetta che la nostra Direttrice ci consegni l’orario delle lezioni. Non apprezzerà doverti venire a cercare».
«Che pizza! Ma tu che ne sai?».
«È la mia prozia. Ti assicuro: mai contrariarla» replicò mesto Emmanuel.
«Perché sei venuta in Inghilterra?» chiese gelida una voce dietro di loro.
Arianna Greengrass e le altre erano arrivate e la guardavano decisamente male.
«Non credo siano affari tuoi».
«E voi state con questa?» chiese imperiosa Lucy Weasley.
Tobias Andersen, che non aveva aperto bocca fino a quel momento, quasi si strozzò con una fetta biscottata e le restituì uno sguardo spaventato. Emmanuel prese una fetta di pane, già spalmata di una strana crema che Amy non conosceva e la ficcò senza molte cerimonie nella bocca di Lucy.
«Addolcisciti ed evita le parolacce, mia zia si sta avvicinando e ti assicuro che è in grado di farti rimpiangere la Macklin».
La ragazzina divenne paonazza, ma mangiò comunque il pane. «Fammene un’altra» ordinò.
«Sempre gentile, eh?» replicò Emmanuel, ma la accontentò.
«Non dovresti obbedirle» disse infastidita Amy.
«Sei gelosa» ghignò Arianna, alla quale il ragazzo aveva appena passato una fetta di pane.
«Non ci vuole niente a spalmare un po’ di nutella sul pane. E non ha motivo di essere gelosa. Tieni».
Amy incredula prese la fetta e la osservò. «Cos’è la nutella?».
Lucy ed Arianna risero malefiche.
«Un intruglio babbano che ti fa venire i brufoli» rispose saccente Nadine Parkinson.
«Ehi?!» Amy osservò sorpresa ed adirata Emmanuel, «Che scherzi sono questi?».
«La nutella è una crema babbana. Come la cioccolata se mangiata in quantità esagerate potrebbe far venire i brufoli. Non è uno scherzo. È buonissima, mangia».
«Ah, ok… scusa…» borbottò, «… e che noi Americani non andiamo d’accordo con i Babbani» borbottò Amy.
«Qui in Inghilterra abbiamo un rapporto strano con loro».
«In che senso strano?».
«Tendenzialmente cerchiamo di conviverci, ma alcuni amano ucciderli».
Amy lo osservò sorpresa e non sapeva se ridere, ma gli altri erano molto seri.
«Non dovresti parlare così. Cinque punti in meno, Shafiq».
Emmanuel impallidì quando alzò lo sguardo sulla donna che aveva parlato. «E-era solo per riassumere» tentò di giustificarsi.
«Pessimo reassunto» lo tacitò Elisabeth Shafiq. «Ecco i vostri orari».
La professoressa distribuì a ciascuno di loro un foglio di pergamena.
«Mi raccomando, mi aspetto dai miei Serpeverde un comportamento impeccabile in ogni occasione. Guai a voi se mi dovessero giungere lamentele degli altri docenti».
«È come la Macklin» brontolò Lucy, appena la donna fu lontana abbastanza per non sentire.
«No, è peggio» disse Emmanuel affranto.
Amy osservò l’orario e notò che la prima lezione sarebbe stata Erbologia con i Grifondoro. Fantastico una materia che proprio non sopportava, ma con i suoi amici. Insomma sarebbe potuta andare peggio: tipo avere lezione con la loro Direttrice fin da subito. La ragazzina ne approfittò per raggiungere Frank e gli altri. Con sua sorpresa contemporaneamente si alzò anche Lucy. Le due si fissarono per un momento.
«E tu dove vai?» chiese stizzita Lucy.
«Andate entrambe al tavolo dei Grifondoro. Lucy e Roxanne sono cugine. Sul serio evitate di arrivare alle mani in Sala Grande» sospirò Emmanuel fin troppo abituato all’atteggiamento di Lucy e con la consapevolezza che la nuova compagna avesse un caratterino altrettanto pericoloso.
«Hai fatto amicizia con Roxi? Bene! Non ci vado da quella traditrice. Vado da Fabi. Questo tavolo mi soffoca stamattina».
Sbuffarono nello stesso istante e tutti compresero che sarebbe stato un lungo anno, se non si fossero decise a far amicizia.
«Buongiorno» disse con un ampio sorriso Amy, poco dopo al tavolo dei Grifondoro.
I tre ricambiarono il saluto.
«Hai fatto conoscenza con mia cugina?» chiese divertita Roxi, cui evidentemente non era sfuggito il momento in cui le due si erano fronteggiate.
«Avete davvero lo stesso sangue?».
Roxi rise: «Per metà sì. Ma mio padre ed il suo sono molto diversi…».
«Mangi con noi?» chiese Frank con un lieve sorriso.
«No, grazie. Ho già fatto colazione».
«Hai già l’orario?» chiese Gretel, indicando la pergamena che Amy non aveva ancora riposto nello zaino.
«Sì, siamo insieme le prima due ore».
Frank gemette: «Dimmi che non abbiamo Pozioni».
«No. Erbologia».
Il ragazzino sospiro sollevato. «Meno male. Quando hai detto due ore, mi sono spaventato».
«Che problemi hai con Pozioni? È una materia così interessante. È una delle mie preferite. Il prof non è bravo?».
«Sono un disastro in Pozioni. Una causa persa… Il prof è bravo…» borbottò Frank, mentre le ragazzine ridevano.
«Capito… Voi non avete ancora l’orario?».
«No, ancora il nostro Direttore non ce l’ha dato» rispose Gretel.
«Sentite, volevo chiedervi una cosa… La prima ragazza che è stata smistata ieri sera… Abbott? O ricordo male?».
«Sì, perché?» chiese Roxi.
«È lo stesso cognome di mia madre e mi chiedevo se fosse molto diffuso in Inghilterra».
Frank si affogò con la brioche di zucca. «Tua mamma?».
«Sì, lei è inglese. Ha deciso di tornare qui dopo la separazione con mio padre. Voleva tornare dalla sua famiglia. Così mi ha detto, ma poi non l’ha cercata… Perché mi guardi in quel modo?».
In effetti Frank aveva gli occhi sgranati e la guardava con la bocca aperta, si riprese e chiese: «Come si chiama tua mamma?».
«Elisabeth Abbott».
«Ecco gli orari del terzo anno». L’attenzione di tutti fu attirata da Neville che si era avvicinato distribuendo gli orari. «Ecco a voi. Tutto ok? Frank?».
«Ti devo parlare» disse di slancio. I ragazzi più vicini risero; Frank si rese conto di aver usato un tono confidenziale ed arrossì.
«È urgente?» chiese Neville sorpreso.
«No, no, dopo» borbottò il ragazzino prendendosi l’orario.
Quando l’uomo si allontanò dopo avergli lanciato un’ultima occhiata, Amy riprese a parlare: «Cosa ti ha sconvolto?».
«Il nome di tua mamma» rispose Roxi, venendo loro incontro.
«Perché?».
«Credo che tu sia mia cugina» rispose Frank, continuando ad osservarla attentamente.

*

«Accomodati. Ti tratterò solo qualche minuto. Non ti farò arrivare in ritardo ad Incantesimi» esordì Maximillian Williams, scrutando il giovane mago di fronte a lui. «Ho bisogno di scambiare due parole con te su quanto accaduto ieri sera. Ti chiami Matthew, vero?».
«Sì, signore. Se si riferisce al fatto che Rose Weasley ha schiantato un suo compagno di Casa…».
«No» lo fermò immediatamente Williams, «Non sono affari miei. Mi riferisco all’atteggiamento che Evan Rosier ha assunto nei confronti degli studenti del primo anno».
Matthew boccheggiò e si chiese come potesse saperlo.
«Mi è stato riferito da Anastasia Johnson. Quella ragazzina ha la stoffa del magiavvocato. Toccava a te, però, farmi rapporto. O sbaglio?».
«No, signore» disse subito Matthew, costernato della magra figura che aveva fatto il primo giorno da Caposcuola e tutto per quell’ingrato di Rosier, che gli aveva anche risposto male quando aveva provato a parlargli in camera. «Io ho pensato che…».
«Che non fosse il caso di farlo, per evitare di perdere punti fin dalla prima sera… dico bene? Tutto sommato basta Grifondoro sotto di cinquanta punti… Oppure l’hai fatto perché non sapevi come io avrei reagito? O meglio ancora, entrambi i motivi…».
«Sì» ammise alla fine Matthew, colpito dal rapido ragionamento dell’uomo. Certo non era stato smistato a caso a Corvonero. Quello che lo colpì fu che non aveva messo esplicitamente in dubbio la sua affidabilità. Non ancora almeno, ma l’avrebbe fatto. Ne era sicuro ed aveva ragione lui.
«Ascoltami bene, il tuo ragionamento è comprensibile… ma le parole pronunciate da Rosier alla luce di quello che sta accadendo non sono casuali…».
«Signore, le assicuro che mai prima d’ora Evan si è comportato così…».
Williams scosse la testa. «Suo padre è indagato dagli Auror. Si ritiene che abbia a che fare con la Signora Oscura. Qualunque cosa farà Evan Rosier d’ora in poi dovrai riferirmelo. E lo stesso vale per Maurice Green. Anche suo padre è indagato. Naturalmente tu non sai niente. Te lo sto dicendo solo perché la Preside mi ha assicurato di potermi fidare di te al cento per cento».
Matthew era basito. «Ma conosco Evan e Maurice da sei anni… e… Non possono far male a nessuno… sono due bravi ragazzi, glielo assicuro…».
«Le mie informazioni mi dicono ben altro. Niente più omissioni, chiaro Matthew?».
«Sì, signore».
«Per essere chiari: non me ne frega un tubo se un ragazzino si mette a giocare con un frisbee zannuto od uno qualsiasi dei prodotti Tiri Vispi Weasley vietati. Occupatene tu con gli altri Prefetti. Mi aspetto però la massima correttezza da parte vostra, soprattutto nei confronti delle altre Case. Dopo nemmeno un giorno al Castello ho sentito ben due Direttori, puoi immaginarti quali, lamentarsi perché l’anno scorso abbiamo soffiato la Coppa del Quidditch in modo poco sportivo a Grifondoro… Ah, per essere precisi me l’ha detto anche la Preside… Quindi regolatevi… non sono atteggiamenti che tollererò».
«Chiarissimo, signore».

*

«Amy, ti presento Albert. Albert ti presento nostra cugina, la figlia di zia Elisabeth» disse Frank con falsa non curanza. Il Tassorosso sgranò gli occhi e per un paio di minuti il suo sguardo andò dal cugino alla ragazzina, forse aspettandosi che stessero scherzando. «Come fai ad esserne sicuro?» chiese alla fine.
«Mia mamma: Elisabeth Abbott» rispose Amy.
«Tua mamma ha i capelli castani, occhi azzurri chiarissimi ed è alta?».
«Come fai a saperlo?».
«Nostro nonno. Nei suoi attacchi di nostalgia ci fa vedere le foto e ripete sempre le stesse cose… Beh allora… benvenuta in Inghilterra!» disse Albert sorridendo.
«Grazie».
«Vieni dobbiamo presentarti gli altri» sentenziò Albert alzandosi.
«Abbott, dove stai andando?» domandò una voce autoritaria.
«Professore, buongiorno» rispose Albert con un ampio sorriso.
«Hai tanta voglia di fare lezione che non aspetti nemmeno di prenderti l’orario?». Amy rimase perplessa, i Tassorosso però scoppiarono a ridere.
«Sapevo che lei non avrebbe mancato di informarmi» replicò Albert con un ghigno.
«Fa’ poco lo spiritoso. Ho notato quanta cura tu abbia messo a superare i G.U.F.O.».
«Vero. Il giorno prima ho studiato un sacco. Sono state due settimane intense».
L’insegnante lo fulminò con lo sguardo, poi lesse i suoi appunti e disse: «Puoi continuare con babbanologia, cura delle creature magiche e trasfigurazione».
«Ed incantesimi?».
«La professoressa Shafiq accetta nella sua classe M.A.G.O. solo coloro che hanno ottenuto Eccezionale al G.U.F.O.».
Dal tavolo si levarono varie proteste, che furono immediatamente tacitate dal docente.
«Se aveste studiato a tempo debito, non vi ritrovereste in questa situazione».
«Tanto non mi interessa» borbottò Albert.
«Lo so, Abbott. Dovresti ringraziarmi, però. La Preside non voleva nominarti Capitano, a causa del tuo scarso profitto e della tua discutibilissima condotta. Sono riuscito a convincerla che almeno così ti impegnerai in qualcosa. E vedi di farlo. Sono stanco di vedere la nostra squadra all’ultimo posto» disse l’insegnante, poi batté su un foglio di pergamena con la bacchetta e gli consegnò l’orario. «Bada bene di non bighellonare tutto il giorno o ti troverò io qualcosa da fare».
«Grazie, signore» disse sinceramente Albert. Dopodiché radunò gli altri cugini fuori dalla Sala Grande con l’aiuto di Frank. Raccontarono loro la novità e li presentarono Amy.
«Lo sapevo! Lo sapevo! Te l’avevo detto che io ed Augusta l’avevamo vista al parco e tu non ci credevi!» strillò Alice.
«Siamo sicuri?» chiese, invece, Emmy contenta di essere con i fratelli ed i cugini indipendentemente dai colori che adornavano la sua divisa (anche se Alice le lanciava delle occhiatacce).
«Non è possibile che sia solo una coincidenza. Comunque stasera parleremo con lo zio. Ok?».
Amy non sapeva di chi stesse parlando, ma gli altri annuirono.
«Allora ci vediamo dopo le lezioni. Adesso devo andare. Ho un’ora libera ed ho tutta l’intenzione di farmi una passeggiata nel parco. Non vorrei che Mcmillan mi beccasse prima» disse Albert.
«Io raggiungo Lily, Hugo e Marcellus. Abbiamo Incantesimi. Speriamo che la Shafiq non favorisca i Serpeverde. Siamo con loro».
«Non fare guai» la supplicò Frank, ma ella non gli diede ascolto.
«Anche noi dovremmo andare» ricordò Amy a Frank. Non voleva arrivare in ritardo alla sua prima lezione.
«Sì, hai ragione. Ecco le altre» replicò il ragazzino, indicando Roxi e Gretel.

*

Louis prese posto accanto a Drew e Brian ed a loro si aggiunse una ragazzina che si era presentata come Annika Robertson. Era la loro prima lezione ed erano eccitati, nonostante suo cugino James, che era andato a salutarlo al loro tavolo, li aveva detto che sarebbero stati molto più fortunati ad iniziare con Difesa; ma lui andava pazzo per quella materia, per cui era un giudizio di parte. I Corvonero si erano seduti tutti vicini, dietro di loro infatti sedevano Sarah Burke, che appariva senz’altro la più timida del gruppetto visto che non aveva rivolto parola a nessuno ancora e si era limitata a rispondere con cenni imbarazzati della testa quelle volte in cui si erano rivolti a lei direttamente; Margaret Davies che non aveva smesso un secondo di chiacchierare con Anastasia Johnson.
«Buongiorno a tutti!».
L’insegnante entrò in aula, chiudendosi la porta alle spalle ed il brusio che fino a quel momento era stato ininterrotto cessò bruscamente. L’uomo sorrise loro e si presentò: «Io sono Ernie Mcmillan e sarò il vostro insegnante di Pozioni». Sorrise per tranquillizzarli, in quanto sembravano molto intimoriti e poi fece l’appello.
«Per prima cosa vi dirò quali sono le regole da seguire in quest’aula. L’arte di distillare Pozioni è sottile e complessa. Non pretenderò che riusciate sempre al primo tentativo, quindi non vi preoccupate se avrete difficoltà. Siete qui proprio per imparare. Vorrei però che prestaste la massima attenzione alle spiegazioni ed ancor di più quando lavorate ad una pozione. Non è un gioco distillare pozioni. Una piccola distrazione, che a voi potrebbe sembrare banale, non potrebbe portare semplicemente ad una pozione errata, ma anche a conseguenze pericolose per la vostra salute e per quella di chi vi sta intorno. Per cui pretendo da parte vostra la massima serietà durante le mie lezioni… Signor Zender, non sei interessato alle mie parole?».
Il Serpeverde che fino a quel momento aveva chiacchierato con i suoi compagni, sollevò gli occhi sull’insegnante e rispose: «Sono capace di fare più di una cosa in una volta».
Il professor Mcmillan si irritò per la risposta impertinente.
«Cinque punti in meno a Serpeverde!» sentenziò.
«Perché? Io stavo ascoltando! Stava dicendo che non dobbiamo far esplodere l’aula. E comunque io so tutto» replicò il ragazzino con tono saccente.
«Ah, sì?» disse con un accento pericoloso nella voce. «Allora dimmi dove si può trovare un bezoar».
Margaret, Anastasia, Annika e Drew sogghignarono nel vedere che non sapeva rispondere; per conto suo l’insegnante sembrava soddisfatto del suo silenzio. «Chi lo sa?» domandò rivolto alla classe. Le mani di Louis, Sarah, Drew e Margaret scattarono in aria insieme a quelle di due Serpeverde.
«Davies, rispondi tu» disse Mcmillan.
«Il bezoar si trova nella pancia delle capre e serve d’antidoto per la maggioranza dei veleni comuni» disse sicura Margaret.
«Esatto. Cinque punti a Corvonero. E Zender, mi sai dire che differenza c’è tra l’aconito napellus e l’aconito lyctotum?». Ancora una volta il ragazzino non seppe rispondere ed il docente si rivolse alla classe. Nuovamente le mani degli stessi ragazzini scattarono in aria, ma questa volta Mcmillan diede la parola ad una ragazzina di Serpeverde.
«Sono la stessa cosa. Noti più semplicemente come aconito».
«Molto bene, signorina Shafiq. Cinque punti a Serpeverde. Un’ultima domanda, Zender. Che cosa ottengo se mescolo radici di asfodelo in polvere in un infuso di artemisia?».
Mike Zender non lo sapeva, ma anche il resto della classe questa volta rimase in silenzio. «Non lo sa nessuno?» chiese Ernie, ben sapendo che era impossibile, visto che si trattava del programma del sesto anno. Non era da lui comportarsi in quel modo, ma voleva mettere ben in chiaro le cose con i Serpeverde fin da subito: con lui non si scherzava. Con sua sorpresa una mano si levò dal gruppo dei Corvonero. Osservò stupito il ragazzino biondo. «Sì, Weasley?».
«Si ottiene il Distillato della Morte Vivente. Una pozione soporifera così potente che se si dovessero sbagliare le dosi, il sonno potrebbe diventare irreversibile». Louis si accorse che tutti lo osservavano sorpresi e sospirò: ancora una volta non era riuscito a tenere la lingua a freno. Avrebbero iniziato a prenderlo in giro come alla scuola babbana. «Me l’ha detto mia sorella. Lei studia Medimagia ed il Distillato della Morte Vivente alle volte viene usato per addormentare i pazienti» si affrettò a spiegare.
«Come un anestetico babbano?» chiese Annika.
«Che cos’è un anestatico?» domandò Drew.
«Anestetico. Serve per far addormentare i pazienti prima di operarli» rispose Annika.
«Sì, signorina Robertson. È quasi la stessa cosa, o quanto meno per l’uso che ne fanno i Guaritori. Dieci punti a Corvonero» disse Mcmillan riprendendo in mano la discussione.
«Dieci? Ma alla Shafiq ne ha dati solo cinque!» si lamentò Mike Zender.
«Quello lì non sa cos’è lo spirito di conservazione» borbottò Annika, facendo sorridere i tre compagni di banco; mentre l’insegnante rimproverava il Serpeverde e per migliorare l’umore dei Corvonero sottrasse loro altri dieci punti.
«Adesso vorrei che provaste a realizzare una pozione. La pozione Scacciabrufoli è molto semplice. Troverete le istruzioni a pagina dieci del vostro manuale. Se avete difficoltà chiedete a me, non fate di testa vostra. La migliore pozione sarà premiata con dieci punti».
I ragazzini si misero al lavoro chi interessato al compito in sé, chi, cioè la maggior parte, desideroso di accaparrarsi i dieci punti per la propria Casa. Il professor Mcmillan passava tra i banchi, osservando il loro lavoro, correggendo e suggerendo il modo migliore di compiere determinate operazioni: quali per esempio la pesatura degli ingredienti od il modo corretto di mescolare e di regolare la fiamma sotto il calderone.
«Tempo scaduto» annunciò alla fine delle due ore e controllò attentamente ogni pozione e decise di assegnare dieci punti ad entrambe le Case, perché le pozioni di Louis e di Selene Shafiq erano egualmente perfette.

*

Frank sedette al primo banco, mentre Roxi e Gretel litigavano con gli altri Grifondoro e Tassorosso per ottenere gli ultimi banchi. All’ingresso in aula della professoressa Dawson ogni battibecco si spense e tutti presero posto rapidamente. Con un sorrisetto Frank accolse Roxi accanto a sé. Borbottava contro Lorein Calliance: probabilmente era riuscita a fregarle il posto. Si voltò indietro e costatò che la ragazzina aveva dipinta in volto un’espressione molto soddisfatta. Per fortuna Roxi non aveva tendenze vendicative come quelle di suo fratello o della maggior parte dei suoi cugini, per cui probabilmente la questione si sarebbe chiusa lì.
«Buongiorno» salutò la professoressa. I ragazzi la osservarono in attesa di capire che tipo fosse: insomma per due anni avevano avuto un fantasma come insegnante, una figura umana dietro quella cattedra era decisamente insolita. Era molto giovane, Frank valutò che dovesse avere sì e no una trentina di anni. Ebbe un moto istantaneo di simpatia nei suoi confronti. Non aveva nulla dell’alterigia e dell’austerità delle altre professoresse; anzi sembrava si fosse appena diplomata! Ella sorrise alla classe con fare imbarazzato. Era evidente che fosse la sua prima esperienza di insegnamento.
«Già… ehm… la Preside mi ha presentato ieri sera… comunque per chi non lo ricordasse o non stesse ascoltando… io sono Emily Dawson e sono la vostra insegnate di storia della magia…» disse, rimanendo in piedi davanti alla cattedra, ma sembrava incerta anche dello spazio che occupava. Frank sorrise incoraggiante, ma qualcuno dal fondo ridacchio. Se ci avesse fatto caso nessuno poté stabilirlo perché ella non commentò.
«Beh allora chiamiamo l’appello… allora… Abbott…?».
«Presente».
Frank si voltò verso suo cugino Martin, che occupava il banco in prima fila vicino alla porta.
«Avery… Bobbins… Butler…» man mano che chiamava i ragazzi rispondevano ‘presente’ o si limitavano ad alzare la mano, «Calliance… Calliance… Finnigan… Finnigan…?».
Frank si voltò indietro per vedere perché l’amica non rispondeva e vide che stava discutendo a bassa voce con Lorein Calliance. Quando vide che tutti la stavano osservando, arrossì. «Ehm… presente… professoressa, posso cambiare posto?».
«Sì, ma… non ce ne sono posti liberi… magari qualche compagno vuol fare cambio…?».
Nessuno si fece avanti, ma Gretel non si scoraggiò: «Non fa niente» disse alzandosi, «Se per lei va bene, mi siedo avanti». Roxi e Frank non poterono trattenere un sorrisetto, mentre prendeva la sedia e si posizionava vicino a loro, che prontamente le fecero spazio, in modo che potesse appoggiarsi al banco. In realtà non aveva nemmeno aspettato che l’insegnante le desse il permesso: qualunque cosa le avesse detto la Calliance doveva averla fatta davvero arrabbiare.
«Ehm sì… va bene… insomma se i tuoi compagni sono d’accordo… e mi pare di sì… continuiamo con l’appello… Granbell… Hans… King… Lynch… Lynch… Minchum… Paciock…».
«Presente» rispose Frank distrattamente, la sua attenzione era tutta rivolta a Gretel, che al di là della sfacciataggine di facciata adesso sembrava turbata.
«…Pratzel e Weasley».
Concluso l’appello con Roxi, la Dawson li osservò per un attimo: sembrava spaventata da loro. Ciò dispiacque profondamente a Frank, perché era consapevole che Calliance ed amici non avrebbero impiegato troppo tempo ad approfittarne.
«Bene, adesso che ci siamo presentati potremmo anche iniziare… il professor Ruf non mi ha lasciato alcun appunto sui programmi svolti durante l’anno scorso… dove siete arrivati?». Per un attimo nessuno rispose, la maggior parte perché non se lo ricordava o non l’aveva mai saputo.
«L’ultimo argomento che abbiamo trattato è stata la caccia alle streghe» rispose Frank.
«Capisco… come vedo il professor Ruf ha continuato ad adottare il manuale di Bathilda Bath» disse la professoressa indicando il libro, che Frank aveva sul banco. «Naturalmente è un ottimo manuale. Bathilda Bath è stata la storica più importante del XX secolo; ciò non toglie però che essendo ella morta nel 1997, ormai vi siano lacune abbastanza rilevanti… senza contare gli studi successivi… Io mi sono diplomata presso l’Accademia di Studi Magici Storici ed Umanistici di Londra. L’Accademia è stata ufficialmente fondata solo nel 1993. Inizialmente si trattava dall’Archivio Magico nato nel 1981 dopo la prima caduta di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato. Finalmente, direi, i maghi si accorsero dell’importanza della memoria storica. Un gruppo di giovani appassionati di storia della magia si riunì a Londra e cercò di mettere insieme tutti i documenti e le testimonianza della storia magica principalmente inglese, naturalmente; oggi l’interessi dell’Accademia si sono rivolti anche al mondo babbano ed a quello straniero, magico e non…».
«Che ce ne frega a noi dei babbani?» chiese sprezzante Alcyone Granbell interrompendola. Frank avrebbe voluto strozzarlo: per una volta qualcuno parlava di storia in maniera intelligente, lui doveva rompere le pluffe.
«Ogni cultura diversa dalla nostra può insegnarci qualcosa. L’arte e la letteratura babbane hanno raggiunto nel corso dei secoli punte si sublimità, che non potete nemmeno immaginare… chiudersi nel proprio pensiero e nel proprio mondo piccolo e cittadino è sintomo di ignoranza. Vorrei che voi che lo comprendeste… Il mio obiettivo sarà questo durante le mie lezioni…».
«Insegnarci ad amare i Babbani? Sa, Finch-Fletchley potrebbe offendersi se sapesse che lei invade il suo campo» la interruppe nuovamente Granbell.
«Io non ho detto che studieremo i Babbani. Sarebbe educato da parte tua non interrompermi. Stavo dicendo che voglio che impariate ad aprire la mente, ragionare sugli avvenimenti storici in modo critico e che non impariate a memoria quattro date per poi scordarle… la Storia non è quella… La Storia per me è vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis come affermava un babbano del I secolo a.C. Marco Tullio Cicerone. Io ritengo che la storia abbia un valore paradigmatico. Naturalmente il pensiero storico ha diverse tendenze nel corso del tempo… Ci sono modi diversi di interpretare i singoli avvenimenti… Ma, Granbell, tu che problema hai con i Babbani?».
«Che problemi ho? Sono degli esseri inferiori… mi sembra scontato… non capisco perché tutti dicono il contrario: non hanno la magia… non possono essere per natura al nostro livello…».
Un silenzio teso si prolungò per un minuto che parve eterno, ma la risposta pronta e dura della donna fece ricredere Frank: non sarebbe stato facile metterle i piedi in testa. «Certo, la magia è una potenzialità che i Babbani possono solo invidiarci, ma se non si è capaci di usarla nel modo giusto e soprattutto in modo corretto non serve a nulla e non ci potremmo nemmeno vantare. Ciò che più importa è l’umanità e l’intelligenza di una persona… Uno può essere un mago purosangue, nato in una delle migliori e più antiche famiglie, ma poi non avere un briciolo di intelligenza… ti assicuro che a quel punto i Babbani non avrebbero nulla da invidiarci… senza contare che alcuni sono così intelligenti che sono stati capaci di sopperire perfettamente alla mancanza di magia… Ditemi, vi sentite migliori perché potete usare un incantesimo di appello per prendere qualcosa che si trova a cinque centimetri da voi? Vi svelo un segreto… non si tratta di essere ad un livello superiore od inferiore… è solo pigrizia… Ditemi che cosa sappiamo fare noi con la magia, che i Babbani non sappiano fare in altro modo? Allora?».
«Un sacco di cose! Volare sulle scope… insomma c’è qualcosa di più bello del Quidditch? Poi la trasfigurazione, le pozioni… l’elenco è infinito» rispose compiaciuto Granbell.
«Non mi sembra una risposta alla mia domanda. Ho detto che cosa i Babbani non sono riusciti a sopperire con il loro ingegno e la loro creatività? Va bene noi voliamo sulle scope ed allora? I maghi hanno gli aerei, elicotteri ed un sacco di mezzi di trasporto che fra parentesi noi abbiamo imitato… Secondo voi l’Espresso di Hogwarts è un’idea originale dei maghi? O l’hanno copiata dai Babbani? Ed il Nottetempo? Per quanto riguarda gli sport la selezione è ampissima… ne hanno una valanga… non hanno nulla da invidiarci su questo piano… Trasfigurazione torniamo al punto di partenza… è questione di convenienza e comodità… ne fanno a meno senza problemi… pozioni… certo, alcune pozioni potrebbero essere utili, ma anche qui hanno trovato dei validi sostituti… Avanti non vi viene in mente nulla?».
Frank era sorpreso dalle sue parole: era cresciuto in una famiglia di maghi, ma i suoi genitori gli avevano fatto frequentare una scuola babbana a differenza dei suoi cugini. Aveva trovato un mondo diverso, molto più aperto culturalmente alle influenze straniere ed alle novità; la tecnologia l’aveva sempre attirato tantissimo ed i giochi babbani lo avevano sempre divertito. Quando parlava di quei giochi con i cugini lo guardavano come se fosse un alieno, suo zio Charles parlava di ‘fantasie da babbani’ e non gradiva sentirli parlare di certe cose. Eppure i Babbani sognano la magia, i loro libri fantasy lo dimostrano: avrebbero pagato oro per essere al loro posto e studiare in una Scuola di magia. Però erano solo belle fantasie per loro. In dieci anni aveva capito che i Babbani erano come loro: c’erano i buoni ed i cattivi e non avevano bisogno delle Maledizioni Senza Perdono per far male a qualcuno, avevano altri mezzi. Dopotutto il discorso della Dawson era chiaro: l’uomo è sempre uno, è la sua cultura che è diversa.
«Lei è una babbanofila! Ci sta dicendo che noi siamo inferiori ai Babbani». Ecco, Granbell non sapeva come ribattere alle sue parole. Ciò che Frank temeva è che quella conversazione non sarebbe rimasta in quell’aula: il padre di Alcyone era un membro del Consiglio della Scuola.
«No, non credo di aver detto questo» replicò l’insegnante, che sembrava parecchio infastidita, «Comunque, alla luce di quanto sta accadendo nel mondo magico, sono costretta a riferire il tuo punto di vista al Direttore di Grifondoro. Le tue affermazioni vanno palesemente contro le linee di pensiero e di insegnamento di questa Scuola».
Granbell rimase spiazzato e tacque per quel poco che rimaneva della lezione; comunque ormai aveva rovinato ogni cosa e la professoressa aveva perso l’atteggiamento amichevole iniziale. «I temi che vi aveva assegnato il professor Ruf per le vacanze?» chiese, facendo sbiancare parecchi. La verità è che ormai i più avevano imparato come ingannare il vecchio fantasma, che faticava a distinguere un allievo dall’altro dopo secoli. Frank ricordava ancora l’imbarazzo di Al, quando il docente aveva deciso di chiamarlo Harry e chiedergli se avesse preso una pozione restringente particolarmente potente. Il risultato è che nessuno o quasi eseguiva i temi delle vacanze.
«Allora? Devo cominciare a togliere punti ad entrambe le Case?».
A queste parole Roxi tirò fuori il suo e glielo porse. Dalla madre aveva ereditato la competitività e non sopportava perdere punti senza motivo. Così fecero qualche secondo dopo anche Gretel e Frank. Entrambe le ragazzine l’avevano copiato da lui, ma Ruf non se n’era mai accorto… Frank osservò un attimo la Dawson che raccoglieva i temi dei Tassorosso: lei l’avrebbe capito?
«Gli unici che non me l’hanno consegnato sono i gemelli Calliance, Hans e Granbell… Comunicherò anche questo al vostro Direttore… Intanto sono quaranta punti in meno per Grifondoro… E mi aspetto che me lo consegniate la prossima volta. Siccome mi sembra che poco vi interessi la storia della magia, riprenderemo subito dalla caccia alle streghe e la prossima lezione faremo una verifica sul vostro livello di preparazione».
Qualche protesta si levò dal solito gruppetto di Grifondoro, ma ella le tacitò all’istante e cominciò a parlare della caccia alle streghe. Frank un po’ malvolentieri iniziò a prendere appunti, gli interessava parecchio il discorso che la professoressa stava facendo prima che quel cretino di Granbell la interrompesse. Che poi non capiva come Hans e Calliance potessero appoggiarlo nelle sue idee purosanguiste: erano entrambi Nati Babbani.
«Ti piace?» chiese Roxi, mentre sistemavano i libri prima di uscire dall’aula. Frank osservò il disegno e scoppiò a ridere: era una caricatura perfetta di Granbell che scappava terrorizzato da un pallone da calcio, che lo inseguiva. Roxi era davvero un talento in disegno.
«È bellissimo. Sei davvero brava. Sembra vero».
«Grazie. Vorrei tanto conoscere l’incantesimo che fa muovere le immagini, come le foto… secondo te a chi lo posso chiedere?».
«La professoressa di Incantesimi?».
«Non so, non sembra una simpaticona…» borbottò Roxi.
«Non credo che mio padre lo sappia fare… Potresti chiedere a Mcmillan…».
«Sì, certo… così mi fa la predica come al solito…».
«Beh tu trascorri le ora di pozioni disegnando… al primo anno ti ha beccato mentre gli facevi una caricatura…».
Roxi rise ricordando l’episodio, per fortuna Mcmillan per quanto sapesse essere noiosissimo, non si metteva mai al loro livello a litigare come, invece, faceva la Campbell. Quante volte l’aveva buttata fuori, quella donna! Il che era senz’altro meglio, visto che si faceva un’ora di sonno in più dei compagni.
«Ragazzi, non andate a pranzo?» la Dawson richiamò la loro attenzione ed i tre si accorsero di essere rimasti da soli in classe.
«Professoressa, ci chiedevamo come si fa a far muovere le immagini».
Roxi e Frank osservarono sorpresi Gretel, che non si era nemmeno intromessa nella loro discussione.
«C’è un incantesimo ad hoc ma non lo conosco, mi dispiace» rispose la professoressa. Poi vide la delusione sul volto di Roxi e disse: «Mi fai vedere il disegno, cui ti sei dedicata durante la spiegazione?».
I tre ragazzi sgranarono gli occhi e Frank e Gretel si voltarono preoccupati verso Roxi, la quale probabilmente si stava domandando se mentire o meno. Alla fine la ragazzina decise per la verità e glielo porse. Con ulteriore sorpresa dei tre, la donna sorrise ed annuì: «In effetti sarebbe più divertente se si muovesse… Forse dovresti chiedere alla professoressa di Incantesimi, è di certo più indicata per certe cose… comunque i Babbani hanno cercato di ovviare anche a questo… se vuoi ti posso far vedere come… anche perché mi sembri molto brava… si vede lontano un miglio che è il tuo compagno…».
«Sì, la prego me lo faccia vedere!» rispose subito Roxi.
«Non ce l’ho qui con me. Se dopo cena vieni nel mio ufficio, te lo faccio vedere. Ok?».
«Sì, grazie mille».
Di una cosa era certa Roxi: non era mai stata così felice dopo una lezione di storia della magia.

*

James si sedette al primo banco insieme a Robert, mentre Benedetta prese posto dietro di loro con Demetra Norris. Era di cattivo umore, per cui ignorò tutti i loro tentativi di intavolare un discorso. Per tutto il pranzo aveva sopportato le frecciatine di Danny e Tylor. Quei due lo deludevano sempre di più. Insomma non aveva chiesto lui alla Preside di diventare Prefetto, perché dovevano rompergli le pluffe? Anche gli altri compagni lo guardavano male: alla stregua dei suoi due ex-migliori amici ritenevano che avesse avuto quel titolo solo perché figlio del grande Harry Potter. Sbuffò. La verità è che gli faceva male che la gente lo valutasse solo come figlio del Salvatore del Mondo Magico e non come James e basta.
«Vado da tua zia e le restituisco la spilla» disse a Robert, «appena finisce la lezione».
Il ragazzo che stava scrivendo una lettera in attesa dell’arrivo del professore, alzò gli occhi sull’amico. «Sei uno scemo, Jamie. Non accetterà mai le tue dimissioni. Ti beccheresti solo una lavata di capo. Se ti ha scelto avrà avuto i suoi motivi. Mia zia non fa mai nulla per caso. E meno che mai perché tuo padre è Harry Potter».
«Sì, ma non è questo che gli altri pensano!» le sue parole risuonarono nell’aula, che si era improvvisamente fatta silenziosa. I due ragazzi alzarono gli occhi ed incrociarono quelli brillanti di Maximillian Williams, appena entrato.
«Buon pomeriggio a tutti» disse il giovane insegnante distogliendo lo sguardo da loro due. L’uomo con un gesto della mano chiuse la porta. I ragazzi lo fissarono a bocca aperta: erano pochissimi i maghi che compivano incantesimi senza bacchetta. Williams, però, ignorò il loro stupore e chiamò l’appello.
James fremeva: avrebbe voluto saper usare anche lui la magia senza bacchetta. Solo i maghi potenti ci riuscivano.
«Bene, chi sono io credo che lo sappiate già. Mi chiamo Maximillian Williams e sono il vostro nuovo insegnante di Difesa contro le Arti Oscure. Ora, tecnicamente, dovrei iniziare questa lezioni dicendovi quanto siano difficili i G.U.F.O. e quanto sia importante che voi vi impegniate, che gli esami sono fondamentali per il vostro futuro e tutte quelle altre parole di cui vi avranno riempito la testa da stamattina. O sbaglio?».
James rivolse un ghignò divertito a Robert. Tutti gli insegnanti avevano trascorso gran parte delle loro ore a terrorizzarli sugli esami.
«Ma professore, i G.U.F.O. sono importanti per il nostro futuro! Se non prenderemo un determinato voto non potremmo continuare per i M.A.G.O. né dopo il diploma entrare al Ministero o nelle Accademie. Io per esempio voglio entrare al Ministero».
«Ed io che credevo che al Ministero entrassero solo coloro che sono ricchi ed appartengono ad una famiglia importante! Ora che lo so studierò perché sarò accolto a braccia aperte da tutti gli Uffici anche se mio padre è un delinquente!».
Tutti si voltarono verso il ragazzo, seduto in fondo, che aveva parlato. James lo conosceva di vista: era un Tassorosso un po’ atipico, non sarebbe certo stato male tra loro Grifondoro. La ragazza al primo banco che aveva parlato per prima arrossì e replicò con astio: «Naturalmente, Fletcher il Ministero non vuole quelli con la fedina penale sporca. E non fare tanto il santarellino, perché anche tu sei schedato».
Williams bloccò il ragazzo prima che rispondesse a tono alla compagna. «Tu sei Camilla, giusto?» domandò alla ragazza, probabilmente nel tentativo di imparare i loro nomi.
«Sì, signore» rispose ella prontamente.
James non riuscì a trattenersi dal farle il verso. Non aveva mai potuto sopportarla dal primo anno. Era piena di sé e credeva di poter guardare e giudicare tutti dall’alto al basso, solo perché suo padre era il vice Capitano della Squadra Speciale Magica e sua madre era la vice di Draco Malfoy, il Capo dell’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale. Ella lo fulminò con lo sguardo.
«Credo che tu non abbia alcun diritto di rivolgerti così al tuo compagno. Cinque punti in meno a Tassorosso. Jack e James fate poco gli spiritosi, grazie» disse Williams, «Io ritengo che la mia materia sia utile prima di tutto per il presente e poi per il futuro. Io vi insegnerò a combattere. Per caso qualcuno crede che se verrà attaccato dai Neomangiamorte e gli dirà “Ho preso E ai G.U.F.O.”, quello vi lascerà in pace? Vi assicuro che la priorità è questa. Salvarvi la pelle e salvarla a chi vi sta vicino. Temo, Camilla, che tu ignori quanti soldi si sia fatto George Weasley con la sua linea di abbigliamento anti-incantesimo. E purtroppo uno dei suoi maggiori clienti è il Ministero della Magia. Io voglio che voi siate in grado di difendervi e questo non accadrà certo imparando a memoria un manuale!».
James, non sorpreso dal fatto che il suo nome lo ricordasse senza problemi, si esaltò alle sue parole.
«Ma non ci sono davvero dei pericoli! I Neomangiamorte non ci attaccheranno mai! Il Ministero ha la situazione sotto controllo» disse Camilla.
«E chi te l’ha detto?».
«Mio padre. E lui è il vice-Capitano della Squadra Speciale Magica» rispose ella orgogliosa.
«Il caso è nelle mani dell’Ufficio Auror, non nelle loro» rispose seccamente il professore.
«Siamo solo dei ragazzi» provò testardamente Camilla, «Il professor McBridge ci ha detto che non dobbiamo temere nulla! È sempre stato sufficiente studiare la teoria con lui!».
«Lo scorso Natale io ed i miei cugini siamo stati attaccati dai Neomangiamorte. E uno di loro ha usato la Maledizione Cruciatus su di me» disse James in un sussurro udibilissimo.
Un silenzio glaciale seguì le sue parole. Quanto era accaduto era stato messo a tacere e gli unici che ne erano a conoscenza erano Danny, Tylor, Robert e Benedetta. Lo stesso Williams non né era al corrente e la sua espressione si incupì.
«Mio padre ed i suoi uomini sono arrivati subito» replicò, invece, Camilla. «Il Ministero è pronto a proteggerci».
«È una cazzata» sbottò James, fulminandola. «Tuo padre ed i suoi uomini si sono fatti sfuggire quasi tutti i Neomangiamorte. Sono degli incapaci. Hanno ucciso un sacco di Babbani! Su quella pista c’erano un sacco di bambini! È stata una cosa orribile. Tuo padre è un idiota! Stavo male e lui credeva che facessi finta! È fortunato che mia zia non l’abbia trascinato dritto dritto davanti al Wizengamot!».
«Come osi?» sbottò Camilla.
«Ora basta» il professore non aveva urlato, ma il suo tono era stato abbastanza fermo da bloccare ogni replica da parte di James e riportare l’attenzione dell’intera classe su di lui. «Il professor McBridge ha perso tutta la sua famiglia durante quella che ormai vieni comunemente chiamata prima guerra magica. Da quel momento in poi ha ritenuto, in fondo a buon diritto, che la violenza è l’origine di ogni male. E su questo sono d’accordo anche io. Ho sbagliato ad usare il termine combattere. Si tratta primariamente di difendervi. Per quanto riguarda la possibilità che veniate attaccati, invece, credo che James abbia risposto chiaramente. I Neomangiamorte non si fanno alcuno scrupolo. Ma non solo loro. Attenzione. Loro sono il pericolo maggiore adesso, ma potreste essere attaccati da chiunque. Dovete essere pronti» Williams fece un pausa, poi l’estrarre la bacchetta e dire «Stupeficium» fu un tutt’uno.
James con un strillo si spostò di lato e lo guardò allarmato. Era impazzito.
«Dov’è la tua bacchetta, James?» chiese l’uomo non abbassando la sua.
Il ragazzo deglutì e rispose: «Nello zaino, signore».
«Male. La bacchetta è la prima arma di ogni mago. Senza di essa non siamo nulla. Se io fossi stato un Neomangiamorte saresti già morto».
James con la sua rapidità di Cercatore evitò anche il secondo fiotto di luce. L’insegnante ghignò e disse: «Non mi pare una grande soluzione».
Il ragazzo, però, si era buttato dal lato dello zaino apposta e la bacchetta gli volò tra le mani. Si alzò di scatto proprio mentre l’insegnante provava a colpirlo ancora una volta. James aveva capito che non mirava a colpirlo veramente: l’incantesimo era sempre lento. Si stava divertendo? O voleva dimostrare loro qualcosa? Comunque sia questa volta non si spostò. Il professore lo osservò preoccupato. Tutto accadde in una frazione di secondi. Quando l’incantesimo stava per colpirlo, urlò: «Protego!».
Il suo scudo magico fu abbastanza forte da spingere anche Williams lievemente indietro. Naturalmente l’aveva preso di sorpresa, in caso contrario non sarebbe stato così facile. Sentì alcuni mormorii eccitati provenienti dai suoi compagni e Camilla ad occhi sgranati disse: «Hai attaccato un insegnante!».
Tecnicamente era lui che l’aveva attaccato per primo, ma James evitò di polemizzare con lei e si concentrò sull’insegnante che ora aveva un sorrisetto stampato in faccia.
«Niente male, James. Niente male. Il tuo Incantesimo Scudo è buono, ma se ti esercitassi potrebbe diventare ancora più forte. Quello che non capisco è come tu abbia fatto a prendere la bacchetta nello zaino».
«La mia bacchetta è fatta di legno di vite. Ha sentito che avevo bisogno ed è schizzata nelle mie mani» rispose.
«Notevole, davvero. Quindici meritatissimi punti a Grifondoro, James» commentò Williams.
James sorrise soddisfatto rimettendosi a sedere.
«Ma professore! Potter l’ha attaccata! Non è giusto che possa fare ciò che vuole solo per il suo cognome!».
Robert tappò letteralmente la bocca dell’amico con la mano e le imprecazioni che questo borbottò contro la ragazza si poterono a malapena intendere.
«Camilla, tu e i tuoi compagni capirete presto che nella mia classe l’unico che prende decisioni sono io, senza alcuna influenza esterna!  E non vi chiamerò mai per cognome proprio perché a me non interessano. Io volevo che il tuo compagno reagisse. Le bacchette le avete comprate per usarle, non vi permettete a tenerle negli zaini! Soprattutto di questi tempi è da incoscienti!».

*

«Com’è che quando si parla di biblioteca spariscono tutti?» chiese Jonathan.
Dorcas ed Alastor ridacchiarono ed Albus scosse la testa rassegnato. Rose e Scorpius avevano affermato di soffrire di astinenza dal volo ed appena suonata l’ultima campanella si erano dileguati. Elphias ed Isobel avevano fatto altrettanto e Cassy era stata convocata dal loro Direttore.
«Come procediamo?» chiese Dorcas.
«Cerchiamo nel catalogo se c’è qualche libro su Aristotele» rispose Albus.
«Io, invece, vado alla Sezione di Aritmanzia. Spero che il libro che ci serve non sia nel Reparto Proibito. Sarebbe un bel problema. Certo la De Mattheis non ci darebbe mai il permesso».
«Non credo non è mica magia oscura, no?» commentò Albus.
Così si divisero. Alastor andò con Jonathan. Dorcas ed Albus cercarono Aristotele nel catalogo cartaceo, ma non trovarono nulla.
«Deve esserci un collegamento! Non può essere solo una coincidenza!» si lamentò Albus.
«Non possiamo chiedere al nuovo bibliotecario?».
«Non so, la Pince non era mai molta entusiasta di aiutare gli studenti soprattutto in ricerche ‘strane’».
«Proviamoci. Al massimo ci sgriderà» propose Dorcas.
«Va bene. Hai ragione, tentar non nuoce».
«Buonasera, signore. Potremmo chiederle una mano per una ricerca che stiamo facendo? Abbiamo cercato nel catalogo ma non abbiamo trovato nulla» esordì Albus, tentando di suonare il più cortese possibile.
Adam Bennett era un uomo sulla settantina. I capelli ormai bianchi erano ancora abbastanza folti. Non era molto alto, superava di poco Albus, ma Jonathan era alto quanto lui. Quando gli Albus gli parlò, questi sorrise facendo fremere i folti baffetti che gli coprivano il labbro superiore. «Certo! Sono qui per questo, no? Allora ditemi che cosa cercate? Non mi aspettavo che qualcuno venisse qui il primo giorno di lezioni! Sapete ho lavorato in diverse scuole babbane, ma i primi giorni non si faceva mai vedere nessuno!».
Albus sorrise educatamente davanti alla parlantina dell’uomo, si era immaginato che cosa avrebbe commentato Rose se fosse stata presente e tentò di concentrarsi.
«Cerchiamo delle informazioni su Aristotele» visto lo stupore disegnatosi sul volto del bibliotecario, si affrettò a spiegare, «Sappiamo che è un filosofo babbano, ma speravamo che avesse qualche legame… anche indiretto… con il nostro mondo».
«Devo ammettere che non mi aspettavo una domanda del genere» disse lentamente l’ometto lisciandosi i baffi. «Temo di dovervi chiedere per quale motivo… insomma la vostra richiesta è molto sospetta…».
Dorcas ed Albus si guardarono all’allarmati: mica stupido il vecchio. Qui sì che ci voleva Rose, lei era bravissima a trovare scuse e mentire.
«È una ricerca di babbanologia» buttò lì Albus, pur sapendo che una sola domanda a Finch-Fletchley avrebbe scoperto la sua bugia.
«Il professore ritiene di doverci fare conoscere le figure fondamentali del pensiero occidentale… ne abbiamo parlato oggi a lezione» disse Dorcas, pronta a tenergli il gioco.
«Dobbiamo fare una ricerca e capire se Aristotele abbia avuto dei rapporti con il nostro mondo» aggiunse Albus.
«Mmm se le cose stanno così, allora vi aiuterò. In effetti Aristotele ebbe dei rapporti, anche se inconsapevoli naturalmente, con il nostro mondo. In realtà abbiamo solo due libri qui che testimoniano quest’incontro. Venite ve li faccio vedere. Non li avete trovati nel catalogo perché lì sono segnati autori e titoli, ma qui non vi è alcun libro sul vostro filosofo».
Albus sorrise di nascosto a Dorcas, mentre seguivano il bibliotecario. Un po’ si sentì in colpa per avergli mentito, in fondo era molto gentile con loro. Gli guidò verso un’ala della biblioteca poco frequentata, dove erano conservati dei tomi antichi e pieni di polvere. «Ecco, qui. Come vedete non sono molto usati. Riguardano più la letteratura di viaggio. Alcuni maghi hanno steso dei diari o dei resoconti dei loro viaggi in paesi stranieri. Naturalmente, dovete tener conto della loro antichità, alcuni potrebbero sembrarvi stupidi o assurdi, ma la nostra cultura ormai, per quanto la società magica inglese sia particolarmente conservativa, tende ad essere globale. Quelli che interessano a voi, però, sono questi… ecco, Il mio viaggio nel Continente di Gaelic, un mago vissuto nel V secolo a.C. Vi è un capitolo sulla Grecia in cui racconta di aver incontrato uno strano uomo che si definiva filosofo…». Albus prese il librone che gli stava porgendo. «È scritto in rune, però, e non esiste traduzione… nessuno se ne è mai preso la briga…».
«Noi studiamo Rune Antiche» disse Albus.
«Sì, ma non so se il vostro livello sia sufficiente…».
«Scusi, ma sa un sacco di cose… credevo che l’avesse già letto…» disse Dorcas.
«No, ho letto l’appunto che il bibliotecario del tempo prese accanto al titolo. Ho una buona memoria. Ottima direi… Purtroppo non ho mai avuto la possibilità di studiare Antiche Rune… Comunque il libro ha delle bellissime miniature, che sono state realizzate dalla stessa comunità celtica in cui è stato scritto… almeno credo… questo lo so, perché si vede subito se hai una minima base di codicologia… Lo potete usare, ma tenetelo bene… è molto antico… si dovrebbe trattare con i guanti… ve ne darò un paio… non ve lo darò in prestito però… no, no è davvero troppo antico…» disse meditabondo.
«Signore, che cos’è la codicologia?» domandò Albus.
«Significa studio dei codici. Logos in greco significa discorso. Non studiate le lingue antiche?».
«No, signore» rispose Albus.
«Secondo me sono molto utili. Sì, può comprendere il significato di molte parole. Certo l’inglese è una lingua del ceppo celtico, per cui… ma comunque è il latino che si usa per gli incantesimi… quindi secondo me dovreste studiarle!».
«Lei le conosce?» chiese Dorcas.
«Sì, latino e greco li traduco ad occhi chiusi… me la cavo anche con il sanscrito… penso che comincerò a studiare rune antiche ora che ne ho l’opportunità… sono sicuro che la vostra insegnante sarà abbastanza gentile da darmi qualche input… Posso sapere con chi ho il piacere di parlare? I miei stessi figli non hanno mai apprezzato ascoltare le mie elucubrazioni… nemmeno mia moglie se è per questo…».
«Dorcas Fenwick, signore» rispose Dorcas.
«Albus Potter».
«Ah, il figlio del Salvatore del Mondo Magico! In effetti il tuo volto mi era famigliare… Beh, vuoi un consiglio? Segui delle lezioni di lingue antiche! Dopotutto non credo che i tuoi abbiano problemi a farti seguire lezioni extra… Anche lei signorina, se ne ha le possibilità naturalmente…».
«Anche mio padre è un Auror» disse Dorcas.
«Bene, bene. Naturalmente, il mio è solo un consiglio… mio figlio dice che sono ossessionato… è difficile trovare dei ragazzi della vostra età interessati a certe cose… a voi piace leggere? Mio figlio non voleva mai leggere… solo i libri di Scuola… contento lui… io dico che non sarebbe così arido se avesse letto qualche buon libro… lui si arrabbia e noi litighiamo… ma pazienza…».
Albus e Dorcas non sapendo come arginare la sua parlantina, si limitarono ad annuire e a dargli corda. In realtà sembrava molto simpatico. Madama Pince aveva sempre trascorso il suo tempo occhieggiando male gli studenti che toccavano i suoi libri.
«Sì, ci piace molto leggere» rispose il primo.
«Sia romanzi babbani che nostri» specificò Dorcas.
«Ed ecco il secondo libro. Questo, invece, è scritto in inglese antico… qui se avete difficoltà vi posso aiutare… è stato scritto nel Basso Medioevo… vi sono trascritti alcuni brani o semplicemente riassunti delle opere di Aristotele… il viaggiatore in questo caso era molto interessato all’aspetto morale…».
Albus fremette mentre prendeva anche quel libro. Sarebbe stato fantastico se avesse risposto a tutte le loro domande. L’anno prima aveva letto un testo scritto in inglese antico, ma erano periodi brevi e scritti da ragazzi per lo più, avrebbe fatto differenza un autore più colto e se al contrario non lo era? Un inglese antico, rozzo e sgrammaticato sarebbe stato ancor più difficile.
«Fate bene a leggere…» borbottò il vecchietto, mentre si allontanavano da quella sezione alla ricerca di un tavolo. «L’ho sempre detto a mio figlio: solo con il cuore si vede bene, non certo con gli occhi… mi crede pazzo…».
«Lei ha letto Il Piccolo Principe?» chiese sorpresa Dorcas.
«Certo! Ho proposto a quelli dell’Obscurus Book di pubblicarlo nel nostro mondo… immaginate le immagini che si muovono non sarebbe stupendo? Altro che film babbani!».
«Cavoli, se lo sarebbe» commentò Albus sinceramente. «E non l’hanno fatto?».
«Stanno facendo soldi a palate con quell’Ombrosus e non sono interessati ad altro…» rispose contrariato l’uomo.
«Beh, ma i suoi romanzi sono belli» disse Albus e Dorcas al suo fianco annuì.
«Ma sì che lo sono! Li ho letti anche io! Solo che una casa editrice dovrebbe aprirsi anche ad altro, ma a loro interessano solo soldi! E così quello del Ghirigoro, non compra libri babbani perché non sono un affare sicuro… ma va là… Bene, ora vi lascio studiare in pace. Se avete bisogno con l’inglese antico, sapete dove trovarmi…».
Albus e Dorcas lo ringraziarono di cuore.
«Assomiglia al vecchietto del film del Piccolo Principe… Quello uscito qualche anno fa…» disse Dorcas sognante.
«Vero. Siamo stati fortunati che la Preside abbia assunto lui» replicò Albus, altrettanto contento.
 
Angolo autrice:
Ciao a tutti!
Sono tornataaa! Mi dispiace di essere sparita negli ultimi tempi, ma è stato un periodo incasinato per giunta negli ultimi giorni ho avuto qualche problema con internet. Scusate! Cercherò di essere più puntuale con i prossimi capitoli ;-) Spero che questo vi piaccia, fatemi sapere! :-D
 
 

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Capitolo 11
*** Tassorosso alla riscossa ***


Capitolo undicesimo

Tassorosso alla riscossa
 
Louis fissò in silenzio l’anziana professoressa di Incantesimi in attesa che iniziasse la lezione.
«Benvenuti alla vostra prima lezione di Incantesimi» disse e poi principiò immediatamente a spiegare: «La magia che fluisce in noi viene solitamente incanalata dalle bacchette magiche, anche se alcune comunità hanno a lungo continuato a farne a meno. L’uso della magia senza bacchetta è più che possibile, ma solo i maghi più abili e più potenti ne sono capaci. La formula magica è funzionale: è un metodo per focalizzare l’effetto desiderato. Si parla di Incantesimi Verbali e Non Verbali. Gli incantesimi si classificano in diversi modi. Personalmente preferisco questa classificazione: incantesimi generici, difensivi ed offensivi, curativi, di trasfigurazione ed oscuri. Difensivi ed offensivi li imparerete a Difesa contro le Arti Oscure; quelli di trasfigurazione ovviamente a Trasfigurazione. Quelli curativi li studierete solo se deciderete di studiare Medimagia. Infine quelli oscuri sono illegali. Noi ci occuperemo degli Incantesimi Generici. Qualcuno sa definirli?».
Louis aveva scritto rapidamente tutto quello che la professoressa aveva detto, così come i suoi compagni Corvonero. I Serpeverde, con cui seguivano la lezione, per lo più non erano particolarmente solerti. Avevano fatto in modo di sedersi separati. Louis alzò la mano, insieme a Selene Shafiq ed ad un altro ragazzino di Serpeverde di cui non ricordava il nome.
«Weasley, rispondi tu».
«Sono incantesimi con cui si possono ottenere gli esiti più disparati. Potrebbero diventare anche offensivi o difensivi» rispose pronto.
«Esattamente. La definizione è molto semplice. Mi sorprende che solo tre di voi conoscessero la risposta. Tre punti a Corvonero» disse la professoressa Shafiq. «Confido però, che conosciate le leggi fondamentali della magia».
Questa volta si levarono parecchie mani, ma l’insegnante fissò i suoi occhi su Brian che non aveva alzato la mano. Il ragazzino si era seduto in fondo alla classe da solo. «Carter?».
«L-le l-leggi f-fondamentali della magia affermano che n-non si può creare il cibo dal nulla e nemmeno il denaro… e-e la morte non si può sconfiggere…» balbettò Brian arrossendo.
«Per essere precisi, le leggi fondamentali della magia furono pronunciati da Adalbert Incant, studioso della magia ed autore del testo che vi ho messo in programma “Teoria della magia”. Lo leggeremo insieme per i primi due mesi di lezioni, solo dopo passeremo alla parte pratica. La prima legge fondamentale della magia è più un ammonimento: "altera i più profondi misteri - l'origine della vita, l'essenza dell'uomo - solo se sei preparato alle conseguenze più estreme e pericolose". Non sappiamo quante siano le leggi pronunciate da Incant, ma il nucleo essenziale è sicuramente quello detto da Carter… Per quanto riguarda il cibo, approfondirete l’argomento più avanti con il professore di Trasfigurazione, poiché il cibo è una delle cinque eccezioni alla Legge di Gamp sulla Trasfigurazione degli Elementi… Signorina Rosier, vedo che non è interessata alle mie parole…».
Una ragazzina seduta in fondo alla classe fissò l’insegnante con sguardo strafottente. «È la terza volta che sento queste cose» rispose annoiata.
«Evidentemente non ha ascoltato con attenzione, allora. Non è da tutti ripetere tre volte il primo anno, signorina Rosier. Credo che abbia battuto ogni record. Per lo più il fatto che lei appartenga alla mia Casa, è per me enorme fonte di vergogna. Le posso assicurare, però, che non le permetterò di gettare altro fango sulla Casa di Salazar. Ho si decide a seguire le mie direttive o può fare i bagagli».
La ragazzina persa l’aria annoiata a favore di una apparentemente spaventata. «Che devo fare?». La sua voce, però, era ferma e non mostrò la minima incertezza e risultò quasi provocatoria.
«Signorina Robertson si sieda al posto della signorina Rosier. Signorina Rosier lei venga avanti accanto al signor Weasley».
Louis ed Annika si guardarono per un attimo. Nessuno dei due ne era entusiasta. La ragazzina fece per protestare, ma la professoressa li fulminò e disse: «Adesso». Louis osservò la sua nuova amica sedere a malincuore accanto a Selene Shafiq. La Serpeverde, invece, occupò il posto della Corvonero osservando provocatoria la professoressa.
«Per il resto dell’anno siederai qui» disse e la sua voce risuonò come una condanna nel silenzio della classe. «Ad Adalbert Incant si deve anche la definizione più accreditata di magia: “con il termine magia s’indica una tecnica che si prefigge lo scopo di influenzare gli eventi, controllare i fenomeni fisici e domare gli esseri viventi (inclusi gli uomini) servendosi dei poteri che la natura ci ha conferito”. Voglio che trascriviate queste definizioni sul vostro quaderno e le impariate a memoria. Che state aspettando? La prossima volta ve le chiederò! E vi avverto: non accetto giustificazioni! Avete domande?».
Anastasia Johnson alzò la mano e la professoressa le diede la parola. «Se la morte non si può sconfiggere, i fantasmi come nascono?».
Qualcuno rise alle sue parole, ma la professoressa li tacitò con lo sguardo. «Signorina Johnson, i fantasmi le sembrano vivi?».
«No, ma… insomma si muovono e parlano…».
«La capacità di movimento e l’atto linguistico non sono elementi sufficienti per definire un determinato soggetto vivo. I fantasmi non sono altro che l’impronta di un’anima dipartita lasciata sulla terra, non possono far altro che ripercorre le strade che hanno già percorso in vita. I fantasmi sono classificati come esseri dal Ministero della Magia».
«Perché allora questo posto non pullula di fantasmi? Perché non se ne vedono molti?».
«Signor Carter, pretendo che si alzi la mano e si attenda il permesso prima di parlare nella mia classe».
Il ragazzino arrossì e mormorò delle scuse.
«Possono diventare fantasmi solo i maghi, maghi che hanno avuto paura di morire e quindi si sono accontentati di una parvenza di vita».
Louis osservò il compagno con attenzione e vide che aveva distolto lo sguardo e lo teneva fisso sul banco.
«Aprite il manuale di Adalbert Incant alla prima pagina. Robertson, leggi tu» ordinò seccamente la professoressa Shafiq.

*

«Ma che ci ridono?» sibilò Rose, con gli occhi che mandavano scintille. Albus sospirò: anche lui aveva notato che un gruppetto di ragazze, comprendente alcune delle più pettegole della Scuola, dall’inizio della lezione non faceva altro che guardare Rose e ridere. Non sarebbe andata a finire bene. Se ne convinse ancora di più quando, distogliendolo nuovamente dalla spiegazione della professoressa Spinnet, Divina Danielson si voltò verso di loro e con finta preoccupazione disse a Rose:
«Rosie, non hai letto l’articolo?».
Albus si chiese quanto ci avrebbe messo ad esplodere sua cugina.
«Quale articolo?» chiese a denti stretti Rose.
La Danielson si finse dispiaciuta e disse: «Forse non sono la persona più adatta…».
«Dacci un taglio, Danielson. La Spinnet ci sta guardando!» disse Albus. Era una pessima Tassorosso, non riusciva proprio a sopportarla.
«Tieni» disse la ragazza, dopo aver lanciato un’occhiata apprensiva alla professoressa. Sottobanco passò a Rose una copia del Settimanale delle Streghe. Non ebbe bisogno di specificare la pagina, perché la copertina era già di per sé fin troppo eloquente. Albus deglutì e lasciò perdere la lezione. La copertina era occupata da una foto della zia Hermione, vestita in un perfetto tailleur blu notte. Rose cercò la pagina dell’articolo con tanta foga da rischiare di strappare l’intera rivista. Albus gettò un’occhiata alla professoressa che ora dava loro le spalle scrivendo alcune rune alla lavagna e si mise a leggere l’articolo con la cugina.
“La sera del primo settembre l’intera comunità magica si è rallegrata per la nomina del nuovo Ministro della Magia: Hermione Jane Granger o meglio Weasley. Il nostro neo eletto Ministro infatti è la moglie del Vice-Capitano del Dipartimento Auror, nonché migliore amica di Harry Potter, l’acclamato Salvatore del Mondo Magico.  Senz’altro una carriera rapida e travolgente quella del nostro Ministro, che ricordiamo aiutò Harry Potter a sconfiggere Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato. Poco dopo aver conseguito i M.A.G.O. presso la prestigiosa Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts con il massimo dei voti nel 1999, è entrata al Ministero della Magia come impiegata presso l’Ufficio di regolazione e Controllo delle Creature Magiche. Le strane tendenze del nostro Ministro hanno radici fin dagli anni della Scuola. Una nostra abbonata, Lavanda Brown, moglie del Direttore della Gazzetta del Profeta Seamus Finnigan, ci ha raccontato come la Granger fin dal quarto anno avesse preso a cuore la causa degli elfi domestici. Atteggiamento non abbondonato nemmeno in seguito. Se a poco più di vent’anni ha cercato di rivoluzionare tradizioni base della nostra comunità, adesso con il massimo del potere che cosa farà? Mie cari lettori siete convinti della persona cui vi siete affidati? Non vi siete mai chiesti come una ragazzina come lei sia passata ben presto all’Ufficio per l’Applicazione della Legge sulla Magia e giovanissima nel 2014 ne sia diventata addirittura Vicedirettore? E che a pochi anni di distanza, nel 2018, ne sia diventata Direttrice? E a nemmeno due anni Ministro della Magia? La risposta miei cari è una sola, a mio parere: Harry Potter. A quanto pare lui ed il suo ufficio, la Squadra Speciale Magica, ormai succube degli Auror, e l’ufficio dell’Applicazione sulla legge della magia, siano stati i maggiori sostenitori del nostro nuovo Ministro! Potter ha sempre ribadito in questi anni di non aver mai aspirato alla massima carica e di non esserne interessato, ma si diverte a tirare le fila del potere da dietro le quinte! Se cercate nei miei articoli risalenti agli anni scolastici del nostro Salvatore, vediamo come abbia sempre deciso di testa sua, incurante delle regole della Scuola. In fondo si sta comportando con il Ministero allo stesso modo. E se questa motivazione non è per voi sufficiente, allora mettete in conto anche l’aspetto sentimentale. Sappiamo per certo che tra i due vi fu un’intensa attrazione durante il periodo adolescenziale e di come la Granger li abbia strappato il cuore più volte. Prima con il famoso Cercatore della nazionale bulgara, Viktor Krum ed infine addirittura con il loro migliore amico Ronald Weasley. Ora dopo tanti anni ci si chiede, a buon diritto, Ginevra Weasley, Cacciatrice delle Holyhead Harpies, fu solo un ripiego? Ed il far nominare la Granger Ministro è un ultimo, disperato pegno d’amore di Potter? Inoltre non siamo certi che i due non siano stati insieme precedentemente all’oscuro dei due fratelli Weasley? Sappiamo per certo che Albus Severus Potter, fotocopia del padre, a Scuola ha finora dimostrato la stessa intelligenza e solerzia della zia. E se le cose non stessero davvero come sembrano? Come potrebbero prenderla quei poveri ragazzi? E soprattutto il Ministero è diventato una casa per donne scarlatte?”.
Albus inorridito cercò la firma dell’articolo e non lo sorprese leggere il nome di Rita Sketeer, che più invecchiava più diventava acida. Una mano agguantò la rivista all’improvviso e li costrinse ad alzare gli occhi.
«Non ricordavo di avervi detto che la lezione è finita» sibilò la professoressa Spinett, squadrandoli severamente. Albus aprì la bocca per scusarsi, ma le parole li morirono in gola quando Thomas Roockwood disse ad alta voce: «Professoressa, non infierisca! Potter ha appena scoperto di essere frutto di un tradimento».
Tutti risero ed alcuni sghignazzarono, cosicché Albus capì che l’articolo l’avevano letto tutti. Sentì la collera montare dentro di sé come mai. Non si era mai sentito in quel modo nemmeno durante le liti più accese con i suoi fratelli. Rose aveva già estratto la bacchetta, ma la Spinett l’aveva prontamente bloccata. «Potter, mettila via anche tu» ordinò secca.
Dorcas allungò una mano e la pose su suo braccio, Albus non si era nemmeno reso conto di averla estratta.
«Questa la tengo io» aggiunse la professoressa sventolando la rivista, «Trenta punti in meno a Grifondoro. Ed ora seguite la lezione».
Albus aveva la mente in subbuglio e non desiderava altro che togliere quel brutto ghigno dalla faccia dei Serpeverde. Non credeva minimamente all’articolo. Sapeva che la Sketeer era una bugiarda, ma soprattutto si fidava totalmente dei suoi genitori. Tentò invano di seguire. Alla fine della lezione la professoressa li chiamò: «Potter, Weasley, aspettate un momento».
Albus raccolse le sue cose preoccupato, vi aveva rimuginato tanto che alla fine aveva deciso che non doveva abbassarsi al livello di gente come Roockwood e che comunque ci avrebbero pensato i suoi genitori a rispondere a tono. Sua madre gli avrebbe inviato come minimo una strillettera se zio Neville le avesse scritto che si era vendicato sui Serpeverde.
«Senta, eviti pure la predica, eh? Per quanto mi riguarda anche il Settimanale delle Streghe è più interessante delle sue lezioni. Certo, una rivista di Quidditch sarebbe stata meglio, però ci si accontenta».
Albus osservò inorridito sua cugina. Merlino, non l’aveva detto davvero. Vero? pensò sconvolto. La professoressa, seduta dietro la cattedra si era irrigidita.
«Non. Osare. Rispondermi. Così. Signorina Weasley, visto che lei non gradisce le mie lezioni ed io considero un disturbo costante la sua presenza in classe, le sue lezioni di Antiche Rune finiscono qui» sentenziò gelida.
«Per la prima volta sono d’accordo con lei! Vada a quel paese!» disse Rose, voltando loro le spalle ed uscendo dall’aula. Quando la professoressa fissò gli occhi su di lui Albus deglutì: non voleva espellere anche lui, vero? Era la sua materia preferita! Anche più di Trasfigurazione ed Erbologia. «Professoressa, mi scusi per la rivista… io…».
L’insegnante, però, lo bloccò. «Mi rendo conto che gli articoli di Rita Sketeer siano insopportabili. Soprattutto alla vostra età. Ti assicuro che fin dalla tua età tuo padre ha affrontato continui attacchi mediatici. Soprattutto dalla Sketeer. Questa volta ha superato se stessa, però. A differenza di quanto ritiene tua cugina, io non sono disumana. Mi sono resa conto che la notizia ti ha fatto perdere il controllo, non è da te estrarre la bacchetta e minacciare i compagni. Per questo non ho preso provvedimenti. La lezione di oggi, però, era abbastanza complessa soprattutto dopo la pausa estiva per cui volevo dire a te e tua cugina che se doveste avere difficoltà non mi rifiuterò di darvi un’ulteriore spiegazione. Naturalmente, è solo un’eccezione. Tua cugina, però, ha superato il limite. Non ho intenzione di sopportarla come ho fatto l’anno scorso!».
«Grazie, professoressa. Rose però…».
«Odia la mia materia, come vedi è solo felice di non doverla più seguire».
«Mia zia la ucciderà» borbottò.

*

«E questo è tutto» concluse Albus. Aveva raccontato ogni cosa a James ed a Frank. Erano in aula vuota e l’unica fonte di luce erano le loro bacchette. Attese in silenzio una reazione. James si passò nervosamente una mano tra i capelli, riflettendo. Frank, invece, lo osservava spaventato e fu il primo a parlare: «Questa runa è come quella di Cassy?» chiese, sfilandosi dal collo un filo di pelle cui era appesa una runa. James ed Albus sgranarono gli occhi. «Alla fine dell’anno scorso ho chiesto alla McGranitt di poter visitare la Sala dei Fondatori e lei me l’ha concesso sotto la sua supervisione. Uno dei cassetti più piccoli del mobile di Tosca Tassorosso si è illuminato. La professoressa mi ha invitato ad aprirlo e dentro c’era questa runa. Mi ha detto che sicuramente c’è un motivo se Tassorosso me l’ha fatta trovare e che l’avrei capito a tempo debito. Il filo di cuoio me l’ha sistemato mio nonno quest’estate».
«Che runa è?» domandò James, che non aveva mai avuto la minima intenzione di studiare Antiche Rune.
«Tyr» rispose Albus meditabondo.
«E sta per?».
«Non so ancora come abbinare le rune alle virtù» replicò Albus.
«Quindi sono uno dei Dodici?» chiese fiocamente Frank.
«Mi sa di sì. La tua runa è identica a quelle di Cassy».
«Ed ora che si fa?» chiese James torturandosi i capelli.
«Smettila con quel gesto! Finirai per strapparteli tutti» sbottò Albus, irritato. Un lieve sorriso si aprì sul volto di Frank.
«Non rompere come mamma!» replicò James, «Lo sai, che non riesco a farne a meno quando sono nervoso».
«Sei un idiota» disse Albus.
Frank bloccò la risposta di James. Per esperienza sapeva che le loro liti potevano diventare pericolose, soprattutto in assenza di zia Ginny e zio Harry. «Concentriamoci sulla Profezia».
I due fratelli si guardarono male per qualche secondo, poi Albus distolse lo sguardo ed annuì. «Abbiamo fatto delle ricerche in biblioteca, ma ancora non siamo riusciti a leggere i due libri che abbiamo trovato. Non sono semplici. Jonathan, invece, ha trovato un trattato di Aritmanzia Avanzata. Lì spiega come attivare le rune, ma non è facile. È magia molto avanzata, neanche i ragazzi del settimo anno studiano certi argomenti se non a livello teorico. Sta cercando di studiarlo da solo. Chiedere alla De Mattheis è fuori luogo, naturalmente».
«Quindi dobbiamo aspettare?» sintetizzò James.
«Non abbiamo molta scelta» disse Albus, togliendosi gli occhiali per strofinarsi gli occhi stanchi. «Ho riflettuto sulla Profezia a lungo. Credo che il compito dei Dodici sia quello di evitare una nuova guerra, non vincerla».
«Come fai ad esserne sicuro?».
«Jamie, la Profezia dice che le tenebre minacciano di tornare».
«Non sono d’accordo. Guardatevi intorno. Ho visto Hugo e Colin Canon litigare la prima sera. Solo perché Marcellus è un Nott. Solo per uno stupido pregiudizio. Papà sta cercando di tenere a bada la fuga di notizie, ma appena la comunità magica saprà, scoppierà il panico. E sai cosa accadrà? Si comincerà a puntare il dito uno contro l’altro. La comunità chiederà vendetta! Così una nuova guerra sarà inevitabile!».
«Sei un genio, Jamie!» si inserì Frank. I fratelli Potter lo osservarono sorpresi. «Non capite? Gli ultimi due versi della Profezia, Al! Ripetili!».
«Alla ricerca di una pace che sia tale/ e non quale vedere si vuol fare» recitò il ragazzo per poi spalancare la bocca sorpreso. «Siamo tutti degli ipocriti» sussurrò poi.
Frank annuì e James si fissò le punte delle scarpe che spuntavano da sotto la divisa.

*

Jack vide le gemelle Danielson alzarsi ed andarsene a letto e capì che quello era il momento giusto per agire. Il momento che attendeva da due giorni. Il signor Potter gli aveva raccomandato di essere discreto, soprattutto all’inizio. Quella sera, finalmente, era stato fortunato: in Sala Comune erano rimasti solo i tre ragazzini. Si alzò dalla poltrona in cui era sprofondato diverse ore prime e si avvicinò ai tre. 
«Ciao, ragazzi».
I tre sobbalzarono e lo fissarono, o meglio fissarono la sua spilla.
«Ciao, c’è qualche problema?» chiese la ragazzina, che sembrava la più spigliata del trio.
«No. Volevo solo presentarmi. Mi chiamo Jack Fletcher. Avete bisogno di aiuto?» disse indicando le pergamene su cui erano chini da ore.
«Sappiamo chi sei. Il Caposcuola Moritz ha presentato tutti i Prefetti la prima sera» ribatté la ragazzina sospettosa. «Comunque io mi chiamo Amber Steeval e loro sono Samuel Vance ed Arthur Weasley».
«Stiamo facendo Incantesimi. Ci sai aiutare?» domandò, invece, Samuel.
«Certo! Sono un asso in questa materia» replicò Jack.
Spiegò loro ciò che non avevano compreso e li aiutò a completare i compiti.
«Perché?» gli chiese Amber a bruciapelo, mentre mettevano via i libri.
«Perché cosa?».
«Non fare il finto tonto» replicò la ragazzina. «Sei stato seduto lì tutto il pomeriggio, perché ci hai aiutato?».
Jack la osservò e comprese che era un osso duro per essere solo una dodicenne, d’altronde suo padre era a capo della Squadra Speciale Magica. E Terry Steeval, a differenza di alcuni dei suoi uomini, non era certo uno scemo. La figlia doveva aver ereditato la sua perspicacia. Dopo aver riflettuto sotto lo sguardo curioso dei tre, decise di dire la verità. «Harry Potter mi ha detto di tenere d’occhio Samuel. Tua zia non ha rinunciato a cercarti ed il Capitano ha paura che tu sia in pericolo anche qui ad Hogwarts, soprattutto appena arriveranno le delegazioni straniere».
Il ragazzino si limitò ad annuire.
«Quindi ci devi stare appiccicato?» chiese Amber.
«Appiccicato, no. Sarebbe impossibile, soprattutto durante il giorno. Devo tenervi d’occhio il più possibile e se mi facilitaste il compito non sarebbe male».
«Tipo non dobbiamo sparire all’improvviso?» chiese ancora Amber con un lieve ghigno.
«Sarebbe magnifico» concordò Jack.
«Va bene. Ad un patto, però» disse la ragazzina.
«Guarda che io devo controllare Samuel, non te. Non pensi che lui dovrebbe esprimere il suo parere?».
«Dove va lui, andiamo noi» replicò Amber.
«Per me va bene, se Harry lo ritiene necessario» mormorò Samuel.
«Perfetto» disse Jack sorridendo. Ci teneva a portare a compimento quanto richiestogli. Era stato stupido a reagire in quel modo a Difesa. Conosceva Camilla Smith da anni e sapeva che era una ragazza troppo piena di sé. Certe volte era così, stupidamente, impulsivo. Però desiderava diventare Auror e quindi sarebbe dovuto entrare al Ministero.
«La condizione» lo richiamò Amber.
Jack si accigliò. «E quale sarebbe?».
«Che tu ci aiuti a fare i compiti e poi ci sono Goyle ed i suoi compagni che ci danno fastidio in continuazione».
«Chi è Goyle?» chiese sorpreso dalla richiesta.
«Uno del nostro anno. Appartiene a Serpeverde» rispose Arthur parlando per la prima volta.
«Ok, va bene. Sono a vostra completa disposizione. Che ne pensi Amber?».
«Che mi stai simpatico» rispose la ragazzina.

*

Lily scarabocchiò il libro di Pozioni distrattamente. Per fortuna la lezione sarebbe finita presto. Inoltre la settimana era quasi terminata e presto avrebbe potuto assistere ai provini del Quidditch. Solo assistere, purtroppo. Alla loro squadra mancava solo il Portiere e lei non voleva giocare in quel ruolo, ma come battitrice. Sbuffò e pigiò tanto forte la punta della piuma da bucare la pagina. La sua pozione emanava un odore nauseante. Ci aveva rinunciato da un pezzo. Hugo aveva finto di sentirsi male ed aveva saltato la lezione. Un genio. La prossima volta l’avrebbe fatto lei. Gli altri si stavano arrabattando per fare in modo che la loro pozione non facesse così schifo. Si sentì fissare ed alzò il capo. Sbuffò ancora piò forte. Orion Montague. Una piaga. Non la lasciava in pace dal viaggio in treno. Rosso in volto e balbettando le aveva chiesto di parlarle in privato prima di arrivare ad Hogwarts, per poi urlare in un corridoio gremito di studenti pronti a scendere che lei gli piaceva. Doveva ammettere di essersi comportata in modo maturo e sensibile come mai in vita sua: l’aveva preso per un braccio e trascinato in uno scompartimento vuoto. Solo lì gli aveva urlato che è un deficiente e che doveva starle lontano. Non aveva colto il messaggio. Non voleva ferirlo affatturandolo. Adesso, però, la fissava come un pesce lesso mentre un filo di fumo nero usciva dal suo calderone. Distolse lo sguardo appena in tempo per percepire un movimento strano. Marcellus si era chinato per prendere qualcosa nello zaino e Colin si era chinato sul suo calderone. Lily vide chiaramente il compagno buttarci dentro qualcosa e fu pronta a coprirsi quando il calderone esplose schizzando gran parte della classe con il suo contenuto. Avrebbero dovuto provare una semplice pozione erbicida. La maggior parte delle loro avrebbe annientato tutta la flora della foresta per quanto erano letali, ma quella di Marcellus era corretta. Lily strillò sentendosi bruciare le mani, sembravano prese dall’orticaria. D’altronde quella pozione non era per gli esseri umani. Il professor Mcmillan ebbe il suo bel da fare a riportare l’ordine in classe e spedire in infermeria quelli che erano stati colpiti al volto. A Lily ed altri che erano stati presi di striscio diede una crema lenitiva per fare sparire il bruciore. Nonostante fosse suonata la campanella, non permise a nessun altro di lasciare l’aula. Si avvicinò al calderone di Marcellus e lo scrutò attentamente. Il mormorio che si era acceso si spense subito quando i ragazzi videro ciò che il professore teneva in mano. Era una pallina esplosiva Tiri Vispi Weasley.
«Pretendo una spiegazione» sibilò furioso. Lily strinse i pugni. Non poteva fare la spia, non rientrava nel suo stile; ma non poteva lasciare che la colpa ricadesse sul povero Marcellus, che per giunta Vernon e Murray avevano dovuto accompagnare quasi di peso in infermieria visto che era stato praticamente lavato dalla pozione. «Scusi professore, perché non lo chiede a Nott?» domandò Gideon.
Lily spalancò la bocca: suo cugino era un grandissimo cretino!
«Lo farò, Weasley. Adesso lo sto chiedendo a voi, che eravate seduti vicino a lui! Non credo che sia così sciocco da danneggiarsi da solo» replicò severo, squadrandoli uno per uno.
«Infatti non voleva danneggiare sé stesso, ma gli altri! Non ha potuto fare a meno di farsi male» replicò Colin.
«E chi sa come mai, voi siete gli unici illesi» sbottò Lily prima di rendersi conto di aver aperto bocca. Aveva ragione sua mamma: doveva imparare a contare fino a dieci prima di parlare.
«Ci stai accusando di qualcosa, Potter?» chiese a denti stretti Colin.
Lily boccheggiò, ben sapendo di avere gli occhi di tutti su di sé.
«Marcellus non farebbe mai una cosa del genere! E poi hai visto! La pozione l’ha preso negli occhi!» le venne in aiuto Gabriella Jefferson, sua compagna di Casa.
«Ed io stavo dando le spalle a voi ed osservando i Serpeverde. Per cui nessuno di loro può aver lanciato la pallina» disse Mcmillan, «È stato uno di voi e vi giuro che il colpevole non la passerà liscia».
Lily fissò altera Colin e Gideon: i Malandrini gliel’avrebbero fatta pagare.

*

«Adoro il Quidditch!» strillò Amy.
«Perché non ti sei inscritta alle selezioni allora?» le chiese Emmanuel.
«Perché io gioco da cacciatrice! Ed alla nostra squadra mancano un Battitore ed un Portiere. Tu per quale ruolo provi?».
«Battitore».
«Sei preoccupato?».
«Non vorrei fare brutta figura».
«In caso ti prenderò in giro in eterno».
«Molto confortante» sbuffò Emmanuel, alzando gli occhi al cielo. «Sul serio, tu e Lucy siete due gocce d’acqua. Dovreste smetterla di litigare».
«Sì come no» sbottò lei dirigendosi verso gli spalti da cui avrebbe potuto assistere ai provini.
Emmanuel si avvicinò a Scorpius Malfoy, che era un membro effettivo della squadra fin dal suo secondo anno. Si conoscevano di vista, anche perché appartenevano entrambi ad antiche famiglie Purosangue. Sembrava preoccupato e teso.
«Che succede?».
Scorpius lo squadrò con attenzione e poi con il capo accennò ad un punto poco distante. Emmanuel si immobilizzò: c’era sua zia e stava discutendo con Katie Baston, il Capitano dallo loro squadra. «Perché?» chiese con la bocca improvvisamente asciutta.
«A quanto pare vuole essere lei ad approvare tutti i membri della squadra. A Katie verrà un infarto! I suoi criteri di valutazione sono condotta e profitto! Saremo lo zimbello della Scuola! Nessun Direttore si è mai intromesso nelle selezioni! È una cosa inaudita».
Emmanuel si sentì sprofondare. Se non fosse morto di vergogna prima di Natale, forse avrebbe chiesto ai suoi genitori di fare qualcosa. Non poteva sopravvivere con quella donna. Già lo additavano tutti come il nipote della prof, ma se non fosse stata la più temuta da tutti gli studenti a nemmeno una settimana dall’inizio delle lezioni non sarebbe stato un problema. Voleva annientare la sua reputazione.
«Io me ne vado» mormorò voltandosi, ma Scorpius lo trattenne per un braccio. «Sai giocare?» gli chiese seccamente.
«Me la cavo».
«Bene, allora rimani. Per Salazar, Se dovessimo far giocare gente come Hannah Zabini o Arya Wilkinson solo perché sono brave a Scuola potremmo ritirarci direttamente!».
Katie Baston si avvicinò e gli gettò una tale occhiataccia, prima di rivolgersi a Scorpius, che gli fece desiderare ancora una volta che la terra si aprisse e lo inghiottisse. «L’ho convinta a non toccare i vecchi membri della squadra, ma darà il suo giudizio sui nuovi. Inoltre avrà il potere di squalificare ognuno di noi qualora i nostri voti non fossero di suo piacimento» disse irata. Scorpius la conosceva da anni e sapeva per certo che lei non amava minimamente studiare, si preoccupava di seguire pochissime materie e dedicava gran parte del suo tempo al Quidditch per entrare in qualche squadra della lega subito dopo il diploma. «Non sono riuscita ad ottenere di più. Ha minacciato di togliermi la spilla se mi fossi lamentata ancora. Sali su quella scopa ed iniziamo prima che io impazzisca».
Per tutta la durata dei provini la professoressa Shafiq rimase comodamente seduta sugli spalti, al momento della scelta definitiva però scese in campo ed affiancò Katie Baston, che assunse un preoccupante colore rosso ma non proferì parola. Emmanuel spostò i capelli sudati dalla fronte. Era terrorizzato. Aveva fatto del suo meglio, questo era certo. Qualcuno gli diede una pacca sulla spalla e si voltò incontrando gli occhi grigi e brillanti di Scorpius. Il compagno gli sorrideva e di certo era un buon segno.
«Bene, grazie a tutti per la vostra presenza. Ora vi dirò chi saranno i due nuovi giocatori» prese un respiro prima di continuare. Scorpius sapeva che la decisione era stata difficile e soppesata a lungo dal loro Capitano. Aveva paura che i due scelti non sarebbero andati a genio alla professoressa e quindi non solo dover cercare qualcuno non troppo forte, ma addirittura ricominciare daccapo cosa che visibilmente non avrebbe sicuramente retto. «Il nuovo battitore è Emmanuel Shafiq. Il nuovo Portiere, invece, Annie Ferons».
A differenza del solito le proteste furono poche e sommesse, molto probabilmente la presenza dell’insegnante incuteva troppo timore. Katie Baston per conto suo la fissò in ansiosa attesa il giudizio di quest’ultima. Per quanto la riguardava non aveva idea di che facessero in classe i due ragazzi scelti, ma aveva potuto fare questo tipo di valutazione solo per quelli che conosceva. Alla fine aveva dovuto scegliere al buio. La professoressa squadrò i due per qualche minuto. Emmanuel distolse subito lo sguardo, probabilmente non sarebbe mai riuscito a sostenerlo.
«Va bene» approvò alla fine e finalmente Katie Baston, che aveva trattenuto il fiato per tutto il tempo, riprese a respirare. «Mi rivolgo a tutta la squadra, e non voglio ripetermi: al primo sgarro siete fuori. Il Quidditch è un privilegio e bisogna meritarselo».

*

«Io tuo fratello non lo posso proprio sopportare!» sbraitò Fred per l’ennesima volta. James sbuffò. «La smetti, per favore?».
«Come puoi tollerare una cosa del genere?».
«Non vuole giocare a Quidditch. Punto. Lascialo perdere, per Merlino! A lui piace nuotare. E poi anche Roxi…».
«Non. Nominare. Quella. Traditrice!» lo interruppe Fred, dopo aver baciato July Mcmillan. James si sedette con lui al tavolo dei Tassorosso e batté il cinque ad un eccitato Arthur, che li aveva appena comunicato di essere entrato nella squadra di Tassorosso come Cercatore.
«È semplicemente magnifico!» strillò Albert Abbott. «Voi Weasley ce l’avete davvero nel sangue il Quidditch!».
«E quest’anno vinceremo la Coppa» disse sicuro Fred.
«Col cavolo! Questo è il nostro anno! Me lo sento! Ora che sono Capitano, vedrete!».
James distolse lo sguardo dai due ragazzi che battibeccavano ed incrociò quello di Lysander, che era parecchio giù di morale. «Ehi, che succede?» gli chiese appena fu abbastanza vicino e si lasciò cadere sulla panca accanto a lui.
«Ieri abbiamo fatto un macello».
«Vi siete azzuffati? Sì, lo so. Domi era infastidita quando è rientrata in Sala Comune. Non farti vedere da lei per almeno un paio di giorni. Lei e Matthew avevano deciso di trascorrere un po’ di tempo insieme prima del coprifuoco e voi vi siete messi in mezzo».
«Oh, Merlino» deglutì Lysander.
«Tranquillo, non è la fine del mondo! Sai quante volte mi sono preso a pugni con Marcus Parkinson? E pensaci, ci sono molti meno smeraldi nella clessidra dei Serpeverde».
«Ma anche meno topazi nella nostra!» sbottò Albert.
«Lascialo in pace» disse James con un gesto vago della mano.
«Mcmillan ha tolto trenta punti ciascuno. Era davvero arrabbiato…» bofonchiò Lysander, mentre i suoi tre compagni annuivano al suo fianco.
«Naturale… è il vostro Direttore…» commentò James con un’alzata di spalle.
«Comunque ho deciso che rimedieremo!».
«E come?» domandò July Mcmillan guardandolo male.
«Vinceremo la Coppa delle Case!» rispose serio Lysander.
«Giusto! Saremo i migliori!» concordò Albert, ora eccitato.
Fred e James scoppiarono a ridere.
«Siete degli illusi!» commentò il primo.
«Scemo!» disse July tirandogli uno schiaffo sulla spalla, ma il ragazzo non smetteva di ridere.
«A fine anno non riderete più di noi!» disse Albert tirando un pugno sul tavolo ed attirando l’attenzione di molti. «TASSOROSSO ALLA RISCOSSA» urlò sotto gli occhi increduli dell’intera Sala Grande. Molti dei suoi compagni batterono le mani ed alcuni fischiarono.


 
Angolo autrice:
Ciao a tutti!
Ecco un nuovo capitolo!
Vorrei sottolineare alcune cose: le definizioni che vengono utilizzate dalla prof Shafiq provengono da Potterpedia (classificazione degli Incantesimi e definizioni di Adalbert Incant), Harry Potter e il Principe Mezzosangue (la definizione di fantasma pronunciata da Piton) e da Harry Potter e i Doni della Morte (la legge di Gamp viene citata da Ron).
Il capitolo è dedicato a tutti i Tassorosso :-D
Mi raccomando fatemi sapere che ne pensate del capitolo e soprattutto della storia in generale ;-)
Buona domenica,
Carme93

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Capitolo 12
*** Vento di novità ***


Capitolo dodicesimo

Vento di novità
 
«Accidenti!» sbottò Elphias attirando l’attenzione di tutti.
«Che succede?» chiese allarmato Albus, avendo notato che l’amico era impallidito dopo aver aperto la Gazzetta del Profeta. Elphias ruotò il giornale verso di loro. Albus sentì un groppo in gola: in prima pagina troneggiava una foto con l’uroboro. Il simbolo dei Neomangiamorte. Era stato sparato in cielo, sua una strana struttura triangolare. La folla, nella foto in bianco e nero, era nel panico e figura incappucciate si muovevano colpendo tutti come se fossero semplici bersagli. Babbani, per questo non si difendono realizzò Albus. Lesse il titolo esterrefatto: “Neomangiamorte attaccano il Museo Babbano Louvre. Parigi nel panico”. Ecco perché non aveva riconosciuto il luogo, ma gli era famigliare: era stato in Francia molti anni prima.
«Perché? Che senso ha?» domandò Alastor.
«Valli a capire» sbottò contrariata Rose, mentre faceva posto ad uno Scorpius ancora assonnato.
«Leggi ad alta voce, Al» lo esortò Cassy.
«Ieri sera, poco prima della chiusura del Museo i Neomangiamorte sono entrati in azione» iniziò Albus dopo aver trovato l’articolo completo. «Stando alle testimonianze dei maghi e dei Babbani si è trattato di almeno una cinquantina di uomini. Gli Auror francesi sono stati schiantati rapidamente. I Neomangiamorte, eliminate anche le guardie Babbane, sono penetrati all’interno del Museo. Ciò che più sorprende è il loro obiettivo. Hanno scoperto il laboratorio segreto di Nicolas Flamel e l’hanno messo a soqquadro. Tutti sapevamo che il grimorio del famosissimo alchimista non è stato mai divulgato dalla sua famiglia. Le ultime dichiarazioni di Emile Flamel, però, hanno suscitato parecchie preoccupazioni: il grimorio non è mai stato nemmeno nelle mani dei discendenti di Nicolas Flamel. Inoltre i Neomangiamorte ne sono alla ricerca, così finalmente si spiega l’attacco subito dalla famiglia lo scorso luglio. Gli Auror francesi si sono messi in contatto con il nostro Quartier Generale, ma nessuno dei due Capitani ha voluto rispondere alle nostre domande. Da indiscrezioni però abbiamo saputo che questa mattina all’alba Harry Potter ha preso una passaporta per la Francia con un gruppo di uomini. Ufficialmente sono andati per riconoscere alcuni Neomangiamorte arrestati, ma in realtà dobbiamo temere un attacco simile anche da noi? Sono mesi ormai che la situazione sta degenerando ed il Ministero, evidentemente, tenta di nascondere la verità alla Comunità magica. In Francia si è letteralmente scatenato il panico: i Babbani ritengono che sia stato un attacco al loro Governo, ciò comporterà delle complicazioni alle indagini? I nostri inviati attendono in questo momento di intervistare o il Capitano Potter od il Capitano Leroy».
«Certo gli Auror non dicono nulla per evitare attacchi di isterismo» borbottò Rose.
«Che dopo quest’articolo ci saranno comunque» notò Elphias.
«Sono una massa di assassini» commentò disgustato Albus.
«Ma perché vogliono il grimorio di Flamel?» chiese Rose.
«Per la pietra filosofale, sicuramente» rispose Scorpius, che aveva seguito con attenzione il loro discorso.
«Sì, ma a che pro?» domandò Al, rivolto più a sé stesso che agli altri. «Insomma questa donna cerca l’immortalità? E poi zia Hermione una volta ce ne ha parlato. Se bevi l’Elisir di Lunga Vita una volta, non è che diventi immortale per sempre… come dice il nome allunga la vita… e basta… bisogna dipendere sempre da esso!».
«Sapete che cosa vi dico? Forse dovremmo cercare informazioni su questa donna» disse Scorpius meditabondo.
«Sicuramente zio Harry l’avrà già fatto» replicò Rose.
«Sì, ma a noi non diranno mai nulla e magari se sappiamo qualcosa in più su di lei, potremmo anche capire che cosa la spinge a comportarsi così».
«Mi sembra giusto! Sei un genio, Scorp!» approvò Rose.
«No, no e no! Mio padre non vuole che indaghiamo per conto nostro» si lamentò Albus.
«E noi, non glielo diciamo» disse Rose con noncuranza.
«Io inizierei dall’Archivio della Scuola» propose Scorpius.

*

«Oggi facciamo un giro nella Foresta» annunciò il professor Paciock, quando tutti presero posto nella serra numero uno. «Quindi non tirate proprio fuori il vostro materiale. Lasciate qui gli zaini».
I ragazzini, Corvonero e Grifondoro del primo anno, lo fissarono stupiti per qualche secondo prima di riscuotersi e muoversi. Il professore ridacchiò e disse: «State tranquilli, rimarremo ai margini della Foresta Proibita. Voglio solo mostrarvi alcune piante e degli alberi. Forza, fuori di qui».
Brian sorrise lievemente a Connor Mils, che aveva rapidamente fatto amicizia con i compagni di Casa e non lo calcolava più di tanto fin dai primi giorni di Scuola. Non che la cosa gli pesasse particolarmente: insomma anche lui aveva fatto amicizia. Solo che ancora gli sembrava tutto strano. Non era abituato ad essere benvoluto dai suoi compagni. Certo, non mancavano alcuni ragazzi antipatici ed un po’ bulletti, quelli cui era perfettamente abituato, ma i Corvonero del suo anno erano tutti simpatici e per lo più gentili. Seguì in silenzio gli altri lungo il prato. In effetti era una bella giornata di fine settembre, ed era bello stare all’aperto. Il Lago Nero scintillava al sole e gli veniva voglia di passeggiare sulla riva. Continuò a guardarsi intorno per tutto il tragitto e non poté fare a meno di sorridere.
«Allora, ragazzi» disse il professore sorridendo e battendo le mani per attirare la loro attenzione. «State tutti vicino a me e non vi azzardate ad allontanarvi! Quando si dice che la Foresta è pericolosa non è uno scherzo. Mi raccomando».
Detto ciò si mosse tra gli alberi ed i ragazzi gli tennero dietro.
«Per caso qualcuno sa riconoscere questa pianta?» domandò ad un certo punto, toccandone la corteccia liscia. L’unica ad alzare la mano fu una ragazzina di Grifondoro, cui il professore diede subito la parola.
«È un agrifoglio. Viene utilizzato per le bacchette di solito».
«Esattamente, Nicole. Cinque punti a Grifondoro».
Brian notò che la ragazzina era arrossita notevolmente, ma nessuno fece commenti.
«Questa pianta oltre che dalla corteccia liscia, si può riconoscere dalle foglie. Quelle dei rami inferiori hanno lamina ovale a margine spinoso, come difesa dagli animali; quelle dei rami superiori hanno lamina intera acuminata solo all’apice». Staccò due foglie e gliele mostrò. «Attenti a non pungervi» li ammonì, mentre se la passavano per osservarla da vicino.
«Mia madre dice che respinge il male» disse un ragazzino biondo di Grifondoro.
«Lorcan, questo non lo so. Nessuno ci impedisce di crederlo» replicò con un sorrisetto divertito l’insegnante, anche per rispondere ad Annika che aveva borbottato qualcosa come che stupidaggine. Ripresero a camminare.
«Questo che albero è?» chiese curioso un altro Grifondoro.
Il professore non sembrò infastidito dalla domanda, al contrario il suo sorriso si allargò ulteriolmente. Brian si sentì contagiato dal suo buon umore. Non era abituato neanche a questo: miss Murphy, la sua insegnante alla scuola babbana, non sorrideva mai. O meglio non sorrideva mai a lui. E considerava tutte le domande fuori luogo e di disturbo al regolare svolgersi della lezione.
«Non la riconosci, Valentin? Eppure è un albero abbastanza comune» replicò il professore, esortandolo a rifletterci. Il ragazzino si limitò a scrollare le spalle.
«È una betulla. Anche questo è un albero da bacchetta» sussurrò Nicole. Il professore annuì e spiegò: «È un albero a crescita rapida. I rami sono molto sottili e le foglie a forma di cuore» ne staccò una e gliela passò, proprio come aveva fatto prima. «La corteccia è bianca e con il trascorrere del tempo si screpola ed assume delle striature nere. Può raggiungere i 20-25 metri di altezza».
«I rami di questa pianta vengono usati per le code delle Firebolt!» disse un Grifondoro, che Brian era sicuro si chiamasse Benjamin. Si conoscevano di vista già prima della Scuola, perché era figlio di un collega del padre.
«Wow davvero?» si entusiasmò Lorcan.
«Non vi distraete parlando di Quidditch!» li richiamò l’insegnante.
Si soffermarono ad analizzare una pianta di biancospino, che ancora una volta fu riconosciuta immediatamente da Nicole; così come l’albero di ciliegio. Quella ragazzina sembrava conoscere tutti gli alberi da bacchetta.
«Questa, invece, secondo voi come si chiama?». Brian si riscosse dai suoi pensieri e tornò ad ascoltare la lezione. Sorrise. Quella piantina la conosceva, non seppe cosa glielo fece fare, visto che aveva evitato di farlo con tutti gli insegnanti fino a quel momento, ma alzò timidamente la mano.
«Sì, Brian?» lo esortò il professore.
«Dragoncello. Le sue foglie vengono utilizzate nelle pozioni curative, siccome hanno proprietà anestetiche e disinfettanti».
«Perfetto. Cinque punti a Corvonero. Sinceramente, non mi aspettavo che qualcuno di voi la riconoscesse» disse il professore, gratificandolo con un largo sorriso.
«Mia mamma… nelle aiuole a casa…» borbottò in risposta alla domanda inespressa del professore, ma fu contento che egli non indagasse oltre.
«E da quando rispondi alle domande? Non eri l’ultimo della classe?» gli sussurrò Connor, mentre si spostavano. I Corvonero più vicino lo fulminarono con lo sguardo. Brian aveva notato che i suoi compagni erano stati molto contenti della sua risposta, probabilmente perché fino a quel momento solo Nicole aveva guadagnato punti e per Grifondoro naturalmente. Sospirò contrariato e rispose con una scrollata di spalle per poi allontanarsi. Aveva sempre saputo di non essere stupido, era miss Murphy e così i suoi compagni babbani che lo trattavano come tale. Era orgogliosissimo di essere stato smistato a Corvonero.
«Questo è un frassino. Fornisce ottimo legno da bacchetta e viene utilizzato anche per le scope da corsa» spiegò il professore. Brian tentò di scacciare i pensieri tristi e riconcentrarsi sulla lezione. «Questa, invece, l’abbiamo vista già vicino alla serra numero uno. Ve la ricordate?».
«È menta piperita» disse Brian, ma si accorse di non essere stato l’unico a parlare. I suoi occhi incrociarono quelli di Nicole ed entrambi sorrisero.
Il professore ridacchiò. «Magari qualcun altro, si ricorda anche quali siano le sue proprietà?».
La mano di Louis scattò in aria. Il ragazzino, come suo solito, aveva ascoltato attentamente tutto ed incamerato senza sforzo ogni informazione, ma a differenza di altre lezioni sembrava annoiato. Brian, invece, si sentiva felice. All’aria aperta ed in mezzo al verde. Non comprendeva proprio come l’amico potesse preferire il chiuso asfissiante e spesso maleodorante dell’aula di Pozioni.
«Le foglie e le sommità fiorite hanno un’azione spasmolitica, analgesica ed antisettica. Servono, quindi, per realizzare sia infusioni contro il mal di testa, sia elisir digestivi».
«Corretto. Allora cinque punti ciascuno a Louis, Brian e Nicole. Cercate di ricordarvelo. Certe cose possono sempre tornare utili».
Il resto della lezione trascorse in modo simile. Nicole era un asso nel riconoscere gli alberi, ma Brian, superata un po’ della sua timidezza, le tenne testa.
«Ottimo. Una bella lezione. Per la prossima settimana vorrei che faceste una scheda per ogni pianta che abbiamo visto oggi. Dovrete indicarne le caratteristiche fisiche e le proprietà. Vorrei che creaste una specie di erbario personale e mano a mano che studieremo nuove piante le aggiungeste a queste».
Non tutti i ragazzi ne furono entusiasti, ma si mossero verso la Sala Grande per il pranzo, dopo aver recuperato gli zaini nella serra numero uno.
Brian rimase indietro quando vide che a Nicole erano caduti i libri.
«Ti aiuto» disse raccogliendoli ed aiutandola a rimetterli nello zaino.
«Grazie» disse con le guance imporporate.
«Sai un sacco di cose» borbottò tanto per parlare di qualcosa, mentre attraversavano il prato.
«Insomma… non quanto te… è stato mio nonno ad insegnarmi a distinguere gli alberi da bacchetta… Lui sì che era bravo… era un Corvonero…».
«A me le ha insegnate la mia mamma… una volta il giardino della nostra villetta era sempre fiorito…».
Nessuno dei due fece domande sull’uso del passato, ma Brian provò subito un moto di simpatia per quella ragazzina. «Vuoi pranzare al nostro tavolo, Nicole?».
«No, grazie… Però, per piacere… chiamami Niki non Nicole…».
«Ok, Niki… magari ci vediamo per fare i compiti dopo le lezioni?».
«Sì, va bene».

*

«Ehi, Paciock! Vieni! Vogliono fare un esperimento e tu non puoi non darci una mano» disse Calliance, strattonandolo ed allontanandolo dal resto dei Grifondoro.
Frank cercò con lo sguardo le sue amiche, ma loro si erano fermate a parlare con Hagrid e non si erano accorte di nulla. «Non mi piacciono gli esperimenti! Fateveli da soli!» disse tentando di liberarsi dalla stretta di Calliance.
«Ci metteremo un attimo… Tenetelo…» disse Granbell ai suoi due compari.
Frank si sentì stringere le braccia in una morsa da entrambe le parti. Da un lato Calliance, dall’altro Hans.
«Mollatemi!» strillò e si vergognò nel sentire un’evidente nota di panico nella sua voce.
«Su, Paciock. Vogliamo solo sapere che sapore hanno i Vermicoli di Hagrid» disse Granbell, facendo ridere anche Calliance ed Hans.
Frank sgranò gli occhi terrorizzato nel vedere Granbell tirare fuori dalla tasca del mantello un pugno di quegli animaletti.
«Mangiateli tu, se ci tieni tanto» strillò, ma fu un grave errore. Granbell ne approfittò per metterli in bocca di forza i Vermicoli.
Fu la sensazione più disgustosa e nauseante che avesse mai provato in vita sua. Per un attimo sentì quei grossi vermi agitarsi nella sua bocca, poi lo sputarli e vomitare anche le budella fu un tutt’uno. Hans e Calliance lo mollarono subito, evidentemente schifati.
«Esperimento fallito. Direi che i Vermicoli non sono buoni» commentò ironico Granbell, suscitando le risate degli altri due. Risate che si spensero subito.
«Stupeficium».
Frank distinse diverse voci femminili urlare insulti ed i lamenti dei suoi aguzzini, che evidentemente erano stati schiantati tutti e tre. Alle voci più che famigliari che però non riusciva a discernere si unì il vocione di Hagrid. Comunque non ci capì nulla, incapace di muoversi dalla posizione a gattoni in cui era caduto, quando l’avevano lasciato andare; finché due forti mani, quelle di Hagrid naturalmente, non lo rimisero in piedi.
«Ora ti porto infermieria…».
«Nooo… ti prego…» biascicò per disperazione. Era già abbastanza, anzi troppo, umiliante in quel modo.
«Mmm e va bene… voi tre sparite dalla mia vista… lo dirò alla Preside… oh, sì… vigliacchi, ecco quello che siete…» ringhiò contro i tre Grifondoro, che prontamente si diedero alla fuga. Frank si lasciò trascinare da Hagrid fin dentro la sua capanna. Loki, un cagnone che arriva al suo fianco, gli saltò subito addosso. Lo accarezzò lievemente e poi si lasciò cadere su una sedia, mentre gli altri prendevano posto intorno a lui. Amy fece amicizia con Loki in pochi secondi.
«Ora ti ci faccio un tè» borbottò Hagrid.
«Grazie» mormorò Frank, quando gli mise davanti una tazza di tè fumante. Gli altri lo fissavano in silenzio.
«Senti, non per dire ma al mio paese siamo dotati di quattro arti e se te ne bloccano due, puoi sempre usare quelli che ti rimangono. In più voi maschi avete un bel punto debole… una bella ginocchiata lì e ti assicuro che Calliance non sarebbe più stato interessato al sapore dei Vermicoli» sbottò Lucy.
«Lascialo stare» sibilò Roxi, minacciosa.
«Non lo difendere sempre! Lo pensi anche tu!» replicò Lucy stizzita.
«Non pensavo che l’avrei mai detto, ma Lucy ha ragione. Frank, quando ti deciderai a prenderli a calci, come meritano?» chiese Amy.
Frank avrebbe voluto sprofondare, ma visto che la terra non si apriva a comando, o comunque non al suo, rispose: «Mi dispiace. Hagrid non puoi non dirlo alla Preside?».
L’omone scosse la testa irsuta più volte. «No, Frank. Mi dispiace, ma non posso. È una cosa brutta quella che hanno fatto quei tre… Non capisco cosa ci stanno a fare tra i Grifondoro…» borbottò in risposta. Per un po’ le uniche a parlare furono Amy e Lucy che avevano iniziato a discutere su chi delle due avesse scagliato lo schiantesimo più forte.
Hagrid diede una pacca sulla spalla a Frank, che si ritrovo con la faccia a pochi centimetri dalla tazza ormai vuota. «Ti senti meglio?».
«Sì, grazie» mormorò lui.
«Allora, andiamo. Sta per fare buio».
«Oh, Hagrid posso venire a trovare Loki qualche volta?» chiese Amy.
Il mezzogigante ridacchiò: «Se ci tieni tanto, sei la benvenuta. Ma non so cosa ci trovi in lui».

*

«Hannah, aspettami!».
Una donna bionda, sulla quarantina, camminava a passo svelto lungo una via deserta e poco frequentata dell’East End, si voltò il tempo necessario per osservare l’uomo che l’aveva chiamata. Non si fermò.
«Accidenti!» imprecò quello, che aumentando l’andatura la raggiunse e la bloccò trattenendola per un braccio. «Sei impazzita? Meno male che non hai detto nulla a nostro padre!».
La donna infastidita si divincolò dalla sua presa e lo fissò con occhi ardenti. «Charles, non ti permettere! Non sono più una bambina!».
«A me sembra che tu ti stia comportando proprio in quel modo, invece».
«Il tuo giudizio non è richiesto. Nessuno ti ha chiesto di venire».
«Veramente, me l’ha chiesto tu».
«Ed hai rifiutato. Quindi va’ pure».
«Non essere stupida! Questo è un quartiere malfamato! Merlino solo sa cosa potrebbero farti questi Babbani!».
«Ma ti senti quando parli? Ci sono maghi ben peggiori dei delinquenti babbani! Ed io so difendermi! Dovresti saperlo!».
«Non tirare in ballo quella storia!» la minacciò Charles.
«La tiro fuori eccome! Io ho combattuto! Io ho fatto parte dell’Esercito di Silente! Tu dov’eri? A casa! Nascosto!». Ora i tratti delicati della donna erano sconvolti dalla rabbia.
«Non osare parlarmi in questo modo!» sbottò Charles.
«Se no che fai?» lo provocò lei, «Io non sono uno dei tuoi figli!».
Si fissarono in cagnesco per alcuni secondi, poi Hannah gli voltò le spalle e riprese a camminare. Sentiva i suoi passi dietro di lei, ma non le interessava più. Si asciugò gli occhi in modo che lui non la vedesse. Aveva detto quelle parole presa dalla rabbia, in caso contrario non gli avrebbe mai rinfacciato il passato. Si fermò solo vicino all’ingresso di un palazzo fatiscente.
«È questo?» chiese Charles.
Hannah non gli rispose. Odiava la sua irascibilità, non sapeva mai affrontare con pacatezza pareri contrari al suo. Avrebbe voluto avere Neville accanto in quel momento e non Charles. Si fece coraggio ed entrò nell’atrio buio. Prese la prima rampa di scale, sempre in silenzio. Stavolta le sue scuse avrebbero dovuto essere molto convincenti. Non l’avrebbe perdonato facilmente per il suo comportamento. Doveva capire che essere il più grande e per di più l’unico erede maschio della famiglia non gli dava alcun potere su di lei! Quando raggiunsero il terzo piano, si guardò intorno incerta. Amy aveva detto a Neville che il loro appartamento era l’unico senza nome sul campanello. Sul piccolo, sporco e squallido pianerottolo si affacciavano quattro porte. L’unica che rispondeva a quella descrizione era la più vicina alle scale che portavano ai piani superiori. Suonò, sentendo che il battito del suo cuore accelerava, ma nessuno venne ad aprire.
«Ma chi ti dice che lei vuole vederci?» chiese sprezzante Charles. Hannah lo fulminò con lo sguardo e fu davvero tentata di dargli uno schiaffo per smuovere quell’espressione costantemente distaccata e rigida che tanto odiava. Charles dovette comprendere il suo stato d’animo, perché, dopo aver controllato che erano soli, estrasse la bacchetta e la puntò contro la porta. Per un attimo Hannah credette che volesse aprire la porta con la magia, ma non accadde nulla.
«Non c’è nessuno in casa. Se davvero abita qui, allora è uscita» la informò laconico Charles.
Avrebbe voluto un po’ di conforto in quel momento, ma non l’avrebbe mai cercato da lui, non dopo il loro litigio comunque. Si fece forza e sedette sui gradini più bassi della scala ignorando il suo sospiro irato. Così attesero in silenzio. Quanto tempo trascorse Hannah non avrebbe potuto dirlo con certezza. Ad un certo punto sentirono dei passi sulle scale ed il suo cuore ebbe un sussultò. Sarebbe potuto essere chiunque. Un qualsiasi inquilino del palazzo. Non si alzò, temendo una delusione. Tenne comunque sott’occhio la sommità delle scale. E la vide. Erano trascorsi molto più di vent’anni, ma l’avrebbe riconosciuta dovunque.
«Elisabeth» strillò, alzandosi.
La donna che era appena arrivata e non si era accorta di loro sollevò il volto ed i loro occhi si incrociarono. Hannah eliminò la distanza tra loro e l’abbracciò stretta, prima che ella potesse dire qualunque cosa. «Hannah» mormorò Elisabeth squadrandola, dopo che ebbero sciolto l’abbraccio. «C-come…?».
«Come ho fatto a trovarti?» l’aiutò Hannah. «Tua figlia. Amy mi ha dato l’indirizzo».
«Amy? Come fate a conoscerla?» chiese l’altra, ancora stordita e sorpresa.
«Ha conosciuto i suoi cugini ad Hogwarts. Di conseguenza l’ho saputo anche io! Però ora devi spiegarmi perché ho dovuto sapere che sei tornata così! MA SOPRATTUTTO PERCHÈ NON TI SEI DEGNATA DI MANDARMI UNA STUPIDISSIMA LETTERA PER TUTTO QUESTO TEMPO? EH? ERI ARRABIATA CON NOSTRO PADRE E CON CHARLES, MA IO CHE CENTRAVO? MI HAI LASCIATO SOLA! SOLA!» Hannah deglutì e cercò di scacciare le lacrime che ormai le cadevano copiose lungo le guance. Non si era nemmeno resa conto di aver iniziato a urlare. Charles si era avvicinato e la osservava trasecolato.
«Hannah… Io… mi dispiace… Perdonami. Io sono scappata e volevo lasciarmi tutto indietro e poi tu… tu avresti mostrato qualunque lettera a mamma e papà…» mormorò Elisabeth.
«Lo sai che sono stati malissimo dopo che te ne sei andata in quel modo? Papà ancora non si dà pace!» replicò Hannah fulminandola con lo sguardo. A quel punto si sentì smarrita e non comprese che cosa l’avesse spinta ad andare lì. Avrebbe dovuto ascoltare Charles fin da principio. Aveva semplicemente riaperto un antica e dolorosa ferita. «Non sarei mai dovuta venire qui» disse scuotendo la testa e fece per andarsene, ma ancora una volta quel giorno fu trattenuta. Questa volta non era stato Charles, però.
«Ti prego, Hannah. Perdonami. Sono tornata e sono pronta a fare qualsiasi cosa per essere perdonata».
«Sempre la solita melodrammatica» sbottò Charles parlando per la prima volta. «Papà ti accoglierà a braccia aperte, se è questo che temi. A me non interessa, non hai fatto nulla che non mi sarei aspettato da te. Ora, facci entrare in casa. Stiamo dando spettacolo. Scommetterei tutto il patrimonio della nostra famiglia che quei Babbani hanno le orecchie attaccate alla porta per ascoltarci».
Elisabeth con le mani tremanti inserì una vecchia chiave arrugginita nella toppa e poi li fece segno di entrare.
«Bene» principiò Charles appena Elisabeth si fu chiusa la porta alle spalle, «Ora prendi i tuoi averi e vieni a casa con noi».
«Ma…».
«Niente ma. Fallo e basta. Si cena alle sette da noi. L’hai dimenticato, vero? Papà si preoccuperebbe a non vederci tornare».
«Merlino, Charles. Hai più di quarant’anni! E ti preoccupi di rispettare gli orari di nostro padre?» sbottò derisoria Elisabeth.
«Proprio perché sono un uomo adulto sono consapevole delle mie responsabilità. Non ho tempo da perdere qui. Se tu ti comporti ancora come un adolescente ribelle, non posso farci nulla» replicò Charles sprezzante indicando i suoi capelli, che presentavano ciocche dai colori vistosi.
«Va bene» si arrese Elisabeth, palesemente irritata. Non ci volle molto per raccogliere i suoi averi. Non aveva portato molto dagli Stati Uniti. «Sono pronta».
«Perfetto. Ci sono un paio di cose che devi sapere prima di andare».
«Sentiamo» disse in tono di sfida Elisabeth.
«Non fare domande sulla mamma».
Hannah sussultò ed Elisabeth chiese: «Perché?».
«Perché nel 1996 è stata uccisa dai Mangiamorte e non hai nessun diritto di riattizzare il dolore sopito, soprattutto di nostro padre».
«Charles!» lo richiamò esterrefatta Hannah. Non credeva che il fratello potesse aver così poco tatto. Elisabeth ebbe un capogiro alle sue parole e Hannah la sostenne con un sorriso mesto.
«Immaginati se l’avesse chiesto a papà!» fu la difesa di Charles. «Io abito con papà nella nostra villa. Appena arriviamo ti farò preparare la tua vecchia stanza da un elfo. Nessuno ha toccato niente. Hai domande?».
Elisabeth scosse la testa e li seguì fuori. Durante il tragitto nessuno di loro aprì bocca. Si smaterializzarono e si trovarono di fronte ad un’ampia cancellata in ferro, su una colonna con un carattere elegante era vergato a chiare ed eleganti lettere: Villa Amy.
«Bentornata a casa» sussurrò debolmente Hannah, nonostante si sentisse ancora arrabbiata con lei. Charles li fece strada lungo il vialetto di ciottoli che portava al portone di ingresso. Una volta entrati furono investiti da un turbine biondo. «Mamma! Sei tornata!».
Hannah abbracciò la bambina e le pose qualche domanda a bassa voce. La piccola si limitò ad annuire e poi rivolse la sua attenzione agli altri due adulti. «Ciao, zio Charles. Buonasera, signora».
«Elisabeth ti presento mia figlia Augusta. Augusta lei è la zia Elisabeth, ve ne ho parlato» disse Hannah.
La bambina sgranò gli occhi e la scrutò per qualche secondo, poi le porse la mano. «Piacere».
«Io vado ad avvertire nostro padre» borbottò Charles.
«Mamma, ha scritto papà» disse Augusta, tirando fuori dalla tasca una lettera e porgendogliela. «Dice che Alice e gli altri si sono messi nei guai di nuovo. Hanno attaccato ad una sedia un loro compagno di Casa usando la Colla Super Resistente Tiri Vispi Weasley» aggiunse scuotendo la testa con un’espressione così severa e computa che non sembrava adatta ad una bambina.
«Sei sicura che è figlia tua e non di Charles?» non riuscì a trattenersi Elisabeth.
«Sì» rispose Hannah alzando gli occhi al cielo. Poi si avvicinò ad una culla e prese in braccio un’altra bimba. «Devo darle da mangiare. Augusta, chi l’ha cambiata?».
«Un’elfa» rispose la bambina con un’alzata di spalle.
«E lei?».
«Aurora. L’ultima arrivata in famiglia» rispose Hannah.
«Elisabeth!» tuonò una voce maschile.
Un uomo un po’ piegato per gli anni e con i capelli completamente grigi l’abbracciò stretta. «Sei tornata… sei tornata… pensavo che non ti avrei più rivista! Sai che sollievo stai dando a questo povero vecchio!?».
«Sentite ma Amy in che Casa è stata smistata? Non risponde alle mie lettere. È arrabbiata perché l’ho portata qui di forza» disse ad un certo punto Elisabeth, quando tutti si furono calmati dopo il momento di forte commozione.
«Amy?» chiese sorpreso Albert Abbott, il capofamiglia.
«Già. È mia figlia. Ha tredici anni» spiegò Elisabeth.
«Non potevi scegliere nome più appropriato» sospirò l’anziano.
«Comunque è una Serpeverde» rispose Hannah, lasciando basiti tutti.

*

«Pronto, Louis?» domandò Brian.
Il ragazzino accarezzò ancora una volta il suo Kneazle e si mosse verso la porta del dormitorio dove lo attendevano Brian e Drew.
«Su, certo che avete delle facce! Mica stiamo andando a Pozioni!» disse eccitato Drew.
«Appunto» replicò Louis seccato.
«E dai! Non ditemi che non avete mai volato!» insistette Drew, desiderando che i due compagni fossero partecipi del suo entusiasmo.
«No. Io vivo in mezzo ai Babbani. Mio padre non ha mai voluto che provassi la sua scopa» disse Brian.
«Io sì, ma è stato un disastro» borbottò Louis. «Preferisco stare con i piedi ben piantati a terra».
Drew sbuffò.
«Era ora! Datevi una mossa! Non vedo l’ora di volare» strillò Annika. «Maggie ed Anastasia sono già scese. Temevano di arrivare in ritardo» aggiunse, alzando gli occhi al cielo. Non era una tipa troppo puntuale, questo i ragazzi l’avevano compreso fin dai primi giorni.
«Allora raggiungiamole! Ehi, Sarah tu non sei felice di volare?» disse Drew tentando di coinvolgere la silenziosissima coetanea.
«Insomma» borbottò Sarah.
Drew guardò Annika in una mutua ricerca di aiuto, ella si limitò a scrollare le spalle. Corsero lungo le scale ed il prato fino a raggiungere il campo da Quidditch.
«Siete arrivati appena in tempo» li accolse freddamente la professoressa. «Mettetevi al fianco di una scopa e non mi fate perdere tempo».
I Grifondoro, con cui seguivano la lezione, erano già in posizione e così i cinque Corvonero li imitarono.
«Ora allungate la mano sulla scopa e dite ‘Su’» spiegò la professoressa.
Un coro di ‘su’ si levò dai ragazzi. La scopa volò subito nelle mani di Drew con sua estrema soddisfazione. La stessa cosa accadde ad Annika, il cui sorriso si allargò notevolmente sul suo volto. Le scope degli altri Corvonero rimasero inesorabilmente a terra. I Grifondoro se la stavano cavando decisamente meglio.
«Su» disse supplichevole Brian senza il minimo successo. Louis non ci stava provando davvero, osservava la scopa come se da un momento all’altro dovesse prendere vita e morderlo. Le ragazze sembravano scocciate.
«Datevi una mossa» li esortò l’insegnante, che sbuffando sedette su una panchina ai bordi del campo e accese quella che era palesemente una sigaretta babbana. «Non abbiamo tutto il giorno».
«Perché non ce lo spiega» sbottò a bassa voce Anastasia.
«Secondo me non la sa fare» replicò un Grifondoro vicino a lei. Connor Mils. Brian lo riconobbe subito dalla voce ma quando si accorse che teneva la scopa in mano avrebbe voluto sparire. D’altronde Connor era sempre stato uno dei più bravi in ambito sportivo nella scuola babbana. A quanto pare non c’era molta differenza tra sport magici e babbani. Basta essere portati. E lui non lo era minimamente. Dopo vari tentativi che presero parte dell’ora a loro disposizione, Brian riuscì con suo enorme sollievo a farsi obbedire da quella benedetta scopa. La sola che rimase a terra fu quella di Louis. Annika stava provando ad aiutarlo, ma invano.
«Ora saliteci sopra» ordinò la professoressa lanciando un’occhiata sprezzante a Louis. La donna con fare annoiato ed infastidito passò tra loro per correggerne la presa. «Provate a sollevarvi, ma non andate lontano se non ne siete capaci».
Il resto della lezione fu uno dei momenti più umilianti per Louis. I più esperti tra i suoi compagni non fecero altro che svolazzare da una parte all’altra del campo, chi volava per la prima volta iniziò a prenderci gusto.
«Ora, basta giocare. La lezione è finita. Ci vediamo la prossima volta» disse la professoressa. «Weasley, visto che non hai fatto nulla per tutta la lezione, raccogli almeno le scope e portale nel ripostiglio» aggiunse spegnendo l’ennesima sigaretta e voltando loro le spalle.
«Che vada a farsi strabenedire» sbottò Annika avvicinandosi a Louis. «Avrebbe anche potuto aiutarti».
«E dire che non vedevo l’ora di conoscerla» mormorò deluso Drew.
«Perché mai?» domandò Annika.
«La Jones è stata il Capitano delle Holyhead Harpies dalla fine del degli anni ’90 fino al suo definitivo ritiro. Per essere precisi ha continuato a giocare fino alla nomina di Angelina Johnson come allenatrice. Circa nel 2004 se non sbaglio» spiegò Lorcan Scamander che si era avvicinato, «Ehi amico, credo che ce l’abbia con te. Non si è mai saputo perché, ma si dice che le due abbiano litigato e poco dopo la Jones si è ritirata. E tu sei il nipote di Angelina».
«Si dice che non si sopportassero nemmeno come compagne di squadra» disse Drew.
«Che felicità» sbottò Louis.
«Su con il morale… Ti diamo una mano noi con le scope» disse Annika.
«E se la Jones non ti lascia stare, dillo a zio Harry. Se la farà sotto…» disse ridendo Lorcan.
 
 
 

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Capitolo 13
*** Il segreto di Paracelso ***


Capitolo tredicesimo

Il segreto di Paracelso
 
«Basta, sono stanca» decretò Roxi stiracchiandosi.
«No! Roxi, attent-» tentò Gretel, ma il suo avvertimento non arrivò in tempo. Roxi urtò con il braccio un serie di coppe poste proprio ai margini dello scaffale dietro di lei. Quando il rumore si spense, Roxi mormorò: «Accidenti».
Proprio in quel momento la porta della Sala Trofei si aprì, Roxi e Gretel trattennero il respiro.
«Tutto ok, ragazze?».
Riconoscendo lo zio Neville, Roxi sospirò sollevata.
«Cavoli, mi hai fatto prendere un colpo! Pensavo fosse Sawyer!» borbottò.
«Il signor Sawyer, Roxi. Come hai fatto a farle cadere?» chiese.
«Le ho urtate, mentre mi stiracchiavo. Sto morendo di sonno! Questa non è una punizione! È una tortura bella e buona!» si lamentò la ragazzina.
«Non credo che tu sappia cosa sia una tortura Roxi. Per fortuna, direi» replicò dolcemente Neville, porgendole una mano. «Non dovreste stare sedute sul pavimento freddo».
«È la posizione più comoda che abbiamo trovato» biascicò Roxi, assonnata.
Neville, mentre aiutava anche Gretel ad alzarsi, non poté trattenersi dal sorridere: Roxi si stava stropicciando gli occhi e sembrava molto più piccola della sua età.
«Bene, per questa sera la tortura è finita. Magari la prossima volta evitate di schiantare i vostri compagni» sospirò Neville. «Vi accompagno in Sala Comune».
Ormai settembre aveva lasciato il posto ad ottobre e la notte faceva davvero freddo. Le due ragazzine si strinsero il mantello di lana addosso sotto lo sguardo vigile di Neville.
La Sala Comune era immersa nel silenzio e vi era solo una persona addormentata in una delle poltrone vicino al fuoco.
«Frankie» lo scosse delicatamente Roxi. «Non dovevi aspettarci!».
«Invece sì. È colpa mia se siete finite nei guai» sospirò il ragazzino.
Beh sicuramente ci è andata meglio di quei tre pensò poco dopo Roxi, mentre si sdraiava. Per l’ennesima volta in quei giorni non poté fare a meno di pensare alle parole che la Preside aveva rivolto loro alla fine dell’anno precedente: zero tolleranza. Sinceramente, aveva preso sottogamba la minaccia, ma avevano appena avuto tutti la prova che la Preside non minaccia mai a vuoto: Calliance, Granbell ed Hans erano stati sospesi per una settimana e rispediti a casa. Chissà cosa sarebbe accaduto al loro ritorno. Sospirò e nascose la testa sotto il cuscino. Era preoccupata per Frank.

*

 «Benvenuti alla seconda partita di quest’anno!» strillò il nuovo commentatore, Alexander Parker, un Corvonero proprio come il suo predecessore Hermes Pratzel. «Tassorosso contro Corvonero».
«Ciao, ragazzi» disse Scorpius scivolando nel posto libero accanto ad Albus.
«Ti sei ripreso?» chiese Al, senza riuscire a trattenere una nota divertita nella voce.
«Ridi, ridi. Non è mica colpa mia! Katie Baston è disperata».
«Per aver perso contro di noi?».
«Perso, Al?» sbraitò Scorpius, tirandogli un pugno giocoso sulla spalla. «Ci avete letteralmente distrutto! Cavoli 330 a 60!».
«Vi mancavano giocatori importanti!» provò a consolarlo Albus. «Vedrai che la prossima partita ci raggiugerete…».
«Ho i miei dubbi… Steeval e Warrington sono stati squalificati dalla Shafiq in persona e Katie non ha trovato due sostituti alla loro altezza. Due cacciatori su tre non vedono gli anelli, Al! Quest’anno saremo umiliati!».
«Mi dispiace».
«Ecco le squadre che scendono in campo» continuò Parker. «I Tassorosso capitanati da Albert Abbott. Poi ci sono Daniel Mcnoss, Rimen Mcmillan, Melissa Goldstain, Amber Steeval, Arthur Weasley e Jack Fletcher… Invece i Corvonero sono guidati da Florian Fortebraccio… Non si è capito perché proprio lui, che l’anno scorso era solo una riserva e non Matthew Parker…».
«Parker! Non è il momento e non ti permettere di mettere in discussione le mie decisioni!» sibilò la Preside, che fu sentita da tutto lo stadio.
«Sì, sì va bene scusi… Gli altri Corvonero: Smithy, Benson, Baston, Baston, Davies ed appunto Parker… Madama Jones lancia la pluffa e la partita inizia…».
«Ma Jonathan l’hai visto?» chiese Albus a Scorpius.
«No. Perché?».
«Continua a sparire e salta i nostri appuntamenti in biblioteca».
«Anche io lo farei» borbottò Scorpius.
«Idiota! Lo sai che stiamo cercando! E lui ha abbandonato lo studio di quel volume di Aritmanzia Avanzata!».
«Boh… che ne so… Ma la sai una cosa? L’ultima volta l’ho visto fuori dalla mia Sala Comune dopo il coprifuoco. Gli ho chiesto che faceva e mi ha risposto in modo vago».
«E tu che ci facevi in giro a quell’ora?».
«Io e Rose avevamo da fare».
«Non sarete andati all’Archivio?» sussurrò Albus.
«Certo che sì. Rose non te l’ha detto?».
«No. Avrà avuto paura che mi arrabbiassi!» sbottò Albus.
«Non sei arrabbiato?».
«Sì… No… Forse… Siete due scemi! Basta che non lo sappia mio padre…» borbottò Albus.
«Vuoi sapere o no quello che abbiamo scoperto?».
«Sentiamo».
«Bellatrix Dolores Selwyn è un’ex-Serpeverde. È entrata ad Hogwarts nel 2001. Non è mai stata Prefetto e non ha mai fatto parte della squadra di Quidditch. Secondo il fascicolo aveva problemi comportamentali e non aveva remore ad inneggiare a Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato. Comunque è una strega abile e potente. Ha preso ben 10 G.U.F.O. con il massimo dei voti e così anche i M.A.G.O. La materia in cui eccelleva era Pozioni. A quanto pare era la migliore dell’intera Scuola».
«Quindi la pietra?».
«Non lo so. Quello che non capiamo è perché ce l’abbia con i pozionisti più accreditati del mondo».
«È come se mancasse un tassello» sospirò Albus.
«E la Goldstain segna di nuovo! 150 a 30 per Tassorosso!» gridò Parker, palesemente desolato.
«Stiamo cercando altre informazioni» gli annunciò Scorpius.
«E dove?».
«C’è uno stagista di mio padre che posso convincere a fare il nostro gioco».
«Eh?».
«È giovane e inesperto, ma soprattutto non mi conosce a fondo. Quest’estate mio padre me l’ha presentato quando sono andato in ufficio da lui. Si farà in quattro per obbedirmi! È terrorizzato da mio padre» ridacchiò Scorpius. «E mio padre deve avere informazioni su quella donna!».
«Non lo farà… tuo padre lo ucciderebbe. Non sono informazioni che si possono divulgare e meno che mai a te».
«Lascia fare a me» ghignò Scorpius.
«Assurdo» gemette Parker, «Weasley ha preso il boccino. Tassorosso vince».
«Per essere precisi: abbiamo stravinto! 300 a 40!» strillò Edward Zabini, strappandogli il megafono dalle mani.

*

«Emma, ascoltami» disse imperiosa Lucy Weasley.
Il compagno chiuse il libro che stava leggendo ed attese.
«Si tratta di mia cugina Fabiana. La Corvonero. Hai presente?».
«Sì, visto che è del nostro anno e seguiamo diverse lezioni insieme».
«Beh, lei si è presa una cotta per te».
Emmanuel la fissò: di tutto quello che si sarebbe aspettato, quella era decisamente l’ultima. «Te l’ha confidato lei?».
«Sì».
«E perché diavolo sei venuta a dirmelo? Se era una confidenza, avresti dovuto tenerla per te!».
«Per chi mi hai preso? Per una di quelle che parla fino allo sfinimento dei ragazzi che le piacciono!? Mi chiedeva di te! Merlino, che disgusto!».
«Grazie tante, eh» borbottò Emmanuel.
La botola dell’aula di Divinazione si aprì e la voce dura e distaccata del professore li intimò di entrare.
«Allora?» insisté Lucy, facendo passare gli altri avanti.
Emmanuel rifletté per qualche secondo, poi disse: «Alla prima uscita ad Hogsmeade dì a Fabiana ed alle sue amiche di unirsi a noi». Poi si diresse in classe, ignorando le sue imprecazioni contro i Corvonero e le sue lamentale sul fatto che lei non voleva trascorrere nemmeno un minuto con loro.

*

«Un attimo di attenzione, prego» disse la Preside dopo aver fatto tintinnare il suo calice. Quando ebbe l'attenzione dell’intera Sala Grande annunciò: «Su richiesta di Caposcuola e Prefetti ho deciso di autorizzare un ballo in maschera per la sera di Halloween. Naturalmente mi aspetto un comportamento impeccabile. Vi ricordo che ci saranno i nostri ospiti stranieri e vi giuro che non tollererò nessun comportamento che metta in ridicolo la Scuola!».
Un brusio eccitato si diffuse tra i ragazzi, ma la professoressa lo interruppe immediatamente: «Come ormai saprete sabato ci sarà la prima uscita ad Hogsmeade. Gli Auror e la Squadra Speciale Magica stanno facendo di tutto per darci la migliore delle protezioni. Mi raccomando non vi allontanate da High Street e non fate nulla di sciocco che potrebbe mettervi in pericolo. Si intende che il vostro comportamento anche in questo caso non deve essere motivo di vergogna per la Scuola. Vi assicuro che non la passereste liscia! Ed ora continuate pure a cenare».

*

«Jamie, per Merlino! Su, andiamo a farci un giro. Non puoi continuare a guardarli così» sbottò Robert, alzandosi e trascinando l’amico fuori da I tre manici di scopa. Lontano da Danny e Tylor.
«Arriviamo fino alla Stamberga Strillante» propose timidamente Benedetta.
«Ti ho spiegato che non è stregata per niente».
«Non essere scontroso, Jamie!» lo richiamò Robert.
«Scusa» sussurrò James rivolto a Benedetta. La ragazza scrollò le spalle.
Passeggiarono per un po’ in silenzio, evitando gli altri ragazzi. Jamie aveva litigato di nuovo con Danny e Tylor quella mattina ed era di umore nero. Era, inoltre, una giornata molto fredda.
«Sentite, perché non torniamo al castello? Che senso ha rimanere qui, se non ne abbiamo voglia? Io sto morendo di freddo e sembra che stia per piovere» disse Robert, scrutando preoccupato le nuvole nere che si erano addensate in cielo.
«Forse è meglio» lo appoggiò Demetra Norris.
«A me non interessa. Facciamo come volete voi» borbottò James.
Benedetta annuì e continuò a fissarlo preoccupata. Così si avviarono verso il castello. Robert e Demetra tentarono di intavolare una conversazione, ma né Benedetta né James li diedero retta.
«Io l’avevo detto che non voglio fare il Prefetto… gliela regalo la spilla… anzi gliela faccio ingoiare… così non rompe più o sì… e chi lo vuole fare il Prefetto…» James mormorava tra sé.
«Ora basta! Hai rotto le pluffe!» sbottò Robert prendendolo per il mantello e spingendolo contro il muro dell’Ufficio Postale.
«Robi!» strillarono Benedetta e Demetra all’unisono.
«È più di un mese che fa così!» disse il ragazzo senza mollare la presa. «Ti vuoi dare una calmata? Non ti è passato neanche per un attimo in quel minuscolo cervellino che forse quei due non meritino più o peggio non hanno mai meritato la tua amicizia? Oppure stai facendo tutto questo macello perché alcuni emeriti cretini pensano che tu sia stato scelto perché sei il figlio di Harry Potter?» sibilò.
«Dai, lo stai strozzando. Mollalo» disse spaventata Benedetta cercando di tirarlo per un braccio.
«No. Mi sono stancato. Questo idiota deve capire. Tuo padre è mai stato un Prefetto, James? Rispondi!».
«No, ma che centra?» biascicò il ragazzo non distogliendo il suo sguardo sorpreso da quello dell’amico.
«Centra! Tu non sei tuo padre! E non sei nemmeno tuo nonno» replicò Robert, allentando lievemente la presa. Ad un estraneo quelle parole sarebbe sembrate assurde, ma James, anche se separati da un intero oceano, si era sempre confidato con lui. Robert conosceva ogni sua singola paura. E James Sirius Potter sentiva il peso del suo cognome e dei suoi due nomi tanto quanto poteva sentirlo suo fratello Albus. L’unica differenza è che l’aveva sempre nascosto dietro ad una maschera da buffone che aveva tratto quasi tutta la Scuola in inganno per quattro anni. Aveva sempre avuto intimamente paura di non essere all’altezza dei nomi che portava. James Potter e Sirius Black, tra i ragazzi più brillanti che la Scuola avesse mai visto, ma anche i più confusionari ed i più ammirati; membri dell’Ordine della Fenice e destinati a divenire dei grandi Auror se solo ne avessero avuto il tempo. E James, inoltre, era sempre stato un grande giocatore di Quidditch. Senza contare suo padre: Harry James Potter. L’uomo dei record: unico al mondo ad essere sopravvissuto all’Anatema che Uccide, cossicchè all’età di un anno aveva messo fine ad un regime di terrore perdurante da almeno undici anni, facendo scomparire un mago che non temeva nessuno se non Albus Silente; era diventato il più giovane Cercatore di Grifondoro da almeno un secolo a quella parte, fin dal suo primo anno aveva affrontato Voldermort; a dodici anni aveva sconfitto un serpentone che uccideva con lo sguardo; imparato ad evocare un patronus a tredici; a quattordici aveva partecipato al Torneo Tremaghi, duellato con Voldermort e gli era sfuggito ancora una volta; a quindici aveva fondato un esercito ed insegnato a combattere ai suoi coetanei; a sedici gli erano state consegnate le chiavi per salvare il mondo magico e tra i diciassette ed i diciotto c’era riuscito. E lui? La gente si aspettava che lui diventasse un grande mago. Tutti. Nessuno eccetto. Fin da quando era piccolo aveva capito che tutti si aspettavano anche che egli divenisse un Malandrino proprio come suo nonno e Sirius Black; tutti trovavano perfettamente normale che il suo cugino preferito fosse Fred, degno erede dei gemelli Weasley. E si era fatto trascinare. Doveva essere un campione di Quidditch, inoltre. Aveva sempre seguito il copione. Voleva che lo ritenessero all’altezza di suo padre. Voleva che la gente lo vedesse al suo fianco e pensasse che fosse il suo degno figlio. In realtà ora non ci capiva più nulla. Cominciava a non sopportare più Fred ed a chiedersi perché dovesse fare quello che diceva lui per forza. Li costringeva ad allenamenti lunghi e spossanti e tutto perché pretendeva di vincere la coppa. Avevano litigato. Non era mai successo. Lui voleva solo divertirsi giocando e suo cugino era diventato asfissiante. In quei giorni a lui interessava più trovare un modo per dichiararsi a Benedetta e trascorrere del tempo con lei. Doveva ammettere che non capiva come Albus si fosse ficcato dentro la questione dei Neomangiamorte. James, per conto suo, avrebbe voluto solo essere felice e vivere spensierato; ma Fred, Danny e Tylor lo guardavano come se si aspettassero chissà cosa da lui, come se lui fosse sbagliato. Come se il suo comportamento non fosse degno del suo cognome. Non stava facendo quello che la gente si aspettava da lui. Mai una volta aveva solo discusso su come partecipare al Torneo nonostante fosse minorenne, cosa che quei tre non smettevano di sottolineare. Non andava tronfio per i corridoi a schiantare tutti quelli che avevano un minimo di legame con i Mangiamorte o per colpe che avevano commesso i loro genitori, come, invece, avevano iniziato a fare suo cugino ed i suoi ex-amici. E soprattutto l’imminente partita con i Tassorosso non era un pensiero fisso per lui.
«Jamie» lo chiamò Benedetta preoccupata.
James si voltò verso di lei e si rese conto che Robert l’aveva mollato. I tre ragazzi lo fissavano preoccupati. Aprì la bocca volendo dire qualcosa di sensato, ma delle urla si levarono poco lontano. Le mani dei quattro volarono verso la bacchetta. La lezione di Williams era stata abbastanza chiara. Lui e Robert si mossero immediatamente verso il punto da cui provenivano le urla. Quando vide cosa stava succedendo, sentì una rabbia montare dentro di lui come mai. Strinse la bacchetta e si avvicinò al gruppo: tre Serpeverde, a lui fin troppo noti, stavano infastidendo due Tassorosso ad occhio e croce del terzo anno. Sentì la bacchetta fremere.
«Sei un Prefetto» gli sussurrò Robert.
«Allora che sta succedendo qui?» la sua voce risuonò forte ed irata nel vicolo. I cinque, che non li avevano sentiti arrivare, sobbalzarono. Uno dei due ragazzini era a terra e sanguinava dal naso, l’altro era appoggiato al muro ma respirava a fatica. James ebbe un lampo e rivide se stesso quasi un anno prima. No, non può essere. Non qui ad Hogwarts pensò disperatamente. Eppure la parte razionale del suo cervello sapeva cos’era successo a quel ragazzino e le urla dovevano essere state le sue.
«Potter, non sono affari tuoi. È una questione di famiglia» disse uno dei tre ragazzi.
«Avery, non vedo cosa centri la famiglia» sibilò James.
«Vedi, idiota, questo essere qui, è il mio caro fratellino. Alan» rispose il ragazzo, indicando il Tassorosso appoggiato al muro.
«Non mi interessa. Ora mi seguirete al castello» disse autoritario.
I tre risero.
«E con quale accusa?» chiese Avery.
«Di prepotenze contro due ragazzi più piccoli. Consegnatemi le bacchette».
I tre risero ancora e poi Avery disse: «Densaugeo».
«Protego» fu la pronta reazione di James.
Contemporaneamente Robert gridò: «Mangialumache», mentre Benedetta e Demetra tiravano fuori dalla linea del fuoco i due ragazzi più piccoli.
A loro volta, però, anche i due compagni di Avery aveva scagliato degli incantesimi. James e Robert fianco a fianco li respinsero. In pochi secondi nello stretto vicolo era scoppiato il caos. Un incantesimo colpì la finestra di una casa vicina ed una donna urlò improperi contro di loro, ma si tenne, prudentemente, lontana dall’apertura.
Ad un certo punto James sentì la bacchetta sfuggirli dalle mani.
«Cazzo, gli Auror» sbottò Avery. Tutti si voltarono verso un gruppo di uomini in divisa scarlatta. Per un attimo rimasero come sospesi, mentre iniziava a piovigginare.
«Se fossi in voi non fuggirei, o saremo costretti a schiantarvi» disse l’Auror più vicino. James si riscosse e vide che i tre avevano puntato verso la parte opposta del vicolo. «Chi siete?» domandò lo stesso Auror.
«Adrian, te lo dico io chi sono» disse una voce famigliare. Maximillian Williams raggiunse l’Auror di nome Adrian senza problemi, anzi gli altri uomini si erano spostati per farlo passare.
In fondo è uno di loro pensò James.
«Norris Avery, sesto anno. Anthony Warrington e Jesse Steeval, settimo anno. Poi abbiamo Robert Cooper, Benedetta Merinon, Demetra Norris e James Potter del quinto anno» disse Williams. «Alan, Scott» aggiunse poi avvicinandosi preoccupato ai due ragazzini.
«Maxi, i ragazzi stavano duellando» gli comunicò Adrian.
«James, spiegati» ordinò Williams, dopo aver verificato le condizioni dei due Tassorosso.
«Abbiamo sentito delle urla e siamo venuti a controllare. Abbiamo trovato Scott a terra ed Alan appoggiato al muro. Ho detto ai Serpeverde di seguirmi al castello e loro si sono rifiutati e ci hanno attaccato. Le ragazze hanno messo al sicuro i Tassorosso» rispose James. «Io penso che abbiano usato una qualche maledizione su Alan… magari la Cruciatus…».
«Ragazzino, la tua accusa è grave» sbottò un altro Auror.
«Dawlish, qualunque cosa abbia colpito Alan sicuramente non è stato uno schiantesimo» replicò serio Williams. «Adrian, devo portare Alan e Scott in infermieria. Per piacere, fai scortare i ragazzi al castello?».
«Certo. Elisabeth, Willow, Laurence e Samuel venite con me. John a te il comando in mia assenza» ordinò Adrian.

*

«È assurdo che l’abbiano passata liscia!» si lamentò James.
«Tecnicamente non l’hanno passata liscia. La Preside ha punito tutti e tre, inoltre nella clessidra dei Serpeverde ci sono molti smeraldi in meno» lo contradisse Benedetta.
«Peter ha detto che Alan è stato colpito dalla Maledizione Cruciatus e a quanto pare non è la prima volta! La magia lascia sempre traccia! La Preside avrebbe dovuto espellerli! E dovrebbero affrontare il Wizengamot per questo!».
«Jamie, gli Auror hanno usato l’Incantesimo Reversus su tutte le nostre bacchette. Quella che ha scagliato la maledizione appartiene ad Alan».
«Non ci vuole un genio a capire che gliel’hanno presa e l’hanno usata contro di lui!».
«Alan ha detto che è stato lui a pronunciare l’incantesimo. Voleva vedere quale fosse il suo effetto e l’ha provato su un topo».
«Mentiva! È terrorizzato da suo fratello! La Preside l’ha pure punito! Ti sembra giusto?».
«No, Jamie. Tu hai ragione ad essere indignato. Ed a questa storia non ci credono né gli Auror né la Preside. Hai sentito Williams! Per lanciare una maledizione del genere ci vuole un’enorme forza e bisogna volerlo profondamente. Un ragazzino di tredici anni difficilmente potrebbe usarla; ma non possono farci nulla! Non hanno prove contro quei tre ed Alan è troppo terrorizzato, l’hai detto anche tu».
«Avery la pagherà!» sbottò James. «A proposito dove stiamo andando? Non dovremmo entrare nella foresta».
«Fidati. Rimarremo ai margini» replicò Benedetta.
James la seguì, non riuscendo a togliersi dalla mente la scena della mattina. Sentiva la testa sul punto di scoppiare. Aveva bisogno di tempo per rimettere in ordine ogni pensiero. Le parole di Robert avevano fatto breccia ed ora sapeva di dover prendere una decisione. Ad un certo punto iniziarono ad incespicare in una specie di collinetta terrosa, cui poi si sostituirono delle rocce.
«Non conosco questa zona» disse perplesso.
«Non so quante persone la conoscano. Siamo quasi arrivati. Attento a non scivolare».
Iniziarono a scendere e rischiò di cadere un sacco di volte. Aveva il cuore in gola: non gli piacevano le rocce così vicine. Quando uscì dalla strettoia, in cui la ragazza l’aveva guidato, rimase a bocca aperta. Erano su una sponda del Lago Nero, un po’ distante dal castello. Era bellissimo.
«Perché sei così pallido?».
James si riscosse e decise di dirle la verità: «Ho paura dei serpenti. Sono ofidiofobico».
«Da prima o dopo lo scherzo dei Serpeverde dell’anno scorso?».
«Prima. Ecco perché l’hanno scorso non mi sono difeso. Ero terrorizzato».
Benedetta sorrise. «Qui puoi stare tranquillo. Nessun serpente si avvicinerà».
«Come fai ad esserne sicura? Si nascondono sotto le rocce. Per quello che ne sappiamo potrebbero essercene centinaia là sotto».
«No. Perché questa è ofite».
«È cosa?».
«Ofite. I serpenti odiano questa pietra. Se si brucia l’ofite loro rimangono storditi dal fumo e scappano».
«Non lo sapevo».
«Io l’ho scoperto al primo anno. Ero curiosa di sapere che roccia fosse e l’ho cercata nei lapidari in biblioteca».
«Come hai fatto a scoprire questo posto?».
«Beh i primi mesi ad Hogwarts sono stati difficili per me. Non ero abituata all’Inghilterra. Ci venivo solo in vacanza. Al contrario di ora, insomma. Mio padre lavorava al Ministero italiano. È così che ha conosciuto mia madre. Quando ho compiuto undici ha deciso che avrei frequentato Hogwarts e non la Scuola italiana».
«Ce n’è una?».
«Sì. I miei cugini ci vanno e si trovano bene. Mio padre comunque era rimasto legato alla Scuola. Ha detto che vi aveva trascorso sette dei più bei anni della sua vita. Diciamo che si è diplomato quando tuo padre era al primo anno. I suoi anni di Scuola non sono stati segnati da tutte quelle follie, dagli attacchi di Voldermort e dei Mangiamorte».
«Ma alla fine non sei contenta di essere qui?» chiese ansioso James.
«Sì, Hogwarts mi piace. Ma l’Italia mi manca. Il tempo qui è sempre brutto. I primi tempi, comunque ti dicevo, sono stati difficili. Ho subito fatto amicizia con Demetra. Lei è una Nata Babbana e si sentiva estranea a questo luogo quanto io all’Inghilterra; ma per il resto non riuscivo a fare amicizia con gli altri. Soprattutto la Granbell trovava divertente stuzzicarmi, che fosse per il mio Stato di Sangue o per il fatto che io non sia ricca come lei. Così un giorno in cui ero particolarmente giù, sono scappata nella foresta ed ho cominciato a vagare. Sono rimasta sempre ai margini, non volevo finire in guai seri. Anche se, beh non dovremmo essere qui, immagino che gli insegnanti non considerano o meno i margini della foresta quando dicono che è vietato entrarci. Comunque, quel giorno sono stata molto incosciente. Mi sono allontanata parecchio e sono arrivata fino a qui».
«Non ti hanno beccato, vero?».
«No, sono rientrata al castello poco dopo la cena. Sei la prima persona che vede questo posto e cui racconto tutto ciò. Ci sono tornata più volte, almeno fino alla fine del terzo anno».
«Come mai hai smesso di venirci?».
Benedetta lo osservò intensamente e poi rispose: «Dall’inizio dell’anno scorso non ne ho più avuto bisogno».
«Come mai?» ripeté James.
Benedetta sospirò. «Ho avuto la bellissima idea di farmi interrogare da Finch-Fletchley al posto di un altro Grifondoro e da quel momento lui ha deciso che sarei stata sua amica».
James aprì la bocca, ma la richiuse immediatamente in quanto non sapeva cosa dire, così l’abbracciò. Aveva capito che spesso i gesti erano più eloquenti di mille parole.
«Ora tocca a te, però».
«A me?».
«Già. Raccontami perché hai paura dei serpenti».
James annuì ed iniziò a raccontare: «Ero piccolo, potevo avere sì e no sei anni. Ero alla Tana dai miei nonni. Con i miei cugini giocavamo sempre in giardino. La casa dei nonni, però, è lontana dal villaggio ed è in piena campagna. Naturalmente, avevamo l’assoluto divieto di uscire dal giardino da soli. Potrai ben capire che attrazione avesse su dei bambini come noi il fascino del proibito. Fred usciva sempre appena gli adulti voltavano le spalle. E come immaginerai sfidava noi altri a fare altrettanto. Le prima volte ci limitavamo ad allontanarci solo lievemente, di norma un adulto interveniva sempre. E giù ramanzine a non finire su quanto fosse pericoloso allontanarci. Poi un giorno Fred mi sfidò. Era inverno. Eravamo tutti radunati nel salotto a giocare. Abbiamo approfittato di una distrazione degli adulti e siamo usciti in giardino. Aveva piovuto da poco ed era tutto pieno di pozzanghere. In più era tardi. Non mancava molto al tramonto. Però noi non ci pensavamo mica. Nessuno ci ha fermato, perché nessuno si aspettava che fossimo in giardino con quel freddo. Probabilmente appena notarono la nostra assenza ci cercarono ai piani superiori od aspettarono un po’ per cercarci perché pensavano che fossimo saliti a prendere qualcosa. Insomma nessuno ci fermò e quella volta ci allontanammo. Iniziammo a correre nella sterpaglia. Fred urlava che eravamo liberi ed i più forti del mondo. O una cosa del genere. Me lo ricordo ancora, perché poco dopo iniziai a sentire solo l’eco della sua voce. Sempre più lontana. Non credo di essermi mai spaventato così tanto in vita mia. Praticamente persi di vista lui e mi persi io. I dettagli del mio attacco di panico sono piuttosto umilianti, quindi te li risparmio. Fatto sta che ad un certo punto sono scivolato a causa di una pozzanghera. Si era rimesso a piovere. Ma no, non ero già stato abbastanza sfortunato. Da sotto un sasso è uscito un serpente. O per essere più sinceri ho dato un calcio al sasso per la rabbia. Ma non sapevo che ci fosse lui là. Ti giuro che da allora non prendo più a calci i sassi se non sono sicuro che non siano la tana di qualcuno. Il serpente non è stato contento e mi ha morso».
«Oh» commentò Benedetta, osservandolo ad occhi sgranati. «Era velenoso?».
«No. Ma ho dato di matto. Urlando e piangendo».
«Qualunque bambino avrebbe reagito in quel modo, Jamie!».
«Comunque mi trovarono poco dopo. Probabilmente anche grazie alle mie strilla».
«E da quel giorno…».
«… non ho potuto più vedere un serpente» completò James sospirando.
«Chi ti ha trovato?».
«Mio padre. Era tornato da poco dal Ministero. Sono usciti lui, zio Ron e zio Bill a cercarci. Sai qual è la cosa più assurda di quello che è successo dopo?».
«Quale?».
«Ho visto zio George arrabbiato! È stata la prima ed ultima volta. Ci ho messo anni a capire perché. Aveva avuto paura che succedesse qualcosa a Fred».
«Ma anche i tuoi…?».
«Sì, ma lui di Fred ne aveva già perso uno. Durante la guerra il suo gemello è stato ucciso. Non voleva che accadesse qualcosa anche al figlio».
Rimasero in silenzio per un po’, poi James parlò di nuovo: «Sai a quell’età non sapevo quel che aveva fatto mio padre, ma quando l’ho visto sotto la pioggia mentre con un po’ di scintille rosse scacciava il serpente… io… è stato in quel momento che è diventato il mio eroe… Sai, Robert ha ragione… Avevo dimenticato questo episodio… In quel momento io non sapevo niente di Voldermort e nemmeno che cosa fosse un Auror… avrei pagato comunque per essere come lui… Quella sera mi sgridarono sia lui che la mamma, ma io non mi volli staccare da mio padre nemmeno quando mi curarono il morso del serpente. Ho paura di deluderlo, Benedetta» ammise James.
«Credo che quando quel suo sotto-ufficiale Wilson gli racconterà come oggi hai difeso i due Tassorosso, sarà molto fiero di te».
«Lo spero» sussurrò James, mentre un sorriso genuino fioriva sul suo volto.
Non dissero più nulla finché non furono vicini al portone di ingresso poco prima di cena, quando James bloccò Benedetta.
«Dì al quel Grifondoro che hai salvato da Finch-Fletchley l’anno scorso che è un emerito idiota».
«Per quale motivo?» chiese sorpresa.
«Perché avrebbe dovuto accorgersi prima di te e non sprecare tre anni di amicizia».

*

«Corri!».
«Siamo spacciati» disse Drew bloccandosi improvvisamente. «Sento dei passi che vengono dalla parte opposta».
«Siamo fregati» piagnucolò Brian.
«No. Siamo vicini alla statua di Paracelso» annunciò Louis, come se una statua avrebbe potuto essere la soluzione ai loro guai.
Lo seguirono fino alla statua che indica la strada più breve tra la Torre di Grifondoro e la Guferia.
«Louis, non per farti fretta. Ma Sawyer si sta avvicinando!» disse Drew, mentre il compagno osservava la statua.
«Lo sapete che Paracelsus è stato un alchimista, anche se il suo vero nome…».
«Louis!» questa volta fu Annika a richiamarlo, «Non ci avrai fatti venire qui per Paracelsus? Siamo già nei guai!».
Il ragazzino si riscosse dai suoi pensieri e ruotò il naso della statua di 360°. Si aprì il muro alle sue spalle.
«Ah, però» commentò Drew.
«Forse è meglio se entriamo» li sollecitò Annika, mentre il suono di passi era sempre più vicino.
Appena entrati Louis toccò di nuovo il naso di un altro Paracelso, questa volta dipinto. «Ehi buono ragazzino, non osare» borbottò quello svegliandosi.
«Scusi, mica l’ho inventato io questo metodo» si giustificò Louis.
«Dove siamo?» chiese sbalordito Drew.
«È il laboratorio di Alchimia».
«E tu come Merlino lo sai?» continuò Drew, mentre Annika esplorava l’aula.
«È scritto su Storia di Hogwarts. In teoria agli allievi degli ultimi anni è permesso studiare alchimia, ma il corso viene aperto solo se c’è un numero minimo di studenti» spiegò Louis.
«Dalla polvere che c’è qui, immagino che quel numero non si raggiunga da secoli» commentò con una smorfia Annika, passando la punta di un dito sulla superficie del banco più vicino.
«Non capisco perché tutti odino pozioni così tanto».
Drew e Brian si scambiarono un’occhiata, ma nessuno dei due si prese la briga di replicare. Tanto sarebbe stato inutile.
L’aula era abbastanza spaziosa; più che di banchi si doveva parlare di veri e propri tavoli in legno massello. Su ognuno di essi troneggiava un set di provette e di alambicchi altrettanto polverosi. In fondo alla stanza al posto della consueta cattedra vi era un lungo tavolo, sempre di legno massello, accanto ad esso c’era una lavagna; dietro di esso, invece, la parete era ricoperta da un’altra grande lavagna lunga quasi quanto il tavolo. Le altre pareti presentavano alcuni quadri, che rappresentavano importanti alchimisti, una libreria in cui erano riposti volumi molto antichi e strani disegni.
«Processi alchemici» disse Louis estasiato osservandone uno.
«Lou, non possiamo rimanere qui tutta la notte. È stato stupido accettare la sfida di Zender. Avremmo dovuto pensare che sarebbe stata una trappola» disse Annika.
«Questa non è colpa mia» mormorò Louis con gli occhi fissi su un altro disegno.
«Sì, beh… non l’ho fatta apposta…» mormorò Drew.
«Ti abbiamo seguito, Drew. È colpa di tutti e quattro. Ora, però, torniamocene in Sala Comune senza farci beccare» disse impaziente Annika, acciuffando Louis per il colletto del pigiama.
«Ma è troppo interessante!» si lamentò Louis.
«Se lo dici tu. Comunque questo posto è in disuso ed è nascosto dietro un passaggio segreto. Non dovremmo essere qui!».
«Dimentichi che è l’una e mezza di notte» ricordò Drew.
«Sì, infatti. Louis, vieni o ti trascino di peso» minacciò Annika.
I quattro con molta difficoltà riuscirono a rientrare nella Torre di Corvonero senza essere visti da nessuno.
«Questo sì che un miracolo» sbuffò Drew buttandosi su un divano. Il fuoco del camino si era quasi spento.
«Andiamo a letto o domani non mi alzerò mai» li esortò Annika, tirando Drew su ed ignorando le sue lamentele. «Come lo spieghi ai Prefetti domani mattina che ti sei addormentato qui?».
«Mica è vietato… sono sonnambulo…» polemizzò Drew, ma poi ognuno si avviò verso il proprio dormitorio.
«’Notte, ragazzi» bofonchiò Annika sbadigliando.
I tre biascicarono una risposta più o meno intelligibile ed iniziarono a salire le scale. Appena entrati nella camera si gettarono sui loro pigiami senza una parola.
«Ascoltate, potremmo vedere quello che è successo stanotte come una piccola avventura. Insomma mio fratello va in continuazione in giro dopo il coprifuoco».
«Ne avrei fatto a meno» borbottò Brian.
«In effetti è stato fantastico. Non credevo che avrei mai visto il laboratorio alchemico!» disse Louis felice.
«Dopo un’avventura del genere non possiamo non diventare migliori amici» continuò eccitato Drew eccitato.
«Mio zio Ron mi ha detto che lui e zio Harry sono diventati amici di zia Hermione dopo aver incontrato un cane a tre teste» disse Louis.
«Wow, fortissimo» commentò Drew.
«Ok, ok diventiamo migliori amici ora. Non mi piace l’idea di un cane a tre teste e meno che mai uscire un’altra volta dal dormitorio di notte» disse subito Brian.
«I migliori amici, però, non si nascondono nulla» mormorò Louis. «Dovete sapere che io ho un quoziente intellettivo molto al disopra della norma».
Brian e Drew lo fissarono per un attimo, poi il secondo rise: «Questo è evidente, Lou! Pensi davvero che non avessimo capito? Ci fai così scemi?».
«Ah… e non vi interessa? Cioè, voglio dire alla Scuola babbana mi prendevano in giro…».
«Forse i Babbani non capiscono… qui, però gli insegnanti ti guardano come se fossi destinato a diventare un grande mago… il che probabilmente è vero… insomma Lou hai preso il massimo in tutte le materie… in due mesi non hai mai preso un voto inferiore al dieci… non credo che molti altri studenti possano vantare un risultato simile! Forse tua zia… ma come vedi, retrocediamo già agli anni ’90 del secolo scorso!» disse Drew.
«Neanche a me interessa, purché non ti venga in mente di andartene a fare esperimenti alchemici di notte» borbottò Brian. «Anch’io comunque ho un segreto».
«Quale?» chiese Drew. «E comunque quello di Louis non vale come segreto».
«Williams è il mio padrino. Lui e mio padre si conoscono da prima di Hogwarts e sono sempre stati molto legati anche se sono stati smistati in due Case diverse» confessò Brian, abbassando lo sguardo sulla moquette blu.
Drew spalancò la bocca per la sorpresa, Louis, invece, non sembrò minimamente toccato dalla cosa.
«Non fa alcuna preferenza e… e comunque non lo vedevo da molti anni e quindi non ho confidenza con lui» si difese subito Brian.
«Che Williams non faccia preferenze è evidente, stai tranquillo» lo rassicurò Drew, riprendendosi. «Anzi al contrario ti costringe sempre a parlare! Io non vorrei essere al tuo posto!».
«Dice che sono troppo timido» borbottò Brian.
«Su questo ha ragione» rise Drew, che si era lasciato alle spalle il sonno.
«Ora tocca a te. Sei l’unico che ancora non ha detto nulla» gli fece notare Louis.
Drew annuì, ora serio. «Io da grande vorrei fare il medimago, ma non l’ho mai detto a nessuno».
«Perché?» chiese sorpreso Louis.
«Perché mia mamma non fa che ripetere che appena mi diplomerò, entrerò al Ministero. Sapete, non navighiamo nell’oro, anzi. Quindi lei spera che io possa dare un po’ di solidità economica alla famiglia. Invece, mio padre pensa che io debba giocare a Quidditch in una squadra professionistica. Aveva questo sogno anche per mio fratello, ma si è reso conto che è un po’ scarso. E poi non sapete quanto costano i corsi di Medimagia…» raccontò affranto.
«Oh, sì. Ti ricordo che mia sorella maggiore è al terzo anno» disse Louis.
«Comunque, siamo ancora piccoli. In sette anni cambieranno un sacco di cose, anche noi stessi» fece notare saggiamente Brian.
«Ora, vi dico un vero segreto» sospirò Louis. «Quest’estate quando io, Domi e Valentin siamo scappati dai Neomangiamorte abbiamo trovato il laboratorio segreto di Nicolas Flamel e così anche il grimorio. L’ho preso e l’ho portato via. Quella notte l’ho consegnato a zio Harry. Però non riuscivo a dormire, così sono entrato nella sua stanza l’ho preso e ne ho letto una parte».
Ora sì che i compagni lo guardavano sbalorditi.
«E ti ricordi qualcosa?» chiese Drew.
«Sì».
«Ma i Neomangiamorte come hanno fatto a trovare il laboratorio segreto? Chi ne è a conoscenza?» domandò perplesso Brian.
«Solo gli Auror francesi e zio Harry».
«Quindi tra gli Auror francesi c’è una talpa» comprese Drew.
Gli altri due concordi annuirono con espressione grave.
«Lou» disse preoccupato Brian, «non raccontare questa cosa a nessun altro o i Neomangiamorte se la prenderanno con te».
Quando finalmente si misero a letto, Louis lasciò vagare la mente al laboratorio alchemico: ricordava perfettamente quello che aveva letto sul grimorio ed aveva un desiderio bruciante di metterlo in pratica.
 
 
 

 

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Capitolo 14
*** La società alchemica ***


Capitolo quattordicesimo

La società alchemica
 

 
«Ragazzi, ho trovato questo libro oggi pomeriggio. Credo che sia quello ci serve» annunciò visibilmente eccitato Albus.
«Di che parla?» chiese Alastor.
«Anche questo è scritto in rune. Sembrerebbe il diario redatto dal capo di una tribù druida, una certa Kyla. Ho bisogno di tempo per tradurlo, però».
«Al, l’hai detto anche la volta scorsa ed hai perso solo tempo. Quel libro in rune non ti è servito a nulla!» gli fece notare James.
«Stavolta è quello giusto, lo sento».
«Tu sei pazzo» commentò Rose. «Tutte queste ricerche sulle virtù mi sembrano inutili, basta usare quell’incantesimo che attiva le rune e siamo apposto!».
«È necessario anche comprendere il significato delle rune! Dobbiamo capire a che servono. Anche se le attiviamo, non si metteranno a recitarci in rima che virtù rappresentano e come dobbiamo usarle!» si alterò Albus.
«E comunque Jonathan è sparito. Non si fa più vivo» gli venne in aiuto Alastor.
«E che fine ha fatto?» domandò Rose.
«Questo ve lo posso spiegare io» disse con un sorriso saputo Scorpius.
«E se lo sai, che aspetti a dircelo!?» sbottò Rose.
«L’altra sera l’ho visto fuori dalla mia Sala Comune insieme ad Alexandra Dolohov».
«E che ci faceva lì? Con lei poi…» chiese Rose.
«Ed io che ne so… però sembravano in confidenza…» replicò Scorpius, scrollando le spalle.
«Andiamo bene… Il nostro unico Corvonero si è preso una cotta per la Dolohov. Quanto pensate ci metterà a ficcarlo nei guai?» sbuffò Rose.
«Perché? Che ha questa ragazza?» chiese James.
«Non conosci la Dolohov?» replicò Rose, ridendo.
«Diciamo che se c’è qualcuno del nostro anno, oltre Rose, che gli insegnanti non tollerano, quella è la Dolohov. Non ha un minimo della cosiddetta eleganza purosangue» gli spiegò Alastor.
«Allora qualcuno deve compiere l’incantesimo al posto di Jonathan» disse James come se fosse la soluzione più logica. Osservò Dorcas, che scosse la testa.
«Io non sono brava in Aritmanzia».
«Alastor?».
«Neanche per idea, Jamie. Vedi, Jonathan è davvero uno dei migliori».
«Non guardare noi» chiarì Cassy, indicando se stessa, Rose e Scorpius.
«Io non seguo Aritmanzia» disse subito Frank, quando l’amico posò lo sguardo su di lui.
«Ed Isobel? Elphias? A proposito dove sono?».
«Si sono tirati fuori» disse Albus.
«Beh insomma, non conoscete nessuno che sia in grado?» sbottò il ragazzo.
«Beh sì» iniziò lentamente Albus, «ma bisogna raccontare ad un'altra persona ancora tutto ciò! Papà mi ucciderà. Lo sanno troppe persone!».
«Basta che siano fidate. Non abbiamo scelta. I Neomangiamorte fanno sul serio! Avete letto il giornale di oggi?».
Albus annuì. «Elphias si è abbonato e ci aggiorna. Hanno rapito Horace Lumacorno».
«Ma perché? Insomma è molto vecchio ormai. Dicono che cominci a non ragionare più» disse Dorcas.
«E che ne sappiamo noi che passa per la testa a quelli» replicò James. «Allora, Al, a chi stai pensando? Chi potrebbe sostituire Jonathan?».
«Virginia Wilson, è una Corvonero del nostro anno. È davvero brava».
Rose gemette: «No, lei no Merlino!».
«È una ragazza simpatica» pigolò Dorcas.
«È più secchiona di Al e Jonathan messi insieme. Mi sento male solo a stare nella sua stessa stanza».
«Eppure in tre anni non sei ancora morta» la provocò Albus piccato.
«Che c’è, ti piace?» ribatté ella.
«Ok, ora finitela» li bloccò James. «Credi che ci si possa fidare?».
«Jamie, hai presente, vero, il sotto vice-capitano di cui hai fatto conoscenza la settimana scorsa?» replicò Albus.
«Come no. Mi sembra uno forte. E se non lo fosse, papà di certo non l’avrebbe scelto».
«Beh, Virginia è sua figlia».
«Ah, ok. Però, Al, questo non basta. Ricordi che uno dei tre Serpeverde con cui ho duellato nel vicolo è Jesse Steeval, figlio del Capitano della Squadra Speciale Magica? Non basta un cognome» lo ammonì James.
«Va bene, hai ragione. Però ti assicuro che è affidabile».
«Io non la conosco, quindi non so che dirti. Del mio anno non c’è nessuno cui lo chiederei».
«Vediamo prima che intenzioni ha Jonathan, magari» propose Dorcas.
«E poi parleremo con Virginia» concluse Alastor.
*
La mattina dopo in tutte le Sale Comuni era apparso un cartello nella bacheca che avvisava dell’imminente arrivo delle Scuole straniere.
Pergamena 2: Torneo Tremaghi
Le delegazioni di Beauxbatons e Durmstrang arriveranno alle 6 in punto di mercoledì 30 ottobre. Le lezioni termineranno con mezz’ora d’anticipo.
Gli studenti riporteranno borse e libri nei rispettivi dormitori e si riuniranno davanti al castello per salutare i nostri ospiti prima del Banchetto di Benvenuto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

«Che abbiamo il venerdì l’ultima ora?» chiese eccitata Rose.
Albus sbuffò ed Alastor rise. «È possibile che tu non conosca il tuo orario di lezione?» chiese esasperato il primo.
«Abbiamo Trasfigurazione. Piuttosto vi sentite pronti per il compito di Incantesimi?» replicò Alastor.
«È oggi?» chiese Rose, cadendo dalle nuvole.
Albus scosse la testa e non rispose, avviandosi verso il buco del ritratto.
«Sì, Rose» rispose pazientemente Alastor.
«Non ho fatto nulla. Sono stata occupata con gli allenamenti. Sabato giocheremo con Tassorosso, ricordate? Non possiamo mica farci battere da loro! Fred ed Albert Abbott, il Capitano dei Tassorosso, hanno scommesso sulla partita. Naturalmente Freddie è intenzionato a vincere».
«Ti prego, non usare questa scusa con la Shafiq» la supplicò Alastor.
«Non è una scusa! È la pura verità!» s’indignò Rose.
«Sì, ma per lei lo studio viene sempre prima di ogni altra cosa. Anche di se stessi» borbottò Albus, contrariato.
«Dai, Al non essere noioso. Per una volta che un insegnante non stravede per te…» disse Rose.
«Non è questione di stravedere!» sbottò arrabbiato, mentre prendeva posto al tavolo di Grifondoro. «È che mi impegno un sacco e lei nemmeno mi calcola! Con Vitious era diverso…».
«Eri il primo della classe» disse seccata Rose, «ma che te ne frega?».
«Al, non è colpa tua. La Shafiq ha dei criteri di valutazione disumani!» lo confortò Alastor.
«Buongiorno! Di che parlate?» chiese uno Scorpius entusiasta, sedendosi accanto a Rose.
«Tutta questa energia?» bofonchiò Rose, riempiendosi il piatto di bacon e salsicce.
Scorpius si strinse nelle spalle. «Avete visto il cartello? Voi non siete eccitati? E poi la Baston è riuscita a convincere la Shafiq a far giocare di nuovo Steeval».
«Le hanno donato un cuore negli ultimi giorni?» domandò speranzoso Alastor.
«Direi di no. Semplicemente, Steeval non è un cretino e si è impegnato un po’ di più. La Baston piangeva dalla gioia quando me l’ha comunicato. Forse Corvonero non ci straccerà domenica. Ma che hai Alastor?».
«Abbiamo la verifica con la Shafiq. La prima è stata un disastro» replicò avvilito il ragazzino.
«Noi l’abbiamo fatta ieri. Ti assicuro che la Shafiq continua ad essere senza cuore. Mi chiedo se si ricorda com’è essere ragazzi» bofonchiò Scorpius. Rose sputacchiò il succo di zucca: «Ti prego, sto mangiando. Non mi far pensare ad una Shafiq adolescente. Chissà com’era. Sicuramente peggio di mia madre».
«Che cos’è successo?».
«Oh, niente di anormale. Ha beccato Collins con dei polsini copiativi. Warrington e Roockwood con piume a risposta pronta. Ma la migliore è stata sicuramente la Dolohov» disse ridendo Scorpius.
«Perché?» chiese Albus.
«Si era trascritta tutte le definizioni sulle braccia. Vi giuro, erano tutte scritte! Anche la Shafiq è rimasta basita».
I tre Grifondoro risero di gusto, poi Rose chiese: «Ma come ha fatto a beccarla?».
«Boh. Quella ha gli occhi dappertutto. Immagino che Alex abbia spostato troppo la manica per leggere le risposte. Comunque li ha espulsi dall’aula a tutti e quattro. Le gemelle Danielson hanno tentato di copiare da Dorcas, ma per fortuna le ha solo richiamate. È stata una strage comunque. Le domande erano molto precise e difficili. Vi dico solo che Annabelle Dawlish alla fine è scoppiata in una specie di pianto isterico».
Alastor spinse il piatto intoccato lontano da sé.
«Grazie tante, Scorpius» bofonchiò Albus prendendo lo zaino ed alzandosi. «Tu sì che sai confortare gli amici».
«Ehi! Io vi ho detto solo la verità. E poi me l’avete chiesto voi!» si difese Scorpius.
«Ragazzi! Ragazzi!». Cassy correva verso di loro.
«Anche tu hai dimenticato il compito di Incantesimi? Tranquilla anche io» le disse subito Rose, porgendole un cornetto al cioccolato.
«Grazie. Ah, sì me l’ero dimenticato. Ho fatto un sogno strano. Confuso».
«Che hai sognato?» chiese preoccupato Albus.
«Eravamo in classe ed ha un certo punto siamo stati attaccati da un esercito di rane».
Albus scoppiò a ridere e sentì la tensione sciogliersi. Per un attimo aveva pensato ad un nuovo attacco dei Neomangiamorte. «Un sogno divertente, insomma. Andiamo o la Shafiq ci ucciderà».
«Io vado a Storia della Magia. Buona fortuna, eh. Ci vediamo dopo» disse Scorpius.
Quando entrarono in classe, videro che i Corvonero erano già arrivati, così come Elphias ed Isobel. Presero posto vicino a loro, altrettanto tesi. Albus si guardò intorno e si rese conto che in realtà i Corvonero non erano tutti presenti. «Dov’è Jonathan?». Non ebbe alcuna risposta dai suoi amici e quindi si rivolse a Virginia Wilson.
«Non lo so, mi spiace. Ultimamente è molto strano. Nemmeno gli altri lo sanno. Dexter mi ha detto che quando si sono svegliati, Jonathan era già uscito. A colazione, però, non l’ha visto nessuno».
«Ok, grazie».
Pochi secondi prima del suono della campanella il Corvonero entrò correndo e si sedette nell’unico posto libero rimasto in fondo all’aula. Albus non fece, però, in tempo a chiedergli nulla che la professoressa Shafiq entrò in classe.
«Spero per voi che non abbiate sprecato tempo ad architettare stupidi trucchetti» esordì immediatamente senza nemmeno salutarli. Si avviò tra i banchi ed iniziò a controllare che non avessero polsini copiativi o simili. «Userete le mie piume oggi. Sono anti-imbroglio proprio come quelle degli esami. Inoltre siete pregati di spostare tutti gli zaini nell’angolo vicino alla porta. Sul banco dovranno esserci solo la piuma ed i fogli che vi darò io. Anche le pergamene sono incantate. Non tollero essere presa in giro e soprattutto i bambini che non studiano e tentano di imbrogliare» sibilò.
Nessuno ritenne opportuno farle notare che in realtà avevano quattordici anni e non erano più dei bambini; si limitarono ad eseguire le sue istruzioni. Distribuì loro il materiale e disse: «Iniziate. Non voglio sentire volare una mosca».
Albus con un sospiro iniziò a leggere la prima domanda: Chi ha inventato l’Incantesimo di Appello ed in quale anno?
Non fece in tempo a poggiare la punta della piuma sulla pergamena che Chantal White di Corvonero strillò: «Ah, che schifo una rana».
Si guardò intorno e vide che non era una rana sola, ma centinaia. Un esercito. Si voltò verso Cassy, lei e Rose ridevano come matte ed indicavano la Shafiq. La professoressa era rimasta come pietrificata. E quando una rana saltò sulla cattedra di fronte a lei, fece un balzo all’indietro e scappò letteralmente dall’aula dopo aver assunto un brutto colore verdastro in viso. In classe scoppiò il putiferio, mentre le rane vi prendevano dimora senza problemi. Poco dopo arrivò Sawyer correndo, ma quando vide che non riusciva a prenderle, si voltò verso di loro e urlò:
«VI GIURO CHE SE È STATO UNO DI VOI, VE LE FARÒ RACCOGLIERE CON LA BOCCA! ORA SPARITE».
«O Merlino, questa sì che è fortuna» trillò Rose, abbracciandosi con Cassy, come se Grifondoro avesse appena vinto la Coppa del Quidditch.
«La fortuna dev’essere aiutata» disse sibillina una voce. Albus incrociò lo sguardo divertito di una ragazza con i capelli fucsia.
«È stato magnifico! Avresti dovuto vedere la faccia della Shafiq» strillò Jonathan, abbracciandola di slancio.
«Oh, l’ho vista eccome. Non me la sarei mai persa. Beh andiamo a fare un giro. Ci si vede Grifondoro».
Albus e gli altri rimasero a guardarli basiti allontanarsi lungo il corridoio quasi saltellando.
«Ma lei non dovrebbe essere a Storia della Magia?» chiese titubante Alastor.
«Evidentemente se l’è giocata» replicò Rose.
«Secondo voi Jonathan centra qualcosa?» domandò in sussurro Virginia Wilson, accanto a lei c’erano altri due ragazzi di Corvonero. Albus li conosceva entrambi, anche se non erano particolarmente in confidenza: Dexter Fortebraccio e Raj Kumar. Tutti e tre sembravano preoccupati per il compagno.
«Non c’è nessuna prova contro di lui» mormorò Albus, ma avevano visto il comportamento di Jonathan: non era per niente sorpreso dall’accaduto.
«Speriamo che non le trovi la Shafiq» commentò Dexter, mostrando di aver pensato le stesse cose.
«Andiamocene di qui, però. Non sia mai che Sawyer voglia essere aiutato» bofonchiò Rose.
*
«Potter… James… Aspetta…».
James, sentendosi chiamare, si voltò e si trovò faccia a faccia con Alan Avery.
«Ciao, Alan. Peter ti ha dimesso?».
«Già, volevo ringraziarti per essere venuto a trovarmi in infermeria in questi giorni».
«Figurati» sorrise James. «Ora devo andare. Scusami. Tra poco comincia la partita e mi stanno aspettando».
«Aspetta» lo bloccò il ragazzino, trattenendolo per un braccio. «Non andare».
James lo osservò stupito: Alan stringeva le mani convulsamente e tremava lievemente. «Perché non dovrei?» chiese sospettoso.
«Mio fratello ed i Serpeverde stanno preparando un brutto colpo. Non ho capito contro chi però. Non andare, potresti benissimo essere tu il bersaglio».
«Dillo ai professori!» disse James.
«No!» disse terrorizzato Alan. «Norris mi ucciderebbe e mio padre è peggio di lui… I-io ti ho avvertito…» aggiunse scappando via.
James, preoccupato, si avviò verso gli spogliatoi dove lo stava già aspettando il resto della squadra. Ascoltò a malapena la ramanzina di Fred e facendolo arrabbiare di più. Finalmente la partita con i Tassorosso era arrivata. Il tempo, come ormai da più di una settimana, faceva schifo. Quando la partita iniziò pioveva sommessamente e con il suo procedere la pioggia anziché diminuire aumentò di intensità. James non sapeva più come togliersi i capelli bagnati dal volto. Arthur, però, era in maggiori difficoltà: non aveva mai giocato con un tempo del genere; ma comunque James non poté non ammirarne le capacità. Sarebbe diventato davvero bravo. A peggiorare la situazione fu il dilungarsi della partita molto più del solito. Le raffiche di pioggia impedivano ai due ragazzi di prendere il boccino d’oro. I cacciatori delle due squadre erano molto forti. L’unica differenza era che il giovane Portiere di Grifondoro, Vernon Dursley, non aveva l’esperienza di quello avversario, Daniel Mcnoss. Comunque i battitori sopperivano a questa mancanza e le squadre erano alla pari. La differenza e quindi la vittoria stava nelle mani dei due Cercatori. Dopo quasi due ore, il punteggio era di 150 a 150 ed ormai tutti i giocatori mostravano evidenti segni di stanchezza. La pioggia non accennava a diminuire. Con un tuffo al cuore finalmente James vide il boccino. Scattò ma subito sentì al suo fianco il cugino che lo tallonava stretto. Fu un testa a testa impegnativo. Per un attimo Arthur si illuse di aver vinto, quando James rimase lievemente indietro, e si ripromise di dare qualche consiglio al cugino dopo la partita: mai abbassare la guardia. James si sollevò sulla scopa e basandosi sulla sua corporatura più robusta e la sua maggiore altezza, si sporse in avanti. Il suo braccio superava nettamente quello di Arthur. Stava per stringere il boccino, quando vide un bagliore con la coda dell’occhio.
«James!» strillò Arthur con la voce roca. Il ragazzo non solo aveva abbassato la mano, ma era anche caduto in avanti. Lo acciuffò per un braccio, lasciando cadere la scopa. «Aiuto!». Era troppo pesante per lui.
«Ti aiuto io. Scendi lentamente» disse Albert Abbott.
Appena atterrarono furono raggiunti dai professori e dai loro compagni.
«Che cos’ha?» chiese spaventato Arthur alla Preside che si era chinata sul cugino, ma la donna si limitò a far apparire una barella e dirigersi verso il castello. Madama Jones nel frattempo tentò di riportare l’ordine.
«Va bene, tornate sulle scope».
Arthur la guardò agghiacciato. Stava scherzando?!
«Io non ho intenzione di giocare!» sbottò. «Mio cugino è infermieria!».
La donna gli gettò un’occhiata di sufficienza. «Ed allora vedi di prendere il boccino in fretta. Muovetevi! Riprendete a giocare!».
I componenti delle due squadre rimasero fermi: i Grifondoro erano mesti e preoccupati, i Tassorosso confusi.
«I Grifondoro non hanno il Cercatore. Devono almeno sostituirlo» tentò Albert. La Jones sbuffò e guardò eloquentemente Fred.
«Non abbiamo riserve» sospirò quest’ultimo.
«Bene, allora giocherete con un giocatore in meno. Anche perché non esistono le sostituzioni, dovreste saperlo».
I Grifondoro rassegnati alla sconfitta salirono sulle scope, i Tassorosso fecero per fare lo stesso, ma il loro capitano li bloccò: «Siamo 150 a 150. Chiudiamo in pareggio. Per te va bene, Fred?».
L’altro assunse un’espressione sorpresa e si rivolse alla sua squadra. Dopo aver confabulato con loro per un paio di minuti disse: «Per noi va bene».
«Certo, che siete scemi» commentò Madama Jones. «Non avrete altre possibilità di battere Grifondoro».
Albert la gelò con lo sguardo: «Vedremo».
Madama Jones si puntò la bacchetta alla gola e disse: «Sonorus». Poi si rivolse a tutto lo stadio: «I CAPITANI SONO GIUNTI AD UN ACCORDO. LA PARTITA SI CONCLUDE IN UN PAREGGIO. 150 A 150».
Arthur e Rose ignorarono il resto delle loro squadre e corsero verso il castello. Si fermarono solo di fronte all’infermeria, completamente zuppi. Qui trovarono Lily ed Albus palesemente preoccupati.
«Che succede?» domandò Rose affannata.
«Non lo so. Non ci fanno entrare» sospirò Albus.
«Ma che cavolo è successo?» chiese Lily rivolgendosi ad Arthur.
«Non lo so» rispose con voce tremolante. «Stava per prendere il boccino, poi c’è stata una luce che l’ha preso in pieno».
«Una luce?» ripeté Albus perplesso.
La Preside uscì all’improvviso dall’infermeria mettendo fine alle loro chiacchiere. Subito i quattro l’accerchiarono.
«Si riprenderà» li disse subito, ma la sua voce era turbata. Intanto gli altri Weasley si stavano aggiungendo a loro.
«Che ha?» chiese Fred, precedendo Albus.
«È stato colpito da…» la professoressa, però, fu interrotta. «Mi voleva vedere?».
Un Auror si stagliava alle loro spalle.
«Sì, su uno studente è stata usata la Maledizione Dolohoferio».
«Capisco. Me ne occuperò personalmente insieme agli altri uomini dislocati qui ad Hogwarts. Naturalmente dovrò avvertire il Capitano Potter, probabilmente vorrà partecipare all’interrogatorio dei ragazzi…».
«Si tratta dei miei studenti. Non farà un bel niente senza la mia autorizzazione».
«Ho già convocato, Harry» disse Neville sopraggiungendo. «Sarà qui a momenti».
«Chi è il ragazzo che è stato colpito?» chiese l’Auror colto da un enorme sospetto.
La Preside lo guardò malissimo: «Danielson, non eri alla partita? Che cosa stavi guardando, per l’amor di Merlino? È stato colpito James Potter».
«Anche se non possiamo stabilire che James fosse il vero bersaglio» disse il professor Williams apparendo all’improvviso.
«In che senso, Maxi?» domandò Danielson.
«Nel senso che Arthur e James erano vicinissimi. È stata una questione di millisecondi. La maledizione avrebbe potuto essere indirizzata ad Arthur».
Il ragazzino deglutì ancora più spaventato.
«Ma che cos’è la Maledizione Dolohoferio?» chiese Albus, rivolto al professore di Difesa.
«È una maledizione inventata da Antonin Dolohov, uno dei Mangiamorte di Lord Voldermort. È un incantesimo oscuro e non verbale. Provoca nella vittima gravi ferite interne, senza lasciare alcun segno esterno» spiegò il professor Williams.
«Mio fratello?» chiese allarmato Albus.
«Starà bene. Il signor Lux me l’ha assicurato» rispose la Preside.
In quel momento arrivò Jonathan insieme ad Alexandra Dolohov, la ragazza oggi esibiva dei capelli di un verde brillante.
«Ehi Al, come sta tuo fratello?» gli chiese avvicinandosi.
«Bene, ma lei che l’hai portata a fare?» si alterò.
«Che problemi hai con lei?» replicò allibito il Corvonero.
«Che cos’ho?» sbraitò Albus sotto gli occhi di tutti, Alastor tentò di trattenerlo invano, «È stato suo nonno ad inventare l’incantesimo che ha colpito mio fratello! Chi ce lo dice che non è stata lei a scagliarla?».
«Potter!».
«Albus Severus Potter!».
Fu la seconda voce a gelare Al, che si voltò incrociando gli occhi irati della madre, con accanto il padre che lo osservava altrettanto severamente.
«Non vi scaldate tanto, me ne vado eh» sibilò Alexandra, subito seguita da Jonathan che lanciò un’occhiata delusa all’amico.
«Direi che con la tua sparata meriti almeno di perdere dieci punti» sbuffò il professor Williams.
«Facciamo due chiacchiere, Albus» disse Harry senza distogliere lo sguardo da lui.
*
«Louis, che hai?» chiese Drew preoccupato per l’amico. Li aveva trascinati di nuovo nel laboratorio alchemico, affermando che doveva parlarli di una cosa importante, ma ora taceva.
«James mi ha detto che mentre era in infermeria è andato a trovarlo un Tassorosso, non mi ha voluto dire il suo nome, e quello gli ha rivelato che non era il reale bersaglio. Volevano colpire Arthur. Volevano un Weasley».
Annika, Drew e Brian sgranarono gli occhi. «Perché?» chiese la prima.
«Perché i Neomangiamorte vogliono vendicare la sconfitta del loro signore. Questo l’ha ipotizzato zio Harry. A quanto pare hanno minacciato diverse famiglie Purosangue» rispose Louis.
«Ed ora cercano di colpire voi? Ma siete solo dei ragazzi!» strillò Annika.
«Shhh! Non dobbiamo farci sentire!» le ricordò Drew.
«Ho paura» ammise Louis. «Io ricordo perfettamente quanto spiega Flamel sulla pietra filosofale, quello che dice sull’errore comune compiuto da tutti coloro che hanno tentato prima e dopo di lui! E voglio provare a realizzarla».
«Ma che cavolo dici?» sbottò Brian. «Hai paura e vuoi fare una cosa del genere?».
«Quanto tempo pensate che i Neomangiamorte impiegheranno per entrare al Ministero francese e rubare il grimorio se già si sono infiltrati? Se loro avranno la pietra filosofale a disposizione, dovremmo avercela anche noi!» replicò serio ma molto pallido Louis.
«Forse hai ragione, ma dillo a Mcmillan. Siamo solo al primo anno!» tentò di nuovo Brian.
«E secondo te crederà a noi?» disse scuotendo la testa Drew.
«Perché non dovrebbe?».
«Ci direbbero di starne fuori» sospirò Annika. «Gli adulti fanno sempre così».
«Mi aiuterete?» chiese agitato Louis.
I tre annuirò e misero una mano sopra l’altra. «Sarà il nostro segreto» disse Annika con solennità.
«Abbiamo appena fondato un gruppo segreto» disse eccitato Drew.
«Come lo chiamiamo?» domandò Annika.
«Società alchemica?» propose Louis. Gli altri tre furono subito d’accordo.
«Bene, allora mettiamo un po’ d’ordine qua dentro» disse Annika.
«Sì, ma per gli ingredienti della pozione come facciamo?» chiese Drew.
«Nella dispensa di Mcmillan ci saranno del mercurio e dello zolfo per iniziare, no?» disse Louis. I suoi compagni lo guardarono come se fosse impazzito.
«Vuoi rubare dalla dispensa personale del prof?» gli chiese Annika.
«E poi mercurio? zolfo? Quando mai usiamo simili sostanze per le pozioni?» domandò a sua volta Drew.
«Non mi piace» riassunse, però, Brian.
«Non abbiamo scelta. Lo facciamo per una buona causa. Magari lo troveremo in un’altra maniera. Devo cercare di approfondire l’argomento in biblioteca» replicò Louis.
*
«Allora ragazzi come tutti voi saprete questa sera arriveranno le delegazioni delle Scuole di Beauxbatons e Durmstrang, per cui mi sembra giusto darvi alcuni cenni storici sul Torneo Tremaghi in questi ultimi dieci minuti» esordì la professoressa Dawson, dopo aver concluso la spiegazione del giorno ed aver segnato i compiti per la lezione successiva. «Il Torneo è stato istituito verso la metà del XIII secolo d.C. Ogni cinque anni le Scuole più prestigiose d’Europa, quindi Hogwarts, Beauxbatons e Durmstrang, proponevano degli studenti, i Campioni, le cui capacità e doti magiche venivano messe alla prova in tre competizioni. Le Scuole si sarebbero alternata nell’ospitare il Torneo. Fu sospeso nel 1792 a causa dell’elevato tributo di morti. Addirittura in un’occasione rimasero feriti anche i giudici perché un basilisco sfuggì al controllo dei Campioni. Il Torneo è stato riportato in auge nel 1994. Purtroppo anche in quest’occasione uno dei Campioni ha perso la vita, come sapete tutti, Cedric Diggory; perciò negli anni successivi non è mai più stato organizzato. Il Torneo del 1994 è estremamente importante per la nostra storia contemporanea, perché durante la terza prova ritornò Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato. Le tre Scuole come immaginerete sono in forte competizione tra loro. Hogwarts e Beauxbatons sono quelle che vant-».
Qualcuno bussò alla porta interrompendola, pochi secondi dopo Norton Sawyer faceva il suo ingresso in classe con uno strano ghigno soddisfatto disegnato sul volto, che non piacque a nessuno dei ragazzi. «Professoressa, la Preside vuole vedere Goldstain. Adesso». Un mormorio si levò dalla classe e Jonathan ad un segno d’assenso della Dawson si alzò, abbastanza pallido in faccia.
«Dici che è per lo scherzo delle rane?» sussurrò Rose ad Albus.
«Non capisco come possano incolparlo, ma spero che non abbia fatto altro» bofonchiò il ragazzo in risposta.
«Stavo dicendo che la nostra Scuola e l’Accademia di Magia di Beauxbatons sono quelle che hanno vinto più volte la competizione».
«Hogwarts una volta in più, però» la interruppe Rose, che almeno queste cose le ricordava. La classe proruppe in un applauso e la professoressa Dawson sorrise.
«Speriamo solo che questa volta non si faccia male nessuno» sospirò l’insegnante, smorzando il loro entusiasmo.
«Prof, ma se la sede del Torneo si deve alternare perché si terrà di nuovo ad Hogwarts?» chiese Dexter Fortebraccio.
«Bella domanda. La motivazione ufficiale è che Hogwarts può finalmente dimostrare di essere tornata agli antichi splendori dopo le distruzioni della guerra».
«Ma sono passati più di venti anni!» disse Albus.
«Già. La vera motivazione non ci è data saperla e speriamo di non comprenderlo a nostre spese» replicò mesta e preoccupata la professoressa Dawson.
*
«Ehi Jamie, allora Peter ti ha lasciato andare! Evvai!» esultò Robert, tirando una gran pacca sulla spalla all’amico, mentre si metteva in fila con loro.
«Ahi. Robi, sono ancora dolorante! Non è trascorsa nemmeno una settimana! E comunque mi ha dovuto lasciare andare. Sono due giorni che lo supplico. Ha detto che non mi sopportava più».
«Sei ancora pallido» mormorò preoccupata Benedetta.
«Sì, ma sto meglio. Devo tornare a farmi controllare, comunque. Peter è stato tassativo. Ha detto che se non ci vado di mia volontà viene a cercarmi lui» replicò James alzando gli occhi al cielo dopo aver provato ad imitare la voce del giovane medimago.
«Mettetevi in fila» ordinò Neville. «I più piccoli avanti. Forza e smettete di chiacchierare.
James e gli amici presero posto accanto agli altri Grifondoro del quarto anno. Erano stati divisi per Casa vicino al portone di legno. Loro erano posizionati a destra con i Tassorosso; di fronte a loro molto più composti c’erano Corvonero e Serpeverde. Lily gli dava le spalle; mentre Albus con i suoi amici fece in modo di trovarsi poco distante e si premurò di chiedergli come stesse. Tutti chiacchieravano, nonostante i professori tentassero di zittirli, neanche a dirlo l’unica insegnante che non faceva nessuna fatica era la Shafiq. I Caposcuola erano accanto ai Responsabili delle Case ed in teoria li aiutavano a mettere in ordine gli altri studenti. La Preside era davanti a tutti insieme ad Hagrid ed altri insegnanti e poco dopo fu raggiunta da Neville.
«Ehi guardate il lago!» urlò un ragazzino del primo anno di Grifondoro. La superficie del Lago Nero aveva iniziato ad incresparsi.
Tutti iniziarono ad allungare il collo ed a mormorare, alcuni degli studenti che avevano i genitori che nel 1994 frequentavano la scuola sapevano già cosa aspettarsi: qualcuno lo raccontavano ai vicini, altri inventavano storie confondendo lei idee per divertimento. Comunque gradualmente dalle acque emerse l’albero maestro di una nave. Varie furono le espressioni di sorpresa dei ragazzi, mentre emergeva anche la nave stessa.
«È arrivata la delegazione di Durmstrang» annunciò la Preside, mentre muoveva qualche passo verso il gruppetto che stava sbarcando. Trascorsero diversi minuti prima che i nuovi arrivati fossero ben visibili agli studenti grazie alle torce che illuminavano l’ingresso del castello. «Benvenuto, professor Vulchanova» disse, porgendo austera una mano, la professoressa McGranitt al Preside di Durmstrang, alla testa dei suoi studenti.
«Grazie, professoressa» rispose quello con un inglese sorprendentemente corretto, ma con un forte accento.  Era un omino basso e tozzo, con una faccia rubiconda e dall’espressione apparentemente sorridente ma gli occhi erano freddi e distanti. James percepì un brivido sulla schiena e cercò lo sguardo degli amici per sapere se avessero la sua stessa sensazione: Robert osservava attentamente i due Presidi scambiarsi alcune parole sotto voce, ma con un certo disgusto dipinto in volto; Benedetta era crucciata ed incrociò il suo sguardo sussurrando: «Non mi piace». James annuì. Gli studenti che seguivano il Preside Vulchanova erano circa una quindicina e tutti tra i diciassette ed i diciotto anni, a parte una ragazzina che ne dimostrava sì e no dodici. Si muovevano rigidi, tanto che a James ricordarono i militari babbani che aveva visto o nelle strade di Londra o nei film babbani. Avevano i capelli a spazzola o quasi rasati; la ragazzina invece li aveva lunghi e legati in una morbida treccia.
«Madame Maxime arriverà a momenti» disse la professoressa McGranitt. «Vuole accomodarsi o attende con me?».
«Attenderò con piacere qui con lei, professoressa» replicò l’uomo in tono freddo e formale, limitandosi ad un lieve cenno ai suoi studenti che prontamente si schierarono sugli attenti in tre file da cinque dietro di lui. L’attenzione dei ragazzi fu presto attirata da un puntino nel cielo. Tutti iniziarono ad additarlo. Più si avvicinava più diventava grande.
«Una casa volante» strillò un Tassorosso del secondo anno.
«No! È un drago!» lo contraddisse un compagno. «Non vedi che ha le ali?».
James s’infastidì nel vedere che gli allievi di Durmstrang non avevano mosso un muscolo e non sembravano minimamente colpiti, solo la ragazzina si sporse un po’ per vedere meglio, ma tornò subito al suo posto ad un’occhiataccia del suo Preside.
«Ma gli incantesimi di protezione non impediscono che chiunque si avvicini in volo al castello?» chiese agli amici.
Robert si accigliò: «Credo che mi zia abbia abbassato le difese».
«Non è molto saggio. Avremmo dovuto farli arrivare fuori dai confini del castello e farli entrare solo dopo un’attenta perquisizione da parte degli Auror».
Robert scrollò le spalle e Benedetta si limitò ad una smorfia preoccupata.
Nel frattempo la carrozza di Beauxbatons sotto gli occhi entusiasti della maggior parte degli studenti ed anche di James, che dovette ammettere che era molto più impressionante dal vivo che dai racconti dei suoi genitori. Il primo a correre verso la carrozza ed aiutare la Preside a scendere fu Hagrid, che molto galantemente le fece anche il baciamano. James si ritrovò a fischiare insieme a molti altri studenti. Fischi e risatine si dissolsero immediatamente ad un’occhiata glaciale dei Direttori delle Case.
Hagrid tutto rosso in volto lasciò la mano a Madama Maxime, mentre ella salutava calorosamente la professoressa McGranitt. Gli studenti di Beauxbatons sembravano decisamente più tranquilli, si stringevano addosso i loro eleganti e raffinati mantelli, sul cui petto era ricamato il blasone della Scuola, lo stesso che era inciso sulla porta della carrozza: due bacchette d’oro incrociate da cui spuntavano tre stelle ciascuna.
«Prego, accomodatevi» disse la Preside facendo strada agli altri due, che furono seguiti dai loro studenti.
James entrò poco dopo nella Sala d’Ingresso dopo che ormai tutti gli studenti di Hogwarts si erano tranquillamente mescolati nuovamente.
«Quanto sono belle le francesi!» strillò eccitato Tylor, poco distante da loro. Kalvin Calliance, un altro Grifondoro del loro anno, sembrava altrettanto preso dalle ragazze e ci mancava poco che si mettesse a sbavare.
Quando stava per mettere piede in Sala Grande James si sentì artigliare la spalla e fu costretto a voltarsi: «C’è Apolline!».
James deglutì: Dominique sembrava sul punto di affatturare qualcuno. Non riuscì a dire nulla di concreto: sapeva che Domi non poteva sopportare la cugina e la convivenza forzata non la esaltava per niente. Negli ultimi giorni era stata parecchio nervosa, od almeno così gli avevano raccontato, fortunatamente stando in infermieria aveva evitato la sua furia.
«Che stanno a fare lì impalati? Vogliono l’invito scritto?» sbuffò Robert infastidito. James seguì il suo sguardo e vide che quelli di Durmstrang si erano bloccati sulla porta; al contrario gli studenti di Beauxbatons si stavano già togliendo i mantelli, lievemente infreddoliti. Le loro divise era di un azzurro pallido. Una ragazza, alta e slanciata, si mosse verso il loro tavolo ed abbracciò Domi.
James chiuse gli occhi. «Spero che non l’ammazzi».
La risata di Robert lo riscosse: «Apri gli occhi, la francesina è ancora viva. Tua cugina è troppo attaccata al suo posto di Caposcuola per compiere un omicidio. Secondo me ti dovrai preoccupare durante le vacanze di Natale».
James ridendo prese posto vicino ad Albus ed ai suoi amici, Lily come sempre era distante da entrambi. Solo perché le avevano detto di darsi una calmata dopo l’ultima strillettera della mamma. Insomma imbarazzava anche loro sentire le urla della madre un paio di volte alla settimana. Per tutta risposta aveva iniziato ad evitarli. Albus aveva saggiamente deciso di assecondarla, lui no. Così avevano litigato.
«Perché Sawyer ha aggiunto ben quattro sedie vicino a quella della Preside?» chiese Benedetta.
«Sono per Draco Malfoy e Gregory Mullet» rispose Albus. «Sono stati loro ad organizzare il Torneo. Così presenziarono al Banchetto di Benvenuto e quindi all’apertura del Torneo… Ah, eccoli…».
Il gruppetto si voltò verso l’ingresso dove i Presidi erano stati raggiunti da due uomini dalle vesti eleganti e raffinate. Un mormorio si diffuse tra gli studenti: Draco Malfoy non metteva piede ad Hogwarts da quella fatidica mattina del 2 maggio, quando era scappato con i suoi genitori. I più avevano accettato Scorpius, ma nessuno aveva dimenticato il marchio inciso a fuoco sul braccio di Draco e di Lucius Malfoy. La professoressa McGranitt, seguita da gli altri Presidi e dai due membri del Ministero, percorse il corridoi tra i tavoli di Corvonero e Tassorosso diretta al Tavolo delle Autorità. Gli studenti di Beauxbatons si alzarono in piedi all’entrata della loro Preside e si sedettero solo dopo che ella prese posto.
«Benvenuti a tutti i nostri ospiti. Come vedete, a noi questa sera si sono aggiunti anche Draco Malfoy, Direttore dell’Ufficio di Cooperazione Magica Internazionale, e Gregory Mullet, Direttore dell’Ufficio per gli Sport Magici. Il Torneo Tremaghi ed il Torneo di Quidditch verranno ufficialmente inaugurati alla fine del Banchetto. Vi auguro buon appetito» disse la professoressa McGranitt e mentre si sedeva i tavoli si riempirono di portate.
«Questo cos’è?» chiese Cassy osservando attentamente un vassoio davanti a lei.
«Papà ci ha raccontato che ci sono cibi stranieri in onore degli ospiti» rispose Rose, che si stava generosamente riempiendo il piatto di un po’ di tutto.
«Quella è una soupe gratinée à l’oignon» disse Dominique, facendosi spazio di forza tra James ed un ragazzino, che intimorito le lasciò il posto. Evidentemente era scappata da Apolline, che si trovava dall’altra parte del tavolo.
«Cioè?» domandò Cassy, che non aveva capito una parola.
«In pratica una zuppa di cipolle» disse con un gesto impaziente della mano Dominique, che non perdeva di vista la cugina.
«E quello?» chiese Rose, dopo aver ingoiato un enorme boccone indicando un vassoio pieno apparentemente di carne spezzettata.
Dominique annoiata lo osservò per qualche secondo, poi decretò: «Non è francese. Quello sì che è buono, passamelo» disse indicando un altro piatto di portata.
«Che sarebbe?» le chiese Rose.
«Confit de canard. Il mio piatto preferito» rispose felice, poi vedendo le loro espressioni da sì, certo. Abbiamo capito tutto, aggiunse: «Cosce di anatra».
«Domi,» disse con voce dolce James verso la fine del banchetto, «se scrivo a zia Fleur e le dico che è la mia zia preferita… anzi no, la zia migliore del mondo… dici che mi prepara questa… come l’hai chiamata?».
Domi sbuffò: «Coulant di cioccolato».
«Sì, appunto questa collant al cioccolato…» riprese James facendo ridere tutti.
«Coulant, James. No, collant!» gli spiegò Robert dopo aver smesso di ridere.
«Dettagli. Allora dici che tua mamma me la cucina?» chiese James con gli occhi a cuoricini.
«No. Tutti sanno che tu stravedi solo per nonna Molly».
«Infatti ho detto zia preferita. Non mi crederà mai, vero?» chiese mogio James.
«No, ma puoi provare con Vic. Lei è bravissima a fare i dolci e poi è sempre felice di essere utile agli altri» replicò Domi con una smorfia che mostrava chiaramente di non essere della stessa idea della sorella.
«Vada per Vic».
«Ehi, io voglio quest’altra» s’intromise Albus.
«Al, mangi troppi dolci. Che cos’è quella? la decina fetta?» replicò James.
«Spiritoso, solo la quarta. Sei peggio di mamma». Tutti risero alla finta indignazione di James alle parole del fratello.
«E comunque quella torta è molto comune. Si trova in molte pasticcerie babbane di Londra» gli fece notare Domi.
«Un attimo di attenzione, prego» disse la Preside, mentre i piatti si svuotavano. «È giunto il momento di inaugurare il Torneo. Lascio al signor Malfoy il compito di spiegarvi le regole».
Draco Malfoy con un’espressione distaccata e fredda si alzò in piedi e disse: «Da stasera inizierà ufficialmente il Torneo Tremaghi, cui, come già saprete, potranno prendere parte solo gli studenti che hanno già compiuto i diciassette anni. Verrà scelto un Campione per ogni Scuola. Il compito della scelta tocca al Calice di Fuoco, un oggetto magico di grande antichità» fece un attimo di pausa, mentre il signor Sawyer portava di fronte a lui uno scrigno. La professoressa McGranitt lo aprì con un colpo di bacchetta e fuoriuscì una specie di calice. «Coloro che vogliono candidarsi come Campioni» riprese il signor Malfoy, «devono scrivere il proprio nome e la Scuola di appartenenza su un foglietto di pergamena e lanciarlo nel Calice. Ci sarà tempo fino a domani sera per iscriversi. Mi raccomando, non prendete impulsivamente la decisione di pareggiare, perché chi sarà scelto non potrà tornare indietro. Il Calice di Fuoco costituisce un contratto magico vincolante. E per i minorenni che pensano di poter far i furbi, badate bene, intorno al Calice sarà tracciata una Linea dell’Età. Solo ed esclusivamente i maggiorenni potranno attraversarla. I tre Campioni dovranno affrontare tre prove. Ulteriori dettagli saranno comunicati dopo la selezione. I giudici delle gare saranno i Presidi delle Scuole partecipanti, io ed il mio collega Mullet».
«Bene, la ringrazio signor Malfoy. Ora signor Mullet spieghi le regole del Torneo di Quidditch, per favore».
«Le regole di questo Torneo, che si disputerà per la prima volta, sono abbastanza semplici. Inizierà solo a gennaio, in quanto la Scuola di Hogwarts sarà rappresentata dalla squadra che vincerà in consueto Torneo Scolastico che, eccezionalmente, quest’anno si concentrerà in questo primo trimestre. Le partite saranno sorteggiate solo il giorno dell’inizio ufficiale del Torneo. In quell’occasione avrete ulteriori chiarimenti».
«Credo che il signor Malfoy ed il signor Mullet siano stati chiari, per cui a questo punto ritengo che sia arrivato per tutti il momento di andare a riposare. Buona notte a tutti» concluse la professoressa McGranitt.
 

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Capitolo 15
*** Il Torneo Tremaghi ***


Capitolo quindicesimo

Il Torneo Tremaghi
 
«Ciao, Alexandra» esordì Albus dopo aver raggiunto il tavolo di Serpeverde. La ragazza, che quel giorno sfoggiava una capigliatura blu, lo squadrò per un attimo e poi disse:
«Sei venuto ad accusarmi di qualcos’altro che ha fatto mio nonno venti anni fa? O meglio ancora durante la prima guerra contro Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato?».
«No. Sono venuto per scusarmi. Ero spaventato per James quella sera ed ho parlato a vanvera. Scusa anche perché ci ho messo tanto a venire da te, ma è stata una settimana piena» mormorò imbarazzato.
«Se ti ha costretto tuo padre a chiedermi scusa, non è necessario. Puoi dire quello che ti pare e piace sulla mia famiglia. Non mi interessa».
«Le mie scuse sono sincere e te le avrei fatte anche se non me l’avesse consigliato mio padre» replicò Albus.
Alexandra si accigliò per un attimo e poi scrollò le spalle. «Bene, allora scuse accettate. Sai che gli indiani babbani quando fanno la pace fumano il calumet della pace?».
«Io non fumo e poi è severamente vietato farlo a Scuola».
La ragazza ridacchiò e spinse un piatto al centro tra lei ed Albus.
«Crepes alla nutella» disse mettendone una nel piatto. «Dividiamo questa e credo possa essere lo stesso. Ok?».
«Ok» acconsentì Albus, colpito dal suo comportamento. In tre anni non si erano mai calcolati ed adesso si stava rivelando una ragazza davvero sui generis. «Se posso permettermi, come fai a conoscere le usanze babbane? Tu non segui nemmeno babbanologia».
«Certo che non la seguo! Chi li sentirebbe i miei? Sono cresciuta a Londra ed ho sempre vagato da sola appena eludevo la sorveglianza dei miei. Mi è capitato di leggere qualche fumetto o vedere qualche film nei cinema babbani. Buona vero?».
«Sì» replicò Albus sempre più sorpreso.
«Secondo te chi si candiderà per diventare Campione di Hogwarts?» gli chiese Alexandra, ingoiando un boccone e sporcandosi tutte le labbra di nutella.
«Mia cugina Dominique di sicuro e penso anche il suo fidanzato, il Caposcuola di Corvonero. Poi di Grifondoro penso il Prefetto Parker, Allyson Barker e Isabelle Finnigan le amiche di mia cugina, Garrick Olivander e Humbert Ward, quel ragazzo altissimo che litiga spesso con mia cugina Dominique. Per le altre Case non so».
«Per Serpeverde so per certo che si porteranno Steeval e Bastian Anderson, il Prefetto. Forse la nostra Caposcuola. Comunque la maggior parte fa il tifo per Steeval. Tutti pensano che sarà lui il Campione».
«Posso farti una domanda personale?».
Alex lo osservò incuriosita e poi annuì.
«Non ti secchi a cambiare colore ai capelli ogni giorno?».
Alex rise e sotto lo sguardo esterrefatto di Albus il colore dei suoi capelli mutò dal blu al rosso.
«Sei una metamorphomaga?».
«Già. Il professor Lupin mi ha aiutata molto a controllare i miei poteri. Ormai riesco a farlo quasi senza problemi. Anche la Macklin ci aveva provato, naturalmente, ma io non la ascoltavo mai»
«Capito. Ora devo andare a cercare i miei compagni. Abbiamo lezione con i Tassorosso. Grazie della crepes».
«Un ultima cosa, Potter» lo fermò Alexandra. «Perché tu ed i tuoi amici lo sappiate, dillo pure ai Corvonero se vuoi, mi sono autodenunciata alla Preside per lo scherzo alla Shafiq. Hanno scoperto che ha collaborato anche Jonathan solo perché Warrington, Roockwood e Collins hanno fatto la spia. Speravano di mettere nei guai un Corvonero e fargli perdere parecchi punti, ma adesso anche Serpeverde ha perso un bel po’ di smeraldi».
Albus annuì non sapendo che altro dire: di sicuro aveva sbagliato a giudicarla.

*

«WEASLEY!».
 Hugo si fermò e si voltò verso una McGranitt particolarmente arrabbiata: gli occhi erano ridotti a fessure e le labbra sottilissime. Era dall’inizio delle lezioni che tentava di finire seriamente nei guai, spesso appoggiato dagli altri Malandrini; ma questa era una battaglia tutta sua, quindi altrettanto spesso agiva da solo. In realtà in quell’istante si rese conto che aveva sempre avuto paura di mettersi in guai seri davvero; ma era chiaro che questa volta non se la sarebbe cavata con un sgridata di zio Neville. La Preside lo prese per un orecchio e lo trascinò nello suo studio. Hugo riprese fiato lievemente solo quando la donna lo mollò e si sedette dietro la sua scrivania, fissandolo torva.
«Per favore» prese finalmente la parola rivolgendosi ad un quadro in alto vicino alla finestra, «Hermes, dì alla Ministra che ho necessità di parlare con lei ed il marito. Si tratta del figlio Hugo».
Il mago annuì e sparì dalla cornice. La Preside si rivolse al ragazzino. «Siedi» ordinò.
Hugo, che era rimasto impalato dove l’aveva lasciato la professoressa, si affrettò ad obbedire.
«Fino ad ora ho avuto pazienza, Weasley. Non credere, però, che non sappia che il tuo comportamento quest’anno è notevolmente peggiorato e soprattutto sono a conoscenza del grave calo del tuo profitto. Non fai che rispondere male a tutti i professori ed ora ti ho beccato mentre riempivi di caccabombe e petardi le armature del terzo piano! All’inizio dell’anno scorso mi sono illusa che tu a differenza di tua sorella avessi un carattere molto simile a quello di tua madre. Invece ti fai trascinare da tua cugina e dalla signorina Paciock. Tu come anche il signor Nott. Sono molto delusa».
Hugo deglutì, aveva già abbassato lo sguardo incapace di sostenere quello della Preside. Rimase in silenzio.
«Preside, la Ministra sarà da lei tra pochi minuti».
Il ragazzino sollevò la testa di scatto e fissò sorpreso l’uomo del ritratto. Si aspettava che la madre avrebbe risposto che era troppo occupata ed il padre si sarebbe defilato con qualche scusa: mai e poi mai Ron Weasley avrebbe affrontato da solo l’ira di Minerva McGranitt.
«Grazie, Hermes».
Trascorsero ancora qualche minuto nel silenzio totale, Hugo si sentiva trapassato dallo sguardò della professoressa.
«Si può sapere che cosa ti passa per la testa? Perché assecondi sempre tua cugina?» sospirò.
Hugo non rispose: quelle parole l’avevano colpito più di quanto avrebbe potuto ammettere in quell’istante e comunque aveva un desiderio pazzesco di scappare da quel posto. Comunque quando trascorsero altri cinque minuti mormorò: «Tanto non verrà». La Preside non ebbe il tempo di chiedergli spiegazioni, che una luce verde nel camino precedette l’arrivo di Hermione Weasley.
Hugo sgranò gli occhi, voltandosi di scatto. Sua madre era in piedi dietro di lui: era perfetta come sempre quando andava a lavoro, anzi di più. Non l’aveva mai vista da quando era stata nominata Ministro della Magia. Era magnifica nel suo tailleur blu notte ed i capelli lisci erano raccolti sulla nuca. Aveva un’aria terribilmente importante. Nonostante cercasse di avercela con lei, non poté fare a meno di provare un pizzico di orgoglio e trattenere un sorriso. Dopotutto forse James aveva ragione e Rose torto: sua mamma li voleva ancora bene, in fondo era lì per lui, lui solo. In un altro momento sarebbe stato profondamente terrorizzato dalla sola idea che la madre fosse stata convocata dalla Preside, ma adesso avrebbe voluto solo abbracciarla stretta.
«Buongiorno, professoressa McGranitt» disse Hermione, stringendo la mano della Preside.
«Buongiorno, Hermione».
«Mi dispiace averla fatta attendere, ma ho mandato a chiamare mio marito ed ho scoperto che è di ronda stamattina. Non è un problema, vero?».
«No, mia cara. Accomodati. Mi dispiace molto averti disturbato. So che vi sono molti problemi al Ministero per ora, ma l’ho ritenuto necessario. Hugo ha superato ogni limite. Fin ad oggi ho permesso che se ne occupasse Neville, in qualità di Direttore della Casa di Grifondoro. Mi ha assicurato di averti informato più volte della situazione. Purtroppo il pessimo atteggiamento di Hugo non è venuto meno, per cui ho ritenuto di doverti chiamare. Vedi, Neville è convinto che Hugo abbia qualche problema e si sfoghi nel modo sbagliato».
«Sì, in effetti Neville ha scritto a me e Ron diverse volte. Ho scritto ai ragazzi, ma loro hanno ignorato le mie lettere. Rispondono solo a quelle scritte da Ron e mio marito sente la tensione che si è creata. Il problema di Hugo è che non ha accettato la mia nomina a Ministro. Lui e Rose pensano che il mio affetto e la mia presenza possano mutarsi in relazione a tale carica» replicò Hermione, lanciando un’occhiata stanca al figlio.
La Preside per conto suo aveva compreso le parole pronunciate da Hugo prima che la madre arrivasse. «Capisco, allora vi lascio soli in modo che possiate chiarire una volta per tutte. Mi aspetto, signorino Weasley, che tu ripulisca e lucidi tutte le armature del terzo piano. Senza magia naturalmente. Entro stasera. Avviserò il signor Sawyer di metterti a disposizione gli strumenti necessari. E trenta punti verranno tolti a Grifondoro».
Appena rimasero soli Hermione allargò le braccia ed Hugo senza indugi si fiondò ad abbracciarla. Non si era mai sentito così stupido in vita sua. A tradimento alcune lacrime decisero di uscirgli dagli occhi e ringraziò Merlino che né Lily né Alice potessero vederlo in quel momento.
«Ti voglio bene» sussurrò Hugo.
Hermione gli scoccò un bacio sulla testa. «Anche io Hugo e non smetterò di farlo per nessuna ragione al mondo, figuriamoci per la carica di Ministro».
«Sono stato uno stupido a pensare il contrario».
Il ragazzino si lasciò cullare tra le braccia della madre per un po’, quando finalmente si fu calmato si raddrizzò.
«Che hai combinato oggi?» chiese a bruciapelo la madre.
Hugo le raccontò come aveva riempito le armature e di come aveva progettato di farle saltare in aria. Hermione prese un bel respiro, forse per non urlargli contro.
«Questi sono i geni di tuo padre. Non so come ti saltino in mente certe cose!» sbottò contrariata.
«Scusa» mormorò Hugo, consapevole che in certi casi era sempre meglio non contraddire la madre.
«Sei perdonato, ma guai a te se vengo a sapere che hai preso un’altra insufficienza o sei finito di nuovo in punizione. E verrò a saperlo» disse indicando il ritratto con cui la Preside l’aveva chiamata. «Come vedi, ora la comunicazione tra me e la Preside è molto più rapida».
«Chiarissimo» replicò rapidamente Hugo.
«Lo spero bene» sospirò Hermione, abbracciandolo di nuovo.

*

«Di che cosa sei travestita?» chiese Albus a Benedetta, che indossava un lungo vestito bianco, la sua pelle era azzurrina, il braccio sinistro era rivestito di una stoffa nera con sopra disegnate le ossa del braccio, in testa aveva un velo bianco con una piccola coroncina di fiori in cima.
«La sposa fantasma. L’ho vista in un film babbano».
«Stai benissimo» disse James con un largo sorriso, spostando di lato il fratello. «Levati dai piedi, Al».
Albus sbuffò e andò a cercare i suoi amici per scendere con loro in Sala Grande.
«Certo che tua cugina non aveva che fare? Una festa in maschera… che palle, non bastano gli stranieri?» esclamò Robert, mentre Demetra Norris tentava di truccarli un occhio di nero.
«Tanto per fare qualcosa di diverso. Ma di che sei vestito?» replicò James ridacchiando.
«Di nulla. Lo sto facendo tanto per… Almeno posso indossare abiti babbani» disse Robert. Il ragazzo indossava camicia e pantaloni di jeans entrambi strappati in varie parti ed degli scarponi scuri. «E tu che saresti con quelle lame alle dita?».
«Sono finte» precisò James. «Comunque Edward Mani di Forbici, il protagonista di un altro film babbano. Me l’ha suggerito Benedetta».
«Visto che ti diverti tanto, spero che vinciate quella stupida gara per il costume più bello, che tua cugina ha insistito per fare».
«Un po’ più di entusiasmo, no?» gli disse Demetra in tono di rimprovero. «A quando a quando facciamo qualcosa di diverso! È solo una festa. Nessuno ti avrebbe detto nulla se fossi sceso alla festa vestito normalmente. Anche con una maglietta ed un paio di pantaloni babbani».
«A parte Dominique. Mi ha tiranneggiato per tutto il giorno. Come se non fossi stato dimesso ieri!» borbottò James visibilmente stanco.
«Sei troppo buono, Jamie» sospirò Benedetta, mentre si dirigevano verso il buco del ritratto.
«Sì, infatti. Avresti dovuto dirle di no» rincarò Robert.
«Ti giuro che c’ho provato, non ha voluto sentire ragioni».
«Saresti dovuto andare da Paciock. È da stamattina che te lo dico» sbuffò Benedetta. Quella mattina avevano discusso per quel motivo.
«Non faccio queste cose, lo sai» replicò James serio.
«Dominique se lo sarebbe meritato. Non può comandare tutti a bacchetta» commentò Robert.
James non replicò e così si diressero in Sala Grande senza dire più nulla.
«Cavoli, ma è fantastico» disse Robert, colpito entrando nella Sala irriconoscibile. Il soffitto era nero e tutta l’area era in penombra. Le uniche luci provenivano da alcune candele poste all’interno di zucche levitanti all’altezza del soffitto.
«Odio il buio» disse Benedetta.
«Hai collaborato, sapevi sarebbe stato così» le fece notare Demetra.
«Sì, ma è stata oscurata solo alla fine da Fergusson e Moritz».
I quattro tavoli erano stati sostituiti da tavolini a forma di acromantula ed ai lati della Sala erano stati posti dei lunghi tavoli di colore scuro per il buffet.
«Ah, a proposito. Se non volete brutte sorprese non toccate il ponce nel contenitore blu» disse James.
«Perché?».
«È stato corretto con dell’alcool».
Robert rise. «Tutto sotto gli occhi di mia zia? Beh Dominique è stata davvero brava! Sul serio il Cappello avrebbe dovuto smistarla a Serpeverde».
«L’ho già detto ad Albus, ma ho paura di dirlo a Lily».
«Pensi che lei lo berrebbe?» chiese Benedetta.
«Oh, sì. A maggior ragione se dovessi dirle di non farlo».
«Lily non ti parla» gli ricordò Robert. «Chiedi ad Albus di avvertirla. Se non vi ascolta, voi avete comunque fatto il vostro dovere di fratelli maggiori» gli consigliò Robert.
James annuì. Dopo aver trovato Albus, vestito da zombie, decisero di dedicarsi totalmente alla festa. La Preside aveva dato il via al buffet augurando a tutti una buona serata. Dopo aver mangiato a sazietà si misero a ballare. Ancora una volta i Magic Wizards avevano accettato di esibirsi dal vivo per la gioia di tutti gli studenti. Gli studenti di Durmstrang si erano rifiutati di mascherarsi ed indossavano, rigidi come la sera prima, le loro divise; quelli di Beauxbatons, con a capo Apolline, invece, avevano tentato di far concorrenza ai loro ospiti nello sfoggiare vestiti il più possibile realistici e soprattutto terrificanti. Apolline stava riscuotendo un grande successo tra i ragazzi presenti. Dominique, però, non se la prese più di tanto: lei aveva Matthew e la cugina non avrebbe mai avuto la possibilità di realizzare una festa del genere visto che quell’anno si sarebbe diplomata. Ciò la rendeva terribilmente soddisfatta.
A metà della festa gli spettri di Hogwarts si esibirono come di consuetudine; oltre al loro quest’anno era stata chiamata anche la Compagnia degli scheletri magici, la cui esibizione fu agghiacciante anche se non ebbe sugli stranieri lo stesso effetto sorpresa dell’entrata improvvisa dei fantasmi e soprattutto di Nick-Quasi-Senza-Testa che mostrò a tutti il motivo del suo soprannome. Pezzo forte furono sicuramente i Cacciatori Senza Testa.
L’unico momento in cui la certezza di Dominique di aver organizzato una festa, che a lungo sarebbe stata ricordata, vacillò fu quando Pix mostrò il suo disappunto per non essere stato invitato lanciando ragnetti sulla testa dei presenti. Ciò comportò una crisi di nervi da parte di Alice Paciock, che era aracnofobica; così i Malandrini si dileguarono probabilmente per continuare a festeggiare per conto loro laddove l’amica non avrebbe rischiato attacchi del genere.
Il resto della serata trascorse comunque tranquillamente e la Preside stessa non poté pentirsi di aver concesso loro il permesso di organizzare una festa in maschera. Unica nota negativa per Dominique fu che a vincere il titolo di Miglior Costume fu Apolline con un suo compagno, un certo Eugene Martin. La ragazza indossava un vestito da sirena: un top dorato e una specie di gonna che si apriva a forma di pinne anch’essa dorata; Eugene era vestito da principe e stregò quasi tutte le ragazze presenti.
Il travestimento che gli studenti di Hogwarts trovarono più divertente fu senz’altro quello di Scorpius e Rose. Il primo aveva scommesso imprudentemente con la ragazza perdendo ed era stato costretto a vestirsi da angioletto: l’aureola e la veste bianca e la sua carnagione diafana lo rendevano perfetto. L’intera Scuola l’aveva trovato divertente. Rose invece era vestita da diavoletta. Nulla di più perfetto, a detta anche degli insegnanti.

«Bene, signori. È quasi mezzanotte, direi che è il momento di conoscere i nomi dei tre Campioni. Che verrà scelto dovrà dirigersi oltre quella porta» esordì la Preside ottenendo immediatamente l’attenzione di tutti i presenti, mentre indicava una porta accanto al tavolo dei professori. Il signor Sawyer trasportò il Calice di Fuoco, precedentemente spostato nella Sala d’Ingresso, al centro della Sala Grande. I ragazzi non erano più ordinati per Scuole, ma mescolati in quanto la festa aveva permesso loro di iniziare a fare amicizia. Si misero a cerchio intorno al Calice. La Preside si avvicinò ad esso in attesa e quando le fiamme divennero azzurre molti trattennero il fiato o vi furono dei Wow sommessi.
«La campionessa di Beauxbatons» annunciò la professoressa McGranitt raccogliendo il foglietto bruciacchiato risputato dal Calice, «è Apolline Flamel».
Uno sonoro scroscio di applausi si accese nella Sala Grande: Apolline si era fatta conoscere da tutti quella sera. Solo alcuni dei suoi compagni sembrarono delusi dalla scelta; comunque nessuno avrebbe potuto competere con Dominique, che stava stritolando il braccio al povero Matthew. Se non fosse stata scelta, la cugina avrebbe rovinato anche quella serata.
«Il Campione di Durmstrang è Vasilij Dumbcenka» continuò la Preside. Questa volta l’applauso fu più contenuto: nessuno dei suoi compagni sembrava felice per lui e gli altri ragazzi applaudivano solo per educazione. Il Preside Vulchanova sembrava molto soddisfatto, diede una pacca sulla spalla a Vasilij, mentre questo si dirigeva verso la stanza indicata precedentemente. L’eccitazione comunque stava crescendo nella Sala Grande: ora toccava al Campione di Hogwarts. Le fiamme divennero di nuovo azzurre e la professoressa McGranitt allungò la mano per prendere il foglietto. Seguirono diversi minuti di silenzio, durante i quali gli studenti più vicini in futuro avrebbero potuto raccontare di aver visto la Preside vacillare e perdere il suo autocontrollo. La smorfia di paura mista a stanchezza James non l’avrebbe mai dimenticata.  La donna si mise una mano sul cuore e si voltò verso gli altri insegnanti, Neville si avvicinò subito ed ella gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Sembrava stanca. Neville impallidì visibilmente, ma prese il foglietto che la Preside gli porse. Il brusio in Sala Grande divenne sempre più forte. Il professore si schiarì la gola ed annunciò con tono grave:
«Il Campione di Hogwarts è James Sirius Potter».
Cadde un silenzio carico di tensione, che sembrò dilatarsi all’infinito. James era rimasto paralizzato al suo posto e percepiva gli occhi degli amici su di sé ed a mano a mano quelli dei presenti che lo cercavano nella folla. Poi scoppiò il caos.
«Non gli ha diciassette anni!».
«È un imbroglione!».
«Raccomandato!».
I Direttori tentarono di calmarli senza grande successo. Gli studenti di Beauxbatons e Durmstrang erano confusi e perplessi da quella reazione.
«JAMES! PER FAVORE, VIENI QUI!» gridò Neville per sovrastare il rumore della folla.
James per conto suo pensò che la scelta migliore potesse essere quella di scappare dalla Sala e sparire per un bel po’. Tipo per il resto dell’anno. Robert, però, lo trattenne e lo spinse avanti.
«Paciock, ti sta chiamando. Vai, prima che a mia zia venga davvero un collasso».
Meccanicamente raggiunse lo zio Neville, che gli strinse forte la spalla con una mano e lo guidò, senza proferir parola, verso la stanza dove erano già spariti gli altri due Campioni. Non gli sollevò il morale nemmeno la voce amplificata per magia della professoressa Shafiq che minacciava tutti i Serpeverde o quella del professor Mcmillan che spediva tutti a letto.
La stanza era piccola. Era la stessa che gli aveva descritto suo padre. Un fuocherello vivace scoppiettava nel caminetto, incurante della sua disperazione. Le pareti erano tappezzate di ritratti di streghe e maghi. Sentiva di doversi difendere in qualche modo, ma faticava a parlare. Tutti avevano gli occhi puntanti su di lui. Il signor Mullet aveva uno sguardo distaccato e disinteressato, mentre il signor Malfoy sembrava quasi un fantasma per quanto era pallido. Apolline lo osservava apparentemente divertita, mentre Vasilij Dumbcenka aveva un’espressione poco rassicurante.
«Ho un déjà-vu» sospirò Madame Maxime.
«Potter, hai chiesto ad uno studente più grande di mettere il tuo nome nel Calice?» proruppe il signor Malfoy.
«Malfoy, per chi ci hai preso?» sbottò irritato Neville. «Dopo quello che è accaduto l’ultima volta, abbiamo messo i Caposcuola a controllare il Calice e la notte abbiamo fatto i turni noi insegnanti».
«Beh allora qualcuno ha messo il nome del ragazzo nel Calice» sbuffò Malfoy, altrettanto incavolato.
«Ora che si fa?» chiese la professoressa McGranitt.
«Lo sa benissimo, professoressa. Il Calice di Fuoco è un contratto magico vincolante. Potter è il Campione di Hogwarts. Non si può tornare indietro. Mi chiedo solo che maledizione hanno i Potter con questo Torneo» sibilò Malfoy.
Dopo qualche minuto di silenzio funeralesco, James decise di parlare: «Io non sono ancora morto». Non capì perché lo disse, se per tranquillizzare la McGranitt e zio Neville o nel tentativo di autoconvincersene lui stesso.
«Il solito stupido coraggio Grifondoro, eh Potter? Proprio come tuo padre. Comunque la prima prova sarà la mattina del 30 novembre. Non vi sarà detto in che cosa consisterà perché deve mettere alla prova la vostra audacia di fronte all’ignoto. Buona fortuna a tutti» sibilò laconico Draco Malfoy.
James sentì un macigno depositarsi sul cuore.

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Capitolo 16
*** Comportarsi da Campione ***


Capitolo sedicesimo

Comportarsi da Campione
 
«Porca Morgana» sbottò James, attirando l’attenzione di tutti i presenti in Sala Grande.
«Il grande Potter se l’è fatta addosso!» strillò Dominique, nascondendo la bacchetta.
James furioso non smetteva di spostare lo sguardo dalla divisa bagnata a sua cugina, che gli stava dichiarando apertamente guerra. Come se non avesse già fin troppi problemi! Tipo essere stato scelto come Campione di Hogwarts.
«Smettila, sei ridicola» sibilò Robert, affiancando l’amico.
«Oh, non ho paura di te Cooper» ribatté Dominique.
«Domi, sul serio non è il caso» provò Matthew, dietro di lei.
«Perché smettere?» domandò Danny Baston. «Lui vuole stare al centro dell’attenzione!».
«E vuole anche i mille galeoni di premio!» rincarò Tylor Jordan.
«Mettete via le bacchette. Adesso».
Tutti si voltarono verso il professor Paciock, che li squadrava severamente a braccia conserte. James, Robert, Danny, Tylor, Dominique e persino Benedetta si affrettarono a riporre la bacchetta.
«Così va meglio. Ora se non volete che prenda provvedimenti, sedetevi e fate colazione. Non voglio sentire altre polemiche. È chiaro?» chiese severo il professor Paciock. Qualcuno borbottò un Sì, signore o un Va bene, signore, gli altri rimasero in silenzio guardandosi in cagnesco e Dominique si andò a sedere con Matthew al tavolo di Corvonero.
«Jamie, devi mangiare» lo esortò Benedetta, riscuotendolo dal suo torpore. Il ragazzo aveva fissato con odio la caraffa del succo di zucca per almeno cinque minuti come se la colpa di ciò che gli stava succedendo fosse sua. Scrutò la compagna per un attimo e la trovò davvero bella con la quella espressione corrucciata e dolcemente preoccupata. Prese la brioche di zucca che gli porgeva e gli diede un morso, scoprendo che dopotutto aveva una fame da lupi. Dopo averla ingoiata in pochi bocconi, allungò la mano per prenderne un’altra dal vassoio.
«Ora ti riconosco» sussurrò Benedetta con un lieve sorriso.
In quel momento arrivarono i gufi con la posta. «Mmm forse avrei dovuto raccontare ai miei di ieri sera» disse pensieroso James.
«Beh sicuramente lo sanno. Mia zia li avrà avvertiti appena ti ha congedato» replicò Robert.
«Quella è una strillettera?» chiese preoccupata Benedetta. James e Robert fissarono il gufo reale che portava una lettera scarlatta. Di certo quella era una strillettera.
«Mi sa che i tuoi non l’hanno presa bene» commentò Demetra.
«Mica è colpa di Jamie!» protestò Robert.
«E questo gufo non appartiene a nessun membro della mia famiglia» disse James, staccando la busta, che aveva iniziato a fumare dai lati, dalla zampa del pennuto. Pochi istanti dopo la voce di una donna paralizzò l’intera Sala Grande. James, inorridito, aveva già mollato la busta sul tavolo.
«JAMES SIRIUS POTTER, QUESTO È SOLO L’INIZIO. L’ORDINE DELLA FENICE SARÀ PUNITO PER AVER SCONFITTO IL SIGNORE OSCURO. IL PRIMO SARAI TU, JAMES SIRIUS! E POI SEGUIRANNO I TUOI FRATELLI ED I TUOI CUGINI. L’ORDINE RIMARRÀ STRAZIATO DALLA VOSTRA MORTE E SOLO DOPO LO ANNIENTERÒ! PREPARATI, HOGWARTS, LA MIA VENDETTA SARÀ TERRIBILE! DIVERTITI DURANTE IL TORNEO, PICCOLO POTTER. PRESTO I PUROSANGUE RIPRENDERANNO IL POTERE».
Il silenzio nella Sala era totale. Di solito ad una strillettera seguivano risate di scherno per il povero malcapitato, ma questa volta nessuno aveva il coraggio di aprir bocca. James deglutì più volte a vuoto, non distogliendo gli occhi dai resti della lettera. Non aveva la forza di guardare i suoi amici.
«Andiamocene via da qui» ruppe il silenzio Robert. James, Benedetta e Demetra lo seguirono subito nella Sala d’Ingresso.
«Jamie?» tentò debolmente Benedetta.
Il ragazzo si passò una mano sul volto e provò a sorridere, ma gli uscì più che altro una smorfia. «Per una volta non mi sarebbe dispiaciuta una strillettera da mia madre».
Gli altri tre sorrisero lievemente alla battuta.
«E ora?» domandò Demetra.
«Ora, niente» replicò Robert. «Non cambia nulla».
«Come no?» ribatté perplessa Benedetta.
«No. Noi credevamo già che James non avesse messo il suo nome nel Calice e soprattutto che chiunque l’abbia fatto al suo posto non volesse fargli un piacere. Ora ne abbiano la certezza. Piuttosto dovremmo preoccuparci degli altri figli di membri dell’Ordine della Fenice» spiegò pratico Robert.
«Ma la Scuola è protetta» tentò Demetra.
«Anche quando veniva mio padre era protetta. Senza contare Albus Silente. E evito di ricordarti che cosa ha passato, perché non finiremmo più» mormorò James. «Comunque dobbiamo preoccuparci anche per i figli dell’Esercito di Silente, ho paura che la pazza non faccia la minima differenza».
«Lo credo anche io» concordò Robert.
«L’ultima volta è morto un Campione. Spero che tu sia il prossimo!».
I quattro si voltarono di scatto e si trovarono faccia a faccia con Marcus Parkinson, Serpeverde del loro anno.
«Sparisci» sibilò James estraendo la bacchetta.
«Mammina non ti ha insegnato le buone maniere?» replicò Parkinson.
«Attento, Parkinson. Stai attaccando briga. Sono dieci punti in meno per Serpeverde» intervenne Benedetta, spingendo di lato James e Robert.
Parkinson rise sprezzante. «Non mi fai paura, mezzosangue».
«Ti sei appena guadagnato una punizione, Parkinson. Stai sicuro che informerò immediatamente la Preside e la professoressa Shafiq del tuo linguaggio» disse il professor Williams, sulla soglia della Sala Grande. «Quanto a voi tre filate a lezione» aggiunse indicando Demetra, Benedetta e Robert. «Potter, la Preside ti vuole parlare. Vieni con me».
«Ci vediamo in classe» sussurrò Benedetta e lui annuì prima di voltarsi e seguire Williams in silenzio.
«Prof, ma i miei?» chiese titubante James al quinto piano, incapace di stare zitto più a lungo.
«Tuo padre è venuto stamattina presto. È dovuto scappare quasi subito: i Neomangiamorte hanno creato dei disordini a Piccadilly. E la Preside lo informerà immediatamente della strillettera. Credo che abbiamo avuto l’onore di sentire la voce della tanto temuta Signora Oscura».
«Ne avrei fatto a meno» mormorò James.
Il professor Williams per conto suo non fece alcun commento e si fermò solo di fronte ai gargoyle della Presidenza.
«Siamese» sussurrò l’insegnante ed i gargoyle si spostarono rivelando una scala a chiocciola. «Vai, la professoressa McGranitt arriverà a momenti. Vedi di non fare guai mentre sei solo».
«Alla faccia della fiducia» bofonchiò James.
«Fa’ poco lo spiritoso se non vuoi far compagnia a Parkinson. Oggi non è giornata» ribatté Williams.
Rimasto solo James mise piede sul primo gradino e la scaletta si mosse da sola verso la cima. Entrò nello studio circolare e si guardò intorno. Non era la prima volta che vi entrava, l’unica differenza è che questa volta era sicuro di non aver infranto nessuna regola. Lo studio era perfettamente in ordine. Suo padre gli aveva raccontato che ai tempi di Silente era pieno di strani strumenti, ora vi era un’ampia libreria stracolma di libri. Dietro la scrivania della Preside come sempre erano appesi i ritratti addormentati dei sui predecessori e soprattutto la spada di Godric Grifondoro. Aveva una specie di ossessione per quella spada. Si avvicinò nella speranza di riuscire a prenderla prima dell’arrivo della Preside.
«Ragazzino insolente, chi ti ha dato il permesso di toccarla?» sibilò una voce poco distante. James sussultò e si voltò verso il quadro di Severus Piton.
«Io volevo solo provarla» mormorò il ragazzo.
«Sei un arrogante, proprio come tuo padre» continuò ancora il ritratto.
«Su, Severus lascialo in pace» intervenne bonariamente Silente nella cornice accanto.
«Mio padre non è arrogante!» disse James piccato.
«Tuo padre non è arrogante, ma hai la stessa capacità di ficcare il naso dove non dovresti» disse una voce, ben nota, alle sue spalle.
James si affrettò a rimettere la spada nella teca e si voltò verso la Preside. «Buongiorno, professoressa… Ehm, io ero solo curioso».
«La prossima volta tieni a freno la tua curiosità. Ora, siediti» gli ordinò la Preside, prendendo posto dietro la scrivania. «Sulla strillettera non credo che ci sia molto da dire, infatti non è per questo che ti ho chiesto di venire qui. Tu hai domande in proposito?» esordì subito.
James rifletté per un attimo e ripensò ai commenti pronunciati poco prima con i suoi compagni. In fondo non vi era nulla da chiedere. Proprio come aveva detto Robert: la sua situazione non mutava poi tanto.
«No grazie, Preside» rispose educatamente, ma comunque ancora più perplesso non comprendendo perché l’avesse convocato se non vi era nulla da discutere.
«Solitamente, come tuo padre forse ti avrà raccontato, i Campioni, per ovvi motivi, sono esentati dagli esami di fino anno. Tuo padre stesso non li sostenne quando partecipò al Torneo. Ora, nel tuo caso la situazione è diversa. Quest’anno dovrai affrontare i G.U.F.O., sono sicura che tu abbia contezza della loro importanza, per cui non puoi essere esentato. Il massimo che ti posso proporre è di sostenere gli esami ad agosto al Ministero della Magia».
«Se accettassi dovrei farli da solo?».
«Naturalmente. Si tratta di un’eccezione, visto e considerato che il Torneo assorbirà parte del tuo tempo. Ti posso concedere qualche giorno per riflettere, ma non molto per una questione di organizzazione».
«No, non ho bisogno di riflettere. Anche se sarà pesante preferisco fare gli esami con i miei compagni» disse James. Senza contare che dovrei studiare in estate pensò, ma si guardò bene dal dirlo ad alta voce.
«Sei sicuro, Potter?».
«Sì, professoressa».
«Bene, allora puoi andare. Dì al professor Finch-Fletchley che eri nel mio ufficio».
«Sì, grazie professoressa». James si avviò verso l’uscita, poi, però, si fermò. «Posso farle una domanda?» chiese tornando sui suoi passi.
«Sì, Potter» rispose la donna, scrutandolo con la consueta severità anche se il giovane poté cogliere un guizzo di curiosità nel suo sguardo.
«Perché ha nominato me Prefetto e non Danny Baston?».
La Preside si sistemò gli occhiali quadrati sul naso e si prese qualche secondo prima di rispondere: «Semplicemente perché ho ritenuto che tu fossi più adatto all’incarico».
James la fissò sorpreso. «Non ho capito» disse sentendosi terribilmente stupido.
La professoressa sospirò. «Potter, non credo che ci sia molto da capire».
«Ma professoressa! Danny ha sempre avuto voti più alti dei miei. È il miglior Grifondoro del quinto anno!».
«Permettimi di dissentire. La migliore Grifondoro del quinto anno è senz’altro la signorina Merinon, non per niente l’ho nominata Prefetto. Scelgo i Prefetti valutando sia il loro profitto sia la loro condotta. E il signor Baston non ha mai avuto una condotta eccelsa».
James era incredulo: quel discorso non aveva senso. Che fosse impazzita sul serio?
«Ma la mia condotta…».
«Potter» lo interruppe ella bruscamente, «ho nominato te perché mi aspettavo che l’assumerti una responsabilità del genere ti aiutasse a maturare e soprattutto sapevo come avresti usato la spilla. Fin adesso devo dire che non sono rimasta delusa».
James continuava a fissarla. «Dieci minuti fa giocavo con la spada di Grifondoro…» mormorò titubante.
La professoressa McGranitt sbuffò e disse: «Questo perché sei ancora terribilmente infantile! Ma come tuo padre non hai mai sopportato le ingiustizie. Mi aspettavo, e ripeto non sono rimasta delusa, che avresti usato il tuo nuovo potere per tenere a bada i bulletti. Ed è quello che stai facendo. Non usi sempre metodi ortodossi è vero, ma il signor Lux mi ha detto che ogni sera sei andato a trovare il signorino Avery in infermieria per tutta la sua degenza. E non è l’unico che hai aiutato. Probabilmente l’avresti fatto anche senza spilla, ma devi ammettere che così puoi far forza sulla tua autorità e non infrangendo le regole a tua volta».
Il Grifondoro era basito e letteralmente senza parole.
«Hai delle buone qualità James, sfruttale nel migliore dei modi. Ed ora vai, i Prefetti non saltano le lezioni» sentenziò la donna in tono definitivo. «Buona fortuna per il Torneo».
*
«Oggi faremo una lezione pratica» esordì il professor Williams, fissando gli allievi del terzo anno. «Seguitemi».
«Speriamo bene» sussurrò Roxi. «I folletti dell’anno scorso sono indimenticabili».
«Non ti lamentare» borbottò Frank, che di certo non aveva scordato quella famosa lezione di Difesa in cui Robards aveva liberato i folletti della Cornovaglia ordinando loro di acchiapparli e rimetterli in gabbia. Non che le lezioni successive fossero andate meglio per lui. Decisamente non amava Difesa. Sospirò, pregando di non fare una delle sue figuracce.
Il professore li guidò verso i sotterranei fino ad un’aula in disuso. Era molto buia e polverosa, ma molto più ampia delle aule utilizzate comunemente ed il soffitto era particolarmente alto.
«La Preside mi ha concesso di usare quest’area come Sala duelli o come preferite chiamarla» disse Williams, facendo apparire dal nulla una cassa e con un altro gesto della bacchetta accese le torce appese per tutto il perimetro della Sala. L’ambiente si schiarì notevolmente, ma rimase comunque cupo. In un angolo in fondo c’erano banchi e sedie accatastati. «Bene» riprese Williams, sedendosi sulla cassa, «oggi affronteremo una creatura abbastanza diffusa. Intanto potete sedervi».
I ragazzi, che erano rimasti impalati all’in piedi, si sedettero a terra. Roxi sembrava a suo agio a gambe incrociate. Grifondoro e Serpeverde, come di consueto, si sedettero separati in due schiere; ma ciò che risultò evidente, e non piacque nemmeno a Williams, fu che i Grifondoro a loro volta erano divisi in due: da una parte Roxi, Frank e Gretel, dall’altra Calliance, la sua gemella, Granbell e Hans. L’insegnante comunque non commentò, probabilmente ritenendo che fosse compito di Neville risolvere la questione in qualità di Direttore di Grifondoro.
 «Ma perché lei sulla cassa e noi sul pavimento sporco?» chiese aspra Nadine Parkinson di Serpeverde.
«Perché sulla cassa non entrate tutti» rispose pacato Williams. «Comunque puoi sempre sederti qui, se non ti interessa dei tuoi compagni». L’insegnante si alzò e Nadine ne approfittò subito insieme alla sua migliore amica, Merope Granbell, nonché gemella di Alcyone. «Ora che siete soddisfatte, posso andare avanti» sbuffò Williams. Le due annuirono e lo ringraziarono in modo palesemente falso. «Allora, la creatura è già in questa stanza. Secondo voi cos’è?».
Occhiate spaventate li furono rivolte da tutta la classe ed i ragazzi iniziarono a guardarsi intorno preoccupati come se dovessero essere attaccati da un momento all’altro.
«Non è dentro la cassa, vero?» strillò terrorizzata la Parkinson, seguita immediatamente da Merope.
«No» rispose annoiato il professore. «Cercate di ragionare».
«Come fai ad essere così tranquilla?» sussurrò Frank a Roxi.
«Mica Williams è come Robards! Fa finta di essere sadico, ma non lo è. Non ci metterebbe davvero in pericolo. In questi due mesi ha testato le nostre capacità» replicò lei.
«Infatti. E dubito che dopo il disastro con gli incantesimi di Disarmo ci farebbe fare qualcosa di pericoloso» concordò Gretel.
«E comunque è chiaro cosa c’è qui dentro» sospirò Roxi, inclinando la schiena ad appoggiandosi con le mani a terra. «Tuo padre ed i miei zii ce l’avranno raccontato un milione di volte».
Frank la osservò confuso. Le lezioni di Difesa non gli piacevano e basta. In quel momento pensava solo di voler uscire di lì. Roxi sbuffò ed alzò gli occhi al cielo e mentre la classe stava per piombare nel panico, credendo di essere circondata da chi sa cosa, alzò la mano.
«Sì, Roxi?».
«Scommetto che c’è un molliccio».
Frank rimase a bocca aperta per la sorpresa e la chiuse solo ad una gomitata di Gretel. Quella lezione gli piaceva sempre meno. Non era da lui mentire, ma una merendina marinara non l’avrebbe rifiutata in quel momento. No, non poteva mostrare a Calliance e compari la sua peggior paura.
«Esatto. E dove pensi che sia?» domandò ancora il professore, ignorando il commento di Hans E che cavolo è?
Roxi strinse gli occhi e perlustrò la stanza, poi scrollò le spalle. «Tra il muro ed i banchi?».
«Molto bene, Roxi. E sei in grado anche di spiegare ai tuoi compagni cos’è un Molliccio?».
Roxi si trattenne dallo sbuffare, si era già pentita di aver risposto. La prossima volta avrebbe lasciato il compito di farlo a Frank od a Gretel. Proprio non sopportava partecipare attivamente alle lezioni, preferiva stare in un angolo a disegnare. Per giunta quell’aula la ispirava particolarmente. Si concentrò e ricordò le parole ripetute più volte da zia Hermione: «È un Mutaforma. Assume la forma di ciò che spaventa maggiormente chi gli si trova davanti».
«Perfetto. Quindici punti a Grifondoro. Ora, i mollicci sono classificati come creature oscure in quanto si nutrono di paura. Delle nostre paure. Sconfiggerli non è troppo difficile in sé, basta ridere; ma vi assicuro che non è semplice ridere delle proprie paure, è molto più facile ridere di quelle degli altri. Ora lo affronterete uno alla volta. La formula è riddikulus. Prima di iniziare, però, vorrei che chiudeste tutti gli occhi». I ragazzini incuriositi obbedirono. «Pensate alla vostra paura più grande. In quella si trasformerà il molliccio. Infine pensate a qualcosa che possa renderla ridicola». Nell’aula per alcuni minuti si sentirono solo dei borbottii o sussurri, poi il professore riprese a parlare: «Pronti?».
Frank aprì gli occhi di scatto e lo fissò terrorizzato. No, che non lo era. I suoi compagni comunque avevano annuito tutti. Si voltò verso Roxi, che sembrava sempre più annoiata, e Gretel che era particolarmente concentrata.
«Perfetto, spostatevi verso quell’angolo, così lascerete tutto lo spazio necessario a Nadine, che per prima affronterà il molliccio».
«Cosa?! Perché io?» strillò la ragazzina.
«Perché mi è sembrato ti piacessero i privilegi!» replicò lui con un ghigno degno di un Serpeverde.
Roxi sorrise divertita di fronte all’espressione oltraggiata della compagna.
«Comunque essendo in tanti abbiamo un vantaggio nei confronti del molliccio, perché non saprà chi attaccare per primo. Se non siete particolarmente abili, non affrontatene mai uno da soli, mi raccomando. Fuori la bacchetta e preparati, Nadine. Hai pensato a ciò che ti spaventa di più?».
«Purché non sia un’unghia spezzata!» esclamò Lucy.
«O peggio le doppie punte nei capelli!» aggiunse in un tono falsamente scioccato Roxi.
Nadine le fulminò con lo sguardo.
«Sì, molto divertente. Ora tacete» sbuffò Williams. «Allora, se sei pronta sposto i banchi. Il molliccio ti verrà incontro. Tu fa’ come vi ho spiegato. Chiamerò io il prossimo. Tutto chiaro?».
I ragazzi annuirono.
«Sono pronta» disse Nadine, che non sembrava aver più molta voglia di mettersi in mostra. L’insegnante con un gesto della bacchetta spostò i banchi, come aveva predetto. I ragazzi impiegarono diversi secondi a capire che forma avesse assunto il molliccio, più che altro perché in un primo momento non lo videro neppure. Fu lo strillò di Nadine a costringerli a guardare verso terra, mentre un grosso topo squittiva incurante del terrore che aveva suscitato non solo in Nadine, ma anche in Lorein Calliance.
«Riddikulus» sbraitò la Serpeverde ed il topo si trasformò in una spazzola. «Che schifo, non comprerei mai una cosa del genere» sbottò mentre gli altri ridevano.
«Merope, tocca a te».
La ragazzina osservando disgustata l’ex-topo prese il posto della compagna. Immediatamente la spazzola mutò in una lucertola e dopo un momento di titubanza ella pronunciò la formula e l’animale divenne un mokessino dalla forma strana. Merope si voltò verso l’amica e con una smorfia divertita le disse: «Solo uno sfigato potrebbe usarne uno così brutto».
«Vi prego, uccidetemi. Non posso sentire certe cose» sussurrò melodrammatica Roxi a Frank e Gretel. La seconda ridacchiò, mentre il primo aveva un’espressione torva, che fece preoccupare entrambe le ragazzine.
«Che cavolo hai?» gli chiese Roxi.
«Non mi piace questa cosa» borbottò Frank in risposta.
«Questa cosa cosa?».
«Mostrare le proprie paure».
«Gretel, vieni tu» chiamò il professore. La ragazzina si alzò ed appena si avvicinò al mokessino, esso prese la forma di un cane.
«È un crup» sussurrò Roxi a Frank, indicandogli la coda biforcuta. «Hagrid ci ha spiegato la differenza a lezione, ricordi? Non sapevo che ne avesse paura».
«Magari non voleva che si sapesse» replicò l’altro a denti stretti.
Gretel fissava paralizzata l’animale che lentamente le si avvicinava. Ad un certo punto Roxi temette davvero che non ce la facesse ad affrontarlo, scattò in piedi pronta ad intervenire. Gretel, però, pronunciò con forza: «Riddikulus!».
Il crup cominciò a girare in circolo nel tentativo di mordersi la coda. Molti risero ed anche Gretel stessa si lasciò andare ad un risolino nervoso.
«Molto bene, Frank ora tu».
Il ragazzino non si mosse. Sentì una rabbia assurda: insomma non poteva sempre avere sfiga! Mancava pochissimo alla fine della lezione, mai avrebbero potuto affrontare tutti quel maledetto molliccio. E chi andava a chiamare Williams? Lui.
«Frank?» ripeté l’insegnante, perplesso.
«No».
Roxi si fece male al collo per quanto si voltò velocemente verso di lui a bocca aperta. Che aveva detto?
«Frank, alzati. Adesso» insisté Williams.
«No».
«O affronti il molliccio o ti metto in punizione» disse infastidito l’insegnante.
Frank non rispose e non si mosse dal suo posto, continuò a torturare i lacci delle scarpe.
«Contento tu. Roxanne, allora tocca a te».
Roxi avrebbe voluto trascinare in infermeria il suo migliore amico o quanto meno toccargli la fronte: doveva avere la febbre alta! Non c’erano dubbi. Comunque decise che non era proprio il caso di mettere ancora alla prova la pazienza di Williams. Non si sorprese minimamente quando il molliccio assunse l’aspetto di un vampiro vedendola. Era tutta colpa di Fred. Come sempre d’altronde. Avrebbe scommesso un botto di galeoni che la maggior parte delle fobie dei Weasley-Potter fossero nate a causa di suo fratello. Qualcuno urlò alle sue spalle, ma ella non fece una piega. Un vampiro, dopotutto non sarebbe mai stato peggio di Fred Weasley. Aveva un bel viso e le sue spalle erano cinte da un mantello elegante, peccato per quei canini troppo cresciuti che mostrava compiaciuto. In quel momento non aveva paura. Sapeva che non era vero e quello per lei faceva una differenza enorme. Sicura pronunciò la formula ed il vampiro iniziò a succhiare il suo stesso sangue. Sotto gli occhi schifati di molte ragazze e quello divertito dei ragazzi, in pochi secondi del vampiro non rimase che la pelle e poi essa scoppiò non lasciando più nulla.
«Ottimo, Roxanne. Una fantasia un po’ macabra, ma abbiamo sconfitto il nostro molliccio. Direi che la lezione è finita. Per la prossima settimana dovrete studiare il capitolo sui mollicci. Ed assegno cinque punti ai quattro che l’hanno affrontato. Potete andare. Frank, tu aspetta».
I ragazzi si affrettarono a raccogliere le borse ad uscire, chiacchierando eccitati della lezione e soprattutto del vampiro di Roxi. Le due Grifondoro, però, non si mossero. Avrebbero lasciato il loro amico solo se costrette. Williams le squadrò per un attimo, ma non li disse nulla. «Frank, il tuo comportamento costerà quindici punti a Grifondoro e per la punizione ti aspetto nel mio ufficio sabato alle otto. Chiaro?».
«Sì, signore» mormorò Frank. Dopodiché furono congedati ed appena furono fuori dalla Sala Roxi e Gretel lo trascinarono quasi di peso per un paio di piani. Quando si fermarono, Roxi sbottò: «Porco Merlino! Ma che caspita ti è preso?».
«Non è caldo» le comunicò Gretel dopo avergli tastato la fronte.
«Mi lasciate in pace!?» sbottò Frank allontanandole bruscamente.
«No! Mi dici che ti e preso?» ripeté di nuovo Roxi.
«Secondo me è una crudeltà costringere le persone a mettere in mostra le proprie paure» rispose con rabbia.
Roxi e Gretel si guardarono per un attimo e poi la prima disse in un sussurro: «Hai paura che se Calliance e compari scoprissero la tua, ne approfitterebbero?».
A malincuore Frank rispose: «Anche. Comunque lo considero ingiusto. Affrontare le proprie paure di fronte ad un pubblico del genere… voglio dire, non hanno bisogno della scusa per prendere in giro quelli come me…».
«Quelli come te cosa?» sbottò Roxi, fissandolo minacciosa.
«Quelli che in ogni modo vengono sempre presi in giro. Ci sono sempre queste persone» sussurro Gretel, scivolando a sedere con le spalle appoggiate al muro. Frank si era seduto sul piedistallo di un’armatura. «Io sono come te. Ti capisco. È sempre stato così. Per me la vostra amicizia è la cosa migliore che poteva capitarmi».
Frank non replicò e porto le ginocchia al petto abbracciandole con le braccia. Roxi non sapeva che cosa dire, così si inginocchiò davanti a loro e gli abbracciò entrambi, facendoli cozzare testa con testa. Naturalmente ignorò le loro lamentele.
«Io vi voglio bene!» decretò infine, come se quello chiudesse definitivamente la questione.
«Sì, ma gli altri… Ahi». Frank si massaggiò dove l’amica l’aveva pizzicato con forza.
«Per le più consunte mutande di Merlino» sbottò Roxi, «ora mi ascolterete bene entrambi! Non me ne sbatte un cavolo degli altri. È chiaro? Se sono così stupidi da trattarvi male, è un problema loro! Certa gente merita solo il nostro disprezzo. Non ci merita!».
«Veramente anche tuo fratello… insomma… l’altro giorno… l’abbiamo sentito quando ti ha detto che da quando stai solo in nostra compagnia e non lo ascolti più sei peggiorata» mormorò Gretel.
Roxi sbuffò: «Nemmeno lui merita niente. Infatti non gli parlo da allora! Ed adesso alzatevi, io ho fame! E domani abbiamo la verifica di Erbologia! E deve andarmi bene o mia madre mi ucciderà! E non penserete mica che io studi da sola! Mi avreste sulla coscienza!».
*
«Ehi» disse Albus, sedendosi su un divanetto scarlatto accanto a Frank, Roxi e Gretel. «Sono distrutto, questa riunione non ci voleva proprio».
«Mio fratello si è fissato» sbuffò Roxi infastidita.
«Senza contare che ha preteso di farla qui! Non so come abbia fatto a convincere Louis, Fabi ed Arthur! Di solito loro rispettano le regole!» continuò Albus, scuotendo la testa.
«Li avrà minacciati in qualche modo» sospirò Roxi. «Speriamo che non ci becchi nessuno. O nemmeno noi la passeremo liscia» replicò Roxi.
«Come è andata con Williams?» domandò Albus a Frank, che stava finendo un tema di Trasfigurazione.
«Bene» mormorò «è stato molto gentile. Sinceramente avevo un po’ paura».
«È normale. Non avevi mai preso una punizione» ridacchiò Roxi, alzando gli occhi al cielo.
Frank arrossì e scrollò le spalle. «Comunque» disse a beneficio di Al, visto che le ragazze gli avevano già fatto il terzo grado la sera prima. «mi ha dato la possibilità di spiegarmi ed ha accettato le mie scuse. Mi ha anche assicurato che, naturalmente, non era suo scopo mettere in imbarazzo qualcuno di noi».
«Che ti ha fatto fare?».
«Mettere in ordine i suoi libri. Non l’aveva ancora fatto da quando è arrivato ad Hogwarts… erano tutti negli scatoloni… molti erano di Difesa, alcuni sembravano più oscuri, altri erano più generici, incantesimi, trasfigurazione… ne ha tantissimi… può sembrare assurdo ma è stato quasi piacevole, non si è lamentato se ho sfogliato i libri di trasfigurazione ed ha risposto a qualche mia curiosità…e poi prima che me ne andassi mi ha detto che se ho difficoltà a lezione glielo devo dire senza alcun timore…».
Albus sorrise e gli diede una pacca sulla spalla. «Zio Neville che ti ha detto?».
Frank sospirò. «Sono andato io a dirglielo. Lo sai, i miei vogliono che gli diciamo le cose subito…».
«Sì, anche i miei ragionano così. Ma non si è arrabbiato troppo, no?».
«No. Comunque lo sapeva già. Williams aveva parlato con lui dopo le lezioni. Mi ha chiesto di spiegarmi. Credo sia molto preoccupato. A me dispiace, ma non riesco a gestire questa cosa. Ho difficoltà a stare in compagnia di Calliance e gli altri. Mi ha sgridato perché mi sono comportato in modo maleducato con Williams. Mi ha promesso che mi aiuterà a superare questa cosa, insomma non posso essere sempre condizionato dalla presenza o meno di quei tre».
Albus annuì. «Per fortuna zio Neville è sempre molto comprensivo».
«Già vorrei averlo io un padre così» disse Gretel. Frank fece un lieve sorriso e si rimise a lavorare sul suo tema. Albus continuò ad osservarlo in silenzio seriamente preoccupato, non ci voleva uno psicomago per capire quanto fosse problematica la situazione: Frank chiamava gli atti di bullismo di Calliance, Granbell ed Hans questa cosa e non con il loro nome.
«Eccoci» annunciò tetro James, mentre toglieva il mantello da sopra la testa di Fabiana, Lucy, Louis ed Arthur.
«Bella la vostra Sala Comune» disse quest’ultimo ammirato. «Wow, voglio vedere il paesaggio! Peccato che sia buio!» aggiunse correndo verso le finestre.
Fabiana e Louis si guardavano intorno interessati, ma non particolarmente colpiti, in fondo anche il loro dormitorio era in una torre. Lucy, per conto suo, era già entrata nella Sala Comune di Grifondoro, così come se fosse a casa sua si buttò su una poltrona accanto al fuoco e sfacciatamente disse: «Quando siete pronti…».
«È andato tutto bene?» chiese Fred, spuntando dalle scale del dormitorio maschile.
«Sì, signore».
Tutti si voltarono verso James, il cui tono era stato particolarmente acido.
«Non sai quanto apprezzo che tu stia finalmente collaborando» sussurrò con voce suadente Fred.
«Speriamo che non si ammazzino di botte» sussurrò Albus, osservando preoccupato suo fratello e suo cugino.
«Io ho finito» disse sbrigativo Frank, scrivendo rapidamente le ultime parole.
«Ed io come lo copio?» chiese pensierosa Roxi.
«Mi dispiace, non sono riuscito a farlo prima» mormorò Frank sinceramente. «Però se mi dai una di quelle piume che falsificano la scrittura, te lo riscrivo».
«Lo sai che ti adoro?» esclamò Roxi, buttandoli le braccia al collo e schiacciandolo sul divano con il suo peso.
«Anche io» sussurrò Frank, a voce bassissima. «Ma non posso rimanere qui» aggiunse poi ad alta voce dopo che l’amica l’aveva liberato.
Il fantasma di parole non dette volò tra loro: Frank ormai la sera ritardava sempre l’ora di andare a letto e si alzava sempre prima in modo da non incontrare i suoi compagni da solo.
«Senti, se vuoi puoi andare in camera mia… Insomma Elphias ed Alastor non ti diranno nulla… Anche se non approvo che tu faccia i compiti a Roxi, naturalmente…» propose Albus.
«Ti prego, siamo tutti stanchi Al. Non mi fare la morale! Lo sai che odio studiare! Ma se non consegno il compito domani, Teddy si incavolerà di brutto».
«Grazie, Al» mormorò Frank.
«Allora vi date una mossa?!» li chiamò Fred con un tono di chi non ammetteva repliche e voleva essere obbedito immediatamente.
«Ehi, ma chi ti credi di essere?!» sbottò Roxi, incenerendolo con lo sguardo, mentre Frank e Gretel si dirigevano ai rispettivi dormitori.
«Il più grande» rispose saccentemente Fred. Dominique si schiarì eloquentemente la voce. «Il più grande dei ragazzi. Quindi comando io» precisò allora il ragazzo. Tre secondi dopo si ritrovò appeso a testa in giù.
«Dominique, fammi scendere immediatamente!» inveì contro la cugina.
«Sono io la più grande e comando io. Se non ti va bene, andrò immediatamente a comunicare al professor Paciock che nella nostra Sala Comune ci sono quattro studenti appartenenti ad altre Case».
«Non oseresti!» sbraitò Fred.
«Oh, sì» disse Dominique ghignando malignamente.
«Ok, ok, comandi tu! Ma quest’anno ti diplomi e poi io sarò l’unico capo! Ora fammi scendere, mi sta salendo il sangue alla testa».
Dominique agitò in modo disinvolto la bacchetta e Fred cadde sul pavimento con un sonoro Ahi ed una serie di imprecazioni che lasciò perplessi i più piccoli. Nessuno si era preso la briga di ammorbidirgli l’atterraggio. Fred gli fulminò tutti con lo sguardo e sedette su una poltrona a braccia conserte.
«Sedetevi tutti, così iniziamo la riunione» esordì Dominique.
Albus, Rose, Roxi, Fabi occuparono un divanetto; Louis sedette ai piedi di James su un tappeto dai ricami dorati ed Arthur raggiunse il suo gemello, Gideon.
«Il primo ordine del giorno è il comportamento di James».
Albus sospirò: non sarebbe stata una riunione tranquilla, suo fratello ero furioso.
«Il mio comportamento?!» strillò James, saltando in piedi e rischiando di schiacciare Louis.
«Sì, sei diventato un Campione Tremaghi non avendone i diritti! Lo sapevi che volevo partecipare! Ora devo sopportare Apolline che mi dice che il Calice ha preferito un ragazzino a me!» sibilò Dominique.
«Senza contare le tue responsabilità di Cercatore! Ma vuoi regalare la Coppa a Tassorosso?».
«VOI SIETE PAZZI! IO NON HO MESSO IL MIO NOME IN QUEL MALEDETTO CALICE! NON SO SE L’AVETE CAPITO MA UNA PAZZA MEGALOMANE VUOLE UCCIDERMI!» urlò James. «ED IO NON SONO UN RAGAZZINO! HO SOLO DUE ANNI MENO DI TE, DOMINIQUE! IL QUIDDITCH POI NON CENTRA NULLA! LE MIE CAPACITÀ DI CERCATORE NON SONO STATE INTACCATE! E SOPRATTUTTO È COLPA TUA SE L’ANNO SCORSO ABBIAMO PERSO LA COPPA!».
«James, smettila di urlare» provò flebilmente Albus. «Sveglierai tutti!».
«Ho lanciato un muffliato» lo informò Dominique, mentre Fred urlava a sua volta: «COLPA MIA?». Poi saltò addosso a James e Louis fece appena in tempo a spostarsi per non essere travolto.
«Smettetela» disse Albus, tentando di dividerli.
«SÌ, È COLPA TUA! SEI STATO TU A MANDARE ROXI IN CAMPO NONOSTANTE FOSSE STATA IN INFERMERIA FINO A DUE GIORNI PRIMA! SE LEI NON FOSSE STATA MALE IO AVREI PRESO IL BOCCINO! SEI UN CRETINO!».
«Ahi» si lamentò Albus, che era stato colpito da Fred nella foga.
«Basta così» disse Dominique ed agitò la bacchetta. James e Fred furono scagliati da parti opposte. «Cerchiamo di essere civili. Fred l’anno scorso hai fatto davvero una cazzata! Lo abbiamo visto tutti. È colpa tua se abbiamo perso».
Un silenzio assoluto seguì le sue parole, mentre doloranti i due ragazzi si rimettevano in piedi, fissandosi in cagnesco. «Ok, non avrei dovuto far giocare Roxi, ma Albus si è rifiutato fino all’ultimo! Lui non ha a cuore le sorti di Grifondoro. Perché non te ne vai con i Corvonero o meglio ancora con le Serpi visto che ti piace la loro compagnia?» sputò acidamente Fred. James fece per tornare all’attacco, ma una barriera invisibile, evocata da Domi, lo fermò.
«È con Scorpius che ce l’hai?» sbottò Rose, estraendo la bacchetta, prontamente sottrattale da Dominique. «Ho detto parliamo civilmente».
«Sì e non solo! Albus si è preso una cotta per la Dolohov!» sibilò Fred.
«Non è vero!» strillò Albus.
«Allora perché Jonathan Goldstain ti ha tirato un pugno durante Difesa? Lo sa tutta la Scuola! E lui non ti parla più perché hai tradito la sua amicizia!».
«È solo un idiota» sentenziò Rose.
«Io non ho fatto nulla. Jonathan ha frainteso!» si difese Albus.
«Non è questo il punto!» s’inserì con forza Dominique. «Non avete visto quello che sta succedendo? Dobbiamo allontanarci dagli elementi pericolosi».
«Pericolosi? Io. Sono. Una. Serpeverde!» disse a denti stretti Lucy.
«Tu sei un’eccezione. Purtroppo il Cappello all’epoca è impazzito. Un Weasley a Serpeverde… no, sul serio aveva bevuto…» sbuffò Fred.
«Io sto benissimo dove sono!» sibilò Lucy. «Il Cappello ha fatto benissimo!».
«Stai zitta ed ascoltaci» intervenne Dominique. «I Neomangiamorte stanno scatenando il panico e bisogna dare una risposta adeguata! Non è possibile che il figlio di Harry Potter si accompagni con un Malfoy».
Albus la fissò incredulo. «Draco Malfoy non ha nulla a che vedere con questa storia! Stavolta è dalla nostra parte!».
Dominique sospirò in modo teatrale e poi disse a Fred: «Mostrali il giornale».
«Non è necessario» lo bloccò astiosa Rose. «L’abbiamo già letto. Finnigan dice che i Malfoy sono coinvolti… anche Draco… ma Scorpius si fida di suo padre ed è sicuro che non si unirà mai ai Neomangiamorte!».
«Ed anche se lo facesse, Scorpius rimarrebbe dalla nostra parte!» aggiunse Albus.
«Non lo farà, siete solo degli ingenui. Non voglio più vedervi in sua compagnia o sarete considerati dei traditori» sentenziò Fred, lasciandoli a bocca aperta.
«Lo stesso vale per te Louis. Il fatto che ti sia avvicinato a Pauline Rosier non mi piace per niente. Stalle lontano o scriverò a mamma e papà» continuò Dominique.
«Tu non puoi darmi ordini!» si ribellò Louis.
«Voi state dando i numeri! Non ho più intenzione di ascoltarvi!» disse Albus alzandosi.
«Dove credi di andare?» gli domandò Dominique puntandogli contro la bacchetta.
«A letto. Domani mattina avrò Antiche Rune, Trasfigurazione ed Aritmanzia e voglio essere sveglio!».
«Torna a sederti, non abbiamo ancora finito» lo redarguì la ragazza.
«Non osare usare la magia su di me o lo dirò a zio Neville. Perderesti la tua tanto amata spilla da Caposcuola. Non credevo che l’avrei mai detto, ma mi manca Molly» disse Albus e si diresse a grandi falcate verso il dormitorio maschile. Nessuno osò fermarlo.
«Me ne vado anche io» avvertì Rose.
«Ricordatevi ciò vi ho detto» sibilò Fred, per poi rivolgersi ai rimanenti. «Fabiana lo stesso discorso vale per te».
La ragazzina, sentendosi chiamare in causa, arrossì violentemente. «Come scusa?».
«Non fare la finta tonta. Ti ho visto ad Hogsmeade appiccicata ad Emmanuel Shafiq. È un Serpeverde, quindi non puoi frequentarlo».
«Ma che dici?! Emmanuel è un ragazzo educatissimo e gentilissimo! Chissenefrega che è un Serpeverde!» sbottò la ragazzina sorprendendo tutti. «Voglio tornare nella mia Sala Comune!». Si alzò in piedi.
«Allora perché non vai?» ghignò Fred, vedendo che non si muoveva.
«Non mi riaccompagnate con il mantello?» ribatté ella incerta, cercando lo sguardo di James.
«No. Vuoi andartene? Vattene. Ti assicuro, per esperienza, che non è per niente piacevole farsi beccare durante le ore proibite da Sawyer. È più crudele di Gazza» rispose Fred.
Fabiana lo fissò impaurita e poi si rivolse di nuovo a James, il quale si alzò ed annuì. «Non ti preoccupare, Fabi».
«Non ti permettere, Potter» lo minacciò Fred.
«Il mantello è mio, faccio quello che voglio!».
«Dirò a tuo padre che gliel’hai rubato!».
Lily, rimasta in silenzio fino a quel momento, scoppiò a ridere: «Come se non lo sapesse già!».
«Vana minaccia» ghignò James. «Abbiamo già affrontato la questione molto tempo fa. Mio padre è un Auror, non il primo cretino che passeggia per le strade di Londra!».
«Se non mi lasci andare con James, dirò a Williams che mi hai portato qui con il ricatto!» scattò Fabiana.
«E io dirò a zio Charlie che sbavi dietro uno schifoso Purosangue!».
La faccia di Fabiana divenne tutta rossa e gridò: «RAZZA DI CRETINO, IO NON SBAVO DIETRO NESSUNO! E POI ANCHE IO SONO PUROSANGUE! MIA MADRE APPARTIENE AD UN ANTICA FAMIGLIA AMERICANA CHE SI È TRASFERITA IN GERMANIA!».
«Ora basta, tutto ciò è ridicolo! Arthur, Louis, Lucy venite!» disse James accennando al buco del ritratto. Li obbedirono tutti e tre e raggiunsero Fabiana che aveva già guadagnato l’uscita.
«Arthur! State lontano da quella ragazzina! Non dobbiamo familiarizzare con quelli di Durmstrang!» ammonì Fred.
«Anne Muller è simpaticissima!» replicò sorpreso il ragazzino.
«Ignoralo! Andiamocene!» disse James spingendolo fuori. «Quanto a voi, non voglio trovarvi qui quando rientrerò o vi giuro che farò rapporto a zio Neville!».
«Oh, che paura! È diventato un Prefetto Perfetto» lo derise Fred. James gli voltò le spalle e seguì gli altri cugini.
«Non ti azzardare a dire chi dobbiamo o non dobbiamo frequentare!» lo precedette Lily. «Su, Hugo andiamo a letto».
«Mi stai deludendo profondamente» sentenziò Roxi prima di seguire Lily.
«Vi accorgerete presto che ho ragione io!» sibilò Fred.
«Io ti credo» disse serio Gideon. «Mi occuperò io dei miei fratelli»
*
«Jamie, hai pensato a chi può essere stato a mettere il tuo nome nel Calice? La Selwyn deve avere qualcuno che l’aiuta. Qualcuno che si è infiltrato ad Hogwarts!».
James sollevò gli occhi dal suo piatto di stufato e fissò il fratello stupefatto: no, non aveva pensato ad un bel niente in quei giorni.
«Ha ragione, Al. Dobbiamo tenere gli occhi aperti» intervenne Robert.
«E chi potrebbe essere stato? Uno di Durmstrang?» chiese Demetra.
«Non possiamo escludere nulla. La spia potrebbe essere chiunque» replicò Robert. «Per esempio starei attento a Sawyer».
«Perché? Anche Gazza era cattivo con gli studenti, ma non credeva mica nelle idee dei Mangiamorte!» disse James.
«Era un Magonò, anche loro non sono ben visti da molti maghi. Comunque Sawyer è un ex galeotto».
«Cosa?!» esclamarono in coro Albus, Demetra e Benedetta. James sputacchiò succo di zucca.
«È stato scarcerato da poco. Credo sia stato condannato per omicidio giovanissimo».
«Stai scherzando?» chiese allibito James.
«Tua zia ha assunto un assassino?» domandò Demetra.
«A quanto pare, ma non so perché. L’ho scoperto ieri spulciando alcune vecchie copie della Gazzetta del Profeta in biblioteca. Ho intenzione di chiederglielo, comunque. Questa sera dopo le lezioni».
Gli altri annuirono. «Vuoi compagnia?» chiese incerta Benedetta.
«No, grazie. È meglio se vado da solo».
«Non so voi, ma io tra un quarto d’ora ho babbanologia. Raggiungo i miei compagni e vado. Ci vediamo a cena» disse Albus salutandoli.
«Dovremmo andare anche noi. Abbiamo Difesa».
James si affogò per la seconda volta.
«Che c’è?» gli chiese sorpresa Benedetta, mentre un ragazzino del primo anno seduto di fronte a James si allontanava disgustato.
«Oggi abbiamo Difesa!?».
«Sì, Jamie. Come ogni lunedì da due mesi a questa parte» replicò Robert alzando gli occhi al cielo.
«Oh, no! Mi sono dimenticato di fare il tema sui lupi mannari!».
«Complimenti, eh! Non hai nemmeno il tempo di copiarlo!» sospirò Robert.
«Magari se dici a Williams che non l’hai fatto apposta… insomma, dai, sei stato nominato Campione nemmeno quattro giorni fa… è normale se sei un po’ confuso…».
«Non sono confuso. Non ho avuto un attimo di tregua» sospirò James. «Su, andiamo. Williams non può essere peggio di Robards… lo spero, almeno…».
«Sai che fai? Diglielo prima, magari» gli suggerì Benedetta. James annuì ed una volta in classe fece come gli aveva detto. Il professore non ne fu particolarmente felice, ma accettò la sua promessa di consegnargli il tema prima delle lezione successiva. Le due ore trascorsero tranquillamente, anche se James non seguì quasi per nulla. Il sonno arretrato si fece sentire ancor di più dopo il pranzo. Rischiò di assopirsi un paio di volte, ma Robert gli tirò gomitate e calci negli stinchi svegliandolo sempre in tempo.
«James, puoi aspettare un attimo?» gli chiese il professor Williams, mentre gli altri ragazzi uscivano dall’aula.
James sospirò e si avvicinò alla cattedra, facendo cenno agli amici che li avrebbe raggiunti in Sala Comune.
«Professore» iniziò «le assicuro che le consegnerò il tema entro mercoledì, per domani non ce la faccio proprio! Ho gli allenamenti di Quidditch ogni sera. È anche per questo che mi sono dimenticato di fare i compiti nel week end e…».
«James, ascolta me» lo interruppe Williams. «Non ti ho chiesto di fermarti per il tema. Hai tempo fino alla prossima settimana per consegnarmelo insieme ai compiti che ho segnato oggi. Se non lo farai ti metterò una T, non è un problema». Non certo per te pensò stancamente James. «Anche se ti consiglierei di non andare in giro a giustificarti affermando che hai dovuto allenarti, non voglio diventare noioso come la professoressa Shafiq ma il Quidditch è un’attività extra per cui i giocatori devono impegnarsi per farlo quadrare con lo studio. Comunque non è questo che mi interessa. Dobbiamo fare in modo di salvarti la pelle. Le prove del Torneo per quanto debbano essere difficili non devono essere mortali, anzi; ma qualcuno sta giocando nell’ombra proprio per fare in modo che tu ci lasci le penne. Ora, la Flamel e Dumbcenka sono molto più avanti di te con la loro formazione magica e ritengo che tu debba cercare di colmare questo divario».
James era basito. «Mi sta dicendo che devo recuperare in meno di un mese due anni di Scuola?». Nella sua voce c’era una punta d’isterismo che a Williams non sfuggì. 
«James, credimi nessuno pretende nulla da te in questo Torneo se non che tu sopravviva» disse l’insegnante nel tentativo di tranquillizzarlo. Il ragazzo, però, si sentiva stanco sul serio: i G.U.F.O., Fred ed i suoi stupidi allenamenti spezza ossa, il Torneo. Troppe cose. L’avrebbero annientato ancora prima del Torneo, forse la Selwyn si sarebbe dispiaciuta per aver perso anzitempo il suo giocattolino. «Per questo ritengo tu debba seguire delle lezioni extra. Quanto meno di Difesa. Ed io sono più che disponibile a darti una mano».
«Sì, va bene» rispose svogliatamente.
«Guarda che non sei obbligato ad accettare, io lo dico per te» lo rimproverò Williams cui non era sfuggito il suo tono. James arrossì e chinò la testa. «Mi dispiace, signore. Sono solo stanco e confuso, ma le assicuro che le sono grato per la sua disponibilità».
«Se sei stanco, riposati. Potremmo cominciare da domani» replicò il professore con pacatezza.
«Ho gli allenamenti di Quidditch, signore. Tutte le sere, gliel’ho detto» sospirò James.
«Pensavo fosse un modo per dire che Fred vi sta mettendo sotto. Comunque non sarà così a lungo. Florian è venuto a lamentarsi da me e so che anche Katie Baston si è lamentata con la professoressa Shafiq. Più tardi andrò a parlare con la professoressa Jones, non è possibile che abbia concesso a voi Grifondoro di occupare il campo tutti i giorni. Tuo cugino sa essere molto persuasivo quando vuole, ma comunque non è giusto, anche le altre Case hanno il diritto di allenarsi. Per cui ci vediamo domani sera alle otto in quest’aula per iniziare».
«Grazie, signore».
 

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Capitolo 17
*** Prese di posizione ***


Capitolo diciassettesimo

Prese di posizione
 
«Arrenditi, Paciock».
Frank si fermò di scatto di fronte alla prima porta che vide. Sbuffò. Un bagno delle ragazza! Non poteva avere più sfortuna! Vedendo vicinissimi Calliance ed compagni, entrò di corsa. Si rivelò subito una pessima idea: il pavimento era completamente allagato e cadde a gambe all’aria prima di poter fermare più dignitosamente la sua corsa. Il fatto che quello non fosse un qualsiasi bagno delle ragazze, ma il bagno del secondo piano gli fu perfettamente chiaro solo poco dopo.
«E tu chi sei?» strillò una voce acuta. «Questo è il bagno delle ragazze! Vattene subito!».
Frank si considerò spacciato mentre Calliance, Granbell ed Hans lo circondavano e Mirtilla Malcontenta lo fissava in modo spaventoso.
«Ehi Paciock, sei caduto! Non sai nemmeno stare in piedi!» lo prese in giro il primo.
«Ora ci vendicheremo per la sospensione. E vedi di non andare a piangere da papino» aggiunse Hans afferrandolo per il colletto della divisa.
«Io non piango!» ribatté Frank sentendosi terribilmente ridicolo. I tre bulletti risero.
«Sta zitto, quattrocchi!» disse Granbell colpendo con la mano gli occhiali e facendoli volare sul pavimento allagato.
«Questo non dovevi dirlo!» strillò Mirtilla Malcontenta e sotto gli occhi esterrefatti di Frank passò attraverso Granbell, facendolo rabbrividire. Non si prova mai una bella sensazione quando un fantasma ti passa attraverso, sembrava quasi una doccia fredda. «Andatevene!» aggiunse andando addosso anche a Calliance. «Via!».
I tre ragazzi presi dal panico corsero via senza farselo ripetere ancora. Frank deglutì quando Mirtilla si voltò verso di lui e poi, spaventato dalla sola idea che si arrabbiasse anche con lui, disse con voce incerta: «Grazie».
«Non mi piacciono i prepotenti» commentò ella, andando a porsi sopra il sifone. «Sai quando sono morta, mi ero nascosta qui perché Olive Hornby mi aveva preso in giro proprio per gli occhiali».
Frank continuò a fissarla: conosceva la storia di Mirtilla, sapeva perché e come era morta e non era stata certa colpa di una presa in giro; nonostante ciò un brivido freddo gli percorse la schiena. Sperò che fosse solo per via delle vesti bagnate, ma dopotutto le parole di Mirtilla l’avevano colpito: non voleva certo trascorrere il suo tempo chiuso in un bagno a compiangersi. Forse doveva davvero darsi una mossa come gli dicevano tutti.
«Mi sembri simpatico» disse tristemente Mirtilla. «Non mi viene mai a trovare nessuno. Conosci Harry Potter? Lui una volta veniva a trovarmi! E poi ho avuto un altro amico. Era biondo, mi pare che si chiamasse Draco. Non sono più venuti a trovarmi dopo che Harry ha quasi ucciso Draco. Perché non vieni a trovarmi tu?».
Il ragazzino boccheggiò. La tristezza del fantasma lo colpì: doveva essere bruttissimo vivere in un bagno nella completa solitudine. Insomma era un fantasma, ma la vita di Nick-Quasi-Senza-Testa era senz’altro più ricca e soprattutto tutti i Grifondoro gli volevano bene. Ma che era quella storia che lo zio Harry avesse quasi ucciso un suo compagno? «Harry è molto impegnato per questo non è più venuto» disse tentando di raggruppare le idee. «Ed anche Draco. Hanno lavori importati».
Frank sobbalzò quando il fantasma volò ad un centimetro dalla sua faccia. «Tu li conosci?».
«Sì» mormorò spaventato. In fondo non era una bugia: Draco Malfoy era una persona abbastanza nota, anche se lui non ci aveva mai parlato.
«Li puoi ricordare di venirmi a trovare ogni tanto?».
Il viso del fantasma esprimeva un così profondo desiderio misto a tristezza che Frank non fu capace di negare: «Sì… ehm… glielo dirò… se avranno tempo… sono molto impegnati…». Zio Harry l’avrebbe ucciso. Certo morire per mano del Salvatore del Mondo Magico sarebbe stato dignitoso dopotutto. E Draco Malfoy? Mai e poi mai avrebbe avuto il coraggio di dirglielo. Insomma non poteva certo fermarlo per il corridoio e dirgli Scusi, signor Malfoy, ma Mirtilla Malcontenta sente la vostra mancanza. Sarebbe carino che andasse a trovarla! Oh, Merlino l’avrebbero ucciso veramente!
«E tu verrai ogni tanto?».
Frank boccheggiò per un attimo, poi annuì convinto: «Verrò, promesso. Non spesso però. Qui non posso entrare, però ti prometto che verrò a trovarti ogni tanto». Quando una decina di minuti dopo uscì dal bagno non si era minimamente pentito: aveva promesso al padre che avrebbe rispettato le regole, dopotutto bastava Alice a portarlo all’esasperazione, ma d’altra parte Mirtilla l’aveva aiutato con i suoi aguzzini e sentiva il dovere morale di ricambiare. In fondo anche questo gli era stato insegnato dal padre.

*

«Professore, le posso fare una domanda?».
L’intera classe fissò il ragazzino esterrefatta: Louis Weasley che aveva bisogno di chiarimenti a Pozioni?
«Sì, naturalmente» replicò il professor Mcmillan senza scomporsi minimamente.
«Perché a lezione non lavoriamo mai con ingredienti come il mercurio e lo zolfo?».
Un mormorio incuriosito si levò, ma fu ignorato dall’insegnante che perplesso rispose: «Quel tipo di ingredienti viene utilizzato in Alchimia, Weasley».
«E perché noi non la studiamo? Una volta si studiava!» disse subito Louis non volendo far cadere il discorso così velocemente. Annika lo fissava a bocca spalancata chiedendosi che cavolo di fine avesse fatto tutta la sua timidezza; Drew spostava lo sguardo dal professore a Louis, palesemente spaventato; Brian decise di fissare il suo calderone ed il liquido che vi ribolliva all’interno. Non aveva minimamente il colore previsto dal manuale.
«Sì, molti anni fa veniva concessa la possibilità di studiare Alchimia ai ragazzi del sesto e del settimo anno. Non si fa più perché comunque gli studenti non sono interessati ed è una disciplina molto complessa. Ora, ti pregherei ti riprendere il tuo lavoro. E questo vale per voi tutti!».
«Ma lei sarebbe in grado di insegnarla?» chiese maliziosa Pauline Rosier, che sedeva dietro di loro. Alcune risatine si alzarono dal gruppetto che circondava Mike Zender, il quale non aveva dimenticato l’umiliazione del primo giorno e non mancava occasione per far notare quanto poco valesse, a suo parere, l’insegnante di Pozioni. Naturalmente mai in presenza del diretto interessato. Gli occhi di tutti erano puntati sul professore, la cui mascella si era palesemente irrigidita.
«Non ho alcuna formazione alchemica» ammise dopo alcuni interminabili secondi di silenzio. I Serpeverde apparvero molto soddisfatti dalle sue parole, soprattutto Zender. Brian per conto suo ammirò la sincerità, che in fondo era propria dei Tassorosso, del professore: avrebbe potuto benissimo mentire e metterli a tacere, invece aveva detto la verità. Odiava pozioni con tutto il cuore, ma in quel momento decise che si sarebbe impegnato molto di più perché in fondo è l’approvazione delle persone oneste che vale qualcosa.
«Quindi anche se si raggiungesse il numero per aprire un corso di Alchimia lei non sarebbe capace!».
Brian fissò Louis come se fosse impazzito. Tutti i Corvonero lo guardarono allo stesso modo, temendo che si fosse spinto troppo oltre. I Serpeverde erano sempre più divertiti e la Rosier sembrava approvare le parole di Louis. «Mio padre mi parla sempre dei suoi professori, Piton e Lumacorno! Loro senz’altro sarebbero stati in grado di farlo» rincarò la stessa Pauline Rosier. La classe era in attesa di un scoppio da parte dell’insegnante, ma ciò non accadde.
Ernie Mcmillan dopo aver deglutito a vuoto un paio di volte disse: «È così, mi dispiace di non essere all’altezza delle vostre aspettative. Non ho mai detto di essere bravo quanto i miei predecessori». Le parole di Louis e Pauline avevano probabilmente fatto breccia, ma l’insegnante riprese velocemente il suo consueto autocontrollo. «L’Alchimia comunque non è per dei ragazzini, quindi non consideratela nemmeno. Ed ora riprendete a lavorare, vi ricordo che il voto che prenderete in questa pozione farà media».
Tutti si affrettarono a tornare al loro lavoro, con la testa, però, ancora alla discussione cui avevano appena assistito. Louis sembrava molto contrariato e fissava l’insegnante in modo ostile. Brian sospirò inquieto; non approvava il comportamento dell’amico, ma in quel momento era più preoccupato per la sua media: la pozione che aveva realizzato non avrebbe procurato una provvisoria amnesia a chi l’avesse bevuta, probabilmente l’avrebbe avvelenata. Percepiva chiaramente che Louis non l’avrebbe aiutato in quel momento, mentre Annika e Drew erano fin troppo presi dal loro lavoro e non voleva disturbarli. Com’era possibile che il Corvonero più incapace fosse proprio lui! Alla fine si fece coraggio e chiamò il professore. Tutta la classe si fece attenta, forse nella speranza di una nuova discussione. Probabilmente anche il professore temette qualcosa di simile, infatti gli rivolse uno sguardo duro invitandolo tacitamente sia a parlare sia a stare ben attento a quello che stava per dire.
«Io… ehm… non capisco dove sto sbagliando…» disse accennando alla sua pozione, nella speranza che il professore non se la prendesse con lui. Lo sguardo di Mcmillan comunque si ammorbidì, si avvicinò ed osservò criticamente il suo lavoro.
«Quante gocce di Acqua del Fiume Lete hai messo?».
«Ah… ehm… me ne sono cadute quattro…».
«Ne sono necessarie solo due» replicò il professore scuotendo la testa. «Non hai studiato la teoria?».
«Sì, signore» replicò in fretta Brian, «ma me ne sono cadute di più. Pensavo che non avrebbe fatto differenza».
«Hai modificato anche la quantità degli altri ingredienti?».
«No, signore» mormorò Brian.
 «Allora è meglio che ricominci daccapo» disse e con un rapido gesto della bacchetta fece evanescere la pozione ed allo sguardo afflitto del ragazzino rispose affermando: «Hai tutto il tempo di rifarla correttamente. Quella avrei dovuto valutarla insufficiente. Mettiti a lavoro e fai attenzione. La precisione è fondamentale in questa materia».
«Sì, signore».
«Ha esagerato solo perché è arrabbiato, la tua pozione non era lontanamente sbagliata come quella di Andersen che emana fumo nero» commentò Louis, purtroppo lo disse a voce alta abbastanza perché lo sentisse anche il professore, che si voltò e lo fissò per qualche secondo dritto negli occhi.
«Weasley, essendo il primo della classe, confido nel fatto che tu sappia perfettamente che le gocce d’Acqua del fiume Lete sono l’ingrediente base della Pozione Obliviosa, per cui se ce n’è una quantità inferiore rispetto a quella necessaria, la pozione è inutile. Ed immagino, Carter, che saprai cosa potrebbe accadere nel caso contrario».
Brian sobbalzò nel sentirsi chiamare in causa e titubante rispose: «L’effetto della pozione potrebbe diventare irreversibile e causare una definitiva perdita di memoria».
«Esattamente. Per cui quando io dico che le quantità devono essere esatte lo faccio per un motivo ben preciso. E ti sarei grato signor Weasley che tu non mettessi mai più in dubbio le mie competenze in futuro. È chiaro?».
Louis era arrossito e sembrava mortificato per quella situazione. Rimase in silenzio.
«Sto aspettando una risposta, signor Weasley!» tuonò il professor Mcmillan.
«Sì, signore» mormorò Louis.
«Lo spero bene. Intanto Corvonero perde quindici punti per la tua sfacciataggine».
Il resto della lezione trascorse tranquillamente. Quando il professore disse loro di consegnare una fiala contenente la loro pozione, Brian si accorse che Louis ne passò a Pauline una piena di quella che evidentemente era la sua pozione. Il ragazzino chinò gli occhi sulla sua, che nonostante gli sforzi non aveva lo stesso colore di quella dell’amico. Sospirò: non poteva farci nulla ormai.
«Stavolta ho messo solo due gocce» borbottò consegnando la pozione. Il professore, che era perso nei suoi pensieri, si accigliò ponendo la sua attenzione su di lui.
«Verificherò dove sia l’errore. Non ti preoccupare» replicò atono.
Brian annuì e lo salutò. Prese le distanze dai suoi compagni che avevano iniziato a discutere animatamente di quello che era accaduto a lezione. In quel momento non ne aveva proprio voglia. Quando arrivarono nella Sala d’Ingresso si vide improvvisamente sbarrare la strada. In un primo istante fece un passo indietro, poi riconobbe la ragazzina. Niki.
«Ho bisogno del tuo aiuto» gli disse subito.

*

«Jamie! Jamie!».
James aprì gli occhi e ci mise qualche secondo a focalizzare il volto di Benedetta e molto di più a rendersi conto di essersi addormentato sul divano della Sala Comune, mentre studiava Storia della Magia. I medimaghi avrebbero dovuto brevettare quella materia come sonnifero naturale! Si passò una mano sul volto e si rese conto che Benedetta aveva un’espressione preoccupata.
«Che c’è?».
«Bentornato tra noi, bell’addormentato!» lo apostrofò Robert. Anche lui aveva un’espressione strana.
James si sedette e continuò a squadrarli. «Mi spiegate qual è il problema? Va bene, ok abbiamo la verifica con la Dawson domani ma non è la fine del mondo… Insomma siamo ancora a novembre un brutto voto non pregiudicherà i miei G.U.F.O.…».
«Bisogna vedere se ci arrivi ai G.U.F.O. Fred vuole la tua testa» disse Robert serio.
Il ragazzo rimase imbambolato per qualche altro secondo con la terribile sensazione di essersi dimenticato qualcosa, poi sgranò gli occhi e saltò dal divano con foga. «Oh, Merlino gli allenamenti! Che ore sono?».
«Quasi le otto ed un quarto, Jamie» mormorò Benedetta. «Mi dispiace, eravamo in biblioteca! Se avessi saputo che ti sarebbe preso il sonno, sarei venuta a svegliarti!».
«Non ti preoccupare… Oh, Merlino sono in ritardo con Williams» disse James passandosi un mano tra i capelli nervosamente.
«Beh pensa positivo: almeno lui non tenterà di ucciderti…» provò a scherzare Robert.
«Oh, che consolazione» borbottò James. «Ci vediamo dopo».
James corse per un paio di piani, facendo lo slalom tra gli studenti che ancora si attardavano nei corridoi.
«Non si corre nei corridoi! Come Prefetto dovresti dare il buon esempio» disse una voce gelida, che conosceva fin troppo bene.
Merda! imprecò mentalmente, per poi decidere di voltarsi ad affrontare subito la questione.
«Fred, ascolta. È stato un incidente, non accadrà mai più te lo giuro» disse velocemente.
Il cugino lo fissò duramente e poi fece qualcosa che James non aveva minimamente previsto: gli tirò un pugno sullo zigomo destro. Tra la sorpresa e l’impatto cadde a terra seduto. Incredulo alzò gli occhi su Fred, che ora lo soprastava.
«Non accadrà più. Ne sono sicuro» disse egli con voce ancora gelida. James fece per parlare ed assicurarlo che da quel momento sarebbe stato più concentrato, ma il cugino continuò e le sue parole lo gelarono. «Sei fuori. Ho già trovato il tuo sostituto».
James a bocca aperta scrutò la persona che affiancava il cugino e che aveva a malapena notato fino a quel momento: Christopher Belson. Si sollevò di scatto e li affrontò a testa alta. «Che cazzo stai dicendo? Belson non sa neanche come è fatto un boccino! E poi non mi puoi cacciare per un solo allenamento!».
«Sono giorni che sei distratto! Praticamente dormi sulla scopa!».
«PRATICAMENTE FAI TROPPI ALLENAMENTI! SEI DISUMANO! PENSI CHE VIVIAMO PER I TUOI ALLENAMENTI?» urlò James frustrato ed ormai al limite.
«NESSUNO TI HA DETTO DI ENTRARE IN SQUADRA SE NON SEI PRONTO A SACRIFICARTI! GRIFONDORO NON È LA TUA PRIORITÀ. QUINDI SEI FUORI!».
«NON NE HAI IL DIRITTO!».
«IO SONO IL CAPITANO, POTTER! METTITELO BENE IN TESTA!».
«E comunque so come è fatto il boccino! Sei entrato in squadra perché sei un raccomandato! Dai Baston ti ha preso in squadra solo perché sei il figlio di Harry Potter» sentenziò Belson e James fu sul punto di prenderlo a pugni.
«IO SONO BRAVO! SONO ENTRATO IN SQUADRA DOPO UN PROVINO! ED HO SUPERATO RAGAZZI MOLTO PIÙ GRANDI DI ME!».
«Sei fuori James, rassegnati. Questa è la mia decisione. Ho intenzione di vincere contro Corvonero e superare Tassorosso. Non è ammissibile che vincano la Coppa quei mollaccioni! E poi guarda che regalo ci ha fatto Chris».
James notò solo in quel momento il nuovo manico di scopa del cugino. Aggrottò la fronte e mormorò: «È la Freccia Rossa, la scopa italiana? Non è nemmeno arrivata qui in Inghilterra!».
«Mio padre ha molte conoscenze, Potter. Un suo amico all’ambasciata italiana gliele ha procurate».
«Bene, ora andiamo a farci una meritata doccia» disse Fred superandolo come se niente fosse.
«Eh, no!» sbottò James bloccandolo. «Non mi liquidi così facilmente!».
«Vuoi andare a piangere da papino?» chiese Belson. James lo fulminò: si sentiva forte per via dell’appoggio di Fred sennò non l’avrebbe mai sfidato in quel modo. Era solo uno schifoso fifone, dannatamente ricco e viziato.
«Andrò dal professor Paciock e gli dirò che ti sei fatto corrompere» sibilò James, fissando ora solo il cugino. Belson non meritava nemmeno la sua considerazione.
Fred, prendendolo di sorpresa di nuovo, gli tirò un altro pugno questa volta sulle labbra. «Fallo, ma così infrangerai il nostro Codice. Subirai la riprovazione di tutti i cugini e nessuno si fiderà più di te». Detto ciò se ne andò con Belson alle calcagna, lasciandolo solo nel corridoio.
James sentì le lacrime premerli sugli occhi e fece uno sforzo enorme a ricacciarle indietro e raddrizzarsi: era sempre andato orgoglioso del suo ruolo di Cercatore. Era qualcosa per cui nessuno l’aveva mai criticato. Almeno fino a quel momento.
«Sei in ritardo. Di mezz’ora. Che fine hai fatto?» gli chiese Williams appena entrò nell’aula di Difesa. Stava correggendo un blocco di temi, seduto alla cattedra e non aveva nemmeno sollevato gli occhi, sentendolo entrare. Non ricevendo risposta però lo guardò. «Che cavolo hai fatto alla faccia?».
James meccanicamente si portò una mano sulla guancia, che al momento pulsava terribilmente. «Mi scusi per il ritardo, signore» mormorò, ignorando l’ultima domanda.
Williams sbuffò. «James, con chi hai fatto a botte?».
«Con nessuno, signore. Glielo giuro».
Il professore inarcò eloquentemente il sopracciglio. «No, eh? E dimmi ho le allucinazioni? Il tuo labbro non sta sanguinando? Ed il tuo zigomo non sta gonfiando?».
James si era subito passato il dorso della mano sul labbro per bloccare il sangue, anche se ci aveva già provato prima a tamponarlo con il fazzoletto. Il professor Williams sembrò aver pietà del suo magro tentativo di dissimulare qualcosa che solo un cieco non avrebbe visto, così si alzò e lo raggiunse. «James, parliamoci chiaro. Sai benissimo che non sono uno stupido, quindi ti prego di non tentare nemmeno di prendermi in giro. Con chi hai litigato?».
«Sono solo scivolato ed ho sbattuto malamente contro un armatura».
L’uomo scosse la testa e tornò alla cattedra e dal cassetto tirò fuori una boccettina. «Bevi» gli ordinò.
James, palesemente sollevato, bevve la Pozione Cura Ferite tutta d’un fiato. «Grazie, signore».
«Non mi vuoi dire chi è stato? Eh, no non credo che sia stata un’armatura a meno che non fosse incantata».
«No, signore. La prego…» mormorò James.
«Come desiri. Finiremo più tardi questa sera, così recupereremo la mezz’ora persa. La prima prova si sta avvicinando. Hanno saputo che ti sto dando lezioni extra, quindi il comitato del Torneo ha ritenuto di dovermi tenere nascosti i dettagli delle prove. Credo che ciò sia giusto, ma più che farti esercitare su alcuni incantesimi base non so che fare».
«Benedetta pensa che dovremo affrontare qualche creatura. Mi sta facendo studiare il libro di Newt Scamander a memoria».
«Mi sembra saggio. E con le trasfigurazioni come te la cavi?».
«Mmm insomma…».
«Beh allora dovrai cavartela con l’ingegno probabilmente. Per fortuna che l’inventiva non ti manca. Certo, stasera sei stato parecchio banale. Ma dai… sono scivolato… ma sei serio?».
James si aprì in un lieve sorriso e, nonostante l’amarezza e la delusione che gli stringevano lo stomaco, disse: «La prossima volta che mi interrogherà, troverò una scusa molto originale glielo prometto».
Anche Williams sorrise. «La pozione sta facendo effetto se ti va di scherzare. Allora possiamo anche iniziare. Bacchetta alla mano e prova a disarmarmi».

*

«Buongiorno, professoressa» trillò una ragazzina di Grifondoro, probabilmente del primo anno.
«Buongiorno, Parker» replicò perplessa la professoressa Dawson. «Desideri qualcosa?».
«Sì, professoressa! Il professor Paciock mi ha chiesto di accompagnare James Potter al secondo piano. È una cosa che riguarda il Torneo. Mi ha detto anche che si scuserà personalmente con lei, perché si è dimenticato di avvertirla in anticipo».
«Capisco, ma ora stiamo facendo una verifica».
James, sentendo il suo nome, aveva alzato il capo. In realtà non conosceva la risposta a metà delle domande del questionario. Comunque non aveva molta voglia di seguire la ragazzina. Sapeva che cosa volevano da lui, suo padre gliel’aveva raccontato. Tanto meglio la tranquillità dell’aula di Storia della Magia.
«Ehm, non so… mi hanno detto che è importante…» disse incerta Parker.
«James, a che punto sei? Manca ancora un quarto d’ora, ma sei hai finito puoi andare» disse allora la professoressa.
Il ragazzo percepì su di sé lo sguardo degli amici. Benedetta era riuscita a suggerirli qualche risposta e Robert gli aveva promesso le altre appena concluso il suo compito. D’altronde a James sarebbe bastato prendere una A, ma in quel modo non ne avrebbe avuto il tempo… Comunque il suo istinto Grifondoro, o come preferiva chiamarlo Lucy stupidità, si alzò, e dopo aver recuperato lo zaino, raggiunse la cattedra e porse i fogli alla professoressa. Ella lo fissò accigliata, avendo notato che molte domande non avevano risposta. «Mi dispiace, non ho studiato» ammise, vergognandosi un po’.
«Dov’è che devo andare?» chiese a bruciapelo alla ragazzina, appena si furono allontanati dall’aula.
«Secondo piano… Quell’aula vuota, grande, in disuso…».
«Sì, ho capito».
«Ti posso accompagnare se vuoi».
«Non è necessario, grazie» replicò subito, poi vide la sua espressione delusa. «Se proprio vuoi, ma tanto dubito che ti faranno entrare».
«Oh, no non credo nemmeno io. Mi basta ritardare un po’. Sai non ho studiato la lezione per oggi di Erbologia e spero che il prof nel frattempo interroghi qualcun altro».
«Molto astuta».
Si separarono proprio di fronte all’entrata dell’aula. James prese un bel respiro ed entrò. Dentro già c’erano Apolline, Dumbcenka, i loro Presidi, la McGranitt, un uomo che non conosceva e Seamus Finnigan insieme a Dean Thomas.
Questi ultimi due lo salutarono subito allegramente e James ricambiò educatamente, mentre prendeva posto nella sedia accanto ad Apolline dopo aver colto il cenno della McGranitt.
«Certo, che un ritardo non è il miglior biglietto da visita» disse Vulchanova con nonchalance alla McGranitt, la quale rispose con un sorriso che sembrava più una smorfia di dolore mal celato.
«Mi dispiace» disse James, chiedendosi quante volte avesse ripetuto quelle due parole negli ultimi giorni. «Avevo una verifica».
«Bene, iniziamo? Vorrei fare una foto con tutti i Campioni» disse allegro Seamus e Dean obbedì immediatamente. «E poi i giudici con il nostro esperto!».
Una volta accontentato il direttore della Gazzetta del Profeta, la McGranitt prese la parola.
«Possiamo dare iniziò alla Pesa delle Bacchette. Sempre se per lei va bene, signor Wand».
«Certo! Penso che sappiate quale sia il mio compito, vero? Devo solo verificare che le vostre bacchette funzionino ancora correttamente. Signorina Flamel, vuole gentilmente porgermi la sua?» disse il signor Wand. Aveva una voce asciutta ed a differenza di Seamus e Dean non sembrava per nulla divertito. Il suo tono era cortese, ma la sua espressione particolarmente seria. Apolline fece come le era stato detto.
«Interessante» mormorò sorpreso, analizzando la bacchetta con attenzione. «Legno di ciliegio e… insomma il suo nucleo è davvero un capello?».
«Sì, il mio! Sa, io ho sangue di Veela nelle vene. Ed è stato opportunamente trattato, naturalmente. Mio nonno era un ottimo alchimista».
«Non mi era capitata mai una cosa del genere… è estremamente…».
«Geniale, vero?» disse Apolline sorridente.
«Veramente volevo dire stupido e vanesio, ma come preferisce signorina» disse il signor Wand con espressione palesemente disgustata. La ragazza si imbronciò, probabilmente offesa. «Avis». Uno stormo di uccellini fuoriuscì dalla bacchetta e l’uomo la restituì alla legittima proprietaria. «Quanto meno funziona» fu il suo ultimo commento, ignorando Apolinne che l’aveva incenerito con lo sguardo. «Signor Dumbcenka, prego».
Il ragazzo, che aveva osservato la scena con sufficienza e con una fastidiosissima aria di superiorità, consegnò la sua bacchetta all’esperto. «Olmo, corda di cuore di drago, quattordici pollici e tre quarti, rigida. Dico bene?». Il ragazzo annuì. «Lumos». La punta della bacchetta si illuminò e il signor Wand gliela riconsegnò.
«Tocca a lei, signor Potter».
James gli porse la sua bacchetta, chiedendosi se l’avesse mai lucidata: in quel momento sembrava strapiena di ditate come mai. Il fabbricante di bacchette, però, non fece alcun commento in proposito. «Oh, questa è una di quelle di Olivander, vero? Oh, sì riconosco la sua mano. Deve essere una delle ultime creazioni prima di abbandonare il mestiere. Sei stato fortunato, suo figlio ne fa di scadenti. Vite, crine di unicorno, tredici pollici, sufficientemente flessibile, giusto?».
«Sì, signore» replicò James con un sorriso. La bacchetta era una delle cose che lo inorgoglivano.
«Evanesco» disse facendo scomparire il vetro di una finestra, per poi farlo ricomparire con un movimento annoiato della bacchetta. «In ottime condizioni anche questa» sentenziò.
«Avrei qualche domanda da farvi» disse subito Seamus.

*

«Grazie per avermi accompagnata».
«Figurati, Niki» replicò Brian. «Scusami, se non sono voluto venire prima, ma non volevo saltare Erbologia».
«Tranquillo, sono d’accordo».
«Ecco che stanno uscendo… Oh, accidenti la Preside lo vorrà sicuramente accompagnare» sussurrò Brian, mentre i Presidi, Campioni, giornalisti ed il signor Wand uscivano dall’aula.
«È troppo importante per me. Non posso perdere l’occasione. Tu aspetta qui, se vuoi» disse lei facendo avanti verso il gruppetto che ora si stava separando.
«Ti ho promesso di farti compagnia» disse Brian affiancandola.
Niki era imbarazzata e già rossa in volto, ma dopotutto doveva pur esserci un motivo se il Cappello Parlante l’aveva smistata a Grifondoro.
«Buonasera» disse avvicinandosi abbastanza perché i Presidi ed il signor Wand la vedessero.
«Signorina Olivander, signor Carter non dovreste essere a cena?» chiese la McGranitt sospettosa.
«Sì, signora, ma vede, io desideravo conoscere il signor Wand».
«Desideravi conoscere me?» chiese sorpreso l’uomo. «E come mai?».
«È stato mio nonno a parlarmi di lei. Ha detto che quando sarei stata più grande avrei dovuto cercarla per chiederle di prendermi come sua apprendista».
Vulchanova ridacchiò, ma nessuno fece caso a lui. Il signor Wand la scrutava con i suoi occhi neri e severi. Niki non distolse lo sguardo, sperando di superare il suo silenzioso esame.
«Holmes Wand, lieto di conoscerla, signorina Olivander» disse infine l’uomo porgendole la mano. Niki la strinse immediatamente. «Io mi chiamo Nicole, ma preferisco Niki. Il piacere è tutto mio signor Wand».
L’uomo sorrise sinceramente. «Quando tuo nonno ti ha detto di cercarmi quando saresti stata abbastanza grande intendeva dopo aver conseguito i M.A.G.O. Solo allora deciderò se prenderti o meno come mia apprendista. Impegnati, se non avrai degli ottimi M.A.G.O. puoi anche non prenderti il disturbo di venire nella mia bottega». Il suo sorriso era sparito ed osservava severamente la bambina, lievemente intimorita.
«Sì, signore» rispose Niki comunque con voce ferma.
 
Angolo autrice:
Ciao a tutti! Ecco un nuovo capitolo, nel prossimo James dovrà affrontare finalmente la prima prova.
A me dispiace sul serio per Mirtilla, anche se sa essere insopportabile, per questo ho voluto inserire questo incontro con Frank.
In questi ultimi capitoli James sta avendo molto spazio, ma ho ritenuto fondamentale mostrare la sua reazione e le conseguenze della selezione dei Campioni; e per quanto sappia fare benissimo lo sbruffone, James è un ragazzo sensibile (almeno io lo vedo così, naturalmente non quanto Al).
Infine ho inserito la figura di Holmes Wand perché ho immaginato che per il Torneo Tremaghi non ci si potesse affidare ad un uomo come il figlio di Olivander. Il signor Wand è stato allievo di Garrick Olivander molti anni prima ed ora è uno dei più importanti della Gran Bretagna, anche se non ha un negozio proprio. Niki sa molte cose sugli alberi da bacchette perché gliele ha insegnate il nonno ed immagino che prima di morire abbia consigliato alla nipotina di rivolgersi ad Holmes, consapevole che il figlio non l’avrebbe mai aiutata (Niki non ha un ruolo centrale in questa storia, per questo specifico queste cose qui. Probabilmente l’unico cui le confesserà mai sarà Brian e molto più avanti ad un’altra persona che diventerà un punto di riferimento per lei).
Il capitolo è comunque di passaggio, ma spero che la lettura sia ugualmente di vostro gradimento. Se vi va fatemi che cosa ne pensate del capitolo in sé o della storia in generale.
Buona serata,
Carme93

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Capitolo 18
*** Libertà di pensiero ***


Capitolo diciottesimo

Libertà di pensiero


 
«E Weasley prende il boccino! Sììììììììì». A fare la cronaca della partita quel giorno c’era Edward Zabini ed era fuori di sé dalla gioia. «Tassorosso ha vinto! Abbiamo vinto! Abbiamo vinto la Coppa!». In quel momento stava letteralmente saltellando da una parte all’altra con il megafono magico in mano. «340 a 150! Beccatevi questo, Serpi antipatiche!».
«Arthur è stato davvero magnifico» esclamò James con un sorriso sincero.
«Oh, sì. Povero Scorpius, però. Gli ha soffiato il boccino in modo magistrale. Mi sa che dovrò consolarlo!» disse, invece, Albus con un sorriso che andava da una parte all’altra del viso.
«Scorp è stato bravo. Il punto è che Arthur ha davvero un grande talento! Ci scommetto che nemmeno zio Charlie era così bravo! Quando abbiamo giocato contro di loro, mi ha messo in difficoltà, se non fosse stato per quella maledetta maledizione che mi ha colpito avrei preso il boccino, ma solo perché era inesperto. Albert Abbott ha fatto un grande lavoro con lui!».
«Guardate com’è felice!» sussurrò dolcemente Benedetta. In effetti il ragazzino era il ritratto della felicità, mentre il compagni di squadra lo portavano in trionfo. I suoi migliori amici, Samuel ed Amber, avevano seguito con loro la partita, ma appena Arthur aveva preso il boccino erano corsi in campo. Come tutti i Tassorosso del resto. Stendardi e bandiere giallo-nere svettavano per tutto lo stadio. Era uno spettacolo davvero inconsueto.
Intanto la squadra di Tassorosso, liberata dai compagni di Casa, era salita sugli spalti dove l’aspettava la professoressa McGranitt per consegnarle la Coppa. Il professor Mcmillan era commosso e Justin Finch-Fletchley aveva coperto sé stesso e l’amico con un enorme bandiera.
«Alla faccia dell’imparzialità dei professori» rise James, indicandoli agli altri, che risero a loro volta.
«Beh, io sono contenta per i Tassorosso. Se la sono proprio meritata la vittoria» disse Benedetta.
«Oh, sì sono veramente forti quest’anno. Sono sicuro che riusciranno ad avere la meglio anche sugli stranieri» concordò James.
«Certo, avrei preferito che noi non avessimo fatto una tale figuraccia» borbottò Demetra.
«Evita, per favore. Non voglio sentire parlare di quello che è successo stamattina a costo di dormire in corridoio» sbottò James, ancora livido e ferito per il trattamento che gli aveva riservato il cugino, ma soprattutto per la strabiliante prestazione di Christopher Belson di quella mattina.
«Oh, temo che i Serpeverde ed i Corvonero ce lo ricorderanno fino all’anno prossimo» replicò Robert.
«Ecco, Abbott ha preso la Coppa» disse Benedetta, tentando di distoglierli da quel discorso pericoloso.

James fischiò quando Albert Abbott passò la Coppa al suo Cercatore, il membro più piccolo della squadra. «QUELLO È MIO CUGINO!» urlò nel mezzo del boato che si era sollevato nello stadio.
Albus, Demetra, Benedetta, Alastor e Robert applaudivano forte insieme ai Tassorosso. Si mossero verso l’uscita solo quando la Cerimonia di premiazione si concluse.
«Non dormiranno stanotte» scherzò Albus. «Poveri elfi domestici che li devono sopportare».
«Mi piacerebbe riuscire ad intrufolarmi alla festa piuttosto… non credo che ci caccerebbero… insomma abbiamo tifato per loro! E poi siamo la famiglia di Arthur, abbiamo il diritto di festeggiare con lui!».
«Non ci pensare nemmeno, James».
James fino a quel momento aveva camminato all’indietro per poter guardare in faccia gli amici mentre parlava, così si voltò di scatto verso lo zio Neville che li osservava corrucciato e a braccia incrociate. «Su, non mi puoi fare il processo per qualcosa che ho solo pensato di fare» tentò con un sorriso, che però non fu ricambiato. I ragazzi fissarono il loro Direttore, preoccupati per il suo strano comportamento.
«Dove sono gli altri?».
La domanda era stata secca ed il tono metteva in chiaro che non aveva voglia di scherzare. I Grifondoro a disagio si guardarono a vicenda.
«In Sala Comune. Hanno deciso di non assistere alla partita» rispose alla fine Benedetta, facendo un passo avanti. In fondo era un Prefetto e non era sorpresa che il professore fosse arrabbiato per quello.
«Il vostro comportamento è stato ignominioso. Davvero dei belli immaturi che non sono capaci di perdere!».
«Professore, non è giusto che se la prende con noi!» sbottò Robert. «Noi siamo venuti!».
«Robi, ha ragione. Anche se io e Benedetta siamo Prefetti non abbiamo avuto alcun potere e non siamo riusciti a dissuadere gli altri» intervenne James.
«Avreste dovuto dirmelo! Non l’avrei permesso! Di chi è stata l’idea?» disse Neville per nulla ammorbidito. I ragazzi non risposero ed evitarono di guardarlo in faccia. «Bene! Se dovete dire qualcosa ad Arthur fatelo. Tra mezz’ora vi aspetto in Sala Comune. Sono tollerante sempre, ma ora avete superato il limite!».
I ragazzi si affrettarono a raggiungere l’uscita. In realtà nessuno di loro dava torto al professore. Fred, appoggiato da Dominique, aveva deciso che l’intera Casa non si sarebbe presentata alla partita di Tassorosso contro Serpeverde. Se questi ultimi avessero stracciato gli avversari, Grifondoro avrebbe vinto la Coppa; il loro Capitano, però, era consapevole del fatto che Albert Abbott aveva tutte le carte in regola per aggiudicarsi la vittoria e così era stato. Di fatto i coraggiosi e leali Grifondoro si erano rifiutati di assistere al trionfo dei Tassorosso.
«Andiamo, non ho mai visto zio Neville così furioso» borbottò James. Si avvicinarono ai Tassorosso, cercando un buon momento per complimentarsi con Arthur. Fu Albert a vederli, James si accostò subito e gli strinse la mano. «Siete stati fantastici! Una partita preparata nei minimi dettagli! Complimenti!».
«Grazie, Potter. Vuoi che ti libero Arthur?».
«Te lo rubiamo solo per qualche minuto» rispose James.
Albert fece non poca fatica a tirare fuori il piccolo Cercatore dalla folla in festa.
«Ah, Abbott» lo richiamò James, mentre il Capitano giallo-nero stava per tornare dal resto della squadra. «Mi dispiace per il nostro comportamento» mormorò. Albert annuì e gli diede un pacca sulla spalla. «Non me l’aspettavo da voi,» ammise «ma pazienza. Vi farete perdonare». E con un occhiolino si voltò verso la folla che lo acclamava. James si concentrò su Arthur che era tutto scompigliato, ma li osservava con un’espressione triste, che gli fece stringere lo stomaco.
«Mio fratello ha preferito ubbidire agli ordini di Fred, anziché venire a vedere me?».
«Mi dispiace, Arthur. Siamo un po’ incasinati e insomma…» tentò Albus.
«Lascia stare. Gid è geloso, perché lui non è entrato in squadra. Fa niente. Fabiana ha detto che sono stato bravissimo, anche se a lei il Quidditch non interessa. Non assiste alle partite di solito».
«Sei stato grandioso!» disse subito James, scompigliandoli i capelli come se non li avesse già sparati in tutte le direzioni. Continuarono a parlare della partita fino alla Sala d’Ingresso. Ora Arthur era di nuovo entusiasta.
«Alan Avery del terzo anno, ha fatto un sacco di foto! Non vedo l’ora di farle vedere a papà».
Si complimentarono ancora con lui e poi si separarono diretti ognuno alla propria Sala Comune.
Al quarto piano incontrarono Frank e Roxi che ridevano come matti, ma appena li videro la ragazzina nascose qualcosa dietro la schiena.
«Ciao! Che succede? Perché quei musi lunghi?» chiese subito Frank.
«Ha vinto Tassorosso, vero? Abbiamo incrociato dei Corvonero che ne parlavano, ma non ero sicura di aver sentito bene… d’altronde dopo stamattina…» disse Roxi scoppiando a ridere nuovamente.
«Sì, ma non è questo il problema» replicò sospettoso James. «Perché ridete?».
«Nulla, nulla» minimizzò Roxi tornando seria.
«Comunque fareste bene a tornare in Sala Comune» intervenne Benedetta, prima che James iniziasse con un interrogatorio in piena regola.
«Eh?! E perché mai? Noi stavamo andando a farci un giro nel parco» replicò Roxi.
«È una bella giornata per essere la fine di novembre e poi in Sala Comune c’è un clima funeralesco» aggiunse Frank.
«Già. Non si può aprire bocca! Figuriamoci ridere» rincarò Roxi.
«Beh è un ordine del nostro Direttore» tagliò corto Robert.
«Dov’è Gretel?» chiese Albus.
«In infermeria. Ha l’influenza. Perché mio padre ci vuole tutti in Sala Comune?» replicò Frank.
«Per il fatto che gli altri non sono venuti alla partita» iniziò James.
«E poi per gli scherzi che abbiamo fatto ai Tassorosso per tutta la settimana» continuò Robert.
«Soprattutto quelli ai danni dei giocatori della squadra» precisò Benedetta.
«È proprio arrabbiato» mormorò Alastor in un sospiro.
«E voi perché non siete venuti?» chiese curiosa Demetra.
«Non è mai stato obbligatorio assistere alle partite!» sbottò Roxi.
«No, ma l’abbiamo fatto apposta e per denigrare la vittoria dei Tassorosso. Non hai sentito Fred stamattina?» spiegò Benedetta.
«Vostro cugino è impazzito comunque» borbottò Demetra, mentre sconsolati tutti si avviavano verso la Sala Comune. «È vero che ha lasciato July Mcmillan?».
«Sì» rispose James, «ieri sera, dopo che Fred e Belson hanno tentato di affatturare Abbott».
«Non so cosa sia preso a Fred, ma spero che gli passi presto. Non lo sopporto più. Mamma mi ha detto che è perché sta crescendo. A me sembra un’idiozia. Tutti crescono, ma non diventano scemi come lui» disse Roxi.
«Tutti hanno sentito Fred, era difficile non farlo» borbottò Frank. «Ma noi non siamo venuti alla partita perché ci seccavamo».
«Abbiamo trascorso il pomeriggio insieme, lontani dalla Sala Comune e soprattutto da mio fratello» aggiunse Roxi.
«Comunque adesso dobbiamo tornare tutti in Sala Comune. E poi sta facendo buio, non è proprio il caso che andiate in giro per il parco» disse Benedetta, in piena modalità Prefetto. Così nonostante il broncio di Roxi, il gruppetto rientrò in Sala Comune. Come aveva predetto la ragazzina, il clima non era dei migliori: un capannello di ragazzi circondava Fred e Dominique; altri gruppi discutevano stravaccati su poltrone e divani.
«Eccovi! Avete applaudito i Tassorosso?» chiese acido Fred, avvicinandosi a loro. James si fece avanti e lo fronteggiò. «Ora mi stai davvero stancando! Ma che vuoi?».
«Jamie, no!» disse Benedetta trattenendolo per un braccio.
«Oh, il grande James Potter si fa difendere da una ragazza!» ululò Fred.
«Parliamone in privato» sibilò James.
«No! Tutti i Grifondoro hanno il diritto di sapere che razza di traditore sei! Che persona sei!».
«E tu che persona sei, Weasley? Eh? Non ti vergogni? Sei geloso marcio di tuo cugino!» sbottò Robert.
Fred saltò addosso a Robert e i due caddero a terra iniziando ad azzuffarsi. La situazione peggiorò notevolmente quando James, Seby Thomas e Alex Steeval intervennero in aiuto dei rispettivi amici.
«Smettetela» sbraitò Albus. «Non vale! Siete tre contro due!».
«Parker! Fai qualcosa!» strillò Benedetta rivolta al Prefetto più grande.
«No, si arrangino! Potter avrà quel che si merita per voler sempre stare al centro dell’attenzione!».
«Ma sei scemo!».
Ormai era scoppiato il putiferio: le liti iniziate quella mattina ripresero con intensità; molti facevano il tifo per una o l’altra parte che si stava azzuffando; Albus ed Alastor tentavano di dividerli senza successo. Poi all’improvviso scese il silenzio. Tutti si ritrovarono a boccheggiare senza voce. Gli unici rumori provenivano dai cinque ragazzi a terra.
«Alzatevi» ordinò Neville Paciock, facendosi largo al centro del cerchio che si era creato intorno a loro.
I cinque, guardandosi in cagnesco, ubbidirono lentamente. Solo quando furono in piedi davanti a lui, l’insegnante annullò l’incantesimo tacitante, ma nessuno osò aprire bocca.
«Allora? Che cosa avete in testa?». Ancora una volta nessuno aprì bocca. Il professore li fulminò con lo sguardo e si sedette sul bracciolo di una poltrona scarlatta; si passò una mano sul volto nel tentativo di calmarsi e probabilmente affrontare la situazione con razionalità. «Spiegatemi che cosa vi è preso. Il comportamento che avete tenuto nell’ultima settimana non è da voi. Siete stati fin troppo scorretti nei confronti dei vostri compagni…».
«Non sono nostri compagni! Sono Tassorosso!» lo interruppe Fred, sollevando un mormorio di approvazione che si spense subito ad un’occhiataccia del docente.
«Stai scherzando, vero? Siete tutti compagni, indipendentemente dalla Casa di appartenenza! E comunque con il vostro atteggiamento avete gettato fango sulla vostra stessa Casa! Dovreste vergognarvi! I Grifondoro sono leali e puri di cuore. Credete davvero di essere stati leali e corretti? Avete cercato di mettere fuori gioco la Cercatrice di Corvonero, Abbott e Goldstain di Tassorosso! Ditemi se aveste raggiunto il vostro obiettivo e così stamattina avreste vinto, sareste davvero contenti? Ora festeggereste? Eppure mi pare che meno di sei mesi fa vi lamentavate per il comportamento dei Corvonero! Non eravate i primi a dire che Alexander Parker è stato scorretto? Beh voi avete fatto molto peggio!».
«È colpa di Fred! È stato lui a mettere in squadra Belson! Con James avremmo vinto!».
«Rose, non mi pare una giustificazione al vostro comportamento. E non ricordo nemmeno che qualcuno si sia lamentato della situazione. Ho saputo della sostituzione solo stamattina. La verità è che le scope nuove piacevano a tutti, vero? Dovreste vergognarvi anche per questo! Avevate delle ottime scope! I vostri genitori per fortuna non hanno problemi ha darvi il meglio! Voi, invece, avete venduto un compagno per una scopa solo perché è l’ultimo modello. Bravi! Davvero, bravi! Siete una bella delusione!» replicò Neville alzandosi.
Ora i ragazzi tenevano tutti gli occhi fissi a terra e non osavano dire nulla; tutti tranne Fred: «Vuole punirci tutti?» chiese beffardo.
«E che senso avrebbe? Spero che rifletterete bene su quello che vi ho detto. D’ora in avanti non sarò comprensivo come prima con voi. Per riottenere la mia fiducia, vi dovrete impegnare» replicò il professor Paciock dirigendosi verso il buco del ritratto. «Tra cinque minuti voglio i Prefetti, la Caposcuola, Fred Weasley, James Potter, Thomas, Steeval e Cooper nel mio ufficio». Detto ciò uscì nel silenzio totale.
«James» chiamò Rose rompendo il silenzio. Il ragazzo si voltò verso di lei in attesa. «Mi dispiace, Jamie sul serio». La ragazzina lo abbracciò e James ricambiò. «Mi sono lasciata abbagliare da quella bellissima scopa, tradendo te e Grifondoro. Sul serio mi dispiace!».
James sospirò: «Tranquilla, non è la fine del mondo. Il prossimo anno ci rifaremo».
«Sicuro!» disse ella con un ghigno determinato stampato sul volto. I due cugini erano molto legati avendo un carattere affine.
«Anche a me dispiace, James. Avevo una vecchia Nimbus 2010 e quella Freccia Rossa è stupenda. Mi sono lasciato accecare» mormorò Elphias Doge porgendogli la mano. James la strinse, annuendo. Dopo di lui anche Vernon gli chiese scusa a capo chino e così anche Agnes Walcott. Danny Baston, con cui la frattura sembrava ormai irrimediabile, rimase in disparte senza proferire parola.
Tutti gettavano occhiatacce a Fred, additandolo come causa di ogni cosa che era accaduta. James sospirò consapevole che sarebbero seguiti giorni turbolenti per i Grifondoro e per la prima volta in quattro anni temette l’arrivo delle vacanza natalizie: se c’era una cosa che abborriva era l’idea di portare quella lite tra le mura della Tana e coinvolgere inevitabilmente il resto della famiglia. Sperava di cuore che non sarebbe accaduto, ma dallo sguardo che adesso gli rivolgeva Fred in cuor suo comprese che sarebbe stato impossibile riconciliarsi prima.

*

«Bene, per questa sera abbiamo finito James. Il tuo Incantesimo Scudo sta diventando sempre più potente. Davvero bravo!».
«Sì, ma la prima prova?» chiese preoccupato il ragazzo. Aveva messo da parte il terrore che lo tormentava da giorni per tutto l’allenamento, ma ora la sua mente era libera di pensare che ormai mancavano pochissime ore.
«Ne abbiamo parlato fino allo sfinimento. Se sarà una creatura potrai usare un Incantesimo di Ostacolo per rallentarla e ragionare sulla migliore strategia da attuare. Sicuramente dovrete metterla solo fuori gioco per un po’, non certo ucciderla. D'altra parte non ti puoi basare sulla Trasfigurazione Umana, in quanto è livello M.A.G.O. Poi ci siamo esercitati su una serie di Incantesimi che può bloccarla momentaneamente».
«Mio padre ha affrontato un drago» mormorò James.
«Nessuno degli Incantesimi su cui abbiamo lavorato potrebbe far nulla ad un drago. Su questo non ci sono dubbi, ma io spero che siano originali e non copino le prove dell’ultimo Torneo».
«E il lethifold? Lei non mi ha spiegato il Patronus».
«No, non l’ho fatto. Ma James, sii sincero saresti in grado di trovare la concentrazione necessaria in questo periodo? Abbiamo affrontato la teoria. In caso di necessità potrai tentare di metterla in pratica. Dopo le vacanze ci eserciteremo. L’importante è che tu domani sopravviva, come non è rilevante».
«Fosse facile» borbottò James, raccogliendo da terra il suo zaino. Era spaventato anche se non l’avrebbe mai ammesso: fosse stata solo la prova del Torneo non se ne sarebbe preoccupato, ma c’era finito in mezzo perché volevano farlo fuori. Non era una bella sensazione. Agitato com’era fece cadere la borsa aperta e così anche i libri all’interno.
«Lascia che ti aiuti» disse paziente il professor Williams. James si morse il labbro quando vide che cos’era uscito fuori dal manuale di Difesa.
«Questi cosa sono?» chiese sorpreso Williams, impedendoli di riprendersi i fogli di pergamena.
«Ehm… no… nulla… davvero professore…» James tese nuovamente le mani nella speranza che glieli restituisse, ma il professore li allontanò e continuò a leggere.
«State indagando sul personale della Scuola?» chiese dopo averli scorsi tutti rapidamente.
«Ehm… no… cioè sì…» iniziò James, Williams inarcò un sopracciglio in attesa, così alla fine annuì. «Insomma mio padre non ci dice nulla, allora abbiamo pensato di scoprire qualcosa da soli… insomma chi ha messo il mio nome nel Calice è ancora qui, no?».
«Sicuramente. Quindi avete indagato su Sawyer, il Preside Vulchanova, le professoresse Shafiq, Campbell e De Mattheis?».
«Sì» si limitò a dire James, aspettando la ramanzina che era certo sarebbe arrivata a momenti.
«Dove le avete trovate queste informazioni? Qui ci sono accenni al trascorso scolastico di Sawyer e delle mie colleghe».
James si passò nervosamente una mano tra i capelli già di natura ribelli.
«Siete entrati di nascosto nell’Archivio della Scuola, dico bene?» il professor Williams lo squadrò intensamente per qualche secondo, poi fece qualcosa che James non si aspettava: sorrise. «Quando ho messo piede a Scuola ad agosto, la prima cosa che alcuni colleghi hanno fatto è stato segnalarmi alcuni soggetti pericolosi. Tu eri nell’elenco. Trovavano assurdo che la Preside ti avesse nominato Prefetto. Devo ammettere che hai bisogno di essere tenuto costantemente d’occhio». Sospirò e tornò serio, prima di riprendere: «Avete ragione, c’è un alleato della Signora Oscura tra noi, ma proprio per questo non dovreste andare in giro di notte. Ascoltami James, non si tratta semplicemente di infrangere le regole, ma di mettere in repentaglio la vostra vita. Siete abbastanza intelligenti da non compiere stupidi errori».
«Sì, signore ma…».
«Ma uno di questi potrebbe essere il colpevole e dovrete guardarvene. Soprattutto i tuoi amici, cugini e fratelli. La Signora Oscura ha altri progetti per te, come avrai intuito». James annuì ed il professore riprese: «Fate attenzione soprattutto a Vulchanova e Sawyer. Il Preside di Durmstrang non convince nemmeno me. Puoi aggiungere alla scheda che è incensurato, ma è stato lui ad assumere Bellatrix Selwyn come insegnante di Pozioni nella sua Scuola».
«Insegna Pozioni?».
«Già».
«E quindi cosa l’ha spinta ad uccidere i pozionisti più bravi al mondo? Lei non era nella top ten se non sbaglio. Magari per invidia?».
«Potrebbe. Ma non credo sia solo questo. Le informazioni su ciò che ha fatto Sawyer dopo il diploma dove le avete prese invece?».
«Girava voce che fosse un ex-galeotto, così Robert ha chiesto alla Preside, ma non ha voluto rispondergli. Le notizie le abbiamo trovate in vecchi giornali. È un assassino. Come ha fatto ad uscire da Azkaban? Abbiamo fatto il calcolo e non ha scontato tutta la condanna» James decise di approfittare della benevolenza del professore per ottenere qualche informazione in più.
«Infatti gli manca ancora un anno. Lo sta scontando così».
«Eh? La Campbell sono anni che dice che finiremo tutti ad Azkaban da grandi, ma non avrei mai pensato che ci mandassero un galeotto!».
Williams rise: «Non credo abbiano scambiato Hogwarts per una specie di riformatorio checche ne dica la professoressa Campbell. L’assunzione di Sawyer è avvenuta proprio a ridosso dell’inizio delle lezioni; tuo padre non è stato felice, ma la professoressa McGranitt non ha voluto saperne. A quanto pare ha i suoi motivi e non ha voluto condividerli con il corpo docenti. Comunque io starei attento ad entrambi. Per quanto riguarda le mie colleghe, non le conosco ancora bene per poter dire se mi fido o meno. Il vostro giudizio credo sia stato condizionato dalla poca simpatia che provate nei loro confronti. Io ci starei attento con loro, ok? Se fossi in voi non mi farei mai beccare dalla professoressa Campbell a pedinarla. Dubito, però, che loro abbiamo qualcosa a che fare con questa storia. La famiglia Shafiq che io sappia è sempre stata lontana dalle idee purosanguiste più estreme e non vedo perché una donna anziana come Elisabeth Shafiq dovrebbe aver cambiato opinione».
«E la professoressa De Mattheis?».
Williams mise in ordine le pergamene e gliele porse, tutte tranne quella di quest’ultima professoressa. «Sono quasi certo che lei non c’entri assolutamente nulla. Chi è stato a compilare questa scheda? Non è la tua scrittura, né quella di Albus come per le altre. È di Rose?».
«Sì. Io non seguo Aritmanzia. Rose ed Al pensano che sia ehm… insomma abbastanza cattiva per essere legata alla Signora Oscura…» replicò James imbarazzato, in fondo stava sempre parlando di una professoressa e non sapeva quanto potesse essere sincero.
«Capisco. La sua scheda la terrò io e parlerò con Albus. Tua cugina deve imparare a ragionare di più, non ho intenzione di discutere con lei. Lasciate in pace Lucretia De Mattheis, ok? Non appoggerebbe mai i Neomangiamorte».
James non sapeva da dove nascesse tanta sicurezza, ma non protestò.
«Ora vattene a letto, domani sarà una giornata pesante».
«Va bene, signore. Buonanotte».
«Buonanotte, James. Mi raccomando qualunque cosa avrai di fronte domani stai calmo, finché sarai padrone di te potrai trovare una soluzione. Non sarai solo, nel caso la situazione si mettesse male, noi saremmo pronti ad intervenire. Buona fortuna».
James ringraziò ed uscì dall’aula. Maxi Williams rifletté qualche secondo e poi si avviò verso la biblioteca. Come si aspettava vi trovò Albus Potter, Alastor Schacklebolt e con sua sorpresa anche Virginia Wilson di Corvonero.
«Buonasera, ragazzi. Le otto e mezza sono passate, non dovreste essere già nella vostra Sala Comune?» chiese retoricamente.
I tre ragazzi lo osservarono allarmati. «Ci scusi, stavamo studiando e non ci siamo accorti che è scattato il coprifuoco» replicò Virginia Wilson.
Il professore annuì. In realtà sapeva perfettamente che li avrebbe trovati lì: si attardavano sempre in biblioteca ad ultimare i compiti lontani dalle Sale Comuni più caotiche la sera (soprattutto quella dei Grifondoro), complice il signor Bennett che era molto più conciliante di Madama Pince. «Capisco, ma credo sia il caso che torniate nelle vostre Sale Comuni».
I ragazzi annuirono e si affrettarono a raccogliere le loro cose.
«Albus, vorrei scambiare due parole con te. Potresti aspettare un attimo?».
Albus gli gettò una nuova occhiata allarmata, ma assentì (d’altronde anche questa era stata una domanda retorica). Williams non poté fare a meno di pensare, forse per la milionesima volta da settembre, quanto i fratelli Potter fossero diversi e simili allo stesso tempo. Anche se le diversità erano di certo quelle più palesi. All’esuberanza ed alla faccia tosta di James si sostituiva la timidezza e l’indole pacata e tranquilla di Albus.
«Ti tratterò solo pochi minuti» gli assicurò. «Tu segui Aritmanzia, vero?». Poi senza aspettare risposta gli mostrò la pergamena che aveva preso a James. «Per quanto Lucretia De Mattheis possa sembrare una donna fredda e senza cuore non ha nulla a che fare con i Neomangiamorte. Se mi segui ti mostrerò perché».
Albus lo seguì come richiesto verso la sezione delle riviste, dove vi erano conservati tutti i numeri passati della Gazzetta del Profeta. Williams ne cercò uno e glielo porse. «Smettetela di essere ostili nei suoi confronti. Non lo merita» disse. «Buonanotte, Albus».
Il ragazzino, rimasto solo, lesse l’articolo che gli era stato indicato. Conclusa la lettura strappò la scheda sulla De Mattheis e la mise in tasca: nessun altro avrebbe dovuto sapere che avevano indagato su di lei. Sarebbe bastato poco perché a Scuola si diffondessero voci infondate su quella donna.

*


James quella mattina si era alzato con un peso sullo stomaco e la bruttissima sensazione che se avesse toccato una sola briciola avrebbe vomitato. Inoltre aveva dormito male ed i suoi sogni, o meglio incubi, erano stati popolati da creature il cui unico e palese fine era quello di banchettare con lui. Lui era il piatto principale. Sospirò e ringraziò Benedetta per l’ennesimo tentativo di farlo mangiare. Per la prima volta in vita sua accolse con entusiasmo l’idea di dover andare in classe quando Robert annunciò che se si fossero trattenuti oltre avrebbero fatto tardi. Seguì gli amici in silenzio, rispondendo con sorrisi probabilmente poco rassicuranti alle premure di Benedetta ed agli sguardi preoccupati di Robert e Demetra. Aveva evitato Albus per tutta la colazione. Era più agitato di lui. La mattinata fu un vero inferno. Gli sembrava così assurdo concentrarsi sulle spiegazioni e le minacce sui G.U.F.O., per i professori sempre imminenti nonostante mancassero quasi sei mesi, quando una bestia orribile avrebbe potuto farlo fuori da lì a poche ore. La Prima Prova si sarebbe tenuta alle due del pomeriggio per questo tutte le lezioni pomeridiane erano state sospese. Per lo più gli insegnanti ignorarono il suo sguardo perso o rivolto fuori dalla finestra. La prova si sarebbe svolta vicina al Lago Nero o nel Lago Nero. Questo non l’aveva ancora capito, ma di sicuro non lo rincuorava: quello bravo a nuotare era Al, non lui. Il suo elemento era l’aria. L’aria e basta. Non l’acqua!
Al l’ora di pranzo la sua agitazione era ormai fuori controllo. Rispondeva a monosillabi agli altri preoccupati per lui. Anche se a mitigare la sua agitazione ci pensò un pizzico di rabbia instillatagli dalla professoressa Shafiq, che ebbe la cortesia di fargli una lavata di capo perché non aveva studiato gli stupidissimi Incantesimi Tacitanti. Le sue imprecazioni unite a quelle di Robert ed agli insulti di Demetra e Benedetta furono interrotte dallo zio Neville, quando ormai in ritardo per il pranzo raggiunsero la Sala d’Ingresso.
«James! Dov’eri? Ti stavo cercando! Perché non eri a pranzo?».
A quel punto James, per la prima volta da giorni, si dimenticò completamente del Torneo e della prova imminente. «Ma che problema avete tutti? Non è mica obbligatorio mangiare!» sbottò irritato dal fatto che tutti avessero qualcosa da rimproverargli. Il suo stomaco traditore borbottò tutto il suo disaccordo, facendo inarcare un sopracciglio a Neville. «Sì, vabbè sto andando a mangiare» disse allora in tono più mite, ma vendendo l’espressione che si era dipinta sul volto dell’uomo si ritrovò a chiedere: «Che c’è?».
«Jamie, i Campioni devo a recarsi al Lago Nero prima del resto degli studenti».
Il ragazzo deglutì riportato bruscamente alla realtà. Boccheggiò per qualche instante, poi annuì. Fece per seguirlo meccanicamente fuori dal castello, ma prima che potesse fare più di qualche passo Benedetta lo abbracciò. «Andrà tutto bene» gli sussurrò, ma la sua voce tremante non era molto rassicurante.
«Buona fortuna, James» gli disse, invece, Demetra.
Robert gli diede una pacca sulla spalla senza proferire parola.
James con il cuore in gola seguì zio Neville, cercando di tranquillizzarsi, come aveva fatto tutta la notte: era un Grifondoro, era coraggioso e spericolato e quella era solo una nuova avventura. E soprattutto la Scuola pullulava di Auror ed Agenti della Squadra Speciale Magica. Si ripeté queste cose come una mantra per tutto il tragitto e si calmò lievemente. Si fermarono di fronte ad una tenda vicino al Lago Nero. James era senza parole: il Lago non si vedeva più, era circondato da spalti.
«Gli altri Campioni sono già dentro. I giudici vi spiegheranno in cosa consisterà la Prima Prova».
James si voltò verso lo zio e si rese conto che era estremamente pallido. «Su, non può essere così terribile no?» tentò di sdrammatizzare, ma l’espressione dell’uomo non migliorò.
«Senti, Jamie» iniziò incerto, «quando si ha paura di qualcosa… l’importante è mantenere il sangue freddo… so che non è facile, ma… insomma sei un ragazzo coraggioso… prima o poi tutti dobbiamo affrontare le nostre paure e non è sempre terribile come si potrebbe pensare…».
«Zio Neville che stai dicendo?» chiese confuso James.
L’uomo si passò una mano sul volto stanco ed ansioso: «Jamie, ti vogliamo bene. Nessuno permetterà che ti succeda qualcosa, ok? E soprattutto metti da parte l’orgoglio. Nessuno pretende nulla da te» disse stringendogli la spalla con una mano. «Ora, entra».
James non seppe far altro che annuire e fare come gli era stato detto. Il suo cervello lavorava velocemente, ma a vuoto: non era in grado di formulare pensieri di senso compiuto in quel momento. La prima cosa che vide entrando furono gli altri Campioni, ognuno vicino al proprio Preside, Draco Malfoy e Gregory Mullet. «Buongiorno» mormorò.
«Come un vero divo, vero signor Potter? Non sia mai arrivare in orario» lo apostrofò Mullet che sembrava infastidito da qualcosa o peggio dalla sua stessa persona. Il ragazzo senza replicare si pose accanto alla McGranitt.
«Bene» disse subito Malfoy, probabilmente per evitare polemiche, «a momenti inizierà la prima prova. Signor Mullet vuole illustrarla lei?».
Mullet annuì ed iniziò: «La Prima Prova è molto semplice. Avrete a che fare con un serpente marino. Il vostro compito è quello di prendere la bottiglia con dentro l’indizio per la seconda prova custodita dal serpente nel relitto di un vecchio galeone. Il serpente non dev’essere ferito in alcun modo o perderete punti. La vostra prova sarà valutata con un punteggio da 0 a 10 da ciascun giudice. Ora sorteggeremo l’ordine con cui affronterete il serpente».
James era rimasto senza fiato: un serpente!? Ora capiva le parole e la preoccupazione di zio Neville. Ma quale sangue freddo? Un serpentone che sguazza nell’acqua? Voleva morire.
«Potter?» il richiamo ansioso della professoressa McGranitt, lo costrinse a guardarsi intorno smarrito. Malfoy gli stava porgendo un sacchetto. Apolline e Dumbcenka avevano già pescato, quindi la sua era solo una formalità. Odiandosi si accorse che la sua mano tremava mentre tirava fuori quello che si rivelo un serpentello di gomma con un numero appeso al collo. Peccato che comprese che era finto solo dopo averlo lanciato in aria con un urletto. Divenne paonazzo mentre borbottava delle scuse a mezza bocca che probabilmente nessuno comprese. La McGranitt e Malfoy lo stavano guardando come se temessero seriamente della sua sanità mentale; Apolline sembrava leggermente preoccupata forse perché lei sapeva della sua fobia: Domi, traditrice schifosa, gliel’aveva raccontato e da piccole gli avevano tirato un brutto scherzo quando si trovavano a Villa Conchiglia, con un serpente gonfiabile babbano. James deglutì: pessimo ricordo da riportare a galla proprio in quel momento. Vulchanova ed il suo allievo ghignavano nella sua direzione.
«Perfetto, ricapitoliamo» disse Mullet dove avergli lanciato un’occhiataccia. «La prima è la signorina Flamel, poi il signor Potter ed infine il signor Dumbcenka».
«Avete domande?» chiese Malfoy.
I tre Campioni dissero di no. James li osservò per la prima volta con attenzione da quando era entrato nella tenda: erano tesi, ma c’era qualcosa che non gli tornava nelle loro espressioni.
«Bene, allora noi andiamo. Io devo fare la cronaca. Al suono del gong signorina Flamel potrà fare il suo ingresso nell’arena. La fine della prova sarà segnata da un altro gong. Solo a quello successivo potrà entrare lei signor Potter e lo stesso vale per lei signor Dumbcenka» disse Mullet.
«Buona fortuna a tutti» aggiunse Malfoy, prima di lasciare la tenda insieme al collega ed ai Presidi. La professoressa McGranitt strinse eloquentemente la spalla a James, in un gesto simile a quello di Neville, poi seguì gli altri.
James non aveva idea di come comportarsi. Con fatica, dopo aver evitato di avere una vera e propria crisi di panico di fronte ai due ragazzi più grandi, tentò di riportare alla mente quanto aveva studiato insieme a Benedetta sui serpenti marini. Le creature magiche descritte da Scamander gli si confondevano, però, nella testa insieme alle loro definizioni e descrizioni.
«Paura, Potter?».
Sollevò gli occhi su Dumbcenka e gli riservò uno sguardo di fuoco. «Io non ho paura». La sua voce, per fortuna, era ferma ma parecchio roca.
«Lascialo in pasce» disse minacciosa Apolline. Dumbcenka la guardò con disprezzo, ma da quel momento rimase in silenzio.
La provocazione di Dumbcenka servì a James per riacquistare un po’ di lucidità e ricordare le caratteristiche essenziali della creatura: di norma non mangiava gli uomini, anche se aveva un aspetto feroce. Scamander, per ciò che si ricordava, non diceva nulla su come metterlo fuori gioco. Il primo gong lo fece sobbalzare ed incenerì con gli occhi Dumbcenka che aveva ghignato divertito. Apolline era impallidita.
«Buona fortuna» le disse James, quando ella fu sulla soglia della tenda. Ella si voltò e gli fece un cenno con il capo.
Il ragazzo tentò di ignorare la cronaca di Mullet ed osservò il suo rivale. Più il tempo passava più si convinceva che qualcosa non tornava: erano troppo tranquilli. Egli era ofidiofobico e forse la sua reazione era stata esagerata, ma Apolline e Dumbcenka erano stati come rassegnati. Sì, era quella la parola giusta. Rassegnati. Uno strano pensiero gli balenò nella mente, proprio mentre un nuovo gong risuonò nella tenda. Apolline aveva impiegato a malapena dieci minuti. Non era possibile. Non gli piaceva per niente l’idea che gli era venuta in mente, ma non vedeva alternative. Insomma la loro tranquillità e soprattutto la velocità con cui Apolline aveva affrontato il serpente non erano normali. Quando risuonò il gong nuovamente, gli ultimi pensieri di James fu che già sapevano e che non era giusto che non avesse trovato ancora il coraggio di dare un bacio a Benedetta. Poi entrò. Ebbe una fugace visione degli spalti dove i colori rosso e oro risaltavano in larga parte, ma non cercò i suoi amici né i suoi parenti. Si accorse di essere sopra una pedana di legno galleggiante a fior d’acqua. Il suo cuore cominciò a battere e fu contento di aver indossato la leggera divisa da Quidditch, almeno se si fosse buttato in acqua i vestiti non gli sarebbero pesati troppo. Il serpentone non si vedeva da nessuna parte. Individuò i relitti del galeone poco distanti ed ogni speranza di non dover dare prova delle sue abilità nel nuoto morirono miseramente. Strinse con forza la su bacchetta, l’unica protezione che gli era stata concessa. Ridusse gli occhi a fessure alla ricerca del serpente, mentre il pubblico rumoreggiava. Poi vide delle bollicine sospette formarsi sulla superficie del Lago Nero poco distante da lui. Non ebbe il tempo di formulare alcun pensiero concreto che la creatura emerse con violenza, causando un’onda che gli fece perdere l’equilibrio. Il pubblico urlò. La pedana per fortuna non si era rovesciata. James rimase paralizzato ad osservare la bestia. Aveva la testa come quella di un cavallo ed il corpo di un serpente. Il corpo, certo. Un pezzo del corpo. Avrebbe voluto urlare: quei cosi potevano raggiungere i trenta metri. Dov’era la coda? La risposta giunse di lì a poco quando il serpente decise di colpire la pedana con una codata. James urlò con quando fiato aveva nei polmoni attaccandosi disperatamente a quello che ne rimaneva. Era abbastanza per starci all’in piedi. Sempre se ci fosse riuscito. Doveva ammetterlo: non aveva mai avuto così tanta paura in vita sua.  E nonostante il momento poco adatto non poteva far a meno di pensare a quanto tutto quello fosse ingiusto: non aveva chiesto di partecipare a quello stupido Torneo ed i suoi avversari conoscevano già che cosa avrebbero dovuto affrontare. Vide che il serpentone stava per riattaccare e reagì d’istinto: «Farfallus explodit». Il suo obiettivo era quello di distrarlo, ma forse non aveva scelto l’incantesimo migliore. Comunque ebbe la possibilità di prendere fiato e pensarne uno più adatto, senza grande successo. Si preparò a ripetere lo stesso incantesimo, ma sapeva di non poterlo fare in eterno. Come si metteva fuori gioco un serpentone senza ucciderlo? Sempre se avesse saputo come ucciderlo. Improvvisamente ricordò la conversazione avuta poco tempo prima con Benedetta:
«Qui puoi stare tranquillo. Nessun serpente si avvicinerà».
«Come fai ad esserne sicura? Si nascondono sotto le rocce. Per quello che ne sappiamo potrebbero essercene centinaia là sotto».
«No. Perché questa è ofite».
«È cosa?».
«Ofite. I serpenti odiano questa pietra. Se si brucia l’ofite loro rimangono storditi dal fumo e scappano».
Probabilmente stava per fare qualcosa di terribilmente sciocco che nemmeno avrebbe funzionato, ma in fondo non aveva molta scelta.
«Farfallus explodit» disse e mentre delle farfalle luminose confondevano nuovamente il serpente si raddrizzò e tentò di concentrarsi il più possibile. «Accio ofite!». Trascorse un tempo che a James sembrò infinito, mentre il serpentone rifocalizzava la sua attenzione su di lui. Che gli avessero fatto per renderlo così aggressivo, non riusciva proprio a capirlo. Non si era accorto di aver trattenuto il respiro finché non vide un masso verdognolo volare verso di lui. Riuscì con un enorme sforzo a farlo levitare davanti a sé e proprio quando il serpente diede segno di voler partire all’attacco disse:
«Incendio».
La pietra fu avvolta dalle fiamme e lentamente iniziò a bruciare. L'odore che emanava era intenso e colpì violentemente anche le sue narici. Il serpentone si bloccò a pochi centimetri da lui e cominciò a scuotersi provocando delle pericolose onde. Istintivamente James gli avvicinò di più la pietra per farlo indietreggiare e specialmente smettere prima che facesse cadere in acqua anche lui. I minuti si protrassero mentre i movimenti del serpentone diventavano sempre più lenti. Alla fine cadde inerme nell’acqua con uno schianto che sbatté James contro gli spalti. Stordito non si coprì nemmeno il volto per proteggersi dalle schegge e dai pezzi della pedana. Sentì un dolore lancinante alla schiena che lo lasciò senza fiato per alcuni secondi. La parte lucida del suo cervello gli ricordò che la prova non era ancora finita. Doveva prendere la bottiglietta con l’indizio. Si aggrappò al primo pezzo di legno che poté raggiungere. Tutto il corpo gli doleva, ma sapeva di dover far in fretta. Nello scontro la pietra era caduta in acqua e si era spenta, per cui presto il serpentone sarebbe rinvenuto.  Individuò il relitto del galeone che si era spostato notevolmente a causa dell’ondata. Solita sfortuna pensò James amareggiato ed ancora stordito.  Si aiutò con le braccia e si mosse verso il relitto ancora ben attaccato a ciò che rimaneva della pedana. Fu uno sforzo enorme nelle sue condizioni, ma lo raggiunse e solo allora comprese l’aggressività del serpentone, o meglio a questo punto avrebbe dovuto chiamarla serpentona. La bottiglietta che individuò subito era circondata, od almeno lo era stata prima che fossero sballottate, da uova. Facendo forza sulle braccia si issò sul relitto ed imprecò contro Mullet che evidentemente si era dimenticato di avvertirli del dettaglio. Si dispiacque profondamente nel vedere che ben due uova si erano spaccate.  S’incantò per qualche secondo a pensare che quei serpentelli non sarebbero più nati. Chissà se la serpentona si sarebbe accorta che alla covata mancavano due uova. Forse sì, insomma si dice che le madri hanno un sesto senso particolare quando si tratta dei propri figli. James si chiese se sugli spalti ci fosse anche la sua. Poi si riscosse percependo un fremito proveniente dal corpo del serpente: si sarebbe svegliato a momenti. Si affrettò a recuperare la bottiglia e lo stadio scoppiò in urla ed applausi. Per un attimo James temette che avrebbero fatto svegliare il serpentone, poi però alcuni uomini a cavallo di scope si avvicinarono. Quattro o cinque accerchiarono il serpentone; un altro lo aiutò a salire sulla sua scopa e lo portò in volo fino ad una sponda libera del Lago Nero.
«James, sei stato grande!». Per quanto stordito riconobbe la voce di Robert.
«Lasci, ora me ne occupo io» sentì delle braccia forti sostenerlo, mentre scendeva dalla scopa e ci mise un po’ a focalizzare il volto preoccupato di Peter.
«Riesci a reggerti in piedi?» gli chiese. Il ragazzo avrebbe voluto dirgli che era una domanda stupida, poi si rese conto che tutto girava intorno a lui. Probabilmente Peter comprese da solo e con l’aiuto di Robert lo portò dentro la tenda del prontosoccorso quasi di peso. Sentì altre voci note fare il suo nome, ma la sua vista era parecchio annebbiata. Peter lo aiutò a sdraiarsi su una comoda brandina.
«Bevi questo, James. Vedrai che starai meglio».
James con il suo aiuto bevve e solo dopo qualche secondo tornò a vedere quasi chiaramente. Intorno a lui si affollavano Robert, Benedetta che aveva gli occhi rossi, Demetra ed Albus che erano pallidissimi, Lily ed i Malandrini, Alastor, Rose, Roxi, Frank, Gretel, Lucy, Arthur, Louis, Teddy, zio Neville e i suoi genitori. «Come stai, Jamie?» chiese Ginny Potter che aveva il viso sconvolto. James pensò di nuovo a quelle povere uova. «A pezzetti» borbottò.
«Prendi questa pozione. Tra poco ti potrai alzare ed andare a vedere il punteggio. Per rimetterti in sesto avrai bisogno di un bel po’ di riposo» disse Peter tornando nel suo campo visivo.
«Ad un certo punto ho temuto che saresti affogato».
«LUCY!!!!» gridarono tutti, facendo pulsare la testa a James.
«Oh, scusate. Avete pensato anche voi al peggio quando avete visto il serpente!» si difese la ragazzina.
«Prova ad alzarti» suggerì Peter, prima che iniziassero a discutere.
James obbedì, ma nonostante la pozione sentì le gambe molli e tremanti. Una stretta forte lo sorresse. Suo padre. Aveva uno sguardo insolitamente fermo e serio. Non avevano mai parlato di persona da quando era diventato Campione.
«Lo aiuto io, signor Potter» si offrì Robert. «Forza andiamo a vedere il tuo punteggio! Cavoli, mi hai fatto morire James!».
I ragazzi non videro il lieve sorriso che fiorì sulle labbra di Harry Potter.
«La francesina ha preso un ottimo punteggio. Si è trasfigurata in modo da avere le ali di un uccello, ma ha fatto in modo di mantenere le mani normali. Ha confuso un po’ il serpente e poi si è fiondata sul relitto ed ha afferrato la bottiglietta. Ha preso ben 47 punti. Figurati se quell’imbroglione di Vulchanova le avrebbe dato il massimo. Quella ragazza è un portento, piena di sorprese!».
«Ho rotto due uova» lo informò James.
«Questo ti farà perdere punti, ma pazienza. Sei stato forte comunque. Benedetta mi ha spiegato quella cosa che hai fatto con l’ofite!».
Robert lo accompagnò fino ad un’altra pedana proprio sotto gli scranni dei giudici. Avevano percorso una semplice passerella di legno per raggiungerla, ma James aveva già il fiatone.
«Ecco, guarda».
Madame Maxime mosse elegantemente la sua bacchetta, da cui fuoriuscì un otto. Subito dopo toccò a Vulchanova che gli diede un tre.
«Beh meglio della Shafiq» mormorò divertito di fronte all’espressione indignata di Robert.
«È un bastardo. Non ci sono altre spiegazioni! Tre è davvero poco!» ribatté l’altro.
Con soddisfazione di James un otto fu la valutazione anche della McGranitt. Mullet gli diede un sette e Malfoy un otto.
«34! Non è tanto male!».
«Insomma» borbottò James, «sono sicuro che anche Dumbcenka sarà impeccabile».
«Che cosa vuoi dire?».
«Che hanno imbrogliato. Loro sapevano cosa avrebbero dovuto affrontare. Ci scommetterei qualunque cosa!».

Angolo autrice:

Ciao a tutti! Ecco un nuovo capitolo! Finalmente il Torneo è iniziato e James ha affrontato la sua prima prova! A me sembra anche abbastanza egregiamente :-D Voi che dite?
Per il resto in questo capitolo si vede come i ragazzi stanno procedendo nelle loro indagini. Fred ha decisamente perso il controllo, chissà se si darà una calmata e tornerà insieme a July.
Forza, ditemi un po' il vostro parere. NAturalmente anche le critiche sono ben accette se costruttive ;-)
Alla prossima,
Carme93
 

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Capitolo 19
*** Spensieratezza ***


Capitolo diciannovesimo
Spensieratezza
 
«È normale» commentò Harry, ma di fronte all’espressione scioccata ed indignata di James si premurò di specificare: «Gli imbrogli sono tipici del Torneo. Non te l’ho raccontato un milione di volte? Hai sempre adorato la storia del Torneo Tremaghi. E non ti ho mai nascosto che sono stato aiutato».
«Beh adesso odio quella storia» sbuffò il ragazzo. «E si può sapere perché a me nessuno ha detto nulla?».
«Perché la McGranitt è una donna ligia alle regole e corretta, non imbroglierebbe mai e nemmeno si abbasserebbe a livello di gente come Vulchanova» replicò Harry.
«Chi cavolo se ne frega delle regole? Ha messo a repentaglio la mia vita!».
«Tecnicamente no. Le prove sono fatte in modo da non fare davvero male ai Campioni. C’erano guardiamaghi pronti ad intervenire per tutto il perimetro».
«Ma nessuno ha fatto nulla per ucciderlo» s’inserì Albus colto all’improvviso da quel pensiero.
«No» assentì il padre pensieroso.
«Meglio così» disse ferma Ginny Potter.
«Perché non l’hanno fatto?» insisté Albus, beccandosi un’occhiataccia dalla madre. Harry si limitò a sospirare, poi dopo aver riflettuto ancora disse: «Forse volevano metterlo alla prova… vedere come se la sarebbe cavata… In fondo hanno altre due prove».
«È possibile che sapessero che sono ofidiofobico?» chiese James. «Dumbcenka mi guardava divertito».
«Può darsi» sospirò ancora Harry. «Ora dobbiamo andare, però. I tuoi compagni ti staranno aspettando per festeggiare. Lily, Al perché non accompagnate la mamma all’Ingresso?».
I due ragazzi annuirono, consapevoli che lo scopo principale del padre fosse quello di rimanere da solo con James.
«Jamie, perdonami».
James osservò sorpreso il padre. «Io? Perché?».
«Avrei dovuto proteggerti ed evitare questo stupido Torneo. E poi se colpiscono te, lo fanno per colpire me».
«Sarai anche Harry Potter, ma non puoi decidere sempre tutto» replicò James incupendosi. «Meglio così» aggiunse amaro.
«Che c’è?» indagò Harry, perplesso per quel tono.
«Nulla di importante».
«James, che ti passa per la testa?».
Questa volta fu il ragazzo a sospirare. «Alle volte essere figlio tuo è… insomma… difficile…».
Harry annuì senza sapere che cosa dire. «Anche essere me è difficile, ed essere un buon padre… o quanto meno decente… mi viene molto difficile… alle volte improvviso con un enorme paura di farvi soffrire…».
«Non intendevo questo!» replicò James, senza guardarlo negli occhi. «È difficile essere i figli di Harry Potter! Io non so se ti rendi conto di quello che hai fatto e di quello che sei!».
«No, forse no. La verità, però, è che la gente ingigantisce le cose. Io non sono mai stato solo. Mai. Ho sconfitto Voldermort perché con me c’erano Ron, Hermione, Neville, tua madre e tanti altri maghi, decisamente migliori di me. E soprattutto ho avuto fortuna» fermò sul nascere le sue proteste. «Sì, credo di essere un mago capace. Non dico questo. Non sono fuori dal normale, però».
«Il problema sono proprio gli altri, papà! Non tu. Gli altri mi guardano e cercano qualcosa di te in me. La maggior parte. Ci ho messo tempo a capirlo, ma è così. Danny e Tylor cercavano te in me, non me! E non sono gli unici! Pensano che debba essere come te o come i Weasley… tipo la fissa per il Quidditch… lo odoro, ok? È il mio sport preferito. Però per me è solo un modo per divertirmi. La gente non vuole divertirsi con me, vuole che io vinca sempre, come te… e poi… quando sono bravo in qualcosa la gente pensa che dipenda da te. Ho il massimo dei voti in Difesa, ma tutta la classe pensa che sia così solo perché Williams è uno dei tuoi Auror! Mi fa schifo questa cosa!» sbottò James.
Harry lo scrutò amareggiato e James distolse subito gli occhi di nuovo: forse non l’avrebbe mai ammesso a voce alta, ma lui voleva assomigliare a suo padre, voleva diventare un buon mago; ma avrebbe voluto farlo come James, non come la brutta copia di Harry Potter.
 «Mi dispiace, James. Non so che dirti. Non mi pento di nulla di quello che ho fatto. Per evitare che la gente pensi, che avrei dovuto fare? Non sconfiggere Voldermort o non avere voi? Avere te, Al, Lily e la mamma per me è stupendo. Non scambierei questa vita con nessun altra. Mi dispiace per i problemi che voi vi fate, ma ti assicuro che io non vi vorrei diversi da quello che siete, nemmeno di una virgola. Però sono contento che tu abbia iniziato ad essere soltanto James. Credevi che non me ne fossi accorto? La tua ostentata arroganza è sparita. Forse non te ne sei accorto, ma è così. Smetti di pensare alla gente. Non serve a niente. Non puoi aspettarti che tutti ti approvino, non inizierai mai a vivere se no. James, tu sai di meritarti i voti che prendi dalla T in Incantesimi alla E in Difesa. Lo so io, lo sa la mamma, lo sa Williams. Gli altri che non sanno chi sei, quanta importanza hanno?».
«Hai ragione, ma mi danno fastidio» borbottò James.
Harry sorrise. «Beh questo è poco ma sicuro. Ci devi fare l’abitudine. Sai quante volte ho litigato con i Serpeverde? Prova a chiederlo alla McGranitt e vedi che ti dice».
Anche James si aprì in sorriso. «Meglio di no… preferirei evitare la Presidenza… Non si sa mai».
Harry rise e gli circondò le spalle con un braccio. «Andiamo dagli altri. E non perdere la tua allegria mi raccomando. Ce la faremo insieme».
James annuì, poi prima di raggiungere gli altri disse: «Senti per la T in Incantesimi…».
«Nemmeno la mamma te ne ha voluto parlare, perché dovremmo farlo noi?» lo interruppe Harry con un ghigno divertito stampato in faccia.
«Non rideresti se avessi a che fare con la Shafiq tutti i giorni!» s’indignò James.
«Ma tu non hai visto la faccia di tua madre quando stavamo scendendo nella tenda del prontosoccorso e la Shafiq l’ha fermata per dirle questo. Merlino, per un attimo mi sono chiesto se avrei avuto il coraggio di arrestare mia moglie per aggressione o peggio per omicidio».
James allora scoppiò a ridere sentendosi finalmente molto più leggero. Salutati i genitori, i tre fratelli si diressero verso la loro Sala Comune.
«Non lo fare mai più» disse Lily, bloccando James fuori dal ritratto della Signora Grassa.
«Cosa?».
«Farmi spaventare come oggi! Avrei voluto raggiungerti, ma Ali, Hugo e Marce me l’hanno impedito!».
James sorrise e l’abbracciò di slancio. «Non è che l’abbia deciso io, eh? Comunque farò del mio meglio, promesso. Non mi piace rischiare la pelle, men che meno con un serpentona arrabbiata».
Albus e Lily risero, poi tutti e tre insieme, ignorando le domande assillanti della Signora Grassa, entrarono. Un forte boato accolse James.
«Viva Potter!».
«Vai James!».
«Sei stato grande!».
James sorrise stupidamente e si lasciò trascinare dai Grifondoro festanti.
«Dove l’avete preso tutto questo cibo?» chiese James fiondandosi sopra un vassoio di sandwich, mentre i compagni lo tiravano da una parte all’altra.
«Opera dei Malandrini» replicò Robert accanto a lui.
«James, whisky incendiario o qualcosa di babbano?» chiese Belson.
James lo guardò malissimo: certo che ne aveva di coraggio. «Non voglio niente da te, Belson! E questa roba non dovrebbe nemmeno avvicinarsi alla nostra Sala Comune!».
«Ma Jamie, noi siamo amici dal primo anno» si lamentò l’altro alitandogli addosso per quanto era vicino. James infastidito dall’odore dell’alcool si allontanò.
«Daaaii Potter, facci vedere quella bottiglia» lo incitò un ragazzo del settimo anno.
«Forza, leggi quell’indizio» rincarò un ragazzino più piccolo.
Eccitato James obbedì. Recuperò la bottiglia e mentre la Sala diventava silenziosa in attesa, tentò di togliere il tappo di sughero. Tirò più volte senza successo, poi sollevò lo sguardo sui compagni. «Non si apre» disse sorpreso. Robert disse «Fammi provare», così gliela passò. Per un po’ la bottiglietta passò per le mani di tutti i Grifondoro, ma alla fine ritornò al proprietario.
«Dev’esserci qualche incantesimo o qualche trucco» si arrese Robert. «Hai tempo per pensarci, adesso divertiti».
James seguì il suo consiglio ed imitò i compagni che avevano già dimenticato la bottiglietta. La festa durò fino a tarda notte e terminò solo perché Neville ritenne opportuno intervenire per evitare una sfuriata della McGranitt.
*
«Buongiorno a tutti, vi ruberò solo qualche secondo. Come molti di voi sapranno, un avvenimento importante del Torneo Tremaghi è il Ballo del Ceppo. Il suo scopo è quello di favorire maggiormente la conoscenza tra le nostre Scuole. Il Ballo si terrà nel periodo di Natale. Nei prossimi giorni vi sarà comunicato il giorno preciso. Vi auguro di trascorrere una buona giornata ad Hogsmeade e vi raccomando di essere delle buone guide per i nostri ospiti e, come sempre, di farli sentire come se fossero a casa loro».
«Non è che quelli di Durmstrang invitino a baci e abbracci» borbottò Roxi.
«Poco ma sicuro» assentì Gretel, seguendo il suo sguardo puntato sul tavolo dei Serpeverde. I ragazzi di Durmstrang era fin troppo silenziosi, con l’eccezione della ragazzina con cui aveva stretto amicizia Arthur.
«Sembra che nascondino sempre qualcosa» sussurrò Frank.
«Già. Comunque non è un problema nostro» disse Roxi con un ampio sorriso. «Pronti ad assaltare Mielandia?».
«Come sempre» risposero in coro Frank e Gretel.
«Allora andiamo. Dobbiamo comprare anche i regali di Natale. Sapete già cosa comprare?».
«Insomma» replicò Frank pensieroso. «Ci sto ancora pensando».
«Mia madre spera che io venga invitata per il Ballo» disse con una smorfia di disgusto Gretel. «Mi ha mandato dei soldi per comprarmi un vestito alla boutique Dupois».
«Eh?! Quanti cavoli di galeoni ti ha mandato?» chiese sorpresa Roxi.
«Più di quanti ne abbia mai toccati tutti insieme» rispose ella eccitata. «E naturalmente non ho nessuna voglia di comprare un vestito né di andare ad uno stupidissimo Ballo. Tanto non mi inviterà nessuno. Potrò sempre dire questo a mia madre. Non mi chiederà i soldi indietro».
«Quindi noi del terzo non possiamo andarci?».
«Non lo sappiamo ancora, Roxi. La Preside lo specificherà nei prossimi giorni, immagino» replicò Frank. «Comunque nemmeno io ho tanta voglia di andarci».
«Concordo» disse Roxi. «Mio padre sarà sicuramente in negozio. Viene sempre quando c’è l’uscita ad Hogsmeade. Devo andare a salutarlo. Se per voi non è un problema ci andrei subito. Mi darà sicuramente qualche galeone».
*
«Sapete già chi inviterete al Ballo?» domandò curiosa Demetra.
James quasi si affogò con la sua burrobirra e si affrettò a negare, non riuscendo ad evitare di lanciare uno sguardo a Benedetta, che a sua volta era arrossita.
«No, ma io non so ballare, quindi…» mormorò Benedetta.
«Io sono fidanzato» disse Robert.
«E allora? Guarda che puoi invitare qualcuna anche come amica!» replicò Demetra. Robert bevve un lungo sorso della sua burrobirra e poi disse: «Ok, allora va bene. Tu hai già un accompagnatore?».
Gli altri tre lo fissarono sorpresi, poi Demetra rispose: «No. Vuoi che andiamo insieme?».
«Sì, se ti va».
Demetra arrossì lievemente e poi annuì. «A questo punto devo assolutamente trovarmi un vestito! Vieni Benedetta?».
La ragazza scrutò l’amica già in piedi con un certo nervosismo. «Dove dovremmo andare?».
«A comprare un vestito elegante».
«C’era scritto nella lista del materiale scolastico. Se non l’ho portato, ci sarà un motivo».
«Per comprarlo qui, naturalmente!» trillò Demetra.
«Veniamo anche noi» saltò su James, quando una rassegnata Benedetta si preparava a seguire l’altra Grifondoro. Robert gli rivolse uno sguardo truce, che James ignorò bellamente mentre pagava e seguiva le ragazza fuori dai Tre Manici di Scopa.
«Da dove cominciamo?» chiese James.
«Il negozio di abiti babbani. Non costa molto e vende abiti per ogni occasione» rispose prontamente Demetra.
«Ma sei impazzito?» sibilò Robert all’orecchio di James.
«No, voglio solo far loro compagnia».
Robert alzò gli occhi al cielo, pensando che lo scopo dell’amico non fosse solo questo. «La verità, James! O non ti seguirò in questa cosa».
«I Campioni devono aprire le danze, me l’ha detto papà. Io devo avere una partner o la McGranitt mi ucciderà. Magari accompagnandole riuscirò a chiederlo a Benedetta».
«Ti darò una mano» concesse Robert con un lieve sorrisetto malizioso.
Procedettero per qualche minuto lungo la High Street, poi un’entusiasta Demetra li guidò in una traversa a destra. La stradina acciottolata era luminosa quanto la principale. Il villaggio di Hogsmeade era cresciuto parecchio dai tempi dei loro genitori: maghi intraprendenti avevano aperto nuovi negozi, proprio come quello a cui erano diretti, e molti avevano deciso di trasferirsi, soprattutto tra i Purosangue, nell’unico villaggio interamente magico della Gran Bretagna.
«Eccoci!» disse felice Demetra.
L’insegna del negozio recitava Liberty. L’edificio risaltava in mezzo alla fila di villette, che lo circondavano: era molto colorato e nelle vetrine erano esposti vestiti di tutti i tipi.
«Entriamo» disse James scuotendoli.
L’interno era ancora più sorprendente. Era evidente che fosse stato allargato con la magia, soppalchi e vari livelli dati dal pavimento sopraelevato.
«Buongiorno! Posso aiutarvi?» domandò loro una voce squillante. Apparteneva ad una ragazza, che dimostrava all’in circa una ventina di anni ed indossava dei semplici jeans strappati alle ginocchia ed una maglietta bianca con il nome del negozio a lettere cubitali.
«Sì, grazie. Cerchiamo vestiti da cerimonia» rispose Demetra.
«Per tutti e quattro?».
«No, solo per le ragazze» rispose Robert.
«Perfetto, venite con me».
Seguirono la ragazza in quello che dopotutto era un vero e proprio labirinto. «Quanto volete spendere?».
I ragazzi si osservarono a vicenda. «Non più di una cinquantina di galeoni» rispose Demetra.
«Anche di meno» mormorò imbarazzatissima Benedetta. «10-15 galeoni… sono già tanti…».
«Ok, ora vi mostro qualcosa».
James e Robert decisero che non avrebbero più creduto alle parole delle donne: qualcosa era diventato un intero piano di abiti, che Demetra costrinse Benedetta ad indossare e loro a fare da consiglieri.
«Questo no» disse subito Robert, quando Demetra uscì dal camerino con un lungo vestito fucsia ed una specie di mantellina che le ricadeva sulle spalle.
«Già questo colore non piace nemmeno a me».
Benedetta indossò un abito turchese senza il minimo entusiasmo, non sarebbe mai stata a suo agio con qualcosa del genere addosso. Quando uscì dal camerino fece una smorfia che avrebbe voluto scoraggiare ogni commento da parte dei due ragazzi.
«Ti sta bene» disse Demetra.
Benedetta la fulminò con lo sguardo. «No, no è troppo scollato… insomma siamo a dicembre».
Demetra alzò gli occhi al cielo melodrammatica. «Per questo c’è la stola. Ragazzi, voi cosa ne dite?».
«Deve piacere a lei» tentò diplomatico Robert, preoccupato dall’espressione di James, cui tirò una gomitata perché dicesse qualcosa.
«Sì, sì hai ragione. E poi non mi piace. Sembra più grande…». James approfittò del momento in cui entrambe le ragazze erano nei camerini e si rivolse all’amico: «Merlino, se la invita qualcun altro io muoio… hai visto le sue spalle? Sono così bianche…».
Robert lo scrutò per qualche secondo poi sentenziò: «Ormai ti ho perso…».
«No! Sii serio! Sei il mio migliore amico! Mi devi aiutare!».
«E così come sto?» li interruppe Demetra.
Indossava un vestito dorato, la parte superiore era una specie di corpetto brillantato e la parte inferiore era ampia e gonfia.
«No, Merlino. Non puoi prendere qualcosa di semplice?» chiese Robert un po’ bruscamente. Demetra lo fulminò.
Alla fine, cioè dopo due ore di agonia per i due ragazzi, Demetra scelse un vestito che arrivava alle ginocchia, rosa chiaro: sopra ricamato e sotto velato, con nastro satinato alla vita sempre dello stesso colore.
«Bene, signorina sono 40 galeoni. Proprio come voleva lei» disse la commessa. Demetra sorrise.
Benedetta, invece, aveva molte più difficoltà nella scelta. Si vedeva che era visibilmente turbata e sarebbe voluta uscire al più presto da lì. James si avvicinò per parlarle a bassa voce. «Che succede?».
«Questa cosa del Ballo è davvero stupida. Non ci voglio andare. E poi…» tentennò un attimo ed aggiunse, «chi mi inviterebbe? Insomma a parte te e Robert nessun ragazzo mi calcola... Mi aiuti con Demetra? Voglio andarmene da qui».
James vide i suoi occhi lacrimosi ed annuì. «Ad un patto, però».
«Quale?».
«Misuri un ultimo vestito. Uno che ho visto io».
«Va bene, ma poi ce ne andiamo e non parliamo più di questa storia, ok?».
«Promesso» disse James portandosi ostentatamente una mano sul cuore facendola scoppiare in un risolino nervoso. Sorrise e le porse un abito blu notte, con le spalline decorate con dei finti diamanti.  Quando uscì dal camerino per poco a James non venne un colpo: era davvero bella.
«Stai benissimo! Su, non puoi rifiutarti di prendere questo!» intervenne subito Demetra.
«No, io non…» tentò Benedetta a disagio.
«Ma come non ti piace?» insisté l’altra. Benedetta rivolse uno sguardo supplichevole a James.
«Robi, perché tu e Demetra non scendete a pagare il suo vestito? Cerco io di convincere Benedetta».
Appena rimasero da soli, James si avvicinò all’amica. Il suo cuore batteva in modo anormale. «Stai davvero bene. Che problema c’è?» le chiese dolcemente.
Ella era arrossita. «Costa troppo, Jamie. Sono 60 galeoni. Sei andato a scegliere uno dei vestiti più costosi!» mormorò.
James rimase senza parole e si diede mentalmente dello stupido: appena aveva visto il vestito aveva pensato che le sarebbe stato a pennello, ma non aveva guardato il prezzo. Avrebbe voluto spiegarglielo, ma quando aprì la bocca disse semplicemente:
«Scusa, non l’ho fatto apposta».
Scesero le scale insieme e James avrebbe voluto consolarla e dirle che nessun altro avrebbe dovuto invitarla perché lui la voleva al suo fianco e non le interessava come si sarebbe vestita, ma ancora una volta non trovò il coraggio. Quanto meno, però, riuscì a proporre qualcosa di più sensato. «Ti va una cioccolata calda? Oggi fa davvero freddo. Credo che, se non stanotte, nei prossimi giorni nevicherà».
«Magari, adoro la neve. Anche se non sopporto il freddo. Una cioccolata sarebbe perfetta».
«Dopo mi aiuterai a trovare un regalo per mia mamma?».
«Ok, anche se non sono molto brava in queste cose».
«Lo sei più di me e tanto basta» le sorrise James.
*
«Abbiamo preso tutto?» chiese Gretel.
«Mi pare di sì» replicò Frank pensieroso.
Roxi annuì avventandosi sulla sua cioccolata calda. «Mi passi quei biscotti al cioccolato?».
Frank le porse il piatto.
«A che pensi?» gli chiese Gretel.
Il ragazzino scrollò le spalle e si concentrò sulla sua tazza. «Calliance».
«Senti, devi ignorare i suoi insulti. Ne abbiamo parlato all’infinito» sbuffò Roxi.
«La prossima volta che mi darà fastidio, giuro che gli risponderò a tono» disse deciso Frank.
«Questo è un buon proposito» commentò Gretel.
«Attenzione» saltò su Roxi, facendoli sobbalzare. Frank e Gretel iniziarono a guardarsi intorno chiedendosi che cosa avesse visto. Roxi, invece, si sporse in avanti ed affondò due dita nella panna che ricopriva la cioccolata di Frank e poi prima che questi potesse reagire gli disegnò due folti baffi sulle labbra. «Se continui a rimuginare sempre troppo sulle cose, diventerai vecchio e brontolone».
Scoppiarono tutti e tre a ridere. «Chi ti dice che da vecchio avrò i baffi?» chiese divertito Frank.
«Preferisci la barba?» chiese Roxi, mentre già passava ai fatti. Risero ancora più forte.
«Pulisciti» disse frettolosamente Gretel lanciandogli un tovagliolo. «È entrato Mcmillan».
Frank obbedì, ma la ridarella dei tre non si placò.
«Roxi, hai le mani sporche vero?» chiese una volta più calmo Frank.
«E dove avrei dovuto lavarle?».
«E io ora come me la bevo?».
«Togli la panna con il cucchiaio» propose Gretel, dopo che avevano smesso di sghignazzare per l’ennesima volta.
«Dobbiamo fare qualcosa di divertente» propose Roxi.
«Stamberga Strillante?».
«Non è che sia molto divertente» mormorò Frank.
«Possiamo sempre farci una passeggiata prima di tornare al Castello» continuò Roxi.
«Che farete durante le vacanze?».
«In famiglia, come sempre» rispose Roxi e Frank annuì.
«Forse quest’anno riesco a convincere i miei a festeggiare il mio compleanno con degli amici. Voi ci verreste?».
«Certo, che domande!» rispose con un ampio sorriso Roxi.
«Sì, va bene» replicò Frank.
«Ah, ragazzi. Stanotte ho finito i disegni del Diario. Guardate» dallo zainetto Roxi tirò fuori una specie di quadernone pergamenaceo. Che ne dite?
«Sono bellissimi» sussurrò Frank.
«Siete grandi ragazzi».
«Volevo solo che la storia dei Fondatori non andasse perduta» borbottò imbarazzato Frank.
*
«Quindi noi potremmo o non potremmo andare al Ballo? E se ci imbucassimo? Insomma tra tutti gli studenti che ci saranno potranno accorgersi di noi?».
«Amy» iniziò paziente Emmanuel Shafiq, «Non sappiamo ancora se ci sarà permesso. La Preside non ha detto nulla. E comunque sì, se ne accorgerebbero. Ci conoscono».
«Che palle» commentò la ragazza.
«Non sei per nulla fine, Mitchell» disse infastidito Pratzel.
«Sei solo geloso, Pratzel perché nessuno ti vorrebbe come accompagnatore».
«Come osi?!».
«Sei brutto, brufoloso ed antipatico» disse Amy.
«Amy! Come ti salta in mente?!» disse Emmanuel. «E tu posa quella bacchetta!» aggiunse tentando di bloccare la mano dell’amico.
«Io non ho paura di una palla di lardo» replicò Amy estraendo la bacchetta a sua volta. «Stupeficium».
Emmanuel si scostò appena in tempo e così anche Pratzel che passò subito al contrattacco. «Evertestatim!».
Amy evitò l’incantesimo e gridò: «Gambemolli». Sta volta centrando l’obiettivo.
«Stronza! Stupeficium!».
«Sei lento, Pratzel! Non sarai mai al mio livello».
«Smettetela o finiremo nei guai!» disse Emmanuel frapponendosi fra i due compagni.
«Sai una cosa, Shafiq? Mi hai rotto anche tu con il tuo buonismo» sbottò Pratzel.
«Sì, spostati. Lascia che lo sistemi per le feste! Così vedrà cosa sa fare l’Americana» intervenne Amy spingendolo di lato.
«Me ne occupo, io» disse una voce alle sue spalle: Samantha Tylerson. «Ora basta, o sarò costretta a togliere punti a Serpeverde».
Emmanuel, visto che la situazione era ora nelle mani della loro Caposcuola, si voltò e si avviò da solo lungo High Street. Vagò per un po’ a caso: era rimasto profondamento turbato dalle parole dei due compagni, soprattutto di Pratzel. Vicino alla Boutique Dupois trovò un gruppetto di Corvonero del suo anno. Subito individuò Fabiana. Le salutò, avvicinandosi.
«Ciao, Emmanuel» disse la piccola Weasley arrossendo lievemente.
«Ti va di fare un giro insieme a me?».
«Sì, ok» rispose Fabiana divenendo sempre più rossa. Le sue amiche ridacchiarono. «Allora cos’hai?» gli chiese sorprendendolo. «Sei triste».
Il ragazzino le raccontò del litigio fra i compagni.
«Lasciali perdere. Sono stupidi. Di Pratzel l’ho sempre pensato. La Mitchell, invece, attacca briga con tutti. Da quando è arrivata vi ha fatto perdere un sacco di punti».
«Già, ma ti assicuro che non è male. È simpatica, ma poi se ne esce con questi modi violenti».
«Magari è arrabbiata e si sfoga così. Ho sentito dire che i suoi hanno divorziato. Dev’essere davvero brutto. Io non sopporterei mai se i miei prendessero una decisione del genere e loro litigano spesso».
«I miei non litigano quasi mai, ma alle volte ciò mi fa ancora più paura. Sembrano troppo perfetti. È normale che i genitori litighino. E poi da tempo ho scoperto che i miei non parlano mai davanti a me di ciò che li preoccupa».
«Lo fanno perché ti vogliono bene. Sai quanto mi fa male sentire i miei litigare?».
«Secondo me in ogni cosa ci vuole una via di mezzo, anche in questo caso. Non sono più un bambino io, ed i tuoi dovrebbero contenersi un po’».
«Sono d’accordo, ma tanto gli adulti vedono più facilmente i nostri errori e non i loro».
«Senti, ti va se durante le vacanze ci incontriamo per studiare insieme?».
«Sì, ma insomma i tuoi vorrebbero?».
«Perché non dovrebbero?».
«Beh sono una Weasley ed i tuoi…».
«Non dire idiozie… Mi hanno insegnato a non fare alcuna discriminazione. Ti troveranno simpatica».
*
«Scommettiamo che Elphias ed Isobel sono stati tutto il giorno da Madama Piediburro?» chiese ghignando Rose.
«Sicuro e dove se no?» rincarò Scorpius ridacchiando insieme a Cassy.
«Ma quanto siete infantili» borbottò Albus.
«Dimmi, mio piccolo Al» iniziò Rose, facendo ridere Cassy e Scorpius, mentre Dorcas e Alastor assunsero un’aria preoccupata. «hai intenzione di studiare al posto di andare al Ballo del Ceppo?».
«Sì» rispose semplicemente il ragazzo, sorprendendo tutti. «Devo finire di tradurre il libro che ho trovato in biblioteca».
«Quando ci dirai di cosa parla?» approfittò Scorpius. Albus dal momento in cui aveva percepito il loro scarso entusiasmo per il nuovo possibile indizio, aveva deciso di non dir loro nulla.
«Quando finirò di tradurlo. Penso di farcela entro la fine delle vacanze».
«È vero che vostro cugino ha perso la spilla?» chiese Scorpius.
«Sì» rispose seria Rose. «Zio Neville ha ritenuto che Fred non meritasse di essere il Capitano».
«E ancora non ci parla. Hai visto stamattina, nemmeno ci ha salutato» aggiunse Albus.
«È lui quello che ci perde. Io spero che l’anno prossimo la daranno a me la spilla».
«Rose! Come fai a dire certe cose! Stiamo parlando di Freddie!» la rimproverò Albus.
 «Fred ha avuto la sua possibilità» replicò la ragazzina con occhi bramosi.
 
Angolo autrice:
Ciao a tutti!
Ecco un nuovo capitolo, decisamente molto più tranquillo rispetto al precedente (da qui il titolo). Ho ritenuto necessario inserire il confronto tra James ed Harry, in quanto ritengo che sia inevitabile che la maggior parte della gente guardi in modo diversi i figli di Harry ed ognuno di loro reagisce in modo diverso, ma appunto come dice Jamie il problema sono gli altri. Tale riflessione non è stata senz’altro immune da “Harry Potter e la Maledizione dell’erede”, non so cosa ne pensiate voi, ma io non sono rimasta particolarmente entusiasta. Per il resto si tratta di un capitolo di transizione, dove non succede nulla di particolare se non i continui e fallimentari tentativi di James con Benedetta.
Per quanto riguarda i prezzi dei vestiti: ho letto da qualche parte che un galeone corrisponde a circa 5 sterline e ho utilizzato questo criterio.
Il diario di cui parlano Frank, Gretel e Roxi è quello della leggenda dei Fondatori, chi ha letto L’ombra del passato sa di cosa parlo; per chi non l’avesse letto, è molto semplice: in questo diario è raccontata una leggenda riguardante i Fondatori e Rose, incosciente, la riporta in auge; dopo varie vicissitudini si scopre che Frank è l’erede dei Fondatori (non per linea di sangue). Alla fine dell’anno Frank ha ottenuto dalla McGranitt di poter prendere in prestito il vecchio diario in modo da poterne scrivere degnamente la fine.
Ditemi cosa ne pensate e se il capitolo vi è piaciuto J.  Le recensioni anche negative (purché siano costruttive) sono sempre ben accette.
A presto,
Carme93

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Capitolo 20
*** Tradizioni da sconvolgere ***


Capitolo ventesimo

Tradizioni da sconvolgere
 
«Buongiorno a tutti, ragazzi. Ho qualche annuncio da farvi. Il Ballo del Ceppo si terrà la sera del 22 dicembre. La tradizione vorrebbe che fosse la sera di Natale, ma ho ritenuto opportuno apporre un cambiamento in modo che, se vorrete, potrete trascorre le festività con le vostre famiglie. Al Ballo potranno partecipare i ragazzi dal quarto anno in su. Gli altri potranno festeggiare nelle rispettive Sale Comuni, sotto la sorveglianza di Prefetti o Caposcuola. Naturalmente, com’è inevitabile, quest’anno la Festa dell’Amicizia non avrà luogo».
Appena la Preside si risedette mettendosi a parlare con il professor Paciock, gli studenti iniziarono a discutere su quanto avevano ascoltato.
«Devo chiedere a Benedetta di venire con me! Come faccio?».
Robert fulminò l’amico e decise di intervenire, prima di perdere la pazienza totalmente: erano giorni che lo tormentava con quella storia. «Benedetta, James ti deve parlare».
James si affogò con una fetta biscottata e Benedetta, incuriosita, sollevò gli occhi dal volume quinto di Incantesimi.
«Ehi Jamie, Benedetta. Riunione straordinaria con i Caposcuola prima dell’inizio delle lezioni» annunciò Mary Anne Parker, Prefetto Grifondoro del sesto anno.
«Ok, arriviamo» replicò Benedetta, alzandosi.
Robert imprecò a mezza voce contro la Parker ed i Prefetti e James, avvilito, le seguì in silenzio.
«Sarà una questione di pochi minuti, se ci mettiamo d’accordo» attaccò subito Matthew Fergusson. «Dobbiamo dividerci i compiti per la sera del Ballo. I Caposcuola dovranno controllare i corridoi a turno, mentre almeno uno o due Prefetti devono rimanere nelle rispettive Sale Comuni a sorvegliare i ragazzi più piccoli. Allora chi si propone per questo compito?».
«Io» disse Gabriel Fawley.
«Bene, chi altro?» continuò Matthew segnando il nome del Serpeverde su un blocchetto.
«Anche io».
A James venne un colpo: no, Benedetta, no. «NO» strillò e tutti si voltarono verso di lui.
«Perché no?».
«I-io…». Oh, Merlino dov’era Robert quando serviva?
«Potter, non abbiamo tempo da perdere» lo redarguì Camilla Smith.
«Perché lei ha già un cavaliere» buttò lì.
«Cosa? Non è vero!» intervenne stupefatta Benedetta, guardandolo con tanto d’occhi.
«E chi è che la inviterebbe?» chiese ironica Elettra Granbell, una Serpeverde del loro anno.
«Io… Io sono il Campione… e ehm ho bisogno di una dama».
Tutti lo stavano fissando come se fosse impazzito.
«Ok, intanto che i Grifondoro si decidono, segna me Fergusson» disse Jack Fletcher.
«E me per i Corvonero» disse Laurence Roberts, Prefetto del sesto anno.
«Per i Grifondoro sono disponibile io» dichiarò Conrad Avens, uno dei compagni di Fred.
«Scusami, scusami, scusami…».
«James, smettila dobbiamo andare a lezione. Siamo in ritardo per Trasfigurazione» sbottò Benedetta. Dalla conclusione della riunione James non aveva fatto altro che blaterare scuse.
«No, no, aspetta dobbiamo… devo spiegarti…».
«Cosa devi spiegarmi?».
«Non essere arrabbiata! Era un pezzo che volevo chiedertelo e quando hai detto di voler rimanere in Sala Comune ho pensato che era la mia ultima occasione! Sono stato pessimo, lo so… ma non sapevo come fare, lo giuro…».
Il volto di Benedetta si addolcì: «Non sono arrabbiata, ma molto confusa…».
«Davvero?».
«Già, non mi aspettavo che me l’avresti chiesto…».
«Quindi verrai al Ballo con me?».
«Sì, ma alla fine non ho comprato il vestito… e non so ballare… e tu sei il Campione, non posso farti fare brutta figura».
«Non dire fesserie! Per il vestito troveremo una soluzione e… ehm… io… insomma nemmeno io so ballare…».
Benedetta ridacchiò: «Allora siamo una coppia perfetta».
«Già… o cavolo… hai visto che ore sono? Altro che Ballo, Teddy ci ucciderà prima… muoviamoci…».
«Scusi il ritardo».
«Scusa, cioè scusi…».
Entrambi rimasero a bocca aperta, dalla cattedra non li osservava severamente Teddy Lupin, ma la Preside.
«Cinque punti in meno a Grifondoro. Potter, Merinon prendete posto».
James scivolò, ancora sconvolto, nel posto libero accanto a Robert.  «Che cavolo è questa storia?» gli sussurrò subito.
«Tuo fratello è assente e mia zia lo sostituisce».
«Perché?».
«Potter, Cooper avete qualcosa da dire?»
«Sì, perché Ted-…  il professor Lupin è assente?».
«Potter, sono affari suoi. Se sei interessato lo chiederai a lui quando ritornerà domani mattina. Ed adesso iniziamo la lezione» disse in tono definitivo la professoressa McGranitt.

*

Frank sospirò ringraziando mentalmente Merlino che le vacanze di Natale fossero ormai alle porte. Quel terzo anno si stava rivelando abbastanza pesante. Aveva lasciato Roxi e Gretel nell’aula di Difesa a copiare il tema che avrebbero dovuto consegnare quel giorno ed era tornato in dormitorio a recuperare il manuale che aveva dimenticato. Camminava di fretta per paura di arrivare in ritardo, anche se mancavano ancora dieci minuti al suono della campanella.
«Paciock, aspetta».
«Dobbiamo fare due chiacchiere».
«È troppo tempo che rimandiamo».
Frank, fino a quel momento immerso nei suoi pensieri, si riscosse bruscamente: di fronte a lui c’erano Calliance, Granbell ed Hans. Non li aveva nemmeno sentiti mentre si avvicinavano.
«Non abbiamo nulla di cui parlare» replicò tentando di mantenere la voce ferma, ma nonostante ciò essa tremolò.
«Come no? E la nostra sospensione?» chiese sarcastico Calliance.
«Non dimentichiamo facilmente» aggiunse Hans.
«Ve la siete cercati» sbottò Frank, con più coraggio di quanto credeva di possederne. Calliance si fece avanti e lo spinse contro il muro. «Stai alzando troppo la cresta, quattrocchi».
«Mi sono semplicemente stancato di sopportarvi».
I tre emisero una risata falsa e poi Calliance si avvicinò di più a Frank, con il respiro mozzo per aver sbattuto contro il muro e la paura di non essere realmente in grado di contrastarli che si faceva strada in lui.
«Da oggi ci farai tutti i compiti, chiaro?» chiese con cipiglio minaccioso Calliance.
«E mi raccomando devono valere almeno 7» aggiunse Hans, con Granbell che annuiva sicuro al suo fianco.
«Voi siete pazzi».
«Lo farai o con le buone o con le cattive» replicò Calliance schioccando le dita. Subito Hans e Granbell si avventarono su Frank strappandogli con forza lo zaino dalle spalle, per poi consegnarlo a Calliance.
«Ehi!» strillò il ragazzino indignato.
«Imparerai ad obbedirci» sibilò Calliance, mentre apriva lo zaino e senza molti complimenti ne svuotava il contenuto nel corridoio. Per un attimo le proteste di Frank, bloccato dagli altri due, si mescolarono al rumore del vetro infranto. Calliance si voltò trionfante verso di lui. A Frank le parole erano morte in gola mentre vedeva l’inchiostro macchiare inesorabilmente gli appunti, i libri e la ricerca di Storia della Magia, che tanto tempo aveva impiegato a scrivere. Un senso di ingiustizia, impotenza ed infine anche rabbia gli invase il cuore.
«Possiamo fare di peggio, lo sai» minacciò Hans.
«Il tuo poco coraggio è già sparito?» cantilenò Granbell, parlando per la prima volta.
Frank desiderò ardentemente farli sparire quelli stupidi ghigni; così prima che loro potessero reagire estrasse la bacchetta e formulò con calma glaciale: «Forunculus».
Il viso di Granbell si riempì rapidamente di brufoli dall’aspetto rivoltante e probabilmente fastidiosi tanto da farlo strillare. Frank teso disse: «Adesso lasciatemi in pace».
«Hai firmato la tua condanna!» scattò Calliance, tentando di menargli un pugno. Il ragazzino si scansò e pronunciò un nuovo incantesimo: «Evertestatim». Colpì in pieno Hans, che cadde a terra gemendo per il dolore e la sorpresa.
«Combatti alla babbana se ne hai il coraggio, mago dei miei stivali!».
«Anche tu sei un mago!» ansimò Frank, nell’ennesimo tentativo di evitarlo. Gli puntò contro la bacchetta, ma tentennò: era scorretto attaccare un mago disarmato, non avrebbe dovuto colpire nemmeno Granbell ed Hans. L’indecisione gli costò cara perché un fiotto di luce rossa lo colpì e la bacchetta gli volò dalle mani.
«Chi ti credi di essere, Paciock? Se solo un magonò quattrocchi completamente inutile!» ringhiò Hans, che si era rimesso in piedi ed estratto la bacchetta.
«Ora ti farò passare la voglia di giocare con noi» sibilò Calliance buttandosi addosso a lui e facendolo ruzzolare sul pavimento.
«Smettila!» strillò Frank, spaventato.
Calliance per tutta risposta gli tirò un calcio sul fianco, che lo lasciò senza fiato. Ebbe comunque la prontezza di spostarsi di lato prima che l’altro lo colpisse di nuovo. E facendosi forza sulle braccia si alzò, ma anziché andare contro Calliance come questi si aspettava, si buttò addosso ad Hans, facendoli perdere l’equilibrio e la presa sulle bacchette.
«Tarantallegra» disse puntando la bacchetta, appena recuperata, verso Hans, che iniziò a muoversi scompostamente.
Anche Calliance estrasse la bacchetta, ma Frank tentò di colpirlo lo stesso: «Densaugeo!».
«Non mi hai preso! Non hai mira, Paciock!» lo derise, indifferente al fatto che l’incantesimo avesse preso il suo amico Hans.
«Ti odio, Calliance» sputò con rabbia Frank. «Che cosa ti ho fatto? Perché ce l’hai con me?».
«Perché, Paciock? È molto semplice: trovo ingiusto che tu sia una mago con una famiglia che gli vuol bene! Mio padre odia me ed i miei fratelli… io lo vedo dai suoi occhi… ogni volta che ci guarda sembra chiedersi come ha fatto a mettere al mondo dei mostri. Ogni santissima volta. Voglio solo farti soffrire come soffro io» sbottò Calliance. «Non ho chiesto di diventare un mago. Non ho chiesto io di venire in questo posto!».
«Ora basta. Mi sembra che abbiate esagerato. Riponete le bacchette» disse una voce autoritaria.
«Paciock, li stavi uccidendo!» strillò un’altra voce.
«Ora non esagerare» sbottò il professor Williams, lanciando un’occhiata esasperata alla professoressa Campbell. «Qui nessuno uccide nessuno. Sono solo dei ragazzini».
«Ha cominciato lui!» disse subito Calliance, indicando Frank.
«Non è vero!» ribatté quest’ultimo con un filo di voce.
«Sì che è vero! Guardate cosa ha fatto ad Halley ed Alcyone» insisté Calliance.
«Accompagniamo loro due in infermeria e lasciamo che sia Neville a dirimere la questione più tardi, in fondo sono tutti e quattro Grifondoro» propose il professore Williams, mentre con un gesto pigro della bacchetta faceva smettere alle gambe di Hans di muoversi anche se i denti continuavano a crescere. Frank deglutì, non provava la minima soddisfazione nel vederlo in quel modo, anzi era terrorizzato.
«Neanche per sogno!» si oppose la professoressa Campbell. «Portiamo Paciock dalla Preside! Non è giusto che sia suo padre a decidere».
Il professore che aveva aiutato Halley Hans ad alzarsi, la scrutò con attenzione e poi sospirò: «Sì, va bene, ma anche Calliance. Non sappiamo come siano andate le cose».
«Io non mi sento bene» disse subito quest’ultimo. «Ho bisogno di andare in infermeria».
«Hai visto?» strillò la Campbell. Williams lanciò un’occhiata di sufficienza al ragazzino.
«Ci credo poco» asserì. «Allora accompagnali tutti e tre. Peter li rimetterà in sesto subito. Vi aspetto a lezione, in caso contrario dovrete prepararvi una scusa molto più convincente». Poi raccolse tutte le cose di Frank nel suo zaino con un colpo di bacchetta e glielo consegnò. «Seguimi».
Frank obbedì quasi meccanicamente, sentendosi completamente svuotato. Una parte di lui avrebbe voluto giustificarsi in qualche modo, l’altra avrebbe voluto sparire e che quello fosse solo un incubo. Sentì lacrime calde scendere lungo le guance ed automaticamente vi passò una mano sopra nella speranza che Williams non se ne accorgesse. Avrebbe voluto dirgli veramente qualcosa, ma era certo che se avesse aperto bocca sarebbe scoppiato a piangere seriamente. Il che avrebbe reso la situazione ancora più imbarazzante.
Il professor Williams si voltò verso di lui dopo aver pronunciato la parola d’ordine della Presidenza.
«Racconta alla professoressa McGranitt quello che è successo, ti aspetto a lezione».
Frank boccheggiò quando si vide lasciato solo e poi, sapendo di non aver scelta, salì il primo gradino della scala a chiocciola e si lasciò trasportare fino alla porta di quercia con un batacchio a forma di grifone. Non era mai stato in Presidenza e ciò lo spaventava ancora di più. Sentendosi troppo stupido a fissare immobile la porta si decise a bussare.
«Avanti».
Frank entrò senza pensarci sopra, se l’avesse fatto forse non si sarebbe più mosso.
«B-buongiorno, p-professoressa» disse balbettando lievemente.
La professoressa McGranitt lo fissò per un attimo attraverso le lenti squadrate e sembrò analizzarlo dalla testa ai piedi. «Buongiorno, Paciock. Come mai qui?».
Frank aprì la bocca, ma la richiuse immediatamente incerto su quello che avrebbe dovuto dire. Insomma Williams avrebbe potuto almeno fare rapporto!
«Paciock, siediti» lo invitò la Preside, indicando le sedie di fronte alla sua scrivania. «Prendi un biscotto» disse poi avvicinandogli una scatola di latta. Il ragazzino fu preso in contropiede da quell’offerta, ma automaticamente afferrò uno zenzerotto e lo mise in bocca. Almeno così aveva una scusa per non parlare! Stranamente, però, dopo aver inghiottito si sentì anche meglio, nonostante la morsa dolorosa in cui lo stomaco si era chiuso da quando erano intervenuti la Campbell e Williams non accennasse ad andarsene. Che cos’era paura? Senso di colpa? O peggio, entrambi?
«Allora Paciock, dimmi perché sei qui» ripeté la professoressa.
«I-io… io e Calliance, Granbell e Hans abbiamo… litigato… ehm… in corridoio…».
«Litigato in che senso? Spiegati meglio» disse rigida e severa come sempre, ma senza rabbia nella voce.
«Io… ehm… ho… ecco vede, io ho affatturato Hans e Granbell e non ho preso Calliance perché l’ho mancato… poi… ehm… noi… cioè io e Calliance ci siamo scontrati alla babbana…».
La professoressa McGranitt inspirò bruscamente, segno che la conversazione iniziava ad irritarla. «E per quale motivo?».
Frank ci pensò su per qualche istante, poi decise che arrivati a quel punto tanto valeva dire tutta la verità. «Volevano vendicarsi perché li ho fatti sospendere. Volevano che facessi i compiti per loro. Io mi sono stancato di subire…» gli venne un groppo in gola e si zittì.
«Prendi un altro biscotto».
Il ragazzino la osservò sorpreso: insomma pensava che gli avrebbe urlato contro. Per nulla dispiaciuto prese un altro zenzerotto.
«Chi vi ha fermato?».
«Il professor Williams e la professoressa Campbell» rispose dopo aver deglutito, iniziando a chiedersi se quei biscotti fossero ripieni di pozione calmante o qualcosa di simile.
«E per quale motivo ti hanno mandato qui e non se ne sono occupati loro?».
Frank la fissò incredulo. Che razza di domanda era? Possibile che lei sapesse che la Campbell non si fidasse di suo padre?
«Minerva, su, che domande fai al giovane Paciock?» chiese, palesemente divertito, il ritratto di Albus Silente.
«Non credo di averti mai disturbato in quarant’anni per una rissa tra ragazzini. Meno che mai per i miei Grifondoro» replicò ella a tono. «E soprattutto non ci trovo nulla di divertente».
«La professoressa Campbell non riteneva corretto che se ne occupasse il nostro Direttore» replicò Frank arrossendo.
La Preside non sembrò troppo sorpresa, ma assunse un’aria particolarmente infastidita. «Dove sono Calliance, Granbell ed Hans?».
«In infermieria» mormorò sentendosi ancora più in colpa. Anche se il fianco sinistro che pulsava, gli ricordò che non era stato l’unico a comportarsi male.
«Credi di aver risolto qualcosa in questo modo?».
Frank sollevò gli occhi sul ritratto di Albus Silente, per poi riabbassarli subito e sussurrare: «No, signore. Sono pentito…» tentennò un attimo come se volesse dire altro, ma alla fine tacque.
«Che altro c’è, Paciock?» gli domandò la Preside.
«Sono anche confuso» ammise dopo qualche secondo.
«Confuso?» ripeté la professoressa, mentre Silente sorrideva dolcemente.
«Sì, credevo che reagire alle loro prepotenze avrebbe risolto ogni problema invece mi sento in colpa… quindi non capisco… non c’è soluzione? Loro continueranno a comportarsi così?».
«Spero per loro di no e che quello che è accaduto oggi serva da lezione a tutti e quattro» replicò la Preside severa. «Ci si può solo illudere che la violenza possa risolvere i problemi, Paciock».
«Molti uomini più grandi ed esperti di te si sono lasciati trascinare da quest’illusione. Non essere severo con te stesso, l’importante è che tu l’abbia compreso in tempo» mormorò Silente.
«Comunque sarà tuo padre a decidere come punirvi, è compito suo. Lo informerò alla fine delle lezioni. Ora vai».
Frank salutò e si diresse a lezione di Difesa, come Williams gli aveva ordinato. Prese posto accanto a Roxi e tirò fuori il manuale, ignorando le sue domande. Arrendendosi la ragazzina gli mostrò dove erano arrivati nella lettura, anche se dovette fare molta fatica per seguire. Alla fine della lezione il professore lo trattenne e mogio si avvicinò alla cattedra chiedendosi se quella giornata potesse andare peggio.
«Conosci l’incantesimo Farfallus Explodit?».
La domanda lo prese di sorpresa, visto che si aspettava un rimprovero. «No, signore».
«È l’incantesimo che ha usato James per distrarre il serpente marino. L’ho spiegato ai ragazzi del quarto anno da poco. Credo che sia una buona strategia quella di tenere lontani i bulletti con questo incantesimo per rivolgersi ad un insegnante nel frattempo. Così da evitare scontri come quello di oggi. Se sei d’accordo puoi iniziare a leggere la teoria durante le vacanze, al rientro ti aiuterò ad esercitarti».
«Va bene, grazie, signore» mormorò Frank, realmente grato per avere un soluzione concreta ai suoi problemi.
«Senti» disse poi con un ghigno Williams, «il tema che avevo assegnato per oggi?».
Il ragazzino rimase a bocca aperta in quanto il tema ce l’aveva ancora Roxi e non sapeva proprio come giustificarsi. Tutto sommato quella giornata poteva andare peggio, anzi lo sarebbe stata visto che ancora doveva affrontare il padre.
«Per questa volta chiuderò un occhio, ma, come ho già detto alle due furbette, d’ora in avanti ognuno eseguirà i compiti autonomamente. Chiaro?».
«Sì, signore».
Per il resto della giornata Frank evitò accuratamente di incrociare il padre. Era consapevole di non poterlo fare in eterno e prima o poi sarebbe stato lui a chiedere spiegazioni, ma non era ancora pronto; così alla fine delle lezioni si rintanò i biblioteca per fare i compiti.
«Frank?».
Era così concentrato che James lo fece sobbalzare.
«Ciao» replicò a voce bassa.
«Ciao.  Allora, è vero quello che si dice in giro?».
«Ti prego, Jamie» sospirò Frank.
«Deduco che sia vero. Non sono venuto qui per chiedertelo, però. Ho incontrato zio Neville e mi ha chiesto di cercarti e dirti che ti aspetta nel suo ufficio».
Frank impallidì ed annuì: era la prima volta che suo padre lo cercava e non viceversa.
«Dai tranquillo, sono sicuro che lo zio capirà. Insomma io avrei dato una lezione a quei tre già da tempo. Dove sono Roxi e Gretel?».
«In punizione con la Shafiq» rispose raccogliendo i suoi libri e le pergamene.
«Che hanno fatto?» chiese l’altro dandogli una mano.
«Hanno fatto un disastro nell’ultimo compito e nell’interrogazione… comunque ora devo andare, a dopo» disse pensieroso Frank.
Appena entrò nell’ufficio del padre gli venne il dubbio di essersi perso qualcosa. Non era da solo, anzi c’erano anche Alice e loro madre. Era consapevole di essersi comportato parecchio male, ma non così tanto da chiamare la mamma. Era certo che per quanto potesse essere arrabbiato suo padre non avrebbe mai chiesto alla moglie di andare fin lì con la piccola Aurora ed una sempre più riottosa e capricciosa Augusta cui badare. A meno che non volesse espellerli, ma non poteva no? L’espulsione era un po’ troppo, no? Tentando di tranquillizzarsi salutò la sua famiglia, anche se non fu naturale come avrebbe voluto, ma comunque non fecero commenti sul suo nervosismo. Alice aveva un’espressione scocciata e rispose al saluto senza alcun entusiasmo.
 «Bene, ora che ci siete entrambi io e vostra madre dobbiamo parlarvi di una cosa importante» esordì Neville, palesemente preoccupato.
«Non sapevamo se dirvelo, ma poi abbiamo pensato che non siete più dei bambini e…» iniziò Hannah.
«E comunque qui dentro le notizie girano velocemente, spesso distorte quindi preferiamo dirvi noi come stanno le cose» concluse Neville.
«Qualche sera fa vostro nonno ha ricevuto una lettera… era da parte dei Neomangiamorte».
«Cosa?!» sbottò Alice. Frank si limitò a sgranare gli occhi ed a comprendere lo strano presentimento che aveva percepito entrando nella stanza.
«Hai capito» tagliò corto Hannah. «Vorrebbero che si unisse a loro, così come lo zio Charles».
«Ma non lo farebbero mai, vero?» chiese Frank, spaventato dalla risposta.
«Certo che no, ma tuo nonno, pur essendo un ex-Tassorosso, alle volte ha idee molto da Grifondoro, così ha deciso di scrivere una risposta ai Neomangiamorte e di farla pubblicare sulla Gazzetta del Profeta».
«Il nonno è un grande!» proruppe Alice.
Neville ed Hannah si scambiarono un’occhiata preoccupata.
«Li sta provocando, vero? Si vendicheranno? E questo che temete?» sussurrò Frank. Il sorriso si congelò sul volto di Alice.
«Sì» mormorò Hannah mettendosi a piangere.
Neville si alzò dalla poltrona, su cui era seduto, e l’abbracciò stretta. «Credevo che fosse tutto finito! Credevo che non avremmo più sofferto a causa loro!» singhiozzò.
«Andrà tutto bene, te lo prometto» le sussurrò Neville concitato.
«Non mi promettere qualcosa che non dipende da te» replicò ella. Ci vollero dieci minuti buoni perché si calmasse. «Scusate» disse rivolta ai figli, che si avvicinarono e la abbracciarono. Frank sentì la runa pesargli: Albus aveva detto che quelle rune erano la chiave per comprendere la Profezia e sconfiggere i Neomangiamorte.
«Mi raccomando, state attenti. Almeno voi non fatemi preoccupare» li pregò Hannah osservandoli uno per uno. Frank abbassò gli occhi.
«Tra poco mamma deve andare a casa. Aurora ed Augusta la stanno aspettando. Alice, puoi lasciarci soli con Frank, per favore?».
La ragazzina scosse energicamente la testa. «Assolutamente no! Che cosa gli dovete dire? Se è per quella storia della lite, non dovete rimproverarlo! Avrebbe dovuto farlo un sacco di tempo fa! Ora quei tre ci penseranno bene prima di attaccarlo di nuovo!».
«Ali, tesoro» la chiamò Neville, prendendole delicatamente il viso tra le mani. «Vogliamo fare solo due chiacchiere. Stai tranquilla, su vai».
Alice esitò, ma alla fine si convinse e salutò la madre.
«Sentite, mi dispiace» disse immediatamente Frank, appena rimasero da soli.
«Stai bene?» domandò, invece, Hannah scrutandolo con attenzione come se si aspettasse di trovare qualche ferita. «Ho avuto paura che ti avessero fatto male! Tu non sai fare a pugni! Mi è preso un colpo quando l’ho saputo!» disse stritolandolo tra le sue braccia.
«Sto bene, solo un po’ ammaccato» mormorò.
«Anche i tuoi compagni, come avrai avuto modo di notare, stanno benissimo» gli comunicò Neville.
«Io pensavo che foste arrabbiati».
«Un po’» ammise Neville.
«Ma era inevitabile. Tanto tiri la corda che si spezza» commentò Hannah.
«Frankie, non dimenticare mai che per quanto potremmo essere arrabbiati, potrai sempre contare sul nostro aiuto» mormorò Neville abbracciandolo a sua volta. «E comunque anche io l’ho fatto una volta».
«Sul serio?» domandò sorpreso Frank.
«Non lo sapevo nemmeno io» commentò curiosa Hannah.
«Sì ehm… eravamo al primo anno. Malfoy era sempre insopportabile, così durante la partita di Grifondoro contro Tassorosso io e Ron abbiamo fatto a pugni con lui e i suoi amici, Tiger e Goyle».
«La McGranitt e la nonna si sono arrabbiate molto?».
«Non l’hanno mai saputo ed è meglio che continuino a non saperlo» borbottò Neville in risposta. «Erano tutti attenti alla partita. Non se n’è accorta nemmeno Hermione che era vicino a noi».
«Sì, ma Frank questo non significa che si debbano risolvere le contese così» disse Hannah fulminandoli entrambi con lo sguardo.
«Sì, mamma. L’ho capito, stai tranquilla».
«Sono d’accordissimo. Era solo per dire che tutti possiamo sbagliare, non vorrei che i nostri figli si convincessero che siamo perfetti» si giustificò Neville. Hannah lo guardò male, poi sorrise e lo baciò.
 
*

«Stai benissimo» sussurrò James, incantato.
«Grazie» replicò Benedetta rossa come un pomodoro. «Il vestito… insomma non dovevi… costava troppo…».
«Te l’ho detto, consideralo il tuo regalo di Natale».
La ragazza sorrise dolcemente ed annuì.
«Sul serio Jamie, come cavolo hai fatto?» gli domandò sottovoce Robert.
«Ho lasciato detto che avrebbe pagato mio padre… sai, ogni tanto è comodo essere figli di Harry Potter, la gente tende a fidarsi».
«Ma sei impazzito?! E lui lo sa? Cioè 60 galeoni! Io ti ammazzerei!».
«Molto gentile… Comunque ho scritto a mia madre, lui è molto impegnato. Ultimamente risponde sempre mamma alle nostre lettere. Le ho detto quello che avevo fatto e che sono disposto a considerarlo come un anticipo sulle prossime paghette. Le ho chiesto di non mandarmi una strillettera, perché insomma sarebbe stato imbarazzante con Benedetta, no? Mamma mi ha risposto che avremmo fatto i conti a Natale» sospirò.
«Sei proprio cotto James. In un certo senso hai appena detto addio a più di un anno di paghetta!».
«Ragazzi, noi siamo pronte» li chiamò Demetra.
La Sala Comune era davvero strana quella sera: di solito era affollata di divise nere, ora, invece, era multicolore; anche ai più piccoli era stata data la possibilità di vestirsi a proprio piacimento.
«Allora scendiamo».
La Sala d’Ingresso era affollatissima, James prese Benedetta per mano. «Così non rischiamo di perderci» mormorò arrossendo. Robert gli scoccò un’occhiata divertita in un momento in cui le ragazze erano distratte. Gli studenti di Beauxbatons e Durmstrang erano già presenti. Apolline, che indossava un lungo vestito argentato, era al fianco di Jesse Steeval; mentre Dumbcenka era a braccetto di una francesina molto graziosa. James fece un cenno a Matthew Fergusson mano nella mano con Domi, che ancora si rifiutava di parlargli. Sua cugina era più bella del solito quella sera nel suo lungo vestito bordeaux. Se fosse stato in Matthew non avrebbe tollerato tutti gli sguardi languidi che i ragazzi le lanciavano. Dominique sapeva di essere bella e spesso lanciava occhiate di sfida alla cugina. Salutò anche Elphias ed Isobel e con sorpresa vide accanto a loro Rose insieme ad Edward Zabini. Si era perso qualcosa? Avrebbe indagato, poco ma sicuro; avrebbe rischiato il linciaggio da zio Ron in caso contrario. Rispose al cenno di saluto di Dexter Fortebraccio accompagnato da Dorcas e sorrise vedendo Alastor mano nella mano con sua sorella Lily. Quella ragazzina quando si metteva qualcosa in testa nessuno la fermava. Suo padre faceva bene ad essere preoccupato. Comunque le aveva permesso di partecipare perché con lei c’era Alastor. Quel ragazzo era un santo: Lily l’aveva ricattato tirando fuori delle vecchissime foto di quando erano bambini, molto ma molto imbarazzati. Alice, invece, era riuscita a convincere Scorpius a portarla con sé a patto che dopo l’avrebbe lasciato ballare con le ragazze della sua età. Hugo e Marcellus non avevano avuto la stessa fortuna: nessuna ragazza più grande si era presa la briga di portarli al Ballo.
«Ciao, ragazzi. State benissimo» disse un sorridente Neville Paciock. «I Campioni devono aspettare tutti qui. Vi dirò io quando entrare. Robert, Demetra voi potete iniziare ad andare».
Le porte della Sala Grande infatti si erano aperte e gli studenti stavano già entrando.
«Ci vediamo dopo» disse Robert prima di avviarsi con Demetra.
Alla fine rimasero solo i Campioni con i rispettivi partner.
«Bene, seguitemi» disse Neville.
All’ingresso dei Campioni tutti applaudirono. James rimase a bocca aperta: non aveva mai visto la Sala Grande così bella: i tradizionali dodici abeti erano decorati con fatine vive, candele di diversi colori, e forme di ghiaccio. Le pareti era coperte di brina d’argento con ghirlande di edera e vischio e nell’aria galleggiavano stelle di ghiaccio, tra cui la stella cometa più grande delle altre ed al centro.
«È bellissima» sussurrò Benedetta.
«In fondo dobbiamo dimostrare di non aver nulla di meno degli stranieri» ironizzò James con lo stesso sorriso stampato in faccia.
I tavoli delle Case erano stati sostituiti con una serie di tavolini più piccoli, ciascuno illuminato con una lanterna decorata con una stella di Natale. All’estremo della Sala vi erano due tavoli rotondi decisamente più grandi e lì li guidò Neville. Già vi erano seduti i Presidi, Mullet e Malfoy. Era il tavolo riservato a giudici e Campioni, mentre nell’altro si stavano già accomodando gli altri i professori. Dumbcenka prese subito posto vicino al suo Preside, James strinse la mano di Benedetta e la guidò silenziosamente all’estremo opposto e si sedette accanto a Malfoy. La ragazza gli lanciò un’occhiata interrogativa, ma lui non disse nulla ripromettendosi di spiegarglielo meglio in seguito. Solo qualche mese prima avrebbe fatto carte false pur di sedere accanto ad un Campione di Quidditch del calibro di Mullet, ora la situazione era cambiata. Porse educatamente la mano a Malfoy, che ricambiò dopo averlo fissato per un attimo. Probabilmente non se l’aspettava nemmeno lui. La verità è che c’era qualcosa che non lo convinceva in Mullet. Apolline e Jesse avevano preso posto vicino a loro. James e Jesse si guardarono male.
«Evita. Non è la serata adatta per le risse» gli sussurrò a voce bassissima Benedetta.
«L’importante è che lui mi stia lontano» replicò James.
«Hai visto i menu?» chiese allora la ragazza, nel tentativo di distrarlo.
James afferrò il menu più vicino e lo avvicinò all’amica, perché potesse leggere anche lei. Vide la McGranitt osservare il suo piatto e dire «Roastbeef», dando così inizio al Banchetto e contemporaneamente mostrando a tutti il meccanismo.
«Che prendi?» domandò James a Benedetta.
«Pasticcio di carne e purè di patate» rispose lei e nel piatto d’oro apparve subito ciò che aveva chiesto.
«Costolette di maiale» ordinò allora James, senza riuscire a trattenere un sorrisetto.
«Che c’è?».
«Immagina se potessi fare così tutti i giorni! È magnifico!».
Benedetta ridacchiò.
«Certo mia mamma mi ucciderebbe se solo glielo proponessi e penso che anche la nonna non ne sarebbe felice».
Per quanto lo scopo del Torneo fosse quello di avvicinare i ragazzi tra loro, era evidente che nemmeno per quello stava andando secondo i piani: la McGranitt e Madame Maxime parlavano amabilmente tra loro, ma i toni si raffreddavano quando nella conversazione si inseriva anche Vulchanova; Dumbcenka e la sua dama non avevano aperto bocca da quando si erano seduti; Jesse e James non potevano vedersi quindi si stavano ignorando bellamente, nonostante Apolline avesse mostrato più volte di voler parlare con il secondo. Verso la fine della cena Draco Malfoy si rivolse a James.
«Potter, fammi il favore di riferire un messaggio a mio figlio».
Il ragazzo sollevò il capo dalla sua torta al cioccolato e lo fissò sorpreso.
«Non si deve più impicciare del mio lavoro. Ho licenziato lo stagista».
James riportò alla memoria con difficoltà quanto suo fratello gli aveva raccontato in merito, alla fine non riuscì a trattenersi: «Mi scusi ma domani iniziano le vacanze, non può dirglielo lei? Credevo che Scorpius sarebbe tornato a casa».
«Sì, lo farà» rispose egli con la sua voce strascicata e terribilmente annoiata. «Ma avremo ospiti».
L’uomo tornò a rivolgersi al collega e ai Presidi, mettendo in chiaro che la discussione si chiudeva lì.
James e Benedetta si scambiarono un’occhiata perplessa, poi ripresero a mangiare, consapevoli di non poter dire nulla in quel momento con fin troppe orecchie indiscrete pronte ad ascoltarli.
Quando finì la cena, la professoressa McGranitt invitò tutti ad alzarsi e fece in modo che tutti i tavoli si disponessero lungo le pareti, lasciando pavimento sgombro; infine fece apparire una piattaforma con degli strumenti musicali. Sulla piattaforma prese posto una piccola orchestra di musica classica.
«Credevo che sarebbero venuti i Magic Wizards, come alla Festa dell’Amicizia dell’anno scorso» disse Benedetta.
«Alcuni parlavano anche delle Sorelle Stravagarie, ma non mi sorprende che la McGranitt abbia deciso diversamente».
«Mi sa che dobbiamo andare» borbottò la ragazza imbarazzata, accennando agli altri Campioni che prendevano posto al centro della Sala Grande. James non rispose, ma le porse la mano ed insieme li raggiunsero.
«È un valzer, proprio come aveva previsto Robert» borbottò quando la musica attaccò.
Per cinque lunghissimi minuti furono da soli sulla pista da ballo e James sudò freddo, mentre tentava di non pestare i piedi a Benedetta. Il confronto con gli altri Campioni era disarmante: loro sì che sapevano danzare. Finalmente però furono raggiunti anche dagli altri ragazzi. Hagrid ballava felice con Madame Maxime, occupando una parte della pista, perché molti temevano di essere travolti. La professoressa McGranitt legante come sempre aveva accettato l’invito di Vulchanova, probabilmente in quanto padrona di casa non aveva potuto fare altrimenti. James scoccò un’occhiata a Robert e non si sorprese nel costatare che non perdeva d’occhio la coppia. Era davvero affezionato alla zia.
James ridacchiò nel vedere un goffo Neville in coppia con la professoressa Spinett, che non faceva che ridacchiare ogni volta che l’amico le pestava i piedi. Il professor Williams se la cavava decisamente meglio, mentre faceva volteggiare la professoressa Dawson. Mcmillan, invece, ballava con la professoressa di Aritmanzia.
«Teddy, dov’è?» chiese immediatamente folgorato da quella scoperta: ancora una volta era assente. Benedetta istintivamente si guardò intorno, poi rispose: «Non lo so, Jamie. Gli hai parlato?».
«Sì, mi ha detto di stare tranquillo e che mi spiegherà durante le vacanze».
«Beh allora abbi pazienza».
«Va bene, ok. Tanto domani torneremo a casa».
Alla fine del ballo Robert e Demetra si avvicinarono. «Non ve la siete cavata male. Sembravate sui carboni ardenti ma avete fatto meno pena di Paciock».
«Ha parlato il grande campione di ballo!» sbottò James, mentre Benedetta arrossiva.
«Io so ballare. È questo il punto» ghignò lui. «Questa che stanno iniziando è una mazurka. Seguite le mie indicazioni».
James sgranò gli occhi ed obbedì. Alla fine del ballo trascinò Benedetta ai margini della pista. Robert e Demetra li seguirono.
Robert rideva apertamente.
«Tua zia ha progettato così tutta la serata?» sbuffò James.
«No, naturalmente. Ama la musica classica e ritiene che sia l’unica degna. Ha invitato i Boccini Schiantati, tra poco suoneranno anche loro».
«Davvero?» chiesero all’unisono i tre compagni.
Robert annuì.
«Perché non me l’hai detto prima?» strillò Demetra. «Non ho nulla per farmi fare un autografo!».
I Boccini Schiantati erano una band americana che negli ultimi anni aveva raggiunto l’apice del successo ed i suoi membri erano osannati dai giovani maghi di tutto il mondo.
Dopo una mezz’oretta la piccola orchestra lasciò il palchetto a quattro ragazzi. Gli studenti impiegarono qualche secondo per comprendere il cambiamento, poi la Sala Grande scoppiò in un boato.
«Andiamo?» chiese Robert.
James difficilmente avrebbe dimenticato quella serata, trovava fantastica la compagnia di Benedetta; più volte furono così vicini da fargli battere il cuore fortissimo.
«Beviamo qualcosa?» chiese ad un certo punto la ragazza urlando per farsi sentire.
«Certo».
«Cavoli, sono fantastici» disse Benedetta facendo cenno alla band che continuava a suonare.
«Già» James mormorò la risposta distrattamente. Dentro di lui era in corso una battaglia: cogliere al volo l’occasione e rivelarle finalmente i suoi sentimenti o tornare a ballare rimandando ancora na volta.
«Jamie, che hai?».
«Io? Caldo» bofonchiò.
«Vuoi uscire fuori? So che hanno decorato anche il parco. Potremmo dare un’occhiata».
James annuì leggermente.
«James!».
I due ragazzi, ormai nella Sala d’Ingresso, si voltarono verso un arruffato Albus in compagnia di Virginia Wilson.
«Al? Che cavolo hai addosso?».
Albus si bloccò e si osservò per un attimo stranito come se non sapesse cosa stesse indossando. «Tuta» disse come se fosse la cosa più logica del mondo. James continuò a fissarlo perplesso. In effetti la Preside aveva dato il permesso di vestirsi come volevano per una sera, ma di certo non avrebbe gradito si facessero vedere in quel modo al Ballo.
«Se fossi in te non mi farei vedere da nessuno» borbottò infastidito perché voleva stare da solo con Benedetta.
«Ascoltami! Siamo stati in biblioteca. Volevo far vedere a Virginia il libro di Aritmanzia Avanzata, quello che avrebbe dovuto studiare Jonathan prima che ci mollasse…».
«E allora?» lo sollecitò spazientito James.
«Qualcuno ha strappato la pagina dell’incantesimo. Quello che interessava a noi».
«Dici che l’hanno fatto apposta?».
«Sì. Ho chiesto al signor Bennett, ma non mi ha saputo dire chi l’ha preso».
«Sentite, ora non possiamo fare nulla. Ne riparliamo con calma, ok?».
Albus sbuffò, ma poi annuì. «Sì, sì certo scusa se ti ho disturbato. Ciao Benedetta».
James alzò gli occhi al cielo e lo osservò mentre si avviava lungo la scalinata di marmo.
«Vuoi andare da lui?» gli domandò gentilmente Benedetta.
«No, non possiamo fare nulla a quest’ora sul serio. Andiamo nel parco?».
Lungo il prato era stato creato un sentiero illuminato dal candele ed anche qui vi erano delle fatine che svolazzavano vicino ai cespugli, ma soprattutto vi erano delle bellissime statue di ghiaccio dalle forme più disparate. Per un po’ i due ragazzi si divertirono a riconoscerle.
«Questa è una fenice» esclamò James.
«È la più bella di tutte» sussurrò Benedetta.
«E non hai visto nulla ancora» mormorò il ragazzo prendendola per mano. Il sentiero si apriva in una specie di gazebo fatto solo di edera e fiori dai colori bellissimi. Al centro c’era una fontana zampillante con delle fatine che saltellavano da una parte all’altra. I due rimasero senza parole per qualche istante non riuscendo a smettere di sorridere.
James istintivamente la tirò delicatamente al centro, poco distante dalla fontana. «C’è il vischio» disse indicando il tetto vegetale. «Sai i Babbani hanno una tradizione…» iniziò con voce tremante.
«Sì, mia mamma è babbana, conosco la tradizione» mormorò lei in risposta.
«Quindi… ehm… dovremmo rispettarla?» chiese, mentre erano sempre più vicini. Non lo erano mai stati così tanto. 
«Se ti va…» sussurrò incerta Benedetta, quando le loro labbra era ormai vicine. Pochi secondi dopo James sentì il cuore esplodere per quanto batteva forte mentre finalmente appoggiava le sue labbra su quelle dell’amica.
Delle voci che si avvicinavano li fecero sobbalzare e dopo essersi fissati un momento imbarazzati, decisero di allontanarsi. Una volta giunti sulle sponde del Lago Nero continuarono a restare in silenzio. Nessuno dei due sapeva che cosa dire.
«Nevica!» esclamò all’improvviso Benedetta, allungando la mano davanti a sé. James sorrise: era la prima neve dell’anno, erano giorni che tutti l’aspettavano.
«Fantastico. Iniziavo a temere che questo Natale saremmo rimasti per la prima volta senza neve. Io ed i miei cugini abbiamo sempre fatto una battaglia di palle di neve la mattina di Natale. È una tradizione».
«Guarda, ne hai un fiocco sui capelli» disse la ragazza accarezzandogli la testa con una mano, poi imbarazzata la ritirò di scatto.
«Anche tu. Di questo passo avremo i capelli bianchi prima dei miei» ridacchiò nervoso James.
«Ho freddo» borbottò Benedetta.
«Accio mantello» disse subito James e nemmeno un minuto dopo poggiò un elegante mantello sulle spalle dell’amica. «È la prima neve, non possiamo mica perdercela» si giustificò.
«Ti voglio bene, James» mormorò Benedetta e cogliendolo ulteriormente di sorpresa gli sfiorò le labbra con le sue.
Pochi secondi dopo si rincorrevano ridendo e scherzando sotto la neve, proprio come due bambini.
 
 
 
Angolo autrice:
Ciao a tutti!
Ecco un nuovo capitolo! Spero che questo vi piaccia più dei precedenti.
Sono accadute cose abbastanza importanti per i protagonisti: Frank ha finalmente affrontato i bulli e James e Benedetta si sono finalmente baciati.
Non posso fare a meno di immaginare che Silente e Piton siano molto più attivi di tutti gli altri ritratti e che consiglino spesso la McGranitt (oltre naturalmente impicciarsi quando parla con gli studenti). La McGranitt è la mia insegnante preferita di tutta la saga ed ho sempre pensato che nonostante sia una persona rigida e severa, voglia anche molto bene ai suoi allievi (in un certo senso quasi materna nei loro confronti), da qui il suo modo di comportarsi con Frank. Inoltre ho notato che nella saga difficilmente gli studenti venivano spediti da Silente se non per atti molto gravi (per esempio Harry accusato di aver pietrificato Nick-Quasi-Senza-Testa e Justin), senza contare che Silente sempre nel secondo libro ha detto chiaramente che toccava alla McGranitt decidere la sorte di Harry e Ron dopo aver fatto volare la Ford Aglia fino ad Hogwarts, quindi penso che i Direttori della Case abbiamo molto potere. Ditemi voi cosa ne pensate o se sbaglio ;-)
I Neomangiamorte si stanno muovendo nonostante i ragazzi ne siano all’oscuro; naturalmente leggono i segnali: quel poco che c’è scritto sul giornale, Harry sempre occupato. Il culmine naturalmente è quanto Neville ed Hannah comunicano ai figli.
Nella descrizione delle decorazioni per il Ballo del Ceppo ho fatto ampio riferimento al romanzo, aggiungendo poi qualcosa di mia invenzione.
Inoltre immagino che la McGranitt ami la musica classica ed abbia voluto darne un assaggio ai suoi studenti ed offrire uno spettacolo di una certa levatura ai suoi ospiti. I Magic Wizards sono una banda inglese, di mia invenzione. I Boccini Schiantati, invece, vengono citati dalla Rowling stessa in quell’articolo sulla Coppa del mondo di Quidditch del 2014 (pubblicato su Pottermore), il numero dei cantanti e la loro popolarità sono di mia invenzione.
Al prossimo capitolo,
Carme93
 
 
 

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Capitolo 21
*** Natale in famiglia ***


Capitolo ventunesimo

Natale in famiglia
 
«Quindi siete rimasti sotto la neve per ore?» ripeté per l’ennesima volta Robert, beccandosi un calcio nello stinco da James, che subito dopo starnutì sonoramente.
«Una mezz’oretta» specificò Benedetta imbarazzatissima.
«E smettila di chiedere la stessa cosa» bofonchiò James.
«Avete cominciato bene le vacanze beccandovi un raffreddore» commentò Demetra.
«Le abbiamo iniziate benissimo» replicò James tentando di sorridere, ma una serie di starnuti glielo impedirono. Benedetta, che per ora non mostrava conseguenze della loro serata, era seduta accanto a lui ed ogni tanto gli spostava i capelli dalla fronte.
«Quindi ora state insieme?».
La domanda a bruciapelo di Demetra fece scendere il silenzio nello scompartimento. James e Benedetta erano rimasti senza parole e Robert attendeva la risposta con la stessa curiosità di Demetra.
«E… noi ancora non…» cominciò il ragazzo.
«…non ne abbiamo parlato…» continuò Benedetta.
Furono salvati da ulteriori domande dal treno che rallentava e si fermava.
«Siamo arrivati!» saltò su Benedetta.
«Papà ha detto che sarebbe venuto lui a prenderci ed andremo direttamente alla Tana» comunicò James a Robert. «Ragazze» aggiunse, mentre scendevano dal treno, «Siete le benvenute alla Tana, quando vorrete venire. E comunque io e Robert organizzeremo qualcosa quando torneremo a casa mia».

*

«Briaaaaaan!»
Il ragazzino riconobbe immediatamente la voce, ma non poté fare a meno di cadere seduto a terra, quando la sua sorellina gli saltò in braccio, suscitando così le risatine degli studenti più vicini. Sentì anche una risata poco distante e poi finalmente due braccia lo liberarono dal pestifero peso. «Così schiacci tuo fratello» disse suo padre divertito.
«Ciao, papà» disse Brian con un sorriso, mentre si rimetteva in piedi.
«Ciao, soldatino» replicò l’uomo dandogli un bacio sulla fronte, dopo aver rimesso a terra la piccola Sophie, senza però mollarle la mano perché in caso contrario sarebbe scappata in mezzo alla folla. «Andato bene il viaggio?».
«Sì, grazie».
«Brian!» strillò Annika, avvicinandosi. «Buonasera, signor Carter. Io mi chiamo Annika» aggiunse poi porgendo la mano a Gregory Carter.
«Piacere di conoscerti, Annika. Non trovi i tuoi genitori?».
«Non proprio. Non sono sicura che i miei possano superare la barriera senza di me».
«Se sono babbani, direi proprio che non possono».
«Ah, ok. Posso uscire con voi? Qui c’è un sacco di confusione».
«Certo, tranquilla» assentì Gregory. «Andiamo».
«Io sono Sophie, sua sorella» disse la bambina puntando un dito su Brian.
«Lo so, mi ha parlato di te!».
«Sul serio?» chiese la bambina guardando Annika con tanto d’occhi.
«Sì, tantissimo!».
«Pronti?» chiese Gregory, quando giunsero alla barriera del binario 9 e ¾ interrompendo gli sproloqui della figlioletta.
«Sììììììììì» strillò la piccola.
Brian trattenne il fiato mentre attraversava la barriera, faticava a credere che fossero trascorsi quasi quattro mesi dalla prima volta.
«Mamma! Papà!» esclamò Annika correndo incontro ad una giovane coppia poco distante.
Dopo le presentazioni tra i genitori e l’abbraccio stritola costole di Annika, Brian uscì dalla stazione insieme al padre ed alla sorellina.
«Abbiamo trovato parcheggio qui vicino, per fortuna».
«Papà è sempre in ritardo» trillò Sophie.
«Non sono sempre in ritardo, abbiamo dovuto fare un controllo a Notturn Alley e ci abbiamo impiegato più tempo del previsto» ribatté Gregory, tenendo con una mano Sophie e con l’altro braccio circondando le spalle del figlio maggiore.
«Dov’è la macchina?» chiese Brian.
«Stanco?» replicò Gregory con un ghigno.
«Sì».
«Alla macchina siamo quasi arrivati, ma lo sai ci metteremo almeno una quarantina di minuti per arrivare a casa».
«Voliamo?» chiese Sophie tirando il padre per la manica del cappotto.
«Assolutamente, no! Sophie, te l’ho spiegato un milione di volte: i Babbani non devono vederci quando usiamo la magia» ribatté Gregory, mentre riponeva il baule di Brian nel portabagagli.
«Secondo me, si divertirebbero» bofonchiò testarda la bambina, Gregory la ignorò, mentre Brian ridacchiò.
Il tragitto in macchina fu abbastanza leggero per Brian cui la sorellina chiacchierona era mancata parecchio.
«E tu sai volare? Voglio volare anche io» sussurrò la bimba con occhi sgranati, mentre scendevano nel vialetto della loro viletta.
«Mmm insomma» gettò un’occhiata al padre, che gli sorrise divertito.
«Perché? Perché non giochi a Quidditch?».
«Non lo torturare, non è che piaccia a tutti» intervenne Gregory.
«Non me la cavo molto bene con la scopa» mormorò Brian imbarazzato.
«Quindi non sai volare!» s’imbronciò Sophie. «E a me chi me lo insegna?».
«Io, magari?» le rispose divertito Gregory.
«Ma la tua scopa è schifosa» si lamentò ancora.
Brian entrò in casa e si guardò intorno. La cucina ed il salottino formavano un’unica stanza, in fondo alla quale vi era una rampa di scale che portava al piano superiore. Era completamente disordinata: vestiti lavati, vestiti già usati riempivano una poltrona e qualche sedia; i giocattoli di Sophie erano sparsi dappertutto. Suo padre gli rivolse uno sguardo colpevole. Il ragazzino non disse nulla, ma un po’ si sentì in colpa: sapeva che suo padre era un disastro con gli incantesimi domestici e poi gli Auror facevano gli straordinari da mesi. Non doveva essere facile occuparsi della casa e di Sophie. Nessuno dei due era morto di fame, per cui immaginava che la signora Scott avesse provveduto a far loro mangiare qualcosa di commestibile.
«La mia scopa non è schifosa. Te l’ho detto un sacco di volte di non dire questa parola. La mia Nimbus 2010 funziona perfettamente. Andate a lavarvi le mani. La signora Scott ha preparato la cena per noi, o meglio sapeva che Brian sarebbe stato affamato».
«Comunque non volo bene, non riesco a controllare bene la scopa ed ho paura di alzarmi troppo in alto…» mormorò Brian, appena la sorellina corse al piano di sopra.
Gregory scrollò le spalle. «Se vuoi posso darti una mano, ma non ti preoccupare. Non ascoltare Sophie, nessuno ti obbliga ad usare la scopa. Abbiamo molti altri mezzi di trasporto».
«Ma la mamma sapeva volare?» chiese senza pensare. Sul volto del padre si dipinse un sorriso dolceamaro, come sempre quando gli faceva domande del genere. I suoi occhi si velarono appena, persi in un tempo che non sarebbe più tornato.
«Durante le lezioni di Volo noi Grifondoro eravamo insieme ai Tassorosso» iniziò lentamente. «Naturalmente c’era anche Sophie. Io quel giorno ero un po’ seccato, perché aspettavo da tanto quella lezione ed avrei voluto essere con i Corvonero e sfidare Maxi. Invece no. Sono sempre stato… diciamo esuberante… quindi non ci misi molto a distrarmi infastidendo i Tassorosso e soprattutto lei».
«Non volava bene?».
«Era terrorizzata dalla sola idea di cadere dalla scopa e non riusciva nemmeno a tenerla ferma».
«L’hai presa in giro?».
«Parecchio. In realtà volevo solo attaccar briga, ma lei non era quel tipo di persona. Dopo un po’ che la punzecchiavo si è messa a piangere. È stato il momento più imbarazzante della mia vita. Mi sono sentito in colpa, indipendentemente dal rimprovero di Madama Bumb, che all’epoca era l’insegnante di Volo. Così per farmi perdonare ho iniziato a darle una mano».
«E lei ha imparato?».
«Oh, sì, ma non ha mai fatto i provini per giocare con i Tassorosso. Ogni tanto giocava a Quidditch con me e Maxi, ma solo per divertimento. Non era molto portata per gli sport, ma ci provava sempre».
Brian sorrise, mentre la nostalgia s’insinuava in lui. «Insegni anche a me? La professoressa è antipatica e non dice nulla a quelli che prendono in giro me e Louis, soprattutto lui. Non riesce ad alzarsi da terra nemmeno di pochi centimetri».
«La Jones è stata un’ottima giocatrice, ma ho sentito dire che ha un pessimo carattere. Troppo piena di sé» disse Gregory con un lieve sorriso. «Non ti preoccupare, ci alleneremo insieme. Però, Brian, promettimi che in mia assenza tu e Sophie non toccherete una scopa, che non sia quella con cui si spazza il pavimento».
«Tranquillo, promesso».
«Vieni o no?!» strillò la sorellina dalla cima delle scale, con le braccia incrociate.
«Ti conviene andare, prima che si arrabbi» gli suggerì Gregory.

*

«Comunque non è giusto!» ripeté per la milionesima volta Dominique.
«La smetti di lamentarti? Perché non trovi una soluzione?» chiese Bill sbuffando.
Erano tutti riuniti alla Tana come ogni anno ed avevano appena finito di cenare. Nonna Molly stava sparecchiando con l’aiuto di Angelina ed Audrey; nonno Arthur era immerso in una conversazione-interrogatorio sul mondo babbano con Albus, che non solo studiava ed aveva voti alti in Babbanologia ma era anche l’unico che aveva la pazienza di assecondarlo; Ginny stava convincendo James a misurarsi la febbre; Roxi stava finendo l’ennesima fetta di torta, mentre gli altri ragazzi avevano già abbondonato la cucina chi con una scusa chi con un’altra.
«Trovala tu visto che sei così bravo!» sbottò Dominique.
«Invita Matthew e la sua famiglia a trascorrere qui le vacanze così i suoi genitori potranno vedere con i loro occhi che dopotutto i maghi non sono così diversi dai Babbani».
«A parte la magia» ci tenne a specificare Ron, beccandosi uno scappellotto da un’agguerrita ed irata Hermione. Il marito si era defilato quando aveva tentato di parlare con Rose del suo scarso rendimento scolastico e specialmente della sua pessima condotta.
«Dici davvero?» domandò Dominique, ignorando lo zio.
«Sì. Mamma, papà non avete nulla in contrario, vero?».
«Babbani a casa nostra?» chiese Arthur ponendo attenzione al figlio maggiore con gli occhi che gli luccicavano come un bambino davanti ad un enorme lecca lecca. «Certo, che no. Saranno i benvenuti. E poi ci saranno anche i genitori di Angelina e di Hermione, giusto care?».
«Sì, Arthur. I miei sono molto felici di trascorrere il Natale con tutti voi» replicò la donna, che fino a qualche attimo prima discuteva a bassa voce con George, che approfittò per filarsela. Hermione si limitò ad annuire.
«Il problema è che non entriamo tutti» mormorò pensierosa Molly. «Per dormire non è un problema, ora che abbiamo comprato dei letti a castello, c’è molto più spazio, ma in cucina non entreremo mai tutti».
«A me non piace questa soluzione dei letti a castello, comunque» disse Dominique. «Non voglio stare in stanza con Roxi, macchia sempre tutto con i suoi colori!».
«Non è vero!» replicò la ragazzina indignata.
«La mia felpa blu cobalto?» ribatté acida Dominique.
«Blu cobalto» le fece il verso Roxi. «Quello era voluto. Così impari a toccare i miei disegni! Se tu non li avessi fatti vedere a Fred, non avremmo litigato!».
«Hai messo in ridicolo la nostra squadra con le tue vignette! E quella felpa mi è costata ben venti galeoni! Ora chi me li restituirà?» guardando eloquentemente la zia Angelina.
Bill si affogò con il vino elfico che stava sorseggiando. «Venti galeoni?» ripeté con voce strozzata.
«Non è colpa di Roxi se compri solo vestiti firmati» intervenne Albus.
«Tu. Stanne. Fuori» scandì Dominique minacciosa. «È colpa sua, però, se ha usato colori indelebili! Me l’ha rovinata intenzionalmente!».
«Roxanne Weasley» sibilò minacciosa Angelina. «Non l’hai fatto davvero?».
Roxi sbuffò. «Stai infrangendo il Codice».
«Sto cercando di recuperare i miei venti galeoni».
«Tecnicamente i galeoni erano di zio Bill. Non avevi detto che hai usato i soldi che ti aveva mandato per comprare dei libri?» replicò angelica Roxi.
Le due ragazze si osservarono in cagnesco finché non intervenne nonna Molly: «Le stanze sono già decise. È inutile che discutiate. Domi tieni in ordine i tuoi vestiti così nessuno li rovinerà. Roxi non lasciare in giro i tuoi colori. L’ultima volta ci ho messo una vita a lavare il piumone dei Cannoni di Chudley di tuo zio Ron. Ed ora non è più nemmeno arancione».
«Che cosa?!» strillò Ron.
«Non fare il bambino» lo minacciò Hermione.
«Allora nonna, Matthew può venire?» chiese Dominique, prima che scoppiasse il putiferio.
«Sì, cara».
«Benissimo, allora vado a scrivergli» disse Dominique, ma Bill scosse la testa e la bloccò: «Non ti muoverai da qui, finché non mi avrai spiegato la storia dei venti galeoni».
«Zia Angelina!» disse Dominique, voltandosi verso la donna.
«Io sono stanca» disse la donna contrariata, guardando malissimo Roxi. «I soldi te li darà Roxi di tasca sua» aggiunse alzandosi e dopo aver augurato la buonanotte a tutti si recò al piano di sopra.
«Zio Bill, ti prego. Mica ce li ho tutti quei galeoni!» disse Roxi mettendo su la sua espressione più supplichevole, per poi abbracciarlo. L’abbracciò fu sincero e Roxi nascose il volto sulla sua spalla. Il ritorno a casa non era stato come previsto. Sua madre era particolarmente irritata con lei perché quel traditore di Fred le aveva raccontato dei suoi disastri a Scuola ed adesso ci si stava mettendo anche Dominique. Per tutta la sera non avevano fatto altro che sgridarla per una cosa o per l’altra, non era rimasta nemmeno cinque minuti da sola con suo padre ed i cugini non facevano che stuzzicarla. Si sentì meglio quando lo zio ricambiò la stretta.
«Sei tu che hai rovinato la felpa!» insisté Dominique.
«Dacci un taglio» la redarguì Bill. «Vai a scrivere a Matthew. Poi ci penseremo io e tua madre a parlare con i suoi genitori. E di questa storia ne riparleremo. Io e te. Con Roxi me la vedo io».
Roxi si liberò dalla sua stretta e senza dire nulla uscì fuori, lasciandosi andare su una panchina, messa lì da qualche anno dai nonni.
«Così gelerai» disse Bill, appoggiandole sulle spalle un mantello, per poi sedersi accanto a lei.
«Grazie» mormorò lei.
«Perché sei triste?».
Roxi scrollò le spalle. Allora Bill l’abbracciò di nuovo e finalmente Roxi pianse quelle lacrime che aveva trattenuto da quella mattina in treno, quando aveva litigato con suo fratello.

*

«Spero che la stanza sia di tuo gradimento».
«Oh, sì, signora non si preoccupi» rispose Jack. «Lei e suo marito siete già abbastanza gentili ad ospitarmi. Dubito che qualcuno altro avrebbe fatto altrettanto».
«Oh, caro non ti devi preoccupare. Nessuno meglio di noi ha imparato che i pregiudizi portano solo guai. E Sammy sembra che si sia veramente affezionato a te» disse con voce velata di tristezza e malinconia la signora Vance. «Ora è tardi, siete stanchi. Buonanotte».
«Buonanotte» dissero in coro Jack e Samuel.
«Hai visto che i miei nonni sono contenti che tu sia qui?» chiese Samuel con un sorriso.
Jack scrollò le spalle e non rispose. Samuel si avvicinò al ragazzo più grande che aveva appoggiato la fronte al vetro della finestra.
«Sei triste per tuo padre?».
Jack sbuffò e scosse la testa. «Non è una novità. Ha sempre problemi con la legge. Anche se stavolta penso che lo sbatteranno ad Azkaban, si è fatto beccare con dei sospettati di attività oscure. Andiamo a letto, dai».
«Ma Jackie…».
«Jackie?» lo interruppe Jack fissandolo.
«Non ti piace?».
«Mi è indifferente» rispose lui sedendosi sul letto, dopo un momento di titubanza: la signora Vance aveva scostato le coperte e gli aveva anche appoggiato un bicchiere d’acqua sul comodino. S’incupì per un istante e poi si accorse che Samuel lo scrutava preoccupato. «Hai una foto di tua madre?».
Il ragazzino annuì e si avvicinò al suo baule ai piedi del letto, dopo aver rovistato per qualche secondo tirò fuori il diario. «La tengo sempre con me» mormorò porgendogli una fotografia. Jack la prese con un groppo in gola: era magica. Una giovane donna con un bimbo di circa un anno salutava con una mano sorridendo all’obiettivo. «Il nonno dice che l’ha scattata mio padre».
«Io non so nemmeno chi sia» sospirò Jack, non comprendendo perché avesse tirato in ballo un simile argomento, perché si trovava in quella casa e non in giro per Diagon Alley. Si alzò smanioso. Quello non era il suo posto.
«Nevica di nuovo» sussurrò Samuel, lievemente turbato dal suo comportamento. Jack si voltò verso la finestra: era buio, e fuori doveva fare molto freddo. Tornò ad osservare il ragazzino, che era rimasto in piedi in attesa di un suo qualunque gesto. «Stai male? Vuoi che chieda alla nonna di portarti un po’ di latte caldo? O un thè?».
«I-io non sono fatto per queste cose» mormorò «Sono cresciuto per strada e…». Non sapeva neanche lui che cosa dire.
«Tu devi proteggermi. Sei qui per questo» esclamò Samuel.
«Direi di no. Il Capitano mi ha chiesto di darti un’occhiata a Scuola. Non sono un Auror. Questa casa ha tutte le protezioni possibili. Io non conto nulla. Te l’ho già spiegato».
«I-io mi fido solo di te, ok?».
«Non credo che tu dovresti. Sono il figlio di un ladro».
«Tu non sei un ladro».
«Falso. Finché non mi hanno bloccato Mcmillan e la McGranitt rubacchiavo in continuazione».
«Uffa, ma che vuoi?» sbottò Samuel. «Mio padre è chiuso ad Azkaban da anni».
Jack si sentì in colpa per quei discorsi che aveva tirato fuori e per il suo viso triste. Provò a fare qualche passo verso la porta, ma si fermò. Dopotutto che cosa avrebbe fatto lì fuori? «Sono uno stupido, scusami».
«Rimani?».
«Certo, andiamo a dormire».
Samuel sorrise e lo abbracciò. Jack si irrigidì per un attimo, poi gli scompigliò i capelli. «Buonanotte, folletto».
Il ragazzino rise, mentre si sdraiava. «Fra qualche anno sarò più alto».
«Allora fra qualche anno smetterò di chiamarti folletto».

*

Virginia aveva rinunciato da un pezzo a leggere ed aveva riposto il libro sul tavolino, gli occhi si chiudevano da soli e vi erano dei momenti in cui si assopiva completamente. Lo scatto della serratura, però, la fece sobbalzare. Saltò dalla poltrona mentre un uomo sui trentacinque anni entrava.
«Papà!» strillò, abbracciandolo. S’irrigidì lievemente quando colse frammisto al sudore anche l’odore di sangue. «Sei ferito?» chiese staccandosi e squadrandolo dalla testa ai piedi. La divisa scarlatta era sporca, ma non sembrava strappata in nessun punto.
 «Non è mio» replicò piatto, quando gli occhi della ragazzina videro diverse macchie rosse sparse sulla casacca.
«C’è stato uno scontro. Non avresti dovuto aspettarmi» disse l’uomo togliendosi il mantello ed appoggiandolo su una sedia.
«Ero preoccupata e poi mi sei mancato».
Sul volto del giovane Auror si aprì un lieve sorriso. «Anche tu mi sei mancata. Mi dispiace di non essere venuto alla stazione».
«Non fa niente. Hai fame?» replicò subito Virginia. «Con Lauren abbiamo fatto pollo e patatine al forno».
«Bene. Ho bisogno di una doccia, prima» disse lui schioccandole un bacio sulla fronte.
«Te lo scaldo nel frattempo».
«Grazie, ma se vuoi puoi andare a letto. Hai un faccino così piccolo. Si vede che sei stanca».
«Ti aspetto».
«Ho capito» sospirò Adrian Wilson. «Faccio in fretta, promesso».
Virginia lo ringraziò con lo sguardo. Accese il forno e preparò la tavola per il padre, poi tornò ad accoccolarsi sulla poltrona vicino al fuoco.
«Ehi, tesoro» la svegliò dopo un po’ Adrian soffiandole delicatamente sul volto. «Meno male che il forno era basso o probabilmente avrei mangiato pollo carbonizzato».
«Oh, mi dispiace!» disse la ragazzina, raddrizzandosi.
«Tranquilla, è ancora buono» disse lui facendole l’occhiolino e dirigendosi verso la tavola. Virginia, assonnata, si sollevò e lo raggiunse, sedendosi accanto a lui.
«Che cosa mi devi dire di così importante?» chiese a bruciapelo Adrian. Virginia avrebbe voluto abbracciarlo di nuovo, adorava suo padre, comprendeva sempre i suoi stati d’animo. «Ero veramente preoccupata. Non ti ho aspettato solo per parlarti» ci tenne a sottolineare.
«Lo so, tesoro. Una volta constatate le mie condizioni, avresti potuto andare a letto, invece hai insistito per rimanere. Cosa ti turba?».
Virginia lo osservò per un attimo addentare una coscia di pollo, poi sospirò e disse: «Sono insufficiente in Divinazione ed il professore dice che non supererò mai l’esame di fine anno».
Adrian con una calma, che la ragazzina trovò esasperante, prima di parlare sorseggiò del vino elfico, poi giochicchiò con il bicchiere per qualche secondo. «Tu odi Divinazione» sospirò alla fine, prima di tornare alla sua coscia di pollo.
«Sì, ma… che c’entra… tu hai sempre detto che bisogna studiare anche se non ci piace qualcosa e…».
«La divinazione è una branca incerta della magia, molto incerta. Poche persone hanno il dono della Vista. Tu sicuramente non ce l’hai. E comunque mi riferivo alle materie importanti, che per me sono tutte tranne Divinazione. Credo sia sbagliato tentare di conoscere il nostro destino prima del tempo, non porterebbe a nulla di buono. Ma il problema è lo studio? Rischi di essere bocciata perché non studi?».
«No, no, ti giuro che lo faccio. Ho provato ha imparare a memoria quelle definizioni… non hanno senso… non lo so… papà, ti giuro…».
«Alle volte io non so cosa fare con te, Virginia. Ho parlato con una mia ex compagna di Scuola. Adesso è una psicomaga del San Mungo. Ti va di fare due chiacchiere con lei?» disse a bruciapelo Adrian.
Virginia sentì le lacrime premere per uscire e distolse lo sguardo dal padre. Non poteva certo gridargli che non capiva un tubo come faceva la maggior parte delle adolescenti, lui capiva fin troppo alle volte. «N-no i-io lo so cosa dovrei fare… non voglio studiare Divinazione. D-dovrei parlare con il professor Williams e dirgli che non voglio più seguirla. Giusto? E questo che mi vuoi dire?» chiese senza riuscire a trattenere un singhiozzo.
«Non c’è bisogno di piangere, tesoro. Voglio solo aiutarti. Sappiamo entrambi perché hai scelto quella materia. Così come le altre quattro a scelta. Virginia, io mi preoccupo per te! Parliamoci chiaro, non sei preoccupata della mia reazione per i tuoi voti in Divinazione, ma per tua madre. Io ti ho sempre chiesto di impegnarti e di comportarti bene, non ti ho mai chiesto di essere perfetta. Non mollerai Divinazione, lo so. Ma almeno promettimi di non starci male, anche se alla fine non dovessi superare l’esame non fa niente, ok?».
«I-io voglio mollarla, ma ho paura della reazione di mamma. Il nuovo professore mi terrorizza, me lo sogno pure la notte. Vorrei fare come Cassandra Cooman».
Una scintilla di curiosità si accese negli occhi spenti e preoccupati di Adrian. «Cassandra Cooman, la nipote di Sibilla Cooman? La ragazzina che ha la Vista? Il Capitano mi aveva detto che la Preside aveva concordato delle lezioni extra con il nuovo professore proprio per aiutarla. E poi che fa per spaventarti?».
«È una persona gelida, non sorride mai. Ti sta addosso mentre fai le esercitazioni e ti umilia davanti a tutti come se non valessi nulla solo perché non vedi niente all’interno di una stupidissima sfera di cristallo. E comunque Cassandra Cooman si gioca sempre le lezioni di Divinazione con Rose Weasley. Lo odiano tutti. È stato sopranominato Solo-io-so-l ’ovvio. Perché la Preside ha assunto proprio lui?».
Adrian scrollò le spalle. «Probabilmente perché era l’unico candidato. Non va bene che Cassandra salti le lezioni, è possibile che nessuno le abbia detto nulla?».
«E io che ne so? Non è mica una Corvonero. Comunque non dirai nulla, vero? Nessuno vuole mettersi contro la Weasley e la Cooman».
«Mettersi contro? Ma dai, che discorsi sono? Siete solo ragazzi! Ti hanno mai dato fastidio? E sì, lo dirò al Capitano. Quella ragazzina deve imparare a controllare il suo dono o sarà un pericolo per se stessa».
«Sono tra quelle che mi prendono in giro» borbottò.
Adrian sospirò: «Senti, ne abbiamo già parlato: io non posso combattere le tue battaglie, ma se i tuoi compagni dovessero esagerare, dimmelo o parlane tu stessa con un insegnante, ok? Sono sicuro che Maxi Williams ti aiuterà».
«Va bene. Domani come faccio con mamma?».
Adrian si alzò e pose i piatti sporchi nel lavandino alle sue spalle. «Lo sai che non approvo il comportamento di Lauren con vostra madre, ma tu esageri al contrario. Tua madre è… rigida, diciamo… ma tu non puoi farti condizionare sempre da lei… Ora hai quattordici anni, ma quando ti diplomerai che farai? Sarai in grado di far valere i tuoi desideri, come ha fatto Lauren o lascerai che tua madre scelga anche il tuo futuro? Io e tua sorella siamo qui per aiutarti, Virginia».
La ragazzina lo abbracciò forte e disse piangendo: «Non mi farà andare ad Hogsmeade!».
Adrian sospirò, le sue parole non erano servite a nulla. Virginia non era ancora pronta ad opporsi alla madre. «Non pensavo ti interessasse» disse ripensando alla lettera sinceramente preoccupata che gli aveva inviato il professor Vitious l’anno precedente e le poche parole che era riuscito a scambiare con Maxi Williams negli ultimi tempi. Virginia non andava mai al villaggio, nonostante le avesse firmato il permesso. La motivazione che la ragazzina gli aveva dato è che non riusciva a stare a passo con i compiti e che poi non aveva voglia di andarci da sola. Parlando anche con altri suoi professori aveva toccato con mano le sue preoccupazioni e ciò che anche Lauren gli diceva spesso: Virginia tendeva sempre ad isolarsi. «Da quand’è che ti interessa?».
Virginia si irrigidì e sciolse l’abbraccio. Era arrossita. «Al mi ha detto che se mi va posso andare con lui ed i suoi amici la prossima volta e non voglio perdere quest’occasione».
«Al?» chiese circospetto Adrian, voleva che la sua bambina facesse amicizia ma era preoccupato che qualcuno le potesse fare del male.
«Albus Potter. Mi ha detto che posso chiamarlo Al» mormorò in risposta. «Ci siamo fatti compagnia ieri sera. Nemmeno lui aveva voglia di andare al Ballo del Ceppo e rimanere in Sala Comune. Siamo stati per ore in biblioteca. È stato fantastico perché c’eravamo solo noi ed abbiamo un sacco di cose in comune. Anche ad Al piace un sacco Antiche Rune, addirittura mi ha fatto vedere che sta traducendo un libro molto antico e difficile».
«In biblioteca di notte?» chiese Adrian basito.
«Sì, ma avevamo il permesso del signor Bennett, il nuovo bibliotecario. Ti giuro, papà, avevamo il permesso!».
Adrian sorrise lievemente. «Tranquilla, tranquilla mi fido di te. Facciamo così. Tu con mamma comportati come sempre. Non metterti a discutere quando ti rimprovera. Sappiamo entrambi che lo farà. Che non ti venga in mente di risponderle come fa Lauren o non ti aiuterò. Voglio che le portiate rispetto, lo sai. Ti prometto che non ti verrà vietato di andare ad Hogsmeade».
«Ma lei non accetterà mai, lo sai che vorrà punirmi!».
«Virginia, ogni tanto dimentichi che tu sei sotto la mia custodia» sbottò bruscamente Adrian. «Per il Wizengamot tocca a me decidere cosa è giusto o sbagliato per te. Permetto che tua madre si intrometta solo perché ritengo sia giusto, specialmente per te che sei una ragazza. L’ultima parola, però, spetta a me. Decido io se e quando punirti, è chiaro?».
«Sì» sussurrò Virginia.
«Guarda che lo so perché fai così. Vuoi l’approvazione di tua madre e posso comprenderlo un po’, ma non lascerò che tu ti faccia male da sola» aggiunse Adrian. Virginia scoppiò in lacrime e si lasciò stringere e cullare tra le sue braccia. Era vero, voleva solo che sua madre fosse contenta di lei, invece aveva sempre qualcosa da ridire. Faceva tutto quello che le diceva, ma questo sembrava non bastare mai. E ciò che la faceva soffrire di più è che si sentiva sempre meglio quando sua madre se ne stava a Berlino con la sua nuova famiglia.
«Non mi lasciare almeno tu» sussurrò senza pensare.
«Non ci penso nemmeno» replicò Adrian.

*

«Mamma». Brian sorridente chiamò la donna chinata per odorare alcune magnolie. Il giardino era un tripudio di colori e fiori uno più bello dell’altro. Gli sembrava quasi di sentirne l’odore. Garofani, violette, primule, peonie, narcisi, anemoni e soprattutto le magnolie che la mamma tanto adorava. «È bellissimo mamma, vero? Ma com’è possibile che sia primavera? Non doveva essere la Vigilia di Natale? Buffo che ne sia convinto, no?».
La donna non diede segno di averlo sentito e si spostò verso aiuola un po’ vuota. Lì un bambino stava piantando alcuni bulbi. Quel bambino era lui. Brian si irrigidì. Non era primavera. La mamma non era lì. Sentì le lacrime calde scendere sulle guance e la mamma e lui da piccolo iniziarono a sparire. Fiocchi di neve gli offuscarono la vista e quando riuscì a vedere di nuovo si ritrovò sprofondato a metà nella neve. Le aiuole non erano più fiorite, rimaneva qualche rametto secco di rosa qua e là e qualche cespuglietto di dragoncello, ormai secco. La mamma, però, era ancora lì e piangeva, stringendo tra le mani dei petali bianchi. Stavolta sembrò notarlo: «Perché Brian? Perché le mie povere magnolie?».
E piangeva. Brian tentò in tutti i modi di raggiungerla, ma la neve glielo impediva. Si sentiva piccolo e debole. «No, no. Mi dispiace!» quasi urlò.
Si svegliò di soprassalto. Ansimante si rese conto di essere nel suo letto. Una tenue luce penetrava dalla finestra, gettò un’occhiata alla sveglia sul comodino e vide che erano sì e no le sette e mezza. Scostò le coperte e scese dal letto di scatto in preda ad una strana inquietudine. Si mise le pantofole e corse al piano di sotto, qui inciampò nelle costruzioni lasciate in giro da Sophie facendo rumore ed evitò per un pelo un pattino. Riprese fiato solo quando uscì in giardino. Fu scosso dai brividi. Aveva nevicato realmente durante la notte e le sue pantofole sprofondarono nella neve, ma riuscì comunque ad avvicinarsi ad una delle aiuole ed accucciarsi accanto ad essa. Non era rimasto nulla. Come aveva potuto dimenticarsene? Si sentiva uno schifo, era per colpa sua se la mamma piangeva. Cercò di riportare alla mente le spiegazioni di Paciock su come si stabilisce se una pianta è viva o meno, era il primo della classe in Erbologia ma non riusciva minimamente a ragionare in quel momento. Non si era salvato nulla: la terra era ghiacciata e sembrava morta. E c’era d’aspettarselo: Paciock lo ripeteva sempre, seppure i suoi compagni lo prendessero sempre in giro, le piante vanno curate ed amate. E lui non l’aveva fatto. Non seppe per quanto tempo rimase lì in ginocchio sulla neve a singhiozzare, ma ad un certo punto sentì due forti mani che lo sollevavano ed una coperta calda che lo avvolgeva.
«Ma sei impazzito, Brian? Mi è preso un colpo quando non ti ho trovato a letto!» disse irritato Gregory. «Ti stavi congelando, diamine!».
Brian si lasciò trascinare in casa e poi vicino al caminetto, incurante dei rimproveri paterni. Il calore del fuoco, però, lo fece sentire decisamente meglio. Pochi secondi dopo il padre gli mise tra le mani un bicchiere di latte caldo. Non si era neanche accorto che avesse smesso di parlare.
«Brian, per Merlino, che stavi facendo lì fuori alle otto meno un quarto del mattino? In pigiama, per giunta! Oggi ci saranno almeno cinque gradi sotto zero! Ma spiegami, vuoi trascorrere le vacanze a letto?».
«Mi sono dimenticato della mamma» disse piangendo sempre più forte.
«Ma che dici?» chiese Gregory, guardandolo mentre si stringeva forte le gambe con le braccia al petto e affondava il volto sulle ginocchia. Sedette sul tappeto con lui e gli chiese: «Cosa ti sei dimenticato? Cosa vuoi sapere di lei?».
«Abbiamo dimenticato i suoi fiori. Abbiamo dimenticato lei» continuò Brian senza smettere di piangere.
Gregory si sentì stringere il cuore, abbandonò ogni tentativo di consolarlo. Non solo non aveva avuto tempo di prendersi cura del giardino in quegli anni, ma non aveva voluto trovarlo. Brian aveva ragione, avevano dimenticato. L’avevano fatto sperando che facesse meno male, invece ora ne faceva di più. Rimase lì accanto a lui senza dire nulla, il fuoco non riusciva a scaldarlo dentro e non si preoccupò neanche quando si accorse di essere in ritardo. In quel momento non aveva importanza la sua carriera. Brian non s’immaginava quanti ritardi avesse accumulato in quel periodo e quanti richiami, dopo i disordini della sera prima probabilmente si sarebbe beccato la nota disciplinare che il sotto vice-Capitano Lewis gli minacciava da un pezzo. Sospirò stringendo a sé Brian. Aveva bisogno di Maxi. Il suo migliore amico aveva ragione: lui per primo aveva finto che tutto andasse bene, senza accorgersi, o meglio accettare, che suo figlio stesse facendo lo stesso.

*

«Buonasera, signori Fergusson» disse educatamente Al, mentre il nonno fremeva accanto a lui.
«Matthew!» strillò Dominique, gettando le braccia al collo al suo ragazzo che la prese al volo. Albus non poté fare a meno di notare che in sua cugina convivessero due personalità opposte: la Grifondoro impulsiva e con slanci di affetto improvvisi e la Serpeverde acida, fredda, incostante e vendicativa.
Il nonno strinse con calore la mano ai Fergusson e fece una carezza al più piccolo della famiglia, Jeremiah.
«Prego, prego entrate».
Nonna Molly, che era intenta a cucinare, si avvicinò a salutare un attimo e poi tornò ai fornelli. Quel giorno aveva cercato l’aiuto dei nipoti, ma non era stata molto fortunata: Dominique era stata fuori tutta la giornata con le sue amiche ed era tornata a casa solo per prepararsi all’arrivo di Matthew; Fred aveva fatto lo stesso ed ancora non era rientrato; Molly… beh Molly era un’incognita per tutti, non sapevano neanche se avrebbe festeggiato con loro, visto e considerato che non si faceva sentire con nessuno da quando se ne era andata di casa; Vic, che era sempre la più disponibile, non si era fatta vedere per tutto il giorno e la sera prima lei e Teddy avevano cenato da nonna Andromeda e Lily e Louis non l’avevano presa per nulla bene; James era stato costretto a letto da loro madre e dalla nonna, anche se Al lo sapeva: il fratello più che riposarsi si stava scervellando su come dovesse comportarsi adesso con Benedetta, Robert era di sopra con lui e probabilmente non l’aveva affatturato solo perché era minorenne. Al era stato felicissimo quando James la mattina prima gli aveva raccontato rapidamente che cosa aveva fatto con Benedetta. Sospirò mentre aiutava gli ospiti con le valige. Praticamente l’avevano mollato da solo. Rose era uscita di nascosto per andare da Cassy e non era ancora tornata con preoccupazione dei nonni. Zia Hermione l’avrebbe uccisa. Lily ed Hugo erano andati da Alice; Louis si era chiuso in camera sua a leggere ed era uscito solo per pranzare; Gideon ed Arthur erano stati portati a far compere da zia Jane. Erano rimasti lui, Roxi, Lucy e Fabiana ad aiutare la nonna. Ad aumentare il caos in casa quell’anno, però ci avrebbero pensato anche gli ospiti stranieri. I Flamel erano stati invitati da Fleur e Bill, anche se per fortuna avrebbero dormito in una villetta che avevano acquistato anni prima i nonni Delacour, che a loro volta sarebbero stati presenti. Apolline aveva deciso di portare a casa anche due suoi compagni della delegazione di Beauxbatons, Eugene Martin e Paul Leroy. Senza contare che Arthur aveva invitato la Cercatrice di Durmstrang, Anne Müller. Infatti altra idea brillante della McGranitt, o chi per lei, era stata quella di far invitare gli studenti stranieri dalle famiglie inglesi.  Per farli ambientare meglio, era stata la scusa. Qualcuno tra i ragazzi pensava che la Preside volesse meno gente possibile tra i piedi per almeno due settimane.
«Ecco, questa è la vostra stanza» annunciò ai coniugi Fergusson aprendo la porta di una camera al primo piano. «Potete sistemarvi, mentre accompagno Jeremiah di sopra». Matthew era stato rapito da Dominique.
«Questa casa è pazzesca» commentò il ragazzino, quando rimasero soli. «Escono camere dappertutto, ma come fate?».
«Magia» replicò sorridendo Albus.
«Anche io il prossimo anno verrò ad Hogwarts e spero di essere smistato nella stessa Casa di Matthew, peccato che lui si diplomi quest’anno».
«Te lo auguro… vieni siamo arrivati… questa è anche la mia stanza… ehm scusa per il disordine, ti spiacerebbe non dirlo agli adulti? Sai, la nonna ci aveva intimato di ordinare stamattina… È assurdo come in meno di ventiquattro ore le nostre cose si siano sparse in giro».
«Oh, stai tranquillo. Non dirò nulla».
In effetti la camera non aveva un aspetto particolarmente invitante quando entrarono. «Attento a dove metti i piedi» lo avvertì Albus, fermandolo prima che calpestasse la scopa di Fred.
«Il tuo letto è quello in basso vicino alla finestra» aggiunse Albus, indicando l’unico letto sgombro di vestiti e libri.
«Ciao» borbottò James, facendoli sobbalzare.
«Mi eri dimenticato che eri qui».
«Molto gentile, fratellino» disse James, saltando giù da uno dei letti. «Direi che ho riposato abbastanza. Vado a vedere se la nonna mi fa fare un assaggino».
«Io non lo farei se fossi in te…» iniziò Albus, ma James non gli diede minimamente ascolto.
«Perché?» chiese sorpreso Jeremiah.
«Oh, niente di che… quando la nonna lo vedrà in piedi, lo riterrà abbastanza in forze da dare una mano… Immagino che gli farà apparecchiare la tavola… Ah, beh io ho provato ad avvertirlo… Fa’ pure con comodo, io scendo ad aiutarlo…».
Albus si sorprese nell’incontrare il padre sul pianerottolo del primo piano.
«Sei tornato!».
Harry annuì. Era pallido ed aveva occhiaie particolarmente evidenti. Alla fine il giorno prima non era neanche andato a prenderli alla stazione ed era la prima volta da quando James aveva iniziato Hogwarts, anzi Teddy gli aveva assicurato che non era mai accaduto nemmeno con lui. In più quella notte non l’aveva sentito rientrare e quando si era svegliato, era già uscito. Sua madre si era limitata a rassicurarli sul fatto che stesse bene, ma era palese che lei stessa non aveva dormito quasi per nulla. 
«Tutto ok, papà?» gli chiese Albus.
«Mmm… spero solo che i Neomangiamorte vogliano trascorrere il Natale con le loro famiglie, così almeno staremo tranquilli per qualche ora… Scusami, Albus, sono stanchissimo. Dov’è mamma?».
«Finnigan l’ha chiamata stamattina, perché a quanto pare c’era qualche problema con la nuova rivista di Quidditch che stanno realizzando. Ha mandato un gufo per dire che non sarebbe tornata per pranzo. Penso che a momenti sarà qui».
Harry annuì e senza aggiungere altro lo superò per dirigersi ai piani superiori.
«Papà» lo bloccò. Harry si girò e lo fissò interrogativo. «Nei prossimi giorni posso andare a casa di un’amica, è bravissima in Antiche Rune e…».
«Al, credevo che tua mamma fosse stata chiara ieri sera. Da soli non andrete da nessuna parte. È troppo pericoloso. Questa casa e la nostra sono protette nel migliore dei modi possibili» replicò Harry irritato.
«Ma…».
«Insomma Al!» sbottò Harry. «Non sono in vena di polemiche! Credevo che avremmo dovuto affrontare i capricci di Lily in merito, non certo i tuoi!».
«Ma la casa della mia amica è protetta» insisté.
«Sto parlando di una protezione seria, Albus!».
«Le protezioni messe da uno dei tuoi sotto ufficiali non sono abbastanza serie per te?».
«Di chi Merlino stai parlando?».
«Virginia Wilson».
«La figlia di Adrian?».
«Sì, allora posso? Le ho chiesto di venire lei da noi, ma si vergogna e poi non va molto d’accordo con Rose… ma me l’hai detto mille volte che non devo fare sempre quello che dice Rose…».
«Sì, va bene, ma prima parlo con Adrian. Se dovete incontrarvi voglio che lo facciate quando lui non è di turno e poi se riterremo opportuno dovrai usare la Metropolvere. Ora, vado a farmi una doccia però».
Albus sospirò. Da una parte era contento che il padre avesse accettato, gli mancavano un po’ di pagine da tradurre di quel libro che aveva trovato in biblioteca, che aveva alcune delle risposte di cui necessitavano, e con l’aiuto di Virginia avrebbe fatto sicuramente più in fretta; dall’altra provava pena per il fratello che per andare a trovare Benedetta avrebbe avuto ben poche possibilità.
Zio George aveva allestito un gazebo coperto in giardino perché entrassero tutti. Naturalmente era riscaldato e anche lì, come in soggiorno, vi era un albero di Natale, anche se non imponente quanto l’altro, ed era pieno di decorazioni colorate che avevano sistemato insieme quella mattina.
La cena preparata dalla nonna, zia Angelina, zia Fleur fu abbondante e buona come sempre. 

*

«Frank! Non ti avevo detto di mettere quella benedetta camicia nei pantaloni?» sibilò Hannah Paciock, fulminando con un’occhiata il suo primogenito.
Il ragazzino sospirò e fece per obbedire, ma Amy lo bloccò. «La smetti di fare il bravo bambino? La camicia ti sta meglio di fuori e se ti togliessi quel maglione, sembreresti più figo e faresti più colpo sulle ragazze».
«Insomma, quando ti dico una cosa dev’essere quella!» sbottò Hannah, Frank non si oppose quando la donna gli sistemò la camicia come voleva lei sotto lo sguardo divertito dei suoi cugini.
«Contenta?» sospirò, totalmente rosso in volto, ad Amy, quando la madre si fu allontanata, lanciando un’occhiataccia ad entrambi.
«Sei un caso disperato» dichiarò lei.
«Anche tu, però. Sai essere peggio di Alice!».
«È mezzanotte» annunciò nonno Albert.
«Ed allora?» chiese Amy a Frank.
«È tradizione che ci consegni i suoi regali adesso. Avviciniamoci» replicò il ragazzino alzandosi.
«Ma il divano era comodo!» si lamentò Amy.
Nonno Albert era un uomo incredibilmente gioviale ed alla mano, come ogni buon Tassorosso in fondo, ed amava essere circondato dai suoi nipoti. Come ogni anno era seduto in una poltrona vicino al maestoso abete che occupava un angolo del salotto ed i ragazzi si sedettero intorno a lui. «Allora ho cercato di accontentarvi tutti» disse facendo loro l’occhiolino. Frank sorrise al nonno, che ogni anno li scriveva di nascosto ai genitori per sapere che cosa volessero in regalo. Nonostante gli adulti fossero contrari, i ragazzi ne approfittavano per chiedergli quello che loro non li avrebbero mai comprato. Il tutto senza troppi sensi di colpa visto e considerato che il nonno era ricco e per quello che avevano compreso aveva già provveduto a dividere equamente il suo patrimonio tra i tre figli, quello che si era tenuto per sé era proprio per i nipoti. Non per niente lo adoravano.
«Papà, che cosa li hai comprato?» chiese esasperato zio Charles, probabilmente non aveva dimenticato lo stage presso i Cannoni di Chudley che aveva regalato ad Albert l’anno precedente.
«I ragazzi ne saranno felici» replicò il nonno, come se fosse una risposta esauriente. Poi con un gesto della bacchetta fece sollevare otto pacchi, alcuni parecchio voluminosi, e li fece volare tra le braccia dei rispettivi proprietari. Hannah gemette in sottofondo e Charles trattenne a stento un’imprecazione quando riconobbero dalla forma i regali che Alice ed Albert fissavano rapiti. Frank intuì che non tirava bella aria e gettò un’occhiata al padre, che, però, era rimasto tranquillamente stravaccato su una poltrona. Scartò curioso il suo regalo, come al solito probabilmente era stato l’unico a non fare richieste, alle volte pensava che fosse una fregatura ascoltare sempre i genitori ma nel caso del nonno non ci perdeva nulla di solito. Infatti rimase colpito quando scoprì i due libri che gli aveva regalato, ignorando le urla di giubilo e di vittoria di Alice ed Albert. Uno era una copia antica delle Fiabe di Beda il Bardo, illustrato con delle bellissime miniature che osservò sempre più euforico. Quel genere di libri non li vendevano di certo al Ghirigoro. Anche l’altro libro era molto antico e si intitolava Storia della magia celtica, perfettamente rifinito, con la copertina in pelle di drago ed il titolo scritto in lettere dorate.
«Allora Frank, non dici nulla? Ti piacciono?».
Frank si riscosse e vide che il nonno lo fissava con un sorriso benevolo.
«Sì tantissimo, grazie mille» mormorò alzandosi e dandogli un bacio sulla guancia.
«Papà» chiamò Hannah con una punta di isterismo nella voce. «Perché Merlino hai regalato una scopa ad Alice?  Sai perfettamente che io e Neville non volevamo!».
«E tu sai perfettamente che Alice adora il Quidditch ed è stato meschino da parte vostra vietarle anche di presentarsi ai provini per Grifondoro».
«Perfino lei ha capito e non si è lamentata!» replicò Hannah.
«Non mi sono lamentata perché io e Lily vogliamo fare le battitrici ed i posti erano già occupati, ma appena Fred si diploma…» intervenne Alice, prima di abbracciare con foga il nonno con un braccio e con l’altra mano tenere stretta la nuovissima Nimbus 2030.
«È bellissima nonno!» gridò eccitato Albert, brandendo la sua sotto l’occhiata di disapprovazione dei suoi genitori. «Ti prometto che annienteremo gli stranieri!».
«In teoria non dovresti usare certe espressioni» provò Neville, ma suo suocero coprì la sua voce: «Sì, grandi onori per Tassorosso quest’anno! Non sai quanto sono fiero di te! Quando sarai in nazionale vorrò i biglietti per la tribuna!».
«Sicuro, nonno!».
Anche Amy aveva ricevuto una Nimbus 2030, ma zia Elisabeth non aveva detto nulla.
«Albert, non giocherà in nazionale! Si impegnerà per avere dei buoni M.A.G.O. ed entrerà al Ministero» esclamò minaccioso zio Charles, per un attimo le sue parole azzittirono i ragazzi ma poi Albert stesso scoppiò a ridere e disse: «Appena compio diciassette anni me ne vado di casa, decido io il mio futuro e senz’altro non entrerò al Ministero».
«Tu non andrai da nessuna parte, finché vivo questa sarà casa mia e tu potrai stare qui» intervenne il nonno serio. «E voi tutti smettetela, lasciate che i ragazzi seguano la loro strada. Io ho rischiato di perdere una figlia. Permettete che vi guidi visto che ho più esperienza». Alle sue parole si irrigidirono tutti e poi zia Elisabeth si alzò e lo abbracciò. «Ti voglio bene, papà. Ti prometto che non scapperò più».
«Questo non significa che dobbiamo lasciar fare ai ragazzi ciò che vogliono» borbottò zio Charles.
«E soprattutto Albert, lei non dovrebbe comprare ai ragazzi ciò che noi li abbiamo vietato. Non è educativo. Ne abbiamo discusso molte volte» intervenne zia Clarisse.
«Ha ragione, papà» provò Hannah.
«Ma cara, non mi sembra che Neville si stia lamentando, o sbaglio? Neville, che cosa ne pensi?» replicò il nonno, tirando in ballo il genero.
«È un bellissimo regalo, grazie Albert».
«Neville?!» dissero in coro Charles ed Hannah.
«Papà sul serio sei d’accordo?» chiese Alice altrettanto sorpresa.
«Sì, l’anno prossimo potrai provare ad entrare in squadra, se lo desideri, ma» e quel ma bloccò Alice che già gli stava saltando addosso per la felicità, «fino ad allora la scopa la terremo io e la mamma».
Alice spalancò la bocca, mentre Hannah assunse un’aria soddisfatta. «Così va meglio» commentò.
«Nonno!» si lamentò Alice voltandosi verso di lui, l’uomo le fece cenno di avvicinarsi e le sussurrò qualcosa nell’orecchio. La ragazzina non sembrò molto felice, ma alla fine annuì. «Va bene, ma almeno quando sono a casa di nonno posso usarla in giardino? Nessun babbano potrebbe vedermi».
«Solo a casa di nonno» concesse Neville ed Alice tornò a sorridere ed a saltellare.
Frank sorrise quando nel suo entusiasmo Alice abbracciò anche lui. Gli altri sembravano altrettanto soddisfatti: Augusta ed Emmy avevano ricevuto dei graziosi vestiti ed erano andate subito a provarli. Così almeno l’attenzione della mamma e della zia Clarisse era puntato su di loro e quel regalo l’avevano gradito molto di più. Martin, invece, aveva ricevuto un libro, ma molto diverso dai suoi.
«E questa che roba è?» chiese zio Charles prendendoglielo dalle mani.
«È un libro che parla della costruzione di automobili magiche. L’ha pubblicato la stessa Fox» mormorò in risposta Martin senza guardarlo negli occhi.
Se Frank, come ripeteva fino alla nausea Amy, si comportava sempre da bravo bambino, Martin non aveva il coraggio nemmeno di apri bocca davanti ai genitori. Amy aveva rinunciato in principio con lui.
«E che importanza hanno queste cose?» chiese zio Charles. «Sono tutte stupidaggini!».
«Hai mai chiesto a tuo figlio quale sia il suo sogno?» replicò il nonno.
«I sogni sono solo sogni. Roba da ragazzi, che poi viene messa da parte una volta che si cresce!».
«Figlio mio, io non so proprio come abbiamo fatto a farti crescere in questo modo» esclamò il nonno scuotendo la testa.
«A me piacerebbe lavorare per la Fox» mormorò Martin, sorprendendo tutti.
«Tu che cosa?» sibilò zio Charles.
«Non è il caso di discuterne stasera» intervenne zia Clarisse con voce ferma, per evitare un litigio tra il suocero ed il marito.
«Certo!» sbottò zio Charles. «Incoraggiamoli a seguire sogni assurdi e non la concretezza! Avanti visto che ci siamo, tu che vuoi fare Frank?».
Il ragazzino sobbalzò nel sentirsi tirare in causa, dopo un attimo di riflessione rispose: «Vorrei fare lo storico della magia».
Il nonno rise. «Eh, sì lo sapevo. Io azzecco sempre i regali».
«Un altro sogno concreto! E voi cosa dite?» chiese zio Charles, rivolto ad Hannah e Neville.
«Non ha mica detto di voler fare l’artista di strada» replicò Neville, che aveva trovato divertente scartare uno dei regali di Aurora ed aveva fatto suonare il piccolo carillon vicino alla carrozzina dove la bimba dormiva. «E comunque ha ragione Albert, è bene che i ragazzi seguano la loro strada».
Zio Charles fece per replicare a tono, ma fu interrotto da uno degli elfi di casa.
«Padroni, c’è un signore alla porta. Dice di chiamarsi Damian Mitchell e di essere stato invitato».
«Papà!» strillò Amy, sotto lo sguardo sconvolto di Elisabeth. Corse verso la porta, ma sulla soglia si fermò e si voltò: «Grazie, nonno».

*

«Potter».
James non si mosse e continuò a fissare la campagna innevata intorno alla casa dei nonni.
«Vuoi fare un tiro?».
«Guarda che ti beccano. Mio padre una volta mi ha fatto il terzo grado solo perché credeva che avessi fumato».
«E non l’avevi fatto?».
«No, era estate ed eravamo in vacanza a Dover. Alcuni ragazzi avevano acceso un falò in spiaggia ed io mi ero intrattenuto con loro. Poi puzzavo di fumo».
«Tuo padre, comunque, sta dormendo sulla spalla di tua madre. E comunque non credo che abbia gran fiuto. La tua cara Rosie fuma ogni tanto, non lo sai?».
«Sì, ma non in mia presenza e con un gruppo di sue amiche babbane» replicò James.
«Allora ha ragione Domi, quando dice che sei diventato un Prefetto-Perfetto».
James finalmente si voltò ed ha denti stretti disse: «Il fumo fa male. A me piacciono le cose che fanno ridere. Non è questione di regole. Ora lasciami in pace».
«Guarda che io avrei voluto avvertirti. Anzi ero sicura che lo sapessi, finché non ho visto la tua faccia quando hai scoperto che avremmo dovuto affrontare un serpente marino».
«Non fammi ridere, Apolline» sbottò James. «Tu e quel cretino di Durmstrang siete stati sleali».
«Il Torneo Tremaghi è sempre stato così. E non è colpa mia».
«Che cosa non è colpa tua?» chiese stizzito James.
«Avevo detto a Domi di dirti in cosa sarebbe consistita la prova, non sapevo che ce l’avesse con te fino a questo punto».
James rimase scioccato a quelle parole. Fin da quando erano piccoli lui e i suoi cugini si erano aiutati a vicenda ed un gesto simile non se lo sarebbe mai aspettato. Sentì la rabbia montare e si diresse a passi pesanti verso il gazebo. «Aspetta!» lo fermò la ragazza, tenendolo per un braccio. «Hai scoperto come aprire la bottiglia?».
«No e non ho bisogno del tuo cazzo di aiuto» sbottò James, liberandosi bruscamente dalla sua stretta. A passi svelti raggiunse il gazebo e senza guardare nessuno in faccia si avvicinò a Dominique, seduta accanto a Matthew, che stava chiacchierando con la signora Fergusson.
«SEI UNA STRONZA! DA OGGI IN POI SEI MORTA PER ME!» ruggì, facendo svegliare di soprassalto suo padre ed attirando l’attenzione di tutti su di lui. Vide sua madre che stava per parlare e disse subito: «Vado a letto».
«Aspetta solo un attimo, Jamie».
La voce di Teddy lo fermò.
«Dobbiamo dare una notizia a tutti. Abbiamo pensato sarebbe stato bello aspettare la mezzanotte e quindi che arrivasse Natale» aggiunse Victoire, raggiungendolo e circondandolo con un braccio. «Solo un attimo Jamie, per favore» gli sussurrò a voce bassa. James smise di fare resistenza. Si avvicinò anche Teddy. «Vogliamo approfittare di questo momento in cui la famiglia è tutta riunita per dirvi che…» iniziò il ragazzo, mentre i suoi capelli diventavano rosso fuoco.
«…presto ci sarà un piccolo Lupin» terminò Victoire, le cui guance si erano tinte di rosso.
«E vorremmo che Jamie fosse il padrino. Naturalmente la scelta sarà ufficiale solo quando diverrà maggiorenne».
James, colto alla sprovvista, ci mise qualche secondo a riscuotersi e capire che stavano aspettando che dicesse qualcosa. «È fantastico, grazie» disse sinceramente.
I festeggiamenti che si erano acquietati, ripresero nuovo vigore e furono stappate diverse bottiglie di spumante, mentre tutti i presenti si congratulavano a turno con i futuri genitori.

*

«Ma io non voglio venire!» ripeté forse per la milionesima volte quella sera. Emmanuel Shafiq era forse uno ragazzino abbastanza maturo per la sua età, ma quando si intestardiva era un problema.
«Che sono tutti questi capricci? Darnell, sei troppo permissivo con tuo figlio, se fosse stato per me gli avrei già tirato uno schiaffo» intervenne Alton Shafiq, nonno di Emmanuel, ma soprattutto il capofamiglia.
«Sì, padre. Lo so per esperienza» replicò Darnell Shafiq, un noto magiavvocato e membro del Wizengamot. «Perché non inizi ad andare?».
Il più anziano sbuffò e lasciò il salotto dove si trovavano.
«Allora Emmanuel, facciamola finita. Non è possibile che ogni anno si ripeta la stessa storia».
«Amore,» intervenne Emily, la madre di Emmanuel, per calmare gli animi. «sono solo un paio d’ore».
«Più di un paio d’ore» sbuffò Emmanuel. «Il problema è che non capisco il senso! Voi dite sempre che il sangue non conta e poi andiamo a questi raduni da Purosangue».
«Il sangue non conta, ma ci sono delle tradizioni da rispettare. E tuo nonno ci tiene» replicò Darnell, seccato.
«Non mi piace. Zia Callie e zia Charis non sono invitate».
«A loro non dispiace esserne escluse».
«Nemmeno a me! Non posso dormire da loro?» provò Emmanuel speranzoso.
«No» rispose seccamente suo padre.
«È pur sempre la sera di Natale, vogliamo stare con te» tentò Emily.
«Vengono escluse perché non hanno sposato dei Purosangue!» si intestardì Emmanuel.
«Sì, è così. Nessuno ne ha mai fatto un mistero. Al ricevimento di Natale dei Purosangue non sono ammesse. Tuo nonno non si è mai opposto ai loro matrimoni. Non è lui ad organizzare la festa. Te l’ho già spiegato».
«Però partecipando sembra che noi approviamo questo genere di discriminazioni. So che la pensi come me, papà» insisté il ragazzino.
Darnell annuì. «Odio questo genere di mezzi, ma tu non mi lasci scelta».
Emmanuel lo fissò preoccupato, voleva davvero prenderlo a schiaffi come aveva suggerito il nonno? Non aveva mai alzato un dito su di lui in tredici anni. Suo padre, però, mise la mano nella tasca del mantello e tirò fuori quattro biglietti. Il ragazzino impiegò qualche istante per capire cosa fossero. «Sono per la prossima partita degli Appleby Arrows?» chiese stupito.
«Già. Sono per me, te, Selene e zio Caspar. Hai ragione tu, ma quando crescerai capirai che alle volte i gesti plateali di ribellione non servono a molto. La nostra partecipazione a questo ricevimento non c’è ancora alcun motivo perché debba essere considerata un gesto indegno».
«In che senso?».
«Sai benissimo quello che sta succedendo, sei un ragazzino sveglio. Se la mia partecipazione a certi eventi in futuro significherà scegliere da che parte stare, sta sicuro che darò una ferma risposta. Non ti allontanare da me e tua madre, ci saranno dei soggetti che non mi piacciono».
«Credo di aver capito, papà» replicò serio Emmanuel.
Darnell annuì. «Su, andiamo».
Emmanuel non apprezzava quelle serate in cui era costretto a mostrarsi perfetto. Erano molto noiose. Il ricevimento di Natale, poi, è una tradizione inaugurata dopo il 1930, anno in cui è stato pubblicato anonimo l’elenco delle ventotto famiglie purosangue. Le Sacre Ventotto. Per lo più ormai si ritiene che l’autore sia stato Cantankerus Nott. Infatti per anni era stata la famiglia Nott ad organizzare il ricevimento, poi la guerra aveva cambiato ogni cosa. Per quello che gli aveva raccontato suo padre in quegli anni non festeggiarono mai, perché le stesse famiglie purosangue erano divise tra loro e vi era un clima di sospetto e paura. Emmanuel rimuginò per tutto il percorso in macchina, ormai le Fox andavano di moda: le parole del padre erano state chiare, temeva che si sarebbe ripresentata la stessa situazione. Non voleva un’altra guerra, pensò spaventato. Comunque adesso erano i Burke ad organizzarla, poiché i Nott, dopo che il capofamiglia era stato condannato a vita ad Azkaban, e l’unico erede, Theodore, aveva sposato una babbana, erano caduti in disgrazia. Erano anni che sentiva il nonno e gli zii parlare di modifiche dell’elenco delle Sacre Ventotto; ormai delle vecchie famiglie rimaneva ben poco e ve ne erano altre che il nonno definiva dispregiativamente parvenu.
Il maniero dei Burke era cupo ed Emmanuel si sentì inquietò, nonostante vi fosse stato parecchie volte. Phineas Burke attuale capofamiglia aveva sposato Katrine Bulstrode, ed avevano due figli Edward e Sarah. Emmanuel non vi aveva mai fatto amicizia, da una parte a causa della differenza d’età, dall’altra perché erano due ragazzi schivi che non davano mai molta confidenza. Entrando nel vasto salone si rincuorò un po’ riconoscendo Scorpius Malfoy.
«Buon Natale, Scorpius» disse subito con un sorriso.
«Sì, auguri» replicò Scorpius sarcastico.
«Che succede?» gli domandò sorpreso.
«E me lo chiedi? Questo è il trionfo dell’ipocrisia!» disse a voce un po’ troppo alta, tanto che qualcuno vicino lo sentì e lo fulminò con lo sguardo.
«È meglio se abbassi la voce» sussurrò.
«Di che hai paura? Loro non valgono niente da soli!» sibilò Scorpius.
«Con chi ce l’hai?».
«Mio padre mi ha deluso. Si è unito ai Neomangiamorte. Sono una massa di corrotti qui dentro!».
«No, aspetta. Mio padre e mio zio Caspar non lo sono. Ne sono sicuro!».
«Te lo auguro. Comunque stanotte non tornerò a casa».
«Che vuoi dire?».
«Appena i miei saranno distratti da chiacchiere inutili, me ne vado da Al».
«Non puoi scappare in eterno».
«Io non scappo. Metto le distanze tra me e loro».
Emmanuel scosse la testa incredulo di fronte alla risoluzione dell’amico e trascorse il resto della serata in compagnia di sua cugina Selene.
All’improvviso la sala cadde nel buio. Varie urla si susseguirono. Emmanuel si sentì stringere la mano con forza.
«Che succede?» gli chiese Selene.
«Non lo so. Dov’erano i nostri genitori?».
«Vicino al tavolo del buffet, parlavano con i Lumacorno».
Il ragazzino fece per muoversi verso quella che riteneva la direzione giusta, ma il salone tornò ad illuminarsi. Trattenne il respiro: erano circondati. Uomini in veste nera e maschera argentata avevano creato una specie di cordone e tutti gli invitati erano stati spinti verso il centro. Selene era rimasta paralizzata, ma Emmanuel con gesto secco la tirò per il braccio per portarla verso suo padre, il primo volto familiare che aveva visto, ma il panico aveva preso il sopravvento e furono spintonati, ritrovandosi ancora più lontani.
«Silenzio!» gridò una voce gelida. I presenti cercarono la persona che aveva parlato ed a mano a mano che la identificavano un mormorio spaventato o in alcuni casi eccitato si levava da più punti del salone. Emmanuel per conto suo aveva la visuale coperta dai maghi adulti.
 «Sei un ricercato, Rabastan Lestrange. Abbassa la bacchetta e consegnati» disse con voce ferma un ragazzo sui vent’anni.
La risata fredda e priva di emozioni di Lestrange fece rabbrividire Emmanuel, che istintivamente estrasse la bacchetta e vide che Selene faceva lo stesso. «Sei solo un ragazzino, Greengrass».
«Non ha importanza. In quanto Allievi Auror abbiamo in casi estremi l’autorizzazione a procedere con un arresto».
Stavolta Emmanuel riconobbe il ragazzo che aveva parlato: Raphael Fawley. I due ragazzi erano ora fianco a fianco e la folla aveva creato il vuoto intorno a loro. «Soprattutto se in presenza di un Auror» sibilò Greengrass fissando minaccioso Edward Burke, che si affrettò ad avvicinarsi e disse: «Ti dichiaro in arresto».
«Basta così» disse una donna, rimasta in disparte fino a quel momento. Bellatrix Selwyn si tolse il cappuccio del mantello che le copriva il volto, rivelandosi ai presenti. Con un gesto della mano disarmò tutti, poi con voce tagliente ordinò: «Rabastan, mostra ai futuri Auror che stanno sbagliando strada».
Emmanuel emise un urlo strozzato, mentre Lestrange ad un paio di uomini corpulenti si gettavano su Greengrass e Fawley. Una barriera magica separava il terribile spettacolo dal resto degli invitati. Erano nelle loro mani. Il ragazzino tentò di riflettere ed ignorare le grida dei due ragazzi, che erano stati presto sopraffatti. Possibile che non ci fosse un modo per chiamare aiuto? «Lo specchio, Emma».
Le parole di sua cugina impiegarono qualche minuto a fare breccia nella sua mente stordita, ma poi afferrò lo specchietto verde smeraldo che i suoi genitori gli avevano regalato quel giorno. Non aveva idea, però, come chiamare gli Auror: il maniero dei Burke era lontano da Londra. «Scorpius Malfoy» esclamò, sperando che l’amico, sparito già da un po’, non si fosse lamentato molto.
«Shafiq?» fu la risposta perplessa del compagno.
«Malfoy! Dove sei?».
«Alla stazione babbana, ho avuto paura che i miei mi avrebbero beccato prima se avessi preso il Nottetempo, ma qui non ci capisco nulla. Finch-Fletchley ha ragione quando dice che io e Rose dovremmo ascoltarlo anziché fare gli stupidi. Ora me ne pent-».
«Chiama gli Auror, ci hanno attaccato» replicò in fretta Emmanuel interrompendolo. Il volto di Scorpius sembrò divenire più pallido anche attraverso lo specchio.
«Ascoltatemi tutti» iniziò la Selwyn. «Sono qui per invitarvi a fare la scelta giusta. Unitevi a me e preservate la razza pura!».
Emmanuel a malapena ascoltò il suo discorso, ma non capì più nulla quando all’improvviso il salone si riempì del rumore della smaterializzazione degli Auror e subito dopo si accese lo scontro tra questi ultimi e i Neomangiamorte che non erano riusciti a scappare al loro arrivo con la loro padrona.
 
Angolo autrice:
Ciao a tutti!
Come va? Mi dispiace essere sparita per un mese, ma prima ho avuto qualche problema a scrivere il capitolo (come avrete visto è molto lungo) e poi con il computer (e la connessione ad internet).
In questo capitolo ho approfondito diversi personaggi.
Ditemi un po’ che cosa ne pensate ;-)
Vi auguro un buon week end,
Carme93
 

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Capitolo 22
*** Brancolare nel buio ***


Capitolo ventiduesimo
Brancolare nel buio
 
“Gli Auror brancolano nel buio
di Rita Sketeer
 
25 Dicembre 2020. La tradizionale cena di Natale, presso l’antico maniero dei Burke nel Wiltshire, è stata interrotta dall’arrivo di colei che ormai abbiamo iniziato a temere e che viene chiamata Signora Oscura e dei suoi Neomangiamorte. La popolazione magica è nel panico ed il Ministro si rifiuta di rispondere alle nostre domande, così come il Capitano Potter. Nonostante l’intervento degli Auror, i Neomangiamorte sono riusciti a fuggire insieme alla loro padrona. Come ci ha riferito questa mattina il vice sotto Capitano Lewis sono stati arrestati solo tre mercenari, che adesso attendono di essere interrogati, nelle celle del Ministero. Non vi sono stati morti fortunatamente, «Perché la Signora Oscura non aveva intenzione di uccidere il fior fiore della nostra comunità, ma di fare proseliti» ha dichiarato uno scosso giudice Shafiq, prima di lasciare la tenuta insieme alla famiglia. Vi sono stati, però, diversi feriti, due dei quali gravi. A quanto pare due giovani Allievi Auror, Raphael Fawley e Arion Greengrass, hanno coraggiosamente affrontato da soli la Signora Oscura e i suoi uomini, disarmati come tutti i presenti dalla Signora in persona, sono stati poi colpiti ripetutamente dai Neomangiamorte per mostrare alla comunità magica che cosa succederà a chi si opporrà alla sua ascesa.
I due giovani si trovano adesso all’Ospedale per Malattie e Ferite Magiche San Mungo e non ci è stato permesso di incontrarli. Il primario, Anthony Goldstain, ha dichiarato che i due ragazzi sono fuori pericolo e si riprenderanno presto.
Un’ondata di violenza si è scatenata in tutta Londra nella notte. Molti Babbani e maghi sono rimasti feriti; mentre gli Auror perdevano tempo al maniero dei Burke, quello che può essere considerato un vero e proprio esercito di Neomangiamorte scatenava il caos nella Capitale.
L’infallibile Potter ha fallito, a quanto pare. Che cosa diranno ora i suoi fan?  Maghi oscuri a piede libero e il nostro Salvatore non riesce a fermarli. Non siamo protetti, chi dovrebbe difenderci non è pronto ad intervenire e il Ministero si rifiuta di darci risposte. In che mani siamo?”
«Per le più consunte mutande di Merlino, se questa mezza troll scrive certe stronzaggini è logico che si scatena il panico!» sbottò Ron gettando con mala grazia il giornale sul tavolo.
In prima pagina svettava l’immagine dell’Uroboro evocato la notte prima sul maniero dei Burke.
«Non avrei mai pensato di dirlo, ma questa volta la Sketeer ha ragione» sospirò Hermione premendosi le mani sulle tempie.
«Non abbiamo la più pallida idea di quali fini abbia quella donna. Siamo diventati il suo giocattolino!» quasi gridò Harry, sbattendo un pugno sulla scrivania e facendo volare tutti i documenti che vi erano accatastati disordinatamente. «Sono mesi che ci attira in ogni angolo dell’Inghilterra scatenando disordini e paura, per poi scappare prima del nostro intervento!».
«Harry». Gabriel Fenwick entrò nell’ufficio, cupo in volto.
«Se ci sono altre lettere di protesta, bruciale! E non ti azzardare a mostrarmele!» soffiò minaccioso Harry.
«È arrivata una chiamata. Ci sono dei Neomangiamorte vicino ad Hyde Park».
Harry emise un verso strozzato, mentre Ron imprecò a mezza voce. «Manda Adrian, insieme ai ragazzi che non erano di turno stanotte».
Gabriel uscì per riferire gli ordini e per un attimo si sentirono urla e imprecazioni, poi dalla porta lasciata aperta entrò la segretaria.
«Che succede, signora Matthews?».
«Oh, non niente Capitano. Delle strillettere hanno presso fuoco» rispose ella, avvicinandosi alla scrivania. «Il vice sotto-Capitano Lewis vi aspetta per iniziare l’interrogatorio».
«Ora andiamo, grazie» la congedò Harry.
«Signore, voleva vedermi?» chiese Gregory Carter entrando dopo aver bussato.
«Ah, sì» bofonchiò Harry, passandosi una mano sul volto stanco. Non aveva dormito per niente quella notte e non sapeva quando sarebbe potuto tornare a casa a riposarsi. E si era anche dimenticato di aver detto a Carter di presentarsi nel suo ufficio prima di prendere servizio. Accidenti! «Ron, Hermione, iniziate ad andare. Portate con voi Gabriel». Attese che gli amici lasciassero la stanza e poi si rivolse al giovane Auror. «Carter, vorrei che tu mi spiegassi che diamine ti è saltato in mente di metterti a discutere con il vice sotto Capitano Lewis» disse stizzito.
«Era un brutto momento ed ho perso il controllo. Ho chiesto scusa a Lewis, anche se non ha voluto sentire ragioni» replicò in un sospiro mesto Gregory.
Harry aveva una vaga idea delle difficoltà e delle situazioni famigliari di tutti i suoi uomini, ma in quel momento non era per nulla incline a conciliare. «Questa non è una giustificazione! Hai estratto la bacchetta contro di lui! Ti rendi conto che questo è sufficiente per buttarti fuori?! Senza contare che Lewis ti stava rimproverando per i tuoi continui ritardi e oggi sei arrivato ugualmente tardi! Hai un’idea di che ora sia? Wilson è dovuto andare a Londra con una squadra, nella quale avresti dovuto esserci anche tu!».
«Mi dispiace, signore» replicò Gregory, passandosi una mano tra i capelli corti. «Sono consapevole di aver commesso un errore… anzi più di uno negli ultimi tempi, ma la prego mi dia ancora una possibilità… Le assicuro che il mio è stato un gesto impulsivo, non so nemmeno io come mi sia saltato in mente».
«Il sotto vice Capitano non vuole più averti tra i suoi sottoposti. Dovresti sapere che Lewis non perdona l’insubordinazione».
«Capitano, la prego…» tentò Gregory, ma Harry lo bloccò.
«Sei un valido Auror, solo Merlino sa quanto abbiamo bisogno di uomini come te. Avrai una nota di demerito e non prendo ulteriori provvedimenti solo perché non ti posso allontanare dal gruppo operativo in questo frangente. Da questo momento in poi, però, sarai agli ordini diretti di Adrian Wilson. Niente più cazzate, però. Adrian è l’unico sotto vice Capitano che ha accettato di sua volontà di averti tra le sue file. Dubito che avresti un’altra possibilità se dovessi sprecare questa. È chiaro?».
«Sì, signore. Grazie, signore» mormorò Gregory.
«Sono contento che ci siamo capiti» disse Harry alzandosi. «Vieni con me. Dobbiamo interrogare i mercenari che abbiamo arrestato».
In silenzio lasciarono il Quartier Generale in subbuglio per le continue proteste che giungevano dalla comunità magica, che si sentiva in dovere di dire la propria nonostante non avesse la minima idea di ciò che stava succedendo sobillata da articoli di parte come quello della Sketeer. I potenti del Ministero che cosa volevano? Far saltare lui ed Hermione? E poi? Non avevano certo maggiori informazioni rispetto a loro. A differenza di quanto facevano credere ai maghi più ingenui, bramavano solo potere e prestigio. Premette con rabbia il bottone dell’ascensore. Fortunatamente era vuoto, ma pullulava di aereoplanini di carta. Inevitabilmente per la maggior parte degli impiegati le vacanze si erano interrotte prima quell’anno e parecchio bruscamente.
L’ascensore scendeva sbatacchiando rumorosamente, mentre una voce femminile metallica annunciava i vari livelli. Harry non poté dire nulla a Gregory anche se avesse voluto, perché a quello successivo salirono un paio di uomini della Manutenzione Magica, che li salutarono con deferenza. Solo quando la voce annunciò «Ufficio Misteri» scesero con grande sollievo di Harry, che era ancora più arrabbiato perché un Folletto, salito al quarto livello, non aveva fatto altro che mormorare insulti verso tutti i maghi e lui e Gregory si erano ritrovati a dover fungere da servizio d’ordine, visto che i presenti non l’avevano presa bene. Il tutto nello spazio ristretto dell’ascensore.
«Ma che problema aveva quel folletto?» borbottò Gregory. «Ci manca solo una rivolta dei Folletti».
«Non dirlo neanche per scherzo. Quelli non aspettano altro. Hermione mi ha detto che la situazione è tesa, e quel cretino di Dareus White non fa che inasprire i rapporti con loro» ribatté Harry.
«Che cosa vogliono?».
«Che accettiamo e firmiamo la Carta dei Diritti dei Folletti che avevano presentato già negli anni ’90. Naturalmente a quel tempo Caramell e Scrimgeour avevano ben altre priorità».
Percorsero in fretta due rampe di scale, scendendo sempre più in basso e poi un lungo corridoio di pietra, illuminato solo da torce.
«Questo posto è sempre più freddo» si lamentò Gregory.
Harry non replicò, ma si maledisse mentalmente per non aver preso il mantello. Quella parte del Ministero ricordava i sotterranei di Hogwarts, ma erano privi di quel calore che ti può suscitare un luogo famigliare.
«Harry, aspettavamo te» lo accolse subito Ron, quando entrarono in una delle tante sale che si affacciavano sul corridoio.
I tre mercenari erano ammanettati e sedevano su un lato di un lungo tavolo. Non vi era altro mobile in quella stanza.
«Quali sono i vostri nomi?» chiese senza ulteriori indugi.
Erano tre uomini di colore, con i capelli rasati a zero che per un istante li ricordarono i marines americani nei film che i ragazzi lo costringevano a guardare con loro. Ma dei marines avevano solo questo, perché per il resto si vedeva lontano un miglio che non fossero addestrati o allenati: il più giovane dei tre teneva gli occhi bassi ed era così emaciato e sembrava non facesse un pasto decente da molto tempo; quello, che sembrava il più anziano, aveva la barba mal rasata che presentava già diversi fili bianchi, gli occhi acquosi e la schiena completamente piegata in avanti; il terzo, doveva avere all’incirca la sua età, ma era un po’ in carne.
«Allora?» tuonò alzando la voce e facendo sobbalzare il più giovane. «Non parlate l’inglese?».
«Più o meno» mormorò il più giovane. «Io essere Adisa Gamal».
«Di dove sei?».
«Tristan da Cunha».
«Come sei arrivato in Inghilterra? Non hai il permesso, dico bene?».
«Portato via me e la mia famiglia! Ci hanno chiuso su barca e dopo giorni toccato terra. Noi non sapeva che questa è Inghilterra! Poi con Passaporta hanno portato noi in castello. Separati dalle donne e dai bambini e chiuso in celle buie. Poi hanno addestrato noi a combattere. Io non vedere mia mamma e mia sorella da mesi. Vi prego!».
Harry si morse il labbro e gettò un’occhiata ai suoi amici: quelle erano solo altre vittime, delle bestie mandate al macello.
«Avete controllato se hanno qualche simbolo?» chiese a Ron e Gabriel.
«Non ce l’hanno» rispose Gabriel.
«Quanti anni hai, Adisa?» chiese tornando a fissare il giovane.
«Sedici».
Harry strinse le mani al tavolo così forte che le nocche persero colore.
«Chi è che vi addestrava?».
«Diversi uomini. A noi non dicevano loro nome. A parte uno che temevano tutti. Veniva ogni tanto e si divertiva a torturarci o toccava nostre donne».
«Dimmi il suo nome, Adisa» lo sollecitò Harry.
«Gregory Goyle, mi pare» disse il ragazzo aggrottando la fronte nello sforzo di ricordare.
Harry annuì, mentre Ron imprecò.
«In pratica il pesce piccolo. Solo uno come Goyle poteva gridare il proprio nome ai quattro venti» sospirò Hermione.
«Dimmi di ieri notte».
«Stanotte io non so. Portato noi con passaporta in castello e poi detto di entrare al buio. Io non essere bravo con magia e voi arrestato me».
«Chi ti ha insegnato a usare i tuoi poteri? So che c’è una Scuola in Africa. Hai sedici anni, dovresti essere a Scuola in questo momento» intervenne Hermione.
«Sì, abbiamo Scuola. Uogaudou. Ma io non vado, perché dovevo lavorare. Mia sorella sì, ma loro hanno preso noi in estate».
«Lavorare? Ci sono delle leggi internazionali che prevedono l’istruzione dei giovani maghi» commentò Hermione.
«Mia mamma insegnare me» spiegò Adisa.
«Che lavoro fai?» chiese la donna, Harry la osservò interrogativa: che importanza aveva in quel contesto? Se erano state violate delle leggi internazionali, avrebbero riferito a chi di dovere.
«Lavoro per famiglia Enoka».
Harry sgranò gli occhi e per la milionesima volta in vita sua benedisse l’arguzia dell’amica. La famiglia Enoka era una delle più potenti di Tristan de Cunha. «Quindi conosci Aalif Enoka?».
«Sì, signore. Essere mio padrone».
«Il tuo padrone? Questo è assurdo, Harry! Viola i diritti dei Maghi sanciti dalla Confederazione Internazionale dei Maghi dopo la Seconda Guerra Magica!».
«E meno male che ci ha recitato la parte della vittima» bofonchiò Ron.
«Il tuo padrone ha legami con la gente che vi ha rapiti?».
«Non sapere signore» disse il giovane.
Harry annuì e si rivolse agli altri due uomini. «Tu come ti chiami?» domandò al più anziano.
«Dalmar Emenike» disse con voce aspra. «Io ero un insegnante di Incantesimi della Scuola Uogaudou. Conosco perfettamente l’inglese. Sono andato in pensione da qualche anno. Sono stato attaccato nella mia casa sul mare dagli uomini di Abdul-Azeem Kasem. Se conoscete Enoka, allora saprete di chi parlo. Le loro famiglie sono rivali da secoli. Abdul collabora con la Signora Oscura. La prima volta che ho incontrato di persona questa donna è stata proprio stanotte. Se chiedete ai vostri colleghi che mi hanno arrestato vi diranno che non ho opposto la minima resistenza. Chiunque con un po’ di sale in zucca, avrebbe fatto lo stesso. Non siamo mercenari. Vi sbagliate, non abbiamo visto un soldo. Almeno io non lo sono, come questo ragazzo. Nelle celle del castello ci stanno quelli che come noi sono stati rapiti. I mercenari hanno altre sistemazioni. Le nostre donne ed i bambini sono giuochi nelle loro mani. Sono crudeli e senza rispetto. Fanno allenare i bambini con noi. O meglio dovremmo esercitarci su di loro con le maledizioni. Non insegnano a combattere, insegnano a ferire ed uccidere. Che è diverso. Gli uomini di Kasem hanno ucciso mia moglie sotto i miei occhi: era troppo anziana per loro. Non avrei mai preso quel veleno che ci hanno messo nella tunica, perché prima di morire voglio almeno togliermi la soddisfazione di avere giustizia».
«Il castello sa dove si trova?».
«No, nessuno ci ha mai detto nulla. E gli spostamenti avvengono sempre con la passaporta. È in campagna. Non si vedono altre case o costruzioni nelle vicinanze. E comunque è cinto da alte mura e noi non potevamo vedere che rari sprazzi di quello che c’è là fuori. E nessuno degli aguzzini ha mai fatto un nome particolare. A parte Londra od Hogwarts, che è la vostra Scuola, se non erro».
Harry annuì pensieroso e si rivolse al terzo uomo, facendogli le stesse domande, ma comprese immediatamente che aveva di fronte una personalità diversa dalle altre due.
«Mi chiamo Kenon Camara. Sono un mercemago. Ve lo dico tanto so che contatterete anche il Ministero del Sud Africa. Io sono originario di lì. Non so molto più di loro. Il castello è in piena campagna. Ai mercemaghi sono concessi alloggi al primo piano, soldi e cibo decente, ma non certo maggiori informazioni. Il mio Ministero vi chiederà di consegnarmi a loro, perché non ho commesso ancora molto qui, ma vi assicuro che la mia lista di crimini è molto lunga» replicò con sorriso sbieco, rifiutandosi di aggiungere altro.
«Riportateli in cella» ordinò seccato a Ron, Gregory e Gabriel. «Mettete il ragazzo con il professore» sussurrò all’orecchio del primo.
«Che ne pensi, Harry?» chiese Hermione, quando si avviarono insieme verso i piani superiori.
«Faremo le dovute verifiche. Ho bisogno di un mandato per perquisire le proprietà di Goyle e un altro per arrestarlo».
«Te li farò avere entro mezz’ora».
«Perfetto. Sarà un pesce piccolo, ma saprà sicuramente molte cose».
Tacquero appena salirono sull’ascensore.
«Capitano!».
«Merlino, Alexis, mi hai fatto prendere un colpo».
Una giovane Auror gli era apparsa davanti appena le porte dell’ascensore si erano aperte.
«Mi scusi, signore» arrossì lei. «Stavo venendo a cercarla».
«Perché?» chiese Harry, facendo un cenno di saluto ad Hermione.
«Il sotto vice capitano Wilson vorrebbe parlarle. È urgente».
«Va bene, grazie» replicò Harry, entrando in fretta nel Quartier Generale.
«L’aspetta nel suo ufficio» aggiunse la ragazza.
«Adrian, che succede? Li avete pre-». Harry si bloccò vedendo l’affollamento nel suo ufficio. «Che diavolo è questa storia?».
«Niente Neomangiamorte. Solo dei ragazzini che si sfacciano per tali» soffiò irritato Adrian. Seduti nelle sedie di fronte alla scrivania, dietro alla quale prese immediatamente posto Harry, vi erano cinque ragazzi. «Ho provveduto a convocare i loro genitori» aggiunse Adrian.
«In realtà le ho fatto notare più di una volta che io sono maggiorenne. Credevo che gli Auror fossero più intelligenti» intervenne uno dei ragazzi.
«È il figlio di Terry» rispose Adrian al cenno interrogativo di Harry.
«In realtà mi chiamo Jesse Steeval. No Il Figlio Di Terry. Capitano, credo che dovrebbe fare più attenzione quando sceglie i suoi ufficiali».
Harry ed Adrian lo fulminarono con lo sguardo.
«Chi sono gli altri?».
«Alan e Norris Avery. Alan non ha neanche compiuto quattordici anni. Charles Harper e Bartolomè Calliance».
«Se vogliamo essere pignoli, avete commesso anche un altro errore» intervenne quest’ultimo ghignando. «I miei genitori sono Babbani. Non possono venire qui».
«Oh, sì che possono» replicò Adrian. «Accompagnati da uno dei nostri uomini».
Il ghigno scomparve dal volto del ragazzo.
«Spiegatemi che cosa vi è saltato in testa» chiese Harry con voce severa, che tradiva la rabbia che gli ribolliva dentro.
«Volevamo giocare un po’» rispose Jesse Steeval con un gesto vago della mano.
«GIOCARE? VI SEMBRA UN GIOCO QUELLO DI FAR ACCORRERE GLI AUROR?» urlò Harry, la cui pazienza ormai era andata a farsi strabenedire da un bel po’.
«In realtà hanno creato davvero confusione. Hanno fatto scoppiare il panico. Ad Hyde Park c’erano famiglie che sono scappate appena li hanno visti, le hanno colpite con semplici incantesimi. Una squadra di Obliaviatori sta ancora lavorando!» sbottò Adrian.
«Signore!» disse la segretaria, agitata, irrompendo nell’ufficio. «Ci sono delle persone che vogliono vederla, dicono che le ha convocate lei! Anche il Capitano Steeval e dei Babbani!».
«Li faccia entrare» sospirò Harry.
«Harry, che…» le parole morirono in gola a Terry quando entrò, probabilmente per la sua divisa, per primo nell’ufficio.
«Buongiorno, signori. Anzi non è nemmeno un buongiorno. Vi abbiamo convocato perché i vostri figli hanno creato il caos ad Hyde Park indossando le vesti dei Neomangiamorte».
«Neo-cosa?» chiese un uomo sulla cinquantina, lievemente stempiato, ma con una corporatura ancora solida.
«Lei è il signor Calliance, vero?» intervenne Adrian. Al cenno affermativo dell’uomo, aggiunse: «I Neomangiamorte sono dei criminali che usano la magia oscura».
L’uomo rimase senza parole e boccheggiò qualche istante.
«Lei chi è?» chiese Adrian, rivolto ad un uomo, che indossava una veste tradizionale da mago di un bordeaux appariscente. «Rudolph Krueger, sono il tutore di Charles Harper».
«I miei genitori non verranno mai» annunciò Norris Avery. «Vi odiano, fatevene una ragione».
«Ragazzo, tu non sai che cosa state rischiando» sibilò Harry.
«Che cosa?» chiese pallidissimo il signor Calliance.
«Hanno commesso più di un reato: hanno attaccato delle famiglie, per lo più di Babbani; hanno violato il Decreto di Restrizione delle Arti Magiche tra i Minorenni, usato la magia di fronte a Babbani e si sono sfacciati per Neomangiamorte. Ce n’è a sufficienza per trattenervi e sbattervi in cella» rispose senza mezzi termini Harry.
«Mio figlio ha solo sedici anni» sussurrò, evidentemente spaventato il signor Calliance.
«Io sono maggiorenne» cantilenò Jesse Steeval, ignorando l’occhiata di fuoco del padre accanto a lui.
«I ragazzi potranno tornare con voi, ma saranno comunque processati. Dovrete pagare una cauzione, però. A meno che non abbiano già dei precedenti» rispose Harry, guardando Adrian.
«Ho controllato» rispose prontamente quest’ultimo. «Hanno la fedina penale pulita, anche se Avery è uno dei ragazzi che si sono scontrati ad Hogsmeade con tuo figlio e il suo amico».
«Quello non può andare a carico mio. È successo a Scuola» disse sprezzante Avery.
«No, non può» concesse Harry sempre più furioso.
«Quanto costa la cauzione? E per il processo? Insomma sono solo ragazzi! Avete anche voi maghi cose come il servizio civile o simili, no?».
«Non mandiamo un ragazzo ad Azkaban, la nostra prigione di massima sicurezza, a cuor leggero» lo rassicurò Harry.
«La cauzione è di cento galeoni» disse Adrian.
«Quante sterline sarebbero?» chiese il signor Calliance, ma le sue parole furono coperte da Alan, che scoppiò a piangere e strillò: «Mio padre è un Neomangiamorte. Non verrà mai a qui. Vi prego, non voglio andare in prigione. Mi ha obbligato lui! Mi avrebbe cruciato se non l’avessi fatto!».
«SEI MORTO!» gridò Norris alzandosi di scatto nel tentativo di colpirlo, ma Adrian gli puntò la bacchetta alla gola con una rapidità che lo lasciò di stucco. Harry era in piedi con la bacchetta in mano.
«Ammanettalo» ordinò a denti stretti.
Adrian obbedì e poi spinse il ragazzo sulla sedia.
«Corrispondono a cinquecento sterline» spiegò Harry facendo impallidire ancora di più il signor Calliance, che annuì a fatica. Qualcuno bussò e Harry gli diede il permesso di entrare.
«Capitano» disse concitato Rick Lewis. «Il Ministro ha mandato dei documenti affermando che sono urgenti».
Harry prese le pergamene che gli stava porgendo e le scorse velocemente. «Perfetto. Preparatevi ad intervenire. Tu e Gabriel procedete con l’arresto. Dora e tu, Adrian, andrete a fare le perquisizioni. Mandatemi qui un paio di ragazzi».
«Sì, signore» risposero Adrian e Rick in coro.
«Ah, Adrian dì alla signora Matthews di mandarmi un magiavvocato. Alan Avery non può tornare a casa».
«Harry, non ho intenzione di pagare la cauzione».
Harry si voltò di scatto verso Terry Steeval e lo fissò sorpreso.
«Stai scherzando, vero?» sbottò Jesse. «E io dove li prendo cento galeoni? Mi dai una miseria per paghetta!».
«Fatti una notte in prigione. Ti farà bene» replicò Terry, uscendo e sbattendo la porta, che poco dopo fu riaperta da quattro Auror, che si posizionarono all’ingresso in attesa di ordini.
Harry si passò una mano tra i capelli, esasperato. «Ok, mi sembra che non c’è altro da dire. Alexis, Samuel e Laurence portate via Steeval e Avery. Quanto a voi, signor Calliance, signor Krueger, che intenzioni avete?».
«Ecco i cento galeoni» disse il secondo, mettendo sulla scrivania un sacchetto sonante. «Posso portare via Charles?».
«Sì, naturalmente».
«I-io devo recuperare le cinquecento sterline. Non le ho qui con me. Mi deve dare solo un’oretta».
«Bene, terremo suo figlio sotto sorveglianza nel frattempo. Austin, accompagna fuori i signori».
«Allora Alan, siamo rimasti soli» esordì Harry scrutando il volto del ragazzino, ancora in lacrime. «Raccontami qualcos’altro di tuo padre. Voglio solo aiutarti».
«Non so niente delle sue attività» rispose con voce acquosa. «Ne parla a malapena con Norris».
«Ok, va bene Alan» sospirò Harry togliendosi gli occhiali per pulire le lenti.
*
«Papà, ti devo chiedere un favore» disse Frank avvicinandosi. Neville annuì distrattamente, mentre leggeva un tema. Frank si sedette accanto a lui sul divano. Era tardi e la casa era silenziosa, tutti, tranne loro due, dormivano.
«Di che si tratta?» domandò Neville, visto che lui non apriva bocca.
«Domani potresti parlare con zia Angelina?».
Neville tirò una linea rossa e mise un enorme punto interrogativo vicino a una frase. «Perché mai?».
«Per dirle che la punizione che ha dato a Roxi non serve a nulla» disse Frank tutto di un fiato.
Neville si accigliò, segnò una grossa D rossa in cima al foglio e si voltò a osservarlo. Chiunque aveva scritto quel tema, sicuramente non gli aveva reso un bel servizio. Forse una E avrebbe reso suo padre più ben disposto.
«Non ne ho intenzione. Angelina ha tutti i diritti e Roxi se l’è meritata».
«Sì, ma è inutile, capisci?».
«No, non capisco. Spiegamelo» replicò prendendo un altro compito.
«Roxi è arrabbiata. Per principio non studierà mai da sola e soprattutto costretta! E se non studia, non ha senso. Ma se le permettesse di studiare insieme a me, allora insieme faremmo molto di più. In più non può sequestrarle le cose per il disegno, perché lei ci sta male e si arrabbia di più. Non serve a niente!».
«Frank» iniziò Neville serio, ma il ragazzino lo interruppe. «Ti prego, ragionaci.  Io non ho detto che Roxi non abbia sbagliato ultimamente, ma questa non è la soluzione. Così è peggio».
Suo padre sospirò e, probabilmente per prendere tempo, lesse le prime righe del tema che aveva preso dal mucchio. «Che ti costa farlo notare a zia Angelina? Ti prometto che studieremo e non perderemo tempo».
«Lo spero bene. Parlerò con Angelina e le dirò di pensarci. Le dirò che è meglio se lavorate insieme o qui o a casa sua, in modo che qualcuno di noi vi possa controllare. Per quanto riguarda il disegno, se vuoi glielo accenno, ma non tenterò di convincerla. È una delle principali fonti di distrazione per Roxi, anche a lezione, negli ultimi tempi, non ha fatto altro che disegnare. Guarda che Fred mi ha detto del parapiglia che è scoppiato in treno a causa delle sue vignette».
«Ci dovete controllare, perché non ti fidi? E poi è colpa di Fred quello che è successo in treno, Roxi ci è rimasta malissimo. Non vorrai censurarla!?».
«Censurarla, che parole Frank. Non farò un bel niente, né ora né quando torneremo a Scuola. Ho consigliato a Fred di comportarsi in modo adeguato alla sua età. Tra poco diventerà maggiorenne e litiga ancora per certe cose con sua sorella più piccola. Vi teniamo sotto controllo, tutto qua. Mi fido di te».
«Sì, ok. Ti devo parlare anche di un’altra cosa, però. È un po’ che ci penso».
Neville sospirò. «Non possiamo rimandare a domani? Volevo finire di correggere i temi del quinto anno».
«Solo cinque minuti» lo pregò Frank e a un cenno affermativo del padre continuò. «Quando mi sono azzuffato con Calliance e gli altri, ho chiesto a Calliance perché ce l’ha con me se io non gli ho mai fatto nulla».
«Ah, e cosa ti ha risposto?».
«Che è invidioso perché voi mi volete bene, mentre suo padre non accetta che lui e i suoi fratelli siano maghi».
«Ti ha detto proprio così?».
«Sì, ha detto che quando li guarda è come se si chiedesse perché non sono normali».
Neville scosse la testa. «Temo che abbia frainteso. Quest’estate dopo che mi hai raccontato che facevano i prepotenti con te sono andato a parlare con i loro genitori. Ti assicuro che il signor Calliance è stato il più disponibile e gentile, se fosse stato ostile verso il nostro mondo non credo sarebbe stato così bravo a fingere. L’ho rivisto anche quando ho sospeso Charles. Abbiamo parlato tranquillamente».
«Dici che Charles mi ha mentito?» chiese Frank accigliandosi.
«Magari no, lo pensa realmente. Alle volte noi genitori non sappiamo spiegarci o siete voi che ci fraintendete. Io penso che sia andata così. Parlerò con il signor Calliance nei prossimi giorni, così forse risolveremo questa storia una volta per tutte».
«No, no, poi magari si arrabbia e se la prende con Charles e Charles se la prenderà con me».
Neville sbuffò. «Non sopporto questi discorsi, è chiaro?» disse in tono tagliente.
Frank annuì e distolse lo sguardo.
«Bene, se non mi devi dire altro, va’ a letto».
«Sì, papà. Buonanotte» replicò Frank, chinandosi e dandogli un bacio sulla guancia. Neville lo trattenne e gli sussurrò: «Anche se ti sembra difficile, bisogna combattere, non subire passivamente». Lo baciò sulla fronte. «Buonanotte».
*
«James? James!»
James smise di battere la bottiglia contro la scala di legno del letto a castello e si rivolse alla nonna. «Che c’è?».
«Che stai facendo?».
«Cerco di aprire la bottiglia» rispose come se fosse normalissimo tentare di aprire una bottiglia in quel modo.
«In quel modo? Pensavo che qualcuno di voi stesse litigando» borbottò nonna Molly.
«È la bottiglia del Torneo, non si stappa in nessun modo. I Babbani hanno un proverbio: “A mali estremi, estremi rimedi”».
«Lasciali stare a tuo nonno i Babbani. E comunque non credo che sia la soluzione più adatta».
James sbuffò lanciando la bottiglia sul letto con un gesto di stizza e sedendosi. «Non ho idee migliori» bofonchiò.
«Beh, rompere il letto non ti aiuterà» replicò la nonna. «Hai vestiti da lavare?».
«No».
«Jamie, che hai?» chiese a bruciapelo Albus entrando nella camera, appena lasciata dalla nonna.
«Non riesco ad aprire la bottiglia» soffiò irritato James.
«Non fammi ridere, tu non ti preoccupi delle scadenze se non pochi giorni prima del termine… come i compiti in classe…».
«Non è un compito in classe!» sbottò James. «Rischio la vita!».
«James, qual è il vero problema?» replicò testardamente Albus, scansando il cuscino che James gli tirò in risposta. Albus attese pazientemente.
«Benedetta. I suoi genitori non vedono di buon occhio il fatto che si sia fidanzata! Sono troppo asfissianti! Non serve a niente nemmeno il fatto che sono figlio di Harry Potter! Miseriaccia!».
«Non ti conoscono neanche!» commentò solidale Albus.
«Il problema è il fatto in sé» intervenne Robert, cui non erano sfuggite le loro parole, mentre entrava. «Lui è un maschio e sta troppo vicino alla loro bambina».
«Non gli piacerò mai» si lagnò James. «Forse se fossi tu Al…».
«Che c’entro io?».
«Come che c’entri?!» ribatté James fissandolo infastidito. «Tu sei tranquillo e bravo a Scuola! Tutti i genitori ti vorrebbero come fidanzato per la propria figlia!».
«Tu sei fuori! Vuoi aiuto con quella bottiglia?».
«No! No! Non me ne frega niente!» quasi urlò James, lanciando la bottiglia dall’altra parte della camera. Fece un gran fracasso, ma rimase intatta. «Porco Merlino».
«Jamie…?» chiamò Robert preoccupato.
«Mi manca Benedetta» sussurrò lui, buttandosi sul letto.
«Scusate, posso entrare?».
Albus e Robert si voltarono di scatto verso la porta, dove si era fermata Apolline.
«Sparisci» ringhiò James senza nemmeno alzare la testa dal cuscino.
«Ma…».
«HO DETTO SPARISCI!» urlò James sollevandosi bruscamente e fulminando la ragazza con lo sguardo. «Lasciatemi solo anche voi» disse poi ai due ragazzi.
*
Roxi sospirò e mise da parte il manuale di Pozioni, il rotolo di pergamena e l’inchiostro, poi fissò con desiderio l’album sul letto e sospirò. Aveva abbandonato il disegno soprattutto per Frank: fatto il tema, lo avrebbe potuto aiutato più facilmente. Adesso, però, non avrebbe avuto più motivi per non terminare il disegno che aveva iniziato. E lo doveva sempre a Frank: era grazie a lui che la madre le aveva restituito il materiale per disegnare. Sospirò di nuovo e si diresse in cucina. Doveva ancora fare una cosa. Sua madre era sul divano e ascoltava con attenzione la radio.
«Turner prende la pluffa e la passa a Barsley… si avvicina agli anelli… ecco che tira… per la miseria! Grande parata di Hurst! Il punteggio rimane fisso sul trecento a centotrenta per i Ballycastle Bats. Di questo passo i Cannoni di Chudley finiranno ultimi in classifica anche quest’anno!».
«I Cannoni sono messi così male?» chiese Roxi, scivolando seduta accanto alla madre.
«Sì. L’unico giocatore decente è Audley. È un Cercatore molto giovane e promettente. Però non si vince da soli, vedi anche se dovesse riuscire a prendere il boccino quasi sicuramente i Bats vinceranno, perché i suoi giocatori sono molto più forti».
«Voi quando affronterete i Bats?».
«Fra due settimane. Sarà una partita decisiva, per ora sono primi in classifica. Se vinceremo avremo la possibilità di superarli. Per questo ho dato vacanza alle ragazze, nelle prossime settimane dovremo mettercela tutta».
«Sono sicura che ce la farai».
«Speriamo» replicò Angelina con un sospiro.
«E i Bats segnano ancora!» strillò il cronista.
«Mamma, ce l’hai ancora con me?» chiese Roxi.
«No, naturalmente. Ero solo arrabbiata, mi dispiace. Sono stata troppo dura, ma ho sbagliato. Ho dimenticato che con te è il modo peggiore di comportarsi. Quando Neville è venuto a parlarmi, mi sono sentita tanto zio Percy!».
Roxi ridacchiò.
«Per fortuna non sei zio Percy!» disse abbracciandola di slancio. «Pace fatta?».
«Certo. Tu, però, non mi fare preoccupare… arrabbiare non te lo dico proprio, tuo padre si chiederebbe con chi l’ho tradito altrimenti!».
Roxi rise più forte e sorrise.
«E Audley prende il boccino! Signori, questo ragazzo è un portento! Ha superato di gran lungo Garner! I Bats vincono comunque per trecentodieci a duecentottanta!».
«È assurdo!» disse Roxi ridendo. «Ha preso il boccino!».
«Te l’ho detto che è promettente!» replicò Angelina sorridente. «Mi mancava il tuo sorriso».
Roxi fece un ampio sorriso che fu prontamente ricambiato.
*
«Ce l’abbiamo fatta, evvai! Grazie mille, Virginia, da solo ci avrei messo molto più tempo».
«Figurati… sono contenta di averti aiutato… Albus».
«Hai guardato il libro che ti ho mandato?».
«Sì. Mi sembra molto raro, come hai fatto ad averlo?».
«Mia zia Hermione quando si tratta di libri è insuperabile».
«L’ho sfogliato tutto, è davvero roba complessa» sussurrò Virginia. Suo padre Adrian era sdraiato sul divano e si riposava perché quella sera avrebbe avuto il turno di notte. «E ho letto con attenzione le pagine che mi hai indicato. Non possiamo chiedere alla De Mattheis, vero?».
«Secondo te ci aiuterebbe?» replicò scettico Albus.
«No, non credo che la prenderebbe bene. Non vorrei che insomma fosse un po’ azzardato da parte nostra. Non sarebbe meglio che ne parlassimo con qualcuno?».
«E con chi? Zio Neville? Non credo che ne sarebbe felice».
«Questo, però, vale per tutti… Non lo so, è che penso sarebbe più saggio parlarne con un adulto… Williams? È un Auror».
«Forse… comunque meno persone sanno meglio è».
«Ok».
«Virginia! Ancora così sei?».
I due ragazzi e lo stesso Adrian, che si era lievemente assopito, sobbalzarono.
«Mamma, ti avevo detto che sarebbe venuto il mio amico…» bofonchiò Virginia.
«E io ti avevo detto che puoi seguire le lezioni di danza solo durante le vacanze. Gli amici possono aspettare».
«E quando pensi che sia il momento giusto per nostra figlia di stare con gli amici?» domandò infastidito Adrian, che si era messo a sedere.
«Nel cambio delle ore e qualche volta durante l’intervallo» replicò la donna rivolgendogli un sorriso gelido. «Avanti, Virginia ti voglio pronta in cinque minuti».
«Sì, mamma» mormorò Virginia, senza il coraggio di guardare Albus.
«E comunque gradirei che venisse chiesto anche il mio parere sulle persone che frequenta nostra figlia» disse ancora la donna.
Adrian la fulminò con lo sguardo e le disse: «Guarda che io sto attento a chi frequenta nostra figlia. Non osare insinuare certe cose!».
«E approvi questa frequentazione? Non hanno fatto nulla di Scuola per tutto il pomeriggio».
«Ci siamo esercitati in Antiche Rune» intervenne Albus in aiuto dell’amica.
«Nessuno ti ha chiesto di parlare, ragazzo».
«Ashley, non esagerare» sibilò Adrian.
«Ashley, sono pronta». Una ragazza dai lunghi capelli biondi entrò in cucina.
«Lara» l’accolse la donna con un sorriso. «Vedi, Virginia dovresti imparare da Lara. Ha ottimi amici, ottimi voti ed è un’ottima ballerina».
«Sì, mamma» rispose Virginia, scappando al piano di sopra.
«Ragazzo, evita di importunare mia figlia» sussurrò la donna.
«Ashley!» la richiamò Adrian.
«Dì a tua figlia che l’aspetto fuori» replicò ella ignorandolo.
Virginia ritornò in cucina meno di cinque minuti dopo con un sacca. «Scusami, Al. Se posso ti mando un gufo. Ci vediamo a Scuola». Dopo un momento di titubanza gli diede un bacio sulla guancia e mentre correva dalla madre, Albus ripensò alle parole che James gli aveva detto pochi giorni prima. Quanto aveva torto!
*
«Su, Benji concentrati» sospirò Dorcas, spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«La fai facile tu» si lamentò il ragazzino.
«Sei stanco?» gli chiese pazientemente.
«Sì, basta. Andiamo a letto» borbottò nervoso Benji.
«Se vuoi posso aiutarti a fare i compiti anche a Scuola. Qualche ora il pomeriggio. Così non ti combini di nuovo come ora».
«Lo faresti davvero? Non devi fare i compiti anche tu?».
«Li faccio prima o dopo e se non riesco a finirli possiamo sempre farli insieme».
«Come quando eravamo entrambi a casa?».
«Sì, certo».
Il ragazzino la abbracciò di slancio e Dorcas sorrise. «Grazie, pensavo che non avessi tempo!».
«Che scemo che sei! Siamo fratelli, no?».
«Sì. Sono uno scemo».
«Siete ancora svegli?».
I due fratelli sobbalzarono: il padre era sulla soglia della camera di Dorcas e stava indossando in fretta la casacca della divisa.
«Che succede?» chiese allarmata Dorcas, vedendo la madre in vestaglia fare capolino dietro il padre.
«C’è stato un attacco. A quanto pare stavolta è grave. I ragazzi di turno sono già intervenuti, ma il Capitano ha chiesto anche i rinforzi. Voi?» replicò rapidamente Gabriel Fenwick. «Lascia stare, ho capito» la precedette. «Benji non aveva fatto ancora i compiti delle vacanze. Domani faremo i conti, ora devo scappare».
Dorcas voleva dire qualcosa in difesa del fratellino, ma il padre baciò rapidamente entrambi e corse via, ebbe a malapena il tempo di sussurrargli «Torna presto» sentendosi terribilmente infantile. Non era più una bambina. Sapeva che fare l’Auror era un mestiere pericoloso. Quando la madre tornò indietro dopo aver accompagnato il marito fino all’ingresso dove si era smaterializzato, li osservò eloquentemente. «Beh non avete sonno? È tardissimo!».
Benji si riscosse, diede un bacio a Dorcas e alla madre e scappò nella sua stanza.
«Sei una sorella fantastica» sussurrò la mamma accarezzandola. Dorcas la fissò per un momento, poi non riuscendo a trattenersi le chiese: «Come fai?».
«A far che?».
«A vederlo correre via così senza sapere se tornerà».
«Non dire così, Dorcas. Ti prego… Siamo sposati da quasi sedici anni e ci conosciamo da molto di più. Abbiamo vissuto una guerra…» sussurrò. «Essere un Auror è una parte di lui, quando l’ho sposato lo sapevo. Soffro tantissimo quando lo vedo scappar via, ma che cosa vuoi che faccia? Che mi metta a strillare? A lamentarmi? E voi che direste? Bisogna imparare a essere forti» sospirò. «Su, ora dormi. Sono sicura che la piccola peste avrà ancora bisogno del tuo aiuto domani».
Dorcas annuì e si mise a letto, ma ebbe difficoltà a prendere sonno. Quando aprì gli occhi non penetrava luce dalla finestra, ma la sveglia segnava le nove passate. Stava piovendo e parecchio. Sentì delle voci in corridoio e saltò fuori dalle coperte. «Papà, sei tornato!» quasi strillò.
«Shhh» la fermò sua mamma. «Svegli Benji e Doc così!».
«Sto bene» prevenne la sua domanda Gabriel.
«Hai una faccia però» mormorò.
Gabriel sospirò e annuì. «Vieni ti devo parlare».
Dorcas si inquietò sentandolo così serio e si lasciò condurre nella sua camera e si sedette sul letto. Gabriel prese posto accanto a lei.
«Sei una ragazza intelligente, quindi è bene che tu sappia quello che è accaduto questa notte… I Neomangiamorte hanno smesso di giocare e hanno iniziato ad attaccare le famiglie purosangue che difficilmente si schiererebbero dalla loro parte».
«Chi hanno attaccato?» quasi bisbigliò Dorcas.
«I Mcmillan».
«Cosa? Stanno bene?».
«Sono stati attaccati i genitori del tuo professore e lui ha tentato di aiutarli prima che una nostra squadra intervenisse. Purtroppo non ha fatto in tempo. I due anziani sono stati uccisi ed Ernie Mcmillan è stato gravemente ferito. Fortunatamente il resto della famiglia se l’è cavata meglio. Susan Mcmillan e il figlio Rimen sono stati colpiti di striscio».
«Che cosa succederà adesso?» chiese Dorcas, dopo aver provato a metabolizzare le informazioni ricevute.
«Non lo so. Tu stai attenta, però. E non perdere d’occhio tuo fratello. Sai che è troppo impulsivo e non pensa mai prima di agire».
Dorcas annuì, spaventata da quelle parole. «Ma il professore…?». Lasciò a metà la domanda, incerta su come concluderla.
«Al San Mungo. I medimaghi sono positivi. Naturalmente avrà bisogno di tempo per riprendersi completamente».
*
«Al, ti devo dire una cosa importante» disse Rose, sedendosi sul suo letto.
Albus annuì distratto e continuò a leggere.
«Al! È davvero importante! Se non lo dico a qualcuno impazzisco!».
«Ti ascolto» concesse il ragazzo dopo aver chiuso il libro con un sospiro.
«Misonopresaunacottaperunragazzo» disse Rose velocissimamente, tanto che Albus fece faticare a comprendere.
«Una cotta? Sei già uscita con Zabini, Fortebraccio, Moore e persino Gabriel Fawley del quinto anno! Non è una novità!».
«Quelle non erano vere cotte! Beh a parte Fawley che, per essere secchione e Serpeverde, è bellissimo. Stavolta sono davvero persa!».
Albus la osservò scettico e chiese: «Chi sarebbe?».
«Scorp» mormorò a voce bassissima Rose, ma suo cugino riuscì a capire lo stesso e sgranò gli occhi.
«Oh, Merlino» fu l’unico commento che proferì Albus.
«Sul serio? Ma sai che piace anche a me!» strillò una voce. Lily Potter era entrata nella stanza con le braccia incrociate al petto. Dalle mani le pendevano un paio di orecchie oblunghe. Albus e Rose sobbalzarono.
«Lily! Bussa prima di entrare in camera mia! E non origliare! Lo dico alla mamma!» strillò Albus irritato.
«Sì, come no… e io dico a tutti che Rose è cotta di Scorp».
«Non. Ti. Azzardare» sibilò Rose puntandole contro la bacchetta.
Albus saltò giù dal letto e si affrettò a dividerle. «Smettetela per Merlino! Non vorrete finire nei guai gli ultimi due giorni di vacanza? E Rose posa quella bacchetta, potreste farvi male sul serio!».
Rose posò la bacchetta, ma prese Lily per i capelli. «Attenta a quello che fai!» le sibilò nell’orecchio, tirandole la coda.
«Io faccio quello che voglio» replicò la più piccola tirandole un calcio sulla gamba.
«Ahi!» imprecò Rose, mollandola. «Non ti mettere contro di me!».
«Non ho paura» disse Lily spingendola. Rose la placcò alla vita e la buttò sul tappetto. La più piccola si lamentò un attimo e poi le tirò i capelli. Albus tentò di tirare Rose per le spalle.
«Che Merlino state facendo?».
Rose e Lily scattarono così velocemente in piedi, che Albus fu sospinto indietro.
«Niente!» trillarono all’unisono le due cugine, ansimando lievemente.
Harry Potter li fissava sospettoso e serio dalla soglia della porta. Alla loro risposta inarcò un sopracciglio. «Ripeto. Cosa stavate facendo?».
«Era solo un piccolo scambio di opinioni!» trillò Lily facendo un largo sorriso.
«Oh, sì» annuì con convinzione Rose.
Harry le scrutò ancora per qualche secondo. «Spero per voi che abbiate trovato un punto d’accordo. Forza, ora, scendete, Neville è arrivato e la cena è pronta».
«Un punto d’accordo?» mormorò Albus. «Quando siamo io e Jamie a litigare…».
Harry che aveva osservato le ragazze scendere rapidamente le scale bisbigliando, si voltò verso di lui. «Non ho pazienza stasera. Tua sorella non è mai contenta se non ha l’ultima parola». Albus alzò gli occhi al cielo: la principessa di papà. «Probabilmente se avessimo continuato, avrei affatturato la lingua a entrambe. Non posso affatturare due ragazze».
«Mentre a me e Jamie, sì» borbottò Albus.
Harry ghignò e non rispose. «Stavano litigando per qualcosa di serio?».
«No».
«Bene, allora scendiamo anche noi, prima che mamma cominci ad urlare».
Albus non se lo fece ripetere due volte e salutò allegramente i Paciock, per poi sedersi accanto a Frank e Alastor che era arrivato il giorno prima dalla Francia.
«Quindi tuo padre ora sta bene?» chiese Frank.
Alla fine le notizie sui problemi di salute di Kingsley Schacklebolt erano trapelate e ormai ne era a conoscenza tutta la comunità magica.
«Sì. È rimasto in Francia con la mamma per la convalescenza. Tra un mese dovrebbero tornare. Mamma sta tentando di tenerlo lontano da tutte le brutte notizie che vengono da qui, ma lui non riesce proprio a stare tranquillo» rispose Alastor.
«A proposito, come sta il professor Mcmillan?» chiese Albus, spostando lo sguardo dal padre agli zii Neville e Ron.
«Sta meglio» rispose Harry. «Ma avrà bisogno di almeno un mese per riprendersi del tutto».
«Chi lo sostituirà?».
«Rose, non parlare con la bocca piena!» la rimproverò Hermione.
«La professoressa McGranitt sta ancora cercando un supplente» rispose Neville.
«Speriamo non lo trovi» sentenziò Rose, facendo ridere tutti i ragazzi.
«Tu non puoi essere mia figlia» borbottò Hermione. «Se non ti avessi partorita io, avrei pensato che tuo padre mi avesse tradito con Lavanda Brown!». Questa volta furono gli adulti a ridere. Rose assunse un’aria contrariata.
«Tranquilla mamma, ci sono io!» dichiarò Hugo con un ampio sorriso, che si tramutò in una smorfia quando Lily gli pestò un piede.
«Oh, lo so amore» replicò dolcemente Hermione. Rose fece finta di vomitare, ma per fortuna la donna non se ne accorse.
«E Rosie è una campionessa di Quidditch! Un figlio per ciascuno Hermione!» intervenne felice Ron.
La cena trascorse tranquillamente e tra le risate generali, anche gli adulti, che per giorni erano stati seri e preoccupati, si sciolsero e si rilassarono. Dopo aver mangiato un’ottima torta alla melassa si trasferirono tutti nel piccolo salotto. Ginny sparecchiò la tavola con decisi gesti della bacchetta. Solitamente obbligava i figli a farlo, ma stasera anche ella sembrava voler evitare ogni polemica.
«Ehi zio, posso dirti una cosa?» chiese Frank a bassa voce. Harry annuì incuriosito. «Ho incontrato una persona, che mi ha chiesto di te… ehm dice che non ti vede da molto tempo e le manchi…».
Harry aggrottò la fronte tentando di capire di chi stesse parlando. «Uhm e dove l’hai incontrata?».
«A Scuola» rispose vago Frank.
«Ah, e chi sarebbe?».
«Ti prego, non ti arrabbiare. Io le ho promesso che saresti andata a trovarla almeno una volta».
«Frank, ti chi stai parlando?» ripeté Harry.
«Mirtilla Malcontenta» rispose abbassando ancora di più la voce, ma non abbastanza per non farsi sentire da Harry. «Non mi ammazzare, ti prego» supplicò. Harry lo fissò allibito per qualche secondo, poi scoppiò a ridere attirando l’attenzione di tutti.
«O Merlino, erano settimane che non ridevo così!» sospirò Harry, una volta calmatosi.
«Perché non fate ridere anche noi?» chiese Ginny, sedendosi sul bracciolo della poltrona di Harry e sfiorandogli le labbra con un bacio. Frank arrossì alla richiesta. «Oh, Ginny, tesoro, si tratta di una mia vecchia fiamma» sorrise Harry.
Ginny assottigliò lo sguardo e tutti gli altri risero di gusto. «Ah, e chi sarebbe?» sibilò.
«Mirtilla Malcontenta».
Una nuova, sonora risata risuonò nel salone. «Amico, ma ti sei bevuto il cervello?» sghignazzò Ron.
«Se vuoi lasciarmi per lei, non c’è problema» sussurrò Ginny. «Ma lei non ti bacerà mai come faccio io» aggiunse baciandolo dolcemente. Hermione e Hannah applaudirono, mentre Rose e James fischiarono divertiti. Di sotto fondo si sentì la risatina di Aurora, che non aveva capito nulla naturalmente, e allungava le manine verso gli occhiali di Albus.
«Mai, amore mio!» replicò Harry baciandola a sua volta.
«Molto divertente, ma ora finitela» disse Lily, alzandosi dal tappeto dov’era seduta vicino ad Alice e buttandosi letteralmente sulle ginocchia del padre, che emise un gemito. «Stai invecchiando» commentò la ragazzina facendo ridere tutti.
«O sei tu che stai crescendo» borbottò Ginny, andando a giocare con Aurora sul tappeto.
«Ma come ti è venuta in mente Mirtilla?» chiese Ron divertito.
«Frank» rispose Harry.
«Ehm è una storia lunga» bofonchiò il ragazzino, sentendosi fissato. «Veramente ha chiesto anche di Draco Malfoy».
A quest’affermazione vi fu un nuovo scoppio di risa. Ron, Harry e Neville impiegarono parecchio tempo a riprendersi.
«Glielo diciamo, Harry? Ti pregoooo» disse Ron, con ancora le lacrime agli occhi.
«Meglio di no» replicò Harry, ricomponendosi. «Non parliamo di Malfoy stasera». Albus, infatti, li aveva gettato un’occhiata curiosa: Scorpius era stato costretto a tornare a casa, ma che suo padre si fosse unito ai Neomangiamorte sembrava loro molto probabile e non comprendeva come lo zio pensasse di scherzare con lui come se nulla fosse.
«Ti devo dire una cosa, papà» dichiarò Lily, abbassando la testa all’indietro per guardarlo in volto.
«Dimmi tutto, principessa» replicò Harry, mentre prendeva il bicchiere di whisky che gli porgeva Ron. Albus e James si scambiarono un’occhiata divertita.
«Mi sono presa una cotta per un ragazzo» gli comunicò candidamente la ragazzina. Harry sputò il whisky, provocando nuove risate, cui stavolta non si unì. «Ehm principessina, non sei troppo piccola?».
«Mamma aveva dieci anni quando si è innamorata di te».
Ron era piegato in due dalle risate, quindi Harry cercò l’aiuto di Ginny con lo sguardo, ma ella lo ignorò. James era pietrificato, sempre più convinto di avere la sensibilità di un cucchiaino come lo zio Ron, visto che non si accorgeva di nulla; Albus, invece, dialogava silenziosamente con Rose, improvvisamente seria.
«Sì, ma ci siamo messi insieme quando lei aveva quindici anni».
«Solo perché tu non la vedevi!».
«Lui ti vede?» chiese con fare innocente Ginny. Harry la fulminò con lo sguardo.
«Sì, è sempre così premuroso».
«Questo è l’importante, tesoro» commentò Ginny.
«Ho paura che, però, a te non piaccia papà» disse Lily dolcemente.
Albus, James e Rose si fissarono per un attimo: era una brava attrice.
«Perché non dovrebbe?» chiese incerto e preoccupato Harry.
«Perché si tratta di Scorpius Malfoy… Tu odi la sua famiglia» rispose Lily. L’effetto fu immediato: Harry rimase a bocca aperta, così come Ginny, Ron smise di sghignazzare e assunse uno sguardo sgomento. Rose e Albus si pietrificarono sul posto. Hermione e Hannah risero maliziosamente; mentre Neville si grattava la testa imbarazzato, similmente Alastor non sapeva che dire, Robert tentava di non ridere, Alice osservava ammirata l’amica, Augusta era perplessa.
«I-io… beh… ehm… Scorpius è un bravo ragazzo…» bofonchiò Harry.
«Davvero, papà?».
«Sì, ma, piccola mia, non vorrai crescere troppo in fretta?».
«Ma no! Tranquillo, nessuna fretta! Però volevo vedere come l’avresti presa in futuro. Ora sono tranquilla!».
«Dopotutto saresti un ipocrita in caso contrario. Ci hai insegnato tu a non giudicare una persona dal suo nome o dal suo Stato di Sangue» intervenne Albus. Harry annuì, ancora preoccupato per le parole di Lily.
«Ma che ipocrita e ipocrita! Harry! Miseriaccia, stiamo parlando di Malfoy! È tutta colpa vostra!» sbottò Ron indicando Rose e Albus. «Non avreste dovuto diventare suoi amici!».
«Zio ma che dici?» replicò incredulo Albus.
«Ron!» lo richiamarono Hermione, Harry, Ginny e Neville.
«Ron, un corno! Lily, devi stargli lontano!» insisté Ron.
«Cambia argomento» sussurrò Albus a James, accennando con il capo a una Rose particolarmente scossa. James li osservò stupito, poi annuì. «Ehi vecchi! Vi va una sfida a twister?».
Varie proteste si levarono dai presenti, soprattutto dalle donne, che furono le prime ad accettare la sfida. Albus lo ringraziò con un cenno. Da quel momento in poi la serata trascorse tranquillamente senza altre discussioni.
 
«Papà» chiamò Lily. Harry che era andato nella sua camera per darle la buonanotte si sedette sul ciglio del letto. «Sei il migliore del mondo» dichiarò, dandogli un bacio sulla guancia.
«Uhm come mai mi sono meritato questo titolo stasera? Fino all’altro giorno hai detto che non volevi più vedermi!».
«Ero arrabbiata» replicò Lily con noncuranza. «Saresti disposto ad accettare un Malfoy per suocero pur di vedermi felice!».
«Già, sono proprio cotto» sorrise Harry.
«Sì, ma tranquillo sul serio, eh! Io sarò ancora la tua principessina per un po’! Scorpius non mi piace più di te! Mi piace come Al e Jamie!».
«Ma Al e Jamie sono i tuoi fratelli» ribatté Harry, non riuscendo a comprenderla.
«Appunto».
«Non capisco».
Lily sbuffò spazientita. «Mamma ha ragione che sei proprio tonto in queste cose! Come Albus, in effetti, ma non glielo dire che si offende».
«Ehm perché non mi spieghi?».
«Promettimi che non lo dici a nessuno però».
«Nemmeno alla mamma?».
«Mamma non conta, lei sa sempre tutto. Non dirlo a zio Ron. Promettilo!».
«Lo giuro!».
«Rose ha una cotta per Scorp. Volevo dimostrarle che può fidarsi di me, non solo di Al. Volevo mettere zio Ron alla prova. Rose stava per piangere, non l’ho mai vista così» mormorò Lily sinceramente dispiaciuta.
Harry sospirò. «Su, non ti preoccupare. Zio Ron è testardo, ma alla fine cambia idea. Non ci pensare, ora. Dai, mettiti a dormire».
«Buonanotte, papà».
«Buonanotte, principessina».
«Ah, papà».
«Sì, amore?».
«Non rinuncerò ai Malandrini, come pensa zia Hermione. Io e Alice troveremo qualcuno che ci sosterrà più di Hugo e Marcellus. Comunque prima di cena abbiamo fatto pace con Hugo, non posso tenergli il muso».
«Sono contento per te».
 

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Capitolo 23
*** Il dodecagono magico ***


Capitolo ventitreesimo
 
Il dodecagono magico
 
Le vacanze di Natale erano ormai terminate e i ragazzi erano rientrati a Scuola da diversi giorni. Se non fosse stato per la presenza degli studenti stranieri e le notizie poco rassicuranti che venivano da fuori sarebbe stata la Hogwarts di sempre. Purtroppo non era così. Che non era la Hogwarts di sempre i ragazzi l’avevano compreso già durante il viaggio in treno. Colin Canon e Marcellus Nott avevano litigato, Lily e gli altri compagni del secondo anno avevano preso le parti dell’uno o dell’altro. I Prefetti non ci avevano messo molto a ristabilire l’ordine, ma la tensione non era venuta meno. La situazione non era certo migliorata nei giorni successivi.
«James, è vero?» chiese con foga Arthur.
Il quindicenne alzò lo sguardo sul cugino e notò che era rosso in volto e parecchio agitato.
«È vero cosa?» replicò, versandosi del succo di zucca nel calice.
«Che Anne non può essere mia amica, perché i ragazzi di Durmstrang sono tutti Neomangiamorte».
James sbuffò. Era questo il problema. Ormai tutti si fissavano in cagnesco ed emarginavano tutti quelli che, in un modo o nell’altro, pensavano fossero legati ai Neomangiamorte. James si chiedeva quanto ci avrebbero messo a passare dagli insulti ad attacchi veri e propri.
«Non è vero. La vicepreside di Durmstrang, che non è qui, comanda i Neomangiamorte. Me l’ha detto papà. Però gli studenti non è detto che siano Neomangiamorte. Anne è solo una bambina di dodici anni, nemmeno quella donna la vorrebbe tra le sue fila».
«Fred, mi ha fatto un casino quando mi ha visto con lei. Amber ha scritto a suo padre per sapere che cosa ne pensa».
«Ah, e Steeval che gli ha risposto?».
«Che Anne Müller non c’entra nulla con questa storia e fino a prova contraria neanche i suoi genitori sono coinvolti. Ma le ha detto di stare lontano dagli altri ragazzi. Oltre che sono più grandi, non è sicuro che non siano pericolosi».
«Bene, allora non c’è problema. Stai pure con Anne».
Una mano entrò nel suo campo visivo e colpì con violenza il suo calice. Il succo di zucca inondò le salcicce e l’omelette di cui, prima che arrivasse il cugino, si era servito. Alzò gli occhi e incrociò quelli azzurri e furiosi di Fred. Non si rivolgevano la parola da dicembre.
«Arthur deve stare lontano da certa gente!».
«Sei un idiota» sibilò James, fingendo di interessarsi alla sua colazione, ma iniziava ad arrabbiarsi.
«Stiamo raccogliendo le firme per sospendere il Torneo e per mandare a casa gli stranieri». A parlare era stata July Mcmillan. Le ultime parole le aveva pronunciata con disgusto.
Appena aveva saputo dell’attacco ai Mcmillan Fred si era fiondato al San Mungo e da allora non si era staccato quasi per niente da July. Erano tornati insieme.
«Non vorrete presentarle alla Preside» intervenne sconcertata Benedetta.
«No, vogliamo presentarle a Madama Piediburro» replicò sarcastico Fred.
«Mia zia non la prenderà bene, ve lo sconsiglio» disse Robert, con un’espressione particolarmente seria. 
«Non volete firmare?» chiese July duramente.
«No» rispose James.
«È una richiesta stupida» commentò Benedetta.
«Senza contare che hanno problemi anche a casa loro, forse è meglio che stiano con noi» disse Robert.
«Ciao, ragazzi!» disse una voce entusiasta. James la riconobbe subito e fece per alzarsi.
«Per favore, aspetta» lo bloccò Matthew mettendogli una mano sulla spalla. Dominique come al solito lo ignorò totalmente.
«Io e i miei compagni riteniamo sia noioso stare chiusi in carrozza a studiare. Vorremmo chiedere alla vostra e alla nostra Preside di seguire le lezioni con voi. Che ne dite?».
«È una bella idea, Apolline» sorrise Benedetta.
«Ho pensato che la richiesta avrebbe avuto maggior valore se firmata da tutti i Prefetti e Caposcuola» spiegò Matthew.
Benedetta prese la pergamena che gli porgeva e, dopo avere recuperato una piuma nello zaino, firmò ed eloquentemente lo passò a James. Lo conosceva abbastanza per sapere che era combattuto: da un lato sapeva che era una bella iniziativa, dall’altra avrebbe voluto far dispetto ad Apolline.
«Lo firmo solo perché sei del settimo anno e non ti devo sopportare» borbottò James, ritenendolo un buon compromesso.
«Grazie, James» trillò Apolline, che aveva deciso di ignorare il broncio del ragazzo sperando che prima o poi sarebbe stato disposto a ragionare con lei.
«Siete pazzi!» sbottò Fred indignato.
«Non avete visto quello che hanno fatto a mio padre?» sibilò fuori di sé July.
«Tuo fratello ha firmato» le fece notare pacatamente Matthew. «Per fortuna tuo padre sta meglio. E comunque sono sicuro che approverebbe… al contrario non sarebbe felice della vostra campagna discriminatoria».
July e Fred li voltarono le spalle senza aggiungere altro e si diressero al tavolo dei Tassorosso.
James spinse il piatto lontano da sé e sospirò. Era inquieto: non si prospettavano giorni tranquilli.
*
«Io non capisco proprio come facciano certe ragazze a non avere un minimo di dignità» borbottò Albus.
«A che ti riferisci?» gli chiese Virginia, tenendo stretti al petto alcuni grossi volumi che doveva restituire in biblioteca.
«Le Serpeverde che seguono con noi Difesa! Anche se non sono le uniche!».
«Ma a far che?» insisté la ragazza, mentre a fatica si muovevano nel corridoio affollato di studenti.
Albus abbassò la voce e le si avvicinò di più con fare cospiratorio. «Sbavano dietro a Williams. Insomma un po’ di dignità! È un professore! Ha almeno quindici anni più di loro! Dovevi vederle come lo adulavano! Meno male che lui non è il tipo che cade in certe banalità!».
«È un bell’uomo» mormorò flebilmente Virginia.
Albus la fissò in volto: era rossa e teneva gli occhi fissi a terra. «Piace anche a te» realizzò stupito.
«Sì» bisbigliò Virginia. «Tantissimo. Ogni volta che mi rivolge la parola, mi batte forte il cuore e balbettò come la scema…».
«Uhm».
«Non ho speranza, vero?».
«Virginia, sei molto più intelligente di me e conosci la risposta» replicò Albus tentando di essere gentile. «È figo e tutto il resto, ma è un professore… ha più di trent’anni…».
«Lo so! Me lo sono ripetuta un milione di volte! Ma ogni volta che lo vedo non ci capisco nulla» disse Virginia, trattenendo a stento un singhiozzo. Albus non sapeva proprio che cosa dirle. Non era bravo in quelle cose.
«Stai tranquilla. Vedrai che si sistemerà tutto» provò debolmente.
Virginia annuì, nonostante avesse gli occhi pieni di lacrime. «Andiamo, per domani ci ha assegnato un tema sull’incantesimo di ostacolo. Non sopporterei di prendere un voto basso».
Albus non commentò e la seguì in biblioteca. Qui si sorprese nel vedere James circondato da pile di libri. Fece cenno all’amica, che prese posto in un tavolo vuoto, e si diresse dal fratello. «Jamie, che stai facendo?».
«Cerco un modo per aprire quella maledetta bottiglia» replicò il ragazzo senza nemmeno guardarlo.
«Ti posso aiutare?» chiese sperando che non lo colpisse con uno dei volumi. James era molto suscettibile in quel periodo.
«Conosci un libro che parla di bottiglie infrangibili?».
«No. Posso vedere la bottiglia?».
«Nello zaino» rispose lui, continuando a sfogliare il libro che aveva davanti.
Albus posò il suo zaino vicino al tavolo scelto da Virginia e poi cercò la bottiglia, si sedette e iniziò ad analizzarla con attenzione. Era, o meglio sembrava, una normalissima bottiglia di vetro con un tappo di sughero. Un po’ come quelle con cui nelle storie i marinai si mandavano i messaggi. Era un vetro opaco e non si poteva neanche scorgere il suo contenuto. Era sicuro che ci dovesse essere dietro un qualche incanto, in fondo James aveva già provato metodi più fisici per aprirla. Estrasse la bacchetta e sussurrò, per non farsi sentire da James, «Alohomora», ma non accadde nulla. Naturalmente, sarebbe stato troppo facile in caso contrario e probabilmente Robert, Benedetta e James ci avevano già provato.
«Esiste un incantesimo che permette di rivelare ciò che è nascosto?».
«Ho chiesto a Matthew. A quanto pare è specialis revelio, ma non funziona. Ci ha provato anche lui».
«È possibile che sia trasfigurato?».
«Non lo so, Al. Non lo so! Se lo sapessi, non sarei qui!» replicò esasperato James.
«Scusa» mormorò in fretta. Alzò lo sguardo e vide Virginia che scriveva alacremente su una pergamena. Era davvero graziosa. Come poteva struggersi per Williams? Chiodo schiaccia chiodo. Era un proverbio babbano che aveva sentito dire da zia Hermione. E se fosse vero? Avrebbe potuto invitarla ad Hogsmeade e… E cosa? Ma era impazzito? Si passò una mano tra i capelli con foga.
«Al, ma che hai?».
James lo riscosse dai suoi pensieri e si accorse di aver trattenuto il respiro. Tentò di darsi una controllata. «I-io… devo fare i compiti… la Spinnet ci ha segnato una verifica per domani… devo ripetere e controllare la versione che ci aveva assegnato per le vacanze…».
«E vai, no? Mica ti obbligo a stare qui. Ti sei offerto tu» gli ricordò James. «Ora che hai?» sbottò. Albus si era battuto una mano sulla fronte e si mordeva un labbro. James si voltò di scatto pensando addirittura di avere chi sa chi alle spalle. Ma non c’era nessuno. «Al?» chiamò incerto.
«Sono stupido! Indica il destino e l’ignoto!».
«Chi?» chiese stralunato James.
«E la Spinett ce l’aveva detto che si poteva fare».
«Per le consunte mutande di Merlino e Morgana!» sbottò James. «Che diamine stai blaterando?».
«Wird. È una runa vuota. Non ha nessun simbolo in pratica. Ecco perché non c’è nessun simbolo qua sopra!».
«Ma che dici! Tu hai le rune al posto del cervello. Cominci a preoccuparmi sul serio! Le vedi dappertutto!».
«Non capisci! La Spinett ci ha spiegato l’anno scorso che le rune posso essere usate per diverse cose, tra cui anche imporre sigilli magici! Naturalmente è roba molto avanzata, non la studiano neanche i ragazzi del settimo anno».
«Mi stai dicendo che è sigillata con una runa?».
«Ho parlato in inglese» ribatté Albus, infastidito perché il fratello sembrava non volergli credere. «Virginia» disse eccitato, raggiungendola di corsa. «Ti ricordi quel libro di Rune Avanzate di cui ci aveva parlato la prof l’anno scorso? Quello sui sigilli e simili?».
«Sì, ti aiuto a trovarlo» rispose immediatamente lei.
James li guardò sparire tra gli scaffali. «Secchioni» sussurrò, ma li attese trepidante. Dopo cinque minuti buoni tornarono. Albus aveva un sorriso trionfante in volto. «Ecco! È proprio come ti dicevo!». James si chinò a leggere la pagina che il fratello gli mostrava, ma non ci capì nulla. «Visto che ci siete perché non me lo spiegate?».
«La bottiglia è sigillata con la magia» disse Albus.
«Questo l’avevo capito! Ma quanto scemo mi fai?» borbottò James.
Albus si concentrò e puntò la bacchetta sul tappo di sughero, sperando di non sbagliare, ma prima di pronunciare l’incantesimo, appena letto, si bloccò. «Non posso farlo io».
«Perché?» chiese James.
«Perché wird indica anche il cambiamento che avviene dentro una persona. Devi farlo personalmente» spiegò Virginia.
«Va bene, allora ditemi che cosa devo fare».
«La formula è “Sigillum revoco”» spiegò Albus.
James si concentrò sul tappo e puntandogli contro la bacchetta pronunciò con voce sicura: «Sigillum revoco». Il tappo di sughero per un istante fu circondato da un alone biancastro.
«Forza, ora aprila» lo incitò Albus. James obbedì e con un sollievo misto a timore tirò finalmente via il tappo. Mise sottosopra la bottiglia e sotto gli occhi attenti di Albus e Virginia fece scivolare sulla mano in cui ancora teneva la bacchetta una pergamena arrotolata. «Avessi saputo che era così facile».
«Questo era un sigillo elementare» spiegò Albus. «Ve ne sono altri molto complessi».
«E più uno è bravo più può crearne» aggiunse Virginia.
«Che aspetti a leggere l’indizio?» chiese eccitato Albus.
James fece per srotolare la pergamena, ma delle urla provenienti dal corridoio attirarono la loro attenzione. «Ma che succede?».
Tutti e tre corsero fuori, dove si stava svolgendo uno scontro a tutti gli effetti: incantesimi volevano da ogni parte e alcuni dei duellanti non sdegnavano l’uso di maniere babbane. Impiegarono diversi minuti per focalizzare i contendenti: da una parte c’era Fred con July, Alex Steeval, Seby Thomas ed Eleanor Mckenzie; dall’altra Jesse Steeval, Norris Avery, che alla fine era stato rilasciato perché il padre aveva fatto intervenire un magiavvocato di fiducia, Charles Harper, Evan Rosier e Maurice Green di Corvonero. A creare ulteriore confusione erano gli spettatori, che non muovevano un dito per fermarli. James intimò ad Albus e Virginia di stare lontani dalla linea di fuoco e si avvicinò a Gabriel Fawley, che vanamente tentava di far valere la sua autorità di Prefetto. Da quel lato James poté vedere che la professoressa Dawson cercava di farli smettere, ma non veniva minimamente ascoltata.
«Giochiamo al tiro al bersaglio» propose a Gabriel, che lo scrutò per un attimo. «Petrificus Totalus». Beccò in pieno Fred, che era uno dei più animosi.
«Non è un metodo ortodosso, Potter» soffiò Fawley, ma nel frattempo pietrificò anche Jesse Steeval.
«Non ascoltano neanche la prof» ribatté James. «Impedimenta». Seby Thomas si ritrovò sdraiato a terra. I duellanti posero, quindi, la loro attenzione su di loro.
«Da che parte state?» sibilò July Mcmillan.
«Experlliamus» pronunciò gelido Fawley senza risponderle. Le bacchette di tutti i duellanti volarono nelle sue mani, per un momento scese il silenzio, poi i Grifondoro e July iniziarono a urlare contro i due Prefetti.
«Silencio».
Questa volta l’incantesimo era stato pronunciato dalla Dawson, che comunque pallida e, James sgranò gli occhi quando se ne accorse, ferita di striscio da un incantesimo, non sembrava in grado di gestire la situazione.
«Vedo che vi siete calmati» sibilò una voce fredda e irritata. Norton Sawyer. Probabilmente l’uomo era andato a chiamare dei professori. Dietro di lui infatti c’erano Williams e Neville, entrambi furiosi.
«Che cosa avete per la testa?» gridò Neville. Williams, invece, si era avvicinato alla Dawson. Come aveva fatto ad accorgersi immediatamente che era ferita?
Williams focalizzò Albus e Virginia nella folla e li fece cenno di avvicinarsi. I due intimoriti obbedirono. «Accompagnate la professoressa in infermeria». Nel frattempo Sawyer aveva intimato agli spettatori di andarsene. I ragazzi non volendo essere incolpati di quanto accaduto stavano lasciando velocemente il corridoio.
«Ora, ci darete una spiegazione» soffiò arrabbiato Neville.
«E vi conviene che sia valida» aggiunse tagliente Williams, liberando Fred dall’incantesimo delle pastoie. I ragazzi cominciarono a urlare tutti insieme, intercalando degli insulti verso gli altri per far valere la propria versione.
«Silenzio!» gridò Williams. Era rarissimo che lui alzasse la voce, quindi tutti si zittirono all’istante.
«Fawley, Potter rispondete voi» disse Neville. Chiamava gli studenti per cognome solo se era veramente arrabbiato.
«Hanno iniziato i Grifondoro. Steeval, Avery e Green stavano parlando per conto loro. Harper era insieme a me e stavamo andando in biblioteca. Weasley e i suoi amici hanno attaccato senza alcuna provocazione e loro sono stati costretti a difendersi» raccontò Fawley.
«La loro presenza in questa Scuola è una provocazione!» esclamò Fred, mentre gli altri annuivano accanto a lui.
«Sono stati loro ad attaccarci e a uccidere i miei nonni!» aggiunse sprezzante July.
«Io non sono un Neomangiamorte» mormorò Charles Harper.
«Sì certo e io sono Baba Raba» ribatté Alex Steeval. «Sappiamo tutti quello che avete fatto durante le vacanze».
«Quello che è successo durante le vacanze non è affar vostro. Se sono stati riammessi a Scuola, significa che è giusto così» dichiarò Neville irritato.
«Sì come no… Devono ancora essere processati!» polemizzò Fred.
«Basta. Non peggiorate la vostra situazione» sbottò il professor Williams.
Fred fece per parlare, ma Neville lo bloccò: «Avete veramente superato il limite questa volta. Non aggiungete altro. Siete tutti in punizione e…».
«Ci hanno attaccato loro!» esclamò Jesse Steeval. «Ci siamo solo difesi!».
«È vero, signore…» tentò Gabriel Fawley.
«Non ha importanza!» sbottò Neville. «Stavate duellando in corridoio. È contro le regole!».
«E quindi noi non dovremmo difenderci?» chiese sprezzante Norris Avery.
«Certo, noi non siamo Grifondoro» replicò Jesse Steeval.
«Volete farmi credere che avete usato solo Incantesimi Scudo?» domandò scettico Williams.
«Certo! Dimostri il contrario» ribatté prontamente Avery.
«Fawley?». Il professor Williams fissò eloquentemente il Prefetto Serpeverde.
Il ragazzo ricambiò l’occhiata e serio come sempre rispose: «Hanno usato anche incantesimi offensivi». Avery mosse il braccio, probabilmente per colpirlo, ma Jesse lo fermò con un’occhiata di ammonimento.
«Cinquanta punti in meno ciascuno, Steeval, Harper, Avery, Rosier e Green. Sessanta punti, invece, per Mcmillan, Weasley, Thomas, Mckenzie e Steeval» sentenziò Neville.
«Che cosa?! Perché a noi sessanta? Da che parte sta?» sbottò Fred.
«Sono un insegnante, Weasley. Non sto dalla parte di nessuno» ribatté Neville. «Scriveremo alle vostre famiglie. I vostri Direttori decideranno la vostra punizione».
«Come no! E io? Devo aspettare che venga dimesso mio padre?» ghignò July.
«Io cambierei atteggiamento se fossi in te» replicò Neville. «Comunque in sua assenza si occuperà di voi Tassorosso il professor Finch-Fletchley. Se non avessi dimenticato i tuoi incarichi da Prefetto, lo sapresti. Dov’eri quando il professore è venuto a parlarvene in Sala Comune?».
«Probabilmente pomiciavo con Fred» rispose provocante July. Lo sguardo di Neville si indurì. «Altri dieci punti in meno a Tassorosso. Stai parlando con un insegnante!».
«Anche loro hanno usato la magia!» protestò Fred, indicando James e Gabriel.
«È stata una mia idea» intervenne subito James.
«Ma io ero d’accordo. Dovevamo farli smettere in qualche modo. Come hanno colpito per sbaglio la professoressa Dawson, avrebbero potuto far male a uno qualsiasi dei ragazzi che guardavano».
«Hanno ragione loro, Neville. In qualche modo dovevano pur intervenire» commentò il professor Williams. «Io direi di chiudere qui la discussione» si voltò eloquentemente verso Neville, che annuì ancora palesemente arrabbiato. «Rosier, Green seguitemi».
James sospirò osservando Fred e gli altri seguire lo zio Neville: lo sapeva che prima o poi sarebbe successo e qualunque provvedimento che avrebbero preso i Direttori, dubitava che quella recrudescenza di pregiudizi e discriminazioni si sarebbe fermata presto.
*
«Miki? Miki! Che cos’hai?» Brian incerto si avvicinò all’amico, che piangeva sommessamente seduto sul piedistallo di un’armatura. Niki, che l’aveva chiamato in aiuto, era accanto a lui altrettanto insicura su come comportarsi.
«Miki, siamo noi? Che ti prende?».
Brian spaventato cercò lo sguardo di Niki: Michael Fawley, forse il Tassorosso più buono che Hogwarts vedeva da molto tempo e ragazzino dolcissimo, sembrava disperato e tremava violentemente. «Ma che è successo a Pozioni?».
«Non lo so! Appena ha visto il supplente ha avuto… non so… una specie di attacco di panico… Il professore, però, non ha voluto farlo uscire».
«Come no? Non può essere così crudele…».
«Ti assicuro di sì. Ha trattato male tutti, ma Miki di più…».
«Miki, vogliamo aiutarti» sussurrò concitato Brian.
«Usciamo?» propose Niki. «Tanto c’è l’intervallo».
Miki si alzò, pronto a seguirla ma tenendo gli occhi fissi a terra. Brian avrebbe voluto ricordar loro che nevicava da giorni e quindi uscire nel parco era una pessima idea, ma visto che l’amico aveva reagito in qualche modo, lasciò perdere. Una volta fuori avanzarono a fatica nel parco innevato fino al Lago Nero, completamente ghiacciato. Si gelava. «Io quell’uomo l’ho già visto» sussurrò con voce acquosa Miki.
«Lavora al Ministero» tentò Niki. «L’ha detto lui quando si è presentato. È amico di tuo padre?».
«No» disse con forza Miki.
«Come si chiama?» domandò Brian.
«Leo Travers».
«Lui… lui…».
«Ehi tranquillo, di noi ti puoi fidare» tentò di rassicurarlo Brian.
«Ha ucciso mia madre».
Brian e Niki sgranarono gli occhi.
«Come fai a esserne sicuro?» chiese Niki.
«Una sera in casa mia sono entrati degli uomini mascherati. Io ero in salotto con mia mamma e mio fratello Gabriel. Mio padre era nel suo studio. Lei era una Babbana, ma ha provato a difendermi lo stesso. Travers era uno di loro, aveva il volto coperto, ma dopo che ha colpito mia mamma ha preso di mira me. Mio padre è intervenuto in tempo. Nello scontro gli è caduta la maschera che indossava e l’ho visto. Mio padre gli dava le spalle in quell’istante per allontanare me dal pericolo. Non capisco perché non è stato condannato. Io la sua faccia non l’ho dimenticata, spesso me la sogno la notte».
«È un pezzo grosso del Ministero. Lo so perché è un amico di mio padre. Alle volte viene a cena da noi. Probabilmente sei l’unico che l’ha visto» disse Niki.
«I-io credevo che fossero stati arrestati tutti… mio padre non mi ha mai detto nulla…».
«Evidentemente voleva proteggerti» disse saggiamente Niki. Attesero che Miki si calmasse e furono colti di sorpresa quando nel parco silenzioso risuonò la campanella, come da molto lontano.
«Forza, andiamo. Ti accompagniamo in infermeria e poi raccontiamo tutto a Williams, ok?» disse Brian. Gli altri due annuirono.
*
Albus e Virginia si fermarono quando videro che il professor Williams stava parlando con un uomo alto, di bell’aspetto nonostante dovesse avere quasi cinquant’anni, e il professor Finch-Fletchley; ma Williams li vide subito e li fece cenno di avvicinarsi.
«Potter, Wilson che fate in giro a quest’ora?» chiese Finch-Fletchley.
Virginia arrossì terribilmente e Albus rispose: «Volevamo parlare con il professor Williams, se fosse possibile…».
«Anche voi avete avuto problemi a Pozioni?» chiese Finch-Fletchley.
«Non avevamo Pozioni oggi, signore» rispose Albus.
Maxi Williams li osservò per un attimo e poi fece loro cenno di entrare. «Sedetevi» disse prima di chiudere la porta e sedersi dall’altro lato della scrivania. «Vi pregherei anche in futuro di evitare qualsivoglia lamentela nei confronti del supplente di Pozioni».
«Perché?» chiese sorpreso Albus senza riuscire a trattenersi. Il nuovo supplente era stato l’argomento più chiacchierato della giornata e a quanto sembrava avrebbe continuato a esserlo nei giorni seguenti. Non erano trascorse nemmeno ventiquattro ore che già giravano le voci più assurde. Isidor Mckenzie di Grifondoro sbraitava a destra e manca che Leo Travers era un vampiro. E gente che non l’aveva mai incontrato faccia a faccia giurava e stragiurava di aver visto i canini pronunciati. Nello scompiglio generale Albus poteva dare per certo che un Tassorosso del primo anno era finito in infermeria. Dubitava, però, che fosse accaduto perché era stato morso dal vampiro.
«La situazione è molto più delicata di quanto possa sembrare» rispose Williams scegliendo le parole con cura.
«Non sarà davvero un vampiro?» domandò Albus. Il cipiglio che assunse Williams, fece scappare un risolino a Virginia.
«Albus, ti prego sta zitto o inizierò a dubitare della tua intelligenza».
Albus arrossì e tentò di rimediare: «Insomma se ne vedono cose strane a Hogwarts…» borbottò.
«Può darsi, ma Travers è un mago e, come non ha mancato di vantarsi, è un Purosangue» ribatté Williams, accennando un sorrisetto. «Che non vi venga in mente di fare indagini su di lui o pedinarlo, abbiamo buoni motivi per credere che sia un tipo pericoloso».
«E perché la professoressa McGranitt l’ha assunto?» chiese stupita Virginia, superando anche il suo imbarazzo.
«Non l’ha fatto» replicò serio Williams, giocherellando con una piuma. «Sapete che cos’è il Decreto Didattico Numero Ventidue?». I due ragazzi negarono. «È un Decreto emanato dal Ministro Cornelius Caramell nel 1995, esso sancisce che il Ministero ha il diritto di incaricare un candidato idoneo per un cattedra se, e solo se, il Preside della Scuola non è in grado di trovarne uno».
«Mia zia non…» iniziò Albus.
«Il Ministro Weasley non si occupa direttamente di queste questioni. Dalla fine della guerra è stato creato un ufficio ad hoc che si occupa delle questioni scolastiche. Esso non ha il potere di intromettersi direttamente negli affari di Hogwarts a meno che non si creino delle determinate circostanze» spiegò pazientemente Williams.
«Come in questo caso» si limitò a costatare Albus. «Ma se si comporta male…?».
«Finché si limita a terrorizzarvi…» rispose scrollando le spalle il professore, ma all’occhiata che gli rivolsero i due ragazzi sospirò: «Il professor Mcmillan tornerà presto. Non più di un mese, penso. Anche perché bene o male sarà informato di quello che succede qui, quindi farà in modo di rimettersi in fretta. Dovete avere pazienza. Vedete, sono state mosse gravi accuse nei suoi confronti e chi di dovere sta già indagando», qui lanciò un’occhiata eloquente ad Albus, «e la cosa migliore è che lui non sappia nulla. Le voci sui vampiri vanno benissimo, incrementatele se volete. Finché sente su di sé solo il malumore di voi ragazzi e la solidarietà di noi docenti, non sospetterà nulla e non avrà il tempo d’insabbiare quello è saltato fuori su di lui». Lasciò loro il tempo di metabolizzare le sue parole, poi chiese: «Allora, perché siete qui?».
I ragazzi furono colti di sorpresa dall’improvviso cambio di argomento. Albus si prese qualche secondo, poi rispose: «Mio padre le ha parlato della Profezia pronunciata da Cassandra Cooman, circa un secolo e mezzo fa?».
Williams sembrò sorpreso, ma annuì. «Tuo padre me l’ha accennato» ammise. «Non ne conosco il contenuto, però. Mi ha detto che tu sei coinvolto».
«È di questo che volevamo parlarle. Noi abbiamo trovato il modo per scoprire chi altro è coinvolto». Albus fece una pausa, ma Williams rimase in silenzio in attesa che continuasse. Fu Virginia, però, a prendere la parola.
«Si tratta di un incantesimo molto avanzato di Aritmanzia che si basa sul potere delle rune.  Non credo che sia… ehm… insomma non credo che le regole della Scuola… se lei ci desse il permesso…».
«È importante!» tentò Albus preoccupato dal silenzio dell’insegnante. «Abbiamo bisogno di conoscere i Dodici coinvolti e solo così potremo fare qualcosa di concreto».
«State scherzando, vero?» chiese Williams.
«No» rispose sicuro Albus.
«Pensavo che fosse più saggio sperimentare un incantesimo sconosciuto con un insegnante piuttosto che da soli» mormorò timidamente Virginia.
«Sì, direi che è una scelta saggia. E, ditemi, quando pensavate di provare?».
«Domani mattina, prima delle lezioni. Nel parco» rispose Albus.
«Ai margini della Foresta Proibita. A quell’ora non dovrebbe esserci nessuno e difficilmente saremmo visibili dal castello» precisò Virginia.
«Mi sembra una pazzia, ma vi darò una possibilità» dichiarò Williams.
*
«Come avete fatto?» chiese stupito e preoccupato allo stesso tempo Drew.
«Mio cugino mi ha prestato il mantello dell’invisibilità» replicò Louis, che stava valutando attentamente gli ingredienti che aveva disposto ordinatamente sul lungo tavolo di legno.
«È stato abbastanza semplice» commentò Annika evidentemente soddisfatta.
«Non mi piace questa storia» sospirò Brian, scambiandosi un’occhiata con Drew che sembrava l’unico a pensarla come lui.
«Non sei eccitato?» chiese Louis con gli occhi che gli brillavano.
«No. Avete rubato dalla dispensa privata del professore e state facendo una pozione illegale».
«Non ci beccheranno» disse convinto Louis.
«Come potrebbero?» disse Annika scrollando le spalle.
Né Brian né Drew erano molto convinti delle loro rassicurazioni.
«Lasciatemi concentrare» disse serio Louis, mentre versava dello zolfo in un calderone.
*
«Sai Paciock, comincio a ricredermi su di te» annunciò all’improvviso Charles Calliance.
Frank strizzò lo straccio con cui stava lavando a terra e chiese: «In che senso?».
«Nel senso che comincio a credere che non sia una pacchia avere il proprio padre come insegnante…» borbottò il ragazzino in risposta. «O almeno non sempre. E non nel tuo caso…».
«Dovevamo finire a pulire i bagni dopo esserci presi a pugni perché lo capissi?» replicò infastidito Frank.
«Più che altro doveva mandarci tuo padre a farlo» rispose Calliance. «Ti va se facciamo una tregua?».
Frank lo fissò sorpreso e per un attimo si chiese dove fosse l’inganno, poi strinse la mano che nel frattempo il compagno aveva allungato. «Tregua» concesse. «Ma adesso sbrighiamoci, o stasera Sawyer non ci farà più andare a letto».
Calliance fece una smorfia e annuì.
*
«James, posso sapere che cosa stai facendo?».
I ragazzi sobbalzarono: nessuno di loro aveva sentito Maxi Williams avvicinarsi. Probabilmente i suoi passi erano stati attuti dalla neve, che era scesa quella notte e dal vento che ululava forte. Virginia era seduta su un masso e insieme ad Albus rileggeva, per quella che forse era la milionesima volta, l’incantesimo che avrebbe dovuto eseguire da lì a poco. Rose e Cassy chiacchieravano senza la minima preoccupazione; Scorpius e Alastor erano tutti attenti a sfogliare un fumetto; infine James stava tentando di liberare un pezzetto di terra dalla neve con Frank che gli orbitava intorno sperando di poterlo aiutare. Tutti alzarono gli occhi sul professore, lievemente intimoriti nonostante Al e Virginia li avessero avvertiti.
«Al e Virginia mi hanno detto di togliere la neve» rispose James.
«E pensi di farlo con le mani? Dimentichi di essere un mago?» replicò Williams, facendo apparire una vanga.
«Ah, beh io non ho ancora studiato gli incantesimi di Evocazione» borbottò il ragazzo, mentre le orecchie si imporporavano in modo molto simile a quello che succedeva a suo zio Ron quando era imbarazzato. James si mise di impegno e in pochi minuti spalò la neve lasciando libero un quadratino di terreno spoglio e freddo.
«Fatto!» annunciò soddisfatto, rimettendosi il cappuccio del mantello che il vento gli toglieva in continuazione.
Il professor Williams ghignò verso di lui ed eseguì una serie di incantesimi sotto i suoi occhi stupiti. In pochi secondi il vento era cessato e ai loro piedi non c’era più neve. James e gli altri impiegarono qualche secondo per capire che l’insegnante aveva semplicemente creato una barriera invisibile e il vento fuori da lì continuava a sferzare il parco.
«Da quello che mi ha detto Lupin non sai ancora fare decentemente neanche gli Incantesimi Evanescenti. Forse dovresti pensare a migliore, James».
«Non poteva farlo prima e risparmiarmi la fatica?» chiese James irritato.
«La prossima volta rifletterai di più sugli incantesimi da utilizzare» ghignò Williams.
«Le posso dire quello che penso?» sbottò James.
«Dipende da quello che pensi. Sono pur sempre il tuo professore». Il ragazzo si limitò a guardarlo male, mentre Albus e Virginia si avvicinavano. Il primo temeva realmente che il fratello avrebbe parlato a sproposito se non l’avesse bloccato in tempo. «Siete pronti?».
Albus fissò Virginia che annuì.
La ragazza percepiva l’attenzione di tutti su di sé e cercò di concentrarsi al massimo.
«Latus describolatus describolatus describo…» mormorò e ogni volta con la bacchetta tracciava un segmento. Lentamente si formò un dodecagono, i cui lati scintillavano e fremevano come se stessero bruciando la terra. «Latus describo» pronunciò per la dodicesima volta Virginia. Il poligono era concluso, ma l’intensità della sua luminosità diminuì solo di poco.
«Cassy, dalle le rune» intervenne Albus in fretta. Non voleva far perdere la concentrazione all’amica, tanto che quasi strappò il sacchetto dalle mani di Cassy per porgerglielo. Virginia lo prese e lentamente pose le rune su ciascun vertice del dodecagono, poi fece qualche passo indietro.
«Imagines risuscito» pronunciò con forza. Le rune si illuminarono per un attimo e poi si spensero. Per un attimo tutti rimasero in silenzio. «Ha funzionato?» domandò poi impaziente Rose.
Virginia incerta si voltò verso Williams che era rimasto a osservarla in silenzio. Il professore scrollò le spalle e rispose: «Fai la prova». La ragazzina si avvicinò di nuovo al dodecagono e raccolse le rune riponendole nel sacchetto una alla volta. «Lascia fuori quella di Frank» suggerì Albus. Virginia tesa porse tyr a Frank. La runa si illuminò per un attimo.
«Evvai! Ce l’hai fatta!» esclamò Albus regalando a Virginia un largo sorriso.
«Ora tocca a te, Al. Cerca la tua runa» disse la ragazzina.
Albus mise la mano dentro il sacchetto e dopo qualche secondo tirò fuori una runa che mostrò a tutti. «Reid» sussurrò.
«Fai provare anche noi» s’inserì Rose. Gli amici trattennero il fiato mentre compiva gli stessi gesti del cugino. «Evviva! Ci sono anche io! Che runa è questa? È bianca» esultò.
«Wird» replicò serio e preoccupato Albus. Non capiva che cosa ci fosse da esultare.
«E sta per?».
«È la runa del destino» rispose James sorprendendo tutti. «Che c’è? È la stessa che sigillava la mia bottiglia».
«Mi piace» dichiarò compiaciuta Rose. «Avanti Cassy, prova».
Cassy imitò i due compagni, ma questa volta non estrasse niente. «Come avete fatto a capirlo?» domandò perplessa.
«La tua si riscalda al tocco della mano» spiegò Albus.
«Niente, allora» disse sconsolata la ragazzina.
«Ora io» si fece avanti James. «Ecco» disse concentrato mostrando la runa al fratello in attesa di conoscerne il nome.
«Sol. Indica il sole e quindi la forza vitale».
A turno tentarono anche Alastor, Scorpius e per ultima Virginia. Solo gli ultimi due, però, erano tra i Dodici della Profezia.
«Albus, ora ci vuoi spiegare che cosa hai trovato in quel libro che hai tradotto?» chiese con voce un po’ roca Scorpius. Almeno lui a differenza di Rose sembrava rendersi conto della responsabilità era caduta sulle loro spalle.
«Le rune sono state incantate da Kyla, appartenente a una tribù celtica. Era la tribù dei Cornonaci che si pensa si sia estinta, ma in realtà Kyle riuscì a condurla in salvo e continuò a vivere in una radura appositamente protetta da Kyla, che come la maggior parte degli altri della tribù era una strega. Le rune le creò per fare in modo che la comunità fosse sempre protetta. Avrebbero dovuto conferirle equilibrio. La scelta del numero dodici è significativa infatti. Il dodici indica la saggezza. Il fatto che le rune non si trovino più là significa che la tribù ora non esiste più, ma non hanno perso il loro potere. Ogni runa per Kyla corrispondeva a una virtù, le stesse di cui aveva parlato anche il filosofo greco babbano Aristotele: giustizia, prudenza, coraggio, temperanza, mansuetudine, sapienza, magnificenza, liberalità, saggezza, arte, fortezza, magnanimità» spiegò Albus. «La runa di Frank rappresenta la mansuetudine, quella di Rose il coraggio, quella di James la giustizia, quella di Scorpius, perth, invece la magnificenza; Virginia, come ti ricorderai dalla nostra traduzione, madr è la sapienza. La mia simboleggia la prudenza».
«Che rimane?» domandò James meditabondo.
«Ne rimangono sei. Temperanza, liberalità, saggezza, arte, fortezza e magnanimità».
«E dobbiamo cercarli, giusto? Ma come? Non possiamo mica entrare in Sala Grande e far provare tutti!» costatò James.
«Iniziamo da chi ci è vicino e ci fidiamo e poi vedremo» propose Albus.
«Mi sembra una buona idea» disse il professor Williams. «Però dovrete essere discreti. La Selwyn ha troppe orecchie qui a Scuola».
 

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Capitolo 24
*** Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio ***


Capitolo ventiquattresimo

Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio
 
 «Ma quanto mangi?».
Dorcas sospirò. «Ho fame. Non mangio da ieri sera, mi sembra normale fare colazione».
Le gemelle Danielson la fissarono disgustate. «Diventerai una botte» dichiarò Destiny. O almeno credeva fosse lei, alle volte non era facile distinguerle.
«Siete strafissate con la dieta. Se guardate le calorie di ogni cosa, perdete il piacere di mangiare» sbuffò Dorcas. Mal sopportava le sue compagne di dormitorio: le gemelle Danielson, Destiny, Divina e Modesty, e Annabelle Dawlish. Le prime tre erano pettegole e frivole, mentre Annabelle era fin troppo competitiva e ambiziosa (secondo le gemelle non era finita a Serpeverde solo perché era stupida). Sospirò e si alzò per recarsi a lezione. Non aveva senso rimanere in loro compagnia.
«Aspetta, veniamo anche noi» disse Destiny alzandosi a sua volta. Dorcas la fissò scettica: da quando era interessata a non fare tardi?
«C’è difesa» disse Modesty disegnando un cuore con la mano.
Dorcas non commentò, ma si mantenne a una certa distanza da loro durante il tragitto verso l’aula di Difesa. Ridacchiavano in modo stupido. Con un moto di sollievo si accorse che c’era un posto libero accanto a Virginia Wilson e si sedette subito lì. «Ciao».
La Corvonero stava leggendo con attenzione un grosso tomo dall’aria piuttosto antica. «Ciao» rispose distrattamente.
Dorcas prese il romanzo di Dahl che aveva iniziato la sera prima, ben intenzionata a non disturbare l’altra e sperando che le gemelle avessero abbastanza da spettegolare da lasciarla in pace.
«Albus mi ha detto che non vi incontrate da un po’» buttò lì all’improvviso Virginia.
«Sì, è vero. Abbiamo avuto entrambi da fare. Io faccio parte del Club degli Incantesimi e la Shafiq ultimamente ha voluto fare più incontri… quindi tra lei e i compiti non ho avuto molto tempo…» replicò Dorcas un po’ sorpresa.
«Capisco. Comunque durante l’intervallo raggiungilo in Guferia. Ti deve parlare di una cosa importante».
«Ah, ok». Dorcas non fece in tempo a indagare che Williams entrò in classe.
«Buongiorno a tutti!».
«Buongiorno» borbottarono i ragazzi senza troppo entusiasmo.
Williams si accigliò, ma non fece commenti. «I libri potete posarli. Oggi, come vi avevo accennato, vi eserciterete con l’Incantesimo di Ostacolo».
Dorcas sospirò: aveva sperato che cambiasse idea. Odiava le lezioni pratiche di Difesa. I suoi amici le dicevano che era assurdo che adorasse Incantesimi e non Difesa, ma non poteva farci nulla.
«Perché Jonathan è assente?» chiese Williams ai Corvonero che, era evidentissimo, non sapevano che cosa rispondere. «Va bene, mi occuperò di lui più tardi».
«È raffreddato» tentò Dexter Fortebraccio, ma tacque all’occhiataccia dell’insegnante.
«Dorcas, stai in coppia con me?» le chiese Geoffrey Hitson, un suo compagno di Tassorosso.
«Sì, ok» rispose Dorcas pensando che Geoffrey sarebbe stato mille volte meglio di una delle Danielson o di Annabelle Dawlish. Anche se non poté evitare di finire vicino a loro.
«Bene, la formula ve la ricordate? Dorcas?».
La ragazzina sentì gli occhi di tutti su di lei e si imbarazzò parecchio. «Impedimenta» mormorò. Perché doveva interrogare proprio lei fra tutti?
«E a che cosa serve quest’incantesimo?».
«A rallentare l’avversario» rispose lievemente titubante.
«Esattamente. Vorrei che vi esercitaste a usarlo. Di volta in volta uno di voi tenterà di ostacolare il compagno e questi dovrà difendersi con un Incantesimo Scudo. Solo incantesimi scudo. Guai a voi se usate altri incantesimi» disse Williams severo. «Dorcas, parlami dell’incantesimo scudo».
«La formula è protego e serve per difendersi dagli incantesimi ostili. Se non è abbastanza forte non funziona con maledizioni troppo potenti».
Il professore annuì. «Cinque punti a Tassorosso. Potete iniziare».
Dorcas sollevata capì che almeno per il momento aveva finito con lei e si rivolse a Geoffrey, che sembrava nervoso. Era strano quel ragazzino alle volte. Probabilmente aveva trascorso tutta la notte in bianco,  come faceva spesso, per leggere le riviste sulle macchine incantate o di Quidditch. Era proprio fissato.
«Vuoi cominciare tu?» gli chiese gentilmente.
«Sì… ehm… ok… allora… Impedimenta» borbottò.
«Protego» mormorò debolmente Dorcas, evitando di essere colpita dalle strane scintille che la bacchetta di Geoffrey aveva emesso. «Provo io allora» disse tentando di venirgli incontro. «Impedimenta». Geoffrey aveva a malapena mosso la bacchetta e cadde a faccia in avanti. «Scusa» pigolò preoccupata per lui.
«Sto bene… sto bene…» biascicò il ragazzo rimettendosi in piedi.
«Scusa, avrei dovuto lasciarti il tempo di difenderti».
«No, che non avresti dovuto» disse Williams. I due Tassorosso sussultarono. Nel caos che si era creato in aula, non l’avevano sentito avvicinarsi. Ormai avrebbero dovuto sapere per esperienza che durante le esercitazioni il professore non li perdeva un attimo d’occhio. «In uno scontro vero il vostro avversario non vi darebbe mai il tempo di difendervi. Geoffrey devi essere veloce. Prova tu a colpire Dorcas e tu, Dorcas, cerca di difenderti».
La ragazzina scontenta si mise in posizione in attesa, ma il compagno non sembrava in grado neanche di sparare scintille come poco prima.
«Non così Geoffrey» lo corresse l’insegnante, che strinse la mano intorno a quella del ragazzino e lo guidò. «Ecco, devi fare questo movimento. Forza pronuncia la formula, ma con voce ferma».
«Impedimenta».
«Protego» disse immediatamente Dorcas, respingendo l’incantesimo senza problemi.
«Va bene, continuate a esercitarvi. Geoffrey il movimento dev’essere quello che ti ho mostrato, non scuotere la bacchetta a muzzo. Mi dà un fastidio enorme, oltre che potrebbe essere pericoloso».
Dorcas vide il compagno sospirare. Per conto suo riteneva che Williams fosse un buon insegnante, aveva la pazienza di rispiegare e correggere gli errori in modo pacato; tuttavia per lei quella era una semplice esercitazione e non c’era nulla di male nel venire incontro al suo compagno, che era tutto tranne che il suo avversario.
«Ehi Dorcas, non sei gelosa?» le sibilò Modesty.
«Di chi?» chiese stranita.
«Virginia Wilson ti ha rubato Albus Potter» sussurrò Destiny.
«Ma che dici?!» sbottò Virginia distraendosi e permettendo che Annabelle la prendesse in pieno. La Corvonero si rialzò subito, gettando uno sguardo rancoroso alla Tassorosso, che appariva particolarmente soddisfatta di sé.
«Negli ultimi tempi sei sempre appiccicata a Potter. Ammettilo che ti piace!» ridacchiò Divina.
«Dorcas, sei una causa persa se Potter preferisce persino lei a te» rincarò Destiny.
Annabelle colpì di nuovo Virginia, che si irritò. «Era il mio turno, non vale!».
«Sono più brava di te» ghignò la Tassorosso.
«La smettete di chiacchierare qui?» chiese retoricamente Williams accostandosi a Virginia. «È possibile che tu non sia in grado di creare un incantesimo scudo?» le domandò. Virginia arrossì e balbettò: «E-ero distratta».
«Male. Cinque punti in meno a Corvonero. Qui non stiamo giocando. Lavorate seriamente» li redarguì per poi avvicinarsi a Edward Zabini, che l’aveva chiamato.
Virginia strinse la bacchetta con rabbia e scagliò l’incantesimo contro la sua avversaria, che non fece nemmeno in tempo ad alzare la bacchetta.
«Non vale, non ero pronta» si lamentò la Dawlish.
«È un problema tuo se eri distratta» sibilò in risposta Virginia, rossa in volto.
«Ragazze» disse Dawlish rivolta alle gemelle, «come al solito non avete capito nulla. La nostra cara Virginia ha una cotta per Williams non per Potter».
Virginia a quelle parole si irrigidì, mentre l’espressione che si era dipinta sul volto delle Danielson era di puro trionfo. Se la Dawlish avesse detto loro che la Shafiq regalava Eccezionale a tutti, non sarebbero state così felici. Alcuni dei ragazzi più vicini avevano sentito e ridacchiavano.
«Oooh, su ammettilo che ti piace…» iniziò fin troppo acuta Modesty, ma non ebbe il tempo di finire la frase. Qualunque cosa avesse avuto l’ardire di dire.
«Forunculus» pronunciò Virginia fuori di sé. Il volto della Tassorosso si riempì di brufoli ed ella cominciò a urlare disperata. «A me piace Albus Potter» si ritrovò a dichiarare proprio mentre in classe scendeva il silenzio e tutti gli occhi erano puntati su di loro.
Quando nemmeno mezz’ora dopo suonò la campanella, Dorcas sospirò sollevata e si affrettò a uscire dall’aula per non sentire più le risatine di Divina e Destiny. Decisamente non si era mai sentita così in imbarazzo. Non poté fare a meno di pensare al povero Albus ancora all’oscuro di quello che era successo e di essere appena finito nel vortice dei pettegolezzi delle gemelle. Più semplicemente la sua pace era finita. Per quanto la riguardava aveva sempre trovato in Albus un amico fantastico, ma non aveva mai pensato che lui potesse rappresentare qualcosa in più. Si fermò in mezzo al corridoio chiedendosi se non sarebbe stato meglio aspettare Virginia e non lasciarla sola in quel covo di vipere e magari spiegarle che se davvero le piaceva Al, non doveva preoccuparsi di lei. Ma loro non erano mai state particolarmente amiche. Fino a quel momento non avevano avuto conversazioni se non riguardanti la scuola e anche quelle erano state molto rare. E comunque il fatto che avesse pensato solo all’appuntamento con Al per tutto il resto della lezione e fosse corsa subito verso la Guferia senza pensare ad altro, aveva qualche significato? No, no e no. Non doveva lasciarsi suggestionare da quei discorsi. Albus era un buon amico e basta. Alla fine riprese a camminare celermente verso la Guferia: l’intervallo non durava in eterno e lei non poteva far nulla per Virginia.
«Ciao» disse appena vide l’amico di spalle che guardava il paesaggio.
«Ciao» replicò Albus. Si voltò solo per un attimo: sorrideva come un bambino. «Hai visto? Nevica ancora. Secondo te il Lago Nero sarà abbastanza ghiacciato per pattinarci sopra?».
Dorcas quasi rise vedendo i suoi occhi luccicanti. «Non lo so, magari sì. Ma tanto nessuno ha i pattini».
«Ho chiesto a mia mamma di mandarmeli. Spero che non mi risponda con una strillettera».
Stavolta risero entrambi. «Allora che cosa mi dovevi dire di così importante?» chiese la ragazzina. Avrebbe voluto continuare a ridere e scherzare con lui, visto che non lo facevano da un po’, ma il tempo a loro disposizione stava scadendo. Albus tornò serio di colpo e anche il luccichio nei suoi occhi si spense. «Con l’aiuto di Virginia siamo riusciti ad attivare le rune qualche giorno fa. Vorrei che… insomma… magari anche tu sei coinvolta…» mormorò a bassa voce, poi dallo zaino tirò fuori il familiare sacchetto. «Prova a toccarle. Se al tuo tocco una si surriscalda significa che è tua».
Dorcas deglutì tesa: non se l’aspettava, ma fece come le aveva detto. Poco dopo estrasse una runa e la mostrò all’amico. «Gyfu» sussurrò.
«Rappresenta la liberalità» le spiegò Albus, ora completamente cupo in volto. Rimasero in silenzio perché nessuno dei due voleva caricare l’altro anche della propria preoccupazione e paura.
«Siamo in ritardo per Trasfigurazione» si riscosse Albus, sentendo la campanella. «Teddy ci ucciderà» disse terrorizzato.
«Aspetta» lo bloccò Dorcas, mentre già si stava fiondando sulle scale.
«Dorcas, siamo in ritardo! Con Teddy! Lo sai com’è con me, Lily e James! Non avrei mai dovuto dirti di incontrarci proprio ora».
«Lo so, volevo solo avvertirti che potrebbero esserci dei pettegolezzi su di te».
Albus la fissò stralunato per un attimo e poi entrambi si misero a correre.

*

«Signori e signori, benvenuti alla prima partita del primo Torneo di Quidditch Interscolastico!» urlò Edward Zabini con la voce amplificata dal megafono magico. «Oggi gareggeranno Hogwarts e Durmstrang. Fate un applauso ai giocatori che stanno entrando in campo insieme a Madama Jones». Lo stadio fu scosso da un boato.
«Mi sarei aspettata ben altro discorso» dichiarò visibilmente delusa Rose.
«Eddy mi ha detto che la McGranitt e Paciock gli hanno fatto una predica infinita su quello che avrebbe dovuto e non dovuto dire oggi» spiegò Scorpius con un ghigno osservando il suo amico d’infanzia nella tribuna degli insegnanti. «Non vedi come gli stanno addosso?» chiese indicando con il dito Preside e Vicepreside seduti vicino al cronista.
«Questa è censura!» strillò la ragazzina alzandosi in piedi, ma nel caos generale solo alcuni studenti più vicini fecero caso a lei e la fissarono come se fosse matta. «E che avete da guardare voi?».
«Torna a sederti!» sbuffò Scorpius, tirandola per il braccio. «Si tratta di diplomazia non di censura. Vogliono evitare qualsiasi scontro. Ce ne sono già a sufficienza».
«Ecco i giocatori di Durmstrang! Anne Müller, Nikolay Krum, Jacob Schöder, Georgi Smirnov, Ivàn Bequri, Ivanka Voković e Penka Balodis».
«È una mia impressione o tutte le ragazze di Durmstrang sono degli armadi?» chiese Scorpius con la fronte aggrottata.
«No, ma tanto vincerei sempre e comunque io in uno scontro con loro» replicò Rose.
Scorpius evitò di chiederle perché mai avrebbe dovuto scontrarsi con loro, di solito la voce razionale era Al, che aveva deciso di stare meglio al caldo in biblioteca a studiare che a guardare quattordici invasati sfrecciare avanti e indietro sotto la neve. Rose era ancora furiosa per quella risposta del cugino, quindi era meglio non provocarla troppo.
«Per Hogwarts abbiamo i Tassorosso, la rivelazione di quest’anno tutto merito del grandissimo Capitano Albert Abbott!» gridò Zabini, cui fecero ecco i tifosi gialloneri che avevano tutta l’intenzione di farsi sentire. Per tutta la settimana non avevano fatto altro che acclamare i loro giocatori ogni qualvolta gliene si presentasse l’occasione. «Daniel Mcnoss, portiere di talento… Rimen Mcmillan e Jack Fletcher i nostri strabilianti battitori… Melissa Goldstain e Amber Steeval che insieme al Capitano Abbott compongono un trio micidiale di Cacciatori! Ed infine la nostra migliore risorsa… il nostro piccolo campione… Arthur Weasley!».
I Tassorosso erano letteralmente esplosi, mentre Zabini annunciava la loro formazione. 
«Certo che Eddy ci sa fare con le parole» ridacchiò Scorpius.
«Prima che la partita inizi vorrei farvi notare che i giocatori di Hogwarts indossano la fascia nera al braccio. È un usanza babbana e simboleggia il lutto. Vorremo ricordare i coniugi Mcmillan, che sono stati brutalmente assassinati dai Neomangiamorte…».
A queste parole scoppiò il caos nello stadio e la Preside staccò il megafono magico dalle mani di Zabini. A quella distanza Scorpius e Rose poterono farsi solo una vaga idea del battibecco che ne seguì e a cui si aggiunse anche Neville. Poco dopo comunque il Tassorosso riottenne il megafono. «Madama Jones libera le palle e la partita inizia!» annunciò più irritato che entusiasta.

*

«Noi stiamo cercando di creare la Pietra Filosofale» annunciò tra l’entusiasta e il cospiratorio Louis. A Brian venne quasi un colpo quando sentì quelle parole e fissò spaventato Niki. Avevano tentato in ogni modo di convincerlo che la Rosier non era degna di fiducia. Tutto inutile.
«Sul serio?» chiese accigliata la tredicenne.
«Sì, abbiamo rubato gli ingredienti nella dispensa di Mcmillan, prima che arrivasse il supplente e siamo a buon punto» replicò il ragazzino orgoglioso. Brian avrebbe voluto prendersi a schiaffi.
«Non mi stai prendendo in giro?» chiese incredula Rosier.
«No» rispose Louis. «Quest’estate abbiamo trovato il laboratorio segreto di Nicolas Flamel e io ho letto il suo…».
«Basta» lo bloccò terrorizzato Brian.
«Che c’è? Lo volete capire tutti quanti che Pauline è un’amica affidabile?» sbottò Louis. Avevano affrontato molte volte la questione, certo, fino a quel momento almeno, mai alla presenza della diretta interessata.
«Quindi non vi fidate di me, Carter? Pensa se lo sapesse il vostro Direttore, che tanto si sta battendo per superare i pregiudizi. Non è anche il tuo padrino?» lo minacciò la ragazzina.
Brian sbiancò: l’ultima cosa che desiderava era finire nei guai con Maxi, che ultimamente era sempre molto irritabile. È possibile che Louis non riuscisse proprio a capire di che pasta era fatta quella ragazzina? L’aveva appena minacciato!
«Brian, Pauline ha ragione. Dovete smetterla con questi pregiudizi! Che lei sia una Rosier non c’entra nulla! Chiedile scusa o sarò costretto a riferirlo io a Williams. Non voglio amici pieni di pregiudizi!».
Brian si sentì ferito da quelle parole e lo fissò turbato.
«Smettila di dire fesserie, Louis» intervenne Niki irritata.
«Anche tu la pensi come lui, vero?» ribatté Louis.
«Non è questione di pregiudizi, ma lei non ci sta simpatica».
«Io sono qui, eh…» disse Pauline.
«Sì, lo so. Non parlo alle spalle».
«Lasciali stare, Louis. Tu sei molto più maturo. Sono solo dei bambini. Raccontami della tua avventura di quest’estate» lo invitò la Rosier spingendolo più vicino al Lago Nero, con il chiaro scopo di allontanarlo dagli altri due.
«Voi non venite?» chiese titubante Louis.
«No» replicò Brian dirigendosi dalla parte apposta.
«Brian!». Niki lo inseguì a fatica nella neve alta. Il ragazzino rallentò tanto da farsi raggiungere. «Sarebbe stato meglio andare alla partita insieme a Annika e Drew» borbottò.
«Vedrai che vi chiarirete. Hai paura che parli davvero con Williams? Secondo me non lo farà».
«Che faccia quello che vuole» ribatté scontroso.
«Senti ma è solo perché non sembra affidabile, vero? Intendo la Rosier. Non per via di suo padre e di suo fratello…».
«Lei non è diversa da loro. È questo il punto».
«Ti devo raccontare una cosa» sussurrò Niki. «Vieni, troviamo un posto sicuro».
Brian si lasciò trascinare dall’amica, insolitamente decisa, fino al limitare della Foresta Proibita.
«Durante le vacanze ho visto una cosa» esordì nervosa, torcendosi le mani.
«Cosa?» la incitò il ragazzino.
«L’uroboro» sussurrò a voce bassissima.
«Su un libro?» chiese titubante Brian, che aveva la sensazione che la risposta non era quella e non gli sarebbe piaciuta.
«Sul braccio di mio padre…».
Improvvisamente sembrò fare molto più freddo e Niki scoppiò a piangere. «Ti prego, non smettere di essere mio amico!». Brian l’abbracciò. «Tu sei mia amica indipendentemente da tuo padre. Non è vero quello che dice Louis! È quella Rosier che non mi piace». Continuarono ad abbracciarsi per un po’.
«Credi che lo debba dire agli Auror?» chiese sommessamente Niki, dopo aver sciolto l’abbraccio.
«Non lo so. Dovresti, ma capisco che essendo tuo padre non è facile».
«Ho paura, Brian. Lui non è mai stato tanto buono, ma non pensavo sarebbe arrivato a tanto».
«Anche io ho paura di quello che sta succedendo. L’importante è che possiamo fidarci l’uno dell’altro».

*

Virginia con un sospirò pose l’ennesimo libro sul suo scaffale. Aveva sempre adorato la biblioteca, ma in quel momento avrebbe voluto trovarsi in qualunque altro posto. Per fortuna Williams non aveva detto nulla sul fatto che avrebbe scritto ai suoi genitori e vi erano ottime possibilità che non l’avrebbe fatto. Ciò che le premeva di più era che non lo sapesse la madre. Dopo quello che era accaduto a Difesa aveva evitato in ogni modo Albus, che poverino era al centro delle battutine di tutta la Scuola. Si vergognava troppo, anche se, ne era consapevole, prima o poi avrebbe dovuto dargli una spiegazione della sua dichiarazione, come ormai la chiamavano tutti. O magari aveva già capito, in fondo era intelligente. Beh almeno tutto quel disastro era servito a qualcosa: si era tolta dalla testa Williams. La predica che le aveva fatto era servita in un certo senso da terapia d’urto. Ripose l’ultimo volume e si sedette in attesa che Williams o il signor Bennett tornassero e le dessero il permesso di andarsene. Nel rimettere in ordine i libri aveva trovato un volume che l’aveva colpita particolarmente. Era di storia celtica. Cominciò a sfogliarlo più o meno distrattamente finché la sua attenzione non fu attirata dal titolo di un paragrafo: “La leggenda dei Dodici”. Il cuore accelerò il battito, mentre scorreva rapidamente le prime righe: “Una leggenda a lungo tramandata dalle tribù celtiche è senz’altro quella delle rune che proteggevano i Cornonaci…”.
«Ahi» Virginia fece appena in tempo a coprirsi il volto prima di essere colpita da altri libri. Il primo le aveva sfiorato il braccio sinistro e lo stesso volume che stava leggendo le cadde di mano. Sentì delle risatine famigliari di sottofondo. «Finite incantatem» disse Williams irritato. «Signorine Danielson, lo trovate davvero divertente? Avete un pessimo senso dell’umorismo!».
Virginia impiegò pochi secondi a comprendere che le tre sceme si erano nascoste dietro uno scaffale ed avevano incantato i libri per farle un dispetto. «Parlerò immediatamente con il professor Finch-Fletchley, statene certe! E ora rimettete tutto in ordine! Senza magia» ordinò Williams.
«No» intervenne Virginia. «Tra quelli c’è un libro che mi serve». L’occhiata che le rivolse l’insegnante le fece passare la voglia di ribattere ancora. «Vai a letto, Virginia» disse autoritario, restituendole la bacchetta.
La ragazzina obbedì. Il giorno dopo avrebbe parlato con Al. Era troppo importante che sapesse quello che aveva trovato. Aveva la sensazione che fosse qualcosa di cruciale. Quel tassello, che nonostante tutti gli sforzi dell’amico, ancora li mancava.

*

«Non vedo l’ora che ci sia un’altra partita» disse entusiasta Drew. «Quella di sabato è stata eccezionale».
«Mmm».
«Annika, che hai da ridire?».
«Quelli di Durmstrang hanno fatto troppi falli. In quel modo non è divertente! Hanno tirato un bolide nello stomaco a Mcnoss! A proposito, chissà come sta» replicò la ragazzina.
«Michi mi ha detto che sta meglio, anche se è ancora in infermeria. I suoi compagni di Casa lo stanno trattando da eroe. Non lo lascerebbero solo neanche per un minuto se non li cacciasse Lux» li informò Brian.
«L’importante è che abbiamo vinto» disse felice Drew. «Tuo cugino è stato bravissimo».
«Sì, ma abbiamo vinto di pochissimo. Duecento a Centocinquanta. Noi Serpeverde avremmo giocato meglio» si inserì Pauline Rosier, che ormai stava sempre in compagnia di Louis.
«Non avevano il Portiere! Sarebbero stati degli inetti a non segnare con gli anelli non protetti!» sbottò irritata Annika, sbattendo lo zaino sul banco. Aveva preso malissimo la scelta di Louis ed era stata intrattabile per tutto il week end. A quanto pare non aveva smaltito la rabbia.
La replica della Rosier fu coperta da Travers che batté la porta per ottenere il silenzio o semplicemente per terrorizzarli, come pensavano molti.
«Professore, posso sedermi vicino a Louis? La sua influenza mi aiuterà a migliorare. A Incantesimi sta funzionando».
«Carter, levati e lascia il posto alla signorina».
«Anche Brian ha bisogno di aiuto!» sbottò Annika.
«Mi sposto io» provò Drew, sapendo che Annika non si sarebbe fatta problemi a sfogarsi su Travers.
«Carter, ora!» sibilò l’uomo facendo sobbalzare il ragazzino che si affrettò a spostarsi, mentre Drew tappava la bocca all’amica, nonostante tentasse di morderlo.
Brian era terrorizzato da quell’uomo, una minuscola parte di lui invidiava Michi perché non lo costringevano a seguire Pozioni e facevano tutti finta di credere che stesse male proprio in quelle ore. Era evidente che odiasse insegnare e gli studenti, quindi il perché avesse accettato l’incarico era un mistero.
«Oggi dovrete realizzare il Distillato Sviante. A lavoro».
I ragazzi lavorarono in silenzio per tutta la lezione. Travers, come sempre, nemmeno si preoccupò di girare tra i banchi e controllare se avessero difficoltà o meno. A Brian mancava tantissimo Mcmillan. Il suo rendimento in Pozioni era calato a picco e Maxi l’aveva rimproverato più volte come se fosse solo colpa sua.
«Tempo scaduto. Vediamo che avete combinato» annunciò Travers con una smorfia disgustata. «Ottimo Rosier, dieci punti a Serpeverde».
«Le avevo detto che Louis avrebbe avuto un’ottima influenza su di me».
Brian vide Drew beccarsi una gomitata nelle costole nel tentativo di trattenere Annika. La pozione alla Rosier l’aveva distillata direttamente Louis. Ci avrebbe scommesso qualunque cosa.
«Bene, bene Carter, cos’è questa schifezza?» chiese Travers.
Il ragazzino tentò di balbettare una risposta, mentre i Serpeverde, felici, iniziavano a ridere di lui. Sentì gli occhi inumidirsi. Non era corretto. La sua pozione non era così male. Era quasi dello stesso colore previsto dal manuale. Quasi. E comunque era perfetta rispetto a quella di Edison Andersen che emanava un intenso odore di uova marce. «I-il d-distillato S-sviante» mormorò.
«Forse ti sei confuso con la Pozione Balbettante» disse sarcastico Mike Zender, facendo ridere tutti.
«Credo che il signor Zender abbia ragione, Carter. Sei un pessimo pozionista» sibilò Travers a pochi centimetri dalla sua faccia. «Facciamo così, assaggiala e vediamo se funziona».
Brian lo fissò incredulo e si chiese se stesse scherzando. Doveva scherzare.
«ADESSO!» ordinò Travers riempiendo il mestolo e portandoglielo vicino alla bocca serrata dalla paura e un po’ dal disgusto «Bevi!».
«Ora basta!». Annika era intervenuta e aveva allontanato bruscamente il mestolo dal volto di Brian, versandone il liquido.
«Come osi, piccola maleducata! Non ti conviene metterti contro di me!» sibilò Travers.
«Qualche problema con i miei allievi, professor Travers?».
Gli occhi di tutti si spostarono sulla soglia della porta dove si stagliava la figura pallida e smagrita di Mcmillan.
Travers fu bravo e rapido a nascondere la sua sorpresa. «Sì, professore. Temo, che siano fin troppo maleducati e indisciplinati».
«Noi?» sbottò Annika. «Professore, è lui che…».
«Per piacere, Annika, torna al tuo posto e smetti di polemizzare» disse Ernie. «Professor Travers, potrebbe venire un attimo fuori? Vorrei parlarle».
«La lezione non è ancora finita. È ufficialmente l’insegnante sono ancora io».
«Non ha importanza. Esca» ripeté Mcmillan.
«Allora sei duro di comprendonio proprio come i tuoi allievi, io ho tutto il diritto di stare qui». Non aveva neanche finito la frase che in classe entrarono un gruppo di Auror.
«Leo Travers, sei in arresto. Consegna la bacchetta» ordinò uno di loro. «Non ti conviene opporre resistenza».
Travers afferrò Brian per collottola della divisa e gli puntò contro la sua bacchetta. «Sei sicuro, Wilson? Questa volta avete sbagliato i vostri calcoli».
«Vi avevo detto di aspettare fuori» sbottò Mcmillan.
«Avevamo degli ordini» ribatté il vice sotto-Capitano.
«Exsperlliamus».
Successe tutto in pochi, confusi, secondi: la bacchetta volò via dalle mani di Travers, Brian si sentì strappare con forza dalla sua presa e gli Auror schiantarono Travers.
«Io gli avevo detto di lasciare in pace Brian» cantilenò Annika con la bacchetta ancora in mano.
«Ottimo lavoro, signorina…?».
«Robertson. Annika Robertson» rispose Annika, sorridendo a Wilson.
«Secondo me siete stati degli incoscienti» sbottò Mcmillan. «Avete messo in pericolo i ragazzi, Wilson. Non credo che Potter vi abbia ordinato questo!».
«No, ma dovevamo assolutamente arrestarlo» rispose Wilson. «Portatelo via» ordinò ad altri due Auror.
«Grazie» borbottò Brian all’Auror che l’aveva messo al sicuro.
«Dovere» replicò quello e con un cenno di saluto seguì i compagni fuori.
«Brian, stai bene?» gli chiese gentilmente Mcmillan avvicinandosi.
Il ragazzino annuì, anche se era ancora stordito.
«Potete andare» disse Mcmillan. «La lezione finisce qui per oggi».
«Ma non valuterà le nostre pozioni, vero?» chiese Andersen preoccupato.
«Sei uno scemo Andersen!» sibilò Annika.
«Smettila, Robertson. No, non le valuterò. Ora andate».

*

Dorcas stava crollando dal sonno. Non vedeva l’ora di raggiungere il suo dormitorio e coricarsi. Sbadigliò e si strinse il mantello addosso. Per la felicità di Albus non aveva ancora smesso di nevicare e Hogwarts era stretta in una morsa di freddo, come non lo si vedeva da anni. Un rumore la fece sobbalzare. Il coprifuoco era scattato da un pezzo, non poteva che essere un Prefetto o un insegnante. Svoltò in un corridoio e sobbalzò: un ragazzo era appoggiato alla parete. Era sospetto, ma Dorcas con il cuore in gola si avvicinò lo stesso. Il cielo fuori era completamente coperto per cui non poté contare sulla luce della luna e stranamente le torce in quell’ala del castello erano spente. La parte razionale del suo cervello non faceva che dirle di andarsene prima di essere vista a sua volta, ma la sua anima Tassorosso non glielo permise. Infatti più si avvicinava più era evidente che il ragazzo non stesse bene. Il problema era che lo aveva riconosciuto ed era l’ultima persona che avrebbe voluto incontrare in un corridoio deserto.
«Posso aiutarti?» chiese timidamente. 
Jesse Steeval la scrutò per un attimo. «I Tassorosso non rispettavano il coprifuoco una volta?».
«E i Serpeverde non erano abbastanza furbi da non farsi beccare in giro dopo il coprifuoco una volta?» replicò ella, stupendo anche se stessa.
«Sono fuori forma» disse Steeval raddrizzandosi. Fece per allontanarsi, ma poi ebbe un capogiro e Dorcas lo sostenne.
«Sicuro che non vuoi una mano? Se ti preoccupa la tua reputazione, non lo racconterò a nessuno». Parlò con tono sprezzante, senza capire nemmeno lei il perché.
«Ho bevuto un po’ troppo. Sai i Serpeverde sanno fare ancora giochi divertenti senza farsi beccare».
Dorcas lo guidò ai piani inferiori e il ragazzo non si ribellò.
«Il mio dormitorio non è di qua» si limitò a farle notare a un certo punto.
«Lo so. Scorpius Malfoy è un mio amico. So dov’è il vostro dormitorio. Tu, però, hai bisogno di qualcosa di caldo».
«Sai, che gli studenti non hanno il permesso di entrare in cucina?».
«Sei sempre così irritante o solo quando bevi?».
«La gente pensa che io sia sempre insopportabile» ribatté cupo Steeval. «L’alcool mi rende molto loquace. Tutto qui».
«Ecco perché stai parlando con una Tassorosso» disse Dorcas spingendolo dentro.
«Signori, cosa possiamo fare per voi?» domandò subito un elfo domestico.
«Scusate l’ora» borbottò Dorcas, imbarazzata per quelle premurose attenzioni. Al primo elfo infatti se ne erano giunti altri. «Vorremmo un thè se fosse possibile».
«Certo, signorina. Subito, signorina!».
Pochi secondi dopo una tazza di thè fumante fu messa davanti a un sorpreso Steeval.
«E ora che hai?» gli chiese Dorcas, che aveva colto la strana espressione che gli si era dipinta in volto.
«Sei strana» rispose il ragazzo soffiando sul liquido bollente. «Non credo che molti altri avrebbero fatto questo per me. Se non sbaglio sei la figlia di uno dei vice-sotto Capitani di Potter. Dovresti sapere che fra qualche mese dovrò affrontare un processo del Wizengamot e quali accuse pendono sul mio capo. Perché mi stai aiutando?».
«Perché avevi bisogno di aiuto» rispose Dorcas come se fosse ovvio.
«Che cosa vuoi in cambio del tuo silenzio su quello che è accaduto stanotte?».
«Nulla. Per chi mi hai preso?» ribatté Dorcas. «Volevo solo aiutarti. È possibile che ti sembri così strano?».
«Non sono abituato a essere aiutato».
«Sì, vabbè. Tutti gli amici che hai? La tua famiglia? Secondo me sei solo esagerato».
«Quali amici? Quelli che mi vengono dietro lo fanno solo perché sono più potente di loro e hanno paura. La mia famiglia… Tu vivi ancora nel mondo delle favole! Mio fratello Alex, stupendo e leale Grifondoro, non mi rivolge la parola da secoli e mia mamma dopo il mio arresto è letteralmente sparita. Voleva che mio padre contribuisse a insabbiare quello che era successo, aiutato da un suo magiavvocato. Mio padre non farebbe mai una cosa del genere. E da quando avevo dieci anni che non li vedevo litigare così. Ora non esisto più neanche per mia madre» buttò fuori tutto velocemente, come se aspettasse di farlo da un’infinità di tempo. «Ora puoi anche sbuttanarmi davanti a tutta la Scuola. Non c’è problema, tanto ormai…».
«Non farò nulla del genere. Non lo dirò a nessuno, ma se posso darti un consiglio…».
«Mah sì… comunque non berrò più…».
«Ti conviene… la prossima volta potresti trovarti a confidare i tuoi segreti alla McGranitt…» tentò di scherzare Dorcas, strappandogli un sorrisetto sincero e non strafottente come quelli che gli vedeva sempre. «Tuo padre non l’hai nominato. Lui è rimasto con te, vero?».
Jesse bevve un lungo sorso di thè prima di rispondere. «Si è incazzato di brutto all’inizio, poi, però, mi ha detto che mi avrebbe aiutato a uscire da questo pasticcio… a patto che mi allontani da certi soggetti». Svuotò la tazza e si alzò. «Sono in grado di arrivare al dormitorio con le mie gambe. Grazie. Da domani nemici come prima, però».
«Ok» mormorò scoraggiata Dorcas. Quel ragazzo non aveva fatto altro che dirle che era strana, ma lo strano era lui: prima si confidava, poi se ne andava in quel modo, ma soprattutto non le era sembrato il solito ragazzo presuntuoso e prepotente che si sentiva il padrone della Scuola.
 

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Capitolo 25
*** Infrazione al Codice ***


Capitolo venticinquesimo

Infrazione al Codice
 
Virginia osservò il luogo dove si trovava. Come ci era arrivata? Non riusciva proprio a ricordarselo. Per un attimo il mondo attorno a lei sembrò tremare, poi tornò fermo e più chiaro di prima nonostante continuasse a essere quasi completamente buio. Si appoggiò al muro dietro di lei, ma si staccò subito: era viscido e umido. Il suo cuore batteva all’impazzata. Il pavimento sembrava realizzato in blocchi di pietra sconnessa. Fece qualche passo incerto, non volendo inciampare. Cercò la bacchetta, ma si accorse di indossare pantaloni senza tasche. Perché indossava pantaloni e non la divisa? Impiegò diversi istanti a rendersi conto di essere in pigiama. Iniziò a spaventarsi: come era arrivata in quel posto? Ricordava di essere andata a letto… e poi? Era impossibile che si fosse smaterializzata o qualcosa del genere: nessuno poteva farlo dentro i confini di Hogwarts e comunque lei ancora non ne era in grado. Ancora una volta il mondo intorno a lei sembrò dissolversi. Stava sognando? Sì, non c’erano altre spiegazione. E quello era l’incubo peggiore che avesse mai avuto. Trattenne il fiato quando fu di nuovo capace di vedere qualcosa: era una stanza di pietra, fiocamente illuminata dalla luna che penetrava da dalle sbarre di legno. Era in una prigione, ma non fu solo quello a spaventarla: di fronte a lei vi era una figura nebulosa, che a tratti sembrava assumere forme femminili. Voleva scappare. La paura la invase e il mondo tremolò di nuovo.
«No! Ti prego non aver paura!» la voce supplichevole della figura la bloccò sul posto. Non sembrava pericolosa.
«Chi sei? Che vuoi da me?» chiese spaventata.
«Mi chiamo Afia. Ti prego, non aver paura. Non riesco a mantenere l’incantesimo stabile. È difficile».
Virginia tentò di riflettere, ma il suo cervello, unica cosa di sé di cui le piaceva vantarsi, sembrava essersi inceppato per la paura. «Che vuoi da me?» riuscì a stento a pronunciare.
«Aiuto» rispose semplicemente la figura, che per un attimo divenne più chiara. Sembrava quasi una bambina. «Siamo rinchiusi in un castello. Il castello dei Rosier. In Scozia. Ti prego, se puoi, aiutaci» disse con urgenza nella voce. «Non ho molto tempo e neanche abbastanza energia».
«Come faccio ad aiutarti?».
«Non lo so… devo andare… prendi questa…» disse rapidamente e le mise di forza una pietra nella mano. «Così quando ti sveglierai, capirai che non è stato un sogno… ti prego…».
Virginia aprì la bocca per dire qualcosa, ma tutto divenne buio. «Aspetta! Aspetta!» si ritrovò a urlare.
Aprì gli occhi di scatto, ma dovette richiuderli a causa di una luce intensa.
«Così l’accechi!» disse una voce che riconobbe come quella di Chantal White, una delle sue compagne di stanza. Riaprì gli occhi e vide che c’erano anche le altre ragazze e la fissavano tutte.
«Stai male?» chiese Carole Parker.
La ragazzina si passò una mano sul volto. Per un attimo pensò che fosse stato solo uno stupido incubo, poi si accorse di star stringendo qualcosa nella mano sinistra. Riconobbe la pietra che quella ragazza, Afia, le aveva dato e sobbalzò spaventando anche le altre.
«È calda» sentenziò Chantal dopo averle toccato la fronte.
«Vado a chiamare qualcuno» borbottò Carole, sparendo dalla sua visuale. Sentì a malapena la porta richiudersi alle sue spalle.
Che stava succedendo? Com’era possibile una cosa del genere? Come aveva fatto quella ragazza a superare le barriere magiche di Hogwarts? No, non era normale.
«Respira» le disse Chantal, riscuotendola. «Carole è andata a cercare aiuto».
Virginia saltò fuori dal letto prendendole di sorpresa e ignorò le loro proteste. Fece di corsa le scale fino alla Sala Comune e altrettanto velocemente quelle che portavano al corridoio del settimo piano dove si scontrò con qualcuno e cadde a terra.
«Virginia?!». La solita fortuna: aveva sbattuto dritto contro il professor Williams. «Carole, mi ha detto che stavi male».
Virginia accettò la mano che gli porse per aiutarla ad alzarsi e lo fissò per un attimo. Quella situazione aveva dell’assurdo. Era in pigiama, il suo pigiama con le puffole pigmee colorate, davanti a uno dei suoi insegnanti. E non uno qualsiasi, ma quello per cui fino a una settimana prima aveva avuto una cotta. E Williams stesso indossava il pigiama sotto il mantello scarlatto degli Auror. Probabilmente non si era neanche accorto di aver preso quello: dalla faccia sembrava ancora mezz’addormentato. Carole, accanto a lui, la fissava come se fosse matta. Le sue compagne non avevano un alto giudizio di lei, sicuramente aveva appena toccato il fondo.
«Stai bene?».
«Sì… le devo raccontare un sogno che ho fatto…» disse con urgenza nella voce. Williams si accigliò e Carole sembrò trattenere a stento una risata.
«Un sogno?» chiese perplesso Williams, probabilmente si stava chiedendo se avesse sentito bene.
«Sì. In privato, però» rispose, gettando un’occhiata eloquente a Carole.
«Vieni nel mio ufficio, allora» acconsentì.
Solo quando Williams le disse «Siediti vicino al fuoco», si rese conto di star tremando. «Grazie» mormorò, mentre egli riattizzava il fuoco nel camino. Il calore la tranquillizzò lievemente, lasciando spazio all’imbarazzo.
«Allora?» la sollecitò Williams.
Bisognava ammettere che di pazienza ne aveva, molti professori si sarebbero rifiutati di ascoltare alcunché se non a un orario appropriato. Appropriato era un aggettivo che la Shafiq adorava e abbondava nell’usarlo. Virginia gli raccontò il sogno, se così si poteva definire, tentando di ricordare ogni particolare. «Non sono pazza. La pietra è questa» concluse in tono supplichevole, mostrandogli la pietra, che aveva stretto per tutto il tempo.
Williams l’aveva ascoltata in silenzio per tutto il tempo e ora la scrutò con attenzione per qualche istante, poi chiamò: «Dick!».
Virginia sobbalzò quando un elfo domestico apparve.
«Il signore ha chiamato Dick?».
«Sì, Dick, per favore porta una tazza di thè alla signorina».
«Naturalmente, signore. Subito signore» rispose servizievole l’elfo e scomparve.
«Io non sono pazza» ripeté Virginia, credendo che non l’avesse creduta. «O almeno credo».
«No, non lo sei» dichiarò pensieroso Williams.
«Quindi qualcuno ha superato le barriere della Scuola?» chiese preoccupata Virginia.
«Non credo, lo sapremmo. Esistono magie più antiche però».
Dick riapparve e le consegnò una tazza di thè bollente e si profuse in mille inchini prima di tornare in cucina. Virginia osservò Williams: era cupo in volto e sembrava stesse riflettendo velocemente. Ad un certo punto evocò un patronus, che schizzò fuori dalla finestra così velocemente che Virginia non ebbe il tempo di riconoscerne la forma.
«Bene, se sei più tranquilla ti accompagno alla Torre».
Virginia lo fissò sorpresa per un attimo. «Veramente sono confusa».
Il professore annuì e fece un lieve sorriso. «Credo che la ragazza che ti ha chiesto aiuto debba essere una dei clandestini che gli Auror stanno cercando e…».
«Perché gli Auror?» lo interruppe Virginia.
«Perché vengono portati qui per farli combattere nelle file della Selwyn. Ho mandato un messaggio al Quartier Generale, loro verificheranno. Potrebbe essere un colpo grosso» spiegò Williams concitato.
«Ma come ha fatto?» chiese ancora perplessa Virginia.
«A entrare nei tuoi sogni e lasciarti una pietra? Non conosco l’incantesimo, ma in biblioteca troverai senz’altro informazioni sulla Scuola di Magia africana. Loro non mandano le lettere di ammissione via gufo, ma entrano nei sogni dei bambini e li lasciano proprio una pietra. Immagino che la ragazza che ti ha contattato abbia famigliarità con questo procedimento. Comunque non credo che sia così giovane come ti è sembrato. Si tratta di un incantesimo di una certa complessità che uno studente difficilmente riuscirebbe a realizzare».
«Spesso l’immagine era sfocata, sembrava quasi che la ragazza non sapesse usare bene l’incantesimo».
Williams fece un gesto vago con la mano come a dire che non aveva importanza. «Non possiamo far altro che aspettare. Hai altre domande?».
«Per ora no, signore».
«Se te ne vengono in mente altre, sai dove trovarmi. Magari non alle due di notte» disse con un lieve sorriso Williams.

*

«“In un tranello del diavolo formato gigante
nel verde folto
alla luce d’adamante
della luna, troverete
inesistente figura.
Afferrate, dunque, il fumo
se vi riuscite
acchiappate nessuna cosa e nessuno”» Benedetta lesse l’indovinello ad alta voce per l’ennesima volta.
«Non credo esista davvero un tranello del diavolo gigantesco. Per essere sicuri, comunque, potremmo chiedere a Paciock» commentò Robert.
«Secondo me è una metafora» disse Benedetta. «Ma a che cosa potrebbe riferirsi?».
 
«Dev’essere il luogo. L’indovinello che capitò a mio padre indicava il Lago Nero. Se hanno usato la stessa logica…» ragionò James.
 
«Non parla delle serre, vero?» provò Robert.
 
«Non credo. Insomma ci sono anche piante pacifiche» disse Benedetta.
 
«Zio Neville non glielo permetterebbe mai. Figuratevi, gliele distruggeremmo!» disse, invece, James facendo ridacchiare gli altri due.
 
«Facciamo che ci pensiamo su?» propose Robert. «Ho fame, scendiamo a fare colazione».
 
Si erano rintanati nella stanza di Albus, visto che lui e i suoi compagni erano già usciti mentre gli altri ragazzi del quinto anno se la prendeva fin troppo comoda.
 
«James!» lo chiamò subito Albus, appena si avvicinò al tavolo dei Grifondoro. I tre ragazzi si sedettero nei posti liberi vicino a lui.
 
«Che succede?» chiese James, percependo un’atmosfera diversa nella Sala: gli studenti, a gruppetti, erano chini sulla Gazzetta del Profeta.
 
«Stamattina presto papà e i suoi uomini hanno trovato una delle basi dei Neomangiamorte! Era qui vicino!» spiegò Albus, mostrandogli il quotidiano.
 
«Ottimo!» commentò James, mentre Robert si impossessava del giornale. «È una buona notizia, no?».
 
«A quanto pare sì. Hanno arrestato un bel po’ di mercemaghi e c’erano anche dei Neomangiamorte nel castello dei Rosier» rispose Robert, dopo aver letto parte dell’articolo. «Tuo padre, però, non ha rilasciato interviste ancora. In questo stesso momento starà interrogando gli arrestati».
 
«Scusami» mormorò una vocina vicina a lui e Robert fu costretto ad alzare gli occhi dalla gazzetta. Era una ragazzina minuscola, sicuramente del primo anno. «Non ho potuto far a meno di ascoltarti… Hai nominato i Rosier, vero?».
 
«Sì. Il castello, messo sotto sequestro dagli Auror all’alba, li apparteneva» spiegò Robert.
 
«Perché ti interessa?» gli chiese James, perplesso.
 
«Posso dirlo solo a te?» replicò titubante la bambina. James osservò gli amici sorpreso, ma annuì. Magari lo voleva dire a lui perché era un Prefetto pensò, ma come motivazione non teneva visto che lo era anche Benedetta. Si alzò e si allontanò dal tavolo, seguito dalla bambina, quel tanto che bastava per non essere ascoltati da nessuno.
«C’è qualcosa che ti preoccupa?» le chiese gentilmente.
 
«Sì. Tu sei il cugino di Louis Weasley, vero?».
 
«Sì» rispose James sorpreso. «Perché?».
 
«Perché sta spesso in compagnia di Pauline Rosier, anche se gli abbiamo detto che non è affidabile. Magari ci sbagliamo, ma insomma… tu sei più grande, te l’ho detto per questo… non voglio fare la spia o…» la ragazzina si bloccò imbarazzata.
 
«Come ti chiami?».
 
«Niki».
 
«Stai tranquilla, Niki. Voglio molto bene a Louis, gli darò un’occhiata, ma interverrò solo se lo riterrò necessario. Grazie di avermelo detto».
 
La ragazzina sorrise e corse di nuovo a sedersi al tavolo. James fece lo stesso e raccontò la breve conversazione agli altri.
 
«Magari non c’entra nulla quella ragazzina» tentò Benedetta.
 
«O magari sì, quindi dobbiamo stare attenti. Lou è molto ingenuo» disse James, lanciando un’occhiata eloquente ad Albus che annuì.
 
«Ragazzi, sono arrivate queste» disse Lily sedendosi vicino a James e porgendo una lettera ciascuno a entrambi i fratelli.
«È successo qualcosa?» chiese Benedetta.
 
«Niente di anormale. Teddy è tornato a casa per accompagnare Vic al San Mungo per l’ecografia e poi hanno cenato dai miei. Visto che c’era, ha fatto loro un resoconto di tutto quello che abbiamo fatto e non fatto da quando siamo rientrati» sbuffò James.
 
«Strano che non abbia mandato una strillettera. Le adora» borbottò contrariata Lily. «Se pensa che le sue parole mi colpiscano… bah ha sprecato pergamena e tempo… bene, ci si vede in giro…».
 
James e Albus ormai erano abituati al suo comportamento e non le dissero nulla, ognuno preso dai suoi problemi.
 
«Ma scusa, a te che hanno scritto?» chiese James ad Albus che aveva assunto un’espressione corrucciata.
 
«Teddy si è lamentato del fatto che ultimamente sono spesso distratto e arrivo tardi a lezione» sospirò Albus.
 
«Che idiozia» commentò Rose, riemergendo dal suo piatto strapieno di frittelle. «La verità è che li hai abituati troppo bene, appena sgarri un po’ si agitano tutti. Dovresti fare come me, così arriveranno a pensare che se non li arrivano lettere da Hogwarts devono esserne più che felici».
 
La sua asserzione suscitò varie risatine e James diede una pacca sulle spalle al fratello. «Su, non ci pensare. Lo sai che Teddy è severo. Merlino, alle volte sembra un vecchio e non un ragazzo di nemmeno trent’anni».
 
«Sì, ma avevo chiesto a mamma di spedirmi una cosa e non l’ha fatto, proprio perché dice che dovrei concentrarmi sulla scuola» disse Albus. «Vado, non vorrei arrivare in ritardo. Buona giornata».
 
*

«Allora che ne dici, Fred?». Louis pendeva letteralmente dalle labbra del cugino più grande, che ammirava per il suo talento in Pozioni.
 
«Mmm sembra corretta, ma non ho mai realizzato una pozione così complessa» commentò il ragazzo.
 
«Neanche per il concorso per il Miglior Giovane Pozionista?».
 
«No. Questa roba è illegale, Louis» ribatté lievemente scontroso Fred.
 
Il ragazzino rimase colpito dal suo tono, che gli parve quasi di rimprovero. «Sei arrabbiato?» chiese titubante. Era stato così sicuro di sé e così orgoglioso quando l’aveva chiamato per mostrargli il suo lavoro!
 
«No, ma non dovresti distillare pozioni non adatte alla tua età. Dovresti limitarti a quelle del primo anno. Senza contare che a quest’ora dovreste essere a letto» disse Fred e Louis per la delusione sentì le lacrime inumidirgli gli occhi. «Che direbbero i tuoi se lo sapessero? Lo sai che tuo padre è stato Caposcuola, vero? E voi altri non dovreste dargli retta quando sbaglia!».
 
Annika gli rispose con un’occhiataccia, Brian e Drew lo fissarono perplessi, mentre Louis recuperò la sua borsa e uscì dal laboratorio senza dire una parola.
«A me sembri un bell’ipocrita» commentò Annika prima di seguire gli amici.
 
*

«Secondo voi ci caccerà?» chiese perplessa Cassy.
 
«Mi ha detto che potevo fargli tutte le domande che voglio» rispose Virginia.
 
«Tu non tutti noi» borbottò Albus preoccupato. Virginia si era chiarita con lui e aveva smesso di evitarlo, fortunatamente il ragazzo non se l’era presa troppo e l’unica cosa che l’aveva infastidito particolarmente erano state le battute dei Serpeverde.
 
«Vi fate troppi problemi» commentò Rose per poi bussare alla porta senza dar loro il tempo di fermarla.
 
«Buonasera, professore» disse Rose con un ampio sorriso.
 
«Buonasera» replicò Williams, inarcando sempre di più il sopracciglio man mano che entravano tutti. «A cosa devo la vostra presenza?».
 
«Mi aveva detto che avrei potuto farle delle altre domande, se mi fossero venute in mente» disse timidamente Virginia.
 
L’insegnante annuì. «Hai raccontato ai tuoi amici del sogno?».
 
«Sì, ho pensato che non ci sarebbe stato nulla di male».
 
«No, hai fatto bene. Allora, prendete posto» li invitò Williams.
Rose, mentre gli altri sedevano sulle sedie, si buttò sul tappeto blu davanti al camino con un sorriso malandrino. «Quando mio nonno racconta le storie ci sediamo sempre sul tappeto davanti a lui».
 
Dorcas e Albus si trattennero a stento dal ridere, mentre James e Cassy ridacchiarono.
 
«Io non sono tuo nonno!» ribatté Williams, sedendosi ostentatamente dietro la scrivania e gettandole un’occhiataccia. «Comunque sedetevi dove volete».
 
Virginia e Cassy presero posto nelle sedie di fronte alla scrivania, mentre Albus e Dorcas si divisero una di quelle vicino al fuoco, l’altra la prese James. Infine Scorpius affiancò Rose. Frank per un attimo rimase l’unico in piedi, un po’ intimidito da quella situazione, ma James, senza molte cerimonie, lo tirò per un braccio e gli fece spazio sulla sua sedia. «Grazie» mormorò imbarazzato.
 
«Che cosa volete sapere?» domandò Williams.
 
«Quello che non c’è scritto sulla Gazzetta del Profeta» ribatté James con un sorriso angelico.
 
«Ossia tutto» chiarì Scorpius.
 
«Vi racconterò solo quello che potete sapere» replicò Williams. «Allora, Virginia vi ha raccontato del sogno e immagino anche del mio messaggio al Quartier Generale. Il Capitano Potter è stato immediatamente avvertito e ha organizzato una squadra. All’alba, con l’aiuto di validi spezzaincantesimi, ha superato le difese del Rosier Manor. Coadiuvati da un gruppo di agenti della Squadra Speciale Magica e dai Tiratori Scelti guidati da Terry Steeval hanno preso senza troppo problemi il controllo del castello e…».
 
«Professore! Lei non sa raccontare! Usa sempre lo stesso tono di voce! E poi si sforzi di aggiungere qualche dettaglio! Con chi hanno dovuto combattere? Quanti uomini erano? C’erano Neomangiamorte?».
 
«Io non ero presente! E se non vi va bene il mio tono, potete anche andarvene» disse indicando la porta.
 
«Rose!» urlarono James e Cassy. Erano gli unici che riuscivano davvero a frenarla almeno un po’. Scorpius ridacchiava e si beccò una gomitata dall’amica.
 
«Continui, professore, per favore» mormorò Virginia.
 
«Scusi l’interruzione» aggiunse Albus, ormai abituato alla lingua lunga di Rose.
 
Williams li osservò per un attimo come a soppesarli uno a uno, poi riprese. «Dicevo che hanno preso il controllo del castello senza troppi problemi. C’erano solo un paio di Neomangiamorte e poi un folto numero di Mercemaghi. Questa volta sono stati arrestati tutti. Nelle segrete del castello erano rinchiusi i clandestini provenienti dall’Africa. Gli uomini venivano addestrati a combattere, mentre le donne e i bambini venivano sfruttati a seconda delle necessità».
 
«E ora?» domandò Scorpius.
 
«Ora si è aperto un caso internazionale. La Confederazione Internazionale dei Maghi vorrà delle spiegazioni e probabilmente si riunirà in tempi brevi. Quale possa essere il risultato non lo so, ma se non troveremo una soluzione al più presto non ci sarà certo favorevole».
 
«Ma noi che c’entriamo? Mica li vogliamo i Neomangiamorte!» intervenne James.
 
«No, ma la colpa ricadrà comunque sul Governo Inglese. È responsabilità di ogni singolo Ministero mantenere l’ordine nel proprio territorio».
 
«E gli Africani?» chiese Albus.
 
«Anche loro avranno problemi, naturalmente» rispose Williams.
 
«La ragazza che mi ha contattato?» domandò Virginia. In fondo era quello che le premeva di più.
 
«Questa è la parte più interessante di tutte, devo ammetterlo. Oggi pomeriggio dopo essere stato al Quartier Generale, ho fatto un salto al San Mungo prima di tornare a Scuola. Ero curioso di conoscerla. Vedi, Virginia, avevi ragione nel dire che ti sembrava molto giovane. Non ha compiuto nemmeno quattordici anni».
 
«Ma lei aveva detto che solo un mago esperto avrebbe potuto compiere un incantesimo così complesso come quello di mandare messaggi nei sogni» disse confusa e stupita Virginia.
 
«Infatti sono rimasti tutti molto sopresi. Il Capitano Potter ha chiesto alla professoressa McGranitt di scrivere al Preside di Uagadou per avere informazioni su di lei. Sembra avere un enorme potenziale magico. Si chiama Afia Gamal. Ella stessa ci ha raccontato di essere riuscita a disarmare senza bacchetta una delle guardie e di averla Confusa per ottenere le informazioni che poi ha riferito a Virginia».
 
«Ci sta prendendo in giro, vero?» chiese James, dando voce allo stupore generale. «Una ragazzina non può disarmare senza bacchetta o peggio ancora Confondere qualcuno. È assurdo!».
 
«Lo so, ma è la verità. I miei colleghi le hanno somministrato del Veritaserum prima di interrogarla».
 
«E che altro è in grado di fare?» chiese Scorpius.
 
«Perché questo non è sufficiente?» ribatté Rose.
 
«È un animagus».
 
«Cosa?!» sbottò Rose che assunse un’aria contrariata.
 
«A quanto pare è normale per loro. Non vi dovete dimenticare che ogni popolo ha sviluppato capacità magiche e tradizioni diverse. Gli Africani sono molto versati nella Trasfigurazione Umana e gli Animagi non sono rari come qui. Inoltre non vi deve stupire nemmeno il fatto che Afia abbia compiuto magie senza bacchetta, perché essa è stata introdotta solo nel ‘900 in Africa».
 
«Perché è al San Mungo, signore?» domandò Virginia.
 
«Nulla di grave. Ha impiegato molta magia per compiere questi incantesimi e venivano trattati da elfi domestici. È una ragazza forte e si rimetterà rapidamente».
 
«E quando starà meglio la rimanderanno nel suo paese?».
 
«Il suo paese d’origine, Tristan de Cunha, è ormai in piena guerra civile. Sicuramente non la rimanderanno lì. È più probabile che ritorni nella sua Scuola».
 
«Dove si trova la Scuola di Magia africana?» chiese Albus.
 
«Nessuno lo sa con precisione. La maggior parte delle Scuole mantiene il segreto sulla sua collocazione, come se ciò contribuisse a preservare le proprie potenzialità magiche. Si dice che Uagadou si trovi sulla Montagna della Luna. Noi, però, non sappiamo dove sia. L’attuale Supremo Stregone della Confederazione Internazionale dei Maghi è un ex-studente di Uagadou: Babajide Akingbade».
 
«E noi come dovremmo comportarci?» mormorò Frank.
Tutti si voltarono verso di lui.
 
«A questo non ho risposta, mi dispiace. Temo che dovrete scoprirlo da soli» rispose Williams. «Se non avete altre domande è bene che andiate a cenare».
 
«Professore, le volevo chiedere se è obbligatorio partecipare al Club dei Duellanti» disse Albus, mentre tutti si avviavano verso la porta.
 
«Sei una rottura di boccini, Al!» sbottò Rose. «Ti ho detto che devi venire e basta!».
 
«Rose, dovresti tenere a freno la lingua! Almeno davanti agli insegnanti, insomma!» sbuffò Williams. «Cinque punti in meno a Grifondoro». Rose aprì la bocca per ribattere, ma James le tirò un calcio nello stinco. «E basta, Rose. Siamo quarti in classifica! Non possiamo permetterci di perdere altri punti!».
«Ti consiglierei di ascoltare James, Rose» dichiarò Williams guardandola male. «Albus, non so di cosa stai parlando. Quale Club dei Duellanti?».
 
I ragazzi si scambiarono una serie di occhiate come a chiedersi come e se dovevano rispondere.
«Il Club dei Duellanti… il foglio per le iscrizioni è apparso sulla bacheca di ciascuna Casa e inizia stasera…» borbottò Albus.
 
«Non se ne occupa lei?» chiese James.
 
«No. Camilla Smith, mi aveva chiesto di organizzarlo ma ho rifiutato perché non lo ritengo necessario».
 
«Come no?» domandò Scorpius con Rose che annuì al suo fianco. «È importante sapersi difendere, ce l’ha detto anche lei!».
 
«È vero, ma ritengo che le nostre lezioni siano sufficienti. Ho chiesto alla Preside di creare una Sala Duelli proprio per farvi esercitare, ma non ritengo che i ragazzini del primo anno siano pronti a imparare a duellare» spiegò Williams, poi aggiunse: «Per quanto mi riguarda nessuno vi obbliga ad andarci, Albus».
 
«Va bene, grazie, signore».
 
In quel momento qualcuno bussò alla porta. «Avanti» disse Williams. Albus e gli altri uscirono facendo entrare il professor Mcmillan che accompagnava Louis e quelli che sembravano tre dei suoi compagni di classe. James si fermò, dopo essersi scambiato uno sguardo eloquente con Albus e Rose. «James, vai» gli disse Williams.
«Sì, ma… mio cugino…» tentò, ben sapendo di non avere nessun diritto di rimanere lì.
 
«Di tuo cugino ce ne occupiamo noi» disse asciutto Mcmillan, facendogli capire che nessuna polemica sarebbe servita.
 
«Fred ha infranto il nostro Codice» gli sussurrò Louis, mentre usciva.
 
«Allora che succede?» domandò Williams dopo che James si fu chiuso la porta alle spalle.
 
«Ti presento la Società Alchemica Segreta» disse Mcmillan con un’ironia nella voce che non si estese all’espressione seria che aveva assunto. «Weasley, Robertson, Carter e Jordan hanno deciso di destreggiarsi nel campo dell’alchimia, ritenendosi all’altezza di Nicolas Flamel e di poter ricreare la Pietra Filosofale».
Williams in prima istanza rise e smise solo quando si accorse che il collega era rimasto serio. «Non stai scherzando?».
 
«No. Se vuoi dare un’occhiata al Laboratorio Alchemico, ti accompagno quando vuoi».
 
«Ce l’avremmo anche fatta, se Annika non avesse sbagliato la quantità di zolfo» sbuffò Louis.
 
«Sei un idiota Louis! Ne avrò messo sì e no qualche milligrammo in più!».
 
«E tu dici di essere brava in Pozioni!» la canzonò Louis. Annika gli rivolse uno sguardo ferito.
 
«Weasley, se fossi in te la smetterei. Siete tutti in guai grossi, indipendentemente dalla perfezione o meno del vostro esperimento» disse Mcmillan severo. «Quello che avete fatto non è adatto a degli studenti pronti per i M.A.G.O., figuriamoci per dei ragazzini! E poi dove gli avete presi gli ingredienti? Non si trovano nella dispensa degli studenti…».
 
Brian tenne gli occhi fissi a terra, consapevole che fossero in un bel guaio: non solo avevano creato una pozione illegale in ore proibite, ma avevano anche rubato.
 
«Non vogliono parlare, vedi, Maxi? Te li ho portati perché sono tuoi, ma farò comunque rapporto alla Preside. Avevo già denunciato la scomparsa di quegli ingredienti, perché, devo ammettere, ero certo che la colpa fosse di Travers».
 
«Va bene, grazie Ernie. Stai tranquillo, mi occuperò io di loro» replicò Williams. Prima di rivolgersi ai quattro ragazzini attese che il collega li lasciasse soli. «Pretendo una spiegazione» disse severo e tagliente. Nessuno rispose. «Non volete parlare? Non c’è problema, per quanto mi riguarda potete iniziare a preparare i bagagli. Andate».
 
«C-ci v-vuole e-espellere?» chiese balbettante Annika. Louis era completamente scioccato, così come Drew mentre Brian era sul punto di scoppiare a piangere.
 
«Se non volete collaborare, quella è la porta».
 
«Noi non volevamo fare nulla di male, professore. Sul serio» tentò Annika.
 
«Nulla di male, Annika? Siete abbastanza intelligenti da comprendere la gravità delle vostre azioni».
 
«La prego, non ci espella» proruppe Drew. «I miei non ce li hanno i soldi per mandarmi all’estero e mia mamma mi ucciderà». Disse l’ultima frase come se fosse un’improvvisa e scioccante rivelazione.
 
«Drew e Brian non c’entrano, professore» disse Annika. «Loro non hanno fatto nulla. Gli ingredienti li abbiamo rubati io e Louis e alla Pozione abbiamo lavorato solo noi due. Al massimo loro possono essere accusati solo di essere andati in giro dopo il coprifuoco».
 
«Mi spiegate perché?» chiese irritato Williams.
 
«Beh noi… e…» iniziò Annika, poi fissò Louis in cerca di aiuto, ma il ragazzino non sembrava in grado di aprire bocca. «Noi pensavamo di fare una cosa buona creando la Pietra Filosofale. Per aiutare a combattere i Neomangiamorte» mormorò allora.
 
«Non è compito vostro! E poi come credevate che la Pietra Filosofale potesse risolvere il problema? L’immortalità non esiste! Credo di aver sopravvalutato la vostra intelligenza!» sbottò il professor Williams tirando un pugno sulla scrivania, che li fece sobbalzare.
 
«Non è solo questo» sussurrò Louis. «Io credevo di esserne in grado e volevo dimostrarlo a tutti. Invece non è vero, mi sono sbagliato. Ho fatto solo guai e ora ce l’avranno tutti con me e loro non mi vorranno più come amico».
L’insegnante sospirò di fronte al pianto in cui scoppiò il ragazzino, anche perché in quel caso sembrava che non fosse solo la paura. La rabbia che si era impadronita di lui sembrò diminuire e si avvicinò a Louis. «Nessuno ti odia Louis e ne sei perfettamente in grado. Maghi dotati come te non ne nascono spesso. Hai il quoziente intellettivo più alto di tutta la Scuola e…» si bloccò come se gli fosse venuto improvvisamente in mente qualcosa e fece una carezza a Louis. «È anche colpa nostra. Il compito di un insegnante dovrebbe essere quello di guidare i propri studenti e dargli gli strumenti giusti per affrontare il mondo. Almeno è sempre quello in cui ho sempre creduto. Devo ammettere che è difficile questo lavoro, anche se non l’avrei mai detto se non avessi avuto l’opportunità di provarci. Ci siamo accorti tutti del tuo enorme potenziale, ma nessuno di noi ti ha trattato diversamente da un semplice primo della classe e invece ognuno di voi ha esigenze diverse. Vi chiedo scusa, in qualità di Direttore ho una doppia responsabilità nei vostri confronti e temo di aver commesso parecchi errori» fece una pausa e poi continuò con un mezzo sorriso. «Nessuno di voi sarà espulso stasera, ma sicuramente quello che è accaduto servirà da lezione sia a voi che a me».
 
«Ma la Preside?» chiese un po’ titubante Annika.
 
«Ognuno di noi si assumerà le sue responsabilità, Annika. Non ti preoccupare per la McGranitt, sono sicuro che approverà i provvedimenti che prenderò».
 
Brian si sentì decisamente più leggero comprendendo che non li avrebbe espulsi, ma lo conosceva abbastanza per sapere che non gliel’avrebbe fatta passare liscia. 

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Capitolo 26
*** Tendimi la mano ***


Capitolo ventiseiesimo
 
Tendimi la mano
 
 
Le lettere scarlatte si ridussero in brandelli sotto gli occhi esterrefatti e scioccati dei legittimi proprietari e degli altri ragazzi che avevano assistito alla scena. James circondò Louis con un braccio e si sedette accanto a lui con un sorriso.
«Era tanto che non sentivo zia Fleur urlare in quel modo» celiò, ma questo non aiutò più di tanto il cuginetto. James osservò gli altri Corvonero: Drew Jordan aveva un’espressione speculare a quella di Louis, d’altronde conosceva perfettamente lo stile della signora Jordan anche se non aveva più effetto su Tylor; Brian Carter teneva stretta in una mano una pergamena ripiegata, con l’altra teneva la forchetta con cui giocava distrattamente con l’omelette nel suo piatto senza però mangiarla; Annika ormai si sedeva distante dai tre ragazzi poiché aveva litigato con Louis, ma sembrava terribilmente annoiata ad ascoltare le altre ragazze. I Corvonero li osservavano infastiditi, quasi arrabbiati alcuni. «Facciamo un giro, ok?» gli propose James.
Louis lo seguì meccanicamente, desideroso di allontanarsi da tutti quelli sguardi. «Io e tua sorella abbiamo stabilito una tregua» lo informò. «Pensiamo che Fred abbia superato ogni limite, per questo presto organizzeremo una riunione. Deve darsi una calmata. Dobbiamo fidarci almeno di noi».
 
«Tu non pensi che io abbia fatto una cosa grave?».
 
«Beh sì… e comunque non vorrei mai contraddire zia Fleur… Non sia mai che mandi una strillettera anche a me!» replicò James, strappando un sorrisino a Louis. «Benvenuto nel Club, comunque».
 
«Quale Club?» chiese Louis tirando su con il naso.
 
«Dei combinaguai, no? Ora sì che sei un Weasley perfetto».
 
«Non credo che mio padre la pensi così» borbottò.
 
«Sicuramente, no. Zio Bill non credo sia mai stato il tipo che infrange le regole. Comunque non ti preoccupare. Anche Al l’anno scorso si è beccato una strillettera da papà e papà non ama le strillettere, ma è risultato il migliore del terzo anno. Non è la fine del mondo, no?».
 
«Sono un disastro, Jamie. È questa la verità» mormorò Louis, sedendosi su un gradino. A quell’ora non c’era nessuno in giro.
 
«Un disastro? Quanti ragazzi del primo sono in grado di realizzare la Pietra Filosofale?».
 
«Mica ce l’ho fatta! Erano sbagliate le dosi e in quel caso la precisione è fondamentale. Ho fallito, Jamie. È inutile che provi a consolarmi. Annika non mi parla più perché l’ho trattata male e ho messo nei guai Drew e Brian. Li hai visto come sono giù. Sono un pessimo amico! Mamma e papà sono arrabbiati con me e anche Mcmillan e Williams! Ho fatto solo danno. Mi sento così stupido!».
 
«Lou, con un quoziente intellettivo come il tuo sei tutto tranne che stupido! Ingenuo, impulsivo, timido e quello che vuoi, ma non stupido! E i tuoi amici non ti odiano. Te lo dico per esperienza: se ti vogliono bene ti perdoneranno, se non te ne vogliono non hai perso nulla. Agli zii passerà e per quanto riguarda i prof, figurati quante ne hanno viste. E gli hai mostrato il tuo talento! Senti, anche se hai sbagliato le dosi non vuol dire che non hai fatto un buon lavoro. Soprattutto per la tua età».
 
«Non mi hanno espulso perché sono un Weasley?».
 
James fu preso in contropiede da quella domanda, avrebbe voluto negare immediatamente, ma dovette trattenersi: la sua era una domanda intelligente. Quello che avevano fatto Louis e Annika era gravissimo, eppure non erano stati espulsi. «Non lo so» ammise. «Dovresti chiederlo a Williams».
 
«Se troverò il coraggio, lo farò» mormorò Louis affranto.
 
James gli strinse la spalla con una mano. «Andrà tutto bene, ok? Io ci sono sempre. Quello di Fred è stato solo un errore, noi saremo sempre uniti. Promesso».
 
«Anche se sono un problema e sono inutile?».
 
Il Grifondoro sbuffò. «Tu. Non. Sei. Stupido!» scandì con forza e poi sorrise. «E nemmeno un problema se è per questo. Conosco un po’ di gente che direbbe che la nostra famiglia è composta solo da piantagrane». Louis sorrise di nuovo alle sue parole. «Se vuoi ho un modo per dimostrarti che non sei inutile».
 
«E come?».
 
«In un tranello del diavolo formato gigante
nel verde folto
alla luce d’adamante
della luna, troverete
inesistente figura.
Afferrate, dunque, il fumo
se vi riuscite
acchiappate nessuna cosa e nessuno» recitò James, tentennando lievemente in qualche passaggio.
 
«È un indovinello?»
 
«Già. Non riusciamo a risolverlo. Tu sei bravo con gli indovinelli».
 
«Risolvere gli indovinelli non è utile» bofonchiò il ragazzino.
 
«Lou, ascoltami bene. Questo indovinello spiega quale sarà la seconda prova. Per me è vitale scoprirlo. Devi aiutarmi. Benedetta e Robert pensano che i primi versi indicano il luogo dove si terrà e gli ultimi quello che dovrò fare. Ti prego, non saprei a chi chiederlo».
 
Louis lo fissò a bocca aperta per qualche secondo. «Lo stai chiedendo a me?». Era stupito.
 
«E a chi se no? Mi affido a te. O farò la figuraccia peggiore della storia».
 
«Ce la metterò tutta, promesso» disse con slancio Louis e abbracciò il cugino, che dopo un attimo di sorpresa ricambiò la stretta.
 
*
 
Albus uscì da Storia della Magia sorridendo in compagnia di Summer Abrial e Valere Bonnet, due ragazzi della Delegazione francese, che seguivano la lezione con loro. Sembravano felici, anche se annoiati: insomma la Dawson era brava, ma la storia non piaceva a tutti. Rose e Cassy avevano bigiato come facevano spesso, così il ragazzino si era ritrovato solo con Alastor e Dorcas. Decisamente una compagnia più affidabile quando si tratta di seguire le lezioni con serietà. E aveva fatto la conoscenza dei Francesi.
 
«Signor Potter, posso scambiare una parola con lei?».
 
Albus sobbalzò e si voltò di scatto: aveva riconosciuto immediatamente la voce divertita. «Papà, che fai qui?» chiese stupito. Harry lo strinse brevemente a sé e poi salutò i suoi amici, che ricambiarono e poi li lasciarono soli.
 
«Dovevo parlare con la McGranitt e ho pens-».
 
«Dovevi parlarle della ragazza africana?» chiese Albus interrompendolo.
 
«Ve ne ha parlato Maxi?».
 
«Sì e siamo molto curiosi. Insomma non è da tutti saper fare quello che fa lei!».
 
«No, non lo è. Comunque sì, ho parlato con la McGranitt soprattutto di questo, ma non ti dirò nulla perché devo rispettare la sua privacy. Ha solo tredici anni e si trova al centro di questioni internazionali. Ti stavo dicendo che ne ho approfittato per portarti questi».
 
Albus riconobbe subito la sacca di tela che il padre gli porgeva: erano i suoi pattini!
«Credevo che non voleste… che, insomma, foste arrabbiati…» borbottò sorpreso.
 
«Arrabbiati? Assolutamente, no Al. Anzi in proposito ti devo una spiegazione. In effetti non ti abbiamo mandato i pattini con la lettera in cui ti dicevamo di aver parlato con Teddy, perché insomma ti abbiamo, diciamo, ripreso su alcune cose e avevamo pensato solo di farti aspettare qualche giorno. Solo che devo ammetterlo, tra i vari impegni miei e della mamma, ci siamo dimenticati. Se non fosse stato per la lettera di James, in cui ci ha praticamente rimproverati… ecco, non so quando ce li saremmo ricordati… Scusa…» disse Harry, passandosi una mano tra i capelli evidentemente imbarazzato.
 
«Jamie, vi ha scritto? Per me?» chiese incredulo Albus.
 
Harry ridacchiò. «Oh, sì. Non dire nulla, però. Mi accuserebbe di rovinargli la reputazione da fratello maggiore rompiscatole». Anche Al ridacchiò. «No, no per carità. Non dirò nulla. Grazie per i pattini, allora».
 
«Di niente, Al. È comunque io e la mamma non eravamo arrabbiati, ma solo preoccupati per quello che ci ha detto Teddy».
 
«Ho sempre avuto qualche problema con gli orari» borbottò Albus.
 
«Ma di solito non sei distratto».
 
«È che ho tanti pensieri. Williams ti ha raccontato i nostri progressi?».
 
«Oh, sì. E sono molto preoccupato».
 
«Nemmeno tu sai qual è il nostro compito?».
 
«No, mi dispiace. State attenti. Per qualsiasi cosa James ha lo specchio per contattarmi e sapete di chi fidarvi».
 
*
Gli Auror stavano pattugliando le coste della Gran Bretagna con il supporto della marina militare babbana, ma ancora non avevano ottenuto risultati degni di nota. Chissà, forse dopo il grave colpo che li avevano inflitto con l’arresto di Goyle e poi la scoperta dei loro loschi affari al Rosier Manor, i Neomangiamorte preferivano procedere più lentamente. Jack Fletcher non conosceva le risposte a quegli inteerogativi, ma aveva imparato fin da piccolo che ognuno ha un compito da assolvere. E lui aveva il proprio in quel momento e a nulla serviva arrovellarsi il cervello su qualcosa che non era in suo potere modificare. Piegò il quotidiano e storse la bocca nel vedere che per l’ennesima volta un ragazzino di Tassorosso sbatteva contro il muro a causa di uno schiantesimo e stavolta sembrò che si fosse fatto abbastanza male.
 
«Ehi, come stai Abbott?» gli chiese inginocchiandosi accanto a lui.
 
«La spalla mi fa male» borbottò il ragazzino.
 
«Fletcher, levati dai boccini. Non ho finito con lui» ringhiò Norris Avery.
 
«La dovete smettere! Questo non è duellare!».
 
«È, invece, sì. Levati o chiamo il professor Solovyov» disse spingendolo di forza lontano. Jack si rimise all’in piedi, avrebbe voluto attaccarlo. Non avrebbe avuto problemi. Si trattenne: non era in quel modo che doveva reagire. Solovyov l’avrebbe buttato fuori e spedito da Mcmillan. No, doveva essere più furbo. Doveva dimostrare di essere affidabile e non poteva farsi trascinare dalla rabbia. Cercò un angolo più buio e si assicurò che tutti fossero presi dai duelli. Solovyov sbraitava contro un gruppetto del secondo anno dalla parte opposta della Sala.
«Maximillian Williams» sussurrò dopo aver estratto un degli specchietti, marca Tiri Vispi Weasley. Aveva i suoi gadget, pensò felice, come ogni buona spia.
 
«Jack, che c’è?».
 
«Venga un po’ a vedere lei stesso» disse, per poi chiudere la conversazione subito dopo.
 
Il ragazzo si spostò verso la porta, ma non perse di vista i duellanti. Se così si potevano definire. A Difesa avevano studiato le regole di un duello e di sicuro non le stavano rispettando. Uno strillo lo distrasse dai suoi pensieri. Individuò senza problemi Arthur Weasley, che era stata schiantato da Rosier. Stupido ragazzino. Aveva detto a lui, Samuel e Amber di non partecipare al Club dei Duellanti. Naturalmente, non l’avevano ascoltato. Che testoni! E se si fosse fatto male veramente, Abbott li avrebbe fatti a pezzi. Aveva ordinato che nessuno della squadra facesse cose stupide e pericolose. Chissà come l’avrebbe presa quando avrebbe scoperto che il suo adorato Cercatore gli aveva disubbidito. Abbott era un bravo ragazzo, ma alle volte con la sua fissazione per il Quidditch, gli dava fastidio. Arthur si era rialzato, quindi non intervenne. Sperò che Williams si muovesse. Trascorsero almeno cinque minuti prima che il professore scivolasse silenziosamente all’interno della stanza. Cavoli, un giorno avrebbe imparato anche lui a muoversi in quel modo! Non l’aveva né visto né sentito nessuno, se non lui che però lo aspettava.
 
«Professore, come vede non è che stanno duellando…».
 
Williams, però, neanche lo ascoltò. «Che storia è questa Solovyov!?» sbottò dirigendosi verso il collega a grandi falcate. Molti ragazzi lo videro e smisero di duellare per seguire la scena.
 
«Non so di che parli, Williams. Sei venuto ad allenarti anche tu?».
 
La mascella di Williams si contrasse bruscamente. «Allenarmi? Allora è questo che stai facendo con questi ragazzi? Li alleni? E per far cosa di grazia?».
 
«Li sto insegnando a duellare. Devo ammettere, però, che sono vergognosi. Dei mollaccioni. Gli allievi di Durmstrang li farebbero a pezzi».
 
«Non vedo alcun motivo per cui i nostri studenti si debbano scontrare con quelli di Durmstrang» ribatté aspro Williams.
 
«Infatti non ho detto che debbano farlo, ma solo che non sono minimamente alla loro altezza».
 
«Perché non conoscono le Arti Oscure? O perché qui non li educhiamo come se fossero militari?».
 
«Mancano di disciplina» ringhiò Solovyov. «E gliela sto insegnando! E ora esci, non gradisco la tua presenza».
 
Williams strinse i pugni e Jack capì che i professori non erano certo più bravi a mantenere la calma.
 
«Si stanno facendo male a vicenda! Questo non è duellare» ringhiò Williams.
 
«Non hai diritto di dirmi come lavorare!».
 
«Sectusempra». I due uomini smisero di discutere per voltarsi verso i due duellanti, ma Jack fu più veloce. Diede uno spintone ad Arthur e fu preso solo di striscio dall’incantesimo di Rosier. Lo sapeva che non doveva perderli di vista. «Stronzo» urlò perdendo il controllo. «L’hai fatto perché è il Cercatore di Tassorosso. Voi Corvonero non sapete accettare la sconfitta! Meno male che poi è sempre colpa dei Serpeverde!».
 
«Fammi vedere il braccio, Jack. Il braccio!» disse con foga Williams allontanandolo da Rosier. Il ragazzo si accorse che aveva il braccio destro zuppo di sangue. Con il senno di poi era stato stupido a non pensare a un Incantesimo Scudo. Davvero molto stupido. Il professore gli strappò la divisa tutto intorno al taglio. Per essere stato colpito solo di striscio, era profondo.
 
«Vulnera saneturvulnera saneturvulnera sanetur…» mormorò Williams come una litania e il taglio lentamente si rimarginò. Gli occhi dell’insegnante dardeggiavano quando si voltò verso Rosier. «SEI IMPAZZITO PER CASO?».
 
Ormai avevano tutti smesso di duellare e li osservavano. «HAI USATO UNA MALEDIZIONE OSCURA CONTRO UN RAGAZZINO DI DODICI ANNI! PER ME SEI FUORI, VATTENE!».
«Non ne hai il diritto. Ha la mia autorizzazione! Cosa credi che io li faccia giocare come fai tu a lezione? Ogni incantesimo è ammesso, tranne le Maledizioni Senza Perdono».
 
«Tu sei pazzo!» sbottò Williams. «Non mi darò pace finché la Preside non ti avrà cacciato fuori! Come ti saresti messo se la maledizione avesse colpito Arthur? Conoscevi il controincantesimo? Chi sei veramente Tiresia Solovyov? Un cartomante da strapazzo che si finge un guerriero esperto? O cosa?» sibilò avvicinandosi sempre di più a lui.
 
Solovyov estrasse la bacchetta e la puntò contro Williams. «Vuoi insegnare ai ragazzi come si duella? Avanti, se sei tanto esperto affrontami!». L’Auror non se lo fece ripetere. I ragazzi istintivamente si allontanarono, mettendosi ai lati della Sala. A Jack non piacque quella situazione. Come doveva comportarsi? Dividerli? Erano due insegnanti, non due ragazzini. La sua autorità di Prefetto non arrivava a tanto. A quanto pare, però, non era il solo a pensarlo. Matthew Fergusson, come sempre in compagnia di Dominique Weasley, si avvicinò al suo Direttore.
 
«Signore, non credo sia il caso…» tentò timidamente, ma proprio in quell’istante Solovyov attaccò, Williams evocò uno scudo repentinamente e spinse di lato Matthew. «Fuori dai piedi. State lontani tutti!» ordinò, mentre respingeva un altro attacco.
 
«Che c’è Williams non sai attaccare?» lo sbeffeggiò il professore di Divinazione. Il duello entrò nel vivo e Jack ebbe difficoltà a seguirlo, a tratti vedeva lampi di luce senza capire chi ne era l’autore. Con la coda dell’occhio colse Matthew che si affrettava a far uscire tutti gli studenti di testa sua.
 
«Esci, Fletcher» gli disse passandogli accanto.
 
«No, io voglio guardare!». Non voleva perderseli! Erano stupefacenti! Non aveva mai visto nulla del genere! Non se lo sarebbe perso!
 
«Muoviti, è pericoloso!» sbottò Matthew fermandosi.
 
«Mi so difendere!».
 
«Jack, esci! O tolgo punti a Tassorosso!».
 
«Non mi interessa. Lasciami guardare!».
 
Matthew s’irritò. «Bene, allora quindici punti in meno per la tua incoscienza!».
 
Lui incosciente? E quei due che duellavano come li chiamava? S’impuntò e Fergusson dovette lasciarlo in pace. Il duello si faceva sempre più emozionante: nessuno dei due contendenti arretrava minimamente. Su una cosa Williams aveva senz’altro ragione: Solovyov non era un semplice cartomante. All’improvviso la bacchetta volò di mano ai due professori. Paciock e Mcmillan erano all’entrata della Sala, con un’espressione seria e preoccupata. Il professor Solovyov riprese bruscamente la sua bacchetta dalle mani di Paciock e abbandonò la Sala dei Duelli con un’espressione sprezzante dipinta in viso.
 
«Devo andare» disse atono Williams dopo che Paciock gli restituì la bacchetta. I suoi colleghi lo seguirono e Jack decise di fare altrettanto.
 
«Maxi, vorremmo una spiegazione» disse Mcmillan con un tono tutt’altro che accondiscendente.
 
«Non c’è nulla da spiegare se non che Solovyov è un incosciente ed è pericoloso per l’incolumità degli studenti» replicò Williams a denti stretti.
 
«Stavate duellando!» sbottò Paciock irritato.
 
Williams non rispose ed entrò come una furia nella sua aula, dove si sedette alla cattedra sotto gli occhi allibiti di Annika, Louis, Brian e Drew.
 
«Maxi, dobbiamo parlare! Quello che è successo è gravissimo!» disse Mcmillan.
 
«Andatevene a letto voi e anche tu Fletcher» ordinò Neville. I cinque ragazzi esitarono, soprattutto i Corvonero non sapevano se dovevano aspettare o meno il permesso del loro Direttore. Brian non aveva mai visto il suo padrino in quello stato e si preoccupò per lui. «Maxi, dilli che possono andarsene» sbuffò Mcmillan comprendendo la loro titubanza. L’Auror tolse la mano dal volto, sembrava essersi ricomposto lievemente. «Potete andare, ragazzi. Ci vediamo domani sera alla stessa ora e vi chiederò di ripetermi quello che avete studiato questa sera. Jack, vai anche tu».
 
«Professore, ma sta bene?» chiese titubante Brian rimanendo indietro.
 
«Sì, sto bene. Stai tranquillo, Brian».
 
*
«James, ma cos’hai in mente? È l’una di notte!».
 
«Abbiamo la Mappa del Malandrino e il mantello dell’invisibilità. Non ci beccherà nessuno. Ti fidi di me?».
 
Benedetta senza esitare rispose: «Sì, ma sei un po’ spericolato».
 
James rise. «Un poco? Comunque non ti metterei mai nei guai!».
 
«Dove stiamo andando?».
 
«È una sorpresa» replicò James con un largo sorriso. «Permetti?» chiese con un sorriso alzando il mantello. Benedetta annuì sorridendo a sua volta. Così il ragazzo coprì entrambi. Lentamente, poiché dovevano evitare qualsiasi rumore e controllare costantemente la mappa, percorsero i corridoi silenziosi.
 
«È la prima volta che esco dopo il coprifuoco, se non per la ronda» sussurrò Benedetta.
 
«Lo so. Cosa faresti senza di me?». Benedetta non rispose, ma gli strinse la mano. James sorrise. «Siamo arrivati!» annunciò a bassa voce.
 
«Il Bagno dei Prefetti?».
 
«Già. Hai detto che ti piace un sacco il mare. Qualche giorno fa… quando ti hanno mandato quella foto… eri molto nostalgica…».
Benedetta gli diede un bacio sulla guancia. «Beh il mare italiano non è certo paragonabile alla vasca del Bagno dei Prefetti. Vorrei tanto che tu venissi con me quest’estate. Comunque è molto dolce da parte tua». James disse la parola d’ordine ed entrarono tenendosi per mano. «L’hai mai provato?».
 
«No, perché… insomma abbiamo sempre fretta… i nostri compiti da Prefetto e la preparazione per i G.U.F.O…».
 
«A me l’hanno raccontato mio padre e Fred. È spettacolare» disse eccitato James, cominciando ad aprire un po’ tutti i rubinetti.
 
«Vuoi davvero farti il bagno?» chiese incerta Benedetta.
 
«Non sono amante dell’acqua come Al, ma ho sempre adorato i bagni caldi» replicò James sfilandosi la maglia del pigiama. Poi colse l’espressione imbarazzata di Benedetta e sorrise. «Ho il costume di sotto, tranquilla. Non mi permetterei mai di… insomma hai capito… E ho questo regalo per te» disse, con le orecchie sempre più rosse, e gli porse una busta colorata. «Ha fatto tutto Domi. È una gran bella cosa la tregua che abbiamo sancito». Benedetta aprì la busta incerta e divenne sempre più rossa tirando fuori un costume da bagno. James di fronte alla sua reazione perse un po’ di sicurezza.  «Scusa, insomma… non volevo chiederti nulla di troppo… non volevo fare nulla di male… con i costumi…». Benedetta ridacchiò nervosa. «Stai tranquillo. Non penso nulla di male. Anche se sì, è un po’ imbarazzante. Però come lo metto? Cioè…».
 
«Oh… ehm… i-io mi volto… certo, che mi volto…» rispose James dandole le spalle.
 
«Puoi girarti» disse Benedetta, dopo essersi cambiata. James sorrise vedendola in bikini. «Stai benissimo. Sarei felicissimo di venire con te in Italia quest’estate». Dopodiché si sfilò i pantaloni del pigiama e le prese la mano.
«Ci tuffiamo insieme?».
 
Benedetta rise e annuì. Saltarono schizzando da ogni parte. Risero di cuore e poi iniziarono a schizzarsi a vicenda, mentre enormi bolle di sapone volavano per tutto il bagno.
 
«L’acqua è bellissima» disse Benedetta, provando a nuotare. «Tu sai nuotare, vero?».
 
«Certo» rispose il ragazzo fingendosi offeso, ma quando Benedetta inarcò un sopracciglio ammise: «Sto a galla».
 
Lei rise e lo tirò per la mano. «Ti insegno io».
 
«Ok, va bene. Però io ti insegnerò a volare».
 
«Affare fatto» disse Benedetta. Si Strinsero la mano e continuarono a fare su e giù con le braccia come a rendere il patto più solenne, poi rendendosi conto di essere buffi scoppiarono a ridere. Giocarono per un po’ a fare il morto a galla, poi si sfidarono a trattenere più a lungo il fiato sott’acqua e si schizzarono a lungo.
 
«E sono saltati nella piscina gonfiabile schizzando quelli più vicini e istigando gli altri a far altrettanto» raccontò James.
 
«Non ce lo vedo tuo fratello a fare certe cose».
 
«Infatti l’ha convinto Rose come sempre. Mamma sembrava pronta a scagliargli un orcovolante, ma papà ha messo subito la pace affermando che in fondo era solo un gioco, almeno finché zio George non ci ha spinto lui nella piscina…».
 
«Noo… Sul serio?».
 
«Oh, sì… allora mamma si è messa a ridere e papà ha spinto zio George, che aveva spinto zio Ron e ti giuro non si capiva più nulla a un certo punto… Alla fine è intervenuta nonna Molly e ha spedito tutti a letto. Mamma mia, quando si arrabbia è terribile. Le obbediscono tutti».
 
«Tua nonna è un mito!».
 
«Lo so, io l’adoro».
 
Rimasero per un attimo in silenzio e si resero conto di aver parlato a lungo: tutte le bolle erano sparite. «Forse dovremmo tornare».
 
«Già, mi sa di sì».
 
Impiegarono un po’ di tempo a rivestirsi, perché non facevano che ridere per ogni cosa. «Ora basta, proviamo a essere seri» provò James. «Sarebbe stupido farci beccare».
 
«Ok, tengo io la Mappa se vuoi». James gliela passò e lasciò che guidasse lei. Dovettero cambiare strada un paio di volte per evitare prima Pix e poi la McGranitt.
 
«Ma che fa in giro a quest’ora? Soffre di insonnia?» borbottò James.
 
«Beh, gli anziani spesso hanno problemi di sonno».
 
«Non riesco a pensarla come un’anziana» sussurrò James. «Dai quando si arrabbia, sembra peggio di mia mamma». Benedetta rise, ma poi si bloccò.
«Che c’è? Non dirmi che ce l’abbiamo alle spalle» disse con voce roca James.
 
«No, ma tuo cugino Louis è vicino al ritratto della Signora Grassa».
 
«Lou?» ripeté sorpreso. «Forza, andiamo a vedere che ha».
 
«Eccolo» disse Benedetta. Il ragazzino da un angolo studiava con attenzione il ritratto della Signora Grassa.
 
«Louis! È tardissimo! Che fai in giro a quest’ora?».
 
«Dovevo assolutamente parlarti. Ho risolto l’indovinello!» disse eccitatissimo. «Però non sapevo come entrare» aggiunse indicando il ritratto che celava l’entrata della Sala Comune di Grifondoro.
 
«Davvero? Ci hai messo solo un giorno!» commentò stupito James.
 
«Non è il luogo per parlare. C’è ancora la McGranitt in giro» li avvertì Benedetta.
 
«Giusto, allora facciamo così» disse James e mise il mantello su Louis. «Sbrighiamoci. Tu stai attaccato a noi». Ce ne volle di pazienza per svegliare la Signora Grassa che iniziò a lamentarsi e a rimproverarli per l’ora. Benedetta fissava la Mappa sempre più agitata. Per fortuna la donna decise di farli passare.
 
«Per un soffio» disse James scoppiando a ridere. Aveva fatto entrare Benedetta e poi spinto dentro Louis, ancora nascosto dal mantello. Per ultimo era entrato lui. «Allora?» chiese, dopo essersi accomodato nelle poltrone vicino al camino, dove il fuoco scoppiettava felice. «Adoro gli elfi domestici».
«Secondo me è una prova impossibile» disse Louis preoccupato.
 
«Non possono fare una prova impossibile. Avanti dicci dell’indovinello».
 
«Il tranello del diavolo gigante è la Foresta Proibita. È lì che si svolgerà la prova».
 
«Stai scherzando, vero? Insomma la Foresta Proibita è… è proibita! Ci sono creature pericolose là dentro…» iniziò Benedetta, ma James la fermò scuotendo la testa. «Chi ha organizzato questo Torneo non è sano di mente, lo sappiamo. E quello che dice Louis ha senso. Lo sai. Che cosa devo fare, oltre non diventare la cena di un lupo mannaro o di una acromantula? Che cos’è che devo acchiappare?».
 
«Un demiguise» rispose semplicemente Louis.
 
«Quello dei mantelli dell’invisibilità?» chiese sorpreso James.
 
«Sì. Ascolta» disse Louis, che teneva tra le mani una copia di “Animali fantastici: dove trovarli” di Newt Scamander. «“Il Demiguise si incontra in Estremo Oriente, anche se solo con gran difficoltà, perché è in grado di rendersi invisibile quando minacciato può essere visto solo da maghi abili nel catturarlo. Il Demiguise è una bestia erbivora pacifica, simile nell’aspetto a uno scimmione, con grandi occhi neri e tristi molto spesso celati dal pelo. Tutto il corpo è ricoperto di pelo lungo, sottile, setoso, argenteo. Alle pelli di Demiguise viene attribuito un gran valore perché il pelo può essere filato per fare i Mantelli dell’Invisibilità”».
 
«Nessuno di noi è minimamente abile» borbottò James. «Questa volta non sono avvantaggiati neanche quei due che sono del settimo anno».
 
«Ci sarà un modo!» disse Benedetta.
 
«E quale? Come fai a prendere qualcosa che è invisibile? Afferrate, dunque, il fumo /se vi riuscite / acchiappate nessuna cosa e nessuno… Che ironia del cavolo che hanno!».
 
«Troveremo una soluzione. Da domani andremo in biblioteca a fare delle ricerche» disse Benedetta, strappando un sorriso al ragazzo. «Perché ridi?».
 
«In questo momento mi sembri tanto zia Hermione». Anche Louis ridacchiò. «Grazie mille, Lou» disse James sincero. «Tua cugina lo sa?».
 
«Non lo so» rispose il ragazzino pensieroso.
 
«E tu diglielo» disse James fissando il fuoco.
 
«Va bene. Senti mi aiuti a tornare in Sala Comune, per favore?».
 
«Certo, andiamo».
 
Trascorsero tutto il percorso in silenzio, attenti a ogni minimo rumore. James controllava costantemente la Mappa, ma la luce era fioca ed era anche stanco.
 
«Vuoi entrare? Dai, così saremo pari. Sai, anche la nostra Sala Comune è bella».
James avrebbe voluto dir di no e tornare di filato indietro e andare a letto, ma lo sguardo speranzoso di Louis era troppo dolce. Doveva farsi spiegare come fare: con quello avrebbe evitato l’ira della madre più spesso. Forse.
 
«Ok, ma solo cinque minuti».
 
Louis felice tirò il battente del corvo e quello parlò, spaventando un po’ James, in quanto risuonò nel silenzio.
 
«Io prima entro e poi apro. Chi sono?».
 
«La chiave» ribatté subito Louis. «Vieni» disse tirandolo per un braccio. Per un attimo venne loro un colpo quando videro un’ombra.
 
«Ehi» disse semplicemente Brian palesandosi, tranquillizzando entrambi.
 
«Non dormi?» chiese sorpreso Louis. Il ragazzino distolse lo sguardo e bofonchiò qualcosa che suonò tanto come incubi.
«Me ne vado, se volete».
 
«No, tranquillo. Sono qui solo per dare un’occhiata. Il rosso, però, è più bello» dichiarò James con un sorriso malandrino.
 
«Sì, certo come no» ridacchiò Louis. Un sorrisetto sfuggì anche a Brian.
 
«Vabbè è meglio che andiamo tutti a letto, però. Siamo distrutti» disse James dopo aver sonoramente sbadigliato. Nel muoversi, però, urtò uno dei divanetti blu e dalla tasca gli cadde un sacchetto, che svuotò a terra parte del suo contenuto.
«Sono rune?» domandò curioso Louis.
 
«Sì, ma non ti preoccupare» replicò rapidamente James, ma Brian, che voleva essere gentile, fu più veloce ad abbassarsi per raccogliere le rune.
 
«Ehi, questa è calda» disse fissandone una con particolare interesse.
 
«Cosa?». James lo fissò spaventato. «Sei sicuro?».
 
«Sì, è calda» ripeté Brian. «Che runa è?».
 
«Non lo so. Non ho mai studiato Antiche Rune» sospirò James, passandosi una mano sul volto preoccupato: aveva solo undici anni, che c’entrava quel ragazzino?
 
*
«La posta» annunciò Alastor.
 
«La strillettera me l’ha mandata ieri. Per cui posso stare tranquilla almeno fino a martedì… o lunedì…» borbottò Rose, infilzando una salciccia.
 
«È quella che roba è?» chiese Cassy, attirando l’attenzione di tutti sul pacco che aveva appena ricevuto Albus.
 
«È di zio George» disse stupita Rose. «Tu hai chiesto a zio George di mandarti uno dei suoi prodotti! Merlino! Oh, Al sono fiera di te!».
 
«Staccati» sbottò il ragazzo, spingendo via la cugina che l’aveva abbracciata. «E smettila di attirare l’attenzione di tutti! È un nuovo prodotto».
«Lo proviamo con la Spinnet?» propose Rose con gli occhi luccicanti.
 
 «Tu sei pazza. Certo che non lo faremo. Mi serve per una cosa importante».
 
«Per cosa?» insisté Rose.
 
«Riguarda la Profezia» sussurrò a voce bassissima. «Se venite nel parco, scoprirete di che si tratta».
 
«E dai, non fare il misterioso!» si lagnò Rose.
 
Albus non le diede retta e si allontanò con lo zaino che pendeva da una sola spalla e il pacco in mano. Frank lo raggiunse subito. Il primo sorrise, perché sapeva che Rose, Cassy, Alastor, Isobel ed Elphias li stavano seguendo. Si fermò in uno spiazzo poco distante dal lago. Era pieno di neve, ma per quello che doveva fare era perfetto. Appoggiò il pacchetto a terra e l’aprì.
 
«Come funziona?» chiese Frank.
 
«Ecco, queste sono le istruzioni» rispose passandogli una pergamena ripiegata.
 
«Tu zio non sarà felice di sapere che usi le sue invenzioni così» scherzò Alastor.
 
«Non ho intenzione di usarle come vorrebbe lui, per quello ci sono Rose, Jamie, Fred, Lily e compagnia bella… sono l’unica voce fuori dal coro?» chiese perplesso.
 
«Eh, l’hai capito finalmente» commentò Rose.
 
«No, dai. C’è Vic» lo aiutò Frank.
 
«Sì, giusto. Lei non ha mai adorato mettersi nei guai» concordò Albus, tirando fuori una valigetta dal pacco.
 
«Che roba è, insomma? Una palude portatile?» domandò Rose impaziente.
 
«Mi dici perché mai una palude dovrebbe aiutarci con la Profezia?» ribatté seccato Albus.
 
«Boh, sarebbe stato divertente».
 
«Al, devi colpirlo con la bacchetta e dire semplicemente Alohomora» spiegò Frank, ripiegando la pergamena.
 
«Probabilmente la valigia è solo il contenitore» commentò Albus, poi si schiarì la gola e pronunciò l’incantesimo. Si allontanò di qualche passo mentre dalla valigia iniziò a espandersi una lastra di ghiaccio. «Bellissima. Zio George è un genio» sospirò.
 
«Una pista per pattinare» disse sorpresa Rose.
 
«Esattamente. Ora dobbiamo solo coinvolgere tutti gli altri ragazzi. Anche quelli di Durmstrang e Beauxbatons».
 
«Perché non hai usato il Lago Nero? È ghiacciato» disse Rose.
 
«Sì, ma Hagrid mi ha spiegato che il ghiaccio non è spesso come sembra. Potrebbe reggere un paio di persone, ma io vorrei coinvolgere molta più gente».
 
«Ho parlato con tuo cugino Arthur. Mi ha assicurato che verrà e porterà anche quella ragazzina di Durmstrang» disse Dorcas, che si era unita a loro.
 
«Perfetto. Io ho parlato con Apolline, Summer e Valere. Sono sicuro che trascineranno tutti i loro compagni. Il problema sono quelli di Durmstrang… Rose, perché mi guardi in quel modo?» sbottò Albus, visto che la cugina lo fissava con una strana espressione.
 
«Cioè fammi capire… Tu sei andato da Hagrid per chiedergli se era sicuro pattinare sul Lago Nero?».
 
«Certo, mica dobbiamo farci male. È per fare amicizia con gli studenti stranieri e avvicinarsi di più tra noi».
 
«Mamma mia quanto sei responsabile» bofonchiò Rose, alzando gli occhi al cielo.
 
«E tu sei un’irresponsabile e…».
 
«E dai, Al non litigate. Non serve a nulla» lo fermò Frank.
 
«Io i pattini ce li ho» disse Al estraendoli dallo zaino.
 
«E noi?» chiese Rose. «E soprattutto perché ne hai parlato con Frank e Dorcas e non con me?».
 
«E anche con Scorpius. Deve coinvolgere i Serpeverde. E non ti ho coinvolto perché eri troppo occupata a far danni in questi giorni».
 
Rose mise su un bel broncio, che però Albus ignorò totalmente.
 
«Al, per i pattini come si fa?» chiese perplesso Alastor.
 
«Con la trasfigurazione, naturalmente» rispose Albus e puntò la bacchetta sulle scarpe dell’amico «Resverto» pronunciò e le scarpe divennero dei bellissimi pattini.
 
«Wow grazie».
 
Albus fece altrettanto con gli altri e poi indossò i suoi. Non ci volle molto a coinvolgere gran parte della Scuola e i Francesi, guidati da Apolline, si mostrarono entusiasti. Arthur, come promesso, aveva portato con sé una Anne Müller inizialmente titubante, ma poi anche ella cominciò a ridere e scherzare spensieratamente. Gli altri ragazzi di Durmstrang in un primo momento si mantennero a distanza, specialmente Dumbcenka che li osservava con ostilità mal celata. Nikolai Krum fu uno dei primi ad abbandonare l’aria altera e rigida che li contraddistingueva, spinto da una delle compagne di Dominique. Sul suo esempio anche altri ragazzi si unirono a loro, ma non tutti. Un gruppetto seguì Dumbcenka all’interno del castello.
Albus, comunque, era soddisfatto: chi pattinava, chi giocava a pelle di neve, chi si rincorreva nel parco, insomma tutti avevano trovato un modo per divertirsi; ciò che contava di più, però, era che si erano mescolati non ponendo più alcuna differenza al colore delle loro divise.
 
«Al, avevi chiesto il permesso?» domandò a un certo punto Rose, dopo averlo affiancato.
 
«Io… beh… perché me lo chiedi?» ribatté lievemente preoccupato.
 
«Non hai chiesto il permesso?!» disse stupita Rose.
 
«Ecco… non credo che vada contro le regole… insomma… per questo non ho detto nulla a nessuno, avevo timore che poi non me l’avrebbero fatto fare…» borbottò Albus. «Ma che importanza ha adesso? A te non è mai interessato nulla delle regole, anzi. Non hai diritto di farmi la predica!» aggiunse sulla difensiva.
 
«Perché stanno arrivando tutti e tre i Presidi, zio Neville e Williams. Naturalmente accompagnati da Dumbcenka e dai suoi amichetti. Ci scommetterei qualunque cosa che è stato lui a chiamarli». Albus si irrigidì e si voltò a guardare nella direzione che la cugina indicava. «Ma se non stai infrangendo nessuna regola, di che ti preoccupi? A me sembra una cosa grandiosa quella che hai fatto. Sono loro che non fanno che dirci che dobbiamo collaborare» lo sostenne Rose.
 
I cinque insegnanti erano sempre più vicini e quando lo furono abbastanza, poterono sentire la voce adirata di Vulchanova. Gli altri, però, apparivano solo perplessi.
 
«Io pretendo di conoscere il colpevole!» sbottò l’uomo nel suo inglese perfetto, ma con un accento molto marcato, che tradiva la sua origine straniera.
 
Albus si accostò prima che Vulchanova rompesse l’armonia che si era creata tra gli studenti. «È stata una mia idea» dichiarò, sorprendendo la McGranitt, zio Neville e Williams. «Non credevo di far nulla di male, però» disse, non riuscendo a evitare di mostrare un po’ di agitazione.
 
«Che i tuoi studenti fossero indisciplinati lo sapevo, ma non mi aspettavo fino a questo punto!» tuonò Vulchanova.
 
La professoressa McGranitt lo incenerì con lo sguardo.
«Non ho alcun problema a mantenere l’ordine nella mia Scuola!».
 
«I tuoi allievi decidono da soli!».
 
«Io lo trovo echanté. Tutti insiome» disse, invece, Madame Maxime.
 
«Infatti, i ragazzi non stanno facendo nulla di male» concordò la McGranitt.
 
«Sprecano il loro tempo. Dovrebbero esercitarsi e studiare. Quello non è il suo Campione? E la signorina non è la Campionessa di Beauxbatons?» disse Vulchanova indicando i due ragazzi e le due Presidi furono costrette a seguire il suo sguardo. James pattinava insieme a Benedetta ridendo, mentre Apolline civettava con tutti i ragazzi presenti.
 
«Il sabato non ci sono lezioni. E sono abbastanza grandi da rendersi conto di dover studiare, ma è questione di maturità. Indipendentemente da ciò, i ragazzi non stanno infrangendo le regole della mia Scuola e io non ho alcun motivo di rimproverarli» disse tagliente la McGranitt.
 
«I miei studenti, invece, si devono esercitare» dichiarò Vulchanova con voce fredda e distaccata. «Disciplina, impegno e determinazione. Questi sono i miei principi cardine. Ed è quello che mi aspetto dai miei allievi». Dopodiché li richiamò tutti e con un gesto imperioso li fece strada verso la nave. Molti lo seguirono imbronciati e infelici, ma nessuno osò ribellarsi al suo ordine.
 
«Bien, vado da Hagrìd. Mi aspetta» disse Madame Maxime alla McGranitt e agli altri professori, congedandosi con un cenno, senza dire assolutamente nulla ai suoi allievi.
Albus, imbarazzato e inquieto, dondolava da un piede all’altro. «Professoressa, le giuro che non era mia intenzione crearle difficoltà».
 
La donna, le cui labbra erano sempre più sottili, si volse verso di lui e lo fissò. «Non c’è problema, Potter. Torna pure dai tuoi compagni».
 
«Grazie, professoressa» mormorò e si allontanò prima che cambiasse idea.
 
«Vulchanova non mi piace» dichiarò Neville.
 
«Come molti dei suoi allievi» concordò Maxi.
 
La McGranitt si limitò a sospirare. «Spesso i ragazzi sono migliori di noi» disse fissando Summer Abrial che, giocosamente, colpiva con palle di neve Cassy Cooman. Entrambe ridevano incuranti del mondo che le circondava. L’anziana Preside sospirò di nuovo e si voltò dirigendosi verso il castello.
 
Angolo autrice:

Ciao a tutti! Innanzitutto Buon Natale a tutti (scusate il ritardo)!
Vorrei fare solo qualche appunto su questo capitolo:
  1. Il brano che parla del demiguise è tratto parola per parola dalla traduzione italiana di “Animali fantastici: dove trovarli”.
  2. L’indovinello della seconda prova (che già appariva nel capitolo precedente) non è opera mia, ma di mio fratello.
  3. L’incantesimo resverto è di mia invenzione. Ho coniato il termine sulla base di un altro incantesimo: feraverto, considerandolo come l’unione di fera+verto.
 
Se vi va lasciatemi un piccolo commento per farmi sapere se la storia vi sta piacendo. Spero che stiate trascorrendo delle buone vacanze.
Vi auguro una buona serata,
Carme93
 

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Capitolo 27
*** Una nuova prova per James ***


Capitolo ventisettesimo
 
Una nuova prova per James
 
 
Ormai era marzo inoltrato, il clima era diventato meno rigido ma i ragazzi erano sempre più presi dallo studio man mano che si avvicinavano gli esami di fine anno. Tutti a parte James Potter, che non aveva pensieri se non per la seconda prova del Torneo Tremaghi sempre più imminente. La preoccupazione più grande era che non aveva la minima idea su come affrontarla, nonostante trascorresse gran parte del suo tempo a cercare possibili soluzioni in biblioteca con l’aiuto dei suoi amici, Benedetta, Robert e Demetra e saltuariamente anche del fratello Albus e del cugino Louis. L’unica cosa che lo tratteneva dal disperarsi totalmente erano le storie che gli aveva raccontato il padre: il grande Harry Potter, aiutato da Hermione Granger, la strega più intelligente e dotata della sua generazione, aveva superato la seconda prova solo grazie all’intervento di Dobby, un elfo domestico.
 
«Forse dovrei andare nelle cucine e farmi amico tutti gli elfi domestici. Magari uno di loro mi sa dire come catturare un essere invisibile» sbuffò, dando voce ai suoi pensieri.
 
«Che idiozia» borbottò Robert, senza neanche alzare gli occhi dal grosso tomo che stava sfogliando.
 
«E poi gli elfi domestici non sono già tuoi amici?» chiese Demetra.
 
«Non ha importanza. James, non farà nulla contro le regole. Ha già troppi problemi» disse, invece, Benedetta fissando il suo ragazzo con severità.
 
«Si, signora» ribatté velocemente James con un lieve sorriso, che scomparve immediatamente quando tornò a fissare tutti i libri che dovevano ancora leggere.
 
«È amico degli elfi» spiegò Robert. «Deve fare il melodrammatico».
 
«Melodrammatico io?!» sbottò James.
 
«Il demiguise è una creatura pressoché pacifica. Dopo la serpentona, dovresti essere contento» ribatté l’altro.
 
«Poco ma sicuro. Non voglio vedere serpenti per un bel po’» borbottò James. «Comunque è impossibile questa prova…».
 
«No. Dobbiamo solo pianificare una strategia adatta. Tutto qui» disse Robert.
 
«Fosse facile» sbuffò James.
 
«Vuoi fare l’Auror o il timbra carte in qualche bugigattolo al Ministero?» lo provocò l’amico.
 
James ebbe un guizzò negli occhi e lo fissò serio per un attimo. «Farò mangiare la polvere alla francesina e a Dumbocoso».
 
*
«Lily Potter, dobbiamo parlare» disse una voce altezzosa.
 
La ragazzina non dovette aspettare di voltarsi per riconoscerla. Incrociò la braccia e fronteggiò l’altra ragazzina, mentre Alice al suo fianco assumeva la sua stessa espressione di sfida.
 
«Da quando io e te abbiamo qualcosa da dirci, Corner?» ribatté Lily.
 
«Ho bisogno di un favore» replicò l’altra cambiando completamente il tono di voce.
 
Lily si scambiò uno sguardo con Alice, poi rispose: «Tu non sei mia amica. E io non faccio favori a chi non è mio amico. E soprattutto non a te che mi dai fastidio dal primo momento che ci siamo conosciute».
 
«Posso pagarti. In qualunque modo tu voglia. Posso farti anche i compiti. Per sempre».
 
«Oh, addirittura. Quanto sei disperata?» le chiese Alice.
 
«Che cosa vuoi davvero?» domandò, invece, con una punta di disprezzo Lily. «Sei la prima della classe e la miglior lecchina che Hogwarts abbia mai visto. Vuoi incastrarci? Metterci nei guai? Ridere di noi? Lo fai sempre. Non so se l’hai capito, ma del tuo giudizio da piccola superba non ce ne frega nulla».
 
«Giusto! Quindi gira al largo» aggiunse Alice.
 
«Non ho nessun secondo fine. Ho bisogno del vostro aiuto e sono disposta a tutto per ottenerlo. Mi metto pure in ginocchio se volete».
 
«No, no, no» disse immediatamente Lily fermandola. «Ci guarderanno tutti. Che intenzioni hai? Mi prendi per scema per caso? Vuoi fare la parte della vittima e poi chiamare un insegnante!».
 
«No, accidenti! Ma perché questi sospetti non li hai con la Jefferson? È la cocca di molti professori, ma voi non avete alcun problema a stare in sua compagnia». Lily e Alice inarcarono contemporaneamente un sopracciglio eloquentemente.
«Ok, va bene. Sono stata spesso antipatica e scorretta con voi. Vi giuro che non lo farò mai più. Sarò al vostro servizio».
 
«Al nostro completo servizio?».
 
«Sì. Se volete stringo anche il Voto Infrangibile».
 
«No, quello non è necessario. Mio padre mi ucciderebbe» borbottò Lily. «Tanto abbiamo molti metodi per vendicarci dei traditori».
 
«Avanti, dicci prima cosa vuoi. Solo dopo stringeremo un qualunque patto con te» aggiunse Alice.
 
«Voglio fare uno scherzo a mio fratello».
 
«Tuo fratello? Gabriel Corner, il Prefetto-Perfetto?» chiese Lily sorpresa.
 
«Sì, lui».
 
«E perché mai?».
 
«Perché è asfissiante. È la copia in miniatura di nostro padre in tutti i sensi. E io non sopporto più nessuno dei due. Mi sento soffocare. Gabriel riporta ogni mia azione ai miei. Non ce la faccio più».
 
«E che tipo di scherzo vuoi fargli?» chiese con aria professionale Alice.
 
«Non lo so. Le esperte siete voi».
 
«E in cambio tu obbedirai a tutti i nostri ordini? Qualsiasi ordine?» domandò Lily.
 
«Sì. Voglio essere libera».
 
«Bene, qua la mano» disse Lily porgendole la sua. Dopo che anche Alice strinse la mano alla Corner, l’accordo fu ufficialmente siglato.
 
*
James era distrutto, ma soddisfatto finalmente aveva un piano perfetto per la seconda prova e non gli restava che metterlo in pratica. Ci aveva rimuginato sopra tutto il giorno pur di sistemare alla perfezione ogni particolare. Avrebbe voluto parlarne e confrontarsi con gli altri, ma sembrava che fossero spariti tutti. L’avevano ignorato per tutto il giorno e non ne aveva compreso il perché. Si sentiva un po’ giù per questo. Benedetta era stata chiamata da Dominique per non si sa quali compiti da Prefetto; Robert, appena si era conclusa l’ultima lezione, era corso via dicendogli solo che lo attendeva sua zia. Demetra si era dileguata senza dire nulla. L’avevano lasciato completamente solo. Era consapevole del fatto che non potessero stare sempre insieme a lui, ma almeno quel giorno avrebbe voluto la loro compagnia. Mise una mano in tasca e ne tirò fuori una cioccorana. Sorrise amaramente quando vide la figura che gli era uscita: Harry Potter. Sembrava che il destino glielo avesse fatto apposta. Era ormai il quinto compleanno che festeggiava lontano da casa, ma sembrava che i suoi stavolta fossero così impegnati da non avergli spedito ancora nemmeno un biglietto di auguri. Non dubitava che l’avrebbero fatto, ma insomma sperava solo di poter fare qualcosa, anche di stupido, con i suoi amici e i suoi cugini. Anche Albus e Lily sembravano troppi impegnati: il primo sommerso dai compiti, tanto per cambiare, la seconda impegnata in chissà quale progetto malandrino con Alice.
 
«Potter».
 
James si voltò di scatto. «Buonasera, professore» disse dopo aver ingoiato l’ultimo pezzo di cioccolata.
 
«Hai cinque minuti? Vorrei mostrarti una cosa».
 
«In realtà dovrei studiare» borbottò. Non aveva molta voglia di lezioni extra, nemmeno di Difesa.
 
Maxi Williams non sembrò dar peso alla sua risposta. «Non ha molto valore questa scusa detta da te. Forza seguimi».
 
James controvoglia obbedì non vedendo vie d’uscita, ma con la segreta speranza di trovare una scusa il più velocemente possibile e filarsela alla Torre di Grifondoro.
 
«Prima tu» disse Williams, indicandogli un’aula vuota.
James si era fidato fin dal primo momento di quell’uomo, ancora molto giovane ma già così esperto; tuttavia in quel momento ebbe un’esitazione.
«Che c’è?» gli chiese il professore accorgendosene.
 
«Quest’aula non viene usata di solito» bofonchiò. Non osava ammettere ad alta voce i suoi pensieri, perché se ne vergognava: non poteva dubitare di lui, non ne aveva motivo.
 
«Sai, sono molto soddisfatto dei tuoi miglioramenti. Neanche sette mesi fa saresti entrato in quest’aula senza nemmeno riflettere sulle possibili conseguenze».
 
«Non ha fatto altro che rimproverarmi per la mia impulsività per sette mesi» ribatté James.
 
Williams sorrise. «Forza, entra. Non te ne pentirai. Fidati, se c’è una cosa in cui credo fermamente è la lealtà».
 
«Io non volevo…» iniziò il ragazzo vergognandosi.
 
«Muoviti, non hai tutta la sera. Non mi sono offeso, tranquillo. Anzi, approvo che tu faccia attenzione a quello che hai intorno».
 
James annuì e poi entrò in aula.
 
«Buon compleanno!» urlarono diverse voci.
 
Per un attimo rimase stordito a causa della luce improvvisa e dalle urla, ma riconobbe immediatamente la figuretta che si fiondò nelle sue braccia dal profumo dei suoi capelli.
«Auguri» sussurrò Benedetta, scoccandogli un bacio sulla guancia.
James non avrebbe certo sgradito un bacio diverso, ma dal comportamento della ragazza comprese che con lui era entrato anche Williams e che non era il caso di esagerare.
«Scusate il ritardo, ma il vostro amico credeva che volessi attentare alla sua vita» disse Williams con un sorriso divertito. Molti risero e James sentì le punte delle orecchie diventare sempre più calde. Comunque i suoi fratelli lo tolsero dall’imbarazzo saltandogli al collo. «Che scemo che sei, pensavi davvero che non avessimo tempo per te?» chiese Lily. Solo quando la ragazzina mollò la presa Albus poté finalmente abbracciare il fratello maggiore.
 
«Ehi! Anche io voglio gli auguri!» disse una voce fintamente indignata.
 
«Certo, Rosie. Buon compleanno!» disse James, felice come non lo era da diverso tempo, abbracciando con forza la cugina.
«Come sempre da buon cavaliere tocca a me farti gli auguri per primo» aggiunse ricordando il gioco che facevano da bambini. Con una stretta al cuore ripensò al suo dodicesimo compleanno e si sentì davvero stupido: quello sì che era stato uno dei più tristi. Lontano da casa, da Lily e Al (anche se non l’avrebbe mai ammesso) e specialmente da Rose con cui fin dall’età di un anno aveva condiviso i suoi compleanni.
 
«Abbiamo una torta enorme. Gli elfi l’hanno fatta apposta per noi» gli annunciò Rose. Indicando un tavolo su cui troneggiava una torta a forma di drago.
 
«È molto bella» disse con un sorriso.
 
«Sbrighiamoci. Al ha voluto fare le cose per bene e chiedere il permesso e possiamo stare qui solo fino al coprifuoco sotto il controllo di Williams».
 
«Come ha fatto a ottenere il permesso?» chiese stupito.
«Non lo so» sussurrò Rose, «ma iniziò a pensare che la McGranitt abbia una cotta per lui».
 
James scoppiò a ridere come un matto. «Allora approfittiamone e divertiamoci!».
 
Williams insonorizzò la stanza e li permise di mettere un po’ di musica, se di ciò era al corrente anche la Preside nessuno era interessato a saperlo. Meno che mai James che per un po’ dimenticò totalmente l’ansia e l’agitazione per la seconda prova.
 
«Mi dispiace» gli sussurrò Benedetta.
 
«E di che?».
 
«Sei stato triste per tutto il giorno… volevamo farti una sorpresa, però. Nel mucchio di regali ci sono anche quelli dei tuoi famigliari. Li abbiamo chiesto di non inviarteli direttamente».
 
«Stai tranquilla, sono contento. E poi sapevo che qualcosa alla fine avreste fatto qualcosa per me, solo non tutto questo».
 
«Anche i professori hanno pensato che fosse giusto che ti distraessi. Il Torneo è un bel peso sulle tue spalle» aggiunse Benedetta.
 
«Ho trovato una soluzione, ve ne parlerò domani con calma».
 
«È magnifico, Jamie!» esultò lei buttandogli le braccia al collo.
 
Quella sera nel dormitorio fu l’ultimo ad andare a letto. Riguardò per un attimo i regali che aveva ricevuto e li ripose nel baule. Mettendosi a letto sfiorò con le dita il bracciale di cuoio intrecciato che gli aveva regalato Benedetta e non poté fare a meno di sorridere. 
 
*
 
«Vieni anche tu, Gabriella! Ci divertiremo!» disse Lily esortando Gabriella Jefferson, sua compagna di stanza, a seguirle.
 
«Sì, infatti. Sarà bello tutte e quattro insieme» aggiunse Alice.
 
«Ma è tardissimo!» rispose agitata la ragazzina.
 
«Fa parte del divertimento! Su, che Grifondoro sei?» insisté Lily.
 
«Ci vado persino io» disse Elisabeth Corner.
 
«Ok, va bene» sussurrò Gabriella.
 
«Ho il mantello di James» annunciò Lily eccitata tirandolo fuori.
 
«Te l’ha dato di sua spontanea volontà?» domandò Alice sospettosa.
 
«Certo che no. L’ho preso di nascosto. Su, andiamo. O faremo notte» rispose con una smorfia la ragazzina.
 
Le quattro procedettero in silenzio ben nascoste dal mantello. «Merlino, il tuo cuore batte così forte che potrebbe farci scoprire da Sawyer!» soffiò Alice fissando Gabriella, che si portò automaticamente le mani al petto. «Non stiamo andando a compiere un reato, solo a fare uno scherzetto a un Prefetto un po’ gonfiato».
La compagna le rivolse uno sguardo preoccupato, ma scelse di non ribattere. Intanto Lily aveva iniziato a salire le scale che portavano all’ingresso della Torre di Corvonero.
 
«Come fate?» non riuscì a trattenersi Gabriella.
 
«Abbiamo fatto le nostre indagini sui Corvonero. Non siamo venute qui allo sbaraglio. Faremo un lavoro pulito pulito e ce ne torneremo a letto».
 
«Una ragazza sola in una stanza buia ha un fiammifero in mano. Nella stanza ci sono anche una candela, una lampada ad olio, un camino. Cosa accende prima?» gracchiò il corvo, che custodiva l’entrata del dormitorio.
 
«Una parola d’ordine no, eh?» sbuffò Lily.
 
«Il fiammifero» rispose Elisabeth Corner e la porta si aprì.
 
«Wow, tanto di cappello!» commentò Alice mimando un inchino.
 
«Ora cerchiamo la stanza di tuo fratello» disse Lily, mentre Gabriella si guardava intorno a bocca aperta. Salirono le scale del dormitorio maschile il più silenziosamente possibile e si bloccarono solo di fronte alla stanza dei ragazzi del quinto anno. «Perfetto» disse la ragazzina muovendo solo le labbra e facendo loro segno di entrare. Lei fu l’ultima. Gli unici rumori erano il respiro regolare dei quattro ragazzi che occupavano la camera e la pioggia che aveva iniziato a picchiettare sul vetro. Lily avanzò verso il centro ed estrasse una specie di pluffa di metallo dallo zaino. Ghignò appoggiandola a terra e colpendola con la bacchetta. Lo strano oggetto cominciò a tremare. «Andiamo via, presto» ordinò concitata alle altre. Erano quasi arrivate all’ingresso che sentirono uno scoppio seguito da imprecazioni varie. Lily rise almeno finché non vide una figura vicino a uno dei divanetti. Per un attimo il suo cuore perse un battito, poi la riconobbe. Per fortuna non era Fergusson, ma solo Goldstain. Si scambiarono uno sguardo e poi loro quattro corsero via. Si fermarono solo quando furono al sicuro nella loro stanza. Lily e Alice scoppiarono a ridere sfogando in quel modo la tensione. Elisabeth e Gabriella le fisavano preoccupate.
 
«Era una bomba?» chiese spaventata la seconda. Elisabeth la fissò senza capire. «È un’arma babbana» spiegò subito Gabriella.
 
«Una specie. Ma non è pericolosa, tranquille. È uno degli scherzi di mio zio: bomba a sorpresa».
 
«Sorpresa?» chiese Elisabeth.
 
«Tuo fratello e i suoi amici in questo momento sono ricoperti di vermicoli viscidi e schifosi» spiegò Lily suscitando le risatine di Alice e Elisabeth, mentre Gabriella sembrava ancora troppo spaventata.
 
«Quel ragazzo che ci ha visto?» chiese Elisabeth.
 
«Che?!» disse, ora, terrorrizzata Gabriella.
 
«Jonathan Goldstain. Non credo che farà la spia. Dovremmo essere tranquille» rispose Lily, che nel frattempo si era avvicinata al suo baule. «Eccola, qua!» disse con un sorriso mostrando loro un enorme barattolo di nutella.
 
«Cos’è?» chiese Elisabeth.
 
«La scuola babbana è una noia mortale…» iniziò Lily.
 
«Come tutte le scuole» le fece eco Alice.
 
«Giusto! Comunque abbiamo scoperto delle cose fantastiche, tra cui la nutella. Ogni tanto gli elfi la mandano a tavola per colazione».
 
«Sì, ma mio fratello mi ha sempre vietato di mangiarla. Su ordine dei miei» spiegò Elisabeth.
 
«Siediti o ti è stato vietato anche di sederti a terra?» chiese Alice guardandola dal basso. Lily aveva tirato fuori anche dei grissini e si era seduta a gambe incrociate come Alice, nello spazio vuoto tra i letti. Gabriella le imitò e così fece anche l’altra ragazzina dopo un momento di esitazione. «Sì, ma mi sono stancata di obbedire».
 
«Ottimo» commentò Lily e Alice annuì convinta. «A voi» aggiunse la ragazzina porgendo a ognuno di loro un grissino pieno di nutella. «Credo che dopo un’avventura del genere potremmo diventare molto più amiche».
 
«Malandrine. Non vi piace come nome?» domandò Alice.
 
«Veramente io non vorrei rifarlo mai più» borbottò Gabriella.
 
«Ci sto» acconsentì immediatamente Elisabeth.
 
«Bene, ma il tuo nome è troppo lungo» disse Lily.
 
«Eli, va bene?».
 
«Perfetto! E, Gabri, puoi far parte del gruppo senza partecipare sempre o per forza ai nostri piani» disse Lily.
 
«Sul serio?» chiese incredula la ragazzina.
 
«Certo!» disse Lily.
 
«Ah, naturalmente siamo tutte sullo stesso piano. Non ci devi niente per stanotte, Eli» aggiunse Alice. Elisabeth le fissò per un attimo e poi le abbracciò con foga.
 
*
«Lily, Jonathan ti deve parlare» sibilò Albus sedendosi vicino alle ragazzine insieme al Corvonero. Magnifico, pensò, la ragazzina, Goldstain aveva raccontato tutto a suo fratello.
 
«Davvero? E di cosa?» chiese Lily, facendo la finta tonta.
 
«Davvero» ribatté Albus con un’occhiataccia.
 
«Mi stavi per mettere nei guai» borbottò il Corvonero. «Corner ha dato la colpa a me».
 
«Mio fratello è uno scemo» disse Eli alzando gli occhi al cielo.
 
«È un Prefetto!».
 
«Sei nei guai?» tagliò corto Lily.
 
«No. Williams ha detto che non c’erano prove contro di me».
 
«Bene. Allora qual è il problema? Vuoi qualcosa in cambio?».
Il ragazzo la guardò malissimo. «State lontano dalla nostra Sala Comune prossimamente. Grazie» disse alzandosi e tornando al suo tavolo.
 
«Lily» iniziò Albus, ma sua sorella lo bloccò subito.
 
«Evita la predica, Al. Per quello ci pensa la mamma».
 
«Allora forse è il caso che le racconti che la notte anziché dormire vai in giro per la Scuola» ribatté il ragazzo.
 
«Non puoi. Niente spia» lo redarguì la ragazzina. «Jamie, ti prego diglielo tu» aggiunse rivolta al fratello maggiore che era appena arrivato. Il ragazzo, però, rivolse un’occhiataccia a entrambi,
 
«Jamie, dille che non può entrare nelle altre Sale Comuni!» insisté.
 
«Che faccia quello che vuole! Che vuoi che me ne frega» ribatté scontroso il ragazzo. «Buona giornata, eh!» disse riprendendosi la borsa per abbandonare la Sala Grande.
 
«Guarda che tuo fratello c’è rimasto male» lo richiamò Benedetta nell’ingresso trattenendolo per un braccio.
 
«Sono nervoso! La prova è tra due giorni».
 
«Ti capisco. Robert sta prendendo da mangiare per tutti. Ti daremo un mano, ma devi dirci ancora come».
 
«Trasfigurazione. Devo migliorare in Trasfigurazione» annunciò. La ragazza rimase allibita, ma Robert giunse prima che potesse fare qualunque domanda.
«Demetra è rimasta a chiacchierare con i nostri compagni. Ho preso delle fette biscottate, biscotti e della torta al cioccolato» disse Robert e gli altri due si sbrigarono a liberargli le mani.
 
«Dove andiamo?» chiese Benedetta.
 
«Nel parco» rispose Robert. «Ormai è primavera, non fa freddo come prima». James e Benedetta, mano nella mano, lo seguirono. Fecero colazione in silenzio, ognuno immerso nei proprio pensieri, lungo una sponda del Lago Nero. «Allora, qual è il tuo piano?» chiese infine Robert dopo aver ingoiato l’ultimo boccone.
 
«È molto semplice» iniziò James meditabondo, «devo trasfigurare una pietra o qualcos’altro in un demiguise e lui attirerà quello della gara».
 
«Perché sono delle stessa specie?» domandò Benedetta titubante.
 
«Esattamente! Insomma il demiguise si spaventerebbe se vedesse solo me! Invece verrà attirato da un suo simile!» disse convinto James.
 
«Possiamo sempre provarci» acconsentì scettico Robert. «In caso improvvisi».
 
«Non è che abbia molta scelta» borbottò James.
 
«Non puoi chiedere ad Apolline?» tentò Robert.
 
«Preferisco cercare quella creatura per tutta la foresta che chiedere aiuto alla francesina» sbottò irritato James.
 
«Vuoi che ti aiutiamo con la trasfigurazione, vero?» chiese allora Robert.
 
«Certo. Ho difficoltà con le cose semplici» sospirò James.
 
«Stai tranquillo, ti aiuteremo noi. Entro due giorni sarai un asso in Trasfigurazione!» disse concitata Benedetta.
 
«Non esageriamo» borbottò Robert.
 
*
 
E si erano esercitati in ogni momento libero. Una parte di James avrebbe voluto saltare anche le lezioni, ma il suo ruolo di Prefetto e la consapevolezza di non voler metter nei guai gli amici, che tanto si stavano prodigando per lui.
 
«Andrà tutto bene» disse Benedetta scoccandogli un bacio sulla guancia sotto gli occhi attenti e preoccupati di Paciock.
 
«Speriamo» borbottò il ragazzo per poi seguire lo zio.
 
«Sai quello che devi fare?» chiese Neville teso.
 
«Ho un piano, ma è assurdo».
 
«Anche tuo padre faceva piani assurdi, ma se la cavava sempre lo stesso».
 
«Peccato, che non sono lui allora» replicò James, ma Neville non ebbe il tempo di aggiungere altro perché erano giunti al confine con la Foresta Proibita dove era stata costruita una struttura di legno che ospitava spettatori e giudici.
 
«Buongiorno a tutti!» principiò Gregory Mullet con la voce magicamente amplificata. «La seconda prova sta per iniziare. Come tutti sapete durante la prima prova i Campioni hanno conquistato una bottiglia che conteneva un indizio su questa nuova prova. Se sono riusciti a decifrarlo, ora sapranno che il loro compito è quello di entrare nella Foresta Proibita e trovare uno dei demiguise che sono stati liberati questa mattina. Ve ne è uno ciascuno. La creatura non deve essere ferita in nessun modo o il Campione perderà punti a seconda della gravità. Non c’è un tempo stabilito per portare a termine la prova, ma naturalmente il punteggio risentirà del tempo che si è impiegato. I tre Campioni sono pronti».
 
James era molto nervoso. La prova sembrava meno pericolosa della precedente, anche perché il demiguise era una creatura pacifica, ma aveva il terrore di fare la peggiore figuraccia della sua vita. Anche Apolline sembrava nervosa. Strano. Louis aveva parlato con lei, ne era certo. E altrettanto sicuramente Madame Maxime non si era fatta problemi a darle qualche spinta. E allora? Cosa la spaventava? Dumbocoso sembrava una statua di sale senza emozioni. Come sempre.
 
 «Al mio tre potrete entrare nella Foresta Proibita» annunciò Mullet. «Uno. Due. Tre».
 
James con il cuore in gola seguì gli altri due Campioni. «James». Si voltò di scatto verso Apolline. Non si aspettava proprio che lei gli rivolgesse la parola. La fissò interrogativo. «La foresta è davvero pericolosa come dicono?» gli chiese nel suo inglese perfetto, ma addolcito dalla pronuncia francese. Sembrava enormemente turbata.
«Decisamente sì. Immagino che si siano messi d’accordo con i centauri o non saranno felici di averci tra i piedi. Quello che più spaventa sono le acromantule. Quelle ti fanno in un sol boccone» rispose, non voleva parlarle ma sarebbe stato sleale mandarla completamente allo sbaraglio. «Ma tanto la tua Preside ti avrà già detto tutto. Hai dimenticato gli appunti nella carrozza?» chiese poi per provocarla. Intanto si stavano inoltrando nella foresta. Dumbcenka si era allontanato immediatamente da loro, neanche avessero il vaiolo di drago.
 
«Comment osez-vous?» sbottò Apolline così tanto irritata dalle sue parole e dal suo tono da dimenticarsi di usare l’inglese.
 
«Stai calmina! E parla in inglese, non ti capisco. Per quanto mi riguarda potresti anche avermi maledetto».
 
«Sei uno scemo, Potter! E perché tu lo sappia Madame Maxime non mi ha aiutato neanche per la prima prova. Si è limitata a dirmi cosa avrei dovuto affrontare».
 
«Dici niente!» s’irritò il ragazzo.
 
«Sai che ti dico? Spero che un’acromantula ti divori!» disse Apolline voltandogli le spalle e allontanandosi a lunghe falcate.
 
«Chi ti capisce è bravo» borbottò James, ormai solo. Sospirò e puntò la bacchetta contro un sasso bello grosso. Si concentrò e poi disse: «Feraverto». Con suo enorme sollievo la pietra si trasformò in un demiguise sotto i suoi occhi. Dalla tasca tirò fuori dell’erba che aveva raccolto prima di raggiungere zio Neville. Aveva avuto paura che la creatura sarebbe sparita senza dargli il tempo di raccoglierne direttamente nella foresta. Porse l’erba al demiguise sperando di attirarlo a sé. Avrebbe voluto chiedere aiuto ad Hagrid, lui sì che avrebbe saputo dirgli come comportarsi in quella situazione, ma non aveva voluto metterlo nei guai. Lentamente si abbassò e si sedette a terra, sempre tenendo l’erba davanti a sé. Il demiguise lo stava studiando e James voleva mostrarsi il più possibile degno di fiducia.
Trascorsero diversi minuti e il ragazzo iniziò a temere di aver fatto un cretinata colossale. La creatura a un certo punto, però, allungò una zampa e prese il ciuffo d’erba. James, almeno un po’ rassicurato, attese che finisse di mangiare senza fare movimenti bruschi. Quando il demiguise finì, tornò a scrutarlo. Il ragazzo sorrise e allungò una mano verso di lui. Sempre molto lentamente. Il demiguise la sfiorò con una zampa, poi improvvisamente si rese invisibile. James si trattenne dall’imprecare e s’impose di non fare movimenti bruschi. Poco dopo tornò visibile.
 
«Ci sono dei tuoi simili qui. Mi aiuti a trovarli?» disse sentendosi molto stupido. Mille domande si fecero strada in lui: un animale nato da una Trasfigurazione, era un animale vero e proprio? Oh Merlino, avrebbe dovuto seguire con più attenzione le lezioni. Si appuntò di non raccontare questi dubbi a Teddy o l’avrebbe ucciso. E poi il demiguise lo capiva? Sinceramente nutriva moltissimi dubbi. Dopotutto era un esserino carino, forse avrebbe dovuto impegnarsi di più a Cura delle Creature Magiche. Sospirò sempre più affranto: ero un disastro. Avevano tutti ragione a urlargli contro in continuazione! E avrebbe fatto un disastro anche ai G.U.F.O.! Forse era stato davvero presuntuoso a dire alla McGranitt che avrebbe fatto gli esami con i suoi compagni. Si sentì toccare e sobbalzò. Il demiguise lo fissava con un sguardo intenso. Aveva messo in mezzo anche quella povera creatura o quel povero sasso? Forse avrebbe dovuto chiedere illuminazioni almeno ad Albus. La creatura si mosse guardandolo eloquentemente. Gli stava dicendo di seguirlo? Si alzò. Probabilmente stava impazzendo, ma non aveva nulla da perdere al quel punto. A parte la propria dignità, se fosse uscito da quella foresta senza la creatura richiesta. Per un attimo si chiese come avrebbe fatto a distinguerle, poi osservando con attenzione quella che aveva davanti si diede del cretino. Altra cosa da non dire a Teddy. La trasfigurazione non era riuscita perfettamente: il demiguise era tutto grigio e le illustrazioni che aveva visto in biblioteca mostravano colori decisamente più chiari; ma non era questo il problema principale: i talloni, se così si potevano chiamare, erano di pietra. Era un disastro. Se lo ripeté come una mantra, mentre seguiva il suo povero demiguise. Per un po’ ebbe il dubbio che la creatura effettivamente non avesse capito la sua richiesta. Ogni tanto si fermava e assaggiava le piante che incontravano sul loro percorso. James non riusciva a trovare soluzioni alternativa e si lasciò guidare.
Il demiguise si era fermato e lo scrutava, quando si accorse di avere di nuovo la sua attenzione gli porse una pianta. James lo fissò interrogativo, ma la creatura tornò alle sue attività. Così fu costretto ad analizzare la pianta nella speranza di riconoscerla. Aveva un buon odore, ma proprio non si ricordava il nome e men che meno le sue proprietà. Si sentì di nuovo depresso e posò la valeriana nella tasca della divisa, che aveva deciso di indossare nonostante avessero la possibilità di scegliere qualcosa di più comodo. Si inoltrarono ancora per un po’ nella foresta e per un attimo, a causa della sua distrazione, perse di vista il demiguise. Il suo cuore accelerò il battito. La sua compagnia gli faceva piacere, realizzò. Il demiguise, però, tornò subito verso di lui diventando invisibile a intermittenza. Cosa l’aveva spaventato? Sentì un urlo che gli fece gelare il sangue.
«Apolline!» chiamò estraendo la bacchetta, che fino ad allora aveva tenuto in tasca per non inquietare la creatura. Non impiegò molto a trovarla. La ragazza correva nella sua direzione, totalmente sconvolta in volto. Quando vide che cosa la stava inseguendo James rimase paralizzato sul posto. Un’acromantula. Imprecò a bassa voce prima di intervenire. «Stupeficium!». Non le fece nemmeno un graffio. Tirò a sé Apolline con forza e le disse: «Dobbiamo colpirla insieme. Nel ventre dovrebbe essere più suscettibile. Avanti!» la esortò vedendo che non reagiva. «Adesso» gridò nella speranza che lo imitasse. «Stupeficium!» ripeté per la seconda volta, ma furono due i lampi di luce che colpirono la bestia, che si accasciò a terra. James si accorse di aver il fiato corto, come se avesse corso a lungo.
 
«Merci» sussurrò la ragazza, ancora sconvolta. Si era aggrappata al suo braccio.
 
«Di niente. Allontaniamoci, però. Prima che riprenda i sensi».
Così si avviarono insieme in una direzione completamente diversa e per un po’ non parlarono. Fu Apolline a rompere il silenzio strillando. «Quello è un demiguise?!».
 
James si voltò appena in tempo per riconoscere il suo nuovo amico. Il suo colore era inconfondibile. La creatura, però, si spaventò e tornò invisibile. Probabilmente li aveva seguiti fino a lì. Il ragazzo lanciò un’occhiataccia alla francesina, imponendole silenziosamente di tacere. Strappò un ciuffo d’erba e tentò un nuovo approccio con il demiguise, che alla fine tornò visibile e accettò la sua offerta. James spiegò rapidamente il suo piano ad Apolline.
 
«Bene, ci separiamo di nuovo?» propose James, ma la ragazza scosse violentemente la testa in risposta.
 
«Ti prego, so che ce l’hai con me, ma questo posto è inquietante. Non ce la faccio più. Non lasciarmi sola. Aiutami. Ti giuro che ti lascio tutto il vantaggio che vuoi. Voglio uscire al più presto da qui. Ho già visto un demiguise, ma mi è sfuggito. Tu sei molto più bravo. Sono disposta anche a perdere la prova, se vuoi. Ma non mi lasciare da sola».
 
James vide il suo sguardo supplichevole e sincero e non se la sentì neanche di rispondere sarcasticamente. Annuì. «Anche se non so quanto tu ci possa guadagnare. Comunque troviamole insieme e usciamo insieme».
 
Così procedettero insieme, di nuovo in silenzio. Ognuno perso nei propri pensiero.
 
«Perché hai della valeriana in tasca? Serve per attirare il demiguise?».
 
«No. Ti ho già detto il mio piano, per quanto sia folle. Questa è valeriane, dici? Ha proprietà rilassanti, vero?» replicò James. «Me l’ha data lui» disse indicando il demiguise, che, di nuovo, tranquillo passava da una pianta all’altra. Stupefacente era che evitava le piante velenose. «Dovrei portarlo a erbologia con me, forse potrebbe aiutarmi a rialzare la media» borbottò.
 
«Se non riconosci la valeriana, sei messo male. Comunque sì, ha anche effetti rilassanti» ribatté Apolline. «E il tuo piano non è così folle. Ha la sua logicità».
 
«Non c’è bisogno d’infierire sulla mia ignoranza. So di essere un inetto» borbottò James infastidito.
 
Apolline scoppiò a ridere. «Scherzi, vero? Non sei un inetto! Quando ti ho visto poco fa, ho tirato un sospiro di sollievo!».
 
«Come facevi a sapere che sarei stato in grado di aiutarti?» replicò James.
 
«Sapevo che non ti saresti tirato indietro ridendo di me come ha fatto Dumbcenka».
 
«Cosa? Non ti ha aiutato?» chiese allibito James.
 
«No. Al contrario l’ha trovato divertente».
 
James si indignò, ma non aggiunse altro. All’improvviso si sentì tirare la manica. Era il suo demiguise. Si scambiò uno sguardo con Apolline e insieme lo seguirono in una radura. Rimasero esterrefatti: la creatura aveva realmente fiutato i suoi simili, ma la scena che si presentò ai loro occhi era inaspettata. Lo stesso demiguise di James divenne invisibile. Le tre creature destinate a ciascuno di loro erano legate e su di esse torreggiava il Campione di Durmstrang. Dumbcenka si voltò verso di loro.
 
«Io non aspettare foi così presto» disse.
 
«Che li hai fatto?! Non dobbiamo ferirli!» si irritò immediatamente James.
 
«Non afere ancora feriti» ribatté per nulla turbato. «E comunque afere ferito solo vostri, non mio» spiegò per poi muovere velocemente la bacchetta. James che aveva alzato la guardia aveva evocato un incantesimo scudo con prontezza.
 
«Essere brafo Potter» disse con il chiaro intento di prenderlo in giro e non certo di fargli un complimento. «Vediamo come te la cavi con loro».
Pronunciò delle parole che James non comprese, ma sentì un brivido percorrergli la schiena. La terra iniziò a tremare, Dumbcenka si prese la sua creatura. «Difertitefi» disse dileguandosi. Il Grifondoro non poté fermarlo perché dalla terra erano emersi quattro bestioni.
 
«Troll» esalò. «Ma come?!».
 
«Evocazione. È magia nera» sussurrò Apolline terrorizzata. Dopodiché non si capì più nulla. I due ragazzi furono separati dai troll che tentavano di colpirli con le loro mazza. Entrambi provarono diversi incantesimi, ma quelle creature avevano la pelle dura. James aveva il cervello inceppato. Aveva paura e si vergognava. Spinse via Apolline prima di essere colpita dalla mazza di legno.
 
«Vattene» le strillò. «Quelli vogliono me» disse. Non ci voleva un genio a capirlo. Stavano tentando di ucciderlo. Che scemo! Era così preso a piangersi addosso e a preoccuparsi per il demiguise, che si era dimenticato l’obiettivo del Torneo: farlo fuori.
 
«Che? Scordatelo! Ti faranno a pezzi».
 
«E se rimani, faremo la stessa fine» ribatté James.
 
«Quel pezzo di merda» sbottò Apolline, sorprendendo James. «Dobbiamo uscire di qua solo vendicarci».
 
Quello era poco ma sicuro pensò James. Tentò di ricordarsi come sconfiggere i troll, ma non li avevano ancora studiati. Williams affrontava certi argomenti solo a livello M.A.G.O. Si sforzò e si ricordò uno dei racconti del padre. Se tre bambini di undici anni avevano sconfitto un troll, potevano riuscirci anche loro due. Beh a parte il fatto che erano quattro i troll.
«Exsperlliamus» disse e prese la mazza di uno dei troll al volo. Apolline non avendo altre idee lo imitò. Poi disarmarono anche gli altri due. Decisamente facevano meno paura disarmati. Certo, solo un pochino di meno. «Impedimenta» tentò James, ma nel frattempo un altro troll lo colpì con una manata. Vide le stelle. Forse gli aveva rotto il braccio.
 
«James!» urlò spaventata Apolline. «Incarceramus».
 
Con sorpresa di entrambi un troll era caduto in terra legato da corde invisibili. James si rialzò a fatica e tentò di imitare la ragazza, nonostante tutto il braccio destro gli dolesse. Apolline lo affiancò e soffiò: «Insieme! Così l’incantesimo sarà potente. Li intrappoliamo tutti e quattro e poi scappiamo. Sono troppo forti e si libereranno. Almeno credo».
 
Ansimavano entrambi per lo sforzo di evitare i troll, che sembravano ancora più feroci. «Sono pronto».
Ne colpirono uno insieme, ma gli altri due non furono dei bersagli semplici. Alla fine, dopo aver legato l’ultimo, James cadde in ginocchio esausto e dolorante.
 
«James! Il braccio è rotto?» gli chiese Apolline avvicinandosi.
 
«Non ha importanza. Andiamocene. Dove sono i demiguise?».
Si guardarono intorno per un attimo. James imprecò quando li vide. Erano ancora legati e sembravano feriti. Non erano sfuggiti alla foga dei troll.
 
«Non sono feriti entrambi. E comunque non sembra nulla di grave. Come facciamo? Sono terrorizzati» tentò di tranquillizzarlo Apolline. James la raggiunse a fatica e si inginocchiò accanto alle due creature. Poco dopo accanto a lui apparve anche il suo demiguise grigio. Accarezzò la creatura ferita e sussurrò: «Va tutto bene, presto guarirai. È solo un graffio» disse puntando contro la bacchetta. Apolline lo fermò. «Scapperà».
 
«Non ha importanza. Questa storia è andata oltre. Non dovevano farsi male né spaventarsi tanto. È poi è ferito alla zampa, non andrà lontano. Sanguina» replicò James.
 
«Ok, ma sbrigati» acconsentì ella fissando con preoccupazione i troll che tentavano di divincolarsi.
 
«Finite incantatem» disse per poi prendere il demiguise in braccio. Sentì un dolore lancinante al braccio, ma almeno non era rotto. Apolline liberò l’altro, che non fuggì. Ella lo accarezzò. «Andiamo» disse James. I troll stavano diventando sempre più inquieti. Un giorno sarebbe stato abbastanza forte da sconfiggerli senza problemi si promise e dopo un ultima occhiata si allontanarono in fretta. Camminarono a passo svelto e i demiguise li seguirono. Sentirono non molto lontano un ruggito e capirono che almeno uno dei troll si era liberato.
 
«Corriamo!» strillò Apolline.
 
James corse come mai aveva fatto in vita sua stringendo a sé il demiguise, ma si sentiva sempre più stanco e soprattutto il braccio doleva sempre di più. «Ci siamo!». Alle parole della ragazza sollevò il capo per un secondo e accorse felicemente il confine della foresta. Le urla degli spettatori lo stordirono improvvisamente e si bloccò quasi spaventato.
 
«James, sei ferito?».
Peter Lux si avvicinò a lui per primo.
 
«BÂTARD, JE VAIS TE TUER!».
 
James aveva appena consegnato il demiguise a uno dei maghi addetti e rimase colpito dallo schiaffo che Apolline tirò a Dumbcenka sotto gli occhi dell’intera Scuola e soprattutto dei giudici. Vulchanova iniziò a urlare in tedesco e si avvicinò con foga al suo allievo e alla ragazza. La McGranitt e Madame Maxime furono costrette a intervenire. Il ragazzo ignorò i richiami di Lux e li raggiunse.
 
«Levale le mai di dosso!» sbottò mettendosi tra Vulchanova e Apolline.
 
«Potter, pretendo una spiegazione» sibilò la McGranitt nel tentativo di riportare l’ordine.
 
«Potreste iniziare a dirci perché avete tre demiguise e non due» s’inserì Mullet. James sospirò e iniziò a raccontare a partire dal suo piano per arrivare all’attacco dei troll e alla loro fuga. Il silenzio era totale, sugli spalti non avevano potuto comprendere ogni cosa, ma capirono che era una situazione grave.
 
«Come osi accusare un mio allievo?» tuonò Vulchanova. «Faccia qualcosa e metta a tacere quest’insolente. Non ha nemmeno e prove!» aggiunse rivoltò alla McGranitt.
 
«Io non mento!».
 
«E c’ero anche io! L’abbiamo visto con i nostri occhi evocare i troll. Quella è magia nera!» sbottò Apolline.
«Menzogne! Fatemi vedere le prove!».
 
«La sua bacchetta!» buttò lì James.
 
Vulchanova serrò la mascella e fece cenno al suo allievo, Dumbcenka estrasse la bacchetta e la porse alla McGranitt. «Prego».
 
«Prior Incantatio» mormorò con voce lievemente scossa la donna. Ripeté l’incantesimo più di una volta, ma risultarono sempre e solo incanti base.
 
«Visto!?» tuonò Vulchanova.
 
Apolline stava cedendo si vede dal suo volto, James, invece, non si trattenne. «Perquisitelo! Deve avere un’altra bacchetta!».
 
«Insolente!».
 
«Basta così, Potter» disse la McGranitt in tono di avvertimento.
 
«No! Professoressa, lei non mi crede?» chiese stupito. «Professor Williams! Professor Paciock!» disse rivolgendosi anche agli altri due insegnanti che si erano avvicinati. Il primo scosse la testa, mentre il secondo gli disse: «Fatti medicare». James si sentì sconfitto e permise che Peter gli controllasse il braccio.
 
«Signori e signori, ecco il risultato della seconda prova» iniziò Mullet nuovamente con la voce amplificata magicamente. «Al primo posto il signor Dumbcenka che ha portato a compimento la prova in circa un’ora, la giuria ha attribuito cinquanta punti. La signorina Flamel e il signor Potter hanno impiegato lo stesso tempo circa un’ora e mezza, ma il signor Potter ha ferito il suo demiguise. Alla Campionessa di Beauxbatons vengono, perciò, attribuiti quarantacinque punti, mentre al signor Potter quaranta. La classifica finale è la seguente: Dumbcenka primo con 97, Flamel con 85 punti e infine Potter con 77 punti. Le modalità della terza prova vi verranno comunicate a tempo debito. Buona giornata».
 
James era furioso. Si liberò dalla stretta di Peter e si allontanò prima che qualcuno potesse fermarlo.
 
Angolo autrice:
Ciao a tutti!
Innanzitutto buon 2017!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. :-D
Vorrei fare solo qualche precisazione:
  1. “BÂTARD, JE VAIS TE TUER!” significa “bastardo, io ti uccido” (mi sono affidata a Google Traduttore). Decisamente Apolline ha perso il controllo.
  2. Mi sono innamorata del demiguise, come dello snaso e dell’asticello, dopo aver visto “Animali fantastici: dove trovarli”.
  3. Non ho riletto con attenzione l’ultima parte, perché sono stanca ma ci tenevo a pubblicarlo e non indugiare oltre. Quindi abbiate pietà se c’è qualche errore.
 
Vi auguro una buonanotte,
Carme93
 

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Capitolo 28
*** Nelle mani della Signora Oscura ***


Capitolo ventottesimo
 
Nelle mani della Signora Oscura
 
 
James percepì la presenza di qualcuno alle sue spalle e non ebbe dubbi che fossero i suoi migliori amici, ma era troppo arrabbiato per fermarsi. Doveva sfogarsi in qualche modo. Inconsciamente i suoi piedi lo condussero nel luogo segreto dove l’aveva portato diverso tempo prima Benedetta. Sentì i due ragazzi sussurrare dietro di lui, ma ancora non aveva la forza di dire nulla. Raccolse un po’ di pietre e iniziò a lanciarle con violenza nel Lago. Peter gli aveva detto che il braccio non era rotto, ma comunque aveva preso una bella botta. E come no? Che cos’è che non avevano capito in “ci ha attaccati una banda di troll inferociti”? Alle volte proprio non capiva gli adulti. E dire che della McGranitt, zio Neville e Williams si fidava ciecamente. Tirò con foga un altro sasso e il braccio sinistro ne risentì. Strinse i denti: non sarebbe tornato indietro a elemosinare una pozione. Non con tutta quella gente. Pensò ai suoi genitori. Perché non erano venuti ad assistere alla prova? Suo padre avrebbe potuto avere qualsiasi emergenza, visto i tempi che correvano, ma sua madre? Lanciò ancora un sasso e lo vide infrangersi contro la superficie del Lago. Chissà se i Maridi erano suscettibili come i Centauri.
Ben presto, troppo presto, il cielo si tinse di rosso e il freddo divenne quasi insopportabile. James continuava a lanciare con sempre minor forza e convinzione, ma non voleva fermarsi.
 
«Basta, ti prego» mormorò una voce dolce e triste allo stesso tempo. Benedetta gli fermò il braccio e il ragazzo ubbidiente lasciò cadere la pietra a terra, mentre lei lo abbracciava. «Va tutto bene, siamo qui con te».
 
«James, raccontaci per bene che cos’è accaduto. Noi siamo arrivati in tempo per sentirti urlare contro Vulchanova» disse Robert.
 
Si sedettero, incuranti dell’umidità della terra e James iniziò a raccontare. Ormai era stanco e non si alterò ulteriormente, ma aspettava con ansia il giudizio dei suoi amici. Benedetta non l’aveva mollato un secondo e il suo calore lo faceva sentire meglio. «Mi credete?» chiese alla fine.
 
«Certo, che domande!» replicò Robert. Benedetta si limitò ad annuire. «Ora, andiamo però. È tardissimo». I tre ragazzi si alzarono e tornarono indietro in silenzio e lentamente. Le luci del castello divennero sempre più evidenti man mano che si avvicinavano. «Stiamo attenti ora. Non è il caso di farci beccare da Sawyer» disse Robert e si avviò per primo nella Sala d’Ingresso, consapevole che James avesse ormai abbassato totalmente la guardia.
 
«Eccovi, finalmente! Sono ore che vi cerchiamo! Dove eravate andati?». Robert trattenne un’imprecazione, soprattutto per lo spavento preso. James e Benedetta, dietro di lui, sobbalzarono. La McGranitt era apparsa in cima alla scalinata di marmo e nonostante l’età scese velocemente. «Per un attimo abbiamo temuto che foste rientrati nella Foresta Proibita! Ma gli Auror che sono andati a catturare i troll non hanno trovato nessuno! Vi rend-».
 
«Mio padre è qui?» chiese James interrompendola.
 
«No, Potter. Le sue veci le fa il sotto vice-Capitano Fenwick».
 
«Perché non è qui?» insisté il ragazzo.
 
«Potter, gli Auror non vengono a riferire a me che cosa fa il loro Capitano!» replicò la Preside spazientita. «E torniamo a voi! Dove eravate?». Con sorpresa dei due ragazzi fu Benedetta a rispondere e raccontarle della sponda nascosta del Lago Nero, ora non più tanto segreta. La McGranitt inspirò con forza e li scrutò uno a uno con sguardo di fuoco. I ragazzi chinarono il capo incapaci di reggerlo.
 
«Comunque è colpa mia. Erano preoccupati per me» disse James stancamente, sperando che li lasciasse andare il più velocemente possibile.
 
«Date le circostanze» sospirò infine, e la sua voce era più calma, «sarò clemente. 30 punti ciascuno saranno tolti a Grifondoro. E ora, Merinon, Cooper filate al vostro dormitorio immediatamente. Devo scambiare due parole con Potter». Robert e Benedetta tentennarono un attimo, ma sotto lo sguardo inflessibile della donna si diressero verso le scale senza aggiungere altro. La McGranitt fece per riprendere a parlare solo quando il rumore dei passi dei due ragazzi prima divenne un’eco lontana e poi sparì completamente, ma il ragazzo la precedette.
 
«Perché non mi ha creduto?» non riuscì a trattenersi James. La Preside lo incenerì con un’occhiataccia.
 
«Io ti ho creduto» ribatté. «Ma la parola di un sedicenne senza alcuna prova, non ha più valore di quella di un mago adulto come Vulchanova. Che cosa avremmo dovuto fare? Il Torneo non si può annullare. Né io né Madame Maxime ci possiamo mettere contro di lui. Abbiamo il dovere di proteggere i nostri studenti».
 
«E quindi?» domandò James. «Professoressa» aggiunse in fretta.
 
«E quindi tu sconterai una punizione per aver mancato di rispetto al Preside di Durmstrang e gli chiederai scusa».
 
«Che cosa?!» sbottò James. «No. Non chiederò scusa a quell’uomo!».
 
«Potter» iniziò in tono di avvertimento la McGranitt, ma James la interruppe. «Non mi può costringere».
 
«Vedremo. Ora è meglio che vai nel tuo dormitorio».
 
James la seguì in silenzio fino al settimo piano, poi non riuscendo più a tacere chiese: «L’ho delusa?».
 
«Prego?» replicò la donna fermandosi e fissandolo.
 
«Sono ultimo in classifica e pomeriggio ho fatto un macello» sospirò James. Almeno si sarebbe sentito men in colpa se l’avesse rimproverato anche per quello. Forse.
 
«Potter, sai che cosa significa deludere?». James fu preso in contropiede. Insomma tutti sanno che cosa significa deludere, no? Eppure si ritrovò a boccheggiare non trovando le parole giuste. «Significa venir meno alle aspettative di una determinata persona. E tu non l’hai fatto» spiegò la McGranitt.
 
«Come no?» chiese James incredulo.
 
«Sei come tuo padre. Il tuo comportamento di questo pomeriggio, l’ha dimostrato ulteriolmente. Sarei rimasta sorpresa se fossi rimasto buono buono di fronte a Vulchanova. Per quanto riguarda la prova, l’hai portata a compimento proprio come la prima. Non è colpa tua se il demiguise è stato ferito. Sei stato sabotato e quei troll avrebbero dovuto ucciderti. Merlino sa, quanto sono stata sollevata di vederti uscire dalla foresta sulle tue gambe».
 
James fu colpito da quelle parole e non seppe cosa dire. Ripresero a camminare e si fermarono solo di fronte al ritratto della Signora Grassa. «Il signor Lux ha detto che puoi dormire nella tua stanza questa notte, ma domani mattina prima di colazione ti vuole vedere. Mi raccomando, vedi di andarci. Un elfo domestico a quest’ora avrà già portato qualcosa da mangiare per te e i tuoi compagni. Inoltre troverai una fialetta con della pozione. Il signor Lux vuole che tu la beva prima di andare a letto. Chiaro?».
 
«Sì, Preside. Grazie».
 
*
 
Stava albeggiando. Harry si strinse il mantello addosso e osservò il sole sorgere. Erano ore che navigavano e non avevano ancora avvistato nulla.
 
«Signore» disse un Auror avvicinandosi. «Il babbano vuole sapere quanto ancora volete rimanere in mare. L’equipaggio vuole rientrare per il cambio di guardia».
 
«Ancora un po’. Mezz’ora e poi rientriamo».
 
«Come desidera, signore. Vado a riferire».
 
Si passò una mano sul volto stanco e probabilmente pallido. Non amava il mare. Aveva ripensato più volte ad Albus durante la notte. Suo figlio l’avrebbe trovato divertente. E aveva pensato anche a James. Come se l’era cavata? Sentiva uno strano peso sul cuore. Era inquieto. Nella prima prova non avevano fatto nulla, ma era sicuro che avrebbero tentato di fargli male durante la seconda. E lui non era potuto andare. Imprecò contro il mare che continuava a essere inesorabilmente deserto.
 
«Signore, una barca. A destra!» lo richiamò uno degli uomini della Guardia Costiera.
 
Harry si voltò di scatto e seguì con gli occhi la direzione che l’uomo gli indicava. In effetti c’era una piccola barca che si avvicinava.
«Fermatela» ordinò.
 
«Che cosa cercate, signore?» gli chiese l’ufficiale, che comandava la nave. Non era stato molto felice di dover portare con sé quelli uomini senza essere informato della loro missione.
 
«Voi limitatevi a chiedere tutti i documenti e a fare le domande di rito. Il resto lo faranno i miei uomini, se sarà necessario».
 
L’ufficiale rispose con un cenno d’assenso e si congedò bruscamente. Harry non poteva dargli torto: lui stesso avrebbe odiato se qualcuno si fosse comportato così con lui. Non poteva farci nulla, però. Aveva altre priorità. Strinse la bacchetta, nascosta sotto il giaccone e attese. Odiava attendere. Il peschereccio, così l’avevano identificato gli uomini della Guardia Costiera, obbedì all’alt imposto dagli ufficiali e si accostò. Sembrava che gli unici uomini a bordo fossero due di colore, che, come si aspettava, mostrarono subito i permessi di navigazione, i documenti di identità e a quanto pare i permessi di soggiorno. Harry fece un cenno a uno dei suoi Auror, perché facesse quanto concordato. Improvvisamente un telone, fino a quel momento invisibile, si sollevò dalla prua della nave rivelando un gruppo di uomini legati e imbavagliati.
Beccati pensò Harry vittorioso. Gli Auror misero immediatamente al sicuro i Babbani scioccati. Avrebbero dovuto chiamare gli Obliaviatori una volta tornati a riva. I due uomini, che avevano prontamente reagito, furono disarmati e ammanettati senza alcuna difficoltà. Non parlavano inglese.
 
«Andiamocene» disse Harry. Li avrebbe interrogati al Ministero, ora non ne aveva la forza e poi aveva fretta di rientrare. «Appena arriviamo chiamate gli obliviatori e i medimaghi per visitare quelli uomini. Non hanno una bella cera».
 
«Sì, signore» ribatterono i suoi uomini.
 
Quando attraccarono ormai il sole era sorto del tutto. Harry saltò fuori dalla barca di slancio, ma quando le ossa gelate gemettero se ne pentì.
 
«Capitano! Sei tornato finalmente».
 
Harry andò incontro ad Adrian Wilson. «Li abbiamo presi. Occupatevi di loro e fa’ in modo che gli uomini che erano con me vadano a riposarsi. È stata una lunga notte» ordinò.
 
«Capitano, devi vedere il giornale di oggi» disse Adrian consegnandoglielo. «Tua moglie ti ha cercato».
 
Harry imprecò. La prima pagina era occupata dalla foto di Apolline Flamel che schiaffeggiava Vasilij Dumbcenka e il titolo recitava: Potter accusa il Preside Vulchanova: “Ha sabotato la seconda Prova”.
 
«Tuo figlio è stato attaccato da una banda di troll insieme alla ragazza francese. Sembra che stia bene, almeno fisicamente. Fenwick si è occupato dei troll».
 
«Che vuol dire almeno fisicamente?» domandò Harry fissando preoccupato una foto di James che si agitava contro Vulchanova.
 
«Dopo che è stato annunciato il punteggio lui e i suoi amici si sono allontanati. Per un po’ non sono riusciti a trovarli. Ci hanno provato anche gli uomini di Fenwick insieme agli insegnanti. Sul tardi sono rientrati al castello da soli, la McGranitt ce l’ha riferito poco dopo. A quanto pare ha chiesto di te».
 
«Come sono arrivati dei troll nella foresta?».
 
«James e la francese dicono che li ha evocati Dumbcenka».
 
Harry sgranò gli occhi e imprecò.
 
*
 
«Jamie? Che pensi?» chiese Benedetta.
 
«Sono preoccupato per i G.U.F.O. La prova nella foresta mi ha fatto riflettere parecchio. Sono un disastro. Non li supererò mai!».
 
«Non dire così. Sei solo sconfortato» tentò Benedetta.
 
«No, non mi prendere in giro» ribatté James amaramente. «Non sono stato in grado di fare una semplice trasfigurazione, non ho riconosciuto neanche la valeriana! Non diventerò mai un Auror se continuo così. Ho S in Erbologia e D in Trasfigurazione».
 
«È solo un momento!» ripeté Benedetta. «Andrà meglio, ora che ti sei tolto il pensiero della seconda prova!».
 
«Benedetta, ha ragione. Mettiamoci sotto e ce la faremo. Non sei stupido, James» intervenne Robert.
 
James sospirò.
 
«Mettiamoci a studiare» insisté Benedetta, prendendo per prima i libri dallo zaino, «Avanti». Robert la imitò e insieme fissarono eloquentemente James e Demetra. I due ragazzi dopo un attimo di titubanza si unirono a loro.
 
«E sia, non può essere peggio che affrontare una serpentona» sospirò James, suscitando le risatine degli altri.
 
*
 
«Frank? Possiamo parlare?».
 
Il ragazzino distolse l’attenzione dal libro che stava leggendo e fissò il coetaneo.
 
«Che vuoi Hans? Non ti vogliamo vicino a noi» disse subito Roxi.
 
«Vorrei che facessimo pace definitivamente».
 
«Ma credi che siamo degli ingenui? Gira al largo!» ripeté Roxi.
 
«Sono sincero! Facciamo pace. Da me non dovrai temere più nulla» ribatté il ragazzino porgendo la mano a Frank.
 
«No» si impuntò Roxi, spingendo via la mano.
 
«Non ti impicciare!» sbottò infastidito Halley Hans.
 
«Che succede qui?».
 
I ragazzini sobbalzarono all’arrivo improvviso del loro Direttore.
 
«Nulla» si affrettò a rispondere Roxi, ma Neville si rivolse, inaspettatamente, ad Hans.
 
«Halley?».
 
«Volevo solo fare pace con Frank, ma Weasley non me l’ha permesso».
 
Roxi lo fulminò con lo sguardo. «Non siamo mica stupidi. Sappiamo che c’è una trappola».
 
«Non c’è nessunissima trappola» si infervorò Halley Hans.
 
«Roxi, Gretel andate in classe. I vostri compagni vi raggiungeranno a momenti».
 
«Cosa?!» sbottò Roxi. «Non se ne parla! Frank non resta da solo con lui!».
 
«Adesso» disse con sguardo serio Neville, facendole capire che non avrebbe ammesso altre repliche. «Bene, avete cinque minuti e poi filate a lezione entrambi» aggiunse appena rimasti soli.
 
«Grazie, signore» disse Halley Hans. Frank si limitò ad annuire, ancora non comprendendo il comportamento del padre, che li lasciò da soli.
 
«Voglio davvero chiederti scusa» iniziò Halley. «Mi dispiace per come mi sono comportato in questi anni». Frank era sorpreso e non sapeva che cosa dire. Aveva passato due anni e mezzo d’inferno a causa sua, di Calliance e Granbell e ora tutto si stava risolvendo in quel modo. «Capisco che tu ce l’abbia con me. Ti prometto che non ti darò più fastidio in nessun modo… Mmm vabbè ora è meglio andare in classe».
 
«No, aspetta» lo fermò Frank. «Accetto le tue scuse».
 
«Grazie» replicò Halley e sembrava sollevato.
 
«Però adesso è meglio andare a lezione o faremo tardi».
 
I due ragazzini si affrettarono e raggiunsero l’aula di Storia della Magia proprio mentre suonava la campanella. Istintivamente
si sorrisero. Sotto lo sguardo benevolo della Dawson presero posto.
 
«Pretendo che mi racconti tutto per filo e per segno quello che ti ha detto» gli sibilò Roxi.
 
«Non c’è molto da dire. Mi ha chiesto scusa» replicò Frank, mentre la Dawson richiamava l’attenzione della classe per iniziare la lezione.
«E tu? Non mi dire che lo hai perdonato! Insomma dopo tutto quello che ti hanno fatto!».
 
«Ho accettato le sue scuse. Il perdono non lo so… è più complicato, no?».
 
«Ragazzi!» sbottò la professoressa.
 
A Frank dispiaceva perché era molto brava, ma anche troppo buona e tutti tendevano ad approfittarsene.
 
«Vi ho riportato la verifica sulle guerre dei giganti. Non mi pare che ci sia molto da ridere» sospirò. «È stato un disastro. Vorrei sapere perché non vi applicate per nulla. Mi avete chiesto di non assegnarvi troppi compiti e vi ho accontentati, ma proprio perché ve ne assegno pochi dovreste farli meglio, no? E, invece, voi non aprite nemmeno il manuale. Perché?» domandò dopo aver distribuito le verifiche. Naturalmente nessuno rispose. Roxi continuava imperterrita a imprecare contro Halley Hans e ogni tanto lanciava occhiatacce al compagno che si era seduto in fondo alla classe e appariva altrettanto distante con la mente. «Non dite nulla? E dire che eravate migliorati dall’inizio dell’anno!».
 
«Professoressa, è che quel giorno avevamo anche compito di Incantesimi e…» tentò Mabel Minchum di Tassorosso.
 
Frank si voltò verso Roxi e le disse: «Dai smettila. Non gli ho promesso amicizia eterna, ho solo accettato le sue scuse. Mi è sembrato giusto. Poi hai visto mio padre, non sembrava sorpreso».
 
Roxi sbuffò, ma non trovò nulla da ribattere e si mise a disegnare. «La Minchum poteva starsene zitta. La Shafiq fa verifiche un giorno sì e l’altro pure».
 
«Avreste potuto anche dirmelo» sospirò la professoressa. «Comunque recupererete con le interrogazioni, state tranquilli».
 
Erano tranquillissimi, era questo il problema pensò Frank. Mise da parte il suo compito dopo aver letto le correzioni ed essersi dato del cretino: aveva confuso due delle guerre dei giganti. Pazienza, era andato comunque bene. Aprì il manuale, mentre l’insegnante interrogava una Tassorosso. La sua attenzione, però, fu colta dal libro sulla storia celtica che gli aveva regalato il nonno. Quella mattina Halley l’aveva interrotto proprio sul più bello. Aveva trovato la Leggenda del Dodici, molto probabilmente la stessa di cui aveva parlato Virginia. Per un attimo fissò la sua migliore amica, tutta intenta a fare una caricatura della Minchum. Qualche giorno prima aveva provato a toccare anche lei le rune: era una dei Dodici. E Frank, nonostante si preoccupasse per lei, non poteva fare a meno di essere sollevato di averla al suo fianco anche in quel caso. Sapeva che non avrebbe dovuto leggere in quel momento, ma la tentazione era troppo forte. Doveva solo finire la storia. Era troppo importante per loro. Roxi gli lanciò un’occhiata maliziosa e gli prese il libro dalle mani. Frank la fissò interrogativo per un attimo senza capire. La ragazzina mise il libro aperto sotto il manuale di storia.
 
«Sì fa così. O vuoi leggerglielo davanti? Anche se sei il suo preferito rischi comunque un richiamo» disse Roxi alzando gli occhi al cielo e poi si rimise a disegnare come se nulla fosse, mentre la Dawson interrogava Halley Hans, per la gioia di Roxi e Gretel, e Alan Avery di Tassorosso.
 
«Roxi!» disse all’improvviso, appena conclusa la lettura.
 
«Abbassa la voce!» replicò ella sorpresa. «Che c’è?».
 
«Qui ci sono le risposte alle nostre domande!».
 
Roxi gli tirò una gomitata e lo costrinse a fare attenzione a quello che succedeva loro intorno. Halley e Alan avevano ripreso posto e la professoressa cercava di ottenere la loro attenzione.
 
«Allora ragazzi, prima che andiate, volevo dirvi che il Ministero ha indetto un concorso, aperto a tutti. L’obiettivo principale è la Cooperazione Internazionale. Il Torneo Tremaghi non va più bene e bisogna trovare un nuovo modo per mettere in contatto i giovani maghi. Vorrei che anche voi provaste a partecipare. Vi dò una settimana per presentarmi un progetto serio. Potete farlo anche in gruppo se lo desiderate». Alle sue parole il brusio in classe aumentò e la donna li congedò immediatamente al suono della campanella. Frank fece segno alle amiche di aspettarlo fuori. «Cosa c’è, Frank?» gli chiese la Dawson notandolo. «Dovresti andare a lezione».
 
«Sì, professoressa. Volevo chiedervi solo una cosa».
 
«Dimmi».
 
Frank si accostò alla cattedra. La Dawson non poteva definirsi una bellezza, tipo le modelle babbane che ogni tanto si vedevano nelle riviste o in televisione, ma aveva dei tratti fini e dolci, e soprattutto dei caldi occhi castani che mettevano subito a proprio agio. «Lei ha detto che le leggende hanno sempre un fondo di verità. Come si fa a capirlo? Insomma per i Babbani anche noi siamo solo fantasia. Per noi qual è il limite?».
La professoressa lo fissò vagamente perplessa. Un’altra sua caratteristica, o forse dei Tassorosso in generale, era la schiettezza e non era capace di celare i suoi sentimenti. «È una bella domanda la tua, Frank. Se vuoi una risposta dal punto di vista storico, l’unica soluzione è fare ricerca. Vagliare con attenzione tutte le fonti che si hanno a disposizione».
 
«E come si fa a cercare le fonti?».
 
«Nelle biblioteche e negli archivi per esempio. Dipende. Ci sono diversi modi. Devi tenere in considerazione anche il contesto storico in sé e per sé. Per esempio, se hai dubbi su un qualche avvenimento dell’ultima guerra, una buona fonte sarebbe quella di rivolgerti a tuo padre o uno dei suoi amici. La memoria è anche molto utile, naturalmente può essere fallace e un buono storico deve tenerlo in conto e non basarsi esclusivamente su di essa».
 
«E se si tratta di un periodo molto lontano?».
 
«Posso sapere perché questo improvviso interesse per la ricerca?» ribatté la professoressa, ora palesemente sorpresa.
 
«Ho letto una leggenda celtica e mi chiedo quanto ci sia di vero» spiegò, mostrandole il libro che ancora teneva in mano.
 
«Ah, quindi questo è il libro che prima leggevi con tanta attenzione? È molto prezioso. Di certo non lo vendono al Ghirigoro» disse la Dawson dopo averlo osservato e sfogliato. Frank alla sue parole era arrossito. La strategia di Roxi non aveva funzionato. «Mi scusi» iniziò, ma ella lo interruppe. «Anche io lo facevo spesso» disse con sorriso malinconico. «Spesso e volentieri. Non ti dico le ramanzine che mi beccavo! Tu hai avuto la professoressa Macklin, vero?».
 
«Sì, al primo anno».
 
«Quindi saprai benissimo come fosse terribile quando si arrabbiava, ma era più forte di me. Non ero molto brava quando si trattava di usare la magia e mi scoraggiavo facilmente dopo i primi inutili tentativi di eseguire un qualsiasi incantesimo e mi consolavo nei miei libri. A maggior ragione quando una materia non mi piaceva o mi annoiavo».
 
«Io non mi annoio… solo che stavate interrogando e volevo tanto conoscere la fine e…».
 
«Capisco» lo interruppe la professoressa. Il sorriso malinconico non aveva abbandonato il suo volto. «Non fa niente, però ti pregherei di non farlo in futuro. Chi non ti conosce potrebbe pensare che ti senti troppo superiore per degnare di attenzione i tuoi compagni che hanno più difficoltà».
 
«Io non…» tentò di dire Frank, ma ancora una volta non ebbe l’opportunità di concludere.
 
«Lo so. Ho detto chi non ti conosce, infatti. Ho avuto modo di notare quanto ti prodighi per aiutare i tuoi compagni, anche quando non dovresti» disse indicando eloquentemente le verifiche. Frank arrossì ancora di più, ma la professoressa non sembrava minimamente intenzionata a rimproverarlo. «Spesso gli adulti si dimenticano com’è essere bambini, ma per fortuna io non l’ho ancora fatto. Vorrei solo dirti che non devi aspettarti che tutti ricambieranno o si mostreranno grati nei tuoi confronti».
Frank rimase sorpreso alle sue ultime parole. La Dawson era diventata più seria. «Non sono sicuro di aver capito» mormorò perplesso. Che cosa voleva dirgli?
 
«Tu sei un ragazzo molto generoso, non voglio che ti illudi che siano tutti così. Molti di quelli che cerchi di aiutare, si gireranno dall’altra parte quando sarai tu a chiedere aiuto».
 
«Lo so. L’ho già imparato» mormorò Frank.
 
«Mi dispiace».
 
«Ho degli amici che mi vogliono bene».
 
«Lo so. Ho visto la premura di Roxanne nei tuoi confronti». Per un attimo scese un silenzio imbarazzato tra i due: Frank non si aspettava che la discussione avrebbe mai preso quella piega e la Dawson probabilmente attendeva da tempo di parlargli. «La prossima settimana andrò in biblioteca con i ragazzi del settimo anno, proprio per spiegarli come si compie una corretta ricerca storica. Se lo desideri, sarai il benvenuto». Frank sgranò gli occhi: lui fare lezione con quelli del settimo? «Per quanto riguarda, invece, la tu leggenda, questo è uno dei lavori migliori che sono stati scritti sulla storia celtica. Sono sicura che vi sia un ottimo commento, che risponderà alle tue domande. Basta che cerchi il capitolo relativo alla tribù di cui parla».
 
«Sono stato uno stupido a non pensarci da solo. Grazie, professoressa».
 
«Di niente, Frank. Mi raccomando, pensa alla mia proposta».
 
Il ragazzino annuì e raggiunse di corsa le amiche. Roxi e Gretel avevano origliato e quindi non li fecero alcuna domanda, ma gli lasciarono l’onere di trovare una giustificazione con suo padre quando entrarono nelle serre con più di dieci minuti di ritardo.
 
Alla fine delle lezioni non perse tempo e cercò tutti gli altri, costringendoli a riunirsi nella Stanza delle Necessità. «Si può sapere che Merlino vuoi?» sbottò Rose, contrariata per dover ritardare la cena.
 
«Ho letto la Leggenda dei Dodici di cui parlava Virginia» rispose sventolando il volume sotto i loro occhi e lasciò che la ragazza lo prendesse per sfogliarlo.
 
«Hai trovato qualcosa di utile?» chiese Albus serio.
 
«Sì. Ora vi leggo la leggenda» rispose Frank, mentre Virginia li restituiva il libro. «“Una leggenda a lungo tramandata dalle tribù celtiche è senz’altro quella delle rune che proteggevano i Cornonaci. Nota anche come Leggenda dei Dodici. I Cornonaci erano vissuti per secoli in pace e in armonia sia tra loro sia con le altre tribù. L’oscurità, però, iniziò a infiltrarsi tra loro. Dapprima alcune famiglie presero a scontrarsi e nacquero tensioni. Il problema principale è che molti pensavano sarebbe stato più conveniente sfruttare la natura. Il punto di rottura si ebbe quando ebbero motivo di entrare in conflitto con una tribù più vicina. Allora i Cornonaci conobbero la guerra e le armi. Niente fu come prima e la loro stessa sopravvivenza vicino al lago Loch A’an fu messa in dubbio. I saggi della comunità erano preoccupati per la strada che i loro giovani avevano intrapreso. Le guerre si erano moltiplicate e non erano più solo di difesa. Ai giovani piaceva la gloria e nemmeno il sangue che scorreva riusciva a fermarli. Allora gli anziani interrogarono gli spiriti della Natura per trovare un modo di salvare la tribù. Gli spiriti vaticinarono la nascita di una bambina, dai grandi poteri, che avrebbe salvato la comunità permettendole di sopravvivere ancora per molti secoli. Avrebbero distinto l’eletta per una sua capacità fuori dal comune, che si sarebbe mostrata fin dalla nascita. La cercarono per anni, poi finalmente una notte una donna diede alla luce una bambina. Lei e il giovane marito rimasero sgomenti di fronte alla figlioletta. L’allora capo della tribù fu convocato immediatamente nonostante la tarda ora e l’anziano comprese subito che era l’eletta: l’unico ciuffetto che aveva la bambina in testa cambiava colore. Gli anni trascorsero e il vecchio educò personalmente la bambina. Le insegnò a comprendere e ad ascoltare la Natura. La piccola Kyla crebbe e con lei i suoi poteri: imparò a modificare non solo il colore dei suoi capelli, ma anche i tratti del suo viso. L’anziano capo tribù in punto di morte la scelse come suo successore. Kyla, ancora giovane, si ritrovò ad affrontare la crisi sempre più palese. Tentò di allontanare i bambini dalle idee violente e bellicose dei genitori, guidandoli secondo i vecchi principi della comunità. Non sembrò funzionare. Solo pochi di loro la ascoltavano e la seguivano. Un giorno arrivò un viaggiatore, che si era perso, per poco riuscì a salvarlo dal linciaggio ingiusto cui gli uomini del villaggio volevano condannarlo. Nonostante i malumori, era lei che aveva il comando. Fece in modo che l’uomo fosse curato e lo accompagnò personalmente al villaggio più vicino. L’uomo gliene fu grato e le consegnò un libro. Le disse che proveniva dalla Grecia. Kyla lo lesse nei giorni a venire, rimuginando a lungo sulle parole di quel babbano, che il viaggiatore aveva chiamato Aristotele. Decise allora di mettere per inscritto quei valori che la comunità ormai aveva dimenticato: il rispetto per la propria famiglia, i propri simili e la Natura.
‘Kyla, Kyla’ la chiamò un giorno con foga il più giovane dei ragazzi. Gallen, era un ragazzino mansueto e buono. La donna, che ormai iniziava a essere avanti negli anni, gli sorrise benevola. ‘Cosa posso fare per te, ragazzo mio? ’. ‘Mio padre e gli altri uomini sono furiosi. Ormai il lago è quasi asciutto e non accenna a piovere’. ‘C’è poco d’arrabbiarsi’ replicò mesta Kyla. ‘La Natura ci sta punendo’. ‘Vogliono attaccare un villaggio e abbandonare per sempre questi boschi’ ribatté spaventato il ragazzino. Kyla sospirò. Erano anni che ne parlavano, ma dal volto di Gallen capì che stavolta facevano sul serio. ‘Kyla, devi fuggire’ disse, invece, con urgenza nella voce un ragazzo sui sedici anni, appena arrivato. ‘Mils, io non fuggo’. ‘Devi farlo. Gli uomini hanno deciso. Ti uccideranno e prenderanno il potere! ’. Kyla sospirò e guardò i due ragazzi. ‘E sia. Nessuno di voi è costretto a rimanere con questi bruti. Mi troverete ai piedi della montagna stanotte. Avrete il tempo di decidere e chi vorrà potrà raggiungermi’. Il clamore fuori dalla sua capanna aumentò notevolmente e sul volto dei due ragazzi si dipinse la paura. Kyla sorrise e con un ultimo cenno del capo, ruotò su sé stessa e sparì. Riapparve in una vecchia baita, perfettamente attrezzata. Lo sapeva che sarebbe accaduto prima o poi. Si mise al lavoro. Quella notte lasciò la baita solo con un sacchetto attaccato alla cintura della veste. Non si sorprese nel vedere dodici ragazzi raggiungerla poco prima di mezzanotte. ‘Kyla, nessun altro ha voluto seguirci’. ‘Non avevo dubbi. Aspettavo ognuno di voi. Ho un dono per voi’ replicò ella prendendo il sacchetto. ‘Vi ricordate che vi ho parlato delle virtù? La nostra comunità dovrebbe fondarsi su di esse. Finalmente ho capito quale sia il mio compito e come salvare i Cornonaci. Sopravvivremo grazie a voi. Gli uomini del villaggio hanno molte più armi di quelle che noi conosciamo. Appena domani li attaccheranno, i nostri uomini moriranno. Saremo gli unici superstiti. Ho un dono per ognuno di voi. Arthur, tieni, sol rappresenta la Giustizia. Quando non ci sarò più sarai tu a guidare i tuoi compagni’. Il giovane prese la placchetta di terracotta che la donna gli porgeva, su di essa era incisa proprio la runa sol. Intanto Kyla continuò a distribuire le rune ai ragazzi. ‘Reid. La prudenza non è paura, ma indica buon senso, discrezione. Corin, sarai un ottimo e saggio consigliere per Arthur. Mils, o mio focoso guerriero, in te nessun altra dote risplende più del coraggio. Tieni wird. Mi raccomando si forte, aiuta Arthur a difendere i tuoi compagni e non ti far trascinare troppo della tua impulsività. Gaia, a te la runa che rappresenta la temperanza, il tuo compito è quello di equilibrare i caratteri dei tuoi compagni e mantenere l’armonia. Alderan, il mio sapiente, saprai sempre suggerire ai tuoi compagni come agire secondo ragione. Ecco Madr. Gallen, piccolo mio, a te tocca tyr. La mansuetudine è l’ira buona. Anche tu sarai un’ottima guida morale per la futura comunità’. Così quella notte Kyla distribuì il suo ultimo e più prezioso dono ai suoi pupilli. Quelle virtù, appena citate, insieme alla magnificenza, liberalità saggezza, arte, fortezza e magnanimità avrebbero salvato i Cornonaci per molti altri secoli. Perché Kyla aveva capito che non bastava il volere di un unico capo tribù, ma l’unione di tutte le virtù per vivere armoniosamente. I Dodici quella sera le promisero che avrebbero seguito sempre i suoi insegnamenti e così fecero. Per secoli le rune furono tramandate ai più degni della comunità”». Frank terminò la lettura e alzò gli occhi sugli amici. Ora erano loro i Dodici e il loro compito era riportare l’armonia nel loro mondo. Ma come? Gli altri erano senza parole, anche Rose era silenziosa per una volta. Li osservò uno per uno: Scorpius era pallido e si rigirava tra le mani la sua runa; Albus era pallido e stanco; James aveva un’espressione dura; Dorcas si limitava a tacere, lisciandosi i capelli con nervosismo; Brian teneva le gambe strette al petto e lo fissava in attesa, forse di qualche spiegazione; Virginia aveva le braccia incrociate al petto e rifletteva; Roxi stava disegnando e sentendo il suo sguardo, ricambiò e gli mostrò la pergamena dove dodici figure erano sedute in circolo su un prato, alcune avevano un volto chiaro e definito, il loro, altre non ne avevano.
 
«Chi sono gli altri?» chiese indicando questi ultimi. Nessuno seppe risponderle. «Allora diamoci da fare, no? Dobbia essere in Dodici! Al, non avevi detto qualcosa sul numero dodici?».
 
Suo cugino si riscosse e annuì: «Rappresenta la saggezza».
 
«Allora diamoci da fare» suggerì la ragazzina.
 
«James, sai che significa quello che ha appena letto Frank?» chiese Virginia a sorpresa.
 
«In che senso?» replicò James scrutandola.
 
«Sei tu il capo. Tocca a te guidarci».
 
«Cosa?» sbottò il ragazzo.
 
«Frank, rileggi il passo» invitò Virginia.
 
«Arthur, tieni, sol rappresenta la Giustizia. Quando non ci sarò più sarai tu a guidare i tuoi compagni’. Il giovane prese la placchetta di terracotta che la donna gli porgeva, su di essa era incisa proprio la runa sol. Virginia, ha ragione. Sei tu il capo, Jamie».
 
*
 
«Secondo voi, domani Williams interrogherà?» chiese preoccupato Drew mettendo da parte un lungo tema di Trasfigurazione e prendendo il manuale di Difesa.
 
«Non lo sappiamo, Drew. Ma Brian potrebbe sempre andare a chiederglielo. In fondo è pur sempre il suo padrino» rispose Annika.
 
«Sì, certo. Molto divertente. Potete scordarvelo» borbottò il ragazzino, senza alzare gli occhi della pergamena su cui stava scrivendo. «Piuttosto datemi una mano con Pozioni o diventerò matto».
 
«Ciao».
 
Tutti e quattro riconobbero la voce e fissarono di scatto la ragazzina che si era avvicinata al loro tavolo.
 
«Rosier, è possibile che tu sia così stupida da non capire che la tua presenza non è gradita?» disse irritata Annika.
 
«Dai, Annika smettila» le disse Louis. «Pauline, vuoi sederti con noi?».
 
«Allora io me ne vado» sbottò Annika alzandosi, ignorò i richiami di Drew e Brian e si affrettò verso l’uscita della biblioteca.
 
«Ti ho portato un regalo, Lou. Per ringraziarti del tuo aiuto. Grazie a te i miei voti sono migliorati tantissimo» disse la ragazzina, per nulla turbata dalla reazione di Annika, e gli porse un pacchetto.
 
«Non dovevi, Pauline. Io ti aiuto con piacere!» disse Louis. «Grazie» aggiunse educatamente scartando il pacchetto. Drew e Brian avevano abbandonato i compiti e lo osservavano curiosi. «Oh, una sciarpa» sorrise Louis.
 
«È dei Cannoni di Chudley. Hai detto che ti piacciono».
Brian non fece in tempo a pensare che forse si era sbagliato a giudicare la Serpeverde, che accade l’impensabile. Louis strinse la sciarpa tra le mani e dopo pochi secondi sparì sotto i loro occhi. Drew aveva la bocca aperta e fissava il punto dove fino a pochi secondi prima c’era Louis. Pauline scappò sotto i loro occhi trasecolati, scontrandosi con Annika che era tornata indietro. «Ho dimenticato il borsellino. Dov’è Lou? Che avete?».
 
«È-è sparito» mormorò Drew. «Dobbiamo chiamare aiuto».
 
«Cosa?» chiese Annika, che non riusciva a capire.
 
Brian scattò senza nemmeno risponderle. Suo padre e Maxi gli avevano detto chiaramente che Rosier era uno dei più vicini alla Signora Oscura e non erano sicuri di potersi fidare della figlia. Avevano ragione e lui l’aveva detto a Louis. Non aspettò che il panico lo invadesse e corse verso lo studio di Maxi. Con il cuore che batteva a mille scoprì che non era lì. Allora decise di andare in Sala Professori e, ignorando i Gargoyle, entrò con foga. Pessima idea. La Sala era affollatissima e tutti i presenti si voltarono verso di lui. Aveva interrotto una riunione.
 
«Signor Carter, spero che abbia una buona motivazione per il suo comportamento» tuonò la Preside.
 
Per un attimo il ragazzino si intimorì e non ebbe il coraggio di parlare. Non erano presenti solo gli insegnanti, ma anche altre persone che non conosceva.
 
«Brian, che hai?» gli chiese gentilmente il professor Paciock. Voltandosi verso di lui, colse l’occhiataccia di Maxi. Si avvicinò ai due che erano seduti vicini.
«L-Louis è s-sparito» disse con voce tremante.
 
*
 
«Jonathan, sbrigati! O Sawyer ci beccherà! Che stai facendo? Non è il momento di contemplare la luna! Non sapevo che fossi così romantico!» disse Alex Dolohov.
 
Il ragazzo, però, non la stava ascoltando. I suoi occhi erano fissi sulla luna piena. Si sentì gelare e un brivido gli percorse tutto il corpo. Un dolore fin troppo famigliare lo costrinse a piegarsi in due.
 
«Che hai? Mi fai spaventare!» disse Alex, chinandosi su di lui. Jonathan la respinse con forza, facendola cadere. «Ma sei impazzito? Che ti ho fatto?».
 
Non la sentiva più! Non riusciva più a pensare! Stava perdendo il controllo di sé e non sapeva che fare. Era stato un incosciente!
 
«Oh, Merlino».
 
Alex si voltò verso il professor Williams, sembrava sconvolto. Non l’aveva mai visto in quel modo. L’uomo senza far caso alle sue parole, fece bere di forza una pozione a Jonathan mentre questi si trasformava. Era diventato un lupo, ma grazie alla pozione si accasciò subito a terra. Come se dormisse. La ragazza era terrorrizzata e non si era accorta di star tremando. Furono raggiunti da Peter Lux. Il professore e il guaritore portarono il ragazzo in infermeria, adagiandolo su un letto che poi nascosero con un paravento. Solo allora Williams si volse verso di lei furioso. «Siete impazziti?!» sibilò, ma Alex non se ne curò. Aveva appena scoperto che il suo unico vero amico era un lupo mannaro.
 
*
 
«Jack, per favore vieni un attimo in camera mia?» chiese Samuel Vance dopo averlo buttato giù dal letto. Era da poco passata la mezzanotte.
 
«Che succede?» chiese assonnato.
 
«Non riusciamo a calmare Arthur. Non smette di piangere. Ti prego, dacci una mano».
 
Jack si alzò subito e seguì il ragazzino, anche se non aveva la minima idea di come consolare un dodicenne il cui cugino era appena stato rapito. La stanza dei ragazzi del secondo anno era illuminata sommessamente e tutti stavano intorno ad Arthur nella speranza di calmarlo. Si voltarono verso di lui quando entrò e gli fecero spazio perché potesse avvicinarsi al letto del ragazzino.
 
«Ehi, perché piangi? Se hanno rapito Louis è per uno scopo ben preciso. Non gli faranno del male». Non subito almeno aggiunse mentalmente, ma non ritenne opportuno dirlo ad alta voce.
 
«D-davvero?» chiese fermando per un attimo i singhiozzi. Arthur aveva il viso arrossato e gli occhi rossi di pianto. La sua espressione era disperata. In quel momento capì quanto i Weasley fossero uniti e provò un po’ di invidia. Forse sarebbe stato meglio chiamare Mcmillan, avrebbe senz’altro trovato un modo per tranquillizzare il ragazzino e magari avrebbe potuto dargli una pozione calmante. «Sì, sennò non l’avrebbero fatto. Tu zio Harry ha sguinzagliato i suoi uomini migliori. E sapevano che l’avrebbe fatto».
 
Arthur si mise seduto e tirò sul con il naso. «E ora?».
 
«Ora aspettiamo. Gli Auror faranno il loro dovere» disse, sperando che sarebbe stato così. Se avessero potuto prendere la Selwyn, l’avrebbero fatto già da un bel pezzo.
 
«Mi sento inutile» mormorò il ragazzino.
 
«Inutile? Tu sei il nostro Cercatore! Il migliore che Tassorosso abbia avuto dai tempi di Cedric Diggory!» disse nel tentativo di tirarlo su. Gli altri ragazzini gli diedero manforte. «Insomma c’è chi nasce per fare l’Auror, chi, invece, per essere un Campione di Quidditch. Pensa quanto sarebbe contento Louis se vincessimo la Coppa. Beauxbatons è stata stracciata da Durmstrang. Prendi il boccino contro i Francesi e noi vinciamo».
 
Tempo dopo rimettendosi a letto, era più tranquillo per averlo calmato, ma per quanto? Se i giorni fossero passati senza buone notizie Arthur e la sua famiglia avrebbero sofferto molto.
 
*
 
«Guardate, una piccola e innocente Tassorosso».
 
Dorcas si tirò indietro di istinto di fronte al Serpeverde più grande.
 
«Non la riconosci? È la figlia dell’Auror» ribatté un altro.
 
La ragazzina squadrò i due ragazzi con panico crescente. Non ebbe difficoltà a riconoscerli: Norris Avery e Augustus Roockwood, entrambi del sesto anno.
 
«Oh, sì. Hai anche un viso carino» disse Avery ridendo come un cretino. Dorcas si scostò con forza ed evitò che le sfiorasse la guancia con la mano. «Lasciami in pace!» sbottò, tentando di trovare un modo per uscire da quella brutta situazione.
 
«Non vuoi giocare con noi? Tutte le tue stupide compagne pagherebbero per stare con uno di noi» aggiunse Roockwood trattenendola per un braccio.
 
«Evidentemente hanno bisogno tutte di una visita oculistica allora» disse una voce piena di scherno che tutti e tre riconobbero all’istante. Il cuore di Dorcas prese a battere con più forza, anche se non sapeva se per paura o per sollievo. L’avrebbe aiutata? «Avanti, Roockwood la signorina non apprezza la tua compagnia mi pare ovvio».
 
«Non mi pare che siano affari tuoi, Steeval» ribatté il ragazzo. Finì a malapena la frase che fu spinto lontano da Dorcas.
 
«Allora, non ci siamo capiti. Vi dò tre secondi per sparire».
 
«Se no?» chiese in tono provocatorio Avery. Steeval si era messo tra Dorcas e i due compagni di Casa. La ragazzina lo vide estrarre la bacchetta e puntarla su di loro.
 
«Siete degli sciocchi! Non dovreste attirare l’attenzione su di voi!».
 
«Sta tranquillo, Steeval. Ce ne andiamo» disse conciliante Roockwood.
 
Dorcas non riusciva a credere che Jesse Steeval l’avesse davvero protetta.
 
«Perché non giri con i tuoi amichetti?» le chiese brusco.
 
«Dovevo prendere un libro in Sala Comune» rispose colpita dal suo tono di rimprovero.
 
«Vedi di non girare da sola, nemmeno di giorno».
 
«Grazie» replicò ella, quando Jesse le aveva già voltato le spalle.
 
«Ora siamo pari. Ai Serpeverde non piace avere debiti».
 
Dorcas sospirò osservandolo andar via. Perché il cuore continuava a batterle forte?
 
*
 
La stanza era buia e impiegò parecchio tempo ad abituarsi, senza contare che era ancora stordito. Man mano, però, iniziò a ricordarsi tutto quello che era accaduto prima di perdere conoscenza. Fece per alzarsi ma se ne pentì subito: la caviglia gli faceva male. Riprovò più lentamente e si guardò intorno. Il panico lo sopraffece. Non era stato un incubo. Pauline, la sciarpa-passaporta, gli uomini con la maschera argentata in un giardino fangoso, un cupo e antico castello. Sentì il fiato mancargli. Non era a Hogwarts. Era lontano dalla sua famiglia. In un luogo buio e lui odiava il buio. Da un’alta e stretta finestra penetrava una luce debole e suffusa. Era notte, non c’erano dubbi o meglio era vicina l’alba. Aveva dormito per diverse ore. La stanza assomigliava terribilmente alla cella di una prigione. Una porta metallica era l’unica altra via di uscita. La cella era completamente spoglia se non per un ammasso di coperte in un angolo. Si rese conto di quanto fosse freddo e umido l’ambiente: il suo corpo era tutto intirizzito. Quelle coperte, però, sembravano sporche e non le avrebbe toccate. Ragionare teneva lontano il panico, ma sentiva che stava per cedere. Si costrinse a pensare ai suoi genitori e ai suoi zii. Che cosa avrebbero fatto loro? Zio Harry, zio Ron e zia Hermione erano stati prigionieri in un maniero ed erano riusciti a scappare grazie all’aiuto di un elfo domestico. Ma lui avrebbe potuto chiamarne uno? Quelli di Hogwarts non li conosceva. In casa sua non ce n’erano. L’unico in famiglia ad avere un elfo domestico era lo zio Percy, ma gli era stato insegnato a rispondere al richiamo solo dei due adulti di casa. Figuriamoci se sarebbe mai corso da lui! Un singhiozzo gli scappò, ma ancora una volta tentò di dominarsi. Si osservò: indossava ancora la divisa, ma le tasca erano vuote. Si morse un labbro mentre tentava di ricordare bene gli eventi della sera prima. La bacchetta l’aveva riposta nello zaino, mentre faceva i compiti in biblioteca. D’altronde chi avrebbe mai dovuto attaccarlo a Scuola? Ripensando a quante volte Annika, Drew e Brian l’avevano messo in guardia da Pauline si sentì stupido e cedette sedendosi sul freddo pavimento di pietra, lasciando libero sfogo alle sue lacrime.
 
«Non piangere non serve a niente» disse una voce roca e debole.   
 
Sobbalzò e scattò in piedi allontanandosi il più possibile dall’ammasso di coperte che si era mosso.
 
«Stammi lontano» mormorò terrorizzato tra le lacrime.
 
Il proprietario della voce, però, si tolse le coperte di dosso e si alzò da terra fissandolo. Era un uomo molto anziano, con una barba bianca, lunga e sporca; la peluria più folta sopra il labbro indicava che una volta aveva avuto dei baffi. Il volto era scavato, sporco e sofferente, ma come il corpo indicava che l’uomo era dimagrito molto velocemente e all’improvviso. «Guarda che non voglio farti del male. Chi sei?» chiese l’uomo. «Sembri un bambino! Da quanto buttano qui dentro i bambini?».
 
«M-mi c-chiamo Louis Weasley». Si pentì subito della sua sincerità vedendo un guizzo negli occhi del vecchio. Che stupido, avrebbe dovuto mentire sulla sua identità! O no?
 
«Un Weasley? Non mi sorprende che tu sia qui allora. Di chi sei figlio? Percy Weasley, l’ex vice Primo Ministro?».
 
«N-no. Mio padre è William Weasley» rispose Louis, non capiva perché, ma l’uomo cominciava a non fargli più tanta paura. Si era seduto a terra e lo fissava con sguardo perso. Un occhio era gonfio e il ragazzino comprese che non doveva vederci molto e per farlo sforzava l’altro.
 
«Prendi una coperta. Qui dentro fa sempre freddo» cantilenò il vecchio.
 
«È sporca» protestò, ma si sentì profondamente sciocco e viziato nel dirlo. Il vecchio stesso sorrise amaramente. «Accontentati». Louis prese la coperta e si sedette vicino, ma non troppo, al vecchio.
 
«Tuo padre non lavora al Ministero. Cosa vogliono da te?» chiese l’uomo, ma sembrava che stesse parlando con sé stesso e non si aspettava certo una risposta dal ragazzino.
«Lei chi è signore?» si azzardò a chiedere dopo un po’ Louis. La famosa regola ‘Non parlare con gli estranei’ non valeva là dentro si disse. Inoltre l’uomo sembrava conoscere suo padre. Insomma per quanto avesse fatto parte dell’Ordine della Fenice e combattuto nell’ultima battaglia, non aveva minimamente la stessa notorietà degli zii.
 
«Oh, mi chiamo Horace Lumacorno».
 
Quel nome a Louis suonò famigliare. Doveva l’aveva già sentito? «Perché l’hanno rapita?» chiese allora, tanto per parlare. Il silenzio là dentro era terribile, anche se per fortuna stava albeggiando e iniziava a penetrare più luce. Doveva essere coraggioso, così avrebbe potuto raccontarlo a Domi e Valentin. E se non fosse più uscito di lì? La paura gli strinse lo stomaco e pensò di essere sul punto di avere una crisi di panico, ma le parole di Lumacorno lo bloccarono.
 
«Volevano che io creassi per loro la Pietra Filosofale. Come se io conoscessi gli studi di Nicolas Flamel!» disse per poi scoppiare in una risata folle che fece rabbrividire Louis.
 
Era solo colpa sua se si trovava in quel guaio.
 
 

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Capitolo 29
*** La tela di Penelope ***


Capitolo ventinovesimo
 
La tela di Penelope
 
Impiegò qualche minuto ad abituarsi alla luce della stanza, ma molto meno a capire di essere in infermeria. Si sentiva debole e spossato, come se avesse compiuto chissà quale sforzo. Qualcuno scostò il paravento che lo separava dagli altri letti e come se avesse premuto il pulsante del remake, tutto quello che era accaduto quella notte gli tornò in mente: le caccabombe nell’aula di Aritmanzia, le risate con Alex, la fuga nei corridoi per non farsi beccare da Sawyer e infine la luna. Poi il vuoto. Aveva fatto del male a qualcuno? «Ho ferito qualcuno?» mormorò debolmente. Il suo tono era fioco, ma l’uomo che lo fissava con una boccetta in mano con sguardo di fuoco, lo sentì.
 
«No. Fortunatamente il professor Williams è arrivato in tempo e ti ha somministrato la Pozione Antilupo».
 
Jonathan tirò un sospirò di sollievo e bevve la pozione ricostituente senza fare obiezioni. Lo fece sentire immediatamente meglio. «Mi dispiace, papà» disse, prima che fosse lui a dire qualunque cosa.
 
«Ti dispiace?!» tuonò Anthony Goldstain. «Hai quindici anni, Jonathan! Fai una cazzata del genere e dici ‘mi dispiace’?! Non sei più un bambino!».
 
Perfetto, era furioso. Neanche a Natale si era arrabbiato tanto, eppure si era beccato una predica terribile per il comportamento che aveva tenuto a Scuola fino ad allora e per il profitto che era disastroso.
 
«Jonathan!».
 
I due si voltarono proprio mentre Rose, Alex, Scorpius, Albus, Cassy e Dorcas facevano capolino da dietro la tenda.
 
«Tieni, tirati su» disse Rose, tirandogli una cioccorana con la sua solita grazia.
 
«Grazie» replicò il ragazzo e prima che il padre potesse impedirglielo scartò la cioccolata e se la mise in bocca intera. Anthony lo guardò male, ma si rivolse agli altri ragazzi.
 
«Voi non dovreste essere qui. Tra poco iniziano le lezioni!».
 
«Volevamo solo accertarci che Jonathan stesse bene, signor Goldstain» rispose Albus, prima che sua cugina, Cassy o Alex se ne uscissero con qualche rispostaccia.
 
«È molto gentile da parte vostra. Vi lascio cinque minuti da soli, allora. Poi voi dovrete andare a lezione e Jonathan deve riposare».
 
«Grazie, signore» disse Albus, tirando una gomitata a Rose che fremeva vicino a lui. Appena il Guaritore si allontanò lei e Alex saltarono sul letto del compagno.
 
«Allora? Alex, ci ha detto che sei stato male stanotte. Per caso devi dirci qualcosa?» chiese Rose.
 
«Rosie! Lascialo in pace! Ti ho detto un milione di volte che quando si sentirà pronto ci parlerà di quello che vuole» sibilò Albus.
 
«Lui non ha ancora provato le rune. Quanto vuoi aspettare?» replicò ostinata la cugina.
 
«V-voi c-cosa s-sa-sapete?».
 
«Da quand’è che balbetti?» gli chiese Scorpius. «Sappiamo l’essenziale. Rose, l’ha capito da un sacco di tempo e noi abbiamo dovuto darle ragione dopo un po’».
 
«Il fatto che io non sia la prima della Scuola come mia madre o una Corvonero non significa che io sia stupida» dichiarò Rose.
 
«Ma sei insensibile e senza tatto! E voi non dovreste darle corda!» sbottò irritato Albus.
 
«Lascia stare, Albus. Non volevo mentirvi, ma…» iniziò Jonathan senza sapere come continuare.
 
«Avevi paura che avremmo iniziato a evitarti?» chiese dolcemente Dorcas.
 
«Non avete paura di me?». Non aveva neanche finito di parlare che Rose gli aveva tirato un pugno sulla spalla. Gemette. «Ma che cavolo?!».
 
«Rose!» dissero in coro Albus e Dorcas. Scorpius fissava divertito Jonathan. «Amico, sarai anche un Corvonero ma dovresti sapere che non bisogna mai accusare Rose di avere paura di qualcosa. Io l’ho imparato al primo anno, dopo che mi ha messo la testa dentro un gabinetto. Ti assicuro che ti è andata bene».
 
Gli altri risero. O almeno tutti tranne Rose. «Se hai il coraggio, ripeti».
 
«No, no. Pietà» borbottò Jonathan suscitando altre risatine. «Volevo dire… insomma, non vi faccio tipo… schifo?».
 
«Vediamo» intervenne Cassy. «Io sono la più schizzinosa di tutti qui. E non mi sembra che tu puzzi o sei ricoperto di qualche sostanza gelatinosa o qualcosa di simile. Quindi direi che no, non fai schifo».
 
«Sì, ma…» cominciò Jonathan.
 
«Jonathan, non ce ne frega niente che sei un lupo mannaro. Inoltre l’avevamo capito già da un po’. Siamo tuoi amici. Come puoi pensare che vogliamo abbandonarti? Ti ricordi chi è il papà di Teddy, vero?» lo interruppe Albus.
 
Jonathan per un attimo pensò di ribattere, ma poi capì che erano sinceri ed erano lì per lui e disse solo «Grazie».
 
«Non diremo nulla a nessuno, tranquillo. Lo farai solo se vorrai» disse con un sorriso Dorcas.
 
«Tempo scaduto, ragazzi. Tornerete più tardi» li interruppe il signor Goldstain. Tutti obbedirono e salutarono l’amico. L’ultima fu Dorcas che lo abbracciò. Jonathan sorrise al gesto di affetto dell’amica. Si volse verso suo padre e vide che sorrideva anche lui.
 
«Sei molto arrabbiato?» buttò lì tanto per tastare il terreno.
 
Anthony sbuffò e lo fissò serio. «Sì, ma ne riparleremo con calma. Ora dormi. La Pozione Antilupo debilita molto, soprattutto un corpo giovane e fragile come il tuo. Io devo andare al San Mungo, ma non ti preoccupare, faremo i conti».
 
E chi si preoccupa pensò ironico Jonathan, ma comunque si sentiva molto più leggero sapendo che i suoi amici non l’avrebbero allontanato e la felicità che percepì non avrebbe potuto scalfirla neanche la predica più pesante del padre.
 
 *
 
«Così mi fai male» si lamentò Louis, mentre un Neomangiamorte lo trascinava fuori dalla cella. Dietro di loro un altro faceva altrettanto con Lumacorno.
 
«Secondo te mi interessa, ragazzino?» rispose l’uomo.
 
Louis tentò di seguire il suo passo, ma quello era molto più grande e grosso di lui e spesso lo trascinava.
 
«Dove ci state portando?» chiese Lumacorno.
 
«Zitto, vecchio. Non hai diritto di fare domande. Strano come si ribaltano le cose, vero Gervaise?»
 
«Già, una volta era lui a fare domande» rispose l’altro ridendo stolidamente. Louis si appuntò mentalmente il nome, avrebbe dovuto raccontare ogni cosa allo zio Harry, una volta uscito di lì. Doveva farcela.
«Eccovi arrivati. La Signora Oscura vi aspetta. Comportatevi bene o raccoglieremo i vostri resti» disse quello che ancora teneva Louis per la collottola.
 
«Se ne restano» rise sguaiatamente l’altro.
 
Louis fu spinto dentro da Gervaise. La stanza era uno studio elegante con una vasta libreria, che immediatamente lo colpì. Doveva contenere libri antichissimi. Rimase a bocca aperta. Lumacorno gli toccò il braccio richiamando la sua attenzione su ciò che accadeva intorno a lui. Oltre a loro c’erano una donna alta, con il volto chiarissimo e i capelli lunghi e neri. Sicuramente Bellatrix Selwyn. Stava seduta su una poltrona e sorseggiava lentamente un bicchierino di un liquido rossastro, probabilmente vino elfico. Louis sentì un brivido lungo la schiena. Sembrava un’abile giocatrice di scacchi, pronta a compiere la sua prossima mossa. L’unico problema è che le pedine erano loro.
 
«Buongiorno. Spero che tu abbia gradito la mia ospitalità Louis Weasley» esordì rivolgendosi direttamente a lui. Il ragazzino sentì le gambe tremare e non si mosse. «Che c’è, un topo ti ha mangiato la lingua?» insisté, facendo ridacchiare l’uomo accanto a lei. La donna sorrise a sua volta, ma era un sorriso privo di calore e di reale divertimento.
 
«Rispondi alla Signora» ordinò l’uomo ritornando serio. «O ti costringerò a farlo». Nel dirlo estrasse la bacchetta. Louis si sentì mancare l’aria. Che gli avrebbe fatto?
 
«Suvvia, Thomas. È pur sempre l’amichetto di tua figlia. Usiamo le buone maniere». Le sue parole colpirono con forza Louis, che percepì le lacrime premere per uscire e si diede dell’ingenuo per la milionesima volta in poche ore. «Stai tranquillo, avrai modo di ambientarti. Come avrai capito, ho bisogno che tu mi faccia un favore. Io e Thomas ti conosciamo a sufficienza, ma credo sia il caso di fare le presentazioni con l’altro nostro ospite» aggiunse alzandosi con grazia e avvicinandosi a loro in poche falcate.
«Professor Lumacorno, le presento Louis Weasley, allievo di Hogwarts, primo anno, Corvonero. Le assicuro che l’avrebbe voluto nella sua collezione. Ha un intelligenza superiore alla norma. È il primo della classe in tutte le discipline ed è quasi riuscito a realizzare la pietra filosofale con l’aiuto di compagni senz’altro più mediocri, che hanno vanificato il suo impegno. Peccato che i professori di Hogwarts continuino a ostacolare il talento dei propri alunni. Ernie Mcmillan non può tollerare che il piccolo Louis, neanche dodicenne, sia di gran lunga migliore di lui. Le assicuro professore, che Hogwarts non vedeva un giovane così talentuoso dai tempi di Albus Silente». Louis era impietrito sotto lo sguardo ardente della donna, che sembrava saper tutto di lui, anche cose che lui stesso non sapeva; inoltre percepiva sulla nuca gli occhi del mago più anziano. Non gli era sfuggito che non avesse alcuna stima né per i professori di Hogwarts né per Lumacorno. Era evidente dal tono sprezzante che aveva usato per il titolo professore. «Louis Weasley, ti presento Horace Lumacorno, ex-professore di Hogwarts, Direttore di Serpeverde e insegnante di Pozioni. Un caro amico di Albus Silente. Un uomo senza spina dorsale, che ha gettato fango sulla Casa di Salazar Serpeverde!» continuò alterandosi sempre di più man mano che parlava. Louis sentì il professore fremere accanto a lui.
 
«Siete voi che avete gettato fango sulla Casa di Salazar!» ribatté il mago, sorprendendo Louis.
 
«Crucio!».
Il ragazzino osservò a occhi sgranati il professore contorcersi, ma senza emettere un solo lamento.
 
«Almeno hai ancora un minimo di orgoglio vecchio!» tuonò la Signora Oscura, mettendo fine alla tortura. Louis istintivamente si abbassò per aiutarlo ad alzarsi e poi l’anziano con difficoltà si appoggiò a lui. Quante volte l’avevano torturato e perché? La donna rise, una risata vuota e cattiva che faceva paura. «Oh, che carino! Siamo sicuri che sei un Corvonero e non un mollaccione Tassorosso? No, piccolo, ascolta il mio consiglio. Allontanati da queste gente. Come ha reagito Williams quando siete stati scoperti a lavorare sulla pietra? Come Mcmillan? Hai finito di scontare la tua punizione? Sono tutti invidiosi e vogliono impedirti di percorrere la strada della grandezza che ti tocca di diritto! Aiutami, ti assicuro che avrai un posto d’onore nel mio esercito. D’altronde sei un Purosangue, no? Potrai lavar via l’onta che ricopre da anni la tua famiglia!». Fece un attimo di pausa e quando riprese la sua voce era di nuovo atona, priva della passione precedente: «Thomas vi mostrerà il laboratorio. Questa volta non ci sarà un’inetta Nata Babbana a farti da assistente, ma Horace Lumacorno. Non ho molta pazienza, quindi mi aspetto presto dei risultati. Chiaro?».
 
«Annika non è inetta!» fu l’unica cosa che riuscì a dire.
 
La donna fece un sorrisetto ironico e poi fece un cenno a Thomas Rosier, che prese il ragazzino per un braccio.
 
«Lumacorno, seguici. Non fare scherzi, perché ci rimetterà il ragazzino». Rosier li accompagno fino a un piccolo laboratorio, che però, a prima vista era provvisto di ogni necessario per compiere un processo alchemico. Louis ne fu affascinato, nonostante la situazione: vi erano strumenti che aveva visto solo sui libri.
«Ti piace?» gli chiese Thomas Rosier.
 
«Sì, signore» rispose Louis a malincuore.
 
«Se passerai dalla nostra parte, potrai usarlo quando vorrai» disse Rosier. «Buon lavoro».
 
«Se tornerò a casa, abbondonerò Pozioni dopo i G.U.F.O.» si ripromise Louis, appena il Neomangiamorte li lasciò soli. Lumacorno continuava a fissarlo con curiosità.
 
*
 
«James» sussurrò Benedetta.
 
«Ti prego, lasciami in pace. Non ho voglia di seguire. Se ne farà una ragione anche Finch-Fletchley».
 
«Sì, ma non Paciock». James la fissò senza capire. «Jamie, ti sei dimenticato il colloquio per l’orientamento professionale?».
 
«Oh, cavolo!» sbottò il ragazzo sgranando gli occhi.
 
«Benedetta, non potevi lasciarlo dormire?» chiese Finch-Fletchley dalla cattedra. Benedetta arrossì, mentre la classe scoppiava a ridere.
 
«No, signore. Ho dimenticato il colloquio per l’orientamento!» disse James saltando in piedi.
 
«Allora vai, almeno renderai più fruttuosa quest’ora» sospirò il professore indicandogli la porta.
James non se lo fece ripetere due volte e corse fuori dall’aula. Erano trascorsi ben cinque giorni da quando Louis era stato rapito. Dormiva male, era costantemente preoccupato e stava poco attento. Naturalmente con altri insegnanti, per esempio Mcmillan, la Shafiq o Williams, non si sarebbe mai permesso di dormire sul banco; ma proprio a babbanologia non resisteva e stranamente recuperava un po’ di sonno. Bussò alla porta dell’ufficio di zio Neville ed entrò.
 
«Pensavo che non saresti più venuto. Negli ultimi giorni hai preso la brutta abitudine di saltare gli impegni».
 
Il ragazzo incassò il rimprovero senza ribattere: nei giorni immediatamente successivi al rapimento aveva saltato quasi tutte le lezioni, come se sentisse dentro di sé di poter far qualcosa. La sensazione di perder tempo in aula non l’aveva abbandonato, ma aveva ricominciato a seguire le lezioni. Non che avesse scelta. In più sapeva di non poter far nulla questa volta. Non sapevano dove si trovasse il cuginetto in quel momento e se l’avessero saputo suo padre l’avrebbe già riportato a casa.
 
«Mi dispiace, mi ero dimenticato. Me l’ha ricordato adesso Benedetta» ammise con sincerità. L’ultima cosa che voleva era discutere con lo zio. Si sedette, un gesto stanco che Neville lesse come tale e come una resa. James aveva un’anima guerriera, e gli veniva difficile non poter far nulla.
 
«Jamie, vedrai che andrà tutto bene».
 
«Ti prego, non mi prendere in giro. Lo sappiamo entrambi che quelli non hanno scrupoli» ribatté James amaramente. Neville sospirò e sistemò distrattamente alcune pergamene sulla scrivania, tanto per prendere tempo.
«Non ti abbattere. Tenta di essere positivo. Hai visto come sta Dominique. Ha bisogno del vostro aiuto. Bill e Fleur le avevano proposto di tornare a casa per qualche giorno, ma lei non ha voluto. Conta sul supporto di voi cugini e di Matthew, a casa dovrebbe essere lei la forte per i suoi genitori e Vic».
 
«Vic è distrutta. Me l’ha detto Teddy. Torna da lei ogni sera. È preoccupato anche per il bambino. Zio, ma perché? Perché Louis? Non riesco a capirlo!».
 
«Ne hai parlato con il professor Williams?».
 
«No. Ultimamente gli allenamenti sono il mio unico sfogo e non parlo molto quando sono con lui».
 
«Pensiamo che vogliano che Louis realizzi la pietra filosofale».
 
«È quello che hanno detto i suoi compagni! Non volevo crederci! Quella Rosier, io la…».
 
«Tu niente! È più piccola di te. E poi il professor Williams e la professoressa Shafiq hanno già dovuto affrontare uno scontro tra Corvonero e Serpeverde del primo anno. Un comportamento inaudito!».
 
«La Rosier si merita qualunque cosa le abbiano fatto!» borbottò James, ma Neville lo ignorò e cambiò argomento.
 
«Allora sei sempre convinto di voler fare l’Auror?».
 
«E me lo chiedi?».
 
«Beh, allora devi metterti a studiare seriamente. Hai bisogno dei G.U.F.O. in Difesa, Pozioni, Trasfigurazione, Incantesimi ed Erbologia. Temo che l’unica materia in cui sei a posto al momento è Difesa. Hai una A risicata con Teddy e lui ammette ai corsi M.A.G.O. solo chi ha preso almeno O. In Incantesimi sei tra A e O, ma ti servirà una E. Sono sicuro che se ti applichi ce la farai senza troppe difficoltà. Pozioni hai A. Il professor Mcmillan mi ha spiegato che le tue pozioni valgono O od E di solito, ma poi gli consegni dei temi fatti letteralmente a caso e questo ti abbassa la media. Perché James?».
 
«Perché mi secco di scrivere» rispose James sinceramente, beccandosi un’occhiataccia da Neville.
 
«Mi sembra un pessima giustificazione».
 
«È solo la verità. Comunque mi impegnerò d’ora in avanti».
 
«Lo spero bene. Jamie, con me hai D. Te lo dico di cuore: fatti aiutare da Benedetta oppure vieni da me, ma recupera o non supererai i G.U.F.O. nella mia materia. Accetto solo i ragazzi che hanno preso almeno O».
 
«Va bene, non ti preoccupare».
 
James attese gli amici in Sala Comune e rimuginò sul colloquio avuto con lo zio. Poteva farcela, non era messo così male. A parte Erbologia. Aveva rassicurato più volte lo zio sul fatto che avrebbe studiato e soprattutto l’aveva pregato di non scrivere ai suoi genitori. Decisamente avevano ben altro cui pensare. Per fortuna Neville la pensava allo stesso modo e gli aveva assicurato che non avrebbe chiamato in causa Ginny e Harry se lui si fosse messo realmente a studiare. Quando Benedetta, Robert e Demetra arrivarono lo trovarono con tutti i libri davanti.
 
«Ci dobbiamo preoccupare?» chiese Robert circospetto.
 
«No. Ho solo deciso che devo prendere un buon G.U.F.O. Le materie in cui posso essere bocciato sono solo Divinazione, Storia della Magia e Astronomia. Nelle altre devo prendere almeno O. Con esclusione, naturalmente, di Difesa e Incantesimi. Per ovvi motivi in queste devo prendere E». Gli amici lo fissavano intensamente.
 
«Vuoi che chiamiamo Peter?» domandò Demetra.
 
«Perfetto» disse, invece, Robert. «E se non riesci dovrai offrirci la cena a tutti e tre in uno dei ristoranti più lussuosi di Londra».
 
«Ci sto» disse James con un gran sorriso, stringendogli la mano come a suggellare il patto. Il messaggio di Robert era chiaro: “Ce la farai”. Sapevano entrambi che con la sua paghetta non avrebbe potuto pagare neanche per sé stesso e sicuramente i suoi non gli sarebbero venuti incontro in quel caso. «Bene, mia zia faceva dei programmi pazzeschi in previsione degli esami. Vi va se le mando un gufo? Per certe cose trova sempre tempo». Benedetta e Robert acconsentirono immediatamente, Demetra si dileguò con una scusa.
 
«Allora cosa volete fare da grandi?» chiese Benedetta, mentre James scriveva alla zia Hermione. In realtà conosceva già la risposta e non si stupì quando in coro i due ragazzi risposero: «L’Auror». Percepì comunque una stretta allo stomaco: paura. Non voleva che li accadesse qualcosa.
 
«E tu?» le chiese Robert. James sorrise. Ne avevano parlato insieme qualche giorno prima.
 
«Mi piacerebbe insegnare ai bambini».
 
«Maghi o Babbani?» chiese ancora Robert.
 
«È indifferente».
 
James si alzò e le diede un bacio sulla guancia, facendola arrossire. «Andiamo, facciamo un salto in Guferia e poi corriamo a cenare. Ho fame».
 
*
 
«Dorcas, aspetta un attimo».
 
La ragazzina non poté far a meno di fermarsi sotto gli occhi sorpresi dei suoi amici.
 
«Non posso. Ho lezione, non vorrei far tardi».
 
«Un minuto solo» insisté il ragazzo.
 
«Va bene» acconsentì la ragazzina.
 
«Cosa?! No! Con Steeval non ci rimani sola!» sbottò Scorpius, cercando il sostegno degli altri.
 
«Sa difendersi da sola!» ribatté irritata Rose.
 
«Facciamo così, ti aspettiamo sulle scale» intervenne Albus conciliante. Rose era arrabbiata e solo lui e Cassy sapevano il perché. «Da lì, Scorpius, potremo vedere se Steeval si comporta bene».
 
E così fecero.
 
«Allora?» chiese Dorcas titubante.
 
«Ho visto come mi guardi in questi giorni».
 
Dorcas arrossì furiosamente e tentò di mentire: «Io non ti guardo, che ti passa per la testa?».
 
«Invece sì! Te lo leggo negli occhi che vuoi sapere che ruolo ho io nel rapimento di Louis Weasley. Ti giuro, che non sapevo nulla. La Signora Oscura non mi sta più contattando. Vuol essere sicura che io non mi sia tirato indietro e aspetterà l’estate per verificarlo. Credimi, non ho nessuna colpa in questo caso».
 
La ragazzina non seppe come replicare. Non si aspettava che si giustificasse con lei.
 
«Ti credo» rispose sorprendendo Jesse e sé stessa. Perché? Come faceva a saperlo? Nessuno dei suoi amici gli avrebbe creduto al suo posto. E Al e Rose stavano soffrendo un sacco.
 
*
Jonathan trattenne a stento uno sbadiglio e si sforzò di non addormentarsi, ma gli occhi li si chiudevano da soli e le parole sulla pergamena sbiadivano e non avevano alcun senso.
 
«Jonathan». La voce di Williams lo fece sobbalzare, proprio mentre rischiava di cedere al sonno per l’ennesima volta. «Va’ a letto, forza. È tardi, non me n’ero accorto». Il ragazzo trattenne un sospiro di sollievo, fece per mettere al posto le pergamene frettolosamente, ma sotto il cipiglio ammonitore dell’insegnante si risolse a farlo per bene. «Lascia stare. Me ne occupo io. Prendi la bacchetta».
 
Jonathan si riprese la bacchetta e la mise in tasca distrattamente. «Grazie, signore» mormorò, trattenendo un nuovo sbadiglio.
 
«Buonanotte» si limitò a ribattere l’uomo.
 
Jonathan abbandonò la classe, sbadigliò e affrettò il passo. Non vedeva l’ora di raggiungere il suo letto. Erano stati giorni frenetici e iniziava ad accusare particolarmente la fatica. Il rapimento di Louis aveva scosso tutta la Casa, ma lui si sentiva particolarmente in colpa perché non era in grado di consolare Al, che, invece, aveva sempre fatto tanto per lui. I suoi amici erano stati fantastici, non avevano più accennato a quanto accaduto una volta che Peter l’aveva dimesso. In realtà sarebbe dovuto rimanere ancora un giorno almeno in infermieria, ma aveva insistito così tanto che il giovane medimago aveva ceduto ma prima di accontentarlo aveva chiesto il permesso a suo padre. D’altronde, poverino, poteva capire la sua posizione: Anthony Goldstain non era solo il primario del San Mungo e suo ex-insegnante, ma in più a lui era stato affidato in qualità di tirocinante. Non poteva permettersi errori o colpi di testa, che avrebbero potuto mandare all’aria tanti anni di studio. Comunque suo padre aveva acconsentito. Per fortuna. Sentiva la necessità di rimettere ordine nella sua vita, dopo il caos in cui egli stesso si era buttato a capofitto da mesi.
Rose, prima di essere, come sempre, ripresa da Albus, aveva reso palese che era curiosa di sapere come fosse diventato un lupo mannaro e Jonathan era consapevole di dover almeno questo ai suoi amici, ma ancora non se l’era sentita.
 
«Vieni con noi!».
 
Jonathan, dopo un attimo di paura e sorpresa, si lasciò trascinare in aula vuota. Aveva riconosciuto la voce autoritaria e prepotente di Rose e la stretta di Scorpius, decisamente molto più muscoloso di Al.
 
«Che c’è?» chiese sorpreso. Di sicuro non erano lì per costringerlo a rivelare la sua storia. Insomma un rapimento e un interrogatorio sarebbero stati plausibili con Rose, ma Scorp non gli avrebbe fatto questo per quanto potesse essere curioso anche lui.
 
«Niente, dobbiamo solo capire se tu sei uno dei Dodici o meno» spiegò tranquillamente Rose, ponendo le tre rune rimaste sulla cattedra e fissandolo eloquentemente.
 
«E perché in piena notte?» replicò cercando un filo logico.
 
«Perché di giorno ci sono troppi occhi indiscreti. Prima di Natale è sparito il libro di Aritmanzia Avanzata dalla biblioteca e Bennett ancora non l’ha trovato. Inoltre è sparito anche un testo di storia celtica, che Virginia aveva visto, e che conteneva la leggenda dei Dodici. Decisamente ci stanno con il fiato sul collo e noi neanche li vediamo» ribatté Scorpius.
 
«Com’è possibile?».
 
«Ti muovi?» lo esortò Rose. «Credo che stavolta ti sia cacciato abbastanza nei guai da solo, senza aggiungere altre punizioni a quelle che hai già».
 
Jonathan fece una smorfia e non commentò. Aveva ragione: Williams l’aveva punito per una settimana, affermando che non stava né in cielo né in terra che si dimenticasse di essere un lupo mannaro; inoltre suo padre gli aveva vietato le future gite a Hogsmeade di quell’anno, oltre che togliergli la paghetta finché non avesse visto i risultati degli esami finali, che dovevano essere più che decenti. E tutti e due avevano insistito sul fatto che aveva quindici e che se non voleva essere trattato come un bambino, doveva mostrare la maturità richiesta ai suoi quindici anni. Obbedì e sotto gli occhi attenti degli amici toccò le rune e si immobilizzò quando una di esse si scaldò al suo tocco. Chiuse gli occhi per un attimo e poi li riaprì fissando con intensità la runa come se potesse rivelargli il segreto del loro destino.
 
«È Jara» disse a beneficio degli altri due che non studiavano Antiche Rune.
 
«La saggezza. Sei il Dodicesimo. Il punto di equilibrio del gruppo» disse serio Scorpius.
 
«Cosa?».
 
«Ho sentito Al e Virginia che ne parlavano» spiegò il Serpeverde.
 
Saggezza? Quello sì che era uno scherzo del destino, considerato il comportamento dissennato che aveva tenuto fino a qualche giorno prima. Conosceva quella runa, però, e sapeva con certezza che non avrebbe potuto essere abbinata a un’altra virtù. Indicava una graduale maturazione. Non dovevano compiere l’errore di seguire idee stereotipate delle virtù. La saggezza per loro aveva il volto vecchio e barbuto di uno come Albus Silente per dirne una, ma nessuno nasce saggio. Bisogna diventarlo. E con questa nuova, e allo stesso tempo antica, consapevolezza Jonathan fissò gli amici con sguardo determinato. Si sarebbe meritato quel posto tra i Dodici.
 
*
 
«Annika, ora basta! Non puoi continuare così!» decise di imporsi Drew, ma si beccò uno schiaffo dall’amica, che sembrava tutto fuorché in grado di ragionare.
 
«Drew, non è il caso. Rischiamo di peggiorare la situazione» mormorò Brian. «Facciamo quello che dobbiamo fare. Non importa se lei si rifiuta. Basta che Maxi non lo sappia».
 
«E qui che ti sbagli, Carter» disse una voce sarcastica, prevenendo la risposta di Drew. «Noi glielo diremo».
 
«Zender…» iniziò Drew, ma le parole gli morirono in gola. Annika si era alzata da terra, dove si era seduta per protesta e si era lanciata contro il Serpeverde tirandogli un pugno dritto sul naso. I due Corvonero rimasero impietriti a fissare il sangue che usciva dal naso.
 
«Me la pagherai, sporcamezzosangue!» strillò Zender, stringendosi le mani sul naso, mentre Edison Anderson si gettava su Annika. La ragazzina lo evitò e sembrava pronta a duellare alla babbana con lui. Sul suo volto si leggeva solo rabbia. Brian e Drew tentarono di mettersi in mezzo.
 
«Smettetela! O finiremo in guai più grossi!» disse Brian temendo che Maxi spuntasse da un momento all’altro per controllarli, ma quando Anderson lo colpì allo stomaco gemette e si piegò in due per il dolore.
Drew reagì di conseguenza spingendo il Serpeverde contro un banco, che cadde alle sue spalle. Il rumore improvviso li fece spaventare tutti. Probabilmente per un attimo si ricordarono dove erano, ma non servì a molto. Anderson si sollevò da terra e si scagliò contro Drew, mentre Annika lo tirava per un braccio. Zender continuava a strillare un po’ per il dolore al naso, un po’ per sostenere l’amico, che non aveva il coraggio di aiutare. Di certo il naso non glielo impediva. Pauline Rosier fissava tutti a distanza di sicurezza senza muovere un dito a favore di una delle due fazioni. Anderson, decisamente più forte, riuscì a bloccare le braccia ad Annika dietro la schiena. «Ora ti faccio vedere io, sporcamezzosangue!» strillò, ma che cosa esattamente avrebbe voluto farle non lo seppero mai. Il ragazzino si immobilizzò sul posto e sul suo volto si dipinse una smorfia spaventata. Per un attimo Brian pensò che Annika avesse qualche asso nella manica, ma sollevando gli occhi verso la porta si rese conto che non era così.
 
«Non so quale sia il tuo nome, ma libera immediatamente la tua compagna!» disse severamente una donna alta e slanciata. Aveva il fisico di un’atleta, o almeno di chi lo era stato in passato. Anderson obbedì all’istante, ma con sorpresa di tutti Annika ne approfittò per colpirgli il ginocchio. «E ringrazia che non abbia mirato ai gioielli di famiglia!» soffiò. Sembrava un gatto ferito. E un po’ feriti erano tutti si disse Brian e non fisicamente. Il rapimento di Louis aveva fatto loro molto male. Annika, a differenza loro, faceva letteralmente esplodere i suoi sentimenti. E quello era il risultato.
«Signorina!» la richiamò la donna, agguantandola per un braccio, ma la ragazzina aveva momentaneamente raggiunto il suo obiettivo e non mosse più un dito. Aveva un’espressione imbronciata e distante. Era sempre così, quando non cedeva alla rabbia, dal momento in cui aveva accettato la sparizione di Louis e né Brian né Drew erano in grado di aiutarla. Forse perché anche loro stavano soffrendo, anche se in modo diverso.
«Perché non siete nel vostro dormitorio?» chiese, ignorando le lamentele di Zender. Probabilmente riteneva che il suo naso non fosse grave, o comunque non quanto il fatto che si stessero azzuffando.
 
Brian oscillò la spatola di metallo e mormorò, attirando l’attenzione della professoressa, perché, per quanto non conoscesse il suo nome, era sicuro di averla vista al tavolo dei professori, su di lui: «Dovremmo scontare una punizione». Il cipiglio della donna divenne più marcato e severo.
 
«E nel frattempo vi azzuffate?» chiese freddamente.
 
«Zender ha chiamato Annika mezzosangue!» intervenne Drew, tentando di salvare il salvabile, ma Brian sapeva che era inutile: si erano spinti troppo oltre.
 
«Prima mi ha tirato un pugno! Ha iniziato lei!» ribatté prontamente Zender, con la voce un po’ nasale. Drew, Anderson e lo stesso Zender iniziarono a gridare uno sull’altro per far valere la propria versione. Brian comprese dall’espressione sempre più cupa e severa della donna, che erano in un mare di guai e stavano solo peggiorando la situazione.
 
«Fate silenzio!» ordinò infatti. «Il vostro comportamento è inaudito! Avverto immediatamente i vostri Direttori, così decideranno che cosa fare con voi!». La professoressa evocò due Patronus, che presero direzioni diverse. Il silenzio scese definitivamente sull’aula.
 
«Che hanno fatto?» chiese a bruciapelo Maxi Williams entrando in aula. Aveva la mascella contratta e gli occhi mandavano fulmini. Era furioso. Brian non l’aveva mai visto così arrabbiato. Istintivamente indietreggiò. La professoressa gli raccontò quanto era accaduto e Maxi si arrabbiò ancora di più se possibile. «Siamo al arrivati al punto che non vi posso lasciare soli cinque minuti!?» tuonò.
 
«Io non c’entro nulla, professore». Brian sconcertato fissò Pauline Rosier. Con che coraggio? «Tutto sommato continuo a credere di non aver meritato neanche questa punizione».
 
Questo fu troppo per Annika che urlò: «Sei una schifosa vigliacca! È colpa tua se Louis potrebbe… potrebbe…». Non concluse la frase, Brian e Drew la videro sgranare gli occhi come presa da un’improvvisa consapevolezza. Smise anche di scalciare e ribellarsi alla stretta di Williams, che le aveva impedito di attaccare l’altra ragazzina.
 
«Annika, ora hai veramente esagerato! Dovrei sospenderti!» sbottò Williams.
 
La ragazzina, però, approfittò del fatto che avesse allentato la stretta e si liberò. «E lo faccia, allora. Senza Louis non ha più senso! Non voglio stare con certa gente!». Nel dirlo scoppiò a piangere e scappò via prima che uno degli insegnanti potesse riacciuffarla. Brian e Drew fecero per seguirla, ma Williams si rivolse a loro duramente: «Non vi azzardate a muovervi da qui!».
I due ragazzini non ebbero il coraggio di disobbedirgli.
 
«Brian, Drew mettetevi a lavoro! Non andrete a letto finché non avrete tolto le cicche sotto i banchi di tutte le aule di questo piano!». I due lo fissarono a bocca aperta, ma compresero immediatamente che non stava scherzando e si affrettarono a obbedire. «Quanto a voi altri, fuori di qua. Si occuperà di voi la professoressa Shafiq. Non ho la minima intenzione di aver a che fare anche con voi! Ah, voi» disse rivolto di nuovo ai suoi Corvonero, «potete scordarvi la finale del Torneo di Quidditch visto che non siete in grado di stare civilmente insieme agli altri compagni».
 
«Sono Serpeverde» non riuscì a trattenersi Drew. Williams lo incenerì con gli occhi e si volse alla collega: «Per favore, Alicia, puoi dare un’occhiata ai ragazzi? Voglio sincerarmi che Annika stia bene e poi supervisionerò la punizione personalmente». La donna acconsentì, e dopo aver spiegato quanto avvenuto anche alla Shafiq, che era arrivata nel frattempo, si sedette alla cattedra. Brian e Drew, comunque, non avevano la minima intenzione di creare ulteriori disordini.
 
«Sono preoccupato per Annika» sussurrò, però, Drew pulendo il banco accanto a quello di Brian.
 
«Ora, starà meglio. Aveva bisogno di piangere» replicò Brian. Lo sapeva per esperienza. Dopodiché lavorarono in silenzio e di buona lena per non dare altri motivi alla professoressa per rimproverarli.
 
*
 
«Perché? Stai tornando indietro! E sono sicuro che nei sei consapevole» sussurrò Lumacorno con la paura che uno dei Neomangiamorte di guardia dietro la porta del laboratorio lo sentisse.
 
«Quando terminerò il lavoro, non li serviremo più e ci uccideranno. Sto tentando di prendere tempo. I Neomangiamorte non capiscono nulla di Pozioni, quindi non comprenderanno che sto giocando con le temperature e di fatto mercurio e zolfo sono tornati quasi allo stadio originario. Domani ricominceremo daccapo. E così finché non sarà la Signora Oscura in persona a controllare il lavoro. Lei capirà immediatamente e allora dovremmo completare il lavoro seriamente».
 
«Sei un genio» sussurrò stupefatto Lumacorno, scrutando la chioma bionda del ragazzino come se sotto tutti i capelli potesse vederne il cervello e scorgerne i segreti.
 
«Non è una mia idea».
 
«E di chi?» domandò sempre più sorpreso l’anziano professore.
 
«Oh, della regina di Itaca» rispose Louis come se nulla fosse.
 
Angolo autrice:
Ciao a tutti! Ecco un nuovo capitolo, spero che lo troverete di vostro gradimento e ben scritto. Fatemi sapere ;-) Le critiche, se costruttive, non solo sono utili ma anche ben accette ;-)
In questo capitolo succedono due cose fondamentali: finalmente conosciamo la Signora Oscura ed è stato trovato un altro componente dei Dodici. Senza contare che i ragazzi si sentono spiati e seguiti in ogni loro mossa (Scorpius è stato chiaro in questo senso). Inoltre si vede la reazione di alcuni dei ragazzi di fronte al rapimento di Louis: Annika è l’esempio migliore, ma naturalmente ognuno reagisce in modo diverso. Qui è lasciato sottinteso (e si capisce dalle parole di Neville e dalla nuova lite tra Serpeverde e Corvonero), ma subito dopo la sparizione di Louis, Annika aveva già attaccato Pauline Rosier ritenendola fin da subito l’unica responsabile.
Vi auguro una buona serata,
Carme93
 

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Capitolo 30
*** Un bambino fuori dal normale ***


Capitolo trentesimo
 
Un bambino fuori dal normale
 
 
«James, concentrati!» lo rimproverò il professor Williams.
 
«Non ci riesco! Ci provi lei!» sbottò il ragazzo, ma distolse subito gli occhi alla sua occhiata severa. «Scusi, signore» si affrettò ad aggiungere.
 
«Se non ti concentri, possiamo finire qui. Non ha senso continuare».
 
James non replicò immediatamente, ma si prese qualche secondo per raccogliere le idee. Era a malapena un’ora che si esercitava con l’Incanto Patronus, ma senza alcun successo. Era il tipo a cui piaceva raggiungere subito i suoi obiettivi, quindi già il fatto di non esserci riuscito lo innervosiva. In più era sempre teso in quei giorni e non riusciva a star tranquillo. Tra i G.U.F.O. sempre più vicini (da come ne parlavano gli insegnanti sembrava che avrebbero dovuto affrontarli il giorno seguente e non fra due mesi) e la mancanza di notizie di Louis l’avevano reso cupo e nervoso. Scattava per un non nulla, proprio come aveva fatto pochi secondi prima. Peccato che professori come la Shafiq non avevano la stesse pazienza di Williams. O meglio nemmeno quest’ultimo era troppo paziente, ma ormai aveva imparato a conoscere le sue reazioni e non le prendeva più semplicemente come maleducazione, per quanto non le approvasse.
 
«Vorrei riprovare, signore» disse.
 
Williams annuì. «Una volta sola. Poi è meglio che tu vada a riposare».
 
«Sì, signore».
 
«Mi raccomando: cerca di visualizzare un ricordo veramente felice. Non qualcosa di banale».
 
James si concentrò e chiuse gli occhi alla ricerca del ricordo giusto. Il rimprovero del professore non era stato fuori luogo: stupidamente aveva rievocato ricordi sì felici ma anche estremamente superficiali. Impiegò qualche minuto per trovare il ricordo che gli suscitasse il giusto calore e si diede del cretino per non averci pensato all’istante. Aprì gli occhi di scatto e strinse la bacchetta con determinazione. «Exspecto Patronum!» pronunciò mentre l’immagine di Benedetta sotto il vischio diveniva sempre nitida. Una nebbiolina argentea fuoriuscì dalla sua bacchetta, ma con sua grande delusione non prese alcuna forma e in pochissimi secondi si dissolse.
 
«Perché?».
 
«Magari la prossima volta non smettere di concentrarti e non restare a bocca aperta» sbuffò Williams contrariato. «Vattene, a letto».
 
James fece per obbedire, poi si ricordò della promessa che i compagni gli avevano strappato. «Professore, potrei chiederle una cosa? A nome dei miei compagni di classe, ma anche di altri anni?».
 
Williams si accigliò, ma annuì.
 
Il ragazzo non aveva alcuna speranza che il professore avrebbe acconsentito, ma aveva promesso. Maledetta la sua linguaccia! «Non c’è alcun modo per convincerla a riaprire il Club dei Duellanti?».
 
«No. Ed è inutile che insisti. Non cambierò idea e soprattutto la Preside non ne vuole più sentire parlare. Buonanotte, James» rispose Williams in tono terribilmente definitivo.
 
*
 
 
 
«Sono due settimane che stai lavorando a questa pozione. Dovresti essere già a buon punto» sibilò Bellatrix Selwyn. La sua voce tremò per l’ira a stento repressa. «Credi di poterti prenderti gioco di me, ragazzino?».
 
Louis tremò nel sentire la bacchetta premergli sul collo.
 
«Ha commesso un errore e abbiamo dovuto ricominciare daccapo» lo difese Lumacorno.
 
«Zitto, vecchio. Nessuno ti ha dato il permesso di parlare!» intervenne Thomas Rosier colpendolo con un manrovescio.
 
«Sei ridicolo, Horace Lumacorno» infierì Bellatrix colpendolo con il tacco della sua scarpa. «Non illuderti, piccolo Corvonero. Quest’uomo ti difende solo in grazia del cognome che porti. In caso contrario si preoccuperebbe solo della sua pelle. Ha sempre agito a convenienza. Schifoso, ipocrita. Prima baciava le sottane di Albus Silente e poi quelle di Minerva McGranitt».
 
«Bello, il tuo Ordine di Merlino» rincarò Rosier.
 
«Ora ti insegnerò a obbedirmi prontamente» sussurrò Bellatrix all’orecchio di Louis. Il ragazzino rabbrividì sentendo la sua voce fredda e crudele. Rosier mise un piede sul petto di Lumacorno ancora a terra, con il chiaro intento di non farlo muovere.
 
«Crucio!» sibilò Bellatrix con cattiveria.
 
Louis urlò come mai aveva fatto in vita sua. Gli sembrò che migliaia di aghi infuocati li penetrassero nella pelle e le ossa andare in frantumi. Non si rese neanche conto che la donna aveva smesso di torturarlo, anzi quasi non seppe spiegarsi come era arrivato a terra tanto la sua mente era annebbiata dal dolore. Respirando appena, focalizzò a malapena il pavimento polveroso su cui era caduto. Non era minimamente riuscito a sopportare il dolore come il primo giorno aveva fatto il professore di Pozioni.
 
«Thomas, falli portare nelle segrete. Sono sicura che domani Louis sarà molto più collaborativo».
 
«Sì, mia signora».
 
Louis non oppose la minima resistenza. Non ne aveva la forza. Quando uno dei mercemaghi lo riportò in cella, era già svenuto.
 
*
 
«Ciao, papà» disse timidamente Frank. Non era mai un buon segno essere convocato dal proprio Direttore, secondo alcuni suoi compagni; tuttavia sapeva perfettamente perché il padre l’aveva chiamato. E ciò non lo tranquillizzava di certo.
Neville, comunque, non sembrava arrabbiato quando alzò lo sguardo su di lui.
 
«Ciao, Frank. Tutto ok?» chiese.
 
Se c’era una cosa che Frank odiava era mentire, ma ancor di più al padre. «Sono stanco» ammise allora.
 
«Vedo» replicò palesemente preoccupato Neville.
«D’altronde si stanno avvicinando gli esami finali e sono consapevole che vi chiediamo sempre di più».
 
Frank annuì, ma non disse nulla.
 
«Frank, che cosa c’è? Sei preoccupato per qualcosa? Lo sai, che con me puoi parlare».
 
Il ragazzino annuì.
 
«E allora perché non mi hai detto nulla di Pozioni? Ha dovuto parlarmene il professor Mcmillan».
 
Frank considerò che non lo stava rimproverando e ancora una volta ringraziò il cielo di avere un padre così. Era più preoccupato del fatto che lui non se l’era sentita di raccontarglielo. Chinò il capo, mentre i ricordi delle ultime due settimane li ricadevano sulle spalle. Avrebbe preferito che il padre fosse arrabbiato. Pozioni non era l’unica cosa che gli aveva nascosto. L’aveva evitato apposta per non mentirgli, ma adesso era arrivato il momento della verità e si disse che era stato stupido a non dirgli una cosa alla volta.
 
«Non è solo quello» borbottò.
 
«Prego?».
 
Alzò il viso e notò lo sguardo perplesso del padre.
 
«Non ti ho nascosto solo i votacci in Pozioni. Ho fatto un disastro in Astronomia e Difesa. Sono calato in Trasfigurazione e Teddy mi ha rimproverato più volte per la mia distrazione. Mi sono dimenticato di consegnare i compiti di Antiche Rune e sono arrivato in ritardo alla lezione di Incantesimi…».
 
«Altro?» chiese Neville sorpreso.
 
«Ehm hai corretto l’ultimo tema?».
«No» sospirò Neville. «Perché?».
 
«L’ho un po’ raffazzonato».
 
Neville si alzò e si avvicinò a lui. «Che succede, Frank? C’è qualcosa che ti turba? Non è da te tutto ciò. Perché non me ne hai parlato prima e hai aspettato che ti chiamassi io?».
 
Il ragazzino si fissò le mani, non sapendo da dove iniziare. «Non sono turbato» disse alla fine. «Al contrario, è un periodo fantastico». Esaltante, sarebbe stato ancora più appropriato. Suo padre corrugò la fronte. «Mi prendi in giro?».
 
«No. Io… Non hai parlato con la professoressa Dawson ultimamente?» domandò alla fine.
 
«Io e la professoressa Dawson non parliamo molto. Ci conosciamo a malapena da qualche mese. Che avrebbe dovuto dirmi? Hai problemi anche in Storia della Magia?».
 
«Ho il massimo dei voti in Storia della Magia. La professoressa mi ha permesso addirittura di seguire delle lezioni extra in biblioteca con i ragazzi del settimo anno. È stato molto interessante. Ci ha spiegato come fare una ricerca storica. Mi sono trovato tanto bene che mi ha proposto di seguire alcune lezioni con quelli del settimo» disse Frank, sussurrando l’ultima parte.
 
«Cosa? Hai fatto lezione con quelli del settimo anno?».
 
Suo padre non sembrava molto felice. «La professoressa è contenta, perché mi sono mostrato all’altezza degli altri ragazzi. Mi sono impegnato molto» aggiunse in fretta. Perché non era felice per lui? Avrebbe dovuto esserne fiero!
 
«Quanto tempo hai impiegato per essere allo stesso livello di ragazzi che hanno quasi quattro anni di istruzione più di te?» chiese seccato Neville.
 
Frank si fissò i piedi a disagio: suo padre era arrivato dritto al punto e non aveva sbagliato.
 
«Frank! Per Merlino, che cosa credi di dover affrontare i M.A.G.O. in Storia della Magia quest’anno?».
 
«La professoressa dice che ne sarei capace» bofonchiò in un vano tentativo di difesa. Aveva trascurato le altre materie.
 
«La professoressa lo sa che rischi di non superare gli altri esami studiando solo Storia?».
 
«No! Papà ti prego non le dire nulla! Mi vergognerei troppo!».
 
«Questo lo decido io. Non avrebbe dovuto prendere certe decisioni senza avvertire me che sono il Direttore di Grifondoro».
 
«Papà, ti prego! Recupererò tutto! Non le dire nulla!».
 
«D’ora in poi seguirai solo le lezioni del terzo anno! È chiaro?».
 
«Sì, certo ma…».
 
«Quale ma, Frank?».
 
«Il prossimo fine settimana a Hogsmeade la professoressa presenterà ai ragazzi del settimo anno Jeremy Edwards, un insegnante dell’Accademia di Studi Storici di Londra. Ti prego, posso andarci?».
 
Neville sembrò rifletterci per un attimo. «Vedremo. Voglio che recuperi Pozioni e le altre materie, e che riprendi a fare in compiti come si deve. Rifarai il tema che ti ho assegnato l’ultima volta. Naturalmente prenderai il voto che ti meriti con quello che già mi hai consegnato. Se non lo farai, niente Hogsmeade questa volta».
 
Frank lo fissò sorpreso, ma poi annuì e chinò il capo. Aveva ragione lui. Suo padre gli prese il volto tra le mani e lo costrinse a guardarlo. «Odio essere severo con voi, lo sai vero? So che adori la storia, ma ogni cosa al suo tempo, va bene?».
 
«Sì, papà» sospirò, poi lo abbracciò di slancio cercando conforto per una situazione in cui si era ficcato da solo.
 
*
«Lily» sussurrò palesemente spaventata Gabriella.
 
«Che c’è?» chiese la ragazzina che procedeva con gli occhi incollati a una rivista di Quidditch.
 
«Credo che abbiamo un problema» replicò Alice.
 
«Direi più di uno» commentò Elisabeth.
 
Lily chiuse la rivista e tentò di capire. Un gruppo di Serpeverde le aveva circondate. S’irritò e sbottò: «Sono loro ad avere un problema. Nessuno si mette contro le Malandrine» sbottò. «Che diavolo volete?» aggiunse poi rivolta ai Serpeverde.
 
«Vendicarci. Tu padre ha arrestato il mio. Se ne pentirà» disse Vincent Goyle.
 
«Questa sì che è bella! E sarai tu a fallo pentire?» ribatté Lily estraendo la bacchetta.
 
«Naturalmente, siete in grado di attaccarci solo quando siete di più! Vigliacchi!» rincarò Alice.
 
Le Malandrine riconobbero solo Goyle e i suoi compari, Moran e Mcnair. Gli altri erano più grandi o più piccoli.
 
«Goyle, non sei in grado di affrontarmi da solo?» lo provocò Lily.
 
«Vuoi un duello tra maghi?» rispose a tono Goyle.
 
«Non ho certo paura di te».
 
«Bene, allora il mio secondo è Mcnair».
 
«Non adesso, però. Ora vogliamo divertirci anche noi» intervenne un ragazzino biondo. Lily costatò che doveva essere del primo anno.
Le ragazzine non poterono dire chi aveva iniziato a lanciare incantesimi, ma loro non si tirarono indietro. Non era facile: erano il doppio di loro e Gabriella, terrorizzata, in un primo momento non aveva reagito. Lily disarmò Goyle e gli saltò addosso, compendolo con un destro sul naso.
 
«Stupeficium! Lily, per Merlino, guardati le spalle» la richiamò Alice.
 
«Sì, sì» ribatté tranquilla, poi con un sorriso pericoloso puntò la bacchetta contro il suo avversario. «Mangialumache!».
 
«Sta arrivando Sawyer!» urlò un ragazzo sui tredici anni.
 
Vili Serpi, avevano messo il palo! pensò Lily contrariata. I loro avversari si diedero confusamente alla fuga e le quattro Grifondoro, per nulla desiderose di dare alcuna spiegazione all’antipatico Custode, li imitarono. Tirarono un sospiro di sollievo solo quando il quadro della Signora Grassa si fu chiuso alle loro spalle. Gabriella scoppiò in lacrime per dar sfogo alla tensione e scappò nella loro stanza. Alice ed Elisabeth la seguirono, ma Lily fu fermata da James.
 
«Che hai combinato?» le chiese il fratello maggiore con tono accusatorio.
 
«Che vuoi? Hai preso il posto di fratello responsabile di Al?».
 
«Che volete da me?» chiese il ragazzo sentendosi interpellato. Probabilmente aveva visto James chiamare la sorella e si era avvicinato anche lui.
 
Lily sbuffò quando anche lui si unì alla conversazione.
 
«Stavo chiedendo a Lily che cosa hanno combinato questa volta le Malandrine» spiegò James serio.
 
«Lily! Ti avevamo detto di star tranquilla! Mamma e papà te l’hanno ripetuto un milione di volte nelle loro lettere! Non credi che abbiamo già abbastanza preoccupazioni?» s’irritò Albus.
 
«Non è colpa mia stavolta, va bene?» replicò arrabbiata la ragazzina.
 
«Ah, no?» disse James. Entrambi i fratelli avevano un’espressione scettica dipinta in volto.
 
«No!» sbottò Lily e poi li raccontò cos’era accaduto.
 
«Spero che vomiterà lumache per un bel po’, quel piccolo verme!» inveì James.
 
«Ora ti riconosco» borbottò Lily.
 
«Siete state bravissime!» disse James orgoglioso di come la sorellina si era battuta. «Ciò non toglie che loro erano troppi. Questo non va bene…».
 
«Erano in quattro, Jamie» gli fece notare Albus, che si era incupito durante il racconto ma non aveva pronunciato alcun commento in merito. «Papà si è raccomandato di non andare in giro da soli. Ma in quattro! Come potremmo fare? Non possiamo stare sempre tutti appicciati…». Il tono del ragazzo era meditabondo.
 
«Basterebbe solo che potessimo comunicare rapidamente tra di noi. Lily non poteva chiamare aiuto».
 
«Gli specchi di zio George?» domandò Albus.
 
«Non sono sufficienti! Hanno un breve raggio d’azione».
 
«E che vuoi fare?».
 
«Non lo so» ribatté frustrato James, cominciando a camminare avanti e indietro. «Ma pensaci: se Louis avesse avuto un modo per comunicare, non saremmo qui senza sue notizie!».
 
*
 
«Emmanuel?» sussurrò Frank. Gli era stato detto di parlare con il Serpeverde senza attirare troppo l’attenzione. Così aveva deciso di sedersi casualmente vicino a lui durante Antiche Rune. Se qualcuno li avesse visti in questo momento avrebbe pensato solo a un innocuo scambio di battute. Roxi aveva fatto in modo che tutti i ragazzi del terzo anno facessero un tentativo con le rune. Tutti tranne i Serpeverde. Avevano deciso di non coinvolgere direttamente Lucy perché tendenzialmente inaffidabile. Alla fine avevano pensato che l’unico a cui potevano rivolgersi con un ampio margine di sicurezza era proprio Emmanuel Shafiq. L’ultima cosa che, però, Frank voleva era far richiamare entrambi della professoressa Spinnet. Non aveva scelta però. Emmanuel sollevò gli occhi dalla versione che era stata assegnato loro per esercitarsi. «Che c’è?».
 
«Tocca queste» replicò semplicemente Frank, mettendogli tra le mani le due rune rimaste. Il Serpeverde sobbalzò urtando il banco. Entrambi percepirono lo sguardo della professoressa e si affrettarono a tornare alle loro versioni.
 
«Che scherzo è Frank?» borbottò dopo un po’ Emmanuel, sembrava infastidito.
 
«Di che parli?» sussurrò Frank.
 
«Mi sono scottato la mano! È uno dei Tiri Vispi Weasley? Che ti ho fatto?».
 
Frank si prese il tempo di tradurre una frase e poi rispose: «Non è uno scherzo, purtroppo. Quale delle due ti ha bruciato?».
 
«Ur. Che significa che non è uno scherzo?» disse Emmanuel rigirandosi le rune tra le mani. Entrambi ormai avevano abbandonato la traduzione.
 
«Indica la fortezza. Non ti posso spiegare qui perc-».
 
«Shafiq! Paciock! Che state facendo?».
 
I due ragazzi alzarono gli occhi sull’insegnante e non riuscirono a evitare di assumere un’aria colpevole.
 
«Ci scusi professoressa, ci eravamo distratti un attimo» replicò immediatamente Emmanuel.
 
«Con che cosa stavate giocando?».
 
Frank sbiancò ed Emmanuel istintivamente fece per nascondere le rune, ma la professoressa lo bloccò. «Shafiq» disse eloquentemente.
 
«Non è nulla, professoressa» tentò Emmanuel.
 
«Consegnamela qualunque cosa essa sia» disse con un tono che non ammetteva repliche la Spinett. Emmanuel obbedì. La donna osservò vagamente sorpresa le rune di terracotta. «Rimettetevi a lavoro. Non vorrei dover dividere i miei studenti migliori».
 
«Mi uccideranno» sussurrò Frank terrorizzato.
 
«Mi dispiace, non sapevo che fare. Sono così importanti?».
 
«Ti spiego dopo» sussurrò Frank e si rimise a tradurre prima che l’insegnante piombasse di nuovo su di loro.
 
*
 
«Paciock, ti vuole tuo padre nel suo ufficio» gli annunciò Mary Anne Parker uno dei Prefetti di Grifondoro.
Il ragazzino si voltò verso Roxi e Gretel che ricambiarono sorprese la sua occhiata.
 
«E ora che hai fatto?» disse la prima.
 
«Nulla. Sto studiando tutte le materie e non ho più fatto lezione con i ragazzi del settimo anno».
 
«Non ti resta che scoprirlo» disse Gretel facendo spallucce.
 
«Vero! Poi non hai nulla da temere se non hai fatto nulla. A meno che non c’entri la storia delle rune» buttò lì Roxi. Frank sentì lo stomaco contorcersi. Non replicò e si avviò immediatamente fuori dalla Sala Comune. Non era possibile che suo padre lo convocasse solo per quello. Non gliene aveva parlato, è vero, ma era accaduto solo quella mattina e poi James aveva detto che si sarebbe occupato personalmente di recuperare le rune e quindi non si era voluto muovere senza sapere che cosa il ragazzo avesse in mente. Fuori dall’ufficio del padre, però, incrociò Emmanuel e non ebbe più dubbi.
 
«Perché tuo padre mi ha convocato?» chiese Emmanuel preoccupato. Dopotutto non era normale essere convocati dal Direttore di un’altra Casa, a meno che non fosse successo qualcosa a lezione per giustificare una simile azione. E Frank era sicuro che il Serpeverde non avesse fatto nulla di male durante l’ultima lezione di Erbologia.
 
«Credo che c’entrino le rune» soffiò e bussò prima che potesse replicare in un qualunque modo. Dopo aver avuto il permesso di entrare, comprese che la situazione era peggiore di quanto avesse creduto. Nell’ufficio con suo padre c’erano la Preside e la professoressa Spinett.
 
«Buonasera» mormorano quasi all’unisono, palesemente intimoriti.
 
«Ragazzi, queste dove le avete prese?» chiese la Preside senza perdere tempo. Li stava mostrando le due rune di terracotta.
«Non sono vostre, vero?».
 
Emmanuel non poté fare a meno di fissare Frank, che, però, non aveva idea di come rispondere. Albus gli aveva raccomandato di non raccontare niente a nessuno. Aveva combinato un bel guaio.
 
«Frank? Perché non rispondi?» lo esortò suo padre, ma il ragazzino non sapeva proprio come comportarsi.
 
«La professoressa Spinnet mi ha riferito di avervele sequestrate questa mattina» aggiunse la Preside in attesa di una risposta. «Non avete nulla da dire?». I due ragazzini continuarono a tacere. «Si tratta di oggetti magici antichi e potenti. Io pretendo di sapere dove le avete prese» ripeté allora la Preside con maggior severità nella voce.
 
«Ragazzi, non si tratta di un gioco in caso contrario ve le avrei restituite quando me le avete chieste alla fine della lezione» disse la professoressa Spinnet preoccupata.
 
«Potrebbero essere pericolose» rincarò Neville.
 
«Non sono pericolose» ribatté Frank comprendendo di non poter rimanere in silenzio in eterno. «Professoressa McGranitt sono come la runa che ho trovato alla fine dell’anno scorso nel cassetto di Tosca Tassorosso».
 
La Preside aggrottò la fronte e il ragazzino era certo che non avesse dimenticato. «Non è possibile» dichiarò alla fine dopo averci riflettuto. «Ricordo perfettamente quella runa. Non ho percepito alcun potenziale magico. In caso contrario non te l’avrei lasciata con tanta leggerezza».
 
Ancora una volta Frank non rispose: avrebbe dovuto dirle che le avevano attivate loro? Poi avrebbe voluto sapere anche il perché. Non poteva raccontarle tutto senza conoscere il parere degli altri e in quella situazione non poteva nemmeno interpellarli.
 
«Shafiq non hai nulla da dire?». La McGranitt tentò di avere delle risposte da Emmanuel, il quale non aveva ancora ricevuto le spiegazioni richieste al compagno. Frank lo vide esitare e mentalmente lo ringraziò comprendendo la sua paura di comprometterlo. Alla fine il Serpeverde rispose: «No, professoressa».
 
La Preside si irritò e li minacciò: «Rimarremo qui finché non avrete risposto alle nostre domande!».
 
Frank decise d’istinto, si tolse la runa che portava sempre con sé al polso e la porse alla Preside. «Ora anche questa ha potenziale magico». Era inutile star lì, era il momento della verità. In fondo di Minerva McGranitt ci si poteva fidare, così come di suo padre. Per quanto ne sapeva anche la professoressa Spinett aveva fatto parte dell’Esercito di Silente ai tempi della Scuola e aveva combattuto nella battaglia finale. La professoressa osservò la runa con attenzione e tutti attesero in silenzio che parlasse.
 
«Com’è possibile?» chiese semplicemente.
 
«Il loro potere è stato riattivato. Ur è di Emmanuel».
 
«Che significa è stato riattivato?» insisté la Preside.
«Non ho capito perfettamente» ammise Frank. «Sono state riattivate con un complesso incantesimo di Aritmanzia».
 
«Paciock hai intenzione di parlar chiaro?» si spazientì la professoressa.
 
«In realtà zio Harry aveva detto di non parlarne con troppe persone» borbottò in risposta. «E gli altri sono sicuri che chi non doveva sapere sa già troppo».
 
«Con Harry Potter me la vedo io, non può pasticciare nella mia Scuola senza il mio permesso! Chi sono gli altri? E di cosa non dovete parlare? E chi è che sa troppo?» chiese la Preside ponendo domande chiare e coincise, a cui, era evidente, si aspettava risposte altrettanto chiare e coincise.
 
Frank boccheggiò, ma non voleva capitolare facendo i nomi dei suoi amici. Anche se non credeva che avessero infranto alcuna regola, in fondo il professor Williams aveva assistito all’incantesimo che aveva riattivato le rune. Sapeva quasi tutto, ma non era sicuro di poterlo chiamare in causa. Era un professore della Scuola, ma contemporaneamente seguiva ancora le direttive del Capitano degli Auror senza avvertire la Preside. Inoltre una voce di corridoio voleva che la McGranitt si fosse arrabbiata molto quando Williams e Solo-Io-So-L ’Ovvio avevano duellato, per giunta di fronte agli studenti, e stesse meditando se licenziarli o meno. Naturalmente erano solo voci, ma sotto gli occhi di tutti era che i due insegnanti non si rivolgessero più la parola. Era un bravo professore, anche se alle volte un po’ troppo severo, e non voleva metterlo nei guai.
 
«Non lo so chi siano quelli che sanno troppo. Neanche gli altri lo sanno. Al massimo hanno qualche sospetto» borbottò iniziando dalla domanda più facile. In quel momento qualcuno bussò alla porta.
 
«Avanti» disse Neville.
 
«Buonasera a tutti» disse Maximillian Williams. Il giovane insegnante con un colpo d’occhio comprese tutta la scena e sospirò. Si avvicinò ai ragazzi e li pose una mano sulla spalla.
 
«Maxi, ti dispiacerebbe tornare più tardi? Ho bisogno di risolvere una questione con i ragazzi» disse gentilmente Neville, credendo che il collega gli volesse parlare di cose scolastiche. Frank, però, non si sorprese quando lo vide scuotere leggermente la testa. James gli aveva detto tutto. «Temo che dobbiamo discutere della stessa questione».
 
«Professore, lei sa qualcosa delle rune sequestrate ai due ragazzi?» domandò severa la Preside.
 
«Sì, ne sono stato messo al corrente» ammise il professore.
 
«Mi dia una spiegazione» ordinò la McGranitt.
 
«Quest’estate il Capitano Potter ha scoperto che esiste una Profezia, che coinvolgeva sicuramente uno dei figli e altri undici ragazzi. Il signor Potter si impegnato molto fino a ora per trovare proprio questi ultimi. Tentando in ogni modo di non far trapelare troppo la cosa. Il Capitano stesso non ha reso la sua scoperta pubblica. Nonostante ciò temiamo che qualcosa sia giunta alle orecchie sbagliate».
 
«Mi dispiace» borbottò Frank. «Ho pensato che se avessi mostrato le rune a Emmanuel in classe, nessuno avrebbe potuto sospettare».
 
«Non ti preoccupare» replicò semplicemente Williams.
 
Neville e la Spinnet era trasecolati. Il primo non smetteva di fissare il figlio con espressione terrorizzata. Non conosceva il contenuto della Profezia, ma aveva chiaramente compreso che Frank era coinvolto e tanto bastava.
 
«Quale dei due Potter?» chiese la Preside.
 
«Mi riferivo ad Albus, ma sono coinvolti entrambi».
 
«Perché i Potter sono sempre in mezzo alla tempesta?» sospirò la professoressa. «Spiegatemi ogni cosa per bene».
 
Williams lasciò che fosse Frank a raccontare e s’intromise solo per precisare qualcosa.
 
«Professor Williams lei ha praticamente complottato con degli studenti senza dirmi nulla. Si rende conto che potrei buttarla fuori per questo?» chiese la Preside dopo aver riflettuto a lungo. Emmanuel e Frank si irrigidirono di fronte alla minaccia e fissarono il loro professore. Nessuno dei due aveva, però, argomenti da opporre per difenderlo. Non per quanto riguardava quella questione almeno.
 
«Perfettamente, Preside» rispose a testa alta Williams.
 
«L’ultima runa di chi è?».
 
«Ancora non lo sappiamo, professoressa» rispose Frank.
 
«Allora scopritelo, a questo punto è meglio conoscere i nomi di tutti i Dodici così potremmo tenervi d’occhio. Il compito è suo professor Williams. Neville, professoressa Spinnet non fate parola con nessuno di quanto avete udito questa sera. Neanche con i vostri colleghi» ordinò la McGranitt e poi consegnò le rune ai rispettivi proprietari. Frank prese in custodia anche quella senza padrone. «Mi raccomando siate prudenti» disse loro. Prima di lasciare l’ufficio si rivolse a Williams. «La tengo d’occhio e riferisca al suo Capitano di venire da me al più presto. Mi sentirà».
 
*
 
«Mi dispiace, ragazzi» mormorò Frank dopo aver raccontato agli altri quanto era accaduto quella sera.
 
«Non fa niente» replicò Albus. «Avremmo dovuto capire da un pezzo che alla McGranitt non si può tenere nulla nascosto».
 
«Ha occhi dappertutto» borbottò Roxi.
 
«In un certo senso stavolta è stata la Spinnet a scoperchiare ogni cosa» commentò, invece, Rose.
 
«Non capirò mai che cosa hai contro di lei» disse Jonathan fissandola curioso.
 
«Lei ha sposato l’uomo della mia vita» dichiarò seria la quindicenne, suscitando le risate degli altri. Rose si indignò.
 
«Sul serio, Rosie, quando Oliver Baston si accorgerà di te fammi un fischio» disse Roxi ridendo.
 
«E poi non è così carino» aggiunse Dorcas e Virginia annuì al suo fianco.
 
«Voi non capite nulla di ragazzi! Il vostro giudizio non è valido».
 
«Parliamo di cose serie?» disse stranamente irritato Scorpius.
 
«Geloso?» lo pungolò Cassy.
 
«Io e di chi?».
 
«Smettetela» intervenne James. Tutti si zittirono. «Non credete che abbiamo cose più importanti su cui discutere?».
 
«Ha parlato quello maturo!» ribatté Rose.
 
«Mi avete accettato come vostro capo» disse freddamente James.
 
«Jamie, che hai?».
 
«VI SEMBRA NORMALE DISCUTERE SE OLIVER BASTON È O NON È BELLO CON TUTTO QUELLO CHE STA SUCCEDENDO!?» gridò James in risposta. «Smettetela di dire idiozie e ascoltatemi bene. Vi avevo chiesto di riflettere su uno modo con cui comunicare in modo rapido ed efficace qualora avessimo bisogno di aiuto. L’avete fatto?».
 
«Sì» rispose Virginia. «Io e Albus abbiamo pensato di creare dei falsi galeoni simili a quelli utilizzati in passato dall’Esercito di Silente».
 
«Faremo in modo di poter scriverci sopra qualcosa in più oltre la data e l’ora di un incontro» aggiunse Albus.
 
«Ne siete capaci? Ricordo che zio Ron e papà insistono sempre che zia Hermione in quel caso ha usato un incantesimo livello M.A.G.O. Come che si chiama?» replicò James.
 
«Incanto Proteus. È molto complesso, ma possiamo farcela» rispose Albus.
 
«Voi non siete zia Hermione!» disse James infastidito.
 
«Se hai un diavolo per capello, datti una calmata. A nessuno di noi piace questa situazione e tu stai diventando pesante» sbottò Albus.
 
«Io dico di provarci» s’inserì Rose. Anche gli altri furono d’accordo.
 
«Ce ne possiamo andare?» chiese Cassy.
 
«No, un momento. Io vi devo ancora la mia storia» dichiarò Jonathan.
 
I ragazzi lo fissarono chi perplesso chi sbalordito.
 
«Non sei costretto» disse Albus.
 
«È giusto così. Per chi non lo sapesse o non l’avesse ancora capito: io sono un lupo mannaro». Un silenzio teso seguì le sue parole. James, Emmanuel, Roxi, Frank e Brian lo fissarono con occhi sgranati. «I Dodici devono fidarsi tra loro o il gruppo non sopravvivrà» disse serio, poi, siccome, nessuno dava segno di voler dire nulla, continuò: «È accaduto quando avevo sette anni. Io e la mia famiglia eravamo in vacanza in Scozia. Avevamo deciso di campeggiare in una foresta. I miei si erano raccomandati con me e mia sorella di non allontanarci dalla tenda e dal fuoco. In un momento di distrazione dei miei genitori ho visto uno scoiattolo e ho voluto seguirlo. Mia sorella mi ha visto ed è venuta con me. Il lupo mannaro ci ha presi alla sprovvista. Non sapevamo difenderci, eravamo troppo piccoli. Mi ha morso. Mia sorella mi ha tirato via però… non so. forse mi avrebbe mangiato direttamente… Mel era solo una bambina, ma mi ha trascinato lontano dal lupo e ha urlato tanto che i miei l’hanno sentita… Mio padre ha rallentato il lupo con un incantesimo, poi si è smaterializzato con me in braccio. Non ricordo nient’altro se non che mi sono svegliato al San Mungo dopo molti giorni. Credo che mia madre si sia smaterializzata nel nostro stesso momento. Mel non vuole nemmeno sentire parlare di lupi» raccontò Jonathan, tenendo gli occhi fissi a terra.
 
Nessuno osò commentare. Albus osservò l’amico e vide che le sue guance erano umide. Non vi era nulla di straordinario nel suo racconto, ma questo lo rendeva ancora più inquietante.
 
*
 
«Louis, sei pronto?».
 
Il ragazzino annuì concentrato e il professor Lumacorno terminò la complessa operazione. Vi furono delle scintille e i due si ritrassero.
 
«Siamo quasi alla fine» dichiarò Louis. «Signore, posso farle una domanda adesso?».
 
Lumacorno sembrò sorpreso, ma acconsentì. «Tutto quello che vuoi Louis, ormai non ha molta importanza: appena consegneremo la pietra filosofale a quella donna, non le serviremo più».
 
Il ragazzino non commentò, ma si limitò a chiedere in modo diretto: «Perché ce l’ha con lei? C’è qualcosa di vero nelle sue parole, signore?».
 
«Tu che cosa ne pensi?» replicò l’uomo dopo aver esitato qualche secondo.
 
«Sono confuso. Le sue lusinghe mi attirano, anche se percepisco falsità nascosta».
 
«Le lusinghe piacciono a tutti. Io non credo di aver mai ostacolato il talento di nessuno, anzi. Devo ammettere di non aver mai incoraggiato la Selwyn quando è stata mia allieva, al contrario ero sempre molto aspro con lei. Sentivo che c’era qualcosa di sbagliato in lei, ragionava come la madre le aveva insegnato a fare: non conosceva autorità o valore che non fosse legato alla purezza del sangue. Io, però, avevo già commesso un grave errore e non l’avrei mai più ripetuto. Ti assicuro che ho provato a ragionare e parlare con lei, ma è stato inutile. Ora sta ottenendo la sua vendetta. Colpisce chi è migliore di lei e non si rende conto che ogni omicidio che compie la rende più fredda e disumana. Non si può fare più nulla per lei. Inoltre non era realmente così brava in Pozioni. Ho avuto allievi decisamente migliori di lei».
 
Louis rimuginò sulle sue parole, ma non ebbe il tempo di dire nulla che la porta del laboratorio fu spalancata dalla Signora Oscura in persona.
 
*
 
«Signori e signore, benvenuti alla prima finale del Torneo di Quidditch tra Scuole» gridò Alexander Parker nel megafono magico.
«Tassorosso contro Beauxbatons. Forza, ragazzi! Dimostrate di non essere dei mollaccioni!». Gran parte del pubblico rise, tranne i tifosi giallo neri che iniziarono a fischiare a urlare insulti non comprensibili nel tumulto generale al Corvonero. Jack strinse i denti a bordo campo, ma ghignò vedendo Paciock chinarsi verso il ragazzino e rimproverarlo palesemente. Cercò con gli occhi il suo Direttore e vide che a braccia incrociate fissava con un cipiglio poco rassicurante il Corvonero. Meglio, Parker aveva decisamente una lingua troppo lunga. Come poi Parker fosse riuscito a prendere il posto di Zabini come cronista non gli era molto chiaro, a meno che i docenti non avessero sparato che un Corvonero sarebbe stato più imparziale di un Tassorosso. Se era così, allora si erano sbagliati di grosso. Distolse lo sguardo dalla scena e si concentrò sulla partita che stava per iniziare. Si erano allenati molto e potevano farcela.
 
«Pronto, Jack?» lo chiamò il Capitano Albert Abbott.
 
«Certo». Dopo aver affrontato Durmstrang, non sarebbe stato un problema avere la meglio su Beauxbatons. Potevano benissimo fare una bella figura. Albert annuì e poi strinse la spalla ad Arthur. Il ragazzino era molto teso. La professoressa Jones fece loro segno di entrare in campo. Abbott strinse la mano al Capitano avversario e pochi secondi dopo erano tutti in volo.
La partita era iniziata e Tassorosso non si sarebbe fatta sfuggire tanta gloria. Non questa volta.
 
*
 
«Sei stato bravissimo, Louis» disse con voce suadente Bellatrix Selwyn. «Sei un ragazzo geniale. Sei pronto a unirti al mio esercito? Sarai uno dei miei migliori uomini. Devi solo concludere e consegnarmi la pietra…».
 
«No, basta così. Non lo travierai!» strillò Lumacorno. Colpì con una mano tutte le ampolle e gettò una manciata di una sostanza, che Louis non riconobbe, sul loro lavoro. Un fumo improvviso si sollevò dall’ampolla di vetro opaco. Lumacorno spinse dietro di sé il ragazzino e si gettò sulla Selwyn prima che potesse smettere di tossire e riprendere il controllo della situazione. Fulmineamente le strappò la bacchetta di mano. Con il fiato corto pronunciò degli incantesimi a bassa voce, dopo aver legato la donna.  «Ho tolto l’incantesimo antismaterializzazione dalla villa» disse Lumacorno a Louis proprio mentre un gruppo di Neomangiamorte faceva irruzione nella stanza. L’anziano capì che era stato tutto inutile, non sarebbe mai riuscito a smaterializzarsi con il bambino. Aveva condannato entrambi. I Neomangiamorte liberarono la loro signora e si scagliarono su di lui. Louis impotente comprese che quello che aveva visto in quelle settimane non era nulla: quegli uomini sapevano essere molto crudeli, più di quanto si potesse mai immaginare. Non potendone più decise di reagire. Non facevano caso a lui. Nell’armadio delle scorte trovò subito ciò avrebbe potuto servirli. Prese una fiala e vi mescolò dentro nitrato di potassio, zolfo e carbone. «Aguamenti» sussurrò. Con un altro incantesimo asciugò l’impasto e lo buttò dentro una pergamena, che poi arrotolò grossolanamente. «Incendio» concluse accendendo i lambi della pergamena stessa. Infine la lanciò contro i Neomangiamorte. Lo scoppiò lo stordì, ma ferì i Neomangiamorte. Non rimase a guardarli urlare, scattò in avanti, approfittando che la Selwyn sembrava svenuta e molti uomini si stava preoccupando per lei, prese la prima bacchetta che scorse a terra e prese un braccio di Lumacorno. Il professore aveva il volto insanguinato e anche altre ferite disseminate per tutto il corpo. Non gli sembrava che respirasse, ma non poteva preoccuparsene in quel momento. Tentò di concentrarsi. Aveva seguito di nascosto alcune lezioni di Materializzazione dei ragazzi del sesto anno. Pensò a Hogwarts. L’antico castello balenò nella sua mente con forza. Gli mancava, ma fece comunque fatica a non sovrapporre le immagini della Tana o di Villa Conchiglia. Voleva tornare a casa. Sospirò e girò su se stesso doveva farcela. Ora o mai più.
 
«Che stai facendo?» gridò uno dei Neomangiamorte.
 
Louis mantenne la concentrazione anche quando sentì un dolore lancinante alla gamba. Capì di avercela fatta, sentendo come uno strappo e un forte desiderio di vomitare. «Hogwarts, Hogwarts, Hogwarts…» continuò a ripetersi per un tempo che gli parve infinito.
 
*
«Attenzione, Weasley ha visto il boccino! Eccolo che scende in picchiata!» strillò Parker.
 
Jack si voltò verso il Cercatore e sorrise. Stavano per vincere. All’improvviso percepì una strana sensazione, come se l’aria circostante fosse attraversata da una scossa elettrica. Si girò di scatto verso la tribuna degli insegnanti. Erano inquieti. Strinse il manico della sua scopa con forza. Che stava succedendo? La Preside sembrava allarmata e anche quelli più vicini a lei. Si guardavano intorno, ma la McGranitt si mosse rapidamente verso le scale.
 
«E Weasley prende il boccino e… che sta facendo… oh, Merlino che sta succedendo?».
 
Alle parole di Parker Jack si girò così velocemente da farsi male al collo. Sgranò gli occhi e si precipitò a terra. Arthur era bocconi accanto al corpo del cugino. Come aveva fatto Louis Weasley a spezzare le barriere della Scuola? L’iniziale boato di giubilo dei ragazzi di Hogwarts si trasformò repentinamente in urla angosciate e spaventate.
 
«Spostati» disse Jack ad Arthur. Louis emetteva dei rantoli disperati. Si era spaccato un braccio e sanguinava copiosamente, ciò che attirò la sua attenzione, però, fu la ferita alla gamba. Non era normale. «Diffindo» sussurrò strappando la divisa già lacera. «Vulnera saneturvulnera saneturvulnera sanetur…». Lo ripeté più volte proprio come mesi prima aveva fatto Williams con lui.
 
«Ottimo lavoro» si sentì dire. Williams era dietro di lui. Istintivamente si spostò lasciando spazio a lui, alla Preside e a Paciock.
 
«Il dittamo, Neville. Dobbiamo rimarginare la ferita prima di portarlo in infermeria» disse concitata la Preside. Era completamente pallida in volto e le mani le tremarono mentre cosparse la ferita con il dittamo. «Portiamolo da Lux».
 
Quando lo misero su una barella, Louis respirava a stento. Jack fissò quello che in fondo era solo un bambino. Si sentì impotente. Maledetti bastardi pensò stringendo con forza i pugni. Dovevano pagarla cara. Come in incubo vide la McGranitt chinarsi sull’altro corpo steso sul prato. Un uomo molto anziano, insanguinato e immobile. La vide posargli posò dita sulla carotide e si voltarsi verso i professori che erano rimasti con lei: scosse la testa. Jack rimase scioccato quando vide lacrime solcare il suo volto. Non avrebbe mai voluto vederle. Distolse lo sguardo non potendo sopportare quella vista e cercò i suoi compagni: erano a poca distanza da lui. Arthur singhiozzava tra le braccia di Albert, che aveva un’espressione amara e determinata dipinta sul volto.
 

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Capitolo 31
*** Il consiglio dei Purosangue ***


Capitolo trentunesimo
 
Il consiglio dei Purosangue
 
 
Una dolce brezza primaverile penetrava dalla finestra e gli solleticava il collo. Ormai la sera era scesa su Hogwarts e sembrava aver portato sulla Scuola una calma apparente. In uno stadio semivuoto i Tassorosso avevano ricevuto la meritata coppa, ma nessuno di loro aveva festeggiato. Non vedeva Arthur da quando aveva lasciato lo stadio, ma July Mcmillan aveva loro assicurato che i suoi compagni di squadra si stavano prendendo cura di lui. Sospirò, si guardò intorno e sul volto dei suoi famigliari lesse sconforto e smarrimento. Probabilmente anche lui aveva la stessa espressione in quel momento. Si erano rifiutati di recarsi nelle loro Sale Comuni come aveva chiesto la Preside e non avevano il permesso di entrare in infermieria. Peter Lux, nonostante fosse un giovane di talento, dopo aver rapidamente valutato le condizioni di Louis aveva chiamato Anthony Goldstain, il primario del San Mungo e suo mentore. Da allora erano trascorse molte, troppe ore e loro erano rimasti fuori ad aspettare. Al massimo si erano allontanati per poco nell’incapacità di rimanere immobili e impotenti, ma alla fine erano ritornati a sedersi fuori dall’infermeria. Gli unici che avevano avuto il permesso di entrare erano stati gli zii. Solo loro. Vic e Domi era lì fuori insieme a loro. Una più sconvolta dell’altra. Teddy stingeva a sé Vic, mentre Matthew si limitava a star vicino alla sua ragazza che il quel momento non sopportava neanche di essere sfiorata. Fred teneva la testa fra le mani. Stava sicuramente ripensando a quando aveva fatto la spia a Louis mesi prima. Nessuno di loro avrebbe potuto prevedere che sarebbero arrivati a quel punto. Non si giocava più. July si era seduta accanto a lui rispettandone il silenzio. In un angolo del corridoio era radunato quasi tutto il secondo anno di Grifondoro: non avevano voluto lasciare soli Lily, Hugo e Gideon. Il loro silenzio era quello più innaturale e più inquietante. Sua sorella che tanto faceva la dura aveva gli occhi rossi. Era arrivata per ultima, già in quelle condizioni ma con le altre Malandrine al suo fianco. Sospirò ancora ricordandola da bambina: quanto era dolce! Poi, a differenza sua, aveva tirato fuori le unghie per farsi rispettare da tutti i cugini. James era a poca distanza da lui, al suo fianco Benedetta, che gli teneva stretto un braccio, e Robert. Era tornato da poco. Avrebbe scommesso che aveva volato per ore pur di scaricare la paura, le guance tinte di rosa, con cui erano tornati, li tradivano. Rose era acciambellata ai suoi piedi come un gatto. Avevano chiesto agli amici di non star lì per non creare troppo caos. Scorpius non ne aveva voluto sapere e sedeva a terra accanto all’amica. Lucy era stravaccata vicino a Teddy. In quel periodo i Serpeverde era nuovamente mal visti. Non che fosse esplicitamente colpa loro, anzi era evidente che tutte le Case fossero coinvolte. Evidente solo per chi non pretende di vedere ciò che gli piace di più. Eppure anche Emmanuel Shafiq nonostante gli scontri era lì in mezzo a loro e teneva per mano Fabiana. Gli amici di Louis erano i più taciturni, così come Valentin che si era seduto a terra insieme a loro. Apolline, bianca come un lenzuolo, era in piedi accanto a Teddy.
L’unico adulto, a parte gli zii, che avevano visto fino a quel momento, era stato suo padre che si era precipitato a Scuola con una squadra di Auror. Sicuramente gli altri in quello stesso momento era riuniti alla Tana. Impossibile che non avessero avvertito i nonni. A Molly Weasley non si poteva tener nulla nascosto!
All’improvviso si aprì la porta dell’infermieria e tutti si scossero dal torpore in cui erano caduti. Albus si staccò dal muro e si avvicinò lievemente allo zio Bill. Era terribilmente pallido in volto. Insieme a lui c’era il Guaritore Goldstain.
 
«Come sta?» chiese Domi rompendo il silenzio.
 
Lo zio esitò prima di rispondere, sembrava troppo sconvolto per parlare e Goldstain gli venne in aiuto. «È vivo» disse laconicamente.
Quella risposta, però, non soddisfece nessuno. Che significava? Stava bene? Si sarebbe ripreso? Doveva essere così si disse Albus mentre gli saliva un groppo in gola. Il Guaritore dovette cogliere il loro smarrimento perché si premurò di spiegare con gentilezza. Lo zio Bill, però, si allontanò senza rimanere ad ascoltare. Vic e Teddy lo seguirono senza dir nulla. «Ha subito due ferite particolarmente gravi: una alla gamba causata da un incantesimo oscuro, il sectusempra. Fortunatamente un vostro compagno ha agito prontamente con il controincantesimo impedendo un ulteriore, e probabilmente, fatale perdita di sangue. La seconda al braccio. Potrebbe sembrare una banale spaccatura, ma non è così. A undici anni non si è ancora pronti per smaterializzarsi. È una pratica molto difficile, non per niente viene insegnata solo dal sesto anno in poi, e molti maghi adulti non sono in grado di servirsene. Anche questa per fortuna è stata rimarginata immediatamente. Il problema più grave, che si somma alla comunque ingente perdita di sangue, è che Louis ha usato un quantitativo di magia elevato per spezzare parte delle protezioni della Scuola. Un uso elevato e incontrollato di magia che ha debilitato il suo corpo. Le ferite saranno completamente guarite al massimo in due settimane. Per il resto, oltre somministrargli la Pozione Ricostituente, non possiamo far nulla».
 
«Continuo a non capire» mormorò Albus.
 
 «Sta dormendo per ora e noi faremo in modo che continui a farlo finché non saremo sicuri che il suo organismo si sia ripreso. Non vi nascondo che la situazione è critica. Non possiamo far altro che aspettare. E confidare nella forza di Louis. Ne ha già dimostrata parecchio».
 
Goldstain aveva usato un tono pacato, ma a nessuno era sfuggito il significato delle sue parole: Louis non era fuori pericolo. Il silenzio teso fu rotto da Fred, che con voce roca e dura disse:
«Non si preoccupi. I Weasley hanno la testa dura. Se Louis è riuscito a tornare a casa da solo, non si arrenderà proprio ora».
 
Il Guaritore annuì e fece per allontanarsi, ma Rose lo bloccò. «Dove crede di andare?» chiese gelida.
 
L’uomo si accigliò, ma probabilmente reputò che Rose fosse abbastanza scioccata e non valesse la pena prendersela per la sua maleducazione.
 
«A casa».
 
«E mio cugino?».
 
«C’è Peter con lui. Io tornerò domani mattina per un controllo».
 
«E se dovesse aver bisogno di lei?». Rose si era alzata all’in piedi e nonostante fosse più bassa dell’uomo lo stava fronteggiando a testa alta.
 
«Peter sa quello che deve fare. E io sono reperibile in qualsiasi momento. Non osare mettere in dubbio la mia professionalità». Aveva mantenuto un tono neutro, ma si stava irritando. Albus si fece avanti per trattenere la cugina. Goldstain era stato per ore chiuso infermeria con Louis, aveva senz’altro fatto il massimo ed era palese che fosse molto stanco. Scorpius, comunque, lo precedette. «Smettila. Stai rompendo le scatole». Albus ammirò il suo coraggio perché, com’era prevedibile, Rose un millisecondo dopo iniziò a sfogarsi su di lui prendendolo a pugni. Il ragazzo le bloccò le braccia e disse: «Andiamo via di qui».
 
Per un attimo Albus pensò che avrebbe dovuto trascinarla di forza, ma Rose sembrò sgonfiarsi come un palloncino e si lasciò guidare dall’amico.
 
L’attenzione di tutti si spostò alla porta dell’infermieria, quando la sentirono aprirsi di nuovo. Zia Fleur fece capolino e tentò un lieve sorriso vedendoli tutti lì, ma poi le scappò un piccolo singhiozzo. Domi e Matthew le si accostarono e lei li sussurrò qualcosa a bassa voce. I due ragazzi annuirono. Il ragazzo, però, fermò Domi che si stava subito dirigendo verso la porta, le disse qualcosa all’orecchio e lei sembrò acconsentire. Matthew attirò l’attenzione di James e gli indicò la zia che si allontanava lungo il corridoio. Il Grifondoro dopo un attimo di titubanza comprese la richiesta silenziosa, si alzò e si affrettò a raggiungerla.
 
«Stiamo noi con Lou adesso. Andate a riposarvi» disse Domi, che aveva ripreso il controllo delle proprie emozioni. Albus non avrebbe mai dimenticato la sua reazione alla vista del fratellino: aveva gridato e pianto. Solo Matthew era riuscito ad avvicinarla.
 
«Sì, certo e noi cosa facciamo? Ce ne andiamo a letto e facciamo sogni d’oro?» sbottò Fred con rabbia.
 
Domi reagì con rabbia e si scagliò contro di lui tirandogli un ceffone. Il rumore sordo risuonò nel corridoio e li fece sobbalzare tutti.
 
«Sei uno stronzo! Adesso ti importa di nuovo di lui! Fino a pochi mesi fa l’hai messo in guai seri e solo Merlino sa perché non è stato espulso! Come osi parlare? Come? Sei un traditore! Vattene! Non ti vogliamo qui! Né a te né alla tua invidia schifosa! Ti brucia che sia più bravo di te in Pozioni? Hai visto dove la sua bravura l’ha portato? Vattene!».
 
Le sue parole colpirono Fred come una frustata e per un istante la fissò imbambolato, sotto gli occhi turbati dei cugini. Alla fine si alzò e, seguito da July e senza replicare in alcun modo, andò via.
 
«Se vuoi tra qualche ora, ti diamo il cambio» propose timidamente Albus.
 
«Non c’è bisogno» ribatté Domi.
 
«Anche noi vogliamo stargli accanto» disse con voce ferma Lily.
 
«Domani mattina, va bene? È meglio che lasciate i vostri zii un po’ da soli stasera» disse conciliante Matthew.
 
«Potremmo fare dei turni da domani» pigolò Fabiana.
 
«Fate quello che volete» sentenziò Domi, tirandosi Matthew dentro l’infermieria.
 
«Facciamo i turni» disse Annika. Solo dopo essersi messi d’accordo, si decisero a recarsi in Sala Comune. Né zio Bill né zia Fleur erano ancora tornati.
 
*
«Benvenuti al primo Consiglio dei Maghi Purosangue» esordì Bellatrix Selwyn. «E come capirete senz’altro, anche se vedo che siete sciocchi o arroganti a tal punto, qui sono ammessi solo i Purosangue». La sua espressione si fece ancora più fredda e crudele.
«Thomas, mostra loro che fine fa chi osa spacciarsi per un Purosangue» ordinò.
 
Thomas Rosier, con un’espressione altrettanto feroce in volto, estrasse la bacchetta e la puntò contro una figuretta bassa e tozza.
«Dolores Jane Umbridge, sua madre era una Babbana. Lo ammetta».
 
«No!» strillò la donna come se quelle parole le avessero inflitto terribili ferite. «Io sono Purosangue».
 
«Crucio!» disse Rosier e la torturò finché non cadde dalla sedia tremando e sussultando. «Tua madre era una Babbana, tuo padre un mago da quattro soldi che lavorava per la Manutenzione Magica e tuo fratello era un Magonò. Ti ho dato la possibilità di confessare. L’hai rifiutata. Avada Kedavra».
Mentre la luce abbandonava gli occhi della donna, tutti i presenti rabbrividirono. Il gioco stava prendendo una piega che non li piaceva più.
 
«Questa sera stabiliremo chi possiede sangue puro e chi ci ha tradito. Finalmente dopo quasi un secolo aggiorneremo le Sacre Ventotto» dichiarò la Selwyn.
 
«Gli Abbott hanno scelto da che parte stare» iniziò Thomas.
 
«E avranno quello che si meritano, ma dobbiamo tenere conto che sono Purosangue da generazioni. Una delle famiglie più antiche e pure. Uccideremo Albert Abbott che ha osato sfidarci apertamente. Se i suoi figli scenderanno a miti consigli, avranno salva la vita; in caso contrario faranno la stessa fine e così i suoi nipoti».
 
«Gli Avery sono dalla nostra parte» continuò Thomas, facendo un cenno di approvazione all’uomo seduto in fondo alla lunga tavolata.
 
«L’unico problema è il piccolo Alan, che intenzioni hai Avery? Tuo figlio ti ha denunciato ed è stato affidato ai Mcmillan» chiese la Selwyn.
 
«Mia signora, le assicuro che se ne pentirà».
 
«Darò a ognuno di voi la possibilità di tagliare i rami morti delle vostre famiglie» promise con trasporto la donna, prima di lasciare di nuovo la parola a Thomas.
 
«I Black si sono ormai estinti in linea maschile. Quindi non è giusto che occupino più un posto tra le Sacre Ventotto. Per quanto riguarda i Bulstrode, mia signora, la loro posizione non è ancora chiara».
 
«Vorrà dire che glielo chiederemo più chiaramente. Non è più tempo di tentennare, ma di decidere da che parte stare».
 
«Le posso, però, anticipare che purtroppo mio cognato non ci appoggerà. Constant Bulstrode è un gran testardo idealista. Come mia moglie» disse con malcelata irritazione Thomas.
 
«Allora annienta la famiglia di Wilbur Bulstrode e prenditi la tua vendetta» lo esortò la Selwyn.
 
«Non vedo l’ora, mia signora. Puoi ancora sperare nel capo famiglia Adam Bulstrode, crede fermamente nei nostri stessi valori».
 
«Il figlio Jacob, però, mia signora non la pensa così. È noto per la sua bontà anche verso i Babbani» intervenne Millicent Goyle.
 
«Oh, cara Millicent. Dimenticavo che è tuo cugino di primo grado, dico bene?».
 
«Sì, mia signora».
 
«E non credi che tuo zio sia in grado di farsi obbedire dal figlio?».
 
«Non ne sono sicura, mia signora. Mio zio ha sempre mostrato una certa indulgenza verso Jacob, poiché è il più piccolo. Le posso assicurare che mio padre Radcliff e mio fratello Wilmer la appoggeranno in tutto. Mio padre era indisposto, ma sarà presente alla prossima riunione» concluse la donna per poi indicare un mago che dimostrava una quarantina d’anni. Wilmer si sollevò e fece un lieve inchino.
 
«Mi fa piacere saperlo» disse con un sorriso gelido la Selwyn. «Procedi Thomas».
 
«I Burke sono nostri preziosi alleati».
 
«Sarò felice di ripulire un po’ la mia famiglia, però» annunciò Phineas Burke. Accanto a lui c’era il figlio Edward. «Mio cugino Laurence è diventato uno dei cagnolini di Potter».
 
«I Carrow li libereremo presto da Azkaban, ma temo che la famiglia si estinguerà con loro. I Crounch sono estinti. I Fawley credo che non ci siano dubbi sul loro tradimento».
 
«Il giudice avrà una bella sorpresa» commentò la Selwyn e disse giudice con palese disprezzo.
 
«I Flint sono anche dei nostri». Marcus Flint fece un cenno con il capo quasi in segno di saluto. «I Gaunt si sono estinti. I Greengrass?» chiese volgendosi verso Lucius, Narcissa e Draco Malfoy.
 
«Mio moglie non sta bene in questo periodo. E mio cognato Alfeo non si unirà alla nostra causa. Mio suocero è pronto a comportarsi come nell’ultima guerra. Metterà a disposizione il suo patrimonio, ma non scenderà in campo personalmente a meno che non sia strettamente necessario» spiegò Draco.
 
«E io e mio marito siamo qui, mia signora» disse con orgoglio Daphne Greengrass.
 
«In tal proposito vorrei che i Montague venissero inseriti tra le Sacre Ventotto» disse l’uomo accanto a lei.
 
«Questo lo decideremo in un secondo momento» concesse Thomas.
 
«Io sono qui. E non vedo l’ora di liberare mio fratello. Mi sono anche premurato di dare un erede alla mia famiglia» dichiarò Rabastan Lestrange, prima ancora di essere chiamato da Rosier.
 
Quest’ultimo lo ignorò e proseguì: «I Paciock e i Mcmillan sono dei Traditori del loro sangue. Non vi è possibilità di salvarli. Sono attaccati alle gonne di Minerva McGranitt. I Malfoy sono qui con noi. Per quanto riguarda i Nott, libereremo il loro capostipite e deciderà egli stesso cosa fare di suo figlio che ha osato sposare una schifosa babbana. Gli Olivander si sono uniti a noi e così i Parkinson. I Prewett sono ormai estinti in linea maschile, ma comunque sono anche loro dei traditori. Elmer Rowle è qui con noi. Gli Schacklebolt e i Lumacorno sono ormai perduti. Gli Shafiq?» si fermò Thomas rivolgendosi a Elmer Rowle.
 
«Mi dispiace, ma mio suocero e i miei cognati non si uniranno mai a noi» dichiarò l’uomo con una finta amarezza nella voce.
«Mio suocero non mi ha mai voluto nella sua famiglia, finalmente potrò dimostrargli quanto valgo e vendicarmi».
 
«Infine Travers e Yaxley sono con noi. I Weasley non sono nemmeno da considerare» concluse Thomas Rosier.
 
«Mia signora, anche la mia famiglia vuole entrare tra le Sacre Ventotto» dichiarò Dain Zabini con la consueta sfrontatezza.
 
«Mio caro Dain, puoi star certo che sarà una delle prima a essere accolta» rispose Bellatrix Selwyn.
 
«Grazie, mia signora» replicò Dain con un sorriso soddisfatto stampato in viso.
 
«Anche i Goyle, mia signora» disse Millicent Bulstrode.
 
La Selwyn chinò leggermente la testa in segno di assenso.
 
«Denver Green, sei Purosangue?» chiese Thomas Rosier.
 
«No, signore. Purtroppo ho degli antenati di origini babbane» si affrettò a rispondere l’uomo, che non aveva la minima voglia di fare la stessa fine di Dolores Umbridge.
 
«Saggia decisione dire la verità. Nel Consiglio dei Purosangue sono ammessi solo i Purosangue. Chiunque si voterà alla nostra causa, riceverà i meritati premi e privilegi quando il nuovo ordine verrà instaurato. Solo i Purosangue hanno il diritto di stare qui stasera. Prego perciò tutti coloro che non lo sono di lasciare la stanza o farete la stessa fine della povera Dolores. Peccato, era una strega valida. Ma io non tollero essere presa in giro però».
 
Gli uomini non Purosangue obbedirono all’instante. Nessuno dubitava che la Signora Oscura non avrebbe esitato a compiere una strage.
 
«Bene, ora possiamo stilare il nuovo elenco delle Sacre Ventotto» dichiarò Bellatrix e fece un cenno a Thomas.
 
«Oggi 22 Aprile 2021, riunitosi i rappresentanti delle famiglie purosangue inglesi, nasce il Consiglio dei Purosangue» principiò Thomas Rosier e man mano che parlava una piuma incantata riportava per inscritto ogni sua parola. «Avery, Bulstrode, Burke, Carrow, Flint, Greengrass, Goyle, Lestrange, Malfoy, Montague, Nott, Olivander, Parkinson, Rosier, Rowle, Selwyn, Travers, Yaxley e Zabini».
 
«Quali sono le famiglie che hanno i requisiti giusti per aggiungersi al nostro Consiglio?».
 
«Io darei un ultima possibilità ai Fawley» propose Lucius Malfoy. «È una famiglia antichissima, tra i loro membri può vantare anche un Ministro della Magia ed Edward Fawley è attualmente uno dei più autorevoli giudici del Wizengamot. La babbana che aveva osato sposare è già stata uccisa. Potremmo ancora salvare la famiglia».
 
«Ci possiamo provare. D’altronde sarebbe un peccato. Lucius toglimi una curiosità come hai fatto ad aggirare l’incantesimo di rintracciamento che ti hanno imposto gli Auror?».
 
«Magia oscura, naturalmente, mia signora».
 
«Bene, bene, è così bello prendere per i fondelli Potter» disse la donna ghignando.
 
«Signora, che ne dice dei Price e degli Spencer-Moon?» disse, invece, Elmer Rowle.
 
«Verificheremo da che parte stanno e soprattutto se sono realmente puri».
 
«Il primo compito del Consiglio sarà quello di punire i Traditori del loro Sangue» dichiarò la Selwyn.
 
«Mia signora, permettetemi di iniziare dagli Shafiq» pregò Elmer Rowle.
 
«Hai il mio permesso. Il prossimo, però, sarà Albert Abbott».
 
*
 
«Jack!».
Il ragazzo si riscosse e si voltò verso il suo compagno e unico amico: Anderson Archer.
 
«La prof» sussurrò questi.
 
Si voltò appena in tempo per cogliere il cipiglio severo di Elisabeth Shafiq. «Fletcher, hai intenzione di onorarci della tua attenzione?».
 
Probabilmente era masochista, come più volte gli era stato fatto notare, ma in quel momento gli venne dal ridere e dovette trattenersi. «Mi scusi, professoressa».
 
La donna non apparve soddisfatta ma ritenne di non avere tempo da perdere con lui e riprese la spiegazione.
 
«Scusa, se non ti ho avvertito in tempo» mormorò il compagno poco dopo, mentre riponevano i libri. La classe si stava svuotando rapidamente. Nessuno sano di mente si attardava nell’aula di Incantesimi. Non da quando c’era la Shafiq almeno.
 
«Le stavo per ridere in faccia, Andy. Per un attimo ho pensato che mi avrebbe ucciso stavolta».
 
Un sorriso divertito fece capolino sul volto di Andy.
 
«Che cos’hai? Sono giorni che sei teso. E non mi dire per i G.U.F.O. che si avvicinano!» disse Jack. Stupendosi sempre quanto li venisse dal cuore preoccuparsi per Andy. Di norma era molto calcolatore.
 
«Beh in realtà i G.U.F.O. sono vicini. Manca poco più di un mese. Iniziamo a ripetere seriamente? Io non sono bravo quanto te e…».
 
«Non dire fesserie. Ti applichi più di me. Andrai bene. Non è questo il problema. Non mentirmi» lo interruppe Jack.
 
Andy sospirò e annuì. «Ho paura. Leggi La Gazzetta del Profeta tutti i giorni, non è necessario che ti faccia l’elenco di quello che è successo nel giro di una sola settimana».
 
«Hai paura per la tua famiglia?».
 
«Non dovrei?».
 
Nella testa di entrambi balenò l’annunciò sul quotidiano che poche mattine prima aveva sconvolto l’intera Scuola:
 
DA OGGI È RIAPERTA
LA CACCIA AI BABBANI
 
Da quel giorno sulla Gazzetta apparivano elenchi di famiglie straziate dai Neomangiamorte. Gli alti vertici del Ministero lanciavano appelli alla calma. Ormai inutili. Il panico era dilagato per tutta la Gran Bretagna. Loro si trovavano in una specie di turris eburnea. Almeno apparentemente. Gli scontri tra studenti erano all’ordine del giorno e gli insegnanti faticavano a tenerli sotto controllo.
 
«Devi trovare un modo per proteggere la tua casa» meditò Jack. Sapevano entrambi che la famiglia di Andy avrebbe potuto essere la prossima. I Neomangiamorte colpivano senza un ordine preciso.
 
«È come?».
 
«Hai vicini maghi?».
 
«Non lo so… Perché?».
 
«Durante l’ultima guerra spesso i maghi aiutavano i loro vicini» spiegò Jack.
 
«Siamo davvero in guerra?».
 
Jack fece spallucce. «Loro senz’altro non vogliono la pace e noi dobbiamo difenderci. Le guerre così scoppiano…».
 
«Jack, ti prego aiutami o diventerò matto! Non posso continuare così… Non dormo più! Ho paura che li uccidano!».
 
Jack rifletté per qualche minuto, mentre insieme si dirigevano alla lezione successiva. Avrebbe fatto qualunque cosa per aiutare Andy. Per quanto potesse sembrare assurdo, era l’unico Tassorosso che gli aveva donato disinteressatamente la sua amicizia e più volte l’aveva ospitato a casa sua durante le vacanze estive. I signori Archer l’avevano sempre accolto a braccia aperte e sapevano chi fosse suo padre, Andy li raccontava ogni cosa.
 
«Dobbiamo parlarne con un insegnante. Da soli non possiamo fare nulla» sospirò alla fine. Odiava sentirsi impotente.
 
«Mcmillan?».
 
«Sarebbe più appropriato Williams, ma credo che abbia già abbastanza problemi».
 
«Mcmillan è il nostro Direttore. Preferisco parlarne con lui. È vero che la Preside vuole licenziare Williams?».
«È solo una voce» replicò Jack, prendendo posto alla fine dell’aula. Andy non fece commenti e lo imitò. Di consueto sedeva al primo banco, ma a Difesa cercava i posti più defilati. Come potesse non piacergli quella materia, Jack non l’avrebbe mai capito. Quella lezione era insieme ai Grifondoro, ma Potter non era ancora arrivato. Era strano, visto che i suoi amici erano presenti. Avrebbe voluto chiedergli notizie di suo cugino.
Andy si mise a scarabocchiare su un taccuino che portava perennemente con sé. Era distrutto, si vedeva lontano un miglio: aveva delle occhiaie che avrebbero suscitato l’invidia di uno zombie e scattava per poco. Quella mattina in Sala Comune aveva strillato contro la loro compagna Dorothea Tarner, che se lo meritava lungi da lui affermare il contrario, ma non era da Andy reagire in quel modo.
 
«Potter! Stanotte uno stadio babbano è stato attaccato durante una gara. C’è stata una strage. Quanti ancora dovranno morire prima che tuo padre si dimetta?» la voce acida e cattiva di Camilla Smith attirò l’attenzione di tutti sul ragazzo appena entrato in aula. Aveva il viso pallido e sbattuto. Fissò la Tassorosso come se fosse un’extra terrestre e sembrò faticare per comprendere quanto gli aveva urlato addosso. E ciò che sconvolse di più i presenti fu che James Sirius Potter non reagì. Rimase imbambolato a fissarla per un tempo che parve infinito.
 
«Buongiorno. Prendete posto» disse Williams entrando. James si riscosse e senza una parola scivolò accanto a Robert Cooper.
«Che avete?» chiese il professore, notando il loro turbamento. Nessuno osò rispondere e la lezione iniziò sotto lo sguardo sospettoso di Williams. Comunque Robert Cooper si premurò di finire in coppia con la Smith per l’esercitazione.
 
«Ma che hanno?» chiese sorpreso Andy seguendo il suo sguardo. Cooper per l’ennesima volta schiantava con cattiveria la sua avversaria.
 
«Non lo so» ammise.
 
«Ve lo dico io» sussurrò Dorothea, una pettegola di prima categoria. «In quello stadio stanotte c’era anche Richard Johnson. Il nonno del cugino di James. Ho sentito Mcmillan che lo diceva alla figlia stamattina. Se ci avete fatto caso la maggior parte dei Weasley non era in Sala Grande a colazione».
 
«È vivo?» si azzardò a chiedere Jack. Il giornale non era sceso troppo nel dettaglio e comunque non sapeva se ci si poteva ancora fidare. Il Direttore Seamus Finnigan era stato costretto a dare le dimissioni all’uscita dell’annuncio contro i Babbani, reo di non aver sorvegliato abbastanza i suoi giornalisti. Ora la redazione era nel caos totale, perché il Ministero tentava di non far finire il quotidiano in mani non amiche e a sua volta molti potenti ricconi cercavano di appropriarsene.
 
«Mcmillan diceva che era uno dei dispersi. Dalla faccia di Potter direi che…» replicò la ragazza lasciando in sospeso la frase in modo eloquente. «La Johnson sarà distrutta e i Bats potranno tentare di superare le Harpies!».
 
Jack sapeva che era stupida, ma non fino a questo punto. Fermò appena in tempo Andy che stava per tirarle uno schiaffo. «Ma che fai?».
 
«È una stronza!» ansimò il ragazzo, fissandola con occhi rossi.
 
«La smettete di chiacchierare?» sibilò Williams avvicinandosi.
 
«Professore, Tarner fa commenti poco consoni su quello che è accaduto a Manchester stanotte» riferì Jack, ignorando le occhiatacce dei compagni più vicini.
 
«Bene, allora quindici punti in meno per Tassorosso. Non si scherza sulle tragedie. Rimettetevi a lavoro!».
 
«Ma sei scemo?» sbottò la Tarner.
 
«Sono un Prefetto. Faccio il mio dovere» replicò gelido Jack.
 
*
 
Si svegliò di soprassalto. Si passò una mano sul volto e si accorse che era bagnato. Si mise a sedere e tentò di calmare il tremito che lo scuoteva e di smettere di piangere. Quando si senti più tranquillo scese dal letto e cercò il libro di Pozioni nel baule. Aveva troppa paura di chiudere di nuovo gli occhi.
 
«Brian» sussurrò Drew. Sobbalzò e si girò verso di lui.
 
«Stavo cercando una cosa» borbottò, come se fosse normale in piena notte.
 
«Ti ho sentito urlare» mormorò l’altro, lasciando nel sottinteso che non aveva motivo di inventare scuse.
 
«Oh, io…». Brian deglutì e si sollevò tenendo stretto il manuale di Pozioni, come un’ancora di salvezza. «L’ansia degli esami…».
 
«Lasciati aiutare» tentò Drew.
 
«Non ho niente» disse Brian, rintanandosi sotto le coperte.
Nascosto dalle tende aprì il libro e cercò l’ultima pozione studiate, prima di scoppiare a piangere a dirotto.
Le parole di Drew lo avevano scosso, però. Rilesse più volte le prime righe incapace di comprenderle e di andare avanti. Gli sfuggì un singhiozzo e sperò che l’amico non lo avesse sentito. Affondò la testa in un nembo del cuscino. All’improvviso sentì il letto abbassarsi e qualcuno sedersi accanto a lui. Stava per dire a Drew di lasciarlo solo, ma la mano che gli accarezzò la testa non era decisamente quella di un bambino.
 
«Sono stato un pessimo padrino, ma, per quello che vale, sto provando a rimediare. Permettimi di aiutarti» sussurrò Maxi Williams.
 
Brian sollevò la testa e lo fissò sorpreso di trovarlo lì a quell’ora. Sicuramente l’aveva chiamato Drew, che ora lo scrutava preoccupato.
 
«S-sto bene» bofonchiò, asciugandosi le lacrime con la manica del pigiama.
 
«Annika mi ha detto che da quando Louis è apparso sul campo di Quidditch non dormi più bene. E Drew mi ha raccontato che è successo altre volte che avessi incubi e stanotte era particolarmente preoccupato ed è venuto a chiamarmi» spiegò senza mezzi termini Maxi. «Quindi non mi dire che stai bene».
 
«Sono solo incubi» mormorò.
 
Williams sospirò. «Vieni con me. Dov’è il suo mantello?». La domanda era rivolta a Drew, che si affrettò a porgergli un mantello pesante. «Grazie». Brian si vergognò molto in quel momento, ma allo stesso tempo una parte di lui era contenta di quelle attenzioni. Seguì il suo padrino fino al suo ufficio. «Siediti vicino al fuoco» lo invitò.
 
Brian si buttò su un cuscino e per un po’ si incantò a osservare le fiamme scoppiettanti del caminetto.
 
«Bevi. È camomilla, ben zuccherata, come piace a te».
 
«Grazie» disse sorpreso che si ricordasse di una cosa che era stata detta di sfuggita durante una colazione a casa sua nelle vacanze di Natale. Il liquido caldo lo fece sentire meglio. Ne bevve diversi sorsi prima di poter parlare con voce ferma. «Mi dispiace, che Drew ti abbia chiamato. Non era necessario che ti disturbasse».
 
Maxi si abbassò al suo livello e sorrise lievemente. «A me invece sembravi parecchio sconvolto. So di non inspirare molto le confidanze, ma se hai un problema è bene che ne parli con qualcuno. Se vuoi scrivo a tuo padre…».
 
«No» lo interruppe con foga. «Si spaventerebbe. Non vale la pena».
 
«Allora parlane con me. Non vale la pena se risolviamo insieme il problema, in caso contrario non posso fare altrimenti. Lui è tranquillo perché sei con me, ma sei stai male e non faccio nulla come pensi che potrò guardarlo in faccia? È come se fosse mio fratello».
 
Brian chinò il capo. Era sincero, ne era certo. Maxi era stato a lungo lontano dall’Inghilterra, ma suo padre era sempre rimasto in contatto con lui e gliene parlava spesso. Anche suo padre lo considerava un fratello a tutti gli effetti.
 
«La sto sognando spesso» sospirò. «Anni fa mi accadeva ogni tanto, ma da Natale mi succede molto di più e nell’ultima settimana ogni notte. Non so perché, ma ho anche paura di dormire».
 
Maxi aveva capito il soggetto. «Sophie?» domandò per sicurezza.
 
«Sì. Mi manca tanto» mormorò stringendosi le braccia al petto in modo convulso, dopo aver appoggiato la tazza sul tappeto.
Maxi, però, lo sollevò di forza e lo strinse tra le braccia. «Perché hai paura di vederla?».
 
«È triste. Perché abbiamo lasciato che il suo giardino si rovinasse e io non sono come vorrebbe…».
 
«Ma che dici? Ho conosciuto Sophie a undici anni e sono sicuro che sarebbe felicissima del ragazzino che sei diventato!» disse Maxi.
 
«Tu non sai come era prima di Hogwarts…».
 
«Tuo padre mi ha fatto un riassunto, diciamo… Credimi, sarebbe fiera di te… anzi, lo è… lei ti guarda e ti protegge ogni giorno anche se non te ne accorgi. Ascoltami bene, i sogni sono solo un prodotto della nostra mente a meno che non si possieda la Vista, ma dubito seriamente che sia il tuo caso. Perciò gli incubi nascono dalla tua paura di deludere Sophie. Brian, sei un ragazzino bravissimo qualunque genitore normale sarebbe fiero di te!».
 
«Lo dici solo per consolarmi».
 
«Dovresti aver capito ormai che io dico quello che penso e non uso mezzi termini».
 
«Sei il primo a non essere contento di me, però».
 
Maxi sospirò e lo strinse più forte. «Mi dispiace, io cerco solo di spronarti, non pensavo mica che ci rimanessi così male. Scusami, sarò meno pressante d’ora in avanti. Te lo prometto».
 
Trascorse diverso tempo prima che Brian si tranquillizzasse totalmente, ma alla fine cadde in un sonno sereno. Maxi lo coprì con una coperta e non poté non costatare quanto apparisse più piccolo rannicchiato sulla poltrona. In quel momento qualcuno bussò alla porta. Si accigliò e si sbrigò ad aprire. Si trovò di fronte Minerva McGranitt e la sua inquietudine aumentò. Erano quasi le quattro del mattino. Si fece da parte, permettendole di entrare.
 
«Che succede?».
 
«Un attacco dei Neomangiamorte. Lui che fa qui?» chiese accennando a Brian.
 
«È il mio figlioccio, lo sa. È da un po’ che lo osservo e mi sono accorto che non stava perfettamente bene. I suoi compagni nei giorni scorsi mi hanno riferito che non dormiva bene. Stanotte è stato svegliato di nuovo dagli incubi e il signor Jordan mi ha avvertito. Ho ritenuto che fosse il momento di affrontare il problema».
 
«Capisco. Hai risolto?».
 
«Non credo si possa risolvere con una breve chiacchierata, ma spero che sia più tranquillo. Purtroppo ha perso la madre e…».
 
«Lo so» lo interruppe la Preside e disse in tono grave: «Ricordo ogni mio allievo, Maximillian. E l’ultima cosa che vorrei mai è perderli anzi tempo, purtroppo è accaduto troppo volte soprattutto a causa della guerra. Non ho dimenticato Sophie. Brian le assomiglia molto, ma gli si legge negli occhi che è maturato in fretta».
 
Maxi annuì, fissando con affetto il suo figlioccio. «Non sa quanto mi sento in colpa per aver abbandonato il mio migliore amico quando aveva più bisogno di me. L’ho lasciato solo con due bambini piccoli. Sono stato un egoista: per sfuggire ai miei fantasmi e ai miei incubi sono scappato dimenticandomi del resto».
 
«Non credo che Gregory te ne abbia mai fatto una colpa. Ormai è fatta comunque, non essere troppo severo con te stesso».
 
«Forse è meglio che lo porti nella sua stanza».
 
«Non lo svegliare. Non avrà neanche lezione alle nove».
 
«Perché?» chiese sorpreso Maxi.
 
«I Neomangiamorte hanno ucciso Alton Shafiq e la moglie Lisandra. Il figlio Abraham è rimasto gravemente ferito. Gli Auror ci hanno contattato da poco. Elisabeth si sta preparando per tornare a casa. Ho dovuto svegliare anche la professoressa Campbell perché chiamasse i suoi nipoti. Saranno già nel mio ufficio. Dovresti chiamare Florian e Dexter Fortebraccio. Non so se i loro genitori vorranno che tornino a casa, ma preferisco che non lo scoprano dai giornali».
 
«Certo, vado subito a svegliarli» acconsentì Maximillian, consapevole che non avrebbe più dormito per quella notte.
 
*
 
«Basta! Smettetela! Siete solo degli emeriti cretini!» sbottò Albus perdendo definitivamente il controllo. Tutta la classe si voltò verso di lui e i ragazzi che fino a quel momento l’avevano importunato si incupirono quando la professoressa Spinett si avvicinò.
 
«Che succede, Potter?».
 
«Succede che qualcuno dovrebbe spiegargli che mio cugino è chiuso in infermieria da quasi due settimane e non dà segni di vita! Il nonno di Fred è stato ucciso durante una partita di calcio della sua squadra del cuore! E loro vengono a rompere le pluffe a me, parlando di cose che nemmeno sanno! Se i loro genitori si credono tanto migliori di mio padre, che prendano il suo posto! Mio padre non dorme da settimane e manco mio madre, che teme che lo uccidano da un momento all’altro! Sono tutti bravi a parlare!».
 
«Al» sussurrò Dorcas. Il ragazzo scoppiò in lacrime dopo aver sfogato quello che si portava dentro da giorni. Gli altri ragazzi avevano preso l’abitudine di attaccare lui, Lily e James ripetendo le accuse di incapacità che la maggior parte della comunità magica rivolgeva a suo padre. Perché un caprio espiatorio si doveva sempre trovare. Lily fin da principio aveva colpito duro indiscriminatamente e lei e i suoi compagni avevano dichiarato guerra a mezza Hogwarts, per disperazione di zio Neville e degli altri docenti. James sembrava al di là di ogni critica o battuta maligna: stava in compagnia solo dei suoi amici, come se questo lo proteggesse e lo isolasse dal resto della Scuola, e trascorreva il suo tempo studiando e allenandosi. Non lasciandosi neanche un momento per pensare. Fino a quel momento anche lui aveva provato a ignorare i compagni, ma alla fine era scoppiato.
 
«Dorcas, accompagnalo a prendere una boccata d’aria» disse la professoressa Spinett.
 
Albus si lasciò condurre dall’amica, ma nessuno dei due parlò finché non furono nel parco e un lieve venticello primaverile li investì. Il ragazzo fece per dire qualcosa, rendendosi conto di aver fatto la figura del frignone nella speranza che l’amica lo confortasse, ma l’attenzione di Dorcas era altrove. «Papà!».
 
Albus si voltò di scatto, proprio mentre la ragazzina saltava tra le braccia di uomo alto e robusto. Gabriel Fenwick ricambiò la stretta e il suo volto cupo si rilassò leggermente, ma Al non gli stava più osservando. Strinse forte il padre alla vita e poggiò la testa sulla sua spalla. Era lì ed era tutto intero. Quando si staccarono, si rese conto che gli altri Auror si era distaccati per lasciarli un po’ di privacy.
 
«Perché non siete a lezione?» chiese Gabriel.
 
Dorcas fissò Albus insicura su come rispondere.
«Colpa mia» ammise il ragazzo. «Ho… diciamo… perso un po’ il controllo e la professoressa Spinnet ha chiesto a Dorcas di accompagnarmi a prendere un po’ d’aria». Non voleva approfondire troppo, suo padre aveva ben altri problemi e chissà perché era lì. Harry, però, gli fece domande ben precise e Albus non riuscì a trattenersi e, come un fiume in piena, buttò fuori l’angoscia e la paura che lo attanagliavano da giorni.
«Va tutto bene, Al. Va tutto bene. Siamo pronti a combattere. Quella donna non ci porterà via quello che abbiamo costruito in tanti anni. Abbiamo perso troppi amici, perché possa accadere di nuovo. Credimi non lo permetterò».
 
«Fred e Roxi sono a pezzi».
 
«Lo so. Li ho visti. Mi dispiace non avervi dato il permesso di venire, ma sarebbe stato troppo pericoloso».
 
«L’abbiamo capito» borbottò Al.
 
«State tutti vicini. Non ha senso litigare in questo frangente».
 
«Fred ci ha chiesto scusa. James l’ha perdonato subito. Domi ci ha messo un po’ di più».
 
«I Grifondoro sono troppo orgogliosi».
 
«Che cosa dobbiamo fare?».
 
«Per ora nulla. State buoni e basta. Sono venuto a parlare con la Preside. Ogni uscita deve essere sospesa. I Neomangiamorte non ci metterebbero nulla ad attaccare Hogsmeade».
 
«Capisco».
 
«Mi dispiace Al per quello che state passando. Vorrei aiutarti di più… Purtroppo devo scappare. Tieni duro, va bene?».
 
Albus annuì. Rimase a fissare il padre e i suoi uomini attraversare il portone di quercia. Dorcas lo abbracciò. «Ce la faremo».
Il tremito nella sua voce rese l’affermazione esitante, tanto che Al si chiese se fosse una domanda. Comunque non rispose.
 
*
«Buongiorno, professoressa» esordì Harry. Aveva permesso solo a Gabriel di seguirlo dentro l’ufficio, gli altri Auror erano rimasti nel corridoio di fronte ai gargoyle che custodivano l’ingresso della Presidenza.
 
«Buongiorno, Harry. Accomodatevi».
 
«È ancora arrabbiata con me?» chiese tentando di alleggerire almeno l’inizio dell’incontro.
 
La donna sospirò. «Credo che entrambi lo vorremmo, ma da quando ho chiesto di vederti sono accadute troppe cose una dietro l’altra».
 
Harry annuì. «Come sta Louis?».
 
«Anthony Goldstain è speranzoso. Pensa che presto si sveglierà. A quel punto bisognerà vedere se ha riportato altri danni».
 
Il Capo Auror s’incupì. Ne avevano discusso a lungo a casa, ma né lui né i cognati avevano detto ai figli che non bastava che il ragazzino si svegliasse per stare tranquilli. Anche se tutti lo speravano.
«Non abbiamo avuto modo di parlare al funerale di Lumacorno, ma come ha fatto Louis a spezzare gli incantesimi di protezione? Non lo credevo possibile».
 
«Quasi tutti gli incantesimi si possono spezzare, Potter» replicò gravemente la McGranitt. «Naturalmente dipende dalle capacità del singolo mago».
 
«Louis è davvero potente. Temo che l’abbiamo sottovalutato troppo a causa della sua timidezza» mormorò Harry più a sé stesso che ai presenti.
 
«Credevo che avessi organizzato un programma di protezione per gli Shafiq. Com’è possibile che siano stati attaccati nella loro stessa villa?» chiese la Preside senza indugiare oltre su quell’argomento, spiacevole per entrambi.
 
«Con Terry Steeval abbiamo concesso degli uomini di scorta a Caspar e Darnell Shafiq. Il primo ha chiarito subito dopo l’attacco di Natale che non sarebbe mai sceso a patti con i Neomangiamorte; il secondo, invece, ha mantenuto una posizione defilata in un primo momento, probabilmente per non mettere in pericolo la sua famiglia, ma messo alle strette ha assunto le stesse posizioni del fratello e ha condannato pubblicamente le azioni della Selwyn e dei suoi uomini. Pensavamo che fossero loro i primi a rischiare e non certo i genitori anziani. Alton Shafiq aveva anche lasciato il Ministero da anni. E comunque al di là delle accuse che mi vengono rivolte, non c’erano falle nel nostro piano di protezione» concluse Harry con una smorfia amara e prima che la Preside glielo chiedesse spiegò: «Elmer Rowle ha ucciso personalmente i suoi suoceri. Avevamo avvertito il vecchio Alton che stavamo indagando su suo genero e avrebbe fatto bene ad allontanarlo, ma non ha voluto sentir ragioni. Fino all’ultimo ha tenuto vicino a sé la figlia e la sua famiglia. Direi che si sia comportato in modo esemplare. Il messaggio che ha mandato ai figli e ai nipoti è chiaro: mantenere la famiglia unita. Sono sicuro che lui lo sapeva che Rowle non si sarebbe fatto scrupoli a colpirlo alle spalle e così è accaduto. Dalle indagini è risultato che Alton non approvò mai il matrimonio della sua figlia più piccola, ma nonostante ciò le ha aperto sempre la sua casa e non ha permesso a nessuno degli altri figli di criticarla».
 
«Capisco» sospirò mestamente la McGranitt.
 
«Quello che non comprendo io è perché non abbiano ucciso anche Abraham. La ferita che li hanno inferto i mercemaghi di Rowle non era mortale. E credo che l’abbiano fatto di proposito. Ma perché?».
 
«Oh, Harry. Tu non comprendi ancora la logica dei Purosangue» sbuffò irritata la Preside. «Morto Alton Shafiq, Abraham in qualità di primogenito lo sostituirà a capo della famiglia. Se lui li appoggerà bene, in caso contraria finiranno il lavoro. Non dimenticare che gli Shafiq sono Purosangue da generazioni».
 
«Non mi piace la logica purosangue» disse infastidito Harry.
 
«Affrontiamo le nostre faccende» lo esortò la Preside.
 
«Dovrebbe sospendere le uscite a Hogsmeade. I miei uomini e quelli di Steeval continueranno a proteggere il perimetro della Scuola e pattuglieranno il villaggio, ma non possiamo permetterci un numero sufficiente di agenti tanto da proteggere i ragazzi fuori da queste mura».
 
«Non c’è problema. Stavo già meditando di farlo. Nient’altro?».
 
«No, professoressa».
 
«Allora parlami della Profezia» ordinò senza mezzi termini.
 
«Avevo capito che ormai sapesse ogni cosa» replicò Harry sorpreso.
 
«Non certo perché me l’hai detto tu» commentò la Preside e Harry incassò il rimprovero senza ribattere. Era mai possibile che in modo o nell’altro, anche da capo del Dipartimento Auror, si ritrovasse a farsi rimproverare da quella donna?! Aveva un’abilità terribile di farlo sentire in colpa. E meno male che non lo poteva costringere a lucidare l’intera Sala Trofei!
 
«Mi dispiace, ma capirà senz’altro che debbo mantenere il segreto sulle indagini del mio ufficio».
 
«Una scusa poco credibile. E comunque quando coinvolgi i miei studenti nella mia Scuola, diventano affari miei. E pretendo di essere avvertita. Non voglio altri piccoli detective. È chiaro?».
 
«Certo, professoressa» si affrettò a rispondere, non più sicuro che non l’avrebbe messo sul serio a lucidare trofei.
Gabriel sorrise impercettibilmente accanto a lui.
 
«C’è poco da ridere, Fenwick!» lo redarguì la professoressa. Gabriel ritornò serio e Harry ghignò.
«Merlino, siete peggio dei ragazzini del primo anno!».
 
*
 
«Roxi, non credo che dovresti…» Frank non concluse la frase, ma istintivamente l’allontanò dal calderone in cui aveva appena gettato un ingrediente sbagliato. Per fortuna non esplose, ma la pozione schizzò verso l’alto. Gli ricordò tanto l’eruzione di un vulcano. Il professor Mcmillan intervenne immediatamente e la fece evanescere. Frank attese la sfuriata che era certo sarebbe arrivata. L’uomo, però, gli fissò per un attimo soppesando soprattutto Roxi. Strinse le labbra, ma alla fine disse soltanto: «Rimettete in ordine. Non voglio sentirvi fiatare per il resto della lezione».
 
Frank sospirò: li era andata alla grande, tutto sommato. Non li aveva neanche rimproverati. Roxi non sembrava minimamente toccata dall’avvenimento e si mise a disegnare. Un altro mostro incappucciato e senza volto costatò il ragazzino sbriciando l’album. Rimise tutto in ordine senza aspettarsi il suo aiuto. Non si era ancora ripresa dopo l’attentato di Manchester e, visto il comportamento di Mcmillan, nemmeno gli insegnanti avevano la forza di dirle qualcosa. Al suono della campanella furono i primi ad abbandonare l’aula. Per fortuna avevano finito con le lezioni per quel giorno.
 
«Andiamo subito a cena o prima posiamo gli zaini?» chiese tentando di farla parlare.
 
«Non ho fame» soffiò Roxi.
 
«Non avevi fame manco a pranzo!».
 
Roxi non rispose e continuò a camminare fissando il pavimento e urtando gli altri ragazzi senza accorgersene.
 
«Paciock?».
 
Frank riconobbe il ragazzo che l’aveva chiamato. Era del settimo anno, l’aveva conosciuto durante le lezioni extra di Storia della Magia. Bastian Anderson, Prefetto Serpeverde. «Ciao» disse timidamente. Non sapeva se chiamarlo per nome, per quel poco di tempo che era stato con loro l’avevano sempre chiamato Frank ma ora Bastian aveva usato il cognome.
 
«La professoressa Dawson mi ha chiesto di riferirti un messaggio».
 
«Grazie».
 
«Anche se l’uscita a Hogsmeade è stato cancellato, Jeremy Edwards verrà comunque sabato mattina. Qui a Scuola, alle nove e mezza».
 
«Ah, va bene grazie».
 
«Me ne ero dimenticata, scusa!».
 
Frank distolse lo sguardo dal Serpeverde che si allontanava e si girò verso l’amica. «Cosa?» chiese non comprendendo il suo improvviso turbamento.
 
«L’accordo che avevi fatto con tuo padre! Oggi sicuramente Mcmillan ci avrà messo un non classificato! Scusa, avrei dovuto lasciare fare a te».
 
Era vero. La delusione lo investì, nonostante la consapevolezza che mai avrebbe voluto lasciare da sola Roxi.
«Sarà per un’altra volta» mormorò. «Non è la fine del mondo».
 
«Se vuoi parlo io con zio Neville, non può fare il pignolo».
 
Frank scosse la testa. Sapeva che c’erano buone possibilità che il padre gli desse il permesso, indipendentemente dall’incidente a Pozioni, ma sapeva anche che non ci sarebbe andato comunque. «No. Sabato mattina ce ne stiamo insieme. Tu puoi disegnare e io leggere, come sempre. Il mio dormitorio sarà libero, perché i ragazzi vogliono giocare a Quidditch. O se vuoi possiamo andare con loro».
 
«Non mi va di giocare. Ma accetto la prima proposta. Sei sicuro, però? Ti sei impegnato tanto per poter incontrare Edwards».
 
Il ragazzino fece spallucce. «Ora non lo trovo più così importante. E poi sono stanco, preferisco rilassarmi che seguire una lezione complessa».
 
Il sabato mattina arrivò presto per la felicità di tutti gli studenti. Si profilava un week end piacevole grazie al bel tempo che ormai da giorni li scaldava dopo mesi di freddo intenso. Certo un tempo che faceva a pugni con l’umore di molti, ma i ragazzi erano intenzionati a godersi quello che probabilmente sarebbe stato l’ultimo momento di relax prima degli esami.
I Grifondoro del terzo anno si erano svegliati presto per poter giocare il più a lungo possibile prima del pranzo, così Roxi si era trasferita immediatamente nella loro stanza e aveva occupato il letto di Frank con l’album e la sua scatola di colori. Il ragazzino era sceso in Sala Grande per prendere qualcosa da mangiare per entrambi. Gretel aveva preferito rimanere con Lorein Calliance che aveva ricevuto dei tatuaggi finti da casa.
Non poteva caricarsi chissà quante cose, dovendo percorrere sette piani a piedi, perciò optò per i biscotti con le gocce di cioccolata e ne riempì due tovaglioli. Sarebbero stati a posto fino al pranzo.
 
«Frank!».
 
Il ragazzino intento a osservare alcuni quadri mentre camminava sobbalzò al richiamo. Di fronte a lui nel corridoio stavano la professoressa Dawson e suo padre. Entrambi sembravano contrariati per qualcosa. Non avendo vie di fuga, si avvicinò. «Buongiorno» mormorò rivolgendosi a entrambi indistintamente. Come era giusto che fosse aveva raccontato a suo padre di Pozioni per evitare che lo venisse a sapere dal professore stesso come l’ultima volta, ma nessuno dei due aveva fatto cenno a Storia della Magia.
 
«Tra poco c’è l’incontro con Edwards. E tentavo di capire perché tuo padre non ti vuole dare il permesso» disse irritata la Dawson.
Neville le gettò un’occhiataccia.
 
«In realtà non credo siano affari tuoi» sbottò alla fine.
Frank lo fissò sorpreso, di solito era molto cortese con i suoi colleghi.
 
«E invece credo di sì!» ribatté ella testardamente. «È un’attività scolastica come un’altra!».
 
«Non riguarda la sua classe» disse Neville altrettanto cocciuto.
 
«Che importanza ha? Io sono la sua insegnante e io sola posso stabilire quale sia il suo livello!».
 
«E io sono il Direttore di Grifondoro! Quindi devi rivolgerti prima a me quando si tratta dei miei allievi!».
 
«Stiamo parlando della mia classe! Credo che tu stia giocando con un mero puntiglio pur di avere ragione! Non ti credevo così!».
 
«Così come, di grazia?».
 
«Come un padre tiranno!».
 
Neville sbuffò. «Stai parlando come un’adolescente immatura! Sveglia, sei un po’ cresciuta per questo!».
 
«Io non sono un’adolescente immatura! Dico solo quello che vedo! Stai impedendo a tuo figlio di partecipare all’incontro per cosa? Guarda che ho parlato anche io con i miei colleghi, Frank non ha nessun problema nelle altre materie! E l’altro giorno non è stata colpa sua se non ha consegnato la pozione».
 
«Non ho mai detto o pensato il contrario».
 
«E allora perché ti ostini?».
 
Frank era profondamente imbarazzato per quella discussione ed era anche sorpreso dal comportamento del padre. In effetti perché non ne avevano più parlato?
 
«Io non mi ostino. Sai le tue attività non sono al centro dei miei interessi! Ho altri problemi da affrontare! Accidenti, Frank perché non me l’hai detto?».
 
Il ragazzino lo fissò stranito: non si aspettava che si rivolgesse a lui e con tanta veemenza. «Roxi non ci verrebbe mai e io devo stare con lei» rispose alla fine con sincerità. I due docenti che avevano battibeccato fino a quel momento rimasero senza parole: suo padre distolse lo sguardo e la Dawson arrossì.
In realtà se Roxi non fosse stata male, non sapeva come si sarebbe comportato. Forse avrebbe rinunciato lo stesso all’incontro. In fondo suo padre era sempre molto buono e lui si sarebbe sentito in colpa ad approfittarsene: avevano fatto un accordo e non l’aveva rispettato. Lo sapevano entrambi. E il problema non era tanto Pozioni, quanto Astronomia: la Campbell diventava sempre più intrattabile. «Posso andare da lei? Mi sta aspettando» si decise a chiedere, visto che nessuno dei due insegnanti diceva nulla. Avuto il permesso si allontanò a passo svelto e quando fu fuori dalla loro vista spiccò una corsa per raggiungere l’amica il prima possibile.
 
«Ti piace?» chiese ella, appena entrò nella stanza.
 
Frank sorrise: erano un ritratto di suo nonno Richard. Posò i biscotti sul comodino. «È bellissimo». Roxi annuì soprappensiero, poi cercò il suo abbraccio e pianse quelle lacrime che aveva trattenuto troppo a lungo. Il ragazzino non disse nulla e la lasciò sfogare, quando si calmò le raccontò della lite tra suo padre e la Dawson facendola ridacchiare debolmente. Era un sorriso umido di lacrime quello che gli regalò poco dopo raddrizzandosi, ma era sincero. Perché Roxi come suo padre George nonostante il dolore non riusciva a non sorridere a chi voleva bene.
 
*
 
«Tu sei Dorcas Fenwick, giusto?»
 
Dorcas sollevò gli occhi dal romanzo che stava leggendo e si ritrovò di fronte una ragazzina di circa dodici anni.
 
«Sì, perché?».
 
«Puoi venire con me un attimo, per favore?».
 
«Ma tu chi sei?».
 
«Oh, scusa. Hai ragione. Mi chiamo Amber Steeval, sono al secondo anno».
«Ah, che cosa dobbiamo fare?».
 
«Mio fratello Jesse compie diciotto anni. Ho visto che avete fatto amicizia».
 
Dorcas avvampò. «Ci salutiamo solamente».
 
«A me pare che gli faccia piacere. Vieni con me a fargli gli auguri? Mio fratello Alex sicuramente non glieli farà».
 
«Ah, ehm ok» acconsentì Dorcas sorprendendo anche se stessa. La seguì nel parco. «Sei sicura che sia qui?» chiese incerta. Insomma quasi tutta la Scuola era nel lì, come avrebbero fatto a trovarlo?
 
«Sì, mi aspetta vicino al Lago».
 
«Magari io glieli faccio dopo» mormorò imbarazzatissima. Sicuramente Jesse non voleva vederla!
 
«Ciao!» trillò allegramente Amber buttandogli le braccia al collo. «Auguri!».
 
Jesse sembrò sorpreso da tanta espansività, poi però, compiendo un gesto apparentemente dimenticato da tempo, la abbracciò.
 
«Tieni» disse porgendogli un pacchetto.
 
Dorcas si era fermata a distanza, sentendosi di troppo. «Visto che sei qui, avvicinati» le disse lui con gli occhi fissi sul pacchetto che stava scartando. La Tassorosso divenne ancora più rossa e obbedì. «Buon compleanno» pigolò.
 
«Grazie» replicò con un lieve sorriso. «Un kit per la manutenzione delle scope! Grazie, Amber».
 
«Me l’ha consigliato papà» ammise la ragazzina. «Lui che ti ha mandato?».
 
Jesse stese la mano sinistra, mostrandole un anello d’argento infilato al dito indice.
 
«Bello!» disse entusiasta Amber. «Ti ho portato un muffin al cioccolato. L’ho preso a colazione. Possiamo metterci la candelina».
In realtà lo fece senza aspettare risposta e glielo mise in mano. «Dorcas, perché non l’accendi? Io ho paura di bruciarlo» aggiunse girandosi verso di lei.
 
Dorcas estrasse la bacchetta, ma attese un cenno di assenso del ragazzo.
 
«Basta che non mi bruci» borbottò quello con un ghigno divertito. Accese la candelina con mano tremante.
 
«Soffia!» trillò Amber.
 
Jesse, che sembrava divertito dalla situazione, obbedì.
 
«Hai espresso un desiderio?».
 
«Sì».
 
«Bene allora dividiamolo» disse ancora Amber prendendogli il muffin dalla mano. Alla fine ne mangiarono un pezzettino ciascuno, ma nessuno si lamentò.
«Gentile a venire anche tu» disse Jesse, quando Amber li lasciò soli.
 
«Tua sorella crede che stiamo diventando amici».
 
Jesse scrollò le spalle. «Facciamo due passi» disse alzandosi. Dorcas lo seguì. «Forse. Sai credo che tu abbia avuto ragione su molte cose quella notte in cui ci siamo conosciuti veramente».
 
«Di che parli?».
 
«Ho trattato spesso male Amber. Non mi si avvicinava neanche fino a qualche mese fa. Non qui a Scuola comunque. E non aveva torto».
 
«E io che c’entro?».
 
«Sono sicuro che è stato mio padre a dirle di avvicinarsi a me. Lei si fida ciecamente di lui. Le avrà detto che non l’avrei mangiata. Naturalmente non ha funzionato con Alex. Gliel’ho chiesto io l’anello per regalo, mi sono sempre piaciuti. Danno autorevolezza, secondo me. Non mi aspettavo che me l’avrebbe comprato davvero. Mia mamma non mi ha manco scritto».
 
«È bello. Amber ha ragione» si limitò a commentare Dorcas.
 
«Sai che gli anelli hanno un significato diverso a seconda della mano e del dito in cui li metti?».
 
«No».
 
«Cercalo nei tuoi bei libri» disse Jesse, poi si chinò e raccolse un fiore. Glielo porse con un volto serio. Era un fiordaliso.
 

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Capitolo 32
*** La radura degli eroi ***


Capitolo trentaduesimo
 
La radura degli eroi
 
La Cerimonia di Commemorazione era terminata anche per quell’anno. Albus sospirò, quasi rincuorato. L’atmosfera era stata più triste del solito a causa della nuova minaccia che dovevano affrontare. Nonostante ciò la partecipazione era stata ugualmente alta come sempre. E come zia Hermione aveva sottolineato nel suo discorso, era un buon segno: la comunità magica voleva lottare ed evitare il ripetersi degli errori, o forse meglio orrori, del passato.
 
«Vieni?» gli chiese gentilmente nonno Arthur.
 
I nonni erano arrivati presto quella mattina per poter vedere Louis. Per quanto gli aveva detto la mamma, avevano dovuto trattenere quasi di peso la nonna perché non si catapultasse lì già da settimane. Albus annuì, anche se avrebbe voluto andare da qualunque altra parte. Il nonno dovette leggerglielo in viso perché aggiunse: «Non sei obbligato, lo sai». Albus annuì di nuovo: aveva già affrontato l’argomento con i suoi genitori al primo anno.
 
«Vengo» si limitò a dire. Il nonno gli pose un braccio intorno al collo e Albus gliene fu grato.
 
Non si era tirato indietro a dodici anni perché era sicuro che James l’avrebbe preso in giro appena gli adulti non fossero stati presenti, e non l’avrebbe fatto ora che ne aveva quindici. Si inoltrarono nella foresta senza aggiungere altro. Abituato al caos della Scuola gli sembrava innaturale il silenzio di quei momenti: tante persone insieme, e la sua famiglia di per sé era molto chiassosa, come facevano a camminare insieme senza fare il minimo rumore? Quelle situazioni lo facevano sentire a disagio. Fortunatamente la loro meta non era lontana e quella strada era stata incantata in modo che nessuno degli animali della Foresta Proibita potesse penetrarvi. Vi era una specie di barriera magica. Sbirciò l’espressione del nonno e ne colse la profonda tristezza, era sicuro che se si fosse accorto che lo stava guardando avrebbe sorriso, fingendo una serenità che non provava realmente.
Finalmente di fronte ai loro occhi si aprì una radura di medie dimensioni, quella che ormai da anni era nota come Radura degli Eroi. I cinquanta che avevano perso la vita combattendo contro Lord Voldermort erano stati sepolti lì.
La folla si divise, ognuno alla ricerca dei propri cari.
Albus seguì i suoi famigliari, rimanendo sempre accanto al nonno. Lì la barriera magica era ancora più forte, in modo da proteggere le lapidi dalle intemperie. Erano poste ordinatamente in cerchi concentrici e al centro svettava un monumento di marmo bianco che rappresentava tre donne bellissime: Pace, Concordia e Giustizia. La prima teneva in mano il triskele, simbolo celtico della pace. La seconda proteggeva con il suo mantello le diverse razze: maghi, babbani, elfi domestici, folletti, centauri e addirittura fantasmi! La Giustizia teneva in una mano, sollevata in alto, una bilancia i cui piatti erano perfettamente allineati; nell’altra una lunga pergamena con l’elenco dei caduti.
Quella statua ogni anno lo inquietava e lo metteva a disagio: gli occhi delle tre donne sembravano perforarti. Per la prima volta si chiese chi fosse l’autore. Chissà se aveva vissuto la guerra e quello era il risultato.
 
«Al» lo richiamò il nonno. Gli altri si erano allontanati. Era rimasto imbambolato a osservare la statua.
«Scusa» mormorò seguendolo. Gli altri aveva già trovato la lapide di zio Fred. Era piena di fiori. Se fosse stato per nonna Molly ci sarebbe andata ogni giorno probabilmente, ma non era realmente fattibile visto che si trova all’interno dei confini di Hogwarts. Comunque Teddy non mancava mai di andarci saltuariamente, specialmente da quando era diventato docente.
Non bisognava dimenticare che agli studenti era vietato recarsi lì senza un permesso speciale e meglio ancora accompagnati da un docente. A quanto pare molti anni prima, alcuni studenti avevano osato compiere atti di vandalismo e ciò aveva convinto la McGranitt a prendere provvedimenti.
Accanto alla lapide dello zio, vi erano quelle di Remus Lupin e Tonks, i genitori di Teddy.
Albus lasciò andare avanti il nonno e lo vide circondare amorevolmente le spalle della moglie, che singhiozzava dalla fine della Commemorazione. Rimase ciondolante dietro gli altri. Odiava quei posti. Gli mettevano un senso di freddo nelle ossa e tentava di non leggere le date riportate sulle lapidi. Quelle visite gli lasciavano per ore addosso il senso della sua fragilità e di quella umana in generale.
Poco distante vide una lapide su cu cui era china una figura solitaria. La riconobbe immediatamente e senza sapere perché si avvicinò. Perché poi? Era un gesto stupido il suo, che cosa voleva dirle? Si fermò in modo da non invadere realmente l’intimità della donna, ma non ebbe difficoltà a leggere l’epitaffio e vide chiaramente la foto. Le date riportate, 1979-1998, contrastavano con il volto ancora fanciullesco del giovane.
La donna si sollevò ed estrasse la bacchetta. Qualunque cosa volesse fare non vi riuscì. Alle volte in particolari stati emotivi poteva accadere. Albus comprese, tornò indietro e senza che i suoi se ne accorgessero sfilò dei fiori dai mazzi che zio Bill teneva in mano. L’uomo gli lanciò un’occhiata interrogativa, ma sfuggì rapidamente a ogni possibile domanda. Aveva preso dei gigli, scelti probabilmente dalla nonna. Con un colpo di bacchetta li intrecciò in una ghirlanda. La valutò per qualche secondo e reputandola accettabile si avvicinò di nuovo alla donna. Non disse nulla, si limitò a chinarsi e poggiare la ghirlanda sul marmo bianco. Infine fece per allontanarsi, ma fu trattenuto per un braccio.
 
«Perché?» gli chiese la donna a bruciapelo.
 
Albus si sentì arrossire e balbettò una risposta. Quella donna lo metteva sempre in soggezione. «Ho visto che non riuscivate a farli apparire con la magia…».
 
La donna lo fissò a lungo prima di parlare. «Grazie».
 
«Di nulla» mormorò imbarazzatissimo.
 
«Perché, però?».
 
Albus non comprese la domanda. Non aveva già risposto?
«Non capisco, professoressa» ammise. «In che senso perché?».
 
La professoressa De Mattheis lo fissò per un attimo e poi disse: «Credevo che tutti gli studenti mi odiassero. Perché questo gesto gentile? Cosa speri di ottenere?».
 
Il ragazzo sorpreso in un primo momento stette in silenzio. Avrebbe voluto farle notare che gli studenti bene o male odiavano tutti gli insegnanti. Certo è che la De Mattheis aveva una pessima fama ed era forse l’insegnante più impopolare della Scuola. A differenza di quanto ella credeva, però, vi erano suoi colleghi che le facevano grande concorrenza. Per quanto lo riguardava Albus, nonostante non fosse molto portato per Aritmanzia, preferiva lei a professori come la Campbell. La De Mattheis era fredda e rigida nei loro confronti, ma non aveva mai pronunciato una parola ingiuriosa o aveva agito in maniera scorretta.
 
«Nulla, professoressa» mormorò alla fine, non volendo esprimere i suoi pensieri ad alta voce.
 
«Albus! Non potevi dirci che ti allontanavi?».
 
Suo padre avvicinandosi e richiamandolo ruppe quel momento imbarazzante. Il ragazzo si voltò verso di lui. Harry Potter era decisamente infastidito.
 
«Ero qui. Non mi sono allontanato mica tanto. E poi zio Bill mi ha visto» ribatté. Insomma aveva pur sempre quindici anni, per Merlino!
Harry si passò una mano tra i capelli nervosamente, ma si limitò a gettargli un’occhiataccia.
 
«Buongiorno, signor Potter».
 
«Professoressa De Mattheis» replicò Harry stringendole la mano. «Spero che Al non la stesse infastidendo».
 
Albus lo guardò male. Insomma non era più un bambino! Per chi l’aveva preso? Per Lily?
 
«No, signor Potter. Non si preoccupi» replicò la donna. Il suo volto rimase serio e privo di emozioni come sempre.
Suo padre si congedò dalla professoressa pochi secondi dopo. Albus fece per seguirlo, ma si trattenne il tempo di mormorare alla donna: «Comunque si sbaglia. Lei non è la più odiata della Scuola. Glielo assicuro».
 
Infine si voltò e raggiunse i suoi famigliari, lasciandosi alle spalle una Lucretia De Mattheis completamente basita.
 
*
 
«Frank, puoi aspettare un attimo?».
 
Domanda retorica. Quando un insegnante ti dice in quel modo, non hai realmente scelta. Frank fece segno a Roxi e Gretel di precederlo e si avvicinò al padre. Tutto sommato se avesse voluto avrebbe potuto provare ad accampare una qualunque scusa. Se il padre voleva parlargli in tale veste, difficilmente avrebbe potuto trattenerlo; se era il professore di erbologia a trattenerlo non avrebbe mancato di sottolinearlo. Comunque era certo che non potesse avere nulla da rimproverargli e poi, per principio, non aveva mai voluto approfittarsi del fatto che suo padre fosse il suo insegnante. Per cui doveva almeno tentare di trattarlo come tale.
 
«Che c’è?».
 
«Volevo discutere con te di quello che è successo sabato scorso».
 
«È stato profondamente imbarazzante» dichiarò Frank, non potendo trattenere una punta di rimprovero.
 
Neville annuì. «Scusami. Ti assicuro che dopo che te ne sei andato io e la professoressa Dawson abbiamo chiarito… Anche se credo che non si sia fatta una buona impressione di me come genitore».
 
Frank si dispiacque per questo. «Mi dispiace, è colpa mia».
 
«No, che non lo è. Sai, temo di essere stato un po’ duro con te… Perché non me ne hai parlato più? Ti avrei permesso di andare!».
 
«Ve l’ho detto l’altro giorno: Roxi aveva bisogno di me. E comunque avevamo un accordo e io non sono riuscito a rispettarlo».
 
«È questo il problema. Quell’accordo era troppo severo. Senza contare che non era propriamente un accordo. Non ti ho dato molta scelta».
 
Frank fissò il padre e quasi si commosse a vederlo sinceramente preoccupato. «Ne hai parlato con la mamma quando è venuta per la Commemorazione, vero?» tentò. Era assurdo, ma doveva fargli capire che quello in torto non era certo lui.
 
«Certo. Lo sai che non ci nascondiamo nulla, a maggior ragione quando si tratta di voi».
 
«E che ti ha detto?».
 
«Che ho fatto bene».
 
Frank gli rivolse un sorrisetto un po’ imbarazzato e Neville non poté fare a meno di ricambiarlo. Su una cosa era certo dopo quasi quattordici anni di vita: era meglio non fare arrabbiare Hannah Paciock. Sicuramente Alice e Augusta ne avevano preso da lei. Il ragazzino distolse lo sguardo. Lui, invece, ne aveva preso dal padre: erano entrambi impacciati in quel frangente.
 
«Ho fatto conoscenza con Jeremy Edwards alla fine». Frank sgranò gli occhi. Scherzava? «La Dawson gli ha parlato di te. Sembra una brava persona. Mi ha detto di dirti che uno storico deve anche essere un buon osservatore e se il caso deve prendere appunti su quello che vede. Come saprai in passato ha pubblicato anche dei romanzi. Mi pare che ce li hai a casa. Li abbiamo letti insieme quando eri più piccolo. Non ricordavo minimamente che l’autore fosse lui». Il ragazzino si limitò ad annuire, impegnato a elaborare quelle informazioni, mentre il rimpianto si faceva strada in lui. Decisamente il destino si era divertito a togliergli la possibilità di conoscere Edwards: insomma prima aveva fatto un macello facendo irritare il padre e poi Roxi aveva avuto bisogno di lui. «Ti ho preso questo. Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere».
 
Frank prese il taccuino che gli stava porgendo. Lo sfiorò delicatamente con la mano destra. «Pelle di drago?» domandò sorpreso. Sembrava molto prezioso!
 
«Sì. Ti piace?».
 
«Tantissimo! Ma ti sarà costato un occhio?!».
 
Neville fece un gesto vago e sorrise affettuosamente. «L’importante è che ti piaccia».
 
«Grazie». Frank lo abbracciò e pensò che fosse il padre migliore del mondo.
 
*
Emmanuel sospirò per l’ennesima volta. Aveva perso il conto del tempo che aveva già trascorso in infermieria sotto lo sguardo vigile di Peter Lux. Gli porse una benda pulita e lo osservò mentre meticolosamente cambiava la fasciatura alle ferite di Louis Weasley. Era interessante osservarlo lavorare. Era bravo, nonostante la giovane età.
 
«Posso farle una domanda, signore?» chiese dopo aver tentennato a lungo.
 
«Ho solo ventitré anni. Dammi del tu, come la maggior parte dei tuoi compagni. Mi stai mettendo a disagio con i tuoi sì, signore. Fammi le domande che vuoi» rispose questi dirigendosi verso il suo ufficio per lavarsi le mani.
 
«Mi dispiace, non era mia intenzione. Però la mia domanda forse è troppo personale».
 
Peter si accigliò incuriosito e scrollò le spalle. «Passami l’asciugamano… Chiedi, se non riterrò opportuno non ti risponderò».
 
Emmanuel gli passò l’asciugamano e lo fissò ancora per qualche secondo, poi si decise a chiedere. «Quando hai deciso di voler fare il medimago?».
 
Peter sorrise sedendosi alla scrivania. «Mia madre era già avanti con l’età quando sono nato io. Due anni dopo sorprendentemente è rimasta nuovamente incinta. Se l’è vista brutta. Io ero troppo piccolo per capire, ma in seguito mi hanno raccontato questa storia più volte. Un giovanissimo medimago ha salvato sia mia mamma sia mio fratello Simon. Da piccolo sentendo questa storia si è insinuata sempre di più dentro di me l’idea di voler salvare vite umane. E il caso si è divertito: il giovane medimago è diventato il mio mentore quasi venti anni dopo».
Emmanuel era colpito dalla storia e sorrise timidamente.
 
«Sei interessato a intraprendere questa strada dopo Hogwarts? Bisogna studiare molto» continuò Peter serio, visto che Emmanuel non apriva bocca.
 
«Sì, immagino che non sia semplice. Però mi interessa, lo ammetto. Mi piacerebbe provarci».
 
Peter lo squadrò con curiosità crescente. «Quando mi è stato chiesto di supervisionare la tua punizione, pensavo di aver a che fare con un piccolo ribelle, come peraltro mi è capitato più volte in questi mesi».
Emmanuel arrossì imbarazzato. Non piaceva manco a lui la situazione in cui si era ficcato. Merlino solo sapeva cosa gli avrebbe detto sua zia quando sarebbe rientrata a Scuola nei giorni successivi.
«Sei stato punito per aver duellato, sbaglio?» insisté Peter.
 
«Non proprio» si decise a rispondere. «Ho affatturato mia cugina. Ha un anno più di me e sa essere molto petulante».
 
«La ragazza in preda a una crisi isterica cui ieri pomeriggio ho dovuto far sparire degli enormi brufoli dal volto?».
 
«Molto probabile».
 
Peter lo soppesò ancora per qualche secondo, infine disse: «Per me puoi andare. Riferirò alla professoressa Campbell che hai svolto perfettamente i tuoi compiti. Grazie dell’aiuto».
 
«Dovere» ribatté Emmanuel un po’ rigidamente, poi salutò e uscì dall’infermieria.
 
«Emma! Come stai?».
 
«Fabiana?! Che fai qui? Il coprifuoco è scattato da un pezzo!» esclamò vedendo la coetanea uscire dall’ombra.
 
«Volevo parlarti. Sono giorni che sei sfuggente».
 
«Perdonami. Volevo stare un po’ solo».
 
«Come ti senti?».
 
«Non bene, ma dopo aver affatturato Aura sono rinsavito un po’. Tardi in effetti».
 
«La Campbell ha scritto ai tuoi?».
 
«Figurati» rispose Emmanuel con una smorfia. «Mio padre mi ha rimproverato via gufo. Per fortuna non è tipo che ama le strillettere».
 
«Tutto si sistemerà» gli sussurrò Fabiana.
 
«Lo spero. Ti accompagno in Sala Comune, però. Non vorrei che finissi nei guai per colpa mia».
 
*
 
«Exspecto PatronumExspto… no, accidenti… Exspecto Patronum!». Una nebbiolina argentata fuoriuscì dalla sua bacchetta.
 
«Wow».
 
James sobbalzò, la nebbiolina scomparve e il ragazzo si voltò verso l’unico letto occupato dell’infermieria. Gli venne un colpo notando i due occhietti azzurri che lo fissavano. Era seduto a cavalcioni sulla sedia. Tentò di alzarsi rapidamente, ma con gesto goffo scivolò di lato trascinando a terra anche la sedia stessa. Naturalmente facendo un gran fracasso.
 «Potter!» sibilò Peter Lux, uscendo dal suo ufficio. «Non ti avevo detto di star seduto composto e soprattutto che l’infermieria non è il luogo adatto per esercitarsi in Difesa!?».
 
James era senza parole, troppo sorpreso per parlare e rimase sul pavimento.
 
«Ti sei fatto male?».
 
A questo punto anche Peter sgranò gli occhi e pose la sua attenzione sul ragazzino che si era sollevato su un gomito e li fissava.
 
«Louis!» strillò felice James, sollevandosi di scatto e circondandolo con le sue braccia.
 
«James, non così!» lo richiamò Peter, avvicinandosi.
 
Il ragazzo si spostò perché Peter potesse visitarlo.
«Sta bene, vero?».
 
Peter non rispose, ma iniziò a controllarlo. «Sembra tutto apposto» dichiarò alla fine. «Vado a chiamare Goldstain e i tuoi zii. Falli compagnia».
 
James annuì e il suo sorriso si allargò ancor di più quando si rivolse al cugino.
«Come ti senti?».
 
«Uno straccio» rispose il ragazzino appoggiando la testa sul cuscino.
 
«Ti rimetterai, tranquillo» disse con sicumera. «Ti sei perso un sacco di cose! Non vedevamo l’ora che ti svegliassi!».
 
«Quanto ho dormito?».
 
«Settimane! Siamo stati molto in ansia» replicò serio James. «Ma ora non è importante! Ti sei svegliato e stai bene! È l’unica cosa che conta!» aggiunse vedendolo intristirsi.
 
«Ho fatto solo guai» mormorò mesto. «Il professor Lumacorno, come sta?».
 
James boccheggiò, non sapendo come rispondere. Per fortuna le porte dell’infermeria si spalancarono. «Oh, mon trésor!» gridò Fleur, stringendo forte il figlio. Lo zio Bill lo abbracciò subito dopo. Louis scoppiò in lacrime, nascondendo il volto nel petto del padre.
 
*
 
«Bella festa, non credi Fletcher?».
 
«Rowle, non sono feccia per te? Allora gira a largo» ribatté Jack, non trattenendosi dall’occhieggiare tutto quello che il vestito di Aura Rowle lasciava scoperto. Ed era parecchio.
 
«Non sapevo che anche i Prefetti partecipassero alle feste illegali».
 
Il ragazzo si voltò verso la compagna: Stephanie Carson, meglio nota come Nina. Corvonero intelligente e ribelle. «Mi hai preso per il tuo Prefetto? Gabriel Corner è andato a letto alle otto? Come i bravi bambini?».
 
«Probabile. Non mi sono presa la briga di verificarlo. Ciò che conta è che non è di ronda. Whisky?» disse indicando il calice che Jack teneva in mano.
 
«Vuoi?».
 
«Solo un sorso. Non lo reggo e siamo in una giungla di adolescenti in preda agli ormoni».
 
Jack ridacchiò e gli porse il calice. «Sai chi ha organizzato la festa, vero?». L’alcool lo rendeva senza dubbio più chiacchierone ed espansivo del solito. Avrebbe dovuto starci attento anche lui, visto che non c’era Andy a tenerlo d’occhio. D’altronde, forse giustamente, l’amico aveva preferito fare il bravo bambino e rimanere in Sala Comune a studiare. Anche se bisognava ammetterlo, era sul punto di avere una crisi nervosa: ormai gli insegnanti non facevano che ricordare l’avvicinarsi dei G.U.F.O. Mancavano solo poche settimane. Non per niente a quella festa era accorsi molti ragazzi del suo anno: volevano una pausa o torturare quelli più grandi che li avevano già sostenuti. Un paio erano già stati schiantati per questo. Almeno Andy era più tranquillo per quanto riguardava la sua famiglia: la sua casa era protetta da incantesimi del Ministero.
 
«Come no. July Mcmillan. Comunque ho sentito alcuni del sesto dire che il loro anno è il migliore. Dicono che non si fa nulla».
 
«Come no. Magari hanno preso solo una manciata di G.U.F.O. Tu non sei preoccupata, vero?».
 
«Figurati, ne ha superati un paio mia sorella che è una troglodita».
 
«Ma ai ragazzi piace» replicò Jack indicando una ragazza bionda sui diciassette anni che si baciava in mezzo alla pista da ballo.
 
La Corvonero fece finta di avere un conato di vomito. «Andiamo a giocare al gioco della bottiglia? O è troppo babbano per te?».
 
«Non c’è problema» disse Jack con un ghigno. «Se hai notato ci giocano anche i Purosangue. Chissà se lo sanno che è un gioco di origine babbana. Quando vogliono se le dimenticano certe cose».
 
Raggiunsero un gruppetto animato di ragazzi tra i quattordici e i diciotto anni, tutti seduti su cuscini, rigorosamente rosso-oro, intenti a seguire il giro compiuto da una bottiglia di whisky vuota. I due ragazzi si trovarono uno spazio.
 
«Facciamoci due risate» ridacchiò Jack, ormai in preda all’euforia dell’alcool.
 
«Vai Parker!» gridò qualcuno dando pacche al ragazzo che era stato scelto.
 
«Se ci becca qualche insegnante, qui ci sono tutti i loro cocchi. Quanti Prefetti ci sono oltre voi?».
 
«Troppi» replicò a bassa voce Jack. Consapevole che avesse ragione, ma che comunque avrebbe peggiorato solo la situazione se fossero stati scoperti. «Ha invitato anche ragazzini del quarto anno!».
 
«Io ne ho visti ancora più piccoli. Ma è il compleanno di Fred Weasley. Ha un sacco di cugini».
 
«Baston!» strillò qualcuno, riportando la loro attenzione sul gioco.
 
Katie Baston, Capitano della squadra di Serpeverde, si alzò e mosse verso Edmund Parker, particolarmente soddisfatto. Sotto gli occhi dei presenti si baciarono alla francese. Urla e applausi si levarono in sottofondo.
 
«Sono tutti ubriachi, Fletcher. Scambiamo due parole prima che lo sia anche tu? O ti devo portare nello sgabuzzino? La nostra fama di uomini virili ne risentirebbe».
 
«James! Ti avevo detto di non bere».
 
Jack squadrò i due Grifondoro e decise di accontentarli. «Che Merlino vuoi, Potter? E se devi biascicare altre scemenze torno a giocare, così mi pomicio una carina prima della fine della festa».
 
«Tieni!» disse James con sguardo un po’ vacuo.
 
«Ahi, cazzo. Brucia! Potter sei impazzito?».
 
«Femminuccia» replicò James con voce dura. «Tienila. E non metterla in mostra. Cerca mio fratello domani mattina, ti spiegherà ogni cosa».
 
«Ma sei fuori?» ripeté Jack trasecolato, rigirandosi la runa di terracotta nella mano. Laguz. «È uno scherzo?».
 
«Purtroppo no» s’inserì Robert. «E ora andiamo, scusa. Siamo entrambi fidanzati».
 
Jack alzò gli occhi al cielo e non replicò.
 
«Fletcher. Mi hanno dato un obbligo» lo chiamò la Carson. Si voltò interrogativo e non fece in tempo a dir nulla che lei lo baciò. Dopo un attimo di sorpresa ricambiò.
 
«Un bell’obbligo» decretò alla fine, mentre gli altri ragazzi fischiavano e ridevano. Non c’è che dire quella ragazza era proprio un peperino.
 
*
 
«Domi! Bastian, mi stava per baciore!» disse stizzita Apolline Flamel.
 
«Fai la cugina una volta tanto!».
 
«Matthew è un ragazzo tranquillo, lo sapevi quando ti ci sei fidanzata. E quindi ora tu ne traccaser pas! Lui è rimasto in Dormitorio!».
 
«Che palle!» ribatté Domi incrociando le braccia al petto e imbronciandosi.
 
«Ma quella non è la tua compagna?».
 
Domi seguì il suo sguardo sperando di consolarsi con un po’ di pettegolezzi, come indirettamente Apolinne le stava suggerendo.
 
«Ed è con Nicolai Krum! Vedi tu la santarellina!» commentò stupita fissando Cecilia Jones, la Grifondoro più tranquilla del settimo anno. La ragazza percepì il suo sguardo e si voltò. Arrossì, sussurrò qualcosa al ragazzo e insieme si avvicinarono.
 
«Ehilà» disse il giovane sorridendo.
 
«Toglimi una curiosità. Come hai fatto?» chiese Domi.
 
«Ho fatto cosa?» ribatté il ragazzo confuso.
 
«Il vostro Preside vi sta addosso come un mastino».
 
«Ah, ma Vulchanova non è un problema. Basta mettergli della Pozione Soporifera nel whisky e tanti saluti. Quello cui bisogna stare attenti è Dumbcenka, un maledetto spione».
 
«Come fai ai parlare inglese così bene?» chiese sorpresa Apolline.
 
«Mio padre mi ha fatto seguire delle lezioni quando ero bambino. Sono abbastanza portato a imparare le lingue. Conosco bene anche il francese e lo spagnolo. Mi piacerebbe fare il magiambasciatore».
 
«Scusa, scusa… Tu hai messo della Pozione Soporifera nel wisky del tuo Preside e il tuo Preside beve wisky?» chiese scioccata Domi, immaginandosi di fare una cosa del genere alla McGranitt. Come avvicinarsi al tavolo degli insegnanti impunemente? E seriamente, i professori bevevano whisky a cena?
 
«Non ci vuole niente. Ci usa come suoi camerieri. Peggio per lui» replicò Nicolai.
 
«Beurk!» si irritò Apolinne.
 
«Che ha detto?» chiese Cecilia.
 
«Che schifo» tradusse tranquillo Nicolai. «E comunque Cecilia mi ha aperto il portone. Tu, invece, come sei sgattaiolata via dalla Maxime? Non mi dire che ti ha dato il permesso».
 
«Come no! Saremmo già tutti sospesi, come minimo, se solo avesse il minimo sospetto! Non lo sai? Noi di Beauxbatons ci siamo trasferiti dentro. La McGranitt ci ha messo delle stanze a disposizione. Siamo più al sicuro dentro il castello. Non è poi così difficile girare nei corridoi di notte».
 
«Domi!». Una Rose sconvolta prese la cugina per un braccio e la trascinò lontana.
 
«Che Merlino hai?» chiese la più grande con un terribile senso di de-jàvu.
 
«Eddy Zabini mi ha mollato» disse non riuscendo a trattenere le lacrime.
 
«Da quand’è che ti confidi con me?».
 
«Cassy sta pomiciando con Seby Thomas e Isobel ed Elphias sono altrettanto impegnati».
 
«Quindi io sono l’ultima spiaggia?».
«Fai poco l’offesa. Tanto non hai altro da fare, visto che Fergusson ha preferito il manuale di Trasfigurazione a te». Domi avvampò. «Voglio solo un consiglio» aggiunse Rose prima che la cugina scoppiasse.
 
«E te lo dò. Cambia carattere! Zabini ha fatto bene».
 
Rose la fissò con odio mentre tornava dai suoi amici. «Guarda chi parla» mormorò. Osservò gli altri ragazzi e maledisse per la milionesima volta Albus che l’aveva abbandonata. Mai e poi mai il signorino avrebbe fatto qualcosa contro le regole! Stupido fifone! Come se la Mcmillan non avesse preso ogni precauzione per non essere beccata! Si avvicinò imbronciata a Fred che stava tagliando la torta. Diciassette anni. Non vedeva l’ora di compierli anche lei, così avrebbe potuto fare tutto quello che voleva!
 
«Rose Weasley. Vuoi ballare?».
 
Si voltò di scatto e valutò il ragazzo che l’aveva invitata. Lo riconobbe come uno degli amici di Domi. Sorrise lusingata: uno del settimo anno chiedeva a lei, con tutte le ragazze presenti, di ballare. «Certo. Sei Humbert Ward, uno degli amici di Domi, vero?».
 
«Sì».
 
Scacciò dalla mente il viso solitamente simpatico di Edward Zabini e soprattutto il senso di colpa, forse non avrebbe dovuto costringerlo a venire alla festa se non se la sentiva e forse avrebbe dovuto essere meno prepotente. Fece un largo sorriso e decise di godersi il resto della festa.

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Capitolo 33
*** Tempo di esami ***


Capitolo trentatreesimo
 
Tempo di esami
 
 
«Jamie, sei preoccupato per la Terza Prova?» domandò Benedetta.
La sera prima infatti i Campioni erano stati convocati da Mullet e Malfoy perché finalmente li fosse rivelata l’entità dell’ultima prova.
 
«Credo che le prossime saranno le settimane più lunghe della mia vita» borbottò James infilzando una salciccia con foga, quasi fosse la responsabile dei suoi problemi.
 
«Ma non è difficile, no?» si intromise Demetra. «È solo un labirinto. Entri, trovi la Coppa e hai vinto».
 
I tre compagni la fissarono, poi James si sfogò su un’altra salsiccia.
 
«Scherzi, vero?» proruppe Robert. «Un labirinto è perfetto per farlo fuori e far passare il tutto come un tragico incidente. Oppure trasformano di nuovo la Coppa in una passaporta, che lo porta dalla donnaccia, viene torturato e poi fatto a pezzi e…».
 
«Basta!» lo interruppe Benedetta, spingendo il piatto lontano da sé. «Mi hai fatto passare la fame! E non è divertente!».
 
«Non stavo scherzando. Sono maledettamente serio!» replicò Robert, la cui espressione mostrava palesemente la sua preoccupazione.
«Ti prego, non descrivere più la mia morte» mormorò James. «Nemmeno io ho più fame. Ci vediamo in camera per ripetere».
 
«Perché dove vai?» chiese sorpresa Benedetta.
 
«Louis. Mi sembra un po’ troppo preoccupato per dover affrontare semplicemente gli esami del primo anno. Vado ad augurargli buona fortuna».
 
«Ci vediamo dopo, allora» disse Robert.
 
James si diresse al tavolo dei Corvonero con passo sicuro. Suo cugino era rientrato ad Hogwarts un paio di giorni prima. Gli zii avevano preferito portarlo a casa per un po’ dopo aver ricevuto il permesso di Goldstain. Per quello che aveva capito se fosse stato per loro l’avrebbero tenuto a casa fino a settembre, ma Louis si era impuntato affermando di voler fare gli esami insieme ai suoi compagni e non alla fine dell’estate, come la Preside gli aveva concesso visto che era stato male.
 
«Ehi, che sono queste facce? L’estate è alle porte!» esordì con un largo sorriso, buttandosi letteralmente addosso a Louis e Drew Jordan, che furono costretti a fargli spazio sulla panca. Molti Corvonero lo guardarono male, ma lui li ignorò.
 
«Stamattina abbiamo la prima prova!» rispose Louis con una punta di isterismo nella voce, che gli ricordò tanto Albus, il suo meraviglioso e calmissimo fratello che quando l’aveva salutato quella mattina gli aveva urlato contro in risposta perché non si ricordava, o almeno credeva di non ricordare, gli ingredienti del Filtro Doxycida.
 
«Suvvia, non dovete affrontare mica un dorsorugoso di Norvegia» tentò di scherzare, ma l’unica che gli sorrise fu Annika. «Qual è il primo?».
 
«Incantesimi» disse Louis.
 
«Il problema è che devono andar bene, capisci?».
 
«Ehm non proprio… non credo che nessuno di voi abbia problemi a essere promosso».
 
«Sì, ma uno di noi deve risultare il migliore» mormorò Drew. «O ci uccideranno».
 
«Chi?» chiese James perplesso. Non erano fuori da ogni gioco pericoloso? A parte Brian si intende.
 
«Gli altri Corvonero» rispose quest’ultimo, il cui piatto era immacolato e a quanto pare serviva esclusivamente da appoggia libro. «È colpa nostra se siamo ultimi in classifica».
 
«Ah sì, ora ho capito… Noi siamo terzi, figurati che felicità… Prima o poi li passerà…».
 
«Non credo… sono mesi che ci guardano storto. Forse i Grifondoro dimenticano in fretta, ma i Corvonero no» ribatté Annika.
 
«Tu non sei agitato?» gli chiese Louis.
 
«Chiedimelo tra una settimana» replicò con un ghigno James e si alzò. «Gli altri mi aspettano per ripetere. Stiamo seguendo un programma stilato da zia Hermione e ti assicuro che non lo farò mai più». Finalmente Louis ridacchiò. «Buona fortuna. Andrete benissimo» aggiunse facendo loro l’occhiolino.
 
*
 
Albus tirò un sospiro di sollievo. Ormai mancava solo Cura delle Creature Magiche e avrebbe concluso gli esami. Si alzò e consegnò il test di Aritmanzia. 
 
«Potter, puoi aspettare un attimo, per cortesia?».
 
Il ragazzo attese che i compagni uscissero dall’aula e si avvicinò alla cattedra, curioso di sapere perché la professoressa l’aveva trattenuto.
Non avevano più parlato da quel giorno nella radura degli eroi, ma ella era senz’altro cambiata. Tutti l’avevano notato. Visto che non c’erano stati altri episodi violenti, per fortuna, l’argomento più chiacchierato da settimane era proprio la De Mattheis. A quanto pare durante una lezione del terzo anno aveva sorriso a Emmanuel Shafiq poiché aveva risposto particolarmente bene a una sua domanda. Per tutti era stato un miracolo. Comunque da quel momento aveva sorriso molto più spesso.
 
La professoressa teneva gli occhi bassi sui fogli che stava riordinando, quando parlò: «Volevo ringraziarti. Mi hai dato qualcosa su cui riflettere il due maggio».
Albus non sapeva come rispondere. «Le due guerre mi hanno tolto tutto. Ogni affetto. L’ultimo è stato mio figlio più grande, sognava di far l’Auror, ma appena il Ministero è caduto nelle mani di Tu-Sai-Chi è stato espulso dall’Accademia perché mio marito era di origini babbane. Era un Grifondoro testardo e ferito nell’anima, perché eravamo già stati attaccati più di una volta dai Mangiamorte. Nell’ultimo mio figlio più piccolo, che avrebbe dovuto iniziare Hogwarts quell’anno, è stato ucciso. Era accecato dall’idea della vendetta, così è rimasto vicino alla resistenza. Quando Radio Potter ha inviato il messaggio che si stava per combattere a Hogwarts non ha voluto sentir ragioni. L’ho seguito. Avevo solo lui, non aveva senso rimanere a casa. All’alba del due maggio non avevo più nulla. Ero una delle tante distrutte dalla guerra. Ho dato una mano a ricostruire il castello, poi la McGranitt mi ha offerto il posto. Sono ventitré anni che insegno qui e ho sempre sperato di dimenticare il passato. Impossibile. Tu, però, mi hai fatto capire che sarebbe più saggio guardare al futuro con occhi carichi delle esperienze del passato. Ne ho parlato con la Preside e si è mostrata contenta che finalmente avessi compreso. Se ci siamo salvati quella notte, è perché non abbiamo concluso la nostra missione sulla terra. Nessuno di noi sa veramente quale sia, ma si può sempre provare. E se sono rimasta qui, una motivazione ci sarà. La Preside mi ha chiesto, non so perché sinceramente, lei è certa che tu capirai da solo, di riferirti che ho consigliato dei libri di approfondimento a Virginia Wilson. Sono sicura che ha la stoffa dell’Aritmante. La professoressa mi ha anche chiesto anche di ricordarti che ognuno di voi ha un talento ben preciso e dovrebbe farlo fruttare. Un buon insegnante serve anche a questo. Ho commesso molti errori, ma spero di poter rimediare. Ora vai pure».
 
Albus le augurò una buona giornata e corse verso il parco. Avrebbe dovuto affrontare l’esame di Hagrid, ma la sua mente pensava a ben altro. L’imbeccata della Preside non era casuale. Si riferiva alla Profezia, ne era certo. Se l’avesse convocato avrebbe attirato attenzioni non richieste. Ognuno di voi ha un talento ben preciso e dovrebbe farlo fruttare. In più aveva voluto che sapesse ciò che la De Mattheis pensava di Virginia, ma l’amica gliel’aveva già raccontato. La Preside doveva saperlo che l’avrebbe fatto. Quindi se aveva chiesto alla De Mattheis di riferirglielo significava che voleva sottolineare qualcosa. Ma cosa?!
 
 «Albus, tutto ok?».
 
La voce di Hagrid lo riscosse dai suoi pensieri. «Certo, scusami».
I suoi amici lo fissavano interrogativi, Dorcas doveva aver raccontato che era stato trattenuto dopo l’esame di Aritmanzia.
 
Fortunatamente Hagrid chiese loro di occuparsi semplicemente di un Knarl. Albus si impegnò il più possibile, nonostante le parole della McGranitt continuassero a ritornargli in mente.
 
«Al, devi essere più delicato quando lo prendi» lo richiamò Scorpius.
 
«Ah, ok, grazie» rispose, ma anziché seguire il suo consiglio rimase imbambolato a fissarlo. Scorpius aveva un talento naturale con gli animali. Adorava Cura delle Creature Magiche. Condivideva con Hagrid la passione per le creature più pericolose. La McGranitt aveva detto che ognuno di loro aveva un talento, che si riferisse anche alle discipline scolastiche? Erano dodici in fondo. Proprio come loro. Voleva dirgli questo?
«Ahio, accidenti».
Quel dannato animaletto l’aveva morso!
 
«Ti avevo detto di essere più delicato» commentò esasperato Scorpius, mentre Albus tentava di riacchiappare quello che in fin dei conti era il suo esame!
 
«Beh, non puoi avere il massimo in tutto» sentenziò Rose un’oretta dopo. Albus tentava di togliersi alla ben in meglio la terra di dosso e si limitò a gettarle un’occhiataccia.
 
«Su, lo sai che Hagrid è buono. Non ti metterà un voto troppo basso» ridacchiò Scorpius.
 
«Al, non te la prendere. Lo fanno apposta per provocarti» gli disse gentilmente Dorcas. «Perché mi fissi?» chiese poi cogliendo il suo sguardo.
 
«Tu sei bravissima in Incantesimi».
 
«Ehm anche tu…».
 
«Non quanto te. Tu hai un talento naturale. Capisci? Come Scorpius con gli animali e Virginia in Aritmanzia!».
 
«Signori e signore, ecco a voi un caso estremamente grave di esaurimento da esami!» trillò ridente Scorpius.
 
«Sul serio stai dando i numeri» rincarò Rose.
 
«No! È proprio come le virtù» ribatté Albus con forza e li raccontò le ultime scoperte.
 
*
 
«Evviva! Abbiamo finito!» strillò Roxi, saltellando e tirando pugni in aria per la felicità. Frank e Gretel risero, anche loro finalmente rilassati.
 
«C’è tua sorella» disse Gretel. Frank si voltò proprio mentre le Malandrine si avvicinavano. Loro avevano finito gli esami già il giorno prima.
 
«Allora? Babbanologia è facile, vero?» chiese Alice a bruciapelo.
 
«Insomma i Babbani sanno essere parecchio strani» bofonchiò Gretel.
 
«Basta solo comprenderli! Hanno tante cose stupende!».
 
«Sei come nonno Arthur. Lui dice che ci ama tutti allo stesso modo, ma secondo me preferisce te e Al» commentò Lily.
 
Roxi scrollò le spalle. «Quello che mi innervosisce è che con questi Neomangiamorte che rompono, non potrò girare per Londra babbana. Insomma ormai ho quasi quattordici anni, i miei non avrebbero potuto dire che sono troppo piccola! Invece ora diranno che è troppo pericoloso! È ingiusto!». Lily ridacchiò, ma la più grande le disse: «Guarda che vale anche per te. Adesso ti avrebbero lasciato andare al villaggio vicino casa dei nonni con i più grandi, ma finché la minaccia non sarà cessata non si muoverà nessuno senza scorta. Sai come sono!».
 
Lily boccheggiò. Naturalmente non ci aveva pensato!
 
«A voi come sono andati gli esami? Ieri sera non vi ho visti in Sala Comune» chiese Frank.
 
«Non chiedere e noi non ti mentiremo» disse con espressione malandrina Alice. «Abbiamo fatto il minimo per essere promosse, come sempre. Non come Hugo e Marcellus che hanno scommesso cinque galeoni su chi dei due prenderà i voti più alti».
 
«Mamma ti ucciderà» borbottò Frank.
 
«Noi andiamo. Vogliamo goderci gli ultimi giorni! Ah, sono aperte le scommesse su chi vincerà il Torneo Tremaghi. Naturalmente noi abbiamo puntato su Jamie» disse Alice prima di correre via insieme alle amiche.
 
«Hai scommesso soldi!? Alice!» le gridò Frank.
 
«È andata. Lascia perdere» gli disse Roxi.
 
«Se lo scoprono i miei…».
 
«Sarà un problema suo. Noi ora andiamo al Lago Nero. Voglio rilassarmi un po’ prima di cena» gli disse Roxi con fermezza.
 
*
 
«Ok, penso che morirò d’ansia. Si può morire d’ansia?».
 
«Demetra, sta zitta» disse irritato Robert. «E pure tu Benedetta, chiudi quel libro! Abbiamo smesso di ripetere per cenare, quindi ceniamo in pace. Vero, James? James?».
 
Il ragazzo non gli stava ascoltando. «Oh, sono loro?» chiese Benedetta seguendo il suo sguardo. Robert mollò la forchetta con stizza, consapevole che di quel passo gli sarebbe andata storta la cena. Gli esaminatori non potevano arrivare in un altro momento? Ma non c’erano dubbi che fossero loro, sua zia era andata personalmente ad accoglierli insieme a Paciock.
 
«Sono loro?» ripeté Demetra ansiosa.
 
«Già. La donna chi è?» ribatté Robert.
 
«Perché gli uomini li conoscete?» chiese Demetra.
 
«Demi, quello alto con i capelli neri l’hai visto più di una volta» disse Benedetta. «È Goldstain, il Primario del San Mungo».
 
«Ah, e l’altro?».
 
«Kingsley Schacklebolt. Ex-Ministro della Magia» rispose James. Ormai tutti gli studenti del quinto e settimo anno avevano adocchiato il gruppo vicino al portone della Sala grande. «La donna non la conosco, però».
 
«Ve lo dico io chi è». I quattro ragazzi si voltarono verso Rose.  «Prima passatemi lo stufato, però». James la fulminò con lo sguardo. Robert l’accontentò. «Ora dicci quello che sai».
 
«Eloise Midgeon. Papà me l’ha indicata al Ministero una volta. A quanto pare a Scuola veniva sempre presa in giro perché da adolescente era piena di brufoli. Papà dice che è una frustrata e che ha cercato compensazione delle sue umiliazioni nel lavoro».
 
«Zio Ron ha detto queste cose?».
 
«No. Questa è la traduzione di mamma. Se ti riferissi le parole di papà mi diresti che sono volgare».
Scoppiarono a ridere allentando un po’ la tensione.
 
«È un po’ di anni che fa l’esaminatrice. Papà dice, cosa che gli hanno raccontato al Ministero, che si vendica sugli studenti. Tipo con quelli belli e sicuri».
 
«Oh, povero me sono finito» disse in finta voce melodrammatica James. Gli altri risero.
 
«Che cretino!» borbottò Robert ritornando un po’ più tranquillo alla sua cena.
 
*
 
«Questa è una delle ultime notti che passiamo al castello. Non ti senti strana?».
 
«Veramente sono esaurita. I M.A.G.O. mi stanno uccidendo e devono ancora iniziare» ribatté Domi, permettendo che Matthew le circondasse la vita con le sue braccia.
 
«Passeranno in fretta, vedrai. È più l’attesa».
 
L’aria fresca della sera scosse i capelli biondi di Domi solleticando il volto di Matthew.
 
«Che faremo dopo? Non possiamo fare un viaggio con quello che sta accadendo».
 
«Lo rimandiamo a tempi migliori» replicò saggiamente Matthew. «Stiamo vicini alle nostre famiglie e diamo una mano come possiamo. Da settembre non avremo più le mura protettive di Hogwarts intorno, ma un mondo totalmente diverso».
 
«Per fortuna Magisprudenza e il tuo corso di Relazioni Internazionali sono nella stessa struttura».
 
«Vuoi controllare che le matricole non mi saltino addosso?» ribatté maliziosamente Matthew.
 
«Se mai sarà il contrario» disse Domi voltandosi. Lo baciò. «Qualunque cosa accadrà fuori da queste mura l’affronteremo insieme, ok?».
 
Matthew l’abbracciò e le sussurrò all’orecchio. «Sempre. Te lo prometto».
 
*
«Benedetta, sei proprio sicura che non posso provare quel medaglione che vende Alex Steeval?».
 
La ragazza sbuffò fissando il suo fidanzato, mentre Robert e Demetra ridacchiavano.
 
«Ti ho detto e ti ripeto che è solo uno stupido scherzo di tuo cugino e dei suoi amici! L'ho visto con i miei occhi! Se lo indossi all’improvviso salta e ti pizzica il naso! Mettilo e vedi che bella figura farai con gli esaminatori!» ribatté Benedetta a braccia incrociate.
 
«Ci siamo» annunciò un’agitata Agnes Walcott.
 
Subito dopo colazione i ragazzi del quinto e del settimo anno si erano radunati nella Sala d’Ingresso in attesa di essere chiamati. Il primo esame sarebbe stato Trasfigurazione. Quella mattina avrebbero affrontato la teoria e nel pomeriggio la pratica. A James girava ancora la testa per tutte le raccomandazioni che aveva fatto loro Teddy durante l’ultima lezione.
A quanto pare a sorvegliare la prova ci sarebbero stati la professoressa Shafiq e la Midgeon.
Una classe alla volta ebbe il permesso di entrare in Sala Grande. Proprio come gli aveva raccontato suo padre le quattro tavole delle Case erano sparite lasciando spazio a banchi singoli. Vicino al tavolo dei professori c’era un enorme clessidra. Sul tavolo c’erano pergamene e inchiostro di riserva. Naturalmente avrebbero usato i loro per evitare imbrogli. In proposito zio Neville li aveva fatto una lunga predica. Sapevano di non poter copiare, ma si sedettero comunque uno dietro l’altro.
 
«Potete cominciare» annunciò la professoressa Shafiq.
 
James girò febbrilmente il foglio e lesse la prima domanda: a) Scrivi la formula dell’incantesimo e b) Descrivi il processo necessario perché una animale si trasformi in un calice. Sorrise felice: se il buongiorno si vede dal mattino.
 
 
«Non era difficile, vero?» chiese Robert, tanto per scambiare quattro chiacchiere. Erano tutti tesi per la prova del pomeriggio. Lui e James per sfogare i nervi si stavano abbuffando, Benedetta era alla terza cioccorana, mentre Demetra aveva promesso di vomitare se avesse toccato cibo.
 
«Credo di averle fatte quasi tutte giuste» concordò James. «Ero in dubbio su alcune, ma pazienza ormai è fatta no?».
 
«Andiamo a fare la pratica» disse solo Demetra uscendo fuori dalla Sala grande.
 
Li fu detto di attendere in una saletta vicino alla Sala Grande. Tanto per aumentare la tensione. Questa volta sarebbero stati presenti tutti gli esaminatori.
 
«Vi chiameremo cinque alla volta in ordine alfabetico» annunciò Teddy, fissandoli serio e forse più preoccupato di loro.
 
«Se non ci chiamano insieme, ci vediamo direttamente in Sala Comune» propose James e gli altri si mostrarono immediatamente d’accordo.
 
«Ant, Archer, Baston, Belby, Belson».
 
Ai primi cinque nomi la tensione divenne ancora più forte. James osservò Danny entrare. Era bianco come un lenzuolo, invece Belson appariva pronto a vomitare anche l’anima.
 
«Buona fortuna» sussurrò quando Robert fu chiamato nel secondo gruppo.
 
*
 
Jack poco distante faceva osservazioni simili scrutando i suoi compagni per studiarne le reazioni. Andy era completamente terrorizzato quando Lupin l’aveva chiamato e a nulla erano valse le sue rassicurazioni. Degli altri suoi compagni non gli interessava poi tanto. A parte al massimo Mary Cartemole che era sempre gentile con tutti. Stava già piangendo prima di entrare. No, decisamente non era bravo a consolare.
 
«De Gentilis, Ellis, Enoka, Fawley, Fletcher».
 
Sentendo il suo nome, sospirò di sollievo. Un altro minuto e avrebbe affatturato Dorothea Tarner che lo riempiva di domande e non gli lasciava neanche il tempo di risponderle.
Entrò in Sala Grande con tutta la voglia di dimostrare le sue capacità. Se voleva diventare un Auror non poteva fallire. Non ora: era all’inizio di tutto.
 
«Fletcher, il professor Goldstain è libero».
 Jack annuì e si diresse verso il più giovane degli esaminatori e sorrise lievemente. Il Guaritore ricambiò il sorriso come a incoraggiarlo. Lui, però, non ne aveva bisogno. Vicino a lui Fawley era capitato con Schacklebolt.
 
«Mi trasformi questo riccio in un puntaspilli?».
 
Il sorriso di Jack si allargò: roba da terzo anno.
 
*
Il martedì mattina arrivò in fretta, troppo in fretta per alcuni di loro. Quel giorno avrebbero dovuto affrontare la prova di Difesa contro le Arti Oscure. Benedetta e Demetra erano in crisi.
 
«Pensate a una cosa alla volta. Prima la teoria e poi la pratica. La teoria la sapete!» tentò di tranquillizzarle James poco prima di entrare in Sala Grande. «Tranquilla» sussurrò a Benedetta in modo particolare. Lei gli rivolse un lieve sorriso, che a James parve più una smorfia di dolore ma evitò di commentare. Lo scritto, almeno per lui, si rivelò facilissimo. Demetra era leggermente disperata a pranzo e ancor di più quando si riunirono in attesa della prova pratica. Benedetta gli aveva assicurato di aver fatto una lavoro abbastanza buono, ma adesso era nuovamente nel panico. Ciò che confortava James è che sarebbe stato chiamato dopo di lei, così non avrebbe dovuto lasciarla sola.
Infatti, come il giorno prima, fu chiamato nel penultimo gruppo e quando entrò Benedetta aveva già concluso e probabilmente lo attendeva in Sala Comune, possibilmente più tranquilla o in paranoia per Incantesimi.
 
«Potter» gli disse il professor Williams. «La professoressa Midgeon è libera».
 
«Oh, Potter. Chissà sei hai il talento di tuo padre» esordì con espressione per nulla benevola la donna. Cominciamo bene pensò scoraggiato, Accidenti papà, questa me la paghi.
Fortunatamente non ebbe alcuna difficoltà a eseguire gli incantesimi che gli richiese.
 
«Protego!». Il suo incantesimo scudo fu forte e perfetto. L’aveva perfezionato al massimo in quei mesi con l’aiuto di Williams. Ne andava particolarmente orgoglioso.
 
«Un’ultima domanda, Potter» disse con voce tagliente la Midgeon. Si vedeva lontano un miglio che le dispiaceva che avesse risposto a tutte le domande. Lo stava trattenendo un sacco. Quelli del suo gruppo avevano già terminato. «Tuo padre alla tua età sapeva già evocare un Patronus».
 
Stronza! pensò. Quello non faceva parte del programma! Avrebbe potuto provarci, in fondo conosceva la teoria. E se fosse uscita solo una stupidissima nebbiolina come le ultime volte? Non avrebbe dovuto pregiudicare l’esame o sì? Ci avrebbe sicuramente fatto una cattiva figura! Poi, però, colse il ghigno soddisfatto della donna di averlo colto in fallo e agì di impulso. Come sempre d’altronde.
 
«Exspecto Patronum!» disse con voce molto forte e chiara. Agnes Walcott, che faceva l’esame accanto a lui con Goldstain, si voltò verso di lui come molti altri nella Sala. Aveva immaginato di veder sparire il ghigno dalla faccia della Midgeon e il suo entusiasmo nel raccontarlo a Benedetta e gli altri. Stavolta aveva funzionato: dalla sua bacchetta emerse un figura chiara e nitida. Il moto d’orgoglio lasciò subito spazio alla sorpresa. Che cavolo era? Il suo Patronus svolazzò per qualche minuto sopra le teste dei presenti e Dorothea Tarner si mise a urlare.
Il ghigno dal volto della Midgeon era effettivamente sparito, ma James la ignorò e cercò lo sguardo di Williams. Il professore lo fissava visibilmente soddisfatto e quando colse il suo sconcerto ridacchiò e gli diede le spalle per aiutare Schacklebolt a spegnere il fuoco che chi sa come la Tarner aveva evocato.
 
 
«Uno stupido uccello!» strillò pochi minuti dopo in Sala Comune. Molti si girarono verso di lui. Demetra, Benedetta e Robert lo fissarono come se fosse impazzito all’improvviso.
 
«Eh? James abbiamo fatto Difesa non Cura delle Creature Magiche oggi» gli ricordò Robert.
 
«Il mio Patronus! Uno stupidissimo uccello!». James tenne il broncio per tutta la serata.
I giorni successivi furono altrettanto impegnativi. Il mercoledì affrontarono Incantesimi. James, dal sorriso soddisfatto che gli rivolsero Goldstain, per fortuna non l’aveva esaminato di nuovo la Midgeon, e addirittura la Shafiq capì di essersela cavata alla grande. Peccato per quelle domande di teoria di cui non era sicurissimo. Il giovedì fu il turno di Pozioni e James si impegnò al massimo. Con sua somma soddisfazione ottenne una Distillato della Pace quasi perfetto. Mica ne aveva preso da suo padre in Pozioni!
Il venerdì toccò a Erbologia. Per un attimo pensò di aver mandato a monte tutto l’impegno rischiando di farsi assaggiare da un Cavolo Carnivoro Cinese, ma fortunatamente la Midgeon non se ne accorse; purtroppo non le sfuggì lo schiaffo che si beccò dal bulbo balzellante che avrebbe dovuto trapiantare. Quello lo videro tutti: l’aveva praticamente atterrato sul pavimento della serra. Almeno era riuscito a far ridere tutti i suoi compagni!
 
Il week end lo trascorsero a ripetere Astronomia e Storia della Magia, ma James si stufò presto e decise di prendersi la domenica mattina e godersi un po’ di relax vicino al Lago Nero. Robert fu l’unico a seguirlo.
Rimase scioccato nel costatare che erano giorni che non prendeva un po’ d’aria.
«Abbiamo studiato troppo» biascicò assonnato a Robert.
 
L’amico rise. «Vedi di non addormentarti che non ti porto in braccio in Sala Comune!».
 
James rise, finalmente tranquillo. Gli esami cui teneva di più li aveva già sostenuti. Quelli del giorno dopo non li interessavano per nulla.
E così trascorse anche il lunedì. Il martedì James affrontò più o meno tranquillo Babbanologia e Cura delle Creature Magiche. Non si era impegnato particolarmente, ma aveva fatto almeno una figura decente. Nel frattempo in quei giorni aveva ripreso anche gli allenamenti con Williams, sospesi all’inizio dei G.U.F.O., per questo motivo era sempre più stanco. E soprattutto teso: la Terza Prova si avvicinava.
 
Abbracciò Benedetta quando lei il giovedì li raggiunse dopo aver fatto Antiche Rune.
 
«E i G.U.F.O. li abbiamo archiviati!» disse felice Robert.
 
«Almeno finché non avremo i risultati. Arriveranno a luglio, giusto?» disse Demetra.
 
«E basta!» disse esasperato James tirandole un cuscino, ma colpì Robert.
 
«Potter, la mira!» ruggì lui lanciandogli un altro cuscino. In men che non si dica scoppiò una vera e propria battaglia, cui le ragazze si aggiunsero felici.
Solo quando furono stanchi si lasciarono andare sui letti e su qualche cuscino abbandonato a terra.
 
«Uno l’abbiamo distrutto» comunicò Benedetta, fissando incantata le piume che svolazzavano lentamente sotto i loro occhi. «Di chi era?».
 
«Boh, forse di Danny» bofonchiò mezzo addormentato Robert.
«Voi ce la fate a scendere a cena?».
 
«Io direi che o sistemate questo casino o vi affatturo» minacciò Danny Baston sulla soglia della porta. Li stava fissando contrariato.
«Accidenti!» sbottò James.
 
*
 
30 giugno. Ultimo giorno di Scuola. Ultima prova del Torneo Tremaghi. Fino a quel momento era sopravvissuto, ma Bellatrix Selwyn avrebbe fatto di tutto per colpirlo. E ultimamente era stata decisamente troppo tranquilla.
James sospirò. La prova sarebbe stata alle due e se la McGranitt aveva predisposto il consueto Banchetto di Fine Anno per concludere la serata, significava che i giudici si aspettavano che loro completassero la prova entro cena. Comodi loro!
 
«James, ci sono i tuoi genitori» gli comunicò un sorridente zio Neville.
 
«Sul serio? Dove?».
 
«Nella saletta dove voi Campioni vi siete riuniti la prima sera».
 
«Grazie, vado subito» disse contento di poter sfogare un po’ di ansia su di loro. Albus e Benedetta erano più spaventati di lui. In più sperava che il padre avesse qualche trucchetto da insegnargli. Sapeva, e gliene era grato, che Williams gli aveva insegnato tutto ciò che era in suo potere rispetto al suo livello e al tempo che avevano avuto a disposizione.
 
«Mamma!». L’abbracciò per prima.
 
«Ti vedo bene» disse semplicemente Harry prima di stringerlo a sé.
 
James era impaziente di uscire da lì. Non erano soli. Vide gli zii di Domi, che parlavano a una contrariata Apolline. Dai gesti che faceva Gabrielle Flamel sembrava che non apprezzasse il modo in cui la ragazza si era truccata e acconciata i capelli quella mattina.
Decisamente inquietanti erano Dumbcenka e il padre.
 
«Usciamo?» li sollecitò. Harry seguì il suo sguardo e annuì.
 
«Io ne direi due a quel ragazzo» sbottò Ginny.
 
«Ma anche no» borbottò Harry. «Non posso arrestarlo insieme al suo Preside e non desidero altri tipi di approccio. Che ci racconti, Jamie?».
 
James scrollò le spalle e disse: «Sono distrutto. Non vedo l’ora di venire a casa. Ho intenzione di dormire una settimana di fila».
 
Harry sorrise e ascoltò distrattamente le chiacchiere del figlio. Nonostante tutti i timori, era contento di essere al suo fianco. Non aveva dimenticato la presenza confortante di Molly e Bill quando era toccato a lui, ma mai e poi mai avrebbero potuto sostituire l’affetto perduto dei suoi genitori.
James li trascinò da Benedetta e Robert. Dopodiché fecero un giro per il parco andando a salutare Hagrid. Ogni tanto James gli sussurrava tutti gli incantesimi che gli aveva insegnato Williams e che avrebbero potuto servirgli quel pomeriggio.
Non sembrava troppo nervoso e questo era un bene. La bolla di serenità che avevano creato intorno a loro, scoppiò all’arrivo di un agitato Teddy. Fortunatamente portava una bella notizia, ma comunque inaspettata.
 
«Fleur mi ha contattato via camino! Dice che Vic sta per partorire!».
«Non manca ancora una settimana?» domandò Harry, ora agitato quanto il figlioccio, alla moglie.
 
«Vuol dire che il bambino aveva fretta» replicò ella come se fosse scontato.
 
«E ora che faccio?».
 
«Oh, Merlino» sbottò Ginny alla domanda di Teddy. «È possibile che voi uomini entriate sempre in paranoia quando vostra moglie deve partorire?». E qui gettò un’occhiataccia a Harry, che si affrettò a distogliere lo sguardo palesemente imbarazzato. «Che vuoi fare, di grazia? Partorire al posto suo? Va’ da lei e stalle accanto. Se riesci a non svenire».
 
Teddy annuì concitato come farebbe un soldato agli ordini del proprio generale, ma in maniere così buffa che James scoppiò a ridere.
 
«Perché Harry è svenuto?» s’informò.
 
«Va’ da tua moglie» sbottò il diretto interessato. «E tu smettila di ridere!» aggiunse rivolto al figlio che era piegato in due dalle risate. Benedetta e Robert tentavano di rimanere seri. Insomma Lupin era pur sempre il loro insegnante!
 
«Non possiamo lasciarlo solo» sospirò Ginny fissandolo mentre correva maldestramente verso il castello. «Sembra tanto Tonks in questo momento. Se continua così rischia di essere ricoverato insieme a Vic perché si è rotto qualcosa».
Harry annuì. «Ma uno di noi deve rimanere con James».
 
«No, vabbè andate pure con Teddy» s’intromise James. «Non fa niente, sul serio».
 
«Invece sì! Ti vogliono uccidere, Jamie. Non giocare a sparaschiocco con te!» lo redarguì il padre. «Ginny, vai tu con Teddy. Io rimango qui. Ho già dato disposizioni ai miei uomini».
 
«Va bene. Mi raccomando» rispose Ginny.
James colse un ché di minaccioso nelle sue parole: della serie se non trovo mio figlio integro al mio ritorno, ti uccido. Oh, sì era così tanto da Ginny Potter! Solo per quello James l’abbracciò con calore, come a dirle che sarebbe andato tutto bene. Almeno lo sperava di cuore.
 
*
 
«Buongiorno a tutti signore e signori! Benvenuti alla Terza Prova del Torneo Tremaghi!» gridò con la voce magicamente amplificata Mullet. «Ecco i nostri Campioni che si avvicinano all’entrata del Labirinto! Ebbene sì proprio come l’ultima volta, ma stavolta è molto speciale, ma non aggiungo altro. I Campioni dovranno scoprirlo da soli!».
 
James saltellò nervosamente. Vulchanova lo guardò male, ma il ragazzo lo ignorò.
Apolline era pallida, ma determinata. Madame Maxime le sussurrava all’orecchio gli ultimi consigli. Nello spazio antistante l’ingresso del labirinto potevano stare solo i Campioni e i giudici.
 
«Potter, come ti senti?» gli chiese la McGranitt.
 
«Dovrebbe essere fattibile. Temo solo le possibili sorprese della Selwyn».
 
«Gli Auror hanno disposto personalmente la Coppa. Tuo padre ha mandato i suoi uomini più fidati. Ha Tutto il perimetro del labirinto sotto controllo».
 
James annuì.
 
«Stai attento. Il Labirinto non sembra troppo grande perché siamo nel parco, ma all’interno è stato allargato notevolmente con la magia. Non ti confondere».
 
«Sì, grazie, professoressa».
 
«I Campioni entreranno al suono del cannone uno alla volta. L’ordine si basa sulla classifica attuale. Vasilij Dumbcenka 97 punti, la signorina Flamel 85 punti, Potter 77 punti. Il primo a iniziare sarà quindi il Campione di Durmstrang! Campioni, Preparatevi!».
 
«Buona fortuna, Potter» sussurrò la McGranitt prima di allontanarsi insieme agli altri Presidi.
 
«Ricordate, se doveste trovarvi in difficoltà tali da non poter continuare la prova spruzzate scintille rosse con la vostra bacchetta. Il perimetro è pattugliato da Auror e insegnanti. Al primo colpo di cannone entri signor Dumbcenka».
 
James sobbalzò al primo colpo di cannone, che gli apparve vicinissimo. Anche se era consapevole che fosse solo un incantesimo. Il suo cuore non aveva smesso di battere all’impazzata quando vi fu il secondo colpo. Apolline seguì Dumbcenka dopo avergli augurato buona fortuna. Lui ricambiò a stento, non trovando la voce.
 
Ed ecco il terzo. Con il cuore in gola e accompagnato dall’applauso assordante dei compagni entrò nel labirinto e il clamore sparì immediatamente. Il silenzio era infranto solo dal battito del suo cuore e dal suo respiro. Di Apolline e Dumbcenka nessuna traccia.
 

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Capitolo 34
*** Il ritorno dei Dissennatori ***


Capitolo trentaquattresimo
 
Il ritorno dei dissennatori


James si guardò intorno. Era in cima a una balconata, che dava su una specie di cortile da cui si dipanavano i vari corridoi del labirinto. Il marmo delle scale era bianco sporco, sembrava umido e con del muschio in alcuni affranti. Come se fosse l’ingresso di un’antica villa. Non poté che rimanerne affascinato. Decisamente si erano impegnati con la scenografia. Chissà che diavolo c’era in quel labirinto. Qualcosa gli diceva che non gli sarebbe piaciuto scoprirlo. Sospirò. Non aveva molta scelta. Si avviò lungò le scale. Le scese lentamente, tentando di captareascoltare ogni rumore. Non doveva esserci nulla in quel cortile: Dumbcenka e Apolline era passati da lì solo da qualche minuto. Impossibile che avessero incontrato un qualunque ostacolo e che l’avessero superato immediatamente.
Il silenzio era assordante e terribilmente inquietante. Il parco di Hogwarts non si vedeva minimamente. Il perimetro del labirinto era segnato da alte siepi.
James stringeva nervosamente la bacchetta nella mano destra. Dopo aver adocchiato le tre entrate al labirinto vero e proprio, decise di usare l’Incanto Quattro Punte. Il centro doveva essere all’incirca a nord-est. Scelse l’ingresso di sinistra, quello che sembrava più adatto. Il problema era proprio il sembrare. Chissà dove l’avrebbe portato. La strada che si aprì di fronte ai suoi occhi era accidentata. Dovette fare attenzione a non inciampare. Iniziò a spaventarsi: in mezzo ai sassi avrebbe potuto benissimo esserci un serpente. O più di uno. Sentì il cuore pesante e procedette nella speranza di trovare un altro corridoio. Camminò per diverso tempo, senza che il paesaggio mutasse. Fissò l’orologio che teneva al polso e si agitò: erano trascorsi sì e no dieci minuti, ma gli sembravano molti di più.
Comunque doveva sbrigarsi. Non aveva nessuna intenzione di regalare la Coppa ai suoi avversari, men che meno a Dumbcenka. Affrettò il passò e non ci volle molto che notasse l’ingresso a un nuovo corridoio. Stava quasi per sorridere contento quando un enorme serpente apparve di fronte a lui, sbarrandogli la strada. Si bloccò e lo fissò. Sentì le gambe diventare di gelatina e la prima e unica cosa che gli venne in mente fu quella di girarsi ea correre via a gambe levate. L’avrebbe raggiunto, ne era sicuro. Lo sentiva strisciare dietro di lui. Poi improvvisamente alla sua destra si aprì un passaggio e vi si infilò senza nemmeno ragionare se fosse o meno una buona scelta.
Imprecò: sempre la stessa strada piena di sassi. Ma era la stessa? In preda all’angoscia si bloccò. Non sentiva più alcun rumore: il serpente non l’aveva seguito. Forse.
Ma chi gliel’aveva fatto fare? Era colpa del suo maledetto orgoglio Grifondoro! Avrebbe dovuto imporsi fin da principio! Fare un casino e mandare a monte il Torneo! Insomma a che serviva essere il figlio del grande Harry Potter? E suo padre? Perché non aveva evitato quel Torneo?
Si passò una mano sul volto nel tentativo di calmarsi: stava pensando un mucchio di fesserie. Suo padre non aveva potuto far nulla per evitare quel guaio in cui si era cacciato. E lui avrebbe potuto fare qualunque cosa, anche mettere a soqquadro l’intero Castello, il Ministero, la Foresta Proibita, la nave di Durmstrang e la carrozza di Beauxbatons e… ma che stava dicendo? Un mucchio di sciocchezze. Eccolo qui il grande James Potter! Il futuro grande Auror che non era capace di superare una stupidissima prova! Era inutile! Tutto fumo e niente arrosto! Era un arrogante, Al aveva ragione da vendere quando glielo diceva. Che vergogna quando avrebbero dovuto tirarlo fuori da lì!
Si lasciò scivolare in ginocchio. Aveva sonno e ci sarebbe voluto tempo prima che lo venissero a cercare. Poteva anche permettersi un pisolino,  dopotutto.
 
«James, sei impazzito!?» la voce di Apolline lo riscosse dal torpore in cui era caduto. «Stupeficium! Alzati».
 
Obbedì distinto. A malapena vide che cosa aveva colpito la ragazza, ma bloccò con le mani una creaturina tutta pelosa, tranne la testa, che gli era saltata addosso con la bocca spalancataaperta. Dove cavolo era la bacchetta? L’aveva lasciata cadere? Lanciò via il mostriciattolo e tirò un calcio a uno che gli stava per addentare la gamba.
 
«La bacchetta!» urlò Apolline lanciandogliela.
 
James la prese appena in tempo per schiantare un’altra creatura che stava per saltare sul collo della ragazza.
 
«Andiamo via» strillò Apolline, tirandolo di peso nella direzione da cui era venuto.
 
«No! Da quel lato c’è un basilisco! L’ho visto!».
 
Apolline si fermò solo quando fu sicura che i mostriciattoli non li stessero inseguendo.
 
«Ma che stai dicendo?».
 
«Ho visto un basilisco prima! E stiamo andando proprio verso di lui!».
 
Apolline si fermò e lo fissò palesemente furiosa. «Ma sei scemo o cosa!? I progrebin stavano per divorarti e ora te ne esci con questa idiozia? Bene, signori e signore, vi presento James Potter Colui-Che-Ha-Guardato negli occhi un basilisco e non è morto! Ma ti senti?».
 
Il ragazzo era trasecolato e ricambiò stranito il suo sguardo. «Progrebin? Ma ho letto che ci vogliono ore perché riescano a far disperare qualcuno».
 
«Sì, ma lì ce n’erano almeno cinque o sei. Qui c’è ne saranno altrettanti!» sbuffò Apolline. «Immagino che tutti insieme facciano un effetto peggiore. Ti giuro, per un attimo ho pensato che avrei assistito al tuo divoramento!».
«Ok» disse James tentando di raccogliere le idee. «I progrebin. Questo spiega quel senso di disperazione e angoscia in cui ero caduto. E va bene, non poteva essere un basilisco, anche se sono sicuro di quello che dico, comunque era un serpente enorme!».
 
Apolline non lo ascoltò e riprese a camminare. «Muoviti» lo incitò. «Non voglio perdere tempo per colpa tua».
 
James si indignò, ma la seguì ugualmente. Non poteva certo mostrarle di aver paura! Il suo cuore, però, batteva ancora all’impazzata.
 
Apolline strillò e divenne più bianca di quanto già non fosse. Il ragazzo fissò esterrefatto l’essere che gli sbarrava la strada. Nuovamente. Solo che stavolta aveva la testa di quello che identificò come uno scarafaggio al quanto ripugnante e la coda di un serpente. Comprese immediatamente e si diede dell’imbecille. «Riddikulus!» disse con fermezza e il molliccio sparì.
 
«E che cavolo!» borbottò Apolline.
 
«Ciò che ti spaventa di più sono gli scarafaggi?» le chiese James con un lieve ghigno dipinto in volto. Ella gli gettò un’occhiataccia.
 
«Io vado di là» disse voltandogli le spalle e dirigendosi verso destra. «Siamo pari, comunque».
 
James non si era neanche accorto che il molliccio nascondeva l’ingresso di nuovi corridoi. Fissò ancora stordito Apolline allontanarsi. Si riscosse e ripeté l’Incanto Quattro Punte. Stavolta prese la strada centrale. Era un ambiente diverso dal precedente. Il terreno era rossastro e anche le pareti avevano cambiato aspetto. Non erano più siepi, ma veri e propri alberi altissimi e tanto intricati tra loro quasi da non permettere la penetrazione della luce del sole. E sentiva sempre più caldo, ma mano che procedeva. Ma dove si era cacciato? In Inghilterra non faceva così caldo neanche ad agosto!
Sbuffò. Come previsto, quel posto non gli piaceva più. Voleva uscire al più presto da quella trappola. Ben presto quel corridoio si trasformò in una vera e propria foresta. Vagò a vuoto per un po’, infine seccato si fermò e usò l’Incanto Quattro Punte, deciso a muoversi in modo razionale. Si diresse verso nord-est, senza però uscire da quel posto. Rimpiangeva la Foresta Proibita. A un certo punto sentì come un raschiare alla sua destra. Si voltò di scatto e fissò orripilato una specie di maiale cornuto che stava palesemente partendo alla carica. Contro di lui.
 
«Un tebo!» sbottò riconoscendolo all’istante. Benedetta sarebbe stata fiera di lui! Si ricordava tutti gli animali classificati da Scamander. Peccato che questo non lo aiutasse molto in quel momento. Scagliò contro la creatura una serie si schiantesimi.
«Maledizione, quanto sei duro!» sbottò. Corse e non badò più alla direzione giusta. L’importante era far perdere le sue tracce alla bestiaccia. «Incendio» disse puntando la bacchetta contro delle felci. Erano umide e si accese solo una lieve fiammella. «Alimentes flames!». La fiamma si sollevò magicamente e come aveva sperato il tebo si spaventò e scappò via. Mantenne la fiamma per almeno un minuto per essere sicuro che il tebo non tornasse alla carica. Abbassò la bacchetta e la fiammata sparì all’istante, infine James spense la il fuoco che ormai stava incenerendo non solo la felce ma anche le piante più vicine.
Cercò la direzione giusta e si avviò sperando di non incontrare qualche altra bella creatura, magari infuriata per essere stata portata lì di forza. Sul serio sua zia Hermione aveva dato il suo assenso a tutto quello? Gliel’avrebbe rinfacciato! Insomma lei era la fondatrice del CREPA!
Percepì un lieve frusciare di foglie e si girò. Non c’era nulla dietro di lui. Affrettò ugualmente il passo. Aveva un brutto presentimento.
Non riuscì ad allontanarsi troppo prima che un’ombra nera apparisse sopra la sua testa. Non lo evitò, ma peggio ancora inciampò e cadde a terra. Strinse forte la bacchetta. Se l’avesse persa sarebbe stata la fine. L’ombra nera si avvolse su di lui repentinamente. Era un lethifold, James non ne aveva dubbi.
Doveva pensare a un ricordo felice. In quel momento, però, aveva un enorme peso sul cuore: non voleva morire in quel modo!
 
«Exspecto Patronums!» gridò mentre nella sua testa le labbra di Benedetta si appoggiavano nuovamente sulla sua guancia come quel pomeriggio prima dell’inizio della prova. Lo stesso uccello del giorno dell’esame spuntò dalla bacchetta e scacciò il lethifold.
Si sollevò da terra e seguito dall’uccello, che iniziava ad apprezzare, riprese a camminare. Anzia quasi a correre.
Finalmente un uscita apparve tra due grossi alberi. «Grazie a Godric» sospirò. La luce seppur tenue del pomeriggio quasi lo accecò. Prese un bel respiro. Era in un corridoio e sembrava finalmente quello di un classico labirinto. Un po’ di erba e niente sorprese. O almeno lo sperava. Il suo Patronus svolazzò sopra la sua testa ancora per qualche secondo e poi sparì. Se fosse uscito vivo da lì avrebbe dovuto scoprire che razza di uccello fosse.
Ben presto trovò un nuovo bivio. Scelse quello di sinistra, che avrebbe dovuto avvicinarlo alla metaà. Entrò in una radura piacevole. Troppo piacevole. Dov’era l’inganno?
Non ci volle molto per scoprirlo: il suo passo si bloccò sulla sponda di un laghetto. Come avrebbe dovuto attraversarlo? Si guardò intorno, a malapena fece caso alla ricca vegetazione. Erano fiori colorati che rasserenavano lo sguardo.
Dopo un po’ dovette rassegnarsi al fatto che non ci fosse alcuna barca. Troppo concentrato nella sua ricerca, aveva abbassato la guardia. Quante volte Williams l’aveva rimproverato per quello? Si ritrovò a gridare e sollevò la mano istintivamente: era insanguinata! Ma come? Abbassò lo sguardo e riconobbe la pianta vicino a lui. Non erano semplici fiori! Un geranio zannuto! Fece per tornare indietro. Erano tutte piante carnivore. Aveva riconosciuto anche un cavolo carnivoro cinese. I piedi, però, erano bloccati da una robusta pianta verde. Per un attimo si immaginò una testa enorme che dall’alto si abbassava per divorarlo. Scosse la testa imponendosi un contegno. Non era una pianta carnivora e quello non era un dei film babbani che tanto piacevano a Rose! Era solo un Tranello del Diavolo. Oddio, solo era una parolona! Com’è che si sconfiggeva? Zio Neville gliel’aveva spiegato! E non solo lui! Che cosa gli avevano raccontato in proposito suo padre e zio Ron? Ah, certo il fuoco!
 
«Incendio!».
 
Con suo enorme sollievo la pianta gli liberò le gambe e finalmente poté muoversi. Da che parte andare? Il lago doveva superarlo a nuoto, ne era certo. Stupidi sadici.
Comunque non doveva essere troppo profondo. Mosse qualche passo fino alla riva, ma si fermò dopo aver notato un’ombra scura al di sotto della superficie.
«Col cavolo!» mormorò. Qualunque cosa fosse, non voleva scoprirlo. Tornò indietro prima che qualche altra pianta lo assaggiasse. Fortunatamente la mano non sanguinava troppo e la ferita non sembrava grave. La fasciò alla ben in meglio con un fazzoletto che aveva in tasca e proseguì verso nord-est. Procedette per un po’ quasi senza problemi: incontrò qualche pixie, ma non ebbe difficoltà a sbarazzarsene.
Ogni tanto sentiva qualche ruggito in lontananza e fu felice di non scoprirne la fonte. Comunque non incrociò più Apolline e fortunatamente neanche Dumbcenka.
Sentiva di essere vicino alla Coppa ormai. Insomma non poteva essere introvabile! Avanzò in una nuova radura, questa volta ben concentrato notò all’istante dei movimenti fuori dal suo campo visivo. Si spostò di scatto evitando per un pelo una fiammata.
Decisamente era finito in un bel posticino accogliente. Apparentemente appariva la stessa foresta in cui si era scontrato con il lethifold e il tebo, ma dopo un imponente incendio. Possibile che fosse tornato indietro, anziché andare avanti? No, insomma aveva spento il fuoco prima di lasciarla. E poi le preziose tartarughe che lo fissavano rispondevano a ogni sua domanda. Erano quelle ad aver fatto, letteralmente, terra bruciata intorno a loro.
James tentò di ricordarsi come si sconfiggevano dei fire crab, ma senza molto successo. Ne vide una con il carapace particolarmente ricco di gemme di vari colori, voltarsi pronto a far fuoco dal suo didietro. Si spostò appena in tempo e anche questa volta evitò di essere arrostito, ma non poteva continuare in quel modo in eterno. Ora anche gli altri stavano partendo all’attacco. Li contò rapidamente: erano quattro.
E dire che quando li aveva studiati, non aveva fatto altro che ridere con Robert e Benedetta del loro inconsueto meccanismo di difesa. Beh, ora non lo trovava più divertente.
 
«Stupeficium!» disse colpendone uno. Funzionò. Non erano cattivi dopotutto. A essere pignoli ai loro occhi era lui a minacciarli e non viceversa. Ne schiantò un altro e evitò di essere incenerito dagli altri due per poco, anche se una leggera puzza di bruciato lo avvertì che la sua maglia era stata sfiorata. «Mi dispiace, eh. Senza rancore» borbottò colpendo gli altri due, prima che avessero il tempo di sparar fuoco.
Procedette lungo un nuovo corridoio dopo aver usato per l’ennesima volta l’Incanto Quattro Punte.
Che cosa avrebbe trovato a proteggere la Coppa? Una chimera? Un grifone?
All’improvviso si trovò la strada sbarrata da fiamme bluastre. Si voltò per vedere la siepe chiudersi alle sue spalle. Era davvero vicino alla fine. Alla sua destra notò un elegante panchina su cui era poggiata una scatola di legno intarsiato. James si sedette redendosi conto per la prima volta di quanto fosse stanco. Non aveva più l’orologio: uno stupido pixie era riuscito a strapparglielo dal polso e non l’aveva recuperato.
Aprì la scatola con circospezione e non rimase particolarmente sorpreso nel costatare che contenesse fiale piene di pozioni. Una di quelle gli avrebbe permesso di attraversare il fuoco indenne, ne era sicuro. 
Si passò una mano tra i capelli nervosamente. Robert se la sarebbe cavata senz’altro meglio in quel caso. Erano sei fialette, doveva distinguerle e capire quale fosse quella giusta. James le tirò fuori e le appoggiò delicatamente sulla panchina, chiedendosi se per caso cinque non fossero veleni che portavano a una morte dolorosa e fulminea. In teoria non avrebbero dovuto ucciderli, ma lui era un’eccezione no?
Mcmillan aveva spiegato milioni di volte come riconoscere una pozione: odore e colore innanzitutto. Ne aprì una che gli sembrò famigliare. Riconobbe il forte odore di menta peperita e sorrise. Era un Decotto Tiramisù. L’aveva preso tante di quelle volte che non poteva sbagliarsi. La ripose nella scatola e si concentrò sulle altre. Ne prese una rossastra con una smorfia. Conosceva anche quella purtroppo. Aveva visto Peter somministrarla a Louis troppe volte: Pozione Rimpolpasangue.
Meno due. Ne rimanevano altre tre. Si sentì un genio quando ne riconobbe un’altra. D’altronde l’aveva preparata pochi giorni prima per i G.U.F.O. Era il Distillato della Pace. La mise da parte e ne prese un’altra. Era gialla intensa, la stappò e la odorò. Scoppiò a ridere, nonostante la parte razionale del suo cervello gli dicesse che non c’era nulla di divertente e di chiudere immediatamente la fiala. Non poté non continuare a sorridere qualche secondo anche dopo averla tappata. La posò e chiuse la scatola.
Quando si alzò e fronteggiò la barriera di fuoco non sorrideva più. Chiunque avesse preparato quell’Elisir dell’Euforia era stato maledettamente bravo.
Strinse per un attimo la fiala che aveva tenuto in mano e dopo aver tolto il tappo di sughero, la bevve tutta d’un fiato. Tanto per non starci troppo a pensare. Aspettò qualche secondo nel timore che fosse un veleno, ma non accadde nulla. Allora attraversò le fiamme e percepì solo un lieve solletico sul volto.
L’ambiente al di là del fuoco era ancora più angusto del precedente, subito di fronte a lui si apriva un nuovo passaggio custodito da una statua. James si avvicinò, ma balzò all’indietro quando si accorse che non era una statua. Rifletté rapidamente: testa umana e corpo di leone. Una sfinge. Maledizione!
 
«Posso passare?» chiese conoscendo già la risposta.
 
«Prima rispondi al mio indovinello» replicò la sfinge freddamente. «Se rispondi al primo tentativo, ti lascerò passare. Se sbagli, ti attaccherò. Se non parli, ti lascerò andar via».
 
James sbuffò. Odiava questi giochini. Ma non poteva mica appellare Louis e far rispondere lui. In più non poteva di certo tornar indietro. La pozione aveva sicuramente terminato il suo effetto. O rispondeva, possibilmente in modo corretto, o poteva anche rimanere lì finché qualcuno non fosse andato a cercarlo. «Puoi dirmi l’indovinello?».
La sfinge annuì e pronunciò quasi con solennità:
 
«Spesso costei i buon
sotto i piè tiene,
gl’improbi innalza, e se mai
ti promette
cosa veruna, mai te la
mantiene.
 
E sottosopra e stati e regni
mette,
secondo che a lei pare, e i
giusti priva
del bene, che agl’ingiusti
larga dette.
 
Questa incostante Dea, e
nobil Diva
gli indegni ispesso sopra
un seggio pone,
dove chi degno n’è mai
non arriva.
 
Costei il tempo a suo
modo dispone;
questa ci esalta, questa ci
disface
senza pietà, senza legge, o
ragione…».
 
James la fissò trasecolato: non aveva capito quasi nulla. «Ti prego, ripeti».
E la sfinge ripeté pazientemente una prima volta, una seconda e una terza. Il ragazzo si sedette a terra a gambe incrociate e tentò di ragionarci prendendo in considerazione una strofa alla volta.
Torturò per un po’ il fazzoletto ormai rosso che aveva legato alla mano. Alla fine sospirò, si sollevò e si rivolse alla sfinge tenendo ben stretta la bacchetta.
 
«La Fortuna?».
 
«Esatto. Puoi passare» acconsentì la sfinge con un sorriso enigmatico.
 
James la fissò titubante per un attimo, infine si mosse celermente verso il varco lasciato incustodito. Tirò un sospiro di sollievo appena lo attraversò, ma non ebbe il tempo di guardarsi intorno che qualcosa gli cadde addosso. Non qualcosa, qualcuno.
 
l«James! Per Merlino! Mi ha inseguita uno schifosissimo troll in mezzo a una specie di montagna! Sono tutti pazzi!».
 
Il ragazzo laiutò a rimettersi dritta, probabilmente era inciampata per la fretta o la paura.
 
«E poi la sfinge! Merlino! Voglio una vacanza di un mese dopo questo!».
 
Apolline sembrava sul punto di avere una crisi isterica. L’elegante tuta che aveva indossato per l’occasione era strappata in più punti e il suo volto era graffiato.
 
«Hanno messo addirittura un Kelpie nel laghetto! Ho pensato che sarei morta! Per fortuna qualcuno era passato prima di me ed era fuori gioco, ma gli avvincini mi hanno graffiata!».
 
«È stato un piafere, madamoiselle».
 
La voce maschile riscosse entrambi. James strinse la bacchetta incrociando gli occhi di Vasilij Dumbcenka.
 
«Se sei arrivato prima di noi, perché non hai preso la Coppa?».
 
Le parole di Apolline erano taglienti e sospettose, James seguì lo sguardo degli altri due: la Coppa. Era lì al centro della radura. Tornò a fissare Dumbcenka.
 
«Dofefo finire un compito» rispose il ragazzo occhieggiando James. «Potter, sperafo morivi prima. Non fare nulla. Io uccidere te».
 
«Sei uno schifoso! Non puoi farlo! Ci sono gli Auror!» gridò Apolline.
 
Dumbcenka rise. «Auror? Trofare solo corpo di Potter». Mosse la bacchetta eseguendo un incantesimo non verbale. Un brivido corse sulla schiena di James e percepì a malapena la mano di Apolline stringersi al suo braccio.
Un freddo intenso si insinuò nelle sue ossa insieme a un’angoscia diversa da quella provocata dai progrebin. Gli sembrava di non poter più essere felice.
 
«James! Cosa sono?» strillò Apolline stritolandogli il braccio.
 
Il ragazzo deglutì. «Dissennatori» mormorò più a se stesso che a lei. Gli aveva visti solo su un libro di Difesa Avanzata che Williams gli aveva mostrato durante le loro lezioni.
 
«No» urlò a Dumbcenka. «Exspecto Patronum!» pronunciò la formula con rabbia. Non gli avrebbe permesso di far del male ai suoi cari. Mai.
Il suo uccello volò contro la decina di dissennatori che Dumbcenka aveva evocato.
 
«Apolline, evoca il tuo!».
 
«Non l’ho mai fatto» replicò ella a stento.
 
«Provaci!».
 
«A noi due, Potter. Affrontare me, se tu afere coraggio» disse Dumbcenka contrariato. Probabilmente si aspettava di assistere mentre i Dissennatori li succhiavano l’anima, per farlo passare per un tragico incidente. Col cavolo che te lo permetto pensò James. Si liberò dalla stretta di Apolinne e fece un passo avanti verso il suo avversario. Era il momento di fare i conti.
 
«Sei stato tu a mettere il mio nome nel Calice di Fuoco? O il tuo Preside?».
 
«Sbagli, Potter. Tuo nome l’ha messo mia fidanzata».
 
«Camilla?» chiese stordita Apolline, mentre i due ragazzi si fronteggiavano.
 
«Chi ti ha ordinato di uccidermi?».
«La mia signora, Bellatrix» rispose Dumbcenka.
 
«Exsperlliamus» gridò James passando subito all’attacco.
 
Il più grande lo parò senza problemi e ridacchiò. «Tu essere ridicolo. Crucio».
 
James evocò appena in tempo un incantesimo scudo, ma si spezzò all’impatto con la maledizione. Fortunatamente attutì il colpo. Strinse i denti per non farsi sfuggire qualche lamento. Non di fronte a Dumbcenka.
 
«Tu essere debole» lo derise quest’ultimo. «Fare fine, Potter».
 
James sentì Apolline gridare, strinse la bacchetta e si preparò all’arrivo della maledizione.
 
«Avada Kedavra» urlò Dumbcenka.
 
«Fianto duri» pronunciò contemporaneamente James. Tenne duro respingendo la maledizione dell’altro. Per la forza del colpo perse l’equilibrio e cadde in ginocchio. Vide, però, Dumbcenka cadere a terra a sua volta.
James respirava a fatica. Non si era mai sentito tanto stanco in vita sua.
 
«Sei vivo» costatò Apolline abbracciandolo e scoppiando in lacrime. Il Grifondoro non seppe cosa rispondere. Percepiva perfettamente, e dolorante, ogni parte del suo corpo quindi tutto sommato poteva dire di essere vivo. «Sei stato magnifico».
 
«Non mi voleva uccidere, veramente» disse liberandosi dalla sua stretta. «Perché Dumbcenka? La tua maledizione non era forte! Chi è il debole?». L’altro ragazzo, però, non si muoveva. «Non mi prendi in giro» sbottò fuori di sé.
 
Apolline si avvicinò a Dumbcenka.
 
«Attenta!».
 
Lei non lo ascoltò e si chinò sul ragazzo. Il cuore di James perse un battito quando la vide raddrizzarsi con volto più cupo.
 
«La maledizione è ribalzata su di lui» sussurrò.
 
James cadde di nuovo in ginocchio mollando la bacchetta. Non aveva il coraggio di avvicinarsi ai due. Aveva ucciso. Aveva ucciso un ragazzo di neanche due anni più di lui! Era un assassino!
 
«James?». Apolline era tornata da lui. «Non è colpa tua» sussurrò, ma sembrò gridare per quanto era silenzioso il labirinto in quel momento.
 
Ma James era fuori di sé. Aveva tolto la vita a un ragazzo come lui! Non riusciva a pensare ad altro.
 
«Maledizione! Ascoltami! Quello ti stava per uccidere! Che cosa volevi fare? Aspettare docilmente che ti colpisse?» sbottò Apolline alzando il tono della voce. La fissò: tremava e aveva le lacrime agli occhi. «Usciamo da qui» lo pregò.
 
Il ragazzo la scrutò completamente smarrito. Come? Come si usciva di lì?
«La Coppa. Prendiamola e facciamola finita».
 
James annuì. Voleva andarsene, allontanarsi il più possibile. «Prendila» rispose con voce roca. Si alzò e la fissò in attesa.
 
«Col cavolo» sbottò lei. «Insieme o niente. Questo Torneo ha fatto abbastanza danni».
 
«Non la voglio quella maledetta Coppa!» gridò.
 
«Non mi interessa se non la vuoi! Non la prenderò da sola! Ci siamo aiutati fin dalla seconda prova e ora finiremo insieme! Pareggio tra Hogwarts e Beauxbatons. E basta!».
 
«No!» s’impuntò James.
 
«Invece sì!».
 
«No!».
 
Apolline ridusse la distanza tra loro e gli diede uno schiaffo.
 
«Ma che cavolo?!» sbottò James toccandosi la guancia sconvolto.
 
«Ti sembra il momento di fare il cretino? Se vuoi uscire da qui, prendi quella Coppa con me o ti giuro che mi siedo qui a terra e non mi muovo!».
 
James la fissò come se fosse matta e borbottò qualcosa che suonò vagamente come ti dovrebbero ricoverare al San Mungo. La ragazza lo ignorò e gli afferrò un braccio trascinandolo verso la Coppa.
 
«Insieme» ripeté con forza Apolline.
 
«E sia» concesse stancamente James. Lei gli liberò il braccio.
 
«Pronto?».
 
«Facciamola finita».
 
Un ultimo cenno d’intesa e i due strinsero ciascuno un manico della Coppa. Sentirono tremare il terreno sotto di loro, che cominciò ad alzarsi progressivamente. Si fermò solo quando raggiunse l’altezza delle pareti del perimetro del labirinto. Il vociare degli spettatori li raggiunse all’istante, ma non erano urla di giubilo. Erano in preda al panico.
Come in un sogno sentì Apolline imprecare in francese.
I dissennatori avevano attaccato il castello.
 

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Capitolo 35
*** I dodici della Profezia ***


Capitolo trentacinquesimo
 
I Dodici della Profezia
 
James senza pensarci due volte evocò il suo Patronus e corse lungo la passerella che era magicamente apparsa. Dov’erano Benedetta e i suoi fratelli? Aveva spiegato sia a Robert che a Benedetta come evocare un patronus. Ce l’avrebbero fatta? Lily e Albus non erano in grado. Con il cuore in gola, e con la vaga consapevolezza che Apolline correva dietro di lui, scese a capofitto le scale di piante che gli permisero di raggiugere il parco. Si fece strada con il suo patronus, in preda al panico.
In realtà la situazione non era disastrosa come aveva temuto in un primo istante. Gli Auror avevano il pieno controllo, così come gli insegnanti. Dovevano essere stati presi di sorpresa, ma adesso ogni cosa stava per tornare in ordine e i dissennatori respinti rapidamente.
 
«James!».
 
Riconobbe all’istante la voce angosciata che lo chiamò. Cercò disperatamente Benedetta in mezzo alla folla che si spostava verso il castello.
 
«Per Godric! Stai bene!» urlò la ragazza correndo da lui e abbracciandolo. Non era da sola e pochi secondi dopo si trovò schiacciato a terra dal peso di Lily, Albus e Robert. Non capì che cosa gli stessero urlando tutti insieme, ma non gli interessava. Stavano bene tutti e quattro.
 
«Che Merlino sia benedetto! Stai bene!».
La voce della McGranitt li riscosse e sciolsero l’abbraccio. Robert gli porse la mano e lo tirò su quasi di peso. Era distrutto.
Dietro la Preside vide Apolline abbracciare i genitori e Valentin, sotto lo sguardo commosso di Madame Maxime.
 
«Non rimaniamo qui. Gli Auror hanno scacciato tutti i dissennatori, ma non è prudente» li esortò la Preside.
 
«Ho avuto paura» gli sussurrò Lily. «Papà era seduto lontano e io non sapevo cosa fare. Per fortuna Benedetta e Robert hanno evocato un patronus! Sono stati fantastici!».
 
James sorrise lievemente, stordito non riusciva ad ascoltarli con attenzione. Era come se le loro parole gli giunsero da lontano e lui fosse circondato da una bolla che tendeva ad estraniarlo. A stento era consapevole di Benedetta stretta al suo braccio singhiozzante. Del resto doveva essersi spaventata.
 
«Stiamo tutti bene» lo rassicurò Robert, che intuì il suo stato d’animo. Ma non poteva sapere che cosa lo stesse affliggendo. E chi avrebbe potuto immaginarlo?
 
«Dov’è mio padre?» chiese James con apprensione. Doveva parlargli.
 
«Papà sta bene» intervenne Albus con voce fioca, fraintendendo l’urgenza nella sua voce. 
 
«Dov’è?» insisté James.
 
«Eccolo» gli disse la Preside che a quanto pare li stava ascoltando.
James scorse il padre con un gruppo di Auror, probabilmente stava dando istruzioni. Delicatamente si liberò dalla stretta di Benedetta, affidandola con uno sguardo a Robert. Affrettò il passo distanziando gli amici.
 
«Papà» chiamò.
 
Harry Potter si voltò immediatamente verso di lui e il suo volto sembrò schiarirsi e rilassarsi. Dopotutto quando l’attacco dei dissennatori era iniziato, nessun Campione era ancora uscito dal labirinto.
 
«James! Stai bene?».
 
Il ragazzo cercò il suo abbraccio, sentendosi proprio come quando da piccolo faceva un brutto sogno e correva dal lui in cerca di conforto. Però quella era la realtà, non un incubo.
 
«Stai bene?» ripeté Harry preoccupato. Aveva percepito la sua tensione.
 
«Non volevo ucciderlo, te lo giuro! Non volevo!» disse angosciato scoppiando a piangere.
 
Harry non comprese, ma lo strinse a sé. «Jamie, uccidere chi?».
 
«Dumbcenka. Non volevo, ti giuro» bofonchiò tra le lacrime.
 
«Andate a controllare» ordinò ai suoi uomini più vicini che avevano sentito le parole del ragazzo. «Jamie, va tutto bene».
 
James non lo ascoltò e continuò a piangere.
«Che ha?» chiese Lily terrorizzata. Lei e gli altri non avevano sentito le parole di James. Harry non rispose, valutò rapidamente le condizioni degli altri due figli; soddisfatto sussurrò a James: «Andiamo dentro, hai bisogno di riposare».
 
*
 
James aprì gli occhi e si guardò intorno. Era nella sua camera. Le tende scarlatte erano aperte e dalla finestra penetrava una luce abbastanza intensa.
 
«Jamie» sussurrò una voce dolce. La sua voce.
 
«Benedetta» chiamò mettendosi a sedere.
 
La ragazza lo abbracciò con forza. «Ti voglio bene».
 
James si beò del suo abbraccio, mentre prepotentemente gli avvenimenti del labirinto gli tornava alla mente. Allontanò la ragazza.
 
«Che c’è?». Benedetta lo aveva sentito irrigidirsi.
 
«Io… quello che è successo oggi o… non so… nel labirinto… come sono arrivato qui?».
 
La ragazza lo fissò preoccupata. «Jamie, ti ha accompagnato tuo padre qui. Peter ti ha guarito la mano e gli altri lividi, ma eri già mezzo addormentato». James annuì leggermente: quello lo ricordava vagamente.
 
«Che ore sono?».
«Quasi ora di pranzo. La Preside ha rimandato la partenza a domani. Molti genitori hanno protestato, ma gli Auror hanno sostenuto che era più sicuro così».
 
«Dumbcenka?».
 
Benedetta si mordicchiò il labbro. «Jamie, non è colpa tua. Ti crediamo tutti e Apolline ha testimoniato a tuo favore!».
 
Sentiva un enorme peso sullo stomaco e le sue parole non lo alleviarono particolarmente. «Lui…», non sapeva come formulare il pensiero che gli era balenato in testa, «Vulchanova?».
 
«Gli Auror l’hanno arrestato. I ragazzi di Durmstrang sono partiti stamattina».
 
«Cosa?! E Dumbcenka?» sbottò alzandosi dal letto di scatto.
 
«Il Ministero l’ha consegnato ai suoi genitori. Però Jamie calmati!».
Lo tirò di nuovo a sedere sul letto. «Non sei solo» gli sussurrò. James si arrese davanti alla sua espressione triste. Appoggiò la testa sulla sua spalla. Benedetta gli accarezzò la testa senza dire nulla.
La porta si aprì all’improvviso e li fece sobbalzare. La ragazza arrossì e saltò in piedi.
 
«Professore, io…» iniziò incerta. Non avrebbe dovuto trovarsi lì: le ragazze non avevano il permesso di entrare nei dormitori maschili.
 
Neville, però, sorrise bonariamente e si avvicinò. «Come stai, Jamie?».
 
«Insomma» borbottò il ragazzo.
«Forse è meglio che vada…» mormorò Benedetta.
 
«No, rimani. Non c’è nulla che tu non possa ascoltare».
 
«Che succederà ora?» chiese James.
 
«Probabilmente dovrai affrontare un’udienza del Wizengamot» rispose serio Neville.
 
«Perché?» domandò Benedetta sgranando gli occhi terrorizzata. James non fiatò, ma il suo sguardo spaventato era abbastanza eloquente.
«I genitori del ragazzo sono alleati di Bellatrix Selwyn. Tenteranno di vendicarsi. Hanno già chiesto indagini, mettendo in mezzo anche il Ministero ungherese. Però devi stare tranquillo. Apolline Flamel ha già deposto in tuo favore. E Dimitri Vulchanova è stato arrestato ieri sera. Colto sul fatto mentre evocava i dissennatori dentro i confini di Hogwarts. Tuo padre è fiducioso che crollerà facilmente con i loro interrogatori. In più alcuni studenti di Durmstrang hanno testimoniato contro il loro compagno. Devi stare tranquillo e lasciar fare a tuo padre». James si mise le mani in faccia, chiedendosi perché dovessero capitare tutte a lui. Che aveva fatto di male?
«James, andrà tutto bene, chiaro?». Il ragazzo annuì, anche se in quel momento non né era perfettamente convinto. «Forza, fatti una doccia. Dirò a un elfo di portarti qui il pranzo. Dopodiché la Preside ti aspetta nel suo ufficio. Non tardare troppo».
 
James annuì ancora e sospirò: avrebbe dovuto aspettarselo che la McGranitt avrebbe voluto fare due chiacchiere con lui.
 
«Benedetta, gli hai detto la bella notizia?» tentò di sorridere Neville.
 
«Ancora no, signore» rispose ella illuminandosi lievemente.
 
«Che notizia?».
 
«Il tuo figlioccio è in perfetta salute e non vede l’ora di conoscerti» replicò Neville.
 
«Merlino, mi ero dimenticato! Come sta Vic? Come l’hanno chiamato? Teddy?».
 
«Stanno tutti bene» lo rassicurò Neville. «Remus William Lupin al momento sarà circondato da tutti i parenti».
Sul volto di James si aprì un sorriso sincero.
 
«Io vado. Mi raccomando non fare aspettare la Preside. E soprattutto, Merlino ce ne scampi, tua sorella compie dodici anni oggi. Falle gli auguri».
 
«Oh, Merlino è vero! Oggi è il primo luglio!».
 
I ragazzi guardarono il professore mentre usciva dalla stanza, poi Benedetta disse: «Ti devo dire una cosa prima che tu vada sotto la doccia. Stamattina mentre dormivi, sono andata in biblioteca e ho fatto una ricerca».
 
«Su cosa?» chiese James, cercando la divisa pulita nel baule.
 
«Il tuo patronus. Ho scoperto che uccello è».
 
«Sul serio?».
 
«È un airone. Ho cercato informazioni su alcuni Bestiari».
«E…?».
 
«È un bell’animale. Credo che ti rispecchi. Si ritrova sia nella simbologia classica sia in quella cristiana. Secondo Plinio il Vecchio, un autore latino, è in grado di versare lacrime ed è considerato un divoratore di serpenti e simbolo di penitenza per i Cristiani. Nel Phisiolugus c’è scritto che è uno degli uccelli più prudenti. Ha un solo nido e una sola dimora. Non cerca altri nidi oltre il proprio, e lì dorme e si nutre. Non mangia corpi morti e non vola in molti luoghi».
 
«Ah, ehm sembra particolare…» borbottò James senza saper bene che cosa dire.
 
«Secondo me è bellissimo» commentò Benedetta baciandolo a fior di labbra.
 
*
 
James si sentiva decisamente meglio dopo la doccia calda e dopo aver mangiato qualcosa, ma il peso allo stomaco non lo abbandonava e probabilmente l’avrebbe accompagnato per un bel po’. Da una parte avrebbe voluto dimenticare ogni cosa, dall’altro pensava che non fosse giusto. Ma faceva male.
 
«Zenzerotto» disse ai gargoyle che custodivano l’ingresso della presidenza. Si lasciò trasportare dalla scaletta a chiocciola e una volta in cima gli fu dato immediatamente il permesso di entrare.
 
«Buon pomeriggio» mormorò incerto. Insieme alla McGranitt c’erano zio Neville, Madame Maxime, Apolline, Malfoy e Mullet.
 
«James! Come stai?» strillò Apolline raggiungendolo.
 
«Meglio, grazie. Tu?».
 
«Anche».
 
«Bene, ora che ci siamo tutti possiamo procedere» intervenne Draco Malfoy con la sua solita voce strascicata.
 
«Sono d’accordo» disse Mullet con un cenno d’assenso. «Vi abbiamo convocati perché dopo quello che è accaduto non ci sembrava il caso di premiare pubblicamente il vincitore…».
 
«Il vincitore?» lo interruppe Apolline attirandosi un’occhiataccia di Madame Maxime.
 
«Sì, signorina Flamel il vincitore» confermò infastidito Mullet.
 
«Io e James abbiamo preso la Coppa insieme. Ricorda? O era troppo occupato a scappare dai dissennatori?».
 
«Flamel!» la richiamò Madame Maxime.
 
«Ricordo perfettamente. Avete pareggiato alla terza prova, ma c’è una classifica che non possiamo ignorare». Mullet si era incupito non avendo gradito la considerazione della ragazza. «Il vincitore di questa edizione del Torneo Tremaghi è Apolline Flamel, Campionessa di Beauxbatons» annunciò infine in modo formale.
 
Apolline lo fissò stupita e non fiatò. James accusò il colpo tranquillamente o quasi. In quel momento era l’ultimo dei suoi problemi. L’importante era che quel maledettissimo Torneo fosse finito. Malfoy, da bravo Serpeverde, approfittò dell’effetto sorpresa e disse: «Questi sono i suoi mille galeoni, signorina Flamel. Complimenti».
 
La ragazza, però, si riprese rapidamente. «Siete impazziti?» sbottò- «Non li voglio. Abbiamo pareggiato» s’impuntò.
 
«Signorina Flamel, le fa onore questo comportamento ma è andata così. È una strega di talento, si merita la vittoria» disse la McGranitt nella speranza di metter fine a quelle discussioni. James era d’accordo con lei: quella storia era dura troppo. Apolline si imbronciò e prese il sacchetto che Malfoy le porgeva insistentemente. I due rappresentanti del Ministero si congedarono.
 
«Credo che sia ora di andore. Ágrid avrà già preparato i cavolli» disse Madame Maxime.
 
Apolline e James si scambiarono un occhiata e sorrisero reciprocamente.
«È stato un piacere averti come avversario».
 
«Anche per me» replicò James.
 
«Magari quest’estate ci rivedremo. Anche io voglio godermi il piccolo Remus». Apolline lo abbracciò. «Siamo amici ora».
 
«Eravate tu e Domi che mettevate serpenti finti nel mio letto» borbottò James. «Amici».
 
Zio Neville si offrì di accompagnarle, così James rimase solo con la McGranitt.
 
«Ehm vado anche io?» chiese sperando che annuisse, ma naturalmente non lo fece.
 
«Non così in fretta, Potter. Siediti».
 
In quel momento James comprese perché suo padre diceva che quella donna riusciva a farlo sentire in colpa anche quando non aveva fatto nulla.
 
«Non fare quella faccia. Voglio farti i complimenti per come hai affrontato la prova». James si accigliò: lo prendeva in giro? La Preside sbuffò. «Meritavi la vittoria tanto quanto la signorina Flamel se non di più. Sei cresciuto molto in questi mesi e mi riferisco alle tue capacità magiche e non alla tua altezza» specificò con un cenno ammonitorio, ma non ce n’era bisogno: James non aveva voglia di fare spirito.
 
«Grazie, professoressa».
 
*
 
«Avrei dovuto essere a casa a quest’ora e festeggiare con tutti. Non a Scuola!».
 
Albus sbuffò: era tutta la mattina che Lily si lamentava.
 
«La smetti? Hai festeggiato con noi. E comunque nonna ti ha promesso una torta per domani sera!».
 
«Non vinceremo nemmeno la Coppa! Di nuovo!».
 
Albus la ignorò, quando si lagnava era insopportabile. Come se lei e le sue amiche non avessero contribuito a far perdere un sacco di punti a Grifondoro.
 
«Secondo voi vincerà Tassorosso?» chiese Cassy.
 
«Mi sa di sì. Per ora è prima in classifica, ma la McGranitt deve ancora assegnare i punti per i risultati degli esami».
 
«Al, i Corvonero non possono rimontare stavolta. Sono troppo in basso» interloquì Rose.
 
«Jamie, mi ha detto che Louis e i suoi amici si sentivano in colpa per questo».
 
«Vorrà dire che io e Lily gli daremo qualche lezione nelle vacanze» commentò Rose.
Al le scrutò preoccupato mentre si davano il cinque.
 
«Jamie, comunque ne ha vinti cento per la sua prestazione durante il Torneo!» gongolò Lily.
 
«Buonasera a tutti!» prese la parola la Preside attirando l’attenzione dell’intera Sala Grande. «Siamo ormai giunti alla conclusione di un altro anno, che senz’altro è stato ricco di emozioni ma spero anche che siate cresciuti e maturati ulteriolmente. È arrivato il momento di assegnare la Coppa delle Case, ma prima annuncerò i nomi degli allievi che maggiormente si sono distinti negli esami finali. Ognuno di loro riceverà cinquanta punti». Fece un attimo di pausa e poi continuò: «Il miglior studente del primo anno è Harry Canon di Serpeverde».
 
Per un attimo non vi fu alcuna reazione. Albus incrociò lo sguardo altrettanto sorpreso di James: erano sicuri che sarebbe stato Louis! Perché la McGranitt aveva deciso così? Cercò il cugino al tavolo dei Corvonero, proprio mentre i Serpeverde iniziavano ad applaudire e festeggiare il loro compagno: era visibilmente deluso.
 
«Il migliore allievo del secondo anno è Hugo Weasley di Grifondoro».
Il loro tavolo scoppiò immediatamente in un fragoroso applauso e Hugo fu inneggiato da tutti i suoi compagni. La Preside fece fatica a riportare l’ordine.
 
«La miglior allieva del terzo anno è Fabiana Weasley di Corvonero».
I Corvonero festeggiarono in maniera più contenuta, d’altronde non avevano dato gran mostra di sé per tutto l’anno.
 
«La migliore allieva del quarto anno è Virginia Wilson di Corvonero». Nuovi applausi si levarono dal tavolo blu bronzo.
 
«Il miglior allievo del sesto anno è Rimen Mcmillan di Tassorosso».
 
Dal tavolo dei Tassorosso si levò un boato che poteva solo preannunciare quello che si sarebbe levato a breve. Ormai tutti sapevano che avevano vinto loro. E i ragazzi fremevano.
 
«Infine ecco la classifica della Coppa delle Case di quest’anno: al quarto posto Corvonero con cento punti, a pari merito con 380 punti Grifondoro e Serpeverde. Tassorosso vince con 880 punti!».
 
La maggior parte dei Grifondoro si unì all’applauso generale, i Tassorosso erano fuori di sé dalla gioia. D’altronde erano anni che attendevano quel momento. Il loro Caposcuola Klaus Moritz stringeva la mano a tutti con un enorme sorriso in volto. Con un sorriso Albus vide che uno dei più festeggiati era il piccolo Arthur, che sembrava godersi parecchio il suo momento di gloria. Diede una gomitata a Rose e glielo indicò. La cugina sbuffò: «Prima o poi vinceremo anche noi… Si spera».
Albus ridacchiò e la ignorò. Quando si metteva era peggio di Lily. Al tavolo dei professori, Mcmillan aveva ricevuto i complimenti da tutti i suoi colleghi.
 
«È così un altro anno è trascorso» sospirò Alastor.
 
«Eh già» replicò Albus, facendo cenno a Dorcas che festeggiava con i suoi compagni.
 
*
 
James fissava il Lago Nero in silenzio. Quella notte aveva piovuto, come se il cielo avesse voluto mostrarsi solidale con lui. Quella mattina, però, si era svegliato con un tiepido sole. Presto sarebbero tornati a casa, ma non si profilava un’estate molto allegra. Bellatrix Selwyn si stava muovendo.
 
«Jamie, ci siamo tutti» lo richiamò timidamente Albus.
 
Si voltò e scrutò i suoi compagni. A quanto pare toccava a loro fermare quella donna. Anche se nessuno sapeva come.
Gli altri lo fissavano a loro volta: Jack con la schiena appoggiata a un albero e uno sguardo determinato quasi di sfida; Albus, Frank e Dorcas relativamente tranquilli attendevano pazientemente di capire perché li avesse chiesto di incontrarsi lì mentre il resto della Scuola faceva colazione; Rose e Scorpius erano stravaccati a terra e si spingevano, probabilmente annoiati dall’attesa; Brian lo fissava smarrito e spaventato; infine Emmanuel giochicchiava con una ricordella e non lo guardava. 
Toccava a lui guidarli. Il peso di questa costatazione lo tormentava.
 
«Scusate se vi ho fatto venire qui a quest’ora, anche perché manca poco alla partenza per cui immagino che abbiate altro per la testa. Però sappiamo tutti della Profezia e non possiamo far finta di nulla» esordì. Tutti ora lo ascoltavano attentamente. Emmanuel aveva smesso di giocare con la ricordella, che stringeva con forza nella mano destra.
«Non sappiamo ancora che cosa ci toccherà affrontare e come il destino, o quello che è, prevede che risolviamo la questione, ma di certo dovremmo essere pronti. Quindi vedete di rendervi reperibili perché dovremmo esercitarci in Difesa. Williams ci darà una mano».
 
«Stai dicendo che dovremmo studiare in estate? Con Williams?» domandò Rose assottigliando sempre di più gli occhi.
 
«Non rompere!» sbottò James. La pazienza l’aveva persa tutta dopo la terza prova. «Dovete imparare a difendervi».
 
«Ma James, non credo che la Profezia si deve intendere così. Al contrario non dobbiamo combattere» tentò Albus, ma il fratello lo fulminò con lo sguardo.
 
«Per Merlino Albus, non essere stupido tu e il tuo pacifismo! Non ha importanza quello che dice la Profezia! Noi non sappiamo dove ha le spie la Selwyn. Potrebbe già sapere tutto di noi dodici. E se è così stai pur certo che manderà i suoi uomini a stanarci come topi. E noi dovremo difenderci! Non ci saranno martiri o eroi. Siam tutti minorenni. La Preside è d’accordo» disse James con foga.
Il suo tono irato colpì tutti i presenti, che non osarono ribattere. James ne fu soddisfatto e continuò: «La Preside inoltre ci invita a coltivare i nostri talenti e non trascurarli. È convinta che la risposta sia in parte di fronte ai nostri occhi. Albus siamo in grado di stabilire l’ambito magico in cui ciascuno di noi è più portato?».
 
Albus annuì. «Io ho un’idea. Ditemi voi se è corretta. James in Difesa; Frank in Storia della Magia; Dorcas in Incantesimi; Jonathan in Astronomia; Jack in Trasfigurazione; Brian in Erbologia; Emmanuel in Pozioni; io in Antiche Rune; Virginia in Aritmanzia; Rose in Divinazione; Scorpius in Cura delle Creature Magiche e Roxi in Babbanologia».
 
«Allora siete d’accordo?» li esortò James, visto che non avevano proferito parola.
 
«Sorvolando sul fatto che mi sta dando della ciarlatana e che se devo affinare la mia capacità di dire balle, non c’è problema», borbottò Rose, «che significa tutto ciò?».
 
«Che non dobbiamo cercare il modo di sconfiggere la Selwyn al di fuori, ma dentro di noi» mormorò Albus meditabondo.
 
«Sei un caso perso!» ribatté Rose, che non aveva capito.
 
«Lo scopriremo» tagliò corto James.
 
«Possiamo andare?» chiese Jack, che non era abituato a far parte di un gruppo così numeroso.
 
«Ancora un attimo, per favore» lo trattenne Albus. «Io, Virginia e Dorcas abbiamo trovato la soluzione al problema della comunicazione».
 
«Definitivamente?» chiese scettico James.
 
«Penso di sì. Faremo invidia anche a zio George».
 
«In realtà tuo zio potrebbe anche denunciarci per aver modificato uno dei suoi prodotti» borbottò Virginia.
 
«No. Piuttosto ci torturerà finché non gli diciamo come abbiamo fatto».
 
«Vi date una mossa?» li richiamò Rose spazientita.
 
«Abbiamo preso gli Specula di zio George e abbiamo applicato l’Incanto Proteus Modificato. Ora ognuno di noi potrà scrivere sul retro dello specchietto e tutti potranno leggere il suo messaggio. Lo specchio diverrà lievemente più caldo quando arriva un messaggio. Inoltre abbiamo fatto in modo che appaia anche la runa del proprietario dello specchio. Sono personalizzati. C’è lo stemma di Hogwarts e lo sfondo è quello della propria Casa. Blu per i corvonero, scarlatto per noi Grifondoro, verde per i Serpeverde e giallo per i Tassorosso. Perché mi guardate così? Non vi piacciono?» disse Albus tutto d’un fiato e palesemente soddisfatto.
 
«Incanto Proteus Modificato?» domandò Jack.
 
«Oh, sì. Beh l’Incanto Proteus permette di legare alcuni oggetti tra di loro, in modo che, incantandone uno, si incantino anche tutti gli altri, no? In quel modo, però, tutti avrebbero obbedito a uno solo. Sarebbe stato fine a sé stesso. Abbiamo fatto in modo che ciò che ognuno di noi scrive possa essere letto da tutti gli altri».
 
«Cioè voi avete pasticciato con un incantesimo che si studia al settimo anno e non solo non avete distrutto la Scuola, ma ci siete anche riusciti!» commentò incredulo Jack.
 
«Ci abbiamo messo una vita» replicò Virginia.
 
«Ammettetelo avete chiesto aiuto alla Shafiq» si intestardì il ragazzo.
 
«Che sei pazzo? Quella ci avrebbe uccisi!» disse Albus.
 
«Beh, non ha importanza. Prendetevi gli specchi e teneteli a portata di mano» tagliò corto James.
 
I ragazzi obbedirono.
 
«Ce la faremo» disse convinto Albus, dando una pacca sulla spalla di James, mentre gli altri si avviavano verso il castello.
 
«Quest’anno sembrava non voler finire mai» sospirò James.
 
«Già, ma è finito».
 
Il più grande annuì. «Su, andiamo. È quasi ora di partire».
 
Il sole era alto e caldo quella mattina e nonostante tutto non potevano che essere almeno un po’ ottimisti.
 
 
Ciao a tutti!
Finalmente siamo arrivati alla fine! Sono molto contenta e più soddisfatta rispetto al racconto precedente. Spero che vi sia piaciuto!
Grazie a chi ha letto silenziosamente, chi ha messo la storia tra le seguite, tra le preferite e le ricordate. Un grazie enorme a  TechnoCiek e specialmente Amy_demigod (che mi ha sostenuta fino alla fine), che mi hanno dato il loro parere sostenendomi durante la stesura della fan fiction.
Spero che quest’ultimo capitolo vi piaccia. Devo ammettere che, al di là delle previsioni iniziali, ho impiegato più tempo a scrivere questo che il precedente.  
Vi auguro un buon pomeriggio,
Carme93

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