Hybrids of Chaos -Hybrid Surgery

di Rage The Soldier
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Reclutamento ***
Capitolo 3: *** Una nuova recluta speciale ***
Capitolo 4: *** Un passato oscuro - Rage e la sua storia ***
Capitolo 5: *** Intelligence ***
Capitolo 6: *** Scontro decisivo: l'alba di un cambiamento? ***
Capitolo 7: *** Curiosity ***
Capitolo 8: *** Le catene dei ricordi ***
Capitolo 9: *** Comunicazione importante ***
Capitolo 10: *** Ricordi incatenati, un segreto da mantenere ***
Capitolo 11: *** CHIUSURA ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


INTRODUZIONE

Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana... No, questa non è la storia che vogliamo raccontare.

Ciò che stai per leggere ti porterà in un esercito della Terra, qualche millennio più avanti nel futuro.

Solo una cosa... Sei sicuro di essere dalla parte giusta?

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Capitolo 2
*** Reclutamento ***


Campo base di addestramento, sala della resistenza, ore 19:36
 
Due figure si stavano scontrando nel mezzo del campo, la prima attaccando violentemente, la seconda cercando di schivare raffiche di micidiali morsi velenosi.
"Avanti, muoviti! Sssei una perditempo!"” urlò l'aggressore, un grosso serpente dotato di braccia umane che la stava mitragliando di colpi su colpi. La ragazza evitò l'ennesimo morso e piantò le unghie nere ed affilate da gatto fra le scaglie grigiastre del maestro, che si bloccò e scattò all'indietro, trascinandola con sé e facendola rovinare a terra sotto di lui.
"Non diventerai mai più forte continuando a combattere così!" la rimproverò nuovamente il capo militare. Lei si riprese e balzò subito all'indietro per allontanarsi, digrignando i denti affilati di un vero felino pronti a ripagare l'avversario son la sua stessa moneta, scartò di lato e si portò velocemente di fianco al grosso serpente.
"Bene Dark Rose, così va meglio..."
Questo evitò l'affondo e neanche tre secondi dopo avvolgeva nella sua stretta presa l'allieva, pronto a stritolarla in tutti i suoi tre metri di lunghezza.
"Ma non abbassstanza."
Il serpente iniziò a stritolarla senza darle possibilità di reagire, con una furia che solo un intenso odio poteva donare. Cercando velocemente una via di fuga, Dark Rose si divincolò dalla presa, liberando la testa quanto bastava per allungare un morso vicino al capo del rettile: immediatamente il dolore della dentatura aguzza lo costrinse ad allentare la presa ed allora con uno strattone la ragazza liberò gli arti intrappolati.
I due balzarono all'indietro e lei riprese sembianze umane: la lunga coda sinuosa, le orecchie e la pelle color nero pece lasciarono il posto ad una carnagione pallida come la luna, quasi innaturale.
"Beh, che hai? Sssei già stanca? Spero per te che non ssia così!" la riprese il grosso Mamba nero, tornando umano a sua volta. Le gambe si divisero, facendo sparire la coda, le scaglie e gli aculei. Il viso si trasformò da quello di un serpente dai canini aguzzi a quello di un umano con gli occhi azzurri e i capelli corti e biondi.
"No, generale Memphis..." cercò di spiegare l'allieva che, trattenendosi un braccio il cui colorito si avvicinava pesantemente al viola, accusava i segni dell'evidente rabbuiamento del suo maestro. Stava guardando dietro le spalle del generale, dove qualcosa era apparso come dall'ombra.
"Non voglio scuse ragazza, per oggi basta così." sibilò con il suo solito tono duro, prima di avvertire una presenza alle sue spalle e voltarsi di scatto.
"Ehy, Ferrari, la vuoi smettere di imitare zio Adolf?" canzonò ironica una voce nella penombra.
"No, no, no! Non lei!" si lamentò Memphis, portandosi la mano alla faccia. Se c'era qualcuno che non sopportava era proprio quella impertinente capofazione.
"Ehy, che c'è di male a prendere un po'in giro il mio generale preferito alla vigilia del suo compleanno?" rispose in tono ironico la voce di una giovane.
"Dovrai smetterla con questa storia prima o poi, Rage!"
"E perché mai?"
Una ragazza ventitreenne piombò dall'alto, travolgendolo. Dark Rose sobbalzò all'indietro dalla sorpresa: poco prima le era sembrato di vedere un paio di ali nere scomparire in un soffio. Il povero generale venne investito in pieno da 23 anni di puro spirito ribelle.
"Ti ho detto di andartene, stupida rompiscatole che non sei altro!" urlò Memphis.
"Eddai, nonno Hitler..." sogghignò la ragazza, che trattenendo a stento le risate, prese per la spalla il generale, se lo mise al fianco ed iniziò a fargli una di quelle grattate alla testa che bruciano come il fuoco dell'Inferno in un'afosa giornata d'estate.
Alla povera allieva scappò una risatina, che fece scoppiare di rabbia e di vergogna il suo maestro.
Ma prima che l'orgoglio ferito dell'uomo parlasse, Rage intervenne: "Bando alle ciance, sono qui per farti una proposta: è già da un po'che vi guardo durante i vostri allenamenti..." disse rialzandosi e puntando i suoi penetranti occhi grigi su quelli viola scuro della giovane allieva. Sorrise, e stese un braccio davanti a sé puntando l'indice contro di lei.
"Voglio arruolare Dark Rose nel mio reparto, ovvero quello ninja e di spionaggio."
Per un attimo Dark Rose rimase spiazzata dalla determinazione della caporeparto, per quale motivo vorrebbe anche solo averla fra i suoi? Ma il piccolo sorriso formatosi sul suo viso morì subito dopo alla vista dello sguardo indignato del suo maestro.
"N-non se ne parla nemmeno!" gridò in risposta alla fine, temendo una brutta reazione del suo superiore.
Rage si voltò verso il generale Memphis e incrociò le braccia: "Caro il mio Ferrari, non ti è mai passato per la testa che l'ibrido di un gatto debba esercitare meglio le sue capacità in velocità piuttosto che in forza? E come diavolo farebbe contro un Mamba Nero, che è il serpente più veloce che esista?" lo rimproverò riferendosi al serpente con cui condivideva il suo DNA.
“"Non ascoltare questo pallone gonfiato." riprese risoluta Rage. "Un ibrido-gatto come te ci sarebbe molto utile, e le tue capacità sarebbero espresse al massimo... Pensaci su... E oltretutto..."
Rage fece una pausa, poi si tolse dalla tasca un pacchetto.
Ne estrasse un oggetto rotondo, poi disse: "...Noi abbiamo i biscotti! Perché rifiutare? Un biscotto ripieno di crema alle nocciole, con gocce di cioccolato e..."
Si ficcò il biscotto in bocca e lo inghiottì in un sol boccone.
"Oh, scusate... Sono troppo buoni. Dicevo, noi... NOI ABBIAMO I BISCOTTI!"
"Proposta allettante, ma no." disse Memphis, precedendo Dark Rose.
"Sta zitto per una buona volta, Mamba Morboso!" urlarono le due ragazze all'unisono.
Memphis cercò di mantenere il controllo di sé, cercando di essere il più impassibile possibile, ma il suo colorito divenne rosso come i capelli di Rage, e con una voce cavernosa e severa scandì: "DA DOMANI DOPPIO ALLENAMENTO, DARK ROSE! ANZI, TRIPLO!"
"Lasciala decidere in pace per una buona volta." rispose con calma Rage al generale, poi, rivolgendosi a Dark Rose disse: "La mia proposta è ancora valida."
La ragazza abbassò lo sguardo e non rispose.
"Brava la mia allieva." sogghignò Memphis.
Rage sospirò, volgendo la testa al cielo: "Se vuoi provare ad allenarti con me, presentati nella sala delle armi domani mattina alle 6 in punto." le ricordò sorridendo, poco prima di lanciarsi in un attacco che prese di sorpresa il generale, il quale fece in tempo ad evitarlo, spiccando un salto fulmineo all'indietro, evitando un poderoso calcio rotante.
"Ma ricorda: questo con lui non lo puoi imparare. Punta troppo sulla forza fisica e non sulla tua agilità e furtività. Male, molto male."
"Non ascoltarla. L'importante è la forza che riesci a tirar fuori quando sei al limite." ribatté Memphis rialzandosi seccato e voltandosi in direzione della porta.
"Tu, fila nel tuo appartamento, è un ordine." aggiunse infine, lanciando uno sguardo severo verso la ragazza, che nonostante il suo colorito pallido riuscì ad impallidire ancora di più. Quando egli fu uscito, sbattendosi la porta dietro di sé, Rage si avvicinò a grandi passi verso la sua possibile neo-allieva e le domandò un'ultima volta se voleva ripensarci. Dark Rose non scollò gli occhi dal pavimento, e si voltò sussurrando un pacato arrivederci. Ma dietro le spalle aveva il dito indice e medio incrociati.
Rage sorrise trionfante.
"Mi raccomando la puntualità. Ora vai a riposarti. Per domani ne avrai bisogno." disse a voce bassa dandole una pacca sulla spalla.
"Agli ordini Signore." Rispose lei con un filo di voce.
"Chiamami pure Rage."




Campo base di addestramento,– sala delle armi, ore 6:19


Puntuale come un orologio svizzero. Dark Rose era lì, in piedi al centro del campo, aspettando l'arrivo della sua nuova maestra. Si era dovuta dare infortunata per evitare l'allenamento con il suo Maestro Assegnato, presentando il braccio sinistro che, nonostante un giorno di riposo, non aveva ancora riassunto il colore giusto. Non le doleva, ma vederlo le ricordava in ogni momento che se fosse stata scoperta avrebbe passato guai molto più seri.
Sbuffò, aspettava da 19 minuti esatti, e il ritardo non era una cosa che le piaceva molto. Osservava le armi scintillanti riposte lungo le pareti della stanza, quando sentì qualcosa planare dolcemente sul suo capo. Si portò le mani alla testa.
Era un pacchetto di biscotti.
La ragazza alzò la testa e con voce tremante disse: "R-Rage... È... È lei, signore?"
Nessuna risposta, solo una folata di vento che spostò i vaporosi capelli neri della ragazza. Se li sistemò con la mano libera, poi chiese di nuovo se ci fosse qualcuno.
Nulla.
Non aveva mai avuto paura della solitudine, ma in quel momento stava sudando freddo al pensiero che il suo Maestro l'avesse scoperta.
Si sentì un rumore di passi, poi nulla...
Dark Rose iniziava ad avere un po'di paura.
"Il punto, mia cara, è giocare d'astuzia, giocare con la mente dell'avversario... E l'avrai in pugno." rispose una voce nel vuoto.
Dark Rose sobbalzò e rischiò di far cadere il pacchetto di mano. Una voce era appena sbucata da ogni direzione, rimbombante, come una specie di ultrasuono.
"Chi sei? Mostrati!" urlò la ragazza, cercando la persona che stava parlando, muovendo la testa in tutte le direzioni, ma senza scorgere nulla.
"Sono qui, sopra di te."
"Che... Che cosa?!"
Alzò lo sguardo, e vide Rage a testa in giù, appesa ad una balaustra.
Il giorno prima aveva visto giusto! Quelle che pensava fossero un miraggio erano i realtà nere e consistenti ali da pipistrello, decorate da alcune nervature rosse come il sangue. La capofazione era aggrappata al contrario ad uno dei cavi pendenti dal soffitto grazie alle gambe, e teneva le braccia incrociate mostrando alla sua piccola preda un sorriso munito di due lunghi e pericolosi canini. Dark Rose fece un passo indietro e immediatamente mutò aspetto nell'ibrido di un gatto nero.
"Ahahah, Sono un ibrido come te in fondo, ricordi? E sono il caporeparto della mia divisione. Ma questo non è il punto. Devi aspettarti qualsiasi cosa da chiunque. Si inizia." disse indicandole il pacchetto di biscotti che ella teneva in mano.
Dark Rose rimase perplessa, mentre la ragazza-pipistrello la incitava a prendere un biscotto dalla scatola, ma si disse che un senso l'avrebbe avuto e infilò la mano nel contenitore.
Un secondo dopo non aveva più il pacchetto fra le mani.
Rage planò davanti a lei sventolandole davanti alla faccia il piccolo bottino, e commentò: "Prima regola: aspettati tutto da tutti. Seconda regola: mai abbassare la guardia. Mi segui?"
Dark Rose fece un cenno col capo, così Rage abbassò lo sguardo sulla sua collana formata da due piastre di metallo, come a cercare la forza di parlare. Sbuffò, e cercò di spiegare: "Bene. Prima di tutto, mi scuso per averti fatto aspettare. Stavo dormendo qui sopra... Mi ero svegliata, te lo giuro, ma poi mi sono riappisolata... Beh, sto divagando: combatti contro di me per i biscotti. Se riesci a prenderne almeno uno, ti accetto in squadra. A te la prima mossa."
La prima mossa. Da quello che aveva capito durante tutti i suoi allenamenti, un avversario con molta velocità è avvantaggiato nella prima mossa, ma chi non ne possiede abbastanza no, se l'avversario se lo aspetta. Analizzando le possibili alternative come una calcolatrice, Dark Rose chiuse gli occhi. E scattò in avanti.
E fu quasi uno scherzo del destino, se così vogliamo chiamarlo, se proprio in quel momento Memphis era entrato col suo solito atteggiamento freddo e distaccato, ma visibilmente alterato, per non dire altro. Vide Rage e Dark Rose che stavano combattendo.
Quest'ultima si stava abituando velocemente ai ritmi dell'avversario, cercando di cogliere l'essenza del suo stile di combattimento. Rage si avvicinò a lei e la ragazza evitò il colpo che le stava per arrivare. Nel mentre le fregò sotto il naso il pacco di biscotti.
"Non... Non ci credo! Ce l'ho fatta!" scandì la vincitrice.
Rage mostrò uno sguardo sorpreso e divertito, sia nel vedere che ce l'aveva fatta sia nell'aver capito in cos'altro peccavano gli allenamenti di Memphis: "Bene... Molto bene. Davvero! Ma devo dire che la mia nuova cintura mi dona molto!"
Dark Rose si guardò i fianchi e vide che la sua amata cintura viola non c'era più, ma al suo posto c'era quella grigia di Rage.
"Ma che diavolo... Come hai fatto!?"
"Terza regola: non concentrarti su una cosa e basta, studia e sta attenta a tutto ciò che ti sta intorno."
"O...ok... Ma ora me la puoi restituire?"
"Va bene, vienila a prendere. So che tieni molto alle tue cose... Ti ho osservato per un solo combattimento e mi è bastato per capirlo." la provocò Rage, tendendo il braccio nella posizione in cui la ragazza lo tratteneva dolorante il giorno prima per aizzarla e facendo cenno con la mano di cederle la prima mossa.
"Ridammela subito!" gridò Dark Rose per darsi forza, per poi lanciarsi in uno scatto fulmineo contro di lei, afferrandola per un piede.
Rage si librò in volo ancora più in alto, sbattendo la gamba a cui la gatta era aggrappata contro i tubi pendenti dal soffitto per provare la sua resistenza, ma nel mentre i canini, le unghie e le orecchie si allungarono e il suo viso assunse un ghigno a dir poco sadico.
"Ora iniziamo a ragionare! Visto come si fa, eh, Ferrari?" urlò Rage, che aveva ignorato finora Memphis, nonostante si fosse accorta di lui appena era entrato.
"Ge-Generale?! Me-Me...Memphis è qui!?" balbettò Dark Rose, che per lo spavento perse la presa e balzò dall'altro lato della sala con un'agilità che neanche lei conosceva, quella donata dal terrore.
Cavolo no, e adesso cosa avrebbe fatto?
"Sì. Ti ricordo che ti avevo detto di concentrarti su tutto l'ambiente che ti circonda e non solo sull'avversario..." la rimproverò benignamente Rage, poggiando i piedi per terra e facendo scomparire le grandi ali nero-grigiastre. Ma a quel punto l'allieva non la stava ascoltando più perché aveva gli occhi puntati sul parecchio incazzato individuo che le si stava avvicinando a grandi passi.
"Un infortunio, eh? Impossssibilitata a combattere eh?" ripeteva sempre più forte fino a che i loro sguardi non furono lontani di neanche trenta centimetri. Due cristalli di ghiaccio molto, ma molto ariani e molto, ma molto razzisti penetravano quelle due fioche fiammelle viola che erano diventate gli occhi di lei.
"Come pensi di giustificare questo tuo comportamento immaturo ed egoista?!" le gridò in faccia con una quantità indicibile di fiele in gola, facendola sprofondare nel terreno.
"Battila!"”
"Eh?"”
La pelle dell'’uomo si era coperta per un attimo di scaglie grigio-metalliche, ma subito dopo l'autocontrollo del generale prese il sopravvento. E lui ripeté quell'ordine, la pena da scontare per aver marinato l'allenamento.
"Battila." disse con più calma, e per un singolo istante sembrò che nella sua voce ci fosse un briciolo di incoraggiamento, ma molto probabilmente fu solo un'impressione.
Dark Rose abbassò il capo e chiuse gli occhi, che le stavano inspiegabilmente bruciando, e tornò umana. Memphis si allontanò a bordo campo e si trasformò nel suo ibrido, raggomitolandosi su se stesso per assistere allo scontro.
"Cavoli." pensò Rage, "Per forza la ragazza è terrorizzata da lui."
Ma questo pensiero le sfiorò la mente per un istante, perché sapeva con certezza che fra pochi minuti avrebbe acquistato una nuova e promettente allieva.
"Avanti, ti aspetto, trasformati e vienimi a prendere!"
Dark Rose si guardò le mani, e capì che aveva raggiunto il limite.
"Non posso! Da ora in avanti perderò il controllo!" le stava per dire, ma si ricordò della presenza a bordo campo e non fece storie. Si trasformò, e si notò la differenza: gli artigli erano più lunghi dalla precedente trasformazione e i suoi occhi fiammeggiavano impazienti.
Rage sorrise, sapeva benissimo cosa stava succedendo, ma sorrise lo stesso, e spalancò due ali nere ancora più minacciose.
"Anche tu perdi il controllo, eh? Vediamo chi delle due resisterà di più." sogghignò, e immediatamente si librò in volo con una velocità molto maggiore della precedente, sguainando due canini lunghi e affilati e assetati della fatica del nemico.
"VIA!" urlò a pieni polmoni, e con una spietatezza incredibile piombò sul terreno. Dark Rose evitò l'attacco per un soffio e atterrò qualche metro più in là, rialzandosi subito e balzando su di lei. Il pipistrello si voltò di scatto e si richiuse all'interno delle sue ali, deviando un'artigliata che però le lacerò parte di un ala, riaprendole entrambe in un sol colpo provocando una folata di vento tale da sbalzare la gatta dall'altra parte dell'arena. Atterrò sulla parete con le unghie piantate in essa e non perse tempo a caricare un altro colpo, ma l'avversaria spiccò il volo e si portò sopra di lei, troppo veloce, e l'atterrò.
"Vedi dove ti porta un allenamento con quello lì? Ti porta stesa a terra supplicante della grazia del nemico!" esclamò Rage, mollandole un pugno sul volto. Dark Rose lo subì, subì tutti i pugni che le diede, e non implorò pietà. Memphis abbozzò un lieve sorriso, complimentandosi di aver lavorato molto sull'atteggiamento mentale di sottomissione. Rage stava per mollare l'ennesimo pugno, quando un paio di mani lo fermò a mezz'aria. Mani di un nero pece, munite di lunghi artigli che penetrarono attraverso i suoi guanti di pelle neri senza dita e la costrinsero a fermarsi.
“"Ucci..." sussurrò piano la ragazza.
“"...dere..." gli occhi viola di lei divennero due spilli e Rage fu catapultata dall'altra parte della stanza con un poderoso calcione. Dark Rose si rialzò in piedi e senza attendere si scagliò contro l'avversaria, ma all'ultimo istante fu bloccata e sbattuta a terra. Da Memphis.
"Ora basta." sentenziò lui grave, stringendo la presa sui polsi e sulle caviglie della giovane.
"Memphis! Non dovevi interrompere l'incontro!" gli gridò contro Rage, che seppur colta impreparata da quel repentino cambio di forza era ancora prontissima a combattere. Memphis non la ascoltò e morse delicatamente il braccio della ragazza, iniettandole una piccola dose di un veleno inibitore del sonno.
"Perché credi che l'abbiano assegnata a me? Cosa ne sai di che ho a che fare? Lo sai bene cosa succede quando un ibrido non ha controllo sul suo DNA, te più di tutti!" le rispose contro acido.
Colpita dalle parole del generale, Rage si bloccò e si guardò le mani: era vero, sapeva benissimo cosa succedeva. Cosa accadeva a chi non poteva controllare il DNA del proprio animale.
E lei più di tutti, lei che era nata con una malattia genetica che rendeva instabile il suo stesso DNA, doveva saperlo. Si guardò le mani, i suoi artigli, e comprese che in quel momento doveva avere gli occhi di un grigio rossastro. Ecco, aveva perso il controllo. Ancora.
"U-ugh… Ma che è successo?" ancora stesa a terra, Dark Rose riprese conoscenza, rimettendo a fuoco ciò che le stava attorno. "Oh, Maestro Memphis..." biascicò confusamente, stropicciandosi gli occhi.
L'uomo-serpente guardò Rage negli occhi: "Rage, non so cosa ti abbia spinta, ma non puoi avere questa ragazza. Ora vattene."
Rage fece dietrofront immediatamente, senza salutare, senza voltarsi. Non si voltò quando fu uscita dalla sala, quando attraversò il corridoio, quando si fermò davanti alla porta del suo più diretto superiore. E a quel punto, giratasi di poco, cercò di trattenere una lieve risatina.
"Caro il mio Ferrari... Tu non sai quanto possa essere tenace. E se voglio qualcosa..." disse a bassa voce prima di entrare nello studio.
"La otterrò."”
Poi si guardò la vita. E scoprì di avere di nuovo la sua cintura grigia.




Campo base di addestramento, ore 6:23


Il mattino seguente Rage aprì gli occhi ancora assonnata. Si mise a sedere stiracchiandosi, e si accorse dell'assenza del suo fratellone, Shinoda.
"Brotha?" mugugnò ancora con la bocca impastata, alzandosi in piedi e sfregandosi le mani sul viso per riprendere in fretta lucidità. Aveva un serpente duro di comprendonio da convincere.
Si vestì in fretta e percorse i lunghi corridoi fino ad arrivare all'ingresso della sala della resistenza. Non c'era nessuno.
"Strano." si disse. Dov'era andato il caro generale brontolone?
Uscì dalla sala sbuffando, quando sentì un rumore proveniente dalla sala delle armi. "Che strano." si disse "A quest'ora a nessuno era assegnata l'esercitazione in quella sala..."
Si diresse con passo spedito fino all'entrata ed aprì senza fare rumore la porta, giusto uno spiraglio, per vedere cosa stava succedendo all'interno. Non appena aprì quella porta, fu investita dalla potenza di un grido di rimprovero di centinaia di giga volt e si ricordò per quale motivo i costruttori insonorizzano i muri di queste aree.
Al centro della sala, invece, una figura nera schizzava da tutte le parti, brandendo una grossa spada contro una trentina di manichini robot animati che dai loro movimenti sconnessi assomigliavano di più a degli zombie, brandendo colpi su colpi per metterli fuori combattimento.
"Muoviti, carica la potenza nell'impugnatura! Tienila eretta! Non è il tronco di un albero, maneggia quella lama!"
"Ma io dico, perché non è andato a fare il cantante di lirica? La voce ce l'ha..." si disse fra sé e sé Rage, trattenendo una risata, e spinse delicatamente in avanti la maniglia antipanico della porta. Approfittando del fatto di non essere stata vista, si trasformò nel suo ibrido-pipistrello e salì verso l'alto portandosi, sopra di lui, sbattendo le ali nere senza far rumore, fino ad essergli vicinissimo. Poi gli planò addosso all'improvviso, ma all'ultimo momento una coda grigio metallica serpentina le bloccò le gambe e rimase a mezz'aria.
"Riflessi pronti come sempre eh, Spidigonzales?"
"Strafottente come sempre eh, rompiscatole?" rispose Memphis, liberandola dalla presa della sua coda e tornando umano. Rage compì un balzo all'indietro e si guardò intorno: "Beh, oggi ti sei dato alla lirica?" gli chiese con fare sarcastico. Non trovando il nesso logico di quell'affermazione, ma non avendo molto apprezzato il commento, l'uomo incrociò le braccia e le lanciò uno sguardo torvo: "Senti non ho tempo per qualsiasi cosa tu mi voglia dire, non oggi" disse lui tagliando corto.
"Rage!" gridò la ragazza al centro della cerchia di robot-zombie, compiendo un balzo all'indietro sul capo di uno dei manichini viventi e saltando fuori dalla cerchia di nemici: era Dark Rose, che a quanto pare sembrava non accusare alcuna ammaccatura dello scontro del giorno prima. "Sei tornata!" disse esultante, mentre cercava di riprendere il fiato. Rage le rivolse un sorriso raggiante, per poi rivolgersi a Memphis stranamente cordiale: "Caro il mio Ferrari, hai sentito la novità?"
"Eh? Di che parli?"
"Oooh, ma mi stupisci sai? Tu che sei sempre così diligente... I tuoi superiori hanno deciso di dimezzare il tuo allenamento con la suddetta allieva e donarne metà a... Me!" gli esclamò in faccia.
"C-COSA!? Brutta bugiarda non ti permett-" Memphis stava per scoppiare quando un magico foglietto gli si parò davanti alla faccia, i cui caratteri decretavano nero su bianco il patto.
"Tu. T-tu."
Il generale, ormai fuori dalla divina grazia, si trasformò istintivamente in ibrido, ma cercò di contenersi. Puntò su di lei uno sguardo infuocato d'ira, ma allo stesso tempo glaciale e privo di pietà.
"E va bene. Fate quello che vi pare! Tanto qui sembra che tutti possano ormai... Io me ne vado!" sbottò pieno di ira e fiele in corpo che dovette trattenere, e voltò sui tacchi uscendo spedito, come se nulla fosse accaduto. Quando il tonfo della porta rimbombò nella sala, la ragazza corvina poté tirare un sospiro di sollievo: "Grazie... Ma come hai fatto?" chiese con un filo di voce.
Rage si voltò di scatto con fare autoritario e con un inaspettato cambio di umore esclamò a pieni polmoni: "Non importa come ho fatto, da adesso sono la tua metà maestra e quindi preparati all'Inferno!"
Dark Rose fece un balzo all'indietro, non aspettandosi questo repentino sbalzo di furia, ma fortunatamente era solo un trucchetto che Rage utilizzava per spaventare i propri allievi. Infatti dopo pochi secondi il broncio sul suo viso si trasformò in un sorriso compiaciuto, seguito da una chiara affermazione: "Orbene, questa è la regola. Tu ti alleni bene e noi ti diamo i biscotti. Intesi? Li vuoi i biscotti?"
Per Dark Rose i biscotti erano una manna dal cielo, non ne mangiava mai.
"Certo che li voglio!" rispose sorridendo convinta, poco prima di ritrovarsi stesa a terra con la faccia spiaccicata sul terreno, mentre il ginocchio di Rage le teneva bloccata la schiena.
"Allora comincia ad ingranare piccola lumachina." disse sorridendo.
Il giorno dopo, puntualmente di mattina, le due ragazze erano una di fronte all'altra. Fortunatamente, a dispetto di quanto Dark Rose temeva, quel giorno Rage non aveva trovato un posto dove appisolarsi.
"Bene, iniziamo subito. La lezione di oggi sarà sul controllo." affermò subito la maestra, staccandosi dalla sua posizione e avvicinandosi al vasto armamentario appeso alla parete.
"In che senso?"
"Controllo sul tuo ibrido." Si spiegò meglio Rage, trasformandosi nel suo ibrido-pipistrello e dispiegando le sue ali grigie per stiracchiarle.
"Ma... Ma..." tentò di dissentire la ragazza, che aveva avuto già a che fare con quell'argomento e non ne era mai uscita tutta intera.
"Neanche io ho molto controllo. Sarà l'occasione per migliorare per entrambe le parti! E inoltre, se non sei sicura... Ci sarà un mio fidato compare..."
Dark Rose alzò un sopracciglio "Chi?"
"Mio fratello, The Shinoda!" esclamò Rage, facendo un elegante inchino in direzione dell'altra parte della sala e presentando con enfasi il suo aiutante. La porta si spalancò come sospinta da un forte vento, lasciando entrare un bel ragazzo dai corti capelli biondo platino, gli occhi marroni e il corpo ricoperto in gran parte da tatuaggi. Indossava una giacca a maniche corte aperta, dello stesso colore dei pantaloni, abbastanza larghi, di una tonalità simile al beige, scarpe e maglietta di un nero intenso. Per un attimo Dark Rose ebbe l'impressione che quello non fosse la persona che le aveva presentato Rage.
"Ugh... È... È tuo fratello?! Non vi assomigliate per niente!"
La ragazza-pipistrello rise, e si portò una mano dietro la testa: "Vero, non siamo consanguinei e nemmeno parenti. È una lunga storia, lascia stare."
Intanto il ragazzo si era avvicinato alle due e, lanciata un'occhiata di intesa alla sorella, si presentò cordialmente.
"Piacere di conoscerti. Dark Rose, giusto? La mia sorellina mi ha parlato molto di te..." disse Shinoda tirando una pacca alla sorella, la quale si piegò in due per la forza.
"Perché devi essere sempre così manesco, eh?" rispose Rage, tirandogli uno schiaffo relativamente leggero.
Ne susseguì subito uno di risposta da parte di Shinoda, poi uno da parte di Rage, di nuovo del ragazzo, poi di sua sorella, finché non scoppiò una rissa fra i due.
"Smettetela, bambini!" disse ironicamente Dark Rose mettendosi a ridere piano.
I due si fermarono all'istante in un complicato intreccio di mani e gambe, nel quale Shinoda stringeva i lunghi capelli rossi della sorella fra le mani e aveva le sue due piastrine di metallo in faccia. Rage cercava di liberare queste ultime dalla sua presa e nel frattempo allentava la presa al collo del fratello.
I due si guardarono negli occhi, poi fissarono Dark Rose, poi di nuovo l'un l'altra, infine risero.
"Ok, ok, basta. Iniziamo." disse Rage ironicamente, fingendo di mettersi a posto i suoi guanti di pelle nera, privi delle dita e con spazi liberi per le nocche.
Si tirò indietro la maglietta dai bordi strappati, si riallacciò la cintura e mise a posto i drappi. Tutto con calma e sarcastica compostezza.
"Diventate pure ibridi, sono pronto." disse Shinoda, come se nulla fosse accaduto.
"Aspetta... Ma io non so..." disse Dark Rose balbettando un po', venendo subito fermata da Rage: "Tranquilla, nemmeno io ho il massimo controllo nella mia forma ibrida. Un motivo in più per allenarsi, te l'ho già detto!"
La ragazza rispose con un sì poco convinto e si trasformò nel suo ibrido felino, frustando la lunga coda nera nell'aria per la tensione. Si mise in posizione di battaglia, ma prima che potesse attaccare, venne nuovamente frenata da Rage.
"Woh, aspetta... Dimenticavo di chiederti una cosa: vuoi combattere con un'arma o a mani nude?" le chiese con scioltezza e senza far notare che se lo stava per dimenticare.
Dark Rose ci pensò su un attimo, e rispose decisa: "Dammi una spada e ti finisco in due secondi, Rage."
"Shinooodaaa... Fammi questo piacere! Portami la falce nera che ti ho indicato ieri!"
Il ragazzo obbedì, sotto lamento della ragazza-gatto: "Ma io avevo detto una spada!"
"E io ho detto una falce. Fidati..." rispose lei incrociando le braccia e sbuffando per la poca fede che l'allieva novella le attribuiva. In pochi secondi Dark Rose si ritrovò a maneggiare una grande falce nera dal design semplice ma aerodinamico, completamente nera. Non era particolarmente convinta.
"Woh. Tocca a me. Allora..." disse scorrendo l'indice sulle varie armi bianche, armi da sparo ed esplosivi.
"Eccoli." si voltò verso Dark Rose. "Dimmi: che preferisci avere contro: i miei poderosi artigli o i miei fidati chakram?" continuò mostrando le armi scelte all'avversario.
Gli artigli erano due cerchi di metallo ricoperti di una lamina rossa. Da una parte spuntava una lama ricurva di circa venti centimetri e al centro del disco c'era un manico rosso.
I chakram invece erano dei dischi di metallo di circa trenta centimetri di diametro, con otto punte e con il manico centrale formato da due sbarre ricoperte di un materiale antiscivolo nero. Le rifiniture erano dello stesso colore.
Avendo capito di dover contare sui suoi insegnamenti precedenti e sapendo contro cosa sarebbe stata avvantaggiata, ma fregandosene altamente, l'avversaria impugnò più o meno decisa la nuova arma e rispose: "Entrambi."
"Bene. Una nuova sfida... Ricominciamo."
Le due intavolarono un combattimento feroce: immediatamente le punte dei chakram si contrarono contro la solenne lama nera della falce, che Dark Rose scoprì di saper maneggiare molto bene, e furono sbalzate all'indietro. Rage spiccò il volo e si portò velocemente sulla combattente, preparandosi a scendere in picchiata, arrivando a pochi centimetri da Dark Rose; subito lei fece perno con il bastone della lama e roteò su se stessa evitando lo scontro, mollando un calcio sulla pancia della pipistrella che si ritrasse dal dolore e, rimbalzando sul pavimento, le si schiantò contro. La ragazza perse l'equilibrio per il contraccolpo e non vide arrivare una scarica di colpi che fortunatamente furono dettati dal lato piatto dei chakram.
"Che c'è, sei già stanca? Si vede che mi sottovaluti micetto!"
Ritrovando l'equilibrio e acquistando anche molta rabbia il 'micetto' trovò la forza di parare i colpi con la falce e rispedirli indietro al mittente, che per la sorpresa incassò il contrattacco.
"Ora iniziamo a ragionare!" esclamò Rage di rimando, prima di incrociare gli occhi dell'avversaria e scoprire che si stavano riempiendo di un'insolita furia rossastra. Spiccò nuovamente il volo e si preparò ad attaccare. Dark Rose fece un balzo e le andò incontro.
Le armi cozzarono con un fragore terribile, simile al verso di migliaia di falchi, creando scintille che brillavano come lucciole, per poi spegnersi una volta arrivate a terra.
Il contraccolpo fu così forte che Rage venne scaraventata all'indietro e rimase incastrata nel soffitto, mentre Dark Rose cadde rovinosamente a terra.
Il chakram e l'artiglio caddero a terra a fianco del viso dell'ibrido-gatto, mentre la falce roteò nell'aria andando a conficcarsi nel terreno, lontano dal campo di battaglia.
Le ragazze riuscirono a liberarsi e a ripartire all'attacco, agli occhi di Shinoda era ormai evidente che se avessero continuato in quel modo, Dark Rose avrebbe perso il controllo e in seguito anche Rage, così intervenne immediatamente: sulla sua schiena spuntarono quattro grandi ali trasparenti da libellula e il suo fisico venne potenziato abbastanza da potersi mettere in mezzo alle due e sbatterle a terra con un colpo.
"Datevi una calmata! Rage, cosa stai facendo?" esclamò con un tono di voce a metà fra l'arrabbiato e il rassegnato, placcando entrambe le ragazze per calmarle.
"U-Ugh… S-Shinoda... Argh, dimmi che non è successo di nuovo..." mugugnò lei massaggiandosi la testa, facendo scomparire dalla schiena le sue grandi ali. Dark Rose invece non sembrava essersi ripresa, rimaneva a terra con gli occhi persi nel vuoto e quasi privi di pupille. "Ehy, tutto a posto?" chiese Shinoda sventolandogli la mano davanti al viso, per farla rinvenire.
"...Non ce la posso fare Rage. Hai visto?" fu la risposta di lei, amara e rassegnata, mentre ancora si riprendeva. La caporeparto non rispose, e, con aria sconfitta, sospirò e si ritirò silenziosamente nell'angolo della stanza per riporre le armi.
"Perché, secondo te io ho fatto di meglio?" riuscì a dire dopo un po'di silenzio. Dark Rose si sentì subito in colpa e volle scusarsi, ma Shinoda la interruppe sussurrandole di non menzionare più l'argomento. Ma Rage aveva compreso bene e, preso un gran sospiro, si girò verso i due.
"È tutto a posto. Vedi... Dark Rose... Ho una malattia genetica che mi porta ad una perdita graduale del controllo quando sono in forma ibrida. Inoltre, se mi fondo troppo, la fusione diventa irreversibile, così come la perdita di controllo... Per questo mi alleno con te. Anche te hai qualcosa di simile e ci dobbiamo aiutare a vicenda."
Shinoda ci rimase di sasso. Ma come, quello era un segreto, un segreto che non doveva conoscere nessuno! Lei stessa gli aveva proibito di parlarne!…
"E tu? Come mai hai questo problema?" continuò riprendendo la sua determinazione e il suo sorriso, come se non fosse successo niente.
"Ehm... Io non... Non posso parlarne… Me lo ha vietato Memphis..."
"Oooh al diavolo quel pitone sbruffone, non ti fidi di me?" rispose Rage accigliandosi di proposito e allargando le braccia in segno di onestà.
"Oh signor no Maestra Rage! L-La mia perdita di controllo invece è frutto del veleno di Memphis appunto. Da piccola mi morse e stravolse i miei geni. E come punizione mi doveva fare da balia. Inoltre l'hanno anche retrocesso di grado..."
"Wow!" le interruppe Shinoda. "Beh, ci lavoreremo su ancora, forse... Ecco, tenete la vostra razione di biscotti ragazze!" disse sorridendo.
"Grazie!" risposero in coro, con un sorriso leggero sul volto.
"Da domani ci sarà una sorpresa." disse Rage, con tono misterioso.
"Cosa? Cosa? Cosa? Cosa?" domandò curiosa Dark Rose.
"È una sorpresa, baka!" rispose avvicinandosi e prendendole la spalla, fermandola.
Shinoda si rialzò insieme alle due e mollò una grande pacca sulla spalla a Dark Rose, che, impreparata al colpo, si sbilanciò in avanti rischiando di cadere, e il suo viso si tinse di un rosso intenso per la vergogna. Il ragazzo si portò le braccia alla pancia per trattenere una risata, e si congedò dicendo che le aspettava per il pranzo.
Poco dopo, nella sala della mensa, dove, possiamo veramente dirlo, sembrava che si stesse offrendo cibo ad un intero circo pieno di animali di ogni genere, i tre si sedettero ad un tavolo separato e non dissero una parola.
Almeno finché Dark Rose non intervenne con una richiesta strana.
"Rage... Shinoda... Posso chiedervi un favore?"
"Ma certo!" rispose lui.
"Dicci pure." continuò lei.
"...Vorrei che mi chiamaste Evelyn."
"E.. Evy?!" rispose con tono incredulo Rage.
"No, Evelyn, ma Evy va bene lo stesso, anche se mi fa sembrare una bambina! Hahaha!"
"Come mai questa richiesta?" domandò Shinoda sorridendo.
"È il mio nome, che c'è di male se qualcuno lo sa? E il vostro qual è?"
"Il mio è Diana, ma non lo uso da quando io e Shinoda siamo diventati fratelli, perciò ti chiedo di continuare a chiamarmi Rage e di non dire a nessuno che mi chiamo così, ok?" rispose prontamente la ragazza abbassando improvvisamente la voce. Per la seconda volta Shinoda venne colto alla sprovvista e si accigliò.
"Ricevuto Diana..." disse facendo il saluto con sarcasmo.
"Sul serio, per favore. Chiamami Rage." disse la ragazza abbassando la testa e scurendosi in volto.
"Oh, signorsì, ricevuto Rage. Farò come se non sapessi il tuo nome!" la rassicurò Evelyn, poi rivolse la stessa domanda a Shinoda.
"Io invece non ho un nome. Sono stato abbandonato alla nascita senza un nome, ma a quanto mi hanno detto, mi hanno trovato in un fagotto con la scritta 'The Shinoda' ricamata. In realtà questo nome non vuol dire assolutamente niente, hahaha!" esclamò con tono esattamente opposto a quello della sorella.
La campanella tintinnò in segno di conclusione del pranzo.
"È ora di andare. Ci vediamo domani Evelyn!" li interruppe Rage ancora un po'abbattuta per l'allenamento di prima.
"A domani! Non vedo l'ora di sapere di che sorpresa si tratti!" rispose Evelyn.
"Noi andiamo di qua. Tu invece?" chiese Shinoda.
"Anche io!"
Arrivati alla camera dei due fratelli e fatti i dovuti saluti, si congedarono: Evelyn alloggiava in una stanza poco distate dalla loro, circa due alloggi più avanti. Aprì la porta con cautela, come se si aspettasse di trovarci qualcuno dentro, quando sapeva bene che non avrebbe visto nessuno. Si sedette sul letto rustico dalle coperte rigorosamente grigio argento, ficcando la faccia sul cuscino. Fra meno di 15 minuti aveva un altro allenamento, quello con il suo solito e burbero Maestro.
Quella notte i due fratelli faticarono ad addormentarsi in quanto stavano chiacchierando e discutendo delle più svariate cose: dalla registrazione del loro nuovo album al fatto della perdita di controllo, dalla bontà dei biscotti allo sparlottare su Memphis, finché non uscì un discorso serio.
"Diana?" sussurrò Shinoda.
La ragazza gli saltò addosso e gli tappò la bocca in fretta, per poi 'urlargli' sottovoce di non chiamarla così, prima che qualcuno lo sentisse.
"Ok, ok, scusa! Lasciami, mi stai soffocando!" biascicò il ragazzo, con le mani di Rage ancora sulla bocca.
"Non dirlo mai più, e sai bene anche perché non voglia."
"Ok, hai ragione, scusa... Ma... Perché gliel'hai detto?"
"Perché... Perché è speciale e penso che farà strada qui. Ma soprattutto... Mi fido di lei." rispose Rage sbadigliando.
"Tu sei speciale, sista! Beh... Mi sembra di capire che tu sia stanca... Buona notte allora..." le sussurrò.
"Notte brotha speciale." sussurrò a sua volta Rage poco prima di addormentarsi.

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Capitolo 3
*** Una nuova recluta speciale ***


"Buooongiorno gente!" urlò Rage alzandosi dal letto come fosse un vampiro che si risveglia dopo un sonno durato secoli. Quella mattina era proprio in vena di fare uno scherzo a qualcuno, così scattò in piedi allegra, vestendosi in fretta e andando a svegliare il suo compagno di stanza a suon di ceffoni affinché venisse con lei. Shinoda grugnì assonnato, articolando parole a caso, che potevano benissimo assomigliare ad imprecazioni, mentre si alzava ancora con gli occhi semi chiusi per rispondere all'’offensiva inaspettata: "Ma che diav-yaawghn- fai? Manca un'ora e mezza al ritrovo!" bofonchiò scocciato guardando l'orologio.
"Lo so, ma volevo che tu mi accompagnassi." rispose Rage in un finto tono supplichevole, ridacchiando.
"...A fare cosa?"
La porta della camera di Evelyn si aprì senza fare rumore, mentre un'ombra si insinuava al suo interno, confondendosi nel buio. Una figura si avvicinò lentamente al viso della giovane addormentata, a pochi centimetri dal suo orecchio.
"SVEGLIA DORMIGLIONA, È ORA DI ALZARSI, SONO LE 5:30!"
"AAAAAARGHHH!"
La ragazza precipitò direttamente dal mondo dei sogni fino a terra cacciando un urlo dallo spavento, facendo un balzo fino al soffitto ed attaccandocisi con gli artigli conficcati nel muro: "RAGE! Santo cielo che ti prende!?" esclamò stizzita e infuriata, forse più di quanto si sarebbe aspettata la maestra, tremando visibilmente.
"Eeeeh che sarà mai..." borbottò Rage, ricevendo di rimando una cuscinata in faccia.
Shinoda rise di gusto ed esclamò in modo scherzoso ma assonnato: "Ti sta... Yaaawn... Beneee... Manca un'ora e mezzo al ritrovo... YAAAWN!"
"Lo so, ma che c'è di male a fare uno scherzo a Evy ogni tanto?!" esclamò Rage sorridente. A quel punto fu chiaro che le due vittime reclamavano vendetta: Shinoda e Evelyn si scambiarono uno sguardo d'intesa e la felina si lanciò addosso a Rage, dando il tempo al ragazzo di trasformarsi e sfrecciare fuori dalla stanza volando verso la camera di Rage, dove erano nascosti tutti i suoi amati biscotti. Rage si lanciò all'inseguimento, ma non fece in tempo perché i due erano scomparsi nella miriade di corridoi, così aumentò la velocità rischiando quasi di investire tre uomini che attraversavano quel tratto di strada.
Alla fine però tutti i pacchetti di biscotti erano spariti.
E nemmeno sotto tortura i due complici dissero dove li avevano nascosti, non fino a che non avesse chiesto scusa. Ovviamente Shinoda sapeva bene che parole come amore, sentimenti, scusa, prego non facevano parte del vocabolario della caporeparto, e si divertì un mondo nel vederla sforzarsi di pronunciare quelle dannate sillabe.
"E se vi concedessi ancora un'ora di riposo?" sospirò infine esausta e seccata. Shinoda accettò la proposta con piacere: "Andata. Sono attaccati con lo scotch fuori dalla finestra sul cornicione."
E così poterono tornare a dormire, anche se per qualche motivo Evelyn non ne era molto entusiasta, e dopo un'ora esatta Dark Rose raggiunse i due compari nella stanza dove alloggiavano Shinoda e Rage. Quella stanza era particolare secondo lei, dava un senso di individualità divisa.
Non era estremamente grande, ma neanche troppo piccola: l'arredamento era composto da due letti separati, una scrivania, vari cd e strumenti per la registrazione ed una finestra che dava sulla periferia della desolata città di Lidos. Ma la particolare caratteristica che l'aveva colpita circa un'ora prima era che era praticamente divisa in due: diverso stile di arredamento, vernice, diversi oggetti. Tutto in base ai gusti personali dei fratelli.
Ognuna aveva la propria parte di finestra. La stanza era divisa a metà precisa: la destra per Shinoda e la sinistra per Rage.
Aveva notato anche che stranamente la parete a sinistra era piena di graffi e bruciature vecchie di decenni.
Quando aprì la porta della stanza, si stupì però di trovare seduta sul letto di Rage una ragazza dai capelli blu con un paio di occhiali dalla montatura sottile, che giocherellava con i lacci neri delle sue bianche scarpe, come se fosse in attesa. In attesa di lei.
Quando Evelyn spalancò la porta, la ragazza si alzò di scatto sfoderando un grande sorriso: "Finalmente! Buongiorno, io sono Misaki Watanabe, nome in codice Kitsune!" esclamò esultante facendo ondeggiare i capelli piastrati lunghi fin sotto le spalle.
"S-salve... Io sono Evelyn." rispose lei titubante, osservandola attentamente: dietro agli occhiali erano nascosti due occhi verdi, indossava una maglia a righe orizzontali nere e blu petrolio ed un paio di jeans slavati e aderenti.
"Al diavolo le presentazioni: Evy, lei da ora in poi si allenerà con te. Coraggio, portala nella stanza dove ci alleniamo di solito." le interruppe bruscamente la voce di Rage. Dark Rose si girò di scatto ritrovandosi la propria maestra dietro di lei, con una mano appoggiata allo stipite della porta ed un'espressione non esattamente contenta sul volto. Arretrò immediatamente e schizzò fuori dalla stanza, avendo capito che probabilmente quell'oggi non era giornata, e invitò con un leggero cenno di capo la nuova compagna a seguirla. Nel tragitto seguente cominciarono a parlare del più e del meno, tanto per conoscersi meglio.
"E così tu vieni dal Giappone? Che bello, ho sempre desiderato visitarlo!" commentò Evelyn abbozzando un sorriso, a cui Misaki rispose con uno ancora più grande e cordiale: "Beh, allora la prossima volta che potrò tornarci ti porterò con me, d'accordo?"
"D’accordo!" rispose lei, ridendo. Era da tanto che non rideva sinceramente con qualcuno, ed era contenta di poter finalmente parlare liberamente.
"Tu che animale hai ricevuto? Eh? Eh?" chiese tutto d'un tratto Misaki, alzando le braccia verso il soffitto per stiracchiarsele.
"Beh, io ho un gatto nero di razza antifortuna."
"Antifortuna? Mai sentita, ma comunque è perfetto perché... Io invece sono una volpe! Potremmo essere il gatto e la volpe come nella favola di Pinocchio! La conosci vero?" chiese sempre con lo stesso entusiasmo.
"P-pinocchio?" Evelyn roteò gli occhi in tutte le direzioni alla ricerca di una risposta, ma la verità era che lei non aveva mai sentito neanche una favola. "Beh..." stava per sospirare rassegnata, quando Kitsune spalancò gli occhi e si bloccò sul posto prima ancora che lei rispondesse: "N-non conosci Pinocchio? Ma è terribile, dobbiamo rimediate subito!" e cominciò a raccontare con entusiasmo tutta la storia del celebre burattino, mentre la loro maestra e il suo fratellone le seguivano da lontano. Rage continuava a tenere la testa bassa, la faccia contratta in una smorfia accigliata, senza dire una parola. Shinoda la guardava in silenzio preoccupato. Dopo pochi minuti la ragazza pipistrello alzò di scatto il viso e gli rivolse un'’occhiata gelida.
"Che hai da guardare?" domandò scortesemente Rage al fratello, senza dimenticare di aggiungere un tono rabbioso e più seccato di quello di anche solo un'ora prima.
"Che ti succede!? Ti comporti da stronza. Lasciale parlare un po'..."
"Io sono stronza, lo sai bene, e sai anche da quando e perché lo sono diventata!" gridò seccata, fulminandolo con il suo sguardo glaciale e brandendo il fascicolo che teneva in mano come un'arma letale. Shinoda si dovette allontanare di qualche passo per evitare una fascicolata in testa e bloccò il pacco di fogli con la mano sinistra: "Che cos'è questo coso the tieni in mano da un po'?" chiese senza cortesia. Rage si fermò e glielo mollò in mano e con espressione scazzata rispose soltanto: "Leggi."”
Shinoda eseguì senza controbattere, sfogliando i documenti mentre procedevano e leggendo a caso alcune frasi, finché non trovò quello che cercava. Poi sbarrò gli occhi.
"Che... Che diavolo...!? Aaaaah ora capisco! Tu hai paura!" la canzonò Shinoda tentando di sciogliere la sorella, ormai sempre più tesa e incazzata.
"L'ho scoperto questa mattina, mentre voi dormivate."
La ragazza sbatté un pugno contro il muro, per poi ringhiare: "Se si azzarda a fare un passo falso, la faccio fuori seduta stante."
Nei suoi occhi ardeva una fiamma di odio e paura che per certi tratti terrorizzò anche il fratello, il quale pensò che se fosse stata in forma ibrida, probabilmente avrebbe già perso completamente il controllo.
"Ora calmati... Forza, andiamo, probabilmente ci staranno aspettando." constatò il ragazzo notando che le due allieve erano scomparse dalla loro visuale. Rage tentò di calmarsi e di frenare l'istinto omicida che l'attanagliava, rispondendo uno schietto: "Va bene."
Arrivati sul posto, i due fratelli videro le due allieve che chiacchieravano come se si conoscessero da sempre: sembravano quasi due amiche d'infanzia.
"Bene, visto che per Misaki è la prima volta qui, è meglio fare un allenamento di prova." disse Rage ad alta voce per attirare la loro attenzione, sempre più fredda e tesa. Shinoda si fece avanti e indicando la parete tappezzata del più svariato armamentario del creato, chiese come al solito: "Che arma volete?"
La nuova arrivata stava già osservando da un po'le armi, e rispose prontamente individuando due pistole di un nero lucente, con rifiniture azzurre e bianche: "Io prendo quelle due pistole."
"Io la falce dell'altro giorno!" disse Evelyn sorridendo, ma venne interrotta da Rage: "Dalle una spada." ordinò la caporeparto, con tono cupo e grave, cercando di frenare la rabbia.
Evie, che in un certo senso se l'aspettava, fece una faccia fra l'abbattuto e un facepalm, poi prese l'arma.
"Io a mani nude, brotha." sussurrò infine, ormai fuori dalla divina grazia. Il suo sguardo era perso nel vuoto, ma a volte i suoi occhi grigi cercavano aiuto in quelli marroni del fratello, che ripeteva con pazienza al suo orecchio: "Devi stare calma e rilassarti."
"Facile a dirsi, non sei tu quello che rischia." tagliò corto lei, senza notare che il ragazzo aveva aggrottato la fronte.
Si girò e diede il via allo scontro: le due compagne di corso non fecero in tempo a trasformarsi in ibridi che un pipistrello assetato di rabbia stava già piombando su di loro. Fortunatamente Misaki riuscì a schivare l'affondo abbastanza avventato senza usare le sue pistole e balzò all'indietro permettendo alla compagna di prendere Rage alle spalle. Dark Rose sferrò un calcio rotante sulla schiena della maestra che stranamente non riuscì ad evitare ed incassò rovinando a terra. Subito si ritirò vicino alla compagna, ma Rage non contrattaccò, anzi, sembrava essere stordita. Misaki le si appoggiò per una spalla, confusa.
"Che sta succedendo, Rage non ha mai fatto così negli altri due allenamenti." pensò Evelyn.
"Tu dici?" chiese Kitsune, facendo sobbalzare la ragazza.
"Io dico cosa?"
"No beh... Fa niente." rispose di fretta Misaki.
"Ma che diav-"
Nel frattempo la ragazza-vampiro si era ripresa e in lei la rabbia e la paura si facevano sempre più forti. La battaglia non durò molto e dopo una decina di minuti le due allieve sembravano aver sconfitto la maestra, che ansimava sempre più affannosamente; Shinoda lo intuì e chiese l'immediata sospensione dell'incontro.
Al suono di quelle parole la caporeparto sembrò riprendere fiato, girò sui tacchi e senza rivolgere uno sguardo a nessuno dei presenti, si congedò sospirando abbattuta: "Vado a fare un giro in moto, se volete allenatevi con mio fratello."
"No, ci riposiamo, Signore." rispose subito Kitsune facendo il saluto, ma sentendo un ringhio di risposta nella sua maestra arretrò sconcertata. Non era stata abbastanza brava? Cosa aveva sbagliato?
"Scusala, di solito è una brava insegnante, non ho idea di che cosa le sia successo oggi..." cercò di giustificare Evelyn, portandosi l'indice alla tempia e incrociando le braccia.
"Ma io sì." affermò Shinoda dirigendosi spedito verso la porta d'’uscita. Non l'avrebbe avuta vinta. Non stavolta.
"Eh fermo! E noi che facciam-" stava per chiedere Misaki, ma un istante dopo nella sala delle armi c'erano solo loro due.




Parcheggio sotterraneo


Shinoda entrò silenzioso nel parcheggio mentre la ragazza dai capelli infuocati come il suo umore si allacciava in testa il casco e toglieva il freno alla sua moto nera. La porta del garage venne aperta con un rimbombo assordante e in pochi secondi un bolide nero schizzava al limite della velocità da esso consentita per le strade di Lidos. Immediatamente Shinoda fece spuntare dalla sua schiena le ali da libellula e volò alla ricerca dell'unica moto nera con parti della carrozzeria bianche, sul cui fianco capeggiava il simbolo del suo primo album, analogo al tatuaggio che portava sulla gamba.
"Eccolo, lì infondo!"
Poco prima che la porta dell'uscita si chiudesse, sfrecciò fuori dall'edificio all'inseguimento della sorella, attutendo l'attrito delle gomme sul terreno con le ali per fare meno rumore. Mentre guidava alla ricerca della caporeparto in fuga dalle sue paure, buttò l'occhio sul simbolo sulla carrozzeria: rappresentava un soldato ibrido che teneva una bandiera. Proprio come il tatuaggio sul braccio sinistro di Rage, tranne per il fatto che lei aveva delle ali da pipistrello al posto di quelle da libellula, che la posizione era di profilo al posto che di fronte e la scritta 'FLAMING HYBRID SOLDIER' presente sotto il tatuaggio della capofazione.
Dopo averla ritrovata, con lo sguardo la seguì a debita distanza; la moto nera della ragazza sfrecciava alla velocità della luce, facendo svolazzare i capelli scarlatti rimasti fuori dal casco a fiammate rosse e arancio su sfondo nero.
Ad un certo punto la ragazza si fermò di colpo.
Si tolse il casco e scrocchiò il collo, le braccia, la schiena e le dita per sgranchirle e per rilassarsi. Nulla la rilassava più della buona musica, fra cui il dolce suono delle ossa rotte o scrocchiate.
Ma in quel momento era tutt'altro che rilassata.
"LA VUOI SMETTERE DI SEGUIRMI?" gridò con tutta la rabbia che aveva in corpo. L'eco ampliò l'urlo e lo disperse per i bassifondi ormai caduti in rovina, tanto che da alcuni edifici pericolanti si staccò qualche vetro e cadde della calce. Quella decadente cittadina in riva al mare era davvero tutto quello che avevano?
"Spiegami che hai e me ne vado subito!" le gridò in risposta mantenendo un tono calmo, ma dentro di sé era piegato in due dalla rabbia. Aveva le braccia distese dietro la schiena e le ginocchia piegate. Senza sapere perché chinò verso il basso la testa, fissando il terreno nel tentativo di calmarsi.
"Non ci arrivi proprio, eh? Non voglio che venga a galla!"
"Ribadisco: tu hai paura!" disse scandendo le parole e tirandosi su, fissandola negli occhi. Quegli occhi grigi pieni di paura come due topini spaventati dalla loro stessa ombra. Rage girò la testa dall'altra parte, trattenendo un grido: suo fratello la conosceva tanto bene da essere in grado di leggerle negli occhi tutto ciò che provava, e lei lo sapeva bene. Lei non aveva paura, no, certo che no, voleva solamente che nessuno sapesse. Che nessuno sapesse quanto era stata debole.
"Io non ho paura!"
"Oh, sì che ne hai! Hai paura che Misaki ti legga nella mente e veda il tuo passato!" ribatté Shinoda sputandole quasi in faccia la verità.
"NESSUNO DEVE CONOSCERE IL MIO PASSATO, NESSUNO!" ringhiò frustrata.
"Perché ti ostini a far finta di non aver avuto quella vita?" chiese Shinoda senza riuscire più a calmarsi oramai.
Non rispose, si limitò a chinare il capo.
"Dimmelo, dimmi perché fai finta che non sia successo nulla!" sbraitò.
"Perché voglio dimenticare! Tu non hai un passato, non capisci!" disse con le lacrime agli occhi Rage.
"Non è vero."
"Non puoi capire cosa si prova a sapere di essere rimasti impotenti davanti a tutto ciò che avevi di più bello mentre ti veniva portato via..."
"Sta... S-STA…"
"Non hai niente da nascondere, niente da rimpiangere, nient-"
"STA ZITTA!"
Le si avvicinò e le tirò uno schiaffo che le girò la faccia dall'altra parte.
Mai. Mai nella sua vita aveva ricevuto uno schiaffo da Shinoda. Mai.
Non erano mai arrivati alle mani, non le aveva mai torto un capello. Era il suo fratellone.
All'improvviso si accorse che anche lui tratteneva un oceano di dolore dentro di sé.
"Tu non hai idea di quanto ti invidi..."
Non aveva mai visto Shinoda darle uno schiaffo. E più di tutto non l'aveva mai visto crollare.
"... Io... Io non ho famiglia né passato... Ho solo te." sussurrò Shinoda stremato, distrutto. E in quel momento Rage comprese quanto era stata egoista a dirgli quelle parole. Alzò tremante una mano per toccargli la spalla, ma il ragazzo si tirò indietro, abbassando il volto. Poi si ricompose, come se non fosse successo nulla, riacquistando il sorriso pacato di sempre. Un po'incrinato dalle lacrime che aveva cercato di trattenere, ma era quello di sempre.
Era così bello quando sorrideva...
"Credi che dovrei lasciare che accada?" sussurrò guardandolo negli occhi.
"Solo se sarà necessario."
Gli si fiondò addosso e lo abbracciò, piangendo. Lui la prese fra le braccia e le accarezzò la testa dolcemente.
"Shh... Shh... È tutto a posto. Non devi aver paura di ciò che eri... Non devi nemmeno odiarlo... Devi esserne fiera. Fallo per lei."
Rage guardò le piastrine che portava al collo, senza smettere di piangere, poi sussurrò: "Per mamma, papà e per lei."
"Per Ruby." sospirarono all'unisono, lui con tono rassicurante, lei di sconfitta.
Stettero via tutto il giorno, passeggiarono e parlarono del passato, del momento in cui si incontrarono la prima volta, quando diventarono fratelli... Una volta che Rage fu calma, salirono sulle loro fidate moto e partirono per andare a casa.
I due tornarono alla base la sera tardi e non trovando le loro due allieve nella sala delle armi, cercarono nella stanza di Dark Rose.
"Quella camera è troppo piccola." si disse Rage, che aveva già progettato un piccolo trasferimento.…
La stanza era una piccola camera di 3 metri per 3, con un letto semplice tutto nero, con la testata non appoggiata alla parete; in quello spazio era nascosto un blocco da disegno con immagini di ogni tipo, e Rage lo sapeva perché si era divertita a frugare nella sua stanza qualche giorno prima, e infatti sapeva che nell'ultimo cassetto del largo comodino che ospitava una grande collezione di libri scientifici, informativi, da disegno e anche qualche storia di avventura, vi era nascosto un Mp3 dalla strana forma.
Su un lato c'era una scrivania da lavoro con sopra un quaderno blu. Una grande finestra sopra al muro a cui era appoggiato il letto dava sul campo esterno, fuori dalla recinzione, verso il mare. Sulla parete a cui era appoggiata la scrivania stava invece un quadro che raffigura un disegno a pastelli, fatto da lei. Raffigurava una grande esplosione nucleare. Strano.
Appena entrati, videro Evelyn e Misaki che dormivano sul letto della prima, stringendosi la mano.
I fratelli le fissarono in silenzio.
"Visto? Non devi aver paura. Non ti farà nulla... Ormai è tutto passato. Domani ti voglio felice e scattante, ok?" sussurrò il ragazzo sorridente.
Rage abbracciò Shinoda così forte da non farlo quasi respirare: "Ma certo brotha."


"Davvero? Che fortuna che hai avuto!" commentò Dark Rose portandosi una mano alla bocca e sorridendo con gli occhi, anche se in fondo alla sua voce Kitsune intravide un non so che di tristezza; le aveva appena raccontato della sua abilità di saper leggere i pensieri della gente se entrava in contatto con altri, cosa che le aveva provocato non pochi problemi nel rapportarsi con gli altri senza invadere il loro spazio personale.
"Dai, prova a leggermi nel pensiero!" la incitò Evie, porgendole la mano. Misaki rise contenta e gliela prese chiudendo gli occhi, sentendo dentro di sé ogni emozione che attraversava in quel momento la ragazza: serenità, calma, illusione, uno strano rancore, sorpresa.
"Stai pensando che il colore dei miei capelli è impossibile perché non esistono geni con questa composizione genetica." affermò tra il seccato e il compiaciuto.
Evelyn rimase davvero sorpresa anche se se lo aspettava, sgranò gli occhi e provò a cambiare pensiero, ma ogni volta lei lo indovinò.
"Tu hai qualche particolarità invece?" chiese di rimando la novella volpina. A quella domanda ad Evie scappò una risatina leggera. Portò l'’indice davanti alla bocca e facendo segno di silenzio rispose: "Segreto!"…”


Il giorno seguente i quattro soldati si trovarono nella stanza degli allenamenti. Rage si pose davanti a Misaki e biascicò qualcosa che nemmeno lei capì.
Il fratellone le si avvicinò mollandole un'amichevole pacca sulla spalla e rimproverandola.
"Rage, non è così che si fa, lascia da parte quel tuo stupido orgoglio per una volta! Sei grande, grossa e vaccinata, non ci vuole così tanto a dire..."
Non ce la poteva fare. Non aveva mai detto spontaneamente quella parola, ma ce la doveva fare.
"No."
"Si."
"No."
"Scusa." sussurrò alla fine, abbassando il capo. "Ti chiedo scusa." ripeté la ragazza stringendo i pugni e facendo fare un suono grave ai guanti di pelle. Misaki la guardò stranita e inclinò la testa di lato, abbozzando un sorriso incerto: "Scusa de che? Non hai fatto nulla!"
"Non è vero... Ieri sono stata brusca, fredda e scontrosa con te... Perché avevo paura che mi leggessi la mente... So che ne sei capace..." confessò lei allentando la stretta dei suoi pugni.
Leggere nella mente. Non era certo da tutti, saper leggere il pensiero altrui. Pericoloso in certi casi, fastidioso in altri.
Misaki sbuffò incrociando le braccia, roteando gli occhi come se se lo fosse aspettato: il giorno prima infatti ne aveva discusso con Evelyn, nella sua stanza.
"Avevo paura che scopriste il mio passato..." continuò avvilita la maestra, ma venne interrotta da Misaki.
"Naaah, devi stare tranquilla Rage, saprò leggere anche nella mente interagendo con le persone, ma per vedere il tuo passato, dovrei toccarti la fronte così." disse puntandosi la fronte con l'indice.
Per un attimo Evie rabbrividì.
"Pace?" biascicò Rage tendendo la mano tremante. Non riusciva a dire quella parola, così come tutte quelle riguardante l'amore e l'affetto da tanto tempo, troppo.
Al sentire ciò, Shinoda rimase felice, ma anche pietrificato: era possibile che in qualche giorno due ragazze stessero riuscendo a riparare 23 anni di puro Inferno?
"Pace." disse sorridente Misaki.
Rage prese la mano della ragazza e se la puntò alla fronte, ma ella riuscì ad evitare di toccargliela.
"È il minimo che possa fare per farmi perdonare..."
"No, il minimo che tu possa fare è questo!" urlò la ragazza trasformandosi in ibrido e ingaggiando il combattimento tanto atteso.
La pelle si scurì, diventando di colore aranciato, gli occhi diventarono da verdi chiaro a verde erba, la pupilla si allungò. Su ogni guancia apparirono tre graffi scuri simili a baffi, le orecchie si allungarono e si appiattirono, diventando come quelle di una volpe, dal fondo della schiena uscirono due code da volpe e le unghie si allungarono, diventando nerissime, i canini si ingrandirono e si riuscivano a intravedere dalla bocca semichiusa, pronta a scattare e colpire.
"Dark Rose, vieni! Shinoda, forza, vieni anche te! COMBATTIMENTO A SQUADREEE!" urlò piena di grinta ed energia la giovane ragazza-vampiro, incitando tutti a e trasformandosi a loro volta.
Ci fu uno "Yeee" collettivo e tutti si trasformarono in ibridi: la pelle di Evelyn subito si scurì fino a diventare nera, spalancò le braccia sfoderando le unghie diventate lunghe ed estremamente taglienti, così come i denti. Le orecchie diventarono quelle di un felino, aumentando di molto l'udito e le spuntò la sua lunga e sinuosa coda nera, che frustò per mostrare di essere pronta a combattere.
Shinoda, preso dalla smania di combattere e metterle alla prova, decise di accettare. Si mise le sue amate cuffiette, accese il lettore Mp3 a tutto volume e si mise gli occhiali dalle bordature nere nel lato superiore, causalmente in tono con le quattro grandi ali che gli spuntarono dalla schiena.
Sua sorella ci rimase di stucco, dato il fatto che se li metteva raramente, visto che la sua correzione era minima... Ma a poco importava. Sentiva l'adrenalina scorrerle nelle vene vedendo il suo amato fratello che si preparava a combattere, pronto ad attaccare con la sua forza e velocità fuori dal comune.
Si fece una bella risata e fece spuntare le sue grandi e minacciose ali nero-grigiastre e scarlatte; le orecchie, le unghie e i canini crebbero a dismisura, il suo viso assunse un'espressione divertita, compiaciuta e raggiante, ma allo stesso tempo un bagliore rossastro iniziava ad infiammare i suoi occhi.
"Nooo frena Rage, frena... è da stupidi perdere il controllo adesso." pensò appena prima di far sparire quello sguardo e sostituirlo con uno di sfida verso il gatto e la volpe che la stavano fissando. "Un gatto e una volpe... Che cosa buffa!"
Le due cedettero la prima mossa.
"Coraggioso da parte vostra, ragazze..." disse Shinoda, il quale, lanciando uno sguardo d'intesa con la sorella, partì all'attacco.
"...Ma molto pericoloso." concluse Rage, la quale, dopo mezzo secondo, fu alle spalle delle due, pronta a stringerle nella morsa dell'attacco combinato col fratello.
Questo prese Misaki, la bloccò e la sbatté a terra, mentre Evelyn fu lanciata addosso alla parete. Quasi contemporaneamente le due balzarono in piedi e contrattaccarono, bloccando i due al centro della stanza. Rage volò in alto, aggrappandosi ad uno dei cavi pendenti dal soffitto, dandosi la carica per una discesa in picchiata, puntando sulla gatta che immediatamente l'aveva seguita balzando sui cavi; dietro di lei la volpina l'aveva seguita ignorando Shinoda e facendogli pensare che avesse abbassato la guardia, infatti l'aveva già puntata e partì spiccando il volo verso di lei. Rage volò più in alto attirando a sé Dark Rose, che per un attimo fece segno alla compagna con la mano uno strano intreccio di dita e continuò a seguirla saltando di cavo in cavo: Misaki rallentò un attimo, giusto il tempo perché Shinoda la potesse raggiungere.
Ma all'ultimo momento Evelyn scattò all'indietro buttandosi sulla libellula e facendola sfracellare sul terreno. Rage si fermò a mezz'aria, realizzando che quella era solo una finta e mentre i due ibridi si riprendevano non perse tempo ad attaccare Kitsune distratta, sferrandole un calcio sulla schiena. Lei lo subì, ma in un attimo si aggrappò alla gamba della pipistrella facendole perdere l'equilibrio e costringendola ad atterrare.
"Non vale ragazzi, voi sapete entrambi volare e noi nooo!"
"Ma è questo il bello volpina!" rispose ghignando la maestra, scalciando per levarsela di dosso. Shinoda si era ripreso e aveva fatto momentaneamente sparire le ali attaccando Dark Rose con una raffica di calci e pugni, che lei schivò col tempo sempre meglio mentre osservava attenta lo strano coordinamento degli attacchi.
"Misaki!" gridò ad un tratto, e la volpe mollò la presa su Rage, atterrando vicino all'alleata e sfiorandole la spalla; in un attimo sorrise decisa e balzò all'indietro per evitare un attacco del ragazzo che era tornato subito ibrido.
"Molto bene, sapete come stare al passo di nemici alati a quanto sembra, vediamo ora come ve la cavate con lo scontro aperto!" Rage era atterrata facendo scomparire le ali ma non il resto dell'equipaggiamento vampireo, mettendosi subito in posizione di attacco contro Kitsune e Evelyn intrappolate schiena contro schiena; dall'altra parte Shinoda era in posizione, pronto a scagliarsi contro le due assieme alla maestra, convinto che non gli sarebbero potute sfuggire.
I due caricarono all'improvviso senza dar loro il tempo di accorgersene e in un battito di ciglia erano a pochi centimetri da loro.
Misaki sorrise, Evelyn fece lo stesso. E senza dire nulla la caricò sulle spalle facendo da trampolino perché potesse spiccare un salto verso l'alto.
Kitsune fece un balzo sopra le teste di Rage e Shinoda nel momento in cui esse si scontrarono l'una sull'altra.
Per il contraccolpo del salto Evelyn fu buttata a terra subendo danni, ma almeno evitando l'attacco combinato.
Storditi, i due maestri si fecero subito indietro tenendosi la testa fra le mani: come avevano intuito il modo per schivarli in così pochi secondi?
La battaglia continuò, ogni attacco sembrava venir predetto dalle piccole allieve, predetto... Ma certo!
Shinoda smise di lanciare raffiche di pugni diretti verso Kitsune nel momento in cui si accorse che la ragazza ne stava incassando alcuni di proposito e spiccò il volo allontanandosi verso la sorella dai capelli rosso fuoco: "Rage ho capito, stanno sfruttando le loro abilità in coppia..." e si indicò le mani. Subito Rage si diede una leggera pacca sulla fronte ridacchiando. "Ahahah, questo non me l'aspettavo, complimenti ragazze... MA VI ABBIAMO BECCATE!"
Le due, che giravano intorno ai fratelli sospesi in aria per studiarli e attendere la loro prossima mossa, si fermarono di colpo, incredule e confuse.
"Che avremmo fatto? Sentiamo..." esclamò Misaki con tono di sfida. Shinoda fu ben felice di mostrare l'abilità del suo occhio da cecchino.
"Oooh, è semplice, abbiamo capito che state usando lo schema 'Toccata e Fuga', per così dire! Misaki volontariamente riceve un colpo per entrare in contatto col nemico, scoprire quel che pensa, e immediatamente riferirlo a Evelyn, che studia le mosse dell'’avversario, e sfiorandovi vi mettete d'accordo sul contrattacco. Vi abbiamo fregate, neeeh?"
"Beccate." sentenziarono le due in tono ironico, per poi riprendere, quasi fossero un'unica persona, ad attaccarli con raffiche di calci e pugni a velocità impressionanti.
Mentre lottavano, Rage studiò attentamente come si comportavano le sue allieve, come sfruttavano i loro punti forti, quali erano i loro segni di debolezza e come agivano per difenderli. Poi finalmente decidette che era ora di porre davanti a loro una strategia; si voltò verso il fratello e gridò a gran voce: "Shinoda! Chaos Theory, Eight, Hybrid Bloody Ending!"
Il giovane in un primo momento non capì, ma poi intuì la strategia della sorella: stava usando i titoli e le parole delle loro canzoni per comunicare ciò che dovevano fare. Così atterrò proprio davanti a Misaki e la costrinse ad arretrare al fianco di Dark Rose, e in risposta urlò: "Chaos Theory, Eleventh, Let Them Burn Like The Hell!"
La giovane sorrise e spiccò il volo.
Il terreno venne travolto da una folata a forma di tromba d'aria che prese alla sprovvista Misaki ed Evelyn, trascinandole nella sua corrente verso l'alto. Nemmeno Rage si sapeva spiegare la potenza delle all'apparenza esili ali del fratello, ma se ne era fatta una ragione e gli aveva lasciato trasformare quel punto di forza in una strategia molto efficace; la recluta volpina cercò di allungare un braccio verso l'alleata, ma la potenza del vento era troppo forte e nel suo precedente allenamento non le era stata insegnata alcuna manovra aerea, così non le restò che rimanere impotente in balia del turbine. D'altro canto neanche Dark Rose trovava una soluzione al problema, ma prima che potesse ripensarci, udì distintamente quello che sembrava il testo di una canzone:
"Rage, in the hell nothing matters!"
La vampira in risposta gridò: "Because you can only burn in your blood!"
Detto ciò, si lanciò in picchiata verso Misaki, mentre il fratello fece lo stesso dal basso contro Evelyn.
La prima cadde rovinosamente a terra, mentre l'altra rimase incastrata fra i cavi del soffitto.
"Wooo-hooo! Chaos Theory, il nostro miglior album di sempre! E con la mia canzone preferita... Non ci si poteva aspettare risultato migliore!" esultò Rage battendo prima il cinque poi il pugno al fratello, il quale aggiunse: "Per non parlare della mia canzone, prego! Insieme siamo imbattibili, sistaaah!" gridò di rimando prendendola in braccio.
"Mettimi giù, dai! Hahaha!" ridacchiò la sorella, che per l'imbarazzo era diventata del colore dei suoi capelli.
Nell'attimo di distrazione di quei due, Evelyn si era liberata dalle travi cadendo vicino a Kitsune e insieme si stavano preparando a contrattaccare.
"Pssst, ehy, Misaki, vieni qui!" sussurrò Evelyn all'amica.
"Che c'è?" rispose a bassa voce, sistemandosi occhiali e cerchietto, e prendendole la mano così che non dovesse parlare. Nella sua mente Evelyn stava ripercorrendo gli ultimi minuti di battaglia.
"Canzoni, album, parole..."
Misaki leggendole la mente capì che stava architettando qualcosa, finché all'unisono si dissero: "Ma certo!"
Senza attendere oltre, una prese di soppiatto Shinoda ancora esultante e gli strappò via le cuffie dalle orecchie, facendo partire la musica a tutto volume.
"Ci hanno scoperti..." pensò il giovane.
"Eeeh, già, cari miei... È bastato guardare i vostri movimenti per capire che non erano casuali... È tutto dettato dalla musica! Basta andare a tempo..." disse Evelyn, per poi cedere parola a Misaki: "... E siete fottuti."
"Voi credete, cucciolotte?" disse Rage ridendo di gusto e gettandosi nella penombra della sala.
"Muahahah!" ridacchiò nel suo nascondiglio, emettendo ultrasuoni che disperdevano la sua voce in ogni dove e confondendo le idee a tutti, perfino a Shinoda.
"Rage, ti prego, non perdere il controllo..." disse quest'ultimo con tono rassegnato mentre Misaki lo teneva impegnato.
"Hahaha! È tutto a posto! Non cedo, non cedo..." sussurrò svolazzando fra le avversarie e prendendo l'Mp3 con le cuffiette del fratello. Se le sistemò nelle orecchie e si mise a canticchiare una canzone, posizionandosi vicino all'’interruttore della luce di sicurezza.
"Sooo! Left to Right, Ashes to Dusts... Come on, Shinoda!"
Shinoda comprese all'istante e si liberò dalla presa di Misaki, volando sul soffitto fino a raggiungere una delle luci appese ad esso, direzionandone una direttamente in faccia alle avversarie, che ne rimasero accecate per qualche istante.
"Light..." sussurrò per poi partire all'attacco con un pugno nello stomaco a Misaki.
"...To Dark." concluse grave Rage, sorridendo e spegnendo la luce.
Gli occhi di tutti si impregnarono di un'oscurità talmente penetrante da ferire la vista per l'improvviso cambio di intensità luminosa; la notte era calata in un istante sul campo facendolo piombare nell'incertezza dell'oblio. Nonostante tutto, un paio di occhi grigio-rossastri scivolavano da una parte all'altra della stanza accompagnati da un sorriso sornione.
"Talvolta la luce fa più buio dell'ombra e l'oscurità è più luminosa della luce, vero micetto? So che puoi vedermi."
Le scintille fugaci di due occhi gialli apparvero nelle tenebre, lo sguardo puntato sulle iridi grigie di Rage la quale, a suo agio nell'ombra, sorrideva compiaciuta.
"Tu vedi me, io percepisco te... Muhahaha! Quanto mi diverto!"
Partì all'attacco e si sentì lo stridente rumore degli artigli delle due che cozzavano, poi un tonfo.
Le luci si riaccesero. Evelyn non aveva retto allo scatto di potenza e si era sfracellata al suolo trascinando con sé Rage; le due si stavano sferrando a vicenda pugni a raffica nel tentativo di stordire l'avversaria, ma nessuna delle due prevaleva, anche se il ritmo e la potenza degli attacchi di Dark Rose stava stranamente aumentando. Rage riuscì a incrociare il suo sguardo e si accorse solo ora di quanto fosse alterato.
Riuscita a riprendersi dallo stordimento, Misaki corse in aiuto ma venne frenata da Shinoda, che intercettò il suo attacco e la fece arretrare vicino al muro.
"Lezione di riflessi: vediamo quanto è alto il tuo tempo di percezione!" disse la libellula facendo scomparire le ali e iniziando a sferrare una raffica velocissima di pugni che vennero tutti schivati in tempo per un soffio. La stanchezza cominciava a sopraggiungere inesorabile, mostrandosi sulle fronti imperlate di sudore, ma nessuno aveva intenzione di mollare; sfortunatamente c'era un motivo se Shinoda e la sua sorellina erano l'una capofazione e l'altro un maestro cecchino, e in breve tempo Dark Rose e Kitsune si ritrovarono nuovamente schiena contro schiena.
"Morte e vita, Yin e Yang, Ombra e Luce, sorella e fratello..." i due, dicendo ognuno la parte che lo rappresentava, giravano intorno alle allieve, le quali non intendevano arrendersi.
Ma vedendo la situazione e capendo che il limite di Evelyn era prossimo, Rage smise di combattere e fece sparire le sue grandi ali grigio-nere e le orecchie ultrasoniche.
"Cosa fai Rage, non avete ancora vinto!" ringhiò Misaki.
"Mi piace il tuo carattere, sarai di sicuro una buona allieva!" ridacchiò Rage, stendendo un braccio davanti a sé e chiudendo gli occhi. "Ma il capo sono io e ho deciso che lo scontro è concluso." concluse. Shinoda comprese e tornò umano.
"Comunque ecco la valutazione di oggi: Misaki, hai usato bene la tua abilità in coppia con Evelyn, e tu hai dimostrato una grande capacità di logica. Ma dovete architettare almeno due o tre strategie di fila differenti per confondere l'avversario, e soprattutto se volete lavorare in coppia, dovete imparare a sfruttare meglio le possibilità di entrambe. Misaki, in alcuni momenti hai fatto troppo affidamento sulla lettura del pensiero; Evelyn, devi migliorare la tua performance al buio, non credo che Memphis ti abbia mai preparato a questo, vero?"
Shinoda si lasciò scappare un sorriso: le valutazioni di sua sorella avevano sempre qualcosa da ridire.…
"Vi conviene riposarvi, si vede lontano un miglio che non ce la fate più... E tra qualche ora Evy ha pure un altro allenamento con quel rompiscatole di un Memphis, giusto?" disse Shinoda, il quale a sua volta aiutò Evelyn. Questa scosse la testa come improvvisamente risvegliata da una sorta di trance, senza accorgersene; i suoi occhi tornarono viola e perse l'aspetto di un felino.
"S-si giusto, hai ragione..." borbottò infine ripresasi.
Misaki alzò un sopracciglio turbata, ma non ci fece molto caso: "Beh, allora andiamo a riposarci!" esclamò salutando la sua maestra con la mano e dirigendosi verso la porta, come se nulla fosse successo, come se non avessero appena distrutto la sala delle armi. In effetti loro AVEVANO distrutto la sala delle armi, dato che alcune di queste ultime erano sparse per il terreno a causa del turbine di Shinoda, per fortuna senza ammaccature gravi.
"Kitsune, ehm, Misaki..."
La ragazza si voltò un poco incrociando lo sguardo della maestra, che teneva le mani dietro la schiena quasi a nascondersi.
"Sì, Rage?"
"Benvenuta." disse sorridendo fino a chiudere gli occhi.
"Grazie! A domani allora, Maestra Rage!"
"Oooh chiamami Rage, altrimenti allenamento doppio domani, ok?" sbuffò la capofazione con ironia avviandosi verso la porta.
"Forza, va a riposarti prima che mia sorella cambi idea!" disse Shinoda a Evelyn, con tono d'incitamento. Senza farselo ripetere due volte, la ragazza scomparve silenziosamente dietro la porta, accompagnata da un: "Buona giornata allora!"
I quattro si diressero verso i propri alloggi per riposare un po'in vista delle loro prossime missioni e/o allenamenti. Ma c'era qualcuno che non aveva voglia di farlo.
Misaki si stava riposando nella sua stanza, sdraiata sul suo basso e lungo letto di legno, sotto il quale aveva sistemato un futon, tipico giaciglio orientale, mentre osservava l'arredamento della sua semplice camera 4 per 4: ai piedi del letto si trovava un mobile in legno blu, su cui aveva trasferito permanentemente il suo stereo e il PC. Alzò lo sguardo sulla parete dietro di lei, dove spiccava una finestra di medie dimensioni. Un servizio di the giapponese, per la rituale cerimonia del the, era riposto con cura dall'altra parte della stanza.
Stava quasi per addormentarsi nella quiete del dolce silenzio quando sentì qualcuno bussare alla porta: "Ehy, Misaki..." era la voce di Rage.
"Oh, salve Rage! Prego, entra!" rispose lei alzandosi dal letto e andando ad aprire la porta.
Scura in volto, la ragazza entrò a passi lenti, guardandosi intorno.
"Bella camera!" esclamò ad un certo punto Rage.
"Grazie, ci tengo ad unire le mie tradizioni giapponesi con le vostre..."
"Davvero bella, non c'è che dire. Comunque... Ero venuta a congratularmi con la mia nuova allieva... Sul serio, tu ed Evy siete fortissime e avete dato parecchio filo da torcere a me e a Shinoda!" esclamò sorridente la caporeparto, avvicinando un pugno chiuso all'’altezza delle spalle per enfatizzare l'esclamazione.
"Davveeerooo?" domandò incredula e con gli occhi lucidi la ragazza-volpe.
"Davvero. E per questo... Sono andata qualche minuto fa a chiedere alle alte sfere se avessero potuto trasferire te e Evy nella stessa stanza..."
Misaki si alzò sulle punte dei piedi e la guardò speranzosa: "Davvero? Hanno detto di sì, vero?"
Rage si scurì in volto e imbronciata disse: "Mi dispiace, ma..."
Fece una pausa. Poi alzò la testa e raggiante esclamò: "Ma hanno detto di sì!"
"Yeee! Per un attimo mi hai fatto spaventare! Hahaha!"
Kitsune le diede un leggero pugno sul braccio fingendo di essere offesa, ricevendone uno di risposta, e rimandandolo indietro. "Vuoi la guerra eh?"
Rage non rispose, anzi, rimase ferma sul posto con un'espressione vacua sul viso.
Misaki si spaventò: "Rage stai bene?"
La caporeparto le svenne davanti agli occhi.
"OOOHSANTOCIELOOO!" gridò atterrita Misaki, accovacciandosi su di lei e cercando di sentire con l'orecchio se respirasse ancora.
"Cosa faccio cosa faccio cosa faccio?" la ragazza si guardò attorno freneticamente senza sapere come muoversi e nel tentativo di prendere in mano la situazione stese la maestra sul futon.
"Tu resta ferma, io adesso chiamo Shinoda, ok? Torno subito!" disse e si fiondò fuori dalla stanza alla ricerca di soccorsi, trovandoli subito a pochi metri da lì: infatti Shinoda si stava incamminando per quel corridoio e non appena lo incrociò le prese per un braccio e trascinò di forza fino in camera sua.
"Presto, dobbiamo fare qualcosa!" accennò senza riuscire a parlare, mentre guardava il ragazzo controllare lo stato di salute della sorellina.
"Oh no, accidenti... Da quanto è così?" chiese Shinoda rivolgendole un'occhiata carica di preoccupazione.
"D-da circa venti secondi." balbettò lei.
"Presto, vieni ad aiutarmi." continuò lui e insieme la adagiarono sul letto di legno. Misaki le mise una mano sulla fronte per controllare la temperatura: "Oh no, scotta tantissimo!" esclamò preoccupata, ma in quel momento le apparvero nella mente tutti i ricordi della ragazza e si rese conto di quello che aveva fatto.
"R-Rage. C-come fai a vivere così?"
Ritirò la mano di scatto, interrompendo il flusso e guardandosi la mano come se l'avesse appena usata per uccidere un compagno, maledicendosi a bassa voce.
In quel momento Rage strizzò gli occhi e lentamente li aprì, biascicando confusa: "M-Ma che succede?"
Misaki e Shinoda le spiegarono quello che era successo, concludendo con un: "Questo è tutto Rage."
La vampira socchiuse gli occhi e mosse faticosamente il braccio per fare cenno di avvicinarsi: "Misaki... Vieni qui vicino... Ti... Ti devo dire una cosa..."
Si avvicinò.
"Più vicino..." sussurrò con un fil di voce, quasi stesse morendo.
"Che hai Rage?" singhiozzò.
Si avvicinò al suo orecchio. "Misaki... Tu..."
Fece una pausa e fece un occhiolino al fratello, senza farsi beccare da Misaki.
"Io?" domandò la ragazza.
"Misaki... Te... BUUUH!" le strillò nell'orecchio.
"Aaaah! Rage, cazzo!" urlò lei a sua volta, facendo un balzo indietro e finendo in braccio a Shinoda. I due fratelli scoppiarono a ridere fino alle lacrime.
"Ben fatto Shinoda, sicuro di non voler far l'attore oltre al cantante?"
"Sicuuurooo! Hahaha! Piano perfetto!" rispose lui battendole il cinque e aiutandola ad alzarsi dal letto.
"Che diavolo...?" domandò Evelyn fiondandosi nella stanza con il fiatone. "Rage, non stavi male? Shinoda mi aveva chiamato per un'emergenza!"
"Sì, sì, ceeerto! Muhahaha!" ridacchiò suo fratello.
"Era tutto parte del mio diabolico piano! Vi spiego: Shinoda, in combutta con me, voleva testare i riflessi di Misaki."
"Perché?!" la interruppe la ragazza.
"Muhahaha! Per puro sadismo, ovvio!" rispose Shinoda trattenendosi il petto con le mani e facendo l'imitazione della sorella.
"Ma la febbre? Nessuno può fingere di avere la fronte calda come un forno!" obiettò Misaki imbronciata.
"Ma anche per quello c'era una spiegazione: sotto forma di barattolino di peperoncini piccanti nascosto dietro la schiena da Shinoda stesso."
Realizzando il sadismo/masochismo con cui era realizzato quel piano, la ragazza spalancò la bocca dallo sconcerto: "Scusa ma quanti ne hai mangiati!?"
"Parecchi." fu l'unica risposta di lei.
"Ma conosco altri modi, ho i miei attacchi ed assi nella manica. Aspettati tutto da tutti! Comunque... Hai buoni riflessi, sarai un'ottima allieva!" affermò poi mollandole una pacca sulla spalla. Finito lo scherzo, i due fratelli si congedarono cordialmente offrendo alle due un po'di peperoncini e ricevendo in risposta un: "MA ANCHE NO!", così se ne andarono. Rimaste sole, Evie poté osservare in tutta calma l'arredamento orientale della stanza: "Che bello. Questo è un vero futon? L'ho sempre visto solo nelle illustrazioni dei libri..."” commentò a bassa voce mentre passava una mano sul particolare giaciglio. Misaki le prese entrambe le mani e la fece sedere sul basso letto orientale: "Che bella notizia. Sono contenta che ti piaccia questa stanza perché Rage ha ordinato che ti trasferissi qui con me..."
Non fece in tempo a finire la frase perché fu interrotta dall'esclamazione sconcertata di Evelyn: "WHAT!?"
"Tranquilla, ora ti spiego: Rage è venuta qui per dirmi che sono andata bene e ad un certo punto è svenuta, ma era solo un piano per testare i miei riflessi, ma io non lo sapevo, così l'ho stesa a terra e le ho controllato la fronte, ma per sbaglio le ho letto nel passato... È stato un incidente, lo giuro!" esclamò tutto d'un fiato.
"Frena un attimo! Che cosa hai detto prima?"
"Uhm, che sono contenta che ti piaccia la stanza?"
"Un po'dopo."
"Che... Rage è venuta a dirmi che sono andata bene?"
"Non ci girare attorno Misaki."
La ragazza non trattenne un sorriso mentre rispondeva: "Oooh! Intendi che ha ordinato il tuo trasferimento in questa stanzaaa?”"
Dark Rose la fissò incredula.
Una compagna di stanza?
Non aveva mai ricevuto nulla che non centrasse con gli allenamenti, mai avuto una fortuna simile!
"... Appunto."
"Nuooo stai scherzando vero? Non ci posso credere!"
"Yeeeeee!" esultò a sua volta l'amica che, balzando in piedi, girava per la stanza a grandi salti travolgendo ogni cosa sul suo cammino.
Ci vollero complessivamente tre millisecondi di tempo perché metà della stanza fosse sgombera e pronta per ospitare la nuova compagna si di stanza; Evelyn arrivò con in spalla uno zaino nero con disegnate sopra sottili scariche blu elettriche stracolmo di libri, e insieme a Misaki riuscì a spostare la mobilia. Mentre sistemava le sue cose si ritrovò fra le mani il suo quadro dell'esplosione e frettolosamente lo cacciò in fondo allo zaino.
"Eeehi, che cos'era quello?" chiese subito Kitsune sbucandole da dietro la spalla.
"N-Niente, non era niente Misaki... E non ti azzardare a leggermi la mente che così non vale!" protestò la ragazza voltandosi di scatto indietreggiando contro la parete e finendo per sbattere con la schiena, provocando una risata della neo compagna di stanza.


Dormitorio n.8, ore 23:47


Tutto l'edificio centrale era sprofondato nella più completa ed apparente pace, finalmente giunta dopo una giornata sicuramente faticosa per tutti. Ormai era giunta l'ora di dormire, ma i due fratelli non ci riuscivano.
"Shinoda..." sussurrò Rage, girandosi dall'altra parte del letto per incrociare gli occhi del fratello, dall'altra parte della stanza.
"Dimmi." Biascicò lui aprendo gli occhi. La vampira si alzò dal letto, avvicinandosi a quello del fratello, e ci si sedette sopra. Abbassandosi al livello della sua testa gli sussurrò nell'orecchio: "Ce l'ho fatta a non cedere, hai visto?"
Sorrise, un sorriso triste e confortante allo stesso tempo. "L'hai fatto per lei, vero?"
"Per lei, sì... Ruby..." disse scurendosi in volto per un momento, per poi continuare con un sorriso raggiante: "E siamo stati bravi a farle quella prova, nééé? Hahaha!"
"Eh, già!" Shinoda si mise a sedere e la prese per le spalle sbattendola sul letto senza farle troppo male: "Ma non farlo più, capito?" precisò ironico, certo che non sarebbe stata l'ultima o la penultima volta. Sentendosi rimproverare Rage sbottò scherzosamente tirandogli un energico ganascino: "Uff... Capito... Beh, perlomeno so di poter contare ciecamente su di lei!"
"Già, è in gamba. Ora dormiamo, dai, è tardi infondo..." il fratello si stese nuovamente e senza attendere una risposta si girò dalla parte del muro e piombò nel bivio che divideva il reame dei sogni dal regno degli incubi, e gli toccò affrontare quest'ultimo, ancora una volta.
"Ok, va bene..." disse in tono seccato la sorella, lasciandolo finalmente in pace per tornare fra le sue coperte, al sicuro dal resto del mondo.
In quel momento, nel corridoio accanto, altre due voci rompevano il silenzio posatosi pacatamente su ogni cosa, quasi un caldo manto di neve scura e ovattata.
"Ehy..." sussurrò Evelyn.
"Sì?"
"Sei contenta?"
"Ma certo!" biascicò Misaki con la bocca impastata per la stanchezza, girandosi verso di lei.
"Ma... Che dicevi a proposito di Rage prima?"

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Capitolo 4
*** Un passato oscuro - Rage e la sua storia ***


Misaki si alzò e si mise a sedere accanto alla neo compagna di stanza.
"S-Sei proprio sicura d-di volerlo sapere?" balbettò dopo qualche minuto di silenzio.
"Se vuoi..."
"Ok. Sdraiati e inizia a dormire."
Passarono una decina di minuti, poi Evelyn cadde in un sonno profondo.
"Preparati." sussurrò Misaki facendo in modo di condividere il passato di Rage con l'ormai addormentata Dark Rose.


Ospedale della base di Lidos, ore 22.55, 23 anni e 6 mesi fa


"Ruby... Ti dobbiamo dire una cosa... Tra poco la tua sorellina nascerà! Non sei felice?"
"Una macchina che sputa vomito, rigurgita e urla a tutte le ore del mattino e della sera... Come potrei essere più felice papà?" disse in tono sarcastico Ruby.
La piccola aveva i capelli e gli occhi rossi, questi ultimi avevano la pupilla dalla forma affusolata, come quella dei felini. Indossava una magliettina a maniche corte nera e dei jeans stretti abbastanza scuri, che coprivano in parte le scarpette da ginnastica bianche.
Gli occhi scarlatti di quella bambina di cinque anni e mezzo parlavano più di ogni altra cosa: fissavano il padre, Thomas Smith, cercando di chiedere disperatamente aiuto.
E se mamma stesse male? Urla da ore... E se toccasse a me curarla? Una bambina?! Come si cura una bambina!? E se...
Nella sua testa frullavano solo pensieri di questo genere.
Thomas diede alla figlia una pacca sulla spalla. "Ehy, tutto bene?"
Lo abbracciò forte. "Ho paura. Mamma urla da ore! Sta male? Eh, sta male? Papà, rispondimi!"
"Devi star tranquilla... È normale: anche con te è stato così!" la consolò lui, sorridendo.
Gli strilli finirono. Tutto tacque per un lunghissimo minuto, ricco di tensione.
I dottori invitarono ad entrare Twin Blade, lasciando la piccola Queen Of The Damned da sola, fuori da quella dannata stanza dove la madre stava dando alla luce la sua sorellina.
"È stato necessario fare un'anestesia totale a sua moglie, signore. Sarà necessario un cesareo, ma..." sospirò un'infermiera appena Thomas entrò nella sala parto.
"Ma cosa?"
"È in condizioni gravi. Potrebbe non farcela una delle due... O anche entrambi."
Si scurì in volto. Il suo cuore era infilzato da miliardi di spilli e stretto in una morsa di dolore. Si morse il labbro: lo faceva solo nelle situazioni difficili.
Ruby intanto andava avanti e indietro per i corridoi, tesa, impaziente. Voleva entrare. Se solo avesse potuto...
"Sì, ma io posso!" gridò.
Spalancò le porte e vide la madre ormai completamente addormentata stesa su un lettino d'ospedale, con una mascherina sulla faccia. Il padre era col capo chinato, con il dottore e qualche infermiera attorno a lui.
I capelli bianchi nella prima parte e neri nella seconda, arruffati e lunghi, gli coprivano gli occhi blu scuro, i quali avevano la parte che dovrebbe essere bianca ormai diventata di un rosso intenso, a causa di traumi dei combattimenti passati. Era un veterano, infondo...
"Capisco..." sussurrò il padre, poi, voltandosi verso la piccola che nel frattempo gli si era avvinghiata alla gamba, la prese in braccio e le fece un sorriso visibilmente forzato.
"Papà, che hai? Mamma sta bene? Mamma ce la farà? Mamma non ha problemi per la sua malattia, vero? Mamma..."
"Signor Smith, le annunciamo che sua figlia è nata!" la interruppe un'infermiera, porgendo la bimba.
In un piccolo fagotto bianco era avvolta una frugoletta dagli occhi grigi, pallida, sorridente: aveva già due canini che spuntavano dalla gengiva superiore e un ciuffetto rosso fuoco, liscio, che le divideva la fronte in due. Il piccolo nasino arrossato e le manine paffutelle le davano un'aria dolce, contrastata dal suo sguardo da furbetta.
Thomas la prese in braccio. Aveva Ruby da una parte e la neonata dall'altra.
I suoi occhi erano gonfi di lacrime, ma un soldier che si rispetti non può piangere... Dentro di sé sentiva la paura crescergli per via del fatto che sua moglie, la bella Grace Farrell, fosse a rischio di morte a causa di una malattia genetica...
Pregava che la neonata non avesse ereditato tale sciagura: ciò avrebbe compromesso la sua ibridazione, sempre se fosse riuscita ad arrivarci.
"Signore, la dobbiamo portare al campo." lo riportò coi piedi per terra il dottore.
"Scusi, ma non si può aspettare ancora qualche giorno? Infondo è prematura... Le regole, per quel poco che so, dicono di mantenere la bimba in ospedale per almeno 15 giorni di tempo prima del prelievo... E così, infondo, si può aspettare anche che la madre la veda..."
"Va bene, solo per questa volta e solo perché lei è a capo di..."
Thomas lanciò un'occhiataccia al dottore, il quale tacque all'istante.
Passò qualche giorno.
"Ehy, si è svegliata, papà!" disse Ruby.
"Ngh... Che... Dove sono? Dove... Dove siete? T... Thomas? R... Ruby?"
"Ciao Grace, ben svegliata! Guarda chi c'è!" disse Thomas.
"Ngaaa!" urlò la bambina, sorridendo alla mamma, scrutandola col suo sguardo furbo e ribelle per la prima volta, aprendo e chiudendo le manine tese verso la madre, facendo capire che voleva andare da lei.
Grace era una giovane donna dai capelli corti, tendenti al grigio scuro e al nero, col corpo slanciato e gli occhi grigi. Il fisico, nonostante il parto, era snello e ben proporzionato.
"Mamma! Mamma! Come stai?"
"Bene, cara Ruby! Allora... Sei felice di avere una sorellina?"
"Beh... Sì... Adesso sì! È simpatica, dopotutto!"
"Mi fa piacere sentirtelo dire!"
"Avanti, papà, dalle Diana!"
"Diana? Oh... Che bel nome! Vieni qui..."
"L'ho scelto io!" sentenziò orgogliosa Ruby, indicandosi il petto con il pollice, facendo un sorriso smagliante e chiudendo gli occhi.
La bimba sorrise. La madre fece una smorfia di dolore: le sue condizioni erano gravissime. Il parto l'aveva sfiancata e l'anestesia completava il tutto.
Non ce la faceva più.
La bimba, capendo che la madre stava soffrendo, le diede una carezza e si raggomitolò accanto a lei. Grace sorrise.
"È intelligente... Speriamo solo che sia come Ruby... Prego solo di non averle trasmesso la mia malattia..."
"Grace..." disse Thomas abbassando il capo "...Purtroppo l'ha ereditata."
"Mi dispiace mamma... Le starò io vicina, lo prometto!"
"Ruby... Grazie..." rispose sorridendo la madre.
"Che bel quadretto... Mi spiace di interromperlo!" disse in tono sarcastico il dottore, entrando nella stanza.
"È ora che venga prelevata. Anche se con la sua malattia non è nemmeno detto che riesca a superare le selezioni..."
"S-sì, ecco, tenga..." disse Grace, sempre stata molto attenta ai regolamenti dell'esercito.
"Ma si azzardi ad insultarla un'altra volta..."
I suoi occhi diventarono da grigi ad azzurri e si trasformò in ibrido.
"Ho capito, ho capito, Blue Eyed Demon. Non c'è bisogno che mi minacci. Anche se lei probabilmente non..."
Grace perse del tutto il controllo a causa della stanchezza e dell'ira che provava. Emise un ruggito, facendo piangere le due bambine.
"Ma-Mamma..." balbettò Ruby.
"Ritiri ciò che ha appena detto..." ringhiò.
"Grace... Calmati, ti prego!"
"Devi stare zitto! Hanno appena insultato nostra figlia!"
"Beh, vedendo i risultati della vostra famiglia..." la stuzzicò il dottore.
Mentiva spudoratamente: i risultati degli Smith e dei Farrell erano fra i migliori. Voleva solo farla stare peggio, usarla come cavia per capire fin dove una persona con la sua malattia poteva spingersi, per poi perdere totalmente il controllo. Il pretesto era quello di agire in nome della scienza, ma tutti i dottori sapevano che era un altro: stuzzicare, far perdere il controllo, far andare il sangue alla testa dall'ira... Per puro sadismo.
Grace non ce la fece più. Perse del tutto il controllo per una causa minima. E aggredì il dottore, che fu subito soccorso dalle infermiere, le quali bloccarono l'ormai furiosa madre, trasformatasi in un ibrido dalla forza portentosa. Le fauci affilate ferivano i suoi assalitori a suon di morsi e le unghiate lasciavano profondi segni nella carne. Ringhiò di nuovo e diventò un husky gigantesco, dagli occhi azzurri, il manto lucido e folto, coi caratteristici colori bianco e nero.
Thomas, cercando di fermarla, venne respinto da una zampata che lo sbatté violentemente contro il muro.
Uno dei feriti, intanto, ritornato in sé, prese Diana e la portò via, al campo di selezione; Ruby, invece, terrorizzata, si era rifugiata sotto il letto.
Il padre le urlò di andarsene, perché era troppo pericoloso per lei. La piccola obbedì a malincuore e corse via in lacrime, seguendo il superstite, cercando di togliergli la neonata dalle grinfie.
Non ci riuscì.
La piccola venne messa dentro il campo, pronta per combattere la battaglia più importante della sua vita. Vivere o morire. Uccidere gli altri o venire uccisi. Essere scelti o scartati perché troppo deboli. Qui vige la legge del più forte. Qui devi sopravvivere solo con le tue capacità. O ce la fai... O muori per la tua debolezza. Non sono ammessi i deboli.
Intanto nella stanza tutto sembrava essersi calmato. Grace, attraverso una puntura, venne anestetizzata e tornò alla sua forma umana, mentre Thomas riprese conoscenza e andò a soccorrere la moglie... Ma ormai era troppo tardi: l'anestetico, insieme allo sforzo, l'aveva indebolita talmente tanto da farle cessare il battito cardiaco, inducendola alla morte.
Urlò tutto il suo dolore e pianse lacrime amare, difficili da mandare via.
Ora era da solo con due bimbe piccole. I medici sopravvissuti se n'erano andati a cercare aiuto per porre rimedio a quel disastro.
Poco dopo ne arrivò uno di corsa. Twin Blade lo prese per il collo: "Perché l'avete provocata... Ditemi perché!" sbraitò fuori dalla divina grazia.
"S-signore, io non centro nulla! È stato solo per il progresso scientifico! Penso che lei sappia che i casi come quello di sua moglie sono rarissimi e ancora non approfonditi del tutto..." lo provocò.
"Allora... È stato solo per la scienza?!" ringhiò furente.
"Signorsì..." lo provocò il soldato.
In preda alla rabbia strinse così forte da ucciderlo. Non potendo fare molto altro, andò a cercare le figlie.
Barcollando e cadendo per la stanchezza, dopo un po'le trovò.
Ruby piangeva a dirotto, guardando quel campo che ora iniziava ad odiare. La piccola, invece, era impegnata in una lotta contro la morte... E stava vincendo.
Circa un minuto e mezzo di combattimento in totale. Diana aveva vinto. Un soldato la prese e la riportò da sua sorella maggiore, che nel frattempo aveva appreso la brutta notizia della scomparsa della madre. La bimba piangeva, e con lei anche la sorellina. Aveva capito che qualcosa di triste era avvenuto leggendo il dolore negli occhi gonfi di Ruby e Thomas.
"Stai tranquilla Diana, ci sono qua io... Mamma non c'è più... Ma non possiamo cedere. Bisogna andare avanti... Le ho promesso... Che ti sarei stata vicina... Finché non si fosse ripresa..." singhiozzò asciugandosi le lacrime.
Thomas le mise la mano sulla spalla e la strinse forte a sé.
"Ruby... Hai solo cinque anni, ma sei molto matura per la tua età. Sono fiero di te..." cercò di consolarla Thomas.
Il soldato che prima aveva ridato Diana alla sua famiglia, si avvicinò agli Smith e disse loro: "Sono onorato di comunicarle che sua figlia ha fatto una strage in un minuto e mezzo. Deve essere orgoglioso di lei..."
"Sì, lo sono. È già stato deciso il suo nome in codice?"
"Signorsì! È stato deciso... Rage. Avrà come animale il pipistrello vampiro-spettro."
"Rage..." ripeté la sorella.
"Sì, signorina Ruby Smith, o dovrei dire Queen Of The Damned..." rispose il soldato facendo il saluto di congedo e andandosene marciando frettolosamente.


Dormitorio n.8, ore 16.10, 16 anni fa


"Papà... Com'era mamma?" chiese Rage timidamente.
"Mamma? Era la donna più bella del mondo, la migliore..." disse Twin Blade, passando alla bimba una foto ormai sbiadita e consumata che ritraeva i suoi genitori e sua sorella maggiore.
"E che animale aveva? Come combatteva? Saremmo andate d'accordo?"
Rage lo tempestava di domande, ascoltando il padre, fissandolo attentamente, come se stesse memorizzando ogni sua parola, come se stesse cercando di far rivivere la madre.
Ruby, ormai dodicenne, stava insieme a loro, ascoltando, ma soffrendo.
"Papà, vado, è ora della mia lezione." mentì. Non voleva più ascoltare... Il terrore che aveva provato, l'ira negli occhi di sua madre, l'odio, il caos di quel giorno... Erano ormai segni indelebili nel suo cuore. Non voleva dimenticare, ma nemmeno ricordare. Quel ricordo la faceva soffrire troppo, ma nonostante tutto non ce l'aveva con la sorella, anzi, ci teneva più di ogni altra cosa. Diana aveva ancora sette anni, era piccina, ma già ne combinava di tutti i colori, mandando pure all'altro mondo dei soldati adulti...
"Tua sorella ci soffre troppo, piccola. Basta così. Sappi solo che, come te, era malata e doveva evitare di cedere agli istinti del proprio ibrido." concluse Thomas.
"Perché?" domandò lei, inclinando il viso e scattando in piedi.
"Perché se cedessi, non torneresti più indietro... E non voglio che ciò accada."
"Capisco..."
Ci fu un lungo e profondo silenzio.
"Papà... Grazie di avermene parlato."
Twin Blade si morse il labbro, poi l'abbracciò.
Rage corse e raggiunse Queen Of The Damned.
"Ruby..."
"Che c'è, Rage?"
"Promettimi che non mi lascerai mai cedere al mio ibrido." le sussurrò.
"Ma certo, sorellina. Dai, è ora di andare a studiare. Andiamo!"
Le due tornarono dopo i vari studi e missioni alla base, ma due soldati con la divisa ufficiale, le fermarono.
"Vostro padre ci ha lasciati."
"Se è uno scherzo, non è divertente, ragazzi." disse calma, ma con una punta di amarezza Ruby.
"L'abbiamo trovato morto nella sua camera, assassinato, probabilmente... Oltretutto una delle due spade è stata rubata... Quella bianca, se non erro."
"Non è vero..." disse Rage, mordendosi il labbro, vizio passatole dal padre.
"Mi dispiace, ragazze. Il funerale si terrà questo pomeriggio alle 17." disse uno dei due.
I soldati si congedarono.
Le due corsero nella stanza del padre e videro le pareti piene di graffi, sangue, segni di lame, bruciature... Il letto era spaccato in due, la porta era scardinata e le finestre, con la panoramica sulla città di Lidos e sui suoi bassifondi, aveva i vetri ridotti in mille pezzi, anch'essi impregnati di sangue. Il piccolo armadietto e il comodino erano stati distrutti e il lampadario andava a scatti, lanciando scintille che scendevano a terra come minuscole lucciole e bruciando piccole parti di stanza.
"N...no..." sussurrarono le due sorelle.
"Diana, è ora che tu sappia una cosa."
Rage non rispose a parole, si limitò a fissarla. Gli occhi grigi della sorella minore si erano incontrati con quelli della sorella maggiore, scarlatti e gonfi di tristezza.
"Papà era a capo di un'organizzazione autonoma e segreta alla maggior parte dei soldati. Essa serviva per sbarazzarsi delle persone dichiarate inutili o pericolose. Per esserne a capo, bisogna sconfiggere il leader dell'organizzazione."
"Pa... Papà?!"
"Sì." Ruby abbassò il capo. "Mi dispiace di non avertelo detto prima... Teoricamente sarei dovuta rimanere all'oscuro di tutto anche io, come te e mamma..."
"Co-Come l'hai scoperto?"
"Han tentato di rapirmi per usarmi come riscatto prima che tu nascessi. Mamma rimase all'oscuro di tutto e promisi a papà di non dire nulla a nessuno. Promettimelo, anche tu rimarrai in silenzio, vero?"
Strinse i pugni si morse il labbro fino a farlo sanguinare e le divennero gli occhi leggermente rossi. Quella frustrazione l'aveva fatta trasformare in ibrido involontariamente.
Queen Of The Damned la strinse forte per farla calmare e cercando di darle forza, anche se infondo anche lei ne necessitava...
"Staremo sempre insieme, Rage, sempre insieme." le sussurrò all'orecchio, nel disperato tentativo di darsi forza e di calmarla.
Al funerale le due non parlarono con nessuno, tranne che con un ragazzetto biondo. Il piccolo aveva dieci anni ed era privo dei genitori, che lo abbandonarono alla nascita. I tre diventarono subito amici, anzi, fratelli. Quel ragazzino era The Shinoda.
Qualche anno dopo, però, egli fu vittima di uno degli scherzi di Rage, anche se lei non fece apposta: camminando a zonzo, da solo, nel buio, si ritrovò nella parte più remota dell'imponente base... E Rage lo spaventò a morte, piombandogli a testa in giù, distante a qualche centimetro da lui... The Shinoda urlò, spaventando Rage a sua volta, in una reazione a catena che li fece litigare e urlare come bambini.
Ci volle l'intervento di Ruby, ormai sedicenne, per farli riappacificare.
Ormai erano come fratelli e la maggiore, insieme al mezzano, fondarono una band. Rage stava tutto il giorno a sentirli, incantata.


Dormitorio n.7, stanza di Ruby, ore 15.00, 10 anni fa.


Ruby, ormai diciottenne, prese la sorella con sé e la portò nella sua stanza.
"Rage... Hai tredici anni ora. Ho promesso che ti sarei per sempre stata vicino. Ho deciso di farmi un tatuaggio poco tempo fa. E... Beh, guarda."
Si alzò leggermente la maglia rossa e mostrò sulla schiena una scritta nera in corsivo.
"Once you go black... You never come back... Che significa?"
"Mamma ha perso il controllo e non è più tornata indietro... E tu hai la stessa malattia. Finché sarò in vita, ti ricorderò queste parole... Così non cederai."
Rage, commossa, abbracciò la sorella.
"Tatuarti questo... Per me? Ruby, sei proprio impazzita... Non ti vorrai tatuare tutta come The Shinoda, vero? Hahaha! Scherzo, mi piacciono i suoi tatuaggi... Ma il tuo è insuperabile!"
"Oh, Rage... Ma non ho fatto nulla... Però ora potresti staccarti, per piacere? Ho la schiena scorticata per il tatuaggio, santo ciufolo!"
"Scusa scusa scusa scusa!"
Risero a lungo. Diana era fiera di avere una sorella così e qualche anno dopo si fece un tatuaggio raffigurante un soldato stilizzato, con le ali da pipistrello e la scritta Flaming Hybrid Soldier sotto di esso; Shinoda ne fece uno sulla gamba, analogo al logo sulla sua nuova e fiammante moto; Ruby regalò alla sorella una collana con una piastrina di metallo. Ne avevano una per ciascuno. Due collane gemelle per due sorelle.
I tre fecero strada. Ruby aveva abbandonato la carriera da professoressa per diventare generale, Rage era appena diventata un viceammiraglio insieme a The Shinoda, il quale aveva abbandonato anch'esso la carriera da professore.


Campo di addestramento, sala delle armi, ore 6.25, 11 mesi fa


"Avanti Rage, non sei felice? La tua prima missione di livello S!" esclamò Ruby piena di vita.
"Ma nooo! Non sono felice! Direi proprio di no! Infondo sono solo in missione con la mia sorellona per sventare un'infiltrazione della feccia all'interno della nostra base! Pensa che sfortuna!" rispose Diana in tono ironico, abbracciando la sorella.
Shinoda entrò nella stanza e squadrò le sue due sorelle da lontano.
Erano praticamente uguali: Ruby e i suoi ventotto anni ruggenti, con la sua criniera rosso fuoco, mezza rasata sulla parte destra, gli occhi rossi come i capelli e il suo solito sorriso smagliante, Rage e i suoi occhi grigio fumo, i suoi capelli color del sangue vivo, che contornavano quell'espressione furbetta tipica solo di lei... E il suo sorriso. Quanto gli piaceva quel sorriso... Ma quella sarebbe stata l'ultima volta che lo avrebbe visto.
"Siete due gocce d'acqua." sospirò a bassa voce, prendendo le sue bombe, granate e armi da fuoco, partendo per la sua missione dall'altra parte della città.
I tre, dopo essersi augurati buona fortuna, partirono alla volta delle loro missioni.
"Ruby, la spada?" disse Diana prendendo i suoi chakram e fissandoli alla cintola dei pantaloni.
"Come scordarla... La spada rossa di papà... Ti prometto che se becco quel bastardo che gliel'ha fregata, lo uccido!"
"Così ti voglio!" urlò Diana facendo un salto in avanti, con le braccia alzate verso il cielo.
Dopo poche ore di viaggio a piedi, le due arrivarono al centro della battaglia.
Le ragazze, con il loro portentoso lavoro di squadra, dimezzarono l'esercito dopo qualche minuto, senza riportare nemmeno un graffio.
"Woh, dobbiamo migliorare, ci abbiamo messo troppo per i miei gusti..." esclamò decisa Ruby, tagliando in due un ribelle con la sua spada.
Diana si fermò, leccò via il sangue dai suoi chakram, cosa che faceva come rito propiziatorio, e rispose ridendo di gusto.
In un attimo di distrazione, Ruby fu sfiorata da una lama.
Un rigagnolo di sangue imperlò la sua guancia. Quella spada... No, non poteva essere.
Si girò verso l'aggressore. Un ribelle sulla trentina impugnava la lama gemella bianca, colei che Twin Blade usava con eccezionale maestria...
Diana si trasformò in ibrido, una furia ardente brillava dentro i suoi occhi mezzi rossi e mezzi grigi.
"Lascialo a me." disse seria Ruby, trasformandosi a sua volta. Gli occhi le diventarono da rossi ad arancio-giallastri, le orecchie divennero da canide per percepire meglio i suoni, i denti affilati come rasoi e le unghie un po'più lunghe e ad artiglio erano pronte ad agire. Le spuntò una folta coda dalle varie sfumature, tendenti al bianco, al grigio e al ruggine. I capelli diventarono dello stesso colore della coda, richiamando, però, di più il bianco e il grigio.
"Tu..." sussurrò partendo all'attacco, facendo cozzare la lama rossa contro la bianca. Il tesoro degli Smith ha un valore inestimabile, dopotutto...
I due combattenti generarono un'onda d'urto che spaccò in due il terreno fino a cinquanta metri di distanza e che li scaraventò lontano.
"Riesci a tenermi testa, eh? Non è da tutti, complimenti."
"Non me ne frega un cazzo dei tuoi complimenti. Combatti, cagna!" sbuffò il soldato, avendo capito che Ruby condivideva il DNA con quello di un canide: infatti la ragazza aveva il DNA del cane lupo cecoslovacco.
"CAGNA A CHI, BASTARDO!?" sbraitò, partendo all'attacco ancora e ancora, tranciandogli via parti di vestiti e di pelle.
Usando l'elsa della spada, la ragazza ferì l'avversario, facendogli perdere la mobilità dalla spalla sinistra fino alla mano.
Ruby tornò normale.
"Questo deve essere un combattimento alla pari. Ne va del mio onore."
Alzò la spada puntandola verso il cielo, con la parte più larga verso l'esterno. Il filo della lama le divideva il viso a metà. Quell'espressione racchiudeva un odio e una sete di vendetta di proporzioni madornali.
"Il mio nome è Ruby Smith, nome in codice Queen Of The Damned! Ti ridurrò in poltiglia in nome della mia famiglia!"
"Bene bene bene, quindi sei tu la famosa Ruby, eh? La tua fama è ben conosciuta fra noi Cacciatori di Ibridi per via dell'alto numero di morti che hai causato! Io sono Shinra. Molto piacere, sono il miglior cacciatore della città di Lidos, come testimonia la spada che sto bran-"
"MUORI, BASTARDO!" lo interruppe gridando Ruby e ingaggiando nuovamente un combattimento furioso, partendo di corsa verso Shinra e tagliandogli un occhio fino in profondità.
"Ti ammazzo!" sbraitò buttandolo a terra. Stava per tagliargli la gola, quando si accorse che un proiettile vagante puntava verso Rage, che nel frattempo aveva ucciso tutti i superstiti. Il pericolo sembrava scampato... Sì, sembrava...
Uno della feccia aveva puntato la pistola verso Diana, ma ella lo aveva ucciso prima. Cadendo a terra, l'arma ha sparato un colpo vagante che puntava verso l'ignara ragazza.
Ruby, accortasi di ciò, mollò la presa che aveva sull'avversario, si trasformò in ibrido per aumentare la sua velocità e, intercettando il colpo, riuscì a proteggere la sorella.
Il proiettile le trapassò il petto. Ormai per lei non c'era più speranza.
Rage vide la sorella sofferente cadere in ginocchio davanti ai suoi occhi, i quali assunsero un colore sempre più rosso, sempre più acceso, sempre più forte.
Cacciò un urlo di rabbia che fece rabbrividire Shinra, il quale osservava intimorito, ma allo stesso tempo compiaciuto del fatto che Ruby fosse morta.
Diana mostrò perché le era stato dato come nome in codice Rage.
Con gli occhi scarlatti erano comparsi anche tutti i caratteri del suo ibrido.
Aprendo e chiudendo le grandi e minacciose ali, lanciando ultrasuoni, gridando tutta la sua rabbia, creava onde d'urto e turbini d'aria e di polvere che scaraventavano i cadaveri insanguinati lontano.
Si precipitò alla ricerca di Shinra. Una volta trovatolo, gli spezzò le braccia, una gamba e varie costole facendo emettere loro un rumore penetrante e terrificante. Lo voleva morto, quello stronzo le aveva fatto perdere una sorella e aveva fregato la spada di suo padre. In più voleva impadronirsi della lama che ora apparteneva a Ruby. Questo per lei era troppo. Aveva superato il limite.
Lo sollevò in aria, lo lanciò, volò sopra di lui e con una gomitata nel petto lo sbatté a terra. Lo bloccò con le gambe. Avvicinò la testa al suo orecchio, ma continuandolo a fissare con il suo sguardo glaciale, con quelle fiamme insanguinate di una furia oscura che erano i suoi occhi.
"Adesso morirai." stava per dire, ma una voce la interruppe.
"Rage, adesso smettila."
L'ordine secco di Ruby risuonò come un tonfo nella testa di Rage. Non era morta... NON ERA MORTA! C'era una speranza!
Senza nemmeno pensarci due volte, tornò umana, lasciò il corpo martoriato di Shinra a terra e si precipitò dalla sorella.
"R... RUBY! Sei viva! Vieni, ti riporto a casa." singhiozzò, bagnando di lacrime i suoi vestiti e quelli della sorella.
Ruby scosse il capo, poi biascicò: "N-No Diana, devi tornare senza di me. Per... Per me è finita..."
"NON È VERO! TU STAI BENE! TI RIPORTO ALLA BASE, LÌ TI GUARIRANNO!" strillò, come se cercasse di darle forza, poi se la caricò sulle spalle.
Il cappotto di pelle nera ormai lacerato e sporco di sangue ondeggiava al vento mentre Diana correva verso la base.
"Lasciami." sussurrò.
"No, mai!"
"HO DETTO LASCIAMI!"
Rage iniziò a correre più forte, sempre più forte, ogni volta che la sorella ribatteva, lei accelerava. Non voleva perderla. Corse così veloce da trasformarsi perfino in ibrido.
Ruby si lasciò cadere accompagnata da un tonfo sordo, ormai priva della forza per controbattere.
"RUBY!" la chiamò la sorella trattenendo le lacrime.
I soldier non piangono. I soldier sono forti. I soldier non...
Tutti questi pensieri le offuscavano la mente, impedendole di capire che per Ruby non c'erano più speranze. Nessuna possibilità di tornare indietro.
"Ruby..." ripeté abbassando la voce e stendendo la sorella a terra, prendendola delicatamente per la schiena e stringendole la mano, quasi fosse l'unico modo per darle la forza per sopravvivere.
"D... Diana..."
Sorrise. Perché sorrideva? Stava morendo!
"RUBY!" urlò mordendosi il labbro fino a farlo sanguinare.
"D... Diana... La-Lasciami qui..."
"Ruby... Non la... Non lasciarmi!"
Si continuava a mordere il labbro, evitando di piangere.
La sorella, con un fil di voce sussurrò: "Ti viene da piangere, eh! Ah, no, ti sudano gli occhi."
"Ti sembra il caso di fare battute adesso?"
Sorrise e le si avvicinò talmente tanto da sporcarle i capelli col suo sangue. La abbracciò e le diede un bacio sulla fronte.
"Avanti, vai." la incoraggiò dolcemente.
"E lasciarti qui a morire? E rimanere... Da sola?"
Sola. Il solo suono di quella parola la faceva rabbrividire e perdere di lucidità.
"Ma te non sei sola... Anche se non ci sarò più... C'è sempre Shinoda, il tuo fratellone, no?"
"Ruby... Non mi lasciare... NON MI LASCIARE SOLA!"
La ragazza strinse la mano alla sorella.
"Promettimi che non avrai rimpianti. Promettimi che recupererai la lama bianca. Promettimi che non cederai. Mai. Promettimi che sarai felice."
Non rispose.
"Promettimelo." la incitò guardandola negli occhi e cercando di staccare la mano per poi chiuderla, lasciando il mignolo aperto.
"Te... Te lo prometto."
Rage si sentiva morire dentro, era evidente che non sarebbe riuscita a sopportare la morte della sorella.
"Sono debole."
"No, non lo sei... Sei la più forte delle sorelle... Sei la migliore... Ti voglio un mondo di bene..."
"IO NO, EH?" singhiozzò facendo scendere una lacrima.
"Ti sudano ancora gli occhi, eh? Hahaha..."
"N... No..." disse cercando di asciugarsi le lacrime e abbozzando una smorfia che doveva essere un sorriso e stringendole di nuovo la mano, ormai sempre più bianca e tremante.
"Sii forte. Fallo per me."
"RUBY, NOOO!"
La ragazza mollò la presa. Un sorriso era stampato sul suo viso pallido, rigato da una lacrima mista al sangue raggrumato uscito dal taglio del fendente.
"Ruby..." sussurrò ormai fuori dalla divina grazia per il dolore e la disperazione.
Si accasciò sul corpo della sorella, accarezzandole il viso e i capelli. Le asciugò le lacrime e il sangue.
Se la caricò sulle spalle, ma non pianse.
Non pianse quando, camminando a passi lenti e gravi, si accingeva a raggiungere la base, non pianse quando arrivò e comunicò alle alte sfere che la missione era completata con successo, non pianse quando comunicò della morte della sorella, non pianse quando si chiuse nella sua stanza.
Era sola. Sola. La sua più grande paura era lì, la stava risucchiando nella sua spirale di oscurità senza via d'uscita.
Una persona bussò alla porta.
"Chiunque tu sia, vattene."
"Rage... Sono io, Shinoda."
"VATTENE!" sbraitò, iniziando a piangere tutte le sue lacrime. Gli occhi gonfi fissavano le crepe e le bruciature della sua parte di stanza. Dopo 16 anni erano ancora lì, testimoni della morte del padre.
Era certa ormai, non avrebbe aperto quella porta per nulla al mondo. Sarebbe rimasta lì per sempre.


Dormitorio n.8, una settimana dopo la morte di Ruby, ore 22.57


"Diana, avanti, aprimi... È una settimana che mi tieni fuori dalla nostra stanza!"
"DIANA È MORTA! IO SONO RAGE!" sbraitò piangendo lacrime amare.
Era una settimana che non mangiava né beveva, era un miracolo che fosse ancora viva.
"Rage... Aprimi... Per favore..."
Il tono supplichevole di Shinoda non bastò a sciogliere il cuore di Rage, ormai diventato di pietra, anzi, di ghiaccio.
"VATTENE VIAAA!" gridò Rage, facendo vibrare perfino porta e finestre.
"VUOI RIMANERE SOLA, EH? BENE, ALLORA MENE VADO!" gridò suo fratello, dando un pugno alla porta.
Rage fissava il vuoto dalla sua posizione contorta sul letto.
Fissava qualcosa di incomprensibile. Gli occhi, a causa del pianto, erano gonfi e secchi, e le facevano vedere tutto sfuocato.
Si alzò senza far rumore, smise di piangere e si mise con la schiena appoggiata alla porta, provocando un rumore sordo.
Shinoda lo sentì, ma non si voltò, anzi, fece sentire distintamente che stava andando via a grandi passi per i contorti corridoi dell'edificio.
Rage fece scivolare la mano sulla maniglia della porta, facendole emettere un rumore netto e secco. Non era più chiusa a chiave dentro quella fottutissima stanza.
Shinoda si voltò. Quella maledetta porta era finalmente aperta.
La ragazza ora era rannicchiata dall'altra parte della stanza, nascondendosi nell'ombra.
Shinoda bussò, ma la porta si aprì con una leggera folata di vento proveniente dall'interno.
"Diana..."
"Sono Rage. Diana non c'è più." disse una voce nel buio.
"Va bene Rage."
Due ali minacciose comparirono dall'angolo più buio della stanza, mentre due fugaci occhi rossi fissavano il ragazzo.
Un'ombra pallida uscì dal suo nascondiglio, tirata a forza per un braccio da Shinoda.
"LASCIAMI ANDARE!" sbraitò liberandosi Rage, per poi finire nella morsa dell'abbraccio di Shinoda.
Cercando di dimenarsi, finì solo per essere stretta di più.
Si arrese. Non aveva più voglia di combattere, anzi, non ne aveva la forza, ma non lo avrebbe mai ammesso. Mai.
"Rage..."
Emise un ringhio, cercando quasi di spaventarlo.
"Once you go black, you never come back. Te lo diceva sempre Ruby."
"GYAAA!" emise un verso più forte e sbatté il fratello dall'altra parte della stanza, quasi sfondando la parete, per poi prendergli la faccia con degli artigli neri e affilati, schiacciandogli la faccia al suolo. Lo rigirò e lo bloccò con una mano, se così poteva essere definita, sul collo e una puntata verso la sua faccia, pronta a squartarla.
"Rage..." singhiozzò col volto in lacrime "... È così che pensi di vivere? E così Ruby ti ha salvato la vita solo per permetterti di piangerti addosso... Eh, è per questo che ti ha salvato la vita? VUOI SPRECARE IL DONO DI TUA SORELLA IN QUESTO MODO?"
"Ru..." mollò la presa. "By..." tornò normale.
Una goccia bagnò la faccia del fratello, mentre la sorella singhiozzava con versi simili a guaiti.
Shinoda si rialzò e aiutò Rage a fare lo stesso.
"So... Sono sola." disse abbassando il capo e abbracciando Shinoda.
"Oh, e io chi sono?!" esclamò in tono ironico e facendo finta di uscire dalla porta.
"Fer... Mo..." disse cadendo in ginocchio e tendendo il braccio con la mano aperta verso il giovane. Le sue lacrime erano tendenti al rosso per non si sa quale motivo. Sangue? No, non poteva essere.
"Shi... Noda... Non lasciarmi mai s-s..."
"Non ti lascerò mai sola." disse girandosi e abbracciando la sorella, che si abbandonò nelle sue braccia. Il giovane le accarezzava i capelli per calmarla. I vestiti dei due erano impregnati di sudore freddo, sangue e lacrime.
"Ehy... Vieni." disse trascinandola per un braccio verso il corridoio.
Le coprì il volto con le mani.
"La... Sciami..."
"Shh... Tranquilla... È una sorpresa, tu cammina e fidati di me."
"Ok..." disse non molto convinta.
Dopo un po'di buio, ci rivide di nuovo.
Shinoda aveva portato la sorella in una stanza enorme, ma che dopo qualche secondo sembrò ancora più immensa per via dell'illuminazione che a mano a mano mostrava nuovi angoli dell'atrio.
Un enorme palco rialzato stava al centro della stanza, contornato da un'infinità di strumenti musicali di tutti i tipi: dai più antichi a quelli più tecnologici, da quelli più semplici a quelli con le forme più complesse.
"Guarda." disse prendendola per mano e facendola volare fino al palco.
"Non conoscevo questa stanza... È meravigliosa!" disse abbozzando un sorriso.
"Infatti questa stanza la conoscevamo solo io e Ruby. Era il nostro piccolo segreto. L'abbiamo allestita, ristrutturata e riverniciata io e lei." disse indicando il soffitto interamente costellato da disegni e graffiti di ogni genere.
"Wow, è fantastico! Ma... Perché mi hai portato qui?"
"Per farti suonare, ovviamente." disse come se desse per scontata la risposta.
"Ma... Io non so suonare... E nemmeno cantare..." disse abbassando e scuotendo il capo, fissando il terreno.
"Ma io sì." le sussurrò alzandole il viso, prendendolo per il mento con una mano. "Ogni strumento che vedi qui io lo so suonare... Per quanto riguarda il cantare..."
Emise un urlo di dieci secondi.
"Che... Cos'era!?" disse sbalordita Rage.
"Questo, mia cara sorella, si chiama scream. Prova tu."
"Ma io..."
"Provaci." la incoraggiò facendo uno scream di diciassette secondi.
"Please..." disse sorridente, emettendo un urlo così potente da far retrocedere di qualche centimetro il fratello.
"W-Woh. E tu non sapresti cantare, eh?"
"Se questo è cantare... Ho... Gridato per ventidue secondi..."
"Quello era uno scream, quante volte te lo devo ripetere? E comunque è il primo passo alla volta del tuo futuro da cantante!" la incitò alzando il pugno verso l'alto.
"Se lo dici tu..." borbottò roteando gli occhi da tutte le parti.
"Che strumento vorresti suonare?"
"Beh... Io..."
Saltò giù dal palco e iniziò a girare per tutta la stanza in cerca di ciò che sarebbe stato il suo primo strumento.
Passò la mano sulla batteria, sul sax, sulla consolle... Ma no, non era ciò che voleva.
Sbarrò gli occhi. Quelli erano perfetti. Quei due, quelli che Ruby suonava come se ci mettesse l'anima dentro.
"Br... Brotha. La chitarra elettrica e il piano: Ruby era un fottuto dio del piano e un genio con la chitarra. Insegnami a suonarli!" gli ordinò in un tono fra il supplichevole il determinato.
"Che legame..." biascicò prima di farla sedere sullo sgabellino di pelle nera in tinta col pianoforte.
"Ti piace? È del 2014... È stata dura ripararlo e accordarlo, ma ce l'ho fatta tuuutto da solo!" esclamò orgoglioso.
Rage iniziò a strimpellarlo, facendo emettere allo strumento note che trasmettevano tristezza. Lo sguardo perso nel vuoto, il capo chinato e coperto dai capelli, le mani che andavano da sole.
"R... Rage."
Lei si svegliò da quella che era la sua piccola e triste fantasia, accorgendosi che le mani di Shinoda erano appoggiate alle sue e la guidavano a comporre una melodia.
"Chaos Theory, Eighth, Hybrid Bloody Ending. Ci lavoro da un po'." le sussurrò all'orecchio.
"B-Bella."
"Sarei felice se la completassi con me, Rage... Ma serve la chitarra. Prima impari a suonare il piano, poi la chitarra, infine la voce. Solo allora potrai suonarla insieme a me."
Detto fatto. Una settimana dopo sapeva già suonare quasi meglio di Shinoda, sapeva leggere la musica, sapeva cantare. E ci metteva l'anima e il cuore nel farlo. O meglio, voleva metterceli dentro, ma non aveva più né una ne l'altro.
"Brotha... Grazie. N-Non sono più sola." disse sorridente appena appoggiò i fogli dello spartito sulla scrivania della loro stanza.
"Ecco a te. Sono le canzoni dalla otto, la mia preferita, alla dieci. La undici... Beh... Non-Non mi piace." disse abbassando il capo.
Lesse tutti i testi con minuziosa attenzione.
"Invece credo che questo diventerà il mio singolo preferito." la rassicurò, avvolgendole un braccio intorno alla spalla.
"Grazie! Grazie! Grazie! Grazie!" esclamò con le lacrime agli occhi, abbracciandolo.
"Ok... Prego... Ma ora mi puoi lasciare?" domandò dopo quasi dieci minuti.
Rage divenne rossa come un pomodoro.
"Ma sì, certo... S-Scusa..."
"Tr-Tranquilla!" balbettò.
I giorni passavano, ma l'ombra dentro gli occhi di Rage non passava.
Stava sempre e solo con Shinoda, non rivolgeva la parola a nessuno.
C'era anche chi pensava stessero insieme e, dopo un leggero arrossimento delle guance dei due, smentivano tutto: lei a suon di pugni, lui a parole.


Sala delle armi, ore 6.32, 6 mesi dopo la morte di Ruby


"Sei proprio sicura di volerlo fare di nuovo?"
"Non ne sono sicura, lo sono di più! E questa... Sarà la volta buona." disse Rage più determinata che mai, fissando il fratello negli occhi.
"Vuoi venire con me?" disse avviandosi verso la porta a passi veloci e cadenzati dal suono delle due tintinnanti medagliette che portava al collo.
"Rage aspet-" esclamò Shinoda cercando di seguirla, ma un ringhio animalesco lo fermò sul colpo.
"Sei proprio strana, lo sai sista? Prima me lo chiedi, poi mi fai capire di non seguirti..." disse poco prima di vedere la sorella scomparire dalla sua vista.
"Hihihi... Ma ti starò attaccato lo stesso, sappilo." sussurrò una volta presa la sua moto per seguire la sorella.
La ragazza sfrecciava sul suo bolide nero ad una velocità impressionante, alla ricerca di qualcosa, o meglio di qualcuno.
Indossava un cappotto nero lungo fino alle caviglie, stivali neri come i guanti, una maglia rossa e una sciarpa bianca.
"Strano. È uguale a..." la frase che Shinoda stava per pronunciare fu strozzata da una immensa tristezza.
Si limitò a seguirla in silenzio. I capelli rosso sangue con quella luce fioca parevano più chiari, come una criniera fiammeggiante che svolazzava al vento.
Il bolide nero si fermò davanti a un edificio con le pareti in cemento armato.
"È questo." sussurrò la ragazza infilando la testa in un cappuccio nero e coprendosi il volto con una maschera bianca dalle decorazioni rosse, simili a cicatrici. Un grande sorriso, di un rosso più scuro, era diviso alle estremità dalle due decorazioni. Una piccola corona nera era dipinta al centro della fronte.
Due occhi scarlatti brillavano come rubini da dietro la maschera.
"No! No! NO!" continuava a ripetere Shinoda, accortosi del cambiamento di colore degli occhi della sorella. Quel rosso poteva significare solo una cosa, e Shinoda lo sapeva.
Si precipitò all'interno dell'edificio in cerca della sorella, ma fu tutto inutile. Aveva perso le speranze ormai del tutto, ma un boato assordante gli fece capire che stava succedendo qualcosa vicino a lui.
Corso in direzione del luogo da cui quel rumore era partito, vide cinque pareti rinforzate e parallele fra loro completamente distrutte da delle voragini consecutive.
Da quei buchi si riusciva a vedere l'esterno: uno spettacolo orribile.
Una figura nera stava aggredendo un uomo sulla trentina con una furia inarrestabile.
L'uomo steso a terra implorava pietà, nascondendo il viso con un braccio.
"Ti prego, tu, aiutami!" urlò l'uomo accorgendosi della presenza di Shinoda.
La figura si girò verso di lui, fissandolo incredula e rabbiosa allo stesso tempo. Emise un ringhio molto simile a quello di un canide.
L'uomo steso a terra approfittò della distrazione del suo aggressore, ne approfittò e gli scalfì la maschera con un fendente. La maschera si crepò e poi si ruppe, mostrando parte del viso nascosto dietro di essa. Un occhio rosso dalla pupilla affusolata, ricco di odio e di sete di vendetta mostrava una voglia di trucidare chiunque avesse messo a repentaglio il suo piano.
Shinoda rimase scosso da quello sguardo demoniaco che pian piano diventava da scarlatto ad arancio.
"Non... Non è possibile!" disse pietrificato Shinoda.
La figura si girò verso il suo avversario, lo alzò e lo sbattè contro la parete, crepandola notevolmente.
"Tu... Hai rovinato la vita... A mia sorella!" urlò la figura.
Era una voce di donna, ma non era quella di Rage. Sì, ci somigliava molto, ma non era la sua. Era quella di...
Shinoda deglutì dalla paura.
"Shinoda, muovi un dito e faccio fuori anche te." sussurrò quella figura.
"Ma tu... Chi sei veramente?" balbettò il ragazzo.
"Io... Sono un giustiziere vendicatore. Tutto ciò... Non ha a che fare con te, perciò stanne fuori."
Fece una pausa, poi estrasse dal nulla la lama che apparteneva a Ruby e la impugnò al contrario. Strano, solo lei lo faceva.
Mandando un fendente contro l'uomo, urlò colma: "MUORI, SHINRAAA!"
L'uomo intercettò il colpo e lo fermò con la spada. "Chi sei veramente?" chiese in tono di sfida, ma con una punta di paura.
"Il tuo peggior incubo, bastardo. Mi hai fatto un torto tempo fa... E lo hai fatto anche a mia sorella... Ora pagherai." disse sbuffando.
Detto ciò, si lanciò contro Shinra e, con una forza incredibile, lo sbatté in aria, gli saltò sopra e lo fece rovinare a terra, prendendogli l'arma.
Shinra era ridotto a un cumulo di ossa rotte e sangue e sembrava svenuto.
La figura mise dietro la schiena le spade e le sistemò con un drappo in modo che non cadessero.
Si avvicinò lentamente a Shinra, mentre parte della sua maschera collassava, mostrando la parte inferiore della faccia: un sorriso irreale cingeva il suo viso completamente immacolato, di un pallido cadaverico. Gli occhi tornarono rossi.
"O... Nore... V... Vendetta... Morirai... Oh, sì, morirai... Tra atroci torture..."
Si mise sopra di lui e lo fece rinvenire a suon di pugni.
"Non sta bene che ti addormenti proprio sul più bello..." disse la figura, spalancando gli occhi e, sorridendo, infierì fino a spaccargli la faccia. Si leccò via il sangue dai guanti, gli spaccò prima tutte le dita, poi la mano, dopo i polsi, infine le braccia e le spalle.
Lo alzò. Shinra, non si sa come, rimase in piedi. La figura si allontanò.
"Tu... Non sei Rage..."
"Cosa te lo fa dire?" il tono era rabbioso, ma tendeva al triste, troppo al triste.
"Rage non fa così."
Un pugno partì. La figura fu scaraventata indietro e Shinra si alzò. Aveva la carne e le ossa maciullate, che sporgevano da ogni articolazione, gli occhi erano gonfi e rossi, da ogni apertura del suo corpo usciva sangue.
"HAI ANCORA IL CORAGGIO DI RIALZARTI, EH?" sbraitò la figura.
"Basta Rage!" esclamò Shinoda.
Si bloccò di colpo: "IO-NON-SONO-RAAAGE!"
Detto ciò, sfilò le due spade, scattò indietro per prendere la rincorsa e si precipitò verso Shinra, facendo cozzare le lame contro il terreno, facendogli emettere delle scintille e dei suoni acuti per l'attrito. Poi accadde l'inevitabile: la figura usò le sue armi sull'esanime Shinra, lasciandogli due ferite a X.
Cadde a terra emettendo un tonfo sordo, ma ciò non bastava. Doveva soffrire di più.
"Stupida feccia, mai mettersi contro noi due..." sussurrò sorridente prima di spaccargli le gambe e la schiena, piantandogli infine la lama bianca nel petto.
Shinra smise di respirare.
"Mff... Ngh... Ha... Ha... Hahaha... HAHAHAHAHA! Finalmente... Sì... VENDETTA! MUHAHAHA!" ridacchiò.
Prese la moto e partì verso la spiaggia, certa che Shinoda l'avrebbe seguita.
"Ma bene, un impiccione..." sbuffò accelerando.


Spiaggia di Lidos, ore 20.13, 6 mesi dalla morte di Ruby


Giunta alla spiaggia, la figura si fermò e scese dalla moto nera.
Shinoda la raggiunse e sbraitando imprecava incredulo di aver visto una persona, se così si poteva chiamare, trucidare un umano fino a quel punto.
"Shh..." sussurrò sorridente la figura. Quel sorriso, accentuato dagli occhi scarlatti di lei, faceva congelare il sangue nelle vene.
Si tolse la maschera e ridacchiò.
"Tu sei... No, non può essere... Tu sei morta!"
"Shh... Questo è il nostro piiiccolo segreto. Dillo a Rage e ti faccio fuori. Sul serio, non dirglielo, per favore." gli sussurrò all'orecchio dopo essersi rimessa la maschera e mettendo l'indice davanti alla bocca.
Si stava avviando verso la moto, ma si fermò di colpo, come presa da un proiettile e cadde in ginocchio, poi con la faccia a terra, emettendo un tonfo secco.
"RUBY!" urlò Shinoda prendendo la ragazza in braccio e togliendole la maschera.
Sbarrò gli occhi.
"Che... Brotha? Che è successo?"
Una ragazza dai capelli rossi lo fissava confusa, in cerca di una spiegazione.
"Rage..." Shinoda non sapeva che dire: gli era stato raccomandato di non riferire a Rage l'accaduto. Ma a tutto c'è una soluzione: cosa dire, se non ciò che RAGE aveva fatto?
Sorrise e la guardò negli occhi: "Guardati la schiena."
Alzandosi Rage notò che sentiva un peso dietro, si girò e vide che le else delle due lame gemelle le cingevano le spalle. Sorrise e scoppiò in una risata simile a quella di qualche ora prima. Cambiava solo una cosa: la voce. Ora era la sua, quella di Rage.


Dormitorio di Misaki e Evelyn, ore 00.09


Qualcosa ruppe la silenziosa quiete della notte. Evelyn emise un urlo raccapricciante, svegliandosi di soprassalto, come se fosse appena tornata da un incubo infernale.
"Allora... È questo che nascondeva..." borbottò Evy abbassando il capo.
"S-Sì... Domani le diremo tutto, ok?"
Qualcuno bussò.
"Chi... È?" sussurrarono in coro le compagne di stanza.
"Siamo Shinoda ed io, Rage. Abbiamo sentito che urlavi... Cos'è successo Evy?" chiese una voce tremante dall'altra parte della parete.
La porta si aprì leggermente. "Prego, entrate." disse Misaki a bassa voce.
I due si accomodarono sul letto di Evelyn, cercando di calmarla.
Continuava a ripetete frasi sconnesse e parole come "Lame gemelle", "Ruby" o "Diana", finché, ad un certo punto, Rage abbassò lo sguardo, capendo ciò che era successo.
"A-Avete... Lo avete visto, vero?" il suo tono non era arrabbiato, anzi, era quasi sollevato, ma dentro di esso c'era un concentrato di dolore. Alcuni di quei ricordi erano completamente scomparsi dalla sua mente, ma quella notte erano ricomparsi come un incubo che non l'avrebbe mai lasciata.
"Sì, ma è stato un incidente." biascicò abbattuta Misaki.
"Cosa vi e saltato in mente?" stava per dire Shinoda, ma venne preceduta da una Rage in tono maturo: "Non fa niente. L'hai detto anche te: prima o poi doveva accadere..."
Shinoda sorrise.
"Brava Rage." pensò.
"Dai, ormai è successo, non si torna più indietro. Andiamo brotha. Buona notte ragazze!" esclamò con un sorriso sulle labbra.


Dormitorio n.8, ore 00.28


"Rage... Dimmi la verità, lo sapevi, vero?"
"Non proprio... Diciamo... Che l'ho intuito. So che è stato un incidente e so che posso contare su di loro. Mi basta questo. E poi... Se non fosse successo nulla... Non sarei la Rage che sono oggi!" disse abbracciando il fratello, poco prima di coricarsi e addormentarsi.

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Capitolo 5
*** Intelligence ***


Era ormai passato un mese da quando le due allieve di Rage avevano scoperto il suo triste passato, ma nulla sembrava cambiato, anzi, solo una cosa: Evelyn e Misaki erano migliorate nella lotta e nelle capacità di intrufolarsi ovunque, doti indispensabili per qualunque spia; Rage si era auto complimentata per la ventata di ottimismo che aveva portato in loro, dote che per quanto a lei estranea non le dispiaceva affatto in quei momenti. Ma di quanto avessero appreso dalla sua maestra probabilmente se ne accorse solo una mattina, nel momento in cui meno se lo aspettava e volesse aspettarselo…
 
Campo base, sala delle armi, ore 6.05
 
Silenziosamente, una figura cercava di avvicinarsi all’uscita sul retro della grande sala, senza far rumore e rimanendo opportunatamente nascosta nell'ombra della pallida aurora non ancora completamente sorta. La donna aveva ormai stretto il palmo curato della sua mano sulla maniglia antipanico e si accingeva a premerla delicatamente per non amplificare il rumore dell’apertura di essa, quando un movimento fulmineo alle sue spalle la pietrificò impedendole di compiere il movimento, e in un attimo una mano le aveva bloccato la spalla.
Quasi come in conseguenza del gesto, una  delle luci si accese.
La ragazza che le tratteneva la spalla la osservò bene più e più volte, sperando di essersi sbagliata, ma alla fine scoppiò in una grossa risata resasi conto di CHI aveva beccato in fallo.
"Ra... Rage!? Pfff... HAHAHA! Oddio, oddio, un maschiaccio come te..." la canzonò Misaki riferendosi a ciò che indossava.
La caporeparto stava infatti sfoggiando un vestitino da ufficio nero, i capelli raccolti con un mollettone dorato e le scarpe nere col tacco. Le due medagliette, nascoste sotto l’elegante divisa, erano state sostituite da un sottile nastro di raso nero che le avvolgeva morbidamente il collo. Un piccolo tocco di trucco completava l'opera.
Rage impallidì di colpo, per poi diventare rosso fuoco, tale qual era il rossetto che le illuminava le labbra.
"È... È una copertura! Fa tutto parte di una missione! Smettila di fissarmi così solo perché ho un po'di trucco e un completo da ufficio!" sbraitò attirando l'attenzione delle altre due figure che si erano intrufolate nella sala scivolando nell'ombra come due fantasmi. Era circondata, quasi fosse un incubo, da Shinoda, Evelyn e Misaki.
Le due ragazze trattenevano a stento le risate, mentre un imbarazzato Shinoda, rosso come un peperone, fissava sua sorella come se ella fosse un alieno.
"Un vestito? NON TI AVEVO MAI VISTA CON UN VESTITO SISTA!" sghignazzò forzatamente.
"Non è un ve... Un veee... È un completo da ufficio per la mia missione! Ora smettetela e fatemi prendere le armi. Ho fatto rapporto l'altro giorno ai piani alti dell'esercito e mi hanno detto che posso procedere!"
"Quale missione?!" chiese Evelyn con una punta di ironia.
"Mpf... Quella... Dove... Beh... Io... Ecco... SONO INFORMAZIONI RISERVATE! Ma se volete, venite e fatemi da palo."
"Ok, miss vestito elegante!" ridacchiò Misaki.
 
Periferia di Lidos, luogo segreto, ore 7.10
 
"Bene, siamo arrivati. Lavoro qui da mesi ormai. Faccio la classica segretaria del pezzo grosso. Qui dentro c'è una persona che devo uccidere..."
"Chi?" chiese Shinoda.
"Chi se non il capo! Ma devo scoprire prima chi sia. Infatti quel pezzo grosso non è al vertice, ma sappiamo che sa chi sia il suo superiore e dove si trovi... Beh, se volete, fatemi da pali: vestiti così siete troppo... Ehm... Come dire... Vistosi!?"
"Umpf... Ok..." sbuffarono i tre incrociando le braccia e guardandosi fra di loro come per comunicare il da farsi senza dirlo a "miss eleganza".
Rage entrò senza voltarsi, incespicando sui tacchi, per poi riprendere con passo svelto, come se sui tacchi ci avesse sempre camminato.
Si stava aggirando per i tortuosi corridoi con aria furtiva, ma sentiva che qualcosa, anzi, qualcuno la stava seguendo. Senza darci troppo peso, proseguì per la sua strada, tenendo d'occhio ogni minimo particolare.
"Mai abbassare la guardia." si suggerì nella mente.
Dopo qualche passo, si voltò di scatto: sì, ne era certa. Un'ombra era scivolata dietro l'angolo. Corse, ma superato l'incrocio di corridoi, non c'era nessuno.
"Qualcosa non vaaa..." ringhiò felice e piena di adrenalina.
Si voltò dopo aver sentito degli spari provenienti dal corridoio parallelo a quello in cui si trovava prima; si precipitò  in quella direzione trasformandosi in ibrido, ma stando attenta a non farsi beccare dalle telecamere. Ma constatato ormai il disastro, tornò umana lasciando sempre pronti all’occorrenza i denti acuminati e le unghie leggermente affilate.
"Ma bene, caro collega... Beh, tanto ti detestavo..." ridacchiò lei, fissando un corpo dalla testa squarciata dall'esplosione del colpo.
Mentre osservava compiaciuta quella fine opera come se fosse stata lei stessa a crearla, sentì qualcosa di freddo toccarle la nuca, ma infondo se l'aspettava: gelida come l'azoto liquido sorrise e sbuffò leggermente.
La sua mano si era contratta di poco, mentre il braccio opposto era teso verso la coscia, dove teneva nascosta una lama.
"Hihihi... Credi di aver vinto, stupido idiota della feccia? Guarda il tuo petto..." ridacchiò Rage riferendosi alla lama puntata al cuore del suo aggressore.
"Io... Un membro della feccia!? Un idiota? Uno stupido?" tuonò di risposta dopo aver completamente ribaltato la presa puntando, non si sa come, la lama sui polmoni della ragazza-vampiro dalla parte posteriore del corpo.
"Mi pare di capire che tu sia uno come me... Muhahaha! Bene, allora possiamo metterci d'accordo." sogghignò Rage dopo che l’uomo ebbe mollato la presa.
"C'è una telecamera. Ti sta fissando, razza di sprovveduta!" continuò la figura puntando il dito verso un angolo. Non si vedeva nulla, ma poi, con un colpo preciso, questi lanciò la sua arma verso il soffitto, beccando in pieno qualcosa. Ci fu in quella zona come un'interferenza, poi un piccolo oggettino delle dimensioni di un bottone cadde a terra.
"Eccola." mormorò mantenendo costantemente uno sguardo gelido e privo di scrupoli, tenendo gli occhi fissi su quella segretaria di dubbie intenzioni che nel frattempo fece ritornare normali fauci e unghie.
Successivamente, quest’ultima si voltò, riprese l'arma e iniziò a giocherellarci, come suo solito, facendo dei complicati trick.
"Sono Rage Smith. Tu devi essere Ellery Harper, o, per meglio dire, Were. Mi hanno informato della tua presenza."
"Rage... Smith?! Sei per caso sorella di Ruby?"
"Ma ovvio. Peeerò..." disse prendendo un grosso respiro e prendendo in mano le sue due piastrine. Il suo tono si fece fra il serissimo e il sarcastico: "Tu sai troppo sul mio conto, e io troppo poco sul tuo... Ma suppongo che, per una volta, un genio del male come me possa fare un'eccezione per UN AMICO..."
"Un... Amico!? Dio, tu stai delirando..." disse lui fissandola stranito.
Rage fece lo stesso, ma con sguardo cupo e attento. Era un ragazzo sui 25 anni, dai capelli lunghi, lisci e neri. Sul braccio destro aveva un tatuaggio raffigurante un'aquila che vola di fronte alla luna piena. Gli occhi castani e lo sguardo di ghiaccio erano accentuati da un taglio cicatrizzato sotto l'occhio sinistro di una forma particolare: un taglio orizzontale ricurvo con la conca verso il basso dalla quale escono tre tagli verticali più piccoli come a fare dei denti.
Portava una giacca di pelle nera, senza maniche, lunga fino alle caviglie e aperta dietro, jeans e maglietta senza maniche della stessa tonalità di blu molto scuro. Indossava scarpe sportive nere e portava al collo una piastrina d'acciaio con incisa un'aquila.
"Beh, di certo non conviene a nessuno dei due avere l'altro come nemico, indi per cui ti consiglio di comportarti da bravo ibrido e di collaborare." disse Rage ad un certo punto.
"Frena cosetta, tu così a me non parli." sentenziò lui, stendendo la mano e il braccio in segno di ammonizione.
"Non sei nelle condizioni materiali per comandare: conosco ogni singolo anfratto di questo posto, dove ci sono delle telecamere e dove non passare. Quindi sta zitto e buono."
"Poco fa non mi sembrava che ti ricordassi di quella…" ribatté accennando alla telecamera formicolante di scintille ancora sul terreno; infine concluse: "Non mi sottometto a 'miss eleganza' solo perché pensa di essere avvantaggiata qui."
Emettendo un ringhio, Rage divenne ibrido per puro istinto, facendo comparire l'equipaggiamento vampirico e i soliti occhi dalle iridi leggermente arrossate.
"Tsé, giochetti da bimbi. Vediamo... Vampyrum spectrum, a giudicare dalle caratteristiche della tua forma ibrida."
Si trasformò a sua volta: nella sua forma ibrida, Ellery aveva un pelo color argento, tendente al grigio su mani e piedi. Il viso si era allungato leggermente, le orecchie erano cresciute a punta e affioravano dai capelli per permettere un aumento dei sensi uditivi e olfattivi. Le unghie erano diventate artigli affilati e una coda di media lunghezza per mantenere l'equilibrio ad alte velocità spuntava dall'apertura del cappotto.
D'improvviso la donna pipistrello si bloccò sul posto e cominciò a balbettare incredula.
"OOOH... MIO... DIOOO! SÌÌÌ! SEI UN LUPO, VERO? MA CERTO CHE SÌ! UN LUPO! UN LUPO! UN LUUUPOOO!" strillò Rage tornando normale e avvinghiandosi al collo di Ellery, il quale, incredulo, si era stupito della reazione bambinesca della ragazza, capendo, poi, grazie alla sua intelligenza di gran lunga fuori dal comune, che quell'atto era dovuto ad un collegamento affettivo con la sorella: anch'ella condivideva i geni di un canide, il cane lupo cecoslovacco, molto simile peraltro al lupo...
"FARÒ TUUUTTO QUELLO CHE VUOI!" disse con una bavetta alla bocca e gli occhi lucidi per la commozione. "Ma torna normale e ti uccido."
Ellery non ci pensò neanche lontanamente ad accontentarla e tornò normale, con grande rabbia della ragazza, la quale gli strillò con uno dei suoi famosi scream: "Torna ibrido, pezzo di un canide!"
Ellery, divertito, lo rifece.
"Canide... Figoso... Luuupo... Ruuuby..."
Tornò normale di nuovo, e Rage ritornò immediatamente iraconda.
"Perdo il controllo quando sono in forma ibrida... Del resto anche tu, no? Hai i sintomi di una mal-"
"Non c'è bisogno che lo sbandieri a destra e a manca, sì, anche io perdo il controllo. Ma ora... CHI SE NE FREGA SE PERDI LA SANITÀ MENTALE! TORNA IBRIDO E FARÒ TUTTO QUELLO CHE VUOI!"
"Tutto tutto?" sogghignò il ragazzo.
"Tutto tutto."
"Bene, proviamo: fai un giro su te stessa."
"MA ANCHE NO!"
Ellery si trasformò in ibrido.
"Sììì!" esclamò Rage girando come una trottola.
"Mi puoi tornare molto utile..." sogghignò Ellery tornando nomale.
"Mh!? Che cosa!? Tu... NON CI PROVARE!"
"Umpf, vedrò di trattenere la mia indole da malefico genio del male... Prima di tutto andiamo nella sala delle registrazioni: ci stanno controllando lo stesso secondo me... E poi voglio prendere una copia delle riprese delle mie torture alla feccia, mi rilassa vedere le mie vittime implorare la morte..."
"A chi lo dici... Vieni, ti ci porto io. So la strada più breve e più sicura."
 
Base segreta nemica, sala registrazioni, ore 10.10
 
Dopo qualche minuto di smanettamento sulle varie memorie digitali, ogni traccia della presenza del lupo grigio e di ogni orrore verificatosi al suo passaggio venne condensata in un unico piccolo hard disk e cancellata dalla memoria globale della scheda madre. Le mani precise e scattanti dell'agente dell'Intelligence volavano sulla tastiera come se stessero compiendo una danza leggiadra con l'abilità di un vero esperto.
"Eccolo. Il video è questo: toh, eccoti un doppio, così impari a torturare..." disse Ellery porgendo una copia di una pratica mini chiavetta su cui era stato salvato il file.
"Frena lupetto, non pensare di avere di fianco una santarella... Non ho né cuore né anima... E non provo pietà. Perciò abbassa la cresta e fammi lavorare. Distruggiamo il dvd, forza."
"Aspetta solo un attimo..." lo frenò lui con ancora gli occhi incollati allo schermo "eccola, la mia parte preferita! Osserva la sua espressione... Piena di terrore della morte..."
Rage tornò a guardare la registrazione dovendo ammettere di star assistendo ad un vero e proprio spettacolo: "Woh, non credevo esistessero torture tanto brutali…" sussurrò asciugandosi una leggera bavetta e fissando il monitor, sconcertata di aver trovato qualcuno che le desse parecchio filo da torcere in ambito di torture, nelle quali era reputata maestra.
Una persona a terra con le dita e gli arti distrutti dagli spari e dagli attacchi del ragazzo-lupo implorava la morte in lacrime che scendendo si mischiavano col sangue e i liquidi fuoriusciti dagli organi maciullati.
"Bello, eh?"
"Ha sofferto troppo poco." ringhiò Rage schietta e con una punta di rabbia che cercava a stento di trattenere. "Quelli della feccia devono morire tutti. Tutti, nessuno escluso. E fra le più atroci sofferenze. Devono patire il dolore di quando mi hanno tolto Ruby."
Il suo tono era diventato freddo e basso, come quelle voci che augurano la morte nei film horror.
"Questo è lo spirito che un soldier deve avere..." bofonchiò lui mantenendo un tono gelido quanto il suo sguardo.
"Ora muoviti, abbiamo un pezzo grosso da far parlare." tuonò alla fine, sempre con tono freddo e distaccato.
 
Base segreta nemica, porta dell'ufficio principale, ore 10.45
 
"Ecco, è questa la porta. Lascia il lavoro agli esperti, lupetto!" affermò seccata la 'segretaria' davanti ad un grande portone chiuso da varie serrature che solo gli addetti speciali potevano aprire. Infatti, prima di stendere entrambe le guardie senza far esalare loro neanche l'ultimo respiro, Rage aveva avuto la cura di farsi aprire la porta per poter consegnare dei documenti al suo caaaaro boss.
"Esperti dici? Come hai potuto vedere dal video, me la cavo molto meglio di te, per cui, fatti da parte sanguisuga." disse lui in tono ironico.
"Non paragonarmi a una banalissima sanguisuga!" sbraitò lei furibonda "Io sono un-"
"Un Vampyrum Spectrum, lo so bene. E se cedi così a una banale provocazione non vedo come reggeresti un interrogatorio senza ucciderlo prima di farlo parlare."
"Ok, capito. Entra, irromperò quando mi darai il segnale."
Ellery bussò alla porta e con tono "cordiale" chiese di entrare.
"Ma certo Diana, ti ho sentita dai rumori delle serrature… entra!" rispose un vocione da dietro la porta.
Rage ringhiò per un millisecondo quasi impercettibile... Ma QUALCUNO dalla indole sadica dietro di lei l'aveva sentita forte e chiaro...
"Bene... Diana? Molto bene." pensò.
"Non osare ripeterlo." bisbigliò lei senza farsi notare troppo.
"Senta Signor Niveo, Diana non c'è stasera, la sostituisco io: Ellery... Avrei alcune cose importanti di cui discutere con lei, se non la disturbo…" disse il ragazzo-lupo entrando e appoggiandosi sulla scrivania.
"Sì, dimmi pure." rispose egli, fattosi più accigliato a causa di un brutto presentimento.
"Beh, ho qualche domandina facile facile per lei... O meglio..." Ellery fece una pausa, chiuse gli occhi per qualche secondo, poi, alzandosi e mettendosi davanti al pezzo grosso, sfoderò un sorriso munito di fauci affilate. Aprì gli occhi i quali, volutamente, erano diventati talmente freddi fa far venire i brividi solo a guardarli. Nel vederlo così mutato in viso l'uomo comprese ogni cosa all'istante e scosse leggermente il capo incredulo ed atterrito.
Ellery aprì la mano. Le sue unghie erano lunghe e somigliavano sempre di più alle lame di una falce.
Alzò l'indice e gridò: "Primo... Io sono Ellery Harper e sono il tuo peggior incubo."
Alzò anche il medio: "Secondo: non sei il mio capo, sono fedele solo all'Intelligence, di cui faccio fieramente parte."
"E terzo..." fece una pausa, poi fece comparire il muso da lupo grigio, antenato di tutti i canidi, nonché suo fiero animale ibrido. I suoi occhi erano vuoti e quasi completamente gialli, ma di un giallo stranamente freddo. L'equipaggiamento cagnesco si fece più animalesco e le fauci erano grandi e minacciose.
A questo punto si avvicinò al 'capo' di Rage e diede il segnale di entrare alla ragazza-vampiro, la quale gridò a pieni polmoni: "IO... MI CHIAMO... RAAAGEEE!"
Gli ultrasuoni fecero fare all'arredamento e alle finestre una brutta fine.
"Diana è morta..." continuava a ripetere, avvicinandosi a lenti passi verso Niveo, il quale pur avendo una carnagione estremamente chiara potette sbiancare dal terrore di non uscire vivo da quella stanza.
Ellery si godeva lo spettacolo, anche se pensava che quel demone rosso avrebbe dato di più con maggiore controllo sul suo ibrido.
Rage prese per il collo della camicia il boss, lo alzò da terra e sorrise. Aprì la mano e la ficcò dentro l'addome della sua vittima, facendone scaturire sangue a grandi schizzi, i quali andarono a finire dappertutto. Rage si leccò via il sangue dagli artigli estratti dalla carne, poi, sbattendo a terra il corpo esanime, si chinò e lo guardò in faccia, tornando umana, ma mantenendo solo le ali.
Stava per perdere il controllo, ma non voleva darlo a vedere.
Ellery, avendo intuito lo stato della 'collega' e non volendo perdersi tutto il divertimento, la bloccò e iniziò a giocare con la preda che si contorceva dal dolore, e che non poteva neanche immaginare quanto ne avrebbe ricevuto in seguito.
"Vediamo... Prima che tu perda conoscenza, dicci le generalità del tuo capo."
"Non le so." rispose l'interessato.
"Menti spudoratamente." sogghignò Ellery.
"Lascia fare a me. Dammi la pistola e sta zitto." sussurrò Rage, facendo scomparire anche le ali e prendendo l'arma.
"Allooora... Roulette russa: c'è dentro un solo colpo qui. Sparerò ogni volta che menti. Se non vuoi diventare donna, immagino che tu capisca dove mirerò, ti conviene rispondere a questo ragazzo qui." disse scandendo leggermente le ultime tre parole, indicando Ellery con la pistola.
"No, LÌ no!" urlò la povera preda.
"Oh, sì, ne sono capace..." sogghignò come se avesse detto la cosa più normale al mondo.
"Dai, così vai oltre..." disse Ellery mettendo il broncio, che subito si trasformò in un ghigno malefico  "Scherzavo, dai... Se lo merita! Beeene... Quiz time! Dacci le generalità del tuo capo." continuò dopo aver sbuffato.
"Mai."
"Quindi le sai, eh?"
"No!"
Rage caricò l'arma e premette il grilletto, ma non partì il colpo. "Tsk... Tutta fortuna, bastardo."
"Avanti, parla." disse Ellery freddo come il ghiaccio.
"V... Va bene... È... È nella mia testa! Ho un chip di memoria proprio qui! Le sue generalità sono qui dentro e io non le ho mai viste, lo giuro!" singhiozzò in risposta l'interrogato, mettendosi le mani davanti per proteggere capo e ferite.
Ellery si avvicinò e chiedendo indicazioni di dove il fantomatico chip si trovasse, fece spuntare uno dei suoi artigli da lupo e con una precisione chirurgica estrasse il chip. Parte della carne pendeva dalla testa sanguinolenta, ma con uno strattone energico si strappò del tutto.
"Altro? Possiamo procedere, vero? Vero? VERO?" esclamò Rage guardando il compagno negli occhi.
"Mi pare ovvio. Oh, a proposito... Non mi unirò mai alla tua combriccola che qui fuori sta sistemando la sicurezza insieme al mio compagno X... Siete troppo deboli per noi dell'Intelligence."
"Intelligence? Uh, potrebbe tornare utile. Sicuro di non voler..." domandò Rage, per poi essere interrotta da un secco "No!" del ragazzo.
"Uff... Dai, su, falla finita e uccidilo." borbottò lei dopo poco in tono annoiato, facendo con la mano dei circoli.
"Non serve che mi dici ciò che devo fare, so fare il mio lavoro…" si fermò un momento, per poi esclamare con un tono rude e un ghigno malefico spaventoso stampato in volto: "Con estremo piacere!" poi, gli prese la faccia e gli cavò gli occhi con estrema violenza. Niveo giaceva ora nelle loro mani, senza neanche più la forza di ribellarsi. Soffriva e gridava, anzi, guaiva.
"Umpf, fagli ingoiare le graffette, così non urla!" suggerì Rage.
"Perché? Che divertimento c'è se non urla?"
"Puoi vedere la sua faccia implorare la morte e supplicare pietà... E con maggiore pathos!"
"No... conosco torture ben peggiori…" sentenziò aprendogli la bocca e infilandoci i suoi artigli, i quali, giunti alla gola, presero con la forza le corde vocali e, tirando energicamente, le strapparono e tirarono fuori dall'orifizio orale.
"Eddai, entri nel nostro gruppo?" riprovò a chiedere Rage, con tono fra il falso supplichevole e il lusinghiero.
"La mia risposta rimarrà sempre la stessa: un duro e secco no!"
"Umpf... Cattivo..." la faccia della ragazza era diventata come quella di una bambina capricciosa a cui vengono tolti i biscotti. Sì, certo, i biscotti! A chi non piacciono i biscotti?
"E se ti dicessi che abbiamo i biscotti?"
"Quali? Questi?" rispose Ellery estraendo dalla tasca e agitando due pacchetti dei deliziosi dolcetti, di quelli che solo Rage dava ai suoi allievi.
"Li hai rubati a Dark Rose e Kitsune, vero?" ridacchiò stranamente molto felice e compiaciuta.
"Chi? Le due ragazzine? Sì, a loro. Mi hanno chiesto loro la prima volta di unirmi a voi, ma come ho detto, non ci penso nemmeno."
"Allora sappi che hai preso i pacchi sbagliati: contengono una piiiccola sorpresa..." sghignazzò Rage facendo quasi combaciare pollice e indice e socchiudendo gli occhi, rendendoli delle fessure grigio fumo.
"Che cosa contengono?"
"Fai fuori il soggetto che hai davanti, dammi quei pacchetti, lascia la base e scappa. Una volta fatto vedrai."
Sorrisero entrambi. Qualcosa frullava dentro le loro menti, qualcosa ricco di odio e di malvagità, quella sete di sangue che solo una competizione fra sadici poteva regalare.
Ellery osservò il volto contratto dal dolore della sua vittima. Sorrise di nuovo.
"Avanti, smiiile!" lo incitò ad un certo punto, e facendosi prestare la lama da Rage, gli ritagliò un lembo di faccia per ogni parte, trasformando il taglio in un sorriso profondo che divideva la faccia da orecchio a orecchio.
"Oh, molto meglio. Sorridere fa molto bene, sai? E tu, lupetto, non è che mi leggi nel pensiero? Non dirmi che adesso vuoi..."
"TAGLIARGLI LA LINGUA E POI LE DITA DI MANI E PIEDI!?" dissero in coro ridendo della complicità altrui.
A sentire ciò, pieno di sangue e liquidi interni di ogni tipo, l'uomo perse conoscenza e poi la stessa vita.
"Umpf, quanta poca resistenza..." sbuffò Ellery.
"Tsk, la feccia, che M-E-R-D-A! Mi volevo divertire ancora un po', cavolo!" si lamentò Rage.
 Portandosi le mani dietro la testa e sedendosi teatralmente sulla sedia girevole  tenendo i pacchetti lontani dalla portata della 'ex segretaria' Ellery sbuffò: "Comunque sia, non ti azzardare mai più a intrometterti nei miei interrogatori, so benissimo fare il mio lavoro da solo, non a caso sono tra i migliori agenti della intelligence, se non il migliore."
"Sì, certo, e io dovrei lasciare a un secchione tutto il divertimento. MAI!" ribatté Rage prendendo la sedia e facendola girare su sé stessa per afferrare i pacchetti.
"Peccato che, come hai potuto notare anche tu, il secchione è di gran lunga più bravo di te in ogni ambito!" Ellery si alzò subito allontanandoli dalla sua presa.
"Vabbè, ora dammi quei pacchetti e fammi lavorare. Tu esci." bofonchiò Rage stendendo una mano verso di lui, senza muoversi e con la promessa di non attaccare.
"Umpf... E se volessi restare?"
"Moriresti! Anche se ciò non darebbe gravi perdite... A meno che tu non voglia entrar nel gruppo..."
"TI HO GIÀ DETTO DI NO!"
"Ok, allora scappa o crepa." disse lei con una calma e naturalezza disumani, accentuati da un sorriso smagliante e da uno sguardo furbo e malvagio allo stesso tempo.
Dopo che Ellery uscì, Rage si assicurò che ciò che era contenuto nei pacchetti fosse posizionato nei punti prestabiliti dalla stessa ragazza.
Canticchiando una canzoncina allegra per passare il tempo, girava per i corridoi graffiando la parte metallica del muro con l'indice destro, munito di un artiglio degno del miglior equipaggiamento ibrido.
 
Esterno della base segreta nemica, spiazzo dell'entrata principale, ore 14.03
 
"Dio, che noia!" urlò Evelyn alzando le braccia.
"Già, combattiamo contro la sicurezza da ore! Mi sono rotto le scatoleee!" sbraitò Shinoda scaraventando un nemico dall'altra parte dopo averlo imbottito di bombe. Ne seguì una violenta esplosione.
"Toh, va chi arriva! Il cervellone!" sbuffò Misaki riferendosi ad Ellery, appena giunto sul campo di battaglia.
"Abbassa le ali, vulpes vulpes! Tu e la tua professoressa da strapazzo che lì dentro sta facendo chissà cosa, siete delle nullità in confronto a noi dell'Intelligence!" sbottò in risposta l'indignato ragazzo-lupo, prendendo per la spalla il suo compagno di squadra, un ragazzo dal nome in codice X, o, come preferiva essere chiamato, Red.
Era un ragazzo dagli occhi scuri, i capelli lunghi e rossi, i lineamenti del viso gli davano uno sguardo furbo e pieno di energia.
Indossava una maglia senza maniche azzurra, i pantaloni bianchi, le scarpe rosse con le stringhe nere.
"Ehy, smettila! Ho già promesso che appena avrò finito le varie missioni mi unirò a loro! Non valgono così poco, eh!" ci rise sopra lui mentre ammazzava un altro individuo senza neanche guardarlo in volto.
"Dimmi che stai scherzando..."
"Sì, scherzo! Hahaha! Sul serio, a fine missione ci penso."
"Ehy! Amichetti del cuore! MUOVETEVI-A-COMBATTERE!" sbottò qualcuno dal nulla.
Un'esplosione colpì il campo di battaglia mentre una figura camminava teatralmente a rallenty, sorridendo e guardando fisso in avanti, verso la feccia incredula di ciò che fosse successo.
"Rage! Ma che hai fatto!?" urlò uno Shinoda completamente sconvolto.
"Semplice: dentro i nostri biscotti c'erano degli esplosivi. Rage li ha attaccati in punti prestabiliti, così la base avrebbe fatto BUM BUM!" disse Evelyn prendendo con le gambe un uomo per il collo e sbattendolo a terra con una violenza tale da spaccargli la faccia contro il terreno. "Azione, reazione, punizione…" mentre ripeteva quelle parole nella sua testa, la ragazza eseguiva movimenti sciolti e sempre diversi, falciando le vite di chiunque le si trovasse davanti.
"SÌÌÌ! BUM BUM!" ripeté Misaki entusiasta dell'esplosione, rifilando una scarica di pugni sul ventre di un altro tizio, fracassandogli la cassa toracica.
"Credevi seriamente che ci saremmo fatti fregare così facilmente?" gridò Rage dopo aver ucciso l'ennesimo individuo senza nome e senza volto della feccia con un solo gesto.
"Lasciamo stare, va... Sei così strana che nemmeno io, con un QI di 480, ti capisco... Ehy, Shinoda! Lascia a me quella parte di sicurezza che sta alla tua destra!" urlò di risposta a Rage e in ordine velato a Shinoda, il quale, ironicamente, per mostrargli quanto gli dimostrasse fiducia, lanciò una granata nella direzione nella quale si sarebbe dovuto dirigere Ellery, gridando: "Oooh, scuuusa... Intendevi questa parte destra?"
Rideva, giocava, in una battaglia dove la presenza di sangue era pari, se non superiore, a quella dell’ossigeno. Non ci poteva fare niente, era nato così.
Ellery si portò la mano al volto, visibilmente incazzato, per poi borbottare: "Sì, quella parte destra... Dimmi la verità, ti sto altamente sul cazzo, vero?"
"Per l'esattezza, ti voglio come amico perché hai un buon potenziale, ma allo stesso tempo... Beh, sì, mi stai sul cazzo in maniera mostruosa per come tratti mia sorella e le sue allieve."
Shinoda prese la mitragliatrice che teneva a tracolla dietro la schiena e gliela puntò per un attimo addosso, per poi concludere: "Sono molto, molto, mooolto protettivo e geloso nei confronti di Rage, per cui sfruttala o rivolgiti a lei nel modo sbagliato e ti bucherello come un tiro a segno, parola di cecchino. Mia sorella non si tocca."
"We, brotha! Che succede?" chiese Rage spuntando dal nulla in mezzo ai due ragazzi. La sua testa era inclinata leggermente e una strana espressione incredula le si era stampata sul volto. Non poteva credere che fossero passati solo dieci secondi netti e il suo cuore di fiamme imbottito di esplosivo si era già accanito sul nuovo arrivato.
"Niente, niente... Stavo solo chiarendo che..."
Rage interruppe Shinoda, tappandogli delicatamente la bocca e sfoggiando un bel sorriso.
"Ho 25 anni, me la cavo da sola, brotha..."
"Ehy, allegra famigliola! Volete lasciare tutta la feccia a noi?" sbraitò Misaki ad un certo punto, colpendo un membro della feccia alla nuca con le sue due fidate pistole.
"Già!" affermò Evelyn, che con la sua falce mieteva vittime su vittime.
"Dove diavolo avete preso le armi!?" gridò Rage accortasene solo ora, ricevendo in risposta un racconto non molto preciso. I tre che erano rimasti fuori ad aspettarla, erano riusciti a tornare a casa, svagarsi un po', tornare e ammazzare metà della gente presente mentre lei era dentro con Ellery.
Incredula, strabuzzò gli occhi, poi un'idea le accese la lampadina immaginaria che volteggiava sulla sua testa.
"Shinoda! Chaos Theory, Ninth, Rock That Death!"
"Con immenso piacere Rage." sogghignò lui con un sorriso quasi insano.
Shinoda aprì la leggera giacca che portava, facendone uscire una montagna di esplosivi, poi ne tolse dalle tasche, dalla maglia e dalla punta delle scarpe, e la montagna quintuplicò di volume.
"Beeene..." dissero i presenti all'unisono, ciascuno con tono diverso: chi di incredulità, chi di approvazione, qualcun altro addirittura con un piccolo timore.
"Credi che bastino?"
"Mah... Secondo me sono troppo poche..." ridacchiò Rage sfidando il fratello. Sapeva che poteva fare di meglio.
Shinoda si tolse la maglia, facendo comparire alcuni dei suoi tatuaggi. Uno raffigurava una fenice e spiccava sulla spalla sinistra, mentre sulla destra era raffigurata una carpa. A partire dai polsi aveva tatuate delle fiamme lunghe fin quasi al gomito. Sulla schiena aveva due dragoni e la scritta "The Shinoda" in maiuscolo sotto di essi. Sul petto aveva una rosa nera.
Quella visione fece spuntare sulla bocca di Rage una leggera bavetta: quel groviglio di tatuaggi, contorto e armonioso allo stesso tempo, la  affascinava, anzi la ipnotizzava.
La montagna di esplosivi era magicamente diventata dieci volte più voluminosa.
"Beh?" le disse nell'orecchio dopo essersi rimesso la maglia.
"S... Sì, ottimo... Ottimo! Bombeee!" esultò Rage con lo stesso tono usato da Shinoda quando l'aveva sorpresa quella mattina col vestito elegante da ufficio. Si asciugò in fretta la bava e aiutò il fratello a spargere le bombe. Adorava collaborare con Shinoda nelle sue complicate mappe mentali di distruzione, soprattutto quando la gente attorno a loro non aveva la minima idea di quel che stessero architettando.
Evelyn e Misaki diedero una mano a loro volta, ammazzando nel frattempo a suon di proiettili e fendenti la feccia che le intralciava.
I due membri dell'Intelligence, guardandosi le spalle l'un l'altro, si divertivano a torturare in massa gli avversari. Red utilizzando i suoi fidati guanti con artigli in metallo, mentre Ellery brandendo qualsiasi arma bianca o da fuoco gli capitasse sotto mano. Quest'ultimo si dimostrò un maestro di altissimo rango nel maneggiare ogni tipo di arma, dalle pistole alle spade, dalle lance alle falci, dai coltelli ai bastoni, dagli archi alle cerbottane, sapeva utilizzare qualunque cosa come arma mortale, ma non c'era alcun dubbio sul fatto che la sua preferita fosse la spada, ma non una qualunque, una spada che era solito portare nascosta sotto la giacca, per la precisione una katana giapponese del tredicesimo secolo: quando brandiva quella lama, nessuno sembrava poterlo fermare.
A un certo punto, due della feccia spararono un proiettile ciascuno verso Ellery con le loro pistole. Il ragazzo-lupo rispose estraendo la sua katana e utilizzandone il bordo della lama per deviare al traiettoria dei proiettili e farli andare nel bel mezzo delle fronti dei due mittenti, poi rimise la spada nel fodero.
Alla vista di tale mossa, tutti i presenti rimasero allibiti da ciò che avevano appena guardato.
Rage iniziò a tartassare Were con domande come: "Dove hai preso quella spada? Di che epoca è? Posso vederla? La posso brandire?"
Il membro dell'Intelligence si voltò verso la ragazza-vampiro con uno sguardo così penetrante che questa smise subito con le domande e iniziò a temere un attacco da parte di Ellery. Quest'ultimò, però, si limitò semplicemente a rispondere alla 'compagna'.
"Nessuno, e dico NESSUNO, può osare anche solo sfiorare questa spada oltre a me, se non per morire. Sono stato chiaro?!"
"C-chiarissimo." disse Rage con tono dispiaciuto.
"Perfetto. E ora riprendete subito a far fuori la feccia!" concluse schietto il ragazzo-lupo. Nessuno avrebbe mai avuto la sua katana. Nessuno.
"Ecco fatto!" esordì Misaki ad un certo punto, per poi ricevere in risposta un "Qui tutto a posto!" allegro da parte di Evelyn, Shinoda e Rage.
Questi ultimi due, una volta trasformati in ibridi, si affrettarono a lanciarsi nella mischia per recuperare i compagni, piazzarli abbastanza lontano da non rientrare nel raggio d'azione dell'esplosione, ma non solo: tornati umani, salirono sulle moto e le portarono lontano. I presenti membri della feccia non compresero quel che stesse accadendo e diedero per scontato che si stessero ritirando, così smisero di combattere esultanti e ignari di tutto. Poveri illusi.
Il terreno scivolava  meravigliosamente sotto le gomme nere. "Non capirò mai come fai a nascondere tutta quella roba sotto i vestiti e a non esplodere..." ridacchiò Rage girandosi verso il fratello che le frecciava di fianco.
"Ognuno ha i suoi segreti! Hahaha! Vuoi accendere te la prima bomba?" chiese lui passandole un oggetto che aveva l'aria di essere la risposta a tale domanda.
"Mi concedi quest'onore su due piedi?!" disse prendendo incredula l’aggeggio, girandoselo e rigirandoselo fra le mani.
"Beh... Sì, mi sento buono... Per 'Miss Eleganza' questo ed altro! Pfff... Hahaha!" rispose Shinoda sarcastico, vedendosi puntualmente lanciare un'occhiataccia divertita dalla sorella.
Scesero dalla moto poco dopo aver inchiodato davanti al gruppetto di soldati che li stava aspettando, rischiando di investire Red e Ellery. Questi saltarono repentinamente per poi atterrare sul muso e sul retro della moto.
"Ehy, scendete subito dalla mia moto!" esclamò Rage con disappunto.
"Se non aveste provato ad investirci, ora non saremmo qui sopra…" disse Red scendendo dal retro del bolide.
"Sta a guardare." sogghignò Shinoda in risposta. Tutti si chiusero nel silenzio più assoluto.
Con un gesto delicato, un piccolo CLICK risuonò nell'aria.
Con fragore immenso, una nube di polvere generata dall'esplosione delle bombe travolse tutta la feccia presente, mentre un relativamente leggero venticello scompigliò i capelli dei soldati. La nuvola di morte si espanse verso l'alto a forma di fungo, quasi si fosse trattato di un'esplosione nucleare.
"Woooh! Figata!" esclamò sorpreso Red, tenendo la bocca aperta per lo stupore.
"Beh, è normale per un tipo come Shinoda fare un casino del genere con qualche bomba..." spiegò Misaki alzando l'indice destro ed indicando con questo il luogo da dove erano fuggiti. Normale, forse non era l'aggettivo giusto per descrivere nessuno di loro, anzi certamente non lo era, ma guardando il quadro della situazione Misaki poté affermare con decisione che la normalità era un concetto troppo relativo per essere universale. Si voltò verso Evy di fianco a lei, ma si accorse che il suo volto era leggermente contratto da un'emozione che non riusciva ad individuare. Prima che potesse anche solo domandarselo, però, la ragazza mutò in un sorriso timido e si rivolse ad Ellery ed X: "Siete sicuri di non voler restare con noi? Non vi va di rimanere?"
"No!" urlò altamente alterato Ellery, il quale non si era fatto commuovere dagli sbrilluccicosi occhi viola della ragazza.
"Beh, io appena finisco le mie missioni mi unisco! Faccio abbastanza fatica ad attaccar bottone con gli altri, ma con voi mi trovo molto bene!" sorrise Red, quasi interrompendo il compagno.
"Giusto, quelle 'missioni'... Che palle..." sospirò Ellery.
"Dateci una mano!" li invitò X sorridente.
Shinoda si fece avanti ed alzò le spalle, come se fosse costretto a dare quella risposta: "Ci sto."
"Anche noooi!" esclamarono in coro le ragazze, battendosi il cinque a vicenda. Misaki era curiosa: di che missione si trattava? Guardò ancora una volta la sua compagna ma non vide in lei nient'altro che la solita Evy di sempre. Strano.
"Di che si tratta?" domandò lei infine.
"Della solita noia-post-missione... Raccogliere dati sull'accaduto e registrare tutto." disse Ellery sbuffando visibilmente annoiato.
"…AH."
"Un verbale in poche parole, eh lupetto?" tagliò corto Rage.
"Smettila con quel nome idiota, Diana!" strillò senza pensarci.
Come presa da un tic nervoso Rage esplose senza alcun preavviso ringhiandogli in faccia e trasformandosi nuovamente in pipistrello: "Smettila! Diana è morta! È morta, capito? Io sono Rage! Rage! Ficcatelo in quella testaccia!"
Stava per tirargli un pugno dalla forza spaventosa e dalla velocità impressionante, ma lui, calcolandone la traiettoria come una calcolatrice scientifica, lo parò con la sua stessa mano, stringendo il pugno fino a provocarle un dolore lancinante che raggiunse nervi, tendini e legamenti di tutto l'arto, fin sopra la spalla.
Rage ringhiò come un cane rabbioso, ma Shinoda, Misaki ed Evelyn la bloccarono e la tranquillizzarono, temendo che perdesse completamente il controllo per futili motivi.
"Ok, ok, tutto a posto." sospirò tornando umana e chiedendo di essere lasciata andare, abbassando lo sguardo ormai sconfitta.
Quanto odiasse perdere solo Dio lo sapeva.
"Andiamo, forza." cambiò bruscamente discorso Red, tentando di riappacificare gli animi. Sia lui che l'amico erano rimasti impressionati da quanto poco controllo avesse la caporeparto sulla sua indole, e quanto fosse pericolosa la cosa soprattutto per lei stessa. Non osarono dire altro fino a che non si fu calmata, quando finalmente si riscosse e si avviò silenziosa verso la sua moto assieme a Shinoda. I due diedero un passaggio ai presenti portando spericolatamente due 'ospiti' per ciascuno.
Passarono ore prima che il verbale fosse completamente stilato.
"Avanti, torniamo a casa. Alla prossima." sbuffò Rage con ancora una punta di sconfitta infondo alla gola.
Si voltò frettolosamente e salì in sella al suo bolide, infilandosi il casco nero. Shinoda fece lo stesso, e così anche le allieve di sua sorella.
Le moto partirono come razzi.
 
Punto imprecisato dei sobborghi di Lidos, via per il ritorno, ore 22.30
 
Misaki toccò la spalla di Rage per comunicarle telepaticamente che qualcosa alle loro spalle si stava avvicinando velocemente e le stava raggiungendo.
La ragazza frenò di colpo, dicendo in tono freddo a Shinoda di proseguire. Il fratello eseguì l'ordine stranamente senza incazzarsi e sbuffare e si diresse di filato a casa.
"Probabilmente è stanco." pensò la ragazza-vampiro, poco prima di scomparire nell'ombra.
Un cespuglio si mosse e la faccia di Misaki cambiò repentinamente espressione. La bocca era spalancata e gli occhiali minacciavano di cadere dalla parte sinistra.
Un po'impaurita dalla massiccia figura che le si era stagliata davanti, fece un balzo indietro.
Un getto di aria le scompigliò i capelli, mentre due ali nere le sfiorarono il viso, andando a cascare sull'enorme ombra.
"Ziii! Luuupooo!" sussurrò con una vocetta stridula Rage, trasformatasi in ibrido poco prima di avvinghiarsi ad uno stranito Ellery, anch'esso in forma ibrida.
Naturalmente un secondo dopo Ellery perse il suo aspetto animalesco e Rage dovette decidersi di scollarsi di dosso imbronciata. Ma non lo fece.
"Rimanere lupo no, eh?" chiese in modo tutt'altro che garbato e gentile, con gli occhi ancora sbrilluccicosi dall'emozione.
"No, era solo per seguirvi. Non mi hai chiesto una cosa prima, Rage, sai?" disse il ragazzo prendendo la rossa per le spalle, staccandosela a fatica di dosso e piazzandosela accanto di peso.
"O-Ok... Io adesso me ne vado piaaano piaaano..." borbottò Misaki indietreggiando a passo felpato, senza distogliere lo sguardo dai due.
"Sta ferma lì! Sentiamo cos'ha da dirci questa volta il genietto." sogghignò la caporeparto.
"Come mai non mi hai chiesto per l'ennesima volta di entrare nella vostra combriccola?"
"Semplice, perché mi sembrava di aver capito che non voles-"
"E invece voglio." la interruppe con tono deciso, puntandole il dito contro.
"WHAT?" urlò incredula Misaki.
"Mah, non lo so nemmeno io. Vi manca qualcuno che abbia un minimo di sale in zucca! PRIMA STAVATE PER FARCI FUORI TUTTI!"
"E peccato che non l'abbiamo fatto..." comunicò telepaticamente Rage a Misaki tramite lo sfioramento della spalla, facendole trattenere a stento una risatina per la battuta.
"Se hai una battuta da dire, condividila anche con me invece di scambiarvi occhiatine furtive, almeno mi diverto pure io." Disse Ellery intuendo cosa si stavano nascondendo.
"Bah, chiudiamo qui la questione. Se vuoi entrare, combatti: sappi solo che detesto perdere."
"Ti ricordo che prima ti avrei potuto spaccare la mano se solo avessi voluto... A me sembra già una sconfitta..."
Rage lo squadrò un attimo, lo fissò per qualche istante, studiandolo a fondo, poi, alzando e abbassando ripetutamente lo sguardo, iniziò a puntare gli occhi del suo avversario, poi sorrise. La sua mano si protese in avanti, si strinse a pugno, poi alzò l'indice per indicare Ellery. Lo richiuse, aprì leggermente la mano, alzando il pollice. Sorrise di nuovo. Il tutto senza emettere il benché minimo rumore, anzi, sembrava quasi trattenesse il fiato.
"Battaglia di pollici, eh? Il qui presente Ellery Harper, nome in codice Were, agente scelto di rango S dell'Intelligence, non ha mai perso a questo gioco!"
"Un motivo in più per accettare la sfida, no?" intervenne Misaki.
"Ok, ok, accetto." disse stringendo il pugno all'avversaria, poi sorrise freddamente e continuò: "Un match liscio, niente sgarri, interferenze o trucchetti."
"Oh, uffa... Adoro le ingiustizie nei giochi come questo... Sono parte integrante del mio essere! Ammetti almeno la trasformazione in ibrido?"
"Ok!"
Il sorriso di Ellery si fece più freddo e più sadico.
Il match iniziò, facendo alzare un'incredibile massa di polvere, quasi stesse per alzarsi una tempesta di sabbia. I due non perdevano un colpo, e quasi contemporaneamente si trasformarono in ibridi.
"Oh, cazzo, no..." pensò Misaki, prevedendo ciò che di lì a poco la sua insegnante avrebbe fatto.
La sua previsione si avverò in un batter d'occhio: Rage, ancora una volta, saltò in braccio all'ibrido, il quale, tornando normale, sottolineò che la ragazza aveva mollato la presa nel salto.
"Ehy, avevi detto niente moine!" ruggì la capofazione.
"Infatti: niente moine. Hai detto che si poteva usare la forma ibrida e così ho fatto. Non vedo nulla di ingiusto, anzi, ho agito secondo giustizia!" sogghignò lui, rifacendo lo stesso sorriso di poco prima.
"Mpf... Dai, avanti, la moto è già pronta per partire."
"Ehy, ma siamo in tre!" sbuffò contrariata Misaki.
"Lo so, anche prima siamo andati in tre... Non vedo il problema!" rispose Rage.
"Sì, ma essendo notte, è meglio essere prudenti..."
"Ok Misaki, ok! Indossate il casco e salite in groppa al mio fedele destriero nero." sbuffò la ragazza in risposta.
"E tu come fai?" chiese Ellery.
"Non sei l'unico genio." sorrise Rage.
"Che intendi?"
"Vedi... Shinoda se la cava un pochino anche con la tecnologia, oltre che con la musica, con le armi e con l'insegnamento... Ha modificato i nostri due caschi in modo da permettere di guidare le nostre moto col pensiero tramite impulsi elettromagnetici dal cervello al casco... Come se la moto fosse una parte di me, insomma..."
"Ragazzi che roba... Faccio finta di aver capito." sorrise Misaki.
Tutto pronto: Rage in forma ibrida, Misaki dietro ed Ellery davanti, al posto di guida.
Dopo qualche ora di viaggio tornarono a casa sani e salvi, anche se Rage rimuginava e borbottava ancora sull'accaduto: "Così debole da saltare in braccio ad un ragazzo-lupo solo perché mi ricorda la forma ibrida di Ruby... Che roba... Sono troppo debole."
 
Campo di addestramento ibridi di Lidos, quattro giorni dopo l'arrivo di Ellery, ore 7.30
 
"Ellery, vieni qui subito e trasformati in ibrido." ordinò Rage.
"No."
"Avanti..." richiese la ragazza con tono da finta supplica.
"Non prendo ordini da nessuno, specialmente da un vampiro, muhahaha!" ridacchiò lui.
"E se ti dessi un biscotto?"
"Ne ho già due pacchetti dei miei!"
"E se ti dicessi che potrebbe servire anche a te come allenamento?"
"Continua..." disse in tono interessato Ellery.
"Were è il tuo nome in codice, giusto? Deriva da werewolf, licantropo. Quando sei in forma ibrida perdi il controllo e oltretutto..." Rage fece una pausa e con un sorriso demoniaco e felice al tempo stesso continuò: "Tu, col tuo QI così elevato, riesci a calcolare la traiettoria di tutti il colpi lanciati dall'avversario, questo anche quando ti trasformi. Ma, e c'è un enooorme ma, se sei in forma ibrida in mia presenza, io ti salto addosso, inizio a ricordarmi di mia sorella e tu non riesci a schivarmi perché il mio comportamento è privo di ogni strategia. Inzomen, cerfellen kontren inztinkten! Io ezere strizacerfellen! Ha-ha-haaa!" concluse con tono ironico come suo solito.
"E quindi dovremmo allenarci in modo tale che tu resista all'impulso di... Abbracciarmi!? E io... Sull'evitare mosse scrause da parte di idioti?"
"Sì! …EH, COSA!? NON SONO IDIOTA!" sbraitò Rage trattenendo la rabbia mista a risate.
"Uff... Non capisci il sottile umorismo tu..."
"Sì, sottile come un muro di cemento armato. Comunque, ci stai?" propose la ragazza tendendo la mano in avanti, per poi finire stretta nella morsa della mano del ragazzo.
"Ci sto." riprese lui dopo aver stritolato per bene la mano della compare-rivale.
Gli allenamenti per le prime settimane diedero pochi frutti, ma man mano che il tempo passava, i due riuscivano a controllare meglio la loro forma ibrida, il loro controllo sulle emozioni e sui riflessi.
 
Dormitorio n.19, stanza di Ellery, ore 18.30
 
"Sei pronta? Proviamo per l'ultima volta. Avanti, ora mi trasformo!" disse Ellery in un tono meno teso e distaccato di qualche giorno addietro, prima di trasformarsi in ibrido.
Rage stette immobile. Non mosse nemmeno un dito, nemmeno gli occhi. Guardava fisso l'ibrido-lupo che davanti a lei si ergeva feroce e potente: nemmeno lui si muoveva, stava solo aspettando il momento in cui Rage si fosse trasformata e gli fosse saltata addosso, ma nulla.
Dopo qualche minuto di contemplazione, la ragazza si trasformò in ibrido e per provocarlo gli tirò un pugno che venne schivato con estrema velocità.
"Ma bene, il controllo sul tuo ibrido è aumentato, eh, Ellery?" affermò Rage con un'ombra leggera negli occhi. Non voleva perdere in controllo, non voleva che la furia rossa prendesse il sopravvento. Tornò normale quasi subito.
"Vorrei dire lo stesso su di te, ma a quanto vedo non sei migliorata più di tanto, mi spiace per te... Pensavi di potermi colpire con un pugnetto del genere? Devo comunque dire che controlli meglio i tuoi impulsi adesso." disse lui dispiaciuto.
"Uffa, riesci sempre a capire tutto te, non vale." rispose sbuffando la caporeparto.
"Ehivoooiii!" la voce di Shinoda fece sobbalzare i due, i quali si ritrovarono una in braccio all'altro, come in una scenetta comica.
"Abbiamo una sorpresa!" esclamò Evelyn aprendo la porta con un'energia fuori dal suo solito essere.
"Guardate chi ci è venuto a trovare oggi dopo tanto?" disse Misaki prendendo qualcuno per il braccio e portandolo di peso nella stanza.
"RED!" esclamarono Rage ed Ellery alla vista del loro amico.
"Bellaaa!" urlò in risposta, appoggiando il suo bagaglio sul pavimento con estrema delicatezza.
"Ho dei souvenir per voi! Prima di tutto: un chip che si collega a quello della nostra precedente missione per Ellery... E poi... Beh..."
Dal grosso bagaglio estrasse una scatola di cartone forata ai lati e sul coperchio. La scatola vibrò più e più volte e da essa provenivano rumori strani.
"Che diavolo c'è lì dentro!?" gridò un po'impaurita Misaki.
"Mi ha seguito per tutta la missione e non potevo lasciarlo da solo..." rispose prontamente rimuovendo il coperchio dalla scatola.
Un piccolo batuffolino nero con un nastrino rosso al collo e due occhietti viola guardava fisso verso Shinoda, Ellery e Rage, emettendo dei miagolii a dir poco teneri, ma nessuno dei tre sembrava sciogliersi a quella vista, quasi sapessero cosa li stesse per aspettare.
Il micetto saltò in braccio a Shinoda senza fatica, iniziò a soffiargli contro, a graffiarlo e morderlo, ma la sua dentatura da cucciolo non causava gravi danni al ragazzo-libellula, il quale, quasi d'istinto, lanciò il gatto ad Ellery, che lo schivò prontamente tornando umano, facendolo finire in faccia a Rage, che cadendo all'indietro, iniziò ad imprecare in lingue sconosciute perfino a lei.
I restanti soldati risero a questa strampalata vista, tranne una: Evelyn quel gattino se lo ricordava bene, ma non poteva essere lui, era troppo piccola e lui pure. Non poteva essere rimasto cucciolo dopo 18 anni... Non Chesire. No, non poteva essere Chesire.
Evelyn spalancò occhi e bocca e quasi per istinto si trasformò in ibrido. Miagolò qualcosa con voce tremante ma dolce e subito il micetto smise di mordicchiare il naso della caporeparto, si voltò verso Dark Rose e saltandole in braccio iniziò a leccarle la mano e a fare le fusa.
Tornata umana, un leggero "Chesire..." le uscì dalla bocca senza che lei volesse.
"Chiamalo come ti pare, ma secondo me è troppo KAWAIIII!" sbraitò esultante Misaki accarezzando il micetto dietro l'orecchio.
"Traduzione per comuni mortali ibridi?" chiese in tono un po'burbero Rage dopo aver frenato l'istinto omicida per la 'bestiaccia che aveva attentato al suo viso'.
"Tenero, carino, puccioso, puffoloso e bla bla bla..." intervenne Ellery trattenendo a stento i conati di vomito ogni volta che cambiava parola.
"Giuuusto... A giudicare dalla faccia di Kitsune..." disse Shinoda fissando la faccia dagli occhi verdi sbrilluccicanti dell'ormai persa Misaki, la quale non faceva altro che ripetere quella parola all'infinito come un disco rotto.
"Sapevo che vi sarebbe piaciuta!" esclamò Red mettendo a posto il disastro che si era creato.
La stanza in cui si trovavano, nonostante non fosse ancora completamente arredata, era diventata caotica e disordinata: i letti sfatti, la scrivania in legno in disordine, sopra di essa un computer portatile di ultima generazione.
Sul letto il bagaglio svuotato era stato sovrastato da vestiti, armi, cd, chiavette, microchip e qualsiasi cosa potesse servire ad un soldier dell'Intelligence.
Il pavimento non era da meno, ma con la grande gioia dei presenti, Misaki era una buona ristrutturatrice d'interni per via delle sue origini giapponesi che le garantivano un'estrema capacità di mettere tutto in perfetta armonia.
Nel giro di qualche istante la stanza apparì come nuova: i due letti erano posti uno sopra all'altro, a castello.
Un tappeto azzurro, dalle strane decorazioni astratte, divideva i letti dalla scrivania. Quest'ultima era parte di un grosso mobile che si snodava in diverse mensole adatte a contenere qualsiasi cosa.
Una finestra posta di fronte ai letti garantiva un'ottima luce anche senza accendere il lampadario.
Di fianco alla finestra, infine, un armadio di legno bianco arrivava fin quasi al soffitto e dava largo spazio, al suo interno, a divise e vestiti di ogni genere e colore.
"Bella, ma manca qualcosa." disse X estraendo uno strano aggeggio metallico dalla tasca dei pantaloni.
"Oooh! Sei un amico Red!" esultò Ellery prendendo quell'arnese e collegandolo di fianco all'interruttore della luce.
Premette il pulsante che si trovava sopra e la stanza si trasformò magicamente: il lampadario fu rimpiazzato da lampadine dalla luce fioca e sinistra, il letto da una macchina da torture dove alla vittima verrebbero tirate braccia e gambe con tale forza da spaccare muscoli ed ossa, fino al distaccamento degli arti o alla divisione in due del corpo.
Dall'armadio uscirono alcune di quelle tombe piene di punte di ferro che trafiggendo la vittima, la bucherellano come uno scolapasta; alle pareti numerose catene erano posizionate in modo da tenere ferme le persone legate ad esse, e, di fianco alle file di anelli d'acciaio, un lettino fatto da una lastra di ferro serviva per gli squartamenti e le torture più dure.
"Fiiigooo!" esultò Rage un po'invidiosa di vedere quella sala torture sbucare dal nulla.
"È il mio gioiellino. Dentro quel bottone sono custoditi dei chip e dei nanobot che trasformano qualsiasi ambiente in una camera delle torture per quanto tempo si vuole: basta collegarlo ad una presa elettrica o alla luce e il gioco è fatto." esclamò Ellery orgoglioso del suo relativamente piccolo lavoro.
"Allora non sono l'unico con la passione per la meccanica!" disse compiaciuto Shinoda, che non aveva ancora trovato qualcuno che condividesse tale hobby, e a quel punto si ricredette su Ellery: sarebbero potuti andare d'accordo in fondo... Avevano molto in comune, magari... Sì, magari avrebbero potuto costruire anche qualcosa insieme un giorno.
"Ma che ci trovate di così bello in tutte queste torture voi due!?" esclamò Misaki cercando di tranquillizzare il povero gattino ancora avvinghiato alle braccia di Evelyn,  il quale alla vista di quelle macchine si era spaventato e soffiava come un matto.
"Non sai cosa voglia dire trovare divertente torturare qualcuno..." borbottò Rage abbassando il capo. Di solito era orgogliosa del suo sadismo e della sua stronzaggine strepitosamente grande, ma quelle parole le risuonavano come un rimprovero e in un certo senso la ferirono, tanto da farla andare di filato a prendere dei biscotti dalla sua stanza.
"Ma che le è successo?" chiesero preoccupati i presenti a Shinoda.
"Non lo so. Non-lo-so!"
In quel momento Rage entrò nella stanza, dicendo di aver avuto fame e di essersi presa qualcosa da mangiare. Lo disse in un tono così sincero che nessuno ebbe il coraggio di controbattere.
"Se volete ve ne porto qualcuno..."
"No, grazie... Tanto adesso mangiamo... "
"Ok, va bene brotha..."
Rage sapeva che con Shinoda non avrebbe attaccato, perciò decise di esordire con un pensiero preso da un vecchio detto di circa un millennio fa: "Mercy is for the weak, we do not train to be merciful here. A man faces you, he is an enemy."(la frase è presa da un tweet di Mike. La tengo uguale anche se è grmmaticalmente scorretta.)
Fece un respiro, per poi ricevere la conclusione di tale detto dallo stesso Shinoda e da un Ellery interessato dal fatto di non essere l'unico a conoscenza di tale detto.
"Enemies deserve no mercy."
"Forza ragazzi, andiamo a mangiare!" esclamò euforica Misaki, la quale non toccava cibo da circa cinque minuti ed aveva già fame.
"Aaandiamooo!" rispose felice X, prendendo la rincorsa e fiondandosi fuori dalla porta a velocità supersonica. "Ehy, ma dov'è la mensa?"
 
Mensa della base di Lidos, ore 20.30
 
Scherzi, risate, battute; la mensa era sempre stata luogo di incontri e discussioni: dappertutto tavoli tappezzavano il pavimento dell'immenso salone articolato addirittura su più piani per permettere agli ibridi alati di adattarsi facilmente. Uno dei tavoli, forse uno dei più insoliti visibili nella mensa, era da una parte lindo e immacolato e dall'altra pieno di tagli, graffi e qualche scarabocchio riconoscibilissimo nella forma e nell'autore. Attorno a suddetto tavolino stavano amabilmente, anche se amabilmente era una parola grossa, conversando sei persone, chi più chi meno composto; fra le battute e le discussioni serie, che si alternavano con estrema facilità, Misaki aveva più o meno compreso che Ellery aveva compreso quel che lei aveva compreso, ovvero aveva realizzato che il membro dell'Intelligence sapeva della sua capacità e ciò solo dal fatto che prima di sedersi l'aveva evitata accuratamente. Ci era rimasta un po'male all'inizio, ma in fondo che importava… Stava chiacchierando con la sua compagna di stanza senza un argomento preciso, quando vide i suoi occhi sempre calmi e rilassati come vortici abissali spalancarsi e le sue pupille violette restringersi quasi a dir terrorizzate. Si girò di scatto, e ebbe la certezza al suo dubbio ancestrale.
Un incazzato Memphis si avvicinava al tavolo dei sei amici a velocità impressionante.
"Ssentiamo, cosa avresssti fatto in questi ultimi tempi? Suppongo che tu non abbia fatto asssolutamente niente..." sibilò duro, acido e freddo una volta arrivato di fronte ad Evelyn, la quale alla sola vista del generale, si era pietrificata e fatta bianca come un lenzuolo.
"S-Signor Memphis... Posso spiegare..." balbettò ad un certo punto, quasi stesse subendo una tortura peggiore di quelle che aveva appena visto nella camera di Ellery e Red.
"Sssì, spiegami." ordinò lui.
"Beh, ecco io..."
"MEEEOW!"
Tutti i presenti sobbalzarono. Chesire aveva seguito la sua padrona anche in mensa, nonostante gli fosse stato raccomandato di rimanere in stanza fino al suo ritorno.
"Che cos'è ssstato? Sai che gli animali al di fuori di quelli usati per essstrarre il DNA sono banditi qui dentro!" gridò infuriato.
A quel punto Misaki si sentì in dovere di difendere la vita di quella povera palletta di pelo e intervenne miagolando forte per farsi sentire: "I-Infatti ero io, signor Memphis! Evy mi insegnava a miagolare come lei sola sa fare! Sentite! Miaaao!" e continuò a miagolare abbozzando un sorriso.
"Dark Rose, che ti hanno fatto..." disse lui facendo un facepalm che rimbombò per tutta la sala pranzo.
"Ecco, dicevo, sono stata in missione con questi due ragazzi dell'Intelligence... Puoi chiedere pure, se vuoi!"
"Ehilà vecchio doddo!" disse X prendendolo amabilmente per il culo, quasi volesse incoraggiare un po'la povera ragazza-gatto, che con uno sguardo ancora un po'impaurito ringraziava Red, ma allo stesso tempo chiedeva, anzi, pregava che Memphis, alias Mamba Morboso non sclerasse e mordesse qualcuno dei suoi amici, cosa che non accadde grazie ad Ellery.
Il ragazzo aveva capito di che pasta era fatto il generale, ne aveva anche sentito parlare in giro negli anni, ma mai l'aveva visto. Aveva capito che col giusto approccio l'avrebbe comprato, non sarebbe stato semplice ma sicuramente molto divertente, e così fece.
"Ehy mamba nero!" disse il ragazzo-lupo rivolgendosi al generale. Memphis ruotò la testa nella sua direzione e scrutò i suoi occhi con un'espressione da scanner, per poi chiedergli nel tono più cordiale possibile, o almeno quello concessogli dai suoi nervi: "Non ti ho mai vissto di qui, sei di un altro distretto? Che cosssa ci fai qui?"
"Sono Ellery Harper, nome in codice: Were, agente scelto di rango S della Intelligence. Ho sentito parlare di lei nel corso della mia carriera e finalmente ho il piacere di vederla di persona. Il motivo della mia intromissione nel dialogo è il fatto che ho una proposta da farle." riprese.
Il generale corrucciò le sopracciglia, ma sembrò anche che accennasse ad un lieve sorriso divertito: "Ssentiamo, sssono curioso!"
"A quanto ho potuto riscontrare, lei era il vecchio maestro di Dark Rose. Le propongo una sfida, un combattimento. Il vincitore sceglierà chi potrà essere il nuovo supervisore di Evelyn. Ciò comprende anche l'eliminazione del turno di Rage, ovvio!"
"C-cosa?!" sussurrò la diretta interessata allibita. Un'altra volta? Ma inaspettatamente, e forse quasi sorprendendosi di ciò, la ragazza si ritrovò a desiderare che il suo vecchio Maestro non accettasse.
 "Accetto molto volentieri. Per me sarà uno ssscherzetto battere un ssecchione come te." rispose invece Memphis alzando le spalle. Evy non aveva parole.
"Questo lo vedremo domani alle 15.00 nella sala delle armi! Comunque ho anche un paio di cose da riferirle…"
"Dimmi tutto."
Dopo neanche cinque minuti, Memphis si congedò dicendo che aveva ricevuto le informazioni che gli servivano dal ragazzo-lupo, che lui sarebbe un buon soldato e bla bla bla... La maggior parte degli insulti e delle digressioni andò perduta nel vento, come non fosse mai stata detta: Evelyn aveva imparato a percepire solo le cose essenziali, il succo, anzi, il veleno delle parole ricche di fiele che Memphis le diceva.
La cena proseguì ricca di chiacchiere e risate per circa tre ore, poi tutti andarono nelle proprie stanze a prepararsi per la notte.
 
Dormitorio n.8, ore 23.30
 
"Sai, penso che qualche giorno inviterò Ellery e Red a lavorare con me." bisbigliò Shinoda, ricevendo in risposta un cuscino in faccia dalla sorella.
"E dormi per una buona volta..." borbottò Rage tirandosi le coperte sul viso.
"Uff, ma se sei sempre tu quella che parla fino a tarda notte con il sottoscritto, il quale si deve sorbire tutto!" si lamentò lui.
"Non ho voglia di... Yawn... Parlare questa sera..."
"Ok, Diana, ok..."
"Uh?" rispose lei senza darci troppo peso.
"Ehm, Rage, scusa."
"Aaah..." biascicò lei con un suono simile a quelli che parlano mentre dormono.
"Notte sista." sorrise lui abbandonandosi al sonno.
 
Dormitorio n.19, ore 00.00
 
"Ancora sveglio, eh?" domandò Red affacciandosi fuori dalla sua postazione dal letto inferiore. Attese qualche secondo, prima di ricevere risposta da una testa sbucata dal letto superiore: "Sì. Stavo pensando a come possa reggere un legame affettivo relativamente forte fra un predatore e una preda. Sai a chi mi riferisco, no?"
"All'allegra famigliola?"
"Sì. Il pipistrello è un predatore, la libellula una preda. Mi domandavo perché fra loro due coesistesse un rapporto familiare nonostante ciò, e nonostante non siano consanguinei..."
"Anche noi due siamo amici infondo, no? Beh, io sono una lince, ovvero un felino, e te un lupo, un canide. Felini e canidi non vanno d'accordissimo... E anche le due amichette, Evelyn e Misaki, anche loro sono un felino e un canide, ma vanno d'accordo. Per una volta le tue teorie hanno una falla! Hahaha! Questa è da segnare!" ridacchiò X.
"Allora... Le teorie empiriche, come al solito, falliscono. Vorrà dire che un relativamente cervellone e un impulsivo petardo umano possono andare d'accordo come fratello e sorella?"
"A quanto pare... Ora dormi, dai. Notte collega!" lo salutò Red ficcando la testa sotto il cuscino.
"Buona notte Red." Disse Ellery pensieroso come pochi.
 
Dormitorio n.9, ore 23.55
 
"Mamma mia, oggi hai rischiato con Memphis, eh?" sussurrò Misaki, raggomitolata sotto la calda coperta del suo bel giaciglio orientale. Per qualche secondo la compagna di stanza non rispose, ma ad un suo sbuffo prolungato sembrò come ridestarsi.
"E-Eh già... Fortuna che è intervenuto Ellery... Altrimenti questo frugoletto sarebbe stato cacciato fuori di qui... Sì, che fortuna…"
Misaki la guardò di traverso, molto di traverso. Aveva trascorso abbastanza tempo accanto a lei per capire che se c'era qualcosa che la preoccupava non lo dava a vedere, ma stavolta pareva davvero turbata.
"Beh? Non speri anche tu che vinca il lupetto domani?" chiese spezzando il silenzio che si era riformato attorno a loro.
Ancora una volta Evy si riscosse, stavolta trasognata e leggermente spaventata: "Ah… S-Sì certo che sì…"
Ma le sue parole volevano dire ben altro. Perché si era sorpresa a voler rimanere sotto la protezione di quella serpe? Perché tremava al solo pensiero… Forse temeva più di essere scoperta che di convivere sotto la sua protezione?
"MEEEOW!" miagolò ad un certo punto il piccolo Chesire abbandonando la sua cuccetta fatta di  vecchie lenzuola e dalla scatola con cui era stato portato lì dentro, balzando sul suo letto e distraendola dai suoi interminabili viaggi mentali.
"Ooof! piano cucciolo…" protestò lei mettendosi a sedere, ma non poté sgridare quel dolce batuffolo nero dai celestiali occhietti viola…
"Ooow..." dissero insieme vedendo cotal pucciosità davanti a loro.
"Forza andiamo a dormire, mi sembri un po'troppo strana stasera…" bofonchiò Misaki prima di ficcarsi la testa sotto le coperte, e piombare direttamente tra le braccia di Morfeo.
Evy sorrise tristemente, ma prima di abbandonare la testa sul cuscino rivolse un ultimo sguardo al suo amico ritrovato.
"E così, sei stato abbastanza matto da ritornare…" bisbigliò al micio. Questo la guardava intensamente negli occhi, violetto su violetto, e nello scontro di colori Evy ebbe la sensazione di udire un urlo. Un grido di aiuto.
"Ma che…"

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Capitolo 6
*** Scontro decisivo: l'alba di un cambiamento? ***


Il fatidico giorno era ormai arrivato, forse anche presto. Troppo presto.
Immobile, Rage era rimasta tutta la notte a fissare il soffitto, cercando di trapassarlo con la mente e col corpo, insipidamente attaccata al terreno quanto vogliosa di trovarsi dovunque tranne che lì; la stanchezza ormai le impediva di chiudere gli occhi tanto era rimasta concentrata ad osservare ogni minimo particolare delle troppo strette mura che la circondavano, i graffi nelle pareti, il buio intenso intriso di nulla. Ogni attimo trascorso era un'ora, e ad ogni ora supplicò che il giorno non arrivasse mai.
Nello stesso arco di tempo, un'ombra furtiva sgusciava attraverso le zone di oscurità alla ricerca di qualcosa. Con la leggerezza di una piuma i suoi passi felpati si diressero in direzione dei piani alti, scrutando attentamente nella penombra possibili forme di vita. Non appena si trovò davanti ad una porta semi aperta, vi sgattaiolò dentro agilmente e senza emettere alcun rumore; all'interno un'unica luce accesa illuminava una tavola riempita ordinatamente di scartoffie che una figura stava riponendo con accuratezza. Lanciata un'occhiata alle varie pile di schedari e rapporti ordinatamente riposti negli scaffali che tappezzavano le pareti, scattò verso un foglio lasciato inaccuratamente in bella vista e lo strappò con delicatezza, fuggendo via. Sul volto del generale, alzatosi un attimo dai rapporti da riordinare, si inarcò un lieve sorriso.
Era passata la mezzanotte, quando gli occhi ormai rossi di Kitsune si decisero a chiudersi dopo vari tentativi affaticati di cancellare l’ansia, quando un suono dolce ma decisamente poco gradito giunse alle sue orecchie facendola balzare in piedi gridando: "Per mille Fujoshi!!!"
Il grido fece svegliare di botto anche la compagna di stanza Evelyn, che a sua volta esclamò sconvolta: "Giuro quei biscotti non li ho presi io!" e schizzò verso il soffitto aggrappandosi ad esso con le unghie feline.
"Miaooo!" fece la palletta di pelo corvino ai piedi del suo letto.
"Uff, era solo Chesire"
"Bruto gatino catifo, kvante volte ti ho detto di non miagolare di notte?" sbuffò Kitsune zompando giù dal futon ed atterrando sulle punte dei piedi, le ginocchia piegate e divaricate "Altrimenti mammina si prende un infarto e niente più pesce!" aggiunse severa biascicando metà della frase mista ad un sonoro sbadiglio. Dal soffitto la ragazza si accorse del falso allarme e scese lentamente sul terreno facendo sventolare il largo pigiama dalle tinte azzurre/blu/nere, accorgendosi anche di un pezzo di carta intrappolato nelle piccole fauci del felino.
"Ehi sei andato a rovistare negli archivi? Non si fa Chesire hai capito?" lo ammonì di nuovo Misaki appoggiando una mano sulla testolina nera e scompigliandogli il pelo, al ché il micio si irritò e sibilò dal disappunto, lasciando cadere a terra il foglio. Era ripiegato su sé stesso, strappato in alcuni punti e si notavano ancora i buchi lasciati dagli affilati canini di Chesire.
"Cosa contiene?" chiese Evelyn avvicinandosi stancamente, rabbrividendo per il contatto con la realtà dopo i 10 minuti di prima trascorsi nel mondo degli incubi.
Senza farselo ripetere due volte aprirono il foglio e ne lessero il contenuto: era un pezzo di calendario, a quanto sembrava, sul retro di esso vi erano scarabocchiate in un'ordinata grafia alcune frasi: "...Le capacità di concentrazione compensano la velocità… avvitamento di artigli…" e dal lato del calendario una data era cerchiata in verde, con sotto scritto: "Trasferimento."
"Trasferimento? E di chi? Strano, è fra pochi giorni…" sussurrò Kitsune appoggiando un gomito sulla coscia e il mento sul palmo della mano, pensierosa.
D'altro canto nemmeno Evy comprendeva il significato di ciò, nemmeno nel comportamento del suo gatto…
"Dove l’hai trovato?" chiese sovrappensiero, non sicura che potesse rispondergli; eppure di rimando Chesire le mostrò la lingua e soffiò piano, mimando il sibilo di un serpente.
"Pfff, non ci vuole un mago a capire di chi fosse." fece Misaki roteando gli occhi "Si starà preparando per lo scontro di domani, così come Ellery."
"Di oggi vorrai dire, è l'una del mattino… E comunque credo che non ci abbiano messo più di tanto a trovare una strategia..." disse piano la ragazza corvina prima di rialzarsi e andarsi a coricare nel suo caldo letto.
 "Per me gli unici che hanno dormito stanotte sono X e Shinoda." aggiunse prima di sprofondare nel sonno.
"Mi sa che hai ragion… Yawn… Zzz…"
Di sveglio rimase solo il piccolo Chesire, il quale abbassò la testolina come avvilito ed emise un breve miagolio triste, prima di tornare nella sua cuccetta.

Dormitorio n.19, ore 10.45
 
"Oggi è proprio una bella giornata!" fu questo il primo pensiero del grigio lupo che svegliatosi da una manciata di secondi era già in piedi pronto ad affrontare la fatica del risveglio; si avvicinò alla scrivania dove vi erano impilati ordinatamente i suoi ordinari vestiti, guardandosi attorno: ancora non si capacitava di aver davvero accettato di restare per un po'di tempo con quel gruppo ibrido di infimo livello, forse quel qualcosa che aveva notato nei loro occhi, qualcosa di vivo, insomma, qualcosa che andava la pena di saggiare con la forza. Ed era per quello stesso motivo che si era svegliato così di buon umore, tanto che quasi non si accorse dello strano biglietto nascosto sotto alla pila di vestiti che si stava infilando.
Lo lesse ad alta voce, con la bocca ancora impiastricciata dal sonno: "Sala delle armi. Ora."
Si girò verso X, pensando che lo avesse ascoltato, ma ben presto si accorse che era ancora accoccolato nel suo letto, perciò non ci pensò due volte a punirlo per la sua mancanza, non prima di commentare sottovoce il pezzo di carta che teneva in mano e che aveva decisamente rovinato la prospettiva della sua giornata con un severo: "Idiota di un Flaming Hybrid Soldier... Come se non sapessi che sei..."
"Chi è cosa?" mugugnò X ancora nel dormiveglia, ricevendo in risposta un seccato "Leggi." da parte del compagno di stanza e un biglietto appiccicato sul muso.
Red eseguì senza discutere, per poi concludere con un semplice: "Oh, e sentiamo intelligentone, chi sarebbe?"
Con un secco rumore Ellery piantò in faccia un dito al ragazzo-lince, provocandogli una paralisi temporanea di circa venti minuti.
"Così impari a non ascoltarmi." commentò Were dopo essersi vestito, dirigendosi verso il luogo indicato sul biglietto.
 
Sala delle armi, ore 11.00
 
Cercando di evitare il solito fermento che animava i corridoi dell'edificio pieno di giovani allievi, Ellery svicolò all’interno della sala delle armi evitando con maestria qualsiasi sguardo indesiderato, d'altronde essendosi perfettamente integrato con le stranezze degli abitanti di quella città non si faceva più molto notare. Non appena si richiuse il portone antipanico alle spalle, socchiuse gli occhi irritato: "Dimmi che cosa vuoi e sbrigati, idiota che non sei altro." sbuffò scuotendo la testa.
Una voce ringhiò.
"Mantieni il mio posto come loro allenatrice e come insegnante."
"E perché dovrei, scusa?"
Un paio d'ali nere sfiorò il volto di Ellery, il quale, mantenendo il suo solito autocontrollo, prese per la testa e sbatté con la faccia a terra il suo assalitore.
"Ti sembra il modo di chiedere a qualcuno un favore, Rage?" chiese sarcasticamente attendendo che la vampira tornasse normale per mollare la presa sul suo cranio; senza alcun preavviso o cambiamento di espressione la ragazza si alzò impugnando le sue due lame contro il ragazzo ed arrivando a quasi sfiorarlo con uno dei suoi affondi, senza però colpirlo, dati gli sviluppati di cui era sempre provvisto tralasciando il momento di sorpresa. Mirando ad ogni possibile punto debole Rage lo tempestò di fendenti, i quali venivano schivati con estrema facilità grazie al suo acume. Però quell'unico primo istante lo portò a pensare che in una sola notte non poteva essere migliorata così tanto, cosa la spingeva a combattere così contro qualcuno con cui, ehi, non poteva competere? Cosa la rendeva così… Diversa?
Terminato il momento riflessivo e stanco di schivare i compi di spada, si abbassò senza il minimo preavviso, mise le mani a terra per far da contrappeso e con una gamba falciò quelle di Rage, la quale rovinò a terra.
Il ragazzo-lupo le prese il braccio sinistro e lo fece uscire dalla sua normale posizione, fuori dall'articolazione della spalla. Avrebbe dovuto provocarle parecchio dolore e così fu, ma la caporeparto si rialzò come se nulla fosse accaduto, trattenendosi nervosamente un labbro per sopportarlo e recuperando le spade.
"Mi sto proprio stufando. Mi vuoi lasciare in pace?"
"MAI! NON RIMUNCERÒ AD EVELYN E MISAKI SOLO PERCHÉ TU VUOI FARE UNA SFIDA CON MEMPHIS!" urlò Rage infuriata.
"Tieni sul serio così tanto a loro?" chiese corrucciando la fronte e continuando ad indietreggiare per evitare i colpi, accorgendosi solo dopo di avere la parete incastonata di armi proprio dietro la schiena e decidendo che era ora di contrattaccare seriamente.
Rage stava per affondare la lama nella carne dell'avversario, ma questi, con la spada presa in precedenza e con le sue abilità, parò l'attacco, fece leva e scaraventò la caporeparto lontano da lui. La ragazza volò, anzi, rimbalzò ruzzolando sul pavimento di cemento, provocandosi non pochi graffi e ferite, che colorarono il campo di battaglia di un rosso acceso.
"TI ODIO!" gridò a gran voce Rage trasformandosi in ibrido. Il suo equipaggiamento era seriamente pericoloso questa volta, quasi quanto quello di parecchio tempo fa, quando si chiuse nella sua stanza e Shinoda intervenne per calmarla.
Una sola cosa cambiava. Una, la più importante: aveva il pieno controllo su di sé. Non c'era nemmeno l'ombra della sua furia rossa, nemmeno un accenno di odio. Ma allora perché diceva quelle cose? Per darsi forza? Doveva sconfiggere la sua paura più grande, anche se non voleva ammetterlo, era così, ed Ellery usò ciò a suo favore.
Scuotendo furiosamente la testa per riprendersi e rialzatasi un secondo dopo la rovinosa caduta, la vampira fece pressione con le piante dei piedi per aumentare velocità e caricarlo, ma poco prima di raggiungerlo venne presa e sbilanciata in avanti: Ellery l'aveva bloccata con il ginocchio. Tentò di liberarsi al più presto in tutti i modi, ma purtroppo per lei ogni tentativo fu vanificato, finché non rilasciò un frustrato colpo d'ala sul viso dell'agente che scocciato parò con le braccia mollando la presa. Approfittandone subito Rage recuperò le spade e così anche Ellery fece, ed entrambi le fecero cozzare brutalmente, ma solo Rage venne respinta e buttata a terra. Un istante dopo si ritrovò la spada puntata alla gola ed Ellery che la fissava parecchio alterato direttamente in viso.
"Pensi che basti la paura e la determinazione per battermi?" disse ad un certo punto, con gli occhi visibilmente fiammeggianti.
Il suo sguardo e il sul torno severo fecero tornare immediatamente Rage normale, ma ella lo ricambiò con un sorriso di sfida, ammirazione e rassegnazione.
"So benissimo che non posso batterti. Voglio solo... Voglio solo che restino con me." rispose prontamente.
"Tsé, hai solo paura di perderle. Patetico..." commentò Ellery con un tono parecchio deluso, piantando con forza la spada nel terreno e girandosi per darle le spalle: "Ma hai mai pensato che quelle due meritino un'insegnante migliore?"
Definirlo la goccia che fece traboccare il vaso era poco: Rage sbarrò gli occhi e alzandosi in piedi indignata urlò: "COME OSI GIUDICARMI SENZA NEMMENO CONOSCERMI PER QUELLO CHE SONO VERAMENTE, BASTARDO!"
Imperturbabile nella sua certezza Ellery scosse il capo: "Era proprio a questo che mi riferivo. Sei troppo aggressiva, impulsiva e ti scaldi per nulla; sei troppo orgogliosa e superficiale, instabile, oserei dire." constatò freddamente, spuntandole in faccia quello che pensava.
Non c'era più motivo di trattenerla e non aveva più voglia di combattere con una testa calda come lei. La lasciò andare, aspettandosi, però, una brutta reazione da parte della ragazza. Nonostante tutto, la ignorò e si avviò verso la porta.
D'un tratto sentì un tonfo sordo e girò il capo per vedere cosa avesse provocato quel rumore. Una scena quasi irreale si manifestò davanti agli occhi increduli del ragazzo.
Rage era inginocchiata a terra, gli avambracci appoggiati al pavimento. Sopra di essi, la testa dal volto in lacrime rossastre di sangue fissava il suolo che cambiava piano piano colore.
"Allora..." sussurrò Rage.
"Dimmi che vuoi adesso." disse in tono scazzato Ellery, sapendo comunque dove voleva andare a parare la caporeparto.
"Allora... Se devi proprio prendere il mio posto... INSEGNA ANCHE A ME, MASTER ELLERY!" singhiozzò Rage alzando la testa e riabbassandola subito per la vergogna. Il suo sguardo era cambiato di nuovo: era quello della tigre che affronta il drago nella leggenda dello Yin Yang.
Quella strana emozione che provava non l'aveva mai sperimentata prima.
Ellery in un battito di ciglia si precipitò sulla schiena della ragazza, che finì definitivamente con la faccia stampata sul pavimento: le prese di forza il braccio e lo rimise dentro l'articolazione della spalla. Rage non emise nemmeno un respiro.
"Batterti non è servito a nulla. Non cambierai mai." le disse sdegnato voltandosi definitivamente verso l'uscita: "Ti sembra questo l'atteggiamento che un caporeparto possa permettersi di assumere? Pensavo che come punizione bastasse distruggerti un braccio, ma a quanto pare non la capisci nemmeno con le cattive. Fammi andare a riposare adesso, e smettila di fare l'idiota." la sgridò Ellery compiaciuto della sua scontata vittoria.
 
Mensa della base di Lidos, ore 13.58
 
Chiacchiere e pettegolezzi, risate e sghignazzi, come al solito la sala mensa risuonava di rumori umani e altri più... Animaleschi. Fra le stanze più grandi dell'intero edificio, la quantità di rumore prodotto all'interno di essa potrebbe essere paragonabile alla potenza di un jet a reazione. Naturalmente anche alcuni ibridi di nostra conoscenza facevano parte di quel grande coro della natura, il cui contributo venne improvvisamente interrotto da un silenzio apparente, prima che saltasse fuori l'argomento delicato.
"…Ehy, non sei ansioso per oggi Ellery?"
"A dire il vero nemmeno un po'. Non vedo perché debba preoccuparmi di una battaglia che ho già vinto in partenza." rispose prontamente Ellery a Shinoda, mentre gustava tranquillamente il suo pranzo. A quella risposta gli occhi del ragazzo andarono a posarsi sulla figura dall'altra parte del tavolo, fattasi piccola piccola, aspettandosi di sentire un qualche commento negativo: ma bastò osservare il suo colorito bianco come un lenzuolo e i suoi occhioni viola atoni fissi verso il terreno. Tra le mani stringeva uno strano foglietto.
Continuò imperturbabile: "Sembrerà strano a voi, ma per capire come comportarmi con lui mi sono bastati cinque minuti. Ho la vittoria in pugno." sogghignò Ellery.
Il rumore sordo di una sedia seguì quelle parole e subito dopo la caporeparto era sparita, lasciandosi alle spalle un sospiro e una scusa frettolosa: "Non ho fame. Vado a riposare adesso."
"Ehm... O... Ok..." balbettò Misaki seduta accanto a lei, per poi scoppiare di gioia nel vedere il suo piatto pieno del doppio della roba che aveva preso. Non le ci volle molto per capire che quel cibo era della sua insegnante.
"R... Rage... Aspetta..." bofonchiò Evelyn prima di accompagnarla, alzandosi in fretta e furia.
"No Evy, lasciami sola." la supplicò velatamente Rage.
La ragazza obbedì, priva di argomenti per controbattere.
 
Corridoio, ore 14:43
 
"Non…. Non è possibile attendere ulteriormente?"
"No, domani dovrò accomiatarmi da questa base e tornare alla mia posizione, mentre tu resterai qui."
"M-ma ma m-ma io non sono ancora pront..."
"Questo non sei tu a deciderlo. Il nostro ultimo saluto è una vittoriosa disfatta."
"…"
 
Sala delle armi, ore 15.00
 
L'aria era tesa e carica di elettricità.
L'ora x era inesorabilmente scoccata.
Nel silenzio sacrale in cui era avvolta, la grande sala di addestramento pareva essere divenuta meta di una memorabile danza nella quale due ballerini di eccezionale talento si sfidavano per il titolo di campione. Purtroppo, a differenza di loro, questi concorrenti in gara non avrebbero usato le buone maniere: sarebbero andati fino in fondo a costo di spezzarsi le ossa delle braccia e delle gambe e soprattutto di spezzarle al proprio avversario.
Quando il rumore di passi che precedette l'arrivo del Generale rimbombò nella stanza, i cinque spettatori presenti all'incontro si sentirono pervadere da una sensazione di freddo cavernoso, quasi si fossero trovati all'interno di una caverna stessa.
L'ombra dell'uomo serpente si smaterializzò dal nulla, dalla velocità con la quale la sua persona si era presentata dinanzi ad Ellery, il suo avversario, che attendeva immobile fissandolo con uno sguardo glaciale. Entrambi portavano nello sguardo la fiera convinzione che quello scontro si sarebbe concluso come da loro stessi previsto.
"Ebbene?" sibilò Memphis, una volta posizionatosi davanti a lui, a pochi metri di distanza.
"Io sono pronto, anzi, sono nato pronto."
"E ALLORA CHE LO SCONTRO ABBIA INIZIO!" esultò Shinoda alzando un pugno in aria e roteandolo entusiasta: si prospettava una gara interessante.
"Sssenti cosetto, prima ti calmi, poi inizieremo." lo fulminò il serpente ricco di fiele. Accanto a Shinoda, il quale ritirò il braccio sbottando, si trovava il compagno di stanza nonché di armi di Ellery, Red: con le braccia incrociate e la convinzione di sapere esattamente come sarebbe andata a finire, spiegò quindi la dinamica dello scontro: "Lo scontro si svolgerà seguendo 3 stili: a mani nude, armi e combattimento ibrido. Lì sarete liberi di usare o non usate armi." spiegò facendo le spallucce.
"Al mio via! Pronti? 1... 2... 3! Via!" Urlò Misaki dando il via al combattimento. Al solo sentire quelle parole, i due saltarono istintivamente indietro e iniziarono a girare in tondo per studiare l'avversario. Nessuno dei due sembrava voler fare la prima mossa, finché Memphis non sembrò voler fare il primo attacco scattando in avanti; immediatamente in risposta di esso Ellery caricò un colpo dalla parte opposta ma quello che colpì fu il vuoto dato l'agile movimento all'indietro dell'avversario che voleva solo significare una finta, seguito da un rapido pugno che riuscì a schivare prontamente e rispedito al mittente. Ne seguì una scarica di calci da parte di Ellery, schivati a fatica dal generale, il quale si trovava per la prima volta in difficoltà. Per evitare parte della tempesta di calci, il generale si mise sulla difensiva sfruttando la sua innata velocità per eludere parte dell’attacco, calcolando nella mente il momento esatto in cui avrebbe dovuto compirlo esattamente sotto al mento, ma proprio quello fu l'errore che ribaltò l'attacco e in un istante venne atterrato con un poderoso pugno allo stomaco. Trattenendo il dolore Memphis si rialzò evitando un secondo pugno e gli mollò un fulmineo calcio perfettamente calcolato, ma ciò che sarebbe venuto dopo avrebbe segnato la fine del primo round.
Con un sorriso a dir poco sadico Ellery afferrò la gamba destra che stava per colpirlo e la rigirò su se stessa facendo rovinare a terra l'avversario. Questi risentì del contraccolpo dello slancio e si sforzò di non imprecare, mollando senza preavviso o ragionamento all'avversario un pugno abbastanza potente da sbatterlo alla parete opposta.
Memphis aveva vinto il primo round, con estrema felicità di Evelyn e in parte anche di Rage.
Per un istante Evy diede l'impressione di aver visto qualcosa, ma mascherò subito l'apparenza.
X sembrava avere però uno sguardo di disappunto verso l'amico che si era fatto sconfiggere così facilmente. Ellery se ne accorse subito e ricompostosi dopo la caduta rovinosa gli si avvicinò scambiandogli quell'occhiata con un sorriso sornione.
"Vedrai come lo concio il prossimo round." gli bisbigliò prima di scegliere le armi con cui iniziare il secondo scontro. Stava sfregandosi le mani quando si fermò di colpo.
"Oh, che maleducato... Prima i vincitori!" disse in tono lusinghiero il ragazzo-lupo, arretrando di qualche centimetro e cedendo il passo a Memphis.
Per niente addolcito dalla proposta pacifica ed innocente, il generale sbuffò verso il basso dando l'impressione di pensare: sto solo perdendo tempo, scorse fra tutto quell'ammasso di ferraglia la sua arma preferita: gli ricordava la portentosa potenza del popolo che ammirava più di tutti: il popolo germanico. Appena la prese, partì un commentino ironico da parte di Rage: "Ehy mamba morboso! Non chiamare Ufo robot!"
"Sta zitta o ti taglio in due con l'Alabarda spaziale." la fulminò lui restando al gioco, con un sincero sorriso scocciato.
"HAHAHA! Ehy, ti ha spenta!" ridacchiò Ellery.
"Tsé, non intrometterti." borbottò Rage roteando gli occhi e incrociando le braccia.
"Bah. Non si può ragionare con te. Vediamo... Io scelgo queste due spade qui." disse sorridendo Ellery, sorvolando l'intero gruppo di armi belliche ed andando a posare le mani su un paio di lame molto speciali, che aveva intenzione di prendere fin dall'inizio. Inevitabilmente la faccia di Rage divenne in un istante prima rossa, poi blu e infine, dopo una scala di colori degna di un arcobaleno, bianco latte.
"Sei un bastardo patentato." gli bisbigliò prima dello scontro Rage riferendosi alle sue due lame 'prese in prestito' dal ragazzo-lupo.
Il secondo match ebbe inizio appena Shinoda diede il via.
Le due armi cozzarono ancora prima che chiunque avesse potuto realizzare che fosse iniziato il round. Ellery agitò la lama bianca in modo da poter bloccare l'alabarda e attaccare il nemico con la lama rossa.
Quest'ultima stava per perforare la carne del generale, ma questi la evitò con la grazia di un serpente e con un movimento potente del braccio liberò anche l'arma e passò al contrattacco. La doppia lama roteò pericolosamente e più volte vicino alla nuca dell'emissario dell'Intelligence, sembrava una parte del corpo del generale, in perfetta simbiosi con egli. Non volendo essere da meno, il ragazzo evitò ognuno dei suoi attacchi parando con entrambe le spade che teneva in pugno, ad ogni parata si poteva sentire il suono sibilante del metallo e ancor più distintamente quello della lingua biforcuta di Rage, che fra i denti stava trattenendosi dal gridare di mollare le mani dalla SUA proprietà, e di smettere di rovinare quelle preziosissime lame, e soprattutto di perdere e anche tanto.
Essendo preparato a quell'evenienza, Ellery non fece altro che evitare gli attacchi uno ad uno nel tentativo di stancare l'avversario, ma vedendo che questi non accingeva a perdere neanche un grammo di forza ad ogni fendente, decise di passare all'attacco: incrociò entrambe le spade puntando l'incrocio di esse contro la lama dell'alabarda e la respinse leggermente, per il tempo bastante di spiccare un balzo verso l'alto e piombargli sopra come un feroce avvoltoio. Accortosi della strategia, Memphis cambiò immediatamente direzione ai suoi movimenti e passò ad un affondo partito dall'alto, impossibile da schivare. D'altro canto Ellery non fece nulla per schivarlo neanche se avesse potuto farlo e si limitò a incrociare nuovamente la spada bianca contro quella rossa per frenare l'attacco, finendo a terra in ginocchio davanti al generale, che con un ghigno superiore aumentò la forza con cui spingeva l'alabarda contro il terreno. Un piccolo ghigno comparve anche sul viso rilassato del ragazzo-lupo che, chiudendo gli occhi e prendendo un respiro, smise di trattenere la presa sulle lame e di conseguenza sull'alabarda che troneggiava su di lui. Si limitò a scartare all'indietro, facendo sì che la potenza dell'attacco di Memphis finisse con lo scaricarsi sul terreno.
L'alabarda si incastrò a terra. Sopra la sua lama, proprio sul filo, un sorridente Ellery stava sulla punta di un solo piede con entrambe le lame puntate alla gola di Memphis, il collo del generale al centro di esse.
In un batter d'occhio rialzò la sua arma e costrinse Ellery a saltare, facendolo finire dietro di lui. Il ragazzo prese la rincorsa e fece un salto di parecchi metri, precipitando in picchiata, quasi come fosse un ibrido alato dotato delle migliori ali. Le due lame erano puntate su Memphis, che per poco non finì infilzato dalle armi: infatti riuscì a scartare di lato nell'istante immediatamente prima la collisione con Ellery, usando l'impugnatura come scudo e facendo in modo che entrambe le punte delle lame rimanessero incastrate in esso; accortosi che stava per essere sbalzato, Ellery mollò definitivamente la presa sulle armi che schizzarono una vicino ai due e l'altra dalla opposta della sala delle armi con un movimento fulmineo e rotatorio dell'alabarda 'spaziale'. Approfittando di quell'istante disarmato Memphis si fiondò sull'avversario puntandogli direttamente tra capo e collo e per poco non lo prese, ma l'avversario si piegò all'indietro a ponte e sferrò un doppio calcio al mamba facendolo indietreggiare e guadagnando il tempo di recuperare la prima lama. Comprese le intenzioni del lupo, Memphis finse di aver subito il colpo più del dovuto e gli lasciò qualche istante per gettarsi sulla seconda lama, in quel momento gli corse dietro e lanciò con tutta la sua forza l'alabarda contro di lui e…
Non riuscì a prenderlo. Ellery che, piegato di schiena e senza inquadrare l'arma nel sua campo visivo, non avrebbe potuto raggiungere la velocità di Memphis per nulla al mondo, riuscì a schivarlo.
Il mamba si irrigidì come ammutolito, forse più forzatamente di quanto avesse voluto, ritrovandosi il pomo della lama rossa sulla schiena e quello della lama bianca sullo stomaco.
Si piegò in due dal dolore e cadde a terra privo di sensi.
"Direi che ho vinto..." commentò Were dopo essersi rimesso in piedi facendo leva sulla spada rossa per rialzarsi, fissato a lungo il corpo esanime di Memphis.
"W... WOH." balbettò Evelyn fissando anch'ella il generale steso a terra. Aveva bocca e occhi spalancati, come se il peggiore dei suoi incubi si stesse per realizzare. Non aveva mai visto combattere il suo maestro tanto accanitamente dall'ultima volta che… Ma soprattutto non aveva visto mai nessuno tenergli testa in quel modo. Proprio accanto a lei Misaki, intenta ad imitare lo spalancamento di bocche generale, la punzecchiò con l’indice: "Ehy, tutto ok? Evelyn... Evy... EVY?"
"Sì... Sì! Tutto ok!" rispose lei, con una voce disumanamente alta.
"Approfittiamo di questo suo svenimento per fare una pausa." disse Rage con tono freddo e distaccato, voltandosi in direzione della porta e camminando con passo svelto fino ad uscire dalla sala senza fare il minimo rumore che non fosse il cigolio della porta.
"Per me va bene... Ho un certo languorino..." commentò Shinoda massaggiandosi la pancia ed affrettandosi a raggiungere la sorella "No ma che aspe- dov’è Memphis?" chiese subito dopo giratosi un attimo e scoprendo con sorpresa che il corpo del generale non era più steso a terra.
Tutti i presenti fecero le spallucce, confusi.
"Lo so io dov'è..." fece Ellery compiaciuto alla fine "Ho letto nel suo dossier che ha la capacità di riprendersi in fretta da qualunque tipo di attacco non grave… Se ne sarà andato con la 'coda' fra le gambe, dico bene Red?" ammiccò in direzione dell'amico che, seppur roteando gli occhi, rispose altrettanto.
Fra borbottii e lamenti, i presenti si diressero verso la stanza di Rage e Shinoda, dove una lauta ricompensa li aspettava: un rifornimento praticamente infinito di deliziosi biscotti.
 
Dormitorio n.8, stanza di Rage e Shinoda, ore 18.45
 
"È ufficialmente aperto il giro scommesse! Chi vincerà? Sono accettati solo biscotti come merce di scambio!" esclamò Red, facendo comparire dal nulla un piccolo stand munito di cartelle per scommesse e una cassa per la 'moneta locale'.
"Non è il momento. Tanto sappiamo già chi vincerà." commentò Were seduto tranquillamente su una sedia girevole con i gomiti appoggiati allo schienale e il mento fra di essi, in atteggiamento rilassato.
"TI RICORDO CHE UN ROUND L'HAI PERSO!" gli urlò dietro Kitsune alzandosi dalla propria sedia e chiudendo le mani a pugno, irata per il comportamento presuntuoso dell'agente dell'Intelligence.
"Tsé, simpatici..." bofonchiò lui in risposta alzando il capo, con un sorriso divertito e stronzo allo stesso tempo. Anche X aveva la stessa espressione stampata in volto, anche se molto più sul divertito che sul bastardo.
Che diavolo era successo?
"Gnnn... Argh! Vieni qui e combatti, brutto stronzo!"
La voce stridula di un Memphis determinato a vincere la sfida, sibilava come una sirena antincendio fra i corridoi, facendo vibrare porte e finestre.
"Ok... Arrivo, arrivo!" rispose annoiato il ragazzo citato in causa, per poi concludere con una domanda a Red: "Hai capito tutto fin dall'inizio, vero?"
"Mi pare ovvio. Non sono mai stato così felice di conoscerti! Ora sfodererai la tua vera potenza?"
 
Sala delle armi, ore 19.00
 
Scontro numero tre. Ibrido contro ibrido.
La sfida stava per giungere al suo termine, ormai sempre più ricco di tensione, purtroppo. L'aria era talmente elettrica da far rizzare i capelli, l'ansia si poteva percepire e tagliare col coltello. A grandi passi lenti i due presero posizione al centro della stanza.
"Finalmente, avevi intenzione di farmi aspettare altro tempo inutile? Io mi assento un attimo e tu sparisci così nel mezzo della sfida!"
"Hai ragione, avremmo dovuto avvicinarci al tuo cadavere e sussurrargli 'abbiamo deciso di fare una pausa merenda, riprenditi in fretta mi raccomando'…" rispose Were di ripicca con l'unico scopo di far seriamente incazzare l'avversario perché sapeva che, se avesse continuato come finora, quell'uomo non ci avrebbe messo tutto il suo spirito in quella lotta e di conseguenza… non avrebbe avuto di che divertirsi.
Shinoda diede il via; appena lo fece, i due si trasformarono in ibridi, scattarono uno contro l'altro con un violento pugno che, alla collisione con quello dell'avversario, scatenò un'onda d'urto talmente forte da far tremare le pareti e i presenti. I combattenti scattarono indietro e ripartirono subito all'attacco.
Memphis agitò la coda come una frusta contro il terreno, facendo saltare Ellery diretto verso di lui. Il ragazzo-lupo per contrattaccare aprì la mano e graffiò la faccia dell'avversario coi suoi poderosi artigli, evitando però di poco il morso ricco di fiele che la tecnica di Memphis prevedeva.
"Quesssto scontro è troppo bello per essere combattuto con le armi. Continuiamolo a mani nude fino alla fine." disse Memphis felice e adrenalinico. Era... Felice!? Esattamente. Quello scontro lo stava emozionando come pochi. Era da tanto che non combatteva con qualcuno di così alto livello.
"Per me va bene. Complimenti, sei forte." rispose prontamente Ellery.
Confidando nel reciproco, Memphis si smaterializzò dalla vista di tutti incominciando a muoversi alla sua velocità massima.
Ellery sapeva già cosa stava accadendo, chiuse gli occhi gialli e drizzò le orecchie. Facendo un gran respiro, si concentrò talmente tanto da riuscire a prevedere la traiettoria mamba nero solamente annusando l'aria e percependo i minimi rumori che il corpo del generale faceva a contatto con il pavimento. Solo… perché percepiva che quella non fosse la vera velocità massima del mamba?
"Come diavolo ci ssstai riuscendo?!" sbraitò Memphis ad un certo punto a voce alta, vedendo che i suoi attacchi non sorbivano alcun effetto.
"Semplice. Ho un udito fuori dal comune in forma ibrida. Nessuno è mai riuscito a colpirmi, se non quando io stesso decido di farmi colpire." rispose pacatamente senza deconcentrarsi e con ancora quella domanda in testa.
"Ma se prima ti ha colpito!" ridacchiò Misaki divertita.
X ed Ellery per una frazione di secondo si guardarono, felici di non aver trovato nessuno che avesse visto cosa fosse realmente accaduto.
"Prima mi han colpito, avete ragione... Ma mi sono fatto colpire apposta per far aumentare la suspense!"
"Che... COSA!?" strillarono la sensitiva, la caporeparto e la sua allieva all'unisono.
"Ecco cosa avevo visto…" pensò Evy, socchiudendo gli occhi dalla mestizia.
X prontamente calmò gli animi dando una spiegazione razionale: "Ellery ha bloccato il colpo al torace con le mani, attutendolo e non facendosi nulla. Ma pensavo che tipi come voi avessero potuto capire che uno come Ellery non si fa sorprendere così facilmente."
Shinoda abbassò il capo, facendo cenno con la testa di averlo visto, ma di non essere stato sicuro di aver capito bene ciò che fosse effettivamente successo.
Lo scontro riprese senza esclusione di colpi.
Pur avendo percorso almeno diecimila volte la lunghezza della sala in breve tempo, Memphis non dava proprio segni di stanchezza o rallentamento, onde per cui decise di gettarsi all'interno del cerchio concentrico delineato dall'orbita del nemico andandogli a finire proprio davanti: non aspettando altro Memphis scattò verso l'alto e si avvinghiò al braccio del lupo sbilanciandolo all'indietro e non attaccandolo come il ragazzo avrebbe voluto, ma non fu un problema perché quasi subito egli completò la sua trasformazione in forma di canide e azzannando le spire che gli circondavano la zampa: nonostante la grande robustezza delle scaglie la sua mandibola fu abbastanza potente da inferire un indelebile segno che convinse il serpente a mollare la presa e a scaraventarlo via. Non appena fu libero Ellery riprese sembianze umane e frenando con i piedi lo slancio fece un salto andando a finire nel punto cieco del nemico, per poi scattare in avanti e atterrarlo con una manata fra capo e collo, che per intendersi era la parte direttamente collegata alla testa della lunga coda del rettile.
Memphis in tutta risposta scalciò e si rialzò come una molla, per poi frustare la coda verso di Ellery, respingendo la sua azione bellica. Il ragazzo indietreggiò verso il muro.
"Vedo che non te ne ssei accorto!" sibilò il mamba nero strisciando cautamente verso di lui, aspettando che il lupo ribattesse.
"Accorto dici? Di quel liquido trasparente che assieme al tuo sangue mi hai schizzato in faccia mentre ti mordevo? Oh certo che l'ho notato, ma non riesco a riscontrare alcun effetto, non si tratta di un veleno, né di qualcosa di utile in battaglia. Allora perché?" chiese infatti Were poco dopo, tornando a rilassare i muscoli e moderando la lunghezza dei propri artigli da modalità 'lama' a modalità 'falciatrice'.
"A tempo debito ragazzo, lo vedrai." rispose il serpente scattando in avanti con una velocità che aveva dell'incredibile, non riuscendo però a colpire il ragazzo che subito si trasformò in lupo e si abbassò a quattro zampe facendo schiantare l'avversario contro il muro; questi ebbe il tempo di tornare di sembianze umane per non ricevere danni ed atterrare sulla parete perfettamente in piedi, proprio l'attimo che a Were servì per rifilargli un artigliata sulla schiena che gli procurò seri danni e non poco sangue cominciò a macchiare il pavimento.
Sorpreso dall'attacco il generale rovinò a terra e cadde su di lui una pioggia di pesanti pugni che vennero schivati quasi del tutto data l'ancora elevata velocità a cui si muoveva; l'ennesimo pugno si accinse a fracassare l'uomo quando si ritrovò bloccato fra mascella e mandibola, interamente coperte di denti aguzzissimi che gli trapassarono la pelle facendolo sanguinare, che lo portarono a capire quale sarebbe stata la prossima mossa.
Neanche un secondo dopo aveva attorno a sé una stretta gabbia rettile che si restringeva sempre di più attorno ad egli comprimendogli la cassa toracica in modo da non farlo respirare, rattrappire su sé stesso ogni singolo organo, impedirgli qualunque movimento; e in quel momento sembrò che Memphis avesse vinto. Ma un sorriso indescrivibile venne dipinto da un folle artista sul volto del ragazzo lupo.
Ellery sorrise e freddo come il ghiaccio dell'Antartide aprì artigli e fauci, attingendo ad una riserva muscolare ignota perfino a noi autori, riuscì a prendere possesso degli arti e piantare ognuna delle trebbiatrici che aveva come artigli in mezzo alle squame del rettile perforandole e, grazie al millisecondo in cui la presa fu allentata dal dolore, sfuggì al predatore e roteando su se stesso si aprì la strada, danneggiando gravemente la coda dell'avversario. Memphis era finito nella trappola mortale che Ellery aveva macchinato fin dall'inizio.
Spossato dalla fatica e dal dolore, Memphis barcollò pesantemente riprendendo forma umana, e in quel momento vide un Ellery totalmente diverso dall'avversario precedente che gli si gettava contro.
Avrebbe potuto schivarlo, se solo avesse voluto.
Ma non lo fece.
Ellery, con una furia animalesca, gli saltò addosso e lo atterrò con una ginocchiata sulla schiena, lo rialzò e lo lanciò in aria come se fosse un pupazzo di pezza. Il ragazzo-canide fece un balzo e lo sorpassò in aria. Sorrise. Un sorriso così sadico, ma felice e raccapricciante allo stesso tempo gli cingeva il viso, accentuato dalla cicatrice, la quale sembrava anch'essa sorridere. Gli occhi spalancati e gialli non facevano trasparire nessuna emozione, le pupille erano ridotte ad uno spillo.
"Dead end." sussurrò calmo e freddo, aprendo la mano artigliata e prendendo il cranio del nemico, col palmo sulla sua faccia.
Lo strinse forte, provocando parecchi danni al povero ed inerme generale.
Spostò tutto il peso in avanti, in modo tale da lacerare ancora di più la carne e farlo precipitare sul terreno con forza maggiore.
Appena Memphis toccò terra, un grosso polverone si alzò, causato dalla frattura del pavimento.
La scena era raccapricciante: Memphis era tornato umano e non emetteva quasi fiato.
Ellery mollò la sua testa e si alzò lentamente, girandosi verso i presenti. Tornò umano, ma non perse lo sguardo da sadico macchinatore che lo contraddistingueva.
"Mi pare che questa sia un punto a mio favore!" ridacchiò ironicamente fissando quel corpo esanime.
"H... Hai ragione Ellery..." bofonchiò Evelyn visibilmente turbata.
"Allora posso decidere chi ti allenerà."
Fece un'ironica pausa, incrociando le braccia e inclinando la testa da una parte.
"Ho deciso che seguirò io tutti gli allenamenti mattutini di Dark Rose, il che significa che Rage non è più la sua insegnante... Ehy, Diana, non scordare ciò che mi hai detto questa mattina, mi raccomando!"
Rage lo guardò negli occhi e sorrise malsanamente: "Io mantengo sempre le mie promesse."
"Ehy sista, a cosa si riferisce?" chiese Shinoda sorpreso dalla faccia e dal tono di sua sorella.
"Oggi mi ha sfidato. Le ho detto che non era idonea all'insegnamento in quanto priva di tecnica, pazienza e nozioni base per l'insegnamento." spiegò il ragazzo-lupo. Shinoda trattenne a stento l'istinto di bucherellare Ellery dalla testa ai piedi, fermato dalla mano della sorella.
"F... Fermo. Ha ragione. Ho combattuto male e ho perso. Devo diventare più forte di quanto lo sono già, o non riuscirò a combattere contro la feccia... E finirei per perdere la mia famiglia, come successe con Ruby... Lasciami fare brotha."
Non convinto dalle parole della sorella, Shinoda si voltò verso la parete per prendere la mitragliatrice e attaccare Ellery, con sollievo di quest'ultimo.
Fu proprio in quel momento che, mentre l'attenzione di tutti era concentrata sul vincitore, un sottile sibilo, che solo le orecchie sviluppate di Rage ed Evy riuscirono a percepire più per abitudine che per destrezza, precedette la scomparsa del corpo esanime che si trovava inerte al centro della sala. Neanche un secondo dopo il viso pallido della felina si tinse di un lieve rossore di rabbia.
"Ehy, tutto ok?" Misaki avvertì subito il suo cambiamento d'animo e le mise una mano sulla spalla, ma il suo sguardo non voleva proprio incrociarsi con i suoi occhi smeraldini.
Accortosi del rabbuiamento repentino, Ellery prese con entrambe le mani il lato anteriore dell'arma da fuoco e si piazzò davanti ad esse senza muoversi, conscio del fatto che pur essendo uno spietato soldier, Shinoda non gli avrebbe mai sparato senza che lui avesse reagito.
"Beh?" fece infatti il ragazzo-libellula con fare seccato, interrompendo l'offensiva.
"Aspetta solo un attimo, dico due parole e ti raggiungo." lo liquidò il grigio lupo con un gesto secco facendo un balzo all'indietro ed atterrando direttamente davanti alle due novelle allieve.
"Eri d'accordo anche tu…" sibilò la corvina guardandolo fisso, con i suoi occhi maledetti. Non curandosi dell'affermazione, Ellery le si avvicinò ad altezza del viso e pronunciò poche semplici parole: "Ascolta, il tuo segreto è al sicuro con me... Ma fai una mossa falsa, e io spiffererò tutto."
La determinazione della ragazza svanì in un istante ed ella sbiancò ancor più di quanto la sua pelle diafana permettesse, diventando pallida come un cencio e iniziando a tremare, finché, in preda al panico andò a nascondersi sotto le coperte della sua stanza.
 

Dormitorio n.9, stanza di Evelyn e Misaki, ore 20.30
 
"Avanti, non puoi rimanere lì sotto per sempre!"esclamò Misaki tentando di strappare via le coperte dalla faccia dell'amica.
"NON VOGLIO USCIRE! QUELLO MI AMMAZZA SE MI ALLENO CON LUI!" gridò in risposta Evelyn.
Misaki si appoggiò sul letto, prendendo in braccio il nero micino che continuava a strusciarsi sulle sue gambe cercando un varco per acciambellarsi sul letto a fianco della sua padrona: "Evy... Non succederà nulla di brutto... Te lo prometto!" ripeté portandosi un pugno al petto e battendolo in segno di veridicità della sua parola. Da sotto le coperte la ragazza riassunse lentamente l'aspetto umano disarcionando le unghie dalla testata del letto e chiudendo una mano a pugno, lasciando solo il mignolo alzato.
"Promesso?"
"Promesso." rispose sorridente l'amica afferrando il mignolo con quello della sua mano e stringendolo con decisione "ANZI..." continuò assumendo in viso un sorrisetto volpino e, facendo un grosso respiro, si alzò, mise le mani sui fianchi, divaricò le gambe leggermente e alzò la testa, in una posa sicura e fiera, per poi concludere con un sorriso: "Sai che ti dico? Vi seguirò anche io negli allenamenti!"
Sempre da sotto le coperte uscì un balbettio confuso mentre la sua testa riaffiorava in superficie: "T... Tu vuoi allenarti con noi!?" chiese Evelyn fissando la ragazza con quei suoi occhioni viola, che scintillavano di lacrime di commozione.
"Ma certo. Forza, ora andiamo." Sorrise Kitsune.
 
Sala delle armi, ore 21.10
 
Ellery stava ritto e fiero al centro della stanza, illuminato dalla fioca luce artificiale delle lampadine appese alla bell'e meglio ai cavi del soffitto. Aspettava dalla fine della cena le sue due vittime... Ehm, allieve.
La prima ad arrivare fu Rage, che camminava nell'ombra della sera, coperta dal l'oscurità dei vicoli bui e contorti che alle sue spalle si snodavano come un dedalo di corridoi infiniti. La testa chinata per coprire l'espressione di sconfitta che portava stampata in viso da quando Memphis aveva perso, quasi fosse stata lei a ricevere la batosta al posto suo.
"Toh, questo è ciò che mi hai detto di portare." disse molto poco calma, appoggiando delicatamente sul terreno un sacco con tutti i rifornimenti di biscotti che fino a poco tempo prima erano stati sistemati nella sua stanza, posizionati con cura quasi maniacale. Il giovane prese il sacco sollevandolo con un solo braccio e lo posò affianco a sé, a debita distanza.
"Ma quando li riavrò indietro?" chiese timidamente Rage, per paura di non rivedere più il suo amato tesoro.
"Li riavrai quando sarai più grande!" scherzò lui.
"Cioè mai. Simpatico... Davvero!"
"Lo so. La simpatia è uno dei miei punti forti. Comunque i biscotti li avrai a fine lezione."
"Quindi questa sera." sentenziò Rage quasi riacquistando una nota di speranza, che subito svanì.
"Fine lezione non significa che la lezione duri una sola serata. Suderai e spunterai sangue e lacrime prima di riaverli!" la fulminò lui.
"GYAAA! COSA SIGNIFICA NIENTE PIÙ BISCOTTI!?"
Le porte si spalancarono tutto d'un tratto con gran foga lasciando che una furia dai capelli blu si precipitasse al centro della stanza, proprio in direzione dei due soggetti nel bel mezzo della trattativa, lanciandosi sui dolcetti menzionati nel suo grido di battaglia.
Senza battere ciglio Ellery prese il sacco e lo buttò dall'altra parte del campo, prendendo poi Misaki per il braccio e buttandola addosso a Rage, che prontamente la prese al volo e la aiutò a contrattaccare. Purtroppo per loro l'azione bellica fu frenata quasi subito. Una volta finito di agitarsi, il gruppetto si mise ad attendere l'ultima allieva, che era rimasta in disparte tutto il tempo ad osservare l'accaduto, meditando in silenzio sul da farsi. Raggiunse il gruppo a lenti passi ritmati da una marcia quasi impercettibile, un passo sicuro e pieno di incertezza allo stesso tempo.
"Le cose sono due ragazze: o ci allenano seriamente o addio biscotti." dichiarò alla fine la ragazza-gatto.
A quelle parole Ellery si portò le mani dietro la testa tenendo i gomiti alzati verso l'alto in atteggiamento rilassato e annoiato: "Finalmente, vi decidete o no a prendere la cosa seriamente come Evelyn?" le sgridò.
"Ma certo Master Ellery!" rispose in tono più ironico che serio Rage con un'onorevole riverenza, fingendo di indossare un lungo abito e di alzarlo con le manine delicate come si soleva comportarsi fra i saluti delle dame di corte. Il ragazzo prontamente scartò di lato, la prese per il braccio, ancora dolorante per lo scontro di quella mattina e la atterrò.
"Non ho sentito bene scusa. Potresti ripetere?"
Cambiando repentinamente d'umore Rage ripeté la stessa cosa, urlandogliela in faccia in preda al dolore, ma mantenendo comunque un tono sarcastico.
Ellery la fissò intensamente con uno sguardo che dava a vedere quanta poca voglia avesse di scherzare, si avvicinò al suo orecchio e le disse chiaro e tondo: "Ascoltami signorina, non sei nella posizione di comandare adesso."
"E chi comanda?" Rage continuava a parlare in tono ironico, non riusciva a smettere di prendere in giro il ragazzo, pur sapendo che rischiava non solo il braccio, ma anche la vita. Le due ex allieve la fissavano implorandola con lo sguardo, pregando che la smettesse, ma nulla successe.
Ad un certo punto Ellery strinse di più la morsa.
"AAAAAAAH! Smettila! Smettila!" urlò Rage in preda ad un dolore lancinante.
Il ragazzo non mollò, anzi, rigirò il braccio di Rage su se stesso, facendo fare alla caporeparto un urlo raccapricciante, che la costrinse perfino a urlare di smetterla in preda alla pietà.
A quel punto Misaki ebbe un moto di rabbia incomprimibile ed Evelyn sentì di stare perdendo il controllo, senza più trattenersi partirono simultaneamente con un doppio calcio rotante e a quel punto Ellery fu costretto a mollare la presa su Rage per contrattaccare. Si abbassò ad una velocità incredibile e lasciò che entrambi gli attacchi andassero a vuoto, ma mentre stava per rialzarsi si accorse che era solo una finta e che Misaki aveva rallentato l'attacco per colpirlo in seguito: protese in avanti le braccia e riuscì a fermare il piede della ragazza a mezz'aria, un secondo prima di accorgersi che da dietro stava per subire un attacco a tradimento e prontamente utilizzò la stessa Misaki per difendersi lanciandola contro Evelyn e scaraventandole entrambe lontano. Le due ex allieve in preda alla rabbia si trasformarono in ibridi, scattarono in avanti ad una velocità impressionante e con un pugno portentoso andarono a colpire Ellery, che però protesse la propria faccia con gli avambracci e respinse l'attacco riaprendoli e sbattendo le due allieve una contro l'altra, ripetendo la cosa ancora e ancora, finché un paio di ali nere non bloccò l'ennesimo tentativo di attacco.
"TU..." la voce di una Rage profondamente incazzata e trasformata in ibrido risuonava nella stanza come un'agghiacciante stridio che rimbombava dalle profondità dell'Averno. Si rialzò con una furia scarlatta negli occhi e si frappose fra l'attacco simultaneo delle ragazze e la letale parata del maestro, prendendo di conseguenza la batosta al posto loro.
"Ma che cazz...?" disse Ellery sorpreso dell'accaduto.
"R... Rage! Che diavolo stai facendo?" esclamò sconvolta Misaki ansimando.
"NON OSARE TOCCARLE NEMMENO CON UN DITO!" urlò Rage, che nonostante il colpo inferto e l'immane peso del dolore al braccio aveva ancora la forza di urlare tutto il suo odio.
"Mettiamo subito in chiaro un paio di cose... Tu fai pure lo sbruffoncello e l'intelligentone, fa quel cazzo che vuoi, ma tocca loro o Shinoda..." fece una pausa, lo fissò con gli occhi pieni di collera e furia rossa, che traboccavano da ogni parola e attacco che compiva.
Quella frase non la concluse mai, lasciò che fossero i fatti a parlare.  Ben presto si aggiunsero anche le altre due ragazze, che insieme alla rossa misero alle strette Ellery, il quale nonostante tutto non veniva minimamente sfiorato dagli attacchi: infatti li respingeva con forza e abilità straordinarie.
Evelyn spiccò in alto con un balzo felino, scendendo in picchiata e caricando un pugno degno di nota. Ellery per poco non venne colpito, ma respingendo l'attacco indietreggiò, lasciando a Misaki la possibilità di sferrare un calcio talmente potente da farla sbalzare all'indietro dopo che il ragazzo lo ebbe parato.
Rage, perdendo quel poco filo di umanità che le restava, spiccò il volo, prese un grosso respiro e chiuse gli occhi, per poi concludere con un sorriso sadico e glaciale: "Ragazze... Usate la tecnica usata contro me è Shinoda. Ma questa volta partecipo anche io alla strategia!"
Le due ragazze si avvicinarono una all'altra, in attesa della discesa della caporeparto, la quale aprì le braccia per prendere le sue due amiche, dopodiché le portò in aria con lei. La vampira, la ragazza-volpe e la felina comunicarono all'istante tramite i loro pensieri che strategia prendere, ma vennero interrotte dal ragazzo-lupo, il quale caricò un pugno devastante contro Evelyn, poiché sembrava essere la mente pensante che stava elaborando l'attacco combinato. Inoltre avrebbe sbilanciato tutte e tre le nemiche, facendole rovinare a terra con un unico attacco: due piccioni con una fava insomma.
Mentre Ellery si trovava mezz'aria, Rage lanciò le due amiche ai lati della stanza. Misaki e Evelyn usarono come molla le loro gambe, presero forza con uno scatto simmetrico ed armonioso. Quando furono ad un passo dal ragazzo, si trasformarono in ibridi per potenziare il colpo che stavano per tirare.
Ellery sorrise. Finalmente stavano facendo gioco di squadra.
"Vi siete decise alla fine a collaborare, eh?" commentò Were portando tutto il peso verso il suo bersaglio, evitando di un soffio l'attacco nemico.
I due pugni si scontrarono fra loro, dando il via ad un'onda d'urto così potente da mandare tutti i presenti contro le pareti o il soffitto, facendone tremare le fondamenta.
Tutti e quattro i giovani si ritrovarono incastrati: Evelyn a destra e Misaki a sinistra, Rage al soffitto, schiacciata dal corpo di Ellery, il quale era riuscito a ferirla prima di rimanere anch'egli incastrato.
Le ragazze rimaste ai lati persero all'istante la loro forma ibrida, cadendo a terra prive di sensi a causa della botta. Ellery si tolse dalla sua scomoda posizione e scese a terra, arretrando con la mano e le ginocchia a terra per ammortizzare la caduta. La ragazza-vampiro lo seguì a ruota, cadendo però spossata a terra, accompagnata da un tonfo sordo che rimbombò nella sala. Una volta toccata terra, perse anche lei la forma ibrida, e con essa anche i sensi.
Ellery non ci pensò due volte a svegliarle brutalmente per riprendere gli allenamenti.
"Ugh... Che... Che diavolo..." bofonchiò Evelyn con la vista ancora appannata. Sentiva come se qualcuno la stesse brutalmente scrollando…
"Benvenuta nel mondo dei vivi!" sentì infatti Ellery dire, mentre la scuoteva per farla rinsavire "Avanti, aiutami a svegliare le altre. Durante i miei allenamenti non si dorme!" concluse poi con tono da velato ordine. Evelyn eseguì senza discutere, andando a svegliare Misaki.
Il maestro pensò invece a Rage, che riuscì a svegliare solamente comunicandogli la dipartita del sacco dei biscotti nell'onda d'urto.  
Il solo sentire quelle parole, al solo sentire che i biscotti erano andati persi per sempre, la costrinse ad aprire gli occhi ed alzarsi di scatto per controllare la situazione, ma stranamente, molto stranamente, controllò le due ragazze prima dei suoi amatissimi biscotti, che per sua fortuna erano ancora perfettamente intatti. Dopo essersi beccato uno sguardo parecchio alterato, il quale lasciava ben intravedere il messaggio: "La prossima volta che mi racconti una balla del genere sei morto sul serio.".
Were si rialzò noncurante e si rivolse a lei con un tono fra l'alterato e l'ironico: "Hai finito di controllare o dobbiamo aspettare fino all'alba Rage?"
"Certo, ho finito mammina!" rispose lei, scazzata, ma stranamente felice.
Un sorrisetto compiaciuto comparve anche sulla faccia di Evelyn e Misaki, avendo capito che la ragazza aveva fatto quel che aveva fatto. Quel sorrisetto scomparve subito, tramutato in una smorfia di disappunto verso il maestro, il quale stampò la faccia di Rage a terra, lasciandoci un'impronta a mo'di Walk of Fame.
"I biscotti. Ora." ordinò Ellery allungando la mano davanti alla sua faccia.
"Non li avrai mai!" intervenne Misaki, aiutando l'amica a rialzarsi.
"Se lei ha deciso di darceli, allora ci sarà un motivo o no?"
Ellery sorrise di nuovo. Divertito da questa pazzia che stavano facendo, iniziò a ridere fino alle lacrime, poi disse: "Ok, per questa volta passi, ma toccateli ancora senza il mio permesso e non rivedrete la luce del sole."
"Umpf, ok." sbuffarono le tre con tono di sufficienza.
"Volete tornare ad allenarvi sì o no? Forza ragazze, qui non si ozia!" le invitò Ellery, internamente felice di essere riuscito a rendere il trio più unito, anche se a loro insaputa.
"E che dovremmo fare questa volta?" chiese Evelyn.
"Qualcosa che vi sarà giusto un po'difficile..." rispose sorridente Were, avvicinando pollice e indice fin quasi a farli toccare tra loro.
"Oh cavolo, non è quello che penso, vero?" il tono di Misaki era tra lo svogliato e l'impaurito.
"Meditazione!" esultò il ragazzo-lupo, sapendo che per loro sarebbe stata una tortura umanamente inconcepibile.
Kitsune per poco non svenne.
"Ehy, tutto a posto?" chiese Evelyn all'amica trattenendola per una spalla.
"Col cazzo... Odio meditare!" rispose lei torturandosi gli occhiali, appoggiata dai commentini di Rage.
"A me piace! Non è poi così male…" esclamò Evelyn in risposta con un sorriso incoraggiante.
"Grazie dell'incoraggiamento Dark Rose. Almeno qualcuno dalla mia parte per una volta." la ringraziò Ellery alzando le braccia al cielo come se per lui esistesse qualche dio da ringraziare.  Rage si limitò a sbottare di fare in fretta, così avrebbe potuto andare di filato a dormire, ma venne interrotta da un sommesso balbettio: "Ehm... Ma... Come si medita?" chiese Kitsune. La caporeparto la guardò strano alzando le sopracciglia dalla sorpresa.
"Che strano... Hai origini giapponesi, vero Kitsune?"
"S... Sì. Ho vissuto per qualche anno in Giappone, ma non ho praticamente ricordi riguardo la mia infanzia, naturalmente. Perché me lo chiedi?" rispose lei roteano gli occhi da altre parti, non volendo forse affrontare l'argomento. Anche Evelyn fu sorpresa di ciò.
"Per i popoli orientali la meditazione è molto importante. Ho letto qualcosa riguardo questo." intervenne poi.
"Leggere? Oddio, io leggo solo manga!" ammise Rage ridacchiando.
"Siamo in due sorella!" esclamò Misaki dandole il cinque; subito in risposta Rage le diede una leggera gomitata sussurrandole: "Ehy... Ma non vi sembra che la cicatrice di Ellery sembri quella di un personaggio dei manga? Si chiamava Bya..."
"Preferirei che non parlaste della mia cicatrice!" le interruppe Were in tono freddo, ma visibilmente irritato.
"Ok ok, chiedo venia." rispose Rage in tono sincero. "Se non vuole che se ne parli, probabilmente c'è qualcosa dietro tutto ciò... Bah, lasciamo perdere. Non sono la tipa che ficca il naso nelle faccende degli altri." pensò fra sé e sé.
"Bene... Dicevamo? Ah, sì. La meditazione è un complicato rilassamento della mente e del corpo, utile per recuperare le energie e rafforzare la tempra, imparare a sopportare dure condizioni climatiche, perfino placare per un tempo indeterminato fame e sete." continuò la felina scuotendo l'indice e la testa allo stesso momento.
"Coff! Coff! Secchiona che imita l'omino sentenzioso! Coff! Coff!" disse Rage mascherando le parole centrali con vari colpi di tosse.
"Umpf che c'è di male se sono un po'acculturata?" rispose Evelyn divertita.
"Ora basta. Iniziamo." concluse Ellery, invitando le ragazze a sedersi e meditare una buona volta: le citate in causa si sedettero diligentemente a gambe incrociate, e per fare un po'di scena sovrapposero pollici ed indici, poggiando il dorso delle mani sulle ginocchia.
"Bene, ora svuotate la mente e concentratevi." disse Ellery mettendosi a sedere in una posa perfettamente simmetrica, appoggiando i palmi chiusi delle mani sulle cosce senza fare scena ed inarcando la schiena per rilassarsi. Immediatamente le tre allieve seguirono i suoi movimenti imitandolo il più possibile. Dopo che tutte e tre ebbero assunto la corretta posizione, Ellery tornò a parlare:
"Ora io cercherò di distrarvi in tutti i modi. Dal più stupido al più brutale. Voi non dovrete mai e dico mai perdere la calma, ok?" disse Ellery con un leggero sorrisino.
La meditazione proseguì per parecchi minuti, che diventarono magicamente due ore lunghissime.
Durante questo periodo non erano mancati gli errori, i pisolini e i lamenti, teatralmente accompagnati da stridore di denti, pianti e implorazioni: Ellery si divertiva un mondo a vederle lamentarsi come bambine mente le torturava a causa delle loro distrazioni. Infatti era stato così sadico da creare una tortura apposita e personale per ognuna di loro, per testare meglio le loro capacità.
In ordine di perdita di controllo, al primo posto andava Rage, che venne ripetutamente punzecchiata e stuzzicata in modo da farle perdere la concentrazione, ma presto riuscì a togliere dalla testa le voci e i suoni indesiderati, non prima di aver cercato di attaccare con un pugno i gioielli di Ellery, rimanendo però in posizione da meditazione.
Inutile dirlo, ogni tentativo andava puntualmente a vuoto.
Prendendo spunto dalla reazione precedentemente mostrata dalla volpina al suono del suo prezioso tesssoro impunemente sequestrato, Misaki aveva puntualmente importunata da tonnellate di biscotti posti sotto il suo faccino, facendole perdere spesso la concentrazione, con conseguente punizione di Were, ma dopo nemmeno mezz'ora aveva già appreso che non doveva deconcentrarsi e rimanere attenta, così avrebbero finito prima.
L'unica che sembrava non aver problemi a rimanere concentrata era Evelyn, probabilmente aiutata dal suo temperamento chiuso e tranquillo.
Nonostante le ripetute prove poste dal ragazzo-lupo, rimaneva in silenzio, senza muovere nemmeno un muscolo, finché ad Ellery venne la malsana idea di toccare i tasti sbagliati.
"Evelyn?! Stai andando bene... Penso che lo dirò a zio Hitler..." le sussurrò Ellery all'orecchio, per poi vedere la ragazza aprire gli occhi, spalancati e viola come ametisti, che si spinsero come fuochi di candele in una giornata ventosa.
"Non voglio sentir nominare quel nome mai più i mia presenza hai capito? Mai più!" Evy digrignò i denti fattisi acuminati d'improvviso e si ritrovò ad avere gli artigli della mano destra piantati sul viso del giovane insegnante, il quale, immobile, sembrava non percepirlo nemmeno. Compreso l'atto che aveva compiuto sembrò essere scossa da un fremito e si rimise in posizione di meditazione, agitata.
"Hai forse detto qualcosa?" chiese Ellery sarcasticamente.
L'allieva non rispose, come se non avesse neanche sentito la sua domanda, inspirando ed espirando profondamente nel tentativo di riacquistare il possesso delle sue mani che avevano preso a trasformarsi dalla forma umana a quella ibrida.
Resosi conto di aver trovato un nuovo limite ben preciso nella sua barriera mentale, il 'maestro' si rialzò in piedi e cominciò a punzecchiarla con i più infimi trucchi, sapendo che ormai aveva minato seriamente la concentrazione ferrea della ragazza. Dopo un numero di tentativi andati a vuoto, però, si accorse che era tornata in quello stato di catalessi che contraddistingueva i lontani monaci dei templi. La schiena perfettamente dritta, ogni muscolo immobile, come una statua di marmo, quasi come se avesse smesso di respirare.
Scuotendo la testa decise di lasciar perdere per un po'e controllare le altre allieve, ma con suo stupore vide che anche loro avevano raggiunto uno stato di rilassamento tale che la linea delle loro palpebre era appena distinguibile nell'omogeneità dei loro visi rilassati.
"Che dire, avete raggiunto l'obiettivo di base più in fretta di quanto mi aspettassi…" disse ad alta voce, constatando la totale assenza di segnale nelle sue tre monache tibetane.
"Una volpe…. Un gatto… E un pipistrello. E dire che non hanno niente in comune…" bofonchiò girandosi distrattamente un attimo, per poi scomparire nella tenebra. Pur essendo passato il test, l'allenamento doveva continuare…
Infatti, qualche minuto dopo, il nostro caro allenatore gonfio di sadismo ed ilarità tornò nella sala delle armi con in mano due oggetti che sicuramente avrebbero scatenato le ire di almeno una delle sue ottuse apprendiste. Ma molto probabilmente non ce ne sarebbe stato bisogno.
"Uff, allora…" disse leggermente stanco per via dell'orario "Cominciamo da questo…" e prese saldamente con la mano sinistra l'impugnatura di una spada bianca. Appoggiando la punta della lama contro il terreno, alzò una gamba e cominciò a fare lentamente forza col piede sul lato piatto della spada, che incominciò a piegarsi di un poco.
Quell'unico suono bastò ad incrinare un'intera ora di meditazione indisturbata.
Con uno scatto in avanti degno di una molla compressa a dimensioni infinitesimali, si ritrovò a stringere il collo del ragazzo-lupo con gli occhi fuori dalle orbite e un'ansimazione inaspettata.
"Eliminaaata." sentenziò Were guardandola pacatamente, senza reagire, togliendo il piede dalla spada e consegnandola con delicatezza nelle sue mani, una volta che lei si fu staccata ovvio. Rage non poté fare a meno di osservare avvilita fra le sue mani il suo ricordo, che l'aveva più volte ferita nel presente e legata a quei tristi ricordi…
"Ok basta così, avete imparato come si medita e per oggi è tardi, ho sonno e voglio andare a dormire, quindi la lezione è finita. Domani imparerete ad entrare in meditazione in battaglia per focalizzare i colpi e non spendere tutta quell'energia che vi fa crollare subito…" asserì poi facendo segno di alzarsi e di filare subito nelle proprie stanze: al suono di queste parole la mente vuota di Kitsune si riempì della gioia immensa del meritato riposo che attendeva e, ritrovata la stabilità degli arti, scattò in piedi e con un sonoro 'YAAAAWN…' si accinse ad accomiatarsi.
Anche Evelyn, una volta ricevuto un leggero scossone, riprese lentamente conoscenza e si rialzò, venendo però bloccata e ributtata a terra con violenza da Ellery.
"EHY!" Misaki intervenne in difesa della sua amica ma un secondo spintone la fece cadere a gambe all'aria.
"Tu no." Disse grave Ellery guardando serio la felina.
"M…ma perché?" chiese flebilmente la ragazza avvilita, sentendosi in colpa per aver forse sbagliato qualcosa nella prova, qualcosa che non riusciva a capire.
Il maestro le si avvicinò a tre centimetri dal viso, facendola indietreggiare, socchiuse gli occhi: "Per questo." disse indicandosi i segni profondi degli artigli sul viso dal quale alcuni rivoletti di sangue si erano seccati da poco.
"Questa grave mancanza di rispetto comporta una punizione: tu resterai qui. Tutta la notte."
"…Stai scherzando vero?" Rage lo guardò di traverso, ma la sua occhiata fu ricambiata da una molto più ferma e severa.
"Andate a dormire. Ora."
"Ma..."
"Va bene." disse Evy, con un mesto sorriso "Va bene così."
Lentamente, sia Rage che Misaki si allontanarono verso le loro stanze. Ellery le osservò chiudersi la porta dietro di loro, diede un ultimo sguardo all'allieva che ritornava in posizione di meditazione tra gli sbadigli e, lanciando una veloce occhiata sulla sua cicatrice, infastidito dal precedente commento che ancora gli ronzava in testa, e sparì nell'ombra.



THA NEXT DAAAAAAAYYY…
Evelyn: "Broccoli…"
Misaki: "Evy, sono io, Misaki… Ti prego torna in te…"
Evelyn: "AAAH CHI VA LÁ!? …W-what?"
Misaki: "S-sono io, svegliati! Sei rimasta in meditazione tutta la notte, ti è andato in pappa il cervello? Potevi tornartene a letto…"
Evelyn: "…Voglio dei broccoli."
Misaki: "…. Mi sa che stai ancora dormendo. Tu odi i broccoli."
Evelyn: *Buuurp* "Ho così fame che potrei mangiare anche quelli."
Misaki: -____-  "Dai vieni a letto che è meglio…"
???: "EHILÁ, pronte per una nuova giornata di allenamenti?"
Misaki: "ELLERY? Già a quest’ora?"
Ellery: "Sì, non è fantastico? Il mattino ha l’oro in bocca, dice il saggio!"
Evelyn: *sviene*



Ne approfitto per dire che ho creato una pagina Facebook. Si chiama come la storia... Spero che mettiate tanti like! Appena arrivo ad un numero ragionevole, pubblico curiosità e disegni!!! :p

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Capitolo 7
*** Curiosity ***


Hoooey! Ho intenzione di fare un angolo chiamato "Curiosity", dove si parlerà dei nostri ibridi: curiosità, schedari, approfondimenti, se volete anche domande a cui risponderemo prontamente! Ps il capitolo non è ancora finito. Ho avuto dei problemi, ma penso e spero di riuscire a pubblicarlo presto! Mi impegnerò a farlo il prima possibile! Fatemi sapere che ne pensate dell'idea del Curiosity recensendo qui sotto o negli altri capitoli! A presto! :p

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Capitolo 8
*** Le catene dei ricordi ***


Il giorno seguente un terribile pensiero continuava a balenare nella testa della ragazza-gatto, ormai sfinita dalla notte in bianco passata a meditare.
Aveva intuito che Ellery sapeva qualcosa, forse anche troppo…
E se avesse saputo che lei era… E se sapesse tutto sul suo conto? No, no, NO! NON DOVEVA SAPERE!
Ormai era sola. L'avevano abbandonata senza una guida o un punto di riferimento a cui potesse aggrapparsi, un'ancora di salvataggio nel caso in cui accadesse di nuovo quella tragedia… Nessun altro essere ancora in vita conosceva il suo segreto e il suo silenzio era stato per tutto questo tempo il sottile filo che la separava dal baratro della solitudine. Non voleva che tutto… Di nuovo…
 
Sala degli allenamenti, ore 15.30
 
Misaki avvertì la tensione nella quale era immersa la compagna e si voltò verso di lei facendole un cenno preoccupato; Evy rispose prontamente con un sorriso rassicurante e fece le spallucce, non si vedeva che stava mentendo, perciò la ragazza volpina distese i nervi e tornò a guardare la scena di due ibridi alati intenti a scannarsi amichevolmente a vicenda, di preciso un chirottero e una libellula.
"Misaki, io vado un attimo in camera. Torno subito ok?" disse ad un tratto Evelyn girandosi ed allontanandosi svelta verso la porta d'uscita: senza sapere il perché Misaki ebbe uno scatto e le afferrò la mano per fermarla e in quel momento le sembrò come di non riuscire a leggere nella sua mente, a parte un vago e ripetitivo: "Ho paura. Ho paura. Ho paura."
Evelyn girò di scatto il braccio facendole mollare la presa e impedendole di continuare a sentire ogni suo pensiero raccolto in quelle quattro sillabe e sgusciò via acquistando nella corsa verso il dormitorio un muso felino e una lunga coda sinuosa e falciante. Talmente silenzioso fu lo scatto che nessuno se ne accorse a parte Kitsune che fece in tempo a vedere dove si era diretta per correre ad inseguirla. Da lontano Rage la squadrò velocemente ed esclamò: "Aspetta Misaki dove vai?"
"Torno un attimo in camera davvero torno subitooo!" e in un attimo era scomparsa.
Misaki corse come un treno a vapore alla ricerca del numero della loro camera: "313… 313 dai andiamo…"
Quando alla fine giunse nel corridoio giusto incrociò la compagna in fuga e riuscì a raggiungerla abbastanza da frenare la sua corsa.
"Ma insomma mi dici che ti è preso?" gridò dopo essersi buttata in avanti ed averla agganciata per la caviglia; Evelyn cadde in avanti stordita ma cercò di rialzarsi subito dopo: "Niente, voglio solo restare sola!"
"Non è vero, tu hai un problema e non ne vuoi parlare con me che sono la tua compagna di stanza brutta egoista!" ribatté trattenendola ed avvinghiandosi all'arto. Evelyn smise di dimenarsi e si girò verso di lei mettendosi goffamente a sedere e prendendola delicatamente per le mani: "Non. Puoi. Fare. Un beneamato niente. Per me.   OK?"
"Sì invece che posso, o almeno ci proverò. Cavolo, sono la sua compagna di armi, di stanza e di tutto quello che vuoi! Non posso vederti in questo stato… Lascia che ti aiuti…"
"Non puoi cambiare il cuore di un'Akuma."
Misaki strabuzzò gli occhi: "Che?"
"Hai sentito bene." disse Evy facendole cenno di rialzarsi. Entrambe si rimisero in piedi fissandosi l'una negli occhi dell'altra, finché Misaki non li chiuse e si incamminò verso la porta della loro camera: "Se vuoi dirmi qualcosa di importante, non puoi di certo farlo in corridoio no?" e le fece cenno di seguirla. Evelyn non protestò. Una volta dentro, sedute sul comodo futon di Misaki, la ragazza lasciò scomparire la coda felina rimanendo però con i nervi tesi e vigili.
"Adesso puoi raccontarmi." annunciò Kitsune.
"Niente. Ha perso apposta. Tutto qui." sentenziò lei incrociando le braccia e cingendosi il busto, dando l'impressione di sentirsi in quel momento terribilmente fragile.
Con gli occhi a forma di punto interrogativo, la volpina continuò a scuotere la testa in segno di ignoranza: "Non capisco, chi ha perso cosa? Perché sei tanto preocc…"
"Sto parlando del Generale, di chi altro!" sbottò Dark Rose cambiando totalmente registro della voce e piantando i pugni sul letto: "Quel bastardo sa benissimo che senza il suo veleno se perdo il controllo sono spacciata e vuole vedere quanto tempo impiegherò per ridurmi ad una falciatrice di anime senza controllo!" sbraitò lei prendendosi poi la testa tra le mani e cominciando a tirarsi i capelli dalla frustrazione: immediatamente Misaki le afferrò i polsi per impedirle di farsi del male ma a quella reazione Evelyn tirò all'indietro la testa per impedire che la sua nuca fosse anche minimamente sfiorata.
"…Dimmi la verità. Non è per questo che sei arrabbiata. Vero?" disse lentamente Kitsune preoccupata, allentando la presa e lasciandola libera, gli occhi improvvisamente annebbiati da un sospettoso velo violastro.
"No! Non voglio che tu ti spaventi, o peggio ancora che… Ti allontani da me…" disse tristemente Evelyn abbassando lo sguardo per non mostrare la lucidità dei suoi occhi segnati dal rosso dell'emozione e di una cascata di lacrime che ben presto sarebbe straripata sulle sue guance.
"Andiamo, qualunque cosa accada ti prometto che resterò al tuo fianco! So mantenere le promesse io!" continuò stavolta in tono più arrabbiato.
"No… Se sapessi la verità mi staresti lontano, tutti mi evitereste…"
"Perché dovremmo scusa? Come ti salta in mente!?" chiese Misaki sempre più confusa. Senza accorgersene aveva alzato un braccio verso di lei per poggiarlo sulla sua spalla e consolarla ma Evelyn notato ciò si ritirò indietro spaventatissima e senza rispondere alla domanda la balzò in piedi di scatto dirigendosi velocemente verso l'uscita ed aprendo con forza la porta; Kitsune la seguì d'istinto bloccandola sullo stipite puntandole uno sguardo terribilmente arrabbiato, ma inavvertitamente dalla troppa foga entrambe avevano praticamente disfatto il letto e le coperte ormai sparse sul terreno fecero scivolare la volpe, facendola capitombolare sulla compagna che batté la testa contro la sua.
Purtroppo per entrambe, bastò quello a mettere in contatto la mente di Misaki con i ricordi di Dark Rose, o di quello che era stata in passato…
Nella confusione offuscata della mente della ragazza cominciarono a fluire ricordi andati perduti perfino da ella stessa, e mentre il potere di Misaki scavava nei meandri perduti del suo oblio, senza poter interrompere il flusso, le immagini che vide sfrecciare davanti ai suoi occhi e i suoni che le si presentarono alle sue orecchie divennero una cosa sola, una narrazione continua del turbine infinito che il tempo sembrava aver bloccato in pochi istanti dentro quella cameretta buia.
 
I figli del Diavolo
Il sicario del Demonio
Il seme della sfortuna
Un segno bianco come la paura 
E nero come la morte.
 
Sapeva. Sapeva che sua figlia sarebbe presto stata in pericolo e che le alte sfere avrebbero presto chiesto di lei. Perché fin dalla sua nascita i deportatori avevano bussato alla sua porta chiedendo che fosse consegnata loro la sua figliola, costringendoli a fuggire il più lontano possibile.
La loro vecchia casa, i loro amici… Tutto era andato perduto.
Nella sua mente scorrevano ancora le immagini nitide dei loro ultimi momenti insieme, insieme all'uomo che aveva sempre amato, ed il solo pensiero faceva sgorgare in lei rivoli di lacrime amare che da troppo tempo solcavano il suo viso. Ma ogni volta si tratteneva, non voleva farsi vedere in quello stato dalla sua bambina, la cosa più preziosa che possedeva e che le era rimasta…
Era stato un anno fa, quando la visita di strani uomini in nero aveva scosso la tranquillità della cittadina, e la voce di un nuovo piccolo prescelto faceva sorgere dubbi e paure in ogni genitore.
Ma cos'aveva di così tanto speciale che gli altri bambini non possedevano? Le doti di qualunque altro bambino non erano paragonabili alle sue, probabilmente, forse… Forse quello che avevano annunciato gli emissari del tempio era vero. Che fosse davvero una maledizione la causa di tutto ciò?
"Questa bambina porterà sventura ovunque andrà, è un pericolo per tutti noi!"
Un Grido. Più grida. Centinaia di grida di odio e disprezzo
 
Ospedale della cittadina di *****, vent'anni fa, ore 20:08
 
Nella grande sala operatoria bianca illuminata da una soffusa luce al neon tutto era piombato nel silenzio più totale. La furiosa calca degli eventi precedenti si era dissolta nell'aria mescolandosi con quell'insopportabile odore di medicinali che aleggiava per tutto l'edificio lasciando solamente un amaro sapore di sconfitta. E nessuno dei presenti dottori seppe giustificare né comprendere il fatto che due insolite macchioline viola si erano aperte al mondo con tanta naturalezza eppure senza una stilla di gioia.
Una donna era stesa sopra un lettino da ospedale, stremata, ansimante e allo stremo delle forze ma viva e, date le sue precedenti condizioni, fiera di esserlo. Accanto a lei un uomo seduto su uno sgabello le teneva amorevolmente le mani intrecciate rivolgendole un sorriso stanco, accentuato dalla spigolosità dei lineamenti ormai ridotti a pelle e ossa dall'impressionante magrezza di quel viso segnato da tempo della privazione di cibo. Lui le scostò una ciocca di capelli corvini dalla fronte ancora imperlata dallo sforzo, dalla fatica, ricevendo di rimando un debole sorriso quasi forzato.
"David… Non avrei mai creduto di farcela…" sussurrò la donna chiudendo gli occhi e abbandonando la testa sul duro cuscino, ancora priva di forze; l'uomo aggrottò la fronte e le si avvicinò al viso prendendole le mani.
"Non dire questo, non dirlo mai. Sei forte Claire, forte più di qualunque altra persona abbia mai conosciuto, e sapevo che ce l'avresti fatta." Affermò convinto di ciò come potrebbe non esserlo stato mai in vita sua. In quel momento la porta venne spalancata di colpo facendo pesantemente sobbalzare i due e un fece il suo ingresso nella stanza un medico dalla statura alta e smilza, dal viso paonazzo sul quale troneggiava un naso adunco che reggeva un grosso paio di lenti rotonde e un fagotto fra le mani: una dolce pallina rosa che da pochi minuti aveva fatto la sua entrata trionfale nel mondo vincendo la lotta contro l'altissima probabilità di morte dopo il parto affrontata negli ultimi anni.
Il dottore era accompagnato da due medici che, arrivati di corsa un momento dopo la sua comparsa, balbettarono confusi una spiegazione che neanche loro potevano dare: "Signori, vi dobbiamo informare che, purtroppo, era come temevate…"
Quelle parole ebbero l'effetto di una granata colpita da una mazza da baseball.
"In che senso, era come temevamo? Che storia è questa?" David scattò in piedi col viso accigliato e un pessimo presentimento insinuatosi fra i suoi pensieri ancora confusi.  No, non poteva essere, non poteva essere davvero quello che temeva…
Quando Claire poté finalmente tenere in braccio la sua bambina, dovette trattenere un sospiro mesto di rassegnazione.
"Il pigmento delle sue iridi è violetto."
Sebbene tenuta all'oscuro di tutto, la bambina percepiva l'esistenza di un grande segreto, del motivo per cui la madre teneva le finestre chiuse e il padre le rivolgeva sempre sorrisi velati di malinconia. Probabilmente il mondo non era neanche a conoscenza della sua esistenza.
Pochi giorni dopo, o almeno quel che le sembrò, suo padre aveva ricevuto visite da tre figuri dagli abiti semplici tipici degli eremiti, ed aveva discusso con loro di qualcosa che probabilmente l'aveva fatto molto preoccupare, date le rughe profonde sul suo volto divenuto scurissimo. Non afferrò molto di quello che si dissero, solo che 'Le profezie erano andate perdute' e che 'Il monastero era stato messo in ferro e in fuoco'… sinceramente non aveva molto senso allora.
I giorni seguenti i suoi genitori divennero sempre più preoccupati e continuarono a parlare sul fatto di possibili attacchi di non si sa cosa e di dover evacuare la città… Ma… Che cos'era una città?
Capì molto presto cosa significasse: molte genti si rifugiarono in casa loro nelle settimane che seguirono, mentre fuori sembrava scatenarsi una baraonda fatta di enormi esplosioni e botti infernali, segno che una guerra era in corso. Evelyn non venne mai a contatto con gli ospiti adulti per fare in modo che non si allarmassero, infatti fu sempre tenuta nella sua cameretta assieme ad occasionali bambini rifugiati, per cui non era mai sola. Non chiedeva molto, solo di poter vivere in pace e di poter aiutare i suoi genitori a porre fine a tutto questo terrore che vedeva attraverso gli spiragli delle finestre sbarrate.
Accadde un giorno che ella si fece coraggio e, aspettando che tutti si fossero messi a dormire, tentò di aprire la finestra. Quello che vide, con la sua vista fin troppo acuta, la inorridì talmente tanto da farle quasi cacciare un urlo: rosso, una quantità esorbitante di rosso scuro imbrattava le strade, e delle persone stese a terra, i loro petti immobili.
Altri rari botti provenivano dal fondo della via: vide un uomo correre dalla parte opposta, ma qualcosa lo colpì e lo fece stramazzare a terra. Lo vide portarsi le mani ad un fianco ed essere raggiunto da un altro uomo che imbracciava un oggetto nero con un'impugnatura e una sorta di mirino, lo vide usarlo contro l'uomo steso a terra ed esso urlò ancora, accartocciandosi su sé stesso.
"FERMATI!"
Fu più forte di lei, gridò con forza per impedirgli di torturare oltre quello sconosciuto, e senza accorgersene si era arrampicata sul davanzale in una posizione pericolosissima.
L'uomo che aveva in mano il marchingegno si voltò verso di lei e con uno sguardo d'odio antico la inquadrò, avendo un attimo di mancamento. I suoi occhi si sbarrarono e l'oggetto che teneva gli cadde pesantemente di mano, un grido di allarme si levò nell'aria.
Oh no, stava avvertendo altre persone! Forse era questo che i suoi avevano cercato di impedire! Con tutta sé stessa Evie desiderò di non aver mai aperto quella finestra, altre voci giungevano già dalla via deserta, doveva fare qualcosa o li avrebbero scoperti.
Poi accadde che un pezzo di muro, un vero e proprio blocco di cemento pericolosamente in bilico si distaccò dal resto della parete e finì sull'uomo.
Il suo grido si interruppe con un gemito di morte.
Altri di loro arrivarono, ma la finestra era già richiusa, e nessuno seppe dell'accaduto.
Era successo qualcosa, ma ancora non era certa di cosa fosse stato.
Passarono mesi, mesi di puro terrore, nei quali la popolazione fu letteralmente decimata ed i prigionieri furono fatti a pezzi con i metodi più allucinanti che la perversa mente umana potesse concepire.
Alla fine di questi, i genitori di Evelyn si radunarono insieme ad altri i pochi superstiti, qualche centinaio, un numero bassissimo rispetto alla quantità che erano prima, secondo le parole di sua madre. Venne anche lei, per fortuna il buio causato dal perenne manto di polvere che si era levato sui resti della città in rovina impediva parzialmente che i suoi occhi fossero visti chiaramente.
Il sindaco non si era salvato, al suo posto pochi funzionari, gli unici a conoscere quello che realmente stesse accadendo, tennero un discorso secondo al quale dovevano tutti lasciare la città e dirigersi in altre località più sicure.
Durante questo discorso si accennò a proposito della visita degli uomini che avevano incontrato suo padre, la cosa li preoccupò non poco, ma per fortuna nessuno si accorse della sua presenza.
E così venne il giorno in cui tutti i cittadini dovettero allontanarsi da quel luogo in rovina, dicendo addio agli anni migliori della loro vita, forse i peggiori, forse non abbastanza da essere considerati ricordi.
Fu durante quella traversata che la scoprirono.
Ci fu un altro incidente, stavolta causato da un albero abbattuto da un fulmine, nel momento in cui alcuni stavano passando: non fu colpa sua, davvero, ma per lo spavento il cappuccio le scivolò dalla testa e un fulmine lontano le illuminò il viso.
La radura piovosa era gremita delle genti di tutto l'abitato, tutti riuniti sotto un unico grido di giustizia.
La gente strepitava, urlava, si spintonava, si faceva strada fra la folla immensa solo per vedere lo spettacolo che era il veder consegnare l'anima peccatrice alla giustizia. Un'altra vittima della giustizia.
"Questa strega malefica deve pagare per tutti i mai che ci ha portato! Va punita con la morte!"
In mezzo al gran tumulto due persone si fecero strada innalzando le proprie voci al di sopra delle altre: "Fermatevi!! Quella è la mia bambina, quella è la mia bambina!" urlava tra le lacrime sua madre senza riuscire ad avvicinarsi al palco, dove il nuovo sindaco e i suoi consiglieri avevano appena annunciato il loro verdetto. "Fermatevi vi prego!" ripeteva sempre più disperatamente, finché non fu travolta dalla folla e il tumulto calò su di lei come un macigno.
"Questi sono i genitori della bambina! Prendiamoli!" fu l'unica risposta ricevuta in cambio, proveniente da un vecchio uomo raggrinzito dagli anni, con addosso nient'altro che stracci rattoppati, sin da quando l'intera città si era dovuta rifugiare lontano dai centri abitati per sfuggire alle avide unghie di soldati al servizio di un tiranno. "Acciuffiamoli!" gridò ancora, con più astio, e si fece largo egli stesso tra la folla che aveva già accolto la proposta sciagurata circondando la povera donna e il suo marito corso in suo soccorso. Vennero fatti salire sul palco e tra le ingiuste grida di giustizia legati con una grossa e ruvida corda malconcia. Il presunto sostituto del sindaco ordinò che venissero immediatamente puniti per quell'affronto all'incolumità degli abitanti, ma quello di cui nessuno si preoccupò fu quello che davvero avrebbero dovuto evitare.
Due minuscoli lampi viola illuminavano fiocamente il viso della bambina stretta malamente da grosse corde attorno al palo del rogo al centro del malconcio palco rialzato.
Credevano che non potesse capire nulla di quello che stava succedendo, e invece no.
Sentiva benissimo che attorno a lei si trovavano centinaia di protestatori pronti a condannarla a morte, e vedeva chiaramente la punizione che stavano scontando i suoi genitori, fra gli scoccanti colpi di frusta nell'aria. E capiva bene di essere la causa di tutto questo. Quanto avrebbe voluto non essere mai nata, pensò tra le lacrime mischiate alla pioggia che le bagnava le gote e i vestiti ora fradici sotto la mantella.
Era come se il suo astio, l'odio profondo che in quel momento gremiva ogni essere umano di quel paese maledetto e le sue più sentite attenzioni si condensassero in un solo punto, dietro quelle delicate iridi viola, che cominciarono a bruciarle da morire…
Mentre pensava a queste cose vide un'immagine fulminea balenarle in testa: delle persone con sembianze di uccelli stavano sorvolando la zona, alla ricerca di superstiti probabilmente. Il vento accompagnava delicatamente il loro volo silenzioso.
"Trovato nulla?"
"No, credo proprio che non ne sia rimasto neanche uno. Abbiamo fatto piazza pulita!"
"Certo che queste città della Resistenza sono davvero tante… Se vogliamo vedere un minor afflusso di viveri per i soldati della Feccia ci dobbiamo impegnare di più!"
"Hai ragion- WOAAAAH!!!"
L'uomo uccello sbandò improvvisamente per una folata di vento inaspettata, fuori luogo da qualsiasi contesto meteorologico, facendolo sbandare e precipitare in picchiata Fortunatamente per lui la quota fu abbastanza alta da permettergli di riprendere l'assetto, ma in quel momento la vide.
Vide il gruppo riunito e sentì le grida.
"Tesoro, tesoro mi senti?"
"Papà? Sei tu? Vedo il tuo viso sporco di pomodoro, che pasticcio hai combinato? Papà, perché stai piangendo?"
"Tesoro, sappi che io ti ho sempre amata e ti amerò sempre... Cresci… E diventa bella e forte come tua madre, mi raccomando…"
"Perché sei steso a terra? Perché stai tremando? Papà… Ti prego, non piangere…"
La radura divenne il palcoscenico di una delle molte, orribili e barbariche tragedie che scuotevano la penisola da secoli.
Rosso. Non aveva mai visto il rosso da così vicino. Tanto rosso. Pioggia di rosso. E non era pomodoro.
Da qui in poi solo i rumori delle grida agonizzanti e disperate le riempirono le orecchie fin quasi a diventare un veleno diffusosi nell'aria, arrivava fino ai polmoni, li bruciava, era sapore di metallo, grida, e nessuna immagine. Le lacrime offuscarono qualsiasi ricordo visivo di quelle ore.
Passò un'ora, un giorno, non lo seppe mai. Fatto sta che, dopo interminabili momenti di buio, quando finalmente i suoi occhi tornarono ad inquadrare ciò che aveva attorno, si trovava sotto al telone di un carretto trainato molto probabilmente da ciuchi dalla giovane età considerata l'andatura e la regolarità del passo. Si sentiva come interamente atrofizzata. Doveva muoversi. Si agitò fra le braccia della madre, che accortasi della sua inquietudine cominciò a cantarle una dolce canzone di cui ricordava a malapena le parole, ma dal significato profondo quanto lo era il legame che la univa ai suoi genitori, e ai suoi nonni, e ai genitori di essi fin dai tempi antichi.
"Shhh piccola, non fare rumore. Fa freddo là fuori, perciò non dobbiamo farci scoprire o il proprietario del carretto ci lascerà a piedi…"
Avendo afferrato la delicatezza del momento, la bambina fece cenno di assenso e sembrò acquietarsi. Aveva capito già da tempo che tutto ciò che era successo quel giorno doveva rimanere chiuso nelle sue memorie, per sempre.
La madre cominciò ad intonare un canto dolce dal tono malinconico ma rassicurante e, cullata dal suono delle sue parole, la bambina si addormentò serenamente.
 
Il mattino dopo uno scossone la svegliò di soprassalto: il carretto mercantile sembrava essere arrivato a destinazione. Prima che il mercante si accorgesse della loro presenza, la madre saltò giù e svicolò fra i banchetti della piazza nella quale erano capitate: sembrava un paese tranquillo, pieno di colori e profumi di spezie; l'aria delle montagne le invadeva i polmoni, così pulita, così pura da raschiarle le pareti interne dei polmoni tanto si era abituata all'aria stantia sotto al telone che le aveva tenute al coperto per tutto quel tempo. La madre camminava senza una meta guardandosi attorno confusa, ma allo stesso tempo decisamente sollevata: per lo meno avevano scampato il pericolo più grande e si erano ritrovate in un borgo dall'aria amichevole. Mentre stava pensando quelle medesime parole finì però contro una signora che reggeva una cesta ed ella, presa alla sprovvista, la lasciò cadere a terra tentando di riacquistare l'equilibrio.
"Oh mi s-scusi signora davvero non volevo..."
"Ma si figuri buona donna!" rispose cordialmente lei rassettandosi la lunga gonna del suo vestito e raccogliendo la sua cesta "Per nostra fortuna non conteneva ancora nulla…. Ma voi? Si vede che siete nuova di qui, qual buon vento vi porta?" e abbassò lo sguardo verso la fanciulla nascosta dietro la lunga veste della madre, talmente delicata da sembrare una bambolina di pezza. Intimorita dalla presenza estranea la bambina accennò ad un piccolo sorriso ad occhi chiusi per non mostrare il colore delle sue iridi e strinse le manine al petto.
"…In effetti non sappiamo con precisione dove ci troviamo, ciò che ci è successo finora ha dell'incredibile…"
"Beh allora benvenute ad Auros, una piccola località turistica di lago e di montagna! Noi tutti qui cerchiamo di vivere in simbiosi con la grande montagna che ci ospita e ci fa prosperare, se ami gli spazi aperti sei nel posto giusto!"
La madre era commossa dalla cordialità con la quale quella sconosciuta le si stava rivolgendo, sentiva di aver ritrovato una parte di sé in quel luogo e lo sentiva anche la bambina, anche Evelyn, che per la prima volta da quando era nata poteva davvero sentirsi al sicuro. Al sicuro.
 
Qualche ora dopo:
 
Nonostante fosse passato solo un giorno dalla loro rocambolesca fuga, alle viaggiatrici parve trascorso un mese intero tanto era diverso il luogo nel quale erano capitate, talmente maestoso, sconosciuto, straordinario.
Le case, le strade, le botteghe piene di gerani e l'erba sparsa ovunque di primule, il cielo azzurro, le montagne imponenti e candide attorno a loro, ogni cosa era semplicemente perfetta! Dalla sua bassa visuale sull'orizzonte Evelyn vide la buona donna di poco fa accompagnarle fino ad una locanda non molto distante dal centro, un bell'albergo con vista sulle Alpi: una volta entrate il profumo della tavola calda investì le narici delle due stanche viandanti di un intenso e dolce sapore che fece venire ad entrambe l'acquolina in bocca, manifestata più concretamente da un rantolio affamato che era il gorgoglio delle loro pance. Naturalmente la signora se ne accorse immediatamente dopo averle squadrate con occhio risoluto di chi se ne intende e le invitò senza indugi a presentarsi al proprietario dell'immobile.
"Esmeralda, sei tornata finalmente! Ti avevo detto che mi servivano subito quelle spezie, scommetto che ti sei fermata a parlottare con il tuo gruppo di comari come se niente fosse vero?" tuonò un vocione non troppo severo proveniente da dietro al bancone delle ordinazioni, mentre un uomo dalla corporatura massiccia simile ad un robusto armadio a due ante dai corti capelli biondi, il vestito lindo leggermente logorato dal tempo e due occhi vividi e azzurri come il ciel sereno si dava un gran da fare per soddisfare le richieste dei viandanti che ordinavano ai tavoli.
"Ma no caro, mi sono solo fermata un attimo per correre in soccorso a questa viaggiatrice sconosciuta, guardala sembra un agnellino sperduto!" rispose lei a metà fra lo stizzito e il divertito dando un colpetto di gomito alla 'povera viaggiatrice', che sorrise debolmente.
A Evelyn piaceva l’atteggiamento di Esmeralda, era solare e gentile, non si faceva tanti problemi ad accogliere dei perfetti sconosciuti se li reputava innocui e odorava di menta: non aveva mai incontrato nessuno nella sua beve vita di così solare, e la scoperta le fece spuntare un sorrisone sul visetto minuto.
"Allora, cosa abbiamo qui?" fece il signore allontanandosi dal bancone non prima di aver fatto cenno ad un uomo smilzo e ritto come un palo di sostituirlo per un po'; dopo averle squadrate per bene convenendo che sì, assomigliavano a due povere pecorelle senza padrone, decise di rompere il ghiaccio porgendole una calorosa stretta di mano: "Beh, che posso dire benvenute nella mia umile locanda! Il mio nome è Francesco Sinandro e questo splendore che vedete accanto a me è mia moglie Esmeralda."
"Non esagerare caro! Comunque sentiti come a casa tua, possiamo offrirti un piatto della casa mentre ci racconti l'incredibile avventura di cui parlavi…"
"Aaah ecco!" esclamò ridendo Francesco poggiandosi una mano sulla fronte e girandosi dall'altra parte verso il bancone: "Devi sapere che mia moglie è una gran pettegola, scommetto che vi avrà notata da un miglio di distanza pur di scoprire qualche frivola notizia delle vostre…"
"NON sono frivolezze, accidenti non sai ribattere altro quando si tratta di novità!"
"Ti ricordo che questa locanda è fondata sulla tradizione!"
"E la tradizione ti impone di tramandare anche la polvere degli angoli, o sbaglio?"
Nel bel mezzo di quel battibecco sorto su due piedi Claire si sentì terribilmente fuori posto, in quel locale come in quella città dove il piatto grigio che avvolgeva come un’aura di cruda realtà l'intero borgo della loro vecchia dimora… La sua dimora…
Senza accorgersene e molto velatamente, per non farsi vedere in volto dalla popolazione che costituiva il tram tram quotidiano dell'albergo, e forse per non mostrare la propria debolezza, piegò la testa da un lato socchiudendo gli occhi offuscati da un velo di bruma azzurra.
La buona donna che le aveva accolte e che portava lo splendido nome di Esmeralda Calderani viveva in quel paese da quando era nata e ne conosceva abbastanza bene ogni angolo da poter trovare subito casa alle due povere fuggitive: un posto nell'ostello di suo marito, Francesco Sinandro: i due erano sposati da molti anni e l'avevano ereditato dai genitori di quest'ultimo, finora vitto e alloggio per i viandanti non mancava mai e nemmeno quelli scarseggiavano tanto. Spiegata la situazione a Francesco, questo aveva deciso che avrebbe ceduto una stanza finché non fosse stata in grado di trovare un'abitazione e vivere in autonomia.
In breve tempo le due forestiere trovarono una sistemazione e un lavoro, indispensabili per la sopravvivenza. E soprattutto, avevano trovato una famiglia. Qualcuno su cui contare.
La vita trascorse serena per un po', fra le chiacchiere familiari nelle locande e le nuove prospettive di commerci; in quell'arco di tempo Evelyn scoprì l'attività più bella del mondo, cioè il disegno libero: bastava darle una penna ed un quadernino che quella rimaneva ore ed ore a creare e fantasticare, divertendosi ad inventare inverosimili storie del bosco antico, attingendo dall'ampia tradizione ed escogitando sempre qualcosa di nuovo.
Inoltre vi era una scuola speciale ad Auros, un istituto dove i giovani imparavano l'arte del combattimento a fini difensivi ed offensivi. Quello divenne senz'altro il luogo più frequentato da Evie, la quale si era ripromessa di iscriversi anch'essa una volta cresciuta.
Ma un giorno gli assalti delle truppe nemiche si avvicinarono pericolosamente alla città. A quel punto fu dato lo stato di allarme ed il grande afflusso di gente venuta da altri paesi diminuì drasticamente; la buona stella che li accompagnava venne oscurata, assieme a tutto il cielo, dalla polvere da sparo.
 
Città di Auros, diciotto anni fa, ore 19: 47
 
"Evelyn dove sei?"
"Qui mamma…" la sottile voce proveniva dal cucinotto della piccola casa, un appartamento al pian terreno di un'ormai insignificante cittadina dimenticata dal mondo.
La bambina era appoggiata al vetro della porta finestra che dava sul cortiletto con sguardo avvilito.
"Voglio uscire…"
La donna tentennò un istante, perché sapeva quanto le piacesse uscire in giardino e quanto le facesse bene: aveva paura ad incontrare i bambini della sua età, e l'unico posto in cui le piaceva andare era il campo di addestramento per giovani combattenti. Rimaneva sempre imbambolata a guardare la precisione di quelle mosse, il ritmo dei movimenti, e memorizzava tutto con quegli occhietti sognanti.
"No tesoro, per un po'di tempo non posso farti uscire." rispose infine, accarezzandole i capelli corvini. Al contatto Evelyn arretrò di scatto e si girò verso la madre con i pugni chiusi: "Non è giusto io voglio uscire! Perché non me lo permetti, nessuno mi conosce qui!" gridò battendo i piedi. Era da mesi ormai che era stata reclusa in casa senza che nessuno le avesse dato una spiegazione del perché. La donna tentò di avvicinarsi la venne allontanata da due occhi dalla singolare tonalità violetta che la fissavano rabbiosi.
Due occhi traboccanti di rabbia, che la guardavano in cerca di una risposta per tutto il dolore che aveva ricevuto. Per la perdita di suo padre, che continuavano a dirle di essere stato bloccato dal lavoro e che non era più tornato; per l'improvviso trasferimento; per il divieto continuo di uscire per incontrare i pochi amici che le erano rimasti, tra i quali il suo micio randagio Chesire.
Sapeva che non poteva rispondere alle sue domande, ma sapeva anche che le avrebbe fatto fin troppo del male a vietarle l'unica cosa che desiderava davvero.
"D'accordo puoi uscire. Ma solo per poco e vedi di non allontanarti da me ci siamo intese?"
La bambina si bloccò, per poi slanciarsi in un dolce abbraccio pieno di gratitudine: "Grazie mamma!" sussurrò prima di fiondarsi fuori non appena la porta fu aperta.
Il sole sull'orizzonte rischiarava ancora il cielo sgombro dalle nuvole e riscaldava con i suoi raggi rosso-dorati le case e le strade che, addormentate nella quiete della sera, si preparavano per andare a dormire. Evelyn si voltò verso la madre che, dicendole che faceva una cosa ma tornava subito e di non muoversi, le aveva dato il via alle danze.
Corse non con quello strano modo goffo di correre come tutti i bambini della sua età ma con un'andatura spedita, precipitandosi nella piazza centrale e salutando di sfuggita i radi passanti i quali le restituivano il buonasera con ampi sorrisi.
Si gettò a capofitto in un vicoletto buio e dimenticatasi della raccomandazione materna cominciò a gattonare nel cunicolo che le si presentava davanti, ritrovandosi in uno spiazzetto circondato dalle mura delle abitazioni.
"Amici! Sono tornata!" gridò più forte che poté, per attirare a sé il suo amico Chesire. Il suo piccolo gatto nero, capo della banda di randagi che pattugliava la cittadina.
"Miaaaooo!" risposero di rimando decine di felini nascosti negli anfratti delle pareti, nei cumuli di scatoloni vuoti ai lati della piazzetta e sopra i tetti. Aveva sempre avuto un'empatia peculiare verso gli animali, forse per il fatto che questi non possedevano alcun filtro di discriminazione e in un certo senso, erano più umani degli uomini stessi.
In breve tempo il nascondiglio era gremito di dolci batuffoli felini un po'spelacchiati e dai più svariati manti colorati… Al centro di essi, si faceva largo un piccolo gatto dalla morbida pelliccia nero pece, un fiocco rosso legato al collo.
"Chesire!" esclamò la bambina esultante, avvicinandosi al micio e prendendolo in braccio "Mi sei mancato tanto…"
Rimase una mezzora a giocare con loro, in quell'antro costruito fra le case senza una ragione apparente, finché non fece abbastanza buio da mettere in seria difficoltà la percezione visiva della bambina: la notte calava presto durante la stagione autunnale.
Stava per accomiatarsi dalla banda, quando all'improvviso tutti i gatti iniziarono a soffiare in maniera insopportabile.
Allarmata Evelyn si voltò subito in tempo per evitare un paio di mani che stavano per afferrarla, due mani guantate di nero che appartenevano ad un uomo coperto dalla testa ai piedi del medesimo saturo colore: lo scambiò per l'Uomo Nero, il maligno che infestava i suoi sogni da quando sua madre le aveva narrato di lui.
"No no no tranquilla, sono un amico di mamma, devo riportarti da lei, davvero." l'uomo in nero si avvicinava lentamente con le braccia aperte cercando di assumere un aspetto meno spaventoso di quello che poteva sembrare. Evelyn non si lasciò incantare e si tuffò nel mezzo della banda di gatti che si misero subito in posizione di difesa, soffiando minacciosamente contro di lui. In un secondo l'uomo si ritrovò coperto di felini rabbiosi che lo tenevano inchiodato al suolo e la via fu libera: la bambina si rialzò in piedi goffamente e corse all'uscita insieme a tutti i suoi amici gatti e gattonò fino all'uscio, dove però ad attenderla stava un altro uomo in nero. Quando se lo ritrovò faccia a faccia lanciò un grido strozzato e fece dietrofront ma venne afferrata dallo sconosciuto e caricata in spalla; nell'essere presa scorse una padella abbandonata per terra e l'afferrò, lanciandola in fonte all'uomo che la lasciò andare per coprirsi il naso rotto e nell'attimo di distrazione una decina di felini rabbiosi l'aveva circondato.
"Mamma! Mammaaa!" Evelyn gridava spaventata correndo verso casa, alla ricerca della protezione dell'unica persona che era rimasta vicino a lei.  Altri uomini in nero spuntavano fuori da ogni angolo ma per fortuna venivano travolti da cumuli di scatoloni, bloccati dalle macchine o altro. Tutte coincidenze 'fortuite' apparentemente.
Corse a perdifiato verso il giardino di casa sua, incontrando i rari passanti che ancora si aggiravano per la città con l'ultimo carico di commissioni: appena questi videro gli uomini che la inseguivano si diedero da fare per bloccarli, ricevendo una breve occhiata riconoscente di sfuggita da parte della piccola in fuga.
Arrivata a metà strada riconobbe però una figura che correndo si avvicinava a lei: sua madre! Si abbracciarono forte con le lacrime agli occhi, entrambe avevano temuto di non rivedersi mai più…
"Mi dispiace davvero non so che stia succeden…"
"Non ha importanza ora Evie, tu ed io dobbiamo andarcene subito."
"Ma Esmeralda, e Chesire, e tutti gli altri?"
"Li rivedrai presto cara, te lo prometto!" rispose Claire suggellando il patto con un bacio sulla sua piccola fronte calda e prendendola per mano. Insieme fuggirono attraverso vicoli mai visitati da lei e stavano per raggiungere il limitare del bosco che circondava una parte della cittadina, quando un ennesimo uomo in nero si presentò al loro cospetto: ora che lo guardava con più attenzione scoprì che in realtà era una sorta di animale, un animale che non aveva mai visto, con sembianze umane. Dietro di loro sentì un coro di urla di paura e di incitamento, come se si fosse scatenata una battaglia.
"Non muovetevi se ci tenete alla pelle." sputò freddo l'essere davanti a loro.
"Non muoverti tu, se ci tieni alle piume." rispose un altro uomo alle sue spalle.  Quell'uomo era Francesco.
"F-Francesco? Cosa sta succedendo?" chiese sua madre terrorizzata. L'essere metà uomo metà uccello dovette levare le braccia in segno di sottomissione, ma un istante dopo era girato in posizione di attacco e con la punta del suo affilato becco ricurvo ferì la spalla del locandiere, il quale non si fece cogliere del tutto impreparato e schivò quanto possibile colpendo l'uomo con un coltello da cucina.
"Andate! Presto, riunitevi agli altri!" gridò prima di ricevere un'altra ferita, stavolta più seria, continuando a lottare utilizzando le tecniche che Evie aveva visto usare nella scuola di arti ninja. Quel gesto di assoluto altruismo permise loro di sopravvivere ancora un po', toccava ora a loro ripagare il suo sacrificio: corsero con tutta l'energia che conservavano in corpo, incontrando uomini in nero ad ogni angolo ed evitandoli grazie all'aiuto della popolazione, che ai loro occhi si trasformava lentamente in un esercito di… Combattenti.
Ma certo.
La resistenza, la Feccia, come avevano detto quegli uccelli che li avevano attaccati tempo orsono.
Si erano rifugiate in una base di addestramento.
Una volta giunte nuovamente in città, videro che essa si era trasformata in una riproduzione dell'Inferno in terra: un incubo che tornava realtà, stavolta con entrambe le parti, uomini e mostri, preparati a combattere e decisi a vincere. Alcuni abitanti fecero loro segno di seguirli e così fecero, si sarebbero dirette verso un nascondiglio.
Durante il tragitto, però, qualcosa impedì loro di proseguire.
Stavano raggiungendo il rifugio, erano quasi arrivate, quando Evie ebbe la sensazione di aver visto un lampo sfrecciare davanti a loro e in un attimo il loro accompagnatore fu immobilizzato da quella che sembrò una scarica. Stramazzò a terra. Il colpo di scena le fece indietreggiare di scatto consapevoli che la loro vita sarebbe potuta finire lì e subito, proprio come era accaduto a quell'uomo. Per un attimo il cielo sembrò essere oscurato dalla presenza di un enorme volatile.
"Mamma ho paura, ti prego voglio fermarli!" insisté la giovine stringendo con i pugni il vestito della madre, che scrutava in giro possibili pericoli, e quello che vide le permise di essere abbastanza lesta da abbassarsi e non essere tranciata di netto.
Una saetta sfrecciò sopra di loro, schiantandosi sul terreno con una potenza tale da provocare la formazione di un piccolo cratere, e tra le macerie fumanti della strada si fece largo la cosa più terrificante che Evelyn avesse mai visto.
Un sibilante, minaccioso animale dal corpo lungo e sottile si eresse con tutta la sua lunghezza davanti a loro, scannerizzandole con due occhi ghiacciati e penetranti.
Senza neanche pensarci un attimo sua madre si parò davanti a lei per proteggere la sua bambina, gridando che qualunque cosa stessero cercando non gliel'avrebbero data.
La creatura sibilò e parve cambiare espressione, rispondendo con una voce profonda e sottile: "Come fate ad amare un tale rifiuto umano, che vi ha portato via ciò che veramente vi spettava?"
Sentì sua madre deglutire freddamente senza scomporsi, stringendola a sé con più determinazione. Il suo gesto di bontà le infuse un coraggio che non credeva di poter provare, indomabile, pur non capendo il significato di quella sua affermazione.
Per un terribile istante non accadde nulla. La creatura fiutò l'aria come in cerca di qualcosa, poi Evie la sentì pronunciare un debole suono in una direzione precisa ed in un battito di ciglia una decina di soldati era apparsa furtiva come un esercito di ombre, avventandosi su di loro; delle fredde e ruvide mani le afferrarono le braccia e la trascinarono all'indietro lontano da sua madre mentre ella veniva bloccata sul posto da altri uomini dimenandosi invano.
Sarebbero morte lì, e non poteva opporre alcuna resistenza perché era solo una piccola stupida bambina che non era in grado di proteggere nessuno. Con uno strattone Evelyn fu trascinata lontano dalla madre e l'ultimo contatto delle loro mani fu interrotto per sempre.
"Evie ti voglio bene, ricordatelo sempre!" le sentì pronunciare a fatica, prima che un oggetto metallico le trapassasse il petto in posizione del cuore.
"M-Mamma…" singhiozzò lei disperata "Ti prego non lasciarmi..."
Vide il suo viso perdere rapidamente colore, le sue braccia afflosciarsi lungo i fianchi: "...Non cedere… Sarò sempre con te…"
I suoi occhi si chiusero, cadde in avanti come cade un corpo senz'anima.
I suoi bellissimi occhi azzurri. Non li avrebbe rivisti mai più.
In quel momento tutto si fece nero e nulla di ciò che successe venne registrato nella sua memoria, a parte alcune rade immagini oscurate da una foschia viola.
Un uomo corre, il braccio sinistro penzola senza vita, presto un muro gli cadrà addosso e smetterà di gridare.
Un altro straziante urlo, come siete rumorosi voi tutti, altre due persone stanno combattendo contro un mostro ignari che fra poco una trave li infilzerà tutti e tre.
Odio questo rumore, voglio che smetta subito. Che soffochi quel bambino strepitante incastrato fra le macerie.
Venga tranciato a metà chiunque si azzardi ad invocare il nome di un dio.
Non smetta di cadere la frana provocata dal crollo di quella casa, li schiacci tutti senza lasciarne uno solo in vita, uno che sia ancora in grado di chiamare aiuto.
Non esiste speranza, nessuno vi sentirà dall'alto.
 
…What is this feeling
Of power and drive
I've never known?
I feel alive!
 
Risvegliatasi sotto un cumulo di detriti, Evelyn non ci mise molto ad accorgersi con sgomento di non avere attorno a sé anima viva.
La sua famiglia era stata sterminata da quei… Quei mostri.
Sentì l'irresistibile voglia di liberare il suo dolore attraverso le lacrime ma represse quel desiderio, non aveva senso rimpiangere ora; non era rimasto più nulla su cui piangere.
"Cassspita, hai fatto proprio un ottimo lavoro." sentì provenire alle sue spalle. Con uno scatto spaventato si girò per capire chi avesse pronunciato quelle parole ma ormai il Sole era sceso e la poca luce rimasta non fu sufficiente a determinare chi avesse davanti, e nei pochi secondi di confusione che agitarono la sua mente qualcosa di gelido ed affilato si piantò nel suo collo, dopodiché l'oblio la accolse fra le sue nere braccia.
 
Luogo sconosciuto, qualche ora dopo:
 
Evelyn aprì per metà gli occhi, le palpebre cadenti, per metà ancora nel mondo dei sogni, mentre attorno a sé il mondo non smetteva di girare su se stesso ad una velocità insostenibile: riusciva solo a distinguere le pareti di una stanza completamente blindata... Era praticamente incollata ad una grande sedia, circondata da parecchi pericolosi marchingegni dotati di siringhe acuminate e valvole di emergenza. Provò a muoversi, ma delle pesanti cinghie le impedirono ogni movimento.
Delle voci provenivano da un punto indeterminato. Il buio invadeva ogni angolo della sua mente. No, non tutto era buio. Alzò lo sguardo verso la grande finestra vetrata che dava su un'altra stanza, dalla quale riusciva chiaramente a vedere un gruppo di persone sconosciute intente a smanettare con centinaia di bottoni e leve su grandi pannelli di metallo, e più in fondo un uomo con una divisa blu scuro che osservava il vuoto pensieroso.
Dapprima nebulosi, poi sempre più distinti, i ricordi perduti le riempirono la memoria: la rabbia affiorò in lei come un inestinguibile getto di lava che dalle profondità della terra eruttava con violenza, e qualcosa dentro di lei si ruppe. All'improvviso una sensazione calda, quasi bollente si insinuò nel suo sangue provocandole fitte di dolore, mentre ogni cosa si tingeva di un intenso viola scuro…
"Ci sono dei problemi, Signore!" quella notizia non sfiorò nemmeno la mente dell'uomo, che materializzando la sua coda l'aveva stretta attorno al collo del povero ingegnere: "Che genere di problemi?" sussurrò glaciale.
"C-C'è qualcosa che si intromette nella fusione dei DNA…" rispose l'uomo spaventato, cercando di liberarsi dalla stretta presa che lo stava soffocando.
Egli lo lasciò libero e si avvicinò al sistema di comandi che misurava l'andamento della reazione. "Akuma." sussurrò avvilito.
Diamine, non credeva che avrebbe causato loro tanti problemi, ma non vi era rimedio. "Procedete." sentenziò infine.
"Ma capo…"
"Procedete!"
I funzionari avviarono il processo.
Attesero qualche minuto, e si affacciarono al vetro della cabina per vedere il risultato. Dalla camera usciva ancora un denso fumo…
All'improvviso il vetro si frantumò senza che nessuno lo avesse rotto, e una figura minuta sgusciò fuori dal buco creato piombando sull'ingegnere piantandogli degli artigli affilati in faccia. L'uomo gridò di dolore e barcollò all'indietro tentando di liberarsi da quel felino impazzito, aiutato dai compagni. Il generale non si mosse, ma un suo unico ordine fece piombare nella stanza decine di militari che bloccarono l'ibrido e lo legarono ad una lastra di metallo. L'essere si dibatteva furioso, ma poco a poco tornò a mostrare le sembianze umane della giovine catturata, e svenne.
Gli ultimi suoni che riuscì a captare furono il breve scambio di parole di due individui dai contorni talmente poco definiti da assomigliare a spettri.
"Signore, è mai successo che…" uno dei militari si era avvicinato all'altro, riferendosi all'aggressione appena subita.
"Rarissime volte, e solo con animali pericolosi o ematofagi." rispose lui impassibile.
 
Stanza dell'ospedale n. 22, diciassette anni fa, orario sconosciuto
 
"A…Glia…Veglia…Svegliati…!"
Dal profondo dell'antro ovattato ed opaco nel quale i suoi sensi intorpiditi erano rinchiusi, Evelyn riuscì a distinguere una voce proveniente da una, o forse da tante direzioni, mentre la testa smetteva gradualmente di girare vorticosamente. Quando riuscì a trovare le forze necessarie ad aprire gli occhi, essi vennero inondati dalla più accecante luce che le si sarebbe potuta puntare contro, in quella saletta medica nella quale era stata curata dalle sue ferite e le era stato fasciato il capo, sul quale un grosso bernoccolo aveva preso a formarsi. Richiuse di scatto le palpebre e contratti i muscoli d'improvviso sentì distintamente il formicolio che la percorreva, segno che era immobile da molte ore, forse giorni.
"Argh!" fece la voce di prima, ora più spaventata, proveniente dalla sua destra. Mentre riacquistava le forze a poco a poco girò di lato la nuca, per inquadrare nella sua visuale una ragazzina grande più o meno come lei, dai corti capelli nerissimi a caschetto: vide che indossava una sorta di divisa composta da un paio di pantaloni elasticizzati neri con una riga arancione che li percorreva lungo ai fianchi, un paio di pratiche scarpe dello stesso colore e una giacca dotata di zip nera decorata con una fantasia di colori che si alternavano fra arancio e giallo. Una divisa… questo significava che si trovava in un campo di addestramento?
Guardandosi attorno scoprì di non ricordare assolutamente da dove venisse, o qualsiasi fatto le fosse accaduto in precedenza. Solo un nome, e la consapevolezza di aver perso qualcosa di importante.
Attorno a lei vide altri medici, uomini dall'aspetto serio e preparato vestiti in camice bianco, che le ronzavano attorno con una compostezza frettolosa e calma allo stesso tempo, come quel nuovo arrivo fosse parte della routine.
"Routine… Quindi siamo in un ospedale? Sono stata vittima di un incidente?"
Questo fu quello che si chiese, ma non trovò le forze per esternarlo a quei signori tanto gentili quanto severi di aspetto.
"Sembra guarita…" fece di nuovo la voce accanto a lei: questo la portò a rivolgere un'occhiata più attenta alla ragazzina che le stava affianco, riuscendo ad incrociarne lo sguardo. Aveva dei bellissimi occhi color lapislazzulo.
In seguito quando furono sicuri che avesse riottenuto tutte le forze, i medici rilasciarono la bambina alle cure di una signora dall'aspetto austero: non appena la guardò in volto capì che ella aveva un non so che di strano, di non umano. Le sue sembianze erano simili a quelle di un robusto felino, ma non sapeva proprio classificare quale. La signora la condusse in un grande atrio dove erano stipati una quarantina di altri bambini dall'aria tanto innocente quanto stranamente intimidatoria, e lì venne rilasciata per qualche minuto. La vide allontanarsi nel corridoio dal quale erano arrivate, fiera nel suo stretto abito nero che ne risaltava le movenze decisamente feline.
Turbata da tutte quelle stranezze, la bambina rimase in un angolo ad osservare passivamente la stanza, individuandone la grandezza e la profondità. Non si sentiva al sicuro, e soprattutto le ribolliva il sangue nelle vene come mai le era successo ed il fatto che le sembrasse normale la spaventò ancora di più. Cosa le era successo?
Un battito d'ali la risvegliò dal suo incubo ad occhi aperti: si era già dimenticata di trovarsi assieme ad altri bambini! O per lo meno...
Bambini animali. Ibridi.
Tutto attorno a lei sembrava una danza di suoni e di odori che si rincorrevano con la velocità del giaguaro e la varietà tropicale del tucano, variopinto delle più sgargianti tonalità d'arancio. Diversi gruppi riconoscibili di animali dalle sembianze umane, o forse umani con sembianze di bestie, si mischiavano e ricomponevano in perfetta armonia con un ritmo incalzante e decisamente diverso da quello che aveva sempre associato al pacato quieto vivere di casa sua.
In quel marasma indistinto Evelyn si sentì decisamente fuori posto, rintanata in un angolo, neppure notata da qualcuno al suo arrivo. Invisibile.
Calma, pensò, cerchiamo di ragionare: non siamo a casa di sicuro, e nemmeno nella regione che conosciamo. Forse un qualcosa di più grande… Come si dice… Continente? Sono in un altro continente?
Magari si, non ho mai visto animali del genere. E come mai questi animali sono anche bambini?
Ma soprattutto. Io che centro? Forse… Forse anche io sono come loro?
Non si accorse del bolide che le si stava per schiantare contro fino all'ultimo momento, quando per un pelo riuscì a scansarsi ed evitare di essere trapanata da un becco lungo quanto il suo avambraccio dallo sgargiante color arancione.
"AAAH!" gridò spaventata coprendosi il volto con le mani, temendo un nuovo attacco, sennonché il volatile che le era piombato accanto, o forse il bambino, era tornato di sembianze umane e si stava massaggiando il capo dolorante per la botta: "Ahi ahi ahi… Scusami per averti investita, ma anche tu potevi stare più attenta? Verrai penalizzata se resti con la testa fra le nuvole…" mugugnò imbronciato guardandola male in un primo momento, per poi cambiare totalmente espressione in pura curiosità infantile. Si rialzò in piedi e le porse una mano, che Evelyn non accettò.
"Chi sei tu?" le chiese con gli occhi spalancati e un'espressione sorpresa.
Quel bambino le aveva parlato in un linguaggio che non conosceva, anche se aveva afferrato qualche parola.
"…Chi sono io? Chi sei tu magari, per avere la presunzione di investirmi in quel modo senza chiedermi neanche scusa!" ribatté secca Evelyn con un tono a metà fra il timido e l'arrabbiato, abbassando lo sguardo. Il ragazzino le restituì un'espressione di sorpresa, senza ribattere.
"RIOOO!" fu la risposta che ricevettero entrambi un attimo prima di venire investiti in pieno da una furia volatile dal piumaggio nerissimo: caddero tutti e tre a terra sbattendo violentemente e nell'urto Evelyn temette di essersi rotta qualcosa, ma era solo un'impressione.
Subito dopo la ragazza-uccello si rimise in piedi come se nulla fosse accaduto e si spolverò i pantaloni neri, nonostante non vi fosse un filo di polvere.
"Quante volte te lo devo dire di non sterzare ad alta quota o finisci per sbandare ed ammazzare la gente?" gli gridò lei nelle orecchie, facendolo sobbalzare.
"Alta quota? Zoe, non esiste l'alta quota in una stanza chiusa, e non ci sono le correnti d'aria!" le rinfacciò il ragazzo imbronciato. I due si misero a discutere animatamente su cosa fosse di preciso l'alta quota, nel frattempo Evelyn sempre più spaventata e confusa iniziò ad indietreggiare lentamente in direzione della porta: voleva tornare a casa…
"Ehi tu!"
Beccata.
"Dove stai andando? Non ci siamo neanche presentate, io so…" stava dicendo la bambina, quando squadrandola meglio notò che aveva un paio di luminosi occhi viola e rimase di sasso. Evelyn non capì in un primo momento ma osservandola meglio ricordò i primi momenti in cui si era svegliata: una bambina dagli occhi blu e i capelli nerissimi, proprio come quella che ora si trovava davanti a lei.
"…Tu devi essere Evelyn, ho sentito dire il tuo nome da alcuni dottori: non si di qui vero?" le chiese la ragazzina, sorridendo apertamente. Avendo sentito il proprio nome Evy credette di aver capito la domanda ed annuì poco convinta, sforzandosi di sorridere altrettanto. Osservò le braccia di lei, non solo braccia, ma neanche ali: un misto di articolazioni umane e piumaggio candido e nero come l'inchiostro più indelebile.
"…Oh hai ragione non ci siamo presentati, che stupida che sono: io mi chiamo Zoe e questo cretino di fianco a me è mio fratello Ryan: presentati forza!" esortò il ragazzino a fare altrettanto, ma venne interrotta dalla corvina che a gesti cercò di farle capire che, beh, non parlavano la stessa lingua... Trovato un modo semplice per comunicare a gesti, Ryan si presentò in fretta e senza incrociare lo sguardo di Evelyn, probabilmente era ancora arrabbiato.
"Aaand… Quindi che ibrido sei?" le chiese subito Zoe senza tanti complimenti sbattendo entrambe le braccia e con esse le grandi ali che vi erano incollate, creando quindi un lieve venticello che le scompigliò i capelli.
Ibrido?
...Che cacchio è un ibrido?
"C-cosa intendete dire?" chiese infatti dopo alcuni secondi di silenzio.
I due bambini si guardarono straniti, quasi quella domanda fosse stata la più normale che si potesse rivolgere ad un estraneo: "Intendiamo…" cominciò Zoe stavolta un po'imbarazzata "...Con quale animale hai condiviso il tuo DNA, sai…. L'esperimento, la prova di sopravvivenza…" disse elencando queste cose per lei naturali come la tabellina del due, aumentando la confusione della nuova arrivata.
"...Vorresti farmi credere che non lo sai? Andiamo, tutti qui abbiamo dovuto affrontare una prova di ammissione e poi abbiamo ricevuto un animale: guarda noi stessi, siamo due tucani!" esclamò allegra facendo un salto all'indietro ed esortando Ryan a fare lo stesso.
"Uff, sei la maggiore ma non puoi fare come ti pare capito Zoe?" rispose lui girando la testa dall'altra parte, ma alla fine entrambi si allinearono ed aperte le braccia accadde una cosa magica: i loro volti si tinsero di un bianco chiarissimo ed un arancio quasi fosforescente, mentre due paia di ali corvine si staccavano dal suolo e cominciarono a volare sempre più in alto: erano bellissimi.
Non più spaventata da ciò, Evelyn sorrise serena nel vedere i due fratelli che volavano più o meno in sincronia, anche se a volte uno die due rischiava di cadere addosso ad uno degli altri bambini che popolavano la fittissima fauna all'interno del grande atrio nel quale erano stati compressi. Non conosceva quegli animali, erano tutti così strani…
Nel giro di poco tempo Zoe fece 'conversare' Evelyn con più persone di quante ne avesse mai conosciuto.
Dopo un lasso di tempo che alla bambina parvero cinque minuti, che tradotto in termini reali furono un'ora e mezza, la signora dal viso levigato dai tratti felini fece nuovamente la sua comparsa nella sala e non appena questa vi mise piede sembrò che il gelido soffio della morte fosse calato su tutti loro: neppure più un battito d'ali si poté udire, alla sua comparsa.
"In riga soldati, la ricreazione è finita. Tornate tutti alle vostre postazioni senza fiatare e mi raccomando, se il fatto capitato oggi si dovesse ripetere non solo i responsabili ma anche tutti gli altri ne pagheranno le conseguenze! E ora… Muoversi!"
Non aveva capito cosa avesse detto, ma il tono con cui pronunciò quelle parole aveva tanta enfasi da infondere una sorta di orgoglio nei cuori di ognuno dei bambini ibridi: li stava trattando come Uomini veri.
Osservandola meglio ora Evelyn poté comprendere alcuni particolari inspiegabili: una dentatura più affilata, un paio di occhi le cui pupille ristrette non davano certo l'impressione di essere umane… Anche lei era un ibrido.
In quel momento i loro sguardi si incrociarono.
"Tu, vieni qui." le ordinò la donna in tono piatto, né troppo ruvido né amichevole, ma soprattutto nella sua lingua. Evelyn deglutì ma non sentiva di essere minacciata, anzi la familiarità che provò verso quella signora la portò a pensare che avessero qualcosa in comune. Si avvicinò a passo svelto senza dare troppo nell'occhio, anche se sapeva benissimo che gli occhi di tutti erano incollati su di lei. Non le dava fastidio, al momento.
"Non sei ancora assegnata ad una classe, quindi per oggi salterai la teoria e cominceremo con la pratica, io e te." asserì lei mentre si accostava al lato sinistro del portone antipanico centrale. Squadrò un'altra volta tutti gli altri poi urlò con fare deciso: "Ho detto SCATTAREEE!"
Un branco di animali dello zoo fu quello che uscì dalle otto porte di servizio distribuendosi principalmente secondo la stazza, dopodiché l'atrio si riempì di un silenzio assordante.
A quel punto la signora abbandonò il suo sguardo di granito ed assunse una punta di colore: "Andiamo, devi essere abbastanza confusa penso. Ti spiegherò tutto strada facendo…" e si allontanò con passo svelto verso una delle otto porte, precisamente la prima a destra del portone antipanico.
Confusa, stranita certo, ma in qualche modo rasserenata da quel barlume di gentilezza, Evelyn si affrettò a seguirla.
Erano giunte al centro di una grande sala vuota. Nessun rumore proveniva dall'esterno, per cui le pareti dovevano essere insonorizzate. Per di più, dopo il loro arrivo l'aria si fece pesante come un blocco di cemento…
"Dove siamo?" riuscì a chiedere Evelyn a bassa voce, prima di impietrirsi: due dorati occhi fiammeggianti la stavano squadrando come fa un predatore con la propria inconsapevole ed innocente vittima.
"Credevi fosse stato così facile?" si sentì dire, un secondo prima di ritrovarsi con la faccia sul terreno gridando di dolore mentre il suo braccio destro veniva tirato all'indietro con forza; per la prima volta in vita sua si sentì veramente in pericolo, pericolo di morire, di perdere un'intera articolazione in un istante.
"Cosa faresti in una situazione del genere?" le chiese la donna, che vista con la coda dell'occhio sembrò aver cambiato colore della pelle ed assunto una smorfia di disprezzo.
Niente, non poteva fare niente! Tirare così all'indietro bloccava tutti i muscoli delle braccia, l'unico modo per uscirne sarebbe usare i piedi, ma anche quelli erano bloccati dalla donna con l'altra mano.
"…Niente, signora." rispose dura, smettendo di scalciare e di opporre resistenza per recuperare energie. A quella risposta la smorfia negativa dipinta sul volto della maggiore si fece più profondo e senza smettere di tenerla ferma roteò gli occhi irata: "Risposta sbagliata, non devi arrenderti, un Soldier non si deve arrendere mai!"
L'aveva sentito. Un attimo di distrazione, la presa allentò, raccolse tutte le sue forze e tirò un calcio dritto in faccia alla signora che prontamente lo schivò mollando però la presa sul braccio: in un istante fu libera e scattò all'indietro, spaventata, confusa, ma fiera.
"Grazie per il consiglio, lo terrò a mente." commentò ansimando.
Un'espressione indecifrabile si affacciò sul volto, mentre il colore della pelle della signora cambiava effettivamente fino a raggiungere un nero fumo; le sue orecchie si tramutarono, divennero molto simili a quelle di un felino e dietro di lei una lunga e sinuosa coda spuntò dal nulla.
L'unica cosa che Evelyn realizzò appieno in quel momento era che doveva fuggire e anche subito.
L'essere balzò in avanti con leggiadria ed Evy riuscì ad evitarlo per un pelo venendo ferita al braccio da un'artigliata, vide il sangue rosso che sgorgava dalla ferita ed improvvisamente ebbe un flashback: molto sangue, dappertutto gente che fuggiva inseguita da volatili umani, odore di morte. Un moto di rabbia proveniente direttamente da dentro di sé si risvegliò caricandola di energia, che usò per non crollare dalla paura ed andare avanti.
"Ammirevole!" commentò la pantera che le girava attorno attaccandola con rapidi e semplici movimenti, ai quali la bambina riuscì a sopravvivere fino a che non sentì le forze abbandonarla. Si stava prendendo gioco di lei, e questo non poteva permetterselo, non glielo avrebbe permesso LEI.  Si fermò per riprendere fiato con la testa che le girava all'impazzata, cominciando a sentire un terrificante scricchiolio all'interno delle sue ossa, non come se si stessero spezzando ma… modificando.
La collera cominciò a pervaderla, sentiva che dentro di lei qualcosa stava cambiando, le sue orecchie si stavano ingrandendo e qualcosa le era spuntato in fondo alla schiena, e soprattutto percepiva che sarebbe impazzita da un momento all'altro.
Si rese conto troppo tardi che quel processo era irreversibile e in poco tempo la sua vista si rabbuiò.
 
Where does this feeling,
Of power derive,
Making me know
Why I'm alive?
 
Quando i suoi sensi si risvegliarono la prima cosa che percepì fu un dolore immenso alla spalla sinistra, poi un tenue odore di zolfo ed infine due occhi simili a stalattiti che la trapassavano con una punta di odio, un viso graffiato e sporco di sangue.
"Considerata la tua gracilità non ti avrei dato neanche dieci punti in una scala da cento, ma vedo che non hai afferrato il concetto. Sono IO qui a dettare le regole."
"Basta così!"
Una voce imperiosa si intromise nel combattimento, interrompendolo. Dalla sua posizione Evelyn non poté vedere a chi appartenesse, tanto non le sarebbe importato.
"Abbiamo provato che ha abbastanza materia grigia per combattere, non romperla subito."
La donna emise un ruggito e le lasciò i polsi, e finalmente venne lasciata andare. Una signora le venne incontro per curarle le ferite, è vero, aveva il corpo coperto di graffi e lividi. Senza voltarsi o rivolgere parola a nessuno, ella si allontanò con la donna verso l'infermeria. Sapeva che due paia di occhi freddi come la pietra la stavano osservando.
 
Biblioteca, due giorni dopo, ore 14:46
 
"Eccolo!" esultò Zoe volteggiando sopra le loro teste alla ricerca di un tomo geografico, che a quanto pare aveva trovato. Il battito delle sue grandi ali corvine riecheggiava all'interno della silenziosa biblioteca, il cui sottofondo comprendeva lievi ruggiti e gracchiate accompagnate da battibecchi subito spenti dal diligente bibliotecario, un uomo vecchio sulla cinquantina ma che ne dimostrava appena trenta, data la forma smagliante in cui appariva. Planando maldestramente verso il basso Zoe poggiò su un tavolo un grosso libro che teneva con gli artigli ancora poco affilati: era di un lucido verde marmoreo, leggermente rovinato sulla copertina da graffi ed artigliate.
"È un atlante!" continuò ritirando gli artigli e le ali come se niente fosse, al contrario  di Evelyn che ancora  non riusciva a credere  alla straordinarietà  del suo potere.
"Vedi, noi adesso ci troviamo qui, in Sud America. Mentre tu, beh… Da come hai descritto il paesaggio dovresti essere di qua" le fece capire a gesti indicando un punto della mappa abbastanza lontano dalla loro attuale base.
"Ma allora come ci sono arrivata qui?"
"Aah se non lo sai tu..." le rispose Ryan indifferente voltando la testa dall'altra parte ed appoggiandola sul palmo della mano. I tre si divertirono ad individuare i posti che avrebbero voluto visitare, o per lo meno Ryan e Zoe: Evelyn osservò in silenzio per la maggior parte del tempo raccogliendo ogni informazione che usciva dalle loro bocche come oro colato.
Ben presto la vita 'scolastica' avvolse completamente la giovine la quale, non potendo sapere quale destino la attendesse, viveva più o meno serenamente in compagnia dei suoi nuovi amici e della sua esigente maestra, scoprendo ogni giorno qualcosa di nuovo sul mondo degli ibridi e sulla loro storia.
Un giorno, mentre si allenava insieme agli altri compagni con annesse abilità terrene, l'allenamento venne interrotto da un improvviso avvenimento: uno dei compagni della sua classe era rimasto gravemente ferito in un incidente appena fuori dall'edificio. Non si riusciva a trovare la causa del fatto, siccome la trave cadutagli addosso sembrava essere apparsa dal nulla, ma quella notizia mise in subbuglio la classe che in pochi secondi si trasformò in un uragano di preoccupazione: senza neanche chiederlo si erano tutti precipitati nell'infermeria a fargli visita, fortunatamente non aveva perso la vita ma era in condizioni molto serie: alcune costole si erano fratturate ed aveva avuto bisogno della respirazione meccanica per sopravvivere.
In un angolo della stanza stava Evelyn, insicura sul da farsi: non voleva certo andarsene senza salutarlo, ma c'era qualcosa che la inquietava terribilmente in quella faccenda.
"Evy, tutto a posto? Dai vieni a salutare Logan!" accanto a lei Zoe la stava spronando a farsi avanti, senza successo. In quel momento come una tempesta furiosa fece capolino la testa dell'istruttore il quale fulminò tutti i presenti con lo sguardo e li intimò a tornare alla loro lezione: nessuno volle mettersi contro di lui ed il suo morso da coccodrillo.
Le due ragazzine furono le ultime ad uscire, ma prima di dileguarsi Evelyn si prese coraggio e salutò il compagno ferito: "Ehilà, Logan… Spero tu ti rimetta presto." sussurrò con un filo di voce nella sua ancora incerta pronuncia. Non l'avesse mai fatto.
Quando i loro sguardi si incrociarono, il ragazzo cominciò ad urlare in preda alla crisi come se avesse intravisto quanto di più orrido nell'antro dell'Inferno vi si potesse celare, tanto da spaventare a morte le due ragazzine che indietreggiarono immediatamente spiaccicandosi contro il muro.
"È… Lei, tu, tu sei stata tu, maledetta! Lei…" biascicò nevroticamente con scatti inarticolati alle membra, sempre tenendo fissi gli occhi su quelli della corvina, sempre più terrorizzata. Le grida attirarono nuovamente la classe ed il tutore che si vide costretto a calmarlo con le cattive maniere, mentre ancora il ragazzo gridava sempre più disumanamente, finché non svenne.
"Che diavolo stava succedendo qui? Lo avete istigato brutte impertinenti?"
"N-NO giuriamo, lo abbiamo salutato e si è messo a gridare come un pazzo da solo davvero…" tentò di spiegare Zoe sconvolta, mentre Evelyn era rimasta con la bocca serrata ed i piccoli pugni chiusi: si sentiva male, come se stesse assorbendo qualcosa da quella stanza, qualcosa che sapeva di zolfo e paura.
"Ehy Evy sei per caso stata tu a provocargli quell'incidente?" i suoi compagni cominciarono a farle domande e borbottare alle sue spalle, ma non aveva fatto niente, poteva giurarlo!
Anche Zoe confermò di essere stata tutto il tempo insieme a lei, e non si erano mai allontanate dalla classe in tutta la giornata, per cui la faccenda venne messa a tacere e il professore chiese loro di dimenticare in fretta, ma i ragazzi non volevano saperne e continuarono a farle domande per il resto della settimana. Si sentiva malissimo, ma la cosa che la faceva stare peggio, dopo tutte quelle occhiate truci di sfuggita e la diffidenza nei suoi confronti, era il presentimento che fosse stata davvero colpa sua.
Nel mese che ne seguì si verificarono altri due o tre incidenti simili, ma questa volta Evelyn non volle visitare i feriti: ogni volta sentiva come se stesse assorbendo qualcosa di disgustosamente potente, una sensazione che cercò di scacciare il più possibile. Nel frattempo l'addestramento continuò, e con esso il livello di bravura della sua naturale capacità di apprendere: adorava imparare cose, tanto che alcuni suoi compagni le fecero un giorno vedere un paio di fumetti nei quali veniva spiegato che si poteva impazzire a causa del desiderio di conoscenza.
"Non sono così disperata!" aveva sempre risposto sorridente, ma di tanto in tanto le piaceva pensare come ci si sentisse ad essere tanto vogliosi di conoscenza: in quei momenti si sentiva stranamente rinvigorita, ma non lo raccontò mai a nessuno.
Ciò di cui si doveva preoccupare era ben altro: a breve sarebbero iniziati i test che comprendevano capacità di equilibrio spirituale e mentale. Su quest'ultimo argomento Evelyn scoprì di avere qualche problema a riguardo.
 
Stanza della visione celebrale, Quattordici anni fa, ore 09:51
 
Era venuto il giorno della loro prima sfida celebrale: gli insegnanti li avevano allenati parecchio a combattere le loro emozioni: la prova sarebbe consistita nel resistere al dolore per fortificare lo spirito ed eventualmente abituarsi alle ferite da battaglia. Grazie ad un siero stimolatore avrebbero sperimentato la sensazione del dolore, senza riceverlo davvero. Geniale!
"Resteremo incolumi dopo questa prova? Che ne sarà della nostra sanità mentale? Sarà indolore?" chiese per l'ennesima volta Zoe torturandosi i polsi e perdendo di tanto in tanto qualche piuma nera a caso per il nervosismo.
"Ma è ovvio..." le rispose il fratello minore di un anno, scrollando le spalle: "…Che no."
"KYAAAH smettila Rio mi rendi nervosa!" Zoe gli mollò un pugno in faccia che venne bloccato per un pelo dal ragazzo con fatica: "Statti buona Zoe e non urlare, altrimenti sarò io quello che dovrai temere di più chiaro?"
"Basta!" esclamò Evelyn seduta di fianco a loro, con le mani sulle orecchie per resistere alla tentazione di strangolarli entrambi "Possibile che non sappiate stare per più di tre secondi assieme senza spennarvi a vicenda?"
"Hahaha questa era buona." fece Ryan facendo comparire la sua ala sinistra e sbattendola in faccia alla ragazza, che non perse la calma e rimase immobile. Quanto odiava l'arroganza di quel piccolo demonio… Ma non ebbe molto tempo per pensarci che il suo nome venne chiamato ad alta voce ed il continuo chiacchiericcio di sottofondo rimase sospeso nell'aria, per poi riprendere con un sospiro di sollievo. Evelyn dovette invece alzarsi dalla sedia e percorrere il corridoio adibito a sala d'aspetto, entrando nella stanza dai vetri oscurati.
All'interno solo bianco, un bianco accecante che sembrava assorbire ogni altra tonalità trasformandola in bianco, un unico, piatto, freddo manto nevoso. Si fece avanti timidamente, venendo accolta dal dottore assegnato a quell'ala della struttura. Lui le rivolse un sorriso familiare e la invitò a sedersi su di una poltrona all'apparenza innocua.
Non appena ci si sedette delle cinghie spuntarono dal nulla e le legarono i polsi e le caviglie in una stretta intollerabilmente dolorosa. Rimanendo comunque seria, Evelyn si sentì terribilmente osservata sebbene nella stanza vi fossero solo lei e il dottore.
"C-Cosa devo fare?" chiese con un fil di voce.
"Devi semplicemente addormentarti, probabilmente sognerai cose orribili e terrificanti e ti verrà l'impulso di auto-lesionarti, quel che devi fare è resistere a questa voglia malsana e controllare le tue emozioni. Se sarai sufficientemente concentrata, ti sveglierai presto." le spiegò il dottore.
All'apparenza era semplice, non aveva mai avuto tendenze autolesionistiche.
Senza attendere oltre, la ragazza chiuse gli occhi, sentendo la punta della siringa sul collo e lo stantuffo che premeva il siero nelle sue vene, poi più nulla.
 
 
Dovunque e in nessun luogo, orario sconosciuto
 
Dove… Dove sono?
Non vedo… Nulla… Dovunque guardi c'è solo il vuoto.
Sento un formicolio. Mi sto trasformando in un ibrido: sento le mie orecchie allungarsi, i miei denti farsi seghettati, e sento pericolo.
…Vedo una luce, una luce azzurra e allo stesso tempo rossa, sento che non dovrei avvicinarmi ma la voglia che provo nell'afferrarla è troppo grande.
Così mi avvicino e lo racchiudo nelle mie mani. Attorno a me tutto si acquieta… E un istante dopo scoppia l'Inferno.
Improvvisamente davanti a me appaiono delle immagini colorate di rosso, così orribili che mi viene da chiudere gli occhi ma non posso, i miei occhi non mi rispondono e la mia mente si riempie di scenari apocalittici e cruenti oltre ogni limite della conoscenza umana, un orrore che solo le anime degli inferi possono comprendere. Lo so, sono cosciente, riesco a sentire ogni singolo grido delle genti attorno a me, i visi rossi e scavati da profonde cicatrici sanguinanti e verdi di malattie sconosciute al genere umano, li vedo correre per salvarsi da sciami di vespe e mosconi che li pungono senza sosta sfregiandoli orribilmente. Li vedo corrodersi inerti al suolo tra malattie atroci e martoriarsi a vicenda nel tentativo di placare questo supplizio e l'angoscia nei loro occhi di fiamme, occhi traboccanti di terrore e di desiderio.
Mi viene voglia di vomitare, ma non posso muovermi, sento ancora le cinghie della poltrona cingermi in una morsa sempre più stretta i polsi, anzi no, sono spine quelle che mi stanno trattenendo!  Un ringhio minaccioso proviene davanti a me ma ho bisogno di alcuni istanti per realizzare la forma della grottesca creatura che mi si staglia dinnanzi, avvicinandosi a lenti passi: un'enorme bestia dal muso canino, anzi dai TRE musi! Mentre si avvicina squarta e mutila senza pietà qualunque uomo osi avvicinarglisi per ripararsi da un'incessante pioggia infuocata, ed esso le ghermisce con i suoi occhi di fuoco ed i suoi affilati artigli ed il suo latrato penetrante che tremar l'aria fa. Fortuna delle fortune, sono nella sua diretta visuale. Infatti non appena mi scorge il suo muso centrale si contorce in una ghigno di ingordigia, il che mi fa intuire cosa sto per diventare.
Mi dimeno nel tentativo di liberarmi, devo fuggire, devo, sono in pericolo! Con uno strattone riesco finalmente a distaccarmi da quella maledetta sedia e sento un dolore fortissimo alle braccia, ma non faccio in tempo a guardarle che un vento freddo ed impetuoso mi sbatte a terra e poi mi rialza nel nulla, trascinandomi chissà dove fra gelidi ululati e disperati lamenti. Credo di riconoscere questo posto ma non so perché, sento di conoscere il motivo per cui le persone che vedo stanno ricevendo tale punizione.
Percepisco ancora alle mie spalle la presenza della mortal bestia e da viva che sono tento di rialzarmi in fretta e fuggo nel buio alla ricerca di un nascondiglio, vedo sfrecciare accanto a me persone nude intente a spingere dei pesi con i petti e maledirsi a vicenda, altri rivestiti da cappe di piombo ed oro, fino a che non raggiungo un lago ghiacciato nel quale delle persone sono intrappolate, racchiuse in una gelida prigione eterna. Il latrato furibondo del canide rimbomba nella cava, aumento la velocità ma finisco per scivolare e quando sono giunta alla fine del baratro è troppo tardi per fermarsi.
Cado nel vuoto, per miglia e miglia, immersa nel buio, finché il mio corpo non impatta violentemente contro il terreno. In un attimo mi sento costretta a terra ed i miei arti si assottigliano, diventano radici e fronde, si riempiono di foglie che gelano al sole e bruciano nel buio, avvinghiandosi attorno al mio corpo e stritolandomi e dilaniandomi come artigli affilati, mentre perfide arpie ne divorano le foglie.
Ora mi sento bruciare, sono rinchiusa dentro ad una fiamma e tutto il mio essere brucia con essa, i miei pensieri, e con essi la mia sanità mentale.
Sto sentendo ogni male che affligge l'umanità, conosco tutti i loro passati e le loro tetre morti, l'unica cosa che non capisco è perché questa tortura stia toccando a me.
 
Dall'esterno della mente della ragazza il dottore poteva osservare le sue reazioni: analizzando tramite lo schermo di un computer le singolari immagini che la mente della ragazzina visualizzava, le confrontava con le sue reazioni di consapevolezza e vari dati codificati in numeri binari. Una smorfia di disprezzo si era dipinta sul suo volto rugoso, mantenuta segreta per tre lunghi anni.
 
Sento che questa pazzia non avrà mai fine…
E invece scorgo, fra i tanti lamenti, una voce familiare.
La voce di un uomo che sta minacciando un altro uomo, il dottore credo.
Cosa starà succedendo là fuori?
 
"Questo non è lo stimolante usato nei test, è siero della verità! Che hai in quella testa di rapa che ti ritrovi?"
"Non capite, non esisteranno altre occasioni del genere! Per il bene della scienza, poter studiare un Aku-"
"Brutto ammasso di carbonio terressstre senza un grammo di materia celebrale, a chi altri lo hai raccontato!?"
"Non glielo riferirò mai…"
 
La stanza devastata, il computer nel quale erano contenute le registrazioni disintegrato, il corpo senza vita del dottore steso a terra in mezzo ad una pozza di vomito e sangue.
Fu decisamente un brusco risveglio il suo.
Grondante di sudore, si era risvegliata da quell'orribile sogno al quale non era assolutamente preparata: altro che dolore, aveva appena visitato l'Inferno da cima a fondo, per davvero! Assomigliava alla descrizione che il poeta Dante aveva dipinto nella sua opera La Commedia, lo sapeva perché l'aveva letta di nascosto in biblioteca, ma aveva un non so che di diverso, di... Più sotto controllo di qualcosa di malvagio.
Guardatasi attorno scorse il cadavere insozzato del dottore, e vicino a lui un uomo alto dal fisico robusto con una divisa blu all'apparenza molto importante.
"C-Che gli avete fatto?" gridò spaventata divincolandosi dalla stretta presa delle cinghie che la legavano alla poltrona, a vuoto, ma non ottenne risposta.
"Che cosa ha fatto lui a te, piuttosto!" la sgridò la figura avvicinandosi minacciosamente a lei, per un attimo temette di morire in un modo atroce simile a quello del dottore ma non fu così: l'uomo le liberò caviglie e polsi con la sola forza delle mani, facendole un segno con la testa di uscire dalla porta.
"Fila in quella che i tuoi superiori chiamano camera, e fa fagotto, poi aspettami fuori." le ordinò imperioso.
"…E se mi rifiutassi?"
L'uomo si limitò ad indicare con lo sguardo l'orribile spettacolo che era il cadavere accanto a loro, convincendola definitivamente. Una volta socchiusa la porta Evelyn cercò di assumere un atteggiamento più atono e pacato possibile, ma non fu abbastanza convincente da ingannare i suoi amici: "Evie che succede? Perché sei uscita senza fare il test?" esclamò Zoe saltando giù dalla sedia e venendole incontro.
Evelyn la scansò delicatamente e si diresse spedita verso il dormitorio, con il cuore stretto in un pugno.
"Ehi tu!" una figura si affacciò sul corridoio puntando dritto su di lei e il cuore prese a pomparle così velocemente che temette un arresto cardiaco: senza alcun preavviso schizzò in avanti seminando tutti i presenti, fece in tempo solo a voltarsi per incrociare lo sguardo con quello della sua amica e di Ryan, per la prima volta sbigottito e preoccupato anch'egli.
Con il fiato corto raggiunse la sua stanza con una velocità incredibile perfino per i suoi standard e vi raccolse le poche cose che aveva, uscendo in fretta e furia senza dare spiegazioni alle persone che incontrò nel tragitto.
Arrivata all'uscita si fermò ansimante sulla soglia, quando sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla e si girò: una tizia in camice da laboratorio la squadrò con aria preoccupata: "Che ci fai qui ragazzina, non dovresti essere nella sala d'aspetto con gli altri per il test?" chiese gentilmente invitandola a riprendere fiato, chiudendo la porta e accompagnandola all'interno, proprio quello che Evy non voleva.
"Eh beh ecco io…" farfugliò Evelyn, un secondo prima di accorgersene: come faceva a sapere che quel giorno avrebbe avuto la prova?
Il suo sguardo allarmato fece probabilmente comprendere alla signora che non ci era cascata.
La mano si serrò sulla sua spalla piantando le unghie nella sua pelle e la donna si trasformò in un ibrido pronta a placcarla, ma la ragazza fu più svelta e con un grande sforzo si liberò dalla sua presa scappando verso il corridoio, prendendo un'altra strada per uscire da lì. Quell'uomo le aveva detto di uscire, l'avrebbe condotta lontano da lì? Ma i suoi amici, non poteva non salutarli! Non voleva andarsene…
Bastò un attimo di distrazione per vedersi arrivare l'ibrido a un centimetro e mezzo dalla sua faccia e per evitare un colpo pressoché mortale. Si scansò e riprese l'equilibrio ma non abbastanza in fretta da eludere un pugno diretto al ventre che le svuotò i polmoni e cadde all'indietro, facendole incontrare le iridi verdastre della donna impregnate di curiosità. Fu a quel punto che Evelyn cominciò a sentire di nuovo quella sensazione di terribile potenza, poter controllare la mente di quella donna… Sì, sapeva cosa stava cercando…
Il suo viso si fece atono, gli occhi le si spensero e buio fu.
 
Afferrò con uno scatto l'altra mano-zampa della donna e la tirò verso di sé torcendola: presa alla sprovvista ella finì sbalzata in avanti e sbatté la faccia contro il terreno venendo bloccata da un piede che le appiattì il viso contro le piastrelle gelide.
"So quello che vuoi…" pronunciò lentamente Evelyn, o almeno quello che era rimasto di lei. "Il potere… Della conoscenza, non ha limiti vero? L'incomprensione genera paura… Espone al pericolo… Ma se fosse il contrario? Saresti disposta a conoscere pur sapendo che quel che capirai ti farà male? …Se è questo che vuoi, io posso donartelo… Devi solo darmi una cosa in cambio..."
La trance finì nel momento stesso in cui un colpo al collo la stordì e l'ibrido davanti a lei collassò a terra agonizzante: si ritrovò con la mano sinistra stretta sul collo della signora, le braccia pesantemente mutilate, e i propri artigli saturi del suo sangue. Una mano la trattenne dal fuggire terrorizzata nelle profondità dell'edificio e la condusse all'esterno, dove ad attendere i due fuggitivi vi era un moderno elicottero dal colore metallico già acceso.
Dall'interno della struttura cominciarono a fuoriuscire grida e voci allarmanti, che ben presto vennero soppiantate dal rombante rumore delle eliche.
Con un misto di tristezza e rammarico Evelyn appiattì il muso contro il finestrino, osservando la sua città che diveniva sempre più piccola ai suoi occhi, e con essa i suoi abitanti si allontanavano da lei. I suoi compagni, la sua maestra, non li avrebbe rivisti mai più…
Avrebbe voluto lasciare loro un messaggio, ma tutto quello che riuscì ad uscirle dalla gola fu un mesto ed impercettibile: "...Miao…"
Trascorsero così quattro anni lontano dalla sua base, in un luogo totalmente diverso da quello a cui si era abituata, a partire dalla temperatura: mai aveva provato tanto freddo che in quella base sperduta su un monte dal manto candido come se sopra di esso fosse stata cosparsa una fitta pioggia di zucchero a velo. Ovviamente Evelyn non ricordava di aver mai visto la neve. Almeno conosceva la sua attuale posizione: molti anni fa questo monte veniva chiamato Bernina, che purtroppo a causa di uno dei suddetti scontri fra ibridi aveva perso la sua originaria forma ed i suoi 4049 metri di altitudine, a causa dell'irrigidimento del clima, dei forti venti e dell'intervento umano si erano ridotti a 4045.
In fondo non era così male, considerando che era scampata a chissà quale destino crudele. Il pensiero però non la incoraggiava di molto.
Una volta giunti a destinazione, dopo un viaggio per metà  dettato e controllato dal silenzio stampa più assoluto, e per l'altra metà da una serie di domande e risposte monosillabiche, Evelyn poté ammirare dal finestrino aperto il paesaggio che le si estendeva davanti in tutta la sua silenziosa bellezza: enormi campi d'erba selvatica di un verde brillante  ancora bagnata dalla rugiada del mattino, percorsi da una leggera brezza che le accarezzava dolcemente i capelli; fitti ed altissimi boschi ai limitari di essi, racchiusi sotto le chiome scure degli alberi dai tronchi dorati; le altre cime, al pari di quella su cui si trovava, erano cosparse di neve candida illuminata dai primi raggi di fuoco e a loro modo la riflettevano, così come il cielo frastagliato di nuvole si riflette nel suo specchio personale.
Durante i quattro anni che seguirono Evelyn riconobbe che gli abitanti parlavano la sua lingua madre, comunemente denominata Italiano, e dovette riabituarsi, così come dovette ripartire da zero in fatto di conoscenze, ma non fu un grave problema. Sotto la tutela del signore che aveva richiesto il suo trasferimento, ella si dovette allenare per raggiungere un livello di molto superiore a quello a cui era abituata, ma alla fine di ogni sessione il suo nuovo maestro era pacatamente soddisfatto: aveva trovato un'allieva desiderosa di imparare e svelta nell'apprendere sia in teoria che in pratica.
 
Campo di battaglia, dodici anni fa, ore 20:14
 
La sua prima battaglia a carte scoperte. O per lo meno, lo sarebbe stato per i militari in prima linea: i più giovani costituivano la terza. Fra quelli, fremente di eccitazione e di paura, vi era una figura stretta in una mantella nera per niente pesante, ma abbastanza calda da mantenere la sua temperatura corporea; il suo primo equipaggiamento da combattimento, aveva portato di tutto per previdenza all'interno di piccoli scomparti nella cintura di metallo argentato.
Tutto quello che doveva fare era attendere il segnale e scendere in campo, dopodiché sarebbe stato come sempre: lasciarsi andare, senza colpire i compagni, sterminare qualunque essere vivente le si fosse avvicinato. Non doveva essere poi così difficile.
Strinse ancora più forte l'impugnatura della sua spada.
"Tutto a posto?" si sentì chiedere alla sua destra: era un ragazzino grande almeno due anni in più di lei, con un terribile e contagioso sorriso di determinazione stampato in fronte. I suoi capelli tirati lievemente all'indietro a mo'di culo di papera erano biondi con una parte delle radici marrone scurissimo nella zona del cervelletto, i suoi occhi erano color terra viva. E a quanto pare, date le lunghe corna che gli spuntavano dal capo, il suo ibrido era un caprone.
"Tutto a posto, solo un po'di ansia." rispose evasiva, cercando di concentrarsi sulla battaglia che stava per venire.
"So cosa stai pensando..." continuò il ragazzo. Quell'affermazione la colpì, e doveva vedersi in viso perché il suo interlocutore si mise a ridere: "Sì, lo so benissimo: stai pensando che sono un caprone e che dovrei farmi gli affaracci miei, non è così? Beh ti informo che io sono un capriolo, un nobilissimo abitante di queste montagne!" affermò battendo un pugno sul petto con orgoglio, e strappandole finalmente un sorriso.
"Piacere, Bald." disse poi offrendo la mano.
Che razza di nome era?
"...Piacere, Evelyn." disse di rimando, stringendogliela.
"…Ma che nome è? Mai sentito davvero!" si sentì chiedere con sorpresa, non come una presa in giro, ma proprio come una domanda diretta. Risero assieme a bassa voce per un po', prima che arrivasse il momento di radunarsi e partire.
Il suo primo giorno da carnefice era andato splendidamente.
Una volta scesa in campo la prima cosa che l'aveva colpita erano i suoni raccapriccianti che emettevano gli esseri umani una volta colpiti, e per lo più la violenza con la quale i suoi alleati ferivano gli avversari con noncuranza: sarebbe toccato anche a lei, se non fosse stata attenta.
Fortunatamente i grandi avevano previsto il disorientamento dei novelli, o forse succedeva ogni volta, perché avevano portato alcuni maestri a far loro da guida. Ma non avrebbe dovuto obbedire a quelli, lei aveva ordini più alti. A capo della spedizione vi era il suo Maestro, il Generale Volt.
Non se ne era neanche accorta, del momento che passò fra l'inquietudine iniziale e la calma primordiale che provò nel volteggiare fra quei corpi in fiamme, avvolti nel più caldo e distorto, indelebile rosso, sgorgato dal latrato infernale che ribolle nelle anime pronto a danzare con la morte, a rischiare la dannazione nel peccato.
E il loro peccato era l'essere feccia, e per questo dovevano morire.
Inspiegabilmente a suo agio, la gatta continuò a turbinare in mezzo a quella babilonia di grida furiose con sempre maggior determinazione, fino a che non fece capolino fra le voci di sottofondo anche una terribilmente familiare. "Merda." si disse a denti stretti: "Devo resistere, non voglio sapere cosa potrebbe succedere se…"
Le era sempre successo così quando, durante i suoi allenamenti, si sentiva particolarmente minacciata: cominciava a vedere tutto di uno sfocato violetto, poi una voce sconosciuta la invitava a tornare alla sua forma primordiale e la sua volontà cadeva nell'oblio. Al suo risveglio il luogo in cui si trovava era devastato e lei si trovava placcata a terra dal suo Maestro, che la guardava deluso.
"Devi assolutamente impedire a quella voce di comandarti." le aveva intimato ogni volta "Se la tua ora dovesse giungere mentre sei sotto il suo controllo, sarebbe un disastro. A tempo debito ti spiegherò." e così lei faceva, tentava di resistere con tutta sé stessa.
Eppure non ci riusciva, era più forte di lei.
Dunque la voce misteriosa ebbe il sopravvento, e da quell'attimo in poi presumibilmente il tasso di vittime duplicò.                                                                                                                                                                                            
 
I have a thirst
That I cannot deprive,
Never have I felt so alive!
 
Animals trapped behind bars at the zoo
Need to run rampant and free!
Predators live on the prey they pursue!
This time the predator's me!
 
Quando l'intero campo fu ridotto ad una grande pozza di sangue, e la sua coscienza tornò a farsi sentire, si trovava sopra una piccola altura, assieme a quanto pare a tutti gli altri compagni: Evelyn ebbe quasi un moto di vomito e disgusto nel vedere cosa lei e l'intera squadra avevano combinato. Era… Era davvero stata lei? Aveva davvero provato piacere nel distruggere la vita altrui?? Era quello il loro destino? Erano davvero solo macchine da guerra, solo questo…?
"Ci hai preso un po'troppo la mano." Un'ombra scura le apparve alle sue spalle "Ti avevo detto di non cedere a quella voce." continuò severa.
Senza voltarsi, sapeva già che avrebbe incontrato le sue iridi gelide, Evie emise un breve sospiro e si guardò le mani, che ancora stringevano la sua spada. Essa aveva la lama talmente impregnata di sangue da emanarne addirittura l'odore ferroso. Si sentiva stranamente come uno straccio vecchio: sciupata.
"Che cosa è successo, esattamente?"
"Abbiamo vinto, come era ovvio aspettarsi, la terza linea di novellini se l'è cavata a parte alcuni soggetti, e tu hai fatto piazza pulita di quasi tutti i loro bersagli, rischiando di colpire anche qualcuno di loro." riassunse secco il suo Maestro.
"Q-Quasi tutti?" esclamò esterrefatta e terrorizzata da ciò, da tutto quello che aveva fatto e tutto quello che avrebbe potuto fare. Cosa c'era che non andava in lei?
"Sì, e se non ti avessi fermata ci sarebbero state vittime anche fra i nostri. Credo… Che sia venuto il momento che ti metta in guardia: non dovrai mai più eseguire una performance così alta, o rischierai di essere notata per davvero."
"Che… che intende dire?"
Non rispose, lo vide allontanarsi alla svelta e scambiare due parole con alcuni comandanti, per poi tornare ed ordinarle di scendere fino in fondo alla vallata.
Senza discutere, eseguì l'ordine con riluttanza, rinfoderando la spada. Una volta discesi, i due si avvicinarono al campo di battaglia e mentre camminavano Evelyn gettava brevi occhiate alla postazione dei loro alleati, mentre il Generale cominciava a parlare.
"Ognuno di noi ha un buon motivo per odiare la Feccia, ed è perché essa ha strappato loro qualcosa di importante, o perché il loro disinteresse ha ridotto l'ecologia mondiale al collasso, o semplicemente ha interesse nel vederli tutti morti. Tu ed alcuni miei superiori appartenete alla terza categoria: non so se te l'hanno mai raccontato, ma dovresti essertene accorta che non hai una famiglia qui."
Evelyn smise di camminare e puntò su di lui uno sguardo penetrante di rabbia: aveva toccato un tasto molto dolente. Ogni volta che i suoi amici in America tornavano dai propri genitori a fare loro visita, ed essi potevano vantarsi dei loro risultati e renderli fieri, lei era costretta a rimanere in un angolo, in disparte, attendendo con pazienza qualcuno che non sarebbe arrivato mai.
E se non fosse esistito questo qualcuno?
"Dalla tua espressione credo tu abbia capito: non eri dei nostri, ti hanno salvata in seguito ad un attacco alla Feccia, di cui tu facevi parte."
Una gran martellata sui piedi, come direbbero certe sue conoscenze. Un colpo al cuore a tradimento, avrebbe detto lei.
La Feccia… No… Non era possibile… Fra tutti quei corpi sparsi per terra, ammassati, sanguinanti, privi di un'anima… Sarebbe dovuta esserci anche lei?
"No… Mi sta dicendo che faccio parte delle erbacce, dei rifiuti, dei mostri senza cuore?" gridò tutto d'un fiato piena di rabbia con il mondo e con se stessa per essersi presi gioco di lei. Non ebbe alcuna reazione emotiva da parte del suo maestro, tuttalpiù egli sospirò aspramente e si impose di rispondere: "Magari lo fossi. Peccato che tu non lo sia."
A quel punto Evelyn fu molto confusa, e si chiese che volesse intendere. Il Generale non emise però un fiato e continuò a camminare, così dovette seguirlo.
Passò un minuto, forse due, quando giunsero nuovamente al campo: vide il suo maestro avvicinarsi ad uno dei cadaveri, uno dei più interi, e lo prese per il colletto del vestito: "Avvicinati, toccagli il petto e dimmi cosa senti."
"Avrebbe davvero dovuto farlo? Ma anche no! Ma lo dovette fare lo stesso. E quello che accadde la spaventò a morte.
Amelio Grinn, trentadue anni, morto in seguito a sgozzamento;
Quantità di luce nella sua anima: 23%, è possibile prelevarla."
Nei tre secondi che le si dilatarono davanti agli occhi come un'intera vita saggiò la potenza delle emozioni legate ai ricordi e racimolò tutto l'odio e il dolore che essa le presentò, come fosse materiale, ritrovandoselo in mano. Aprì gli occhi, nelle sue mani vi era un piccolo globo nero, una specie di perla. In un battito di ciglia essa si disperse nell'aria.
"Akuma." disse il suo Maestro interrompendo il silenzio, fattosi talmente assordante da indurre alla follia.
"A-Akuma?" chiese sempre più avvilita.
"Non sappiamo niente di voi, tutto ciò che ci è stato ordinato è di eliminarvi facendovi accumulare meno sentimenti negativi possibile. Ovviamente anche tu dovresti essere morta, ma a causa mia la tua permanenza su questo pianeta durerà fino a che non avrò studiato queste reazioni interessanti a fondo."
Era dunque, secondo quanto detto, solo un esperimento per il bene della conoscenza. Grazie ad essa ella era ancora in vita.
Che cos'era dunque lei? Un mostro?
"Dunque…" tentennò, stringendosi il labbro inferiore "Se accetterò di fare da cavia, voi non direte nulla di me?" abbassò il capo afflitta e turbata.
"Sì, era quella l'idea." rispose abbastanza convinto il Maestro con un piccolo sorriso, lasciando andare il cadavere a terra: "Il primo esperimento è questo, vedi di raccogliere altre di quelle perle dai corpi degli altri uomini, restando attenta a non ascoltare quella voce nella tua testa. Ti do centoventi secondi di tempo."
 
"Signore, dove siete stati? Gli altri si sono già imbarcati, vi stavamo aspettando con l'ultimo mezzo." affermarono gli uomini che li avevano attesi, tre militari dai tratti caprini: altri caprioli o checchessia, rimuginò Evelyn.
"Perché scusa? Non credevate che potessi tornare a casa da solo?" domandò scocciato il Generale Volt scoccando ai tre un'occhiata mordace "Va con loro Evelyn, io torno alla base da me." decretò annoiato, avvicinandosi al bordo dell'altura e stendendo le braccia: centinaia di piume grigio ardesia dalle punte nere presero forma dagli squarci che portava sul retro della divisa, un affilato becco ad intaglio, e una lunga coda sottile di piume: un passo in avanti e l'ibrido cadde nel vuoto, per poi innalzarsi leggiadro in volo. Con potenti colpi d'ala veloci e vigorosi, la sua figura disparve in breve tempo dalla loro vista.
"Sei fortunata piccola, ad essere allieva di un uomo così erudito." le disse uno dei militari, a cui ella rispose con un sorriso riconoscente: "Eh già, gli sono molto grata."
Si sedette sul sedile posteriore del mezzo di aviazione, borbottando imprecazioni contro volatili in generale, quando un "CIAOOO!" la fece sobbalzare di brutto: accanto a lei c'era il ragazzo di prima, Bald!
"Cosa ci fai qui?" strillò saltando all'indietro parecchio infastidita dalla sorpresa: voleva rimanere sola in quel momento, sola per riflettere su quel che era rimasto della sua vita.
"Ho chiesto di rimanere finché non saresti tornata, sai, ero un po'preoccupato che non tornassi. Con quelle braccine gracili che ti ritrovi non ti avrei dato molto, e invece ti sei dimostrata una vera furia! Facevi anche un po'paura sai, di tanto in tanto sussurravi frasi lugubri ai malcapitati che ti si ritrovavano davanti ma non sono riuscito a capire molto neanche avvicinandomi perché c'erano troppi…"
Il cervello di Evelyn si disconnesse in quel momento, evitando di ascoltare altri venti ore di bla bla bla.
"Uff, quanto parla questo..." si ritrovò a pensare Evelyn sbuffando leggermente.
"S-sì ok frena la lingua, non parliamo di quello che è successo prima. Vorrei solo stare un po'in silenzio…" tentò di bloccare la fiumana di parole che straripava da quel ragazzetto chiassoso, stringendosi le mani al petto: in quel momento il veicolo diede uno scossone e si levò in volo.
"Ok… Ma ehy, sei ferita!" notò Bald allungando una mano sulla sua guancia, sulla quale un piccolo taglio stava ancora sanguinando. L'istinto prese il sopravvento su di lei, che gli bloccò il braccio a mezz'aria e sfoderò gli artigli felini contro di lui: "Non toccarmi! ...Non… S-Scusami."
Senza attendere risposta si rannicchiò dall'altra parte del sedile, coprendosi il viso con le braccia e tentando di ritirare gli artigli che stranamente non si piegavano al suo volere.
Era inutile ridere, era inutile piangere. Non aveva motivo per farlo.
Che cos'era quella sensazione?

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Capitolo 9
*** Comunicazione importante ***


Ragazzi ho riaperto la pagina di Facebook, sempre con lo stesso nome... Facciamola crescere! Anche perché è probabile che pubblichi lì i prossimi capitoli... la pagina ha lo stesso nome della storia... Fateci una visita! :p
Ps: Mi raccomando, recensite i capitoli se avete qualcosa di importante da dire, è sempre un piacere immenso avere le vostre opinioni!
Ciaooo! :p

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Capitolo 10
*** Ricordi incatenati, un segreto da mantenere ***


Zona atterraggio elicotteri, otto anni fa, ore 16:22
 
"Non sembri tanto felice di rivederli dopo tanto tempo."
"…Ah, non badare a me, mi stavo chiedendo quanto possano essere cambiati in quattro anni…"
Un lungo corno arcuato e nodoso andò a colpirle la spalla: "Non sei la loro mamma, sbrigati a scambiare quella faccia da pesce lesso e sorridi un po', altrimenti con che benvenuto vuoi accoglierli?" ridacchiò l'ibrido alla sua destra. Dopo molti anni erano diventati buoni amici.
"Ritira quelle corna Oniisan, vecchio caprone." lo ammonì Evelyn scollandosi finalmente di dosso quel muso lungo ridendo anch'essa, anche se più moderatamente dell'amico. Questo fece scomparire di malavoglia le corna come da richiesto fra i capelli biondi tirati all'indietro.
"Capriolo, prego." sbottò poi incrociando le braccia coperte da una pesante giacca in pelle, adatta ai luoghi di montagna.
"Capra."
"Caaapriooolo."
"CaPiroetta."
"Ca-pri-oooooloo!"
"Pecorella con le corna troppo cresciute hehehe."
"Adesso ti rompo!" esclamò infine il ragazzo dalle corna caprine, chiudendo le mani a pugno e cominciando a menare fendenti a destra e manca che la ragazza schivò magistralmente, saltando all'indietro e rispondendo con un calcio fulmineo placcato all'ultimo istante. La sua giacca nera sfiorava il terreno, mossa dal venticello mattutino.
"Frena Evy, non mi sembra il caso di ingaggiare una lotta QUI nel mezzo del campo di atterraggio, magari arriva un aereo e ci falcia tutti e due!"
Bald le lasciò la caviglia e lei fece uno scatto all'indietro rispondendo tra il divertito e l'indignato che a cominciare era stato lui, e si misero a ridere come due vecchi amici di infanzia, mentre in lontananza il rumore di un paio di eliche si avvicinava a tutta velocità. Praticamente poco dopo il suo trasferimento forzato, i suoi due amici Ryan ed Zoe ne avevano scoperto la causa e il luogo in cui era diretta, e avevano ottenuto il consenso dai loro genitori di venir trasferiti anch'essi, nonostante i punti di forza dei loro animali non fossero esattamente compatibili con il paesaggio innevato a cui volevano andare incontro. Quando lo aveva saputo, il cuore di Evelyn era scoppiato dalla gioia ed aveva atteso pazientemente, allenandosi a più non posso per essere pronta al loro arrivo: il suo desiderio era potersi confrontare con i suoi vecchi amici in uno scontro due contro uno.
Fu naturalmente Zoe la prima a ficcare il muso fuori dall'elicottero, ed ancora prima che questo atterrasse! Con il cuore in gola la vide saltare giù dal velivolo e lasciarsi cadere, per poi evocare le sue grandi ali nere scintillanti e spiccare elegantemente il volo fra le volte bianche dei monti innevati.
Non appena raggiunse il suolo si sentì investita da una furia felina che la fece schiantare al suolo in un caldo abbraccio.
"E-Evelyn!?" chiese il tucano esterrefatto e commosso.
"Zoe!" rispose il gatto nero abbracciandola con enfasi "Quanto mi siete mancati!" continuò alzando gli occhi finalmente su di lei, non era cambiata per niente: stesso sorriso furbetto, stessi occhi vivi color lapislazzuli, stessi capelli ribello nero pece.
"Ehy vi siete dimenticati di me?" fece una voce più profonda di quanto ricordasse, ma sempre con quella punta di scocciatura che la rendeva inconfondibile. Con uno scatto Evelyn si alzò in piedi e abbracciò anche Ryan il quale, appena atterrato, indubbiamente non se lo aspettava perché rimase spiazzato da tanta enfasi e inspiegabilmente il suo viso si colorò di un timido rossiccio.
"Sono così felice di rivedervi…. Oh no aspetta, non capite quello che dico vero?" chiese Evie ricordandosi solo ora della diversità di lingua; il ragazzo-tucano scosse la testa saccente e le spiattellò l'ala in faccia come ai vecchi tempi, sorridendo: "No cara testona, non siamo mica degli stupidi, lo abbiamo studiato l'Italiano prima di arrivare qui!" pronunciò senza un errore grammaticale, ma la sua pronuncia era pessima. Tanto che perfino Bald si mise a ridacchiare: "E quello sarebbe Italiano gente?"
Entrambi i volatili sobbalzarono dalla sorpresa nell'accorgersi di lui, ma non ci fece troppo caso e con una calorosa stretta di mano salutò i nuovi arrivati: "Era ora che vi conoscessi, Evie mi ha parlato talmente tanto di voi da rendermi impaziente di conoscere questi 'prodigiosi' fratelli!" affermò con una risata amichevole "Non sei ancora abituato a tutto questo Sole, vero? Sei tutto rosso, forse ti serve della crema abbronzante! Credevo che voi americani aveste la pelle dura…"
"Non sottovalutarmi, dammi un mese e ti avrò già superato." aveva risposto leggermente indispettito Ryan, ma si vedeva dallo sfregare delle sue mani guantate che il clima non era esattamente come avrebbe voluto.
Inizialmente confusa, Zoe non ci mise molto a diventare membro onorario del club e in breve divenne punto di riferimento per 'inimmaginabili storie di mondi sconosciuti', come lo definì lei ad un certo punto. Non vi erano molti esterni in quella base a parte loro e pochi altri. Fu Ryan ad avere qualche problema di socializzazione, come sempre, fin dal primo momento.
 
Passo di Campolongo, qualche settimana dopo, ore 17:34
 
L'odore della paura è così intenso da poter essere fiutato fino a mezzo miglio di distanza. Chiunque provi terrore davanti al pericolo ne sprigiona una quantità sufficiente da essere individuato come preda da qualunque animale ematofago nei dintorni, o peggio.
Derek Aiden, a capo di un'importante squadra fra le migliori resistenze del territorio alpino, non si era fatto scrupoli a scendere in campo quando all'alba un gruppo di ibridi caprioli aveva scovato una finta base segreta posta come esca, attirando i combattenti dritti nella loro trappola.
"A ore dieci, drappello di fuga!"
Il suo primo atto di doppiogiochismo, una volta a casa avrebbero dovuto festeggiare per bene.
La base segreta corrispondente ai dati raccolti doveva trovarsi proprio lì, in mezzo a quelle rocce: la truppa di avamposto li aveva preceduti di molto per assicurarsi che non vi fossero problemi ma la pattuglia aerea non aveva registrato nessun'interferenza. L'assalto cominciò.
Da lontano poté sentirli gridare di felicità, una gioia omicida degna del peggiore dei mostri che popolavano le più profonde cavità dell'Averno, ed assieme a questi gli ululati spaventosi dei feriti che lottavano per la salvezza del proprio corpo non curandosi di quella della loro anima lacerata. Era terribilmente contenta di non assistere a quella macabra danza della sopravvivenza da dimenticarsi quasi completamente del freddo insinuatosi sotto i suoi vestiti laceri fin dentro le fessure delle ossa scricchiolanti sotto il suo gracile peso, trascinandosi avanti nella tormenta del suo animo.
Si era persa. Ma sapeva cosa doveva fare.
Non lontano da lì il capitano della truppa nemica, l'obiettivo, stava impartendo fitti e precisi incarichi ai soldati che gli stavano attorno, poteva sentire perfettamente l'ordine di sparare nel punto prestabilito e di attendere l'esplosione da lontano, al sicuro. Quando fu certa di trovarsi abbastanza vicino da essere scorta, si lasciò cadere sulle ginocchia tremante per il freddo e con quel poco di voce che bastava implorò pietà.
"Signore, una bambina!" gridò un soldato che l'aveva avvista al comandante.
"Non avvicinatevi! Potrebbe essere una trappola!" diede l'ordine egli, fattosi sospettoso a dir poco.
"Eri sicuro di aver evacuato tutti gli abitanti del villaggio vicino, vero? Eppure ti sono sfuggita io, costretta a vagare in questa tormenta fino all'assiderazione per colpa tua. Vuoi veder morire una povera innocente in mezzo a questa marmaglia di peccatori? Accoglimi, te ne prego…"
"...No aspettate, andate a soccorrere quella povera creatura e portatela al sicuro dove io stesso potrò verificarlo!" cambiò improvvisamente idea il comandante, dopo qualche secondo di pura confusione in volto. "Non posso credere di averne dimenticato uno, mi avevano detto che l'intero villaggio era stato evacuato…"
Nascosta nell'ombra, la piccola spia si muoveva più silenziosamente e velocemente possibile per raccogliere ogni informazione: ogni singolo scambio di informazioni fra i soldati, il numero di armi, dati su altre postazioni e molto altro ancora.  Sombra era il suo nome in codice, il buio il suo alleato. Non aveva molto tempo se voleva continuare a vivere.
D'un tratto nel cielo si levò un grido imperioso, segnale che il suo tempo era scaduto.
"FUOCO!"
Da lì in poi ogni altro rumore venne sovrastato dal boato più terrificante che avesse mai udito in tutta la sua vita.
Immaginandosi anche la più cruenta delle guerre, migliaia e migliaia di colpi da sparo non avrebbero retto al confronto dell'impeto infernale provocato dalla caduta di un'enorme massa nevosa ad una velocità maggiore di 300 km/h: la punizione divina delle montagne, la slavina.
Se avesse conosciuto una preghiera in quel momento l'avrebbe pronunciata ad alta voce per il suo amico Bald, là in mezzo alla battaglia. Che il vento del Nord sia con te, sussurrò con un sorriso. Il piano procedeva alla perfezione.
Subito dopo quel tremendo fracasso scattò l'azione difensiva del piano del comandante Derek, convinto di aver seppellito le truppe ibride al di sotto della valanga che ancora si accingeva a falciare le anticime fino in fondo al valico; percependo altre persone avvicinarsi Evelyn si nascose nel camion nel quale l'avevano scortata e si finse magistralmente addormentata, attendendo il momento in cui l'avrebbero scortata assieme al comandante lontano da lì, mentre le sue amate truppe si liberavano dell'inconveniente della neve e organizzavano il piano per prelevarla.
Non aveva paura di morire, era certa nella riuscita del suo piano, sebbene fosse la prima volta che lo metteva in atto. Quello era il suo dono. Nessuno avrebbe potuto resisterle.
Quando finalmente furono giunti a destinazione, il comandante diede ordine a tutti di appostarsi in linea di difesa in caso di attacchi imprevisti, che previdente, non sospettava minimamente del contrario. Il luogo in cui venne rinchiusa non era poi così male, una camera all'incirca simile a quella che aveva lei, solo, grande tre metri per tre. Fu una passeggiata liberarsi della sorveglianza, strisciare nell'oscurità e riapparire davanti alla sala di comando della VERA base segreta, trovare l'unica finestra disponibile non chiusa e lanciare un piccolissimo razzo segnalatore.
Il vero problema sarebbe stato impedire al comandante di suicidarsi una volta scoperto il trucco, così decise di improvvisare.
"Ehm… Signore, abbiamo un problema! La piccola che avete trovato si sente male, chiede di essere riportata a casa..."
"Non è il momento di rintracciare la sua famiglia, dobbiamo prima essere certi che la situazione sia sotto controllo!" si sentì rispondere dall’interno.
Senza perdere la calma, riprovò: "Signore, posso almeno scortarla da voi, non si sentirà a suo agio fra noi militari…"
"Ho paura, vi prego lasciatemi entrare, voglio solo un po'di compagnia…"
"…Va bene." Si sentì rispondere, e un attimo dopo la porta blindata si aprì davanti alla guardia e alla bambina, rivelando un interno tappezzato di cartine e piani in costruzione, tutti perfettamente ordinati con cura e pazienza, ed al centro una serie di schermi di computer con un sacco di appetitose informazioni, pane per i suoi denti.
Il militare fece avvicinare la ragazzina ad una sedia che una delle guardie nella stanza lasciò libera per lei, poi si congedò e chiuse le porte alle sue spalle.
Dopo di che si accasciò al suolo.
Con un impercettibile gesto delle mani, fingendo di giocherellare con un elastico, la bambina lanciò dietro lo schermo dell'unico computer portatile una nera cimice, impossibile da vedere se non se ne conosce l'esistenza, e attese qualche secondo prima di avvicinarsi al comandante.
"Signore…" fece per accostarsi "Lei ha paura di comandare?"
Immediatamente altre due guardie si mobilitarono per allontanarla ma Derek le fermò con un cenno del capo: "No piccola, perché sono previdente e amo la mia gente. Ora torna a sederti."
Un sorrisetto compiaciuto comparve sul suo bel visino rosa chiaro: "Beh… avrebbe dovuto essere più previdente."
"…? Ma cos..."
KA-POOOW!
La prigione in cui era stata preclusa era appena esplosa. Nell'istante di distrazione che ne seguì Evelyn allungò le braccia e dalla manica fece uscire una piccola siringa che si conficcò nella spalla del capitano, che in un attimo cadde in avanti svenuto, e finalmente poté gettare la maschera: basta fare la brava bambina.
La stanza si tinse di rosso scarlatto e un'esplosione fece crollare parte del soffitto, dove un buco scavato in prossimità di esso conduceva fino all'esterno.
"Tutto a posto?" gridò dall'alto una voce familiare, alla quale Evy rispose con un ruggito soddisfatto; poco prima che altri militari potessero giungere nella sala, il comandante e lei erano fuggiti volando.
 
Base Nord, raduno delle truppe, qualche ora dopo
 
"Are you sure? Sono stati così allocchi? Non ci credo!"
"Lo giuro, hanno perfino creduto che venissi da un villaggio lì vicino!"
"Ma che dici, non ci sono villaggi vicino al passo di Campolongo, troppo rischioso dopo quelle valanghe improvvise..."
"Appunto."
Come eroi dopo la battaglia, il gruppetto più giovane della spedizione si era riunito a raccontarsi le reciproche imprese: Bald faceva parte delle false truppe, era bastato loro uccidere qualche soldato e far credere di essersi riuniti dove volevano loro e di essere spacciati, quando dalla loro parte avevano l"aiuto di ogni singolo esemplare di fauna presente fra quei monti.
"…E poi ho preso a cornate chiunque si avvicinasse, sembravo una furia! Non mi avreste riconosciuto sicuramente in battaglia, è lì che si misura il vero coraggio!" sentenziò nel suo glorioso monologo facendo spuntare un accenno di corna in mezzo ai capelli spettinati e gonfiando il petto in maniera esagerata, fra le risate generali.
"Caspita, deve essere stata durissima per te Evy: hai affrontato da sola il capo e non avevi alcun aiuto, non hai avuto paura di morire?" chiese Zoe con una punta di rammarico e un accenno di sarcasmo: purtroppo non era potuta venire a causa della sua inesperienza sulla neve, così si era limitata ad ascoltare la cronaca lamentandosi di continuo.
Evelyn ci pensò su un attimo prima di rispondere. Non aveva idea di cosa la spingesse a desiderare di poter rischiare la vita per delle informazioni, a volte la sua sete di sapere sorprendeva ella stessa.
"…No, perché sono previdente e amo le ricompense che ci daranno una volta finito di analizzare la cimice." rispose infine alzando gli occhi verso il soffitto, accennando ad un sorriso mesto "Ma come mai Rio non si è ancora fatto vedere?"
Vide Zoe storcere il naso ed alzare le spalle: "Non ne ho idea, quando tu e Bald uscite assieme in missione fa sempre lo scontroso, eppure quando eravamo in America mi era abbastanza socievole…"
D’'istinto ad Evelyn venne il dubbio che quel suo cambiamento repentino fosse colpa sua: e se avesse nostalgia di casa, se non avesse davvero voluto venire qui? Magari in sua presenza si sforzava di essere gentile ma in fondo forse provava rimorso…
Scosse la testa, e tentò di riprendere la conversazione, o per lo meno, di riprendere quella che Bald stava narrando da ormai mezz'ora.
Di lì a poco arrivò nella sala un signore vestito con un completo blu scuro, un lungo cilindro scuro sotto braccio ed un paio di occhi celeste chiaro all'apparenza tranquilli, che interruppe la conversazione e reclamò la presenza della ragazzina nella sala degli allenamenti n.3 in quell'esatto momento.
"E quello chi è?" fece Zoe stupita, le sembrava di riconoscerlo… D'un tratto la sua compagna le parve irrigidirsi come un tronco d'albero ed impallidire lievemente, ma fu forse solo un'impressione.
"Questo è il mio Maestro… Devo andare!" e si fiondò fuori dalla sala silenziosa senza che nessun altro se ne accorgesse. Dal brusio che si era levato dall'arrivo del suo Maestro non sentì quasi più niente, tranne alcuni scambi di botta e risposta fra Zoe e Bald:
"Ma chi era quel tizio?"
"Come chi era? Mai sentito parlare del Generale Volt?"
"QUEL Generale Volt?"
 
"Ci sono notizie gravi?" chiese sommessamente, temendo di aver compiuto un passo falso.
"No, nessun problema. La cimice che hai piazzato sul portatile ha installato come previsto il virus invisibile di localizzazione, che si travaserà assieme ai dati interni nel caso venga loro voglia di dare fuoco al computer. Hai presente che tempo fa hai accusato di non sopportare il sibilo che producono le spade quando tagliano l'aria?"
Evelyn si ritrovò stupita che il suo Maestro se lo fosse ricordato, ma era vero: odiava quel sibilo simile al verso di un serpente, e oltretutto i nemici potevano udirlo e mettersi in allarme. Guardò ancora il cilindro stretto sotto il braccio del Generale e trasalì: davvero l'aveva trovata, un'arma in grado di eliminare quel suono?
"…In realtà questo" esordì l'uomo aprendo la confezione dall'alto "È sempre parte del mio esperimento: tienila con estrema cautela, non potrai prestarla a nessun altro." La invitò ad infilare la mano nel cilindro, e così fece. Una volta afferrata l'impugnatura, Evelyn sentì distintamente la sua aura espandersi per tutta la base, percependo tutti gli esseri viventi che la abitavano. Estrasse con estrema cura dal cilindro una lunga, scura e lucente katana dall'aspetto fragile ma dalla consistenza incredibile: le sembrava di tenere in mano qualcosa di molto più denso e duro dell'acciaio, quasi tutti i tipi di metalli esistenti fossero stati battuti in un'unica sottile lama... Qualcosa di indefinitamente potente la attirava come un magnete al metallo freddo di quella stupenda katana. Rispetto alle altre spade era, in oltre, perfettamente bilanciata per lei, sembrava strano che non fosse sempre stata sua.
"Hai mai sentito parlare di Muramasa, Evelyn?"
Sentendo nominare quel nome Evy ebbe un brivido: lo sapeva bene chi era, era un famosissimo costruttore di katane, fra i più grandi al mondo. A causa di antiche leggende la sua figura era stata distorta in quella di un uomo malvagio, la cui sete di sangue veniva trasmessa alle spade che forgiava: Muramasa infatti significa 'pioggia di sangue'. Soltanto Masamune, considerato il più alto costruttore di katane, poteva superarlo, infatti il suo nome significava: 'essenza divina della giustizia eterna'.
"Sì, lo conosco. Non mi serve altra oscurità da brandire, Maestro." Rispose allontanando la katana dal suo corpo col braccio per timore di essere contaminata. Il Generale scosse la testa: "Non è questo il punto. Vedi, sai bene che le due spade leggendarie di cui parla la leggenda sono andate perdute, questa è quanto di più a loro si avvicina: ti chiedo di provare a vedere se riesci non solo a inondarla di impurità, ma di trasferirle del tutto."
C'era… C'era quindi una possibilità che diventasse normale. Non male come attrattiva.
"Non sarebbe stato più semplice con una spada forgiata da Masamune?"
"Sì, penso di sì, ma al momento non sono reperibili. Quando la troverò mi dirai se avrai voglia di provare. Per ora…" ma il suo Maestro non finì la frase, che una scarica elettrica le sfiorò la spalla andando a colpire il pavimento con violenza: assumendo in un istante il suo equipaggiamento ibrido Evelyn fece un balzo a sinistra per evitare ulteriori scariche ed impugnò la sua nuova arma. La osservò per un attimo, poi comprese una cosa importante. Non poteva competere con lui in velocità, non con un falco pellegrino, fra tutti l'animale più veloce in assoluto, ma aveva dalla sua un potere ben diverso. Sarebbe stato bello disfarsi dei suoi problemi, ma sapete cosa sarebbe stato molto più divertente?
Non appena ebbe spiccato un salto verso di lui il falco calò in picchiata in risposta per scaraventarla a terra, ma prima che avvenisse la collisione Evie fece vibrare con la sua volontà l'arma ed essa rifletté i suoi pensieri al Generale:
"La tua bramosia di verità ti condurrà ad una ricerca senza fine… Ma le regole, si sa, sono fatte per essere infrante no? Chi c'è in vetta al monte Olimpo dei superiori che odi? Chi ha cominciato a barare, suppongo… Ti dice niente la villa di Angus?"
"MA CHE…!" la furia con cui venne scagliata verso il basso fu molta di più di quella con cui avrebbe voluto colpirla e la ragazza si ritrovò a contorcersi dal dolore, ma a giudicare dalla sua espressione scandalizzata Evy aveva fatto centro: se non era normale, tanto valeva che si facesse amica quella parte di sé.
Naturalmente non poteva durare in eterno. Infatti poco tempo dopo, mentre si allenava di nascosto con le sue abilità, fu sorpresa dall'amico Bald che, preoccupato delle distanze da lei prese dopo l'ultima missione, l'aveva seguita.
"No… Non ci credo!" aveva biascicato ancora sbalordito. Immediatamente si ritrovò una mano che gli tappava la bocca e una katana puntata al collo: due occhi indemoniati lo fissavano puntando su di lui una rabbia accecante, una fila di denti affilati bramava di staccargli un braccio. Ma subito dopo la ragazza si tirò dentro spaventata ritirando gli artigli e scuotendo violentemente la testa per riprendere i sensi: stava per attaccarlo senza coscienza.
"Non… Non ti ho fatto niente, vero?" chiese tremante, stringendo l'impugnatura della spada "…Non devi dire a nessuno cosa hai visto, chiaro? Ti prego, davvero." aveva intimato lei, cinerea in volto.
Bald indietreggiò stordito, barcollando un attimo e sistemandosi la sciarpa bianca attorno al collo: "O-Ok va bene ma… Cosa diavolo erano quelle sfere nere e tutto il resto? Me lo puoi dire, non sono una spia!"
"No ma sei un chiacchierone!" lo sgridò serissima, risistemando la katana nera nel fodero con cura. Perché lui, perché non poteva scoprirla Rio, almeno lui avrebbe tenuto la bocca chiusa… Aspetta perché ci stava pensando?
"Sì beh, vabbeh… Dai me lo racconti?" chiese nuovamente con gli occhi illuminati dalla curiosità: era sempre il solito Bald, esuberante, chiacchierone, istintivo, chiacchierone, solare, e l'aveva già detto chiacchierone? Con uno sbuffo rassegnato, che si condensò in una calda nuvoletta bianca, Evelyn dovette raccontargli l'intera faccenda. Non che le dispiacesse, Bald l'aveva sempre saputo che era diversa, però non ci dava peso, anzi la sua era semplicemente curiosità, per cui non le era dispiaciuto raccontare a qualcuno dei suoi problemi. Ovviamente omettendo il fatto che le alte sfere avevano ordinato di ammazzare tutti quelli come lei.
Scherzandoci su, i due avevano consolidato il loro legame di amicizia grazie alla condivisione di quel piccolo segreto.
 
Dormitorio, 7 notti dopo la missione a Campolongo, ore 23:56
 
Lanciò un ultimo sguardo al disegno poggiato sulla scrivania, un angelo che coglieva un astro alpino, un fiore di montagna, prima di abbandonarsi di peso sul letto dalla stanchezza. Il suo corpo aveva un disperato bisogno di dormire, ma la sua mente voleva rimanere vigile e cosciente per non cadere in tentazione di riposare. Da quando aveva scoperto di non appartenere agli ibridi, alla sua famiglia, in lei era cominciato un profondo travaglio interiore. Cos'era? Qual era il suo scopo? Che diavolo ci faceva lì in mezzo a quella gente, quando avrebbe potuto essere un semplice fiore, che ne so, una campanula o un bucaneve?
Perché era umana? Chi aveva scelto questo per lei?
Senza accorgersene, era sprofondata nel sonno.
Fuori dalla base sembra tutto tranquillo, ma un'ombra fulminea si staglia nel cielo per qualche secondo oscurando la pallida luce lattea della luna. È una specie di civetta dalla testa squadrata, ricoperta di una gran quantità di piume bianche e marroni, due occhi giallognoli tinti di verde accecati dall'ira nella disperata ricerca di qualcosa. Si sente nell'aria un richiamo insistente, composto da 7 rapide note. Un ragazzo si aggira senza meta nella notte e la incontra, come la preda si imbatte nel suo cacciatore.
In quel preciso istante un urlo squarciò le spire dell'opprimente sonno e si dilagò per tutto il dormitorio. Aprì gli occhi scattando in piedi e d'istinto prese il fodero con la sua fidata Muramasa, cambiandosi in fretta e furia.
All'esterno c'erano già alcuni adulti intenti a scacciare quello che aveva tutta l'aria di sembrare un uccello formato jet, grande dieci volte il normale e con un'insolita voglia di attaccare chiunque le si avvicinasse: riconobbe chiaramente che era un Civetta Capogrosso, Aegolius funereus, ma c'era qualcosa in essa che le fece ribollire di angustia il sangue come colate laviche nelle vene.
"Qualcuno chiami l'infermeria!" gridò una ragazza accovacciata di fianco al ferito, lo stesso che aveva visto nel suo… Sogno? Forse non era così. La ragazza aveva un viso contratto in una smorfia di dolore e piangeva mentre cercava di tamponare il sangue che usciva dal bulbo oculare del ragazzo, che intanto gemeva ed invocava aiuto. Non avrebbe permesso che un'altra vittima venisse sfiorata.
Si lanciò all'attacco in direzione dell'animale le cui grosse ali scaraventavano a terra gli ibridi e sembravano trapassarli con un'aura… Oscura, spiccando uno di quei balzi impossibili che aveva imparato durante i suoi allenamenti sui percorsi per ibridi alati, anche se tecnicamente non avrebbe avuto il permesso, ed estrasse la sua spada con un grido minaccioso: "死の鎌!" (死の鎌 = falce della morte)
La lama compì una rotazione di 180° segnando di rosso il ventre dell'animale che, stordito, attaccò con entrambi gli artigli la ragazza: ella non si mosse e si lasciò afferrare da entrambe le zampe, rilassando i muscoli. La civetta gigante sembrò confusa e portò la sua preda davanti agli occhi scrutandone il contenuto delle mani.
Evelyn poté osservare i suoi occhi, giallo ibrido tinto di verde, rendendosi conto con sgomento di avere di fronte a sé un umano. Un umano che non aveva retto abbastanza il trasferimento del DNA nel suo corpo e si era trasformato in una gigantesca civetta capogrosso. Era certa di averlo incontrato tempo addietro, in una delle sue missioni: il suo nome era Jacquel, soprannome Artiglio d'Argento. Le era sembrato molto gracile fin dal primo momento, ma non pensava fino a questo punto. Perché era lì? Forse perché la follia aveva preso il sopravvento e, come le api sono attirate dal miele, era attratto dalla spada di Muramasa.
"Vuoi questa?" chiese assumendo un tono di voce più rilassato possibile, figurandosi in testa scene rilassanti e cercando di infondere nella katana la stessa sensazione. Probabilmente ci era riuscita perché d'un tratto la civetta si era fatta più calma, apriva e chiudeva i suoi grandi occhi gialli pieni di tristezza. Sembrava gridare con ogni fibra del suo corpo piumato: "Ti prego, aiutami."
Poi la quiete fu spezzata dal suo acuto urlo ed Evelyn fu lasciata cadere al suolo, atterrando saldamente in piedi: qualcuno l'aveva colpito ed ora l'ibrido… completo? Non sapeva come chiamarlo, ma era tornato irrequieto anche più di prima.
"No, fermi!" gridò correndo in soccorso dell'animale ma una mano le afferrò il polso, quella dell'ibrido di un Rondone Maggiore: "Non ti preoccupare ragazza, hai già fatto abbastanza nel tenerlo occupato."
"Ma no, quello è Jacquel! È un umano come noi!" tentò di spiegare in preda all'ansia. Non potevano fargli del male, non era colpa sua!
E invece l'uomo scosse la testa e materializzò le sue ali: "Lo sappiamo." disse serio, prima di spiccare il volo assieme ai suoi compagni.
Non avrebbe potuto fare niente per quella povera anima, a meno che non decidesse di ammazzarli tutti. Con la sua spada ora, poteva farlo. Ma a che sarebbe servito?
Fece dietrofront e aggirò l'edificio del dormitorio correndo, la giacca sventolante sopra il pigiama grigio, i capelli turbinanti nella gelida aria notturna. Quando fu certa di essere abbastanza lontana da non sentire alcun rumore si fermò, accasciandosi in ginocchio all'angolo di un edificio. Avrebbe dovuto aiutarlo, avrebbe dovuto usare ogni grammo della sua forza per impedire che gli venisse fatto del male.  E invece era fuggita come una codarda di fronte all'ingiustizia. Ma che poteva fare lei, una piccola onda nel mezzo della burrasca, per impedire che fosse sparso altro sangue? Niente. E forse sarebbe continuato così, in eterno, in una guerra che ha avuto inizio ma la fine non vedrà, finché non verrà svelato il suo vero scopo. Cosa l'aveva causata?
Com'era possibile che tra tutte le disgrazie che erano capitate a questo mondo dovessero continuare ad accaderne?
"Evie!" la realtà sembrò distorcersi per un attimo sotto un dipanato velo violaceo, per poi tornare a fuoco sull'inquadratura di due ragazzi che correvano in sua direzione: Ryan e Zoe.
"Evy che ci fai qui?" le chiese preoccupata Zoe porgendole una mano per rialzarsi "Sei fuggita senza dare spiegazioni..."
Non voleva parlarne, non voleva vedere nessuno, si sentiva una vigliacca.  "N-Non…. Non te ne deve importare."
"E invece ci importa! Non comportarti da egoista e raccontaci cosa ti succede!" fu Rio a replicare, e stavolta sembrava più adirato del solito, tanto che ebbe il presentimento che era meglio assecondarlo. Sentiva qualcosa che non riusciva a spiegare partire direttamente dal petto del ragazzo, ma non credette di poterla classificare come emozione. Bastarono pochi secondi per spiegare la situazione e la reazione di entrambi fu quella di strabuzzare gli occhi basiti: "Allora dobbiamo fare qualcosa, non possiamo permettere che lo catturino!" aveva esclamato la ragazza-tucano sbattendo le ali freneticamente per l'inquietudine.
"Tu credi che non ci abbia pensato? Ma è troppo tardi…"
"No che non lo è! Nonostante tu l'abbia ferito quell'uccello sta ancora volando sul campus."
"Ma che dici, ci sono un centinaio di ibridi, vorrai tu che non riescano a ghermire una civetta troppo cresciuta?"
"Non se questa ha la stazza di un carro armato e svolazza con la grazia di un calabrone drogato." aveva ribattuto lei con una luce speranzosa negli occhi, la stessa che aveva sempre intravisto in lei ogni volta che asseriva di quanto sarebbe bello viaggiare per il mondo. Il suo sogno si era parzialmente realizzato, no?
Corsero come delle saette nel luogo della battaglia, dove alcuni ibridi alati si erano fiondati alle calcagna della povera creatura che ancora andava in cerca di qualcosa che nemmeno lei conosceva.
"Data una rapida occhiata per accertarsi se ci fosse anche Bald, certo che no, lui ha il sonno pesante, scattò il piano: Zoe volò direttamente davanti alla traiettoria del volatile gigante assieme agli altri ibridi che a differenza sua avevano intenti più che bellici, e lanciò un grido abbastanza potente da infastidire la Civetta Capogrosso, che cambiò traiettoria. Dall'altra parte Rio teneva per le braccia Evelyn, la quale tenne in vista la sua spada maledetta facendola sventolare e rendendola desiderabile agli occhi di qualunque gazza ladra.
Jacquel sembrò intuire la cosa e si diresse spedito verso di loro, ma venne bloccata da un altro gruppo di ibridi che da terra aveva imbracciato le armi da fuoco: alcuni colpi andarono a segno e colorarono il suo bel manto, ma questo non gli impedì di librarsi sempre più in alto nel cielo, seguendo quel tucano impertinente e la sua amica felina, mimetizzati nell'ombra come parti di essa.
Erano ormai lontani, ma ancora sentivano gli schiamazzi spacca timpani della sorella tucano, al che ad Evelyn scappò una breve risatina. Sempre tenendo ben in vista la sua katana, i due sorvolarono gruppi di catene montuose e si fermarono su un'altura abbastanza nascosta. Il vento gelato sferzava attraverso le pieghe dei loro pigiami, facendoli pentire di non aver indossato nemmeno un cappotto.
"Beh… Ti ringrazio Rio." disse Evie mentre tentavano di curare Jacquel dalle sue ferite, il quale rimase tutto il tempo sdraiato su un fianco senza fiatare, riconoscente.
Ryan ebbe una reazione a dir poco interessante, a detta di Evy: il suo viso si colorò per un attimo, poi emise un sonoro starnuto e capì: aveva preso un raffreddore. Tirando su col naso Rio girò gli occhi dall'altra parte: "Di che? Sono io ad esserti riconoscente. Grazie a te il sogno di mia sorella si è realizzato." Disse tutto d'un fiato, per risparmiare calore corporeo. Grazie a lei…?
"Ricorderai tutte le volte che ti ha tartassato dicendoti che un giorno avrebbe viaggiato in lungo e in largo, e che sarebbe diventata una di quelle eroine che raccontava le proprie vicende agli altri davanti alla tavola calda, che avrebbe conosciuto un sacco di persone e avrebbe reso i suoi genitori fieri di lei. Grazie al tuo trasferimento ha avuto il coraggio di prendere finalmente una decisione. Ti ringrazio a nome suo."
Evelyn si sentì onorata di aver aiutato un'amica in un così magnifico intento, realizzare il suo sogno… Un sorriso di riconoscenza apparve sul suo viso, i cui occhi del color delle pietre preziose risplendevano luminosi nella notte.
"Allora... Pace?" chiese gentilmente ottenendo un cenno del capo come consenso. "E tu perché sei venuto?" chiese dopo un attimo di quiete.
"Io? Beh, a-anche io ho sempre voluto viaggiare. Tu invece?"
Se gli avesse risposto la verità, chissà che reazione avrebbe avuto. Il suo sorriso si spense.
"…Non l'ho scelto io. Davvero."
"Ha a che fare con gli Akuma?"
"Come lo sai?" esclamò sconcertata e in un certo senso truffata: "…Te lo ha detto Bald vero?"
"No, me lo ha detto Zoe dopo averlo estratto con la forza a Bald."
Al sentire queste parole, Evelyn emise un facepalm così potente e convinto da poter essere udito perfino dagli abitanti della foresta sottostante, che scapparono impauriti percependo tale schiocco come un'imminente valanga che per fortuna risultò non arrivare mai.
 "Tranquilla, ho già giurato di non dirlo ad anima viva." rise lui, sistemando l'ultima benda. Il volatile, o meglio Jacquel, emise un debole verso di gratitudine e si rialzò, puntando con gli occhi la spada di fianco ad Evelyn. "No Jacquel." gli aveva intimato "Non devi seguire questa traccia. Ora sei libero, spero che tu viva una vita lunga e serena. Non possiamo darti altro."
Con un cenno della testa il volatile spalancò le sue grandi appendici piumate e spiccò il volo con grazia, alla ricerca di una nuova meta. I due salutarono un'ultima volta l'amico da lontano, prima di voltarsi e tornare a casa.
 
Archivio segreto della base alpina del monte Bernina, sette anni fa, ore 21:29
 
Era decisa più che mai a scoprire la verità. L'episodio dell'incontro con Jacquel aveva riacceso in lei la fiamma del coraggio ed era disposta a tutto pur di far luce sulla questione. Anche infrangere le regole ed intrufolarsi negli archivi, se necessario.
"E scusa io che centro?" si lamentò per l'ennesima volta Bald acquattato dietro una pila di 'annales' e cronache ufficiali assieme alla furtiva felina.
"Perché hai promesso di tenere la bocca chiusa e non l'hai fatto, e per questo pagherai con lacrime e sudore, caro Oniisan!" lo strigliò seccata, fulminandolo con un'occhiata torva "E ora vedi di non fiatare… Stanno chiudendo." Infatti di lì a poco sentirono il rumore della serratura, precedentemente forzata da Bald, modestie a parte, dopodiché il silenzio riempì l'aria.
Non era stato così difficile entrare, il difficile sarebbe stato uscire. Senza perdere tempo i due sgusciarono fuori dal loro nascondiglio e si misero alla ricerca di qualsiasi cosa fosse appariscente e portasse scritto sopra il nome 'Akuma'. Dopo circa un'ora di ricerca erano esausti e non avevano trovato niente.
"Andiamo, non esiste neanche un documento cartaceo al riguardo?" aveva sussurrato Bald altamente contrariato, prima di rendersi conto di quello che potesse significare. "Secondo te hanno bruciato quelle carte e le hanno trasferite in un computer?"
"Spero di no, sono brava in informatica ma non di certo quanto basterebbe per un sistema di sicurezza di alto livello." aveva commentato Evelyn abbacchiata "A meno che…" e le venne in mente un'idea folle. Non aveva senso, ma d'altronde era per spiegare il senso della sua esistenza che era lì. Una volta trovato il computer centrale, stranamente non sorvegliato da nessuno, Evie ebbe l'accuratezza di spostare la visuale delle telecamere e poggiò una mano sullo schermo mentre lo accendeva.
"So che contieni quello che voglio. Non mi fermerò fino a che l'ultimo dei tuoi circuiti non verrà disintegrato e il più infimo dei virus non abbia divorato ogni byte della tua memoria, per cui farai meglio a non farmi perdere tempo."
Non aveva idea di come avesse fatto né di cosa avesse fatto ma non trovò neanche un sistema di difesa all'interno di quel computer.
"E brava la mia Neechan!" aveva attestato Bald con una pacca sulla spalla della 'sorellina' che, sorridendo di rimando, continuava a cercare. Era divenuta abitudine scambiarsi quegli affabili soprannomi, principalmente per l'indole protettiva ed aperta del compare, che considerava tutti i suoi amici al pari di fratelli minori. Alla fine trovò quello che cercava. Una cartella con delle immagini, immagini di uomini e animali dall'evidente irascibilità e con un'unica caratteristica in comune: gli occhi.
Vi era un solo documento Word, ma quando lo aprì l'intero schermo diede la schermata di Errore: "File inesistente."
"Che scherzi sono lattina troppo evoluta? Dammi quel file!"
 "File inesistente."
"Adesso sei tanto ma tanto mort-"
Delle voci provenienti da uno dei corridoi che gli scaffali formavano con la loro mole, segno che altre persone si erano introdotte senza permesso all'interno dell'archivio. Erano loro quelli morti.
"Evy...!"
"Ricevuto Bald..."
"Spegniti subito barattolo di lamiere digitali!"
Il computer si spense. Non avevano possibilità di fuga così si nascosero sotto la scrivania, attendendo che i tizi se ne andassero. Ed invece questi si sistemarono proprio accanto a loro, mettendosi a discutere di qualcosa che aveva l'aria di essere una questione realmente seria. Stavano parlando di… Una grande guerra, contro un impero buio, uno luminoso, non si capiva bene dal loro parlottio fitto. Il succo era, tuttavia, che stavano progettando una sorta di guerra. Cosa abbastanza strana, dato che erano GIÀ in guerra…
Ma non riuscirono ad ascoltare molto altro, che l'oblio li catturò nelle sue volute di fumo nero.
Il mattino dopo il suo risveglio non fu dei migliori. Il terreno ballava sotto i suoi piedi, e non smetteva di sentirsi scossa da un terremoto interiore che poco a poco si materializzò in modo sempre più nitido. Mise a fuoco l'ambiente circostante e si ritrovò al di sotto della scrivania, dall'altra parte Bald dormiva beato, e davanti a lei un uomo vestito con una divisa blu molto simile a quella del Maestro Volt la stava scuotendo con una mano per svegliarla.
"Buongiorno sssignorina." disse con fare seccato, attendendo che uscisse dal suo nascondiglio. Quando finalmente le sue facoltà mentali si riattivarono, ella trasalì: ADESSO erano morti sul serio.
"Volete spiegarmi gentilmente che ci facevate lì sotto?" chiese bruscamente l'uomo rimettendosi in piedi, e fu allora che lo riconobbe. Era la stessa persona che l'aveva 'tratta in salvo' dalla base in Sud America da quei medici impazziti, e non solo, le sembrò di averlo incontrato anche prima…
"Con lui farò i conti dopo, ma veniamo a te soldato Evelyn, nome in codice Sombra."
"Come sa il mio nome?" Pensò lei profondamente turbata.
 "Maestro Volt mi aveva segnalato di tenerti d'occhio, ma non pensavo che saresti arrivata a tanto."
Maestro… No, non ditemi che questo è quello di cui ho sentito parlare, il Vice…
"Se te lo ssstai chiedendo, e non vedo perché no, sono sempre quello che hai incontrato in America. Vice-generale Memphis, e tuo superiore."
Sì, era lui. Adesso se non era morta non lo sapeva nemmeno lei cos'era.
Fortunatamente no, non erano destinati al macello. Il Vice aveva chiuso un occhio solo perché Evelyn era letteralmente sotto l'ala protettiva del suo mentore, ma l'aveva ben capito che non gli stava tanto a genio. Ma ora non importava, doveva avvertire il suo Maestro di quello che aveva sentito nel corso della notte precedente, poteva essere di vitale importanza.
"Purtroppo il Generale è partito stamattina." aveva annunciato il Vice, mentre li rispediva dritti di filato nel dormitorio "Per questo mi ha dato l'incarico di tenerti d'occhio e vedere se fai progressi."
"P-progressi?" Evelyn tremò sospettosa "Voi sapete...?"
In risposta ricevette, e non gradì, uno degli sguardi più diffidenti e distanti che avesse mai ricevuto, come se fosse una non so che creatura orribile da tenere a distanza. Non le piacque affatto. Sì, lo sapeva. Non appena ne ebbe l'occasione infatti lei e Bald se la svignarono in camera loro, per poi partecipare agli allenamenti mattutini come se niente fosse.
"Perdonami Oniisan, non volevo metterti nei guai..." si scusò mentre camminavano poggiandogli una mano sulla spalla per risollevargli il morale, o forse per semplice riconoscenza: per quanta diffidenza gli altri avevano dimostrato verso di lei al suo arrivo, lui aveva aperto le braccia al nuovo arrivato senza pregiudizi e poco a poco l'aveva 'forzata' a farsi delle amicizie comportandosi come un fratello maggiore: ora era parte della comunità grazie al suo ingombrante appoggio. A Bald sembrò non importare molto, e per dimostrarlo sfoggiò un rassicurante sorriso: "Hehehe… Ma a me non dispiace per niente, se non altro ho recuperato questi!" le sventolò davanti al suo bel musetto un piccolo fascicolo riempito di carte bollate alla rinfusa. "Sai cosa sono questi? Sono i miei dati anagrafici!"
Spalancando gli occhi dalle pupille feline, la ragazza rimase con la mascella spalancata dalla sorpresa: "Hai rubato dei documenti?"
"Perché, tu che volevi fare?"
"Touché. Ma ci avrei dato solo un'occhiatina… Motivo?"
"Beh mi sembra ovvio, in questo modo potrò localizzare la mia famiglia."
Giusto! Non ci aveva pensato da brava stupida, ma le informazioni segrete dell'archivio potevano aiutare anche Bald! Gliene aveva parlato anni orsono, del suo trasferimento lontano dai suoi genitori ed i suoi fratelli maggiori per la sua eccessiva gracilità, e di come da allora aveva fatto di tutto pur di risultare il più forte e il più bravo. La sua grande stazza era frutto dei suoi smodati allenamenti e la sua personalità era scolpita sul ricordo di quella dei suoi fratelli. Insomma, aveva fatto il possibile per vivere unicamente con uno scopo: ritornare dalla sua famiglia. Per questo ad Evie piaceva la sua compagnia: la sua determinazione non l'aveva mai abbandonato e la sua aura positiva riusciva ad arginare le sue sfuriate improvvise.
"Perché non me lo hai detto subito? Posso aiutarti anche io a trovare la loro base ora che abbiamo delle informazioni!"
"Esattamente ciò che volevo proporti dopo l'allenamento: ti va di fare un viaggetto alla ricerca della base perduta?"
"Beh…. Ma certo che sì! " rispose più che felice di poter essere di sostegno.
"Bene allora ci vediamo dopo l'allenamento!" Bald non aveva finito la frase che già stava correndo attraverso i corridoi, verso l'uscita dell'edificio. Lei invece doveva continuare ad allenarsi.
Peccato che avesse dimenticato una cosa: non aveva un Maestro con cui allenarsi.
Certo, il Generale Volt era impegnassimo con i suoi compiti di alto livello data l'importanza della sua carica, ma trovava il tempo di condurre i suoi esperimenti quando meglio credeva. E ora, beh…
"Ci si rivede." si sentì proferire alle spalle. Con un balzo olimpionico con il quale toccò il soffitto e tornò giù in un nanosecondo, si ritrovò davanti il Vice con le braccia incrociare e l'atteggiamento di uno che stava aspettando da un po'.
"Quando ho detto che dovevo controllare i tuoi progressi, intendevo che DEVI fare progressi." concluse abbassando lo sguardo su di lei, alto e imperioso, ed Evelyn credette di aver scorto in quel tono di voce un avvertimento. Corrucciando la fronte la ragazzina si alzò sulla punta dei piedi per scrutare meglio il suo sguardo ma questi lo spostò altrove e si voltò verso l'interno facendo implicito segno di seguirlo; senza discutere Evie si affrettò a raggiungere la sala degli allenamenti, dove al momento vi erano una decina di ragazzi di età superiore alla sua nell'atto di affinare la propria percezione uditiva: se ne stavano raccolti ad occhi chiusi, mentre alcuni istruttori emettevano lievi rumori mentre camminavano attorno a loro ed attaccavano: compito loro era bloccare il colpo e rispedirlo al mittente, il tutto ad occhi chiusi.
Il Vice ancora proseguiva, senza pronunziare parola. Evelyn volle chiedergli come mai si erano diretti in quel luogo però non aveva il coraggio di contraddire il suo silenzio, così rimase paziente ad aspettare. Si sentiva così piccola ed indifesa in mezzo a quei combattenti dal manto fiero di possenti orsi polari, corazzati dalla migliore e ruvida pelle animale, ed impassibili nei loro sguardi di ghiaccio.
Ho osservato la tua prestazione tempo fa con quella Civetta Capogrosso, e mi trovo molto contrariato della tua incapacità di allontanare la pietà. Inizia l'addestramento anti emozione!" affermò poi lui arrestatosi di fianco ad una postazione già piena, nella quale Zoe e un allenatore sconosciuto stavano collaborando: la ragazza sembrava in seria difficoltà ed i colpi che riusciva a parare si potevano contare con le dita di due mani.
"Zoe!" immediatamente l'istinto di proteggere la sua amica si impossessò dell'allieva, che senza pensarci un attimo si lanciò in aiuto della compagna, venendo fermata con un unico semplice gesto: finì stesa a terra in meno di un petosecondo.
"Questo è il punto, allieva. Debolezza: è ciò che oggi imparerai a dimenticare." sibilò infatti Memphis prendendola per un braccio e rialzandola facendo attenzione a non farle troppo male; al suono delle sue parole le orecchie della ragazza si rizzarono perdendo la concentrazione accumulata nei dieci minuti precedenti all'inizio dell'allenamento e si lasciò sfuggire uno sguardo in direzione del duo.
Neanche un secondo dopo ricevette una frustata dritta in viso che la costrinse a coprirsi il volto ferito con le braccia, mugugnando, e lasciando così scoperto il torace che venne striato da una seconda frustata.
"AAARGH!"
"Zoe no!" esclamò Evelyn abbassando le orecchie feline per il senso di colpa: a causa della propria incompetenza, era stata penalizzata ingiustamente.
"Sssmettila, è esattamente questo il tuo problema!" si sentì dire dal Vice Generale un secondo prima di ricevere un potente ceffone che la rivoltò dall'altra parte. Nonostante lo sbilanciamento ricevuto dalla troppa forza si costrinse a non cadere all’indietro, mantenendo ben saldi i piedini al suolo.
"L'esercizio è questo: rimani lì salda in piedi finché non ti ficchi in quella testolina pelosa che il dolore altrui non è affar tuo." spiegò conciso poggiando le mani sui fianchi e irrigidendosi di fianco a lei, naturalmente si aspettava che la ragazzina facesse altrettanto; ma l'allieva non voleva rimanere, restare a guardare i suoi compagni che venivano sommersi di ferite senza nemmeno muovere un muscolo le sembrava la cosa più innaturale e disumana di questo mondo.
Un altro fendente riuscì a sorpassare la barriera di Zoe, che rischiò di cadere a terra dalla stanchezza. Un istintivo allungamento degli artigli posteriori avvertì Evelyn che stava per perdere il controllo delle sue volontà motorie e si costrinse a rimanere ferma, ma non trattenne un grido strozzato che la frustrazione le aveva accumulato in gola.
"SCIAF!"
Un secondo ceffone. Probabilmente avrebbero continuato così tutto il pomeriggio.
"SCIAF!” Un terzo. Ma non poteva rimanere lì impalata…
“SCIAF!" ok cominciava a farle male la guancia.
Intuendo la dinamica della prova Evelyn lo imitò alla bell'e meglio impietrendosi, poco convinta di affermare una cosa in cui non credeva: in fondo nelle missioni venivano raggruppati più membri no? Un compito di ogni membro dovrebbe essere quindi anche quello di preservare l'incolumità degli altr-
"Shwisssh." stavolta fu un violento colpo di coda a punirla schioccando sulla schiena come una frusta, non ne era sicura ma dal dolore Evy poté credere che si era aperto un gran taglio.
"Ci stai ancora pensando. Dimenticatelo ho detto. Quando lo avrai capito ti permetterò di tenere alla vita altrui."
Continuarono così, Zoe che parava i colpi, il sua maestro che trapassava la sua difesa e l'attaccava sempre più violentemente, Evelyn era lì per lì sul frapporsi fra i due per aiutarla ma rimaneva immobile, per non deludere il Vice.
Un ennesimo attacco andò a fondo e a quel punto Zoe non fu più in grado di sorreggersi, le restarono pochi secondi per osservare le proprie braccia le cui ferite insanguinate si mischiavano con il piumaggio nero che involontariamente aveva evocato, poi il suo corpo si afflosciò sul terreno. Evelyn ebbe un moto di rabbia, tristezza e confusione che non riuscì a frenare ma non appena vide l'espressione interrogativa del suo anti-Maestro comprese dentro di sé che egli sarebbe stato capace di chiedere all'istruttore di continuare l'allenamento con Zoe solo per temprarle lo spirito.
Trasgredendo le regole si feriscono gli amici… Allora… Rispettandole forse…
 Finché nel subconscio della ragazzina non si insinuò il dubbio che quella tortura che stava subendo avrebbe potuto anche evitarsela, e avrebbe potuto perfino aiutare il suo compagno rimanendo impassibile mentre veniva pestato a sangue…  Andava contro tutti i suoi principi, contro il suo credo. Ma il male alle guance le suggerì che 'adattarsi' era una capacità più richiesta della 'collaborazione' in quell'accampamento.
"Tsk." si lasciò sfuggire, voltandosi verso l'uscita.
Dietro di lei Memphis annuì duro, con una punta di approvazione.
Naturalmente dopo che se ne fu andato Evelyn corse come una matta verso di lei e l'aiutò a rialzarsi, ignorando le proteste del maestro.
"Ti prego di perdonarmi davvero, non volevo farti sopportare questo!" tentò di scusarsi ricevendo un'occhiataccia torva: "No ma l'hai fatto."
Evelyn abbassò le orecchie fattesi animali dal rammarico, ma Zoe le diede un debole buffetto sulla guancia: "Dai, non sono arrabbiata. Solo, chi era quel tipo?" e così dovette spiegarle tutto daccapo.
"Cavolo." commentò sarcasticamente "Tu e Bald avete corso un bel rischio, ma vi pare di andarvi a ficcare nelle situazioni più assurde, craziest, solo per divertimento?"
"Lo sai che non è così." aveva ribattuto arcigna "Ti andrebbe di aiutarci? Un paio di ali ci farebbe comodo."
"Adesso no, hai interrotto il mio allenamento super-special e devo ricominciare daccapo, quindi fila ad allenarti anche tu!" replicò indispettita Zoe risistemandosi la divisa con pochi colpi di mano ed ignorando le ferite. Non aveva molta scelta, quindi fece come richiesto. Si allenò tutto il giorno, attendendo il momento in cui avrebbe potuto sgattaiolare nel buio ed uscire dalla base senza essere scoperta, in una nuova missione.
A metà dell'allenamento ebbe però un'ideona geniale, che mise subito in atto non appena il suo Maestro tornò al campo, al tramonto.
"COSAAA?" Bald era sbigottito, allibito, basito, ammutolito, stupito e meravigliato dalla semplicità del gesto. "Mi è sembrato più semplice se avessi con te un'intera truppa che passasse durante una missione proprio da quelle parti." si era giustificata con un sorrisetto complice la compagna.
"E tu vieni?" chiese comunque il capriolo raggiante di felicità, tanto che aveva preso a ciondolare il capo con le corna caprine.
"Ecco… Forse è meglio che io non venga." disse accoratamente, inclinando la testa e spostando lo sguardo. Non le andava di vedere una famiglia riunita. Era da egoisti pensarlo ma non avrebbe mai provato la stessa felicità che provano dei parenti a riunirsi, si sarebbe solo sentita più inadeguata. Non ricordava nulla della famiglia…
Probabilmente Bald afferrò il concetto perché lo vide stringersi i denti e i pugni e si scusò ripetutamente di essere stato sgarbato e filò dritto in camera sua, dato che fra poco sarebbe scattato il coprifuoco. Non voleva disturbare, ma le pesava la sua differenza. Fu così che quella sera Evelyn decise che avrebbe imparato a fingere come si deve, per fare contenti Bald, il Vice, e chiunque altro avesse un'opinione diversa dalla sua. Sarebbe diventata un'attrice.
Quella notte fece un sogno veramente strano, popolato di ombre rosse e due figure identiche che danzavano e l'invitavano ad unirsi a loro: "Sarai felice più qui che in mezzo ai miseri mortali, devi solo trovare una cosa per noi… Vogliamo la vera spada demoniaca."
I giorni seguenti accadde sempre più spesso che, durante i suoi allenamenti, una forza interiore si sprigionava dal suo petto e veniva sprigionata dalla lama della Katana Muramasa, e nel frattempo il controllo sul suo ibrido diveniva sempre più complicato. Volt le aveva ripetuto più e più volte di non usare la lama per amplificare la sua natura, ma era facile a dirsi: una spada malvagia attirava malvagità. Solo quando raccontò dei suoi sogni il Generale ebbe l'accortezza di approfondire la situazione e, tra i rimproveri, aveva aggiunto un ordine.
"Se quello che dici è vero, ho paura che non sia rimasto molto tempo. So che ne sei in grado, per cui ti affido il compito di localizzare la vera Muramasa."
"Cosa? Non è rimasto molto tempo per cosa?"
"Non posso spiegartelo ma è di fondamentale importanza che tu la trovi prima di loro."
"Loro chi? La Feccia?"
"…S-Sì esattamente, la Feccia. Ti ho dato questa katana per familiarizzare con la sua onda, quindi non credo avrai problemi."
"Ma perché io?"
Non ottenne risposta, ma la conosceva già. Perché era un Akuma, ovviamente. Sapeva di essere l'unica a non essere stata uccisa immediatamente dopo la sua scoperta, perciò non v'erano altri candidati all'impresa e le possibilità di successo erano quasi zero.  Senza attendere altro il suo Maestro se ne era andato, per causa di forze maggiori, a sbrigare le sue pratiche. Lasciando Evelyn sola ad affrontare i demoni del suo passato, che avrebbero infestato la sua mente ancora per molto tempo. Si era impegnata con tutta se stessa ma non riusciva a percepire nulla, nemmeno la più vaga traccia dell'esistenza di una simile lama. Non sapeva nemmeno perché fosse così importante…
 
Sala di studio strategie, base segreta del monte Bernina, ore 19:28
 
Erano passati ormai anni da quando i due esterni si erano trasferiti nella base alpina, durante i quali entrambi avevano raggiunto ottimi risultati: grazie all'aiuto di Evy, Bald aveva potuto riabbracciare i suoi fratelli e seppur a malincuore si era trasferito nella loro base, dove era diventato capo delle truppe alpine, rispettato da tutti come tale, ma aveva affidato loro la promessa di tornare a trovarli.
Sia Zoe che Ryan avevano viaggiato molto in tutta Europa, ed Evelyn con loro, conoscendo un sacco di posti nuovi e combattendo molte battaglie insieme. Aveva scoperto una sfrenata passione per il disegno ed il canto, si era impegnata da matti per migliorare le sue abilità e grazie alla sua tenacia aveva raggiunto molti obiettivi, era stata eletta a carico di importanti missioni di infiltrazione, utilizzando la sua abilità persuasiva e quella artistica nel progettare piante e strategie.
La 'malattia' di cui soffriva la ragazza era però peggiorata di giorno in giorno, tanto da farla chiudere in sé stessa per evitare di ferire chi le stava attorno. La voce oscura che le appariva nella mente si fece sempre più insistente, e durante le sue battaglie le riusciva sempre più difficile resisterle: continuò a chiederle petulantemente della katana maledetta, della quale non aveva però ancora ritrovato le tracce.
Aveva continuato a collezionare le perle nere ottenute dai corpi dei caduti, e a sperimentare la sua katana Muramasa, ma purtroppo non sembrava possibile guarire dalla 'Akumite'. Le capitò varie volte di perdere il controllo, ma per fortuna i suoi amici erano accanto a lei e riusciva a tornare in sé.
 
Base alpina, un anno fa, ore 16:46
 
Come al solito gli straordinari toccavano a loro, l'élite del campo. Peccato che la sua valanga di impegni le impedisse di muoversi dalla base da più di una settimana, immersa fra piani e strategie, immagazzinando le informazioni delle mappe ed utilizzando quelle estratte dai dati soffiati alla Feccia.  Ormai era divenuta sua abitudine quella di girare sempre con la sua spada nel fodero pronta ad essere sguainata, o usata per le massacranti ore di meditazione che l'avevano impegnata per anni ed anni senza ancora un risultato. Apparentemente. Si alzò dalla sua scrivania e uscì silenziosa dallo studio senza accendere le luci, scivolando muta fra i corridoi alla ricerca di un posto dove rilassarsi un attimo, finendo nella sala delle armi n.3. Molti ricordi erano legati ad essa, dal suo primo allenamento assieme al Maestro al diploma di tecniche combattive, ottenuto in una prova tre contro uno. Con sua grande gioia, fra quei tre si erano offerti volontari Ryan e Zoe, realizzando il suo desiderio di un confronto diretto.
Si posizionò al centro della sala vuota, al momento i combattimenti erano sospesi, adagiò la katana davanti a sé e si mise in posizione di meditazione. Passarono una decina di minuti immersi nel più profondo silenzio, poi i suoi occhi si aprirono completamente neri, si rialzò meccanica ed impugnò la spada brandendola contro un nemico invisibile: la sua mente era il suo nemico, se l'avesse sconfitta avrebbe aperto le porte della sua anima al mondo e avrebbe potuto esplorarne ogni angolo più recondito con un battito di ciglia.
Ma non avrebbe mai potuto sconfiggerla finché sarebbe rimasta con un piede piantato nel buio e uno nella luce, attraverso a due mondi distanti miglia e miglia. A questo punto la frustrazione avrebbe dovuto attanagliarle il cuore fiorito, ma era sempre riuscita a trattenerla. Stavolta però ebbe il presentimento che stava sbagliando, per cui decise di fare come gli ordinava l'istinto. Istinto che evocò il suo ibrido e le impose di sfasciare metà dell'attrezzatura, prima di calmarsi definitivamente.
All'improvviso la vide.
Vide una piccola grotta, circondata da alberi di fiori di pesco e trincerata da un grande fiume.
Ma la sua concentrazione venne meno e la ragazza si ritrovò stesa per terra a fissare il soffitto, esausta.
"Ce… Ce l'ho fatta… L'ho sentito…"
Una ventata gelida le si insinuò nelle ossa facendole irrigidire gli arti e percepire una sensazione di tremendo pericolo. C'era qualcuno oltre a lei in quella stanza.
Si rimise in piedi e scrutò sospettosa ogni angolo della sala vuota, che all'improvviso le appariva più adombrata di quanto ricordasse. Non c'era nessuno.
Poi un qualcosa di freddo le toccò la spalla ed Evelyn ebbe un tuffo al cuore.
"Sentito cosa, milady?"
Con uno scatto allarmato Evelyn si appiattì al muro dall'altra parte della sala ritrovandosi ad osservare, da una decina di metri di distanza, un signore vestito con un sobrio abito nero.
"Chi sei tu?" chiese guardinga studiando l'intruso apparso magicamente davanti a lei: le sue vesti erano tipiche di un maggiordomo, la sua stazza abbastanza robusta. Vide l’uomo fare un riverente inchino, con un quieto sorriso sornione in volto, e udì la sua voce scusarsi della presentazione brusca.  Sembrava provenire dal basso, dal profondo della terra.
Subito dopo essersi scusato, il signore allungò una mano sul taschino della sua giacca, al che Evelyn si irrigidì aspettandosi una qual sorta di attacco a sorpresa, ma non fu così. Dalla tasca fece capolino un orologio d'oro, le cui lancette erano di un lucido rosso magenta, impossibili da notare. Quell'orologio produceva un ticchettio troppo forte, ironicamente in sincronia con i battiti del suo cuore, anch'essi tremendamente energici, e la cosa contribuì solo a creare maggior tensione. Evelyn percepì quasi distintamente di trovarsi in pericolo, ma non si mosse.
"Siete in ritardo, ci avete fatto aspettare parecchio: su venite, è ora di andare." pronunciò il maggiordomo, mostrando un sorriso rilassato.
"C-Cosa? Andare dove?" Evelyn fece un salto all'indietro facendo forza sul muro per spiccarne un altro più lontano ed allontanarsi dalla figura, ma mentre era ancora a mezz'aria vide il signore benvestito compire un leggero scatto ritrovandosi dietro di lei, mentre indicava con quel suo sorriso sereno il quadrante dell'orologio, picchiettandoci sopra con una mano guantata di bianco.
"È tardi." ripeté soltanto, dopodiché senza nemmeno averlo visto, il signore l'aveva compita con una gomitata facendola schiantare a terra. L'urto causò addirittura la semi distruzione del pavimento, e con essa Evelyn sentì che se non avesse accumulato abbastanza resistenza negli ultimi anni le sue ossa avrebbero fatto la stessa fine. Le era bastato quel confronto di potenza per confermare i suoi dubbi e realizzare di essere in serio pericolo.
Senza farselo ripetere più di una volta evocò il suo attrezzato armamentario da guerra e si preparò a stendere quel tizio a suon di pugni: caricata di tutta la sua collera compì uno sprint sfoderando la sua katana contro il maggiordomo il quale si ritirò con sua gran sorpresa appena in tempo per evitarlo. Era impossibile cambiare traiettoria in volo, eppure…
Neanche a finire il pensiero che un fulmineo pugno sul viso la fece schiantare nuovamente a terra creando un secondo piccolo cratere, e mentre si rialzava dolorante riavvistò l'uomo atterrarle di fronte con un'espressione rilassata, il quale scosse la testa ripetendo: "È tardi, signorina."
Inquietata come mai prima d'ora Evelyn strinse i pugni e, seriamente inalberata e confusa del fatto che nessuno accorresse al sentire tutto questo fracasso, si rialzò quasi senza sforzo e rizzò la colonna vertebrale rinfoderando la spada, pronta a sferrare micidiali colpi che avrebbero dovuto mandare al tappeto anche uno come lui, ma egli riuscì a schivarli tutti con un minimo di sforzo, e a rispedirli indietro: fortunatamente anche lei era parecchio veloce e li parò tutti, approfittando di un momento dopo che la scarica di pugni era cessata per tentare un affondo che venne eluso e anch'esso rispedito al mittente, senza provocargli danni. Qualunque mossa ella compisse il maggiordomo la copiava e rivoltava contro di lei, in modo da non mostrare veramente di che pasta fosse fatto!
Ma lei aveva un'arma, e lui no. Compreso quello che voleva fare, l'uomo allungò di scatto le mani verso le sue e la prese per i polsi impedendole di afferrare l'arma da taglio, così facendo si era sbilanciato anche se di poco ed Evy sfruttò questo per abbassarsi e cercare di farlo cadere in avanti: se fosse stato un normale uomo l'avrebbe ribaltato come niente e affettato nel momento in cui per proteggersi la testa avrebbe attutito la caduta con le mani, ma egli non si spostò neanche di un millimetro a tal punto da parere un blocco di granito, e la scagliò contro il muro. Evie usò entrambi i piedi come molla e si caricò di energia elastica per saltargli addosso di nuovo,  fendendo l'aria e facendo in modo che il maggiordomo ritirasse le braccia all'indietro per poi compire una rotazione con una mano sola e colpirgli le gambe per mandarlo al tappeto, ma l'uomo saltò appena in tempo ed atterrò sul suo piede, sbilanciandola in avanti: impugnata strettamente la sua katana ella la frappose fra di loro nel momento in cui stava per cadere ed essa lasciò un'indelebile traccia di sangue sul bel vestito nero del maggiordomo, trafiggendogli un'anca. Per reazione il tizio spalancò gli occhi, e le lanciò un'occhiata spaventosamente calma e collerica allo stesso momento, e la spinse all'indietro con forza. Evelyn atterrò con entrambi i piedi a terra ma disarmata, la katana era ancora conficcata nel torso del tipo, che osservando il suo vestito con finalmente un'espressione diversa dal suo sorriso inquietante, e con aria mesta prese l'impugnatura della lama e se la sfilò con calma dal corpo. Ignorando la ferita grondante di sangue, che non sembrava causargli molto dolore.
La mente di Evy era ancora protesa nell'istante precedente, quando aveva incrociato il suo sguardo. Le era sembrato di vedere non i suoi occhi, ma cavità oculari prive di orbite, immerse nelle fiamme.
Un secondo dopo il suo viso era davanti al proprio, orrendamente piatto e sereno: "È tardi." ripeté con più durezza. Non voleva credere a quello che aveva pensato per un attimo, non voleva credere che…
"Tardi per cosa!?" gridò incazzata Evelyn scaraventandolo all'indietro con tanta forza da stirarsi i muscoli, ma ormai non ci vedeva più: ci era cascata, il suo essere aveva preso possesso della sua coscienza nell'istante di smarrimento, ed ora il suo corpo emanava una voglia omicida nei confronti di quell'uomo come mai aveva provato nei confronti di qualcuno. La dolce e gentile Evie era stata rinchiusa all'interno della sua stessa testa.
"Vedo che avete iniziato a ragionare. Ora, se non vi dispiace, dobbiamo tornare e anche in fretta, perché si sta facendo veramente tardi."
"Ti ho chiesto…" ringhiò la ragazza adirata "Tardi… Per… Cosa?" e dalle sue mani partì un raggio viola scuro che rimbalzò per tutta la stanza come una palla di titanio che provocò altre decine di crateri per tutti i muri e il soffitto. Scuotendo freneticamente la testa riacquistò la calma, appena in tempo per realizzare cosa aveva appena compiuto.
Il signore sembrò alquanto stupito stavolta. Mosse la testa di lato e si toccò il mento con un indice, picchiettandoselo ritmicamente.
"Ma come per cosa? Per il vostro trapasso, è ovvio."
Un moto di vomito e orrore la travolse. "In che senso…?"
Terminato di formulare questo pensiero ella si ritrovò spiaccicata al muro, tenuta stretta al collo da una mano guantata, immobilizzata da una mostruosa angoscia, e più volte venne sbatacchiata contro le pareti provocandole seri danni alla salute e facendole sputare sangue. Quel signore non era umano, questo era certo. E ce l'aveva con lei, e l'avrebbe uccisa in quel momento...
No, qualunque cosa fosse quel tizio non aveva intenzione di morire.
 "Non so chi tu sia ma so chi sarà oggi quello a morire, e non sono io!" mormorò tossendo sangue. Con la vista appannata, vide l'uomo lasciarle andare il collo e spolverarsi il vestito nonostante non vi fosse alcuna polvere su di esso, e con gran cura lo vide riporre il suo orologio dorato nel taschino. E lo vide tirarne fuori un altro, stavolta di foggia più rozza e artigianale, dalla stessa ubicazione. Lo prese e lo tenne davanti a lei con entrambe le mani.
"Ah, allora credo tu stia parlando di Ryan." disse asciutto e con un po'più di durezza nella voce. Rio...? Che cosa aveva fatto al suo amico?
Ritrovata finalmente la calma, e con essa la propria coscienza, Evelyn si era rialzata in piedi ed aveva barcollato per un attimo all'indietro incerta sul da farsi. "Non ti lascerò sfiorare Rio nemmeno con un guanto, bastardo!" l'aveva insultato rabbiosa. Avrebbe impedito che lasciasse quella stanza, chiunque egli fosse.
Il maggiordomo la guardò avvilito, i lunghi capelli neri legati da dietro in una piccola coda di cavallo, gli occhi viol-VIOLA!?
"S-Sei un Akuma?" chiese esterrefatta Evelyn, dandosi della stupida per non averci fatto caso prima.
L'uomo scosse la testa: "No, il colore viola è normale da dove vengo io, e da dove vieni anche tu. E ci dovrai tornare al più presto se non mi racconti immediatamente cosa hai visto mentre eri in trance." asserì serio.
No aspetta… Quella voce la conosceva… Era la voce che aveva sentito nella sua testa la prima volta che gli avevano chiesto della katana di Muramasa!
"Volete dunque la katana maledetta? Beh scordatevelo!" affermò indignata lei, concentrandosi sulle sue ferite e cercando di trovare un rimedio temporaneo. Si aspettava di essere attaccata ed invece tutto quello che fece il tizio dopo averla ascoltata fu prendere con una sola mano l'orologio artigianale cominciare a stringerlo con forza, spaccandone il quadrante. "BENE!" aveva soffiato "Doveva giungere l'ora di uno di voi due…"
Mentre pronunciava quelle parole un senso di inquietudine la assalì, talmente tanto da desiderare che scomparisse più di ogni altra cosa, ma non poté obiettare nulla perché in un attimo l'uomo misterioso era scomparso. Svanito.
Evelyn si guardò attorno freneticamente alla ricerca del suo avversario ma non vi era più nulla che maceria. Avrebbe dovuto ricostruire la sala un'altra volta.
In quel momento, e non un attimo prima, ma no figuriamoci, aprirono la porta due ibridi, un tucano e un rondone: "Ma-WHAT!? Evelyn tutto bene?" era Zoe per fortuna, la sua vecchia amica Zoe. Senza più molte forze per risponderle le fece un cenno con la mano, venendo soccorsa dalla compagna prima che cadesse a terra.
"Che è successo, hai avuto un'altra delle tue sfuriate? Ma sei ferita, quindi c'era anche qualcun altro qui dentro! Who could have done it?" aveva cominciato a tartassarla di domande, alle quali non sapeva rispondere nemmeno lei, quindi dato che erano buone amiche non mentì e descrisse tutto quello che era accaduto, eccetto la visione della grotta. Era contenta di poter contare su di un'mica di tanto in tanto. Quello che era appena accaduto l'aveva turbata non poco, e quella disgustosa sensazione di pericolo non accennava ad abbandonarla.
Zoe l'accompagnò in infermeria, discutendo animatamente su chissà quale significato avessero quegli orologi… Ma chissenefrega degli orologi, c'era un intruso nella base e nessuno se ne era accorto? Ma in fondo aveva ragione, chi significato potevano avere?
Forse una risposta ce l'aveva, ma non le piaceva per niente.
Neanche dieci minuti dopo era il momento per la squadra di Rio di partire. Non sarebbe stato niente di che, se non fosse per la tormenta attualmente in corso.
"Per questo ho una scorta con me, ma non che mi serva per davvero!" aveva commentato distaccato come sempre, suscitando una risata generale. Per un attimo i suoi fieri lampi di zaffiro si posarono sul suo magnetico sguardo d'ametista, smarrendosi in una tonalità indefinita di accese sfumature, ma si ritirarono subito sotto la protezione delle palpebre opache.
"Come no!" Zoe ribatteva sempre alle sue affermazioni da presuntuoso, e lui ribatteva sui suoi commenti, e non si finiva finché qualcuno non li faceva smettere.  Avrebbe voluto continuare a vederli litigare amichevolmente per sempre.
Arrivò dunque il momento di partire, entrambe le ragazze fecero ciao ciao con la mano a debita distanza dalla pista di atterraggio e videro allontanarsi il jet a tutta velocità.
 
Esterno, base segreta del monte Bernina, ore 22:46
 
Una furia di nero alata girovagava per il campus senza meta, tentando di avere anche la più piccola informazione dagli avamposti o dalle vedette, ma niente. Non tornavano. Perché non tornavano?
"Come sarebbe a dire 'non c'è alcun segnale'? Siamo ibridi cazzo ci sarà qualcuno in grado di individuarli in mezzo alla neve, siete tutti animali di queste montagne! Cosa cazzo fate quando arriva una cazzo di burrasca?" continuava a sbraitare come un’indemoniata, ed Evelyn non le dava torto: c’era suo fratello fra i dispersi. Anche lei era preoccupata. Rio era sempre stato suo caro amico anche se si rivolgevano solo discorsi monosillabici, ma avevano sempre avuto un buon rapporto di amicizia reciproca. Ed ora lui era bloccato chissà dove, in mezzo a quella devastante bufera senza un riparo o un piumaggio adeguato per ripararsi dal freddo. Ma era sempre stato un tipo determinato lui: sarebbe ritornato a Casa, perché sua sorella lo aspettava ed era la cosa a cui teneva di più al mondo. Perfino quando i loro genitori, nel giorno delle visite, avevano fatto tutta quella strada per venirli a trovare, Rio non aveva abbandonato un secondo la sorella che si cacciava sempre nei guai, quasi fosse lui il maggiore. Sarebbe tornato.
...Vero?
"EVIE! Stanno arrivando, stanno arrivando!" sentì come un lampo nella notte che schiarì i suoi pensieri e le fece abbandonare ogni insicurezza. Lo sapeva che sarebbe tornato. Corse fuori assieme ad altri soldati, che salutarono calorosamente i sopravvissuti alla prova finale della montagna, la sua più grande sfida. Cercò freneticamente con lo sguardo fra gli animali, avvolta nel suo lungo cappotto grigio, per scrutare se fra essi vi fosse un'ala nera. E la trovò. Fattasi strada come una furia fra i gruppi che si abbracciavano con affetto giunse fino al proprietario dell'ala, scoprendo che apparteneva a Zoe. Era ferma in piedi, i pugni chiusi, il viso abbassato, il cappotto arancione spiccava fra tutti gli altri, con due buchi sulla schiena per le ali. Non muoveva un muscolo.
"…Dov'è?"
Vide la sua migliore amica girarsi lentamente, col viso contratto dalla paura e dal dolore: "…N… Non lo so."
 
Atrio, base segreta del monte Bernina, ore 22:58
 
C'era stato un incidente. Mentre la truppa avanzava nella tormenta qualcosa doveva essere in fermento sul versante della montagna, perché improvvisamente il monte aveva avuto un tremendo scossone ed un gran blocco di neve e ghiaccio si era staccato, provocando una valanga. Erano arrivati al campo solo per consegnare le informazioni e perché non avevano i mezzi per aiutare i propri compagni, ma dovevano tornare alla svelta.
"No…" sussurrò Evelyn col viso attaccato al vetro della finestra che dava sul tetro paesaggio innevato, del quale la maggior parte della visuale era offuscata dalla collera alpina.
"Ti prego… resisti…" mormorò attraverso il vetro, la fiamma della speranza si stava spegnendo in lei, il vento la trasformava in una tenue fiammella, sempre più evanescente. Il suo amico, quasi un fratello per lei, non voleva perderlo. Non capiva perché le facesse tanto male il cuore, perché sentisse che dentro di sé vi era appena stato scavato un vuoto incolmabile, una voragine che sprofondava direttamente nell'antro dell'Inferno. La stessa che aveva provato molto tempo addietro, ma non ricordava bene quando…
"Ti prego, ritorna… Torna da noi…" la sua voce si spense prima di terminare la frase. "Ti prego Rio, non puoi abbandonarci, non abbandonare Zoe, tua sorella sta soffrendo tantissimo della tua lontananza."
Una parte di sé, quella più profonda, sapeva però come finiva la sua frase, la sua preghiera.
"Ti prego… Torna… Torna da me…"
 
Atrio, base segreta del monte Bernina, ore 23: 36
 
Mentre aspettavano il ritorno della truppa di salvataggio sedute su una poltrona ai margini dell'atrio, Evelyn stette per tutto il tempo accanto a Zoe: era distrutta, e lei con ella. Il suo viso aveva perso tutto il suo colore, da scuro americano si era fatto pallido come un cencio. Le forze l'avevano abbandonata nel momento in cui aveva saputo di suo fratello, Ryan…
Senza parlare, entrambe si scambiavano le reciproche paure, bagnando le proprie divise di lacrime senza alcun controllo, si facevano forza a vicenda. Ma era dura quando la vita era attaccata ad un filo, la consapevolezza di non avere opportunità ti spinge ad affrontare il destino con sicurezza. Ma la speranza, avere ancora qualcosa per cui illudersi, è terribile.
Passavano di là alcune vedette durante il cambio dei turni, e le ragazze riuscirono ad udire chiaramente i loro discorsi: pare che alcuni uomini avessero affermato di aver visto una figura nera confondersi fra gli alberi…
Assalita da un orrendo pensiero, Evelyn drizzò le orecchie per ascoltare ancora, ma i due uomini erano andati. Una figura…
"Zoe aspettami qui." aveva detto con urgenza, alzandosi dalla poltrona e dirigendosi a passi svelti nella direzione in cui si erano diretti i due tizi, con l'intenzione di interrogarli. Essi le risposero quello che avevano già detto, ovvero che prima di sentire il rumore della valanga alcuni ibridi avevano intravisto una figura scura nascondersi fulminea fra gli alberi, molto più in alto rispetto a loro.
"Una figura…!" Evelyn trasalì terrorizzata al solo pensiero. Ti prego no, non deve significare questo…
"Ehy." sentì qualcuno toccarle la schiena e sussultò un attimo, prima di voltarsi ed incontrare lo sguardo di Zoe, più duro del ghiaccio. Non l'aveva mai vista in quello stato.
"Dimmi che non centra con te. Dimmelo o non ti perdonerò mai."
Aveva paura di ferirla come nient'altro, ma non sapeva rispondere alla sua domanda: se quell'ombra fosse stata lo stesso tizio di prima, probabilmente le sue parole avrebbero avuto un senso: l'orologio rappresentava la sua vita, e lui l'aveva rotto. No, non poteva essere questo, non lo era.
"Ti giuro che non ho fatto nulla, come avrei potuto?" rispose cercando di essere più sincera possibile, o di fingerlo, non lo sapeva nemmeno lei.
"Sarà meglio." le aveva risposto Zoe voltandosi con il tono di voce più freddo che avesse mai udito, freddo come la solitudine, antico come le montagne.
Non se lo sarebbe mai perdonato.
"Aspetta!" gridò all'amica che imperterrita continuò la sua camminata verso l'uscita più vicina. "Aspetta ti prego!" la pregò afferrandole una mano, che Zoe non ebbe la forza di scacciare via. Stava soffrendo tantissimo.
"Ti prometto, qui e adesso, che troverò Ryan e lo riporterò qui, partirò con la prossima spedizione. Te lo prometto." fu l'unica cosa che riuscì a dire mentre, cercando di trattenere le lacrime, le stringeva con forza la mano. La compagna e rivolse lo stesso sguardo che aveva visto molti anni prima nel suo amico Jacquel, un grido disperato di aiuto e di dolore. Non l'avrebbe delusa per nulla al mondo.
"Ci sono problemi!" un grido dalla vedetta trapassò le loro menti come una pioggia di coltelli: Zoe si trasformò in ibrido seduta stante e volò con una furia accecante negli occhi fino alla stazione di vedetta seguita a ruota dall'amica, che rimase ad attendere in basso. Non riusciva a vedere niente di quello che stava succedendo, ma sentiva un gran fermento provenire da lassù. Passò qualche minuto di grida e schiamazzi ininterrotti, dopodiché scorse la sua amica discendere dall'alto e posarsi stancamente a terra.
"Dimmi che non è nulla di grave."
"Lo è. Hanno perso di nuovo il segnale." rispose con gli occhi gonfi dal pianto. Ma una volta lanciata un'occhiata alla compagna la vide fare uno scatto indietro dalla paura.
Il sangue cominciò a ribollire e gorgogliare nelle vene, il suo cuore prese a battere sempre più velocemente e le sue pupille si restrinsero alle dimensioni di uno spillo.
"...Evy?"
EH NO. Non l'avrebbe permesso, non sarebbe finita così.
Gli artigli spuntarono al posto delle unghie, le orecchie si estesero ed appuntirono, la sua aura si espanse e si tinse di nero.
"Evy?"
Fu la forza della disperazione a farla parlare: "Te lo giuro Zoe, ti giuro sulla mia anima che tornerò con Rio!" e prima che avesse potuto deciderlo stava già correndo fuori dal campus, verso la pista di atterraggio. Dietro di lei Zoe spiegò le ali e tentò di raggiungerla gridandole dietro di fermarsi, ma la bufera la inghiottì. Fino a che Evelyn non si ritrovò sul ciglio dello strapiombo che segnava la fine della base, ma non si fermò lì: compì un balzo in avanti, nel vuoto. Ed atterrò sul vuoto.
Dalle sue mani e dal fodero della spada era uscita una fitta e pesante bruma nera che si era solidificata sotto ai suoi piedi per permetterle di proseguire il suo percorso. Non aveva importanza del perché accadesse e in che modo, ora c'era solo una priorità: salvare Rio.
Corse con l'impetuosità di un purosangue infuriato in mezzo alla tormenta, galoppando ribelle sopra al nulla sorretta da un'evanescente nuvola di miasma, ma verso una meta precisa: sapeva dove si trovavano, aveva studiato le loro mappe, non c'era angolo di quella catena montuosa che non conoscesse. In poco tempo raggiunse il sito prestabilito e si mise subito alla ricerca di forme di vita: i suoi sensi si erano stranamente ingigantiti per non si sa quale causa ma al momento non importava. Non riusciva a percepire nessuno.
"RIO! RIOOO!" gridava fuori di sé dalla disperazione, ma nessuno le rispose.
Le bastarono pochissimi minuti per esplorare tutta la fiancata del monte, ed infatti riuscì a trovare poco dopo il luogo del delitto, della giudizio delle montagne. La slavina.
Percepiva qualcosa sotto a quei cumuli e cumuli di neve, e non ci volle molto perché li ritrovasse: erano due uomini ancora vivi e vegeti, ma nessuno di loro era Ryan. Che fosse già… NO, non poteva esserlo.
D'un tratto avvertì qualcosa, poco distante. Era lui.
L'aveva trovato, l’aveva trovato! Utilizzò le sue ultime forze per rintracciare il corpo dell'amico, del fratello, e riportarlo alla luce.
Era freddo, non respirava.
"…Oh no… Ryan mi senti? Ti prego rispondimi!"
Percepiva ancora qualcosa in lui, non era ancora morto, davvero. Ma faceva troppo freddo per lui. L'aveva sempre fatto. Con cautela Evelyn avvolse il corpo del ragazzo con il suo cappotto grigio, e tentò di diffondere più calore possibile nell'aria, che sembrò ubbidirle e cominciò a riscaldarsi.
"Mi senti? Sono io, Evelyn, svegliati ti prego, Zoe è in pensiero per te, ha BISOGNO di te…"
Fece una lunga pausa, cercando invano di inghiottire il dolore e la frustrazione che in quel momento le opprimevano il cuore, per poi sussurrare: "Io ho bisogno di te…"
Non le rispose. Era ancora troppo freddo, di questo passo i suoi organi si sarebbero congelati. Non avrebbe mai fatto in tempo a tornare a casa con lui.
Una lacrima bagnò il viso del ragazzo congelato, trasformandosi quasi subito in una piccola perla di ghiaccio.
"Rio… Ti ricordi quella volta, quando abbiamo salvato Jacquel da morte certa, lo abbiamo fatto insieme ricordi? Alla fine l'abbiamo lasciato libero su una di queste montagne vicine, perché volasse libero…" parlava, e allo stesso tempo piangeva, come non aveva mai pianto al mondo. Lacrime artiche senza una stilla di gioia le grondavano sul viso, scosso dai fremiti del vento ghiacciato.
"Alla fine siamo stati puniti per esserci allontanati… E abbiamo riso assieme a Zoe… ti ricordi? …Rispondimi… Ti prego…" bisbigliò con le ultime forze umane che conservava nel cuore.
Ma la montagna aveva reclamato a sé la sua vita.
La sua anima si spense in mezzo alla bufera.
Con il cuore spezzato, gli occhi offuscati dal velo di lacrime ed il vento sferzante fra i capelli, la ragazza adagiò con premura il capo del compagno caduto sulla neve fresca, e senza fretta il suo viso fu coperto da una sciarpa nera.
"…Padre del cielo…" la sua voce si levò fin sopra la cima dell'Alpe, soave, quasi serena.
"...Signore delle cime…" essa intonava un canto antico, una preghiera.
 
Padre del cielo
Signore delle cime
Un nostro amico hai chiesto alla montagna
Ma ti preghiamo, ma ti preghiamo
Su nel paradiso, su nel paradiso
Lascialo andare
Per le tue montagne
 
Santa Maria
Signora della neve
Copri col bianco tuo soffice mantello
Il nostro amico, il nostro fratello
Su nel paradiso, su nel paradiso
Lascialo andare
Per le tue montagne…
 
Non appena ebbe pronunciato l'ultima sillaba un silenzio inquietante si abbatté sull'intera altura. Una sensazione di vomito ed angoscia cominciò ad animarsi nelle sue viscere come una belva assopita che aveva sentito il richiamo di un istinto primordiale di sopravvivenza.
Avrebbe scommesso tutto quello che aveva che quel maledetto maggiordomo soprannaturale le era apparso davanti. La paura si animò in lei, un terrore senza confini, ma fu subito ricacciato nei meandri della sua mente. Deglutendo silenziosamente, Evelyn riempì quel vuoto con una calda colata lavica di collera.
 "Vi avevo avvertito di non giocare col fuoco divino, o sarei stato costretto a spegnerlo." chiarì con voce greve l'ombra piedi fronte a lei "Ma ora che avete visto quali sono le conseguenze delle vostre azioni non è più possibile tornare indietro."
Lo sentì tirar fuori qualcosa dal taschino, e sapeva che era quell'orologio mostratole poco prima da egli stesso, con il vetro del quadrante rotto. Lo sentì stringerlo, fino a distruggerlo completamente. Il tempo era scaduto.
Evelyn stancamente levò il capo, aprendo due brecce nel cosmo color ametista più fredde del vuoto nello spazio, più incandescenti di milioni di supernove, più ciechi del centro dei misteriosi buchi neri, ma meno clementi della loro immobilità. Senza fretta, fissò l'essere davanti a lei con una quieta furia che attraversava ogni suo singolo atomo sotto forma di scarica elettrica da decine di miliardi di volt, che si condensò nelle sue mani e lentamente, una katana impregnata della furia omicida dei più antichi guerrieri fu sfoderata al cospetto dell'essere oscuro.
"…Nel nome del cielo, chiedo di essere sollevata della responsabilità che avrò nel compiere questo sacrificio."
Non aveva idea del perché lo avesse detto o del fatto che avesse assunto la posizione di combattimento in modo così naturale, ma era una sorta di rituale scaramantico che compiva prima di una battaglia molto importante.
"Milady, osate sfidarmi nuovamente, e con quelle premesse per giunta?" fu la risposta dell’uomo, che un secondo dopo stava già per colpirla con tutta la sua forza: stavolta fu rapida a scansarsi, e ad afferrargli la gamba bloccandolo a mezz'aria per poi sferrare un fulmineo calcio impregnato di miasma negativo che lo fece cadere al di fuori della linea del territorio, sullo strapiombo. Avrebbe dovuto cadere e schiantarsi al suolo, e invece quel bastardo riuscì chissà come a compiere uno sprint in aria e a caricargli addosso con ancora più potenza: per un fugace istante le parve di vedere il vago profilo di un paio di nere ali da chirottide sulle sue spalle. Ma Evelyn non era più incosciente della sua natura: era Sombra la vendicatrice, così come tutte le volte che cadeva nell'oblio la sua ragione e sopraggiungeva in uno stato vegetativo, Sombra come ogni battaglia che vincendo aveva inconsciamente perso, Sombra come il buio che tanto amava la sua personalità gemella.
"Buonasera Saph, arrivate sempre in ritardo: non è un comportamento da signorine." aveva infatti proferito il maggiordomo con un lieve inchino a mezz'aria, essendosi accorto con piacevolezza della nuova presenza.
"Taglia corto, non ti permetterò di ghermire quest'anima, lei è mia! E quello non è più il mio nome chiaro?" pronunciò Sombra altamente incazzata avvicinandosi al nemico e rilasciando una moltitudine di fasci neri e purpurei dalle mani che lo colpirono in parte lacerandogli il vestito e piccoli brandelli di carne, che subito egli si premunì di coprire dalle fredde raffica.
"In questo caso posso ben immaginarmi sotto chi andrà la tutela dei gemelli…" aveva ghignato l'uomo rispondendole colpo per colpo.
"I… Oh no, non oserai toccarli neanche con un guanto, lurido demone di bassa categoria!" sbraitò la corvina servandosi una buona volta del suo equipaggiamenti ibrido per rendere più funesti i suoi assalti.
La battaglia proseguì con esiti sempre più disastrosi, imperversando nella bufera e dirigendo con macabri rintocchi la danza della morte. Là dove doveva regnare il silenzio sfere di energia sibilavano nell'aria e si schiantavano contro alberi e rocce, che momentaneamente prendevano vita e urlavano dalla disperazione come se il male stesso le stesse sradicando dal suolo montuoso.
Nei brevi intervalli in cui riacquistava coscienza, Evelyn si rese conto che non aveva mai combattuto così accanitamente e mai si era spinta tanto oltre nella sperimentazione delle sue abilità poiché l'utilizzo le provocava sempre un bruciore interiore nelle vene che a dirla tutta sembravano doversi sciogliere da un momento all'altro. Stavolta però era diverso, si sentiva molto più in simbiosi con la sua 'gemella malvagia' che le dava la forza di rialzarsi, in compenso tuttavia il suo corpo era alla mercé della sua volontà.
Aveva appena compiuto una capriola in aria per atterrare sopra al suo fosco avversario quando un improvviso peso le si attanagliò alle caviglie rendendola più pesante e facendola sfracellare al suolo: i suoi piedi erano immobilizzati nella roccia?!
La medesima scena di qualche ora fa le si presentò dinnanzi, il bel maggiordomo troneggiante sulla sua visuale che, con un sorriso discreto, tirava fuori dal suo taschino l'orologio dorato dalle lancette cremisi.
"Dalla vostra affermazione sembra che non abbiate ancora preso il controllo della sua anima… Per di più dopo quella presentazione mi avete sconcertato: signorina Evelyn, davvero credete di essere nella grazia di …Dio?"
Subito dopo averlo pronunciato l'uomo ebbe un fremito ed assunse un'espressione di disgusto e autentica sofferenza, tornando normale subito dopo. "No milady, voi ed io siamo della stessa pasta, voi siete il contrario della luce e la dovete disprezzare come noi!" detto questo le afferrò il collo e lo strinse con violenza ignorando il grido soffocato di dolore "E non ci daremo pace fino a che non vi avremo trascinata nell'abisso con noi, se non ci rivelate subito la posizione di quella katana."
"P-Perché non te la cerchi da solo se ci tieni tanto?!" era riuscita a ribattere con un filo di voce divincolandosi selvaggiamente dalla presa, invano.
L’interlocutore scosse la testa rammaricato: "Mi dispiaccio di comunicarvi che siete voi l'unica in grado di rilevarne la presenza: vedete, per quanto girino voci sulla malvagità che sprigiona l'arma, senza un padrone è pur sempre un comune oggetto metallico, e in quanto tale impossibile da ritrovare. Nessun Akuma ha stretto legami così forti con gli umani, attratti dal suo potere amplificatore. Ma lasciamo le parole a chi per diletto le consuma…"
Evelyn non smise un attimo di dimenarsi e graffiargli il braccio e il volto, i quali sembravano apparentemente immuni al dolore e all'ingente perdita di sangue.
"Ve lo ripeterò un'ultima volta. Non avete idea di chi vi state inimicando. Quanto tempo credete ci serva per eliminare ogni vostro singolo rapporto con la realtà?" continuò imperterrito, ottenendo un'altra risposta negativa.
Incapace di liberarsi e con la faringe imprigionata in una letale tenaglia umana, Evelyn cominciò a perdere la cognizione dello spazio e non riuscendo a respirare, anche la capacità di ragionare. Dalla mano di quell'uomo… demone?  si sprigionava quella caligine oscura che aveva creato ella stessa per raggiungere il massiccio, sempre più pesante, sempre più mortale. Una paura sorda.
Poi la sua vista prese ad affievolirsi, e smise di lottare.
Con quella sola mano venne sollevata in aria con i piedi penzolanti nel vuoto, gli stivali traforati dagli artigli, il vestito sbrindellato, il cuore e una gran moltitudine di ossa in pezzi.
"Addio, milady." fu l'ultima cosa che sentì, prima che il suo intero essere fosse avvolto da un'aura talmente scura che al confronto di essa i suoi capelli erano albini. Aveva smesso di respirare, gli occhi dilatati in due sfere oscure.
Il gelo che permeava lo spazio circostante le penetrò nelle membra, le afferrò letteralmente l'anima e cominciò a strapparla e lacerarla nel tentativo di trascinarla via.
Gridò dal dolore fino a sentire la gola sanguinare, in preda alla più orripilante delle torture concepibili Evy ritrovò la forza di divincolarsi dalla torbida morsa per liberarsi da quel tormento atroce ma era inutile, davanti a lei apparvero una ad una tutte le perle nere che aveva collezionato in guerra e con la stessa rapidità esse vennero risucchiate in un abisso nero al di sotto di lei, nel quale la sua anima stava inesorabilmente precipitando.
Ma quando metà del suo flusso vitale era ormai andato perduto, l'intero globo nero scomparve in un battito di ciglia e un istante dopo il maggiordomo in piedi dinnanzi a lei venne sparato in aria da una scarica elettrica.
"…Ati… Mpo da perder… Muoviti, in piedi!"
Una voce familiare la stava spronando ad alzarsi il più in fretta possibile, ma ci vollero alcuni secondi prima che la sua mente tornasse a focalizzare la realtà.
Innanzitutto, si trovava nel mezzo di una bufera di neve, senza protezioni contro il freddo pungente e con le forze vitali ridotte all'osso. Qualche cosa dentro di lei era stato raschiato via a forza, ed ora il suo corpo tremava senza controllo nella furia della tempesta di neve. Sentiva di non riconoscersi più…
La voce, invece, quella la distinse bene: era il Generale! Che ci faceva in mezzo alla bufera? E che ci faceva... Lei?
Altre voci da lontano stavano sopraggiungendo, ma nessuna era abbastanza forte da essere identificata come vicina. Solo Volt sembrava essere sopraggiunto, con la sua incredibile velocità, sul posto a causa di forze maggiori: riacquistata parziale visibilità riuscì infatti a distinguere il suo Maestro e l'uomo misterioso fronteggiarsi in un duello alla pari a quanto pareva, l'uno con oscuri richiami di ombre, l'altro con temibili assalti carichi di elettricità. Doveva aiutare il Maestro ma le sue forze l'avevano abbandonata lasciandola inerte in mezzo alla neve.
"Muoviti idiota, alzati e fuggi!" udì provenire direttamente da dentro sé stessa, eppure non poté ubbidirle poiché i suoi arti non le rispondevano. Erano congelati.
La loro battaglia assomigliava alla resa dei conti di due forze della natura, maestose e temibili; ma la disparità di potenziale si fece sentire proprio all'ultimo momento quando durante una piroetta in aria il maggiordomo ebbe un sussulto e fece scivolare fuori dal taschino un altro orologio, uno abbastanza levigato ma leggermente grossolano nella forma, ed esclamò poche semplici parole che ella non riuscì a distinguere. Senza alcuno sforzo lo vide arrestarsi in aria, IN ARIA, e sembrò pronunciare alcune formule, dopodiché davanti a lui fece la sua apparizione la proiezione di un grande quadrante di un orologio rosso senza lancette. Con un teatrale schiocco delle dita il quadrante esplose in tutte le direzioni, investendo dapprima il Generale che venne avvolto da una luce accecante, poi ella stessa e tutta l'area circostante, spianando il terreno.
Il boato che ne susseguì avrebbe potuto provocare un'ennesima valanga, ma stranamente non accadde nulla del genere.
Il silenzio rimase l'ultimo testimone, immobile nel mutevole disegno che il destino aveva già redatto tempo orsono.
Poche indistinte immagini giunsero a lei prima di cadere definitivamente nell'oblio: un gruppo di ombre affini ad ibridi che sorvolavano la zona, alcune paia di mani che le si stringevano attorno e qualcosa simile ad una coperta avvolta nel tepore.
Quando si risvegliò, Evy si ritrovava sospesa nel vuoto, stavolta a bordo di un piccolo jet governato a fatica attraverso la bufera. Si alzò di scatto come un predatore improvvisamente mutato in preda, annusando l'aria irrequieta con le orecchie rialzate e vigili. Non c'era alcun pericolo, al momento. Patendo un'insopportabile mancanza si portò istintivamente le mani al petto e strinse le braccia attorno alla vita per trattenere un'amarezza interiore che la stava lacerando: aveva perso qualcosa, qualcosa di essenziale per vivere.
Accanto a lei alcuni uomini e donne addormentati, dai visi color del ghiaccio secco. Probabilmente erano stati ritrovati in tempo e perché no, avevano avuto più resistenza al freddo, perché erano ancora tutti vivi. Accorgendosi di saperlo con certezza Evelyn si ridestò dalla paralisi e si rannicchiò su sé stessa: anche lei era viva. Anche lei era sopravvissuta. Ryan invece no.
Percorsero delle ore prima di giungere alla base, nella quale una moltitudine di persone attendevano con fiducia il ritorno dei propri cari. Passando rapidamente in rassegna i volti contratti dal freddo dietro al vetro del finestrino, Evelyn individuò la sua amica sul margine della pista, le mani strette in un pugno e il labbro inferiore torturato fino a farlo sanguinare. Come avrebbe potuto guardarla in viso, dopo la sua promessa?
Ma più di tutto, quando vide Zoe farsi strada nella calca di gente per avvicinarsi il più possibile, Evelyn ebbe paura di cosa ella stessa avrebbe fatto. Non si sentiva più in grado di padroneggiare i suoi arti, qualcosa non funzionava quando imponeva loro di smettere di assumere forma ibrida. Certamente non avrebbe potuto controllarsi, per cui non se la sentì di mettere in pericolo Zoe.
Purtroppo per lei ciò che aveva previsto non accadde: non appena sbarcata, programmato di nascondersi nella folla e sgusciare via alla chetichella si accorse di aver definitivamente esaurito ogni stilla di energia e quindi di non potersi più muoversi.
"Evelyn, Evelyn!"
I suoi occhi riacquisirono il dono della luce quando udì quella voce invocare il suo nome. La figura indistinta della sua amica si stagliava nel corridoio in mezzo alle candide ombre dei camici bianchi dei medici.
 "…" Non riusciva a parlare, talmente provava dolore alla gola, ancora piena di quell'insopportabile sapore di ferro.
"Oh godness che aspetto orribile, cosa sono tutte queste ferite?"
"…Non è niente…" riuscì a biascicare scuotendo la testa mestamente. Era sdraiata su un soffice manto candido, così confortevole che avrebbe potuto considerarlo una calda coperta. Per poterla vedere meglio in viso Evelyn si drizzò stancamente in posizione seduta, tossendo debolmente.
"Mi preoccupi Evelyn, che è successo?"
"...Ti prego Zoe non avvicinarti, potrei farti del male."
"Ma che dici, e dov’è R..."
Zoe ammutolì, impallidendo. In quel momento avrebbe voluto non aver mai aperto gli occhi, avrebbe voluto non vedere quell'espressione talmente sconvolta da imprimersi nella sua memoria come un terribile marchio di fuoco. Non avrebbe mai più dimenticato quell'immagine.
"...No… Non ce l'ha fatta, vero?"
"…"
"…"
"…"
"Come hai… Potuto." la sentì ringhiare d'un tratto, diversamente dal tono dolce usato poco prima. Il suo viso si era repentinamente rabbuiato ed i suoi muscoli erano carichi di tensione e collera. Sapeva che l'avrebbe mortalmente ferita la sua sola vista, il solo pensiero che Ryan fosse morto. E lei no.
"Come hai potuto!?" con il viso in fiamme Zoe scattò in avanti afferrandole con foga le spalle e trascinandola verso di sé per costringerla a guardarla dritto negli occhi. "Io mi fidavo di te! Credevo che avresti lottato fino alla fine, che avresti tentato il tutto per tutto!"
"Credimi Zoe, quello che è avvenuto non aveva nulla di umano e non ho potuto fare nu-"
"NON MI INTERESSA! Avevi promesso sulla tua anima di ritornare assieme a Rio, e non l'hai fatto! Traditrice! Ti odio, ti odio!"
Evelyn percepì distintamente un formicolio sinistro nelle sue braccia: "Ti prego allontanati subito non posso trattenerlo a lu-" un pugno carico di rancore le rivoltò il viso lasciandola di stucco e facendole perdere per un attimo la vista. Un terrificante formicolio di bramosia di vendetta le percorse la spina dorsale e con orrore realizzò che la sua gemella reclamava l'egemonia del suo corpo, non poteva più impedirglielo.
 
It's over now I know inside,
No one will ever know...
 
Stava correndo, correndo a tutta velocità verso l'uscita più vicina, ad ogni respiro un rantolo di agonia e disperazione le risaliva attraverso la gola, che cosa aveva fatto, cosa aveva fatto!
Aveva appena ferito a morte la sua migliore amica, l'aveva quasi uccisa! Delle grida alle sue spalle l'avvertirono di aumentare la velocità, grazie alla quale riuscì a fuggire in tempo prima che le uscite fossero tutte bloccate.
L'aveva incontrata durante il tragitto verso l'infermeria, le si era avvicinata con un'aria così afflitta che non se l'era sentita di parlare, altresì non ne avrebbe avuto materialmente le forze.
E poi era successo… Cos'era successo? Si era risvegliata con le mani sanguinanti trasformate in spietate falciatrici, Zoe era a due metri di distanza da lei, accasciata alla parete, una profonda ferita sul braccio sinistro e molti altri tagli sulle gambe e sul torace.
Sul suo viso una manifestazione di terrore puro.
Che cosa stava diventando?
Doveva trovare una via di fuga al più presto se non voleva venir catturata, e certamente nessuno l'avrebbe più potuta difendere: sarebbe stata uccisa all'istante, o torturata ed impalata come una strega, usanza decaduta secoli e secoli orsono; c'era però qualcosa che non andava, la sua resistenza e le sue forze si erano drasticamente indebolite e la sua lucidità era vacante e terribilmente instabile. Lanciatasi in una folle corsa verso le porte della libertà, Evelyn dovette far ricorso a tutte le sue misere energie per poi spalancare l'uscita verso un bianco mondo di asperità e pericoli: fuori la tempesta si era finalmente placata, le cime delle circostanti vette erano ora di nuovo visibili attraverso la percezione sviluppata delle sue cornee. Dietro di lei rumori indefiniti, esclamazioni ed imprecazioni varie alle quali non diede ascolto, difronte un baratro profondo che la separava dal resto del mondo. Non poteva fermarsi, sentiva ancora le grida dei Soldier avvicinarsi sempre di più. Finché non giunse davanti al dirupo, senza possibilità di fuga. Voltatasi meccanicamente vide i soldati in lontananza accorrere verso la disertrice, abbastanza confusi a giudicare dalle loro espressioni: la conoscevano, l'avevano sempre vista come una competente alleata, affidabile, posata, sicura. Non come una irragionevole, folle traditrice.
Un pensiero assurdo le balenò in testa, una sola speranza le si presentò davanti, ma le possibilità di successo erano quasi certamente nulle. Puntando la sua vita su quell'unico 1% Evelyn si tastò i fianchi alla ricerca del fodero della sua katana che, stranamente, non le era stata tolta. La sfilò con decisione, carica dell'odio dei suoi compagni e di coloro che non era riuscita a salvare. Convogliò in essa tutte le sue ansie ed i suoi tormenti abbastanza da riempirla di miasma negativo, e si preparò a compere un gesto folle.
Non appena la raggiunsero, ella rivolse loro un sorriso fragile come il petalo di un fiore, e fece un passo indietro.
Fu un soffice letto di livree bianche e marroni ad attutire la sua brutta caduta: incredibile ma vero, il suo richiamo aveva davvero funzionato.
Era sbigottita. Allibita. E terribilmente grata all'amico volatile per averla salvata.
"Ti ringrazio Jacquel..." sussurrò col viso affondato fra le grandi e morbide piume della civetta.
Posatisi su un'altura, al riparo dagli sguardi indesiderati coloro che al momento la credevano ufficialmente morta, Evelyn ringraziò nuovamente l'amico volatile che, accorso immediatamente un suo soccorso, doveva aver percorso un lungo tragitto in poco tempo oppure doveva essersi accampato troppo vicino alla base. Gli chiese poi se poteva avere un passaggio per fuggire lontano, in un'altra base, e lo vide annuire come un essere umano: con un timido battito d'ali l'uccello si librò in volo facendo attenzione a non far cadere la passeggera stremata che trasportava sulla schiena, e partì alla volta dell'orizzonte.
Mentre le vette dei monti sfrecciavano davanti ai suoi occhi mezzi chiusi ed inebriati dal sonno pesante che si era appena abbattuto sulla soldatessa, mille interrogativi si sfilacciavano come frammenti di DNA nella sua mente: di chi era quella voce misteriosa sentiva provenire da dentro se stessa, capace di intendere ed agire contro la sua volontà, e persino con un nome… Saph, aveva detto quel tizio? Che significato poteva avere? E che fine aveva fatto il suo Maestro, e le sue forze accumulate in battaglia, e quella sensazione di aver perso quasi… L'anima.
Ma più di tutto, che cosa poteva avere di così speciale la leggendaria katana di Muramasa, oltre ad essere, ovvio, una leggenda?
Come il fastidioso sottofondo di un moscerino, i due udirono da lontano il rumore delle eliche di un aeromobile e a quel suono tanto familiare il volatile si irrigidì istintivamente, ma venne calmato dalla voce tranquilla della sua accompagnatrice: "Credo di sapere chi sta guidando quel veicolo, non corriamo alcun rischio." lo confortò Evelyn accarezzandogli il lungo piumaggio, prima di sprofondare nel sonno.
In compagnia del silenzio, i due erano diretti in un luogo dove avrebbero trovato ospitalità ed un luogo sicuro, per il momento.
 
Luogo imprecisato, Il mattino seguente
 
Una volta atterrati su un'altura abbastanza sicura né troppo lontana da un campo base, Evelyn ringraziò di cuore il suo accompagnatore il quale sbatté le grandi ali in segno di riconoscenza reciproca, inclinando la testa ed emettendo il suo caratteristico verso composto da sette rapide note. Fu quella l'ultima volta che lo vide ripartire alla volta delle montagne e sparire fra le candide nuvole che ne circondavano le cime innevate. Respirò a fondo. Avrebbe dovuto affrontare qualcuno che non aveva la minima voglia di incontrare.
Poco dopo infatti il rombo delle eliche riempì l'aria mentre l'elicottero guidato da un personaggio ben conosciuto atterrava nei paraggi. In men che non si dica ricevette una strigliata esemplare per essersi allontanata senza permesso, aver ferito un compagno ed aver abbandonato il campo di battaglia dal Vice Generale, che dal tono alterato con il quale la fulminò sembrava più furibondo che mai.
"N-Non ho scusanti per il mio comportamento, so bene di meritare una punizione…"
"Tu non ti meriti un bel niente, e non sono io ad avere l'autorità di darti alcuna sanzione. Purtroppo chi ne aveva la carica…"
Non finì la frase. Questo la preoccupò non poco. Significava forse che il suo Maestro era in pericolo, era ferito? O peggio?
Una rapida occhiata alla fila di mostrine appese al petto della divisa dell'uomo, che non portava alcuna protezione contro il freddo nonostante la temperatura, la portò ad identificare il simbolo di Generale su una di esse. Gli occhi dell'uomo si incupirono ed il suo sguardo cadde vacuo verso il basso.
Il Generale Volt era scomparso nella tormenta e non era stato ancora trovato, dunque sebbene a malincuore Memphis aveva dovuto prendere il suo posto.
La sua mente la portò ad immaginare come dovesse essere stato duro per lui apprendere la notizia: lo immaginò in piedi immobile mentre il distintivo di Generale gli veniva consegnato ufficialmente, mentre una smorfia di rancore e tristezza si formava sul suo viso nel vederla rilucere affissa sul suo petto.
Se non avesse compiuto un gesto così azzardato non avrebbe messo in pericolo la vita del suo mentore, ma Evy continuava a non spiegarsi come mai proprio lui guidasse una normale spedizione di salvataggio. Quali erano i suoi reali intenti nel venire a controllare di persona il gelido spettacolo di un palcoscenico dipinto di bianco sullo sfondo nero della notte buia, proprio in quel momento?
Comunque fosse, non poteva rimanere a lungo fuori al freddo, si era accorta solo ora di star tremando come una foglia e di essersi probabilmente ammalata a giudicare dai fremiti che scuotevano il suo corpo. Il Neo-Generale sembrò essersene accorto perché le diede le spalle e si incamminò velocemente verso la base che si trovava ad una cinquantina di metri più avanti, aspettandosi ovviamente di essere seguito. Volto un ultimo sguardo al cielo, senza aspettarsi di trovare alcuna traccia del candido volatile, Evelyn si incamminò verso una nuova meta, un nuovo inizio, o almeno così sperò che fosse.
I due si diressero al campo base grazie al velivolo, dove il Generale si affrettò a consegnare alcuni incarichi 'di maggior urgenza' che fare da balia ad una non-allieva, approfittando di quel fastidioso contrattempo per risolvere una questione intricata che rallentava le spedizioni in quella branca di catene montuose. Nel frattempo Evelyn aveva altri luoghi da esplorare, altre persone da incontrare. L'aveva notato fin da subito che quel posto le era familiare, ed i suoi sospetti si erano rivelati fondati quando, nella maniera più inaspettata, mentre girovagava per il campus, intravide un viso amico che non incrociava da tanto tempo.
"…E-Evelyn!?"
Stessi capelli biondi tirati all'indietro, stessa voce profonda e determinata. Era il suo amico Bald.
"Per la barba del dio Pan, ma che ci fai qui?! Avresti potuto avvertirmi che venivi a trovarmi sorella!" con uno slancio inaspettato si ritrovò sommersa In un caloroso abbraccio, stupendosi di quanto fosse piacevole ricevere un po'di affetto dopo tanto tempo. Si chiese se potesse raccontargli cosa era successo, ma le sembrò azzardato rivelare ogni dettaglio.
"Non sono venuta in visita fratello, sono fuggita dalla mia base: è successo un putiferio, una squadra è rimasta inghiottita dalla neve e il Generale Volt è scomparso!" disse tutto d'un fiato, felice di potersi ancora fidare di qualcuno. La notizia preoccupò molto l'amico, che chiese subito della salute degli altri loro compagni, ma non era prudente restare a discorrere all’aperto. Con un brivido che le percorreva la schiena, causato anche dal freddo pungente, Evelyn rammentava il monito che le era stato proferito dall'essere soprannaturale. Che anche Bald fosse in pericolo?
All'interno dell'edificio comune si avvertiva un'insolita eccitazione dal continuo muoversi di una gran quantità di soldati in subbuglio, dando l'impressione che anche lì la situazione fosse più tesa del solito. Gettando un'occhiata su ogni postazione senza aspettarsi di trovarvi quel che temeva, Evelyn venne a conoscenza della fragile condizione fra alcune basi situate sulle Alpi che negli ultimi anni avevano riportato certi problemi tecnici dei quali neppure lei era a conoscenza, come un costante flusso di piccole quantità di informazioni rubate senza lasciarne traccia. Negli ultimi giorni questo fenomeno sembrava aver raggiunto il picco massimo. Era evidente che vi era sotto qualcosa e se avessero continuato a questo ritmo l'incombenza sarebbe potuta peggiorare, nessuno immaginava di quanto.
"…Poi è da un giorno o due che alcuni hanno avvistato la presenza di un'ombra nel campus, continuiamo a tenerlo sotto controllo al massimo ma non abbiamo mai individuato tracce di intrusi… Sono preoccupato Evelyn. Qualcosa sta cambiando, abbiamo provato a comunicare con altre basi ma molte volte è stato impossibile e in rari casi ci siamo resi conto che la situazione è più o meno la stessa. Non avevate notato niente da voi?"
"No, era tutto sotto controllo prima che partissi ma…" la Soldier non finì la frase che le venne in mente un piccolo particolare. Non era tutto sotto controllo, ricordava bene che le stazioni avevano perso più volte il segnale con la truppa intrappolata nella bufera nonostante fosse già accaduto molte volte e non ricordava avessero mai avuto problemi del genere. Dunque non era un caso.
"Devo lasciarti adesso, devo controllare una cosa in archivio, ma fra una mezzora ho finito quindi non sparire!" le aveva sorriso apertamente prima di intrufolarsi in un gruppo di uomini che discutevano animatamente ed allontanarsi assieme a loro con un’aria alquanto impensierita.
Che avrebbe potuto fare nel frattempo, si chiese Evelyn diventata un'ombra occultata fra la gente, se non accertarsi della salute dei suoi compagni alla base, ed investigare? Dopo un brevissimo giro di ispezione per esaminare l'ambiente nuovo nel quale doveva muoversi, Evelyn chiese informazioni per dirigersi spedita verso la più vicina stazione di comunicazione in grado di mettersi in contatto con la sua base sperduta fra i passi del Bernina. Mentre compiva ciò cento riflessioni si accavallavano nella sua mente alla ricerca di un significato che desse loro un ordine definitivo: la serie di eventi che seppur nascosta da sguardi indiscreti si stava verificando sotto gli occhi di tutti. Il solo fatto che qui ne fossero tutti informati significava soltanto che in questa base era contenuto qualcosa di importante quanto bastava per mobilitare tutti gli ibridi presenti.
Procedendo spedita per il campus, Evie si fece venire il dubbio che dovesse essere correlato con quanto successale.
Era velatamente implicito che la sua esperienza fosse parte di un progetto molto, molto più grande, lo aveva compreso fin da subito. Anzi. Lo sapeva da anni, da quella notte che lei e Bald si erano intrufolati nell'archivio, ed ebbero ascoltato quelle persone nascoste nell'ombra che discutevano animatamente riguardo a una guerra…
Ma certo.
Con una frenata in stile Ferrari Evelyn si piantò in piedi e lì rimase per diversi secondi, come se la scoperta le avesse fatto crescere le radici fin dentro al terreno.
Non parlavano certamente della guerra attualmente in corso, ma di un'altra guerra, e molto più temibile, tanto da incutere timore al solo pensiero che questa potesse scoppiare. Era evidente che gli avversari avessero già da tempo cominciato a tramare nell’ombra, e ora stavano raccogliendo i pezzi di un puzzle a lei sconosciuto per completare un piano di attacco che senza le dovute precauzioni li avrebbe annientati.
Muramasa. Se… Se quel tizio centrava qualcosa, significava che il loro desiderio di avere quell'arma poteva ricondursi ad una sola conseguenza: un uomo, abbastanza crudele da poter assorbire il potere di Muramasa, e diventare invincibile.
Le venne in mente il tipo di avversario che l'aveva affrontata alla base e poi in mezzo alla bufera.
Stavano affrontando qualcosa di soprannaturale. Qualunque cosa fosse accaduta, non avrebbe prodotto nulla di buono. Stavano giocando col fuoco.
E i bambini che giocano col fuoco si bruciano le dita.
Un tremendo boato fece tremare l'aria. Un terribile sospetto le strisciò nelle viscere pungendole l'anima inquieta: cento per cento di probabilità che gli archivi fossero appena esplosi.
"Merda!" sibilò a denti stretti prima di gettarsi in una folle corsa verso l'edificio in fumo.
 
Qualche minuto dopo:
 
Per quanto si sforzasse di cercare non trovava Bald da nessuna parte, ma non bastò questo per gettarla completamente nel panico. In linea di massima era già nel panico, ma si impose di non perdere la testa: doveva entrare in quell'edificio, anche a costo di scavalcare con la forza la folla di ibridi e le guardie che si erano affrettate a circoscrivere l'area o ad usare il suo potere persuasivo per riuscirci. Non le servì nessuna delle due opzioni, perché in quel momento un'altra esplosione fece crollare parte dell'edificio e senza che nessuno se ne accorgesse ella poté intrufolarsi nell'area vietata. Chiunque stesse azionando le detonazioni doveva avere uno scopo preciso per distruggere quei dati, ma non ne trovava il senso. Qualunque fosse, non era lì per quello. Prima di immettersi nell'edificio sfilò il fazzoletto che teneva legato alla cintura e se lo mise sul viso per non respirare i fumi tossici, ed entrò.
Una fitta nebbia nociva ammantava lo spazio circostante e le impediva di vedere dove stesse andando, e in un attimo la sua calma esteriore fu sostituita da un senso di pericolo e inquietudine che non la faceva pensare lucidamente.
"Bald! Sono io, mi senti!?" gridò più volte tormentata, non ottenendo risposta. No, non di nuovo, ancora no, mio Dio…
Sentì un vago rantolio provenire da dietro una scrivania ribaltata e ridotta a brandelli come del resto ogni altro mobile nei dintorni, ma non era la sua voce. Avvicinatasi dovette trattenere con orrore la voglia di distogliere lo sguardo: oltre allo stato pietoso del suo corpo, il viso di quella ragazza grande poco più di lei era per metà intatto, ma l'altro lato era irriconoscibilmente scavato e dalla pelle carbonizzata. Non poteva fare nulla per quella povera anima se non trasportarla fino all'entrata in modo che i soccorsi la trovassero subito, seppur con il poco tempo che aveva a disposizione.
"Stai calma adesso ti porterò fuori di qui, ok? Riesci a sentirmi, mi senti?" si abbassò all'altezza del suo viso per constatare che fosse cosciente ed esultò silenziosamente: non era ancora morta, poteva salvarla. La ragazza non rispose ma scosse gli arti con disperazione ed allora Evie si accorse che aveva un braccio incastrato sotto la scrivania, se non addirittura schiacciato.
"…ego…Die…go…"
La ragazza stava pronunciando il nome di qualcuno. In un attimo Evelyn realizzò che non aveva idea di quante persone fossero state sorprese dall'esplosione e capì che non poteva farcela da sola, aveva bisogno di aiuto.
Un rumore di assi spostate da braccia umane la riscosse: i soccorsi stavano arrivando finalmente! Lanciò uno sguardo alla giovane che poco a poco stava riprendendo conoscenza e incrociò i suoi occhi castani ora più lucidi e si alzò immediatamente per segnalare la sua posizione: "Ehy, siamo qui! Presto, ci sono dei feriti!" si sbracciò quanto bastava per essere individuata, e con un ultimo sguardo di intesa sparì fra le pile di scaffali accatastati ed in fiamme.
Quanti feriti c'erano ancora, e dov'era Bald? Doveva essere lì da qualche parte! Oramai il fumo le annebbiava anche la vista e più volte andò a sbattere contro le pire infuocate, il panico in aumento dentro di lei ad ogni secondo. Finché un'altra detonazione, stavolta più contenuta delle precedenti, non scoppiò dall'altra parte dell'edificio: fu abbastanza perché tutto il soffitto tremasse e si disintegrasse in centinaia di detriti e pezzi più grossi. Colta alla sprovvista Evelyn non fece in tempo ad evitare che un blocco di cemento le precipitasse accanto facendo abbattere su di lei un intero scaffale: non fu fatale per lei ma abbastanza da bloccarla sotto una catasta infuocata dalla quale tentò di liberarsi disperatamente; rumori di persone gridavano nomi che non conosceva e si perdevano nello sfrigolare delle vampe, le quali fecero in tempo a raggiungerla prima che si liberasse del tutto ed appiccarono un incendio sulle sue vesti. Il contatto con il fuoco la fece gridare dal terrore e il calore le bruciò la pelle tanto che temette di bruciare viva, non aveva dell'acqua per spegnere il fuoco, era perduta!
Si gettò a terra per spegnere le fiammate sino a quando queste sembrarono smettere di bruciare, poi si rialzò e tossì violentemente: aveva perso il suo fazzoletto.  Non poteva rimanere lì un minuto di più o sarebbe morta soffocata!
Un rumore di scartabellare attirò la sua attenzione. Fu improvvisamente come se quel rumore flebile sovrastasse tutti gli altri. Si voltò verso uno dei corridoi in lontananza, uno di quelli più intatti, per quanto lo potessero ancora essere, e intravide una figura della sua stessa altezza sfogliare freneticamente i documenti contenuti in un archivio. Quella figura la incuriosì stranamente, come se la conoscesse. Si avvicinò, oltrepassando le barriere ardenti avvolte da uno strato di carta velina, ora lontane da lei, lontana dal mondo.
I suoi passi attirarono l'attenzione della figura, la quale si voltò di scatto. Ora era abbastanza vicina da vederne i lineamenti.
I suoi.
Quello era il suo volto.
La sconosciuta si avvicinò mutando la sua espressione seccata in un sorriso furbastro, ed Evelyn realizzò con sgomento che era identica in tutto e per tutto a lei.
"Shhh, non preoccuparti, fra poco sarà tutto finito." sussurrò la sua sosia, e senza che Evie muovesse un muscolo si avvicinò dandole un colpetto sulla fronte con l'indice. Sembrò come se il mondo intero si fermasse in quell'istante.
L'urto contro il terreno fu talmente forte da farle perdere i sensi.
 
They'd only see the tragedy
They'd not see my intent
The shadow of Sombra's evil…
Would forever kill the good that I had meant…?
 
Nel profondo baratro nero nella quale precipitò, le parve di udire in lontananza la voce di una donna. Un ricordo familiare che era rimasto sepolto sotto chilometri di oceano buio agguantò uno spiraglio di luce e vi si aggrappò con tutte le forze per venire a galla, lottando contro la volontà della ragazza di ricacciarlo fra i flutti e lasciarlo annegare. Sarebbe stato molto meglio se non fosse mai riemerso.
Riaprì gli occhi. D'improvviso Evelyn non si trovava più in mezzo alla neve, alle rigide strutture di un campo di addestramento, in mezzo ai soldati. Era da sola.
Il silenzio sembrava l'unico testimone dello spettacolo desolante di un cumulo di macerie, quello che un tempo aveva costituito le fondamenta di una città fiorente. Sullo scenario livellato e deserto si stagliava un panorama di lontane vette senza colore, sulle quali gli ultimi, freddi raggi del sole proiettavano deboli chiarori morenti che andavano affievolendosi nell'ultimo bagliore del crepuscolo.
Una dolorosa fitta al cuore la assalì quando con sgomento si accorse dei corpi senz'anima che giacevano fra le macerie come parte del paesaggio stesso: gli sguardi vitrei, mille parole non dette affioranti dalle labbra e cuori fermi, bloccati nell'istante del loro ultimo respiro.
Le lacrime cominciarono a scenderle copiose sul viso, mentre i ricordi la investivano come violente ondate nella tempesta. Stava ricordando.
No, non poteva… Non poteva essere stata lei. Rifiutava di concepirlo.
"Mamma…"
La voce di una bambina proveniva da una delle tante strade sommerse dai detriti, una voce familiare. Con il cuore in gola, si avvicinò alla fonte del suono, fino a giungere davanti alla scena incriminata. Ci mancò poco che un colpo al cuore la cogliesse quando si accorse di ritrovarsi davanti a sé stessa, una bambina di pochi anni, e al cadavere di sua madre. Poco più in là, se avesse alzato lo sguardo, avrebbe intravisto la sagoma del corpo di Esmeralda, abbracciata al marito in un ultimo atto di infinito e disperato affetto.
Provò a gridare ma dalla sua bocca non uscì alcun suono ed anzi cominciò a bruciarle orribilmente, segno che la sua gola era ancora gravemente danneggiata.
Ormai conscia dei fatti, Evelyn si dette una calmata e si asciugò con un grande sforzo le lacrime, avvicinandosi alla scena: la piccola se stessa piangeva a dirotto e tremava dalla disperazione. Provò ad avvicinarla ma con sua gran sorpresa e spavento la mano di Evelyn trapassò la massa della giovane come fosse incorporea.
Non c'era motivo di piangere, ora ricordava, era successo molto tempo orsono, e le lacrime non avrebbero risolto nulla. Si trovava in un'illusione che la teneva prigioniera e certamente avrebbe dovuto trovare un modo per fuggire.
Quel pazzo era ancora libero e avrebbe provocato altri danni alle persone a lei care… Ma ne erano rimaste?
Sì! Era rimasta Zoe! Era ancora viva, ne era sicura. Doveva uscire da lì, doveva farlo per lei.
"Vuoi andartene così presto?" udì con allarme pronunciare alle sue spalle. Lentamente si voltò, incrociando diffidente gli occhi con quelli di una persona totalmente differente, eppure identica ad ella stessa. Spavaldo, ghignante, beffardo, il suo sguardo la impietrì e luminoso la accecò per un istante. L'attimo dopo si ritrovava in uno spazio evanescente circolare completamente avvolto nella penombra e tappezzato da lucidi specchi.
Guardinga, Evelyn diede una rapida occhiata in giro ma non vide nessun altro nel riflesso degli specchi. Nessun altro a parte se stessa.
Si avvicinò ad una delle superfici scrutando il suo stesso sguardo, che rifratto sullo specchio il suo viso aveva un'espressione diversa da quella che tuttora assumeva: la fronte rilassata, gli occhi vacui, la bocca serrata in un insopportabile sorriso sornione a forma di V.
"Quel pazzo, come lo definisci, è l'ultimo dei tuoi problemi. Davvero hai creduto che ti avrei lasciata andare? Credevi seriamente che ti avrei lasciata libera?" pronunciò con superiorità e rimprovero la gemella dall'interno della parete riflettente.
"Se lo pensavi, mi spiace dirti che così non sarà: non ti sbarazzerai mai di me, Evelyn!" gridò l'immagine, creando una potente onda sonora che colpì Evie e la colse di sorpresa scaraventandola contro la parete opposta. Immediatamente sullo specchio sulla quale si era schiantata apparve la sagoma torreggiante di Sombra, in piedi e trionfante.
"Sta zitta! Sei solo un viso distorto riflesso nello specchio, se chiudo gli occhi di te non resterà nulla!" rinviò furiosa la Soldier rialzandosi ed allontanandosi dalla superficie con uno scatto. Di rimando, Sombra sogghignò e lo specchio che la ospitava cominciò a tremare, tanto da dare l'impressione di potersi frantumare con un misero tocco.
"Io son quel che vedrai quando ti guarderai allo specchio, anche se non lo vuoi rimarrò con te finché avrai vita!"
"No! Sei solo un incubo, un sogno demoniaco! Quando sarà tutto finito la smetterai di perseguitarmi coi miei ricordi!" Evelyn si strinse le braccia al petto, le mani avevano cominciato a tremarle, stava perdendo il controllo sul suo corpo. Con orrore vide ora ognuno degli specchi della sala riflettere la figura di Sombra, sempre più vicina, sempre più temibile.
"No, questo non è un sogno mia cara, e ti assicuro che non finirà: sono qui per restare, per prendere il tuo posto, e tu non me lo impedirai."
La stanza cominciò a rimpicciolire sempre di più, gli specchi divennero più grandi, e con essi la presenza ingombrante della parassita.
Si sentiva soffocare. Con tutta la fermezza di cui era ancora dotata, Evelyn mantenne fermo lo sguardo e ribatté: "Io ti fermerò, sono più forte di te! Ti rinchiuderò lontano dalla mia mente per sempre!" e scacciò l'aria simbolicamente con un gesto della mano.
"Controllarmi? Mai! Sono io la più forte! Continuerò a divorare la tua anima fino alla fine dei tuoi giorni, Evelyn!"
"Tu hai bisogno di me per vivere, ma io no, per questo verrai sopraffatta Sombra! Arrenditi!"
Una smorfia di rabbia trasparì dal volto della falsa, seguito da un terrificante rumore di vetri infranti: il pavimento era fatto di vetro, e l'enorme viso della ragazza si specchiava nel suo terrore mentre una profonda crepa si allargava. Un istante dopo l'intero pavimento si frantumò sotto i suoi piedi lasciandola precipitare nel vuoto. Tutte le immagini di Sombra si condensarono in un attimo in un unico corpo materiale che non perse tempo ed agguantò Evelyn per il collo mentre entrambe precipitavano nel nulla, stringendo con tutta la forza di cui era padrona.
"Io ci sarò, sarò sempre con te, per sempre!" gridò con un ghigno demoniaco e una furia accecante negli occhi violetti.
"NO!" Evelyn tentò di sottrarsi alla sua presa ma Sombra era troppo forte.
"Satana stesso è con me!"
"NOOO!" la gola le implorava pietà e tutti i muscoli erano tesi tanto che temette che si strappassero tutti in un sol colpo.
"Rassegnati, nessuno al mondo potrà mai dividerci, mai!" urlò lei, e le sue mani cominciarono ad affondarle nel collo, fondendosi con il suo corpo, finché Sombra non ne fu completamente assorbita. Evelyn gridò fuori di sé dal dolore ma non ebbe il tempo di agire che il terreno sopraggiunse con una velocità inaudita: atterrò pesantemente in fondo al baratro, le cui pareti erano percorse dagli stessi interminabili specchi troppo lucidi nonostante l'ombra nella quale erano immersi.
Era dentro di lei. Doveva eliminarla adesso, non avrebbe avuto altre possibilità! Si rialzò in piedi sofferente, con un'unica possibilità davanti a sé.
"Se non posso ucciderti… Allora ucciderò me stessa. Moriremo insieme." decretò seria, consapevole di quel che voleva fare ma anche di quel che sarebbe successo in caso contrario. Ma subito dopo un brivido le percorse la spina dorsale e la sua espressione cambiò repentinamente: "Sbagliato, toccherà solo a te." esclamò risoluta Sombra da dentro il suo corpo.
"Se muoio allora anche tu morirai!" continuò Evelyn riprendendo il controllo, ma oramai era diventata una battaglia di botta e risposta per il possesso della sua mente.
"Tu morirai in me, perché sarò IO a diventare te!"
"Bastarda, lasciami essere me stessa!"
"Ma come, non hai ancora capito?! Tu SEI me!"
"Bugiarda!"
"Io sono te, sei tu Sombra!"
"No never!"
"YES, forever!"
"Dannata, lasciami stare e vattene all’inferno!"
Come ebbe pronunciato quelle parole percepì che al suo interno Sombra ebbe un cambio d'umore: rimase stupita. Dopo un attimo di esitazione però, il suo viso era tornato spavaldamente beffardo e l'aveva fissata intensamente allo specchio.
"Allora ci rivedremo là, Evelyn. Contaci."
Tutti gli specchi si frantumarono all'unisono, rovinando sulla ragazza, la quale venne sommersa da frammenti aguzzi e sottili come spilli gridando un'ultima volta, prima di crollare nel silenzio.
 
Era successo tutto così in fretta.
Si era risvegliata all'interno di un velivolo, lontano dalla sua casa, da ogni luogo conosciuto, verso una meta incerta ed un futuro oscuro.
Il rumore delle eliche sovrastava i mormorii preoccupati provenienti dalla cabina di comando. Si erano allontanati il più in fretta possibile, come ordinato dal vice-comandante della Base, il quale aveva imposto di abbandonare il Campus a tutti i soldati una volta domato l'incendio che minacciava di inghiottire dentro di sé insieme all’Archivio informazioni preziose come l'ossigeno. Proprio al suo interno era stata ritrovata priva di sensi e tratta in salvo prima che morisse asfissiata, con una piccola cicatrice bruciacchiata sulla fronte.
Non aveva più avuto notizie dei feriti e dei morti, due, e per tutto il tragitto di ritorno aveva sperato che fra questi non vi fosse il suo amico.
Il paesaggio montanaro sfrecciava sotto ai passeggeri a bordo di dell'Albathros, un silenzioso velivolo da guerra in grado di mimetizzarsi con il cangiante cielo azzurro in modo da risultare invisibile.
Un ultimo sguardo verso quelle meravigliose vette bianche le fece ricordare tutti i bei momenti che aveva trascorso in compagnia della sua famiglia, perché quello erano diventati, uniti non dal sangue ma dalla fiducia reciproca che si promettevano ogni giorno.
"Mi dispiace ragazzi…" Sussurrò una volta abbassato un poco il vetro del finestrino, perché il rumore dell’aria coprisse le sue parole. Quell'ultima boccata d'aria di montagna le riempì i polmoni e le strinse il cuore, perché sapeva che non le avrebbe riviste molto presto, forse mai più.
 
Base di Lidos, nove mesi fa, ore 05:42
 
Ore. Giorni. Mesi. Anni. Quanto tempo sarebbe dovuto passare prima che il vuoto creatosi al centro del suo petto, nel profondo del suo cuore, si riempisse definitivamente?
"Zoe… Bald… Rio… Mi mancate ragazzi…"
Sulla spiaggia si estendevano una serie di piccole scogliere che si facevano strada fra i flutti del profondo blu, arrivando a comunicare con le barriere naturali formate dagli scogli in lontananza che segnavano la divisione fra zona balneare sicura e zona pericolosa, magari infestata.
Evelyn si trovava seduta su una di queste, la leggera brezza le accarezzava i capelli e contribuiva a ravvivare le onde turchine, brillanti del fuoco della vita, che si infrangevano sulle rocce in nuvole spumeggianti.
Mirando la linea dell'orizzonte, un'unica bianca linea incontaminata dalla purezza di quella distesa ondulata in moto perpetuo, ed udendo il lento mormorio delle onde ed il verso dei gabbiani in cielo, con le ali spiegate protese verso l'alba che stava per sorgere, per un attimo Evelyn si sentì in pace con sé stessa.
Doveva rialzarsi, doveva farlo per Bald, per Zoe e per Rio. Non importava cosa dicesse Sombra, quella non era lei, ne era certa.
Si alzò in piedi facendo attenzione a non scivolare, portando di istinto una mano al fianco: che sciocca, non aveva più quella spada.
L'aveva nascosta, incastrata sotto al letto, non l'avrebbe portata più con sé dopo tutto quello che le era successo, tutti quei truci ricordi che le faceva rimembrare…
La katana…
Ormai da tempo ci stava pensando. Se per loro era così importante ottenerla, non importava chi fossero questi 'loro'. Non l'avrebbero avuta, nessuno l'avrebbe potuta più impugnare. Nessuno avrebbe più sguainato una spada contro qualcun altro per vendetta personale, divertimento, o per null'altro.
Posò il palmo destro aperto sul petto, in posizione del cuore.
Aveva deciso. Da quel giorno, Evelyn avrebbe dato il meglio di sé stessa per rintracciare la Katana leggendaria di Muramasa, e l'avrebbe distrutta con le sue mani. Si sarebbe re-impossessata della sua forza originaria, sottrattale da quell'essere misterioso, e avrebbe fermato quell'inutile guerra, nel nome di una fede che a stento anch'essa tratteneva ma manteneva ancora viva dentro la sua anima.
I petali del delicato fiore che era stata un tempo non si erano ancora rinsecchiti del tutto.
Da quel giorno giurò, sul suo nuovo nome, sulla sua nuova identità.
Dark Rose.
 
Base di Lidos, stanza di Evelyn e Misaki
 
"FERMATI!" Evelyn colpì Misaki al petto sbalzandola all'indietro e con uno scatto aprì la porta della sua camera, richiudendola alle sue spalle. Stava piangendo.
"Evelyn aspetta..." Misaki cercò di aprire la porta senza successo, bussò delicatamente in segno di umiltà "…Io non volevo, davvero…" ma Evelyn non rispose.
Non avrebbe mai potuto immaginare quale segreto contenevano i suoi ricordi. Si sentì così oppressa da quel pensiero che i suoi piedi indietreggiarono leggermente al pensiero, ma si costrinse a rimanere immobile.
Dopo qualche minuto di silenzio, si fece coraggio e bussò nuovamente alla porta. Tamburellò delicatamente, scoprendo che era aperta, così la spinse lentamente in avanti "Evie…"
Evelyn era rannicchiata in un angolo del suo letto, ancora disfatto. La luce era spenta. Misaki si avvicinò al letto e si sedette accanto a lei, tenendosi però a debita distanza.
"Evie… Non volevo..." cercò di scusarsi, ma non trovò le parole. Che diritto aveva avuto lei di andare a guardare dentro la sua memoria e risvegliare quei ricordi che sarebbero dovuti rimanere sepolti per sempre? La ragazza-gatto però non disse nulla. Alzò il capo, nascosto dietro le sue braccia messe a scudo sul petto, mostrando un viso rigato di brucianti lacrime amare.
"Io… Non volevo, non volevo più…" biascicò tra un singhiozzo e l'altro.
 Misaki mise una mano sopra la sua, cercando di tranquillizzarla.
"È tutto a posto, sei al sicuro." le ripeteva con dolcezza.
Evelyn scosse il capo, senza smettere di piangere: "No non sono al sicuro e non lo sarò mai... Tutta quella gente… sono stati tutti uccisi… Per colpa mia…"
Cominciò a tremare. Misaki la circondò con le braccia per tranquillizzarla: "Shhh, è tutto a posto. È tutto finito… Non abbandonarti al dolore, rilassati e respira. Respira..." disse piano mentre avvicinava l'indice di una mano per asciugarle una lacrima. Evelyn respirò, lentamente, singhiozzando.
"Facciamo così. Visto che ho violato la tua privacy, ora è giusto che anche tu sappia di me, così siamo pari ok?" disse con un mesto sorriso.
"N-no, non sei obbligata a farlo…"
"Scherzi? Voglio pagare il mio errore e non ammetto un No."
 Evy non disse niente, solo, annuì piano.
Misaki appoggiò delicatamente il palmo della mano sulla sua fronte, e chiuse gli occhi.
 
"Un piccolo villaggio in Giappone." Misaki pronunciò le sue prime parole dopo tutti quei minuti di pesante silenzio.
"Mh?" Evelyn alzò la testa posando gli occhi rossi per il pianto sulla figura minuta dell’amica e compagna.
"È lì che sono nata… Ehm ricordo tutto così bene: la mia casa, i miei genitori… Era tutto perfetto, solo… Solo IO ero sbagliata… Con un'abilità troppo fuori dal comune per un semplice villaggio di contadini…"
Misaki si girò a guardare un punto indefinito della camera buia mettendo una mano sulla sua fronte per attivare la sua abilità innata.
Evelyn la guardò preoccupata: sembrava in trance, persa in un mondo di ricordi da troppo tempo assopiti.
"Mi ricordo ancora perfettamente i miei primi tre mesi di vita: ero felice, i miei genitori mi volevano molto bene… Se avessi avuto il buon senso di comportarmi come un normale neonato, invece no! No, gattonai velocemente fino a casa della vecchia del villaggio dove ero solita passare i pomeriggi, ma non mi era mai successo di vedere i suoi ricordi!"
Misaki chiuse per qualche secondo gli occhi per poi tornare a fissare la parete.
"Mi prese in braccio e, come al solito mi misi a giocare con la sua lunga treccia di capelli bianchi, ma questa volta volli salire più in alto 'Più su, dove i capelli sembravano nuvole!' pensavo e fu in quel momento che accadde…"
La ragazza si fermò stringendo gli occhi e mordendosi il labbro, come a ricacciare indietro le lacrime. L'amica le mise una mano sulla spalla guardandola con occhi compassionevoli spronandola ad andare avanti.
"L-Le toccai la fronte attivando i miei poteri, riuscii a vedere nitidamente ogni più piccola sfaccettatura della sua vita, ogni momento di gioia, tristezza, rabbia, tutto! Ma… Ma quello che non sapevo era che nel momento in cui io potevo vedere i ricordi, anche l'altra persona, il protagonista diciamo, li riviveva attimo per attimo. Infatti finita la 'proiezione' la vecchia mi guardò con occhi spaventatissimi, quasi terrorizzati e mi lasciò cadere pesantemente sul futon dove eravamo sedute, indietreggiando velocemente."
'Chi sei tu...? Co-Cosa vuoi da me!?' urlò. Subito alcuni uomini del villaggio, richiamati dalle sue grida, irruppero in casa domandando cosa stesse succedendo.
'Q-Quella bambina è-è un demone!' disse guardandomi con odio. Mi presero per i piedi portandomi al centro della grande piazza. Non c'era un minuto da perdere, se la vecchia saggia diceva che nel villaggio c'era un demone bisognava eliminarlo, per la pace di tutti!
Il capo del villaggio ascoltò fino in fondo il suo racconto dei fatti… Il giudizio fu uno solo: uccidere il demone al più presto. Mi riportarono dai miei genitori comunicando la terribile notizia."
Nonostante gli occhi di Misaki fossero ancora aperti e fissi, si riempirono di lacrime che cominciarono a scendere copiose.
"Mia madre mi prese in braccio piangendo e stringendomi al petto. Mio padre camminava nervosamente con le braccia dietro la schiena. 'Non possiamo lasciare che la uccidano così… Non possiamo…' continuava a ripetere guardando alternativamente prima me e poi mia madre.
'Hai ragione! Stasera con il favore delle tenebre scapperemo e porteremo nostra figlia in un luogo più sicuro.'
E così fu. A notte fonda lasciammo la nostra casetta e ci addentrammo nel bosco che circondava il villaggio. Fu probabilmente in quel momento che mi addormentai… Da quel punto ho solo un ricordo confuso… Solo rumori e niente immagini… Ricordo distintamente il fruscio dell'erba e gli ansiti di mia madre per via della lunga corsa. Quando mi svegliai ci trovava davanti a un monastero. Mi guardai attorno confusa: che ci facevamo lì? Dove era la mia casetta?
Poi mia madre appoggiò sulle scalinate di pietra la cesta che mi aveva fatto da culla per tutto il tragitto. Si avvicinò al mio viso baciandomi dolcemente la fronte e il naso. Mi guardò con gli occhi lucidi cercando di sorridere, poi strinse il braccio di mio padre facendolo avvicinare alla culla improvvisata.
'Addio piccola, è venuto il momento di lasciarci... Sapevamo già che questo giorno sarebbe arrivato: conoscevamo da tempo le tue abilità…'
Dagli occhi iniziò a scendere un fiume di lacrime: 'Ti prego non pensare mai che non ti abbiamo voluto bene… Ti abbiamo amato e ti ameremo per sempre.' tentò i sorridere mentre mi cullava un'ultima volta e mi rimise nella culla tremando."
Evelyn si avvicinò in silenzio all'amica asciugandole il viso rosso e bagnato.
"Un secondo. È bastato un secondo per vederli sparire per sempre dalla mia vita. Ero troppo piccola per comprendere appieno la situazione, sapevo solo che la mia mamma era sparita e io ero rimasta da sola. Avevo paura, nel buio di quella notte, mi misi a piangere con quanto fiato avevo in gola, fino a richiamare l'attenzione di tutto il monastero!
Quando aprirono il portone vidi un vecchio signore con lunghi capelli bianchi legati in una coda e una barba anch'essa bianca che gli arrivava al bacino. Mi prese in braccio portandomi in quella che poi scoprii essere la sua camera mentre io continuavo a piangere disperata. Mi adagiò sul futon cercando di tranquillizzarmi fino a che mi addormentai definitivamente. Ryonosuke… Così si chiamava. Io-Io non lo ringraziai mai abbastanza: mi ha regalato una nuova vita, una nuova identità… Mi chiamò Misaki, che vuol dire 'bellezza che sboccia'.
Mi accolse come se fossi stata sua figlia e mi concesse l'onore di diventare una delle sette sacerdotesse del monastero. È stato l'unico ad accorgersi del mio potere senza spaventarsi delle conseguenze."
Misaki ridacchiò.
"Un giorno mentre mi cullava tra le sue braccia si mise a pensare ad una barzelletta che proprio quella mattina aveva sentito dire da due contadini. Ridacchiò e io di rimando risi proprio come se l'avessi sentita. Poi pensò a quando, mentre tornava a casa vide un povero uccellino trafitto da una freccia. Scoppiai a piangere e il povero Ryonosuke sorpreso da quel repentino cambiamento d'umore pensò a come tenermi buona: 'Ci vorrebbe una caramella…' pensò, il lo lessi chiaramente nella sua mente e allungai le mie manine verso l'alto esclamando: 'Gagaghella, gagaghella!'
Un sorriso triste si fece spazio sul viso delle due ragazze.
"Poi una sera d'inverno un gruppo di uomini americani bussò alla grossa porta di legno. Ryonosuke andò ad aprire, ma prima mi nascose in camera: sentiva che qualcosa non andava. Un uomo con una irritante 's' sibilante ordinò che gli venisse consegnata immediatamente la bambina, cioè io.
Sentii Ryonosuke rispondere che nel monastero c'erano sette bambine e che comunque stavano tutte dormendo. Beh, in realtà non tutti… Oltre a me anche un altro bonzo era sveglio… Venne a prendermi per portarmi lontano in un nascondiglio in mezzo al bosco, non ci saremmo stati molto probabilmente solo quella notte, ma a quel rifugio non arrivammo mai.
Mentre correvamo tra gli alberi della buia foresta, la nostra fuga era illuminata solo da una pallida luna. Prima della frettolosa partenza il bonzo aveva avuto la premura di avvolgermi in una coperta di lino: calda ma non abbastanza per quella notte gelida che faceva rabbrividire il mio corpicino.
Improvvisamente uno sfrecciare inumano ci fece riprendere dalla disperata corsa. Il mio salvatore non perse tempo: si mise in posizione d'attacco stringendomi forte al petto per proteggermi e estrasse un lungo kunai facendolo scintillare sicuro davanti a sé.
'Chi sei? Vieni fuori!' urlò al vento mentre cercava di identificare il misterioso aggressore.
Poi un’altra serie di passi velocissimi lo misero in allerta: erano in due o forse più e ciò voleva dire che noi eravamo in svantaggio numerico. Il bonzo si guardò intorno velocissimo voltando la testa rasata prima da una parte poi dall'altra, decidendosi poi a partire all'attacco verso quello che credeva aver identificato come il nemico. Ma fu tutto inutile. Una freccia lo colpì alla schiena, all'altezza dei reni, trapassandolo da parte a parte. Il suo urlo agghiacciante spezzò il silenzio che per pochi istanti aveva riempito il bosco, graffiandomi le orecchie e facendomi scoppiare a piangere disperata. Si accasciò su se stesso sputando sangue che andò a sporcare la coperta di lino e le mie mani ancora tremanti.
Poco dopo due figure nere ed incappucciate mi si avvicinarono portando le mie urla e il mio pianto disperato a diventare sempre più forte. Senza troppe remore, diedero un calcio al corpo del bonzo per verificare che fosse effettivamente morto, mi raccolsero da terra mentre ancora mi dimenavo terrorizzata e si arrampicarono su un albero per ritornare al monastero saltando da un ramo all'altro.
Ormai ero in trappola. Era stata tutta colpa mia, avevo messo in pericolo un sacco di persone completamente innocenti." Un sospiro amaro accompagnò quelle parole.
"Poi improvvisamente mentre il misterioso rapitore ancora volava tra la foresta buia, i miei pensieri si focalizzarono su Ryonosuke. Anche lui era sicuramente in pericolo!
Mi bastò pensare a lui che le nostre menti, costantemente in contatto grazie al collegamento mentale del vecchio monaco, mi trasmettessero le immagini di ciò che vedeva e ciò che pensava.
Il monastero completamente avvolto dalle fiamme. Uomini che tenendo in braccio bambine tentavano di scappare da quell’inferno di fiamme. E Ryonosuke completamente circondato dalle stesse figure nere che avevano fermato la mia fuga. Si stava battendo con coraggio respingendo più attacchi possibili, ma era in difficoltà a causa dell'età e dello svantaggio. Non ci volle molto prima che il suo urlo soffocato arrivasse chiaramente alle mie orecchie portandolo via da me per sempre." Misaki non poté impedire in alcun modo che silenziose lacrime le rigassero il viso.
"L'urlo straziante che mi riempì i polmoni squarciò il silenzio di quella fredda notte invernale. Le lacrime mi offuscavano la vista e i singhiozzi mi scuotevano violentemente il corpo. Era finita per sempre. L'oasi di felicità e pace era stata distrutta, spazzata via da un'inesorabile tempesta di sabbia. Tutte le persone care sparite per sempre. Prima i miei genitori, poi Ryonosuke. Tutto quello che riuscivo a pensare era il fatto di essere sola al mondo, senza un luogo dove andare o una casa in cui tornare.
Finalmente dopo un'interminabile viaggio arrivammo al campo di base militare, in un luogo protetto alla vista a qualche chilometro dal monastero.
Dopo essere arrivati davanti ad una grossa tenda verde militare, i miei rapitori fecero diligentemente il saluto annunciando di aver portato ciò che aveva chiesto, togliendosi il cappuccio per rivelare i loro volti animaleschi, mentre mi tenevano dai piedi come se fossi qualcosa di immensamente sudicio.
Quando i due lembi di tela cerata si aprirono ne uscì uno spaventoso ed orripilante, a mio parere, uomo sulla quarantina dai capelli rossi e verdi e, particolare che mi scioccò all'inverosimile, al posto delle gambe aveva una strisciante coda da serpente corallo.
Quello, che identificai a fatica come il loro capo, mi si avvicinò facendomi rabbrividire e scoppiare a in un pianto violento e terrorizzato. Mi prese dalle mani dei due soldati tenendomi sotto le braccia per osservarmi meglio alla luce artificiale del campo. 'Mh… Sssì… È proprio lei, avete fatto un ottimo lavoro… Ssstavolta.' disse avvicinandomi al viso, cosa che mi fece rabbrividire dal disgusto, tanto che cercai di tirargli un calcio sul naso per farlo allontanare. Brrr, mi sembra di vederlo ancora, si vedevano tutte le scaglie! Bleah!" finì Misaki tentando di strappare un sorriso all'amica e riuscendo nel suo intento facendo fare alla ragazza-gatto una breve risata coperta poi prontamente da una mano sulla bocca. Contenta della reazione scatenata nell'altra e del fatto che fosse finalmente riuscita a calmarla un po', la ragazza giapponese decise di concludere la storia. "L'orribile uomo-serpente mi fissò con i suoi occhi da rettile visibilmente infastidito da tanta impudenza. Mi prese, mi poggiò sul braccio, come quando mio padre mi cullava, e fece scontrare le sue iridi gialle con le mie nell'intento di ipnotizzarmi. Purtroppo per lui ero una bimba un po'troppo furba e prima che ci riuscisse chiusi velocemente gli occhi facendogli una linguaccia indispettita."
Una nuova risata si levò dall'angolino dove Evelyn si era rifugiata.
"Mh… Sssei una ragazzina in gamba… Credo che sssceglierò la volpe per te…" Misaki si cimentò in una quasi perfetta parlata sibilante nell'intento di copiare il Generale, scoppiando poi a ridere per la sua stessa performance seguita a ruota dall'amica. Constatando che finalmente il clima era tornato pressoché sereno e gli animi si erano calmati, la ragazza dai capelli blu si avvicinò a Evelyn sedendosi vicino a lei sicura che stavolta non l'avrebbe respinta. "Beh… Poi ovviamente riuscì a ipnotizzarmi e… Ora sono qui." ridacchiò sarcastica alzando la testa per incontrare gli occhi viola della compagna. "Questa era la mia storia… Ecco come è nata Misaki." concluse togliendo la mano dalla fronte sorridendo amara e mordendosi il labbro nel vano tentativo di ricacciare indietro le lacrime che minacciavano ancora una volta di uscirle.
Una mezz'ora dopo Rage, venuta a cercarle, le trovò addormentate sul letto, l'una di fianco all'altra, appoggiate alla parete.
 

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Capitolo 11
*** CHIUSURA ***


Mi dispiace ragazzi, ma ho deciso che non pubblicherò più su efp. L'account rimarrà però attivo per eventuali messaggi.. per il resto potrete leggere su wattpad la storia corretta e migliorata.
Tanti saluti dalla vostra Rage, mi mancherete :p

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