Il Risveglio - Ritorno dal passato

di Alena18
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: L'Abominio. ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno: Rosso Sangue. ***
Capitolo 3: *** Capitolo due: Il Regno di Mezzo. ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre: Frammenti di cuore. ***



Capitolo 1
*** Prologo: L'Abominio. ***


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Inghilterra, 31 Ottobre 1635
Justin

L’aria puzzava di alcool e muffa, in quella bottega che trasudava lerciume udivo ogni singola parola, ogni singola risata, ogni singolo respiro e ogni singolo battito di ogni singolo secondo. Adoravo poter sentire la paura e l’eccitazione che fremeva in ognuno di quei corpi, adoravo la loro ignoranza riguardo ciò che li circondava, adoravo osservare i potenti cedere al desiderio di passione, adoravo vedere i poveri, che nulla possedevano, bramare la vita di qualcun altro e adoravo guardare ognuno di quegli individui cadere sottomessi a qualcosa di più grande: io.
Buttai giù tutto d’un sorso quello che probabilmente era il settimo, o forse l’ottavo, bicchiere di rum, ma non mi bastava, non mi era mai bastato, neanche quando ero ancora un essere umano, e non avevo intenzione di farmelo bastare. Era tutt’altro ciò che desideravo, ma mi piaceva giocare.
-Abbiamo carne fresca!- esclamò un uomo in piedi accanto ad un tavolo infondo alla sala –Avete visto tutti, signori?- alzò il tono di voce attirando l’attenzione di ogni uomo ancora abbastanza lucido da non aver perso i sensi –Questa bella bambina è venuta qui apposta per soddisfarvi! Che ve ne pare, gente? Quanto offrireste per questa graziosa fanciulla?- domandò e fu all’ora che mi voltai completamente. Sentivo il suo respiro affannoso, il bruciore delle lacrime che le riempivano gli occhi, il palpitare incessante del suo cuore, la paura, ormai fuori controllo, che le scorreva nelle vene. Il suo nome era Rose, aveva quattordici anni, una cascata di capelli castani e un viso sottile e dolce. L’uomo che aveva parlato ora la stringeva a sé, quello era suo padre, un padre che aveva intenzione di vendere la propria figlia come aveva fatto con sua moglie.
-Offro cinque scellini per un’ora con lei!- gridò un uomo seduto qualche sgabello avanti al mio. Le poche donne che passavano fra i tavoli malandati ridevano di quella situazione, sapendo perfettamente che quella ragazza avrebbe fatto la loro fine, bloccata in quel posto a pulire tavoli e guadagnarsi qualche scellino in più accontentando i facili desideri di ogni uomo pagante. E proprio quelle donne, non aspettavano altro.
-Amo le vergini!- esclamò un altro –Io ne offro sei!- aggiunse alzando un bicchiere pieno di alcool.
-Frank, dalla a me per otto scellini e tua figlia non dimenticherà mai questa notte!- sbraitò un altro ancora. Arrivavano offerte da ogni uomo presente, uno più pervertito dell’altro, ma nessuno di quegli individui rozzi e schifosi aveva idea di cosa significasse il vero piacere.
-Io- dissi a gran voce mettendomi in piedi attirando così l’attenzione su di me –Io offro tutto quello che questi uomini e queste donne hanno nelle tasche, per lei- sibilai infine mettendo su un sorriso malizioso e brillo.
-Non prendermi in giro, ragazzo!- sbottò l’uomo dall’aspetto malconcio, emanava un tanfo di sudore e fumo che avrebbe potuto far salire le lacrime agli occhi persino ad uno come me.
-Non la prendo in giro, straccione- ribattei scrollando le spalle e muovendomi verso di lui che mi guardò irritato.
-Levati di mezzo e non avrai guai, moccioso!- gridò stringendo la presa sulla figlia e sputando a terra.
-Accetta o no la mia offerta?- domandai alzando un sopracciglio e sfidandolo con lo sguardo.
-Prima voglio vedere i soldi- esordì infine spalancando gli occhi grigi credendo di avermi in pugno. In risposta allargai maggiormente il mio sorriso prima di sentire il gelo crescere in me e raggiungere i miei occhi, occhi che divennero bianchi come la neve. Vidi Frank schiudere le labbra sorpreso, poi mi voltai verso il primo uomo che trovai alla mia destra. Alzai la mano e con un semplice movimento di polso scaraventai il tizio contro il muro, tanto forte da creare una crepa, e, con un cenno del capo, svuotai le sue tasche, così la sala si riempì del suono delle monete che cadevano al suolo. Quando ebbi finito osservai l’uomo spiaccicato al muro e gli sorrisi tagliente, divertito, prima di indurire lo sguardo e con esso anche il sangue che gli scorreva nelle vene. Lo vidi diventare violaceo, poi la sua pelle prese a cristallizzarsi lentamente, molto lentamente, fino a quando non si trasformò in una statua di puro ghiaccio. In quel momento, senza alcuno sforzo, strinsi la mano a pugno e ciò bastò a distruggere quello che restava di quell’uomo. Ci fu un’esplosione di schegge e subito dopo il caos. C’erano donne che gridavano, uomini che tentavano di raggiungere la porta per fuggire ed io ridevo per quella scena. Con un unico gesto svuotai le tasche di ogni presente, senza risparmiare nessuno, ascoltai il rumore dei soldi colpire le tavole di legno del pavimento, poi sorrisi soddisfatto. Notai un uomo che era riuscito a raggiungere la porta credendo di poter scappare, illuso. Mi materializzai davanti a lui, il quale aprì la bocca nel tentativo di urlare, ma da essa non uscì altro che qualche lamento incomprensibile. Soffocai una risata e sentii la fame crescere in me. Probabilmente il mio viso era cambiato data l’espressione sconvolta del tipo che riuscì a gridare. Era esattamente ciò che volevo, dargli una morte da urlo. Mi fiondai sul suo collo e succhiai andando sempre più a fondo, sempre più veloce, fino a staccargli la testa due secondi dopo. Mi leccai le labbra desideroso di altro sangue, poi misi a fuoco un uomo che stava correndo contro una finestra più in alto. Era in procinto di distruggerla, ma fui ovviamente più veloce. Lo fermai a mezz’aria, afferrandolo per il collo della maglia bucata scaraventandolo al suolo. Mentre attendevo che quello si rimettesse in piedi infilai una mano nel petto di un tizio che continuava ad infastidirmi con le sue urla terrorizzate, strappandogli via il cuore che congelai l’attimo dopo, riducendolo poi in un milione di frammenti taglienti. Tornai sull’altro uomo, che intanto cercava ancora di tenersi in piedi su quelle gambe luride che tremavano come foglie. Mi irritò, così non aspettai oltre: gli bucai la vena principale con i miei canini aguzzi, bevvi il suo sangue, ma mi fermai solo per avere il piacere di sentirlo urlare mentre gli regalavo una fine straziante. Così afferrai il suo collo tenendogli il volto rivolto verso il basso, portai il capo all’indietro e affondai i denti nella sua nuca, rompendogli l’osso e staccandogli la testa che poi rotolò a terra.
Raggiunsi una donna che si nascondeva sotto un tavolo, il quale finì dall’altra parte della sala il secondo dopo, e la tirai su per la gola. Piangeva, poverina.
-Sei un… un mostro- balbettò tra le lacrime mentre si dimenava. Le sue parole mi fecero rabbia, le sembravo un mostro a tal punto da non riuscire a guardarmi in faccia e dato che era davvero quello ciò che voleva, l’avrei accontentata. Costrinsi i suoi occhi nei miei e piano li privai della loro luce, assorbendo ogni singola forma, rendendole tutto nero. Prese a divincolarsi urlando e piangendo la perdita improvvisa della sua vista, e risi fino a quando non tentò di tirarmi un calcio. Fu a quel punto che l’ira si impossessò di me. Strinsi più forte la presa sul suo collo, tanto da renderle il viso violaceo mentre non una parola riusciva più ad uscire dalla sua bocca, poi ne ebbi abbastanza: con un pizzico di pressione in più le staccai la testa ed il suo corpo cadde per terra con un tonfo sordo. Avevo perso fin troppo tempo con lei e nella sala restavano ancora una donna e due uomini, senza contare quell’essere schifoso che era Franck. Mi diressi verso il primo tizio che mi capitò, lo afferrai per la testa e lo piegai in due, spezzandogli la spina dorsale. Non mi fermai ad ammirare il mio lavoro con lui che presi la donna per il collo, la tirai indietro e poi la scagliai dall’altra parte della sala. Mentre quella era ancora in volo, afferrai una sedia e staccai da essa due delle sue gambe che subito dopo lanciai e che andarono a conficcarsi, in tempo assolutamente perfetto, nel petto e nella testa della donna, la quale rimase appesa al muro così. Avrei voluto immortalare quella scena, ma me ne mancava uno ancora. Quel poveretto non tentava neanche più di fuggire, si era rannicchiato in un angolo piagnucolando e implorandomi di risparmiarlo. Tutto fiato sprecato. Lo tirai su per il collo, fissai i miei occhi nei suoi e feci ciò che desideravo fare, ovviamente non prima di avergli svuotato le tasche. Lo vidi boccheggiare e muoversi a scatti nervosi, il secondo dopo ecco che il sangue prese a fuoriuscirgli dalla bocca come un vulcano in eruzione. Solo quando vidi l’anima sparire dalle sue iridi scure lo lasciai andare, ormai vuoto e morto.
-Bene, Franck- dissi pulendomi le mani gocciolanti di sangue fresco con un fazzoletto da taschino –Ha i suoi soldi- continuai voltandomi a guardarlo, fermandomi esattamente di fronte a lui, rimasto paralizzato dall’episodio piacevolmente sanguinario, tutto quello che riuscì a fare fu gettare sua figlia ai miei piedi, incurante di ciò che ne avrei fatto. Sorrisi ed aprii le braccia rivolgendo i palmi verso l’alto, così facendo ogni singola moneta caduta sul pavimento salì nell’aria rimanendo sospesa –Ora li prenda- esordii infine e con un unico gesto delle mani tutti quei soldi volarono, veloci e potenti come me, verso Franck che urlò l’attimo prima di essere attraversato in ogni singolo punto del corpo dai ogni singola moneta. Fu la sua ultima azione, deplorevole come lui.
A distrarmi dal mio godere a quella vista furono i gemiti strozzati dai singhiozzi di Rose, ancora stesa sul pavimento. Mi inginocchiai posando le mie mani sulle sue spalle nude: tremava. La feci voltare e fu in quel momento che i suoi occhi pieni di lacrime si posarono su di me. Schiuse le labbra rosee e tirò su col naso.
-Sei… sei l’abominio- balbettò e anche se la sua non era una domanda io annuii lo stesso spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio, la mia fama mi precedeva, amavo essere il protagonista degli incubi altrui –Vuoi uccidermi?- chiese lasciandosi sfuggire un’altra lacrima.
-Oh, Rose- cominciai passandole un dito sulle labbra piene –Ti prometto che sarò veloce, devi solo fidarti di me- dissi fissandola diritto negli occhi che vidi divenire ancora più rossi e lucidi. Ma poi il suo capo fece su e giù, annuendo silenziosamente. Le sorrisi ancora prima di avventarmi sul suo collo e bere il suo giovane, dolce sangue.
Ero assetato.
Ero Justin.
Ero l’abominio e amavo esserlo.

Fu all’ora che spalancai gli occhi e vidi il cielo coperto di nuvole che si distendeva sulla radura sovrastarmi. E fu all’ora che finalmente riaprii gli occhi dopo che mi era sembrato di averli tenuti chiusi per secoli.


 
Sono tornata!!!

A confronto mi sono fatta attendere meno per il seguito che per un nuovo capitolo. Mi sembrava giusto pubblicarlo oggi nonostante io abbia avuto dubbi nel farlo dati i problemi con le idee, ma soprattutto con il banner che, alla fine, sono riuscita a realizzare. Che ne dite? Vi piace? Non siate crudeli, prego ;) Ma mi interessa di più la vostra opinione sul prologo onestamente, penso comunque che non ve lo aspettavate un Justin del genere, quasi peggio di quando era posseduto da Peter!
Beh lascio che siate voi a giudicare e vi aspetto in tanti, mi raccomando fatevi sentire, ho sempre bisogno dei vostri pareri :) 

Baci

Alena18 xxx

P.S. Questa è la mia nuova OS Halloweeniana dal titolo "Madhouse"
 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3300935&i=1
 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo uno: Rosso Sangue. ***


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“La vita non è altro che una maledizione senza fine.”
 
Vedevo tutto molto più chiaro, i colori erano più accesi, gli odori più pungenti, i rumori più forti. Ispirai a fondo, riempiendomi i polmoni d’aria fresca, aria che profumava di pino, di inverno; chiusi gli occhi e mi concentrai su ogni piccolo suono che mi circondava ed udii lo sbattere delle ali di un uccellino nascosto fra i rami di un albero, sentii il gracchiare dei corvi e il fischio del vento che mi avvolgeva il corpo; riaprii gli occhi e sbattei le palpebre più volte, mi guardai intorno, guardai gli alberi imponenti, le foglie secche volteggiare nell’aria, le nuvole grigie ammassarsi l’una sull’altra e, dopo secoli, mi sentii di nuovo forte, forte veramente, percepii di essere invincibile, percepii il desiderio di essere ciò che ero, percepii il mio corpo pieno di ferite invisibili, ma privo dei segni di una sconfitta, percepii di essere di nuovo io, percepii di essere l’abominio. E non c’era sensazione migliore.
Muovere anche solo le dita delle mani mi faceva sentire potente, finalmente potevo avvertire la vita in tutta la sua bellezza, finalmente potevo avvertire familiarità con ogni singolo muscolo perché sì, quello era il mio corpo, il mio vero corpo. Nient’altro aveva importanza.
Con estrema facilità e prontezza mi misi a sedere, la schiena diritta, i muscoli tesi e mi beai ancora di quella sensazione di invincibilità di cui avevo quasi perso il ricordo. Mi osservai attorno e fu all’ora che realizzai veramente dove mi trovassi. Ero nella radura, l’erba che spuntava attraverso la neve era scura, su di essa giacevano sparsi dei corpi. E ricordai. Ricordai l’ansia, la paura, il senso di debolezza. Ricordai Cameron e Peter compiere l’incantesimo, Ester morta e ricordai lei, Maya. La rividi stesa in mezzo ad una pozza di sangue, il suo sangue, le mani giunte in grembo, il corpo freddo e tremante, gli occhi spenti dal dolore. E sentii ancora il soffio leggero del suo debole respiro, il lento battito del suo cuore, il sussurro che era diventata la sua voce mentre mi offriva il suo sangue, mentre mi offriva una vita, una possibilità. Scrutai per bene ogni singola figura, ma non mi sorpresi nel constatare che Cameron non ci fosse, così come Ester, probabilmente si erano ripresi prima di me. Ma quando i miei occhi caddero sul corpo di Peter, quel corpo che avevo tanto odiato, quel corpo che era stato la mia prigione per due secoli, la rabbia si fece viva in me, era incontrollabile, lo era sempre stata e a me piaceva lasciarmi trasportare da ciò che sentivo. E avrei fatto a pezzi quel maledetto corpo ancora privo di sensi se il mio sguardo non avesse incontrato la versione spenta e senza vita di Maya, poco distante da me. In quel momento sentii il mio cuore battere, era l’unica cosa che avevo sempre ignorato quando ero l’abominio, ma adesso sembrava così assordante, così rumoroso ed insistente, quasi faceva male. Non riuscii, per queste ragioni, ad ignorarlo. Velocemente mi avvicinai alla sua figura, pallida e fredda, la osservai e sentii un’altra cosa ancora, una di quelle cose che mai mi era capitato di avvertire durante la mia esistenza da abominio, io sentii dolore. E non c’era sensazione peggiore.
Strinsi i denti e allungai una mano, esitai prima di posarla sul viso di Maya. Poteva sembrare assurdo, ma anche da morta riuscivo a percepire il suo calore bruciare contro la mia pelle gelida. La guardai e capii che non lo meritava, la guardai e provai odio. Odio verso Peter. Odio verso Cameron, verso Ester, verso Jace e odio verso me stesso.
Fu in quell’esatto istante, quando il sangue mi ribolliva nelle vene per la rabbia, che udii dei rumori. Erano dei passi, qualcuno che correva, qualcuno il cui respiro era pesante ed il cui cuore tamburellava contro il petto pompando paura, pompando sangue. Sorrisi perché capii di chi si trattasse e non avrei perso l’occasione di andare a salutare una vecchia conoscenza. Attraversai veloce come la luce la radura raggiungendo la foresta e, solo pochi secondi dopo, gli fui di fronte. Lo vidi fermarsi di scatto, i suoi occhi azzurri si spalancarono per lo stupore, il suo cuore si bloccò di botto per la paura, le sue labbra si schiusero ed io sorrisi compiaciuto nel vedere quella scena.
-Justin- riuscì a pronunciare mentre il suo petto non smetteva di alzarsi e abbassarsi freneticamente.
-In carne e anima, Cameron- risposi allargando ancora di più il mio sorriso.
-Allora ce l’ha fatta- esordì e lo vidi rilassarsi apparentemente –Maya è riuscita ad effettuare lo scambio pur essendo in punto di morte. Devo dire che non me lo aspettavo, l’avevo sottovalutata- continuò questa volta con fare più sfacciato –Tutti noi l’avevamo sottovalutata-.
-Dove vorresti andare a parare, Poniard?- chiesi assottigliando lo sguardo, non comprendendo fino a che punto arrivasse la stupidità di quel ragazzo che osava sfidarmi proprio in quel momento.
-Io? Da nessuna parte, Bieber. Dico solo che adesso sarai soddisfatto, sì, insomma, guardati. Sei di nuovo tu, sei il peggiore eppure lei ha sprecato i suoi ultimi respiri per quell’incantesimo, ha consumato i suoi ultimi battiti per te- affermò mentre sosteneva il mio sguardo –Devi aver recitato una parte da oscar per essere riuscito a conquistare il suo cuore in così poco tempo- proseguì ed io strinsi i pugni dall’irritazione sentendo il gelo crescere in me e notando il ghiaccio formarsi sulla corteccia ruvida degli alberi circostanti –O forse, lei è una ragazza piuttosto fragile e flessibile, non so se mi spiego- sorrise strafottente e non resistetti più. Alzai le mani di fronte a me e decine di schegge di ghiaccio a forma di ago sfrecciarono contro Cameron che prontamente le schivò. Io però ero più veloce. Scattai e l’istante dopo scaraventai lo stregone contro un albero digrignando i denti.
-Mossa sbagliata, Poniard. Provocarmi proprio adesso e per giunta con la consapevolezza che dalla tua parte hai soltanto gli elementi. Non sei nemmeno più un vero stregone e mai hai meritato di esserlo, razza di bastardo- sbottai e lo schiacciai più forte contro il tronco massiccio.
-Vorresti farmi credere che ti importi qualcosa di lei? Oh, andiamo! L’unica persona a cui ti interessi è te stesso- sputò allungando il collo più vicino al mio viso, sfidandomi.
-Tu non sai niente di me, so essere spietato persino con me stesso- sibilai tenendo stretti i denti.
-È speciale, non è vero? Maya, intendo, è riuscita a far provare qualcosa anche a te, l’abominio- disse, adesso più calmo, quasi nostalgico, atteggiamento che mi irritò maggiormente. Spostai il mio braccio, che fino ad all’ora avevo tenuto sul suo petto, sotto il collo di Cameron, premendo forte.
-Era, bastardo, lei era speciale!- sbottai serrando le labbra e notando il viso dello stregone arrossarsi mentre ridacchiava e scuoteva la testa lentamente.
-Dille che mi dispiace per come sono andate le cose- pronunciò improvvisamente serio ed avvertii il sangue andarmi alla testa al suono di quelle parole senza senso.
-Ti dispiace? Ti dispiace, dici? Tu l’hai uccisa, sei stato tu e lei era sangue del tuo sangue!- sbraitai e già mi immaginavo le torture che gli avrei inflitto per il modo in cui mi stava parlando, per ciò che stava dicendo su di lei.
-La vita è più di una linea di sangue che collega due persone- mormorò facendo poi un colpo di tosse, ma sorridendo l’istante dopo. Era troppo, era sempre stato troppo, ed io non mi sarei più contenuto.
-Ti do una notizia, Poniard- sibilai assottigliando lo sguardo ed avvicinandomi al suo volto –La vita è soltanto una linea di sangue destinata a spezzarsi- e con quelle parole gli saltai al collo, lo morsi e scordai tutte le macchinazioni, tutte le torture, semplicemente bevvi sangue umano per la prima volta dopo secoli. Era caldo, dolciastro, vivo e l’avrei succhiato via tutto, ma volevo che lui mi vedesse mentre gli toglievo la vita. Mi staccai reprimendo tutti i miei istinti e lo fissai, il suo sguardo era quasi spento, assente, ma mi vedeva, sapevo che poteva vedermi. Sorrisi prima di spezzargli il collo di netto. Dopo di ché, sparii.
 
Ero ai margini del bosco, pochi alberi mi separavano dalla radura, non sapevo esattamente perché stessi tornando lì, ma non sapevo nemmeno perché invece non avrei dovuto farlo. Ripensavo, stranamente, a Cameron. Non mi pentivo affatto di averlo ucciso, lo avrei rifatto altre mille volte, ma le sue parole continuavano a tornarmi alla memoria. Lei era morta, questa era una cosa tremendamente reale, e non avrei potuto provare a ringraziarla. Perché se c’era una cosa che avevo imparato a conoscere in quei due secoli nel corpo di un altro, era la freddezza bruciante della solitudine. Non c’erano più soddisfazioni, né vittorie, né battaglie, né sangue, né forza, non avevo più neanche una vera forma, e per quanto potessi rifiutarmi di ignorare ogni cosa, alla fine era sempre e solo la mia anima ormai svuotata da tutto. Lei mi aveva dato speranza, in qualche modo, e, in un’altra maniera ancora più sconosciuta, non mi aveva deluso. Lei mi aveva ridato forma, ma adesso non riuscivo a capire se era quella esatta, non mi aspettavo di sentirmi come mi sentivo in quel preciso istante, non mi credevo neanche capace di pensieri profondi. Era strano, ma forse lei mi avrebbe aiutato. Ed io non glielo avrei permesso.
Scossi la testa e mi feci spazio tra i rami appuntiti, un secondo dopo ero nella radura, dall’altra parte una sagoma scura trascinava barcollante un corpo. Fui invaso dalla rabbia, mi partiva dalla punta delle dita, correva attraverso le vene e raggiungeva il cuore, infiammandolo di odio. Arricciai le labbra e scoprii i canini prima ancora di materializzarmi esattamente di fronte a colui che mi aveva portato via tutto. Lo vidi fermarsi di colpo alla mia vista, la sua postura era stanca, il suo sguardo freddo.
-Peter- sibilai stringendo forte i pugni, l’unica cosa che mi tratteneva dall’attaccarlo era il corpo di Maya che, senza vita, stringeva al suo fianco.
-Justin- disse e potei giurare di avvertire provocazione nella sua voce, era un tono che non aveva nulla di spaventato, non c’era traccia di sconfitta in esso, eppure era andata esattamente così, io avevo vinto, io ero io, di nuovo, non era lui il vincitore.
-Lasciala- affermai duro e lui sorrise sfacciato, proprio come poco prima aveva fatto Cameron.
-Forse non l’hai notato, ma è morta- spiegò allargando la sua smorfia, ridacchiando leggermente. Ero disgustato da quel corpo che per secoli era stato mio e avrei voluto farlo a pezzi.
-Lasciala, ho detto- ripetei e la voce mi uscì più profonda e cupa, stava emergendo il mio lato oscuro, quello che non potevo controllare. Lui fece come gli avevo detto, e la lasciò. Il corpo di Maya cadde a terra con un tonfo sordo e la neve si macchiò di sangue. Non mi contenei, mi scagliai contro Peter e, con una spinta, lo scaraventai a qualche metro da dov’eravamo. Emise un lamento soffocato, ma non gli avevo fatto veramente male, quello era il minimo.
-Oh, andiamo! È questo il meglio che sa fare l’abominio?- mi istigò cominciando a rimettersi in piedi. Arrivai da lui, gli sferrai un pugno in viso e un calcio allo stomaco. Il secondo dopo era a terra che gemeva e tossiva, sputando sangue.
-Mi sto riscaldando, bastardo, il meglio deve ancora venire- sputai dandogli un calcio sulla schiena, bloccando il suo tentativo di alzarsi.
-Non mi fai paura, Bieber- sogghignò mostrando una fila di denti macchiati di rosso.
-Vorrà dire che sarà l’ultima emozione che ti regalerò, prendilo come un piccolo presente firmato l’Abominio- pronunciai prima di afferrarlo e scaraventarlo lontano. Lo raggiunsi e sorrisi alla vista di lui impotente –Sai, mentre ero nel tuo lurido corpo, ho pensato di togliermi la vita tante volte, ma non l’ho mai fatto, e sai perché?- chiesi retorico, ma lui mi rispose comunque.
-Perché sei un codardo- pareva certo delle sue parole e così mossi qualche passo più vicino a lui che ancora era steso sulla neve, il viso sporco e ferito, gli occhi puntati su di me.
-Perché aspettavo questo momento, il momento in cui avrei fatto questo- dissi e posai il piede sul suo indice premendo forte e ascoltando lo scricchiolio delle ossa misto al gemito dello stregone –E questo- continuai stavolta posizionando l’intera suola della mia scarpa sulla sua mano schiacciandola, rompendola. E Peter urlò, fu breve, ma gratificante. –Ah, quanto vorrei torturarti, spezzare ogni singolo osso del tuo misero corpo e guardarti morire lentamente, ma il desiderio di ucciderti è troppo forte, mi capisci, vero?- domandai sorridendo cinico, mi sentivo insormontabile, avevo di nuovo la vita nel palmo della mano.
-Vuoi davvero farlo?- chiese lui boccheggiando in cerca d’aria –Vuoi davvero uccidermi?- e se possibile quella domanda mi irritò ancora di più.
-Ci puoi scommettere- ribadii secco.
-Io aspetterei a farlo- consigliò, come se avessi tenuto in considerazione ciò che aveva intenzione di dirmi.
-Due secoli sono davvero un lungo periodo d’attesa- sibilai ed infilai una mano nel suo stomaco. Lui gridò muovendosi a scatti sotto di me, poi strinse le sue dita intorno al mio polso mezzo sporco del suo sangue e si tirò più vicino al mio volto.
Senza molta aria riuscì a sbiascicare qualche parola –Uccidimi e non la riavrai mai più-. E per qualche strana e ignota ragione mi bloccai. Restai a fissarlo per qualche secondo, per la mente mi passava di tutto e allo stesso tempo niente, poi scoprii i canini e spalancai gli occhi rossi stringendo il pugno nella pancia dello stregone.
-Non giocare con me- sputai e lui sorrise leggermente.
-Sapevo che non mi avresti ucciso- sogghignò tossendo subito dopo.
-Posso ancora farlo- dissi a denti stretti –Voglio ancora farlo-.
-Ma non lo farai, io posso ridarle la vita- mi sfidò e avrei voluto strappargli subito il cuore, ma c’era sempre una via di fuga, ero stato testimone di molte morti e nella stessa gente morta avevo visto la vita, di nuovo. Niente era mai stato come sembrava. Perché non quella volta?
Tolsi la mano dal suo corpo e lo afferrai dalla camicia sporca, era in uno stato disgustoso, tutto grazie a me… e a Maya. Ora era giunto il momento di tornarle il favore. Così mi morsi il polso che subito dopo premetti contro la bocca di Peter affinché guarisse, non potevo credere di star facendo ciò, ma le dovevo la vita.
-Bevi, bastardo- sibilai contenendo gli istinti sovrumani –E riportala indietro-.      
 
 
Oh oh oh *risatadaBabboNatale*!
Lo so, sono già partita male, due mesi di ritardo e siamo solo al primo capitolo, sono un’inguaribile ritardataria, colpevole Babbo Natale!
Eh, allora, come vi è parso questo primo capitolo? A parte sanguinoso (ma non quanto il prologo), si intende. So che c’è ancora molto, molto mistero, mi sto portando avanti ancora tutti quei punti irrisolti della prima parte, e non vi dico quanto ancora c’è da scoprire su questo secondo nucleo della storia, uff, devo cominciare a giocare a carte più scoperte, altrimenti va a finire che mi imbroglio anch’io, ma non preoccupatevi, farò del mio meglio per far sì che tutti voi capiate ciò che accade;)
Bene, vi lascio al vostro anno nuovo e a proposito di questo vi faccio tanti auguri e vi auguro anche tanta fortuna e felicità!

A presto e recensite, mi raccomando:)
Baci

Alena18 xxx

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Capitolo 3
*** Capitolo due: Il Regno di Mezzo. ***


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                                                                         “Gli occhi vedono ciò che l’inganno
 desidera mostrare.”
Jace

-Vuoi dirmi dove stiamo andando, Jace?- mi domandò la sua voce, quella che negli ultimi secoli aveva echeggiato fra le pareti della mia mente, in ricordo di un tempo lontano, felice.
-Devi fidarti di me, Ester- le risposi stringendo più forte la presa sulla sua mano. L’avevo fatto per interi decenni, tenere le sue dita intrecciate nelle mie, ma era una sensazione decisamente migliore sentirle calde, vive, anziché gelide e prive di vita.
-D’accordo, ma perché questa fretta?- chiese mentre, con la coda dell’occhio, la vidi guardarsi intorno con occhi spalancati, attenta a non perdersi neanche un dettaglio di quel mondo che l’aveva tagliata fuori per tempo immemore.
-Per proteggerti- tagliai corto, camminando con passo più veloce, attraversando la foresta che pareva più insidiosa del solito.
-Non ne ho bisogno- sbottò, tentando di sottrarsi alla mia presa. Era sempre la stessa, esattamente come la ricordavo, testarda e decisa, ma avvertivo in lei un cambiamento, qualcosa che le dava l’aria di una donna, non più di una quasi diciassettenne come mostrava il suo aspetto poco più giovane del mio.
-Questa reazione dimostra quanto tu sia rimasta indietro con il mondo e, soprattutto, con i mostri- ribattei, evitando di voltarmi, sapendo che, se l’avessi fatto, indubbiamente sarei rimasto a fissarla, recuperando ogni secondo perduto negli ultimi secoli.
-Anche noi siamo dei mostri, Jace- continuò, alzando il passo ed affiancandomi.
-È diverso- borbottai, roteando gli occhi al cielo.
-Niente affatto- disse, poi la sentii sospirare –Jace, dobbiamo parlare- cominciò, ma quello decisamente non era il momento.
-Non ora, Ester- sbottai, ansioso di raggiungere la mia meta.
-Allora quando?- chiese esasperata.
-Quando non sarai esposta alla morte come lo sei in questo preciso istante- sibilai, più determinato che mai a portarla al sicuro.
 
Justin

Anche l’ultima serratura scattò e il suo rumore echeggiò tra quelle quattro umide e sudice pareti. Mi accertai che le catene tenessero e quando ne fui certo portai il mio sguardo su Peter, inginocchiato davanti a me con i polsi legati e l’aria distrutta. Sorrisi a quella vista.
-Potrei abituarmici- dissi, passandomi la lingua sulle labbra –Osservarti mentre sei piegato al mio potere- continuai girandogli intorno, come fa uno squalo con la sua preda –E forse potrei farlo, se il mio desiderio di ridurti a brandelli non fosse più forte di qualsiasi altra cosa- sputai, digrignando i denti, combattendo contro ogni singola cellula del mio corpo che mi suggeriva di staccargli la testa.
-Non più forte del desiderio di riavere Maya, dico bene?- biascicò con voce roca mentre un altro colpo di tosse lasciò la sua bocca.
-Ti ho forse dato il permesso di parlare?- sibilai al suo orecchio, reprimendo l’impulso di strapparlo via a morsi.
-Non mi serve- mi affrontò, alzando il suo sguardo nel mio, rosso come il sangue che gli scorreva nelle vene.
Sorrisi beffardo prima di avvicinarmi al suo viso, sfidandolo –Sembra davvero che tu tenga poco alla tua vita-.
-Una vita che tu mi concederai di vivere se ti riporterò Maya, giusto?- ribatté, sapendo dentro di sé che una cosa del genere non sarebbe mai accaduta –Come lo sapevi?- chiese poi d’un tratto.
-Come sapevo cosa?- stetti al suo gioco, allontanandomi e passeggiando distrattamente per la cella dove l’avevo portato. Quelle segrete non mi piacevano, ma erano sicuramente il luogo più sicuro che mi venisse in mente in quel momento.
-Oh, andiamo! Non far finta di niente- disse, ma quando capì che io non avrei risposto alla sua domanda decise di continuare –Poco fa mi hai dato il tuo sangue- cominciò e attese ancora un mio intervento, che però non arrivò –Ma è risaputo che il sangue dell’abominio è mortale per chiunque lo beva- spiegò, mantenendo un tono di voce calmo –Nelle tue vene scorre veleno, un veleno che non mi ha ucciso. La mia domanda è: come sapevi che non sarei morto bevendolo?- parlò in modo diretto, convinto che io gli avrei dato delle spiegazioni, ma si illudeva se pensava sul serio che avrei risposto alla sua domanda.
-Non lo sapevo- tagliai corto, facendo spallucce, come se la cosa non mi toccasse per niente. 
-Stai mentendo- affermò, la voce ferma, le parole decise –Non avresti rischiato di uccidere l’unico mezzo per riavere Maya- replicò, determinato a sapere di cosa fossi a conoscenza.
La sua aria di sfida, il suo essere così insistente, mi irritò e non mi resi conto neanche di essere a pochi centimetri da lui con i canini messi in bella mostra –Hai già bevuto una volta il mio sangue, ricordi? Ti ho visto, non sono stupido- sputai, indietreggiando piano, controllando i miei istinti, respirando a fondo mentre Peter mi osservava, capendo di dover restare zitto –Adesso smettiamola con i misteri e dimmi come hai intenzione di riportare in vita Maya- ordinai, passandomi una mano fra i capelli, continuando nella battaglia contro me stesso e la mia natura.
-Non lo hai ancora capito?- domandò, ma quando notò la mia occhiata fulminante smise con i giochetti –Se con un incantesimo sono riuscito ad ucciderla riportando in vita Ester, posso fare lo stesso con Maya- rivelò, ma le sue parole non fecero altro che farmi infuriare maggiormente.
-Quindi mi stai dicendo che basterebbe fare quello che hai fatto con Maya non più di qualche ora fa- ribadii, cercando poi di non esplodere e trasformarmi in una macchina per uccidere –Ma questo richiederebbe avere Ester, dico bene?- dalla mia voce traspariva il fastidio, ma tentavo di sopprimerlo.
-Esatto- rispose annuendo.
-E cosa aspetti a trovarla, razza di idiota?!- sbraitai, sentendo l’abominio crescere dentro di me.
-Mi serve il suo sangue per localizzarla- spiegò e mi sentii maggiormente preso in giro al suono di quelle parole.
-Sappiamo entrambi che ci sono mille modi per localizzare una persona, quindi smettila di giocare e comincia a guadagnarti il tempo che ti lascio vivere!- sibilai e fui certo di aver reso l’idea. Lo vidi chiudere gli occhi, sospirare per poi prendere a pronunciare un incantesimo sottovoce. Qualche secondo più tardi la sua fronte si corrugò ed alzò le palpebre con aria stranita.
-Non riesco a vederla- esordì e, mi costava ammetterlo, ma dalla sua faccia confusa percepivo che stava dicendo la verità. 
-Prova ancora- ordinai e lui fece come detto, ma un istante dopo il risultato era sempre lo stesso –Cerca Jace, allora. Probabilmente sarà con lui- ipotizzai cominciando ad innervosirmi. Tentò di nuovo, ma la sua espressione pochi secondi dopo mi rivelò già quale sarebbe stato il verdetto.
-Niente- sussurrò –Sono come spariti dalla faccia della Terra-.
 
Jace

-Dove siamo?- mi domandò Ester, senza mai smettere di osservare con estrema attenzione ogni singolo oggetto che si ritrovasse davanti.
-Al sicuro- risposi, cercando poi di rilassarmi.
-Vuoi darmi una risposta chiara, per favore?- si voltò a fissarmi, lo sguardo severo e curioso.
-Siamo sotto il mio castello- le dissi ciò che desiderava tanto sapere e la sua faccia si contorse in una smorfia confusa.
-Come?-
-Siamo esattamente nel mio castello, ma sottosopra- pronunciai, ma dalla sua espressione capii che non aveva compreso le mie parole –Il mio castello fluttua su un’enorme roccia a forma di triangolo capovolto- cominciai e la vidi concentrarsi su ciò che dicevo –Ecco, noi siamo proprio in quel pezzo di roccia- spiegai e lei annuì cominciando a capire –Forse dovrei dire che ci siamo, ma non ci siamo- aggiunsi infine. 
-E con questo cosa vorresti dire?- domandò palesemente infastidita da sé stessa, lei che non aveva mai avuto bisogno di fare domande, lei che sapeva tutto, o quasi.
-Voglio dire che siamo invisibili a tutto e tutti. Questo è il Regno di Mezzo, il mio regno e faccio io le regole- affermai con un mezzo sorriso –Credimi quando ti dico che qui sei al sicuro-.
-Ti credo- esordì lei e per un attimo mi sentii amato, mi sentii creduto veramente. Poi la vidi sospirare, divenne seria ed i suoi occhi erano scuri quando li posò sui miei azzurri –Ho bisogno di parlarti, Jace- cominciò e rammentai poco prima nel bosco, la sua richiesta di parlarmi, il mio rifiuto –Non posso più mentire, almeno a te devo dire la verità-.
 


Buonsaaalve!
Sembra proprio che io stia cercando di battere il mio stesso record lol:) Non esiste al mondo persona più lenta e ritardataria di me, dovete avere pazienza;)
Allora, come vi è parso questo nuovo capitolo? Ci sono diverse cose strane, e ce ne saranno molte altre ancora, ma preferisco procedere con calma in modo tale che possiate capire cosa accade. Ma come sono gentile, ahahah:)
Bene, che dire? Ringrazio tutti coloro che continuano a seguire questa storia a dir poco contorta e… recensite!:D
A presto!
Baci
Alena18 xxx

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Capitolo 4
*** Capitolo tre: Frammenti di cuore. ***



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“Quell’organo vuoto che da decenni si trascinava dentro,
per un solo attimo, sbatté contro la cassa toracica.”
Justin

-Non è possibile!- urlai stringendo i miei corti capelli in un pugno –Non possono essere scomparsi da un momento all’altro, non possono!- sbraitai ancora lanciando una vecchia sedia di legno contro il muro, un secondo dopo quella era ridotta ad un mucchio di legna da ardere.
-È quello che è successo invece!- gridò Peter a sua volta –Sono spariti e non possiamo fare nulla- abbassò il tono, ma il suo sguardo rimase saldo nel mio.
-No- sibilai –No, no, no!- sferrai un calcio al muro e subito dopo dei frammenti di cemento scivolarono al suolo –Tu non puoi fare nulla, perché sei un maledetto incapace!- sputai puntandogli un dito contro –Io posso, invece-.
-Io non credo- borbottò Peter fra i denti, ma io lo sentii lo stesso.
-Sono l’abominio, solo schioccando le dita potrei ucciderti, quindi faresti meglio a stare zitto- sputai respirando poi a fondo per calmare la furia che era in me. Chiusi gli occhi e mi concentrai, mi era sempre venuto tutto molto naturale, era parte di me, era la mia stessa essenza, non dovevo sforzarmi. Ma lo feci e, nonostante tutto, non ci riuscii, non vidi assolutamente nulla, solo buio. –Dannazione!- urlai andando via da quella putrida stanza.
 
Jace
 
-Io non posso crederci, Ester!- sbottai per quella che doveva essere la milionesima volta –Davvero, non posso- smisi di andare avanti e indietro e mi fermai a guardarla –Tu mi hai mentito, mi hai sempre mentito, hai mentito spudoratamente a tutti per decenni!- esclamai mentre le sue parole, tremendamente inaspettate, mi rimbombarono nella mente ancora una volta –Hai idea di quello che significa per te? Io credo di no- pronunciai fermo, trattenendo la rabbia e l’inquietudine.
-Jace, l’ho fatto perché non avevo scelta- tentò di giustificarsi.
-Ma tu non hai i poteri, Ester! Non li hai e ti uccideranno per questo- ribattei stringendo i pugni per l’oppressione che sentivo crescermi nel petto.
-Mi avrebbero ucciso comunque, sono destinata a morire infondo- osservò lei con tono piatto, vuoto, arrendevole, non da lei.
-Ed è qui che ti sbagli, perché se solo tu non avessi mentito, se solo tu avessi detto la verità invece di fare quello che hai fatto, adesso saresti felice, viva e non ad un passo dalla morte!- affermai –Cielo, perché lo hai fatto?!- sbraitai ancora passandomi le mani fra i capelli, tirandoli leggermente.
-Io non avevo scelta, Jace!- ribadì gridandomi contro.
-Ce l’avevi una scelta! Tu avevi me!- urlai più forte –Ma evidentemente non ti bastavo- arrivai da solo alle mie conclusioni e ancora una volta quella certezza faceva male –Non ti sono mai bastato e non ti basterò mai, ma io ti amo ed è esattamente questo che non basta a lasciarti andare- dissi quelle parole fissandola negli occhi, con la segreta speranza che lei mi potesse ricambiare, che lei potesse scegliere me, ancora una volta. Ma lei restò ferma, nel bel mezzo della stanza, senza dir nulla, guardandomi con lo sguardo di chi stesse osservando un povero cucciolo indifeso. Tirai un sospiro, sconfitto di nuovo da me stesso, ma non persi di vista il punto della situazione –Nessuno sa che i poteri per i quali sei stata riportata in vita non li hai mai avuti tu e nessuno dovrà saperlo- ragionai sul da farsi –O siamo praticamente morti-.
 
Justin
 
Ero lì da ore probabilmente, da quando il sole era alto nel cielo e in quel momento aveva appena toccato la linea dell’orizzonte. Ero lì per nessun motivo in particolare. Ero lì con la fronte poggiata contro la porta e gli occhi serrati. Ero lì senza sapere se sfondare quella dannata porta oppure lasciar perdere e andare via. E dopo ore decisi, ma non optai per nessuna delle due. Semplicemente poggiai la mano sulla vecchia maniglia di ottone, aprendo lentamente l’uscio. Il buio riempiva la stanza fredda e fui tentato di restare esattamente così, nel vuoto nero, ma il pensiero di vederla mi solleticava la mente e le luci si accesero da sole, seguendo un mio muto comando. Un tenue bagliore giallo illuminò in parte la camera e i miei occhi erano già posati su di lei, stesa inerme sul letto dove l’avevo posata quella mattina, con le mani ai fianchi e il petto fermo, vuoto. Odiavo osservarla e provare… qualcosa. Odiavo tutti i pensieri che mi passavano per la testa. Odiavo la morte e odiavo, sempre di più, me stesso. E non era un buon segno.
-Ti riporterò in vita, Maya- sussurrai fra le labbra –A costo di prendere la mia stessa vita e portarla da te- dissi, senza il minimo controllo sulle mie parole –Dopotutto te la devo una vita- alzai le spalle nel tentativo di sdrammatizzare, di scrollarmi di dosso quelle sensazioni incomprensibili riuscendo solo a rivederla mentre moriva e ridava a me quella stramaledetta vita. Sentii il suo sangue, lo ricordai, rosso scuro, caldo e denso e avvertii i canini ferirmi il labbro inferiore. Qualcosa di forte e tremendamente irritante partì, a quel punto, dal centro del mio petto, conoscevo fin troppo bene quella sensazione: odio. Mi odiai ancora mentre afferravo un portagioielli dal comodino e lo lanciavo contro lo specchio sulla parete di fronte al letto, spaccando la lastra in tante parti che non fecero altro che mostrarmi tanti me, tanti abomini e una vita presa di troppo. Serrai gli occhi, stringendo forte le palpebre e calmando i miei istinti, ma quando li riaprii nello specchio non c’erano più solamente tanti mostri con le sembianze umane, non c’ero più solamente io: lì c’erano anche tanti frammenti di quella vita strappata, tanti frammenti di Maya. E inaspettatamente sentii, per la seconda volta in un’unica giornata e in troppi secoli di esistenza, il peso di un cuore nel petto.
 
 



Ehiyoo!
Hola, gente! Come ve la passate?
Io vorrei sotterrarmi, praticamente sono passati più di due mesi dall’ultimo aggiornamento, I’m sorry.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto (DA NOTARE IL TITOLO, EH! CREDO CHE SIA IL PRIMO CHE SUONA ROMANTICO DA… DA SEMPRE IN PRATICA LOL) e che lascerete una recensione che me lo faccia capire, ci tengo molto;)
Bene, ringrazio come sempre TUTTI e vi aspetto qui sotto, fra i commenti;)
Baci
Alena18 xxx

 
 

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